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Bene! Questo è il primo capitolo. La storia più o meno
comincia un po’ prima dell’uscita al cinema di Bella e Jacob. Bhè, che dire
ancora? Spero vi piaccia!
MezzaVampira
Primo Capitolo
Attorno a me tutto brillava e la luce del sole riusciva ad
illuminare ogni cosa. Sentivo la fredda acqua salata rinfrescarmi dalla calura
del sole che batteva forte. Mi lasciavo cullare dal dolce movimento delle onde.
Chiudevo gli occhi e non pensavo più a nulla.
Gli riaprii di scatto e fu tremendamente fastidioso ed
irritante. Mi guardai intorno ancora scombussolata. La vista era leggermente appannata
e percepivo con chiarezza un dolce tremolio sotto di me.
“Dormito bene?” mi chiese una voce familiare, quella di
mia madre.
“Sì, fino a un attimo fa”
Mi strofinai gli occhi con entrambe le mani e mi tirai
indietro i capelli scompigliati e ricci. Guardai attraverso il finestrino
dell’auto in corsa e mi fu impossibile trattenere una smorfia. Il cielo era plumbeo
e grigio, pioveva e davanti a me sfrecciavano velocemente abeti, pini, betulle,
vegetazione da un tipico clima piovoso. In quel momento, un dannatissimo ed
indesiderato clima piovoso. L’esatto opposto di quello che stavo sognando:
momenti di vecchi ricordi estivi.
“Per quanto ho dormito?” domandai con la voce ancora
impastata dal sonno.
“Quasi tre ore” rispose mio padre al volante.
Mi sistemai meglio sul mio sedile con un sonoro sbadiglio.
Dormigliona ero nata, dormigliona sarei morta. Cominciai a guardare fuori dal
finestrino, mentre sentivo il rumore regolare del potente motore dell’auto di
mio padre, aspettando di svegliarmi del tutto. Feci appena in tempo a vedere il
cartello di benvenuto della nuova cittadina dove ci eravamo trasferiti.
“Eccoci a Forks” comunicò mio padre. Non appena entrati in
città dovette rallentare e sentii chiaramente le vibrazioni sotto di me
attenuarsi. Cielo grigio, foreste, cielo grigio, foreste; Forks non era molto
diversa dal luogo dove abitavamo prima, una zona campagnola vicino a Chicago.
Cielo grigio e foreste anche là.
Più ci avvicinavamo al centro della cittadina, più le
foreste lasciavano posto a semplici abitazioni e a qualche raro negozio. Poche
erano le persone che vedevo lungo i marciapiedi e tutti senza eccezione si
voltavano interessati al nostro passaggio. Ah, capito; già sapevo che Forks era
la cittadina più piovosa degli Stati Uniti con la bellezza di circa tremila
abitanti, ma solo ora mi ero accorta che era anche la tipica cittadina dove
tutti sapevano tutto di tutti e dove i nuovi arrivati erano l'attrazione della
giornata, che vecchiette bisbetiche non si facevano scappare l’opportunità di
prendere come succoso nuovo materiale di pettegolezzi. Va bene, forse stavo
esagerando; magari le vecchiette bisbetiche non c’erano, ma era evidente che
qui le voci del nostro arrivo sarebbero corse molto velocemente. Girando la
testa verso il finestrino opposto, infatti, vidi una donna di mezz’età
chiacchierare interessata con un’altra di poco più giovane, mentre indicava la
nostra autovettura. Ripensandoci bene, sull’assenza di vecchiette bisbetiche
non ci avrei messo mano sul fuoco. Anche se una Lamborghini in una città così
piccola dava non poco nell’occhio. Mannaggia ai miei genitori e alle loro auto
veloci.
In breve arrivammo in pieno centro, dove spuntavano gli
edifici della stazione di polizia, della scuola elementare e di tutte le
principali strutture della città.
“Dalle fotografie non sembrava che le scuole elementari
fossero così ben tenute” commentò con una punta di vivacità mia madre, che
sarebbe stata la futura nuova insegnante della Forks Elementary School.
“Non si può dire lo stesso dell’ospedale” controbatté, a
pochi metri dalla scuola, mio padre, il nuovo medico primario dell'ospedale,
dove di recente era stato lasciato un posto vacante.
Passarono solo pochi minuti e ritornarono di nuovo gli
alberi. Ecco Forks, un reale buco di paese, dovevo ammettere; altra cosa di cui
mi resi conto solo allora. A Chicago era tutto diverso e tutto molto più grande
e facile. Sapevo che la mia vita sociale non avrebbe ingranato particolarmente
in una città con così pochi abitanti e con così poca scelta; ero una ragazza un
po’ particolare. La nostra casa si trovava fuori città, non molto lontano dal
centro, in una zona folta e boscosa. Io non l’avevo vista, ma mia madre mi
aveva detto che era “una vera delizia” ed era quello che più mi preoccupava.
L’auto rallentò lentamente fino a fermarsi; eravamo già arrivati.
“Che meraviglia!” Mio padre entusiasta scese dall’auto, seguito
da me e da mamma. Appena scesa dovetti coprirmi con il cappuccio del giubbotto
per ripararmi della pioggia che stava aumentando. Potei finalmente ammirare la
mia nuova casa in tutto il suo splendore. Tanto era lo stupore, la sorpresa,
l’euforia che non mi potei trattenere…
“Eh?!” esclamai, lasciandomi andare in un verso da papera.
Ma quel “Eh?!” ci stava tutto. La casa, o cosa,
cambiava di poco, era un’enorme e bianca villa, perché questo e nient’altro
era, a tre piani, escluso il pianoterra e la mansarda. Per non contare la
cantina ed il garage che molto probabilmente si trovavano nel seminterrato. Non
c’era nessun altro aggettivo se non “deliziosa” per descriverla. Dava
l’impressione di essere ingombrante. Non combaciava esattamente con l’immagine
che mi ero fatta.
“Che cosa diamine vuol dire Eh?” disse mio padre
secco, appoggiando il gomito sopra il tettuccio dell’auto nera.
“Mi avevate detto che era abbastanza modesta. Questo”
dissi puntando il dito contro l’abitazione “non è modesto!” Mia madre mi stava
perforando con lo sguardo.
“Non sto dicendo che non va bene…”
“Infatti è perfetta per noi” mi interruppe mio padre “è in
mezzo ai boschi, fuori dalla cittadina, in una zona tranquilla. Tua madre ha
fatto una affarone.”
“Ma non è troppo…troppo…troppo tutto solo per noi tre?”
“Sì, ma in una città così piccola è stato davvero un colpo
di fortuna trovare una casa” si intromise mia madre tranquilla “Pertanto, non
ha alcuna importanza il tuo parere; in ogni caso avremo abitato qua” continuò
sarcastica con un sorriso. Si diresse poi verso l’ingresso, seguita da mio
padre sorridente. Sbuffai, ma sorrisi anch’io, preparandomi psicologicamente
per l’interno. La porta d’ingresso era in pesante mogano seguita da una grande
veranda coperta da eriche ed erbe selvatiche. Ecco, questo mi piaceva. Mio
padre invece si stava guardando intorno insoddisfatto.
“Sarà meglio togliere queste erbacce…” Cosa?
“Perché?” dissi seriamente dispiaciuta. Mio padre mi
guardò sorpreso, mentre mia madre estraeva velocemente da quella cosa indecente
chiamata borsa le chiavi.
“Mi piace” mi limitai io. Mio padre fissò mia madre.
“Io ho smesso di capirla dieci anni fa” rispose lei
rassegnata. In effetti non tutti traevano piacere dall’avere erbacce che
devastavano la propria veranda. Con destrezza mamma aprì la porta e finalmente
entrammo. Questa volta nessun verso non identificato uscì dalla mia bocca. Al
momento ero troppo sconcertata. Prima di notare il grande e impolverato
lampadario appeso al soffitto, prima di notare la grande scalinata che portava
al primo piano, prima di notare la porta in legno che dava al salotto e che
mamma aveva subito aperto, notai il bianco. Tutto in quel luogo era bianco,
dall’intonaco delle pareti alle piastrelle in marmo, dalle scale ai drappi che
coprivano alcuni dei mobili lasciati dai vecchi proprietari. Era decisamente
inquietante.
“Allora, che ne pensi?” chiese mamma “Ah, è vero! Tanto
quale che sia il tuo parere non conta” Corrugai le sopracciglia e la guardai
corrucciata.
“Lo sai che sei davvero antipatica quando fai così?”
“Scherzi a parte, come ti sembra?” chiese mio padre con
una decina di teli bianchi tra le braccia. Perché doveva andare sempre così di
fretta! Cosa ci trovava di tanto orribile nella calma?!
“La ridipingeremo, vero?”
“In effetti” Sì avvicinò ad una delle parerti ed indicò
prima quella, poi la propria carnagione “Non c’è molta differenza”
“Sì, la dipingeremo, se vuoi” mi rassicurò mia madre “ma
per il resto?” Mi guardai intorno con attenzione prima di risponderle.
“Sì, mi piace” affermai “dopo che l’avremo ridipinta, sia
chiaro” precisai.
“Bene” se ne uscì mio padre con un sorriso. In quel mentre
il suo cellulare squillò. Rispose prima che lo squillo fosse finito.
“Pronto?” Alcuni secondi di attesa “Certo.” Il secondo
dopo era già tornato fuori sotto la pioggia.
“Intanto che tuo padre finisce di parlare con la ditta di
trasporti vai a sceglierti la tua camera”
“Ah! Credo che tra una camera e l’altra non ci sarà molta
differenza” dissi incamminandomi verso la scalinata “Bianco, bianco, bianco,
bianco…” cominciai a blaterare.
Infatti le pareti del primo piano erano tutte bianche,
compresa la moquette del pavimento. Cominciai ad aprire con malinconia tutte le
porte che incontravo, ma, come previsto, tutte le stanze sembravano uguali. La
casa però non era male, soprattutto per una cosa: nella parte retrostante
dell’edificio il calcestruzzo delle pareti era stato sostituito dal vetro. In
questo modo tutte le stanze della casa possedevano una grande parete-finestra
che si apriva su un paesaggio mozzafiato, fatto di alberi e montagne. Altro
punto in più per la nuova casa.
L’ultima stanza del primo piano, a differenza delle altre,
era anticipata da una porta in legno più spessa e con alcune decorazioni. La
stanza oltre quella porta era la più grande di tutta la casa, come lo era anche
la vetrata come parete. Ma era già occupata; davanti alla vetrata c'era già una
scrivania, che mio padre aveva già pensato di privare del telo, e alle pareti
grandi ed alti scaffali vuoti. Sarebbe stato senz’altro il suo ufficio. Decisi
perciò di passare al piano superiore, mentre sentivo il rumore dei camion di
trasporti avvicinarsi.
Al secondo piano la ricerca della camera ebbe finalmente
esiti positivi e perfino inattesi. Non avrei mai creduto che in quella casa ci
potesse essere una camera che non avesse pareti bianche. Anche la stanza in
questione come le altre aveva la parete-finestra, ma l'intonaco delle altre non
era bianco, ma di un caldo oro, il mio colore preferito d’altronde. Avrei anche
potuto scegliere un’altra delle infinite camere della casa e decidere poi io il
colore delle pareti, ma avere la camera già pronta era un grande risparmio di
tempo.
Sentii voci estranee e rudi provenire dal salotto: gli
addetti della compagnia di trasloco dedussi.
“C'avrei scommesso che avresti scelto questa” Mio padre
era apparso dietro di me per un preciso motivo; odiava la calma, e di
conseguenza le persone che facevano le cose con calma. Aveva quindi dato
immediatamente a mamma il compito di informare gli addetti dove collocare i
vari mobili, non sopportando la loro lentezza di persone normali. Non avrebbe
retto e si sarebbe innervosito.
“Vediamo se indovino dove vorrai sistemare i tuoi mobili”
lui si avvicinò al vetro “qua la scrivania e qua vicino il letto” si volse
verso di me “perché scommetto che vorrai goderti a pieno questa fantastica
vista.” Mio padre mi conosceva davvero bene.
“Sono davvero spettacolari queste pareti-finestre”
“Già” affermai io. Lui ritornò alla stanza.
“Là lo scaffale dei libri, nell’angolo lo specchio e
vicino l’armadio, nell’altro angolo l’impianto stereo” Cominciò infine ad
indicare vari punti sul pavimento “e qua un cd, qua un altro, là un altro
ancora.” Non ero stata mai una campionessa nell’ordine ed i miei cd ne erano la
prova. Mio padre cominciò ad osservarmi.
“Dov’è finito il porta cd che ti ho regalato?” Feci
spallucce. In realtà lo avevo regalato al signor Jackson, il mio vicino di casa
a Chicago, se si poteva definire vicino una persona che abitava a quasi un
chilometro di distanza. Non era brutto quel raccoglitore, ma serviva al signor
Jackson per i suoi dischi in vinile e mi era sembrato un gesto gentile
regalarglielo. Io sarei stata bene anche senza. No, ad essere sincera odiavo
quel porta cd; era ingombrante ed inutile e da tempo me ne volevo sbarazzare.
“Ah…lo sapevi che
il signor Jackson ne ha uno uguale?” Cavolo, beccata.
“Davvero? Che coincidenza…” dissi facendo finta di nulla.
“Ah ha” mi guardò poi con un sorriso sincero “ma te ne ho
regalato un altro” Cavolo alla seconda.
“Non avresti dovuto” Certo che non avresti dovuto!Cercai
di sembrare contenta, ma lui non sembrava convinto.
“Sto scherzando. Lo so che l’hai regalato al signor
Jackson perché ne aveva bisogno” Il “perché ne aveva bisogno” non era proprio
proprio giusto, ma non volevo mettere i puntini sulle 'i'.
“Smettila però di provare a raccontare bugie; con noi non
ci riesci e questo lo sai.” Già, era vero; io mi impegnavo, ma non capivo come
diamine riuscivano a beccarmi sempre. Cominciò a battere convulsamente il piede
sul pavimento stizzito ed annoiato.
“Quanto tempo ci mettono ancora?” Questa volta fui io a
sbuffare. Guardai l’orologio.
“Sono passati a malapena cinque minuti. Dovrai aspettare
fino a sera perché finiscano di sistemare tutto”
“E quindi devono passare ancora un po’ d’ore” sbottò
particolarmente irritato.
“Sei insopportabile quando fai così”
“Sai che l’unica persona che non mi dispiacerebbe uccidere
è quella che di nome fa Calma e di cognome Tranquillità” Scossi la testa.
“Lo so che le mie battute sono delle trovate geniali, ma
non ti permetto di copiarle!”
“No, sono delle pessime battute che solo una ragazza
strana come te potrebbe concepire”
“Grazie per la ragazza strana” dissi sarcastica.
I miei genitori erano diversi dagli altri in molti aspetti
ed anche un po’ particolari, come d’altronde lo ero io, in altri modi però.
Ormai loro si divertivano a prendermi in giro per come mi comportavo. Per
esempio, la ragazza di sedici anni tipo si trucca, indossa vestiti mediamente
aderenti, gonne, stivali, borsette. Per me, invece, era un po' diverso: l’unica
cosa che mettevo sulla mia faccia era il sapone la mattina, i miei vestiti non
erano più stretti di una L, anche se portavo ufficialmente una M, e le parole
“gonna” “stivali” e “borsetta” non appartenevano al mio dizionario. Mamma
apparse all’improvviso davanti alla porta.
“I traslocatori devono sistemare i mobili nella camera di
Abigail” comunicò guardando sconfortata mio padre, che scosse la testa e sbuffò
uscendo dalla stanza, seguito da me disperata quanto mamma. Come dicevo, anche
lui a quanto stranezza non scherzava.
Aprii improvvisamente gli occhi a causa di
quell'assordante rumore. Una mano uscì automaticamente dal piumone del letto
per cercare a tastoni quella terribile… cosa. Finalmente il rumore smise. Mi
girai dalla parte opposta ed affondai la testa sotto le coperte. L’uomo non si
poteva risparmiare l’invenzione della sveglia, che diamine? Di malavoglia tirai
giù le coperte. Un per niente accogliente freschetto mi avvolse e mi spinse a
rimettere le coperte immediatamente dov’erano prima. Sbuffai alla sola idea di
dover ritirar fuori la testa.
“Che palle…” mormorai scaraventando letteralmente le
coperte giù dal letto.
Mi alzai ed uscii dalla camera in modo simile ad un automa
per dirigermi verso il bagno, ovvero la stanza direttamente opposta alla mia.
Mi lavai e tornai in camera per scegliere i vestiti. Optai per la mia tuta
preferita, quella dorata. Oggi era il primo giorno di scuola e mi sarebbe
piaciuto che non fosse un disastro sociale. Volevo cercare di adattarmi più che
potevo, per questo avevo scelto quella; era la meno larga che avevo e la più
elegante, a modo suo, s’intende. D’altro canto i jeans non li potevo vedere, in
quanto erano assurdamente stretti e scomodi, quindi la scelta non sarebbe mai
ricaduta su di loro. Scesi poi al pianoterra a prepararmi la colazione.
Arrivata in salotto ebbi una bella sorpresa; i miei genitori mentre dormivo avevano
finito di ordinare tutto quello che mancava ed adesso a vivacizzare l’ingresso
c’era il grande tappeto persiano su cui adoravo distendermi e arrotolarmi.
Una volta che gli addetti ai traslochi avevano terminato
mamma e papà, con sua grande gioia, avevano provveduto a risistemare meglio la
casa, mettendo a posto il salotto, la cucina e le altre stanze, ad eccezione
della mia, l’unica di cui mi sono personalmente occupata.
Attraversai velocemente l’ingresso per entrare in salotto.
Ecco un’altra sorpresa; le pareti erano state ridipinte d’oro. Ora sì che
andavano bene. Il salotto ne aveva proprio bisogno; prima l’unica cosa che si
distaccava dal bianco era un pianoforte che i vecchi proprietari avevano
lasciato. Giunsi quindi in cucina, una grande cucina bianca, che però il legno
del tavolo e dei mobili non rendeva monocolore. Proprio sul tavolo c’era la mia
colazione. Avevo detto mille volte a mamma che della cucina me ne occupavo io,
ma lei non mi aveva mai lasciato fare. Diceva che cucinavo da schifo, ma,
primo, che ne sapeva lei di come cucinavo, e secondo, certo che cucinavo da
schifo se non mi lasciava mai provare! Incominciai a mangiare sola, chiedendomi
dove fossero andati quei due.
Nemmeno a farlo apposta erano già lì davanti a me, vestiti
e pronti per la loro prima giornata di lavoro. La gonna che arrivava alle
ginocchia di mia madre ed i bellissimi e lunghi capelli castano ramati tirati
indietro la facevano sembrare nient’altro che la maestra delle elementari per
eccellenza e lo stesso era per mio padre, un perfetto medico con completo nero
e camicia azzurra, insieme all’indimenticabile camice bianco. Assomigliavano
molto a protagonisti di qualche telefilm; solo che in questo caso mia madre era
la dolce e gentile maestra delle elementari strafiga, mentre mio padre
era il brillante medico chirurgo strafigo. Non c’era che dire, i miei
genitori erano davvero belli. A differenza della figlia dal naso a patata. In
quello momento però c’era un piccolissimo problema che… tanto piccolo poi non
era. Mi guardavano sorridenti, aspettando.
“Allora?” mi chiesero. Li scrutai da capo a piedi con aria
critica. Non c’eravamo proprio.
“Non più di venticinque” dissi risoluta alla fine.
“Non più di venticinque? Ne dobbiamo dimostrare almeno
trenta!” esclamò mia madre.
“Nessuno vi crederà trentenni!” Mio padre corrugò la
fronte serio.
“Non possiamo fare di più, Abi, lo sai. E con i documenti
la gente ci crederà comunque…”
“Fate come volete, la mia opinione l’ho detta…” borbottai
guardando improvvisamente interessata il latte che stavo muovendo con il
cucchiaio.
“Almeno un minimo di incoraggiamento lo potresti anche
dare.” Alzai improvvisamente gli occhi.
“Volete un incoraggiamento? Va bene!” indicai mia madre
“Tu, spero che con il tuo sorriso ammalierai tanti dolci bambini. E tu”
indicando mio padre “ti auguro di conquistare tutte le infermiere
dell’ospedale” Entrambi mi guardarono con un risolino sul viso.
“Bè… se meglio di così non riesci a fare…” disse mio padre
scuotendo la testa per poi guardare l’orologio della cucina “Sophie, è ora di
andare”
“Già. Buon primo giorno di scuola, Abi. Ci vediamo dopo.”
disse mia madre con già indosso il cappotto. Già, primo giorno di scuola.
“E ricordati…”
“…che i miei genitori sono morti in un incidente stradale
due anni fa ed ora vivo con i miei zii, lo so!” finii per mio padre. Tra poco
mi sarebbe uscito dalle orecchie. Mio padre sorrise.
“Buona giornata, tesoro!” dissero all’unisono, prima di
chiudere la porta. Il biscotto che avevo in mano mi si frantumò tra le dite.
Tesoro, ma ti prego. Guardai l’orologio anch’io. Tra poco sarei dovuta andare.
Presi un altro biscotto e lo immersi nel latte.
Far credere di avere un’età diversa; molti lo facevano, ma
si fingevano più giovani, non più vecchi. Era un dato di fatto; i miei due
genitori sembravano terribilmente giovani per avere una figlia diciassettenne e
tentare di dimostrarsi più vecchi era impossibile, soprattutto quando la figlia
poteva essere benissimo scambiata per loro sorella; anche se in realtà erano
dei vecchiacci, soprattutto mio padre. Scossi la testa; solo loro potevano
farlo, vampiri.
Sono curiosissima di sapere cosa ne pensate. Come inizio è
un po’ poco, ma dal secondo capitolo ci saranno importanti sviluppi.
Vi ho fatto aspettare un po', ma ecco il secondo capitolo!
Secondo Capitolo
Ieri non avevo avuto il tempo di controllare se stava
bene; era stata, insieme all’auto di mamma, l’ultima nostra proprietà ad essere
rilasciata e avevo potuto solo superficialmente constatare se andava tutto
apposto. Non avevo nemmeno acceso il motore.
Dopo aver finito di fare colazione mi precipitai giù in
garage già con lo zaino in spalle per controllare con più attenzione il telaio.
Non appena avevo visto il garage mi erano cadute letteralmente le braccia;
enorme era troppo poco. Era una specie di distesa di cemento grande quasi tutta
la casa, illuminata da una ventina di lampade al neon. Decisamente troppo per
due auto e una moto.
Sospirai di sollievo; gli addetti al trasloco avevano
fatto attenzione e non era stata scalfita in nessun modo. Misi casco e guanti
prima di accendere il motore. Un piccolo attacco di adrenalina percorse tutta
la colonna vertebrale. Anche il motore era intatto. Premetti la frizione e poi
l’acceleratore. Via. Uscii dalle porte del garage che erano già state aperte
dai miei genitori ed attraversai il vialetto che conduceva alla strada
principale non più dei quaranta, per poi raggiungere i centoventi in dieci
secondi. Andavo matta per le moto da corsa; insieme alla break dance e alla
corsa.
C’era una pioggerellina leggera che bagnava l’asfalto e ed
il cielo non era cambiato molto rispetto a ieri; si poteva dire che quella era
una buona giornata.
Sapevo che non sarebbe stata una buona idea arrivare il
primo giorno di scuola con lei, avrebbe attirato troppo l'attenzione e avrebbe
corso il rischio di essere rovinata da qualche deficiente, ma fino a che non mi
procuravo un altro mezzo dovevo adattarmi. A Chicago non era un problema, a
scuola si trovavano moto e auto ben più vistose di una KTM, ma qui a Forks
invece era tutta un’altra cosa.
Il rumore doveva essere giunto prima del mio arrivo; non
appena apparve davanti a me la Forks High School tutti gli studenti che si
trovavano in giardino avevano gli occhi puntati su di lei ed alcuni si erano
anche sporti dalle finestre delle aule.
Mi fu difficile trovare un parcheggio, anche perché non
c’era. Ero stata abituata troppo bene a Chicago. Mi limitai quindi ad occupare
uno dei posti per le auto. Spensi il motore e scesi togliendomi il casco. Non
sarebbe stata però una cattiva idea tenerselo in testa; tutta la scuola stava
guardando chi me, chi la moto. Dovevo proprio sembrare un alieno a questi
campagnoli dalla vita monotona. Erano proprio messi male se se si comportavano
in questo modo esagerato per una moto. Non era piacevole, ma non ci potevo fare
niente. Pazienza. Mi diressi verso l’entrata della scuola con scioltezza. Non
mancarono i commenti idioti insieme ad un totale e sorpreso silenzio. Ma io
adoravo i commenti idioti, perché poi ero indiscutibilmente costretta a
ribattere. C’era però solo un mormorio indistinto e di pochi riuscii a sentire
il contenuto.
“ma da dov’è uscita questa!” disse troppo rumorosamente un
ragazzo dai voluminosi capelli ricci. Tirai avanti senza degnarlo di uno
sguardo; non sembrava antipatico, non mi andava di ribattergli.
Continuai a far finta di niente fino all’entrata della
scuola. Lì c’era un gruppetto di ragazze che avevano cominciato a squadrarmi da
capo a piedi con un’espressione che sembrava anticipare un connotato di vomito.
“ma non si è guardata allo specchio questa mattina?” disse
una brunetta del gruppetto all’amica bionda.
“secondo me nemmeno ce l’ha lo specchio, Rachel” Speravo
che non avessero notato che le avevo sentite.
“Ciao, Rachel! Tutto bene?” le chiesi con un sorriso a
trentadue denti e continuai a camminare dritto. Quando tornai a girare la testa
verso l’entrata riuscii a sentire parte della loro conversazione.
“La conosci?!” La bionda era la perplessità fatta a
persona.
“No…no…” E potevo immaginare il rossore sulle guance della
bruna per la vergogna. Sul viso mi si dipinse il mio tipico sorriso sghembo.
Oltre la porta d’entrata la scuola non era ancora piena di
studenti e riuscii a passare inosservata. Mi diressi verso la segreteria lì
vicino per farmi consegnare l'orario delle lezioni. Al bancone c’era la stessa
donna di mezza età che avevo visto spettegolare l’altro giorno sul marciapiedi.
Il mondo era piccolo. Dall’auto non mi ero accorta dei tinti capelli rossi e
degli occhiali spessi. Mi guardava interessata e sorpresa.
“Tu devi essere la nuova studentessa, Abigail Adams” La
sua voce aveva un non so che di viscido. Guardai la tessera di riconoscimento
che aveva attaccata al petto. Signorina Cope. Il signorina data l'età non era
molto adatto. Ecco la prima di una serie di simpatiche zitelle pettegole. Io
annuii con la testa. Mi porse un foglio.
“Questo è l’orario delle lezioni che hai richiesto” Me ne
porse subito un altro “E questo lo devi far compilare ai docenti di questa
giornata”
“Capito. È possibile avere anche una cartina della
scuola?” Mi guardò dolente.
“Mi dispiace, cara. Non credo che siano più disponibili”
Rabbrividii al cara. Alzai e riabbassai impercettibilmente le spalle;
nessuna cartina, perfetto. Speravo solo di non perdere troppo tempo a
distinguere le aule le une dalle altre ed arrivare in ritardo. Non era affatto
un buon inizio.
“Non importa, me la caverò.” Tornai indietro ed aprii la
porta d’uscita della segreteria. Mi fermai di colpo sull'uscio.
“Arrivederci” dissi girando velocemente la testa.
L’educazione era la prima cosa per fare buona impressione.
“Arrivederci anche a te, cara. E buona fortuna” La
segretaria sembrava contenta del mio saluto. Io invece non tanto per il “cara”.
Quando uscii dalla stanza il mio sguardo era fisso sull’orario: vedevo ore di
matematica, trigonometria, biologia, chimica e scienza della terra. Sorrisi
involontariamente; erano le mie materie preferite. Nessuno avrebbe mai detto
che fossi portata per queste cose; mamma mi diceva sempre che le persone
tendevano a scambiarmi per una ragazza con la testa sulle nuvole. Le apparenze
ingannavano da morire. Trovavo le materie scientifiche particolarmente
interessanti, per questo avevo fatto in modo di inserire nell’orario molte loro
ore. Guardai l’orario del giovedì: alle prime due c’era biologia. Perfetto. Ora
il problema era trovare la stanza. Poi mi guardai finalmente attorno: ora era
pieno di studenti che mi guardavano come se fossi un maiale blu.
“Ehi!” Mi girai verso il proprietario della voce. Era un
ragazzo moro piuttosto magricello, con un bel po’ d’acne sul viso.
“Tu devi essere Abigail” Mi porse la mano ed io la
strinsi.
“In persona”
“Ahi!” la ritrasse subito “Che forza!”
“Scusa” Era il primo studente che mi rivolgeva la parola e
continuavo a ripetermi le parole “buona impressione”.
“Fa niente. Io sono Eric Yorkie del quinto anno. Tu invece
frequenti il…?”
“Il terzo” Diventò all’improvviso impacciato e l’allegro
sorriso che aveva svanì in un attimo, lasciando il posto ad uno insicuro ed
imbarazzato.
“Ah… sei più piccolina” piccolina? Feci un respiro
profondo. Buona impressione, buona impressione, buona impressione.
“Puoi aiutarmi?” dissi sviando subito l’argomento “età”
per incalzare quello “aiutami”.
“Certo”
“Sai dov’è l’aula di biologia?”
“Ah… in segreteria non abbonda di piantine, vero?”
“Sì, ma solo quelle verdi…” proruppi io di botto in una
delle mie pessime battutine. Mannaggia, mi veniva automatico. Lui fece una
risata trattenuta.
“Divertente...”
“Eh già” Ora l’insicura ero io. La campanella suonò
all’improvviso per tutto l’atrio, convincendo Eric a sbrigarsi a dirmi quello
che volevo sapere.
“Comunque, l’aula di biologia la trovi finito questo
corridoio a destra. Scusa, ma ora devo proprio andare. Ti accompagnerei
volentieri, ma la mia aula è dall'altra parte. Ciao.” disse mentre si
allontanava da me correndo. Gli risposi con un cenno della mano guardandolo
scappare veloce e seguii le sue istruzioni. Anch’io arrivai in fondo al
corridoio mantenendo un passo sostenuto e sperai vivamente che la lezione non
fosse già cominciata, esaudendo così le mie peggiori prospettive. Feci in
fretta a bussare ed ad entrare. Tutti erano già seduti al proprio posto e mi sentii
per un breve momento particolarmente a disagio, che sparì non appena mi accorsi
che il professore era distratto a trafficare tra un mucchio di fogli. Mi
diressi verso di lui. Non alzò subito la testa per osservarmi, quindi ne
approfittai per dare una veloce occhiata all’aula. Era piuttosto grande, con
diversi cartelloni su cellule, meiosi e fotosintesi appesi alle pareti. Non
male.
Finalmente alzò lentamente la testa e mi squadrò, come
stava facendo tutto il resto della classe. Prese in mano il foglio che gli
stavo porgendo, lo firmò con uno svolazzo. Stava per riconsegnarmelo, ma si
bloccò con lo sguardo fisso sempre sul foglio.
“Signorina Adams, le devono aver dato l’orario sbagliato.
Questo è il corso di biologia per il quinto anno.”
“Appunto” gli risposi. Gli presi il foglio dalle mani,
mentre lui mi guardava in modo un po’ truce. Cavolo, “appunto” non doveva
essere stata una risposta gentile.
“Può andarsi a sedere vicino a Swan” e tornò alle sue
carte. Feci quindi scorrere lo sguardo per l’aula in cerca di chi potesse
essere Swan. Non mi fu difficile capirlo, in quanto era l’unica persona vicina
ad un posto vuoto. Andai verso di lei. Swan era una ragazza dai lunghi capelli
neri con gli occhi scuri, semplice, non molto diversa dalle altre. Aveva una
carnagione pallida, come tutte le persone che abitavano in un buco senza sole
come Forks, e due occhiaie un pò marcate, dovute forse a notti passate in
bianco. Le lanciai un'occhiata mentre mi sedevo sullo sgabello imbottito vicino
a lei e mi toglievo lo zaino dalle spalle. Altra cosa, questa ragazza aveva la
testa terribilmente tra le nuvole: non si accorse nemmeno che c'era qualcuno
accanto a lei tanto era concentrata nei suoi pensieri. Avrei voluto
presentarmi, ma il professore iniziò a parlare dell’argomento del giorno e
decisi che era meglio evitare di irritarlo ancora.
Quella fu un’ora lunga, continua e noiosa. Il docente fece
una breve introduzione sulla teoria darwiniana che avevo già studiato l’anno
scorso e che era di una noia insopportabile. Mi limitai a prendere qualche
appunto ed ad osservare di tanto in tanto Swan, cercando di evitare gli sguardi
diretti a me e i leggeri mormorii provenienti dal fondo. Prendeva appunti come
tutti e stava in silenzio, ma la sua espressione era persa in chissà quale
mondo. Era piuttosto inquietante.
La campanella suonò ed il professore smise all’istante di
parlare, mentre tutti i presenti nell’aula si alzavano dai propri banchi.
Nessuno si fermò ad aspettare il mio vicino, che in breve si ritrovò sola
insieme a me. Aveva riempito il proprio zaino e si era già alzata. Colsi
l’occasione al volo.
“Io sono Abigail Adams, quella nuova.” Lei si girò verso
di me all’improvviso e sobbalzò. Non si era davvero accorta di me. Cercai di
sembrarle amichevole sfoderando il mio sorrisino sghembo, ma invece di farle
una buona impressione sembrava che avessi avuto l'effetto opposto; mi stava
guardando immobile.
“Ehi, tutto bene?”
“Sc…scusa, non ti avevo sentita" La sua voce era
molto serena. "Ah... Tu quindi sei Abigial. Io mi chiamo Isabella Swan, ma
preferisco Bella.”
Era intenta a mettersi lo zaino sulla spalla, perciò non
si accorse dei miei occhi sbarrati. Bella? Bella?! O mio Dio. Era peggio
dell’orribile. Bella! Se mi fossi chiamata Isabella non mi sarei mai, mai, mai,
fatta chiamare Bella! Bella! Bella! Mi sarei fatta chiamare Lisa, oppure
ancora meglio Easy, ma Bella no! E che cavolo: dai, Abigail, il nome era suo e
poteva fare quello che voleva... Bella... Bella… No, non ce la facevo, era più
forte di me.
“Scusa, ma ora devo andare.”
Questa volta fu lei a riportarmi sulla terra. Senza
aggiungere altro si diresse fuori dall’aula. Io la lasciai fare; non volevo
crearle ulteriori disturbi.
Diedi un’occhiata veloce all’orario delle lezioni.
Matematica. Bene. Adesso dovevo solo trovare l'a…
“Bella!” la chiamai mentre stava uscendo in corridoio. Al
diavolo i disturbi. Corsi veloce verso di lei e la fermai appena in tempo. La
raggiunsi e uscii dall’aula salutando anche il professore, che mi rispose con
un brontolio. Speravo vivamente di non avergli fatto una brutta impressione.
“Scusa, ma mi potresti dire dov'è l’aula di matematica?”
“Certo, è dalla parte opposta della scuola. Devo andare
anch’io da quella parte. Ti accompagno se vuoi.” Era la frase più lunga che le
avevo sentito dire.
“Grazie, mi faresti un piacere.”
Camminai accanto a lei per tutto il tragitto, cercando di
non badare alle occhiate che mi venivano lanciate nel corridoio. Notai che era
una ragazza piuttosto alta. Più di me sicuro. Tra me e lei calò il silenzio.
Perché non parlava? Di solito lo si faceva ai nuovi arrivati e questo silenzio
proprio non ci stava. Di solito in queste situazioni c’erano molte cose da
chiedere: perché ti sei trasferita? Con chi? Da dove? Lei invece se ne stava
zitta. Un momento, chi l’ha detto che le domande dovevono farle gli altri?
Potevo benissimo dirigere io la conversazione.
“Sai mi sono trasferita da Chicago” Cavolo, forse ero
stata troppo impertinente. Attirai però con successo la sua attenzione.
“Quindi sei già abituata a Forks” Nella sua voce sentivo
una punta di interesse che mi convinse ad andare avanti.
“Già, non è stato una novità”
“Anch’io non sono di Forks”
“Davvero? Di dove sei?”
“Phoenix”
“Tutto l’opposto quindi. Ma…” La squadrai un attimo “Non
l’avrei mai detto.” Le sue labbra si piegarono in un sorriso appena accennato.
“Non si direbbe nemmeno di te”
“Solo perché ho passato tre mesi estivi a San Lucas, in
California”
“Con la tua famiglia?”
“No, in campo scuola” Mi piaceva il verso che stava
prendendo questa conversazione. Che si interruppe subito.
“Questa è l’aula di matematica.” Bella si fermò per
indicarmi l’aula. “La mia è quella vicina.”
“Va bene. Allora, ci vediamo” le dissi mentre entravo.
Lei si diresse verso l’aula vicina salutandomi con una
mano. Non vedendo però dove metteva i piedi inciampò e cadde a terra. Sarebbe
stata una scena comica e avrei sorriso se me la sarei aspettata. Le andai
subito incontro per aiutarla.
“Tutto bene?”
“Sì, sì, non è niente. L’equilibrio non è il mio forte”
disse mentre si rialzava.
“Tutto bene, Bella?” Una voce sconosciuta.
“Sì, Mike” Il Mike in questione aveva una faccia
simpatica, tondeggiante, con due occhi azzurri e capelli paglierini tirati con
una grande quantità di gel.
“Ah, tu devi essere quella nuova” Questa volta si rivolse
a me. Mi stava studiato con interesse, ma la sua impressione non lasciava
trapelare ancora alcun giudizio.
“Abigail, piacere” gli dissi salutandolo con la mano. La
stretta di mano doveva essere riveduta.
“Io sono Mike” Sentii a pochi metri di me la porta della
mia aula chiudersi.
“Ehm… devo andare. Piacere di averti conosciuto, Mike.
Ciao.” Entrambi mi ricambiarono, mentre anche loro entravano in classe,
incominciando a discutere di una certa uscita al cinema o in qualche altro
posto.
Nell’aula di matematica il professore non era ancora
arrivato e regnava un insopportabile cicaleccio. La Forks High School doveva
essersi fatta in fretta l’abitudine di avermi dentro, visto che questa volta
furono poche le occhiate che arrivarono. Appoggiai lo zaino su un banco vuoto
in seconda fila, sperando che non fosse occupato da un qualche altro
ritardatario.
“Abigail” Mi girai verso Eric.
“Ciao Eric”
“Abigail, ti devi essere confusa.” Era forse una leggera
compassione quella nei suoi occhi? Se sì doveva sbrigarsi a farsela passare.
“Questo è il corso di matematica per il quinto anno”
“Lo so” mi limitai con un leggero sorrisino. Lui sembrava
confuso.
“Frequenti il quinto anno di matematica?”
“Solo alcune lezione. Come anche per il corso di
biologia.” Ora era davvero sorpreso.
“Ah. Quindi tu devi essere un piccolo genietto!” Ma i
vezzeggiativi non potevano scomparire dalla faccia della terra?
“L’avresti mai detto? Non farti troppe illusioni però.
Frequento stabilmente il corso di matematica e biologia del terzo. Queste sono
solo ore che ho cercato disperatamente di togliere a inglese, storia e
spagnolo.”
“Non ne vai pazza?” Gli era spuntato uno strano sorrisino
divertito sulla faccia.
“Certo. Ogni volta che le studio lo divento.” Che
freddura. Ma me ne erano uscite di peggiori, tutto sommato. Eric rise
sonoramente.
“Sei simpatica!”
In quel momento il professore Varner entrò in aula ed Eric
se ne andò a sedere al suo posto. Che era quello dietro al mio. Non era
antipatico, solo che avevo l’impressione che si comportasse con me come se
fossi la sua sorellina. Era uno strano e perverso atteggiamento che mi dava i
nervi. Soprattutto se non ci conoscevamo nemmeno da un giorno. La lezione
riuscì a passare molto velocemente e fu decisamente molto più interessante di
quella di biologia. Mi alzai insieme agli altri al suono della campanella.
“Ehi, Abigail! Vuoi che ti accompagni in mensa?”
“Certo” risposi contenta che qualcuno mi avesse preceduto.
Zaino in spalla, uscii in corridoio insieme ad Eric. Era
desideroso di parlare con me. Ovvero, di me; perché ti sei trasferita? Con chi?
Da dove? e blablabla. Aveva però incontrato un ragazzo in corridoio con cui si
era perso in una conversazione sulla nuova canzone di non-so-chi che lo
coinvolgeva al punto da ignorami completamente. Non mi dispiacque molto e non
me la presi. Attraversai il corridoio limitandomi a stare vicina a lui in
silenzio. La conversazione finì che io avevo già il mio vassoio di cibo in
mano.
La mensa della scuola era molto ariosa ed ampia. Molto
bianca. Mi sarebbe venuta una crisi d’identità, ne ero certa. Gli scarsi
quattrocento studenti della Forks High sembravano un centinaio lì dentro.
Inoltre le finestre erano larghe ed entrava molta luce che illuminava
l’ambiente. Per essere più precisi, entrava la luce quando c’era. I tavoli
sembravano ben tenuti, come pure le sedie.
Già dall’inizio non mi aspettavo la crème de la crème
in quanto a cibo; il cibo della mensa era per definizione un vero disastro
alimentare. E così era anche per la Forks High. Per lo meno la frutta e la
verdura sembravano fresche. La cosa non mi andava a genio per niente; avevo la
fortuna, o la sfortuna, di avere un metabolismo da ragazzo, e questo
significava che all’ora di pranzo mi ritrovavo ad avere una fame da lupo e
pronta a sbranare un bisonte, senza però mettere sù chili su chili. Il fatto di
provare un perenne desiderio di cibo era estremamente scomodo, soprattutto quando
a pranzo il cibo non era commestibile. Non avrei retto le ore pomeridiane senza
proteine.
“Mi dispiace, Abigail, non volevo escluderti dalla
conversazione” si scusò Eric quando ebbe finito.
“Ma figurati”
“Che ne dici allora di sederti al mio tavolo? Ti posso
presentare alcune persone” mi disse gentile. Colsi la palla al balzo.
“Sicuro"
Il tavolo dove mi portò era pieno e questo era un fatto
positivo: più gente da conoscere. Ma mi domandavo con preoccupazione se avrei
mangiato con il gomito del mio vicino nell’occhio, tanto lo spazio era poco.
“Ragazzi, fate posto per due!” disse Eric esuberante. I
ragazzi del tavolo si girarono interessati verso Eric per osservare il volto
del nuovo membro del loro tavolo. Tutti erano sorpresi, chi in modo positivo,
chi in modo negativo.
“Lei è Abigail” mi presentò, inutilmente, visto che tutti
in quel tavolo sapevano già chi fossi.
“Salve” risposi vivacemente sedendomi sulla sedia presa da
un tavolo vuoto vicino che Eric mi porse. Lo ringraziai con un cenno. Lui
ricambiò sedendosi accanto a me.
“Vediamo di presentarti un po’ di gente” disse Eric ancora
allegro. Indicò due ragazzi vicini a lui “Loro sono Ben e Conner.”
Cercarono di salutarmi con un cenno della mano, ma Eric
passò a presentarmi subito i prossimi.
“Jessica e Angela” disse indicandole, questa volta
lasciandole parlare.
“Ciao” mi disse la prima. La seconda fu più formale.
“Benvenuta a Forks, Abigail” disse porgendomi la mano. Io
gliela presi cercando di non stringere troppo.
“Grazie Angela” risposi educata.
“Lei invece è Lauren” continuò Eric. Lauren era la ragazza
bionda di quella mattina, quella secondo cui non avevo specchi a casa. E la
ragazza bruna vicino a lei era quella Rachel. Fu una piacevole sorpresa per me.
Non altrettanto per loro.
“Piacere” Sembrava uno sgorbio più che una parola. Io
invece sfoderai un sorrisone.
“È un piacere Lauren” dissi cercando di essere il più
sincera possibile. Con gli altri le bugie mi venivano bene.
“E ciao anche a te, Rachel” dissi senza lasciare che Eric
me la presentasse. Rachel arrossì dalla vergogna e Lauren mi guardò come se
fossi una pazza.
“Allora un po’ di conoscenze te le sei già fatte.” Eric
sembrava orgoglioso di me. Strinsi i pugni.
“Solo di vista” confessai in tono gentile fissando Rachel
negli occhi. Se avesse potuto mi sarebbe saltata addosso, come anche Lauren. Mi
sentivo soddisfatta; con questa le avevo fatto rimangiare tutti i commenti poco
piacevoli di quella mattina. Eric poi mi presentò altri due ragazzi ed una
ragazza, dei quali mi dimenticai subito il nome.
“Scusate per il ritardo. Ah! C’è una nuova!”Mike e Bel... Bella si erano avvicinati solo
in quel momento al nostro tavolo. Anche loro facevano parte del gruppo. Eric
sbuffò alla vista di Mike.
“Abigail, questa bella ragazza e questo idiota sono…”
“Mike e Bella. Li ho già conosciuti” informai Eric.
Salutai entrambi con un cenno della mano e feci spazio a
Bella che si sedette vicino a me lanciandomi un piccolo sorriso. Mike si
sedette vicino a lei.
“Cos’è che hai detto? Ripeti, Yorkie” disse Mike, dando
una spinta alla spalla di Eric che lo fece scontrare contro… contro…Tom? Non mi
ricordavo già più i nomi.
“La verità Newton, la verità” stette al gioco lui.
“Sono dei bambini, ignorali” mi disse la ragazza che
doveva chiamarsi Jessica.
“Chicago deve essere una bella città” disse Angela.
Caspita, sapevano persino questo.
“Non molto diversa da Forks” mugugnai io “per il clima,
ovvio” precisai. Tutti i presenti ora erano concentrati su di me. Eh già, il
nuovo arrivato era l’attrazione del mese qua. Chissà se anche a Bella avevano
riservato lo stesso trattamento.
“Dalla tua carnagione non sembra.”
“È perché ho trascorso tre mesi in California.”
“California, caspita” si sorprese… oh, accidenti… Tom?
“Come mai ti sei trasferita in un buco come Forks?” chiese
interessato Mike. Bene, via con la messa in scena.
“Mio zio è un medico; gli hanno proposto il posto di
primario che si è liberato di recente qui a Forks e lui ha accettato” ma in
realtà questa che vi sto raccontando è una balla assurda. I miei genitori sono
dei vampiri e se ce ne fossimo andati in California, in Florida o in qualche
altro posto assolato, la luce del sole li avrebbe trasformati in due palle da
discoteca anni settanta e non sarebbero di certo passati inosservati.
“Zio? Vivi con i tuoi zii?” continuò Mike. Ora veniva la
parte più difficile.
“Sì. I miei… i miei genitori sono morti in un incidente
d’auto” mormorai imbarazzata. Caspita, mi era uscita proprio bene. Ero stata
davvero convincente. Tutti, comprese Lauren e Rachel, si erano zittiti e stava
aleggiando un'aria da funerale.
“Mi dispiace, davvero. Non volevo… ” balbettò amareggiato
Mike.
“Non lo sapevi, non fa niente” Il silenzio calò sul
tavolo, che dall’inizio del pranzo era sempre stato vivace.
“E… da quanto è successo, se posso chiederlo…” domandò
Angela. La guardai in volto. Sentivo dal suo tono che non era per pettegolezzo
che me lo stava chiedendo, ma per preoccupazione. Fino ad ora si era dimostrata
un’ottima persona.
“N… ” mi bloccai di colpo.
O cavolo. Non mi ricordavo da quanto tempo vivevo con gli
zii. E adesso che faccio? L’avrei buttata sul vago. Intanto gli occhi di Angela
stavano perforando i miei e non mi stavano aiutando a concentrarmi. L’unica
cosa da fare era spararla.
“Non molto tempo fa” dissi con lo stesso tono. Angela
sembrava convinta e tutti se l’erano bevuta. Di solito dire bugie così grosse
mi faceva venire sensi di colpa che mi tormentavano l’anima in modo assurdo, ma
questa era una grossa bugia per una grossa causa.
“Ma… non vivi a Forks” disse Eric per sviare totalmente
l’argomento. La sua affermazione mi sorprese.
“Sì, vivo a Forks, perché non dovrei?” Gli altri
sembravano essere confusi.
“Non c’è alcuna abitazione disponibile a Forks.”
“In realtà casa mia non si trova in centro, ma poco fuori
Forks. È coperta dai boschi e non è visibile dalla tangenziale. Non so se voi
la conoscete”
“Aspetta un momento!” Eric mi bloccò improvvisamente ed
iniziò a guardarmi in modo strano e perforante.
“Fuori città hai detto? Non sarà…”
“Abiti nella casa dei Cullen?” Mi girai improvvisamente
verso Bella in un sobbalzo. Non aveva aperto bocca per tutto il pranzo e mi ero
per un momento scordata che era lì. Si era improvvisamente interessata al
discorso. D’altra parte non avevo la minima idea di chi fossero questi Cullen.
“Non lo so. Non li conosco. Chi sono?” le chiesi. Quello
che avvenne dopo fu parecchio inquietante. Bella si limitò ad abbassare
lentamente lo sguardo, mentre il silenzio era di nuovo sceso. Alcuni dei
presenti si erano persi a far altro, altri invece mi guardavano in un modo che
non mi piaceva. Era evidente che non era stata una buona domanda, ma non
riuscivo a capirne il perché. Era una specie di tabù che non riuscivo a
cogliere. La tensione si ruppe al suono improvviso della campanella, che fece
alzare tutti dai propri tavoli. Tutti i ragazzi del tavolo tornarono
improvvisamente sereni come prima. Tranne Bella, che non perse tempo ad
aspettare gli altri e uscì subito dalla mensa. Quella reazione era troppo
strana. Quel nome, Cullen; chi erano? Dovevo cercare di saperne di più.
Nonostante le persone che mi stavano superando riuscii a distinguere tra la
folla Jessica, credo, una ragazza del tavolo. Spintonando riuscii a
raggiungerla.
“Jessica!” Lei si voltò.
“Ehi, Abigail!” Mi era sembrata cortese prima e credevo
fosse la persona giusta a cui domandarlo.
“Posso chiederti una cosa?”
“Dimmi” Avevo come la netta sensazione che sapesse anche
lei dove volessi andare a parare. Intanto che parlavamo ci lasciavamo
trascinare dalla folla fuori dalla mensa.
“Chi sono i Cullen?” Lei si morse il labbro.
“Scusa se abbiamo reagito in quel modo, ma non è un bel
argomento davanti a…” si bloccò all’improvviso. Mi trascinò vicino alla parete
e rallentammo il passo.
“Ti spiego: circa tre anni fa si sono trasferiti a Forks
dall' Alaska i Cullen” parlava piano in modo da non farsi sentire. Tre anni
fa? Non voleva mica raccontarmi tutta la storia?! Io avevo chiesto solo chi
erano! Jessica però era così presa dal racconto che non riuscii a dirle che non
erano quelle le mie intenzioni.
“Era una famiglia che dava un po’ nell’occhio: tutti i
figli del signor Cullen, che era stato proprio il primario dell’ospedale, erano
stati adottati, perché si diceva che la signora Cullen non potesse avere figli.
La cosa più strana però” La sua voce si fece più accesa e si avvicinò a me.
“La cosa più strana è che i figli, anche se non erano
fratelli consanguinei, stavano insieme.” Le ultime due parole le aveva dette
con uno strano luccichio negli occhi spalancati, mentre stava sfoderando un
sorriso smagliante. In quel momento mi sarebbe tanto piaciuto dirle che non me
ne importava un bel niente solo per vedere la faccia che avrebbe fatto, ma mi
trattenni.
“Erano cinque e quattro di loro stavano insieme! Il bello
però viene adesso; indovina con chi si è messo il quinto?” Era ufficiale: non
la sopportavo. Dal suo silenzio capii che non era una domanda retorica.
“Non lo so” dissi secca. Lei andò avanti.
“Con Bella!” esplose lei, poi però acquistò un po’ di
contegno “Alcuni mesi fa se ne sono andati da Forks ed Edward Cullen, il
fidanzato di Bella, ha dovuto mollarla. Sembravano davvero una coppia affiatata
loro due. La loro storia è durata per più di un anno. Bella è stata male per
mesi, ma ora si è un po' ripresa. Ha incominciato a vedersi con il figlio
dell'amico di suo padre, o che so io...” Non si rendeva proprio conto che non
me ne fregava davvero niente dei fatti di Bella? Non la stava ascoltando più.
Si fermò un attimo per riprendere fiato.
“Quindi cerchiamo di evitare di parlare di loro davanti a
lei. A parer mio il suo comportamento è del tutto esagerato. Sono passati quasi
sei mesi da quando se ne sono andati e devo dire che...” Basta. O si fermava, o
le avrei infilato un libro in bocca.
“Ah… ho capito. Devo andare ora. Grazie mille Jessica. ”
mormorai secca allontanandomi da lei. L’aveva tirata per le lunghe, ma alla
fine c’era arrivata. La ragazza aveva la parlantina facile, ma in quel momento
non era la sua loquacità a disturbarmi. Avevo scoperto perché Bella aveva
reagito in quel modo strano, ed anche il nome di questo perché, un certo
Edward. Giustamente il ricordo di ex, anche dopo mesi e mesi poteva far male e
non c'era modo di biasimarla, soprattutto se in mezzo c'era anche un trasloco.
Ma era giunta l’ora di smetterla di pensare a problemi non miei, perché mi
stavano aspettando due stupende ore di spagnolo. Mi fu inevitabile sbuffare.
Inoltre non sapevo neppure dove si trovasse l’aula. Sbuffai due volte. Questa
volta ero certa che sarei arrivata in ritardo.
Entrai in segreteria subito dopo il suono della campanella
per riconsegnare il foglio firmato.
“Ecco a lei” mormorai alla segretaria. Lei si rivolse a me
con un sorriso.
“Grazie. Come è andato il primo giorno? Sembri essere
stanca” Stanca era un eufemismo. Affrontare due ore di spagnolo, la materia più
bella di questo mondo, di pomeriggio, con una miseria di pranzo era molto più
che stancante.
“Sì, solo un po’. Arrivederci” le risposi gentile e
veloce. Sembrava simpatica quella segretaria.
“Ciao anche a te, cara” Mi morsi la lingua; non volevo
pentirmi di quello che avevo appena pensato. Seguii la mandria di studenti
verso l’uscita, lasciandomi trasportare automaticamente dalle mie gambe, mentre
aspettavo che una boccata di ossigeno mi facesse rinsanare almeno un minimo.
L’aria fresca infatti mi fece bene e mi diede lucidità. Mi diressi verso il mio
mezzo e misi subito in moto. Bastò il rumore del motore per calmarmi del tutto.
Feci un respiro profondo e premetti l’acceleratore per uscire dal parcheggio della
scuola. Fui di nuovo sotto lo sguardo di tutti, ma presto avrebbero perso
l’abitudine di fissarmi. In quel momento pensavo solo a sfrecciare veloce.
Curvavo di tanto in tanto per superare qualche auto troppo lenta, ma la strada
era quasi sempre dritta, finché arrivai al viottolo nascosto tra gli alberi che
conduceva a casa. Arrivai in cinque minuti. Parcheggiai la moto in garage e
tolsi il casco con un sospiro. Attraversai infine la porta che conduceva
all’interno della casa, sollevata che quella giornata fosse finita. Vidi mia
madre già in piedi, pronta ad aspettarmi. Si era tolta i vestiti da “maestra
perfettina” ed ora vedevo davanti a me sola la mia dolce mamma. Aveva un
sorriso bellissimo ed i denti perfettamente allineati e bianchissimi emanavano una
luce più splendente di quella della lampada. Ogni volta che non la vedevo per
molto tempo era come se la vedessi per la prima volta, la mia mamma sempre
uguale. Ero molto legata a lei, forse più di mio padre. Forse dipendeva dal
fatto che lui non fosse il mio padre biologico, mentre lei sì. Riposi anch’io
al sorriso.
“Come è andato il primo giorno di scuola?” Era entusiasta.
Aspettai un attimo prima di rispondere alla sua domanda.
“Non male” Comincia a dirigermi verso le scale che
portavano al primo piano, ma mi fermai di colpo. Girai la testa verso mia madre
guardandola dubbiosa.
“Quando sono morti i miei genitori?” Il suo sorriso si
spense subito.
“Due anni fa” disse lei sconfortata.
“Ah… va bene” Mi sentii più risollevata: l’avevo sparata
giusta. Lei sospirando si sedette sul divano.
“Abigail!” mi riprese lei.
“Che c’è? L’ho detta giusta! E sono stata anche brava.
Tutti mi hanno creduto” Mi diressi finalmente verso camera mia per cambiarmi
dai vestiti fradici.
“Dopo raccontami com’è andata!” la sentii gridare mentre
io stavo già salendo le scale.
“Certo” risposi io normalmente, sicura che mi avrebbe
sentita. Entrai in camera e mi liberai del casco che avevo in mano e dei guanti
che indossavo. Mi tolsi poi i vestiti per indossare qualcosa di più comodo ed
asciutto: una vecchia tuta grigia pesante e morbida. Il mio stomaco che dalle
due di quel pomeriggio aveva iniziato a protestare incontrollabile mi obbligò
ad andare in cucina. Attraversai il salotto e mamma era ancora lì, come un
bambino impaziente di farsi raccontare la favola della buonanotte.
“Numero uno: la mensa fa schifo” cominciai ad elencare
mentre aprivo il cassetto dei biscotti e del pane.
“Questo si sa, no?” Mia madre era seduta su una sedia.
Trovai un pacchetto di crackers e subito lo presi.
“Ma lo sai come mangio a pranzo. Questo pomeriggio le due
fantastiche ore pomeridiane di spagnolo sono state una tortura per il mio
stomachino.”
Aprii il pacchetto e divorai subito il primo crackers. Lei
sospirò.
“Ci sono circa quattrocento persone in quella scuola che
mangiano alla mensa e sono ancora tutti vivi. Devi adeguarti.”
“C’è sempre una prima volta…” mugugnai io con la bocca
piena. Mia madre mi guardò truce.
“… ma tenterò, tanto l’ospedale è vicino se subirò un
avvelenamento”
“Poi?” disse cambiando subito argomento “Hai conosciuto
qualcuno?”
“Sì, ho conosciuto un po’ di persone del quinto anno. Sono
simpatici.”
“Le lezioni del quinto anno sono difficili? Non vorrei che
avessimo fatto la scelta sbagliata a calarti le ore delle altre materie”
“Mamma, sono solo all’inizio e fidati se ti dico che avete
fatto la scelta giusta.” sbottai io, forse sputacchiando anche qualche
briciola.
“Poi?” continuò lei. Avevo finito il primo pacchetto e
cominciai ad andare alla ricerca d’altro.
“Bé, mi è toccato un po’ andare alla cieca per la scuola,
visto che piantine non ce ne hanno. Ma sono sopravvissuta lo stesso. I
professori non sono male. Spero di aver fatto una buona impressione.” Presi il
pane senza pensarci ed aprii il frigo.
“Certo che avrai fatto una buona impressione” mi rassicurò
la sua voce calda. “Strani commenti?” Individuai subito la maionese.
“Un po’. Anzi, un po’ molti, soprattutto per la moto. Ma
ho risposto nella giusta maniera.”
“Hai offeso qualcuno come tuo solito?” mi rimproverò lei.
Stavo sgarfando tra le verdure in cerca dei sottaceti.
“No, solo il giusto.”
“È stata quindi una buona giornata?” Trovati; li presi
subito. Salame, tocca a te.
“Tutto sommato sì”
“Hai chiesto per il corso di break dance?” Mi diedi uno
schiaffo sulla fronte. Cavoli, il corso!
“A quanto pare no.”
“Già, già... chiederò sicuramente domani...” Aprii il
cassetto e presi il coltello per tagliare il pane. A Chicago avevo fatto per
molto tempo un corso di break dance e l’insegnate mi aveva detto che ero pronta
a diventarlo anch'io. Ed era proprio quello che intendevo provare a fare qua a
Forks; non credevo che ci fosse già un corso che insegnasse break dance, ma
volevo esserne sicura. O magari cercavano proprio un'insegnate. Inoltre avrei
guadagnato anche qualche soldo.
“Ah! Quando andate a ricaricare le batterie tu e papà?”
dissi mentre spalmavo la maionese. "Ricaricare le batterie"mi
sembrava più gentile di “andare a dissanguare poveri animali innocenti”
“Il prossimo fine settimana pensavamo di andare ad esplorare
la zona. Vieni anche tu?”
“Ovvio” Avevo aperto il barattolo nuovo di sottaceti senza
difficoltà. Disposi i cetrioli sulla fetta di pane e ci misi sopra il salame.
Mi sedetti e addentai con un morso il mio panino. Alzai gli occhi masticando.
Mia madre mi stava guardando in modo strano e non staccava gli occhi dai miei.
Voleva qualcosa, ma non capivo cosa. Oh, ora avevo capito.
“E a te come è andata?” Le si dipinse un grandissimo
sorriso e gli occhi le si riempirono di dolcezza.
“O Abigail” La sua voce era miele
“Dovresti vedere come sono dolci. Sono stati tutti zitti,
immobili ed attenti mentre parlavo.”
“Sarà perché avranno avuto una paura di te…” mormorai al
secondo morso. Un ringhio di pantera uscì dalla sua bocca. Non mi spaventai
nemmeno un po’. E come avrei potuto; era mia madre. La sua voce si rifece dolce
e continuò trasognata.
“E poi sono così belli! Hanno tutti dei grandi occhioni e
quando sorridono sono così belle le loro guanciotte piene. Soprattutto quelli
delle prime classi. Sono così piccolini. Tanto erano belli che li avrei
mangiati!” Tornò a guardarmi truce. “Nel senso buono, ovviamente” disse seria
lentamente. La faccia che avevo fatto sentita l’ultima frase diceva molto più
delle parole. Eravamo fatti così: i miei genitori mi prendevano in giro perché
ero strana, mentre io li prendevo in giro perché erano dei vampiri. Un equo
scambio di battutine biologiche. Superdaddy e Wondermummy erano gli scemi
soprannomi che gli avevo dato da piccola, insieme a Normalgirl, che ero io, e che
anche adesso usavo qualche volta. Lei continuava immersa e coinvolta nel suo
racconto.
“Pensa, durante l’ora pomeridiana di disegno uno dei bimbi
ne ha fatto uno per me. Guarda” Tirò fuori dal nulla un foglio bianco su cui
c'era disegnato…
“Una lampada?”
“No, è una farfalla” disse acida lei.
“Ah… giusto…” tornai al mio panino. Lei continuò a parlare
della scuola, dei bambini. Ed ancora della scuola e dei bambini. Mia madre
aveva uno assurdo senso della maternità spinto all’eccesso. Non osavo pensare i
livelli che aveva raggiunto la sua gioia quando ero una lattante. Io invece non
avevo ancora sviluppato questo lato materno e attualmente vedevo solo la parte
brutta dei bambini: urlavano, mangiavano, non dormivano, urlavano ancora. Ed
era anche un bene, visto che avevo solo diciassette anni.
“… non trovi anche tu che non sia giusto?” Io la guardai
sussultando. Mi aveva fatto una domanda.
“mmhh… già, è davvero ingiusto” affermai io
improvvisamente interessata. Ero arrivata a metà panino. Lei mi guardò particolarmente
male.
“Non mi stavi ascoltando” disse seria.
“Mi ero solo distratta un momento. Ho passato una giornata
faticosa e sono davvero stanca.” Lei non abboccò. Avvicinai il panino alla mia
bocca, ma i miei denti afferrarono l’aria. Guardai le mie mani vuote. Dov’era
andato a cacciarsi il mio panino?! Guardai mia madre che stava osservando il
soffitto con un’aria disgustata.
“Mi hai mangiato il panino” mormorai sconvolta. C’ero
rimasta male un casotto.
“Che fa anche schifo. L’ho sempre detto che tu non sai
cucinare”
“Mamma, certo che ti fa schifo! Ti deve fare schifo! Tu
sei un vampiro!” mi alzai ancora sorpresa. Il mio panino…
“Tu sei un vampiro… io no… Cos’è questo razzismo
biologico?” Mio padre era comparso all’improvviso in cucina e stava dando un
leggero bacio sulle labbra a mamma. Anche lui non aveva più i vestiti da
lavoro.
“Ha mangiato il mio panino!” risposi sconvolta indicando
mia madre.
“Oh… l’hai fatto tu?”
“Sì” risposi secca. Non vedevo come potesse centrare
questo.
“Ti ho sempre stimata per il tuo coraggio, Sophie” disse
teneramente a mia madre.
“Ma si può sapere cosa diavolo avete! Siete vampiri, non
potete sapere come cucino!” gridai tornando a prende di nuovo il pane mentre
tra poco mi sarebbe venuta una crisi di nervi. Loro stavo ridacchiando
divertiti. Io non ci trovavo niente di divertente invece.
“Come mai hai fatto tardi?” gli chiese mia madre.
“Sono andato a prendere questo” disse tirando fuori dalla
tasca della tuta un biglietto della lotteria. “Mi sentivo ispirato.”
Non è da tutti avere una villa ed una Lamborghini; la mia
famiglia era piuttosto ricca ed i biglietti della lotteria ed il gioco in borsa
erano le principali fonti di questa prosperità. Erano attività rischiose basate
principalmente sulla fortuna, ma mio padre ne aveva tanta di fortuna. Aveva una
specie di sesto senso che si attivava di botto. Mi aveva spiegato una volta che
cos’era; qualche volta l’istinto prevaleva di scatto sulla ragione e gli faceva
fare “la cosa giusta”, diciamo. Come per esempio trovare i giusti numeri o
puntare sulla giusta società. Ma non usufruivo molto di questo bottino; la moto
era stata il regalo dei sedicianni, ma per il resto me la volevo cavare da
sola. Non avrei potuto contare sempre sui miei genitori. Per questo i soldi per
il corso di break dance non mi sarebbero dispiaciuti. Questo dono inoltre
coinvolgeva anche il futuro; certo, non lo prevedeva o cos'altro, ma sapeva
semplicemente se qualcosa sarebbe andata bene o male. E ci azzeccava sempre.
“E a lavoro come è andata?” Lui sospirò.
“Abigail, domani a scuola potresti tentare di investire
qualcuno, così avrò da fare qualcosa” scherzò lui.
“Ancora meglio; domani persuaderò le cuoche a lasciarmi
cucinare, così avrai quattrocento casi di avvelenamento” mormorai imbronciata.
“Abigail, stavamo scherzando” disse mia madre con un
sorriso.
“Sì, lo so” mi girai più serena con il panino già fatto.
Mio padre continuò il discorso.
“In una piccola cittadina sono pochi i pazienti. Non c’è
molto lavoro. Ma meno gente sta male, meglio è.”
Il suo lavoro gli stava molto a cuore. Mi diceva sempre
che riuscire a fare il medico era stata una delle sue più grandi fortune da
quando era diventato vampiro; mi aveva detto che si sentiva ogni volta felice
al pensiero che se non fosse stato un vampiro “vegetariano” avrebbe ucciso
tante persone quante ne salvava ora.
“Il posto è abbastanza tranquillo e per esattezza” si
rivolse a me in aria di sfida “sono state tutte le infermiere che ho
conquistato”
“Così si fa!” gli dissi facendogli vedere il pugno, che
lui colpì con il suo. Il suo viso poi si illuminò immediatamente, diventando
quello di un bambino.
“E ho saputo una notizia fantastica” Da tempo non lo
vedevo così entusiasta. “Questa casa prima era di proprietà di Carlisle
Cullen!” Anche mia madre divenne radiosa.
“Davvero!” Annuì la testa sorridendo.
“Il dottor Cullen, con moglie e cinque figli.” Scosse la
testa ancora dalla sorpresa. “Alla fine ci è riuscito anche lui.” I miei
genitori erano entrambi commossi. Io invece no. Qualcosa non andava proprio.
Non avevo la più pallida idea di cosa stessero parlando, inoltre sapevo chi
erano i Cullen, ma questo Carlisle…
“Chi è Carlisle?” Mio padre si sorprese di nuovo.
“Non ti ricordi? Eppure te l’ho detto molte volte chi
è...”
“Ah...! È quel vampiro che ti ha insegnato la dieta
vegetariana?” Ora ricordavo. Papà lo stimava tantissimo. Diceva che non aveva
mai incontrato un vampiro come lui.
"Sì" rispose lui. Aspetta, aspetta. Mi stava
prendendo il panico. Cominciai a ragionare: se il signor Cullen era un vampiro
vegetariano... doveva esserlo anche la sua famiglia. Quindi... Bella... si era
innamorata di un vampiro. Un'espressione di terrore mi si dipinse in volto.
Oh... I vampiri erano tutti bellissimi ed era una delle loro caratteristiche
che usavano per attirare le prede e mangiarle. Bella stava per essere uccisa da
un vampiro. Vegetariano, ma sempre vampiro era. No, no, aspetta... Jessica
aveva detto che erano stati insieme per più di un anno. Non si trattava di
questo, l'avrebbe già uccisa, Non può essere riuscito a resistere per un anno.
Ma che...!
"Cosa c'è Abigail?" Sentivo le sopraciglia
contrarsi. Guardai in faccia mio padre.
"È possibile che uno dei figli del tuo amico sia
umano?" Lui scosse fortemente la testa.
"No, impossibile. La tua situazione è più unica che
rara. Conosco Carlisle molto bene e non avrebbe rischiato. Perchè secondo te è
così?"
"Perchè una ragazza che ho conosciuto a scuola era la
fidanzata di uno dei figli" dissi in un sospiro. Entrambi i miei genitori
ora avevano la mia stessa espressione.
"Sei sicura che ti abbiano raccontato la
verità?" disse scettico. Non ci credeva nemmeno lui.
"Sì, perchè mentirmi?" Mio padre si prese il
mento tra le dita: era la sua posizione del pensatore.
"Si possono essere innamorati davvero?" ripresi
io. Anche mio padre aggrottò le sopracciglia.
"Non amore. È molto più probabile che sia
infatuazione l'uno con l'altro. È quello che è successo a me a tua madre."
Lo vedevo ancora molto dubbioso. "Ma sono molto più convinto che il
vampiro in questione non si sia del tutto adattato alla dieta." Ovvero,
voleva mangiarla.
"Sono stati insieme per più di un anno" precisai
io. Spalancò gli occhi. Mio padre si sorprendeva abbastanza raramente e fui
sorpresa anch'io della sua reazione.
olte vote chi
è!"pure i nuovo,
esto
Carlsile...ullen! l'il suo. dre ne aveva tanta di fortuna..- si sentiva
appagato ogni volto"Per più di un anno?!" disse perplesso. Io
annui sicura. Lui scosse la testa.
"No, è impossibile. Un vampiro non può reprimere il
suo istinto per così tanto tempo. Forse ha molti secoli di esperienza alle
spalle è riesce a resistere al sangue umano come me e Carlisle..." si
fermò un attimo. Quando pensava gli capitava qualche volta di ragionare ad alta
voce e lentamente, nonostante fosse un vampiro abituato a fare ragionamenti
impossibili in millesimi di secondo.
"E' strano però, Carlisle non avrebbe mai permesso
che uno dei suoi figli arrivasse fino a questo punto, indipendentemente dalla
capacità di reprimere il proprio istinto." Fece un respiro profondo e mi
guardò negli occhi sconsolato.
"Non ho mai sentito nulla del genere, Abigail. Non so
proprio cosa pensare." Se lui non sapeva cosa pensare allora io avevo un
terribile disordine in testa, molto peggio di quello che lasciavo in bagno dopo
essermi fatta la doccia. Un vampiro ed un'umana, legati da nessun particolare
legame parentale, PAM!, passano un anno insieme, come una dolce coppia di
fidanzatini. Più che un dato di fatto assomigliava ad una barzelletta: ehi
gente, sapete qual'è il colmo per un vampiro? Infatuarsi di un'umana e restare
con lei per più di un anno senza mangiarla! Ah... ah... ah...
La mia malata fantasia si interruppe quando incrociai gli
occhi di mia madre. Non aveva aperto bocca da allora. Lei era molto più
obbiettiva di papà e prima di esprimere il proprio giudizio voleva conoscere
appieno la situazione.
"E' assurdo, ma effettivamente non c'è altro che lo
possa spiegare." Riprese mio padre
"Cosa?" Mi stava tenendo sulle spine; questa
storia assurda mi aveva dannatamente coinvolto.
"Non si può più trattare di semplice infatuazione o
attrazione carnale, ma di qualcosa di molto più forte e molto più grande, a
questo punto. E' possibile che ci sia stato davvero dell'amore. A dirla tutta,
per quanto ne so, non è mai successo una situazione del genere, ma forse non è
detto che non possa avvenire." Papà cominciò a fare piccoli passi per la
cucina; si era fatto completamente prendere anche lui, mentre io cercai mi
spremetti le meningi per seguirlo.
"Si spiega la capacità del vampiro in questione di
reprimere la sua stessa natura e a resistere al suo sangue per così tanto
tempo." Spalancai gli occhi. Poteva davvero accadere?! Un vampiro ed
un'umana, insieme, per più di un anno intero. Più ripensavo a quello che aveva
appena detto, più mi convincevo che era così. Anche se continuava a rimanere
una totale assurdità. Sorrisi involontariamente, proprio io mi stupivo della
assurdità? La mia vita era l'impossibilità fatta a persona.
"In effetti... "
"...è molto probabile che sia così" finì mio
padre per me. Si fermò e si sedette su una sedia della cucina; accavallò le
gambe, incrociò le braccia e continuò a ragionare con lo sguardo perso sul
soffitto bianco.
"Ipotizzando che questo sia vero allora quel vampiro
deve avere avuto una forza di volontà poco comune. Mi chiedo come Carlsile
abbia potuto gestire questa situazione..."
"E la ragazza?" Per la prima volta mia madre si
univa al discorso.
"Una semplice ragazza, un po' taciturna. Quando però
ho nominato i Cullen oggi a mensa il suo viso sembrava quello di un morto
vivente" le risposi, consapevole solo troppo tardi che quello che avevo
detto non era molto logico.
"Giusto, c'è poi anche la ragazza. Mi chiedo come
abbia fatto a non sentirsi in pericolo vicino ad un vampiro; l'istinto porta
gli umani a starsene lontano da noi..." Papà sembrava in un altro mondo.
"Può non sapere che lui fosse un vampiro" Fu la
prima cosa che mi venne in mente.
"Assolutamente no. Dopo così tanto tempo lo deve
sapere. Anzi, a parer mio lui glielo deve aver detto fin dall'inizio..."
Sembrò poi tornare tra noi.
"Un vampiro ed un essere umano. Ne avevo sentite
tante, ma questa mi era del tutto nuova..."
Dopo quest'ultima frase di papà calò uno strano silenzio
su tutta la casa. Se era vero quello che aveva detto su quello che c'era tra
quei due, allora Bella aveva tutte le ragioni di questo mondo per essersi
comportata in quel modo. Se aveva rischiato la propria vita per stare con la
persona che amava vuole dire che anche lei lo amava da impazzire. Sapere che
non l'avrebbe più visto aveva dovuto ucciderla. Aveva davvero un carattere
forte se era riuscita a non strisciare a terra agoninate. Almeno, a me non era
sembrato...
"Quei due si amavano fino al punto da rinunciare alla
propria vita e reprimere la propria sete" spezzai io il silenzio,
riassumendo il punto della situazione. C'era però qualcosa che continuava a non
quadrare. Alzai lo sguardo che nel frattempo si era perso nel vuoto.
"Ma allora perchè i Cullen se ne sono andati? Questo
non ha alcun senso"
"Abigail, adesso credo che tu stia chiedendo troppo" mi interruppe
mamma.
"Tua madre ha ragione. Effettivamente noi non
c'entriamo niente con questa storia e per quanto ci riguarda un'ipotesi può
essere più improbabile dell'altra. E anche quello che abbiamo dedotto può non
essere vero. Inoltre i Cullen se ne sono andati; non ha più senso
parlarne" concordò anche mio padre.
"Abbiamo quindi sparlato della famiglia del tuo amico
fino ad adesso?" dissi io neutra. Lui si girò verso di me con un sorriso
enigmantico.
"Sì, ma nel senso buono del termine." Io risposi
al sorriso.
Avevano ragione, ma il fatto che un vampiro ed un'umana si
era innamorati era tanto assurdo quanto il fatto che si siano lasciati. Perchè?
Avevano rischiato tanto fino a questo punto, perchè improvvisamente lasciar
perdere?
"Cerca di lasciar perdere questa storia, va
bene?" La mano di mamma sulla mia spalla mi fece tornare alla realtà, come
se mi avesse letto nel penisero. Ed in un certo senso ci riusciva.
"Sì, certo, non è affar mio..."
Giusto, dovevo lasciar perdere questa storia. Finché non
ne sapevo niente era come andare alla cieca. Era però un mistero davvero
avvincente e poi centrava Bella. Avrei voluto fare qualcosa per lei, soprattutto
adesso che conoscevo parte della storia; entrambe abbiamo avuto a che fare con
i vampiri. Mi sentivo vicina a lei, nonostane l'avessi conosciuta solo oggi.
Cercai però di non badarci più e pensare ad altro di più importante. Ammirai il
mio secondo panino e gli diedi un morso.
Allora? Che ve ne sembra? Le cose si stanno facendo
interessanti. Anche se procederanno un po' lentamente vi chiedo di avere
pazienza.
X RiceGrain: Ciao! Sono contentissima che il primo
capitolo ti sia piacciuto! Spero lo sia anche questo! Grazie tante per il
commento! :)
Il giorno dopo l’arrivo con la moto attirò meno l’attenzione.
La parcheggiai sul marciapiedi nello stesso posto.
Faceva davvero freddo e ieri aveva persino cominciato a nevicare. Questo non andava affatto bene per lei: la neve rischiava di
rovinare il telaio se si tramutava in grandine. E non
credevo che qua ci fossero parcheggi al coperto. Dovevo trovare un altro mezzo
alla svelta. Farsi portare da mamma e papà non se ne parlava nemmeno,
soprattutto se uno aveva una Lamborghini e l’altra un’ Alfa Romeo da competizione. Pensavo ad un’auto di
seconda mano, ma in realtà mi bastava solo che andasse avanti. Sarebbe però stato
difficile trovarne una. Inoltre non avevo soldi a sufficienza, cioè, soldi miei; non mi andava di chiedere un prestito ai
miei. E per avere soldi serviva il corso di break dance.
Fu per questo che la prima cosa che feci entrata a
scuola era cercare Eric, Mike,
Bella, o qualcuno che conoscevo per chiedergli del corso.
Mi mossi ad entrare; oggi era pieno di studenti infreddoliti.
Un gruppetto di ragazzi vicino a me stava parlando entusiasta di una prossima
battaglia a palle di neve. Un brivido mi percorse la schiena e scossi la testa
automaticamente. Odiavo la neve. Era fredda, bagnata, e si scioglieva. Ed era
sicuro che “freddo più bagnato” era uguale per me a
“febbrone da cavallo” ed io odiavo restare a casa ammalata.
Cercai con lo sguardo qualcuno che conoscessi,
ma alcuni ragazzi parecchio alti mi ostruivano la vista. Sbuffai. La mia
statura qualche volta era davvero detestabile.
“Ehi, Abigail” Mi girai di scatto.
Eric si era avvicinato e mi stava camminando vicino.
“Ciao Eric”
“Vogliamo organizzare una partita di palle di neve per quando ce ne sarà di più. Vuoi partecipare?” Il suo
entusiasmo quasi mi convinse.
“Mi spiace, ma… io detesto la neve. E
mi ammalo facilmente” Lui si dispiacque un po’.
“Perché ce l’avete tanto con la
neve tu e Bella?” se ne uscì scherzoso. Per me la vera domanda era: perché
diamine nonce l’avete
voi con la neve.
“Magari assisto…” dissi io pensando già con rassegnazione
che razza di campo di battaglia umido, bagnato e fradicio poteva diventare tra
poco quella scuola. Speravo tanto che non nevicasse quel giorno, ma il tempo fuori dalla finestra sembrava dire tutt’altro.
Cavolo, la moto! Come avrei fatto ad accenderla con questo freddo?! Non si prestava proprio ad essere una buona giornata per
me. Soprattutto con due prime ore di inglese.
Eric decise di accompagnarmi fino
alla fine del corridoio, non molto lontano dalla mia classe. Approfittai del
momento di silenzio per domandargli del corso di break
dance.
“Senti” cominciai “sai per caso se qui a Forks c’è qualche corso di break dance?” In quel momento
per Eric io mi ero trasformata in un alieno.
Era terribilmente irritante quando le persone mi
guardavano come se fossi un maiale blu, cosa che accadeva spesso, ma non sarei
mai riuscita a farmene una ragione.
“Vuoi iscriverti ad un corso di hip
hop?” mi disse guardarmi sorpreso ed incuriosito allo stesso tempo.
“Break dance” corressi subito “e no,
non mi voglio iscrivere ad un corso. Ne voglio creare uno io. Per questo ti sto
chiedendo se ce ne già uno”
“Ma va!” Credevo che la sua
espressione di sorpresa avesse raggiunto la massima estensione, ma mi sbagliavo.
“Sei davvero così brava?”
“A quanto dicono...” dissi a testa bassa. La sua faccia stava
cominciando a mettermi in imbarazzo. Eric si fermò di
colpo; eravamo arrivati alla fine del corridoio.
“E sai fare quindi tutte quelle
mosse strane…?” disse cominciando a fare con le braccia gesti parecchio strani.
“Sì” riuscii a dire io, nonostante non capissi quello che
intendeva.
“E sai fare anche quello strano
salto all’indietro?” Ora stava esagerando.
“Sì” ripetei secca e monotona. E si
chiama back flip!
“Cavolo! Chefigata!
Complimenti!” disse stranamente meno esaltato
“Grazie” Questa volta sembrava essere stato realmente
sincero ed io mi sforzai di ricambiare allo stesso modo.
“Oh, giusto, il corso!” esclamò
improvvisamente “Non ti preoccupare, hai via libera. Ancora un po’ e qua
a Forks cominceranno a togliere la parola break dance dal dizionario.” Mostrai il mio sorriso sghembo alla sua battuta.
“E sai anche dove potrei trovare
uno spazio adatto?” Mi rispose senza pensarci troppo.
“Non credo, l’unico decente può
essere la palestra della scuola. Prova a chiedere in segreteria.” La campanella
a quel punto suonò.
“Be, ora devo andare…” disse Eric cominciando ad allontanarsi.
“A dopo!” gli risposi di rimando.
La mattina passò piuttosto in fretta ed il mio umore stava
dondolando tra la felicità per il corso di break e la
terribile ansia di trovarmi della neve addosso da un momento all’altro. La
battaglia si svolgeva tra un’ora e l’altra ed avevo rischiato di essere colpita
un paio di volte durante il tragitto da un blocco all’altro della struttura scolastica.
Fui ben lieta quindi di raggiungere la mensa sana e salva. Mi misi in coda con
calma e aspettai di prendere il mio vassoio e di riempirlo di un misero pasto. Mentre aspettavo riuscii a riconoscere la sagoma della
persona davanti a me.
“Ciao Bella!” Lei si girò verso di me e ricambiò il saluto
con un sorriso.
“Ciao, Abigail!” Oggi non sembrava
avere la testa persa tra le nuvole come ieri. Improvvisamente la mia attenzione
venne catturata da una strana cartellina gialla che
portava in mano, bagnata un po’ qua e là, su cui erano visibili alcuni residui
di neve. Capii che l’aveva usata per ripararsi dalle palle.
“Chegenialata!”
dissi indicando la cartellina con un dito, ad occhi spalancati. “Avrei dovuto
pensarci anch’io!”
“Ah…Questa?” fece lei, sollevando la cartellina, mentre
lentamente raggiungevamo il bancone del cibo. “Bhe… diciamo che non vado matta per la neve”
“A proposito di pazzia, io l’ho sempre detto
che è matta la gente a cui piace la neve” concordai con lei. Lei sfoderò un
sorriso solare.
“Oggi siamo particolarmente felici” dissi, contagiata dalla
sua felicità. Ero sempre stata così; una sorta di spugna di emozioni.
Gli stati d’animo degli altri mi influenzavano quasi
più dei miei.
“Già” rispose lei sempre con lo stesso tono. Mi ricordai
improvvisamente della discussione di ieri e cominciai a guardarla con attenzione.
Avevamo concluso di non dirle niente sul fatto che i
miei genitori fossero dei vampiri, principalmente perché non sarebbe stata una
buona idea farle ricordare brutti momenti. Per essere più
precisi, presunti brutti momenti. E poi
l’avrebbe scoperto da sola; sapeva quali erano le particolarità fisiche dei
vampiri e le avrebbe riconosciute presto nei miei genitori non appena li
avrebbe visti, cosa che sarebbe accaduta non appena sarebbe andata in ospedale,
quindi, data la sua capacità d’equilibrio, molto presto. I suoi occhi che per
un attimo le si illuminarono mi fecero portare alla
realtà.
“Oggi io, Mike, Angela, Ben e un
mio amico andiamo a Port Angeles a vedere un film, vorresti
venire anche tu?” Prendemmo entrambe un vassoio e lo trascinammo sul bancone.
“Oh…” dissi dispiaciuta “Credo proprio di no. Ho un po’ di cose che vorrei sistemare entro oggi con
il corso di break” Lei si girò sorpresa verso di me.
“Break dance?” Ecco, il suo non era
un “sorpreso-maiale blu”, ma più un “sorpreso-incuriosito”
“Eh già, voglio organizzare un corso di break
dance. Tu credi che molti possono essere interessati?” Solo allora mi accorsi che la notizia ben presto sarebbe stato di vero
dominio pubblico. Lei sembrò rifletterci un po’.
“Non so… è probabile di sì” disse mentre
sollevò il vassoio dal bancone. “Ma io di sicuro non
ci sarò” disse sarcastica.
Non serviva che chiedessi il
motivo, perché non appena cominciammo a dirigerci verso il solito tavolo, lei
inciampò. Io riuscii a prendere il vassoio in tempo, ma lei cadde a terra,
sbucciandosi un ginocchio.
A fine pranzo aveva smesso di nevicare e le nuvole si erano
fatte più chiare. Tutti gli studenti erano piuttosto depressi, ma zitta zitta io stavo gioendo. Come
avevo previsto, il mio corso di break dance aveva già
raggiunto le orecchie di molti, soprattutto dopo che Eric
lo aveva comunicato a tutto il nostro tavolo. Avevamo parlato principalmente tutto
il tempo di quello, e tutti furono sorpresi. Era
davvero strano che una ragazza facesse break dance? In
cambio però avevo avuto la conferma che più di qualcuno era interessato.
La mia felicità però per quel giorno era del tutto finita. Alle ultime due ore
c’era ginnastica ed io la odiavo, per il semplice fatto che finivo sempre per
far del male a qualcuno. Odiavo lavorare con qualcosa che non fosse il mio corpo e lanciare una palla non rientrava nelle
mie facoltà. Sconsolata mi diressi verso la palestra,
che avevo imparato dov’era. L’inizio cominciò già male; il professore di
ginnastica, il prof Clapp mi aveva consegnato
l’uniforme per le sue ore. E comprendeva pantaloncini
corti. Me li misi con grande difficoltà; mi davano
terribilmente fastidio e mi sentivo come se fossi nuda. La lezione andò peggio.
Cominciammo le battute di pallavolo ed io riuscii a spaccare una delle lampade
del soffitto, non particolarmente alto, oltre a colpire due teste. Con la break
dance e la corsa avevo sviluppato forti muscoli, non
esageratamente appariscenti, ma in grado di colpire molto forte. Ed io non sapevo gestire la mia forza con un oggetto. In
cambio potei però constatare che la palestra era sufficientemente grande per le
mie lezioni.
Alle quattro ero a casa, di nuovo felice. Avevo parlato con
la segretaria ed ero riuscita ad avere l’autorizzazione per l’uso della palestra
due ore a settimana.
“Buona sera a tutti” acclamai entrando dalla porta che dava
al garage. Mia madre e mio padre erano in salotto. Lui
stava leggendo, lei stava ammirando un mucchio di
disegni di bambini delle elementari.
“Ciao, Abi” dissero quasi
contemporaneamente. Portai la mano alla bocca e tossii.
“Vorrei fare un annuncio” Due bellissime teste, si girano lentamente
verso di me.
“Da questo martedì cominceranno le lezioni di break dance dell’insegnante AbigailAdams!”
“Uao!” esclamò mia madre
entusiasta.
“Dammi il pugno!” disse mio padre porgendolo. Io lo colpì non troppo forte.
“E quindi ho bisogno del computer
per i volantini per diffondere l’incredibile notizia. Non vorrei fare lezione
al muro.” dissi immediatamente.
“Certo, fai pure” disse lui, in quel momento la rilassatezza
fatta a persona. Non persi tempo e mi diressi in camera mia per indossare
qualcosa di più comodo.
“Abigail! La cena e pronta per le
otto!” sentii gridare mia madre mentre salivo le
scale.
“Va bene” le risposi io.
Tempo dieci minuti ed ero già sul computer di mio padre, nel
suo ufficio, mentre cercavo di richiamare alla testa tutte
le mie conoscenze del corso di informatica dello scorso anno. Mi ci vollero
pochi minuti per fare un volantino decente e stamparlo su
cartoncino rosso, preso quell’oggi prima di
tornare a casa; avrebbe risaltato e si sarebbe fatto notare. Ne feci una
cinquantina di copie, sperando che potessero bastare. Guardai il mio lavoro soddisfatta ed andai giù in cucina per la
cena.
Quello che seguì fu un weekend
piuttosto tranquillo. Il sabato successivo mi alzai ovviamente ad orari
indecenti e passai la mattinata a cambiare le gomme della moto con quelle
invernali, almeno finché non avrei trovato un altro mezzo con la quale sostituirla. Il pomeriggio invece
lo passai a spargere i volantini per ogni locale ed infrastruttura di Forks. Gli avrei attaccati anche ai pali del
telefono, se la perenne pioggia non li avrebbe infradiciati
e staccati. Ne diedi alcuni anche a mamma per portarli a scuola; i bambini,
soprattutto i maschietti, adoravano rotolare per terra come dei palloni. Approfittai
di questa “full immersion” di Forks
per parlare con qualcuno degli abitanti e per farmi conoscere. Mi stupii del
fatto che qui tutti si dimostravano disponibili e gentili; sembrava una grande
e grossa famiglia fatta a paese. Incontrai anche Mike
e sua madre, al negozio di trekking. Tutti mi chiesero
della mia famiglia e della vita a Chicago, ma questa
volta mi ero ripassata la parte e seppi rispondere/mentire bene.
Di tanto in tanto, inoltre, domandavo dove potessi trovare un’auto di seconda mano. L’unico risultato
che ottenni era che macchine di seconda mano potevo
comprarle dal meccanico del paese, un certo JohnDowling, ma mi avvertirono che costavano comunque un occhio
della testa.
A fine pomeriggio arrivai alla
centrale di polizia, l’ultima mia meta di quel lungo tour. Scesi dalla moto ed
entrai. Non faceva molto caldo, ma almeno si stava all’asciutto.
“Mi dica signorina” mi chiese un poliziotto al bancone
dell’entrata. Era il tipico poliziotto che si vedeva nei telefilm, con qualche
chilo di troppo e una ciambella in mano. Mi avvicinai sorridendo.
“Posso appendere un paio di questi?” dissi sollevando i
volantini ed indicando la bacheca in sughero per metà piena lì vicino.
“Certo” mi rispose addentando un pezzo di ciambella. Mi
diressi verso la bacheca e con le puntine che avevo portato da
casa appesi i volantini che erano rimasti in bella vista, mentre il
poliziotto simpatico del bancone mi guardava interessato. Pensandoci bene in
una città con poco più di tremila abitanti era comprensibile che l’indice di
criminalità non fosse alle stelle e che la noia era di giornata qui alla
stazione. Sentii il poliziotto sghignazzare.
“Ehi, capo! Ti interesserebbe un
corso di break dance?” Dalla stanza vicina uscì un altro poliziotto, lo
sceriffo, da come era stato chiamato. Era più asciutto del primo, ma anche lui
a pancetta non scherzava e la calvizie stava cominciando a farsi vedere. Lesse
velocemente il volantino e sorrise anche lui.
“Ah, non credo che qui riusciresti a reclutare qualche
coraggioso!” disse mentre sorseggiava il caffè che
aveva in mano. Io feci spallucce sorridendo.
“Erano gli ultimi rimasti.”
“Ah bhe, se erano gli ultimi…”
ironizzò il poliziotto simpatico, provocando piccole risa generali.
“Tu devi essere la nuotata arrivata, AbigailAdams, non è
vero?”
“Sissignore”
“Io sono il capo della polizia CharlieSwan, mentre lui è il sergente Jimmy”
disse mentre mi porgeva la mano. Io la strinsi.
“Piacere, signorina” disse Jimmy
alzando la ciambella.
“Il piacere è mio”
“Mia figlia mi ha parlato un po’ di te.” Solo allora me ne accorsi: Swan era il cognome di
Bella.
“Ah, spero che le abbia raccontato
buone cose su di me…” Lo sceriffo contraccambiò sorridendo.
“Ehm… senta, potrebbe farmi una cortesia?” Volevo provare
per un’ultima volta la domanda della macchina.
“Certo” mi rispose, facendosi serio.
“Sa dirmi dove potrei trovare un’auto di seconda mano? Che
non sia da John Bowling?”
tenni a specificare. Charlie ci pensò su per un po’,
ma poi scosse la testa.
“Mi spiace, ma credo che l’auto di seconda mano più vicina
che potrai trovare è a Seattle”
“Ma, scusa un momento” disse improvvisamente
Jimmy. Io mi voltai verso di lui.
“Che rimanga tra noi” iniziò guardandomi sottecchi “Con
tutti i soldi che ha la tua famiglia, non puoi
comprarti un’auto nuova?”
“Jimmy! Smettila
di ficcare il naso!” urlò lo sceriffo con voce possente.
“Fa niente” risposi io. Non era stato il primo che me
l’aveva domandato.
“Diciamo che voglio arrangiarmi da
sola” Jimmy cominciò a puntarmi con l’indice della
mano libera.
“Tu sì che farai strada, ragazza” Lo
ricambiai con un sorriso, mentre allo sceriffo gli si illuminarono per un istante
gli occhi.
“Senti, forse so chi potrebbe vendertene una. Sai dov’è la
riserva di La Push?” Io scossi la testa; non l’avevo
mai sentita nominare.
“È ad un quarto d’ora di macchina a sud -ovest da Forks. Lì c’è il figlio di un mio amico che costruisce
auto.”Mmmhhh… in gamba, il figliol prodigio.
“Magari se vi mettete d’accordo lui
te ne può costruire una. Non garantisco niente, ma chiedere non costa nulla,
no?” Prese carta e penna e cominciò a scrivere. “Questo
è il suo indirizzo di casa ed il suo numero di telefono.”
Mi porse il foglietto di carta e lo guardai: Billy e JacobBlack. Chissà
chi era il figlio e chi il padre.
“Lo chiamerò dopo per dirgli che
sei interessata” mi disse con un sorriso
“Grazie, signor Swan” gli risposi
cordiale prendendo il foglio. Mi trattenei alla stazione per ancora alcuni minuti.
Tornai a casa piuttosto felice. Prima il corso di break,
adesso l’auto. Le cose stavano andando davvero bene per me.
La mattina del giorno seguente mi svegliai abbastanza
presto. Colpa di strani incubi che non riuscivo a
ricordare. Il risveglio però fu uno dei più piacevoli, perché quella mattina
c’erano meno nuvole del solito. Quella sì che era una bella
giornata per Forks. Di domenica, poi, era il
massimo. Di certo non sarei rimasta a casa a far niente. Andai quindi giù in
cucina per la colazione.
“Come mai già sveglia?” chiese mia madre intenta ad addobbare e rimpinzare il salotto di fiori, come se la
natura appena fuori alla porta non bastasse.
“Strani sogni che neppure ricordo” risposi mezza addormentata mentre aprivo il frigo per il latte e la
mensola dei biscotti. Mi preparai la colazione in silenzio, aspettando che la
nebbia nella mia testa si diradasse.
“Dov’è papà?” dissi a mamma con la
bocca piena di biscotti.
“È all’ospedale; questa settimana fa anche il weekend, così la prossima possiamo andare in perlustrazione”
gridò lei dal salotto.
“Bene…” risposi io ,appoggiando la
testa sul braccio e pensando come avrei passato quella sacra giornata di sole. Nonostante il sonno riuscì a venirmi il colpo di genio. La Push; sarei potuta andare a La Push. Era domenica e non
credevo fosse una bella idea andare a disturbare il “figliol prodigio amico delle auto” e suo padre. Avrei
potuto però vedere la favolosa riserva. La semplice idea riuscì a darmi un po’ di energie in più. Misi la tazza nel lavello e dalla sedia
della cucina mi stravaccai sul divano del salotto.
“Mamma, oggi pensavo di andare a La
Push” le comunicai la mia decisione. Lei non tolse lo sguardo dal vaso di fiori
davanti a sé.
“La Push? La riserva, dici?”
“Ne hai sentito parlare?”
“Sì, dicono che non abbia una
brutta spiaggia per…”
“Spiaggia?! Con il mare, dici?!” Io
adoravo il mare. Non importava se non c’era un sole
che spacca le pietre, andava bene così. Avevo sempre vissuto a Chicago ed
ovviamente il mare me lo sognavo, ma da quando ero andata a San Lucasquell’estate me n’ero
innamorata. Certo, Chicago si affacciava sul Lago
Michigan, ma personalmente detestavo l’acqua dolce dei laghi.
“Non lo sapevi?” chiese lei guardandomi questa volta negli
occhi. Io scossi la testa. Non aspettai altro ed andai subito in camera a
prendere il casco della moto. Il minuto dopo ero già in sella, direzione La Push.
Mi ci vollero solo otto minuti per raggiungere il cartello
di benvenuto. La strada percorreva la costa alta e frastagliata e dava sul
mare, mentre l’insieme di case che formavano la riserva dovevano trovarsi un
po’ più là perché dalla strada non riuscii a vederle. Parcheggiai la moto
vicino ad una scalinata che portava giù alla spiaggia. Gli scalini erano
parecchio ripidi e dovetti fare altrettanta attenzione. Mi avvicinai al mare,
attenta a non bagnarmi ed inspirai lentamente l’aria salmastra. L’odore mi inebriò le narici. Che magnifica
sensazione. Mamma aveva ragione, la spiaggia era
davvero bella. La sabbia era sostituita da piccoli sassi d’ogni colore e in
qualche punto giaceva qualche tronco, portato dalle
onde o disposto da qualche campeggiatore per un falò. Il mare non era di un
azzurro brillante come in California, ma rispecchiava comunque
quei pochi raggi di sole con un colore tra l’azzurro ed il grigio. Era un po’
mosso per il vento, e ad ogni onda che si infrangeva
sentivo piccole gocce salate sul viso. Lo spettacolo era incorniciato da
qualche scoglio solitario che spuntava ogni tanto all’orizzonte. Mi guardai
intorno; strano, non c’era nessuno con questa giornata. Ero da sola, ma questo
non mi spaventava, anzi, era meglio. Adocchiai un tronco bianco ed eroso
dall’acqua e mi sedetti sopra. Tirai fuori l’mp3,
mettendo a basso volume musiche rilassanti. Era troppo forte la sensazione di
buttarmi in acqua; nuotare era bello tanto quanto correre. Non vedevo l’ora che
arrivasse l’estate per poter fare qualche tuffo.
Mi sistemai meglio sul tronco incrociando le gambe.
Quando avevo lasciato Chicago ero
un po’ depressa e sconcertata; credevo che qui a Forks
mi ci sarebbe voluto parecchio tempo per sentirmi a mio agio. Invece tutto
quello che era successo aveva superato le mie aspettative;
avevo incontrato persone simpatiche, avevo organizzato subito il corso, stavo
forse per combinare anche la macchina e cosa più importante di tutte c’era il
mare! Sapevo che Forks si trovava vicino alla costa,
ma il mio senso della distanza non era dei migliori.
Chiusi gli occhi per qualche minuto. Forks
era davvero una città strana. Mi piaceva l’idea di passare qua un po’ di tempo fino
a quando la scusa non sarebbe più stata credibile,
vivendo in pace e in tranquillità. Sorrisi tra me; vivere in
pace e in tranquillità tenendo in conto due genitori vampiri. Aprii gli
occhi di scatto; a pensarci bene la tranquillità era già andata a farsi
benedire con lo scandalo di Bella. Quella dannatissima domanda che ero riuscita
a rimuovere ora mi stava ritornando alla mente: perché
diamine i Cullen se n’erano andati, lasciando Bella da
sola? Forse non se n’erano proprio proprio
andati. Forse avevano dovuto traslocare per il problema dell’età e la venivano
a trovare qualche volta. Ma allora perché non se n’era
andata anche lei con loro? Forse voleva finire la scuola oppure…
No, era inutile ipotizzare a caso. Se volevo scoprirlo
potevo saperlo solo da lei, ma con che diamine di faccia tosta
sarei andata da lei e le avrei chiesto di raccontare la storia della sua vita? E poi c’era anche Charlie. Lui lo
sapeva che i Cullen erano dei vampiri?
In quel momento mandai tutto a quel
paese, promettendo a me stessa che non avrei mai osato torturare in modo così
crudele la mia mente. Fino a quando Bella non avrebbe
scoperto che i miei genitori fossero dei vampiri, ovvio.
Una goccia sugli occhi mi fece tornare alla realtà. Acqua?
Ero troppo lontana dalla riva per sentirla sul viso. In breve mi accorsi che
non proveniva dal mare, ma direttamente dal cielo, che si era fatto di nuovo
grigio e stava cominciando a piovere. Imprecai tra me e me. Era meglio se me ne andavo prima che cominciasse ad aumentare. Corsi verso la
moto, misi il casco e partii.
Svoltai solo un paio di volte e finalmente vidi i primi
abitanti della riserva. Passai veloce accanto a loro e non riuscii a distinguerli
bene, ma potei vedere il loro mastodontico corpo abbronzato coperto solo da un
paio di bermuda, nonostante non fosse decisamente la
stagione per il torso nudo. Il mio primo pensiero fu che fossero i soliti e
dannatissimi fighetti pompati.
Il giorno dopo finii la propaganda dei volantini. La scuola
era l’unico posto dove non avevo potuto appenderli perché durante il fine
settimana era chiusa. Fu la prima cosa che feci non appena entrai. Bhe… in realtà fu quella di trovare la bacheca, ma non fu
difficile; una grande tavola di sughero piena di
volantini era posta sulla parete a sinistra dell’entrata. Cercai un posto in
bella vista e ne appesi uno. Mi soffermai anche a guardare
gli altri volantini. C’era proprio di tutto: dalla vendita di cd a quella di lettiere
per gatti. Uno vendeva due vecchie moto, un altro
offriva la possibilità di fare bungiejumping, un altro ancora vendeva tazze di ceramica antiche,
un altro… Mi fermai di colpo e tornai indietro. Aspetta un attimo, bungiejumping? Staccai dalla parete
il volantino verde in questione e lo lessi attentamente. Uno sport center a Port Angeles dava l’occasione di provare l’ebbrezza del bungiejumpinga
un prezzo che presi in grande considerazione. Era da parecchio tempo che covavo
la voglia di provare a farlo e i miei me l’avrebbero permesso sicuramente. Il
problema era il costo; non era eccessivo, ma dovevo risparmiare per la
macchina. Decisi di prendermi un po’ di tempo per pensarci… tre… due…uno… va
bene, lo faccio, la macchina poteva anche aspettare. Non
potevo dire che non ci avevo pensato. Sul volantino
c’era scritto che i giorni disponibili andavano dal lunedì al sabato e si
svolgeva di pomeriggio. Prima era, meglio era; l’effettiva possibilità di
poterlo fare aveva aumentato la voglia, perciò organizzai il tutto per
mercoledì. La mia concentrazione fu brutalmente disturbata dal suono della
campanella. Piegai il foglietto e lo misi nello zaino, mentre mi dirigevo verso
l’aula di biologia.
Appena entrata mi sedetti al mio solito
posto e salutai Bella. Lei mi rispose con un tono strano, quasi assente. La
guardai bene in volto; aveva le sopracciglia aggrottate ed era tutta immersa
nei suoi pensieri. Chissà a cosa stava pensando. Evidentemente
a un qualcosa di molto più brutto che bello. Provai ad
intavolare uno straccio di conversazione.
“Allora, come è andata l’uscita al
cinema di venerdì?” cercai di chiedere con entusiasmo. Lei sbuffò e si prese la
testa con le mani, come se avesse il mal di testa.
“Un disastro in tutti i sensi” disse quasi stanca.
Si interruppe all’arrivo del
professore in classe. Le due ore seguenti passarono piuttosto lente, anche se
la lezione era interessante. Bella non avrebbe aperto bocca per tutto il tempo,
se non le avessi parlato io, un po’ chiacchierando sulla
sua uscita al cinema ed un po’ blaterando. Quasi mi dispiacque di non essere
andata quel venerdì; la grande compagnia si era
ridotta a tre persone, lei, Mike ed il suo amico, il
film poi era scadente e tutti e tre erano tornati a casa con uno strano virus
intestinale. Pensandoci bene, forse era stata una fortuna non andare. Finita la
lezione mi misi subito lo zaino in spalla.
“Vuoi che ti accompagni a spagnolo?” chiesi a Bella. Lei
sembrò guardarmi per la prima volta.
“No, figurati, è dall’altra parte della scuola” Il suo tono però era abbastanza deciso.
“Va bene…” me ne uscii io, dirigendomi verso la porta.
“Abigail, aspetta! Hai perso
questo…” mi urlò Bella quando fui già arrivata alla
porta. Mi girai verso di lei. Teneva in mano il volantino verde e lo stava
guardando con attenzione.
“Oh, grazie!” dissi prendendolo. “Ci vediamo dopo!” Mi ero
appena incamminata che mi fermò un’altra volta.
“Abigial!” Si avvicinò
a me. Eravamo una di fronte all’altra in mezzo al corridoio tra un
mucchio di gente; non il posto perfetto per una discussione.
“Hai intenzione di darti al pericolo?” chiese indicando il
volantino verde.
“Oh, sì, mi piacerebbe” le risposi mentre
lo mettevo via.
“Ah… uau…” Io la guardai negli
occhi; era esitante.
“Mi devi chiedere qualcosa?”
“…S- sì” mi disse dopo un po’. Perché
stava tentennando in questo modo?
“Ehmm….” mormorò
lei “Mi piacerebbe molto anche a me” Ah, capito. Aveva paura di dimostrarsi
troppo presuntuosa ad autoinvitarsi.
“Oh. Eh… vorresti venire con me?” la aiutai io. Lei mi
sorrise.
“Perché no?”
“Io pensavo di andarci mercoledì, ma se per te non va bene…”
“No, per me va bene” Sembrava aver riacquistato un po’ di
solarità.
“Va bene. Comunque vedrò di
telefonare oggi per sapere qualcosa di più o per prenotare, se si può.”
“Ok. Magari vieni
da me, così andiamo a Port Angeles insieme”
“Perfetto” L’inverso sarebbe stato assolutamente inadeguato.
“Fatta?” Le porsi il pugno, che lei guardò per un attimo
confusa prima di colpirlo.
“Fatta.”
“Allora, com’è andata la prima lezione?” chiese mia madre
sedendosi sul divano vicino. La domanda di mia madre era irritante e
sarcastica. In quel momento mi ritrovavo spiaccicata sul divano del salotto,
con ancora il giubbotto addosso ed il casco per terra. Era stato un pomeriggio
impossibile.
“Non ce la farò. Non ce la farò” blaterai
a faccia in giù, mentre il materasso attutiva il suono della mia voce.
“Proprio tu che sei piena di energie?”
ribadì mio padre in piedi. In tutta risposta rotolai distrutta per terra.
“Perché tu non hai idea di come sia gestire venti persone di età compresa tra i sette e i dodici anni!” Mi misi a
sedere.
“È stata
distruttiva come esperienza” esclamai rispondendo alla domanda di mamma.
“Devi solo abituarti…” disse lei rilassata.
“Devo” affermai alzandomi finalmente in piedi.
“E comunque scommetto che ti sei
divertita” incalzò mio padre. Io cominciai a sorridere sotto i baffi e a
ciondolare prima di rispondere. Non volevo ammetterlo, ma sì,
era stata proprio divertente quella prima lezione di break dance. Quei
bambini rotolavano come dei palloni e quella fu la
prima volta che provai una sorta di felicità ed allegria a vedere dei bambini impazziti;
non c’erano dubbi che il mio senso materno nascosto e sepolto si stesse
risvegliando.
“Sì” ammisi alla fine “Anche se io
mi aspettavo ragazzi più grandi” dissi con un po’ di delusione. Certo, alla fine quella lezione era stata un vero successone
e non dovevo nemmeno lamentarmi tanto, ma mi dispiaceva che nessuno della
scuola si fosse presentato, soprattutto dopo che ne avevano parlato così tanto
e si erano dimostrati così entusiasti.
“Ma è solo l’inizio” mi rassicurò mia madre “Vedrai che se ne aggiungeranno ancora”
“No! Venti bastano ed avanzano!” sbottai
io, dirigendomi dritta su per le scale. Stavo prendendo veramente in
considerazione l’idea di percorrere Forks in lungo ed
in largo per togliere qualsiasi volantino rosso. Se solo avessi saputo che
fosse stato così difficile… inutile, l’avrei fatto comunque.
“Cosa vuoi per cena?”
“Niente, mamma, vado subito a dormire”
“Allora è stato più distruggente di quanto pensavamo”
“Sì, papà” risposi io a macchinetta, quasi un po’ scocciata.
Non mi trattenei ancora per molto in salotto; non era il momento adatto per una
felice conversazione famigliare. Andai dritta in bagno, mi
feci una doccia e poi via sotto le coperte. Riuscii a dormire alla
grande, preparandomi per il grande salto di domani.
Innanzitutto ringrazio inoltre in
modo speciale tutti coloro che hanno messo questa storia nei preferiti o nei
seguiti, oltre a tutti coloro che leggono questa fanfic!
Riguardo alla ff….mmhhh… Le
cose si stanno facendo un po’ noiose e lente, soprattutto in questo capitolo,
me ne rendo conto, ma nel prossimo ci saranno un po’ più di dubbi ed un
incontro un po’ particolare (eheh…). Inoltre sono un po’ corti, ma vedrò di rimpinzarli un po’ di
più. Per il resto spero che come inizio vi intrighi e
vi coinvolga. Commentate in numerosi! J
X RiceGrain: bhè…
devi sapere una cosa, dopo un po’ divento parecchio noiosa e ripetitiva, quindi
non sorprenderti se più di una volta ti ringrazierò usando le stesse identiche
parole! J
Sono davvero priva di fantasia in questo. Quindi ti
scrivo che sono stracontenta che ti piaccia questa ff,
ma soprattutto ti ringrazio per le tue opinioni ed i tuoi commenti, sempre ben
accetti. Grazie ancora!
“Allora? Che te ne pare?” dissi
elettrizzata. Nelle vene scorreva adrenalina al posto del sangue. Davanti a me
c’era uno strapiombo di decine e decine di metri cha finiva
su una larga valle dove scorreva il più grosso affluente del lago Aldwell, a dieci minuti da Port
Angeles.
“Allora, chi è la prima?” chiese Neil,
l’assistente giovane e per niente brutto dello Sport Center.
Alle cinque precise di quel pomeriggio io e Bella eravamo
già a Port Angeles, a un’ora
d’auto da Forks, e non fu per niente difficile
trovare l’agenzia per il pagamento e la compilazione di vari documenti per
l’accertamento di buona salute e per l’esonero di qualsiasi responsabilità. Subito
dopo il bel giovanetto bruno addetto all’attrezzatura e alla sicurezza che in
quel momento stava preparando la piattaforma ci
accompagnò sul ponte dove ci trovavamo in quel momento.
“Io!” dissi fuori di me. “Se non ti
dispiace” completai guardando Bella. Era affacciata anche lei al
parapetto del ponte da cui ci saremmo buttate e non sembrava
decisamente tanto entusiasta quanto lo ero io; ci stava forse ripensando? Non
si poteva tirare indietro proprio adesso…
“Vai pure prima tu” disse con una certa inquietudine negli
occhi.
“D’accordo” feci io. Indossai la tuta che Neil mi porse e mi posizionai
sulla piattaforma che era stata provvisoriamente preparata per noi. Vedendo il
panorama da lassù mi venne un’altra scossa. Il giovinetto legò alle mie
caviglie un’ampia e complicata imbracatura a cui era legato
il gancio del cordone elastico. Non mi sentii particolarmente a mio agio quando mi domandò quanto pesavo, per la misura della
corda. Ci mise cinque minuti per legarmelo, sufficienti per non sentirmi più i
piedi; almeno non sarei di certo caduta. Poi mi fasciò intorno ai fianchi una secondo imbracatura a cui era collegata la corda di
sicurezza. Infine legò l’altra estremità del gancio alla piattaforma.
“Ecco, fatto” disse dando una pacca all’imbracatura delle caviglie “Quando ti senti più sicura puoi buttarti. Ricorda
che devi spingerti in avanti quando salti e di
mantenere una posizione verticale. Quando i tre rimbalzi sono
finiti aggrappati alla corda di sicurezza. Poi ti riporterò su.” Annuii
convinta, posizionandomi sulla pedana. Voltai lo
sguardo verso Bella, che sormontavo di un paio di metri per l’altezza della
piattaforma.
“Un gelato a chi grida di più?” dissi con un sorriso a
trentadue denti per l’emozione.
“Perderesti” disse lei più tranquilla di prima.
“Vediamo” Subito dopo mi lanciai nel vuoto. L’aria tuonava
nelle orecchie e non riuscivo a muovermi per la sua potenza su di me; mi
sentivo come un piccolo proiettile che scalfiva l’aria. Mi fu impossibile non
urlare a squarciagola. Il mio sangue stava bollendo. Smisi di urlare solamente quando non avevo più fiato nei polmoni e sentii la
velocità calare. Mi sentii poi risucchiare verso l’alto; non fu una bella
sensazione. Percepii un forte dolore al coccige, ma con l’adrenalina in circolo
e lo stomaco serrato quasi non lo sentii. Ci furono
poi altri più corti rimbalzi, finché non mi fermai, penzolando a testa in giù.
“Uao” era la parola più adatta per
descrivere quello che avevo appena vissuto. Credevo che il bungeejumping fosse eccitante, ma
mai fino a questo punto. Il cuore sembrava essere andato in tachicardia e non
smetteva di battere. Capii che nella mia testa c’era troppo sangue
quando sentii i battiti aumentare di risonanza in quella zona. Mi
aggrappai alla corda di sicurezza e mi tirai a testa in su.
Respirai profondamente cercando di calmarmi, ma senza successo; ero ancora troppo
frenetica. Guardai in su e vidi le teste di Bella e di
Neil sporgere dal ponte. Sventolai la mano facendo
capire che stavo bene. Il secondo dopo sentii il
cordone salire verso l’alto e riportarmi sulla piattaforma.
“È stato mitico!” fu la prima cosa che dissi
appena salita. “Se non ti butti tu, ti butto giù
direttamente io!” urlai esaltata a Bella.
“Ti è piaciuto?” disse il moretto slacciandomi.
“Da matti!” risposi io “È possibile
fare un secondo giro?”
“Mi dispiace, ma due volte di seguito può essere nocivo alla
salute. Ed è contro il regolamento” rispose lui
amareggiato, mentre riavvolgeva il cordone. A pensarci bene però non so se sarei stata disposta farne un altro.
“Ora tocca a te” Era diventata dubbiosa e fui
sul punto di credere che non l’avrebbe fatto sul serio.
“Vedi di tirare fuori il portafoglio” disse tutto ad un tratto,
mentre andava ad indossare la tuta. Il moretto preparò Bella nello stesso modo
e nello stesso tempo che impiegò con me. La vidi salire sulla pedana un po’
barcollante, ma dedussi che fosse per la sua scarsa
capacità d’equilibrio.
“Come ti senti?” le dissi, già più calma.
Questa volta era lei a guardami dall’alto me.
“Quando sei pronta, salta pure”
disse l’assistente. La guardai negli occhi per trovare la stessa eccitazione
che provavo io. Lei però ce li aveva chiusi. A testa china stava inspirando ed
espirando profondamente. La sua mano tremava, per l’agitazione,
supposi. Forse non doveva buttarsi, forse non avevo
interpretato bene la sua paura.
“Bella, che cos…” non finii nemmeno la frase che lei si
buttò giù. Qualcosa non andava. Perché non gridava? Mi
sporsi dal ponte, la vidi precipitare verso terra e
rimbalzare tre volte. Il mio cuore stava ricominciando a battere, questa volta
non per frenesia. Perché Bella non aveva gridato? Anche l’addetto si era sporto preoccupato.
“Tutto bene?!” gridò lui, quando
Bella finì di rimbalzare. Lei però non si muoveva.
“Bella!” gridai con tutto il fiato che avevo
in gola, con un urlo che batteva dieci a zero quello della caduta. Se le fosse
successo qualcosa non me lo sarei mai perdonata. Anche se era più grande di me, ero stata io a coinvolgerla
in quell’avventura e mi sentivo in un certo senso
responsabile. Mi investii un grandissimo senso di
sollievo quando la vidi arrampicarsi sulla corda e farci il gesto di “okay”.
Alzai la testa e respirai, mentre anche l’assistente si rilassava.
Bella risalì in un batter d’occhio e rimasi spiazzata dalla
sua espressione euforica, quasi più della mia. Aveva un sorriso che arrivava
fino agli angoli della bocca e uno strano scintillio negli occhi.
“È stato stupendo!” esultò lei. Sì, stava davvero bene. Scese
dalla pedana con un salto, ancora terribilmente emozionata.
“Certo che tu sei un fenomeno.” commentai
io “Non hai neppure gridato”
“L’emozione è stata così grande da impedirmi di gridare” si
giustificò lei “Lo rifarei sicuramente ancora” Era molto più determinata di me;
non me lo sarei aspettata. Il suo comportamento mi aveva lasciato letteralmente
a bocca aperta.
In pochi minuti Neil sganciò anche
Bella. Con il furgone dell’agenzia ci riportò a Port
Angeles, dove Bella aveva parcheggiato il suo pick up.
Proposi un piccolo giro per Port Angeles, ma
sfortunatamente, com’era normale, il cielo nuvoloso, che fino a poco tempo fa
si era trattenuto, ora sembrava non vedere l’ora di
liberarsi di tutta la pioggia che conteneva. E nessuna
della due aveva un ombrello. C’era da vergognarsi che due ragazze di Forks, la città più piovosa di
questo mondo, non avessero un ombrello. Un po’ come un bar senza la macchinetta
del caffè.
“Non pensavo fossi tipo per queste cose” dissi forse troppo
seria e tesa a Bella dopo essere salite in auto, mentre lei ingranava la prima.
“Nemmeno io” Lei invece era ancora emozionata e forse anche
un po’ sconvolta. “Non credo di aver provato tanta adrenalina tutta insieme
come oggi! Ti ringrazio davvero per questa giornata. A questo punto però il
gelato te lo dovrei offrire io, per come hai gridato dal ponte” Sfoderai il mio sorrisetto sghembo.
“Almeno due di gelati” le risposi io, un po’ accigliata “Mi
hai fatto prendere un colpo, lo sai?”
“Ti ho spaventata? Scusa, non l’ho fatto apposta” mi rispose con un sorriso, ancora sotto
l’effetto dell’adrenalina. Era davvero strano vederla così felice. A scuola
solamente una volta l’avevo vista realmente serena, cioè
lo scorso venerdì. Mi resi però conto solo ora che
quello che avevo appena pensato di lei era assolutamente infondato; la
conoscevo da cinque giorni! Come potevo giudicare una persona in così poco
tempo? Molto probabilmente era “il suo piccolo segreto” a
influenzare parecchio la mia opinione su di lei. Scossi la testa e ritornai
alla realtà, dove intanto si era creato uno strano silenzio per niente
piacevole.
“Sono tanto curiosa di sapere a cosa stavi pensando quando eri su quella pedana. Eri concentrata da far
paura” dissi la prima cosa che mi venne in mente.
“Ah…” si risvegliò lei. Anche lei
si era persa in strani pensieri.“Mi stavo godendo appieno il momento” Trascorsero
pochi secondi prima che riprendesse a parlare.
“Pensavo, che ne dici se al posto
di un gelato ti offrissi una cena a casa mia? Tra poco è ora
di cena” Spalancai gli occhi dallo stupore. Non mi sarei mai aspettata
un invito su due piedi. La cosa però mi fece davvero molto piacere.
“Certo, non credo che ai miei gen…
zii dispiaccia.” Mannaggia. Mi morsi la lingua,
sperando che non se ne fosse accorta. “Aspetta che glielo dico.” Continuai io,
leggermente nervosa, smanettando con il cellulare ed inviando un messaggio a
mia madre, con il cuore a mille.
“Quindi sai cucinare.” Cercai in
tutti i modi di distrarre la sua attenzione dal mio errore lessicale.
“Diciamo che me la cavo.
Sicuramente meglio di mio padre lo sono. Tu invece?” replicò
loquace. Sospirai dal sollievo; non se n’era accorta. Per adesso.
“Vorrei, ma mia zia dice che sono
proprio negata” Anche questa volta ci pensò un po’ prima di rispondermi.
“Potrei insegnarti io qualche trucco del mestiere; puoi
venire un giorno a casa mia. Così mio padre sarà contento che stia ampliando la
mia vita sociale.”
“Non è male come idea. Ci penserò su” Mi
stupii un’altra volta. Prima la cena, ora lezioni di cucina; Bella non dava di
una persona così tanto socievole e piena di
iniziativa. Forse l’adrenalina, come una droga, era ancora rimasta nel suo
cervello e la portava a dire cose che nemmeno pensava… No, troppo
fantascientifica come ipotesi.
“Lo è anche tua madre?” Continuai io per non far cadere la
conversazione.
“Cosa?”
“Negata in cucina, dico.”
“Diciamo che lei ha più voglia di
sperimentare di me. E non sempre le riescono le sue creazioni. Quindi tocca a
me rimediare un pasto caldo.”
“In pratica grava sulle tue spalle il compito di far
sopravvivere la famiglia” ironizzai io. Lei sorrise serena, ancora
elettrizzata; strano, visto che ormai era passata una
mezz’ora abbondante dal “grande salto”.
“In realtà i miei genitori sono divorziati.”Sbang.Uau, che figura. Questo sì che si chiama delicatezza, Abigail! Complimenti!
“Scusa, non lo sapevo” dissi frettolosa io.
“Ah. È successo fin troppi anni fa” mi
rispose tranquilla, sollevando la mano per schiaffeggiare l’aria. Va
bene, non avevo fatto una grande figura di...
“È adesso lei dov’è?” continuai, sicura che questo non fosse
un argomento minato.
“In Florida, insieme a suo marito Phil”
“Ma sei nata a Phoenix, giusto?”
“Non esattamente. Io sono nata a Forks” Cristallina, Bella, sei stata cristallina…
“Mi hai mandata un po’ in confusione” confessai io. Lei
sorrise.
“I miei genitori appena sposati si sono trasferiti a Forks, la città natale di mio padre. Ma quasi subito dopo
si separarono e mia madre se ne andò a Phoenix,
portandomi con se quando avevo solo pochi mesi.” Fece una pausa per riprendere
il respiro.
“Da allora fino ai quattordici anni cominciai a passare un
mese delle mie estati a Forks con mio padre; non mi
ricordo molto di questa esperienza. Per i tre anni
seguenti però riuscii a convincere mio padre a passare due settimane da me:
odiavo da morire Forks, era troppo diversa da Phoenix
e troppo… sbagliata per me. Nonostante tutto un anno fa decisi di trasferirmi
totalmente da mio padre.”
“Come mai?” chiesi curiosa. Forse troppo…
“Bhe… Phil
è un giocatore di baseball”
“Lo conosco?” chiesi con il sorriso sghembo.
“Non credo” mi rispose lei ridendo. Aveva una bella risata;
doveva farlo più spesso. “Viaggiava molto e mia madre
era costretta a restare a Phoenix per me. Per questo ho deciso di venire a Forks.”
“Quindi hai lasciato tutto per tua
madre” riassunsi io. “Uau. Che maturità da vendere” dissi alla fine realmente stupita dalle potenzialità della
ragazza vicino a me. Lei alzò le spallucce, un po’ imbarazzata. L’incapacità del
movimento era andata a compensare altre qualità, prendendo in considerazione
l’età.
“Complimenti davvero, non so se sarei riuscita a fare quello
che hai fatto tu”
“Smettila, ora mi stai facendo arrossire” disse lei ironica,
sempre con un sorriso. Seguii il suo consiglio, cambiando argomento.
“Anche a te i primi giorni ti hanno accolta
con il “trattamento speciale”?”
“Oh sì. Erano tutti gentili ed
educati con me. Orribile.” disse con una punta di
ironia “Mi è piaciuto vedere qualcun altro nella mia stessa situazione”
ironizzò lei.
“Ehi! Ti ho appena fatto un complimento! Non farmelo
rimangiare!” Feci la finta offesa. “Hai passato dei belli primi giorni quindi.”
“Per niente” Improvvisamente tutta la sua serenità era
scomparsa. Rimasi stupita per la medesima volta, per come la
sua voce era diventata roca “Ero terribilmente demoralizzata perché E…”
Si bloccò alla fine.
“Perché io odio terribilmente la
pioggia e mi dovevo ancora abituare” riuscì a finire lei. La sua voce non era
per niente convincente. Chiunque avrebbe intuito che era solo una metafora per
“ti sto raccontando una balla perché la verità non te
la voglio dire”. Io però avevo uno strano presentimento che mi fece capire cosa
stava quella “E…”
“C’entrano i Cullen?” dissi in un
soffio, senza pensarci. Che idiota! Questo non era un terreno minato, c’erano intere bombe nucleari pronte
ad esplodere! Perché diavolo non me ne sono stata
zitta?!
“Mh…” Dalla sua bocca uscì un
mormorio quasi impercettibile. Tra una maledizione e l’altra che lanciavo a me stessa mi resi conto di una cosa importante. Riuscii a
trovarlo; era ben visibile adesso. Era lì, nella sua espressione, tutto il
dolore che era emerso al solo pensare quel nome. Non l’aveva
dimenticato affatto, non era riuscita neppure a superarlo. L’aveva
solamente seppellito con chissà che cosa. Scossi la testa immediatamente; la
stavo osservando da un bel po’ e questo poteva essere molto irritante. Dovevo
cercare di riportare la conversazione su un terreno asciutto, anche in modo
troppo evidente. Improvvisai e tirai fuori dal
giubbotto il volantino verde dello Sport Center, tutto stropicciato.
“Stai diventando dipende da questo genere di cose o è una
mia impressione?” dissi tutto d’un fiato
improvvisando.
“Non credo sia una tua impressione.” Il suo umore era
migliore. Continuai su questa strada.
“A proposito di pericolo, tu guidi una moto, giusto?” Ora
stava perfino sorridendo; si era ripresa abbastanza in fretta.
“Sì” chiesi un po’ dubbiosa. Bella non sembrava
assolutamente il genere di ragazza a cui piacevano le moto.
“Bhe… anch’io ne guido una.”
“Davvero?” Non riuscii proprio a trattenere lo stupore. Fu
più forte di me. Per guidare una moto ci voleva equilibrio e mi dispiaceva
dirlo, ma lei non ce ne aveva.
“Intendevo dire che sto imparando.
E vorrei tanto continuare, ma il mio attuale istruttore… non è nel pieno delle
sue facoltà per farlo.”
“Quindi adesso non hai più
possibilità di andarci?” Ti prego, dimmi di sì. Non volevo essere a conoscenza
di un probabile suicidio.
“No, anche perché la moto ce l’ha
lui.” L’istruttore non era di certo un mona. “E poi
mio padre non mi lascerebbe mai guidare una moto, quindi non la posso tenere a
casa.”E neppure il padre.
“Uno degli svantaggi di avere un padre poliziotto. Anche
se con tutti gli incidenti che ci sono ha ragione”
“Quindi stai imparando a guidare
una moto di nascosto” dedussi io. Stavo pian piano scoprendo lati di Bella
davvero trasgressivi.
“Sì” disse con un sorriso imbarazzato.
“Ti deve piacere davvero tanto il pericolo, allora.”
“È difficile da spiegare” se ne uscì lei. “E poi credo
proprio che il mio istruttore sarà occupato per un bel po’, quindi penso che mollerò.” Subito dopo le si illuminarono
gli occhi. “Ti va se…no, niente”
“Cosa?” chiesi io.
“No, niente” disse scuotendo la testa “Una stupidaggine”
“Non ne puoi dire sicuramente più di me. Quindi non ti devi
preoccupare. Spara” la rassicurai. Sorrise di nuovo imbarazzata.
“Volevo chiederti se potessi essere tu ad insegnarmi
qualcosa, ma con il corso di break dance e la scuola, non credo che tu possa
perdere tempo con me” Fece una pausa e sbuffò “Inoltre con l’invito a cena e le
lezioni di cucina credo di essere stato fin troppo
invadente. Mi dispiace.” Questa volta fui io a farle un grande
sorriso.
“Non hai fatto niente di male, anzi. Devo ringraziarti io
per gli inviti.” Volevo però essere del tutto sincera
con lei “Mi stupisce solo il fatto che tu me l’abbiamo chiesto pur conoscendomi
così poco”
“Mi piace starti vicino e fare le cose che fai tu” distolse
per la prima volta gli occhi dalla strada e mi guardò
“Mi fai stare bene. Hai uno strano ascendente su di me e il mio umore, fidati.”
Ricambiai il sorriso; era davvero sincera. Non avevo appieno
colto ciò che voleva dirmi con questo, ma da quanto avevo capito, lei con me
stava bene; era bello sentirselo dire, anche se era una ragazza appena
conosciuta. Anch’io mi sentivo in sintonia con lei; non
ero solita legare troppo con le persone, con lei invece mi veniva naturale.
Bella frenò improvvisamente. Sperai il peggio finché non mi
accorsi che eravamo giàritornati a casa sua. Il tempo era davvero volato in fretta.
“E comunque sarei ben felice di
farti fare qualche giro, ma se solo osi farle qualcosa ti farò fare io un giro,
del globo però” conclusi io ironica. Lei rispose con una risata.
Scendemmo dal pick up e facemmo
presto ad entrare in casa per evitare di bagnarci troppo. La casa di Bella
all’esterno era parecchio anonima, ma all’interno era tutt’altro.
Era piccola ed accogliente, anche se le pareti erano bianche. Mi ci trovavo
molto più a mio agio che a casa mia. Era abbastanza
tranquilla, ad eccezione della televisione accesa ad alto volume. Dalle grida che si levavano o era un film dell’orrore o una partita
di baseball. Per me le due cose più di qualche volta coincidevano.
“Papà, abbiamo ospiti” gridò Bella al padre, cercando di
sovrastare le urla. Il volume si abbassò e subito dopo dal salotto uscì
l’ispettore Swan, intento a sistemarsi la divisa
della polizia ancora addosso.
“Ciao Abigial, tutto bene?”
“Benissimo, e lei?” dissi mentre
gli stringevo la mano.
“Non male. E vedi di chiamamiCharlie e darmi del tu” disse puntandomi il dito contro,
con fare minaccioso.
“Signorsì” risposi portando due dita alla fronte.
“Bella, potevi almeno avvertirmi che portavi qualcuno a
casa”
“Hai ragione, scusa papà”
“Vi siete divertite, allora?” chiese
interessato.
“Alla grande” risposi io.
“Tutto apposto? Non è successo niente di grave?”
“No, papà. È stato tutto perfetto” disse lei
mentre si toglieva il cappotto fradicio, seguita da me “Ti va della
pizza?” Io feci cenno di sì. “È rimasta ancora pizza in frigo, papà?”
“Ah, dovete ancora cenare? Credevo che avreste mangiato
qualcosa a Port Angeles. Mi sono
già servito da solo, spero ce ne sia rimasta abbastanza” disse
dispiaciuto.
“Perfetto” disse Bella dirigendosi in cucina e facendomi
cenno di seguirla.
“A dopo, Charlie” gli dissi,
mentre lui ritornava in salotto, lasciandoci tutta la privacy che si potesse avere.
In cucina Bella aprì
il frigo, tirandone fuori qualche trancio di pizza e mettendoli in forno.
“Scusa per la cena. So che non è chissà che”
“Figurati. Posso mangiare tutto ciò che è commestibile” risposi guardandomi intorno. Era una piccola,
ma carina cucina con il pavimento di linoleum, bianco, ma le pareti
rivestite di pannelli in legno scuro ed il mobilio giallo chiaro. O sì, giallo, un po’ di colore finalmente. Il forno emise un
trillo e Bella lo aprì per prendere le pizze.
“La cena è servita” disse con un tono un po’ pomposo
mettendole sul tavolino di quercia al centro della stanza.
“Quindi questa sarebbe la lezione
numero uno?”
“Già. Accendi il forno e poi mangia”
”L’abc della sopravvivenza, insomma” scherzai io
addentando un pezzo di pizza “Credo che fin lì ci potrei arrivare”
“A proposito, come va il corso di break
dance?”
Passammo così per lo più la cena a parlare di quello che
facevo alla palestra di Forks, del perché lo facevo e
chi ci veniva. Le solite cose, insomma.
“E per la cronaca potresti venire
anche tu. Quello che insegno è livello base del base”
conclusi io.
“Sarebbe una grande botta alla mia
autostima essere la peggiore del corso ed anche la più vecchia” rispose lei un
po’ sconsolata.
“Hai ragione, saresti la più vecchia del corso” affermai io fingendomi
seria.
“Grazie per il vecchia” mi fece
notare lei ironica, alzandosi e prendendo il mio piatto vuoto.
“Prego” risposi a tono alzandomi dalla sedia. “Ahi!” Dolore
al coccige. Mi portai la mano sotto la schiena, mentre cercavo di drizzarla.
“Cosa c’è?” chiese Bella
preoccupata.
“Mi fa male il coccige. È stato sicuramente il bungeejumping.” Non era un
dolore continuo, stava infatti già passando. Era
strano che cominciasse solo adesso; dovevo farmi vedere da papà
quando sarei ritornata a casa. Alzai la testa con un sorriso.
“Passato” Bella però non era convinta.
“Ti devo portare a casa io?” Non era convinta nemmeno lei di
quello che aveva detto. “Bella a casa Cullen” era
davvero un brutto, ma brutto abbinamento.
“Figurati, ce la faccio” dissi tranquilla.
“Vuoi allora che andiamo in camera mia, così poi sederti su
qualcosa di più morbido?”
“Questa sì che è una bella idea”
concordai con lei.
Bella mi condusse al piano superiore. Sopra non era molto
grande, come anche la sua camera. Era un po’ spoglia ed anonima, ma era
affascinante, soprattutto per la sedia a dondolo nell’angolo.
“Mi piace la tua camera” commentai, mentre Bella mi invitava a sedermi sul suo letto. Era molto morbido e
comodo. Lei fece spallucce. “Niente di particolare.”
“È vero, ma a me piace. Ed è
ordinata e pulita. La mia invece è tutto dire…”
Con una smorfia mi sistemai meglio sul letto; ora non mi
faceva male il coccige, ma era solo un penoso tentativo di cambiare argomento. Penoso, ma efficace tentativo.
“Tutto apposto?”
“Sì, comincia a darmi un po’ di fastidio. Mi devo far
controllare da mio zio”
“Che tipo sono i tuoi zii?” disse
improvvisamente.
“Sono fantastici.” Fui stranamente sincera
nella risposta “Dovresti incontrarli per capirlo” Forse troppo sincera...
Percepii un’improvvisa fitta al fondo schiena. Il coccige cominciava a
farmi male davvero. Provai ad alzarmi per vedere se la situazione migliorava. Ma successe l’imprevisto. Una tremenda botta alla testa mi
obbligò a retrocedere, inciampando sul letto e cadendo sul materasso.
“Abigail!” sentii Bella
avvicinarsi a me. Non capivo se stava singhiozzando o ridendo. La botta alla
testa passò quasi subito, quindi mi alzai.
“Cosa diamine è successo?!” sbottai
a disagio. Cosa caspita mi aveva colpito la testa?!
“Ecco, scusa…” si giustificò lei “Hai preso in pieno un’asse
di legno non fissata al pavimento che ti ha colpito la testa”
Mise una mano su un punto preciso del pavimento e vidi una
delle lunghe assi del pavimento alzarsi. Ah… quindi, quando mi sono alzata ho
preso in pieno l’asse di legno, che mi è venuta addosso e mi ha fatto prendere
l’equilibrio. Quasi come le scene dei cartoni animati con il rastrello.
Ripensai alla scena e non potei non scoppiare a ridere. Solo a me potevano
succedere cose del genere.
“Quanto sono stata buffa da uno a dieci?” chiesi a Bella,
che stava ridendo a sua volta.
“Dieci è troppo poco” disse, mentre guardava la parte di asse a mezz’aria “Devo chiedere a Charlie
di farla fissare”
Cominciarono a succedere cose strane
quando guardò giù, nel buco lasciato scoperto dall’asse. Io non riuscii
a vedere cosa conteneva, ma doveva essere stato qualcosa di sconvolgente, se
produsse sulla faccia di Bella un’espressione del tutto indecifrabile. Rimise a
posto l’asse e rimase immobile con la stessa espressione. Guardò poi verso di
me.
“Forse è meglio se adesso vai; si è fatto davvero tardi”
Rimasi assolutamente sbigottita dalla sua reazione, ma l’unica cosa
intelligente in quel momento era stare al suo gioco e non fare domande.
“Va bene, hai ragione; si è fatto tardi” risposi presa in
contromano per l’improvviso invito. In silenzio mi accompagnò alla porta.
Salutai Charlie, che ricambiò ed uscii.
“Ci vediamo allora domani?” chiesi a Bella prima di
salutarla.
“Certo” rispose lei in tono smorto, facendomi un segno di
saluto con la mano. Io ricambiai e chiuse la porta. Mi
diressi verso il garage deiSwan
dove avevo lasciato la moto. Quando salii sul sellino
il coccige cominciò a pulsare di nuovo, ma credevo di riuscire a raggiungere
casa. E poi il male non era il primo dei miei
pensieri. Durante il viaggio di ritorno a casa, mentre percorrevo le scure e
piovose strade di Forks, un’unica domanda continuava
a premermi in testa: cosa diamine c’era sotto quel pavimento tale da provocare
la sua strana reazione? Non erano di certo affari miei
e sicuramente non potevo chiederlo a Bella come niente fosse, quindi non lo
avrei mai potuto sapere se non detto volutamente da lei. Ma
non era solo quello. Per tutta la giornata Bella era stata felice e serena;
quando abbiamo affrontato l’argomento “Cullen” però, il suo umore era andato a picco. Subito dopo però si
era ripresa ed era ritornata tranquilla e spensierata. Non riuscivo a spiegarmi
questo strano cambio d’umore; neppure un lunatico sarebbe stato all’altezza. Aveva
detto che io avevo uno “strano ascendente sul suo
umore”. Non capivo però cosa intendeva dire. Forse… questo? C’erano cose che
nascondeva. Ero io a renderla lunatica? La mia stranezza era forse contagiosa? Sbuffai, avevo sempre pensato in modo strano, non solo dal
lato umano, ma anche da un lato non umano. Quindi era
normale che qualche volta mi venissero in mente strane teorie
fantascientifiche. Da quando avevo cominciato a frequentare Bella
però, la mia mente ne partoriva sempre di più.
Raggiunsi casa in un batter d’occhio. In salotto c’era mia
madre che mi aspettava. Non stava facendo niente di particolare, anzi, si
vedeva che si stava annoiando a morte; inevitabile se sei destinato a vivere
per l’eternità.
“Come è andata?” chiese entusiasta
sia per realmente sapere com’era andata, sia per aver trovato qualcosa da fare.
Entrambi i miei genitori si erano esaltati all’idea che andassi a fare bungeejumping insieme a qualcuno e non da sola. Ed erano rimasti piacevolmente sorpresi che questo qualcuno
era Bella, la “fidanzata del vampiro”, come si era cominciata a chiamarla in
casa. Sospirai e mi buttai sul divano.
“A meraviglia. È stato davvero fantastico.”
“Dal tuo tono non si direbbe” chiese lei tornando un attimo seria. Mi misi più comoda.
“Dico sul serio; è stato davvero stupendo. Mi sono divertita
moltissimo; niente a confronto delle corse in braccio a te”
“La prendo come un’offesa; vorrà dire
che la prossima volta andrò più veloce” ironizzò lei, io però sorvolai.
“Solo che Bella si è comportata in maniera davvero strana”
dissi finalmente.
“Cosa intendi dire?”
“È stata davvero gentile ad invitarmi a casa sua, oltre, per
la cronaca, a darmi lezioni di cucina” dissi apposta per farlo pesare a mia
madre.
“Stavi prima a chiederlo a me, non credi?” disse accigliata
e leggermente tradita, ma ancora ironica.
“Con tutta l’autostima che mi dai…” risposi sarcastica “Comunque, tornando al discorso di prima, anche Bella si è
divertita un mondo, forse anche più di me, ma…”
“Ma…?”
“Ma si è comportata in modo un po’…così.
Abbiamo per caso accennato ai Cullen e lei, com’è
anche logico che sia, ci è rimasta davvero male. Ma si è ripresa in maniera così improvvisa e strana. E poi…” Volevo raccontarle anche la storia dell’asse, ma
rinunciai, sia perché sarebbe stato argomento da presa in giro, sia perché non
sapevo spiegarmelo nemmeno io. Guardai in faccia mia madre; sembrava una
psicoanalista che guardava una pazza, poco prima di chiamare il manicomio.
“Abigail, basta con questa storia.
Sappiamo che questa ragazza ha passato molto probabilmente dei brutti momenti,
ed ognuno reagisce in maniera diversa.”
