Riferimenti a persone ed episodi sono da considerare frutto della mia
fantasia
prime avvisaglie di una
trasformazione
Versaille era incantevole, potevi osservare la meravigliosa
villa sdraiato nella penombra del boschetto a destra
dell’entrata mentre gli usignoli ti deliziavano con
il loro dolce canto, potevi passeggiare per lunghi tratti e
rinfrescarti nelle fontane che formavano arcobaleni con il loro
zampillare, potevi intrattenerti nella caccia o in uno dei vari
spettacoli che venivano offerti da buffoni di corte e saltimbanchi
pronti a soddisfare ogni tuo capriccio, potevi fare qualunque cosa,
bastava semplicemente essere al di là di
quell’enorme cancello e purtroppo io, Etienne de La Croix ,
stavo nella parte sbagliata.
Purtroppo io appartenevo alla parte opposta, sia nel senso fisico del
termine, sia nello stile di vita. Qui le persone avevano il viso rigato
da lacrime di fatica, dove non esisteva nè la calma
nè la serenità ma solo irrequietezza e
frenesia, appartenevo a quella parte dove i sogni erano sogni e
la realtà era la realtà.
Io ero un giovane medico alle dipendenze di una nobile famiglia che
ancora non era stata invitata a risiedere nella corte, ma ormai era
solo una questione di tempo e anche loro avrebbero raggiunto i loro
simili nel “nuovo mondo”.
La famiglia Gutier, della quale ero alle dipendenze, era formata da
soli tre persone:
la sig.ra Charlotte, una donna austera dal volto segnato da una
sfiorita bellezza.
Il sig. Gaspard, il capofamiglia severo e altezzoso con un espressivo
sguardo fiero.
La sig.na Gwendoline, la figlia da poco entrata in società,
silenziosa e di incantevole bellezza, misteriosa e intrigante, di
indubbia intelligenza.
La famiglia era stata segnata dalla disgrazia di un'unica figlia e
l’impossibilità di averne un altro, la loro bimba
era la loro unica possibilità per un posto in
società ed era solo questione di tempo perché si
sposasse con un nobile anziano che si era conquistato i favori del re.
Io ero solito osservare quella ragazza che guardava sempre la
stessa porzione di mondo dalla piccola finestra della sala lettura e
quando non lo faceva era come se in realtà fosse lontana, i
suoi occhi esprimevano pensieri che nessun altro poteva comprendere.
Un giorno la signorina cadde malata e io fui chiamato per fare il mio
lavoro, restai solo con lei nella stanza e la guardai respirare
affannata per circa un minuto, le contai i battiti e le misurai la
temperatura. Le palpai la gola in cerca di anomalie e osservai i suoi
occhi così stranamente limpidi privi di qualsiasi segno di
malessere. Ero curioso, il suo sguardo mi intrigava, volevo
sapere cosa pensava e così per la prima volta le rivolsi la
parola.
“Cosa provate?”
“Dolore”
“E sentimentalmente cosa pensi?”
“Ha rilevanza dottore per capire cosa mai io abbia?”
“Avete solo bisogno di riposo e di un impacco freddo, la mia
domanda serviva solo per capire le vostre preoccupazioni vista che
avete accumulato un enorme quantità di stress,
può anche non rispondere se non le aggrada”
Mi allontanai dal suo letto per ritirare i miei strumenti e per
andarmene, certo di aver irritato la signorina con una domanda che
potesse sembrare invadente.
“Io agli occhi del popolo ho tutto ciò
che posso desiderare per via del mio titolo, hai miei occhi il popolo
ha ciò che io non potrò mai avere: la
libertà e il potere di scegliere. Ho sempre voluto conoscere
il mondo stare in mezzo alla gente, condividere pensieri e opinioni che
nonostante nascano da mondi diversi possono trovare lo stesso un
accordo. Mi è dato conoscere, ma non posso esprimermi. Mi
è stata data la bellezza per incantare gli uomini, ma la
devo sprecare per un uomo che disprezzerò. Sono come un
uccello a cui vengono tolte le ali, l’unica cosa che posso
fare e sognare, creare un mondo tutto mio dove nessuno potrà
interferire.”
