Never again

di Kate_88
(/viewuser.php?uid=1947)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Hannah ***
Capitolo 3: *** Blake ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Buon lunedì a tutti! Oggi torno con un piccolo esperimento. È la prima volta che provo a scrivere una storia originale, quindi non so bene come si svilupperà in seguito, ma ecco. Voglio provarci. Ho messo come genere anche Introspettivo, perché sarà narrato in prima persona dall protagonista, ma scoprirete che non sarà l'unica voce narrante di questa storia. Insomma, io ci provo!
Buona lettura,
Kiss, Kate_88.

 

Scegli me. Scegli me. Scegli me.

Ripetersi mille volte nella testa di essere scelti, non funzionava. Non funzionava per una semplice partita di pallavolo, nell'ora di ginnastica, non funzionava nelle squadre scolastiche, non funzionava mai. Non era così per tutti, era così solo per quelle persone che appartenevano alla categoria dei nerd, secchioni, grassi - ciccioni per i compagni di scuola - emarginati. Insomma, una percentuale alta di studenti, se prendiamo in considerazione la popolazione di un liceo, ma insufficiente a ribellarsi a quel mucchio di persone che invece comandavano. Quelle che nessuno rimproverava se ti dicevano Cicciona! davanti a tutti, quelle che nessuno ammoniva se ti tiravano i capelli nel corridoio per farti inciampare o se ti nascondevano il pranzo come monito per dimagrire. C'erano quelle persone e poi c'ero io, che ho sofferto per anni al liceo, anni che nessuno mi avrebbe ridato e che nel tempo hanno contribuito a formare una corazza così dura che raramente qualcuno avrebbe penetrato.

Sono Hannah Morgan e nella vita ho fatto quelle cose che fanno normalmente tutte le persone della mia età: ho studiato, concluso il liceo, ho frequentato il college e adesso mi appresto ad entrare nel mondo del lavoro. Direi che è una vita comoda la mia, da ogni punto di vista. Non ho mai avuto problemi a studiare, questo perché avevo così pochi amici che i pomeriggi li potevo passare a casa a leggere e studiare. Al college ho scoperto che partecipare a qualche festa non era poi disastroso come pensavo, così ho iniziato a relazionarmi con le persone. Il college è diverso dal liceo. Al college ci sono gli idioti, ma ci sono anche le persone più grandi, adulte. Ho sfruttato quegli anni per riscattarmi dall'adolescenza, così ho scoperto cosa significa incontrare persone, conoscerne alcune in maniera più approfondita, stabilire amicizie e contatti. Ho incontrato un ragazzi, anzi più di uno, ho amato, ho perso la verginità e tutto in modo decisamente comodo.

Perché? 

Perché ho scoperto, al college, che il mio culo e i miei fianchi da 102 centimetri non erano un problema così grande. Che va bene se allo specchio assomiglio più ad una pera e va bene anche se nell'immaginario mondiale rientro nella sezione curvy, ma che posso farci? Ho preso in mano la mia vita, sono dimagrita, ma non posso chiedere al mio corpo più del dovuto, non posso lottare contro la genetica, non troppo almeno. Ho scoperto che non è un dramma prendere una taglia 44 se la 42 non entra, e non importa se non sfilerò alla prossima settimana della moda. 

Sono felice. Lo sono davvero, ma ci sono cicatrici che ancora fanno male e il destino ha deciso di stuzzicarne proprio una in particolare. 

Ho sempre desiderato essere un aiuto, un monito per gli altri ma tra le mani ho il mio contratto di lavoro e devo decidere se firmare, se tornare alle origini. Se accettare di diventare Consulente Scolastico al mio vecchio liceo, in quel posto infernale dove il corridoio è peggio del Far West e le aule sono ring senza esclusione di colpi.

Pensa, Hannah. Pensa. Non sarà poi un dramma, no?

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Hannah ***


Buongiorno! Primo aggiornamento di questa mia storia originale. Prima di tutto ringrazio quelle persone che hanno inserito la storia tra le seguite, mi ha fatto molto piacere. Spero continuerete a leggere e recensire questo mio esperimento. Questo è il primo vero capitolo. Per scelta, i capitoli non saranno molto lunghi e alterneranno i PoV. Oggi tocca ad Hannah... Se vi piace (o anche se non vi piace) ditemelo, magari con una recensione, così mi aiuterete a migliorare.
Kiss, Kate_88.

