Whatsapp Love

di FatSalad
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Gladiatore ***
Capitolo 2: *** Mean Girls ***
Capitolo 3: *** Innocenti Bugie ***
Capitolo 4: *** Gli Uccelli ***
Capitolo 5: *** Conversazioni Private ***
Capitolo 6: *** Paradiso Amaro ***
Capitolo 7: *** Chocolat ***
Capitolo 8: *** Confessions ***
Capitolo 9: *** Il Diavolo Veste Prada ***
Capitolo 10: *** Dirty Dancing ***
Capitolo 11: *** Le Regole del Gioco ***
Capitolo 12: *** Tutti Insieme Appassionatamente ***
Capitolo 13: *** Ex ***
Capitolo 14: *** Questione di Tempo ***
Capitolo 15: *** EXTRA: Sequel? Spin off? ***



Capitolo 1
*** Il Gladiatore ***


PARTE I: CHAT

Capitolo 1 - Il Gladiatore

- Come va?

- Stanca di studiare, ma tutto bene. Te?

- Distrutto dagli allenamenti... ma tutto bene! Che fai stasera?

- Danno Il Gladiatore in tv, quindi starò in casa.

- Mmm... ok, mi sa che lo guardo con te.

Giulia ebbe un tuffo al cuore. Nathan avrebbe guardato un film con lei. Nathan, il ragazzo di cui era segretamente innamorata dall'inizio del liceo, quel ragazzo che l'aveva colpita subito per il suo sguardo malinconico e la voce sorprendentemente bassa per un fisico così minuto.

Nathan in effetti piaceva, era affascinante, anche se Giulia si rendeva conto che non era il ragazzo più bello della scuola, quello lo conosceva bene, si chiamava Spartaco e condivideva il suo stesso sangue: suo fratello maggiore. A volte Giulia si trovava a nutrire un po' d'invidia per il fratello, le pareva che avesse esaurito tutti i geni migliori dei loro genitori e anche se gli somigliava si sentiva come una sua copia brutta e sbiadita al femminile. Spartaco aveva capelli ricci, folti e di un nero lucente, una spavalda manifestazione di superiorità nei confronti delle ciocche lievemente ondulate, sfibrate e quasi scolorite di lei. Spartaco aveva due brillanti occhi verdi, lei due macchioline grigiastre non meglio definite. Spartaco era sportivo, capitano della squadra di calcetto della scuola e leader indiscusso, lei era vergognosamente timida e impacciata. Spartaco... si chiamava Spartaco! Insomma, anche il suo nome si faceva notare, mentre Giulia era una ragazza qualsiasi che si perdeva nel mare indistinto di omonime.

Nonostante tutto, però, Spartaco aveva dei meriti per farsi amare. In primo luogo, grazie alle partite di calcetto, Giulia aveva visto per la prima volta Nathan, che giocava come esterno, con il numero 7. In secondo luogo, anche se tra fratelli non avevano un rapporto troppo stretto, Spartaco aveva invitato Giulia e la sua amica Lilla la prima volta che era andato con alcuni amici e compagni di squadra a provare la nuova Mini Cooper, regalatagli dai genitori che si fidavano ciecamente delle sue indiscusse doti di autista (al contrario di quelle di Giulia, imbranata e negata per la guida). Inutile dire che tra i compagni che erano venuti con loro c'era anche Nathan.

Erano passati un paio di mesi da quella sera, ma Giulia se la ricordava come fosse passato un giorno solo. Si era preparata controvoglia, immaginando che la sua presenza fosse stata contemplata solo perché suo fratello voleva provarci con Lilla, ma aveva dimenticato ogni lamentela quando, aspettando l'altra macchinata di amici che li avrebbero accompagnati, era arrivata anche una Vespa turchese e ne era sceso un ragazzo dinoccolato dalla camminata fin troppo nota.

«Scusa il ritardo, capitano.» Aveva detto il ragazzo con la sua voce calda.

«Tranquillo, Scheggia, gli altri non sono ancora arrivati» Aveva risposto Spartaco mollandogli una pacca sulla schiena e Giulia aveva temuto che gli avesse incrinato qualche osso, tanta era la forza che ci aveva messo. Avrebbe rimproverato il fratello, se solo la lingua non si fosse appicciata al palato, mentre il cuore le batteva a un ritmo forsennato.

«Loro sono Giulia – mia sorella – e Lilla. Lui è Nathan, lo Scheggia.». Meno male era intervenuto Spartaco, perché lei non era certa di ricordare bene il proprio nome, o il modo in cui si articolava una frase. Un «Piacere» biascicato fu tutto quello che riuscì a pronunciare in quel momento, sperando che le cose migliorassero dopo, quando avrebbero bevuto qualcosa a un pub. Arrivata la comitiva di amici, infatti, si erano diretti a un pub di periferia, scelto chiaramente perchè la strada più lunga permetteva di dare maggior sfoggio all'auto nuova. Dopotutto Spartaco, traboccante di pregi, aveva un grande difetto: sapeva di averli. Sapeva di essere il ragazzo più bello e ambito del liceo e il suo ego si era ingigantito col tempo, per cui a 20 anni Spartaco era irrimediabilmente narcisista ed esibizionista. Certo, era anche bocciato un anno, ma la stupidità non poteva rientrare tra i suoi difetti, se, come lui diceva, era bocciato a posta, si era preso una anno sabbatico atipico per decidere cosa fare in futuro mentre continuava ad essere “il capitano” e rimorchiava ragazze più giovani.

Giulia, adombrata dalla presenza del fratello, anche quella sera non aveva brillato, durante il viaggio in macchina non era riuscita a spiccicare parola, dovendosi abituare alla presenza di un certo ragazzo al posto del passeggero. Anche dopo era rimasta per la maggior parte del tempo nel suo angolino, in silenzio, sciogliendosi leggermente solo quando la prima birra aveva abbassato i freni inibitori, aiutata anche da Lilla, che ridendo e scherzando con tutta la squadra di calcetto, quella sera sembrava non averne alcuno, di freno.

Di Lilla tutti i ragazzi si sarebbero ricordati, di Giulia avrebbero solo riso per il modo da finta maestrina con cui aveva detto «Tu stasera devi guidare!» a suo fratello, prima di bergli la birra che aveva ancora nel boccale.

Sapeva di essere stata un disastro, un manuale di asocialità, e sapeva che a fine serata un Nathan alticcio le aveva chiesto il numero solo per cortesia, perché l'aveva chiesto anche a Lilla e perchè lei era la sorella del capitano.

Invece dopo un po' di giorni lui le aveva mandato un messaggio. Un meraviglioso e inaspettato “Ciao, come va?”. Leggendo il nome sullo schermo Giulia aveva, in successione, strabuzzato, strizzato e stropicciato gli occhi, poi con mani tremanti aveva aperto il messaggio e l'aveva letto con la bocca semi-aperta. Dieci minuti dopo era ancora a cancellare l'ennesima bozza e quando aveva inviato la risposta con gli occhi chiusi non avrebbe mai immaginato che sarebbe stato solo il primo di una serie interminabile di messaggi.

Avevano iniziato così, parlando del più e del meno, e poi avevano imparato a conoscersi meglio, erano arrivati a mandarsi messaggi anche di una certa profondità, rigorosamente dopo l'una di notte, orario universalmente noto per essere favorevole a carpire le più importanti questioni umane, sociali e trascendentali.

Così, dopo due mesi, Giulia era venuta a sapere che Nathan era un favoloso meticcio di padre italiano e madre anglo-tailandese, di qui si spiegavano quegli occhi un po' a mandorla, ma di un verde luminosissimo, i capelli nerissimi e lucenti e quel nome anglofono. A scuola andava bene a biologia, mentre il suo tasto dolente era il latino in cui rischiava ogni anno di essere rimandato a Settembre, ipotesi sempre scongiurata, per il momento. Oltre al calcetto aveva una passione per il rap e per i film e, almeno qui, Giulia aveva trovato un terreno d'incontro.

E proprio per un film Nathan le aveva appena detto «mi sa che lo guardo con te». Giulia non poteva crederci, voleva mettersi a urlare, ma si trattenne per dignità.

Con te. Quelle parole erano così belle, risuonavano ancora nella testa di Giulia, martellavano... finchè la parte cinica (o realista?) del suo cervello non le fece ridimensionare la gioia. Perché Nathan le aveva sì detto “mi sa che lo guardo con te”, peccato che lo avesse fatto... per messaggio. Peccato che quel “con te” tanto amabile sottintendeva un altrettanto scomodo “contemporaneamente, ognuno a casa propria, alla propria televisione, con il proprio sacchetto di popcorn”.

Giulia sospirò, tornando con i piedi per terra mentre metteva da parte il cellulare.

Bhè, era già qualcosa. Si stavano avvicinando, no? Magari prima o poi lui le avrebbe chiesto davvero di vedere un film con lei, “con” nel senso di insieme, nella stessa stanza, lo stesso schermo davanti e lo stesso sacchetto di popcorn in mano. Improvvisamente si rabbuiò. Perché mai Nathan avrebbe dovuto chiedere una cosa del genere a una ragazza insulsa come lei?

«Come mai un ragazzo meraviglioso come lui, popolare, dolce, premuroso...» Già si era scordata dove doveva andare a parare con quel ragionamento, persa nelle fantasticherie su Nathan e si ritrovò a sghignazzare da sola: «Ma avrò il mio Nathan... in questa vita o nell'altra!»



Il mio angolino:
______________

Se siete arrivati fino a qui... grazie!
Questo capito è più che altro un prologo, una presentazione dei protagonisti, prometto che i prossimi capitoli saranno più lunghi e che cercherò di aggiornare regolarmente!
Vorrei precisare che, sebbene i capitoli siano titoli di film, non c'è alcun riferimento alla trama, ma solo al significato stesso delle parole.
Ringrazio fin da subito chi vorrà lasciarmi una recensione, una critica o un parere (sono una principiante, io! XD), soprattutto sarò contenta di volta in volta se mi farete notare gli errori che ho fatto!

Grazie!!!
FatSalad

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Capitolo 2
*** Mean Girls ***


Capitolo 2 – Mean Girls

 

Il suono della campanella fece schizzare in piedi alcuni sfacciati.

«Non ho ancora terminato, Fabbrini. Si rimetta subito a posto o la interrogo immediatamente»

«La Cinquetti è sessualmente frustrata» bisbigliò Lilla verso Giulia, che represse una risatina prima di rispondere «Il ciclo non ce l'ha di certo, direi che ha abbondantemente oltrepassato l'età».

Iride Cinquetti, la professoressa di storia e filosofia, così veneranda che sembrava raccontare la prima guerra mondiale per esperienza diretta, non era particolarmente amata dai suoi studenti. Non che si sforzasse troppo nell'intento, era sempre seria e crudelmente stretta di voti e poi, quanti altri professori delle superiori davano del lei ai propri alunni?!

Quel giorno concluse sadicamente pronunciando le parole con una lentezza snervante. Era chiaro che aveva già finito la spiegazione, ma intendeva prolungare la sofferenza come punizione per l'ardito Fabbrini. Giulia non la ascoltava più quando le orecchie le si svegliarono alle parole «Per oggi è tutto. Andate pure a ristorarvi. Tutti tranne... Fabbrini»

«Ma prof... essoressa!» Si lamentò quello, che per lo sgomento aveva quasi dimenticato che l'amabile reperto archeologico non tollerava l'appellativo “prof”.

«Che fai, non vieni?» chiese Lilla in un sussurro.

«No... non esco mai per l'intervallo»

«Preferisci rimanere qui?» insitette sgranando gli occhi in un cenno verso il malcapitato compagno di classe.

«Forse vengo...»

Due minuti dopo si trovavano presso le scale al primo piano, quelle più vicine al bar della scuola, il naturale punto di ritrovo del liceo durante l'intervallo. La postazione non piaceva a Giulia, che si sentiva esposta allo sguardo di tutti i passanti, conscia anche del contrario e cioè che da quel punto si potevano tenere sotto controllo tutte le vie d'accesso ai distributori e quindi tutti i presenti. Si sentiva una vecchia comare di paese che scruta in cerca di gossip, insomma, e sapeva esattamente cosa, o meglio chi, stavano cercando i suoi occhi.

«Lilla!» una voce squillante fece girare entrambe verso le scale, da cui stava scendendo un gruppetto di tre ragazze. Quella che aveva parlato era una moretta con la faccia da bambolina di porcellana. «Come va, troietta?» disse la ragazza che aveva accanto, con la voce un po' roca. Giulia cercò di celare lo stupore nel sentire quel saluto volgare rivolto alla sua amica, ma dovette fare uno sforzo ancora maggiore quando vide in faccia l'ultima delle tre squinzie. Era una ragazza bellissima, capelli biondissimi e lunghissimi, occhi grandi e labbra carnose, eppure il suo volto nel complesso aveva lineamenti armoniosi e simmetrici che le fecero domandare se non facesse la modella di professione. Non solo il viso era perfetto, ma anche il suo corpo sembrava esserlo, era alta e magra, ma con un seno piuttosto abbondante e ben fatto. Giulia non aveva dubbi che parecchi ragazzi impazzissero per lei, anche perché ne conosceva uno.

«Piacere, io sono Selene» ed era anche carina.

«Piacere, Giulia.» ed era anche la ex di Nathan.

«Io sono Marta» si presentò Faccia-di-Bambola. «Lei invece è Emma» continuò indicando la ragazza sboccata, che stava facendo complimenti, sempre sboccati, a Lilla, senza prestarle attenzione.

«Bei pantacollant, ti fanno un bel culo».

«Ma che razza di persone frequenta Lilla?» Si domandò Giulia sempre più attonita, fissando ora la Sboccata, ora la mini-minigonna di Faccia-di-Bambola. Cercò invece di non fissare troppo Selene, nel timore di essere investita dalla sua bellezza o di essere assalita dall'invidia per ciò (per colui) che aveva avuto in passato. Un passato neanche tanto remoto, poi, dato che fino a quell'estate, a quanto ne sapeva, Nathan e Selene stavano ancora insieme.

Faccia-di-Bambola e Selene provarono a instaurare una conversazione con Giulia, ma desistettero presto, quando ebbere ottenuto due risposte striminzite quali «Sì, 4^ A», «Sì, con Lilla» e poco altro.

La Sboccata stava monopolizzando ormai i discorsi e Giulia la guardava ancora sconvolta dal numero di parolacce che inseriva ogni volta nella stessa frase... ed era abituata ai discorsi “da maschiaccio” di suo fratello e company! Le altre invece sembravano non farci caso, ridendo ad ogni battuta come se niente fosse.

«Maiala, come me lo farei quello! Secondo voi esistono eccezioni per tipi come lui, che rendono gli uomini legalmente stuprabili?». Disse a un certo punto indicando col mento in direzione di un bel moretto.

«Oddio, sì, c'ha un lato B che...» Faccia-di-bambola si interruppe appena vide lo sguardo di Lilla che cercava di farle intendere qualcosa, ammiccando segretamente in direzione di Giulia.

«Che c'è? Fa sesso anche a te, bella statuina?» chiese Emma rivolta a Giulia, senza vedere Lilla sbiancare.

«Veramente... Spartaco è mio fratello». Giulia non era particolarmente sconvolta dai discorsi di apprezzamento rivolti a suo fratello, di cose del genere ne sentiva in continuazione, ma, ehi! Aveva zittito la Sboccata! E anche le altre, a quanto pareva, erano cadute in un certo imbarazzo. «Non ci somigliamo molto» aggiunse in un sussurro, sperando di smorzare la tensione.

«Ho capito, niente stupri. Però gli occhi ce li ho e voglio sfruttarli al meglio». Riprese Emma.

Le sue amiche risero nervosamente, cercando di dissipare l'imbarazzo, ma non sembrava molto facile iniziare un'altro discorso in quel momento. Ci pensò Emma, stranamente.

«E quindi... per te è off-limits. Chi ti faresti, allora?» Giulia balbettò qualcosa. Ma erano domande da fare a una persona che si era appena conosciuta?!

«Magari ha il ragazzo...» provò ad indovinare Marta, poco convinta delle proprie parole.

«No...» ma che faceva Lilla? Perchè non la toglieva da quella situazione imbarazzante? Anzi, perché ce l'aveva portata?

«Ti piace qualcuno?» questa volta era stata Selene a parlare, interpretando il suo evidente disagio.

«Dai, si vede che c'è qualcuno!» la incalzò la ragazza, mentre Giulia continuava a balbettare e torcersi le mani. I bidelli si erano forse dimenticati di suonare la campanella? Perché quell'intervallo durava così tanto?

«C'è un ragazzo...» che sarebbe il tuo ex.

«Giulia! E non mi dici niente?» ci si metteva anche Lilla a rincarare la dose?

«Ma non c'è niente tra noi!» tentò di giustificarsi.

«Dimmi tutto quello che non c'è, allora».

Giulia studiò mentalmente una lunga e dolorosa tortura per la sua amica. Non le aveva ancora raccontato niente e lei le chiedeva di farlo davanti a delle sconosciute? Come se non sapesse che si sarebbe sentita tremendamente a disagio con qualunque sconosciuto, figuriamoci con la ex ragazza del soggetto in questione.

«Niente... messaggiamo...» cercò di rimanere sul vago il più possibile.

«E come si chiama?» chiese Faccia-di-bambola con sguardo furbetto.

Qualcuno ascoltò le sue preghiere, perchè, finalmente, squillò la campanella.

«Uh! Scusate dolcezze, ma noi scappiamo: abbiamo religione adesso» Giulia guardò Marta con occhi sbarrati, dato che le squinzie non le sembravano proprio interessate a questioni di etica e morale, da quel poco che aveva osservato.

«Lo Zagnoni c'ha un...»

Giulia non voleva sapere esattamente cosa avesse lo Zagnoni, ma si affrettò a ringraziare mentalmente quel professore che aveva distolto in un attimo l'attenzione da lei. Si avviarono anche lei e Lilla verso la loro classe, mentre lo spiazzo davanti ai distributori si svuotava lentamente.

«Guarda che tanto non mi scappi: ora mi dici chi è il ragazzo misterioso»

«Mi sa che non te lo meriti: mi hai fatto morire di imbarazzo»

«Daaai» cercò di insistere.

«Te lo dirò, ma non mi forzare, lo sai che ho tempi un po'... molto lunghi»

«Mpf, ok. Vado a fare plin plin» ma aveva avuto tutto l'intervallo per andare al bagno! Giulia scosse la testa, contenta che almeno si fosse rassegnata nella sua indagine.

Salì da sola l'ultima rampa di scale, doveva attraversare solo un corridoio e sarebbe arrivata a... Nathan?

«C-ciao» disse a voce bassa con un mezzo sorriso.

Lo “Sbam!” della porta che si sbattè dietro fu la sua unica risposta. Strano, le sembrava che anche lui l'avesse vista, ma forse non l'aveva notata, c'erano altre persone nel corridoio. O forse era concentrato nei suoi pensieri, sì, capitava anche lei di immergersi tanto nelle sue elucubrazioni da straniarsi dal mondo. Insomma, non poteva averla ignorata di proposito... o sì?

 

- Pizza o kebab?

- Se torni dagli allenamenti direi kebab

E Giulia sapeva perfettamente che stesse tornando dagli allenamenti, dato che anche suo fratello era sulla strada di casa.

- Ottima scelta, sono giusto vicino al Pirata

- Il Pirata?

- Non sei mai stata dal Pirata? Qui bisogna rimediare! Ha un dente d'oro e le unghie perennemente sporche, ma fa un kebab...!

Giulia rise piano. Solo il giorno prima non l'aveva salutata a scuola, facendola tormentare per tutto il giorno sulle giustificazioni, sui perché e i per come e adesso le mandava messaggi del genere? Non poteva che essere la prova che sicuramente non l'aveva vista, il giorno prima. Quel “bisogna rimediare”, poi? Non era forse un invito velato ad andare insieme dal kebabbaro?

Eppure Giulia per altri due giorni non aveva osato uscire all'intervallo, inconsciamente spaventata che potesse capitarle un altro icontro deludente con Nathan, poi si era convinta che voleva un nuovo incontro, giusto per avere la riprova di non essere stata ignorata di proposito. Così il terzo giorno dopo aver fatto la conoscenza delle tre squinzie, aveva timidamente chiesto a Lilla di uscire con lei all'intervallo per rivederle. Ok, rivederle non era proprio in cima alle sue priorità, però tutto sommato si era ritrovata a pensare che fosse più piacevole passare un quarto d'ora con loro invece che con i suoi amici Banco e Sedia o con il suo amante Termosifone.

Lilla l'aveva guardata con occhi sgranati nel sentire la sua timida richiesta, prima di rispondere «Certo che puoi venire con noi!» con non poco entusiasmo.

Prima ancora di arrivare allo spiazzo davanti ai distributori di merendine e caffè avevano incontrato Faccia-di-bambola e la Sboccata che le aveva fatte deviare verso la scala antincendio per “un cicchino veloce” e, oh, certo, con loro c'era anche Selene la Divina. Quando Giulia aveva proposto di rivedere le squinzie si era dimenticata che la sola presenza di quella ragazza poteva metterla in imbarazzo.

Si stava pentendo sempre più della propria scelta mentre osservava Emma e Marta fumare e trasformare il “cicchino veloce” in un lungometraggio. Non avrebbe mai visto uno sportivo come Nathan in un ritrovo per fumatori, in più, loro erano uscite attrezzate di cappotto, più adatto alle impietose ventate gelide di Novembre rispetto alla felpona grigia che indossava Giulia.

«Che cazzo ti mangi, oggi?» chiese Emma con la solita finezza rivolta a Selene, che era tutta intenta a scartare un pacchettino e tirarne fuori una sottospecie di cracker dall'aspetto pallido e vagamente plastificato.

«Cracker dietetici con semi di lino, soia e avena» rispose lei, tranquilla.

Dunque era di tali sottili e transgeniche barrette adatte alla dieta di un piccione che si nutriva la ragazza per mantenere il suo corpo divino e i suoi capelli lucenti? Giulia lanciò distrattamente un occhio alla marca della merendina, scrutando inconsapevolmente alla ricerca della voce “ambrosia” nell'elenco degli ingredienti. Non trovò la scritta per confermare la presenza della sostanza, ma d'altra parte era troppo lontana per riuscire a leggere bene.

«Poi mi accompagnate a prendere l'acqua al distributore? Non l'ho portata da casa»

«Ma avevi detto che non ti piaceva l'acqua del distributore!» si lamentò Marta.

«Non è la mia acqua diuretica, ma meglio di murare a secco...»

«Lascia stare Marta, non vorrai privare la troietta del suo mezzo litro d'acqua, vero? Chi cazzo la sente poi se le viene la cellulite su quelle cosce da pornostar? Se ti denuncia, poi, non puoi vincere la causa contro suo padre!»

«Il padre di Selene è un avvocato piuttosto bravo, o così si dice» bisbigliò Lilla all'orecchio di Giulia, per non escluderla dal senso dalla conversazione.

Bene, quindi si trovava a competere per un ragazzo che poteva vantare tra le sue ex una bella, gentile e perfino ricca pseudo-modella. Peggio di così non poteva andare: la curva della funzione autostima stava incresciosamente scendendo verso i numeri sotto lo zero.

«Lilla, ma perchè non abbiamo mai visto la tua amica, gli altri anni?» Comprensibile che adesso Marta si stesse rivolgendo a Lilla, considerate le scarse reazioni che avevano innescato le sue domande su Giulia, pochi giorni prima.

Perchè non esco mai di classe all'intervallo.

Perchè Spartaco mi fa ombra.

Perchè sono insignificante e praticamente invisibile.

«Perchè non è sempre stata qui, si è trasferita» sì, dal secondo anno! La funzione autostima mise a tacere la vocina ipercritica di Giulia e ringraziò la risposta così discreta di Lilla per averle evitato un ulteriore e doloroso tuffo verso il basso.

«Ah, e cosa faceva prima?» chiese Selene.

«Il liceo classico» si decise a parlare Giulia, rimangiandosi un acido «E potreste chiedere direttamente a me, dato che sono la diretta interessata» che premeva per uscire dalle sue labbra per risollevare la curva dell'autostima. Purtroppo o per fortuna la buona educazione e l'innata cortesia prevalsero.

Seguirono occhi sgranati e cori di «Oh» simili a quelli che si elargiscono in un giardino zoologico verso specie esotiche che incutono un po' di timore, per non dire a malati gravi di morbi altamente infettivi che ispirano raccapriccio. Per fortuna nessuna delle ragazze volle approfondire il discorso o dispensarle qualche battuta rassicurante o prefabbricata che era abituata ad ascoltare, quali «Ti piace studiare, eh?» o «Era troppo difficile per te?».

Poco dopo Giulia si ritrovò ad ascoltare conversazioni piatte su smalti e cosmetici vari, guardando con crescente impazienza l'orologio a sempre minori intervalli di tempo.

Ok, sono un'asociale cronica.

Nella sua mente poteva vedere la rappresentazione della propria autostima salire qualche gradino...

Sto veramente pensando di tornare in classe?

...pronta a percorrere tutta la lunghezza del trampolino....

Sì. Sto veramente rimpiangendo il caro Termosifone: almeno lui è caldo, confortevole e non assilla con chiacchiere inutili e noiose.

...piccolo balzello...

No, sono IO ad essere noiosa e inutile!

Tuffo perfetto nella piscina dell'autocommiserazione! Signore e signori, potete osservare la curva del grafico che scende a capofitto verso i numeri più distanti dal segno “+”, ed ecco un esempio di funzione con limite che tende a -∞.

Perché non chiacchiero con le altre come tutte le persone normali? Perché preferisco la compagnia di un oggetto inanimato a quello delle mie coetanee? E ora anche Lilla che mi conosce da una vita penserà che sono strana... più del solito: le ho chiesto io di portarmi con lei oggi!

Istintivamente portò una mano al cellulare, pensando alla sua ancora di salvataggio, e stava quasi per inviare una richiesta di aiuto, quando le tornò in mente il motivo che l'aveva spinta a seguire Lilla all'intervallo. Voleva cercare Nathan e trovare conforto nel saluto che sperava di vedere ricambiato dal ragazzo, non solo lamentarsi con lui per mezzo del telefono.

Giulia fu riscossa dai suoi pensieri dal suono della campanella (che tu sia benedetta, campanella!), proprio mentre Selene stava chiedendo: “Mi accompagnate a comprare l'acqua?”.

Fu la scusa perfetta per rifiutare garbatamente l'offerta e andare avanti nella sua missione di “caccia a Nathan”. Con un timido saluto Giulia si staccò dal gruppetto di ragazze e si diresse con un respiro profondo verso il corridoio della 5a D, quel corridoio che accostava le classi B alle D, infischiandosene di tralasciare le C che se ne stavano curiosamente al piano sottostante.

L'aspettativa dell'incontro che sperava di fare le fece battere più veloce il cuore, o forse fu l'effetto del passo accelerato che prese senza nemmeno accorgersene, mentre saliva la rampa di scale lasciandosi le classi C alle spalle.

Si stava avvicinando al punto X. Trattenne istintivamente il fiato e... lo vide. Eccolo lì, circondato da un paio di compagni, che si dirigeva verso la 5a D. Dio, come le piaceva! Stava ridendo e scherzando gesticolando con una mano, mentre l'altra era infilata con rilassatezza nella tasca dei pantaloni chiari. A volte si ritrovava a pensare che avrebbe pagato volentieri un biglietto per vedere Nathan indossare dei jeans al posto di quelle onnipresenti tute da ginnastica, ma in quel momento le sembrò che quella che aveva addosso si sposasse alla perfezione con l'aria di tranquillità che emanava. Le sembrava di averlo sorpreso nella calda intimità di una casa, in un'atmosfera da svaccamento sul divano, mentre invece vari studenti si affrettavano da ogni parte per tornare in classe. Rimase ad osservare i suoi movimenti fluidi, il pomo di adamo che emergeva dalla felpa, i capelli che ricadevano in ciuffetti scuri sulla fronte e quelli rasati ai lati della testa, stranamente liberi dai berretti di lana che di solito indossava nelle stagioni fredde, il sorriso che la faceva struggere, il naso con una leggera collinetta, e infine gli occhi che brillavano chiari, la malinconia relegata in una posizione di ombra lontana.

«Cia-» il saluto le morì in gola e il sorriso appassì lentamente quando si accorse distintamente che gli occhi tanto venerati di Nathan avevano incrociato i suoi... per poi distogliere lo sguardo immediatamente.

Giulia sentì di rimpiangere la temperatura invernale che era stata costretta a sopportare senza cappotto sulle scale antincendio, tanto era il freddo che la attanagliava adesso fino alle viscere.

Si chiese come fosse arrivata in classe quando si ritrovò come un automa con il libro di filosofia tra le mani, due ore di fisica tutte da dormire davanti, o meglio, da assistere in uno stato di trance, la testa piena di domande e al contempo vuota di qualsiasi risposta, il petto fastidiosamente dolorante, come stretto in una morsa impietosa.

Perchè Nathan mi sta evitando?

 

Il mio angolino
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Per prima cosa: GRAZIE!
Grazie a chi legge silenziosamente, a chi segue, ricorda, preferisce, ma soprattutto grazie a chi ha trovato un po' di tempo per recensire! Forse non lo sapete, ma date la carica per proseguire e la voglia di migliorare sempre.
Yesss! Nuovi personaggi! Sono state divertenti da scivere e spero lo siano anche da leggere...
Per critiche, reclami, suggerimenti, domande... ci sono tanti tasti per recensire..! :D

A presto,
FatSalad

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Capitolo 3
*** Innocenti Bugie ***


Capitolo 3 – Innocenti Bugie

 

Giulia si passò una mano tra i capelli, sbuffando, mentre si guardava distrattamente allo specchio. Di stare lisci non ne volevano sentir parlare, i suoi capelli, eppure non erano nemmeno ricci e per quanto si sforzasse di prestare loro attenzioni e cure, con balsami, lacche, fermagli e marchingegni di ogni tipo, quelli persistevano prepotentemente nel voler ricadere a onde indisciplinate in una massa informe.

Giusto per concludere l'analisi impietosa della propria persona abbassò lo sguardo.

«Ok, questa non può essere colpa di Spartaco, sicuramente non si è preso lui le taglie che mi spettavano di diritto.» pensò rassegnata osservandosi il petto. Più che piallata sembrava scartavetrata con cura, più che la prima indossava una taglia retromarcia.

Si stava concludendo una di quelle definibili “gionate no” e il ciclo che l'aveva colta di sorpresa non aveva migliorato le cose, anzi, Giulia voleva incolpare solo lui per i discorsi “autocelebrativi” che le inondavano la mente.

Giulia si diresse strascicando le pantofole fino al letto e si intrufolò tra le coperte, avida di sonno e di calore. Allungando una mano sul comodino prese il cellulare con l'intenzione di impostare la sveglia e si bloccò nel notare un nuovo messaggio. Mittente: Nathan.

- Ehi, tutto bene?

Possibile che dopo l'ennesima volta che aveva tentato un approccio per i corridoi della scuola senza successo, lui tornasse a inviarle messaggi del genere come se nulla fosse? Perchè ormai Giulia si era decisa a continuare con i suoi tentativi di ricevere un saluto un po' per principio un po' per ostinazione, continuando a ripetersi che era buona educazione salutare i conoscenti che si incontravano per caso, ma il ragazzo non aveva mai dato cenno di rispondere al saluto. A parte una volta in cui le era andato incontro, per poi unirsi a un paio di ragazzi che aspettavano poco dietro di lei.

Cosa avrebbe dovuto rispondere, in quel momento, a uno spensierato “tutto bene?”? Fu lì lì per riversargli tutta la sua frustrazione addosso, urlargli contro (ovvero scrivere l'intero messaggio in lettere maiuscole senza faccine di sorta), chiedergli spiegazioni, e invece riuscì solo a sorridere tristemente per il calore che nonostante tutto quel messaggio le risvegliava nello stomaco e rispose con una mezza verità:

- Insomma... sono un po' giù.

Corredata da faccina affranta.

Si era pentita appena aveva premuto per inviare: in tutto il tempo in cui avevano messaggiato non si era mai esposta tanto e soprattutto aveva sempre tenuto il più lontano possibile i discorsi riguardanti emozioni negative e questo perché pensando al suo sguardo mesto Giulia si era tacitamente proposta di essere per Nathan solo una presenza allegra e positiva.

«Ma che ho fatto? È risaputo che gli uomini si spaventano davanti a discorsi tristi, scappano!» si rimproverò quando non vide arrivare la risposta di Nathan, solitamente repentina.

La vibrazione interruppe il mugolio lamentoso che ne era seguito e Giulia si precipitò a leggere il nuovo messaggio.

- Hanno confermato!!!! I One Direction...

Prima di finire di leggere Giulia controllò attonita il mittente: Lilla.

Sospiro di sollievo.

Grugnito di rabbia.

Lilla e la sua fissazione per quel gruppo! Perché continuava a tenerla aggiornata sulle vicende amorose e le vite private dei singoli membri, pur sapendo che non ne era interessata? Poi in quel momento non aveva proprio voglia di scoprire le ultime notizie di gossip, stava aspettando un messaggio importate, lei!

E il messaggiò arrivò. Giulia lesse bene il mittente prima di aprirlo ed ebbe un tuffo al cuore.

- È successo qualcosa, piccolina?

Non si era spaventato, non era caduto nel mutismo e non aveva tentato di farla ridere con una battuta idiota, come a volte faceva Spartaco in simili occasioni. Era stato delicato e premuroso e... cos'era quel “piccolina”?! Nessuno l'aveva mai chiamata in quel modo ed era un nomignolo davvero inadeguato per le labbra (beh, in questo caso le dita) di un ragazzo che la ignorava da più di una settimana.

Piccolina. Se lo rigirò sulla lingua e tentò di immaginarlo pronunciato dalla voce bassa e dolce di Nathan, rileggendo così tante volte quelle quattro parole come aveva fatto per il primo messaggio che le aveva inviato. Infine decise di rispondere:

- Sì... no...? (Dimmelo tu! Avrebbe voluto aggiungere) Mi sa che sono una femmina con un cervello da femmina che si costruisce impalcature e set impeccabili per film fantasiosi e colossal di basso livello...

Ma che avrebbe capito lui di tutto quel discorso delirante?

- Posso fare qualcosa? Se hai bisogno di aiuto io sono qui.

Eccolo, di nuovo gentile e perfetto, come prima. Come sempre.

Decise che doveva rompere l'atmosfera lugubre per paura che Nathan si facesse idee sbagliate sulla portata delle ipotetiche catastrofi che l'avevano assalita.

- O Genio del Telefonino, io ti ordino di darmi un paio di tette e dei capelli morbidi e setosi! Ma se questo desiderio costasse troppo un abbraccio virtuale sarà più che sufficiente.

Una serie di faccine divertite apriva il messaggio di risposta:

- Ti mando un abbraccio virtuale solo perchè del resto non hai bisogno. Ti voglio bene... non essere triste

E come avrebbe potuto essere triste dopo un “ti voglio bene” del genere, così a proposito? Si addormentò con il sorriso sulle labbra, mentre cercava di immaginere l'abbraccio ricevuto e dava mentalmente voce (la voce calda di Nathan) alle parole lette, infagottata tra le coperte calde.

Purtroppo l'indomani non avrebbe più pensato le stesse cose e quando, la sera dopo, Giulia ripose una forchetta sporca in frigorifero e stava per mettere una carota avanzata in lavastoviglie, sua madre la bloccò, capendo che qualcosa non andava.

«Tutto bene, pesciolina?» fece, prendendole di mano la carota «è tutta la sera che sei strana.»

Giulia si accorse di ciò che stava facendo e si riscosse. Passò in rassegna la mattinata, cercando le parole per spiegarsi, per esprimere qualcosa di ciò che stava provando. Ripensò a come, con la solita fiducia, aveva attraversato il corridoio della sezione D e a come il suo cuore aveva sobbalzato di aspettativa quando aveva visto spuntare Luigi, uno dei compagni più stretti di Nathan. Luigi era estremamente alto e smilzo, era cresciuto troppo in fretta e sembrava che la cosa gli creasse problemi nei movimenti, così quando camminava era sgraziato come se tutti quei centimetri di arti gli fossero d'impaccio. Riconoscendo da lontano la camminata goffa di Luigi, Giulia non aveva sbagliato ad aspettarsi che fosse seguito a ruota da Nathan e dall'inseparabile terzo compagno di classe: Marco, un ragazzo castano con la barba ben curata. Ripensò a come con un sorriso timido fosse andata incontro a Nathan per un semplice “ciao” e a come il ragazzo avesse risposto al saluto, riscuotendosi come se avesse notato la sua presenza solo in quel momento, ma soprattutto ripensò a quando, superando il gruppetto di un passo avesse udito chiaramente Luigi domandare «Chi era?» e Nathan rispondere con un noncurante «La sorella del capitano».

«Niente, mamma, sono un po' stanca perché ho il ciclo...» minimizzò Giulia scappando letteralmente dalla cucina per non essere costretta a rispondere più a fondo alle domande di mamma Sara. Si rifugiò in camera e si buttò sul letto, cercando di fare chiarezza tra i suoi pensieri.

Cosa le dava noia? Lo sguardo interrogativo di Nathan quando lo aveva salutato, che sembrava voler dire “E tu chi sei? Perché mi saluti?”? Oppure la risposta che aveva dato ai suoi amici?

Le dava noia che per gli amici di Nathan lei dovesse essere solo la sorella del capitano, che non fosse neanche degna di essere presentata con un nome, anzi, non fosse degna neppure di essere presentata e fosse degna di essere a malapena salutata. Tutto la infastidiva, era frustrante e non aveva senso che un ragazzo così gentile e spiritoso al telefono fosso per contro tanto freddo e distaccato dal vivo. La spiegazione, però, a quel punto era ovvia: Nathan si vergognava di lei.

