Ametista

di gigliofucsia
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 31 ottobre 1869 ***
Capitolo 2: *** 1 novembre 1869 ***
Capitolo 3: *** 2 novembre 1869 ***
Capitolo 4: *** 3 novembre 1869 ***
Capitolo 5: *** 4 novembre 1869 ***
Capitolo 6: *** 5 novembre 1869 ***
Capitolo 7: *** 6 novembre 1869 ***
Capitolo 8: *** 7 novembre 1869 ***
Capitolo 9: *** 8 Novembre 1869 ***
Capitolo 10: *** 9 Novembre 1869 ***
Capitolo 11: *** 23 Novembre 1869 ***
Capitolo 12: *** 24 Novembre 1869 ***
Capitolo 13: *** 24 Novembre 1869 (parte 2) ***
Capitolo 14: *** 25 novembre 1869 ***



Capitolo 1
*** 31 ottobre 1869 ***


Capitolo 1

31 ottobre 1869

 

 

 

 

 

 

 
 

Con gli occhi arrossati mi perdevo fuori dal finestrino mentre il carro traballava sotto i piedi.

Il cuore era stretto in una morsa. La stessa scena mi appariva da ore davanti agli occhi come una tortura. Non la sopportavo ma non potevo farne a meno.

Quando chiusi gli occhi e mi sentì agghiacciata dalle urla dei paesani, dalle urla strazianti di mia madre mentre le fiamme la divoravano. Sentì la frustrazione di quando mi resi conto che non potevo muovermi. La stessa disperazione. La voce di mia madre mi arrivò alle orecchie come un vento. Il suo ultimo messaggio telepatico prima di morire mi disse «stai calma». Quando l'incantesimo immobilizzante si spezzo capì che ormai era troppo tardi. Mia madre aveva smesso esistere. Era diventata un pezzo di carne carbonizzato senza vita.

Il giorno dopo arrivò Don Quarzo mi caricò sul carro per portarmi all'orfanotrofio dell'Immenso, a White Village.

Quando li riaprì la polvere impregnava l'aria entrandomi nelle narici e un velo di mormorii mi arrivava dagli altri ragazzi intorno a me. Un vuoto mi colse come una pugnalata. Quel dolore intenso, mi avrebbe tormentato per tutta la vita. Quanto mi sarebbero mancati i suoi sorrisi, i suoi abbracci. I suoi preziosi consigli.

Fuori dal finestrino vedevo solo immense distese di erba e cipressi. La notte era così serena da rendere ancora più cruenta la tempesta che si agitava dentro di me. Una serie di istinti repressi cercavano di uscire. Scontrandosi con la mia volontà.

Il carro svoltò. Oltre le staccionate vidi dei campi e un grande monastero. Il carro si fermò, davanti ad un cancello nero. Si sentì un trascinante cigolio e il carro riprese, arrestandosi davanti ad un portone. Le portiere si aprirono e gli orfani fluirono nel cortile.

Scesi per ultima. Con la valigia in mano appoggiai i piedi sull'erba. Il vento campagnolo portava con se l'odore della natura.

Nello spiazzo c'erano tante porte. L'impressione era di essere in una piccola cittadina. La carrozza era davanti ad un edificio, ornato da statue di marmo. Delle scalinate si collegavano al portone e davanti ad esso c'erano un prete e una suora, illuminati dalla luce della lanterna.

Il cocchiere chiuse la portiera. Il carro ripartì sparendo dentro ad una stradina nel monastero. Non potevo negare di avere paura. Sapevo che era un rischio per me essere li.

Il prete alzò la lanterna. rivelando, la sua tunica nera e il viso severo. «Siate i benvenuti nella nostra piccola comunità» disse il prete «qui dentro non vi è posto per scansafatiche. Lavorate e sarete premiati, mancate di farlo e sarete puniti. Il mio nome è Don Quarzo. Accanto a me vi è la vicepreside: Suor Giada, che ora vi condurrà nel vostro dormitorio». Il prete consegnò la lanterna alla suora e sparì dietro il portone alle sue spalle.

Suor Giada non parlò. Scese gli scalini indicandoci con la mano di seguirla. Io esitai, facendomi avanti solo all'ultimo. Con lo sguardo a terra camminavo guardando la suora con rabbia, era colpa delle loro credenze e del loro dio se mia madre era morta. Oltrepassai, strade, corridoi e scale nel silenzio più assoluto.

Entrando nel dormitorio numero 13 vidi che alcuni letti erano già occupati. Le pareti bianche erano oscurate dalla sera. La finestra aperta scuoteva le tende anonime mentre ognuno camminava per la stanza scegliendo il suo letto.

Mi mossi in mezzo ai letti e appoggiai la mia valigia ai piedi della branda vicino alla finestra. Lontano da ogni persona in quella stanza.

Rimanemmo lì per qualche minuto. Io aprii la valigia e appoggiai sul comodino spoglio la foto incorniciata di mia madre e il suo libro preferito: “ Manuale avanzato di cucina”, o come lo vedevo io “ manuale avanzato di magia”. Io fissai il volto radioso nella foto in bianco e nero, con un groppo in gola. Ricordando tutti i momenti passati con lei.

Una morsa mi stringeva lo stomaco. Incapace di respirare, guardai la foto e rividi il suo volto incenerire trasformandosi in uno scheletro di sangue con la bocca spalancata in un grido disperato che mi risuonava nelle orecchie e mi faceva tremare le gambe.

All'improvviso la porta si spalancò. Entrò una suora dal viso tondo e sorridente. «Io sono Suor Ambra» disse mettendosi le mani dietro la schiena fiera. «Vi accompagnerò in tutti i lavori manuali. Siete pronti? Andiamo a raggiungere i vostri compagni alla mensa » e si fece da parte.

Io restando ferma sospirai. Volevo solo stare sola. Ambra mi guardò con un sopracciglio alzato e mi raggiunse. Appoggiandomi la mano sulla scapola mi spinse verso la porta. «Su! Non restare indietro». Mi immerse fra gli altri orfani e senza preoccuparsi più di tanto, allungò il dito davanti a se, iniziando a camminare.

La seguì finché non entrai in una stanza con due lunghi tavoli. Uno di loro era pieno di monaci e suore. Imbandito con sfarzo e da lì proveniva un odorino che avrebbe fatto venire fame a chiunque.

L'altro era spoglio. Oltre ai piatti, cucchiai, bicchieri e brocche d'acqua non vi era altro.

A capotavola un grosso pentolone si ergeva mescolato da un'altra suora. Lì si allungò una fila indiana di bambini e ragazzi di ogni età. Ogni ragazzino prendeva la sua porzione e se ne tornava al posto. Una poltiglia dal colore poco invitante doveva essere il nostro pasto. Sbuffai.

Mi sforzai di mangiare qualcosa. Tutti divoravano quella piccola porzione di sbobba come se fosse la cosa più buona del mondo mentre io mi limitavo a girare quella poltiglia con lo sguardo perso e lo stomaco sprangato. Mi sentivo come se un pezzo di montagna fosse stato posato sulle spalle e questo mi stesse schiacciando rendendomi incapace di andare avanti.

«Ciao, da dove vieni?», quella voce mi tirò fuori da quel pozzo di sensazioni. Mi voltai come spaesata. Il ragazzino al mio fianco mi guardo con i suoi occhi verdi. Quel sorriso mi scosse. «Ah! Scusa non mi sono presentato, Io mi chiamo Pirito». Io risposi «Ametista». Pirito indicò una bambina accanto a lui aveva i capelli biondi e due luminosi occhi azzurri. Mi guardava stranita.

«Lei è Perla» aggiunse. «Piacere» risposi. Pirito arrivò subito al sodo, «Stavo notando i tuoi vestiti. Nel tuo paese è normale per una ragazza portare i pantaloni?»

Io risposi «non mi interessa cosa è normale e le opinioni degli altri a me piace vestirmi in questo modo» Pirito esclamò «eh!» mentre Perla si faceva sempre più stranita. Io voltai lo sguardo sul cucchiaio «In casa mia nessuno mi ha mai detto come vestirmi» completai.

Pirito rispose «beh... sei elegante con il infiocchetto rosso al colletto della camicia». Perla si allungò verso di me, «hai un abbigliamento aristocratico, eri benestante?». Non sapevo se era giusto svelare il mio passato al primo incontro dopo quello che era successo ma, depressa com'ero non me ne importava nulla, «sì lo ero».

«Cosa è successo?» chiese il ragazzino allungandosi anche lui verso di me. In quel momento suonò la campanella io mi rimisi in piedi lasciando il piatto pieno. Arrivò Suor Ambra per accompagnarci al dormitorio. Ma la chiacchierata non si fermò lì. «hai la faccia di qualcuno che ne ha passate tante» commentò il ragazzino. «Sei dispiaciuta perché hai dovuto lasciare casa tua?» azzardò Perla.

Io mi afferrai le spalle «No non è per quello» mormorai sentendo la mia voce tremare.

«Ti va di raccontarci cosa è successo?» disse Perla « se non vuoi non importa». Io cercai di distrarre la mente dal quel ricordo raccapricciante. «È...» deglutì «È per mia madre... è... è morta ieri» Tutti edue fecero le loro condoglianze. Pirito disse «è la prima volta che vedo un'aristocratica triste per la morte di un genitore» aveva le guance rosee «cioè anche Gemma è aristocratica ma lei non ha fatto una piega quando è arrivata»

«È perché la maggior parte dei figli di questa classe sociale possono incontrare il genitore una volta al giorno sotto appuntamento, la mia invece è stata una vera mamma, mi è stata accanto e mi ha sostenuto finché... beh fino a ieri» risposi sentendo il mio pesò alleggerirsi di poco.

Ormai eravamo arrivati al dormitorio. Suor Ambra si fece da parte e noi entrammo. «E tuo padre invece?» disse Pirito afferrando la sua valigia. Io mi fermai, «Non l'ho mai conosciuto». E detto quello mi diressi verso il mio letto. Aprì la valigia sopra la branda. Mi infilai il pigiama e fu proprio il quel momento che Suor Ambra mi chiamò.

Io mi voltai. Lei mi disse, «Don Quarzo ha fissato il tuo battesimo per domani mattina» Mi ci volle qualche secondo per rendermene conto. Poi sentì il cuore salirmi in gola e lo stomaco ribaltarsi. Il ricordo di mia madre mi balenò alla testa: “Non farlo se non sei costretta, la metà di noi è morto per essere accettato e per la fede degli altri”. All'improvviso però sentì le mani prudermi e un fuoco salirmi in gola. Non dissi nulla, solo per pigrizia.

Non riuscii a dormire quella sera. Mi rigirai nel letto per i troppi pensieri in testa. Sapevo fin troppo bene l'effetto che avevano gli oggetti sacri su di me. Dopo ore di ansia costante, mi alzai in quella stanza sconosciuta. La luce della luna filtrava dalla finestra. Guardai il simbolo sacro sopra la porta, un cuore trafitto e gli occhi mi prudettero. Mi chiedevo con disperazione cosa fare. Mi afferrai la testa chiudendo gli occhi nel tentativo di svegliarmi da quell'incubo. Ma quando li riaprì non cambiò nulla.

Afferrai la foto incorniciata sul comodino e la guardai alzandomi dal letto. Quel viso, quanto avrei voluto che si fosse messo a parlare. Con il cuore in gola mi avviai verso la finestra. Oltre ad essa vedevo il cortile avvolto dalla notte. «Mamma perché sei morta?Perché mi hai abbandonato? Perché non mi hai permesso di salvarti? o di morire insieme a te?» mormorai. Anche se ero insieme a tanti ragazzini addormentati non sentivo altre presenze per kilometri. Scossi la testa e dissi «perché parlo con te se ormai non esisti più?»

Le lacrime che avevo trattenuto per tutto il giorno scesero sulle mie guance gocciolando dal mento fino al vetro della foto. Mi sedetti sul davanzale della finestra, appoggiando la spalla e le ginocchia sul vetro. Anche se tutto era avvolto nelle tenebre se non qualche lampione acceso oltre il monastero, guardare il cortile così calmo e incurante del mio dolore mi faceva entrare in uno stato di serena tristezza.

Sulle gambe piegate appoggiai la foto. La accarezzai con gentilezza e, sorridendo, lasciai fluire le emozioni che tanto avevo lasciato che mi corrodessero dentro. Singhiozzando in silenzio chiusi gli occhi stringendo al petto il volto di mia madre. Le mie lacrime la bagnarono a lungo.

Guardai fuori dalla finestra e appoggiai le guance ai vetri ghiacciati, finché i miei occhi non si chiusero.

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Capitolo 2
*** 1 novembre 1869 ***


Capitolo 2

1 novembre 1869

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una campanella mi rimbombò nelle orecchie. Con la pelle d'oca aprì gli occhi. La guancia appoggiata sul vetro si era agghiacciata e la fotografia era caduta appoggiandosi vicino alla finestra. Una leggera alba rischiarava il cielo notturno.

 

«Ametista! Cosa ci fai alla finestra?» esclamò Suor Ambra, camminò verso di me con la candela accesa. Io mi massaggiai gli occhi impastati dal pianto notturno, «non riuscivo a dormire». Scesi dal davanzale. Sbadigliai. Non riuscivo a svegliarmi quella mattina. «Ho capito, ma non puoi metterti a dormire sulla finestra, Reve ha creato i letti per un motivo». In verità un artigiano ha creato quei letti. Ma comunque non badai a lei. Appoggiai la foto sulla scrivania. Guardandola per un po'. Suor Ambra aspettò la mia risposta per poco, poi esclamò «Hai capito?». Io risposi con un «si» anonimo. Poi cominciai a vestirmi.

Quando mi misi la giacca nera mi presi due secondi per pensare se era il caso di portarmi dietro le protezioni. I tappini per le orecchie e il naso, in caso di incenso e preghiere. Meglio di si.

Me le misi in tasca e uscì dalla stanza insieme agli altri.

Il peso sembrava evaporato durante la notte. L'alba mi aveva rinfrancato ma la stanchezza si faceva strada. «Stai meglio oggi?», era la voce di perla. «Cosa ci facevi alla finestra?», chiese Pirito. Io risposi «niente non riuscivo a dormire così mi sono messa lì per guardare fuori dalla finestra, non pensavo che mi sarei addormentata». Pirito esclamò «ah! Stai meglio comunque»Annuii. Giusto per dargli soddisfazione. In realtà il battesimo era una costante ansia.

 

La Làcolonia era un fiero edificio decorato di statue con un grande portone. Mi infilai i tappini nelle orecchie e nel naso.

Le porte si aprirono. Il cuore mi pulsava sempre più veloce. Brividi mi percorsero quando misi piede lì dentro. All'improvviso mi sentì pesante. Tutti ci sedemmo.

Sull'altare, don quarzo ci guardava fiero. Suor Giada, si era appena girata verso la platea. Mai mi ero sentita così in trappola. Mi trovavo davanti a cose che non avevo mai visto. Con gli occhi spalancati guardavo le vetrate colorate, i quadri e le immagini. Tutto ciò mi faceva prudere gli occhi.

Nonostante i tappi riuscivo a sentire la voce del prete. «Popolo di Reve, dio onnipotente».Un pesante silenzio cadde nella Làcolonia.

«Siamo qui riuniti per Reve, dio onnipotente. Ringraziamolo per la sua benevolenza».

Tutti si alzarono in piedi. Io li seguì. La preghiera non mi danneggio, ma i guai dovevano ancora arrivare. Fu alla fine della preghiera che Don Quarzo mi annunciò. Avrei voluto che quel momento non fosse mai arrivato.

«Oggi, una nuova fedele si unirà al gregge di Reve. Il cuore non aveva mai martellato così forte. «Si alzi in piedi Ametista». Con un tremolio incontrollato mi alzai. Con i pugni stretti camminai verso l'altare.

Stavo per entrare a far parte di una comunità che non mi avrebbe mai accettato. Per me il concetto di dio era assurdo, inoltre, il “manuale avanzato di cucina” in realtà era il “ manuale avanzato di Magia”

Avanzai sugli scalini del presbiterio. Don Quarzo mi voltò spingendomi davanti alla vasca battesimale. Un violento brivido mi corse lungo la schiena. Fissai tutta quell'acqua santa spalancando gli occhi. Suor Giada mi appoggiò una mano sulla scapola e mi spinse via. Io continuai a guardare finché la mia testa non disse “basta” e si voltò di scatto.

 

La suora mi condusse in una piccola stanza. Mi fece mettere una tunica bianca. Sentivo mormorii sommessi dei fedeli. Pensavo che fosse questa la sensazione che aveva provato mi madre prima di essere condotta al palo. Tutta me stessa mi stava gridando di scappare eppure ero ancora lì, e stavo per cominciare. Quando le preghiere finirono, Suor Giada mi ricondusse fuori.

La visuale mi si aprì su tutto l'edificio. Vedevo gli archi acuti e gli sguardi fissi del “gregge di Reve” come un peso.

Quarzo fece il suo discorso solenne. Giada mi immerse i piedi nell'acqua santa. Loro cominciarono a perdere di sensibilità. Mi fece sedere. La testa divenne un uragano.

Ad un tratto la suora mi spinse giù. Un ondata di acqua santa mi sommerse.

In quel tremendo secondo sperimentai la morte. Tutto era nero. Non mi sentivo più.

Una luce mi travolse. Riemersi. Ripresi il controllo del mio corpo. Non riuscivo ad aprire gli occhi. Le gambe mi cedevano. Gli arti tremavano e il mio respiro era debole. Suor Giada mi reggeva. Una volta fuori dalla vasca qualcuno mi lancio un asciugamano.

Io raddrizzai di poco la schiena. Ascoltando il canto della platea. Afferrai l'asciugamano con la mano che mi tremava. Asciugai gli occhi che rimasero serrati. Suor giada mi ricondusse nella stessa stanza di prima.

 

Quando ci si sveglia nel cuore della notte, i tuoi occhi rimangono serrato, il tuo corpo barcolla ma continui a camminare. Fu così che arrivai dietro al divisorio.

Mi adagiai al muro con il respiro corto. Il mio corpo si muoveva con una lentezza esasperante. Ma dopo tutto avevo fatto bene a prendere l' antisacro, anche se avevo dormito poco e male, il poco effetto che ha avuto mi aveva salvato.

Dopo un po' i miei occhi si riaffacciarono sul mondo. Mi alzai e mi cambiai. Mi sentivo ancora molto debole. Le mie gambe non sembravano reggere il mio peso. Non mi serviva uno specchio per capire che avevo un aspetto orribile. Quella condizione mi avrebbe perseguitato per giorni.

Mi stavo rimettendo la giacca. La porta si spalancò. Sentì suor Giada mormorare . Poi tolsi un tappo e la voce di suor Ambra rimbombò in tutta la stanza, « Esagerata! Sarà stata l'emozione, anche a me è venuta la tremarella quando mi sono battezzata. Adesso bisogna che lei assista alla messa» e sentì la porta richiudersi. Io contrassi i muscoli. Raddrizzai la schiena e uscii allo scoperto. Suor Giada mi fissò penetrante. Avanzò verso le braccia verso la tunica bianca. La consegnai. Poi la suora si fece da parte.

Con la debolezza che mi tirava a terra uscì dalla stanza. Avanzando lungo le mura ritornai al mio posto. Ormai era fatta. Ora facevo parte di una religione.

 

Sospirando guardavo la solita poltiglia sul piatto. Mi sorreggevo la fronte arricciando il naso. Mi portai una cucchiaiata piena alla bocca e inghiottì. Quella roba verde e densa mi scese in gola . Scossi la testa e rimisi il cucchiaio nella ciotola quasi piena.

La mia mente era ancora nella vasca di acqua santa.

Giada suonò la campanella. Mi alzai insieme agli altri. Tutti portammo i piatti in cucina e li lavammo, compresi quelli degli adulti che erano la parte più faticosa del lavoro. Ero arrivata da un giorno e già non sopportavo più quella situazione. Poi Ambra ci portò nel corridoio. Esso si affollò in pochi secondi.

Saremo stati un centinaio. Messi in file da dieci. Giada camminava con gli occhi fissi su di noi. All'improvviso si fermò. Puntò il dito su una ragazzina dicendo «questa fila si occuperà di pulire i tappeti», Ad ogni fila di orfani diede un compito. Alla mia fila toccò la raccolta delle foglie nel pero. Ci staccammo dagli altri ragazzini e ci dirigemmo fuori dal corridoio.

Marciammo su scale strette e ampi corridoio con suor Ambra. Infine la suora spalancò l'ennesima porta e un gelido vento ci investì. Lì sentì rabbrividire. Io mi chiusi il cappotto nero e uscì.

L'aria mattutina mi gelò le narici. Il cielo stava per dipingersi di azzurro e il vento fischiava fra i tetti del convento.

Camminammo in fila indiana sbucando fuori da un arco. Calpestammo l'erba umida del cortile interno e oltrepassammo i cancelli. Un'aperta campagna si aprì davanti ai miei occhi. Mi chiedevo se, da quel momento in poi non avrei visto solo campi.

In silenzio guardai le staccionate di legno, i muretti coperti d'edera e i sentieri di ghiaia. Lungo la strada non mancarono le statue sacre, che non migliorarono il mio umore.

Varcammo un cancelletto di legno aperto. Attraversammo gli alberi da frutto. Le foglie ingiallite cadevano volteggiando. Foglie secche scricchiolavano sotto i nostri piedi.

Mi consegnarono un rastrello e tutti si misero a fare cumuli di foglie. Per me fu abbastanza dura. Sentivo su di me tutta la pesantezza del battesimo.

«Come? Già stanca?» esclamò Pirito sempre con il sorriso sulle labbra. Io annuii e, sospirando, mi fermai, «sono stanca». Fu in quel momento che arrivò Perla con la carriola a prendere le foglie. « già di mattina?» disse Pirito. Perla esclamò «Ha dormito sulla finestra». Pirito sghignazzò «si! Scherzavo». Io ricominciai a lavorare. Perla se ne andò. Pirito mi disse «Hai degli occhi davvero particolari, non avevo mai visto degli occhi così violetti». Per un attimo presi paura. Sapevo il colore dei miei occhi sarebbe stato il primo indizio sulla mia vera natura, ma purtroppo non avevo modo di mascherarli. «Ti piacciono?» chiesi «mia mamma diceva che sono rari». Lui spalancando gli occhi per pochissimo rispose «Sì non sono affatto male».

Il colore dei miei occhi era già stato interpretato male in passato, senza però rivelare niente sulla mia vera natura Perché la gente non si facevano troppe domande. Ma era vero che «Nessuno me l'aveva detto prima». Pirito rispose «Beh cose così rare sono spesso interpretate male dalla gente, c'era una mia amica che veniva presa in giro perché aveva i capelli biondi. Ma io non sono bigotto tranquilla».

Quelle parole scaldavano il cuore. Era la prima volta che incontravo una persona aperta di mente. Forse avrei potuto aprirmi un po' di più con questo ragazzino. «beh, neanche io sono molto religiosa..» Il suo sorriso sparì e i suoi occhi si spalancarono «n-non dirlo in giro ma, non avrei voluto battezzarmi » mormorai. Mi rivolse quello sguardo per un attimo. Il mio cuore ricominciò a pulsare con una certa forza mentre voltavo lo sguardo verso il rastrello. Lui fece altrettanto e rispose sorridendo «n-neanche io ad essere sincero. Avrei voluto rifiutarmi ma avevo paura di essere preso per un eretico. Sai Quando entri in un orfanotrofio e di punto in bianco ti programmano il battesimo senza chiederti niente, dai per scontato che non puoi rifiutarti». Io annuì tirando un sospiro di sollievo.

 

Lavorammo tutto il giorno. Una volta finito un lavoro ci portammo da un'altra parte. La mia testa era in confusione c'erano alcune cose che non andavano.

«Sembra che siamo solo noi a lavorare però» dissi a pirito strappando le erbacce dal tronco di un pero. Fu perla a rispondermi «È solo un'impressione. I preti e le suore stanno lavorando per le nostra anime al terzo piano».

Aveva un tono così convinto che non potei fare a meno di sghignazzare. Non tanto per l'idiozia ma per il gatto che gli ecclesiastici stavano pensando sul serio di star lavorando per noi. Quando in realtà non facevano altro che scaricarci il lavoro addosso. «Cos'hai da sghignazzare?» chiese Pirito ridendo insieme a me. Io risposi « niente! È che questa mi sembra una buona scusa per non far nulla».

Pirito spalancando gli occhi esclamò «ah!...». Poi lo vidi allungare lo sguardo verso suor Ambra poi si avvicinò a me. Prese fiato, mi guardò intrecciando le mani.

Io lo guardai con le palpitazioni. Non lo conoscevo a si era impallidito. Riaprì di nuovo le labbra come per dire qualcosa ma poi la richiuse. «Tutto a posto?» chiesi. Lui scuotendo la testa disse «si! ma...». Io mi avvicinai «cosa?». Lui rispose tutto d'un fiato «tu non credi a dio?».

Sentì il cuore battere un colpo violento contro il torace.

Avevo un amico di famiglia che aveva gli occhi di un moro normale una volta. Un giorno io vidi bruciare nelle fiamme con l'accusa di stregoneria. Mia madre mi disse che aveva rivelato ad un suo amico di non credere in dio e lui l'aveva denunciato per avere il suo posto all'azienda. Quella storia mi è rimasta sempre impressa. Anche se all'epoca ero troppo giovane per capire cosa significasse, mi sono sempre interrogata su questo fatto perché quell'amico di famiglia era quella persona che mi dava l'idea di padre.

In quel momento avrei voluto dire la verità ma non sapevo se... quanto avrei voluto che mia madre fosse lì. Decisi di chiudere gli occhi e di tacere.

Pirito balbettò quasi sussurrando «a-anche io non ci credo». Sentì il petto riprendere fiato. Lo guardai spalancando gli occhi. Lui la pensava come me, una persona come lui non volevo lasciarmela scappare. Mi avvicinai ancora di più «noi la pensiamo allo stesso modo, diventiamo amici?».

Lui spalancò gli occhi « volevo chiedertelo io. È la prima volta che incontro qualcuno che la pensa come me».

 


 

Quando mi sedetti al tavolo sentì tutte le mie membra rilasciare tutta la fatica. Dopo la quarta cucchiaiata mi convinsi a forza che quella poltiglia non era poi così male. Pur sapendo che non era nemmeno paragonabile a quello che si permettevano gli adulti. Avevo chiesto a Pirito il programma del pomeriggio e lui mi rispose che dopo pranzo avremmo fatto lavori manuali per altre quattro ore, poi ci sarebbero state tre ore di studio con Giada, verso sera era in programma la messa serale, poi la cena, dopo aver lavato i piatti saremmo andanti a dormire. Io sbuffai. Il solo pensiero di alzarmi e ricominciare a lavorare mi faceva venir voglia di scappare. Ma non mi lamentai quando mi mandarono a lavorare.


 


 

«Sì ma io non ce la faccio più, sono al limite!» esclamai. Mi misi a sedere afferrandomi la testa pulsante. Pirito, pulendosi le mani piene di cenere disse «stringi i denti che mancano solo cinque minuti alle 17»

Io mi guardai intorno. A parte il simbolo sacro sulla parete e letti bianchi, non vedevo nulla che potesse assomigliare ad un orologio. «Come lo sai?» chiesi. Lui indicò la finestra. Io mi voltai e vidi che oltre i vetri della finestra opposta alla nostra, c'era un orologio a pendolo. «Ah!» esclamai con debolezza.

Pirito sorrise, «è da un po' che sono qui». La domanda sorse spontanea, «Come mai sei qui?». Lui abbassò lo sguardo. I suoi occhi si fecero lucidi. Mentre stringeva la stoffa dei pantaloni, gli angoli delle labbra si alzarono con un andamento molto forzato.

Io deglutì. Pirito mormorò «è... una lunga storia». Avevo la sensazione di aver fatto una domanda troppo personale, «Se non vuoi raccostarla non sei obbligato» mormorai.

«No! Dopo tutto tu mi hai raccontato la tua ieri» mormorò Pirito ricominciando a lavorare. Perla le afferrò la spalla incoraggiandolo. Lui le annuì e disse «Io vengo da una città che si chiama Formith. Si trovava in uno stato in guerra da molto tempo per motivi religiosi e mio padre una volta finita tornò ed era cambiato. Era diventato violento. Un medico ci disse che tutto ciò era dovuta a una commozione celebrale e che l'operazione sarebbe stata rischiosa e costosa. La famiglia non aveva un soldo quindi decidemmo di tenercelo così.

«Col tempo pero la cosa divenne insostenibile. A mia madre venne l'idea di scappare. Mio padre lo seppe e la uccise. Il governo, a quel punto decretò che i miei genitori non erano idonei a crescermi e mi mandarono qui ».

Io non sapevo cosa pensare. Con sincerità dissi «Mi dispiace, in alcuni paesi orientali è possibile annullare il matrimonio, lo sai?». Perla spalancando gli occhi esclamò «davvero?». Pirito si limitò ad annuire « se a Formith ci fosse stata questa libertà si sarebbe risolto tutto».

«Era brava?» chiesi. Lui disse «aveva i suoi difetti, forse un po' troppo puntigliosa, ma era di certo migliore di mio padre».

Giusto per curiosità chiesi a Perla della sua storia. «È ora di andare a lezione». Io mi alzai spolverandomi le mani alla meglio. Vedevo nelle ore di lezione un'occasione per rilassarmi. Mi alzai e seguì i miei amici nel corridoio. La suora che suonava la campanella scomparve dietro una porta.

Perla e Pirito procedevano spediti. All'improvviso sentì la mano vibrare con violenza. Dopo qualche istante smise. Sapevo cosa significava. Dopo pochi secondi la sentì vibrare di nuovo. Mi posai la mano sugli occhi e li chiusi. Davanti a me apparve Suor Ambra. Le sue mani viaggiavano tra i miei vestiti e le tasche della valigia. Sentì il cuore in gola. Non pensavo che sarebbero stati così meschini da controllarmi. Dentro a quella valigia c'era la mia vita: l'antiallergico, il diario parlante, L'orologio controlla-tempo.

La suora toccò il libro sul comodino, lo guardò e lo posò al suo post. Poi tirò fuori il mio orologio, lo guardò e lo ributtò nella valigia. L'ultima cosa che sollevò fu la chiave del mio diario. Una chiave in metallo nero con la testa a teschio. Questa la prese e se la mise in tasca. Richiuse la valigia e uscì dalla stanza. Non gliel'avrei fatta passare liscia, nessuno ruba la mia roba senza le conseguenze.


 

Dopo aver salito l'ennesima rampa di scale, uscì nel corridoio del secondo piano e vidi una porta aperta. Dentro era appena entrato un ragazzo. Con calma mi diressi verso l'aula.

