Bozza

di _Reset_
(/viewuser.php?uid=118249)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Avete presente quella sensazione di disperazione ed estrema depressione, tipo quando la tua giornata inizia male e continua ad avere un trend che ti porta a pensare al fatidico #mainagioia e inizi a chiederti che hai fatto di male nella tua vita per meritarti tutta questa sfiga? No? Non temete ve la posso descrivere in maniera più che esaustiva e dettagliata visto che sono un esperto!
Vi basti pensare alla mia situazione attuale: io, vestito con infradito, pantaloncini da calcio e canottiera (mio tipico outfit per fare la spesa quando sono costretto da mia madre), con le braccia e le mani stracolme di ingredienti vari che immagino dovrò utilizzare per preparare la cena, sotto il tipico temporale estivo, chiamato amichevolmente diluvio universale. Ovviamente la spesa mi impedisce di coprirmi, non citiamo nemmeno il fattore ombrello, oggetto dalla misteriosa funzionalità visto che non mi è mai capitato di averlo con me nel momento del bisogno, e ovviamente vi sono quei gentilissimi personaggi che pur essendo all’asciutto in una macchina hanno una incredibile fretta di tornarsene a casa per cui estremamente e assolutamente casualmente, per nulla facendo apposta, passano con una incredibile velocità sulla pozzanghera che ovviamente sta di fianco a me creando una perfetta riproduzione in miniatura di uno tsunami e rendendomi se possibile più fradicio, ma sicuramente più sporco di sostanze di dubbia provenienza.
Vedo la gente attorno a me che corre verso il riparo più vicino, chiama taxi, si affolla alla fermata del bus o semplicemente apre l’ombrello correndo verso casa, e ciò mi fa sorridere. Cammino lentamente in questo frenetico fuggi fuggi, ormai conscio di avere acqua fin dentro le mutande e quindi di quanto sarebbe inutile correre al riparo, pensando al fatto che dovrò lavare ogni singolo ingrediente non confezionato.
È solo quando mi suona il cellulare che decido di fermarmi sotto il tendone di un negozio. Per alcuni istanti fisso il mio sguardo nel vuoto, percependo appena la confusione che mi circonda e il suono ritmico della pioggia che cade a terra o che rimbalza sopra il tendone che mi copre. Infine decido di guardare il messaggio. “Prendi anche le mele”. Ora me lo dice? Grande tempismo mamma… che fare? Niente, si torna indietro, solita pioggia, solite persone di fretta, solito negozio, solite mele, solita cassiera, solita strada… ed eccomi qui di nuovo sotto il tendone, tutto uguale eccetto il fatto che sono se possibile più bagnato e sporco di prima e sicuramente più scazzato dalla vita. Ma che bella giornata…
Sto fissando il vuoto senza una apparente ragione valida da alcuni minuti quando noto di non essere solo sotto il tendone. Mi volto quasi spaventato da questa presenza inaspettata. Il soggetto in questione è un ragazzo che incredibile ma vero è più bagnato di me. Sono tanto sorpreso dalla scoperta che esiste un ulteriore livello di bagnato che rimango a fissarlo troppo a lungo, tanto da farlo accorgere di me e del mio sguardo insistente. Si volta e mi sorride cortesemente e con una voce incredibilmente allegra esclama: -Quanta pioggia, vero? -. Mi trovo ad annuire per quanto quella domanda sia al contempo ridicola ed estremamente irritante. I suoi capelli castani scuri sono più lunghi rispetto alla norma per i ragazzi e sono tanto bagnati da incorniciargli il volto. Facendo un gesto rivolto al sacco di mele che a stento tengo in mano aggiunge: -Quelle mele sono di ottima qualità, vero? Le uso sempre anche io! -. Terminata la frase mi sorride attendendo una mia risposta. Sono secoli che non vedo un sorriso così innocente e credibile… Annuisco nuovamente anche se evidentemente ho comprato quelle solo per il fatto che erano le mele verdi che costavano meno. –Ora devo andare, scusa. È stato un grande piacere! -. Esclama nuovamente nel suo modo energico ed entusiasta lasciandomi ancora più perplesso… non abbiamo avuto un gran ché di conversazione… si è divertito a pormi quesiti e ricevere come risposta solo un leggero movimento della testa?