 

Capitava ogni tanto che Spartaco fingesse di stare male, di solito si lamentava per un principio di sinusite tirando su col naso o accusava un tremendo raffreddore dopo uno starnuto che il più delle volte era causato dalla sua lieve allergia all'acaro della polvere. Essendo ormai grande e vaccinato, però, ed essendo un ragazzo prodigioso, i suoi genitori chiudevano un occhio (o anche due) e non osavano mettere bocca nelle sue decisioni di prendersi delle “ferie” che duravano solo un giorno, dopo il quale ogni dolore scompariva miracolosamente come era arrivato. A Giulia non era mai importato granchè delle “forche in casa” di suo fratello, almeno fino a quando Spartaco non aveva avuto la macchina. Ora che si era abituata a dormire 20 minuti in più e a fare il viaggio fino a scuola comodamente seduta nella sua calda Mini Cooper, le scocciava non poco dover tornare alle vecchie abitudini: i mezzi pubblici.

«Spartaco! Lo so che stai benissimo, vecchio buzzurro!!» urlò picchiando alla porta di suo fratello, ricevendo in risposta un mugolio di dissenso seguito da un teatrale colpo di tosse.

Insistette per qualche minuto, ma capito che non sarebbe riuscita a far cambiare idea al fratello, decise che sarebbe stato più producente prepararsi e correre alla fermata dell'autobus, sperando di riuscire a prenderlo. Battendo ogni record si vestì e si lavò la faccia, tralasciando di fare colazione, scese per strada facendosi la coda, perché non aveva avuto tempo di pettinarsi, ma fu interrotta a metà opera accorgendosi che stava cominciando a piovere forte. Aprì l'ombrellino brontolando quando notò che una stecca rotta si dondolava placidamente tra le altre, accelerò il passo per raggiungere il tabaccaio più vicino e comprare il biglietto dell'autobus, trovò coda perchè una signora stava parlando amabilmente e senza alcuna fretta con il commesso, uscì dal negozio e si rifiondò sulla strada con l'ombrello mezzo aperto e mezzo chiuso, arrivò alla fermata correndo, perchè l'autobus stava frenando in quel momento, entrò per ultima ansimando e infradiciandosi nel chiudere l'ombrello. «Questa me la paghi, fratellino» grugnì a mezza voce, schiacciata contro la porta dell'autobus.

Arrivò in classe tutta trafelata, il compito di filosofia era già lì che l'aspettava sul banco, perché la Cinquetti non aveva un secondo da perdere e nemmeno gli alunni, a dirla tutta, data la difficoltà proverbiale degli scritti della professoressa. Spesso Giulia si era chiesta se per caso non ci godesse nel veder soffrire i suoi studenti.

Non c'era che dire: era stato un ottimo modo per iniziare la giornata.

«Cosa hai scritto alla domanda 2?»

Poi ci si mettevano i soliti compagni di classe ansiogeni a sottolineare quanto e come e dove avesse sbagliato e quelli che, soffrendo di casi gravi di onicofagia, si mettevano a calcolare l'improbabile media che avrebbero raggiunto nel remoto caso in cui avessero preso voti al di sotto di 2 e mezzo al compito appena consegnato. Gli uni scarabocchiavano furiosamente sul banco, gli altri si consultavano a vicenda finchè qualcuno non si metteva a sbattere la testa contro superfici contundenti.

Giulia era al limite della sopportazione, la vista delle sclerosi altrui era sopportabile fino ad un certo punto. Per questo quasi abbaiò quando Lilla le toccò la spalla per attirarne l'attenzione.

«Ehi, tutto bene?»

«Ehm... sì, scusa. Cioè, insomma... oggi non è giornata, questa mattina me ne sono successe di tutti i colori.»

«Sono appena le 11!» provò a tirarla su l'amica.

«Hai ragione, peggio di così...»

«No, non dirlo!»

Troppo tardi.

«...non può andare.» Concluse Giulia.

«Ecco, ora te la sei cercata! Non sai che non bisogna mai dire che “peggio di così non può andare”? È proprio il momento in cui la sorte decide di andarti contro! Comunque... sabato io e le ragazze andiamo a ballare, vieni con noi?»

Giulia non era superstiziosa, perciò non badò alla prima parte della frase di Lilla, non amava nemmeno ballare, per cui cercò di liquidare la questione, cercanodo di far capire che non era interessata.

«Non so, sai che non vado matta per le discoteche...»

Si fece pregare in tutte le lingue del mondo, ma quella di Lilla era una battaglia persa; oltre al disinteresse dell'amica, infatti, incontrava anche uno stato d'animo poco propenso a darle ascolto ed incline alla malinconia.

Gli ultimi giorni erano stati penosi per lei, capire che Nathan, che reputava un ragazzo speciale, si vergognava di lei era stato come la spintarella per far cadere tutte le tessere del domino. La mattinata appena trascorsa era stata solo la ciliegina sulla torta. Quel giorno non volle nemmeno uscire all'intervallo, tanto era il suo malumore.

Uscendo da scuola, fu costretta a correre (di nuovo) verso l'autobus, ma una volta salita fu lieta e sorpresa di trovarlo ancora mezzo vuoto.

Andò a sedersi su un sedile vuoto e, tanto per fargliela pesare, si attaccò al cellullare per tempestare Spartaco di messaggi minatori.

- Per colpa di uno schifoso pigrone oggi ho fatto tardi per l'inizio del compito di filosofia! Mi sono infradiciata perché per colpa di un imbranato cosmico non ci sono più ombrelli decenti in casa e sto rischiando la morte per asfissia anche in questo momento per la calca che c'è nell'autobus!!!

Non era del tutto vero, dato che molti sedili, compreso quello accanto al suo, erano ancora vuoti, ma voleva calcare la mano il più possibile per far sentire in colpa il fratello. Mentire però le era sempre risultato difficile, perciò, quasi speranzosa, alzò lo sguardo verso la porta dell'autobus per vedere quanti altri studenti sarebbero saliti a bordo. Riabbassò subito lo sguardo.

C'era qualcosa che non le tornava.

Non poteva aver visto un ragazzo con un berretto grigio salire sull'autobus, un ragazzo che solitamente veniva a scuola su una vespina turchese, quel ragazzo con cui era arrabbiata, o meglio, da cui era stata delusa il giorno prima, quel ragazzo che le piaceva da morire per i suoi modi affabili e la voce...

«Posso?»

Quella voce.

Giulia sentì un'ondata di calore investirle il volto. Dalla sorpresa schiacciò qualche tasto del telefono a caso, mentre si voltava verso il moretto che aveva espresso la domanda.

«M-mh» mugolò in risposta, non fidandosi della propria voce, prima di tornare, tempestivamente, con il naso incollato al cellullare.

Perfetto! Aveva appena inviato il messaggio per suo fratello concludendolo con la parola “assassina”. Maledetto T9!

«Spartaco è malato?»

Giulia ebbe un tuffo al cuore: aveva parlato ancora, quel ragazzo splendido che le sedeva accanto e che non l'aveva mai salutata per i corridoi della scuola le aveva rivolto una domanda. Aspetta. Possibile? Sembrava... sembrava... un tentativo di conversazione, sì!

Giulia avrebbe voluto darsi uno schiaffo. Quale conversazione e conversazione?! Bastava guardare meglio per vedere che si trattava di un dono del cielo, un'occasione più unica che rara, altro che prendi 2 pacchi di biscotti e ne paghi 1! Doveva cogliere l'occasione, poteva farcela. Più tardi avrebbe avuto il tempo di autocommiserarsi per il fatto che l'opportunità le fosse capitata proprio quando aveva il ciclio, i capelli raccolti in una coda improvvisata e l'umore di un pesce sulla griglia, adesso era tempo di farsi coraggio.

«Ah!» le uscì solo un suono stridulo e ebete, ma non demorse e si schiarì la gola «Macchè malato, è malato di pigrizia quello là!».

Ok, aveva detto una cosa stupida e per niente simpatica, aveva fatto la figura dell'idiota. Quanto poteva essere utile adesso sbattere la testa contro il finestrino fino a spaccare cranio e vetro?

Inaspettatamente, Nathan rise.

«Speriamo gli passi per sabato, s'era detto di andare al Big Bang. Verrai anche tu?»

«Ehm...» Big Bang... quel nome non le era nuovo. Stava cercando di pensare il più in fretta possibile per dare una risposta di senso compiuto al suo interlocutore, ma fu interrotta da una vibrazione che le annunciava l'arrivo di un nuovo messaggio.

- Primo: non puoi chiamarmi schifoso pigrone, sono uno sportivo, io! Secondo: non è colpa mia se non hanno ancora inventato ombrellini che squillano per farsi ritrovare dal padrone (lo farò io, prima o poi). Terzo: esagerata, non è mai morto nessuno per folla. Quarto: adesso ti firmi “assissina”? Non so quanto sia saggio per portare a termine i tuoi crimini senza essere scoperta.

Giulia non riuscì a trattenere una risatina.

«È quell'idiota di mio fratello, sta facendo il santarellino perchè gli ho rinfacciato che è pigro da fare schifo!» odiava ammetterlo, ma grazie a Spartaco era riuscita a rilassarsi, così da cominciare una conversazione normale, per quanto superficiale e avente per oggetto i pregi e i difetti di suo fratello. Nathan cercava di difendere il capitano al quale era evidentemente affezionato, ma ogni tanto cedeva all'ironia sotto le insistenti lamentele di Giulia riguardo all'appetito mostruoso del fratello accompagnato da un'invidiabile metabolismo veloce, sulla sua narcisistica e snervante abitudine di piegare la testa da un alto per allontanare un ricciolo ribelle dagli occhi e cose del genere. Era strano, ma per messaggio non avevano mai parlato di Spartaco.

Giulia si stupì rendendosi conto di quanto si sentisse a suo agio parlando con il ragazzo per cui aveva una cotta, doveva essere lo strano effetto che le faceva Nathan, che riusciva a metterla a proprio agio non solo per messaggio, a parte quando («Oddio!») si ricordava di averlo a pochi centimetri di distanza. Non riusciva a capacitarsi del fatto che, sì, fosse proprio Nathan il ragazzo accanto a lei e diventava improvvissamente più colorita. Stavolta Giulia si risparmiò gridolini e squittii strani, si vergonava ripensando a quel verso acuto che le era uscito di bocca poco prima, come uno “stupido pennuto”, avrebbe detto Lilla.

«Ah!»

«Che c'è?» chiese Nathan allarmato.

«Niente, è che...» si era appena ricordata dove aveva sentito parlare del Big Bang.

“Sabato io e le ragazze andiamo a ballare, vieni con noi? ...dai, vieni! Andiamo in quella discoteca che hanno aperto ora. Cioè, ha cambiato gestione, prima si chiamava Beat, ma era orribile, poi con quel nome..! Ora si chiama Big Bang.”

«Non ti avevo risposto riguardo a sabato...»

«Allora vieni?»

«S-sì, vengo anche io. È... è carino il Big Bang? Non ci sono ancora stata.» disse Giulia per l'ispirazione del momento, calcando su “ancora” nel tentativo di fare bella figura. Non voleva che Nathan la considerasse una zittona, sociopatica, nerd che non esce mai di casa, quale forse, in fondo era.

«Neanche io, a dire il vero. Non vado spesso a ballare.»

Ottimo. La verità è sempre meglio di una bugia, doveva ricordarselo.

“La verità, la verità...” si stava ripetendo mentre guardava ancora Nathan fisso negli occhi, nonostante questi avesse finito di parlare. L'unica verità a cui stava pensando sfuggì così dalle sue labbra, in un filo di voce, senza che nemmeno se ne rendesse conto:

«Non hai gli occhi verdi».

Maledicendosi immediatamente per l'insensatezza di ciò che aveva detto, stava pensando a qualcosa di intelligente da dire per salvarsi in calcio d'angolo. Nathan però non rise, sbattè le palpebre due volte come a dire “lo so” e disse a sua volta:

«Neanche tu» come fosse stata la cosa più naturale del mondo.
 

 

Il mio angolino:
______________

Nell'ultimo ringraziamento mi sono dimenticata di dedicare il capitolo a tutte le ragazze con una bassa autostima. Lo faccio ora... perché so che ci sono tante “Giulia” che leggono.
Finalmente Nathan... parla!!!! Eh eh... che ne pensate?
Grazie mille per essere arrivati fin qui e grazie alle pie anime che lasciano recensioni: mi state dando tanta carica per continuare a scivere!

A presto,
FatSalad

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Capitolo 4
*** Gli Uccelli ***


Capitolo 4 – Gli Uccelli

 

Lo spettacolo che le si parava dinanzi era dei più affascinanti che avesse mai visto: un airone, un nobile airone bianco era davanti a lei. Lo osservò da quella distanza, cercando di non fare rumore per non farlo scappare. L'airone alzò una zampa, Giulia seguì il movimento con lo sguardo, trattenne il fiato quando pensò che l'animale stesse per spiccare il volo, la zampa sospesa a mezz'aria, prima di tornare a posarsi delicatamente al suolo. Ripetè il gesto con lievi tump tump, forse quelle zampe artigliate pesavano troppo, impedendo alle gambe lunghe e affusolate di librarsi in aria? L'airone scosse la testa in un gesto elegante, le piume si mossero al vento, ma no! Non era un airone, era una cicogna! Era un messaggero di buone notizie, di vita, di bellezza.

«Ti sei incantata? Che guardavi?» le chiese Lilla.

«Oh, nulla, mi... mi piacciono le scarpe di Selene.» Rispose Giulia un po' esitante.

Wow! Come faceva quella ragazza a camminare in modo tanto leggiadro su quei trampoli dal tacco a spillo e dal plateau così accentuato da sembrare pericolosamente pesanti? Si guardò i piedi, valutando i suoi otto centimetri di tacco, che le erano sembrati già una conquista. Il tacco non era a spillo, eppure le sembrava di patire le pene dell'inferno ad ogni passo. Perchè per Selene la Divina sembrava un piacere muoversi con quei cosi ai piedi? Perchè Selene si muoveva con l'eleganza di un airone, mentre lei poteva essere scambiata al massimo per un tacchino? Che mondo ingiusto!

Non erano ancora entrate nel locale e le scarpe la stavano già tormentando, il vestitino che le aveva prestato Lilla era fin troppo scollato per i suoi gusti e la faceva sentire a disagio, si controllava il petto ogni tre per due dondolandosi da un piede all'altro cercando di allontanare il dolore, con il collo incassato tra le spalle per contrastare il freddo di fine Novembre. Selene invece era un'altra storia. Indossava un tubino bianco che avrebbe donato solo a lei e ad un manichino e sembrava sospesa in aria mentre camminava, anzi, sembrava che stesse già ballando. Nemmeno un filo di pelle d'oca denunciava che la ragazza sentisse freddo, ma d'altra parte come poteva soffrire i capricci del tempo una creatura divina?

Giulia si chiese come aveva fatto a farsi convincere ad andare a ballare.

Ah, già, non si era fatta convicere, si ricordava bene la faccia sbigottita che aveva assunto Lilla quando, dopo le sue inefficaci insistenze, si era sentita dire in un sussurro, senza preavviso «Se venissi anche io, sabato?».

Giulia aveva firmato la propria condanna consapevolmente, irretita da un paio di occhi non verdi. Gli occhi di Nathan, aveva scoperto, erano marroni, ma molto chiari, sembravano quasi sfiorare l'ocra. Un colore davvero particolare, d'accordo, ma bastava questo per farla partire per la tangente e prendere decisioni avventate? Evidentemente sì. Questo e il fatto che per la prima volta, dopo anni di amore a distanza, Giulia fosse riuscita a fare due chiacchiere faccia a faccia con l'oggetto del desiderio. Un breve viaggio in autobus era bastato perchè Giulia gli perdonasse tutto: ogni volta che non l'aveva salutata per i corridoi della scuola; il fatto che non l'avesse presentata ai suoi amici se non come “la sorella del capitano”; il fatto che si vergognasse di lei. Si sentiva una masochista e una disperata, eppure pensava che parlare ogni tanto faccia a faccia, sentirsi tramite whatsapp, lontano dagli occhi e dalla consapevolezza di terzi, le sarebbe bastato per essere felice. Avrebbero avuto un rapporto e forse un'amicizia clandestini? Le stava bene.

«Uff... quanto ci mette ad arrivare?» disse Selene ad un tratto, distogliendo Giulia dai suoi pensieri.

«Marta ha detto che avrebbe fatto un po' di ritardo» disse Lilla giustificando l'amica.

«Lo so, il ritardo per lei è normale, il fatto è che doveva passare a prendere Emma, che però mi ha mandato un messaggio ora dicendomi che non si sente bene»

«Oh, cos'ha?» chiese Giulia.

A quel punto Selene si produsse in una serie di facce e gesti che dovevano essere d'intesa, mentre con le labbra scandiva in modo esagerato la parola “MES-TRUA-ZIO-NI”.

«Oh...» mormorò Giulia, con espressione contrita, onorata di essere stata messa a conoscenza di un tale importante segreto.

Pochi minuti dopo Marta arrivò sgambettando su dei tacchi vertiginosi e scusandosi per il ritardo, il volto visibilmente truccato la faceva somigliare ancora di più ad una bambolina di porcellana.

«Giulia, stai benissimo!» le disse con un sorriso smagliante appena la vide.

«Non mi piace ammetterlo, ma è merito mio» intervenne Lilla con finta modestia.

«Già...»

Giulia era andata a prepararsi a casa di Lilla, da dove l'amica sarebbe poi passata a prendere Selene, dal momento che Lilla e Marta erano le uniche patentate del gruppo. Aveva portato con sé un paio di pantaloni neri e una canotta bianca, ma Lilla le aveva categoricamente impedito di uscire con un abbigliamento tanto scialbo, non cedendo nemmeno alla supplica lamentosa: «Ma ho portato i tacchi!». L'amica aveva spalancato le ante del proprio armadio tirando fuori un vestito dietro l'altro con distratti «Prova questo... e anche questo», così che Giulia si era vista costretta a scegliere ciò che di più sobrio e coprente avesse individuato. Non le piaceva mostrare le proprie gambe, aveva le ginocchia storte, ma non aveva potuto rifiutarsi di indossare un vestito quando Lilla aveva minacciato di lanciarle i pantaloni dalla finestra. Abitava al quinto piano e Giulia sapeva che aveva il coraggio di mettere in pratica le minacce.

Non contenta Lilla aveva insistito per truccarla e il risultato erano stati il suo primo rossetto e due occhi così allungati dall'eyeliner da sembrarle enormi. Ad opera conclusa Giulia si sentiva bella, ma un po' a disagio, un po'... non se stessa, se possibile.

«Su, entriamo!» esortò Selene, evidentemente impaziente di cominciare a ballare. Forse cominciava a sentire un po' di fresco anche lei?

Giulia rivolse un ultimo sguardo al parcheggio.

«Aspetti qualcuno?» le chiese Marta.

«N-no, no. Andiamo!»

Non poteva rivelare che l'unico motivo per cui aveva accettato di andare a ballare... non si fosse ancora fatto presente. Spartaco, in splendida forma, era arrivato una decina di minuti dopo di lei, accompagnando un paio di amici, aveva riconosciuto anche altri compagni di squadra del fratello, ma non quello che interessava a lei. Nessuna vespa turchese all'orizzonte, nessun sorriso dolce, nessun berretto di lana. A proposito, come si pettinava Nathan per uscire la sera? E come si vestiva? Giulia sghignazzò immaginando il ragazzo che ballava con i pantaloni di una tuta e la maglia con il suo numero 7 dietro.

Continuò a pensare a lui anche mentre ballava in pista, tenendo sotto controllo l'ingresso del locale. Non si stava divertendo molto, con quel pensiero fisso in mente e lo spettacolo di un airone danzante davanti agli occhi, che la faceva sentire piccola, inadeguata, ridicola, semplicemente inferiore. Selene era avvicinata continuamente da ragazzi che volevano ballare con lei, tra i quali la ragazza salutava sensualmente molti che conosceva e rifiutava quelli che non le piacevano. La scelta non le mancava. Lilla e Marta ridevano della situazione, facevano commenti urlandosi nelle orecchie e a volte coinvolgendo anche Giulia, che cercava di mostrarsi più allegra possibile.

Ad un certo punto un gruppetto di ragazzi si avvicinò a loro tre, Selene si era dileguata da qualche tempo con un ragazzo più grande. Giulia aveva notato di sfuggita i tipi con un drink in mano che parlottavano e ammiccavano nella loro direzione, adesso ne sentiva uno molto vicino alle spalle, e ne vedeva due che cercavano di avvicinarsi allo stesso modo a Giulia e Marta, probabilmente erano stati incoraggiati dalle sue amiche. Quando sentì una mano posarsi sul suo fianco si voltò di scatto, trovandosi faccia a faccia con un biondino. Avrebbe voluto allontanarlo in malo modo, dirgli che non era interessata, ma il sorriso sornione del tipo le procurò una strana sensazione di fastidio misto a imbarazzo che le mandò il viso in fiamme. Doveva ammettere che non era niente male. Forse fu per la sorpresa, oltre al fatto che, ormai era chiaro, Nathan non sarebbe arrivato quella sera, che si limitò ad allontanarlo posandogli debolmente una mano sul petto e urlandogli all'orecchio «Non starmi appiccicato». Quello alzò le mani in segno di resa, continuando a sorridere e ballarle vicinissimo.

«Sei occupata, bellezza

Il fiato caldo del ragazzo era a pochi centimetri dal suo orecchio. Le sembrò una cosa troppo intima, Giulia ne rimase quasi stordita, non ebbe il tempo di pensare altro se non alla verità, e rispose, repentina:

«No...»

«Allora che c'è di male? Possiamo ballare, no?»

Notando la sua titubanza il biondo tentò un nuovo avvicinamento. Giulia lanciò uno sguardo alle sue amiche, come a chiedere loro aiuto o consiglio e trovò Lilla avvinghiata al tipo che la stava corteggiando poco prima, ridevano e ballavano con le facce molto vicine, Marta avvinghiata ad un ragazzo con la barba che ondeggiava sensualmente mentre pomiciavano.

«Beeene» pensò «ho afferrato il concetto. Un momento, ma quello...»

Il ragazzo che ancheggiava in modo sorprendente attaccato alle labbra di Marta era inequivocabilmente Marco, l'amico di Nathan. Perchè Nathan non era con lui?

Bastò quell'attimo di distrazione perchè il biondo scambiasse il suo atteggiamente mutato per resa, improvvisamente Giulia sentì le sue labbra umide sul collo e si sentì come intrappolata: non voleva baciare quel ragazzo sconosciuto! Cercò subito di allontanarsi, ma per la troppa foga scivolò su qualcosa di viscido e appiccicoso, probabilmente un drink caduto per terra. Non era agilissima con addosso i tacchi alti e quel vestitino stretto. Il ragazzo non ebbe nemmno il tempo di aiutarla, le luci intermittenti della discoteca gli permisero solo di vederla con la bocca spalancata in una protesta, non vederla più e vederla di nuovo accasciata a terra. Allibito, il ragazzo cercò di avvicinarsi di nuovo per capire cosa non andasse, vedendola con la braccia strette al corpo, lo sguardo dolorante e quasi sul punto di piangere, ma non appena si avvicinò lei si dimenò in malo modo.

«No! Lasciami stare! Vattene!» continuava ad urlare lei tenendolo a distanza con un braccio.

Ignorando le sue proteste tornò ad avvicinarsi per aiutarla a rialzarsi, ma prima di sfiorarla avvertì una presa salda sulla spalla. Voltandosi avrebbe visto una figura imponente, un moro con lo sguardo fiero e vagamante minaccioso.

«I-io non le ho fatto nulla, lei...»

«Se dice no, è no.» Il tono fermo e deciso non ammetteva repliche e il ragazzo non seppe più cosa dire per difendersi. Fortunatamente il moro non sembrava intenzionato a fargli del male e spostò presto la sua attenzione verso la ragazza che aveva cercato di baciare, che aveva ancora le braccia attaccate al corpo, le sue amiche le erano accanto cercando di capire cosa fosse successo. Sembrava che tremasse.

Il ragazzo moro allontanò le due ragazze lanciando loro sguardi di rimprovero e appena lo vide Giulia lo abbracciò, nascondendo il volto contro il suo petto, dicendogli qualcosa. Facendosi strada tra i curiosi che allungavano il collo, urlando «Non c'è niente da vedere!» portò la ragazza fuori dal locale. Il biondo fu quasi sicuro di incrociarne lo sguardo, quando lei gli passò accanto, e avrebbe giurato di leggervi una scusa.

 

«Mi dispiace Spartaco, i tuoi amici...» Giulia mormorava, lo sguardo fisso sulle proprie mani posate sul grembo, i piedi liberi delle calzature infernali ora si crogiolavano al calore dell'automobile. O forse non mormorava affatto, anzi urlava, il fischio che sentiva dentro le orecchie non le permetteva di udire nemmeno la propria voce, si sentiva come in una bolla di ovatta.

«Non fa niente, c'era posto in macchina di Giova» rispose suo fratello secco.

«Mi dispiace, non era successo nulla, è solo che non lo conoscevo e...»

«Ho detto che non fa niente» con tono irritato Spartaco pose fine alla smaniosa spiegazione della sorella, pentendosi subito dopo per quella reazione. Sospirò e cercò di assumere un tono più calmo «Per la prossima volta assumiamo dei bodyguard» scherzò.

«Scemo»

«Guarda che i miei ragazzi sono forti e atletici!»

«Sono anche scemi come te?»

«O così oppure ti metti una maglietta con scritto “ALLA LARGA”»

«Perché non un campanellino da lebbrosa, allora?»

«Ancora più efficace!»

Risero entrambi, ormai calmi.

«Mi sa che è meglio se semplicemente non vado più in discoteca» mormorò poco dopo Giulia e non era sicura che suo fratello l'avesse sentita.

Poco dopo era nel suo letto a rigirarsi nelle coperte, si sentiva una stupida e non riusciva a dormire. Guardò l'orologio sul cellullare: le 2:05. Era presto per troncare una serata in discoteca, eppure con la sua maldestria era riuscita a rovinare il divertimento suo e di suo fratello. No, anzi, chi voleva prendere in giro? Lei non si stava propriamente divertendo, guardava le altre ragazze che ancheggiavano solo per attirare l'attenzione di qualcuno, l'abbigliamento ridicolo che si era ritrovata a sfoggiare, tutto quel trucco che copriva la vera Giulia. Una vibrazione interruppe i suoi malinconici pensieri. Guardò il telefonino.

- Lo so che è sabato notte e tu sei fuori e ti starai divertendo, non mi importa se non leggerai e non risponderai subito, ho solo bisogno di sfogarmi, perché sono furioso... c'è qualcosa di peggio di ritrovarsi a casa da soli di sabato sera? Mi sento intrappolato, vorrei fuggire, avrei voglia di urlare...

Era Nathan. Cos'era successo quella sera? Non indugiò e rispose.

- Qualcosa di peggio c'è: essere in una stanza circondati da decine di persone e sentirsi ugualmente soli, come se tutti gli sguardi che incroci fossero di sconosciuti.

Si pentì appena ebbe inviato il messaggio. «Uh-uh! Allegria stasera, eh?» pensò tra sé e sé. Non aveva resistito, perché le era sembrato che, seppure a distanza e in situazioni antitetiche, avessero condiviso le stesse emozioni. Era strano che Nathan le parlasse della sua rabbia e del suo malessere in generale, di solito non scendevano troppo sul personale. Forse con i recenti messaggi che gli aveva mandato aveva segnato una nuova tappa nel loro rapporto. Si affrettò comunque a scrivere un altro messaggio, prima che lo facesse lui.

- In ogni caso, tu mi hai consolato quando ne avevo bisogno, quindi... stasera sarò io il tuo Genio del Telefonino! (La tua Fata Madrina no, perché non riesco a farti andare al ballo, stasera...).

Diceva il secondo messaggio con una faccina imbarazzata.

- Hai ragione. Sapere che sei lì a leggere le mie lamentele, a rispondermi, sapere che dai loro importanza... basta questo per sentirmi meno solo. Grazie, Fatina del Telefonino.

«Tutto qua?» si chiese Giulia «Non vuole abbracci e bacini virtuali?». Era un po' delusa, ma al contempo era felice che almeno sapesse quanto era importante per lei, quanto gli stesse a cuore e... ehi, un momento! Era proprio un cuore quello che vedeva adesso? Nessun'altra parola e solo un cuoricino?

Panico.

«E adesso cosa gli rispondo?» il fischio nelle orecchie non accennava ad affievolirsi. Chiuse gli occhi e schiacciò il tasto dell'invio. «Ormai..!»

- Buonanotte

Scrisse soltanto, con un cuoricino rosso a concludere, al quale erano affidate tante altre parole che non aveva il coraggio di esprimere.

 

Giulia si mordicchiava il labbro inferiore, nervosa. Erano un paio di giorni che tentava di farsi notare il meno possibile a scuola, aveva smesso di uscire all'intervallo, non aveva nemmeno voglia di scoprire se adesso Nathan l'avrebbe salutata per i corridoi, dato che con lui ci sarebbero stati i suoi inseparabili amici Marco e Luigi e non aveva intenzione di farsi riconoscere dal barbuto, né da nessun altro fosse stato al Big Bang sabato sera. Era stata costretta a uscire dall'aula e voleva che il rischio finisse in fretta.

Con passi svelti e due euro in mano giunse davanti alla macchinetta del caffè e al distributore di merendine e si fermò pensierosa.

«Qualcosa di morbido non cioccolatoso» le aveva chiesto la professoressa di italiano, ma non aveva specificato altro, a differenza del caffè che doveva essere «espresso macchiato con tanto zucchero».

«Dà risposte alle domande della vita, se la fissi in quel modo?»

Giulia si riscosse dalla sua attenta osservazione dei prodotti disponibili, udendo una voce maschile che si avvicinava.

«Magari!» disse voltandosi. Voleva sorridere al ragazzo, ma non le fu possibile, quando incrociò gli occhi di un tipo biondo.

«Oh!» fece lui, bloccandosi a circa un metro da lei.

Giulia farfugliò qualcosa prima di sussurrare uno «Scusa» appena udibile, fissandosi i piedi. Il ragazzo parve pietrificato per un minuto, poi lo sentì muoversi e vide un braccio passarle davanti. Alzando lo sguardo seguì i movimenti del ragazzo che attendeva con indifferenza che scendesse la merendina selezionata. Sembrava un tipo a posto ora che lo vedeva alla luce del sole, con un golf blu al posto dell'elegante camicia e senza tutto quel gel a tenergli i capelli in un ciuffo ridicolo.

«Qualcosa di morbido non cioccolatoso» disse in un soffio, prendendo coraggio da non sapeva dove.

«Mh? Ah, questa è la Pini.» disse subito dopo ripredendosi dallo stupore e digitando un numero alla macchinetta. Giulia inserì i soldi e attese.

«Dici che questa roba le piace?» chiese tenendo gli occhi fissi sulla focaccina che si stava muovendo rumorosametne. Aveva paura di guardare il biondo negli occhi e contemporaneamente si vergognava per il proprio comportamento e desiderava chiedere scusa.

«No, è allergica»

«Cosa?!» gridò inorridita guardando finalmente il ragazzo.

«Ah, ora mi guardi negli occhi!» disse il ragazzo con quel suo sorriso ambiguo.

Giulia sentì l'imbarazzo salirle alle guance e abbassò la sguardo farfugliando qualcosa. Il biondo andò davanti alla macchinetta del caffè con aria indifferente e selezionò qualcosa.

«40 centesimi»

«Cos-..?»

«Espresso macchiato con tanto zucchero: 40 centesimi»

«Oh...» Giulia si avvicinò per inserire i soldi richiesti «Grazie.»

Il ragazzo se ne stava andando con un mugolio di intesa, ma Giulia non si sentiva l'animo in pace e raccogliendo tutto il suo coraggio insieme al caffè gli corse dietro mentre stava salendo i primi scalini.

«Ehi!»

Il biondo si girò con aria interrogativa.

«Scusa-per-sabato-grazie-per-prima» snocciolò tutto d'un fiato. Lui la guardò con un sorrisetto divertito. «E... piacere, mi chiamo Giulia.» Concluse allungando la mano destra, spostando caffè e focaccia nella sinistra.

«Prego-niente-ma-potevi-dirmi-che-avevi-il-ragazzo-Andrea» rispose lui stringendole la mano con presa decisa, senza togliersi di dosso il sorriso.

«Non ho il ragazzo e non si chiama Andrea!»

«Ma io sì»

«Ah...» disse Giulia sempre più imbarazzata, gli occhi fissi su quelli castani di Andrea. «Tu hai il ragazzo?».

«Cos-..?» disse con sguardo smarrito prima di scoppiare a ridere.

Lo aveva spiazzato.

 

«Spartaco è mio fratello»

«Ma dai!» esclamò Andrea alzando le sopracciglia incredulo. I due stavano salendo le scale uno di fianco all'altra, lui masticava beatamente la barretta di cioccolato che aveva appena acquistato.

«Non fare quella faccia, lo so: non ci somigliamo e no, non sono “famosa” come lui e non gioco a calcio»

«Non volevo offenderti, bellezza. Né ora né sabato» aggiunse serio dopo una pausa.

«Non è colpa tua, davvero, è che io...»

«Esci da una storia recente?»

Giulia sbuffò prima di dire con tono scherzoso: «È che la mamma mi ha detto di non fidarmi degli sconosciuti»

«Bene, Giulia, quindi adesso che ci conosciamo posso provarci con te?» disse lui.

Eccolo, stava di nuovo usando quel suo sorriso che la faceva arrossire e la mandava in confusione!

«Eh? Cosa? No! Io...» blaterò.

«Perché no?»

«Perché... guardami!» disse indicando se stessa, la faccia praticamente priva di trucco e la felpona oversize che la copriva fin quasi a metà coscia «Non sono quella che potevo sembrare sabato, non sono bella e popolare come Spartaco.»

«Spartaco, Spartaco, Spartaco...» la interruppe Andrea con aria annoiata e gli occhi al cielo «Senti, bellezza, non te ne offendere, ma io ho solo finto di sapere chi fosse tuo fratello. Ti avevo notata a scuola già prima di sabato e ho chiesto a un amico se ti conoscesse, anche lui mi ha risposto “la sorella di Spartaco”, ma mi dispiace deludervi: non seguo il calcio, men che meno la squadra della scuola e onestamente non mi interessa quanto sia “bello e popolare” tuo fratello, perché... non ha esattamente i connotati giusti per essere il mio tipo. Mi spiego?»

Giulia era rimasta qualche passo indietro con il petto in subbuglio e non certo per gli scalini saliti.

«Io mi fermo qui.»

«Mh? Ah, sì.» fece Giulia riscuotendosi dal suo stato di trance «Grazie ancora.» aggiunse piano ed era ovvio che non si riferisse più alla focaccina per la Pini.

Quando suonò la campanella dell'intervallo Giulia decise di salutare il suo amante (Termosifone, Termos per gli amici) e accompagnare Lilla, perché se proprio Andrea non si sentiva umiliato, scandalizzato e arrabbiato per la sua scenata in discoteca, chi avrebbe dovuto esserlo?

In ogni caso era arrivato il momento di fregarsene di ciò che pensava o avrebbe pensato la gente di lei! Uscì dall'aula a testa alta e con l'umore rigenerato.

«Lilla, mi dispiace per il vestito, non ne ho trovato nessuno simile...»

«Dai, lascia perdere, ti ho già detto che non fa niente!»

«Perché, che cazzo è successo?» chiese Emma appena le reggiunse insieme alle altre, poichè non aveva assistito alla secena in discoteca.

«Ehm...» fece Giulia imbarazzatissima fissandosi i lacci delle scarpe.

«Niente, è solo che Giulia è scivolata sabato e ha lasciato uno strappetto sul vestito che le avevo prestato»

«Eh, che cazzo vuoi che sia uno strappetto? E poi sai quanti altri vestiti c'ha la troietta!»

«Sì, beh, uno “strappetto” che arriva fino alle mutande...» pensò Giulia, tornando con la mente a quei minuti in cui era rimasta a sedere come un'allocca sul pavimento del locale senza sapere come fare ad alzarsi e coprire tutta quella pelle che si affacciava dallo strappo. Fortuna che era intervenuto Spartaco a coprirla con il proprio corpo.

In quel momento passò Andrea e Giulia fu la prima a salutarlo con un sorriso.

«Andava bene, bellezza?» chiese lui, senza specificare altro e a Giulia sembrò che volesse volutamente lasciare un po' di mistero, come a dire che si trattava di un qualcosa che conoscevano solo loro due.

«Benissimo!» rispose lei con un sorriso prima di superarlo.

«Porco cazzo! Conosci anche Colombo? Dimmelo subito se è un tuo cugino o parente lontano.» sbottò Emma un secondo dopo.

«Chi?»

«Andrea Colombo, il figo assurdo della 4a B!»

«Ah, bhè... a quanto pare... lo conosco»

«Tutte le fortune a lei, oh! Anzi, tutti gli uccelli..!» esclamò la Sboccata rivolta alle altre tre, senza far caso ai loro sguardi sbigottiti. Dopo tutto, nessuno le aveva detto che sabato Giulia era scivolata nel tentativo di allontanarsi proprio dal figo assurdo della 4a B.

