Niente che non si possa risolvere con un mazzo di fiori

di Fauna96
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Jane Austen ***
Capitolo 2: *** Sir Arthur Conan Doyle ***



Capitolo 1
*** Jane Austen ***


Niente che non si possa risolvere con un mazzo di fiori



Jane Austen
 
Mi appoggiai con i gomiti al bancone rivolgendo a Nat un gran sorriso. – Dalla tua faccia, direi che hai combinato un bel casino, Natty-boy –
Nathaniel mi fissò. – Secondo te? – fece, acido più del succo di limone in uno yogurt scaduto (cioè tanto).
- Secondo me... – afferrai un bicchiere e gli versai generosamente dalla bottiglia di vodka – E’ un problema di donne. Se no perché saresti venuto qui a bere? –
- Allora: io non bevo. E comunque sono le cinque di pomeriggio! – scrollai le spalle. – E poi, da chi altro sarei dovuto andare? –
Non aveva tutti i torti: Kitty era fuori questione per palesi motivi, così come Queezle, se il ragazzo voleva evitare la comunella femminile; quanto a Tolomeo, povero caro, non mi sarei stupito se fosse stato ancora convinto di essere stato consegnato ai propri genitori da un volatile volenteroso.1
- E comunque – bofonchiò – lo so che ti ha già raccontato tutto Queezle, quindi non fare tanto il saccente – Da che pulpito! Tuttavia, trattenni il commentaccio che mi era già salito alle labbra e mi limitai a fissarlo speranzoso; perché una cosa era il riassunto fattomi da Queezle mentre finiva il turno, un’altra sentire il fallimento di prima mano.
Nathaniel cedette dopo qualche secondo, perché, evidentemente, aveva un gran bisogno di parlarne e lamentarsi con qualcuno. Era nato tutto dal famoso cortometraggio che Nathaniel aveva girato per la scuola2 in cui comparivano tutte le persone importanti nella sua vita tranne la sua ragazza. Devo dire che noi tutti eravamo piuttosto curiosi di conoscere la suddetta fanciulla, ma Nathaniel, con una scusa o l’altra, non l’aveva mai portata a bere qualcosa al pub, o a uscire con noi. Inizialmente, ero convinto della non-esistenza di lei, o che l’avesse scaricato dopo il primo appuntamento e Nat non volesse ammetterlo (a sentire Tolomeo, però, era più vera e splendida che mai, senza scendere a espressioni volgari, grazie molte) ma poi venne fuori il vero problema: il ceto. Ebbene sì, amici miei: eravamo troppo in basso nella scala sociale perché la dama accettasse una qualche interazione con noi; forse avrebbe degnato Tolomeo di un saluto, dato che frequentavano la stessa scuola per ricconi, ma niente di più. Il fatto che Nat preferisse noi alla cricca dei giusti era stato motivo di pesanti liti, a quanto pareva.
Ma questo è solo l’antefatto. Tornando alla pellicola incriminata, era stata infatti visionata dalla dama, che aveva notato la presenza di altre donne, in particolare quella di una certa Kitty Jones, in stridente contrasto con la propria assenza; una cosa tirava l’altra...
- Insomma, ho parlato con Kitty – borbottò Nathaniel, giocherellando con una cannuccia – Le ho spiegato che la mia relazione con Jane era già ai ferri corti prima che arrivasse lei e non volevo peggiorarla e che, insomma, era meglio se non ci fossimo più visti da soli -.
- E lei si è arrabbiata –
Nathaniel sospirò. – Certo! E ha ragione, persino io mi sentivo un idiota mentre glielo dicevo, ma non sapevo cosa fare! Io...-
Sospirai. Durante il racconto di Nathaniel avevo avuto il tempo di servire i soliti dolci ai tre ragazzini che venivano a fare merenda, litigare silenziosamente con Faquarl che occhieggiava dalla cucina, iniziare a preparare gli stuzzichini per gli aperitivi e aprirmi e mangiarmi un pacchetto di patatine.
- Vuoi il mio consiglio? Molla la tua tipa e chiedi a Kitty di uscire –
- Cosa? – berciò. – Io... non voglio mollare Jane... –
- Ok – roteai gli occhi – Allora scusati con Kitty e basta! Combina un appuntamento e falle conoscere per un allegro menage à trois! O in alternativa, sparisci dal Paese -.
Onestamente: aveva capito di più delle relazioni Titty, la ragazzina di sette anni che viveva sotto me e Queezle a cui facevamo da babysitter qualche volta. La pura e semplice verità era che Kitty Jones e Nathaniel Underwood si erano girati attorno sin dal giorno 1 e, nonostante un inizio burrascoso, erano diventati buoni amici... ma con sotto una tensione sessuale che Faquarl avrebbe potuto affettare e infilare in un panino.
Come uno spirito maligno evocato, Faquarl infilò la testa fuori dalla cucina e sghignazzò: - Stai dando consigli sulle relazioni, Bartimeus? Tu?
