I Ragazzi dell'Olimpo - L'Elmo di Ade

di bambolinarossa98
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Divento un semidio... o lo ero già? ***
Capitolo 2: *** Uccido mostri con una penna sfera ***



Capitolo 1
*** Divento un semidio... o lo ero già? ***


Essere attaccato da una gallina sputafuoco era già stato abbastanza brutto, ma la ragazza con le trecce trasformò la giornata in un incubo.
Ok, gli aveva apparentemente salvato la vita… ma aveva anche dato fuoco alla scuola, distrutto la palestra e disintegrato la sua professoressa di Geografia.
Insomma, tutto normale. Così come era normale che la sua prof fosse un’arpia.
Certo, aveva sempre sospettato che Mamura-sensei lo fosse, ma non pensava nel senso letterale della parola.
Ed ora eccolo lì, a correre per le strade di Tokyo, trascinato da una ragazza che neanche conosceva e inseguito da un paio di arpie; si voltò giusto il tempo per vederle sorvolare una macchina ferma al semaforo: ma nessuno le vedeva volare sulla strada?! Sembrava che la gente le ignorasse completamente.
“Di qua!” esclamò la ragazza, afferrandolo per la manica e trascinandolo nel vicolo più vicino. Una rete divisoria si ergeva a metà strada ma lei la scavalcò con un’agilità sorprendente, come se non avesse altro per tutta la vita. Lui la seguì senza difficoltà e sbucarono dall’altro lato del vicolo, su una strada affollata. Parcheggiato di fronte al marciapiede c’era un furgone bianco del SERVIZIO FRAGOLE DI DELFI: la ragazza aprì il portellone e ci salì, facendogli cenno di seguirla. Il furgone era spazioso e non conteneva affatto fragole, bensì due file di sedili in pelle su entrambi i lati. Prese posto su uno, desideroso di riprendere fiato.
“Vai! Non ci metteranno molto a raggiungerci!” esclamò la ragazza, poggiata ai sedili davanti intenta a scrutare fuori dal finestrino. Solo dopo che il motore si accese e il furgone partì a razzo la ragazza si sedette, liberando un sospiro stanco.
“Ehi, aspetta!” esclamò lui, guardandola meglio “Io ti conosco: sei quella ragazza della B arrivata il mese scorso” disse. Lei si limitò a battere un colpo al proprio sedile, che si aprì rivelando un incavo pieno di provviste: pacchetti di patatine, bottiglie d’acqua, lattine di Diet Coke, brik di succhi di frutta, strane bottigliette di cristallo contenenti del liquido ambrato e diversi sacchetti di barrette energetiche e quadratini di cioccolato… o almeno così sembravano.
La ragazza prese una bottiglia d’acqua e un sacchetto di quadratini di cioccolato, poi si rivolse a lui: “Acqua? Succo? Diet Coke?” chiese.
“Succo” rispose lui e lei gli lanciò una confezione di succo alla pesca, che lui bevve avidamente: dopo quella corsa sfrenata stava morendo di sete! “Ma chi sei?” domandò, mentre lei chiudeva lo scomparto con un calcio e apriva il sacchetto: estrasse due quadratini e gliene passò uno.
“Dovrebbe bastare, non sono ferite gravi” disse. Lui non capì ma accettò lo stesso: non sapeva affatto di cioccolato ma di latte alla fragola, tuttavia ciò che lo stupì fu che si sentì subito benissimo, come se si fosse fatto una bella notte di sonno. Alzò gli occhi su di lei per parlare e li sgranò: la ragazza stava chiudendo il sacchetto con tranquillità ma i graffi sulle braccia e il viso si stavano rimarginando.
“Come…?”
“Ambrosia” rispose lei “Guarisce ogni cosa ma presa in quantità eccessiva può provocare l’autocombustione” spiegò, rimise il sacchetto di ambrosia a posto e bevve un lungo sorso d’acqua. Infine lo guardò. “Immagino tu abbia domande da fare” intuì.
“Già” conc0rdò lui “Perché la mia prof di geografia era un’arpia? Come mai le sue sorelle ci stanno inseguendo? Perché nessuno le vede? Dove stiamo andando? Ma soprattutto… chi sei?” stilò. Scese un lungo silenzio.
“Quante domande” rispose lei “Una per volta, però” aggiunse “La tua prof è un’arpia perché è nata così, immagino, e si è travestita da professoressa per venire ad ucciderti. Le sue sorelle ci inseguono per finire il lavoro. Nessuno le vede a causa della Foschia, che impedisce agli umani di vedere le cose come sono realmente, probabilmente ai loro occhi sono solo piccioni. Stiamo andando al Campo Mezzosangue, dove vengono addestrati quelli come noi, lì saremo al sicuro. Io sono Manami Okuda, della Casa Sei” rispose tutto d’un fiato “E tu devi essere Karma Akabane… almeno credo, sono una frana a ricordare i nomi” ammise.
Scese un lungo silenzio, nel quale il ragazzo metabolizzò tutto.
“Ehm… tu sai che da queste risposte nasceranno altre domande, vero?” chiese. Okuda annuì, come se fosse abituata a conversazioni come quella.
“Ok, allora… cos’è il Campo Mezzosangue e che vuol dire che vi vengono addestrati quelli come noi?” domandò.
“Quello che ti ho detto, noi siamo mezzosangue: metà mortali e metà dei” rispose, semplicemente. Lui la guardò come se fosse pazza.
“E io dovrei crederci?” chiese.
Okuda batté un colpo alla parete del furgone: “Argo, il ragazzo non ci crede” disse “So che detesti metterti in mostra, però…” e fece cenno al ragazzo il posto di guida. Gli venne un colpo: l’uomo alla guida si voltò per un attimo e lo salutò con un sorriso cordiale prima di tornare a concentrarsi sulla strada.
“Lui… lui… aveva…” balbettò “Ha tanti occhi!” esclamò, sconvolto.
“Cento, per la precisione” rispose Okuda “È stato creato dalla Dea Era per sorvegliare una delle amanti di suo marito Zeus, finché Apollo non lo uccise su ordine del padre e liberò la donna. Dovrebbe essere morto millenni fa, invece sta trasportando noi due su un camion di fragole. Ci credi adesso?”
Karma avrebbe tanto voluto rispondere di no ma si astenne.
“Quindi… io sarei figlio di un Dio?”
“O di una Dea” lo corresse lei.
“Aspetta, mia madre è una Dea?” chiese, sconcertato “Non ha mai auto un carattere molto divino” commentò.
“Tu vivi con tua madre?” domandò lei e lui annuì “Oh, allora questo cambia le cose: il Dio è tuo padre”
“Ah. Questo spiega perché non si è mai fatto vedere” rispose “Tu a chi sei figlia?”
“Atena, Dea della Saggezza” rispose lei, prontamente.
“Forte” commentò lui “E la vedi spesso?”
Okuda s’incupì: “No” rispose “Gli Dei sono molto indaffarati, non fanno visita spesso ai figli. Lei…”
Ma Karma non scoprì mai cosa facesse Atena, perché una scossa fece tremare il furgone. Okuda imprecò in una strana lingua che lui, stranamente, capì.
“Che hai detto?” domandò, stupito.
“Ci hanno raggiunto!” esclamò “E ho parlato in greco che, si, tu puoi capire anche senza averlo mai studiato” aggiunse, anticipando ogni possibile domanda, poi si sporse verso Argo. “Manovra 11-E” ordinò “Manda un segnale al Campo, ci servirà aiuto”
L’uomo annuì e pigiò un pulsante sul cruscotto. Il furgone ebbe uno spasmo e si alzò in volo.
“Che diamine…?!” esclamò Karma, tenendosi al sedile.
“I mezzi del campo sono stati costruiti dai figli di Efesto che hanno aggiunto qualche modifica ispirandosi agli Dei: questa è la manovra di Ermes, ci permette di volare” spiegò Okuda “E spero tanto di non dover usare quella Atena” aggiunse, preoccupata, scrutando fuori dal finestrino.
“Cosa fa quella di Atena?” chiese, anche se in un certo senso non era sicuro di volerlo saperlo.
“Oh, puoi far spuntare qualunque arma tu voglia da ogni forma del veicolo, il furgone li plasma a scelta di chi li chiede. Un’idea di Ritsu, mia sorella” annuì Okuda “Argo, cinque gradi a est” ordinò, e il furgone sterzò “Siamo quasi arrivati” mormorò, ansiosa.
Il veicolo ebbe un fremito poi scese in picchiata verso il picco di una montagna coperta di alberi.
“Ci schianteremo!” esclamò Karma ma Argo continuò spedito, ad un certo punto accadde qualcosa di strano: fu come passare attraverso una bolla, tutti i suoni gli giunsero ovattati e, per un lunghissimo secondo, il tempo rallentò… poi continuarono a scendere.