Una volta che la sua (fradicia) figura è sparita tra la gente mi decido ad avviarmi verso casa. Ovviamente il temporale non cessa anzi se possibile aumenta la sua potenza e quando arrivo a casa mi trovo a chiedermi se nel frattempo io mi sia trasformato in un tritone. Positivamente colpito dall’avere ancora le gambe e non una coda da pesce gigante apro la porta ed entro. Mia madre ha appositamente preparato per me un accappatoio e una cesta come per dirmi di spogliarmi immediatamente per non allagare tutta la casa. Poso delicatamente tutta la spesa a terra ed eseguo i taciti ordini, poi porto la cesta in lavanderia e la spesa in cucina. Per raggiungere questa passo dal salotto trovando i miei genitori seduti sul divano, con la loro solita aria severa e rigorosa, mentre annuiscono leggermente ascoltando il telegiornale. Lavo tutti gli ingredienti e inizio a scaldare il forno, poi corro a farmi una doccia. In cinque minuti sono di nuovo in cucina. Apparecchio la tavola e finisco di preparare la cena e giusto giusto mentre sto facendo le porzioni sui piatti sento che le sedie del tavolo vengono mosse, chiaro segno che è finito il telegiornale e che il mio tempismo è perfetto come sempre. Raggiungo i miei genitori sorridendo soddisfatto, poso i piatti e mi siedo al mio posto. Senza alcuna parola iniziamo a mangiare, avvolti dal nostro solito inquietante silenzio alcune volte interrotto dal suono delle posate contro il piatto. Una volta finito di mangiare sparecchio il tavolo e vado a lavare i piatti. Nel frattempo sento mia madre che chiude le tende e mio padre che prende il giornale.
-Hai sentito del figlio della signora Ribbons? – sussurra a un certo punto mia madre interrompendo il silenzio. Mio padre chiude il giornale, lo posa e la fissa interessato. Soddisfatta di aver ricevuto le sue attenzioni si siede nella sua poltrona e aggiunge: -Pare che sia omosessuale… io fossi in lei non avrei più il coraggio di farmi vedere in giro! -. Mi viene un tuffo al cuore. Era da almeno una settimana che non toccavano più l’argomento. Non ho bisogno di utilizzare i miei sensi per sapere che entrambi stanno facendo una smorfia schifata e sdegnata allo stesso tempo.
Omofobia. Se non conoscete il significato di questa parola non cercatela sul dizionario, vi basta venire a cena a casa mia una sola volta e tutto vi sarà chiaro.
Omofobi. I miei genitori sono tali. Severi, rigidi, altezzosi e amanti delle tradizioni non perdono alcuna occasione per ricordarmi quanto schifo facciano gli omosessuali, quanto non siano nemmeno degni di essere chiamati persone, quanto sia disonorevole essere tale o avere una tale persona in famiglia.
Inizialmente ci credevo anche io e per ciò mi vergogno un po’. Credevo in ogni parola dicessero i miei genitori, le prendevo come realtà, verità inconfutabili. Ero talmente convinto, che ogni volta che vedevo un uomo con l’aria losca credevo fosse omosessuale e scappavo da mia mamma a dirglielo. Parzialmente mi scuso e mi convinco che sia normale, in quanto fin da bambino sono stato circondato da persone con questa opinione, tra i miei genitori e tutti gli altri miei parenti altrettanto bigotti, però sono felice di esser riuscito a cambiare, a formare una mia idea e vedere il mondo attraverso i miei occhi e non un qualche preconcetto. Non sarei però mai riuscito a cambiare da solo. Molto lentamente ho iniziato ad avere dei dubbi che però mai avrei avuto il coraggio di confermare in una mia ideologia fissa, o almeno così pensavo fino a tre anni fa.