- Vorresti forse proporti tu, che non esci con qualcuno da, mmm, sempre? – lo rimbeccai, ma lui si rivolse a Nathaniel: - Ragazzo, se ascolti lui ti ritroverai a venticinque anni suonati a correre dietro alla tua coinquilina, senza combinare un bel nulla –
Nathaniel mi guardò perplesso. – Ti piace Queezle? –
Sospirai. – E’ una verità universalmente riconosciuta che tra due amici di vecchia data debba nascere qualcosa, specie se vivono insieme, anche se per una mera questione di risparmio –
- Ti prego, quasi scodinzoli quando la vedi – sogghignò Faquarl – E comunque, non hai risposto alla domanda del ragazzo –
Il ragazzo in questione aveva l’aria di desiderare di poter scivolare fuori il più silenziosamente possibile e, probabilmente, piangere la sua incapacità al buio della propria stanza; gli diedi tale opportunità: - Lascialo stare, non hai sentito i suoi problemi? Anche se potrei sottolineare, Faquarl, che quantomeno lui ha problemi sentimentali –
Forse è meglio che vi risparmi il seguito, ma tant’è: le persone dalla mentalità ristretta come Faquarl non riescono ad accettare che una persona possa non essere interessata a portarsi a letto la propria migliore amica, per quanto bella sia. Perché non lo negherò, Queezle era bella, e intelligente, e sarcastica, e... Queezle. Va bene, ci flirtavo ogni tanto; va bene, ammetterò anche che condividere un bagno porta notevoli vantaggi... ma ero sicuro che se le avessi dato fastidio, lei me l’avrebbe detto (o mi avrebbe picchiato, non è che andasse per il sottile).
Comunque, parlare con Faquarl mi faceva sempre venire il nervoso, per cui a fine giornata l’unica cosa che volevo era spaparanzarmi sul divano con qualche schifezza a guardarmi un considerevole numero di episodi del Trono di Spade3. Peccato che sul mio divano4 si fosse piazzato un intruso.
Ora, mettiamo subito in chiaro le cose: Zeno mi stava abbastanza simpatico e non avevo alcun problema con lui (anche se effettivamente non è che gradissi assistere alle sue effusioni con Queezle. Ma dipendeva dalla mia avversione alle effusioni in generale). Mi scocciava solo il fatto che occupasse il mio posto e quindi, se fui vagamente scorbutico, fu colpa di Faquarl e del nervosismo accumulatosi. Lo cacciai forse di casa? Nossignore. Ma la ramanzina di Queezle me la cuccai comunque.
- Devi smetterla di trattarlo male – sibilò, piazzandosi apposta davanti alla tv. Chi fosse più carino tra lei e Jon Snow era una bella sfida, ma Queezle non era ancora diventata Lord Comandante. – Ti comporti sempre così, quando esco con qualcuno un po’ di più e con Zeno sei particolarmente rompiballe –
- Non è affatto vero – replicai, rinunciando a vedere sopra la sua massa di capelli biondi – Non lo tratto peggio di chiunque altro, anzi, meglio di qualcuno –
- Non avresti mai strapazzato Tolomeo perché era seduto sul divano – Punto per lei.
- Dico, hai mai guardato in faccia quel ragazzino? Ti sfido a dirgli una sola parola cattiva5 – Pareggio, direi. Mi preparai a una stoccata di quelle velenose, ma con mia sorpresa, Queezle si passò una mano sulla faccia e borbottò: - D’accordo. Tanto hai sempre ragione tu, no? – e mi lasciò lì.
Ero sconcertato. Di più, scioccato. Queezle non la dava vinta, soprattutto a me, e adorava litigare: io e lei ci divertivamo a vedere chi urlava di più e poi a fare pace con qualche piatto esotico bruciacchiato. Così... era come comprare qualcosa già scontato.
Con una punta di rimpianto per la mia serata tranquilla, le corsi dietro in camera sua, dove stava mettendo ossessivamente a posto l’armadio. Ordine da stress.
- Queez! Insomma, si può sapere che ti prende? –
Mi fissò sospirando. – Nulla, Bart. Lascia perdere, ok? Probabilmente mi devono arrivare –
Ci sono certe cose che un uomo non vorrebbe e non dovrebbe sapere; purtroppo, vivevo spalla a spalla con Queezle da un imbarazzante numero di anni per ignorare alcuni dati personali.
- Non è vero, avresti già fatto fuori tutte le patatine e i salatini – sbuffai. – Domani mi scuserò con il tuo ragazzo, va bene? Gli manderò un bigliettino e dei fiori, se ti fa piacere –
- No, Bart – mi gettò in faccia un paio di leggins – Non è questo il punto. Cioè, è parte del punto –
Chiamatemi lento, ma qui era più complicato di un intrigo ad Approdo del Re. La fissai. Lei alzò un sopracciglio. – Non è Zeno il punto, Bartimeus –
Aprii la bocca senza sapere bene cosa dire, perché se Zeno non era il punto, qui le parti in gioco restavamo giusto io e lei.
Oh.  Oh. Possibile che...?
Cercai di leggerle l’espressione: sembrava volesse strangolarmi con i leggins. Invece, alzò gli occhi al cielo, fece una specie di sbuffo e mi mandò a comprare un barattolo di gelato.
 