Non ebbi il tempo per guardare l'aula. Suor Giada mi chiamò «Ametista sei in ritardo! Oggi all'ora di cena aiuterai suor Ambra in cucina». Io rimasi senza parole. La mia testa si svuotò perché non riuscivo a capire se ero davvero in ritardo! Oggi all'ora di cena aiuterai suor Ambra in cucina!». Io rimasi senza parole. «Scusate ma a me non sembra proprio di aver fatto questo grande ritardo» ribattei.

Giada mi guardò con il fuoco negli occhi «non accetto discussioni». Sembrava che ce l'avesse con me. Non mi sentì di contraddirla, anche se sentivo di essere stata trattata in modo ingiusto. Misi le mani avanti ed annuì.

L'aula era lunga e stretta. Al suo interno , coppie di banchi erano appiccicati alle pareti. Dietro la cattedra, c'era la lavagna e sopra di essa, il solito simbolo sacro. Gli diedi un'occhiata per sbaglio e dovetti distogliere lo sguardo.

Odiavo essere seguita da quegli sguardi anonimi. Erano molti per una classe normale. Vidi un banco vuoto vicino a Pirito e mi ci sedetti. Era vicino alla finestra, un posto perfetto.

La soddisfazione di sedermi dopo ore di lavoro fu incalcolabile. Mi sentivo un po' rincuorata. Io ero una persona fatta per il lavoro mentale non fisico.

Suor Giada cominciò a spiegare. Io stavo ancora analizzando la punizione di Giada perché c'era qualcosa che non mi tornava. «Come hai fatto a trovare la classe giusta?» chiese Pirito sottovoce. «È stato un caso, ma lei è sempre così o...».

Pirito scosse la testa dicendo «Devi fare attenzione con lei» mi girai verso il mio compagno di banco alzando un sopracciglio. «Basta un minuto di ritardo e ti mette in punizione». Io annuii.

«Ametista!» esclamò la suora. Mi alzai «si». Lei indicò la lavagna. Sopra vi era scritto in gesso uno scioglilingua. «Leggi questa frase» disse. Io presi un bel respiro «Se il coniglio gli agli ti piglia prendigli gli agli e togligli gli artigli»

Suor Giada spalancò gli occhi. La classe era stupita. Pirito iniziò ad applaudire e tutti lo seguirono. Non mi sembrava il caso di farmi un tale onore. Infatti la suora gridò di fare silenzio e tutto tornò muto.

Cancellando la lavagna con la spugna disse« sai leggere anche questa?». Prese il gessetto e scrisse un'altra frase, mi stava sfidando? Sembrava molto più difficile di quella prima. Con calma,mi dissi. Invece avevo le ginocchia che mi tremavano e il cuore con le palpitazioni.

«Una puzzola puzzona spezza un pezzo di... pazza pezza che puzza di pozzo... che spazzola una pezza spazzata», tutto sommato l'avevo detto bene. Vidi la suora infastidita.

Tutte le tre ore di lezione furono come un'interrogazione. Per me cose simili erano basilari ma per gli orfani a quanto pareva no. Guardavo fuori dalla finestra e ogni folta che finiva la spiegazione la domanda era rivolta a me.

Il mio stomaco brontolava da ore. Stavo resistendo solo perché vedevo vicina l'ora di cena, quando mi ricordai della punizione di Giada sbuffai. Quando sentimmo la campana della làcolonia suonare le otto di sera, tutti uscimmo dalla classe con Suor Giada diretti verso la cappella. Nonostante le tre ore seduta mi sentivo ancora pesante. Mi trascinai veloce verso la làcolonia per la messa serale poi andammo alla mensa.

Passammo davanti alla porta della cucina e Suor Giada mi disse «Tu entri qui dentro». Da quella stanza veniva un profumino. Cercando di non badarci entrai. Cera fumo dappertutto. L'aria era satura di odori e vedevo suore andare avanti e indietro.

Mi chiusi la porta alle spalle. Suor Ambra uscì dalla nebbia e pulendosi le mani con uno straccio , mi disse « Come mai qui? Sei stata punita da Giada scommetto» Non mi lasciò parlare. «Va beh non importa, vai da suor Acquamarina che ti insegna a preparare la Sbobbola, la colazione dei campioni. È laggiù non perdere tempo. Mi diede due pacche sulle spalle e poi se ne andò.

Io non sapevo cosa dire. Mi diressi verso la suora indicata e lei mi rivelò la ricetta della poltiglia che mangiavano gli orfani ogni giorno. Era una zuppa, dentro c'era di tutto. Lo consideravano un pasto completo.

Stavo tagliuzzando le verdure per il giorno dopo. Tutte le suore erano andate via tranne Ambra. Quando finì suor Ambra mi disse di aspettare lì e poi se ne andò.

Io mi sedetti. Non c'erano parole per raccontare la mia stanchezza. Sentivo anche una forte nostalgia di casa mia. All'improvviso arrivò suor Ambra che posò una grossa mela rossa sul tavolo. «Tieni» mi disse. Io la guardai con un sopracciglio alzato, «non hai mangiato nulla» aggiunse la suora.

A me risultava strano che la suora mi offrisse la mela «mangiare fuori orario è contro le regole» me l'aveva detto Perla questa mattina. Lei spalanca la porta e dice «Non puoi andare a letto a stomaco vuoto, forza mangiala». Io mi trovai davanti ad una grossa indecisione. Il mio stomaco chiedeva aiuto e quella mela mi faceva gola.

Ambra insistette «Non lo verrà a sapere nessuno sta tranquilla» e detto questo se ne andò. Maledissi la suora per avermi tentato con quella mela. Mi alzai e la presi in mano. L'acquolina mi saliva. La voce che mi attirava verso quella mela era sempre più suadente.

Mi sforzai di pensare. L'unico pericolo che correvo nel mangiare quella male era che qualche suora mi vedesse e punisse. Per il resto, mi avrebbe solo giovato. Non sapevo se era il caso di correre i rischi o no.

In quella stanza non c'era nessuno. Fuori era buio pesto e con tutta probabilità stavano per mettersi a dormire. Ma era probabile che per puro caso qualcuno avrebbe potuto scoprirmi. Per non correre rischi era meglio lasciarla lì. Però la fame era troppa. Non ero al sicuro lì dentro.

La lasciai sul tavolo. Mi avviai verso la porta e afferrai la maniglia.

Il mio stomaco si strinse. Mi voltai verso quella mela succulenta che mi attirava come una calamita. Accidenti a quella suora maledetta, se non me l'avesse offerta sarebbe stato tutto più facile. Aprì la porta. Nel corridoio non c'era nessuno. Osservai la cucina. Volendo c'era un ripostiglio. Se avessi fatto veloce non si sarebbe insospettito nessuno , ma era comunque un rischio.

Scossi la testa e mi decisi ad andarmene. Avevo il piede sulla soglia, quando mi voltai piano verso la mela.

La tentazione era forte. Ma io volevo evitare i guai. Ne avevo già passati troppi. Mi convinsi ad uscire da quella cucina e a chiudermi la porta alle spalle. Andai verso il dormitorio cercando di non pensare a quella mela. Più volte mi venne la tentazione di tornare indietro a prenderla ma riuscì a trattenermi. Imprecando in modo incontrollato entrai nel dormitorio.

Mi ritrovai dentro ad una guerra di cuscini. La battaglia era accesa. Piume svolazzavano in aria. Urla e risate rimbombavano nella stanza.

Io ridendo per la sorpresa Cercai di attraversare la stanza con le braccia alzate per proteggermi dai cuscini. Per fortuna la guerra si combatteva tutta al centro e una volta superato quel punto era tutto molto tranquillo. Indossai il pigiama e mi sdraiai a letto.

Il mio stomaco protestò tanto da farmi male. Quando avrei voluto essere a casa, con la mia mamma. Mi chiesi cosa avevo fatto di male per meritare questo.

«Com'è andata?» chiese la voce di Pirito. Io non sapevo cosa rispondere.« Non è tanto la punizione ma il fatto che mi hanno fatto saltare la cena. Poi Suor Ambra mi ha offerto una mela, mi stavo quasi abituando quando me l'ha messa davanti. Ho combattuto per trattenermi. Anche adesso mi verrebbe la tentazione di correre e riprenderla».

In quel momento Perla esclamò «Non ha accettato la mela di Suor Ambra?!Perché?». Senza pensare risposi «non voglio mettermi nei guai il primo giorno, vuoi dire che non è la prima volta che la offre a qualcuno?».

Pirito si appoggiò sul comodino «si, lo fa sempre ma è la prima volta che qualcuno la rifiuta». Pirito aveva toccato il libro di magia avanzata. Si voltò e lesse il titolo «Ti piace la cucina?» chiese. «Il libro è di mia madre. A me piace leggere».

Pirito prese il libro e lo sfogliò,«anche a me, ma io mi interesso di libri di medicina, libri che qui non ci sono, anche io me li sono portati da casa».

«Io avevo abbastanza spazio per metterci solo tre libri, mi è dispiaciuto tanto lasciare tutti gli altri a casa mia, sai per caso se c'é una biblioteca qui dentro?». Lui annuì convinto « al terzo piano, ma è zona vietata ai bambini, ed è inutile dire che con l'orario che abbiamo non c'é uno spazio per sgattaiolare lì . Io ci vado solo a notte fonda».

«Sei un ribelle» esclamai sorridendo. Lui scosse la testa «no! Sono solo un ragazzino con una forte sete di conoscenza». Io chiesi «C'è almeno qualcosa di interessante?» Speravo di trovare qualche romanzetto senza pretese da leggere. Ma Pirito sghignazzò «Libri di Teologia, favole su Reve e il diavolo. Roba buona solo per farsi due risate. Tu non immagini le idiozie che la gente crede di sapere. Ho letto roba del tipo: “Per avere la salvezza non devi mangiare il pollo perché ti fa diventare gay” roba da morire dalle risate».

Infatti, io scoppiai a ridere, «Non è proprio il mio genere» risposi. «M tu ci stai ore in biblioteca o te li porti dietro?». Lui alzò le spalle «be me li porto dietro, se mi beccassero lì dentro mi chiuderebbero in cantina per una settimana».

Io sghignazzando risposi «esagerato!» Perla si intromise « Invece non sta affatto esagerando. Una volta mi sono alzata durante la notte per cercare il bagno e mi hanno fatto passare il resto della nottata in cantina, non è stata un esperienza piacevole».

Io non potevo crederci «dici sul serio?». Tutti e due annuirono «Te lo assicuro» disse Perla. «Queste suore sono fuori di testa» dissi spalancando gli occhi.

«Comunque rispetto per la fede» ci ammonì Perla. Io fui la prima a rispondere « Io non mi burlo della vostra fede, per me ognuno ha il diritto di credere a quello che vuole ma non potete nemmeno pensare di condannare delle persone sulla base di un dio su cui non avete uno straccio di prova». Perla sembrò convinta.

Il mio stomaco si attorcigliò borbottando. All'improvviso una voce sconosciuta mi interpellò « Ti sei fatta vedere oggi!» Davanti a me erano apparse tre persone. Un ragazzo alto e biondo dallo sguardo arrogante; una ragazza, un poco più bassa, mora, dall'atteggiamento altezzoso e un ragazzino dell'età di Perla, dalla pelle cerea, i capelli corvini e lo sguardo ansioso.

Quello che aveva parlato era il biondo. «Chi siete?» chiesi al gruppo. Il biondo rispose «io sono Alessandrito, e loro Gemma e Eliodoro. Tu invece ti chiami Ametista giusto? Il tuo nome è stato ripetuto diverse volte oggi, ormai è impossibile scordarlo».

Io alzai le spalle «beh, è il mio primo giorno, non sapevo che le suore fossero così severe».

«Secondo me sei tu che sei un po' ribelle» disse Gemma. Io non le davo torto «può darsi ma non mi sembra di aver fatto qualcosa di sbagliato, sono solo arrivata un po' in ritardo».

Il ragazzino, Eliodoro abbassò lo sguardo intrecciando le dita. Alessandrito sghignazzando disse « Ma a parte gli scherzi, cosa facevi sul davanzale dalla finestra?». Il mio sorriso si sciolse «non riuscivo a dormire, così mi sono messa sul davanzale per guardare fuori e mi ci sono addormentata».

Lui alzò il sopracciglio toccandosi il mento «A me pareva di aver sentito piangere», la sua espressione mutò. Un ghigno le parve sul volto. Io deglutì . Mi misi seduta facendo attenzione a mascherare la rabbia che mi saliva lungo la bocca dello stomaco. Affari la foto di mia madre e la guardai «Non è colpa mia, se è successo» sentì le dita prendere la forma della cornice.

Pirito rivolse a Alessandrito uno sguardo rimproverativo, «dovevi proprio dirlo? Anche io l'ho sentita ma non sono così arrogante da rinfacciarglielo». Il biondo raddrizzo la schiena «cosa c'é di arrogante? É lei che si è dimostrata debole» ribatté.

«E che male c'é?» rispose Pirito «Dopo tutto anche io ho pianto il primo giorno non è una cosa per cui si deve sentire in colpa».

Mentre io continuavo a sfiorare la foto con un buco nel cuore più doloroso nella fame, Gemma ribatté «Noi lo facciamo per il bene, la vita non è facile deve essere forte». Quella era una scusa bella e buona.

«Non ve ne dovrebbe fregare nulla della mia vita» dissi con tono fermo.

La porta si spalancò. Suor Ambra entrò. «Tutti a letto!». La conversazione si fermò lì, tutti si fermarono mettendosi a letto. Io mi misi sotto le coperte,appoggiando la foto sul comodino in modo che mi guardasse. E mi addormentai.

 

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Capitolo 3
*** 2 novembre 1869 ***


Capitolo 3

2 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 

Lo confesso. Quella notte avevo dormito per modo dire. I brontolii durante la notte, si erano trasformati in vere e proprie pugnalate. Tenendolo stretto mi ero girata nel letto non so quante volta. Non riuscì a chiudere occhio. Più di una volta ho aperto gli occhi più sveglia di prima. La mia testa era affollata di preoccupazioni e sudavo nonostante facesse freddo.

Quando l'alba era alta io ero già sveglia e vestita da molto tempo. Seduta sul letto sfogliavo le pagine ruvide del libro di mia madre. Era incredibile quante magie avrei potuto imparare se non fosse per quella religione che mi condannava senza motivo.

Suor Ambra spalancò la porta e gridò a tutti di alzarsi e vestirsi. Mormorii, lamenti, fruscii di coperte e sbadigli spezzarono il silenzio. Io ero immersa fra quelle parole e non badai a quello che avevo intorno, finché suor Ambra non esclamò «sei mattiniera oggi!».

Il suo tono allegro mi dava fastidio «Non ho dormito... di nuovo» glielo dissi come se fosse colpa sua. Lo feci apposta perché era colpa loro se mi trovavo lì e se non potevo essere quello che ero. Lei però sembrò non darmi ascolto «ascolta Ametista» disse mettendosi davanti a me. Io chiusi il volume per educazione. «Perché ti vesti cosi?»

Io ci rimasi allibita. Eccole che ricominciano, pensai.

Io risposi « che domanda è? Mi piace vestirmi cosi che male c'é?». Lei si fece dubbiosa e replicò «non c'é niente di male ma non è un abbigliamento appropriato per una ragazza. La fonte vieta alle ragazze di portare abbigliamenti maschili».

E ti pareva, sempre questo libro sacro di mezzo, pensai

Io come un pezzo di ghiaccio replicai «Nel mio paese questo è un abbigliamento femminile». Non ammettevo repliche sul mio modo di vestire, soprattutto da una suora.

«Sì ma ora non sei parte di questa comunità e devi seguire le nostre regole, è una questione di rispetto» capivo le sue motivazioni ma c'era un punto che non aveva preso in considerazione.

Non esitai a riaprire il volume tanto non avrebbero mai visto il suo vero contenuto. «Anche per me è una questione di rispetto» dissi, non potevano pretendere che io mi mettessi una gonna solo perché lo dicevano loro. Come io rispettavo il loro modo di essere, loro dovevano rispettare il mio. E non mi interessava se ero stata battezzata, non avrei mai fatto parte della loro religione. E questo era quanto.

Lei alzò le spalle «beh pensaci comunque». Ritornò dagli altri dicendo «forza! muoversi che fra sei minuti abbiamo la messa mattutina».


 

Dopo la messa mattutina e la colazione, che non esitai a divorare anche se lasciava parecchio a desiderare, il nostro gruppo venne assegnato a Suor Ambra che ci portò nell'orto a fare giardinaggio.

Non mi dispiaceva stare un po' all'aria aperta. Parlare con gli amici di cose poco importanti che facevano passare il tempo. Ad esempio: il fatto che i nomi avessero origine da quelli di pietre preziose era una chiara prova che provenivamo tutti dalla stessa nazione.

«C'è una suora molto simpatica che si chiama Suor Acquamarina e non è un nome brutto, la pietra preziosa in questione, l'ho vista in un libro, è di un colore azzurro chiaro è bellissima» dissi strappando le erbacce dai cavoli.

Pirito annuì «Neanche l'ametista è brutta però, io l'ho vista di persona sull'anello di mia zia; lei ha sposato un nobile ma detesta i bambini e non mi ha accettato, mi ha mandato in questo orfanotrofio; è una pietra che ha un colore scuro e misterioso, per questo mi piace».

« A me invece no! È troppo particolare mi piacciono le cose più semplici» la voce di Alessandrito mi fece sobbalzare. Mi voltai. Il suo sorriso arrogante mi riempì gli occhi di odio «per dio Reve come ti vesti? Sembri un fenomeno da baraccone»

Io mi alzai di scatto «non mi faccio dare lezioni da uno come te» il mio corpo fremeva, sopratutto i miei pugni.

«wow guardate come si infiamma facile la novellina» esclama il biondo. Risa fece una risata forzata. Eliodoro restette zitto con lo sguardo basso.

Il biondo si rivolse verso Eliodoro dicendo «era una battuta! Ridi». Lui fece una risatina così finta che la voglia di tirare un pugno al biondo era sempre più forte. Adrian tirò il viso e gridò «Che risata era quella?! Forza più energia Elio». Anche Risa gli ordinò «non essere scortese, bisogna ridere alle battute degli altri!».

La cosa mi turbò parecchio, quei due imbecilli pensavano di poter dire a quel ragazzino come essere e cosa fare. Cercai di trattenermi con tutte le mie forze. Non mi aspettavo, però, che l'effetto sarebbe stato così immediato. Dopo aver balbettato le sue scuse rise con forza.

Io non avrei mai fatto una cosa del genere nemmeno se me l'avesse chiesto la persona più importante del mondo. Stava di fatto che il biondo non si fermò lì « insomma anche solo a guardare i suoi vestiti viene da ridere! Come fai a rimanere serio?».

In quel momento quel poco del mio autocontrollo andò a farsi friggere: «Sentì imbecille! Perché non ti fai gli affari tuoi e ci liberi della tua presenza alquanto sgradita presenza?!». Molti si voltarono verso di noi spalancando gli occhi e sussultando come se avessi detto qualcosa di inaudito.

Anche lui si girò spalancando gli occhi come Gemma che, rossa in viso, esclamò «A chi hai detto imbecille?! Rimangiati subito quello che hai...». Alessandrito la interruppe «zitta!». Lei si chetò indietreggiando con lo sguardo a terra. Ma i suoi occhi bruciavano e le sue mani tremavano. Elio teneva lo sguardo alzato verso noi due intrecciando le dita nervose.

«Non mi faccio gli affari miei, e sai perché? Perché la fonte vieta ad ogni donna di indossare i vestiti da uomo» mormorò il biondo con le mani sui fianchi.

Io stringendo i pugni mormorai «quindi, secondo te, io dovrei indossare qualcosa che non mi piace solo perché lo dice un libro scritto duemila anni fa?».

Fu allora che Gemma si fece di nuovo avanti « è la parola di Dio! E comunque, ora che sei in questa comunità il minimo che puoi fare è avere rispetto per noi»

Il tremolio ai pugni si trasformò in prurito, era già tanto se non li avevo presi a pugni. Già non ho mai avuto pazienza e in quel periodo ne avevo ancora di meno, mi bastò quella goccia per far traboccare il vaso. «Io ho rispetto per voi se voi rispettate me! Non potete venire a dirmi come devo vestirmi sulla base di un libro più antiquato di voi»

«Non è un abbigliamento appropriato!» disse il biondo avanzando di un passo.

«E chi stabilisce cos'è appropriato? Se la fonte dicesse che è appropriato che gli uomini indossino la minigonna voi ve la mettereste?».

Tutti ci rimasero ammutoliti. «Io mi vesto come voglio».

Il biondo disse «non ti senti ridicola?». Io gli rigirai la domanda «Tu non ti senti un imbecille?».

In quel momento Suor Ambra ci divise con le braccia, «Ragazzi ora basta!... Reve non vuole che litighiamo, lo state deludendo»

Io voltai lo sguardo ancora con la rabbia impellente. Quel poco buon senso che mi era rimasto mi faceva tenere la bocca chiusa su quanto me ne fregasse del loro dio.

«Sopratutto da te Alessandrito, la fonte dice: “solo Dio può giudicare”». Da una parte mi sentì meglio, ma quella era una contraddizione bella e buona. Se solo Dio può giudicare allora cosa aveva fatto quella mattina?

Adrian spalancando gli occhi gridò «IO?!»

Suor Giada mi si avvicinò a noi. L'orto era in un cortile interno del monastero quindi non mi sorprendeva il fatto che fosse arrivata lì per caso. «Devo esprimere la mia disapprovazione! Ametista oltre ad essere una persona irresponsabile tiene un abbigliamento poco appropriato al suo sesso».

E adesso cosa centrava con il litigio il mio modo di vestire? E comunque non ero irresponsabile. Questo era un pregiudizio

Luigina la guardò incrociando le braccia « con tutto il rispetto vicepreside, me ne occupo io».

Io mi stupì di fronte a quelle due suore che iniziarono a discutere. «La colpevolezza di Ametista è innegabile. Inoltre il suo atteggiamento da parecchio a desiderare, bisogna raddrizzarla il prima possibile altrimenti diventerà un abitudine».

Continuarono a litigare per molto tempo. Io ci rimasi a bocca aperta. Che bell'esempio da parte loro.

All'improvviso le due sbuffarono voltandosi verso di noi. Giada guardò me e disse « Ametista! Prendi lo scopettone e pulisci l'ingresso del secondo piano e Sbrigati».

Ambra si girò verso Alessandrito e disse «in cucina a pelare patate muoviti!» e così si concluse la vicenda.

Io non chiedevo altro che di andarmene da lì. Mi diressi verso il ripostiglio a testa alta e i pugni stretti.


 

Il lato positivo del pulire il pavimento era che nessuno mi guardava ampliando l'umiliazione. Una volta finito ritornai dal gruppo. Il biondo era ancora in cucina. Tornò poco dopo l'ora di pranzo. Il mio stomaco brontolava e la porzione che mi davano non bastava mai. Dopo aver mangiato avevo ancora fame. Quella fame costante mi impediva di pensare con la facilità di prima.

Ad un certo punto mi venne la tentazione di andare in cucina a frugare per riempire lo stomaco, mi sarei organizzata se non fosse per il poco buon senso che mi rimaneva. Non volevo mettermi nei guai per un motivo del genere, non ne valeva la pena. O forse sì?


 

«Ho una fame muoio» esclamai. Pirito rispose, scagliando l'accetta contro il tronchetto di legno tagliandolo per metà, «non preoccuparti». Sollevò l'accetta con ancora il tronchetto attaccato e lo scaglio verso la base di un tronco tagliato, la lama penetrò ancora più a fondo. E lui si asciugò la fronte con la mano ansante «tra un po' ci farai l'abitudine». Con un altro sforzo sovrumano tagliò in due il tronchetto.

Il vento ci investiva. Il cielo era grigio e le fronde degli alberi si scuotevano lasciando cadere le foglie dorate. Pirito li guardò riprendendo fiato. «Se mi spieghi come si fa posso darti il cambio» dissi mettendo il prossimo tronco sulla base. Lui annuì consegnandomi l'ascia. «È solo questione di forza e precisione». Io sollevai l'ascia pesante e cercai di prendere le misure. Stavo per scagliarla quando la campanella suonò l'inizio delle lezioni e Suor Giada mi chiamò «Ametista!».

Io mi fermai di colpo. Dopo un attimo di traballo posai l'ascia a terra e mi voltai. «si?» risposi.

Suor Giada con le mani dietro la schiena dritta disse «mostra rispetto agli anziani!».si voltò verso Pirito e disse «Tu vai pure nell'aula tre, arriverò tra poco». Lui mi guardò con gli occhi aperti come se avesse paura di lasciarmi sola con lei. Io alzai di poco le spalle.

«Tu andrai a riordinare la cella numero 23, appena finito torna in classe, e fai in fretta». Io non feci nulla. Suor Giada se ne andò.

Non sapevo cosa pensare. Perché mi stava dando un lavoro che non era il mio? tra poco avrei avuto le sue lezioni, avrei fatto tardi. Guardai Giada scomparire dietro una porta.

Il cuore mi salì in gola. Mi voltai e spiccai una corsa lungo il terzo cortile del convento. Svoltai l'angolo. Imboccai un tunnel e varcai la porta che dava sulla scalinata principale. Dovevo sistemarla prima che Giada tornasse in classe. Gli orfani ci avrebbero messo un po' per arrivare all'aula e Suor Giada non sarebbe stata più veloce di loro. Se facevo in fretta avrei avuto una possibilità di farcela e entrare in classe mischiandomi tra la folla di orfani. Ma dovevo correre.

Salì la scalinata fino al terzo piano aggrappandomi alla ringhiera e saltando gli scalini tre alla volta. Varcai la porta a destra. Davanti a me si aprì un lunghissimo corridoio tempestato di porte con numeri d'oro.

Sudando freddo e col passo tremolante diedi una breve occhiata ai numeri cercando il numero ventitré. Lo trovai in un corridoio perpendicolare al primo. La porta era aperta. Dentro non c'era altro che: un letto, un comodino, una cassa, simboli sacri e una finestrella da cui entrava un breve fascio di luce.. Ora sapevo perché le chiamavano “celle”.

Riordinai il letto e rimisi i vestiti dentro la cassa, notai però che tra gli indumenti che erano di una suora, c'erano dei calzoni da uomo. Bizzarro.

Aprì il cassetto del comodino per vedere se era tutto a posto. Dentro ci trovai una miriade di oggetti. Ebbi un intuizione riguardo alla mia chiave rubata. Frugai alla veloce e la trovai. Me la misi in tasca, degli altri me ne sarei occupata in un altro momento.

Uscì dalla cella. Scesi le scale, corsi come il vento verso la classe.


 

Il corridoio del secondo piano era sgombro. La porta della classe era chiusa e il silenzio riempiva le orecchie. Ormai era tardi. Cercai di respirare. Quando fui davanti alla porta avevo una certa ansia.

Non volevo credere che Giada mi avesse mandato a riordinare la cella di Ambra solo per farmi fare tardi. Per lei ero una ragazza come le altre non poteva avercela con me senza motivo. Non poteva pretendere che io ce la facessi per l'inizio delle lezioni, quindi se giustizia mi dava ragione non avrei dovuto preoccuparmi.

Bussai alla porta. Dall'interno dell'aula, al voce di suor Giada mi disse «entra». Io deglutì, afferrai la maniglia ed entrai senza dire una parola. Suor Giada mi guardò severa e disse «Ci hai messo troppo! Oggi resterai per un ora in classe oltre l'orario a lavorare sul dizionario».

Io spalancando gli occhi esclamai «ma...». Lei mi interruppe « ...e se oserai obbiettare verrai presa e chiusa in cantina per tutta la notte! Ed ora vai al tuo posto!». Io ero senza parole.

Lasciai che le mie unghie penetrassero nel palmo delle mani e senza dire una parola ritornai al posto trascinando la sedia e posando le braccia incrociate sul banco.


 

Nelle braccia non avevo forza. Scrivevo le definizioni trascinando le parole sul foglio con la matita. Lo stomaco non aveva ancora smesso di stringersi, doloroso come la ferita emotiva che ancora sanguinava nel mio cuore, dal giorno in cui cambiò tutto.

Il buio portava con se tutto il peso di quella brutta giornata. Più ripensavo alla mia situazione e più le mie energie magiche bramavano per uscire. Mi sentivo in prigione, la stessa sensazione che provano i carcerati in fuga dalle autorità.

«Tutto a posto?». Mi voltai verso Suor Acquamarina. Dalla cattedra mi rivolse un sorriso senza fronzoli. Io chiusi gli occhi. Piegandomi sul banco mi strinsi lo stomaco dolente. Lei si alzò dalla cattedra. «Non vi disturbate!» gridai.

«Ascolta Ametista, non inquinare la tua calma con la rabbia, viene dal demonio», mormorò la suora avvicinandosi a me «ti è successo qualcosa? Me lo vuoi raccontare?». Io mi risollevai guardandola negli occhi «secondo voi Suor Giada ce l'ha con me?».

La vidi spalancare gli occhi in modo strano, «Perché pensi questo?» chiese. Io risposi «Ditemi, è normale che lei mi chieda di fare una commissione che non è tra i miei doveri mentre sta suonando l'inizio delle lezioni e poi mi punisca perché sono arrivata in ritardo? È una cosa che fa spesso?».

La suora mi fissò negli occhi «ecco... no! Non credo che ce l'abbia con te, non ne avrebbe motivo»

Io incrociai le sopracciglia, mantenendo lo sguardo fisso su di lei e dissi « è la stessa cosa che mi ha detto Perla, ma lei a differenza di voi... era sincera».

La suora spostò lo sguardo da un'altra parte indietreggiando di scatto. «Pirito mi ha detto che è una maniaca della perfezione e non ha mai fatto una cosa del genere e non l'avrebbe mai fatto»

Lei tornò a guardarmi negli occhi stringendo i pugni. Non mi convinceva. Io non tentai di mascherare la mia rabbia, «qualcosa mi dice che... non è l'unica cosa che mi nasconde». Quando le avevo chiesto di Suor Giada lei era trasalita come se avessi appena svelato un segreto. « Perché suor Giada mi odia? Cosa ho fatto di male per meritare un simile trattamento da lei?».

Lei raddrizzò la schiena e guardandosi le mani mormorò con voce tremolante «Gira voce che tu sia figlia di una strega».

In quell'attimo tremendo. Sentì scossa violenta lungo tutta me stessa. La mano scattò. La matita mi cadde, rotolò sul banco e cadde a terra con un ticchettio. Lo stomaco si attorcigliò per la fame. Afferrandomelo mi appoggiai al banco.

«Tutto a posto? Sei impallidita di colpo» mi disse, appoggiando la mano sulla mia spalla. Ma in quel momento non stavo ascoltando. Come avevano fatto a scoprirlo? Cosa mi aveva rivelato? Nessuno a parte me lo sapeva, che l'avessero capito dai miei occhi?»

«L-lo stomaco. Non vi preoccupate...» mi risollevai cercando di prendere fiato « Cosa ve lo fa pensare?». Lei ritrasse la mano rimanendo il silenzio per alcuni secondi «in verità... il preside ha avvertito tutte le suore e i monaci.».