Argo tirò il volante e si rimisero dritti, ma evidentemente il mezzo aveva subìto qualche danno perché un attimo dopo precipitarono in orizzontale e si schiantarono al suolo.
Quando il ragazzo aprì gli occhi si rese conto di non essersi fatto nulla e di star tranquillamente rimbalzando in mezzo a tante minuscole palline viola.
Il portello venne aperto e le palline sciamarono fuori, con loro dentro.
“Buon Zeus!” esclamò una ragazza “State bene?”
Karma venne tirato fuori dalle palline e si rimise in piedi, un po’ scosso. All’inizio vide solo un gruppetto di ragazzi radunati intorno a loro poi sentì delle grida e si voltò: poco lontano due file di ragazzi stavano bersagliando di frecce le arpie, che si disintegravano in aria.
“Stiamo bene” rispose Okuda, arrancando in mezzo alle palline che scoppiavano sotto i suoi piedi con un umido pop “Ehm… grazie, signor D” aggiunse, incerta.
“Oh, beh, almeno hanno qualche utilità” sospirò una voce maschile che attirò l’attenzione di Karma: in mezzo a tutti quei ragazzi c’era un uomo sulla cinquantina, piccolo ma grassoccio, col naso rosso, grandi occhi lucidi e riccioluti capelli neri che sembravano quasi blu. Indossava una camicia hawaiana tigrata e dei bermuda azzurri. A Karma sembrò quasi un putto.
“È andata bene?” domandò un ragazzo biondo lì accanto.
“Tralasciando le arpie e lo schianto?” chiese Okuda “A meraviglia!” sorrise. A quel punto tutti si voltarono verso Karma, che guardava le palline cercando di capire cosa fossero in realtà.
“Questa è uva!” esclamò d’un tratto, allibito.
“Molto acuto, ragazzo” commentò l’uomo, ironico “Da dove lo hai preso?” aggiunse, rivolto alla ragazza.
“Ehm… padre” tossicchiò una ragazza lì accanto, con i capelli corti e una tuta da ginnastica; Karma la guardò incredulo: quella ragazza era davvero figlia di quel tizio? Stentava a crederci.
“Oh, pare che mi tocchi. Benvenuto al Campo Mezzosangue, ragazzo!” esclamò lui, con falso entusiasmo “Ora non aspettarti che io sia felice di vederti” aggiunse, tornando serio.
“Ragazzi, lui è Karma Akabane” presentò Okuda, strisciando le scarpe sull’erba per togliervi il succo d’uva “Karma, loro sono i ragazzi del campo e lui è il signore D, il Direttore”
Karma lo squadrò dalla testa ai piedi “Lei è un Dio” intuì e lui alzò un sopracciglio.
“Ma va’?” rispose, ma il ragazzo era troppo occupato a mettere insieme i pezzi: naso rosso, uva, D…
“Lei è Dioniso!” esclamò “Il Dio del Vino!”
“Buon Zeus, ragazzo, hai battuto la testa per caso?” domandò, scettico “Credevo fossi più intelligente!”
“Suvvia, padre” esclamò un’altra ragazza, con i capelli a caschetto e un fascio di manga sotto braccio: un’altra figlia che non gli somigliava nemmeno un po’ “È appena arrivato qui, gli dia il tempo di abituarsi. Quanti non le hanno fatto questa domanda?” chiese.
“Troppi, temo” rispose Dioniso “Beh, immagino avrete molto ti cui parlare. Minako, fagli fare il giro del campo e quelle cose lì…” ordinò.
“Mi chiamo Manami” lo corresse Okuda ma lui la ignorò.
“…io ho una partita a pinnacolo in sospeso con Tadaomi” concluse, per poi voltarsi e andarsene.
“Che Direttore amorevole” commentò Karma.
“Non farci caso” rispose una ragazza con una lunga coda castana, sorridendogli “È Direttore qui per punizione”
“Questo spiega molte cose” rispose lui.
“Io sono Megu Kataoka” si presentò, tendendo la mano “Della Casa Tre”
“Oh, ehm… Karma Akabane della… che sono che le Case?” chiese poi. La figlia di Dioniso rise.
“Te lo spiegherà Okuda. Io sono Hinata Okano e lei è mia sorella, Yuzuki Fuwa” si presentò. La sorella lo salutò con la mano “Siamo nella Casa Dodici”
“Hiroto Maehara, Casa Dieci” gli porse la mano il ragazzo biondo “Quelli laggiù sono della Casa Sette” aggiunse, indicando i ragazzi che avevano polverizzato tutte le arpie e che ora risalivano il prato… aspetta, prato?
“Ci sono molte cose che devi sapere, Karma” intuì Kataoka.
 
Karma non sapeva se essere sconcertato o stupito. I ragazzi erano tornati alle loro attività e Okuda lo stava accompagnando in giro per il Campo, che era qualcosa di pazzesco.
“Senti, cercherò di essere chiara” cominciò Okuda “Questo è il Campo Mezzosangue, tu sei un Mezzosangue. Qui vengono addestrati i semidei, tu sei un semidio.
Quello è Dioniso, il Direttore del Campo, cioè un Dio. Tu non sei un Dio” spiegò, sillabando ogni lettera “Comprendi?”
“No” rispose lui “Ma va bene lo stesso” aggiunse, allegro.
“Beh, la stai prendendo meglio di molti che arrivano qui. Maehara credeva che fossimo in un reality show ed ha passato due giorni a cercare le telecamere… credo che Afrodite lo abbia riconosciuto per disperazione”
La ragazza lo portò a visitare l’arena dove ci si allenava nel combattimento e si disputavano le corse con le bighe, la stalla dei pegasi e il padiglione delle armi. Un grande bosco sorgeva ai piedi della collina ed un fiume attraversava il campo.
“E quella è la Casa Grande” terminò, indicando il padiglione a cielo aperto “E lì che si mangia. E poi ci sono le Case” concluse, arrivando di fronte ad un agglomerato di padiglioni grandi come una villa. Erano venti in tutto, che formavano un semicerchio con delle linee ai lati (così Ω).
“Queste sono le Case?” chiese e Okuda annuì.
“Quelle lassù sono la Casa Uno e la Casa Due, dedicate a Zeus ed Era. Nella Uno c’è solo Yada-san, l’unica figlia di Zeus, mentre la Due è sempre vuota” spiegò, indicando gli edifici di marmo e d’argento uno di fianco all’altro.
“Perché?” chiese.
“Era è la Dea del Matrimonio, non si mette a fare figli con i mortali” rispose, come se fosse ovvio “La Casa Tre, quella piena di conchiglie, è dedicata a Poseidone e ci vive Kataoka-san, anche lei figlia unica.
Nella Casa Quattro ci sono i figli di Demetra” continuò, indicando quella col tetto d’erba “La Casa Cinque, quella rossa, è di Ares. La Sei, col gufo, è di Atena ed è dove alloggio io. La Casa Sette è di Apollo. La Otto è di Artemide, anche quella sempre vuota poiché lei ha giurato castità, ma ogni tanto ci alloggiano le sue Cacciatrici quando vengono a trovarci” stilò “La Nove, che somiglia ad una ciminiera, è di Efesto. La Dieci, con le tendine rosa, è di Afrodite, Maehara-kun ci abita con i suoi fratelli e sorelle. La Undici è di Ermes. La Dodici, coi tralci di vite, è di Dioniso e ci sono solo Okano-san e Fuwa-san, le uniche figlie del signor D. La Tredici, quella nera coi fuochi verdi, è di Ade e ci abita Hazama-san anche lei figlia unica. La Quattordici è di Iride…”
“Chi?”
“La Dea dell’Arcobaleno” spiegò Okuda “La Quindici di Ipno, il Dio del Sonno. La Sedici di Nemesi, la Dea della Vendetta, e ci abita solo Kayano-san. La Diciassette è di Nike, la Dea della Vittoria. La Diciotto di Ebe, la Dea della Giovinezza. La Diciannove di Tyche, la Dea della Fortuna, e la Venti di Ecate, la Dea della Magia” concluse.
“Quindi siete divisi in base al genitore divino” intuì lui “E come veniamo riconosciuti? Cioè, dovrebbe scendere il mio presunto padre dal cielo dicendo ‘Karma, io sono tuo padre’?” chiese. Okuda sorrise.
“No, in genere mandano un segno. Per esempio, Afrodite manda la propria benedizione ai figli, tipo vestiti e acconciatura nuova. Altri sono più formali e ti fanno apparire il proprio simbolo sul capo: a Kataoka-san è apparso il tridente, il simbolo di Poseidone; a Itona-kun il martello infuocato, il simbolo di Efesto, e così via. Solo il signor D è meno formale” tentennò “Quando Fuwa-san è arrivata al Campo, tre anni fa, lui le ha lanciato una lattina di Diet Coke esclamando: “Il primo essere di sesso maschile che si azzarda a toccare mia figlia è un uomo morto… o un delfino morto, dipende come mi girano”. Si, molto paterno” annuì lei.