Quando avevo conosciuto Queezle, ricordo di essere stato leggermente invidioso di lei: se piangeva così, voleva dire che sentiva la mancanza di qualcuno che le voleva bene, che c’era una famiglia che forse la stava cercando; io ricordavo a malapena il volto di mia madre. Ma mi ero affezionato in fretta a lei, soprattutto visto che usava il cervello, oltre a frignare e a tremare di paura come gli altri. Non che gliel’avessi mai detto: doveva o no imparare a cavarsela da sola?
Ormai, comunque, eravamo troppo ingombranti l’uno nella vita dell’altra per pensare a due strade separate. Era piacevole pensarlo? No, soprattutto viste le possibili implicazioni che potevano essere venute alla luce. Cioè, un po’ lo era, ma non troppo. Non se si era addormentata sul divano addosso a me e non si sarebbe spostata fino al mattino. Ma quando dormiva era decisamente troppo carina per essere svegliata.

 
 

E’ una verità universalmente riconosciuta che uno scapolo provvisto di un ingente patrimonio debba essere in cerca di moglie.
 
Jane Austen, Orgoglio e pregiudizio
 
 
 
1Ero cinico a dare per scontato che fossimo gli unici amici di Nathaniel? Forse. Ma avevo anche ragione.
 
2Che tempi: una volta, altro che girare filmini, dovevi solo sgobbare a scuola. Be’, non che sia un esperto, ho frequentato molto poco la scuola.
 
3Queezle sosteneva che lo guardassi solo per la presenza di fanciulle disinibite. Non era affatto vero: anche per i draghi. E i giganti.
 
4Che, incisivamente, era anche il mio letto. Siccome i prezzi a Londra erano stellari, io e Queezle potevamo permetterci un appartamento con una sola camera da letto e io avevo cavallerescamente sacrificato la mia schiena al posto di quella di Queezle. Verrebbe da dire che trovare il divano libero a fine giornata fosse un ringraziamento minimo e dovuto.
 
5Per la cronaca, Tolomeo stesso si asteneva dal dire insulti, parolacce o qualunque cosa leggermente volgare e spesso faceva sentire tutti noi inadeguati quanto carrettieri a un ballo di gala.





Forse avrei dovuto pubblicare questa storia a febbraio visto il tema, ma così è andata. immagino avrete intuito su quali personaggi mi concentrerò, ma ovviamente saranno presi anche gli altri (dalla regia, Tolomeo ci tiene a far sapere che sa come nascono i bambini).
Ogni capitolo s'intitolerà come un diverso autore inglese, ovviamente, di cui ruberò qualche bella citazione sull'ammore.
Altro non so dirvi, se non di non giudicare troppo male Bartimeus: non so se vi sia capitata quella situazione in cui vuoi bene a una persona ma non è ben chiaro in che modo. Queezle, ovviamente, è sempre un passo avanti. Per quanto riguarda il povero Zeno, mi è sempre parso che Bart fosse un pochino astioso nei suoi confronti, nell'Occhio del golem ;)