Ecco spiegato il motivo per cui Giada mi aveva preso di mira.

Non poteva essere andata che così. Altrimenti non avrebbe avuto nessun altro motivo per prendermi di mira.

La campanella suonò. Nella mia testa erano vivide le fiamme. Le grida di mia madre mi scuotevano. Barcollante uscì dalla classe.

«Sei sicura che sia tutto a posto?» mi chiese suor Acquamarina. Il suo sospetto mi arrivò chiaro, «è da tre giorni che non ceno. Domani devo alzarmi e lavorare fino alle quattro del pomeriggio senza pause se non per pregare e mangiare una zuppa indigeribile. Come dovrei sentirmi?». Il mio buon senso gridava di smettere. Mi appoggiai al coprifilo della porta ascoltando il silenzio della suora. «Voi non potete capire come ci si sente ad essere trattati da servi, sembra che il lavoro lo facciamo tutto noi, voi vi rimpinzate come maiali ogni giorno e non fate altro che pregare. E nonostante tutto vi sentite in dovere di giudicare e dare lezioni».

La sentì avanzare «Posso capire il tuo punto di vista! Ma il nostro lavoro è molto più complicato del vostro. Reve ti mette alla prova di continuo e abbiamo bisogno di energie per pregare».

Io sospirai e raddrizzai la schiena, «Avete bisogno di energie per pregare? Avete bisogno di energie per stare in ginocchio a recitare preghiere e noi che lavoriamo tutto il giorno no. Voi non vi siete mai sentite deboli? Non siete mai tornate al letto con il corpo a pezzi per la fatica? Non avete mai passato una notte insonne per colpa della fame?».

Mi voltai. Lei scosse la testa. «Come pensavo» mormorai chiudendo l'aula. Mi trascinai lungo il corridoio. Sentì un cigolio, la porta dell'aula si era spalancata... «Aspetta!».

Io mi fermai. «comunque, il fatto che tua madre fosse una strega... non vuol dire che tu lo sia. Almeno... non voglio pensarlo. Hai superato il battesimo, quindi... anche se c'era in te la possessione del demonio, adesso dovresti essere purificata».

Il cuore non aveva ancora smesso di pulsare. L'odore di cenere mi riempiva le narici, il ricordo si faceva sempre più vivido. « P-perché non me l'avete detto prima? Volevate vedere come reagivo?».

Mi girai per vederla in faccia. Lei annuì con lo sguardo basso.

«Come ha fatto a scoprirlo?», pensavo che nessuno avesse quella informazione a parte me. Suor Acquamarina rispose «Credo che abbia fatto delle ricerche, non hai nulla da temere il suo obbiettivo era indirizzarti verso la retta via».

Ero fiera di essere una strega, non avrei accettato un'altra natura per niente al mondo. Così raddrizzando la schiena mi diressi verso il dormitorio. Io ero già nella retta via.


 

Entrai nel dormitorio con lo sguardo basso. La mia testa era di nuovo affollata di preoccupazioni avevo bisogno di tempo per riflettere. Non un attimo di respiro mi era stato concesso da quando ero lì. Mi sedetti sul letto senza cambiarmi. Mi sciolsi il fiocco nel tentativo di aiutarmi a respirare e presi la prima cosa che mi avrebbe fatto sentire meglio. Presi la foto tra le mani. Lei ormai non esisteva più, me lo dicevo era per aiutarmi ad accettarlo ma ogni volta mi sentivo corrodere. In quel momento più di qualsiasi altro sentivo la sua mancanza, volevo che lei mi dicesse cosa fare.

«Stai bene?» mormoro Perla sedendosi con cautela accanto a me lo sua voce mi rincuorò. «Perla, sento male ovunque. Vorrei solo tornare a casa». Gli occhi stavano affogando nelle lacrime. Nel tentativo di trattenerle strinsi quella foto così forte da sbiancarmi le dita.

Ma una lacrima fuggì dalla mia presa frantumandosi sul vetro della foto. «dai! Non è così brutto. Dopo tutto non si può pretendere mol...».

«Perla!» la voce di Pirito arrivò imponente « tu ci sei abituata lei no! Non è facile per lei come non lo è stato per me. Ho pianto anch'io, tante volte. Non mi vergogno a dirlo».

Scostandomi i capelli mori dietro l'orecchio vidi Perla guardare la foto. «Inoltre» continuò il ragazzino «lei è messa anche peggio, oggi suor Giada l'ha punita senza motivo ed è già la seconda volta che salta la cena. Non so se è giusto pensarlo ma ho l'impressione che ci sia qualcosa sotto. Suor Giada non attacca qualcuno senza motivo»

«Io non posso credere che Suor Giada ce l'abbia con lei» disse Perla con tono glaciale.

Pirito mi guardò afferrandosi il mento. Il mio cuore batteva all'impazzata. Il mio respiro correva affannoso. Non riuscivo a calmarmi. Anche loro stavano per scoprirlo, ormai tanto valeva confessare.

Pirito mi strinse il polso per controllare i battiti. Chiusi gli occhi in attesa della sentenza.

«Ametista tu sei in ipertensione!» annunciò. Io riaprì gli occhi. Lui mollò il polso e si sedette dall'altro lato «ti è successo qualcosa?...». Io rimasi zitta, indecisa se dirlo o no.

«Noi non ti obblighiamo a dire qualcosa che non vuoi dire... se preferisci non dirlo non importa» mormorò Perla sulla difensiva, «Però sappi che non ti fa bene tenere tutto dentro»

Io non risposi. Con gli occhi umidi accarezzai il viso di mia madre nella foto.

Pirito insistette «non garantisco per Perla ma su di me puoi contare. Non ho pregiudizi, puoi parlarmi di tutto quello che vuoi e non dirò nulla a nessuno».

Perla replicò «Puoi contare su di me. Se hai dei problemi non devi fare altro che parlare»

Con la morsa della paura nel cuore, io chinai la testa e deglutì. «Va bene» sospirai «ma dovete promettermi di non dirlo a nessuno a costo della vita».

I due spalancarono gli occhi.

«È così seria la faccenda?» mormorò Pirito avvicinandosi.

Io mi strinsi al petto la foto di mia madre per farmi forza. «Voi non avete idea di quanto mi costa dirvelo. Io, non so se sto facendo la cosa giusta ma, non voglio più tenermi tutto dentro. Ho bisogno di qualcuno di cui fidarmi»

Pirito mi guardò serio «non farmi preoccupare, sputa il rospo».

«Dovete sapere... che io, non sono solo atea...io...» Deglutì serrando gli occhi «sono... la figlia di una strega».

Non udì nessun suono. Osai aprire gli occhi e vidi che tutti e due erano a bocca aperta. Non sapevo cosa fare. Mi strinsi ancora di più quella foto al petto « per la miseria non state zitti! ditemi qualcosa»

Pirito scosse la testa «scusa è... che non so cosa dire... e cosa è successo?»

«il preside lo ha saputo... e... ha avvertito tutti gli adulti. Credo sia per questo che Giancarla ce l'ha con me... ho paura che... » cosa dovevo dire? Mi sembrava troppo presto per rivelargli un simile segreto.

«che possano metterti al rogo?» completò Pirito.

Io esitai poi annuì. Pirito rispose «Non preoccuparti se non farai nulla di male loro non ti faranno nulla, scommetto che non te l'hanno detto per metterti alla prova, tu stai tranquilla e non metterti troppo in mostra».

Ad un tratto mi parve tutto molto più semplice. Loro non sapevano ancora se ero una strega o no, se mi dimostravo uguale agli altri non sarebbe successo nulla. Perla annuì «sì tu stai tranquilla e tutto andrà per il meglio».

Accennai ad un sorriso. Ad un tratto Suor Ambra entrò tutti tornarono ai propri posti. Io mi infilai la vestaglia in fretta e furia e andai sotto le coperte cercando di dormire un sonno tranquillo.

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Capitolo 4
*** 3 novembre 1869 ***


Capitolo 4

3 novembre1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

«Come va? Dormito bene?» chiese Pirito uscendo dal dormitorio. Io massaggiandomi gli occhi scossi la testa. Pirito incrociò le braccia e, con uno sguardo serio, rispose «Non mi sorprende dopo quello che è successo ieri sera».

Io mi strinsi lo stomaco, «Non tanto per quello». Perla zampettava alla mia destra « ti capisco, una volta anche io sono andata a letto senza cena, i brontolii di stomaco non hanno lasciato dormire neanche me».

Mai avevo sentito lo stomaco così vuoto. «mai ho sentito così forte il desiderio di ingurgitare quella poltiglia puzzolente che le suore chiamano “la colazione dei campioni”» esclamai.

Pirito rise, «siamo messi proprio bene».


 

Suor Ambra mi consegnò una cesta di pere e io mi riavviai, su quella stradina di campagna. «Non so per quanto riuscirò a tenere questo ritmo. Non mangiamo nulla e lavoriamo troppo, ci hanno preso per i loro servi?».

Perla mormorò « è solo questione di abitudine». Io mi fermai, «scusatemi» presi un bel respiro calmarmi e ricominciai a camminare. Pirito alzò un sopracciglio mentre Perla le alzò tutte e due, ancora più interrogativa.

«Quando sto male perdo quella poca pazienza che mi rimane, divento insopportabile perdonatemi». I due si mossero insieme a me guardandomi con indifferenza.

«Non sei una persona molto paziente» mormorò. Io scossi la testa «Sono una ribelle sopratutto verso le autorità. Mi sento in trappola qui dentro. So di avere un grande potenziale e questo posto lo soffoca».

«Lo so. Io mi sono già stufato da tempo di questa noiosa routine» disse Pirito la sua schiena era dritta e il suo sguardo era fisso.

Perla intervenne «in fondo non si ha bisogno di pensare, questo è il destino che Reve ha scelto per noi, bisogna avere fede in lui».

Quei discorsi per me, erano così inutili, dannosi e insensati che il solo sentirli mi provocava un istinto violento, «ti consiglio di non parlarmi di queste cose perché potrei tirare un pugno a qualcuno». Perla spalancò gli occhi « e perché mai?».

Risposi « è colpa di queste storie se sono qui» Spirito ridacchiò «tu non sei solo atea, tu sei una strega». Io impallidendo mi bloccai. «Stavo scherzando» si affrettò a dire Pirito facendomi rinvenire.

Alzai lo sguardo. Davanti a me Alessandrito, Gemma e Elio marciavano. Guardando alla religione, quei tre rompiscatole mi parevano solo polvere sulla strada.

Vidi la gamba del biondo tagliare la strada ad Elio. Il ragazzino ci inciampò. La cesta volando sparse i frutti sulla ghiaia. Il ragazzino atterrò di faccia aggrappandosi al terreno. Sul volto del biondo si formò un ghigno. Gemma rise esclamando «che imbranato».

In quell'istante mi bloccai stranita. «Quel ragazzino non fa parte del loro gruppo?» chiese Pirito fermandosi. Io affrettai il passo verso il ragazzino. Misi a terra il cestino e il ragazzino tirò su la schiena. Io gli tesi la mano «tutto a posto?».

Perla e Pirito si fermarono accanto a me guardando Elio come se fosse un poco di buono. Elio mi afferro tremante la mano e alzandosi balbettò «s-si». Sembrava che per lui parlare fosse uno sforzo.

Tenendo lo sguardo a terra si accucciò e rimettendo le pere nel cestino. Lo aiutai e gli chiesi « Perché ti ha fatto lo sgambetto? Ma non sei un membro del loro gruppo?»

Quando il cestino fu pieno il ragazzino si alzò «e...e-era solo uno scherzo». Lui stava per allontanarsi, ma io lo afferrai per la spalla. Poteva essere un giudizio un po' affrettato ma quel ragazzino mi sembrava troppo solo. «Aspetta, non che voglia intromettermi negli affari tuoi ma puoi unirti a noi se vuoi».

Pirito, perla e lo stesso Elio spalancarono gli occhi come se avessero sentito una cosa fuori dal mondo. Pirito si avvicinò a me «Ametista a me non sembra una buona idea! L'ultima volta che mi sono fidato di questo qua me ne sono pentito, fidati di me»

Elio indietreggio abbassando ancora di più lo sguardo.

Perla si guardò le spalle e disse «sta arrivando suor Ambra, se ci vede fermi salteremo tutti il pranzo». Non volevo che succedesse.

«Ho già saltato due pasti non ho voglia di saltarne un altro» mormorai. Ripresi la cesta in mano «ne parleremo strada facendo».


 

Il giovane Eliodoro sembrava fare del suo meglio per evitarmi. Si allontanava ma non più di tanto. Ma pensavo di sapere con chi avevo a che fare.

Io mi voltai verso Pirito, «Cosa intendevi prima quando hai detto che non è affidabile?».

Lui mi guardò fisso «Lui è il tipo di persona a cui non importa di nessuno. Sembra il membro più inutile del gruppo ma in realtà è la loro arma segreta.» disse «Una volta per colpa sua sono finito a dormire in cantina, mi ha detto che Suor Ambra mi voleva. Però, suor Giada mi vide prima che potesi raggiungerla e mi mise in punizione perché ero andato via dal posto di lavoro, dicendomi che Ambra non aveva chiamato nessuno e dietro di lui c'era Alessandrito che mi guardava soddisfatto. Fidati, pensaci bene prima di prenderlo».

Io ci pensai, «se fosse un membro così importante per quale motivo gli ha fatto lo sgambetto prima?... Certe persone si uniscono a gruppi del genere per paura e ubbidiscono ai loro ordini sotto minaccia. Loro non vedono altra soluzione. Ci sono entrata personalmente in una situazione del genere».

«Come mai tanta esperienza?» chiese Perla. Io ridacchiai «beh, io sono un impicciona, quando vedo certe cose mi viene istintivo mettermi in mezzo. Se mi trattenessi mi sentirei in colpa subito dopo».

«Non ti stai dando un po' delle arie? Paladina della giustizia?» esclamò Pirito scherzando. Io risi «ora non esageriamo! Non mi sembra una dote quella di mettersi nei guai per affari che non ti riguardano, anzi... comunque dopo tutto questo discorso io voglio sapere se Eliodoro accetta la mia offerta».dissi ad alta voce guardando Eliodoro che si allontanava.

«Comunque credo di aver capito... secondo te se lui si sente protetto da noi non accetterà più di stare con loro?» chiese. La stanchezza mi era ritornata addosso, «credo di sì, proverò a convincerlo».

Cominciai a camminare veloce, oltrepassai l'angolo della strada, in lontananza apparve la seconda entrata al monastero. «Eliodoro, allora? Ti va di diventare nostro amico?» chiesi.

Lui mi guardò come se non sapesse cosa dire. Si guardò indietro, verso Perla e Pirito, poi rispose «ecco... io non lo so». Io rimasi in silenzio per un istante poi chiesi « c'é qualche problema?».

Lui scosse la testa «no! Solo che...». Guardò avanti, verso Alessandrito e Gemma. Aspettai qualche secondo e poi dissi «sarò sincera con te. A me sembri troppo lasciato a te stesso, vorrei darti una mano».

«I-Io non ho bisogno di aiuto...m-mi trovo bene da solo» disse. A questo punto gli dissi « comunque se hai bisogno di aiuto ci sono». Elio annuì. «va bene, avevo già capito che non eri il tipo che stava in gruppo» Tornai da Pirito e Perla che sembravano sollevati.


 


 

Pirito buttando la zappa sul terreno guardò verso suor Ambra. Ci guardava con le braccia incrociate e lo sguardo serio. «Oggi Ambra sembra si sia alzata con la luna storta» mormorò Pirito.

Annuii. All'improvviso la vidi venire verso di noi. Il mio cuore ripartì, Che ce l'avesse con me?

«Perla!» gridò. Perla si girò con gli occhi spalancati mollando la zappa. Suor Ambra con le mani sui fianchi sbraitò «questo ti sempre il lavoro di un'ora?!». Indicò il terreno. Io non ci vedevo niente di anomalo.

Avevo appena mosso un passo verso di lei per dire la mia quando mi ricordai della sera prima.

...il preside ha avvertito tutte le suore e i monaci... stai tranquilla e non metterti troppo in mostra...

Stringendo i pugni indietreggiando sperando che qualcuno facesse qualcosa. «Scusi se mi permetto...» mormorò Pirito.

Suor Ambra. Si scagliò su di lui: «tu non ti impicciare, il tuo lavoro è anche peggio».

Perla si guardò le mani. Ambra la afferrò per la spalla e la strattonò verso il terreno« ti sembra un lavoro questo?! Ti sembra un lavoro fatto bene? No! Questa è una porcheria!».

Le mie vene ribollivano. I pugni mi tremavano. Avanzai verso di lei. Qualcuno mi afferrò il braccio. La voce di Pirito sussurrarono «non immischiarti».

Il mio cuore pulsava ancora più forte. Tremando dalla testa ai piedi per la furia lo guardai sbarrando gli occhi «ma non posso fregarmene».

«Non sai far niente! Non ci riesci a fare le cose fatte bene?, sei un disastro!»

«È meglio così fidati!» esclamò il ragazzino «se ti intrometti lei non smetterà se la prenderà solo con te! Lascia perdere».

Io mi trattenni. «vedi di svegliarti o ti metto a pulire pavimenti per il resto della giornata!», dopo quell'ultima frase la suora si allontanò verso qualcun altro.

Perla non si era ancora mossa. Pirito mi mollò. Io, sentendo dentro di me i morsi del senso di colpa, mi avvicinai. «Perla», non mi sentivo all'altezza di rivolgerle la parola. Lei invece, senza darmi il tempo di parlare si scagliò su di me, abbracciandomi.

Io rimasi immobile. Non mi era mai successa una cosa del genere.

La sentì singhiozzare e l'unica cosa che potei fare fu cingerla con le braccia e chiedergli scusa. «Mi sento un'egoista» mormorai, «sono rimasta ferma a far nulla, mi dispiace tanto».

Perla non rispose. Quando si staccò da me aveva ancora gli occhi umidi... e anche io.


 

Nonostante fossi arrivata a pranzo le cose, per me, non migliorarono.

Mangiai cercando di finire il prima possibile, in modo forzato. Pirito e Perla mi guardarono con gli occhi aperti. «Tutto a posto?».Risposi «L'istinto di saltare il lavoro è sempre più forte, non so come farò a trattenermi».

«In questo posto chi è diverso dagli altri viene tenuto d'occhio, se non ti vedono durante i lavori e le lezioni se ne accorgeranno» ripose Pirito mormorando.

«Ci sei passato anche tu?» chiesi appoggiandomi al tavolo col gomito. «no, l'ho...» il suo viso divenne circospetto.

Qualcuno si fermò dietro di me, io non ci badai finché questa non mi colpi al gomito con un cucchiaio. Io togliendolo di scatto esclamai «Ahi!» lo massaggiai con la mano. «Giù i gomiti dal tavolo!». Mi voltai e vidi la faccia di Gemma.

Fingendo di non aver sentito l'ultima frase appoggiai entrambi i gomiti sul tavolo, «Sei solo tu» mormorai.

«Come sarebbe solo io?!» esclamò. La sua reazione mi fece ridere, «e chi ti credi di essere? Non sei migliore degli altri, non sei mia madre, non sei un educatrice, non sei neanche mia amica. In base a quale criterio pensi di potermi dare lezioni?»

Lei si voltò, «stupida» mormorò. Io ci risi sopra, «stupida sarà lei... riprendendo il discorso, Pirito, come lo hai saputo?».

Lui si trascinò sulla panca, vicino a me «a te lo posso dire perché sei come me... nella biblioteca c'é il reparto dei libri proibiti, è li che trovo quelli più interessanti. Il più delle volte solo libri requisiti dagli studenti, anche a te hanno frugato nella valigia vero?».

Io annuii «Mi hanno rubato la chiave del diario, presumo li abbia insospettiti il teschio sulla testa, l'ho ripresa subito. Ma davvero ci si deve entrare di nascosto? Non c'é nessun altro modo per andarci senza rischi?».

«Prima bisogna completare i cinque sacramenti e diventare Preti» disse Perla, «io avevo detto a Pirito di aspettare ma lui...» il tono si era abbassato ad un sussurro.

«Ho un mio orgoglio ateo se permetti» sussurrò Pirito.

Un dettaglio mi insospettiva «hai detto che bisogna diventare preti? Vuol dire che le suore non possono?» i due annuirono. «Credo di sapere già la risposta ma... perché no?».

Pirito rise, «Fonte, capitolo 2, paragrafo 45: “la donna verrà condannata a sottostare all'uomo”». Perla le tirò una spintarella: «non è vero, perché le donne non hanno bisogno di essere istruite».

«Altrimenti si ribellerebbero. Uguale per i credenti, se un giorno Dio morisse tutti si ribellerebbero per il suo spargere pregiudizio» mormorai, sperando di non essere stata ascoltata da nessuno.

Lei non disse niente.


 


 

La campanella era suonata. I nostri passi rimbombavano sulle scale e nei corridoi. «Scusate se vi ho fatto fare tardi» ansimò Pirito «se lasciavo il secchio fuori posto mi ammazzavano». Perla rispose «Non preoccuparti». Io mormorai «Sbrighiamoci che se arriviamo in ritardo Giada se la prenderà con me».

Uscì nel corridoio del secondo piano. Pirito mi superò. La porta della classe era davanti a noi.

Suor Giada ero a pochi metri. Tutti cominciammo. Pirito frenò troppo tardi. Ci andò a sbattere. Suor Giada barcollò. I libri le volarono.

Pirito pallido e con gli occhi spalancati indietreggio. Quando Suor Giada si ristabilì si voltò guardandolo con occhi truci. Il ragazzino rabbrividì.

«Quante volte ho ripetuto che non si corre nei corridoi! Se mi fossi rotta una gamba?! Avresti risi? » Suor Giada era peggio di un demonio. Pirito indietreggiò ancora di più, balbettando.

«Scusi non volevo!», Pirito teneva le mani in alto. Il mio stomaco si attorcigliò. Cominciai a sentire il cuore che bussava sulla cassa toracica.

«I delinquenti, come te, meritano una punizione», prese il bastone e battendolo contro il palmo della mano sinistra, disse «contro il muro e a me la schiena forza!».

Una folla di orfani uscì dalla classe mormorando. Pirito indietreggiò, andò a sbattere contro di me. Io lo guardai. Un senso di colpa mi colse. Non potevo non aiutarlo.

Gli appoggiai la mano sulla spalla e lo spinsi dietro di me «sentite Suor Giada...». La monaca sbottò, «Ametista L'educatrice sono io e Pirito merita una punizione».

«è stato un incidente!» esclamai avanzando di un passo verso di lei «non c'é bisogno di...». Giada gridò «fatti da parte o punirò anche te».

« Mi ascolti per una volta...», non riuscivo a dire mezza frase. Lo trovavo incredibile.

«Pirito! Sul muro». Io rimasi salda sulla mia posizione. Pirito mi scostò il braccio, dirigendosi verso il muro mormorò «prima si inizia e prima si finisce».

Mi sentì tremare. Le parole di Pirito della sera prima mi ritornarono alla mente, cercai di stare ferma. Mi convinsi che avevo fatto tutto fatto tutto quello che potevo. Perla mi afferrò il braccio e mormorò « tanto non ci ascoltano mai, non ne vale la pena».

Il tremolio si faceva sempre più violento. L'istinto di correre in difesa del mio amico era sempre più forte. Si era messo con le mani al muro. Suor Giada alzò il bastone «dieci dovrebbero bastare».

Chiusi gli occhi e cominciai a correre. Strappai il braccio dalla leggera presa di Perla. Mi misi in mezzo ai due. Il violento colpo mi percosse la spalla. La sentì in fiamme.

Suor Giada si pietrifico. Io mi afferrai la spalla e sentì un sussulto alle mie spalle.

«Vogliamo fare l'eroe?eh!... per l'ultima volta,» con il dito indicò Perla «fatti da parte!». Io la guardai e scossi la testa. Lei alzò il bastone e mi colpì allo stomaco senza lasciarmi il tempo di parlare. «due» contò. Mi piegai ma non mi spostai. Pirito esclamò «Basta!» ma lei continuò.

Giada continuò a colpirmi, Pirito pregava Giada di fermarsi. Io mi appoggiai al muro cercando di proteggermi con le mani.

Quando arrivò al tanto agonizzato «dieci...» io mi lasciai cadere sulla parete, non sentendomi più la parte superiore del corpo. «...e spero che questo ti serva da lezione» esclamò, Giada si diresse verso l'aula con il mento in su.

Il cuore non aveva tregua. Concentrati gli occhi, cercai di muovermi. Perla e Pirito cercarono di aiutarmi ma bastava toccarmi per ampliare il dolore. Appoggiai la mano sulla parete, mi stavo per alzare. «Oggi lavorerai sulle operazioni fino alla messa serale e se ti vedo temporeggiare salterai la cena» disse suor Giada entrando in classe.


 

Pirito e Perla avanzarono le mani senza toccarmi. Pirito chiese «ce la fai?» chiese Pirito appoggiandomi una mano sulla schiena, «Mi dispiace per quello che è successo è stata colpa mia» mormorò. Io cercai di riprendere fiato.

Perla guardò anche l'altro braccio «chissà che dolore» esclamò. Mi alzai. Entrai nell'aula con la schiena dritta e lo sguardo serio. Si avvicinò al mio banco con passi lenti. Mi buttò tutto sul banco andandosene.

Il piccolo e spesso volume in pelle era intitolato “esercizi pratici algebrici”. Nemmeno di matematica, di algebra. Le tempie cominciarono a pulsare e sentivo un certo calore.

Aspettai qualche secondo prima di cominciare. Dopo aver messo ordine i fogli, intinsi la penna nel calamaio e cominciai. Cercai di tenere la mente rilassata il più possibile,ma più andavo avanti e più la testa mi pulsava, più i movimenti si facevano lenti.

I dolori più volte mi distrassero da quello che stavo facendo. Suor Giada mi lanciava occhiate di continuo ma non mi domandò nulla.

Fu il compito più pesante che svolsi. A metà lezione avrei voluto arrendermi. Le tempie temevo che stessero per esplodere. Cominciai ad agitare la penna sul foglio senza scrivere nulla, sperando di imbrogliare Giada.

Io avevo gli occhi chiusi. Quando li aprì. Vidi con la coda dell'occhio una mano che si avvicinava e scattai indietro per lo spavento. Pirito ritrasse la mano. Quando mi accorsi che era lui ripresi fiato.

«Volevo sentirti la fronte se...» chiese, io annuii «...sai, sei pallida, non vorrei che...». Lui appoggiò una mano fresca sulla mia fronte «Lo sapevo, hai qualche linea di febbre».

Non riuscì parlare. Tutto era uno sforzo. Muovere le braccia, respirare e tenere gli occhi aperti.

Perla era seduta dietro di me e la sentì sussurrare «ehi! Sta male?». Pirito le rispose «ha qualche linea di febbre ma la trovo anche un po' provata per le bastonate di prima».

In quel momento Giada mi fece sobbalzare: «Ametista! Stai lavorando?».Pirito si voltò. Io d'istinto risposi di sì. La suora riprese la lezione guardandomi. Non le avrei dato la soddisfazione di farmi saltare la cena anche se non avevo fame.

Il suono della campanella fu una benedizione. Mi alzai dal banco. Mi infilai i tappini nelle orecchie per la messa serale poi andai a mangiare. I miei due amici facevano il possibile per tirarmi su il morale ma per sentirmi meglio dentro dovevo sentirmi bene fuori. Mi sforzai di mangiare solo perché sapevo di averne bisogno. Altrimenti avrei lasciato il piatto pieno.

Entrai nel dormitorio. Barcollai fino al letto e mi ci misi sopra. Perla e Pirito non dissero nulla. Chiusi gli occhi e mi addormentai vestita.

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Capitolo 5
*** 4 novembre 1869 ***


Capitolo 5

4 novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Non riuscivo a respirare. Il calore mi soffocava. Sudavo. Le coperte si incollavano e un mal di testa mi svegliava ogni mezz'ora.

Quando Suor Ambra aprì le tende, la luce leggera dell'alba mi investì. D'istinto mi coprì gli occhi con il braccio. La voce della suora rimbombava allegra «forza! Tutti in piedi!».

Più provavo ad alzarmi e più mi sentivo sprofondare nel letto. I miei occhi non riuscivano ad aprirsi. Qualcuno mi scosse «forza Ametista! In piedi» era Ambra, un po' più di buon umore rispetto al giorno prima. Io risposi «Non ci riesco».

Suor Ambra perse la voce allegra che aveva prima «Non cercare scuse, alzati, chi dorme non piglia pesci». In un attimo mi sentì scoperta. Dei mormorii si fecero strada intorno a me.

« Non sto cercando scuse, non mi sento bene» replicai senza avere la forza per alzare la voce.

Lei rispose «Ametista, so che ti puoi alzare! Non fare la bambina». All'improvviso la voce di Pirito sovrastò quella dei mormorii intorno a me «Suor Ambra, le assicuro che Ametista non è una persona infantile come lei pensa, se non si alza è perché non può».

Io con uno sforzo aprì gli occhi che misero a fuoco il cuscino e le lenzuola bianche. Ambra rispose «posso capire ma i doveri son doveri e non sarebbe giusto lasciarla a letto mentre tutti sono al lavoro». Mi spostai, schiacciando la colonna vertebrale sul materasso. Notai che intorno a me c'era tutto il dormitorio; compresi Gemma e Alessandrito che se la ridevano. Mentre Elio, impassibile e malinconico mi guardava.

«Non riesce ad alzarsi, ieri aveva anche qualche linea di febbre» replicò Pirito indicandomi con la mano. Ambra sbottò «non è messa così male! Un po' d'aria fresca e le passerà tutto e adesso tutti a vestirsi che tra dieci minuti inizia la messa mattutina» fu la sua ultima parola.

Chiusi gli occhi e sospirai. Ascoltando i suoni che mi rimbombavano nel cervello. Le tempie che pulsavano. Il sudore e i brividi di freddo. «Ti aiuto ad alzarti» sbuffò Pirito, sentì un passo. Aprì gli occhi. Nel momento in cui Pirito mi tocco la spalla, un brivido doloroso mi trapassò come un ago. «Ahi! Non mi toccare! Posso farcela da sola», con uno sforzo sovrumano riuscì ad alzare la schiena.

Perla arrivò «ti senti male? Pirito, tu leggi libri di medicina perché non la guardi?». Pirito arrossì «avevo intenzione di farlo ma prima volevo chiedere il permesso alla diretta interessata».