3 anni. Per tre lunghi anni ogni giorno più questa loro omofobia mi ha fatto soffrire. Ogni accenno mi feriva in profondità, mi turbava, mi faceva star male e alcune volte addirittura mi portava all’orlo delle lacrime (perché sì, sono uno sfigato piagnucolone). Sono passati tre anni e ancora mi capita di chiudermi nella mia stanza la sera con il solo desiderio di urlare, dare sfogo a quelle fitte che sento nel mio cuore.
Sono passati tre anni da quando ho incontrato la persona a cui voglio più bene nell’universo, con la quale sono più in sintonia, a cui posso raccontare tutto e con cui non ho timore di essere me stesso. Ebbene sì, tre anni fa ho conosciuto il mio migliore amico… che è gay.
Da quando mi ha detto del suo orientamento sessuale ho iniziato a chiedermi se fosse davvero corretto ciò che dicevano i miei genitori. Inizialmente ero titubante ma ben presto, conoscendo meglio il mio amico e ragionandoci su, ho capito quanto i miei fossero dalla parte del torto.
Il mio migliore amico si chiama Nicholas Palmer e siamo coetanei. È letteralmente la persona più buona, dolce e gentile che io abbia mai incontrato. È sempre pronto ad aiutare gli altri, che siano amici o meno, c’è sempre quando hai bisogno di parlare con qualcuno, ti ascolta e ti dà validi suggerimenti, capisce se qualcosa non va semplicemente guardandoti negli occhi, è generoso e non si tira mai indietro. Nick non è forte fisicamente, eppure io l’ho sempre visto quasi come un pari dei supereroi più famosi, anzi in alcuni casi l’ho ritenuto addirittura superiore. Infatti avendo fatto coming out molto spesso è vittima di bullismo. Lo insultano e lo picchiano e alcune volte è dovuto addirittura andare in ospedale per ciò. Eppure… io lo invidio. Vorrei essere come lui… Per quanto crudeli possano essere gli insulti, per quanto forti possano essere i colpi, lui si rialza sempre da terra, con la testa in alto e sorride. Guarda negli occhi quei bulli e sorride, come per dire “Puoi continuare fin quando vuoi tanto io non cambio e sono felice così come sono”. Questo io ho sempre ammirato di lui: aveva avuto il coraggio di fare una scelta difficile e che sicuramente gli avrebbe reso la vita più complessa, e per quanto la gente potesse opporsi a questa sua decisione lui era felice.
Per quanto io abbia provato a trovare una logica a ciò che sostengono i miei, sono giunto alla conclusione che hanno torto. E da allora anche solo l’idea che se sapessero che Nick è gay rivolgerebbero pure su di lui tutti gli insulti che amano attribuire agli omosessuali mi ha fatto soffrire. Non riesco ad accettare che una persona dolce ed adorabile, così esplicitamente buona come Nicholas debba soffrire così tanto, fino ad essere insultato e addirittura ferito fisicamente per il semplice fatto che ritiene più attraenti gli uomini alle donne. Che hanno fatto di male gli omosessuali per meritarsi ciò? Inizialmente continuavo a chiedermelo, poi ho capito che non c’è una risposta. Così come nell’antichità bruciavano vive donne sospettate di essere streghe, così come le persone dai capelli rossi erano considerate legate al demonio ora la società ha scelto di odiare gli omosessuali. Solo perché sono diversi? Non avrebbe alcun senso… a quel punto chiunque dovrebbe starmi alla larga perché essendo sfigato potrei passare il malocchio! Hanno forse paura di essere stuprati, di essere obbligati ad essere come loro? Mille domande mi frullavano nella testa tre anni fa, ma ben presto ho capito che in verità non c’è alcuna risposta valida, non c’è una logica.