Espresse questi sentimenti come se non fossero realmente i suoi, come
se potesse scacciare i cattivi pensieri rendendoli estranei a se stessa.
Mi faceva tenerezza e stavo per consolarla come si consola una sorella;
fortunatamente mi accorsi del mio gesto impudente e tentai di
camuffarlo al meglio
“Deve scacciare i cattivi pensieri, voi siete una nobile e
non potete lasciarvi influenzare da queste piccole inezie”
“La penso nello stesso modo, ma ora la prego di lasciare la
stanza, ho bisogno di riposare.”
Mi congedai quindi dalla sua presenza e aggiornai i genitori delle sue
condizioni e prescrivendole numerose passeggiate in calesse.
La settimana seguente venni convocato dal mio signore e
così mi recai nel suo studio.
Lo trovai intento nei conti di bilancio, immobile e silenzioso, con una
candela che offriva un pallido lume.
Mi osservò attentamente quasi stesse verificando se fossi
realmente io, poi improvvisamente mi disse: “Gwendoline vuole
che voi siate a sua completa disposizione, la seguirai a Versailles ed
esaudirete i suoi capricci, questa è stata una sua esplicita
richiesta”
Fu così che mi ritrovai a corte come servitore della
famiglia Gutier.
Al termine di una giornata che da tempo ormai trascorrevano monotone
tra balli e feste mi ritrovai faccia a faccia con la signorina, prima
che potessi andarmene lei mi fermò e mi prego di rimanere.
La guardai appoggiandomi al muro con le braccia conserte in attesa che
proferisse parola, era lei che aveva insistito per portarmi con se a
Versailles e tanto valeva saperne il motivo.
“ Caro dottore, sarete certo curioso della motivazione che ha
portato al mio insistente capriccio”
“ Signorina, il mio compito è sempre stato
soddisfare ogni vostra richiesta”
“ il motivo è che in vostra compagnia mi sento a
mio agio, con voi posso parlare ed esprimermi con ad un mio
pari”
Era agitata, stranamente arrossata, le parole le costavano fatica, il
suo vestito era di una semplicità voluta che evidenziava la
sua figura … era complicato seguire il suo discorso se nella
mia mente scorrevano certi oltraggiosi pensieri
“Vi state sbagliando signorina, io non sono un suo pari e di
certo non lo sarò in futuro. Lei è nobile e io un
suo sottoposto.”
“Lei è scontento della propria vita?”
“Mi dispiace, ma non posso rispondervi”
“Teme forse che mi possiate arrecare offesa?”
La conversazione era irritante, volevo andarmene e allo stesso tempo
non potevo disobbedire ad un ordine diretto, accennavo piccoli passi
con le gambe quasi il mio corpo si volesse ribellare al mio buonsenso.
“ Ritengo che la conversazione stia andando oltre
al semplice rapporto padrone- servo“
“ siete il mio dottore abbiamo vissuto insieme per molto
tempo come potrei considerarvi un semplice servo, vi conosco meglio di
altri”
“ cosa sapete voi della mia vita? Voi avete sempre vissuto
all’interno di quattro mura che siate a Versailles o che
siate nella vostra villa in periferia. Io ho sofferto la fame, ho visto
mia madre perdere la vista per cucire i vestiti che voi e tutti gli
altri nobili indossate, ho visto mio padre ucciso da un colpo di
pistola perché un messere aveva bevuto troppo. Lavoro presso
la vostra famiglia ora ma per molto tempo sono stato un
vagabondo che mendicava per le strade. Signorina avete ancora la
presunzione di conoscermi e ritenete ancora che il vostro discorso
non sia infantile e impertinente?”
“Mi avete fatto notare che ho intavolato una discussione
troppo personale ma non vi fate scrupoli ad offendermi.”
Era arrabbiata, si era alzata di scatto, rossa in viso, completamente
incurante dell’ espressione poco elegante che mostrava per
l’indignazione.
Non riuscii a fermarmi, le parole mi uscirono a fiumi, quasi non
aspettassero altro, quasi avessero deciso di prendere
l’iniziativa.