«Non preoccuparti procedi abbiamo ancora un po' di tempo» mormorai cercando di tenermi dritta, mi sentivo barcollare e avevo la pelle d'oca. Pirito annuì e fece un respiro profondo «la mia prima visita sono eccitato» mormorò. Mi scostò la camicia dalla spalla e vidi anche io che avevo una bolla viola non troppo grossa. Trovò la stessa cosa sui fianchi, sull'altra spalla ma non sulle braccia. «Non sono troppe, sono solo quattro. Ma non vanno bene comunque. Questo è il risultato delle percosse di ieri». Io non dissi nulla, non avevo forza per parlare. Lui mi misurò anche la temperatura e poi scosse la testa «credo che la temperatura sia salita durante la notte, credo sia a trentasette e qualcosa».

«Come faremo a farla guarire?» chiese Perla aiutandomi ad alzarmi dal letto. Pirito rispose «non lo so, adesso mettiamoci in fila prima che Ambra ci sgridi. La situazione non è semplice per niente».

Ci mettemmo in fila, io dopo aver barcollato un po' trovai il modo di camminare senza troppi problemi. Il mondo mi appariva ancora sfocato. Mi ero scordata di quello che mi stava intorno. Dolori mi occupavano la mente e mi impedivano di pensare ad altro.

«la cosa è semplice invece, basta dirlo alle suore e la manderanno in quarantena» disse Perla. Quella parola mi rimbombò nella testa. ...quarantena ...quarantena ...quarantena.

«scusa? che vuol dire che mi mettono in quarantena?» mormorai. Il ragazzino mi rispose «è per questo che le cose sono complicate. Qui sono tutti convintissimi che Reve sia a causa di tutte le cose buone e Sefe, il diavolo, delle cose cattive. Quando qualcuno è triste è perché Sefe sta per corromperlo. Invece quando qualcuno si sente male sta a significare che è molto vicino dal prendere possesso della sua anima e viene mandato in soffitta, dove cercano di curarlo con preghiere, incensi e altro».

Mi sentivo male solo a pensarci « oh mamma » mormorai. Perla rispose «la cosa però a sempre funzionato».

Uscimmo all'aria aperta. I brividi mi investirono ancora più violenti. Stringendomi la giacca cercai di non battere i denti ma sentivo il gelo penetrare la pelle.

Dopo un po'«ha funzionato solo perché quelle poche volte che succede, lo lasciano riposare e il riposo è la miglior cura.» disse Pirito «Ma io mi ricordo anche di aver visto qualcuno morire per una malattia più grave. Io ho cercato di convincere la gente a chiamare un medico ma non hanno mai voluto ascoltarmi. Sono convinti che la scienza sia alleata di Sefe e che l'unico modo per curarlo era sperare in un miracolo divino. Inutile dire che il ragazzino dopo un po'... è morto» Pirito lo disse con un rospo in gola. «Tu non hai niente di grave. Sei solo stanca e stressata, con un po' di riposo guarirai in pochi giorni. Quello che mi preoccupa è che tu sei già sotto gli occhi di tutte le suore, una cosa del genere potrebbe attirare l'attenzione e portare le suore a... sospettare ancora di più della tua stregoneria».

«Però se io guarissi dopo la quarantena non avrebbero niente per cui tenermi d'occhio?» chiesi speranzosa camminando sull'erba del giardino. Perla annuì «si vorrebbe dire che il Sefe ha rinunciato a te. Ma solo Reve sa se deciderà di attaccarti di nuovo»

Qualcosa si scosse dentro di me. Quella frase mi fece tacere. «Adesso bisogna solo trovare un modo per risolvere la cosa» completò Pirito

La messa con i tappini alle orecchie non fu un grosso problema. Ogni tanto mi massaggiavo gli occhi e le tempie. Quando uscì dalla Làcolonia ripensai all'ultimo argomento trattato. «Cosa succede se... “Sefe mi attacca di nuovo”? Secondo loro insomma?»

«Te lo dico io» esclamò Pirito «anche se può sembrare un contro senso sulla religione ne so più io di Perla». Io espressi un mio pensiero «ho letto da qualche parte che in questo caso ci sono dei riti speciali per... soffocare l'influenza del demonio». Lui annuì «c'é il rito della confessione dell'incenso e dell'olio di ricino, dopo quest'ultimo per te non c'é più nulla da fare e non resta che il rogo per purificare la tua anima»

Un moto di panico mi assalì. Cacciai dalla testa i ricordi di quel giorno. «Ame- tutto a posto?» il tocco di Pirito mi ridestò. Per niente convinta di quel che dicevo risposi «s-si non preoccuparti». Perla insistette «in un attimo sei sbiancata ancora di più e hai cominciato a tremare più di prima, secondo me dobbiamo metterti in quarantena». Io scossi la testa «Oggi sarei stata volentieri a letto». Pirito rise «Comunque si dice tanto per parlare non credo che ti bruceranno viva per un po' di febbre... credo».

Dicevano così solo perché non gli avevo detto di essere una strega vera, «spero tu abbia ragione. Loro sono capaci anche di bruciare anche un loro seguace, la cosa è pianificata» mormorai.

«Tu dici?» chiese Pirito. Io annuii «so riconoscere una strega quando la vedo». Forse avevo detto troppo ma in quel momento non mi importava di nulla e di nessuno. Anche se Pirito mi aveva guardato in modo confuso.

Mi sedetti alla mensa e mangiai di nuovo con forza. Ma più la guardavo e più mi veniva la nausea. Il piatto era pieno a metà, lo spinsi in mezzo al tavolo e posai la testa sulle braccia incrociate.

«Io ti consiglio di finirlo, abbiamo molte ore di lavoro rischi di crollare lo so che ti fa schifo ma almeno provaci» mormorò Pirito. Perla si alzò e mi accarezzò la schiena «Pirito non puoi pretendere molto da lei, secondo me ha già fatto abbastanza».

«Io la capisco ma sarebbe meglio che si sforzi, già si mangia poco qui dentro, quello che ci danno dovrebbe essere trattato come fosse oro».

Io mi chiesi come facevano a essere così empatici. Una voce che avrei preferito non sentire ci schernì «se considerate questa poltiglia un tesoro siete messi proprio male».

Io sospirai. Ma non avevo voglia di affrontarli. Pirito esclamò «Non siamo mica tutti come te, io non riesco ad avere la pancia piena mangiando solo questa poltiglia»

A quel punto mi saltò in mente un dubbio. Come facevano ad essere sempre sazio mangiando solo quella roba?

«Ehi tu!» Gemma mi tirò uno scappellotto sulla spalla. Un dolore la trafisse. Mi alzai di scatto afferrandola con la mano. Pirito urlò «smettetela! Non vedete che sta male? Voglio vedere se lo facessero a voi come reagireste».

«Lasciatela stare» aggiunse Perla. Alessandrito rise «ma figurati lei ha solo voglia di far la pelandrona!».

«Non si sta sdraiati sul tavolo! E siediti bene» sbraitò. In quel momento accadde qualcosa che non mi sarei aspettata di vedere... Elio si intromise: «s-scusate ma... a- a me non mi sembra il caso..».

Alessandrito lo spinse indietro «Tu sta zitto che non sai far niente!». Mi decisi, in piedi e mi girai. Ci volle tutta la mia forza di volontà ma alla fine lo minacciai «continua così avvertirò Ambra che frughi nel magazzino della cucina».

Lui sbiancò, «Come fai a saperlo?» esclamò. Io voltandomi afferrai il tavolo e risi «non lo sapevo me l'hai detto tu». ...Fregato! In quel momento tutta la gente intorno a noi si mise a ridere tranne il biondo e Gemma che divennero rossi. Io scoppiai. Fu una vera soddisfazione vedere il gruppo di Alessandrito andarsene.

Allegra mi risedetti al tavolo. Pirito chiese «sul serio come facevi a saperlo?». Io risposi «è impossibile che si sentisse sazio solo con simili porzioni mi sembrava ovvio che ci fosse qualcosa sotto. Mi è venuto in mente perché anche a me è venuta la tentazione ma io so controllarmi».

Pirito rise, «stupendo!» fu il suo commento. «ora che mi sono fatta due risate mi sento un po' meglio».La campanella suonò.

Ma la cosa durò poco. Quando mi misi a lavorare il morale ritornò a terra. Era già tanto se riuscivo a camminare. Mi sentivo pesante. Finché facevo lavoretti leggeri riuscivo a resistere ma quando cominciammo a fare i lavori più faticosi fu lì che iniziarono ad esserci i veri problemi.


 

Capì che c'era qualcosa di anomali quando la vista comincio a sfocare.

Più scendevo le scale e più i brividi peggioravano. Le braccia pesavano troppo, non vedevo l'ora di posare quei fasci di legna. Le scale finirono. La stanza puzzava di vino e umidità. C'erano barili ovunque. Posai i fasci di legna insieme agli altri.

Mi afferrai la testa tornando indietro. «È al limite, bisogna che ti fermi o rischi di svenire» mormorò pirito afferrandomi la mano.

«Se la vedono a non far nulla la puniranno» rispose Perla. Pirito la guardò con occhi aggressivi «ma qui si tratta della sua salute, se continuiamo in questo modo sviene per la strada».

Ma ormai era tardi. La testa cominciò a girare. Le voci intorno a me si annacquarono. Mi sentì precipitare e poi tutto divenne nero.

La prima cose che sentì quando ripresi i sensi, fu la testa che mi pulsava, il freddo e una debolezza tale da non farmi muovere. Delle voci che non riconobbi arrivarono alle orecchie. «È svenuta» sembrava la voce di una ragazzina. «lo sapevo che sarebbe successo prima o poi» questa invece di un ragazzino. Sentì delle dita premere il polso. Cercai di aprire gli occhi. Fu allora che la voce del ragazzo mi chiese «come stai? Come ti senti? Tutto a posto?». Io aprì gli occhi e per un attimo tremendo fui presa dal panico. «dove mi trovo?» non mi ricordavo nulla, chi ero?, chi erano loro?. Il ragazzino e la ragazzina lo capirono subito, «stai calma è tutto apposto! Sei nel corridoio del monastero».

I ricordi cominciarono a ritornarmi alla memoria «aspetta! Comincio a ricordare» Quando tutto il peso della mia vita mi ripiombò addosso, mi afferrai la testa e mormorai «cosa ho fatto di male per meritarmi questo?».

Pirito e Perla abbassarono lo sguardo. Ad un tratto dei passi corsero verso di me. Era suor Ambra seguito da Elio che si allontanò appena mi vide. Io chiusi gli occhi. Volevo solo riposarmi almeno per un po'.

«Cosa sta succedendo qui? Perché si è interrotto il lavoro?» disse suor Ambra in tono isterico. «è svenuta!» gridò Pirito isterico quanto la suora «Ve l'avevo detto che non era una cosa da sottovalutare».

Ambra lo guardò Truce e disse:

«Scommetto che sta fingendo! Forza in piedi» io ne avevo le scatole piene. Se avessi potuto alzarmi me ne sarei già andata. Cercai di non ascoltarmi ma il mio orecchio veniva investito da quella discussione.

«Non sta fingendo. Sentite la fronte. Credo che ormai sia a trentotto» replicò Pirito. «Suor Ambra abbiate un po' di cuore. Non potete farla lavorare in queste condizioni» mormorò Perla speranzosa.

«Voi bambini siete dei sfaticati, Siete lenti e deboli. Non siete capaci di far nulla». In quel momento la mia poca pazienza andò a farsi friggere. Aprendo gli occhi e cercando di alzarmi gridai «non dovreste stupirvi visto il modo in cui ci trattate!» Solo quel brivido di rabbia mi permise di alzarmi a sedere. La testa mi pulsava e girava come una trottola.

La guardai negli occhi. Lei mi guardò seria, «non mi fissare in quel modo signorina. Non è colpa mia se siete dei fannulloni e comunque a me sembra che tu stia bene quindi alzati e lavora. Io ho altro da fare che badare a voi».

Suor Ambra si voltò andando con passo fermo verso la scalinata. Io mi afferrai la testa con la mano e cercai di tirarmi in piedi. « E adesso cosa faccio? Non me la sento di continuare». Nella mia testa cercai di acchiappare un pensiero, un'idea qualcosa. Chiusi gli occhi ma il dolore soffocava ogni altra cosa che poteva uscire da lì.

«Cerca di resistere ti lasceremo riposare appena si possiamo» mi disse stringendomi la mano «Non voglio vederti crollare di nuovo». Io annuii. Mi appoggiai alla parete e chiusi di nuovo gli occhi. Molti anni prima. Un libro mi aveva fatto piangere. In quel momento il mio cuore era colmo di tristezza, rabbia. Mia mamma continuava a darmi delle regole rigide, mi insegnava come nascondermi, come fare per essere accettata dagli altri e come dovevo comportarmi, come dovevo essere. Ma io volevo solo essere me stessa. Io ero orgogliosa di fare magie, di non credere in nessun dio, ero orgogliosa di me stessa, perché avrei dovuto essere un'altra? Perché la religione ci voleva per forza tutti uguali, perché non può accettare il fatto che viviamo anche noi e facciamo parte del mondo. Mentre leggevo quel libro mi sembrava di poter fare qualsiasi cosa, mi dava la carica. Era una storia inventata, parlava di una ragazza che voleva armeggiare di spada ma essendo donna nessuno glielo permetteva e decise di divenire fuorilegge. Le sue avventure non facevano altro che gridarmi di combattere di reagire, di non farmi plagiare dagli altri e non aver paura a tirare fuori me stessa. Una cosa per me difficilissima anche solo pensarla. È uno dei miei libri preferiti e ricordare le sue pagine mi faceva ritornare le energie in qualunque condizione io fossi. Quindi riaprì gli occhi e feci del mio meglio.

Le suore ci mandarono un po' ovunque. Quando ci lasciavano da soli, io mi sedevo e risposavo per poi rialzarmi subito dopo. Arrancai in questo modo fino all'ora di pranzo.

Il piatto rimase pieno. Quel quarto d'ora non volevo sprecarlo per mangiare qualcosa che non mi andava. Per una volta che potevo stare seduta a far niente, mi appoggiai con le braccia incrociate sul tavolo e dormì.


 

Io resistevo, ma gli occhi bruciavano e più cercavo di sostenermi dal guardare la lavagna e più mi sentivo scivolare in un sonno profondo. La mia mente vagava. Gli occhi si facevano pesanti e crollavo sul banco.

Nonostante la situazione in cui mi trovavo, quegli attacchi di sonno mi facevano sentire serena per la prima volta da quando ero arrivata in quella struttura. Non so per quanto dormì. Sentivo qualcuno scuotermi e chiamarmi sottovoce ma non ci badai. Nulla avrebbe potuto togliermi da quella posizione. Mi sentivo un macigno, la forza di gravità era più forte di me.

Poi un grido mi fece rabbrividii. «Ametista!» era suor Giada. Capì che dovevo alzarmi. Il primo passo fu aprire gli occhi impastati dal sonno. Recuperai sensibilità agli arti. «Non si dorme in classe!» gridò. Poi alzai la testa e feci un respiro profondo, aspettandomi l'apocalisse.

«Come ti permetti di dormire in classe! La lezione è troppo noiosa per te o sono io che non ti ho punito abbastanza?» sbraitò Giada. Io ero ancora tra il sonno e la dormiveglia e della sua opinione non mi importava più nulla. Diedi per scontato che parlare con lei non sarebbe servito a niente e mormorai «non è educato svegliare la gente che dorme».

La suora con le mani sui fianchi rispose «ah! Facciamo le spiritose eh!». Pirito pallido, aveva gli occhi spalancati. La mia mente era ancora offuscata quando Giada mi afferrò il braccio. Lo strattonò obbligandomi ad alzarmi dal banco «allora vediamo cosa ne pensa il preside di questa tua... bravata!».

Mi trascinò fra i banchi. Io camminai a piccoli passi verso la porta. Giada la spalancò e mi spinse nel corridoio. Si chiuse la porta alle spalle. Mi afferrò la camicia spingendomi verso una porta. La scala oltre quella portava al terzo piano.

Un corridoio si aprì davanti ai miei occhi mezzi aperti. Oltrepassammo varie porte serrate. Io mi guardai intorno notando le scritte d'oro sopra di esse che annunciavano: biblioteca, celle, ufficio vicedirettore, segretaria...

L'ultima infondo al corridoio aveva la targhetta con su scritto: Direttore.

Giada mi mollò davanti a essa. Io ripresi fiato e mi aggiustai la giacca. Prima di bussare la suora disse «vedi di non farmi fare brutte figure con il signor Direttore, ragazza impertinente».

Quei colpi alla porta risuonarono in tutta me stessa. In quel momento più di qualsiasi altro sentivo una pesantezza che non era dato solo dalla febbre. Il peso dell'energia magica che scorreva nelle mie vene, il peso del rogo di mia madre, il peso di quello che ero sentivo un brivido scuotermi mentre entravo in quell'ufficio.

In un attimo mi sentì in un altro mondo. La stanza era piena di mobili decorati e soprammobili di un certo lusso, candelabri, centrini e quadri. La stanza era inondata dalla luce delle finestre, tappezzate con delle tende di lino rosso. Rimasi meravigliata dal lusso che si permettevano coloro che proclamavano la povertà.

Don Quarzo era seduto su una scrivania, con gli occhiali sul naso e una penna di volatile in mano. Alzò lo sguardo su di me. Mi sentì sotto inquisizione.

Non mi fidavo degli adulti, mia madre era l'unica.

Lui mi fissò penetrante. Io non mi azzardai a muovere un passo ma mantenni il mio sguardo sospettoso su di lui, che si alzò dalla scrivania e disse «cosa è successo sorella Giada?». Quello sguardo curioso non poteva essere più finto.

Lei mi spinse sul tappeto «Signor Direttore, questa ragazza ha avuto la sfacciataggine di dormire sul banco durante la mia lezione, inoltre si è lamentata del fatto che l'ho dovuta svegliare. Con ciò chiedo provvedimenti in merito» espose.

Io non sapevo se preoccuparmi di non crollare o di far cambiare idea al direttore. Ma lui parlò prima che io potessi dire qualsiasi cosa.

Grattandosi la testa annunciò «beh! Non posso negare che sia una questione di una certa importanza, ma quello che voglio sapere è perché lo ha fatto, non credo che la signorina Ametista lo abbia fatto di proposito per farvi andare in collera sorella Giada». Anche perché non è molto divertente quando si arrabbia.

Io guardavo per terra concentrandomi solo sul mio respiro. «Non ne sarei così sicuro, signor direttore, sappiamo tutti la natura di chi l'ha messa al mondo e con questo non credo ci siano ulteriori obbiezioni» disse. Il direttore sospirò guardandomi. Si accucciò davanti a me e mi chiese «perché ti sei assopita?». Io presi fiato «nessuno si accorge che sto male qui dentro?».

Lui cambiò espressione. Tutto ad un tratto, alzò un sopracciglio e mi fissò. Alzò la mano anziana e la premette sulla mia fronte, poi spalancò gli occhi e si alzò, « per Dio Giada! Non vi siete accorta che Ametista è posseduta?». Giada spalancò gli occhi.

Il direttore continuò «Sefe sta entrando dentro di lei per questo è debole e si è addormentata. Dichiaro lo stato di emergenza. Che Ametista venga messa in quarantena. Dì a tutti i monaci e monache di spargere l'acqua santa in tutto il monastero e di fare un turno in più di preghiere, che partecipino anche gli orfani.

Giada mi prese e mi trascinò verso le scale. Diventavano sempre più logore, l'aria si riempiva di polvere. Dopo aver oltrepassato la prima scalinata, arrivammo su un pianerottolo. La luce di una finestra alle mie spalle, illuminava quella logora scalinata solo per metà. Poi essa si allungava terminando nell'ombra con una botola.

Giada tenendomi a distanza, nemmeno fossi una lebbrosa, mi superò e aprì la botola. Oltre quell'apertura vedevo poco. Giada la indico guardandomi con occhi che avevano lame. Ripresi fiato e un passo alla volta camminai sulla scalinata di pietra. Oltrepassai la botola e questa si chiuse alle mie spalle.

L'odore di polvere impregnava l'aria insieme alla muffa. La piccola stanza aveva il tetto spiovente. Un piccolo letto bianco e polveroso occupava la maggior parte dello spazio insieme ad un misero tavolino accanto al letto.

Non ero così alta da battere la testa sul soffitto. Mi avvicinai alla branda e mi ci buttai sopra senza fare troppi complimenti. Lì sopra faceva ancor a più freddo. Mi accucciai sotto le coperte. Stando appiccicata al muro cercai di dormire.


 

Dei colpi risuonarono nella soffitta. Non attesi di alzarmi e gridai «è aperto». Sentì un cigolio e due paia di passi che si avvicinavano a me. «Ame-?».Come sentì quella voce spalancai gli occhi alzandomi dal letto. Ricadendo subito dopo un violento giramento di testa Pirito e Perla mi guardavano sorridendo. Il ragazzo con un piatto e la ragazzina con una trapunta. «Che cosa ci fate qui?» mormorai.

Pirito posò il piatto sul tavolo e disse «le monache non vogliono mai essere contagiate da una persona posseduta per portargli il pranzo così lo chiedono sempre a qualche orfano, ci siamo offerti noi, tanto sappiamo che tu non contagerai proprio nessuno».

«La vostra gentilezza mi mette in soggezione» risposi. Perla appoggiò la trapunta sul letto, «perché?» chiese. Io risposi «non sono abituata ad essere trattata così bene, non da persone fuori della mia famiglia». Perla rispose «beh... siamo amici no? Hai mai avuto amici prima di noi?». Ripensai a quelle due tre persone che mi avevano proclamato migliore amica per poi approfittarsi di me e scossi la testa.

Tutti e due si guardarono intorno « se non fosse per quella finestra sarebbe tutto buio» esclamò Pirito. Perla aggiunse «...questo posto puzza».

Pirito si sedette sul letto «Suor Giada ci ha detto solo di portarti la minestra ma abbiamo voluto passare dal magazzino per prenderti un paio di coperte perché fa freddo quassù». Io li ringraziai e sistemai le coperte sopra le lenzuola. Perla e Pirito ributtarono sul materasso e mi diedero una mano. Prima di andarsene il ragazzino mi fece delle raccomandazioni come se fosse un vero dottore: «mi raccomando stai al caldo, risposa e mangia più che puoi. Domani ti porteremo qualcos'altro che ti servirà per guarire».

Io mi infilai sotto le coperte. «Verremo a trovarti appena possiamo» aggiunse Perla prima di andar via. Io cercai di mangiare qualcosa ma il mio stomaco era chiuso e volevo solo dormire. Infatti dopo poco mi addormentai di nuovo.

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Capitolo 6
*** 5 novembre 1869 ***


Capitolo 6

5 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Mai avevo dormito così bene e mai il mio risveglio fu così brusco. La luce leggera dell'alba mi aveva investito. Voci sommesse mi rosicchiavano l'orecchio e un odore conosciuto mi solleticava le narici. Sentivo come un debole pioggia fresca ticchettarmi sul viso e sui vestiti.

Quando la mia ragione si risvegliò dal sonno mi accorsi che l'odore che sentivo era incenso, che quella debole pioggerellina erano spruzzi di acqua santa e che le voci sommesse erano preghiere. Ma ormai non riuscivo più a muovermi.


 

Sentì la botola cigolare. Due paia di passi e voci avvicinarsi «Ame- ti abbiamo portato la colazione». Avrei tanto voluto parlare ma non ci riuscivo, l'effetto del tentato esorcismo da parte dei monaci non era ancora svanito.

Pirito e Perla mi chiamarono di nuovo. Qualcosa venne appoggiato sul comodino. Perla e Pirito mi chiamarono ancora. Io concentrai il viso nel tentativo di aprire gli occhi. Una mano fredda mi tastò la fronte bollente e la voce del ragazzino esclamò «si è alzata la temperatura, di poco ma si è alzata».

Perla rispose «che vuol dire?». Tre dita si premettero sul polso «il polso si è indebolito. Non capisco questa ricaduta improvvisa». Una mano mi scosse e risvegliò i miei sensi. Riuscì ad aprire gli occhi, anche se con fatica. La mano che mi aveva scosso era di Perla.

Pirito non perse tempo a chiedermi «come ti senti?». Difficile dirlo, non potevo certo dirgli che le cure delle suore mi avevano indebolito, altrimenti avrei dovuto digli il perché e avevo paura, gli dissi l'unica cosa certa «la testa, mi brucia»

Perla prese l'iniziativa di mettermi una pezza bagnata sulla fronte, la cosa più bella che mi fosse mai capitata da quando avevo preso la febbre «magnifico, grazie mille». Perla sorrise, «ma figurati».

«Comunque Ame- sei peggiorata, hai idea della causa?» chiese Pirito guardandomi con curiosità. Io voltai lo sguardo e rimasi zitta. Cosa gli dicevo? Pensavo fosse ancora troppo presto, lo conosco da poco non so se è affidabile. Non so come reagirebbe ad una verità simile, forse sarebbe in grado di mettermi nei guai e nel peggiore dei casi farei la fine di mia madre o sarei costretta a fuggire chissà-dove. Non potevo permettermelo.

«va beh pensaci ok? Ora noi andiamo a lezione torneremo a pranzo», I due amici salutandomi uscirono dalla botola. E io mi misi a pensare.

Quando sarebbe tornato si sarebbe aspettato una risposta e io non avevo intenzione di mentire ad un caro amico che si prendeva il disturbo di starmi dietro durante quei giorni duri. Non sarebbe stato corretto nei suoi confronti ma se dovevo dirglielo dovevo trovare il modo di essere sicura, ma come?


 

Riposavo tranquilla, era uno dei lati positivi dell'essere in quarantena. Ma All'improvviso, di nuovo quel pizzicorino al naso. Aprì gli occhi di scatto, sul comodino erano posata delle statuette religiose e dell'incenso. Richiusi gli occhi prima che avessero il tempo di prudermi e cercai di alzarmi nonostante la febbre. I miei occhi si riaffacciarono sul mondo. Le statuette mi pizzicarono gli occhi. Veloce presi quelle statue, facendomi sentire più pesante di un sasso, e le misi sotto letto.

Mi alzai barcollando verso la finestrella. La spalancai. Mi appoggiai con pesantezza sul davanzale interno. Poi, con pura forza di volontà, corsi verso il comodino. Presi la ciotolina con l'incenso che fumava e, resistendo alla tentazione di buttarlo, lo appoggiai sul davanzale esterno e richiusi.

In quel momento stavo in piedi per pura forza di volontà. Appena chiusi la finestra, crollai a sedere cercando almeno di respirare. Loro vogliono uccidermi, pensai sarcastica.


 

Delle voci lontane mi chiamavano. Ametista... Ame svegliati...Strizzando gli occhi cercai di svegliarmi, ma ero troppo debole per farcela. Quanto ci sarebbe voluto per farmi passare tutta quell'allergia?

Mi sentì scuotere da più di una persona. I miei occhi si schiusero, ma tutto quello che vedevo era sfocato. Sentivo fluire dentro di me delle energie che non erano mie. Come era possibile? Mi voltai verso il punto in cui le sentivo fluire e vidi Perla che mi guardava preoccupata. La guardai strana e lei tolse la mano dalla spalla e il flusso si interruppe.

La mia testa era in uno stato pietoso, se me l'avessero staccata sarebbe stato meglio. Me la afferrai, «Ahia che dolore».Pirito, tenendo appoggiata la mano sulla spalla, chiese «cosa è successo? Perché non sei nel letto?».Io con l'ansia in corpo cercai di calmarmi.

Concentrando il viso, afferrai la mano di Pirito, «io... non posso dirvelo». Pirito e Perla mi guardarono come se volessero capire cosa mi passava per la testa. «Perché non puoi? Non ti fidi?» Chiese Pirito. Mi sentì in trappola, ma non volevo cavarmela con una bugia. Non con loro perché le bugie hanno le gambe corte e prima o poi l'avrebbero scoperto.

Io scossi la testa «io non lo so, vorrei fidarmi ma...»avevo il cuore in gola. La ragione mi chiudeva la bocca mentre il cuore cercava di aprirla.

Pirito si sedette accanto a me e avvolse la sua mano con la mia con la tenerezza di un lenzuolo e disse «Ametista non devi avere paura di noi. Te l'ho già detto l'altra volta ricordi?».Io guardai la mano indecisa sul cosa fare. Accidenti! Era troppo rischioso.

Anche Perla si avvicinò e mi strinse la mano «Promettiamo di non dirlo a nessuno, qualunque cosa dirai sarà un nostro segreto». Io respirai. «Voi dovete capire... che da quando è morta mia mamma io ho perso tutto:... la mia casa, la mia famiglia, la dignità e quella poca libertà che avevo. La vita che sto vivendo adesso è l'unica cosa che mi è rimasta... e la sto dando a voi, per fiducia»

Perla spalancò gli occhi «è davvero così importante?». Io annuii. Un silenzio colse la stanza.

«Se qualcuno venisse a sapere di questo segreto per me sarebbe finita, nel peggiore dei casi potrebbero uccidermi» mormorai. Pirito spalancò gli occhi, sembrava aver capito. Io continuai «Giuratemi... che non lo direte ad nessuno» mormorai.

Un nastro di fumo azzurro che avvolse le nostre mani intrecciate, ma loro guardavano i miei occhi e non sospettarono nulla. Mormorarono con una voce decisa «lo giuriamo». Il nastro perciò si strinse intorno alle nostre mani e poi evaporò. Il patto era stato fatto, se qualcuno avesse parlato, lo avrei saputo. «Ebbene io... » un groppo in gola mi impediva di parlare «quando entro in contatto con oggetti di culto mi indebolisco... e questa mattina, dei monaci e delle suore, mi hanno gettato l'incenso, l'acquasanta e le preghiere... è per questo...»

«È per questo che non riuscivi a svegliarti questa mattina, non avevo nemmeno presa in considerazione che i riti di esorcismo potessero rappresentare un problema, per me erano cose senza alcun senso... e perché ti fanno allergia?». Io volsi lo sguardo verso un punto tranquillo e chiudendo gli occhi raccontai.

«Perché la fede che emanano gli oggetti venerati reagisce con la mia energia magica, indebolendola » mormorai. Dentro di me scattò qualcosa ormai era fatta e non potevo più tornare indietro.

«Ho capito» mormorò Pirito. «Quindi anche tu sei una strega come tua madre» borbottò Perla con un tono tanto neutro da farmi paura. «sì, sono una strega» mormorai. «Per me fa lo stesso» disse Pirito «ti aiuto ad alzarti» mi tese la mano. Io la afferrai e mi alzai in piedi. Un dolore mi piombò sul capo come se fosse stato colpito da una roccia. Quando mi sedetti sul letto la strinsi fra le mani con l'ansia di essermi condannata a morte. «Adesso noi andiamo» disse Pirito «intanto cercheremo un rimedio per questa cosa, altrimenti invece di migliorare peggiori» e mi sdraiai. Perla mi rimise la pezza bagnata sulla fronte. Pirito completò «intanto tu cerca di mangiare e di riposarti mi raccomando».

I due mi salutarono e scesero dalla botola. Da quando ero arrivata in quell'orfanotrofio non mi ero mai sentita così leggera e così agitata.