“Wow” commentò lui, immaginando la scena e sforzandosi di non ridere “E veniamo riconosciuti subito?” chiese.
Okuda si fece cupa “Non subito. In genere ci vuole un po’, in alcuni casi non avviene mai” rispose lei “Vieni, ti faccio vedere dove starai” aggiunse, attraversando la collina. Passarono davanti le Case e Karma sbirciò dentro alcune: in quella di Ares, che sembrava la più grande, c’erano una ventina di ragazzi che facevano un baccano assurdo per essere così pochi. Affacciandosi, il ragazzo si rese conto che si stava tenendo una lotta coi cuscini in piena regola: piume, stoffa lacerata e pugni volavano ovunque.
“Ma…?” provò a chiedere lui, Okuda scrollò le spalle.
“Ares è il Dio della Guerra” disse a mo’ di spiegazione “I suoi figli sono quasi tutti bellicosi e attaccabrighe. Un ottimo supporto militare, è meglio non trovarseli contro in battaglia” aggiunse. Poco più giù, nella Casa di Ade, Karma intravide una ragazza pallida che leggeva un libro stesa su un’amaca sotto una grande torcia verde; quando alzò gli occhi per squadrarlo un brivido gelido corse giù per la sua schiena: ebbe il sospetto che Ade non gli sarebbe piaciuto granché.
“Quindi... dove li mettete quelli che non sono ancora stati riconosciuti?” chiese, distogliendo lo sguardo da quelli della ragazza con un certo timore.
“Casa Undici” rispose lei, fermandosi di fronte ad una specie di capannone formato gigante. All’interno sembrava esserci più gente di quanta ne potesse contenere, era tutto stipato di letti e sacchi a pelo “Dopotutto Ermes è il Dio dei Viandanti” spiegò, guidandolo su per i gradini.
Al loro ingresso scese il silenzio.
“Ragazzi, vi presento il vostro nuovo inquilino: Karma” annunciò Okuda. Il ragazzo fece un gesto di saluto mentre veniva squadrato.
“Regolare o Indeterminato?” chiese qualcuno.
“Indeterminato” rispose Okuda. Si levarono esclamazioni e sospiri di delusione.
“Suvvia, gente, siamo qui per questo!” esclamò una ragazza uscendo dalla folla: nel complesso era molto carina con lunghi capelli biondi, occhi azzurro ghiaccio e un sorriso malizioso che non prometteva nulla di buono. Karma ebbe l’istinto di portarsi la mano alla tasca della divisa, giusto per controllare che il portafoglio ci fosse ancora. “Io sono Rio Nakamura, capogruppo della Casa Undici” si presentò, tendendo la mano, che il ragazzo strinse “Tranquillo, ti troveremo un posto: abbiamo sacchi a pelo in quantità” annuì lei, saccente.
“Uhm… grazie” rispose lui “Però… io non ho nulla dietro” si rese conto “Mi hai prelevato mentre ero a scuola” aggiunse, rivolto a Okuda. La ragazza arrossì.
“Oh, non c’è problema” intervenne Nakamura “Chiederò a Korosensei di mandare qualcuno a prendere un po’ di roba a casa tua” poi si voltò verso il gruppo “Chi vuole fare un giro in città?” urlò. Molte mani scattarono in aria seguite da esclamazioni frenetiche “Credo che dovresti portarlo alla Casa Grande, Korosensei vorrà parlare con lui” aggiunse, rivolta ad Okuda che annuì “Oh, e hai dell’intonaco nei capelli” notò, spazzandolo via con un buffetto prima di sorriderle e tornare nella mischia, dove era nata un’accesa discussione su chi dovesse andare in città.
“Vieni” Okuda lo riportò fuori e rifecero il percorso inverso.
“Simpatica” commentò Karma, una volta lontano dal baccano.
“Molto” confermò Okuda “È stata Rio-san a portarmi qui” spiegò “Sono stata nella Casa Undici per due anni prima di essere riconosciuta, è come una sorella per me”
I due ragazzi scesero la collina fino ad un grande edificio posto poco lontano dall’arena; sotto il portico vi era un gruppo di persone radunate intorno ad un tavolo a giocare a pinnacolo.
Riconobbe Dioniso, che dava le carte, e accanto a lui un uomo vestito con camicia, cravatta e sguardo serio: sembrava il classico tipo da non far arrabbiare. Dall’altro capo del tavolo, una giovane donna dai capelli biondi stava amabilmente chiacchierando con l’uomo che gli dava le spalle, di cui Karma intravedeva solo la corta chioma nera.
“Chi sono?” chiese a Okuda.
“Gli Istruttori del Campo” rispose lei “Ci addestrano, sono semidei anche loro. Quello girato di spalle è Korosensei, gestisce tutte le questioni del Campo insieme al signor D” spiegò “È figlio di Atena quindi, strano a dirsi, ma tecnicamente è mio fratello” aggiunse, rallentando il passo “L’altro è Karasuma-sensei, è figlio di Ares e ci addestra nel combattimento. Non è un tipo molto loquace ma sa quello che fa. Poi c’è Irina-sensei…”
“Fammi indovinare” la interruppe Karma “Figlia di Afrodite”
Okuda annuì “Bella, eh?”
“Uno schianto” concordò lui “Cosa insegna?”
“Volo. Si occupa dei Pegasi” rispose lei “Ma in genere la trovi in giro a dispensare consigli sull’abbigliamento o il trucco. Non la sottovalutare però, sua madre gli ha donato una delle sue doti migliori: conosci la lingua ammaliatrice?” chiese.
“Intendi quella cosa capace di convincere tutti a fare quello che vuoi?” rispose lui.
“Una volta un gruppo di lestrigoni riuscì ad invadere il campo e lei li convinse ad uccidersi tra loro solo chiedendoglielo” raccontò.
“Ho capito, meglio non farla arrabbiare” concluse Karma, astenendosi dal chiedere cosa fossero i lestrigoni. Raggiunsero il portico proprio mentre Dioniso vinceva la mano con una perfetta scala reale. Gli altri tre alzarono lo sguardo su di lui, curiosi.
“Ah, Manami!” esclamò Korosensei alzandosi: era più alto di Karma di una buona spanna, aveva un bel viso intelligente ed un sorriso solare ma qualcosa gli diceva che era capace di staccarti la testa dal collo in due secondi netti e a mani nude. Non un ottimo modo di presentarsi “Ho saputo dell’incidente con le arpie: tutto bene spero” aggiunse.
“Certo, Korosensei” annuì lei.
“E tu devi essere Karma Akabane” intuì, rivolgendosi a lui “Beh, sono contento che almeno tu ce l’abbia fatta” sorrise. Karma non capì ma preferì non chiedere nulla.
“Si, anche io” rispose lui “Come sta il furgone?” chiese poi.
“Oh, i ragazzi di Efesto se ne stanno occupando: dopo tutti gli incidenti che abbiamo avuto è stato progettato per resistere anche agli atterraggi bruschi, quindi non ha subìto danni gravi” spiegò, allegro “Ma non preoccuparti per questo” aggiunse, noncurante “Immagino che Manami ti abbia già spiegato tutto”.
“Si, a grandi linee. Insomma: Dei, semidei, Case, pegasi… Diet Coke. Tutto regolare” commentò. Korosensei sorrise.
“Mi piace il tuo modo di prenderla” commentò “Alcuni danno di matto”.
“Bei tempi quelli” sospirò Dioniso, bevendo un sorso di Diet Coke dalla lattina posta accanto a sé.
“Già. Beh, volevo solo accertarmi che foste vivi… o con ancora tutti gli arti” spiegò, con leggerezza, quasi stesse parlando del tempo “Ma non divaghiamo: è quasi ora di cena e immagino tu voglia darti una ripulita”
“Si, però… non ho niente con me” rispose lui, che indossava ancora la divisa scolastica bruciacchiata, piena di polvere e sangue.
“Oh, questo non è un problema, il Campo ha una scorta di vestiti di emergenza nel capanno delle armi. Manami, lo accompagni tu?” chiese.
“Certo” rispose lei.
“Perfetto! Noi adulti dobbiamo discutere di alcune cose, quindi non vi dispiacerà se vi mando via?”
“Oh, si figuri” rispose lui, scesero il portico e Okuda lo accompagnò fino al capanno delle armi. In una stanza interna c’era il più vasto assortimento di jeans e magliette tutte uguali che lui avesse mai visto; le magliette erano arancioni e recavano la scritta CAMPO MEZZOSANGUE, i jeans erano disponibili in due colori: neri e blu.
“Siamo attrezzati per ogni evenienza” spiegò Okuda “Abbiamo qualsiasi taglia, dalla XS alla XXXL” illustrò. Karma non era mai stato un granché a scegliersi i vestiti, in genere li prendeva un po’ cadenti così che gli dessero un’aria vissuta, ma quelle taglie spaccavano il centimetro. Prese un paio di magliette e un jeans per ogni colore.