 

Il mio angolino:
_____________

In via del tutto eccezionale (???) il prossimo aggiornamento sarà di lunedì anziché sabato, pazientaaaaate! :)
Ho rimaneggiato e corretto così tante volte questo capitolo, è stato un lungo parto...
Se siete ancora lì... Grazie! Mi raccomando: non abbiate paura a lasciare critiche e recensioni!
A presto,
FatSalad

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Capitolo 5
*** Conversazioni Private ***


Capitolo 5 – Conversazioni Private

 

Giulia ispezionò la credenza con attenzione: cracker senza sale o barrette dietetiche? Questo era il problema. Ponderò, calcolò e decise: nella prossima vita sarebbe stata una salutista e sarebbe stata attenta alla linea per diventare bella come Selene, ma per tornare ad affrontare lo studio della forma passiva e company dei verbi inglesi avrebbe avuto bisogno di più sostanza. Immerse la mano nel sacchetto dei biscotti al cacao e si recò soddisfatta in camera sua.

Dicembre era iniziato svegliando dal letargo, come al solito, i professori che non avevano mai abbastanza voti per le pagelline, i quali si misero a programmare interrogazioni a tappeto e verifiche scritte. Portò anche un'ondata di freddo e con il freddo qualche cattiva notizia.

Per Giulia erano giornate di fuoco, era fissa sui libri, ma non si lamentava molto, perché facendo una veloce rassegna della propria vita era come se negli ultimi mesi l'ago della bilancia si fosse adagiato sulla positività. In primo luogo aveva registrato un miglioramento dal punto di vista delle amicizie e dei rapporti interpersonali in generale. Sebbene, come ricordava sghignazzando, la prima impressione che aveva avuto delle amiche di Lilla non fosse stata delle migliori (le aveva definite “le 3 squinzie”!), a poco a poco aveva imparato ad apprezzarle. Innanzitutto era molto più piacevole passare l'intervallo in loro compagnia che non da sola in un angolo, le loro battute, spensierate e (quelle di Emma) sboccate, erano più simpatiche del muro sporco di classe sua. Inoltre, avevano tutte guadagnato un bel po' di punti quando, dopo la sua scenata in discoteca, erano state tanto discrete da non chiederle spiegazioni in merito, non spettegolarne in giro e non prenderla per pazza quando l'avevano vista in rapporti amichevoli con lo stesso ragazzo che aveva allontanato il sabato precedente.

Poi c'era la sua recente esplorazione di quel mondo sinistro: l'universo maschile. Prima di allora non le era facile chiacchierare tranquillamente con un ragazzo, Spartaco escluso, anzi, aveva problemi anche con le regazze. Adesso si era accorta che era molto semplice e piacevole fermarsi a fare due chiacchiere, anche se si trattava di brevi frasi di saluto e di circostanza, con Andrea, quando lo incrociava, e soprattutto con Nathan.

«Ehi, sai che sei simpatica?» le aveva detto un giorno il Fabbrini, costretto a starle accanto per un'ora, quando Giulia aveva trovato il coraggio di rivolgergli la parola, giusto per fare due battute. Lo sguardo meravigliato e quasi incredulo del compagno di classe dopo quella “scoperta” non la lusingava molto, ma era già qualcosa.

Andrea, lui sì, la lusingava invece ogni volta che le parlava, chiamandola “bellezza” almeno una volta per dialogo, senza contare il fatto che le aveva fatto una mezza confessione.

Quanto a Nathan, dopo che le aveva “dato buca”, se così si poteva dire, al Big Bang, il loro rapporto non era cambiato molto. Ogni volta doveva stare bene attenta a non farsi notare dai suoi amici perché se Nathan si vergognava di lei, non voleva metterlo in imbarazzo, ma nemmeno privarsi del piacere delle sue attenzioni. Aveva smesso di dargli la caccia per i corridoi della scuola e quando lo incrociava, se era affiancato dai suoi amici, si limitava a fargli un sorriso veloce, quasi clandestino. Lui ricambiava sempre il saluto, ma non avevano più parlato di quella sera, anzi, non avevano fatto grandi discorsi in generale. Continuavano a messaggiare con una certa frequenza, quello sì, ma nell'ultimo periodo le sembrava che il ragazzo fosse diventato un po' sfuggente.

«È da un po' che non lo sento» pensò controllando il cellulare e masticando un biscotto mentre attraversava il corridoio verso la sua stanza «Potrei mandargli un messaggio...».

Già il fatto che avesse preso in considerazione l'idea era una novità, poiché era praticamente sempre lui il primo a cercarla, ma non potè portare a termine l'iniziativa perché prima di aprire la porta di camera sua sentì la voce di Spartaco che passava dalla rabbia allo sconforto. Istintivamente guardò il soffitto.

Suo fratello si era appropriato ormai da un po' di anni dell'angusta mansarda per farne la propria camera da letto, anzi, la sua tana, ma, trovandosi esattamente sopra alla camera di Giulia, la ragazza riusciva a sentire tutto, sebbene non distinguesse le parole. Erano ormai 15 minuti o forse più che la telefonata (o le telefonate, non avrebbe saputo dirlo), andava avanti e il tono di Spartaco non era allegro e rassicurante. Vincendo la curiosità che spingeva per farle origliare e chiedere «Che è successo?», Giulia entrò in camera e si chiuse la porta alle spalle, sebbene la situazione si stesse facendo snervante.

Fu Spartaco a sciogliere l'arcano, scese le scale e senza aprire la porta la chiamò.

«Giuggiù?»

Ahi. Quando Spartaco la chiamava con quel ridicolo nomignolo di quando aveva 5 anni non prometteva nulla di buono.

«Che c'è?»

«Mi prepareresti una torta o dei biscotti, domani?»

A quella richiesta insolita Giulia si era decisa ad alzarsi ed aprire la porta. La visione di suo fratello appoggiato al muro con lo sguardo addolorato e le mani in tasca era decisamente anomala e perciò ancor più preoccupante.

«Che è successo, Tacco?» gli chiese sfiorandogli un braccio, usando a sua volta un nomignolo infantile.

«Lo Scheggia è all'ospedale.»

Per Giulia fu come se qualcuno avesse spento la luce senza preavviso. Quelle poche parole le danzavano nella mente mentre alle orecchie sentiva un fischio simile a quando era uscita dalla discoteca.

Nathan era all'ospedale.

Pensò a tutti i possibili significati che avrebbe potuto nascondere quella frase minima unita all'espressione sconsolata di Spartaco, poi, schiarendosi la gola ruscì a chiedere:

«C-che cosa ha fatto?»

«Un incidente»

«Come è successo?»

«Ieri sera doveva fare in fretta delle commissioni, ma non aveva la macchina, quindi ha preso la vespina, ma la strada era ghiacciata e...» qui fece un gesto allusivo con la mano.

«E... e come sta?» aveva paura a chiedere di più.

«Si è un po' maciullato: qualche osso rotto e non so che altro. Stasera lo dovrebbero rimandare a casa»

Giulia per poco non fece un sospiro di sollievo. Nelle sue fulminee immaginazioni si era verificato anche di peggio.

«Dovremmo giocare senza il nostro miglior esterno per qualche mese»

Giulia riuscì quasi a vedere la propria rabbia risalirle gli arti sottoforma di un fuocherello rosso. Era questo che infastidiva tanto il fratello? L'assenza di Nathan a quelle stupide partite?! A lei si era chiuso lo stomaco dalla paura che fosse successo qualcosa di grave al ragazzo e ora scopriva che il danno maggiore secondo Spartaco era il rischio di perdere il campionato senza il suo esterno? Stava per urlargli contro per fargli presente che la sua lista di priorità era un po' sballata, ma Spartaco interruppe i suoi pensieri.

«Allora? Me la fai una torta da portargli? Domani andiamo a trovarlo a casa con la squadra.»

Giulia annuì. Almeno aveva programmato un pensiero carino per Nathan.

«Ahi!»

Spartaco le aveva strizzato una guancia con un sorriso riconoscente prima di tornare in mansarda e Giulia non potè fare a meno di pensare che forse suo fratello non era preoccupato solo per le partite.

Tornò ai suoi “going to” e “used to”, ma le pareva che tutte le lettere che aveva davanti si riunissero per formare sempre e solo una frase: Nathan è all'ospedale. Con uno sbuffo di stizza allontanò il libro e dopo aver preso fiato, come per un tuffo in piscina, si affrettò ad inviare un messaggio.

- Ho sentito che hai fatto un incidente. Come stai?

Quando ebbe finito le sembrò la cosa più stupida che avesse mai detto in 17 anni e si imbarazzò moltissimo, ancor più quando non vide arrivare alcuna risposta, sebbene stesse fissando lo schermo da una mezz'ora buona.

Ormai era impossibile concentrarsi, così decise di cercare qualche ricetta per il dolce che avrebbe fatto l'indomani e pace all'anima degli anglosassoni!

 

All'una di notte, svegliandosi di soprassalto, Giulia controllò il cellulare alla ricerca di un messaggio ricevuto, lo aveva aspettato per tutto il giorno e finalmente Nathan aveva risposto, qualche minuto prima, con una serie di messaggi.

- Ehi, viaggiano in fretta le buone notizie!

- Non riesco a dormire, mi fa male il ginocchio, la spalla... beh, mi fa male un po' tutto, in effetti.

- Ti ricordi quando ti avevo detto che per me la vita è solo un periodo di attesa della morte, cosparso di sofferenze? - Giulia ricordava bene quella conversazione, le era sembrato che spiegasse un po' lo sguardo triste di Nathan, ma senza svelarne le cause più profonde. - E ti ricordi cosa ribattesti tu? - la ragazza trattenne una risatina. Lo ricordava eccome! Si era infervorata come poche altre volte e gli aveva risposto: “Tipico di un uomo!” con faccine che sbuffavano “Voi maschietti avete il pensiero fisso solo al traguardo finale, alla meta. Voi calciatori, poi, siete una sottospecie anche peggiore: solo al goal pensate! Lasciati dire una cosa da una donna: c'è tutto il percorso nel mezzo, c'è tutta la partita da giocare e sei tu a decidere come affrontarla.” Ricordandolo, però, Giulia non capiva cosa c'entrasse in quel momento, prima di finire di leggere il messaggio, che recitava:

- Ecco, mi accorgo sempre più spesso che avevi ragione. Sono mezzo stronco, ho passato una nottata in una camera di ospedale con un vecchietto che mi russava accanto e sarei comunque riuscito a dormire, se non fosse per il dolore che mi tiene sveglio anche ora. In tutto questo macello ho acceso il cellulare e ho letto i messaggi dei miei amici, dei compagni di squadra e il tuo e... niente, è bello sapere che c'è qualcuno che pensa a me, che mi vuole bene. Anche se il mio ginocchio rimane spappolato e tutto il resto, è bello sapere che non sono solo. Grazie.

Giulia si sentì stranamente contenta e non aveva senso. Non aveva senso che proprio in quel momento Nathan stesse ritrattando la sua teoria cosparsa di pessimismo e autocommiserazione. Non aveva senso che fosse bastato un messaggio idiota per farsi ringraziare in modo tanto sentito.

- Se ti fa piacere posso mandarti altri messaggi

Rilesse ciò che aveva scritto. Avrebbe voluto soffocarsi con il cuscino. «Oggi qualcosa di intelligente proprio no, eh?»

- Sei tornata ad essere la Fatina del Telefonino?

Fortuna che l'aveva presa sul ridere.

- È solo un impiego part-time, sai com'è... il cliente ha sempre ragione, ma le mie prestazioni sono limitate.

Si rese conto di aver usato di nuovo le parole sbagliate, e si fece tutta rossa. Doveva essere colpa dell'ora tarda se faceva tante gaffe!

- Sentiamo, quali sarebbero le tue “prestazioni”? C'è anche un listino prezzi?

Appunto. Sapeva che avrebbe avuto brutti risvolti, bruuuutti risvolti. Soprattutto quando vide le faccine maliziose che concludevano il messaggio di Nathan.

- Non pensare male!!!!! Intendevo dire che non rimetto a posto le ossa, (per quello senti Madama Chips). Non rimetto a posto le stanze, (per quello c'è la signorina Poppins). Non rimetto a posto un granchè, in effetti... ma se vuoi... posso donarti un po' di tempo e tenerti compagnia. E, udite, udite: solo per oggi il servizio sarà GRATUITO! Che dici, sono stata convincente, anche se sono una fatina un po' inutile?

- Beh, non eri partita molto bene, in effetti, ma dato che è gratuito accetto l'offerta.

Bene, perfetto, e ora? Cosa poteva inventarsi per distrarlo?

- Ottima scelta! Complimenti! Lei è il mio primo cliente! Ha vinto un FANTASTICO gioco! Anche se lei non può vedermi, adesso, grazie alla mia insuperabile magia, mi sono trasformata in un famoso personaggio. Chi sono?

Nathan, evidentemente, rise.

- Non farmi ridere così, mi fanno male le costole!!!

I due andarono avanti per un paio d'ore a giocare a “Indovina chi” per telefono, ma alle 3:00, dopo che Giulia si era trasformata in Bulma, Silente, Tinki Winki e Maurizio Costanzo e Nathan era diventato Pirlo, Caparezza e Dart Fener, (personaggi che la ragazza aveva indovinato subito commentando ogni volta con un “Prevedibile!!!”), Giulia fu costretta a tornare alla realtà.

- La informiamo che il suo buono sta per scadere.

- Ooops... sono le 3:00??? Vai subito a dormire che domani hai scuola, Fatina!

Giulia ingoiò un gridolino di felicità. Era lei che doveva prendersi cura di Nathan, non il contrario, eppure lui trovava sempre il modo di essere premuroso e dolce in ogni momento.

- Grazie... gentile utente, le ricordiamo che può contattare il servizio quando vuole. Buona notte, cerca di riposare anche tu.

 

«Lilla, il ragazzo che mi piace...»

A quelle parole, come per un incantesimo, l'amica distosle lo sguardo dallo specchio e si girò verso di lei, con aria attenta. Erano nel bagno della scuola, la Sboccata, Faccia-di-Bambola e la Divina le aspettavano alla scala antincendio dove le prime due stavano fumando. Il compito di inglese non era andato troppo bene, reduce da una giornata di scarso studio e una nottata praticamente insonne, Giulia già si immaginava la faccia della professoressa che le diceva “Giulia, Giulia... mi hai deluso!” scuotendo la testa.

«Ecco, lui...»

«Chi è?»

«Questo... ancora non voglio dirtelo»

Lilla sbuffò «Ok, allora cosa volevi dirmi?»

«Ecco, lui... non sta molto bene.»

Lilla sbiancò. «No, Giulia, non dirmi che ti sei innamorata di un malato terminale, perché non lo sopporterei! Tu vuoi farti del male da sola! Com'è possibile che per ogni cosa...»

«Ferma, ferma, ferma. Alt! Non è un malato terminale e sinceramente... corna!» fece Giulia bloccando il flusso di parole dell'amica, ora visibilmente sollevata.

«Non ha niente di inguaribile, ok? Te l'ho detto solo per essere sincera con te, perché ho pensato che se fossi partita raccontandoti di “un ragazzo che piace ad una mia amica” non ci avresti creduto comunque»

«Ovvio. Conosco tutte le tue amiche.» disse Lilla con noncuranza, incrociando le braccia al petto e aspettando il resto.

«Appunto. Quindi comincerò esponendoti il problema. Il fatto è... che io e lui non abbiamo esattamente un rapporto di amiconi, ma sapendo che non sta bene io vorrei andarlo a trovare, una volta.» Concluse dopo un cenno d'incoraggiamento di Lilla, prima di abbassare lo sgurado sulle proprie mani.

«Ho capito.»

Giulia fissò l'amica. Aveva capito?

«Ti serve un pretesto. Guarda che in questo caso è molto semplice, anzi, il fatto che lui stia male è il pretesto. Si sa che quando c'è di mezzo una malattia sono tutti più buoni con te, poi ti basterà apportare una qualsiasi delle classiche scuse: “passavo di qua”, “ti ho portato un cocomero”, “è arrivata anche a te la lettera per Hogwarts?”...»

«No, no, no...» Lilla aveva frainteso ancora «Io un pretesto ce l'avrei già»

«Ah, sì?» chiese Lilla, stupita.

«Sì, diciamo che questo ragazzo è... un amico di famiglia, ecco. Se andrò a trovarlo non sarò certo da sola.»

«Ah...» fece Lilla, con aria quasi delusa. «Quindi dov'è il problema, non capisco?»

«Il problema è...»

«Oddio!» Lilla la interruppe di nuovo prima che potesse continuare «non dirmi, non dirmi... che è sposato?! Lo sapevo! Le storie normali non ti piacciono, vero? Solo quelle complicate...»

Giulia la fermò scoppiando a ridere.

«Ma che ti viene in mente? Non ha malattie terminali, non è sposato, non è un vecchio e nel caso ti venisse il dubbio non l'ho conosciuto sul web senza averlo mai visto dal vivo!»

Lilla sembrò rassicurata, ma non rilassò del tutto l'espressione del volto.

«Ha un figlio?»

«No»

«Abita all'estero?»

«No»

«È un senzatetto?»

«Eh? No! Ma cosa vai a pensare? È un ragazzo normalissimo! Pensa, non è nemmeno stato punto da uno strano ragno o esposto a raggi gamma! Ti assicuro che più normale di così si muore, mi sono spiegata?»

«Allora mi spieghi dov'è il problema?» sbottò Lilla battendo teatralmente le braccia lungo i fianchi.

«Mi sa che sono io» bisbigliò Giulia «non so se andare a trovarlo o meno.»

«Ma non avevi detto di volerlo fare?»

«Sì, io vorrei, ma... mi conosci... e se mi imbarazzo? Se faccio la figura dell'idiota? Se mi impappino e comincio a dire cose senza senso? Peggio ancora: se capisce che mi piace?»

Fu il turno di Lilla a bloccare lo sproloquio dell'amica. «Woa, woa, woa, ferma lì. È un male se capisce che ti interessa?»

Giulia abbassò lo sguardo e cominciò a torturarsi le mani borbottando delle frasi senza senso, di cui Lilla riuscì a captare solamente le parole “troppo per me”. A quel punto sospirò e mise le mani sulle spalle di Giulia.

«Ho capito, ho capito. Senti, al momento anche io mi sono presa una cotta per un ragazzo che non ricambierà mai, lui è troppo al di sopra delle mie possibilità. Nonostante tutto però voglio provarci, voglio passare più tempo possibile con lui, voglio trovare qualsiasi pretesto pur di vederlo, parlarci, a costo di rendermi ridicola! Se capirà che non ho occhi che per lui... ben venga! Non voglio avere rimpianti!»

Giulia fissava gli occhi di Lilla.

«Tu sei una forza, Lilla, e non esiste nessuno al di sopra delle tue possibilità, intesi?»

«Grazie» fece lei prima di abbracciarla.

Fu un abbraccio lungo, di quelli che riescono a far scorrere la forza, il coraggio e l'amore attraverso il semplice contatto. Quando si staccarono Giulia chiese:

«Chi è il tuo uomo?» Si trattava forse il ragazzo con cui l'aveva vista ballare in discoteca? Ma quello sembrava alquanto interessato a lei e, a meno che Lilla non fosse diventata cieca, lo doveva aver notato.

«Eh, no, cara! Troppo facile! Te lo dirò quando mi avrai rivelato la misteriosa identità del tuo!»

«Ok, hai vinto.» disse Giulia prima di scoppiare a ridere insieme all'amica.

«Torniamo dalle altre? Se rimaniamo ancora qui penseranno che siamo cadute nella tazza»

«Ok, andiamo. Cavoli, però mi dispiace per Spartaco...»

«Perché?» chiese Lilla, stringendo le sopracciglia in un'espressione interrogativa.

«Sono sicura che stesse facendo un pensierino su di te»

«Ma che dici!» ribattè Lilla con una risatina stridula.

«Lo so, lo so che siamo amici da sempre, però... boh... hai presente quelle sensazioni, quelle che chiamano il sesto senso di una donna? Pensavo...»

Le due ragazze risero insieme mentre tornavano dalle amiche. Una strana sensazione di leggerezza e libertà le avvolgeva, ora che si erano rivelate a vicenda un pezzettino delle loro anime, o forse solo delle loro menti.

Giulia ormai si era decisa, dopotutto non era stata proprio lei a dire “c'è tutta la partita da giocare e sei tu a decidere come affrontarla”? Non voleva essere accusata di predicare bene e razzolare male e Lilla le aveva dato la carica giusta: sarebbe andata a trovare Nathan.

 

Il mio angolino:
_____________
Capitolo di passaggio, quindi per augurarvi un Buonissimo Natale posterò prestissimo un nuovo capitolo, che concluderà la prima parte della storia. State gioendo, vero???
Le scommesse (?) sul motivo dell'apparente “schizofrenia” di Nathan sono ancora aperte... fino al prossimo capito, lì si comincerà a capire qualcosa, prometto.
Aspetto le vostre recensioni, ho mai detto che mi diverto un sacco a rispondere?
Grazie di cuore a chi segue ed è arrivato fino a qui!
A presto,
FatSalad

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Capitolo 6
*** Paradiso Amaro ***


ATTENZIONE! Questa settimana ho già aggiornato, quindi, se non l'avete già fatto, leggete prima il capitolo 5!

 

Capitolo 6 – Paradiso Amaro

 

Era abbastanza preparata? Non c'era da scherzare, senza sapere bene a cosa andava incontro, se sarebbe stato un compito scritto o un'interrogazione e soprattutto su quali temi si sarebbe tenuta la verifica. Giulia diede un'ultima ripassata veloce al discorso che si era preparata, si diede uno sguardo globale per vedere se era abbastanza in ordine e suonò il campanello.

Si era concentrata su un sorriso discreto, ma non si era certo immaginata la faccia scura della donnina con i capelli legati sulla nuca che le venne ad aprire con aria un po' scocciata.

«Sì?» chiese la donna dopo averla squadrata.

«Ehm... sono venuta a trovare Nathan...»

«Penso che sta dormendo» disse la donna con un accento marcato, addolcendosi dopo aver gettato uno sguardo al bottino che Giulia protggeva tra le braccia e facendola entrare in casa «Vai a vedere.»

Giulia fu abbandonata in fretta dalla donna delle pulizie in miniatura, che evidentemente era stata interrotta nel bel mezzo del suo lavoro. La ragazza entrò titubante, pensando che il primo test era stato superato, dopo una ventina di minuti circa passati a camminare senza sosta intorno a quel terratetto che Spartaco le aveva indicato come la casa di Nathan. L'unico problema era che non vi era mai stata prima, non aveva idea di dove si trovasse la stanza del ragazzo e certo non voleva disturbarlo se stava dormendo, sebbene fossero le 4 del pomeriggio.

«Come ho fatto a farmi convincere a venire da sola?» si chiese Giulia, incapace di muovere anche solo un passo in quel terreno sconosciuto. “Se andrò a trovarlo non sarò certo da sola” aveva assicurato a Lilla e invece eccola lì, ad annaspare come un pesce fuor d'acqua.

«Potresti farmi un favore?» le aveva chiesto quella mattina suo fratello «Porteresti dei libri allo Scheggia?»

Sul momento Giulia non aveva trovato modo migliore di rispondere se non arrossire violentemente, sperando di non essere vista. Dopotutto erano giorni che sperava di andare a trovare il povero infortunato, ma non si aspettava certo che le venisse chiesto di andare da sola. Le venne in mente quella frase che recitava all'incirca: “Non sperare qualcosa perché potresti essere accontentato”, non sapeva dove l'aveva sentita, ma calzava a pennello.

«Perché non glieli porti tu?» aveva ribattuto subito, apparendo un po' irritata dalla faccenda, mentre una parte molto nascosta di lei stava ballando macarena, conga e samba al ritmo del suo cuoricino impazzito. L'effetto era stato quello di ricevere qualche preghiera dal fratello, che, a quanto pareva, “aveva un impegno”, dopo le quali aveva magnanimamente accettato di fargli quel favore.

Così ora si trovava in un salotto spazioso illuminato da finestre enormi, che dovevano mettere a dura prova la filippina che le puliva, costringendola sicuramente a salire su uno scaleo. Dopo uno sguardo globale ai calici nella vetrina e al televisore a schermo piatto che dava mostre di sé con la sua superficie scintillante, Giulia si impose di tornare al problema principale: trovare la stanza di Nathan.

«Datti una mossa, Giulia!» si disse «Se il bagno è sempre in fondo a destra... proviamo ad andare a sinistra.» azzardò.

Si avvicinò con cautela ad una porta e sentì un lieve mormorio. Doveva essere la stanza giusta e, a quanto sembrava, Nathan era immerso in un sogno non troppo piacevole. Due moti opposti di gioia e di tristezza lottarono dentro di lei. Da una parte era sollevata di non dover affrontare il ragazzo che le piaceva in quel modo, in un luogo sconosciuto, senza il sostegno di nessuno. D'altra parte era un po' delusa, perché aveva sperato in ogni caso di poterlo vedere e parlargli di persona, cosa che non era ancora riuscita a fare da quando era accaduto l'incidente. Si guardò le mani, che reggevano tutti i regali che doveva consegnare e decise di non bussare alla porta. Gli avrebbe lasciato tutto in salotto, o sul tavolo della sala da pranzo, ma non valeva davvero la pena di svegliarlo. Solo... sarebbe passato del tempo prima che il ragazzo potesse vedere cosa gli era stato lasciato in un'altra stanza, forse era meglio fargli almeno sapere che qualcuno era passato. Doveva avvertire la domestica? Non le sembrava una buona idea disturbarla di nuovo e se poi fosse andata via prima di poter riferire il messaggio? Forse, se fosse riuscita a far passare sotto la porta il nuovo numero di Thor che gli aveva comprato, Nathan l'avrebbe notato appena sveglio e avrebbe saputo che qualcuno era stato lì. Magari poteva lasciare un bigliettino sopra o dentro il giornaletto nel quale avrebbe spiegato che era passata per lasciargli alcune cose e avrebbe potuto specificare dove. Sì, l'idea era geniale!

Frugò nella borsa per trovare l'occorrente per scrivere e, accontentandosi di uno scontrino stropicciato, cominciò a scarabocchiarci sopra due righe di saluto, scrisse solo “Ciao! Questo è un regalo per te... Guarisci presto! Un abbraccio”, lo mise alla prima pagina di Thor e cominciò a far strusciare il fumetto sotto la porta.

Soddisfatta, Giulia stava per alzarsi e andarsene, quando dei dubbi la colsero. Partirono da un innoquo e lecito: «Forse da quello che ho scritto non capirà che ho portato anche altre cose»; passarono ad un più allarmato: «E se legge dallo scontrino che ho comprato le strisce per depilarmi e gli assorbenti con ali?»; fino ad arrivare a preoccupanti «Sono un'idiota!» accompagnati da propositi di sbattere la testa sullo spigolo più vicino.

«Come mi è venuto in mente di disegnarci una fatina che manda un bacino??? Non capirà mai che cos'è quello sgorbio!».

Fece più volte per andarsene prima di ripensarci e fare dietro front e quando sulle mattonelle di marmo aveva ormai scavato un sentiero si decise.

«Devo riprendermi Thor.»

Purtroppo, pochi minuti prima era stata così zelante nello spingere il fumetto il più lontanto possibile dalla porta, per renderlo più facilmente visibile, che adesso riprenderselo era un'impresa non da poco. Cercò di allungare le dita della mano sotto la porta, si scorticò le nocche, ma era impossibile arrivarci in quel modo. Si sentiva una ladra, a fare una cosa del genere di nascosto, cercando di non fare alcun rumore.

«Ladra? Ma certo!»

Con un ghigno furbastro Giulia prese l'oggetto distintivo di un ladro: la forcina. Se ne tolse un paio dai capelli e le deformò in modo da renderle più lunghe possibile e facendole passare sotto l'uscio tentò di raggiungere Thor, ma quello, dopo qualche minuto, se ne stava ancora tranquillo e indisturbato dall'altra parte della porta con il suo martello in mano e il sorriso ruggente sulla faccia.

Niente da fare, i tentativi erano falliti di nuovo, miseramente.

La sua permanenza davanti ad una porta chiusa cominciava ad essere imbarazzante, per cui Giulia si decise: aprire uno spiraglio, il minimo indispensabile per far passare una gamba e tirare verso di sé il dannato fumetto.

La porta dispettosa cigolò traditrice e Giulia trattenne il fiato, ma dal letto che scorse nella semi-oscurità della stanza non provenne nemmeno un gemito, solo il respiro regolare di un dormiente. Sollevata, la ragazza allungo adagio una gamba e cercò a tentoni il fumetto.

«Dove diavolo l'avevo spinto?» pensò.

A quel punto era meglio entrare completamente nella stanza e afferrare l'oggetto incriminato con le mani e così fece Giulia.

«Missione compiuta» pensò quando ebbe il fumetto in mano, accovacciata per terra.

In effetti quello che le rimaneva da fare a quel punto era solo tornare indietro silenziosamente e richiudersi la porta alle spalle, solo che un urlo agghiacciante la fece schizzare in piedi, gridando a sua volta.

Fu questione di un attimo, la luce si accese, illuminando una stanza inaspettatamente piccola, se confrontata con il salotto esagerato, l'uomo che urlava fu messo a tacere con un un rapido gesto di Nathan, dopo che il ragazzo ebbe urlato a sua volta.

Oh, dunque si trattava solo di una sveglia, non c'era nessun uomo agonizzante, in fin di vita, nessun attacco alieno o mostro venuto per sbranarli. Bene a sapersi. Solo che ora due occhi sgranati la ossarvavano interdetti, chiedendo silenziosamente cosa ci facesse una ragazza non invitata in quella stanza.

«Ehm... ciao.» farfugliò Giulia, improvvisamente rossa.

«Ciao» rispose lui.

Cavoli, com'era quel discorso decoroso e brillante che aveva memorizzato prima di suonare il campanello? E perché nessuno l'aveva mai informata che soffriva di perdita di memoria a breve termine?

«Scusa, io, ehm... ecco, non sono una ladra!» sì, bene, questo era un ottimo inizio «Sono venuta per... non so se ti hanno avvertito... io... non volevo svegliarti... è solo che dormivi e... ti ho portato questi.»

Un discorso davvero brillante. Qualcuno doveva avvertire il professore di “Idiozia del discorrere e delle figure di merdeloquenza applicata”, perché Giulia era sicura di meritarsi almeno una laurea.

«No, figurati, avevo messo la sveglia, altrimenti se dormo troppo non riesco a dormire la notte»

«L'ho sentita la sveglia, sì...»

«Già, io se non metto a volume alto rischio di non sentire niente»

«Certo.» perché Nathan si stava giustificando? La situazione stava diventando più imbarazzante di quanto già non lo fosse. Essere beccata nella camera di un ragazzo come una ladra... che vergogna! E ora che ci pensava la sua coda di cavallo doveva essere indecorosa dopo che aveva deformato (invano) le forcine che la tenevano in ordine. Per fortuna Nathan riprese presto la sua solita naturalezza.

«Già che sei qui potresti aprire la finestra, per favore? Così spengo la luce e magari cambiamo aria...»

Cambiare aria: esattamente ciò di cui aveva bisogno.

Giulia non si fece pregare e si affrettò verso la finestra, lasciandogli prima tutto ciò che gli spettava sul comodino, senza riuscire ancora a guardarlo negli occhi.

«Ecco, come dicevo, sono passata a lasciarti delle cose, appunti, libri e altra roba.» Poteva farcela, poteva riprendersi.

«Grazie. Oh! Questi li hai fatti tu?»

Giulia si voltò, per trovare Nathan con un sorriso riconoscente e il sacchetto dei muffin in mano.

«Beh, sì... spero ti piacciano, Spartaco ha detto che la torta dell'altro giorno ti era piaciuta, quindi ho usato la cioccolata per andare sul sicuro.»

«Grande! A proposito, grazie ancora per la torta dell'altra volta, era meravigliosa.»

Giulia abbassò la testa, felice ma ancora imbarazzata. Dunque, quello che doveva fare l'aveva fatto, era tutta qui la spaventosa interrogazione per cui si era preparata per ore? Sarebbe stato più opportuno salutare, lo sapeva, ma voleva parlare ancora con Nathan, così, facendo uno sforzo enorme e tentando di recuperare negli anfratti della memoria i punti toccati dal discorso che, inutilmente, si era preparata, chiese:

«Come... come ti senti adesso?»

«Meglio, grazie. Tra domani e dopodomani dovrei tornare anche a scuola, dipende da quando mi arrivano le stampelle.» rispose lui tranquillo, armeggiando con il sacchetto dei muffin. «Ehi, ti va di farmi compagnia? Non penso di riuscire a mangiarli tutti io.»

Un momento. Nathan l'aveva appena invitata a mangiare con lui? Ok, era solo per cortesia e si trattava di un muffin che aveva preparato lei stessa e avrebbe mangiato con lui ingessato e costretto a letto, ma mentre accettava e si avvicinava a Nathan, che gli indicava la sedia della scrivania, stava praticamente volando. Registrò nella mente la mensola sopra la scrivania con una fila ordinata di dvd, un armadio chiaro di fronte al letto ed una quantità esagerata di fumetti che riempivano ogni spazio vuoto.

«Mmm... sono buonissimi! Ritratto: penso che riuscirò benissimo a mangiarli tutti!» disse Nathan appena ebbe addentato un dolcetto, facendo ridere e gongolare Giulia.

«Bene, mi fa piacere. Poi, li ho fatti piccoli apposta: è una dimensione per cui non ci si sente in colpa se se ne mangia di più!»

Parlarono ancora per qualche minuto di cioccolato, calcetto e operazioni al ginocchio, che Nathan avrebbe voluto evitare, poi Giulia considerò che fosse il momento giusto per salutare, prima che cadesse un silenzio imbarazzante.

«Devo andare a prendere l'autobus, altrimenti torno a casa per cena»

«Certo, vai pure. Grazie ancora per i muffin e per avermi portato tutto il resto» disse Nathan mentre osservava gli oggetti ricevuti «No! Grandioso! Usciva oggi il nuovo numero di Thor!»

Giulia, ormai sulla soglia, si incantò a guardare quel volto radioso di un bambino che ha appena ricevuto il giocattolo che aveva richiesto a Babbo Natale, prima che una sconvolgente realtà le tornasse alla mente.

«Gli assorbenti! La fatina!» gridò la sua materia grigia.

Nathan avrebbe visto lo scontrino con i suoi saluti strampalati non appena avesse aperto il fumetto. Non potendo fare ormai nulla per impedire l'inevitabile, si affrettò a ripetere un saluto e a fiondarsi fuori da quella casa.

Era appena salita sull'autobus quando le arrivò un messaggio di Nathan, era semplicemente la foto del fumetto che gli aveva regalato, prima che arrivasse un secondo messaggio:

- Ti adoro!

Bene, era un buon segno. Cioè, intanto era una bellissima frase di per sé, che la fece sciogliere sul posto, poi significava che il ragazzo non aveva fatto troppo caso al suo ridicolo scontrino-biglietto.

- Ma questa pallina di lardo con la bacchetta in mano saresti tu, fatina?

Come volevasi dimostrare.

- Grazie di tutto, sei la fatina migliore che conosca, ma non posso garantire che mi rimetterò presto, dovrò fare continui controlli e stare fermo per 6 mesi. Quindi, almeno che questi tuoi bacini non siano magici e facciano passare tutta la bua, dovrò stare fermo per un bel po'. Ho già detto grazie?

- Mi pare che tu l'abbia fatto, sì! Prego, vorrei fare di più, ma non ho imparato a dare bacini anti-bua...

Si trattenne dal dirgi che gli avrebbe volentieri dato tanti bacini e basta.

- Che ti adoro l'ho già detto?

Giulia ridacchiò, era al settimo cielo e, come al solito, molto più disinvolta con i messaggi che non nelle convesazioni a tu per tu, ma ugualmente non ebbe il coraggio di rispondergli che anche lei lo adorava, anche se lo pensava ormai da tempo. A Nathan non parve dar noia quel silenzio, continuò a mandarle svariati messaggi per tutto il pomeriggio, la aggiornava di tanto in tanto sulle vicende di Thor che stava leggendo, la omaggiava ogni volta di nuovi dolci ringraziamenti e scherzosi complimenti “Ogni volta che ho bisogno tu ci sei. Come fai a sapere sempre cosa dire e cosa fare? Mi piacciono le tue magie!” e via dicendo. Giulia fu grata del fatto che se anche si era accorto che aveva comprato degli assorbenti non l'aveva detto, ma tutto il resto del suo biglietto era stato analizzato e commentato da Nathan, come fosse una poesia da studiare per scuola e la cosa la colpì non poco. Veramente Nathan dava tutta quell'importanza alle sue poche, semplici parole? Era bello sapere che ne aveva avvertito la sincerità, anche se dopo averle scritte le erano sembrate un po' stupide, soprattutto per aver disegnato quella fatina-palla che soffiava un bacio. Era così bello che Giulia si sentiva scaldare il cuore e allo stesso momento avvertiva la paura che la gioia terminasse bruscamente, come se fosse troppa per essere contenuta tutta insieme nel suo corpicino minuto. Aveva l'impressione di essere una bottiglia gigante di spumante, con le bollicine che si agitavano nel suo stomaco, ma un triste presentimento le faceva pensare che presto la bottiglia sarebbe esplosa sputando lontano quella frizzante sensazione.

Dopo cena un nuovo squillo la fece precipitare sul cellulare.

- Che fai, bellezza?

Tipico di Andrea cominciare un discorso con quella frase. Giulia avrebbe voluto troncare in fretta il discorso, dal momento che era molto più interessata ad aspettare i messaggi di un altro ragazzo, ma lasciandosi trasportare dall'euforia che le aveva portato la giornata, forse grazie alla cioccolata che aveva ingerito, decise di non essere acida.

- Niente di che. Tu che mi dici?