 

Ho accettato il lavoro, firmato il contratto e fatta la piastra. Non in questo preciso ordine. Firmare quei fogli, rendersi conto che ormai non si scherza più è stato un vero colpo per me. Tornare al liceo, chi ci avrebbe mai pensato? D'altronde quando si salutano i compagni alla cerimonia dei diplomi, non ci pensa nessuno a rimetterci piede.

A quanto pare, io si.

Davanti allo specchio della camera, ho assunto la posizione da supereroe. Se ce la fa Superman, chi sono io per sminuirmi?
In piedi, schiena dritta, sguardo all'insù, braccia piegate e mani sui fianchi. Una perfetta idiota in carica.
Sistemo la giacca spiegazzata, la camicia bianca, la gonna del tailleur e osservo il tutto allo specchio; quell'arnese restituisce un'immagine che potrei anche accettare. La giacca bianca a righe blu si sposa bene con la gonna che ha lo stesso colore delle righe e che comprime un po' i miei fianchi, tanto da dare una bella forma tonda al mio sedere. Fossi un uomo, mi fischierei mentre cammino.  Tacco non troppo alto per un decolleté nude, ballerine in borsa e capelli sciolti.  Ho un'aria professionale ma non da bacchettona, perché come diceva spesso il mio professore al college, devo fare in modo che mi vedano come un'amica e una confidente.
Sono pronta per il massacro.

L'ingresso della scuola non è mai cambiato. Cinque gradini bianchi per l'accesso, due porte antipanico e la certezza che oltrepassate quelle ci si ritrova circondati da adolescenti in piena crisi ormonale, isterici e con la voglia di spaccare il mondo.
Bentornata al liceo, Hannah. La mia testa mi ama.
Appena metto piede dentro l'edificio, vengo assalita dal vociare dei ragazzi e alla vista mi rendo conto che niente è cambiato: un corridoio con tante porte, scale e armadietti. Armadietti ovunque. Cerco il mio e ma sono nel corridoio sbagliato, così ci ripenso e imbocco le scale per salire al primo piano, dove si trova l'ufficio del preside, con la porta chiusa e le tende bianche abbassate, per non far vedere cosa succede all'interno. Un bel respiro, sistemo di nuovo la giacca - per evitare figuracce - scrollo le spalle, butto fuori l'aria e busso. A salvare il mondo, Superman ci avrebbe messo meno tempo.

«Avanti» Una voce profonda mi invita ad entrare e quando metto piede in quell'ufficio spoglio lo osservo. Il preside. Lo stesso preside. Quella persona che per anni è stato qui ad ascoltare i guai che tutti combinavano, decidendo se sospendere o passarci sopra. Invecchiato ma è sempre lui. Il preside Torpe mi osserva, con il volto segnato dalle rughe per gli anni che passano, i capelli chiari concentrati ai lati, sopra le orecchie, i più radi in alto, e quella postura eretta che fatica a tenere, costretto anche dal peso dovuto ad un lavoro sedentario.

«Preside, buongiorno. Sono Hannah Morgan, la nuova consulente scolastica.»

«Hannah Morgan? Ah, si mi ricordo. Lei studiava qui, non è vero? È bello vederla di nuovo qui. Le risorse umane hanno pensato fosse l'ideale assegnarla qui, visto che è stata una nostra studentessa.»

«Si. Alle risorse umane hanno un particolare senso dell'umorismo.»

«Scusi?»

«Niente. Ogni tanto, quando sono nervosa, il sarcasmo fa a cazzotti con il buonsenso.» mi limito a scuotere il capo, riprendere fiato, concentrando l'attenzione per qualche secondo sulla scrivania in probabile truciolato, in completo disordine tra piante finte, fogli sparsi e fotografie della famiglia. «Può farmi vedere dov'è il mio ufficio? Vorrei iniziare a sistemare così da poter essere attiva già da oggi.»

«Ma certo! Venga con me.» Si alza con una lieve fatica, spingendo sui braccioli della sedia girevole, con uno schienale che sembra così comodo che gliela potrei rubare nella notte.