“Lo farei, se fosse una semplice conoscente. Ma credo che stia cominciando a diventare mia amica. E di solito ci si tiene agli amici!” mi giustificai io. Sul
suo viso spuntò un sorrisino orgoglioso.
“Uau, stai crescendo”
“Già! E tu no!” e gli feci la
linguaccia. Lei mi rispose con una smorfia.
“Come non detto.” Mi alzai subito dopo dal divano ed il
dolore mi avvertì che il mio coccige non stava facendo
i salti di gioia in quel momento.
“Papà!” urlai inutilmente io, convinta che anche da dove
fosse e cosa facesse avesse sentito ogni singola
parola della conversazione tra me e mamma. Iniziai a piccoli passi a camminare
per il salotto per controllare il dolore.
“Dimmi, Abi” Era comparso sul
divano dove prima ero seduta io, continuando a fare quello che faceva prima, cioè, ovviamente, leggere qualcosa di assolutamente
incomprensibile per un normale essere umano.
“Mi fa male il coccige” mi lamentai tenendomi la schiena e
fermandomi davanti a lui.
“Domani ti passa” disse riprendendo la sua lettura. Mi
caddero le braccia a terra.
“E se magari me lo fossi lussata?”
dissi risentita. Non poteva liquidarmi così. Mi guardò dolcemente negli occhi.
“Se te lo fossi lussata non ti reggeresti
in piedi. La tua è una piccola storta, che può capitare a chi
mentre fa bungeejumping
non si lancia verticalmente” Ed effettivamente avevo molti dubbi su come mi ero
lanciata. Lo guardai di sottecchi e gli puntai un dito contro.
“Se non sapessi che tu sei un medico eccellente, direi che il tuo sarebbe un comportamento da incompetenti.”
“Ma per fortuna lo sai” continuò
lui.
“Già” dissi. Mia madre intanto si stava godendo lo
spettacolino. Girai i tacchi e me ne andai a dormire.
“Buonanotte” dichiarai come se fosse un importante annuncio.
“Notte, Abi” Qualche volta la
capacità di parlare in modo perfettamente coordinato dei miei genitori faceva
paura.
“Un’altra cosa” dissi se non fosse importante “Vi voglio
bene” Qualche volta faceva davvero bene dirlo e sentirselo dire.
Il giorno dopo Bella continuava a comportarsi in modo
strano, ma non riuscii a capacitarmene del perché. Non avevamo molte occasioni
per stare insieme; non avevamo biologia quel giorno, quindi potei stare con lei
solo a pranzo. Era ormai ufficiale; Bella era le persona
con cui passavo la maggior parte del tempo libero a scuola. E
mi piaceva davvero stare con lei. Non mi piaceva invece vederla così pensierosa
e silenziosa. Non mi andava di chiederle cosa c’era che non andava, ma speravo che
non fosse per quello che era successo in camera sua. Odiavo vederla così, anche
perché da spugna di emozioni che ero, perdevo anch’io
la voglia di parlare. Avrei tanto voluto che si confidasse con me, per poterla
aiutare in qualche modo, se avessi potuto. A mensa si scusò per avermi in
pratica buttato fuori di casa e riuscimmo a reggere uno straccio di
conversazione, ma continuò a rimanere seria per tutto il giorno.
Quel venerdì non era stato molto emozionante, ad eccezione
della notizia che da qualche tempo alcuni orsi stavano dando fastidio e
provocando numerosi incidenti, causando anche la morte di varie persone. I miei
genitori sarebbero stati contenti di non allontanarsi troppo da Forks per mangiare. Questo però non fu sufficiente per
distrarmi da Bella, che mi rose la testa fino a casa. Pensando però alla
promessa che avevo fato alla mia salute mentale a La
Push, mi imposi di smetterla di pensare a lei. E
piuttosto di pensare a qualcos’altro. Tornata a casa trovai
già il pranzo pronto; cose piuttosto leggere. Dopo infatti
avrei accompagnato i miei genitori ad esplorare la zona e dovevo mantenermi
leggera per riuscire a correre a lungo. Cercai quindi di mangiare velocemente,
sapendo che quei due mi stavano già aspettando. Adoravo accompagnare i miei genitori
a caccia.
Furono sufficienti solo pochi minuti per finire di mangiare,
ed altrettanti per cambiarmi. Scesi all’ingresso e uscii dalla porta principale
che dava sulla veranda, dove ero certa che i miei genitori mi stessero già
aspettando.
Sebbene non dovevo dissanguare
animali, accompagnavo sempre i miei genitori a caccia, o come quel giorno in
perlustrazione. Certo, non assistevo all’ “atto” vero
e proprio, ma me ne stavo per i conti miei. Mi piaceva correre per i boschi,
starmene un po’ da sola e pensare ed i miei genitori non dispiaceva
reggere la mia andatura. Ovviamente però c’erano alcune regole da rispettare;
una di queste, per esempio, riguardava l’abbigliamento. Sfortunatamente mi era
proibito portare vestiti larghi, perché potevano incastrarsi tra rovi e piante
selvatiche, così indossavo una tuta piuttosto
aderente, ma relativamente comoda. E la stessa cosa
valeva per i capelli esageratamente voluminosi e ricci, obbligatoriamente
allacciati dietro alla nuca.
“Sabbia?” chiese mio padre non appena uscii.
“Ce l’ho” sbuffai, stufa della
solita solfa.
“Spray?”
“Pure. Papà, ci posso arrivare, ormai”
Altra regola: i boschi erano pieni di animali, alcuni
pericolosi, anche se difficilmente potevo imbattermi in loro, visto che i miei
genitori non si allontanavano molto da me e gli animali sentendoli fuggivano
sempre. Ma se per caso mi imbattevo in uno di loro e
loro tardavano a venire, dovevo comunque essere pronta. Per questo andavo in
giro con un marsupio pieno di sabbia; la lanciavo negli occhi degli animali e
poi fuggivo. E quando volevo sapevo correre davvero
veloce. La sabbia inoltre, essendo un prodotto naturale, non danneggiava gli
occhi. C’era poi lo spray per ambienti, che bisognava usare solo in casi
estremi. Danneggiava sia gli occhi sia l’olfatto, ma in maniera quasi
irrimediabile; c’erano talmente tanti prodotti chimici e
schifezze in quelle robe da perdere la voglia di comprarli. Sono stata
costretta ad usarli solo poche volte e non era stato
particolarmente favoloso accecare un povero animale. Ma
me la sono sempre cavata. Poteva sembrava una totale sciocchezza andare in giro
in questo modo, ma aveva il suo buon senso alla fin
fine.
In quel momento, così conciata, ero un incrocio tra Lara Croft e un Ghostbuster.
“Hai anche l’acqua?” chiese questa volta mamma.
“Certo” risposi di nuovo. Accompagnavo i miei genitori da quando avevo sette anni, quindi da allora avevo più che
imparato cosa portare e non.
“Pronta?”
“Come sempre” risposi stiracchiandomi “Vedete di non andare
come razzi”
“Come sempre” rispose papà. L’attimo dopo entrambi
erano scomparsi.
“Ma così non vale!” gridai al
vuoto. Feci un respiro profondo ed iniziai a correre anch’io, inoltrandomi in
un qualsiasi punto nella foresta che circondava casa, sapendo con certezza che
dovunque fossi andata, li avrei trovati.
Avevamo scelto il fortunato giorno di quella settimana in
cui non pioveva, ma il terreno era comunque umido,
quindi dovetti fare molta più attenzione a non scivolare. E
poi c’era anche il problema pantano, oltre al fatto che, non conoscendo la zona
non sapevo dove mettere i piedi. Conseguenza di ciò era che ben presto
rallentai e da correre passai alla modalità correre a
passo sostenuto.
“Tutto ok?” I miei genitori,
invece, se la stavano passando bene, a saltare come eleganti scimmie da un
albero all’altro sopra di me. Anche loro stavano indossando abiti comodi, ma
era la stessa cosa se avessero indossato abiti da grandi cerimonie; mentre io
sapevo che alla fine di quella giornata, come tutte le altre simili a quella,
mi sarei trovata fango in luoghi che neppure sapevo di avere, loro ne sarebbero
usciti bianchi e strapuliti e nessuno avrebbe mai detto
che l’ultima cosa che avevano fatto fosse cacciare animali. Non avevo mai capito come diamine facevano.
“Sì” Il mio tono però diceva tutt’altro.
Superato l’ultimo cespuglio, iniziai a correre con più sicurezza, sempre con
quei due sopra di me.
“Dai, lumaca!”
“Sopporta!” Mio padre e il suo grande amore per la calma non
era esattamente gradito in questo momento. Più andavo
avanti, più cominciavo ad orientarmi ed il terreno si faceva sempre più
asciutto. Cominciai così a correre veloce. L’aria era umida, quindi dopo già
poco tempo mi ritrovai zuppa di sudore, ma un certo
venticello che soffiava a tratti bastò per farmi sentire bene. Le gambe ormai
correvano da sole ed ebbi un grande desiderio di
chiudere gli occhi e lasciarmi andare, ma li dovevo tenere ben aperti e seguire
i miei genitori. Potevo mantenere un passo sostenuto a lungo senza provare
fatica per molto tempo, ma dopo un’ora sentivo la stanchezza premere. Mia madre
fu la prima ad accorgersene.
“Abigail” disse
fermandosi “Noi andiamo avanti, tu riposati pure qua. Non andremmo
lontano” Sapevo che “lontano” poteva significare anche “un chilometro”, ma cos’era mai un chilometro per un vampiro?
Mi fermai che ebbi il fiatone. Presi la bottiglietta d’acqua
e bevvi a piccoli sorsi. Cominciai dunque a camminare lentamente; non dovevo
sedermi o fermarmi, se no sarei rimasta lì e non sarei
più riuscita a rialzarmi. Cominciai a girare tranquillamente per il bosco,
cominciando ad osservare. Era quasi identico ai boschi vicino
a Chicago; era effettivamente lo stesso genere di vegetazione. Ma
c’erano decisamente molti più animali, di piccola
taglia, per quanti vidi; un merlo, due passeri, un paio di scoiattoli. A
Chicago, invece, gli scoiattoli non c’erano nemmeno; di certo perché quelli
erano boschi molto più frequentati. Il battito veloce
cominciò a rallentare, mentre continuavo ancora a bere. Non c’era alcun rumore,
oltre quello dei miei passi, e delle bevute. Era anche
per questo che adoravo i boschi. Adoravo stare da sola
in un luogo del genere, un luogo che diventava mio e di nessun’altro. Continuai a camminare e non mi fermai.
Di tanto in tanto si facevano sentire alcuni cinguettii ed il rumore delle
foglie. Entrai in una specie di stato contemplativo, estraendomi completamente
dal mondo e lasciandomi guidare unicamente dalle gambe.
Finché non arrivai in uno dei posti più
belli che avessi mai visto. Non mi ricordavo la strada che avevo fatto e
quindi nemmeno dove fosse situato quel piccolo
paradiso. Ma l’importante era che lì c’ero io. Era un piccola radura, tonda, così circolare che sembrava essere
costruita da qualcuno. Ma era troppo bella perché lo
fosse. Era ricoperta da erba alta ed il cielo nuvoloso la faceva apparire
scura. Non mi piaceva per com’era adesso, ma per come sarebbe stata in
primavera. M’immaginavo i raggi di sole che sarebbero usciti
dalle aperture tra gli alberi e che avrebbero illuminato l’erba ed i possibili
fiori che sarebbero nati. Mi sentivo benissimo il quel luogo, tanto da riuscire
a definirlo “la mia radura”.
“Ahi trovato un vero tesoro” Mamma mi fece sobbalzare.
Sentii il suo braccio freddo appoggiarsi sulle mie spalle.
“Già. È davvero stupendo” Lei mi guardò
con un sorriso. Poi posò una mano sotto il mento e fece aderire la mascella
alla mandibola. Cavolo, ero rimasta a bocca aperta e non me n’ero accorta.
“Allora, ti piace?” Sapevo che non si riferiva alla radura
in particolare.
“Già, Forks è perfetta per questo.
Come siamo a selvaggina?”
“Molto più abbondante di Chicago sicuramente, ma tra poco verrà aperta la stagione di caccia e credo proprio che
dovremmo cercare qualche luogo più appartato. Tuo padre diceva
che a GoatRocks ci sono
molti orsi, un giorno proveremo a vedere.”
“È tanto lontano da Forks?”
“Non so se ti ci possiamo portare, Abi.
Troppi orsi.” Non era un problema se per una volta non gli accompagnavo,
soprattutto tenendo conto di quello che c’era davanti a me. Per quel giorno però le meraviglie erano finite.
“Presto, Sophie. Andiamocene!”
Riuscii a malapena a sentire quelle parole, che dedussi
erano forse di mio padre. Non me ne resi nemmeno conto che mi ritrovai sulla
schiena di mamma, abbracciata con tutte le mie forze al suo collo. Aveva
iniziato a correre velocissima. Abbracciare un vampiro mentre correva era una
cosa straordinaria, molto meglio di una corsa in moto e molto simile ad un
viaggio su un caccia dell’esercito americano a finestrino abbassato. In quel
momento però non c’era nulla di straordinario. Non capivo cosa stava
succedendo.
“Cosa succede?” Riuscii a sentire
le parole di mia madre solo per il rimbombo che la sua voce faceva contro la sua
schiena. Non riuscii a sentire cosa rispondeva mio padre. Improvvisamente mia
madre cominciò ad andare più veloce.
“O mio Dio. Cosa
sono?”
Fu sufficiente per farmi attanagliare completamente dalla
paura. Quello che stava succedendo non era per niente bello. Qualcosa che mia
madre non conosceva ci stava presumibilmente seguendo ed era davvero, davvero
pericoloso se i miei genitori stavano fuggendo.
“Ci stanno circondando!”
Ero confusa e avevo paura, come non mai. L’unica cosa che riuscii a fare era stringermi ancor di più al collo di mia
madre e ripararmi la testa con la sua schiena. Ed ecco che
gli sentii. Prima un ringhio conosciuto, quello di mio
padre, poi un altro, che non avevo mai sentito in vita mia. Anche mia madre cominciò feroce a ringhiare. Non avevo le
forze per alzare la testa. Ed ecco un guaito. Subito
dopo sentii la schiena di mia madre premermi forte e violenta
sullo sterno e togliermi il respiro. Le uniche forze che avevo e che usavo per
attanagliarmi a lei svanirono e precipitai a terra. Non caddi da un’altezza
elevata e usai le mani per attutire la caduta. Sentii la fronte premere sul
terreno. Un dolore allucinante alla testa sostituì ogni suono ad un ronzio.
Misi la mano sulla fronte dov’ero atterrata e sentii qualcosa di caldo; stavo
sanguinando alla testa. Alzai finalmente lo sguardo per guardarmi attorno e mi
si tolse il respiro. Davanti a me c’era la creatura più strana che avessi mai
visto. Era un lupo grande quanto un cavallo, con ogni parte del corpo smisurata
e muscolosa. Quella strana creatura mi stava guardando, ma non mi stava ringhiando, né mi stava mostrando le zanne; non mi
voleva attaccare. Credevo che l’adrenalina avrebbe preso il sopravvento e mi
avrebbe immobilizzato completamente dalla paura, ma non fu così. Mi sentivo
stranamente troppo tranquilla. Fissai i suoi occhi, davvero strani, profondi.
Non sembravano quelli di un animale feroce, ma mi ricordavano qualcosa. Cominciò
a girarmi intorno; con le enormi zampe anteriori scavalcò la mia testa, facendo
modo che mi trovassi sotto la sua pancia. Io non mi
mossi e non riuscii a provare niente. Ringhiò davanti a sé. Mi venne in mente
una scena; questo era quello che facevano gli animali
per difendere i loro cuccioli. Mi stava… mi stava forse difendendo?!
Guati troppo forti mi costrinsero a
tornare alla realtà. Guati che però conoscevo fin troppo bene. La creatura sopra
di me era enorme, ma riuscii a distinguere altre sagome, simili a lui. Ce
n’erano altri, molti, che stavano attaccando i miei genitori. E li stavano uccidendo.
“NO!”
Un nuovo è più potente attacco di paura si
avvinghiò alla colonna vertebrale. Sentii un altro suono; un ringhio di
rabbia che proveniva al di là del lupo davanti a me.
Improvvisamente qualcosa proveniente alla mia destra si scagliò su di lui,
scaraventandolo contro un albero che si spezzò. Io mi abbassai automaticamente.
Era mia madre. Si mise davanti a me, a pochi centimetri di distanza,
rivolgendomi la schiena, smettendo di ringhiare, ma continuando ad osservare i
lupi. Nel medesimo istante, alla sinistra di mia madre, comparve anche papà. Mi
sentii leggermente sollevata dal fatto che stavano bene entrambi. Guardai
davanti a me, nello stessa direzione dei miei genitori.
C’erano cinque, enormi lupi sistemati in semicerchio davanti a noi. Solamente
uno però stava ringhiando. Un altro brivido di paura mi
percorse la schiena alla vista di quelle zanne, grosse ed affilate. Il
lupo vicino, poi fece uno strano gesto verso di lui, e questo smise stranamente
all’istante. Riuscivano a comunicare tra di loro.
Davanti a me i miei genitori erano delle statue, dall’altra parte invece i lupi
stavano fremendo. Finché il lupo centrale, il più
grande e nero come la notte, si staccò dal gruppo, fece dietrofront e si
diresse tra i boschi retrostanti. Pensai che quello era
il capo branco, visto che era lui che nei branchi prendeva l’iniziativa. Per un
secondo pensai che se ne sarebbero andati, ma dallo stesso punto in cui si era inoltrato rispuntò. Sbarrai gli occhi; non sapevo più
cosa pensare. Dai miei genitori, d’altronde non trasparì alcuna
emozione. Non ne era uscito un lupo, bensì un
essere umano. Non un essere umano qualsiasi, solo in quel momento ricordavo di
averlo già visto. Era un ragazzo, grande, imponente, dalla evidente
muscolatura ed abbronzato con indosso un solo paio di pantaloncini. Era uno dei
ragazzi di La Push.
“Lasciate andare l’umana, vampiri”
La sua voce possente si diramò per tutta la foresta. Mi volevano forse
mangiare? Qualcosa però mi spinse a non crederlo. Quel lupo di prima, per
esempio, avrebbe avuto tutto il tempo per azzannarmi alla gola. No, non volevo fare del male a me. A parlare fu mio padre, il più
diplomatico della famiglia, aiutato dal suo dono di fare e dire la cosa giusta
al momento giusto.
“Non vogliamo farle del male” rispose calmo “Non facciamo
del male alle persone.” Non capii l’utilità di questa
frase finché non mi accorsi di una cosa, a cui mio padre c’era arrivato prima
di me. Aveva nominato il nome “vampiri”; li aveva
riconosciuti. Nonostante l’agitazione di quel momento riuscii
a fare un due calcoli. Conoscendo quindi i vampiri, conoscevano
anche la loro bella fama. Aggiunto al fatto che non volevo attaccare me, si
arrivava a concludere che quei lupi credevano che i
vampiri accanto a me volessero farmi del male. Questo spiegava perché gli
avevano attaccati. Molto probabilmente mio padre aveva fatto lo stesso
ragionamento, ma ovviamente alla velocità della luce. Mi sentii leggermente più
calma.
“Siamo come i Cullen” continuò
dopo un attimo di pausa. Giusto. Se avevano riconosciuto dei vampiri
era perché li avevano conosciuti. E gli ultimi vampiri che avevano abitato in
questa zona erano i Cullen;
dovevano per forza conoscerli, quindi, loro e la loro dieta. Sul capo branco ci
fu un breve barlume di sorpresa.
“Potete provarlo?” continuò il capo branco. Mio padre indicò
me. Lo sguardo di tutti si pose su di me. Non capivo cosa voleva fare ed oltre
all’ansia si aggiunse anche l’imbarazzo.
“Resistiamo al sangue” Non aveva indicato me, ma la ferita
sulla fronte. Prova migliore di così…
Il capo branco rimase in silenzio. Il suo sguardo guizzò
veloce dai miei genitori su di me. Aveva le sopracciglia aggrottate e mi guardava
in una sorta di serietà, confusione ed ansia. Solo dopo alcuni
e infiniti minuti distaccò il suo sguardo dal mio.
“Conoscete i Cullen, allora.
Sappiate che con loro avevamo un patto, che vale anche
per voi. Questo è il nostro territorio, e non siete i benvenuti. Quindi sarà
meglio se voi vampiri stiate alla larga. E non accetteremo nemmeno che qualcuno di voi morda un
essere umano” Pose particolare enfasi su queste ultime parole
“Se infrangete questa regola,
allora non esiteremo ad attaccarvi. Se la rispettate, noi non vi attaccheremo
nel vostro territorio.”Il suo sguardo tornò a perforare il mio. Non
mi accorsi che nella sua frase c’era un implicito invito ad andarsene, ma i
miei genitori sì. Mia madre, che per tutto il tempo era rimasta
immobile, ora si girò, sempre guardinga, verso di me, abbassandosi. Io le salii
in schiena e le strinsi il collo. Indisturbati, ce ne andammo
lontano da quelle strane creature il più veloce possibile.
A casa l’atmosfera era orribile. Eravamo tutti e tre
esterrefatti. Mio padre, seduto su una sedia in cucina, guardava assorto il
soffitto, mentre mia madre era china verso di me, intenta a medicarmi la
fronte.
“Sei sicura di stare bene?” Aveva la voce strapreoccupata;
credevo che si fosse più spaventata per me lei che io.
“Sì, mamma” le risposi sincera. Stavo davvero bene; lo
spavento per averli visti era scomparso. Visti però chi? Cos’erano
realmente? Ripensai a quel ragazzo, il capo branco. Prima era un lupo, poi un
essere umano. Mi venne improvvisamente in testa la parola licantropo o lupo
mannaro. No, impossibile. In questo mondo esistevano anche loro?!
“Sono licantropi?” chiesi automaticamente a mio padre,
sperando che mi avrebbe risposto con il suo sapere centenario.
“Non lo so. Credo… una specie di
licantropi” mi rispose continuando a guardare il soffitto.
“Cosa intendi dire con specie?”
“Ho conosciuto qualcosa di simile anni
fa. Persone che si trasformano in lupi alla luna piena.
Noi vampiri li chiamiamo “Figli della Luna”, ma questi
a quanto pare si possono trasformare volontariamente.”
“Vuoi dire che esistono i
licantropi e tu non me lo hai mai detto?” Ero esterrefatta.
“Ad essere sincera non ne so niente neanch’io”
mi appoggiò leggermente accigliata mia madre. Mio padre tranquillo alzò le
spalle.
“I Figli della Luna sono quasi estinti e per questo non
rappresentato un grande pericolo” fece una pausa e poi
riprese “Con questi invece bisogna fare molta attenzione. Sono in molti e
veloci quanto noi vampiri, hanno un grande affiatamento e riescono a comunicare
tra di loro ed in qualche modo o nell’altro anche
trasformati riescono a mantenere una mentalità umana ed un controllo, il che li
rende ancora più pericolosi.” Scosse la testa, poi riprese, guardandomi negli
occhi.
“Non attaccano gli esseri umani, ma i vampiri. È come se
volessero difenderli da noi.”
Mio padre aveva notato cose che non ci sarei
mai arrivata. Io mi ero limitata solo alle zanne…
“E le zanne?” sbottai “Possono
ferire un vampiro?”
La pelle di un vampiro era più dura del marmo, ma i guaiti
dei miei genitori che ancora adesso mi tormentavano la testa mi
impedivano di scartare l’opzione. Con mio grande
rammarico mio padre annuii.
“Ma voi state bene?” mi feci
prendere dal panico. Mamma mi mise le mani sulle spalle.
“Non ti preoccupare, noi stiamo bene” Sembrava davvero
sincera. Mi sentii più sollevata e felice.
“Ora vai a farti una doccia e subito dopo una bella dormita”
si fermò e sorrise “Sei davvero stanca morta” Ed aveva ragione. Guardai mio
padre. Era sempre seduto, ma adesso mi stava guardando con un sorriso anche
lui. Non mi rassicurava per niente la prospettiva che quei… licantropi non mi
avrebbero fatto del male, perché avrebbero fatto del
male ai miei genitori.
“E se vi faranno del male?” Mi ero fatta prendere totalmente
dall’ansia e non mi impegnavo a nasconderla. Era la
mia preoccupazione più grande. Mia madre mi abbracciò.
“Ti stai agitando per niente. Per quanto forti, non ci
faranno niente se non andremmo nel loro territorio.
Non vogliono attaccarci di proposito.” E di certo i
miei genitori non erano così idioti da andarci. Mi sentii solo un po’ più
tranquilla. Mi bastava quello per ora. Prima però di andare a farmi la doccia
dovevo uscire di scena come mi si addiceva.
“Papà” dissi staccandomi da mamma con voce un po’ fioca.
“Dimmi Abi” Questa volta fu lui ad
abbracciarmi. Appoggia la testa su di lui e ricambiai
l’abbraccio.
“Non è che per caso conosci anche
una strega? Pensavo di fare una piccola festicciola per l’Halloween
dell’anno prossimo. E chiama anche i tuoi amici, i… i
Figli della Luna. Poi si può invitare anche il mostro di Frankestein,
se no si offende…” Fui però interrotta da una delle più orribili delle torture,
una delle più sofferenti che un vampiro potesse fare
ad un essere umano: il solletico. Con la solita super velocità cominciò a
premermi dietro la schiena e sulla pancia. Io cominciai immediatamente a
scalpitare con braccia e piedi, inutilmente, mentre mia madre si divertiva alle
mie spalle. Per sfuggirgli tentavo invano di
abbassarmi, ma senza utilità.
“Stavo scherzando, stavo
scherzando…” implorai.
“Non è una brutta idea” cominciò mio padre, continuando a
torturarmi “Possiamo invitare anche gli scheletri che abbiamo nell’armadio.”
“No, no gli scheletri no.” Ma lui
non accennava a diminuire.
“E poi possiamo anche prendere un
po’ di pipistrelli. Che ne dici?”
“No, i pipistrelli non mi piacciono!” Smise solamente quando mi ritrovai a ginocchia atterra.
“Bene, allora sappiamo cosa fare per l’anno prossimo” disse
lui, soddisfatto per la sua tortura. Io mi alzai e lo guardai fisso negli
occhi.
“Questa me la paghi, papà” Prima ancora che avessi finito sentii nuovamente qualcosa pizzicarmi la
schiena. Feci uno sobbalzo di lato. Questa volta era
mia madre. Guardai in cagnesco tutti e due, felici e
contenti come una Pasqua, mentre se la spassavano e me ne andai finalmente a
fare una doccia. Il solletico però mi aveva fatto tornare il buonumore, che durò tuttavia fin quando mi addormentai. I miei sogni quella
notte fecero davvero schifo.
Eh eh…
che ve ne pare? Avete indovinato cosa c’è sotto la trave (eh…eh…)?
E adesso arrivano anche i licantropi…
Scusate l’immenso ritardo; mi è venuta la voglia di scrivere
ed è meglio se approfitto finché c’è, quindi non ho tempo per rileggere e
pubblicare. Questa volta ho cercato di rimpolparlo un po’ di più. Spero che
anche questo capitolo vi sia piaciuto!
X Ricegrain: Oh, mia unica
commentatrice! Prenditi pure tutto il tempo che vuoi! XD Sì, purtroppo questi
sono capitoli di transizione, ma già dalla fine di questo si può presagire
qualcosa di più coinvolgente (eh… eh…). Grazie ancora ancora ed ancora per il commento!
Il sabato seguente mi svegliai presto. Per fortuna. Avevo
passato la notte tra gli incubi a causa di quegli stupidi licantropi e non
vedevo l’ora che finissero. Che
cavolo, adesso esistevano anche loro! Stupidi lupi grandi quanto degli orsi… Mi
ero appena svegliata, ma il mio cervello stava già
lavorando. C’erano gli orsi qua a Forks. Che avevano ucciso un bel po’ di persone. E
se questi orsi erano i licantropi? Erano stati forse loro ad uccidere? Ma loro non attaccavano le persone; avevano avuto tutto il
tempo per farlo l’altro giorno. Anche se c’era da domandarsi
di cosa si potevano mai nutrire. Aspetta, erano comunque
esseri umani in parte; si nutrivano di quello che mangiano gli esseri umani. Forse.
Sbuffai e mi tolsi immediatamente le coperte di dosso. Mi agitai subito già di
prima mattina; stavo odiando a morte quei cosi pelosi e
pulciosi. Pensandoci bene era davvero strano che dei giganteschi mostri
come loro non attaccassero le persone. Anche se era così.
Nonostante tutto ero di nuovo tesa; avevano la
possibilità di far del male ai miei genitori e non provavano una grande
simpatia per loro, questo tanto basta. Inoltre sentivo
una strana malsana curiosità nei loro confronti; non era da tutti i giorni
incontrare ragazzi che si trasformavano in lupi.
Mi abituai a fatica alla luce del sole fuori
dalla porta, ma a passo spedito mi diressi verso i miei genitori,
dovunque fossero in quella casa-cosa. Li trovai in cucina. La vista era
appannata e non vidi cosa stessero facendo di preciso.
“E se gli orsi fossero i lupi?” sbottai
di colpo.
“Buongiorno, Abi” disse mia madre,
un po’ a disagio.
“Giorno, e se gli orsi fossero lupi?” ripetei.
“E se le capre fossero galline?”
rispose mio padre “Abi, che cosa stai dicendo?”
Giusto. Forse non sapevano degli orsi. Mi tirai indietro i capelli davanti agli
occhi.
“A scuola mi hanno detto che
ultimamente un branco di orsi sta combinando danni qua in giro, facendo alcune
vittime. E se questi orsi fossero i lupi?” Mi passai
una mano sugli occhi per togliere l’appannamento. I miei genitori erano
serissimi. Oh no; allora i lupi mangiavano veramente le persone. Come diamine lo…?
“Non sono orsi, né licantropi” comunicò mio padre, ancora
serio. Ah… quindi non sono loro che hanno ucciso quelle persone. Bene, non si
cibavano di essere umani.
“Sono vampiri” Era ancora serio. In quel momento mi domandai
perché mai non ero rimasta a letto. Cosa caspiterina
stava succedendo?!
“Eh?” Fu tutto quello che mi uscii.
“Abi” Mia madre mi porse una tazza
calda di caffè. Quello che mi ci voleva. A poco a poco
notai l’agitazione nei loro modi; era successo qualcosa di importante.
Forse ancora con i licantropi?
“Quelle persone sono state uccise da vampiri” Ah… Bhe, era normale. I vampiri uccido
per sopravvivere. Ma solo quelli normali lo fanno con gli
esseri umani. Non era normale che l’avessero fatto così vicino. Credevo ormai
di aver raggiunto un livello di lucidità decente per capire, intendere e
volere.
“Cosa? Cosa ci fanno
qua?” sbottai con in un misto di delirio e sorpresa. Non era la prima volta che
dei vampiri nomadi si avvicinassero troppo alla nostra
zona, ma non era mai una bella cosa per me quando accadeva. Inoltre
se n’erano andati sempre in tempo, prima che i miei genitori intervenissero.
Mio padre alzò le spalle.
“I vampiri nomadi viaggiano in continuazione” Non era
esattamente quello che mi preoccupava di più.
“Quanti sono?”
“Due” Bene, almeno erano pari. Ci pensai ancora un po’ con
attenzione. Alzai gli occhi e guardai dritto mio padre negli occhi, un po’
accigliata.
“Da quanto lo sapete?”
“È da un po’ di tempo che viaggiano in questa zona”
intervenne mamma, un po’ nervosa.
“E perché non me l’avete mai
detto?” chiesi acida.
“Fino ad adesso hanno mantenuto le
distanze e non erano un problema per la popolazione di Forks.
Te lo avremmo detto con calma, quando se ne sarebbero andati.”
Grazie tante…“Con
l’ultimo attacco di stanotte però si sono avvicinati troppo.”
“Pensavamo quindi di intervenire. Rivendicare il nostro
territorio e mandarli via.” lo interruppe mia madre.
Meditai su quello che aveva detto. Non avevo mai incontrato un vampiro che si nutrisse di sangue umano e neppure era mai successo che i
miei genitori fossero costretti a fare qualcosa. Ma in
fin dei conti, sapevo che i nomadi si tenevano ben alla larga dai centri
abitati, come Chicago, quindi era anche capibile. Mi innervosii
appena.
“Ah… quando?”
“Adesso” Sputai il caffè che avevo
in bocca nella tazza.
“Adesso?!” esclamai io “E me lo
dite solo ora?” Dalle loro facce capii di sì. Sbuffai; odiavo
quando nessuno non mi diceva niente.
“Bhe… se proprio vuoi, tra un po’”
disse mio padre sarcastico guardandosi l’orologio al polso, forse per smorzare
la tensione.
“Non è divertente!” sbottai sedendomi sul tavolo. “Allora,
quando pensavate di avvertirmi di questa missione
speciale?” chiesi arrabbiata.
“Non appena ti fossi svegliata”
“Waow!” sbottai un’altra volta. Perché queste cose se le tenevano tutte per loro? Capisco
che non volevano che mi preoccupassi, ma anch’io facevo parte di questa cavolo famiglia!
“E come pensate di fare?” dissi
questa volta più arrabbiata. La tensione era ormai svanita del tutto.
“Ne stavamo appunto parlando” disse mio padre, mantenendo
una perfetta calma, anche se lo conoscevo troppo bene per non notare il suo
lieve nervosismo della voce.
“Non potete andare lì, parlare con voi e andarvene?”
“Non è così semplice. Ci sei anche tu.” Ah… capito perché il
nervosismo. Impazzivano sempre quando il problema ero
io, cioè quasi sempre. Quella volta però non avevo capito cosa c’entrassi io.
“Cosa vuoi dire?”
“Dobbiamo decidere cosa fare; sappiamo che dobbiamo andare la loro, da soli ovviamente, ma non sappiamo
dove potresti stare tu” mi spiegò mamma, ancora tesa.
“A casa?” suggerii.
“No, quando c’è un vampiro così vicino tu da sola non stai.” Poche volte avevo sentito mia madre così
autoritaria.
La sua iperprotettivitàera però fondata; queste erano le
normale conseguenze che potevano insorgere incluse nel pacchetto “vita con i vampiri”.
Non conoscevo questi vampiri, ma se erano esperti e sapevano quello che
facevano, potevano fare le cose davvero in grande. Da
quello che mi avevano raccontato sui vampiri non
vegetariani avevo imparato che l’assurda possibilità di venire a sapere che
c’era un’umana così legata a due vampiri e sfruttare questo elemento a proprio vantaggio
in qualche strano modo inconcepibile non era assolutamente da escludere. Non
sapevo se definirli astuti o pazzi. Ed effettivamente
non mi sentivo sicura nemmeno io da sola; alla fin fine ero d’accordo con
mamma.
“Quindi?” chiesi seria.
“Quindi dobbiamo trovare un luogo sicuro per te prima di
andare” mi rispose mio padre “Pensavamo di mandarti a Port
Angeles; i nomadi non sono soliti esporsi così tanto
in un luogo così popolato”
Bhe, questa si
che era un’idea. Waow, dovevo dire
che quella mattina aveva grandi prospettive. Nel giro di un weekend
potevo dire addio alla mia tranquillità. Lo dicevo io che non poteva essere vero. Era come se davanti alla porta di casa ci
aspettassero un branco di vampiri ed uno di… Ecco, l’illuminazione! Era
perfetto e potevo stare persino vicino a casa.
Ma non sapevo dove poterli trovare…
Ma sì, sapevo dove poterli trovare! Io sapevo chi erano!
“Io avrei un’idea migliore” dissi in un tono che non sapevo
definire sul momento.
“Da come si illuminano i tuoi occhi
direi che si tratta di una grande idea” disse neutra mamma.
“Con ‘posto sicuro’
voi intendete un luogo dove loro non possono attaccare me, ma dove io posso
essere difesa”
“Continua” disse mio padre, interessato,
ma guardingo. Non sempre le mie grandi idee potevano sembrare alle
persone altrui “grandi”.
“Quindi mandatemi dai licantropi”
conclusi, contenta di aver trovato questa geniale idea. Mia madre rise nervosa.
“Ammesso che vada bene” disse mio padre. L’inizio non era
promettente “Dove speri di trovare cinque lupi
giganti?”
“Io so chi sono” dissi fiera.
“Cosa vuoi dire?”
“Sono Quileutedi
La Push. Sono sicura; vivono a La Push. Li ho
visti l’ultima volta che sono andata là. Quei ragazzi erano identici al capo
branco che abbiamo incontrato ieri.” Dopodiché scese
il silenzio. Papà non aveva un’aria per niente convinta, mentre mamma aveva
cominciato a guardarmi con scherno; cosa che mi fece pentire di aver aperto
bocca.
“Abi” disse alla fine mamma “Ti
ricordi cosa è successo ieri?” Perché la cosa non poteva essere neppure in
considerazione?
“Pur una volta sono andata a La
Push e sono tornata sana e salva. E poi non vogliono
attaccare me!”
“Ma quella volta non sapevano che
tu stessi con due vampiri. Per quanto ci riguarda possono farti del male solo
per questo” Ci pensai per un momento. Forse aveva ragione;
poteva andare benissimo in questo modo. Scossi la testa sconsolata. Eppure in quel momento mi sembrava quasi impossibile che uno
di loro potesse fare del male ad un essere umano. Ripensai a quel
incontro riavvicinato di ieri e me ne convinsi ancor di più.
“Che idea idiota…” mormorai
sconsolata.
“No, invece è un’ottima idea” si intromise
mio padre “Dato le alternative.” Mia madre lo perforò con lo sguardo e le
sfuggì un ringhio.
“Non le faranno del male. Sanno che se solo oseranno farlo
dovranno vedersela con due vampiri che sono disposti a tutto. Quel branco è
davvero affiatato e non credo siano disposti a
rischiare in questo modo la vita di uno solo dei loro compagni. Inoltre non ho nessun cattivo presentimento” disse papà,
guardando convincente mamma. A pensarci bene la mia era rimasta un’idea
geniale. Mamma però, che da quando aveva aperto bocca papà
era diventata seria, non la pensava così.
“Sei sicuro, Will?” Sembrava più
un ringhio che una frase.
“Te lo giuro, Sophie” promise mio
padre, con fare dolce. Mia madre lo perforò con lo
sguardo, si girò indispettita e se ne andò da quella
stanza, arrabbiata. Sapevo che papà era in grado di convincerla quasi in ogni
cosa. E poi mamma provava una cieca fiducia riguardo
al suo dono. Sapevo che mi avrebbe lasciato andare, anche se il suo senso
materno spinto all’eccesso che l’aveva fatta uscire dalla stanza continuava a
fare resistenza.
Quindi era deciso: si andava dai
lupi. Bastava che me ne stessi tranquilla in un luogo pubblico all’interno
della riserva, cercando di passare magari inosservata.
“Abi” disse mio padre
avvicinandosi, con fare un po’ preoccupato “Se ci tieni alla vita di tuo padre potresti impegnarti a tornare a casa sana e salva? Evitare
di cadere dalla moto, da uno scoglio o cose del genere?” Mostrai
il mio sorrisino sghembo.
“Ti ucciderà” dissi sarcastica.
“Sì, mi ucciderà” Lui però non lo
era affatto.
Direzione: sud-ovest. Meta: La Push.
Il tempo era nuvoloso e ovviamente pioveva, quindi dovetti fare più attenzione
e non correre molto. Il piano alla fine era questo: sarei andata a La Push, in un luogo pubblico, e non appena uno dei miei
genitori mi avesse fatto uno squillo sarei tornata dritta a casa. Mamma era
davvero molto preoccupata. Era strano che io non lo fossi per me. Questa storia
dei licantropi non mi piaceva affatto, perché se
abitavano a La Push e mamma non voleva che mi avvicinassi troppo a loro allora
non potevo andare nemmeno a La Push. Quindi niente
mare. Era davvero un gran peccato. Ero convinta che non mi avrebbero fatto
niente e volevo dimostrarlo a mamma. Chissà, avrei
potuto anche farmi qualche amico. In fondo anche loro erano persone, mio Dio! Proprio
come i vampiri. Attraversai il cartello di La Push. Eccoci
nella tana del lupo. Decisi di andare ovviamente alla spiaggia.
Quando arrivai era deserta; non mi
stupiva, pioveva. Non dava molto l’idea di luogo pubblico, anche perché il
“pubblico” non c’era. Ma c’era il mare, quindi si
rimaneva là lo stesso. Scesi dalla moto e mi tolsi il casco. Camminai in
direzione del tronco bianco ed eroso dell’altra volta.
“Who’s afraid of the big bad wolf, big bad
wolf, big bad wolf” canticchiai mentre camminavo sulla
spiaggia.
Mi sedetti e cercai un modo per passare il tempo. Quest’oggi il mare non era per niente bello; molto
movimentato e grigissimo, quasi sporco. Sbuffai. Quanto tempo ci sarebbe
voluto? Tentai quindi con stupidi passatempi per ingannare l’attesa. Mi girai,
dando le spalle al mare e, alzando la testa, contai le
persone che passavano sull’alta costa. Dopo cinque minuti nemmeno uno. Cosa
diamine era, una cittadina fantasma? Ecco finalmente
un passante. Correva sotto la pioggia, coperto da una giacca a vento che lo
rendeva irriconoscibile. Dopo pochi secondi anche lui si girò a guardarmi. Si
fermò di colpo continuando a mantenere lo sguardo. Non riuscii a vederlo in
faccia sia per la lontananza che per il cappuccio
della giacca. Poi riprese a correre, questa volta in direzione della foresta dalla
parte opposta alla spiaggia e scomparì dalla mia visuale. Mha,
che gente strana. Visto che dopo quello strano
qualcuno non si era fatta vedere anima viva cominciai a contare i sassi azzurri
per terra. Sembravo un po’ disperata.
Ero arrivata a dieci quando sentii avvicinarsi
un rumore, di sassi, per l’appunto. Alzai lo sguardo e mi stupii di vedere la
stessa persona di prima. Era sicuramente un uomo, data la corporatura
nerboruta. Una vera muscolatura da… Ah. Eccone uno. Non provai al momento
nessuna paura; mi sarebbe stato troppo innaturale: davanti a me c’era solo un
ragazzo. Il licantropo si fermò a pochi centimetri dal tronco. Eh, eh, oggi niente torso nudo, vero?
“Tu… sei la ragazza che sta con i vampiri”
Non era una domanda; mi aveva riconosciuta.
Così da vicino potei vederlo finalmente in faccia; aveva dei grandi e profondi
occhi scuri leggermente a mandorla che erano accentuati dalla carnagione scura
e che attirarono immediatamente la mia attenzione.
“E tu sei uno dei licantropi”
Si sedette anche lui sul tronco, pochi centimetri lontano da
me, verso il mare. Si tolse il cappuccio e lasciò che la pioggia bagnasse i
suoi corti capelli scuri. Era enorme e doveva avere sicuramente più di vent’anni.
“Cosa ci fai qua?”
Non era esattamente la domanda più importante che potesse
farmi, date le circostanze, ma non era male come inizio
di una conversazione. Non potevo fidarmi di loro, ma era meglio essere subito
sinceri se volevo avere buoni rapporti con loro. Proprio come aveva tentato di
fare papà.
“Ci sono due vampiri qua a Forks.
I miei genitori sono andati pacificamente a parlare con loro. Mi hanno mandato
qua perché sapevano che sarei stata più al sicuro nel vostro territorio, mentre
loro non erano presenti.”
“Ah…già, stiamo dando la caccia a quei due vampiri già da
un bel po’. I miei compagni lo stanno facendo proprio ora.”
Mi innervosii all’istante. Oh no. Ci sarebbero stati anche loro. Non sapevo dove si
trovavano, ma speravo che stessero attenti a non oltrepassare il territorio o
che i lupi facessero attenzione.
“E perché tu non sei con loro?”
continuai evidentemente tesa.
“Sarei andato, ma… ti ho vista e ti ho riconosciuta.
Non abbiamo molte occasioni per parlarti e volevo farlo a
nome di tutto il branco. Loro se la caveranno.” Mi accorgevo solo in quel momento
della bella voce che aveva. Era davvero calda e profonda.
“Giusto. Non avrete visto tutti i giorni una ragazza
insieme a due vampiri” constatai.
“E voi un branco di licantropi”
rispose con una smorfia che voleva essere un sorriso.
“Effettivamente non sembra una brutta idea parlare”
“Per niente.” Nonostante tutto continuammo
a rimanere zitti. Che situazione imbarazzante.
“Ma… hanno avuto ragione?” chiesi
ancora tesa.
”Cosa?”
”A mandarmi qua. Mi… mi permettete di venire anche se
sono dalla parte dei vampiri?” Ecco la domanda da un milione di dollari che mi
avrebbe permesso di venire qua a La Push.
“Certo. Perché no? Sei la
benvenuta a La Push, tu.” Lui era tranquillissimo.
“Ah… voi non… non mi sbranerete?” Evidentemente no; riuscii
a shockarlo con la mia domanda.
“No! No, noi… non siamo i lupi cattivi che mangiano le
persone! Noi le persone le difendiamo. Ti sei fatta un’idea sbagliata.”
Ecco, avevo avuto ragione. A meno che
non mi stesse mentendo. Fu la forte ingenuità e sincerità che trasparivano dal suo tono di voce a convincermi a credergli.
“Ci trasformiamo in lupi, ma conserviamo ancora una parte
umana. In teoria non potrei parlartene; è una nostra antica regola mantenere
segreta la nostra natura. Ma il nostro capo branco ci
ha permesso di parlarne almeno a te, visto che… hai uno strano ruolo in questa
storia.” Papà aveva ragione, erano
un branco molto organizzato.
Senza rendermene conto cominciai a squadrarlo dalla testa
ai piedi. Era una solo persona, né un mostro, né
qualcos’altro. E non sembrava neppure avere
l’intenzione di farmi male, sebbene l’avrebbe potuto fare, se l’avesse voluto. Ma visto così da vicino incuteva un po’ di sottomissione; sembrava
un atleta pericolosamente doppato: aveva muscoli dappertutto ed era alto e
grosso come un armadio. Avrebbe potuto stendermi con un dito anche da umano.
“Cosa c’è? Perché mi stai
guardando così?” chiese imbarazzato. Ah, lupetto,
lupetto, cosa vai a pensare… Approfittai della
situazione.
“Bhè, mi sono venute in mente
parecchie domande su di voi. Ed una di questa era se… questa cosa dei
licantropi risentisse anche sul vostro corpo…” chiesi
totalmente con scioltezza.
“Beh… sì. Diventiamo molto più resistenti e forti. Parecchio”
rispose lui calmo. Quel “parecchio” però mi fece
paura.
“Si vede…” Lo squadrai ancora una volta “Da quanto esistete?”
Mi venne spontanea; non era esattamente la domanda
principale, ma era legittima. Supposi non da molto, se i vampiri non li
conoscevano. Lui ci pensò un po’ su.
“Ad essere sincero non lo so, ma da un bel po’ di tempo.
Davvero un bel po’. Tanto che anche per i licantropi esistono
le loro belle leggende. Come per i succhiasangue.” Persi
ogni proposito di continuare la conversazione. Mi girai improvvisamente
verso di lui.
“Come scusa?” Speravo di aver capito male.
Lui mi guardò confuso.
“I vampiri”
“Ripeti un po’ come li hai chiamati” La stizza cresceva
come anche la sua confusione.
“Succhiasangue”Oh… dimenticai di trovarmi di fronte ad un
licantropo, in grado di stendermi con un mignolo e che non conoscevo nemmeno ed
esplosi. Gli puntai un dito contro.
“Se in qualche modo ti stai
riferendo ai miei genitori, allora ti conviene cucirti quella boccaccia e
cominciare a picchiarti da solo, perché se lo faccio io sarà molto più
doloroso! Hai mai conosciuto un vampiro di persona?!”
“No, m…” Era rimasto senza parole dalla mia reazione e m
guardava con un certo timore.
“Allora non permetterti più di dire queste fesserie, mi
hai capita?” Stavo ormai gridando e provavo
un’irrefrenabile voglia di saltargli addosso. Ormai non ragionavo più.
“Io non vengo mica qua e sbatterti in faccia che voi
licantropi siete degli stupidi cani bavosi, benché, lo ammetto e non me ne
vergogno, non mi state simpatici neppure un po’.”
Soprattutto dopo quello che ha detto… Non gli diedi il
tempo di dire nulla.
“Quindi, che non ti accarezzi
nemmeno il pensiero di pensare a quel nome! Soprattutto” sottolineai
con particolare enfasi l’ultima parola. “se ti
riferisci ai miei genitori. Loro sono dei vampiri non solo
con la “v” maiuscola, ma con tutto il resto delle lettere. Loro sono dei V-A-M-P-I-R-I!!”
Feci un respiro profondo, con il quale mi ritornò anche
quel minimo di ragione che avevo perso. Forse gli sarò sembrata una pazza da
manicomio, ma se si metteva ad offendere vampiri e compagnia bella con i
licantropi si iniziava davvero male. Lo guardai negli
occhi. Eh già, mi guardava come se fossi una pazza. O
come se fosse diventato lui pazzo ascoltandomi, non capii sul momento. La sua
espressione, anche se comprensibile, mi dava fastidio.
“Che c’è?” dissi per fargliela
passare. La rabbia non mi era ancora passata del tutto.
“Li… li hai chiamati genitori, giusto?” Ah... era esterrefatto non
per la mia scenata, ma solo per questo? Si stupiva facilmente, il ragazzo.
“Anche più di una volta in questa
conversazione senza senso” continuai io, con lo stesso tono. Lui respirò
profondamente.
“Come… come fai?” Non capivo cosa c’era di tanto
sconvolgente.
“A fare che?”
“A…” chiuse la bocca e la riaprì un paio di volte, confuso
fino all’eccesso. Forza, dolcezza, ce la puoi fare.
“Tu li chiami… ‘mamma’ e ‘papà’?”
chiese con uno strano sorriso sulle labbra, come se credesse che quella domanda
fosse troppo assurda ed irreale da porre.
“E secondo te come li dovrei chiamare?!”
risposi secca. Stava cominciando a farmi arrabbiare di nuovo. Lui spalancò gli
occhi.
“Tu chiami “mamma” e “papà” due mostri che potrebbero
ucciderti?!” mormorò sconvolto.
Ok, cominciai a valutare
seriamente i motivi per non ammazzarlo. Era un uomo: ma non comportava niente
di grave. Era un uomo parecchio muscoloso: sorvolabile. Era un licantropo:
problema. Persi la cognizione del tempo e mi resi conto che ero rimasta a
guardarlo semi imbambolata per un po’ di tempo, dato
che aveva la faccia tosta di sventolare la mano davanti ai miei occhi, con
evidente preoccupazione. Ed con anche un sospetto
ghigno sulla faccia. Decisi che l’unica cosa che potevo fare era parlargli; no,
impossibile, urlargli era più facile.
“Che...” Non riuscii
però a indovinare quello che seguiva e mi fermai. Riprovai
“Ma quante diavolo ne stai
sparando?! Cavolo…! Tu… tu sei proprio bacato. Bacato alla
grande, amico. Completamente! Come ti viene in mente l’idea che loro mi
potrebbero uccidere?!”
“Bè… non so… forse perché sono
dei vampiri?” mi rispose in tono da presa in giro. Pugno in faccia, pugno in faccia…
“Questo non spiega un cavolo! Quelli normali lo fanno.
Loro bevono solo sangue animale!”
“Ma questo non toglie che siano
vampiri” continuò.
No, non stava scherzando era
davvero serio. Ma che cavolo; conoscevano vampiri vegetariani e sapevano che
non uccidevano persone, perché allora credevano che mi avrebbero uccisa?! Forse secondo loro non sarebbero
riusciti a trattenersi? Bhe, forse c’era andata un po’ troppo pesante. Effettivamente per capirmi
bisognava conoscere la mia storia, che loro non sapevano. Questo riuscì a
calmarmi, ma solo un po’.
“Senti, non credo proprio che tu abbia la giusta mentalità
per cogliere la situazione. Non ci capiamo proprio! Insomma, ogni cosa che ti
esce da quella bocca equivale a “castronata” per me! E credo che lo sia anche per te!”
“Almeno su questo siamo d’accordo” disse annuendo con la
testa, tanto sconvolto, quanto io pazza. Stette alcuni secondi in silenzio, poi riprese a sparare.
“Ma…non ti hanno mai fatto del male?”
“Ovvio che no!” Così però mi faceva arrabbiare ancora.
“E… vivi… con loro? Sotto lo
stesso tetto, intendo?”
“Ti ripeto che non credo che tu riesca ad afferrare il
concetto!” dissi pungolandomi il cranio con le dita.
“E’ un sì, quindi?”
“SI’!”
“…impossibile…”
“Vuoi davvero sentire una cosa impossibile?” dissi con
voce incredibilmente controllata. “Mia madre, che è un vampiro, è la mia madre
biologica” Solo per il gusto di vederlo prendersi un infarto. Non l’avrei
escluso, anche così grande e grosso com’era, si sconvolgeva
per poco.
“Eh?” mugugnò lui. “…Come… no… mi stai prendendo in giro.
Non è divertente…”
“Se non ci credi, fai pure”
“Non è possibile! Tu sei umana!”
“Ti voglio raccontare in due parole la storia della mia
vita: diciassette anni fa mia madre mi sfornò dal suo
pancione. Stava per morire, ma ecco che arrivò mio padre, pronto a salvarla.
Lei diventò un vampiro e io restai umana. Da allora viviamo tutti e tre felici
e contenti. Fine della storia.” C’erano in teoria un mucchio di particolari
importanti, ma questo era sufficiente per fargli capire la situazione.
“In breve, i miei genitori riescono a sopportare l’odore
del mio sangue perché mio padre è da trecento anni che
si esercita sul suo autocontrollo, mentre l’istinto materno di mia madre è
decine di volte superiore del suo appetito” Questa volta riuscii ad essere
totalmente seria.
“Se i miei genitori non fossero
stati sicuri al cento per cento di non riuscire a resistere al sangue umano,
allora non sarei qui, ti pare?” Forse così avrebbero capito che loro non erano
pericolosi. Ma ne dubitavo, dato tutti i pregiudizi
che aveva.
“Ma come…” lui si fermò subito. “No,
niente. Me ne sto zitto che è meglio…”
“Ecco, buona idea…” Aveva una
faccia ancora più confusa di prima.
“No, aspetta” riprese quasi subito
“Tu sei umana e sei nata da una donna umana” Mi ero stufata di sentirlo dire
idiozie, ma questa volta ci stava provando veramente a capire, quindi lo
lasciai fare.
“Sì”
“Ti ha partorita ed era ancora
umana”
“Sì”
“Ma subito dopo è morta”
“Stava per morire” precisai.
“Va bene. Stava per morire” si corresse dandomi corda “Ma il suc… vampiro l’ha
morsa. E si è salvata”
“E quel vampiro era mio padre” tenni particolarmente a sottolineare.
“Ma non può essere tuo padre!” sbottò.
“Non è il mio padre biologico. Sotto questo punto di vista
è un qualsiasi vampiro” Odiavo tremendamente definire mio padre come un
qualsiasi, semplice vampiro, anche sotto questo punto di vista. “Ma rimane mio padre”
“Ma non ha morso, né ucciso, te”
“No”
“E neppure tua madre, che è
diventata un vampiro”
“No”
“Ah…” mugugnò, ancora concentrato. Richiuse la bocca che
era rimasta aperta, ma subito dopo la riaprì, senza
emanare alcun suono, ad occhi spalancati. Finalmente ci era
arrivato. Strizzò infine gli occhi e scosse la testa. Mi sarei divertita un
sacco a vederlo così esterrefatto ed in pena, ma tutto
il senso dell’umorismo era passato dopo che, volente o nolente, aveva insultato
i miei genitori in mille modi.
“Quando ti abbiamo vista insieme
ai due vampiri ci era sembrato assurdo che tu stessi con loro, anche se noi i
vampiri del genere li conosciamo. Volevamo venire persino a Forks,
nonostante non sia un nostro territorio, per chiederti di persona come stava
esattamente la cosa, ma il fatto che abbiano resistito
così bene al tuo sangue, ieri alla foresta, ci ha letteralmente stupito e ci ha
colti del tutto impreparati. Ma questo… questo, questo è davvero assurdo!”
“Qualche volta me lo dico anch’io…”
Che conversazione. Gridare era
davvero faticoso ed avevo racimolato davvero poche informazione
sul loro conto, ma non avevo la benché minima intenzione di continuare una
conversazione del genere. Decisi che per oggi bastava.
Ormai avevo riacquistato del tutto la ragione e mi accorsi solo in quel momento che gli avevo fatto davvero una
grande scenata. Non dico che non gliel’avrei rifatta,
ma di certo non era stato un comportamento gentile. E poi si era sforzato di
capire; le scuse se le meritava.
“Scusami per la scenata di prima” ammisi “Queste offese alla
mia famiglia mi fanno terribilmente perdere alla testa” Lui sbuffò e scosse di
nuovo la testa.
“Non… non ho idea di cosa potrei risponderti” affermò lui
“C’è un abisso tra di noi. Abbiamo una concezione di…
vampiri davvero opposta.” Lo guardai per un momento,
fisso negli occhi con il mento appoggiato alla mano.
“Sono curiosa di sapere quello che stai pensando di me”
Lui rise istericamente.
“Penso che tu sia una pazza. Una pazza, di quelle vere”
Era molto convinto.
“Che strano, penso esattamente lo stesso di te” mi tirai
su ed appoggiai le mani sul tronco “Ma, vampiri a
parte, credo che potremmo riuscire a comunicare” Lui mi mostrò un ghigno.
“Forse hai ragione” Attesi qualche minuto, godendomi il
venticello che soffiava lieve e mi rinfrescava la faccia.
“Non è male questo posto…” blaterai per riempire il
silenzio.
“Quattro case, piove quasi sempre…
ragazza, Disneyland non è niente” Mmmhh…
aveva il mio stesso senso dell’umorismo. Stava cominciando a piacermi il suo
lato umano, incondizionato dai vampiri. In quel momento però non avevo voglia
di scherzare.
“Ma c’è il mare. Prima di tre
mesi fa non l’avevo mai visto…”
“E suppongo tu sia venuta qua in spiaggia per vederlo” Mi
girai verso di lui, cercando di capire dove volesse
arrivare.
“Sì” dissi sospetta.
“Piccola informazione: è di là” disse indicandolo. Ero infatti ancora voltata di schiena.
“Ah, ma non lo stavo guardando. Stavo… ammazzando il
tempo” Il verbo ci stava appieno “Stavo… contando le
persone che passavano” dissi indicando la costa.
“Oh” disse lui falsamente sorpreso “E a quante sei
arrivate?”
“Uno, solo tu” ammisi io. Lui mi
guardava interessato.
“Da dove vieni?”
“Chicago”
“Bè… io non ho mai visto
Chicago. Siamo pari, no?” Sfoderai il piccolo
sorrisetto sghembo.
“Visto che siamo riusciti a tirar fuori uno straccio di
comunicazione sensata?”
“Già, mi hai sorpreso. Nel lato buono
questa volta. E se proprio ci tieni a saperlo è stato anche
piacevole” Questa volta fece un sorriso vero. “Ed è anche non sentirti più
urlare è decisamente meglio”
“Ah ah”
mugugnai io, sorridendo sorniona. Passarono ancora alcuni minuti di silenzio. Era
davvero un simpatico ragazzo.
“A vivere con dei vampiri si diventa così strani?” Non lo
diceva con cattiveria.
“Forse sì, forse no” dissi dondolandomi avanti ed
indietro. La mia tasca vibrò. Era lo squillo. Ritornai alla realtà; in quei
minuti, forse ore, mi ero scordata che i miei genitori erano andati a parlare
con un vampiro. E che forse ci sarebbero stati anche i
licantropi.
“Devo andare ora…” dissi seria e nervosa alzandomi subito.
“Dai due…”
“Se ti viene così difficile, non
dirlo” dissi riprendendo la calma ed allontanandomi.
“Ci vediamo!” gli gridai. Eccome se ci
saremo rivisti; dovevo sapere ancora molte altre cose sul loro conto.
“Aspetta” In breve riuscì a raggiungermi e a fermarmi per
un braccio. Aveva una stretta possente. “Non dire a nessuno che noi Quileute siamo dei licantropi” Io sbuffai e continuai ad
allontanarmi.
“Mi hai forse preso per una stupida?” dissi sarcastica,
con il mio sorrisino sghembo.
Durante il viaggio di ritorno non riuscii
a pensare all’incontro che avevo avuto; diventai improvvisamente troppo nervosa
per i miei genitori. Eh, dai, Abi,
sono due contro due. Più, molto probabilmente, quattro licantropi. Spinsi il piede contro l’acceleratore, quei dieci minuti stavano
diventando mezz’ore. Avevo almeno la certezza che stessero
bene, se mi avevano fatto uno squillo. No, avevo la certezza che uno dei due
stava bene. Arrivai a casa prima che pensieri malsani ed insensati, cagionevoli
per la mia salute mentale, mi affollassero la mente. Spensi
il motore ed inciampai per la fretta di togliermi il casco. Che
caso umano. Attraversai velocemente la porticina che dava sul salotto.
“Non mi dire che eri preoccupata
per noi?”
Mia madre mi stava guardando appoggiata al tavolo in marmo della cucina, con vicina papà. Si vedeva che non vedeva l’ora di vedermi. Lei sì che si era
preoccupata.
“Sei stata veloce a venire qua”
Lui mi stava sorridendo. Respirai profondamente; stavano
tutti bene. Mi tolsi il giubbotto e lo appoggiai sulla prima sedia, mentre mi
sedevo sul tavolo vicino a mamma, che mi pose un braccio sulla spalla.
“No, ma figurati. Io? Preoccupata per due vampiri? Ma dai!”
“Ma davvero, naso a patata?” Mio
padre mi si avvicinò e mi tappò il naso con le dita. Io indietreggiai con la
testa e gli feci la linguaccia.
“Noi piuttosto siamo stati preoccupati per te” disse mia
madre stringendomi ancora di più a lei. Anche mio
padre ridivenne serio.
“Ah… Non è successo niente. È andato tutto alla grande. Ho
parlato anche con uno di loro”
“Ti ha fatto del male?” chiese automaticamente mia madre. Io
scossi la testa per tranquillizzarla.
“No, papà aveva ragione, non fanno del male alle persone. Le
difendono dai vampiri.”
“Come hanno reagito al fatto che stai con due vampiri?” si intromise mio padre.
“Bhe… ne sono rimasti totalmente
basiti. Gli ho raccontato la nostra storia a grandi linee. Diciamo
che ho cercato di raccontare; non voleva crederci.” Mi fermai e lo guardai
dubbiosa “Ho fatto bene?”
“Certo, dobbiamo farci conoscere per sembrare il meno pericolosi possibili” acconsentì papà.
“Sarebbe bello però sapere anche qualcosa sul loro di conto”
continuò mamma.
“So che stranamente anche loro hanno vecchie origini, ma non
abbiamo parlato molto di loro” corrugai la fronte “Ha
cominciato a chiamarvi con dei nomignoli che mi hanno fatto scoppiare di
rabbia!” Sbuffai, guardandoli negli occhi.
“Ce l’hanno terribilmente con i
vampiri. Li odiano veramente. Ne parlano come se fosse la peste. Non… non siamo riusciti a capirci su niente!” Sbuffai, di nuovo.
“Credeva che fossi una pazza, mi guardava come se fossi un maiale blu! In
realtà il vero pazzo è stato lui!” affermai
sconcertata. “Ma, vampiri a parte, è stato simpatico.”
“Ah…” mugugnò mio padre, anche lui sconcertato. “Bhe… non ne sappiamo molto di più”
“Mi ha detto che io posso andare a
La Push. Potrei incontrarli di nuovo.”
Questa cosa mi elettrizzava non poco,
sembravo una sorta di mediatore tra due fazione in lotta, come nei film
di spionaggio. I miei genitori non risposero subito. Si guardarono per un
secondo negli occhi. Ed un secondo per dei vampiri
valeva almeno cinque minuti.
“Il ragazzo che ho incontrato è stato simpatico, ed anche
gentile.” Premere il tasto della “umanità” era il
metodo più efficace per convincerli.
“Sono dei semplici ragazzi, un po’ cresciutelli,
ma sono… umani”
“Abi, il problema ora non è se
vogliono o no farti del male” intervenne mio padre
“Hanno avuto moltissime occasioni per farlo. Siamo convinti che non sono quelle
le loro intenzioni.”
“Ma allora dove sta il problema?!”
“Non sappiamo se riescono a controllarsi” concluse
mamma.
“Ah… dici che vale anche per loro
l’‘effetto-Hulk”?” Mio padre sorrise ed annuì.
L’ “effetto-Hulk” era il nome che avevo dato all’incapacità dei vampiri di resistere al
sangue. I miei genitori mi avevano detto che l’effetto
del sangue può influire sull’autocontrollo dei vampiri in modo spaventoso. Un
vampiro del tutto rilassato al contatto con il sangue può perdere l’uso della
ragione e comportarsi come un animale. Un po’ come Hulk quando si arrabbia. Così avrebbe
potuto valere anche per i licantropi; non era detto che riuscissero a
mantenere la propria forma umana.
“Ma non avete neanche prove che non si riescano
a controllare. Nei dintorni di La Push non ci sono
state uccisioni, né incidenti di nessun tipo da quando siamo arrivati. A parte
quelle degli ultimi giorni, che sono stati commessi da
vampiri” affermai con convinzione. Quasi me ne stavo dimenticando; avevo il diritto di sapere cosa
fosse successo. Ne avrei subito parlato finita
questa conversazione. I miei genitori se ne stavano ancora zitti.
“Facciamo così” dissi frettolosa di passare all’argomento
successivo “Io vado a La Push e se mi succede
qualcosa, bhé, c’è sempre mamma” affermai. Lei
sbuffò.
“Non è un gioco. Anche se ci sono io, c’è la tua vita in
pericolo.”
“Forse, non è ancora detto.” Caspita, lupi o mostri che
fossero, io volevo il mare! Mia madre scosse la testa. Papà
invece se ne stava zitto.
“Come volete conoscerli, se appena vi vedono vi saltano
addosso?!” sbottai io. Insomma, c’erano mille ragioni
per poter andare a La Push, perché tentennavano
ancora?
“Va bene, puoi andare a La Push”
disse finalmente papà. Sì!
“William!” sbottò mia madre per niente contenta.
“Ma sei tenuta a dircelo, ogni
volta. Ed è vietato andare se entrambi siamo impegnati
con il lavoro. Intesi?” disse serio. Io annuii convita
e contenta. Mia madre sembrava solo leggermente
tranquillizzata. Cambiai argomento, per rompere la tensione.
“Con il vampiro come è andata?”
“Come pensi che sia andata, eh?” dissi mio padre allegro,
colpendo il naso con l’indice.
Io automaticamente gli tirai un pugno al petto. Un piccolo
pugno ed insignificante pugno al petto, non volevo
spaccarmi la mano. Quella volta però mi feci male, ma non perché avevo picchiato
troppo forte. Diventai subito seria; era come se mi fossi punta. Era davvero
una sensazione strana, mai provata; come possono pungere i vampiri? Hanno la
pelle liscia come il marmo. A meno che… Puntai gli
occhi fissi in quelli di mio padre. Lui non cambiò atteggiamento e continuò a
sorridermi tranquillo.
“E adesso cosa c’è?” disse lui gioioso.
Io non lo ero affatto. Cominciai a sfiorare con le
dita il punto dove lo avevo colpito, sopra la leggera camicia che indossava. La
ritrassi spaventata, tornando a guardarlo fisso.
“Fammi vedere” ordinai in un filo di voce. Lui inarcò le sopracciglia quasi dispiaciuto.
“Non è niente, Abi” disse cercando
di essere rassicurante, mentre si sbottonava la
camicia. “È solo un graffio, non mi fa male”
Non mi importava affatto se gli
faceva male, sapevo che non gli faceva male, era un vampiro! A preoccuparmi
terribilmente era un’altra cosa. Rimasi immobile a guardare il graffio che
aveva mio padre. Non era affatto un graffio, non era
affatto un graffio! Era come se un architetto appena finita la sua perfetta
statua greca dovesse dare un ultimo ritocco con lo scalpello e sbagliasse,
scavando nella pietra e lasciando un lungo ed orribile varco per tutta la
lunghezza del petto. Quello che più mi premeva era la profondità; non era affatto un graffio, dannazione! Il mio sguardo la continuò a guardare fisso, mente cominciai a ribollire di
rabbia. Era troppo largo per essere stato prodotto da
un vampiro; i suoi denti, seppur potentissimi, non erano così larghi. Strinsi
le mani; licantropi. Potevano farne uno più profondo,
oppure più di uno, potevano staccargli un braccio, oppure la testa. Quel
“graffio” poteva uccidere mio padre. Sentii mia madre stringermi ancora di più.
“A te hanno fatto qualcosa?!” le
chiesi con voce malferma. Lei scosse la testa e io le credetti. Tornai a
guardare mio padre. Era davvero una strana sensazione vedere un vampiro
muoversi tranquillamente con un solco che avrebbe ucciso un umano all’istante.
“Sto bene, Abi, sono sempre qui”
disse lui prendendomi la testa con le mani.
“Ma vi potevano uccidere!” urlai.
Non ci vedevo più. Ero fuori di me. Sentii mia madre che mi massaggiava le
spalle. Riuscii miracolosamente a calmarmi un minimo.
“Cosa è successo?” bisbigliai ad
occhi chiusi.
“Siamo arrivati troppo tardi. I licantropi erano già lì”
iniziò mia madre “C’era solo un vampiro, ma i licantropi lo avevano già…”
Cercava di trovare il termine più adatto, ma sapevo già quello che voleva dire;
l’avevano ucciso, fatto a pezzi, distrutto, ce n’erano di vocaboli.
“Uno di loro si è avventato anche su di noi. Abbiamo cercato
di difenderci, ma il gruppo lo stava appoggiando. Ce
ne siamo quindi andati. Non ci hanno inseguiti”
concluse mio padre.
“Ma perché siete andati nel loro
territorio?” sbottai. Mio padre si fece confuso e pensieroso. Ma non arrabbiato.
“Non eravamo nel loro territorio; eravamo vicini al loro confine, ma non lo abbiamo superato”
Cosa? CHE COSA?!
Li hanno attaccati, senza che loro lo avessero superato. Avevo violato il patto
da loro stessi imposto! Battei con forza le mani sul marmo
sotto di me. Mi feci molto male. Mi alzai in piedi, mentre cercavo in
qualche modo di contenere la rabbia. Provavo un irrefrenabile
voglia di gridare, ma non so come riuscii a trattenermi. Qualcosa in me
mi spingeva a ritornare a La Push e a spaccare il muso
ad ognuno di loro, licantropi o no. Che falsi ed
ipocriti! Non riuscivo a credere che fossero le stesse identiche persone; un
ragazzo semplice e simpatico come quello incornato alla spiaggia in grado di
attaccare in quel modo insulso.
“Abi, calmati” disse mio padre
mettendomi una mano sulla spalla. Mi voltai di scatto e lo guardai con rabbia.
“No! Non mi calmo! Non hanno rispettato il patto e potevano ucciderti!” gli gridai in faccia. Presi il
giubbotto dalla sedia e lo indossai, per andare a La
Push. Mia madre mi prese stretta per le spalle, senza alzarsi, bloccandomi.
“Lasciami, mamma!” gridai anche a lei.
“Abi, cosa vuoi fare?” disse
tranquilla. Io mi bloccai e la guardai. Perché solo io
stavo esplodendo di rabbia? Perché non si rendevano
conto di quello che avevano fatto?
“Per favore, Abi, calmati.” Detto
da mamma, con quel tono, fece subito effetto. Riuscii a calmarmi. Mamma aveva
ragione, cosa diamine volevo fare? Andare a La Push e poi? Che idiota, che stupida
che ero stata a pensare di poter fare qualcosa contro cinque lupi giganti che
erano riusciti a ferire mio padre.
“Cosa avete intenzione di fare?”
chiesi più tranquilla. “Hanno violato il patto, non potete far finta di niente”
“Questo no, non tralasceremo, ma non possiamo essere
avventati con loro” spiegò papà. Feci un respiro profondo, ancora stretta fra
le braccia di mah’. Io ero una stupida e loro avevano
ragione. Avevo fatto una scenata del tutto inutile, impedendomi di pensare
lucidamente. Adesso andava già meglio e sapevo un po’ meglio cosa fare. Feci un
altro respiro profondo. I miei genitori non avrebbero lasciato sorvolare, ma i
lupi cosa avrebbero potuto fare se gli avessero rincontrati?
Un altro “graffio” o cosa? Potevo fare solo io qualcosa di buono.
“Devo andare a La Push” conclusi
alla fine “A parlare con loro.” Sapevo che sarebbe stata una soluzione che
tutti avrebbero accettato.
“A questo punto… sì” rispose mio padre
“Non la più adatta al momento di sicuro” replicò mamma.
“Ma abbiamo appena detto che..” sbottai innervosita.
“Sei andata fuori di testa, ti devi
rilassare prima”
“Sono calmissima” Il mio tono di voce diceva però un'altra
cosa. Dal nervoso battei ancora una volta la mano sul
marmo del tavolo. E mi feci molto più male di prima. Serrai
gli occhi per evitare di esplodere ancora.
“Abi” Le mani gelide di mio padre mi incorniciarono il viso “Andrai a La Push, ma non adesso.
Domani. Devi essere lucida e al momento non lo sei.”
Cinsi il petto di mio padre con le braccia ed appoggiai la
testa sul suo petto. Lo sentivo ancora, quel fregio. Ero sempre stata una
persona troppo impulsiva e questo aveva sempre giocato a mio sfavore. Avrò
fatto quello che mi aveva detto di fare; avrò aspettato domani e, con
razionalità, avrò parlato con loro.
La mattina del giorno dopo cercai di svegliarmi abbastanza
presto per l’incontro con i licantropi. Prima di partire sia mamma sia papà mi avevano riempito la testa con raccomandazioni e consigli di
ogni tipo. Mi sentivo come una bambina al suo primo giorno di
elementari, ma provavo la tensione di un ambasciatore. Era una
sensazione irritante e deprimente allo stesso tempo, che non consigliavo a
nessuno. Partii consocia del grande compito che mi era
stato affidato. Dal giorno prima mi ero decisamente
calmata e mi ero più volte preparata in mente quello che avrei dovuto dire, ma
come al solito dalla mia bocca sarebbe uscito tutt’altro.
Solamente quando arrivai a La Push
mi resi conto di un problema: dove li avrei trovati? Ieri alla spiaggia avevo
incontrato quel ragazzo per caso. Decisi comunque di
ritornarci, piuttosto di girare per La Push a casaccio. E
se non li avrei trovati? Cavolo, non ci avevo pensato. Era un problema più
serio di quanto immaginassi. Parcheggiai la moto nel
punto di sempre e scesi in piaggia. Forse contavo troppo sul fatto che, essendo
dei grossi lupi, mi avrebbero sentita arrivare
sentendo il mio odore, sempre sperando che almeno uno fosse trasformato.
Quel giorno pioveva. Mi tirai sulla testa il cappuccio e
come un’imbambolata aspettai ferma in piedi davanti al
solito tronco eroso. In lontananza vedevo dei grossi nuvoli che si stavano
avvicinando, dai quali prevedevo che quella pioggerellina sarebbe diventata un grande bel temporalone.
Erano passati quasi cinque minuti ed io ero sempre lì. Solo
in quel momento mi accorsi che era un’idea proprio assurda starsene in
spiaggia; insomma, La Push era piccola e cinque
ragazzoni nerboruti si potevano trovare, diavolo! Mi girai dalla parte da cui ero arrivata dandomi della stupida, quando qualcosa attirò
la mia attenzione. Mi bloccai all’istante. Eccoli. Li
contai; ne mancava uno, ma quattro bastavano ed avanzavano. Stavano avanzando
verso di me in gruppo e più si avvicinavano più sembravano ingrandirsi.
Nonostante la pioggia avevano il
torso nudo questa volta, mettendo in bella vista il loro fisico doppato. Si
fermarono a mezzo metro da me. E me la feci addosso. Erano quattro, grandi e
nerboruti ragazzi con un’espressione seria e poco rassicurante sul volto. Non
intravidi però quello del ragazzo di ieri. Peccato, la sua vista mi avrebbe
rassicurato almeno un poco. Decisi però di mantenere un atteggiamento composto
e persino sprezzante. Dopo averli squadrati uno per uno fissai
il ragazzone più grande; era il capo branco, quello della foresta. Era con lui
che dovevo parlare. Cercai di dimenticarmi dell’esistenza degli altri quattro e
mi concentrai su quello che avrei detto.
“Perché li avete attaccati? Non avevano superato il confine!” dissi senza lasciargli la
parola. Il mio tono non era furioso, ma solamente freddo.
Il capo branco non mi rispose subito, ma sembrò pensarci un po’. Intanto mi ero
distratta dall’espressione di uno degli altri quattro. Aveva una strana smorfia
sul viso e sembrava contento. Lo perforai con lo sguardo, ci
godeva davvero dall’aver quasi ucciso mio padre. Mi stavo arrabbiando,
ma dovevo contenermi.
“Si sono avvicinati troppo…” La mia concentrazione tornò
all’istante sul capo branco.
“Appunto! Si sono avvicinati, non
l’hanno superato. Non avevate nessun motivo per attaccare. Questi non
erano i patti” In risposta lui mi lanciò
un’occhiataccia.
“Si sono avvicinati troppo ed uno di noi per sbaglio ne ha
colpito uno” completò lui “Non è stato un attacco premeditato”
Io invece conoscevo un’altra versione
della storia; quel lupo aveva volutamente deciso di attaccarli, non era stato
un caso. Il ragazzo di prima schioccò la lingua. I miei occhi
schizzarono su di lui; era stato lui ad attaccare mio padre, ne
ero sicura, visto che non se ne dispiaceva affatto, a quanto pare.
Sbagliai, e non riuscii a controllarmi questa volta.
“Tanto divertente uccidere persone, vero?”
dissi ad alta voce al ragazzo. Dapprima si dimostrò sorpreso che gli avessi
rivolto la parola, poi sfoderò un’espressione da sbruffone.
“I vampiri non sono persone.”
“Tanto quanto tu sei un mostro” risposi immediatamente.
Lui perse la pazienza e, in uno scatto, superò quei cinquanta centimetri che ci
separavano. Era alto almeno venti centimetri in più, ma non distolsi lo
sguardo. Per un attimo i nostri occhi si spararono lampi a vicenda. Volle
avanzare ancora di più, ma due dei suoi compagni
riuscirono a trattenerlo in tempo.
“Sta buono, Paul” disse uno dei
due. Non riuscì a guardarlo in faccia, perché i miei occhi erano ancora fissi
su di lui, Paul.
Lo spinsero indietro, vicino al capo branco. Mi aveva
fatta davvero incazzare. Non era
però il momento di perdere le staffe, dovevo finire una conversazione.
Guardai il capo branco, che mi fissava serio.
“Avete comunque violato il patto
da voi proposto” ripresi.
“Ce ne rendiamo conto e… non volevamo che accadesse” disse
calmo, scandendo le parole.
L’ultima frase la disse ad alta voce, guardando quel
ragazzo, Paul. Sembrava più un rimprovero diretto a
lui. Capii che pur essendo un gruppo molto unito, c’erano molti contrasti di opinioni.
“Delle scuse sarebbero anche gradite, a questo punto”
dissi acida. Paul, e non solo lui, trattenne a fatica
una smorfia.
“Porgile pure da parte nostra” disse il capo branco. Bhe… se sono riusciti a chiedere
scusa eravamo ad un buon punto.
“Abbiamo conosciuto la tua situazione; ne siamo rimasti
davvero increduli. Non credevamo fosse possibile una circostanza del genere. È tutto vero?” continuò lui. Mi fu inevitabile non sbuffare.
Proprio non gli entrava in testa, eh.
“Sì” sbottai acida, incrociando le braccia al petto. Lui
mi osservò per un attimo pensieroso.
“Temiamo però per la tua
incolumità” disse con una leggera esitazione. Mi caddero le braccia.
“Sentite, è dal giorno in cui sono nata che vivo insieme a loro. Non mi hanno mai fatto del male fino adesso ed è
sicuro che non lo faranno. E credo che ve l’abbiamo
anche spiegato il perché di questa mia sicurezza” ridissi per l’ennesima volta.
“Potete stare tranquilli, rispetteremo
il patto. Garantisco che non verrà ucciso alcun essere
umano, né trasformato.” Alla fine il problema rimaneva quello.
“Noi ci fidiamo di te, ma non di loro” Nei suoi occhi
qualcosa improvvisamente cambiò.
“Se voi vi fidate di me ed io mi
fido di loro, fidatevi anche di loro!”
“Bel colpo” sussurrò improvvisamente uno di loro, come se
fosse il commentatore di un incontro di scherma. Il che non
era del tutto falso.
“Non è così semplice” disse scuotendo la testa. “Per
favore, fatti vedere ad queste parti più spesso. Ci
farai sentire più sicuri.”
Era strano il tono che aveva usato. Era sicuramente
protettivo, ma non era affettuoso come quello di Eric. Era più serio ed importante. Furono soprattutto le
parole che usò a sorprendermi. Per tutta la conversazione si era tenuto sulla
difensiva e si era rivolto con molta cordialità. Ero stata io a farmi prendere
un po’ la mano. Mi fece una buona impressione. Feci un
respiro profondo. Avevano realmente buone intenzioni, con me, per lo più.
“Va bene” Era l’unica cosa che potessi
dire a quel punto. Decisi di cambiare atteggiamento; porsi la mano per farmela
stringere e lui contraccambiò.
“Io sono AbigailAdams” Mi sembrava giusto presentarmi. “Mio padre si chiama
William e mia madre Sophie”
Dire il nome dei miei genitori mi sembrò un primo passo
per sostituire il vocabolo “vampiro” o ancora peggio “succhiasangue” dal loro
dizionario.
“Io sono Sam” disse il capo
branco, con cordialità.
“Jared” disse subito uno degli
altri ragazzi.
“Embry” Lui alzò perfino la
mano, che ricambiai.
“Paul” disse con rabbia.
“Piacere” dissi il più tranquilla possibile. Di solito mi
dimenticavo subito i nomi, questa volta invece sarebbero
rimasti impressi nella memoria. A parte Paul,
tutti si rivolsero a me in modo strano, distaccato. Non c’era da sorprendersi
che non li stessi dal primo momento subito simpatica:
io ero la ragazza che stava con i vampiri. Ritornai a guardare Sam.
“Suppongo quindi che non ci sia più niente da discutere”
“No” rispose lui, guardandomi di sottecchi, in modo
strano.
“Bhe… allora… ci vediamo”
conclusi io, avviandomi immediatamente verso la moto, senza voltare la testa.
In quel momento desideravo andarmene da lì, prendermi qualcosa di caldo e
rilassarmi. Non sentii alcuna risposta al mio saluto. Non me li sarei
aspettata.
Non persi tempo ad avviare il motore per ritornarmene
subito a casa.
Tornai a casa appena prima che iniziasse il temporale. Mi
era venuto un grandissimo mal di testa e avevo bisogno di qualcosa per farmelo
passare. Andai dritta in cucina e lì trovai, come ieri, i miei genitori ad
aspettarmi. Erano entrambi tesi. Io sbuffai e mi andai immediatamente a sedere
su una sedia. In quel preciso momento credetti che stare seduta su una sedia
fosse la cosa più bella di questo mondo. Chiusi gli
occhi e respirai.
“Allora?” sentii la voce vellutata di mia madre. Io li
riaprii. Entrambi non si erano mossi ed entrambi mi
guardavano con apprensione.
Cercai di fare mente locale.
“Abbiamo fatto una bella chiacchierata pacifica.”dissi stanca “e vi chiedono anche
scusa” La scenata di Paul preferivo sorvolarla.
“Davvero?” si sorprese mio padre.
“Già. Il capo branco mi ha detto
che non era stato un attacco premeditato” continuai
“A me sembrava molto volontario come gesto” commentò
sarcastica mia madre.
“Già. Anche se sono un branco,
ognuno la pensa come vuole. C’è chi cerca di capire la situazione, chi invece
non la vuole proprio accettare. Comunque il capo
branco ha una grande influenza sugli altri ed è uno di quelli che rientra nella
prima categoria.”
“Come si sono comportati?” chiese mamma.
“Erano un po’ freddi, ma questo è capibile: per loro sto
dalla parte dei cattivi, quindi sono una cattiva
anch’io”
“Tu invece ti sei comportata bene?” chiese mio padre.
“Sì” Ahia. Non posso mentire con loro. Mamma alzò gli
occhi al cielo.
“Hai perso la calma, non è vero?”
“Va bene, solo un pochettino”
dissi più sincera “Ma non è successo niente” Papà
stava per aprire bocca, ma io lo precedetti.
“Non è loro intenzione attaccarvi, almeno non quella del
capo branco, Sam. Mi hanno davvero sorpreso; il capo
branco è stato davvero molto gentile. Si è dimostrato molto preoccupato per me.
Credono che con voi non sia al sicuro e desiderano proteggermi. Mi hanno
perfino chiesto di andare a La Push più spesso per
controllarmi.”
“Quindi la loro preoccupazione
più grande sei tu, non noi” confermò mio padre stranito.
“Al momento sì. A quanto ho capito, loro ce l’hanno con voi perché credono che voi possiate fare del
male a qualcuno.”
“Ma glielo hai detto che non è
così” si intromise mamma.
“Sì, ma loro continuano a non fidarsi di voi.”
“È comprensibile il loro comportamento. Nonostante i Cullen, per loro dei vampiri che non uccidono le persone è
una situazione da non sottovalutare” Per pochissimi secondi
scese il silenzio.
“A questo punto credo sia ufficiale che tu andrai spesso a La Push” Mi sorpresi che queste parole uscissero dalla
bocca della mia mamma iperprotettiva.
“Visto come stanno le cose se non vai a
La Push, i licantropi si potrebbero innervosirsi.” Il suo tono tentava di essere neutro, ma riusciva a mascherarlo davvero bene. Mi
domandai come avrebbe reagito quando “l’uccellino
avrebbe finalmente lasciato il nido”.
“Bene, quindi abbiamo deciso. Tutto e stato chiarito. Ed io sto impazzendo per il mal di testa”
“Allora è meglio se vai in camera tua a riposarti. Io devo
parlare con tua madre” disse papà, mentre osservava il
volto irrequieto di mamma. Io volai in camera, lasciando i miei genitori soli
in questo momento di privacy. Il potere delle coccole
sarebbe riuscito a risollevare mamma da questa decisione? Io speravo di sì.
Senza nemmeno passare per il bagno mi buttai letteralmente
sul letto. Fuori il cielo era nuvoloso e l’acqua che scivolava sulla
parete-finestra dava un pacato senso di rilassatezza.
Chiusi per un attimo gli occhi, cercando di rilassarmi e non pensare a niente,
ma pareva assolutamente impossibile. In soli tre giorni erano successe cose
incredibili: avevo scoperto che esistevano i licantropi, avevo parlato con uno
di loro e ho perfino rischiato di prenderle da uno di loro. Ah giusto,
dimenticavo, mi ero anche incazzata con loro. Mi
sembrava infatti troppo strano che fino a qualche
giorno fa tutto stava andando a meraviglia. Soffocai la testa nel cuscino
cercando di soffocare anche questi pensieri. Alla fine presi
l’MP3, misi le cuffie alle orecchie e per un attimo sembrò funzionare. La
musica riuscì a distrarmi e mi ritrovai a guardare distratta la mia camera.
Osservai l’armadio, il cestino vicino al tavolo, il tavolo,
il mio diario sopra il tavolo. Dalle pagine di quello svolazzò improvvisamente
un foglietto. La voglia di alzarmi e raccoglierlo era zero, ma mi misi in piedi
lo stesso. Lo presi e guardai cosa ci fosse scritto dentro. Cosa
diamine era? C’era un indirizzo e due nomi. Billy e Jacob. Chi diamine…? Poi ricordai improvvisamente e mi
vennero i crampi allo stomaco. Un altro essenziale motivo era che a La Push c’era colui che forse, con grandi speranze e
aspettative avrebbe costruito la mia auto. Quindi era indispensabile andare a La Push. Decisi allora che ci sarei andata un giorno della
prossima settimana.
Alla fine questa storia di dover andare per forza a La Push per i licantropi coincideva perfettamente con il
mio desiderio di andare alla spiaggia e di ottenere una macchina. E alla fin fine non mi dispiacevano neppure i licantropi. Pensandoci bene forse qualcuno sì, tenendo poi conto che provavano
una stima stratosferica nei confronti dei miei genitori. Ma, per esempio, uno di loro si era rivelato molto cordiale
ed un altro abbastanza simpatico, di cui, tra parentesi, non conoscevo neppure
il nome. Grosse e gravi antipatie a parte, dopo l’incontro di
oggi mi incuriosiva ritornare nuovamente a La Push.
Eh, eh! Chi sarà mai il licantropo senza nome? Adesso le
cose si stanno facendo piuttosto chiare. Ci tengo inoltre a spiegare che il
racconto della storia di Abigail
non si limiterà semplicemente alle tre frasi messe in croce di questo capitolo,
ma verrà trattata nei particolari più avanti. Spero che la
storia vi stia incuriosendo sempre più. Al prossimo capitolo!
X RiceGrain: Uau!
L’hai definito emozionante, dico bene? Ne sono
contentissima, o mia unica e sempre fedele commentatrice! XD Spero che
emozionante sia stato anche questo secondo incontro con i licantropi!
Ti ringrazio per l’ennesima volta di commentare sempre ai
miei capitoli un po’ strampalati.
Mi ricordai dell’esistenza di Bella solamente
quando la vidi a biologia il giorno dopo. Quasi me ne
vergognai. La storia dei licantropi mi aveva totalmente fatto perdere la
testa. Mi andai a sedere vicino a lei, al solito posto. Avevo deciso di seguire
il consiglio di mamma e di lasciar perdere il suo
strano comportamento di giorni fa, seppur inspiegabile e sospetto, sperando
fosse tornata serena.
Ma a quanto pareva non era così.
“Ciao”
“Ciao” mormorò lei, di soprassalto. Aveva la mente persa in
chissà quali pensieri ed era evidentemente nervosa. Le occhiaie erano più marcate, segno di ulteriori notti in bianco. Ultimamente più
di qualche volta avrei desiderato poterle leggere nel pensiero; per me era
abbastanza difficile capirla. Il professore non era ancora arrivato; ne approfittai perciò per chiacchierare un po’ con lei.
“Passato bene il weekend?” Lei annuii
con la testa. Si stava comportando ancora una volta in modo strano; sembrava
perennemente preoccupata e tesa. Ma non si tirò
indietro dalla conversazione.
“Tu?”
“È stato parecchio movimentato” ammisi.
In quello stesso momento di prof Banner
entrò nell’aula e decisi di interrompere la conversazione.
Quell’ora invece di pensare agli autotrofi e agli eterotrofi la passai ad
osservare di tanto in tanto Bella. Anche lei
non sembrava troppo attenta alla lezione. Non smetteva di stritolarsi le mani.
Mi dispiaceva vederla così. Anche perché poi m’innervosivo
anch’io. A metà lezione non riuscì a trattenermi dallo scriverle un
bigliettino.
Tutto bene? Ti vedo un
po’ strana
Le mi scarabocchiò poche parole. Me lo ritornò con un
sorriso.
Non è niente, notte in
bianco.
Avrei voluto chiederle anche il perché, ma pensavo fosse troppo da impiccioni a questo punto. Ed i bigliettini erano un mezzo poco conveniente per farlo. Nonostante
tutto l’ora passò abbastanza velocemente e mi diede il
tempo di pensare ad una efficace strategia. La campana della prima ora suonò e
l’intera classe si alzò.
“Pensavo” le dissi “Ho sentito parlare di
La Push. Ci sono andata, è un posto carino. Che
ne dici se ci andassimo qualche volta?” Se dovevo andare a La
Push, perché non andarci con qualcuno? E poi avrei
ricambiato l’invito di Bella. Lei però non sembrava troppo entusiasta.
“Oh…” mormorò lei. Dalla sua espressione corrugata era già
un no. “Credo sia una pessima idea”
“Perché?”
“Ehm… in questo periodo sono… parecchio occupata” Non mi
stava guardando negli occhi e stava tentennando. Era lampante, stava mentendo.
“Ah…” me ne uscii io.
“Problemi in famiglia” continuò lei, meno sicura.
“Bhè… facciamo allora un altro
giorno?”
“S… sì” Altra fin troppo evidente bugia. “Ci vediamo?”
“Certo” le risposi.
Prese la sua roba e uscì dall’aula anche lei. L’unica
persona rimasta ero io. Mi sentivo terribilmente confusa. Non riuscivo a
spiegarmi perché non volesse venire con me; l’invito a cena, le lezioni di
moto. Era evidente che volesse stare con me. E me lo aveva
anche detto. Perché adesso non più, così all’improvviso? Sempre se non voler stare con me era il motivo. Ma più che
altro ero preoccupata per lei. Non sapevo perché si
comportava in questo modo e non sapevo cosa fare per aiutarla. Avevo come la
sensazione che c’entrasse con il paranormale, con i
vampiri. Era molto probabile che fosse questo forse a
impedirle di confidarsi con me, se voleva confidarsi con me; in fondo, lei non
sapeva che con i vampiri avevo a che fare anch’io. In quel momento per la prima
volta desideravo dirle in faccia la verità. Sarebbe stato tutto più semplice e sincero, questo era poco ma sicuro.
Solo quando il silenzio nell’aula cominciò ad essere opprimente mi resi conto che la seconda ora era cominciata
già da cinque minuti e che ero in grande ritardo. Feci una corsa verso l’aula
di storia, dove per fortuna il professore non era ancora arrivato. Ed anche quell’ora la passai
pensando a Bella. Licantropi, vampiri, ragazze che stanno con i vampiri, ma
dove cavolo ero finita? Una cittadina così piccola
come poteva nascondere casini così grandi? Io volevo una vita
tranquilla, desideravo rilassarmi. Invece, in che cosa
ero mai finita …
Alla fine avevo deciso, quel giorno sarei andata a parlare
con il Billy ed ilJacob di La Push.
Avevo cercato di smettere di pensare a Bella, sperando
vivamente che prima o poi scoprisse la verità su di
me; avevo deciso di rispettare l’accordo di famiglia e di non dirglielo. Riguardo
a questa storia poi non potevo neppure sfogarmi con mah’; mi avrebbe detto di non pensare più a lei per
l’ennesima volta.
Era ormai diventato più forte di me, ma
per quella volta decisi vivamente di seguire il suo consiglio; così la
questione della macchina mi era sembrato un buon diversivo per quel giorno. Prima
cosa che feci uscita da scuola fu di seguire le regole, cioè
avvisare mamma che sarei andata a La Push. Lei mi rispose in un batter
d’occhio, dandomi via libera. Andai dritta a La Push,
senza passare per casa.
Loro non sapevano che stavo progettando di farmi costruire
una macchina; volevo fargli una sorpresa. Cioè, almeno volevo tentare; prima o poi lo avrebbero
scoperto di sicuro. Erano o no vampiri? O forse,
peggio ancora, lo sapevano già, ma non mi dicevano niente per fingersi poi
sorpresi a lavoro compiuto. Erano benissimo in grado di farlo, in fondo.
In dieci minuti arrivai a La Push;
molto più tempo invece lo passai a trovare la casa di Billy
e Jacob, nascosta un po’ tra gli alberi della foresta.
Era l’opposto della mia; era piccolissima, non poteva contenere più di tre
persone al massimo, verniciata di un rosso che un
tempo doveva essere acceso, con qualche scrostatura qua e là. La adoravo, sembrava un piccolo fienile di campagna.
Spensi il motore della moto poco lontano dalla casa, vicino
ad un’altra moto. A quanto pareva il figliolprodigio si intendeva non solo di auto. L’osservai bene: era
una vecchia KTM 125 MX. Era rovinata, ma sembrava
essere in ottima forma. Rimasi ad osservarla più di qualche secondo, prima di
andare alla porta. Non appena bussai questa si spalancò con mia grande sorpresa. Ad aprirla era stato un uomo sulla
cinquantina su sedia a rotelle. Il padre, supponevo. Mi guardava con aria più
curiosa, che arcigna. Aveva comunque un’aria
simpatica.
“Salve” cominciai a parlare io “SonoAbigail. Credo che l’ispettore Swan
vi abbia parlato di me.” Gli si illuminarono
gli occhi.
“Oh, già, Abigail. Sì, Charlie mi ha detto che saresti
venuta” disse con voce vivace “A proposito, io sono Billy”
disse porgendomi la mano.
“Piacere” dissi ricambiando con la mia
forte stretta. Anche lui aveva una stretta
possente “Potrei… parlare con suo figlio per l’auto?” dissi, stranamente in
imbarazzo.
“Mi dispiace, Abigial” Come
risposta non era per niente rassicurante “Ne abbiamo
discusso e credo che Jacob non potrà farti questo
favore. Ha seri problemi con la scuola e non voglio che perda troppo tempo con
le macchine. Spero tu capisca.”
“Sì… sì, capisco” dissi evidentemente
amareggiata “Non fa niente. Troverò un’altra strada. Grazie ancora e
scusi per il disturbo” lo salutai mentre giravo subito
i tacchi.
“È stato un piacere conoscerti” mi rispose lui. Indietreggiò
un poco e chiuse la porta. Mi diressi verso la moto un po’ delusa. Che sfiga; adesso mi toccava proprio risparmiare per una
macchina di seconda mano.
“E cosa dovremmo fare con Quil?”
Udii una strana voce quando ero già
seduta sul sellino. Era un po’ lontana, proveniva da dietro la casetta, ma mi
sembrava di averla già sentita. La cosa non mi piaceva affatto. Scesi dalla moto e mi diressi da
dove proveniva quella voce. Dietro la casa c’era un ampio garage, non molto più
piccolo della casa stessa. Le porte erano semichiuse e da dentro provenivano
voci maschili occupate in una viva conversazione. Voci troppo famigliari… Mi avvicinai all’entrata e sbirciai dentro. Spalancai la bocca
dalla sorpresa. Erano due licantropi. Uno era quello della spiaggia, quello con
cui avevo parlato. Non si erano accorti di me, troppo
occupati nella loro conversazione, di cui non capii
molto. Il mio sorrisino sghembo mi si dipinse sulla faccia.
“Buongiorno, bei maschioni” urlai sfacciata verso di loro,
spalancando le porte del garage. Loro si girarono di scatto, all’erta. Avrei
potuto piegarmi in due dalle risate per la faccia che fecero. Stava diventando
fin troppo facile scioccare i licantropi.
“Tu?” disse indicandomi a bocca aperta il ragazzo della
spiaggia.
“Tu ha anche un nome” gli comunicai.
“A-Abigail?” disse quasi
infastidito l’altro ragazzo, Embry, mi sembrava si chiamasse. L’altro, Jacob, guardò
per un millesimo di secondo Embry e poi si rivolse,
sempre con lo stesso tono, a me.
“Tu sei Abigail, la ragazza
dell’auto?!” Stava ormai gridando, incredulo.
“Proprio così” dissi orgogliosa. Tò,
che coincidenza; il figliol prodigio era un
licantropo. I due poveretti non si erano ancora ripresi. Il ragazzo della
spiaggia non rispose.
“Ehm… io… io vado Jacob, ne
riparliamo dopo” disse Embry velocemente, dirigendosi
frettoloso verso l’uscita.
“Va bene” rispose l’altro, con un tono di voce forse un po’
troppo alto.
“Ciao Embry” lo salutai io.
“Ci…Ciao Abigail” rispose un po’
sorpreso lui. Dopo che Embry se ne fu andato calò un
momento di silenzio.
“Che coincidenza, vero?” dissi
ancora sfrontata. Mi piaceva mettere i licantropi in difficoltà.
“Già” mormorò lui, mentre mi squadrava dalla testa ai piedi,
come se fossi una visione.
“È tua la 450 SXF?” La voce di Embry rispuntò improvvisamente dietro di me.
“Sì” gli dissi girandomi.
“Uau! Che forza!”
Era entusiasta.
“Allora è tua la 125 MX”
“Già, batte la tua di sicuro” Ora lo sfrontato era lui. Tutti
i ragazzi erano così: burloni, giocherelloni, divertenti ed immaturi. Ed i licantropi non facevano eccezione. Io stetti al gioco.
“Garetta per la prossima volta?” chiesi
in un tono di sfida.
“Ci sto!” rispose lui con un luccichio
vivace negli occhi “A dopo, Jacob!” disse
questo, prima di andarsene.
Tornai a guardare con un sorriso Jacob,
ormai del tutto sicuro di chi avesse davanti. Fece due
passi avanti, avvicinandosi a me. Era davvero alto in piedi; dovevo alzare la
testa verso il soffitto.
“Sai, gli stai simpatica” commentò lui. Questa volta fui io ad
essere impressionata.
“Davvero?”
“Sì, soprattutto dopo il tuo piccolo scontro con Paul” disse lui sorridendo.
“Fa allora parte dello schieramento “Pro Abigial”?”
“Sì, si può dire di sì” disse
ghignando. Scese un leggero silenzio.
“E tu da che parte stai?” chiesi
curiosa.
“Mi sembra che sia chiaro. Stai simpatica anche a me.”
Continuava ad essere rilassato.
“Perché?” Gli volli fare un piccolo
trabocchetto.
“Perché non dovresti starmi
simpatica?” disse leggermente confuso.
“Mh… era quello che volevo
sentire” Lui scosse la testa incredulo, abbassando la
testa e ficcandosi le mani nei corti e vecchi jeans che indossava.
“Ho creato tanti casini tra voi?” Questa volta fui seria.
“Nah, tu no.
Tu sei il minimo.” Sembrava realmente sincero. Alzò la testa e mi guardò negli
occhi. Alla spiaggia non li potei vedere così bene. Ero così
neri che a fatica si distinguevano dalla pupilla. Ed
erano anche molti belli. Scossi la testa, uscendo da quel temporaneo
imbambolamento.
“Bhè, tuo padre mi ha già detto che non puoi; sono passata solo per fare un saluto. E per far vedere che i crudeli mostri non mi hanno ancora uccisa.
Ci si vede” Stavo già per fare dietrofront. Lui mi
trattenne il braccio.
“Aspetta. Cosa ti ha detto mio padre?” chiese
sorpreso. Mi girai di scatto verso di lui.
“Che hai problemi con la scuola e
non puoi occuparti di macchine” risposi confusa. Lui sembrò capire.
“Ah… quella è una scusa che ha inventato pensando che saresti
stata una qualunque, non la ragazza vampira” Quindi da quelle parti ero famosa
con il nome di “ragazza vampira”. Era piuttosto squallido.
“In realtà al momento siamo occupati per i vampiri” E no,
ora basta.
“I miei genitori…” sbottai per l’ennesima volta. Non ne
potevo davvero più di questi pregiudizi infondati.
“Non mi sto riferendo solo a loro. A quelli che hanno attaccato pochi giorni fa” chiarì subito
interrompendomi.
“Ma uno l’avete ucciso e l’altro se ne è
andato, no?”
“Ma può ritornare.” Sbuffai
infastidita. Il problema era quindi un vampiro che non c’era.
“Quindi è per questo che non puoi
costruirmi una macchina” conclusi.
“In gran parte, sì” mi rispose lui pensandoci.
“Ascolta allora la mia proposta” gli dissi mettendomi comoda
sedendomi sul duro pavimento “Nel frattempo che questo presunto vampiro
ritorni, e se ritorna, io potrei venire qua quasi ogni
giorno per farmi costruire da te la macchina. Così alla fine io avrò una macchina e voi sarete più tranquilli sapendo che mi
trovo a La Push. Che ne dici?” Era effettivamente una
grande idea che non faceva una piega e che non poteva rifiutare. Lui ci pensò
un po’, continuando a guardarmi dubbioso negli occhi.
“Potrebbe andare” concluse alla
fine “Ma passando a parlare dai vampiri alle auto, non è così facile costruirne
una. Ci vuole tempo...”
“Ne ho quanto ne vuoi” dissi sicura.
“… e pezzi, cioè soldi.”
“Oh, non preoccuparti per i soldi. Mi occupo io della parte
finanziaria. Non ne ho molti, ma… ti vanno bene lo stesso
pezzi presi dalla discarica?” Alzò di scatto le sopracciglia.
“Cerchi pezzi nelle discariche?” chiese
sbalordito.
“Qualche volta. C’è davvero della roba buona che è un
peccato sprecare.”
“Ma… i tuoi genitori non sono
ricchi sfondati?”
“Sì” dissi decisa.
“Perché allora non ti fai comprare
un’auto nuova di zecca da loro?”
“Diciamo che… me la voglio cavare
da sola…” Speravo solo che adesso accettasse di costruirmi la macchina.
“Ah… bhe… comunque
non te la posso costruire.” Mi caddero le braccia. E
adesso che c’era?
“Perché no?” domandai un po’
scocciata, incrociando le braccia. Anche lui si
sedette a gambe incrociate davanti a me.
“Non so se haipresente come sono fatti i pezzi di
un’auto, ma non li puoi certo mettere nel bagagliaio. Sono piuttosto grandi; ci
vuole spazio. Tenendo poi in conto il fatto che ti ci vuole
una base da cui iniziare…”
“Ah…” mormorai, con sconforto.
Dovevo ammetterlo, alla fine aveva
vinto lui. Non avevo niente di così grande a casa. Mi guardai intorno nella
speranza che avesse almeno lui un qualcosa di abbastanza spazioso. Fu la prima
volta che guardai quel garage. Era davvero ampio. C’erano un bel po’ di attrezzi sparsi ovunque; un po’ rischioso, se ci si
inciampava sopra. Prima non l’avevo vista, ma poco lontano da me c’era un vecchia Golf rimessa a posto. Non era male, anzi era
quello che volevo e di cui sarei stata soddisfatta.
“L’hai fatta tu?” chiesi. Lui annuì, leggermente orgoglioso.
“Complimenti, sei davvero bravo.” Tornai a guardarlo e ripresi
poi la conversazione lasciata. “Ritornando al discorso di prima, tu non hai
niente di simile per trasportare i pezzi?”
“No” affermò deciso lui. “Una volta avevo un vecchio pick-up,
ma l’ho venduto”
Un pick-up. Che curioso; conoscevo
solo una persona che aveva un pick-up. Ma molto
probabilmente non era l’unica a possederne uno. La mia attenzione venne catturata di nuovo da qualcosa: un’ Harley nera ed un’ Honda rossa in
buone condizioni spuntavano dal fondo, quasi fossero nascoste. Mi sembrava
strano che ad una persona servissero due moto.
Improvvisamente ricordai parte della conversazione che feci con Bella giorni
fa.“No, anche perché la moto ce l’ha lui.” Bella guidava una moto che non poteva
portare a casa, perciò l’aveva portata dal suo “istruttore”. Perforai con lo
sguardo Jacob, forse in modo fin troppo evidente. Jacob aveva due moto e Bella aveva
lasciato la sua dal suo istruttore. Era legittimo quindi domandarsi se l’istruttore
fosse la persona qui davanti. Se si teneva in conto il
pick-up c’erano ancor meno dubbi.
“Magari un Chevy rosso dell’53?” chiesi disinvolta, stiracchiandomi la schiena. I
suoi occhi guizzarono su di me.
“Sì” disse sospettoso.
“Conosci Bella Swan” affermai
decisa. In un salto lui si tirò subito in piedi. Lo fissai con un certo
spavento; così alto incuteva timore.
“Tu la conosci?” disse improvvisamente aggressivo. Sobbalzai
leggermente.
“Sì, è un’amica” risposi sincera. “Lo è anche per te?” continuai.
Un licantropo conosceva una ragazza che stava con un vampiro. La domanda da un
milione di dollari era: lui sapeva che Bella aveva avuto a che fare con i Cullen?
“Lo era” Era ovvio che fosse un
argomento poco felice per lui; si era fatto all’improvviso cupo e serio.
“Perché non più?” mi impicciai io,
con tono ingenuo.
“Non so, forse perché sono un licantropo?” esclamò di nuovo
aggressivo. Sembrava che si stesse anche per arrabbiare.
“Cosa vuol dire?” sbottai io.
“Il nostro capo branco ci ha proibito di rivelare il nostro
segreto. E non voglio coinvolgerla in questa storia di
licantropi” si rivolse a me con sguardo severo.
Parlava di lei con un tono strano, con ansia. Sembrava che
Bella fosse davvero una grande amica. Inoltre, si
stava comportando in modo piuttosto gentile con me; il tono lasciava a
desiderare, ma era importante il fatto che mi stesse raccontando ciò che
pensavo realmente e non mi avesse liquidato con un semplice “E a te che
importa?”. Forse avevano deciso di adottare la “tecnica della sincerità” anche
loro. Non mi stupiva; da quell’incontro alla spiaggia
con il capo branco avevo capito che ci stavano andando con i
piedi di piombo.
“Ah…”
Le cose si erano fatte serie; dovevo assolutamente sapere se
loro sapevano. Certo, se sapevano o no, questo non cambiava molto le cose; i Cullen se n’erano andati. Ma se
realmente sapevano, allora il suo ragionamento sul “non glielo dico” cadeva a
picco.
“Tu sai che sa che i Cullen sono dei vampiri?” domandai all’improvviso. Mancava
il tatto, il modo, l’occasione, ma almeno glielo avevo chiesto.
“Tu come lo sai?!” sbottò lui. Aha! Allora lo sapevano!
“Mio padre li conosce. Aggiungendo poi il fatto che è
notizia nazionale che lei stava con un Cullen… Sai
anche questo, no?”
“Non le avrei mica detto che tu
vivi insieme a dei vampiri!” Si stava innervosendo davvero. Ah, sapeva anche di Edward. Non mi aveva risposto
esplicitamente, ma chi tace acconsente. Perché poi non voleva che sapesse dell’esistenza di due
nuovi vampiri a Forks? Aveva forse paura che i due
mostri assetati di sangue facessero male anche a lei? Mi innervosii
anch’io, ma cercai di trattenermi.
“No, non glielo abbiamo detto. Ma
presto lo scoprirà; mio padre lavora all’ospedale e, non per offendere, credo
che ben presto ci andrà a fare una capatina” ripresi un momento fiato.
“Ma allora perché non glielo dici
che sei un licantropo?”
“Te l’ho detto; non voglio che entri nella faccenda anche
lei” rispose lui, non meno rilassato, tornandosi però a sedere.
“Scusa, ma lei è già dentro fino al collo. Conosce dei vampiri, questo è sufficiente. Pur io li conosco
e so di voi, perché per lei sarebbe diverso? Non ha il diritto anche lei di
venire a sapere di questo battibecco tra vampiri e licantropi? Secondo me dovresti dirglielo”
“Adesso scusami tu.” Questa volta alzò di un’ottava la voce,
guardandomi truce. “Non ti conosco neppure e mi dici cosa devo fare e cosa no?”
Addio “tecnica della sincerità”
“Il mio era un consiglio” dissi alzando le mani, in segno di
resa.
“Senti, Miss Consigli. Tu vivi in una casa di vampiri, lei
invece non ha più nulla a che fare con loro. La situazione è
diversa” Ora era diventato sgarbato.
“Ma ancora per poco. Prima o poi lo scoprirà, ti ripeto” cantilenai io. Le mani
cominciarono a tremargli e chiuse gli occhi per cercarsi di calmarsi un po’. Il
ragazzo perdeva le staffe per poco. Mi distesi
rilassata, chiudendo gli occhi.
“A parer mio, dolcezza, Sam o non Sam, tu glielo devi dire. Anche perché, non hai detto che hai buttato un’amicizia per questo, no?”
“Queste sono faccende private” borbottò stizzito. Non lo
ascoltai. Mi rialzai e lo guardai negli occhi riflettendo.
“E se glielo dicessi io? Così non
disobbediresti a Sam” conclusi alla fine.
“Non ci provare” mormorò. Mi guardava con aria di sfida. Io
non mi feci intimorire.
“Allora sveglia, Bello Addormentato!
Lei deve sapere!” dissi tirandogli uno scappellotto in
testa.
“Non ha molto l’aria di un consiglio” disse inclinando la
testa e socchiudendo gli occhi. Ormai non mi ascoltava neppure lui.
“Per niente” Per una volta in quella conversazione tornai
seria. “Sei proprio sicuro che così facendo non fai
l’effetto opposto? Non pensi quanto male può esserci stata
per come ti sei comportato? E poi, a te non dispiace nemmeno un po’ di averla allontanata, cuore di pietra? Da come ne parli,
sembrate due grandi amici voi due.”
“Sei davvero una ficcanaso. Per l’ennesima volta, smettila di impicciarti nella mia vita privata!” disse
seccato.
“Aspetta, questo è il tuo
comportamento da maschione orgoglioso davanti alla voce della verità? Facciamo
allora così: facciamo finta che io sia una tua grande
ed importante amica. Diciamo la tua migliore amica, ma solo per finta. Se ti
dicessi le stesse identiche cose allora non mi
prenderesti per una ficcanaso, perché vuole dire che, da migliore amica, mi
preoccupo per te, no?” Lui mi guardò irrequieto, ma non sembrava poi così tanto
nervoso.
“L’avevo detto, tu sei tutta matta”
“Anch’io per te.”
“Sai, forse ci penserò” Non lo disse serio, quasi
sarcastico. Speravo però che prendesse seriamente le mie parole.
“Ne sono felice” risposi a tono.
“Un’altra cosa.” disse con tono di
sfida. “Perché ti importa tanto di Bella?”
“Mi sembra ovvio. Se Bella sa la verità potrà contribuire
anche lei alla costruzione della mia macchina imprestandoci il pick-up.” In realtà la verità era un’altra. Ad essere sincera fino ad allora non avevo la più benché minima idea che questo Jacob fosse un amico di Bella e la notizia mi aveva presa
davvero alla sprovvista. In quel momento mi sembrava semplicemente corretto che
Bella sapesse, nient’altro. E poi se quei due erano amici non c’era motivo di non esserlo più solo perché uno dei due non
era del tutto umano.
“Solo per questo?” Lui parve crederci.
“Che persona orribile ed egoista
che sono” affermai sarcastica, con voce snob. Lui rise di gusto, capendo che
stavo mentendo.
“Quanto sei stupida” Mi offrì la mano per tirarmi su. Io la
presi, ma subito la ritrassi. Era bollente.
“Che calda che è la tua mano” dissi
seria e un po’ preoccupata.
“Licantropi” risposi quasi fiero lui.
“Rientra nel pacchetto licantropi essere delle stufe?” In effetti l’essere delle stufe viventi spiegava il loro
abbigliamento estivo per tutte e quattro le stagioni.
“Sei tu che la metti così” disse semplicemente lui. Ne approfittai e colsi la palla al balzo.
“Cos’altro avete di strano?” Ormai
il suo umore si era ristabilito.
“Immagino che quello che ti dirò lo andrai a dire a loro” Questa cosa mi stava cominciando a dare davvero
sui nervi. Perché caspita l’argomento doveva alla fine ricadere sempre su di
loro?! Io ero io, loro erano loro; io non ero loro!
“Certo, ma cambia qualcosa?”
“No” La sua risposta mi sorprese per un momento. Poi mi
ricordai della tecnica della sincerità.
“Non ne so ancora molto, sono un licantropo da poco e non so
da dove cominciare” Bene, avevo a che fare con un lupacchiotto
alle prime armi. Ci pensò a lungo prima di riprendere.
“Bhe, quando ci trasformiamo siamo
in grado di leggerci i pensieri”
“Uau!” esclamai sincera ed
emozionata.
“Sì, è utile in battaglia, ma sempre diventa fastidioso”
“Oh… hai ragione.” Pensandoci bene in
effetti non doveva essere sempre così bello. Era davvero irritante che
tutti sapessero cosa stessi pensando, oltre che a
leggere i pensieri altrui, venendo a sapere anche cose piuttosto imbarazzanti.
“Poi… di colpo cresciamo e smettiamo di invecchiare” Lo
guardai riflettendo attentamente su quello che aveva detto. La cosa si faceva
piuttosto poco rassicurante.
“Questo vuol dire che siete
immortali?” chiesi alla fine.
“No! Almeno… fino a quando i vampiri non
se ne vanno”
“Ecco, cosa c’entrano di preciso i vampiri?” chiesi davvero
curiosa, mettendomi comoda. Era effettivamente davvero strana l’alchimia che
c’era tra quelle due creature non umane.
“Bhe… non so bene come spiegarti…
è come se il gene del licantropo si attivasse solo quando
ci sono loro. Ultimamente molti di noi si sono improvvisamente trasformati” Era
inspiegabilmente impacciato in questo argomento.
“Allora è una cosa improvvisa?”
“Sì, ma la trasformazione è anche molto dolorosa” si fece
all’improvviso serio “Hai paura di non riuscire a
controllarti perché tutto avviene così velocemente. È
difficile, è non sempre l’aiuto dei compagni serve a qualcosa”
“Quindi potresti perdere il
controllo anche adesso?” non riuscii a trattenermi dal dire.
“Solo se mi arrabbio” Ah, “effetto Hulk”.
Mamma e papà avevano ragione; potevano perdere il controllo. Ecco
cosa stava facendo prima, quando le mani stavano cominciando a tremargli.
Allora c’erano possibilità che rischiassi anche con i
lupi.
“E quindi diventa più difficile
anche non arrabbiarsi” conclusi io alla fine.
“Già”
“Ah… allora credo che nel mio caso succederà presto” cercai
di metterla sullo scherzoso.
“Non ci sono dubbi” rispose lui stando al gioco. Se
scherzava anche lui, forse intendeva dire che non
sarebbe successo. Forse avrei fatto meglio a tornare seria e parlarne davvero,
ma qualcosa nella sua voce mi spinse a lasciar perdere
e credere a ciò che avevo solo pensato.
“Sai” decisi di continuare nella mia riflessione “visto che
crescete di colpo ho un po’ paura a chiederti quanti anni hai”
“Ne ho diciassette” rispose lui di botto.
“Ah…” Diciassette anni. Come faceva ad avere la mia età?! Non gli avrei dato meno di venticinque di sicuro. La cosa
era inquietante.
“Tu invece?” chiese quasi malizioso. Che
sfacciato.
“La smetti di impicciarti nella mia vita privata?” gli
risposi fingendo di essere offesa.
“Tu l’hai fatto per gli ultimi dieci minuti, ora tocca a me,
non credi?” Lui stette al gioco.
“Ne ho
trentacinque” dissi in tono di sfida. Lui si mise a ridere.
“Bugiarda.”
“Che ne sai. Vivo con dei vampiri,
ricordi? Posso essere una sorta di strano mezzo vampiro, non
credi?”
“Mi stai prendendo per il culo?”
“Sì, ti sto prendendo per il culo” Sfoderai il mio sorrisino sghembo. “Ne ho diciassette.
Ma non lo sai che ad una signora non si chiede mai
l’età? La mamma non ti ha insegnato le buone maniere?” Lui
rise sonoramente, poi subito dopo smise.
“Mia madre è morta” Porca vacca. Che
figura. Che figura. Che
figura. Che nullità. Mannaggia a me e alla mia
lingua lunga.
“Ah… Scusa-mi…” mi scusai superimbarazzata
a testa bassa.
“Fa niente” Lui per fortuna non sembrava offeso.
“Comunque…” dissi improvvisamente
per smorzare quell’orribile tensione “Pelle calda,
capacità di leggere i pensieri, eterna giovinezza… qualche altro superpotere?”
“L’imprinting” disse subito lui.
“Cos’è?”
“Un colpo di fulmine” Mi fu impossibile non ridere
“Intendi… sapete lanciare fulmini e saette?” Lui sbuffò,
mostrando una smorfia pur di non ridere e darmela vinta.
“No, stupida! Quando ti innamori,
intendo”
“Cioè? Come funziona?”
chiesi appoggiando la testa sulle mani e guardandolo interessata.
“Accade quando un licantropo
incontra la sua anima gemella. Non succede sempre e non so come spiegartelo,
non mi è mai successo.”
“È quindi una specie di meccanismo che ti avverte chi amare,
quando amare e per quanto tempo?” Lui alzò le mani in aria.
“Sei tu che la metti così” ripeté. Appoggiai le mani dietro
di me e mi tirai indietro.
“Caspita, è un po’ squallido, lo
devo ammettere, ma risolverebbe tanti di quei problemi in fatto di amore”
“Perché, tu sei innamorata di
qualcuno?” domandò ironico.
“Di te, ovviamente, dal primo momento che ti ho visto”
risposi io sarcastica. Ah… ah… ah… che ridere.
“L’ho sempre detto che tutte le
donne mi cascano ai piedi” rispose lui, vanitoso.
“Eh già, sei proprio un latin lover…”
sussurrai cercando di non ridere.
Mi guardai in giro sospetta; qualcosa era cambiato in quella
stanza. Mi alzai improvvisamente in piedi quando lo
capii. Si era fatta sera e avevo detto a mamma che sarei tornata entro ora di
cena. Caspita, mi avrebbero ammazzata.
“Ehm… continua pure a darti tutte le arie che vuoi da solo,
bel maschione, io devo andare. O i miei genitori crederanno che il lupo cattivo
mi abbia mangiato.”Anche lui
si alzò in piedi.
“Non sia mai che chiamino il cacciatore per salvare cappuccetto rosso” Mi girai a guardarlo con il mio
sorrisino sghembo.
“Anche tu a stupidità non scherzi”
mormorai divertita. Lui si rifece serio e per un attimo rimase impalato a
guardarmi.
“Quando torni?”
“Quando mi avrai procurato un
pick-up rosso del 53” Lui sbuffò di nuovo, mettendosi le mani in tasca e
guardando il soffitto.
“Ti confesso una cosa; la tua stupidità riesce a calmarmi” Se
ne uscì improvvisamente con un sorriso.
“Scusa, ma non produceva l’effetto
contrario?”
“Scherzavo” Ah, bene. Diminuivano quindi le probabilità che
il lupo si arrabbi.
“Io invece non scherzo sul fatto che qualcuno mi spellerà
viva se non vado subito a casa” dissi seria anch’io, già fuori
dal garage. “E tornerò presto” tenni a rassicuralo.
Mi stavo già dirigendo verso la moto, quando pensai bene di tornare indietro.
“Un’altra cosa. Io sono Abigail” Gli porsi la mano. In tutta quella strana
situazione mi ero persino dimenticata di presentarmi. Io
sapevo come si chiamasse lui, lui sapeva come mi
chiamassi io, ma il bon ton ce lo eravamo dimenticato. Lui sorrise.
“Piacere, io Jacob” Ricambiò la
mia stretta con la sua mano bollente. Io corsi subito fuori.
“Bene, ci vediamo, bel maschione” Lui si mise a ridere
“Ci vediamo, falsa e finta migliore amica”
Accessi veloce la moto e partii
spedita verso casa. Uau, come mi ero divertita! Era
davvero simpatico quelJacob.
Era davvero un bravo ragazzo, simpatico, sincero, gentile a
meno che non si cominciava a parlare di vampiri. Mi piaceva l’idea di
poter costruire la mia auto con lui. Anche se doveva risolvere qualche problemino con sé stesso e con
Bella. Accelerai quando mi ricordai che tra pochi
secondi sarei stata spennata via. Avrei dovuto incassare una bella ramanzina,
anche se non troppo esagerata. Con la mia fortuna sfacciata sarei ritornata
appena in tempo e le conseguenze sarebbero state minori. E
poi avrebbero sicuramente voluto sapere cos’era successo. Decisi allora che
sarei stata sincera, tranne che su quel piccolo particolare del
autocontrollo. Non volevo fargli preoccupare troppo e se glielo avessi
detto sarebbe successa una baraonda infinita. Non ero
brava a dire bugie, ma ero brava a non dire di
proposito le cose. Feci un altro respiro profondo poco dopo aver attraversato
il cartello di benvenuto di Forks.
La settimana successiva fu senza dubbio più rilassante di
quella precedente. Bella sembrava essere di colpo ritornata più tranquilla e
serena, per strane ragioni che ignoravo, ma che non nascondevo di voler sapere.
Riprese a passare del tempo con me durante la pausa mensa e mi
invitò perfino quello stesso sabato per la prima “lezione di cucina”,
approfittando dell’assenza del padre che sarebbe andato a pesca. Ormai avevo
rinunciato a capire questi suoi comportamenti lunatici. Inoltre
non riuscivo più a resistere; il desiderio di svelare il mio segreto stava
premendo come non mai. Dall’incontro con Jacob
dell’altra settimana avevo riflettuto; Bella aveva il diritto di sapere dell’esistenza
dei licantropi, tanto quanto che i miei genitori erano
vampiri. Mi ero comportata da egoista con Jacob, ma
ero troppo orgogliosa per dirglielo e scusarmi con
lui.
Inoltre, come promesso, quella settimana andai spesso a La Push, in particolare, da Jacob.
Anche se la questione auto era ancora da definirsi lui
era l’unica persona che conoscevo a in quella zona e che, soprattutto sapevo
dove trovare con certezza. Il più delle volte, però, non lo trovai; mi spiegò
che era occupato con il vampiro che non c’era. Valli a capire i licantropi. Potei
stare insieme a lui solo una volta, ma scoprii un lato
di Jacob che mi stupii; pensavo fosse il solito
maschio giocherellone, invece era molto maturo per la sua età. Era un ragazzo
fedele, anche se qualche volta troppo impulsivo. Un ottimo amico. La cosa più
fantastica fu che non toccammo l’argomento soprannaturale; era stata una
semplice conversazione tra ragazzi normali. Parlammo di molto: moto, auto, break dance, Chicago, le manie di protagonismo di Paul. Jacob mi stava piacendo
sempre di più come persona.
Uno di quei giorni incontrai invece
Embry, l’altro licantropo che mi stava in particolar
modo simpatico. Facemmo la garettatra
di noi che gli avevo promesso, in una zona deserta e sabbiosa vicino a
La Push. Che ovviamente vinsi io. Oltre a La Push cercai anche di guardarmi in giro per la questione
auto, intanto che Jacob si fosse convinto e sbrigato
di dire a Bella quello che doveva dire; come ben aveva detto, bisognava avere
una base da cui cominciare.
Ed infine c’era la break dance;
quel venerdì feci degli straordinari in palestra perché tra poco ci sarebbe
stato il saggio di giugno e avrei dovuto preparare i bambini. Ritornai a casa piuttosto tardi e soprattutto distrutta. La macchina,
i licantropi, la scuola, l’auto e la break mi
occupavano davvero troppo tempo ed il mio fisico cominciava a risentirmi. Mi
sedetti sul divano con il giubbotto ancora addosso, il casco della moto sotto
il braccio. Feci un respiro profondo, annichilita. Il mio stomaco brontolò; era
ora di mangiare. La voglia di alzarmi da lì era pari a zero, quindi preferii
sopportare in silenzio. Alzai la testa di scatto; c’era troppo silenzio. Dov’erano andati quei due?
“Mamma” chiamai io. Niente. Mi alzai dal
divano confusa.
“Papà” Questa volta urlai. Li vidi prima
davanti a me, poi sentii a malapena la porta d’entrata chiudersi.
Avevano delle facce poco rassicuranti. Li guardai sospetta.
“Cosa è successo?” Forse lo dissi
un po’ troppo preoccupata.
“Il vampiro è tornato” comunicò senza troppi preamboli mio
padre. Oh… promisi che non avrei più criticato le paranoie ossessive dei
licantropi. “Si è avvicinato un po’ troppo in questa zona. Cerca di studiarci.”
Deglutii.
“Sempre lo stesso?” chiesi titubante.
“Sì, e non è affatto un caso. Deve
cercare qualcosa qua a Forks” Lo strano tono di voce
di mia mamma mi fece rabbrividire.
“Cosa?” La mia voce si era fatta
tremante. Il mio primo pensiero fu io. Forse questa era realmente una paranoia,
assurda per di più. Non poteva di certo conoscermi, con la mia famiglia o i
licantropi sempre appiccicati. Ma, d’altro canto,
c’era da chiedersi chi o cos’altro mai stesse cercando. I miei genitori sembravano
corrispondermi; erano davvero preoccupati ed all’erta. Bhé,
non una novità, dopotutto; lo erano sempre. Mi guardarono attentamente negli
occhi. Passarono alcuni secondi prima che qualcuno
parlasse.
“Non lo sappiamo, ma non può stare qua” disse alla fine ottimista papà.
“Non ci ascolterebbe; ci ha visti insieme
ai licantropi. Ci crede dalla loro parte”
“Quindi cosa pensate di fare?”
chiesi sinceramente spiazzata.
“Pensavamo di domandare ai licantropi cosa voglia. Se ne occupano da più tempo, è probabile che lo sappiano” disse
finalmente mamma “E abbiamo bisogno del tuo aiuto per parlare con loro.” C’era
bisogno del tramite. Cioè, di un motivo per impedirgli
di attaccare. Sbuffai. Però, c’era una grande
soddisfazione a essere utile in qualche modo, non solo un fardello da
proteggere. Seppur questo modo non sia molto dignitoso.
“È davvero una rottura” blaterai tornando a sedermi sul
divano. I miei genitori sembravano più tranquilli.
“Già, proprio una rottura” disse sarcastico mio padre mentre si puliva gli occhiali da vista che piaceva
indossare, anche se non gli servivano a niente.
“Su, alzati. Diciassette anni e ti riduci in questo modo? Noi
ne abbiamo molti di più e siamo più arzilli di te”
disse mamma in una risata di campanelli.
“Per che cosa?” esclamai io, roca rispetto alla sua voce,
alzandomi lentamente dal divano.
“Andare dai licantropi; si accorgeranno ben di noi”
controbatté papà.
“Ora?” dissi con lo stesso tono.
“Sì” rispose papà secco. Io mi lasciai andare in un sonoro
sbuffo. Dopo unagiornata
estenuante anche questo ci doveva stare. Mi issai sul
bracciolo e mi buttai di peso sulla schiena di mamma, facendomi anche un po’ di
male.
“Forza, supereroi. Usate i vostri superpoteri per salvare
l’umanità” mormorai con poca voglia, con la faccia
contro la schiena di mamma ed il braccio leggermente alzato e chiuso a pungo.
Sentii a malapena le loro risate, confuse nel vento che
forte sfrecciava contro di loro. Io mi raggomitolai nella solita posizione
diventata ormai famigliare, aspettando che il viaggio fosse finito, senza
d’altronde sapere con esattezza dove stessimo andando. Il viaggio, come
prevedibile, finì presto. Scesi dalla schiena di mamma un po’ frastornata, ma
mi ripresi subito. Eravamo in un punto apparentemente qualunque della foresta,
poco famigliare. Mamma mi fece avvicinare a sé.
“Stanno per arrivare” disse tranquilla. O
forse era quello che cercava di sembrare, conoscendola.
Avvenne in un attimo. Quattro lupi giganteschi uscirono di colpo dall’ombra della foresta. Mia madre mi fece subito
indietreggiare, la mano protettiva sulla mia spalla. I lupi davanti a noi non si
misero in posizione d’attacco, ma stettero sul chi vive.
Capii che non avevamo attraversato il confine. Mi guardavano tutti seri e
sospettosi, facendomi di nuovo stupire di quanto umani potessero
essere i loro musi canini. Era una situazione piuttosto strana. Subito dietro
di loro comparve Sam, serio tanto quanto i lupi.
Guardò fisso i miei genitori, aspettando che fossero
loro i primi a parlare. D’altro canto anche loro erano seri e impassibili.
Credevo di essere la persona più allegra della situazione. Anche
se era inquietante ritrovarsi di nuovo il branco di lupi davanti agli occhi.
Erano tutti presenti, cercai di associare i lupi alle persone; chissà chi eranoJacob ed Embry.
Purtroppo non ci riuscii, ma capii benissimo che Paul
era l’unico lupo grigio che ci mostrava la sua splendida dentatura. L’avevo
detto, manie di protagonismo. Mi crebbe un’improvvisa voglia di tirargli un pungo sul muso.
“Sappiamo che da tempo state dando la caccia al vampiro” Le
parole di papà mi riscossero “Ed ultimamente si sta avvicinando anche alla
nostra zona. La questione a questo punto riguarda anche noi.”
Semplice e diretto.
“Cosa volete da noi?” rispose Sam, tanto serio da apparire leggermente rude.
“Vogliamo sapere cosa cerca” ribadì
papà con tono gentile. Mamma non osava rilassarsi. Sam
ci pensò per parecchi secondi. Poi lanciò uno sguardo su me. Io ne approfittai per lanciargli un’occhiata da “cosa aspetti a
rispondere?” Credetti per un secondo che non volesse parlare; sarebbe stato dai
licantropi dirci di farci gli affari propri e che se ne sarebbero occupati
loro.
“Una persona di Forks”
Sentii i ringhi di disapprovazione di alcuni
compagni. La sua risposta sorprese anche me, per vari motivi. Sia perché stavo cominciando a credere davvero che non avrebbe
coinvolto i vampiri in questa faccenda, sia perché quella persona di Forks non poteva essere nessun altro che io. Ah… ah… un vampiro mi stava dando la caccia. Sentii le farfalle
nello stomaco, ma non per la fame. Mia mamma si irrigidì
ancora di più.
“Abigail?” chiese sorpreso e teso
allo stesso tempo mio padre.
“No, non lei” rispose tranquillo Sam.
Io ripresi a respirare, ma solo per poco.
Quale poteva mai essere la seconda persona braccata da un vampiro? Bella. Un
vampiro stava cacciando Bella. Molto probabilmente anche mamma e papà lo
intuirono. Anzi, non c’era dubbio che lo capirono
prima di me. Non mi sentivo meglio di prima, anche perché, mentre io abitavo
con due vampiri ed ero super protetta, lei non aveva nessuno che la potesse
difendere, eccetto ad un branco di lupi giganti, che altri non erano che
adolescenti pompati.
Cosa caspita aveva fatto Bella con dei vampiri per farsi inseguire
da uno di loro?! Inoltre ero assurdamente arrabbiata
con Jacob; un vampiro la voleva uccidere e nessuno le
diceva niente?!Jacob non poteva, doveva assolutamente dirglielo, sia del vampiro,
che, di conseguenza, dei licantropi! Le avrebbe sentite, e anche tante.
“Posso permettermi di chiedere anche il perché?” Papà mi
sapeva leggere nel pensiero.
“No, questo no. Sono faccende
piuttosto private” rispose Sam, questa volta più
mite. Non c’erano problemi; se era Bella, ed era lei, lo avremmo saputo presto.
“Saremmo felici di aiutarvi nel braccarlo” continuò papà.
“Grazie per l’offerta, ma ce la caveremo da soli” replicò
subito Sam, sempre con quel tono calmo e privo di emozioni. Ecco, questi erano i licantropi spregiudicati
che conoscevo!
“Va bene” Papà non demordeva “Ma
trattandosi di un abitante di Forks, cioè del nostro
territorio, sono tenuto ad avvertirvi che non ce ne staremo con le mani in
mano” Si levarono degli inquietanti ringhi generali e non fu solo Paul a digrignare i denti.
“Una… breve collaborazione avrebbe creato meno equivoci e la
situazione si sarebbe risolta più velocemente.” Tutto
questo discorsone altisonante con la sua voce gentile e melodiosa sembrava dare
indirettamente degli stupidi ai licantropi per non aver accettato.
“La nostra idea non cambia” Sam
era irremovibile. Mio padre sfoderò il suo sorrisone.
“Va bene. Grazie per l’aiuto” completò papà, sempre
dannatamente gentile “Vi anticipo dunque che supervisioneremo noi la zona riguardante la città di Forks.” Sam guardò per un attimo mio padre negli occhi ed annuì. Senza
dire niente mia madre mi issò sulla sua schiena e
partimmo immediatamente.
Mamma si fermò in salotto, esattamente nel posto dove
eravamo partiti. La prima cosa che feci fu buttarmi di nuovo
sul divano. Ora mi era passata tutta la fame.
“Perché un vampiro vuole uccidere Bella?!”
esclamai improvvisamente alzandomi, quasi isterica. Uau,
la mia miglior amica stava rischiando la pelle. Uau. Ma il fatto che ora i miei genitori lo sapessero bastò a
calmarmi; mi fidavo di loro e di quello che avrebbero fatto.
“Non ne ho la più minima idea”
disse mio padre sedendosi sulla poltrona. Poche erano le volte in cui non
sapeva rispondere alle mie domande.
“Credi che dobbiamo parlare con lei?” disse mamma a papà.
Mio padre la guardò amareggiato.
“A questo punto, sì” E questo voleva dire
che Bella avrebbe saputo tutto. Sembrava quasi un peso che si levava dallo
stomaco e concordavo in pieno con mamma. Lei mi perforò con lo sguardo.
“Domani hai intenzione di andare da lei, no?”
“Sì” risposi a disagio per la sua occhiata guardinga.
“Non vorrai mica che glielo diciamo noi?” continuò mio padre
“È meglio se prima glielo dici tu, l’impatto sarà meno forte”
“A-aspettate” balbettai. Io?
Dovevo dirglielo io?! Mi avevano preso del tutto impreparata. “E… cosa le dovrei dire?!”
“Tutto. Raccontale la mia storia” intervenì papà. Certo, trecento anni di storia potevano essere una
spiegazione esauriente alla domanda “i tuoi zii sono dei vampiri?”. E poi come avrebbe reagito lei? No, non volevo pensarci. Sicuramente non bene, dato le sue presunte disavventure finite
tragicamente. Cominciai ad innervosirmi davvero. Calmati, Abigail, calmati. Proprio non
andava.
“Non so se ce la posso fare” mormorai, implorando, ma inutilmente.
“Noi ci fidiamo di te” rispose sicuro mio padre. Waow, di male in peggio. Quindi, dovevo dire ad una ragazza moralmente distrutta a causa di
un vampiro, che i miei genitori erano vampiri. Avevo una gran voglia di
ridere istericamente come una pazza. Perché, ne ero sicura,
ne sarei uscita pazza da questa storia.
“Ce la farai…” si lamentò mio padre, stufo della mia scenata. “Ho un buon presentimento.” Forse per la prima volta papà avrebbe fatto cilecca. Oppure
ci sarebbe voluta una fortuna sfacciata. Feci un respiro profondo e mi decisi a
pensare a qualcosa di più bello. Per esempio a quella domenica; i miei genitori
sarebbero andati a caccia e io li avrei accompagnati.
“Dove andiamo domenica?” chiesi un
po’ più rilassata, per cambiare argomento. Mia mamma mi guardò dubbiosa.
“Noi andiamo a caccia” mi rispose categorica “Tu a La Push.” Io strabuzzai gli occhi.
“Cosa?” sillabai.
“C’è un vampiro nelle vicinanze e tu vorresti
venire a cacciare con noi? Non se ne parla proprio. Non pensiamo di
allontanarci molto e c’è il rischio di incontrarlo.”
Questo voleva dire che il poter speciale di papà gli
dava una brutta sensazione, di cui avevo imparato a fidarmi ciecamente. Ma ero ancora scioccata. Cavolo, quell’occasione
speciale di ogni mese o due era stata cancellata per
colpa di un vampiro idiota! Non ero in vena quel giorno e misi anche il
broncio.
“Ehi. Non durerà presto, bambina” cercò
di confortarmi papà scompigliandomi i capelli. “Ho una buona sensazione al
proposito”
disse facendomi l’occhiolino.
“Va bene, va bene” dissi scostandomi, un
pochino irritata dal “bambina”. Poi, se lo diceva papà allora c’era da fidarsi.
“Cercherò di sopportare in silenzio” dissi in un sospiro.
Lui sorrise.
“Questa è la Abi
che conosco” Mi porse il pugno, che io colpì.
“Bhe.. io
vado a dormire. Sono… sconvolta” Era una domanda più che un’ informazione.
Era più forte di me. Questa era proprio la ciliegina
sulla giornata.
“Aspetta solo un momento” sibilò mamma trattenendo il fiato.
Prese il deodorante per ambienti che tenevamo in salotto e me lo spruzzò sui
vestiti. Io la guardai sconcertata.
“Scusa” Sembrava in imbarazzo. “Solo che… i tuoi vestiti
hanno preso una puzza di cane” No, questa era la ciliegina.
Ore di sonno: una. Ero totalmente un fascio di nervi. A
preoccuparmi non era tanto il durante. Lo dicevo, e fine della cosa. A
preoccuparmi era il dopo; cosa mi avrebbe chiesto, e soprattutto come avrebbe
reagito?! Avevo assolutamente bisogno di darmi una
calmata. L’appuntamento con Bella era fissato alle undici a casa sua, quindi
avevo tutta la mattina a disposizione per tormentarmi e ideare discorsi su discorsi che non avrei mai detto come avrei voluto.
Perfetto. In un lampo di pazzia mi venne in mente l’idea di andare a La Push, da Jacob. Così, tanto
per innervosirmi ancora di più mandandogliene e tante. E
per trovare anche uno straccio di sostegno morale, d’altronde. Partii
abbastanza presto, avvertendo i miei, dopo un’abbondante colazione.
Quando arrivai a La Push soffiava
un gelido venticello, nonostante fossimo in marzo. Parcheggiai la moto nel
punto dell’altra volta e mi tolsi il casco per guardare meglio. La casa era
tutta buia. Mannaggia, era ancora a dormire. Stavo per andare alla porta quando mi ricordai che avrei svegliato anche Billy e mi sarei comportata da perfetta maleducata nei suoi
confronti. Invece, di quelli di Jacob non me ne
importava proprio niente. Mi venne in mente un modo per svegliare solo Jacob; presi un sassolino da terra e lo lanciai nella sua
camera, che altri non poteva essere che quella con la finestra aperta. Chi mai
l’avrebbe tenuta aperta con questo freddo, se non una stufa vivente? Aspettai
qualche secondo. Nessun rumore in risposta. Provai con
un altro. Ancora niente. Riprovai ancora, ed ancora. Ormai ci avevo preso gusto
ed anche se era evidente che in quella camera lui non c’era, continuai
lo stesso a farlo. Era anche rilassante. Ero ormai arrivata forse a cinque
sassolini.