“Mi darete anche un’arma?” chiese. Okuda sembrò esitare.
“Beh, penso di sì” rispose “Ma per il momento lasciamo perdere: la scelta di un’arma non è semplice. Magari più avanti” aggiunse.
Lo riaccompagnò nella Casa Undici e lo lasciò per tornare alla propria. Uno dei ragazzi di Ermes, Masayoshi Kimura, lo prese in custodia e gli mostrò il bagno dove il ragazzo si fece una doccia ed infilò i vestiti nuovi (che tutto sommato gli stavano bene) poi lo accompagnò alla Casa Grande.
Era priva di soffitto, con colonne sparse sui bordi e venti lunghi tavoli allineati nel mezzo. Il tavolo Uno era occupato da una sola ragazza coi capelli castani raccolti in una coda e gli occhi di un azzurro intenso, che parlava fitto fitto con una donna vestita di verde che non sembrava nemmeno umana. I tavoli Due e Otto erano deserti. Al tavolo Tre era seduta Megu Kataoka in compagnia di Karasuma, anche loro immersi in una conversazione che aveva l’aria di non dover essere interrotta. Al tavolo Tredici vi era la ragazza vista quella mattina sotto il portico, concentrata nella lettura di un libro dall’aria macabra. Il tavolo Sedici era occupato da una ragazza dai lunghi capelli verdi che chiacchierava con un ragazzo dall’aria simpatica, intento a masticare una lattina di Diet Coke… aspetta, cosa?
“Vieni, il nostro tavolo è quello” Nakamura lo spinse verso il tavolo Undici, affollato e chiassoso come lo era la Casa. Karma si sedette tra lei e un ragazzo minuto, sui dodici anni, che sembrava voler sparire sotto il tavolo.
“Uhm… quel tizio sta mangiando una lattina?” domandò, perplesso. Nakamura gli gettò solo un’occhiata.
“Oh, sì. È un satiro” spiegò, prendendo il calice “Succo ai mirtilli” scandì: quello si riempì di un leggero liquido viola che lei bevve.
“Un… cosa?” chiese, lo guardò di nuovo e si rese conto che gli spuntava qualcosa tra i capelli biondi “Quelle sono corna?” esclamò, allibito. La ragazza rise.
“Non gli hai ancora visto le gambe” ridacchiò.
“E come… cioè, come hai fatto?” domandò, spostando l’attenzione sul calice.
“Sono magici. Chiedi quello che vuoi e te lo darà” rispose.
“Oh” Karma prese il proprio calice e lo guardò, diffidente “Latte alla fragola” disse. Il calice si riempì immediatamente sotto i suoi occhi “Forte” esclamò “Funziona anche coi piatti?”
“Si, ma in genere le nereidi cucinano i piatti principali e noi… sai, non volgiamo offenderle” rispose lei, indicando il fondo della Sala da cui apparvero una ventina di donne vestite di verde con vassoi pieni di pizza, bistecche alla griglia e verdure. Solo in quel momento Karma si rese conto di star morendo di fame. Si servì un paio di bistecche e del riso con verdure, ma aveva appena preso la forchetta che Nakamura gli afferrò il braccio.
“Aspetta” lo ammonì, poi gli indicò il fondo della sala: un braciere di bronzo ardeva di fronte ad ogni tavolo. La ragazza del tavolo Uno si alzò portando il proprio piatto, infilzò un grosso involtino primavera e lo gettò nel fuoco che divampò.
“Zeus” mormorò, chinando il capo, poi tornò al proprio posto. La stessa operazione fu ripetuta da tutti gli altri ragazzi.
“Vieni” Nakamura si alzò, prendendo il proprio piatto e Karma la seguì, mettendosi in fila dietro di lei.
“Perché bruciamo il cibo?” chiese, sottovoce.
“Come offerta agli Dei” rispose lei “Ne apprezzano l’odore ed è il momento migliore per parlare o chiedere aiuto ai nostri genitori” spiegò.
La fila avanzò abbastanza velocemente. Nakamura gettò una fetta di pizza nel fuoco, chinò il capo e mormorò “Ermes” prima di tornare al proprio posto.
Karma indugiò un attimo davanti al focolare, poi prese la bistecca più grossa e la gettò nel fuoco: un denso aroma di erbe selvatiche e carne alla piastra lo investì.
Chiunque tu sia: se mi mandassi un segno sappi che non mi offendo, disse prima di tornare al proprio posto.
La cena si consumò tra chiacchiere e risate, i ragazzi della Casa di Ares diedero spettacolo quando due di loro si azzuffarono per chi avesse compiuto le imprese migliori… che finì solo quando la capogruppo, una ragazza dall’aria molto pericolosa, li divise con la forza.
Tutto sommato, una serata divertente.
Kimura aveva rimediato un sacco a pelo e, dopo aver garantito che all’interno non ci fosse nulla di pericoloso, glielo sistemò nell’angolo ‘maschile’. Karma ci s’infilò proprio mentre Nakamura usciva dal bagno con indosso il pigiama e ordinava di spegnere le luci, dirigendosi verso il proprio letto.
Il ragazzo rimase a lungo sveglio a fissare il soffitto buio, rivivendo la giornata come se fosse stato un film particolarmente interessante, infine si addormentò con la certezza che d’ora in poi la sua vita sarebbe stata tutt’altro che normale.
 
 
 
 
Angolino Scarlatto:
Un crossover tra Percy Jackson e Assassination Classroom… perché no?
L’idea è venuta da sé ed ho deciso di svilupparla poiché il mio istinto mi diceva così, e il mio istinto ha (quasi) sempre ragione u.u
Beh, che dire, spero piaccia, ci lavoro da mesi ed un parere esterno sarebbe molto gradito nonché utile ^^
Baci,
bambolinarossa98
P.S.: mi trovate anche qui https://m.facebook.com/groups/195102060851984?tsid&ref=bookmarks
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Capitolo 2
*** Uccido mostri con una penna sfera ***


Quando Nakamura lo aveva gettato fuori dal sacco a pelo, la mattina dopo, avvertendolo che avrebbero fatto tardi all’allenamento, Karma non sapeva se rimettersi a dormire o urlare perché una sconosciuta era entrata in camera sua.
Tutti gli eventi del giorno prima erano così confusi e lontani da sembrare quasi un sogno… un sogno molto realistico, certo. Ci aveva messo qualche minuto a riprendersi.
Quando Kimura gli aveva detto che come prima lezione ci sarebbe stato tiro con l’arco, Karma non immaginava di essere quasi cacciato dall’arena per aver attentato alla vita dei propri compagni: insomma, un po’ di empatia, era la prima volta che prendeva in mano un arco e una freccia!
Tuttavia, Karasuma lo mise ad allenarsi con la spada dall’altro lato dell’arena, insieme ad un paio di ragazzi di Ares. Come scoprì ben presto, la spada non era proprio il suo genere di arma: la capogruppo, una ragazza sui diciannove anni con i capelli e gli occhi rossi, lo prese personalmente sotto la propria custodia. Inutile dire che lo fece nero.
Gli fece provare diversi tipi di spade, dalle katane ai fioretti, e una volta persino una lancia, eppure riusciva lo stesso a batterlo con una facilità incredibile: Karma iniziava a capire perché fosse capogruppo.
Dopo l’ennesima batosta, decretò che poteva bastare.
“Ti dovrai trovare un’arma se vuoi sopravvivere, venerdì sera” esclamò, autoritaria “Sia chiaro, non voglio nullità nella mia squadra” aggiunse, puntandogli contro la lama della propria sciabola. Il ragazzo non seppe cosa intendesse ma preferì non chiedere: aveva già fatto abbastanza la figura dello stupido.
Prima che finissero gli allenamenti, il ragazzo uscì dall’arena con l’intento di andare a darsi una ripulita. Era appena entrato nella Casa Undici quando andò a sbattere contro una grossa borsa da viaggio con le gambe.
Insomma, esistevano gli Dei, i satiri (che non aveva ancora capito cosa fossero), le ninfe dei boschi e i calici che si riempivano da soli… perché non una borsa con le gambe?
“Ahi!” esclamò qualcuno, cadendo all’indietro sotto l’enorme mole della borsa.
“Nagisa-kun!” esclamò una voce all’interno e, dietro una fila di letti a castello, apparvero Okuda e Nakamura: la prima coperta di fuliggine, la seconda con un toast in bocca.
“Sto bene” rispose la voce di un ragazzo. Karma abbassò lo sguardo e notò che le gambe della borsa appartenevano ad un ragazzo delle medie, con i capelli azzurri raccolti in due code in cima al capo. Indossava una maglietta bianca con su scritto 100% BRAIN ed un orologio di bronzo che segnava anno, mese, giorno, ora, minuto e secondo.