Mi accompagna al piano di sotto, superiamo il corridoio d'ingresso e svoltiamo, ritrovandoci nell'altro lato di quell'edificio immenso. Vedo il mio armadietto, numero 320 e sorrido, prima di rendermi conto dell'assurdità della situazione. L'ufficio si trova proprio di fronte al mio vecchio armadietto. Oggi il Karma gioca a carte con il destino.

«Questo è il suo ufficio. La vecchia consulente l'ha svuotato del tutto quando è andata via, dice che l'aveva personalizzato molto.»

Guardo all'interno e sollevo le sopracciglia. Devo ringraziarla, perché almeno ha lasciato la scrivania e una sedia. Molto gentile da parte sua, insomma avrebbe potuto portarsi via anche quelle ma l'ha lasciate. Un ufficio completamente vuoto, senza finestre, con l'aria condizionata, una scrivania e una sedia.

«Lo sistemerò in questi giorni» è l'unica cosa che riesco a dire al preside prima di salutarlo e rinchiudermi nel mio ufficio, abbassando le tende che gentilmente la vecchia consulente non si è portata via.

 


Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Blake ***


Dlin Dlon! Eccomi qui! Finalmente torno ad aggiornare questa storia e soprattutto diamo il benvenuto a Blake, il nostro personaggio maschile. Ho deciso che anche con Blake avrei usato un po' di ironia, meno forte rispetto ad Hannah, ma comunque ironico, altrimenti mi annoio! Grazie alle persone che leggono, grazie ancora di più a chi recensisce. Io spero che con il tempo questa storia vi piaccia ancora di più e spero vi piaccia Blake, perché io lo immagino super figo, quindi devo cercare di far passare questa figaggine attraverso le parole. 
Buona lettura!
Kiss, Kate_88.

 

 

Dobbiamo parlare

Se una donna ti dice queste due parole, sei fritto. Questa è una po' una verità universale, un luogo comune certificato, una tesi confermata. Se una donna pronuncia queste due parole, devi smettere di fare qualunque cosa tu stia facendo in quel momento, devi guardarla, evitare espressioni contrariate o divertite. La devi guardare, mostrare uno sguardo un po' titubante e soprattutto molto, ma molto dispiaciuto. Questo è ciò che devi fare se una donna ti dice che deve parlare con te. Non è quello che ho fatto io. 

Guardo Elizabeth con espressione dubbiosa, mi mordo l'interno della guancia per non farle capire che preferirei andare a lavoro piuttosto che ascoltarla; lei mi guarda dall'isola della cucina che separa l'ambiente del cibo dal salotto, dove di solito in realtà mangio. Ho le chiavi in mano, le rigiro freneticamente tra le dita e alla fine mi decido.

«Che succede?»

«Hai pensato a quello che ti ho detto?»

Ci ho pensato? No. Non ho pensato alle sue parole, non ci voglio pensare e non ci penserò in futuro. Non so come dirglielo perché non conosco un modo carino per farle capire che mettere su famiglia con lei è l'ultima delle mie preoccupazioni. Pensavo che non saremmo mai arrivati a questa discussione, perché se una volta ti dico che devo pensarci e non affronto più quell'argomento, nel linguaggio maschile significa che non voglio figli, non al momento, e probabilmente non con te. Eppure Elizabeth adesso mi guarda, avvolta nella sua vestaglia rossa, semi aperta davanti in grado di farmi vedere le colline del suo seno generoso. Lei sa che effetto mi fa, sa che adoro quel corpo e gioca la carta della seduzione. Ecco perché rimane appoggiata all'isola dal piano in legno d'abete, con l'apertura generosa che mostra tutta la sua voglia di fare un bambino. 

Un punto a favore per Elizabeth: le sue tette crescerebbero ulteriormente.

«Non credo sia il momento adatto per mettere su famiglia. Ho iniziato a lavorare da poco, abbiamo un affitto da pagare e...»

«Io guadagno più di te. Ho due anni più di te, un lavoro in azienda e uno stipendio niente male. Contribuisco alle spese di questa casa, che sai bene mi piaccia poco, vivo in questa città con te quando mi piacerebbe spostarmi, andare verso New York e invece siamo qui, a Seattle e Dio solo sa quanta pioggia prendo ogni settimana!»