“Perché diamine stai riempiendo la mia camera di sassi?” La
voce che proveniva dalle mie spalle mi fece mollare la
presa del sasso. Mi girai di scatto. Era lui. Risi per la sua andatura e la sua espressione inebetita.
“Cosa ci fai a quest’ora
del mattino? Tutta la notte in giro ad ubriacarsi, eh?” Anche
se però non c’era niente da ridere; aveva due occhiaie che facevano invidia ai
vampiri e due borse della spesa sotto gli occhi. Lui sbuffò.
“Esattamente quello” disse lui, troppo stanco per tirarla per le lunghe “Non hai risposto alla mia
domanda. Cosa ci fai qui?”
“Bhe…” La faccia stanca che aveva
mi fece quasi pena; ero quasi sul punto di chiedergli scusa del disturbo e di
lasciarlo andare a dormire. Quasi.
“In realtà…” continuai imperterrita io “sono venuta qui a parlarti di ieri e a lanciarti un bel po’ di insulti,
ma la tua faccia mi ha convinto a lanciarti solo gli insulti.” Riuscii a
strappargli una risata.
“Io non riderei così tanto se fossi
in te” continuai, cominciando ad adirarmi “Un vampiro vuole uccidere una
persona che conosce i vampiri e tu non gli dici che sei un licantropo e che la
vuoi proteggere?” Ormai ero partita in quarta.
“L’ho sempre detto che sei
totalmente bacato. Forse quasi incosciente. Me ne frego altamente delle tue
motivazioni, ma glielo dovevi dire!” Lui non mi stava
ascoltando, era troppo occupato nelle sue boccacce di sonno.
“Gliel’ho detto” disse tranquillo e
beato.
“Ti avverto, diglielo, perché se no ti giuro che… cosa?”
“Ho detto a Bella che sono un licantropo. Ora lasciami
dormire.” Detto questo si diresse verso casa, ma io lo fermai in tempo.
“Glielo hai detto? Davvero?” chiesi felice. Lui sbuffò.
“Capito. Cosa lunga. Vieni” borbottò essenziale. Ciondolando un po’ mi fece strada fino al garage.
“Siediti sul tettuccio” disse pieno di sonno indicando la Golf. Io feci ciò che mi disse mentre
lui si distese sul cofano. Pensai per un momento che l’auto non avrebbe retto
sotto di lui, ma non fu così. Lo vidi sotto di me, spaparanzato con gli occhi
chiusi, mentre cercava una posizione per stare più comodo. Il cervello era
troppo annebbiato per cercare un posto più comodo? Come per esempio, dentro la
macchina?
“Parla, ti ascolto” disse compiendo uno sforzo immane per
parlare.
“Davvero tu mi ascolti e non ti addormenti?” chiesi
titubante.
“Sì, ma non è detto che ti risponda” disse in un risolino,
ad occhi chiusi. Uau, concertante. Mi fidai di lui
per quella volta.
“Quindi finalmente glielo hai
detto. E lei come l’ha presa?” Dopo alcuni secondi non
mi aveva ancora risposto. Come non detto. Gli diedi un colpo
con il piede sullo stomaco. Lui si ridestò.
“Lei… ha reagito bene. Non si è
allontanata da me scalpitando” mi rispose calmo.
“E per merito di chi glielo hai
detto? Sentiamo?” dissi orgogliosa di me.
“Non per merito tuo di sicuro. Ci ho pensato e mi era sembrata la cosa giusta” mormorò lui.
“Davvero? O questo è di nuovo il
tuo orgoglio da maschio a parlare?” Lui tornò a sorridere. Aveva proprio un bel
sorriso.
“Va bene, forse un pochino tu c’entri” disse sincero ed allungò
quel sorriso “Forse un po’ più di un pochino.”
Mentre parlava, come nulla fosse,
appoggiò la sua testa sulla mia gamba. Io la ritrassi immediatamente, anche
perché la sua testa, vuota o no non lo sapevo, pesava.
“Ehi! Non sono mica un tuo cuscino!” sbottai arrabbiata, ma felice che le mie ciance fossero servite a
qualcosa.
“Va bene! Che cos’hai contro il
contatto umano?” disse evidentemente offeso dalla privazione del suo nuovo
cuscino.
“Contro l’umano niente. Ho qualche risentimento contro quello lupesco” tenni a precisare io.
“Va bene, va bene… come vuoi tu…”
mugugnò di malavoglia. Oh no, lo stavo perdendo. Dovevo sbrigarmi a parlare.
“Non gli hai detto dei miei genitori?”
“No” rispose più sveglio. Anche se non mi
sarebbe dispiaciuto che glielo avesse detto; avrebbe risparmiato a me l’arduo
compito di poco.
“Tanto per curiosità quando glielo hai detto?”
“Ehmmm…..
una settimana fa”
“Cosa?!” urlai io. Fu sufficiente a
fargli aprire gli occhi. “E non mi dici niente” Lui li
richiuse subito, tornando nel suo stato di semi-trance.
“Non me l’hai mai chiesto” si limitò lui.
“Ma cosa vuoi che ne sappia io se tu glielo hai detto?!” sbottai di nuovo. In un modo o nell’altro riusciva a
farmi arrabbiare comunque. Che
nervi.
“Mi sarà uscito di testa, cosa devo
dirti”
Era totalmente indifferente alla mia arrabbiatura; aveva
scoperto un metodo perfetto per ignorarmi e far sì che bollissi nel mio brodo.
Lasciai passare; non era dopotutto così importante. Anche
se avevo ragione io…
Un rumore strano mi fece sussultare. Mi guardai in giro sospetta. Subito dopo capii che era Jacob che stava russando. Schioccai la lingua; si era
addormentato. Io gli diedi di nuovo un calcio, ma non si mosse. Riprovai un po’
più forte, ma mi feci male io. Adottai un metodo drastico;
scesi dal tettuccio della Golf e mi misi in piedi sui suoi addominali.
Cominciai a saltargli sulla pancia, sperando che si risvegliasse. Mi ricordai quando lo facevo da piccola a mio padre, quando
volevo qualcosa. Ci provai per un minuto e quando dovetti ammettere che era
tutto inutile mi arresi e ritornai sul tettuccio. Guardai l’orologio; mancava
ancora un’eternità alle undici. E non mi veniva in
mente nessun posto dove poter andare, se non casa mia a grogiolarmi nell’attesa.
Rimanere su un tettuccio di una Golf con un licantropo
sul cofano che dorme mi sembrava l’unica attrattiva disponibile al momento. Lo
guardai per un attimo mentre dormiva: aveva il viso
dolce di un bambino che russa come una motosega. Le palpebre mi si chiusero per
un momento. In effetti non avevo dormito molto e non sapevo
come tutto il sonno si stava presentando in quel momento. Inoltre la stufa che
avevo ai piedi era un invito diretto ad un pisolino. Cercai
di mettermi comoda sul parabrezza, facendo attenzione ai tergicristalli.
Mi persi a guardare il soffitto in ferro battuto del
garage. Non avrei dormito, ma mi sarei solamente rilassata un po’. Solo… un…
po’…
Mi svegliai di colpo. Mi ci vollero un paio di secondi per
capire dove fossi e perché mi ero svegliata. Ed avevo un caldo da impazzire. Il perché fu ciò che capii per primo. La causa di
tutto quel caldo era ovviamente Jacob, che al momento
era avvinghiato a me; non contento della gamba ora si era preso l’intera pancia.
Non ero per niente d’accordo con la situazione, sia perché stavo crepando dal
caldo, sia per il contatto lupesco.
“Jacob” dissi cercando di svegliarlo,
invano. Poco prima gli ero saltata sulla pancia e non aveva funzionato, ora
cosa avrei dovuto fare? Guardai l’orologio per verificare quanto tempo era
passato da quel “poco prima”. Mancavano dieci minuti alle undici. No, bisognava
toglierlo da lì. Anche perché il caldo stava raggiungendo
livelli poco sopportabili. Cominciai a tirargli i capelli, ma fu peggio:
mugugnò infastidito e mi strinse ancora di più. Ora non riuscivo a respirare. In
preda ad un impeto di rabbia per quel idiota che mi
stava abbracciando gridai il suo nome con il fiato che mi era rimasto nei
polmoni nel suo orecchio. Funzionò e lui si svegliò. Di soprassalto, ma si
svegliò. Anzi, forse era meglio se non si fosse svegliato. Così grosso che era
cadde di lato portandomi con sé. Atterrai così a terra
spiaccicandomi su di lui, o su un muro in calcestruzzo, non c’era
differenza. Colpì lo stomaco e la testa.
“Auch!” Rotolai
di lato tenendomi i punti percossi con una mano.
“Cosa è successo?” si azzardò lui a
pronunciare, sorpreso. Io lo ignorai, pensando piuttosto al mio dolore.
“Oh no. Ti ho
fatto male” disse lui vedendomi.
“No, tutto bene” gli risposi in un fil
di voce, cercando di alzarmi. Vidi per un attimo le stelline, ma ce la feci.
“Devi vomitare?” domandò dubbioso.
“Sì, tutto il fastidio che provo per te su di te, ma cerco
di trattenermi.” Feci due respiri profondi. Stetti
meglio, il dolore alla testa e allo stomaco passarono, grazie anche all’aria
più fresca con Jacob lontano da me. Lo guardai negli
occhi. Era davvero in ansia.
“Sto bene” dissi guardando l’orologio. Ero in un
imbarazzante ritardo “E devo andare. Ti auguro tante
buone cose e spero che tu abbia dormito divinamente sulla mia pancia” Mi diressi immediatamente subito all’uscita del garage. Jacob però mi bloccò per un braccio.
“Sei sicura di stare bene?” Non voleva smettere di essere in
ansia.
“Sì, fidati” gli dissi seria e sincera. Lui sembrò calmarsi
sul serio.
“Dove devi andare?” Su questo argomento
invece volli essere meno sincera.
“Da Bella.” ma non aggiunsi
nient’altro. Lui non batté ciglio.
“Bhè, spero vi divertiate.” Era
sincero. Ed anche carino per averlo detto. Gli si illuminarono gli occhi.
“Prima di andare aspetta.” Andò dall’altra parte del garage
in cerca di qualcosa. Ritornò poi con un pacchettino in mano.
“Per te” disse solare. Mi aveva fatto un regalo.
“Sul serio? Grazie” dissi quasi commossa. Mi pentii di tutte
le cattiverie dette e fatte sul suo conto. Era un bel pensiero. Lo scartai
subito. Non riuscii però a capire il messaggio del
regalo: era un piccolo deodorante per ambienti.
“Spruzzatelo prima di venire qua, per favore” disse ancora
gioioso “Perché puzzi di morto.” Io lo guardai
allibita. Era uno scherzo, uno stupido scherzo idiota.
Bella messa in scena, davvero bella. Lo guardai esterrefatta.
“Che c’è?” Dal suo sorriso sornione
si poteva capire ben di più. Socchiusi gli occhi acida.
Gli spruzzai il deodorante in faccia prima di andarmene spedita verso la porta
del garage, stando ben attenta a non mostrare le mie risate trattenute a Jacob.
“E adesso gli devi mettere a friggere” Con abilità Bella
prese un nacho e lo mise nella padella di olio fritto.
“Prova tu” disse tranquilla. Io non lo ero
affatto.
Quel oggi Bella aveva avuto la
brillante idea di insegnarmi come si cucinano i nachos.
E non era la cosa più facile del mondo; mi andavano
bene anche due uova strapazzate. Ero una totale schiappa in cucina; si vedeva
ad un chilometro che non ero in grado di prendere in
mano una padella. Colpa di mamma che non mi faceva mai
provare. Bella invece mi impressionò; era
davvero un asso. Sapeva cucinare davvero tantissime cose e la sua incapacità di equilibrio in questo campo si annullava. Sembrava anzi
che si trasferisse su di me. Imitai Bella, presi una paletta e ci misi il nacho sopra con la mano.
Durante il tragitto verso la pentola però il nacho mi
cadde sul pavimento. L’ennesimo guaio della giornata. Sbuffando mi chinai a
raccoglierlo.
“Scusa, sto solo combinando guai” dissi affrancata.
“Devi imparare no?” Bella cercò di tirarmi inutilmente su.
Trattenni un secondo sbuffo.
“La prossima volta partiamo da qualcosa di
più facile, va bene?”
“Decisamente” concordò lei, mentre
sistemava i suoi nachos nella padella. Già la
frittura era un’impresa, non volevo pensare a come fare per mettere quello che
vi andava sopra.
Nonostante tutto riuscii alla fine
a mettere quasi tutti i nachos a friggere. Almeno
avevo fatto qualcosa. Bella aprii la finestra facendo entrare un po’ di aria; straordinariamente quel giorno splendeva il sole.
Non credevo che ci fosse mai stata una giornata così bella.
“Ora?” dissi entusiasta per essere riuscita a mettere in una
padella dei nachos.
“Ora aspettiamo che si friggano. Ci vorrà un po’” Si sedette sul bordo del tavolo e io la imitai.
“Sei concentrata” evidenziò lei.
“Già, mi ha davvero preso. E poi
non è molto facile per me.” No, non era affatto facile
spostare qualcosa in una padella. Che disastro.
“Scusa, avrei dovuto avvertirti qual era il mio livello di
cucina”
“Ma non ti capita mai di cucinare a
casa?”
“No, mai. Vuole fare tutto mia… zia” In quel momento sentii prendere fuoco e non era per il caldo della frittura.
Mi ricordai che dovevo dirle qualcosa di importante a
proposito di zii inesistenti. Quei nachos mi avevano
tanto coinvolto da farmelo uscire dalla testa.
“Bhè… almeno ti sei divertita” mi interruppe Bella, speranzosa.
“Ah.. quello sì. Divertirmi a
sporcarti tutta la casa, intendi?” Avevo trasformato
quella stanza in un porcile, mi sentivo davvero in colpa. Lei sorrise.
“Io lo chiamo cucinare”
“Sì. Mi sono divertita a… come che hai detto? Ah sì!
Cucinare” ironizzai io. Lei ampliò il sorriso. E
anch’io mi tirai un poco su.
Senza rendermene conto presi il
deodorante nella tasca e cominciai a giocherellarci; giocherellare con le cose
era un mio piccolo tic che compariva qualche volta e non riuscivo a
controllare. Calò un momento di silenzio, che mi rifece pensare a “quella
cosa”. Presi un respiro profondo trovando un modo per incominciare. “Sai, i
miei zii in realtà sono i miei genitori e sono dei
vampiri” mi sembrava da escludere come possibilità.
“Volevo dirti una cosa” Come inizio non era male,
tralasciando la tensione della voce. Lei mi guardò interessata e io
contraccambiai il suo sguardo. La lingua non si muoveva più. No buono. Non
dovevo guardarla negli occhi.
“Tu lavori?” Non ci riuscii. Cominciai a roteare più
velocemente il deodorante tra le dita.
“Sì, al negozio di trekking dei
Newton” Lei parve confusa. “Perché scusa?”
“No, niente, per curiosità” dissi iperagitata.
Che figuraccia. Qualcosa di meglio non potevo trovare? Ah… non andava bene. Non sapevo che fare.
“Che ne dici se intanto tagliamo i
peperoni?” fece lei ancora dubbiosa.
“Certo” dissi io, esuberante, cercando di cancellare quella
nota perplessa nella sua voce.
Entrambe prendemmo un coltello, ma
successe l’imprevisto. L’imbranataggine di Bella si ripresentò sul più bello;
sentii solo il coltello cadere a terra e tanto, ma tanto sangue uscire dalla
sua mano sinistra. E così mi dimenticai ancora una
volta che dovevo dirle qualcosa.
“Oh…oh…” mormorò lei. Si mise la
mano sana sul naso per trattenere il respiro. O il
senso di nausea, non sapevo. Per fortuna mio padre era un dottore e quindi ero
preparata in questo tipo di situazioni. Presi immediatamente un canovaccio
pulito dal tavolo e lo avvolsi su tutto il palmo.
“Ti fa male?” chiesi seria. Lei si teneva ancora il naso con
la mano. Scosse la testa.
“Non è niente” disse con voce nasale “L’odore del sangue mi
dà la nausea.” Ah…a questo però non sapevo reagire. Anzi… forse… Fui impulsiva; presi il deodorante di Jacob.
“Scusami” dissi mentre lo spruzzavo
su Bella. Chiuse gli occhi e tossi per un po’.
“Va meglio?” Lei aprì gli occhi e respirò normalmente,
annuendo con la testa. Grazie, Jacob.
“Forse è meglio se do un’occhiata” le
chiesi indicando lo strofinaccio.
“Certo” Scostai un poco la stoffa, stando bene attenta che Bella
non vedesse il colore rosso del sangue. Cavolo, aveva
davvero un taglio profondo. Doveva andare a farsi dei punti, e subito.
“Ehm… facciamo che ti accompagno in ospedale?” Anche perché
le era impossibile guidare con una sola mano.
“No, figurati. Non mi fa male. Non è
necessario” cercò di rassicurarmi. Niente obiezioni.
“No, guarda che hai bisogni di punti” Forse era perché non
aveva visto il taglio che aveva, ma sembrava la tranquillità fatta a persona.
“Ci posso andare anche dopo in ospedale. Me ne sono successe
di peggiori e non sono mai morta” Non voleva davvero
darmi retta.
“Bella, hai bisogno di un medico. Fidati” dissi seria,
guardandola negli occhi. Lei sospirò.
“Va bene” disse spegnendo il gas della pentola. Avevamo sicuramente due concezioni diverse di “ferita”; con tutta
la calma del mondo prese le chiavi del pick-up dal giubbotto
sull’appendino in corridoio, facendomi poi strada. Salimmo sul pick-up. Dovetti
fare mente locale un momento per ricordarmi come si guidasse
un veicolo a quattro ruote.
“Non andare oltre gli ottanta” mi avvertì lei. Io annuii
mettendo in moto. Feci lentamente retromarcia; bhé,
non ero dopotutto così arrugginita. Sebbene guidare un
pick-up di quelle dimensioni mi richiedeva molta attenzione. Percorremmo
le strade stranamente soleggiate ed asciutte di Forks
verso l’ospedale.
“Sei brava nel pronto soccorso” disse lei,
serena vicino a me.
“Zio medico” mi limitai io. Che tra poco
saremmo andate a trovare, perché aveva turno quella domenica. Mi infiammai di nuovo. Non glielo avevo detto. Non sarebbe
stato bello scoprirlo in questo modo; mi aveva avvertito papà. Dovevo dirglielo
ora, ma non era affatto una buona idea con una mano
insanguinata. Ah! Che guaio.
“Sai, dovrei assumerti come
infermiera a tempo pieno. Con tutto quello che mi succede saresti sempre
occupata” smorzò lei.
Io feci una risatina nervosa. Eravamo arrivati. Parcheggiai
davanti all’entrata ed entrammo. Mi guardai intorno in cerca di mio padre. Non
lo trovai; meglio così. Quella domenica l’ospedale era quasi deserto.
“Mi scusi”
Intanto che io pensavo a salvare la mia di vita, Bella si
occupava della sua. Attirò l’attenzione di un’anziana infermiera che stava
passando nei paraggi. “Mi sono tagliata.” L’infermiera sbirciò nell’asciugamano
e sussultò.
“Oh, cara. Hai bisogno di punti di sutura.” L’infermiera ci
accompagnò in una piccola stanza, dotata di un lettino, su cui Bella si sedette.
Io invece mantenei le distanze e rimasi appoggiata ad una delle quattro pareti
bianche.
“Aspettate qua mentre chiamo il
dottore.” Quale dottore?! Sussultai. Cominciai a
stritolarmi le mani nervosa. Fa che non sia il dottor Adams, fa che non sia mio padre…
“Tutto bene?” Non avevo idea di come Bella
potesse essere così tranquilla pur avendo una mano quasi tagliata in
due. Dovevano esserle capitate davvero di peggiori.
“Sì, certo. Ho solo un po’ freddo” mentii,
strofinandomi le spalle. Mi stavo comportando da totale imbecille. Passarono
ancora alcuni secondi e ancora niente dottore.
“La mano come sta?” esordii all’improvviso.
“Va bene”
Sarebbe stata tranquilla ancora per poco.
Tornai con lo sguardo fisso verso la porta, aspettando il dottore. Ecco, si
aprì. Quella giornata non era quella buona. Entrò con l’eleganza di un modello
di Valentino, tutto perfetto nel suo camice bianco.
“Buongiorno” salutò con la sua voce dolce come il miele,
pensando che lei sapesse già tutto. Era essere sorpreso di vederci in ospedale.
Lo fissai, cercando di attirare la sua attenzione. Lui mi guardò. Sfoderai
un’espressione che voleva essere ansiosa, tesa, agitata, depressa, insomma, non
lo sapevo neppure io, ma qualcosa che gli avrebbe fatto capire che lei non
sapeva ancora nulla.
Lui capì, dato che il suo mega
sorrisone da pubblicità da dentifricio divenne solo un affascinante sorriso. Continuai
a tenere la testa voltata verso la porta; non osavo
vedere la faccia di Bella.
“Lei dev’essere la signorina Swan.”
Nessuna risposta. Ebbi il coraggio di voltarmi. Me ne pentii
subito; l’espressione di Bella era del tutto indecifrabile. C’era sorpresa, ma
anche timore e confusione. Inoltre la sua faccia da bianca era passata ad un
verdastro, mentre fissava mio padre.
“Non pensavo che Abigail fosse
così imbranata in cucina” ironizzò lui, mentre con
cura toglieva l’asciugamano dalla mano di Bella.
“Spiritoso” risposi io tesa. Non era il momento di allietare
l’atmosfera. Cominciò a guardare attentamente la ferita. Bella ora aveva anche
gli occhi lucidi. Mi coprii il viso con le mani; non volevo continuare ad
assistere. Per fortuna il verdetto di papà arrivò presto.
“La ferita non è grave come sembra. Basteranno solo alcuni
punti. Le chiamerò subito l’infermiera. Oltre a questo è
sicuro che vada tutto bene?” Bella ora era veramente verde.
“Certo” Riuscii a sentirla a malapena.
“Credo allora di aver terminato. Arrivederci, signorina Swan” Lei non rispose. Con la stessa camminata da modello
uscì dalla porta. Avrei voluto seppellirmi viva. Arrivò subito un’infermiera molto più giovane della precedente con tutto il necessario
per svolgere una sutura.
“Se vuoi puoi aspettare fuori”
Questa volta si rivolse a me. O grazie. Io mi limitai ad annuire ed uscii dalla
stanzetta, nella sala d’attesa.
Mi diressi sulla prima sedia e mi ci accasciai sopra di peso.
La sala era deserta, fatta eccezione per mio padre e me.
“Perché non glielo hai detto?” Non
era arrabbiato, piuttosto comprensivo.
“Non ce l’ho fatta. Non ho trovato un modo” risposi depressa “Questa volta il tuo potere ha
fatto cilecca”
“I doni dei vampiri non sono fatti per far cilecca” mormorò
sedendosi vicino a me.
“Bhè… adesso credo che la tua
amica abbia più di qualche domanda da farti”
“Già” sussurrai. “Non glielo puoi dire tu, vero?”
“Abigail, quella ragazza stava
davvero male, per avermi solo visto. Pensa se ci parlo.” Aveva ragione, come
sempre. Sentii la sua mano sulla spalla.
“Per la cronaca, si è fatta male da sola” affermai
sprezzante. Lui continuò a sorridere.
“Lo so” Mi diede un leggero bacio sulla testa. “Ce la puoi
fare, Abi.” Detto questo si alzò e se ne andò. Il secondo dopo la porta si aprì. Inquietava questa
sorta di perfetta coordinazione tipicamente vampiresca.
Ne uscì solo Bella; dedussi che l’infermiera
stesse ancora riordinando. Non aveva ancora cambiato espressione, anche
se non sapevo dire con esattezza che tipo di espressione
fosse. Aveva la mano sinistra completamente fasciata e non avrebbe
potuto guidare per tornare a casa.
“Ti accompagno a casa?” dissi cercando di non guardarla in
faccia, ma davanti a me e soprattutto cercando di non parlare con quel tono da
“io-so-che-tu-sai”, ma era ormai troppo tardi. Bella, d’altra parte, non
smetteva di fissarmi. Sembrava preoccupata ed incredula. Lei annuì decisa.
Salimmo sul pick-up e lo misi in moto, dirigendomi verso casa Swan. Lo spettacolo stava per iniziare.
Bhè? Che
ve ne pare? Ad essere sincera mi sono divertita
tantissimo a scriverlo! E da adesso si cominciare a sapere qualcosa di più
anche di questa Abigial.
Alla prossima!
X mikkicullen: Uau!
Sono stracontenta che tu mi abbia commentato e che ti piaccia Abigail! Anche se ho fatto aspettare…
Comportamento deplorevole, mea culpa XD. Bhè…
per ora ti lascio solo immaginare quello che potrà succedere. Eh eheh…
Grazie ancora mille per il commento! Ciauz!
X Emily94: Per un attimo mi hai fatto sentire valoroso capo
branco di licantropi adolescenti iperpompati XD. Deliri a parte, sono rimasta piacevolmente
colpita dalla tua idea, oltre dalla tua sfilza di complimentoni. Fino ad ora nessuno mi ha mai chiesto di
poter fare un seguito, ed ammetto che, pur avendo molte idee in testa, mi
servirebbe proprio una botta di ispirazione con idee
diverse per poter battere a computer. Perciò, certo che accetto la tua proposta
più che volentieri, anche se ne dovremmo parlare bene!
Poi si sa, due menti sono meglio di due. Salvo il tuo
contatto e ci sentiamo! Ciauz!
Calò un attanagliante silenzio. Avrei forse dovuto parlare
io? Aspettava che fossi io a dire qualcosa? Cercai di trovare una valida
interpretazione di quel silenzio, ma soprattutto cercai qualcosa da dire.
“Quello… quello era un vampiro” sussurrò alla fine lei, ma
non spaventata, solo terribilmente scioccata. Inoltre quella non era affatto
una domanda, ma un’affermazione. Io mantenei lo sguardo fisso sulla strada.
Davvero non si era accorta del mio sguardo “io-so-che-tu-sai”?
“Sì” mi limitai a rispondere. Parlare di vampiri con
un’altra persona mi metteva a disagio, oltre ad essere uno strano argomento di
conversazione per due adolescenti. Lei continuava a perforarmi con gli occhi.
“Perché non ti sorprende che io lo sappia?” chiese più
confusa, che arrabbiata. Ma non c’era anche quello. Anche lei credevo si
sentisse a disagio; le sue reazioni continuavano ad essere indecifrabili. Io
deglutii. Era inevitabile che non se ne sarebbe accorta ed ancora una volta io
non sapevo come dirglielo e, cosa che mi preoccupava ancora di più, sarebbe
stato il dopo.
“Sappiamo che tu conosci i Cullen. E mio padre conosce i
Cullen” L’unica soluzione che trovai era quella di essere schietta, anche se a
proposito dissi “conosci i Cullen”, piuttosto che “stavi insieme ad un Cullen”.
Non volevo ancora farle capire che sapevo di Edward, non in questo momento,
almeno.
“Quindi sappiamo che tu consoci i vampiri.” Questa volta
fu lei a deglutire. A causa della lentezza del pick-up quel viaggio sarebbe
stato più lungo di quanto sperassi.
“Tuo padre?” esclamò lei con voce roca.
“Sì, non è mio zio. E mia zia è mia mamma” dissi mentre
delle farfalle mi si agitavano nello stomaco.
Per un attimo riuscii a riconoscere la sua espressione.
Era curiosa e stranita, con le sopracciglia aggrottate. Fermai il pick-up sul
viottolo di casa Swan e scesi subito. Bella mi seguii. Decisi di sedermi sui
gradini della piccola veranda e Bella si sedette vicina. Aveva ragione, era
proprio una bella giornata. Era un peccato sprecarla stando dentro. Ero però
anche uno spreco pensare ad altro e non alla conversazione con Bella che non
vedevo di affrontare.
“Ti vivi con dei vampiri?” Il suo tono di voce era molto
più sicuro. Bene, l’argomento era passato da Cullen ad Adams. Almeno per ora.
Quindi mi sentii molto più sicura su un terreno di mia conoscenza. La guardai
negli occhi con il mio sorriso sghembo.
“Ti va di sentire la storia strappa lacrime della mia
famiglia?” dissi, seguendo il consiglio di mio padre. Molto probabilmente così
facendo ci saremmo risparmiati un bel po' di domande.
“Mi piacerebbe” disse neutra. Iniziai così a descrivere in
dettaglio la storia di papà, che ormai sapevo a memoria.
“Tutto ha inizio con mio padre, William O’Brian, nato nel
1712 a Waterford, la più antica delle sette principali città dell’Irlanda,
pensa un po’ te” cercai di fare dell’auto-ironismo, ma servì ben poco. Lei mi
guardava con attenzione, seria.
“Era un ricco borghese, con moglie, figli. Era un uomo
felice, anche se ora non ricorda né i loro nomi né i loro volti.”
Molte volte mi ero sorpresa ad immaginare come potesse
essere la sua vita prima. Me lo immaginavo amare altri figli che non fossi io
ed un’altra donna che non fosse mamma. Sembrava un’altra persona ed era quello
che mi diceva lui: era davvero un’altra persona.
“Felice finché la sua vita non venne distrutta dai vampiri
e sempre loro gli crearono una nuova. L’abitazione dove viveva, fuori città, fu
invasa da vampiri, che fecero uno sterminio della famiglia, ma lui non rimase
ucciso. Stranamente non lo uccisero, ma lo morsero. E diventò un vampiro. Passò
due orribili giorni per i dolori della trasformazione" mi fermai un attimo
credendo fosse conveniente aprire una piccola parentesi.
"Lo sai, come funziona la trasformazione, no?"
Lei annuii impercettibilmente ed io ripresi.
"Ma fu ancora più orribile quando si risvegliò,
quando divenne consapevole di quello che era successo. I ricordi erano però
diventati offuscati e bastò poco per fargli dimenticare l'umano che era. La sua
nuova natura di vampiro lo portò a comportasi come tale; per qualche decennio
visse come un nomade, cibandosi senza giudizio o rancore.” Ancora una volta mi
trovai ad immaginare mio padre come un vero vampiro senza controllo.
“Da nomade passò poi a vivere in comunità di altri vampiri
irlandesi. Con loro divenne più civile, molto più simile ad una persona. E
divenne anche consapevole di aver ucciso e di essere destinato a farlo per
l'eternità.” Mi fermai un attimo per respirare; Bella vicina a me non fiatava.
“Fu allora che cominciarono a venire i sensi di colpa.
Capiva che così non poteva funzionare; non sarebbe riuscito a convivere con sé
stesso, un assassino. E nemmeno con vampiri assassini come lui. Passarono una
cinquantina d’anni prima che se ne andasse dal clan irlandese. Loro capirono e
non opposero resistenza. Cominciò a viaggiare per l’Europa, ma l’odio per sé
stesso rimaneva. Continuava ad uccidere, ma capiva che era sbagliato. Più di
una volta aveva tentato il suicidio, ma senza risultati. La sua vita fu un
tormento finché non incontrò Carlisle Cullen.” La vidi aggrottare le
sopraciglia di nuovo.
“Non ne so molto su questo Carlisle, forse tu
probabilmente ne saprai qualcosa di più, ma papà non fa altro che osannarlo e
dire che senza di lui io non sarei qui. Ed in effetti ha ragione. Quel vampiro
è stata proprio la salvezza per mio padre. Gli rifece trovare la speranza. Gli
propose un diverso modo di cibarsi; non più sangue umano, ma animale. Mio padre
ne fu davvero entusiasta ed iniziò subito a mettere in pratica questa nuova
dieta.” Questa volta mi fermai invece per creare più suspanse al discorso,
anche se inutile; la suspanse c’era lo stesso.
“Ma non fu tutto. Carlisle gli disse che la sua più grande
aspirazione era quella di diventare medico, curare la gente. Salvare così,
tante persone quante ne avrebbe potute uccidere, eh che roba” mi sforzai di
trattenermi, ma non ci riuscii. Se non ne sparavo non ero proprio contenta…
“Mio padre divenne un’altra persona grazie a Carlisle.
Seguì la sua strada; desiderò anche lui diventare un medico. Cambiò il suo
cognome in Adams ed iniziò una nuova vita. L’inizio non fu una passeggiata. Per
abituarsi all’odore del sangue gli ci vollero almeno due secoli. Intanto le
prime scoperte scientifiche portarono anche scoperte mediche. Passò questi
duecento anni a studiare di giorno ed imparare a resistere al sangue di notte,
continuando a spostarsi, evitando di rimanere nello stesso luogo per troppo
tempo. Finché non si ritrovò in America” ripresi fiato. Credevo che Bella
vicino a me non respirasse più.
“Ventesimo secolo. Il dottor Adams poté iniziare a
lavorare per la prima volta in un piccolo ospedale nel Connecticut. La sua
esistenza non era più così noiosa; ora salvava vite. Continuò senza alcun
problema e difficoltà a sopportare il sangue finché diciassette anni fa in un
ospedale del Ohio incontrò Sophie Rogers nel reparto maternità.” Molto
probabilmente dissi l’ultima frase con troppa mielosità.
“Stava aspettando un bambino e aveva un pancione di cinque
mesi. Sfortunatamente in quel periodo ci fu un caso di influenza molto
contagioso nell’ospedale e molti dottori ed infermiere ne rimasero colpiti. Mio
padre ne fu contentissimo; triplo lavoro per lui. Il caso volle che gli
affidarono l’intero reparto maternità per troppa mancanza di personale. Non
esattamente il suo campo, ma accettò. E così conobbe mia madre.” Da mieloso il
mio tono passò a confuso.
“Tra quei due nacque una sorta di infatuazione, non
proprio vero amore. Papà mi ha detto che fu strana come emozione per un
vampiro; non l’aveva mai provata. Una strana attrazione.” Guardai per la prima
volta Bella negli occhi. Questo non era di certo lo stesso caso di Bella, che
prese le gambe tra le braccia e cercò di schiacciarle al petto, come se volesse
soffocarsi con la pressione delle sue stesse gambe. Inevitabilmente aveva
collegato la cosa al suo vampiro. Decisi di continuare.
“Comunque, i mesi passarono, i casi di influenza parevano
aumentare e per mia madre era giunta l'ora di sfornare il fagiolo. Fortuna
vuole che l’unica ostetrica era ammalata. Così mio padre fece nascere per la
prima volta un bambino. Mi ha detto che non era mai stato nervoso come in quel
momento. Inoltre ci sarebbe stato sangue dappertutto ed una donna che urlava
come una pazza; sarebbe stata davvero una bella prova per lui" dissi con
enfasi, anche per coinvolgere di più Bella.
“Mia madre però non se la cavò bene; da sempre era stata
di costituzione esile e molti medici le avevano detto che c’era la possibilità
di non riuscire a sopravivere ad un parto. Fatto sta che non appena partorì fu
sul punto di morire.” Lo dissi in un tono stranamente troppo insensibile, per
essere cosciente del fatto che mia madre avrebbe potuto morire.
“Ecco, qua devo introdurre una piccola parentesi. Devi
sapere che mio padre possiede una strana dote, non comune a tutti i vampiri.
Forse avrai sentito parlarle di queste strana capacità.” Lei annuii impedendomi
di fermarmi.
"Comunque, qualche volta riesce a capire quale sia la
"cosa giusta" da fare in quel momento e a compierla, quasi senza
rendersene conto, seguendo unicamente il proprio istinto. Non credo abbia mai
capito neppure lui come funziona esattamente; non dipende dalla sua volontà.
Accade e basta. Un esempio sono i numeri della lotteria; quando si sente "ispirato"
azzecca tutti i numeri giusti. O le azioni in borsa. O ancora quando mia madre
partorì" dissi l’ultima frase guardandola negli occhi. Aveva diminuito la
presa sulle gambe ed era ora più rilassata.
"Accadde tutto in un istante. Mio padre fu spinto dall'istinto
a fare la cosa giusta, morse mia madre e le salvò la vita" riassunsi in
breve.
"Le cose adesso diventano complicate. Mio padre temeva di aver compiuto
una sciocchezza; c'era un bambino da una parte e sua madre-vampiro dall'altra.
Sapeva che avrebbe dovuto abbandonarlo, allontanarlo dalla madre per evitare
che gli facesse del male. Ma non ci riuscì. E' una delle poche cose che non
riesco a capire ancora adesso; molto probabilmente grazie al suo dono, ma è
stato molto vago su questo. Comunque, dopo due giorni di pene anche mia madre
si risvegliò come una vampira. E vide quel bambino” presi un altro respiro,
guardandomi intorno. Le nuvole avevano fatto largo a più raggi di sole e non
c’era anima viva nelle vicinanze.
"Papà dice che è stato assolutamente innaturale. Lei
non andò fuori di testa, non desiderava ucciderlo ardentemente. Bensì
l'opposto. Riuscì a prenderlo in braccio, a baciarlo perfino, con un
autocontrollo che nemmeno mio padre aveva accumulato e non lo perdeva sentendo
l'odore del suo sangue. Mai un essere umano aveva aiutato a placare l'istinto
di un vampiro, neonato per giunta. Diventarono così una famiglia e
l'infatuazione tra mio padre e mia madre si trasformò in amore. Non vollero
abbandonare quel bambino, decisero di tenerlo con se, pur consapevoli di
intraprendere rischi enormi; mia madre lo amava troppo e non gli avrebbe mai
fatto del male e mio padre sarebbe riuscito a controllarsi grazie ai suoi
secoli di esperienza. Ed ecco la famiglia Adams. Turututu” Schioccai le dita
due volte imitando la canzoncina della Famiglia Adams, che ci stava
d’altronde un casotto. Riuscii persino a strapparle un piccolo sorrisetto sul
suo volto sorpreso.
“Ah… per la cronaca, quel bambino ero io. Ma credo che tu
l'abbia capito” finii finalmente. Ora era venuto il tempo delle domande. Perché
ce ne sarebbero state eccome!
"Come... come è possibile che tua madre non ti abbia
ucciso?" chiese meravigliata Bella.
"Mio padre pensa che l'istinto materno sia stato
superiore a quello per il sangue. Oppure, molto più probabile, si tratta di una
dote particolare di mia madre. Ha sviluppato uno strano rapporto con me. In un
certo senso, non tanto paranormale. Sai qual'è l'animale più feroce di una
specie?" le domandai per vedere se sapesse rispondere.
"La madre" mi rispose sicura.
"Un lupo costretto a stare in gabbia è niente
rispetto ad una lupa che protegge i propri cuccioli in pericolo. Ecco, prendi
questo concetto e introducilo nei vampiri. In questa situazione mia madre può
perdere il controllo e non è affatto un bella cosa, ma non è tutto; mia madre
sente, sa quando provo paura o quando sono in pericolo. E non si tratta di un
"circa, più o meno, quasi", lo sa davvero! E quando accade lei viene
da me, indipendentemente dal luogo in cui mi trovo, perché lei intuisce anche
quello.” La guardai negli occhi per vedere la sua espressione attonita.
"Non l'ho mai vista perdere
il controllo in questo modo; non sono mai stata in grave pericolo fino ad ora,
per quanto mi ricordi. Strano, ma vero. Lei mi ha detto che è successo
una sola volta, ma io ho rimosso completamente."
“Ah…” uscì dalla sua bocca. Era ancora piuttosto confusa.
Il racconto della
mia storia mi aveva permesso di rompere il ghiaccio ed ora ero pronta ad
affrontare ogni conseguenza. Le si dipinse una smorfia sul viso e scosse la
testa, per poi prendersela con le mani ed appoggiarla sulle gambe. In un scatto
veloce si ritirò su e si tirò i capelli indietro guardandomi con un’aria strana
quasi esasperata, ma lo strano sorrisino che aveva insieme alle sopracciglia
aggrottate la rendeva inquietante.
“Non l’avrei mai immaginato, mai” disse quieta. Dal suo
tono calmo sembrava avesse accettato ciò che era stato detto.
“Sono così allibita che...” esclamò poi guardando davanti
a sé “È sconvolgente.”
Ora quel suo sorrisino era scomparso e rimaneva solo
un’espressione confusa e meditabonda. Io le sorrisi.
“Io rispondo alle tue domande e tu rispondi alle mie, va
bene?”
Era l’unico modo per venire a sapere della faccenda
“Cullen”, che, tra parentesi, in teoria non me ne doveva importare proprio
niente. Ma il mio interesse per la vita passata di Bella non era più diventata
una semplice curiosità; era di un’evidenza strabiliante che per lei questo
costituiva un problema ed un tormento e visto la delicatezza dell’argomento non
credevo avesse avuto possibilità di parlarne con qualcuno. Avevo avuto
occasione di imparare che confidarsi con qualcuno riguardo un serio problema
era la prima cosa da fare per affrontarlo, anche se la più difficile. E si sa
che due cervelli sono meglio di uno. Speravo solo che Bella mi considerasse
quel tipo di persona a cui raccontare questa sua faccenda, soprattutto dopo la
mia dichiarazione. Inoltre, da spugna di emozioni, ci stavo male anch’io a
vederla in quello stato. Lei non fu per niente esuberante, anzi; dalla sua
espressione non le piacque neppure un po’ l’idea e per un attimo me ne pentii.
Tuttavia, silenziosa, annuì con la testa.
“Inizia pure tu” dissi cercando di farla sentire per un
minimo a suo agio. Lei non si mosse, né aprì bocca. Non capivo se era per il
timore di raccontare o per la scelta della domanda da pormi. Quando parlò la
voce però non tradì lo stato d’animo; era ferma e interessata.
“Perché vi siete trasferiti? L’incidente dei tuoi genitori
è una frottola” affermò lei. Non esattamente la domanda più importante; stava
incominciando con le domande più facili per poi raggiungere quelle più
difficili.
“Qualcosa di vero però c’è: a mio padre hanno offerto
veramente il posto di primario” dissi serena di non dovermi più trattenere dal
dire “zio”.
“In realtà ci siamo trasferiti principalmente perché i
miei genitori non invecchiano. Quindi dopo un po’ la cosa può suscitare
sospetti.”
“Ne so qualcosa al proposito” disse lei con voce decisa,
ma con sguardo distratto e vacuo, diretto verso la foresta davanti a casa.
Subito si riscosse e tornò a guardarmi curiosa.
“Non ti senti… totalmente a disagio a stare con le persone
dopo una vita passata con dei vampiri?” Io mi strinsi le spalle aggrottai le
sopracciglia. Cavolo, questa era davvero difficile. Ci pensai parecchio prima
di rispondere.
“No” dissi alla fine, anche se non ero troppo convinta “Insomma,
vivo con dei vampiri in casa, ma, tranne per alcuni piccoli aspetti, si
comportano come delle persone. Inoltre sono sempre entrata in contatto con
degli esseri umani; andavo a scuola con delle persone umane, avevo degli amici
umani, facevo cose da umani.” Più parlavo però meno ero convinta di quello che
dicevo.
“Anche se a dirla tutta stare con i vampiri mi piace di
più. Forse è l’abitudine, ma mi emoziona molto di più.”
“Già” mormorò lei spensierata, immersa nei suoi pensieri e
nelle mie parole. Dopo un poco riprese con le domande con uno strano sorrisino
in volto.
“Com’è vivere con dei vampiri?” Non riuscii a trattenermi
da una bella risata. Ne avrei potuto parlare per ore. Cercai di riordinarmi un
po’ le idee per le informazioni necessarie al riguardo.
“Bhè, lo ammetto, è parecchio strano. La prima stranezza è
il cibo. Loro sono dei "vegetariani", così si fanno chiamare, quindi
vanno a caccia nei boschi. E io li accompagno ogni volta. È un’abitudine che ho
cominciato fin da quando ero piccola.” Mi interruppi per ridere per la faccia
spiazzata di Bella.
“Non assisto all’atto vero e proprio; mi limito a starmene
per conto mio, non troppo distante da loro. Siamo in pratica io e la foresta.
Mi è sempre piaciuto quel senso di tranquilla solitudine” dissi serafica, ma
non per troppo tempo.
Infatti non avrei più accompagnato i miei genitori finché
non si sarebbe risolto il problema con quel vampiro. Mi sentii per un attimo
sprofondare; non c’era solo l'argomento “Cullen” da affrontare, ma
indispensabilmente anche quello “licantropi”, di conseguenza. Quella sarebbe
stata una lunga giornata.
“Poi, lo stesso problema dell’età e del fisico da
statua greca, come lo chiamo io, qualche volta è un problema. È un po’
demoralizzate avere dei genitori sempre bellissimi ed impeccabili, soprattutto
sapendo che saranno per sempre bellissimi ed impeccabili, quando si ha una
faccia terribilmente anonima e destinata a ricoprirsi di rughe. Dovrebbe essere
l’inverso. Inoltre c’è di mezzo la loro super intelligenza misurabile in
millisecondi che ti fa sentire una vera stupida.”
Come avevo detto, ne avrei potuto parlare per ore. Lei si
lasciò andare in una breve risatina trattenuta.
“Non lo dico per cattiveria, ma per simpatia. Io e i miei
genitori appunto per questo bisticciamo quasi sempre.” Bella mi guardava in
modo strano. Più che guardare mi stava fissando in modo strano. Forse… quasi
invidioso?
“Sei fortuna ad avere due genitori così” mormorò lei.
Questa volta aveva ragione; ero stata fortunata a capitare in una famiglia così
strana. Non si poteva dire di annoiarsi o di non avere mai niente da fare,
soprattutto da quando ci eravamo trasferiti qua a Forks.
“Lo sai, dopo una vita passata con dei vampiri è
inevitabile diventare un po’ simile a loro” me ne uscii quasi senza rendermene
conto.
“E non vuoi diventare uguale a loro?”
Rabbrividii all’istante e quel senso di tranquillità che
era nato parlando dei miei genitori sparì all’istante. Voleva dire se sarei
diventata anch’io un vampiro. Questa era di sicuro la domanda più difficile, a
cui avrei mentito di sicuro anche se solo in parte. Era una cosa che non avrei
mai detto a nessuno, neppure e soprattutto ai miei genitori, visto che loro
erano il motivo principale. Forse nemmeno a Bella. Non ora.
“No.” Cercai di uscirne sicura, ma fui anche piuttosto
cupa. Bella rimase confusa.
“Perché no?” disse scioccata.
Evidentemente non riusciva a capire come non si potesse
desiderare di diventare come loro. Dalla sua reazione capii che Bella
desiderava diventare un vampiro; per lei inoltre c'era Edward, una motivazione
più che valida. L’amore che lei provava per lui, che tutti avevano la
possibilità solo di immaginare, era una motivazione più che valida. L’amore
invece che provavo per i miei genitori era forte, ma era un amore del tutto
diverso. Feci una faccia schifata e mortificata.
“Hai vissuto una vita con dei vampiri. Hai detto tu stessa
che è meglio di una vita tra gli umani. Perché non vuoi diventarlo?” Lei
continuava a non capire. Ed in effetti speravo che non capisse tutto fino in
fondo. “I tuoi genitori non te lo permettono?”
“No, loro non c'entrano. Mi lasciano carta bianca;
comunque vada loro accetteranno il mio volere” dissi a testa bassa, per poi
subito rialzarla e guardare negli occhi Bella.
“Hai ragione, sarebbe più sensato che fosse così. Ma io… I
vampiri vivono in eterno, ma non in tutti i sensi” cambiai subito discorso io.
“Non invecchiano e questo non ha solo un lato negativo. Ed io voglio
invecchiare. Voglio crescere, sposarmi e forse avere anche dei figli” esclamai
quasi volessi che accadesse in quel momento. Bella davanti a me era incredula e
forse anche stranamente delusa.
“No, solo che…” si bloccò di colpo “I tuoi genitori lo
sanno?”
“Sì, lo abbiamo deciso insieme. Cioè, l’ho deciso con loro
presenti” Quanto avevo pianto quel giorno e per quanti motivi. Quella
fottutissima sera di metà ottobre di cinque anni fa da dimenticare totalmente.
"Tu invecchierai e loro ti guarderanno, rimanendo per sempre giovani"
"No, non provo disagio a farmi vedere vecchia e
decrepita davanti alle stesse persone che mi hanno visto fare pupù nel
vasino" le spiegai io, cercando in tutti i modi di trattenere un amaro
sorriso.
"Ma non ti mancheranno? Tu morirai, mentre loro
vivranno per sempre.” Era ancora confusa ed io totalmente pensierosa.
“Sì, mi mancheranno. Ma… mi sembra giusto così. Insomma,
l’uccellino prima o poi deve lasciare il nido, no?” dissi guardandola negli
occhi. Quante volte avevamo usato quell’espressione in quei cinque anni. In
realtà la faccenda era leggermente più complicata.
“Quindi i tuoi genitori ti vedranno morire” affermò
sussurrando. In realtà no. Non avrei mai permesso ai miei genitori vedermi
morire.
“Sì, ma… va bene così” sussurrai io neutra. Bugia. “Ora
credi che sia un’egoista?”
Volli chiederle un’opinione concreta. Sapevo benissimo che
con questa scelta a soffrire saremmo stati in tre, forse in modo equo. Con
l’altra scelta, però, quelli che avrebbero sofferto sarebbero stati comunque
tre, ma in modo più ingigantito, ne ero certa.
“Credo di sì” mormorò lei un po’ insicura e dubbiosa. Mi
stava forse rivalutando come persona? Ne aveva comunque tutti i mezzi. Io
annuii con la testa; io invece credevo proprio che i miei genitori non mi
giudicassero un’egoista.
“Passiamo ad un’altra domanda?” esclamai di soppianto,
cercando di cambiare l’atmosfera. Mi misi le mani sotto le cosce in attesa.
Dopo alcuni secondi la domanda arrivò.
“Hai sempre saputo che i tuoi genitori fossero vampiri?”
Altro argomento triste ed infelice, ma meno complicato. Io sbuffai e scossi la
testa.
“No, me lo dissero quando avevo cinque anni e stavo
cominciando ad andare all’asilo. Da lì iniziano i miei ricordi. Credo che
avessi sempre sospettato qualcosa, dato che non mangiavano mai con me, mentre
tutte le altre famiglie di solito lo facevano, ma non me resi mai conto fino in
fondo finché non me lo dissero loro in faccia. Mi ricordo che ero abbastanza
felice ed entusiasta del fatto, fino a quando mi dissero che uccidevano
animali.” Iniziai a sogghignare “Avevo appena visto Bambi e ti lascio
immaginare la mia reazione quando mio padre mi disse che di solito mangiavano
caprioli” Cominciai a ridere ed anche a Bella sfuggì un sorriso.
“Invece il particolare che tutti gli altri vampiri
uccidessero persone mi fu ignoto fino a sette anni, quando me ne resi
finalmente conto e glielo chiesi. Da lì in poi quando se ne presentò occasione
cominciarono a parlarmi dei vampiri e a portarmi a cacciare insieme a loro.”
“E non hai mai avuto paura di loro?” Di primo acchito mi
venne spontaneo considerarla come una domanda sciocca.
“Nah” dissi semplicemente io sciolta, alzando le spalle.
Tanto basta come risposta.
Il viso di Bella improvvisamente si incupì un poco. Stava
tentennando; doveva essere una domanda bella fetente se si comportava così.
“È una domanda personale che…” disse indecisa.
“Fai pure. Puoi chiedere tutto quello che vuoi” la
rassicurai tranquilla. Lei respirò profondamente.
“Sai chi è il tuo vero padre?” Già, aveva ragione, non me
la doveva fare come domanda.
“No. Ha abbandonato mia madre non appena ha saputo che era
incita. So solo questo e non voglio sapere altro” dissi eccessivamente furiosa
davanti ad una Bella che non aveva colpa. Mi ribrezzava la consapevolezza di
non essere figlia di sangue di papà, ma di un…
“Scusa, non dovevo fartela” si scusò subito lei.
“No, non lo potevi sapere” dissi più calmai io. Ne aveva
di domande la ragazza. Si cinse le ginocchia con le braccia.
“Posso farti un’ultima domanda? Anche questa po’
personale” mi avvertì lei. Non mi piacevano le sue domande personali, ma annuii
lo stesso con la testa; almeno era l’ultima.
“Perché non mi hai mai detto prima dei tuoi genitori, se
sapevi che conoscevo i vampiri?”
Me lo chiese piuttosto con tranquillità, non me lo voleva
rinfacciare. Questo però non fu sufficiente per calmare i sudori freddi che
ricominciavano. Bene, era venuto il momento di svelarle che sapevamo anche di
Edward.
“Ecco…” cominciai titubante. Cavolo, cavolo, cavolo. “Non
ci è sembrato opportuno dirtelo perché… abbiamo immaginato che non ti avrebbe
fatto piacere.” Uau, Abigail, la chiarezza fatta a persona! Non mi stupii se
l’espressione di Bella si era fatta confusa. Feci un respiro profondo,
guardando avanti a me.
“Ho saputo che tu ed Edward eravate molto… uniti. Era
logico pensare che tu non dovessi essere al settimo cielo quando i Cullen si
erano trasferiti. Quindi…” girai molto lentamente la testa verso di lei. La sua
espressione non era cambiata, fatta eccezione per un non so che di malinconico
nei suoi occhi.
“…abbiamo deciso di non dirtelo. Anche perché tu l’avresti
scoperto da sola; Forks è piccola. E poi, non sapevo esattamente come dirtelo…”
Blablabla… tante scuse per nascondere il fatto che bene o male mi sono fatta
gli affari suoi il primo giorno di scuola insieme a mamma e papà.
“Ah…” sussurrò lei abbassando la testa. Non disse
nient’altro. Ora era arrivato il mio turno per la tortura. La sua espressione
quasi mi convinse a non parlare. Non ci avrei messo molto; volevo sapere da lei
solo una cosa. Quella stupidissima domanda; perché i Cullen si erano
trasferiti. Non mi interessava per niente sapere quello che c’era tra lei ed
Edward, anche se dal mio comportamento fino ad allora non si sarebbe detto. E
poi era logico dedurre cosa ci fosse tra quei due. No, adesso volevo ficcare il
mio dannatissimo naso a patata in quella questione. Decisi però di agire come
Bella poco prima, cominciare quindi con domande poco importanti ed
apparentemente irrilevanti. Me ne vennero in mente solo due.
“Charlie lo sa?”
“No, non lo sa.”
“Pensi di dirglielo?”
“Ora come ora… no” Il suo tono si fece improvvisamente
ancora più moscio. Passai alla seconda domanda preliminare.
“Ti ricordi quando siamo andate a fare bungee jumping?
Quando la sera mi hai invitata a casa tua?” Lei annuì profondamente.
“Perché ti sei comportata in modo strano dopo che l’asse
di legno mi è venuta in faccia?” Inclinò la testa, aprendo bocca, ma
chiudendola subito. Non sapevo esattamente se aveva a che fare con il
sovrannaturale, potevo anche sbagliarmi.
“Non… non credo capiresti se te lo dicessi” La sua voce
tremula me ne diede invece la conferma.
“Ha a che fare con i vampiri?” continuai, sicura della
risposta. Lei annuì ripetutamente, confondendo l’affermazione con i tremuli che
la scuotevano. Io corrugai le sopracciglia, nervosissima. Sarei tornata dopo su
questa domanda. Oppure, no; non sapevo se mi interessava davvero saperlo.
“Perché i Cullen si sono trasferiti?” La mia voce era
decisa. Lei non mosse un muscolo. Non riuscivo nemmeno a distinguere il petto
che si abbassa ed alzava. Cominciai a preoccuparmi dopo un minuto che era
rimasta immobile in quella posizione. Era bianca come un cencio.
“A causa mia” A malapena riuscii a sentirla. Cominciavo a
pentirmi davvero della mia stupidissima e riprovevole ficcanasaggine. “Se ne
sono andati a causa mia”
“N…non l’ho mai raccontato a nessuno” La sua voce tremava,
come se a minuti stesse per scoppiare a piangere “Vuoi sentirmi?”
Il suo viso mi convinceva in tutti i modi a dire di no.
Sarebbe stata malissimo se lo avesse fatto. Ma sempre in quello stesso viso,
negli occhi in particolare, c’era una sorta di strano scintillio che, malsanamente,
mi spinse ad annuire con la testa. Ero matta, e sadica e masochista per di più.
Quel barlume però dava una certa sicurezza al suo viso, che non riuscivo a
spiegarmi. Forse era lei stessa a volermelo raccontare, indipendentemente dalla
mia stupida proposta. Ne stavo facendo di cazzate ultimamente…
“Era il giorno del mio compleanno ed i C-Cullen aveva
organizzato una festa per me. Lui mi accompagnò a casa sua.” Avrebbe dovuto
fermarsi più volte durante il racconto per deglutire. Le braccia che cingevano
le gambe erano bianche dalla tensione ed era scossa da leggeri tremulimentre
parlava. Aveva gli occhi puntati su un punto indefinito, magari proprio sul
soggetto del suo racconto, visibile solo nella sua mente.
“Mi fecero anche dei regali, anche se non avrebbero
dovuto. Non…” Cominciò anche a balbettare. Vedendola in quelle condizioni
diventai bianca anch’io. Stetti per dirle di lasciare perdere, ma quello
scintillio che non era ancora scomparso mi convinse di nuovo a stare
ammutolita.
“Mentre aprivo uno dei pacchetti mi tagliai un dito con la
carta…”
“Oh…” la interrupi io, non riuscendo a trattenermi. Non
serviva che dicesse altro. Avevo capito, o quasi. Da sempre la combinazione
“vampiri più sangue” era uguale ad un mare di guai, che si quintuplicavano se
il tutto era elevato alla potenza “vegetariani”.
“Uno dei suoi fratelli aveva sempre avuto qualche
difficoltà a resistere al sangue. Cercò di uccidermi, ma E…lui riuscì a
fer-fermarlo.”
Mi fu inevitabile sentire un brivido percorrermi lungo la
schiena. Aveva detto “fratello”, era un suo parente. Era come se io portassi
Bella a casa e mia madre la assalisse. Scossi la testa; non volevo neppure
pensarci, anche se era un’ipotesi più che assurda; quante di quelle volte i
bambini a scuola si era tagliati e lei era riuscita a resistere alla grande,
anche se sforzandosi?
“Pochi giorni dopo mi disse che se ne sarebbero andati.
Mi… mi aveva detto che l’età che avevano non era più credibile. Volevo andare
con loro, ma lui mi disse che non mi voleva più. Non…non… mi amava più.” Il suo
tono di voce si era fatto più lieve e stava cominciando a prendere l’impasto
amaro delle lacrime. Continuai a stare zitta.
“Mi disse che sarebbe stato tutto come se lui non fosse
esistito. Fotografie, regali… fece scomparire tutto.”
Per la prima volta alzò lo sguardo verso di me. Mi sentii
sprofondare, mi promisi di seppellirmi e di non dare più ascolto a strani
scintilli di sicurezza. Aveva gli occhi luccicanti ed un sorriso che non aveva
assolutamente nulla di felice.
“Sotto quella trave c’erano proprio regali e foto che mi
avevano fatto i Cullen. Gli aveva nascosti lì. Scusami se mi sono comportata in
quel modo quel giorno. Ero rimasta… totalmente spiazzata.”
La sentii fare un respiro profondo, ma senza successo; era
interrotto dai singhiozzi che la stavo percuotendo. Dopo di quello cominciarono
a seguirne altri, più profondi, come se avesse appena affrontato un’immersione,
cercando di recuperare l’autocontrollo che aveva. Il suo comportamento
confermava ancora il suo inimmaginabile amore verso questo Edward. Avrei voluto
chiederle scusa di averle fatto raccontare eventi che la facevano soffrire e
che non aveva ancora superato. Ora che sapevo cosa fosse successo avrei voluto
rincuorarla, starle vicina; la potevo in un certo senso capire, dato che
conoscevo anch’io i vampiri.
Ma non in quel momento. Ora ero io quella che aveva
bisogno di un aiuto, immediato, prima che esplodessi. Aiuto però che non
sarebbe arrivato, ergo sarei esplosa. Riflettei su tutto ciò che aveva detto, e
con molta attenzione. Mi incazzai quasi subito, perché tutta quella situazione
non aveva senso. Non aveva senso che Bella soffrisse, perché non ce n’era
ragione! Anzi, dovrebbe essere terribilmente arrabbiata anche lei! Questo
Edward poi… Bene, glielo avrei fatto capire io. Sarei stata un po’ drastica,
priva di tatto ed insensibile, ma poi lei avrebbe capito.
“Che bugiardo illuso!” gridai, non riuscendo più a
trattenermi “Dio…!” Balzai in piedi.
“E tu non hai potuto giustamente capirlo, visto come ti ha
ridotta!”
“...cosa stai dicendo...?" mormorò lei. Non sembrava
molto offesa per quello che stavo dicendo, che avrebbe dovuta farla arrabbiare,
ma che d’altronde non riusciva a capire. Sembrava piuttosto spaventata. La
guardai bene negli occhi, puntandole un dito contro.
“Sto dicendo che il tuo vampiro è un bugiardo ed un
illuso” sillabai chiaro e tondo, continuando senza darle tempo di
controbattere.
“Numero uno: Ti ha raccontato una grandissima, enorme,
stratosferica, gigantesca balla!” alzai le braccia al cielo.
“ Non ti voglio…ma per piacere! È lampante che si
tratta di una balla grossissima! Lo capisco io, che con questa storia non
c'entro niente!” Questa volta indicai me.
“Pensaci: ha trascorso ben un anno con te, rischiando ogni
minuto di ogni giorno di ucciderti, pur di starti accanto. E' uno sforzo immane
per un vampiro, quasi impossibile. Significa sconfiggere sè stessi e la propria
natura. Lui ti ha amato fino a questo punto, Bella! E per questo deve
continuare a farlo anche adesso! Capisci?! Lui deve essere disposto a passare
l’eternità con te! Non può smettere di farlo nemmeno dopo aver avuto la prova
schiacciante dei suoi più peggiori propositi! Quindi, ti ama ancora.”
“Numero due: Sembrerà che tutto sia tornato come prima…
A parer mio questa mi sembra una grande presa in giro. Come se degli oggetti
potessero fartelo dimenticare! Ed, infatti, tu l’hai proprio dimenticato!” La
mia voce si riempì improvvisamente di amarezza. E fu lì che mi lasciai un po’
andare…
“Quasi non si direbbe se abbia capito quanto tu sia
disposta a dare per lui. Anche tu devi essere consapevole dei rischi da correre
per stargli solo vicina e lui deve essersene per forza reso conto. Si è
totalmente illuso di riuscire a fare qualcosa di buono, mentre ha contribuito solamente
ad ingigantire la grande cazzata che ha fatto...”
“Taci” Fui bruscamente interrotta da Bella. Ora anche lei
si era alzata. E si era arrabbiata molto, come avevo previsto. Ora avevo capito
che stavo facendo una retorica poco carino del suo vampiro.
“Non azzardarti a parlare di lui in quel modo. Anzi, non
parlare mai più di lui. Non hai idea di quello che ho passato io, non hai idea
di quello che ha passato lui. Non sai niente, Abigail! Non sai proprio
niente...” Non gridava, il che era ancora peggio. No, il peggio era che mentre
lo diceva a stento riusciva a trattenere le lacrime. Che disastro stavo
facendo, quella volta ero io la causa di quel male; bene, voleva dire che il
mio piano stava funzionando. Lei si voltò di scattò, dirigendosi verso la porta
di casa. Questo non era previsto; la presi per il polso trattenendola.
"... ma tutto quello che ha fatto, è comprensibile;
non bisogna dimenticare che i vampiri conservano ancora una parte umana.”
Abbassai ed addolcii il tono della mia voce, cominciando a parlare guardandola
negli occhi, senza però farmi influenzare da quelle lacrime che minacciavano di
scendere.
“Quando ha visto quel vampiro pronto ad avventarsi su di
te deve avere avuto una paura da morire, scusa il termine. Non si trattava di
un vampiro qualunque, ma di un vampiro che considera pur sempre un
fratello." La sua espressione non cambiò ancora, ma ora aveva smesso di
svincolarsi dalla mia stretta e mi stava a sentire.
"Spesso le persone quando hanno paura fanno cose che
non farebbero. E fidati se ti dico che i vampiri sono persone, sotto questo
punto di vista. E' stato del tutto condizionato dalla paura di perderti ed in
quel momento l'unica cosa che deve aver pensato è stata di mettere in salvo la
tua vita e ha trascurato quello che vi lega.” Mi accorsi di un piccolo
cambiamento. Ah già, una lacrima era scesa. Cercai di mandare giù il groppo che
avevo in gola per non mettermi a piangere anch’io.
“Lui continua ad amarti. E' distante, ma lui prova ancora
quell'amore per te. Ti pensa ancora. Lui non ti ha dimenticata.” Mollai
finalmente il suo polso. Si asciugò immediatamente con entrambe le mani quelle
lacrime che erano diventate lacrimoni e fece un paio di respiri profondi.
“Ti senti un po’ meglio?” L’occhiata offensiva di puro
scherno mi convinse del contrario.
"Certo che no! Perché mai?! Una… pazza comincia d'un
tratto a rimproverarmi di quello che ho fatto della mia vita senza neppure
conoscerla e a criticare Ed...”
Non riuscì a completare quel nome, che non era mai
riuscita a pronunciare. La velocità con cui si sedette mi fece pensare che
fosse svenuta. Mi sedetti subito anch’io vicino a lei. No, mi ero spinta
stupidamente troppo in là. Non l’avevo premeditato. O forse sì?
"Bella..." mormorai apprensiva.
"Non hai idea di quello che vuol dire non sentire più
la sua voce, vedere i suoi occhi, il suo sorriso, toccare la sua pelle..."
sussurrò da sotto le sue gambe. Stava sprofondando nel suo stesso dolore.
Dovevo tirarla fuori. Ho fatto trenta, facciamo trentuno.
"Gli occhi, la voce, il sorriso... di lui non ti
manca la sua presenza? Quello che facevate assieme? La sensazione che provavi
vicino a lui?" chiesi con tono di sfida. Lei alzò immediatamente la testa.
Sì, Bella, reagisci!
"Che diamine stai dicendo" La sua voce era
decisa, non mi più impastata da lacrime.
"Allora perché non gli hai nominati? Sembra che l'unica cosa che ti manchi
è il suo corpo, i suoi occhi, la sua voce ed il suo sorriso... Sembra che ami
questo..." Continuai io imperterrita.
“No” Questa volta lo disse arrabbiata. Con un sorriso le
presi le spalle.
“Allora continua a sperare, Bella! Continua a sperare.”
Pronunciai quelle parole con una strana felicità. "Ti è mai capitato di
reggerti grazie ad un pensiero? Non è detto che sia vero, non è detto che si
realizzi, ma per te è vero, palpabile. Lo puoi percepire come se fosse ad un
centimetro da te. Ti è mai capitato, Bella?” Lei mi guardò immobile. Niente più
dolore, né rabbia sul suo viso. Solamente… niente. La sua espressione era
totalmente indecifrabile.
"Fa allora che il ritorno di Edward diventi questo
pensiero. Fallo diventare costante, un pensiero su cui costruire ogni ora di
ogni giorno. Credici sempre, e non demoralizzarti mai. Perché sarà un pensiero
che si realizzerà davvero. Edward tornerà, perché ti ama ancora e anche lui non
può fare a me di te. Edward tornerà.”
“Cosa ti fa pensare che tornerà?” Sorrisi; non lo disse
più arrabbiata, ma… quasi ingenuamente e con una certa serietà nel volto che mi
fece capire che per la prima volta aveva preso in vera considerazione l’idea
del suo ritorno.
“Voleva salvarti, non voleva che tu morissi per colpa sua.
È logico che se ne sia andato. Ma secondo te quante volte aveva già preso in
considerazione questo rischio prima? Se ha deciso di rimanerti accanto per
tutto quel tempo, deve averlo più che accettato. È da veri incoscienti pensarci
solamente dopo così tanto tempo.” Presi un lungo e profondo respiro per
scacciare la tensione.
“Per questo, se l’ha fatto, è solo perché si è fatto
prendere dalla paura. Quando gli sarà passata, tornerà da te.”
“Tu non lo conosci. Cosa ne puoi sapere di quello che
farà?” Ancora quello strano tono. La guardai convinta, con il mio sorriso
sghembo.
“No, io non lo conosco. Ma credo di conoscere i vampiri da
tempo sufficiente per sapere cosa devono rinunciare per restare vicino ad un
umano.”
Le mie spalle continuavano a cingere le sue. Lei abbassò
la testa. Sembrava riflettere sulle mie parole. Rimanemmo un’eternità in quella
posizione, in silenzio. Le mie spalle cominciavano ad indolenzirsi.
Improvvisamente alzò il capo. Un lieve sorrisino si era aperto su quel suo bel
faccino.
“Quindi tornerà?” Lo disse con un barlume di speranza
nella voce che mi commosse. Sorrisi anch’io.
“Certo, e con la coda tra le gambe, implorando il tuo
perdono, direi” dissi sicura e convinta.
“E se invece…” Questa volta si era fatta più titubante.
“E se invece niente, Bella. Ti prometto che tornerà, te lo
giuro.”
E ne ero realmente sicura quella volta. Le avevo detto
tutto quello che pensavo, tutto quello che ero sicura sarebbe accaduto. Speravo
solo che oltre a bugiardo ed illuso non fosse anche stupido e non tornasse.
C’era da dire che mi ero fatta non una felice e bella opinione di questo
comprensibile combina guai. Lasciai andare le braccia dalle spalle di Bella, le
mossi un po’, cercando di riprendere la circolazione. Mi voltai verso Bella.
Cingeva ancora le gambe con le braccia, ma senza esercitare alcuna pressione.
Aveva lo sguardo perso in un punto inesistente davanti a sé ed uno sorrisino
sereno sulle labbra. Mi ritrovai ad osservarla per alcuni minuti. Sembrava
davvero felice. Sorrisi anch’io, d’orgoglio per me stessa, consapevole anche
che questo nuovo metodo di dire le cose doveva essere punito dalla legge con
l’ergastolo, ma soprattutto perché lei stava bene, né arrabbiata, né disperata,
né triste.
Certo che non ero solo io che avevo vissuto e stavo
vivendo una vita strana; anche Bella aveva avuto le sue gatte da pelare.
Riflettei ancora su quello che era successo. Tutta quella paura per colpa di
uno stupido pezzo di carta. Non doveva essere facile amare un vampiro. Cioè, in
quel modo; non consideravo difficile amare i miei genitori. Mi venne in mente
una scena assurda; e se i miei genitori mi lasciassero esattamente come aveva fatto
Edward? Mi era davvero difficile immaginarmelo; non ero sicura, ma molto di più
che i miei genitori non mi avrebbero mai, mai abbandonata. Infatti, quella che
li avrebbe abbandonati ero io. Scossi improvvisamente la testa; stavo
paragonando la mia situazione con un’altra del tutto differente. Edward aveva
lasciato Bella per aver avuto paura di farle del male, i miei genitori mi
avrebbero lasciato andare per tutt’altro motivo. Feci di nuovo un respiro
profondo.
Eravamo proprio due umane, sfigate e fortunatissime,
capitate quasi per caso in un mondo sopranaturale fatto di vampiri e, come se
non ce ne bastasse, anche di licantropi. Oh… già. Era necessario affrontare
anche questo. Non mi sembrava però il momento più adatto; era da goderselo
appieno questa pausa di tranquillità. Bella si girò improvvisamente verso di
me, con ancora quel sorriso.
“Allora io ti credo.” Feci un pieno sorriso a trentadue
denti. Gli mostrai il pugno. Lei lo batté con il suo e mi mise un braccio
attorno allespalle. Io contraccambiai,
presa, lo dovevo ammettere, un po’ di sorpresa.
“Grazie” la sentii mormorare. Sentii le labbra tremare e
gli occhi diventare bagnatici. Odiavo questi momenti commoventi. Era arrivato
il giusto momento di affrontare la conversazione “io, tu ed i licantropi di La
Push”.
“Allora” dissi svelta slegando l’abbraccio “com’è questa
storia tra te ed il lupetto?” Lei mi guardò come se fossi pazza.
“Lo sai che qualche volta credo che tu sia pazza?” Aveva
un non so che di spensierato nella voce che mi fece di nuovo sorridere.
“Bhè… so che tu sai che esistono anche i licantropi. E so
che conosci anche Jacob Black. L’ho potuto conoscere anch’io.”
“Oh .…" diventò confusa immediatamente "i
licantropi… oh…” Sembrava stesse facendo mente locale del tutto.
“Loro non mi hanno detto niente che ci sono vampiri a
Forks.” Io sbuffai. Lo sapevo.
“Sanno che tu hai già avuto a che fare e per l’immenso
amore che nutrono nei confronti dei vampiri non vogliono che tu sapessi dell’esistenza
di altri.” Certo, non me l’avevano detto esplicitamente, ma, insomma, era
davvero troppo implicito il concetto.
“Ah… lo dovevo immaginare” acconsentì anche lei. Ritornò a
riflettere ancora. Poi spalancò gli occhi.
“Avete… avete avuto problemi con loro?” Io annuii con
l’aria di una che la sapeva lunga, preparandomi a raccontare anche questa di
storia.
“Il nostro primo incontro non è stato per niente molto
amichevole"
"Hanno fatto del male a te o hai tuoi genitori?"
Mi sorprese moltissimo la sua reazione. Stava cominciando ad arrabbiarsi
veramente, ma quel che più mi sorprendeva era che non solo si interessava alla
mia salute, ma persino a quella dei miei genitori.
"No... non hanno fatto niente né a me, né ai miei
genitori." Non credevo fosse necessario che sapesse della ferita di mio
padre. Quei poveri lupi troppo cresciuti avevano già dovuto subire la mia
collera, non meritavano anche la sua. Anche se mi sarebbe piacciuto molto
assistere alla scena...
"Abbiamo avuto dei... piccoli problemi di
comprensione, ma li abbiamo risolti. Puoi immaginarti la loro reazione quando
hanno visto me insieme ai miei genitori..."
"In effetti..." Bella sembrava essere realmente
presa dal mio racconto. Ovvio, riguardava anche lei.
"Insomma, credevano che volessero uccidermi o
assurdità del genere. Andai direttamente a La Push, da sola, per parlare con
loro, ma ancora niente. Abbiamo dovuto quindi fare un patto; sarei andata
spesso a La Push, per fargli sapere che stavo bene. Dopotutto non sono così
male; in fondo è questo che li importa, che io stia bene." Almeno, quasi
tutti. Lei sghignazzò.
"Hai ragione. Forse troppo bambini, ma sono dei bravi
ragazzi"
"Dei bambini pompati, vorresti dire" la corressi
io, facendola ridere.
"Ma... come l'hanno presa?" Ritornò subito seria
e tesa. Sbuffai di nuovo. Questa faccenda dei licantropi si era dimostrata
davvero pesante e persino il parlarne mi affaticava.
"Tutto questo gran casino fatto di me ed i miei
genitori? Bhè... ovvio, un po' male. Ho spiegato come stanno le cose; la mia
storia e blablabla. Sono rimasti sotto schock per un po'. I miei genitori non
possono attraversare il confine ed io ho creato gli schieramenti "pro
Abigail" e "contro Abigail" nel branco" Cambiai subito
argomento, stufa.
"Tu invece da quanto conosci Jacob Black?" dissi
guardandola maliziosa.
"Lui sarebbe il lupetto?" disse lei ironica
"In teoria da molto tempo; siamo amici d'infanzia. Ma in pratica da
poco."
"E' un bravo ragazzo. Un po' confuso forse... E' un
tuo amico, vero?"
"Sì, un grande amico" Decisi di essere sincera
fino in fondo con lei. Lo ero stata fino ad adesso con i vampiri, perchè non
riservare lo stesso trattamento ai licantropi? Ecco, oggi era il giorno della
sincerità, in cui ognuno diceva la verità, solo la verità, nient'altro che la
verità su tutto. E a proposito di questo, mi rendevo conto solo allora che in
pratica non solo conoscevo nei particolari la storia tra Bella ed i vampiri, ma
anche quella tra i licantropi e Bella, senza che lei lo sapesse. La guardai con
l'aria colpevole.
"Sai, io sono una grande ficcanaso"
"Cosa vorresti dire?" Sfoderai il mio sorriso
sghembo, quasi per giustificarmi.
"Ecco, ho scoperto che anche Jacob ti conosceva e
quindi abbiamo parlato di te." Alzai gli indici delle mani "E se mi
permetti, devo dire che ha fatto davvero una grande cazzatta a non dirti che
era un licantropo. E per questo d'altronde avete semi litigato o qualcosa del
genere..."
"Pure questo sai?" Adesso era allibita. Cercai
di impietosirla, per farle almeno un po' di pietà, annuendo.
"Tu quindi hai sempre saputo che loro erano
licantropi. Oltre a sapere... di me" sottolineò lei. Annuii di nuovo. Lei
schioccò la lingua amareggiata.
"Ah... questa me la paga..." disse scuotendo la
testa "Con me ha fatto tutte quelle storia, invece..." Non era
arrabbiata, forse un po' delusa e molto probabilmente ci era rimasta male.
Tuttavia non lo dimostrò.
"Ora va tutto bene con te e Jacob?" Attirai la
sua attenzione su un argomento diverso per distrarla.
"Sì, ci siamo chiariti" Il suo tono di voce era
tornato sereno "Com'è che hai stretto così grandi rapporti con lui?"
Ora fu lei ad essere la maliziosa.
"Bhè..." Stavo per dirglielo, ma ci ripensai
"Vieni da lui. E' molto probabile che troverai anche me. Lo potrai vedere
con i tuoi stessi occhi" dissi lasciando traspirare dalla voce una nota di
mistero. In questo modo sarebbe venuta con il pick-up e saremmo andati a
prendere i pezzi della mia auto! Che idea diabolicamente geniale!
"Ammetto che da un po' di tempo a questa parte i segreti non mi piacciono
molto." Non sembrava molto entusiasta della mia risposta.
"Ma questo non è niente di assolutamente importante e
paranormale" la rassicurai io prontamente. Lei sbuffò guardandomi di
sottecchi.
"C'è qualcos'altro che sai che io non so?"
dissesconsolata appogiando la testa sul
braccio. Sì, c'era qualcos'altro, effettivamente...
"Bhè... so qualcosa che tu sai: i licantropi hanno
detto che un vampiro ti sta dando la caccia" dissi tesa e seria. Lei si
tirò subito su la testa. Sfoderò una pura espressione di terrore; non c'era da
darle alcun torto.
"Già" mormorò.
"Oh... sta tranquilla!" Esclamai cingendole le
spalle con un braccio "Non solo hai un branco di lupi giganti,
indisciplinati e pulciosi, ma anche la bellezza non di uno, ma di due vampiri
esperti che sono pronti a proteggerti ogni istante. C'è una possibilità su un
migliardo che ti succeda qualcosa... " Mi guardò con un timido sorriso.
"Grazie..." Ok, altro momento commovente.
"A proposito" dissi sciogliendo l'abbraccio.
"Io che ci abito da una vita non sono mai riuscita a farmi dare la caccia
da un vampiro. Com'è che tu in due anni o giù di lì ce l'hai fatta?" Per
un momento la vidi terribilmente a disagio, poi però si tranquillizzò quasi
all'istante.
"Oh... storia lunga, triste e... piena di sangue." Io le sorrisi.
"Il sangue non mi ha mai dato il voltastomaco"
dissi mettendomi comoda per il suo di racconto. Lei accolse il mio invito.
"I Cullen mi hanno portato ad una partita di
baseball"
"Partita di baseball?!" la fermai subito.
"Ai Cullen piaceva giocare a baseball, sì."
Quand'è che i vampiri giocavano a baseball?! Sì, insomma, loro potevano fare
tutto. Mi soffermai a pensare come potrebbe essere una partita di baseball
giocata da vampiri. Non ci riuscii perchè Bella riprese subito.
"Quella fu l'occasione in cui incontrai tre vampiri
nomadi. Non vegetariani. Uno di loro era un segugio e... decise di darmi la
caccia. Traslasciando molti particolari le cose si conclusero che Ed... Lui
riuscì ad ucciderlo. Quel vampiro mi morse, ma lui fu capace di estrarmi il
veleno" mormorò, non essendo ancora in grado di pronunicare il suo nome.
Ecco, questo era quello che intendevo per "cose in grande" o
"pure pazzie".
"Oh!" mi fu impossibile trattenere
un'escalamazione "Cavolo! Com'è possibile che tu abbia avuto tante
disavventure in così poco tempo?"
Ero effettivamente allibita; un vampiro l'aveva morsa ed
era lì davvero per miracolo. Avevo sempre saputo che si era spacciati se si
veniva morsi, e mio padre mi aveva anche accennato la possibilità di salvarsi
succhiando il veleno. La cosa però pareva quasi impossibile; quando si inizia e
quasi impossibile bloccarsi. Edward però ci era riuscito. Caspita! Il ragazzo
aveva un autocontrollo da titano!
"Attiro disgrazie..." disse con una certa nostalgia nella voce, ma si
riscosse subito.
"Dicevo. Gli altri due membri del gruppo non si
fecero più vedere finché i Cullen non se ne andarono. A darmi la caccia in realtà
erano due vampiri..."
"... ma i licantropi ne hanno abilmente ucciso uno.
So anche questo" Intervenni io con un po' di amarezza nella voce. Non
c'era che dire, avevo ficcato il mio naso davvero dappertutto. Bella alzò gli
occhi al cielo.
"Sì. Il terzo membro, quello che mi sta dando la
caccia, è una donna che si chiama Victoria..."
"Ne hai fatta di conoscenza se conosci persino il suo
nome" Lei saggiamente non mi diede retta.
"...che era la compagna del segugio. Per vendicarsi
quindi di Ed... vuole uccidere la sua di compagna, cioè io."
"Ecco, io non ho mai capito cosa ci sia nel cervello
dei vampiri per portarli a compiere ragionamenti del genere!" esclamai
improvvisamente prendendomi la testa tra le mani. Bella si limitò a stringersi
nelle spalle. La fissai per un secondo.
"Mi fai vedere il morso?" le chiesi curiosa.
Forse non avrei dovuto; era una cosa che richiamava brutti ricordi e
blablabla...
"Dove mi ha morso il vampiro intendi?" disse
tranaquilla, mostrandomi il polso. Rimasi a bocca aperta; la sua pelle era
parecchio bianca, ma si notava piuttosto bene. Su entrambi i lati del suo polso
c'era una cicatrice a mezzaluna, ampia e abbastanza profonda. Le presi
delicatamente il polso.
"Ti fa male?" chiesi guardandola. Lei scosse la
testa, con ancora quella perenne tranquillità.
Mi ci ero abituata alle stranezze che si potevano
incontrare vivendo nel sopranaturale, tanto abituata che quelle stranezze erano
diventate la mia normalità. Anche mio padre e mia madre ne avevano due simili,
che avevo visto migliaia di volte. Ormai mi ero abituata anche a quelle
cicatrici. Vederle però su un corpo umano mi provocò un certo disagio. Ne
toccai una; era fredda. Un brivido mi percorse la schiena. Bella sembrava
proprio la protagonista da film dell'orrore. E, dopo essere stata una preda di
un vampiro, non credevo di essere andata molto lontana dalla verità.
Avvicinai la mia bocca alle cicatrici.
"Cos..."sobbalzò lei.
Appoggiai i miei denti sull'orma lasciata dal vampiro
precedente. Dopo alcuni secondi lasciai il suo polso.
"Caspita, aveva davvero una gran bocca quel
vampiro" scherzai io. Lei, un po' a disagio, si mise a ridere, dandomi una
spinta alla spalla.
Un improvviso e strano rumore mi fece sobbalzare. In
realtà non era uno strano rumore, era semplicemente Charlie che stava tornando
dalla pesca. Quella via però era rimasta talmente tanto tempo deserta che
l'auto della polizia mi spaventò per un momento. Un momento, quanto tempo era "tanto
tempo"? Molto, visto che il cielo stavo imbrunendo. Mi guardai intorno con
aria totalmente disorientata. Quanto tempo abbiamo parlato io e Bella?
"Tutto bene?" disse Bella vicino a me,
alzandosi.
"Quanto tempo abbiamo parlato?" sussurai, ancora
allibita.
"Quattro ore." Spalancai la bocca.
"Ancora qui, Abigail?" La voce di Charlie, che
era appena sceso dalla sua auto, mi distrasse. Era strano non vederlo in
uniforme.
"Già... ma credo che... adesso è meglio se me ne
torno a casa..."
"Puoi restare per cena se ti va" propose Bella,
cercando di convincermi con un sorriso.
"Come se avessi accettato... credo di aver già
combinato fin troppo guai nella tua povera cucina... Poi i miei genitori
crederanno che tu mi abbia mangiata" sussurai, per non farmi sentire da
Charlie. C'era una strana soddisfazione dire finalmente la parola
"genitori".
"Ci siamo però divertite, no?" Mi sfoderò un
grande sorriso.
"Che parola grossa" ricambiai io. "Se devo
essere sincera non ho mai affrontato una conversazione tanto lunga e difficile.
Non vorrei ripetarla in un futuro..."
"Già..." rispose lei, ancora con quel sorriso
"Ci vediamo allora lunedì?" Annuii con la testa. Bella si avvicinò a
me e, prendendomi alla sprovvista, mi abbracciò. Mi venne un improvviso ed
imbarazzante desiderio di mettermi a piangere. Le diedi due pacche sulla
schiena scostandomi. Mi limitai a risponderle con il mio sorrisino sghembo.
Entrai un'ultima volta in casa Swan per salutare Charlie e
prendere chiavi e casco della moto. Diedi un ultimo saluto a Bella e salii in
sella. Durante il viaggio una strana adrenalina mi percorreva ogni muscolo del
mio corpo. Non la stessa che sentivo ogni volta che montavo in sella; mi dava
uno straordinario senso di leggerezza che mi faceva volare. Premetti il pedale
dell'accelerazione e via.
Quando tornai a casa la sera, la prima cosa che feci fu
buttarmi sul mio morbido divano a peso morto. Avevo uno strano sorrisino sulle
labbra che non riuscivo a togliere. Chiusi gli occhi ed inspirai profondamente;
invece dell’aria inodore sentii una fragranza di girasole, misto a menta.
Quando gli riaprii trovai i miei genitori, come comparsi dal nulla, seduti
vicini a me. Mi guardavano con uno sfavillante sorriso rassicurante. Dal viso
di mamma, capii che papà ne aveva parlato anche a lei.
“Le hai raccontato la storia?” Io annuii. Preferii
sorvolare sulla discussione di Edward e tenermela per me.
“Oh… bene!” esclamò mamma “Allora è arrivato il momento di
presentarcela, non trovi?” Io e papà ci guardammo per un attimo insicuri.
“Forse è meglio che si abitui all’idea. È meglio aspettare
un po’.” Mamma ci guardò sospettosa e stranita.
“Mi state nascondendo qualcosa?”
“Solo una grande brutta figura” mormorai io.
“Ha solamente ritardato un po’ prima di dirglielo”
minimizzò papà. Mamma lo guardava confusa.
“Prima ha visto me, poi le ha raccontato la storia”
confessò papà.
“Oh…” esclamò mamma, pensandoci un po’ su “Certo che
l’avrà presa male!”
“Piuttosto” esclamai attirando l’attenzione su un
argomento meno imbarazzante “So perché quel vampiro sta inseguendo Bella.” I
miei genitori mi guardarono interessati.
“Riguarda avvenimenti accaduti prima che i Cullen se ne
andassero. È un po’ complicato. In pratica, un segugio ha deciso di braccarla,
ma Edward è riuscito ad ucciderlo. Così la compagna di questo vampiro vuole
uccidere Bella. I dettagli non li so raccontare bene.”
“Un segugio?” esclamò papà sorpreso. “Gliene sono capitate
davvero tante. A te non è mai successo.”
“È quello che ho pensato anch’io” dissi concordando con
lui. Alzai le braccia al cielo, per la notizia che avrebbe sconvolto tutti.
“Non è tutto! Il segugio l’ha morsa ed Edward è riuscito
ad estirparle il veleno, senza ucciderla!” Produssi l’effetto desiderato.
“Dici sul serio?” esclamò incredulo papà. Io annuii. Lui
si mise la mano sotto il mento “Bè… è stato molto a lungo in stretto contatto
con un umano. È in parte ovvio…”
“… ma sorprendente” concluse mamma, con evidente sorpresa.
“Sarei parecchio curioso di conoscerlo” commentò papà,
alzandosi.
“Un’ultima cosa” Con forza gli presi i jeans che indossava
e lo obbligai a risedersi. Era essenziale.
“Anche i licantropi sono a conoscenza della faccenda e
stanno proteggendo Bella.”
“Mm, buono a sapersi” mormorò mamma con una certa
indifferenza.
“Solo che... insomma, sono solo dei ragazzi un po’
immaturi. Non si sa mai, potrebbero fare della sciocchezze. Potreste… tenere
d'occhio anche voi Bella?” mormorai con fare supplichevole. Non avevo mai
chiesto un favore così grande; già bastavo io, due erano davvero troppo. Mio
padre ci pensò un po’.
“Io ho un’idea migliore” disse “È da molto tempo che non
mangio un essere umano. Sarà meglio rimediare” Io mi alzai con uno sbuffo.
Odiavo quando scherzavano in quel modo. Mia madre mi costrinse a rimanere
seduta.
“Ed io non ne ho mai assaggiato uno. Uno in due dici che
può bastare?” chiese seria a papà.
“Nel caso avessi ancora sete, ce sempre lei” rispose a
tono papà.
“No, il suo odore è troppo acido”
“Tutto questo per dirmi…?” sbottai interrompendo
quell’orrido scherzo.
“Per dirti che l’avremmo fatto comunque, anche se tu non
ce lo avessi chiesto” esclamò mamma seria “Non vogliamo che nessun abitante di
Forks muoia a causa di un vampiro. ” Io mi rilassai; erano davvero due persone
fantastiche.
“Posso ringraziarvi?”
“Solo se vuoi una doppia razione di solletico” propose
mamma, con un grande sorriso sulle labbra.
“Allora rifiuto” affermai convinta. Mio padre rise
gioiosamente.
“Ma noi te lo facciamo lo stesso.”
Allora? Piacciato questo settimo capitolo? :) Tengo
inoltre a scusarmi se ho pubblicato così in ritardo, causa vacanze, oltre di
non aver avvertito in tempo. Alla prossima!
Il
giorno dopo era una domenica e chiesi a papà di poter andare a
La Push; avrei voluto dire a Jacob com’erano
andate le cose con Bella, cioè benissimo, alla faccia sua.
Mi
svegliai abbastanza presto quella mattina; non era nei miei standard, ma per
quel giorno feci un’eccezione. Mi sbrigai a fare colazione e mezz’ora dopo ero
già a La Push.
Non appena arrivata a casa di Jacob ebbi
una bellissima sorpresa. Scesi dalla moto, sbalordita e a bocca aperta.
Era il pick-up di Bella. Alzai le braccia al cielo e feci saltelli
e movimenti davvero molti imbarazzanti. Fui persino sul punto di abbracciare
quel pick-up se non fosse stato per Billy che mi lanciava strane occhiate oltre la finestra.
Rimasi immobile a braccia alzate.
“Mmhh….” mugugnai, imbarazzata solo
un pochino. Feci un sorrisone a trentadue denti ed
agitai la mano in segno di saluto. Lui si allontanò dalla finestra e poco dopo
aprì la porta. Oh… avevo seri dubbi che avesse qualcosa da dire sulla scenata
di poco prima. Corsi verso di lui.
“Ciao,
Abigail” Lui era un poco sospettoso “Cosa stavi facendo al pick prima?”
“Ehm….”
Ti pareva. Avevo paura che se avessi detto la verità
gli sarei parsa una scroccona, quindi cercai di improvvisare qualcosa su due
piedi.
“Ehm…
stretching” mi limitai io, non avendo proprio niente da dire.
“Ah…”
Lui si confuse, ma sorvolò. “Quindi sei tu la figlia
dei vampiri” aggiunse totalmente serio.
Tò, mi avevano cambiato nome. Da “ragazza vampira” a “figlia
dei vampiri”. Ero stata promossa di grado, grado di
pericolosità, s’intende. Molto probabilmente era Bella la nuova “ragazza
vampira”, data la situazione. Io mi limitai annuire con la stessa serietà.
“Piacere
di conoscerti, allora” mi porse la mano cortese, ma aveva lo sguardo
preoccupato e stranamente all’erta. Ma mi ci ero
abituata; me lo avevano rivolto i licantropi ogni volta che mi avevano vista
fino ad allora. Era lo sguardo che diceva “stai attenta”. E ne
avevo le scatole piene. Tuttavia ricambiai la
stretta e feci finta di non aver notato nulla. Mantenni il sorriso.
“Starai
cercando Jacob, è in garage” mi comunicò lui,
interrompendo così la sgradevole discussione.
“Grazie,
signor Black” dissi, mentre me ne andavo svelta sul
retro della casa.
Sbuffai,
ricordando che lo stavano facendo perché si preoccupavano per me e cercai di
alleviare questo peso paragonando la loro attenzione alle cure troppo
apprensive e soffocanti di una nonna. Riuscii a tirarmi fuori un sorriso da
sola. Che caso umano…
Senza
troppe cerimonie aprii la porta del garage. Edeccoli lì, uno davanti all’altra. Interruppero subito la
conversazione al mio arrivo. Un sorriso mieloso mi incorniciò
il viso, mentre loro non erano affatto sorpresi di vedermi. Mi avevano
sicuramente sentito arrivare e chissà se l’argomento di quella conversazione
non ero io.
“Oh…”
dissi con un tono di voce decisamente innaturale e
mieloso. Mi avvicinai alla Golf di Jacob
e ci appoggiai i gomiti, poi misi la testa sopra i palmi delle mani.
“Che dolce, non trovate? Adesso Bella sa dei miei genitori e dei
licantropi, tu sai che lei sa dei miei genitori, tutti sanno tutto di tutti,
come una piccola grande famiglia felice. Non è commovente?”
”Ciao Abigail” disse Bella a disagio, ma pur
sempre sorridente. Jacob invece sbuffò.
“Ciao
Abigail” Lui invece sembrava annoiato per la mia
scenata.
“Come
stiamo, gente?” dissi mettendomi comoda senza permesso sul cofano della sua Golf, vicino a Bella.
“Stavamo meglio prima” disse lui sarcastico, dandomi uno
scappellotto dietro la nuca per farmi scendere dall’auto.
“Vacci
piano con le bugie, Pinocchio” scherzai di riamando io.
“Allora,
Jacob ti ha accennato il suo prossimo lavoro?” mi
rivolsi a Bella mentre mi tornavo a mettere comoda. Le si dipinse un sorriso in faccia.
“Sì, proprio
ora me ne accennava. Sono pronta a collaborare. Do la
completa disposizione del pick-up” Perfetto! Mi voltai come un cucciolo felice
verso Jacob. Non sembrava molto in forma quell’oggi; era di nuovo stanco.
“Non
lo so. Ci vorrà tantissimo tempo”
“Lo so, me l’hai già detto. Ed io ti
ripeto che non ho fretta. Inoltre non credere che m’intenda solo di moto, so
qualcosa anche di auto; ti posso aiutare.” Lui sbuffò.
“Non
mi sembra un brutta idea. Ovvio, se per te non è un
problema, Jake” mi sostenne Bella, lanciando
un’occhiata a Jacob. Lei però poteva restare seduta sulla Golf… Jacob sbuffò ancora.
“No,
no… va bene” disse sconsolato, a testa basta trovando improvvisamente molto
interessante la ruota posteriore di una delle due moto,
parcheggiate al solito posto in fondo al garage.
“Oh…”
mi uscì improvvisamente. Mi sorprese la velocità che aveva impiegato per dirlo.
Bella aveva davvero un grande ascendente su Jacob.
Qua la cosa puzzava…
“Cosa vuol dire “Ohh…”?” chiese
stufo Jacob. Lo guardai per mezzo secondo negli
occhi, come a volerlo studiare.
“Niente,
niente…” dissi alla fine, sventolando una mano. “E,
per l’esattezza, non dovrai costruire un’auto da zero” precisai cambiando
discorso, con un enorme sorriso sulla faccia.
“La
dovrai solo rimettere a posto; ne ho già comprata una.”
Questo tanto bastò per farlo svegliare completamente e renderlo più inquieto che mai. Non si fidava forse della scelta della mia
auto? Bè, non sapeva quanto si sbagliava. Mi rivolsi
con aria di sfida a Bella.
“Potresti
imprestarmi il pick-up per mezz’ora?” Bella non aveva un’espressione molto
convinta, ma per fortuna aveva imparato a fidarsi di me.
“Io
non lo farei” le suggerii Jacob sospettoso. A quanto pare questo non valeva anche per Jacob.
“Abbi
fede” dissi mentre Bella mi consegnava le chiavi.
Corsi immediatamente fuori.
“Mezz’ora!”
tornai a precisare all’uscita del garage.
Fui
un fulmine, per quanto me lo permettevano gli ottanta chilometri orari, s’intende. Presi il pick-up di Bella; ci misi dieci minuti per
andare da Jackson. Jackson,
non sapevo se era nome, cognome o soprannome, era il vecchio e un po’ andato proprietario
di un negozio di auto usate che vendeva a prezzi
stracciati. Mi sorprese che nessuno mi avesse detto
niente di lui, anche perché aveva della buona roba. Jackson,
con cui strinsi subito amicizia, mi disse che la gente
credeva che le sue auto fossero pericolose e questo non aveva fatto buona
pubblicità e nessuno da un po’ di anni lo consigliava più. Lo scoprii quasi per
caso quella settimana, facendo un giro attorno a La
Push dopo essere stata da Jacob. Là trovai
esattamente l’auto che cercavo; non era nelle condizioni per essere guidata,
certo, ma per questo c’era pur Jacob. Con quell’auto eravamo già a metà del lavoro. Appena arrivata salutai Jackson e mi
aiutò a fissare al paraurti del pick-up l’auto che avevo comprato.
Ritornai
a casa di Jacob cinque minuti prima
del previsto. Questa volta mi aspettavano direttamente davanti alla piccola
casetta rossa. Scesi dal pick-up con un soddisfatto sorriso a trentadue denti
stampato in faccia per la felicità. Adoravo quella macchina.
“Bhè?” dissi fiera del mio acquisto. Sentii Jacob fischiare, mentre si avvicinava a lei, studiandola. Bella
invece manteneva le distanze, un po’ confusa.
“Dov’è che l’hai presa?” disse Jacob
realmente interessato questa volta.
“Da Jackson per soli cinquecento dollari”
“Jackson?! Sul serio?!” si stupì
lui guardandomi negli occhi “È solo un vecchio pazzo con qualche rotella fuori
posto. Non credo avesse queste robe!” Io feci spallucce.
“Mi
ha anche assicurato che potrebbe procuraci qualche pezzo…” Jacob
sghignazzò.
“Immagino
in che condizioni, non le stesso dell’auto, spero”
disse lui, dando un’ultima occhiata alla macchina “Davvero complimenti, Abigail.” Gli sorrisi orgogliosa; l’avevo ormai del tutto
convinto a procedere.
“Scusate,
io non me ne intendo molto di auto, ma non è un po’…
vuota?” se ne uscì Bella, che fino ad allora se n’era stata zitta. Non aveva
tutti i torti; era una vecchissima Cadillac Eldorado del 59, dal colore non
definibile, che praticamente non aveva niente; né
fari, vetri, sedili, cinture di sicurezza, per non parlare del motore.
“Ha
una buona struttura, però, è solida” le spiegò Jacob,
mentre staccava l’auto dal pick-up e la trascinava dentro il proprio garage con
la sola forza della braccia. Rimasi ancora una volta impressionata
e non per il trasporto dell’auto; Jacob aveva
guardato Bella in un modo un po’… trasognato. Guardai Bella, che notandomi mi
fece un sorriso. Mi nacque un piccolo dubbio, che si sarebbe poi ingigantito
enormemente; quanto erano amici quei due?
Jacob, che ancora non aveva smesso di guardare interessato
la mia Cadillac, cominciò subito a lavorare. Diede dapprima un’occhiata
approfondita e della salute alla macchinamentre nominava ad alta voce le cose
che servivano, molte. Io ero seduta vicino a lui e scrivevo su un pezzo di
carta l’elenco delle cose che mancavano. Bella invece se ne stava accovacciata
sul sedile della Golf. Mi domandai se non si sarebbe
annoiata a stare lì seduta; questa era in effetti una
cosa che non avevo programmato, cioè quale sarebbe stato il coinvolgimento di
Bella nella costruzione, se lei stessa aveva affermato che di auto ci capiva
davvero poco. Glielo domandai e lei mi rispose che guardarci lavorare la rilassava
e che non dovevamo tanto badare a lei. Seguii, anche se con molti dubbi, il suo
consiglio.
Avevamo
appena finito il controllo generale che Jacob si accasciò per terra distrutto. Io mi distesi vicino a lui,
mentre Bella si alzò dal sedile.
“Per
oggi basta così” mormorò distrutto, ad occhi chiusi. Aveva la faccia di un
bambino, quando era stanco.
“Perché non dormi Jacob? Dovresti farlo di più” disse Bella in pensiero.
“Lo
sai perché” replicò lui improvvisamente serio.
“Sam potrebbe anche…” Jacob aprì gli
occhi di scatto e si tirò immediatamente su. Io invece, che avevo scoperto
quanto fosse comodo stare sdraiati in quel punto,
rimasi lì.
“Sam è il capo, non posso disobbedirgli” fece lui
categorico, con tono deciso e duro verso Bella.
“Ehm…
ragazzi, scusate l’interruzione” intervenni io, ad occhi chiusi, ancora in
quella posizione, per rompere la tensione “Non credo ancora di capire bene,
bene, bene il vostro argomento di conversazione.”
“I
licantropi danno la caccia a Victoria giorno e notte, ma essendo anche umani,
poi sono stremati” mi spiegò Bella irritata. Ah, ecco
il motivo della sua brutta cera. Mi tirai su a sedere.
“Come
state procedendo?” chiesi seria. Jacob ritornò
sdraiato accanto a me, sempre ad occhi chiusi. Non era però
tanto stanco quanto l’altra volta e non credo si sarebbe addormentato.
“Insomma…
Sappiamo dov’è, ma non appena ci avviciniamo scappa e dobbiamo ricominciare da
zero. Ieri l’avevamo quasi presa…” Mi tirai su in piedi, un
poco indispettita.
“Se
aveste accettato la proposta di alleanza di mio padre
adesso stareste facendo progressi” reclamai acida e preoccupata per la sua
salute. Balzò a sedere anche Jacob.
“Senti, Abigail, conosci già la
storia. Inoltre non posso farci niente, anche se volessi;
non posso contrastare il mio capo branco!” Jacob
quasi abbaiò e mi fece ricordare che avrei potuto affrontare l’argomento con
più gentilezza e tatto.
“Non
mi sembra poi che i tuoi genitori si diano tanto da fare” replicò lui,
arrabbiato. Forse non se n’era accorto, preso troppo dalla rabbia, ma li aveva
chiamati “genitori”, non vampiri, succhiasangue o dispregiativi del genere. Per
quella piccola cosa mi acquietai un poco, ma non smisi per questo di
litigare/discutere con lui.
“Si
dia il caso che, visto che oltre a circa tremila persone si trovano a Forks ed essendo inoltre solo in due, è molto più saggio
restare in quella zona, invece di girovagare e giocare al gatto e al topo, no?”
insinuai io. Lui incrociò le braccia guardandomi con aria di sfida. Bene, io e
lui dovevamo litigare, sempre, per quel particolare motivo, persino davanti ad
altre persone. Era proprio destino.
“Oh…
sentiamo allora che cos’ha da dire la maestrina.”
“È
perfettamente inutile che il gatto, insegua il topo; ci sono troppo buchi nel
muro, dove si può nascondere. È molto più sensato attirarlo
con un pezzo di formaggio, no?” risposi io, guardandolo fisso negli
occhi, con tono appunto da maestrina.
“Sono
proprio curioso di sapere chi può essere il pezzo di formaggio. Bella, forse?
Te lo scordi! Ancora ancora se il formaggio sei tu.”
Ora Jacob si stava davvero arrabbiando ed anch’io ne avevo piene le scatole. Era arrivato il momento di
finirla.
“Senti…”
Qualcosa mi bloccò.
Aspetta,
aspetta, non era male come idea. Io facevo da esca, il
vampiro braccava me, il vampiro poi veniva fatto a
pezzettini da vampiri e licantropi in agguato e tutti erano felici e contenti. Non era affatto una brutta idea! L’unico problema era che
l’esca ero io. Bhè, d’altronde se lo scopo era di salvare Bella, lo avrei fatto senza problemi. Non ero
sicura al cento per cento dei pericoli che potevo
incorrere; bisognava studiare un piano come si doveva per capirlo. Poi pensai alla
mia iperprotettiva madre; fu allora che buttai questa idea
nel cestino. Inoltre c’erano solo i miei genitori ed io, oppure io ed i
licantropi, al massimo, perché non si poteva parlare di alleanze
e patti vari. No, non poteva assolutamente funzionare.
“Ora
basta, smettetela” urlò Bella imbarazzata, che fino ad allora
se n’era stata in disparte ad osservare lo spettacolo, mentre i suoi occhi
avevano guizzato per tutto il tempo da me a Jacob.
“Sembrate una vecchia coppia di sposi”
“Non
sono io che ho cominciato!” Io e Jacob ci guardammo negli occhi spaventati per la nostra inaspettata
sincronia.
“No,
anzi, mi ricredo, due bambini” commentò lievemente disgusta
Bella, ma con un sorriso sornione sulle labbra.
“Forse
è meglio se vado, così potete litigare quanto volete” disse lei alzandosi e dirigendosi
verso il garage.
“Già,
si è fatto tardi anche per me” dissi, convenendo che era
una salutare idea per me salutare in quel momento Jacob.
“Aspetta,
te ne vai di già?” Di nuovo quella eccessiva
preoccupazione nella voce mi fece pensare. E non solo
quello…
“Scusa, sei dispiaciuto che lei se ne vada, ma non lo sei per
me?” dissi a metà tra l’arrabbiato e l’offeso. No, con lui non potevo non
litigare. Lui mi si avvicinò con un sorriso beffardo stampato in faccia.
“Tu
potresti anche andare, cara mogliettina” Ricambiai il sorriso, stando al gioco.
“Come
vuoi tu, caro maritino. Aspetta solo che ti dia un bacio”
Mentre ancora stavo parlando presi con entrambe le mani il suo faccione
e stampai sulla sua guancia una slinguazzata.
“Ehi!”
Si lamentò lui, indietreggiando da me.
”Ci vediamo, bel maschione.” Prima di uscire dal
garage mi avvicinai a Bella, che stava ridendo per la scenetta, e le diede un
vero bacio sulla guancia. Era strano; non mi risultava essere mai stata così
affettuosa con una persona. Quel giorno, però, inspiegabilmente mi andava.
“Ciao,
ciao” salutai uscendo.
Passò
in questo modo marzo, ed arrivò aprile. E questo
voleva dire finalmente vacanze pasquali. Mi sentivo decisamente
molto più rilassata senza la scuola ed il corso di break dance; avevo infatti
deciso di far godere questi giorni di vacanza anche ai bambini. Concentrai
quindi tutte le mie energie sulla macchina, continuando a farmi tenere
informata della situazione dai licantropi. Possedevo un grande
quadro generale della situazione, visto che anche i miei genitori mi tenevano
informata. Sembrava che la sua area di attacco si
stesse allontanando sempre più da Forks, anche se
ancora non demordeva. Dovevo ammettere che anche senza due vampiri esperti i
licantropi se la stavano cavando bene. Non era però
questo un buon motivo per esultare; Bella doveva ancora subire la tensione.
Quello
del vampiro, anche perché io di per me non potevo fare
molto, fu un argomento che non mi tenne molto occupata. Piuttosto erano i
lavori della macchina che mi facevano pensare. Passai quasi ogni giorno da Jacob, ma il più delle volte eravamo
solo io e Bella, perché il signorino era a correre per i boschi. Anche Bella venne da Jacob quasi
ogni giorno, sempre a guardarci o guardarmi lavorare alla macchina.
Solo
dopo capii il motivo di quella sua permanenza, non molto differente dal mio;
visto che c’era un vampiro che voleva ucciderla in circolazione, stare a La Push dai licantropi erano buone misure di sicurezza. Inoltre
ad entrambe ci piaceva stare qui, quindi problemi non c’erano. Stammo quindi molto tempo insieme, parlando più che altro del più e
del meno, della nostra infanzia, argomenti del genere, insomma. Non
toccammo mai il tema “Edward”, ma era straordinario quanto fosse diventata serena.
Non
volendo però ancora credere come si potesse divertire guardandomi
non restai a lavorare tutto il tempo; tenni fede alla promessa di insegnarle
come si guida la moto, facendo così delle pause per distrarmi dall’auto.
Facevamo piccoli giretti per La Push, e dovevo dire
che Bella non se la cavava affatto male con la moto. Jacob
doveva averle insegnato bene l’abc.
Non
era l’auto in sé stessa a preoccuparmi; ero riuscita a
combinare da Jackson dei pezzi in buone condizioni,
mentre Jacob e Bella erano andati a prendere qualcosa
dalla discarica con il pick-up. Anzi, ero più che contenta
di come si stava trasformando la mia Cadillac. Ad insospettirmi era come si
comportava Jacob con Bella; alla fine l’avevo capito.
A convincermi sorprendentemente era stato Mike, che
non c’entrava assolutamente nulla con quella storia. A scuola si sapeva che
Bella si vedeva con Jacob, oltre a sapere che anch’io
lo frequentavo. Il commento poco carino di Mike, quasi
seccato, riguardo al fatto che Jacob era cotto di Bella mi convinse. Cioè, mi fece
davvero pensare; era ovvio che quello di Mike era
stato un semplice attacco di gelosia. Sbavava quando
stava con Bella. Tuttavia non aveva avuto tutti i
torti. Pensando a come si comportava con lei, gli sguardi, il tono della voce, i
sorrisi alla fine sono giunta che solo un cieco non
poteva non notare che Jacob era cotto di Bella.
Fui un poco gelosa; non intendevo dire che Jacob
mi piacesse, solo che a confronto lui mi trattava come una gomma usata; era
vero che io ricambiavo con gli interessi il suo comportamento, ma capii alla
fine che non ci potevo fare niente. Jacob era il tipo
di persona con cui non potevo non relazionarmi in quel
modo; ad essere sincera poi ci divertivamo tantissimo quando facevamo gli scemi;
non potevamo essere seri. Ma questo non giustificava
il senso di gelosia.
Non
capivo però cosa volesse fare Bella. Ero sicura che lo avesse notato; insomma,
non era né stupida, né cieca, quindi quando le cingeva le spalle in quel certo
modo, doveva per forza pensarla così. La cosa che mi rendeva
scettica era che sapevo con certezza che Bella non ricambiava; c’era sempre Edward, ma questo non gli impediva di comportarsi così.
Non riuscivo a capirlo e neppure volevo pensare male di lei, anche se c’erano
parecchie cose misteriose. Se era bisognosa di attenzioni
da testosterone, doveva però tenere conto che così lo illudeva.
Fu
così che un giorno, invece di parlare del più e del meno, affrontammo
l’argomento.
“Senti”
biascicai, mentre ero intenta ad oliare le portiere “posso
chiederti una cosa?”
“Certo”
mi rispose lei, seduta sul cofano della Golf. Io smisi
di lavorare e mi appoggiai sulla mia auto. Decisi di prendere la via più
indifferente possibile.
“Jacob per caso ha una cotta per te?” Potevo fare di meglio,
per quanto riguardava il tatto. Lei si rannuvolò quasi subito e staccò gli
occhi me.
“Credo
di sì” mormorò a testa bassa. Traduzione: un sì convinto.
“Ma tu non ricambi, però neppure lo scoraggi” continuai,
riuscendo ad esprimere i miei pensieri in poche parole. Lei corrugò le
sopracciglia.
“Per
me Jacob è come un fratello, niente di più. Gli ho
anche cercato di dire che non può funzionare, ma…” si
interruppe, alzò la testa e mi guardò.
“Tengo
troppo a lui.” Ah… comprensibile il suo indeciso comportamento; aveva paura di
perderlo. Non era quindi una semplice amicizia, esattamente come avevo
immaginato. Solo che Bella lo considerava come una sorta di
fratello, mentre Jacob la considerava come un’altra
cosa. Bella si strinse alle spalle.
“Quando se n’è andato Jacob è stato
la mia unica ancora. Fino a che non sei arrivata tu.” Mi commosse la sua
seconda frase.
“Con
lui mi sento davvero bene, anche se i suoi gesti io li interpreto in un modo,
mentre lui in un altro.” Tornò a guardarmi sorridendo.
“Anche per te è la stessa cosa; anche con te mi sento davvero
bene” Io ricambiai il suo sorriso, abbassando la testa.
Caspita,
mi aveva appena confessato che teneva a Jacob quanto teneva a me. E a Jacob teneva
molto.
Non
c’era poi da stupirsi; quando Edward se n’era andato
doveva stare davvero male. EJacob
era stato il primo a porgerle la mano per farla rialzare e le era stato accanto.
Lo dicevo che era un bravo ragazzo; peccato che la sua
mente oltre di buon cuore era piena di testosterone. Bella alla fine stava
cercando di essere felice, anche se Jacob si stava illudendo, nonostante Bella glielo aveva
detto che non avrebbe contraccambiato.
Il
problema ora diventava Jacob; era lui che doveva
capire e mettersi in testa che non sarebbe successo niente. Sapevo che sapeva di Edward; forse era sicuro che
senza di lui aveva il via libera? Oppure non era una
semplice cotta ed era ben intenzionato a raggiungere il suo scopo? Avrei dovuto
parlargli uno di questi giorni riguardo l’argomento,
da buona amica.
“Ah…
ti devo dire un’altra cosa” se ne uscì improvvisamente Bella, cambiando
argomento e facendomi sfuggire da un prossimo arrossamento. Dal tono serio
della sua voce era qualcosa di importante.
“Io e
Jacob ieri abbiamo parlato
di te. Jacob mi ha fatto un po’ di domande; ho
risposto quello che mi hai detto tu. Mi sembrava corretto
dirtelo” Si fece improvvisamente imbarazzata. Io mi confusi.
“Che tipo di domande?” Lei respirò profondamente.
“Mi
ha chiesto se diventerai un vampiro.” Mi stupii di non
averci pensato prima; per loro era essenziale sapere i numero
di vampiri da tenere sottocontrollo… oltre a preoccuparsi per me, ovvio.
“Ah…
perché non l’ha chiesto direttamente a me?” Mi sembrava
che potevamo parlare liberamente di questo argomento; fino ad allora non ci
eravamo risparmiati, in ogni senso. Lei mi guardò malinconica.
“Era
davvero convinto che lo saresti diventata. Voleva prima parlarne con me per
sapere come avrebbe dovuto reagire. Stava dando scintille. Si è calmato immediatamente quando gli ho detto che non è tua intenzione
diventare un vampiro.”
Io
scossi la testa; poteva evitare di fare tutte quelle scenate. Era inoltre incluso
nel patto con i licantropi che i miei genitori non avrebbero potuto mordere
alcun essere umano. Non capivo i suoi sbalzi d’umore, né la sua
preoccupazione. Inoltre, anche se fossi diventata un
vampiro, che problema ci sarebbe stato? Io sarei rimasta sempre Abigail, solo più… tutto. Ci misi un po’ per ricordarmi che
il suo comportamento aveva un senso, se prendevo in considerazione la sua
ottica sul vampirismo. Avevamo opinioni del tutto opposte,
quindi, dopotutto era comprensibile non riuscire a capire la sua
reazione. Però un sorriso mi uscii lo stesso; se stava
andando di matto, allora voleva dire che almeno un pochino di me gliene
importava.
“Quindi, non… ci sei rimasta male.” Guardai più confusa di
prima la sua espressione indulgente.
“No,
perché scusa?” Questa volta a confondersi fu lei.
“Tu…
non…?” si interruppe subito. “Oh… no, niente, lascia
stare.” Avrei tanto voluto leggerle nel pensiero, perché al momento non
riuscivo a capire proprio nulla di quello che stava dicendo.
“Cosa c’è?” domandai sospettosa. Lei agitò una mano
nell’aria.
“No,
mi sono sbagliata” disse cominciando ad arrossire e a sorridere “Pensavo che… a
te piacesse Jacob” Lasciai perdere
l’auto e mi concentrai esclusivamente su di lei. Cos…?
“No!”
esclamai forte “Hai ragione, ti sei completamente sbagliata.”
Io? Jacob? Ma dai!! Non mi
dava da pensare quello che aveva detto, quanto perché lo aveva pensato.
“Scusa
perché credevi che fosse così?” Lei fece spallucce
imbarazzata.
“È
che… non ti ho mai vista divertirti tanto insieme qualcuno. Poi pensavo che gli
sguardi che gli lanci…” si interruppe saggiamente a
metà. Aspetta, aspetta, quali sguardi? Non lo guardavo
in nessun modo particolare! Oh… bene. Davo quindi l’impressione di essere cotta
per JacobBlack.
“Sai,
ci sono rimasta un po’ male…” confessai guardando il
soffitto.
“Hai
ragione. Comunque, è solo un mio errore…” si
giustificò lei.
“Sì,
ma se do lo stesso tipo di impressione ad altre
persone? E se do questa impressione a lui?” esclamai
dando libero sfogo ai miei dubbi “E poi, scusa, ma come lo guardo?” Mi ero
avvicinata lentamente a lei.
“Può
essere solo un mio punto di vista, ma… lo guardi come se fossi…
assorta. A scuola non guardi nessuno in quel modo.”
Mi
confuse ancora di più. La cosa non mi piaceva, per di più era
inquietante. Mi sedetti per terra, con una mano sotto il mento, riflettendo che
tipo di sguardo potevo avere.
“Ehi,
Abigail. Non dare troppa importanza alla cosa.”
Sentii la mano di Bella sulla mia spalla. “È solo una mia impressione. E poi,
quello che conta, è che ci sia chiarezza tra voi due.”
Alzai la testa, guardandola negli occhi. Sembrava una zia che stava
rassicurando la propria nipote dei suoi problemi di cuore. Aveva
ragione, cavolo, aveva ragione. E mi stavo
comportando come un’ingenua.
Mi
rialzai e passammo la successiva mezz’ora a lavorare alla macchina. Quando si
stava per fare sera decisi di andare a casa, mentre
Bella decise di aspettare ancora Jacob, che era
ancora in giro.
Mentre
sfrecciavo verso Forks i
miei pensieri erano tutti concentrati lì. Io essere cotta di Jacob?! No, era troppo
improbabile. Era una cosa paranormale, impossibile, al di là
di ogni facoltà umana e non. A me non poteva piacere Jacob!
Non avevamo quel particolare tipo di rapporto! E non
provavo assolutamente nulla per lui. No, Jacob non mi
piaceva, assolutamente no, per niente. Non covavo alcunché
per lui e non provavo niente del genere. Niente. NIENTE….
Il
giorno dopo mercoledì si apprestava ad essere una brutta mattina. Quando mi alzai ero parecchio agitata per il sogno che avevo
fatto. Per la prima volta avevo sognato Jacob, seppur
non ricordassi niente. Bastò la sua sola immagine impressa nel cervello a
scatenare tutta quella agitazione. Era strano che
sognassi persone; era già tanto se sognavo. Insomma,
non ero stata tanto entusiasta della sua comparsa anche nel cuore della notte.
Pensai che doveva essere dovuto all’argomento di ieri
che mi aveva assai sconvolto e niente di più.
Me la
presi comoda e trascorsi la mattina in piccole cose: feci un’abbondante
colazione di biscotti, manutenzione alla moto, cercai
di dimenticarmi di Jacob. Aspettai il
pomeriggio prima di andare a La Push.
Arrivai
abbastanza presto a casa di Jacob. Ed
ovviamente lui non c’era. La cosa stava cominciando a darmi sui nervi; quel
ragazzo non viveva! Aveva bisogno di riposo e svago. Scommettevo che era un
fascio di nervi. Pensavo di parlarne con Sam riguardo
il suo metodo, che effettivamente stava funzionando,
seppur con grandi sprechi di energia e tempo. Poi però, pensando che avrebbe
avuto tutto il diritto di ridermi in faccia, in quanto chi mai ero io per
criticare le sue mosse, capii che era già una battaglia persa.
Quel
giorno non sarei riuscita proprio a fare niente senza Jacob;
ero arrivata a un punto delicato contro cui la mia
esperienza non poteva competere. Inoltre avevo anche bisogno del pick-up di
Bella per portare da Jacob alcuni pezzi nuovi che ero riuscita a comprare con i soldi di break dance.
Alla
fine, da vera illusa, i miei genitori avevano scoperto i miei piani per l’auto
e ne erano rimasti tanto orgogliosi da farmi
imbarazzare. Non furono tanto entusiasti di sapere che il meccanico era un
licantropo, ma non sembrava che avessero nulla in contrario; non provavano alcun
apparente ed insensato odio contro i licantropi, essendo esseri comprensivi di
mentalità aperta a differenza di qualcun altro, quindi furono ben lieti di
sostenere i miei desideri. Ecco, se i licantropi avessero solo una minima parte di versatilità dei miei genitori, le cose
andrebbero molto diversamente.
Passai
a dare un saluto a Billy e, mentre aspettavo Bella,
intavolai persino una conversazione con lui. Non era così
ansioso e diffidente come la scorsa volta, ma molto più calmo e sereno.
Evitammo di parlare della mia famiglia e ci concentrammo piuttosto su Jacob. Venni a sapere che a casa, le poche volte che era
lì, non faceva altro che parlare di me, non in relazione alla
mia famiglia, ma di me e basta. Billy mi disse che mi criticava e sparlava di me tutto il tempo, e
più di qualche volta si arrabbiava davvero. Ne fui sorpresa, ma allo stesso
tempo ci rimasi davvero male. Inoltre non capii perché Billy
aveva da ridere così tanto. Mi disse poi che Jacob era un ragazzo complicato e parlava in questo modo
solo riguardo alle persone a cui in realtà teneva davvero. Mi guardò con uno
strano barlume negli occhi quando lo disse. Io mi
limitai a scuotere la testa esasperata.
Non
passò molto tempo prima che Bella arrivò. Quel giorno
non aveva neanche lei molta voglia di guardarmi a lavorare, perciò mi propose
un’alternativa; andare a trovare Emily.
Bella mi raccontò che Emily era la ragazza di Sam, aveva tanto sentito parlare
di me e le sarebbe piaciuto conoscermi. Io accettai, curiosa della visita. Mi
sorprese che un personaggio come Samavesse qualcuno, poi però Bella durante il viaggio in
macchina, mi informò di altri particolari; Emily era
l’anima gemella di Sam, colei con cui lui aveva avuto
l’imprinting. Iniziò persino a raccontarmi la storia di Sam, ma solo alla fine
capii il perché. Sam era stato il primo licantropo
del branco a trasformarsi. Era solo, senza che qualcuno gli potesse spiegare cosa gli stesse succedendo. Perdendo il controllo ferì così Emily, che fu costretta a
giustificare le cicatrici sul suo viso con un attacco di un orso. La semplice
spiegazione di Bella mi resa cupa ed inquieta. Quindi
anche i licantropi possono perdere il controllo. Mamma e papà avevano ragione. PeròSam era solo, invece adesso
c’era un intero branco. Ero più che sicura che con me non sarebbe successo e
neppure con Bella. Ripensai all’incontro con Paul; se
fossimo stati da soli mi avrebbe scannata viva, ma
c’erano i suoi compagni, quindi non era successo nulla. PeròSam amava davvero Emily. Mi
cominciava a fare compassione; non era mr. Simpatia,
ma ne aveva passate di cotte e crude.
In breve
arrivammo davanti ad una piccola casetta, davvero carina. Era un po’ scrostata
in alcuni punti, ma il giardino che la circondava era davvero splendido.
C’erano tantissimi piccoli fiori pronti a sbocciare. Bella mi guidò verso la
porta, che aprì non appena una voce femminile la invitò ad avanzare. Subito
dopo la porta c’era la cucina, piccola, ma il profumo di biscotti mi fece
venire l’acquolina alla bocca.
“Tu
quindi sei la figlia dei vampiri” Mi volsi verso quella voce cristallina. La
giovane ragazza davanti a me era davvero bella; aveva la pelle color cannella,
gli occhi ovali e neri risplendevano e le labbra piene si aprivano in un
sorriso. Purtroppo il tutto era rovinato da tre evidenti cicatrici che le
fregiavano tutto il lato destro. Sentii di nuovo brividi
percorrermi la schiena. Io sfoderai il mio sorriso sghembo.
“Sì, ma
preferisco Abigail” dissi porgendole la mano. “Avete
davvero una scalmanata fantasia per inventarvi questi soprannomi” commentai
sperando di non sembrare offensiva. Sentii la sua splendida voce melodiosa
ridere.
“Io
sono la ragazza vampiro” disse Bella, confermando le mie supposizioni.
“E io la ragazza lupo” continuò Emily.
“È un vero piacere conoscerti. Ero desiderosa fare la tua conoscenza.”
Era
davvero strano che un membro del popolo Quileute mi
rivolgesse tutta questa gentilezza. Mentre
conversavamo cucinava; stava preparando un’enorme quantità di pasta all’uovo.
Mi domandai per un momento se doveva preparare un matrimonio con
tutta La Push.
“Vuoi
un biscotto?” Mi parò davanti agli occhi un vassoio pieno di enormi
biscotti al cioccolato appena fatti. In preda alla gola alzai la mano e
timidamente ne presi uno.
“Grazie”
dissi in un sussurro. Mordicchiai il bordo assaporando il sapore. Ben presti i piccoli morsetti si trasformarono in morsi voraci.
“Allora,
cosa ne pensi dei licantropi?” chiese dopo aver offerto i biscotti anche a
Bella.
“Un
branco di enormi adolescenti iperpompati” Lo dissi
quasi senza pensarci. Anzi non ci avevo affatto
pensato; ero tanto abituata ad avere una certa opinione di loro che mi veniva
automatico. “Simpatici” riuscii a concludere in tempo
per salvare almeno un po’ di contegno. Entrambe si misero a ridere.
“Per
l’enorme ti do ragione” mi rispose Emily, mentre si
passava una mano sulla fronte “Mangiano come dei bisonti”
Fu
allora che capì che molto probabilmente tutta quella quantità di impasto era per loro.
“Vuoi
dire che quello è tutto per loro?” chiesi totalmente
allibita. Indicando la pasta. Bella vicino a me annuì con l’aria di una che la
sapeva lunga.
“Caspita!”
esclamai “E dove la mettono tutta quella roba?!”
“Me
lo sono sempre chiesta…” fece Emily scuotendo la testa “Ma mi piace occuparmi di loro”
“Se fossi in te, io mi farei pagare” proposi seria.
“Forse
dovrei davvero farlo!” La sua risata fu improvvisamente interrotta dalla porta
che sbatté contro la parete.
“Emily” Era la voce autoritaria di Sam.
Solo che questa volta non era autoritaria, ma stranamente
gentile e dolce. Metteva i brividi. Scrutò prima me e poi Bella,
soffermandosi in modo particolare su di me. Poi però si rilassò.
“È un
piacere rivederti, Abigail” È un
piacere rivederti viva, voleva forse dire “Bella” disse facendo un cenno
verso di lei.
“Ciao
Sam” dissi molto sciolta. Qualcosa nell’atmosfera cambiò quando gli occhi di Sam
incontrarono quelli di Emily. Era come se la stanza
si fosse riempita di piccoli cuoricini rosa. L’abbracciò protettivo la schiena,
mentre non si staccavano ancora gli occhi di dosso. Si erano ormai estraniati
in un mondo tutto loro. Io guardavo la scena con un certo disgusto ed anche
Bella vicino a me sembrava non gradire molto. Mi voltai indietro, mettendomi un
dito in gola. La scena era tanto mielosa che i miei livelli di glucosio stavano
andando alle stelle. Bella mi diede una gomitata per farmi smettere, anche se
le uscì un sorrisino.
Quando finalmente si staccarono fu Bella stessa a salutare,
risparmiandoci una scena così mielosa.
Andammo
quindi alla spiaggia. Non pioveva, ma sarebbe cominciato
sicuramente da un momento all’altro. Quel giorno vedevo Bella più pensierosa
del solito. Mantenni una certa discrezione, finché non superammo i cinque
minuti di silenzio.
“Ti
vedo un po’ giù” Lei schioccò la lingua.
“Sono…
un po’ agitata”
“Per
cosa?” Lei alzò gli occhi al cielo e prese fiato.
“Per
cominciare un vampiro mi sta dando la caccia e un branco di licantropi, oltre a
due vampiri, stanno rischiando la vita per me. Mio
padre e la polizia credono che ad aver provocato le uccisioni siano orsi e
quindi se ne vanno a caccia di animali, mentre potrebbero imbattersi in ben
altro. Non so che fare con Jacob e poi… mi mancano”
La guardai seria, aspettando che finisse il suo elenco
di preoccupazioni. Bella era il genere di persona che si faceva tanti problemi
per niente.
“Allora”
incominciai prendendola a braccetto, mentre camminavano avanti ed indietro per
la spiaggia.
“Promettimi
che non ti farai più condizionare dalla storia di questa Victoria. Numero uno,
ci sono già licantropi e vampiri che sono già abbastanza preoccupati, ed altra
preoccupazione non serve a niente. Numero due, i miei genitori sono dei
bracconieri più che qualificati e fidati se ti dico
che lo sono anche i lupi.” Riuscii a strapparle un sorriso.
“Per
quanto riguarda Charlie, i miei genitori stanno
tenendo d’occhio Forks e chi ci abita. Quindi di Charlie se ne occupa la mia
famiglia.” Feci una pausa per riprendere fiato.
“Poi,
in quanto a Jacob… bhé, che
si arrangi e…” la guardai improvvisamente con sguardo mieloso, cercando di
simulare lo stesso sguardo di Sam di poco prima “non
posso essere io un valido sostituto di Edward?” dissi sfoderando il mio sorrisino sghembo. Bella
mi guardò per un secondo inespressiva, per poi
mettersi subito a ridere.
“Che idiota che sei!” esclamò cominciando a darmi degli
spintoni. Continuò così per cinque minuti buoni.
“Che ne dici se ti presento i miei genitori domani?” esclamai
all’improvviso, sia per l’immediatezza dell’idea, sia per risparmiarmi da
quella tortura. Lei infatti smise subito; ci pensò per
alcuni secondi, abbassando lo sguardo e diventando seria. A loro avrebbe fatto
sicuramente piacere conoscere la mia prima amica di Forks,
ma soprattutto chi stavano proteggendo.
“Va
bene” Sollevò lo sguardo e parlò con sguardo deciso.
Era almeno sicura di quello che stava facendo; volevo evitare che prendesse
molte batoste.
“Ciao”
Mi voltai verso la voce di Jacob, che stava correndo
verso di noi. Era la prima volta che lo vedevo quella settimana.
“Oh…
ciao, Jacob! Ti ricordi ancora di noi? Le tue amiche Abigail e Bella? Io sono Abigail,
mentre lei e Bella.” Si fermò davanti a me, lanciandomi un pericoloso sorriso
ironico, mentre se ne stava a braccia incrociate. L’armadio
e la bambina. Scosse ancora la testa, con quell’aria
pericolosa.
“Tu
rompi troppo” Si abbassò prendendomi le gambe. Io caddi automaticamente sulla sua
spalla.
“Se non mi metti giù subito, ti rompo io qualcosa!” gli
gridai, pur non riuscendo a veder niente a causa dei capelli sulla faccia.
“Senza
dire qualcosa di poco gentile tu non riesci a superare la giornata, vero?”
Parlava ancora con quella voce sarcastica e cinica. “Voglio solo ricambiare,
per dimostrarti il mio amore” Lo sentì muoversi.
“Non
le fare male!” Sentii la voce di Bella preoccupatamente lontana. Cominciai a
scalciare, per liberarmi dal sadico sotto di me. Colpii con il ginocchio una parte di lui, che non seppi identificare.
“Ahi!”
Una fitta di dolore mi obbligò a star ferma. Giusto, i licantropi sono più
forti e resistenti. Non era però una giusta ragione per sottomettersi alla loro
volontà!
“Attenta,
che gambe e braccia ti serviranno” Ora il signorino aveva cominciato a
sghignazzare. Ed io ad arrabbiarmi. Cosa diamine stava
facendo?! Non sentii più la voce di Bella, il che dava
da preoccuparmi.
“Spero
che tu sappia nuotare, pesciolino” Sbarrai gli occhi. No, non poteva essere
serio. L’acqua era gelata e mi sarei presa un febbrone
da cavallo. Addio al resto delle vacanze pasquali. Tutta per colpa sua.
“Non
osare farlo” dissi severa a denti stretta. Ma
figuriamoci se gli avrei messo paura. “Mettimi giù”
Già sentivo lo scroscio delle onde. Lui sghignazzò.
“Va
bene” E mi buttò giù.
“No, Jacob!” Gridai, aspettandomi di bagnarmi. Caddi invece su
una parte di spiaggia fatta di sabbia. Mi guardai disorientata; il mare era
molto lontano. Lui davanti a me si stava tenendo gli addominali, piegandosi in
due. Più in là Bella stava scuotendo la testa. Molto probabilmente ci stava
dando dei bambini.
“Ci
sei cascata appieno!” guaì lui, che non accennava a calmarsi.
“Brutto
stupido, questa me la paghi!” Lui ci poteva trovare qualcosa di divertente, ma
io no. Non per quello scherzo. Mi stavo cominciando
ad arrabbiare davvero ed il fatto che lui non si calmasse non contribuiva a calmare
me. Decisi di sguinzagliare il mio lato assassino; dato il soggetto credevo che gli avrei fatto a malapena il solletico. Con un
balzo gli saltai sulla schiena, afferrandogli la gola con le braccia,
strozzandolo. Lui sembrava ridere ancora di più, mentre si muoveva verso Bella.
“Cos’è
questo tentativo, scimmiotta?” Cavolo, questi
licantropi avevano muscoli persino sul collo, ancora un po’ molto più potenti
di quelli delle mie braccia. Mi prese le mani e sciolse la mia presa come
niente. Io caddi a terra, che adesso era tornata ad essere ciottolata.
“Potevi
anche evitare di farlo” disse Bella con rimprovero.
“E rinunciare a tutto questo divertimento?” O la smetteva di
ridere, o la smetteva. Io mi tirai su, a braccia incrociate mi misi vicino a Bella, guardandolo in cagnesco. Era una vita che
pensavo ad assurdi metodi per farla pagare ai vampiri, anche se senza successo,
e ora ecco a mettersi in mezzo anche i licantropi.
“Comunque” sembrava essersi finalmente calmato “Ho chiesto a Sam mezza giornata di pausa per domani. Gli altri
riusciranno a sopravvivere anche senza di me.”
“Solo mezza giornata? Ehi, potresti chiedere molto di più;
almeno due settimane, per tutti gli straordinari che state facendo. Dì un po’,
voi i sindacati non ce li avete?” Era inevitabile, anche arrabbiata dovevo mostrare quanta zucca avevo nel cervello. Risero
entrambi, ma non ci badarono molto.
“Pensavo
che domani potremmo fare qualcosa di divertente; ci
possiamo tuffare dagli scogli, ricordi che te lo avevo promesso? L’acqua sarà
sicuramente molto meno fredda di oggi.”
Sentii
Bella trasalire. Non capii se per la paura o l’emozione; a lei piaceva il
pericolo. Quanto a me l’idea non mi stuzzicava granché, dopo lo scherzo di
prima.
“Così
ti potrò lanciarti veramente in acqua” disse con un sorriso sornione
verso di me. Io gli feci una linguaccia.
“Va bene, sarà divertente” rispose Bella
entusiasta, alla fine.
“E tu ci stai?” chiese Jacob con esplicito tono di sfida. Così, sia per non poter
non accettare la sfida, sia perché si sarebbe stati in compagnia, accettai. Anche se sospettavo un raffreddore in agguato. Jacob appoggiò il braccio intorno alle spalle di Bella.
“Sarà una specie di appuntamento”
disse ancora con quello sguardo e con quel tono che sembravano dire “Sono cotto
di Bella Swan”
“Un appuntamento? No, meglio un incontro tra tre amici. Non voglio fare il terzo
incomodo” interruppi io. Mi sorpresi di quanto mi avesse
dato fastidio quel braccio intorno a Bella. Lei lo lasciò fare, facendo finta di niente.
“Va bene! Un appuntamento a tre” esclamò esasperato Jacob. In compenso, con mio grande
compiacimento, tolse il braccio da Bella.
“Ci vediamo domani. Ora però riposati” gli ordinò Bella,
gentile. Dovevo ancora capire come lo faceva a sopportare, anche se con lei non
si comportava da insopportabile. E ne fui ancora più gelosa,
cavolo…
La mattina dopo non fu meno pessima
della precedente. Avevo di nuovo sognato JacobBlack. Mi soffocai con un cuscino. Quello era stato un sogno
malsano; avevo sognato di essere Bella e lui, vicino a
me, mi trattava con gentilezza e dolcezza. E mi era
dannatamente piaciuto. Mi misi improvvisamente a sedere sul letto, a gambe incrociante,
mentre tentavo di strozzare il cuscino. Mi concentrai e ripensai al sogno, così
vivido, mentre sbucava dall’angolo del dimenticatoio la scena di Jacobdel giorno prima, quando mi aveva
preso in braccio. Mi sentii arrossire tutta ed i battiti cominciarono ad
aumentare. Mi premetti il cuscino sulla faccia. Ero ammalata, di una malattia
grave ed in questo caso mortale. I sintomi c’erano tutti. Balzai in piedi,
camminando avanti ed indietro nella mia camera dorata. Mi spiaccicai poi la
guancia sulla finestra-parete, lasciandoci tutto un alone. Non era possibile,
era orribile; ero innamorata di JacobBlack. Mi presi i capelli con le mani; no, non volevo
crederci, perché? Perché poi proprio di un idiota del
genere. Certo, un adorabile idiota…No, altro che adorabile,
un deficiente. Mi sedetti sul pavimento, schiena contro il letto. Stavo
ripensando a lui senza volerlo. Questa volta il cuore non voleva collaborare
con la testa.
Solo una volta mi ero innamorata, come lo ero adesso.
Provavo le stesse emozioni, ma ero felice perché la ragione ed i sentimenti
andavano d’amore e d’accordo. Questa volta no, e non mi
andava affatto bene. Jacob era un bambino, mi
trattava male, sia perché gli andava, sia perché lo trattavo male io. Ma era anche un ottimo e fedele amico.
Ecco, lo volevo come amico, nelle mie migliori aspettative miglior amico. Non poteva essere diversamente!
Cercai di immaginarmi noi due assieme e constatai che la cosa non poteva
funzionare. E poi c’era Bella, quindi non c’era motivo
di partorire queste idee. Invece di sentirmi meglio però mi sentii
peggio. Per di più gelosa.
Va bene, avevo capito; un
emissario del diavolo si era impadronito quella notte del mio corpo e mi stava
facendo patire le pene dell’inferno.
“Esci da questo corpo!” gridai fuori di me,
accoltellandomi ripetutamente con il cuscino.
“Hai bisogno di un prete o combini da sola?”
Mio padre, senza alcun problema, aveva aperto la porta
della mia camera. Mi stava guardano con aria un po’
preoccupata. Tolsi il cuscino dalla testa e lo guardai indispettita.
“Cose da donne”
Il che era vero. Queste semplici
parole bastavano per evitare di affrontare discorsi piuttosto “intimi” con mio
padre. Non avevo mai capito il suo problema, ma evita tutti i problemi che riguardassero le ragazze come la peste affidando il compito
a mamma, che era senza dubbio molto più portata. Lui diceva
che “questi discorsi portavano a torture mentali che non poteva sopportare”, ma
da tempo credevo che invece si vergognava a morte parlarne con me.
“Me ne tiro subito fuori allora” disse a mani alzate. “È
risolvibile?”
“È tragico” sbuffai io. Lui mi guardò fisso negli occhi
per alcuni secondi. Poi aggrottò le sopracciglia; stava forse cercando le
parole più indicate per questo tipo di conversazione a lui sconosciuto?
“Oggi vai a La Push?” Passò però a
tutt’altro argomento.
“Sì” risposi confusa e più tranquilla.
“Ho un brutto presentimento.”
Non era affatto una buona
notizia; non erano molto frequenti i brutti presentimenti. Voleva dire che sarebbe successo qualcosa di brutto.
“È meglio se oggi resti a casa.”
Mi fu chiaro che molto probabilmente fosse
dovuto ai tuffi che avremmo fatto; erano l’unica cosa di diverso dagli
altri giorni. Era facile immaginarsi Bella scivolare e spaccarsi la testa. Oppure sarebbe successo qualcosa con Victoria. Oppure ancora sarebbe caduto un meteorite; non potevo dirlo
con certezza. Però c’era un modo per scoprirlo; questa
cosa dei buoni, brutti presentimenti funzionava in base alle decisioni delle
persone ed erano sempre veri. Quindi se io, Bella e Jacob avessimo deciso di non tuffarci più dagli scogli, il
brutto presentimento di papà sarebbe scomparso. Caso contrario, sarebbe
successo qualcos’altro di poco piacevole.
“Credo invece di doverci andare. Credo di sapere cosa sia” dissi cercando da qualche parte la tuta. Guardai
l’orologio; era un po’ tardi ed ero sicura che quei due mi stessero già
aspettando. Oppure avevano già cominciato.
“Intendi dire con i tuffi?” Papà si fece scuro in volto.
Andai alla ricerca di una maglietta.
“Già, devo andare a dirgli di non farlo” Chiusi la porta
in faccia a papà per cambiarmi.
“Sta attenta però” Sentii la sua
voce offuscata dalla porta “Potrebbe non essere quello…” Avevo capito che stava
pensando a Victoria.