Più il mio legame si rafforzava con Nicholas più mi era difficile accettare i discorsi dei miei genitori. Soffro non tanto per quello che dicono, piuttosto per il mio essere incapace a reagire. Sono ormai abituato alle parole crudeli proferite nei discorsi dei miei, eppure per quanto io ci tenga a Nick non sono mai riuscito ad oppormi, a difenderlo. Eppure lo so, Nicholas non farebbe mai del male a nessuno, non penserebbe nemmeno mai di stuprarmi o obbligarmi a diventare gay. Anche perché Nick ha il fidanzato.
Nicholas e il suo compagno sono la coppia più bella che io abbia mai visto sulla faccia della terra. Avete presente le coppie dei film? Ecco, loro sono ancora più belli. Io ho visto il mio migliore amico innamorarsi, ho sentito i suoi racconti dei primi appuntamenti, ho visto la scintilla nei suoi occhi ogni volta che mi parlava di lui e ho notato la sua dolce ansia ogni volta che aspettava impaziente un suo messaggio o una sua chiamata. Esattamente come ogni altro ragazzo della nostra età. Ho passato più di un pomeriggio con loro e mai una volta mi sono sentito a disagio, mai una volta mi hanno fatto sentire di troppo, mai una volta.
Ma ultimamente non è solo il pensiero di Nicholas che mi fa soffrire durante i dialoghi tra i miei genitori. Ci siamo trasferiti in un’altra città e ora siamo lontani, quindi Nick è al sicuro almeno dai miei genitori. Eppure continuo a soffrire… e non capisco il perché.
Mi chiudo in camera con la solita voglia di urlare, di strapparmi dal petto quel mio cuore che tanto soffre. Mi accascio per terra con la schiena appoggiata alla porta prontamente chiusa a chiave. Sento come una voragine dentro di me che risucchia ogni mia energia, ogni mia emozione eccetto una. Stringo al petto le gambe e appoggio la testa alle ginocchia, poi inizio a piangere silenziosamente, per non farmi scoprire.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


Conoscete il modo di dire “la giornata si vede dalla mattina”? Bene, vi auguro di non avere mai mattine come le mie.
Ogni giorno mi sveglio all’alba perché quello stupido chihuahua di mamma si diverte a leccarmi i piedi a quell’ora, quindi vado a dargli da mangiare e nel frattempo preparo la colazione per me e i miei genitori. Vado poi a svegliarli nel modo più delicato possibile ed in seguito apro tutte le finestre per cambiare aria. Come tutte le mattine i miei genitori si dimenticano che magari pure io vorrei fare colazione e decidono di mangiare tutto ciò che ho preparato lavando i piatti mentre io sono in doccia, che dunque è ghiacciata, lasciandomi a stomaco vuoto e senza tempo per prepararmi qualcosa in quanto altrimenti arriverei tardi a lezione.
Tipica mattina orribile, tipica giornata orrenda.
Arrivo a lezione appena pochi secondi prima del professore. Riordino le mie biro in modo accurato sul banco e mi preparo a prendere appunti. Nella pausa mi squilla il cellulare che avevo dimenticato di silenziare.
-Ciao! Come stai? Come vanno le lezioni? Ti stai ambientando? - La voce di Nick mi giunge alle orecchie e subito la mia giornata non sembra più poi così orrenda. Sorrido sollevato e rispondo: - Ciao Nick! Qui tutto bene grazie, lì? Le lezioni continuano ad essere noiose e si, mi sto ambientando…- mento spudoratamente sull’ultimo punto mordendomi il labbro sentendomi un pochino in colpa, ma non voglio farlo preoccupare.
Nick mi sommerge letteralmente con i suoi racconti e non tralascia nemmeno un dettaglio, probabilmente per farmi sentire ancora a quella che era la mia casa, in quell’ambiente in cui mi trovavo così bene, tra quelle persone a cui volevo tanto bene.