“Visto? Eccolo qui” esclamò Nakamura, appoggiata ai letti a castello, le mani dietro la testa e il toast stretto tra i denti. Indossava una t-shirt rosa chiaro con dei disegni verdi e dei pantaloni corti. Okuda era messa decisamente peggio: aveva i capelli legati in una treccia sfatta che le ricadeva sulla spalla, degli occhiali da aviatore appesi al collo ed era sporca di fuliggine. Poteva sembrare appena sveglia se non fosse per la tuta indossata a metà sporca di olio e una maglia di tre taglie più grande, di un giallo scambiato sui cui si leggeva a malapena IL MARTELLO MIGLIORE DEL MONDO.
“C’è una festa, per caso?” chiese Karma.
“Korosensei è passato a casa tua” spiegò Okuda “Ci ha lasciato la borsa dicendo che era da parte di tua madre e se l’è svignata nella Casa Grande”
“E siete venuti tutti e tre a portarmela? Sono commosso” rispose lui.
“Hai una vaga idea di quanto pesi quella cosa?” domandò Nakamura, indicando la borsa col toast “Giuro che se ci sono solo vestiti, restituisco a Maehara tutti i suoi prodotti per capelli”
“Oh, lui è Nagisa: mio fratello” disse Okuda. Il ragazzo si alzò, togliendosi la polvere dai jeans, poi gli porse la mano.
“Nagisa Shiota, molto piacere” si presentò. Karma gliela strinse.
“Karma Akabane” rispose, poi gettò un occhio da lui a Okuda “Ma siete fratelli… fratelli?” chiese.
“Beh, abbiamo la stessa madre quindi… si, siamo fratelli” confermò lui.
“Forte” commentò “Che ti è successo?” aggiunse poi, rivolto a Okuda.
“Ah… stavo aiutando Itona-kun alla fucina” rispose lei, gettando un’occhiata al proprio abbigliamento. Karma la guardò perplesso.
“Fagliela vedere” rispose Nakamura “Io devo tornare al capanno” aggiunse, avviandosi fuori.
“Vedere cosa?” chiese il ragazzo.
“La fucina dove lavorano i ragazzi di Efesto” rispose Okuda, infilandosi un paio di guanti di pelle fino a quel momento tenuti appesi alla tuta “Nagisa-kun, tu non hai l’arrampicata?” chiese poi. Il ragazzo represse un brivido.
“Si… credo di sì” rispose, un po’ affranto “Ci vediamo più tardi” sospirò, uscendo anche lui.
“Ok…” cominciò Karma, guardandolo uscire “Cosa sono l’arrampicata e l’ufficio di Efesto?”
Okuda sorrise: “Un muro che dobbiamo scalare entro un limite di tempo, o la lava ci brucerà vivi. E la fucina di Efesto è il luogo in cui i suoi figli forgiano armi e mezzi per il campo” spiegò “Efesto è il Dio dei Fabbri, e i suoi figli sanno fare di tutto” disse, uscendo dalla Casa Undici.
“Oh” commentò lui, seguendola “Ma tu non eri figlia di Atena, la Dea della Saggezza?” chiese.
“Della Saggezza, certo, ma anche della Strategia” rispose lei “Atena era venerata in Grecia anche come Dea della Guerra Intellettuale, nonché delle Arti: tessitura, architettura, progettistica… la maggior parte dei progetti che troverai nella fucina sono stati ideati dai figli di Atena” spiegò.
La fucina si trovava poco distante dalle Case: era una grossa ciminiera col tetto coperto di comignoli da cui usciva fumo in continuazione; i rumori all’interno erano perlopiù uno sbattere continuo di ferro su ferro.
L’interno era stipato di oggetti: armature, armi, attrezzi da lavoro sparsi ovunque, progetti appesi alle pareti e modellini di qualunque cosa su ogni ripiano. I figli di Efesto erano quasi tutti muscolosi, con mani callose e pelle color bronzo; faceva un caldo estenuante lì dentro ma nessuno sembrava preoccuparsene.
In un angolo, una figura più mingherlina era concentrata su quello che sembrava un gigantesco motore d’acciaio: indossava una maschera da saldatore ed era difficile dire cosa stesse combinando. Okuda andò dritta da lui.
“Karma, lui è Horibe Itona il capogruppo della Casa Nove” presentò. Il ragazzo si allontanò dal motore e si alzò la maschera sul capo: era diverso da suoi fratelli, con ribelli capelli argentati tenuti indietro da una fascetta gialla, espressivi occhi gialli e parecchio più pallido.
“Salve” disse, togliendosi un guanto e porgendogli la mano: era candida e pulita, priva di calli o macchie. Sembrava difficile pensare che lavorasse in una fucina.
“Ciao” rispose lui, stringendogliela. Poi si guardò intorno. “Uhm… carino, questo posto. A cosa stai lavorando?” chiese. Il ragazzo scrollò le spalle.
“Una cosa che ci servirà per venerdì” rispose, evasivo. Karma alzò un sopracciglio.
“L’ha nominato anche quella ragazza di Ares: cosa succede, venerdì?” chiese, curioso.
“Oh, giusto, tu non lo sai: ogni mese si organizza la Caccia alla Bandiera” rispose Okuda “Saremo noi della Casa di Atena a portare la Bandiera, mentre quelli di Apollo porteranno la loro”
Karma la guardò per qualche istante: “Eh?” chiese poi.
“È una sorta di allenamento” spiegò Itona “Si scelgono due Case che portano la Bandiera con la propria effigie e le altre decidono con chi coalizzarsi. Si tiene all’interno del bosco, lo scopo è prendere la Bandiera avversaria e portarla oltre il fiume”
“Oh, sembra divertente” commentò.
“Quest’anno la Casa di Atena porterà la Bandiera, e con loro ci sono: quelli di Ares, quelli di Ermes, noi, quelle di Poseidone, Zeus e Nemesi, e le figlie del signor D” continuò Itona “I ragazzi di Apollo hanno dalla loro parte: Demetra, Ade, Ecate, Tyche, Ebe e Nike”
Karma si fece il conto, perplesso “E Afrodite, Ipno e Iride?” chiese. Alcuni ragazzi vicini ridacchiarono e lui si voltò a guardarli, confuso.
“Iride è contro la violenza, perciò i suoi figli non partecipano a queste ‘battaglie’, mentre i ragazzi di Ipno passano la maggior parte del tempo a dormire” spiegò Okuda “Quelli di Afrodite… beh, loro se ne stanno per i fatti loro, quasi nessuno partecipa alle attività se non per cavalcare pegasi. Si occupano del ristoro e dei feriti” concluse.
“Feriti?” domandò lui, un po’ preoccupato.
“Si, ma tranquillo… sono mesi che non muore nessuno” lo rassicurò Itona, giocherellando con degli ingranaggi.
Karma si augurò che scherzasse.
“Ti sei già trovato un’arma?” domandò. Il ragazzo ci mise un po’ a rispondere, intento a seguire il movimento delle sue mani, che con quei pochi pezzi aveva creato un mini elicottero nel giro di qualche minuto.
“No, ma immagino che dovrai allenartici se vuoi essere pronto per venerdì” intervenne Okuda “Forse è il caso che facciamo un giro all’armeria”
 
Karma era già stato all’armeria ma non aveva avuto modo di osservare con attenzione tutto ciò che c’era all’interno; quasi ogni superficie era occupata da un’arma: c’erano fucili, pugnali, spade, sciabole, lance, pezzi di armature e scudi. Sarebbe bastato a rifornire un esercito.
“E, cioè, posso prendere quello che voglio?” chiese, guardandosi minuziosamente attorno.
“Si, ma non puoi sceglierla a caso” rispose lei “Deve essere adatta a te, qualcosa che senti come parte del tuo corpo” spiegò, addentrandosi tra le armature.
“Fantastico” mormorò Karma, alzando una lancia lunga più di due metri “E possono uccidere i mostri?” chiese.
“Certo. Tutte le armi usate dai semidei sono fatte di bronzo celeste: efficaci solo contro i mostri, gli umani si limitano ad attraversarli” spiegò lei “Ovviamente, in quanto semidei hanno effetto anche su di noi” aggiunse. Karma posò la lancia e si avventurò nel labirinto di bronzo.
Un coltello appeso ad un gancio attirò la sua attenzione: era un pugnale racchiuso in un fodero d’oro riccamente lavorato in argento. Lo prese con cautela e lo estrasse, era così lucente che riusciva a vedervisi riflesso.
Katoptris” disse Okuda, raggiungendolo “Significa specchio, forse perché Elena lo usava solo per questo”
Karma guardò la lama per qualche istante, poi si voltò verso di lei ad occhi sgranati “Elena?” chiese “Quella Elena? Elena di Troia?”
La ragazza annuì “Menelao glielo donò come regalo di nozze” confermò.
“Voi avete in questo capanno… il regalo di nozze della regina di Sparta?”