“Dì allora a mamma di tenermi d’occhio
prima di andare all’ospedale” dissi mentre quasi mi inciampavo
vestendomi alla velocità della luce.
“Certo. E non cadere” mi rispose,
notando la mia imbranataggine. Io sbuffai, mentre prendevo casco, guanti e
chiavi.
Sfrecciai sulla tangenziale 101 verso La
Push. Mi diressi subito in spiaggia. Dovevo fare presto; il brutto
presentimento di papà poteva avverarsi in qualsiasi momento. E
se era quello che pensavo, dovevo fare in fretta. Mi diressi verso la zona di
ieri, ma non c’era nessuno. Non avevo nessuna voglia di perlustrare tutta La Push. Pensai poi che la cosa più ovvia ed
intelligente che potessi fare era andare a controllare gli scogli. Pioveva, faceva
vento ed il mare era mosso; non sarebbe stato comunque
il giorno migliore per far tuffi nell’oceano. C’erano alcuni scogli
piuttosto bassi, non molto lontano da qui che circondavano uno
strapiombo. Credevo di poterli trovare tutti e due lì.
Corsi verso quella direzione.
Vidi Bella prima di averli raggiunto. Era sullo strapiombo
più alto, mentre guardava giù. Continuai a correre, più sollevata che stesse bene. Se voleva però
osservare le onde alte e minacciose avrebbe dovuto andare verso gli scogli più
bassi, sarebbe potuta cadere.
Mi fermai di botto. Sbarrai gli occhi e smisi di
respirare. Bella si era lanciata. Non era caduta, si era
lanciata volontariamente da quello strapiombo altissimo. La vidi precipitare
come un proiettile verso le onde ed infrangersi sugli scogli. Per venti secondi
non capii più niente.
“Abigail” mi voltai come un
morto. Jacob camminava tranquillo verso di me; non
aveva visto la scena. Cazzo, Abigail,
fai qualcosa, muoviti, porca puttana! Dopo la voce
della ragione si susseguirono in me sentimenti troppo forti per
poterli reggere. In un millesimo di secondo tornai lucida. Cominciai a
correre più veloce che potei verso Jacob.
“Jacob!” urlai a squarciagola,
roca ed esasperata. Lui si fermò per lo spavento, ma subito dopo cominciò a
correre anche lui.
“Cosa c’è?” chiese impaurito.
“Bella si è butta dallo strapiombo” La mia voce non voleva
smettere di essere roca e folle.
“Se questo è uno scherzo…”
cominciò Jacob serio.
“Ti sembra sia uno scherzo?!”
urlai a denti stretti, arrabbiata, esacerbata, delusa.
Non riuscii più a vederlo per le lacrime. Me li asciugai
in fretta; vidi poi gettarsi dallo strapiombo anche lui. Collassai per terra.
Mi misi le mani sugli occhi per nascondere il viso. Bella non sarebbe mai
resistita a quelle onde, da quell’altezza. Avrà preso
uno scoglio e… Nessun umano avrebbe potuto
sopravvivere. Avevo visto Bella morire con i miei occhi. Diedi libero sfogo ai
singhiozzi e alle lacrime. Perché Bella, perché lo
avevi fatto? Non avevi capito niente di quello che ti avevo detto? Non lo
capivi che sarebbe tornato?! Alzai il viso, ancora
scossa dai singhiozzi e presi il cellulare. Non mi andava per
nulla di farlo, non avevo né forze o voglie. Se non lo avessi fatto però avrei perso qualcun altro.
“Abigail, cosa diamine è successo?” Mamma era furiosa.
“Ma…mma…”
singhiozzai io.
“Arrivo subito, sta tranquilla, Abi”
disse più dolce. Era esattamente quello che non avrebbe dovuto fare.
“No!” sbottai io. Feci un respiro profondo, sufficiente
per poter parlare.
“Sto bene” Chiunque avrebbe capito che era una bugia.
“Cosa ti hanno fatto?” ritornò a
dire arrabbiata.
“I licantropi non c’entrano niente, mamma. Non venire qua a La Push, ti prego. Non voglio che ti facciano del male” E
neppure che facesse del male a loro. Mia mamma
riconobbe che non mentivo.
“Cosa è successo?” chiese più
comprensibile. Inghiottii di nuovo.
“È successo qualcosa a Bella e mi sono spaventa-ta” mormorai tra i singhiozzi “Ti racconterò. Tu va via però.” Seguirono attimi di silenzio, durante i quali
io approfittai per respirare malamente.
“Va bene, Abi, mi fido di te”
mormorò quasi assente lei
“Certo” singhiozzai io. Riattaccai e continuai a piangere.
Bella mi aveva distrutta. Io la odiavo; non aveva
pensato a me? Jacob? Charlie?
Era una stupida idiota, che odiavo.
“Abigail, muoviti, è ancora
viva!”
Alzai lo sguardo; Jacob stavo
uscendo dall’acqua. Tra le braccia aveva il corpicino
di Bella, immobile. In uno scatto mi alzai e corsi verso di loro, indecisa se
andarla a salvare o ad ucciderla. Jacob la posò per
terra, mentre io le balzai vicino. Il suo colorito blu incitò le lacrime a
scendere e mi gettò nella disperazione; decisi allora di salvarla. Ripresi per pochi secondi lucidità.
“Sai fare la respirazione bocca a bocca?”
chiesi seria e priva di emozioni a Jacob. Lui tremò,
invece di scuotere la testa. Con entrambe le mani feci
ripetutamente pressione sotto lo sterno, poi le chiusi il naso, aderii la mia bocca
alla sua e soffiai dentro; sentii i polmoni gonfiarsi. Ripetei l’operazione per
due volte. Jacob rimaneva immobile vicino a me. Quando cominciò a tossire e a sputare acqua, mi scansai.
Jacob si animò subito.
“Forza, Bella, così! Respira!” disse,
dandole forti pacche sulla schiena. Lui sembrava essere più tranquillo, ora che
lei era viva. Io invece, ero più arrabbiata che mai.
“Jacob, cosa è successo?” La
voce di Sam attirò per un attimo la mia attenzione. Molto
probabilmente aveva anche lui assistito alla scena da lontano.
“È caduta in acqua” rispose Jacob
di nuovo teso. Sam mi diede uno sguardo rigido.
“Tutto bene?” mi fece titubante. Io annuii di malavoglia. Sam aiutò poi Jacob a far sputare
tutta l’acqua che quella sciocca aveva bevuto. Io me ne stetti ancora immobile
e distante.
“Tesoro, mi senti?” disse Jacob
con un tono particolarmente dolce, per niente mieloso. Strinsi i pugni fino a
che le nocche fossero diventate bianche.
“Da quanto tempo è svenuta?” chiese Sam.
“Da poco, credo” disse scostandole i capelli dalla faccia.
“Ha cominciato a respirare. Bisogna portarla al caldo. Non
ha un bel colorito” commentò Sam
“Ha qualcosa di rotto?”
“No” sbottai io, che avevo avuto tempo di controllare
anche quello dopo la respirazione. L’attenzione su di me non durò molto.
“Abi? Ja-jake?”
mugugnò lei. Jacob si rifondò su di lei, come le api
sul miele.
“Oh, Bells, è tutto ok?” continuò a parlare più tranquillo. Passarono alcuni
minuti di silenzio prima che riprendesse a parlare.
“Go-la, bru-cia” biascicò lei.
Lui non perse tempo a prenderla in braccio con leggerezza.
Jacob mi dava la schiena, ma dal suo immenso petto
sbucò la testa di Bella. Aveva gli occhi aperti e fissava me. La ricambiai con uno
sguardo severo che la fece raggelare. Mi spostai vicino aJacob, in modo da non farmi vedere da lei.
“L’hai trovata?” chiese Sam. Mi
ci volle un momento per capire che stavano parlando di Victoria.
“Sì, ci sono andato vicino. Tu torna all’ospedale,
verrò più tardi. Grazie, Sam.” Sam fece un segno verso Jacob.
“Ciao, Abigail” disse invece a
me, guardingo. Io lo salutai con una mano. Ero troppo arrabbiata per chiedergli cosa volesse dire con “ospedale”; era strano
che un licantropo finisse in ospedale, rimarginavano le ferite molto
velocemente. Jacob cominciò a correre lentamente, per
portare Bella al caldo. Non feci fatica a seguire il passo. Stetti ancora
zitta, aspettando che la rabbia mi avesse mangiata tutta.
“Come hai fatto a trovarmi?” mormorò lei.
“Ti stavo cercando, ma è stata Abigail
a trovarti per prima” Sentii il suo sguardo verso di me. Io
mi fermai di colpo.
“Jacob, fammi scendere” rantolò
ancora. Lui si fermò ancora sulla spiaggia.
“Ma…”
“Fallo..” disse, scossa dai colpi
di tosse. Io la guardai impietrita. Mi guardò negli occhi anche lei, mentre in
piedi si reggeva a Jacob.
“Sei una stupida” incominciai decisa, ma non lasciavo
ancora traspirare alcuna emozione. “Perché
volevi ucciderti?” Ricominciai a vedere sfuocato.
“Io non mi volevo uccidere” mormorò roca Bella. Era troppo
sincera per mentirmi; non le credetti lo stesso, mi fece solo incazzare di più.
“Ma andiamo Bella! Non lo hai
notato il tempo? Le onde? Gli scogli? L’altezza?!”
urlai io. Mi avvicinai minacciosa a lei. Non volevo farle del male, maJacob ebbe la saggia idea
di impedirmi di avvicinarmi con una mano.
“L’hai fatto per lui?! Sai che tornerà. Volevi ucciderti perché lui non c’è ve-vero?” Ormai non riuscivo più a parlare. Bella sembrava
un fantasma; era stravolta e blu a causa della caduta e stremata per la mia
arrabbiatura. Ora era Jacob a starsene zitto.
“No, non volevo uccidermi, credimi,
Abi.”
Lo disse con una certa autorità, anche se spenta, che mi
spinse a crederle davvero. Me lo aveva promesso, non voleva
uccidersi. Io le volli credere, anche se non ci vedevonessun’altro tipo di spiegazione. Mi asciugai le
lacrime con le mani.
“Mi hai fatto morire dalla paura, sai? Ti ho vista mentre cadevi e…” non riuscii a terminare la frase.
“Mi dispiace” Ora stava singhiozzando anche lei. No, non
ce la facevo ad odiarla, ora basta. Decisi di buttare tutto
l’odio da parte, il che fu molto più facile di quanto pensassi. Mi
fiondai su di lei e l’abbracciai forte.
“Ti racconterò il perché, lo prometto” mormorò, per non
farsi sentire da Jacob. Io la strinsi ancora di più e
mi spuntò anche un sorriso. Sentii Jacob sbuffare.
Invece che essere io, alla fine era lui ad essere il terzo in comodo che
assisteva ad un abbraccio di un appuntamento a due.
“Va bene, basta romanticismo.” Mi prese rude per la tuta e
mi scostò da Bella, che riprese immediatamente in braccio.
“Tu sei una grande stupida” esclamò severo indicando
Bella. Era arrabbiato anche lui, ma trattandosi di Bella era evidente che tratteneva gran parte della rabbia.
“Mentre tu devi imparare a
gestire le tue reazioni!” sbottò più violentemente verso di me. Io mi risentii.
“Ah, davvero?” commentai a braccia incrociate. Da che pulpito veniva la predica. Avrei voluto ribattere, ma
una litigata in nostro stile non era adatta a quella
particolare occasione. E visto che io ero una ragazza
vaccinata e matura, mi sarei astenuta dalle cattiverie per quell’oggi.
Sia verso Jacob, sia verso
quella stupida di Bella. Non l’avrebbe passata liscia, anche se non ero più tanto infuriata con lei.
“L’a-avete trovata?” mormorò Bella dal braccio di Jacob.
“No, è fuggita in acqua. Sono tornato subito qui, per
paura che mi precedesse. Passi troppo tempo da sola sulla spiaggia…”
Spalancai gli occhi. Bella era in mare, Victoria era in
mare; non era affatto una bella cosa. Cosa sarebbe
successo se io e Jacob non fossimo
arrivati in tempo? Bella sarebbe morta comunque, ma
non per le onde. La possibilità che Bella fosse andata
dritta nelle fauci di Victoria per la cazzata che
aveva fatto mi dava la nausea. Ero lì lì per
arrabbiarmi di nuovo con lei e fu il solo pensiero che lei non poteva
sicuramente saperlo che mi calmò un poco. Continuai a rimanere zitta fino a
casa di Jacob. Per un po’ non ascoltai neppure quello che quei due si stavano dicendo.
“Qu…qualcuno si è fatto male? Hai… hai detto ospedale…” rantolò Bella. Jacob
sembrava a disagio.
“No. Emily mi ha detto che HarryClearwater ha avuto un infarto” Non avevo la minima idea di
chi fosse Harry, ma dalla reazione di Bella e dal
tono di Jacob, sembrava qualcuno di importante.
“Cosa?!” sbottò rauca “E… Charlie?” Jacob si fece più cupo.
“È all’ospedale, con mio padre.” Capii che doveva
trattarsi di un amico di famiglia. Cioè, un amico di
entrambe le famiglie.
“Come sta?” mormorò triste Bella. Il silenzio di Jacob diceva male.
Aveva smesso di piovere, ma faceva ancora piuttosto
freddo. Arrivammo a casa di Jacob e la temperatura si
alzò. Non avevo mai visto l’interno della piccola casetta rossa. Era simile a
quella di Emily; appena
attraversata la porta c’era un piccolo salotto sulla sinistra e la cucina sulla
destra. Jacob l’appoggiò sul divano.
“Stai qui, vado a prenderti qualcosa di asciutto”
disse mentre si addentrava nel corridoio. Non ci mise molto a tornare.
“Ti staranno larghissimi, ma… non credo
che mio padre nasconda vestiti da donna in camera sua. Io esco
così tu…” Lo guardai per un secondo. Si imbarazzava
a dire “io esco così tu ti puoi cambiare”?
“No, resta pure.”
Lasciò i vestiti vicino a lei, mentre Jacob
sedeva sul pavimento, vicino a lei Anch’io mi sedetti sul pavimento vicino aJacob; per lasciare il
piccolo divano a Bella, non per altro. Anche se
sentire il calore della sua pelle, mentre pioveva e fuori faceva freddo era
come una tazza di cioccolata calda a Natale. Appoggiò la testa sul cuscino vicino a Bella.
“Mi riposo un attimo. Tu che fai,
testolina?” Sentii la sua mano sfiorarmi la testa, mentre i suoi occhi neri mi
osservavano da sotto le sopracciglia. Io deglutii.
“Credo che ti seguirò nel mondo dei sogni” dissi
appoggiandomi al divano dietro di me.
“Andiamo, allora” declamò, con la mano ancora sopra la mia
testa. Perché si stava comportando così con me? Non
più con scherzo, ma… con gentilezza. La stessa che riserbava
a Bella. Era davvero un bella sensazione. Jacob iniziò a russare quasi subito. Sghignazzai. Mi
voltai; erano tutti e due nel mondo dei sogni. Io
invece credevo che sarei rimasta qua. Non avevo voglia di
dormire, non mi sentivo ancora abbastanza tranquilla. Non sapevo più a
cosa pensare, né avevo voglia di farlo. Era stata una giornata esasperante. E poi scommettevo che mia madre si era presa uno spavento da
record. Sbuffai.
Sentii qualcosa muoversi sotto i miei capelli. Mi voltai
di scatto. Solo ora mi accorsi che Jacob
aveva smesso di russare e mi guardava fisso. Bella invece stava ancora
dormendo.
“Tutto bene?” chiese per una volta serio
ed interessato. Ringraziai la sua parte matura che spuntava solo ogni tanto. Io
annuii con il mio sorrisino sghembo, mentre la sua mano stava giocando con i
miei ricci, facendomi il solletico.
“Sai
correre davvero veloce. Quasi come me” constatò ironico.
“Tu
mi sottovaluti”
“Magari
sai anche spostare un’auto a mani nude” propose come alternativa.
Davvero divertente.
“No,
ma qualche volta mi piace bere sangue” stetti io al gioco. Ecco, non potevamo
essere diversi. Smise di giocare con i capelli e tolse la mano. Ci rimasi un
po’ male; mi diedi veloce un pizzicotto per aver provato quelle cose.
“Cosa volevi dire prima? Con quello che hai
detto a Bella?” Tanto bastò per distrarmi. Mi pentii subito di quello
che avevo fatto. Dovevo starmene zitta. Jacob era
troppo acuto per dimenticarsene. Adesso avrei dovuto
spiegare, ma era impossibile. Oltre
ad arrabbiarsi come un pazzo, lo avrei anche danneggiato da un punto di vista
sentimentale, come se non bastasse. E poi Jacob non avrebbe capito nulla, finché la sua
considerazione per i vampiri rimaneva quella che era.
“Lui
tornerà” Poteva riassumersi in queste due parole tutto
il concetto.
“Come
fai ad esserne così sicura? Non puoi saperlo.” sussurrò
arrabbiato, per non svegliare Bella vicino a noi, ma anche così incuteva un
certo terrore “L’hai solo illusa. Perché mai allora se
n’è andato, se l’amava? Non sai niente di questa storia”. Mi guardava con occhi
seri che avevano un qualche cosa di pericoloso. Puff, la bomba
era esplosa.
“Perché allora tu sei sicuro che non tornerà? Anche tu non
c’entri niente” risposi di rimando io, molto più tranquilla, perché sapevo come
muovermi in questo argomento.
“Tu
non hai mai conosciuto un vampiro, non puoi immaginare quello che provano. Fidati,
tornerà” Mi girai verso di lui, lanciandogli uno sguardo di supplica, affinché
mi credesse davvero. Lui non rispose, ma quello
sguardo arrabbiato rimase. Mi alzai stiracchiandomi, mezza intorpidita, mentre
uscivo da casa Black e da quella situazione, per
ritornarmene a casa.
“Preparati
ad una battaglia persa in partenza” mormorai. Già, perché
quando Edward sarebbe tornato, non avrebbero potuto
fare niente, Jacob ed il suo amore per Bella.
In brevi passi arrivai alla porta ed uscii.
“Aspetta!
Cosa vuoi dire con battaglia persa?” Anche lui era uscito ed
ora poteva sfogarsi quanto gli pareva. Inclinai la testa e lo guardai
intensamente.
“Le
sbavi dietro, si vede da un chilometro” chiesa seria e decisa “Quanto ci tieni
a lei?” Per un attimo si sorprese della mia domanda, ma si riscosse subito.
“Tanto”
disse con una punta di esitazione che prima non c’era “Me
ne sono davvero innamorato” Mi venne in mente una prospettiva da brivido, anche
se non avrebbe dovuto esserlo per niente.
“Imprinting?” Nel chiederlo fui stranamente titubante.
“No”
E nel sentire dire questo stranamente sollevata. Lo diceva sinceramente,
d’altronde. Feci un respiro.
“Lei
non potrà mai ricambiarti, Jacob. Ama ancora
immensamente Edward e lo ha appena dimostrato. In
questo modo fai del male solo a te e a lei.” Lui
aggrottò le sopracciglia e mi guardò con aria di sfida.
“Se
ti spiego come la penso, non so se capirai.”
Il
suo tono non mi piacque; aveva parlato con scherno, in un modo che mi dava
della stupida a non capirlo subito. Era arrabbiato per quello che avevo detto, ingiustamente
o no. Feci un respiro profondo e riunii tutto l’autocontrollo
e la maturità in me.
“Mi
sforzerò” affermai decisa.
“Quello
che deve cambiare non sono io, è lei. Forse conosci anche quando lui tornerà, Nostradamus?”
insinuò lui. Parlandomi in tono di sfida.
“Non
penso proprio. Per quanto ti riguarda anche tra cinquant’anni,
no? E nel frattempo lei getterà via la sua vita nell’illusione.” Rimasi zitta ed imperturbabile.
“Mi
spiace, ma non glielo permetterò. Io ci provo. Se tu
invece vuoi assistere allo spettacolo, fa pure. Io non me ne sto con le mani in
mano.” Guardai in basso.
Se mi voleva fare sentire una stupida, c’era riuscito;
questa volta aveva avuto anche ragione. Ero io la totale idiota della
situazione. Non sapevo quandoEdward
sarebbe tornato, non avevo mai saputo niente della faccenda. Volevo far davvero
sentire Bella un’illusa, senza che io me ne accorgessi.
Non avrei dovuto farle quel discorso giorni fa. Mi
sentivo una vera e propria rovina vita. Alzai lo sguardo con aria colpevole.
Lui non accennò a cambiare espressione; me la meritavo tutta.
“Fa quello
che puoi per farla felice. A quanto
pare io lo sto facendo nel modo sbagliato”
Non
dissi nient’altro. Mi diressi verso la moto e partii, senza aspettare reazione
alcuna da Jacob. Aveva anche ricominciato a piovere.
Mi veniva quasi da piangere; avevo fatto più male a Bella di quanto mi fossi
aspettata. Non avevo neppure il diritto di odiarla. Jacob
aveva ragione a provarci con lei. Non sapevo se Bella avrebbe mai ricambiato Jacob, ma glielo auguravo davvero. SiaJacob, sia Bella sarebbero stati felici. E quando Edward sarebbe ritornato,
bhè, l’unica cosa che avrebbe potuto fare era retro
front e tanti saluti, via nel dimenticatoio! Se invece
Edward sarebbe tornato prima che Bella lo avesse
dimenticato, cosa a parer mio molto più probabile, si salvi chi può; sarebbe
nato un triangolo di conseguenze enormi e gigantesche. Anzi, forse
forse anche un rombo, se mi ci mettevo anch’io,
cazzo! Sbuffai. In quel momento non avrei mai voluto
che Edward se ne fosse andato.
Tutto sarebbe stato più normale e tutti sarebbero stati più felici. Odiai per
la prima volta una persona che non conoscevo e che non avevo mai visto in vita
mia. Hai combinato davvero un gran casino, Cullen. E ti meriti tutte le conseguenze.
Eh,
eh! Allora, piaciuto questo ottavo capitolo? La
situazione ormai si sta sviluppando e complicando….
Vorrei
sottolineare una cosa importante. A
partire da questo capitolo ci saranno dialoghi e situazioni ripresi dai
tre libri e cambiati di poco. Per evitare un totale plagio ho cercato di
cambiare la forma sintattica dei dialoghi, mantenendone inalterato il
significato. Ci tengo comunque a specificare che la
maggior parte di personaggi, le ambientazioni e parte della trama non è opera
mia ma della scrittrice StephenieMeyer.
Alla
prossima! J
X mikkicullen: ihih! Soddisfacente come
seguito? J
Sono ancora ed ancora e ancora contenta che ti siano piaciuto
questi due capitoli, insieme a tutta la fanfiction! Ed il prossimo capitolo sarà ancora più movimentato XD. Al
prossimo capitolo, allora!
Arrivai a casa distrutta. Erano successe troppe cose ed ero
completamente scombussolata. Non sapevo né come cosa pensare, né tanto meno come comportarmi, tra i tanti problemi che in sette ore
erano comparsi. Avrei tanto voluto che il cervello fosse intercambiabile; te lo
toglievi dalla testa quando volevi, niente più ti
tormentava e stavi bene.
Entrai in salotto dalla porta che dava sul garage. Prima
ancora di notare i suoi intensi occhi dorati fissarmi, sentii le fredde ed
affusolate mani di mio padre che mi stringevano il
viso.
“Come stai, Abi? Cosa è successo?” Nonostante lo sguardo in allerta la sua
voce era piuttosto calma e ferma; di solito intuiva anche quando i suoi
presentimenti si avveravano.
“Tua madre è impazzita” Ah, ecco; ci mancava solo questa.
“Poteva, ma non è successo ni…”
Mi bloccai, mentre davo una rapida occhiata al salotto. Non
eravamo soli. C’era un uomo appoggiato sul divano. Aveva la
testa girata, non riuscivo a vederlo bene. Mio padre continuò a fissarmi
ancora per un po’, cercando di intuire dalla mia espressione che non gli
mentiva mai se stavo realmente bene. Il suo viso si rilassò; staccò le mani dal
mio viso e mi pose una mano dietro la schiena, voltandomi verso l’uomo
appoggiato al divano.
“Voglio presentarti una persona.”
La persona in questione si voltò verso di noi. O. Mio. Dio.
Era un vampiro, era biondo, era vegetariano. Era incredibilmente bello. I suoi
occhi dorati mi stavano studiando con un certo stupore; di certo
papà gli aveva raccontato chi fossi. Era il primo vampiro che vedevo oltre i miei genitori e mi ero completamente
dimenticata di quanto potessero essere realmente belli. Le labbra mi si
paralizzarono sul viso in un sorriso. Capii subito di chi si trattasse;
erano pochi i vampiri vegetariani in circolazione che conoscevano mio padre.
“CarlisleCullen?”
mi schiarii subito la gola; il mio tono era eccessivamente mieloso. Il vampiro
davanti a me sorrise. Cavolo, che sorriso…
“Vedo che sai chi sono, come io so chi sei tu” Mi porse la
mano con cautela. Io gliela strinsi forte. E che voce!
Improvvisamente tornai in me. Aspetta, Cullen,
parente di EdwardCullen. Cos’era venuto a fare qua CarlisleCullen? Semplice visita
di cortesia? In ritardo, visto che erano passati parecchi secoli da quando mio padre non lo vedeva. E poi, come faceva a
sapere che gli Adams abitavano aForks? Qua la cosa puzzava davvero.
“Tua figlia è bellissima” disse rivoltò
a mio padre. Le mie labbra si paralizzarono in un nuovo sorriso.
“Ho sentito dire che anche tu adesso
hai una famiglia” rispose mio padre con lo stesso sorriso.
Qualcosa mi spinse a girarmi violentemente. Ora era mia
madre che mi teneva il viso. Aveva gli occhi sbarrati dallo spavento.
“Cos’è successo, Abi? Tu stai bene? Quando mi hai
telefonato avevi una voce isterica e piangevi…” Papà aveva ragione, sembrava
impazzita.
“Non credevo che…” mormorò confuso. Ora si stava
preoccupando anche papà, oltre a fare una scenata davanti a qualcuno.
“No, papà….” dissi convinta,
prendendo con forza il viso di mamma e costringendola a guardarmi.
“È lei che fa la tragica…” dissi guardandola negli occhi e
sfoderando il sorriso sghembo “Sto bene adesso” Lei si rilassò solo un poco.
“Cosa è successo a Bella?” continuò
a domandarmi tesa, ignorando completamente il nuovo ospite. Dedussi che erano
avvenute già le presentazioni anche per lei.
“L’ho vista cadere da uno scoglio e mi sono spaventata da
morire” riassunsi in breve “Adesso però sta bene”
“Lei è ancora viva?” Il tono che usò Carlisle
attirò l’attenzione di tutti su di lui. Era sorpreso come… come se si
aspettasse che Bella fosse morta. Come se sapesse già in
anticipo quello che era successo.
“Tu conosci Isabella Swan?” mi
chiese con una certa curiosità. I miei genitori si lanciarono strane occhiate,
di cui Carlisle si accorse di sicuro.
“Già, e non solo. È diventata piuttosto famosa.” Lo guardai
in modo piuttosto eloquente, porgendo particolare attenzione a quel “e non
solo”, per fargli intendere che tutta la famiglia Adamsera a conoscenza della sua situazione.
“Ah…” mormorò, avendo capito cosa intendessi
dire, guardando in modo strano mio padre.
“Chi è l’altro vampiro?” se ne uscì mio madre
improvvisamente. Ce n’era un altro?!
“È mia figlia Alice. Possiede l’abilità di prevedere il
futuro e ha visto Isabella gettarsi da uno scoglio. Pensavamo fosse morta. Mi
ha chiesto di accompagnarla qua a Forks, per rassicurarvi
sulla sua presenza.”
“Ma come sapete che noi abitiamo
qui?” sbottai, forse troppo invadente. Voltò paziente lo sguardo verso di me.
Sempre con quel sorriso…
“L’ospedale di Forks mi ha inviato
il curriculum del mio sostituto. Niente di soprannaturale.”
“Credo che abbiamo tante cose di cui parlare” si intromise mio padre dopo un secondo di silenzio, mettendo
una mano sulla spalla di Carlisle in segno di
amicizia.
“A quanto pare sì” rispose quest’ultimo
in tono cordiale.
Si era creata un’atmosfera piuttosto tranquilla, dopo un
breve intervallo di dubbi ed incertezze. Quella stessa atmosfera venne rotta da qualcosa. Un rumore, dal mio stomaco. Avevo
fame, e tanta anche. Non avevo pranzato, il che era grave. Per lo spavento di
quella mattina mi si era chiuso lo stomaco e si era riaperto solo ora. Tre
vampiri mi stavano guardando con un sorrisino appena accennato.
“Ehm…” mormorai rivolta verso Carlisle
“Probabilmente ho fame… capita… tre volte al giorno…
come minimo… in una media di cinque volte…” Il suo sorriso divertito ora si era
allargato. Mio padre invece mi stava guardando come una pazza. Non mi girai per
vedere anche l’espressione di mia madre vicino di me. Io invece divenni più
rossa. Che cavolo di figura…
“Vado… a mangiare…” abbassai violentemente la testa. Solo
che invece di andare in cucina, mi diressi in camera mia.
“La cucina è di là” fece mia madre. Mi voltai verso di lei,
ancora più imbarazzata. Mi stava guardando come se fossi un maiale blu.
“Mi vado a fare un bagno prima”
cercai di dirlo il più naturalmente possibile, per non sembrare più stupida di
quanto avevo già dimostrato di essere. Salii immediatamente le scale che
portavano in camera mia. Che figura! Che figura! Cosa diamine mi era mai preso?!Sarà stata sicuramente la stanchezza, Abi,
sarà stata sicuramente quella…
Riempii l’acqua fino all’orlo, ci buttai il bagnoschiuma e
mi ci buttai dentro. Quella del bagno era stata
davvero una bella idea. Cercai di stare in silenzio
per ascoltare le voci dal salotto, ma ovviamente non sentii niente. Ero
piuttosto curiosa di conoscere l’argomento della conversazione. In realtà ero
curiosa di conoscere cosa dicesseCarlisle;
volevo sapere qualcosa di più su questi Cullen, di Edward in particolare e del vampiro che in quel momento si
trovava da Bella. Chissà poi come stava; l’avevo lasciata a
casa di Jacob; non credevo fosse ancora là.
Mi tirai fuori dalla vasca e mi
asciugai veloce; volevo andare da Bella al più presto, anche se l’ora non era
delle migliori. Non credevo poi che Charlie fosse a
casa; forse era ancora all’ospedale per quel suo amico. Quindi
in teoria non avrei disturbato nessuno. Mi vestii con un minimo di decenza, che
andava del tutto a farsi benedire quando non c’erano
ospiti a casa. Ritornai quindi in salotto. Prima di entrare sentii pronunciare
il mio nome, mentre si stavano spegnendo melodiose risa. Sembrava un coro di angeli.
“Non si dovrebbe sparlare delle persone alle loro spalle”
dissi entrando in salotto. Trovai mia madre, mio padre
e Carlisle seduti sui divani, che davano un tocco di
umanità all’ambiente.
“Stavamo raccontando a Carlisle la
nostra storia” mi rispose mio padre allegro.
“La storia della famiglia Adams. Turututù” Schioccai due volte le dita, continuando a
camminare.
“Non è sempre così” rassicurò mamma Carlisle.
Mi fermai per un attimo sulla soglia della porta.
“Solo quando dormo” risposi entrando. Sentii dolci risate
trattenute provenire dal salotto.
Ero intenzionata a farmi da mangiare da sola, sfoderando
almeno per una volta la mia abilità nella preparazione della frittata,
ma mamma mi aveva già preceduto ed ecco un piattone
di spaghetti all’italiana con tanto pomodoro e formaggio. Mi venne l’acquolina
in bocca sentendone l’odore. Mangiai tutto e con gusto. Dopo fui così piena che
rischiai di non riuscire più ad alzarmi. Mi venne per un attimo il desiderio
starmene a casa e partecipare alla conversazione
iniziata dai tre vampiri nel salotto, per cercare di scoprire qualcosa di
interessante. Bella però era la priorità al momento, quindi non mi feci troppi
problemi. Presi casco, guanti, chiavi che avevo lasciato in cucina e dopo aver
sparecchiato entrai in salotto.
“Io vado da Bella a vedere come sta”
“Fa attenzione. Si sta facendo buio” fece mia madre preoccupata.
“Ci sarà anche Alice, mia figlia” aggiunse Carlisle, in una sorta di avvertimento.
Io gli alzai il pollice in risposta. Dissi un “ciao”
convinto e uscii dopo aver ricevuto risposta.
Ci impiegai tre minuti per arrivare
a casa Swan. Una Mercedes
mai vista parcheggiata poco lontano mi suggerii che
fosse dei Cullen; me lo suggeriva più la marca
dell’auto, che la presenza dell’auto stessa. Cercai di fare meno rumore possibile quando parcheggiai vicino al garage, ma Bella si
accorse di me lo stesso, visto che aprì la porta di casa prima che io suonassi
il campanello. Mi accolse con un grande sorriso.
“Ciao” mi disse particolarmente allegra. Forse un po’
troppo; era davvero euforica.
“Ciao. Come stai?” le chiesi entrando.
“Mi fa tremendamente male la gola” disse con voce roca, come
se lo avesse fatto apposta. Entrata mi guardai
intorno; della vampira non c’era traccia. Nel salotto però si
intravedeva un letto improvvisato ed il rumore della TV accesa.
“Ti sta bene. Te lo meriti tutto”
le dissi con autorità e con un sorriso, per farle capire che non ero più
realmente arrabbiata.
“Hai ragione” ammise lei.
“Dov’è…” pensai per un attimo al
suo nome “…Alice?” Lei corrugò per un attimo le sopracciglia.
“Te l’ha detto Carlisle? L’hai conosciuto?” Guardai trasognata un punto indistinto
sulla parete.
“Già…” sussurrai assente.
“Chi sei tu?” Una voce sconosciuta mi fece sobbalzare. Presi
anche una certa paura; sembrava una di quelle vocette
strane dei film dell’orrore, solo più dolce, il che
aumentava l’effetto. Mi girai verso Bella. Vicino a lei c’era un piccolo
folletto. Se non avessi saputo che era un vampiro
l’avrei scambiata con un elfo di Babbo Natale. I grandi occhi dorati accesi,
che facevano un bellissimo effetto con i corti e lucidi capelli neri, mi
guardavano incuriositi.
“Tu sei Alice” dedussi io ad alta voce. Lei si fece
sospettosa.
“Come lo sai?” chiese seria.
Spalancando occhi e bocca si voltò verso Bella “Bella, non avrai
mica detto a qualcuno che…”
“No, Bella non mi ha detto niente” la interruppi, prima che
facesse un’inutile lavata di capo a Bella.
“Non glielo hai detto?” chiesi a Bella. Lei alzando gli
occhi al cielo scosse la testa.
“Dirmi cosa? E tu chi sei?” esclamò
stizzita. Fece un passo verso di me, mentre notai una scintilla di pericolo nei
suoi occhi. Io non indietreggiai, anzi, pensai che fosse un po’ buffa, essendo
persino più bassa di me. Alla piccoletta non piaceva che ci fossero
cose che non sapeva. Pensai ad un modo per dirglielo.
“Ehm… hai presente i due vampiri di Forks?”
Lei annuì, rimanendo ancora seria “Sono i miei genitori” Non cambiò
assolutamente espressione; anzi, si arrabbiò ancora di più. Non voleva
crederci.
“È vero” mi appoggiò Bella. Alice spalancò leggermente gli
occhi, stupita.
“È una storia lunga da raccontare…” mi giustificai io.
“C’era anche lei nella visione” mormorò a Bella, pensierosa.
Lei le sorrise.
“È una cara amica.”
“Ah…già, sai vedere nel futuro!” esclamai io d’un tratto ricordarmene “Che figata”
“No, riesco a prevedere le decisioni prese. Il futuro che
vedo io è molto impreciso.” Se ne uscì lei in fretta. “Questo però spiega molte
cose. Te l’ha detto allora Carlisle chi sono” affermò di nuovo sospettosa.
“Sì. Mi ha detto anche perché siete venuti qua, della
visione del salto dallo scoglio e tutto il resto…” tagliai
corto sciolta e sincera. Lei aggrottò le sopracciglia.
“Quanto sa di Edward?”
chiese sospettosa verso Bella.
“Le ho detto tutto” Anche Bella fu
sciolta. L’unica tesa in questo momento era Alice. Tornò a guardare me.
“Io però non ho ancora capito chi sei” mi domandò confusa.
Decisi che la cosa migliore da fare era raccontare la mia
storia. Mi sedetti sul divano letto e le raccontai a grandi linee quello che
già avevo detto a Bella una volta. Saltai alcuni passaggi e fui davvero molto
sintetica. Lei però riuscì a cogliere il succo del discorso.
“Oh…!” esclamò sorpresa. “Il tuo è un caso piuttosto raro.
Unico, direi” dedusse con calma e guardandomi
interessata. Ora si era calmata e sembrava fidarsi più di me. Il suo sguardo
affascinato mi diede un po’ di fastidio, ma scomparve
quasi subito dal suo viso appuntito.
“Da quanto tempo siete amiche?” chiese
curiosa, sedendosi anche lei sul divano ed abbracciando Bella, tra me e
lei.
“Da pochi mesi…”
“Ah” esclamò lei sorpresa, guardandoci una ad una.
Mi caddero le braccia. Pochi mesi; com’era possibile che
tutti questi casini si potessero concentrare in pochi mesi? Vidi Bella
stringersi ancora di più ad Alice, come se avesse paura che le potesse sfuggire.
Bella, oltre al pericolo, era terribilmente affezionata ai vampiri vegetariani,
a quanto pareva.
“Lo sa Edward che sei qua?” mormorò Bella all’improvviso. Mi stupii ancora una
volta della scioglievolezza con cui aveva imparato a dire improvvisamente quel
nome. La visita di Alice aveva avuto un effetto
immediato sul suo stato emotivo.
“No, non vive più con noi” replicò Alice con voce strana, un
po’ smorta.
“Mmhh…” si limitò a mormorare lei.
“Da dove vieni? Hai parlato di aereo poco fa, no?”
continuò cambiando argomento.
“Vengo da Denali; sono stata dalla
famiglia di Tanya”
“Una famiglia di vampiri?” m’intromisi curiosa io.
“Sì, vegetariani” concordò Alice. Aguzzai gli occhi; c’erano
altri vampiri vegetariani oltre ai Cullen e papà non
mi aveva mai detto niente?!Ahh…
“Non ne sapevo niente di altri
vampiri vegetariani” mormorai un po’ acida, senza farlo apposta.
“Carlisle mi ha raccontato a
grandi linee chi fosse William Adams, ma non credo
che sappia della loro esistenza” mi spiegò Alice. Ed era meglio che fosse stato
così per lui; basta segreti e cose che non sapevo.
“A Charlie andrà bene se starò qui
per questa notte?” chiese a Bella, cambiando di nuovo argomento.
“Sono sicura che non ci saranno problemi” rispose sicura Bella.
“Non dovremmo aspettare molto per chiederglielo.”
Sentii il rumore delle ruote sull’asfalto ed un motore
spegnersi. Bella balzò in piedi e si diresse ad aprire la porta. La vidi
abbracciare Charlie, che aveva
davvero un aspetto tremendo, con tanto di occhi lucidi.
“Mi dispiace tanto” mormorò lei. Guardavo la scena e mi
sentii totalmente di troppo. Charlie borbottò
qualcosa che non riuscii a decifrare.
“Sue?” chiese Bella.
“Non se ne rende ancora conto. Sam
è con lei” sospirò e la sua voce diventò troppo lieve.
Era evidente che questo amico, Harry,
mi sembrava, non ce l’avesse fatta. Mi vergognai immensamente di essere lì.
Ancora abbracciati si avvicinarono verso la porta. Prima di vedere Alice, Charlievide me. Mi sembrò giusto
avvicinarmi, timida. Gli porsi la mano.
“Mi dispiace tanto, Charlie” dissi
imbarazzata. Lui mi sorrise ed abbracciò anche me. Ricambiai con vigore.
“Sei davvero una brava ragazza, Abigail”
mi disse dopo aver sciolto l’abbraccio. Non capii cosa potesse c’entrare
questo, ma non osai discutere.
“Papà?” Bella attirò la sua attenzione e subito dopo sbucò
Alice.
“Buonasera, Charlie. Non sono arrivata al momento giusto, mi dispiace” disse
esitante.
“Alice Cullen? Sei tu?” Charlie le lanciò un’occhiata sorpreso.
“Mi trovavo da questo parti” si
giustificò lei.
“E Carlisle?” chiese
mentre stringeva la spalla di Bella.
“È da mio zio. Erano colleghi un tempo, si
conoscono” subentrai improvvisamente io. Alice mi lanciò uno sguardo
d’intesa.
“Può dormire da noi? Gliel’ho già
chiesto” chiese subito Bella a Charlie, facendogli
anche mezzi occhi dolci.
“Sicuro” rispose lui convinto. Sembrava che Alice fosse
davvero simpatica a Charlie.
“Grazie ancora. So che non dovrei essere qui in questo
momento.”
“Figurati. Sarò impegnato a dare sostegno alla famiglia Clearwater; mi piacerebbe che ci fossi tu a far compagnia a
Bella” Si rivolse poi anche a me.
“Ed ovviamente sei invitata anche
tu, Abigail” Più che ad un invito sembrava un ordine.
“Se rispondo di no mi multa per
oltraggio a pubblico ufficiale?”
“Proprio così” disse, riuscendo a
estorcergli un sorriso.
“Non ho scelta, allora” mi arresi a mani alzate.
“La tua cena è pronta, papà” disse Bella, cordiale.
“Ti ringrazio” le rispose Charlie,
dopo averla abbracciata per un’ultima volta, mentre andava in cucina.
Ci andammo a sedere tutte e tre sul divano. Mandai
velocemente un messaggio a mamma, per avvertirla. Ovviamente si preoccupò
perché non avevo né pigiama, né dentifricio. Bastò farle ricordare in che
condizioni dormivo a San Lucas per convincerla che
quel divano era un albergo a cinque stelle.
Mi misi comoda sul divano per partecipare alla conversazione
iniziata da Alice e Bella, ma forse mi misi troppo comoda. Ascoltai senza
attenzione quello che dicevano. Il più delle cose non riuscivo
neppure a capirle, riferite a persone o a eventi che non conoscevo. E l’avere
le palpebre pesanti non aiutava affatto. Finii quindi
ben presto con l’addormentarmi.
Furono delle voci a svegliarmi il giorno dopo. Mi ci vollero
un po’ di secondi per capire chi fossero. La voce
rauca e dura doveva essere diCharlie,
l’altra non poteva non essere di Alice. Mi mossi cercando una posizione più
comoda. Alla fine ero caduta dal divano ed ero distesa sul pavimento. Sentivo i
sospiri di Bella vicino a me, oltre ad un profumo di pane caldo.
“Ho chiesto a sua madre di riportarla a Phoenix. Se fosse
crollata ed avesse avuto bisogno di cure serie, avrei preferito che ci fosse stata
sua madre a sostenerla.” Era la voce di Charlie. La curiosità dell’argomento mi costrinse ad
origliare; stavano parlando di Bella.
“Glielo dissi, ma… esplose! Non avevo mai sospettato che potesse reagire in quel modo. Era una furia incontrollabile.
Lanciava in aria tutto quello che le capitava sottomano, urlava, piangeva. A
quel punto non me la sentii di mandarla via. Ci furono poi dei piccoli
miglioramenti, ma…” sembrò esitare.
“Ma?” lo incoraggiò Alice.
“Ma sembrava assente. Mangiava,
dormiva, faceva i compiti, parlava se interpellata,
ma… sembrava non provare più niente. Sembrava che non gli andasse più niente.
Non ascoltava più musica, né leggeva. Capii che voleva tenersi lontana da tutto
quello che le faceva venire in mente lui.
Non parlavamo; avevo paura che sarebbe diventata furibonda un’altra volta. Era
troppo suscettibile ed intollerante. Stava sempre da sola, non aveva più una vita
sociale e anche le sue amiche finirono per smettere di frequentarla.”
Smisi per un attimo di ascoltare. Questa era la verità,
questa era la manifestazione di quel dolore che intravedevo soltanto appena. Era
stato davvero devastante. Mi dispiaceva per quello che Bella aveva patito e
temporaneamente ero arrabbiata con Edward; non sapevo
se la sua paura potesse essere stata abbastanza per
giustificare questo. Mi rallegrai al pensiero che non fosse
più così, che fosse più allegra. Con me esprimeva veramente dei
sentimenti, non era un automa. Adesso era più felice.
“Però adesso sta meglio” La squillante voce di Alice fu tanto melodiosa da attirare di nuovo
l’attenzione.
“Sì, da quando ha cominciato a frequentare JacobBlack. È più serena. Parla
di più, ha ricominciato a rivedersi con le amiche, ha di nuovo degli hobby.” Respirò pesantemente.
“Lui ha un anno meno di lei; all’inizio erano amici, ma sono
talmente legati che ora non si tratta più di sola amicizia, credo.”Charlie aveva cominciato a
parlare in un tono strano, quasi di sfida.
“Nonostante l’età che ha è un
ragazzo molto maturo; ha affrontato con serietà i problemi fisici di suo padre.
Inoltre è un bel ragazzo; ha preso tutto dalla mamma.
È perfetto per lei.” Charlie continuava ancora con
quel tono strano.
“Quindi è stato merito suo” precisò
Alice.
“Non lo so…” sospirò Charlie “Da quando vede Jacob… c’era ancora
qualcosa nei suoi occhi che mi inquietava. Devo ammettere che non ho mai capito appieno quanto soffrisse. Era strano, Alice.
Sembrava… un morto”
Un morto; Charlie aveva azzeccato
finalmente la parola. Bella era diventata un morto.
Questa parola poteva riassumere tutto quello che Bella era stata
e che si sentiva tuttora, credevo. Oh bhè, speravo
tanto che Edward avesse sofferto lo stesso, e che si fosse
fatto tanti, ma tanti sensi di colpa.
“Finché non è spuntata dal nulla
quella strana ragazza, Abigail” continuò Charlie, cambiando di nuovo tono, diventando più sollevato.
Le mie orecchie si drizzarono ancora di più.
“Ha avuto uno straordinario effetto su di Bella. Non ho idea
di come ci sia riuscita.” Ebbi improvvisamente caldo
sotto le coperte.
“Non conosco né lei, né la sua famiglia, ma è una ragazza
simpatica, ironica e anche molto responsabile. Bella è stata attratta subito da
quella ragazza; quando esce, è quasi sempre con lei.”
Fece un respiro pesante.
“Certo, mi preoccupa anche lei. Insieme fanno
cose abbastanza… pericolose. Per esempio sono andate a fare bungeejumping. Bella non è mai stata incline al pericolo.
Di certo, quella ragazzina l’ha cambiata.”
“In meglio, a quanto pare” lo
incoraggiò Alice. Charlie era diventato entusiasta.
“Certo! Bella si è ripresa quasi del tutto. Adesso sorride, persino, esprime emozioni. È tornata ad essere
serena.”
Charlie credeva che fossi un guru
dell’amicizia e dei sorrisi; mi dava fin troppo importanza. In realtà avevo
fatto così poco, se solo lo avesse saputo. Chissà se era così
anche per Bella. In ogni caso mi imbarazzai del
discorso fatto ad Alice, ma soprattutto dei paroloni che non mi si addicevano affatto.
Nonostante il caldo mi seppellii ancora di più sotto
le coperte.
“È sempre stata testarda. È difficile che cambi idea. Credo
che Abigail sia stata la prima persona che ci sia
riuscita. Hanno davvero una strano feeling insieme.”
Ora mi credeva una specie di alchimista
con superpoteri. Certo, avevo cambiato la vita di Bella, ma l’avrebbe potuto
fare anche da sola, se solo avesse capito ed avesse avuto fiducia. Il che però risultava davvero difficile. Ero sicura però che
prima o poi l’avrebbe capito, io avevo solo accelerato
i tempi. Prima della totale depressione. Possibile che io avevo fatto davvero così tanto e non me n’era neppure accorta?
“Bella è davvero un fenomeno” rispose dura Alice.
“Inoltre, Alice… Bella è
felicissima di vederti, e lo sono anch’io. Ma… ho
paura di quello che potrà succedere dopo”
fece Charlie con voce preoccupata.
“Hai ragione Charlie. Non sarei
venuta, se non avessi supposto che fosse successo qualcosa. Perdonami”
“Non scusarti. Magari continuerà a stare bene. C’è sempre Abigail con lei. E poi c’è Jacob” Oh… credevo di aver capito perché per Charlie io fossi importante quanto Jacob.
Aveva notato netti miglioramenti da quando c’ero io.
Ma a quanto avevo capito l’intervento di Jacob
era stato essenziale. Un po’ come per un malato che sviene, Jacob era il pronto soccorso, mentre io il medico che aveva
eseguito la diagnosi. Un efficace gioco di squadra, né più, né meno.
“Spero che sia così” mormorò Alice. In quel momento di
silenzio sentii chiare le forchette grattare sul fondo del piatto. Un momento,
i vampiri non mangiano. Ero curiosa di vedere cosa stava facendo Alice in
merito.
“Vorrei chiederti una cosa, Alice” Charlie
si rifece serio e teso.
“Dimmi pure”
“Lui non verrà a trovarla, vero?” No, non era solo teso e serio,
ma anche arrabbiato.
“Non sa che sono qui. L’ultima volta che l’ho visto era in
America Latina” rispose Alice confortante. Charlie
sbuffò.
“Gli auguro di divertirsi”
“Non ci giurerei, Charlie” insinuò
con una certa insistenza Alice. Seguì poi il fastidioso rumore prodotto da una
sedia che si stava spostando ed il sciacquio
dell’acqua. La conversazione era chiusa. E per quanto
pacifica non era stata delle migliori. Sentii qualcosa muoversi anche
alla mia destra, sul divano letto. Bella si stava svegliando. Strano, proprio
quando questo genere di conversazione era finita.
Prima che si alzasse mi avventurai sotto le sue
coperte e le fui addosso.
“Abigail, che fai?” protestò lei
giustamente infastidita.
“Quanto hai sentito?” gli sussurrai piano in un orecchio.
Lei si immobilizzò e non rispose.
“Spiona” mormorai ancora.
“Buongiorno, Bella!” urlai togliendo bruscamente le coperte
da dosso e le strapazzai i capelli senza scrupoli, mentre lei calciava e si
dimenava invano. Finita la tortura balzai fuori dal
letto.
“Ti detesto, Abigail. Sei orribile” farfugliò lei da sotto i capelli.
“Anch’io ti voglio bene” risposi
melensa a quelle dolci parole.
“Che cosa diamine le hai fatto?”
Alice era spuntata dalla cucina ed era indecisa se rimanere seria o no.Charlie invece non pose
resistenza.
“Cosa faremo senza di te, Abigail” esclamò ancora sorridendo.
“Staremo tutti meglio?” propose Bella, mentre aiutata da
Alice cercava di disfare i nodi che le avevo
procurato.
Ben presto Charlie uscì, dicendo che avrebbe dovuto dare una mano alla famiglia di Harry per il funerale. Non sapevo per quanto tempo si
sarebbe trattenuta Alice, maCharlie
aveva ragione; la sua visita avrebbe avuto delle conseguenze. Lo vedevo bene da
come si comportava con lei. Bella le stringeva sempre la mano, oppure doveva
stare in stretto contatto con lei, come per convincersi che fosse
realmente lì o che non scappasse.
Per tutta la mattina Alice parlò della sua famiglia; il che mi interessò molto. Mi fece una piccola introduzione, che mi
servì molto a capire chi erano i Cullen. Era una
famiglia piuttosto numerosa, quattro vampiri e tre vampire, che si fingevano
fratelli adottati per giustificare l’età. C’era però un forte rapporto tra
loro, quindi non si facevano problemi a considerarsi davvero fratelli e sia Carlisle sia… la sua compagna di cui non mi ricordavo già
il nome li consideravano davvero come figli.
Iniziò poi a parlare di ciascun membro della famiglia e mi
persi completamente, riuscendo a capire che Carlisle
lavorava all’ospedale di Itacha
e teneva alcune ore alla Cornell University;
dall’altra parte dello stato, quindi. Ciò che mi rimase più impresso era che attualmente in teoria vivevano tutti ad Itacha,
ma in pratica ognuno era disperso per il mondo; chi era andato in luna di
miele, chi era rimasto là, chi era andato in giro per lo stato. Chi era andato a prendere il sole in America Latina. Mi
venne un terribile mal di testa. Ero l’unica persona in questo mondo ad essere
allergica all’aspirina, quindi chiesi se per piacere potessi andare a casa a
farmi una doccia calda.
“Poi però torni?” mi supplicò Bella. Cos’era,
adesso ero diventata la sua aria? Feci finta di pensarci per un secondo,
così, tanto perché mi divertivo farla soffrire in quel modo giocoso.
Tornai a casa, ma trovai solo mamma; Carlisle
e papà erano andati a caccia a GoatRocks, non molto lontano da qua. Mi andai a fare un
lungo e rilassante bagno caldo. Il mal di testa passò quasi subito ed anche il
mal di schiena per aver dormito sul pavimento. Mamma mi lasciò andare a dormire
una seconda volta da Bella; era davvero felice che la mia vita sociale lì a Forks fosse migliore di quella a Chicago. Era ora di
pranzo; decisi quindi di pranzare a casa, evitando a Bella di sprecare
ulteriormente la cucina per me.
“C’è anche la vampira da Bella? Alice?” mi chiese mamma,
seduta davanti a me, mentre mi guardava mangiare. Papà non era ancora tornato.
“Sì. È simpatica. Bella le è davvero affezionata.” Mamma
incrociò le gambe e mi guardò con un timido sorriso.
“Sono i primi vampiri che vedi oltre a noi…” esclamò come se
si trattasse del mio primo giorno di scuola. Alzai la testa al cielo.
“Doveva succedere prima o poi”
risposi seria. Mia madre non rispose.
“Carlisle invece? Si tratterrà per
molto?” Non so che strani suoni fossero usciti dalla
mia bocca piena di bistecca.
“È venuto per accompagnare Alice, quindi dipende da quanto
si tratterrà lei.” E cioè
dipendeva da Bella e dalla sua capacità di convincere le persone supplicandole.
“Di cosa avete parlato?” continuai curiosa. Mia madre assunse
un tono annoiato.
“Di noi. E dei Cullen”
Quindi niente di più di quello che già sapevo io, grazie ad Alice. “E dei licantropi. Ci ha raccontato quello che Carlisle sa al proposito. Non è molto diverso da quello che
sappiamo già noi” Mi guardò irrequieta “Poi abbiamo parlato di Victoria. Ci ha
raccontato nei dettagli la faccenda. È preoccupato anche lui. Non ne sapeva
niente del suo ritorno.” Tacque per un paio di secondi,
pensierosa e mi lanciò poi un’occhiata strana.
“A proposito, come vanno le cose a La
Push?”
“La macchina sta andando alla grande. Il licantropo che mi
aiuta, Jacob, è davvero in gamba”
“Io mi riferivo ad altro” mi chiese con un sorriso
malizioso. Io sapevo cosa si riferiva quel sorriso malizioso. “Hai legato tanto
con loro?” Io la guardai di sottecchi.
“Mamma, non dovresti incitarmi al soprannaturale” suggerii
io.
“Il mio non era in incitamento, era una semplice domanda”
rispose lei, ancora maliziosa. Mi alzai con calma e difficoltà per la bistecca
di proporzioni enormi che avevo appena mangiato.
“Sono tutti degli stupidi adolescenti pompati. Sono tutti troppo immaturi” risposi secca poggiando il
piatto vuoto nel lavello.
“Che ti prende?” rispose con lo
stesso tono lei. Mi voltai quasi isterica. Non ero ancora pronta di parlargli di
Jacob. Dovevo ringraziare i vampiri per avermelo
fatto dimenticare per un po’.
“Niente. Sono solo stanca, vado a
dormire un po’” dissi uscendo dalla cucina. Ovviamente mia madre non se la
bevve, ma fu abbastanza per impedirle di chiedermi
spiegazioni e farle germogliare il seme del dubbio. Sarà ovviamente venuto il
momento delle spiegazioni; ed io le volevo dare davvero. Non in quel momento,
era troppo presto. Dovevo prima pensarci per conto mio, quando ne avrei avuto voglia.
“Tuo padre mi ha detto che ieri
mattina ti sei messa ad urlare come un’assatanata dicendo che avevi dei
problemi da donna.” Mia madre comparì di nuovo in salotto. Io mi voltai verso
di lei. Ovvio, aveva capito tutto. Cosa mi aspettavo?
“È vero, ma non mi va di parlarne ora” risposi sincera e
franca.
“Va bene, sai come trovarmi, se mai avessi voglia di
parlarne” disse lei osservandomi per un attimo negli occhi.
Mi girai per dirigermi finalmente in camera mia. Mi buttai a
pancia in giù sul letto, lasciando le tende aperte. Forse avrei fatto meglio ad
andare a La Push per la macchina, magari Jacob era disponibile a mettere su quei dannattissimi
pezzi. Ma era meglio che se ne andasse a riposare un
po’ anche lui. E poi non mi andava di vederlo.
Non avevo per niente voglia di
dormire. Tuttavia mi sentivo particolarmente tesa e nervosa.
Presi da terra le mie cuffie e ascoltai un po’ di musica.
Il ritmo delle canzoni che ascoltai mi presero
a tal punto da farmene perdere il conto e da distinguere una canzone
dall’altra. Scoprii con sorpresa che era ormai tarda sera
quando le orecchie cominciarono a farmi male per la troppa musica. Tornai
giù in cucina e cenai con qualcosa di leggero. Papà non era ancora tornato.
Mamma mi disse che in teoria sarebbero dovuti tornare
a momenti. Salutai con un bacio mamma e, questa volta armata di pigiama e
spazzolino, andai a casa di Bella.
Era ormai tarda e a quel punto mi dispiacque entrare per
disturbare. Bussai comunque alla porta, sapendo che
almeno un abitante di quella casa era sicuramente sveglio. Mi venne però ad
aprire Bella. Era evidentemente mezza addormentata. Si vede che l’avevo svegliata comunque. Si stizzì per il mio ritardo ed io
cercai di scusarmi come meglio potei. Alice era ancora lì, seduta sul divano
letto come se aspettasse che qualcuno le dovesse fare una
fotografia. Bella ritornò a distendersi sul divano lettoe non perse
ulteriore tempo a riaddormentarsi di nuovo. Concordai con lei che fosse una buona idea; non avevo dormito molto bene la notte
scorsa e visto che il pomeriggio non avevo dormito, mi sentivo provata anch’io.
Anch’io ben presto mi addormentai.
Mi svegliai all’alba il giorno dopo, completamente riposata.
Mi stiracchiai stando ancora sotto le coperte. Vicino a me se ne stava Bella;
questa volta non ero caduta per terra. Alice invece era seduta sulla poltrona,
mentre fingeva di dormire. Sentii dei passi pesanti scendere le scale. Era Charlie, vestito con un vecchio completo nero. Caspita,
oggi c’era il funerale; mi sentii di nuovo a disagio. Aprì la porta ed uscì in
punta di piedi, per non svegliarci. La coperta sotto cui
si trovava Alice si sollevò. Era già vestita.
“Cosa facciamo oggi?” chiese con la
sua esuberanza.
“Vedi qualcosa che si potrebbe fare?” propose Bella ironica.
“Non ancora” Alice sorrise “Potremmo chiedere ad Abigail, il genio delle trovate” disse
ricordandosi dei capelli di Bella del giorno prima.
“Davvero divertente” borbottai ancora
sotto le coperte “Dovete strofinare tre volte la lampada” Sentii dei
sogghigni. Mi tirai finalmente fuori dalle coperte. Vidi
Bella guardarsi in giro guardinga.
“Credo che questa casa abbia bisogno di un po’ di pulizia”
mormorò con un po’ di disgusto. Mi guardai attorno anch’io; a me sembrava già
pulita.
Iniziò così a pulire la casa; per prima cosa si occupò del
bagno. Io mi offrii di scopare un po’ in giro. Lottai un po’ con Bella prima di
vincere il manico della scopa; mi tormentava dicendomi
che ero un ospite e non sarebbe stato giusto farmi fare i lavori domestici e blablabla. Mentre Bella era
sommersa di detersivo ed io spazzolavo un po’ il corridoio, Alice, appoggiata
alla porta del bagno, faceva domande a Bella sulla scuola. Ben presto però si
passò a parlare del mio corso di break, in quanto l’argomento
durò abbastanza poco; Bella dimostrò di non avere molto da dire. Insomma, non
aveva un’emozionante vita sociale; seguiva il proverbio “pochi,
ma buoni”. Bhè… non era l’unica.
Ma anche quell’argomento
durò poco; il campanello suonò. Alice si voltò in uno scatto. La sua velocità
mi fece paura. Aveva la perfetta fronte marmorea corrugata da una linea lunga e
sinuosa. Quello che mi colpì era il suo naso piccolo arricciato.
“Arrivo!” urlò Bella dandosi una lavata. Io forse avevo già
capito chi fosse.
“Credo che forse me ne devo andare” mormorò Alice, seria.
Bella si confuse.
“Non riesco a vedere, proprio come ieri. Ho un buco nero.
Deve essere JacobBlack o un
licantropo”
“Non riesci a vederli?” chiese Bella osservandola. Alice
alzò le spalle, indispettita. Era forse per il suo dono che non le piaceva non
sapere sempre tutto. Io al momento non mi preoccupavo delle sue visioni. Mi
preoccupavo di Jacob. C’era un vampiro in quella casa
ed un licantropo ed un vampiro in stretto contatto avrebbero
fatto scintille. Bella scosse la testa.
“Non devi sentirti in dovere di andare da nessuna parte.” Alice rise in modo strano.
“Non è una buona idea. Fidati.”
“Ha ragione” intervenni io. Bella guardò prima me, poi
Alice. Quest’ultima la salutò con un bacio, entrò in
una stanza e sparì. Il campanello suonò di nuovo.
Bella corse ad aprire ed io la seguii. Era ovviamente Jacob alla porta, che assomigliava molto ad una bomba
pronta ad esplodere. Il naso era arricciato per il profumo di
Alice, che contribuì a dare più significato alla sua espressione seria.
Vidi le sue mani tremare. Non mi piacque per niente; se cominciava a tremare
tutto si sarebbe presto trasformato ed avrebbe perso il controllo. Notai sulla
strada la Golf di Jacob, con
Jared al guidante ed Embry
vicino. Mi sentii più sicura, se sarebbe successo qualcosa a Jacob ci sarebbero stati loro. Li
salutai inosservata con una mano; Embry fu l’unico a
rispondermi, con un veloce sorrisino che subito dopo scomparve. Trattenni il
respiro. Che situazione…
“Ciao” disse Bella sprezzante. La guardai in volto; sembrava
essere irritata dalla sua espressione. Oh no, avevano litigato ancora. Jacob non rispose. Fece scorrere lo sguardo oltre la spalla
di Bella.
“Lei non c’è” rispose Bella con lo stesso tono.
“Sei sola?” disse dopo alcuni minuti.
“Ehm… grazie, Jacob. Io sto bene e
tu?” esclamai infastidita. Lui sembrò vedermi per la
prima volta.
“Ciao Abigail” Spalancai gli occhi
dalla sorpresa per il tono sereno. Di solito il tono che aveva usato con Bella lo usava con me e viceversa. Non mi sembrava ci fosse
stato uno scambio di ruoli…
“Come stai?”
“Bene” risposi ancora scettica.
“Posso parlare da solo con Bella?” Guardai prima Jacob, poi Bella. Lei mi fece cenno di andare. Non mi
fidavo a lasciarla sola con Jacob in queste
condizioni. Mi sembrava inoltre strano che dovessero parlare di qualcosa di cui
io non dovevo venire al corrente. Me ne uscì comunque in
giardino, avvicinandomi alla Golf. Vidi Embry fare un
cenno a Jacob dietro alla mia spalla. Perché tutte queste formalità?
“Ciao ragazzi”
“Ciao Abigail” mi rispose Embry in uno sbuffo. Jared
continuò a starsene zitto, guardandomi truce. Sospirai. Sentii la porta dietro
di me chiudersi.
“Si può sapere cos’hai contro di me, tu?” Guardai negli
occhi Jared, che fece una
faccia stralunata. Aprì bocca, ma al momento non volevo sentire le sue lamentele.
Non sapevo neppure perché gliel’avessi domandato;
molto probabilmente per sfogo. Sicuramente erano le solite cose; tu stai dalla
parte dei vampiri e non voglio neppure avere a che fare con te e blablabla…
“Perché siete venuti con Jacob?”
chiesi subito aEmbry, per
passare quei minuti. Mi voltai verso la finestra della cucina, che Jared ed Embry da quella
posizione non potevano vedere. Bella e Jacob erano lì; lui si stava tenendo ancora a debita
distanza. E aveva smesso di tremare. Mi sentii più tranquilla.
“Per il vampiro” rispose secco lui.
“Ma non vuole attaccare” ribadii. Jared riaprì bocca, maEmbry gli misi una mano sulla spalla e si calmò subito.
“Per sicurezza” mi rispose deciso Embry,
per chiudere l’argomento.
“Sai cosa vuole Jacob da Bella?”
Tentai il tutto per tutto. Lui mi guardò.
“Solo se mi fai fare un giro sulla
tua moto” rispose con un ghigno. Brutto ricattatore pulcioso. Jared continuava a guardare la porta di casa Swan, evidentemente a disagio per la mia presenza.
“Sei uno schifo” mi lamentai. Piuttosto che rischiare di
farmi rovinare la moto da Embry, me lo facevo dire
direttamente da Bella.
“Per metterla in guardia dal vampiro” rispose con un’alzata
di spalle.
“Tutto qui?” Lui annuì con la testa. Non avrei mai capito la
mentalità dei licantropi.
Mi voltai di nuovo verso la cucina. Il respiro si fermò per
un attimo. Ora erano vicini, troppo vicini, preoccupatamente
vicini. Jacob le stava sfiorando la guancia con una
mano. Sentivo Embry che continuava a parlami, ma non lo ascoltai. Fissai ogni movimento che Jacob faceva. Bella continuava a restare immobile, a non
reagire. Sapevo che sarebbe stato un bene se tra quei due fosse nato qualcosa
di veramente serio, e una minima parte di me sperava che sarebbe accaduto ciò
che stava per accadere. L’altra, invece, quella più
grande provava un grandissimo desiderio di correre in quella cucina e prendere
a calci tutti e due. Volevo che Jacob
si fermasse, il suo viso era troppo vicino a quello di Bella. Ma non mi mossi, rimasi lì, a fissare la scena, impietrita,
aspettando di incassare il colpo, senza fare niente. Niente avrebbe potuto fare
qualcosa.
Improvvisamente Jacob si scostò da
Bella. Lo vidi prendere la cornetta del telefono della cucina. Sospirai dal
sollievo. Anche se…
“Abigail, sei morta?” La
prorompente voce di Embry mi
fece sobbalzare. Mi guardava esterrefatto.
“Scu-sa, Embry, stavo
pensando. Adesso devo andare, ci vediamo” Non stetti
neppure a sentire le voci di rimando. Entrai in casa. Non sapevo bene cosa
avrei fatto una volta disturbati entrando in cucina.
Oltrepassai la soglia. Jacob sembrava essere di nuovo
furibondo. Bella invece era confusa.
“Ci vediamo Bells” Jacob si voltò di scatto, prendendomi a pieno. Caddi a
terra. Sentii un armadio cadermi addosso.
“Che cos..?” Sentii un secondo
tonfo; anche Bella era caduta dietro di lui. Non avevo ancora aperto gli occhi.
“Promettimi che tu non mi abbandonerai
quando torneranno” mi mormorò all’orecchio. Gli riaprii. Ebbi il tempo
di vedere una strana espressione sul suo viso, che non seppi
decifrare. Si rialzò veloce, aiutando anche Bella a rialzarsi.
Non capii subito il significato di quella frase. Quando torneranno. Credeva forse
che, tornata una, sarebbero tornati tutti? Mi rialzai veloce anch’io. Jacob era ancora davanti a me, irrigidito.
Mi voltai e vidi Alice sulle scale, anche lei una statua. Al
momento mi trovavo in mezzo ad un vampiro ed un licantropo, per niente
tranquilli. Non ne ero particolarmente felice.
“Bella?” mormorò, fredda. Lei le fu subito
accanto. Alice cominciò a comportarsi in modo molto strano. Aveva lo sguardo
vitreo, come in trance. Non era normale per un
vampiro. Forse funzionava così quando vedeva.
“Al…”
Alice si voltò improvvisamente verso Bella. Sobbalzai per lo
spavento. Lei sì che sembrava la bambina dell’Esorcista.
Dietro di me sentii il calore della pelle di Jacob.
“Edward” Era un mormorio, ma tutti
in quella stanza lo sentirono. Improvvisamente Bella entrò nello stesso stato di Alice. Jacob cominciò a
bestemmiare dietro di me. Avrei tanto voluto seguire l’esempio di Jacob, ma, mentre lui lo faceva per rabbia, io lo avrei
fatto per disperazione. Di sicuro non erano buone notizie. Quel vampiro aveva
la dote di creare guai agli altri e a sé stesso. Alice
si riprese con un sobbalzò e Jacob
mi oltrepassò.
“Cosa lei hai fatto?” disse in un
misto di preoccupazione e minaccia. Il che risultava
buffo.
“Bella? Mi senti?” Alice invece era
quasi isterica ed ignorava il licantropo dieci volte più alto e grosso di lei
al suo fianco.
“Non ti avvicinare” si intromise Jacob, avvicinandosi di più a lei. Alice lo guardò truce.
“Sta calmo, JacobBlack. Non vorrai comportarti in questo modo davanti a lei?”
Bene, oltre ad avere un’amica in catalessi, c’erano un
licantropo ed un vampiro che stavano bisticciando. Ne avevo
proprio abbastanza di loro due. Mi misi in mezzo e tirai un leggero schiaffo a
Bella. Ottenni due strabilianti effetti; il primo fu che i due smisero di
litigare, il secondo fu che Bella si riprese subito, anche se mi guardava
ancora spaesata.
“Potevi essere più gentile” sentii borbottare Jacob. L’espressione di Alice
sembrava concordare. O mio Dio, un licantropo ed un
vampiro che si trovano d’accordo! Chi l’avrebbe mai detto! Alzai gli occhi al cielo esasperata dall’osservazione.
“La ragazza ne ha passate di peggio!” esclamai.
“Cos’è successo, Alice?” mormorò
Bella, attenta e concentrata su Alice. Il nome di Edward, detto in quel modo, l’aveva davvero sconvolta. Volevo proprio sapere cosa caspita stava succedendo.
“Non lo so!” strillò all’improvviso la vampira. Si era
agitata. Bella appoggiò un braccio a Jacob, per
reggersi, mentre cominciava a tremare. Io, alla sua sinistra, provai a
stringergli la mano. Voltò di scattò la testa verso di
me. Lo guardai rassicurante, nonostante non sapessi se c’era da stare
tranquilli. Jacob smise di tremare, ma non si liberò dalla
mano. Mi soffermai improvvisamente alle strane parole di prima. Cosa caspita
voleva dire che…
“Rose, sai qualcosa di Edward?” La squillante voce di Alice mi riportò alla realtà.
La vidi parlare veloce al telefono con qualcuno.
“Cosa hai fatto?” esclamò allibita
ed arrabbiata. Aveva le mani che le tremavano per la rabbia e per la paura. Era
successo davvero qualcosa di grave, se un vampiro perdeva la calma in questo
modo. Cominciai ad avere paura.
“Sbagli in entrambi i casi!” urlò ancora
“Lei sta bene. Ho sbagliato… storia lunga… No, sei tu che sbagli, ho
chiamato… Sì, è quello che ho visto.”
“È tardi Rose. Sono
inutili le tue scuse” disse a denti stretti prima di chiudere il
cellulare con forza.
“Alice?” mormorò Bella, ancora stretta a Jacob,
ma in tono più convinto. La mano cominciò a sudare.
“Carlisle prima ha chiamato”
comunicò. Catturò la mia attenzione; dove c’era Carlisle
c’era mio padre. Ecco chi c’era al telefono. Ma perché avrebbe dovuto chiamare se si trovava proprio a Forks?
“Quando?” continuò a mormorare
Alice.
“Poco fa”
“Cos’ha detto?”
“Gli ha parlato lui” Il mio sguardo guizzò su Jacob. Alice lo perforò e lui sussultò impercettibilmente.
“Cercava Charlie e gli ho detto che era andato al funerale.” Molto probabilmente Carlisle, saputo del funerale di Harry
voleva fare le condoglianze a Charlie.
Ma come l’aveva saputo? E perché non era venuto di persona? Non riuscivo a capire assolutamente nulla.
“Non era Carlisle al telefono” La
voce di Alice aveva un non so che di terribile. Era
agitata e sconvolta.
“Credi che sia un bugiardo?” sbottò Jacob.
Gli diedi un pizzicotto con le unghie per il suo intervento inappropriato, che
ovviamente non sentì.
“Era Edward. Crede che tu sia
morta” mormorò. Mi abbandonai con il pensiero ad una
bestemmia anch’io questa volta. Fin troppe volte i mie
genitori mi avevano detto “se tu morissi, non credo riuscire a vivere
ancora” per non capire che c’era una grande possibilità che Edward
volesse suicidarsi!!! Che casino, che casino, che casino…
“È stata Rosalie a dirglielo?” Bella sembrava troppo
tranquilla per rendersi pienamente conto di quello che
stava succedendo.
“Sì…” si limitò a dire lei, trattenendo la rabbia.
“E lui ha creduto che il funerale fosse
il mio…” mormorò lei. Sembrava ancora troppo tranquilla.
“Non sei sconvolta” constatò veloce Alice. Più guardavo la sua espressione, più sembrava confermare le mie
teorie.
“Mi sembra solo un equivoco, quando ritelefonerà…”
“Dimmi che non andrà ad uccidersi”
interruppi di scatto Bella. L’occhiata che mi lanciò Alice mi diede conferma.
Bestemmiai questa volta ad alta voce. Ti odio Cullen!
Bella sembrava essersene resa finalmente conto. Guardava Alice impietrita,
pallida, a bocca aperta. Sembrava essere sul punto di svenire.
“È andato in Italia.” Perché fin
laggiù? Non poteva dar fastidio al primo vampiro che capitava ed evitare di
scomodarsi in questo modo? Non la stetti molto a sentire, troppo concentrata
sulla reazione di Bella.
“NO!” esclamò finalmente Bella “No…n”. Andò in
iperventilazione, mentre Jacob la continuava a
sostenere, preoccupato ed in silenzio.
“Ha deciso un attimo dopo che lui gli ha parlato” disse
Alice, cupa.
“Ma… non ha senso! Lui non mi
vuole! Che differenza…” si bloccò. Voltò lentamente la
testa verso di me.
“Avevi ragione…avevi… ragione…” Non
riuscì più a parlare. Cominciò a singhiozzare e gli occhi le diventarono subito
lucidi. Non aveva mai creduto appieno a quello che avevo detto. Era ancora
dubbiosa, non le si poteva dare torto. Mi dispiaceva
solo che lo avesse scoperto in questo modo.
“Cosa le hai detto?” mi chiese
seria Alice. Io non le risposi; non era il momento.
“Che…” La voce di Bella si era
fatta ora sprezzante, mentre stava cercando di trovare un aggettivo giusto per
definire Edward. Si staccò da Jacob,
cercando di scansarlo. Sentii la presa della sua mano farsi più forte. Io
ricambiai.
“Cosa facciamo?” supplicò Bella
Alice. Nonostante fosse esasperata, era anche
abbastanza lucida. “Lo possiamo chiamare”
“Ho provato, ma ha gettato il cellulare; ha risposto qualcun
altro” fece seria.
“Alice” Bella la guardò con sguardo supplicante.
“Bella… non credo che… sia possibile che tu…” disse
esitante. Lei aveva qualche idea in mente.
“Sarà possibile” confermò Bella. Le appoggiò le mani sulle
spalle.
“Forse è troppo tardi, ma… l’ho visto andare dai Volturi,
per chiedergli di ucciderlo” Bella la guardò perplessa e spaventata. Io invece
confusa. Chi erano i Volturi? Non ne
avevo mai sentito parlare.
“Dipende se accetteranno o no. È
molto probabile che non acconsentiranno, Aro è molto amico di Carlisle. Ma tenterà comunque
un’altra strada; i Volturi tengono molto a Volterra, Edward
sa che se sconvolgerà la sua tranquillità, loro interverranno. E… lo fermeranno.”
Era ovvio che quel fermeranno stava per uccideranno.
Io però rimanevo confusa. Chi erano questi vampiri,
questi Volturi? Perché doveva andare proprio da loro?
Perché i miei genitori non me ne avevano mai parlato?
Li conoscevano?
“Quindi, se acconsentiranno, sarà
troppo tardi. Se non acconsentiranno, dipende; si potrà forse fare ancora
qualcosa.”
“Andiamo” esclamò subito lei. Io ero ancora troppo confusa per riflettere. Jacob sembrava
pensarla allo stesso mio modo, vicino a me.
“Bella! Ci ritroveremo nella città dei
Volturi. Se Edward ce la farà,
crederanno che c’entri qualcosa anch’io. E tu sei un
umano, che conosce i vampiri, oltre ad avere un buon profumo. È molto possibile
che moriremo tutti. Nel tuo caso, ti mangeranno.”
“È l’unico motivo?” Bella ci rimase piuttosto male “Se tu
non vuoi venire, ci andrò da sola.”
Un brivido mi percorse la schiena. Bella. In
quella conversazione poco chiara era lampante una cosa; Bella in una città
piena di vampiri. No, no, no. Era troppo. Non
sapeva cosa stava facendo. Anzi, lo sapeva fin troppo bene; se non avrebbe
tentato, avrebbe perso sicuramente Edward. Altra cosa
lampante. Con la mano libera mi tenni la testa. Sarebbe andata, e nessuno le
avrebbe fatto cambiare idea. Non quando si trattava
della vita di Edward. Inoltre condividevo appieno la sua idea; avrei fatto lo
stesso se fossi stata in lei. Sentii la mano di Jacob
stringere ancora di più. Ne sarebbe uscita con un’ustione di terzo grado se continuava così. Era rimasto atterrito da tutto questo.
“Ho paura che ti uccidano” mormorò Alice. Bella scioccò la
lingua.
“Rischio ogni giorno! Dimmi cosa devo fare.” Alice tentennò
solo un paio di secondi.
“Tu scrivi un biglietto a Charlie,
mentre io prenoto l’aereo.”
“Charlie” esclamò Bella.
“Lo difenderò io. Non me ne importa più
niente del patto” s’intromise arrabbiato e terribilmente confuso. Immaginavo
che di tutta quella conversazione avesse capito solo che Bella stava per andare
in una città piena di vampiri. Sentii la mano di Jacob
staccarsi dalla mia, che poté finalmente respirare.
“Muoviti, Bella!” sentii urlare Alice. Bella mormorò
qualcosa che non riuscii a capire sulle prime. Se ne andò svelta in cucina. Jacob la
seguì poco dopo. Intanto io pensavo sulla situazione seduta sul divano. Ancora
una volta giunsi a quella conclusione. Forse non ci avevo pensato realmente,
perché se lo avessi fatto, non ci sarei arrivata. Ma ero
una stupida idiota che non poteva fare a meno di esserlo.
“Dimmi che hai un passaporto! È troppo tardi per fartene uno” esclamò Alice, spuntata dal
nulla. Le mie mani scattavano veloci sui pantaloni della tuta. Che fortuna; da
quando avevo perso la carta d’identità a San Lucas usavo sempre il passaporto. Bella salii veloce
le scale. Mi alzai dal divano convinta.
“Prenota per tre Alice. Vengo anch’io.” Fu istintivo,
d’obbligo. Un dovere. Non avrei mai permesso a Bella di andarsene in una città
piena di vampiri. Ma visto che questo non si poteva
fare, non vedevo altro modo di risolvere la situazione se non quello di andare
con lei. Tutti restarono a fissarmi. Bella si bloccò sulle scale.
“No, tu non c’entri. È troppo pericoloso”
esclamò Bella, severa.
“Non se ne parla nemmeno! Tu sei pazza! Rischierai anche tu,
per niente!” rincarò Alice.
“Non puoi fare niente, Abi” Fu la cupa
voce di Jacob a colpirmi di più. Me ne fregai di
tutti.
“Io vengo, che voi lo vogliate o no” dissi arrabbiata “Non
lascerò mai Bella andare da sola in una città di vampiri, mai”
“Abigail…” Bella aveva
ricominciato.
“No, Bella! Io vengo.”
“Lasciala fare quello che vuole! Non abbiamo tempo. I rischi
li conosce molto bene” sbottò irritata più che mai
Alice. Bella riprese a salire le scale, arrabbiata più di prima. Rimarrà
arrabbiata per un po’. Jacob mi guardava truce.
“Vuoi morire?” mi sibilò. “Credi che non tenga a te?” Io lo
guardai ancora scettica. Jacob si stava comportando
in modo strano da quando aveva varcato la soglia di
quella casa. Cominciai a fissarlo.
“Tieni a Bella? Allora lasciami andare”
gli risposi convinta. Lui aguzzò gli occhi.
“Fai pure quello che vuoi. E
fregatene delle persone a cui vuoi bene” Fu dura da incassare il colpo, ma lo
digerii bene. Era niente rispetto a quello che mi sarei aspettata dalla mia
famiglia. Mi avrebbe disintegrata. Cominciò a sfogarsi
poi con Alice.
“Sei matta a portarla là! Voi riuscirete anche a
controllarvi, ma quelle sanguisughe…” sbottò furioso. Prima
che finisse ed Alice gli spaccasse la faccia riuscii a
fermarlo.
“Smettila!” gli urlai incontro. Lui mi guardò, ferito,
impassibile, come se fossi un’estranea. Mi fece più male di quanto pensassi.
“Non serve più a niente. Quando
Bella decide, deve arrivare fino in fondo, tu questo lo sai. Questa volta più
di tutte; si parla di Edward.
E su questo nessuno ha parola in capitolo, nemmeno tu.”
“Tu però ci riesci” mi accusò lui “Sei riuscita a convincerla
che tornerà, che la ama ancora. Fallo anche ora;
convincila a rimanere!” mi ordinò. Io lo guardai
impassibile. Lui mi guardò di sottecchi.
“Tu non vuoi farlo” mi ammonì.
“Se fosse per me vorrei, ma… non vedo nulla che possa
convincerla” Perché, perché tutti mi stavano dando capacità che io non avevo?!
“Smettetela, per favore” Bella ringhiò furiosa, mentre
scendeva di corsa, rischiando di inciampare. Jacob mi
continuava a guardare furibondo, e deluso. Mi ero messa in grandi, enormi
casini; speravo solo che un giorno avremmo risolto.
“Tu c’è l’hai il passaporto?” trillò seria Alice. Io annuii
convinta. Il secondo dopo la vidi sfrecciare verso
l’auto parcheggiata fuori. Jacob fece un ultimo
tentativo. Prese il braccio di Bella.
“Bella, ti prego, pensa a Charlie,
pensa a me” supplicò lui.
“Mi dispiace Jake” replicò lei con
voce affranta.
“Non voglio che tu muoia” Fece fatica a pronunciare bene le
parole. Lei lo abbracciò per un istante, mentre lui le sfiorava la testa.
“Scusami” mormorò. Gli prese la mano e gliela baciò. Se ne andò svelta fuori dalla casa. Jacobtornò a guardare me. Aveva uno strano luccichio negli
occhi. Era sorpreso e per un attimo felice di vedermi ancora lì; credeva che
non sarei andata e sarei rimasta con lui. Invece volevo che Bella se ne andasse per avere la privacy di fare una piccola cosa, di
cui se fosse andata male, mi sarei pentita a morte di non averlo fatto. Mi
avvicinai a lui, mi strinsi alle sue spalle ed alzandomi sulle punte dei piedi
gli diedi un piccolo bacio. Sentii solo per pochi secondi la sensazione delle
sue calde e tenere labbra sulle mie. Mi scostai subito e senza guardarlo in
faccia mi diressi anch’io verso la Mercedes
parcheggiata sul vialetto.
“Abigail!” mi urlò Bella dal
sedile del passeggero, mentre Alice non esitava a sfrecciare a duecento. “Se fossi in te rimarrei in aeroporto!”
“Fortuna che non sei me!” le risposi di rimando.
“Stai facendo una follia! Rischierai di morire! Te ne rendi
conto? I tuoi genitori cosa diranno?”
“Lo sai che potrei dire le stesse cose di te?” insinuai io.
“No, Abigail, non è la stessa
cosa. Io lo faccio per Edward e tu sai cosa significa
per me. Tu invece…”
“E io lo faccio per te!” le urlai
in faccia. Touchè.
“Ma io non voglio che tu lo
faccia…” disse questa volta con mera decisione.
“Non penso che Edward sia
desideroso che tu vada in una città piena di vampiri…”
“Ora basta!” ghignò a denti stretti Alice. Entrambe tacemmo, anche perché la conversazione a quel punto era già
finita. “Abigail, Bella ha ragione. Dovresti rimanere all’aeroporto” disse facendo un ultimo
tentativo. Fiato sprecato.
Arrivammo all’aeroporto in dieci minuti. Mancava
pochissimo alla partenza dell’aereo e per poco non lo perdemmo. Mentre l’aereo stava per decollare Bella, tra me ed Alice,
fremeva. Io le presi la mano, ma lei si rifiutò di stringermela. Bella ce l’avrebbe avuta con me per un bel po’ di tempo. Alice le
sussurrò parole rassicuranti, che non funzionarono. Durante
il decollo, Alice con uno scatto veloce afferrò il telefono davanti a sé,
mentre l’hostess ci guardava severa. Tuttavia
non aprì bocca. Cominciò a parlare con qualcuno, troppo velocemente per capire
quello che stava dicendo. Ed io ero troppo distratta per
ascoltare. Solo quando l’aereo si staccò dal suolo, pensai davvero a
quello che stavo facendo. Stavo andando in Italia, per evitare che Edward, la vita, l’amore, l’amore della vita e blablabla di Bella non morisse.
Personalmente, non me ne sarebbe importato niente se si fosse
tolto la vita o no. Anzi, forse era meglio
così; avrebbe dato a Bella tutto il tempo per superare la cosa e decidersi
nella sua indecisione se amare quell’altro o no. Le avrebbe dato una vita di normalità. Su questo ero
d’accordo con Jacob. Questo era per lo più quello che
pensava il lato razionale. A spingermi in tutta quella faccenda era stato
l’altro lato di me, quello che non potevo controllare, neanche fosse il mio lato oscuro della forza. La principale ragione
che lo aveva stuzzicato era stata proprio Bella; non me ne fregava niente, se
lei andava dai vampiri, ci andavo anch’io. Era stata
una cosa istintiva e del tutto impulsiva, che influenza anche l’altra parte
razionale; non trovavo motivi logici per giustificarmi, nonostante ce ne
fossero assai per convincermi del contrario. Il secondo motivo era che Bella
teneva ad Edward e se fosse morto,
ne sarebbe uscita distrutta. Insomma, quello che era bene, era diverso da ciò
che era giusto. Si erano poi tanto impegnati quei due per restare insieme e
farla finita per una semplice incomprensione era davvero squallido.
Quindi sembrava bene e giusto aiutarla nel suo
intento, anche se non sapevo bene cosa avrebbero dovuto fare due umane per
salvare un vampiro; di solito era sempre il contrario.
A me poi, non ci pensavo tanto. Lo avrei fatto dopo. Se ne avessi avuto il tempo e la possibilità. I miei genitori
mi avrebbero massacrata. E mi
dispiaceva davvero; si erano sempre fidati di me, in ogni situazione. Non li
avevo mai delusi così tanto come questa volta, ne ero
certa. Feci un respiro profondo; mi costrinsi a non pensare a loro. Ne a Jacob; cavolo, aveva ragione,
ero una grande egoista. Una stupida e grande egoista,
che non poteva migliorare. E poi quel bacio… se fosse andato bene
mi avrebbe chiesto spiegazioni. E mi ci volevo vedere
cosa avrei fatto.
“Cosa ti ha detto? Dimmelo, per
piacere. PerchéJasper
dovrebbe fermare Emmett? Non possono
aiutarci?” La voce di Bella mi riscosse dai miei pensieri. Drizzai le
orecchie; dovevano essere i nomi dei fratelli Cullen.
Alice chiuse gli occhi.
“Per due motivi. Potrebbero aiutarci; Emmett
riuscirebbe a fermarlo e potremmo convincerlo che tu non sia morta. Ma capirà che vogliamo fermarlo, quindi agirà più
velocemente. Farà qualcosa di imprevedibile, come
lanciare un’auto contro un muro, e i Volturi lo prenderanno. Il secondo motivo invece è che se gli altri ci raggiungessero ed Edward riuscirebbe nel suo intento, i Volturi ci
dichiarerebbero guerra, Bella.” Alice aprì gli occhi.
“E noi quattro… non siamo in grado
di vincerli. Sarebbe diverso se avessi qualche possibilità, ma… Non voglio perdere Jasper” mormorò
inquieta. Era vero; non eravamo solo io e Bella a rischiare. C’era anche Alice
che avrebbe lasciato la sua famiglia. Oltre a Edward.
“Edward non potrebbe scoprire che
sto bene leggendoti il pensiero?” Sobbalzai. Aveva una dote che era quella di
leggere il pensiero? Oltre a quella di riuscire a mettere tutti nei casini. Era
strabiliante. Sarebbe magnifico sentire i pensieri di tutti quelli che conoscevo. In particolare di Bella; non capivo mai cosa le
frullava in testa. A pensarci bene però, povera Bella; sapere che la persona
che ami conosca di te ogni tuo pensiero. Se fossi in lei mi sentirei perennemente imbarazzata e frustata.
“Se mi credesse; è possibile
mentire con il pensiero, pensare a falsità. Anche se
pensassi con intensità che tu sei viva non mi ascolterebbe”
“Scusate” m’intromisi io. Si voltarono
entrambe verso di me, stizzite per averle interrotte.
“Edward legge nel pensiero? Non
potrebbe… leggere quelli di Bella?”
“Con me non ci riesce” mi rispose un po’ seccata Bella. Io
tornai al mio posto, in silenzio. Facevano di tutto per farmi sentire in colpa,
anche se le prime ad esserlo con sé stesse dovevano
essere loro. Sapevo che lo facevano perché io ero in effetti
l’unica che poteva tirarsi indietro. Provai a distrarmi un poco, guardando di
tanto in tanto le hostess che passavano e gli altri passeggeri. Ma non durò tanto.
“Chi sono i Volturi? Come possono
essere più pericolosi di voi quattro assieme?”
La domanda di Bella attirò tutta la mia attenzione. Alice
fece un respiro profondo. Si voltarono entrambe di scatto; non capii cosa
stessero facendo. Capii solo più tardi che qualcuno stava cercando di spiarle.
Dopodiché, dopo aver lanciato uno sguardo poco amichevole all’interessato, si
fecero più vicine. Cercai di avvicinarmi anch’io, premendo il fianco
violentemente contro il braccio del sedile.
“Non sapevo li conoscessi. Credevo non sapessi cosa volessi
dire con “È in Italia”. Te l’ha detto lui.”
“Sì, ma non me ne ha parlato molto. So che sono molto
antichi e potenti, una specie di famiglia reale. Mi ha… anche avvertito che chi
si mette contro di loro va in contro a morte certa” disse
le ultime parole con una certa titubanza.
“Invece mi sorprende che tu non li conosca” si rivolse a me,
scura in volta.
“Dovrei?” chiesi ansiosa. Perché d’un colpo compaiono questi
Volturi? Non capivo cosa volesse dire Alice. La
guardai attentamente negli occhi, aspettando una risposta. Anche
Alice divenne tituba, mentre Bella mi guardava curiosa e confusa.
“È meglio se parli con la tua famiglia” disse alla fine. Non
poteva rispondermi in questo modo. Perché avrei dovuto conoscerli?! Aprii bocca, preparandomi a parlare con un tono di voce
troppo alto, ma Alice mi precedette.
“Senti, se i tuoi genitori non te l’hanno detto, ci sarà un
motivo. Spetta a loro, non a me.”
Tornai per un attimo seduta al mio
posto, con il fianco dolorante. Ero arrabbiata. Non con
Alice, perché non voleva dirmelo, ma con loro. Non era la prima volta
che non mi dicevano certe cose, ed il motivo era sempre quello; si
preoccupavano da paura per me. O era mia madre, o era mio padre; mai nessuno
non si preoccupava per me. E tutte queste cose non dette, per non dire segreti, mi facevano perdere la testa. Tornai a
distendermi non appena Alice ricominciò a raccontare.
Fece parecchi accenni ad eventi che non conoscevo e che, da
quanto mi aveva raccontato Bella, erano accaduti prima del mio arrivo a Forks, quindi persi alcuni passaggi ed informazioni. Face
ammonimenti a parecchie cose riguardanti il comportamento dei vampiri
non-vegetariani, che non mi erano nuovi; per fortuna
papà mi aveva detto almeno questo. Ciononostante afferrai il concetto per
quanto riguardava i Volturi. Non erano buone notizie.
I Volturi erano un gruppo di vampiri, piuttosto numeroso,
circostanza strana per i vampiri, in quanto la loro natura li spingeva a
vivere in coppia o da soli. All’inizio erano tre, poi passarono a cinque; Alice
supponeva che fossero riusciti a sopravvivere insieme fino ad ora per l’età:
erano dei vecchiacci di tremila anni e quindi molto
esperti. Oppure per le doti che due di loro avevano, come
papà e forse mamma. Oppure ancora per la
semplice voglia di governare insieme il mondo. Dovevo ammettere che la vampira aveva idee abbastanza chiare. Disse anche i loro nomi, in
latino, tanto per cambiare, quindi non mi sforzai a
ricordarli. Ancora non contenti, c’era il corpo di
guardia. Come se un vampiro non potesse difendersi da solo; avevano davvero
spinto fino all’eccesso l’idea di “famiglia reale”. Ma,
si sa, ai vampiri piace fare le cose in grande. Per quanto ne sapeva Alice la
guardia era costituita da nove membri, ma il numero era variabile; c’era un
continuo reclutamento e solo chi possedeva particolari doti poteva entrare a
farne parte. Quindi si trattava di un gran numero di
vampiri superdotati. Perciò, cinque vampiri, più nove
e più, era una motivazione più che sufficiente per capire che nessuno avrebbe
avuto scampo con loro. E noi in quel momento gli
andavamo a… “disturbare gentilmente”. Cominciarono i sudori freddi; se lo
avessi saputo prima… ci sarei andata lo stesso,
inutile. Adesso capivo perché Edward aveva scelto
proprio l’Italia come meta. Papà, come aveva detto anche Alice, diceva che i vampiri vegetariani erano, in un certo senso,
più civili, più umani, rispetto a quelli normali. Questi erano normali, ma
speravo in cuor mio che fossero civili lo stesso.
La conversazione si fece più interessante
quando Alice cominciò a parlare del “ruolo” che avevano, oltre a
sussurrare più piano. In pratica, consapevoli della
loro grande forza, non avendo da fare niente quel giorno, si auto-proclamarono
difensori delle regole, una specie di giudici del mondo dei vampiri. Questo sì che era una presa di potere; erano piuttosto impertinenti.
La cosa mi stupii, di nuovo; Vampirlandia
non era una assoluta anarchia come pensavo, ma una stretta oligarchia
controllata. E nessuno mi aveva detto niente, il che mi fece
ancora più stizzire. E preoccupare. Con questo potere
che si erano dati avevano il compito di punire i ribelli, coloro cioè che infrangevano le regole.
“Regole?” si sorprese Bella. Io continuavo a rimanere
scettica ed ad avere una brutta opinione su di loro.
“Ssh!”
“Perché non me l’avete detto?
Volevo… diventare anch’io un vampiro. Avrei dovuto sapere”
sussurrò irritata. Alice sogghignò.
“Non è difficile. C’è solo una semplice regola. Lo puoi
capire da sola”
“Fare in modo che gli umani non vengano a sapere della loro
esistenza” mormorai pensierosa. Alice annuì nella mia direzione. Oh… questo
spiegava le intenzioni di Edward;
voleva dimostrare al popolo di Volterra di essere un vampiro. E sarebbe diventato così il ribelle.
“È successo altre volte che un vampiro svelasse
il nostro segreto, per noia. O poiché ha perso il controllo
impazzendo. In quel caso, prima che il vampiro in questione sveli il
nostro segreto, i Volturi sono tenuti ad agire.”
“Così vuole violare le regole e fare il cattivo ragazzo”
mormorai. Alice annuì ancora.
“Sono regole molto ferree, a Volterra. È perfino proibito
cacciare al suo interno; è sicuramente la zona più protetta dai vampiri.”
“Come fanno allora a nutrirsi, se non escono mai?” Bella mi
aveva letto nel pensiero.
“Attirano il cibo dall’esterno; è uno dei compiti delle
guardie, oltre a quello di far rispettare la regola e difendere Volterra.” Era al contempo disgustata e curiosa di sapere cosa intendesse
per Attirano dall’esterno.
“Non credo si siano mai trovati in
una situazione del genere. Non molti furono i vampiri che vollero suicidarsi in
passato.” Bella gemette; si stava preoccupando a morte
per Edward. Alice le passò un braccio intorno alle
spalle ed io le strinsi la mano e questa volta ricambiò.
“Faremo il possibile, Bella. Mi farò in quattro per
riportarvi a Forks sane e salve.”
Quel plurale mi fece sentire più sicura, ma anche più in colpa.
“Non permetterti quindi di creare problemi” Alice si
atteggiò autoritaria, guardandola in cagnesco.
“Te lo prometto, Alice”
“Soprattutto tu” disse marcando ancora di più il tono di
voce e puntandomi persino il bianco dito affusolato contro. Io mi bacia l’indice ed il medio della mano destra, in segno di
promessa. Non era però stata molto chiara in cosa volesse
dire con “guai”.
“Ora devo concentrarmi, per vedere cosa vorrà fare” disse
Alice, appoggiandosi allo schienale ad occhi chiusi, con ancora il braccio
intorno a Bella. Lei si voltò verso di me. Mi guardava con espressione
incomprensibile, ma continuava a stringermi la mano.
“Cosa pensi?” mi chiese sottovoce.
Ci pensai su per un po’.
“Penso che questi Volturi siano davvero degli impertinenti
esibizionisti, con il corpo di guardia, il titolo di difensori della legge e blablabla” Riuscii a strapparle un piccolo sorriso. Rimase
però ancora agitata; anzi, non si era mai lasciata andare per tutto il tempo. Ero
costretta ad ammettere che ero rigida e tesa anch’io.
Il resto del viaggio lo passammo per lo più in
silenzio; era meglio se al momento ognuna se ne stesse immersa nei propri
pensieri.
Osservai per un paio di minuti lo schermo della TV dell’aereo, ma ero talmente tanto agitata ed impensierita
che chiudere gli occhi e cercare di rilassarmi sembrava un’idea migliore.
Dopo parecchie ore, l’aereo cominciò ad atterrare a New York. Mi slacciai la cintura del sedile.
“Hai visto qualcosa?” sentii mormorare Bella ad Alice. Mi
avvicinai per sentire la risposta.
“Non esattamente. Sta decidendo come presentare la proposta.”Quindi, ancora niente. Bhè, avevamo
ancora tempo, se doveva ancora chiederglielo.
Ci trovammo a correre per l’aeroporto, per prendere la
coincidenza. Subito dopo il decollo, Alice tornò immobile, a vedere. Io e Bella
continuammo a stare zitte. Cercavo in ogni maniera di
non pensare ai miei genitori, il più grande rammarico
che stavo portando. Feci un respiro profondo; non c’era tempo per tornare
indietro e cambiare idea. Dovevo essere responsabile ed accettare le
conseguenze, in qualsiasi modo sarebbe andata. E ben
mi stava se avrei sofferto parecchio. Poi c’era Jacob;
non avrebbe più rivolto la parola, né a me, né a Bella. Mi sentii in colpa per
rischiare di non vederlo più. Forse era questo il dolore più grande, sorvolato
solo dal non vedere più la mia famiglia. Abbassai la testa; mi sentivo una
colpevole, come un’assassina di un omicidio. Quegli orribili pensieri furono
per fortuna interrotti. Alice aveva visto qualcosa; i Volturi avevano rifiutato
la proposta di Edward. Era
un bene, perché ci dava più tempo. Uno steward si avvicinò.
“Desiderate un cuscino?”
“No, la ringrazio” Il sorriso abbagliante di
Alice disorientò per un attimo lo steward.
“Ti ascolto” mormorò Bella. Ancora una volta mi slanciai
nella loro direzione, sentendo nuovamente un dolore acuto al fianco.
“Gli proporranno di stare con loro; gli interessa il suo
potere”Bene,
questo voleva dire ancora più tempo. Sarei poi stata curiosa di cosa avremmo
fatto appena atterrati; speravo che Alice avesse un piano.
“E lui?”
“Non lo vedo, ma scommetto che gli risponderà a proprio
modo. È una buona notizia; la proposta di Aro di
proporgli di unirsi a loro lo farà pensare, e perdere un po’ di tempo a nostro favore”
Alice era raggiante. Anche se “raggiante” in quel caso
sembrava sconveniente.
“Non capisco. Perché in certe
occasioni vedi tutto molto più chiaro, rispetto ad altre che non accadranno”
chiese dubbiosa Bella.
Iniziò così una lunga conversazione sulle visioni di Alice, che dipendevano dalla specie del soggetto che vedeva,
dall’affinità, dalla distanza nel tempo e blablabla.
Sinceramente non mi interessava; ero improvvisamente
diventata tesa per la mia famiglia, Jacob, la mia
famiglia ed ancora Jacob. Cercai però di rilassarmi,
per evitare che Alice e Bella se ne accorgessero.
Cominciarono poi a parlare della possibilità di Bella di diventare un vampiro, il che cominciò ad interessarmi;
Alice l’aveva vista diventare un vampiro. Cosa voleva
dire esattamente? Che era una remota possibilità, o
una certezza? Perché non avevo ascoltato Alice prima!
“Lo sai, Bella, questa situazione sta
diventando assurda. Sto accarezzando persino l’idea di farti
diventare io stessa un vampiro” sussurrò esasperata. Bella ne era rimasta folgorata.
“Scusa, ti ho messo paura?” chiese preoccupata Alice.
“Certo!” esclamò Bella, come se avesse avuto l’idea del
secolo “Ti prego, Alice. Fallo, adesso. Così posso
essere in grado di aiutarti e non di creare solo problemi. Mordimi!”
No, era la stupidata del secolo. Prima ancora che Alice rispondesse io mi misi a sogghignare. Bella ed Alice si
voltarono verso di me.
“Perché ridi?” mi chiese Bella,
confusa e un po’ stizzita.
“È esattamente quello che non devi fare; questo sarebbe un guaio” dissi con una
certa presunzione nella voce; mi piaceva fare la “so tutto io” a breve termine.
“Oltre a necessitare di due giorni,
come minimo, di tempo per trasformarti, che non abbiamo, saresti un vampiro neonato privo di qualsiasi controllo e
pronto a scannarti su ogni essere umano che incontri. Inoltre è piuttosto
doloroso, cominceresti a gridare come un’assatanata e proprio
qua in aereo darebbe parecchio nell’occhio.” Bella mi guardava ad occhi
spalancati. Forse avevo esagerato ed adesso si sentiva una stupida.
“Ah…” disse lei rimangiandosi tutto quanto.
“Sai tante cose” mormorò Alice guardandomi con un certo
stupore contenuto.
“Ehi, io ci vivo con quelli come voi. È logico che sappia
queste cose” feci con aria un po’ annoiata da saputella.
“E inoltre non credo di saperlo
fare. Non fidarti troppo di me” Si tornò a rivolgere a Bella, con aria
supplichevole.
“Voglio rischiare” Io sorrisi; quante volte mi sono sentita
dire quelle parole. Era in effetti quello che la mia
famiglia stava facendo da diciassette anni.
“Sei strana, lo sai?” mormorò Alice. Bella sorrise.
“Grazie” rispose confusa.
“Non immaginavo fossi così. Cioè,
non a questi livelli. C’entra forse lei?” Mi girai
distaccata, vedendomi tirata in causa. Bella sorrise anche a me.
“Qualcosa” mormorò.
“Cosa?” chiesi, per essermi
distratta un momento e non avendo ascoltato la loro conversazione.
“E poi era solo una remota ipotesi.
L’importante è rimanere vive fino a domani” concluse Alice, tralasciando la mia
domanda. Avvampai improvvisamente di calore. Domani. I miei genitori si
sarebbero presto infuriati, preoccupati, impazziti per me.
”Pronto?” Alice alzò velocemente la cornetta del suo
telefono, mentre un’hostess le lanciò di nuovo una greve occhiataccia.
“Sì, Carlisle…. Jasper te l’ha detto?... Non so
ancora quello che vuole fare, è meglio aspettare prima di agire… sì, è con
noi.” Detto questo lanciò un’occhiata spettrale verso di me. Mi strofinai il viso con le mani; dove c’era Carlisle, c’era papà. Sospirai pesantemente. Passarono
alcuni momenti di silenzio. Il suo viso si increspò.
Vicino a me, anche Bella si destò.
“E tu non gli hai trattenuti?! Ti
ha detto Jasper che…” Si bloccò
istantaneamente. Rimase immobile per non so quanti
secondi. Io continuavo a guardarla fissa negli occhi.
“Va bene” detto questo buttò giù il telefono. Mi lanciò
un’occhiata per niente amichevole.
“Tuo padre ha usato il tuo potere e
adesso i tuoi genitori ci stanno seguendo” disse arrabbiata. Mi sentii
stranamente sollevata; i miei genitori stavo venendo
da me. Per farmi sicuramente qualcosa di brutto, per cui non c’era tanto da
rasserenarsi. Ma in confronto a stare da sole con un
gruppo di un numero tra i dieci ed i venti vampiri, era la salvezza. Alice sospirò.
“Per fortuna sono distanti due ore da noi, quindi quando ci raggiungeranno le cose si saranno già
risolte a Volterra, in un modo o nell’altro.” Io trasalii. No, perché? Io
volevo che venissero al più presto.
“Perché dici cosi?” domandai con
una certa esitazione che non era da me.
“Perché se avessero preso il volo
precedente, ci avrebbero raggiunti ed avrebbero pagato anche loro le
conseguenze” Cercò di dirlo con tono neutro, ma che non poté fare a meno di
suonarmi come un rimprovero. Aggrottai le sopracciglia; quel senso di
colpevolezza, di assomigliare molto più ad un assassino, era aumentato. Mi
sentii una totale imbecille. Mi stavo comportando esattamente come una stupida;
non avevo pensato davvero a quello che avrei rischiato e cosa avrebbe davvero
comportato la mia sciocca idea.
Sentii la mano di Bella stringere la mia; ebbi appena la
forza per ricambiare. Si limitò solo a quello; cosa mai avrebbe potuto dire?
Anzi, me lo avrebbe dovuto far pesare ancora di più; lei era stata la prima a
dirmi di lasciar perdere. Per fortuna era un’amica e
non lo fece, nonostante non mi meritassi un comportamento simile. Anche Alice ebbe il buon pensiero di tacere; si stava
rivelando un’ottima persona. Oltre a tenere a Bella, a Edward,
a tal punto di rischiare la vita, aveva accettato anche me.
“È meglio se ne approfittate per
dormire un po’ e riposarvi. Vi sveglierò io” disse
Alice abbracciandosi le gambe e appoggiandosi il mento sopra. Per quanto mi
riguardava dormire era collocato all’ultimo posto delle cose da fare al
momento. Mi limitai ad appoggiare la testa sul sedile, mentre guardavo distratta
uno steward ed un’hostess parlottare allegramente.
“Hanno rifiutato la richiesta” disse Alice
impercettibilmente, dopo non so quanto tempo.
“Cosa farà?” mormorò Bella, troppo
tesa.
“È confuso, deve ancora decidersi…” Pian piano cominciai a capire come funzionavano davvero le visioni di
Alice; capivo cosa significava vedere le decisioni prese dalle persone, i loro
progetti. Ciò che vorrebbero attuare. Più che
prevedere il futuro, prevedeva le volontà.
“Cosa hai visto?” chiese al limite
della preoccupazione. Alice sospirò e fissò Bella.
“Voleva andare a caccia. Dentro le mura” completò lei in un
sussurro.
Io mi concentrai su Alice; dopo ore passate in uno stato
quasi catatonico, passando il tempo impegnata a
compiangermi, avevo finalmente deciso di rivestire un ruolo più attivo e di
collaborare. Solo allora mi accorgevo che Alice non aveva un piano predefinito
in partenza, cioè, un piano dettagliato; stava
improvvisando in base alle decisioni di Edward. L’improvvisazione
era un buon piano, solo se si aveva molta fortuna, il che non ce lo garantiva nessuno.
“Ma ha cambiato subito idea” concluse
Alice.
“Non voleva deludere Carlisle”
dedusse Bella.
“No” concordò Alice. Decisi di non lasciare più pensieri
solo per me.
“Almeno siamo sicuri che non attaccherà persone innocenti,
ma troverà un altro modo” Alice e Bella mi guardarono.
“È proprio quello che vuole fare” Alice mi guardò ancora
sorpresa. Io le sorrisi.
“Siamo ancora in tempo?” esclamò all’improvviso Bella.
“Sì, se manterrà la sua decisione”
“Quale?”
“Esporsi al sole in pieno giorno.”
Ci pensai un po’ su. Si sarebbe trasformato in una palla da
discoteca anni settanta e tutti ne sarebbe rimasti
folgorati da cotale bellezza. Ed avrebbe rivelato il
segreto. Ruppi il momento di silenzio.
“Come posso dire…” cominciai cercando le
parole esatte “È una decisione davvero… elegante, per farsi uccidere. Il
ragazzo ha molta classe. Un po’ drammatico, forse.” Alice mi lanciò
un’occhiataccia.
“Arriveremo in ritardo” sussurrò Bella. Non riuscivo a
capire il perché, finché non mi accorsi della luce dell’alba che penetrava
nell’oblò. Nella mia mente di susseguirono una serie di parolacce da rimanere all’inferno
per l’eternità.
“No, non lo farà adesso. Aspetterà un pubblico più numeroso
possibile; per questo andrà in piazza, sotto il campanile. Le mura sono alte;
aspetterà quindi che il sole sorga alto in cielo.”
Lo dicevo, il ragazzo voleva fare le cose in grande e in
modo melodrammatico; nessun vampiro si potrà mai accontentare in nessuna
situazione delle semplice cose.
“Abbiamo tempo fino a mezzogiorno?” mormorò Bella.
“Se non cambia idea, sì.”
Bene, avevamo un piano, con dei dettagli:
sapevamo dov’era, sapevamo cosa e quando voleva fare. L’unica cosa che
mancava era il come fermarlo. Intanto il prossimo passo era raggiungere
Volterra prima di mezzogiorno, il che era qualcosa. C’era poi il come
raggiungerla, ma per questo doveva già averci pensato Alice. La voce del pilota
all’altoparlante avvertì gli ospiti dell’imminente arrivo a Firenze. Mi
allacciai le cinture di sicurezza.
“Quanto è lontana Firenze da Volterra?” chiese Bella.
“Dipende dal mezzo…” Voltò la testa e ci guardò seria.
“Vi sentirete a disagio di fronte ad un prossimo furto
d’auto?” Io non riuscii a trattenermi da una risata nervosa.
“Solo se la scelgo io.”
Alla fine non me la fece scegliere, anche se la Porsche gialla che aveva preso non era male. Al rumore del
motore parecchie persone si voltarono a guardarla. Era una signora auto,
quella. Dopo che anche Bella fu salita a bordo sentii il motore rombare e
partire.
“Alice, non… non potevi prendere qualcosa di più sobrio?” disse
Bella un po’ a disagio. Io mi accostai a lei.
“Ricordati, Bella, i vampiri fanno sempre le cose in grande.
Mi raccomando, ricordatene” le sussurrai in un
orecchio, mentre Alice con un piccolo sorriso sulle labbra, accelerò facendomi
sbattere contro il sedile.
“Le cinture, prego” mormorò con finta altezzosità “Dobbiamo
ritenerci fortunate; è la più veloce che ho trovato.”
“Ci sarà utile ai posti di blocco” minimizzò Bella. Alice
ghignò.
“Non avranno tempo per sistemarli, Bella.”
Detto questo una brusca accelerata mi schiacciò ancora di
più contro il sedile. Con forza mi aggrappai al sedile di Bella di fronte a me
e mi avvicinai a lei. Si stava avvinghiando al sedile,
terrorizzata. Il contachilometri segnava i quattrocento.
“Cose in grande, Bella, cose in
grande” confabulai io senza senso. Lei si mise persino a ridere nervosa.
“Non credo sia il momento adatto per ridere” si intromise Alice brusca.
“Questo è esattamente il momento più adatto per ridere.
Forse l’unico” la contraddissi io.
L’ultime parole le dissi con una
certa inquietudine nella voce. Volli godermi il paesaggio fuori
dal finestrino, forse anche per rilassarmi, ma il nostro autista andava
così veloce che fu impossibile fare anche quello.
“Qualche novità Alice?” chiesi per tenermi informata sulla
situazione. Lei aggrottò le sopracciglia; mi preoccupava il
fatto che stesse guidando e contemporaneamente vedendo da un’altra parte.
“C’è… un festa. Vedo… molte bandiere,
persone vestite in rosso. Che giorno
è oggi?”
“Quindici” risposi sicura. Alice ghignò.
“San Marco”
“Quindi?” continuai.
“Ogni anno si festeggia uno dei patroni di Volterra, il
vescovo cristiano Marco, che in realtà sarebbe Marcus
dei Volturi, perché secondo la leggenda scacciò i vampiri dalla città secoli
fa. Morì in Romania, mentre tentava di scacciare i vampiri anche in quella
zona. Ovviamente non è vero. Da questa storia sono nate molte altre leggende,
come la faccenda di aglio e croci.”
Quindi, la popolazione di Volterra
festeggiava al momento un vampiro, che uccideva le persone, invece di un
vescovo, che le salvava. E tutto ciò era stato
architettato da uno dei Volturi stessi. Era un piano talmente orrido, disgusto
e meschino che c’era da complimentarsi per l’ingegnosità.
I Volturi cominciavano a farmi ancora più ribrezzo;
chi diavolo si credevano di essere?
“Gli darà parecchio fastidio vedersi rovinare la festa da Edward” commentò Bella. Mi venne un’improvvisa voglia di
rovinarla io stessa, la festa.
“No, agiranno prima che Edward
possa fare qualcosa” commentò cupa Alice “Sanno quello
che vuole fare. E lo stanno aspettando.”
“Bene, allora che si fa?” chiesi impaziente.
“Tu niente” accusò contro di me “Basta che veda Bella” E basta? Sembrava essere facile e… semplice come piano. Io mi
accasciai sul sedile, delusa di non poter essere utile in alcun modo. Ero
davvero venuta là per niente.
“Cosa devo fare?” proruppe seria
Bella.
“Cercherò di portarti il più vicino possibile alla piazza.
Poi ti indicherò dove dovrai correre” disse seria.
“Ti prego, non inciampare, non c’è molto tempo” supplicò
Alice. Forse non sapeva con chi stava parlando; Bella che corre e non inciampa?
No, impossibile. La conoscevo fin troppo bene. Era un piano che faceva acqua da
tutte le parti. Mi accasciai di nuovo sul sedile, molto sconfortata. Non aprii
bocca, per togliere anche le ultime speranze.
Il sole intanto si era alzato molto, parecchio in alto. Il
tempo stringeva…
“Siamo arrivati” Mi misi a guardare oltre la spalla di
Bella. Davanti a noi si erigevano alte mura di mattoni. Lo stomaco mi si chiuse
improvvisamente e rimasi a fissarle immobile, mentre le attraversavamo ed
entravamo nella città.
E allora? Che
ve ne pare? Adesso le cose diventano più emozionanti!!
XD
X eia: Uau!
Sono felice che ti piaccia la mia ff e grazie molte
per i complimenti e per il commento! Non ti do torto, tra 2971 ff è un’impresa trovarne una… :
)Spero che anche questo capitolo sia
stato di tuo gusto! Alla prossima!
X Ryry_: Davvero? Sono curiosa di
leggere la tua ff, ank se
hai scritto un solo capitolo. E anche di sapere di cosa si tratta : ). Bè, insomma, era scontato
che Abigailsi innamorasse
di Jacob, no? : ) Sempre
insieme, sempre a litigare e poi far pace…Bon, ora basta! XD Grazie ancora per
il commento! Ciauz!
Davanti a noi si prolungava una ripida salita ed il traffico
aumentò. Le strade si fecero sempre più strette ed Alice fu costretta a
fermarsi. Guardai l’orologio; mancavano dieci minuti a mezzogiorno.
“Alice” supplicò Bella.
“È l’unica strada” La voce ingannava la sua apparente
tranquillità. Ormai era come restare bloccati in un ingorgo all’ora
di punta. All’improvviso Alice frenò di colpo, di nuovo. Fui sul punto di
scagliarmi contro il sedile di Bella. Guardai oltre alla sua spalla; un posto
di blocco. Non ci voleva.
“Alice” disse di nuovo Bella nervosa.
Guardai di nuovo l’orologio; otto minuti.
“Lo so” le rispose Alice tesa.
Basta! Stavo scoppiando! Non saremmo mai arrivati da nessuna
parte a quel passo! Dentro l’abitacolo della Porsche il caldo era
aumentato per il sole che batteva forte. Guardai invidiosa e con rabbia i
turisti e gli italiani che, camminando tranquillamente, ci superavano ed
arrivavano in piazza in un batter d’occhio.
E Bella avrebbe dovuto correre in
mezzo a tutti loro. Sarebbe stato impossibile per lei farlo abbastanza in
fretta. A confronto, invece, sembrava che io avessi migliori probabilità;
potevo essere molto veloce. Mi venne un’improvvisa, tanto quanto scapestrata
idea. Certo! Ma non sapevo come lo avrei potuto
fermare. Poco male; avrei improvvisato secondo l’esigenze
della situazione, come conveniva in quei casi fare. Non sapevo poi dov’era la
piazza, ma la soluzione in quel caso era semplice: bastava seguire tutta la
marmaglia di gente. L’adrenalina entrò in circolo per l’impresa; me ne sarebbe
servita tanta.
“Alice, dov’è di preciso nella piazza?” chiesi impaziente.
Lei doveva essere troppo concentrata sul futuro di Edward per vedere il mio, perché non previde in tempo la
mia decisione.
“A destra del campanile” rispose lei, quasi in preda al
panico. Slacciai immediatamente la cintura.
“È stato un vero piacere fare la vostra conoscenza” dissi
frenetica aprendo la portiera. Alice si voltò di scattò
verso di me; ora aveva capito. Non ebbe il tempo di parlare perché io le chiusi
la porta in faccia. Bella d’altronde, non si era neppure girata. Appena uscita fui travolta da un forte vento impetuoso, che per fortuna mi
avrebbe reso più facile reggere quell’insopportabile
caldo. C’era moltissima gente, ma per quell’occasione
avevo lasciato l’educazione a casa, quindi non sarebbe stato
un problema spintonarne un po’.
Incominciai a correre agile e scattante, talvolta spingendo,
talvolta sviando le persone davanti a me. Tutte si stavano dirigendo verso
un’unica direzione; doveva essere per forza la piazza. Mi lasciai finalmente dietro
la lenta e gialla Porsche. Aumentai il passo, fino a
raggiungere il limite, per cercare di raggiungere
quella maledetta piazza in tempo. La folla si faceva sempre più calcante ed il
sole mi accecava, ma io correvo lo stesso. Oddio, stavo cercando di salvare la
vita ad un vampiro! Sentii voci rudi urlarmi in una lingua sconosciuta;
italiani, mi ero sempre domandata come facessero a capirsi in una lingua così
strana.
Dopo tre minuti un mare di luce improvvisa mi obbligò a
fermarmi, accecata. Non capivo dove fossi finita; c’era un mare di persone,
vestite di rosso, accalcate. Un vero delirio. Mi voltai disorientata per un
po’, prima di capire dove fossi finita e di vedere un
grande campanile di fronte a me. Ero nella piazza e quello era il campanile. Si trovava completamente
dal lato opposto a dove mi trovavo io. Guardai il suo imponente orologio. Tre
minuti. Con un impulso violento, cominciai ad avventurarmi in quel mare di teli
e mantelli. Feci davvero un grandissimo macello; investii bambini ed anziani e
qualcuno ebbe anche il buon pensiero di picchiarmi in
testa o dove era più agevole farlo. Non sprecai tempo per vedere in faccia le
mie povere vittime; che persona senza scrupoli, pensai con ironia, in prenda all’isteria del momento. La mia coscienza ne avrebbe forse risentito. Per fortuna a Volterra nessuno
mi conosceva; sicuramente non ci sarei tornata una seconda volta.
Mi fermai in tempo prima di urtare
il cemento della fontana della piazza. Una fontana, non ci voleva. In due
secondi trovai un modo veloce per aggirarla. Salii veloce sul largo bordo,
piuttosto alto. Mi alzai sulla punta dei piedi per vedere la base del
campanile. Ero ancora troppo bassa; non riuscii a distinguere alcunché. Con uno sbuffo saltai e intravidi già qualcosa.
Cominciai a saltare ripetutamente con forza. Eccolo, era lì. Sembrava più che
altro una statua in marmo bianco di Carrara, ma dubitavo
che una statua potesse trovarsi in un vicolo a destra del campanile. Ergo, era un vampiro. Constatai che mancava ancora mezza
piazza per raggiungerlo, anche se non era molta la gente che si accalcava nella
sua direzione. Percorsi metà fontana, evitando di attraversarla per lungo, di
bagnarmi e di diventare più lenta, ed ignorando i cartelli che mi proibivano di
fare quello che stavo facendo. Scesi
veloce dalla fontana. Ed altri bambini,
vecchietti, donne e uomini innocenti furono vittime dei miei spintoni.
Ricevetti un colpo in testa dal ventaglio di una vecchietta temeraria che mi
fece parecchio male.
La calca di gente si stava diramando; ero quasi riuscita ad
arrivare alla fine. Riuscii ad intravedere la sagoma di Edward. Lo scambiai per le prime per un angelo in procinto
di spiccare il volo. Era a petto nudo, sul bordo di un vicoletto,
gli occhi chiusi, mentre le braccia leggermente distaccate
dal busto, con i palmi delle mani aperte, verso il cielo. Sembra un giovane
martire sul punto di morte, oppure uno di quei personaggi dei romanzi
cavallereschi, che aspettano di morire con onore e dignità. Davvero
scenografica, come morte; sì, non c’erano dubbi, era
lui. Aspettava impaziente di fare quell’unico passo
che lo avrebbe esposto alla luce del sole. Ebbi tempo di scorgere una piccola famigliola lì vicino, che si era accorta di lui
e lo guardava piuttosto incuriosita. Oh no, no, no… Doveva coprirsi
immediatamente! Sì, ma con che…
Mi venne un’idea; scippai il mantello rosso che portava
sotto il braccio un uomo di giovane età piuttosto alto. Fui abbastanza veloce
per non farmi beccare. Insomma, piuttosto che rubare una Porsche…
In breve riuscii finalmente a superare la folla che rimaneva.
Ora nessuno mi separava da quella statua immobile; solo una quindicina di metri.
Ed iniziai ad improvvisare davvero; come si fermava un
vampiro? Corsi come una forsennata verso di lui. Mancava un minuto. Meno dieci
metri; lui continuava a rimanere immobile. Meno cinque; lui restava fermo, ad
occhi chiusi, forse ignaro che qualcuno si stava avvicinando. Arrivata a meno
cinque metri srotolai il mantello rosso davanti a me,
tenendolo ben largo e sostenendolo con entrambe le mani. Era abbastanza largo,
come avevo sperato. NON FARLO, BRUTTO IDIOTA!
A meno due metri gli saltai
addosso. Fu un piccolo ragionamento di due secondi; era difficile spostare un
vampiro, con i soliti modi. Era molto più facile prenderli
alla sprovvista. Le mie gambe e le mie braccia gli si
avvinghiarono intorno. Il velo rosso fu abbastanza grande per
coprirgli busto e faccia. Produssi un gemito indistinto. Subito dopo un dolore allucinante.
Vidi la luce farsi sempre più soffusa e sentirmi cadere verso l’oscurità del
vicolo. Dopo capii che era stato lui ad arretrare. Ce l’avevo
fatta, si era allontanato dalla luce. Mi mancò improvvisamente la forza, sia nelle
braccia, sia nelle gambe e mi afflosciai a terra. Un dolore allucinante al
petto mi obbligò a mantenere una posizione supina.
“Ahia!” gridai per il dolore. Strinsi gli occhi per reprimerlo;
mi ero slanciata troppo forte su di lui e mi ero rotta una costola. Un verso
strozzato mi uscii improvviso dalla gola. Qualcosa di
freddo me la tratteneva e non mi permetteva di respirare. Aprii gli occhi;
Edward mi stava tenendo spiaccicata contro il muro a vari centimetri di altezza, tenendomi con una mano il collo, che avrebbe
potuto spezzare in poco tempo. Il suo viso davanti al mio. Per la prima volta
lo vidi in faccia. Era un bel ragazzo, non c’era che
dire. Non era però un buon momento per pensare alla sua invidiabile bellezza. Mi
guardava con un sorriso ed uno sguardo pieno di tenerezza, che mi avrebbe potuta ipnotizzare, se non avessi saputo cosa stava
realmente a significare.
“Non avresti dovuto farlo” mormorò con una voce simile al
miele, che data la situazione, non mi incantò per
niente “Mi dispiace”
Sfoderò poi un ghigno che mise ben in
evidenza i canini. Capito, voleva mangiarmi. Tanto che differenza
faceva, esporsi al sole o mangiare o uccidere un essere umano? I Volturi
avrebbero reagito comunque. Inoltre
dopo quell’interruzione la sua coscienza ed il suo
senso morale lo avevano di sicuro abbandonato.
Quel suo comportamento mi fece davvero incazzare.
Mi aveva rotto la costola – in realtà me l’ero rotta io, ma mi piaceva vederla
in questo senso – ed ora voleva anche uccidermi. Dopo tutto
quello che avevo fatto per Bella, per lui, dopo tutto quello che avevo
rischiato e lasciato a casa, con il dolore per la costola rotta e per la sua
manaccia stretta al collo, mi potevo permettere di arrabbiarmi un pochino.
Forse aspettava di vedersi davanti una ragazzina spaventata. Io
invece gli spuntai in quella sua boccuccia aperta. Lo presi di nuovo alla
sprovvista e fu troppo lento per chiuderla. Io lo
guardai furiosa.
“Allora sei proprio un idiota” mormorai “Sono corsa da te per
venirti a dire che Bella non è morta prima che tu ti
uccidessi e tu mi uccidi? Fallo pure! Poi ti assicuro che muori di sicuro”
Il suo viso perfetto si contrasse per la confusione, condita
anche con un non so che che
esprimeva disgusto. Non accennava a lasciarmi il collo. Cominciai a diventare bordeaux per il poco ossigeno. In quel momento ero tanto
arrabbiata che non me ne importava, persino. Anche se
inconsapevolmente, lui aveva ferito la mia dignità ed i miei sforzi. Sobbalzai
al primo suono della campana.
“Chi diamine sei?” mormorò, ancora con quell’aria
confusa e contemporaneamente disgustata.
“Lasciami andare prima, grazie” chiesi senza troppi
complimenti, con un filo di voce. Lui non accennò a mollare. Io tossii.
“Prima dimmi chi sei. Come fai a conoscere Bella e me?”
Bhè, aveva in parte ragione. Una
pazza gli saltava addosso e gli diceva che Bella non era
morta. Aveva i suoi buoni motivi per dubitare di me ed essere così cauto. In
quel momento però la costola mi ricordò che ero incazzata
ed in quel momento invece di pensare che stava agendo in buona volontà, pensai
che fosse un idiota ostinato. Io sbuffai. Secondo ritocco.
Improvvisamente caddi pesantemente a terra.
La costola rotta imprecò, come me. Ritornai a
respirare affannosamente. Finalmente mi aveva lasciata
andare. Mi appoggiai alla parete contro cui mi aveva
tenuta. Alzai il viso verso di lui con una smorfia di dolore sul viso. Era
pietrificato, la mano con cui mi aveva stretto ancora alzata a mezz’aria ed il
volto diretto verso l’esterno della piazza. Mormorò qualcosa che non riuscii a capire. Suonò un terzo colpo, ma riuscii a
distinguere abbastanza chiaramente una voce.
“Edward!”
Era Bella, era riuscita a
raggiungermi. Sospirai di sollievo, ma la costola mi fece male. Cercai di
respirare con gli addominali, ma il dolore non sembrava passare. Molto
probabilmente si trattava dell’ultima costola, così, tanto per sfiga.
“Bel-la?” lo sentii dire più chiaramente, lieve e delicato,
come se quello fosse il nome di una creatura mitica.
Il secondo dopo vidi un’altra
figura schiantarsi contro di lui, con meno forza di quanta ne avessi usata io. Edward l’abbracciò prima che il suo corpo si fosse aderito
completamente al suo. La campana stava finendo di battere gli ultimi colpi.
“Edward…” mormorò
un’ultima volta lei, gli occhi fissi nei suoi. Li vidi lacrimare. Di lui
invece, dandomi le spalle, non riuscii a distinguere l’espressione, ma lo vidi
alzare lentamente una mano per sfiorarle la guancia. Non sembrava che Bella si
fosse accorta di me. Stavo assistendo ad una scena talmente romantica e
commovente che batteva dieci a zero Sam ed Emily. Non era però esattamente
quello che pensavo in quel momento; Bella mi aveva risparmiato brutti momenti
con Edward.
“Bella… sei…sei morta tu o lo sono già io?” mormorò di nuovo
con quella voce al miele, ma molto più sincera. E zuccherosa.
Cominciai esasperata a battere la testa contro il muro, come se fossi una pazza
di un manicomio. Non aveva capito proprio niente?
“Mah… secondo te?” esclamai con la voce di una vecchia
pazza, che interruppe quella scenetta commovente piena di emozioni.
Bella ora si accorse di me.
“Abigail” disse ancora con gli
occhi lucidi. Non si mosse, rimase lì, in quella
posizione, abbracciata al suo angelo custode, per me in quel momento una pigna
nel sedere.
“Bella” mormorò ancora con quel tono, solo molto più
confuso. “Non… non capisco…” E sembrava veramente non riuscire a capirlo. Guardava
il viso di Bella come se ne fosse ipnotizzato.
“Io sono viva, Edward! Non sono morta” supplicò lei abbracciandolo più forte. Va bene,
lo shock poteva essere stato molto grande, ma doveva
già averlo superato, no? Solo in quel momento sembrò veramente capire le parole
di Bella. Finalmente si riscosse.
Mi prese alla sprovvista; si
avvicinò a me, mi prese per un braccio e veloce mi mise in piedi. Tennero per
miracolo. Mi spinse verso di Bella, lanciandomi un’occhiata inespressiva, e ci
fece scudo con il suo corpo. Io mi aggrappai a Bella. Mi si dipinse una smorfia
di dolore sul viso. Bella mi sorresse, leggermente goffa. Guardai la schiena di Edward, cercando di capire cosa
stesse facendo.
“Buongiorno signori. Non credo di dover usufruire
ulteriormente della vostra disponibilità. Vi chiedo
gentilmente di inviare i miei ringraziamenti ai vostri padroni” disse
con voce gentile e tranquilla Edward, del tutto
lucido. Ora sapevo cosa stava succedendo; erano arrivati. Mi innervosii
subito; ciò che avevo sperato non accedesse era successo davvero.
“La conversazione può continuare in un luogo più adatto”
sussurrò qualcuno, ostile. Ebbi improvvisamente freddo in quel caldo di fine
aprile.
“Non c’è ne il bisogno. Credo di
non aver violato nessuna regola, Felix” rispose Edward, inquieto. Cominciò a girarmi alla testa. Mi strinsi a Bella vicino a me. La costola mi faceva davvero
male. Strinsi le labbra e strizzai gli occhi.
“Felix intende la vicinanza al
sole. Sarà meglio andare in un luogo più ombreggiato.”
Sentii una seconda voce, diversa. Più… più da vampiro. Alzai gli occhi per
intravedere i proprietari delle due voci. Erano nascosti
nell’ombra, vicino all’entrata del vicolo, non riuscivo a vedere
nient’altro. Abbassai di nuovo la testa; il dolore era diventato insopportabile
e respirare impossibile.
“Fatemi strada, allora” rispose Edward innervosito “Bella, perché tu e la tua amica non
andate ad approfittare dei festeggiamenti?”
“No, le ragazze vengono con noi.”
Ero lì lì per vomitare. Magari se
lo avrei fatto veramente mi avrebbero lasciata davvero
andare. In fondo al momento dovevo avere un aspetto malaticcio; avevo una
costola rotta, stavo per vomitare, avevo un mal di
testa allucinante: non ero affatto una preda succulenta. Insomma, io
personalmente non avrei mai mangiato un umano in quelle condizioni. Inoltre ero piuttosto bassina e di
sangue ce n’era poco, poi papà mi diceva sempre che l’odore del mio sangue era
piuttosto acido e non molto invitante. Gli avrei sconsigliato di mangiarmi. Ah…
il delirio era già arrivato.
“Scordatevelo” disse Edward,
minaccioso, acquattandosi. Oddio, voleva attaccare brighe proprio qua? E poi loro erano due, mentre lui uno. Ecco, dopo aver rischiato
di morire per mano dello stesso Edward, per salvarlo,
ora decide di volerle dare ad altri due vampiri, rischiando ancora. No, che
pensavo, aveva ragione, saremmo morti tutti e quanti comunque.
Tanto valeva che iniziasse subito e la facessero finita ora.
Vicino a me Bella bisbigliò qualcosa che non capii, ma capii
bene quandoEdward le ordinò
di fare silenzio. Anche lei, vicino a me, pareva inquieta, ma
straordinariamente per nulla spaventata.
“No, Felix” s’intromise l’altro vampiri, quello meno scavezzacollo, a quanto
sembrava “Aro desidera discutere di nuovo con te, se hai deciso davvero di non
metterti contro di noi.”
“Sicuramente. Ma lasciate andare le ragazze”
“Non credo sia possibile, Edward. Conosci le regole” rispose di nuovo il vampiro più calmo. Le
sue scuse sembravano tanto finte che la sensazione di nausea e vomito tornò.
“Temo di non poter accettare l’invito di Aro,
Demetri.” Ci fu un breve silenzio.
“D’accordo. Ne sarà molto dispiaciuto” sospirò
lui.
“Riuscirà a dimenticare il spiacere.”
Seguì un altro momento di silenzio indecifrabile. Stavo per
alzare la testa, ma il dolore mi obbligò a rimanere piegata. Le gambe
cominciarono a tremarmi; non ce la facevo a rimanere in piedi. Improvvisamente
la testa di Edward si voltò
verso l’oscurità del vicolo. Oh, se si voltava, voleva dire
che c’era qualcun altro dietro di noi. Eravamo circondati, quindi. Tre contro
uno; speravo solo che passasse presto. Cominciai a tremare. Bella se ne accorse e sentii la sua mano ferma prendere la mia. Perché sembrava essere così terribilmente a proprio agio?
“Sarebbe meglio darsi un contegno. Non sono i modi da usare
davanti a delle signore.”
Era Alice. Fui per un attimo sollevata. Si accostò vicino ad
Edward, riuscendo a coprire me e Bella quasi del
tutto. Alice non esprimeva alcuna emozione; sembrava
tanto tranquilla, quanto quel vampiro, Demetri. Furono
invece gli altri due vampiri ad innervosirsi e mettersi in guardia; ora eravamo
pari.
“Abbiamo visite” disse lei. I due vampiri si guardarono alle
spalle. Alla fine qualcuno ci aveva notati; la stessa
famigliola che avevo visto prima ci stava guardando curiosa, mentre il padre
attirava l’attenzione di un altro uomo vestito in rosso.
“Edward, ragiona” mormorò quello
che doveva essere Demetri.
Ora stava supplicando, il poverino. Se non avesse rispettato
tutte le regole il padrone gli avrebbe fatto la bua,
eh? Non avrei dovuto ironizzare i miei probabili carnefici in quel modo, ma trovavo che fosse un buon modo per pensare ad altro e
smorzare la tensione prima della morte, se e quando sarebbe venuta.
“Va bene. Non vi preoccupate, togliamo
subito il disturbo” rispose cordiale Edwad. Ora avevamo
noi il coltello dalla parte del manico.
“Almeno accetta di parlare in privato.” Dimitri si stava innervosendo, mentre l’altro, Felix,
rimaneva immobile e rigido. L’allegra famigliola ora era accompagnata da
sei uomini in rosso, tutti che stavano guardando noi.
“No” grignò Edward. Felix sorrise per la preoccupazione nella voce di Edward.
“Basta.”
Un’altra voce sconosciuta. E non
era un altro Cullen. Ora eravamo di
nuovo svantaggiati. Ciò che mi fece sobbalzare di quella voce era che proveniva da dietro di noi. Non mi voltai; il
dolore sarebbe aumentato. Respirai profondamente, ma ne uscirono solo due colpi
di tosse. Alice si voltò verso di me e mi guardò. Notò che mi tenevo il torace
con una mano. Mi voltai allora leggermente anch’io; un bambino? Non era più
alto di Alice. Guardai quella figura bene in faccia;
anche lei, come Felix e Demetri
portava un lungo mantello nero, che li copriva dai raggi del sole. Notai il suo
viso; no, era solo una piccola mocciosa. Fui sorpresa di come Felix e Demetri, ma anche Edward si fossero calmati
all’improvviso al suo arrivo. Era piccola, ma doveva essere un pezzo grosso
della guardia.
“Jane” mormorò con una certa
esasperazione.
“Seguitemi” ci ordinò con voce infantile, che faceva un
grandissimo contrasto con l’ordine. Si voltò e s’immerse nell’oscurità del
vicolo. Felix, che sembrava in brodo di giuggiole,
con un gesto ci indicò di seguirla. Alice si accostò a
me e mi cinse le spalle. La sua pelle fredda mi diede
un certo ristoro. Mi spinse a seguirla; i bambini non mi erano mai andati molto
a genio, seguire poi gli ordini che mi davano e farmi comandare a bacchetta,
neppure per scherzo. Anche se questa bambina avesse mille
anni. Sentii i passi di Bella dietro di me, ma non mi voltai.
“Non credo di dovermi sorprendere di trovarti qua, Alice”
ruppe il silenzio Edward, come se non ci fossero tre
vampiri non-vegetariani a circondarci.
“Colpa mia. Dovevo rimediare” rispose Alice senza esprimere alcuna emozione.
“Cos’è successo?” chiese Edward, con lo stesso tono di Alice. Lei si voltò
velocemente.
“Storia lunga. In breve, si è tuffata da uno scoglio, ma non
voleva uccidersi. Si è data al pericolo, ultimamente.”
“Mmm…” mormorò Edward,
questa volta più esitante.
“E qualcuno l’ha aiutata…” Questa
volta si rivolse verso di me.
“Oh… ti prego…” mormorai annoiata. Mi stupii di quanto gracchiasse la mia voce rispetto a quei suoni melodiosi.
Il pavimento in discesa attirò la mia attenzione; la costola
cominciò a farmi più male. Avevo bisogno di sedermi.
Davanti a me ed Alice non c’era più nessuno, oltre ad un
muro di mattoni senza uscita. Jane era sparita. Alice
si fermò. Notai allora un buco che scendeva sottoterra: era un tombino aperto.
Fogne? I Volturi vivevano nelle fogne? Si davano tante
arie regali e poi abitavano nelle fogne?!
Era piccolo, ma lo eravamo anche io ed Alice, quindi
abbastanza grande per noi due. Senza che neanche me ne
accorgessi Alice mi strinse i fianchi e saltò giù. Toccammo a terra prima che potessi gridare per lo spavento. Non mi fece nemmeno male
alla costola.
“Ti ho fatto male?” mi domandò. Io
scossi la testa, evitando di parlare. Era davvero buio là in fondo e mi ci volle
un poco per abituarmici. L’unica fonte di luce era quella che spuntava dal
tombino.
“Alice?” Ora era il turno di Bella scendere, troppo alta per passare con Edward.
“Sono pronta” rispose lei.
In mezzo secondo anche Bella toccò terra. Avemmo il tempo di
scambiarci una breve occhiata.
Alice tornò a cingermi le spalle e farmi da sostegno. Di
nuovo trattenni un gemito di dolore. Alice continuò guidarmi, mentre la luce
dal tombino si faceva sempre più lieve e scomparì. Come pensai bene, quelle non
erano fogne, sebbene non riuscissi a capire cosa fossero per la troppa poca
luce; non percepii infatti alcun odore sospetto. Mi
attraversò un brivido di paura, scatenato da quella oscurità.
Mi sentivo sola, nonostante ci fosse Alice insieme a me. E divenni realmente
consapevole che mi ero immischiata in affari troppo grandi per un essere umano,
che non mi riguardavano. Gli occhi ritornarono umidi, e questa volta non era per la costola. Il sentiero
cominciò a scendere. Non sopportavo più il dolore; mi fermai di colpo. Prima
che Alice ebbe modo di mormorare il mio nome, ripresi a camminare, senza più tenermi alla costola, lasciando che mi facesse
male apposta. Non importava più niente, ormai. I miei genitori non sarebbero
riusciti a raggiungermi in tempo. Meglio così, non sarebbero morti. O forse… sì…
Spuntò una piccola luce, che mi permise di studiare
l’ambiente circostante. Ci trovavamo in una galleria sormontata da grandi e
basse arcate. Incutevano abbastanza timore; era molto vampiresco. Attraversammo
tutta la galleria; alla fine c’era una grande grata
con grosse sbarre di ferro color porpora per la ruggine. In quella stessa grata
si apriva una porticina fatta di sbarre più piccole, in contrasto con quelle
più grandi. Alice me la fece attraversare, poi mi seguì.