Valutò la frase e le parve sufficientemente cortese senza essersi sbottonata troppo. Sapeva inoltre che dando un minimo di appiglio al ragazzo lui si sarebbe scatenato in un lungo e dettagliato monologo. Era divertente, non le richiedeva troppa partecipazione e solitamente la faceva ridere. Infatti non la deluse e cominciò a raccontarle come aveva tentato di prepararsi la cena mettendo insieme tutto ciò che era riuscito a trovare nella dispensa e nel frigo e del risultato disastroso che l'aveva costretto ad aggiungere di volta in volta nuovi ingredienti, continuando a peggiorare il sapore del suo esperimento culinario.

- Notevole!

Commentò con una serie di faccine che si sbellicavano dalle risate e stava ancora ridacchiando quando due messaggi arrivarono contemporaneamente, ma a quel punto non le fece alcun effetto il neanche troppo velato invito ad uscire che le fece Andrea, perché il suo:

- Bellezza, ti va di fare un giro, sabato?

Fu surclassato ed oscurato da un nuovo, sconvolgente messaggio di Nathan.

Per quanto la domanda fosse sintatticamente e semanticamente semplice, a Giulia sembrò di avvertire il proprio cuore arrestarsi e per la prima volta in vita sua seppe cosa significava presentarsi ad un'interrogazione senza aver studiato. Di tutto si sarebbe aspettata, ma per quelle semplici parole, che lesse e rilesse fino a imprimerle negli occhi e nella memoria, non trovava soluzione.

- Perché ti chiamano Lilla?

La bottiglia di spumante aveva perso il suo gusto frizzantino come un palloncino sgonfiato e Giulia era impreparata.

 

Il mio angolino:
_____________
BUON NATALE!
Capitolo breve. Non dico altro. Peace.
Ricomincerò a pubblicare prossimanente, dopo le feste. Stay tuned! ;)
Grazie per essere arrivati fin qui.
FatSalad

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Capitolo 7
*** Chocolat ***


PARTE II: CONTATTI

Capitolo 7 - Chocolat

 

Tacco, punta, tacco, punta, Giulia camminava lentamente, nella mano destra il manico della borsa, nella sinistra una brezza pungente. Non era sicuro lasciarla penzolare nel vuoto a quel modo, meglio ritirarla nel tepore della tasca del giacchetto. Tacco, punta e le vetrine le gettavano addosso luci provocanti, ammaliatrici. Tacco, punta e non aveva tempo di registrare tutti i volti che frettolosi la oltrepassavano. Tacco, punta e nel mormorio di via del corso un'interferenza le risvegliò i sensi.

«Come, scusa?» chiese.

«Ho detto che non ti facevo una golosona.»

«Non ti hanno mai detto che il miglior amico di una donna è il cioccolato?» ribattè, ammiccando.

«Mmm... sono quasi sicuro che fossero i diamanti»

«Il cioccolato ha il vantaggio di essere più economico, mi pare, ma se ci tieni tanto la prossima volta ordino una tazza di diamanti.»

Andrea rise, era incredibile quanto fosse bella la sua risata, benchè mantenesse il sentore di malizia che caratterizzava anche il suo sorriso.

Quanto tempo era che le chiedeva di uscire? Un bel po'. Giulia si era stupita vedendo che, dopo i primi approcci respinti, Andrea non si era affatto scoraggiato, ma anzi, aveva continuato a parlarle e a cercarla come aveva sempre fatto. Doveva essere talmente sicuro che prima o poi gli avrebbe detto “sì”, che incassava ogni “no” come fosse un incoraggiante “non ancora” e tornava tranquillo ad attendere il momento opportuno. Quando l'ennesimo “Ti va di fare un giro?” era stato accolto con un “Va bene” Andrea aveva pensato che finalmente aveva avuto un buon tempismo.

Giulia non era del tutto sicura di ciò che aveva fatto, ma si era lasciata convincere dalle sue amiche.

«Lilla, non so che fare: Andrea mi sta chiedendo di uscire con lui, da un po' di tempo...» aveva confessato un giorno.

«Andrea Colombo? Quel Andrea?»

«Sì, lui.»

«Immagino che il tuo “non so che fare” significhi “non so come vestirmi e come truccarmi”, giusto?» aveva ribattuto l'amica visibilmente eccitata e stupita.

«No, significa che gli ho sempre detto di no, ma ora non so se dovrei accettare...»

«È per il ragazzo misterioso che ti piace?»

Giulia aveva annuito, guardandosi le scarpe, prima di bisbigliare: «Il fatto è che... è da un po' che non ci sentiamo.»

«Allora cosa stai a pensare?! Ehi,» aveva urlato Lilla rivolta alle tre squinzie, raggiungendole «Giulia non sa se uscire con Colombo oppure no, ditele qualcosa voi»

«Che cazzo di problemi hai, bambina mia?» aveva sbottato Emma, guardandola con gli occhi sgranati e aveva dato inizio ad un coro di incitamenti, gridolini collettivi e perorazioni in difesa della causa di Colombo che ben presto avevano posto fine alla questione.

«Come ti invidio!» continuava a ripetere Marta di tanto in tanto con sgurado sognante.

«Non è niente male» la incoraggiava Selene, senza sbilanciarsi troppo. Dopo tutto, niente poteva turbare la Divina.

Giulia avrebbe voluto sotterrarsi dalla vergogna, perché Lilla aveva urlato ai quattro venti i suoi fatti personali? Però, ormai era deciso (ovvero, le sue amiche avevano deciso) e lei aveva accettato l'invito di Andrea.

In tutta onestà Giulia non se ne era pentita, aveva passato un gradevole pomeriggio con Andrea, facendo le vasche in centro, lui insisteva per regalarle ogni cosa su cui la ragazza posava gli occhi anche solo inconsciamente, facendola imbarazzare ogni volta, ma per il momento era riuscita a declinare gentilmente ogni offerta. Aveva pagato anche per lei quando erano andati al cinema e poi si erano fermati ad un bar e su questo Giulia non era riuscita ad obiettare abbastanza. Andrea aveva sempre la battuta pronta, non c'era pericolo di rimanere in silenzio troppo a lungo, parlava in continuazione raccontando aneddoti divertenti con il suo sorriso da bambino monello, la faceva ridere e, Giulia doveva ammettere, a volte smetteva anche di ascoltarlo tanto si incantava a guardare i lineamenti puliti del suo volto e la luce dei suoi occhi scuri. Come in quel momento.

«Mi stai ascoltando, bellezza?» stava chiedendo Andrea, muovendo una mano davanti alla sua faccia.

«Eh? No, scusa, mi ero incantata»

«Incantata sul mio bellissimo volto?» chiese compiaciuto.

«Megalomane!» ribattè lei, voltandosi per celare il rossore che le aveva pervaso le guance, colta in flagrante.

«Ho detto che appena potrò prenderò la patente, così ti potrò riaccopagnare io a casa, ma per ora devo andare a prendere l'autobus»

«Oh» disse Giulia. “Questo presuppone che usciremo insieme moooolte altre volte” pensò, senza dirlo ad alta voce. Le dava leggermente fastidio il fatto che Andrea avesse dato per scontato che lei avrebbe voluto rivederlo, senza nemmeno chiedere la sua opinione. Stava pensando a questo quandoil ragazzo la tirò a sé per un gomito (non poteva afferarle la mano, dato che l'aveva nascosta nella tasca). La fece voltare con un movimento rapido e fluido e allo stesso modo si avvicinò pericolosamente alla sua faccia con l'intento di baciarla. Giulia si girò di lato con uno scatto «Che fai?!» chiese con voce tremante e avrebbe voluto aggiungere tante altre cose: “È solo la prima volta che usciamo. Non mi hai chiesto il permesso. Non so ancora se mi piaci.”, ma ogni frase le sembrava assolutamente idiota e decise di rimanere in silenzio, lo sguardo basso e il volto in fiamme.

«Voglio baciarti»

La voce di Andrea la raggiunse in un sussurro troppo ravvicinato, il suo fiato caldo le carezzò la guancia e un brivido le attraversò la schiena raggiungendo ogni singolo capello.

«Da molto tempo, in effetti»

Cos'era, un incantesimo? Perché lo stava recitando fin troppo bene e Giulia era sul punto di cedere e offrirgli le labbra. Fu solo un pensiero fulminio, che se ne andò come era arrivato, non appena un bambino passò loro accanto con un gridolino acuto e Andrea strinse le mani attorno alla vita della ragazza, lei si riscosse come da un sogno.

«A-aspetta... per favore» mormorò con lo sguardo ancora incollato al suolo, portando le mani sul petto del ragazzo, per tenerlo a distanza. Lo sentì sospirare.

«Che c'è, bellezza? Per caso hai paura degli uomini?»

«Eh?» chiese lei guardandolo finalmente negli occhi e trovandolo ancora troppo vicino. Deglutì.

«Ogni volta che tento di avvicinarmi ti ritrai. Per caso hai avuto brutte esperienze con gli uomini? Hai paura dei ragazzi?»

Giulia non rispose subito. Non se l'era mai chiesto, ma ora si costrinse a fare mente locale sulla sua vita in relazione all'altro sesso fino a quel momento.

A 6 anni il suo vicino di banco, quando ancora non ne aveva imparato il nome, le aveva giurato amore eterno porgendole una merendina. A 11 un compagno di classe l'aveva strattonata tirandole le mutande che facevano capolino dai pantaloni. A 14 anni un ragazzo più grande, enorme, si era avvicinato per baciarla, spaventandola. Qui finiva la sua collezione di esperienze negative con gli uomini, nessun trauma, abuso o episodio di violenza, solo il semplice corso della vita e della crescita. Eppure per la sua indole riservata e timida era bastato quel poco per farla chiudere ancora di più in se stessa e convincerla a diffidare dei ragazzi. Spartaco a quel tempo non aveva aiutato, non solo continuava a crescere in altezza, ma anche in ogni altra dote che gli si poteva riconoscere anche ora e soprattutto in arroganza e narcisismo. Da compagna di giochi e di scaramucce Giulia era diventata la sorellina fastidiosa da allontanare e deridere per ogni mancanza, soprattutto davanti ai compagni di scuola, perché nessuno doveva pensare che Spartaco passasse del tempo con una bambina rompiscatole.

Ora che ci pensava l'inizio di ogni ciclo scolastico era stato segnato da un brutto ricordo legato ad un ragazzo, la faccenda con Nathan, che l'aveva portata al settimo cielo per poi scaraventarla sottoterra, doveva essere una brutta esperienza in anticipo sull'inizo dell'università, pensò ridacchiando. Sicuramente era la più dolorosa.

Era forse per questo che Giulia si era lasciata convincere ad uscire con Andrea? Per inserire almeno un bel ricordo riguardante un ragazzo nella sua lista di disavventure? Per cercare di porre rimedio all'esperienza peggiore?

«No» rispose infine «No, non è nulla del genere. È solo che... sei troppo affettato... io...» non sono sicura di volerti baciare, sto pensando a un altro ragazzo, non so se tra noi potrebbe realmente funzionare, i tuoi modi possessivi mi intimoriscono.

Non ci fu bisogno di aggiungere nessuna delle cose che pensava, perché Andrea allentò la presa e dopo un altro sospiro forse deluso forse spazientito, la lasciò andare.

«D'accordo» disse con tono duro «Ci vediamo».

Fece per andarsene, poi ci ripensò e tornò sui suoi passi e si avvicinò di nuovo al volto di Giulia, più lentamente, stavolta. Lei incassò il collo tra le spalle e sbattè le palpebre, ma si impose di non scappare.

«Almeno sulla guancia posso baciarti?» chiese Andrea con tono beffardo, sorridendo con un angolo della bocca.

Giulia si sentì troppo stupida e stupidamente spaventata per rispondere. Si limitò ad annuire una volta e lasciò che le labbra del ragazzo le si posassero sulla guancia, imprimendovi un calore che non accennò ad andarsene nemmeno dopo che Andrea l'ebbe salutata con un “ciao” e un nuovo mezzo sorriso, nemmeno dopo che fu salita sull'autobus diretto verso casa. La strana sensazione formicolante la costrinse ad alzare una mano per strofinarsi quell'area, giusto per accertarsi che non ci fosse niente, nessuna sporcizia e nessuna etichetta che informasse il mondo del punto esatto in cui si erano adagiate per un attimo, o forse più, le labbra di Andrea, il figo assurdo della 4a B che le aveva chiesto tante volte di uscire, il figo assurdo che voleva stare con lei.

“Che cazzo di problema hai?” le parole di Emma le risuonavano nella testa. Se lo chiese anche Giulia: «Qual è il problema?», perché se non voleva stare con un ragazzo tanto spiritoso e attraente doveva esserci un intoppo da qualche parte nella sua mente. La cosa che la fece arrabbiare di più fu rendersi conto che il problema era solo uno: non aveva occhi che per Nathan. Non aveva pensieri che per lui e, maledetta fosse la sua testolina bacata, le sembrava di tradirlo accettando Andrea. Tradirlo? Seriamente? Sbuffò mentre lo pensava. «Come se ci fosse stato qualcosa tra di noi da tradire», pensò amaramente.

 

“Perché ti chiamano Lilla?”

Può bastare un'unica semplice frase per distruggere un mondo?

Un'unica e semplice frase e tutto si era fatto chiaro.

Un equivoco, ecco su cosa si era basato il suo rapporto con Nathan. Di colpo era tutto chiaro, si spiegavano le scarse reazioni del ragazzo i primi tempi che cercava di salutarlo per i corridoi, la sua apparente schizofrenia tra i comportamenti e le frasi che inviava per messaggio, e quel sottile, incerto alone di interesse nei confronti della destinataria di tutti i messaggi. Quella destinataria che non doveva essere lei.

Giulia aveva fissato quel messaggio per un tempo indefinito, si era vista scorrere davanti agli occhi l'intero rapporto che avevano avuto fino a quel momento ed era stata male.

Da una parte non si era mai aspettata nulla, ma in fondo non aveva nemmeno mai smesso di sperare, di sognare che qualcosa stesse davvero nascendo tra loro. Era stata sincera con lui, si era lasciata conoscere poco a poco, si era innamorata sempre di più. Non riusciva neanche ad avercela con lui. Che colpa aveva Nathan se l'immagine di profilo che aveva scelto era una foto che aveva fatto insieme a Lilla? L'amica in primo piano sorrideva e cercava di convincere una Giulia in secondo piano a fare una selfie carina, ma lei, rifiutandosi di sorridere aveva assunto una faccia buffa gonfiando le guance e strizzando gli occhi.

Che colpa ne aveva Nathan se Lilla, invece, teneva una frase famosa come immagine di profilo?

Che colpa ne aveva se quando aveva chiesto loro il numero non si ricordava esattamente con che nome li aveva salvati?

Che colpa ne aveva se le due ragazze erano omonime?

Dopo una lunga pausa di riflessione e dolore, Giulia aveva scelto.

- Ah ah! Mi sa che hai mandato il messaggio alla Giulia sbagliata, io sono la sorella del capitano! Comunque ho dato io quel soprannome a Giulia, perché... eravamo piccole, lei si chiamava come me e dovevamo pur distinguerci! Usando il suo nome GiuLIa LAzzerini è venuto fuori Lilla. A lei è piaciuto e tutti hanno cominciato a chiamarla Lilla.

Aveva scelto di far finta di nulla.

Aveva scelto di fingere di non aver capito l'equivoco, perché nonostante tutto non voleva rompere i rapporti con Nathan.

- Ooops!

Le aveva risposto Nathan.

Aveva finto anche lui ed era la prima volta che non erano stati sinceri l'uno con l'altra. Da quel momento i messaggi si erano rarefatti e raffreddati, fino a terminare del tutto. Era dunque per quello che i loro rapporti si erano incrinati? Dopo tutto il tempo che avevano passato ad aspettare i reciproci messaggi, a bramare una risposta, a ridere delle battute dell'altro. Bastava una singola bugia? O forse era la prima verità di una serie infinita di menzogne che si erano detti, quando Nathan credeva che a rispondere fosse un'altra persona? I sentimenti e le emozioni che avevano provato cosa diventavano, allora? Bugia o verità?

Troppe domande e troppe incognite avevano incrinato il loro rapporto, ma Giulia era convinta che sarebbe stato possibile riaggiustarlo, rimodellarlo o magari farlo rinascere, come una fenice dalle proprie ceneri. Dopotutto entrambi avevano beneficiato e avevano goduto di quel rapporto, quella complicità, o solo per lei era stato come aprirsi il torace e incontrare un'anima affine?

Se le cose fossero andate diversamente, forse Giulia avrebbe potuto testare la propria teoria, avrebbe potuto osservare l'esperimento in atto, ma purtoppo erano passati Natale e Capodanno, Befana e Candelora, era passato anche il compleanno di Nathan, ma lui non si era ancora fatto sentire.

L'ultimo tentativo di ricostruire qualcosa, anche solo un ombra di ciò che era stato il loro rapporto, lo aveva fatto esattamente per il suo compleanno. Si era autoconvinta che sarebbe stato normale e anzi doveroso da parte sua fargli un regalo, nonostante i mesi di silenzio, e gli aveva lasciato una busta nella cassetta delle lettere. Adesso l'idea le pareva indicibilmente stupida.

 

«Alloooooooora? Com'è andata ieri?»

Il sorriso di Lilla era tanto largo da darle quasi il mal di testa.

«Mmm...» rispose Giulia, per niente convinta e poco incline a farle un resoconto più dettagliato. «Ti va di andare a studiare al parco, dopo la scuola?» chiese prima che l'amica potesse insistere in alcun modo.

«Ehi, non sviare il discorso! Comunque... dopo ho un impegno.»

«Ok, allora andrò da sola e non farmi altre domande riguardo a ieri perché non sono ancora psicologicamente pronta per dirti niente!»

«Oddio... sei uscita con un ragazzo, e anche bello, mica con un troll! Che sarà mai successo?»

«Non ci pensare. Mi avvalgo della facoltà di non rispondere.» disse Giulia risoluta, chiudendo il discorso.

Rimase tesa e di malumore per tutta la mattinata, fino al momento di andare al parco. Era un'abitudine che aveva preso l'anno prima quando la scuola stava per finire e l'aria era così calda che rimanere chiusi a studiare all'ultimo piano di un palazzo non avrebbe allargato il cervello, anzi, rischiava di spappolarlo. Andare a studiare al parco all'ombra di un albero era parsa un'idea grandiosa e offriva veramente un po' di sollievo, quando si alzava un po' di vento. Anche se adesso era fine Marzo la temperatura era calda abbastanza da permetterle di studiare in pace.

Dopo lo studio, poi, incontrava il vero motivo per cui amava quel piccolo parco: i bambini. L'anno prima si era fatta conoscere da un gruppo di bambini molto piccoli di cui si era letteralmente innamorata e ne era diventata una sorta di tata. Ogni giorno portava qualche piccolo gioco o inventava storie da raccontare e quei 3 o 4 bambini abituali le stavano intorno e la adoravano, per non parlare delle mamme o delle nonne che, conoscendola a poco a poco, avevano cominciato a fidarsi e non vedevano l'ora di riposarsi un attimo mentre lei faceva giocare i bambini.

Non era sicura che avrebbe trovato i bambini anche se non era ancora estate, o se l'avrebbero riconosciuta. Rimase piacevolmente sorpresa, invece, quando una biondina corse urlante ad abbracciarle un ginocchio.

«Maria! Ciao principessa! Sei qua con la nonna?»

La piccola annuì, guardando in su con i suoi occhioni scuri.

«Buonasera signora» fece rivolta all'anziana, che la riconobbe subito e andò a salutarla.

Era tutto così spontaneo con Maria e con gli altri bambini. Bastava spingere un'altalena, bastava rincorrersi senza motivo, niente conversazioni difficili e niente equivoci che non si potessero risolvere con uno “scusa” e un abbraccio.

Quel giorno non tirava un alito di vento e il sole scaldava la pelle, mentre le risate dei bambini le scaldarono il cuore. C'era Maria, c'era Gabriele, c'era Mattia e tutti corsero incontro a Giulia senza vergogna, come se non fosse passato più di un pungo di giorni dall'ultima volta che si erano visti. Non erano tanti quanti in estate e Giulia aveva notato la presenza di un bambino che non conosceva, un bambino minuscolo che doveva fare sì e no la scuola materna. Aveva due occhioni enermi e gli angoli della bocca sporchi di cioccolata. Sorrideva in modo così spensierato e buffo, che per un po' fece venire il buonumore anche a Giulia.

Mentre tornava a casa controllò il cellulare e una valanga di messaggi la salutarono.

Selene ti ha aggiunto al gruppo «4a A e C»”

Selene: - Ragazze... da quanto tempo non facciamo una maratona? Sabato vi voglio tutte a casa mia: cioccolata, smalti e... Hugh Grant o Bradley Cooper?

Marta: - Troppo tempo, davvero! Io ci stoooo! Porto i miei biscottini preferiti per gli spuntini di mezzanotte? PS. Voto Ugolino mio <3

Emma: - Cazzo sì! Un Hugh Grant anche per me, anzi, Hugh Grant per la sera e Bradley Cooper per la notte?

Selene: - No, Emma, non fare l'esagerata... non finiremo mai in un giorno le loro filmografie

Emma: - Chi parlava di filmografie?

Lilla: - Anche io voto Hugh Grant!

La discussione andava avanti con altri messaggi per stabilire vari dettagli, alcuni dei quali, secondo Giulia, non proprio di vitale importanza, come se fosse opportuno stabilire un colore-tema della serata o il tipo di snack e bibite da potare. Giulia rise e sentì una strana sensazione. Era strano essere inclusa in quel gruppo, in cui a volte si sentiva ancora un'imbucata, ma a quanto pareva adesso era un membro a pieno titolo de “le amiche della Divina” e non potè fare a meno di immaginarsi la casa in cui abitava Selene. Doveva essere un castello.

- Non sono schizzinosa in fatto di attori... ditemi ora e luogo e arrivo!

Rispose a tutte, sorvolando su ogni altro dettaglio.

La risposta di Selene non si fece attendere: - Allora Hugh Grant vince... andata!

 

 

Il mio angolino:
_____________
Sono tornataaaaa! :D
Solitamente cerco farvi sorridere, ma questo capitolo è venuto un po'... serio-triste... spero (per Giulia) che sia solo una fase passeggera.
E il premio per la miglior supposizione sul comportamento di Nathan va a... Roiem! Complimenti, ci sei andata vicina, hai vinto... ehm... un applauso sentito! *clap clap*
Sì, bene... La cosa interessante è che qualcuno abbia chiesto da dove ho tirato fuori il nome di Spartaco, ma nessuno si sia fatto delle domande su quello di Lilla...!
Ho sempre avuto paura che avreste odiato Nathan... ma alla luce di questo capitolo potrete rileggere tutta la storia e trovare tutti gli indizi *Sherlock style*.
Grazie per aver aspettato e per essere arrivati fino a qui! Il prossimo aggiornamento sarà sabato 23.
A presto,
FatSalad

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Capitolo 8
*** Confessions ***


Capitolo 8 – Confessions

 

Quello non era un castello, era una reggia, un tempio del lusso. Giulia si guardava ancora attorno dopo mezz'ora che Selene le aveva aperto la porta con un sorriso smagliante, tutto ciò che poteva denunciare che la ragazza era a casa sua e non ad una sfilata di bellezza erano le pantofole ai piedi, ma ache quelle erano piuttosto elaborate e degne di una passerella.

Giulia era intimorita da tutti gli oggetti di ultima tecnologia disseminati per la casa e si vergognava leggermente per essersi presentata in tuta da ginnastica. Ma come le era venuto in mente? Anche se le altre sembravano non averci fatto caso lei era fin troppo consapevole di come loro fossero vestite e truccate bene in confronto. Superati i primi momenti di difficoltà era riuscita a rilassarsi e si era fatta fare di tutto dalle amiche.

Non avrebbe mai pensato che un giorno si sarebbe ritrovata a farsi fare la manicure da due ragazze mentre un'altra le sistemava le sopracciaglia, seduta in una camera tanto in ordine da sembrare finta, come uscita da una rivista di arredamento. I mobili bianchi erano tutti coordinati e vari oggetti rosa accusavano la loro proprietaria di conservare ancora un lato di bambina sognante.

«Allora, Selene... ti sei lasciata con Gabri?» chiese Marta con nonchalance mentre cominciava a stendere lo smalto sulla mano destra di Giulia.

«Eh? Cosa te lo fa pensare?» Selene fece un pericoloso movimento brusco, ma per fortuna non fece danni sulle unghie della mano sinistra di Giulia.

«Porca puttana, Selene! Come avrà fatto? Facciamo una maratona di film dopo secoli... ultimamente non avevi mai un cazzo di minuto!» Emma era diretta come al solito.

«Ok, è vero, ci siamo lasciati, ma senza pianti o cuori spezzati. Non eravamo proprio fatti per star insieme, punto.» Ammise infine la ragazza tornando totalmente calma.

Gabriele era il ragazzo con cui Selene usciva da qualche mese, era un po' più grande di loro e Giulia l'aveva visto la sera che erano andate a ballare al Big Bang e poche altre volte di sfuggita.

«Certo, lo sappiamo, succede sempre così, no?» fece Lilla, accarezzando distrattamente un pegaso giocattolo mentre con lo sguardo seguiva il film di turno. Dunque Selene era davvero una divinità inturbabile quale sembrava.

«Bene, allora se non hai bisogno di essere consolata andiamo al sodo. Dicci i particolari sconci: dove siete arrivati?» chiese Emma.

«Mi dispiace deluderti, ma non siamo arrivati da nessuna parte. Anzi, è uno dei motivi per cui ci siamo lasciati: era troppo insistente, mi faceva pressioni»

«E che cazzo, Selene! Questo è troppo insistente, quell'altro troppo poco, quello è appiccicoso, quell'altro non si fa mai sentire... ma che cosa vuoi?»

Selene rispose con una scrollata di spalle, prima di dire una frase terribile.

«Basta parlare di me... vi siete dimenticate che la nostra Giulietta è uscita con Colombo?»

Oh, no, no, no... era bellissimo quando si parlava di Selene, era fantastico!

«Con lei è fiato sprecato, non mi ha voluto dire niente.»

Grazie Lilla, tu sì che sei un'amica!

Giulia si stava quasi commuovendo, pur tenendo gli occhi chiusi per lascaire le sopracciglia in balia delle pinzette di Emma.

«Magari voi riuscite a convincerla!»

Cosa? Ritiro tutto quello che ho detto, non sei più mia amica!

Putroppo successe proprio come predetto da Lilla e l'insistenza delle ragazze fu tale che alle fine riuscirono a estorcerle qualche parola.

«Non so... è andata così e così. Diciamo che non so se è proprio il mio tipo, ecco. Passo e chiudo.»

Disse sottolineando con un gesto che avrebbe dovuto chiudere il discorso e continuando a tenere gli occhi chiusi, nonostante Emma avesse finito di sistemarle le sopracciglia.

«Cosa???» Marta la guardava con occhi sgranati.

«Eccone un'altra. Esce con un figo del genere e “non sa se è il suo tipo”. Ma che cazzo di standard avete?» anche Emma sembrava alquanto sconvolta.

«Bene, a chi sta ora?» chiese Selene diplomatica, per cambiare argomento. Giulia era sicura che si riferisse a chi dovesse farsi fare le unghie, ma evidentemente di sbagliava.

«Di me sapete già tutto: sto inciuciando con Stefano, niente zozzerie... ancora!» disse Emma con una risatina. Giulia aveva visto Stefano soltanto in foto e già l'aveva messa a disagio abbastanza. Frequentava un istituto artistico lontano dal loro liceo, era un tipo lugubre con i capelli lunghi quasi quanto i suoi, lisci e di un nero innaturale e vestiva sempre del medesimo colore con degli anfibi dalla zeppa non indifferente. Sebbene Giulia si ripetesse di non giudicare dalle apparenze, quel ragazzo non aveva una sola foto sorridente e le era sembrato piuttosto inquietante.

«Io invece nessuna news, quindi direi che tocca a Lilla: sta sempre a fissare il cellulare da un po' di tempo.» disse Marta, sicura.

«Giusto, vuota il sacco!» wow, Emma era riuscita a dire una frase senza aggiungere alcuna parolaccia «Non fare la stronza pudica pure te!» vabbè...

«Non stavamo guardando un film?» disse Lilla voltandosi verso lo schermo, cercando di eludere la domanda.

«Tanto è “Notting Hill”, l'abbiamo visto tutte» fece Selene facendo un gesto con la mano come a scacciare il pensiero.

«Non ci provare, troietta»

«Per dindirindina!» Lilla sospirò sentendosi in trappola, prima di rispondere «Ok, mi avvalgo del diritto di cui hanno usufruito le altre: dico solo quello che voglio. Sto uscendo con un ragazzo.»

«Cooosa? E non mi dici niente?» chiese Giulia «è lui?» aggiunse poi con uno sguardo d'intesa. Lilla annuì piano mentre un sorriso innamorato stava sfunggendo al suo controllo.

«Uh! Guardala! Che tenera!» fece Marta nel notare la sua espressione. Marta era una ragazza dolcissima, decisamente innamorata dell'amore, si emozionava per qualsiasi storia reale o presunta. Giulia sperava vivamente che potesse trovare il suo principe azzurro, un giorno, perché se lo meritava. Che fosse munito di cavallo bianco o cavallo basso poco importava.

Lilla invece era davvero stata un po' assente negli ultimi tempi, solo che Giulia era stata troppo occupata su se stessa per rendersene conto. A pensarci bene ora tutti i pezzi tornavano al loro posto, non solo il fatto che stesse sempre fissa al telefono, ma anche che l'amica non fosse quasi mai libera, come il giorno in cui le aveva chiesto di andare con lei al parco e chissà da quanto tempo, poi. Forse erano mesi che usciva con il ragazzo di cui non voleva parlare, per quanto ne sapeva Giulia.

La serata andò avanti in quel modo, un film succedeva l'altro senza essere degnato di particolati attenzioni, mentre le confessioni reciproche andavano avanti e Giulia si sentiva sempre più a proprio agio. Ad una cert'ora la mamma di Selene bussò alla porta e si affacciò per salutare e augurare la buona notte alle ragazze. Era una bella donna, giovane, che si trattenne un attimo solo perché non riconobbe Giulia e volle presentarsi. Il suo sorriso era così bianco che Giulia ebbe paura di venirne abbagliata e sentì il bisogno urgente di lavarsi i denti.

Solo quando la luce fu spenta, a tarda notte, a Giulia vennero dei dubbi.

«Ehi, Lilla, ma questo tipo è qualcuno che conosciamo?» aveva chiesto Marta. Anche a luce spenta, infatti, le chiacchiere non erano concluse e, anzi, il buio abbassava un po' le barriere e la vergogna e le ragazze si erano estorte a vicenda alcuni aneddoti imbarazzanti. Adesso il buio celava la faccia impietrita di Giulia, dopo che la domanda di Marta aveva fatto come scattare un interruttore nella sua mente.

«Bhè... sì, lo conoscete. Qualcuna di voi anche molto bene. E con questo ho chiuso con gli indizi!» aveva risposto Lilla.

Poteva esserci risposta più chiara?

“A lui piace lei, lui ha parlato erroneamente con un'altra e quando l'ha capito ha rimediato allo sbaglio, lei non vuole svuotare il sacco perché lui è l'ex dell'amica. Nessuno sa che l'altra era perdutamente innamorata di lui.”

Era come se nella testa di Giulia si stesse formando un disegno, un fumetto esplicativo della situazione, tanto era palese, dopo quell'ultima frase di Lilla. Difficile adesso ridere spontaneamente alle ultime battute della buonanotte, nella sua mente era entrato in azione un film troppo triste, che le rendeva difficile persino addormentarsi.

 

Giulia era diventata un po' malinconica, tra la scuola, Andrea che si mostrava sempre più insistente, dopo che non gli aveva concesso alcun avvicinamento “fisico” nemmeno al loro secondo appuntamento e l'ultima scoperta della storia tra la sua migliore amica e il ragazzo che le piaceva. Certo, non poteva nemmeno incolpare Lilla, dal momento che non le aveva mai voluto rivelare l'identità del ragazzo ed era sicura che lei ne fosse ancora ignara. Ciò di cui non era sicura, invece, era se Nathan si fosse accorto del suo interesse nei suoi confronti, continuava a ripensare a se e come e quanto si fosse esposta in quel senso, perché sarebbe stato non poco imbarazzante se Lilla fosse venuta a sapere un giorno che il suo ragazzo era la prima cotta di Giulia. Trovava anche una sottile ironia nel fatto che quel ragazzo neanche troppo attraente avesse tanto successo nel suo gruppo di amiche. Una volta pensò che il gruppo di whatsapp recentemente creato da Selene dovesse cambiare nome in “Quelle che hanno avuto, hanno o potrebbero avere interesse per Nathan”. Non lo fece solo perché era un nome troppo lungo.

Per fortuna il tempo era sempre bello, forse voleva prendersi gioco del suo malumore, ma almeno le dava occasione di distrarsi e distendere i nervi a volte, quando andava al parco per stare un po' con i bambini o solo per fare una passeggiata quando non aveva abbastanza tempo. A volte, come quel pomeriggio, era semplicemente stanca di studiare e contro ogni sensatezza sceglieva di chiudere i libri e giocare con i bambini. Giulia sapeva che a pochi metri di distanza c'era un gruppo di panchine in cui sedevano sempre le mamme con i passeggini o gli anziani che commentavano tutto ciò che accadeva lì intorno e nel mondo. Dal momento però che le suddette panchine si trovavano alle sue spalle e che l'erba attutiva ogni rumore, Giulia non potè accorgersi che un ragazzo stava camminando dalle panchine nella sua direzione e quasi sobbalzò quando lo sentì al suo fianco e la raggiunse con una voce bassa di tono e di volume.

«Posso unirmi a voi?»

Giulia non sapeva se il suo cuore avesse smesso di battere o se avesse cominciato a pompare a velocità esagerata, era certa però che una qualche anomalia ci fosse stata. Alzò lentamente lo sguardo verso il viso del ragazzo che aveva parlato e non spalancò la mascella solo perché non voleva farsi cogliere dai bambini in un momento di debolezza.

Incrociò lo sguardo triste, forse rassegnato di Nathan, il bambino minuscolo che aveva conosciuto da poco, quello che l'aveva fatta sorridere con la sua faccia sporca di cioccolata in maniera inaudita, sorrideva nascondendosi in parte dietro la sua gamba sana, ma aveva gli occhi lucidi come se avesse pianto.

Nathan. Era proprio Nathan. Aveva tolto il gesso alla gamba e adesso camminava con il tutore e una sola stampella, sul volto aveva l'espressione più funerea che gli avesse mai visto in faccia, ben oltre la solita leggera malinconia, ma era proprio Nathan.

“No! Sei un emerito stronzo e non ti fai sentire da mesi, non ti voglio accanto!” avrebbe voluto urlargli contro Giulia, ma si riprese in fretta pensando a tutti gli occhietti puntati su di lei che attendevano la sua risposta, non osavano fiatare un responso senza la sua opinione.

«Secondo me ha superato il limite di altezza per stare con noi, voi che dite?» disse con enfasi rivolta ai bambini complici. Loro cominciarono a ridere e ad assentire, e Giulia fece una risata malvagia pregustando la vittoria, ovviamente tutto all'interno della propria testa. Al che il ragazzo fece un sospiro.

«Ho capito... va bene così? Non sono più alto di Lorenzino, adesso» ribattè dopo essersi messo a sedere, confrontando la sua statura da seduto con quella del bambino e sorridendo debolmente.

“Ingegnoso. Oddio! Come farà ad alzarsi, dopo?!” urlò Giulia nella propria mente, ma quello che le uscì di bocca fu solo un «Beh, così direi che va bene» un po' imbarazzato. Non sapeva in che altro modo ribattere.

Quel giorno un bambino aveva portato con sé un libriccino e Giulia, vergognandosi un po' per la presenza di Nathan accanto a lei, cominciò a leggerlo tenendolo il più possibile rivolto verso i piccoli ascoltatori per permettere loro di guardare le illustrazioni che ricoprivano le pagine.

La storia parlava di un bosco incantato, di orchi e di fate e Giulia modulava e contraffaceva la voce per ogni personaggio, intonando in modo teatrale. Non guardò mai in direzione di Nathan, ma giurò di averlo sentito sghignazzare un paio di volte, divertito dai suoi versi e dalle sue espressioni durante la lettura.

Finita la storia i bambini si dispersero, alcuni tornarono a casa, altri si precipitarono a fare la fila per lo scivolo e gli altri giochi e rimasero solo Giulia con Lorenzo praticamente disteso tra le braccia e Nathan al loro fianco. Una parte crudele del suo cervello le disse di lasciarlo lì per terra a strisciare, se non fosse riuscito a rialzarsi, ma era una parte troppo piccola per avere il sopravvento sulla restante materia grigia che la spinse ad avvicinarsi.

«Hai... ehm... bisogno di un mano?»

«Preferirei un ginocchio nuovo, ma una mano andrà bene.»

Da quando Nathan era tanto caustico? Non sapendo come reagire Giulia si accostò al ragazzo che stava faticosamente tentando di alzarsi puntellandosi sulla stampella e un po' impacciata lo aiutò a sollevarsi tenendolo un po' per un braccio un po' per il fianco. Il progetto originario prevedeva di allontanarsi da lui il più velocemente possibile, possibilmente senza salutare, ma un reo braccialettino che indossava decise di incastrarsi nel maglioncino di Nathan di cui Giulia tirò un filo nel ritirare la mano.

«Oddio, scusa! Scusa scusa scusa» contiuava a ripetere cercando di staccarsi dal ragazzo e peggiorando sempre la situazione. Si incurvò dietro la schiena del ragazzo, la faccia a pochi centimetri di distanza da lui per cercare di sciogliere l'incastro.

“Gli sto praticamente fissando il didietro...” si rese conto, e non che la cosa le dispiacesse, ma divenne improvvisamente rossa in viso. Dio, come si era incastrata bene quella catenella!