Adesso urla. Non troppo, quanto basta per darmi fastidio. Faccio un passo indietro, sia dentro la casa che nella mia testa. Conosco Elizabeth da quattro anni, quando da giovane laureato mi sono imbattuto in un'azienda che cercava un giovanotto tuttofare, con muscoli a sufficienza per spostare scatoloni e all'occorrenza fare fotocopie. Lei lavorava come assistente al reparto vendita, due anni più grande con più esperienza, una laurea in economia e due tette e un culo che quando l'ho vista la prima volta ho creduto d'impazzire. In seguito mi sono accorto che anche il viso non era niente male, con dei capelli neri lunghi da far paura, gli occhi credo azzurri e la pelle liscia. Di Elizabeth ho sempre guardato il corpo, ma lei ogni tanto ha bisogno di sentirsi dire che la amo, anche se ad essere onesti non è proprio vero.

«Blake mi sono stufata. Ho trent'anni e voglio mettere su famiglia! Stiamo insieme da tanto ormai. Non vuoi mettere su famiglia con me?»

Houston, abbiamo un problema. La mia testa adesso esplode. Sapevo che prima o poi sarei arrivato a questo punto, che avrebbe capito tutto, ma non pensavo ci arrivasse oggi e precisamente di mattina, quando sa che ho i ragazzi che mi aspettano per l'allenamento.

«Ma non potremmo parlarne, che ne so, tra qualche tempo?»

«Blake, rispondi.» Si tira su, si stringe la vestaglia e quindi si copre. Segno di guai. «Lo vuoi o no, un figlio da me?»

L'avevo detto che Dobbiamo parlare è una frase infima, bastarda e ti può mandare a puttane la giornata? Se una donna ti fa una domanda secca, così senza via d'uscita, puoi rispondere o nel peggiore dei casi...

«Blake ma tu mi ami?»

... aspetti che rincari la dose per fotterti totalmente. Lascio scivolare le chiavi nel cappotto, come a dimostrarle che ci sto pensando e che non ho fretta di andare a lavoro, anche se gli allenamenti iniziano tra cinque minuti, quindi mi lascio andare ad un profondo sospiro.

«Lo sapevo. Quella storia che tu mi avresti amata, che un giorno avresti dimenticato chi ti ha rifiutato, erano tutte puttanate. Sei solo un uomo che non vuole crescere, un bambino che non è in grado di decidere cosa fare della sua vita. Sei solo un coglione Blake. Al ritorno non mi troverai.»

Potrei parlare. Potrei dirle che sbaglia e che la amo ma non è vero; in verità io una decisione l'ho presa, solo che ho troppa paura di una donna incazzata, quindi mi limito a fare la faccia da cane bastonato, annuisco ed esco da casa. 

Ho lasciato Elizabeth dentro casa da sola, consapevole che al ritorno potrei trovare l'abitazione in fiamme o nel migliore dei casi, con tutti i miei vestiti stracciati e minacce di morte scritte allo specchio con il rossetto rosso, eppure mi sento rilassato. Da domani mattina non troverò al mio fianco una donna incazzata che vuole un figlio. Aspetto di guadagnare qualche metro da casa, poi mi metto a correre per raggiungere i campi dove sicuramente un gruppo di ragazzi mi sta aspettando per gli allenamenti. Io oggi ho preso la decisione di non risponderle, forse sono stato crudele o forse le ho evitato di sbatterle in faccia la triste realtà: non l'ho mai amata. Stavo bene con lei, ma quello che provavo non si avvicinava neanche lontanamente ai sentimenti provati anni prima, quando sono stato investito da un amore che mi ha distrutto. Ecco, se una persona riesce a vivere un amore intenso come quello da cui sono stato investito io, non può accontentarsi in futuro. Deve sempre cercare qualcuno che riesca a fargli provare quella stessa forza, che lo consumi d'amore e di sentimenti. Una persona che ti ferisce se litiga con te e che è in grado di guarire tutto con un bacio. Con Elizabeth ogni litigio era una scocciatura e da codardo non gliel'ho mai detto, questo perché io sono un concentrato di difetti e il peggiore è la mia codardia. Da una vita scappo, incapace di affrontare i problemi. Incapace di affrontare un no. Incapace di reagire di fronte ad una ragazza che, con tutta la sua forza, mi manda al diavolo.

Ho salvato Elizabeth da una vita con me e lei invece di ringraziarmi che fa? mi strilla contro. Valle a capire le donne.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3665034