 

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Capitolo 2
*** Sir Arthur Conan Doyle ***


Sir Arthur Conan Doyle
 

Sapevo di non essere bravo a capire i sentimenti e le emozioni altrui, ma soprattutto miei; da bambino ero stato definito in molti modi, il più semplice dei quali era “difficile”. Immagino fosse vero: non ho molti ricordi dei primi anni della mia vita e, soprattutto, della mia vita con i miei genitori. Uno psicologo una volta mi disse che il nostro cervello cancella i ricordi ritenuti troppo dolorosi: non che i miei genitori mi abbiano mai maltrattato, ma credo che, effettivamente, ricordarli con precisione mi farebbe più male che bene.
Per farla molto breve, avevo imparato presto a reprimere le emozioni, le lacrime come le risate, tranne in presenza di poche persone fidate: zia Martha e la signora Lutyens, la mia insegnante di disegno di quand’ero bambino. Per abitudine, uno inizia a scacciare immediatamente le reazioni spontanee, fin quasi a non provarne più.
Ormai ero diventato ciò che tutti si aspettavano diventassi: studente modello serio e responsabile, ma non un secchione (in realtà lo ero, lo ero sempre stato) con persino una bella ragazza. Jane era un anno avanti a me e rappresentava tutto ciò che avevo sempre desiderato avere, un ideale più che una persona in carne e ossa. A quattordici anni la vedevo in giro per i corridoi della scuola, sempre in compagnia di ragazzi più grandi, dolorosamente irraggiungibile per me, che all’epoca stavo crescendo in altezza ma anche in goffaggine, e non riuscivo a fare un passo senza inciampare, figurarsi rivolgerle la parola. Piuttosto patetico, ma quale quattordicenne non lo è?
Ma i veri problemi, contro ogni mia previsione e speranza, erano cominciati dopo, quando Jane Farrar era entrata nella mia vita e si era rivelata non un’idea bensì una persona molto reale. Passati i primi tempi, mi ero sentito sempre più a disagio nel suo ambiente, circondato da persone che nel profondo mi erano indifferenti o addirittura disprezzavo. Per molto tempo, l’unico vero amico che sentivo di avere era Tolomeo, del quale sapevo poco o niente, e viceversa. A quanto pareva, crescere non mi rendeva meno patetico.
Gli amici di Tolomeo erano completamente diversi da ogni altra mia conoscenza e questa cosa mi destabilizzava: ci conoscevamo da pochissimo, perché mai quell’irritante barista mi mandava messaggi a ore improbabili con contenuti ancora più improbabili? E, più importante, come diavolo aveva ottenuto il mio numero?
Quanto a Kitty Jones... non sapevo davvero cosa pensare. Ammetto di aver avuto per molto tempo una concezione estremamente ristretta (misogina, avrebbe abbaiato lei) della donna, anche perché potevo dire di conoscere bene solo mia zia e lei... be’, era il prototipo della zia premurosa, sempre a cuocere biscotti e ad occuparsi di me e dello zio e della casa. Poi c’era la signora Lutyens, che probabilmente associavo a una dea, quasi, perché oltre a essere bella e gentile, era la persona più intelligente che conoscessi, con un’inspiegabile fiducia in me. Fino a Jane, non avevo incontrato altri tipi di donne; se fossimo stati in un romanzo, lei sarebbe stata la femme fatal, immagino.
Ecco, Kitty non rientrava in nessuna di queste categorie e la cosa, inconsciamente, mi gettava nel panico. Era determinata quanto Jane, ma le mancava la sua malizia: Kitty era sincera e diretta, testarda e appassionata e mi dava l’impressione di potere e volere morire per un’idea. Non penso di aver mai avuto una tale forza di volontà e probabilmente l’ammiravo per questo. Lei no, ovviamente: c’era ben poco in me da ammirare.