 

La luce della sera mi svegliò. Vidi la botola aprirsi. Una figura coperta da un abito nero sbucò dalla botola. Quel monaco era diretto verso di me.

Dietro di lei uscirono altre due figure identiche, una di loro aveva una bottiglietta con un liquido trasparente. Sopra la bottiglietta era scritto “acqua santa”.

Trasalì quando notai il cucchiaio. D'istinto mi alzai. Trascinai le braccia dolenti oltre il cuscino e la mia schiena sbatté contro l'angolo. Il cuore cominciò a pulsare.

Le suore avanzavano con il volto coperto, gli occhi erano l'unica finestra verso il mondo esterno. La prima si avvicinò, guardò le altre due e puntò il dito verso di me. La seconda a quel punto porse la boccetta e il cucchiaio alla prima.

Avrei voluto chiedere aiuto. I miei occhi fissavano quel liquido. La mia testa gridava: … scappa! È veleno...

Cominciai a ragionare su una soluzione. Le due suore si scagliarono su di me tenendomi appiccicata al muro. Il liquido venne versato sul cucchiaio. Chiusi la bocca, indietreggiando.

Il cucchiaio mi era davanti al naso. Mi dimenai nel tentativo di scappare. La voce della suora urlò «tenetela ferma!». Le suore improntarono le dita sulle mie braccia. Non riuscì a muovermi. A nulla servirono i miei tentativi. La suora mi tappò il naso. Il respiro mi si mozzò. La tentazione di aprire la bocca era forte. Resistetti. Ma dopo poco la suora mi buttò il cucchiaio in gola gridando «Sefe! Abbandona questo corpo!».

Il liquido tossico scivolò nell'esofago. Le suore mi mollarono.

Il mio respiro si bloccò. Un agitazione si fece spazio nel mio stomaco, mi sembrava di avere un uragano nella pancia. La mia mano si strinse sulla camicia. Mi afferrai al letto. Tutto cominciò a girare. La mia testa iniziò a pulsare. Fu allora che un liquido mi salì fino alla gola. Le suore si ritrassero. Io mi sporsi oltre il limite del letto e quel poco che avevo nello stomaco venne espulso.

Dei sussulti rimbombarono nella stanza. Cominciai a non sentirmi più e dopo poco divenne tutto buio.


 

Quando mi ripresi non sapevo nemmeno se ero sveglia. Riuscivo a percepire il mio corpo a non riuscivo a muoverlo. Mi sentivo svuotata e con una gran sete. Qualcosa mi scuoteva. Di scatto aprì gli occhi. Ripresi a respirare come se non lo avessi mai fatto. Perla mi aveva toccato di nuovo.

La sua espressione preoccupata mi fissava. Cercai di alzarmi senza riuscirci. «Cosa è successo?» chiese Perla. «Le suore non ci hanno detto nulla, solo che hai vomitato e di pulire» aggiunse Pirito buttando no straccio sporco nel secchio.

«M-mi hanno costretto a... bere dell'acqua santa, ho provato a rifiutarmi ma... non c'é stato nulla da fare... mi spiace» mormorai rimettendo la testa sul cuscino e chiudendo gli occhi.

«Ci hai fatto venire un colpo» disse Perla.

«Respiravi a mala pena, eri fredda e pallida come il ghiaccio, per un attimo ho temuto che fossi morta» mormorò Pirito con gli occhi lucidi «mi sono davvero spaventato».

Io ansimando chiusi gli occhi. «Non si può andare avanti così, dobbiamo trovare una soluzione prima che ti uccidano».

«Non so se è il caso ma... io avrei un antiallergico abbastanza potente da rendermi immune per un intero giorno, è la prima cosa che ho messo in valigia sapendo che venivo in un convento» mormorai.

«Davvero?! Come funziona?» chiese Pirito interessato. «Devo prenderlo prima di andare a dormire e dopo nove ore di sonno avrà effetto» risposi.

«È una buona cosa, perché non l'hai mai usato prima?». La sua era una domanda lecita « L'ho usata per sopravvivere al battesimo, ma non è da usare tutti i giorni. La ricetta è molto complicata, è l'unica che ho ed è molto forte. È una boccetta alta più o meno dieci centimetri con su un'etichetta che dice “antisacro”, dovresti riconoscerla subito, non è una cosa che si vede tutti i giorni».

Perla mi appoggiò dritta sul letto rimettendomi la pezza sulla fronte. Pirito rispose «Te la porterò questa sera dopo cena» Io annuii chiudendo gli occhi.

I due se ne andarono.

Quando arrivò l'ora. Pirito tirò fuori la boccetta. Io la presi in mano. «Posso farti delle domande?» disse Pirito.

«Dica» risposi. «Di cosa è fatto? E da quando lo usate?» chiese. Si vedeva che gli interessava la medicina, «Questo è un estratto di erbe miste ma ciò è un po' riduttivo, ci vuole un mese per preparare una roba del genere. È un'invenzione molto recente, quando mia madre aveva la mia età non esisteva».

Perla si avvicinò «Anche io ho una domanda. Ma la tua allergia agli oggetti sacri è pericolosa?».

Io la guardai stranita «questa è un'ottima domanda, infatti se tu mi buttassi in una stanza piena di incenso, potrei morire soffocata, per farti capire... durante il battesimo, quando mi anno immerso nella vasca di acqua santa, per un' attimo mi è sembrato di morire. So che mi avessero lasciato lì un secondo in più a quest'ora non esisterei più». Perla spalancò gli occhi e Pirito sbiancò.

Si alzò un silenzio di tomba che rimase finché non ripresi parola «Quando ne sono uscita stavo in piedi un po' perché suor Giada mi sorreggeva e per forza di volontà. Stavo cercando di non insospettire la gente più di tanto ma ripensando al dialogo che ha avuto con Luigina, credo che ormai lo avesse scoperto. Ora che ci penso, loro sanno che sono la figlia di una strega, in genere questo basterebbe per incriminarmi, visto poi come ho reagito al battesimo. Se già lo sospettavano che cosa stanno aspettando? Cosa vogliono fare con me?»

Pirito si mise a pensare «Allora... Don Quarzo è il tipo che da una possibilità a tutti, l'ho sentito molte volte parlare di questo e in genere è una persona coerente». All'improvviso mi parve di capire «secondo te sta cercando di... convertirmi? Non sarebbe una teoria sbagliata ma a questo punto come devo comportarmi con lui? Non posso dargliela vinta. Più di ogni altra cosa io desidero essere quello che sono senza che gente come loro cerchi cambiarmi».

«Io... sarei un po' più... prudente di così» disse Perla.

Io non sapevo cosa rispondere «Hai ragione! Io in questi giorni ho cercato di accettare le loro richieste e di stare tranquilla, ma come vedi, ho rischiato di morire comunque. Non so se è giusto, ma voglio impormi in qualche modo forse se ci parlo un po' riesco a convincerli ad accettarmi»

«Puoi provare!» esclamò Pirito «Mentre venivo su ho sentito il direttore parlare con Suor Giada, diceva che domani mattina vorrebbe venire a farti visita per chiarire le loro intenzioni dato che ti sei rifiutata di bere l'acqua santa oggi.» Io ci pensai «Adesso però dobbiamo andare» io alzai lo sguardo e vidi Pirito prendere il secchio con lo straccio e dirigersi verso la botola salutando insieme a Perla «buona dormita».

Perla e Pirito se ne andarono. Io mi lasciai cadere una goccia di antisacro sulla lingua e mi misi a dormire.

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Capitolo 7
*** 6 novembre 1869 ***


Capitolo 7

6 Novembre1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Dopo una bella dormita, con la pezza fresca sulla fronte e l'antiallergico che la liberava dalla debolezza e dall'allergia, Iniziai a sentirmi meglio. Riconobbi che se non ne soffrivo, l'incenso aveva un buon odore. Alla fine potevo essere una persona normale per un giorno. Comunque sia, misi l'incenso fuori dalla finestra per sicurezza, come le statuette e i simboli sacri. Non mi piaceva averli intorno.

Mi alzai piena di energie e per una volta nella vita mi rilassai, anche se ero in una soffitta buia e polverosa ero comunque contenta perché sentivo di non avere problemi.

Quando arrivarono Perla e Pirito a portare la colazione mi chiesero come stavo ma avevano già intuito che mi sentivo bene. Il ragazzo mi tastò la fronte e mi disse che la febbre era scesa di un bel po' durante la notte e che se riposavo ancora un po' domani sarei stata pronta per andarmene da quella soffitta.

Mi accorsi solo quando vidi la “colazione dei campioni” che lo stomaco mi brontolava. Infatti, nonostante mi facesse schifo, la buttai giù con grosse cucchiaiate.

Avevo gli occhi chiusi quando il cigolio della botola spinse a riaprirli. Don Quarzo e Suor Giada con loro lineamenti fieri, erano coperti da capo a piedi.

Gli occhi sbucavano dalla veste e mi guardavano. Io mi alzai con delle leggere palpitazioni. Incrociando le sopracciglia e tenendo lo sguardo fisso mormorai «salve». Don Quarzo e suor Giada si fermarono vicini al mio letto, «salve, siamo qui solo per parlare».

Io non mutai lo sguardo. Don Quarzo con cautela si sedette sul letto, «Ho saputo che ieri ti sei rifiutata di bere l'acqua santa, quindi ho pensato di venire per chiarire una volta per tutte le nostre intenzioni, lo sai. Noi sappiamo cosa sei, tutte le suore sanno cosa sei.»Le palpitazioni mi pressavano, avevano il coltello dalla parte del manico.

Pensavo di sapere già la risposta ma volevo sentirmelo dire da lui «e allora? Cosa state aspettando?».

Un teso silenzio si propagava in quella soffitta. Suor Giada mi guardava truce mentre Don Quarzo rispose «quando ci hanno detto che tua madre è stata purificata ci hanno chiesto se ti avremmo accettato. In altri Orfanotrofi ti avrebbero messo al rogo senza problemi».

Un brivido mi corse lungo la schiena. Con i pugni strinsi le coperte. Nella mia testa, la figura carbonizzata di mia madre prese forma e il respiro mi si mozzò. Ma il direttore non si fermò «Io ti ho accettato perché sapevo che Reve da una possibilità a tutti di redimersi, io ho seguito la sua volontà. Per me e per Dio tu non sei altro che una persona che ha bisogno di aiuto, dell'amore di Reve e della sua misericordia»

I pugni mi prudevano dalla rabbia, ecco un altro che pensava di poter decidere al posto mio. «Sarò sincera con lei» risposi stringendo i pugni e guardandolo fisso negli occhi « Non penso di essere io quella che ha bisogno di cambiare. Io sono fiera di essere quella che sono, non credo di aver bisogno dell'amore di Dio». Il cuore non mi era mai corso così forte. Mi ero data la zappa sui piedi ma tanto peggio di così non poteva andare.

Don Quarzo punto il dito sul mio petto «Il diavolo ti ha inquinato, è stata tua madre che ti ha generato a mettere Sefe dentro di te. É lui che ti fa parlare così» mormorò. Io strinsi fremente, ancora di più le coperte tra le mani «Non una parola contro mia madre».

Mi veniva voglia di picchiarlo, mi trattenni. Lui continuò «Sefe è come se facesse parte di te, si vede dai tuoi occhi violacei. Finché non torneranno normali non avremo mai estirpato il diavolo, tu non sarai pura e non avrai mai accesso al paradiso».

«Mi lasci stare» borbottai chiudendo gli occhi. Il Direttore tolse il dito dal mio petto «ma tu non devi preoccuparti, perché l'amore di Reve, la sua potenza e misericordia sono infiniti e noi faremo di tutto per liberarti dal demonio, useremo tutti i mezzi che saranno necessari ma lo tireremo fuori. Te lo prometto. Tu non devi fare altro che credere in Reve e pregare che la sua misericordia ti arrivi. Userò il rogo solo come ultima risorsa, finché i tuoi occhi non diverranno marroni non mi arrenderò» Non ce la facevo più, quelle parole erano come una pugnalata al cuore.

Tesa e tremante di rabbia, non risposi. Don Quarzo si alzò e se ne andò con suor Giada alle spalle. Appena se ne andarono, per evitare di buttare all'aria tutto quello che mi capitava a tiro, presi il cuscino, lasciandoci la voce.

Ormai avevo capito cosa era necessario fare.


 


 

A pranzo entrarono Pirito e Perla con il pranzo. Io ero ancora seduta sotto le coperte a pensare. Non avevo smesso da quando il direttore e suor Giada se ne erano andati.

«Allora cosa ti ha detto il direttore?» chiese Pirito. Io scossi la testa, «avevamo ragione Pirito» mormorai «mi ha detto non si arrenderà finché i miei occhi non diverranno marroni, perché secondo lui è il segno che il demonio fa parte di me».

Perla spalancò gli occhi. Pirito si sedette sul letto e mi chiese di spiegarglielo meglio. Io gli raccontai tutta la conversazione.

«Ma questa è una pena di morte. Gli occhi possono cambiare colore, o sbaglio?» Io scossi la testa «Non ti sbagli. I miei occhi sono così sgargianti per DNA. Cambiarli è impossibile. La magia fa parte di me, delle cellule, del sangue, dei muscoli... Cercare di eliminarla è impossibile. Quando mi buttano addosso l'acqua santa, io mi indebolisco perché la mia stessa magia si indebolisce ma i miei occhi rimarranno sempre gli stessi. Anche se la magia perdesse il suo effetto e io morissi, lei resterebbe comunque attaccata a me e fin quando c'é i miei occhi reagiranno alla sua presenza rimanendo come sono».

«Quindi la magia è in qualche modo collegata alla tua vita, cioè se perde il suo effetto per via degli oggetti sacri muori giusto? Ciò vuol dire che interferisce con il funzionamento del tuo corpo, come è possibile?» chiese Pirito.

Io risposi «ora io non sono un'esperta però si può dire che... essa serve come energia e protezione... insomma mi da un supporto in più, tuttavia qui si indebolisce con facilità perché ovunque mi giro trovo un simbolo venerato»

«ho capito ma come mai i simboli venerati vi danno così tanto fastidio?» Chiese Pirito con gli occhi che brillavano.

«Ecco un'ottima domanda. Pare che quando un simbolo viene venerato si impregni di una sostanza gassosa che mi indebolisce la fede, sapete no che quando si entra in un luogo di culto c'é sempre quell'odore particolare».

«Ha sì, vuoi dire che questo veleno lo rilasciamo noi quando preghiamo?»

«Quando pregate con fede, finché la tenete dentro di voi è una cosa innocua ma quando la esternate, in qualche modo, rilasciate questa sostanza poi si dirige verso il simbolo di questa adorazione, impregnandosi anche un po' dappertutto durante il viaggio. Tant'è vero che se qualcuno mi mette davanti un simbolo mai adorato con fede la cosa non mi da noia».

«ah!» esclamò Pirito annuendo «dunque se è così, in un modo o nell'altro rischi la vita. Cosa hai intenzione di fare?».

Io abbassai lo sguardo sulle mie mani « è da ore che ci sto pensando, potrebbe essere complicato, rischioso. Avevo pensato di fuggire ma anche se ci riuscissi, prima o poi le autorità mi riporterebbero qui e anche se non ci riuscissero mai non voglio passare il resto della mia vita come una fuggiasca. L'unico modo che ho di sopravvivere è convincere il direttore e la vicedirettrice ad accettarmi per quella che sono. Molti ci hanno provato e molti sono caduti ma io so che se credo di potercela fare alla fine ci riesco»

«E noi ti aiuteremo! Giusto Perla?» Pirito si girò verso di lei che rimase ferma con gli occhi sbarrati «ecco io... ci devo pensare» cominciai ad avere paura.

Io capivo, dopo tutto lei era una persona molto religiosa. Pirito la guardò stupito. Io risposi «se vuoi tirarti fuori da questa storia io ti rispetto. Ma ti scongiuro di non dire nulla a nessuno di quello che ti ho rivelato. Se loro lo scoprissero, non posso immaginare cosa potrebbero farmi».

Lei annuì «se no ti cancello la memoria» lei scosse la testa. Pirito si voltò verso di me con un sopracciglio alzato e io mormorai «non sarebbe giusto costringerla a fare qualcosa che non vuole e comunque se mi tradisse io lo saprei.»

Pirito annuì, a quanto pareva avevano finito il tempo e se ne andarono.


 

Quella sera Pirito tornò e Perla non c'era. Mi disse che potevo considerarmi guarita. Passò qualche secondo silenzioso e Pirito mi chiese «se Perla ti tradisce... cosa intendevi dire quando hai detto che... se Perla ti tradisse lo sapresti».

Io presi un bel respiro «Promettimi di non arrabbiarti». Lui mi guardò male «Hai posseduto qualcuno?». Io risi e scossi la testa. Lui rise e rispose «spara allora!». Io risposi «quando vi ho detto la verità vi ho incantato, mi avete promesso che non avreste detto nulla a nessuno di ciò che vi avrei rivelato riguardo la mia magia». Lui annuì «ho attaccato alla vostra mano uno strato di magia se voi tradiste la promessa fatta manderà un segnale alle mie orecchie e io lo saprò. Era giusto una precauzione».

Lui mi diede dei colpi sulla schiena «non ti preoccupare! Anche io avrei fatto la stessa cosa se fossi stato al posto tuo» rispose.

«comunque di te mi fido? Se vuoi te lo posso togliere» proposi. Lui scosse la testa «no lasciamelo, non si sa mai, magari loro mi fanno il lavaggio del cervello e poi non mi da fastidio».

Io gli sorrisi «ho sempre voluto un amico come te lo sai?». Lui si sedette sul letto, «anche io, ho sempre voluto avere una persona che la pensasse come me, una persona con cui confidarmi e poi tu sei una persona interessante, non avevo mai incontrato una strega prima d'ora. Anzi, un giorno vorrei assistere ad una tua magia».

Io divenni rossa come un pomodoro. Nessuno mi aveva detto una cosa del genere prima di allora, per una volta con gli amici ci avevo azzeccato.


 

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Capitolo 8
*** 7 novembre 1869 ***


Capitolo 8

7 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Quella mattina. Le suore piombarono nella soffitta alle sei di mattina. Io ero seduta sul letto con le dita incrociate guardando la finestrella. Le mie gambe si agitavano. Feci un respiro profondo.

Quelle due suore si avvicinarono a me e dissero: «siamo venute a portarti nel dormitorio». Io annuì, «lo so». La seconda suora rispose «forza alzati non c'é tempo da perdere». Io mi alzai e con il cuore pulsante scesi le scale. La soffitta polverosa si chiuse e io mi allontanai.


 

Il dormitorio era in movimento. Mentre attraversavo la stanza in mezzo ai letti, nessuna sospettosa occhiata mi sfuggì. Ero a metà strada quando vidi Perla e Pirito voltarsi verso di me con un sorriso. Con la boccetta in mano, ricambiai il sorriso. Mi avvicinai al letto, presi la valigia e la aprii. Nascosi la boccetta sotto una pila di vestiti e mi cominciai a vestire.

Stavo abbottonando il colletto della camicia quando Pirito mi chiese come stavo. «Sono agitata» risposi, da una scatoletta tirai fuori un lungo nastro rosso «c'é un motivo se metà della gente mi guarda così male?».

«Si è parlato molto di te in questi giorni» rispose Pirito guardandomi mentre mi allacciavo il fiocco sulla camicia. «Scommetto che, adesso, tutti sanno tutto» azzardai afferrando il cappotto. Pirito rise con amarezza, «hai un intelletto fine». Io risi.

Aggiustandomi i capelli con lo specchio commentai «ed ecco che la mia maschera va a farsi friggere. A questo punto non ho più niente da perdere». Rimisi lo specchio nella valigia, la chiusi, buttandola sotto il letto.

«Allora andiamo» disse Pirito «anche io muoio dalla voglia di affermare me stesso. Sono stufo di nascondermi» il suo sguardo era deciso e io risposi «Conservati tu che hai una buone probabilità di sopravvivere».

E afferrando il libro di magia sul comodino, io e Pirito, ci dirigemmo verso la fila.

Ambra ci condusse fino alla Làcolonia. Quando le porte si aprirono, io sentì lo stomaco fare una piroetta. Mentre stormi di ragazzini entravano e Pirito rimanemmo immobili. Guardammo gli altri che entravano si voltandosi verso di noi. Rimasi con un' ansia impellente per lunghi secondi. Se in quell'orfanotrofio bastava un ritardo per passare dei guai non volevo immaginare cosa sarebbe successo se saltavamo la messa.

Quando tutti furono entrati sullo scalino di un altro edificio. Pirito mi seguì. Le porte si chiusero senza che nessuno si accorgesse di noi e una pesante quiete si abbatté su di noi. Il vento fischiava e mi investiva col suo gelo e dalla làcolonia arrivavano dei mormorii.

Io aprì il libro e mentre ascoltavo il vento mattutino investirmi col suo gelo, mi immersi nella lettura. Pirito ad un tratto mi chiese «è davvero un libro di cucina?». Io risposi «è un manuale avanzato di magia». Poi il ragazzino guardò la dorata luce dell'alba e disse «Perché è così difficile mostrarsi alla gente?».

Io chiusi il volume e risposi «Perché tu sai che tu non rientri nei canoni di perfezione degli altri e hai paura di rimanere da solo».

Lui si voltò verso di me «io non rischio molto, eppure mi sento opprimere. Quanto è difficile per te Ametista?».

Io con la voce bassa risposi «io... mi sento meglio quando so di avere il tuo sostegno». Lui sorrise e io ricambiai. Poi, sentendomi un po' più leggera, riaprì il volume.

Dopo un po' una suora sbucò dalla porta alle nostre spalle. Era suor Acquamarina, guardandoci stranita ci chiese «Come mai non siete in Làcolonia? La messa è già cominciata» sembrava quasi un rimprovero.

Io senza smuovere gli occhi dal volume alzai una mano «io per motivi di salute». Pirito imitandomi disse «io non ho voglia di perderci tempo».

Vidi con la coda dell'occhio la suora ammutolita «ma se non andate in chiesa non entrerete mai nel regno di Reve» disse.

Io risi, «scusatemi se rido, ma qui sembrate tutti convinti di sapere cosa vuole Dio senza avere uno straccio di prova che lui esista».

«Questa è blasfemia. Cosa ti è successo? Prima non eri così» disse chinandosi su di me. «Le persone non cambiano. L'unica differenza da prima è che ora mi sono stufata di nascondermi» mormorai.

Le appoggiò la mano sulla mia spalla «no! Non è vero è Sefe che ti fa dire così. Ribellati a lui!». Cominciavo ad essere stufa di quelle storie senza senso.

«Lasciatemi stare! Io non sono controllata da nessuno, io sono una strega, sono fiera di esserlo e non saranno le vostre favole a farmi cambiare idea» il mio tono divenne glaciale. Suor Acquamarina si voltò verso Pirito, stava per aprire bocca ma lui la anticipo «anche io l'ho sempre pensata come lei e non mi dica che sono sotto la sua influenza perché nessuno mi ha costretto a far nulla».

«È così! L'ho detto se non vuoi stare con me sei libero di andartene» replicai.

Lui mi diede un colpetto sulla spalla «Ormai siamo sulla stessa barca, io non ti lascio».

La suora tornò dentro. A quel punto Pirito disse «Io credo che con gente del genere non serva a niente parlarci». Io annuì «ho già pronto il piano B»

«Cosa farai?». Risposi «secondo te perché mi sono portata il libro di magia dietro?» avanzai il volume verso di lui. «Io vedo solo la ricetta per la pasta al ragù» esclamò. Risi. Attaccai il pollice al dito medio. «Ti do il permesso di vederlo» e schioccando le dita le lettere si mossero come fiamme fino a cambiare. Lui spalancò gli occhi «Come aprire la mente?» borbottò.

«Hai intenzione di aprire la mente di queste persone?» mi chiese. Io ritrassi il volume «Questo li costringerà a ragionare. Loro non ci ascoltano mai perché non vogliono sentire pareri diversi dai loro. Con una mente più aperta forse riuscirò a farmi accettare, ma è complicato ci vorrà un bel po' per impararlo» dissi.

«Come fa la magia ad intervenire sul mondo circostante?» domandò Pirito. «Prima di tutto devi sapere che la magia nel mio corpo ha la funzione di difesa ma è un tessuto che posso controllare, cioè volontario. Viene prodotta in ogni organo del mio corpo e le sue reazioni sono diverse a seconda del posto in cui viene prodotta e a cosa reagiscono. Un esempio banalissimo... ehm...la magia del mio pollice ha un effetto diverso da quella del medio, se io faccio reagire le due otterrò una reazione» Io sfregai le due dita e dal pollice uscì una fiammella.

Pirito lo guardò a bocca aperta «e non ti fa male?» io scossi la testa « no! Perché in ogni modo è fatta per proteggermi. Poi le possibilità sono molte. Non è detto che io possa farle reagire solo fra di loro ma anche con l'ambiente circostante. Se io sposto la magia del gomito alla mano e la faccio reagire con qualsiasi materiale si otterrà la reazione e il materiale attaccato... diciamo così... si disintegrerà, ma questo non voglio provarlo è pericoloso»

Lui annuì « e gli infusi? Le pozioni?»

«Quelle sono un altro paio di maniche. Ci sono sostanze in natura che possono potenziare la mia magia o indebolirla. L'antiallergico di ieri è un infuso di erbe che potenzia la mia magia in modo che essa non venga indebolita dagli oggetti sacri. La pozione invece e magia liquida, se io creo una sostanza immobilizzante sul dito e poi lo immergo in un bicchiere d'acqua, questa cambia colore e chi la berrà si ritroverà immobilizzato»


 

Le porte della Làcolonia si aprirono e file di ragazzini uscirono. Io e Pirito aspettammo che arrivasse il nostro gruppo e ci mettemmo in fondo alla fila. Perla sembrava persa nei suoi pensieri, tant'è vero che non ci salutò.

Ci portarono a colazione. Dentro di me sentivo una paura costante che non davo molto a vedere ma sapevo che era anche in Pirito, la paura di essere giudicati male dagli altri. Non parlammo molto nemmeno quando ci portarono nel frutteto a spazzare le foglie.

Le nubi bianche ricoprivano il cielo. Il vento fischiava. Il silenzio era fitto. Gli alberi si scuotevano. All'improvviso una voce familiare mi fece sobbalzare, «la strega qui ha incontrato Sefe durante il suo... soggiorno in soffitta?». Alessandrito.

Io sbuffai e con un mezzo sorriso risposi «sì ed è molto più simpatico di te». Una serie di sguardi mi raggiunsero. Vidi Pirito soffocare una risata, mentre io mi giravo per guardare il biondo negli occhi. Lui per un attimo incrociò le sopracciglia poi con un sorriso più finto di quello di una bambola disse «ah sì? E cosa ti ha detto di tanto divertente?».

Io risposi, «Che hai già il posto prenotato all'inferno». Pirito divenne tutto rosso. Gli allineamenti del biondo divennero duri e con quello sguardo avanzò di un passo, «Non ti permettere di dirmi cose del genere. Qui la strega sei tu».

«Se non lo posso fare io allora perché tu invece si? Sapientone» osai. Lui indicando se stesso rispose «Perché io sono un ragazzo modello e tu no». A quel punto, io e Pirito scoppiammo a ridere «questa è bella! Lui crede di essere un modello di perfezione, ma non farmi ridere. Se tu sei un modello di perfezione io sono la fata Rosalina».

All'improvviso la mano di Alessandrito si chiusero sul colletto della mia camicia. Lui mi guardò negli occhi ma io non voltai lo sguardo. Il cuore mi pulsava ma non mi tremavano neanche le mani.

«Parla» mormorò, guardandomi con occhi penetranti «Cosa ti renderebbe migliore di me?». Il suo alito mi investì. Arricciandomi il naso mormorai «non starmi troppo vicino sento il tuo alito fetido».

Strattonandomi gridò «rispondi!». Io guardai Elio che teneva lo sguardo fisso sulla spalla, «innanzi tutto io non me la prendo con i più deboli di me» risposi. Il biondo rimase ammutolito, « e non ho bisogno di avere l'approvazione degli altri per sentirmi superiore».

Spingendomi mi mollò. Barcollai indietro ma lui rispose «sentì come si da delle arie, pensi di potermi dare delle lezioni? Tu che ti vesti come un fenomeno da baraccone?»

«Io mi vesto come mi pare! Io mi metto la gonna soltanto se te la metti anche tu allora? Affare fatto?». Il biondo divenne rosso mela. Pirito sghignazzò. Poi vidi le mani tremare e un attimo dopo una mano si avventò su di me.

D'istinto la evitai. Afferrai il polso e lo torsi dietro la schiena. In qualche modo dovevo tenerlo fermo. Concentrai la mia magia nell'altra mano al tocco della spalla del biondo questo crollò in ginocchio ansimante.

Io sospirai di sollievo. Pirito aveva gli occhi spalancati come tutti gli altri «da dove viene quella roba?». Io non sapevo cosa rispondere «non lo so, spesso mi viene d'istinto, deve avermelo insegnato qualcuno tanto tempo fa».

Dopo pochi secondi Il biondo in piedi barcollò e allontanandosi. Elio mi guardò come se lo avessi fatto per lui mentre Gemma con le mani sui fianchi avanzo borbottando «Ti sembra il modo di comportarti?». Stavo per rispondere quando il biondo la chiamò a se. Dopo un po' di indecisioni anche Elio mi fece un leggero sorriso.

Io ci ragionai un po' e dissi «forse mi sono messa nei guai. Ma dopo tutto è lui che mi ha attaccato».

Bastarono pochi minuti. Vidi suor Ambra, attraversare file di orfani e alberi avvicinandosi a me con Il biondo e banda alle spalle. Il suo sguardo mi penetrava e quando arrivò glielo restituì nonostante i battiti cardiaci mi stessero per soffocare.

«Ametista sono molto delusa e anche Reve lo è... la legge di dio vieta qualsiasi tipo di violenza».

Io feci un passo indietro, «È stato Alessandrito il primo ad alzare le mani, io mi sono solo difesa».

La suora mi prese per il braccio «Non mi interessa adesso andiamo dal preside». Io puntai i piedi e tirai il braccio. Pirito afferrò le braccia della suora, «ma è vero! Non è stata colpa sua. Alessandrito stava per metterle le mani addosso».

Tirando gridai a denti stretti «dovevo stare ferma a subire? Mi ascolti una buona volta».

Suor Ambra mi afferrò con due mani «dai!smettila di fare i capricci! Non si alzano le mani». Perla avanzo verso Pirito che gridò «Suor Ambra non è colpa sua! Ci ascolti»

La suora mi stava tirando verso il cancello. Col sudore alla fronte io cercavo di farmi indietro « mi lasciate dire la mia?». In quel momento Suor Ambra mi mollò. Io caddi fra l'erba con il fiato pesante. Ambra mi guardò come non mi aveva mai guardato prima e disse «tu non hai il diritto di parlare».