“Mi dispiace recarvi offesa, ma voi pretendete di discutere
con me della mia stessa vita, mi guardate con aria di sufficienza quasi
non aspettiate altro che crolli in ginocchio in cerca di una
consolazione. Voi siete una nobile ed io un borghese, i nostri mondi
sono differenti”
“Allora le devo le mie scuse per la mia indiscrezione ma voi
certamente non avete avuto un atteggiamento diplomatico e mi
avete recato offesa”
“Ne sono consapevole, ma era mio dovere chiarire la mia
posizione. Sono pronto a lasciare questo famiglia in questo medesimo
momento se la mia vista vi fosse diventata riprovevole.”
“Non ritengo necessario tale provvedimento, ma forse
è opportuno che si allontani dalla corte per circa una
settimana. Le augurò un buon riposo, a quanto pare non sono
l’unica che ha accumulato molto stress.”
Si girò di spalle e attese che mi allontanassi.
Corsi a prendere i miei bagagli e in poco tempo varcai i cancelli.
Non avevo nemmeno pensato a dove potessi andare, decisi che
l’unica soluzione era farmi ospitare da mio cugino.
Mi dovetti fermare in un emporio perché era impensabile che
mi presentassi da lui a mani vuote. Quando arrivai dinnanzi a casa sua
era già calato il sole e le strade di Parigi si erano
sfollate in poco tempo; forse per via di quel particolare pettegolezzo
che rendeva i vicoli l’habitat preferito di folletti maligni
che rubano il cuore delle donne di animo puro …
Bussai al portone e attesi, la porta si aprì appena e una
fievole voce mi chiese chi mai fossi.
“Sono io Etienne, Marie vi ricordate!”
“Cosa ci fate voi qui a quest’ora?” disse
aprendo la porta e facendomi cenno di entrare,
“ Corrono brutti tempi a Parigi.”
La guardai incredulo “non dirmi che credi ai
folletti…”
“Non credo ai folletti, ma ai briganti affamati!”
“Siamo già a questo punto?”
“Mi chiedo come non ne siate ancora cosciente.”
Mi sedetti allora e chiesi “ e tuo marito, come
può mio cugino lasciare da sola una così bella
fanciulla?”
“ Sono questi i momenti che mi ricordano quanto voi mi
manchiate!”
“A quanto pare basta poco per rendere felice una
donna!”
“ Lui è uscito, ma dovrebbe rientrare a momenti.
Non mi hai ancora detto come mai siete qui a
quest’ora”
“ Volevo usufruire della vostra ospitalità per
circa una settimana, vi ho portato un regalo.”
Marie prese il fagotto e iniziò a scartarlo, quando ebbe
finito poté notare che era una tabacchiera in legni
finemente ornata con i lati di ferro che presentavano inciso i loro
nomi e la mia benevolenza, più una graziosa spilla argentata
ornata con candide pietre di luna, in realtà
l’unico valore di quella spilla era il simbolo che
rappresentava, ma per me era dotato lo stesso di una bellezza che
scaldava il cuore.
“Etienne non so cosa dire, non era necessario che spendesse
tanto per solo una settimana”
“ Non preoccuparti Marie” dissi un po’ in
imbarazzo “ non sono oggetti così preziosi e poi
ho risparmiato una vita, posso almeno permettermi di fare un regalo ai
parenti più vicini ad essere la mia famiglia!”
“se la metti così non sarò certo io a
insistere”
“ vuoi per caso conoscere la leggenda dietro quel
ciondolo”
Le donne sono a volte delle creature veramente buffe, sono predisposte
per la curiosità e il pettegolezzo, tanto che quando una
storia o un pettegolezzo sta per essere svelato gli occhi si accendono
di una luce vispa e giocosa quella stessa luce che si accende negli
occhi di un neonato quando vede la sua mamma; naturalmente non
c’era il bisogno di attendere una risposta e raccontai:
“ la pietra di luna, secondo una leggenda indiana,
viene creata dal mare che con le onde ne modella la forma e
la stessa acqua cattura i raggi di luna e li racchiude nella pietra
conferendole il potere di attrarre a se ogni bene. Questa pietra viene
forgiata dal mare ogni cinque anni e poi rilasciata nella riva cullata
dall’umida sabbia. Questa è di per se una rara
pietra e se una fanciulla la ottenesse otterrà ogni
felicità e sarà una regina.”