“E di Troia” aggiunse lei “Comunque, sì. Dopo che Elena morì, Katoptris è passato per mano di molti semidei quindi è ovvio che si trovi qui... ma te lo sconsiglio: non ha mai portato molta fortuna a chi l’ha posseduto, si dice che possa dare delle visioni del futuro.”
“Ed è una brutta cosa?” chiese Karma.
“C’è chi è impazzito nel vederle e chi è morto tentando di cambiarle” rispose lei.
“È una brutta cosa” disse infine, chiudendolo e rimettendolo a posto. Si guardò intorno “C’è un mucchio di roba qui dentro: spade, lance, coltelli che prevedono il futuro… penne a sfera” aggiunse, puntando l’occhio su un ripiano abbastanza isolato su cui vi era una penna a sfera azzurra, coperta da un leggero strato di polvere “Perché c’è una penna a sfera?” chiese, allungandosi per prenderla. Okuda trasalì.
“Io ci andrei piano, è un’arma pericolosa quella” disse. Karma aggrottò le sopracciglia.
“Spaventa i mostri con gli scarabocchi?” domandò, ma lei sembrava nervosa.
“Togli il cappuccio” ordinò. Karma obbedì, svitò il tappo e per poco non fece cadere la penna… solo che non era più una penna: reggeva in mano una spada di bronzo celeste lunga quasi un metro, affilatissima e dall’aria pericolosa.
“Oh, Kami…” mormorò.
“Il suo primo possessore è stato Eracle, gliela donò un Esperide per sconfiggere il drago a guardia delle mele d’oro” informò “Si chiama Anaklusmos
“Vortice” tradusse meccanicamente lui, osservando la spada affascinato “E posso prenderla?” chiese. La ragazza tentennò.
“Se proprio ci tieni” rispose.
“Forte” sussurrò lui “E come… ehm…”
Okuda si alzò sulle punte e toccò l’estremità della spada con un dito, quella tornò ad essere una comunissima penna a sfera.
“Grazie” rispose lui “L’unico rischio che posso correre è di perderla, immagino” aggiunse, infilandosi la penna in tasca.
“Non credo” rispose lei “È magica. Ovunque la perdi ti ritornerà sempre in tasca” informò, avviandosi verso l’uscita. Karma la seguì.
“Sul serio?” chiese.
“Prova” lo incoraggiò lei. Il ragazzo la tirò di nuovo fuori, prese la mira e la scagliò lontano; quella rotolò giù dalla collina e si perse nell’erba. Passarono una ventina di secondi quando Karma s’infilò la mano in tasca: la penna era di nuovo lì.
“Forte!” esclamò, estraendola “Credo che mi piacerà”
La ragazza fece una smorfia “Contento tu”
“Fammi indovinare, porta sfortuna anche questa” la anticipò lui.
“Immagino che un po’ tutte le armi portino sfortuna” rispose lei “Basti vedere che fine ha fatto Eracle: è uscito pazzo ed ha ucciso la prima moglie con tutti e otto i suoi figli, è stato costretto ad affrontare prove assurde, la sua seconda moglie lo ha ucciso tra atroci torture e poi si è suicidata”
“Quanta allegria” commentò lui “E ora?”
“È diventato un Dio, ha sposato Ebe e sta a guardia delle Colonne di Ercole nel Mediterraneo”
“Ah, beh… mica male”
“Però, Katoptris a parte, credo che la sfortuna nelle armi non sia del tutto vera: Eracle era perseguitato da Era in quanto figlio di Zeus, quindi tutte le sue sfortune sono dovute a lei. E poi ha ricevuto Anaklusmos quando stava già scontando le colpe per l’omicidio della sua famiglia” disse, scrollando le spalle “Ma… non lo so, quella spada mi dà una strana sensazione come se… come se avesse vita propria” spiegò, a disagio “Ma non farci caso: alcune armi si scelgono da sé il proprietario. Se l’hai presa vuol dire che è quella giusta” concluse.
In quel momento, un corno risuonò in lontananza.
“Ah, è ora di pranzo, devo andare a cambiarmi” disse lei “Ci vediamo dopo!” esclamò, correndo giù dalla Collina verso la Casa Sei. Karma fissò la penna che stringeva in mano: alcune armi si sceglievano da sé il proprietario, eppure, quando si era ritrovato la spada tra le mani, aveva immediatamente capito che fosse quella giusta per lui. Lo aveva sentito, in un certo senso, come se la lama stessa gli sussurrasse “Prendimi”; inquietante, vero, ma era così.
S’infilò la penna in tasca e scese la Collina diretto alla Casa Grande, pensando che, se esistevano gli dei, perché le armi non potevano scegliersi da sole chi doveva impugnarle?
 
 
Karma aveva avuto ragione di pensare che con la spada facesse davvero schifo visto la batosta ricevuta dalla ragazza di Ares… ma forse non tutto era perduto. Quando si era ripresentato nell’arena, quel venerdì mattina, aveva subito cercato la capogruppo della Casa Cinque; da quello che aveva capito si chiamava Katsumi Sasaki, aveva diciotto anni ed era la migliore tiratrice di scherma dell’intero Campo, dopo Karasuma.
Ok, forse era una pazzia chiedere aiuto alla figlia del Dio della Guerra (come gli aveva gentilmente fatto notare Nakamura la sera prima) ma non aveva molta scelta: non voleva fare la figura dell’idiota durante la Caccia alla Bandiera, quella sera.
La ragazza lo aveva ascoltato con pazienza mentre lui le esponeva la richiesta, non battendo ciglio al contrario di alcuni suoi fratelli che sghignazzarono allegramente; lei li zittì con un’occhiataccia.
“Hai già un’arma?” domandò. Karma tirò fuori Anaklusmos con una certa cautela, Itona gli aveva consigliato di non sfoggiarla troppo in giro. A Katsumi s’illuminarono gli occhi, poi scoppiò a ridere di gusto. “Hai fegato, ragazzo, per scegliere un’arma del genere” rise “E va bene, ti aiuterò” acconsentì infine.
Karma sapeva che non sarebbe stato facile, lei lo aveva avvertito sin da subito che non ci sarebbe andata leggera, però se l’era cavata meglio rispetto alla prima volta: l’arma, sebbene la stazza, non era per nulla pesante; riusciva a muoversi perfettamente quasi fosse un’estensione del suo braccio, parava colpi con facilità ma nell’attacco aveva serie difficoltà: riusciva a schivare i suoi colpi ma non ad attaccarla.
Alla fine lei lo disarmò mandandolo al tappeto, erano entrambi sudati e ansimanti ma lei sembrava stranamente compiaciuta.
“Hai talento, ragazzo” disse, rinfoderando la sciabola “L’ho notato subito, ti serviva solo l’arma giusta ma hai bisogno di fare pratica” decretò, porgendogli una mano che lui accettò.
“Grazie” rispose, raccogliendo la spada e ritrasformandola in una penna.
“Buona fortuna per stasera, pivello” esclamò, divertita, battendogli una mano sulla spalla e allontanandosi. Lui uscì dall’arena sfiancato, desiderava solo farsi una doccia e andare a pranzo ma aveva appena superato la Casa Grande quando un urlo lo fece trasalire.
Si voltò e vide un gruppo di ragazzi di Efesto correre dietro a quello che sembrava un centauro di bronzo grosso quando un pastore tedesco, lanciava frecce ovunque urlando “A morte!” con voce metallica.
“GIU’!”
Qualcuno si gettò su di lui e caddero entrambi sull’erba mentre tre frecce volavano oltre la loro testa e si conficcavano nel terreno.
“Qualcuno fermi quel centauro!” urlò una ragazza di Efesto. Dalle Case si affacciarono diversi ragazzi attirati dal baccano; Kirara Hazama, la figlia di Ade, uscì dalla Tredici ancora in pigiama e dovette abbassarsi per schivare una freccia che si conficcò in uno dei teschi ornamentali della porta.
“Ehi!” si lamentò.
“Scusa!” urlarono i ragazzi, in coro, continuando la loro corsa dietro il centauro. Alcuni ragazzi di Ares corsero fuori dalla propria Casa armati di lance e spade, imprecando in greco antico.
Il centauro arrivò in prossimità dei due ragazzi ancora stesi sull’erba e s’impennò, puntando una freccia contro di loro. D’un tratto la testa gli saltò via dal collo, cadendo poco lontano, e un fulmine si abbatté su di lui illuminandolo a festa… rimase per un attimo in piedi, poi crollò sull’erba fumando e sfrigolando.
Karma faticò a capire cosa fosse successo, puntini bianchi gli danzavano davanti agli occhi a causa dello spettacolo pirotecnico a cui aveva assistito e gli girava la testa. Qualcuno lo prese per un braccio e lo tirò su.
“Tutto bene, amico?” chiese una voce maschile.