«Ecco, ho fatto» sospirò finalmente, sollevata.

Non si era allontanata nemmeno di un passo che un trattore la travolse alle spalle. Si trattava solo di un trattore giocattolo, in effetti, giallo e verde e non più grosso di un astuccio per matite, ma era manovrato dalle manine grassotte di Lorenzo e dalla sua vocina acuta con “Bruuuum, puf, gneeek!” molto sentiti. Sparandosi a tutta velocità verso Giulia, il bambino l'aveva spinta su Nathan e, ricordandosi che il ragazzo era in equilibro precario sulla stampella, Giulia si era prima sbilanciata su di lui, poi aveva provato a sostenerlo concludendo il tutto in un goffo abbraccio.

«Oddio scusa! Scusa scusa scusa...»

Dove aveva già sentito quella frase? E... Oddio, si è incastrato di nuovo il braccialetto!

Alla vergogna non c'era mai fine, dunque?

«Vi volete bene?»

Sembrava di no, dopo aver dato uno sguardo agli occhioni spalancati ed eccitati di Lorenzo.

Nathan si mise a ridere. Era strano risentire quella risata che tanto aveva amato dopo tanto tempo. Era strano sentirla da una distanza tanto ravvicinata, percepire il torace del ragazzo scosso da una leggera ilarità.

Senza dire altro se non «Ferma» liberò il proprio maglioncino dal braccialetto malefico di Giulia. La ragazza era troppo imbarazzata per guardarlo negli occhi, ma dopo aver reiterato le scuse si accorse chiaramente del cambio di umore di Nathan.

«Quanto ti devo?» le chiese con voce dura.

«Come?»

«Quanto ti pagano per stare con i bambini?»

Giulia lo guardò finalmente negli occhi. Non sembravano gli stessi occhi chiari che aveva fissato altre volte, quegli occhi che ricordavano i campi di autunno, il miele, il bosco. Ora parevano occhi gialli da gatto, con le pupille strette e taglienti.

«Nessuno mi paga»

Nathan sollevò un sopracciaglio.

«Fai la babysitter a un sacco di bambini e non ti fai pagare?»

«Non faccio la babysitter. Vengo qui a studiare e a volte mi metto a parlare con le persone che incontro o a giocare con dei bambini» adesso era infastidita dal tono incredulo e beffardo di Nathan. La stava guardando con un'espressione che diceva “Sei scema o cosa?”.

«E a me sembrava di essere pagato troppo poco per stare con il pestifero!» aggiunse dopo uno sbuffo, accennando a Lorenzo.

«Lorenzino non è una peste, è simpaticissimo!» lo difese lei.

«Perché non è tuo fratello» ribattè il ragazzo abbassando la voce di parecchio.

Un momento. Quindi Nathan aveva un fratellino? E si faceva pagare per badargli? Era ridicolo! Chi era quel ragazzo? Le sembrava di non averlo mai conosciuto.

Giulia si riscosse dalle sue riflessioni notando che Lorenzo stava strattonando il fratello per i pantaloni, insistendo per farsi prendere in braccio. Nathan stava ripetendo dei “no”, poi, guardando al cielo, sospirò e rivolto a Giulia disse: «E non sarebbe una peste?»

Giulia si fece avanti e si accovacciò accanto a Lorenzo per poterlo guardare negli occhi.

«Tesoro, non puoi andare in collo a tuo fratello, perché gli fa male una gamba, vedi? Vedi questo?» continuò indicando il tutore che fasciava la gamba del ragazzo «Serve per non fargli sforzare il ginocchio. Se ti prende in collo invece si sforza tanto e gli farà ancora più male. Hai capito? Fai il bravo, d'accordo?» concluse lasciandogli una carezza sulla morbida guanciotta.

Il bambino aveva seguito tutto il discorso e annuendo alla fine smise di fare le bizze.

«Non è una peste, è un bambino, ma non è stupido e se gli spieghi le cose capisce tutto» disse seria a Nathan e senza guardarlo in faccia né salutarlo si affrettò alla fermata degli autobus meditando di prendere il primo nella speranza che fosse quello giusto.

«Quello non è Nathan... quello non è Nathan...» continuava a ripetere la sua mente ferita, mentre le gambe acceleravano inconsciamente il passo. Quel ragazzo cinico e freddo non poteva essere lo stesso di cui si era innamorata. Eppure quando lo aveva “abbracciato” aveva percepito chiaramente il suo corpo esile, ma in forma, il suo profumo di pulito, la sua risata. Era la brutta copia del ragazzo che aveva conosciuto, il gemello cattivo di Nathan, l'ombra del Nathan gentile e premuroso. Non stava con Lilla, adesso? Non stava finalmente con la ragazza a cui aveva fatto il filo per tanto tempo? Allora perché era così cambiato? Cosa gli era successo? E lei stava ancora a pensare se fosse il caso di uscire di nuovo con Andrea, solo perché non era “perfetto” come voleva lei? Con una risata sommessa e amara tirò fuori dallo zaino il cellulare e con sicurezza inviò un messaggio.

- Ehi, Andre, sei libero questo sabato?

 

Il mio angolino:
______________

ADESSO è il momento: liberate i cani contro Nathan! Muhahahahah...
Grazie a chi recensisce e segue la storia... state aumentando in modo incredibile! *.*
FatSalad

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Capitolo 9
*** Il Diavolo Veste Prada ***


Capitolo 9 – Il Diavolo Veste Prada

 

«Allora, com'è andata sabato?» Lilla la stava fissando con un sorriso genuino sul volto, ma non riuscì ugualmente ad avere una risposta da Giulia, che dopo aver mugolato un po' rispose:

«Possiamo aspettare di vedere le altre? Così ti raccontano anche loro e lo facciamo una volta per tutte»

Non era esattamente la risposta che l'amica si era aspettata, ma dedusse che non fosse il caso di insistere. Vedendo l'espressione demoralizzata di Giulia non c'era bisogno di grande acume per rendersi conto che qualcosa nella serata era andato storto e Lilla attese pazientemente la ricreazione per avere un resoconto dettagliato del sabato appena trascorso.

Giulia avrebbe voluto spiegare apertamente la situazione all'amica, raccontarle quei particolari che non poteva confessare apertamente alle altre ragazze, come il fatto che si fosse sentita a disagio fin dai primi minuti in cui aveva raggiunto Marta e Selene in auto. Ma come poteva spiegare il resto?

Non c'era nulla di strano a passare una serata con due amiche, “Assolutamente nulla di strano”, si era ripetuta Giulia nella mente. Sì, però, uscire con le amiche di Lilla insieme a Lilla era un conto, le piaceva e stava bene con loro, ma non era mai uscita con loro senza Lilla. Si era sentita quasi indifesa, sotto inchiesta e non era normale che avesse passato più tempo davanti allo specchio di quanto ve ne avesse passato prima di uscire con Andrea. Andrea, che quel sabato (proprio quello, tra tutti!?), aveva dovuto rifiutare la sua proposta di uscire perché era già impegnato. Lilla aveva una qualche cena ed Emma usciva con Stefano, il tipo dark, quindi Selene, che quando non usciva con nessuno, evidentemente, diventava il doppio più attiva e il triplo più attenta alla propria immagine, aveva proposto un'uscita tranquilla ad un pub. Giulia non aveva trovato argomenti per rifiutare e si era ritrovata in macchina di Marta, ad ascoltare le chiacchiere di Selene, di dubbia veridicità, su come fosse ingrassata negli ultimi tempi. Che tragedia passare da una 36 a una 38! Soprattutto con quel balcone che si ritrovava a trasportare davanti! Davvero tutti avrebbero notato la differenza, focalizzando l'attenzione sul presunto rotolino di grasso attorno al suo ombelico! Di nuovo Giulia, come al solito, si era sentita intimorita dalla presenza della bellissima amica, vestita in modo impeccabile e con i tacchi a spillo, mentre lei, adeguandosi all'invito ad una “serata tranquilla al pub”, aveva indossato un paio di jeans e un cardigan semplicissimi.

Forse Giulia sarebbe riuscita a raccontare la parte del viaggio a Lilla, ma come avrebbe espresso la parte seguente all'arrivo al pub? Tutto quello che le era rimasto erano dei flash, delle sensazioni, dei particolari e le sembravano già troppo. Avrebbe voluto cancellare quelle ore dalla propria mente, se fosse stato possibile.

«Oddio, Giulia... mi dispiace tanto!» le avrebbe detto più tardi Lilla.

«Mi sento un po' in colpa, a dir la verità... ma chi se lo sarebbe mai aspettato?» continuava a ripetere Marta.

Giulia continuava a scrollare le spalle, cercando di rassicurare le amiche sul fatto che stesse bene, che fosse tutto a posto, ma non doveva risultare del tutto convincente se continuava a fissare un punto imprecisato per terra.

Come Marta e Selene avevano raccontato al suo posto, sabato Giulia era entrata con le amiche in un pub molto affollato e si erano dirette verso un tavolino minuscolo che contava solo due sedie.

«Usa le tue doti!» aveva bisbigliato Marta a Selene che ridacchiando aveva slacciato i bottoni della giacchetta e aveva individuato dei ragazzi a cui chiedere gentilmente una sedia.

Vicino al loro tavolino rotondo c'era una tavolata di ragazzi più o meno loro coetanei, già piuttosto allegri. Probabilmente stavano festeggiando qualcosa, anzi, sicuramente qualcuno aveva compiuto gli anni, sì, c'era un ragazzo con la barba che rideva ed esibiva un cappello ridicolo con su scritto “AUGURI”.

«Quel ragazzo bacia da dio» aveva detto Marta, sottolineando la frase con un sospiro, accennando al festeggiato.

Giulia aveva rivolto uno sguardo fugace al ragazzo in questione prima di farsi sfuggire un:

«Se bacia come balla, ti credo...»

Marta si era messa a ridacchiare in modo imbarazzato, ma nella mente di Giulia era sorta una nuova consapevolezza. Se era il compleanno di Marco della 5a D, il ragazzo che Marta aveva baciato una volta al Big Bang, doveva aveva invitato... i suoi amici, ovviamente.

Uno sguardo di sfuggita e Giulia aveva scorto ad un lato della tavola Andrea, si era chiesta se fosse il caso di andare a salutarlo, ma magari bastava fissarlo con la sua potente “vista perforante”, ovvero aspettare che si girasse nella sua direzione e salutarlo con la manina... come una bambina. Stava valutando l'ipotesi quando con la coda dell'occhio si era accorta della presenza all'altro capo della tavola di un biondino smilzo che ridacchiava accando a un ragazzo che occupva due sedie: su una sedeva e sull'altra aveva steso la gamba stretta in un tutore.

«Niente da fare, ragazze, nessun cavaliere mi ha voluto cedere una sedia» aveva detto Selene in quel momento, tornando come una sconfitta con un broncio infantile.

«Dev'essere perché hai chiesto a quei tardoni» aveva fatto Marta, come a volerla rassicurare che non aveva perso il suo fascino.

Selene, infatti, sembrò riacquistare subito animo e individuò il bersaglio seguente.

«Oh, perfetto!» disse, dirigendosi verso Nathan.

Giulia trattenne il fiato e le sembrò che via via che Selene si avvicinava anche i ragazzi della tavolata smettessero di parlare per fissare sguardi sognanti su di lei. Per questo fu facile udire la conversazione, nonostante il consueto chiacchiericcio da pub.

«Ciao, Nat»

«Ehi» fu la semplice risposta del ragazzo.

«Ti stai rimettendo?»

«Bah... lentamente, diciamo così»

Giulia era assorta dall'incontro dei due. Non li aveva mai visti parlare da quando si erano lasciati, ma dalla tranquillità della conversazione e dei loro volti capì che i loro rapporti erano rimasti civili se non amichevoli. Per la prima volta si ritrovò a chiedersi chi dei due avesse lasciato l'altro.

«Mi dispiace chiedertelo così, ma non è che per caso potresti lasciarmi la sedia? Ci manca un posto» disse calma indicando Marta e Giulia con la testa.

«Certo, fai pure» aveva risposto Nathan con un mezzo sorriso, ritirando subito la gamba prima di gettare uno sguardo oltre le spalle della ex e osservare le sue amiche. Giulia si era resa immediatamente conto di come il volto del ragazzo si fosse fatto all'improvviso più cupo.

Ce l'aveva con lei, per caso?

Stava fissando la magnifica, rovinata superficie del tavolino, assalita da una vergogna insensata, ma alzò lo sguardo quando avvertì che dal posto accanto a Nathan si era alzato un ragazzo che le stava venendo incontro.

«Ehi, ciao Giulietta!»

Poco prima aveva notato la presenza del compagno di classe di Nathan, Luigi, ma non si era accorta che dall'altro lato il ragazzo era affiancato da un tipo alto con i capelli castani. L'alcol accentuava la rotondità della sua faccia provocando la presenza di due chiazze rosse sulle guance. Lo riconobbe come il portiere della squadra di calcetto e gli andò incontro per salutarlo.

«Ciao Paolo!» disse timidamente e si mise a ridere quando il ragazzo le lasciò un caloroso bacio per guancia. Era sempre stato un tipo espansivo e simpatico, la salutava così o con un abbraccio fraterno ogni volta che la vedeva.

«La prossima settimana giochiamo in casa, vieni a vederci, vero?»

Giusto, le partite di calcetto. Da quando Nathan si era fatto male Giulia aveva smesso di interessarsene. Stava pensando a come rispondere, ma fu in quel momento che la serata cominciò a precipitare.

Una serie di offese che non voleva ripetere o ricordare la interruppe e la cosa più orribile era che a gridargliele era... Andrea. Com'era possibile che lo stesso ragazzo con cui tecnicamente stava uscendo e che sembrava pendere dalle sue labbra le stesse dando della poco di buono, in modo colorito e pubblicamente, per giunta? Giulia era scossa, non riusciva a far altro se non starsene con la bocca spalancata, incredula.

Giulia non voleva ricordare di come Andrea le si fosse avvicinato continuando a offenderla con espressioni sempre più volgari ed elaborate e urlando storie su di lei assolutamente false, smanettando con un boccale di birra mezzo pieno in mano il cui contenuto era finito inevitabilmente anche addosso a lei. Non voleva ricordare il volto ubriaco di Andrea che gridava, quello piccato di Selene che aveva tentato di difenderla ricevendo altrettanti insulti dal ragazzo, quello minaccioso di Nathan che si era intromesso con un «Attento a come parli». Non voleva ricordare di come gli amici di Marco si fossero dovuti dividere per tenere a freno un po' Andrea un po' Paolo, che aveva fatto le veci del compagno di squadra infermo, anche se determinato, dopo che Andrea gli aveva urlato di tacere, dandogli dello storpio.

Non voleva, però continuava a ricordare.

Poi era arrivata una cameriera per dire loro «Ragazzi, calmatevi o chiamo il titolare!»

«Tranquilla, bellezza» aveva risposto Andrea, ostentando sicurezza nonostante non riuscisse nemmeno a stare fermo sulle gambe. Non aveva smesso di dare di matto ed era arrivato davvero il titolare, un omaccione enorme e calvo che aveva intimato «O vi date una calmata o vi sbatto fuori, intesi?»

Data la confusione era stata Selene, decisa e impreturbabile, a prendere in mano la situazione affermando «Tranquillo, ce ne andiamo noi» e aveva trascinato fuori Giulia e Marta, entrambe poco reattive in quel momento, mentre i ragazzi continuavano a cercare di tenere a freno Andrea.

Una volta fuori le ragazze si erano precipitate all'automobile e appena in tempo era arrivato Paolo a bloccarle, prendendo Giulia per una mano prima che aprisse la portiera.

«Scheggia mi ha detto di portarti questo, il tuo sarà sporco di birra» aveva detto porgendogli un giacchetto e cominciando a insultare Andrea con ogni sorta di epiteto offensivo.

«No, davvero, non importa» aveva risposto Giulia, sempre più stordita.

Nathan ce l'aveva con lei e le prestava il suo giacchetto? Cos'era che le stava sfuggendo?

«Ha detto che insiste e di lasciartelo comunque» disse il portiere posandogli il giacchetto tra le braccia.

Giulia si voltò istintivamente verso le finestre del locale, scorgendo il profilo di Nathan in lontananza e chiedendosi come fosse possibile che tutti i ragazzi che aveva conosciuto ultimamente fossero degli enigmi viventi.

«Paolo?»

«Mh?»

«Non dire nulla a Spartaco, per favore»

Paolo aveva sospirato «Ho come l'impressione che lo verrà a sapere comunque... ma non da me, d'accordo» aveva aggiunto notanto lo sguardo implorante della ragazza. «Quello lascialo perdere, ok?» aveva aggiunto riferendosi con disprezzo ad Andrea e salutandola poi con un sorriso e un buffetto e con un «Buona serata» rivolto alle altre.

Qui si concluse il racconto di Marta e Selene tra lo stupore delle altre per le quali Colombo era diventato Faccia-di-Culombo. Discutevano senza riuscire a trovare spiegazioni o giustificazioni.

«In realtà era così perché era ubriaco, si sa che quando si alza un po' il gomito...»

«“Si sa” un cazzo! Come si permette di trattarla così? Quel cretino e le sue camicine firmate!Sai dove gliele ficcherei le sue belle camicie?»

«E il fatto che mentre ci provava con Giulia si trastullava con altre ragazze? Vogliamo parlarne?»

«Puttaniere!»

«Com'è possibile che prima non se ne sapesse niente?»

«Io non me ne capacito..!»

«Non mi sembra possibile!»

«Dev'essersela presa perché con te, Giulia, non aveva ancora fatto niente, insomma, perché non vi eravate messi insieme...» aveva azzardato Marta rivolta a Giulia.

«Come se ci fosse qualcosa di male!» ribattè Lilla «Non è che se ha un bel faccino allora tutte le ragazze devono essere pronte ad aprire le gambe per lui... quel narcisista... faccia-di-culombo!» concluse incrociando le braccia.

«E sembrava un tipo a posto...» diceva Selene scuotendo la testa.

«Certo, se non l'hai baciato prima, ora non ti incoraggerei di certo, anzi!» diceva Marta.

«In effetti non so come cazzo tu abbia fatto a non saltargli addosso, ma...»

«Ma tu non uscivi con Stefano?» chiese Lilla.

«Sì, e lo ritengo abbastanza intelligente da non considerarsi un gran figaccione! E poi lui lo sa che mi piace solo lui...» ribattè Emma «Ma non è che tutte queste remore a baciare Culombo sono... perché non hai mai baciato nessuno?»

Il silenzio di Giulia fu l'unica risposta.

«Cazzo, sei più pura e casta di quanto pensassi! E quella faccia-di-culombo ti ha insultato il quel modo? Allora non c'è dubbio che si stesse solo rodendo il fegato per non essere riuscito ad abbattere le tue difese»

Ascoltando tutti gli insulti che le amiche stavano vomitando su Andrea, Giulia sentì che poteva riuscire a chiudere quel capitolo, dimenticare quella storia e andare avanti. Si sentiva forte sapendo di avere tutto quel supporto alle spalle, come se la sua energia fosse la somma di quella delle amiche.

Neanche a quelle amiche, però, Giulia era riuscita a rivelare un altro segreto, o rompicapo. Non aveva raccontato che in macchina si era decisa ad indossare il giacchetto di Nathan, in sottofondo le esclamazioni indignate delle amiche. Si era tolta il giacchetto che puzzava di birra e istintivamente aveva cacciato le mani nelle tasche di quello di Nathan appena indossato. Nella destra aveva percepito un foglietto e, pur non volendo essere invadente, le era venuto naturale estrarlo, doveva trattarsi di uno scontrino o una cartaccia. Invece era rimasta di sasso ritrovandosi a fissare un rettangolo di carta colorata su cui era scritto con un pennarellino: “Buono Acquisto: Ti perdono 19 volte”, accanto al disegno stilizzato di una fata sorridente.

Quello era il suo regalo di compleanno per Nathan, anzi una parte del regalo. Non sapendo cosa regalargli e considerando quanto si fosse incrinato il loro rapporto, Giulia aveva deciso di regalargli qualcosa di scarso valore pecuniario, ma che potesse trasmettere i propri sentimenti. Aveva ritagliato con cura una serie di cartoncini che dovevano ricordare buoni d'acquisto, il cui oggetto erano tutte azioni che avrebbe potuto fare per lui, legate al numero 19, gli anni che compiva. C'erano “Ti faccio compagnia per 19 minuti”, “Ti racconto 19 barzellette”, “Ti consolo 19 volte” e simili, sempre accompagnati dalla faccina tonda della fatina. Accanto ad ogni frase, scimmiottamento delle ridicole condizioni dei normali buoni sconto, c'era un asterisco che rimandava a una minuscola frase che informava che “il presente buono ha validità di un anno”, fino al 15 Febbraio dell'anno successivo e altre clausole simili.

Ricordava a memoria quei pezzetti di carta, le sembravano un'idea sdolcinata e ridicola, adesso, ma... perché Nathan ne teneva uno in tasca? In primo luogo, dato che non si parlavano da mesi, (escluso l'incontro ai giardinetti insieme a Lorenzo), e che non aveva ricevuto dal ragazzo alcun ringraziamento o segno di apprezzamento, si era aspettata che avesse buttato via tutto. Poi, perché quel particolare foglietto si trovava nel giacchetto che le aveva prestato? Stava cercando di dirle qualcosa? Cosa voleva Nathan? Perdonare o essere perdonato? I messaggi subliminari della Disney non erano il suo forte, figuriamoci se poteva lambiccarsi il cervello per lui! Se aveva qualcosa da dirle che le parlasse faccia a faccia!

Aveva ricontrollato quello stupido foglietto in cerca di... qualcosa anche quando era tornata a casa, ma gli eventi della serata, che alla fine si era conclusa con incoraggiamenti delle amiche direttamente in automobile, erano stati troppo pesanti per lei, voleva solo riposare.

 

Passarono un paio di giorni prima che rivedesse Nathan. Andrea lo aveva rivisto, invece, mentre cercava implorante di chiedere scusa. Giulia aveva optato per un freddo «Accetto le scuse, ma non penso che dovremmo più uscire», a cui Andrea aveva risposto con altre insistenze, che erano poi cessate misteriosamente. Giulia sospettava che Spartaco ci avesse messo lo zampino, ma non aveva prove e a casa il fratello non mostrava comportamenti sospetti.

Era mercoledì pomeriggio quando Giulia decise di andare a studiare al parco, nonostante tirasse un venticello poco piacevole. Dal momento che aveva ancora il giacchetto di Nathan aveva deciso di portarlo con sé, per ogni evenienza. Il ragazzo, in effetti era ai giardinetti insieme al fratellino, che le corse incontro appena la riconobbe da lontano.

«Ciao bellissimo!» gli disse prendendolo in braccio «Ma senti che manine fredde che hai! Aspetta, ora ti riscaldo io!» e con un lampo di genio decise di avvolgerlo nel giacchetto di Nathan. In quel modo sarebbe tornato al suo legittimo proprietario senza che Giulia dovesse avere un contatto diretto con lui.

A causa del tempo incerto non c'era quasi nessuno al parco e Giulia decise che la cosa migliore da fare, ora che aveva sistemato il giacchetto, era mettersi a studiare.

«Ora vai a giocare con tuo fratello, da bravo, che io devo studiare» gli aveva detto dopo avergli fatto fare un paio di giravolte. Il bambino aveva obbedito e da lontano Giulia aveva seguito i movimenti dei fratelli, che quel giorno sembravano non volersene andare mai. Quando cominciò a fare freddino finalmente si mossero.

Giulia li aveva seguiti con lo sguardo prima che sparissero dietro le siepi che circondavano il parco, nascondendo in parte la fermata dell'autobus. Aveva atteso di veder sfilare un paio di autobus, poi aveva deciso che era passato abbastanza tempo per andare alla fermata in sicurezza. Perciò fu non poco sorpresa quando, girando l'angolo formato dalla siepe, si ritrovò davanti Nathan con Lorenzino che gli scorrazzava intorno. Nathan aveva tolto di dosso al fratellino il giacchetto che gli era stato restituito. Giulia cercò di fare finta di niente, mantenendosi a qualche passo di distanza, ma appena la vide Lorenzo le corse incontro come aveva fatto poco prima. La ragazza lasciò che tutte le proprie attenzioni si focalizzassero sul bambino, ma fu costretta ad alzare lo sguardo quando Nathan le chiese:

«Come stai?»

Non erano due parole uscite a caso dalla sua bocca, suonavano serie e neanche quando parlavano tramite whatsapp le aveva mai rivolto quella domanda. Di solito usava un più generico “come va?”, quindi Giulia si convinse che quello che voleva chiederle era “stai bene dopo quello che è successo sabato?”. Ok, Nathan era un tipo strano, mooolto strano, quensto ormai era appurato, ma non poteva essere scortese con lui in quel momento. Decise comunque di mantenere una certa distanza, non solo fisica, prima di rispondere:

«Sto bene, grazie»

Sembrava che il ragazzo non volesse aggiungere altro, ma Giulia non voleva che la situazione si facesse troppo imbarazzante e si ritrovò a parlare di nuovo.

«Grazie per il giacchetto, tra parentesi. L'ho portato in lavanderia, anche se ho tolto la gruccia e il resto perché...»

«L'hai portato in lavanderia?» Nathan ora la guardava con occhi sgranati.

Aveva fatto male? A lei sembrava un gesto carino per ringraziarlo.

«Ehm... sì...» rispose indecisa.

Natahn si era precipitato a frugare nelle tasche del giacchetto.

«Oh, cerchi questo?» fece allora lei porgendogli il “buono acquisto”, che aveva tenuto in tasca, con aria imbarazzata.

Il ragazzo allungò una mano per prendere il foglietto, sembrava ancor più imbarazzato di lei, sorrideva senza guardarla in faccia.

«Sì, beh...»

«Penso che stia arrivando il vostro autobus» lo interruppe Giulia alla vista dell'autobus 8.

«No»

«Ah, non prendete il numero 8?»

«No!» «Scì!» risposero contemporaneamente Nathan e Lorenzo.

«Cioè, sì, di solito prendiamo l'8, ma oggi dobbiamo fare... delle... cose»

C'era qualcosa di strano nel comportamento di Nathan, quel giorno più del solito. Giulia tentò di mostrarsi indifferente.

«Speriamo che arrivino presto, perché ho paura che si metta a piovere» disse la ragazza fingendo di controllare gli orari degli arrivi. Non aveva finito di parlare che dei grossi goccioloni le bagnarono il naso, le scarpe oltre a tutto lo spazio circostante.

«Ooops!» fece Nathan, come suo solito. Il “vecchio” solito.

Benissimo, Giulia si trovava insieme a Nathan sotto un acquazzone primaverile in piena regola con un bambino di tre anni a carico. Giusto! Il bambino!

«Ehi, non pensi sia meglio aspettare all'asciutto? Tuo fratello potrebbe ammalarsi»

«Sarebbe meglio, sì. Perché non mettono una pensilina?»

«C'è una fermata poco più in là che è coperta»

«Andate, io vi seguo... al mio passo» disse Nathan porgendole il giacchetto che teneva in mano.

Giulia prese in braccio Lorenzo e lo avvolse il più possibile nel giacchetto prima di mettersi a correre e ripetere in modo buffo “Corri, corri!” al bambino.

Raggiunsero la pensilina davanti alla biblioteca in cui Giulia andava spesso. Era un'ottima alternativa al parco per giornate come quelle, era la vecchia biblioteca della città, meno luminosa e moderna di quella che avevano inaugurato da poco, quindi frequentata pochissimo, giusto dalle anziane affezionate, o da utenti occasionali che cercavano dei volumi specifici. Giulia si ritrovò ben presto nella sala di lettura insieme a Nathan e a Lorenzo, tenuto impegnato da un paio di libri per bambini.

«Scusa, non ti ho chiesto prima che autobus avresti preso» si giustificò la ragazza, poiché, come avevano constatato poco prima, l'autobus che serviva a Nathan non passava da quel punto.

«Fa niente» rispose Nathan con una scrollata di spalle. «Senti, volevo dirti...»

«Tieni, bella! Ho trovato questo tra gli oggetti smarriti. Io mi portavo sempre dietro un ombrello, ma i giovani d'oggi...! »

«La ringrazio, Aldo» rispose Giulia con un sorriso.

Aldo era l'anziano bibliotecario con cui Giulia si intratteneva ogni tanto a parlare, vedendola arrivare bagnata e con un bambino era subito andato a cercarle un ombrello. Aveva interrotto Nathan mentre stava per chiedere qualcosa, ma non sembrava garbato interrompere adesso i racconti di gioventù di un vecchietto schietto e mezzo sordo su come una volta fosse stato aiutato da un uomo con un asino durante un temporale.

«E come diceva Pasolini...»

Oh, e naturalmente adorava citare i suoi autori preferiti.

«Dì al tuo giovanotto qui...»

Inutile tentare di spiegare che quel ragazzo non era “suo”.

«...che anche io una volta facevo avanti e indietro davanti al negozio del pescivendolo. Non me ne importava una zucchina degli sgombri, ma se usciva la figliola del pescivendolo... tenevo pronto l'ombrello per ripararla!»

Però era divertente.

Giulia sorrise e scambiò uno sguardo fugace a Nathan, che, a quanto pareva, stava trattenendo una risatina divertita.

«Aspettate che spiova un po', comunque» stava concludendo Aldo prima di tornare al suo posto di lavoro.

«Simpatico» disse Nathan allungando un angolo della bocca in un sorriso.

«Beh... oggi non era nella sua forma migliore, sai, la pioggia lo mette di malumore»

Nathan rise e Giulia si rese conto che non aveva più lo sguardo cinico che gli aveva visto le ultime volte.

«Senti, volevo chiederti...» Giulia cominciò a sperare che qualcosa di buono potesse rinascere tra loro, e pensò che forse era merito di Lilla «se sabato vai a vedere la partita, perché volevo andare, ma devo anche tenere Lorenzo e con te sta più buono»

Giulia rimase come ghiacciata. Bene, quindi voleva solo che le facesse un favore. Le parve che Nathan non fosse tanto diverso da Andrea, in quel momento. Andrea che l'aveva sempre chiamata “bellezza” e le aveva fatto credere di essere l'unica “bellezza” per lui, mentre invece era l'appellativo con cui si rivolgeva a tutte le ragazze, incluse le cameriere sconosciute. Come a una cameriera le aveva chiesto di soddisfare i suoi desideri e probabilmente le avrebbe chiesto il conto una volta accontentato.

Giulia era rimasta a rimuginare, senza rispondere. Si vide allungare davanti agli occhi un fogliettino azzurro.

“Buono Acquisto: Ti faccio 19 piaceri” recitava il pezzetto di carta. “Non posso, non voglio” avrebbe voluto ribattere, ma perché mai tra le clausole di quegli stupidi bigliettini non aveva incluso “farò tutto ciò se e quando pare e piace a me”?

«Ehm... credo... di poterci essere»

«Grande!» disse Nathan con un sorriso da bambino «Ti darò la mia paga per guardare Lorenzo, ma ti avvero: non è molto»

«Eh? No, figurati, sarei andata comunque alla partita» mentì Giulia, perché era troppo degradante dal suo punto di vista accettare dei soldi da parte di Nathan.

«Ok, diciamo che sono i soldi per pagare la merenda del pestifero. Cosa vuoi che ci faccia io di solito?»

«Oh...»

«E poi... volevo chiederti...»

Altri favori? Era giusto, gliene aveva regalati altri 18, sua sponte. Che imbecille che era stata!

«Scusa»

Forse non una completa imbecille.

«Per... per cosa?»

Un po' imbecille però sì. Beh, ma non sapeva cosa altro dire!

«Dunque... per tante cose... così tante che penso di aver consumato il “buono del perdono” tutto in una volta!» Sorrideva, Nathan, ma sembrava incapace di alzare la testa dalle proprie unghie e guardarla negli occhi. «Scusa per averti trattato male; scusa per non essermi fidato di te; scusa se ti ho offeso; scusa per come mi sono comportato; scusa per non essermi fatto più sentire senza una spiegazione; scusa se ti ho evitata un giorno, al parco; scusa per... non averti chiesto prima scusa!»

Dire che Giulia era sorpresa era un eufemismo. Cosa avrebbe dovuto rispondere? Non era nemmeno sicura di cosa volessero dire quelle parole e poi perché tra tutti quei motivi non chiedeva scusa per averla scambiata per un'altra? Rimase in silenzio per qualche secondo.

«Se non sbaglio ti rimangono ancora 12 perdoni»

 

Il mio angolino:
_____________

Mi dispiace per chi tifava per Colombo...
E lo so che questo capitolo è un po' lungo, ma non volevo rimandare ancora un dialogo con Nathan.
Un grazie ENORME a chi segue, recensisce e anche a chi legge silenziosamente,
FatSalad

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Capitolo 10
*** Dirty Dancing ***


Capitolo 10 – Dirty Dancing

 

Giulia era quasi sicura che tra le proprie fantasie degli ultimi anni ci fosse stata, e piuttosto in alto in classifica, “Studiare in biblioteca con Nathan mentre fuori piove”, ma certo non si sarebbe mai aspettata di avverare un sogno del genere. Poco importava se invece di studiare i due stessero parlando, anzi, rendeva tutto più bello di quanto si era immaginata, soprattutto perché era reale.

Nathan le aveva spiegato perché negli ultimi mesi aveva smesso di cercarla, di rivolgerle la parola e Giulia era rimasta shockata nell'apprendere che il motivo principale era... Andrea. A quanto le spiegò il moro, Andrea stava raccontando in giro da un bel po' di tempo la sua, palesemente inventata, versione del loro rapporto. Si era vantato del successo della propria conquista e l'aveva dipinta agli occhi degli amici come una tipa più che facile, ipocrita, che si comportava in maniera perversa nascondendosi dietro una facciata da santarellina. Se Giulia non l'avesse udito con le proprie orecchie quando era ubriaco, non ci avrebbe mai creduto.

«È uno schifoso bugiardo! Siamo usciti insieme sì e no due volte!» disse indignata.

«Due volte? Oh... è molto meno di qaunto potessi immaginare...» disse Nathan, incredulo. «Voglio dire, io in ogni caso non potevo credere a quello che diceva su di te, per questo mi dispiace non averti dato fiducia, non essermi fidato della ragazza che conoscevo io e... beh, avrei fatto meglio a non credere a certe voci, ma la verità è che mi faceva comodo crederci, mi serviva un pretesto»

«Un pretesto?»

«Sì, un pretesto, una scusa per essere arrabbiato, per avercela con qualcuno e tu eri il capro espiatorio perfetto. Avevo trovato il modo per far sì che tutte le tue teorie ottimiste, le tue parole confortevoli, il tuo modo di fare fossero falsi, se tu fossi stata una persona falsa, ma non è tutto. Sei anche la sorella di Spartaco, che bocciando mi ha tolto l'unica possibilità che avevo di essere il capitano, di essere qualcuno. Però non faintendermi, voglio un bene dell'anima a tuo fratello, è un capitano 100, 1000 volte migliore di quanto potrei essere io, solo... un po' lo invidio, ecco.»

Giulia non era preparata a tutte quelle confessioni tutte insieme, a quella confidenza ben più importante di tutti gli scambi di messaggi che avevano mai avuto. Quando se ne accorse se ne spaventò e tentò di sdrammatizzare.

«Dai, essere il capitano della squadra del liceo non è questo grande onore! Magari tra qualche anno potresti diventare il capitano di una squadra più importante»

Il sorriso triste di Nathan le procurò un dolore alla bocca dello stomaco prima ancora che avesse ascoltato la sua replica. Lui le spiegò che i medici gli avevano detto chiaro e tondo che anche quando non avrebbe avuto né gesso né stampelle, né tutore né dolore, le possibilità per lui di tornare a giocare a calcio come prima erano scarse. Lei si diede mentalmente della stupida troglodita priva di tatto.

«Questo è il punto» concluse Nathan «non giocherò più a calcio, che era una parte gigantesca della mia vita. Diciamo che avevo un ultimatum e questo ginocchio ha deciso per me. Sai, guarire è una cosa lunga, tra le altre cose mi sono fratturato l'osso spugnoso...»

«Spongebob!» si intromise Lorenzo, che evidentemente aveva ascoltato l'ultima parte del discorso varie volte.

«Sì, frittellina mia, Spongebob!» disse Nathan prendendo il fratello in braccio «Ha imparato a chiamarlo così» spiegò a Giulia prima di mettersi a fare delle pernacchie sul pancino semi-scoperto di Lorenzo per sentirlo ridere di gusto.

Davanti a quel quadretto Giulia si commosse, ma non fece scendere sulle guance nessuna lacrima, per paura di piangere arcobaleni.

«Gli vuoi molto bene» disse piano, più a se stessa che a Nathan.

Il ragazzo distolse l'attenzione dalla pancia di Lorenzino e cominciò a rivestirlo per bene.

«Sì, beh... anche se ce l'ho avuta un po' anche con lui, perché quando ho fatto l'incidente stavo andando a comprare della roba per lui.» qui fece una pausa che Giulia non osò interrompere «So che lui non c'entra niente, se Melania non avesse insistito non sarebbe successo nulla. È per questo che ho chiesto di essere pagato per stare con lui: per ripicca.»

«Chi è Melania?»

«Oh, lei è...» le era sembrata una domanda semplice e più che lecita, ma aveva messo in difficoltà Nathan «È la madre di Lorenzo, tecnicamente è la mia matrigna» rispose infine e Giulia capì che non era il caso di chiedere oltre, sebbene Curiosità dentro di lei stesse gridando “chiedi-di-più-chiedi-di-più-chiedi-di-più!”. D'altra parte il dubbio che i due non avessero gli stessi genitori avrebbe dovuto sorgerle spontaneo quando li aveva visti assieme la prima volta: Lorenzo aveva la pelle chiarissima, i capelli biondi e nemmeno un'idea degli occhi a mandorla di Nathan, l'unica cosa che avevano in comune era il colore particolarissimo delle iridi.