“ che storia romantica , sarò ben lieta di
mostrare un tale ornamento grazie Etienne, visto che starai per una
settimana fai come se fossi a casa tua mio marito arriverà a
momenti, ti lascio un poco da solo ma devo ritirare il bucato prima che
l’aria malsana di Parigi mi costringa a rilavarli”
Mentre Marie si allontanava io mi sedetti in una sedia e mi guardai
attorno, le mie dita tamburellavano in una tavolo di medie dimensioni
di modesto materiale capace però di sostenere una decina di
persone, in realtà non capisco come mai una famiglia di soli
due componenti dovrebbe avere un tavolo tanto grande, le sedie erano
una decina e vi erano persino dei lembi stoffa imbottiti con della
segatura che probabilmente mio cugino si era procurato dal falegname
vicino alla piazza, all’angolo della stanza c’era
il focolaio e il braciere e nel muro era evidente la traccia nera che
risaliva il soffitto lasciata in ricordo dal fumo, e in alto
c’era un foro ora tappato, che quando veniva acceso il fuoco
veniva aperto per evitare che i rifiuti del fuoco ubriacassero coloro
che si scaldavano ( gli effetti del monossido di carbonio erano visti
come l’ubriachezza).
Prima di potervi descrivere il resto della stanza, mio cugino irrompe
nella casa e vedendomi accenna un lieve sorriso e mi chiede il
perché della mia visita ad un’ora tanto
tarda mentre appoggia la mantella sulla prima sedia che gli capita
sotto mano.
Io spiego a mio cugino di avere recato un offesa alla mia damigella e
che sono stato allontanato per una settimana.
Mio cugino non è mai stato d’accordo sul mio stile
di vita, ma alla fine un dottore per vivere non può fare
altro che stare alle dipendenze di coloro che lo possono pagare, sono
anch’io un esponente del terzo stato ma mi vengono negati
persino quei infimi e inutili diritti perché i miei simili
mi considerano il cane dei nobili, e una situazione di impotenza ma
dopo un po’ ci si abitua.
Mio cugino Gastone mi guarda fisso come se stesse scrutando
l’anima al di là della mia mente, poi mi si siede
dinnanzi e dice:
“Etienne ti sto affidando la mia vita con queste parole, a
Parigi si sta mobilitando un gruppo di persone e tra meno di una
settimana ci sarà una protesta, la regina M. Antonietta e il
re non conoscono la nostra miseria e noi non possiamo sopportarlo, te
lo devo dire hai scelto proprio il momento sbagliato per andartene
perché dopo c’è la
possibilità che non ti riammettano più a
palazzo.”
“ volete forse ammazzarvi, sapete che tutte le precedenti
forme di protesta sono state sedate a colpi di fucile, come potete
sperare nella sua riuscita!”
“ questa volta dalla nostra si schiererà
l’esercito composto dai nostri valenti uomini, ora ti chiedo,
vuoi stare ancora in questa casa? perché in questo caso
sarai inevitabilmente coinvolto”
Ora capii il perché di quel tavolo e di quelle sedie tutto
era partito da mio cugino, quella stanza era la sede dove avvenne e
avverrà la messa appunto dei complotti. Restai un bel
po’ in silenzio riflettendo sulla situazione, ormai chiamarmi
fuori dalla vicenda era impossibile perché io ero uno di
loro, potevo vivere meglio del popolo che si ammazzava nelle miniere o
nelle fabbriche per venire poi espropriati dei loro beni per far vivere
nel lusso i nobili ma alla fine io ero uno di loro, non ho mai avuto
scelta poiché indirettamente beneficiavo dei diritti dei
nobili in quanto non pagavo tasse e non faticavo per adempiere il mio
lavoro e per questo mi sono sempre sentito il più
sudicio animale, non posso ora tirarmi indietro, non ora che posso
finalmente fare anche io la mia parte.
“dai Gastone dimmi in che modo posso rendermi
utile!”
XXX