Journey; Liar. [Il diario dell'angelo.]

di NikitaCorrigan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I peccatori; ***
Capitolo 2: *** Parte I: Notte di luci e movimenti, segreti accampamenti; ***



Capitolo 1
*** I peccatori; ***


Corpi stanchi, sporchi, ricoperti di peccato. Respiri affannosi, parole, desideri proibiti. Sospiri e lunghi sguardi. Ricerche silenziose dell'anima, negli occhi.
 

Vagabondando senza una meta, perso, smarrito e in cerca di un posto che gli rammentasse anche solo vagamente la sensazione della pace negatagli, vagò nella notte. Il silenzio in gola e il freddo invernale in volto, negli occhi, sulle gote dalla pelle bianca e candida come la neve ai suoi piedi. Argentea luce della luna piena, sua malinconica e silenziosa, unica compagna. I pensieri dispersi riempivano il vuoto.

Ricordi. Ricordi di un presente ormai passato che mai più avrebbe animato la sua quotidianità. Dietro l'angelo, il più falso e dannato, sofferto, bramato, un'unica scia di orme. Era solo; solo gli spettri ad accompagnarlo.

Tra pensieri e passi, fredde parole silenziose, lacrime antiche congelate e tramutate in fiocchi di neve attraversati dalle fredde luci del nord, giunse a un labirinto. Niente strade, niente case, niente mondo al di fuori di quel luogo maledetto.

Eccomi, finalmente a casa. Da un lungo viaggio tornato
in questo labirinto d'amore che tanto ho odiato.

Recitò monocorde, apatico, mentre attraversava a piedi nudi il campo delimitato dai corridoi di siepi e rose rosse, immortali. L'unico fuoco rimasto in lui era quello ad accendergli i capelli sanguigni, attraversati da caratteristiche venature scure e coagulate, arrivando al nero delle punte.

Non aveva mai chiesto, mai preteso. Era stato quel sentimento oscuro e malato ad averlo preso.
E cominciò a ricordare.

Rapimento. Rapito da colui che spighe di grano aveva per capelli, setosi fili aurei che trattenevano il calore della primavera nel loro colore prezioso, tanto adorato. Occhi ambrati, legno, nocciole ricoperte da muschio e carbone lo avevano preso, avevano risucchiato una creatura d'inverno e morte nel mondo della rinascita. Il calore della pelle viva, calda.
E ne era rimasto stregato. Stregato, incantato da tanta bellezza.

Ti piace? Ti piace ciò che sono?

Gli era stato domandato, in quel tempo di luce e libertà. In quel tempo di allegria, calore, dolce amore. Eco di voce familiare, deliziosa, ormai portatrice di sofferenza.

Tutto questo... io posso darlo a te. Posso, voglio appartenerti. Niente più abbandono, mai più la solitudine, silenziosa morte dell'anima. Nascondiamoci, condividiamo il nostro dolore. Voglio sapere tutto di te, voglio che diventiamo un qualcosa di unico. Voglio.
Guardami.

Riecheggiò il desiderio di un ragazzo d'inverno estintosi nella neve, scioltosi sotto i raggi di quel sole che ancora non ascoltava i propri desideri.

Le memorie felici e calde, inghiottite dal tempo e da una storia ormai finita, cessarono di esistere con un sospiro. Il peso dei ricordi era troppo. 
L'angelo di ghiaccio si sciolse in preghiera, che sia dannato colui che rimpiange il passato.

Abbandonato, in ginocchio, chiese un'unica cosa all'abitante dell'altro mondo in ascolto, quello oltre il velo:

Perdono.

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Capitolo 2
*** Parte I: Notte di luci e movimenti, segreti accampamenti; ***


Richiami proibiti nella notte, danze macabre nella penombra. Nascoste, eppure tanto osservate, quelle azioni studiate di movimenti, di corpi in sintonia, di parole ipnotizzanti e di sguardi d'intesa.

Le persone festeggiavano, celebravano l'arrivo di un misterioso individuo all'accampamento. Era un ragazzo, una ragazza, giovane, adulto... indossava un mantello nero come una notte senza Luna, una notte illuminata dal fuoco e dal sangue più acceso, dalle foglie dell'autunno, dal sole tramontante. Percorse le strade con lo sguardo, avanzando attraverso esse contento e sereno. Il vedere tante persone così in estasi per la propria presenza gli fece venir voglia di unirsi ai festeggiamenti. Gli capitava spesso di giungere in luoghi isolati, le cui genti reputavano incredibili i tratti somatici di un volto tanto estraneo quanto ai loro occhi straordinario.

Erano sorridenti, loro, dai visi colorati, le pelli abbronzate, i capelli notturni e gli sguardi oscuri. Quel popolo abitava le montagne chiare e prosperose del sud, perennemente colpite dal caldo sole e accarezzate dalla fresca brezza durante la sera. Avevano delle chiome così scure e lucide che parevano colorate dall'abisso di sangue più profondo. I loro occhi neri, invece, erano armoniose gocce affusolate. Alcuni sguardi, seppur gentili, erano resi affilati dalle folte e dritte frange che arrivavano fin sotto le sopracciglia.