La notte (be’, mattino) di Capodanno ci eravamo lasciati... bene, credo, per due sconosciuti che si erano trovati a brindare insieme; dal canto mio, ero convinto che non ci saremmo più rivisti e forse sarebbe stato meglio così, considerata la litigata epocale che mi aspettava con Jane. Invece, piuttosto inaspettatamente e per ragioni a me sconosciute, mi ero guadagnato la simpatia (o la pietà?) dei componenti di quella bizzarra banda, che presi così a conoscere meglio. In questa prima fase, Kitty Jones mi risultò brusca e terribile; ammetto che buona parte della colpa fu mia, perché da qualche battuta di Bartimeus avevo intuito che Kitty avesse un passato burrascoso da teppista, ma lei fece ben poco per farmi cambiare opinione: ogni cosa che dicevo mi procurava un rimbrotto, una critica non troppo velata a me, alla mia vita e ai miei “privilegi”. Ne ero offeso, anche perché Tolomeo, che era nelle mie stesse condizioni di vita, non riceveva alcun rimprovero. Ma, siccome sono sempre stato un vigliacco (e Kitty era piuttosto spaventosa), mi limitavo a stare alla larga da lei, per quanto possibile.
Non so bene come e perché, ma caso volle che una sera mi trovassi faccia a faccia con lei sulla metro; ero piuttosto stanco per cui, quando lei fece un commento sarcastico sul fatto che fossi tra i comuni mortali, la rimbeccai piuttosto acidamente. Non ricordo cosa dissi, ma ricordo che mi sentii in colpa un minuto dopo; tuttavia, incrociando il suo sguardo, vi lessi un certo stupore che in qualche modo mi inorgoglì.
Restammo a lungo in silenzio, pressati l’uno all’altra dalla folla, finché Kitty sbuffò sonoramente. – Immagino di doverti delle scuse – tenni la bocca chiusa. – L’altro giorno persino Tolomeo mi ha sgridato... oh, la mia fermata –
Colto alla sprovvista, non riuscii a fare altro che farmi largo a gomitate e seguirla, ignorando il fatto che la mia fermata fosse ben lontana. Chiamatemi meschino, ma... Kitty Jones si stava davvero scusando con me. Assurdo.
Si voltò sorpresa e le sorrisi conciliante, sperando di apparire disinvolto.
- Mi segui? –
- No, certo. Devo scendere anch’io qui –
Alzò le sopracciglia, ma fortunatamente si tenne per sé i propri commenti.
- Dicevo – sospirò – che so di essere stata stronza. Ma le persone come te... –
- Cosa vuoi dire con ‘persone come me’? – intervenni – Tu non mi conosci! Mi stai solo giudicando in base a... alla mia scuola e alla mia famiglia... –
- E’ quello che hai fatto tu! – mi ruggì contro – Non so cosa tu creda di sapere su di me, ma evidentemente mi ritieni una delinquente perché non vado a scuola! Perché penso che le persone privilegiate dovrebbero smetterlo di sbatterlo in faccia agli altri! –
- Non sono affatto privilegiato! – gridai – Ma tu non lo sai, perché non ti sei mai disturbata a chiedere, a conoscermi! –
Ci fissammo nel bel mezzo del sottopassaggio finché non cedetti e spostai lo sguardo sul muro ricoperto di graffiti; era estremamente raro per me arrabbiarmi così e ancor più esprimerlo. Mi sentivo in imbarazzo; feci per voltarle le spalle e sperare che il terreno mi inghiottisse, ma lei mi acchiappò prima che potessi filarmela e mi tirò gentilmente verso l’uscita.
- Hai ragione – disse, una volta all’aria aperta. – Io non conosco te e tu non conosci me: prendiamo un caffè insieme e raccontiamoci le nostre vite –
- Cosa? – boccheggiai. Dopo la mia (e sua) sfuriata, un’offerta di pace era l’ultima cosa che mi aspettavo.
Kitty Jones mi sbalordì immensamente quel giorno, e forse anche io la stupii, o comunque riuscii a farle cambiare idea su di me, visto che iniziammo a prendere un caffè insieme molto spesso. Kitty non voleva il Nathaniel impassibile e bravo a scuola, né l’animaletto sociale che mi pareva talvolta di essere con Jane: voleva una persona con cui discutere, anche litigare, bastava fosse viva.
- Mi sembravi un robot – ammise una volta. – Tutto rigido e ingessato e perfettino. Con le opinioni prestampate e senza emozioni – mi fece un sorriso sbilenco – Scusa -.
Ricambiai, mescolando il tè. – Lo so. Non mi piace molto che gli altri capiscano quel che provo –
Kitty aggrottò le sopracciglia. – Tu credi? – diede un gran morso alla pasta e il cioccolato le sgorgò sul mento.
- Cosa intendi? –
Dopo aver deglutito ed essersi pulita alla bell’e meglio, rispose: - Non credo, sai. Tu ti blocchi, forse, ma in realtà penso proprio che tu abbia un gran bisogno di parlare. Semplicemente, non ti fidi delle persone. Ti capisco -.