«Comunque ora va bene»

«Sì, ha smesso di piovere» disse Giulia guardando fuori dalla finestra.

«Sì, anche, ma intendevo che è tutto a posto. Per me. Non ho visto una partita da quando mi sono fatto male, ma ora ho proprio voglia di tornare a fare il tifo per la mia squadra, come gli altri lo hanno fatto per me. Insomma, forse posso fare ancora qualcosa per loro, anche se sono in queste condizioni»

Giulia si limitò a sorridere mentre si alzava in piedi. «Certo» sussurrò, trattenendosi dal gettarglisi addosso per abbracciarlo, soffermandosi solo un secondo di più sul suo avambraccio mentre lo aiutava ad alzarsi dalla sedia.

«Grazie» rispose lui, senza staccare gli occhi dai suoi.

«Figurati! Spero di non averti rovinato la maglia, stavolta!» cercò di minimizzare Giulia, scuotendo una mano.

«No, volevo dire: grazie per avermi perdonato, per essere rimasta ad ascoltarmi, grazie per... tutto!»

E questa volta ci volle tutta la forza di Decoro e Dignità per non farla stringere al suo petto.

 

Chiarirsi con Nathan era stato un toccasano per l'umore di Giulia che, pur avendo raccontato alle squinzie, sconvolgendole come lo era stato lei, che “qualcuno” le aveva detto come si era comportato Andrea da quando si erano conosciuti, non riusciva ad alzarsi la mattina senza il sorriso in volto. Poco importava se Nathan stava con Lilla e se non avevano ricominciato a messaggiare, come in cuor suo aveva sperato, Giulia era contenta semplicemente di non essersi sbagliata sul suo conto, era contenta di conoscere una persona come Nathan: sfortunato, incasinato, ma sincero e con un gran cuore.

Venerdì pomeriggio Giulia era sola in casa, si stava cambiando i vestiti mugolando una canzone che stavano dando alla radio. Sentì suonare il campanello e, stupita, spense la radio e corse verso la porta.

«Cavoli, Ale, non è da te essere così puntuale!» mormorò a bassa voce mentre si precipitava in shorts e canottiera ad aprire il portone, un sorriso smagliante già stampato in volto.

«Oh cazz...» doveva essere l'influenza di Emma, ma Giulia si era bloccata di colpo incapace di dire fare o pensare altro, mentre la spallina della canottiera scendeva impietosa come a sottolineare il momento d'imbarazzo.

«Ciao» disse Nathan con un tono tra il divertito e l'imbarazzato, dopo aver seguito con gli occhi il percorso della sua spallina. Fu quel mezzo sorriso sul suo volto a scrollare Giulia dal mondo dei sogni (o degli incubi) e a farle riprendere il controllo di sé, tirandosi su la spallina indisciplinata.

«Non sei Ale»

«Spiacente»

«Non è come sembra...» perché come doveva sembrare? «Sto aspettando Ale per fare zumba». Dallo sguardo malizioso che sorse sul viso del ragazzo capì che stava peggiorando la situazione. «Cioè, davvero! Io... aspetta, vado a mettermi qualcosa addosso» concluse passadosi una mano sulla faccia, esasperata.

«Brava Giulia, finalmente hai detto qualcosa di sensato! La prossima volta vedi di deciderti prima di aver passato mezz'ora a fissarlo con la faccia da pesce lesso!» brontolava tra sé e sé mentre si affrettava ad indossare un paio di pantaloni lunghi e una felpona sformata, a scanso di equivoci.

«Oddio, ma sono sola in casa con Nathan!» Si riscosse al pensiero, come colpita alla sprovvista. Infondo anche l'ultima volta che avevano parlato a quattrocchi c'era Lorenzo con loro. Fece un respiro profondo cercando di calmarsi e tornò in salotto per affrontare Nathan.

«Ecco, ehm... adesso sono più presentabile, scusa per prima.»

«A me andava benissimo anche prima.» disse lui con un sorriso sornione che non gli era solito e che mandò Giulia in fibrillazione.

«Ehm... cercavi Spartaco?» riuscì a dire quando ebbe ripreso il controllo di qualche neurone impazzito.

«Sì, sono passato a prendere delle cose.»

«Mio fratello non è ancora tornato... aspetta, provo a chiamarlo.» Afferrò il cordless e digitò il numero, grata di aver trovato un'occupazione che le permettesse di distogliere lo sguardo da quel volto che la metteva in agitazione. Per sua sfortuna, però, Spartaco non rispose e fu costretta a mandargli un messaggio, un minaccioso – DOVE SEI??? CHIAMA APPENA PUOI – Rigorosamente a caratteri maiuscoli. Dov'era Spartaco quando serviva?

«Scusa, non sapevo che dovesse arrivare qualcuno, Spartaco non mi aveva avvisato. Intanto... posso offrirti qualcosa?» disse, ricordandosi la buona educazione, dopo aver visto che Nathan se ne stava ancora in piedi davanti all'ingresso, appoggiato alla stampella.

«Magari... per caso hai del ghiaccio?»

Giulia sgranò gli occhi, non le pareva che in quell'Aprile piovoso ci fosse grande bisogno di refrigerarsi.

«Del ghiaccio?»

«Non per me, per questa.» disse indicandosi la gamba imprigionata nel tutore.

«Oh, certo, scusa, non ti ho fatto nemmeno sedere. Allora del ghiaccio per il ginocchio e... per te non vuoi niente?»

«Magari un bicchiere d'acqua»

Lo ringraziò mentalmente per aver evitato la prospettiva di un lungo silenzio imbarazzante in attesa di un segno di vita da parte di suo fratello e lo invitò a sedersi facendogli strada in cucina.

Purtroppo un silenzio impacciato scese ugualmente mentre i due sorseggiavano lentamente l'acqua e Giulia non sapeva cosa dire per alleggerire la tensione, era come se il suo cervello si fosse spento momentaneamente, o meglio, come se fosse andato in tilt, dato che continuava a ripetere le solite tre parole “Io. Nathan. Soli.”. Periodicamente Giulia era costretta a schiaffeggiarsi mentalmente ripetendosi “Riprenditi, Giulia! Nathan sta con Lilla, non pensare a... niente!!”.

Fu lui a parlare per primo, rompendo il silenzio.

«Forse è meglio che me ne vada»

L'idea di sprecare l'occasione di passare un po' di tempo da sola con Nathan funzionò come una scarica di adrenalina e riscosse la sua mente intorpidita.

«No! Aspetta almeno che Spartaco si faccia vivo»

«Ma tu stavi aspettando qualcuno, sbaglio?»

«Sì, ma... mi dispiace che tu abbia fatto un viaggio a vuoto e poi Ale può aspettare. Facciamo così: provo a trovare io quello che dovevi prendere da mio fratello... cos'era?»

«Fogli della squadra, sai, certificati medici, tattiche... penso che tenga tutto insieme.»

«Ah, le scartoffie di calcetto!»

«Esatto» fece lui con una risatina «ho deciso di occuparmene io, per fare qualcosa per la squadra.»

«Forse so dove sono, andiamo a controllare»

Uscire dal'immobilismo fu un vero piacere e anche se Giulia non era sicura di riuscire a trovare i fogli desiderati (teneva così tante scartoffie suo fratello!), si diresse verso lo studio facendo strada al ragazzo.

«Dunque dovrebbero essere qui...» cominciò a dire aprendo cassetti a casaccio «oppure qui...» si ritrovò a dirlo molto spesso senza raggiungere l'oggetto del desiderio, tanto che Nathan cominciò a sorridere.

«Sicura di sapere dove li tiene?»

«Sì... cioè... sono qui da qualche parte! Spartaco a volte è disordinato...» cercò di giustificarsi, ma stava mentendo palesemente a giudicare dall'ordine in cui erano impilati fogli, libri e quaderni in ogni angolo della stanza guardasse. Nathan parve accorgersene e trattenne a stento una risatina.

«Forse è meglio che vada...»

«È Spartaco!» esclamò Giulia bloccando Nathan sulla porta e precipitandosi sul cellulare che aveva suonato, annunciando l'arrivo di un messaggio.

- Tesoro! Due minuti e arrivo!

Invece era Ale e Giulia si stava rassegnando all'idea di salutare Nathan, quando arrivò veramente un messaggio del fratello.

«Devo ricordarmi di lodarti e glorificarti quando arrivi.» pensò mentre leggeva il messaggio.

«Dice che è partito ora... aspetta, lo chiamo.»

- Che succede sorellina?

- Ciao. C'è qui Nathan che vuole i fogli di calcetto.

- Ah, Scheggia, già! Me ne ero dimenticato.

- Bene. Se mi dici dove sono questi fogli glieli do io.

«Ti saluta» disse poco dopo, chiudendo la chiamata.

«Grazie, che ha detto?»

«Che c'ero molto, mooolto vicina» disse lei con una punta d'orgoglio, facendo ridere il ragazzo «sono quassù.». E aperta l'anta dell'armadio che aveva già ispezionato poco prima cercò di raggiungere lo scaffale più alto, alzandosi sulle punte.

«Hai bisogno di una mano?»

La voce calda di Nathan la raggiunse con un soffio alle spalle, molto, troppo vicina e terribilmente seducente, con quella nota di divertimento che aveva riconosciuto poco prima, quando si era piazzata davanti a lui seminuda.

“Io. Nathan. Soli.”

Furono quelle tre parole, quel ritornello che gli cantava la mente a riportarla alla realtà dopo un secondo che le parve eterno.

«Come se tu fossi tanto alto!» ironizzò.

Perché la situazione era troppo irreale, troppo bella per essere vera, si prestava troppo ai suoi irrealizzabili viaggi mentali e poi... Nathan stava con Lilla!

«Ehi! Questo è un colpo basso!» Nathan riacquistò un tono scherzoso. «Papà dice che devo ancora crescere» cantilenò imitando la vocetta di un bambino.

Perché sembrava che ci stesse provando con lei, sembrava che lei gli piacesse e questo non era possibile.

«È la cartellina verde vomito: testuali parole di Spartaco.» Si era arresa e aveva fatto spazio a Nathan che, seppure non di molto, con il suo forse metro e 70 la superava comunque in altezza e riuscì effettivamente ad afferrare la cartellina senza difficoltà, con la mano che non stringeva la stampella. Prima di metterla sotto braccio la fece rimbalzare sulla testa di Giulia, come a ricordarle quanto lei fosse più bassa di lui.

«Ehi! Io posso essere tappa, perché sono una donna!» fece lei fingendosi offesa e ricambiando con uno schiaffetto sulla spalla.

L'atmosfera era così distesa adesso, così rilassata e naturale che... era impossibile che stessero flirtando. Impossibile punto.

«Certo, ad Ale sembra non importare della tua altezza». Cos'era, infastidito? Curioso? Giulia lo guardò un attimo negli occhi prima di scoppiare a ridere.

«Alessia è una donna!»

«Ah.» E ora? Era forse sollevato? «Non sapevo tu avessi certi gusti...»

Infatti, la stava solo prendendo in giro, nient'altro. Nient'altro.

«E ha quasi 50 anni.»

E lei stava al gioco.

«Pure!»

«Ed è una bellissima donna, davvero.»

Risero insieme per un meraviglioso istante.

«Ale è la mia vicina di casa. Cioè, sta al secondo piano, ma è più vicina di quelli della porta accanto. Da un po' di tempo viene da me per fare zumba ogni tanto...» ma perché quello sport doveva avere un nome tanto ambiguo? «cioè, esercizio, ehm... ginnastica... balliamo!». Si incartò da sola sotto lo sguardo sempre più malizioso del ragazzo, prima di scoppiare di nuovo a ridere con lui.

«Ho capito, ho capito: è solo una cosa fisica» rincarò la dose.

«Non fraintendere!»

«Io? Quando mai?!» escalmò assumendo uno sguardo stupito e alzando le sopracciaglia per mostrare stupore e innocenza. «Ma perché non va in palestra invece di venire da te?»

Giulia si rabbuiò.

«Prima ci andava, ma non è triste andare in palestra da soli? Prima andava in palestra fingendo di andare da un amante, perché suo marito ce l'aveva davvero un'altra donna, o forse più di una e Ale ha fatto di tutto per cercare di farlo tornare da lei, per cercare di piacergli e poi per mantenere la facciata. Insomma, è una storia complicata, vero? Tutti sapevano che suo marito la cornificava, così lei voleva far credere di non essere da meno, ma non ha mai veramente cercato altre relazioni, perché nonostante tutto era innamorata ancora di suo marito.». La ragazza si rese conto di aver monopolizzato la conversazione e aver introdotto un argomento non felicissimo, stava per scusarsi, ma Nathan la precedette: «E poi?».

Per la prima volta dal vivo fu come parlargli per messaggio, scherzare e poi passare a un argomento più serio e trovare Nathan sempre attento e interessato. Quel ragazzo era più unico che raro, la sua perla preziosa, cioè, tecnicamente era di Lilla, ma era comunuque prezioso. Sorrise prima di riprendere.

«Poi un giorno l'ho trovata ed era come un vaso pieno fino all'orlo: è bastato che mi avvicinassi a lei per farle uscire tutto fuori, senza che io facessi nulla. Mi ha raccontato la sua storia e come fingesse di essere quello che non era per un uomo che nemmeno la amava. Così io le proposi di venire da me a fare ginnastica e piano piano si è aperta molto di più, è diventata più sincera, si trucca molto meno, per esempio ed è diventata meno sola, o almeno spero» concluse abbassando gli occhi.

«Ne sono sicuro»

A quel suono caldo Giulia alzò di nuovo gli occhi per piantarli in quelli di lui, seri e brillanti, sinceri. Non la stava prendendo in giro, pensava davvero ciò che le aveva detto e aveva pronunciato le parole più giuste che potesse trovare, come al solito aveva detto esattamente ciò che Giulia, inconsciamente, avrebbe voluto sentire.

Non avrebbe più voluto staccarsi da quegli occhi, ma fu il campanello a farla sobbalzare.

«Dev'essere lei»

A malincuore andò ad aprire la porta.

«Ciao carissima! Scusa il ritardo!»

Una voce squillante raggiunse le orecchie di Nathan prima che potesse vedere la sua proprietaria.

“Una bellissima donna”, le aveva detto Giulia, e lo era realmente. Se aveva quasi 50 anni ne dimostrava almeno dieci di meno e Nathan era sicuro che qualche dottore ci avesse messo lo zampino. Fisico slanciato e atletico, un seno che sfidava la gravità, capelli biondo platino e rossetto rosa barbie.

«Oh, ma avevi ospiti!» disse la donna appena lo vide entrare in salotto «Le hai tenuto compagnia?» aggiunse con un sorrisetto «Rimani con noi, tesoro?»

«Mi dispiace, ma purtroppo devo rifiutare l'offerta: devo andare a prendere l'autobus.»

«Non sai che ti perdi, caro, le donne quando fanno zumba si mettono certi vestitini sensuali...» quella di Alessia voleva essere una battuta, ma a Giulia s'infiammò il volto e Nathan rispose:

«Oh, lo so, lo so...» con un sorrisetto allusivo che alla donna non sfuggì. «Grazie per la proposta. Saluta il capitano. Oh! E... a domani, allora»

«Ciao Nathan, a domani» disse Giulia ricordandosi della partita, con lo sguardo ancora basso per non mostrare il volto in fiamme, mentre chiudeva la porta.

«Nathan? Quel Nathan?»

«Sì, Ale, non urlare per favore!»

«È proprio carino! Lo approvo! Che è successo mentre non c'ero? Sono arrivata troppo presto?» continuò lei sempre più entusiasta e curiosa, ignorando la richiesta di Giulia.

«Non sei venuta per fare zumba?» tentò di svicolare la ragazza.

«Oh, sì. Mettiamoci subito al lavoro per rassodare i glutei e... raccontami tutto! Ma cos'è quella felpa antiestetica? Vatti subito a cambiare! Voglio sperare che tu non ti sia fatta trovare in questo stato pietoso dal tuo bel tipetto! Eh... beata gioventù!»

 

Il mio angolino:
_____________

Con un leggerissimo ritardo... ma ci sono!
Non porto sempre dietro il pc o carta e penna, però... ragazzi, come sono comodi gli smartphone per appuntare ogni ispirazione “fuori programma”!
FatSalad, in ritardo e sotto schiavitù tecnologica, vi ringrazia per essere arrivati fin qua! :)

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Capitolo 11
*** Le Regole del Gioco ***


Capitolo 11 – Le Regole del Gioco

 

Quando Giulia guardava le partite di calcetto o qualsiasi altro sport, si concentrava più sul fisico dei giocatori che non sullo svolgimento del gioco. Giusto per non fare brutte figure con Nathan si era ripassata le basi del calcetto prima di arrivare alla partita, ma scoprì che non ce ne sarebbe stato bisogno, dal momento che Lorenzo la teneva occupata e le forniva un'ottima scusa per le volte in cui Nathan si girava verso di lei chiedendo:

«Hai visto?» con occhi sbarrati.

Giulia teneva Lorenzo in braccio, per tenerlo buono gli insegnava dei giochini, o delle canzoncine, ma ogni tanto si incantava a guardare Nathan, il suo entusiasmo, il suo nervosismo mentre incitava i compagni di squadra. Un paio di volte lo vide alzarsi dal posto accanto al proprio e appoggiarsi alla ringhiera che li separava dal campo di calcetto per gridare qualche consiglio concitato, mentre Giulia si scopriva a fissare il suo didietro, esibito esattamente ad altezza volto.

«Smettila! Non è tuo, è di Lilla» si mormorava allora, con la stessa intonazione con cui diceva a Lorenzo “Non si tocca” e “Si chiede per favore” e simili.

«Ehi, scusa,» chiamarlo “Nathan” le risultava ancora un po' difficile «hai dei fazzoletti di carta? Ho finito i miei»

«Oh, sì certo» disse il ragazzo tornando a sedersi accanto ai due, distogliendo l'attenzione dalla partita. «Sta spargendo moccio da giovedì, mi sa che al parco ha preso freddo» continuò facendo soffiare il naso al fratellino.

«Poverino, mi dispiace»

«Ma no, è un bambino, è normale che si ammali un po', no? Infatti, non te l'avevo detto, ma tra poco dovrebbe arrivare Melania per portarlo dal dottore»

«Ma è sabato»

«Lo so, conoscendola penso che lo porterà al pronto soccorso urlando come un'ossessa, fingendo che il suo bambino sia in fin di vita»

«Oh... non so se le crederanno dopo aver visto questo faccino sorridente» disse Giulia strizzando leggermente una guanciotta del bambino, che prontamente rise e si divincolò.

«Melania sa essere molto convincente» lo disse in modo scherzoso, ma forse celava una punta di amarezza, o forse fu solo nella mente di Giulia.

Melania tardò un po' rispetto a quanto aveva detto Nathan, ma si fece annunciare da una serie di messaggi, squilli e chiamate. All'ultima Nathan rispose mentre stava faticosamente scendendo le scale della tribuna.

«Sto arrivando, sto arrivando!» ripeteva, un po' alterato.

Giulia prese Lorenzo in braccio e seguì Nathan, non sapendo in che altro modo essere d'aiuto.

Quando furono fuori Giulia fu sorpresa dalla visione di una ragazza con i capelli rosso mogano a caschetto e degli occhiali da sole eccessivi. Si stava ripassando il rossetto dall'interno di un'auto decappottabile e per quanto Giulia non se ne intendesse affatto di automobili, era più che sicura che si trattasse di un oggetto molto costoso. La mamma di Lorenzo, però, dov'era?

«Finalmente, ci hai messo una vita!» disse la ragazza coi capelli rossi scendendo dall'auto e avvicinandosi a loro. Subito Lorenzo protese le braccia verso di lei, che invece lo bloccò.

«Non ora, Lorenzo, mi fa male la schiena. Vieni, entra in macchina» disse la ragazza conducendo in fretta e furia il bambino verso la vettura. Lorenzo diede un ultimo abbraccio a Giulia, strusciandosi contro il suo seno.

«Ehi! Furbastro!» lo ammonì Nathan accorgendosi del gesto del fratellino e punzecchiandolo con un dito.

«Mamma ce l'ha più grosse!» fece Lorenzo con una risata.

Giulia arrossì e ridacchiò imbarazzata, non riuscì a ribattere nemmeno con un “Lascia perdere, è solo un bambino” e posò Lorenzo a terra con una risatina acuta, lo seguì con lo sguardo mentre prendeva la mano della donna. Quest'ultima non spiccicò altra parola, fece un saluto sommario con la mano prima di partire e in un secondo uscì dal campo visivo di Giulia.

«Melania è... molto giovane» disse Giulia esitante, per rompere il silenzio imbarazzante.

«Sì, in effetti ha poco più di me»

«Oh» disse solo Giulia, non volendo apparire indiscreta.

«Torniamo a vedere la partita?» chiese Nathan dopo qualche istante.

Giulia annuì.

«Oh, no... le scale! Di nuovo!» Nathan roteò gli occhi. La prospettiva non doveva entusiasmarlo.

«Certo che oggi non fa per niente freddo...»

Nathan guardò Giulia con la fronte aggrottata in una muta domanda, ma un angolo della bocca era incurvato. Si allungò anche l'altro dopo l'alzatina di spalle che gli rivolse la ragazza, sorridendo a sua volta.

«C'è una panchina di lato alla palestra» disse Nathan precedendola e mostrandole la strada.

Durante il tragitto e appena seduti, non ancora abituati a parlare faccia a faccia, continuarono a parlare scherzosamente senza impegno di argomenti come fisioterapia per il ginocchio di Nathan, lo studio, la maturità, il tempo, giusto per riempire il silenzio.

«Oggi sarebbe un giorno perfetto per andare a studiare al parco» disse Giulia.

«Ci vai spesso?»

«Dall'anno scorso, quando fa caldo, ci vado abbastanza spesso, sì. Lorenzo però non l'avevo visto l'anno scorso»

«Non penso che ci sia mai andato prima di quest'anno, in effetti, ma Melania ci si è fermata una volta perché è vicino a non so cosa e da allora il pestifero non fa che chiedermi di portarcelo» Nathan parlava con un accenno di sorriso, pensando al fratellino, poi di colpo cambiò espressione «a dir la verità... una volta ti ho visto e... ti ho evitato. Ho lasciato che Lorenzo andasse a giocare con te e...» era decisamente a disagio. «La seconda volta che ti ho visto invece Lorenzo ha insistito e ha fatto talmente tante bizze che sono finito a sedere tra i bambini»

«E hai ascoltato la storia dell'orco... come si chiamava?»

«Già, tempo speso bene!» disse Nathan con la parodia di un sorriso.

I due risero, ma Giulia sentiva che c'era qualcosa che disturbava il ragazzo. Aveva paura a chiedere spiegazioni, non avrebbe saputo neanche cosa chiedere, o se ne aveva il diritto, ma fu Nathan a decidersi e a svuotare il sacco.

«In realtà Melania è anche... “il mio primo amore”, per così dire.»

Uh-oh.

Dunque era questo che lo turbava. Giulia ammutolì all'istante e attese.

«Sai, quando si è bambini i ragazzi più grandi sembrano tutti più belli, dei modelli da seguire, l'approvazione da conquistare. Per me Melania era così e quando fui grande abbastanza per fare certi ragionamenti cominciai anche a pensare che potesse succedere qualcosa tra noi, “quando sarò più grande”, dicevo.» qui Nathan si interruppe per scuotere il capo con una risata lieve «Ironia del destino: “quando sono diventato più grande” si è sposata mio padre. Voglio dire, forse è stato un bene, almeno ha stroncato definitivamente i residui di fantasie che avevo su di lei, però... forse avrei preferito ricordarmela come la bambina con le trecce, quella che decideva i giochi, che capitanava le squadre e odiava i broccoli, piuttosto che conoscerla come l'arrivista priva di scrupoli quale è. Senza contare che... cavoli! Il mio vecchio è stato tranquillo per tanti anni, doveva proprio risposarsi ora? Non poteva comprarsi una moto o farsi un tatuaggio come tutti gli altri uomini in crisi di mezza età? Che se ne fa di una moglie? Tanto non è mai a casa, è sempre a giro per lavoro... figuriamoci di un altro figlio!»

Giulia osservava le spalle di Nathan correre in su e in giù, mentre il ragazzo cercava di calmarsi dopo il crescendo di emozioni e di rancore che gli aveva visto tirare fuori.

«Una moglie che non si degna nemmeno di portare il figlio dal pediatra, o di comprargli le medicine, perché è troppo occupata a fare la bella vita da mantenuta! Mamma non si sarebbe mai risposata con il primo ragazzino che gliel'avesse sbattuto davanti! Lei non mi avrebbe mai permesso di uscire di casa in motorino con le strade ghiacciate, non mi costringerebbe a prendere il suo posto con mio fratello invece di lascirmi studiare! Lei non pagherebbe una babysitter perché è sempre impegnata a fare shopping o una donna delle pulizie mentre va fuori per farsi le lampade!»

Giulia sentiva la gola secca e non aveva idea di come comportarsi, sapeva solo che voleva far cessare il tremore della schiena di Nathan e si accorse di aver inconsapevolmente poggiato una mano lieve tra le scapole del ragazzo. Lo vide voltarsi dopo qualche secondo nella sua direzione con un mezzo sorriso.

«Scusami per averti fatto sentire tutto questo» bisbigliò un po' imbarazzato «non sono cose che di solito mi piace sbandierare. Anzi, diciamo che sei la prima persona a cui lo dico»

«Scusami...» cominciò lei sentendosi vagamente in colpa.

«Ma che dici? Non mi hai chiesto tu di parlarne, anzi, non so cosa mi è preso. In un certo senso ora mi sento meglio, come se mi fossi tolto un peso dalle spalle» continuò con un sorriso mesto.

«Ma tua madre...» soffiò Giulia, maledicendosi per non essere riuscita a trattenersi.

«Sì, mia madre è morta. Non... non te l'avevo detto?» Giulia scosse la testa «Quando avevo 7 anni le diagnosticarono un tumore già in fase avanzata. La cosa terribile è che adesso mi ricordo così poco di lei. Episodi, sensazioni, più che altro, ma se non avessi le foto non potrei dare un volto a mia mamma.»

«Nathan...» sussurrò Giulia cercando la mano del ragazzo, desiderosa, ma spaventata, di sfiorargli l'anima.

«Lo so: non è colpa mia. Ero troppo piccolo per potermi ricordare ogni cosa. È solo che... Sono cresciuto senza che mio padre si risposasse per quasi 10 anni, non avevo nessuno quando potevo sentirne il bisogno e ora la mia “amichetta” d'infanzia diventa la mia matrigna? Potrei essere io il padre di Lorenzo!»

«Sì, capisco» disse Giulia sottovoce, ma decisa, guardandolo negli occhi e stringendogli la mano con una leggera pressione. Ed era vero: ora Giulia capiva molte cose. Aveva dato un nome e un perché allo sguardo malinconico di Nathan, alle sue tristi filosofie di vita, alla sua difficoltà nel fidarsi delle persone. Guardava il ragazzo negli occhi e tentava di mettersi nei suoi panni. Deluso, tradito, abbandonato. Ecco come doveva sentirsi Nathan, come doveva essersi sentito nell'ultimo decennio della sua vita.

Giulia deglutì, era orribile venire a conoscenza di un'esistenza simile e non avere parole per confortare, non sentirsi in diritto di ascoltare, di abbracciare, di alleviare quel dolore. Avrebbe voluto aprire la bocca e proclamare la “Soluzione”, ma pensava di non possoderla e annaspava con la mente vuota sentendosi inadeguata. Giulia fece un respiro profondo e delegò i propri occhi per esprimere tutto ciò che la sua voce non sapeva o non poteva dire. Nathan fissò quegli occhi per qualche istante, Giulia si sentì persa come se il ragazzo le stesse grattando, scavando dentro, finchè non la interruppe e la spiazzò.

«Grazie» le disse stringendole a sua volta la mano.

«P-per cosa?»

«Per avermi fatto parlare. Per avermi ascoltato senza interrompermi. Per non aver provato a farmi ridere o consolarmi con delle frasi fatte. Ora ho capito cosa hai fatto ad Ale...!» concluse con un sorriso.

«Grazie a te» disse Giulia con un sorriso timido «per avermi dato fiducia»

I due si guardarono ancora un attimo, come se, intuendo che era successo qualcosa di grande, volessero imprimere nella memoria quel momento, prima che svanisse.

Nathan non ebbe bisogno di chiederle di non raccontare a nessuno ciò che le aveva confidato, perché era certo che non l'avrebbe mai fatto.

Ad un certo punto Nathan probabilmente ritenne impari il loro dialogo precedente e decise di passare la palla:

«Come... come va con...?» chiese, in evidente difficoltà.

«Oh, con Colombo?»

Nathan annuì.

«Non ci parlo da circa una settimana. Una volta ha provato a... non so, diciamo chiedermi scusa, ma dopo quella volta non si è rifatto vivo. Anzi, ho il sospetto che mi eviti... tu non ne sai niente, vero?» aggiunse, dopo un'improvvisa illuminazione.

«Io? Che c'entro io?» disse prontamente Nathan. Sarebbe stato convincente, se solo l'avesse guardata negli occhi.

«Non lo so, era così per dire» disse Giulia con noncuranza «Quella sera ho chiesto a Paolo di non raccontare nulla a Spartaco, pensavo di potermi fidare, forse mi sbagliavo...»

«Ok, ok, non prendertela con Paolo, non è colpa sua. Però c'era anche lui quando la squadra ha “teso un'imboscata” a Colombo!» concluse ridacchiando.

«Cosa??? Un'imboscata?» Giulia si era irrigidita, preoccupata. Non voleva più vedere Andrea, ma non auspicava nemmeno che gli succedesse qualcosa di veramente brutto.

«Tranquilla, era solo un modo di dire, sai, che era come “un uccellino in trappola”» ridacchiò di nuovo e Giulia si immaginò i 12 ragazzi con la maglia della squadra addosso e le braccia incrociate per incutere più timore al malcapitato accerchiato «Spartaco ha semplicemente convocato la squadra per fargli un po' di paura, ma ti giuro che non l'hanno toccato nemmeno con un dito! Gli hanno solo detto di stare alla larga, tutto qui»

«Davvero?» chiese Giulia cauta.

«Davvero»

Gli occhi di Nathan erano fermi, sinceri, la luce del sole li rendeva luminosi come due pezzi di vetro e Giulia ebbe paura di cedere all'istinto che le chiedeva di avvicinarsi di più, di staccare il cervello e dedicarsi al nobile atto della contemplazione. Solo a quel punto smise di agitarsi per Andrea, più per la distrazione che non per le rassicurazioni ricevute.

«Perché continui a difenderlo? Guarda che lui ha ricominciato ad diffamarti, dall'altro estremo, ora. So che siete stati insieme, ma tu meriti...»

«Non siamo stati insime!» Si affrettò a dire Giulia, senza nemmeno fargli finire la frase «E ci tengo a precisare che sono uscita con lui solo perché mi sono lasciata convincere dalle mie amiche! Lui... non mi interessava, ma dato che ha insistito tanto alla fine ho pensato “Vediamo come va”, tutto qui»

«Ok, ok, ricevuto!» disse Nathan accennando un saluto militaresco «In ogni caso meriti di meglio»

Oddio, l'aveva detto di nuovo, con quel tono serio.

«E sentiamo, cosa dice ora su di me?» chiese Giulia per darsi un contegno, notando l'espressione non più divertita di Nathan.

«Ehm... dice in giro che sei una ragazza... strana, ehm... sola, senza amici»

«Una sfigata, puoi dirlo» mormorò guardandosi i piedi che strusciavano distratti per terra. Non che fosse la prima volta che si sentiva rivolgere appellativi simili.

«Ehi, tanto chi gli crede più?» disse Nathan ammorbidendo la voce e dandogli un buffetto di conforto.

«No, no, lui... non è il primo a dire certe cose, anzi, potrebbe avere ragione. Io... ho difficoltà a farmi degli amici, ecco»

«Questo non è assolutamente vero!» disse lui e Giulia gli rivolse uno sguardo interrogativo per farlo andare avanti.

«Pensa a quanto ti vogliono bene Lorenzo e Maria e Mattia...» disse lui in tono scherzoso, nominando tutti i bambini del parco che conosceva.

«Ah. Ah. Spiritoso.»

«...e Aldo, e Ale. Anche se forse lei non conta: ha decisamente un debole per te!» concluse facendo una faccia buffa, che fece ridere Giulia.

«E poi ci sono Lilla e Selene, giusto? E Marta e, immagino, Emma, dico bene?» aggiunse il ragazzo con voce ora seria.

Aveva ragione, ma Giulia si sentì catapultare sul pianeta Terra dopo aver vagato per vari minuti in uno spazio interstellare non meglio definito. L'attrito col suolo non era piacevole. Le ricordò che Nathan stava con la sua migliore amica ed era stato con la ragazza più bella e ammirabile che avesse mai conosciuto. Le fece rendere conto che in quella lista Nathan non si era inserito, “Io sono solo il ragazzo della tua migliore amica” pareva dirgli. “Lilla e lo Scheggia”, era già una coppia perfetta dal nome.

«Perché ti chiamano Scheggia?» chiese giusto per cambiare l'argomento e distogliere l'attenzione da se stessa.

«Oddio! Non è un bel soprannome, lo so, e tutte le volte che provo a dire “perché sono veloce come una scheggia” pensano tutti male!» Nathan aveva assunto un atteggiamento esasperato, estremamente divertente, si vergognava e si agitava sul posto, sembrava che non vedesse l'ora di chiarire l'equivoco «In realtà mi piacerebbe che fosse perché corro veloce come una scheggia, ma temo che sia perché ho questo naso “tagliente”» disse indicando il naso, effettivamente un po' aguzzo e facendo ridere Giulia.

«Dai, non è così male!»

«Cosa? Questo rostro che ho al posto del naso? Certo, a volte è utile, per esempio quando mi giro di scatto e ferisco le persone antipatiche, senza che loro si rendano conto che sia stato io...»

«Ma che dici?! Intendevo il soprannome!»

«Ah, ecco, non parlavi del mio naso...»

«Che scemo! Anche il tuo naso non è così terribile come dici» sei bellissimo così, avrebbe voluto dirgli, ma riuscì a trattenersi e capendo che il ragazzo voleva solo scherzare stette al gioco «Diciamo che è un naso... importante!» disse con un movimento eloquente della mano.

«Perché non ce l'hai tu! Ora sì che mi sento meglio! Mi piacciono le persone oneste!» ribattè Nathan incrociando le braccia e fingendosi offeso.

«Nessuno mi ha mai dato un soprannome» disse lei, pendendo pericolosamente verso l'autocommiserazione.

«Come, mi hai mentito?»

Giulia guardò il ragazzo con un cipiglio incerto.

«Non sei la Fatina

«Oddio!» Giulia si coprì la faccia con le mani, tentando di nasconderne il rossore «Questo è imbarazzante, facciamo finta di avere un'improvvisa amnesia e torniamo a parlare di altro, ok?»

Nathan non parve d'accordo.

«Perché? Io non ci trovo niente di male ad avere un lavoro part-time e fare sconti fedeltà ai clienti affezionati» disse praticamente citandola, mentre lei continuava a coprirsi il volto e implorarlo di smettere.

Cosa aveva pensato pochi giorni prima? Che passare del tempo a parlare con Nathan faccia a faccia era come un sogno che si avverava? Ritirava tutto quello che aveva pensato: preferiva mille volte mandargli dei messaggi senza dovergli mostrare la faccia completamente rossa che esibiva in momenti del genere.

«A proposito, mi sa che sono passati più di 19 minuti da quando parliamo... quanto mi costerà il resto del tempo?» chiese cercando nel portafogli il buono “Ti faccio compagnia per 19 minuti”.

«Hai ragione! Dopo 19 minuti... scomparirò magicamente, a meno che tu non smetta di parlarne!» minacciò Giulia intravedendo uno spiraglio di speranza.

«Ok, ok, ricevuto. Smetto di rendermi molesto.» disse alzando le mani in segno di resa «A proposito, non ti ho ancora detto grazie per il regalo: mi ha fatto ridere un sacco e... è stato utilissimo! Quand'è il tuo compleanno?»

«Era lunedì scorso»

«Oh» disse Nathan sorpreso e forse deluso, ma si riprese in fretta «Scusa, non lo sapevo, non ti ho fatto alcun regalo. Auguri, allora. Sei entrata nella maggiore età!»

«Grazie e... figurati, non ho nemmeno festeggiato»

«Cosa? Non hai festeggiato il diciottesimo? Perché?»

«Per... vari motivi» disse Giulia a disagio «Primo fra tutti perché non mi pareva il caso di invitare Aldo e i bambini e mi sarebbe dispiaciuto molto festeggiare senza di loro» scherzò, sperando che Nathan non insistesse. Non aveva voglia di spiegargli la propria asocialità.

«Ehi, penso che a quest'ora siano finite sia partita che docce. Andiamo ad aspettarli fuori?» chiese Nathan riferendosi ai compagni di squadra e Giulia ringraziò che non avesse fatto polemiche sulla sua festa di compleanno.

Istintivamente aiutò il ragazzo ad alzarsi e lo seguì per aspettare Spartaco all'uscita della palestra.

«Ehi, ti ho già detto grazie per oggi? Cioè, per aver badato a Lorenzo, non per...»

«Mmm... Mi sembra di sì» rispose Giulia tamburellando con l'indice sul mento, come se stesse cercando di ricordare qualcosa di lontano nel passato «e non proccuparti, è stato un piacere, davvero»

Nathan le rivolse uno sguardo pieno di gratitudine e Giulia si costrinse a pensare a Lilla, a quanto fosse fortunata ad avere un ragazzo sensibile come lui e si arrabbiò perché forse lei non sapeva quanto era fortunata.