Dove cavolo ci stavano portando? Erano necessarie
tutte quelle cerimonie, per ucciderci? Fui per un momento accecata dalla luce
che proveniva dalla sala subito oltre quella porta.
Ora ci trovavamo in una sala grande e molto luminosa. Sobbalzai quando la porta dietro di noi si chiuse; sembrava la
cella di una prigione. E forse non ero tanto lontana
dalla realtà. Dall’altra parte della stanza c’era una porta in
legno pesante. Varcammo anche quella porta. Ad accoglierci c’era sempre un
corridoio luminoso e ampio, con pareti bianche, moquette grigia e lampade al
neon appese al soffitto. Chi diamine l’aveva arredata questa stanza? Nonostante la temperatura fosse leggermente più alta
rispetto alle fogne, non smisi di tremare. Dall’altra parte del corridoio c’era
un ascensore, vicino al quale si era appostata Jane.
Sali, scendi, sali, scendi… sarà mai finita questa
tortura? Sobbalzai di nuovo al rumore della porta che si chiuse dietro di noi.
Alice tenendomi stretta a sé mi guidò dentro l’ascensore. Continuava a rimanere
indifferente a quello che stava succedendo. Una volta saliti
i tre vampiri si slacciarono i mantelli e si tolsero il cappuccio. Rimasi
atterrita e di nuovo la schiena venne percorsa da un
brivido; le loro pupille erano di un rosso scuro, quasi nero. Non incrociai i
loro sguardi, ma abbassai la testa comunque; quegli
occhi mi facevano paura. Bella era accanto a me. Lei sembrava del tutto
rilassata tra le braccia di Edward.
Doveva ritenersi fortunata, morire insieme a lui. Con
me non c’erano i miei genitori; forse era meglio così, ma avevo bisogno della
loro presenza in quel momento. L’ascensore cominciò a salire. Vidi Edward muovere impercettibilmente la testa verso di me,
mentre gli ricambiavo veloce l’occhiata. Mi guardava in modo strano.
Solo quando l’ascensore si fermò capii. Cavolo, sapeva
leggere nel pensiero. Aveva forse ascoltato tutto quello che avevo pensato? Le
guance mi si colorarono di porpora per la mia privacy infranta.
Va bhè, ma intanto, cosa importava? Che leggesse pure, tanto saremmo morti.
Scesi dall’ascensore dovemmo percorre
ancora un’ultima piccola salita. Sbucammo in una stanza molto elegante, con morbida
moquette verde, pareti in legno costoso, piccole
poltrone in pelle, tavoli in vetro laccato e vasi pieni di fiori. Questa era la
mia idea di “regale”. C’era poi una grossa scrivania in
legno al centro della stanza. Dietro alla quale c’era una
donna. No, non era una vampira, era una donna umana. Mi pietrificai per
un attimo.
“Buongiorno, Jane” rispose educata
e totalmente a proprio agio in mezzo a cinque vampiri, più due umane, una
dall’aspetto orribile. O non aveva la minima idea che davanti a lei ci fossero dei vampiri, o lo sapeva, ma non capivo cosa ci
facesse lì.
“Ciao, Gianna” rispose apatica Jane.
Alice mi spinse a seguirla e a mantenere il suo passo,
nonostante stessi facendo i salti mortali per il
dolore. Ci avviammo verso la fine di quella stanza raffinata verso una grossa e
grande porta in mogano.
Oltre a quella porta ad accoglierci ci fu
un altro vampiro. Portava un completo grigio ed era molto simile alla
piccola vampira.
“Jane” disse alla pseudo-sorella.
“Alec” rispose lei con la stessa
tenerezza nella voce. Si abbracciarono e si baciarono sulle guance. Quante
scene per nulla; quei due si saranno visti come minimo dieci
minuti fa, ma si stavano comportando come se avessero passato mesi senza
vedersi. Era leggermente patetico.
“Esci per prenderne due e ne riporti due…
più altre due metà. Complimenti” disse con una strana euforia negli occhi,
mentre osservava me e Bella. Non lo conoscevo e già mi stava tremendamente
antipatico. Lei rise infantilmente, come se avesse avuto cinque anni. Uno peggio dell’altra a quanto pareva.
“Bentornato Edward. Vedo con
piacere che il tuo umore è migliorato” disse… Alec.
“Un poco” mormorò Edward
impassibile. Non proprio la voce di uno che ha un umore
migliore. Osservò prima me, poi Bella, scannerrizzandoci per bene. Mi
stava guardando come un topo da laboratorio; la rabbia cominciò a premere
ancora.
“Tutto questo quindi per… lei?” Edward
rimase immobile dietro di me.
“Fatti avanti” disse Felix, a
proprio agio, rivolto verso di Bella. Ora il manico ce lo
avevano loro. Sentii Edward ringhiare forte, ma non
mi voltai. Alec ora stava guardando
me. Non voleva smetterla di fissarmi. Dunque, sarei morta comunque, quindi non avevo niente da perdere. Meglio uscire in grande stile. Continuai a guardarlo negli occhi. Alice si
era avvicinata per un attimo al fratello, molto probabilmente per calmarlo
dall’attacco verbale di Felix, lasciandomi sola. Alec sembrò incuriosito e fece alcuni passi in avanti verso
di me. In faccia aveva stampato un sorrisino del tutto
divertito, da presa in giro. Io incrociai le braccia, stando attenta alla
costola e ricambiai lo sguardo, stando seria. Non ebbi paura degli occhi
porpora, quella volta ne sarebbe andato del mio orgoglio;
Alec era un ragazzetto poco più grande di Jane. Sembrava un bambino delle medie,
non potevo dargliela vinta. Intorno a noi calò il silenzio; tutti
attenti ad osservare il nostro spettacolo. Distolsi lo sguardo solo per osservare
con aria critica il completo grigio. Notai una piega sulla spalla. Alzai una
mano e gliela tolsi, spavalda. Tornai a fissarlo negli occhi; questa volta
stavano avvampando, ma non di rabbia. Capii di cosa si trattasse
quando di proposito fece spuntare un pezzetto di lingua dalle labbra.
Bene, avevo trovato il mio carnefice: sarei stata mangiata da un ragazzetto,
ottimo.
“Aro vi sta aspettando” disse improvvisamente, discostando
lo sguardo da me. Mi lanciò un’altra occhiata suadente e ci fece
strada insieme a Jane, mano nella mano, come Hansel e Gretel.
“Sarà meglio non farlo aspettare” continuò. AncheJane, vicino al fratello mi
guardò, furente. Alice tornò vicino a me ed il pizzicotto che mi diede al
braccio lo tradussi come un pesante rimprovero.
Attraversammo un altro corridoio, anche questo ampio, luminoso
e decorato sfarzosamente. Basta camminare, non ce la facevo
più. In compenso lo stomaco mi si era del tutto ristretto ed il dolore alla
costola stava diminuendo. E comunque ormai non ci
badavo più. Alec aprì un pannello in
legno scorrevole dietro il quale c’erano la stessa strada ciottolata delle vie
della città, immersa nel buio. Mi avrebbe messo paura un passaggio del genere,
a confronto con la luce attorno, se non fossi stata circondata da qualcuno per cui provavo una paura maggiore. A fatica trattenni uno
sbuffo.
Quel piccolo tracciato fu lungo solo un paio di passi.
Entrammo poi in una stanza perfettamente circolare, illuminata da finestre
rettangolari alte e strette. Lungo le pareti circolari erano disposte molte
sedie di fattezza regale; come se dei vampiri ne avessero
bisogno. Al centro c’era un altro tombino, che presumibilmente lo utilizzavano per uscire, esattamente come avevamo fatto noi
prima. Non mi fermai a guardare molto la stanza, quanto chi c’era dentro. Non
avevo mai visto così tanti vampiri in una volta. Un brivido mi percorse la
schiena; faceva piuttosto freddo.
Tutti i presenti si voltarono curiosi verso di noi, interrotti
da qualche conversazione. Sembravano in un certo modo tutti imparentati tra
loro; gli stessi occhi color porpora, la stessa
carnagione pallida, gli stessi lineamenti marcati. Un vampiro tra questi, dai
lunghi capelli corvini, l’unico vestito con una tunica nera simile a quella di Jane, si rivolse a noi.
“Jane, sei tornata!” esclamò
euforico.
Rimasi a bocca aperta, ma subito dopo la
chiusi; perché c’era bisogno di fare così tante scene? Cos’era quella mocciosa?
Non potevano vivere senza di lei? Mi innervosii
ulteriormente. Si mosse verso di lei con un movimento delicato. Si avvicinarono
insieme a lui in modo coordinato anche il resto degli
altri vampiri. Da quella posizione lo potei vedere chiaramente.
Di primo acchito non lo riconobbi come un vampiro; era
troppo… diverso. La carnagione non era di un bianco marmoreo come quella dei
presenti, ma quasi trasparente. Sembrava fragile, delicata, come carta velina
che minacciava di rompersi da un momento all’altro. Inoltre anche gli occhi
rubini erano diversi; erano opachi. Come se soffrisse di
cataratta agli occhi. All’inizio lo scambiai veramente per una mummia,
non per un vampiro, poi capii che era tutte e due le cose; mi ricordai di quando Alice aveva detto che i Volturi avevano più di
mille anni. E così anche i vampiri prima o poi provano
i segni dell’età; avevano una giovinezza non eterna ma a tempo indeterminato.
Lo vidi prendere il viso di Jane e
darle un lieve bacio sulle labbra.
“Sì, mio Signore. L’ho riportato vivo, come mi avete
chiesto” rispose con un tono così zuccheroso che mi
venne da vomitare di nuovo. Proprio non li sopportavo; troppo superficiali,
scenici e pomposi.
“Che gioia mi procuri.” Alzò il suo
sguardo su di noi e sorrise estasiato. “E ad
accompagnarlo ci sono anche Alice e Bella!”
Come diavolo faceva a sapere il loro nome? Glielo aveva
detto Edward stesso? E poi,
come mai tanta voglia di vederle, come se fossero vecchie conoscenze? Che teatrale! Era evidente che stavamo
creando solo problemi, altro che lieti ospiti.
“Tu invece…”
Sobbalzai. Il vampiro si avvicinò a me e mi
osservò attentamente. Il suo viso era davvero poco distante dal mio. Lo
guardai per un attimo spaventata da quel incontro
troppo ravvicinato. Mi guardava confuso, come se semplicemente osservandomi
potesse capire chi fossi; aveva degli occhi davvero strani, davvero persuasivi
ed ipnotici. In effetti io ero l’unica persona che non
c’entrava assolutamente niente in quella storia. Il suo sguardo si illuminò, spalancando gli occhi dall’euforia.
“Oh…” mormorò “Che… grande sorpresa
trovarti qui.” L’età gli aveva recato qualche danno anche alla testa.
“Ho capito finalmente chi sei; è davvero da molto tempo che
non ci vediamo. Poi tu sei cresciuta in una maniera impressionante.” Forse più di qualche danno. Ci guardò tutti e quattro per
un’ultima volta, al culmine della felicità. Si rivolse verso Felix.
“Felix, annuncia ai miei fratelli
della presenza dei nostri ospiti, te ne prego.”
Nel frattempo Edward mi lanciò
un’occhiata breve, ma evidentemente preoccupata e perforante. Anche Alice e Bella fecero lo stesso. Mi sentii
improvvisamente a disagio. Cosa aveva fatto scattare
loro quella reazione? Le parole di Aro? Si stava sbagliando, non l’avevo mai visto in vita mia.
Era però strano che un vampiro compisse così grandi errori
mnemonici; la memoria di un vampiro era perfetta. Edward
mi lanciò una seconda occhiata, più arrabbiata. Giusto, lui sapeva leggere nel
pensiero; non me ne rendevo ancora conto. Ed
evidentemente non era d’accordo con quello che avevo pensato. Mi guardai
disorientata attorno. Mi accorsi con paura che tutti i presenti stavano
guardando interessati me. Non Bella, né tanto meno Alice o Edward.
Me. Mi percorse un altro brivido, molto più potente dei precedenti. E non era per il freddo. Mi si bloccò il respiro. Edward stava cercando di dirmi che
le parole di Aro erano vere; lui mi conosceva veramente. Non uno, ma tutti i vampiri presenti, a quanto pareva. E io non ne sapevo niente.
“Certamente, signore” Felix sparì dietro
di noi. Ascoltavo distratta le voci attorno a me.
“Ecco, Edward. Non sei felice di
aver ottenuto ciò che mi hai chiesto ieri?”
“Sì, ora sì” Edward strinse Bella,
vicina a me e ad Alice.
“Adoro i lieti fine. Avvengono così raramente. Ciononostante
sono curioso di sapere tutta la storia” sospirò.
Che razza di ipocrita, un vampiro
come lui come poteva solo anche pensare questo senza passare per un bugiardo?
Strinsi i pugni; ero arrabbiata, troppo. Non con lui, con mamma e papà. Loro ne
sapevano qualcosa, forse più. Come poteva non essere così? E
non mi avevano mai detto niente. Rimasi apatica solamente per
poco, poi col nascere della rabbia, il mio pensiero divenne più
pungente. Aro si rivolse ad Alice.
“Com’è potuto accadere, Alice? Tuo fratello credeva che tu
fossi infallibile.” Aro guardò me, di nuovo.
Continuava a osservarmi, nonostante non mi si
rivolgesse. Anche il resto dei vampiri continuavano a tenere lo sguardo fisso
su di me. Divenni improvvisamente confusa ed imbarazzata. E
la paura crebbe.
Alice gli rispose con un sorriso sincero. Le nocche
fuoriuscivano però dai pugni chiusi.
“Ah, tutt’altro. Come hai potuto
constatare tu stesso, risolvo tanti guai quanti ne creo”
rispose con allegria.
“Che modestia! Sono venuto a conoscenza di parecchie opere incredibili compiute
da te e sono rimasto folgorato dalle tue doti. Sono
straordinarie” Ci fu solo un piccolo momento di silenzio.
“Perdonami, non mi sono presentato.
Ma mi sembra già di conoscerti. Ieri tuo fratello mi
ha parlato di te in una maniera piuttosto particolare. Vedi, il
mio dono è molto simile al suo. Ma purtroppo,
deve rispettare alcuni limiti” disse con evidente tono da falso invidioso.
“Ma è molto più potente” intervenne Edward,
per niente gioioso quanto Aro. Si volse vero Alice.
“Aro riesce a percepire i pensieri, ma ha bisogno del
contatto fisico. A differenza di me, Aro percepisce ogni pensiero che la mente
del soggetto toccato abbia mai generato.”
Oh… anche lui era un invadente. Voleva dire
che avrei dovuto evitare di farmi toccare da lui; dopo tutto quello di poco
carino, ma vero, che avevo pensato... Era probabile che invece di rivolgersi a
Alice volesse farlo capire a me. Forse per farmi smettere di pensare a tutte
quelle sciocchezze. Se fosse stato così, se lo poteva pure
scordare. Faceva a meno di sentire; poteva essere questo il mio ultimo desiderio prima di morire?
“Ma sarebbe molto più… conveniente”
continuò.
Alzò lo sguardo oltre le nostre spalle, insieme a tutti i
presenti. Timidamente li imitai. Mi accorsi solo allora che Alec,
Demetri e Jane, che si era
mossa senza che io lo notassi, ci stavano ancora alle spalle. Felix stava attraversando la soglia e non era solo. Due
vampiri con una tonaca nera uguale a quella di Aro
entrarono nella sala circolare. La pelle e gli occhi erano uguali a suoi.
L’unica cosa di diverso era l’assenza di gioia; sembravano entrambi seccati di
trovarsi lì. Almeno loro erano sinceri.
“Marcus, Caius,
guardate!” esultò raggiante Aro “Bella alla fine è viva, ed è insieme ad Alice.” L’espressione di entrambi non mutò. Li compativo;
come facevano a sopportarlo?
“E che impressionante sorpresa! È
successo persino l’imprevisto.”
Questa volta indicò me ed il viso di entrambi, dapprima
confuso, si animò di una strana luce. Sembravano sorpresi, ma anche… dubbiosi. Ed io ancora non capivo perché mi conoscevano.
Uno dei due vampiri, con una lunga chioma bianca, dello
stesso colore della carnagione, si diresse con eleganza verso uno dei troni,
cauto. L’altro, dai capelli lunghi e corvini come Aro, si soffermò porgendo la
mano ad Aro, che lui strinse. Dopo un breve contatto la ritrasse, avvicinandosi
al vampiro dai capelli bianchi.
“Grazie, Marcus. Interessante”
disse curioso e sorpreso.
Capii che in quel modo aveva letto il pensiero a Marcus. In lui per un momento non c’era più quella strana e
falsa spensieratezza, ma unicamente serietà. Per una volta non fingeva di
esprimere ciò che realmente provava. Vicino aCaius e Marcus si avvicinarono
due vampiri, appartenenti alla guardia del corpo, e due vampire, molto
probabilmente i due membri femminili della “famiglia reale” di cui mi aveva
fatto cenno Alice.
“Davvero impressionante” esclamò nuovamente Aro. Alice
aggrottò impercettibilmente le sopracciglia, nervosa. Come lo stavo diventando
io. Si voleva sapere cosa c’era di tanto impressionante?!
“Marcus ha il potere di vedere le
relazioni tra persone. È rimasto sorpreso dalla mia con Bella.” Sentii il
mormorio di Edward parlare
irrequieto ad Alice vicino a me. La spiegazione mi fu esauriente. Aro notò
l’intervento di Edward.
“Stupire Marcus è davvero
un’impresa. Complimenti. Ancora non riesco a capire come tu
ci riesca” disse fissando ora attentamente Bella questa volta.
“Non è facile” rispose Edward
monotono.
“Ma, in fondo… è la tua cantante” disse di nuovo con quella
gelosia fasulla. Aspetta, aspetta, non mi era nuovo
come termine. L’avevo sentire nominare una volta da papà, ma non mi ricordavo
bene cosa fosse. Era una maniera pomposa e del tutto
sfarzosa per indicare degli umani speciali. Ah sì. Ogni vampiro aveva gusti
particolari in quanto a sangue. Quando un vampiro
trovava un essere umano con l’odore più squisito e delizioso che avesse mai
sentito, tale da impedirgli di non assaporare il suo sangue, quello era una o
un cantante.
Papà mi aveva raccontato che aveva incontrato la propria cantante. E di averla
uccisa, anche se questo rientrava nella sua fase di vampiro normale. Non sapevo
neppure se la o il cantante potesse essere unico, oppure se si potesse
rincontrare un altro essere umano dalle
caratteristiche simili . Mi ha raccontato che quello che aveva provato
succhiando quel sangue era stato puro godimento.
E Bella era la cantante di Edward. Cosa?! Bella era la cantante di Edward, ed in questo momento le stava così vicino?! Ora sì
che comprendevo la sorpresa di Aro! Cavolo! Papà non
aveva pensato un secondo di più prima di saltarle addosso. Edward,
invece, era… era davvero formidabile. Forse non era un
vampiro. Mi ricordai, di nuovo, che era in grado di leggere nel pensiero.
Approfittai dell’occasione per rivolgermi a lui: Edward,
tu sei un alieno, vero?
La voce di Aro improvvisamente mi
fece tornare alla realtà. Mi ero persa un bel po’ di conversazione.
“Il pensiero di quanto ti affascina il suo sapore alletta la
mia sete” sussurrò suadente ed ironico. Edward non ne
sembrò contento.
“Oh, non preoccuparti, non le farò del male” Sì, lui, ma gli
altri?
Aro mi guardò entusiasta un’altra volta, prima di rivolgersi
ancora ad Edward. Evidentemente mi voleva lasciare
per ultima. Intanto la curiosità cresceva, diventando un essenziale bisogno di
sapere il perché di quegli sguardi. Smaniavo di saperlo. Ed
avevo sempre più paura.
“Mi sono però incuriosito di una
sua particolarità” Osservò Bella e le avvicinò la mano. Troppo vicino. Mi innervosii.
“Posso?” chiese a Edward.
“Chiedilo a lei” rispose indifferente Edward.
No, non volevo che la toccasse.
“Ovvio! Che maleducato! Perdonami
Bella. Sono sorpreso che tu sia l’unica eccezione al potere di
Edward. Ne sono rimasto davvero incuriosito.
Perciò mi domandavo se non fosse un’eccezione solo per
Edward, ma anche per me, in quanto i nostri poteri
sono molto simili.”
Bella lanciò un’occhiata ad Edward,
il quale rimase rigido. Aro non la smetteva di guardarmi, quindi, invece di non
far finta di niente, gli risposi anch’io con occhiate
poco simpatiche. Edward incoraggiò Bella a seguire la
richiesta di Aro. Non mi andava a genio l’idea, ma visto che lui sapeva leggere nella mente di Aro,
ponevo una certa fiducia in lui. Bella sollevò tremante la mano verso quella di Aro, che continuò a guardarla con quegli occhi
lattiginosi. Le due mani entrarono in contatto. Ben presto Aro rimase incredulo; arrivai a capire che non aveva sentito
niente. Ritornò però ben presto raggiante.
“Davvero interessante” disse lasciando finalmente la mano. Rimase
in silenzio, pensieroso. Ehi, noi non abbiamo tutto il giorno! Muoviti,
dolcezza!
“Non è mai successo” mormorò “Che sia
immune ai nostri poteri? Jane…”
“No!” sbottò Edward, d’un tratto. Alice cercò di trattenerlo inutilmente. Perché
questa reazione davanti ad un mocciosa? Osservai Jane, che guardava estasiata Aro.
Quale potere aveva? Lei sorrise timidamente.
“Sì, signore?” Edward fece scudo a
Bella e non smetteva di guardare Aro in cagnesco e di ringhiare. Felix fece un passo avanti, ma Aro lo bloccò paziente.
“Mi chiedevo, cara Jane, se Bella
fosse immune anche a te” Edward ringhiò. Caius si alzò, finalmente incuriosito, insieme alle due
guardie. Jane si lasciò andare in un sorriso.
“No!” gridò Alice. Non vidi neppure Edward
gettarsi verso la mocciosa che era subito a terra. Si
muoveva in sussulti e sembrava soffrire in silenzio.
Rimasi ad occhi spalancati, ma cercai di evitare di spalancare anche la bocca.
Ah… avevo capito perché tutti non la trattavano da mocciosa, ma da capo. Ed anch’io ebbi per la prima volta paura di lei.
“Basta!”
La voce di Bella mi spinse a voltarmi verso di lei con
sguardo preoccupato. Cercò di avvicinarsi a Edward,
ma saggiamente Alice la trattenne. Io guardavo la scena immobile, seria. A
Bella sarebbe successo lo stesso. Ed io sarei rimasta
a guardare. Mi ero sbagliata; avevo pensato che i vampiri non fossero inclini a
morti lente e dolorose; bastava un’unica goccia di sangue per scatenarli e
morire mangiati, il che era breve, non indolore, ma
breve. I Volturi invece avevano a disposizioni questi
mezzi di tortura. Quindi prima di morire avrei dovuto
soffrire in quel modo e avrei visto Bella soffrire in quel modo. Stavo pensando
seriamente di mordermi l’unghia di un dito un po’ troppo, in modo da farlo
sanguinare. Sarebbe successo un vero pandemonio. E
tutto si sarebbe risolto in breve.
Con un semplice gesto della mano di Aro,
Jane smise. Aro osservava Bella interessato;
fu allora che desiderai saltargli addosso e strappargli quegli occhi dalla
testa. Stava trattando Bella come una cavia da laboratorio. Strinsi le labbra,
furiosa.
“Sta bene” sentii Alice grignare, mentre teneva ancora tra
le braccia Bella. In breve Edward si riprese e le
tornò vicino. Tornai a guardare Jane, ma ancora una
volta incontrai lo sguardo di Aro. Ora stava guardando
anche me come fossi una cavia. Interruppi subito il
contatto e guardai Jane. Aveva le sopracciglia
contratte, in preda alla concentrazione, gli occhi fissi su di Bella, mentre
sbuffava. Era la stessa identica espressione di un bambino che non riesce a prendere qualcosa messo in alto, perché troppo
basso. Sorrisi senza renderne conto; non ce la faceva, Bella era immune anche a
lei. Jane scoprì i denti verso di lei, irritata. Aro
invece scoppiò a ridere.
“Non dispiacerti, cara. Siamo tutti nella
tua situazione” continuò allegro, sfiorando la spalla della mocciosa per
confortarla. Incrociai di punto in bianco lo sguardo di Alec, che mi guardò a sua volta, alzando un sopracciglio e
guardandomi con aria invitate, come se fossi una pallina di profitterol. Scostai
lo sguardo, disgustata. Aro intanto non smetteva di
ridere.
“Sei davvero potente per sopportare in silenzio, Edward.” Lui lo guardò torvo. E solo un pochino incazzato.
“Perdonami, se ti ho esclusa fino
ad ora. So di essere stato maleducato.”
Lo stomaco mi si chiuse all’istante quando
Aro si stava rivolgendo questa volta a me. Bella si voltò di scatto, continuando
a stringersi ad Edward. L’attenzione si pose su di me
e mi sentii subito a disagio.
“Non finirò mai di ripetere che è stata davvero una grande sorpresa trovarti qui. Non è vero, Marcus, Caius?” Il suo tono di
voce era cambiato questa volta. Rimaneva gioioso ed entusiasta, ma ora
la falsità della sua voce era fin troppo evidente. Caius
e Marcus risposero con un’occhiata penetrante che mi
lanciarono. Distolsi subito lo sguardo da loro. Dai loro sguardi veritieri colsi
che lì, per qualche strano motivo, non ero la benvenuta.
“Ma ancora più mi sorprende come tu
sia stata coinvolta in tutta questa storia. A quanto pare
anche per Edward questa è la prima volta che ti vede”
continuò, lanciando uno sguardo piuttosto eloquente a Edward,
che rimase immobile e rigido.
“Anche se, Bella ed Alice hanno già
avuto il piacere di fare la tua conoscenza” riprese, guardando negli occhi
Bella, poi Alice.
Tornò a rivolgersi a me. “Forse me lo puoi
dire tu” All’inizio pensai di rimanere zitta. Poi deglutii, cercando di
trovare un tono di voce deciso.
“Sfortuna” dissi chiaramente, apatica. Lui sorrise beato.
“Anche se tuo padre è bravo a sviarla…” disse più a sé stesso, che a me. Lo stomaco mi borbottava; i vampiri
davanti a me conoscevano bene papà ed il suo potere. Altre due guardie si
misero sull’attenti attorno ad Aro. Come se un essere umano
potesse fare qualcosa ad un vampiro. Bella cominciò a lanciarmi continue
occhiate pericolose ed interrogative. Io cercai di ricambiare con un’occhiata
confusa, cercando di farle capire che anche per me la situazione era ignota.
Aro sembrò accorgersene; tornò di nuovo a guardarmi, avvicinandosi
pericolosamente.
“Suppongo che tu non ti ricorda di noi...”Si fermò per un attimo, confuso “Credo
di non sapere il tuo nome. Tuo padre non me lo ha mai rivelato.”
“Abigail” mormorai, ma ero ancora
decisa.
“Abigail!” ripeté, come se fosse
la soluzione ad un complicato problema. “Eri piuttosto piccola quella volta”
disse guardandomi con aria quasi trasognata. Piccola? Mi aveva visto da
piccola? Io avrei dovuto vederlo da
piccola?
“No…” Fui decisamente molto meno
decisa. Aro allargò quel sorriso, facendolo sembrava falsamente confortante,
quando sapevo benissimo che godeva del mio
tentennamento.
“Ma William e Sophieavrebbero dovuto dirti chi siamo. In
fondo, abbiamo avuto un… incontro avventuroso, che tu dovresti ora conoscere
bene” riprese, ancora più raggiante.
“n-no…” Il mio tono scese al minimo ed abbassai persino la
testa. Le mani stavano cominciando a tremare. Presto il tremore avrebbe scosso
tutto il mio corpo. Come… come faceva a conoscermi…?
“Oh…! Non ti hanno raccontato niente? Davvero?” continuò a
fingere “Ne sono molto dispiaciuto. Ma suppongo che…”
Alzai la testa per il modo brusco con il quale si era
interrotto. Si susseguirono una sequenza di scene veloci che mi disorientarono
completamente. Tutti i vampiri, in uno scatto fulmineo, si girarono verso
l’entrata della stanza circolare. Marcus e Caius si alzarono veloci ed eleganti avvicinandosi ad Aro,
seguiti dalle guardie del corpo che si disposero in cerchio attorno a loro. Alec, Felix, Jane
e Demetri rimasero dietro di noi, quatti, in
posizione d’attacco. Mi voltai anch’io, per assistere a quello che i vampiri di
quella stanza stavano aspettando. Tutti avevano un’espressione all’erta ed
attenta, sorpresa, ma anche inquieta. I tre Volturi
dai mantelli neri soprattutto. Gli unici apparentemente calmi erano Alice edEdward. Rimasi allibita e
confusa di fronte a quei gesti repentini. Mentre vedevo Bella stringersi ancora
di più ad Edward, per quei movimenti bruschi, sentii
le mani di Alice sfiorarmi le spalle.
“È tutto finito” mi disse, con voce davvero rassicurante.
Fu allora che due figure comparvero dall’ombra del piccolo
corridoio da cui eravamo entrati, senza che io non ne avessi
nemmeno sentito i passi. Mi venne un groppo in gola e fu quasi per miracolo che
non mi misi a piangere. Erano mamma e papà. Era la più
bella sorpresa che avessi mai ricevuto. Non ci credevo
ancora. Ammirai bene i loro visi perfetti, i leggeri capelli lisci e rossicci
di mamma, la mascella squadrata di papà, particolari che vedevo ogni giorno, ma
che non mi soffermavo mai a guardare. La mano di Alice
cominciò a stringere la mia.
“Buongiorno, Aro” salutò papà, con un grande
sorriso sul volto ed un’espressione amichevole. Mamma si limitò ad un sorriso
cordiale.
Si creò davvero una strana atmosfera; nessuno dei vampiri lì
presenti sembrava avere lo stesso piacere di quella visita. Avevano
un’espressione seria, quasi… sì, preoccupata. AncheEdward ed Alice cominciarono ad osservarli guardinghi. Ciò
che più mi sorprese furono le due donne dei Volturi;
si tenevano le mani l’una all’altra, guardando ad occhi spalancati le due
figure. Come… come se avessero paura di loro. Tornai
ad ispezionare la stanza sotto quella nuova ottica. Sembrava che l’arrivo dei
miei genitori avesse un non so che di straordinario,
ma divenni ancora più confusa. Incrociai lo sguardo di mamma. Era del tutto
freddo ed impassibile, ma poco importava. Poco adesso importava di tutto; loro
erano lì, non c’era alcun problema. Saremmo morti tutti e tre, ma fui tanto egoista da infischiarmene anche di questo. Adesso
capivo quello che stava provando Bella.
“William, amico mio!” Aro riprese lo stesso tono di voce con
cui aveva accolto Edward.
Con un gesto invitò i vampiri di quella stanza a
tranquillizzarsi, cosa che non fecero del tutto. Gli altri due invece non
accennarono a cambiare espressione. A braccia aperte si diresse leggero verso mio
padre. Si abbracciarono come due vecchi amici.
“Sophie. È un piacere rivederti.”
Le prese le mani e le baciò lievemente. Mia madre rispose
allargando il sorriso che già le incorniciava le labbra, scoprendo la dentatura
lucente e perfetta.
“La vostra è una lieta visita, anche se dopo poco tempo” li
accolse Aro, sempre impeccabilmente cortese. I miei genitori rimasero immobili
in fondo alla stanza.
“Ti ringraziamo dell’accoglienza, Aro. Non intendiamo però disturbarvi troppo con la nostra presenza”
gli rispose papà.
“Non è affatto un disturbo,
William, anzi. Lo sai che è sempre un piacere rivedere un vecchio amico. Inoltre
ho fatto la conoscenza di…” si interruppe, voltandosi
verso di me e guardandomi confuso “della vostra… piccola umana. È cresciuta parecchio dall’ultima volta” disse, quasi
soddisfatto di aver trovato le giuste parole. Piccola umana? Non ero micaMowgli, il cucciolo d’uomo della situazione!
“Sono passati quattordici anni” aprì per la prima volta
bocca mamma. Mi lasciai per un attimo cullare da quella melodia. Ormai mi
sentivo del tutto rilassata. Anche se trovavo spregevole da parte di Aro comportarsi da amico e poi ucciderlo a tradimento. Scossi
la testa e riflettei su quelle parole. Quattordici anni fa io incontrai i Volturi. Ero troppo piccola,
ovviamente, non me lo potevo ricordare.
“Giusto. Ho dimenticato gli effetti che il tempo può avere
su di loro” rispose lui, realmente sorpreso. “Anche se
devo dire che sono rimasto piuttosto deluso di te, Will. Non le hai mai detto chi siamo?” Mio padre venne preso in contropiede.
“No, non ancora.”
“È davvero un peccato. Adesso però hai l’occasione di farlo”
rispose di nuovo gioioso Aro. Notai Jane mostrare i denti superiori a mia madre, che fece finta
di non vederla.
“Evidentemente, ora sì” rispose con tanta naturalezza da
farmi arrabbiare, ma solo un poco.
“Conosci già, William, i nostri dubbi sulla tua scelta e su…
Abigail” riprese Aro. Drizzai le orecchie; non avevo
ben capito cosa intendesse dire “Devo però adesso ricredermi del tutto; il suo
comportamento è stato impeccabile.” Quale
comportamento impeccabile? Di sicuro avrebbe cambiato idea all’istante se
avesse ascoltato i miei pensieri.
“Abbiamo cercato di crescerla il meglio che potevamo” ammise
mamma lanciandomi uno sguardo, di nuovo freddo. Era incazzata
come una iena, ma io ero strafelice che mi lanciasse quegli sguardi.
“Ed infatti mi congratulo con voi.
Anche se… ha una leggera tendenza a trovarsi in brutte
situazione” sottolineò con un briciolo di amarezza e voltandosi verso di
me, con una leggera aria di rimprovero.
“In questo a preso dalla madre” s’intromise mamma, sempre
gentile. Una lieve risata cristallina, terribilmente fasulla, si levò per tutta
la stanza. Ancora non mi facilitavo a capire come potesse
esserci un così grande contrasto; Marcus e Caius non avevano detto parola e continuavano ad osservare
Aro con attenzione. Gli altri vampiri invece non volevano abbassare la guardia
e Alice edEdward sembravano
confusi. Alice ed Edward non avevano provocato un effetto
simile quando eravamo entrati. I miei genitori mi avevano nascosto qualcosa di
grande, che avrebbero fatto meglio a dirmelo al più presto.
“Lo sai, Will, come sono curioso”
cambiò argomento Aro “La mia curiosità non è molto
diversa dalla tua e quella di Carlisle, quindi puoi
ben capirmi. Sono davvero desideroso di sapere ciò che può caratterizzare un
essere umano che ha vissuto in stretto contatto con dei vampiri.” Un brivido inatteso mi percorse. Avevo avuto la
possibilità di conoscere i suoi modi di “sperimentare”.
“Rimane esattamente come un essere umano” Mamma parlò con
una voce strana; voleva essere gentile, ma non poté evitare di esprimere una
sorte di rabbia repressa. Le guardie tornarono in posizione d’attacco, alcune
scoprendo i canini. Io divenni ancora più confusa; perché stavano reagendo in
questo modo di fronte ad un unico vampiro?
“Ma… certo, Sophie”
rispose Aro, sempre cortese. Ma questa volta anche
impercettibilmente intimorito. Un momento. No, non mi sbagliavo. Qua qualcuno
aveva paura di qualcun altro. Alice vicino a me si fece dubbiosa, mentre Edward rimaneva apatico.
“Ci dispiace, Aro, di avervi disturbato. Credo che sia
meglio per noi togliere il disturbo” intervenne veloce
papà, per spezzare la tensione che si era creata.
“Non intendete trattenervi un altro poco?” proruppe Aro. Ma evidentemente tutti gli altri vampiri presenti non
condividevano la stessa opinione.
“Suppongo che Abigail sia fin
troppo provata” intervenne di nuovo mamma.
“Oh…! Vedo. Mi scordo sempre come sono fatti gli esseri
umani” cominciò a scusarsi apprensivo Aro.
“Arrivederci, Marcus, Caius” concluse papà, guardando i
due vampiri impassibili dietro di lui “Aro” disse guardandolo negli occhi.
“Arrivederci, amico mio” rispose amichevolmente abbracciandolo
di nuovo “Vi chiedo però di aspettare qua fuori, fino a che il sole non sia
tramontato”
“Certamente, Aro. Sai che è importante per noi rispettare le
regole.”
Un improvviso ringhio fuoriuscì dal vampiro dai capelli
corvini, Marcus, ma attirò solamente la mia
attenzione.
“Abigail.”
Drizzai la testa verso mia madre, come fa
un cucciolo con la sua padroncina. Voleva che andassi con lei. Mi mossi con
lentezza e la costola cominciò minacciosa a pulsare di nuovo, mentre ero
immersa nella confusione. Non… non facevano niente per trattenermi? Per loro
ero pur sempre una probabile complice di un quasi-trasgressore.
Non era logico lasciarmi andare. Riuscii finalmente a raggiungere mamma, che mi
mise una mano sulla spalla. Entrambi si girarono e si diressero verso le
tenebre del piccolo corridoio ciottolato. Volsi un’ultima occhiata verso Bella,
che mi guardava confusa. E loro? Io mi sarei salvata e
loro sarebbero morti o cos’altro? No! Io… io ero venuta per Bella, non la potevo abbandonare. In quel
momento non potei far altro che seguire i due vampiri davanti a me. Quando attraversammo la piccola porta scorrevole la luce
mi abbagliò. Una serie di fattori mi obbligarono a
fermarmi per forza; la forte luce, in contrasto con il buio della stanza, lo
stomaco che ora si era riaperto, minacciando di liberarsi di tutto quello che
era stato riempito, la costola che aveva cominciato a farmi male del momento in
cui mi ero mossa, l’emicrania dovuto a tutto questo. Cominciai a tremare.
Giusto, c’era anche il fatto che probabilmente Bella sarebbe morta. Cominciai a
vedere piccole stelline, mentre il corridoio luminoso ed ampio davanti a me si
sfuocava. Il cuore cominciò a battere per la momentanea cecità. Finché non fu davvero tutto nero.
Non ricordai bene quando mi
svegliai. Probabilmente non me ne accorsi neanche;
credevo di sognare ancora. C’era un azzurro chiaro davanti a me; probabilmente
era il cielo. Proprio come in un sogno, non capii cos’altro mi circondava.
Avevo perso il controllo del corpo, e viaggiavo solo con la mente.
Un sussulto mi agitò improvvisamente, rendendomi conscia di essere sveglia. Il torace mi pulsava a scatti, anche se
non faceva male. Mi ricordai improvvisamente la costola rotta. Il cielo
improvvisamente si trasformò in pareti azzurro ceruleo. Ora sapevo di non stare
sognando. Aspettai alcuni secondi per mettere a fuoco quel luogo. Era senza
dubbio la mia camera, ma era troppo diversa. Per cominciare le pareti erano di
un colore orribile. Poi vicino a me non c’era la parete-finestra, ma una
comunissima parete cerulea. Ben presto intravidi chi c’era in quella stanza.
Vidi prima mio padre, in piedi,la schiena appoggiata contro la parete
di fronte a me. Poi intravidi mia madre, seduta su una sedia, molto più vicino.
Mi sentii terribilmente a disagio vedendo le loro espressioni
fredde, inespressive, indifferenti, fisse su di me.
Mi ricordai poi il perché di quelle espressioni. Mi tirai
lentamente su a sedere. Era arrivato il momento dell’arrabbiatura.
Fu così veloce che non me ne accorsi
neppure. La guancia cominciò a pungermi forte. Me la tenni con una mano, a
testa bassa, sperando che il cestino di capelli che avevo fosse utile almeno
ogni tanto e mi coprisse il viso. Cominciai a piangere in silenzio, non tanto
per il dolore, quanto per il gesto; nessuno dei miei genitori mi aveva mai
tirato uno schiaffo.
“Cosa diavolo credevi di fare?”
Nella sua voce erano chiari la rabbia, il disprezzo e l’amarezza, ma non
gridava. Rimasi immobile.
“Sei partita di punto in bianco verso
l’Italia, consapevole di andare in una città piena di vampiri. Lo sai cosa
fanno i vampiri normali? Mi sembra che te ne abbiamo
già parlato. Rispondi, Abigail, lo sai cosa fanno?” Non
ebbi il coraggio di aprire bocca.
“Credo lo sappia perfettamente” rispose papà al posto mio.
Lui mi fece ancora più male; continuava a rimanere indifferente.
“Uccidono le persone. E tu potevi essere una di queste” mi
asciugai velocemente con una mano una lacrima che
stava per scendere.
“Hai pensato per un attimo a questa possibilità? Hai
pensato a quello che sarebbe stato di te e come ci hai fatti sentire? Siamo tutti e due impazziti per te, per venire a riprenderti e a
salvarti. Ci è mancato davvero poco. Di questo te ne
rendi conto?” Aveva alla fine alzato la voce. Sobbalzai
a quel cambio di tonalità.
“Per far cosa, alla fine? Per tentare di
salvare un vampiro, che nemmeno conosci. Abigail,
davvero credevi di poter far qualcosa? Mi chiedo cosa te ne sia fatta di tutto
quello su cui ti abbiamo sempre messo in guardia.”
“Mi sembra di parlare ad una stupida” sussurrò rassegnata.
Singhiozzai almeno un paio di volte. Aveva ragione, aveva
ragione. Perché ero una stupida? Loro non meritavano
una stupida. Perché avevo agito così? Tutti quegli
assurdi motivi che avevo stilato in aereo erano totali
sciocchezze. Già, alla fine non avevo combinato assolutamente nulla di buono. Mi illudevo davvero di essere capace di fare qualcosa. Di essere anch’io un po’ vampiro. Dio, che stupida…
“Ci hai deluso moltissimo Abi. Hai perso la nostra fiducia” intervenne freddamente papà.
Trattenni il respiro, mentre il mio viso si deformava in una smorfia mostruosa.
Ci fu un orribile ed insopportabile momento di silenzio.
“Abbiamo pensato che forse avevamo
sbagliato a prenderti con noi. Che un essere
umano non sarebbe riuscito a vivere con dei vampiri” continuò di nuovo papà. “Abbiamo
pensato di lasciarti…” Alzai improvvisamente la testa, terrorizzata da quelle parole.
“NO!” urlai, mentre cercavo di togliere quelle stupide
lacrime che mi impedivano di vedere.
“No! no, no, no, no! Vi prego,
no! No, io… n…non mi lasciate…”
La voce cominciò ad affievolirsi e per poco non scomparve.
Faceva male parlare. Il dolore, l’agonia. Sentivo la vita che mi abbandonava,
che sembrava fregarsene di me, che stufa aveva deciso che ormai non valeva più
la pena. Ed in quel momento nessun conforto o parola
sarebbe servita a qualcosa. Mi slanciai isterica verso mia madre, prendendole
mani, viso, capelli, braccia, mentre guardavo implorante mio padre; una
disperata sul punto di morte che tentava di aggrapparsi alla vita che la stava
lasciando, cercando di avere anche un’unica, minima possibilità di vivere
ancora, pregando a quella stessa vita di non abbandonarla. Ora sapevo
esattamente quello che aveva provato Bella.
“Non resisterò. Non ora, non adesso. Io…” urlai
slanciandomi a braccia aperte su mamma. La strinsi forte, facendomi persino
male. Non l’avrei lasciata andare, nonostante fosse decine di volte più forte
di me. Quando sentii le sue mani fredde sulla schiena
aumentai la presa, rischiando persino di soffocare.
“Lo abbiamo solo pensato, Abi” mi
rispose mamma diversamente, con vera tenerezza. Fu solo allora che capii che
stava ricambiando il mio abbraccio. Nascosi il viso nell’incavo della sua
spalla. “Non ne siamo in grado neanche noi”
“Tu ormai sei la nostra vita, Abi,
e lo sarai sempre, per quanto dolore potrai recarci.”
Sentii la mano fredda di papà sulla testa, ed alzai il
viso per guardarlo. Ora sembrava che gli fosse successa la cosa più felice che gli potesse mai capitare e mi guardava con una lieve e
paterna derisione, come se quello che aveva detto fosse talmente tanto ovvio da
non poterlo non comprenderlo subito. Chiusi gli occhi e cercai con una mano
quella di papà. Tutta quell’angoscia, quel terrore, svanirono di colpo, come un subacqueo che
tornava a respirare dopo troppi minuti in apnea.
“Lo so, sapevo cosa mi aspettava”
mormorai con voce fin troppo malferma “E avete ragione, in tutto. Mi sono
comportata da perfetta incosciente ed ammetto che ho pensato
a voi quando sono salita su quella macchina e l’averlo fatto nonostante questo
è stato da veri idioti. Mi dispiace. Non… non so che altro dirvi…”
Aprii gli occhi di scatto e sciolsi l’abbraccio di mamma.
Ora ero io quella delusa ed arrabbiata. Guardai i due vampiri davanti a me
dapprima confusa.
“…se non perché quei vampiri mi
conoscevano” dissi con voce ferma. Subentrò subito la rabbia.
“Non mi sono mai sentita a disagio e vulnerabile. E per di più vi conoscevano.” Non gridavo, ma la voce mi si inacidì all’istante.
“Ora voglio sapere io perché non mi avete mai detto
dell’esistenza di un gruppo di vampiri in grado di controllare tutti gli altri
e che mi conosce.” Non gli lasciai però rispondere.
“È sempre per il solito motivo, no? “Non vogliamo che ti
preoccupi” oppure “Non credevamo fosse indispensabile che tu lo sapessi”. Io
magari non so cosa fanno i vampiri normali, ma voi non sapete essere sinceri.” Fui io ora a ferirli davvero. Mamma abbassò la testa,
contorcendosi le mani, le sopracciglia aggrottate e gli occhi più grandi del
solito.
“Mi tenete nascosti troppi segreti. Una famiglia unita non
ce li ha! Io non mi preoccupo di sapere che esiste un gruppo di potenti vampiri,
mi preoccupo quando uno di questi vampiri mi conosce”
dissi questa volta più con dispiacere, facendo trasparire appieno la delusione.
Mio padre mi guardò negli occhi amareggiato.
“Questa volta hai ragione tu; abbiamo sbagliato noi. Non è
giusto incolparti di tutto. Ed il motivo è sempre quello, come hai detto tu.” La voce gli tremava e riusciva a malapena a mormorare. Trascorsero
solo un paio di secondi di silenzio.
“Ti voglio spiegare cosa io e tua madre ci lega a quei vampiri e perché non te lo abbiamo mai detto.” Si
fece subito comprensivo.
“Non ti ho mai raccontato che una parte della mia vita la passai a Volterra, dai Volturi; fu lì che incontrai Carlisle. Erano affascinati dai miei poteri e mi proposero
di entrare a far parte della loro guardia. Io accettai, ma dopo aver ascoltato le teoria di Carlisle sulla sua
alimentazione cambiai idea e me ne andai.” Ascoltavo con interesse il racconto
e rabbrividii al pensiero di papà come una guardia di quei vampiri. Fare le
stesse cose che facevano loro, obbedire a quegli ordini…
“Lascai Aro, Marcus
e Caius da buoni amici, anche se capivo che provavano
un certo risentimento per aver lasciato andare un ottimo elemento. Non li
incontrai più finché non nascesti tu.” S’interruppe
per un momento perché gli mancò la voce.
“Seppero che io e tua madre eravamo
ben decisi ad allevare un essere umano e questo andava contro la loro regola;
pensavano che avresti potuto svelare a qualcuno la nostra identità, che fossi
pericolosa per la comunità dei vampiri.” Parlava con un’angoscia che mi smorzò
il respiro.
“Non fu affatto un bel periodo. Un
giorno d’inverno vennero qui in America, da noi, per
parlarci di te. Tu avevi appena tre anni, non te lo puoi ricordare. Ed è meglio così.” Papà fece un respiro profondo, per
mantenere un certo distacco dall’argomento e non farsi coinvolgere troppo dalle sensazione di quegli eventi.
“È raro che i Volturi escano dalle
mura di Volterra, ma è anche vero che il tuo era un caso assolutamente unico.
Cercai di convincerli, in segno di buona amicizia, a
poterti tenere con noi. Fallii; decisero che tu dovevi morire. Ovviamente noi opponemmo resistenza, ma il corpo di guardia ci attaccò.
Furono attimi che vorremmo dimenticare.”
Mamma fece scivolare veloce una mano verso papà, stringendo
a sua volta la sua. Papà si voltò a guardare verso la finestra di quella
sconosciuta stanza. Fu come se ad un tratto entrò in
trance; parlò apatico, forse mentre stava rivivendo proprio quegli attimi.
“Io ti avevo in braccio. Ti stringevi a me con forza. Avevi
una grandissima paura e stavi tremando come una foglia. Fu
inutile fuggire, ci furono subito addosso. Uno dei membri della guardia,
Felix, mi strattonò e tu mi scivolasti dalle braccia
e quando cadesti cominciasti a piangere. La guardia dei Volturi è imbattibile;
questo lo sapevo bene, come anche che saremmo morti
presto.” Mi congelai all’istante. Sembrava un fatto successo ad un’altra
persona e non direttamente a me. Mi sembrava che non fosse neanche accaduto.
Avevo sentito Alice parlare della guardia dei Volturi come una
esercito invincibile. Perché allora noi eravamo
ancora vivi?
“Cosa è successo?” mormorai.
“Ti ricordi quando ti ho detto che
so quello che provi? Che ti posso raggiungere quando
hai paura o sei in pericolo? E cosa posso fare quando
succede?” intervenne mamma, con voce calma e rassicurante. Già, me lo ricordavo,
diventava più potente. Questa specie di potere o sesto senso mi aveva sempre
rassicurato. Mi avevano detto che era successo solo
una volta, ma che ero stata troppo piccola per ricordarmelo. Non era difficile
capire che si riferissero a questa
volta. Ancora però non capivo cosa poteva c’entrare il potere di mamma. L’altra
sua mano prese la mia.
“In quel momento ho provato la tua paura, il tuo terrore e ne rimasi terrorizzata anch’io. Non sono mai
stata in grado di spiegare a parole ciò che successe.
In quel momento ogni mio pensiero si sciolse e se ne presentò solo uno; quello
di difendere la mia piccolina.” Mi guardò con una
malinconia ed un dispiacere che mi commossero.
“Cominciai a ragionare veloce il doppio del normale, a essere agile e forte il doppio. I loro poteri cominciavano
a non avere più effetto.” La sua dolcezza si trasformò
all’improvviso in disagio. “Riuscii ad uccidere da sola metà della guardia. E avrei potuto continuare, se tu non avessi più avuto paura.
Non ti ho mai amata e voluta tanto come in quel
momento.” La sua mano si strinse. Io spalancai gli occhi. Il ricordo dei Volturi era ancora nitido nella mia mente. L’invincibile
guardia, sconfitta da un solo vampiro? Era totalmente incredibile. Rabbrividii.
“È… impossibile. Com… come hai fatto?” balbettai io, presa del tutto in contropiede.
Sapevo che mamma poteva diventare forte, ma fino a questo punto…
“Non lo so, forse puro istinto materno spinto all’estremo,
forse lo stesso motivo per cui fin dal primo momento
non venivo attratta dal tuo sangue. Forse è il mio potere.” Mi sfoderò un
grandissimo sorriso, tale che mi obbligò a sorridere anche me. Papà riprese il discorso, uscito da quella strana trance.
Sembrava più sereno e tranquillo anche lui.
“Fummo tutti sorpresi da ciò che tua madre fece, io, lei,
loro. Da quel momento cominciarono ad avere paura di noi. Capirono che quell’incredibile forza fosse dovuta
a te; era evidente dal comportamento possessivo di tua madre in quel momento.
Non ebbero altra possibilità che stare alle nostre condizioni e scendere a
patti; ci permetterono di tenerti, a patto che il
segreto non venisse svelato.”
Oh… così… così erano andate le cose. Ora si spiegava perché quel
comportamento da parte loro. Quella paura, quella
riverenza. Pensavo che niente mi avrebbe mai più sorpreso. Provai una sorta di
godimento improvviso al pensiero di tutta quella paura causata della mia
famiglia. Durò però poco, spiazzato da un’ulteriore
confusione. Non riuscivo a capire molte cose, oltre ad essere incredula per
quelle che ero riuscita a capire.
“Perché non mi avete mai detto
niente?” Papà mi guardò con aria greve.
“Si tende a distruggere quel che si teme. Pensavo che
fossero nate cattive intenzioni in loro; li conoscevo bene. Non sapevo cosa
avessero bene in mente, ma non avrebbero mai messo una
pietra sopra a quello che era successo; avrebbero fatto qualcosa. Il mio potere
non mi obbligò a fare mai niente di particolare, tranne che starti sempre vicino, sottostretta sorveglianza.”
“Spero che ora tu capisca che non te lo abbiamo mai detto
perché pensavamo che potesse renderti angoscioso vivere sapendo che dei vampiri
come i Volturi potessero apparire da un momento
all’altro.” Io annuii seria e silenziosa.
Avevano ragione, capivo benissimo.
Questa volta non mi sarei arrabbiata, sarei rimasta
solo un po’ stizzita. Forse, dopo averli incontrati, era vero che non avrei mai
vissuto in pace. Avevano fatto la cosa giusta, tenendomi questo segreto, ma
fino ad un certo punto. Avevo diciassette anni, ero abbastanza matura; avrei
dovuto saperlo da un po’.
“Non per niente quei tre mesi a San Lucas,
noi li passammo a Coalinga” confessò papà. Io sbarrai
gli occhi. Cosa?! Certo, visto come stavano le cose, a saperlo prima glielo
avrei chiesto io direttamente di venire. Ma farlo di
nascosto senza dirmi niente…
“Mi… avete spiata?” strillai.
“No, ti abbiamo tenuto d’occhio da lontano” rispose mamma, ancora calma.
“Davvero?” richiesi per niente convinta.
“Sì” affermò categorico papà.
“E non è mai successo niente?”
chiesi più dubbiosa.
“No” Tirai un lieve respiro di sollievo. Cominciai a fare
mente locale, a testa bassa. Era stato davvero un grandissimo colpo da
incassare. Papà con i Volturi, i Volturi che cercano di uccidere la mia
famiglia, mamma… Nonostante tutto mi sentii
terribilmente tranquilla. Tutto era finito, non ero a casa, ma qui con me
c’erano i miei due supergenitori, che mi avrebbero
tenuta ancora per molto tempo. Tanto bastava.
“Quindi alla fine anche Normalgirl ha qualche superpotere” esclamai con l’euforia
di un bambino.
“No” disse secco mio padre, mentre un’improvvisa cuscinata
mi fece perdere l’equilibrio e caddi supina sul letto. Tornai subito su.
Appoggiai un braccio su ciascuna delle spalle dei miei genitori, come una
squadra di rugby prima di una partita.
“Io vi perdono” mormorai sincera “Voi
perdonate me?”
“Certo, tesoro” esclamò mamma, senza neppure pensarci.
“Mi sembrava fosse implicito” aggiunse papà, con un sorriso.
“Ma ci devi promettere…” iniziò
mamma impensierita.
“Di non fare più sciocchezze del tipo?” proposi
io “Mi sembrava fosse già implicito” Riuscii a farli sorridere un po’ entrambi.
“Adams come prima?”
“Adams come prima” dissero in coro entrambi. La gioia durò poco, offuscata ancora da
una perenne confusione.
“Bene, ora mi volete dire dove mi trovo?” sbottai
all’istante.
“Ci siamo trasferiti” rispose tranquilla mamma. Cosa?!
Perché?! No! Mi ero appena fatta una vita lì a Forks!
Avevo trovato degli amici.
“A Beaver” sottolineò
papà, prima che esplodessi.
“Ah…ah…” Fu tutto quello che mi
uscì. Beavier era uno sputo ancora più piccolo di Forks, ma distava solo trenta minuti di moto. Pensavo a
distanze molto più grandi. In realtà pensavo anche a
stati diversi. C’era però una cosa che non capivo.
“Per… perché?” continuai ancora disorientata.
“I Cullen sono tornati. Sono molto
più numerosi di noi, quindi ci è sembrato giusto
concedergli la casa. Poi neanche ti piaceva” spiegò
mamma, con un’alzata di spalle.
“Sì, s…sì… non mi piaceva” mormorai, accettando
completamente la cosa. Anche se le pareti-finestre mi
sarebbero mancate.
“Potrebbero aiutarci molto con Victoria. Abbiamo saputo che
durante la nostra assenza si è avvicinata davvero troppo.”
Ascoltai distratta quello che diceva mia madre. Mi presi la testa confusa.
Qualcos’altro non tornava proprio.
“Per quanto tempo ho dormito?”
“Tre giorni” intervenne papà. Caspita. Ero davvero troppo
distrutta. All’improvviso capii cosa c’era che non andava. Mi feci prendere
subito dal panico. Come avevo potuto non pensarci prima. Ero stata così
egoista. Dopo quello che avevo fatto, poi, doveva
essere la prima cosa!
“Be...Bella?!Cosa le è successo? Cosa le
hanno fatto? Ed Alice? Edward?
Lei..” Mio padre mi bloccò in tempo prima che
cominciassi a delirare un po’ troppo.
“Stanno bene, calmati Abi” disse,
cercando di farmi stare ferma sul letto, in modo che non mi muovessi troppo per
la costola rotta. “I Volturi hanno lasciato andare anche lei, insieme adEdward ed Alice.” Feci due
profondi sospiri di sollievo, mentre il cuore cercava di calmarsi di nuovo.
Capivo che ero giovane, ma due attacchi di seguito non
facevano affatto bene al mio cuore.
“E… adesso dov’è?”
“È a casa sua, a riposare”
“La posso andare a trovare?” dissi levandomi subito le
coperte di dosso. Mamma le prese al volo e tornò a coprirmi.
“Non adesso, in queste condizioni. Ti sei fratturata una
costola. Non è grave, non ti ho fatto alcuna ingessatura.
Devi solamente rimanere a letto per un paio di giorni” specificò papà “E se ti
fa troppo male, prendi gli antidolorifici sul comodino” Guardai
la piccola boccetta di medicinali di fianco a me.
“Non me la sono rotta?” chiesi con un certo stupore. “Mi
faceva davvero male.” Mio padre alzò la testa in cielo.
“Solo perché ti fa male, non vuol dire
che è grave. Hai sempre avuto una concezione un po’ strana del dolore.” Si avvicinò e mi baciò sui capelli.
“Ora riposati” ordinò mamma,
imitando papà. Sembravo una piccola malata. “Vuoi che ti abbassi le tende?”
“No grazie” mormorai, ancora confusa.
“Noi siamo di sotto. Se ti serve
qualcosa chiamaci.”
Non feci molto caso alla risposta che diedi, ed ancor meno
al silenzio che fecero per uscire. Mi sentivo terribilmente a disagio, ma non
riuscivo a capire perché. Ero totalmente scombussolata e quello stupido color
ceruleo non aiutava per niente.
C’erano essenzialmente due cose che mi tormentavano; la
prima era una strana sensazione di confusione, propria
quella che si sente quando si ha perso qualcosa, ma non si ha ben in mente
cosa. Mi rendeva nervosa e molto agitata.
La seconda invece consisteva nel fatto che non avevo ancora
del tutto accettato quello che era accaduto. Era come se mi fossi persa un
capitolo della mia stessa vita ed adesso non riuscivo a capirci nulla. C’erano
davvero troppe cose da tenere in conto; io ero viva, i miei genitori erano
vivi, Alice edEdward erano
vivi, Bella era viva. Fino a questo punto non era difficile. Voleva dire che a Volterra si era risolto tutto per il meglio anche
per loro. Avrei tanto voluto sapere come. Nonostante
sapessi questo, avevo un grandissimo desiderio di rivederla, di parlare e stare
un po’ con lei. Chissà poi Edward; poteva essere con
lei? Di certo non era troppo lontano, visto che i Cullen
si erano ritrasferiti. Già, il che voleva dire più vampiri a Forks. Poi c’era Victoria, che a quanto pareva si
era avvicinata molto di più. Ma lei era sempre stata
un problema. Più vampiri a Forks, però, equivaleva a dire molti più problemi con i licantropi.
“Porca…” Mi spiaccicai le mani sulla fronte prima che potessi finire. Ecco, avevo ritrovato la cosa che avevo
perso; i licantropi. In particolare, Jacob. Ora sì che c’erano grandi casini da risolvere. Non c’era alternativa, dovevo andare a parlare con lui. Non avevo
la minima idea né di cosa gli avrei potuto dire, né di cosa sarebbe saltato
fuori, tenendo conto poi che nove volte su dieci litighiamo.
La mia miglior ipotesi al momento era il dubbio assoluto. La peggiore era che
non mi avrebbe voluta degnare di uno sguardo e che
avrebbe preso a manganellate la mia macchina nuova. Così addio auto. La
peggiore era inoltre che, essendo segregata in questo letto per altri due
giorni, non avrei neppure avuto l’occasione di provarci, quindi ero destinata a
navigare nell’angoscia, rendendomi davvero penosa la lunga attesa.
Per non parlare degli altri licantropi. Gli avevo promesso che sarei andata a La Push spesso, invece, ecco arrivare altri vampiri. Avevo
infranto la loro promessa. Diciamo semi-infranto; non avevano specificato
quanto spesso.
Di solito la vita è fatto di scelta
giuste e sbagliate. A sua volta, le scelte sbagliate si dividono in
“consapevoli” ed “inconsapevoli” dei rischi da correre. Di conseguenza la prima
categoria era la peggiore. Ecco, le mie decisioni facevano parte di questa
categoria. Di solito coloro che fanno scelte sbagliate consapevolmente sono o
dei totali masochisti, depressi, con nessun scopo o
amore per la vita o degli assoluti idioti, stupidi, privi di materia grigia,
infantili, immaturi, egoisti. Persone cioè con un
assoluto bisogno di sostegno. Forse ero troppo diretta; coloro che fanno scelte
sbagliate consapevolmente non devono per forza avere queste caratteristiche. Io
però ero sicura di avere tutte le caratteristiche del secondo tipo di persona.
Non ero per niente fiera di esserlo, ma nonostante tutto me ne stavo qui a lagnarmi e a compiangermi, invece di alzare il culo e migliorarmi. Cosa che potevo benissimo
fare, dopo che sarei uscita da un’oscura depressione. Avevo un bisogno
grandissimo di risollevare il mio umore e compiere azioni buone ed intelligenti
per dimostrare a me stessa che in me c’era anche qualcosa di buono.
Ci furono tre colpi alla porta.
Ah, ah, ah!!! Il momento più
coinvolgente ed emozionante di New Moon è arrivato ed
io lo stravolgo in questo modo. XD Mi dispiace se vi ho
rovinato forse la scena più bella del libro; è stato più forte di me!
Ditemi però cosa ne pensate.
Vorrei fare anche un annuncio: con l’inizio della scuola è
molto probabile che avrò minor tempo per scrivere, quindi spesso pubblicherò
molto più raramente di quanto non faccia adesso. Chiedo scusa in anticipo per i
prossimi ritardi!
Alla Prossima!
X Ryry_: Vedi allora di postare
presto! Sono curiosa di leggerlo!! Piaciuto questo
capitolo? XD Sono proprio curiosa di saperlo! E per
precisare, l’idea originale ed attuale è quella di rivedere tutti gli ultimi
tre libri. Quindi, sì, ci sarà anche Eclipse! Bacio ricambiato!
“Avanti” La porta si aprì lentamente. Sulla soglia c’era
Bella. Mi tirai subito a sedere, esaltata.
“Ciao” mormorò, come se mi potesse infastidire la sua
voce. Tutto il contrario, invece. “Volevo vederti.” Desiderio riievo vederti.” Desiderio contraccambiato.
“Ehilà, donzella, come va?” esclamai io. Rimase in piedi a
metà stanza, mani dietro alla schiena. Mi dimenticai perfino di invitarla a
sedersi.
“Perfettamente” mi rispose lei “Tua madre mi ha detto che
eri sveglia.”
“Infatti lo ero” dissi con la stessa esultanza. La sua
visita mi aveva reso felicissima.
“Tu, invece?”
“Frattura alla costola. Niente di che. Tra un paio di
giorni tornerò a renderti la vita impossibile” risposi, non riuscendo a
togliermi il mio sorriso sghembo dalla faccia. Anche il suo viso non riusciva a
nascondere la contentezza. In realtà, il suo viso sembrava stranamente diverso.
Tutto era più… luminoso. No, forse era la luce della finestra, quella. Era più…
giovane, disteso. Come se fosse stata vecchia fino ad ora e di colpo fosse
ringiovanita all’età che aveva. La confrontai con la Bella tesa, ansiosa, che
avevo conosciuto pochi mesi fa. Sembrava quasi di avere un’altra persona
davanti, migliore e che soprattutto si sentiva tale. Inoltre emanava una tranquillità
ed una serenità palpabili.
“Sembri essere al settimo cielo” confessai i miei
pensieri. Lei allungò le labbra, alzando gli zigomi ed aumentando lo spessore
delle guance.
“Sì, infatti lo sono.” Era d’altronde evidente il motivo
di quella felicità: iniziava con la “E” e finiva con la “dward”.
“I due piccioni di nuovo insieme?” biascicai,
abbracciandomi le spalle ed inviando bacini scherzosi a Bella.
“Smettila” mi avvertì lei, diventando subito rossa, un po’
per l’imbarazzo, un po’ per la vergogna. Sospirai e appoggiai i gomiti alle
ginocchia. Era davvero innamorata, la ragazza. Tornai seria.
“Allora, si è finalmente deciso? Rimarrà con te?” Lei
aggrottò le sopracciglia; sembrava confusa. Tirai a me le ginocchia,
invitandola a sedersi sul mio letto. Lei si accomodò poco lontano da me.
Abbassò leggermente la testa, mentre concentrata stringeva il bordo della sua
camicetta. Sembrava stesse cercando le parole giuste per un discorso
importante.
“Io… io... credo che ti debba ringraziare di molte cose”
cominciò, mantenendo la testa bassa. “Per essere venuta con me a Volterra ed
aver salvato Edward. Per quello che mi hai detto…” Si bloccò improvvisamente,
come se avesse perso il filo. Mi guardò negli occhi. Esprimevano un grande
senso di gratitudine. Io rimasi zitta, ricambiando lo sguardo, ascoltandola con
attenzione ed aspettando che avesse finito di parlare.
“Era… era tutto vero. Avevi ragione. Mi ha detto che… era
una bugia, quella di non volermi più. Ha detto che non mi lascerà. Ed io gli
credo. Mi ama, veramente.” Riuscii a capire il suo discorso, per quanto
sconnesso fosse. Si afferrò le mani e cominciò a stringerle. Si era fatta
prendere da diversi tipi di emozioni che in quel momento l’attanagliavano e che
l’impedivano di esprimersi con chiarezza.
"Gli hai raccontato del salto dallo scoglio?" le
chiesi.
"Sì. E' rimasto senza parole" rispose, con un
punta di sarcasmo e di acida ironia nei propri confronti.
"Come tutti..." sussurrai, evitando che mi
sentisse.
“Ha sofferto anche lui” proseguì, tornando ad abbassare la
testa e guardando interessata le sue dita che giocavano con un filo della
camicia. Io continuai a mantenere il silenzio. Senza dubbio aveva sofferto
molto anche lui, fin dal primo momento, persino. Forse non potevo sapere
quanto, ma potevo forse immaginare. Non pensavo però che questo fosse un motivo
per discolparlo.
“Voleva darmi una vita normale” continuò. Io aggrottai le
sopracciglia. Era una buona intenzione, da riconoscere, valida sul piano
teorico, ma purtroppo non su quello pratico.
“È… è andata esattamente come hai detto tu. È… tornato…”
esclamò improvvisamente lei, mentre cercava le mie mani.
“Ammetto che non ti ho mai fermamente creduto del tutto,
anche se grazie a te ci ho davvero sperato per la prima volta .” Si avvicinò a
me ed i suoi occhi sembrarono essere aumentati stranamente di volume. Questa
volta fui io ad arrossire.
“Non ci voleva dopotutto un genio per capirlo. Bisognava
solo trovare le parole giuste per fartelo suonare verosimile” cercai di
confessare io, facendo scivolare le mie mani da sotto le sue.
"Grazie, Abi” mormorò grata. Non capiva che così
facendo mi rendeva ancora più difficili le cose?
“Eddai! E di cosa, poi?” esclamai io, guardando un punto
indefinito della camera.
“Proprio non te ne rendi conto, vero?” mormorò rassegnata,
con un timido sorriso. Non l’avevo mai vista sorridere in quel modo. Era un
sorriso molto più sincero e vero di quanto non avesse mai fatto. I miei occhi
ricaddero su di lei.
“Quindi adesso sempre insieme?” dissi, cercando di
cancellare quella atmosfera di totale imbarazzo.
“Già…” Stranamente però non era felice come avrebbe dovuto
essere “Forse… fino a un certo punto…”
“Cosa intendi dire?” chiesi confusa. Alzò di nuovo gli
occhi verso i miei, le sopracciglia aggrottate, lo sguardo rattristato.
“Credi davvero che possa durare per sempre? Io lo amo più
di me stessa. Farei qualsiasi cosa per lui. Ma infondo sono solo una stupida,
fragile umana. Lui si merita di meglio. Credi che non si stuferà di me? Forse un
giorno non mi amerà più. Lui è…”
“Stop!” esclamai io, forse troppo forte, sfoderando una
mano verso di lei. “Spero che tu sia in piena crisi isterica. Dimmi, stai
scherzando?” La ragazza aveva un qualche serio problema…
“No, non sto scherzando. Pensavo che tu avresti capito” mi
rispose, sorpresa ed inquieta. La guardai senza parlare per alcuni secondi.
Cercai di capire dal suo sguardo cosa ci fosse che non andava, ma non riuscii a
cavarci un ragno dal buco.
“No, mi dispiace, non capisco!” mormorai stanca, ma
riprendendomi subito. “Bella, sei cieca? Quello che stai dicendo non sta né in
cielo, né in terra! È ovvio, certo, sicuro, che non smetterà di amarti! Cavolo,
Bella! Eddai!” Sbottai e lanciai via le coperte da sopra di me, che per
l’agitazione che Bella mi aveva procurato mi stavano facendo caldo.
“Sei la sua cantante, ha succhiato il tuo sangue
senza ucciderti, si spaventa e si preoccupa per te al punto da perdere la
ragione, si uccide non appena sa che tu sei morta. Mi sembra che sia abbastanza
per convincere anche il più scettico che il vostro amore è speciale e
straordinario” dissi, elencando con le dita i motivi.
“Forse la sua assenza ti ha completamente sconvolta e hai
solamente bisogno di stare un po’ con lui per capirlo da te” conclusi sicura,
annuendo per dimostrarmi più convincente. Lei abbassò leggermente la testa, con
ancora il dubbio in volto. Assomigliava molto ad un cane maltrattato. Non
capivo perché dubitava così tanto. Era davvero troppo incredibile per lei che
lui l’amasse? Credeva davvero che non fosse alla sua altezza? Agli occhi di
Bella Edward era davvero… troppo?
Trascorse un minuto buono a guardarmi negli occhi e a
limitarsi a mugugnare, come risposta a ciò che avevo detto. Sorrisi
leggermente; doveva essere solo tremendamente confusa. Riavere Edward con se
doveva essere tanto sconvolgente quanto non sentirlo più accanto per lei. Ma
visto che i suoi pensieri non erano altro che una piccola sciocchezza, ero
sicura che sarebbero scomparsi dopo poco tempo passato con il belloccio. Questa
volta fui io a prenderle le mani.
“Sta tranquilla e non pensarci. E mi raccomando di
strapazzarlo per bene anche per me” tenni io a sottolineare con una certa
malizia, per farle tornare quel nuovo sorriso.
“Cosa stai dicendo?” Ecco, di nuovo quello strano
imbarazzo. Che strano vederlo su di lei. La rendeva però più dolce.
“A malapena mi bacia…” ammise e cambiò subito il suo tono
in delusione e scontentezza, mettendo il broncio.
“Scusa, perché?” chiesi io, sorpresa.
“Ha paura di perdere il controllo e… problemi del genere”
spiegò lei.
“Cos…” Mister
io-so-controllarmi-come-tu-non-lo-sapresti-mai-fare ha paura di perdere il
controllo? Ma… insomma! Riesce a resistere al suo sangue e riesce a malapena a
baciarla?! Era un grande controsenso. O lui non si rendeva proprio conto del
grande potenziale che aveva, oppure, molto più probabile, era talmente tanto
preoccupato di ferirla o farle del male che si stava facendo tante, troppe
seghe mentali, perdendo anche la fiducia in se stesso. Ma infondo, era un comportamento
lodevole da parte sua; dimostrava per l’ennesima volta quanto lei era
importante.
“Credo che quel ragazzo sia diventato pazzo di te e per
te” biascicai senza pensarci.
“Cosa?”
“No, niente, riflessioni personali” dissi, sventolando una
mano in aria.
Dovevo ammettere che questa nuova siuazione mi
entusiasmava parecchio. Ora come io avevo dei genitori vampiri, Bella aveva
un... compagno vampiro. Mi accorsi per l'ennesima volta di quanto noi due
avevamo in comune. Fino allora non avevo mai conosciuto un altro essere umano
che viveva a stretto contatto con dei vampiri; sapere che non ero l'unica non
mi faceva sentire più sola.
Sentii di nuovo la costola pulsare. Me l'accarezzai
leggermente, maledicendo quel dannato salto che...
Un lampo mi attraversò improvvisamente la mente e mi rese
conto della cruda realtà. Mi ritornarono in mente con chiarezza gli eventida poco passati.
“Oh!” esclamai all’improvviso io, facendola anche
sobbalzare. La guardai preoccupata, non sapendo da dove iniziare.
“Cosa… cosa è successo con i Volturi?! Ti… hanno fatto
qualcosa?!” cominciai io ad alterarmi. Mi ero talmente fatta coinvolgere dalla
notizia bomba del ritorno di Edward che mi ero totalmente dimenticata della
cosa di massima importanza. Molto probabilmente anche perchè io in primis
desideravo dimenticare.
“Non è successo niente” cominciò cercando da subito di
rassicurarmi, anche se il suo tono era inconsueto per quelle parole.
“Edward non ha infranto alcuna regola, in pratica, quindi
lui ed Alice erano salvi fin dal principio. Io invece…” tenne il discorso
sospeso. Era evidente che non aveva molta voglia di parlarne, ma ne era
strettamente obbligata.
“Tu…?” la incitai io curiosa, cominciando a stropicciare
il cuscino, come se stessi assistendo ad un film dell’orrore. Il che ci andava
molto vicino.
“Conoscevo troppo sui vampiri, e volevano uccidermi”
confessò alla fine, con un certo inspiegabile imbarazzo.
“Oh…!” esclamai io, in fin dei conto non tanto sorpresa.
Sapevo che era una delle probabilità. Nonostante tutto cominciai ad agitarmi.
“Ma Edward è riuscito a giungere ad un patto. Non mi
avrebbero uccisa, ma sarei diventata io stessa una vampira” continuò lei, con
voce più serena “È in fondo quello che vogliono anche loro. Sono interessati
alla mia... stranezza. Il fatto che sia immune ai loro poteri mentali. E poi è
quello che voglio anch’io.”
“Mmh…” mormorai e riflettei attentamente su quello che
aveva appena detto, tenendomi il mento. “Diventerai quindi presto una vampira”
dedussi alla fine.
“Edward però non vuole” Qualcosa fece sì che la voce
diBella fosse animata da uno strano
timbro, che la rendeva decisa, seccata ed imbronciata.
“Scusa?” chiesi io. Credevo di aver capito male
“Non vuole che diventi una vampira.” Ehm… no, non aveva
alcun senso. Questa volta non potevo raggiungere ad una conclusione; dovevo
sottomettermi alla potente mente di un vampiro e farmi spiegare ciò che a
quella umana sfuggiva.
“Lui vuole che tu muoia?” Pronunciai ogni parola
chiaramente, esprimendo evidente ignoranza. Lei rivolse gli occhi al cielo,
guardandolo disgustata e si appoggiò al materasso con i gomiti.
“Vuole che io viva la mia vita da mortale. Vuole che io
invecchi e quando vorrò starmene con qualcun altro, cosa che dubito accadrà,
lui sarà disposto a mettersi da parte. Così io morirò. E quando avverrà, morirà
anche lui, come ha tentato di fare. Mi ha confessato che sarebbe andato prima o
poi dai Volturi lo stesso, perché senza di me non sarebbe riuscito a vivere.”
“È… quello che ha detto?” chiesi confusa.
“Sì” rispose decisa ed in disaccordo.
Ora avevo capito benissimo il suo precedente piano per il
futuro: andarsene da Bella e lasciare che entrambi trascorressero la propria
esistenza nel dolore e nella disperazione, fino alla morte di Bella, perché,
essendo un essere umano, sarebbe morta comunque. Poi, dopo essersi disperato
quel che bastava per la sua morte, si sarebbe ucciso anche lui, non avendo più
altro da fare. Che bella esistenza del cazzo. C’è un limite che separa le
decisioni prese in momenti di totale panico a vere e pure idiozie. E lui aveva
superato questo limite.
“Tu…” iniziai seriamente preoccupata “ti rendi conto
dell’assurdità della cosa, vero?”
“Certo” mormorò lei, stizzita.
“Bene! Stammi a sentire” incominciai e le misi le mani su entrambe
le spalle. La guardai attentamente negli occhi. “Hai a che fare con un vampiro
mentalmente disturbato. Promettimi che non lo starai a sentire”
“Abigail, stai esagerando” rispose lei, con tono da
rimprovero.
“No! Io non sto esagerando per niente! Promettimi che
farai sempre e solo quello che ti dirò io” continuai io, mezza isterica,
costringendola a guardarmi attentamente negli occhi.
“È da un po’ di tempo a questa parte che lo sto facendo…”
affermò lei con leggerezza.
“Continua a farlo!” ordinai io.
“Ora” continuai, togliendole le mani da dosso “Dimmi, ti
ha detto anche perché lo pensa?”
“Ha paura che la mia anima venga dannata” confessò lei,
con strana rassegnazione.
“Oh…” Forse avevo sottovalutato Edward e le sue
motivazioni. Questa questione dell’anima era molto complessa. Personalmente, io
credevo che l’anima di Bella appartenesse a Edward e viceversa. O qualcosa di
simile, insomma. In effetti, c’erano molte cose che mi spingevano a pensarlo,
in primis il fatto che si amassero così tanto, nonostante fossero creature
diverse. Era un po’ come se fossero stati destinati. Ma nessuno, io compresa,
poteva, né aveva il diritto di cambiare l’opinione di Edward su questo. Era un
argomento tanto delicato quanto ignoto ed ogni vampiro ed essere umano aveva il
pieno diritto di pensarla come voleva. Era un po’ come la vita dopo la morte o
la reincarnazione; ognuno era libero di pensarla come voleva. Ed io non potevo
contraddire Edward su questo.
“Ma tu ti trasformerai in un vampiro, vero?” chiesi di nuovo
seria “Non hai appena detto che i Volturi…”
“Esatto. Ma non appena Alice avrà previsto il loro arrivo,
lui mi nasconderà” Io inclinai la testa confusa. Per un vampiro questo era un
gioco da ragazzi ed inoltre era un’idea che avrebbe funzionato alla grande.
Fino a quando non li avrebbero trovati comunque; non potevano mica scappare
all’infinito. Avrebbero vissuto sempre in quell’agitazione… che forse avrei
provato io se i miei genitori mi avessero parlato dei Volturi prima del dovuto.
“Io continuo ad essere dell'opinione che diventare un
vampiro sia la scelta più giusta” mormorai io, concentrata.
"Quindi tu sei dell'opinione che io debba diventare
un vampiro" Alzai gli occhi verso di lei.
"Ovvio! Fidati, farà felici più che un paio di
persone. Te, ma soprattutto lo stesso Edward” la rassicurai io.
"Ma tu non vuoi diventare un vampiro..." precisò
lei ancora confusa.
"Ehi! Il mio caso è diverso dal tuo! Tu hai una
ragione più che sufficiente: Edward. La mia unica ragione sarebbero i miei
genitori. Ma l'amore che provi tu per lui, è molto diverso da quello che io
provo per loro. Non è la stessa cosa...” cercai di spiegarle io. Tornai
all’argomento sviato, evitando accuratamente il mio futuro. Se c'era un
argomento di cui odiavo parlare era quello...
“Insomma, tu come hai reagito?
“Sono andata subito a casa sua. Ho esposto la questione
alla sua famiglia e l’ho messa ai voti” ammise seria.
“Davvero?”esclamai esterrefatta "E' stata un’azione
matura e saggia. Hai senza dubbio fatto la scelta più giusta” mi complimentai
con lei.
"Ho pensato che con l'intervento dei Volturi
sarebbero stati tutti coinvolti" spiegò, un po’ in colpa.
"Giustamente" continuai con fervore.
"Ci sono stati molto più voti favorevoli"
"Bene!"
“Anche se non hanno accettato subito” ammise con una certa
delusione. Io alzai gli occhi al cielo.
"Bella!" le misi le mani in testa "Non puoi
pretendere che ti trasformino così, in un momento! Mi hai sentita sull’aereo,
no? Non è come un esame del sangue. Piuttosto è molto più simile ad un operazione
al fegato. Devi aspettarne uno che sia compatibile, poi devi aspettare
l'intervento. Inoltre il chirurgo deve essere un ottimo chirurgo, non il primo
specializzando che passa, no?"
"Sì, Alice mi ha detto che non ne è capace"
mormorò, ancora con quella certa delusione, mentre si mordicchiava il
labbro.
"Quindi? Avete deciso una data?" la incoraggiai
io.
“Sì. Dopo il diploma” Il suo tono tuttavia continuava ad
essere pensieroso ed incomprensibile, sospetto.
"Questo mi sembra un lasso di tempo ragionevole”
commentai ed incrociai le gambe. Aspettò un attimo prima di continuare il
discorso.
"Voglio però che sia Edward a farlo" confessò
con tono lieve, ma stranamente speranzoso. Faceva uno strano contrasto.
"Pensiero giusto, ma quasi impossibile. Si
rinchiuderà come minimo a casa sua il giorno del diploma" commentai
ironica.
"No, invece me l'ha promesso" mi rispose lei
seria, guardandomi negli occhi. Il suo sguardo era terribilmente dubbioso,
sconcertato. Era davvero in controsenso con quello che stava dicendo.
"Davvero? E' strano, dopo quello che pensa
riguardo..." ammisi caotica.
"Prima vuole che io lo sposi" Tutti i dubbi, le
incertezze e lo scompiglio che provava si espressero appieno in queste poche
parole. Ne rimasi piuttosto stupita.
"Tutto qui? Le sue idee per un matrimonio? E'
piuttosto variabile, il ragazzo" commentai con sarcasmo.
"Vuole sposarmi, Abi! Io ho solo dicianove
anni!" esplose lei. Io la guardai confusa. Non capivo davvero dove stesse
il grande problema. Lo amava, no? Era un modo perfetto per celebrare il loro
amore. Io non ci vedevo niente di male.
"E... tu non lo vuoi sposare?" domandai
scettica.
"No” rispose secca “Mia madre non lo prenderà bene. I
miei genitori si sono sposati da giovani e subito dopo hanno divorziato. Hanno
molte riserve su questo argomento. Mio padre, poi, lo odia" Stizzita ed
ansiosa, appoggiò la testa sul palmo della mano. Aspettai un attimo di
silenzio, per sentire le altre motivazioni.
"Tutto qui?" chiesi alla fine.
"Abi! Io non voglio deluderli” sbottò lei, agitata “E
poi non è necessario alcun matrimonio! Io lo amo lo stesso!”
"Però quando eri stata disposta a diventare subito un
vampiro, non ti sei fatta problemi a lasciarli" specificai io. Ci andai
troppo pesante. Bella tacque e si impensierì ancora di più. Le misi di nuovo
una mano sulla spalla.
"Capiranno, fidati. Non ti disconosceranno. Tua padre
sembra volerti davvero bene" Sbuffò con un sorriso.
“E poi, se l’ha proposto lui, si vede che ci tiene molto”
dissi con grande enfasi.
“Sì” mormorò lei allungando il sorriso e perdendosi un
attimo tra i suoi pensieri.
"Così vi sposerete subito dopo il diploma?"
continuai, cercando di ravvivarla.
"Già" borbottò lei.
"Oh... Non ho mai partecipato ad un matrimonio.
Essendo poi tra vampiri sarà davvero in grande. Forse lo farete alla Sagrada
Familia" ironizzai io, sarcastica. Lei sorrise, ma subito dopo tornò
seria, immobile, per alcuni secondi con lo sguardo fisso davanti a sé,
impaurita.
"Ma c’è Victoria" se ne uscì all’istante. Tornai
subito seria con un sospiro.
"Credo sia l'ultimo dei tuoi problemi. Hai un
esercito di vampiri e licantropi al tuo servizio" continuai io per
rassicurarla.
"Che potrebbero morire per colpa mia" borbottò.
Questa ragazza si faceva davvero troppi problemi. E lo pseudo-fidanzato non era
da meno.
"Ehi! Siamo cento contro uno!" le ricordai io
con foga "Non succederà niente." Decisi di piantare anche questo
argomento; ne avevo abbastanza di problemi e seghe mentali senza senso.
"Dimmi, piuttosto, come l'ha presa Charlie?" Lei
si rianimò.
"Male, ovviamente. Si è infuriato. Sia con me, sia
con Edward. Non gli perdonerà come mi ha trattato, quando se ne è andato"
disse giù di morale. "Mi ha messo in punizione. Mi sembra il minimo."
"Cosa gli hai raccontato?" chiesi curiosa.
"Ho improvvisato. Ho in pratica dato la colpa ad Alice, che mi ha
trascinato a Los Angeles" continuò, sempre con lo stesso noto, facendo
girovagare lo sguardo sul soffitto. "Non posso neppure andare a La Push.
Mi ha lasciato venire da te perché ha saputo che non stavi molto bene."
"Non mi crede una cattiva ragazza?"
"No, la considerazione che ha di te è mutata solo un
poco" rispose lei con mezzo sorriso e leggermente più serena.
"Hai sentito Jacob?" esplosi improvvisamente. Il
modo migliore per rovinare una lieta conversazione.
"No, tu?" mi rispose inquieta.
"No. Con la costola fratturata sono costretta a stare
qua ancora per un pò" le spiegai "Sarà furioso. Lui sì che ci
disconoscerà"
Scese un momento di silenzio. Jacob ci avrebbe voluto
ammazzare tutte e due. Forse Bella la perdonerà; infondo era lei di cui era
innamorato. Non io. Con me sarebbe stata più dura. Sbuffai infastidita. Non
volevo perdere un amico come lui. Non ne avevo mai avuti molti e mai come lui.
“Ti stava per baciare, prima” dissi improvvsiamente,
cercando di reprimere il fastidio che traspirava dalla mia voce.
“Sì.” mormorò lei “Mi ha presa in contropiede. Non me
l’aspettavo. Non sono riuscita a reagire" rispose nervosa. Io cambiai
argomento all'istante. Parlare assieme a lei di Jacob sotto questi termini mi
faceva infuriare e quella non era esattamente l'occasione adatta per una
sfuriata. in contropide primere il
fastidio che traspirava dalla mia voce. a e visto che il pomeriggio non avevo
dormito, ora
“Lui non lo sa che vorresti diventare un vampiro, vero?”
mormorai svogliata.
“No”
“Sarà complicato dirglielo” commentai ed arricciai le
labbra.
“E anche a mio padre…” aggiunse lei, coprendosi il viso
con le mani.
“Quando potrò alzarmi andrò da lui” continuai e mi
distesi.
“Cerca di fare attenzione…”
“Cerca di fare un miracolo, altroché!” la interruppi io,
tornando a sedere “Si sentirà fuori di sé non solo per noi, ma anche per
Edward”
Ahah… adesso sarebbe iniziato lo spettacolo. Da una parte
c’era un vampiro suicida perdutamente innamorato di un ragazza, a sua volta
perdutamente innamorata di lui. Dall’altra, un licantropo adolescente con una
tremenda cotta per questa medesima ragazza ed un’innata indole testarda. E poi
c’ero io, con il compito di assicurarmi che Bella non si facesse male
fisicamente e moralmente.
“È vero. Adesso che sono tornati i Cullen sarà tutto più
difficile” affermò lei sospirando.
“Ah, senti, potresti trovare un modo per far sapere ai
licantropi che sto bene?" troncai subito io il discorso, per paura di
dimenticarmene. Sapevo che loro ci tenevano particolarmente di saperlo.
"Oh, non preoccuparti. Charlie l'avrà spiattellato a
tutta La Push"
"Lui si è ripreso dal funerale di Harry?" chiesi
con gentilezza.
"Un po'. La mia fuga però non gli ha fatto di certo
bene" sospirò Bella. Mi tornai a distendermi sul materasso, ad occhi
chiusi. Mi feci prendere da una strana ansia. Aveva a che fare con i licantropi
ed i vampiri. Sarebbero nati dei grandi casini a causa di tutti quei pregiudizi
che avevano quei cagnoloni troppo cresciuti.
“Quindi?” esclamò Bella impaziente. Tornai su. Mi fissava
con insistenza, la testa appoggiata al proprio gomito. Aggrottai le
sopracciglia confusa.
“Forse devi dare a me delle spiegazioni, adesso” mi
chiese, continuando a guardarmi tesa come una corda di violino
“Come facevi a conoscerli?” domandò seria. La domanda in
realtà era come faceva a sapere lei che… Ah.
“È Edward che te lo ha detto?”
“Lui non mi ha detto proprio niente” esclamò ancora più
seria “Non ha voluto farlo. Mi ha detto che dovevi essere tu. Non ti nascondo
che mentre ne parlavamo si è impensierito. Sembrava totalmente confuso” insinuò
con fare indagatore. Io sospirai.
“In realtà anch’io l’ho saputo solo poche ore fa” mormorai
stringendomi le gambe.
“Cosa?” domandò attenta.
Avevo finito di raccontarle quello che sapevo da un’ora
abbondante. Io gliel’avevo fatta molto breve; non ero mai stata una cima nei
racconti. Bella era rimasta zitta tutto il tempo, concentrata su di me e sulle
mie parole. Aspettavo con ansia una qualsiasi sua reazione, mentre fissava
immobile il pavimento, ingombro di CD ancora per poco. Alzò lentamente la testa
verso di me, l’espressione attonita.vevo
finito di raccontarle quello che sapevo da un minuto abbondate.Bella noo. doloramente.
"Davvero?" sussurrò. Io annuii leggermente.
"E'… assurdo... Solo tua madre contro…" si
bloccò "E non te l'hanno mai detto..." continuò fissandomi.
"No" gli risposi serena.
"Non… non sei terrorizzata?" sussurrò. Io feci
spallucce.
Ad essere sincera non provavo alcun tipo di paura. Mi
sentivo del tutto sicura e protetta grazie ai poteri di mamma e papà. Voglio
dire, sono passati quattordici anni e non è successo niente fino ad ora. Mi
sentivo a mio agio, sotto quel punto di vista.
Bella mi lanciò un’occhiata d’intesa.
"Mi ha accompagnato Edward, sai? Voleva parlare con i
tuoi genitori riguardo a qualcosa sui Volturi. Ha letto qualcosa di strano nei
loro pensieri." Io spalancai gli occhi. Edward Cullen? Qua?
"Vuoi dire che al momento i miei genitori stanno
parlando con lui?" chiesi per conferma. Lei annuì. Ah…
"Vuole anche parlare con te" continuò sempre con
tono circospetto.
"Ma davvero?!" esclamai sorpresa.
“Credi che riguardi quello che mi hai appena detto?”
domandò impensierita.
“Possibile” conclusi io “A te non ha detto niente?”
“No” commentò “Non sembrava sicuro neppure lui” disse a
testa bassa, facendo cadere il discorso. Restammo in silenzio per alcuni
minuti. La pioggia si fece sentire contro i vetri della finestra, aumentando
mano a mano. Per un momento mi prese la curiosità di alzarmi e vedere come
fosse il paesaggio fuori. Mi sembrava così strano non aver ancora visto la mia
nuova casa. Ancora più strano era come i miei genitori mi avevano portato da un
palazzo pieno di vampiri in una stanza dalle pareti color vomito – ceruleo
all’estremità degli Stati Uniti d’America. E ad essere sincera non volevo
neppure saperlo.
"Ho conosciuto i tuoi genitori. Tua madre è
fantastica, e bellissima" se ne uscì all’improvviso. Io feci spallucce.
"Non ti capita mai di sentirti... una nullità vicino
a loro?" Le rivolsi uno sguardo scrutatore. Non lo diceva con cattiveria,
anzi, con comprensione.
"Qualche volta sì. Vivere con qualcuno più forte,
veloce, intelligente, bello. Più tutto. E non poter essere come lui."
"E' esattamente quello che provo anch'io” confessò
con mezzo sorriso. Un mezzo triste sorriso. Sbuffai, stufa. Basta seghe mentali
inutili.
"Ehi! Sei favolosa anche tu agli occhi di
Edward!" esclamai come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo.
"Però non sono come lui. Anche se voglio
diventarlo." continuò con una punta di depressione. Mi buttai a peso morto
e rimbalzai sul materasso. Cercai di soffocarmi con il mio cuscino. Già avevo i
miei problemi, non potevo fare anche la psicanalista di problemi inesistenti.
Bella riuscì ad intendere il messaggio implicito di quella scenata infantile.
"Bella la camera" disse cambiando discorso
guardandosi attorno interessata. Il suo commento mi persuase dal tentativo si
soffocamento. Me lo tolsi dalla faccia ed alzai spallucce.
“Camera” mi limitai a biascicare, senza neppure sapere con
certezza cosa volessi dire.
"Non saresti dovuta venire" dissi lei
all’improvviso con uno strano tono di rimprovero. Sapevo a cosa si riferiva. Mi
stupii la rapidità del cambio d’argomento. Mi guardava attentamente, cogliendo
ogni espressione del viso. Mi venne una malsana voglia di farle una linguaccia.
"Lo so" ammisi io, dispiaciuta.
"Ma non avresti salvato Edward" continuò lei,
scuotendo la testa.
"Non ne sono così tanto sicura. Saresti arrivata
anche tu in tempo..." continuai convinta.
"Non dire fesserie, Abi" emise con rimprovero.
La nostra conversazione venne interrotta da due battiti sulla porta della mia
camera.
"Avanti" dissi verso la porta.
Rimasi per un attimo senza fiato davanti alla figura di
Edward che scivolava elegante dentro alla mia camera. Mi ero dimenticata che
c’era anche lui. Rimase vicino alla porta, la mano fredda e affusolata ancora
sul pomello della porta.
"Potrei parlarti un momento, Abigail?” La sua voce
melodiosa si propagò per tutta la camera.
"Certo" risposi io, con evidente sorpresa nella
voce. Mi rivolsi veloce verso Bella "Ci vediamo tra un paio di giorni a
scuola"
"Va bene” Si avvicinò e mi abbracciò con un unico braccio,
per evitare di farmi male alla costola.
"Stammi bene" disse allontanandosi. Mi fece un
ultimo cenno con la mano e si avvicinò ad Edward. Vidi posarle una mano con
nonchalance sulla sua guancia.
“Non ci metterò molto” La sua voce si fece un sussurro e
di conseguenza molto più suadente.
“Va bene” rispose Bella roca. Cominciai ad osservare
attentamente il loro comportamento. Era sorprendente il modo in cui la
guardava; come se davanti a sé avesse il mondo. Come se cercasse di entrare
dentro di lei con la semplice vista. In parole povere, la stava mangiando con
gli occhi, anche se come espressione pareva essere troppo rozza e inadatta. Di
conseguenza questo non aiutava di certo Bella a non ricambiare lo sguardo,
sfuggendo per un attimo dalla realtà.
In realtà la cosa sorprendente fu che tutto questo durò
che una decina di secondi. Le dita di Edward ne approfittarono per scostarle
dal viso una ciocca di capelli. Che tra parentesi non aveva alcun bisogno di
essere scostata; era, a parer mio, solo una scusa per toccare il suo viso.
Bella uscì dalla stanza, rischiando di inciampare
sull’uscio della porta che si stava chiudendo. Era già imbranata di suo, bene
volendole, se poi si inebetiva anche in questo modo…
Edward chiuse la porta. Mi rivolse un’occhiata scocciata
verso di me, mentre a passi leggeri mi si avvicinava. Mantenne le distanze e si
fermò a poco più di metà stanza. Non riuscii a capire il perché di
quell’occhiata, fina a quando non mi ricordai che il signorino sapeva leggere
nei pensieri. Una sfilza di maledizioni cominciarono a susseguirsi nella mia
mente. Non doveva aver preso molto bene le utlime parole...
“Sono desolato di avervi disturbato” sentenziò,
sicuramente per interrompere quella catena di parole poco gentili. Davanti a me
c’era una persona che sapeva leggermi il pensiero. Mi imbarazzai tanto da
arrossire completamente. Era orribile come situazione, ingiusta.
“Fi-figurati” balbettai.
Sono desolato? Da dove veniva, dall’ottocento?! Era
meglio se non ne dubitavo, però; poteva darsi.
Lo guardai per la prima volta bene, con attenzione, senza
rischiare questa volta di morire. Era un gran, gran bel vampiro. I suoi capelli
leggermente spettinati erano di un curioso castano rossiccio, che facevano
davvero uno splendido abbinamento con gli occhi perfettamente dorati, segno di
una recente mangiatona. Aveva un non so che… Sembrava… un leoncino. Un piccolo
leoncino, per l’esattezza; era incredibilmente giovane. Bisognava contare che
la trasformazione comprendeva un processo di evidente ringiovanimento, ma non
gli davo più di diciott’anni. La sua espressione si fece di colpo stizzita.
Uffa! Noi due non saremmo andati d’accordo per il solo fatto che era in grado
di leggermi il pensiero.
“Di cosa mi vuoi parlare?" chiesi facendo finta di
nulla, mettendomi comoda, ancora bordeaux.
“Innanzitutto volevo sapere come stavi. La costola ti
procura ancora dolore?" chiese con cortesia. Aveva cambiato subito
atteggiamento e mi stava rivolgendo un’occhiata davvero gentile. Era una brava
persona, dopotutto; mi aveva anche chiesto come stavo. Cambiai quindi anch’io
atteggiamento.
"No, adesso sto meglio" risposi con la medesima
gentilezza, ma anche con una certa curiosità.
"Prima che tu inizi a parlare” cominciai prima che
aprisse bocca “Vorrei scusarmi per esserti gettata addosso, per averti sputato
in bocca e per averti gridato in faccia. Non sono stata molto educata” dissi
con dispiacere. Gli spuntò uno strano sorrisino sghembo sul viso pallido. Era
decisamente molto più intrigante e misterioso del mio. Provai una certa invidia
per quel sorriso sghembo.
"Azioni davvero fuori dal comune, devo essere
d'accordo con te. Tuttavia, in parte efficaci” commentò con ampollosità, ma
anche con una certa comprensione nella voce.
"Tenendo poi in conto il fatto che volevi
uccidermi..." aggiunsi, a mò di giustificazione per i miei atti stupidi.
Abbassai la testa mortificata.
“No, non era nelle mie intenzioni ucciderti, affatto”
specificò lui con leggerezza, un po’ confuso, ma ancora totalmente rilassato,
al centro della mia stanza. “Solo farti paura”
"Ah" emisi io, presa alla sprovvista.
"Complimenti, ci sei riuscito" gli confessai a disagio.
"Sono venuto perchè vorrei ringraziarti di persona
per tutto ciò che hai fatto per Bella” riprese lui passando finalmente al sodo
“So che sei stata insieme a lei, dopo che me ne sono andato. Oltre al tuo
intervento a Volterra, benché, perdona la franchezza, è stato un atto alquanto
sciocco e stupido. Ma di questo credo te ne sia già resa conto.”
Con il fatto che era in grado di saper leggere nel
pensiero aveva un detestabile atteggiamento da sapientino che mi dava sui
nervi. Il fatto che poi non lo dicesse con un tono da “so-tutto-io”, ma
comprensivo, quasi timido, oltre a quello che aveva una ragione assurda, mi
innervosiva ancora di più. Bhè… me l’ero cercata.
"Te ne sono infinitamente grato e debitore. Per lei
sei una persona davvero importante." Rimasi per un attimo imbambolata a
guardarlo negli occhi, proprio come Bella poco prima. Fui colpita dal suo tono
pieno di gratitudine e anche di rispetto. Gli occhi che mi guardavano erano
gioiosi e sembravano brillare. Le labbra poi, ora si erano aperte in un sorriso
pieno, che alzava gli zigomi dandogli una certa aria infantile ed ingenua.
M’imbarazzai tanto che sentii le guance pizzicarmi. Maledetti vampiri… Abbassai
subito lo sguardo per sfuggire ad un arrossamento totale e moralmente
distruttivo.
"Gr... grazie" borbottai io, sempre più rossa.
Notai che il suo sorriso era tornato sghembo.
"Vorrei solo chiederti una cosa" iniziò
cogliendomi di sorpresa, la voce tornata seria e anche curiosa "Cosa hai
detto di preciso a Bella?" Tornai a guardarlo negli occhi, ora sospettosi
e diffidenti. Il vampiro davanti a me era evidentemente bravo a cambiare spesso
umore.
"Perché mi fai questa domanda?" chiesi io
confusa, più per il suo cambio di espressione, che per le sue parole.
"Durante una nostra conversazione ha cominciato a
nominare il tuo nome e dire che avevi ragione. Cosa intendeva dire?"
chiese di nuovo gentile, ma gli occhi non erano cambiati.
"Le ho solo detto che saresti tornato"
confessai.
“Lei ci ha creduto?” Tutta la gentilezza fece spazio ad un
tono asciutto e serio. Io annuii, a disagio, questa volta, per i suoi
cambiamenti fulminei, che, lo ammettevo, incutevano un inconsueto timore.
“Perché le hai mentito in questo modo?” La sua voce non
era animata dalla rabbia, ma dal dispiacere “Avrebbe presto capito che la tua
era una bugia, se non fosse successo davvero quel che è accaduto. L’avresti
fatta soffrire e nient'altro.” Io lo guardai per alcuni secondi, alzando un
sopracciglio in uno scatto fulmineo, allibita.
“Non le ho detto una bugia” confessai sincera “Sapevo che
saresti tornato” affermai sicura. Scosse la testa frenetico, con un leggero
sorriso di giocoso scherno sulle labbra, come se stesse parlando ad un bambino
di pochi anni.
“Come potevi saperlo con certezza?” chiese, calmo “Sei
stata troppo avventata.” Ora quel suo nuovo comportamento, per quanto innocente
e involontario che fosse, mi dava di nuovo sui nervi, perché sembrava dirmi
“io-sono-troppo-intelligente-perché-tu-capisca”. Sbuffai, dovendo di nuovo
raccontare tutta la storia.
“So che lei è la tua cantante, so che hai bevuto il suo
sangue senza ucciderla, so che sei stato in stretto contatto con lei per più di
un anno senza morderla” elencai scocciata.“È evidente che tu l'ami molto.
Troppo, più di te stesso” conclusi ferma.
“Non riesco a seguirti” disse, completamente serio. “Non
sembra giustificare la tua azione”
“Oh, giustifica, giustifica” esclamai “Ti dovresti essere
torturato domandandoti se saresti stato in grado di stare o no con lei, prima
ancora di rivolgerle solamente la parola. Sei hai deciso di farlo, allora eri
davvero convinto che saresti potuto rimanerle accanto. È da stupidi decidere di
andarsene dopo tutto questo tempo per paura di farle del male e tu non lo sei.
Per le spiegazioni che le hai dato, non avevi nessun motivo di andartene”
conclusi io, provando un certo gusto a fare la sapientina.
La sua espressione cambiò di nuovo. Ora aveva la mia
completa attenzione e non mi sfuggì lo scatto verso l’alto delle sue
sopraciglia, per quanto veloce. Mi guardava con curiosità e dubbio. Cercava di
leggermi ancora il pensiero, lo sapevo. Per quella volta stetti al suo gioco.
Ripensai all’incontro avuto con Bella meglio che potei, con più dettagli
possibili, ciò che lei aveva detto a me, quello che io avevo detto a lei. Lui
rimaneva immobile, una statua, non respirava neppure, la sua espressione non
cambiò di un millimetro. Mi furono necessari un paio di minuti. Pensare così
intensamente mi face male alla testa. L’unico suo movimento percettibilefu sbattere le ciglia un'unica volta.
"Li conosci davvero bene i vampiri" mormorò con
voce assente, magari concentrato nei suoi, o nei miei pensieri. Alzai gli occhi
verso il soffitto.
"Forse è proprio perché sono umana. Ho a che fare con
loro fin dal giorno in cui sono nata e quindiriesco a capirli, a cogliere le differenze con gli uomini in modo
obiettivo, in una visione d'insieme, insomma, proprio perché la loro situazione
e la loro mentalità non mi riguardano direttamente” farfugliai distratta,
sorridendo tra me e me. Guardai Edward. Non mi aveva ancora levato gli occhi di
dosso. Erano inquieti, agitati e pensierosi. Continuava a non muoversi, il
chemi mise ancor più a disagio. Inoltre
non mi piaceva che mi fissasse in quel modo.
"Cosa vi siete detti?” chiesi cercando di distrarlo.
Lui scosse lentamente la testa, sbattendo un paio di volte le ciglia.
“Abbiamo parlato di ciò che è accaduto a Volterra” mi
disse asciutto, senza alcuna traccia della trepidazione di prima.
“Hanno anche tenuto a raccontarmi della nascita della
vostra famiglia. Oltre alla reazione dei Volturi nei tuoi confronti.”
Oh, quindi anche lui sapeva tutto di tutti in questa casa.
Speravo solo che non fosse venuto a sapere che…
L’improvvisa indecisione nei suoi occhi mi fece capire che
adesso lo sapeva, perché lo avevo appena pensato. Merda. Merda. Merda.
“Marcus aveva ragione. Tu è tua madre avete un legame
straordinario” riprese, con uno strano timbro nella voce. Era qualcosa di
simile alla meraviglia e al rispetto. Un tono che non esprimeva alcunché per
quello che avevo pensato. Mi ci vollero un paio di secondi per ricordarmi che
Marcus era quello dei tre capi Volturi in grado di rivelare le relazioni tra
persone o qualcosa del genere. Io annuii la testa, non sapendo sinceramente
cosa dire.
“Bella mi ha parlato di qualcosa che hai letto nei loro
pensieri” precisai.
“Esattamente. Ma credo che sia meglio che te lo dicano i
tuoi genitori di persona" Corrugai la fronte. Perché mai non me lo voleva
dire? Era strano. Oppure piuttosto delicato come argomento. Mi ricordavo gli
ammonimenti fatti da Bella sul nervosismo di Edward. Confermati poi dal tono di
voce fin troppo indifferente, che stonava terribilmente con le parole.
“Ti hanno raccontato anche di Victoria?” continuai io,
cercando di non far cadere la conversazione nel silenzio.
“Sì” mormorò subito, con rimpianto, nervoso più di prima.
Il suo viso era diventato tormentato; in effetti andandosene aveva rischiato
che Bella diventasse una sua preda. Doveva roderlo un grande rimorso. Rimase
zitto, facendo calare un pesante silenzio. Mi mossi goffa tra le lenzuola,
battendo le dita sul cuscino.
"Senti, cosa ne dici se ricominciamo da capo?”
proposi alla fine io "Non è stato un granché il nostro primo
incontro." Lui mi guardò dapprima stupito, poi gli si dipinse il sorriso
sghembo sulle labbra.
"Certo" rispose sereno "Sono davvero
interessato a conoscerti, Abigail Adams"
"Curiosità ricambiata" risposi con vivacità,
alzando la mano per farmela stringere. Gli bastarono due passi per poter
stringere la mia. Fu piacevole la sensazione di gelo della sua mano; mi dava il
solletico.
"Posso chiederti io una cosa ora?” chiesi modesta.
“Certo”
“Potresti evitare di leggermi nel pensiero? E' abbastanza
irritante” confessai sinceramente.
“Cercherò di non farlo” promise, impassibile nel suo
sorriso “Anzi, mi converrebbe. Non offenderti se ti dico che quello che pensi è
davvero strano” concluse con un velo di ironia e di presa in giro.
“Grazie” dissi io sarcastica.
"Forse è meglio se adesso ti lasci riposare"
disse mentre allontanava la mano. Io annuii.
"Grazie per la visita, Edward” lo ringrazia
sinceramente.
"E' stato un piacere” rispose lui, con
un’involontaria voce suadente. Elegantemente si girò e spinse il pomello della
porta.
"Un'altra cosa" dissi, seria, con un tono di
voce un po’ troppo alto. Si voltò come un modello di una pubblicità di profumi.
“Non dirlo a nessuno, neppure a Bella.” Lui mi guardò per
un secondo, per poi annuire serio.
“Lo farò” disse con la mia stessa serietà.
Edward era davvero una buona persona, dalle scelte
avventate, con tutto un suo modo di pensare, ma agiva in fin di bene, in ogni
caso. Inoltre era anche gentile e simpatico, sebbene un po’ retrò come modi.
Non appena chiuse la porta dietro di sé tirai su le
coperte in modo che mi coprissero la testa. Osservai le lenzuola arancioni,
mentre la scarsa luce dalla finestra che le illuminava colorava l’aria
d’arancio. Guardai verso il basso e mi accorsi di vestire il mio pigiama verde.
Chiusi gli occhi e sentii il lenzuolo fresco posarsi sulla pelle del viso,
mentre ascoltavo lo scroscio della pioggia contro il vetro. Era un rumore
assolutamente rilassante. Mi concentrai su quel rumore, liberando la mente da
tutto il resto. Lo facevo spesso quando avevo problemi di cui non volevo
pensare e di solito funzionava.
Avevo perso la concezione del tempo quando fui costretta
ad emergere per mancanza di fiato. Rimasi supina e mi sfiorai la costola
fratturata. Al contatto provai solo un lieve formicolio. Volsi la testa verso
la finestra e sbuffai. Mi sentivo nervosa, per niente tranquilla. Il letto si
fece stretto e non potei più rimanere lì distesa. Riuscii a capire il perché.
Balzai, mettendo piede sul parquet un po’ sbiadito. Passai qualche secondo in
piedi per familiarizzare con le gambe, in disuso da un po’. All’inizio erano
malferme, poi si fecero rigide, ristabilendosi.
A passi lenti mi diressi verso la finestra. La costola
continuò a provocarmi quel torpore. Oltre il vetro c’era un immensa distesa di
alberi tutto in torno; non riuscivo a vedere altro. Anche questa casa si
trovava nascosta dagli alberi. Una piccola stradina d’asfalto consumato si
faceva strada tra la foresta. Dedussi che molto probabilmente doveva portare
alla tangenziale 101, che portava direttamente a Forks. Mi avvicinai quindi
alla porta. Afferrai il pomello freddo e l’aprii lentamente. Mi sentii disorientata
dal corridoio alieno. Guardai attentamente a destra e sinistra. Era modesto
come ambiente. Il corridoio era abbastanza piccolo, ricoperto da moquette
rossiccia e pareti in mogano. Il corridoio dava su altre tre camere, con porte
di cedro chiaro. Davanti a me c’era una piccola scala che portava al
pianterreno.
“Abi, sono qua” mi chiamò mamma da sotto. Scesi i gradini,
forse un po’ troppo alti, tenendomi al corrimano. Il pianterreno sembrava
essere molto più spazioso del piano superiore. Una grazioso ingresso dava al
salotto e alla cucina, oltre ad altre due porte chiuse. Mi diressi verso la
cucina, dove c’era mamma. Mi sedetti su una sedia, apatica, guardandomi
intorno. La cucina era piuttosto grande, con mobili in legno e con al centro un
tavolo piuttosto grande. Davanti a me mamma aveva un grandissimo pacco di fogli
sulla casa.
“Tutto bene?” mi chiese materna.
“Sì” risposi roca. “Papà?”
“Sta leggendo sul tetto” rispose, poco concentrata sulle
carte sotto di lei. “La casa ti piace? Si è appena liberata. Abbiamo avuto
fortuna.”
“Non è male” mugugnai “Anzi, mi piace.” Era molto simile
alla casa di Chicago, forse un po’ piccola. Sicuramente molto meglio della
villa bianca.
“Non credo però ci staremo per molto” rispose lei
sospirando.
“A papà già va stretta?” tirai ad indovinare.
“Già” mormorò lei, alzando le sopracciglia. “È stato
carino da parte della tua amica venirti a trovare” iniziò lei, guardandomi con
attenzione ed animazione “E’ incredibile come lui sta vicino lei, come la
tocca. Persino come si guardano.”
“Cosa ti ha detto Edward?” chiesi direttamente con
interesse, tralasciando sovrannaturali particolari amorosi. Il tempo di
ritornare seria, che papà era comparso sul ciglio della porta, consapevole di
ogni parola detta.
“Ciao, Abi” disse mentre si avvicinava a me sorridente
“Stiamo meglio a quanto pare.” Mi prese la testa con una mano ci posò le
labbra. Il bacio durò un bel po’ di secondi. Si distaccò, lasciando che un suo
braccio mi sfiorasse una spalla e continuò a guardarmi con quel sorriso. In un
modo del tutto diverso da come guardava Edward Bella, ma di poco meno intenso.
Come se fossi un prezioso gioiello. Non mi feci ingannare.
“È una cosa piuttosto seria” dedussi io. D’altronde si
trattava dei Volturi, le cose non potevano andare diversamente.
“Dipende” mormorò lui. Mia madre balzò in piedi in uno
scatto, guardandolo furibonda.
“Da che cosa, Will?” disse seria “Da cosa dipende? Non
dipende da niente! È grave, punto.” Io retrocedetti impercettibilmente verso lo
schienale della sedia. Mi faceva sempre un certo senso vdere mamma arrabbiata.
“Sophie, la stai spaventando” tentò di rassicurarla calmo
papà. Lei alzò il dito per dire qualcosa, ma si bloccò, mi guardò tesa,
arricciando le labbra. Si diresse poi nervosa verso una delle finestre e si
mise a guardare fuori. Mio padre si chinò su di me. Io lo guardai di sottecchi.
Avevo capito che quella di mamma era una scenata come altre, dovuta
all’eccessiva preoccupazione. Ma si stava trattando dei Volturi, quindi poteva
darsi che questa volta avesse ragione. Mio padre mi guardò negli occhi.
“Edward ha ben pensato di metterci in guardia su cosa
pensano i Volturi” iniziò con voce greve “Sono interessati a te. Lo sono da
quattordici anni.”
“Mmh...” bisbigliai io. Mio padre annuì deciso.
“Non capiscono perché un essere umano riesca ad
influenzare un vampiro in questo modo.”
“Quindi?” chiesi leggermente tremula. Questo lo sapevo
già, lui lo sapeva. Dove voleva andare a parare. Ci pensò un attimo, ma poi
distolse lo sguardo sul pavimento.
“Su Will, diglielo” sentì brusca mamma dietro di me “Da
cosa dipende il tuo mutismo?” gli rinfacciò più acida. Io mi rivolsi nervosa
verso di mamma. Stringeva con entrambe le mano il granito del piano di cottura,
rischiando di romperlo e guardando papà sospettosa.
“Abi” Mi rivolsi di nuovo verso di lui. Nei suoi occhi
c’era qualcosa che esitava e che mi rendeva inquieta.
“I Volturi hanno pensato per un po’ di tempo di… rapirti,
se vuoi metterla in questi termini.”
“Ra-rapirmi?” balbettai io. Papà annuì lievemente la
testa.
“Sanno che tu riesci a scatenare il potere di tua madre.
Ma se loro fossero capaci di controllare te? Vogliono capire come funzioni”
Mi alzai di scatto. Non avevo ancora compreso bene. Scossi
la testa impercettibilmente la testa.
“Intendi dire che vogliono portarmi via da voi?"
sussurrai io attonita. Mio padre mi guardò confuso.
“No, no, no” esclamò ripetutamente “Un tempo, lo credevano
possibile. Ma… non hanno trovato un modo per farlo. Ti stavamo sempre vicini e
non sapevano come sviare tua madre. Hanno rinunciato da tempo.”
Mi furono necessari un paio di minuti per capirlo. Un
tempo i Volturi volevano rapirmi, ma ora non più. Quindi, finché ci starebbero
stati i miei genitori, nessun pericolo. Feci un respiro profondo. Guardai negli
occhi mio padre, decisamente più tranquilla. Mi guardava ancora titubante.
“Non… non sei spaventata?”
“Di una cosa successa tanto tempo fa e che non sta
succedendo adesso?” dissi sarcastica io “No, anzi, non capisco perché mi avete
spaventata in questo modo” esclamai secca. Anche mio padre tirò un sospirò di
sollievo e mi scosse lievemente i capelli.
“Dipende da come avrebbe reagito” disse papà alla mamma.
Io tornai a girarmi verso di lei. Aveva dato in escandescenza, come al solito.
Mi fece sentire ancora più stupida ed inetta. Andando a
Volterra mi ero offerta a loro su un piatto d’argento. Ogni, stupidissima cosa,
ora, mi faceva capire che avevo compiuto una sciocchezza enorme. Come se prima
non ne fossi abbastanza convinta! Cavolo, quanto diamine avevo rischiato. Mah’
non si era mossa dal piano cottura e continuava a guardarmi tesissima. Io le
feci un sorriso di incoraggiamento. Mi rispose con una smorfia.
“Mamma, è tutto ok” le dissi per rassicurarla. Lei rimase
zitta, a braccia incrociate e strette.
“Amore” disse papà, con la stessa voce suadente di Edward.
Le si avvicinò e le incorniciò il viso con le mani “Non puoi continuare ad
angosciarti in questo modo. Non vivrai bene.”
“E invece sembra che tu ti preoccupi troppo poco” mormorò
con foga lei, stringendo i pugni. Papà fece lo stesso gesto di Edward, scostò
una ciocca, che apparentemente non serviva essere scostata, dal viso di mah’.
“Io le voglio un mondo di bene. Sono pronto a morire per
lei. L’ultima cosa che voglio è il suo male” La sua voce si fece sempre più
intensa e bassa, mentre, assorto negli occhi di mia madre, le accarezzava una
guancia. Mia madre rimase zitta, le mani rilassate, ma il viso ancora
preoccupato.
“Anch’io mi preoccupo, ma ho fiducia. Sia nel mio dono,
sia in Abigail” Il tono di papà si fece impercettibile e non sentii più niente.
La distanza tra le loro labbra si annullò. Cominciarono a darsi teneri baci,
non troppo passionali, ma infinitamente teneri ed intensi, alternando piccole
carezze e lievi baci sul collo dati di sfuggita a “Ti amo” dolci ed appena
sussurrati.
Ed io ero lì, a contemplare lo spettacolo, la testa
poggiata alla mano. Li guardavo annoiata, con un pelo di disgusto per aver
dimenticato la mia presenza. Insomma, avevo diciassette anni e non mi
scandalizzavo se i miei genitori si baciavano. Certo, da piccolina mi ricordo
che arrossivo e me ne andavo più lontano possibile da loro, quando lo facevano.
Ma n’era era passato del tempo da quando avevo cinque anni. Inoltre, nonostante
tutto, non ero neppure invidiosa se io non potevo fare lo stesso con un'altra
persona. Non mi interessava affatto. No, niente invidia. Neppure un po’.
Niente.
Mi alzai dalla sedia, leggermente stizzita.
“Prima di cominciare a spogliarvi, abbiate un minimo di
contegno e appartatevi in un luogo più adatto, grazie” dissi sarcasticamente
arrabbiata. Diedi le spalle a quella scenetta mielosa e mi diressi verso la
porta.
“Abi” mi ammonì esasperata mamma.
“Fate, fate pure! Non vi disturberò. Come se io non ci
fossi!” dissi dando ancora loro le spalle e facendo strani gesti per aria.
“No, Abi” La serietà del tono di papà mi spinse a girare
la testa verso di loro. Li ritrovai ancora abbracciati l’un l’altra.
“Il patto?” Bastarono quelle poche parole per far tornare
seria anche me e per capire a cosa si riferisse. Questa notizia dei Volturi era
del tutto inappropriata.
“Non vedo come lo possa influenzare” risposi seria.
Rimanendo ancora seria, e perdendo tutta la vivacità della giornata, andai ai
piani superiori per cercare un bagno e farmi una doccia calda.
Dopo un paio di giorni la costola smise di farmi male del
tutto, come aveva previsto il medico di famiglia. Erano d’altronde gli ultimi
due giorni di vacanze, sfortunatamente. Furono le vacanze pasquali più assurde
che avessi mai passato.
Tornai a scuola e rividi tutta la gentaglia di Forks, che
non mi era particolarmente mancata. Anche perché non avevo avuto molto tempo
per pensare a loro.
A scuola era tutto nomarle, il che mi fece sentire di
nuovo parte del mondo degli umani, dopo giorni di irrealtà. I professori
spiegavano la lezione, gli studenti non gli ascoltavano, la mensa continuava a
fare schifo, Mike ed Eric continuavano a picchiarsi, Ben continuava a stare
insieme ad Angela e scoprii che da molto tempo Jessica correva dietro a Mike.
Ed a pensarci prima era più che evidente. Ciò dimostrava la grande attenzione
che ponevo a quella scuola. Tutto si presentava normale, umano. Tranne per una
cosa; i Cullen erano tornati. Addio dose di totale umanità.
Il primo giorno di scuola Bella Swan si trovava in dolce
compagnia di Edward ed Alice Cullen. Non per niente la stupida Volvo grigia di
Edward mi aveva rubato il mio solito parcheggio. Incontrai i tre proprio
all’entrata della scuola; Bella mano nella mano con Edward ed Alice vestita
impeccabilmente con abiti che mi parevano eccessivi per la scuola. Lei fu molto
gentile, mi accolse con grande simpatia e mi spinse ad intavolare con lei
discorsi sulla loro copertura. Al momento loro fingevano di avere diciannove
anni e quindi erano costretti a finire il liceo. Mmhhh… non male questa scusa
dell’adozione. Avremmo dovuto pensarci anche noi. L’unico suo comportamento che
mi irritava erano strane occhiate che mi lanciava. Capii grazie ad un
commentino innocente sulla mia tuta che evidentemente non approvava il mio
look. Le risposi al suo invito di un pomeriggio di sano shopping con grande
discrezione, mettendola sul vago ed elencando possibili impegni. Senza la
perenne preoccupazione sul viso durante il viaggio in Italia, Alice dimostrava
di essere una ragazza fin troppo esuberante e piena di energie. Sembrava non
stare ferma un momento e parlava, parlava, parlava. Ed era evidente che le
piaceva fare shopping. Al pensiero quindi di tutta quella energia dentro un
centro commerciale che mi travolgeva mi venne per un attimo la pelle d’oca.
Gli altri due invece, appositamente dietro di noi, erano
rinchiusi in una bolla impenetrabile e fuori dal mondo, mano nella mano,
ancora. Sembravano due fidanzatini normali, anche se erano tutto, fuorché
normali. Stetti con loro fino alla campanella della prima ora, dovendo andare
ad inglese del terzo anno, per poi rincontrare Bella a biologia. Mi correggo,
Bella ed Edward. Edward, seppur costretto a seguire da zero il programma
dell’anno aveva fatto in modo di stare con Bella la maggior parte di ore
possibili.
Mi accorsi che Bella era molto cambiata; infatti non si
poteva più parlare di “Bella” ma di “Bella ed Edward”, come se fossero un’unica
inscindibile persona. La disposizione nei banchi a biologia era pertanto
Io-Bella-Edward. Ammettevo che cominciavo a sentirmi a disagio, essendo il
terzo incomodo. E forse anche un po’ infastidita; era più che giusto e normale
che Bella stesse con la persona che amava, ma speravo che potesse stare anche
un po’ con me. E con Jacob. Anche tra persone normali capita che con l’arrivo
di fidanzati a rimetterci era il gruppo di amici. Il gruppo
“Abigail-Jacob-Bella” era decisamente a rischio. Avevamo passato dei bellissimi
momenti noi tre; non volevo che andasse tutto a rotoli. Avevo però fiducia in
Bella ed ero certa che non avrebbe volto le spalle a me e a Jacob. Forse lo
avrebbe fatto Jacob, ma speravo di combinare qualcosa di buono quell’oggi
andando a trovarlo a casa sua. Dopotutto c’era anche qualcosa di buono; Mike avrebbe
smesso di fare il fanfarone con Bella, lasciando strada spianata a Jessica.
A mensa capii che fu una grande sorpresa, quanto un grande
colpo da incassare, per la Forks High il ritorno dei Cullen. Non erano
particolarmente ben visti. Non capii esattamente di cosa si trattasse; tutti
facevano attenzione ad evitare sguardi e parole con loro, né mostrarono
particolare interesse nel loro ritorno, nonostante le ore successive tutti non
avevano parlato che di quello. Forse si trattava di invidia; erano d’altronde
gli studenti più brillanti e più belli della scuola. Oppure perché gli facevano
paura ed erano sottomessi dalla loro sola presenza; sapevo che l’aspetto dei
vampiri aveva lo scopo di attirare la preda. Inoltre se l’istinto degli animali
li costringeva alla fuga, doveva per forza valere qualcosa del genere anche per
gli umani. Oppure tutte e due le cose.
Si sedettero nel nostro tavolo, confinati in un angolo con
Bella ed io che facevamo da confine con gli altri. Sembrava che si fossero
creati due tavoli distinti, escludendoci dalla conversazione da loro iniziata.
Era evidente che alla maggior parte dei membri di quel tavolo i due Cullen
proprio lì non erano graditi. Così formammo i Fantastici 4; la veggente, il
ficcanaso, l’imbranata e la sfigata di turno. Cercai comunque di interagirmi
anche nella parte dei “normali”, non accettando quella sorta di emarginazione,
cosa che sembrò gradire particolarmente ad Eric, intromettendosi in un discorso
intavolato con i “non umani” sul mio corso di break con i bambini, argomento
verso cui Edward sembrò stranamente interessato.
La giornata si concluse piuttosto in fretta e non fu per
niente emozionante. Piuttosto strana. Mi aveva scombussolato un po’, ma alla
fine non era andata male. I due Cullen erano di allegra compagnia, nonostante
l’atteggiamento che gli era riservato.
Suonata le campanella delle quattro salutai veloce Bella e
Cullen, presi la moto ed andai dritta a La Push. Andai abbastanza piano, a
causa delle pozzanghere e dell’asfalto bagnato dall’acquazzone precedente. Più
di una volta pensai di far dietrofront ed andarmene dritta a casa. Pensai
veramente che questa fosse la volta buona che perdesse la pazienza e si
trasformasse in lupo. No, molto probabilmente lo aveva già fatto prima, a
rabbia piena.
Intravidi subito la piccola casetta rossa. Sentii le
farfalle nello stomaco. Mancavano solo una decina di metri prima di
parcheggiare nel solito posto e subito mi saltò all’occhio una strana figura
strepitante. Frenai ed appoggiai il piede a terra per far perno e girare di
centoottanta gradi. Quella strana figura era un Jacob a dir poco delirante che
stava correndo ad una velocità impressionante verso di me. Spensi di colpo il
motore e mi allontanai indietreggiando dalla moto, e quindi da Jacob. Credevo
che mi sarebbe venuto addosso e mi avrebbe investito in pieno, invece si fermò
proprio davanti alla moto a terra. Era livido di rabbia, respirava
affannosamente.
“Perché sei venuta?” mi urlò “Potevi risparmiarti la
benzina della tua stupida moto e startene a casa dai tuoi succhiasangue! Non
farti più vedere!” Si voltò quasi subito e se ne andò a passo sostenuto verso
casa sua.
“Black, fermati immediatamente!” cercai di bloccarlo io
scavalcando la moto e togliendomi il casco contemporaneamente “Jake!” urlai.
“Non rivolgermi la parola” mi urlò nuovamente, mentre non
pareva voler fermarsi. Scossi la testa; era peggio di quanto avessi immaginato.
“Mi dispiace, ok?” gli urlai anch’io implorante “Ho
sbagliato!”
“Perché te ne sei andata con lei?” Si voltò e tornò a
coprire in breve la distanza che aveva percorso. Me lo ritrovai davanti, in
tutta la sua corpulenta statura “Da dei vampiri! Potevi morire. Sei un’idiota.”
Più parlava, più diventava furibondo. Feci qualche passo indietro, intimorita.
“L’ho pensato…” iniziai a mormorare.
“Non in tempo, a quanto pare! Quanto sei stupida, stupida,
Abigail”
Un brivido mi percorse inspiegabilmente la schiena. Ero
certa che non avrei avuto più un amico tra breve. Mi stava facendo sentire
terribilmente in colpa, inetta. Quante altre persone mi avrebbero reso lo
stesso trattamento. Quanto ancora avrei perso per la mia sciocchezza. Sembrò
calmarsi solo un poco.
“Di me proprio non te ne importa niente” disse deluso,
addolorato. Forse era davvero così, visto che in quel momento non avevo pensato
minimamente a lui. O forse ero un’egoista che credeva che, qualsiasi cosa
facesse, agli altri sarebbe stato del tutto indifferente. Cercai di inghiottire
il groppo che avevo in gola.
“Sei arrabbiato per questo” constatai sulla difensiva,
inutilmente.
“No, il problema è la tua vita!” ripeté imperterrito lui.
Mi sembrava di sentire mia madre.
“Me l’hanno già detto. La mia famiglia, Bella, i Cullen…”
sussurrai.
“Forse perché è questa la verità!” tornò a sbraitare lui.
Aguzzò gli occhi e mostrò i denti, facendo emergere la parte animale che c’era
in lui. Non stava però tremando. La mascella era serrata e tesa, gli occhi neri
fiammeggianti di rabbia. Si acquietò subito dopo. Il suo viso era ora contratto
da tormento e spasimi di dolore. Distolse lo sguardo da me, per riprendere a
respirare. Gli avevo fatto troppo male. Il collo era teso e forse stava anche
lui trattenendo qualcosa che non voleva mostrare.
“Pensavo che tu fossi diversa, Abigail” mormorò questa
volta, ancora terribilmente arrabbiato “Pensavo che, seppur stessi dalla parte
dei vampiri, pensassi anche a me. Ma infondo dovevo aspettarmelo di essermi
solo illuso” finì acido, gli occhi cattivi.
“Smettila, basta con questa storia dei vampiri!” Fui io ad
urlare questa volta. Non c’entrava proprio niente questo. Non doveva tirarli in
ballo.
“Oh no, non la smetto, perché il problema è proprio
quello!” riprese ad urlare ancora. Fece un passo avanti e sfoderò uno sguardo
di scherno. “Stupida figliastra di sanguisughe.”
Mi sentii come un grande castello di carte, a cui era
stata appena tolta una delle ultime. Quelle parole, dette con quel tono quasi
da presa in giro, di disprezzo, di puro odio, da Jacob, la persona verso cui
provavo qualcosa più forte dell’amicizia scatenarono una seria di azioni a
catena incontrollabili. La ragione per un attimo mi abbandonò ed il mio corpo,
scosso da sofferenza, rabbia, odio, confusione, delusione, incredulità, si
mosse da solo. Gli tirai un pugno in piena faccia, con tutta la forza che il
mio braccio disponeva. Non avevo ancora tolto i guanti da moto, che erano
rivestiti in acciaio per le cadute, ed il male che mi feci sostituì una mano
rotta. Il dolore alla mano mi percosse tutto il corpo, riuscì però ad alleviare
l’altro tipo di dolore e far sì che tornassi a ragionare. Jacob aveva fatto un
passo indietro, mentre si teneva il naso, dolorante, ad occhi chiusi. Ora ero
tornata a far del male io a lui.
“Ti comporti in questo modo perché io ti ho fatto del male
e tu me ne vuoi fare ancora di più, giusto?” dissi con voce roca e poco
chiara.Jacob aveva ufficialmente chiuso
con me. Ora ero io quella che non voleva più vederlo. Aveva detto una cosa
orribile, che aveva ferito me e la mia famiglia. La mia famiglia non si
toccava. E per di più era una persona che consideravo amica. Gli amici non si
trattano in quel modo. Noi non potevamo essere amici. Ora era diventato lui
quello che credevo fosse diverso, quello che, seppur fosse un licantropo,
avrebbe accettato la mia provenienza.
“Ci stai riuscendo alla grande!” dissi malferma “Ma hai
ragione, Jacob Black. Hai ragione come…come sem-sempre” Gli occhi cominciarono
a pizzicare. Mi faceva ancora, ancora male…
“Vuoi che ti dica perché sono venuta qua? Per scusarmi.
Per dirti che non lo farò più, che ho capito il mio errore e che non l'ho fatto
per ferire nessuno. Per dirti che.. da ora mi impegnerò a mantenere la promessa
che ci siamo fatti.” La voce mi avrebbe retto ancora per poco “Ma sai cosa? Non
lo farò. Dovevo capirlo che noi due non eravamo in alcun modo compatibili. Me
ne vado. Non ti disturberò più. Me ne andrò alla spiaggia d’ora in poi.” Lui si
tolse le mani dal naso sanguinante. Guardava la macchia di sangue che aveva sul
palmo della mano, confuso. Tornò poi a guardare me, inespressibile.
Mi girai di scatto, mettendomi di nuovo in testa il casco.
Appena in tempo per iniziare a piangere. Non credevo di meritarmi questo.
Neanche il più stupido ed orribile tra i comportamenti se lo poteva meritare. O
forse sì? Singhiozzai, dirigendomi dritta verso la moto. Mi scivolò dalle mani;
Jacob me l’aveva preso. Mi girai, infischiandomi dell’orribile smorfia che
dovevo avere in faccia.
“Dammelo” ordinai guardandolo negli occhi. Ora i ruoli si
erano scambiati. Ora era lui ad essere mortificato. Lui non me lo diede.
“No, Abi” mormorò, nascondendomelo. Io tornai a voltarmi,
tornando spedita verso la moto. Lui mi bloccò in un abbraccio. La temperatura
di colpo si alzò.
“Va a quel paese!" urlai con il fiato che mi rimaneva
in gola, scoppiando in una fontana di singhiozzi. Cercai di divincolarmi dalla
sua morsa, ma era impossibile.
“No.” Sentii il suo sospiro terribilmente vicino al mio
orecchio. Le braccia si fecero più strette e per poter continuare a respirare
dovetti smetterla di muovermi.
“Sei un idiota” dissi sprezzante, con lo stesso tono che
aveva usato lui.
“Sì hai ragione. Sono un idiota” Sentii ancora il suo
respiro caldo contro la pelle del mio collo. “Tu hai fatto del male a me, io
volevo fare del male a te. Ma sono uno stupido licantropo, ricordi?”
“Crepa, Black” mormorai acida, provando ancora a
divincolarmi, ma inutilmente.
“E ho esagerato. Scusa per quell’orribile cosa che ti ho
detto” continuò lui. “Perdonami.” mormorò. Io riuscii a calmarmi. Sapevo
riconoscere quando Jacob era sincero o no. Adesso lui era sincero. Rimasi a
testa bassa per alcuni secondi, mentre lui continuava a stringermi.
Un lampo in lontananza preannunciò l’arrivo di un
temporale. Il vento si era alzato, facendo scuotere il fogliame degli abeti che
circondavano la piccola casetta. La sua voce era addolorata. Ed era dolce.
Quello stesso tono che Jacob riservava solo a Bella, ora lo usava anche con me.
Un sorriso amaro si dipinse in faccia. Decisi di perdonarlo. Non lo aveva detto
apposta, era solo terribilmente arrabbiato. E poi cosa potevo aspettarmi? Che
mi accogliesse a braccia aperte? Dovevo immaginarmi che sarebbe andata in
questo modo e che mi avrebbe detto orribili cattiverie, essendo impulsivo ed
avendo ragione di arrabbiarsi. Aveva esagerato, non lo mettevo in dubbio. Ma
Jacob era anche maturo; aveva riconosciuto il male che aveva fatto e si era
scusato sinceramente.
“Siamo due completi idioti” mormorai, la voce malferma, ma
non più piangendo “Non siamo capaci di non farci male”
“Già” mormorò lui in un sogghigno.
“Mi odi ancora?” chiesi titubante.
"Mi confermi quello che sei venuta a dirmi?"
"Sì"
“No, non ti odio più” rispose con la sua voce calda “Tu?”
“No” dissi senza pensarci, sicura.
“Allora volta le chiappe e dammi un abbraccio, sciocca”
disse facendomi fare un giro di centottanta gradi, continuando a mantenere
l’abbraccio. Con un piccolo sorriso lo ricambiai. O per meglio dire, cercai;
non riuscivo a congiungere le braccia e a circondare il suo giro vita nella sua
completezza. Inoltre dovetti cercare di evitare di schiacciarmi del tutto
contro i suoi addominali d’acciaio. Nonostante tutto, fui più che felice di
farmi stringere da lui.
“Se promettessimo di non comportarci più in questo modo,
dici che ce la faremmo?” mormorai in un fil di voce.
“Non ci scommetterei” rispose con tono quasi ironico. E
sarebbe risuccesso sicuramente.
“A proposito di male” incominciò lui, distaccandomi
leggermente. Mi guardò negli occhi, lo sguardo proprio come volevo
ricordarmelo; simpatico, sincero ed un po’ deficiente.
“Però, caspita! Mi hai fatto male, lo sai?” esclamò
stupito. Osservai il suo naso; era ricoperto da un po’ di sangue, ma sembrava
che stesse bene. Per essere uscito del sangue doveva almeno… Giusto,
licantropi. Con il senno di poi, però, dovevo ammettere che quel pugno gli
aveva fatto davvero bene; era riuscito a fargli ritornarnare il lume della
ragione, dopo che l'aveva perso a causa mia.
“Non abbastanza, forse” constatai “Meglio se riprovo”
dissi alzando di nuovo il pugno.
“Come no” rispose lui, bloccandomi entrambi i pugni. Alzai
la testa verso il suo viso. Aveva il sorriso di un bambino di cinque anni. Con
qualche dente in più, ma stupendo. Sentii le guance pizzicarmi ed abbassai
immediatamente la testa. Feci un passo indietro per sciogliermi dalla sua
presa. Alzai il palmo delle mani verso di lui.
“Contatto lupesco, ricordi?” lo ammonii, con una lieve
espressione di divertente disgusto.
“Ah, giusto” rispose lui, con l’aria di uno che la sapeva
lunga.
C’erano principalmente due tipi di acquazzoni a Forks; il
primo iniziava con una leggera pioggerellina, per poi aumentare d’intensità,
dando così anche un grande margine di avvertimento. Il secondo, invece,
sembrava più un monsone; incominciavano subito a scendere ettolitri di pioggia,
prendendoti del tutto alla sprovvista. Quel giorno, ed i lampi in lontananza
erano un chiaro segnale, sarebbe venuto un temporale del secondo tipo. Subito
dopo essermi allontanata da Jacob, sentii grosse gocce d’acqua infradiciarmi in
breve.
“Forse è meglio andare in gar…”
Jacob si accovacciò come un giocatore di rugby e mi
raccolse le gambe. Io di conseguenza caddi sulla sua schiena.
“Ho le gambe anch’io!” esclamai sorpresa da quella presa
“Posso camminare!” Lui si mise subito a correre verso la casetta rossa. In
breve la superò e giungemmo al garage.
“È troppo facile” dichiarò “Io sopporto la tua puzza. Devi
per forza sopportare anche me” Mi inflisse una leggera pacca sulla schiena.
Sentii la pioggia smettere di scrosciarmi addosso,
sentendone solo il forte rumore contro i pannelli in ferro del garage. Jacob mi
depositò con poca curanza sul pavimento.
“Complimenti per la gentilezza” commentai io.
“Scusami” disse sincero, ma non troppo.
Tirai indietro i capelli bagnati, mentre osservavo Jacob.
Lui non era bagnato, ma cosparso di piccole goccioline di vapore, come se fosse
una pentola in ebollizione. Sogghignai, girando la testa senza farmi vedere.
Incrociai la mia Cadillac. A fianco a lei, pezzi che non avevo mai visto e che
aspettavano di essere montati.
“Pensavo l’avresti distrutta” confessai tornandolo a
guardare. Si appoggiò alla portiera della sua Golf, mentre scuoteva
freneticamente la testa per togliersi l’acqua dalla testa. Cane anche da umano.
“Nah” rispose in un ghigno “L’avrei finita per me.” Ne fui
abbastanza felice. Continuai a guardarmi attorno. Il garage era rimasto sempre
lo stesso. Scese per un attimo il silenzio, che però non durò molto.
"Ritornando al discorso di prima" riprese Jacob,
appaggiando la schiena contro la parete del garage. Tornai anch'io seria.
“Avrò almeno il diritto di sapere cosa sia successo dopo,
no?” domandò con naturalezza e tranquillità. Due atteggiamenti che non gli
donavano affatto, che non lo facevano assomigliare al Jacob scapestrato che
conoscevo. Mi venne automatico ripensare alla corsa in piazza, ai Volturi, alla
paura che mi conoscessero, a quello che avrebbe potuto succedere…
Lo guardai amareggiata e scossi la testa, facendo
rimbalzare i miei ricci disordinati.
“Proprio no, Jake, davvero” Quasi mormorai. Lui mi guardò
serio con attenzione per vari secondi, prima di scostare lo sguardo da me e
perdersi nei suoi pensieri. Mi piacque che non insistette.
Di nuovo, nessuno apriva bocca, ma l’argomento era
abbastanza chiaro; la conseguenza di tutto quello, di cui nessuno dei due
sembrava aver voglia di parlarne. Almeno, lo era per me. Feci un respiro
profondo ed incrociando le gambe a farfalla parlai.