-Senti, io e Ricky pensavamo di andare in montagna il prossimo fine settimana, ti va di venire con noi? - mi chiede all’improvviso, -Potremmo passare a prenderti e…-. –No! - esclamo subito impanicato pensando ai miei genitori, poi notando di esser stato un po’ troppo brusco aggiungo: - Io… ci sono delle attività in città… volevo fare un po’ di conoscenza…-. Lo sento sospirare, probabilmente sospettando che gli ho mentito spudoratamente, ma proprio in quell’istante vedo arrivare il professore della lezione seguente. –Nick grazie davvero per l’invito, ringrazia anche Ricky e scusami davvero. Ora devo andare, ciao. - esclamo in fretta e faccio per spegnere la chiamata, ma i sensi di colpa mi bloccano quindi aggiungo:- Ti voglio bene Nick.-. spengo la chiamata e corro al mio posto in prima fila.
Per pranzo mi siedo su una panchina nel parco vicino all’università e frugo nella borsa già pregustando il mio panino accuratamente preparato la sera prima. Sto fantasticando sul prosciutto sempre concentrato sulla borsa quando sento un eloquente “E-ehm” un po’ troppo vicino a me per non essermi rivolto. Sposto lo sguardo di poco giusto per prepararmi psicologicamente: a meno di un metro da me trovo tre paia di piedini rivolti verso di me. Timidamente alzo definitivamente lo sguardo non comprendendo cosa possano volere da me tre ragazze. Sono tre soggetti estremamente diversi: quella a me più vicina ha la tipica aria da Barbie, bionda, alta, bella e dall’aria arrogante e altezzosa, una delle due appena più distanti ha l’aria lunatica ed eccentrica, con capelli biondi ricci a ciocche colorate e un numero indefinito di braccialetti, mentre l’ultima pare quella più normale (e quindi a me più affine) si nasconde dietro la frangetta castana e gli occhiali stringendo a sé un libro dall’aria pesante in tutti i sensi.
-Quella è la nostra panchina di solito, ti spiace liberarcela? – sbotta la Barbie. La fisso un istante senza parole, poi sospiro abbandonando la ricerca del panino per spostarmi. Come si sarà già capito non sono esattamente molto bravo a farmi valere. Prima che io mi possa spostare interviene però la seconda bionda esclamando: - Ma no Cassy non fare la cattiva! Poverino ci sta anche lui, basta che ci stringiamo un po’! – aggiudicandosi una occhiataccia dalla Barbie, poi rivolta verso di me e sorridendo in modo estremamente ingenuo aggiunge: - Non ti spiace vero, amico? -. Sono un po’ stupito da questo appellativo, ma scuoto la testa spostandomi nell’angolo cercando di occupare il minor spazio possibile. A quanto pare non sono l’unico confuso dalla parola “amico” proferita così facilmente in quanto le altre due ragazze sembrano altrettanto confuse. Quella con il libro, sedendosi nell’angolo opposto al mio, sottolinea infatti: - Meggy, non chiamarlo amico se nemmeno lo conosci. Se no lo metti in imbarazzo. -. La Barbie annuisce con vigore sedendosi il più vicino possibile all’amica. Lo spazio tra di noi viene subito colmato dall’eccentrica che con quella che pare una illimitata quantità di energia esclama: - Ma io lo conosco! Gabriel Collins, soprannominato Gabi dagli amici più stretti, 21 anni, appena trasferito in città tre settimane fa, vive in una villetta a schiera in via Trafalgar numero 13, figlio unico, perfetto casalingo, pessimo in tutti gli sport, media del 30 e unico abitante della prima fila in classe. -.
Cala il silenzio. In questo istante probabilmente la sto fissando con aria molto sconcertata: come diavolo fa a sapere tutte queste cose su di me?