«Oops...» disse Nathan interrompendo i suoi pensieri, con un sorrisetto tra il malizioso e l'imbarazzato.

Giulia guardò verso l'ingresso della palestra e cercò con gli occhi il motivo di un'affermazione del genere, finchè non notò che seminascosto da un pilastro c'era quel rubacuori di Spartaco, intento a sbaciucchiare una...

«LILLA?!»

 

 

Il mio angolino:
_____________

Sono di nuovo in ritardo, scusate! Gli impegni mi sommergono, ultimamente e non posso più garantire aggiornamenti settimanali... ma farò il possibile, ve l'assicuro!
Dopo questo capitolo è ufficiale: odio i dialoghi!!!!!! Non mi riescono T___T
GRAZIE ancora a chi legge e segue,
STRA-GRAZIE a recensisce,
FatSalad che odia gli sport (ci sarà un motivo se sono un'insalata grassa, no? u.u)

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Capitolo 12
*** Tutti Insieme Appassionatamente ***


Capitolo 12 – Tutti Insieme Appassionatamente

 

«Panino?» chiese Spartaco smorzando la tensione.

«Favorevole» disse Nathan alzando una mano.

«Dai, poi vi riaccompagno a casa io con la macchina» disse rivolto a sua sorella e a Nathan.

Giulia rimase interdetta dalla tranquillità con cui Nathan affrontò la situazione.

Panino con contorno di chiacchierata chiarificatrice era proprio quello che ci voleva, anche se rompere l'imbarazzo iniziale non fu facile e il viaggio in auto fu segnato da impacciati tentativi da parte di Nathan e Spartaco di iniziare una conversazione.

«Piaciuta la partita?»

«Non saprei... mi sono perso il secondo tempo...»

«Ah...»

«Paolo è stato bravo?»

«Mah... ha sbagliato una parata ridicola, ma insomma...»

«Bene...»

«Sei arrabbiata?» bisbigliò Lilla per non farsi sentire dai ragazzi nei seggiolini anteriori, ormai coinvolti in un discorso in modo disinvolto.

«No, no, è solo che non capisco perché me l'abbiate tenuto nascosto! E mi chiedo come ho fatto a non accorgermi di niente! Cioè, da quanto...?»

«In effetti, praticamente è tutto merito tuo»

«In che senso?»

«Ti ricordi quando nei bagni della scuola mi dicesti di quel ragazzo malato e io ti confidai che mi piaceva uno che andava oltre le mie possibilità?»

Giulia annuì, lanciando uno sguardo fugace ai due nei sedili davanti e sperando che non riuscissero a sentire niente. Lentamente ogni pezzo stava tornando al proprio posto.

«Ecco, sei stata tu a tirare fuori Spartaco e a dirmi che secondo te... beh, lui stava pensando a me. Così mi sono fidata del tuo sesto senso e mi sono fatta coraggio.»

«E hai fatto bene! Menomale che non hai aspettato lui: è così abituato a ragazze che gli cadono ai piedi che in pratica non sa come si corteggia una donna»

«Me ne sono accorta, sì» disse Lilla con un veloce sguardo di rimprovero al ragazzo «allora, ora che sai di me... chi è il tuo ragazzo misterioso?» chiese subito dopo.

«Ehm...»

«Ehi, siamo messi esattamente come quella volta che siamo andati insieme al pub per provare la Mini!»

Giulia tentò di dare spago alla conversazione iniziata dal fratello, ma alla fine si vide costretta a rispondere all'amica e alzando le spalle e flettendo impercettibilmente il capo in direzione di Nathan, sperò che l'amica capisse la comunicazione non verbale senza fare scenate. Lilla sgranò gli occhi e si coprì la bocca con la mano, ma non urlò e non fece commenti, cosa di cui Giulia ringraziò mentalmente, mentre le rivolgeva un sorriso, o meglio, una smorfia di intesa che voleva dire “Beh, sì, questo è quanto”. Sperò che l'amica non facesse trapelare la sua confessione con battute o occhiate incriminanti e per fortuna quando si furono sistemati attorno al tavolino all'esterno di un bar, Lilla si comportò in maniera impeccabile, come se non avesse udito nulla quando erano in macchina. D'altra parte era arrivato il momento di fare chiarezza ed era lei quella nella posizione più difficile, quella che doveva cercare di giustificare tanti punti oscuri. Aiutata da Spartaco Lilla raccontò della storia clandestina che i due stavano vivendo da un po'.

«Ma non hai detto niente neanche alle altre?» volle sapere Giulia.

«No, certo che no. Come potevo fare discriminazioni? O tutte o nessuna. Poi... avevo un po' paura delle reazioni di Emma, a dirla tutta»

«Ma dai, ora anche lei è impegnata!»

«Lo so, infatti, ve l'avrei detto tra poco, davvero!»

«Io glielo dicevo di dirtelo, non sapevo più che inventarmi quando uscivo!» si intromise Spartaco. «Qualche tempo fa stavo per dirtelo io»

«Sì, però poi ci siamo lasciati» spiegò Lilla con un gesto annoiato della mano.

«Cosa?»

«Per la seconda volta, credo»

«Sì, la seconda» confermò Lilla.

Giulia osservava la coppietta con la fronte aggrottata dallo stupore, incredula, mentre i due raccontavano con tono indifferente, quasi si fosse trattato del riassunto di una sit-com.

Dunque, riassumendo: la sua migliore amica si era messa con suo fratello in gran segreto e a quanto pareva i due stavano vivendo una storia complicata di tira e molla. Non stentava a crederci, conoscendo il caratterino di Lilla e l'apparente indifferenza di Spartaco. Giulia sapeva che questa era dovuta all'assoluta ignoranza del ragazzo in fatto di corteggiamento, troppo abituato com'era a piacere senza doversi sforzare di fare alcunchè, ma capiva anche che per Lilla non doveva essere piacevole. Poteva facilmente immaginare le dinamiche generali del loro rapporto: lui che non la chiama perchè non ne vede il motivo, lei che ha bisogno di rassicurazioni perché sta con un ragazzo che potrebbe stare con chiunque, il litigio che a lui sembra ingiustificato e la rottura. Giulia non aveva dubbi che i due dovessero ancora “prendere le misure”, conoscersi meglio.

Intanto però, cos'è che si stava dimenticando? Ah, già: Nathan. Gli lanciò uno sguardo di sottecchi e lo vide sorridere al rimbrottarsi della coppia, mentre scarabocchiava distrattamente su un tovagliolino.

Nathan non stava con Lilla. Non c'era mai stato!

Giulia aveva voglia di alzarsi in piedi, saltare sul tavolo, abbracciare i passanti, cantare canzoni imbarazzanti e ballare. Forse però a lui piaceva lei, questa restava l'incognita ed era essenzialmente il motivo per cui non si era ancora decisa a compiere tutte quelle azioni.

«Scusate se interrompo questo momento nevralgico della vostra amicizia, ma io ho finito una partita e sto morendo di fame, possiamo ordinare?» chiese Spartaco con teatralità.

Mossi dalla gola più che dalla compassione, gli altri tre cominciarono a sfogliare con più attenzione il menù.

«Dunque, posso decidere il tipo di pane e metterci dentro fino a 5 ingredienti, giusto?» chiese Giulia che non era mai stata in quel locale.

«Esatto»

«Geniale!»

«Già. C'è solo un problema: l'imbarazzo della scelta» asserì Nathan, indeciso.

«Allora proviamo con speck, provola e pesto alla genovese» disse Giulia, convinta.

«Giulia?!» Perché Lilla doveva essere perennemente spaventata dal cibo?

«Mi fido del tuo giudizio: lo prendo anche io!» meno male che c'era Nathan sorridente a dargli manforte, cosa che fece sgranare ancora di più gli occhi dell'amica.

«Io invece rimango fedele al buon vecchio porchetta, pomodori secchi e maionese» annunciò Spartaco «per te?» chiese poi rivolto a Lilla.

«Un thè» rispose Lilla sempre più scioccata, senza osare commentare oltre i gusti altrui.

Spartaco sorrise e roteò gli occhi come a dire “Ti pareva!”, ma non commentò e andò a lasciare l'ordine al paninaro.

Com'era strano stare seduti a quel tavolino rotondo a parlare amichevolmente, scherzare, ridere. Un osservatore esterno poteva anche pensare che si trattasse di un uscita a quattro di due giovani coppie.

Giulia aveva pensato più di una volta che la sua migliore amica e suo fratello potessero prima o poi stare insieme, ma esserne realmente testimone le sembrava strano, in un certo qual modo anche “divertente”.

«Ti tratta bene, vero? Sennò...» chiese a Lilla, in modo che anche i ragazzi la sentissero, lasciando la minaccia in sospeso.

«Certo, mi tratta bene, per esempio andrà lui a prendermi da bere» disse Lilla sbattendo le ciglia verso Spartaco con aria civettuola. Il ragazzo si limitò a roteare gli occhi.

«Ti aiuto?» chiese Nathan prontamente. Era inconcepibile far camminare un ragazzo con le stampelle quando non ce n'era bisogno, al che Lilla cambiò idea e insistette per accompagnare lei il ragazzo.

«Che coppia!» esclamò Giulia appena i due furono spariti dentro al bar. Nathan si limitò a ridacchiare e a quel punto Giulia capì. «Aspetta, tu sapevi

Nathan si grattò la nuca a disagio prima di rispondere: «Beh, sai, Spartaco non ha amici invidiosi e potenzialmente pericolosi. Ci ha solo chiesto di non spifferare in giro e poi erano secoli che aveva disegnato la linea di confine: nessuno si sarebbe azzardato a toccare Lilla!»

Aveva detto “secoli”? In effetti anche Giulia aveva sospettato dell'interesse da parte di Spartaco per la loro comune amica d'infanzia, ma sentirselo dire così faceva tutt'altro effetto.

Nathan l'aveva lasciata a rimuginare su quanto aveva rivelato prima di dirle: «Tieni» porgendole qualcosa.

«Cos'è?» chiese Giulia osservando quella che sembrava una salvietta piegata a formare una specie di nodo piatto.

«Un origami. O un regalo di compleanno» disse lui con un sorriso «No, non aprirlo ora!» aggiunse poi.

«Ehm... grazie» disse Giulia prima di mettere in borsa quel nodo di carta, distrattamente, ancora immersa nei suoi pensieri.

«Ehi, la prossima settimana esce il nuovo film della Marvel, pensavo di andare a vederlo venerdì, vuoi venire?»

«Negativo. Venerdì è il compleanno di mia zia e sarò a questa cena all'insegna della noia e dei sorrisi ipocriti. Mi faranno notare quanto sono cresciuta e io dovrò fingere che sia vero, anche se è dalla seconda media che ho smesso di crescere. Mia nonna piangerà perchè solo ai compleanni dei figli si ricorda che il tempo passa e il mio bis-cuginetto mi stempierà per convincermi a giocare ad un gioco di sua invenzione che include solitamente morti violente e sofferenze atroci. Comunque mi sento così stupida a pensare che tutti sapevano io non mi ero accorta di niente!»

Giulia aveva parlato a macchinetta senza nemmeno riprendere fiato, lo sguado incantanto in un punto indefinito e un unico pensiero in mente: Lilla e Spartaco. Nathan aveva ascoltato con la fronte aggrottata e la bocca semi aperta in un sorriso incerto, cercando di starle dietro.

«Okaaay...» comiciò.

«Questi sono i vostri: speck, provola e pesto, giusto?» lo interruppe Lilla uscendo da bar con due panini in mano. «Quello di Spartaco lo stanno scaldando. Ah, mi sono dimenticata di prendervi da bere... AMORE?» urlò poi in direzione dell'ingresso.

«Amore a chi?»

Lilla si congelò sul posto, prima di voltarsi verso la ragazza che aveva parlato. Camminava in mezzo alla strada accanto ad un ragazzo con i capelli lunghi. Che c'era quel giorno? Un complotto contro Lilla?

«Emma...»

«Sì, ho anche le loro bibite...»

«Oh cazzo!»

Spartaco era appena uscito dal bar con un panino e tre bibite in mano, all'esclamazione di Emma si bloccò.

«Sì, ho anche quello» affermò tranquillo dopo aver abbassato lo sguardo, come a controllare.

«Cazzo cazzo!»

«No, due non ne ho mai avuti!»

Nathan non riuscì a trattenere una risatina, scuotendo la testa, mentre Giulia non sapeva se seguire il suo esempio o preoccuparsi. Era con “sorrisi bastardi” come quello che aveva appena sfoggiato che suo fratello faceva innamorare ogni ragazza e lo stava rivolgendo ad Emma. Con un'occhiata fugace Giulia vide che le proprie paure erano fondate: Lilla non gradiva. Perché Spartaco non si accorgeva che quell'espressione era da rivolgersi solo ad una ragazza per volta? Una volta a casa gli avrebbe dovuto fare un discorsino per spiegargli come andava il mondo e non c'entravano niente i cavoli e le cicogne.

Un “ciao” veloce a Nathan e a Giulia da parte di Emma e ben presto al loro tavolino furono aggiunte due sedie e Lilla ripetè in breve la storia raccontata poco prima anche a Giulia. Ci volle poco tempo perché Emma riprendesse la sua solita verve e senza fare troppe cerimonie stabilì che era tempo che gli uomini se ne andassero perché urgevano un po' di chiacchiere “da donne”. Avrebbe chiamato Marta e Selene perché notizie come quella non potevano essere ricevute “di seconda mano”.

Che vigore che aveva quella ragazza! Probabilmente si era presa anche tutto quello di Stefano, il ragazzo che, al contrario, era stato per tutto il tempo a sedere senza spiccicare parola, come muto.

Emma gli diede un bacio lungo e con tanta lingua prima di spedirlo a casa e telefonare alle amiche assenti. Distogliendo lo sguardo da quelle effusioni anche Spartaco e Nathan salutarono.

«Non sei arrabbiata, vero, Giuggiù?» chiese Spartaco alla sorella affiancandola. Giulia alzò lo sguardo. Non si era resa conto fino a quel momento che suo fratello aveva evitato di guardarla negli occhi per tutta la giornata. Aveva forse paura di non ricevere la sua approvazione? Con quegli occhi mesti le fece quasi tenerezza, “quasi” perché si ricordò che doveva sgridarlo per come utilizzava il proprio fascino a sproposito, anche se era probabile che non lo facesse nemmeno intenzionalmente.

«Non lo ero, prima che mi chiamassi in quel modo!» rispose lei fingndosi risentita e allontanandolo con una gomitata. Il fratello la evitò quasi del tutto, ma si allontanò fingendo un terribile dolore, poco compatibile con il sorriso sollevato che gli vide poco dopo.

Mentre Spartaco stava salutando Lilla con un lieve bacio sulla tempia, Giulia notò come un gesto tutto sommato simile a quello che aveva riservato a lei cambiava totalmente tono, nel modo in cui il ragazzo stringeva teneramente il fianco di Lilla e nel suo bisbigliarle qualcosa con quel sorriso incantato. Com'erano carini quei due! Spartaco semplicemente non si rendeva conto di quanto poteva ferire la sua regazza quando sorrideva ad altre o quando non si faceva sentire, aveva vent'anni, ma era ancora un bambino in fatto di relazioni.

Poi un altro movimento catturò l'attenzione della ragazza. Nathan si era avvicinato a Giulia. Lei lo guardò con aria impacciata.

Dopo tutte le confessioni che le aveva fatto in quelle poche ore, dopo che si era aperto tanto con lei, che avevano riso come due bambini, che si erano tenuti per mano, come avrebbero dovuto salutarsi? Nathan non era più il ragazzo di Lilla, cioè, non lo era mai stato, quindi forse non recava torto a nessuno avvicinandosi per un saluto più intimo. Però sentiva lo sguardo di Spartaco e, soprattutto, di Lilla, ora ben consapevole dei suoi sentimenti, su di lei e si vergognava a mostrare loro la tenerezza di un rapporto appena nato, o ri-nato. In un attimo considerò e scartò tutte le ipotesi che le vennero in mente: abbracciarlo, dargli due bacini, dargli una pacca sulla spalla... ma che le veniva in mente? Forse avrebbe fatto meglio a non lambiccarsi il cervello e alzare semplicemente la manina dicendo “ciao”, sì, sembrava un'ottimo compromesso.

A lui non sembrò la stessa cosa e affiancandola le posò una mano sulla testa. Giula si sentì i capelli teneramente accarezzati o forse arruffati dalle dita delicate di Nathan.

«Ciao, Giulia. Grazie»

«E di che?» rispose lei attenta a non guardarlo in volto.

«Di tutto. Fai la brava!» concluse lui con un sorriso estratto dal repertorio “monello”. Gli aveva insegnato Spartaco ad assumere certe espressioni proibite?

Fare la brava, certo. Se intendeva “non saltarmi addosso in un luogo pubblico” aveva fatto bene ad ammonirla, perché due secondi prima era esattamente ciò che stava progettando di fare.

 

Se ci fosse stato Brad Pitt in piazza probabilmente Marta e Selene non sarebbero arrivate con la stessa velocità con cui accorsero nel sentire la parola “gossip” provenire dalle labbra di Emma. In meno di 10 minuti le amiche si erano ritrovate davanti ad una gelateria e senza fretta e con molti più particolari stavolta, Lilla raccontò di nuovo la notizia dell'anno: “Spartaco non è più disponibile”.

Lo stupore di Marta era evidente, la ragazza non smetteva di ripere “Come ti invidio”, ma nei suoi occhi non vi era traccia di malizia, anzi, aveva lo stesso sguardo sognante e ammirato di una bambina che ascolta la sua fiaba preferita.

Selene non si sbilanciò troppo, come al solito, ma si complimentò con Lilla e ci tenne a ricordarle di tanto in tanto quanto fosse contenta per lei.

«Perché cazzo non ce l'hai detto prima? Avevi paura che qualcuno te lo rubasse?»

«No, non è per questo! Figuratevi se non mi fido di voi!»

«So che prima potrei averti fatto dubitare della cosa, ma mi piace davvero Stefano! Anche se a volte sembra un bambino sordomuto...»

«Ma no!» intervenne Giulia «È solo molto timido, ma è stato molto carino, prima» disse ricordandosi del modo in cui si era scusato per ogni singolo colpetto che le aveva dato nello spostarsi nella sedia in quello spazio esiguo attorno al tavolino, o del modo in cui le aveva reso la borsa scivolata dalla sedia.

Che strano difendere il ragazzo di un'amica. Senza contare che Emma non era certo seria, ma ci teneva a far sapere a tutte che quel tipo non era così inquietante e spaventoso come poteva sembrare e come lei stessa aveva immaginato, vedendolo da lontano. Parlava poco e quasi sussurrando, come a non voler disturbare, ma Giulia non potè fare a meno di rivedere se stessa in quel ragazzo, borchie e anfibi neri a parte.

«È solo che pensavo che a Giulia non andasse a genio» riprese a spiegare Lilla «e poi... ci siamo messi insieme e poi lasciati un po' di volte. Insomma, il tempo di dire “stiamo insieme” e già rischiavo di essere single a frase finita!»

«Quindi ora le cose vanno bene?» chiese cauta Marta.

«No, ora semplicemente siamo stati beccati!» rise Lilla «In realtà va sempre benissimo, ma poi litighiamo per una cosa stupida e... litighiamo benissimo. Siamo entrambi troppo orgogliosi per chiedere scusa per primi e così passiamo del tempo lontani, ma quando ci rivediamo le cose sembrano tornate tutte rose e fiori. È un circolo vizioso, ma non riusciamo a stare veramente separati»

«Ok, ho capito, dovete solo capirvi meglio, è normale» disse Selene la Saggia, oltre che Divina.

«Lo so, è solo che ci conosciamo praticamente da sempre e sembra strano che non ci conosciamo abbastanza, eppure stare insieme è tutto diverso da essere amici e basta»

Le amiche assentirono e seguì un silenzio riflessivo che rischiò di portare un clima troppo serio alla conversazione.

«In ogni caso non sono l'unica a dover dire qualcosa...» disse allora Lilla per smorzare l'atmosfera, dopo che ebbe esurito tutti i dettagli della propria love story ed ebbe risposto alle domande del suo pubbico.

Giulia la guardò stordita: non si stava riferendo a lei, giusto?

«Ho scoperto chi è il ragazzo misterioso che piace alla nostra Giulietta» disse invece Lilla, con un'aria spensierata che a Giulia sembrò terrificante.

«No! Chi è?» chiese Marta subito rianimata, con gli occhi brillanti.

Giulia provò a opporsi, ma per paura che la notizia potesse sfuggire dalle labbra di Lilla, si decise a parlare.

«Ok, ok... allora... ehm... vi ho già detto che lo conoscete?»

«No!»

«Cazzo no!»

Furono le risposte stupite delle amiche.

«Già, ecco, lo conoscete e... sì, beh... lui mi piace... abbastanza... cioè... mi piaceva anche prima che uscissi con Colombo...» perché diventava dislessica in momenti come quello? Perché si sentiva una colata di lava in volto? Non voleva apparire come una stupida mentre affermava una cosa tanto semplice, fece un respiro e lo disse:

«È Nathan il ragazzo che mi piace»

Ecco fatto! Ci voleva tanto?

A Giulia sembrò di essersi tolta un peso dalle spalle, ma la sensazione di sollievo durò poco, percepì quella stessa sensazione battere la ritirata non appena udì la voce di Selene esclamare:

«NO! Nathan no!»

 

 

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Capitolo 13
*** Ex ***



Capitolo 13 – Ex

 

«NO! Nathan no!»

Giulia fu raggelata a quelle parole, fu Emma la prima a parlare.

«Cazzo, è caduta anche lei al fascino del bel tenebroso...»

“Bel tenebroso”? Chi, Nathan?

«Giulietta... sei sicura? Nathan è un ragazzo... complicato» disse Marta sinceramente preoccupata.

«Nathan è uno di quelli che non si avvicinava mai a Selene, sembrava avesse paura a stare con una ragazza»

No, ok, forse non parlavano dello stesso ragazzo. Il Nathan che conosceva lei non aveva problemi relazionali di sorta.

«Forse ancora non hai visto il suo “lato oscuro”, ma quel ragazzo è un po' un Dr Jeckill e Mr Hyde»

«Un giorno lo vedi tutto sorridente, il leader della squadra, il mood maker...»

«...e il giorno dopo è tutto immusonito e non c'è verso di fargli spiegare perché»

Da come Emma e Marta si completavano le frasi a vicenda pareva che ci fossero state anche loro con Nathan.

Giulia era spiazzata.

«Giulia, voglio solo darti un consiglio. Nathan è carino, gentile, educato e tutto il resto, è ancora un buon amico, però... è vero quello che diceva Emma. Cioè, non è solo il fatto che non si avvicinasse fisicamente a me, è che non lo faceva neanche metaforicamente parlando. Con Nathan è facile parlare, ti mette a tuo agio, ma quando si tratta di parlare di sé diventa un muro. Non mi ha mai parlato della sua famiglia, delle sue ambizioni, dei suoi problemi. Era come se stessi uscendo con uno sconosciuto»

Quella che doveva essere un'uscita per rivelare la notizia di Spartaco e Lilla si trasformò in una serie di consigli e ammonimenti, un libretto di “istruzioni per l'uso” su come trattare con Nathan.

«Giulietta, davvero, pensaci bene» le disse di nuovo Selene prima di salutarsi, prendendola in disparte «perché Nathan sembra tranquillo, sereno e spensierato, ma in realtà è pieno di problemi. È difficile da gestire. Poi non chiama mai, non fa mai il primo passo... ti fa sentire abbandonata!»

Giulia era come sotto shock. Selene non era in alcun modo gelosa, ma solo preoccupata che lei rimanesse delusa da Nathan. In effetti alcune delle caratteristiche tornavano, rientravano nella descrizione del ragazzo.

Aveva un sacco di problemi? Lo credeva bene! Aveva una matrigna poco più grande di lui di cui era stato innamorato e che si era rivelata essere esattamente come le matrigne cattive delle fiabe. Un fratellino (che Nathan si rifiutava di chiamare fratellastro) a cui doveva badare anche se la madre stava in panciolle tutto il giorno e lui aveva una gamba fuori uso. Il padre assente, la madre deceduta, le aspettitive sul suo futuro, i sogni infranti, la necessità di crescere prima del tempo.

Eppure tutte queste cose Nathan gliele aveva già rivelate, poco a poco, certo, e non tutte in modo chiaro, esplicito ed esaustivo, ma non sarebbe stato facile per nessuno.

Il dubbio però che le amiche avessero ragione e che Nathan non fosse il “miglior partito” per lei, ormai le era nato, ma, dopo l'esperienza con Andrea, Giulia aveva deciso che si sarebbe fidata più del suo fiuto che di quello altrui, per cui decise di aspettare e fare solo un piccolo esperimento. Si disse: “Se mi chiama o si fa sentire, allora vuol dire che un po' è interessato a me, più di quanto non lo fosse a Selene”. Non riusciva neanche a dirlo ad alta voce, da quanto le sembrava assurdo che un ragazzo fosse interessato più all'insipida Giulia che alla divina Selene. Eppure era anche conscia del fatto che se un ragazzo non era interessato non avrebbe mai chiamato una ragazza e viceversa.

Passò un po' di tempo e Giuli a non potè che dare ragione a Selene. Nathan non l'aveva mai cercata, il tacito armistizio che avevano firmato su whatsapp andava avanti e nessuno dei due sembrava intenzionato a scrivere il primo messaggio. Era vero che lui si comportava in modo sempre gentile e, adesso sì, sembrava che gli piacesse fermarsi in mezzo ai corridoi della scuola per parlare con lei, anche a costo di bloccare i suoi immancabili compagni. Glieli aveva anche presentati, il biondino allampanato Luigi, quello dalla camminata buffa, e il sensazionale ballerino e, a quanto pareva, baciatore Marco. Con quest'ultimo provava un po' d'imbarazzo, conoscendo un certo tipo che frequentava, ma, come Nathan ci tenne a farle sapere, i due erano solo compagni di bevute di vecchia data, semplicemente perché erano vicini di casa e in realtà condividevano solo quella manciata di serate di svago in discoteca. Sembrava che Nathan ci tenesse a difendere il suo fedele compare, così, poco a poco, Giulia cercò di farselo andare a genio.

 

Era ormai Giugno quando Selene invitò Giulia al proprio compleanno.

Giulia ci mise un sacco di tempo prepararsi per la festa. Nonostante l'amica le avesse detto che sarebbe stata solo una “festicciola” a casa sua, ormai Giulia conosceva l'umile dimora di Selene e non voleva rimanerci fregata un'altra volta. Fu indecisa fino all'ultimo se fosse il caso di indossare gli shorts nuovi, ancora intonsi, con il cartellino attaccato, ma alla fine scelse dei jeggins, sentendosi a disagio con la pelle ancora lattea e le ginocchia storte esposte. Si impose però di indossare i tacchi alti e si impegnò tantissimo nella fase del make-up e alla fine si ritenne soddisfatta. La preparazione le portò via più tempo del presvisto e quando Giulia si presentò a casa della festeggiata le sue amiche erano già arrivate e il regalo, una borsa un po' seriosa che faceva proprio al caso di Selene, era stato impilato in un angolo con gli altri, in attesa di essere scartato.

«Ciao Selly, auguri!» le disse sorridendo e dandole un bacio.

«Grazie, Giulietta! Stai benissimo!» le rispose Selene e Giulia sapeva che era sincera, nonostante il suo abbigliamento avesse assolutamente più classe e, non ne dubitava, più valore. «C'è anche Nathan» aggiunse poi, solo a scopo informativo, quando ormai Giulia era in bilico sul “saremo sempre e solo amici” e il “sarà per sempre il mio primo amore non corrisposto”. In fondo entrambe potevano essere vere, perché il ragazzo continuava a piacerle e cominciava a pensare che avrebbero potuto diventare buoni amici. Forse.

Il cuore le fece uno strano verso nel petto, ma prima che Giulia potesse darsi una spiegazione le sue amiche vennero verso di lei per salutarla. Ricambiò i saluti e i complimenti, ma con la testa era da un'altra parte.

Appena entrata nella sala in cui la musica copriva e in parte si mescolava al vociare degli invitati, i suoi occhi avevano tentato di assorbire velocemente più dettagli possibili della stanza: il divano, lo stereo di ultima generazione che regnava da padrone, i bicchieri di plastica abbandonati un po' ovunque, vuoti o pieni che fossero. Ricordava quel salotto come una stanza enorme, ma con quella marea di invitati non sembrava più tanto grande. In un angolo c'era un crocchio di ragazzi concentrati sulla partita di biliardino in atto, altri si muovevano a ritmo di musica, ma solo quando gli occhi di Giulia ne incrociarono un altro paio posero fine alla loro corsa. Perché era evidente che anche quel paio di occhi stessero cercando un contatto con i suoi. Tutto intorno perse importanza, tranne il luccichio sorridente di due iridi chiare.

Nathan era seduto in una poltrana in un angolo della sala e Giulia si diresse subito in quella direzione, dopo aver salutato le amiche, che tornarono alla loro partita di “obbligo o verità”, di cui Giulia declinò gentilmente l'invito a partecipare. Appena si rese conto dello slancio con cui si stava gettando tra le braccia del ragazzo si riprese e si bloccò di colpo, ad un passo da lui. Lesse la stessa incertezza negli occhi di Nathan, ma poi, lentamente, il ragazzo si avvicinò per darle un bacio sulla guancia. Niente abbracci e niente strane carezze sulla nuca, stavolta, un singolo casto bacio avrebbe dovuto stabilire la distanza tra loro.

«Ciao» disse Giulia incapace di reggere a lungo lo sguardo di Nathan, tentando di moderare il sorriso ebete che le si era formato in viso.

«Ciao, mi chiedevo quando saresti arrivata»

Il sorriso di Nathan era troppo abbagliante, in contrasto con la sua carnagione olivastra, la stava deconcentrando. Giulia distolse lo sgardo per trovare un appiglio da qualche parte, qualcosa di sensato da dire.

«Allora... quando togli il tutore?» disse dopo aver notato l'assenza delle stampelle.

«Tra poco, ho appena iniziato fisioterapia»

Giulia annuì e cercò un posto per sedersi vicino a Nathan, perché la strana poltrona su cui era seduto lui era troppo stretta per mantenere una distanza decorosa.

«Tuo fratello non c'è?»

«Ha litigato con Lilla... di nuovo» rispose Giulia roteando gli occhi, mentre si sedeva.

La partenza era stata un po' difficoltosa, ma da lì in poi il cammino fu tutto in discesa. I due ragazzi passavano da un argomento all'altro con una facilità che per Giulia era più che insolita e sicuramente aiutata in parte dal drink che aveva preso. Come poteva Selene dire che Nathan si chiudeva quando si trattava di parlare di sé?

Con Nathan Giulia si sentiva libera di parlare di argomenti che di solito evitava anche con le sue amiche, a volte le sembrava che solo lui conoscesse alcuni aspetti della sua vita e forse aveva ragione. Le sue amiche non avevano mai incontrato Ale o Aldo, a stento erano a conoscenza dei suoi pomeriggi di studio al parco e del tempo che passava con i bambini. Con Nathan non si sentiva in imbarazzo a parlare del passato, di come non si era ambientata nel liceo classico pervaso di competizione frequentato al primo anno e di come avesse deciso di trasferirsi nell'istituto in cui andavano suo fratello e la sua amica d'infanzia. Con Nathan si sentiva giustificata a parlare del futuro, chiedere cosa pensava di fare lui e ammettere di non avere idee per se stessa.

«Avevo pensato di fare Scienze Motorie, ma ci ho ripensato e ora sono quasi sicuro di voler fare Ingegneria Informatica... o forse Meccanica... ma magari Architettura... ho detto “quasi sicuro”, no? Per te invece pensavo fosse facile»

«Perché?»

«Da come stai con i bambini ero certo che volessi fare la maestra»

«Beh... chissà» disse Giulia con un'alzata di spalle, ma rimuginando sull'ipotesi «ho ancora un anno per pensarci, giusto?»

«Giusto»

Nathan le raccontò aneddoti su Lorenzo, sulle prime sessioni di fisioterapia, sullo studio e le difficoltà nell'ultimare la tesina per l'esame di maturità.

«Non so se conosci la Cinquetti...»

«Oddio, sì: ce l'ho anche io!» rispose Giulia immaginando già le atrocità che la donna poteva riservare ai maturandi.

«Ecco, meno male che c'è lei che ci sta un po' dietro, ci dà consigli per la tesina, ci trova dei testi, ci prepara schemi per ripassare...»

«La Cinquetti? Quella di storia e filosofia?» chiese Giulia con occhi sgranati.

«Già, forse non dovevo dirtelo. La Cinquetti non ama che sia rivelato il suo lato tenero prima della maturità, dice che le fa perdere autorità. Ti fa penare tutti gli anni, però in quinta vai tutto in discesa e lei si trasforma in una nonnina dolce e simpatica»

«Una “nonnina dolce e simpatica”?» Giulia era confusa «Ma sei sicuro che stiamo parlando della stessa donna? Io conosco una strega con la paralisi facciale, una mummia incapace di sorridere...»

Nathan appurò che la descizione corrispondeva a quella che lui avrebbe fatto fino all'anno prima della donna e per Giulia fu come se si fosse aperto un nuovo mondo.

«Pensa che grazie al suo aiuto sono riuscito a far ragionare mio padre e non devo più fare il baby sitter per mio fratello, così ho più tempo per studiare» confidava Nathan.

«È per questo che non mi scrivi più messaggi? Sei troppo impegnato con lo studio?»

Galeotto fu l'alcol. Giulia voleva mordersi la lingua: l'aveva detto davvero. Sperava solo che lui non avesse notato la delusione nella sua voce, che aveva tentato di mascherare da ironia.

«Sì, anche»

«Anche?» Allora non mi hai scritto intenzionalmente? Non vuoi più scrivermi?

Giulia sperò di non avere abbastanza vodka in corpo da esprimere quei pensieri ad alta voce, perché suonava disperata anche alle proprie orecchie.

Fino ad allora non avevano parlato nemmeno per sbaglio di whatsapp e di quello che era stata la loro relazione nei primi mesi della loro conoscenza. Non che non fosse importante, ma probabilmente avevano entrambi paura di ciò che poteva uscire fuori.

«Mi piace poterti guardare in faccia mentre parli, mi piace seguire le tue diverse espressioni. Su whatsapp ci saranno anche più di 50 faccine, ma non ce ne sono di adatte a rendere la tua espressione interrogativa, o quella che fai quando gonfi le guance... non esistono!»

Giulia deglutì a vuoto.

«Il tono della voce, poi. Come puoi chiedermi di accontentarmi di un messaggio dopo che ho sentito la tua voce fare l'orco e il cucciolo di volpe?»

Vuoto. Tutto intorno a Giulia sembrava vuoto, così come la sua mente. Non c'era più alcun rumore e non c'erano più ragazzi che ridevano e mangiavano lì attorno, c'era solo Nathan.

“Magari ti mando un messaggio vocale” era l'unica cosa che riusciva a pensare, oltre al fatto che adorava la fossetta che spuntava sulla guancia sinistra di Nathan quando parlava sorridendo in quel modo.

«Ti piace questa canzone?» chiese di colpo Nathan cambiando argomento e Giulia dovette fare uno sforzo per riconnettere le orecchie al cervello e rendersi conto che ci fosse della musica e un bel po' di gente a ballare.

«Ehm... sì?» rispose incerta quando ebbe riconosciuto una canzone elettronica molto in voga dal ritornello iper orecchiabile. «Il testo è un po' sconcio ma... ti rimane in testa in modo incredibile» continuò prima di mettersi a canticchiare muovendo la testa a tempo in modo buffo e facendo ridere Nathan.

«Allora vai a ballare»

Giulia si bloccò, interdetta.

«Mi stai cacciando?»

«No!» rispose Nathan con enfasi «No, figurati! È uscita male, d'accordo. Volevo dire “vai pure, se vuoi”, cioè, mi dispiace che tu stia a sedere qui tutta la sera perché io ho una “mobilità limitata”»

«Oh» posso saltarti addosso e riempirti di bacini?

Giulia si appuntò mentalmente di non bere altro, per paura che i suoi pensieri potessero prendere voce e corpo senza essere vagliati dal buonsenso. Non le importava affatto di ballare, anzi, temeva che tacchi alti più vodka fosse un cocktail pericoloso anche solo per la sua camminata.

«A dir la verità mi sentirei un po' a disagio a ballare tra tutta questa gente che non conosco e poi mi sento terribilmente “inferiore” accanto a Selene. Voglio dire, lei è così incredibilmente perfetta!» specificò dopo essersi resa conto che stava parlando a Nathan della sua ex.

«Immagina starci insieme!» esclamò lui guardando il soffitto «Ti assicuro che è un'esperienza terrorizzante!» a quel punto probabilmente Nathan si accorse che stava parlando di un'amica di Giulia con Giulia e si affrettò a chiarire «Voglio dire, è una ragazza d'oro, davvero, ma mi faceva sentire sempre inadeguato, come se quello che dicevo, che indossavo, che facevo fosse perennemente sotto esame. Non mi sentivo più io!»

«Lo so, ho passato più tempo a prepararmi per stasera rispetto a tutte le altre sere dell'anno messe insieme! E non è che lei mi abbia mai giudicato in qualche modo, è solo...»

«Esattamente! Non sai che liberazione presentarmi al suo compleanno con i pantaloni di una tuta, con la scusa del ginocchio!»

Era interessante come nuovi dettagli della relazione di Nathan con Selene stessero venendo a galla ed era interressante sentire entrambe le parti in causa.