Non considerai mai quei pomeriggi appuntamenti, perché... be’, non lo erano. Credo. Insomma, io non avevo mai avuto molti amici, men che meno amiche, quindi all’inizio mi ero trovato abbastanza in imbarazzo; poi, lentamente, Kitty entrò nel mio quotidiano. Non mi stupiva più trovare suoi messaggi tra una lezione e l’altra (nemmeno di quelli di Bartimeus, ma quelli li ignoravo quasi sempre) e avevo quasi preso a considerare i pomeriggi insieme una tradizione.
In tutto questo, però, non mi dimenticavo di Jane e del resto della mia vita, ovviamente; solo... era scesa un po’ più in basso nelle mie priorità.
Detta così sembro una persona veramente meschina, e anche robotica, visto che organizzo e programmo tutto e tutti nella mia vita; ma fare così mi dava un senso di sicurezza, dato che nella mia vita c’era stato ben poco che potessi controllare: a cinque anni, i miei genitori se n’erano andati lasciandomi per mesi in un istituto finché gli Undewood non mi avevano preso con loro. Non erano miei zii in realtà, solo parenti, probabilmente anche piuttosto lontani; tutto sommato, ero stato anche abbastanza fortunato, ma ovviamente avevo capito poco e deciso nulla della dinamica del mio affidamento. Non dico che un bambino così piccolo avrebbe potuto o dovuto fare qualcosa: era una sensazione che era venuta molto più tardi, crescendo.
Quindi sì, ero piuttosto maniaco del controllo e forse era anche per questo che Kitty m aveva tanto destabilizzato: per lei, nella mia vita, non era stato previsto alcuno spazio, se l’era preso lei con la forza. E io... gliel’avevo permesso, senza rendermi conto di quanto mi stessi affezionando. A sentir Jane, troppo.
Bartimeus la faceva semplice, come la maggior parte delle cose; lo invidiavo per la sua leggerezza. In tutta sincerità, non sapevo se amavo Jane; ma stavamo bene insieme (di solito) ed eravamo una bella coppia a detta di tutti ed era giusto stare con lei... Ma allo stesso tempo, come poteva essermi venuto in mente di eliminare Kitty dalla mia vita?
Quella sera, passai un quarto d’ora a fissare lo schermo del cellulare e chiedermi cosa scrivere, e a chi, dopodiché provai vergogna per aver pensato di sbrigarmela per messaggio. Probabilmente in casa si doveva risentire del mio pessimo umore, perché zia Martha aveva preparato per dolce la torta alle mele, la mia preferita, e zio Arthur si degnò addirittura di chiedermi “come andassero le cose”.
Kitty non si faceva sentire da quel giorno disgraziato, giustamente, ma anche Jane pareva farsi pregare, il che mi faceva infuriare ancor di più, dato che mi ero messo in quel pasticcio sotto sua istigazione. Se fossi stato più onesto, però, avrei dato la colpa a non altri che a me stesso.
Verso le due di notte ricevetti un messaggio da Bartimeus: Sei ancora sveglio a rimuginare?
Già, risposi senza nemmeno fingere di essere appisolato.
Male! Smettila di pensare una buona volta! Tanto, loro sono sempre venti passi avanti a noi. Kitty specialmente, Natty-boy.

 


Ma, per un professionista del ragionamento, ammettere questi elementi estranei nel delicato macchinario di precisione del proprio temperamento equivaleva a introdurre in esso un fattore di distrazione che avrebbe potuto pregiudicare tutti i risultati mentali.
 
Sir Arthur Conan Doyle, Le avventure di Sherlock Holmes: Uno scandalo in Boemia
 
 
 


Ho notato che tendo a scrivere solo Bartimeus in prima persona e mi sono detta no, ora lo faccio anche per gli altri. E Nathaniel... be’, è stato pure più facile di quanto pensassi. Spero si siano capiti i suoi dubbi, il perché fa quello che fa; alla fine, mi sono limitata ad “ammorbidire” un po’ la sua storia. Scegliere la frase per lui era stato molto complesso... meno male che quando ho progettato tutto questo avevo appena finito la quarta stagione di Sherlock, per cui, perché non usare proprio lui e quel racconto in particolare? Spero vi stia piacendo questo particolare modo di procedere.
Grazie a tutti voi lettori e ad Alsha in particolare ♥ A presto!

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