Mi sentì lacerare. Un profondo senso di nausea mi pervase. Tutto si bloccò. Mi alzai e mi allontanai «voi state esagerando!». Lei rimase immobile. Digrignando i denti mi afferrò e mi strattonò lungo il sentiero.

La rabbia mi saliva violenta. Mentre mi trascinava lungo i viali, i corridoi e le scale mi chiedevo perché dovevo subire una cosa del genere solo perché ero diversa dagli altri. Una domanda che mi facevo da sempre e a cui non volevo rispondere perché la mia rabbia sarebbe cresciuta ancora accecandomi.

Mi ritrovai di nuovo al terzo piano. Davanti a quella porta che avevo visto solo due giorni prima. Con una certa fierezza Ambra attese il permesso e la trascinò dentro. Don Quarzo mi guardò, poi il suo sguardo si spostò sulla suora, «Cosa ha combinato questa volta?».

Io non potevo più trattenermi, se non mi sfogavo rischiavo di diventare matta. «si è azzuffata con un suo compagno» rispose la suora. Io con lo stomaco rivoltato e i pugni stretti sbottai; «non è vero!...» Ambra mi tirò indietro e io strattonai il braccio, «lasciatemi!», e mi liberai.

«È stato per legittima difesa e comunque non l'ho picchiato. L'ho solo immobilizzato prima che potesse farmi del male». Il direttore si alzò dal tavolo e mi afferrò le spalle. Mi guardò negli occhi «comunque sia non hai fatto una cosa bella. Ho saputo che non hai partecipato alla messa questa mattina» e questo cosa centrava? «Come puoi comportarti così dopo tutto quello che Reve ha fatto per te?».

Se l'erano andata a cercare. Le parole mi uscirono fuori d'impulso, «e cosa ha fatto Reve per me? Mi ha solo rovinato l'esistenza, se lui non fosse mai stato inventato io ora avrei una vita normale e invece mi tocca combattere con voi». Tanto sapevo che non mi avrebbero ascoltato.

Quarzo mantenne il suo sguardo impenetrabile. Si alzò dicendo, «se non sbaglio il corridoio del terzo piano deve essere pulito giusto?». Ambra annuì. Mi afferrò di nuovo. Mi portò dall'altra parte del piano. Dopo aver aperto una porta sul corridoio, prese dall'angolo un secchio d'acqua con uno straccio che galleggiava e me lo mise in mano. «Se non è pulito entro un'ora salti il pranzo». Uscì dalla porta chiudendosela alle spalle.

Io mi guardai mettendomi un dito sotto il naso. Quel corridoio era parecchio largo anche se non troppo lungo. Dopo un po' alzai le spalle, mi sedetti a terra e aprì il libro a pagina 42.


 

Dopo un po' la porta si riaprì. Io voltai lo sguardo verso Ambra. Lei guardò il corridoio, poi me e poi disse «Cosa mi rappresenta questo?». Chiusi il volume e mi alzai in piedi «sono stufa di essere punita per delle colpe che non sono mie, se ci tenete al pavimento pulitevelo da sola».

Suor Giada apparve dietro suor Ambra, «allora? Cosa sta succedendo qui?». Ambra si fece da parte, «Ametista si rifiuta di pulire il corridoio». Giada avanzò verso di me, io indietreggiai «la signorina non vuole sporcarsi le mani? Be vuol dire che lo farà Pirito al posto tuo».

«bene!» esclamai «tanto si rifiuterà anche lui». Il viso di Giada si concentrò.«allora salterete tutti e due il pranzo. Ti va bene così?».

«sì! Preferisco morire di fame più che sottostare a voi» dissi a denti stretti. Le suore se ne andarono sbattendo la porta. Io non mi preoccupavo, voleva dire che avremmo fatto una scappatina in dispensa a prendere qualcosina.

Perciò riaprì il volume e ricominciai a leggere. Dopo un po' cominciai a pensare al pranzo, come rimediarlo? Chiusi il volume e con l'agitazione in corpo mi diressi verso la cucina. Dentro si sentiva un gran caos. Cercare di entrare lì dentro non era difficile ma non era nemmeno furbo. Avrei fatto meglio ad andare nelle cantine lì avrei rimediato qualcosa senza dare troppo nell'occhio.

Infatti mi diressi lì. Mi guardai intorno ma non c'era nessuno. Mi sfregai il palmo della mano con la punta delle dita. In pochi secondi si formò una polverina arancione. Io la soffiai sulla serratura e da lì arrivò uno schiocco metallico. Aprii la porta e poi la chiusi alle mie spalle. Dopo aver sceso una scala e fatto quello che dovevo fare aspettai Pirito davanti alla mensa. Tutti mi guardavano male ma io non ci pensai. Aspettavo il mio migliore amico. Che appena mi vide mi venne in contro.

«Suor Giada è proprio ingiusta. Capisco tu ma io cosa centro?» esclamò. Io sorrisi «neanche io ho fatto qualcosa di male» e detto questo gli appoggiai la mano sulla spalla e lo spinsi lungo il corridoio «vieni andiamo a mangiare».

Lui si guardò intorno e indicando dietro di se disse «la mensa è da quella parte». Io portandolo verso il cortile risposi «non ho intenzione di mangiare quella poltiglia».

Una volta seduti fuori in un luogo appartato in mezzo agli edifici del monastero. Fregai una mano a terra e spuntarono dall'erba due panini e due bottiglie d'acqua. Pirito le guardò con tanto d'occhi, «come hai fatto? Le hai create dal nulla».

Io ridendo scossi al testa «li ho preparati e nascosti nella dispensa, poi li ho richiamati qui» spiegai. Pirito prese in mano il panino a strato multiplo e chiese «Non riesco a capire la dinamica di questo incantesimo». Io presi il mio «sarebbe troppo complicato, io sono già ad un livello avanzato».

Dopo aver mangiato ci chiedemmo se era necessario seguire ancora il programma «Io riterrei più... ben speso il tempo se passato ad esercitarmi sull'incantesimo che mi può tirare fuori dai guai» proposi. Poi Pirito disse «ma se ti attaccassero per metterti al rogo, non potresti usare la tua magia per combatterli?».

Un grosso peso mi ritornò sul petto « per arrivare a cosa? Non ho più un posto dove andare io e ad ogni modo il mio corpo può produrre una quantità limitata di magia e la loro durata di vita è di un giorno, io da sola non riuscirei a fronteggiare tutte le suore e gli orfani di questo convento. Infatti l'incantesimo che voglio utilizzare se lo usassi su tutti potrebbe togliermi la vita questo è certo»

«Quindi hai intenzione di usarlo su persone ben precise» disse Pirito avvicinandosi avvicinandosi a me. Io annuii «voglio usarlo prima di tutto sul direttore e sulla vicedirettrice. L'incantesimo Aprimente è complesso, se non mi stanco potrei usarlo al massimo tre o quattro volte»

Pirito annuì «Allora cosa facciamo?». Ci pensai per un po' poi decisi «i problemi vanno affrontati. Oggi direi di andare a lavorare insieme agli altri. Non sia mai che mancassi qualche occasione per farmi valere. Stasera invece andrò in soffitta ad esercitarmi»

Pirito annuì «io invece devo andare in biblioteca a fare scorte di libri» e così decidemmo.

Tutto il resto della giornata passò come al solito. La messa serale la saltammo e io finì di leggere il capitolo sul incantesimo Aprimente. Ora tutto quello che dovevo solo metterlo in pratica.


 


 

I miei problemi mi affollavano la testa insieme alle chiacchiere di chi, col piatto davanti parlottava con gli altri compagni. Più guardavo quel piatto e più mi sembrava inutile mangiare. All'improvviso però una voce isterica mi gridò dietro la schiena «Oggi non ti sei comportata bene!» io mi voltai. Gemma mi guardava con la mani sui fianchi, fiera come uno studente davanti ad un bel voto. Io sorrisi «ah! Senti un po' chi parla! Chi ti credi di essere? mia madre?» feci per girarmi ma lei, afferrandomi il polso, mi voltò «Non si parla così alla gente e non si disubbidisce alle suore. Chiedi scusa subito!». Io lo afferrai e stringendo la parte posteriore del polso obbligai la ragazza a mollare la presa. «Io non devo chiedere scusa a nessuno». Lei lo strattonò lontano dalla mia presa e, con gli occhi spalancati e immobili, se ne andò.

«Le hai fatto paura» disse Perla. Io la guardai negli occhi «sinceramente, se l'è andata a cercare». Pirito si intromise, «è probabile che domani Alessandrito torni a vendicarla» mormorò. Io ritornai sul mio piatto «fino a domani non ci penso».


 

Una volta giunta la notte, io e Pirito ci alzammo. La stanza era buia. La pallida luce della luna filtrava dalla finestra rischiarando di poco la stanza. Io mi infilai le ballerine e presi il libro sotto braccio. Pirito era in calzini e con passo leggero stava attraversando la stanza. Io guardando i rigonfiamento nei letti con l'ansia lo seguì. Lui si fermò alla porta, la aprì piano sbirciando da uno spiraglio. Oltre lo spiraglio vidi una luce di candela attraversare il corridoio mentre dei passi echeggiava nel pavimento.

«Le suore fanno i turni di guardia per vedere se c'é qualcuno che esce durante la notte, anche se sono poche bisogna fare attenzione» sussurrò Pirito aprendo di più la porta, il corridoio adesso sembrava sgombro «andiamo» disse Pirito uscendo dalla stanza. Dopo averlo richiuso la porta dietro di me ci dirigemmo veloci e silenziosi verso le scale. Una volta arrivati al terzo piano ci dividemmo. Non trovammo ostacoli lungo il percorso. Solo che mentre mi dirigevo verso le scale che portavano alla soffitta passai davanti alle celle. Ripensai agli oggetti che erano stati requisiti. Sarebbe stata una cosa carina riportarli.

Non mi aspettavo di ricevere complimenti, soltanto di far arrabbiare un po' le suore e magari spingerle a farsi qualche domanda. Aprii la serratura e corsi con passi leggeri lungo le celle finché non trovai quella che mi interessava. Aprì anche quella e con il cuore in gola entrai nella cella buia.

Sentivo respirare. Vedevo le coperte respirare nel buio. Mi feci coraggio. Non feci un singolo rumore. Aprì il cassetto con la delicatezza di una farfalla, sfregandomi le mani sparsi una polverina sopra gli oggetti. Questi si alzarono in volo e cominciarono ad andarsene fuori. Li seguì aprendo tutte le porte chiuse in modo che il loro corso no fosse vano. Una volta aperta la stanza del dormitorio gli oggetti tornarono sui comodini dei proprietari.

Dopo di quello ritornai sulla soffitta.

Creai una sagoma su cui esercitarmi ne creai con la magia, provai l'incantesimo per tre volte, poi sfinita tornai a letto. Pirito arrivò dopo.

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Capitolo 9
*** 8 Novembre 1869 ***


Capitolo 9

8 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 

«Sei stata tu? E dove li hai trovati?»Esclamò Pirito con i libri stretti al petto. Io infilandomi la giacca risposi « indovina un po'? Nel cassetto della cella di Luigina».

Pirito spalancò gli occhi. All'improvviso una ragazzina si avvicinò a me con un ciondolo in mano, «un momento vorresti farmi credere che tu frughi nelle stanze delle suore?».Io mi voltai, «Per chi mi hai preso? Per una ladra? no... il secondo giorno, sono arrivata in ritardo alla lezione di Giada perché mi aveva chiesto di sistemare la cella di suor Ambra...» lei mi guardò strana «ti giuro che non mento» esclamai guardando il viso stranito della ragazza « d'istinto ho aperto il cassetto del suo comodino e ci ho trovato, un mucchio di oggetti, tra cui anche roba mia... quel giorno ho preso solo la mia perché ero di furia ma ieri sera ci sono passata davanti così ho pensato, per scrupolo, di entrarci per restituire gli oggetti rubati».

Ma come facevi a sapere che questo ciondolo era mio?». Io indicai il ciondolo «le tue impronte digitali, tu sei la proprietaria quindi lo hai toccato molto più di chi l'ha rubato. Io ho creato una reazione sugli oggetti, in modo che fossero attirati dal suo proprietario» la ragazza sembrava indecisa sul cosa pensare, la vidi cambiare espressione da stranita a pensierosa in pochi secondi

Io presi il libro e mi sedetti sul letto. Perla uscì dal gruppo di gente che si era formato intorno a me: «Io non posso credere che suor Giada ti abbia mandato a pulire la stanza di Ambra e poi ti abbia punito», molti cominciarono a dargli ragione.

«Certo! Con voi non lo farebbe mai, ma lei ha sempre saputo che cosa sono, non ne era certa, però questi pregiudizi che tutti avete su di me sono abbastanza per pensare di mettermi in disparte, umiliarmi e darmi una lezione per delle colpe che non esistono. Io non centro nulla col diavolo questo ve lo dovete mettere in testa. Io sono quello che sono per genetica, per farmi diventare una persona normale Don Quarzo dovrebbe cambiare il mio DNA, ma dato che è impossibile prima o poi non mi vedrete più state tranquilli. Un bel rogo e io sparirò dalla faccia della terra, basta poco tempo forse meno di un mese». La cosa mi dette i brividi.

Tutti indietreggiarono in silenzio. Mi sedetti sul letto e mi afferrai la fronte. Pirito deglutì e disse « Cosa fareste voi al suo posto? Non vi rendete proprio conto del comportamento delle suore nei suoi confronti? Ieri lei si è difesa da Alessandrito e Ambra ha punito lei. Giada il primo giorno l'ha vista arrivare per ultima e l'ha punita lo stesso. La interroga per ogni cosa. Io non so come fate a pensare che sia colpa» disse indicandomi.

Massaggiandomi gli occhi mi alzai piano «ma non ti preoccupare Pirito, non c'é bisogno di parlare, prima o poi lo vedranno con i loro occhi e i più intelligenti capiranno»

In quel momento Suor Ambra gridò di muoversi. «Grazie comunque» disse la ragazzina con il ciondolo.

Pirito mi guardò stranito e disse «Non ti senti bene?». Io scossi la testa «sono solo stanca».


 

Anche oggi io e Pirito non ci disturbammo ad entrare in Làcolonia e venimmo ripresi di nuovo da Suor Acquamarina. In ogni caso non riuscì a smuoverci nemmeno con le minacce più incredibili. Poi andammo a colazione e seguimmo il resto del gruppo nel bosco per raccogliere la legna.

Stare lontano da quel posto, tra i pini della foresta mi faceva sentire libera. Perla aveva le labbra sigillate. Una paura mi aveva colto. All'improvviso sentì rumori di foglie schiacciate dietro di me. Ci badai solo quando si fermarono... alle mie spalle. La voce del biondo borbottò «Strega!». Io mi girai «Cosa vuoi Biondo?» chiesi.

Lui si mise le mani sui fianchi raddrizzando la schiena «Non ti sei comportata bene con Gemma ieri. Chiedile scusa». Io alzai le sopracciglia guardandolo ad occhi aperti «io... chiederle scusa?... è lei che si è messa a fare la mammina. È lei che dovrebbe chiedere scusa se permetti».

Non avrei mai immaginato che il biondo fosse vendicativo fino a quel punto. Con una mossa veloce mi afferrò per il collo sbattendomi contro il tronco di un pino. «Chiedile scusa o ti uccido».

Io gli afferrai il polso e con voce strozzata borbottai «tu sei pazzo!». Lui mi strinse ancora di più stringendomi gli occhi cercai di resistere. Non mi avrebbe ucciso. Pirito fece un passo avanti «lasciala! la strozzi».

« e chi se ne importa?» rispose «È una strega! Se la uccidessi farei felice tutto l'istituto».Mi sentivo il collo stretto in una morsa ma non avrei ceduto. Gli avrei dimostrato che lui non poteva nulla contro di me, perché io ero una strega.

La vista cominciò a sfocarsi. Con sforzo gli afferrai il polso. Lui gridò «scusati!...». Gli arti si facevano pesanti, gli occhi si chiudevano. Ma riuscì comunque a ricoprire il suo braccio di una povere nera. Lui la vide. Spalancò gli occhi. Cominciai a sentire il braccio come se fosse mio, ma prima che potessi fare qualcosa il biondo gridò «aiuto». Gemma gli afferrò il braccio e lo tirò via da me.

Io crollai in ginocchio ansimando. Pirito si inginocchiò accanto a me, Elio rimase fermo a guardarmi. «Tutto bene? Per un attimo ho pensato che ti avrebbe ucciso» mormorò.

«Lo avrebbe fatto...» mormorai «se non fossi intervenuta» ansimai. Il mio cuore doleva al ricordo della frase che biondo: ... e chi se ne importa? È una strega! Se la uccidessi farei felice tutto l'istituto!...

Strinsi i pugni sbriciolando le foglie secche e chiusi gli occhi. Il biondo e e Ambra se ne andarono e la voce di Eliodoro mormorò «ti ha detto delle cose orribili». Io con la voce tremolante mormorai «e non è neanche la prima volta».

...tua mamma è una strega!... vattene infedele!...se fossi in te pregherei di morire, non puoi vivere senza Dio...


 

«Come se tu avessi fatto qualcosa di male» mormorò Elio. Io mi alzai, «meno male che c'é anche gente intelligente qui dentro».

Io, con rammarico, mi aspettavo che da un momento all'altro arrivasse Suor Ambra a farmi un rimprovero con i fiocchi ma presentai la legna davanti a lei e la suora non sapeva nulla.

Quando finimmo di fare giardinaggio, l'alba era già passata da un pezzo. Ci fermammo vidi suor Ambra camminare verso di me con lo sguardo fiero. Il mio stomaco si ribaltò e con i pugni stretti trattenni il fiato. Lei si fermò davanti a me e con un falso sorriso disse «è arrivato il momento del primo passo per estirparti dal demonio Ametista» queste parole mi facevano venire la nausea, indietreggiai e scossi la testa. «Forza! Andiamo a confessarti il prete ti aspetta» e avanzò la mano.

Io indietreggiai ancora, «non mi guardi con quella faccia, non ho niente da confessare a nessuno. Non ho fatto nulla di sbagliato».

Lei si avvicinò a me «Dai non fare così! Tutti abbiamo i nostri peccati da confessare». Lei cercò di prendermi la mano ma io la ritrassi, «Perché non volete a capire?...» tanto non avevo nulla da perdere, ormai tutti sapevano chi ero e cosa ero in grado di fare. «Voi mi state discriminando senza motivo, sono fatta così non potete sperare di cambiarmi tramite le favole!».

Lei scattò e mi afferro il polso «ora basta Ametista! Stai diventando una bambina cattiva. Adesso vieni in Làcolonia e ti fai confessare».

Io con i denti stretti liberai il braccio. Sentii la presa delle dita della suora anche dopo che me lo tolse, «ma vi rendete conto di essere ridicoli?... insomma io devo sopportare questi soprusi perché voi non sapete accettare persone diverse da voi? Anche se siamo una minoranza facciamo parte del mondo e meritiamo rispetto come ogni altro essere umano di questo mondo».

Lei non esitò a cercare di riafferrarmi dicendo «vieni qua e smetti di fare la bambina». Io mi spostai guardandola negli occhi infernali. «Siete voi ad essere infantili!...cercate di vederla dal mio punto di vista, cosa fareste voi al posto mio?».

Lei mi seguì «mi farei confessare!». Io feci un passo indietro quando lei cercò di afferrarmi per l'ennesima volta, nessuno mosse un dito. «Se decidessero che i Làcoloniani sono demoniaci e dovrebbero essere uccisi, voi accettereste il vostro destino senza battere un ciglio? Non fatemi ridere».

Ambra, ansimando, guardò oltre me e ordinò «Alessandrito aiutami a prenderla!». I miei occhi si spalancarono. Non feci in tempo a girarmi, due mani mi afferrarono le braccia. Io mi dimenai ma Gemma aiutando il biondo con l'altro braccio mi trattennero.

«Andiamo» disse suor Ambra scuotendo la mano come per dire di seguirli. Pirito corse «Aspetti!» Suor Giada si fermò pirito gli andò davanti «perché si deve confessare per forza?».

Ambra riprese il suo sorriso «Perché per essere purificata per prima cosa deve riconoscere i propri peccati». Pirito ribatte «Ma lei ha detto che non ha niente da confessare, quindi è inutile costringerla».

«Non abbiamo tempo da perdere è in gioco la nostra fede. Tu devi capire che Ametista è pericolosa, è stata generata da Sefe con l'unico obbiettivo di allontanarci da Dio e farci andare all'inferno. Non possiamo permetterlo».

A quel punto gridai « IO NON SONO PERICOLOSA! e il mio obbiettivo... è VIVERE! Smettetela di dire scemenze e LASCIATEMI ANDARE!». Mi dimenai Gemma e il biondo mi tennero ferma. Ambra mi guardò poi ritornando su Pirito disse «vedi? La faccenda è grave. Torna al tuo posto».

Io sospirai. Pirito venne spinto da parte e tutti e quattro ci incamminammo verso il monastero.

Mi sentivo così frustrata. Quando fui davanti alla Làcolonia mi preparai.

Le porte si spalancarono. Una particolare energia mi investi mi sentii tremare. Gli occhi mi prudettero e i due ragazzi mi lasciarono. Nella chiesa non c'erano che poche monache e monaci. Ambra mi condusse sulla navata principale, verso un tale seduto su una panca.

Io con lo sguardo basso mi sedetti. Mi rifiutai di guardare quel monaco negli occhi. Ma lui con tono gentile mormorò «ho saputo che hai molto peccato» sbuffai.

Scuotendo la testa «vi hanno detto una bugia».Lui esclamò «ah! Ma non è vero mia cara. Abbiamo tutti qualcosa da confessare». Lui avanzò la testa verso di me «siamo tutti peccatori!» io mi voltai affacciandomi sulla navata principale. Lo vidi allontanarsi con la coda dell'occhio. Ambra si era seduta su una panca molto più indietro.

«Ho saputo che hai peccato di stregoneria» io sentì uno scatto doloroso allo stomaco «di orgoglio, di spite» ogni parola era come un colpo al cuore, ma il colpo di grazia venne alla fine: «e di apostasia». Lunghi attimi di silenzio ci investirono.

«Io trovo incredibile... che l'orgoglio, la ribellione e la stregoneria possano essere considerati dei peccati» mormorai sperando che non mi sentisse.

«Se c'é un pentimento, qualsiasi peccato può essere perdonato», più lo ascoltavo e più mi saliva la rabbia era inutile che ci provavano. « Non c'é niente di male ad essere orgogliosi di se stessi ed è un dovere ribellarsi quando le cose vanno male». Con calma mi alzai. Il prete mi mormoro di aspettare ma io non mi fermai. Oltrepassai Ambra, che fece in tempo solo ad alzarsi, ed uscì dalla Làcolonia respirando aria fresca.

Mi avviai verso l'orto. Vidi il mio amico in lontananza con la zappa in mano. Cercando di calmarmi mi avvicinai. Lui sentì i miei passi e si girò. «Cosa ti hanno detto?» chiese. Io risposi «... mi hanno dato l'ultimatum,mi hanno detto: “se ti penti possiamo anche lasciar perdere” una cosa del genere».

«Non fanno altro che dirti che sei sbagliata. Poi si domandano perché non stai con nessuno» mormorò. Io risi «vero».

Durante l'arco delle ore parlammo di molte cose. Come niente arrivammo a pranzo. Gemma però non si trattenne dal farmi ancora da badante. «Ametista sempre con questi gomiti sul tavolo!» Io guardando Pirito con gli occhi comicamente spalancati dissi «poi mi manda il biondo perché la tratto male! È così difficile per lei farsi gli affari propri? ».

«Non trattarmi come se fossi io quella arrogante! Non si disubbidisce alle suore. Loro meritano rispetto.» Io mi alzai «ah! E io non merito rispetto? Da quando avete scoperto chi sono non fate altro che trattarmi come... come se fossi uno scarto della società!...» io mi morsi il pugno per farmi stare zitta « Vai a fare la sapientona da un'altra parte, perché se mi provochi ancora un po' non so cosa ti potrei fare».

Mi risedetti. Pirito mi sussurrò di stare calma perché tanto se ne stava andando via. Infatti dopo pochi secondi si girò e tornò al suo posto.

Dopo un'oretta mi era quasi passata. Nel pomeriggio in genere ci suddividevano nei soliti gruppi e ci davano da sistemare il monastero. Erano le uniche ore in cui potevo stare tranquilla con Perla e Pirito. Poi la campanella suonò e tutti ci dirigemmo verso la classe. Ogni volta che mi avvicinavo alle suore mi sentivo male, ancora di più quando si trattata di Suor Giada.

Mi sedetti al banco fremente. Giada prese il bastone e lo schiaffò sulla mano libera dicendo «bene! Oggi parleremo di streghe». Io battei un, contenuto, pugno sul banco prendendomi la testa fra le mani, «Perché? Perché solo a me? Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?»mormorai.

«Ametista!» quell'esclamazione di Giada mi fece sobbalzare, alzai lo sguardo con un colpo al cuore «dato che tu sei l'esperta di questo argomento, spiegaci: cosa sono le streghe?».

Con i pugni stretti mi alzai. Il cuore mi martellava in petto così veloce da temere che mi scoppiasse in petto. «Allora...» e mentre cercavo di formulare la definizione buona la mia rabbia si trasformò in odio «Le streghe e gli stregoni, sono persone... capaci di produrre una sostanza chiamata “magia” che oltre a servire da protezione ed energia, può essere usata per intervenire sul mondo circostante». Sentì la mano di Pirito stringere la mia e la sua voce sussurrò «stai calma».

Giada annuì e rispose «Questa è la teoria della scienza ma, come sappiamo tutti, la scienza non è attendibile, invece la parola di Reve è indubitabile e la fonte dice con chiarezza...» dal cassetto tirò fuori una copia della fonte che comincio a sfogliare «... nel terzo capitolo, paragrafo nove, verso 56:...» a questo punto prese un gessetto e si mise a scrivere alla lavagna «...dubitate di coloro che posseggono poteri magici perché essi sono mandati da Sefe».

Lei si girò verso di me con un ghigno soddisfatto sul volto «Secondo lei... una favola scritta da un uomo di duemila anni fa... sarebbe più attendibile di una prova scientifica?».

Lei schiaffò una mano sul banco facendomi sobbalzare di nuovo. Tremavo dalla testa ai piedi «Non ti permettere di dire queste bestemmie! Questa è la parola ispirata da dio attraverso Làcolono e la parola di Dio è indubitabile»

Io feci un respiro profondo e a poco servì « lei è libera di pensarla come le pare. Ma dov'è la prova che Dio esiste davvero?».

Quando Giada con passi pesanti si avvicinò a me io non riuscivo a muovermi. Nonostante ciò rimasi impassibile. Si fermò truce davanti ai miei occhi «Sappi che non ti abbiamo ancora bruciato solo per la misericordia di Don Quarzo» Io chiusi gli occhi.

«E lei sappia che non vi ho ancora disintegrata solo per scrupolo» ribattei. «Ti sembra il modo di parlare ad un insegnante?». Io mi risposi «questo lo chiedo io a lei... non mi sembra una cosa carina da dire ad una ragazza che si prende lo scrupolo di assistere ad una sua lezione».

Suor Giada mi fissò in silenzio, con uno sguardo così concentrato da far paura. Poi allungò un dito verso la cattedra, «Adesso vai alla lavagna e ti scusi davanti a tutti».

Io risposi «Mai!». Lei appoggiò la mano sul mio banco «oh! Invece sì che lo farai. Altrimenti sceglierò una persona a caso e la farò dormire in giardino»

Mi sentì tremare in tutto il corpo «non potete farlo». Lei annuì con un ghigno che mi diede più fastidio dell'acqua santa «e invece sì che posso».

Abbassando lo sguardo scossi la testa con energia ad occhi chiusi «perché a me?» sussurrai. «chi manderò fuori a prendere aria sta notte?» ghignò guardandosi intorno «Pirito?», un singhiozzio mi salì in gola, «Perla?» chiese. «no» Dissi con voce strozzata. «O quella ragazzina laggiù?». Alzai gli occhi umidi verso la ragazza indicata. Era la ragazzina con il ciondolo.

Io scossi la testa, «va bene». Raddrizzai la schiena, mi feci largo tra la sedia di Pirito e il banco di Perla e mi diressi a pugni stretti verso la lavagna. La suora mi seguì. Quando alzai lo sguardo verso la classe tutti mi guardarono con espressioni diverse. «Forza, dì: sono una stupida strega e suor Giada ha ragione».

Io volsi lo sguardo sulla spalla e quasi sussurrando «sono...»non ce la facevo. Sentì un rumore acuto in fondo alla classe. La voce di Pirito spezzò il silenzio «smettetela! La fate sentire male, non siete voi che proclamate la compassione?».

Mi asciugai una lacrima prima che qualcuno la vedesse, nessuno mi aveva mai difeso, mi sentì riempire come se fino a quel momento avessi avuto uno spazio vuoto.

«Con le streghe bisogna essere severi!» rispose. In quel momento mi venne un'idea «è inutile Pirito la qui presente suor Giada ci tiene ad avere ragione, quindi...» mi girai guardandola negli occhi « va bene.. io sono una stupida strega e voi avete ragione» poi mi voltai verso la classe «lei è Dio sceso in terra, ha la risposta a tutto!» e detto questo ritornai al banco. Afferrai la giacca dalla sedia. Con un lesto gesto me lo infilai e con tutta la fierezza che mi era rimasta, uscì dalla classe dicendo «Poi dicevano che IO ho peccato di arroganza».

Non riuscì a fare due passi nel corridoio perché sentì la porta dell'aula spalancarsi. La voce di suor Giada echeggiò sulle pareti del corridoio «Non ti rivolgi a me in questo modo! E non esci dalla mia classe senza il mio permesso!» sentì i suoi passi avvicinarsi a me. Mi voltai nel momento in cui Giada aveva alzato il bastone. Io lo fermai con il braccio e lo afferrai. «Voi state mettendo a dura prova la mia pazienza» dissi glaciale, strinsi quel bastone con forza, dalla mia mano uscì un fumo «se volessi potrei corrodervi pezzo per pezzo,» il bastone venne ricoperto dal fumo e cominciò a marcire e cadere a pezzi «Ma la vita è la cosa più preziosa e io non sono così crudele da toglierla a qualcuno».

Giada spalancando gli occhi mollò il bastone come se fosse ricoperto di formiche indietreggiando di qualche passo. Io mi voltai e me ne andai. Quando arrivai alla porta delle scale dei passi corsero verso di me. Passi conosciuti che non mi fecero paura. Pirito mi prese la mano e io aprì la porta e me ne andai.

Scesi le scale. Uscì nel cortile. Uscì dal monastero e mentre camminavo tra i campi Pirito mi chiese «dove stiamo andando?». Io alzando le spalle risposi «non lo so, lontano. In un posto in cui nessuno possa trovarmi.».