«Pensavo che avessi messo tutto quel trucco per far colpo su un ragazzo» disse poi Nathan con tono malizioso.

«Figurati! I ragazzi nemmeno si accorgono di queste sciocchezze, è alle ragazze che bisogna stare attente!» scherzò Giulia con un movimento della mano. «E poi non ho messo tanto trucco» aggiunse sottovoce, più seria, insicura del risultato che aveva ottenuto cercando di imitare i gesti di Lilla quando si dava l'eyeliner.

«Io me ne sono accorto» bisbigliò Nathan.

Se qualcuno avesse prestato un attimo di attenzione a quei due ragazzi seduti all'angolo si sarebbe chiesto se stessero parlando o recitando un rosario.

«Ehi, ehm... non so se andrai in vacanza, dato che comunque la scuola per te sarà finita, ma, se puoi, se vuoi, mi farebbe piacere se tu venissi al mio esame» le chiese Nathan poco dopo «Ma se non puoi non importa» si affrettò ad aggiungere.

«No, io... prima che abbia finito Spartaco non si parlerà nemmeno di vacanza»

«Ma forse ti annoierai... no, dai, facciamo che ci salutiamo alla festa in piscina, l'ultimo giorno di scuola, ok?»

Festa in piscina? Sì, ne aveva sentito parlare da suo fratello, si trattava della tradizionale festa di fine anno del liceo, che si teneva da qualche anno in una discoteca o in un qualche locale. Non ci stette tanto a ragionare e disse «Va bene»

Wow, doveva bere più spesso un goccetto, tutto sembrava più facile da dire e quella serata prometteva di diventare la più bella della sua adolescenza, nonostante la “limitata mobilità” a cui si era adattata fin troppo bene.

 

Ormai mancavano gli ultimi sforzi prima della libertà. Giulia doveva fare un'interrogazione, ma rimaneva solo una settimana alla fine della scuola. Le giornate erano caldissime ed era sicuramente quello il motivo per cui il cervello di Giulia si rifiutava di collaborare e continuava a farle rivivere le stesse immagini.

«E tu, Giulia?» aveva chiesto Marta il lunedì dopo la festa di Selene.

«Io? Io cosa? Io niente! Non è successo niente!»

«Bene...» disse Marta con sguardo perplesso «cioè, certo che non è successo niente, meno male. Ci stavamo chiedendo chi secondo te era vestito meglio. Preferisci il vestito che indossava Rachele, la biondina, o i pantaloni a vita alta di Caterina, quella con i capelli corti?»

«Oh, beh... stavano bene entrambe» buttò lì, sembrandole scortese ammettere che non aveva minimamente fatto caso a come fossero vestiti gli invitati. Era tesa come una corda, doveva darsi una calmata.

«Suvvia, quei pantaloni erano ridicoli!» diceva Lilla, quasi indignata.

Era un bene che le altre stessero parlottando di questioni simili, voleva dire che nessuno, per contro, aveva badato a lei, nessuno aveva notato... non voleva pensarci, sarebbe stato meglio dimenticare! Ma come poteva dimenticare? Non doveva nemmeno chiudere gli occhi per rivedere la scena.

Nathan che rideva, le guance leggermente arrossate dall'alcol e quel dannato sorriso.

Giulia si era chiesta perché avesse tanto spesso sperato di vederlo sorridere, adesso ritirava tutto ciò che aveva pensato. Nathan non doveva ridere, possibilmente mai. La sua risata era troppo pericolosa per essere legale. Non portava appresso un cartello che avvertisse “Attenzione! Rischio ictus”, da qualche parte?

Si sentiva un po' deficiente, ogni tanto sbatteva gli occhi ripetendosi “Riprenditi! Hai bevuto un po' troppi cocktail!”, ma tutto le sembrava brillante, ogni cosa aveva contorni sfuocati e sentiva le punte delle dita scottanti, intorpidite. Si sentiva quasi in un sogno, eppure ogni movimento le sembrava più facile, più spontaneo, nessuna forza di gravità si oppose quando si alzò in piedi per sorreggere Nathan che si stava alzando per tornare a casa.

«Non ho più le stampelle» le aveva detto lui sorridendo.

«Ah, già!» aveva ribattuto lei, senza però staccarsi da lui. Sapeva che l'indomani da sobria se ne sarebbe pentita, ma voleva trattenere ancora per un po' quella sensazione di calore, quel corpo caldo e forse un po' sudato, come d'altronde era anche il suo. Avevano ridacchiato guardandosi negli occhi e Giulia aveva inspirato il profumo di Nathan, non era forte, doveva stare abbracciata in quel modo per sentirlo, ma sapeva di uomo e di buono. Le ciglia scure del ragazzo formavano ombre morbide sui suoi zigomi, una coppia di ventagli che danzava ad ogni sbattere di ciglia; occhi incerti che si fissavano su quelli di Giulia per poi fuggire spaventati, o intimoriti; mani che si erano cercate distrattamente per tutta la sera quando anche gli occhi si ritrovavano; sorrisi senza scopo e senza senso che si aprivano nella speranza e nel timore che non fosse solo uno dei due a provare quel turbine di emozioni.

«Grazie» aveva detto ugualmente il ragazzo e prima che Giulia si staccasse dal suo buon odore, prima ancora che riuscisse a dire “prego” le aveva sfiorato le labbra... con le proprie, per poi svignarsela in fretta e furia lasciandola lì da sola, in piedi, rigida come uno spaventapasseri.

Intontita, Giulia se ne era tornata a casa e per tutta la notte non aveva fatto altro che pregare quel maledetto muscolo che aveva in petto di smettere di fare tutto quel rumore, non la lasciava dormire! E quella pappa inutile che era custodita dal cranio, perché continuava a mandare le stesse immagini in loop? Da ogni angolazione, sempre con nuovi dettagli, Giulia continuava a chiedersi “Era un bacio quello?” e non poteva rassegnarsi alla vocina che le rispondeva che era stato solo un innocente bacino sulla guancia, erroneamente ed eccessivamente vicino all'angolo della bocca.
 

Il mio angolino:
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Avete letto il mio “esperimento” con la prima persona? Se non l'avete fatto vi lascio il link =D
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=3393291&i=1
Grazie delle meravigliose recensioni!
FatSalad

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Capitolo 14
*** Questione di Tempo ***


 

Capitolo 14 – Questione di Tempo

Un altro intervallo stava passando a scuola, ora ne mancavano davvero pochi e si notava dalle maniche corte degli studenti e dalla generale rilassatezza che aleggiava anche tra il corpo docenti.

Giulia camminava nel cortile dietro a Lilla, Emma e Marta, immersa nei suoi pensieri e non si era accorta con quale nonchalance Selene si fosse accostata a lei, come se fosse successo per caso.

«Ho notato che hai seguito il mio consiglio» mormorò Selene, senza farsi sentire dalle altre.

Giulia la guardò aggrottando la fronte, senza capire.

«Riguardo a Nathan»

Ancora niente. Giulia non riusciva a dare un senso alle parole della bella amica.

«Ho notato che non ci stai provando con lui. Anche al mio compleanno avevo fatto sedere Nathan nella poltrona, ma ho visto che non ti sei seduta accanto a lui»

Come no? Era stata tutto il tempo accanto a lui! Aspetta, forse l'amica intendeva...

«Accanto... sulla poltrona?» chiese Giulia decidendosi a parlare.

«Ma sì, certo. Anche se mi preoccupo per te e per il tuo cuoricino non voglio certo impedirti di provarci con lui. In fondo siamo due persone diverse e magari con lui staresti benissimo, così ti avevo messo a disposizione la poltrona intima, quella che chiamiamo “poltrona dell'inciucio”, ma ho visto che non l'hai sfruttata»

Secondo Selene quella poltrona poteva ospitare più di una persona alla volta, dunque? Perché secondo Giulia era adatta ad una persona in sovrappeso o al massimo per due bambini, se non si voleva sedersi uno sopra l'altro, ma forse era proprio per questo che la chiamava “poltrona dell'inciucio”.

«Non potevo buttarmi in braccio ad un ragazzo con un ginocchio rotto...» mormorò Giulia, insinuando che, se quel ginocchio fosse stato sano, non ci avrebbe pensato due volte a spalmarsi su di lui.

«Comunque» continuò Selene, che non aveva sentito, «davvero, sono contenta che tu abbia cambiato idea. È difficile stare con un ragazzo tanto chiuso, che non fa mai il primo passo, sembra che abbia paura a parlare, a dirti la sua opinione. È vero che quando voleva sapeva essere anche molto dolce, comprensivo... ma non era mai il primo a chiedermi di uscire, non mi faceva mai un complimento, sembrava che non gli importasse molto di me!»

A quel punto Giulia capì che l'unica cosa che era mancata nella relazione di Selene e Nathan era un po' di comunicazione. Sapeva che Nathan stimava molto Selene, l'unico motivo per cui non si faceva avanti era perché la ragazza gli risvegliava un complesso di inferiorità e se non le faceva mai complimenti era solo perché non immaginava che una come lei avesse bisogno di rassicurazioni e probabilmente sarebbero usciti fuori come delle invocazioni alla Divina, più che come complimenti. Ci rimuginò per tutta la mattina e tutto il pomeriggio quando fu tornata a casa. Perché si dispiaceva per loro? In fondo avevano chiuso senza rancori, erano rimasti in ottimi rapporti e lei avrebbe dovuto gioire del fatto che quei due non fossero compatibili e che a differenza di Selene con lei Nathan aveva...

«Un momento!»

Giulia si ricordò del regalo di Nathan e andò a cercare nella borsa l'origami dimenticato fatto con la salvietta del bar. Lo aprì, tentando di ricordare ogni passaggio per poter poi ricreare l'incastro che stava disfacendo, ma dopo che ebbe letto ciò che il ragazzo aveva scribacchiato sopra si ricordava a stento il proprio nome. Rilesse tutto una seconda volta e a quel punto ebbe le idee chiare. La prima cosa che le venne in mente, e più tardi si sarebbe stupita del bizzarro funzionamento del proprio cervello, fu mandare un messaggio al gruppo delle amiche. “Emergenza! Gelato da Ambrogio?” scrisse soltanto, ma alle ragazze bastò quell'insolita intraprendenza per convincersi della gravità della situazione e in poco più di mezz'ora erano tutte sedute attorno ad un tavolino con una coppa di gelato in mano.

«Allora, che cazzo è successo?» chiese Emma, quasi preoccupata.

Titubante, Giulia cominciò a raccontare.

«Credo... cioè... so, che anche Nathan prova qualcosa per me»




Dieci mesi prima Giulia non avrebbe mai immaginato di incontrare delle persone tanto meravigliose, delle amiche che avrebbero riso con lei, che si sarebbero preoccupate, che l'avrebbero supportata. Adesso le ragazze sorridevano, cercavano di reprimere urletti eccitati e si congratulavano con lei.

«Nathan mi ha invitato alla festa in piscina.»

«Oddio, che bello! Sono così contenta per te, Giuli... anzi, per voi!» diceva Marta, fuori di sé dalla gioia, neanche si fosse trattato di lei.

«Ti aiuteremo a trovare un vestitino attira-uccelli!»

«Grazie ragazze, sono più tranquilla a sapere che ci sarete anche voi...»

«Anche noi? Ma noi non ci saremo.» disse Selene, come fosse stata la cosa più ovvia del mondo.

«COSA? Perché?»

«Perché è la festa dei maturandi e nessuno ci ha invitato, ecco perché. Non ti puoi presentare senza un cavaliere, poi che figura da sfigata ci fai?» spiegò Marta, un po' delusa.

Cavaliere? Non le pareva che Nathan avesse mai accennato ad una cosa del genere.

«Bene, allora non ci vado.» disse Giulia, con un repentino cambio di tono e di umore.

«Stai scherzando, vero? Tu ci andrai e tornerai trionfante con il meticcio dal culo d'oro!» disse Emma con un tono che non ammetteva repliche.

«Emma ha ragione, non puoi non andare!» la incoraggiò Selene.

«Io ci sarò, Giulietta!» disse Lilla per tranquillizzarla, notando l'espressione di panico dipinta sul volto dell'amica. «Convinco Spartaco, tranquilla!» la rassicurò, ricordandole che i due avevano già fatto pace.

Il supporto delle amiche il giorno del primo appuntamento è una strana energia da non sottovalutare e Giulia si lasciò convincere, sentendosene pervasa.

Capelli, scarpe, vestito, trucco, orecchini, smalto. Senza l'aiuto congiunto delle sue amiche, che la seguirono passo passo dall'acquisto dell'abito alla scelta dell'acconciatura, Giulia non sarebbe mai riuscita a ricordarsi di ogni cosa, ma mentre usciva di macchina e si avviava, con un ultimo respiro profondo, verso l'ingresso a cui l'aspettava Nathan si sentiva imbevuta di una nuova forza prima sconosciuta, oltre che dal nervosismo e dall'aspettativa. Era curiosa e impaziente e aveva paura di sapere cosa avrebbe pensato Nathan vedendola un po' in tiro.

Notando l'espressione ammirata di Nathan, appena l'ebbe vista, Giulia provò a guardare da qualche altra parte (le scarpe, la gente, la luna... aveva guardato a sinistra e a destra prima di attraversare?), cercando di mascherare il sorrisetto che le era nato spontaneo.

«Dov'è tuo fratello?»

Giulia aggrottò subito la fronte e non si sforzò troppo di nascondere la propria irritazione.

Ehi, ciccio, io c'ho quasi rimesso un rene per farmi bella per te e tu non mi dici niente? Anzi, mi chiedi di mio fratello?? Sei un umpa lumpa!

«Parcheggia e arriva, perché?» Brutto melanzana-cefalo!

«Non è geloso a mandarti in giro così?»

Testa di...? Un momento... che vuoi dire?

«Che sei un po' troppo carina stasera.»

Ops, l'aveva chiesto ad alta voce? E perché l'unica cosa che usciva dalla sua bocca mentre guardava il sorriso sghembo di Nathan era un inarticolato “Eum...”? Sperava solo che non le uscisse anche del fumo dalle orecchie, ma era sicura che qualcosa sottopelle le stesse andando a fuoco.

«Grazieum...» riuscì a biascicare distogliendo lo sguardo dalle labbra di Nathan, incurvate in un sorriso.

«Sai che appena ti sei trasferita nella nostra scuola Spartaco ha fatto subito il “discorsino” da fratello geloso?»

«Cosa?» chiese Giulia riprendendosi e sgrandando gli occhi.

«Sì, disse subito a tutta la squadra di stare alla larga dalla sua sorellina!»

«Oddio!» disse Giulia coprendosi la faccia con una mano dalla vergogna «Allora è colpa sua se nessuno ci ha mai provato con me!» continuò poi, cercando di buttarla sul ridere.

«Penso che mi abbia fulminato con lo sguardo quella sera che ti ho chiesto il numero... a te a Lilla, poi! Più imprudente di così non si può! Infatti dopo non faceva che ripetermi “attento!”. Io mica avevo cattive intenzioni, o sbaglio?»

Il sorriso malandrino che aveva sul volto diceva il contrario, ma conoscendolo Giulia sapeva che ragazzo più educato e carino di Nathan non l'avrebbe trovato nemmeno in un romanzo. Jane Austen non faceva testo.

«Nathan, ma non hai più il tutore!» esclamò, accorgendosene appena si mossero per entrare alla festa.

Il suo cavaliere, per quanto suonasse strano chiamarlo in quel modo, sorrise di un sorriso senza malizia e a Giulia parve che si fosse fermato il tempo per un istante. C'era solo Nathan, il suo sorriso, e... come aveva fatto a non accorgersi subito che quella sera il ragazzo indossava dei jeans scuri? “Meticcio dal culo d'oro” l'aveva chiamato Emma, adesso capiva appieno il significato di quelle parole. Senza contare la camicia che aveva indossato, per il caldo aveva già le maniche arrotolate e un paio di bottoni aperti sotto il collo, giusto per ricordarle che, nonostante il riposo forzato degli ultimi mesi, Nathan aveva dei pettorali e degli avambracci.

La serata prometteva di essere perfetta, se non che, appena furono entrati nei locali della piscina, Nathan fu letteralmente assalito da compagni di classe e amici. Lui cercava di liberarsi in fretta, ma Giulia rimaneva immancabilmente indietro e in disparte. Nathan la teneva d'occhio, lanciandole di tanto in tanto uno sguardo di scuse, ma ad ogni passo un nuovo “Ti sei tolto il gesso, fratello!” accompagnato da pacche e risate lo costringeva ad un saluto, per quanto conciso. Ebbero così poche occasioni di parlare tra un'interruzione e l'altra, che ad un certo momento, un po' scocciata, Giulia decise di accogliere l'invito di Lilla e si diresse verso la pista insieme all'amica informando Nathan con un gesto.

La ragazza non fu più fortunata mentra ballava, Lilla, contrariamente a quanto le aveva assicurato prima di partire, non stette sempre con lei, soprattutto quando Spartaco le raggiunse per ballare con la ragazza. Giulia era irritata per il comportamento di suo fratello e della sua migliore amica, ma lanciando uno sguardo a Nathan lo vide ridere ancora circondato da amici e, soprattutto, amiche, notò Giulia, irritandosi. Perché l'aveva invitata se poi la lasciava da sola in mezzo alla pista da ballo? Senza contare che ora un aitante ragazzo in costume da bagno si stava avvicinando a lei.

Come mai le sembrava di avere un deja-vu? Ah, giusto: Andrea Colombo. La prima volta che era stata al Big Bang Andrea l'aveva “attaccata” alla stessa maniera, solo che questo ragazzo aveva le spalle larghe il doppio e se era tenace quanto era alto Giulia disperava di potersene disfare. Ma cos'era, la maledizione delle piste da ballo? L'energumeno provò ad afferrarla per i fianchi, lei si divincolò in tempo e girandosi gli disse “No” guardandolo fisso negli occhi, ma quello persisteva. Se era un replay della serata al Big Bang, da copione doveva saltare fuori Spartaco e portarla in salvo, giusto? Giulia cercò il fratello con lo sguardo nella calca, ma, com'era prevedibile, lui era ormai lontano dalla pista, in disparte con Lilla. Giulia sbuffò esasperata, ma non si diede per vinta e cercò un pretesto per allontanarsi da quel tipo spaventoso.

Seduto su uno sgabello del bar, poco distante da lei, vide Nathan, finalmente senza nessuno attorno. “Salvezza!” gridò il suo cervello. La risposta più semplice ai suoi problemi sarebbe stata smettere di ballare a raggiungere il suo accompagnatore, ma in un lampo di follia volle fare un tentativo e con una smorfia chiese a Nathan di venire in suo aiuto.

“Ma cosa fa?” forse Nathan aveva frainteso, perché le rivolse un sorriso veloce e distolse lo sguardo. Per poco Giulia non alzò e sventolò le braccia per attirare di nuovo l'attenzione del ragazzo “Non lo vede che sono in difficoltà?” pensava sdegnata.

«Ho detto no, per favore!» disse Giulia esasperata, sbattendo quasi i piedi per terra. Il ragazzone che le ballava alle spalle non parve particolarmente colpito e prese a scusarsi senza troppo rincrescimento.

«Va bene, va bene, scusa... volevo solo...»

«Lasciarla in pace, giusto?»

«Nathan!»

Alla fine aveva recepito il messaggio, allora, e la stava salvando dal gigante insistente. Giulia si sentì subito sollevata e istintivamente andò a ripararsi dietro la schiena di Nathan, che prontamente le prese la mano. Giulia la strinse forte e si chiese come mai non l'avessero fatto anche prima, quando ogni amico presente li divideva per salutare Nathan. Il ragazzo cominciò a farsi strada tra la folla per uscire verso un luogo più tranquillo, Giulia fissava quella nuca rasata, che ogni tanto si girava per assicurarsi che lei fosse ancora lì. Aveva paura che qualcuno potesse dividerli ancora, perciò portò anche l'altra mano a stringere quella di lui e non volle lasciarla nemmeno quando si fermarono, vicino all'ingresso della piscina.

«Alla buon'ora!»

Le parole sarcastiche non riflettevano la dolcezza di quella vicinanza, quel contatto fisico e Nathan, stupito, rimase imbambolato.

«Non vedevi che avevo bisogno di aiuto? Ti ho implorato con lo sguardo per cinque minuti buoni! Spartaco e Lilla mi hanno abbandonato per andare a pomiciare da qualche parte e tu te ne stavi tranquillo al bar!» spiegò, suonando più risentita di quanto avrebbe voluto.

Le sembrava che le sue aspettative e i suoi sogni riguardo a quella serata fossero stati delusi.

«Ma... ma io come facevo a sapere che non fosse un tuo amico? O che magari ti interessasse?»

«Perché i miei amici non cercano di palparmi il sedere! E non mi interessa nessun ragazzo che ci provi!»

«Attenta!» disse Nathan piano avvicinandosi la ragazza al petto per far passare un gruppo di ragazzi vocianti. Fu a quel punto che entrambi si resero conto che avevano ancora le dita intrecciate e non si erano curati di staccarsi l'uno dall'altra, se non in quel momento.

«Va bene, scusa» disse Nathan con un sospiro.

«Odio i ragazzi» disse Giulia stavolta a bassa voce, senza guardarlo negli occhi «i ragazzi...sono stupidi!» la sua voce adesso era quella di una bambina con il broncio e fece ridacchiare Nathan.

«Odi anche tuo fratello?»

«No, ok, mio fratello non lo odio... ma non per questo è meno stupido!»

«Spartaco si è fatto bocciare solo per poterti “proteggere meglio”, merita un po' di comprensione!»

«Cosa? Vedi che è stupido?!» sussurrò Giulia, quando quel lontanissimo e sfuocato sospetto che aveva nutrito divenne realtà. Che fratellone iperprotettivo! Non aveva un po' di fiducia in lei?

«Penso che quest'anno sia più tranquillo sapendo che ti lascia in mano a delle amiche e che sei diventata così... forte.»

«Stupido, stupido...»

«Odi anche me?» bisbigliò Nathan ammorbidendo la voce, dopo aver ridacchiato un'altra volta.

«No, tu sei carino... cioè gentile! Non posso odiarti anche se a volte sei stupido pure tu.»

Giulia si era sentita avvampare e si era vista costretta ad abbassare di nuovo gli occhi, accorgendosi con un certo stupore che si trovava ancora appiccicata al petto di Nathan e che non aveva intenzione di spostarsi.

«Su questo devo darti ragione»

«Non pensavo di dirtelo così, dopo averti insultato, però grazie per il regalo di compleanno.»

Giulia si era vergognata non poco quando aveva visto il disegno che copriva la salvietta. Ritraeva un ragazzo che abbracciava una fatina e le dava un bacino. No, anzi, ritraeva Nathan che dava un bacio a lei. Non aveva idea che Nathan sapesse disegnare così bene ed era imbarazzante ricordarsi del disegno della fata che lei gli aveva lasciato, che altro non era che uno sgorbio, una macchia di inchiostro a confronto. Tuttavia non era quello il motivo maggiore di imbarazzo. C'entrava qualcosa la posa di intima dolcezza in cui li aveva disegnati, questo sì, ma soprattutto, c'era quella frase striminzita, quella didascalia che esprimeva tutte le parole insite in quel gesto solo disegnato.

Con uno stampatello minuto e pulito aveva scritto: “Alla ragazza più gentile, spiritosa, dolce, carina, generosa, magica che io conosca, auguri”

Era troppo sdolcinato! Poco più sotto, ai lati del disegno aveva scritto anche “Ti voglio bene” dentro ad un fumetto, ma era la frase scritta in fondo al bigliettino che la sconvolse. “Mi piaci. Se me lo permetterai voglio dirtelo a voce”.

Ti voglio bene. Mi piaci.

Non aveva voluto mostrare il biglietto alle amiche, era troppo prezioso per lei. Era una cosa che avrebbe voluto tenere solo per sé, un oggetto da custodire.

Le era venuto spontaneo fare confronti con gli approcci di Andrea, l'unico ragazzo, in verità, con cui poteva fare paragoni. Le erano venute in mente la sua insistenza e la sua sicurezza mentre le chiedeva di uscire guardandola negli occhi, in quel modo che, aveva capito poi, era dato più dalla sua abitudine a chiedere appuntamenti che non dalla certezza dei propri sentimenti. Le era venuto in mente il modo in cui, alle loro poche e rovinose uscite, lui cercava di baciarla e di comprarle e regalarle tutto, più per mettersi in mostra che non per farle un piacere. Il modo titubante in cui invece Nathan aveva chiesto il permesso di uscire con lei e quel regalo così misero, non facevano che mettere in risalto cosa veramente era importante per lui: mostrare i propri sentimenti e nient'altro.

Giulia si era sentita vagamente in colpa per non aver letto prima la salvietta-biglietto, per aver continuato quella relazione con Nathan come se nulla fosse. Si era sentita stupida anche per aver sprecato quei giorni, per non avergli confessato che anche lei provava le stesse cose, ma soprattutto, stupida per non aver capito i suoi cauti approcci. Nathan non l'aveva forse invitata ad uscire già un paio di volte? Forse il giorno della partita non contava, perché c'era anche Lorenzino incluso nell'uscita, ma quando le aveva chiesto di andare al cinema con lui? Troppo presa dalla scoperta di Lilla e Spartaco non si era nemmeno accorta che si trattasse di un appuntamento, eppure ora tutto tornava. Al compleanno di Lilla poi? Oscillante tra l'invito spavaldo e subito dopo la ritirata per l'insicurezza, non le aveva forse chiesto di essere presente al suo esame e di andare con lui alla festa di fine scuola? Poi, adesso ne era certa, quello che le aveva dato era senza dubbio un bacio a stampo. Ora capiva che doveva averlo messo in confusione, dato che non aveva risposto a quel biglietto e non aveva messo in chiaro cosa provava per lui.

«No, anzi, mi merito molti più insulti: sono stato stupido e codardo.» disse Nathan.

Da quando stavano bisbigliando? Da quando la mano di Nathan accarezzava impercettibilmente la sua schiena? Continuava ad indugiare sulla sua vita, senza spingersi verso mete più intime e le procurava qualche brivido.

«Senti Nathan, per caso questo... stasera... non era un appuntamento?» chiese Giulia avvampando e non riuscendo a guardarlo negli occhi per più di due parole di seguito.

«Veramente... speravo che lo fosse.» sussurrò Nathan sorridendo lievemente con un angolo della bocca.

La risposta raggiunse Giulia in un alito caldo e inevitabilmente un piacevole dolore le strinse lo stomaco. Si trattava davvero di un appuntamento, allora.

Non voleva fantasticare, Giulia, non voleva farsi strane idee, ma erano troppo vicini l'uno all'altra e nessuno dei due si stava adoperando per allontanarsi. Non era affatto educato stare ad una distanza tanto ravvicinata con una persona e sicuramente Giulia non avrebbe sopportato neanche un secondo di stare tanto vicina a qualcun'altro, si sarebbe sentita privare del proprio spazio vitale. Non sarebbe nemmeno rimasta a fissare tanto a lungo il viso di un ragazzo, specialmente un paio di labbra. Tuttavia non trovava né la forza né la voglia di allontanarsi. Quelle labbra la stavano ipnotizzando. Da quando erano tanto rosee? E perché sembravano tanto morbide e piene? Di colpo alzò lo sguardo verso gli occhi di Nathan, ma con sua grande sorpresa trovò il suo sguardo occupato, assorto da un punto al di sotto del suo naso.

Possibile? Possibile che anche Nathan non riuscisse a pensare ad altro che alle sue labbra? Glielo chiese con lo sguardo, appena incrociò quello del ragazzo, un battito di ciglia e Giulia ebbe paura di aver frainteso.

Le labbra si erano dischiuse, ma quando? Da quando bramavano tanto un contatto con quelle di lui? Forse già da molto tempo. Era possibile che Nathan provasse lo stesso? Che si fosse avvicinato ancora? O era la sua mente che le giocava brutti scherzi? Meno male che quella di Nathan si decise a mandare gli impulsi giusti e, stroncando ogni esitazione, lo portò ad unire le sue labbra a quelle di Giulia.

Non era un bacio, no, era una carezza, la più dolce carezza che Giulia avesse mai ricevuto e avrebbe voluto chiederne di più, ma Nathan si allontanò troppo in fretta, facendole chiedere dove avesse sbagliato.

«Io... devo dirti una cosa.»

Giulia lo guardò senza fiatare, non aveva mai visto quell'espressione nervosa sul suo volto, quell'urgenza.

«Io mi sono innamorato di Lilla.»

A Giulia si fermò il cuore.

«Ma che sto dicendo?! Non è questo che volevo dire, no... io... ah! Perché è così difficile?» quasi gridava.

«Io...» ripartì lentamente guardandola dritto negli occhi «quando ci siamo conosciuti sapevo di non potermi avvicinare né a te né all'altra Giulia: una era la sorellina del capitano, l'altra la ragazza a cui stava dietro. Devi credermi, quindi, se ti dico che da entrambe non pensavo di ricavare altro che una semplice amicizia ed è per questo che avevo cominciato a messagiare con entrambe, solo perché avevamo passato una bella serata».

Una sgradevole sensazione dalle parti dello stomaco crebbe dentro Giulia.

«Solo che con una è stato così... naturale continuare a parlare, riusciva a farmi ridere, confidare, parlare e, sì, pensavo fosse l'altra ragazza, ma questo non è rilevante, perché mi sono innamorato di quella Giulia che mi consolava, mi faceva divertire, mi ascoltava... della mia fatina!»

Giulia fu costretta a deglutire. Veramente aveva detto quella parola? Mia? Sua.

«So che ho fatto un bel po' di casini in questi mesi, ma... vorrei solo stare con te, continuare a parlarti, a vederti... tu... non sai quanto mi piaci, non sai che voglia ho di baciarti!»

Giulia avrebbe voluto chiedere “E allora dov'è il problema?” perché anche lei desiderava le stesse cose. Glielo disse con gli occhi, con il battito assordante del proprio cuore e lui se ne accorse, lesse dentro quelle iridi chiare, quelle pupille tremule dilatate dall'oscurità e con un mezzo sorriso alzò una mano per sfiorarle il volto.

«Io» ricominciò Nathan in un sussurro «penso che questo... legame che abbiamo sia qualcosa di grande, di importante e non voglio perderlo, non volgio sciuparlo, non di nuovo. Però...»

Giulia deglutì a vuoto, chi le aveva conficcato in gola della terra al posto dell'aria?

«Però da quando ho deciso di smettere con il calcetto ho pensato che l'unico posto in cui io possa stare sia lontano da qui. Voglio studiare in un'università lontana da mio padre, da Melania, ho bisogno di cambiare aria e sperare che questo basti per ricordare a quei due i loro doveri di genitori, non verso di me, ma verso Lorenzo. Ho bisogno di andare da qualche parte, lontano... capisci?»




Nathan aveva paura, ecco qual era il problema. Voleva stare con lei, ne era innamorato, aveva detto così, vero? Però aveva diciannove anni ed aveva paura di una relazione a distanza o forse di chiederle una relazione a distanza. E Giulia lo capiva benissimo.

«Tutto qua?»

Ma non le importava.

Giulia aveva diciotto anni e non credeva più che l'amore vince sul mondo, ma aveva un disperato bisogno di provarci.

Nathan la guardò di nuovo, sorrise, non sapeva cosa dire. Le prese il volto tra le mani, la accarezzò e la guardò incerto, come fosse un'opera d'arte da maneggiare con cura e decise di fidarsi. Decise che poteva darle tutto, anche la parte peggiore di sé, che forse lei aveva già intravisto, anche le proprie paure e insicurezze, anche il proprio respiro e la propria saliva.

«Tu sei unica...»

La baciò come se fosse la prima volta e la scoprì, senza fretta e avrebbe voluto che non finisse mai.

Quando Giulia aprì gli occhi ri rese conto che non si era accorta di aver stretto la camicia di Nathan, costringendolo in una specie di abbraccio, cercando il tepore del suo corpo.

«Mi hai perdonato?» chiese Nathan, ancora ad un palpito dalla sua bocca.

Giulia non aveva le forze per rispondere, potè solo annuire piano con la testa, fissandolo negli occhi, quegli occhi che non avrebbe voluto smettere di osservare. Invece fu lui ad allontanarsi, di poco, abbassò gli occhi, cercò qualcosa nella tasca dei pantaloni e ne tirò fuori un sacchettino colorato.

«In realtà... devo ancora darti il tuo regalo» disse poi «Voglio dire, non è nulla...» continuò titubante «te lo avrei dato anche se non mi avessi perdonato, perché appena l'ho vista ho pensato a te ed è solo... per farti ricordare di me».

Dal sacchetto estrasse quella che sembrava una collanina, ma Giulia non ebbe il tempo di vederla, perché Nathan gliela stava già legando al collo. Quando abbassò lo sguardo vide un ciondolo fatto a mano, con una piccola boccetta di vetro rotondeggiante chiusa con una perlina ed eleganti girali che conteneva una polverina di brillantini, accanto alla bottiglietta si dondolava una farfalla, o forse era una piccola fata con ali di farfalla. Giulia si rigirò l'oggetto tra le dita, senza una parola.

«Sarebbe... polvere di fata e... non devi portarla se non ti piace.»

Nathan a quel punto era in evidente difficoltà, si mordeva un labbro e si era portato una mano ai capelli. Giulia alzò finalmente gli occhi verso di lui e non potè più nascondergli due tremule lacrime che desideravano scivolare via.

«È bellissima! Grazie» riuscì a dire con un sorriso emozionato, prima che Nathan, incredulo e felice, tornasse a stringerla a sé.




Spartaco sta provando una camicia elegante, farà un successone all'esame ed è più sicuro di sé di quanto non sia mai stato. Una manciata di persone assisterà al suo preannunciato trionfo, per questo Giulia lo lascia tranquilla e si precipita all'orale di Nathan. Fa appena in tempo a vederlo entrare nell'aula magna della scuola e col fiatone lo vede girarsi verso di lei. Le sorride e... ommammamia! Indossa un completo scuro e si è pettinato i capelli all'indietro. Non l'ha mai visto tanto bello ed elegante e il sorriso che le sorge sulle labbra rischia di essere davvero ebete.

Dalla poltroncina in cui si è seduta, unico pubblico, ascolta Nathan che espone la tesina. È calmo, sicuro e deciso e già se lo immagina a fare bella figura a Milano, Roma, o forse Londra, Lipsia, Dublino, chissà? Pensa a quando, chissà con quale frequenza, tornerà a casa per trovare lei, immagina i film che vedranno, le canzoni che le farà ascoltare, il kebab del Pirata che mangeranno insieme e tutte le passeggiate che faranno al parco quando non avranno voglia che di parlare e stare insieme. Immagina ogni singolo giorno in cui usciranno insieme e si rattrista per tutti gli altri in cui saranno costretti a ritirare fuori whatsapp per sentirsi.

Si chiede se anche per le anime gemelle il tempismo sia importante, perché in quel momento, per lei, quella storia appena iniziata non può avere fine.



Il mio angolino:
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Quando ho iniziato a pubblicare “Whatsapp Love” avevo 4 capitoli scarsi in mano, un titolo provvisorio e una trama sommaria in testa. Pensavo che la storia si sarebbe conclusa in pochi capitoli, ma ogni volta che scrivevo nuovi personaggi e situazioni nascevano DI LORO SPONTANEA VOLONTÀ, portando la trama verso luoghi che non avevo considerato. Lo giuro, non è colpa mia!
Così siamo arrivati a questo. Non posso dire di essere soddisfatta di ogni cosa, ma ogni singola parola per me ha avuto un peso e un significato. Avevo pensato ad una revisione per migliorare certi passaggi e correggere gli errori, ma per adesso mi sono accontentata di correggere qualche parola qua e là e aggiunegere la suddivisione in 2 parti. Inoltre, ci ho pensato tanto e, spero non siate troppo delusi, ma mi è sembrato più corretto abbassare il rating piuttosto che aggiungere anche solo una parola in più e rischiare di rovinare quello che è diventato per me questa storia.
Che emozione scrivere “fine”! Mi mancheranno Giulia, Nathan, Spartaco, le squinzie, (tanto che ho una mezza idea di fare un sequel, ma, chissà, ho così tante “mezze idee”...), mi mancherete voi che leggete e commentate... GRAZIE per essere rimasti con me fino a questo punto!
FatSalad

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Capitolo 15
*** EXTRA: Sequel? Spin off? ***


Quante cose possono cambiare in un anno?

E in sei anni?

 
Spartaco non è più un ragazzino e se al liceo bastava il suo bel viso per ottenere ciò che voleva, dovrà rendersi conto che nella vita da “adulto” non è tutto così facile.
Ancora giovane, bello e spiritoso, adesso è laureato, con un contratto a tempo indeterminato e con il solito “superpotere”: quello di far cadere ai suoi piedi qualsiasi donna senza fare assolutamente niente.
Il rovescio della medaglia di una capacità del genere, però, è che Spartaco è incapace di costruire rapporti di amicizia con le ragazze e, soprattutto, quando si scoprirà completamente e perdutamente innamorato si renderà conto di una cosa: non ha assolutamente idea di come si conquista una donna.


- Ho litigato con la mia ragazza
Decise di sintetizzare.
- E poi un'amica se l'è presa a male perché non le ho offerto un caffè! - Continuò. - Dico io, ti sembra un motivo valido? E poi la mia ragazza lo sa che il mio appartamento è piccolo, è un buco e che stasera sarei tornato a casa tardi...
- Io odio le donne!



L'obiettivo si sposta su Spartaco, i vecchi personaggi si incrociano con tanti nuovi... questo è


Falso Contatto



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Il mio angolino:
Dopo tanto tempo mi sono decisa e "Whatsapp Love" entra a far parte di una serie... yuppie!!!
Passate a dare un occhio per scoprire come si evolveranno le cose...! ;)
FatSalad

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