“I Cullen sono tornati” la buttai lì io, anche per
cambiare argomento.
Jacob, che fino ad un momento prima sorrideva, si fece
subito serio ed acquistò una strana aria matura, che lo fece sembrare più
vecchio. In quel momento pensai che Jacob sembrava davvero più vecchio di mio
padre.
“Ah… ho capito dove vuoi andare a parare” disse un po’
scocciato, incrociando le braccia, molto probabilmente ricordandosi di quella
conversazione in cui lo avevo avvertito.
“Esatto” risposi sicura io “Come l’avete presa?”
“Come vuoi che l’abbiamo presa?!” sbottò lui “Come se non
ne bastassero quelli che ci sono già!” esclamò. Io respirai profondamente.
Sapevamo entrambi che di questo argomento non si poteva parlare tra noi; per
fortuna credevo che entrambi avevamo imparato a sopportare le idee dell’altro,
fino ad un certo limite, ovviamente.
“Sai che non daranno fastidio” dissi lentamente, cercando
di farlo ragionare.
“La loro semplice presenza…” cominciò lui, alzando le
mani. Ecco questo era il limite.
“Blablabla…” lo interruppi immediatamente io, imitando il
becco di una papera con una mano “Sai che questa è la strada sbagliata che
porta a brutti esiti tra noi due.” Appoggiò entrambe le mani al tettuccio della
Golf.
“Ci saranno d’impiccio per cacciare quella vampira” disse
severo, concentrato ed irritato.
“Non hai mai pensato che forse vi saranno d’aiuto?”
esclamai io, ancora con tono tranquillo. Dal nostro primo incontro avevo capito
che se non riuscivo a fargli cambiare idea sui vampiri gridando, l’altra
soluzione era quella di sforzarmi di parlare da persona civile, anche se era la
via più difficile. Lui alzò la testa verso l’alto e sospirò.
“Come non detto” lo bloccai subito io, alzando le mani in
segno di resa. Era una battaglia persa in partenza con Jacob, ma il fatto che
era il mio migliore amico mi spingeva a provarci almeno con lui. Lui rimase
zitto. Stava facendo sfoggio di un autocontrollo e di una maturità da vendere.
Mi fermai a guardarlo per qualche secondo, mentre lui continuava a rimanere
assorto.
“Sei tanto arrabbiato con Bella?” dissi chiaramente. Lui
si fece pensieroso, lo sguardo anche perso.
“Dispiaciuto. Deluso” Alzò lo sguardo verso di me. “Lei un
motivo ce l’aveva…”
Potevo solo immaginare quello che gli frullava nella
mente, le sensazioni che provava, i pensieri che non avrei capito e che non avrebbe
detto a nessuno. Strinse forte pugni e labbra, fino a far diventare bianche le
nocche.
“Ed è per questo meglio se non si fa vedere.” Feci un
respiro profondo. Era distrutto da quello che gli aveva fatto anche Bella.
“Infatti hai proprio l’aria di uno che non vuole vederla”
ammisi. Potevo essere ironica, ma continuai a rimanere seria.
“Smettila, Abi” mi ammonì lui severo “Adesso sai cosa
succederà?”
“No. Ma sarà una catastrofe” commentai con un ghigno.
Tornai a guardarlo negli occhi, mentre ciondolavo avanti ed indietro tenendomi
le gambe. “A te piace ancora” ammisi seria, ma con uno strano tono di voce.
“Non si tratta solo di quello!” esclamò lui “Io ho paura
che la uccida. E se osa solamente farle del male, io ucciderò lui” mormorò
arrabbiato, stringendo ancora di più i pugni. Io cercai di trattenere una
risata. Lui alzò immediatamente lo sguardo su di me
“Ridi?” mi attaccò con vera accidia nella voce.
“Jacob, non succederà. Ed essere o no dalla parte dei
vampiri non c’entra niente. Prendilo come un dato di fatto che lui non le farà
mai del male” cercai di rassicurarlo con calma. Edward che faceva del male a
Bella, fisicamente, s'intende. Che barzelletta.
“Ha un autocontrollo che tu non puoi neanche immaginare”
conclusi.
“Non sei convincente” bisbigliò, senza alcun minimo
cambiamento nella voce “Questo non toglie che sia un vampiro” Io scossi la
testa e guardai il soffitto. Giusto, lui non capiva. E sembrava neppure
sforzarsi. Eppure sembrava che avesse capito che avevo ragione.
“Non voglio che diventi un vampiro” mormorò.
“È possibile” affermai io, mentendo “Ma ricorda che il
vostro patto lo vieta” aggiunsi per rassicurarlo vanamente. Questo era compito
di Bella ed io non volevo immischiarmi ulteriormente.
“Se ne andranno. La porterà via e la trasformeranno in
vampiro. E la perderò” disse a voce alta, facendo rimbombare la sua voce sulle
pareti del garage. Avevamo superato il limite di comprensione reciproca; mi ero
totalmente persa. Perché mai credeva che l’avrebbe persa?
“Che pessimismo!” esclamai, questa volta sarcastica “Non
si dimenticherà di te. Sarà sempre Bella! Solo con un po’ di puzza in più!” Lui
scosse la testa. La sua espressione si fece esasperata.
“No, Abi. Non capisci. Non voglio che si trasformi in
qualcosa che per sopravvivere deve uccidere! Non voglio che diventi il mio
nemico! Spero piuttosto che muoia!”
Jacob riuscì soprattutto a spaventarmi. Spero piuttosto
che muoia. Non avrebbe mai detto su Bella una cattiveria simile. Questa era
troppo persino diretto a me. Ne rimasi totalmente spiazzata. Era davvero così
grave, orribile per lui che Bella diventasse un vampiro?
Forse per la prima volta riuscii a capire la sua ottica
riflettendo su quelle parole. Non riuscii comunque a comprendere del tutto;
immedesimarsi in un licantropo era troppo difficile. Quella volta, qualcosa mi
costrinse a dargli ragione, dal suo punto di vista.
“Non posso stare con lei se è un vampiro. Né se sta con i
vampiri. Bella non esisterà più!” concluse lui, con rimpianto. Aveva le
sopracciglia aggrottate e ogni fibra tesa al massimo.
“Con me però lo fai” sottolineai io. Lui sogghignò.
“Con te è diverso. Non vuoi diventare un vampiro” disse
con un tono di voce più morbido. Aprii bocca per ribattere qualcosa, ma tacqui,
rispettando l’ottica licantropesca. Effettivamente qualcosa di vero nella sua
frase c’era stato, ma c’erano fin troppe cose che non capivo. Si era lasciato
per la prima volta scappare il piccolo particolare che per la maggior parte,
lui non voleva che Bella se ne andasse da lui perché era innamorato cotto di
lei. Non era la scoperta dell’acqua calda, ma sentirglielo dire era come
ripetersi che io non contavo nulla in quel senso.
“Non ti dimenticherà. Né tu, né io” affermai sicura,
guardandolo negli occhi. Lui interruppe lo sguardo.
“Sarà lui a farla dimenticare” bisbigliò “Lo scommetto.”
Adesso stava proprio esagerando. Edward non aveva motivo di vietare a Bella di
vederlo. Lei d’altronde non glielo avrebbe permesso. Forse… se fosse
riuscita…
“Lo odi proprio?” constatai con un sorriso amaro. Ovvio
che lo odiava! Aveva in pratica continuato ad affermare e riaffermare solo
quello da quando avevo pronunciato per la prima volta quel giorno “Cullen”!
“Sì” esclamò convinto, infuriato “Vorrei non fosse mai
tornato”
“Ad essere sincera, all’inizio non piaceva neppure a me”
mormorai per essergli di un minimo di consolazione. Passò alcuni secondi in
silenzio, prima di alzare lo sguardo su di me.
“Se io ti chiedessi di convincerla a lasciarlo stare, tu
non mi aiuterai, vero?” disse, conoscendo ovviamente la risposta.
“No. Dalla mia ottica pro-vampiri non vedo sinceramente
alcun motivo perché loro due non possano stare insieme” sottolinei decisa.
Lui sbuffò con un ghigno. Rimase per un attimo immobile,
mani sul viso, appoggiato alla Golf rossa. Le intenzioni ed i pensieri di Jacob
mi preoccupavano e non mi piacevano affatto. Prevedevo un brutto periodo. Alzò
lo sguardo e si avvicinò, notando la mia preoccupazione, si chinò su di me e mi
scompigliò i capelli, in gesto d’amicizia.
“Dovevo aspettarmelo da una mezza vampira come te” disse
sfoderandomi un sorrisino. Mi alzai di scatto, arrabbiata. Non mi piaceva
quando faceva il cretino in questo modo.
“Cos…!” Mi bloccai, riflettendo su quello che aveva detto
“Cosa hai detto?” domandai confusa.
“Mezza vampira” ripeté in una risata. “Da come mi hai
picchiato prima, sembri essere una mezza vampira. Con le strambe idee che hai,
poi.” Lo ascoltai con grande attenzione. Mezza vampira. Nessuno mi aveva mai
chiamata con quel nome. In realtà non ci avevo mai pensato. E poi era solo per
modo di dire; continuavo ad essere umana cento per cento. Mi piaceva, però.
“Una mezza vampira però riesci a sopportarla” risposi in
un sorriso. Lui appoggiò una mano al pavimento e si sedette vicino a me. Forse
troppo vicino; cominciai in breve a sudare per il caldo.
“A stento” rispose lui a tono. Feci un respiro profondo,
decidendo di essere franca fino in fondo.
“Perché non l’accetti per quello che è, come fai con me?
Solo Bella, nient’altro. Anche se adesso sono tornati i Cullen, lei non è
cambiata.” Lui alzò la testa verso il soffitto in un ghigno ironico. “Lo
sappiamo entrambi che ti manca.”
Si vedeva, cavolo se si vedeva che Bella le mancava
tantissimo. Nonostante quello che aveva detto sulla compagnia che frequentava,
vederla gli avrebbe fatto bene. Anzi, avrebbe fatto bene a tutti e tre. Bella
doveva venire a La Push.
“Io non posso…” finì improvvisamente la frase. Dopo un
altro secondo riprese a parlare. Voltò la testa verso di me. Il suo sguardo
prese a scintillare di uno strano luccichio. Pericoloso e protettivo, come il
tono di voce che usò.
“Io non posso semplicemente accettarla.”
Per lunghi minuti calò il silenzio. Per la prima volta
ebbi timore di Jacob. Non capii esattamente quello che disse, troppo
concentrata nel suo tono di voce. Era una determinazione cupa e misteriosa.
Qualsiasi cosa si trattasse ce n’era tanta, abbastanza da mettermi i brividi.
Scostai lo sguardo, abbassando leggermente la testa. Avrei tanto voluto sapere
che idee ci fossero nella sua testa.
“Io ti piaccio?” disse tranquillo e serio come primo.
“Sì, mi piaci” approvai io, confusa ed ancora attonita.
Doveva anche saperlo. Infondo se eravamo amici doveva anche averlo capito. Era
strano che fosse serio.
“Nel senso” continuò lui. “Provi qualcosa di più dell’amicizia
per me, non è vero?” Merda, merda, merda. Me l’ero del tutto dimenticata.
Eppure, come si poteva dimenticare il primo bacio alla persona che piace?
Cominciai ad avere molto, molto più caldo.
“No” dissi con la stessa tranquillità e lo stesso dubbio
di prima. Ero fortunata a saper dire bene le bugie.
“Allora perché quel bacio?” mi chiese sospettoso guardarmi
questa volta attentamente negli occhi.
“Ah…” sospirai io. Mi volsi verso di lui. Il suo sguardo
mi fece all’inizio tentennare, ma riuscii a sostenerlo.
“In realtà volevo darti un bacio sulla guancia, ma andavo
di corsa, tu sei alto e te l’ho dato dove ho potuto.” Che cosa stupida! Che
balla assurda. Era davvero un poveraccio se c’avrebbe creduto sul serio! Era d’altronde
la prima cosa sensata che mi era venuta in mente. Inoltre avevo usato serietà
ed ironia quanto bastava per renderla una cosa fattibile e far sentire lui uno
stupido a pensare ad una cosa del genere.
“Ah” mormorò lui, uscendo poi in una risata. “Lo so, scusa, è una sciocchezza”
“Basta che tu abbia capito” Il mormorio della mia voce
probabilmente mi ingannò.
Scossi impercettibilmente la testa, facendolo scambiare
per un tic. Non avrei potuto dirglielo, finché rimaneva così innamorato di
Bella. Di sicuro non mi avrebbe ricambiato e forse non saremmo stati neppure
amici. O forse sì; da un certo punto di vista eravamo persone abbastanza
mature. Cominciava però a darmi fastidio vederlo preoccupato per Bella, ma non
come lo sarebbe per me, pensare a lei, ma non come penserebbe a me. Sospirai
impercettibilmente; era un prezzo che avrei accettato, pur di essergli solo sua
amica. E poi non avremmo più parlato di questo lato della loro amicizia.
Questo però non mi rallegrava per niente.
“Sai, non sembri più tanto stanco” dissi all’improvviso,
per evitare che il mio silenzio attirasse troppa attenzione. Purtroppo non lo
dissi come avrei voluto.
“Stavo dormendo, infatti, ma il rumore della tua moto mi
ha svegliato. Grazie tante” rispose lui, ironico. Sembrava non essersi accorto
del mio tentennamento.
“Meglio così. Al lavoro?” proposi di colpo più entusiasta.
Lui prima guardò la macchina, poi sospirò.
“Al lavoro” disse. Subito dopo cominciò a canticchiare la
canzoncina dei Sette Nani. Riuscì a farmi ridere. Ne avevo davvero
bisogno. C’era un secondo e più importante motivo del finire al più presto la
macchina che mi aveva spinto a fare quella proposta.
Lavorare mi avrebbe magari distratto. Calmata di sicura.
Quella conversazione mi aveva fatto pensare, più che parlare.
Ero preoccupata per quello che pensava Jacob, per quello
che voleva fare, che d’altronde era inaspettato. Avevo pensato che sarebbero
nate delle controversie tra i due, ma avevo dimenticato ancora una volta che
uno era un vampiro e l’altro un licantropo. Già non prevedevo cosa avrebbe
potuto fare un licantropo, se poi ad un vampiro, diventava del tutto
impensabile. A preoccuparmi di più di Jacob era la determinazione; ne aveva
troppa. E poteva farsi male.
La grinta che mi aveva dimostrato l’aveva presa da
motivazioni da amico; quando mi aveva chiesto di convincere Bella a lasciar
stare Edward, me l’aveva chiesto come se fosse un suo amico. Ma anche se non lo
aveva accennato di proposito, lui era innamorato di quella ragazza e la tenacia
che poteva nascere da quest’unica motivazione valeva mille volte più di
qualsiasi altra. Non avevo in realtà idea di quanto fosse grande, ma sapevo che
ce l'aveva e questo bastava per spaventarmi.
Desideravo placare quella sua cocciutaggine, perché non
volevo che si facesse male. Era come un treno senza ferroviere che si sarebbe
presto sbattuto contro un muro. Avrebbe fatto qualcosa per riappropriarsi di
Bella, in quel senso. E non credevo sarei riuscita a fermarlo; non credevo di
riuscire a competere con quel suo immane fervore che metteva i brividi.
La cosa giusta ora sarebbe stata quella di cercare di
convincerlo a lasciar perdere Bella prima che qualcuno cominciasse a soffrire
davvero. Ma se non ero neppure riuscita a far cambiare idea controbattendo alle
sue motivazioni di amico, come potevo riuscirci da quelle di innamorato? Ci
avevo provato una volta, e mi ero sentita una stupida. E poi sarebbe stato
impossibile, dato le diverse ideologie.
Le opzioni erano quindi due: o cercare di convincere Jacob
a lasciar perdere Bella, con una percentuale di successo del zero percento ed
una del cento per cento di perdere Jacob, oppure farmi da parte, accontentarmi
di aver Jacob come amico e permettere ad un sanguinolento triangolo amoroso di
nascere. E io mi sarei messa da parte. Volevo bene a Bella e desideravo che
fosse felice, ma volevo pensare a me questa volta. Per ora non avrei convinto
Jacob di niente e lo avrei lasciato agire; tenevo troppo a lui.
Continuai quindi a lavorare vicino a Jacob, fingendomi
solo una grande amica e niente più.
Uau! Non ci posso credere! Sono finalmente risucita a
pubblicare un capitolo! Voglio chiedere scusa a tutti i lettori di questo
ritardo stratosferico; è da mesi che non pubblico qualcosa. Ci tengo inoltre a
farvi sapere che questo ritardo non sarà l'ultimo: è molto probabile che il
prossimo capitolo verrà pubblicato a distanza di mesi. Mi dispiace farvi
attendere in modo così esagerato, soprattutto perché la storia in questo modo
non ha una linearità. In questi mesi sono stata molto occupata, e lo sarò per
molto tempo, a causa della scuola e non solo, quindi vi chiedo di avere
pazienza almeno fino a giugno.
Sappiate però che non ho mai avuto intenzione di mollare
questa storia e prima o poi, a distanza anche di anni o anche decenni, riuscirò
a finirla.
Parlando quindi della storia; finalmente entra in scena il
grande Edward, per la gioia di tutti voi. Vi avverto che una cosa che mi piace
fare da impazzire quando devo scrivere su di lui è prenderlo in giro, in senso
buono, ovviamente. Quindi vi avverto già che nel corso del tempo Abigail avrà
più di qualche occasione per fare battutine scherzose su di lui. Ma nonostante
questo mi impegnerò a descriverlo in modo affascinante, come è giusto che sia.
Vorrei inoltre avvertirvi che per adesso le cose si fanno
un po' noiose e solo tra un po' si faranno un po' più interessanti.
Dopo di questo vi saluto, ringraziandovi per l'ennesima
volta del sostegno che, anche a distanza di tempo, continuate a darmi.
Alla prossima!
X _cory_: Oh, ma quante domande!! Purtroppo non ti posso
rispondere a nessuna, ma dovrai scoprirlo da te :) Ti posso dire però che la ff
non è affatto finita, anzi, ho l'intenzione di portarla fino alla fine di
breaking dawn. Adesso più o meno a livello di libri new moon è finito e questo
dovrebbe essere un capitolo di intermezzo tra new moon ed eclipse.
Grazie mille per gli splendidi complimenti! Bacio!
X Ryry_: Peccato! Non è Jacob! Ma se non è zuppa è pan
pagnato, no? XD Sono contenta che il salvataggio sia stato ad effetto, un pò
meno per il comportamento di Edward all'inizio. Cavolo, hai ragione tu.
All'inizio non l'avevo scritto così. L'ho cambiato all'ultimo secondo e ora
come ora non mi ricordo più il perchè. Ripensandoci hai ragione, non era affatto
da Edward. Mannaggia! La prossima volta starò più attenta.
Uau! Grazie per i complementi! Anche se mi dispiace di
deluderti, per questi ritardi enormi. Grazie ancora! Bacio!!
Ps: mmh... mi hai incuriosita. Di che fan fiction si
tratta? :) :) :)
X liala90: No, non ho intenzione di interromperla. Sono
sono enormemente in ritardo con i tempi. X) Prima o poi, però, ce la farò!
Grazie per aver postato un tuo commento! ciao! :)
X: Frammento: Sono lusingata che una delle prime storie
che hai letto è stata red eyes, anche se mi sembra ora come ora di averla
scritta una vita fa! tornando però a parlare di questo ff, bhè, mi dispiace
tantissimo per il ritardo. Farò tutto il possibile per continuare a scrivere e
a pubblicare, ma non assicuro niente... Ciononostante, ti ringrazio tantissimo
per il commento e per i complimenti ai miei personaggi al di fuori dal normale!
XD alla prossima!
Il giorno dopo mi svegliai di buon’ora. Comportamento fin
troppo strano da parte mia e mamma se ne incuriosii parecchio.
Il motivo era Bella: avevo terribilmente bisogno di
parlare con qualcuno di amico e desideravo passare un po’ di tempo con lei, da
sole, come ai vecchi tempi e rubarla per un attimo ad Edward, che speravo
avrebbe capito. Avevo quindi deciso che la sera precedente mi sarei alzata
presto per preparare il pranzo da poter mangiare insieme in giardino, visto che
con l’arrivo di maggio le giornate piovose e fredde si erano dimezzate. Mamma
ascoltò la mia idea e l’approvò con grande entusiasmo, sostenendo fosse una
cosa carina da parte mia e soprattutto inaspettata, cosa più importante.
Adoravo stupire la gente.
Non essendo tuttqavia una cima a cucinare, nonostante
l’aiuto di mia madre ottenuto dopo imbarazzanti suppliche, non riuscii a
raggiungere niente di speciale: due panini grossi e ripieni. Decisamente molto
meglio del cibo della mensa. Mi domandavo solamente se avessi azzeccato i gusti
di Bella.
Fu straordinariamente stancante alzarmi presto e mi ci
volle un caffè per tirarmi su, dopo la prova di cucina.
Non avevo per niente riacquistato energie dal giorno
precedente, passato per gran parte a lavorare sulla macchina da Jacob, fino
però ad arrivare ad un ottimo punto del lavoro. Occorrevano pezzi nuovi, ma i
soldi del corso di break erano abbastanza, soprattutto per l’inaspettato arrivo
di altri cinque bambini. Se fosse una fortuna o no, su questo dovevo pensarci.
Il caffè riuscì a svegliarmi completamente. Nonostante
tutto arrivai in ritardo comunque, ormai abituata ai tempi in cui andavo a
scuola partendo da casa Cullen. Arrivai raggiante, o così mi dissero che fossi.
Quel giorno non avevo nessun'ora che coincidesse con quelle di Bella e non
l'incontrai neppure all’entrata, così come per i Cullen.
Trascorsi quindi noiosissime ore di inglese e perfino di
chimica rodendomi e sperando di incontrarla nella pausa tra un’ora e l’altra
nel corridoio. Tra quella di chimica e spagnolo riuscii a scorgere Edward e
tutto lo spazio vuoto che gli altri ragazzi creavano cautamente attorno a lui.
Lui si girò verso di me non appena pronunciai mentalmente il suo nome senza
accorgermene. Mi feci largo tra la gente e lo raggiunsi.
“Ehi, ciao Abigail!” esclamò Alice entusiasta,
interrompendosi nel mezzo di un discorso.
“Salve” risposi io, prendo fiato e tenendo il loro passo.
“Buongiorno” disse Edward, sempre molto formale. Con la
gentilezza che aveva poteva essere perdonato per avermi letto nel pensiero.
“Ciao” disse anche Bella “Come mai sei arrivata in ritardo
oggi?” Aprii bocca per replicare, ma il sogghigno di Edward mi distrasse.
“A proposito, che cosa gentile” constatò Alice, accanto ad
Edward. Bella guardò prima loro, poi me con aria confusa. Io richiusi la bocca,
con aria abbattuta. Che guasta feste. Guardai decisa Bella, fingendo per un
attimo che gli altri due non esistessero.
“Ho preparato dei panini per il pranzo. Sono mangiabili;
mi ha aiutato mia madre a farli” la rassicurai subito io “Vuoi venire a
pranzare con me?” la invitai io.
“Avresti però…” Alice non finì la frase che Edward le posò
una mano sulla spalla per bloccarla. Lei lo guardò stupito, mentre lui mormorò
qualcosa con le labbra tanto veloce da non poterlo sentire. Si fermarono di
colpo, ed io li imitai, capendo solo dopo che eravamo giunti davanti alla loro
aula. Bella dopo aver lanciato un’occhiata confusa ai due Cullen, tornò a
guardare me.
“Non so…” mormorò guardando di nuovo Edward ed Alice. Ah…!
Se la sarebbero cavata anche senza di lei a superare la terribile ora della
pausa pranzo!
“Vai pure, Bella” le disse gentile, mentre le metteva una
mano sulla spalla “Credo che riusciremo a cavarcela a superare la terribile ora
della pausa pranzo.” Mi lanciò uno sguardo rassicurante condito dal sorrisino
sghembo. Io spalancai la bocca allibita, per aver usato le mie identiche
parole.
“Va bene, allora…” confermò Bella un po’ titubante. Mi
accorsi solo dopo che quell’imbarazzo era dovuto alla mano di Edward sulla sua
schiena. La presenza di Edward su di lei sembrava avere gli stessi effetti di
dipendenza di una dose di cocaina. La tornai a guardarla sorridente.
“Ci vediamo fuori in giardino, allora” confermai io,
allontanandomi a passo sostenuto da loro, verso la mia classe. Alice entrò in
classe ancora con espressione dubbiosa ed osservando curiosa Edward, il quale
era l’immagine della tranquillità, mano nella mano con Bella, di poco meno
serena.
L’orribile ora di spagnolo non pareva smettere di finire.
Al suono della campanella presi di corsa il mio zaino e mi diressi verso
l’uscita. In corridoio la presa di qualcuno sul mio braccio mi fece voltare.
“Ehi, Abigail” disse Eric entusiasta verso di me “Aspetta,
che ti accompagno”
“Oggi io non ci sono a mensa” gli spiegai io, fermandomi
“Io e Bella andiamo a mangiare fuori in giardino”
“Oh” disse Eric più confuso che sorpreso. “È per Cullen,
dico bene?” sentenziò dopo un momento di pausa.
“Cosa vuoi dire?” domandai incuriosita.
“Bhe, stanno tutto il tempo insieme. Vuole allora dire che
stanno davvero tutto il tempo insieme, se persino tu sei costretta a
questi mezzi.”
Io arricciai le labbra, limitandomi a tacere. Dal suo tono
traspariva una certa ironia, ma non sapeva quanto aveva ragione. Anzi, mi sarei
sorpresa io stessa se quei due non passavano effettivamente tutto il tempo
insieme.
Salutai velocemente Eric e andai dritta in giardino. C’era
un po’ di vento, ma era anche abbastanza caldo da poter stare fuori senza
patire il freddo. Puntai alla panchina più vicina e la occupai. Mi guardai
intorno in cerca di Bella e fui sorpresa dal constatare quanta gente avesse
imitato la mia idea e fosse venuta in giardino a pranzare. Perciò mi alzai e
andai a sedermi nella panchina più lontana, lontano da orecchie indiscrete. Gli
argomenti di discussione tra me e Bella il più delle volte non dovevano essere
ascoltati. Mi sedetti sulla panchina ed aspettai.
E continuai ad aspettare. Erano passati già cinque minuti,
molti tenendo conto che la pausa pranzo era di un’ora. Separarsi da Edward per
un’ora era così traumatico? Uff… che pensiero cattivo...
La vidi finalmente uscire dalla porta secondaria e
perlustrare il giardino. Le sventolai una mano affinché mi vedesse. Mi notò e
si diresse a passo sostenuto verso di me, rischiando di inciampare durante il
tragitto. Sorrisi e scossi la testa.
“Allora, da quand’è che hai iniziato a cucinare di tua
spontanea iniziativa?” disse curiosa, sedendosi ed osservando guardinga la
scatola di plastica dove avevo messo i panini.
“Per te questo e altro, Bella” risposi in tono
melodrammatico, aprendo la scatola ed offrendole il panino. Lei lo prese tra le
mani guardandolo leggermente stupita.
“Hai ucciso un elefante per questo?” mi chiese,
evidentemente spaventata dal mio panino.
“E secondo te dove finisce tutta la carne dei pasti dei
miei genitori?” le sussurrai io sarcastica. Lei fece una smorfia improvvisa e
lo allontanò.
“Non è divertente” mormorò lei, mentre io sghignazzavo.
“E comunque è maiale, quello che mangerai” constatai,
azzannando il panino.
“Questo mi rassicura un po’ di più” rispose, cominciando a
mordicchiarlo a timidi morsi. Poco dopo si fermò.
“A cosa devo esattamente questa speciale occasione?” mi
chiese interessata. Aspettai di inghiottire il pezzo di panino in bocca prima
di risponderle.
“Bhè…” iniziai io “Volevo stare un po’ da sola con te.
Constaterai anche tu che la maggior parte del tempo lo passi con Edward.” Alzai
improvvisamente le mani, in segno di resa.
“Non dico che non sia giusto. Anzi, è legittimo da parte
tua. Solo che…” mi fermai di colpo, abbassando le mani e soffermandomi su un
punto indeterminato “Mi mancano le nostre chiacchierate da sole.” Bella mi
guardava attenta. Poggiò il panino e parlò.
“Se volevi stare con me non era un’idea migliore
chiedermelo e basta?” mi chiese sorridente. La guardai sospettosa. Perché non
ci avevo pensato prima? C’era probabilmente una carente mancanza di materia
grigia nel mio cervello.
“In realtà avevo una voglia matta di cucinare” mentii io,
ironica.
“Bugiarda” affermò sogghignando. Io le risposi nella
stessa maniera. Appoggiai per un attimo il panino ed iniziai a parlare di cose
serie.
“Come sta andando la tua libertà vigilata?” Lei sbuffò,
tornando a prendere tra le mani il panino ed esaminando l’insalata che ne
usciva.
“Ancora in perenne punizione” mormorò, mettendo il broncio
“E quello stupido di Jacob non aiuta.” Anch’io appoggiai il panino, con la fame
improvvisamente passata. Mi sarei sentita perennemente preoccupata per quello
che d’ora in poi Jacob avrebbe fatto.
“Cosa ha fatto?” chiesi cercando di nascondere la
tensione. Bella non ricambiava la mia inquietudine, bensì sembrava solamente
arrabbiata.
“Ha portato la moto a casa mia, davanti agli occhi di mio
padre” affermò rabbiosa. Io mi rilassai. Finché si trattava solo di questo non
c’era da preoccuparsi; piccole sciocchezza da ragazzini. Ma mi aspettavo da
Jacob qualcosa di più pericoloso. Mi sembrava però strano averlo sopravalutato.
“Perché l’ha fatto?” chiesi decisamente sospettosa,
riprendendo a morsicare il mio panino. Bella mi seguì, ancora stizzita.
“Mio padre è un grande amico di suo padre. Sa che Edward
non gli va a genio e ha giocato questa carta” affermò lei spazientita “Credeva
che in questo modo mio padre mi avrebbe messo in punizione e avrei visto di meno
Edward.”
Mi soffocai, cercando di evitare di ridere. O Dio. Se
questi erano i piani di Jacob per riconquistare la sua Bella, bhè, doveva
impegnarsi un pochino di più.
“Come se non fossi in punizione già di mio” continuò lei
“E delle sue scuse non me ne faccio niente.”
“Perché, poi si è scusato?” Lei annuì ancora stizzita. Io
smisi di mangiare il panino. Perché un atto così stupido ed infantile? Certo,
lui era stupido ed infantile. Ma mi sembrava strano che non avesse notato che
sarebbe stato del tutto inutile, anzi, degradante per lui. Ed in più non potevo
neppure parlarne con lui, a causa del patto che mi ero fatta a me stessa ieri.
Sospirai, cercando di accettare questo come un atto di pura follia e
disperazione.
“Che bambino…” mormorò improvvisamente lei, continuando a
mordicchiare il panino.
“Già…” concordai io, ancora pensierosa. Scossi la testa,
tornando alla conversazione.
“Ma esattamente” iniziai io “cosa pensa Edward di Jacob?”
Questa era un' importante domanda. Lei sbuffò.
“Lo infastidisce, come d’altronde i licantropi a tutti i
Cullen” affermò “Cova per lui i soliti pregiudizi.” Io inarcai le sopraciglia.
I Cullen avevano dei pregiudizi sui licantropi? Mi sembrava strano; i miei
genitori non ce li avevano. Oppure, si comportavano come se non ce li avessero,
perché fin dal primo momento c’ero di mezzo io, e quindi li avevano
assecondati.
“Lui l’ha ringraziato. Per…” si bloccò improvvisamente
“per essermi stato vicino quando lui se n’era andato” terminò tentennante,
ancora a testa bassa, per poi alzarla di scatto.
“Jacob invece gli ha chiesto di andarsene senza tanti
preamboli” esordì di scatto. Non serviva domandarle se si fosse arrabbiata o
no. Sarebbe stata una domanda da veri stupidi.
“Ma non ti manca neanche un po’?” le chiesi mordendo il
panino. Lei si fece cupa.
“Sì. Mi manca molto” dichiarò dopo un po’ “Forse sono io
che non manco a lui. Sembra che mi odi”
“Oh, non ti odia affatto. Le manchi anche tu” affermai io
soprapensiero. Solo dopo aver parlato mi accorsi che forse avrei dovuto tacere.
Mi ero promessa di non interferire nella faccenda tra Bella e Jacob e questo
era proprio quello che stavo facendo. Mi morsi la lingua per aver parlato.
“Ah, sì, sei andata da Jacob” constatò lei. Voleva delle
spiegazioni, era ovvio. Io inghiottii il cibo che avevo in bocca e mi presi un
altro boccone, per temporeggiare e pensare a qualcosa. Quando dovetti
inghiottire anche il secondo boccone fui costretta a parlare.
“Era incavolato con me” mormorai a testa bassa “Ma abbiamo
risolto. E adesso amici come prima” conclusi io veloce.
“Ah…” esclamò lei “Avete parlato anche di me, suppongo”
constatò lei, non con freddezza, ma con inquietudine. Riflettei per un momento
per decidere cosa avrei dovuto dirle.
“Gli manchi. Ed è deluso, più che arrabbiato”
“Mmh…” mormorò lei, il panino ancora mezzo intatto.
“Hai provato a chiamarlo?” dissi io per rompere quel
momento di imbarazzante tensione.
“Sì, ma non risponde” sospirò lei, rattristata di colpo
“Edward mi ha esplicitamente detto che sarebbe disposto ad ucciderlo se solo mi
facesse del male. Mi spaventa” mormorò nel più totale sconforto.
Mi vennero in mente le parole di Jacob riguardo ad Edward
e dovetti constatare anch’io con amarezza che il desiderio era ricambiato. Quei
due avevano le capacità, ma soprattutto la volontà di uccidersi a vicenda.
Sentii i brividi percorrermi la schiena. C’era davvero una brutta tensione in
quel triangolo. Mi preoccupai molto anch’io. La prospettiva di vederli
azzannarsi a vicenda era sconfortante per me, per Bella sarebbe stato il
disastro completo.
“Edward mi ha detto dei Volturi” mormorò lei, attirando la
mia attenzione.
“Ah…” sussurrai. Quell’improvviso cambio di argomento mi
spiazzò ancora di più.
“È orribile” si limitò a dire lei. Io rimasi zitta. Scese
uno strano silenzio, freddo, rispetto alla temperatura calda della stagione e
alle voci dei ragazzi in giardini. Apparentemente quella sembrava una giornata
che non poteva andare che bene. Bella si decise ad addentare voracemente il
panino, cercando di cambiare immediatamente discorso. Si era accorta che
avrebbe fatto meno a non toccare quell’argomento. Ogni volta che ci pensavo, mi
sentivo come un rifiuto.
“Quindi” iniziò deglutendo “Il mio migliore amico ora mi
considera una nemica. Una vampira sta cercando di uccidermi. Le persone a cui
tengo stanno rischiando la morte per me. I Volturi mi uccideranno se non mi
trasformo in vampira. Ma, giusto, se questo accadde il patto con i licantropi
verrà meno, dando inizio ad una guerra epocale tra licantropi e vampiri.”
“Vogliamo metterla in questi termini, allora?” continuai
io con aria di sfida “Sono partita con una vampira per salvare un vampiro che
non ho mai visto in vita mia, rischiando vivamente di tirare le cuoia, facendo
arrabbiare come matti i miei genitori, Jacob ed irritare i licantropi. Ho
saputo poi che sempre questi vampiri per un bel po’ di tempo hanno avuto la
viva intenzione di rapirmi per capire come funziono.” Feci una pausa per
riprendere fiato. “Manca qualcosa…?”
Ero sul punto di dire “Sono stracotta del mio migliore
amico, che sfortunatamente è stracotto della mia migliore amica”, ma qualcosa
mi trattenne. Passai alcuni minuti a riflettere se questa mia confessione
avesse potuto influire sulla promessa fatta a me stessa. Mi tranquillizzai quando
capii che non avrebbe cambiato niente: Bella era innamorata di Edward, quindi
non l’avrebbe fatta allontanare molto di più da Jacob, da questo punto di
vista. Glielo avrei detto.
“Che bel periodo…” conclusi io, ancora leggermente
isterica.
Mi era però nata un’improvvisa paura che mi impedì di
confessare. Avevo paura che avrei compromesso l’amicizia tra me e lei e che lei
avrebbe assunto un comportamento diverso nei miei confronti. Sapevo che Bella
non contraccambiava Jacob allo stesso modo, ma per lei lui era terribilmente
importante ed adesso la odiava. Non riuscivo a spiegare bene neppure a me
stessa cosa dovesse centrare questo nella nostra amicizia; era più che altro un
presentimento. Non sapevo come avrebbe reagito, bene o male.
Oltre forse a rovinare ulteriormente la stessa amicizia
tra i due, convincendo Bella ad allontanarsi ancora più da Jacob. Non era
un’assoluta certezza, bensì un altro presentimento. La sola percentuale di
rischio che tutto questo potesse accadere mi convinse a tacere. Mi sentivo
terribilmente insicura. Bella sogghignò insieme a me.
“Già proprio un bel periodo…” constatò lei.
“Adesso basta per un momento del sopranaturale!” proposi
io, agguantando la mia metà di panino.
“Concordo” ammise e l’appetito le ritornò.
“Il lavoro come va?”
“Mmh…” mormorò, mentre deglutiva “Sto guadagnando. Non
credo abbastanza per l’università, però”
“Università? Non dovevi avere un altro impegno per dopo il
liceo?” replicai confusa. Ecco, bene o male si ritornava sempre su questo
argomento, seppur fosse davvero difficile farne a meno, dato che era diventata
la nostra vita.
“È il piano B di Edward” mi spiegò borbottando “Mi ricopre
di moduli di iscrizione ogni giorno”
“Ah…” esclamai io “Alla faccia della promessa “dopo il
liceo ti trasformo”! Come minimo io scapperei dall’altare il giorno del
matrimonio.” Bella sogghignò, indicandomi con un dito.
“Potrebbe essere un’idea” esclamò concorde, per ritornare
subito seria “Ma in effetti non ha tutti i torti. È anche una copertura per
Charlie, per non farlo insospettire finché non glielo dirò”
“Quando hai intenzione di farlo?” chiesi seria.
“Non lo so” rispose abbattuta. Alzò poi lo sguardo, di
nuovo interessata “Ed il tuo di lavoro?”
“Oh…” esclamai sorpresa “Si sono aggiunti altri cinque
bambini e la scorsa volta uno mi ha vomitato addosso. Credo che dovrò
comunicare ai genitori di portarli senza essersi abbuffati di schifezze.” Bella
sfoderò una smorfia di disgusto.
“Non esattamente la cosa migliore di questo mondo”
“Affatto. Però sto guadagnando abbastanza per la macchina,
che è a buon punto” disse entusiasta, continuai subito per evitare che il
discorso cadesse su altri argomenti indesiderati.
“Ho qualche problema però con la distanza della nuova casa
da Forks. Non ha molto senso tornare a casa finita scuola, per poi tornare
subito qua per il corso di break, oltre ad essere uno spreco di benzina. Sono
costretta a passare il pomeriggio a Forks, ma non saprei dove…”
“Puoi venire a casa mia” propose all’improvviso Bella.
Alzai curiosa lo sguardo verso di lei. Che idea interessante.
“Davvero? Sei sicura che andrà bene a tuo padre?” Lei alzò
le spalle.
“Certo, ti adora, non mi dirà di no. È Edward quello che
odia ” specificò lei, lanciandomi uno sguardo strano “Così potremmo stare da
sole” disse enfatizzando l’intera frase.
“Niente Edward?” esclamai io allibita.
“Solo dalle sette alle nove e mezzo” sospirò lei, come se
si trattasse delle sua trasmissione televisiva preferita. Guardai famelica il
mio panino e lo addentai con gusto.
“Questa cosa mi piace” affermai “Grazie per l’invito”
“Figurati” rispose lei “A proposito, il panino non è male”
“Grazie” le dissi io. “Buon appetito, allora!”
“Però, che bel plico…” feci notare mentre mi sedevo sulla
prima sedia libera che trovai nella cucina di casa Swan.
“Di solito non basta frequentare un college solo?” ammonii
sarcastica.
“Edward desidera che sfrutti ogni possibilità” mi spiegò
lei imitandomi.
Quel giorno il brutto tempo era tornato e se non ci fosse
stata Bella ad offrirmi la disponibilità della sua casa durante il pomeriggio
in questo momento mi sarei trovata fradicia.
Erano passati un paio di giorni dal pranzo in giardino e,
relativamente, le cose stavano andando bene e male. Bene perché la mia amicizia
con Jacob era tornata quella di prima. Senza Bella, ovviamente, questa era la
parte che andava male. Ormai avevo accettato con tristezza che il trio di amici
sarebbe diventato un duo, inevitabilmente, ed io non potevo farci niente, se
volevo essere amica di entrambi. Le cose belle riguardavano poi Victoria; la
mia famiglia mi aveva comunicato che Victoria era da un po’ che non si faceva
più vedere. La brutta era che sia i miei genitori, sia i Cullen avevano notato
strani articoli sui giornali riguardati svariati omicidi avvenuti a Seattle,
che secondo loro erano opera di un vampiro o più. Lo o Li stavano pertanto
tenendo d’occhio. Non era effettivamente una brutta notizia, ma bella non di
sicuro. Altra cattiva notizia riguardava Bella. Più che altro era una
sensazione. La presenza costante di Edward cominciava ad irritarmi. Non perché
non mi piacesse come persona, anzi. Qualsiasi altra persona al posto di Edward
mi avrebbe infastidita. Avevo la sensazione che la stesse rubando da ogni altra
creatura vivente. Insomma, lei stava davvero tutto il tempo con lui. Per
fortuna questa era rimasta solo una brutta sensazione temporanea; ero infatti
sicura che sarebbe presto passata, grazie ai pomeriggi a casa di Bella.
“Vuoi un tè?” mi chiese gentile lei.
“Sì, grazie” Appoggiai lo zaino per terra e ne tirai fuori
il libro di storia. Afferrai il bicchiere che Bella mi mise sul tavolo e ne
bevvi metà.
“Buono” esclamai rimettendolo al suo posto “Non ti
dispiace se adesso mi chiudo nel mio mondo di inizio seicento? Domani avrei una
verifica di storia e non sarebbe una cattiva idea darci una studiata” dissi
aprendo quello stupido ed inutile tomo a metà.
“Ah, figurati. Io dovrei finire la tesi per l’esame” mi
spiegò.
“Tesa per gli esami?” Lei fece spallucce.
“No, per niente” mi disse con leggerezza.
“Ah, ho capito” insinuai io “Ti aiuta un maestro
qualificato in tutto, no?” Lei mi fece un sorrisino.
“Anche per quello.” Tornai poi a guardare la pagina del
mio libro.
“Chissà se può aiutare anche me” me ne uscì all’improvviso
io “Magari Filippo II l’ha conosciuto veramente. Quanti secoli ha?”
“Non sei divertente”
“Stai sogghignando, però” precisai io imitandola.
“Per non piangere” disse a mezza voce.
“Allora, rispondi alla mia domanda.”
“Un centinaio” disse lei buttandola sul vago, poco
interessata alla conversazione e concentrata sui libri che aveva davanti.
“È allora un giovane vampiro adolescente” ironizzai io.
Lei scosse la testa evidentemente scocciata e s’immerse tra i libri. Decisi di
seguire anch’io il suo esempio.
Riuscì a resistere un massimo di un’ora e mezza prima di
chiudere definitivamente il libro, ripromettendomi di continuare più tardi, e
fare una lunga pausa. Mi misi in bilico sulla sedia e mi stropicciai gli occhi,
lasciando che si creassero strani disegni di luce sotto le palpebre. La testa
aveva cominciato a pulsare, come succedeva spesso quando studiavo materie
noiose. Tornai giù e finii il mio bicchiere di tè. Cominciai ad osservare
Bella, ancora concentrata sui libri. Non mi ero mai accorta dei lineamenti che
aveva; la facevano sembrare un’adulta. Avevamo due anni di differenza, ma a
confronto io sembravo ancora una bambina. Guardai distratta l’orologio; mancava
un’ora alla lezione.
“Com’è va con la tua famiglia?” La voce di Bella mi fece
scattare. Aveva deciso anche lei di prendersi una pausa.
“Sì, sì, va alla grande” mormorai “Tra due settimane
andranno a caccia. Non si distanzieranno molto.” Lo dissi con un certo
entusiasmo; Victoria non si faceva vedere da un po’, quindi mamma e papà
avevano deciso di tornare a portare anche me.
“Con la tua invece?” chiesi con un certa esitazione nella
voce, riconoscendo solo più tardi i suoi problemi famigliari.
“Charlie è più rilassato; ha smesso di fare gli
straordinari per l’“orso”, che adesso sembra essersi allontanato” disse alzando
due dita alla parola “orso”. “A mia madre in Florida, manco un po’ invece.”
“Senti spesso tua madre?”
“Qualche volta. Le scrivo in pratica un’e-mail al giorno”
mi rispose disinvolta, mentre trafficava con le carte sotto di sé. Le si
illuminarono per un momento gli occhi e lasciò perdere per un attimo i fogli.
“E la punizione è stata ridotta al coprifuoco” esclamò
vittoriosa.
“Davvero?” risposi entusiasta anch’io “Potrai uscire,
quindi! Non è durata molto.” Lei fece spallucce e sembrò demoralizzarsi un
poco.
“Certo, a delle condizioni” disse, riprendendo a
trafficare “Anche mio padre crede che stia trascurando le mie amicizie. Forse è
proprio per questo che si è dimostrato tanto entusiasta all’idea che tu venga a
casa mia. Dice che passo troppo tempo con Edward e trascuro i miei amici.”
disse leggermente stizzita.
“Ha ragione” me ne uscii veloce io. Lei si fermò e mi
lanciò un’occhiata eloquente per alcuni secondi prima di parlare.
“Lui intende Jacob con amici” rispose
improvvisamente melanconica. Riflettei per un istante. Non volevo dissuadere
Jacob dai suoi piani diabolici, come neppure aiutarlo in quella realizzazione.
Dopo quell’incontro con Jacob ero piuttosto preoccupata di quello che sarebbe
potuto succedere se Bella fosse andata a La Push. D’altro canto, il non vedersi
avrebbe causato problemi maggiori, come per esempio la totale depressione di
entrambi. Quei due si mancavano da morire. Dovevano vedersi, anche se ognuno
dei due la pensava diversamente su molte cose.
“Andrai da lui, allora?” le chiesi seria. Lei tirò fuori
goffamente un bigliettino dalla tasca dei jeans. Lo presi confusa e lo lessi.
Era da parte di Jacob. Quei due avevano iniziato a scambiarsi bigliettini; un
buon miglioramento, tenendo conto che prima c’era un totale isolamento. Vi
erano molte righe leggibili cancellate e profondi buchi nella carta. Quello che
Jacob scriveva era piuttosto sconnesso; esprimeva un indiretto odio verso di
lei ed i vampiri, alternato ad un evidente senso di mancanza. Le restituii il
biglietto.
“Tu cosa pensi di fare?” chiesi nuovamente seria. Lei si
strinse le spalle, abbattuta.
“Non lo so…” mormorò “Ho paura di come reagirà; mi odia
per averlo “tradito”, per essere passata dalla parte dei vampiri. E per questo
credo che a La Push non sarò la benvenuta neppure per i licantropi.” Questo
effettivamente poteva essere un problema, ma se io ero ancora viva, voleva dire
che avrebbero risparmiato anche lei.
"Edward poi, non vorrebbe..." Avvampai per un
attimo di rabbia, ma riuscii a trattenerla e decisi di aspettare che Bella
avesse finito. Non capivo perché Edward costituisse un motivo in tutto questo.
Edward era debitore nei confronti di Jacob, me lo aveva detto la stessa Bella.
Era stato Jacob il primo a starle vicina quando lui se n'era andato e per
questo non aveva il diritto di nessuna voce in capitolo. Su questo ero
categorica. Dal suo silenzio fin troppo prolungato capii che aveva concluso. Io
d'altro canto rimasi zitta, mentre mi si dipingeva un sorriso amaro. Non
credevo fossero ragioni sufficienti per non andare a La Push e quella volta non
glielo dissi sbraitando come una pazza, come mio solito. Avevo ben riflettuto
su questo ed avevo capito che potevo essere molto più convincente se non
gridavo.
“E dopo la trasformazione, dubito che vorrà ancora
vedermi…”
"Pensaci bene" le consigliai io tranquilla
"Non vuole che ti dimentichi di lui." Restò a guardarmi per alcuni
secondi.
"A lui non basta l'amicizia, Abi. Tu lo sai. "
disse questa volta più mortificata. "Non voglio che continui a capire nel
modo sbagliato." Questa volta riflettei con più attenzione. Di primo
acchito mi diedero parecchio fastidio sentire ancora una volta quelle parole.
Il sapore della cruda verità.
"Un motivo in più per andare a La Push e
spiegarglielo" dissi, ancora calma e consapevole del fatto che non avrei
in questo modo impedito a Jacob alcunché, visto che era dovere di Bella prima o
poi farglielo capire. O avrebbe finalmente capito lui da solo. E non nego che
quelle parole mi erano uscite in parte a causa dell'amarezza per le parole di
Bella.
Bella mi guardò per alcuni secondi, incredibilmente seria,
per poi tornare, con le sopracciglia aggrottate, alla sua tesi d'esame.
Si creò infine un'orribile atmosfera tagliente, che mi mise
subito a disagio. Bella continuava a rimanere seria, apparentemente concentrata
in quello che aveva sotto il suo sguardo. Nacque l'inspiegabile sensazione che
in qualche modo ce l'avesse con me per quello che avevo detto. Decisi veloce di
spezzare quell'atmosfera.
"Mi è venuta un'idea" esclamai entusiasta. Attirai la sua attenzione
e la sua espressione si rilassò.
"Visto che non sei più in punizione potremmo fare
qualcosa insieme. Lo Sport Center di Port Angeles organizza anche paracadutismo
in tandem" dissi allegra, sapendo che lo sarebbe stata anche lei,
conoscendo la sua indole spericolata. I suoi occhi diventarono più cupi, mentre
abbassava la testa, in totale disagio. Io la guardavo confusa.
"Abigail, io..." disse frenetica, muovendo le
braccia repentinamente, non sapendo neppure lei dove metterle. Alla fine se le
strinse.
"Io non..." disse interrompendosi subito. Io la
guardai ancora più confusa. "Io non faccio più queste cose" disse
guardandomi negli occhi.
"Perché?" mormorai io, spiazzata dalla sua reazione.
"Io..." si fermò ancora, tentennante. Non capivo
cosa diamine le stava succedendo. Prese un respiro profondo prima di parlare.
"Io ho voluto fare bungee jumping, ti ho chiesto di
insegnarmi a guidare la moto, a fare tutte queste cose pericolose
perché..." si fermò di nuovo. Cominciai ad agitarmi sul serio.
"Perché ogni volta che lo facevo avevo la voce di
Edward nella testa" disse alla fine.
"Come?" sussurrai io, che ancora non avevo
capito.
"Sentivo la sua voce nella testa che mi diceva di fermarmi,
ogni volta" ripeté, coinvolta dal discorso "In quel periodo avrei
potuto morire pur di sentirla" mormorò quasi sovrapensiero. Restai per un
attimo totalmente immobile, cercando di capire. E alla fine capii.
"Hai saltato lo scoglio per sentire la sua voce,
vero?" dedussi io. Lei annuii, improvvisamente intimidita. Ecco il segreto
che sulla spiaggia mi aveva promesso di svelare.
Ero... allibita.
Bella sentiva la sua voce nella sua testa quando Edward se n'era andato. Ecco,
ora venivano fuori tutti i problemi che di primo acchito, quando conobbi la sua
storia, mi sorpresi che non ci fossero. Ero del tutto spiazzata da quello che
era successo a Bella. Ora credevo ancora di più che fossero davvero in qualche
modo destinati ad incontrarsi loro due. Erano legati da un qualcosa di
assolutamente inscindibile. Non avevo assolutamente idea di cosa ci fosse tra
loro. Dio, morire pur di sentire anche solo la sua voce...
"Ce l'hai con me?" Io la guardai
improvvisamente, gli occhi ingigantiti. Guardavo ora Bella con una certa nuova
curiosità, come se fosse speciale.
"Perché?" dissi con voce da papera, sottoshock.
"Per averti... usata. Per non essere venuta con te, a
Port Angeles, per stare con te. Cioè, sì" si corresse subito "Volevo
stare con te, ma il mio obiettivo principale era..."
"No, no, no!" dissi io ripetutamente "Non
sono arrabbiata, affatto. Solo..." la guardai per l'ennesima volta in viso
"E' eccezzionale, sorprendente, straordinario" dissi in un fil di
voce. Ora era Bella a guardarmi tremendamente confusa.
"Cosa stai dicendo?" La guardai ancora, ancora
scossa. Era incredibile quanto potesse l'uno amare l'altro. Erano davvero una
persona sola, vivevano in due una sola vita insieme. Erano... Dovevo
ammetterlo, sconvolgente era scoprire quanto un vampiro potesse fare per stare
con un essere umano. Ancor più sconvolgente era l'incontrario, che si spingeva
ben oltre al dolore. Cominciai a provare un strano rispetto per quella unione,
quasi sacra. E pensai per la prima volta che non valessi realmente niente per
Bella, in confronto ad Edward. Era così, e stranamente rispettavo anche questo.
Sbattei per un attimo le palpebre, tentando di uscire dal mio scombussolamento.
"Stai bene?" mi chiese Bella preoccupata
scandendo le parole.
"Sì" le risposi, totalmente tranquilla "Ero
persa nei miei pensieri" Lei mi guardò con aria confusa. Il mio sguardo si
posò sull'orologio che avevo messo sul tavolo. Ero terribilmente in ritardo. Lo
afferrai insieme alla mia roba e lo misi dentro lo zaino.
"Scusa, sono ritardo, devo scappare" dissi
frenetica "Grazie ancora per l'ospitalità e ci vediamo domani" dissi
mettendomi lo zaino in spalla e scappando dalla cucina.
"Abigail!" esclamò Bella sorpresa. La sentii a
malapena, perché ero già uscita da casa sua.
Il giorno dopo la mattina ed il primo pomeriggio a scuola
si rivelarono piuttosto tranquilli, nonostante Bella, sembrava continuarmi a
guardare in modo strano, dovuto sempre al giorno prima. Dovevo ammettere
infatti che forse l’avevo un po’ spaventata con la mia reazione. La rivelazione
dell’altro giorno mi aveva piuttosto spiazzata e più di qualche volta lanciai
ad entrambi strane occhiate. Insieme a Bella anche Edward cominciò a guardarmi
strano; speravo solo che non fosse perché avesse letto i miei pensieri, ma
unicamente per i miei modi di fare. Fu così che cominciai a lanciargli anche
brutte occhiatacce; lui sapeva cosa pensavi tu, ma era un’ingiustizia non
sapere cosa pensava lui di te. Alice sembrò invece non essersene accorta, o non
farcene caso. Propose se uno di quei giorni lei, io e Bella saremmo andate con
lei a Port Angeles per un po’ di “sano shopping tra donne”, come lo definì.
Bella sembrava favorevole all’idea, nonostante la condizione “sole ragazze” e
quindi no Edward. Il suo entusiasmo, insieme a quello di Alice, riuscirono a
convincermi ad accettare questa impresa che andava oltre la mia
sopportazione.
Sperai che quella giornata finisse presto, soprattutto
l’orribile tensione che ogni giorno incontravo in sala pranzo. Avevo fretta di
andare da Jacob, nonostante fossero passati solo pochi giorni. Aspettai con
impazienza la campanella delle tre. Quando suonò partì spedita per La Push,
rischiando persino di dimenticarmi di salutare i Cullen e Bella. Mi domandai
per la prima volta cosa ne pensavano loro riguardo la mia libera relazione con
i licantropi. In particolare mi interessava sapere cosa ne pensava Edward,
prendendo in considerazione i suoi pregiudizi su di loro, amplificati dalla
presenza di Bella, indecisa sul cosa fare con Jacob.
Salii sulla moto e dopo dieci minuti fui a casa Black.
Vidi Billy seduto sulla sua sedia a rotelle in veranda, mentre leggeva le
pagine di un quotidiano umido per la pioggerellina. Scesa dalla moto mi sembrò
una buona idea andarlo a salutare.
“Ciao, Billy” esclamai con entusiasmo. Rimasi in piedi,
oltre gli scalini della veranda.
“Ciao, Abigail” disse lui con voce stanca. Mise il
quotidiano da parte e incrociando le mani rivolse la sua attenzione su di me.
Era da un bel pezzo che non avevo l’opportunità di scambiare quattro
chiacchiere con lui. E ad essere sincera me lo ricordavo molto più… solare. Ora
mi osservava con espressione cupa e sospettosa.
“Tu come stai?” mi chiese, con voce gutturale. Aggrottai
le sopracciglia per il suo strano comportamento. Avevo uno strano rapporto con
Billy; non avevo mai capito cosa pensasse esattamente di me e del mio rapporto
con il figlio.
“Sto bene, grazie Billy” cercai di rispondere gentile “Tu,
invece?”
“Me la cavo” continuò, ancora stanco.
“I ragazzi stanno bene?” ripresi io, riferendomi ai
licantropi. Sapevo che Billy conosceva i licantropi, ma effettivamente era più
logico chiedere allo stesso Jacob. Lui fece un respiro profondo. La sua
occhiata greve mi misi i brividi.
“Non cacciarti più nei guai” mi disse serio. Voleva essere
un consiglio o un ordine? Aprii bocca confusa per chiedergli spiegazioni, ma
Jacob spuntò dalla porta di casa sua.
“Ciao” Mi accolse con un sorrisone, che faceva un grande
contrasto con il viso serio di suo padre. Oltrepassò con un balzo i quattro
scalini della veranda.
“Ciao” gli risposi io, ancora confusa, guardando verso
l’alto per la sua imponente altezza. Mi prese una spalla con il braccio e mi
condusse dietro la piccola casetta rossa.
“Divertitevi” Il tono di Billy era di nuovo cambiato. Era
diventato solare. Mi girai per guardarlo confusa, mentre lui ci lanciava un
sorriso, finché la stazza del braccio di Jacob mi ostruì la vista. Mi condusse
veloce verso il garage. Sempre il solito, zeppo di pezzi da tutte le parti.
“Pronta per un’altra giornata di duro lavoro?” mi chiese,
sempre con un sorrisone. Io gli risposi con un sorrisino, ma non con lo stesso
tono entusiasta.
“Ma come? Non vedi l’ora di finire la mia auto? E dire che
all’inizio non ne volevi sapere” precisai io. Lui prese una chiave inglese e me
la lanciò.
“Sto ancora sperando che tu cambi idea, così me la prendo
io” rispose lui entusiasta.
“Ah, ora capisco” dissi avvicinandomi alla Cadillac.
“E poi tu sei la ragazza che ci sa più fare con le auto
che io abbia mai conosciuto” continuò, sporgendosi dentro il cofano aperto.
“Quante ragazze che se la sanno cavare con le auto hai
conosciuto?” risposi io. Non riuscivo ad usare il suo stesso tono spensierato.
“Ehm…” sembrò pensarci lui, particolarmente attento al
motore dentro il cofano. Questa volta mi fece sorridere. Da un po’ di tempo il
rapporto d’amicizia tra me e Jacob era cambiato. Non ci stuzzicavamo più come
prima. Sembravamo più legati. La cosa mi piaceva. Ma continuavamo a litigare,
non c'era scampo a questo.
“Sei entusiasta, come mai?” gli chiesi. Era strano vederlo
così, dopo l’altro giorno. Lui mi sfoderò un sorriso. Non aveva più le
occhiaie. Questo voleva dire che anche Sam aveva dato un po’ più di riposo ai
licantropi. Mi faceva piacere vederlo così rilassato.
“Non dovrei esserlo?” chiese lui, ancora felice “Passami
l’olio.”
Io mi limitai a seguire le sue istruzioni, stando zitta.
Mha, non poteva di certo essere il fatto che la ragazza per cui tu hai una
cottaè tra le braccia di un vampiro.
Non mi andava di distruggere quella felicità dovuta a non so che cosa. Lo
guardai bene, mentre concentrato stava studiando il motore. Aveva deciso di
tenere i capelli lunghi, che ora portava legati in una piccolissima e ridicola
coda. Stava però terribilmente bene. Scostai lo sguardo prima che notasse
qualcosa di strano, mentre arrossivo. Immersi la mano nello zaino e tirai fuori
il mio ultimo “stipendio” del corso.
“Ehm…” dissi cercando di cambiare colore del viso “Questi
sono per te” dissi dandoglieli. Lui li guardò con diffidenza.
“Ah” mormorò e se li ficcò nella tasta dei pantaloncini.
Faceva sempre così, ogni volta. Gli dava fastidio che gli dessi i soldi per i
pezzi e per il lavoro, ma se solo avesse osato non accettarli avrei cambiato
senza pensarci meccanico di fiducia.
Ripresi la chiave inglese e mi misi al lavoro anch’io.
Notai una moto nera in fondo al garage e mi ricordai di cosa ne aveva fatto
dell’altra. Questo mi incupii ancora di più e mi fece ancora più insospettire.
Mi sembrava ancora terribilmente strano quel suo gesto, dopo tutto quei
presagi. Ebbi una grande voglia di chiederlo, ma avevo paura che saremmo finiti
per litigare. E poi non serviva che infierissi ancora di più, per rovinare la
sua felicità. Lasciai quindi stare la faccenda, anche se con il dubbio.
Non era però solo quello che mi rendeva cupa. Mancava uno
spettatore importante. Mi mancava terribilmente la presenza di Bella in tutto
questo. Era più vuoto il garage senza di lei. Senza rendermene conto con il
gomito smossi l’asta che teneva il cofano aperto. Il cofano rimbalzo sulla dura
testa di Jacob.
“Scusa” mormorai a mezza voce, ritornando a tirarlo su.
Lui emerse dal motore, senza essersi fatto niente. Mi guardava con aria
preoccupata.
“Cos’hai Abigail oggi?” chiesi timoroso. Io feci un
sospiro. Poggiai lo zaino per terra e mi tolsi il giubbotto. Osservai anch’io
il motore attenta. Non era il caso di raccontare tutta la verità; optai solo
per mezza.
“No, niente” dissi particolarmente seria. “Solo una brutta
sensazione.” Lui mi sorprese chiudendo il cofano ed appoggiandoci il gomito
sopra, voltato verso di me.
“Me ne vuoi parlare?” mi chiese comprensivo, ma anche
curioso. Io sbuffai e sorrisi, per fargli capire che non era effettivamente
niente. Abbassai la testa e scossi la testa.
“Tuo padre prima mi ha trattata in modo strano” ammisi io
alla fine. Lui si tirò su.
“Ah” ammise lui, con una certa curiosità. “Non farci caso”
riprese, con la solita scioglievolezza. La mia occhiata interrogativa lo spinse
a confessare.
“È preoccupato per te” dissi però più serio. “Dalla tua
scappatella in Italia.” Faceva ben attenzione a non usare un tono accidioso e
gliene fui grata.
“Ha una brutta opinione di me?” Gli porsi la stessa
domanda che feci a Bella riguardo Charlie.
“Non proprio” dissi confuso “Anche agli altri non è
piaciuto, anche se in teoria ti potrebbe succedere qualsiasi cosa fuori dal
nostro territorio che non ce ne dovrebbe riguardare…” La sua voce si affievolì
gradualmente. Alzò la testa verso di me; non aveva perso il suo sorriso. “Ma
solo in teoria” affermò, esprimendo un pensiero del tutto personale che mi rese
felice. Riprese a lavorare con un'allegra energia.
“Sai, hanno capito che tengo a te. È normale che quindi si
preoccupino un po’ di più.” Tornò ad alzare lo sguardo verso di me, gioioso. Io
risposi al sorriso, abbassando la testa. Seppure giovani ed un po’ idioti, i
licantropi erano davvero emotivi riguardo gli affari dei propri compagni. Finii
in brodo di giuggiole per le sue parole.
“Sam pensava anche di venire a parlare con te
sull’argomento, ma lo convinto a non farlo” continuò con nonchalance. “E
comunque se fai la brava gli passerà.” Io alzai la testa di scatto.
“Grazie” esclamai di colpo. Parlare con un licantropo
riguardo a quello che era successo a Volterra era una situazione che mi avrebbe
messo terribilmente a disagio. Oltre al fatto più importante che quella storia
me la volevo totalmente estirpare dalla mente, cosa che molto probabilmente
Jacob aveva capito alla grande.
“Mi devi un grosso favore” disse, come ad esporre un
evidente dato di fatto.
“Sicuro” dovetti affermare anch’io. Il buonumore riuscì a
tornarmi; quindi ripresi a lavorare con attenzione ed entusiasmo al motore
della mia macchina. Trascorsi più o meno dieci minuti in quello stato.
“Il motore mi sembra a posto, no?” ammisi fuoriuscendo dal
cofano.
“Sì. Direi anch’io” confermò anche lui, dando un’ultima
attenta occhiata. Mi asciugai il sudore della fronte con un braccio.
“Quindi abbiamo finito per oggi” riassunsi io “Tocca
spendere, adesso. Bisogna andare a prendere pezzi nuovi. La marmitta è uno
sfracello…”
“Sì…” ammise anche lui soprapensiero, mentre mi sorpresi
con grande imbarazzo ad osservare con attenzione il sudore che rendeva la pelle
scura dei suoi pettorali lucida.
“A no, aspetta, ancora una cosa” si ricordò d’improvviso.
Chiuse il cofano e si piegò, in modo da afferrare l’estremità della parte
superiore dell’auto, poco più avanti delle ruote. La mia Cadillac si sollevò di
parecchi centimetri da terra, perfettamente parallela al terreno. Rimasi per un
attimo ad osservare quella scena; non mi ero ancora abituata alla superforza
dei lupi da umani. I muscoli delle sue braccia erano del tutto contratti ed
erano visibili grosse vene. Io deglutii.
“Olia la parte sotto” mi ordinò lui, con la voce del tutto
rilassata. Afferrai cauta l’olio vicino a me e mi avvicinai a lui. Mi chinai
ancora titubante, osservandolo.
“Cosa c’è?” esclamò un po’ infastidito, presagendo già
qualcosa.
“Sei sicuro che non me la fai cadere addosso?”
“Vai!” esclamò lui, stizzito. Io mi fidai ed andai sotto.
Era un modo molto casereccio di sostituire un elevatore. Mi misi supina
esattamente sotto la macchina. Individuai i punti che dovevano essere oliati e
cercai di sbrigarmi ad andarmene da lì sotto. I miei genitori erano stati
piuttosto minacciosi e chiari quando mi avevano detto che qualsiasi cosa mi
fosse successa a La Push avrei dovuto dire addio alla riserva e a tutti quelli
che ci vivevano. Grossi goccioloni di olio nero mi caddero sul viso e sulla
maglietta. Ah, vedi il furbo. Ecco perché me lo aveva chiesto a me di fare; si
sarebbe risparmiato il lavoro sporco. In una veloce occhiata constatai che ne
avrei avuto per molto e nonostante mi fidassi ciecamente di Jacob, che non
dimostrava alcun tentennamento, e non volessi distrarlo in qualche modo, gli
parlai. Mi era venuta una domanda piuttosto curiosa, ripensando a suo padre.
“Jacob, anche tuo padre è un licantropo?” Era strano che
non ci avessi pensato prima; se era una cosa ereditaria, doveva essere così.
“Oh…” rispose lui pensieroso. Impercettibilmente la
macchina mi si fece più vicina e sobbalzai.
“Oh, oh, oh, oh!” ripetei io, spaventata.
“Ah, scusa” rispose lui, con nonchalance, tornando a
rialzarla al livello di prima. Ripresi ad oliare il più veloce possibile.
“Ehm…” continuò a pensare lui “Credo che… avrebbe potuto
esserlo, se ci sarebbero stati vampiri nelle vicinanze tempo fa. Secondo Sam i
geni dei licantropi si disattivano dopo una certa età.” Ero contenta del fatto
che Jacob pian piano aveva imparato ad usare il vocabolo “vampiro” in mia
presenza e non più “sanguisuga” o sinonimi vari.
“Ah” commentai interessata.
“Il nonno di mio padre, Ephriam Black, lo era. A quel
tempo c’erano i Cullen” disse, esponendomi un esempio.
“I Cullen?” dissi stranita. Jessica tempo fa mi aveva
detto che erano a Forks solo da pochi anni, non da decenni.
“Se ne sono andati e sono tornati adesso” riassunse lui.
“Il tuo bisnonno era un licantropo” ripetei io “E per
questa questione che tuo padre conosce i licantropi?”
“Tutti a La Push conoscono i licantropi!” esclamò lui in
una risata. Io mi confusi subito e smisi di oliare.
“Ci sono decine di leggende su di noi che tutti qua
conoscono. Siamo famosi” disse vanitoso, come se fosse una celebrità.
“Il fatto è che non tutti ci credono” tornò a spiegare “E
comunque sì, mio padre conosce il nostro segreto per il fatto
dell’ereditarietà. Anzi, ti dirò di più, è una specie di custode di questo
segreto. Quando mi sono trasformato per la prima volta lui riuscì subito a
capirlo e chiamò Sam.” Il suo tono di voce si fece subito pensieroso “Sono
certo che lui sapeva che mi sarei dovuto trasformare, prima o poi.” Io
continuavo a lavorare, ascoltandolo con estrema attenzione.
“Quanti licantropi eravate, quando i Cullen sono arrivati
per la prima volta?”
“Erano in tre. Il nonno di mio padre, Ephriam Black,
quello di mia madre, Quil Ateara e quello del padre di Sam, Levi Uley”
“Come mai solo in tre?” chiesi stupita. Non mi piaceva
questo improvviso aumento di numero. Era piuttosto sospetto.
“Non lo so di preciso” affermò confuso “Credo sia dovuto
alle varie unioni che sono avvenute tra noi. E al gene, che si è rafforzato,
dopo solo pochi decenni di distanza dall’ultima volta. Prima di allora
dovrebbero essere stati centinaia di anni che nessun licantropo si sia dovuto
trasformare.” Lasciai scendere uno strano e lungo silenzio, durante il quale
riuscii a finire il lavoro. Erano davvero molte le cose che ancora non
conoscevo dei licantropi. Soprattutto la loro storia; erano davvero antichi. Forse
come i vampiri, ma ne dubitavo. Ancora adesso non capivo come mai i vampiri,
oltre ai Cullen e noi, non li conoscevano. Molto probabilmente per la zona
limitata di La Push.
“Sai, voi siete ancora un grande mistero per me” dissi
dando gli ultimi ritocchi.
“Sei vuoi puoi assistere ai nostri raduni”
“Intendi dire che vi mettete intorno al fuoco e fumate
strani incensi, con indosso strane decorazioni piumate ed un totem vicino?”
ironizzai io, senza trattenermi.
“Voglio ricordarti che sei sotto una macchina di alcune
tonnellate e che a tenerla ci sono io” disse con evidente gusto, per la
situazione.
“Ops…” mormorai io, tenendo la bocca chiusa.
“Non è niente di che. Il fuoco c’è; si fa alla spiaggia,
di notte. Si raccontano semplicemente le nostre leggende, tutte vere quindi.”
“Non mi dispiacerebbe venire a sapere qualcosa in più sul
vostro conto” commentai io.
“Puoi venire una volta, se hai tanti dubbi sulla nostra
storia.” Pensai con vivo interesse alla sua proposta. Avrei avuto l’opportunità
di conoscere moltissime cose sui licantropi, cose che forse neppure Jacob
sapeva. Mi era già venuta in mente l’idea di domandare direttamente al padre di
Jacob qualcosa; a quanto pare lui ne sapeva molto più del figlio. Ma questo
poteva essere un espediente decisamente migliore.
“Augh” affermai io con voce gutturale. Le ruote posteriori
improvvisamente caddero sul pavimento in un botto. Mi rannicchiai in posizione
fetale in un sobbalzo, emettendo anche un lieve gridolino. Uscì spedita da lì
sotto. Mi rivolsi a Jacob infuriata, mentre lui tranquillo rimetteva a posto
l’auto.
“Ma sei matto!” gli urlai in faccia. Lui alzò le spalle,
innocente.
“L’hai voluto tu” confessò tranquillo. Io sbuffai. Sapevo
che non potevo farmi male e che quel gesto, seppur avventato, era stato
calcolato. L’arrabbiatura passò quasi subito.
“Quindi tu discendi direttamente da due licantropi” ammisi
io, cominciandolo a squadrare da testa a piedi.
“Forse è per questo che sono più veloce degli altri e che
tutto mi è così… facile” disse lui sovrapensiero, con avvilimento quasi. Non
capii perché quel tono. Non doveva invece essere felice?
“E non ti piace?” continuai io. Lui scosse la testa
convulsamente.
“Mi piace da impazzire, ma non mi sento a mio agio essere
così diverso dagli altri” ammise ancora pensieroso. Al contrario di me, quindi,
che cercavo di essere diversa da tutti in ogni cosa. Mi sfoderò un improvviso
sorrisone. Conoscevo quella sua gestualità; voleva dire argomento chiuso, ma
con cordialità. Io ricambiai con un sorrisino amaro. Jacob non mi aveva mai
parlato di cosa provava emotivamente ad essere un licantropo, ad essere così
diverso da un tempo, quando non lo era. Mi accorsi solo allora della prova che
aveva dovuto superare, per affrontare la cosa. Mi ricordavo che me ne aveva parlato
all’inizio, ma allora non mi ero affezionata in questo modo a lui. Avrei voluto
che un giorno o l’altro sarebbe riuscito a confidarsi con me su questo, se
avrebbe ritenuto necessario farlo. Molto probabilmente le mie considerazioni su
di loro certo non lo aiutavano. Forse fino ad adesso non era esclusivamente
solo lui quello che aveva sbagliato, con pregiudizi vari. Forse un po’ ero
anch’io quella che non capiva, o che non voleva capire. Mi promisi di cercare
da quel momento in poi di comprendere meglio il punto di vista dei licantropi,
di Jacob in particolare. Anche se sarebbe stato difficile. Era inutile, anche
se ci saremmo messi d’impegno tra me e Jacob ci sarebbero state sempre cose che
non avremmo potuto dirci, proprio a causa delle nostre famiglie ed ottiche
diverse.
Per il momento però era meglio pensare al presente. Ed a
come ricambiare il sorrisone sornione che mi stava lanciando. Il mio sorrisino
sghembo si allungò sulle labbra. Mi era venuta in mente una bellissima idea,
che anche a lui sarebbe piaciuta molto.
“Mi fai vedere come ti trasformi?” chiesi, leggermente
eccitata. Non lo avevo mai visto in forma canina. Cioè, sì, l’avevo visto,
anche un paio di volte, ma non lo avevo mai riconosciuto. Gli si illuminarono
gli occhi anche a lui.
“Certo!” esclamò, come un bambino a cui avevo chiesto di
farmi vedere il suo nuovo trenino “Vieni con me.” Mi prese la mano con la sua.
La diversa temperatura mi fece sobbalzare un poco. Mi trascinò fuori dal
garage. Stava correndo verso la foresta, abbastanza veloce, ma era un’andatura
che potevo benissimo reggere anch’io. Ci inoltrammo tra gli alberi appena
davanti al garage. Camminammo per alcuni minuti. Stava cominciando ad scurirsi
pian piano, a causa delle sempre più numerose fronde degli alberi che impedivano
alla luce del sole, oscurato già dalle nuvole, di filtrare.
Di colpo si fermò. Si voltò verso di me; il suo sorriso
non era ancora scomparso.
“Aspettami qua” disse voltandosi e correndo dentro gli
alberi. Io lo guardai confusa. Voleva farmi vedere la sua trasformazione e lui
se ne andava?
Vidi subito spuntare un muso tra gli alberi. Quel muso poi
divenne una testa, che poi si allungò nella forma di un lupo, grosso come un
cavallo. Feci un passo indietro, in modo tale che potesse farsi vedere
interamente. Non mi ricordavo fossero così grandi e grossi. Mi ero dimenticata
i canini che spuntavano e i muscoli delle zampe troppo grossi. Mi ero
dimenticata di quanto gli occhi che avevano potessero essere umani. A contrario
del colore dei capelli il pelo era rossiccio. Chissà da cosa dipendeva, poi…
Il licantropo davanti a me aveva un’espressione strana.
Sembrava… stesse sorridendo, esattamente come continuava a fare Jacob fino a
poco fa. Non credevo però che i lupi riuscissero a sorridere. Mi accorsi solo
più tardi che la mia espressione non doveva essere meno strana della sua. Forse
per farmi uscire dallo stato di imbambolamento Jacob si acquattò e cominciò a
spostarsi sulle zampe posteriori, la coda alta e scodinzolante e la lingua
fuori per l’entusiasmo. Riuscì a farmi ridere. Avvicinai lentamente una mano al
suo muso. Lui si fermò, aspettando che lo accarezzassi. Lo accarezzai con la
punta delle dita, partendo dal naso, fino a sotto il suo occhio sinistro. Aveva
un pelo morbidissimo. La feci scivolare poi dietro il suo orecchio e cominciai
a grattare. Chiuse gli occhi e cominciò ad ansimare. Io risi ancora.
“Ti piacciono le coccole, vero cucciolone?” mormorai
soprapensiero. Lui la prese per una presa in giro e mi starnutì in faccia.
Qualcosa di umido mi bagnò la faccia. Ritrassi immediatamente la mano.
“Dio! Che schifo, Jacob!” mi lamentai cercando di
togliermi il suo muco canino dalla faccia. Cavolo, questa se la poteva davvero
risparmiare; che schifo. Lui aprì la bocca, soddisfatto. Prima di potergli
lanciare un’occhiataccia lo vidi accovacciarsi a quattro zampe e tirare il
collo verso di sé. Ci dovetti un po’ pensare prima di capire cosa volesse
esattamente.
“Vuoi che ti salti in groppa?” Lui annuì con la testa ed
io mi sorpresi di nuovo di quanto potesse essere strano un animale che si
comporta da uomo. Già dimenticata del torto subito ed incuriosita mi avvicinai
a lui e gli salti sopra. Appena salita si alzò, ma ancora non partì. Cercai
meglio che potei di tenermi stretta a lui. Tuttavia non sapevo esattamente cosa
fare; la sua gabbia toracica era troppo larga affinché le mie gambe riuscissero
a circondarla. Tentai quindi di aggrapparmi al suo collo con le braccia, sperando
che reggessero. Lui ancora non partiva.
“Se vuoi sapere se sono pronta, lo sono” dissi con la
guancia destra schiacciata contro il suo pelo.
Non fu esattamente come un giro in moto. Di solito si
incominciava con i settanta, per poi aumentare gradualmente. Jacob partì
spedito, subito. Di conseguenza mi strinsi ancora di più. Non era molto diverso
da un giro sulla schiena di mia madre. Il vento mi sfrecciava velocissimo sulla
fronte. A differenza di mia madre, su Jacob riuscii a percepire il movimento.
Sentivo le sue zampe muoversi, premere frenetiche sul terreno per darsi la
spinta ed ogni fibra del suo corpo tendersi senza alcuno sforzo. Dovevo
ammettere che cavalcare un licantropo era meglio di viaggiare sulla schiena di
un vampiro. Si buttò improvvisamente verso sinistra, per cambiare direzione. Su
mia madre non sentivo niente di tutto questo; i suoi movimenti erano
decisamente molto più aggraziati. Jacob curvò di nuovo, spintonandomi ancora.
L’adrenalina che circolava mi spinse ad emettere un urlo di entusiasmo, come
quello delle montagne russe, che sembrò incitare Jacob ad andare più veloce.
Strinsi il suo collo in una morsa, mentre non ero più così entusiasta di
constatare che sapeva correre più veloce di un vampiro. Forse era la presa che
era aumentata che gli fece intuire di rallentare, fino a fermarsi.
Alzai lentamente la testa dall’ammasso di pelo dove ero
stata per tutto il tempo. Mi girava leggermente la testa e pensai di rimanere
in groppa a Jacob ancora per un po’, per non rischiare di cadere come una pera
messo piede a terra e fare una figuraccia in sua presenza. Staccai le mani
sudate dal suo pelo. Fui brava a non strapparne neppure uno. Lui girò la testa
verso di me, con preoccupazione.
“Lo ammetto, mi hai sorpreso” confessai, con la testa che
vedeva tutto un po’ sottosopra “Lasciami solo riprendere” dissi accarezzandogli
affettuosamente la schiena. Lui con la testa girata, continuava a guardarmi con
sguardo attento. Si sedette sulle zampe posteriore facendomi scivolare
all’indietro. Atterrai sull’erba. Il terreno solido e fermo sotto di me mi
stabilizzò un po’. In breve tornai lucida. Non riconoscevo quel punto della
foresta; credevo di non averlo mai visto. Era uno grande spazio di erba,
sormontato da grandi querce le cui radici spuntavano prepotenti dal terreno. Il
grande fogliame degli alberi ricopriva ancora il cielo e filtrava poca luce.
Non aveva niente di particolare quel luogo, se non l’assoluta pace e silenzio.
Gli animali del bosco, compresi quelli più piccoli, se ne dovevano essere
andati a causa di Jacob. Poteva in fin dei conti essere un predatore anche lui.
Sentii la schiena appoggiarsi sul pelo morbido di Jacob,
la sua testa poco lontana da me, appoggiata sul terreno. Mi guardava ancora con
quell’espressione allegra e spensierata che aveva avuto per tutto il giorno.
No, ci doveva essere qualcosa che lo aveva reso così felice. O più che altro,
non vedevo altri motivi che lo potessero rendere così felice.
“Cosa vuoi fare adesso?” gli chiesi per rompere il
ghiaccio. Lui fece ciondolare la testa ed io non seppi come interpretare quel
gesto. Dalla bocca mi uscì una via di mezzo tra uno sbuffo ed un sospiro.
“Bene, sto affrontando un’interessantissima conversazione
con un licantropo che non è in grado di parlare…” mi girai di scatto verso di
lui. “Tu non parli, vero?” Lui espirò profondamente in uno scatto. Lo
interpretai come un no.
“… e di cui non riesco a interpretare i gesti” conclusi
io. Lo tornai a guardare sconsolata.
“Perché mi hai portata qua?” riprovai io. Lui però non mi
stava a sentire; se ne stava sereno disteso dietro di me, con il muso tra le
zampe anteriore a sonnecchiare. Io sbuffai. Certo, a correre erano bravi, ma
che noia parlare con loro. Qualcosa di grigio mi fece voltare verso destra. Che
cos’era? Era legato alla sua zampa. Sulle prime pensai che fosse una benda, per
qualche ferita o cose del genere. Notai poi però che non era una benda.
“Ma che…” Jacob drizzò le orecchie ed aprì gli occhi. Mi
avvicinai alla zampa ed afferrai la cosa grigia. Era di cotone pesante. La
slegai e curiosa la spiegai davanti di me. Erano dei pantaloncini grigi. Ora,
cosa faceva un licantropo con dei pantaloncini legati alla zampa che corre per
la foresta? Questo, era davvero strano. Dovettero passare alcuni lunghi minuti
prima di riuscirlo a capire.
“Oh…” esclamai io, guardando ancora stranita quei
pantaloncini. Poteva essere in certi casi parecchio imbarazzante…
“Un licantropo non ha solo lati positivi, allora”
sogghignai io. “Non sarebbe un bel gesto questo, per te..” dissi, mentre
infilavo i calzoni nel mio giubbotto e chiudevo la zip. Lui alzò il collo e mi
mostrò i denti.
Non durò molto. Si rizzò in piedi. Incominciò a correre
lontano da me ed ad un certo punto saltò. Fu una scena particolarmente veloce e
sulle prima mi spaventò anche un pochino. Nel momento preciso in cui saltò
qualcosa di grosso quanto Jacob, spuntò veloce dagli alberi e si andò a
scontrare contro di lui. Subito dopo capii che anche la cosa che era spuntata
era un licantropo. Era meno grosso di Jacob, ma più slanciato. Era grigio, con
delle chiazze nere sparse qua e là. Iniziò un veloce combattimento tra i due.
Si levarono ringhi e si scambiarono molti morsi, rotolandosi nell’erba e
sollevando alcuni metri di sottile polvere. Dopo neanche un minuto, il lupo rossiccio
riuscì a immobilizzare a terra quello grigio. Fiero sollevò la testa verso
l’alto ed emise un lungo ululato. Ripresi a respirare e riuscii a muovermi
solamente quando intuii che stessero giocando. Il lupo grigio sotto Jacob si
liberò senza troppa fatica. Mi vide e drizzò le orecchie, incuriosito. Lo
guardai attentamente. Non era molto diverso da Jacob, se non per il colore.
Aveva anche lui un paio di pantaloni annodati. Sollevata notai che entrambi non
avevano un graffio.
“Ciao” dissi apatica al lupo grigio. Mi schiarii la gola
“Tu chi sei?” chiesi con un po’ più di emozione. Lui mi abbaiò una volta e
cominciò a guardarmi allegro come Jacob accanto a lui.
“Uof? Non ho mai sentito parlare di Uof. Devi essere uno
nuovo” dedussi seria, ma con una forte nota sarcastica. Sia il lupo grigio, sia
Jacob, spalancarono la bocca e cominciarono a fiatare forte. Inquietante il
loro modo di esprimere gioia e felicità.
Il lupo grigio picchiò la spalla di Jacob con il muso. Si
scambiarono un lungo sguardo eloquente. Intuii che si stavano leggendo nel
pensiero. Subito dopo Jacob starnutì tre volte, battendo la zampa per terra e
scuotendo la testa. Anche da lupo si capiva quando era arrabbiato. Ouf
continuava a guardarlo imperterrito. Jacob si avvicinò a me veloce. Si abbassò
facendomi segno di salirli in groppa.
“Va bene, ho capito” dissi evidentemente sarcastica.
Cominciava a essere irritante questo “gioco del silenzio”. Stetti alle sue
regole e mi aggrappai alla sua schiena. Partì subito veloce. Non riuscii bene a
capire se anche Ouf ci stava seguendo; ero troppo impegnata a mantenere la
presa ed evitare di spiaccicarmi da qualche parte. Andò veloce come la prima
volta. E via fiumi di adrenalina nelle vene. Quando si fermò però non mi girava
già più la testa. Mi fece scendere alla svelta. Riuscivo ad intravedere la
casetta rossa da lì. Con il muso mi picchiettò forte la schiena, verso l’uscita
della foresta.
“Va bene, va bene, ho capito!” mi lamentai io. Mi girai
verso di lui. Era impaziente che me ne andassi.
“È successo qualcosa?” chiesi con una certa preoccupazione
nella voce. Anche se i tre quarti di quello che mi comunicava non riuscivo a
capirlo minimante era chiara l’espressione esasperata che fece scuotendo la
testa. Io risi, per quanto buffo mi sembrava in quel momento. Mi incitò con il
muso ad andarmene un’altra volta. Seguii il suo consiglio.
“Ci vediamo, Jacob” lo salutai. Lui annuii freneticamente
la testa e mi incitò di nuovo ad andarmene. Io uscii dalla foresta; se Jacob mi
diceva che non c’era niente di cui preoccuparsi, io gli credevo. Fuori c’era un
pesante silenzio; non c’era neppure Billy sulla veranda.
Non c’era che dire; gli ultimi momenti erano stati quelli
più eloquenti e chiari di tutta la mia vita. Non sapevo bene cosa pensare al
riguardo se non la sola parola “strano”.
A squarciare quel silenzio furono alcuni tuoni soffocanti
in lontananza, che mi spinsero a prendere lo zaino nel garage di Jacob e
correre alla moto, prima che iniziasse il temporale. Fu solo quando salii in
moto che mi accorsi del rigonfiamento del mio giubbotto. Oh, i pantaloni di
Jacob, gli sarebbero di certo serviti. Tirai giù la zip e li tirai fuori; sarei
tornata indietro e gli avrei messi nel punto dove mi aveva scaricata. Mi fermai
un momento, riflettendo sulle conseguenze che sarebbero accadute se non li
avessi riconsegnati. Li rimisi subito dentro il giubbotto con l’intenzione di
portarmeli a casa, trattenendo a stento le risate.
Il giorno dopo mi alzai decisamente con il piede giusto.
Vedere i pantaloni di Jacob nella mia camera mi fece ripensare alla reazione
che avrebbe potuto avere dopo aver scoperto che non ce li aveva.
Ovviamente fu la prima cosa che attirò l’attenzione dei miei
genitori, in particolare quella di papà. Insomma, era strano vedere la propria
figlia tornare a casa con un paio di pantaloni pieni dell’odore, o puzza, di
licantropo. Mio padre mi lanciò una vera e propria occhiataccia; provava un
certo ribrezzo sul stare insieme non ad un licantropo, ma ad un ragazzo, come
ogni padre con idee esagerate al riguardo. E credetti subito che avrebbe
pensato al peggio, con quei pantaloni in mano.
Spiegai ad entrambi la situazione. Mia madre se ne uscì
con una risatina un po’ nervosa, segno che avrebbe voluto rimproverarmi, ma la
situazione le era parsa più divertente. Mio padre invece si limitò a restare in
silenzio, pensieroso.
Mio padre era quel genere di padre che avrebbe desiderato
che la propria figlia rimanesse pura e casta fino al giorno del matrimonio. Ed
infatti preferivo sempre avvertire mamma, quando andavo dai licantropi,
piuttosto che assistere all’espressione ambigua ed indecisa di papà. Molto
probabilmente i pregiudizi che covava lui non erano tanto diretti al loro gene
licantropesco, quanto a quello umano; ero sicura cento per cento che l’idea di
me accanto a dei ragazzi alti come armadi e forti il doppio non gli andava
minimamente a genio. Ma per fortuna c’era mamma che sapeva come ammorbidirlo su
questo punto.
Ultimamente le giornate si stavano facendo piuttosto
monotone. Andavo a scuola, poi qualche volta da Bella, poi a breakdance, poi
qualche volta da Jacob. Era cominciato un periodo molto tranquillo, dopo
l’avventura di Volterra, movimentato solo dalla recentissima notizia che
Victoria stava tornando qua a Forks. Aggiunsero poi però che si trovava
parecchio lontano da Forks e che Bella non doveva temere alcun pericolo.
A parte questo, però, non sarebbe affatto durato a lungo;
dovevo aspettarmi qualcosa da Jacob, seppure anche con lui le cose sembravano
andare tranquille. Insomma, più che tranquillo, quello era un periodo ambiguo.
C’era almeno la scuola che mi teneva occupata un minimo.
Anche il problema di Bella che stava sempre con Edward non
lo era più, da quando andavo regolarmente a casa sua. Dovevo ammettere che con
Edward non avevo legato parecchio. Non ci ignoravamo completamente, ma di certo
non potevo dire che eravamo migliori amici. Seppure mi guardava in maniera…
strana. Interessato, ecco, mi guardava interessato, come se rivestissi un
qualche peso nella sua vita. A pensarci bene, poi, non avevo ancora conosciuto
nessun membro del resto della famiglia, seppure avevo saputo da papà che anche
Carlisle era tornato a lavorare in ospedale. Se era vero che una mela al giorno
toglie il medico di torno, con due dottori del genere, qua a Forks ci sarebbe
una devastazione di meli.
Potevo dire che il Cullen con cui avevo legato di più era
Alice. Era diventata la persona con cui parlavo di più a scuola, ormai. Anche
perché, con quei due rinchiusi in una bolla di zucchero e cuoricini rosa, era
io la prima candidata alla conversazione per lei. E dovevo ammettere che era
piuttosto simpatica, soprattutto dopo quell’uscita a insieme a Bella a Port
Angeles. Non si era dimostrata assillante e travolgente come avevo creduto.
Anzi, stava al ritmo mio e di Bella e mi aveva consigliato qualcosa
contemporaneamente sportivo e femminile che dovevo dire mi era piaciuto molto.
Quel giorno arrivai a scuola abbastanza presto.
Parcheggiai la moto al solito posto e mi diressi direttamente in classe.
Ovviamente fuori pioveva e quindi non c’era nessuno, dentro invece era più
popolato. Incontrai in corridoio Eric e Mike, insieme a Ben e Angela. Mi fermai
a chiacchierare un po’ con loro. Per lo più l’attenzione fu rivolta agli esami
e a quello che sarebbe venuto per loro dopo, con una veloce domanda sul corso
di break. La campanella della prima ora suonò e mi diressi verso l’aula di
storia, senza che quel giorno avessi ancora visto Bella ed i Cullen.
Alla terza ora riuscii a beccarli in corridoio. Ci
salutammo, ripetendo una continua routine. Lui teneva la mano di lei ed Alice
faceva il terzo incomodo a proprio agio.
“Scusa Bella, potresti accompagnarmi al bagno un momento?”
dissi totalmente disinteressata, una domanda che non voleva avere come scopo lo
stare da sola con lei. Dopo mi resi conto di questo potenziale.
“Certo” rispose lei, staccando la mano da quella di
Edward. “Ci vediamo in classe” disse ai due Cullen.
I bagni si trovavano dall’altra parte del corridoio. E a
dirla tutta non erano nelle migliori condizioni. Mi lavai le mani, sporche del
carboncino della matita, mentre Bella si ravvivò i capelli. Il bagno era
deserto ed entrambe non avevamo aperto bocca. Non avevo molto da dire al
momento. Cominciai a fischiettare la canzone del saggio dei bambini, che mi
stava dando la nausea, da tanto l’avevo sentita. Poi mi accorsi che ero sola
con lei e mi venne la rivelazione; di cosa in genere parlavamo io e lei, quando
eravamo da sole? E al proposito c’era abbastanza da dire.
“Ci hai pensato a Jacob?” dissi apatica, mentre con le
mani bagnate, mi tiravo indietro i capelli.
“Sì” rispose lei, fissandomi. “Devo andarci” ammise lei.
Lo sapevo che lo avrebbe detto. Gli rivolsi il mio sorriso.
“Buon proposito” dissi facendomi una coda alla bell'e
meglio.
“Ma non ci andrò” ammise lei, con un lieve rammarico. La
coda si sciolse e mi voltai dubbiosa verso di lei.
“E perché no?” dissi con tono leggermente troppo alto. Mi
lanciò un’occhiata amara.
“Edward non me lo permette. Era più che prevedibile.”
Aprii leggermente la bocca, allibita. Cosa?! Non poteva farlo! Non lui! Con che
diritto, poi! Mi sentii per un attimo confusa.
“E perché?” sbottai eccessivamente io.
“Crede che mi possa fare del male” disse con una leggera
punta di esasperazione, mentre si avviava all’uscita. Certo, perché vicino ad
un vampiro i rischi diminuivano. Un vampiro che non fosse Edward, però, che era
esattamente l’unico vampiro che non avrebbe mai potuto fare dal male a Bella.
Dal punto di vista fisico, ovvio. Da quello morale aveva vinto la medaglia
d’oro del dolore. Fatto sta, se Bella voleva andare da Jacob, Edward non glielo
poteva impedire.
“Non devi avere il suo consenso per andare da lui” dissi
cercando di ridurre l’accidia nella voce. Lei sospirò.
“Lui è un vampiro.” Ah, giusto. Questo diceva tutto; se
Edward non voleva che Bella andasse da Jacob, allora avrebbe fatto tutto il
possibile affinché questo non accadesse. E quello che un vampiro poteva fare
era per gli esseri umani l’impossibile. Non c’era alcun dubbio.
A fatica risposi al saluto di Bella, tanto persa ero nei
miei pensieri per quella storia. Ed ero anche terribilmente infastidita dal
comportamento di Edward. Le successive due ore le passai con la testa tra le
nuvole e non ascoltai una parola.
Come faceva Edward a non rendersi conto che quel gesto
significava ferire ancora di più Bella? Mi sembrava di aver capito che lui
fosse in un certo senso riconoscente a Jacob, per quello che aveva fatto per Bella.
Che problema c’era allora manifestare questa riconoscenza facendo andare Bella
a La Push? Non riuscivo a capirlo.
Gli unici motivi plausibili che trovavo per spiegare il
suo comportamento erano i pregiudizi che poteva avere verso i lupi. Ma dei pregiudizi
non potevano competere contro quello che Jacob aveva fatto. Oppure, molto più
plausibile, era realmente convinto che Jacob avrebbe potuto perdere il
controllo e farle del male. Preoccupazione del tutto superflua, che a pensarci
bene non era neanche tanto lontana dal genere di preoccupazioni dei miei
genitori.
Questa però era decisamente infondata; io ci andavo quasi
ogni giorno a La Push ed ero ancora viva. Ed ancora questo non gli bastava come
prova inconfutabile che a Bella non sarebbe successo niente? Evidentemente no,
perché, e me l’ero dimenticata, lui era pazzamente innamorato e legato a Bella,
e questo risentiva incredibilmente sulla vita e sul modo di pensare di
entrambi.
Pur rispettando la loro unione, continuavo a credere con
convinzione che Edward sbagliava. E questa determinazione mi portò alla
conclusione che, benché non credo sarebbe servito a molto, avrei fatto bene a
parlare con Edward al proposito.
Avrei messo ancora una volta dito nello scottante
triangolo amoroso, cosa che mi ero ripromessa assolutamente di non fare per non
trasformare questo triangolo in un rombo. Ma si vedeva proprio che era destino.
A pensarci bene poi non avrei fatto proprio niente, sia perché Edward non
avrebbe preso in considerazione le mie parole, sia perché prima o poi Bella a
La Push ci sarebbe andata comunque. Sarebbe però stata un’impresa titanica
sfuggire alle grinfie del suo custode, certo.
In breve finì la quinta ora. Mi alzai un po’ titubante.
Avevo deciso di parlarne con Edward durante la pausa pranzo.
Ero un po’ agitata, a dire la verità. Edward mi aveva
sempre messo una certa soggezione, seppur fosse gentile nei miei confronti ed
era lui il primo a mostrarsi ossequioso nei miei riguardi. Ed era forse questa
semplicità che aveva nei modi a mettermi a disagio.
Uscii nel corridoio pieno di studenti diretti in un’unica
direzione. Pensai di andare anch’io direttamente a mensa, così da poterlo
sicuramente trovare. Urtai all’improvviso qualcuno. Alzai subito lo sguardo,
indispettita dalla consistenza della cosa che avevo colpito. Mi ritrovai gli
occhi dorati e perforanti di Edward addosso. La prima cosa che notai fu il
colore; si era scurito enormemente. Non avevo mai visto gli occhi di mamma e
papà di un colore così scuro. Avrebbe dovuto andare a caccia già da tempo. Mi
passò velocemente accanto e passò oltre, mentre uno spazio bianco attorno a lui
si chiudeva al suo seguito.
Girai i tacchi e lo seguii. L’unico motivo che poteva
giustificare la sua presenza senza Bella era che sapeva che gli volevo parlare,
perché aveva letto i miei pensieri. Pensai un po’ irritata a quanto aveva
potuto ascoltare, tenendo ben conto che gli avevo detto chiaro e tondo di
evitare di farlo. Lo seguii verso l’uscita che dava verso il giardino. Aveva
smesso improvvisamente di piovere, ma le panchine erano ancora bagnate. Il
giardino al momento non era il posto adatto per parlare, nonostante fosse
deserto. Uscii fuori anch’io. Lui camminava a molti metri di distanza.
Camminava a passo eccessivamente veloce e dovetti imitarlo per seguirlo. Superò
le panchine e si diresse al blocco di francese, il più isolato della scuola.
Prima ancora di raggiungerlo lo vidi appoggiarsi con eleganza alle panchine
deserte e ancora asciutte ai lati della porta d’ingresso. Gli ultimi metri li
feci correndo.
“Mi hai letto nel pensiero, non è vero?” dissi senza
nascondere l’accidia e sedendomi con la grazia di un elefante vicino a lui. Lui
mi rivolse il suo dannato sorriso sghembo.
“Perdonami, non era mia reale intenzione farlo. La tua
voce mi è ormai famigliare e particolarmente difficile da ignorare” mi disse
quasi assorto.
“Come mai?” continuai curiosa io.
“La tua voce “mentale” è terribilmente simile a quella
reale di Bella” disse facendo scomparire quel sorriso. Io lo guardai
sbalordita.
“Credevo fosse realmente quella di Bella, appena sentita”
riprese, cambiando posizione. Ah… uau. Non sapevo esattamente se questo poteva
essere un bene o un male. Conclusi alla fine che non cambiava assolutamente
nulla. Non per me, almeno. Scossi la testa; mi aveva fatto perdere il filo del
discorso.
“Oh, mi dispiace…” ammise vicino lui. Gli lanciai
un’occhiataccia. Molto probabilmente non lo hai mai sentito dalla voce reale
di Bella, ma da quella mentale sì: smettila, ficcanaso! Pensai diretta a
lui. Lui sorrise ancora. Ah, ecco, me n’ero dimenticata; era la sua capacità di
leggermi il pensiero a mettermi del tutto a disagio.
“È normale che tu ti preoccupi per lei” disse tranquillo,
con lo sguardo assente verso il giardino poco illuminato per le nuvole. Non
è normale che lo sia tu. Lui si girò verso di me.
“Pensavo che conoscessi i vampiri tanto bene da capirne
anche il perché” rispose lui, con una sottile punta di altezzosità della voce.
Fu allora che mi resi forse conto che le mie conoscenze sui vampiri a Edward
non piacevano molto.
“A quanto pare tu fai un’eccezione” dissi sicura,
guardandolo negli occhi, che, per quanto scuri erano, mi mettevano a disagio.
Lui sfoderò un ghigno amaro.
“Voglio evitare in qualsiasi modo che si faccia del male,
Abigail. Non mi fido affatto dei licantropi. Sono poco esperti e possono
sbagliare. Ed io non sono disposto a tollerare neppure il minimo errore da
parte loro”
La straordinaria determinazione e serietà che aveva nella
voce quasi mi convinsero. Mi ricordava in parte quella di Jacob, ad eccezione
che quella di Edward era molto più convincente. Per un momento pensai di
chiudere lì il discorso ed andarmene. Feci un respiro e provai a rispondergli
con logica.
“Non sono così inesperti come credi. Sono cresciuti,
moralmente e fisicamente, dai primi tempi che si sono trasformati. E se non
hanno fatto male né a Bella né a me allora, è molto improbabile che accada
anche adesso.”
“È probabile, non sicuro.” La sua voce dura ed
inflessibile mi interruppe. Mi sfoderò un’occhiata timida, condita con un
sorriso indulgente.
“Non è necessario che tu capisca.” Io continuai a
guardarlo dubbiosa.
“Pur io vado regolarmente dai licantropi e non mi è mai
successo niente!” ribadì io, che non avevo ancora gettato la spugna.
“In effetti ho parlato anche di questo con i tuoi
genitori” disse, mentre la sua espressione si fece dubbiosa ed il suo sguardo
penetrante. Io rimasi a bocca aperta. Pure di questo? Ma allora sapeva davvero tutto!
Come se leggermi nel pensiero non bastasse!
“La tua è una situazione più delicata. I licantropi
riversano molte più attenzioni su di te, che su di Bella. Non possono sapere in
alcun modo se tu sia viva o morta, che il patto venga rispettato in un caso ad
alto rischio come il tuo. Bella invece riescono controllarla meglio; suo padre
è in continuo contatto con uno di loro. Nel tuo caso invece non possono avere
nessuna certezza; per tanto è essenziale per loro che tu vada a La Push. Se non
andassi i licantropi sospetterebbero qualcosa e a pagare sarebbero i tuoi
genitori. Ma questo lo sai già, ovviamente. Bella invece non ha nessun bisogno
di andare a La Push.”
Aprii la bocca, ma rimasi zitta davanti alla sua retorica
da una logica perfetta. Ormai non sapevo più dove andare a parare. Lo dovevo
immaginare che era un inutile tentativo questo.
“I miei genitori però non sembrano essere ossessionati
dalla prospettiva che mi possano fare male” ribadii io.
“Loro sono certi che non ti possa succedere niente, grazie
ad un potere come quello di tua madre” affermò veloce, sospirando. “Se reagissi
anch’io come tua madre nel caso di Bella, tutto sarebbe davvero più semplice.”
Il suo tono era diventato trasognato e bramoso. “Lei sarebbe davvero al sicuro,
non le succederebbe niente. Né i Volturi, né i licantropi, nessuno potrebbe
farle del male.”
Rimasi per un lungo attimo in silenzio, scossa ed allibita
dal suo immenso desiderio di essere come mia madre. Si voltò verso di me.
”Sono terribilmente invidioso di tua madre” disse serio, quasi prepotente. Mi
sembrò un vero vampiro. Io deglutii sconfortata dalla sua reazione.
“Non dovresti vivere nel continuo desiderio che le succeda
qualcosa, è malsano per entrambi” affermai io, la testa bassa. Evidente
tentativo di fargli cambiare quella espressione. Lui questa volta rise. Una
melodiosa risata cristallina.
“La perseguita la sfortuna. Non ho mai visto in vita mia
qualcuno tanto sfortunato come lei.” Io lo guardai di nuovo sconfortata. I
pensieri di Edward mi facevano davvero paura. Speravo che non parlasse davvero
sul serio…
“La sfortuna non esiste!” esclamai guardandolo allibita.
“Se pensi davvero a quello che le è capitato finora
concorderai sul fatto che esiste” disse lui, con tono amaro. In effetti le sono
successe davvero di cotte e di crude. Che però io classificavo come imprevisti,
cose che vivendo con dei vampiri è ovvio che succedano.
“La sua manifestazione più grande è stata incontrarmi”
ammise, apatico.
“O la più grande delle fortune” replicai io. Lui
sogghignò.
“È infatti una fortuna innamorarsi di un mostro in grado
di ucciderla.”
“Sì, una grande sfortuna innamorarsi di una persona al
punto tale da poter dare tutto sé stesso e sapere che questa persona ricambia”
affermai sarcastica e stizzita dal suo commento. “È decisamente meglio una vita
apatica, senza senso. Ed un’eternità apatica, senza senso, non è vero?” dissi
rivolta verso l’interessato. Lo sorpresi guardarmi con interesse. Quegli occhi
neri che mi fissavano mi fecero di nuovo sentire terribilmente a disagio.
“Ho sempre trovato interessante il tuo modo di pensare.
Hai una logica curiosa, che si dimostrerebbe terribilmente esatta, se non fosse
per l’eccessivo ottimismo” Lo guardai di sbieco.
“Posso dire la stessa cosa di te, per quanto riguarda il
pessimismo” biascicai con la mia voce straziante rispetto alla sua. Lui mi
rivolse un ultimo sorriso sghembo prima di alzarsi dalla panchina.
“È stato lodevole da parte tua tentare di parlare con me,
per assecondare i desideri di Bella” disse con quel tono da ottocento. “Non
credo però sia servito a qualcosa” Rimasi a guardarlo per un attimo, spaesata.
Piaceva essere conciso, diretto e soprattutto sincero, al ragazzo. Mi alzai
anch’io, alzando le mani in segno di resa.
“Io ci ho provato” dissi, poi continuai, più misteriosa
“Ma ci proverà anche lei” affermai dirigendomi verso la mensa. Stavo
cominciando ad avere realmente fame. Lui mi seguì, mantenendo una certa
distanza.
“Lo so” disse pensieroso e preoccupato. Afferrai la
maniglia che dava all’interno della scuola, ma Edward la bloccò.
“Ancora una cosa” disse con la sua voce suadente di
natura. Mi guardò attentamente negli occhi.
“Non ho mai avuto alcuna intenzione di impedirti di vedere
Bella. Desidero che ti sia chiaro” mi disse terribilmente serio. Io spinsi la
maniglia di sicurezza ed entrai a scuola.
“Visto che sei così bravo a leggermi il pensiero, dovresti
averlo capito che è tutta una mia sega mentale” dissi con un ironico sorrisino
rivolto a me stessa, mentre mi dirigevo dritta verso la mensa. Lui non rispose.
Arrivammo in breve davanti alla porta della mensa. Indugiai ad aprirla.
“Un’altra cosa” dissi in tono di sfida “Semmai Bella mi
chiederà di aiutarla a sfuggire dalla sua prigione dorata, io non mi farò
indietro.” Il suo viso si trasformò in un secondo.
“Non lo fare, ti prego” mi supplicò, in un mormorio. Le
suppliche dei vampiri potevano essere decisamente terribilmente convincenti. Ma
non mi feci ingannare. Aprì la porta della mensa, mentre gli facevo una
linguaccia.
Ed ecco il dodicesimo capitolo! Ho pubblicato, finalmente!
Questa volta però nn sono riuscita a resistere e alla fine ho pubblicato, anche
se non avrei dovuto. Vi devo infatti confidare una cosa: i capitoli che fin'ora
ho scritto arrivano fino al quindicesimo, ma non li pubblico perchè magari li
potrei modificare mentre scrivo i nuovi. Il problema è che adesso preferisco
rileggermi i capitoli che ho scritti piuttosto che scrivere, e quindi la storia
non sta andando avanti. Ma non vi preoccupate di questo! Intanto leggetevi
questo capitolo!
Ho cercato di tagliare il più possibile e di non farla
lunga con i fatti che vengo descritti alla perfezione in Eclipse, per non
rendere le cose troppo ripetitive, ma ci ho aggiunto molto di personale. Questo
capitolo mi piace particolarmente perchè Abigail ha un dialogo con tutti e tre
i personaggi principali e comincia a delinearsi il compito che Abigail
rivestirà nel corso della storia, che tutti quanti conoscono. Quindi vi
dovreste aspettare delle grandi sorprese. ^^
Direi che ho parlato troppo. Alla prossima, allora!
X Frammento: Spero che ti siano alla fine piaciuto
entrambi i capitoli! ^^ Hai ragione ad aver perso le speranze, colpa mia.
Inoltre adesso è in pratica sicuro che non pubblicherò prima di giugno, ma è
sicuro che ci saranno ancora capitoli. Ti chiedo quindi solo di aver un pò di
pazienza ed aspettare fino a giugno, per favore.^^° Grazie in anticipo per
sopportarmi!
X __cory__: allora, la tua domanda è legittima e ti
risponderò volentieri. Abigail è un essere umano 100% e, facendo un pò di
spoiler, necessario però affinchè si capisca la storia, sarà sempre un essere
umano al 100%. Il fatto che Jacob la chiama mezza vampira è perchè Abi non è
affatto come Reneesme. Abi è più "potente" delle altre ragazze
normali (le piace correre e quindi è più veloce, le piace andare in moto e
pratica la break, quindi è più forte) tanto da sembrare un ragazzo, nei modi di
fare e nell'abbigliamento, anche se ha una sua femminilità evidente. Inoltre è
importante una frase che dice, non so in quale capitolo, in cui afferma che
"con il passare una vita insieme ai vampiri, si tende a diventare come
loro". Quindi quel "mezza vampira" può essere interpretato come
un "maschiaccio" spinto all'eccesso. Hai ragione ad avere questi
dubbi, non mi sono mai soffermata a descrivere nei dettagli la figura di
Abigail, ma spero che adesso ti sia chiaro questo aspetto. Per quanto riguarda
i Volturi, loro sono interessati a lei per il legame che ha con sua madre. E'
un pò lungo da spiegare, quindi ti consiglio di andarti a rileggere l'ultima
parte del capitolo 10 e del 7, alla fine della storia di Abigail. Spero che ora
le idee ti siano più chiare^^ Un bacio anche a te.
X Nona: Ciao, Martina. Sono lusingata dei tuoi complimenti
sia sulla creatività, ma soprattutto sulla scrittura (forse non sembra, ma ho
enormi problemi in questo campo)! ^^ E sono contentissima che il personaggio di
Abigail ti piaccia e che, a quanto pare condividiamo le stesse idee: senza
Edward con Bella, secondo me, non ci può essere twilight.
Ancora con un grazie infinite per il tuo commento, ti dico
di non preoccuparti e ti prometto che prima o poi, potrei raggingere i
sessant'anni questa ff la finirò! :) A presto
X Ryry_: Va beh! Jacob è può essere stupido qualche volta,
ma non è cieco! XD Anzi, credo di aver creato un lato bruttissimo di lui. La
scusa di Abi del "sei troppo alto e ti ho baciato sulla bocca" è una
scusa totalmente assurda e priva di senso, scritta volutamente per creare
ironia, anche se con la inevitabile conseguenza che Jacob ci fa la figura dello
scemo. Povero Jacob. XD E comunque Abi ed Edward non diventeranno amiconi, ma
amici del cuore (come no...) XD XD! Abi si divertirà a criticarlo 24 ore su 24!
XD No, scherzo: non lo farà solo quando dorme. XD
Edward
ed io entrammo nell’ampia mensa della scuola. L’uno alcuni metri di distanza dall’altra, ci dirigemmo
dritti al consueto tavolo. Alla fine il mio intervento non era
servito proprio a niente, anzi, avevo solo fatto la figura dell’impicciona.
Tuttavia non ne uscii molto delusa; Edward era riuscito ad essere convincente nel giustificare
il suo comportamento, anche se solo in parte.
Mi sedetti nel solito posto, davanti a Bella. Lanciò fugaci
ed intese occhiate ad entrambi, prima di perdersi per un lungo arco di tempo negli occhi dorati del suo amato.
“Ah, eccovi qua” esclamò Alice, mentre
chiacchierava con Bella, Angela e Ben. Il nostro gruppetto di quattro da un po’
di tempo aveva inglobato nuovi membri; Angela e Ben, seguiti occasionalmente da
Mike ed Eric, il primo
interessato a Bella, il secondo a me. Mi ero accorta
solo da pochi giorni di una possibile cotta di Eric
nei miei confronti, ma io continuavo ad ignorarlo ed ad allontanarlo nel modo
più gentile possibile, presa com’ero dai miei problemi.
Si vedeva che non gli dovevamo più sembrare mostruosi.
Alice, a confronto di Bella, sembrava trovarsi del tutto a
suo agio e continuava a parlare di uscite finesettimanali.
Sembrava realmente entusiasta, anche se i vampiri erano
spettacolari nel fingere.
Cominciai tranquilla a giocare con l’insalata che avevo velocemente
preso prima di sedermi. Non prestai molta attenzione a quello che diceva Alice,
Angela o Ben, ma non ero neanche immersa in pensieri particolari. Avevo
semplicemente per un attimo staccato la spina, non per un motivo particolare, per
il solo fatto che mi andava, diventando taciturna.
A risvegliarmi dal mio stato semicatatonico fu la voce di Alice che si fermò all’improvviso, troppo bruscamente per
aver concluso un discorso. Alzai la testa e la vidi immobile, gli occhi vitrei;
non respirava neppure. Mi era famigliare quel suo comportamento; stava vedendo
qualcosa. Di abbastanza importante, avrei osato dire. Durante il viaggio a
Volterra si paralizzava in quel modo solo per grosse previsioni; mi irrigidii anch’io.
“Ehi, Alice, tutto bene?” esclamò Angela, sventolandole una
mano davanti. A quel punto lanciai un’occhiata ansiosa ad Edward,
che però mi ignorò. Le tirò una gomitata giocosa ed
Alice si scosse.
“Ehi, sorellina, non è ancora ora del pisolino” disse tranquillo
e sereno. Alice gli rispose con un sorriso e si scusò, facendo poi finta di
nulla e continuando a parlare. Entrambi i due Cullen
si trovavano a proprio agio; Alice sembrò chiacchierare ancora più ostinatamente
di prima. La normalità in questo modo tornò immediatamente. Tranne
per me e Bella. La delicata linea che si era formata lungo la sua fronte rispecchiava il suo sospetto. Ci scambiammo un paio di occhiate dubbiose, come se stessimo cercando risposte
l’una nell’altra, senza successo, ovviamente.
Rimasi irrequieta e silenziosa per tutta la pausa pranzo,
fino alla fine della scuola, quando raggiunsi i Cullen e Bella al parcheggio. Alice non aveva ancora finito
di parlare. Era diventata una macchinetta; non l’avevo mai vista chiacchierare così tanto. Di cose relativamente inutili, poi. Discuteva
sui lavori di manutenzione che Edward avrebbe dovuto fare
al SUV di Mike. Altra cosa davvero
strana era che Edward facesse un favore a Mike; sapevo che Edward non lo
guardava sotto una buona luce, molto probabilmente perché sapeva che gli
piaceva Bella. Edward covava una sorta malsana
gelosia nei confronti di Bella, per qualsiasi uomo che ci provasse, seppur lui
in primis non l’avrebbe mai ammesso. Anche se come poteva collegarsi questo strano
comportamento con la visione di Alice? Salutai in
fretta i Cullen e Bella, confusa almeno quanto me,
forse anche di più. Volai veloce verso casa; magari i miei genitori sapevano
qualcosa.
A casa l’atmosfera era tranquilla; tutto stava andando nei
migliori dei modi. Sentii l’odore del forno caldo. Entrai in cucina e vidi mamma
fare la sua buonissima torta di mele e marmellata di pesche. La cosa migliore
era che poi me la mangiavo tutta io.
“Ciao, Abi. Come
è andata oggi?” chiese con voce interessata, mentre tagliava come un
razzo le mele a fettine perfette.
“Bene” risposi io, indifferente “Monotono”. La pancia prese
il controllo della mente e mi spinse ad immergere il dito nel vasetto della
marmellata sul tavolo. Prima che neanche toccasse il
vetro la mia mano venne colpita da quella di mia madre che mi spinse ad
arretrare.
“Ti aspetta più tardi la torta” mi ammonì lei. Mi sedetti
indispettita sulla sedia, in attesa che la mettesse in
forno.
“Dove andiamo a caccia?” dissi io,
con i crampi allo stomaco, per far passare più veloce il tempo.
“Non molto lontano da qua. Tra un poco sarà aperta la caccia
all’orso e quindi da queste parti ne sarà pieno.”
Annuii a me stessa, estasiata. Ora che Victoria si era allontanata potevo finalmente
andare con loro.
“Senti mamma” iniziai io, tranquilla. Non
mi ero affatto dimenticata della visione. “Papà ha chiamato?” Lei si
girò, presa in contropiede.
“No, è in ospedale. Perché?”
“È successo qualcosa?” chiesi con il suo stesso tono. Vidi le
sue sopracciglia rossicce contrarsi.
“No, assolutamente” disse più preoccupata “Perché me lo chiedi?”
“Alice ha avuto una visione su qualcosa di abbastanza
importante. Ma non sono riuscita a capire cosa fosse”
confessai io. Lei si girò verso il piano cucina,
ancora sospettosa.
“Se riguarda i Volturi, la vampira, te o Bella, o qualcosa
che secondo i Cullen è giusto comunicarcelo, ce lo diranno” dedusse lei. Da quando i Cullen erano tornati tra loro e gli Adams
si era creata un’alleanza che prevedeva di far fronte ai pericoli imminenti su Forks, che riguardassero me o Bella. Almeno loro…
“Quindi non impensierirti” concluse lei,
lanciandomi uno sguardo dolce oltre la spalla. Io mugugnai
un’affermazione e mi alzai dalla sedia, decisamente
più rincuorata, ma non meno dubbiosa. Se mamma diceva
che non era grave, allora non era davvero grave. E poi
avrei chiesto domani a scuola spiegazioni al riguardo.
Inoltre se fosse successo qualcosa
papà avrebbe sicuramente avvertito. Quindi molto
probabilmente lui non aveva sentito niente perché quello che Alice aveva visto
non lo riguardava. Il dono di mio padre era abbastanza limitato, anche se molto
preciso; i suoi presentimenti e le sue azioni si
riferivano solamente agli eventi propri e delle persone che per lui contavano,
me e mia madre, in particolare. Forse anche per Alice era simile; non credevo
leggesse il futuro di tutta Forks, né di tutta l’America.
“Come va la macchina?” esclamò mia madre. Io mi fermai sulla
porta.
“Bene, siamo a buon punto” affermai contenta io.
“Mi fa piacere” mi rispose lei sincera,
guardando distratta le mele. Avrei voluto andare a
farmi una doccia calda, ma invece rimasi lì. Mi era saltata alla mente una
domanda piuttosto curiosa.
“Mamma, tu e papà covate pregiudizi
nei confronti dei licantropi?” la buttai lì. Lei si girò ancora sospettosa.
“Cosa intendi con pregiudizi?”
domandò lei.
“Come li consideri, personalmente?” precisai io. Lei non
tardò a rispondere.
“Sono delle creature alquanto pericolose,
organizzate e con un terribile odore. Non mi piacciono
per niente” rispose immediatamente, apatica. Io ci rimasi un po’ male.
Insomma, cosa mi aspettavo, la prima volta avevano cercato di ucciderli, che
idea poteva essersi fatta di loro? Però mi stupii lo
stesso il fatto che anche mia madre, come sicuramente mio padre, avesse dei
pregiudizi simili. Mi metteva a disagio sapere che i miei pensieri fossero
totalmente contrastanti con quelli dei miei genitori. Lei alzò di nuovo la
testa.
“Ma tento di non badarci” riprese dolce,
come se mi avesse letto nel pensiero. Io le sorrisi. Me ne andai
veloce al piano di sopra, di nuovo più tranquilla. In un certo senso con quelle
parole mamma mi aveva detto che la considerazione che avevo
per i licantropi andava bene. Era stato una specie di
permesso concesso per continuare a stare con loro. Come se
volesse farmi intendere che era d’accordo della mia amicizia con Jacob.
Il giorno dopo la prima cosa arrivata a scuola fu parlare
immediatamente con un Cullen o con Bella riguardo a
quello che era successo il giorno prima. Sempre più
spesso la mattina prima delle lezioni non riuscivo a
incontrare né l’una, né gli altri. Quel giorno però gli avrei incontrati
sicuramente prima della pausa pranzo; la prima ora avevo biologia al quinto
anno. Entrai veloce in classe, levandomi il cappotto infradiciato. Non vedevo
l’ora che l’auto fosse pronta; mi sarei risparmiata inutili
bagni con la moto. Mi diressi verso il mio posto, vicino a due piccioncini in
fase di corteggiamento. Lui stava delicatamente giocando con le dita della mano di lei. Mi dava le spalle, quindi non potei vedere la
sua espressione, ma vidi bene quella di Bella; del
tutto persa, troppo anche per godere della vista della creatura più bella. Era
uno sguardo decisamente più profondo. Che tuttavia in quel momento potevo capire unicamente io, in quell’aula.
Mi sedetti vicino a Bella. Vidi gli
occhi ancora troppo scuri di Edward
mantenere il contatto con i suoi ed ignorarmi completamente. Decisi di
interrompere quel momento romantico, per rispetto del terzo incomodo maiale blu
vicino a loro. Misi la sedia davanti a loro, disturbandoli.
“Buongiorno, piccioncini” salutai io.
“Buongiorno anche a te, Abigail”
mi rispose Edward, continuando ad ammirare Bella e
sorridendo. Più a lei, che a me.
“Respira” lo sentii poi mormorare tanto lievemente che a
stento riuscii a sentirlo. Mi voltai di scatto verso
di Bella. Era arrossita di colpo. No, non era imbarazzo. La sua cassa toracica
non si muoveva. Improvvisamente riprese ad alzarsi ed abbassarsi e le si ricolorò il viso di un normale rosa pallido. Edward rivolse lentamente la testa verso di me, sempre con
quel sorriso sincero. Bella mi rivolse uno sguardo interessato. Io li guardavo
confusi. La mia mente ipotizzò le più svariate teorie prima di formulare quella
più realistica: dati i personaggi e l’intensità dei loro sguardi, qualcosa mi
spinse a credere con fermezza che Bella avesse perso il respiro osservando Edward. Quando si dice bellezza
mozzafiato… seppure non si trattasse solo di questo, certo.
Se era realmente così, bè, un defibrillatore sotto il letto era consigliabile. Edward trattenne una lieve risata. I miei occhi guizzarono
da lui a lei, prima di scuotere la testa e lasciar perdere
l’argomento.
“Cos’ha visto ieri Alice?” chiesi a bassa voce, coincisa,
avvicinandomi a loro un poco. Bella guardò subito Edward,
in attesa che fosse lui a parlare. Anche
a lei quindi non aveva detto niente; la cosa non mi stupì.
“Niente di cui tu e la tua famiglia vi dobbiate preoccupare”
mi rispose subito cortese “Riguarda unicamente noi.”Che in breve significa “sono problemi nostri, tu non ci
ficcare il naso”. Come l’aveva detto Edward
mi piaceva di più però. Io annuii, con ogni mio dubbio risolto.
“Ah, Abi, il prossimo fine
settimana io edEdward non
ci saremo” La voce di Bella attirò nuovamente l’attenzione.
“Andremo in Florida” terminò Edward,
riappropriandosi della mano di Bella, che ricambiò prendendo l’altra di mano.
“Davvero?” esclamai sorpresa “Voi due
insieme? Che romantico…” dissi eccessivamente mielosa,
intromettendomi tra loro due accarezzando i dorsi delle loro mani con l’indice.
Riuscii farli staccare.
“Non so quanto sarà romantico, noi due e
mia madre” fece lei sarcastica.
“Ah, giusto, in Florida c’è tua madre”
“E non hai idea di come ha reagito
mio padre” rispose guardando storto Edward, ma sempre
con un sorrisino. Immaginavo; sapevo che a Charlie
non stava molto simpatico Edward. Per niente.
Supponeva quindi che un week-end Bella edEdward da soli avrebbe voluto sicuramente essere un modo
per appassionare la loro relazione o cose simili. Non doveva esserne stato
molto contento.
“Il fine giustifica i mezzi” sentenziò lui, con viso
d’angelo. Lo guardai storta anch’io, ma senza sorridere.
“Gliel’ha detto lui” disse Bella.
Proprio la persona più adatta! Spalancai gli occhi.
“Tu sì che sai come dire le cose!” emisi con sorpresa, forse
con un tono di voce troppo alto. “Come mai proprio adesso?”
“I biglietti dell’aereo sono un regalo di compleanno e tra
poco non sono più utilizzabili” disse Bella, a tono basso, quasi di malavoglia.
Capii che era quel compleanno.
“Ah…” mi limitai a dire io, osservando la mano di Edward che stringeva quella di
Bella.
In quel momento il docente entrò. Spostai con discrezione la
sedia con le gambe verso il mio posto.
“Non ho ancora capito perché ogni horror
deve sembrare un film vietato ai minori” ammisi, mettendomi in bocca un
popcorn.
“Eh… Non ci sono più i film di una volta” sospirò Jacob, vicino a me, con sopra i suoi addominali scolpiti la
ciotola di popcorn.
“Come quelli con tanto sangue, urla, vampiri, licantropi e vampiri che danno calci nel sedere ai licantropi” commentai
fingendomi seria.
“Io preferisco quelli dove i licantropi prendono a calci i
vampiri” rispose a tono. Restammo per un attimo zitti,
in attesa che la scena orribile e di poco gusto passasse.
Dopo la scuola ero andata dritta da
Jacob, ma entrambi non avevamo molta voglia di lavorare
tra motori che non partono e sportelli da riparare. Billy
non era a casa; sarebbe stato tutto il pomeriggio a casa di Charlie
a vedere una partita di nonsoche. Fu impulsiva l’idea
di andare a prendere un film. Non ricordavo bene chi l’avesse proposto, ma
chiunque dei due fosse stato avrebbe fatto meglio a
tenere la bocca chiusa. Al momento ci era sembrata una
buona idea per entrambi, quindi eravamo andati alla videoteca scarsamente
fornita di La Push a prendere un film. C’era così poca roba da buttarci nell’horror; non proprio adatto a due con una vita dello stesso
genere. Almeno ci saremmo fatti quattro risate.
Ci eravamo sistemati sul divano,
troppo piccolo. Abbiamo stabilito dei confini, visto che i licantropi erano
tanto bravi a farlo, anche se venivano continuamente violati
da Jacob, ovviamente. Con mia grande sfortuna, a metà
del film cominciarono a susseguirsi scene non proprio spaventose. Cioè, spaventose, certo, ma non come desideravo io.
Stavo provando un senso di ribrezzo e disgusto; esattamente
le sensazioni provocate da un film horror, seppur non
fosse tanto horror.
Passarono ben tre minuti e la scena continuava. Jacob vicino a me continuava a mangiare popcorn, apatico.
Fui sul punto di sbuffare. Quello era decisamente il
film più brutto che avessi mai visto. Vidi un popcorn volare verso di me.
L’ennesimo.
“Ma la vuoi smettere?! Non sono un cestino” mi lamentai io, spingendomi verso il
bracciolo del divano. L’idea geniale di Jacob era
scoprire quanti popcorn potessero rimanere impigliati
nei miei capelli. Lui mi ghignò.
“Potresti mettere su un’impresa di cuscini fatti di capelli
e sopravvivere con quella senza problemi”
“Pensa ai tuoi di capelli!” esclamai io, tirandogli la coda
che aveva, con scarsi risultati di fargli male.
“Aspetta, aspetta, sembra che
abbiano finito” disse lui, tornando a mangiare i popcorn. Patetica scusa per
sviarmi. Mi sistemai meglio nella mia parte di divano ridotta della metà ed
aspettai che quel film si facesse più interessate.
Quella scena a luci rossi a due
invece di finire si trasformò in un quadretto a tre, come se non bastasse.
Sospirai profondamente. Che palle. E
per fortuna eravamo soli a casa. Basta, quel film mi aveva proprio stufato.
“Jacob?” dissi categorica. Lui
mugugnò da sotto un pugno di popcorn. “Spegni la tv.” Lui balzò in piedi.
“Questa è decisamente l’idea
migliore della giornata” commentò chiudendo quell’obbrobrio
alla televisione. Vedere lo schermo nero era decisamente
molto più intrattenente.
Tanto per far valere il suo lato stupido,
invece che sedersi Jacob pensò bene di buttarsi di
peso sul divano. Per sua fortuna non beccò me, che mi scansai in tempo,
ma per poco non gli caddi addosso, oltre a rischiare
di rompere il divano. Gli lanciai un’esclamazione, prima di rimanere immobilizzata
un paio di secondi precisi ad osservarlo sorridermi negli occhi.
“Tu sei strano in questo periodo” commentai seria, ma contenta “Sei troppo felice” Lui decise di
mettersi bene a sedere.
“Ho motivo di esserlo” disse allargando quel sorriso. Io
pensai subito al peggio. Qualcosa che riguardasse Bella,
qualche idea strana che gli era venuta. Mi preoccupai.
“Senti, dimmi un po’” iniziai, senza togliermi
quella nota tesa da dosso “Perché l’altro giorno mi hai mandata via in quel
modo?” Rispose con un mugugno esasperato, prima di ricominciare ad
ingolfarsi di popcorn.
“Paul” si limitò lui con la bocca
piena.
“Cosa c’entra?” Lui inghiottì.
“È bravissimo a rompere le scatole. Era lupo
quando noi eravamo insieme. Ha sentito il tuo odore insieme al nostro e si è arrabbiato. Non vuole che tu sappia troppo
di noi. È quello a cui stai meno simpatica. Embry mi
ha suggerito di portarti via prima che quell’idiota
fosse venuto ed avesse fatto una scenata.”
“Ah…” esclamai io “Quindi era Embry, Uof” Lui si mise a
ridere, facendo cadere anche qualche popcorn.
“Ti odia per questo! Adesso tutti lo sanno e lo chiamano
sempre così” esclamò lui. Mi venne da ridere anche a
me, anche se non mi piaceva l’idea di inimicarmi licantropi.
“Non se la sarà presa troppo?”
“Nah, figurati” rispose lui
tranquillizzandomi. Calò per un momento il silenzio, tra lo
sgranocchio di popcorn ed alcune molle rotte del divano.
“Senti” iniziai di nuovo seria “Non
hai ancora sentito Bella?” Improvvisamente un mio ricciolo mi sembrò davvero
interessante e decisi di giocarci un po’. Lui smise di mangiare ed appoggiò la
ciotola mezza vuota per terra.
“No” rispose deciso “E poi adesso sarà impegnata per i
preparativi del viaggio” La nota di accidia era appena
percepibile. In altri casi avrebbe dato il meglio di sé per essere odioso.
Adesso c’era piuttosto dispiacere.
“Ah, lo sai anche tu” mormorai io, non sapendo
come ribattere.
“Certo che lo so anch’io. Mio padre e suo padre
sono amici, ricordi?” sbottò lui questa volta. Si fece improvvisamente
serio, pensieroso e terribilmente malinconico. Non c’era più rabbia in
lui; gli era passato quel periodo di totale repulsione. Gli avevo cancellato il
sorriso e me ne dispiacque molto. Divenni pensierosa anch’io; se quel sorriso
non era dovuto pensando a Bella, perché era allora
così felice?
“Mi manca” ammise pieno di nostalgia “La
voglio vedere” Quest’ultimo sembrava più un
ordine detto con furia. Io rimasi zitta. Mi ero promessa di non interferire
troppo. Ma si stava facendo più difficile del previsto
non impicciarsi, cavolo.
Parlai quasi senza rendermene conto, trascinata e
impietosita dalla sua espressione infelice.
“Sai cosa? Potresti farle una sorpresa
quando torna” dissi con convinzione “Uno dei giorni della prossima
settima puoi presentarti a casa sua il pomeriggio. Charlie
ne sarà contento.” Subito dopo però mi venne una grandissima voglia di
mangiarmi le mani. Questa era esattamente quello che mi ero promessa di non
fare, diamine! Non incitare Jacob nelle sue idee
strane. Eppure quei due si dovevano vedere. Questo poi
voleva dire andare contro Edward, che aveva torto;
motivo in più per farlo.
Lui non rispose, ma mi guardò curioso. Continuava a
guardarmi negli occhi, concentrato, come se dovesse cogliere qualcosa dal mio
sguardo. Se ne uscì poi con un suono strano ed un’inspiegabile
ghigno. Perché Edward sapeva leggere i
pensieri ed io no?! Non mi piaceva vedere Jacob pensare in quel modo. Le idee che partoriva erano
dannose.
“Ah, giusto, me n’ero dimenticata, tieni” disse
improvvisamente cambiando discorso per farlo smettere di pensare. Sgarfai nello
zaino vicino al divano, ne tirai fuori i pantaloni grigi e glieli lanciai. Lui
li riconobbe subito.
“Ce li avevi tu! Lo sapevo!” urlò
lui prendendoli ed osservandoli. Fece un verso di disgusto e li lanciò per
terra.
“Odorano di morto!” esclamò lui, riferendosi probabilmente
al sublime profumo dei miei genitori.
“L’hai fatto apposta, non è vero?” cercò di dire minaccioso,
vanamente. Io alzai le spalle.
“Mi sembrava divertente” dissi stando al gioco e guardandolo
con aria di sfida. Lui ricambiò.
“Vuoi vedere cos’è davvero
divertente?”
Non me ne accorsi neanche. Come una
pantera arretrò per poi saltarmi subito addosso. Sprofondai dentro il divano,
soffocando sotto il suo grandissimo peso. Cominciò a farmi il solletico ed io a
ridere come una stupida. Era decisamente molto più
forte di me, quindi non potei fare molto per liberarmi da lui, anche perché se
lo avrei fatto mi sarei fatta male io. Rimanevo quindi lì, a sganasciarmi e a
sopportare a malapena.
“Aha! Allora soffri
il solletico!” dedusse lui, incoraggiato dalla mia reazione a
continuare.
“Sì, ti prego, basta!” Ecco, mi ero abbassata a supplicare
un licantropo.
“Aspetta, voglio sentirti implorarmi ancora un po’!” mi
rispose lui, continuando e continuando ancora.
Non passò molto prima che arrivasse il fine settimana. Mi
alzai abbastanza presto sabato, euforica. Mi vestii e mi accessoriai dei miei
“strumenti da caccia” senza perder tempo. Balzai sulla schiena di papà e ci
dirigemmo subito fuori Forks.
Mi scaricarono non molto lontano dalla zona prestabilita, in
modo che anch’io potessi godermi il viaggio correndo.
Non era lo stesso percorso che avevo
affrontato la volta scorsa, ma era piuttosto simile; stesse rocce umide e
scivolose per il muschio, erba bagnata per la pioggia, alte betulle ed abeti
che oscuravano la foresta. Riuscii pertanto ad orientarmi bene ed ad andare
veloce. Papà non si lamentò neppure una volta. Lui e mamma saltavano agili,
come sempre sugli alberi, che sorvolavano con grandi salti.
“Tutto apposto?” Papà era comparso
all’improvviso vicino a me. Non stava correndo, stava camminando veloce.
Io invece correvo come una disperata. Odiavo quando faceva così. Mi faceva sentire una tartaruga.
Per questo ero stata io stessa a ben consigliare ai miei genitori di stare in
alto. Almeno così non avrei visto il confronto in modo diretto. A mio padre
però quando era in vena piaceva farmi sentire una schiappa. Io non risposi e
cercai di risparmiare fiato. Senza neanche ragionare cominciai ad andare più
veloce. Mio padre se ne accorse.
“Stai forse cercando di superarmi?” esclamò senza il minimo di esitazione. Io invece se avessi parlato sarei morta. Lui
continuava a mantenere quel passo, nonostante i miei sforzi.
“Lo sai che diventa competitiva. Non stuzzicarla” urlò mamma
da su, in modo che sentissi anch’io. Io non le diedi
più di tanto retta e continuai a correre con tutta me
stessa.
“Tanto non ce la fai” commentò in una risata papà. Sembrò
che invece di andare più veloce rallentasse ancora di più, tenendomi però
sempre testa. Le gambe cominciarono a farmi male e presto avrei
dovuto rallentare. Lo presi in contropiede e prima di fermarmi gli
saltai addosso. Lui mi accolse in un abbraccio con una risata. Mi prese il
fiatone e cominciai a respirare affannosamente; non riuscivo neanche a parlare.
“Sei diventata più veloce, sai?” mormorò lui nell’orecchio,
facendomi il solletico con il fiato “Ma meno
imprevedibile.”
Mi girai verso di lui e gli leccai
la guancia. Lui si lamentò schifato.
“Mi correggo, scusa, sei migliorata
anche in questo” borbottò scontento. Soddisfatta, mi lasciai portare in braccio mentre papà ricominciava a correre.
Mi tornò alla mente ancora una volta quanto poteva essere
diverso lo stesso viaggio in groppa ad un licantropo. Bè,
ad un licantropo non avrei mai leccato una guancia. Passarono pochi minuti prima che papà si fermasse e mi mettesse giù.
“Noi andiamo” disse mia madre “Fai quello che fai sempre.”
“Ricevuto” affermai convinta, ormai con i polmoni di nuovo piedi. Diedi loro le spalle e mi distanziai.
Mi immersi nel verde della foresta.
Mi limitai ad una corsa leggera, mentre cercavo di non scivolare sull’erba e
sulle rocce bagnate. Per quel giorno Alice aveva previsto sereno ed aveva avuto
assolutamente ragione. Faceva poi anche abbastanza caldo ed il fresco
venticello della mattina metteva i brividi a contatto con il sudore. Speravo
solo di non ammalarmi.
Mi fermai un momento per riposare alcuni minuti e mettermi
una felpa addosso. Mi misi seduta su un ammasso di pietre molto probabilmente
creato da qualche cacciatore. Non avevo la minima idea di dove mi trovassi, neanche vaga. Mi ero totalmente persa, come
succedeva sempre e come piaceva me. Correre verso una meta che non si
conosceva, vivere il viaggio per quello che era; questo era un altro dei motivi
per cui mi piaceva correre nei boschi, come fosse una
specie di terapia spirituale. Ed in effetti mi faceva
sentire bene, mi rilassava completamente, mi tranquillizzava e
contemporaneamente mi sentivo intraprendente. Se poi
c’era la certezza assoluta che questa volta nessun licantropo mi sarebbe
balzato addosso, andava ancora meglio. Mi rifeci la coda ai capelli e tornai a
correre. L’atmosfera nell’aria era quasi ultraterrena. Niente
rumori e chiasso della città, solo i suoni della foresta che richiamavano una
realtà diversa, lontana nel tempo, quando l’uomo viveva ancora nella natura.
Ero riuscita a riscoprire il vero silenzio standomene nei boschi. Sentivo solo
i miei piedi che correvano, il mio fiato e il
cinguettio degli uccelli. Era primavera inoltrata, era
incominciata la stagione degli amori. Quindi l’aria era piena di uccellini in via di corteggiamento che non facevano altro
che cinguettare, cinguettare ed ancora cinguettare finché non avevano trovato
quello che cercavano; un uccellino maschio o femmina della stessa specie. Se io fossi stata un uccello, sarei stata sicuramente un dodo, l’ultimo sulla terra. Buffo, basso, tanto sfigato che non sapeva neanche volare. E
per questo nessun altro dodo mi avrebbe mai
corteggiato. Un dodo tanto sfigato
che si era innamorato di un falco, il quale era altrettanto sfigato, perché si
era innamorato di un cigno, perdutamente innamorato di un’aquila reale. Ma dopotutto per quanto simpatico, vivace, scapestrato fosse
questo dodo quante possibilità aveva di riuscire a
conquistare un possente e stupido falco?
Pensando a questi argomenti divenni più
intollerante ai pigolii intorno a me. Cominciarono ad innervosirmi
parecchio. Desideravo vivamente che smettessero. Senza farlo a posta i
cinguettii smisero realmente. Mi sentii subito soddisfatta ed allibita per il
tempismo.
Tornai improvvisamente seria e smisi di correre. Scherzi a
parte, era davvero strano che avessero smesso in questo modo, tutti insieme. Ora che anch’io mi ero fermata il silenzio
era totale ed opprimente. Cominciai ad innervosirmi; qualcosa non andava.
Poi qualcosa di pesante e forte mi travolse e mi spiaccicò
al terreno. Sentii il collo lacerarsi, seguito immediatamente da una
bruciatura, come se qualcuno mi avesse messo un tizzone ardente sul collo. Solo
allora venni completamente attanagliata dalla paura di
non sapere cosa stesse succedendo e da uno strano dolore. Era simile all’aceto
su una ferita, solo che lo sentivo nascere e diffondersi da dentro. Usai il
fiato che avevo conservato per correre per gridare forte, strizzando gli occhi.