Mi trovai davanti ad un bivio, una strada portava verso i campi, io presi quella che si introduceva nel bosco. «Cosa facciamo nel bosco?» chiese Pirito.

Io risposi «non sto scappando, voglio solo un po' di tranquillità». Le fronde dei pini lasciava entrare solo dei frammenti di cielo turchino e di sole. Cinguettii mi arrivavano alle orecchie mentre seguivo il sentiero.

Lungo il sentiero ci trovammo davanti ad uno spiazzo verde e ripido, oltre esso, in lontananza vidi delle casupole. «Cos'è quel villaggio?» chiesi. Pirito rispose « è White Village, l'unico villaggio nel raggio di kilometri»

Io mi sedetti sui piedi di un albero «quanto ci vorrebbe per arrivarci?». Lui si sedette accanto a me «vuoi andartene?» rispose.

«no! Era semplice curiosità» risposi guardandolo alla luce del sole. Lui rispose «un paio d'ore penso».


 

Rimasi lì per molto tempo. Tornai per l'ora di cena. Nessuno mi disse nulla, nemmeno Gemma mi fece la ramanzina. La vidi sbiancare mentre mi guardava.

Quelle ore di tranquillità mi avevano rinfrancato, ero pronta a ricominciare da capo. Quella sera senza problemi Pirito mi accompagnò in cantina ad esercitarmi.

Io posai la mano sul pavimento e questo formò una figura trasparente, simile ad un manichino. Era fatta apposta per gli incantesimi. Io rimasi ferma con le mani incrociate e attaccate palmo a palmo. Stavo sistemando le mie energie in modo da scagliarle contro quel manichino tutte insieme. Il problema era tutto nel dosare la magia perché se ne lanciavo troppa potevo distruggere qualcos'altro oltre ai pregiudizi e se ne lanciavo troppa poca correvo il rischio che i pregiudizi si ricostruissero dopo un po'.

Quando lo lanciai, un proiettile di fumo colpì la testa della sagoma. Se avevo fatto bene o male me lo diceva lei con i gesti. In quel momento stava vibrando la mano spostandola verso l'alto voleva dire che dovevo mettercene un po' di più. Così ci riprovai con lo stesso risultato. «Un altro po» mormorai cascando sul pavimento con il fiato corto « forse è meglio se ti riposi».

Io annuii. «Anche se quello che lancio è delle dimensioni di un proiettile, è comunque un terzo della magia che ho in corpo. La devo comprimere altrimenti non passerà mai dalla testa.» Pirito ci rimase a bocca aperta. Mi afferrò per il braccio e mi aiutò a tirarmi su. «Senti perché non la comprimi alle dimensioni di un ago?» chiese Pirito.

Io lo guardai con gli occhi aperti « Questo richiederebbe un ulteriore dispendio di energie ma... credo nel valga la pena. A forma di ago si vedrà meno ed entrerà meglio di un proiettile. Ci proverò la prossima volta però, adesso... devo riposare».

Pirito fu d'accordo. Con circospezione tornammo nel dormitorio.

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Capitolo 10
*** 9 Novembre 1869 ***


Capitolo 10

9 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

«Ametista Svegliati! Devi essere purificata», disse Ambra scuotendomi con la mano, «no!». Io mi alzai a sedere di soprassalto. «Purificata?!», mi guardai intorno. Il dormitorio era in movimento e l'alba stava uscendo. Avevo dormito come un sasso. La suora rispose «oggi a messa si celebrerà il rito degli incensi che ti libererà dal male». Mi saliva il mal di testa solo a pensarci.

«Ve lo dico subito, non servirà a niente» risposi «già detto che si è streghe per genetica, il male non centra niente». Ma lei,come al solito, non mi stava neanche ascoltando, «non bisogna essere pessimisti, anche perché se non funziona bisogna fare il rito dell'olio di ricino».

Io ci rimasi sbigottita «addirittura l'olio di ricino?». Lei annuì con tono ovvio « se l'incenso non lo soffoca, bisogna tirarlo fuori con una purga». Mi vennero i brividi «non c'é limite all'idiozia...». La cosa stava uscendo da ogni umana comprensione.

Mi alzai e aprì la valigia. Suor Ambra si allontanò «Come se credere ad una entità soprannaturale che vive in cielo e combatte contro un mostro diabolico che vive al centro della terra per il controllo delle nostre menti non fosse già abbastanza assurdo».

Da dietro di me venne una risata. Quella del mio migliore amico «Di tutte quelle che ho sentito questa è quella che ti è venuta meglio!» disse fra le risate. Io lo ringraziai e lui mi chiese «cosa hai intenzione di fare?».

Io mi abbottonai la camicia «non lo so, potrei sparire per mezz'ora in modo che la messa vada avanti senza di me, più riesco a rimandare i riti e più tempo ho per salvarmi dal rogo».

«Secondo me ci rimarranno male» disse Perla spuntando dal nulla dietro a Pirito. Io risposi « lo so ma io non posso rischiare la vita perché a loro fa piacere... a proposito Perla, è da un po' che non parli, spero non sia colpa mia».

Lei scosse la testa «no! È che... non so più da che parte stare capiscimi». Chiusi la valigia e la rimisi ai piedi del letto, «La decisione è tua, io non sono nessuno per dirti cosa fare, fai la decisione che ti sembra più giusta».

«Tu sei una brava persona e non meriti di essere trattata come ieri da suor Giada però... da una parte, le suore mi hanno sempre accudito e io credo nella parola di Dio e... credo davvero che tu abbia bisogno di aiuto per ritrovare la retta via». Chiusi gli occhi.

Infilandomi la giacca replicai «Non dirmi più niente, io... non voglio intromettermi, sii obbiettiva e fai la scelta che ti sembra più giusta, è l'unico consiglio che posso darti...comunque... sono stufa di ripeterlo: io non ho bisogno di aiuto; il mio è solo un tratto genetico, niente di più. Io ti prometto che non mi arrabbierò per niente se decidi di credere nelle suore ognuno ha il diritto di fare le proprie scelte».

Lei ritornò pensierosa. Io e Pirito ci dirigemmo con lei in fila. A quel punto mi chiesi come sparire.

Ci stavo ancora pensando quando vidi un vicolo sulla mia sinistra, mi guardai dietro, non c'erano suore. Ambra era davanti alla fila e mi dava le spalle. Mi avvicinai all'orecchio di Pirito «Io scappo» dissi. Pirito si voltò verso di me e disse «se ti scoprono li manderò fuori strada». Io gli afferrai la spalla sorridendo «sei il io migliore amico» e rapida entrai nel vicolo. Rimasi appiccicata al muro ascoltando i passi dei ragazzini che se ne andavano.

Passarono i minuti e dopo un po' sentì borbottare. Uscì dall'altra parte del vicolo attraversando uno spiazzo mi appoggiai accanto ad un'arcata e con il cuore in gola ascoltai, Giada e Ambra mentre parlavano.

«l'hai trovata?» chiese suor Ambra. Giada con voce pesante rispose «abbiamo controllato nei posti in cui va di solito ma ancora niente».

Ambra esclamò «e se fosse fuggita via dal monastero? Non possiamo permettere che inquini la mente di altre persone non protette da Reve», più le ascoltavo e più mi sentivo male. Giada rispose «Non ti agitare, andarsene per andare dove? Non ha più nessuno fuori da qui e in ogni caso le autorità ce la riporterebbero, no deve essere qui da qualche parte. Ho mobilitato tutte le suore e i monaci, la troveranno». Sentì delle mani afferrarmi per le braccia. Il mio cuore saltò. La voce di suor Acquamarina gridò «l'ho presa! È qui!». Presa dal panico mi dimenai. Non mi lasciava andare. Le due suore erano già davanti a me. «visto? Te l'avevo detto che era nascosta qui» esclamò Giada sorridendo. Ambra esclamò «pensavi di farla franca! Ma la forza di Reve è infinita! Adesso ti portiamo in Làcolonia e prega che Reve ti liberi dal male».

Acquamarina mi spinse. Io mossi le braccia e puntai i piedi, non volevo entrare lì dentro. Non sapevo quanto tempo era passato però più ritardavo il rito degli incensi e meglio era.

Le mani della suora stavano sprofondando nei miei bracci. I muscoli cominciavano a farmi male quando fui davanti alla Làcolonia. Canti e suoni provenivano dall'edificio, solo a sentirle mi si rigirava lo stomaco. Mi trascinarono lungo le scale. Mentre Giada camminava alta verso il portone, Ambra mi tirò uno schiaffo sulla guancia «vedi di fare la brava! Questa è la casa di Dio, è un luogo sacro. Non farci fare brutte figure». Mi morsi la lingua nel tentativo di non bestemmiare.

Io mi sentivo già inondare dalla debolezza ma replicai «ma Dio non è onnipresente e onniveggente?». I canti si mutarono e la voce rimbombata del prete mi arrivò alle orecchie senza che io riuscissi a capire cosa diceva. Giada appoggiò le mani sulle due ante. La voce del prete si chetò. Giada spinse. Un'ondata di fede mi arrivò addosso come non l'avevo mai sentita. Le gambe cominciarono a tremare, mi sentì come se avessi corso per un'ora o più senza fermarmi.

La luce bianca illuminò la navata. Una platea di ragazzini si guardarono. Il mio buon senso mi gridava scappare, ma il mio corpo si faceva pesante. Non rimasi a lungo sulla soglia. Mi avvicinavo camminando all'altare. Il mio sguardo vagava tra le panchine, analizzando ogni volto rivolto verso di me. In prima fila, Alessandrito mi guardava con superbia anche insieme a Gemma. Elio invece non riusciva a tenere ferme le dita.

Salii sull'altare. Le suore mi mollarono. Mi affacciai sulla platea, notai Pirito nell'angolo più remoto di una panchina. I suoi occhi spalancati mi fissavano. Don Quarzo fece un passo verso i fedeli. Alzò le mani al cielo e disse «Intoniamo il canto celestiale, preghiamo perché liberi quest'anima dal demonio».

Non riuscivo a credere a quello che stavo sentendo. Un coro di voci acute intonarono un canto che sembrava una preghiera. In poco tempo mi si tapparono le orecchie. Cercai di resistere.

Vidi un ragazzo dalla tunica bianca passare Don Quarzo un turibolo che fumava di incenso. Io mi tappai il naso. Ma giada Mi afferrò la mano e la strappò via senza troppe cerimonie. Le suore si staccarono da me. Il Turibolo venne dondolato intorno a me. Il fumo mi coprì dalla testa ai piedi. Quando l'odore arrivò al naso percepì un pizzicorino alle narici. Mi Trattenni dallo starnutire.

L'incenso era dentata come una coltre di nebbia. Le gambe cominciarono a tremare così da dovermi appoggiare sulle ginocchia. Le orecchie si tappavano sempre di più e cominciavano a fischiare. L'impulso di starnutire divenne sempre più violento.

All'improvviso il canto svanì. La voce ovattata del direttore disse qualcosa che non riuscì a capire e file di orfani uscirono dalla chiesa. La nebbia di incenso si era dispersa e io barcollai fuori dalla nebbia. La mano di Don Quarzo mi scagliò su uno scalino e mi guardò negli occhi. Scosse la testa e a quel punto mi alzai. Lui si alzò in piedi e si fece da parte.

Barcollai fino a metà navata poi mi appoggiai ad una panca afferrandomi la testa pulsante. Dei passi ovattati e veloci si avvicinarono. Io girai lo sguardo e mi ritrovai Pirito che sostenendomi mi riportò all'aria aperta.

Tossendo mi sedetti sullo scalino di una porta nel cortile. Chiusi gli occhi appoggiando la schiena al muro. Pirito mi parlo a metà frase le orecchie migliorarono e io capì «...osa senti?». Sbadigliando mi massaggiai l'orecchio. Gli elencai i vari sintomi e lui mi strinse gli occhi avvicinandosi a me. «Sento qualcosa che tappa le orecchie, ma non so se si può levare». Io facendo grossi respiri mormorai «fra un po' se ne andrà da solo».

Rimasi con gli occhi chiusi per non so quanto tempo. Col tempo i sintomi si affievolirono ma la debolezza rimaneva comunque. Certe volte Pirito mi accarezzava la spalla con uno sguardo dispiaciuto. In quel momento mi alzai. «Ti sei ripresa?» chiese Pirito mettendo le mani avanti. Io scesi gli scalini, «ci vorrà almeno una settimana per riprendermi, per ora sto abbastanza bene, sono solo un po' deboluccia».

Pirito mi seguì chiedendo «cosa facciamo? È il caso di andare a lavorare insieme agli altri?». Io mi fermai, «non lo so, manca solo un rito, poi passeranno al rogo e l'incantesimo è ancora agli inizi, forse dovrei evitare le lezioni ed allenarmi. Però se non mi vedono potrebbero venire a cercarmi e se mi vedono mentre mi alleno potrei finire in guai seri».

Pirito si fece pensieroso «non lo so, tu non hai motivo per stare a lavorare... io direi di andare nel bosco ad esercitarti». Io annuii convinta «eh! In effetti ero più orientata su quello e comunque se mi trovano il massimo che possono fare e chiudermi da qualche parte dove potrò allenarmi in tutta tranquillità, dopo tutto meglio in una stanza buia che nel campo a faticare».

«Non credo che ti cercheranno nella foresta, loro pensano che sia la dimora del diavolo perché... è buia, sinistra... insomma non piace molto». Ci incamminammo verso l'uscita del monastero «ah! Sì ne avevo sentito parlare, pensano che ci siano creature demoniache tra cui noi streghe. Che superficialità».

Ero così presa dalla conversazione che non mi ero accorta del biondo davanti a me. Mi afferrò per la giacca dicendomi «Cosa mi hai fatto al braccio?». Io mi presi un colpo. Dopo essermi ripresa dallo spavento risposi, «e solo adesso me lo vieni a chiedere? Cosa c'é ti è preso un improvviso attacco di diarrea».

Pirito ridacchiò. Lui divenne rosso di rabbia «anche sul letto di morte continuerai a fare battute? Rispondi strega! Cosa mi hai fatto al braccio?». Il braccio con cui mi stava afferrando era lo stesso con cui mi aveva afferrato l'ultima volta. Io lo guardai «da quanto vedo sta benissimo perché ti preoccupi tanto?».

Lui digrignò i denti. Gemma avanzando verso di me esclamò «l'hai infettato con la tua magia! Di la verità!». Io risi per l'idiozia «”Infettato” cos'ho una malattia adesso?» esclamai.

Sentì il pugno del biondo tremare poi mi strattonò buttandomi sulla sabbia del sentiero. Mi rialzai. Il biondo mi tirò un pugno. Mi scansai. Afferrai il braccio e lo sentì tremare.

«Ascoltami Alessandrito! Sono stufa di ripeterlo, la magia non è pericolosa vi state facendo dei problemi per niente» guardai i suoi occhi sbarrati « voi pensate di migliorarmi cercando di farmi diventare come voi e pensate che io abbia bisogno di aiuto ma non è così...».

Gemma gridò «smetti di dire sciocchezze». Ma io non mi fermai «non è così, è il contrario. Più tentate di cambiarmi e più covo odio verso di voi. Voi dovete solo accettare il fatto che non possiamo essere tutti uguali e accettarmi per quello che sono».

Il braccio di Alessandrito si era fermato e il suo sguardo era serio. Ma quel momento venne fermato da una voce lontana che gridò «cosa sta succedendo qui?». Quando la vidi mi venne lo sconforto.

Mollai il braccio di Alessandrito sbuffando, sapevo già come sarebbe andata a finire. Ambra era davanti a me, mi guardava truce. Io misi le mani avanti «lasciatemi spiegare per favore...».

«Ametista! Sei sempre tu il centro di tutti i guai, adesso basta!» sbottò. Con un lesto movimento mi afferrò il braccio «lasciatemi» esclamai.

Pirito rispose «Suor Ambra non è colpa sua se Alessandrito la attacca sempre». Ambra però non aveva intenzione di ascoltarlo «smetti di difenderla! Ogni volta che c'é lei succede qualcosa, coincidenze? Non credo»

Io cercai di liberarmi. Ambra e gridò «smetti di fare la bambina!». Io la guardai con rabbia «no! Smettetela voi! Il fatto che io sia una strega con vi da l'autorizzazione ad incolparmi per qualsiasi cosa! Capito? Non mi lascia nemmeno dire la mia». Ambra indicò Alessandrito e replicò «lui è un ragazzo buonissimo, tu invece sei cattiva» mi tirò lungo il sentiero polveroso mentre io replicavo cercando di liberarmi, in vano.

Mi trascinò fino al monastero, lungo i cortili e le scale, fino ad arrivare al secondo piano. Nell'angolo più remoto del corridoio c'era una piccola porta logora. Ambra la aprì. Non si vedeva altro che la scia di luce esterna sul pavimento. Io non protestai, preferivo starmene lì dentro al buio che passare un solo minuto con chiunque. Ambra mi spinse all'interno e chiuse la porta. Un buio denso piombò sulla stanza. Sfregai il pollice sul palmo della mano e come un accendino dal mio dito uscì una fiammella. Con quella luce tremula cominciai a guardarmi intorno. La stanza non era abbastanza grande per metterci un letto. Sul fondo vidi solo scope, secchielli e altra roba.

Mi sedetti sul pavimento e spensi la fiammella ritornando nel buio. Non sapendo cosa fare feci apparire la sagoma per gli incantesimi e mi esercitai cercando di non avere troppa fretta. Stavo migliorando però era ancora troppo presto per usare un incantesimo così pericoloso e complicato.

L'idea di Pirito non era male, la sagoma non si scomponeva nemmeno quando glielo scagliavo. Tuttavia al terzo mi dovetti fermare. Mi sedetti appoggiandomi al muro. Che io tenessi gli occhi chiusi o aperti non c'era differenza.

All'improvviso sentì qualcosa aprirsi. Una luce mi inondo violenta. Mi accorsi solo in quel momento di essermi addormentata.

Mi coprì gli occhi chiusi con le mani e con calma cercai di aprirli. Ma tutto mi pareva sfocato. Gli occhi mi lacrimavano dalla troppa luce. La voce di Pirito mi riaccese l'udito, «ciao». Io mi alzai trascinandomi sul muro. Contrassi il viso cercando di distinguere qualcosa tra la luce. Ma una domanda mi saltò alla testa , per quanto avevo dormito?. «Che ore sono?» chiesi. Pirito si avvicinò « mancano pochi minuti alle cinque. Il mio stomaco ruggì. Rimasi un po' stordita. Mi massaggiai gli occhi uscendo dallo sgabuzzino. L'aria pulita mi inondò le narici. Pirito esclamò «sei rimasta qui dentro per quasi dieci ore». Tenendo gli occhi chiusi mi stiracchiai.

«Però è stato piacevole» risposi «perché sei venuto tu a liberarmi?».

Pirito si incamminò verso la classe di Giada e raccontò «beh Io pensavo che Ambra avesse tutto sotto controllo, non potevo sapere quanto tempo ti avrebbe tenuta lì dentro. All'ora di pranzo mi è venuto il dubbio che si fosse dimenticata ma dopo tutto non mi sarei stupito se ti avesse fatto saltare il pranzo quindi ho aspettato. Poi qualche minuto fa ho deciso di farmi avanti suor Ambra mi ha detto che... se n'era dimenticata e ha mandato me».

Io mi fermai massaggiandomi di nuovo gli occhi. «adesso c'é la lezione di Suor Giada giusto?». Lui annuì. Io mi voltai e dissi «quasi quasi ritorno nello sgabuzzino». Lui sghignazzò. Io fermandomi risi per non disperarmi, «no, a parte gli scherzi. Non ho affatto voglia di andarci. Perché mi tocca?».

Lui mi si avvicinò e disse «Perché non hai nient'altro da fare, e comunque sono sempre delle possibilità per farla ragionare. A me è sembrato che fosse funzionato con Alessandrito oggi. Ti guardava già in modo diverso».

Io alzai le spalle «mah... forse se riesco a convincere gli orfani la cosa potrebbe aiutarmi». Mi voltai e ricominciai a camminare. Entrai insieme agli altri ma Suor Giada mi fissò comunque. Guardandola negli occhi non potevo fare a meno di covare dell'odio verso di lei.

Mi sedetti al banco e lei iniziò la lezione. Confesso che non mi sentivo molto bene. La debolezza non mi era ancora passata e inoltre non avevo neanche pranzato. Tenendo appoggiati i gomiti sul banco mi concentravo sul mio respiro per non riaddormentarmi.

All'improvviso, la bacchetta nuova di Giada schioccò sul mio banco. Io sobbalzai. Guardai lei e quello che teneva in mano «Bacchetta nuova?» chiesi. Lei rispose «come siamo spiritosi! Oggi rimarrai in classe a scrivere per cento volte “devo stare seduta composta”».

Io sospirai. Ero troppo stanca per arrabbiarmi. «Chissà quando la smetterete di prendervela con me per ogni cosa e comincerete ad utilizzare quella poca materia grigia che avete» mormorai. La suora si fermò a metà strada «ah! Quindi noi saremmo stupide?».

Io annuii « e anche fifone, solo gli stupidi e i fifoni si affidano ai pregiudizi. Io non pensavo che foste così quando sono arrivata qui».

«Come ti permetti? Strega» in quel momento Pirito si alzò dal tavolo, «con tutto il rispetto suor Giada, Ametista non avrebbe tutti i torti. Da quando avete scoperto che è una strega la trattate tutti male senza motivo».

Giada si mosse verso di lui «Tu siediti e non ti impicciare!». A quel punto io mi alzai in piedi trascinando la sedia «Ora non ve la prendete con lui! Sono io la strega no? Se la prenda con me se le fa piacere».

L'intera classe sussultò. Forse avevo ancora qualche speranza. Giada raddrizzò la schiena «allora facciamo duecento frasi».Sentivo il mio cuore agitato pulsare. Mi sedetti sfinita. Pirito invece si sedette con i pugni serrati sulla stoffa dei pantaloni.

Le ore passarono lunghe. Quando tutti uscirono Giada mi mise dei fogli sul banco. Io non persi tempo e cominciai a scrivere. Suor Giada poi mi interruppe «Suor Acquamarina ti sorveglierà».

«Sempre lei» mormoro. Scrissi più veloce che potevo. Sudando non badavo alla calligrafia. Dopo la decima frase la mia mano si muoveva da sola trascinando le parole sempre di più. Molte volte mi fermai per ruotare il polso che doleva per la fatica. Più volte fui interrotta dal mio stomaco che brontolava. La candela illuminava il foglio e Acquamarina era mezza addormentata sulla cattedra quando finì. Mi alzai. Lo stomaco si contrasse. Posai i fogli sul banco svegliando di soprassalto la suora e uscì dalla stanza.

Sentì un sussulto e mi accorsi che Elio mi aveva aspettato fuori dalla porta. Mi guardò poi i suoi occhi toccarono il pavimento, pasticciandosi le mani. Io mi rilassai.

Mi abbassai e gli toccai le spalle. Lui rimase fermo. «c'é qualcosa che non va?» gli chiesi.

I suoi occhi si incontrarono con i miei, poi lo abbassò di nuovo. Mentre le dita si ingarbugliavano sempre di più lui mugolò qualcosa.

La porta dietro di me si spalancò colpendomi. Io mi spostai insieme a Eliodoro «scusate» mormorai senza pensare. Lei spalancando gli occhi disse «n-non importa». Richiuse la porta e si allontanò.

«e-ecco...»mormorò Eliodoro con una voce che sembrava tirata fuori con sforzo immane. Io aspettai, se lo interrompevo per lui sarebbe stato molto più difficile parlare « P-Pirito...» Eliodoro serrò le labbra come se non sapesse come continuare . Io sobbalzai «gli è successo qualcosa?».

«È in biblioteca, ed Giada è diretta lì» Mi si prese un colpo, chissà quanto tempo era passato.

«Ma un momento Eliodoro. Come fai a saperlo?»chiesi. Lui sembrava avere difficoltà a parlare «Ho s-sentito Suor Giada e Alessandrito parlare. M-mi hanno scoperto e chiesto di dire a pirito che tu eri in biblioteca e che Giada stava per dirigersi lì, io non volevo».

Io scossi la testa «non importa, cosa è successo dopo? Perché ti hanno chiesto questo?». Il ragazzino aveva gli occhi lucidi «Io stavo per dirglielo ma lui si è alzato da solo e ci è andato per conto suo, lo giuro».

Io lo capivo non c'era bisogno che mi chiedesse scusa «non sono arrabbiata con te, lo so che tu sei una persona buona, perché ti hanno chiesto questo?».

Elio mormorò «S-suor Giada ha detto... c-che se pericolosa e che devono chiuderti da qualche parte finché non hanno finito di fare i preparativi per il... r-rito dell'olio di ricino». Io mi afferrai il capo alzandomi, «p-per evitare che tu scappi di nuovo». Volsi lo sguardo sul corridoio senza motivo «ed ora cosa faccio?» mormorai «non posso lasciare Pirito in balia di Giada, c'é il pericolo che se non mi presenti quella maledetta se la prenda con lui come ha fatto oggi».

Elio esclamò «ha d-detto così... p-perché se Pirito verrà chiuso in cantina... t-tu »

«Io cercherei di liberarlo» completai. Sospirai. Aspettai «non ho altra scelta... almeno avrò molto più tempo per esercitarmi».

Con un peso sul petto mi avviai al terzo piano «ci vediamo Elio, grazie per la dritta». Ogni passo sembrava infinito. Lo stomaco era in subbuglio. Mi saltò alla mente la possibilità di avvertire qualcuno ma... visto quanto mi avevano ascoltato.

Salii l'ultimo gradino e aprì la porta del terzo piano.

Il corridoio era avvolto dal manto nero della notte. La luce evanescente entrava dalle finestre e illuminavano il corridoio. Il silenzio tappava le orecchie. I miei passi rimbombavano tra le pareti. Mi fermai davanti alla porta alla biblioteca. Il cuore rimbombava nella cassa toracica. Avanzai la mano tremante. Afferrai la maniglia e la strinsi forte. Chiusi gli occhi e la aprii. Avanzai di qualche passo.

I miei occhi non si spalancarono finché la porta non si chiuse alle mie spalle. In quel momento il mio autocontrollo scemò. Sentivo un peso enorme su di me, la gola si era tappata e gli occhi si inumidirono.

«Tu non dovresti essere qui» esclamò Giada dietro di me. «Lei ha una mente diabolica più della mia» mormorò. Mi voltai e la guardai in faccia. La sua mano stringeva i capelli di Pirito che mi guardava con gli occhi lucidi.

La luce illuminava i loro visi in modo tetro in quella notte invernale. «Neanche lui dovrebbe essere qui» mormorò indicando il ragazzino. «E adesso metterò tutti e due in cantina per una settimana».

Qualcosa mi fece rabbrividire correndo lungo la schiena. Strinsi i pugni e dissi «Non dite sciocchezze, è me che volete, non lui...« La suora mi guardò seria. Con le parole bloccate in gola mormorai «lo lasci andare».

La suora esito e propose «Lo lascerò libero solo se ti carichi anche i suoi giorni di punizione». Pirito rimase zitto. Io risposi «due settimane dunque... va bene, accetto».

Pirito venne liberato. Il ragazzo si avviò verso di me. «Scappiamo» mormorò Pirito. Io scossi la testa «ci prenderebbero e tu hai altro a cui pensare».

«esatto», Giancarla si avvicinò con la candela in mano e mi afferrò il braccio. Io lo sottrai alla sua presa «lasciami». Giada si avviò verso la porta e, con il sangue che ribolliva, la seguì. Pirito con le mani intrecciate ci seguì. Mi prese la mano ma io gli dissi di tornare al dormitorio. Lui mi seguì finché Giada non gli gridò «vattene! Prima che cambi idea».

Io scendevo scalini . Più andavo in basso e più sentivo i brividi di freddo. Scesi finché c'erano scalini da scendere. Un pianerottolo segnò il fondo della scalinata.

Davanti a me c'era una porta massiccia e sbiadita.

Giada impugnò una chiave dal muro e la infilò nella toppa. La serratura si aprì con un lamento metallico. Si spalancò. Un'ondata di aria fredda mi raggelò le membra.

A quel punto Giada si fece da parte e disse «entra».

La stanza sembrava una bocca nera pronta ad inghiottirmi. Deglutì e avanzai. Il gelo si fece più intenso una volta dentro. Un boato alle mie spalle mi rabbrividì. Tutto piombò nell'oscurità, l'unica cosa che vedevo era una debole luce, proveniente da una finestra grande poco più di quattro mani. Accesi il dito. Scatole abbandonate e mobili polverosi occupavano la stanza.

In mezzo ad un armadio e un comodino c'era una sedia morbida. Ci appoggiai la mano e con un'onda d'urto lo spolverai. Era scomoda ma era meglio di niente.

Mi sfregai la pelle d'oca. Chiusi gli occhi. Intorno a me, rumorini cercavano di spaventarmi in vano. Stringendomi nella sedia cercavo di chiudere occhio.


 

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Capitolo 11
*** 23 Novembre 1869 ***


Capitolo 11

23 novembre1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Mi sentivo a pezzi. Il freddo mi entrava fin nelle ossa, nonostante avessi dormito nell'angolo più riparato. Mi alzai arrancando. Mi stirai. La finestra lasciava passare poca luce. I miei occhi erano pesanti.

All'improvviso dei colpi risuonarono nella stanza. Qualcuno stava bussando. Strinsi i pugni. Era ancora lui. Sentì la serratura scattare. Solo Quarzo bussava prima di aprire. La porta si lamentò aprendosi. Una luce mi investì e ancora una volta fui costretta a coprirmi gli occhi.

La figura si avvicinò a me tenendo in mano un piatto, «eccomi» disse con il sorriso sulle labbra. Mi posò il patto ai miei piedi, ma l'ultima cosa che volevo era mangiare quella brodaglia in sua compagnia.

Mi allontanai di un passo e mi sedetti al muro cercando di trattenere la magia. «come tutti i giorni» dissi a denti stretti. Quando il buon umore si abbassava fino a quel livello rischiavo di perdere il controllo.

Quando Don Quarzo si sedette davanti a me, una cassa si distrusse senza motivo, appunto. Lui con sguardo fermo disse «non mi pare che tu stia migliorando».

«Neanche lei...»risposi «mi pare». Solo a guardare quella faccia da vecchio mi veniva voglia di mandarlo via e lo avrei fatto se non fosse per il mio obbiettivo. Perdere la calma non serviva, dovevo cercare di farmi ascoltare.

Don Quarzo chiuse gli occhi e alzando le mani al soffitto disse, «adesso chiudi gli occhi e fatti inondare dall'amore divino». Io mi presi la testa fra le mani. Le mie speranze stavano svanendo piano. Risi per non piangere. «Farmi inondare dall'amore divino?... ma si può sapere dove vivi? Io non ho mai percepito l'amore divino nemmeno per sbaglio. Tu stai vaneggiando secondo me».