-Inoltre so che è mancino, probabilmente suona la chitarra classica e ha un migliore amico di nome Nick a cui mente di continuo. – aggiunge con aria soddisfatta. La ragazza con la frangetta le sussurra: - Meggy, così lo avrai spaventato! Non è carino stalkerare una persona e dirglielo in faccia. -. La mia attuale vicina di panchina scoppia a ridere poi spiega: - è il nuovo vicino di casa di mia nonna, per questo so nome, cognome, quando e dove si è trasferito. Inoltre è il nostro nuovo compagno di corso quindi essendo curiosa l’ho studiato un po’: essendo nella nostra stessa classe e avendo una media così alta (scoperta controllando tutti i numeri di matricola negli ultimi esami) deve avere la nostra età, arriva al terzo piano dell’edificio con il fiatone quindi non è affatto sportivo, l’ho fissato a prendere appunti quindi è mancino di sicuro, ha le unghie sulla mano destra più lunghe che sulla mano sinistra quindi suona la chitarra classica e beh ho sentito casualmente una sua telefonata con il suo migliore amico… -. Le altre due ragazze scuotono la testa notando che questa spiegazione sottolinea ulteriormente lo stalking, ma io scoppio a ridere, guadagnandomi ovviamente delle occhiatacce.
Finalmente trovo il mio panino sul fondo dello zaino e dopo averlo ammirato per alcuni istanti lo addento affamato. Il mio povero stomaco stava iniziando a brontolare dato che non ho fatto colazione…
-Comunque io sono Megan, l’altra bionda qui di fianco è Cassandra e miss “adotta un libro pesante” è Jennifer. – aggiunge ancora la mia vicina di panchina facendomi sorridere: non mi è mai capitato di incontrare una persona che volesse così tanto parlare con me. Avendo la bocca piena con il mio squisito panino faccio un lieve gesto con la mano.
Torno a concentrarmi sul mio panino ma non c’è verso: ogni trenta secondi Megan si volta verso di me con quel suo sorriso così ingenuo e mi pone una domanda, oppure mi racconta un qualche aneddoto divertente su di lei o sulle sue amiche o mi parla delle lezioni oppure trova un qualsiasi spesso assurdo topic per fare conversazione. Pian piano anche le amiche vengono introdotte del colloquio quindi in pratica si, mi trovo a parlare liberamente con queste tre ragazze e a discutere su quanto sarebbe bello essere un unicorno così come quanto sia difficile disegnare la conformazione a sedia del cicloesano.
Finita la pausa pranzo tutte e tre mi salutano sorridendo senza alcun segno di diffidenza (neppure Cassandra-Barbie). Torno in classe forse un po’ troppo sorridente, ma non mi importa: sono forse riuscito a farmi le prime amiche?
Appena tornato a casa chiamo Nicholas per raccontargli l’avvenimento, poi mi corico sul letto sorridendo e provando una immensa gioia. Sono ormai abituato ad avere più amiche femmine che maschi, quindi ciò non mi turba affatto. Inoltre Megan, Cassandra e Jennifer sembrano anche abbastanza popolari quindi diventare loro amico potrebbe farmi conoscere altre persone e quindi farmi fare nuove amicizie.
Mi trovo a fantasticare sui mille e più scenari in cui mi potrei trovare da domani e le ore passano veloci.
Come ogni sera preparo la cena, ma oggi essendo particolarmente felice mi trovo a canticchiare una canzone. Preparo il tavolo e dispongo i piatti, poi una volta finito il telegiornale i miei genitori si siedono a tavola e ceniamo in silenzio. Una volta pulito e riordinato tutto torno in camera mia. Mentre sono in bagno per prepararmi ad andare a letto mi guardo allo specchio. Per la prima volta in tre settimane mi vedo sorridere.
Vado a dormire pregustando il mio pranzo di domani e fantasticando su cosa potrebbe succedere.
Non ne sono completamente certo, ma credo di aver sognato di essere un unicorno…

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3663610