Mi sentivo bruciare, ma avevo anche freddo. Rimasi immobile, spaventata,
terrorizzata, sperduta.
Il freddo passò quasi subito, ma non il bruciore, anzi,
quello sembrava aumentare ancora di più. Di conseguenza, anche il tono della
mia voce aumentò. Nella mia testa c’era solo la mia
voce che gridava. Improvvisamente se ne andò poi anche
il bruciore. Smisi di gridare per il sollievo, con gli occhi ancora chiusi. Non
avevo ancora la benché minima idea di quello che era
appena successo. Cominciai a respirare affannosamente. La testa mi faceva male,
continuavo ad essere confusa e spaventata, ma mi sentivo bene almeno. Il ronzio
nella mia testa venne interrotto da un suono.
“Abigail, stai bene?” La voce di mia mamma, anche se roca, rimaneva la più bella di tutte.
Aprii gli occhi. Le palpebre erano pesantissime e feci uno sforzo immenso per tenerle
aperte. Riuscii a vedere il viso di mia madre. Era sfuocato, ma era lui.
“Abi, riesci a sentirmi?” disse,
la voce in preda al panico. I suoi occhi risplendevano dorati. Volli
risponderle, ma mi mancò la forza. Richiusi immediatamente gli occhi.
“Abigail, no! Non chiudere gli
occhi” Mi sentivo sfibrata di ogni particella di
energia nel mio corpo. Non avevo forza per parlare, né per tenere gli occhi
aperti, né per ascoltare. Neppure per sentire i latrati ed i ringhi attorno a
me.
Non mi sentivo molto bene. Cioè,
non mi sentivo proprio. Non riuscivo a prendere possesso del mio corpo, a
muoverlo, a sentirlo. Non ero più in lui. Per lo meno, così era all’inizio. Mi
cominciai a svegliare molto lentamente. Molto probabilmente fu un irritante,
forte beep
a svegliarmi. Mi entrava in testa e la spaccava. Aprii lentamente le palpebre,
credendo che fossero diventate pesanti. Invece si
dimostrarono più leggere di quanto pensassi. Un’accecante luce mi
obbligò a sbattere le ciglia più di una volta. Vedevo ancora tutto offuscato,
ma sentii chiaramente un tocco leggero sfiorarmi la testa.
“Ehi, tesoro, come stai?” Era di nuovo la sua dolce voce.
Era straordinariamente vicina. Riaprii gli occhi, per osservare il suo viso. Da
sfuocato che era si fece sempre più chiaro e luminoso. Era uno spettacolo
vedere il suo sorriso perfetto, che le alzava gli zigomi, e lo sguardo
brillante e felice. Fui tanto felice di vederlo che mi venne da piangere, senza
un motivo preciso. Cercai di trattenere il groppo in gola, mentre gli occhi si
facevano umidi.
“Certo che sta bene. È fortissima.”
Mio padre era vicino a mia madre, avvicinò
la sua mano alla mia e me la prese. Sorrisi involontariamente. Mi misi a
sedere, da distesa che ero. La testa mi girò subito, quindi la tenni bassa per qualche secondo. Quando la rialzai non girava più e mi sentivo completamente
lucida. Tornai a rivolgere uno sguardo ai miei genitori, che non si erano mossi, né avevano cambiato espressione. Ero incredibilmente felice di vederli lì, ma anche terribilmente confusa.
Mi guardai intorno; mi trovavo in una piccola stanza con le pareti bianche, le
finestre coperte da leggere tende dello stesso colore. Era pressoché spoglia,
se non per un piccolo tavolino, un armadio ed un letto, su cui c’ero distesa
io. Mi drizzai ancora di più e guardai con aria schifata la camicia, maglia,
cosa che avevo addosso. Come quella di un… Di nuovo quel fastidiosissimo beep. Mi girai
alla mia sinistra e lo vidi. Era un
elettrocardiogramma che faceva quel rumore. Vicino a lui una
flebo scendeva da un sacchetto di plastica pieno di acqua. Poi mi
accorsi che la flebo ed i cavi
dell’elettrocardiogramma erano legati a me. Ero in un ospedale. Mi volsi
curiosa verso i miei genitori. Ora avevano cambiato espressione. Erano tesi,
soprattutto mia madre.
“Cosa è successo?” chiesi tesa
anch’io e terribilmente roca, ma soprattutto terribilmente spaventata. Mi
ricordavo benissimo quella strana sensazione di bruciore, che non sapevo bene
come classificare. Mio padre si girò ed andò a chiudere al
porta di quella stanza a chiave. Indossava il suo camice bianco.
Solamente quando sentì il rumore della serratura mia
madre parlò.
“Victoria ti ha morsa, Abi.” La
sua voce era un lieve mormorio. “Non hai idea di quanto ci sentiamo colpevoli”
mormorò ancora più piano, mentre il suo viso si trasformò in una maschera di
tristezza.
Io sobbalzai e spalancai gli occhi. Eh? No, non era
possibile. Mi portai veloce la mano sul collo, proprio dove avevo sentito il
bruciore. Venni inondata dai brividi quando le sentii.
Le percorsi piano con la punta delle dita e subito le ritrassi spaventata. Due fredde cicatrici a forma di semicerchio a destra del mio collo.
In uno scatto mi guardai subito le mani. Erano sempre
uguali, dello stesso colore scuro. Niente a che fare con le dita bianche ed
affusolate dei miei genitori. Mi risollevai dall’improvviso pensiero che avevo
avuto; non ero un vampiro. Mi rassicurai del tutto; i miei genitori mi avevano salvata. Sì, mia madre era lì perché mi aveva salvata. Ma… come? E soprattutto Victoria come era
riuscita a mordermi? Non se n’era andata da Forks?
Ancora non riuscivo a capire cosa fosse accaduto.
Li osservai attentamente. Se avesse potuto mia madre si sarebbe messa a piangere ed il viso sempre
spensierato di mio padre ora era irriconoscibile. Odiavo vederli così.
“Cos’è successo?” ripetei, questa
volta più sicura. “Com’è potuto succedere? Perché papà non è
riuscita a prevederlo?”
“Sì, ci sono riuscito. Ma non in
tempo” Era disperato e terribilmente in colpa. “Non era stata una sua decisione
predefinita. È stata un’azione improvvisata” La sua voce
divenne più roca della mia. Io li guardai spiazzata.
“Se sei arrabbiata, furiosa con noi
per quello che è successo, hai assolutamente ragione. È tutta
colpa nostra” aggiunse mio padre nello stesso tono.
“Ma voi mi avete salvata!” Sentii
le fredde mani di mia madre prendermi il viso. Mi obbligò a guardarla in
faccia. Mi guardava seria con due occhi ardenti che non avevo mai visto su di
lei.
“Abi.” Benché
fosse un sussurro fu incredibilmente chiaro e sicuro. Suonava quasi minaccioso.
“Ti prometto” sillabò lentamente “che non ti succederà mai niente del genere d’ora in poi. Mai. Dovessi morire.”
Io la guardai confusa e spaventata. Non avevo mai visto mia mamma così protettiva, non a questi livelli. Capii che
non era semplicemente mia mamma quella che avevo
davanti. In quel momento era soprattutto un vampiro, che voleva proteggere a tutto i costi quello che aveva di più caro. Mi sentii
malsanamente confortata. Il secondo dopo sentii le sue
braccia circondarmi lentamente.
“Ci dispiace ancora così tanto” Riacquistò
il tono di poco prima. Sentii papà baciare il palmo della mia mano. Sospirai
cercando di trattenere le lacrime. No, basta, ne avevo
abbastanza dei loro sensi di colpa. Cercai di camuffare un nuovo sospiro in uno
sbuffo.
“Possiamo saltare queste scenate così mi dite con esattezza
cos’è successo?” dissi con un sorriso appena
accennato, per cercare di sdrammatizzare. Quando mamma
si staccò da me vidi un sorriso amaro incorniciarle il viso. Si sedette su una
sedia vicina, mentre mio padre si accomodò sul mio
letto, accarezzandomi la testa con una mano. Mi sentivo meglio anch’io ora che
avevano cambiato entrambi espressione; mi guardavano come se fossi il loro
gioiello più prezioso. Io d’altronde non riuscivo ancora a rendermi bene conto
di quello che era successo.
“Questa volta saprai tutto, Abi”
mi rispose mamma, solo leggermente più calma. Fu mio padre a parlare, cercando
di usare tutta l’obiettività che gli rimaneva.
“Sai che Victoria si era allontanata da Forks,
vero?” Il suo tono era quasi serio. Io annuii decisa, sperando che diventasse
anche lui più sicuro.
“Bene. Carlisle è stato in grado
di darci un resoconto dettagliato di quello che è successo. Questa mattina
mentre noi eravamo a caccia si è nuovamente avvicinata di molto a Forks. Alice però è riuscita a vederla, quindi i Cullen si sono subito mossi, ma non sono riusciti a
prenderla; quella vampira ha una vera predisposizione speciale per la fuga. Sfortunatamente
si è allontanata lungo i confini di La Push.” Io
aggrottai subito le sopracciglia. Immaginavo già quello che era successo.
“Ovviamente c’erano anche i licantropi e sono nate alcune
incongruenze che hanno impedito sia ai Cullen, che a
loro di continuare la caccia. Uno dei licantropi ha tentato di attaccare uno di
noi, credendo che avesse superato il confine. Ognuno quindi ha lasciato perdere Victoria per difendere il proprio gruppo.”
Prima ancora di aprire bocca lui continuò.
“Non è poi successo niente. Uno dei figli di Carlisle riesce a manipolare le emozioni ed è riuscito a
calmare le acque, insieme all’intervento di Carlisle
stesso, che ha parlato con il capo branco.”
Un fratello di Edward
era in grado di manipolare le emozioni?! Chefigata! Non ne sapevo niente. Non espressi in ogni modo il
mio entusiasmo, per evitare di interrompere il racconto di mio padre.
“Victoria però si era già fatta lontana. Si è avventurata a
nord, verso di noi e ha sentito il tuo odore. Alice ha previsto l’intenzione di
Victoria di attaccarti nello stesso momento in cui io ho avuto un brutto
presentimento. Un orribile presentimento.” La sua voce si
voce terribilmente pesata e greve sull’ultima frase. Mamma mise una mano sulla
spalla a papà, che la sfiorò con le sue dita.
“Io e tua madre ci precipitammo da
te, mentre da sud giungevano anche i Cullen, seguiti
dai licantropi.” Papà si interruppe di nuovo.
“Nessuno dei tre sfortunatamente è giunto in
tempo.” Fu mamma a parlare, con voce più sicura di mio
padre, con mia sorpresa.
“Sentii la tua paura” continuò, guardando a testa bassa un
punto indefinito “Ed esattamente come l’ultima volta, mi fiondai da te. Riuscii
a fermarla prima che…” si fermò tentennante. Aveva una
stranissima voce, quasi inquietante. Mamma non aveva mai parlato con quel tono
e mi fece piuttosto paura“…prima che ti uccidesse. Ed avrei
potuto ucciderla, se non fossi stata tu la priorità più grande.” Posò lo sguardo nei miei occhi, con espressione
indecifrabile.
“Tua madre ha succhiato il veleno dal tuo corpo ed è
riuscita a salvarti” concluse papà, con la voce decisa.
“Solo dopo arrivai io, i licantropi ed i Cullen.
Tua madre ha agito con una rapidità, una forza ed un autocontrollo incredibili”
disse con una nota di venerazione nella voce. “Cercammo
di rianimarti sul momento, ma eri troppo provata. Abbiamo dovuto portarti immediatamente
in ospedale.”
Io rimasi totalmente allibita. Quello che mi era successo
era stata davvero questione di secondi. Neanche un minuto. E
mamma era riuscita a scacciare Victoria e a… succhiarmi il sangue. Proprio come
Edward aveva fatto con Bella tempo fa. Sapevo che
l’odore del mio sangue non le aveva mai sorprendentemente fatto niente, ma il
sapore... Credevo che almeno quello provocasse
qualcosa. Invece niente. Riusciva a sopportare tutto di me. Mi confusi terribilmente. Non sarebbe successo lo stesso con
papà, seppur anche con lui avessi uno speciale legame. Anche per lo stesso Edwardnon era stata affatto una
passeggiata. Era davvero troppo strano e curioso il
comportamento di mia madre nei miei confronti.
“Siamo rimasti a dir poco terrorizzati per quello che è
successo” riprese mamma greve “Sia noi, che i Cullen. Non pensavamo che poteste, tu o Bella, rimanere
coinvolte in questo modo.”
Bè, per fortuna Bella non c’era,
era in Florida. Avrebbe potuto succedere a lei e non a
me, chi lo sa. Comunque, non credevo che Victoria mi
avrebbe attaccata, se non fossi stata nel luogo sbagliato al momento sbagliato.
Ma… era stata realmente una fortuna, che Bella se ne fosse
andata? I Cullen conoscevano le mosse di
Victoria... E se il viaggio in Florida fosse stato
tutto programmato per questa evenienza da quell’ossessivo
compulsivo di Edward? Non era da scartare come opzione.
“D’ora in poi penseremo a proteggerti in ogni modo, finché
questa storia non sarà finita” disse categorico papà. Lo guardai sorpresa per
quel tono inappropriato su di lui. “Torneremo ad abitare a
casa Cullen.” Ora fui realmente sorpresa.
“E… e i Cullen?”
chiesi sbalordita, come primo pensiero.
“Andremo a vivere con loro” chiarì mamma seria. Io spalancai
la bocca. Saremmo andati a vivere con i Cullen?! Guardai prima mia madre, poi mio
padre. Erano terribilmente seri; non stavano scherzando.
Non aveva senso. Si erano fatti prender dal
panico, dovevo immaginarlo. Ora credevo che stessero esagerando tutti e due.
“Ma… perché?” sbottai ancora
sorpresa io “Non… non c’è motivo. Victoria non vuole me! Vuole Bella!”
“Su questo ti sbagli” disse, in un tono leggermente più
basso, mamma. Io suoi occhi penetranti mi stavano
fissando “Vuole anche te” Io mi confusi ancora di più.
“Perché?” sussurrai smarrita.
Intervenne mio padre, con la stessa serietà di mamma.
“Nel tentativo di allontanare Victoria da te, tua madre le
ha staccato il braccio destro e gran parte dei capelli, con la sola forza delle
mani.” Io rimasi ancora zitta, solamente più
impressionata. Non riuscii a immaginarmi mia madre
mentre strappa via il braccio di un altro vampiro.
“Le vampire solitamente sono gelose del proprio corpo; non
può cambiare e se viene sfigurato rimarrà tale per
l’eternità” continuò mio padre. Ne sapevo qualcosa; non mi ero dimenticata
dello sfregio di mio padre.
“Tua madre le ha strappato metà dei
capelli. Tu sai che ai vampiri non ricrescono. La sua bellezza quindi è
rovinata per sempre.” Io rimasi ancora zitta, non capendo
ancora cosa diamine c’entrassero i suoi capelli con me.
“È logico intuire che stia covando
un grande odio verso tua madre per quello che le ha fatto.” Bene, adesso questa
psicopatica ce l’aveva anche con mia madre.
“Ma è infuriata con mamma, non con
me” dissi in un filo di voce, ancora confusa.
“Ma è molto più probabile che
attacchi te. Ha capito che stavo proteggendo te, che sei
importante per me” s’intromise mamma. “È molto più facile attaccare un’umana, che
una vampira, Abi.”
Ora avevo capito. Tutto questo era
totalmente assurdo, ma assolutamente possibile. Lo stesso vampiro che
aveva deciso di vendicarsi del proprio compagno, uccidendo il compagno
dell’uccisore, non avrebbe avuto problemi ad uccidere ciò che colei che le
aveva strappato braccio e capelli considerasse
importante. Compagno per compagno, cosa importante per cosa
importante. Anche se mi dava un leggero fastidio essere paragonata a un po’ di capelli e a un braccio. Quella vampira era una
vera psicopatica.
Così, anch’io ero entrata nel suo elenco di cose da fare,
insieme a Bella. Ora non era l’unica ad essere cacciata da una vampira. Non mi
sentivo però agitata tanto quanto i miei genitori. Ora comprendevo anche la
loro ansia e la loro irrevocabile decisione.
Improvvisamente l’idea di stare a casa da sola,
lontana trenta minuti da Forks, mentre molto
probabilmente un vampiro mi dava la caccia, non mi piacque per niente. Avevo
però ancora qualche dubbio sul trasferimento a casa Cullen.
“Non credete che la mia presenza darebbe loro qualche
fastidio?” Mi venne automatico pensare a quello che era successo al compleanno
di Bella. Avrei creato tantissimi disagi agli abitanti di quella casa e non volevo essere un peso per nessuno.
“Di questo non ti devi preoccupare” La voce di papà era
tornata calma e razionale “Ne abbiamo discusso con
loro; è vero, alcuni membri della famiglia sono particolarmente sensibili
all’odore del sangue. Sono stati tuttavia queste stesse
persone a garantirci che hanno superato parte di questi problemi e che non ti
succederà niente.”
“E se per sbaglio mi taglio?”
dissi, richiamando una situazione già vissuta dai Cullen.
Gli spuntò un piccolo sorriso.
“Sono sicuro che non succederà.” Mi fece poi l’occhiolino.
Ah… avevo capito dove veniva fuori questa trovata. Il potere di mio padre gli diceva che la cosa giusta era andare a vivere dai Cullen. Mia madre prese la mia
mano.
“Sarà solo una situazione temporanea, Abi.
Finché questa storia non sarà finita” disse dolce, di
nuovo con un sorriso “È grande come casa, non ci saranno problemi di spazio. Inoltre è molto più vicina a Forks.”
Guardai attentamente prima mio padre, poi mia madre.
Non avevo ben capito se potevo scegliere o era già tutto deciso. Sospirai
profondamente.
“Quando ci traslochiamo?”
“Già fatto” mi comunicò mia mamma
con un sorriso. Ah… non avevo scelta. Sarei andata subito a vivere con altri
sette vampiri. Riflettendoci però la cosa non mi sembrava tragica; avrei fatto
quello che facevo sempre, quando abitavamo là. Più ci pensavo, più accettavo l’idea.
“Tu come ti senti adesso?” disse mamma, sfiorando la guancia
con la mano. Io annuii sincera. Mio padre si avvicinò e mi tolse in un attimo la flebo dalla vena.
“Cominciamo col togliere questo.” Prese i cavi collegati
all’elettrocardiogramma e tolse anche quelli “E questi; non ne hai più bisogno.
Riesci a camminare?”
Mi tolsi le coperte e mi misi in piedi. Fui per un attimo
disgustata dal colore della camicia che indossavo, ma per il resto stavo bene.
Guardai mio padre ed annuii convinta. Mi sentivo realmente bene. Mio padre
prese la cartella allegata al letto e la firmò con uno svolazzo, mentre mia
madre si alzava dalla sedia su cui era seduta.
“È ufficialmente dimessa, signorina Adams”
comunicò con il suo sorriso da testimonial di dentifricio.
“Ricevuto, zio” risposi a tono per prenderlo in giro.
“Ti aspettiamo fuori mentre tu ti
cambi” disse mia madre, uscendo dalla porta insieme a mio padre.
Mi tolsi immediatamente quella cosa che avevo addosso e mi
vestii con i miei vestiti messi sulla sedia. Per curiosità scostai poi la
finestra della piccola camera. Eravamo all’ospedale di Forks.
Il cielo si era fatto improvvisamente nuvoloso. Strano, non era così quella
mattina. Il tempo era cambiato così velocemente? Mi girai di scatto in cerca di
un orologio. Sul soffitto ne vedi appeso uno. Era mattina tardi. A me però
interessava il giorno. In basso a destra, vicino al quattro, spuntava un
rettangolino che segnava i giorni. Caspita! Avevo dormito un giorno! Credevo decisamente molto di meno.
Prima di uscire dalla porta afferrai
curiosa la cartellina sopra il mio letto. Alla voce sintomi c’era
scritto svenimento dovuto ad intossicamento. Bhè,
almeno erano stati sinceri.
Raggiunsi i miei genitori ed uscimmo dall’ospedale. Il
tragitto dalla stanza dell’ospedale alla Lamborghini
di mio padre fu abbastanza divertente. I colleghi di mio padre lo salutavano
passando senza alcun problema. Le colleghe, invece, arrossivano come pomodori
maturi ed alcune neanche lo facevano, per la presenza di mamma vicino. Loro
vicino a me facevano finta di niente. O così sembrava.
Era davvero duro il lavoro di mio padre in queste condizioni. Tutti ci
lanciavano occhiate stupite. Si domandavano sicuramente cosa ci facesse tutta
la famiglia Adams riunita nell’ospedale. Visto che
quella era una piccola e pettegola città, non credevo
dovesse passare molto tempo prima che la voce del mio “svenimento dovuto ad
intossicamento” fosse nota a tutti. Finita la passerella salimmo
in auto.
Mio padre partì spedito verso casa Cullen, supposi. Ebbi un piccolo dejà-vu, seduta sul
sedile posteriore. Mi ricordai improvvisamente del primo giorno qua a Forks. Il tempo non era così brutto, però. Ripensai a
quanto avevo detestato quella casa quando l’avevo
vista per la prima volta. E poi il primo giorno di
scuola. Era stato il primo giorno di scuola più emozionante e, lo confesso,
bello che avessi mai avuto. Da quel giorno era cominciata
un’esistenza movimentata piena di sconvolgenti scoperte. Avevo
incontrato Bella, ero venuta a sapere dei Cullen,
più tardi Victoria e poi i licantropi. Già, i licantropi; gli
esseri umani e non, più strani che avessi mai visto. Nonostante il primo
terrificante incontro, dovevo ora ammettere che erano
loro la sorpresa più grande che avevo ricevuto da questa città. Sobbalzai
all’improvviso. Oh, cavolo! I licantropi!
“E i licantropi?!” esclamai in uno
scatto, facendo spaventare mamma davanti di me. “Come… come hanno reagito?
C’erano anche loro, no? Sanno che Victoria ora vuole anche me?” Mi immaginavo già il peggio: io svenuta per terra con mia
madre vicina. Conoscendoli avrebbero perso subito il controllo, credendo
malsanamente che magari fosse stata lei a cercarmi di
uccidermi! Non aveva alcun senso, ma appunto per questo ero sicura che lo
pensassero.
“Sì, lo sanno. E sì, si sono allarmati
anche loro, ma non hanno attaccato, né noi, né i Cullen.
Si sono tenuti alla larga, a osservarci, aspettando
che facessimo un passo sbagliato con te, mentre cercavamo di farti riprendere i
sensi” mi rispose papà, sorpreso anche lui dal mio spavento. Era ovvio, appena
ero certa di aver capito un minimo della loro logica, ecco a far tutto
l’opposto. Almeno ero felice che non avessero attaccato come prima reazione.
“Ad eccezione di uno, che non smetteva di dimenarsi” esclamò
mamma, un po’ stizzita. Oh… non serviva che le chiedessi
di che colore aveva il pelo. “Neanche i suoi compagni sono riusciti a tenerlo
fermo. Sai chi è?” fece lei curiosa.
“Sì” risposi di malavoglia. Mi misi una mano sulla fronte,
scuotendo la testa. Non lo avrei mai ammesso, ma ero
felicissima che Jacob si fosse preoccupato così per
me. Cercai di trattenere un sorrisino. Appena avrei potuto,
lo avrei come minimo dovuto chiamare.
“Si stava preoccupando molto per te” mugugnò mio padre,
sospettoso. Mia madre non commentò ed io rimasi zitta, non avendo nulla da
dire. Mamma appoggiava la mia amicizia con i licantropi, ma
papà? Voleva che mi limitassi ad andare a La Push e
basta? Andare a La Push per dimostrare di star bene
era una cosa, stringere amicizia con i licantropi era un’altra.
Era importante per me il giudizio dei miei genitori sulle
compagnie da frequentare. In questo caso, giudizio era una parola grossa.
Approvazione andava meglio.
Tempo solo dieci minuti ed eravamo già giunti a casa Cullen. Pardon, casa nostra. Mi sembrava così strano
vederla di nuovo. Anzi, fu strano; era come la prima volta. Avevo imparato che
“casa nuova” era uguale a “vita nuova”. Questo poteva
essere adattato anche in questa situazione, seppure la casa non fosse nuova.
“I Cullen sono desiderosi di
conoscerti” disse mamma. Era positivo; da quando ero
tornata da Volterra ne avevo visti solo tre. Non capii mai appieno il motivo per cui i miei genitori non me li fecero mai presentare
prima. Forse gli davo fastidio, essendo un essere umano. Sarebbe però del tutto
contrario a quello che stava succedendo ora.
Entrammo nel solito bianco salotto. Sembrava appartenere ad
una casa del tutto diversa da quella dove mi ero trasferita. Per iniziare,
nessun tappeto persiano a terra. I muri erano tornati bianchi e alle pareti
c’erano bei quadri mai visti prima. Ma soprattutto,
quando c’ero io, non c’erano sei vampiri sconosciuti che mi fissavano.
Li guardai per un momento sorpresa.
Non avevo mai visto così tanti vampiri non disposti a mangiarmi fino ad ora.
Erano poi tutti così simili; lo stesso sguardo, gli stessi
lineamenti perfetti. A guardali bene sembravano
davvero imparentati e la copertura dell’adozione un po’ vacillava. Notai subito
Alice. Anzi, la sentii subito; senza che me ne accorgessi
mi abbracciò, facendo attenzione a non stringermi troppo.
“Ciao Abigail” disse guardandomi
poi con i suoi occhioni dorati, molto più grandi da
quella distanza. “Benvenuta a casa nostra.” Questo sì che era
un benvenuto. Si scostò da me, in modo da presentarmi anche gli altri componenti della famiglia.
“Lei è Esme.”
Con il gesto di un indice, che per un attimo mi sembrò il
tocco della bacchetta di una fata, mi indicò la
vampira vicino a Carlisle. Doveva essere la sua
compagna, quella di cui non mi ricordavo il nome. Era più vecchia di Alice, ma non troppo. Tra lei ed Alice ci doveva essere più o meno la stessa differenza di età tra me e mia madre.
Aveva dei voluminosi capelli castano rossastri e per
un attimo mi domandai come facessero a non essere crespi. Mi sfoderò un sorriso
e si avvicinò cautamente a me. Mi porse educatamente una mano, che io, presa
alla sprovvista, tentennai prima di stringere.
“Piacere di conoscerti, Abigail. Siamo felici di ospitarti in casa nostra” disse quasi
commossa.
Tra tutti i vampiri lì presenti ad un primo acchito fu
quella che mi spaventò di più: aveva un modo di fare, un sorriso, un tono di
voce, identico a quello di mia madre. Sembrava essere una fotocopia non venuta male, ma diversa di mia mamma. Come una gemella. Non capii
davvero perché mi diede questa inquietante sensazione.
“Carlisle lo conosci già” continuò
Alice.
“Ci fa piacere sapere che stai bene” disse, mentre una linea
sinuosa di preoccupazione si incastonò silenziosa
nella sua bianca fronte. Io mi limitai a rispondere con un sorriso. I miei
occhi poi scattarono più a sinistra, sulla figura più imponente delle sei. Mi
ricordava molto Jacob, per quanto riguardava la corporatura.
Era davvero grosso. I vampiri erano già forti di loro, lui
però sembrava esserlo il doppio. Avrebbe potuto incutere una certa paura
se non fosse stato per quel suo sorriso. Era il sorriso più simpatico e
spiritoso che avessi mai visto, amplificato dalla cascata di riccioli neri e
giocosi che aveva in testa. Purtroppo primo anche rispetto a quello di Jacob. Mi fece immediatamente una buonissima impressione. Alzò
una mano in segno di saluto, come fanno gli indiani per salutare, mentre dicono “augh”. Oh… questo era già
il terzo paragone che facevo con Jacob. Io gli
risposi portandomi l’indice ed il medio della mano destra sulla fronte,
imitando il saluto della marina. Lui sfoderò la sua dentatura perlacea.
“Loro sono Emmett e Rosalie.”
Non mi ero dimenticata di lei, della vampira che si trovava
vicina ad Emmett. Anzi, fu la prima che attirò la mia
attenzione, in realtà. Mi mise subito una grandissima soggezione, che però passò subito. Era la vampira più bella che avessi
mai visto. Bionda, un fisico, bhè, perfetto era forse
poco, labbra carnose. Sembrava una Barbie
pallida. Portava però con eleganza quella sua bellezza; non la vendeva con il
suo atteggiamento. Insomma, niente a che fare con quelle galline strafirmate. Soprattutto perché non mi guardava con altezzosità, né con
disgusto, ma con curiosità. Cioè, tutti appena
entrata mi avevano rivolto uno sguardo curioso. Quello degli altri però non
durò che alcuni secondi.
“E lui è Jasper.”
Alice svolazzò accanto a Rosalie, sorpassandola. Si avvicinò ad un vampiro
vicino alla bionda, ma distante a sufficienza da non notarlo. Gli prese la mano
e lo fece avanzare di qualche passo. La prima persona che mi venne in mente
vedendolo fu un attore famoso. Anche lui era molto bello, ma non mi fece lo
stesso effetto di Emmett. Anzi,
forse il contrario. Mi trasmise… tristezza. Se ogni persona fosse collegata a un colore, per lui sarebbe il grigio. Mi fece un piccolo sorrisino
quasi impercettibile come saluto. Faceva un
grandissimo contrasto con la giocosità di Alice.
Sembrava essere teso, infastidito. A quel punto mi fu facile dedurre che, tra i
due, il fratello che tentò di uccidere Bella fosse
lui.
Mi arrabbiai subito. I miei genitori avevano detto che non c’era alcun problema, tanto non avrei
infastidito nessuno. Bhè, non mi sembrava che proprio
tutti…
“Perché sei arrabbiata?” chiese
sorpreso Jasper. La sua tensione ora aveva lasciato posto
alla sorpresa. Io lo guardai confusa, aprii bocca quando
mi ricordai che probabilmente era lui che sapeva controllare le emozioni. La richiusi subito quando non seppi cosa rispondere. Mi
accorsi poi che tutti i vampiri di quella stanza mi stavano osservando. Oh. Che
figura di…
“Non sono arrabbiata” biascicai in imbarazzo…. e dai! Come poteva essere credibile Non sono arrabbiata ad uno che sapeva leggermi le emozioni?! Schifo, schifo, schifo, schifo! Jasper mi lanciò un’occhiataccia. La situazione però venne salvata in tempo da Alice. Si avvicinò in un soffio a
me e mi prese per mano.
“Ti faccio vedere la tua camera, Abigail”
mi condusse veloce verso le scale. Non ebbi il tempo di vedere in faccia
nessuno. Facemmo veloce le tre rampe. Al terzo piano ce n’era una che non
ricordavo. Il che era grave, visto che la mia camera si
trovava al terzo piano una volta. Portava ad un ulteriore quarto piano.
C’era un quarto piano? Avevano restaurato ultimamente la casa? Alice mi fece
salire anche l’ignota scala in legno. Portava ad una
porta nel soffitto, che Alice aprì. Che stupida; non
era il quarto piano, era la soffitta.
“La tua camera, spero di piaccia”
mi disse soddisfatta “Ah, una cosa, le altre stanze non sono accessibili. Sono
piene di scatoloni da dare in beneficenza.”
Io ero senza parole. Era… enorme. Ricopriva tutta casa Cullen ed era divisa da pareti in
legno, che delimitavano le stanze di quello che era un enorme appartamento.
Alla mia stanza si entrava da una porta, in legno anch’essa immediatamente dopo
quella nel pavimento. Era almeno il doppio più grande
di quella dorata. Era tutta rivestita in legno, pareti
e pavimento. Vidi il mio letto, la mia scrivania, il
mio armadio collocati nella stanza, nella stessa disposizione di sempre. La
cosa più importante era il letto, affiancato alla finestra parete, presente
anche lì. Vidi Alice volare verso il centro della stanza.
“Ai mobili ci hanno pensato i tuoi genitori.” Si avvicinò alla parete destra della stanza e spalancò una
porta che da quella posizione che non riuscii a
vedere.
“E questo è il bagno.” Mi
avvicinai. Sì! Un bagno attaccato alla camera!
“Una Iacuzzi?!”
esclamai. Era strano che quel bagno non fosse in oro. Era stupendo. Era in
marmo e al centro invece di vasca da bagno o doccia c’era una Iacuzzi. Idromassaggio. Godevo già all’idea di provarne
uno.
“Va bene lo stesso?” chiese Alice impensierita
“Ma non te n’eri mai accorta?” Io scossi la testa, uscendo dal bagno.
Quella casa era talmente tanto grande che non sarei riuscita a vederla tutta
neanche in un giorno intero.
“Non ero mai stata quassù” ammisi sedendomi sul letto. Lei
si mise al centro della stanza, mani sui fianchi.
“Allora?” chiese con aria furbetta.
“Uau
è soddisfacente?” dissi balbettando un poco. Lei annuì sembrando soddisfatta. L
’emozione iniziale un po’ si
alleviò. Sarebbe stato stancante andare su e giù continuamente, facendo tre
piani più di due volte al giorno. Quella grandezza
inoltre stava diventando paradossalmente claustrofobica.
“Per curiosità, perché proprio quassù?” Dubitavo che non ci
fosse una qualsiasi camera libera ai piani inferiori. Lei mi sfoderò un sorriso
imbarazzato.
“Solo… per precauzione.” Io mi incupii.
Diamine! Lo sapevo! Mettevo tutti sottotorchio
comunque. Non andava affatto bene la mia presenza. Stavo
per iniziare a sbuffare.
“Oh, Abigail!” In uno scattò si
avvicinò a me e mi abbracciò il doppio più forte di
quanto abbia fatto prima.
“Alice, soffoco” mormorai con il respiro corto. Lei si
staccò subito.
“Scusami” biascicò guardandomi inquieta. “È stato orribile
quello che è successo. Sono rimasta paralizzata dalla paura
quando ti ho vista…” Stava andando in escandescenza. Era meglio se la
smetteva, prima di dare fuoco a tutto. Io le misi una
mano sulla spalla.
“Tranquilla, Alice.” Lei mi guardò sconsolata ed annuì
freneticamente la testa. Faceva tenerezza quando si
preoccupava. Si sedette a gambe incrociate davanti a me.
Aveva cambiato subito espressione. In questo assomigliava molto ad Edward. Mi guardava sospettosa e sorpresa. Continuò per un
paio di secondi prima di parlare.
“Perché eri arrabbiata con Jasper?” Ecco, di nuovo l’imbarazzo. Forse arrossii anche
un poco. Presi il cuscino dietro di me e cominciai a giocarci interessata.
“No, non sono arrabbiata con lui, figurati. Sono arrabbiata
con… sono arrabbiata e basta” dissi alla fine. Lei
rimase zitta, aspettando che continuassi. In effetti… che risposta…
“Gli do fastidio” ammisi alzando gli occhi “Non voglio che
succeda.” Alice mi prese la mano dal cuscino.
“Jasper non ti farà male” disse
con voce d’angelo. Io scossi frenetica la testa.
“Ne sono più che certa! Ma…” feci
un respiro profondo “Lo rendo inquieto, si vede. Non voglio che la mia presenza
sia una condanna ” risposi infine. Lei aguzzò gli
occhi.
“Quindi è per questo che ti sei
arrabbiata?” Io corrugai la fronte.
“Non è un buon motivo?” Lei mi sorrise. Non era quello
solito, a trentadue denti, che sprizzava gioia da
tutte le parti. Questo era pur sempre a trentadue denti, ma era… timido.
Sembrava nascondere qualcosa di misterioso.
“Non devi angustiarti per lui. Anche se devo dire che mi fa piacere che tu l’abbia detto” disse serena.
Io la osservai per due secondi. Quel suo strano sorriso, quelle parole…
“Ma lui è il tuo…” Mi interruppi
subito. Come definirlo in rapporto ad Alice? Ragazzo era da escludere,
fidanzato era pacchiano, amore della vita esagerato…o forse no.
Feci un’espressione strana, vicina al disgusto, anche se in realtà le mie
considerazioni erano ben lungi dall’esserne vicine. Lei capì per fortuna al
volo.
“Sì” rispose decisa, quasi fiera. Io ciondolai la testa,
come affermazione.
“Sai” riprese dopo una piccola pausa “Lo hai
sorpreso. Non è facile sorprenderlo.” Io alzai le sopracciglia. Uau, che paroloni. Ma alla fine, chi non avevo
sorpreso in quella famiglia? Ero la figlia dei vampiri! Se
poi mi arrabbiavo davanti ad un vampiro che non mi conosceva neanche, era ovvio
che si stupisse. Forse mi credeva una svampita...
Alice si alzò con un elegante saltello dal letto.
“È meglio se ora ti conceda qualche minuto umano.”In effetti la Iacuzzi
chiamava….
“Va bene” dissi alzandomi anch’io.
“Per qualsiasi cosa, chiamami.” Il secondo dopo si era
volatilizza. Sobbalzai. Mamma o papà non facevano mai
così; almeno fingevano uscendo dalla porta.
Mi fiondai direttamente in bagno ed aprii l’acqua della Iacuzzi, aspettando che fosse calda prima di riempirla. Ci
misi tanto bagnoschiuma ed accesi l’idromassaggio. Le bollicine e la schiuma
aumentarono. Mi svestii in fretta per tuffarmici dentro. Mi fermai però a metà.
Me n’era totalmente dimenticata. Dovevo telefonare a Jacob.
Doveva essere in ansia e questa volta credevo proprio che anche i suoi compagni
condividessero lo stato d’animo. Andai a prendere il telefono e cercai il
foglietto su cui una volta Jacob avevo scritto il suo
numero di casa. Poi mi buttai dentro la vasca; avrei potuto benissimo fare le
due cose contemporaneamente. Sprofondai nell’acqua, mentre venivo
scossa dai potenti getti d’acqua. Questa sì che era vita! Solo dopo aver
collaudato nei particolari l’idromassaggio composi il numero
di Jacob. Aspettai che qualcuno rispondesse, ad occhi
chiusi. Non dovetti aspettare molto.
“Pronto.” Sentii chiara e forte la voce di Jacob irritata ed infastidita. Era lo stesso tono di una
persona che aveva avuto una giornataccia.
“Potresti essere più gentile quando
rispondi al telefono?” risposi, sempre con gli occhi chiusi, con tono più
sereno del solito.
“Abigail?!”
La sua voce cambiò improvvisamente e mi fece sobbalzare. “Sei tu?! Cristo… Stai bene?” Mi sorpresi di quanto agitato fosse.
“Sì, sto bene...”
“Non hai idea di... Credevo fossi
morta” sbottò ancora per niente tranquillo e del tutto serio.
“Jacob, ora calmati, dico davvero.
Stai esagerando.” Figuriamoci se mi ascoltava una buona volta.
“Non doveva succedere. AncheSam è agitato…” Io sospirai, lasciandolo sfogare. Si dava colpe che non aveva.
“No, Jacob, non è stata colpa
vostra. Mi hanno raccontato tutto…”
“… Se non avessimo perso tempo con i succhiasangue
tu non avresti rischiato di morire.” Rimasi zitta, spaventata dal suo tono
arrabbiato.
“Non rischierai più in questo modo. È una promessa mia e dei
miei compagni” Non parlai. Mi scostai lentamente dal
getto d’acqua; mi sentivo un po’ in pena a godermela in quel modo, mentre ero
sicura che Jacobmi immaginava
agonizzante su un letto. Rimasi sbigottita. Le sue parole erano molto simili a
quelle dei miei genitori. Lui sospirò.
“Quando vieni a La Push? Ho bisogno
di vederti” chiese implorante. A stento trattenni un
sorriso per la felicità.
“Presto, Jacob” risposi
inevitabilmente felice.
“Domani?” disse impaziente.
“Domani ho lezione” risposi. Lui sembrò deluso.
“Ah… non importa, fa lo stesso” disse subito ripreso. “Tu
stai davvero bene?”
“Sì, Jake, sto davvero bene.
Meglio di quanto tu pensi” dissi mentre giocavo con la
schiuma della vasca.
“È stata la tua…?” si interruppe
senza continuare. Capii quello che voleva dirmi lo stesso.
“Sì, è stata lei” risposi leggermente fiera, come Alice,
parlando di Jasper.
“Ah…” fece lui dubbioso e sorpreso che i
vampiri non solo uccidevano vite, ma anche le salvavano di tanto in
tanto. Seguì un lungo momento di silenzio.
“Ti ringrazio per aver chiamato” fece alla fine.
“Qualcuno mi ha detto che eravate
in pensiero per me…” mi giustificai io.
“Mh…” rifece lui. Passarono ancora
alcuni secondi. “Bhè, allora ci vediamo?”
“Sì, ci vediamo” dissi sorridendo automaticamente “Ciao, Jacob”
“Ciao, Abi” Misi giù prima di lui.
Cominciai a giocare con la schiuma, con un sorriso ebete sulla faccia. Jacobera preoccupato per me. Mi faceva
toccare il cielo con il dito. Doveva dispiacermi vederlo in pensiero ed
agitato, ma questo dimostrava che anch’io contavo per lui. Al pensiero poi che
mi voleva vedere al più presto, andavo in brodo di giuggiole. Cominciai a
tirare la schiuma in aria, prima di rendermi conto di quanto sciocca
ero. Per un attimo, solo per un attimo, avevo pensato di essere al pari di
Bella, che valessi come lei. Che
sciocchezza. Si stava preoccupando da amico. Lui non amava
me, amava lei.
Spensi del tutto l’idromassaggio. Mi andava
però bene così; cercavo di farmela andare bene così. Dovevo. Volevo
restare sua amica più di quasi altra cosa. Con il suo comportamento aveva
dimostrato quanto io contavo per lui. Doveva bastarmi. Ma
purtroppo non era così.
La mia mano scivolò un attimo sul mio
collo. Ne tracciai il contorno e tremai all’idea di essere stata così vicina
dal diventare un vampiro o di morire. E tutto era
successo così velocemente che non avevo avuto il tempo di accorgermene.
Tolsi subito il tappo dell’acqua. Quel bagno mi aveva agitata anziché rilassata. Mi asciugai e mi vestii
velocemente. Mi feci tre rampe di scale prima di arrivare all’ingresso. Decisi
di andare a fare la spesa per distrarmi un po’; non credevo che in una casa di
vampiri ci fosse del cibo. Entrai in salotto. Era deserto, a parte Emmett che stava guardando poco interessato una partita di
baseball. Mi diressi spedita verso la porticina che dava sul garage. Stavo per
mettermi a gridare, avvertendo mamma o papà o qualcuno che me ne andavo, ma poi ci pensai bene. Non ero a casa mia, in
teoria. Ero un ospite; sarei stata maleducata se mi fossi messa ad urlare.
Tornai indietro, mentre mi apprestavo a chiamare mia madre. Prima ancora di
sentir parlare sentii delle risate provenire dalla
cucina. Entrai e crollai. Mia madre stava mostrando ad Esme
il mio album di fotografie, fatto interamente da papà. Lì dentro c’era tutta la
mia vita, in pratica. Compleanni, eventi importanti; mio padre era molto
meticoloso. Diceva sempre che quando sarei stata vecchia mi avrebbe fatto
piacere averlo. In effetti aveva ragione. Ma come giusto che fosse, il momento di fare la foto era sempre molto
palloso.
“Qua aveva quattro anni” mormorò commossa mamma.
“Oh… che amore” rispose Esme,
commossa anche lei. Io le guardai terrorizzata. Ecco, avevo capito perché erano
così spaventosamente uguali; entrambe covavano un amore eccessivo per i
bambini. Facevano entrambe parte del gruppo di mamme
incallite. Mamma mi volse uno sguardo.
“Sto facendo vedere ad Esme il tuo
album di fotografie”
“Vedo…” dissi per niente entusiasta. “Sei arrivata a quando
mi sono versata il piatto di spaghetti in testa?” Ebbene, per mio padre anche
questo era da considerarsi un evento importante.
“Eri davvero una splendida bambina” si complimentò Esme. Venni messa per un attimo in
soggezione dalla sua gentilezza.
“Gr… grazie” balbettai
io, per subito dopo tornare in me stessa “Vado a fare la spesa” dissi
per svignarmela subito.
“Esme è stata così gentile da
occuparsene lei” mi avvertì mamma. Io mi girai di
scatto, guardando Esme sorpresa. Le
si dipinse un piccolo sorrisino.
“Non è nulla” si giustificò lei.
“Grazie, Esme” la ringraziai. Lei
sventolò una mano.
“Figurati” disse lei, riprendendo a vedere le mie
fotografie. Andai al ripiano dove una volta tenevo i cereali. Speravo di
trovarli ancora lì… Ed infatti c’erano. Afferrai un
pacchetto di crackers e lasciai la stanza. Ero rimasta realmente intenerita dal
gesto di Esme. Era una
persona di gran cuore. Mi ci affezionai subito, dopo lo stravolgente
impatto iniziale. Sembrava una specie di zia…
Mi diressi dritta verso camera mia, ma mi fermai ancora una
volta. Mi avvicinai al divano bianco su cui era seduto Emmett
e mi appoggiai allo schienale, mentre sgranocchiavo. Fissai curiosa per alcuni
istanti il televisore al plasma lungo almeno quanto me. Stava trasmettendo una
partita di baseball, il volume era azzerato. Non ci avevo mai capito niente di
sport che non fosse break dance o c’entrasse con l’hiphop o la corsa o le moto. Venni però
incuriosita da quelle piccole figure che correvano agitate per tutto il campo.
Del baseball sapevo solo che bisognava tirare la palla e poi iniziare a
correre. Pensandoci bene non era affatto male come
sport per me, a parte il fatto che non avrei saputo centrare la pallina da
colpire. Ero ancora più curiosa per il fatto che proprio un vampiro lo stesse
vedendo. Mio padre non era mai stato un tipo sportivo e non lo avevo mai
sorpreso a vedere una partita di un qualsiasi sport. Mi aveva detto che la loro lentezza gli annoiava terribilmente.
Tipico di lui.
“Scusa, ma non ti annoi a vederli?” chiesi curiosa, con al bocca piena di crackers. Vicino a me Emmett, lo sguardo perso nel megaschermo, alzò lievemente
le spalle.
“Un po’ sì. Non è però difficile farmelo piacere. In alternativa non c’è molto da fare” disse rivolgendomi un
simpatico sorriso di rammarico. Io annuii la testa, capendo. L’eternità dava
anche questo tipo di fastidio. Essendo un vampiro, inoltre, lo standard delle
cose che si riusciva ad apprezzare si alzava.
“Aspetta. Voi giocate a baseball?” sbottai
io di scatto, ricordandomi delle parole di Bella di tanto tempo fa.
“Sì” rispose lui, con un mezzo sorriso “Ed
è molto più divertente di questo” disse indicando il televisore al
plasma. Lo guardai per un attimo, impensierita.
“Mi piacerebbe vedervi giocare”
“Quando ci sarà l’occasione, lo
vedrai”
“Cosa intendi per occasione?” chiesi confusa. Lui mi
rivolse un sorriso furbetto.
“Quando c’è un temporale. Con le
mazze da baseball facciamo piuttosto rumore” disse con
sguardo d’intesa. Lo guardai per un paio di secondi, mentre mi creavo una
proiezione mentale di quello che aveva appena detto. Alzai in uno scatto le
sopracciglia.
“Ohh!” esclamai io, imitando un bambino mentre guardava i fuochi d’artificio. Certo, cavolo,
che mi sarebbe piaciuto vederli! Era forse la prima volta che provavo un così
grande interesse per uno sport. Si girò su un fianco per guardarmi meglio.
“Lo sai, tua madre è una forza!” disse con ammirazione. Io
mi chiusi nelle spalle e tornai a vedere il megaschermo.
“Lo so” sussurrai io, orgogliosa. Lui si stiracchiò.
“Oh! Il signorino è ritornato dalla sua
piccola vacanza” disse in tono da presa in giro. Prima di riuscire a
capire che fosseEdward,
sentii la sua voce.
“Emmett, cos’è successo?”
Mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto. Era teso e terribilmente serio. I suoi
occhi erano fissi su di Emmett,
muto, per poi posarsi su di me, cambiando subito impressione, impressionandosi.
Capii che stava leggendo nel suo pensiero. A stento vidi Esme
volteggiare per la stanza per abbracciarlo.
“Ciao, Edward. Spero ti sia piaciuto il viaggio in Florida” disseEsme in un sorriso, staccandosi dall’abbraccio. Edward era spaesato a tal punto che non ricambiò neppure l’abbraccio.
“Sì…” mormorò titubante. “Devo parlare con Carlsile” disse più convinto, ma non più rassicurato. Sparì
un’altra volta. Esme si girò verso di noi e
guardandomi ci abbagliò con un sorriso.
“È bello vederlo prendersi tanto a cuore quella ragazza”
disse serena, tornando veloce ed elegante in cucina.
“Mmh…” mormorò Emmett
sprezzante, tornando a guardare la tv.
“Bella non ti piace?” chiesi dubbiosa. Lui tornò a
guardarmi, le sopracciglia alzate per lo stupore.
“No, anzi. È una ragazza fantastica” disse rassicurante “È
il suo comportamento che non mi entusiasma. Sempre, per
qualsiasi cosa riguardi lei va in paranoia. È stressante
quando fa così” disse diventando più scontento. Feci
una piccola risata, condividendo appieno quello che aveva detto. Poi riflettei
un po’sulle sue parole.
“Edward era tanto diverso prima di
Bella?”
“Era totalmente un’altra persona. In alcuni periodi sembrava
costantemente infelice ed insoddisfatto. Viveva tutto in modo
passivo” disse rammaricato per il passato del fratello. “Quella ragazza
è stata un miracolo per lui.” Mi venne spontaneo
mostrare il mio sorriso sghembo.
“Lo sai, Emmett,
sono d’accordo con te.” Gli porsi il pugno. Lui lo guardò con un
sorriso, capendo subito cosa stesse per significare.
Con leggerezza fece sbattere le sue grosse e pallide nocche contro le mie.
Inizio subito con lo scusarmi (ultimamente sto facendo solo
quello). Avevo promesso che già all’inizio di giugno avrei postato il nuovo
capitolo, ma invece lo faccio solo a luglio. Per
evitare quindi di non rispettare promesse, ho deciso direttamente di non farle:
posterò quando posterò. XD Almeno vi posso assicurare
che non ritardo a pubblicare perché decido di non continuare più questa fan fic, ma per mancanza di tempo e di ispirazione.
Passando al capitolo, bè, che ve
ne pare? Dopo un paio o forse più di capitolo in cui non succede nulla di interessante, ecco che giungono novità interessanti. Ad
essere sincera non vedo l’ora di finire la parte che riguarda il terzo libro,
per passare a quella che riguarda il quarto, quella più bella secondo me. Spero
quindi che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Grazie
ancora a tutti quelli che mi seguono, anche dopo dodici capitoli. Un
bacio da Laura!
X __cory__: Ciao, cory! Mi
dispiace, mi dispiace, mi dispiace. Pensi
bene, ovviamente io a queste domande non posso rispondere. Ma sono curiosa; con quale licantropo vuoi che Abigail abbia l’imprinting? Grazie infinite per aver
commentato! Un grosso bacio ricambiato!
La mattina seguente fu strano svegliarmi. Primo di tutto,
ero l’unica in quella casa in grado di svegliarsi, oltre anche a mangiare,
affaticarsi, provare dolori fisici e altro ancora. Ero insomma l’unica umana;
l’unica diversa in quella casa. Abitando unicamente con due vampiri non mi ero
mai accorta di questo dato di fatto; dal momento che i vampiri non erano più
due, la situazione si faceva molto più sentire. Non mi dava particolarmente
fastidio, mi sembrava semplicemente inusuale. Ma ero sicura che con il tempo mi
ci sarei abituata. Oppure ce ne saremmo andati, dipendeva da quello che sarebbe
accaduto.
In secondo luogo, svegliarmi fu piuttosto strano per la
mia nuova stanza, oltre ad un bagno fantastico; non mi ci trovavo ancora.
La colazione fu invece la solita, come pure il viaggio in
moto verso scuola. Per quei quarantacinque minuti in quella casa gli unici
vampiri che avevo visto erano i miei genitori, ma quasi non mi accorsi
dell'assenza degli altri. Non vedere degli esseri umani nella propria casa era
strano, dei vampiri non così tanto, dopotutto.
La cosa che però mi rese ancora più strano quel risveglio
fu quello che trovai all’entrata della scuola. Anzi, più che svegliarmi mi
aveva fatto credere di stare ancora sognando.
Fu per questo che andai prima di tutto a parcheggiare
cauta la moto, prima di avvicinarmi a lui. Mi tolsi il casco titubante. I
battiti cardiaci erano aumentati, non però per l’adrenalina della moto. Rimasi
per un attimo incredula, mentre lui mi guardava con un impeccabile sorriso
bianco, messo in risalto dalla pelle scura. No, non ci potevo credere. Era
Jacob, sul marciapiede davanti al parcheggio della scuola. Mi fece impaziente
segno di avvicinarmi. Io mi mossi lentamente, ancora sottochoc. Era
spettacolare; indossava dei jeans sgualciti ed una maglietta nera aderente a
maniche corte, mentre reggeva l’Harley nera. Sembrava terribilmente molto più
grande. Mi mise una certa soggezione e per un attimo mi vergognai di quella
momentanea eccitazione. Non smisi di essere incantata da quel sorriso e
l’ultimo tratto che mi separava da lui lo feci senza rendermene conto. Appena
poté si pose in avanti e mi abbracciò. Ebbi un fremito quando le sue braccia
calde strinsero il mio corpo che facevano sembrare esile.
“Sono contentissimo di vederti” sentii la sua voce ridotta
ad un mormorio sfiorarmi i capelli. Deglutii e respirai con la bocca per
seguire il senso di quello che diceva. Mi continuò a tenere stretta. Non sarei
riuscita a rispondergli in quella posizione. Mi scostai un attimo da lui.
Faceva decisamente più freddo ora, anche solo di poco. Decisamente stavo meglio
prima. Lo guardai negli occhi. Il suo viso possedeva ancora quel fantastico
sorriso ed anche gli occhi neri luccicavano per l’entusiasmo. Sentii le guance
pizzicarmi un pochino. Ormai non ragionavo più con la testa.
“Perché sei venuto?” mormorai, contraccambiando il suo
sorriso con una paralisi facciale. Lui rise per un secondo.
“Per te, sciocca” Mi mise una mano sulla testa e mi diede
una veloce accarezzata ai capelli. Io sussultai.
“Non dovevi disturbarti, sarei venuta io a La Push” Lui
inclinò la testa.
“E per Bella” disse questa volta serio.
Ok, mi ero svegliata. In modo molto cruento. Rimasi…
delusa dalle sue parole. Tutta l’emozione di poco prima sparì di colpo. Tanto
veloce da far male. Per un attimo avevo sperato che il significato dei gesti di
Jacob fosse ben diverso. Avevo ragione; stavo ancora sognando. Possibile fossi
davvero così illusa da…
“Abi, tutto ok?” chiese, appoggiando di nuovo la mano
sulla mia testa. Io chiusi gli occhi immediatamente ed istintivamente mi
allontanai quel tanto da fargli scivolare la mano da me.
“Sì. Sono ancora un po’ addormentata” mentii con la voce
un po’ tremolante, che poteva essere scambiata per assonnata. Ultimamente le
mie balle facevano davvero pena; mi domandavo se lui ci credeva seriamente.
“Perché sei venuto per Bella?” Non mi resi effettivamente
conto di quello che avevo appena chiesto. Lo vidi sorridermi.
“Mi hai dato tu l’idea. È questa la sorpresa.”
Di nuovo mi sentii delusa, ma questa volta di me stessa.
No, anzi, arrabbiata; o ero pazza, o masochista.
Solo allora mi accorsi che la parte che amava Jacob
avrebbe voluto azzannare quella più razionale, che sapeva ciò che era giusto.
Solo allora sentii appieno quel grande conflitto, che sfociava solamente quando
vicino c’era lui.
Da una parte desideravo ardentemente che Jacob e Bella si
vedessero, perché sapevo che li avrebbe resi tutti e due più felici e da buona
amica io ci tenevo che i miei amici fossero felici. L’altra invece non era per
niente d'accordo.
La delusione e la rabbia si sostituirono a disagio e a una
completa confusione. Per uscirne decisi di impegnarmi in quella conversazione.
“Ne rimarrà sicuramente sorpresa” replicai io, insicura.
“Come lo sarà Edward” Il suo dolce sorriso si trasformò in uno diabolico.
“Già” disse malizioso, a braccia incrociate. Oh, no, no,
no. Ecco, avevo sbagliato. Mi ero contraddetta per l’ennesima volta, nel modo
più irreparabile. Avevo aiutato Jacob a realizzare quelle strane idee che gli
vorticavano nel cervello e che mi ero con così grande convinzione proposta di
non fare.
In me c’erano due persone completamente opposte. Non
credevo di essermi mai sentita così a disagio con me stessa come adesso. Ebbi
appena il tempo vedere gli occhi di Jacob guardarmi con attenzione, prima che
guizzassero verso la mia sinistra.
“Ah, eccoli” mormorò, mettendosi la mano sotto il mento.
Mi girai anch’io. La Volvo argentata di Edward parcheggiò dolcemente al solito
posto. Solo allora capii le conseguenze che la sua presenza avrebbero portato.
Un vampiro a pochi centimetri da un licantropo, con gli stessi interessi verso
Bella. Sarebbe stata una conversazione che avrebbe fatto scintille. Mi guardai
intorno; notai le occhiate curiose che lanciavano prima a Jacob, poi a me gli
studenti che si fermavano incuriositi, lontani da noi di qualche metro.
Dopotutto la loro presenza sarebbe stata un bene; niente versamenti di sangue.
E forse Jacob era stato il primo a pensarlo.
Avrei tanto voluto scomparire per evitare quell’incontro
spaventoso. L’unica cosa che mi premeva era che avrebbe partecipato senza ombra
di dubbio anche Bella. Ed entrambe le parti di me erano d’accordo a rimanere lì
ed a impegnarsi a fare in modo di farla uscire moralmente illesa.
Guardai dubitante Jacob; il sorriso di poco prima era
scomparso. Aveva lasciato spazio ad un’espressione seria, ma tranquilla, come
se avesse tutto sottocontrollo. Mi ricordava molto Sam; anche lui emanava la
stessa calma. Era l’espressione che il capo branco riservava ai vampiri.
Il suo sguardo si indurì quando vide Edward e Bella.
Edward era impassibile, gli occhi però furenti. Bella invece sembrava confusa,
curiosa soprattutto.
Li vidi avvicinarsi e fermarsi a pochi metri da noi.
Edward coprì con la sua spalla Bella. Intuii che era per Jacob; come diamine
poteva credere che Jacob l’avrebbe anche solo sfiorata?! Il suo comportamento
era ossessivo e malsano. Espirai profondamente. Edward posò gli occhi su di me
solo per pochi secondi, prima di tornare a Jacob. Gli occhi di Bella invece
guizzavano continuamente da Jacob a me.
“Se volevi parlare con me, avresti dovuto chiamarci” disse
Edward fermo. Cosa?! Jacob era venuto per parlare con Edward?! Mi aveva detto
che era per vedere Bella. E per me.
“Non sono venuto solo per quello” rispose Jacob, torcendo
il naso, acido. Edward lo fissò per un attimo, prima di riprendere.
“Questo non è il luogo più adatto, Jacob. Ne possiamo
riparlare un’altra volta?”
“Sicuro. Dopo scuola posso sempre fermarmi alla tua tomba”
rispose con un ghigno.
Avrei tanto voluto sottolineare il piccolo fatto che
quella tomba era anche casa mia, ma non lo feci. Se Jacob, e quindi i
licantropi, sarebbero venuti a sapere che non abitavo più con due vampiri, ma
ben con nove non sapevo bene come avrebbero reagito. Forse era meglio se questa
era un’informazione non la sapessero. Edward ispezionò i dintorni con lo
sguardo. Il parcheggio ora si era popolato: c’erano molti più studenti ad
assistere allo spettacolo. Mi sentivo un po’ a disagio, perché guardavano anche
me. Bhè, non male come primo giorno della settimana…
“So cosa vuoi dirmi” sibilò Edward impercettibilmente “Ho
capito. Consideraci avvisati.” Edward guardò per un attimo Bella.
“Potrei sapere di cosa state parlando?” chiese leggermente
spazientita. Ed in effetti la pensavo come lei; non capivo neanch’io a cosa
diamine si stessero riferendo.
“Non gliel'hai detto suppongo” disse Jacob in un tono più
alto del normale “Hai paura che si schieri con noi?”
“Ti prego, Jacob, smettila di dire stupidaggini” lo
ammonii automaticamente, abituata a rimproverarlo quando ne diceva di così
grandi. Adesso era chiaro l’argomento della discussione. Quello che era
successo con Victoria e la questione del territorio
“circa-più-o-meno-quasi-violato”. Ed Edward non glielo aveva davvero detto a
Bella. Bhè, a dirla tutta anche i miei genitori effettivamente non lo avrebbero
fatto. Per lo meno, non subito. Avrebbero aspettato l’ultimo momento, come
hanno dimostrato di saper fare.
Però niente toglie al fatto che Bella aveva diritto di
sapere quello che era accaduto. Soprattutto perché il seguito riguardava anche
me. Ma infondo questo era il normale comportamento di Edward, che non sarei mai
riuscita a capire e che bisognava sforzarsi di accettare.
“Ah!” esclamò Jacob verso di me “Sono curioso di sentire
cos’hanno raccontato a te!” Io mi limitai a fissarlo seria.
“Cos’è che non so, Edward?” chiese improvvisamente Bella,
confusa. Edward continuò a rimanere zitto.
“Jake?” disse rivolta a Jacob.
“Non ti ha raccontato che… suo “fratello” ha passato il
confine domenica mattina?” mormorò guardandola di sottecchi. Tornò poi a
perforare Edward.
“Paul aveva il diritto di…”
“Era terra di nessuno” replicò Edward.
“No!”
Sbuffai. Stavano litigando come bambini. Ora come ora, che
importanza aveva? Cominciai a battere frenetica le dita sul giubbotto. Vicino a
me sentivo Jacob tremare per la rabbia. Edward lo notò.
“Se fossi in te mi allontanerei da lui” mi disse cauto.
Jacob a quel punto esplose. Sentii la sua mano sul mio fianco tirarmi più
vicina a lui.
“A lei non glielo puoi impedire” sibilò lui, a denti
stretti. Io quasi inciampai per il suo gesto improvviso. Scese per un attimo il
silenzio. Edward rimaneva zitto, fulminando con lo sguardo Jacob, che
ricambiava appieno. Bella vicino ad Edward aggrottò le sopracciglia confusa ed
ancora più stizzita, mentre io cercavo a disagio di allontanarmi da Jacob,
senza però riuscirci. La sua mano continuava ad essere appoggiata al mio
fianco.
“Emmett e Paul?” intervenne Bella, pensierosa. “Cos’è
successo? Hanno combattuto? Qualcuno si è fatto male?”
”Non è successo niente” riferì calmo Edward “Nessuno è stato ferito. Non
preoccuparti”
“Ah! Ora ho capito perché l’hai portata via. Tu lo sapevi
e non volevi che…”
“Vattene, Jacob” lo interruppe di colpo Edward.
Improvvisamente il viso di Edward si trasformò. Non era più quel viso calmo e
razionale che conoscevo, troppo apprensivo. Quello era il viso di un vampiro,
pronto ad attaccare. Guardava minaccioso dritto negli occhi di Jacob. Mi
ricordò per un attimo i volti dei Volturi ed un brivido mi scosse. Le sue dita
si strinsero nel mio giubbotto. Cominciò a sogghignare.
“Credi davvero che non abbia il diritto di sapere cosa sia
successo? Cosa è successo ad Abigail?” mormorò furibondo. “Sai benissimo che
poteva rimetterci la pelle. E questo a Bella non dovrebbe riguardare?”
Il viso di Edward tornò improvvisamente normale, mentre fu
quello di Jacob a diventare mostruoso. Aveva la mascella serrata, mentre con lo
sguardo scintillante osservava Edward. Gli occhi di Bella guizzarono subito su
di me.
“Cosa ti è successo, Abi?” mormorò ansiosa. Io sbuffai e
scossi la testa tranquilla. Aprii bocca, ma mi fermai, mentre Edward mi
osservava. Per un paio di secondi ricambiai lo sguardo. Era serio, quasi
inquietante. Non vuoi che glielo dica, Edward?
“No” mi rispose lui. Scossi la testa. Non è un’ingenua
bambina da dover proteggere dal mondo; trattala da adulta.
Arricciò il naso, come avvertimento. Io non lo ascoltai.
Girai la testa verso la scuola, svelando la cicatrice sul collo che la felpa mi
nascondeva. Dopo un po’ di secondi tornai a guardare Bella. Era più pallida del
normale, gli occhi spalancati, mentre si teneva con una mano alla spalla di
Edward. Subito lui le cinse la vita con la mano, mentre contemporaneamente mi
guardava truce. Jacob continuava a fulminare Edward; le sue dita avevano
cominciato ad andare impercettibilmente su e giù sulla mia anca. Tentai ancora
una volta di staccarmi da lui, ma inutilmente.
“E’… è stata lei?” mormorò malferma. Edward l’abbracciò
immediatamente. Le accarezzò il viso con le mani bianche perlacee.
“Va tutto bene. Non si avvicinerà a te, te lo prometto”
mormorò rassicurante. Bella non rispose. Continuava a guardare terrorizzata me.
Decisi di intervenire io.
“Ehi, se sono ancora qui tra voi vuol dire che sto bene,
no?” sdrammatizzai io. Bella non accennò ad un sorriso, ma sembrò calmarsi. I
suoi occhi diventarono lucidi.
“Soddisfatto, randagio?” riprese Edward, ignorando la mia
battuta.
“E ancora non credi che abbia diritto di sapere?” rispose
ancora rabbioso Jacob.
“Se non è mai stata in pericolo, perché dovrebbe
preoccuparsi?” mormorò impercettibilmente Edward.
“Meglio una preoccupazione di una bugia.” Edward veloce
raccolse una lacrima che scendeva dal viso di Bella.
“Credi che tormentarla sia meglio che proteggerla?”
mormorò.
“E’ più forte di quanto credi. Ne ha passate di peggiori”
affermò Jacob, impercettibilmente più calmo. Dopo quel veloce scambio di
battute decisi di intervenire. Dovevo ammettere che ad aver ragione era Jacob
questa volta.
Il dialogo si interruppe di punto in bianco. Jacob ora
aveva cambiato espressione; guardava Edward pensieroso e concentrato. Anche quello
di Edward si trasformò. Divenne improvvisamente spaventato, agonizzante.
Avevo capito; Jacob si era concentrato su brutti pensieri
che, dall'espressione di Edward, riguardavano Bella. Quelli che precedevano il
mio arrivo, quelli appartenenti ad un tempo da dimenticare a me estraneo.
Seppur Jacob avesse ragione, non era giusto far
rinfacciare ad Edward tutto questo. Quindi ripensai quindi anch’io agli episodi
passati con Bella, quelli belli ed entusiasmanti, sperando che l’attenzione di
Edward si posasse su di me. Ripensai più vivamente possibile a quella volta del
paracadute, di come era emozionata e felice. Ripensai a quella volta dei
nachos, che era stata un vero e proprio disastro. Ripensai a quando le ero
saltata addosso per giocare prima di andare a Volterra. Ripensai ai pomeriggi
passati al garage di Jacob a costruire la mia auto, noi due sole.
“Grazie, Abi”
La voce di velluto di Edward mi distrasse. Mi lanciò un
mezzo sorriso di gratitudine. Jacob invece mi guardò confuso. Io lo
contraccambiai con rimprovero.
Tornai a fissare Edward. Diglielo, Edward. In questo modo
non la stai proteggendo, le stai tenendo solo dei segreti. Sorrisi. Scommetto
che vorrebbe sentirsi preoccupata; le piacerà tantissimo farsi rincuorare da
te. A quel punto Edward mi sfoderò il suo sorriso sghembo.
“Cosa state facendo?” intervenne Bella.
“Niente, Bella. Hanno solo una buona memoria” disse
guardando pacato Jacob. Lui sogghignò ed Edward rabbrividì.
“Jacob smettila!” ordinò Bella, che aveva capito anche
lei. Jacob fece spallucce.
“Non è colpa mia se i miei ricordi non gli piacciono” si
giustificò con un sorrisino poco divertente. Io vicino a lui sbuffai forte, in
modo che mi sentisse. Ora il bambino era solo lui.
“Il preside sta arrivando. Andiamo ad inglese, Bella, così
non ti darà noia” mormorò Edward.
“Iperprotettivo, vero?” s’intromise Jacob, verso Bella
“Gli imprevisti rendono la vita divertente. Scommetto che non hai il permesso
di divertirti.” Edward scoprì in risposta i denti in un ghigno.
C’era un motivo per cui durante quella conversazione
rimasi pressoché sempre zitta; Jacob aveva avuto nella maggior parte dei casi,
anzi, forse sempre, ragione. L’unico modo che avevo per intervenire era quello
di dar ragione a Jacob, quindi. Non mi piaceva dargli ragione, troppo abituata
a dargli torto, anche se in questo caso lo meritava. Inoltre quella
conversazione era tra Edward e Jacob, principalmente. Sembravamo due fazioni in
guerra, in quella posizione. Edward e Bella, contro me e Jacob.
“Chiudi il becco, Jacob” rispose Bella. Jacob sorrise.
“Credo sia un “no”. Comunque, se ti viene voglia di
riavere una vita, vieni a trovarmi. Ho ancora la tua moto” A quel punto le sue
dita cominciarono a tamburellare. Io mi innervosii, mentre Bella si rilassò.
“Avresti dovuto venderla. L’hai promesso a Charlie.”
“Sì, ma non è mia. Me la terrò finché non ritornerai”
Jacob sorrise ancora di più. “C’è poi la macchina di Abigail da finire.”
“Jake…” sussurrò Bella indecisa. Lui si sporse verso di
lei, continuando a stringermi.
“Forse mi sono sbagliato. Sul fatto che non possiamo
tornare amici. Ce la possiamo fare, dentro i miei confini. Vieni a trovarmi. Ci
manchi.”
Sobbalzai a quel “ci manchi”. Come si permetteva di usare
in modo così naturale il plurale? Aveva però completamente ragione, e forse
questo mi irritava ancora di più. Lanciai un’occhiata veloce ad Edward, per
vedere la sua reazione. Era inutile suggergli che Jacob aveva ragione; era un
tentativo già provato. Lo vedevo tranquillo, mentre abbracciava Bella,
immobile.
“Io… non lo so, Jake” balbettò Bella, a disagio.
“Mi manchi, Bella. Sento la tua mancanza ogni giorno”
disse nel solito tono dolce che riservava sempre a Bella. E qualche strana
volta, anche a me.
“Lo so. Mi dispiace, Jake…” Jacob sospirò.
“Non importa, va bene? Non morirò, sta tranquilla.” Cercò
di fare un sorriso, che però fu scambiato per una smorfia. Cercai nuovamente di
staccarmi da lui, ma ancora senza successo. Quella situazione mi aveva irritata
abbastanza.
“Tutti in classe. Forza, signor Crowley.” Tutti e quattro
sentimmo una voce rude provenire dietro di noi. Doveva essere il preside, ma
non ne ero completamente sicura; non l'avevo mai visto.
“Torna a scuola, Jake” gli sussurrò Bella. Jacob tolse la
sua mano dal mio fianco, finalmente. Quel gesto mi spinse a guardarlo. Mi
osservava dubbioso, ma non senza un piccolo sorrisino ironico.
“Che dici, vado?” mi chiese sprezzante. Io corrugai le
sopracciglia. Non hai bisogno del mio permesso per andartene, Jacob.
“È meglio di sì” mormorai, apatica. Aguzzò per un attimo
gli occhi, cercando di studiare la mia espressione stranamente indifferente. Se
avessi realmente espresso ciò che provavo sarebbe stato peggio. Fece poi una
cosa che non avrebbe dovuto fare. Avvicinò le labbra al mio orecchio.
“Non so cosa farei senza di te” mi mormorò. A fatica
riuscii a sentirlo. Sentii invece benissimo le sue labbra premere sulla mia
guancia. Erano morbide come l’ultima volta. Mi sentii completamente rilassata.
Dimenticai per un attimo cosa volesse significare realmente quel bacio e lo
interpretai come volli io. Quell’attimo passò immediatamente, quando, più
precisamente, allontanò il suo viso dal mio. Strinsi i pugni per non esplodere.
Inevitabilmente girai i tacchi e me ne andai, non guardando in faccia a
nessuno. Fui sorpresa della folla che si era creata vicina a noi e che al
momento guardava esclusivamente me. Mi feci varco tra la gente, che mi lasciò
facilmente passare.
Come se non bastava già quello che era successo, ora mi
toccava subire anche questo imbarazzo. Mi diressi dritta verso l’aula di
matematica, mentre passavo accanto al direttore, che non si accorse di me, e
che subito dopo cominciò ad urlare verso la piccola folla.
Non riuscii bene a capire come mi sentissi; diciamo
soprattutto agitata e preoccupata. Camminavo svelta nei corridoi ancora pieni,
persa nelle mie riflessioni. L’amicizia con Jacob stava diventando sempre più
difficile, se cominciava a comportarsi in quel modo. Pensavo che sarebbe
bastato semplicemente non dirgli quello che pensavo di lui per salvarlo e
tenermelo ancora amico. Ma non andava, invece! Non poteva abbracciarmi né
baciarmi in nessun modo! Non tolleravo che quei baci e quegli abbracci avessero
un significato diverso. Questo non lo potevo accettare. Mi sentivo presa in
giro. Era meglio se non mi toccava affatto. Dovevo allontanarlo da un punto di
vista fisico. Avrei dovuto trovare un modo…
Stavo però cominciando a perdere le speranze; le
possibilità di continuare ad essere amici si stavano riducendo. Ed il loro
numero era diminuito ulteriormente da quell’oggi.
Forse si erano completamente ridotte a zero. Alla fine ci
arrivai. Brutto stronzo. Ora si spiegavano molte cose; la mano sul fianco, il
bacio. Solo per far ingelosire Bella; dovevo immaginarlo. Dopo avermi dato il
bacio ed essersi allontanato non aveva guardato me. Aveva guardato Bella. Non
me. Non avrebbe dovuto guardare lei! Idiota di un cane! Era questo il motivo
per il quale me n'ero andata via fuggendo.
Voleva controllare quale effetto avrebbe procurato quel
bacio su di lei. Era venuto per Bella; non per parlare con Edward, quella era
solo una scusa, né per vedere me. Era venuto solo per lei.
Così alla fine quei due si erano finalmente visti. Come
volevi tu Abigail, no? Desideravi tanto che quei due si vedessero di nuovo, perché
adesso non sei felice?!
Mi aveva usata, tutto il tempo, per cercare di farla
ingelosire. Dio, sapevo che aveva in mente qualcosa, ma non credevo che potesse
arrivare fino a questo punto, che potesse arrivare a coinvolgere in questo modo
subdolo me. Non poteva farmi questo.
Per tutta la lezione di matematica non pensai ad altro. Mi
veniva da piangere, ma non uscì neanche una lacrima. Anzi, fremevo dalla
rabbia. Non si trattava semplicemente di Jacob, a questo punto, ma di qualcuno
che aveva offeso la mia persona; sapeva che fin dal principio non ero d'accordo
con le sue insistenze e non poteva coinvolgermi così a tradimento. Le avrebbe
sentite. Tanto per cominciare non sarei andata a La Push quella settimana;
avrei chiesto a Bella il piacere di dirgli che stavo bene. Avrei scommesso che
da ora in poi si sarebbero telefonati più spesso. Se era vero che gli mancavo,
allora un po’ di mia assenza gli avrebbe fatto bene.
Quando mi sarebbe andata, sarei andata da lui a litigare
un po’. Di nuovo. Scossi automaticamente la testa senza accorgermene. Cosa
diavolo credevo di fare? Non facevamo altro che far quello; litigare, litigare,
litigare. Come avrei creduto che lui potesse ricambiare? Anche se Bella non
esistesse, non sarebbe cambiato assolutamente niente. Non eravamo compatibili.
Non potevamo; sarebbe stato dannoso per entrambi. Ma io lo volevo...
Ancora una volta non sapevo cosa fare. No, forse quello lo
sapevo. Non sapevo se quello che facevo era la cosa più giusta. Mi sentivo
terribilmente confusa.
Finita la lezione mi alzai come un automa. Mi lasciai
trasportare verso l’aula di storia, mentre pensavo distratta a non andare in
mensa per quel giorno. Ci sarebbe stato sicuramente qualcuno desideroso di
parlare con me, come Mike, Eric, e al momento non ne avevo voglia.
Arrivata a storia mi sedetti al mio solito posto,
penultima fila. Sentii alcuni ragazzi dietro di me parlare chiaramente del
fatto di poco prima. Ecco, perfetto…
“Io punto dieci su Edward” esclamò Steven Hudson.
“Nah, ma non l’hai visto quell’altro? Spezzerebbe Cullen
in un secondo! Io punto dieci su quell’altro” gli rispose Klar Ross.
“No, impossibile, lui sta con Abigail. Non hai visto come
ci stava vicino? Ne scommetto dieci che stanno insieme!” continuò il primo.
“Io invece credo di no. È troppo grande per Abigail. Punto
dieci che non stanno insieme” rispose Daniel Nelson.
Brutti idioti. Io mi girai verso di loro, scocciata.
Appena mi videro smisero subito di parlare; probabilmente non se n’erano
accorti prima. Li guardai truci per un momento.
“Oh… Abigail…” mormorò Steven, impacciato. Sfoderai il mio
sorrisino sghembo.
“Io scommetto mille su Edward ed altri mille che io e
quell’altro non stiamo insieme” dissi sprezzante, sperando che così dopo
l’avrebbero smessa. Dovevo ammetterlo; adoravo scommettere e mi riusciva anche
bene.
“Anch’io!” esclamò Karl.
“Pure io!” lo seguì veloce Daniel. Io mi tornai a girare,
soddisfatta. La cosa bella fu che smisero davvero.
Alle quattro tardai ad uscire da scuola; punizione. Non
ero stata abbastanza attenta alla pallosa lezione di inglese e quindi il
professor Berty mi aveva dato esercizi extra da svolgere in classe dopo la
lezione. Era stata una mezz’ora per niente emozionante. Quando uscii dalla scuola
il parcheggio era completamente deserto, fatta eccezione per la mia moto. La
montai e l’accesi. Quasi non mi accorsi delle curve da fare per raggiungere
casa. Questa volta il motore non riuscii a calmarmi e per poco non continuai
sulla 101, andando verso la mia vecchia seconda casa. Distratta la parcheggiai
nel garage, insieme a moltissime altre auto veloci. Emmett mi aveva detto che
la maggior parte erano di Edward, che ne era un appassionato. Contento lui…
Ecco, la rabbia stava condizionando ogni mio pensiero. Non
mi era ancora passata; figuriamoci se era una cosa da poco. Chiusi la porta del
salotto con eccessiva foga. Immediatamente tornai ad essere calma e rilassata,
come se sbattendola tutte le preoccupazioni se ne fossero andate. Ripensai a
quello che quella mattina Jacob mi aveva fatto e non mi arrabbiai, rimasi
calma. Perché poi arrabbiarsi? Entrata in salotto fui sorpresa di vedere tutta
la famiglia Cullen, più i miei genitori al completo. Più Bella. Fu strano
vederla lì. Mi lanciò uno sguardo lungo e penetrante.
“Cosa sta succedendo?” chiesi curiosa. Carlisle mi lanciò
un’occhiata comprensiva.
“Bella è tesa per quello che è successo a te e per il
ritorno di Victoria.” Io le lanciai un’occhiataccia.
“Ovviamente non le succederà niente. Come ovviamente lo
sarà per te” continuò Esme, subito al mio fianco, tenendomi le spalle. Io
tornai a guardare esasperata Bella e scossi la testa.
“Lei non mi sembra troppo preoccupata. Segui il suo
esempio” disse Emmett, appoggiando il gomito alla mia spalla. Alice alzò la
testa la cielo.
“Mi ritengo offesa. Non dirmi che sei in pensiero
davvero?” disse esacerbata Alice, vicino a lei. I miei occhi guizzarono su
Jasper, vicino ad Alice. Mi osservava sospettoso. Mi sembrò strano fino a
quando riuscii a capire che aveva i suoi buoni motivi per esserlo; doveva
essere lui al momento a farmi sentire questa calma e doveva essere strano per
lui percepirmi per due volte di seguito arrabbiata. Tornai ad osservare
stizzita Bella, che continuava a guardare attentamente me. Capii che aveva
bisogno di parlare.
“Vorresti vedere la mia nuova camera?” chiesi come scusa.
Faceva tanto bambina delle elementari, ma al momento non mi era venuta in mente
nessun’altra idea. Lei annuì decisa, guardandomi seria. Mi avvicinai a lei e la
presi a braccetto. Mi girai verso Edward lanciandogli un’occhiataccia, per
fargli capire che volevamo stare da sole. Lui alzò gli occhi al cielo, più per
disperazione che per consenso. Uscita dal salotto tutta la calma scomparve in
un attimo e tornai ad essere di nuovo arrabbiata. Dovetti fare un respiro
profondo per calmare le apparenze.
“Non mi dire che sei geloso” Sentii Emmett sarcastico dal
salotto.
“Devi fare tutta questa strada ogni volta?” domandò Bella,
un po’ stanca. Io aprii la porta nel pavimento.
“Già, ma non mi dà fastidio.”
La feci accomodare sul mio letto ed io mi misi di fronte a
lei. Presi il cuscino e me lo strinsi alla pancia.
“Di cosa vuoi parlarmi?” chiesi, anche se la domanda a
questo punto era retorica. Non ero ancora entusiasta all’idea di parlare, ma
forse mi avrebbe fatto bene. Mi rivolse un’occhiata tesa.
“Cosa è successo con Victoria?” domandò subito. Io
sbuffai.
“Non mi dire che Edward non te l’ha ancora detto!”
“No, me l’ha detto. Voglio sentirlo però da te.” Io feci
spallucce, con un sorriso amaro.
“Non ti posso raccontare molto di più. Mi è venuta addosso
e poi mi sono ritrovata in ospedale” dissi con leggerezza. Lei continuò a
guardarmi impensierita.
“Davvero non sei preoccupata? Anche… anche lei adesso
vuole te”
“Ah, già, vero. Me l’ero dimenticata” esclamai per rendere
l’importanza che aveva per me la situazione “Sono intollerante alla preoccupazione,
in questo genere di cose. Lo sono già mio padre e mia madre; esserlo anch’io
non ha molto senso.” Mi sfoderò un sorriso amaro.
“Già, tu sei ben protetta. Questa casa poi è il luogo più
adatto…”
“Guarda che lo sei anche tu. Essere in questa fortezza o a
un paio di chilometri di distanza non fa nessuna differenza.”
“Sì…” mormorò lei, impensierita. L’osservai per un attimo.
Non sembrava essere felice di essere protetta.
“Aspetta…” dissi soprapensiero “Tu non sei preoccupata per
te, non è vero? Sei preoccupata per gli altri; i Cullen, i miei genitori…”
Spalancò gli occhi.
“Certo. Stanno rischiando per me e per te”
“Oh, ti prego, Bella!” esclamai lanciando il cuscino
dietro di me “E’ peggio che preoccuparsi per sé. Sono nove vampiri contro uno.
Non puoi preoccuparti.”
“Invece lo sono” disse decisa. Si stava facendo prendere
un po’ dal panico. Rilassai le spalle e mi calmai.
“Io ti consiglierei di lasciare le preoccupazioni a
Edward. Lo è già di natura; un po’ di tensione in più non gli farà male.” Lei
mi rispose con un mugugno. Sospirai. Speravo in cuor mio che smettesse di
tormentarsi in questo modo. Era totalmente insensato.
Bella era sempre stata un tipo apprensivo; anche prima
dell’arrivo dei Cullen, si era preoccupata che sei licantropi adolescenti si
potessero ferire rincorrendo Victoria. Quella volta però mi sembrava che
l’avessi convinta a tranquillizzarsi. Questa volta invece era un osso ancora
più duro. Forse parlare sventolando la cicatrice sul mio collo non era il modo
migliore.
“Allora, com’è andato il viaggio in Florida?” dissi
all’improvviso, per cambiare argomento.
“Bene” mormorò. Lei non continuò e ripresi io.
“Com’è sembrata a tua madre Edward?” A questo punto
credevo di averla coinvolta a sufficienza. Lei sospirò.
“E’ preoccupata” mormorò “E’ preoccupata della nostra
relazione. Non credeva che fosse così seria”
“Oh…” mugugnai io. Non era una buona prima impressione,
visto che quei due si dovevano sposare.
“Dice che è troppo protettivo nei miei confronti”
“Questo lo dico anch’io” esclamai e sottolineai che non
era una novità. Lei mi guardò impensierita.
“Ha capito che c’è anche un qualche segreto” mormorò. Io
alzai le sopracciglia.
“Davvero?” esclamai “Perspicace" Lei fece spallucce.
“È sempre riuscita a capirmi” dichiarò.
“La mamma è sempre la mamma” mormorai distratta.
“E ovviamente sembra essere del tutto in disaccordo con
l’idea del matrimonio” esclamò d’un tratto irritata. Quest’idea del matrimonio
non l’aveva ancora digerita.
“A quanto sembra sì.” Lei scosse la testa. Ne avevamo già
parlato una volta, quindi mi fermai e non continuai. Il silenzio durò ben poco.
“Per caso” iniziò curiosa “c’entri qualcosa con
l’apparizione di Jacob, oggi?” Ecco, come non detto. Quella minima calma che
avevo acquistato era persa. Inspirai profondamente.
“Ehm… forse” dissi decisa. Lei alzò gli occhi verso il
cielo.
“Ma sei pazza?! Perché gli hai detto di venire a scuola?
Sai che Edward…”
“Non gli ho detto di venire a scuola” mi giustificai,
fermandola prima che finisse “Gli ho solo consigliato di farti una sorpresa,
quando Edward non c’era, a casa tua.” Lei sospirò dopo alcuni secondi.
“Mi ha fatto piacere vederlo dopo così tanto tempo, però”
disse con mezzo sorriso. “Sai, non credo che solo Edward sia deciso a impedirmi
di andare a La Push, ma anche gli altri Cullen sembrano ben disposti.
Soprattutto Alice; riesce a guardare nel futuro e a prevedere qualsiasi mia
intenzione di andare a La Push.”
“Sei proprio messa male.” Strinsi il cuscino. Jacob doveva
essere un argomento off limits per un po’. Si voltò sospettosa.
“Perché ti sei allontanata così improvvisamente questa
mattina?” Io feci un respiro profondo, abbassando la testa.
“Dovevo andare subito in bagno; mi scappava la pipì”
mormorai.
“Sii seria, Abi”
Feci un altro respiro ed alzai la testa. Ero io la prima a
dire che parlare dei propri problemi poteva aiutare, ma quando avevo io dei
problemi la voglia di parlare era zero. La guardai involontariamente acida.
“Hai notato i suoi tentativi di farti ingelosire?” Lei
spalancò gli occhi.
“I suoi tentativi di farmi cosa?” chiese confusa. Mi
arrabbiai ancora di più; aveva fatto tutto questo gran casino, e non era
servito poi alla fine a niente. Me lo dovevo però aspettare.
“Sì, stava cercando di farti ingelosire. Sai, lui è ancora
innamorato di te…” dissi a denti stretti. Mi punsero quelle ultime parole. Lei
scosse la testa.
“Lo dovevo immaginare…” disse in un sospiro.
“E per farlo ha usato me. L’abbraccio, il bacio… perché
secondo te l’ha fatto?!” Lei mi guardò impensierita.
“Non credi di esagerare forse?” mi disse comprensiva “A me
è sembrato che si comportasse da amico.” Scossi freneticamente la testa.
“Ti dico che è così” mormorai a denti stretti. “Mi faresti
quindi un piacere se lo senti di dirgli che i mostri non mi hanno ancora
mangiata. E di evitare il fatto che da due sono passata ad abitare con nove
vampiri, per favore. Non credo che andrò a La Push spesso” Lei mi guardò greve.
“Io credo che ti stia sbagliando” ammise lei “Credo che dovresti
chiarire con lui.” La guardai attentamente per alcuni secondi e presi veramente
in considerazione quello che mi aveva detto. E se avesse ragione lei e non io?
Se fosse stato così io avrei preso un granchio di dimensioni gigantesche e
Jacob avrebbe fatto bene ad arrabbiarsi. Ma forse lei non si era accorta di una
cosa; dopo avermi baciata lui aveva guardato lei, non me. No, non poteva essere
diversamente. Questa volta fui io a mugugnare.
"Abigail" disse stranamente sorpresa "Sei
gelosa?" La guardai sorpresa quanto lei. No, figuriamoci, manco un pelo.
Mi morsi le labbra, pensando velocemente come rispondere. Certo che ero gelosa,
ma non potevo certo dirlo a Bella. Era mia amica, le dicevo tutto, ma di Jacob,
non se ne parlava. Quella brutta sensazione al riguardo non era ancora sparita.
"No, non è questo!" dissi continuando ad essere
arrabbiata. "Insomma, io ho cercato di fargli capire che tu sei innamorata
di Edward. Tu stessa hai tentato. Mi ha chiesto di convincerti a lasciar stare
Edward, perché pensa che ti possa far del male. E, bhè, anche per gelosia,
ovviamente."
"Davvero ti ha chiesto questo?" L'espressione di
pura sorpresa non aveva ancora abbandonato il viso di Bella.
"Me lo dovevo aspettare..."
"Già, mi ha fatto sentire parecchio usata questa sua
improvvisa presa di iniziativa che mi ha coinvolto nella realizzazione di
qualcosa su cui non sono d'accordo" proruppi alla fine. Fui alla fine
mezza sincera; non le confessai la mia profonda gelosia, ma solo la parte che
riguardava il mio orgoglio. Questo però non fu sufficiente a convincerla.
“Non lo so. Pensaci bene, Abi, lo conosci, credi davvero
che possa comportarsi così?”
La guardai per un minuto abbondante in silenzio. Certo che
me lo sarei aspettato da lui. Era lei a non conoscerlo, lei non conosceva
quella sua parte che sarebbe disposta a fare tutto per lei. Non conosceva
affatto Jacob come lo conoscevo io. Restai però zitta. A quel punto avrei
potuto benissimo parlare, dire quello che Jacob era; avrebbero magari litigato.
Jacob avrebbe sofferto un po’, e gli sarebbe stata bene. Ma non lo feci, perché
non aveva alcun senso immischiarsi nell’amicizia di Bella e Jacob. Tra me e
Jacob l’amicizia non sarebbe mai diventata qualcosa di più. Non era Bella il
problema, ero io. Tanto valeva quindi fare in modo che l’amicizia tra i due si
mantenesse; non avevo niente da perdere. Anche se adesso ero terribilmente
delusa di Jacob.
Per il resto del tempo io e Bella non parlammo molto.
Divenni improvvisamente taciturna, a causa dell’ultimo argomento affrontato.
Bella dopo alcuni minuti si congedò dalla mia camera,
dicendo che doveva andare, lasciandomi da sola. Mi buttai sul mio letto.
Guardavo il cielo oltre alla porta-finestra; l’immagine concreta del mio umore.
C’erano grandi nuvole nere che coprivano il cielo, facendo sì che sembrasse
notte e non giorno. Tuonava minacciosamente, ma ancora non pioveva, ma sarebbe
arrivato presto. Cercai di addormentarmi, ma i tuoni, sia quelli lontani, che
quelli vicini, mi disturbavano. Riuscii ad appisolarmi solo quando iniziò a
piovere.
Passò una settimana e, come promisi a me stessa, non andai
a trovare Jacob. Né fu lui a chiamare.
La stizza non era affatto passata e non servivano né a
mamma né a papà nè i poteri di Jasper, che credevo ormai pensasse che avessi
un’indole arrabbiata, per capire che c’era qualcosa che non andava. Li vedevo
guardarmi preoccupati, ma non mi chiesero mai niente. Questa non era una
situazione nuova solo per me, ma anche per loro; mi ero sempre confidata con i
miei genitori, con l’uno o con l’altra in base ai diversi problemi. Questa era
la prima volta che tenevo i miei problemi per me, perciò intuii, ma questo solo
alla fine della settimana, che non sapevano con esattezza come agire nei miei
confronti e per tanto lasciarono che fossi io a parlare con loro, se e quando
volessi.
Ah, giusto, i miei problemi li condividevo con qualcuno.
Con Edward, ovviamente. Non ero certa di quanto e cosa sapesse, né se sapeva.
Mi inquietava e mi infuriava ancora di più che qualcuno sapesse della mia… cosa
per Jacob. Fino ad ora non osò mai affrontare con me l’argomento e di certo non
sarei stata io ad andare da lui a parlarne. Jacob non era esattamente il
miglior argomento di conversazione per lui, quanto al momento per me. Sarebbe
poi stato terribilmente imbarazzante.
A poco a poco avevo cominciato a rivalutare la posizione
di Edward; “ficcanaso” non era il termine più adatto. Conoscendo i pensieri di
tutti era una persona molto discreta quando il tema di conversazione erano i
fatti di altre persone. Giunsi a questa conclusione riflettendo bene sul suo
comportamento nei miei confronti, in particolare a quell’episodio in cui non
disse nulla a Bella dei Volturi, quando dopo la “gita” a Volterra venne a casa
mia. Mi ricordava sempre più uno di quei gentiluomini dell’ottocento e
cominciai ad immaginarmelo benissimo in completo nero con tanto di cilindro in
testa.
Non era però esattamente Edward la persona a cui pensai
durante quella settimana. Inoltre la noia di quei giorni non aiutò affatto.
L’unica cosa eccitante fu sapere che Victoria se n’era andata, di nuovo. Quella
vipera stava giocando al gatto e al topo, oltre a condurre un’implicita guerra
psicologica nei nostri confronti, in quelli dei miei genitori e di Edward in
particolare; ogni volta che si avvicinava troppo entrambi andavano in paranoia,
per non parlare di Edward.
Martedì decisi di andare da Jacob, avendo constatato che
non era servita a niente quella settimana lontana da lui; quello che avrei
dovuto fare fin dall'inizio era andare direttamente da lui, il giorno
successivo a quella scenata a scuola. Mi sarei risparmiata una brutta
settimana.
Quella mattina a scuola potei restare tutto il tempo con
Bella. Anche se da quando mi ero trasferita dai Cullen la scusa della
lontananza non reggeva più per restare a casa sua, continuai ad andarci lo
stesso e Charlie, pur sapendolo, non fece domande, né mi cacciò mai, come
invece avrebbe voluto fare con Edward. Provavo un senso di soddisfazione sapere
che gli andavo più a genio di lui, più a genio di un vampiro.
Quella era una bellissima e serena giornata, quasi senza
una nuvola, ed alcuni membri dei Cullen ne avevano approfittato per andare a
“ricaricare le batterie” non molto lontano da qui, circa un quarto d’ora di
distanza, compresi Edward ed Alice. Bella ed io potevamo quindi strarcene
finalmente sole.
Avrei scommesso che Edward avrebbe preferito morire di
fame, se avesse potuto, piuttosto che allontanarsi da lei anche per mezza
giornata. Lo dedussi osservando Bella quel giorno. Non era molto allegra, ma
neanche triste. Era un po’ giù. Non ci voleva un genio per capire che quella
malinconia era dovuta all’assenza di Edward. Dedussi quindi che valeva lo
stesso anche per lui. La lontananza portava entrambi ad un male fisico.
Ma anch’io avevo i miei mali fisici e non a cui pensare.
Per tutta la settimana non toccammo l’argomento “Jacob”; e fu meglio così.
Non l’avvertii nemmeno che avevo in mente di andare da
lui; il solo parlare mi infastidiva. Non andai subito da lui quel pomeriggio.
Andai prima a casa a prepararmi psicologicamente all’incontro. Feci tutto
quello che avrebbe potuto servire per impedire a quella litigata di diventare
un massacro; avrei voluto che ci fossero più parole comprensibili con una logica,
che urla senza senso. Per prima cosa mangiai; a stomaco vuoto diventavo più
irritabile. Andai in camera mia a fare stretching e rilassamento, lo stesso che
facevo fare ai bambini a fine lezione. E poi mi feci un bagno nella Iacuzzi; fu
ciò che mi aiutò di più. Mi ci vollero due ore e mezza per tutto questo. Alla
fine fui davvero più rilassata. Mi sentivo ancora stizzita, ma ero sicura che
fossi in grado di affrontare una conversazione decente.
Prima di partire avvertì come sempre mamma. Sembrò per un
attimo sorpresa e mi fece anche un grande sorrisone. Dovevo essere davvero più
rilassata. Il motore della moto, poi, aiutò ancora di più. Mi sentivo padrona
di me stessa. Ci misi un quarto d’ora, come sempre. Parcheggiai allo stesso
posto.
Lo vidi prima ancora di essermi fermata. Mi caddero le
braccia. Poco lontana dalla mia moto c’era un pick-up rosso che conoscevo bene.
Oh, no…
Non avrei di certo potuto discutere di quello che avrei
dovuto discutere con Bella vicina. Non la prima volta che veniva a La Push dopo
tanto tempo. Ero così presa a pensare a Jacob che non mi resi neanche conto
cosa significasse quel pick-up lì. Era il simbolo di una ribellione venuta a
termine con esiti positivi. Stava a significare che Bella era riuscita a
svignarsela, eludendo l’iperprotettività del suo vampiro e perfino il potere di
Alice, approfittando della distanza. Per un attimo fui orgogliosa di lei, ma
durò un niente. Quello era il giorno peggiore in cui potesse venire. Avrei
dovuto dirglielo quella mattina che sarei andata a La Push! Non mi andava di
rovinare la nostra rimpatriata. Stavo per fare marcia indietro e ritornarmene a
casa. Invece scesi dalla moto. No, io non me ne sarei andata. Non volevo
aspettare un giorno di più. E chissene se avrei rovinato qualcosa!
Nessuno spuntò fuori dalla casetta rossa; voleva dire che
non erano in casa. Rimasi per un attimo delusa. Erano forse in garage a fare
qualcosa di privato? Scossi frenetica la testa. Che stupide sciocchezze…
Feci un respiro profondo, togliendomi il casco ed appoggiandolo
sulla moto. Decisi di andare a bussare.
“Arrivo!” Bene, Billy era in casa. Mi venne ad aprire
alcuni minuti dopo, sulla sua sedia a rotelle. Mi guardò con sorpresa e con la
stesso sguardo teso che mi rivolgeva sempre.
“Ciao Abigail” disse caloroso. “Come stai?” questa volta
non si trattenne dal trapelare una nota di preoccupazione.
“Bene” mentii io.
“Ti sei ripresa? Jacob mi ha detto che non sei più venuta
perché non stavi molto bene.” Lo guardai per un attimo confusa, come d’altronde
lui stava guardando me. Non avevo idea di cosa stesse parlando, né di che cosa
gli avesse mai detto Jacob.
“Sì” risposi dubbiosa “Non stavo molto bene. Credo sia
dovuto al cambio di stagione”
“Ah, già” disse lui, guardandomi per un attimo sospettoso.
Nonostante il tempo Billy aveva sempre mantenuto quella sua perenne
preoccupazione che aveva un qualche cosa di paterno nei miei confronti.
“Se cerchi Jacob e Bella, sono alla spiaggia” disse
riscuotendosi.
“Oh, bene, grazie. Allora vado da loro. Ciao Billy” dissi
svelta andandomene via.
“Ciao, Abigail” rispose lui e chiuse la porta. A passi
svelti mi diressi verso la spiaggia.
Non sapevo ancora esattamente cosa fare. Conclusi infine
che la cosa più intelligente era aspettare che Bella se ne fosse andata. Certo,
ma nel frattempo? Sarei sicuramente esplosa. Bene, allora voleva dire che avrei
fatto in modo di far capire a Bella di andarsene. Non ero molto coerente con me
stessa; avevo sempre desiderato che quei due potessero stare un po’ assieme ed
adesso ero io quella che li voleva separare.
Arrivai ben presto alla spiaggia e il profumo del mare
riuscì a calmarmi un pochino. Ma ben presto tutti i tentativi che avevo fatto
per rilassarmi svanirono completamente. Li vidi su quel tronco bianco ed eroso,
lo stesso dove io e Jacob c’eravamo conosciuti per la prima volta. Lei se ne
stava seduta sul tronco, mentre Jacob, incredibilmente vicino a lei, se ne
stava sul terreno acciottolato. Si tenevano la mano. Mi fermai all’istante.
Girai i tacchi, con l’intenzione di andarmene. Avevo iniziato a fremere di
rabbia, di nuovo.
“Ehi, Abigail” urlò Jacob gioioso. Nonostante tutte le mie
intenzioni la sua voce riuscì a bloccarmi. Con grande fatica mi girai
lentamente. Jacob, ancora in quella posizione, stava sventolando la mano libera
verso di me. A piccoli passi mi diressi verso di loro, a testa bassa, le mani
strette in ferrei pugni nelle mie tasche.
“Ehi, Abi, come stai?” Feci lo sbaglio di alzare la testa.
Mi osservava con il suo sorriso bianco, che mi disorientò e mi confuse parecchio.
Senza volerlo sorrisi anch’io.
“Bene” dissi in un tono indecifrabile. Mi stavano
attanagliando un mare di emozioni, mentre il mio sguardo passava dalle loro
mani incrociate al suo sorriso.
“Bella mi ha detto che avevi la febbre e non saresti venuta”
disse, guardandomi strano. Io fissai Bella, che mi guardò eloquente. Era stata
sincera per metà; ero stata realmente male.
“Ah, già” mugugnai “Ora sto meglio”
“Avresti però potuto avvertire direttamente me” mormorò,
dubbioso. Io non seppi davvero cosa rispondere, soprattutto perché in quel
momento la mia testa era altrove. Mi limitai ad accennare un’alzata di spalle.
Brutta risposta; ora avevo fatto capire che qualcosa in me non andava. Entrambi
mi guardavano fissi e confusi, Jacob molto più di Bella.
“Abigail, sei sicura che sia tutto okay?” La sua serietà
mi sorprese. Io alzai le sopracciglia ed annuii involontariamente.
“Forse credo ancora di risentire della febbre” dissi
nervosa. Stavo perdendo il controllo. Chiusi gli occhi e feci un breve respiro.
Cercai di guardare entusiasta Bella.
“Uau, Bella, vedo che sei riuscita a sfuggire dal tuo
aguzzino, complimenti” dissi, leggermente ad alta voce. Lei sfoderò un piccolo
sorrisino imbarazzato.
“Già” mormorò sconsolata. “Scommetto però che mi starà già
aspettando oltre il confine.” Vidi Jacob stringere ancora di più la mano,
voltandosi verso di lei con un sorriso; io spalancai gli occhi, arcigna.
Nessuno però lo notò.
“Vorrà dire che lo faremo aspettare per molto tempo”
rispose allegro. Tornò a guardare me “Ora i tre sono tornati assieme.” Io non
risposi. No, affatto, i tre non esistevano più, né sarebbero più esistiti. Non
per colpa di Edward, come Jacob era stato il primo a credere, e come anch’io
per un po’ di tempo avevo creduto. Non sarebbero più esistiti per colpa mia. Se
dovevo sentirmi così… strana ed imbarazzata come adesso insieme a loro due,
bhè, allora non avrei partecipato molto alla compagnia.
“Vi ho interrotto mentre parlavate di qualcosa di
importante?” dissi invece di botto. Speravo solo che non avessero notato la
nota acida della voce. Bella mi lanciò un’occhiata penetrante.
“No” disse quasi disgustata. Anche lui mi lanciò
un’occhiata intensa. “Abi, cosa c’è che non va?” Abbassai la testa e la scossi
ripetutamente.
“No, niente, sono… un po’ nervosa” dissi con
rassegnazione. Era senz’altro la miglior bugia che avessi mai detto.
“Vuoi… sederti?” mi domandò Bella, esitante. Alzai di
scattò la testa.
“Certo, grazie.” Automaticamente mi infilai in mezzo a
Jacob e a Bella.
“Scusa, Bella, vai un po’ più in là, che non ci sto,
grazie…” Fui quasi contenta di dire quelle parole, mentre muovendo il mio
fondoschiena cercavo di crearmi un varco. Le loro mani si separarono e me ne
rallegrai. Incrociai le braccia e le gambe. Per la prima volta sorrisi quel
giorno, anche se era un sorriso isterico. Jacob guardò Bella con dispiacere,
mentre lei mi continuava a fissare immobile. Mi sentii stranamente più
rilassata, ora che tra loro due c’ero io.
“Allora, Jacob, di cosa stavate parlando?” dissi, con
troppa insistenza nella voce. Mi guardò per un attimo, sgomentato, che però
sparì subito davanti al mio falso sorriso sincero. Ero proprio una guastafeste.
Me ne dispiaceva così tanto…
Jacob mi lanciò
un’occhiataccia. Si era creata un’atmosfera molto pesante da quando ero
arrivata; la percepivo, ma sentirla mi faceva malsanamente piacere.
Bella si alzò improvvisamente dal tronco eroso. Mi guardò
un’ultima volta. Era stata la prima ad accorgersene. Io le indicai con il mento
di andarsene al più presto. Lei mi capì, guardandomi impensierita. Pensavo
avesse capito che dovevo parlare con Jacob al più presto.
“Non stavamo parlando di niente di importante” mormorò,
sistemandosi i pantaloni “Forse adesso è meglio se vado. Angela mi sta
aspettando…” Angela? Angela Weberg? Perché doveva andare da Angela? Era stata
un’ottima scusa, se lo era…
“No! Resta ancora un po’!” sobbalzò Jacob, mentre le
afferrava la mano, sotto i miei occhi. Io mantenni lo sguardo fisso su di
Bella, che stava guardando dispiaciuta Jacob.
“Jacob, devo andare…” mormorò. Lui sbuffò, peggio di un
bambino.
“Ti prego rimani ancora un po’…” implorò, stringendo di
più la mano e tirando Bella leggermente verso di se. Quella situazione non mi
fece pena neppure un po’, non in quel momento.
“Non posso” disse, con voce leggermente più ferma. Jacob
espirò profondamente, totalmente demoralizzato.
“Ma quando ci possiamo rivedere?” continuò.
“Al più presto possibile, Jacob, te lo prometto” disse
sicura Bella.
Non volevo far perdere le speranze a nessuno dei due, ma
credevo proprio che da quella trasgressione Edward avrebbe rinforzato la
guardia. Per un attimo mi ricordai dei Volturi, che non erano molto diversi da
Bella; loro avevano una guardia di una decina di vampiri, Bella aveva una
guardia di una decina di vampiri contro i licantropi. Che paragone inquietante.
Jacob annuì con la testa.
“Va bene” mormorò rassegnato “Ti accompagniamo.” Mi alzai
insieme a Jacob senza fiatare ed accompagnammo Bella al pick-up. Per tutto il
tragitto stetti attaccata a Bella, ben lontana da Jacob.
“Bhè, io vado” disse Bella, aprendo la porta del pick-up.
Prendendola alla sprovvista Jacob la afferrò e la strinse. Bella dopo un
momento di sgomento, ricambiò con un sorriso. L’abbraccio durò relativamente
poco. A pochi centimetri di distanza, Jacob le accarezzò con il palmo della
mano una guancia. Strinsi pugni e denti, cominciai a fremere, come fossi un
licantropo in trasformazione.
“Telefonami, mi raccomando” mormorò. Lei si scostò
leggermente, ma ricambiando il sorriso.
“Certo.” Si rivolse poi verso di me “Ci vediamo domani,
Abi” Feci una fatica immensa per togliere la mano dalla tasca e sventolarla.
Ingranò la prima ed il pick-up rosso e lentamente si allontanò verso la 101.
Jacob lo fissò, finché non scomparì completamente. Io non riuscii a muovere un
muscolo.
“Mi vuoi dire che cosa cazzo ti è preso?!” urlò furibondo
verso di me. Non era tanto arrabbiato, quanto confuso. Non risposi alla sua
domanda. Proprio quel giorno Bella aveva intenzione di andare a La Push? Ero
ridiventata un fascio di nervi. Se avessi parlato di “quella cosa” con il
diretto interessato Billy avrebbe di certo creduto che ci stessimo ammazzando,
da tanto avremo gridato e litigato. Dovevo trovare prima un modo per calmarmi.
Mi venne automatico andare quindi in garage; speravo che lavorare per un po’
alla macchina mi avrebbe calmata un minimo. Jacob mi si parò davanti. Alzai lo
sguardo verso di lui, spaesata.
“Mi vuoi dire cosa cavolo ti sta succedendo, Abi?” disse
questa volta più preoccupato. Mi venne un crampo alle braccia.
“Andiamo a lavorare prima alla macchina” mormorai,
scansandomi. Si spostò di nuovo davanti di me.
“E’ successo qualcosa di grave, vero?” mormorò serio anche
lui. Sì, è successo qualcosa di grave, ma sei troppo stupido per capire che il
“grave” sei tu. Inevitabilmente lo fulminai con lo sguardo.
“Te ne parlo dopo aver lavorato un po’ alla macchina”
ripetei, a denti stretti. Nonostante tutto l’occhiata che gli lanciai la doveva
aver recepita come uno sguardo di supplica, perché mi fece strada al solito
garage.
Lavorammo alla macchina in silenzio, per le seguenti una,
due ore. Non parlammo neanche e per passarci gli attrezzi, ci limitavamo ad
indicarli e basta. L’atmosfera si era fatta di nuovo pesante e l’espressione
concentrata e seria di Jacob lo faceva sembrare arrabbiato. E forse anche lo
era. Mi tenni concentrata fino a che potei. Lavorammo così tanto da finire i
pezzi nuovi che Jacob aveva procurato, cosicché non c’era più niente da fare.
Quando gli diedi i soldi per il lavoro lui li accettò senza fiatare.
Ok, l’atmosfera si era fatta davvero insopportabile ed
invece di rilassarmi mi stava opprimendo ancora di più. Decisi di parlare.
“Jacob?” mormorai.
“Finalmente” sospirò lui, nervoso. Per una volta non ci
badai. Incrociai le braccia e lo guardai fisso negli occhi.
“Non sei venuto per me, stamattina, vero? Sei venuto per
Bella” dissi di getto. Lui alzò un sopracciglio, confuso.
“No, sono venuto anche per te, te l’ho detto” mi rispose
seccato. “E’ solo questo il tuo problema?” Solo questo?!
“Ma all’inizio era per vedere Bella, non è vero? Non
mentirmi” insinuai io acida, la voce di una nota più bassa. Aprì la bocca per
ribattere, ma io non lo lasciai fare.
“E dimmi perché eri tanto affettuoso con me. L’abbraccio,
il bacio… E’ strano che tu lo sia stato proprio in quel momento. Era per farla
ingelosire, non è vero?” Questa volta lui non parlò. Rimase a pensarci un
momento, osservandomi pensieroso.
“Ah. E’ per questo” mormorò. Io esplosi. Quindi era
veramente come pensavo. E dire che avevo sperato fino all’ultimo che non fosse
così…
“Che stupido! Primo, cosa ti ha fatto pensare che potesse
ingelosirla?! L’unico geloso eri solo tu, Jacob! Secondo, mi hai fatto
incazzare come una iena! Non mi frega niente cosa vuoi fare con Bella, ma non
osare usare me! Ti ho avvertito, sai che con questa storia io non ci voglio
avere nulla a che fare!”
“Sì, lo ammetto, ero geloso” alzò la voce anche lui, per
farsi sentire “Mi stava facendo impazzire vederli assieme. E sì, ho cercato di
farla ingelosire. Non è stato però un atto premeditato, mi è venuto spontaneo.
Ma sono venuto davvero anche per te!” Non badai all’ultima frase.
“Ma cosa vuoi che m’importa se è stato un atto premeditato
o no?!” sbottai io. Fece un respiro profondo e mi guardò dispiaciuto. Conoscevo
quell’occhiata. Era quella che dava inizio alla “sequenza del perdono”; lui si
scusava, io continuavo a rimanere della mia, lui continuava a scusarsi ancora,
io decidevo di perdonarlo, sentendomi una gran stupida per aver litigato con il
mio migliore amico.
“Mi dispiace di averlo fatto. Non volevo affatto usarti.”
Ma la “sequenza del perdono” avrebbe quell’oggi fatto un’eccezione.
“Mi dispiace, non lo faccio più, mi perdoni, blablabla…”
lo interruppi io, al colmo dell’irritazione. Ecco, avevamo cominciato a
gridare. “Ecco perché eri sempre felice ultimamente, con quel dannato sorriso
in faccia, perché eri strasicuro che quello che avresti fatto sarebbe andato a
tuo vantaggio!”
“Ero felice perché vicino a me c’era ancora una persona
come te che mi faceva sentire bene” mi rispose serio e calmo, con l’esatto tono
che aveva usato quella mattina con Edward, lo stesso tono che anche Sam usava
con i vampiri, che non aveva niente a che fare con il Jacob che conoscevo io.
Quelle parole, poi, furono peggio di un colpo in pieno petto, tali che mi
fecero stare zitta.
“Io sto cercando di scusarmi e tu fai la stupida! Abi, sii
seria almeno per una volta.” La sequenza non era cambiata del tutto; mi aveva
dato della stupida e mi sentivo veramente una stupida. Ma quello che sapevo con
certezza era che quella volta più stupido di me era lui.
“Mi stai dando della stupida? A me?! Ma come… come… ti
permetti? Proprio tu, poi?!” sbottai riuscendo a staccare le braccia
intorpidite dal petto.
“Come diavolo faccio a parlarti, se tu non mi stai neanche
a sentire?!” sbottò anche lui. Non erano però parole quelle che volevo. Riuscii
finalmente a scampare dalla mia rabbia travolgente. Le parole non sarebbero
servite, no. Quello che volevo da Jacob lui non lo capiva…
“Puoi fare di meglio, Jacob” limitai a mormorare. Lui alzò
le braccia e subito le lasciò subito andare, sospirando.
“Non spreco fiato con persone che non mi ascoltano. Va a
quel paese, Abigail. Tu e quel succhiasangue” mormorò stufo della mia scenata.
“Gli auguro tanta sofferenza…”
“Come se non l’avesse già avuta quando ha lasciato Forks
per Bella” dissi sottovoce, scuotendo la testa, sovrapensiero.
“Tu sai cos’è successo” ammise con voce ferma. Il mio
sfogo si bloccò di colpo. Lo guardai negli occhi impassibile, mentre lui mi
ricambiava uno sguardo allarmato. Imprecai nella mia mente.
Mi ero accorta solo adesso della grande cavolata che avevo
detto. Se Jacob avesse davvero saputo la goccia che fece traboccare il vaso e
che aveva spinto Edward ad andarsene, non solo lui, ma tutti i licantropi si
sarebbero mossi e sarebbero nati fin troppi guai. Dovevo andarmene al più
presto, sperando che il seme del dubbio non fosse già germogliato.
“Ciao, Jacob” dissi veloce e brusca, andandomene
immediatamente da quel posto. Lui fu più veloce e mi prese il braccio.
“No, Abi, dimmi cos’è successo.” Sentivo tremare la mano
che mi tratteneva. Lo guardai negli occhi.
“Non ci penso nemmeno” dissi in tono di sfida, senza
neanche sapere se era la cosa giusta da dire. Lui mi strinse il braccio ancora
di più.
“Le hanno fatto del male? Hanno forse cercata di
ucciderla, vero?” sibilò a denti stretti, ragionando da licantropo. “Perché
diamine non ci avevo pensato prima?” Cominciò a tremare tutto. Mi misi sul chi
vive; era sulla buona strada per trasformarsi.
Allarme rosso; le cose da fare erano diventate due. O me
ne andavo al più presto, o trovavo un modo per calmarlo. Visto che la seconda
opzione era impossibile al momento, era meglio se filavo alla svelta. O meglio,
era quello che avrei dovuto fare. La cattiveria che mi trascinava mi spinse a
non pensare a questi particolari che potevano diventare vitali.
“Perché non lo vai a chiedere alla diretta interessata,
che ami tanto per cui useresti i tuoi amici per farla ingelosire?!” sbottai
senza pensarci, riuscendo a liberarmi dalla sua presa. In realtà fu lui che me
la lasciò.
“Sai una cosa? Sarà proprio quello che farò” ammise
deciso. Mi superò, uscì dal giardino e lo vidi sottoforma di lupo prima ancora
di inoltrarsi nel bosco. Rimasi nel garage almeno per due secondi, senza
rendermi conto di quello che era successo. Elaborai il tutto in breve. Jacob,
fortemente instabile, stava andando da Bella. Avrebbe parlato a Bella in quello
stato. Non volevo neanche pensare alla scena. Non mi fidavo di lui in quel
momento. O mio Dio. Mi sentivo terribilmente stupida.
Magnifico. Cos’era, una maledizione quella che avevo
ricevuto qua a Forks? Prima andando a Volterra, poi dicendo le cose sbagliate
alle persone sbagliate; non avevo mai creato e affrontato situazioni difficili
o impossibili tanto spesso da quando ci eravamo trasferiti.
Mi feci prendere subito dall’agitazione. Bhè, a Bella
almeno non sarebbe successo niente; ci sarebbe stato Edward. In compenso, ci
sarebbero stati, nella migliore delle ipotesi, un licantropo ed un vampiro
pronti ad azzannarsi. Scattai verso la moto, accessi, misi il casco e partii in
quarta verso casa di Bella. Dovevo fare qualcosa, dovevo fare qualcosa, anche
se avevo già fatto abbastanza. Per tutto il tragitto pensai a quanto poteva
andare veloce una moto a confronto di un licantropo e mi trovai ad accelerare
sempre di più, ringraziando l’asfalto asciutto.
Superai ogni record ed arrivai a casa di Bella in cinque
minuti. Sentendomi arrivare lei si era già presentata sul marciapiede, dove mi
stava aspettando. Mi guardava confusa. Tolsi veloce il casco ed automaticamente
mi guardai attorno. Non c’era traccia di vampiri, né di licantropi.
“Abigail, sai cosa è successo, non è vero?” mi domandò
allarmata. Lo sapeva?
“Cosa è successo?” le chiesi ansimando, allarmata più di
lei. Lei si immobilizzò.
“Edward è appena andato via senza dirmi niente. Anzi, si è
appena volatilizzato. È un termine migliore. È una coincidenza che ora tu ti
sia materializzata a casa mia?” mi disse tesa.
Ovvio; Edward sentendo arrivare Jacob, era andato subito
da lui, senza lasciargli il tempo di avvicinarsi troppo a Bella. E quindi,
sentendolo arrivare anche i Cullen, erano sicuramente andati da lui. E di
conseguenza anche i licantropi. O. Mio. Dio. Guardai Bella implorante.
“Ho fatto un casino, Bella” Lei mi perforò seria con lo
sguardo.
“C’entra Jacob, vero? Di cosa avete parlato?” Respirai
profondamente.
“Gli ho detto che sapevo perché Edward se n’era andato”
Lei spalancò gli occhi.
“E tu glielo hai detto?!” sbottò. L’auto della polizia per
fortuna non c’era.
“Ovvio che no” specificai subito “Gli ho fatto capire che
lo sapevo. Lui l’ha voluto sapere, ma io non glielo voluto dire. Ed ha voluto
venire da te. Ma Edward deve essere andato subito da lui. Quindi anche i Cullen
e gli altri licantropi li hanno seguiti” conclusi facendo un respiro profondo e
continuando ad ansimare. Bella si mise una mano tra i capelli, restando zitta.
Cavolo, cavolo, cavolo, che razza di casino che avevo combinato.
“Bisogna fermali, prima che succeda qualcosa” disse seria.
Io la guardai ancora implorante.
“E cosa?” dissi completamente spaesata. Seria, cominciò a
fissare un punto indefinito sul pavimento.
“Bisogna senz’altro calmare Jacob. E’ il più instabile e
predisposto ad iniziare uno scontro.”
“E come?! Sei sicura che i suoi compagni lo aiuteranno a
calmarsi davanti un’orda di vampiri pronti ad….?!” Mi venne il lampo di genio.
A calmarlo non dovevano essere loro, dovevamo essere noi. O per meglio dire,
doveva essere Bella; si era infuriato perché voleva parlare con lei, no? Farlo
quindi lo avrebbe tranquillizzato di sicuro. Era però impossibile raggiungerli.
Non avrei mai portato Bella in mezzo ad un combattimento tra licantropi e
vampiri, oltre a non avere la minima idea di dove fossero. Conoscevo però un
modo per comunicare con Jacob senza avvicinarmi a lui. Dovevamo però fare in
fretta. Guardai Bella negli occhi.
“Sali” le ordinai. Lei scosse impercettibilmente la testa.
“Cosa hai intenzione di fare?” La tornai a guardare.
“Fidati di me, funzionerà!” Credo. Le porsi il casco. Dopo
un attimo di tentennamento lei lo prese e se lo mise. Partii spedita per La
Push, di nuovo. Raggiunsi la stessa velocità di prima, nonostante dietro di me
ci fosse un’altra persona. La sentii stringersi a me man mano che acceleravo.
Arrivammo a La Push dopo cinque minuti. Questa volta però non andai a casa di
Jacob. Andai a casa di Emily. Avevo bisogno di un licantropo e non sapevo dove
altro trovarli se non lì.
Spensi la moto dopo che la porta della casa di Emily si fu
bruscamente aperta . Ad uscire era Paul. O no, tra tutti i licantropi proprio
lui? Sarebbe stato impossibile collaborare, ma non avevo altra scelta. Paul si
diresse spedito verso di noi, mentre mi lanciava occhiate poco gradite. Dietro
di lui spuntò Emily, che rimase vicino alla porta, guardandoci confusa.
“Che cosa hai intenzione di fare?” mi ripeté confusa ed
esasperata Bella.
“Cosa siete venute a fare qua?” ci diede il benvenuto
Paul. Cominciavamo già bene. Mi lanciò uno sguardo riluttante. Per quella volta
non ci feci caso e ricambiai con uno sguardo implorante.
“Abbiamo bisogno di un favore” Lui alzò lo zigomo, con
espressione di scherno.
“Non faccio favori a finte figlie di succhiasangue.”
Strinsi i pugni. Feci tutto il possibile per non pensarci. Qualsiasi cosa
avrebbe detto non avrebbe dovuto farmi perdere le staffe. Avevo già combinato
fin troppi guai. Ebbi la forza di tralasciare anche quel particolare. Feci un
respiro profondo. Bella lo guardava ripugnante.
“E’ per Jacob” specificai io. Lui alzò le sopracciglia.
“Che cosa gli avete fatto?” sbottò “Sapevo che non avrebbe
dovuto stare con voi. Soprattutto con te” disse indicando me.
“Dobbiamo parlare con lui, attraverso la capacità di
leggere il pensiero di voi licantropi. E’ importante!” Lui mi guardò di sbieco.
Bella mi guardò, intuendo i miei piani.
“Cosa sta succedendo a Jacob?” rispose di rimando. In
forma umana non poteva sapere quello che stava succedendo. Era inutile, non
capiva. Io cominciavo ad agitarmi sempre di più. Ci avrebbe davvero dato il
tempo di comunicare con Jacob, una volta che, trasformatosi anche lui, sarebbe
venuto a conoscenza di tutto, e non sarebbe partito spedito verso il branco? Di
colpo venne sorpassato da Emily.
“Paul, per favore, fai quello che ti dicono” Sarà stato
intuito femminile, oppure no, ma Emily aveva capito la gravità della
situazione. La guardai per un momento con gratitudine, e mi ricambiò con un
sorriso. Paul guardò riluttante anche lei, ma cominciò a tremare e si
trasformò. Quella per fortuna era una strada sempre deserta e nessuno poteva
vederlo. Paul cominciò a ringhiare, pronto per balzare lontano da noi ed
andarsene dai suoi compagni.
“No, Paul, per favore, rimani” disse Emily più nervosa di
prima. Magicamente Paul obbedì e rimase fremente lì dov’era, mentre osservava
quello che stava succedendo miglia lontani da qua. Era straordinario come Paul
diventasse pongo nella mani di Emily; aveva una certa influenza, essendo
l’anima gemella del capo branco. Non persi troppo tempo. Oltrepassai Emily,
mettendomi davanti a lui. I miei occhi incrociarono i suoi. Il suo sguardo
sprezzante non era ancora cambiato.
“Mi può sentire?” Con mia grande sorpresa Paul fece un
piccolo accenno con la testa. Mi volsi verso Bella, stranita dalla situazione.
“Parlagli” le chiesi. Avere la certezza di essere
osservata non solo da Paul, ma da molti altri licantropi era una strana realtà.
Bella si fece avanti, più sicura di me. Guardò attentamente gli occhi di Paul.
“Jacob torna a La Push” disse, come se fosse lì davanti a
sé “Non fare sciocchezze. Ti dirò tutto quello che vuoi sapere qui. Non me ne
vado finché torni.” Quando terminò Paul continuò a rimanere immobile,
respirando pesantemente.
Non sapevo quello che sarebbe venuto adesso; Jacob aveva
davvero ascoltato Bella? Sarebbero ritornati, lui ed i suoi compagni a La Push?
Aveva funzionato il mio piano?
Vidi veloce Paul scattare di lato e partire verso la fitta
vegetazione che circondava la casetta di Emily. Feci un paio di passi avanti,
confusa dalla sua reazione.
“Ragazze, cosa è successo?” ci chiese Emily preoccupata,
il tono scandito dalla sua consueta gentilezza. La guardai con rammarico, senza
però dire niente.
Fu in quel momento che arrivarono. Non molto lontano da
noi uscirono dallo stesso punto in cui era scomparso Paul il branco di lupi al
completo. Camminavano svelti e spediti verso noi tre, preceduti tutti da Jacob.
Il pensiero di quello che avevano appena fatto mi attanagliò per un attimo.
Erano andati dai vampiri; avevano combattuto? O non ce n’era stato il tempo?
Jacob si parò immediatamente di fronte a Bella, guardandola
impietrito e non muovendo un solo muscolo. Il resto del branco invece squadrava
me. C’era un grande fremore nell’aria.
“Sono tutto orecchi” mormorò Jacob. Bella riuscì a
mantenere lo sguardo senza abbassarlo.
“Questa questione riguarda tutto il branco, Jacob”
intervenì Sam, avvicinandosi a lui e distanziandosi solo il minimo
indispensabile da Emily. Per la prima volta Jacob distolse lo sguardo da Bella
e fulminò Sam.
“Posso parlarle prima io?” disse monocorde. Bella
continuava a rimanere immobile davanti di lui. Sam e Jacob si scambiarono una
lunga occhiata indecifrabile.
“Jacob, chi sei tu per disubbidire agli ordini di Sam?!”
sbottò Jared improvvisamente, alzando le braccia al cielo. Vedevo con la coda
nell’occhio Paul fulminarmi.
“No, Jared. Se prima Jacob vuole parlare con Bella è
libero di farlo” disse infine Sam. Jacob non perse tempo e guidò Bella verso la
casetta di Emily, nel retro.
“Sam, non puoi farti sempre condizionare in questo modo da
Jacob!” sbraitò di nuovo Jared. Vidi intanto Embry guardarmi curioso, ma non ne
capì bene il perché.
“Ce lo dirà Abigail quello che abbiamo il diritto di
sapere” disse rivolgendosi per la prima volta verso di me. Ora tutti e quattro
i licantropi stavano osservando me, aspettando che parlassi. Notai stranamente
che avevano composto un vago semicerchio attorno a me. Come appunto un
cerbiatto circondato dai lupi. Ricambiai lo sguardo di Sam meglio che potei,
cercando di nascondere il disagio ed il nervosismo. Di colpo il cuore cominciò
a battere più velocemente. Credevo di non aver mai desiderato così tanto
scomparire. Non avrei mai immaginato che non dirlo a Jacob avrebbe comportato
doverlo dire a tutti i licantropi. Tutti e quattro mi guardavano impazienti e
terribilmente seri. La verità, certo, non l’avrei potuta dire; avrei dovuto
mentire. Chissà però se ci sarei riuscita questa volta.
“Credo sia meglio ve lo dica Bella, visto che è lei la
diretta interessata” dissi mostrando sicurezza. Bene, dal mentire ero passata a
creare guai agli altri e a render loro la vita più difficile. Era caduta molto
in basso, recentemente.
“Non credo sia molto importante questo. Ne verremo a
conoscenza in ogni caso” rispose immediatamente Sam. Era sicuramente una mia
impressione, ma credevo che il cerchio si stesse stringendo. Feci un respiro
profondo.
“È meglio se ve lo dice lei. O Jacob. Non ero presente in
quel momento ed è molto probabile che ciò che so non sia esatto”
“Basterà sicuramente” replicò sicuro Sam. “Abigail, non ce
lo vuoi dire perché in realtà i Cullen hanno cercato di uccidere Bella, e tu in
questo momento stai cercando di difenderli, vero?” continuò, l’espressione
irremovibile, il tono calmo e sereno.
Mi feci prendere subito dal panico; aveva centrato il
problema appieno. Guardai per un attimo Emily, vicina a Sam, che da sempre mi
aveva sostenuta, sperando di trovare un appoggio anche in quel momento. Anche
lei mi guardava con la stessa identica e calma impressione di Sam; l’unica
differenza era la curiosità che ostentava. Tornai a guardare Sam, fingendomi sicura
e facendo finta degli altri tre licantropi.
“No, non hanno cercato di ucciderla” mentii alla grande.
Fu una grande prestazione. Sam respirò profondamente, poco convinto.
“Abigail, non ti nascondo che all’inizio ero diffidente
nei tuoi confronti. Ma Jacob ha molta fiducia in te, quindi ne voglio avere
anch’io, nonostante alcuni miei compagni non condividono pienamente le mie
opinioni” disse dosando bene le parole “Usa bene questa fiducia, Abigail.” Il
suo tono era diventato molto più comprensivo.
Imprecai mentalmente. Odiavo questi discorsi sulla
fiducia, sull’importanza che le persone mi davano, che d’altronde, in un modo o
nell’altro, non stavo mai a sentire, e che quindi procuravano solo delusione.
Feci un respiro profondo anch’io. Sam mi aveva messa con le spalle al muro. In
questo caso mentire alla grande implicava alcune cose molto gravi per me;
innanzitutto, se un domani i licantropi avrebbero scoperto la verità, oltre a
creare un conflitto supernaturale, avrei potuto considerarmi fuori dal gruppo
dei licantropi, e quindi lontana da Jacob. Poi, avrei messo in grandi guai i
Cullen. Anzi no; li avevo già messi nei guai. Più pensavo a quelle poche parole
che avevo detto, più mi stavo rendendo conto di quello che avevo causato.
“No, non hanno cercato di ucciderla” dissi, scandendo le
sillabe, poiché mi ero terribilmente difficile. Fui incredibilmente credibile,
nonostante il mio stato emotivo sotto zero. Credevo inoltre senza alcun dubbio
che sarebbe stato anche quello che avrebbe detto Bella a Jacob.
“Mente!” sbottò Paul, parlando per la prima volta.
Sobbalzai, non tanto per la voce alta, quanto per quello che aveva detto.
Pensai che in realtà avevano la capacità di capire chi mente e chi no. Magari
sentendo il mio battito cardiaco, ora a mille, attraverso una specie di
macchina della verità incorporata, o altre cose licantropesche. Sam non stette
ad ascoltarlo e continuò ad osservare me. Per non sembrare insicura, mantenni
anch’io lo sguardo fermo.
“Io le voglio credere” disse alla fine Sam, voltandosi
verso i suoi compagni, i quali non sembravano pensarla come lui.
“Sam, sta dalla parte dei succhiasangue, secondo te ce lo
verrebbe a dire? Non è stupida” sbottò Paul, avvicinandosi a Sam.
“Ne abbiamo già parlato, Paul” rispose severo Sam.
“Sei davvero sicuro di quello che fai, Sam?” chiese Jared,
con le braccia incrociate, più razionale e tentennante di Paul. Sam mi guardò
ancora una volta.
“Sì, Jared”
“Io le credo” esclamò con un sorriso Embry. Grazie, Embry.
Io gli risposi al sorriso; intanto mi sentivo sempre più una vera e propria
nullità. Vidi anche Emily accennarmi ad un sorriso. Paul alzò le braccia e
subito le lasciò cadere a terra. Alla fine quindi ero riuscita a convincerli.
Bene. Cioè, in realtà male, per come stavo in quel momento.
“A proposito, buona trovata quella di prima!” continuò
entusiasta Embry. “Sei riuscita a calmare Jacob; non ci siamo mai riusciti.
Cioè, sì” si corresse “ma non in così poco tempo!”
Io mi limitai ad alzare le spalle, non sapendo cosa dire.
In realtà era stata Bella, non io a calmarlo. Sembrava averlo detto però, non
diretto a me, ma agli altri tre licantropi, in particolare Jared e Paul, per
sottolineare i miei lati positivi. Di fronte all’affermazione di Embry Paul
continuò a sbuffare, mentre Jared rimaneva immobile e pensieroso. Sam sembrò
che ammiccasse un sorriso nella mia direzione, ma fu talmente tanto
impercettibile che forse lo confusi con una smorfia. Tuttavia mi sentii solo un
po’ meglio.
Sobbalzai all’imprecazione di Jacob, proveniente da dietro
alla casa di Emily. Divenni improvvisamente tesa. Avevano iniziato a gridare.
Quell’urlo richiamò l’attenzione generale.
“Jacob sta cominciando a dare in escandescenze” disse
Embry, nervoso. Il mio primo impulso fu quello di andare dietro a quella casa,
per vedere cosa stava succedendo.
“È meglio se vado a vedere cosa sta succedendo” mormorai,
tentando di uscire da quella situazione tesa ed imbarazzante. Sam mi fece un
cenno di consenso.
“È meglio di sì.” Mi mossi subito, sotto le battute poco
piacevoli di Paul.
“Certo, lei ormai è diventata una maestra a proposito” Lo
sentii gridare.
“Paul, datti una calmata” sentii invece dire Jared calmo.
Percorsi la distanza che separava me dal retro della casa in poco tempo,
desiderosa di lasciarmi i licantropi alle spalle il più presto possibile. Che
situazione devastante.
Arrivata cominciai ad arretrare, per non farmi sentire.
Non mi feci subito vedere dai due, ma rimasi nascosta dietro la parete, per
sentire quello che stavano dicendosi. Era in realtà come spiarli, ma a me
piaceva vederla come aspettare il momento più giusto per intervenire.
“Cosa vorrebbe dire che ne era ossessionato?!” sbottò
Jacob, arrabbiato. Non potevo vedere le loro facce, ma potevo immaginarmi la
sua espressione furente.
“Vuole dire che nessuno mi ha mai fatto niente. I Cullen
se ne sono andati perché Edward era persuaso che prima o poi sarebbe successo.”
Anche Bella si era adirata. Erano in piena lite, forse sarei dovuta
intervenire. Tuttavia Bella gli stava tenendo testa abbastanza bene. Era stato
straordinario il suo cambiamento di fronte a questa situazione; aveva
dimostrato una fermezza che non avrei mai immaginato in quella ragazza
inciampante. Stava inoltre mentendo in modo strabiliante, nonostante sapevo che
era davvero scarsa. Diciamo nascondere la verità per il bene di tutti; mentire
era una parola abbastanza brutta.
“Bè, avvertimento più chiaro di questo!” riprese Jacob.
“Se anche lui è convinto di poterti far del male, vuole dire che molto
probabilmente prima o poi succederà! Sono troppo pericolosi, Bella, lui e i
suoi compagni. Non lo capisci?”
“No, non lo capisco.”
“Lasciali stare, ti prego.” Il tono di Jacob ora si era
fatto implorante. Lo faceva quasi sempre; quello che non riusciva ad ottenere
gridando o sbraitando, cercava di ottenerlo implorando. Nel solo caso di Bella,
però. Con me invece mi mandava direttamente a quel paese.
“No” rispose Bella, non arrabbiata, ma ferma. Mi sorpresi
di nuovo della Bella che stavo sentendo. Era una persona totalmente diversa.
“Sai che sono in grado di impedirtelo” riprese Jacob,
passando direttamente alle minacce, tentando il tutto e per tutto. Strano, a me
non mi aveva mai minacciato, nonostante fosse una tattica coerente con il
nostro rapporto conflittuale.
“Davvero?! Vuoi nascondermi nel tuo garage per il resto
della vita. Non ci credo!” sbottò Bella sarcastica. Ebbi una straordinaria
ammirazione per quella ragazza; non solo stava riuscendo a convincere Jacob di
una balla, ma lo stava prendendo anche in giro. Io non avrei saputo fare di
meglio.
“No, ma siamo un gruppo di licantropi numeroso, in grado
di tener testa a quello dei tuoi amici succhiasangue” insinuò lui serio, con
voce cattiva. Jacob ci andò davvero pesante; a Bella aveva sempre inquietato
questa particolare caratteristica dei licantropi e sapevo che Jacob lo sapeva.
Lei però riuscì ad uscirne in modo altrettanto maestrale.
“Sentiamo, con che scusa riuscirai a trascinarli in questa
impresa suicida?! Non hanno violato il patto, non avete alcun pretesto! Jacob,
smettila di fare il bambino!” replicò, questa volta anche lei acida. Passarono
alcuni minuti di silenzio. Touchè; Bella ci era riuscita, era riuscita a
convincere Jacob, lo sapevo. Senti un profondo sospiro; doveva essere di Jacob.
“Ci vediamo così poco ed in questi rari momenti
litighiamo, sempre sullo stesso dannato argomento. Bella cosa ci sta
succedendo?” rispose, senza alcuna traccia della precedente arrabbiatura. “Mi
sento così solo senza di te.” Sentii qualcosa frusciare, ma non capii bene cosa.
“C’è sempre Abigail” rispose Bella, comprensiva, anche lei
non più arrabbiata.
“Ah!” sbuffò scocciato “Lei non è niente. Non vale nulla,
in confronto a te”
Ogni fibra del mio corpo si contrasse, fino a non
respirare più. Ah… bene. Sentii le sopracciglia corrugarsi, poiché non avevo
ancora capito bene cosa stava succedendo al mio corpo. Una nullità, eh?
Per tutti coloro che aspettano da un momento all'altro una
dolce scenetta tra Abigail e Jacob, mi dispiace, ma dovranno aspettare ancora
un po', perché è evidente che litigherano ancora ed ancora!
Non è successo nulla di interessante in questo capitolo,
se non per la fine. E' una cosa che in parte mi tocca fare, per seguire i tempi
del libro (sono tipo ogni volta messa davanti al computer con eclipse sulle
gambe pensando 'allora, nel libro succede questo questo e questo, quindi nel
mentre Abigail farà questo questo e quest'altro)!
Nonostante tutto, spero che anche questo sia stato di
piacevole lettura!
Ancora una cosa, mi rendo conto della lunghezza
stratosferica dei capitoli, ma mi è necessario anche questo, perchè la storia è
ancora molto lunga e non voglio arrivare a pubblicare cento capitoli!
Grazie ancora a tutti per aver letto fino a questo
capitolo! Adesso con l'estate ho più tempo per scrivere, ma continuo a
pubblicare saltuariamente. Uffa! Perdonatemi anche per questo! XD
Alla prossima!
X nes_sie: Ciao! Mi dispiace, ti aspettavi curiosi episodi
a casa Cullen, ed ecco che ti ritrovi di nuovo guai con i licantropi. Non ti
sei offesa, vero? :( Tornando seria, sono davvero contenta che tu abbia
commentato! Chissà, forse nei prossimi capitolo a casa Cullen succederà
qualcosa ;). Chi lo sa! Grazie ancora!
X sackiko_chan: Sono d'accordo anch'io con te; Renesmee è
un personaggio che non sopporto neanch'io e che sto valutando tantissimo se
inserirlo o no, anche se adesso, purtroppo, visto che fin dall'inizio hi
promesso di attenermi alla storia originale e visto che in pratica tutto
breaking dawn gira intorno a lei, bè, mi vedo costretta ad inserirla...
Ma è ancora tutto da decidere. Comunque grazie mille per i
complimenti e per aver commentato! :) Un bacio!
X __cory__: Ma non serve scusarsi di niente! Ancora un po'
e non mi scusa neanch'io di aver pubblicato per essere andata in vacanza! XD
Mmhh... è una mia impressione o Renesmee ti sta un po' antipatica (no so, il
nome tra parentesi mi ha messo il dubbio...)? Ti sei dimenticata di Paul! Anche
lui non ha avuto l'imprinting, se non sbaglio. Ma tra lui ed Abigail non c'è decisamente
un grandissimo rapporto amoroso. Comunque son d'accordo con te, anche a me
piacciono tutti e due, ma forse prefersico Embry...
Comunque grazie ancora mille per esserti ricordata di
questa fan fiction anche dopo una rilassante vacanza ristoratrice! XD Un bacio!
In punta di piedi mi allontanai dal retro della casa. Non
provavo il minimo interesse verso quello che si sarebbero detti dopo. E Bella
se la stava cavando alla grande; non aveva bisogno di alcun aiuto. Vidi il
branco di licantropi osservarmi. Mi domandai per un momento se fosse per la mia
espressione indecifrabile o per l’esito della mia 'non necessaria missione di
soccorso'. Mi avvicinai a loro più dubitante di quanto avessi voluto.
“Stanno risolvendo. Tra poco dovrebbero avere finito,
credo.” Mi stupii del mio tono di voce confuso. La confusione non era affatto
un sentimento che in quel momento provavo. Quello che più le si avvicinava era
l’incredulità.
“Non ho voluto disturbarli.”
Sam mi fece un impercettibile cenno di assenso con la
testa. Paul invece mi guardava acido. A parte quello non credevo che gli altri
avessero intuito qualcosa di diverso in me. Molto probabilmente perché la
sottoscritta si sforzava di rimuovere inconsapevolmente il fatto appena
accaduto. Osservai con attenzione le cinque persone davanti a me e
impulsivamente concludere il discorso di prima sembrava un modo più che ottimo
di sopprimere la valanga di emozioni che tra breve mi avrebbero sommersa. Feci
un respiro profondo, che poteva essere scambiato per stanchezza, invece che per
nervosismo.