Mai avevano visto un essere dalla pelle pallida come quella di un cadavere, ma viva. Mai avevano visto occhi di luce e foreste selvagge come i suoi. Mai. Era una creatura rara. 

Era un Dio, tra quelle genti festose fatte di calore e affettuosi abbracci.

Si tolse il cappuccio e rivelò nuovamente il proprio volto agli sguardi stupiti. Tutti s'illuminarono a quella visione unica, mai vista se non attraverso gli occhi sognanti spinti dall'immaginazione, nutrita dalle parole di vecchi racconti.
E, tra tutti quei festeggiamenti, decise di mostrar loro un assaggio della magia di cui era fatta quella notte. Aprì la mano sinistra rivolgendo il palmo verso l'alto, sollevando di poco il capo per osservare il cielo stellato e limpido. Una lieve brezza gli passò tra i capelli rossi, agitando qualche morbida ciocca.
Da quella volta celeste, così tanto osservata e studiata dai curiosi più acuti, sembrò come discendere una delle tante stelle luminose. Bianca scintilla, elettricamente azzurra se confrontata alle tende cremisi che delimitavano le strade. Animata da forze e volontà invisibili, la stella levitò appena sopra il suo palmo liscio e roseo, mossa da morbide onde celate. Era piccola quanto il beccuccio di un pettirosso, piccolo volatile dal petto infiammato. Piume brucianti, piume insanguinate. Quello stesso fuoco nacque nell'anima della scintilla, mutandola, trasformandola in uno splendido fiore rosso. Non la nobile rosa, ma qualcosa di molto simile a un papavero. I petali ardenti erano attraversati da insolite venature dorate che, pulsando, s'illuminavano andando a ritmo con il cuore del mago misterioso. Batteva piano, regolarmente, nonostante l'eccitazione festosa che quell'atmosfera stava regalando a tutti. Sorrise, osservando i volti sbalorditi di chi aveva avuto la fortuna di vederlo. Non vi erano molte persone, ma ognuno costituiva una parte integrante del sistema. Ognuno era indispensabile. Tutti erano importanti allo stesso modo.

Posò gli occhi su una bambina di circa otto anni che per tutto il tempo non aveva smesso di studiarlo timidamente, per metà nascosta dietro la figura rassicurante e serena della madre.
Il mago dai capelli rossi balzò giù dal tavolo sul quale era teatralmente salito per essere meglio visto da tutti. Il proprio mantello si aprì come un'ombra oscura attorno alla sua figura snella e felinamente agile. Donò quel fiore alla bambina, porgendoglielo con un elegante e plateale movimento da vero gentiluomo. O gentil-ragazzo, dati i tratti delicati del suo volto. Naso all'insù, occhi grandi e chiari, labbra rosee e carnose, ma prive di qualsiasi caratteristica che le rendesse volgari. Le apparenze, tuttavia, ingannano.
Fece un cenno alla vigile madre la quale rispose gentilmente socchiudendo gli occhi, abbassando lo sguardo sulla propria amabile creatura e scostandosi lievemente da lei. Il mago dai capelli rossi, scura sfumatura di quel vivo fiore, si accovacciò davanti alla bambina.

Di fiori come questo non ne incontrerai mai, nemmeno in cento vite. È vivo e lo sarà finché lo vorrai tu, finché il tuo cuore batterà e gli darà il giusto nutrimento per vivere. puoi nasconderci il tuo cuore, se essere ferita è quello che temi di più.

Sembrò voler aggiungere qualcosa, ma si trattenne. Troppi segreti e troppa magia uccidono le giovani fantasie. Quel linguaggio intricato e reso bugiardo da ciò che non era conosciuto era difficile da comprendere, ma si affidò a ciò che la bambina avrebbe colto.
Quel fiore era reale, era nato tra le mani del rosso proprio di fronte a tutte quelle persone ebbre di vita.

Ma da dietro un angolo, nascosto col favore della semi-oscurità, qualcuno lo stava osservando. Da sotto una folta ciocca color grano lo spiavano due gocce di un limpido cielo estivo. Indecifrabilmente silenzioso nel suo inseguire di occhiate e rumorosi pensieri.
Al termine di tutto il rosso si congedò, procedendo nel suo solitario camminare tra quelle persone, tra quelle strade, tra quelle vie fatte di tende, colori, odori, sogni. Bancarelle. Venditori di desideri, desideri avverati di altre persone.
Venne tirato via dal cappuccio, condotto in un vicolo stretto e chiuso senza il minimo di delicatezza, fino ad arrivare a un piccolo tratto di bastoni e muri di tessuti tirati terminante in punto cieco e vuoto in cui erano ordinatamente piegati una serie di arazzi.

La musica spariva completamente dietro quelle pareti mute e solitarie.

Non emise alcun suono, non oppose resistenza. Conosceva bene quelle mani, quel tocco arrogante che il corpo ricordava.

Angelo.》 

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