«Non dovresti dare del tu ad un adulto Ametista» rispose abbassando le braccia ma tenendo gli occhi chiusi «Non è rispettoso». Mi tolsi le mani dalla faccia e replicai, «forse se anche io comincio a mancarvi di rispetto vi degnerete di ascoltarmi... e capirmi».

«Ma io ti capisco figliola» il prete aprì gli occhi «Il diavolo ti sta mandando lontano dalla retta via e quindi sei triste, arrabbiata ma non devi preoccuparti. Accogli Reve nel tuo cuore e sarai salvata».

Non potevo fare a meno di ridere, era troppo ridicolo. «No! Io non so più cosa dire davvero. Mi sembra di essere in un romanzo fantastico, non può accadere sul serio una cosa del genere».

«Forza» mormorò Quarzo afferrandomi le mani e richiudendo gli occhi «preghiamo insieme Reve e la sua immensa bontà e misericordia di perdonarti». Io tolsi le mani da quelle del prete e ribadii «Non mi serve a nulla pregare Dio, Io sto pregando voi di ascoltarmi. Fate questo piccolo sforzo per favore». Quarzo scosse la testa «il tuo malessere mi fa provare compassione»

Io risposi «E menomale, almeno un valore morale l'abbiamo conquistato, adesso dobbiamo coltivare anche l'ascolto... forse se ci impegniamo un pochino riusciamo a salvare quel poco senno che vi ritrovate».

Ma io sapevo già che lui aveva la testa nel regno di Reve, infatti senza ascoltarmi disse « la ragione è una malattia, abbi il coraggio di avere fede sorella, una fede sincera e pura come l'acqua santa».

«La sua è un'impresa disperata, non saranno i vostri vaneggiamenti a farmi cambiare idea, non ho mai avuto fede se non in me stessa» risposi, indecisa se continuare a prenderlo in giro o cominciare a parlare sul serio.

«Abbi pazienza, la pazienza è la virtù dei forti, se hai pazienza e lavorerai sodo potrai arrivare al paradiso anche se sei perduto nel pozzo oscuro dell'inferno». Ormai non avevo più speranze di farlo rinvenire. I suoi occhi erano chiusi. Le braccia erano alzate. Io lo guardai esausta e scossi la testa.

«Non ho bisogno di essere salvata! Come ve lo devo dire?» ma le mie parole erano sprecate. Don Quarzo rimase in adorazione per un'ora poi si alzo e andandosene disse «Sta sera ti libereremo da questa cantina e dal male. Preparati! E abbi fede».

Quando uscì smisi di ridere. Con l'incantesimo avevo fatto enormi progressi ma non ero ancora arrivata al punto giusto.

Mi esercitai. Dopo due settimane di esercizi ero riuscita ad alzare il numero da tre incantesimi a quattro. La sagoma per incantamenti mi diceva che mancava poco. Prima mangiavo, poi mi allenavo e infine dormivo. Anche tutto il giorno mi ci voleva per recuperare le energie. Mi svegliavo solo quando venivano a portarmi da mangiare.


 

La cantina era buia. La mia fronte sudava. Il mio respiro pesava. Inspirai. Raddrizzai la schiena. Mollai le ginocchia e unì le mani. Dai due palmi uscì un fumo che si propagò intorno ad esse. Tenendo gli occhi chiusi mi concentrai sulle quantità. Era l'ultimo. Ad un tratto incrociai le sopracciglia e tutto il fumo si compresse fra i palmi delle mie mani.

Guardai la fronte della sagoma da incantamenti. Aprì le mani. Un ago si era formato nella mia mano. Lo presi con le dita. Speravo funzionasse. Lo lanciai. L'ago toccò la fronte della sagoma e si infranse. Aspettai. La sagoma alzò il pollice e si disintegrò.

Mai mi ero sentita leggera come in quel momento. Se non fossi spossata avrei saltato dalla gioia. Mi appoggiai al muro e mi riposai.


 

All'improvviso, Un tonfo mi risvegliò. Un rumore che non volevo sentire quella sera. Aprì gli occhi. Vidi la sagoma di Suor Giada alla luce della candela. Il momento era arrivato. Piuttosto avrei preferito rimanere lì fino alla fine dei miei giorni ma non volevo affrontare il rito dell'olio di ricino.

Mi alzai e uscì dalla cantina con la cassa toracica che ormai non reggeva più i battiti. Mi sentivo vicina al baratro. Dopo quest'ultimo rito mi avrebbero dato fuoco. Mi faceva tremare.

Giada non parlava. Mi condusse lungo le scale. Più salivo e più il freddo della cantina mi scivolava di dosso. Attraversai i corridoi deserti. Uscì nella notte. Nel cortile il vento notturno sembrava consolarmi. Il cielo oscuro era tempestato di piccole luci, come un gioiello. Camminai tra le mura grigie del monastero e dopo un basso tunnel, La làcolonia si erse davanti a me. In tutta la sua angoscia e grandezza.

Mi fermai. Feci un passo indietro ma Giada mi spinse avanti con sguardo truce. Guardai quelle alte e aride mura «devo proprio?» mormorai. Lei mi spinse in avanti. Io deglutì e avanzai.

Le porte si spalancarono. Il silenzio della cerimonia dava i brividi. Gli sguardi erano tutti puntati su di me. Le candele riempivano la làcolonia di una luce tremolante. Mentre attraversavo la navata tenevo lo sguardo basso sul pavimento. Intanto la mia ansia saliva sempre di più.

Salii gli scalini. Rivolta verso la platea con lo sguardo basso. Vidi un ragazzo con la tunica candida passare una bottiglietta e un cucchiaio a Quarzo. Lui li afferro e chinò la testa. Il ragazzo giunse le mani sulla tunica e fece un passo indietro con la testa bassa.

Mi sentì tremare in tutto il corpo. Quarzo si stava avvicinando. La bottiglietta era già aperta. Quarzo chinò il beccuccio e un liquido giallo riempì il cucchiaio. L'olio di ricino si stava avvicinando. Feci un passo indietro e chiusi la bocca. Il prete mi tappò il naso.

Io resistetti. Quella purga mi avrebbe fatto star male nel giro di poco tempo. Indecisa tra il subire il scappare. Il cucchiaio era partito. Afferrai il braccio del prete. Liberai il mio naso. Il suo braccio si ricoprì di una polvere nera. Quarzo non si scompose. Guardò il suo arto con gli occhi spalancati. Quando lo mollai, sentì il braccio come se fosse mio e lo mossi verso di lui non mollando il cucchiaio. Lu cercò di fermarlo. Giada si mosse.

Io non la vidi solo buttare l'acquasanta sul braccio sciogliendo la polvere nera che cadde sul pavimento. Il cucchiaio cadde.

Io mi feci ancora più indietro. Giada si volse gridando «Prendetela». Corsi lungo la navata. Pirito mi venne in contro, mi afferrò la mano trascinandomi verso il portone mentre tutti gli orfani, le suore e i monaci si scagliavano contro di me.

Mani mi afferravano e tiravano. Pirito, tenendo il braccio teso davanti a se, faceva da apripista. Fui costretta a mollare la giacca a colui che l'aveva ghermita senza pietà. Una volta all'aria aperta. Pirito mi condusse in un vicolo lì vicino. Ansimando ci appoggiammo al muro.

«Grazie» mormorai, cercando di riprendere fiato. Lui rispose « Ci ho provato a farli ragionare, ma hanno troppa paura per accettare la verità». Io mi concentrai solo sul mio cuore «hanno paura delle favole, di andare all'inferno. Guarda un po', preferiscono commettere un ingiustizia e dare ascolto al loro amico immaginario invece di guardare in faccia alla realtà».

Sentivo le voci intorno a me. «Cosa facciamo? Hai messo a punto l'incantesimo?» chiese Pirito quasi senza fiato. «Sì, dobbiamo arrivare all'ufficio del direttore, sono abbastanza sicura che non mi cercheranno lì, se arriverà il direttore glielo sparerò addosso». Lui annuì. Io mi mossi. Con passo circospetto uscì dal vicolo. Il giardino era pieno di ragazzini. Dissi a Pirito di andare dall'altra parte. Sbucai in un altro cortile e lo attraversai senza pensare.

All'improvviso sentì una voce mormorare «ci sono delle ombre laggiù». Mi abbassai dietro ad un muretto. Appoggiai le mani a terra gattonai fino ad una porta indistinta nell'oscurità.


 

Tutto sembrava filare liscio. All'improvviso un colpo di mal di testa. La afferrai chiudendo gli occhi. Vidi Perla parlare a Giada: «...volevo solo dirvi che lei si indebolisce davanti ali oggetti sacri...» disse. Fu doloroso. «Tutto a posto?» Chiese Pirito. Ora non potevo occuparmene adesso. «no, hanno scoperto il mio segreto dobbiamo muoverci». Mi alzai in piedi. Andai alla porta. Afferrai la maniglia e la scossi senza che questa si aprisse. «È chiusa», non feci in tempo a dirlo che una voce gridò «eccoli là! Seguiamoli». Mi voltai correndo. Pirito mi seguì. Svoltammo l'angolo e un orda di ragazzini ci sbarrò la strada. Ero circondata. Cosa fare? Tenni Pirito dietro di me.

Gemma e il biondo apparirono davanti e mi serrarono al muro. Pirito cercò di scappare ma Gemma lo prese immobilizzandogli le spalle. Giada e Quarzo arrivarono. Il prete agitò un pennello su di me. L'acqua santa che mi gettò mi fece perdere quelle poche forze che avevo facendomi crollare e girare la testa.

Vidi Suor Acquamarina consegnare delle corde a Giada con aspetto servile. Ci legarono e dopo dieci minuti ci chiusero in cantina. Poi non capì più niente. Ricordo solo i miei occhi che si serrarono.



 

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Capitolo 12
*** 24 Novembre 1869 ***


Capitolo 12

24 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

«Ametista!» la voce di Pirito mi parve lontana. Cercai di aprire gli occhi. «Ametista!»esclamò.

Aprii gli occhi. «Pirito» mormorai. Non riuscivo a muovermi. Le mani e le caviglie erano legate. Mi guardai intorno «di nuovo qui» mormorai. Pirito era legato molto più di me. Si dimenò cadendo a pancia all'aria «Accidenti mi sento a pezzi». Anche io, «lo so, ci sono stata due settimane qui dentro, ma ci farai l'abitudine». I ricordi mi venivano alla mente e gli occhi mi si inumidirono.

Piombò un silenzio di tomba. «mi dispiace tanto Pirito...» singhiozzai «mi spiace che tu sia stato coinvolto in questa storia, ti uccideranno insieme a me». Con mia grande sorpresa Pirito gemette «non farmici pensare... accidenti a me che parlo troppo».

Con rabbia mi dimenai cercando di sfilare i polsi dalle corde. «È inutile Ametista ci ho provato anche io, ormai non c'é nulla da fare». Io sospirai e chiusi gli occhi.


 

La porta si apre. Ad un tratto sentì dei rumori. Io riaprì gli occhi. Passi pesanti facevano risuonare gli scalini e voci echeggiavano lontane. Sentivo qualcuno ansimare. Sulla soglia una figura corse verso di noi. Passi veloci si avvicinavano alla luce dell'unica finestra che la illumino. «Perla!» esclamai. Lei corse verso di me. Armeggiando con le corde. Non l'avevo mai vista così pallida. Il suo respiro sembrava un peso troppo pesante per lei. «Cosa ci fai qui? Pensavo che ormai mi avessi abbandonato» mormorai.

All'improvviso tre persone apparvero sulla porta gridando «Legate la strega!». Io ero già legata. Non mi sembrava che stessero rivolgendosi a me. Perla si immobilizzò. Uno dei tre monaci la afferrò per le braccia. «Passami la corda!» disse. La gettarono a terra. Io stavo per liberarmi. Il secondo monaco si tolse il simbolo sacro dal collo e mi ci legò prima che potessi slegare quell'ultimo e fragile nodo che mi separava dalla libertà per poi riprenderselo.

Pirito gridò a Perla «Sei una strega?!». Io aggiunsi «a-allora non si stavano riferendo a me».

I tre monaci si alzarono in piedi e se ne andarono. Pirito esclamò «Perla cos'è questa storia?». La ragazzina raccontò «Non ci potevo credere nemmeno io. Vi racconterò tutto ma prima devo dirti una cosa Ametista...» Sentì qualcosa stringermi lo stomaco. «... mi dispiace di aver infranto la promessa».

Io sentì gli occhi inumidirsi. «C-cosa hai fatto!?» gridò Pirito. Perla mormorò «Mi dispiace! Mi dispiace tanto! Pensavo che loro ti volessero aiutare non pensavo davvero che fossero così». Pirito scosse la testa stringendo il viso, «da quanto lo sanno?». Perla si guardò la spalla e rispose «da quando vi hanno inseguito. Li ho visti in difficoltà e così gliel'ho detto».

Una lacrima mi scese sulla guancia. «Ti rendi conto di quello che hai fatto? Se prima avevamo una possibilità di scappare da qui adesso non l'abbiamo più, ci hai condannato a morte», sbottò Pirito disperato.

«Io non ho mai messo bocca sulle vostre credenze nonostante tutto» mormorai «ma ora non ce la faccio più... NON HO BISOGNO DI ESSERE SALVATA, SIETE VOI CHE AVETE BISGNO DI UNO PSICOLOGO, PERCHÈ QUELLO CHE STA SUCCEDENDO NON PUO ESSERE VERO. Non posso credere che mi stiano per uccidere, perché pensano che io sia posseduta dal demonio, tutto ciò è assurdo».

«Mi dispiace tanto, mi dispiace Ametista. Ma tutti dicevano che eri pericolosa e io ero così indecisa, non sapevo cosa fare. Oggi Giada, mi ha dato appuntamento nel suo ufficio per ringraziarmi dell'informazione. Io ero arrivata in anticipo e dalla stanza accanto sentivo Giada e il direttore borbottare. Non volevo intromettermi nei loro affari ma poi ho sentito il mio nome. Mi sono avvicinata e ho sentito il direttore dire “ci sarebbe un'altra strega da sistemare, Quando viene nel tuo ufficio immobilizzala, purifichiamo anche Perla” hanno anche detto che domani chiameranno gli anziani per avvertirli che gli occhi delle streghe sono sgargianti. Io sono corsa subito qui per liberarvi ma poi tre monaci si sono messi ad inseguirmi».

«Qualcuno deve essersi insospettito» mormorai. Perla rispose «credo Suor Acquamarina, l'ho urtata per sbaglio e ho cercato una scusa ma penso che abbia scoperto subito che mentivo, scusatemi».

«Fammi vedere gli occhi» dissi avanzando il collo. Lei spalancò gli occhi e si voltò. Mi guardò negli occhi, le sue iridi erano di un colore azzurro accesso «è vero» mormorai senza fiato «essendo di un colore abbastanza comune non me n'ero resa conto però mi era venuto qualche sospetto...» ripresi fiato «quando ero in quarantena e mi avete trovato svenuta, mi chiedevo perché al tuo tocco le energie mi ritornavano. In te c'era la volontà di aiutarmi e la tua magia mi ha ritirato su senza che tu te ne rendessi conto».

Perla spalanco gli occhi. Ci fu un breve silenzio poi Pirito mormorò «ma come ha fatto a sopravvivere in tutti questi anni? Cioè, anche lei è stata battezzata, ha pregato eppure non ha notato niente» ottima domanda. Perla mi guardo ansiosa di una risposta.

Io risposi «i làcoloniani non immergono i neonati, gli buttano qualche goccia d'acqua santa sulla fronte e così poca non può dar noia a nessuno. Riguardo alla fede della làcolonia, abituandosi fin da piccola la cosa non la tocca più. Il fatto che si è messa a pregare non significa nulla, le streghe non producono e non provano fede. Sappi che se il tuo era un sentimento artificiale, te lo sei costruito inconsciamente per essere accettata dagli altri».

Perla scosse la testa. Pirito era ancora più stupito. Come ho fatto a non accorgermi della mia magia» mormorò Perla chiudendo le palpebre.

«Se tu non ti accorgi di lei e non gli dici di uscire lei resta dov'è quindi dato che non ti sei mai posta una domanda sulla sua esistenza lei è sempre rimasta al suo posto, mi spiace Perla».

Un'altra breve pausa e poi Pirito esclamò «un momento ma Perla può usare la sua magia per liberarci?» Perla alzò lo sguardo verso di noi. Io scossi la testa «prima deve sapere come è fatta quale usare, le dosi e come proteggersi da essa, è impensabile che impari nel corso di una notte, non sapeva nemmeno di avercela,se non la percepisce è difficile usarla, mi spiace».

Perla chinò il capo poi lo rialzò «...e tu?» Io sospirai «Io?.. non riesco nemmeno a parlare, sono al limite, ormai è finita l'unica speranza che vi rimane è di pentirvi prima che vi mettano al rogo».

Mi appoggiai al pavimento, chiusi gli occhi e mi voltai, sperando di morire di fame di essere messa al rogo.

Nessuno parlò nel tempo che passò. La prossima volta che quella porta si sarebbe aperta sarebbe stata l'inizio della fine. Il mio cuore era al limite dei battiti. Combattei per non disperarmi. Cercai di accettare la mia fine ma il rogo mi faceva troppa paura.

La porta della cantina si spalancò. Il mio stomaco saltò. I miei occhi si spalancarono. Passi si avvicinarono armeggiando con le corde piedi. Quando furono libere mi tirarono in piedi. In quel momento mi venne l'idea. Potevo camminare e mi rimanevano ancora poche energie magiche.

Mentre ci conducevano fuori dalla cantina. Toccai le corde con la punta del dito. Si sentì uno strappo e i polsi furono liberi.

Prima che se ne accorsero tirai una gomitata a monaco che mi teneva che affondò nel suo stomaco e lui cadde ansimando. Corsi verso gli altri e senza pudore tirai un pugno nello stomaco a quello che teneva Pirito e uno in faccia a quello di Perla.

Le nocche mi bruciavano con un incantesimo veloce liberai Pirito e Perla «scappate». Loro corsero via ma poi si voltarono, «dove andiamo?» gridarono. Il terzo monaco era in piedi «Lontano!» gridai.

Il secondo ormai in piedi gridò «Prigionieri in fu...». Un tocco di magie tappai la bocca. Gli altri due mi afferrarono. Mi dimenai come un ossesso. Il secondo però, anche senza voce, riuscì a tirarmi una boccetta di acquasanta. Crollai in ginocchio. Mi legarono ma almeno Perla e Pirito erano scappati.

Mi portarono fino in làcolonia. Io stanca com'ero mi preoccupavo solo di camminare e respirare. L'unica volta in cui sollevai lo sguardo fu per vedere il palo si cui sarei stata arsa viva. Gli orfani che facevano avanti e indietro con mucchi di legno. La guardai per pochi secondi ma la cosa rimase impressa nella mia memoria finché non mi gettarono ai piedi dell'altare.

Non avevo la forza di muovermi. Loro rimasero lì a parlare di varie cose. All'improvviso uno di loro si avvicinò a me dicendomi «Se ti penti possiamo strozzarti prima di bruciarti».

Io aprì gli occhi e tacqui. Non sapevo cosa dire. «Pentirmi di cosa? Perché mi state facendo questo? Io non volevo altro che essere me stessa, non volevo altro che vivere» mormorai. «Sei accusata di stregoneria, la più grave forma di peccato dopo l'apostasia. Nei tuoi occhi brucia il fuoco dell'inferno per questo sono così brillanti».

«I miei occhi sono brillanti perché reagiscono alla magia ed essa non è colpevole di altro che di esistere» risposi.

«Esistere per via del demonio che si è incarnato in te! Confessa e ti sarà risparmiata un'atroce sofferenza» replicò il prete alzandosi e puntandomi il dito contro. Io raccogliendo le poche energie che avevo risposi «Sul fatto che sono qui e che sto vivendo vi giuro... che non ho niente da confessare».

Le porte si aprirono. Loro mi presero e mi portarono all'aperto. Io che mi aspettavo il finimondo contro di me, rimasi colpita dal silenzio che sentì quando attraversai quel corridoio di ragazzini. Li guardai per poco. Poi i miei occhi si chiusero davanti ai miei passi. All'improvviso una ragazzina uscì dalla fila tutti si fermarono e io riaprì gli occhi, era la ragazzina del pendolo. Quello doveva essere una cosa preziosa per lei tanto che lo vedevo sempre al suo collo. «Non potete ucciderla! Io l'ho vista non ha fatto niente di male».

Un terzo monaco si mise davanti a me «Non dire sciocchezze ragazzina. Guardala negli occhi, quelle iridi sgargianti ti sembrano normali?». Lei si guardò intorno e gridò «Dai ragazzi! Volete davvero dargli ragione? Non vi fa pena?». Nessuno si mosse. Il monaco buttò da parte la ragazzina e mi spinse avanti. Io non persi tempo a dirgli «Non fa niente». Uno di quelli che mi tenevano mi diedero una spinta violenta in avanti, «Non parlare, muoviti».

Davanti a me vedevo la mia morte, mentre dai balconi intorno a me vedevo tutti i monaci e le suore che con occhi seri mi fissavano. Più in alto, Giada e quarzo mi guardavano dall'alto in basso.

Mi obbligarono arrampicarmi sopra la pila di legna e mi legarono i polsi al palo. Uno dei preti, lo stesso che mi aveva parlato prima di uscire dalla Làcolonia e che ha buttato da parte la ragazzina col ciondolo mi disse «Se vuoi non è ancora troppo tardi per confessare».

Io testarda quale ero non avrei mai dato loro questa soddisfazione «è vero... che sono una strega... ma io non ho niente a che fare con le vostre favole e non ho fatto niente di male per meritarmi questo» risposi.

Il monaco tornò ai piedi del palo e alzò la fiaccola e urlò «La strega si è rifiutata di abiurare,...» guardai le facce di chi mi stava intorno facce che si rifiutavano di guardare «per questo la rimando dall'inferno da cui proviene». Abbassò la fiaccola. La gettò nella legna. Essa prese fuoco. Chiusi gli occhi. Sentì lo scoppiettio del fuoco tutto intorno a me e un calore intenso mi avvolse.


 

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Capitolo 13
*** 24 Novembre 1869 (parte 2) ***


Capitolo 13

24 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

All'improvviso qualcuno gridò, una voce familiare ma che non avevo mai sentito, «FERMI!» quello che venne dopo mi sorprese ancora di più «SONO IL PADRE DI AMETISTA! HO IL DIRITTO DI PORTARMELA VIA».

Come sentì quella frase ma aprì gli occhi e cercai di liberarmi, ma ero troppo debole. La stessa voce gridò «PORTATE DELL'ACQUA!». Sentì varie voci rivolgersi a me gridando «non preoccuparti Ametista ti porteremo fuori da lì» era la voce di Pirito. «Resisti!» Questa era di Perla. «Aspettate veniamo con voi» Lo scoppiettare delle fiamme non mi permise di capire da chi provenisse l'ultima frase.

La speranza mi tornava. Ma il respiro si mozzava per il fuoco. Cominciai a tossire. Tutto cominciò a girare e non ci capì più nulla. Prima di svenire vidi una figura raggiungermi. Un ragazzo che non mi sarei mai aspettato di trovare, era biondo con gli occhi azzurri.


 

Sentì molte voci chiamarmi. Voci ovattate e confuse. Aprì gli occhi. Intorno a me c'era tutto l'orfanotrofio. Mi sentì così agitata che saltai a sedere con il cuore che mi pulsava quasi a voler uscire dal petto. Quella voce familiare che mi disse «fatele un po' di spazio, non statele troppo addosso». Tutti si scostarono da me. Abbi un capogiro e mi ributtai a terra. Qualcuno mi afferrò. Io mi afferrai la testa e chiesi «Cosa è successo? Perché mio padre è apparso solo adesso?»

Fu colui che si professava mio padre a parlare. Un uomo alto con gli occhi scuri, capelli neri e pelle chiara. «Ecco... ». Attesi.

All'improvviso la voce di Quarzo echeggiò in quel giardino. «FATEVI DA PARTE SCIOCCHI!» tutti si fecero da parte spaventati. Alessandrito, che prima non avevo notato si alzò in piedi insieme a Gemma ed Elio. Quarzo indicò proprio il biondo gridando «TU ALESSANDRITO! SONO MOLTO DELUSO DA TE E DA VOI TUTTI!». Il prete mi guardò truce.

Un coltello venne tirato fuori dalla sua tunica scagliandolo su di me. Rotolai via. Il pugnale si conficcò sul terreno. In quel momento scattò un vero duello. Lo guardai con occhi di fuoco. Lui estrasse il pugnale dal terreno. Gli corsi incontro. La lama passò vicino al mio stomaco. Gli afferrai il braccio. La mia mano si scagliò sulla tunica. Lui mi fermò, afferrandomi il polso e tenta di affondare il pugnale nel mio petto. Lo evitai. Gli afferrai il polso e lo torsi. Il coltello cadde. Liberai una mano e la appoggiai su di lui che si mise a tremare e poi crollò. Io boccheggiai. «TU!» gridai barcollando «RAZZA DI MANGIAOSTIE PEDOFILO...IO TI UCCIDO!». E l'avrei fatto se non fosse stato per mio padre e il biondo che mi fermarono. L'unica giustificazione che mio padre riuscì a tirare fuori fu «è tutta sua madre». Il biondo annuì come per dire “immagino”.

Ma ben presto mi fermai, perché mi girava la testa. «Non ti sei ancora ripresa riposati» mi disse il biondo. Io risposi «no il mio lavoro non è ancora finito... non voglio che questo pezzo di imbecille... mi insegua in futuro...». Mi sostenni in piedi, nonostante fossi al limite. « Cos'hai intenzione di fare?» chiese il biondo. Io unii le mani «non voglio che qualche altra sfortunata strega o stregone capiti qui e rischi la vita, lo ripulirò dai suoi pregiudizi, sarà costretto a ricominciare da capo».

Mio padre disse «è meglio che ti riposi adesso, lo farai dopo, tanto finché il direttore resta lì per terra non ci sono problemi... se qualcuno ti da noia dovrà vedersela con me e il governatore».

Io annuii. Mi posai a terra. «Pensavo...» dissi afferrandomi il petto «pensavo che per me fosse finita...». Mio padre disse «è grazie ai tuoi amici se sei ancora viva, mi hanno avvertito appena in tempo...» disse. Lo vidi sorridere, il suo sorriso di disfò «Scusami, se arrivo solo adesso, se mi fossi fatto vivo prima ti saresti risparmiata questa brutta esperienza.» Io aspettai a parlare, dovevo ancora riprendermi. «Non mi sorprenderei se tu non ti ricordassi di me, eri ancora piccola quando me ne andai. Quando mi unii con tua madre ero certo di quello che facevo, non avevo pregiudizi poi, è stata tua nonna che mi ha spinto ad andare in làcolonia e... i preti sanno parlare molto bene e dopo un po' ho deciso di andarmene per ritrovare me stesso. Ho viaggiato in posti lontani poi sono tornato e quando mi hanno detto che tua madre era stata bruciata viva e tu eri stata mandata in un orfanotrofio, ho fatto di tutto per ritrovarti ero disperato ho fatto di tutto per ritrovarti. Mi sono fatto dare dal governatore il permesso di riprenderti e sono corso qui. Poi ho incontrato... tu, come ti chiami?» chiese mio padre indicando Eliodoro. Tutti lo guardarono. Io per prima con gli occhi spalancati. «Eliodoro?» domandai.

Lui arrossì. «Aveva chiesto aiuto ad un mio amico, un poliziotto, ci stavo parlando, poi ha detto il tuo nome e ho chiesto subito spiegazioni. Naturalmente non ho chiesto aiuto alla polizia, se avessero scoperto chi sei mi avrebbero fermato. Sono corso subito fin quassù. Durante la strada ho incontrato questi altri due» disse indicando Pirito e Perla «che... mi hanno aiutato poi a spegnere le fiamme. Anche questo biondino e questa ragazza mi hanno aiutato».

Io guardai Alessandrito e Gemma impressionata «Perché?» chiesi. Ero senza parole. «Lui si è bagnato e si è infiltrato tra le fiamme portandoti via poco prima che il palo prendesse fuoco, è stato fantastico» aggiunse mio padre.

Io lo guardavo e lui grattandosi la testa rispose «Ecco... ho cambiato idea, in effetti avevi ragione... ero un imbecille scusami». Io alzai le spalla e risposi «Ok, nessun problema» poi mi voltai e guardai Gemma.

Lei mi rispose «I-io ho aiutato a portarti lontano dal fuoco... scusami forse ero... un po invadente me ne rendo conto ma... è carattere che ci posso fare?». Io risposi «Siamo giovani, fai sempre in tempo a migliorare».


 

Rimanemmo a parlare per un po' di tempo. Poi ad un tratto mi alzai. «Hai intenzione di farlo?» chiese Pirito «Tanto sta sera te ne andrai».

Io unii le mani, sentendo gli sforzi del direttore di muoversi. «Non voglio che qualche altra sfortunata strega o stregone rischi la vita come ho fatto io»

Aprii la mano e presi l'ago di magia tra le dita. Con gesto lesto lo lanciai.


 

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Capitolo 14
*** 25 novembre 1869 ***


Capitolo 14

25 Novembre 1869


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 


 

Con una certa amarezza rimisi le mie cose nella valigia. Quando la chiusi la porta si aprì. Mi voltai. Si stavano avvicinando a me Pirito, Perla e Eliodoro. Sorrisi. Afferrai la valigia e mi diressi verso di loro. Pirito mi allargo le braccia. Io posai la valigia e lo abbracciai. Ben presto si unirono anche Perla ed Eliodoro.

Pirito si staccò da me, «Tutti ti vogliono salutare, sono fuori che ti aspettano...».Mi alzai «D'accordo... mi accompagnate vero?». Perla rispose «ovvio».

Uscimmo dalla stanza. «Ci mancherai tantissimo» mormorò Eliodoro, questa volta senza balbettare.

«Anche a me» risposi con il cuore pesante «non ho mai avuto un vero amico in vita mia ed ora ne ho ben tre! Mi addolora dovervi lasciare... spero che ci rivedremo un giorno».Uscimmo all'aperto. Davanti a me la folla di orfani, monaci e monache, formava una fila che portava a mio padre.

Tutti dissero in coro «Addio Ametista, speriamo che tu troverai la felicità ovunque tu vada». Non potevo essere più felice. Sentendo gli occhi inumidirsi scesi gli scalini «Anche a voi». Mi sfregai le mani e buttai in aria una polverina azzurra. Questa cadde su tutta la folla. Tutti esultarono. Arrivai al cancello. Mio padre mi cinse con il braccio. Prima di salire sulla carrozza mi voltai versoi miei amici e dissi « mi mancherete». Loro mi salutarono. Poi chiusi la portiera. Il cocchiere fece partire i cavalli ma io non smisi di guardare quel cancello finché non fu scomparso dalla mia vista.

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