Lui dovette sbattere le palpebre diverse volte per riacquistare la vista: intorno al relitto del centauro erano radunati diversi ragazzi di Efesto e di Ares, ancora armati, che osservavano nervosi una lunga spada nera conficcata nel terreno a pochi metri dalla testa dell’automa. Hazama li stava raggiungendo tranquillamente, come se non avesse nessun pensiero al mondo, mentre Touka Yada, la figlia di Zeus, scendeva a passo di marcia la collina. Quando Hazama si fece largo tra i ragazzi per raccogliere la spada e Yada iniziò a sbraitare contro un ragazzo di Efesto sprizzando scintille dal naso, Karma capì finalmente cos’era successo: Hazama aveva decapitato il centauro lanciandogli contro la propria arma e Yada lo aveva fulminato, utilizzando i suoi poteri da figlia del Dio dei Fulmini. Guardando il relitto dell’automa, il ragazzo ebbe un moto di compassione e timore: si appuntò mentalmente di non far mai arrabbiare quelle due.
“Ho detto che mi dispiace!” esclamò il ragazzo, Karma lo riconobbe quasi subito: era Taisei Yoshida, il fratello maggiore di Itona “Non è colpa nostra se è impazzito, noi volevamo solo una guardia dei confini magica…” spiegò.
“…o qualcosa che ci aiutasse nelle battaglie” aggiunse una ragazza. Quella però non era figlia di Efesto, Karma l’aveva vista al tavolo Sei: era Ritsu, se non sbagliava, la sorella di Okuda.
“Su, Yada, non è il caso di prendersela” la calmò uno dei ragazzi di Ares, armato con una mazza da baseball irta di punte “Non è successo nulla”
“Perché c’eravamo io e Hazama” sbottò lei, in risposta “Ad aspettare a voi, quei due sarebbero già morti!” sbottò, indicando Karma e l’altro ragazzo. I ragazzi si mossero, imbarazzati. Hazama si limitò a pulirsi la spada sul pigiama.
“Prima o poi ammazzerete qualcuno” constatò, atonamente.
“Detto dalla figlia del Dio dei Morti” commentò sottovoce un figlio di Ares. Lei alzò lo sguardo e lo trafisse.
“Come, prego?” chiese, con calma raggelante.
“Niente!” esclamò lui, terrorizzato, fissando la spada nera. Non seppe perché, ma Karma ebbe l’impulso di ridere.
“Non farci caso” disse il ragazzo accanto a lui “Succede spesso” spiegò. Karma si voltò verso di lui: era poco più basso, con una lunga frangia nera che gli copriva gli occhi. Sembrava tranquillo anche se un po’ inquietante “Ryunosuke Chiba, capogruppo della Casa Sette” si presentò.
“Un figlio di Apollo” constatò lui “Io sono Karma Akabane, della Casa Undici… per il momento”
In quell’istante la folla si diradò e le due ragazze si avvicinarono a loro: “State bene?” chiese Yada.
“Si, grazie” rispose Chiba. Karma stava fissando la spada di Hazama, incuriosito.
“Non è bronzo celeste” constatò. La ragazza puntò i gelidi occhi neri su di lui, che per un attimo si sentì come se un cubetto di ghiaccio gli stesse scendendo lungo la spina dorsale.
“No” rispose lei, tranquillamente “È ferro dello Stige, fabbricato con l’acqua del fiume Infernale” spiegò. Karma sbatté le palpebre.
“Forte” esclamò “Dove l’hai presa?”
Hazama scrollò le spalle: “L’hanno fabbricata gli scheletri al servizio di mio padre” rispose, come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Tuo padre ha al servizio degli scheletri?” chiese lui, colpito “E li ha creati lui o sono cadaveri di fabbri che lavorano per lui?”
Hazama sembrò un po’ sorpresa da quella domanda “Beh…” cominciò “Non lo so, a dire il vero” ammise. Si guardarono per un attimo, sconcertati, prima che il suono del corno che annunciava il pranzo li facesse sobbalzare tutti e quattro.
“Devo andare a cambiarmi” informò lei, prima di tornare alla propria Casa “Comunque glielo chiederò” aggiunse, rivolta a lui “Hai fatto venire il dubbio anche a me”
Karma sorrise “Io devo farmi una doccia” disse, stiracchiandosi, dirigendosi verso la Casa Undici, pensando che dopotutto Ade non gli sarebbe stato poi così antipatico.
 
 
Quando, a fine cena, Dioniso annunciò l’inizio della Caccia alla Bandiera, Karma era abbastanza tranquillo. Era lì già da due settimane eppure il processo di integrazione era stato più veloce del previsto, sebbene non conoscesse ancora tutti si era trovato subito d’accordo con quei pochi con cui aveva fatto amicizia; le lezioni erano piuttosto strane e aveva ingenti difficoltà nel tiro con l’arco e il lancio del giavellotto mentre se la cavava benissimo nel corpo a corpo, e stava migliorando anche con la scherma. Korosensei dava lezioni di greco e storia, e sebbene lui non avesse mai spiaccicato una parola di greco, riusciva in qualche modo a comprenderlo e leggerlo e stava anche imparando a scriverlo… in effetti era più semplice del giapponese. Riguardo la storia, Okuda gli aveva prestato il suo Dizionario di Mitologia Greca: i miti, le divinità e gli eroi da ricordare erano un botto ma tutto sommato se la stava cavando. I pegasi, però, sembravano avere una specie di avversione per lui tanto che Irina aveva dovuto cacciarlo dalla stalla un paio di volte borbottando che aveva di quei problemi solo con Hazama (e per un attimo gli venne il serio dubbio di essere figlio di Ade).
Ma oramai si era abituato un po’ a tutto… l’unica cosa che lo tormentava, in quel momento, era sapere chi fosse suo padre.
“Infila questa da sopra… e poi questa. Attento alla testa” illustrò Nagisa, passandogli varie parti di un’armatura.
“Uhm… perché dobbiamo infilarci l’armatura?” domandò Karma, perplesso, osservando la pesante casacca dorata che avrebbe dovuto indossare.
“È per abituarci a combattere con essa” spiegò lui “Però non la indossiamo mai completa, sarebbe troppo, giusto i pezzi principali per evitare di farci male sul serio. L’elmo” aggiunse, lanciandoglielo. Lui lo prese al volo.
“Ma siamo sicuri che non sia pericoloso?” chiese, perplesso.
“Ma no, tranquillo, sono mesi che non muore nessuno” lo informò Nagisa, con leggerezza; questo non lo aiutò per nulla.
“Inizio a pensare che diciate sul serio” ammise.
“Eh?”
“Nulla” sospirò, infilandosi la casacca da sopra la camicia. Quando si addentrarono nel bosco tutto era avvolto in un pesante silenzio: i ragazzi di Iride e Afrodite si erano accampati oltre il fiume, con scorte di ambrosia e provviste per i feriti, intenti a chiacchierare intorno ad un piccolo falò mentre arrostivano marshmallows e bevevano tè freddo. Per un attimo Karma l’invidiò: i pochi pezzi dell’armatura che indossava erano caldi e pesanti e stava già iniziando a sudare. Si chiese in che condizioni sarebbe stato a fine battaglia.
Nagisa lo guidò nell’ala est del bosco dove i ragazzi di Ares, Atena, Ermes, Efesto, Zeus, Poseidone, Nemesi e Dioniso erano già radunati intorno ad una grossa roccia: al comando c’erano Katsumi, Yada, Okuda, Itona e Kataoka.
“Piazzeremo sentinelle qui, qui, qui e qui” illustrò Katsumi, muovendo il dito sulla mappa del bosco “Poi ci serviranno delle trappole in questi punti”
“Ne stiamo già piazzando un paio qui, qui e qui” disse Itona, segnandoli uno ad uno “Metà della mia squadra è all’opera. Piazzeremo anche un inserto speciale a guardia della bandiera”
“Perfetto. Quindi saremo protetti su molti fronti” esclamò Yada.
“Ma non completamente: non dimentichiamoci chi hanno dalla loro parte, Asano non si farà ingannare così facilmente” rispose Kataoka “Dobbiamo aspettarci un attacco frontale”
“Io proporrei di mettere qualche arciere a guardia della bandiera. Quelli di Apollo credono di essere gli unici in grado di poter tirare frecce durante una battaglia, non se lo aspetteranno. E di lasciare comunque qualcuno via terra giusto per non destare sospetti” propose Okuda.
“Uno specchietto per le allodole… non si aspetteranno di venir bombardati dalle frecce” annuì Katsumi “Che dici Nakamura, i tuoi ragazzi se la sentono?”
Nakamura, che se ne stava seduta su di un sasso a mangiucchiare un Waffel, sorrise compiaciuta “Non potevi chiederci di meglio”
“Ehm…” l’interruppe Karma “Io faccio schifo a tirare con l’arco” ricordò.
“Si, lo sappiamo” annuì Kataoka “Tu ti occuperai di sorvegliare i confini del bosco, dovremo passare di là se vogliamo portare la bandiera oltre il fiume: tu, Nagisa e Okano ci coprirete le spalle o, nel peggiore dei casi, fermerere loro se riescono a prendere la bandiera. Fuwa e Kayano, voi starete a guardia della bandiera via terra, tutto il gruppo di Ermes si apposterà lì intorno con gli archi pronti. Itona, quando il tuo gruppo ha finito di postare le trappole vorrei che vi occupaste delle sentinelle, lasciò a te il comando completo”
“D’accordo” annuì lui.
“Hayami, quella con la mira più infallibile a nostra disposizione sei tu, ti apposterai a nord del Pugno di Zeus: abbatti qualunque nemico entri nel nostro territorio” ordinò Okuda. La ragazza annuì “Casa di Atena, voi andrete con Yada e Kataoka a sud. Creerete un diversivo. La tua squadra si occuperà dell’attacco frontale” aggiunse, rivolta a Katsumi “Lasciamo la presa della bandiera a voi”
“Li schiacceremo” sghignazzò lei “E tu vieni con noi, nanerottola” aggiunse, afferrando Okuda per la vita e mettendosela sotto braccio come un sacco di patate.
“Kyah!” la ragazza per poco non cadde faccia in avanti “Detesto quando lo fai” si lamentò ma lei la ignorò, sfoderò la spada e l’alzò al cielo come un vero generale “Distruggiamoli!” gridò. La folla ruggì la sua approvazione, brandendo le armi, poi si dispersero.
 
 
Karma non pensava che la Caccia alla Bandiera fosse così noiosa quando si era di retroguardia. Avevano messo loro tre lì perché erano i meno adatti a battersi sul campo se non in estrema necessità, mentre tutti gli altri erano dentro a divertirsi. Uno scoppio e il suono di una sirena li fecero sobbalzare, seguito immediatamente dal fragore delle armi e i gridi di battaglia.
“Beh, sembra che ci stiano dando dentro” commentò Nagisa, che sembrava abituato a quel genere di ruolo e quindi totalmente rilassato. Okano girava tra gli alberi armata di fucile, tutto sommato vigile anche se un po’ annoiata, mentre Karma mangiucchiava un marshmallows scroccato ai ragazzi di Afrodite.
“Di solito chi vince?” chiese.
“La Casa di Ares e di Atena si contendono in titolo di campioni da un bel po’” rispose Nagisa “Ma quelli di Apollo non sono da meno, meglio non sottovalutarli… ti lanciano certe maledizioni” aggiunse.
Un secondo scoppio e le voci si fecero più vicine, concitate. Si bloccarono e tesero le orecchie.
“Stanno arrivando” esclamò una voce tra gli alberi: una nereide spuntò dall’albero più vicino e si accostò ad Okano “Hanno preso la bandiera di Atena e si stanno dirigendo qui sul versante est. Nel contempo, sul versante ovest stanno arrivando con la bandiera di Apollo ma saranno leggermente in ritardo” illustrò.
“Capisco, grazie Mitsuko” rispose lei; la donna scomparve in una nuvoletta di fumo verde “Beh, che fate lì impalati?” aggiunse, imbracciando il fucile e caricandolo, uno sguardo serio è combattivo negli occhi scuri “Il nostro compito è fermarli!”
Karma dubitava fortemente che avrebbero potuto fermarli solo in tre, di cui uno Nagisa, ma almeno potevano sperare di riuscire a rallentarli. Tolse il cappuccio alla penna e Anaklusmos si materializzò nelle sue mani.
Un corno risuonò in lontananza: era il segnale.
“Respingiamo chi porta la bandiera, ignoriamo gli altri” esclamò Karma “Hanno l’aria di essere troppi”
“Ma loro non ignoreranno noi… e poi possono sempre passarsela” fece notare Nagisa.
“E noi placchiamoli” rispose lui, come se fosse la cosa più naturale del mondo “Ma non facciamoli passare”
Passò giusto un minuto, prima che dal bosco facesse capolino un’ingente gruppo di persone: due di loro reggevano in alto la Bandiera con l’effigie della civetta, mentre una ventina li circondava proteggendoli.
“Uhm… cambio di programma” rispose Karma, alzando la spada “Andiamo all’attacco e cerchiamo di arrivare alla bandiera”
“Okano, coprici!” esclamò Nagisa, estraendo il coltello. La ragazza puntò il fucile sul terreno, per non farli avanzare, mentre i due ragazzi si gettavano in avanti a spada tratta.
A pensarci in futuro era stata un’azione da suicidio se si fosse trattata di una battaglia vera, ma tutto sommato non c’era poi molta differenza. Dopo un paio di minuti fecero la loro apparizione i ragazzi di Ares seguita da tutti gli altri, Katsumi e Okuda portavano la bandiera mentre gli altri le scortavano; s’impietrirono quando videro la scena: Karma, Nagisa e Okano che arrestavano l’avanzata di almeno venti persone tutti da soli.
“Via! Sbrigatevi!” urlò Okano, caricando il fucile “Non li terremo a lungo!”
Neanche a dirlo, uno dei ragazzi afferrò la bandiera e si buttò oltre la folla. Okano lo seguì personalmente e dovette gettarglisi addosso per impedirgli di saltare oltre il fiume. Quello sembrò risvegliarli. Katsumi afferrò la bandiera, l’arrotolò come un tappeto e la ficcò tra le braccia di Okuda.
“Corri!” ordinò, poi sguainò la spada “Ragazzi, con me!” urlò, gettandosi nella folla e respingendo i nemici per impedirgli di avventarsi su Okano, che teneva ancora il ragazzo ancorato al terreno. Okuda girò i tacchi e corse oltre la mischia ma non riuscì a superare il fiume che venne tirata indietro da uno dei ragazzi di Apollo, finendo col sedere per terra. La bandiera le venne strappata di mano.
“Karma!” urlò lei. Il ragazzo si affrettò a raggiungerlo, lo prese alle spalle e lo gettò a gambe all’aria col piatto della spada, utilizzando la stessa mossa che aveva usato Katsumi contro di lui. Poi afferrò la bandiera e si mise a correre, superò il fiume con un salto e la dispiegò: l’effigie di Apollo brillò alla luce della luna. Korosensei fischiò.
“La Casa di Atena vince!” annunciò.
Scoppiò il caos: la Casa di Atena e rispettivi aiuti abbandonarono la battaglia e corsero oltre il fiume, esultando, abbracciandosi e gridando. Karma venne coperto di pacche e complimenti, insieme a Nagisa e Okano: se non fosse stato per loro avrebbero già perso.
“Ehi!” esclamò Katsumi, facendosi largo per raggiungerlo “Mi hai copiato la mossa?” chiese, minacciosa.
“Ehm… si?” rispose lui, incerto. Lei gli batté una mano sulla spalla.
“Bravo, ragazzo! Impari in fretta!” si complimentò lei. Poi lo tirarono su.
“Ehi, ehi… buoni!” esclamò lui, reggendosi dove poteva, mentre i ragazzi esultavano e lo portavano su per la collina “Ok, ok, va bene… ma adesso mettetemi giù, ho visto che morite dalla voglia di farmi cadere” aggiunse, rivolto ad alcuni ragazzi di Ermes che ridacchiarono. Lo scortarono tra gli esulti fino alla Casa Grande, dove Korosensei e gli altri istruttori li aspettavano; lo portarono davanti al co-direttore, che brandiva una corona d’Alloro.
“Complimenti, Akabane Karma” sorrise Korosensei “Una vittoria sofferta” commentò alzando la corona sulla sua testa, ma l’aveva appena poggiata sul suo capo quando l’intera folla trattenne il fiato all’unisono, lasciandolo andare di colpo e allontanandosi. Karma soffocò un’imprecazione, massaggiandosi il fondoschiena.
“E io lo sapevo!” sbottò ma quando alzò gli occhi capì subito che c’era qualcosa che non andava, a partire dallo sguardo dei presenti rivolto ad un punto imprecisato sulla sua testa al fatto che quel punto imprecisato della sua testa stesse brillando di rosso. Alzò gli occhi giusto in tempo per vedere due lance incrociate brillare sul suo capo prima che sparissero. Nella radura era sceso il silenzio.
“Ehm… che cos’era?” chiese, ma immaginava già la risposta.
“Non cosa ma chi” precisò Yada, ancora pietrificata.
“Tuo padre” aggiunse Kataoka.
Karma balzò in piedi, come se si fosse scottato: era quello il segno di cui gli aveva parlato Okuda?
“Ares” mormorò Irina, come se fosse una rivelazione sconcertante… poi Korosensei s’inchinò e così fecero i presenti, dal primo all’ultimo, e Karma finalmente capì: ciò che aveva atteso per due settimane si era finalmente avverato.
“Benvenuto, Karma Akabane, figlio di Ares, Dio della Guerra”.
Era stato riconosciuto.

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