“Vi chiedo scusa per aver spinto Jacob a comportarsi in
quel modo e di aver coinvolto anche voi” dissi guardando negli occhi ciascuno.
“Penso abbiate già altro a cui pensare. E vi posso assicurare ancora una volta
che i Cullen, così come i miei genitori, non hanno in alcun modo ferito, o
feriranno, Bella, me, o qualsiasi altro essere umano.”
Feci un respiro profondo prima di concludere molto
diplomaticamente.
“Nonostante questo comprendo, anche se con qualche difficoltà,
le vostre avversioni verso di loro e ci tengo molto a ringraziarvi per la
vostra particolare attenzione nei miei confronti.” Anche se assolutamente
eccessiva.
Fui sorpresa dalle parole che mi uscirono, dette
totalmente soprapensiero. Durante il silenzio che seguì mi soffermai sul
sorriso dolce di Emily e su quello amichevole di Embry, e non tanto
sull’indifferenza di Paul e sulla perplessità di Jared.
“Ti ringrazio in nome di tutto il branco per le tue parole
e ti rispondo che quello che facciamo è il nostro dovere” mi rispose Sam
sereno, non con la fittizia tranquillità con la quale parlava ai vampiri, ma
con sincera calma. Emily mi si fece vicina, mettendomi una mano sulla spalla.
“Quello che il troppo orgoglioso capo di questo branco
vuole dirti è che pensare a te non è ormai più un obbligo, ma è diventato un
piacere.” Io sorrisi prima a lei, poi a Sam, che stava scuotendo la testa,
segretamente divertito per le parole della sua compagna.
“Grazie” sussurrai non sapendo esattamente cosa c’entrasse.
Sentii un improvviso disagio a sentirmi circondata da persone e sentii un
pulsante desiderio di stare da sola. Il motivo era più che lampante. Forse
lasciai i licantropi un pò confusi per la mia improvvisa uscita di scena, ma
quasi non me ne accorsi.
“Adesso è meglio se vado” affermai non molto convinta.
Alzai la mano in segno di saluto, mentre cominciavo già ad allontanarmi,
ricambiato da Sam e Embry.
“Ciao Abigail” mi salutò calorosa Emily. Camminando mi
accorsi che Jacob e Bella erano ancora sul retro. Aumentai veloce il passo, mi
misi il casco e montai in moto come un fulmine e con la stessa velocità mi
allontanai da La Push. Il mio desiderio era solo quello.
Mi trovavo ora da sola con i miei pensieri. Guidare la
moto mi era tanto automatico che non ci pensavo più; mi sforzai più che potei
quindi di pensare al rumore del motore. Insieme a lui si mischiava una parolina
aguzza e letale: nullità. Lo sentii cambiare di intensità per via del cambio
della marcia, che lo mandava su di giri. Nonostante cercassi di coprire il
suono di quella parola con quello del motore, sembrava che fosse sempre più
forte di lui. Perciò io acceleravo, acceleravo, acceleravo, per nascondere il
suono di quella parola che vinceva sempre.
Finché in una decina di secondi scarsi non andai più
veloce, evitando molto probabilmente di fare un incidente. Non riuscii neanche
a vederlo da tant’era veloce, o da tanto io non ci vedevo. Sentii dapprima la
mia mano scivolare dall’acceleratore e l’altra premere forte sul freno. La cosa
strana era che non avevo deciso io di frenare; c’era qualcosa di duro e forte a
obbligarmelo. La ruota anteriore si bloccò, facendo perno su quella posteriore,
che cominciò a girare sull’asfalto e a disegnare una circonferenza perfetta,
mentre fumava per la corrosione con il terreno. Andai a sbattere contro
qualcosa che mi impedì di proiettarmi fuori sella. Solo quando la moto si fermò
dopo alcuni giri riuscii a intendere quello che era successo. Edward accanto a
me, tenevaferma la ruota della moto con
la gamba, mentre mi bloccava le mie mani sul manubrio.
Prima che riuscissi a collegare mi tolse veloce il casco e
per la veloce seguenza dei fatti, persi l'equilibrio e scivolai goffa dalla
sella, cadendo malamente a terra. Edward lasciò cadere davanti a me la mia
povera moto con un tonfo, insieme al casco. Mi ripresi velocemente e mi tirai
su a sedere guardandolo confusa per la sua apparizione. Arrabbiato era a dir
poco. Era incazzato come una iena. Si limitò solo a guardarmi. Quegli occhi
neri non mi fecero nessun effetto in particolare, anche se avrebbero dovuto;
avrei dovuto sentire una strizza assurda, ma non arrivò. Quel suo sguardo non
mi toccava per niente, come se fossi una spettatrice di quella scena e la
guardassi da fuori. Sentivo di starlo a guardare come una perfetta imbambolata.
“Abigail” sussurrò con voce smorzata, ancora immobile“Tutto questo… è stata una tua messa in scena
per portare Bella a La Push?” Strabuzzai gli occhi. Una constatazione del
genere riuscì a rianimarmi dalla mia situazione catatonica. Come poteva
venirgli in mente un'idea simile?! Non ero stupida! Sì, lo ero, lo ammetto, ma
non fino a quel punto!
“No!” sbottai.
“Non c’era alcun bisogno di portarla qua” sibilò ancora a
denti stretti, guardando all’orizzonte, verso la cittadella dei licantropi.
Sapeva sicuramente che non stavo mentendo; intuivo che in quel momento mi stava
leggendo sfacciatamente la mente come fosse uno specchio. Aveva avuto un brusco
cambio di umore: ora nella sua espressione insieme alla rabbia c’era forte e palpabile
un senso di inquietudine. Non ne riuscii davvero a capire il motivo.
“Mi sembra di essere stato abbastanza chiaro quando
abbiamo affrontato l’argomento, Abigail” mi disse serio, sfoderandomi
un’occhiata che non avrebbe tollerato nient’altro al proposito. Mi venne
automatico ripensare alla nostra discussione a scuola, ma non riuscii a
concludere nulla. Mi si fece vicino di pochi centimetri in lampo. Io sobbalzai
per lo spavento. La sua vicinanza riuscì a intimorirmi.
“Perché diavolo l’hai lasciata da loro?” Il suo sussurro
riuscì a farmi rabbrividire questa volta. Il mio primo pensiero fu che Edward
stava cominciando a dare i numeri davvero. Non c’era da stupirsene; questa era
la seconda volta a distanza di poche ore che Bella andava a La Push.
In quel momento però, non riuscii seriamente a concepire
perché Edward si stesse comportando così per Bella. Mi assalì una grandissima
confusione per non riuscire a capire da cosa dipendesse quella sensazione. A
dirla tutta non mi stavo neanche sforzando. Era come se nella mia mente tutto
ad un tratto si fosse formato un tappo che mi impedisse di ragionare, qualcosa
che mi distraeva e sproporzionava l’importanza delle cose.
Mi ritrovai a pensare senza volerlo al motivo per cui
avevo lasciato Bella a La Push. Quando me n’ero andata non avevo pensato
minimamente a lei. non avevo pensato
minimamente a lei. Se l’avevo portata io, allora come avrebbe fatto a
tornare indietro? Ah già, giusto, ci sarebbe stato Jacob che... che l'avrebbe
portata a casa. Quello stesso Jacob che mi considerava una nullità. Di cui mi
ero fidata, che consideravo un'ottima persona. Tutto inutile. Avevo capito
cos'era quel tappo.
E finalmente capii che Edward si stava comportando in quel
modo perchè temeva che i licantropi potessero fare del male a Bella. Ah! Sapevo
che il comportamento di Edward era fin troppo esagerato e dovevo ammettere che,
non potendo fare niente al riguardo, mi ero finita per abituarmici. In quel
momento però il mio stato d'animo che non sapevo come definire ingigantì quel
fastidio che ero solita reprimere. E provai finalmente qualcosa che conoscevo
bene: rabbia.
"Non avresti
dovuto stuzzicare in quel modo il licantropo" affermò cupo Edward, che
intanto si era allontanato da me. Serrai la mascella. Quella voce da rimprovero
mi fece davvero saltare i nervi. Non riuscii a sopportarlo ed esplosi, perdendo
del tutto il controllo. In quel momento mi domandai chi diamine fosse lui per
giudicare le mie azioni. Lo perforai con gli occhi.
“Hai paura che uno di loro si trasformi e le possa saltare
addosso" iniziai con voce piuttosto roca. Lui mi guardava immobile.
"Ma se solo conoscessi i licantropi almeno un poco, la loro storia,
sapresti che le probabilità che uno di loro possa farle del male sono tante
quante quelle che un membro della tua famiglia possa farne a me. Cioè zero!”
Feci un profondo respiro prima di riprendere. Ero sicura di quello che stavo
dicendo: nonostante fosse capitato una volta mi avevano più e più volte
assicurato che non sarebbe più accaduto.
“Ma ovviamente tu non li conosci, il tuo metro di giudizio
si basa su pregiudizi! Così stai facendo soffrire Bella, perché le stai
impedendo di stare con la persona più importante per lei dopo che tu te ne sei
andato. Bravo! Sei davvero un campione a farla soffrire, in un modo o
nell’altro.”
Cominciai a respirare affannosamente per il mio sfogo,
durante il quale avevo fatto correre liberi i pensieri. Non era servito proprio
a niente, mi sentivo anzi peggio di prima. Le parole di Jacob senza neanche
rendermi conto mi stavano uccidendo. Sopratutto non capivo il motivo che mi
aveva spinto a dire quelle cose. Avevo difeso i licantropi quando l'attimo
prima uno di loro mi aveva... Fu allora che capii che non stavo più ragionando
con la testa, ma con l'istinto; nonostante tutto io, stupidamente, continuavo
ancora a tenere a Jacob. Sommato al fatto che in quel momento odiavo
Edwardcon tutta me stessa, le cose si
facevano chiare.
Lui in risposta mi guardò pensieroso; non sembrava affatto
infuriato per le mie parole. Cominciò a studiarmi con lo sguardo, mentre se ne
stava in piedi, sul ciglio della strada, in atto di aspettare qualcuno.
Sembrava che ogni fibra del suo corpo e della sua mente fosse concentrata su
Bella e quello che pensavo o dicevo per lui in quel momento contava poco o
niente.
"Hai ragione. E' tutto inutile offendermi. Quindi
evita di farlo, per favore" disse indifferente, tanto che quel 'per
favore' lo faceva sembrare gentile. Io rimasi spiazzata. Stava usando il suo
potere per scoraggiarmi, e ci stava riuscendo benissimo. Quel tono mi infuriò
ancora di più, oltre a farmi rendere conto di essere una grandissima stupida.
Mi sentii anche terribilmente in imbarazzo; ora Edward conosceva non solo
quello che era successo e quello che pensavo, ma anche quello che sentivo e
detestavo che gli altri mi vedessero come una debole.
Quello che mi faceva innervosire più di tutto era che
Edward mi stesse leggendo nel pensiero. Sentii un'istantaneo rigetto per quel
vampiro e senza dire una parola, con movimenti veloci e repentini mi rimisi il
casco, per sopprimere la voglia di tirargli un cazzotto.
Non appena mi girai sobbalzai. Un altro vampiro si trovava
davanti a me. Era mia madre. Un vampiro che avrei desiderato ardentemente
vedere in quel momento. Solo allora presi veramente in considerazione le
reazione da parte dei miei genitori e dei Cullen. Mamma deve essere andata in
paranoia.
"Stai bene, Abi?" Che strano. Il suo tono non
era tremendamente irriquieto. Nè tanto meno arrabbiato. Era solamente dolce,
come sempre. La guardai attentamente negli occhi; ecco, il suo sguardo tradiva
quell'ansia che il tono di voce nascondeva. Mi venne automatico sorriderle
leggermente. Annuii leggermente con la testa.
"Vieni, andiamo a casa" disse mantenendo lo
stesso tono. Si girò di schiena e capii subito di dover salirle sopra. Lei
afferrò la moto come se fosse un cuscino. Partì quindi spedita verso casa,
mentre quella piccola strada continuava a rimanere deserta. In tutto questo mia
madre non notò minimamente Edward, come lui d'altro canto faceva finta che non
esistessimo. Agii in modo molto automatico e mi accorsi con stupore che non
riuscivo a provare proprio niente. Mi sentivo come se fossi uscita da una
lavatrice. Mi accorsi bruscamente che mia madre aveva iniziato la sua corsa.
Tanto ero abituata a stare sulla schiena mentre correva che ormai per me era
diventata una cosa normale. Per un attimo però risentii il vento tra i capelli,
la velocità ed il caos di colori che mi circondava come se fosse la prima
volta. Incondizionatamente pensai che fosse molto simile ed adrenalinico come
una corsa in groppa a un licantropo. Come non detto; il poco benessere che
avevo trovato era scomparso in un baleno. Tornai a stringere forte mamma,
sperando che si sarebbe presto fermata. Lo fece pochi secondi dopo.
Appoggiati i piedi sul terreno mi sentii decisamente
meglio. Alzai lentamente la testa, per evitare che l'improvviso capogiro che mi
era venuto non mi facesse cadere come una pera. Davanti a casa c'erano i Cullen
al completo, compreso mio padre, impegnati in una tesa discussione. Tutti si
interruppero al mio arrivo. Il primo a farsi vicino fu ovviamente mio padre,
mentre sentivo la mano di mia madre attaccata alla mia spalla.
"Abigail, stai bene?" mi disse con voce fin
troppo tranquilla. Che strano; mia madre e mio padre erano fin troppo quieti.
Un branco di licantropi aveva cercato di attaccarli, no? Ed io ero nel loro
territorio. Sarebbe stato normale che a questo punto cominciassero a dare di
matto. Ancora più sconvolgente era che anche nelle espressioni degli altri
Cullen non c'era nessuna ansia o agitazione. Erano piuttosto confusi, come lo
ero io. Prima di rispondere decisi che era una buona idea fare un respiro
profondo. Avevo risolto la situazione con i licantropi, ma non con i vampiri,
che era la parte più difficile. Avrei dovuto raccontare tutto.
"Sì, io sto bene" dissi con voce più decisa di
quanto mi aspettassi. Alzai la testa in direzione di Carlisle "E' stata
tutta colpa mia" confessai. Carlisle corrugò la fronte.
"Di cosa saresti colpevole, esattamente?"
"I licantropi vi hanno attaccato per colpa mia"
dissi senza pensarci. Ci fu per un attimo il silenzio, che fu rotto solo più
tardi da una risata trattenuta di Emmett.
"I licantropi non ci hanno attaccato" mi
comunicò papà, guardandomi dubbioso. Ricambiai lo sguardo. Cosa diamine aveva
fatto quel Jacob furioso che avevo visto scomparire nella foresta? Pensandoci
bene poi, licantropi e vampiri stavano tutti bene. Era inutile che mi sforzassi
di capire cos'era successo; non ne avevo alba.
"Cosa è successo?" sussurrai confusa.
"Purtroppo, proprio niente!" Se ne uscì Emmett
con la sua voce poderosa.
"Qualche minuto fa abbiamo sentito il branco di
licantropi avvicinarsi troppo al confine. Ci siamo subito diretti da loro. Non
sembravano intenzionati ad attaccarci, ma erano nervosi. Soprattutto uno.
Abbiamo subito pensato che erano venuti per parlare" gli fece seguito la
dolce voce di Esme.
"E' arrivato anche Edward, che di solito non si
stacca mai da Bella. Sapeva cosa volevano da noi, ma non ha voluto dirci di
cosa" continuò Alice, quella più agitata"Ha letto per alcuni attimi le loro menti. Poi sia i licantropi,
sia lui si sono dileguati. Non sono riuscita a vedere dove diamine se n'è
andato. Quindi deve c'entrare sicuramente con quei cani" sbuffò
sonoramente. "Odio quando non riesco a vedere!"
"Siamo parecchio confusi sia sul comportamento di
Edward, che su quello dei licantropi" intervenne di nuovo Carlisle
"Puoi dirci qualcosa di più?" Lo guardai per un attimo sbalordita.
Feci poi un un nuovo respiro. Alla fine non avevo coinvolto tutti i licantropi
e i vampiri, ma solamente due in particolare, per fortuna. Ciò non toglie il
fatto che avevo messo nei guai tutti quanti.
"Ho... ho accennato per sbaglio ad uno dei licantropi
che conoscevo il motivo per cui voi ve ne siete andati da Forks" confessai
senza perdere tempo "Ovviamente non gliel'ho detto" tenni subito a
precisare "ma... ha voluto venire a parlarvene di persona." Feci un
altro respiro profondo e scossi convulsamente la testa.
"Scusate, ho combinato un pasticcio. Volevo rimediare
in qualche modo, così sono tornata qua a Forks, ho preso Bella, l'ho portata a
La Push e abbiamo cercato di convincere i licantropi a ritornare alla riserva
per parlare, sfruttando la loro capacità di leggere il pensiero con l'aiuto di
uno di loro. Era questo che Edward stava vedendo""
"Quindi loro adesso sanno però il motivo per cui ce
ne siamo andati" mi interruppe improvvisamente Carlisle, pensieroso, ma
per niente arrabbiato. A parte che per vederlo arrabbiato ce ne voleva. Notai
però che anche gli altri non sambravano minimamente incavolati. Solo forse un
po' sorpresi. Ciò che mi sconvolse di più erano i miei genitori. Erano del
tutto impassibili. Faceva strano non vederli preoccupati. Va bene, non era
successo niente che potesse far pensare ai vampiri che mi fosse successo
qualcosa a La Push. Era quindi normale che i Cullen non fossero preoccupati per
me. Per i miei genitori assolutamente no; appena si presentava la minima
occasione lo diventavano.
"No, quando sono tornati a La Push io e Bella abbiamo
parlato con loro e li abbiamo tranquillizzati raccontandogli... una balla"
dissi veloce per cercare di minimizzare il tutto. Quasi mi vergognai a dire la
parola 'balla' dopo quello che mi aveva detto Sam poco prima.
"Uau!" Il grido di Emmett mi fece sussultare
"Che genio! Sei riuscita a calmare un branco di licantropi
incalliti!" disse sgargiante. La sua reazione mi spiazzò ancora di più.
Avevo rischiato di iniziare una battaglia sovranaturale e loro la buttavano sul
ridere? Tirò una gomitata a Jasper, vicino a lui
"Jasper, mi spiace, ma lei è più brava di te"
"Mmh..." Non mi piaceva l'espressione di Jasper,
concentrato ed inquieto allo stesso tempo. Non era difficile indovinare come
poteva stare. D'altronde, era stato lui a cercare di uccidere Bella. Quello a
cui andava più scomoda la situazione era proprio lui.
"Ecco, ci mancava, come se non avessimo altro a cui
pensare..." intervenne anche Rosalie, gridando al cielo e alzando le
braccia, con fare quasi teatrale, mentre stizzita alzava i tacchi e come
un'attrice di telefilm americani se ne andava dentro casa. Neanche la stizza
era una reazione da ritenersi normale.
"Rosalie...!" le gridò dietro Emmett, sparendo
per andare da lei.
"Non badare a lei" continuò Alice, parandosi
davanti di me "Ha ragione Emmett, te la sei cavata bene"
"Sì, ma... non siete arrabbiati con me? I licantropi
vi avrebbero attaccati..." dissi guardando i presenti confusa. In risposta
sentii dei lievi risolini.
"No di certo!" disse questa volta Carlisle
"Grazie ai poteri di Jasper, li avremmo convinti a discutere, prima di
tutto. Inoltre non avevano un vero motivo; come hai detto tu, non gli hai detto
niente"
"Il nostro primo pensiero non è stato affatto quello
che volessero attaccarci, se è questo che credi. E, per sfortuna, non sono così
stupidi da attaccarci così all'improvviso" continuò Alice. "Saremo
sopravvissuti tutti anche senza di te, ma grazie comunque per l'aiuto."
"Ma ho comunque parlato dei fatti vostri..."
insistetti ancora. Era arrivata al punto in cui volevo che si arrabbiassero con
me. Insomma, solo io credevo di averne combinata un'altra grossa?
"Questo in effetti non avresti dovuto farlo. E' stato
piuttosto fastidioso" mi disse con il visetto imbronciato. Poi lo distese
e mi illuminò con il suo splendido sorriso "Ma non fa niente. Non è morto
mica qualcuno" Io la guardai scettica, con la bocca leggermente aperta. La
richiusi dubbiosa. Nessuno si era arrabbiato. Ormai ero così abituata a creare
casini e a subirmi la successiva fase di 'cazzettone' che mi sembrava strana
quella situazione.
"Sophie, William, calmatevi, lei sta bene" disse
Carlisle rivolto ai miei genitori. Li guardai dubbiosa. Avevano ancora l'aria
strana. Sembravano... Era impossibile. Adesso che li guardavo meglio sembravano
essersi fatti di qualcosa.
"Certo, Carlisle" lo rassicurò mio padre,
impassibile.
"Li sto calmando io" intervenne Jasper,
tremendamente seccato "La loro ansia mi sta infastidendo parecchio. E'
esasperante e... troppa" L'ultima parola la disse quasi ringhiando. Ah,
ecco a cosa erano dovute quelle espressioni strane da parte dei miei genitori.
Come pure quella di Jasper. Non era agitato per quello che era successo, ma
perchè stava cercando di tenere buoni i miei genitori. Povero Jasper, alla fine
l'unico a soffrirne rimaneva lui.
"Non credo sia più necesario, Jasper" lo informò
mamma. Lui d'altrocanto li guardò dubbiosi, ma subito fece un respiro che
scambiai con uno sbuffo. L'istante dopo già non c'era più. Senti quindi la mano
di Alice picchiattare la mia spalla.
"Vado a caccia con Jasper. Ci vediamo dopo, ok?"
non ebbi neanche tempo di risponderle che anche Alice se n'era andata. Guardai
di conseguenza i miei genitori. Mmh, ecco, ora erano più normali. Le loro
espressioni a dire il vero erano quelle di prima, anche se non più impassibili.
Il loro senso di protezione lo percepii nella mano di mia madre che mi
stringeva la spalla ed il pollice alzato che mi rivolse mio padre, al quale io
risposi con un sorriso. Feci un altro respiro. Tutto si era risolto abbastanza
bene. Mi venne una voglia improvvisa di un bagno bollente.
"A questo punto vado anch'io" dissi dirigendomi
verso le scale. Notai solo più tardi che il motivo per il quale Esme e Carlisle
non se n'erano andati anche loro era che volevano parlare da soli con i miei
genitori e aspettavano solo il momento che me ne andassi. Feci lentamente le
infinite rampe di scale che mi separavano dalla mia camera. Ero sfinita.
Quando arrivai sul mio letto ebbi solo la forza di
togliermi le scarpe. Ringrazia la spiegazione che avevo dovuto dare ai vampiri
per avermi distratta almeno un po'. Ora tornavo a sentirmi male sul serio. Ero
da sola, nessuno mi poteva vedere; la situazione psicologica perfetta per
scoppiare a piangere. Fu improvviso, come una bomba che esplode. Iniziai subito
a singhiozzare, anche rumorosamente, soddisfatta, in un certo senso, di poter
fare finalmente quello che volevo: piangere per aver perso il mio migliore
amico. Abbracciai il cuscino. Non volevo smettere ad essere sincera, volevo
continuare fino a non avere più liquidi in corpo. Almeno così poi non avrei più
sofferto, pensavo. Balle, invece.
Ecco, balle. La parola del giorno era balle. Anzi, di quel periodo. Da quando
eravamo a Forks non avevo mai raccontato così tante balle. Sapevo che non era
una bella cosa, ma non me n'era mai fatta una ragione. Forse era davvero
arrivato il momento di smettarla. Inutile, pensare ad altro non serviva a dimenticare
quell'altro.
"Ciao Abi, perchè sei così triste?" disse una
vocina sopra di me.
Fu più forte di me lanciare una risata. Quella strana
vocina irriconoscibile proveniva dal mio orsacchiotto. Potevo dire che era il
giocattolo a cui ero più affezzionata fin da bambina e non ero riuscita a
buttarlo, sebbene fosse rovinatissimo. Anche se adesso lo lasciavo solo sul
letto, da piccolina ci dormivo sempre e quando ero triste mamma lo muoveva e lo
faceva parlare con me. Da piccola funzionava sempre, così questa volta a
distanza di anni mia madre aveva ben pensato di riprovare il trucco
dell'orsacchiotto. Mi asciugai con una mano le lacrime, maledicendo l'udito
sopraffino dei vampiri. Molto probabilmente tutti mi avevano sentito piangere.
Per una volta, me n'ero totalmente dimenticata.
"Ciao, Chef" risposi stando al gioco. Si
chiamava Chef perchè in origine aveva un capello da cuoco cucito sopra la
testa, che adesso ovviamente non c'era più.
"E' da tanto che non parliamo" continuò mia
madre con la voce di Chef, rannicchiata dietro al mio letto. Era così brava che
non riuscivo neanche a vedere la sua mano mentre lo muoveva.
"Vuoi dire al tuo vecchio Chef perchè sei così
triste?"
Incoerentemente sorrisi di nuovo. Tutte e due sapevamo che
era una cosa stupida ed infantile, ma forse era quello che volevo. Credevo
fosse giunto il momento di parlare con mia madre. Era da un'eternità che non mi
confidavo con lei, mentre un tempo ci parlavo davvero di tutto. Il motivo erano
i licantropi. Difatti tutti i miei problemi erano sempre roetai su di loro. In
particolare su di lui. E avevo sempre avuto paura di cosa mi avrebbe detto
mamma, nonostante avesse messo ben in chiaro che a lei, come anche a mio padre,
stava bene. Adesso però non me ne importava proprio niente. Con lui volevo
avere meno a che fare possibile. Inoltre sapevo benissimo che l'unica soluzione
per stare meglio era parlare con qualcuno.
"Ho... ho litigato con un mio amico" dissi a
voce preoccupatamente tremula. Il viso di mia madre spuntò da dietro il mio letto.
Aveva intuito che l' "amico" era Jacob e aveva lasciato da parte
Chef.
"Ne vuoi parlare?"
"Sì" dissi senza preamboli. "Quando ero a La Push, prima, ho
spiato una conversazione tra Jacob e Bella. E Jacob..." Iniziò subito a
sgorgare un fiume di parole che si fermò all'istante al nome di Jacob
"...mi ha definita una nullità." Quasi vomitai quest'ultima parola.
Mia madre non si scompose, nonostante io lo fossi già.
"Non conosco bene questo Jacob, ma da come me lo hai
descritto tu sembrava essere una buona persona" disse con un'innaturevole
calma, tralasciando ogni traccia di pregiudizio. Adoravo Sophie perché sapeva
esattamente come fare la madre.
"Quando ci siamo incontrati con i licantropi prima,
uno di loro era particolarmente agitato. Era lui, no?" continuò, più
precisa. Io annuii convulsamente con la testa. Fece un respiro e si mise a
sedere vicino a me.
"Talvolta le persone quando perdono la testa, come è
successo al tuo amico, dicono e fanno cose che non pensano..."
"Dal tono che ha usato sembrava piuttosto
convinto" dissi interruppendola subito. Ero terribilmente cocciuta in quel
momento e parole ragionevoli, anche se dette da mia mamma, non avevano alcun
effetto.
"Dovresti chiarire con lui" continuò lei. Io
scossi ancora la testa; al momento stranamente non riuscivo a trovare nelle
parole di mamma nessun tipo di conforto o di appiglio a cui aggrapparmi.
"Non ci penso nemmeno. Non lo voglio neanche
vedere"
"Eppure voi due litigate quasi sempre, da quanto mi
hai detto" riprese mia madre.
"Ma lui era serio, troppo..." esclamai
interrompendomi subito "Lui può diventare davvero cattivo quando... quando
si tratta di Bella" conclusi con uno strano tremulo nella voce.
"A Jacob piace Bella, quindi?" esclamò
leggermente sorpresa. Io la guardai spiazzata per un attimo, per il tono troppo
alto che aveva usato.
"Non ti preoccupare, la casa è vuota, possiamo
parlare liberamente" mi assicurò lei.
"Sì, molto" dissi mogia, a bassa voce
"tanto da perdere la testa per lei"
"Non avevo idea dell'esistenza di questo
triangolo" riprese lei, accavallando le gambe e continuando ad osservarmi.
Aveva uno sguardo un po' strano, come se mi stesse osservando. Al momento però
non ci badai molto, troppo presa dalla tristezza.
"Povera Bella, tra un licantropo e un vampiro. Per
fortuna che ci sei tu che le dai un po' di umanità"
"Sì..." mormorai, un po' sconfortata questa
volta. Non riuscivo a capire cosa stesse dicendo mia madre, perché si stava
perdendo in argomenti che non c'entravano niente con quello che volevo da lei.
Alzai la testa per guardarla negli occhi e mi accorsi che la sua espressione
era cambiata. Mi stava guardando con uno strano sorrisino, quasi triste, mentre
dondolava avanti ed indietro.
"Scusami, Abi, l'ho capito solo adesso. Perdonami se
non sono stata attenta" dissi con quella voce dolce come il miele che solo
lei aveva. Io la guardai terribilmente confusa.
"Eh?" proruppi io con il mio solito verso di
papera. Lei si avvicinò a me e mi scostò i capelli dal viso.
"Il motivo per cui stai male è che hai avuto la prova
troppo amara che Jacob non ti ricambia, vero?" Io la guardai immobile. Mi
ci vollero un paio di secondi per capire a cosa si era riferita: non le avevo
mai detto che ero innamorata di Jacob. Era ovvio quindi che non riusciva a capire
il mio vero problema. Abbassai la testa e mi portai le gambe al petto,
cominciando a annuire piano. Solo ora capii che la prima cosa che dovevo
confidare a mamma era questa, perchè alla fine questo era il vero problema di
tutto.
"Vieni qui" disse lei, allargando le braccia. Oh
sì, questo era il momento giusto per un freddo abbraccio. Mi avvicinai a lei e
la strinsi a me. Al primo impatto sentii un brivido di freddo percormermi la
schiena, seguito subito dopo dal suo indescrivibile profumo. Stetti subito un po'
meglio.
"Mi dispiace, Abi..."
"No, non fa niente" Io la interruppi subito,
scioglendo quell'abbraccio. Mi asciugai le ultime lacrime; ora non sentivo più
l'esigenza di piangere. "Non serve che tu dica niente. So quello che devo
fare." Anche il tono della mia voce era ritornato alla normalità. In
realtà ero terribilmente abbattuta e spaventata. Fin da quando aveva
pronunciato quelle parole sapevo che cosa avrei dovuto fare. Non ero per nulla
indecisa. Solo che tra il dire ed il fare c'è il mare; non avevo il coraggio
per farlo. Ma non volevo soffrire ancora per lui.
"Grazie per la chiacchierata" dissi alzandomi
dal letto. Mi stavo comportando come se tutto fosse passato con
quell'abbraccio. Ma così non era e mamma se n'era perfettamente accorta. Lo
intuivo dallo sguardo enigmatico con cui mi guardava.
"Ora sto meglio." Ecco un'altra bugia. Ero una
vera illusa se credevo che mia madre ci cascasse. Lei però fece finta di nulla
e continuò a parlare.
"Perchè non me ne hai parlato? Mi hai fatto pensare
quando tornavi a casa giù di corda. Non volevo crederci che era
stanchezza." Feci un respiro profondo prima di rispondere.
"Perchè si trattava di un licantropo." Vidi per
un momento roteare i suoi occhi.
"Ti ho spiegato che a me andava bene se tra i
licantropi ti facevi qualche amico e che quello che penso io non
importava"
"Sì, lo so" dissi io "ma... pensavo che ti
aversti fatta influenzare dai tuoi pregiudizi"
"Così non è stato, mi sembra" continuò lei del
tutto impassibile. "Credo di aver parlato di lui come un ragazzo normale,
non credi?" Feci un profondo respiro. Ecco, perchè tra i miei genitori ed
i Cullen c'era un abisso nel modo di pensare?! Entrambi avevano gli stessi
pregiudizi, ma i miei genitori non li facevano pesare su di me.
"Ecco, perchè Edward non ragiona come te?!"
esclamai io, contenta che in quella casa non ci fosse nessuno. "Se lo
facesse, Bella avrebbe sicuramente più libertà e..."
"Non mi piace ficcare il naso nei fatti degli altri,
come invece piace fare a te" interevenne mamma fermandomi subito,
appoggiando i gomiti sul materasso "ma credo che sia dovuto al fatto che
Edward si lasci prendere troppo dal pericolo che le possa succedere qualcosa,
non avendo un potere come il mio che lo "controlli"." Tornò a
tirarsi su, guardandomi con i suoi splendidi occhi dorati
"Sai, non credo di poter essere tanto diversa da lui
senza il mio potere." Per un attimo pensai a come sarebbe stato se mia
madre non avesse alcuna dote. Per cominciare La Push non l'avrei neanche potuta
sognare. Ero realmente convinta che mia madre sarebbe stata peggio di Edward.
"Ma anche papà..." continuai io. Lei mi
interruppe di nuovo.
"Papà ha invece il suo di dono. Ti ricordi che è
stato lui il primo ad acconsentirti di andare a La Push?" mi chiese. Io
annuii con la testa. Era quindi per questo che la mia famiglia era diversa dai
Cullen. Dovevo immaginarmelo.
"Ti senti meglio adesso?" riprese mia madre.
"Un poco" dissi io realmente sincera. Parlare
con mamma era servito, dopotutto. Bè, piuttosto di dire che sto meglio, era più
corretto dire che stavo meno peggio. Era ovvio che stavo ancora male, ma era
passato tempo sufficente per poter convinvere con questo dolore.
"Continuerà per un po', ma poi passerà"
specificai. Prima di parlare mia madre mi guardò ancora con quello sguardo
enigmatico.
"Non buttare però un'amicizia così..." riprovò
mia mamma un'ultima volta. Io scossi la testa. Nessuno meglio di lei conosceva
la mia cocciutaggine. E se ero convinta di una cosa, la facevo e basta. Anche
se in questo caso sarebbe stato un gran peccato.
"No, mamma. Non lo posso rivedere. La nostra amicizia
finisce qua." Mi sorpresi di quanto fossi seria. "Non può essere solo
un'amicizia." Non fu per niente difficile dirlo. Difficile fu poi gestire
il dolore al petto. Mia mamma mi guardava mortificata, ben sapendo che
qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stato inutile. Se c'era una cosa di cui
ero immune erano i metodi di persuasione dei vampiri. Ad eccetto di quelli di
Alice, che andavano oltre alle mie capacità.
"Adesso vado a farmi un bagno" dissi, tentando
inutilmente di mostrare un'ombra di sorriso. Chi volevo illudere? Io, forse? Mi
chiusi in bagno e quella razza di sorriso scomparve immediatamente. Sbuffai,
mentre andavo ad aprire il rubinetto della Iacuzzi. Sbuffare era tutto quello
che riuscivo a fare. Mi appoggiai alla parete del bagno mentre la vasca si
riempieva. Mi sentivo abbastanza confusa in quel momento. C'era un peso al
petto che non voleva scomparire. A tratti mi sentivo incazzata fuori misura per
essere stata presa in giro da quel lupo, per avermi fatto credere di valere
qualcosa anche come amico. Poi però un lampo di razionalità mi ricordava che
Jacob quand'era arrabbiato ne diceva tante di cavolate. Ed ecco giungere la
tristezza, peggio della rabbia, che mi ricordava che io al confronto di Bella
rimanevo una nullità. Conoscendolo, Jacob era stato in quell'occasione
abbastanza sincero, dopotutto. Non mi considerava una nullità come amica; non
riuscivo a pensare diversamente. Ma come qualcosa di più; ero sicura il cento
per cento che a confronto di Bella era vero. Di nuovo mi ritrovavo a riflettere
sulla più vera delle verità: a Jacob io non piacevo, lui era innamorato di
Bella. Punto, basta, non c'era nient'altro da dire. Mai come in quel momento la
cosa mi faceva star male. Sapevo di essere giunta al punto in cui dovevo
smettere di essere amica di Jacob; non sarei riuscita a rimanere solo quello.
Dovevo tagliare tutti i ponti con lui, ma il solo pensiero mi mandava in
confusione. C'era una domanda che rimaneva nella mia testa e non trovava
risposta: davvero non sarei riuscita a rimanere solo un'amica adesso? Una parte
di me mi spingeva a rimanere sua amica, mi faceva credere che avrei sopportato
che lui fosse innamorato di Bella. Ma di questa parte non mi fidavo. Insomma,
in quel momento non sapevo davvero a cosa pensare. Decisi quindi di buttarmi
nella Iacuzzi e tentare di affogarmi. Così forse magari avrei anche soffocato
la confusione, la rabbia e la tristezza.
Stetti per almeno un'ora nell'acqua calda. Quando uscii
avevo tutta la pella screpolata. Da quando ero andata a San Lucas avevo
scoperto che l'acqua riusciva a rilassarmi piuttosto bene. Ma non quel giorno,
a quanto si direbbe. Uscii dal bagno in accappatoio e mi buttai sul letto,
rannicchiandomi su un fianco. I miei pensieri erano tutti concentrati su quella
persona e la confusione che avevo mi fece venire il mal di testa. Stava
diventando insopportabile. Dovevo fare qualcosa che mi tenesse occupata. Mi
alzai e mi guardai attorno, in cerca di qualcosa che mi avrebbe potuto
distrarre. Solo dopo un minuto lo vidi. Mi alzai, presi il telefono e chiamai
senza rendermene conto Bella. Pensai che parlare con lei fosse un'ottima
distrazione. Ci sarebbe stato sicuramente anche Edward, ma poco male; avrei
detto a Bella di mandarlo via senza troppi preamboli. Della buona educazione
ora non me ne importava proprio niente; volevo solo parlare alla mia amica,
chiederle come stava e sì, anche se era un comportamento del tutto masochista
chiderle come era andata a La Push. Sentii il telefono squillare per qualche
secondo.
"Pronto?"
"Ciao Bella, sono io, Abigail"
"Ciao Abigail" Il suo tono nonmi sembrò particolarmente vivace. Forse non
era il momento giusto e la stavo disturbando?
"Allora sei arrivata sana e salva a casa" tentai
di buttarla io sul ridere. Non ne avevo per niente voglia e lo dissi piuttosto
svogliata.
"Sì" Anche lei sembrava non essere del giusto
umore per ridere. Anzi, sembrava quasi tentennare mentre parlava.
"C'è Edward lì con te?" azzardai quindi io.
"Sì" Bè, non serviva neanche che lo chiedessi;
era ovvio che c'era anche lui.
"Ho bisogno di parlarti da sola" replicai io. Ci
furono alcuni secondi di silenzio. Sentii poi la mano di Bella coprire la
cornetta. Solo dopo un minuto abbondante tornò a parlare.
"Ti ascolto" disse lei, sempre con quella voce
svogliata.
"Ti sento stanca" notai io. In effetti lo ero
anch'io, anche se più di tanto la stanchezza non attirava la mia attenzione. La
sentii sospirare.
"Dopo quello che è successo un po' lo sono"
"Scusami. E' colpa mia" Sentii una piccola
risata dall'altra parte della cornetta.
"Agli imprevisti ci sono abituata" disse lei,
leggermente meno fiacca. Calò per un attimo il silenzio. Decisi quindi di
domandarle ciò per il quale le avevo telefonato.
"Alla fine hai risolto con Jacob?" Mi fu
straordinariamente difficile pronunciare l'intera frase. Volevo però parlare
con lei di quello che era successo. Inoltre le avrei dovuto comunque dire di
comunicare a Jacob che da lui non ci sarei più andata, se no mi sarebbe di
certo venuto a cercare ed ora avevo il buon proposito di non vederlo per almeno
una vita.
"Sì, con lui ho risolto" disse lei, questa volta sollevata.
"Cosa vi siete detti?" chiesi io, impicciona
come sempre.
"Abbiamo litigato, ce ne siamo dette di cotte e di
crude. Alla fine però l'ho convinto che non è succeso niente" disse molto
vaga. Non credevo avesse molta voglia di parlare, ma avevo un estremo bisogno
che mi ascoltasse e continuai.
"Ehm..." dissi dubbiosa. Per un secondo mi era
venuto il dubbio su ciò che volevo dirle. Scomparì però il secondo dopo.
"Ti devo dire una cosa" dissi più decisa.
"Sì, ti ascolto" disse Bella confusa " Abi,
tutto ok?"
"A dire il vero no" risposi con la stessa
franchezza "Prima, a La Push, quando parlavi con Jacob, l'ho sentito
gridare un po' troppo e sono venuta a vedere cosa stava succedendo" dissi
sperando di mantenere un tono chiaro, che però stava già cominciando a
vacillare "Vi ho spiati per un po'. Non avrei dovuto farlo, scusa. A un
certo punto Jacob ha detto qualcosa su di me. Ci sono rimasta piuttosto
male." L'ultima frase l'avevo detta con voce molto flebile, anche se ero
rimasta abbastanza impassibile. Sentii Bella sospirare di nuovo.
"Abigail, dovresti conoscere Jacob, com'è fatto.
Quando si arrabbia non capisce più niente. Non sa nemmeno lui cos'ha
detto." Bella si era improvvisamente animata ed ora mi stava parlando come
un'amica che consola.
"Sì, lo so, però..." La mia voce era ritornata
indecisa "Non ho più intenzione di andare da lui, quando verrò a La Push.
Glielo puoi dire tu, per favore?" Ci fu ancora un attimo di silenzio,
prima del terzo sospiro di Bella di quella telefonata.
"Va bene, glielo dirò." Avevo come la netta
situazione che non si sarebbe limitata a questo, ma avrebbe affrontato
direttamente con Jacob il problema; non sarebbe stata la prima volta. Non
volevo che lo facesse, ma ripensando a quante volte io avevo cercato di
riappacificare loro due, intromettendomi nei loro affari, non potevo dire
niente a riguardo. E poi forse sotto sotto volevo anch'io risolvere con Jacob.
Mi misi una mano sulla fronte. Non era possibile che prima volevo qualcosa,
l'ora dopo il suo opposto. Non sapevo cosa volevo; questa era l'unica
spiegazione. Scossi la testa e cercai di pensare a qualcos'altro.
Automaticamente spuntò un sorriso amaro.
"Quanto è arrabbiato Edward con me da zero a
dieci?" le chiesi con una punta di ironia.
"No, non mi sembra che ce l'abbia con te" disse
lei un po' dubbiosa "Piuttosto, gli hai detto qualcosa?"
"Perchè?" chiesi confusa. Bè, più che parlato
era più corretto dire urlato in faccia.
"Mi ha chiesto se sto male quando lui non mi permette
di andare a La Push." mi rispose lei. "Ho come avuto l'impressione
che ci stia ripensando. Non mi è sembrata tutta farina del suo sacco"
"Sì, gli ho parlato" risposi svogliata, iniziando a giocare con la
fodera del cuscino. "Ma credevo che non mi stesse ascoltando. Poi anch'io
ero un po' fuori di me e ho sparlato"
"Forse ti ha ascoltata invece" Sentii un lievo
sbadiglio in sottofondo. Forse era meglio se adesso la lasciavo riposare;
quello che dovevo dirle ormai glielo avevo detto.
"Scusami se ti ho telefonato. Adesso forse è meglio
se ti lascio riposare"
"No, figurati. Anzi."
"A domani allora?"
"A domani. Ciao Abi"
"Ciao Bella"
Detto questo riattaccai. Mi misi comoda sul cuscino e
cercai di fare un pisolo con ancora l'accappatoio addosso. Cercai di dormire,
ma ovviamente non ci riuscii. La mia mente ripassava gli eventi che erano
successi quel giorno e non aveva intenzione di smetterla: la litigata con
Jacob, l'adrenalinica fuga a La Push, l'arrabbiatura di Edward. Stranamente mi
soffermai particolarmente su di lui. Certo, aveva esagerato, non c'era alcun
dubbio, poteva darsi una calmata. Era vero però che anch'io avevo esagerato.
Ripresi il telefono e me lo passai per un po' da una mano all'altra. Ero
indecisa se telefonare di nuovo a Bella per parlare con lui e porgli le mie
scuse. Non mi piaceva che le persone ce l'avessero con me. Sarebbe stato meglio
se gliele avessi fatte di persona, ma visto che non riusciva a staccarsi un
attimo da Bella, telefonargli mi sembrava la cosa migliore. Inoltre non avrebbe
potuto leggere i miei pensieri. O forse ci riusciva anche attraverso la
cornetta del telefono? Ricomposi il numero di Bella.
"Pronto?" disse svogliata più di prima. Mi
spiaceva disturbarla ancora una volta.
"Sono ancora io. Scusa se ti disturbo ancora"
"Ciao Abi" mi rispose lei stranita. Aveva lo stesso tono di qualcuno
che si era appena svegliato "Tutto bene?"
"Sì, vorrei parlare con Edward se non ti dispiace" dissi spiccia. Ci
furono alcuni secondi di silenzio.
"Va bene" disse lei confusa. Non ci volle
neanche un secondo che rispose lui.
"Cosa vuoi?" Lui non aveva per niente la voce di
uno che si era appena svegliato. Anzi, era piuttosto acida. Forse non glielo
voleva far capire a Bella, ma ero piuttosto sicura che Edward ce l'avesse
ancora con me.
"Volevo chiederti scusa per quello che ti ho detto
prima. Non ero molto in me" dissi cercando di essere il più sincera possibile.
"Sì, me ne sono accorto" rispose Edward
tagliente "Per questo non ho fatto il minimo caso a quello che hai
detto" Il suo tono di voce era piuttosto impassibile e anche severo.
"Ah" riuscii a dire io, totalmente spiazzata
dalla sua reazione.
"Comunque, non fa niente" Il suo tono di voce
non cambiò minimamente "Mi devi dire qualcos'altro?" Ci pensai bene
prima di rispondere. Ragionai un attimo; nonostante io gli avessi fatto le mie
scuse e lui le avesse accettate, continuava ancora ad essere arrabbiato. Non mi
sembrava essere qualcuno che accettava le scuse e continuava ad essere
infuriato. Non era per niente così infantile. Dedussi quindi che il vero motivo
era che avevo portato Bella a La Push, a rigor di logica. Va bene, non mi
piaceva quando le persone ce l'avevano con me, ma solo quando avevano un buon
motivo. Non sentivo per niente il bisogno di chiedere scusa ad Edward per
questo; non avevo fatto nulla di male, anche se lui la pensava diversamente.
Preferivo che ce l'avesse con me, piuttosto, e che se la facesse passare da
solo, se era davvero questo il motivo. Non mi sembrava tipo da tener rancore,
quindi se ne sarebbe ben presto dimenticato.
"No. Tutto qui" dissi con la sua stessa voce impassibile.
"Allora ciao, Abigail"
"Ciao, Edward."
Il giorno dopo, giovedì, fu strano tornare a casa non
sapendo che dopo sarei andata a La Push. Ero ancora terribilmente giù di corda,
non c'era che dire. Alice se n'era subito accorta e quel giorno fece davvero i
salti mortali per strapparmi un sorriso e per tenermi occupata in qualche
conversazione. Per quanto riguardava Edward, bhè, non sembrava che mi stesse
odiando, ma mi trattava pur sempre con certa diffidenza. Poco male, me ne sarei
fatta una ragione.
Il pomeriggio, finita scuola, andai subito a casa.
Parcheggiai la moto vicino alla nuova macchina di Alice, una Porsche giallo
canarino, come quella che aveva rubato a Volterra. Gliela aveva regalata
Edward, ma non avevo ben capito perché ed ad essere sincera non me ne importava
molto. Entrata in salotto vidi Emmett e Jasper guardare la tv. Senza rendermene
conto li salutai un po' moscia. Il secondo dopo tutta la depressione che avevo
si sostituì a un grande senso di felicità.
"Giornata pesante?" mi chiese Jasper con un
piccolo sorriso. Io gli risposi con il mio solito sorriso sghembo, limitandomi
ad annuire. Quando entrai in cucina tornai esattamente come prima. Forse Jasper
non avrebbe dovuto farlo, perchè adesso mi sentivo quasi peggio di prima.
Mentre mi preparavo uno spuntino riflettei sul potere di Jasper. Aveva gli
stessi effetti che poteva avere l'assunzione di droghe pesanti. Chissà se
avrebbe creato dipendenza.
Finii di mangiare il panino, scuotendo la testa per i miei
sciocchi pensieri e me ne andai subito in camera mia. Mamma e papà erano ancora
a lavoro, quindi prima delle sei non sarebbero venuti. Buttai lo zaino sul
letto ed iniziai subito a fare i compiti. Feci i compiti di tutte le materie,
anche quelli per la prossima settimana. Non avevo mai studiato tanto in vita
mia. Cercavo di mantenermi concentrata più che potevo, per evitare di pensare a
La Push e chi ci abitava. Quando finii con la scuola, decisi di allenarmi un
poco con la break dance. Lo spazio che c'era in quella soffitta, in particolare
nella mia camera era più che sufficente. Misi la musica a palla ed iniziai a
fare un po' di riscaldamento, per poi passare ai freeze, tanto per
cominciare. La concentrazione che richiedeva la break dance per evitare di
cadere e spezzarsi qualcosa fu tale che mi impedì di pensare nient'altro che
alla musica e al mio corpo.
Mi allenai fino a quando sentii la musica fermarsi. Mi
alzai un po' paonazza e con il respiro affannoso. Mia madre, ancora vestita con
gli abiti da lavoro, mi guardava con uno strano sorrisino.
"La battutta di caccia di domani è stata spostata ad
oggi. Sono partiti adesso" disse con uno strano tono esasperato. Sapevo
che domani sera gli uomini di casa sarebbero andati in una riserva della
California a papparsi qualche puma. C'è chi va in bar a bersi una birra, chi
invece a bersi puma. Non capivo però quale fosse il problema.
"Edward non ha voluto lasciare Bella da sola e ha
convinto Alice a farla rimanere qua per questa notte e la prossima."
Rimasi totalmente a bocca aperta. Edward era uno
psicopatico. Mia mamma si avvicinò, mettendomi una mano sulla spalla.
"Stanno arrivando adesso, molto probabilmente a Bella
farà piacere vederti" Io annuii convulsamente.
"Lasciami il tempo di farmi una doccia" dissi
dirigendomi molto lentamente verso il bagno, ancora un po' scossa. Mia mamma si
fermò sul ciglio della porta.
"Ah, mi sono dimenticata di dirti che per stasera ci
sarà in programma un pigiama party di sole donne" disse con una certa
eloquenza. Sbarrai gli occhi. Cosa?! Pigiama Party tra sole donne! Odiavo i
pigiama party, figuriamoci tra sole donne! Oh no, no, no. Essere tra donne
significava fare cose da donne, proprio il genere di cose che odiavo. Caddi
teatricamente sul parquet e cominciai a respirare affannosamente.
"Mamma! Mi sento male! Non riesco a respirare!
Portami all'ospedale" Mia madre si limitò a guardarmi e a sorridere
sorniona.
"Tanto non ti crede nessuno" Detto questo se ne
andò. Mi rialzai con uno sbuffo malvolentieri. Bè, per prima cosa facciamoci
una lunga doccia, capelli compresi. Bella, mi dispiace, ma dovrai aspettare.
Non ci credevo ancora! Quella mente psicopatica, pur di
impedire a Bella di andare a La Push, ne ero strasicura, aveva convinto Alice a
portarla qua con la scusa del pigiama party! Altro che festa, questa sarebbe
stata una notte in prigione per lei! Ma non finisce qui! Quel genio di Alice
aveva avuto la brillante idea di una fantastica notte tra sole donne! Quindi
non solo Bella sarebbe stata in prigione, ma anch'io avrei vissuto le pene
dell'inferno nelle prossime ore! Stavo cominciando ad innervosirmi davvero e
credevo proprio che sarebbe stato il caso di rimanere in camera con la scusa
della 'giornata pesante'. Così in una mossa sola Edward si era garantito la
sicurezza di Bella e me l'aveva fatta pagare per averla portata a La Push,
nolente o volente. Ahh! La cosa mi faceva imbestialire solo al pensiero. Cercai
di fare qualche respiro profondo, ma senza concreti risultati. Alla fine trovai
il coraggio e decisi di affrontare la situazione. Mi feci solo una doccia
veloce ed andai subito giù. Mi ero infatti ricordata che Bella dopotutto doveva
trovarsi in condizioni peggiori.
"Abigail, siamo qua" sentii la squillante voce
di Alice provenire dalla sua stanza. Quando aprii la porta mi vennero già i
brividi. Vidi Alice colorare di un rosso sangue le unghie di Bella. Speravo che
Alice non avesse l'intenzione di farlo anche a me.
"Finalmente sei arrivata, Abigail. Mancavi solo
tu" disse mentre ammirava il suo operato. Io lanciai un'occhiata a Bella.
Mi guardava come un canarino in gabbia.
"Stasera fai la parte del detenuto, quindi?"
dissi con una certa malinconia nella voce, mentre mi sedevo sul divano di
Alice. La vidi sospirare svogliata. Sorrisi con il mio solito sorriso sghembo
per l'espressione che fece.
"Dai, Bella, non continuare ad essere giù di morale.
Ti rovinerai la serata" cercò di consolarla Alice. Sapevo che Edward era
non era del tutto a posto, ma era piuttosto strano che Alice lo
assecondasse.
"Ti sei fatta coinvolgere anche tu in questa assurda
situazione, allora" dissi ad Alice. "Non pensi che Edward stia un
pochino esagerando?" Alice fece spallucce, continuando a guardare le
unghie di Bella.
"Non lo penso. Sono giovani e soprattutto non riesco
a vederli. Penso anch'io che siano pericolosi" rispose rendendo implicito
il fatto che senza Edward Bella sarebbe andata a La Push.
"Non dimentichiamoci che ti sei fatta comprare"
continuò Bella, ancora molto stizzita. Alice mi guardò con viso angelico.
"Mi ha regalato la Porsche." Ah, ecco il perché
dell'auto. Solo in quel momento mi accorsi che non solo Edward, ma tutta la
famiglia era composta da vampiri psicopatici! Bene, ero finita a vivere in un
luogo davvero molto accogliente.
"Alice, posso usare il telefono?" chiese Bella
svogliata. Doveva chiedere il permesso di usare il telefono?! Altro che
prigione! Al carcere di Alcatraz i Cullen facevano un baffo. Forse doveva
chiedere il permesso anche di andare in bagno? Se prima era solo un'ipotesi,
adesso ero certa che Alice stesse esagerando.
"Charlie sa dove sei" rispose Alice alzando per
un attimo lo sguardo.
"Non devo chiamare Charlie. Devo annullare altri
programmi." La punta di tensione con cui lo disse mi permise di capire
immediatamente a chi si stava riferendo. Incrociai le braccia e trovai
improvvisamente interessante il colore delle unghie di Bella.
"Non saprei" rispose Alice indecisa.
"Alice, per favore!" cercò di intenerirla Bella.
Alice scomparve e tornò un secondo dopo con il cellulare.
"Va bene, su questo non ha detto niente"
borbottò mentre lo dava a Bella, che cominciò subito a comporre il numero.
Iniziai a tamburellare frenetica con le dita, cercando di pensare ad altro. Non
avevo la minima voglia di stare a sentire la conversazione di Bella con Jacob.
La mia attenzione venne catturata da Alice alle mie ginocchia. Sfoderava un
sorriso a trentadue denti.
"Di che colore vuoi che ti faccia le unghie?"
disse entusiasta. Con uno scatto mi alzai immediatamente dal divano. Bene o
male, Alice stava riuscendo a distrarmi dalla telefonata, almeno. Senza
rendermene conto mi stavo avvicinando alla porta. Alice continuava a guardarmi
con quel sorriso, che per un momento scambiai per quello dei vampiri che
facevano vedere nei film dell'orrore.
"Bè, ecco, in realtà io..." tentennai. Forza,
dovevo inventarmi qualcosa alla svelta, prima di essere torturata. Poi arrivò
il lampo di genio.
"Pensavo di andare a prendere un po' di gelato"
dissi convincente. "Che pigiama party sarebbe senza gelato?" Alice
continuò a sfoderarmi quel sorriso.
"Ottima idea! Non ci avevo pensato" disse
entusiasta. Io me ne stavo già andando fuori.
"Fai presto. Che non vedo l'ora di metterti lo
smalto." Mi girai lentamente verso di lei. Mi sembrava davvero un vampiro
in quel momento. Mi sforzai di sorridere per poi andare subito in cucina. Il
tragitto cercai di farlo molto lentamente. In questo modo evitavo sia Alice,
sia la telefonata. Arrivata in cucina mi lanciai sul freezer e presi il gelato
al cioccolato. Cominciai a divorarlo in grandi cucchiaiate. Che seratina...
"Come sta andando?" chiese Esme che si era
materializzata davanti a me. Io le sorrisi debolmente.
"Non sono esattamente il mio genere di serate"
Esme sorrise serafica.
"E' difficile tenere calma Alice"
"Molto difficile"concordai al terzo cucchiaio.
Io ero quel genere di persona che a causa dei miei ormoni femminili trovava un
grande conforto nel cibo, soprattutto nei dolci, in particolare nel gelato.
Quindi, dopo la quarta cucchiaiata mi sentivo già meglio. Quando decisi che ero
pronta per tornare a farmi torturate presi il gelato e tornai nella camera di
Alice.
"Questa storia del rapimento è proprio
divertente" sentii Alice quando aprì la porta. Constatai che l'umore di
Bella non era per nulla cambiato.
"Ora vado a dormire" borbottò esasperata. Io
rimanevo chiusa nella mia sfera di tranquillità improvvisata dal gelato. Notai
che lo stavo quasi finendo. Sentii intanto Alice spingermi verso il corridoio.
"Non sarebbe un vero pigiama party, se non si dorme
insieme." Sentii Bella sospirare davanti a me, mentre continuavo a
mangiare gelato. Salimmo le scale. In camera mia ci saremmo state benissimo,
dopotutto. Invece di salire le scale della soffitta, proseguimmo per il
corridoio.
"Dove dormiremo?" chiesi con il barilotto di gelato finito.
"Nella camera di Edward" rispose Alice,
spintonandomi ancora. Bella aprì la porta della stanza in fondo al corridoio.
Mi fece uno stranissimo effetto vedere la mia vecchia
camera. Le pareti erano sempre le stesse, come pure la porta finestra che mi
piaceva tanto. Ciò di cui andai pazza però era l'enorme letto al centro della
stanza. Le lenzuola erano dell'esatto colore dorato che adoravo e la struttura
del letto era in nero ferro battuto, con il baldacchino formato da intricate
rose metalliche. Rimasi a bocca aperta. Era il letto più bello che avessi mai
visto. Ne volevo anch'io uno. Ai piedi del letto c'erano il beauty case di
Bella il suo pigiama ed il mio.
"Cosa vorrebbe dire questo?" disse Bella,
nascondendo difficilmente una nota di meraviglia.
"Non ti avrebbe lasciata dormire sul divano"
rispose Alice "In realtà mi ha detto che il letto sarebbe stato solo per
Bella. Ma ho deciso spontaneamente di disubbidire. Non mi sembra corretto
lasciarti sola" disse questa volta riferendosi a me. Bella si diresse
verso il suo beauty case, borbottando.
"Vi lascio un po' di privacy." Mi strappò il
barattolone di gelato vuoto da sotto il braccio. La guardai come un bambino a
cui era stato tolto il ciuccio.
"Questo te lo vado a buttare io"
"Grazie" mormorai io.
"Ci vediamo domani mattina." Detto questo si
volatilizzò. Vidi Bella andare in bagno, con una camminata troppo veloce per
lei. Io intanto mi misi il pigiama. Mi sedetti poi sul letto dorato. Era
morbidissimo. Appoggiai la testa sul cuscino. Si stava benissimo! Vidi Bella
ritornare nella stanza pronta per la notte.
"Questo letto è fantastico" commentai. Bella mi
rispose ancora stizzita con uno sbuffo.
"Anch'io al tuo posto sarei così" continuai
"Anzi, peggio. Tenterei di scappare dalla finestra, se non fosse per
Alice"
"E' assurdo" mi rispose lei sedendosi sul
divano.
"Altrochè" risposi io fin troppo tranquilla
"Siamo finite in una famiglia di pazzi." Bella ridacchiò nervosa.
"Quando torna le sente" mormorò.
"Sì, Bella, ribellati, vai così!" esclamai
sdraiandomi sul letto. Lei prese un cuscino.
"Intendi dormire tu qui?"
"Certo!" Prese con una mano il copriletto.
"Ne hai bisogno?" Feci spallucce.
"Figurati, dormo sempre con il lenzuolo."
Trascinò il copriletto ed andò a piazzarsi su un divano nero in fondo alla
stanza.
"Non dormi nel letto?" chiesi stranita. Non
aveva nemmeno provato quanto era soffice.
"No, non mi va" borbottò lei di malavoglia.
"Cerco di dormire. Ci vediamo domani"
"A domani" mormorai io, infilandomi sotto le
lenzuola. Mi dispiaceva per Bella, che era nervosa all'inverosimile. Cercai di
addormentarmi anch'io, evitando di pensare a quell'assurda situazione.
Grazie alla morbidezza di quel letto ci riuscii quasi
subito. Non fu però un sonno tranquillo. Durante la notte mi svegliai. C'era
uno strano suono che mi disturbava. Quando fui abbastanza sveglia, capii che
era una voce. Mi ci vollero alcuni minuti per capire che era di Rosalie.
Credevo stesse parlando con Bella. Invece di tornare a dormire, la mia
ficcanasaggine mi spinse ad ascoltare l'intero discorso.
"Se fossi in te, io rimarrei umana. Sono venuta
perché voglio spiegarti il perché" disse Rosalie in un sussurro. Molto
probabilmente stavano cercando di parlare piano per non svegliarmi, perché
credevano che io dormissi. Io drizzai le orecchie. Rosalie voleva che Bella
rimanesse umana? Era una curiosa situazione. A dire il vero, anche se abitavamo
sotto lo stesso tetto, poche volte avevo visto Rosalie e non ci avevo mai
parlato. Dalla prima volta che l'avevo vista non mi ero mai fatta un'opinione
precisa su di lei. E non capivo se lei se l'era fatta su di me. Ascoltare
questa conversazione forse mi avrebbe aiutato a conoscerla meglio. Non sentii quello
che rispose Bella.
"Edward non ti ha mai raccontato com'é andata?"
continuò lei.
"Mi ha detto che é accaduto qualcosa di simile a
quello che é capitato a me a Port Angeles, ma nessuno in quell'occasione è
venuto a salvarmi." Mi pietrificai tutta. Cosa era successo a Bella a Port
Angeles? Non me ne aveva mai parlato.
"Solo questo?" chiese Rosalie stupefatta.
"Sì"
"Bè, c'è dell'altro" continuò Rosalie, con la
voce più dura.
"Vuoi ascoltare la mia storia, Bella?" Per un
attimo mi ricordai il giorno in cui avevo raccontato a Bella la storia della
mia famiglia. Mi ricordavo ancora che più o meno avevo iniziato in questo modo.
Non continuai, però, come lo fece Rosalie.
"Non ha un lieto fine. A dir la verità, nessuno di
noi ne ha avuto uno, se no saremmo già sottoterra." Aveva uno strano tono
nella voce che mi fece rabbrividire. Ciò che però mi inquietò ancora di più era
quello che aveva detto. Rosalie detestava essere diventata un vampiro. Ad
essere sincera, non avrei mai detto questo di Rosalie. Aveva opinioni
abbastanza simili a quelle di Edward nei confronti di Bella.
Tornai ad ascoltare. Iniziò a raccontare la storia della
sua vita. Una vera propria vita da favola. Già me la vedevo, perfetta come una
bambola di porcellana, vestita come un bambola, in una casa da sogno, come
quelle che si vedevano nei film. Ma anche ottusa come una bambola; più volte la
stessa Rosalie si rimproverava di essere stata una ragazza ingenua, superficiale
e materiale. Quindi anche lei un tempo non era tanto diversa dalle maggioranza
di ragazze galline che si trovavano in giro. A dire il vero neanche per colpa
sua, visto che fin dall'inizio i genitori la trattava come una ragazza oggetto
da vendere al migliore offerente come moglie. Era davvero entusiasta all'idea
di sposare un ricco rampollo di una famiglia che le avrebbe offerto una vita
nel lusso. Non lo era per niente invece mentre lo raccontava. Non la riuscivo a
vedere, per tanto ciò che mi colpì di più era il suo tono di voce; parlava con
rimpianto, quasi con rimprovero. Era come se stesse raccontando la vita di
un'altra persona, che con lei non aveva minimamente a che fare. Era più che
evidente che si era pentita di quella vita.
Ad essere sincera mi sarei annoiata un poco, mentre
raccontava per filo e per segno il corteggiamento del suo futuro marito, la
felicità che provava nella prospettiva di diventare madre e non essere più
invidiosa della sua amica, se non fosse stato per il suo tono teso che
preannunciava qualcosa di terribile. L'aveva detto che non c'era stato un lieto
fine, nè per lei, nè per gli altri Cullen e a ben pensarci neanche per la mia
famiglia.
Quando iniziò a raccontare come era avvenuta la
trasformazione, involontariamente mi strinsi al lenzuolo. Stetti ferma ad
ascoltare immobile senza respirare. Lo stava raccontando così com'era successo,
persino i suoi pensieri; era la notte che non avrebbe mai dimenticato. Prestai
la stessa attenzione al resto del racconto, di come Carlisle che avvertendo
l'odore del sangue l'aveva salvata, di come fosse terrorizzata, del dolore che
aveva provato, di come aveva deciso di entrare a far parte della famiglia, di
come incominciò a incolpare se stessa e la propria bellezza e a invidiare la
vita della sua amica e di come uccise il futuro marito e i suoi compari. A un
certo punto si interruppe.
"Ti sto spaventando?" chiese a Bella.
"Sto bene" Era chiaro come il sole che mentiva.
Solo se si impegnava era davvero brava. D'altronde anch'io me la stavo facendo
sotto. Non mi ero ancora rilassata da quella posizione e mi stavano venendo i
crampi allo stomaco. Riuscii però a rilassarmi e mancò davvero poco che mi
alzassi e mi girassi incolpando Rosalie di essere pazza, quando rivelò di
essere gelosa a causa della sua vanità, perchè Edward non l'aveva mai filata,
mentre era caduto subito ai piedi di Bella. Di Bella però non era solo gelosa,
ma anche invidiosa. Mi fece pensare quello che disse dopo, ovvero il vero
motivo della conversazione: era invidiosa della vita che Bella aveva avanti,
l'opportunità che aveva per farsi una famiglia ed invecchiare insieme a
qualcuno, ma che Rosalie aveva perso.
Riuscivo a comprendere l'intenzione di Rosalie. In quel
momento mi dava l'impressione di essere una zia che stava cercando di
convincere la propria nipote a riflettere su una scelta che era ben decisa a
fare. Sapevo che questo non sarebbe stato minimamente sufficente per convincere
Bella a cambiare idea; per lei tutto valeva la pena per Edward. Anche se non
riuscivo ancora a immaginarmela, ero sicura che Bella sarebbe diventata una
vampira.
Quando sentii a malapena Rosalie alzarsi tornai a chiudere
gli occhi.
"Buona notte, Bella."
"Buona notte, Rosalie"
"Buona notte, Abigail" Una smorfia mi si dipinse
automaticamente sul viso. Si era accorta di me. Mi chiesi da quanto se n'era
accorta, e soprattutto come. Non mi sembrava proprio di aver fatto movimenti
strani. Difatti socchiusi un po' gli occhi. Rosalie stava sul ciglio della
porta, aspettando che le rispondessi, guardandomi con uno strano sorriso.
Richiusi gli occhi con un sospiro.
"Buona notte, Rosalie" mugugnai io, fingendo
almeno di essere assonnata. Almeno così non avrei fatto la figura
dell'impicciona volontaria, ma di quella che era costretta ad esserlo, a causa delle
voci troppo alte.
Quando chiuse la porta mi ci vollero un paio di secondi
per riprendere sonno. La storia che avevo appena sentito mi aveva completamente
terrorizzata. La cosa più paurosa era che era vera. E ciò che ancora mi
sorprendeva era la gelosia che aveva provato Rosalie nei confronti di Bella;
nonostante il tempo, rimaneva ancora una ragazza un po' troppo vanitosa, che
dai discorsi fatti raggiungeva l'assurdità.
Alla fine di quella giornata mi addormentai con un solo
pensiero: in quella casa erano davvero tutti matti.
Il giorno dopo Alice ci accompagnò a scuola.
"Stasera andiamo a Olympia o a farci un giro?"
chiese ancora esaltata "Ci divertiremo, vi va?". Come diavolo
riusciva ad esserlo ancora, vicina a due persone con l'entusiasmo di un morto?
"Perché non mi chiudi in cantina?" rispose Bella
irritata.
L'umore di Bella non era migliorato affatto, anzi, era
peggiorato. Io invece da spugna di emozioni qual'era assorbivo sia l'esuberanza
di Alice, sia quella di Bella. Il risultato era l'impassibilità assoluta.
Inoltre quel sabato non mi andava proprio di andare a fare un giro; sai che
novità. Da quando era successo quella cosa con Jacob avevo la voglia di
iniziativa sotto i tacchi; non mi andava di fare niente, se non era
assolutamente necessario.
"Si riprenderebbe la Porsche" ammisse Alice
accigliata "Non sto facendo del mio meglio. Vi dovreste divertire"
Bella sospirò.
"Non è colpa tua. Ci vediamo a pranzo."
Scendemmo dall'auto ed entrammo a scuola. All'entrata Alice mi si avvicinò.
"Cosa credi che dovrei fare per farla sentire un po'
meglio?" mi chiese leggermente amareggiata. Io le lanciai un'occhiata di
intesa.
"Semplice. L'unica cosa che non può fare"
mugugnai, pensando con rammarico chi coinvolgeva. Alice sbuffò.
"Qualcos'altro?" Io feci un'alzata di spalle,
scuotendo la testa, mentre Alice, sbuffando un'altra volta si diresse a
francese.
Entrai in aula. Quel giorno c'era compito; tutti quanti
erano agitati per il tremendo ed orribile compito di matematica. Solo io ero
felice, perché così almeno mi avrebbe distratta a dovere.
Quando finì l'ora me ne uscii sotto la piogerellina, per
andare a spagnolo. Venerdì non avevo nessuna ora che coincidesse con quella di
Bella; sapevo quindi che mi sarei un po' annoiata.
Finito il compito di matematica mi sentivo un po'
scombussolata e avevo la testa piena solo di numeri; un po' di aria fresca era
quello che mi ci voleva.
Dopo aver respirato un po' pensavo che sarei stata meglio.
Invece stetti doppiamente peggio. Sentii subito il rombo della sua moto, che
conoscevo ormai molto bene. Alzai lo sguardo per capire dove fosse, ancora
incredula.
"Corri, Bella!" urlò.
Lo intravidi subito, mentre Bella gli stava già correndo
incontro. Si era messo nell'esatto punto dove lo incontrai l'ultima volta che
era venuto a scuola. La scena si svolse molto in fretta ed inoltre una
moltitudine di ragazzi più alti di me mi rendevano difficile la vista, per
questo ero sicura che entrambi non si erano accorti di me. Dopo quindici
secondi che era arrivato, se ne andarono subito. Per quei quindici secondi
rimasi attonita, mentre fissavo i loro movimenti ed anche per il minuto
successivo. Questa volta era venuto per Bella e basta, non per me. Non si era
neanche preoccupato di cercarmi con lo sguardo. Sentii stringere i pugni. Bè,
meglio così per lui; se avesse chiamato anche me io non gli avrei rivolto
parola. I mormorii di sorpresa che si erano formati per l'evento non si erano
ancora fermati. Stavano accrescendo ancora di più la rabbia e la frustazione di
quel momento. Scossi la testa, cercando di dimenticare quella scena, mentre a
passo di lumaca mi dirigevo verso il blocco di spagnolo. Dovevo essere contenta
per Bella; era finalmente riuscita a scappare dai suoi aguzzini e a vivere un
momento di libertà. Dovevo almeno pensare che quelli non erano più affari miei,
ma solo di loro due. Ma non ci riuscii. Avevo una grandissima voglia di
piangere, anche se ero troppo orgogliosa per farlo in pubblico. A distrarmi fu
Alice; furiosa era un eufemismo. Mi venne quasi da ridere a guardare la sua
faccia.
"Mi sa che devi dire addio alla Porsche" le
dissi avvicinandomi a lei, non sapendo bene da dove trovassi il sarcasmo che
avevo. Lei in compenso mi guardò ancora più infuriata.
"Taci!" sussurrò a denti stretti, mentre veloce
se ne andava. Cercai anch'io di far presto, anche perchè la campanella era già
suonata da un pezzo. Al momento non mi importava proprio un fico secco della
campanella, ma almeno mi avrebbe ulteriormente distratta. Il mio cervello ormai
non faceva altro che vedere e rivedere la scena di quei due che se ne andavano,
l'una abbracciata all'altro. Cercai di fare un respiro profondo per asciugarmi
gli occhi lucidi. Preferivo avere un casino di numeri in testa, piuttosto.
Tornai a casa accompagnata da Alice. Era ancora furibonda
per la fregata giocatale da Bella, quindi durante il viaggio di ritorno si
limitò a starsene zitta a cuocersi nel suo brodo. D'altra parte, anch'io avevo
bisogno di pensare ai fatti miei. Non riuscivo più a capire come diavolo stavo.
A tratti mi incazzavo come una iena, l'attimo dopo mi prendeva una strana
malinconia, l'attimo successivo mi sentivo così male da voler rannicchiarmi e
mettermi a piangere e a fatica trattenevo una smorfia. Non poteva andare avanti
così. Sapevo benissimo che l'unica soluzione in quel momento era parlare con
lui, ma al solo pensiero, mi veniva da vomitare. Sparevo che iniziassi presto a
star meno male. Scossi la testa, mentre Alice parcheggiava vicino alla Porsche.
Scesi e andai dritta dentro casa, mentre Alice, con un sospiro, si sedette sul
tettuccio della Porsche, per darle un ultimo saluto.
La vera e unica soluzione in quel momento, Abigail, era
non pensare a lui.
Avevo l'intenzione di andare dritta in camera mia a
decidermi di fare qualcosa. Di solito alle tre dopo scuola mi fiondavo in
cucina e mi ingozzavo di tutto quello che mi capitava sotto mano. Quel giorno
invece non avevo proprio fame; già non c'era dubbio, stavo davvero molto male.
"Abigail" Alzai lo sguardo sorpresa. Sul divano
Rosalie mi stava guardando attenta. Non mi ero accorta di lei, tanto ero persa
a pensare a cose che non dovevo pensare.
"Ciao, Rosalie" le risposi mettendo a terra lo
zaino e togliendomi il cappotto. Lei mi rivolse un piccolo sorriso.
"Vorrei parlare un momento con te" disse invitandomi
con lo sguardo a sedere sul divano davanti a lei. Accettai l'invito volentieri:
avevo trovato qualcosa da fare.
"Riguardo alla conversazione di ieri sera?" Lei
accennò lievemente con la testa.
"Scusami, non avrei dovuto origliare" mormorai.
Lei scosse la testa.
"Non importa. Anzi, mi ha fatto piacere che sentissi
anche tu." Le diedi una veloce occhiata. Qualsiasi cosa indossasse,
ovunque andasse, qualsiasi cosa facesse, Rosalie con la sua bellezza avrebbe
lasciato a bocca aperta chiunque.
"Volevo un tuo parere" iniziò "Dici che
quello che ho detto a Bella l'ha convinta almeno un minimo a ripensarci?"
Io accennai ad un sorriso e scossi la testa.
"Lo immaginavo. Almeno ho tentato" Le sue
stupende labbra si aprirono in un sorriso di rammarico "Voglio essere
sincera con te, Abigail. Visto che adesso conosci la mia storia, bè, sappi che
hai tutto il mio appoggio nella decisione di voler rimanere umana."
Abbassai la testa. Odiavo parlare di questo argomento.
"Ve l'hanno detto i miei genitori suppongo"
Forse fui troppo seria nel risponderle. Lei parve però non accorgersene.
"Sì. E anche i perché della tua scelta, che
effettivamente non sono tanto diverso dai miei" Tornai a guardarla negli
occhi. Questa volta mi stava rivolgendo un vero sorriso sincero. Diversamente
da come io ero stata. Effettivamente era vero che anch'io, come Rosalie, volevo
invecchiare, avere dei figli, sposarmi, anche se le idee che avevo io a tal
proposito erano decisamente diverse dalle sue. Ma non era questo quello che mi
spingeva a riamanere umana. I miei genitori avevano fatto bene a raccontare
solo metà della storia.
"Ti auguro che tu possa raggiungere quello che
desideri" Questa volta cambiò tono. Notavo una punta di accidia. Non mi fu
difficile capirne il perché.
"Sei... sei invidiosa di me, come lo sei di
Bella?" azzardai io piuttosto insicura. Lei mi lanciò un sorriso amaro.
"Ebbene, lo ammetto, sì, sono invidiosa. Ma è
un'invidia giustificata, non trovi?" sospirò.
"E... lo ammetto, anche un po' gelosa"
"Di cosa, esattamente?" chiesi subito. No, ora
basta. Già era assurdo che potesse essere gelosa di Bella. Figuariamoci di me!
Ero curiosa di sapere di cos'era gelosa.
"Forse non ci crederai, ma della considerazione che Edward ha di te"
Mi fu impossibile trattenere una risata nervosa. Essere gelosa proprio di
questo, non mi sembrava decisamente normale. Edward mi odiava. Come faceva ad
essere invidiosa di questo?!
"Bè, non mi sembra che abbiai una grande
considerazione di me" esclamai sarcastica. Rosalie mi guardò leggermente
contrariata.
"Invece ti sbagli" disse decisa "Lui ti è
molto riconoscente per come Bella ti sta a cuore e per quello che fai per lei.
Mentre io... fin'ora ho combinato solo danni." Avevo capito che si stava
riferendo a quella volta di Volterra, quando aveva in pratica mandato Edward
sul patibolo. Però quello che disse mi fece riflettere. Non vedevo questa
grande riconoscenza da parte di Edward, soprattutto da quella volta di La Push.
Certo, una volta mi aveva ringraziato, subito dopo Volterra. Ripensai poi che
anche quando Edward era tornato a Forks aveva esplicitamente espresso la sua
riconoscenza a Jacob; ma non mi sembrava che in seguito si fosse continuato a
dimostrare tale. Senza dubbio Edward aveva unaidea di "riconoscenza" diversa dalla mia, come anche quella di
Rosalie.
"Ma non ce l'hai con me?" continuai io. Pensavo
che alla fine provasse per me ciò che provava per Bella.
"No, non ce l'ho con te e non ce l'ho mai avuta" disse forse un po'
sorpresa per questa avventata conclusione "Devo però ammettere che
all'inizio, quando tu e la tua famiglia vi siete trasferiti qua, ti consideravo
solo un ospite un po' fastidioso, niente di più. Per quello che è successo
recentemente con i licantropi, ancora di più." Ripensando alla scenata che
aveva fatto quello là lo stomaco riprese ad attorcigliarsi.
"E adesso?" Cercavo di mantenere accesa la
conversazione, per evitare di pensare a cose sbagliate.
"Adesso sei un ospite ben accetto" mi disse
straordinariamente cordiale. Mi fu automatico sorridere alle sue parole
sincere. Questo detto da Rosalie, valeva molto per me, visto che, quando ci
eravamo trasferiti qua, lei mi sembrava una di coloro che accettavano
malvolentieri la mia presenza.
"Sono contenta che tu me l'abbia detto. All'inizio
non ero tanto convinta della decisione presa dai miei genitori, di venire a
vivere qui, intendo. Ero sicura che avrei creato dei fastidi. Perciò quello che
mi stai dicendo mi sta rassicurando molto" le risposi anch'io sincera.
"Ne sono felice" Mi alzai stiracchiandomi un
po'. Non avrei mai detto che questa piccola conversazione mi avrebbe fatto
bene.
"Bè, se non c'è altro, io mi andrei a fare un bagno.
Grazie per la chiacchierata, Rosalie" Lei rimase invece immobile sul
divano. Sembrava una modella pronta per essere fotografata.
"Grazie a te per avermi ascoltata, Abigail" mi
rispose. La sentii accendere la televisione, mentre io salivo gli scalini per
il primo piano. Ora dovevo cercare di affogarmi nei compiti, per poi riposarmi
ed essere pronta per la lezione di break. Ormai il saggio era alle porte ed
erano necessarie prove extra e tanta, tanta, ma tanta concentrazione.
Esattamente quello che mi serviva al momento.
Allora, comincio col dire che dopo che molti di voi hanno
lasciato, come dire, commenti poco simpatici, ecco, verso il caro Jacob, dopo
aver letto questo capitolo ho paura che sempre queste persone lo vogliano già
bell'e morto e sepolto. XD
E qualche volta mi domando se non ho esagerato... per poi
rispondermi con un secco 'no'! Questa è solo un' impressione che voglio dare
(cioè l'impressione che ha Abigail)! Ma vedrete che cambierete idea già dal
prossimo capitolo, ne sono sicura. Vi avverto: la mia storia non è oggettiva,
ma tremendamente soggettiva, quindi la realtà viene modificata dagli occhi del mio
personaggio.
Vorrei adesso porre l'attenzione sul personaggio di
Edward, che bene o male, fino ad adesso, non è stato un grande protagonista e
anzi, viene preso parecchio in giro. Forse qualcuno lo potrà trovare troppo
antipatico, forse anche troppo serio rispetto all'Edward che vede Bella nei
libri originali; è del tutto normale, appunto perchè non è l'Edward che fa
battere il cuore, l'Edward dai profondi occhi dorati, di Bella, ma è quello
ossessivo-possessivo di Abigail, che è un personaggio che osserva la vicenda
dei due innamorati come un terzo spettatore. Volevo mettere in chiaro questa
cosa, anche se di per sè può essere lampante, appunto perché in questo capitolo
anche Edward non é il massimo della gentilezza.
Poi, volevo parlare di altre due cose (uau, oggi faccio
una chiacchieratona con voi!). Primo; ho sempre avuto difficoltà ad orientarmi
con i raiting (rosso, verde, giallo, arancione, mancano solo il violetto,
l'indaco e il blu e facciamo l'arcobaleno -battuta alla Abigail-); io ho messo
verde, ma non sono del tutto certa che sia il raiting adatto, sia per le scene,
sia soprattutto per il gergo di Abigail. Non so quindi se devo mettere giallo,
o anche arancione, a questo punto. Ringrazio chi me lo dice!
Seconda cosa: mi potreste per favore dare, sempre se
volete, il nome di un'attrice che vada bene per interpretare Abigail, secondo
la vostra opinione? Avevo il mezzo pensiero di provare a fare un piccolo video
su questa fan fiction, ma non riesco a trovare qualcuno che possa andare bene
per il suo personaggio. Se mi aiutate anche in questo, ve ne sarò molto grata!
Finalmente ho finito! Mi rendo conto che forse in questo
capitolo è stato un po' palloso sentire sta qua che si lamenta e basta. Jacob
di qua, Jacob di là, blablabla. Ma forse la smetterà presto, o forse no...
Lo scoprirete al prossimo episodio! Un bacio a tutti
quelli che sono riusciti a leggere fino a questo punto, due a quelli che hanno
messo la mia ff nei preferiti, ricordate o seguite (anche qui, se qualcuno mi
vuole spiegare la differenza, ne sarei molto grata, grazie :) ) e tre a chi ha
commentato! No dai, scherzo, invio mille baci a tutti quanti!
Alla prossima!
X mylifebeautifullie: Ah! Finalmente dopo tanto tempo ci
vediamo di nuovo!dopo red eyes adesso ti metti a leggere anche questa? ma non
sei stufa di me? XD Scherzo, scherzo, anzi, grazie mille per i complimenti e
per aver letto e commentato anche questa di fan fic! Alla prossima! Un bacio!
X nene_cullen: mmmhhh... credo di aver a che fare con una
sadica, vero? XD bene, perchè tra sadiche ci si comprende meglio! Ma dai, il
povero Jacob non ha colpa se è cieco di brutto e ha nella testa solo
quell'altra (infatti la colpa è mia XD). Comunque è anche vero che è la stessa
Abi a farsi trattare da schifo (per capire sta frase, mi sa che devi aspettare
il prossimo capitolo! Scusa!) Grazie ancora mille per il commento! :) Alla
prossima! Un Bacio!
X nes_sie: Sì, Jacob ci è andato giù pesante (l'ha sempre
fatto più o meno XD). E' un bene comunque che a te piacciono i licantropi! Perchè
cercherò di dividere lo scenario un pò equamente tra licantropi, vampiri e
umani! XD Comunque grazie tantissimo per la tua opinione! Spero che commenterai
anche questo!
Un Bacio!
X MoonLight_95: Finalmente pubblico di nuovo! Sono curiosa
di sapere cosa ne pensi anche di questo capitolo! XD Ci sentiamo presto! Un
Bacio!
X __cory__: Azz! Mi hai sgamata! E' vero! Paul sta con
Rachel! E per fortuna che tra un po' (un po' molto) passarò a breaking dawn!
Chissà cosa penserai adesso di me! Eh, dai, non è giusto! Lo accennano appena!
Spero che mi perdonerai di questa mia svuggita!
Comunque, concordo con te, sul fatto del ruolo del
personaggio di Renesmee. Poi personalmente la mia opinione non è granchè
positiva sull'ultimo libro della saga, per motivi che non sto a scrivere. Per
questo riscriverò il quarto libro con il mio personaggio! XD Almeno così mi
piacerà un poco di più. Per quanto riguarda se e con chi avrà l'imprinting, mi
limito a dirti che tu (a differenza di me, a quanto pare) della saga, hai
capito tutto! XD
Continuai a seguirmi! (e grazie per la recensione
chilometrica :D)! Un Bacio
X Franny97: o è meglio se scrivo X Abigail? D'ora in poi
ti chiamerò così! XD Sono contenta che tu ti immedesimi nel mio personaggio; di
fatti, era questo l'obiettivo, insieme a quello di divertire un po' i lettori.
Per quanto riguarda la lunghezza dei capitoli, mi tocca farli così lunghi e
forse può essere anche troppo pesante leggerli, ma se li facessi più corti
arriverei a cento capitoli o giù di lì!
Sì, hai ragione, Jacob non si è comportato molto bene, ma
se è tonto è tonto! XD Mah, vediamo come vanno le cose adesso (sto facendo la
misteriosa, se non si capisce...)
Per quanto riguarda il rinammoramento, il lieto fine, l'imprinting,
tu sei Abigail, no? Allora dovresti saperlo già! ;)
Vediamo se indovini cosa succede dopo, anche perché la
storia è già tutta scritta nella mia testa ;)
Era stata un’ora e mezza particolarmente stancante. I
bambini erano ormai pronti e si erano impegnati un sacco, ma dopo mesi di insegnamento ed anche se a tutti loro mi ci ero bene o
male affezionata, non ero ancora riuscita ad uscire da una lezione senza
sospirare o senza essere stanca morta, non tanto per lo sforzo fisico, quanto
per quello psicologico.
Dopo aver salutato l’ultimo bambino misi a posto lo stereo
della palestra e uscii da scuola. A quell’ora era abbastanza buio ed il
parcheggio vuoto era parecchio inquietante. Ma non ci facevo mai
particolarmente caso; troppo distrutta com’ero era già tanto se riuscivo ad
arrivare a casa.
L’aria fresca della sera e della pioggia mi risollevarono un
poco. Scesi distratta gli scalini, dove vicino avevo
parcheggiato la mia moto, mentre con una mano mi tiravo indietro i capelli ad
occhi chiusi, per godermi meglio la frescura della sera.
Gli riaprii subito, ma me ne pentii amaramente. Vidi Jacob
in piedi vicino alla mia moto; la sua espressione era impassibile. Presa da un istintivo
impulso di rabbia distolsi subito lo sguardo e decisi di salire in moto come se
lui non esistesse. Non ero ancora pronta per affrontarlo. Non ero solo
arrabbiata con lui; ma la confusione che avevo in testa non mi permetteva di
capire quello che volevo.
Cercai di fare tutto alla svelta per togliermelo dalla vista.
Purtroppo dovetti fermarmi di nuovo, questa volta per la
sorpresa. Pensai che il cuore mi si fosse fermato. Non avevo visto che vicino
alla moto c’era una Cadillac Eldorado del 59 dorata, con la carrozzeria lucida.
Gli occhi divennero lucidi e mi morsi il labbro per contenermi. Era la mia auto
quella; l’aveva finita da solo.
No, era impossibile, c’era ancora tantissimo lavoro da fare;
doveva aver passato intere notti in bianco. E poi c’erano tantissimi pezzi da
comprare che costavano una caterva di soldi e che non andavano bene se presi
dalla discarica. Dove cavolo avrà preso tutti quei soldi? Se erano suoi, mi
sarei incazzata come una bestia…
Mi fu impossibile non rimanere lì ferma, dandogli la schiena.
La ispezionai con lo sguardo in ogni suo punto, in cerca di qualcosa che non
andasse. Ma, cavolo, era tutto perfetto! Meglio di quanto immaginavo! C’erano
perfino le cinture di sicurezza e fui sul punto di crollare quando vidi che
sullo specchietto retrovisore c’erano attaccati i dadi; gliel’avevo detto solo
una volta che mi sarebbe piaciuto da impazzire metterci i dadi e Jacob se n’era
ricordato.
Bhè, questo fu sufficiente per
dargli una possibilità; era riuscito a commuovermi. Mi conosceva tanto quanto
io conoscevo lui. Che buffo, criticavo tanto Alice per
essere stata corrotta da una Porsche, ma io non ero da meno. Aspettai quindi
che parlasse, continuando ad ammirare la mia bimba. Lui intanto rimaneva ancora
in silenzio.
“Sono riuscito a finirla. Spero ti piaccia”
disse con voce incerta. Avrei tanto voluto ringraziarlo, ma dovevo fare
i conti con il mio orgoglio, che mi impedì anche solo di fiatare. Lo sentii
fare ancora un respiro. Per una volta nella sua vita era deciso ad affrontare
un discorso da adulti.
“Bella mi ha detto perché non mi rivolgi più la parola e
dove ti avrei potuta trovare” ci riprovò. Non mi sorprese nemmeno un po’.
“Non è assolutamente vero e so che tu lo sai.” Presi un sospiro
e mi girai guardandolo negli occhi. Non era mai stato più serio.
“Sì, lo so” mormorai impassibile.
Seriamente, sapevo che era da lui reagire in quel modo, lo
conoscevo bene. E intuivo quella sorta di sorpresa nel suo modo di comportarsi per quella sfuriata secondo lui fin troppo esagerata. Pensava
che la sua migliore amica Abigail non si sarebbe
offesa fino a questo punto; lui non aveva dopotutto giudicato la nostra
amicizia quella volta. Ma non era quell’Abigail che
c’era rimasta di merda.
Feci un respiro profondo. Anzi, era più simile ad uno
sbuffo. Basta, ormai ero stufa di litigare e poi far pace, per poi litigare e
far pace di nuovo, mentre io rimanevo sempre delusa, perché non potevo essere
per Jacob quello che volevo essere.
Non si trattava più tanto dell’insulto; cavolo, ci
insultavamo ogni volta! Si trattava dell’amore che provavo per lui, che ormai
era diventato insopportabile tenermi dentro e del dolore delle troppe illusioni
che ogni volta insieme a lui mi facevo. Basta, era
giunto il momento di dirglielo.
“Mi dispiace Abi. Non pensavo a quello che dicevo. Ero tremendamente arrabbiato con te quel giorno” continuò
lui. Conoscevo quel tono di dispiacere, le mani che si stritolavano a vicenda,
l’espressione corrucciata. Quante volte l’avevo visto comportarsi in questo
modo, ogni volta che cercava di farsi perdonare?
“Lo sai come mi comporto quando c’entra Bella e quanto mi fa
perdere la testa l’idea che quei…” Lo fermai subito.
“Sì, lo so che sei dannatamente impulsivo. Quello che hai
detto mia ha ferita terribilmente, certo, ma… il vero
problema è un altro” risposi io, con una decisione nella voce che non mi
aspettavo. Aggrottai le sopracciglia per la paura ed abbassai la testa.
“Non capisco” mi rispose Jake
confuso “Perché allora sei arrabbiata con me?” Perché sei uno zuccone, idiota!
Scossi la testa ed appoggiai il sedere sulla moto. Aprivo la
bocca e subito dopo la richiudevo. Avevo sempre avuto il coraggio di affrontare
ogni situazione; perché questa volta sembrava mancarmene del tutto? Avevo la
testa bassa, non riuscivo a vedere la sua espressione.
“Perché mi odi Jacob?” gli chiesi alzando la testa. Non ci
ero riuscita, non gli avevo confessato niente, ma ero riuscita a sviarla. In
realtà gli volevo chiedere “perché non mi ami”, ma all’ultimo minuto avevo
ribaltato la domanda. Gli sarebbe sembrata un’assurdità, ma… ripensando anche
al tono con cui aveva parlato con Bella l’altro giorno e a molte altre litigate
finite male, come quella fatta dopo il mio viaggio in Italia, in certi momenti
mi era sembrato che… mi odiasse davvero.
“No, io non ti odio, Abigail” esclamò sorpreso, guardandomi del tutto perplesso.
Si avvicinò a me, ritrovandosi a pochi centimetri di distanza. Lo guardai bene
per alcuni secondi. Non era cambiato di una virgola quel viso; non lo ammisi
subito, ma paradossalmente scoppiavo di gioia nel rivedere quel Jacob che non
poteva essere mio.
“Quando parliamo di vampiri e licantropi finiamo
sempre per litigare. E qualche volta esageri un po’ troppo. Sembra che tu mi
odi” confessai con voce più malinconica. “Anche se dici cose che non pensi, quello che dici mi fa
male, soprattutto perché penso che tu sia mio amico. Il mio migliore amico.” Mi
scostai una ciocca di capelli dal viso. “Per esempio quelle parole quando sono
tornata dall’Italia” Aspetta, com’erano? Ah, già, giusto, stupida figliastra di sanguisughe. Sapevo che se ne ricordava
benissimo.
“Non capisco perché ti comporti in questo modo.” Jacob
rimase a guardarmi fisso per alcuni secondi, cercando di elaborare una risposta.
“Vuoi sapere veramente perché qualche volta mi comporto così?”
sospirò alla fine serio. Io annuii convinta. Lo sentii fare un respiro profondo
e guardare un punto indefinito sopra di me.
“Fin da quando ti ho conosciuta ho
un dubbio che non riesco a togliermi dalla testa. Anzi, più
che un dubbio è quasi una certezza…” si fermò subito. Sembrava confuso,
non sapeva da che parte iniziare. Io comunque stetti zitta ad ascoltare. Lui
chiuse gli occhi ed annuì.
“In effetti hai ragione, Abigail; ti odio” affermò deciso. Li riaprì e mi guardò in
faccia “e ti voglio bene.” Io aggrottai le sopracciglia
confusa. Riprese cercando di essere più chiaro.
“Una parte di te, Abi, è quella che si presenta sempre
davanti al mio garage, con cui litigo sempre per poco, che mi fa piegare in due
dalle risate, con cui vedo schifosissimi film horror” mentre
lo diceva sorrideva tra sé e sé.
“E questa è la mia migliore amica Abigail,
che non mi permetterei mai di offendere, e che difenderei ad ogni costo da
qualsiasi minaccia.” Mi guardò con quegli splendidi occhi scuri che mi avevano
fatta innamorare di lui e dopo tanto tempo riuscii a sorridergli. Ma lui tornò
subito serio.
“L’altra invece la odio. Tu non te ne accorgi neanche, ma mi infastidisce, mi dà fuori di
testa, non riesco proprio a sopportarla” disse con voce acerba, che mi fece
subito togliere quel sorriso dalle labbra.
“Non capisco” risposi confusa. Mi guardò di nuovo; sembrava…
infastidito, ma non capivo da cosa.
“Hai presente quando ti dicevo che eri una mezza vampira?”
“Cosa c’entra, scusa?”
“Sembra che tu lo sia davvero” affermò sprezzante.
“Ehmm, no, non credo proprio. Non
riesco proprio a capire dove sia il problema.” Più
apriva bocca, più non capivo quello che diceva. Mi ricordava moltissimo la
nostra prima conversazione, quando stavo per rompergli la faccia perché non
credeva che dei vampiri fossero i miei genitori. Solo che a differenza di
quella volta ora la confusione era doppiamente più grande. Fece un respiro
profondo e si appoggiò anche lui sul sedile della moto, accanto a me.
“Sto parlando del tuo modo di pensare e di comportarti.
Quando litighiamo su… di loro, li difendi sempre e… ragioni come se fossi un
vampiro.” Mentre parlava si stava infervorando. Io
continuavo ad essere ancora più confusa.
Si stava sbagliando; io non ero così. Mi sembrava di essere
sempre stata obiettiva. Era ovvio che a lui sembrava
che stessi dalla loro parte, visto che ce l’aveva a morte con loro. Sottosotto
però, non ero molto sicura neanch’io. Davvero Jacob
poteva avere ragione? Certo, vivendo con dei vampiri, era logico che si
diventasse un po’ come loro. Ma Jacob la stava ingigantendo troppo. Forse.
Comunque, in quel momento, che avesse ragione o no, quello
non c’entrava. Il problema era un altro.
“Jacob, tu non mi hai ancora accettato per quello che sono,
vero?” indovinai io. Eppure mi sembrava strano che fosse così. “Loro sono i
miei genitori…”
“No, non è questo. Ho imparato a dividere
te da loro” disse categorico, interrompendomi subito. Fui giunta al
limite della possibile; non sapevo più che pesci pigliare.
“Jacob, io proprio…”
“Abigail, sono terrorizzato
dell’idea che tu possa diventare un vampiro” esclamò, alzandosi e parandosi
dritto davanti a me.
“Jacob, loro non possono mordere…” dissi in tono piuttosto
arrabbiato. Questo l’aveva già chiarito tutto il branco con i miei genitori!
“Non mi sono spiegato bene. Sono terrorizzato dall’idea che
tu voglia diventare un vampiro” precisò lui. Credevo
di non averlo mai visto così serio. Come d’altronde, io non lo avevo mai
guardato così. Effettivamente non avevamo mai parlato di questo argomento insieme.
Era normale: litigavamo già solamente parlando di altri vampiri, ci saremmo
azzannati a morte se avessimo cominciato a discutere di quello che sarebbe
stato di me. Mi sembrava però così strano che fosse rimasto di questa opinione.
“Bella ti ha detto che io non voglio trasformarmi” affermai
impassibile.
“Infatti all’inizio ne ero
convinto, ma poi… mi è stato abbastanza difficile crederlo. Pensavo che avessi
cambiato idea. Li consideri come… genitori, perché allora non diventare come
loro? Pensare a questa cosa, ogni volta, mi fa schifo. E comincio ad odiarti.
Non lo sopporterei se tu diventassi un vampiro, Abi. Non… tu.” Jacob aveva
iniziato a parlare con una nota di disgusto. Quella volta però non mi toccò per
niente; non se si stava parlando di questo.
“Se questo era il problema, perché non me ne hai mai parlato
prima?” Mmmh... Avevo proprio una faccia tosta a
fargli questa domanda, quando io in prima persona mi rifiutavo categoricamente
di evitare l’argomento. Lui però stette zitto; cominciò a guardare l’asfalto
del pavimento, facendo grande respiri. Gli ci vollero alcuni secondi prima di
rispondermi.
“Ero sicuro che… se tu mi avessi detto quello che non volevo
sentire… avrei perso il controllo, mi sarei trasformato. Per questo ho sempre
cercato di non toccare l’argomento”
“Jacob, io non diventerò un vampiro.” Questa volta lo dissi
quasi annoiata; odiavo ripetere quella frase. Lui non era per niente convinto.
“E se cambiassi idea? Basta poco
per andarsene da Forks e diventare una suc…” Decisi di interromperlo
immediatamente.
“No, Jacob, non si tratta di cambiare idea
o no. Io non diventerò un vampiro. Punto.” Non ero ancora arrabbiata, ma
lo stavo per diventare. Ora era lui a guardarmi confuso.
“Perché sei così sicura?”
“Non domandarmelo ancora.”
“Ora sono io a non capire” Alzò le mani al cielo e le lasciò
cadere subito a terra. “Davvero è un così grande segreto che non mi puoi
rivelare?” Mi alzai dal sedile della moto e lo perforai con gli occhi.
“Jacob. Basta.” Mi sembrò quasi di ringhiare. Per un attimo
scese il silenzio. Jacob continuava a guardarmi sorpreso. Poi la sorpresa si
trasformò in inquietudine.
“Quest’Abi invece non l’ho mai vista.” Il tono di voce che
gli uscì era strano; non l’avevo mai sentito. Sembrava… no, non poteva essere
spaventato.
“E spera di non vederla mai” ringhiai ancora. Tornai ad
appoggiarmi goffamente sul sedile vicino a lui. Con le braccia incrociate al
petto sembravo imbronciata. Lui mi squadrò dall’alto in basso prima di parlare.
“Ne riparleremo?” sussurrò. Io balzai in piedi in uno
scatto. Ebbene, anche per me c’era una parte di Jacob che odiavo. Soprattutto
in quel momento. Ed era la sua insistenza.
“Noi non abbiamo mai avuto regole nella nostra amicizia.
Bene, vorrà dire che da adesso ce ne sarà una: non
chiedermi mai più perché non voglio diventare un vampiro.” Feci alcuni respiri
profondi per quella sfogata; ora non c’era dubbio, Jacob era davvero
terrorizzato da me. C’ero andata giù pesante, ma almeno adesso avrebbe smesso
di fare domande.
“Fidati di me e basta.” Questa volta parlai in modo normale;
un tono stranamente dolce. Mi risedetti vicino a lui. Jacob ora non osava
fiatare; quella sua espressione non era cambiata.
La pioggerellina persistente di Forks
cominciava ad aumentare gradualmente; presto sarei dovuta andare a casa, prima
che iniziasse un vero acquazzone. Dovevo prima finire questa esasperante
conversazione con Jacob. Senza dubbio, la più impegnativa che avevamo mai
fatto. Era davvero sfibrante avere un licantropo come amico. Cercavo di fare
dell’auto-ironia, come al solito, ma non serviva proprio a niente, soprattutto
ora. Era sceso un pesantissimo silenzio; nessuno dei due osava parlare. Non
sembrava uno di quei silenzi imbarazzanti; con Jacob non ce n’erano mai stati,
o se sì, se li potevano contare con le dita di una mano. Dopo alcuni infinti
minuti e l’aumento della pioggia decisi di parlare per prima.
“Ora che sei sicuro che non mi trasformerò, non mi odierai
più? Accetti anche l’altra parte di me… quella da vampiro?”
Lui vicino a me sorrise. Quel dannatissimo sorriso. Senza neanche
accorgermene il cuore cominciò ad aumentare di battiti.
“Chi l’avrebbe mai detto” sussurrò beato.
“Cosa vuol dire?” Si girò verso di me. Era
quell’irresistibile sguardo. Oh no. Sguardo più sorriso creavano una
combinazione micidiale e dovetti rimanere concentratissima per capire quello
che diceva.
“Vuol dire che ti rispondo di sì.
Se questo vuol dire tenere la mia migliore amica, allora ne vale la pena.” Crack. L’atmosfera si ruppe subito. Svelta cominciai a
guardare il pavimento. Dannate fantasie; non mi facevano altro che un male
lupo. Feci un respiro profondo, irrequieta. Ancora una
volta, mi venne voglia di piangere. Forse era la stanchezza del periodo, o
quella maledetta situazione o che altro, ma mai come in quei giorni avevo avuto
così bisogno di piangere e sfogarmi.
Certo, le sue parole potevano anche commuovermi, se mi fossi
accontentata. Basta con le illusioni, Abi, rimarrai solo la migliore amica.
“Jacob, noi non possiamo essere più amici” mormorai. Era
appena più di un sussurro, ma almeno l’avevo detto. Lui balzò in piedi,
cominciando immediatamente a tremare.
“I succhiasangue hanno impedito anche a te di venire a La
Push?” Adesso era lui che ringhiava.
“No. Smettila di chiamarli così!” gli urlai, svogliata.
“… o è stato Cullen?” Adesso stava
davvero esagerando.
“No, Jacob, sei fuori strada” dissi quasi volta scuotendo la
testa per le minchiate che sparava. Mi alzai dal sellino, con tutta la buona
volontà di andarmene. Jacob si mise tra me e la moto e mi spinse ad arretrare.
Mi guardava cupo.
“Ti sta succedendo qualcosa di strano in questi giorni”
mormorò “Sembra che adesso sei tu che mi stai odiando.” Bene o male, quelle
parole mi fecero male, come il tono che aveva usato. Maledetto Jacob, riusciva
sempre a farmela avere con me stessa, in ogni occasione.
“Ho… ho bisogno di una pausa di riflessione.” Buttai giù la
prima cosa che mi venne in mente. In effetti, ci avrei anche potuto pensare un
po’ di più, perché “pausa di riflessione” suonava davvero male. Forse “Ho
bisogno di non vederti più” era più efficace e chiaro. Jacob fu sul punto di
ridere.
“Cosa…?! Una pausa di riflessione
da cosa?!”
“Ho bisogno di stare da sola, Jake,
per un po’” cercai di chiarire. Lui tornò a farsi cupo e piuttosto angosciato.
“Mi sto preoccupando Abi” mormorò “Perché non mi vuoi dire
niente?” Sentii la sua mano calda cercare la mia. Con grande fatica dovetti
nasconderla dietro la schiena, in modo che non la prendesse.
“Non ci riesco”
“Cosa vuol dire?!” esclamò lui,
gridando verso il cielo. Mi guardò esasperato. “Mi stai facendo diventare
pazzo!” Senza guardarlo negli occhi approfittai che si fosse spostato per
salire sulla moto. Lui fu più veloce, mi prese per le spalle e mi allontanò di
un metro.
“Ehi, ehi, ehi! Tu non vai da nessuna parte!” esclamò ancora fuori di sé. Come
avevo già detto, odiavo quando diventava insistente. Lo guardai in un misto di
rabbia e paura. Per quanto adorassi le sue mani, in quel momento mi davano solo
fastidio.
“Mi stai facendo male” dissi a detti stretti. Non era vero,
Jacob aveva sempre fatto attenzione. Era la prima scusa che mi era venuta in
mente per liberarmi di lui. Lui difatti mi lasciò subito. Passarono alcuni
interminabili secondi prima che qualcuno parlasse. Io non riuscivo a guardarlo
negli occhi, mentre sapevo che mi stavano fulminando.
Avrei dovuto conoscere Jacob: era determinato e il silenzio
era come un insulto in pieno viso. Non c’era altra soluzione; dovevo dirgli le
cose come stavano. Non potevo fare diversamente con lui. Ma figuriamoci se
proprio adesso ci sarei riuscita! Dovevamo tornare a parlare. Non c’era altro
modo per convincerlo a lasciarmi andare.
“Portami la macchina lunedì dopo scuola. Ne riparleremo” dissi continuando a mantenere lo sguardo basso.
Speravo che gli bastasse. Lui mormorò un “va bene” come risposta. Lunedì avrei
anche potuto saltare scuola.
“Allora a lunedì, Abigail.” Lui
però non si muoveva. Salii in moto. Lui me lo lasciò fare. Prima di salire
sulla mia Cadillac per tornare a La Push, fece una cosa che poteva anche
risparmiarsi: mi prese la testa con una mano e senza darmi il tempo di
liberarmi mi diede un lungo bacio sui capelli.
Arrivai a casa moralmente distrutta; perché non c’era
un’altra soluzione? E se c’era, perché diamine non riuscivo a trovarla.
Parcheggiai la moto vicino ad un’Honda rossa particolarmente famigliare. Non
c’era dubbio, era la moto di Bella, quella che avevo visto tanti giorni fa al garage
di Jacob. Pensavo avesse fatto una brutta fine.
Con l’unica voglia di andarmene a fare un bagno e poi andare
a dormire, scesi dalla moto ed entrai in casa.
“Ciao Abigail” mi salutò mia madre
comparendo dalla porta della cucina. “La cena è pronta. Come mai così in
ritardo?” Io la guardai da subito come una morta vivente.
“Ho avuto da fare con bambini per il saggio” dissi parecchio
svogliata, smovendomi i capelli subito dopo essermi tolta il casco. Mia madre
mi diede una veloce occhiata attenta.
“Si vede che sei distrutta” disse dubbiosa. Eh! Figuriamoci
se lei non lo capiva che c’entrava qualcosa di più di sedici bambini
scalpitanti.
“Vado subito a dormire” mormorai. Lei non disse nient’altro;
per fortuna, non avevo la benché minima voglia di parlare in quel momento.
Salii tre rampe di scale. Al terzo piano mi fermai. Papà e gli altri erano
ancora a caccia, quindi anche Edward. Per tanto Bella doveva essere ancora qui.
Non l’avevo vista giù in salotto; forse era andata a dormire presto anche lei. Con
il dubbio e l’incertezza, entrai nell’ultima camera del corridoio. Nonostante
fosse del tutto buio, intravidi la sagoma di Bella rannicchiata sul divano
vicino alla finestra. Mi avvicinai, facendo per niente attenzione di far
rumore; per sua fortuna, era sveglia.
“Ciao” mi disse con voce chiara. Io mi sedetti accanto a lei
sulla moquette alta quattro dita.
“Ciao” risposi peggio di quanto non avessi detto a mia mamma. Non mi andava di parlare proprio con nessuno, ma…
lo ammetto, ero decisamente troppo curiosa di sapere quello che avevano fatto
quei due. In realtà ero gelosa da far schifo, mica tanto curiosa.
“Come è andata a break dance?” Feci una smorfia.
“Come mai me lo domandi?” dissi sarcastica.
“E’ venuto?” Ci pensai un po’ prima di risponderle.
“Ci siamo chiariti.” Rimasi piuttosto sul vago; non era né
il momento, né il luogo di parlare di questo, tanto meno la persona con la
quale parlarne. Ero ancora dell’opinione che se Bella non sapeva della mia
cotta per Jacob, meglio era, sia per noi due, che per loro due.
“Mmhh…” Anche lei era piuttosto
svogliata e poco desiderosa di una chiacchierata notturna.
“Divertiti in marina?” andai al sodo io.
“Per niente” mugugnò seria. “Abbiamo litigato, di nuovo. Gli
ho detto che mi trasformerò tra poche settimane. E...”
tentennò un poco prima di continuare "...tanto per cambiare, mi ha detto
che piuttosto mi preferisce morta"
“Mmmhh…” risposi io, forse con
troppo disinteresse. Mah, la cosa non mi stupiva per niente: era da un bel po'
che pensavo che Jacob fosse un deficiente e questo non faceva altro che
rafforzare l'ipotesi. Mi alzai in uno scatto; ne avevo abbastanza quell’oggi di
Jacob.
“Va bè, io vado a dormire.” Non
sarei rimasta a dormire lì; mamma mi aveva detto che gli altri sarebbero
arrivati entro la notte e quindi era meglio lasciare un po’ di intimità a quei
due quando Edward sarebbe tornato. A pensarci bene sarebbe stato più divertente
fare la cavolata e infilarmi nel letto, così, giusto per fare la rompi scatole.
Ma i risvolti di quella lunga serata mi avevano più provata che mai e la voglia
di fare la stupida era passata. Mi limitai quindi a mormorare un “buonanotte”
prima di uscire dalla stanza.
Il giorno dopo mi alzai piuttosto tardi. Preferivo
continuare a sognare e a fare finta di niente, piuttosto che pensare a lunedì.
Feci un grosso respiro profondo: l’unica cosa che mi avrebbe impedito di riflettere
era andare a correre, ma ovviamente con una vampira poco più che pazza che mi
dava la caccia al momento mi era un pochino difficile. Di solito non era da me cercare
di dimenticare i miei problemi; avevo sempre cercato una soluzione. Avevo
smesso però di farlo quando mi ero accorta che pensare troppo accumulava solo
tanto stress. Si poteva dire che il motto di quel periodo un po’ hippy era HakunaMatata, senza pensieri.
Nonostante tutto, mi alzai lo stesso: ero pigra, ma il far
niente mi annoiava proprio. Mi lavai con calma in bagno e decisi di andare a
fare colazione con tanti, ma tanti biscotti al cioccolato; quando avevo dei
problemi, abbuffarsi aiutava.
Scesi giù, ed ecco l’imprevisto. Non ero mai andata matta né
per imprevisti, né tanto meno per le sorprese; in quel periodo però non potevo
farne a meno. I miei genitori e quasi tutti i Cullen
erano giù in salotto, immobili come statue. Intuii che era successo qualcosa.
Dalle espressioni che fecero qualcosa di poco gradevole; ovvero un altro
problema.
“E ora che c’è?” Emanai un grande sbuffo; ad essere sincera,
ora mi ero proprio stufata di avere a che fare con altri problemi.
“Qualcuno è stato a casa di Bella la scorsa notte. Un
vampiro” disse serio mio padre. Mi immobilizzai anch’io come tutti gli altri.
Com’era possibile? Perché i Cullen non se n’erano
accorti? Voglio dire, Bella ed io non eravamo super
protette? Sì, certo, ovviamente, ma non casa sua; di fatto
la scorsa notte si trovava qua. Mi promisi di non criticare più il
comportamento ossessivo-possessivo di Edward: ci
sarebbe potuta essere lei in quella casa. Aspetta, ma in quella casa c’era anche
Charlie. Il padre di Bella era quindi morto?
La porta d’ingresso si spalancò ed osservai pietrificata e
terrorizzata Edward e Bella entrare. Edward sembrava fuori di sé, pronto ad
azzannare qualcuno, non importava chi fosse. Bella invece mi sembrava confusa,
ma non scossa, in semi-schock o cos’altro;
insomma, non aveva la faccia di chi le era morto il padre.
“Cos’è successo?” Edward si avventò subito su Alice, la
quale, rannicchiata su se stessa, sembrava in stato semi-catotico.
“Non lo so. Non ho visto niente.” Mmmh…
prepariamoci a una clamorosa dimostrazione di tutta l’ira di Edward Cullen!
“Perché?” chiese acido lui. Ce l’aveva proprio con Alice, che,
povera, non aveva fatto proprio niente: non era colpa sua se non aveva visto, vero?
“Non è una scienza precisa, Edward” tentò di calmarlo Carlisle, invano. Lui continuò inutilmente ad accusare
Alice.
“E’ andato nella sua stanza, Alice. Lei poteva essere lì”
“In tal caso me ne sarei accorta.” Ora aveva alzato la voce
anche Alice.
“Sicura?” continuò a sbraitare Edward. Stavano litigando
come bambini di cinque anni. Non mi spiegavo cosa sarebbe servito accusare
Alice in quel modo.
“Sto già controllando i Volturi, le mosse di Victoria,
Bella. Vuoi qualcos’altro? Anche Charlie, la stanza di Bella, la casa o tutta Forks? Le cose cominceranno a sfuggirmi!”
“Sembra che sia già così” rispose duro Edward.
“Scusate se interrompo la vostra interessantissima
conversazione” li fermai alzano anch’io il tono per farmi sentire “Ma non credo
che litigare servirebbe a scoprire chi è stato ad entrare in casa di Bella.”
Per un attimo riuscii ad ottenere un minimo di silenzio. Entrambi sembravano
essere tornati in loro.
“Scusa, Alice. Non avrei dovuto attaccarti in questo modo”
disse Edward decisamente più mansueto.
“Ti comprendo. Neanche a me piace tutto
questo” mormorò Alice un po’ più stizzita. Edward fece un respiro
profondo.
“Va bene. Chi potrebbe essere stato?” chiese
rivolgendosi a tutti quanti. Tutti si rilassarono e sembrava che delle
statue avessero preso vita. Bella si sedette sul divano accanto a me. Io
un’idea ce l’avevo: un vampiro “x” era entrato passando dalla finestra, si era
pappato Charlie e se n’era andato.
“Charlie sta bene. Non l’ha neanche visto”
mi comunicò Edward senza degnarmi di uno sguardo “Inoltre il vampiro non è
uscito dalla camera di Bella”
“Ah!” mi uscì senza rendermene conto. Per un paio di minuti
avevo realmente pensato che Bella fosse orfana di padre. La notizia mi
rassicurava molto, ma mi metteva un sacco di dubbi. Un vampiro era entrato in
camera di Bella, senza uccidere Charlie. Alice non l’aveva visto, e da quanto
avevo capito nessuno sapeva chi era. Qua la cosa puzzava parecchio.
“Victoria?” chiese Carlisle.
“No, non era il suo odore” rispose Edward “Secondo me è uno
dei Volturi, qualcuno che non conosco.” Alice scosse la testa.
“Aro non ha ancora ordinato niente.”
“Potrebbe non essere un ordine” propose Edward guardingo.
“Qualcuno che sta agendo da solo? E perché?” Di nuovo la
conversazione si stava svolgendo tra Alice ed Edward.
“Potrebbe c’entrare Caius” disse
Edward torvo.
“O Jane” continuò Alice.
“Sembra non avere senso” proruppe Esme “Non era intenzionato a far del male a Bella.
Per lo meno, a Charlie non gliene ha fatto.” Sentii
Bella sussultare vicino a me.
“Anch’io non ho avvertito alcun
brutto presentimento. La penso come Esme”
intervenne papà.
“Allora cosa volevano?” mormorò Carlisle.
“Controllare se fossi ancora umana?” intervenne Bella.
“Probabile” le rispose Carlisle.
Rimasi zitta per tutta la conversazione. Non sapevo perché, ma quello che
dicevano non mi convinceva. Bene o male, non volevo credere che fosse opera dei
Volturi.
Rosalie sospirò. Avrei tanto voluto imitarla anch'io. Quella
situazione stava diventando esasperante. C'erano tante ipotesi, ma nulla di
concreto. Non si poteva far altro che rimanere nel dubbio. Per questo, tutti
sembravano particolarmente scoraggiati, soprattutto Edward, che oltre che
abbattuto continuava a rimanere isterico.
“Se posso dire la mia” disse mio
padre intromettendosi nel discorso “Sono abbastanza sicuro che non siano stati
i Volturi”
“Cosa te lo fa pensare?” chiese Carlisle.
Incrociò le braccia e si mise a guardare il soffitto.
“Intanto, credo che non sia qualcuno di loro che stia agendo
per conto proprio: prima o poi, Aro lo scoprirebbe e penso di conoscerlo abbastanza
bene da credere che non gli piacerebbe che qualcuno faccia qualcosa senza la
sua supervisione.”
“Questo è vero” affermò Carlisle.
”Inoltre, non è il loro modo comportarsi. Non si preoccupano di agire allo
scoperto; se proprio volevano controllare che Bella fosse ancora umana,
sarebbero dovuti venir qua. E a quel punto, Alice li avrebbe dovuti vedere.
Conoscendo poi sia il potere di Alice, che il mio,
avrebbero dovuto già in partenza sapere che fare le cose di nascosto sarebbe
stato tutto inutile.” Si fermò per fare un respiro profondo.
“Anche la questione dell’odore non
mi convince. Se Edward non ha riconosciuto l'odore e se questo vampiro si
trattasse realmente di uno dei Volturi, venuto per controllare che Bella sia
ancora umana, allora non sarebbe di certo un nuovo membro. Per loro non si
tratta di qualcosa da poco: il loro segreto è in pericolo. Per questo non
avrebbero mandato il primo arrivato." Ormai
nessuno osava fiatare, neppure Alice ed Edward.
"E personalmente, sto controllando i Volturi da quasi
quindici anni e non me lo perdonerei se si fossero trovati così vicino ad Abigail." Mi sarei quasi messa a fischiare. Adoravo i
discorsi di papà, perché riuscivano a convincere anche i più scettici, anche se
aveva usato solo il condizionale e fatto solo ipotesi.
Emmett e Jasper spuntarono dalla
cucina.
"Se ne sono andati da molto" disse il primo,
amareggiato pure lui "La scia portava a est e poi a sud. Sono scomparse su
una via secondaria. C'era una macchina che lo stava aspettando."
"Se fosse andato a ovest... quei cani ci avrebbero
aiutati senza problemi" borbottò Edward, con l'espressione persa, quasi in
trance. Sentii Bella trasalire, mentre io stringevo denti e pugni e per poco
non mi mettevo a ringhiare: non ero d'accordo con nominativi come "succhiasangue"
e "sanguisuga" da parte dei licantropi, ma neanche insulti da parte
dei vampiri.
"Non lo abbiamo riconosciuto, ma abbiamo trovato
questo" disse Jasper a Carlisle e a mio padre,
mentre tirava fuori un ramo di felce.
"Forse riconoscete il profumo." Carlisle lo prese e lo annusò, così fece dopo anche mio
padre.
"No, non mi è familiare" ammise Carlisle.
"Neanch'io lo conosco"
lo seguì papà. Bene, quindi la minaccia dei Volturi si stava scartando sempre
più come opzione.
"Secondo me dobbiamo cambiare prospettiva, forse è solo
una coincidenza" affermò improvvisamente Esme.
Dalle espressioni degli altri, intesi che non condividevano il suo parere. Per quanto mi riguardava, neanch'io.
"Potrebbe magari trattarsi di un semplice curioso. In
fin dei conti, Bella è circondata dal nostro odore. Si sarà chiesto perché vive
così vicino a noi" rincaròEsme.
"Allora perché non è venuto direttamente qua?"
chiese Emmett. Esme le
rivolse il suo sguardo materno, che mi fece per un attimo paura: era identico a
quello di mia madre.
"E' quello che avresti fatto
tu. Sentendo più odori differenti avrà capito che siamo una famiglia numerosa e
si sarà intimorito. E ha risparmiato Charlie. Questo vuol dire
che non è un nemico, è che dispone di un certo autocontrollo." Il discorso
di Esme non aveva convinto molto i presenti.
"Credo che Esme abbia
ragione" intervenne finalmente mia madre. Le lanciai per un attimo
un'occhiata inorridita. Nelle conversazioni, mamma non era solita partecipare
molto, ma quando apriva bocca, era convintissima della sua posizione. Era un
tipo piuttosto riflessivo. Pensare quindi che fosse dell'ipotesi dello
sconosciuto mi metteva in reale difficoltà, perchè
oltre ad essere convintissima, era anche molto convincente, soprattutto con me.
Mah, io però credevo ancora che, bene o male, si trattava di Victoria. Era una psicopatica, che agiva da
tale, e quindi bisognava pensare da tale. Il semplice fatto che non ci fossero
prove per designarla come autore del misfatto, mi convinceva ancora di più che
fosse lei. Era un ragionamento senza senso, da veri psicotici, insomma.
"Non penso sia andata così. E' stato troppo veloce. Il
vampiro è stato attento a non incontrare nessuno, come... se sapesse che me ne
sarei accorta" affermò Alice poco convinta.
"Poteva non farsi vedere anche per altre ragioni"
rispose Esme.
"Giusto. Magari non ha incontrato nessuno perché non ne
ha avuto la possibilità. Non aveva modo di farsi vedere, se non per...
eliminare Charlie." Mamma stette molto attenta ad
usare vocaboli poco traumatizzanti in presenza di Bella. Ancora non riuscivo a
convincermi. In realtà, tutto quello che si era detto fino ad adesso non mi convinceva,
a parte il discorso di papà.
"Ma alla fine, ha davvero importanza chi fosse?" A
parlare era stata Bella, in un tono fin troppo nervoso. Mi girai curiosa verso
di lei.
"Il fatto che qualcuno mi abbia cercata,
non basta a... ad accorciare i tempi?" Trattenni un respiro. Fin dal principio
ero d'accordo con il desiderio di Bella di diventare un vampiro. Fin dal principio
però non mi era mai andata a genio tutta la sua fretta nel diventarlo. Adesso
però, pensandoci bene, dopo quello che era successo a
Volterra, con una pazza che voleva ucciderla e un vampiro sconosciuto, per la
prima volta mi ritrovai d'accordo con lei.
"Non è necessario, Bella." Chi mai avrebbe potuto
risponderle in questo modo? "Se fossi realmente
in pericolo, lo sapremmo"
"Pensa a Charlie" le ricordò Carlisle
"Soffrirebbe se tu sparissi"
"Appunto per Charlie, che vi sto chiedendo di fare in
fretta!" esplose Bella, al limite dell'esasperazione. "E se l'ospite
avesse avuto sete? Se starò vicina a Charlie, anche lui sarà in pericolo.
Sarebbe tutta colpa mia se gli succedesse qualcosa."
Mi ricordava molto me, quando ero venuta a conoscenza del
fregio di mio padre causato dai licantropi. Non avevo dimenticato l'odio e la
paura di aver rischiato di perdere un padre.
"Non ti preoccupare" la rassicurò Esme. "Non riaccadrà. A Charlie non succederà niente.
Basterà stare solo più attenti?"
"Più attenti?" ripeté Bella, quasi con tono di
disgusto.
"Andrà tutto bene, Bella" promise Alice. Il fatto
era che Alice non usò un tono molto rassicurante, più agitato, direi, per me
non fu molto credibile.
"D'ora in poi, ci sarà sempre qualcuno a controllare
casa tua…" la rassicurò subito Edward. Il modo in cui si interruppe, però,
sembrava nascondere qualcosa. Voltandosi lentamente verso mia madre, iniziò a
parlare.
"Credo che a questo punto Bella dovrebbe trascorrere
più tempo con Abigail. Se dovesse
esserci qualche pericolo, ci sarà sempre il tuo potere, Sophie."
Mia madre sfoderò il suo sorrisone verso Edward.
"Certamente, non è affatto un
problema. Questo ti farà stare più tranquilla?" domandò
cordiale a Bella. Giusto, se io mi sentivo in pericolo, mamma grazie al suo potere
veniva in mio aiuto e se c'era anche Bella, avrebbe salvato anche lei. Mi
sembrava per Edward la più fiduciosa barriera di protezione. Inoltre se fossi
stata a casa sua, anche Charlie sarebbe stato protetto. Bella guardò dubbiosa
mia madre, ma annuì lo stesso. Anche a me garbava molto la cosa.
"Però, mi sembra
strano..." commentò Carlisle "Il vampiro
sconosciuto pare che stia tentando di entrare in contatto con Bella, ma perché
non con Abigail?" Trattenni un respiro. Oh no!
Adesso stavano coinvolgendo anche me. Mia madre al solo pensiero si innervosì
subito.
"Appunto, forse era solo qualcuno incuriosito dal
nostro odore a casa di Bella" rafforzò lei la sua ipotesi.
"Oppure qualcuno abbastanza prudente da non avvicinarsi
a una famiglia numerosa di vampiri" intervenne per la prima volta Jasper.
Adesso cominciavano a spararne davvero di grosse.
"Sentite" sbottai interrompendo
la discussione su di me "Abbiamo degli elementi concreti? L'odore
di un vampiro sconosciuto in camera di Bella, che Alice non ha visto, suo padre
ancora vivo e una scia che non porta da nessuna parte. Mi sembra che questo non
sia abbastanza. Ci stiamo facendo solo castelli per aria" conclusi io
davvero irritata. Avevo già i miei problemi, concreti, nella testa. Adesso se
ci mettevano anche loro con teorie e probabilità e compagnia bella, mi sarei
davvero rotta le scatole prima o poi.
"Sono d'accordo con Abigail"
sbuffò stufa Rosalie, che fino ad allora non aveva
aperto bocca. Bhè, a dire il vero ero contenta che almeno
qualcuno fosse d'accordo con me.
La riunione si concluse subito dopo. Edward portò Bella a
casa, ancora scossa per l'accaduto, e ogni membro di casa Cullen
era andato a farsi i cavoli propri, detta alla spiccia. Io compresa. Di quella
storia mi dimenticai quasi subito, seppure in ogni caso un vampiro si fosse intrufolato
in casa di Bella. Non era effettivamente una bella cosa da pensare: voglio
dire, il padre di Bella aveva rischiato di morire senza saperlo. Ma, nonostante
ci tenessi alla vita dello sceriffo di Forks, al
momento, anche se suonava orribile, non me ne fregava proprio niente; avevo
altre cose per la testa. E poi ormai il vampiro era andato; non c’era
nient’altro che si potesse fare se non torturarsi il cervello inutilmente. Lasciai
quindi passare quella giornata senza troppi problemi.
Il giorno dopo fu proprio strano: mi svegliai e non sapevo
proprio cosa fare. I compiti li avevo già finiti tutti ieri sera, quindi via
un'altra distrazione. La break mi aveva stufato; in
realtà l'adoravo ancora, ma a causa del corso che stavo facendo ogni volta che
facevo anche solo top rockmi venivano in mente i bambini ed il saggio
che avrebbero dovuto fare e mi si chiudeva lo stomaco. Chi avrebbe mai detto
che sarei stata così preoccupata per un saggio, che avevo solo preparato.
Decisi di andare a fare un giro in moto, o ancora meglio a
correre. Ah, già, giusto, una vampira mi aveva morsa e ora l'unico posto più
lontano dove sarei potuta andare era la cucina. Mi tornai a distendere sul
letto con un tonfo. A causa di tutta questa storia tutte le mie abitudini che
mi divertivano erano impraticabili. Mi chiedevo soltanto quanto sarebbe durata
la cosa.
Sbuffai tornando in piedi: o trovavo qualcosa da fare, o
impazzivo. Me ne sarei potuta andare a casa di Bella, così stavo un po' con lei
e avrei fatto felici tutti quanti, soprattutto quell'ossessivo-possessivo.
Ma, giusto, ovviamente se sarei andata a casa Swan lo avrei incontrato sicuramente. E ad essere sincera
non mi andava tanto di stare troppo vicino a lui e assorbire tutto il suo
umore. Avrei allora potuto passare il tempo con qualcuno in quella casa:
insomma, tra otto vampiri, almeno uno avrebbe voluto sopportarmi per un po',
no?
Però... volevo restare sola in quel momento. Insomma, ero
arrivata a un punto tale dove neanch'io sapevo cosa
volevo.
Mi trovai a squadrare per un attimo la mia camera, senza
pensarci, ed iniziai a fare una cosa che non avevo mai fatto in tutta la mia
vita; la misi in ordine e la pulii. Nel mentre ascoltavo musica e canticchiavo
le parole, tanto per tenere occupata anche la mente e non solo il corpo, ma non
fu sufficiente a non farmi ricordare che domani sarebbe stato lunedì.
Finii in poco più di un'ora. La guardai con aria critica:
non mi piaceva, non rispecchiava me stessa. Soprattutto in quel momento. Fui
quasi sul punto di rimetterla in disordine di nuovo, ma evitai di farlo. Solo
perché non serviva a distrarmi.
Scesi le scale e, nel limite della disperazione andai
nell'ufficio di mio padre, gettandomi sul computer. Da sempre stare sul computer
o peggio ancora guardare la televisione, se non ero stanca morta, mi erano da
sempre sembrate delle grosse perdite di tempo ed avevo sempre preferito fare
qualcos'altro piuttosto che stare davanti ad uno schermo,
semi amorfa. Quell'occasione però era l'eccezione.
Entrai in ufficio di papà senza bussare. Vidi papà e Carlisle guardarmi curiosa. Giusto, mi ero dimenticata che
quello non era solo l'ufficio di papà: da quando ci eravamo trasferiti, mio
padre e Carlisle se lo dividevano. Era così grande
che ci potevano stare comodamente anche sei scrivanie.
“Ho interrotto qualcosa?” chiesi sul ciglio della porta.
“No, figurati, Abigail, entra
pure” disse Carlisle. Aveva un tono strano, quasi
stanco. Ma chi lo poteva biasimare? Mi diressi verso la scrivania di papà e mi
sedetti sulla sua poltrona enorme.
“Controllo se ho ricevuto qualche e-mail” annunciai
accendendo il computer.
“Tu non controlli mai l’e-mail” sottolineò mio padre
sorpreso, appoggiato alla scrivania.
“Bhè, andrei volentieri a fare un
giro in moto, oppure a correre un po’, ma una vampira psicopatica mi sta dando la caccia. Potrei fare un po’ di break, ma farlo
mi fa venire ansia per il saggio dei bambini. Potrei allora fare
i compiti e riordinare la mia camera, ma l’ho già fatto” dissi svogliata
guardando con poca attenzione lo schermo del computer. Papà sogghignò.
“Sei proprio messa male, allora.”
“Già, quindi se decidete di fare
una partita a monopoli o cos’altro, io sono disponibile” dissi ancora più
annoiata, iniziando a guardarmi intorno, osservando quello che c’era di nuovo.
“Buono a sapersi” rispose Carlisle,
animato da uno dei suoi angelici sorrisi.
Quasi non ascoltai quello che disse, perché la mia
attenzione venne attirata da qualcosa che mi lasciò piuttosto basita. Sulla
parete di fronte a me c’erano numerosi quadri, grandi e piccoli, dai colori
vivaci e spenti che non avevo mai visto prima. Tra questi il più grande mi
colpì. Sembrava un quadro rinascimentale, o barocco. Veniva rappresentata una
festa, con gente che rideva, si divertiva, in una piazza come quelle
dell’Italia antica. Ciò che attirò la mia attenzione furono tre figure che
osservavano la scena dall’alto, da un grande balcone in marmo. Quelle figure
erano strane, tanto quanto familiari. Un brivido mi percorse la schiena.
“Scusate, ma… avete per caso deciso di appendere un quadro
con i Volturi giusto per sentire la loro minaccia sul collo ogni giorno che
passa?” chiesi con un’ottava di tono più alto, attonita ed inorridita. Carlisle e papà non riuscirono a trattenere una risata
melodiosa, che fosse per quello che avevo detto o per l’espressione che feci.
“Non esattamente” mi informò Carlisle “Questi quadri rappresentano le tappe fondamentali
della mia vita”
“Ah…” mormorai io.
Provai a vederla sotto questa ottica; in effetti, Carlisle aveva conosciuto i Volturi parecchi decadi fa.
Accanto alle tre terribili figure si notavano altre due in secondo piano, che
forse venivano un po’ nascoste da quelle dei Volturi. Riuscii a riconoscere i
capelli castano chiaro di papà e quelli biondo oro di Carlisle.
Mi stupii di quanto la prima figura assomigliasse a papà. Anzi, mi stupii di
quanta somiglianza ci fosse tra quelle tre figure ed i Volturi. Quello che però
doveva essere Carlisle, non assomigliava tanto a lui.
Doveva essere un vampiro ma quello era molto più simile a un angelo.
“Non ti assomiglia molto, Carlisle”
gli dissi indicando il quadro. Lui sogghignò e lanciò una loquace occhiata a
mio padre.
“Si vede che il pittore non era molto bravo”
“O forse troppo abile a ricercare l’essenza dei soggetti”
rispose a tono mio padre, con la stessa occhiata. Prima guardai confusa mio padre, poi Carlisle.
Solo dopo capii cosa volessero dire quegli sguardi.
“Papà, hai dipinto tu quel quadro?” chiesi poco sicura che
fosse così.
“Ebbene sì” disse ammirandolo, forse per la miliardesima
volta. Tornai a guardarlo anch’io. Bè, che dire.. era un quadro davvero bello… Mi tornai a girare di nuovo
verso papà.
“Non sapevo che ti piacesse dipingere” Lui fece spallucce.
“Al tempo mi piaceva…”
“Ah, giusto, poi è arrivata la macchina fotografica. E dopo ancora sono arrivata io, il tuo soggetto preferito”
mugugnai in disaccordo. Lui mi lanciò un sorriso.
“E così la fotografia ha sostituito la pittura” concluse.
“Però un ritratto lo potevi fare a
mamma. A me lo potevi fare!” dissi imbronciata. Era
stato piuttosto brutta come notizia; ora il ritratto lo volevo anch’io! Lui
rifece spallucce.
“Sei vuoi te lo faccio” disse rassegnato.
“Certo! Guarda che ci conto!” Nel mentre
tornai a guardare il quadro. Per me rimaneva ancora strano vedere la gente che
forse mi voleva uccidere appesa alla parete.
“Tornando al discorso di prima, se papà ha disegnato questo
quadro e tu lo hai appeso alla parete, vuol dire che al tempo voi due eravate…
molto uniti a loro” dedussi rivolgendomi a Carlisle.
Lui mi lanciò un’espressione di dissenso.
“Diciamo che lo tengo più che altro perché lo ha dipinto tuo
padre” disse con un velo di sarcasmo rivolgendosi a papà.
“Troppo gentile” rispose mio padre, poi si
rivolse a me “A dire il vero al tempo, tutto sommato, si sono rivelati
alquanto… gentili nei nostri confronti, anche se troppo insistenti. Soprattutto
nei miei; volevano convincermi ad entrare a far parte della loro guardia, e
alla fine ci sono riusciti. Erano eccessivamente interessati al mio potere.” Sentii intanto Carlisle
sogghignare, forse perso nei suoi pensieri.
“Avresti dovuto vedere tuo padre quando ci siamo conosciuti.
Mi seguiva dappertutto, era diventato ormai la mia ombra, prendeva come oro colato ogni parola che dicevo e non smetteva mai di
sorridermi”
“Grazie ,Carlisle”
disse papà un po’ in imbarazzo.
La discussione venne improvvisamente interrotta dalle porte
della stanza che si aprivano e chiudevano a una velocità mostruosa. Poi vidi
Jasper davanti alla scrivania in mogano di papà. Aveva un'espressione così tesa
che per poco non mi fece rabbrividire. Senza dire una parola appoggiò il
giornale, il "Seattle Times", che aveva in
mano sul tavolo. Lessi velocemente i titoli in grassetto della prima pagina:
"La scia di omicidi si diffonde, nessuna pista per la polizia".
"Abbiamo un problema" mormorò impassibile. Nello
stesso intervallo di tempo che io lessi i titoli in grassetto, papà e Carlisle avevano letto l'intero articolo.
“Non può essere opera di un solo vampiro” affermò Carlisle, tornato immediatamente serio.
"Se così fosse, allora il loro creatore non sa niente
dei Volturi" rispose papà. "Sembra che non faccia caso al disordine
che creano." Ecco, giusto per stare in tema. Carlisle
annuì.
"Avverto Edward" Senza che me ne accorgessi fece
il numero su un cellulare apparso dal nulla. Il secondo dopo iniziò a parlare
troppo veloce perchè lo comprendessi.
"I Volturi?" domandai intanto incuriosita a mio
padre, che sospirò.
"Se questi vampiri vanno avanti così, qualche umano prima
o poi scoprirà quello che sta dietro a queste uccisioni. Ed il compito dei
Volturi, come tu ben sai, è di evitarlo."
"Ben presto interverranno" affermò Jasper. "E
Seattle è vicina a Forks. Non escludo che possano
venire anche qua. Per Abigail o per Bella."
Un brivido mi percorse lungo la schiena. Fino cinque minuti
fa l'esistenza di questo vampiro a Seattle era passato subito nel
dimenticatoio. Adesso che papà e Carlisle avevano
tirato fuori l'esistenza di altri vampiri e soprattutto dei Volturi ci mancò
poco che mi venisse un mancamento. Come se non bastassero i problemi che avevo
già. Dico, a Chicago non era mai successo niente, arrivavo a Forks ed ecco che venivo stravolta da orde di vampiri e non
solo.
E poi c'erano i Volturi; questa era la cosa che mi
spaventava di più. Solo pensare a loro mi spaventava. Sentii la mano fredda mi
papà sulla spalla. Il sorriso che mi fece spinse a sorridere anche a me.
"Non verranno qui" Si
rivolse poi a Jasper "Dovremmo intervenire noi, spiegar loro le
regole"
"E' il tuo potere?" Mio padre scosse la testa.
"No, continua a rimanere sempre la stessa sensazione..."
"Quale sensazione?" domandai curiosa. Mmmm... non mi piaceva quando non mi veniva detto niente...
"Quella di aspettare" Ah... bè,
non un’importante informazione, dopotutto. Carlisle
finì la conversazione; sembrava più serio di prima.
"Il visitatore di Bella non è semplicemente stato in
camera sua. Le ha preso dei vestiti." Jasper corrugò immediatamente le
sopracciglia.
"Per l'odore"
"Non penso che l'abbia fatto per tenerselo
semplicemente con sé" intervenne papà.
"Forse per dimostrare a qualcuno di aver trovato Bella"
concluse Carlisle.
"Vado a parlare con Alice" disse Jasper. Dopodiché
non solo lui, ma anche gli altri due vampiri si smaterializzarono.
Io rimasi da sola. Avevo ancora bisogno del tempo per
digerire l'idea. Il visitatore quindi aveva un motivo preciso. Ho forse, no;
Bella aveva un buon odore. Il vampiro si sarà portato dietro un souvenir. Ma
suonava fin troppo strano...
Mi tenni la fronte con le mani. I miei genitori ed i Cullen iniziavano ad agitarsi per questa storia. Ed insieme
a loro anch'io. Da una parte c'erano i Volturi, dall'altra ancora Victoria, poi
un vampiro in camera di Bella, poi ancora dei vampiri senza controllo a
Seattle. Ma tutte a noi dovevano succedere?
Feci uno sbuffo; mi ero stufata di questa situazione che si
stava ingarbugliando sempre di più.
Per distrarmi un po' ed uscire dal mondo sopranaturale aprii
la mia casella di posta elettronica. C'erano tipo venti e-mail mai lette; non
avevo numerosi contatti, ma quelli che avevo almeno un po' si ricordavano di
me. Erano tutte e-mail inviatemi dai ragazzi che avevo incontrato a San Lucas,
in campo scuola. Metà erano della mia compagna di stanza, forse la persona con
la quale avevo legato di più, anche se non sapevamo molto l'una dell'altra,
neanche il luogo dove vivevamo. Dopo averle lette tutte, inizia a rispondere
partendo da lei: "Cara Bree..."
Il pomeriggio passò lentamente e fu terribilmente noioso.
Dopo aver letto le mail, andai a vedermi un paio di video su break, moto, e
perfino su gente che correva; se io non potevo, almeno mi era di un minimo di
consolazione vedere altre persone farlo. Dopodiché toccai il fondo: mi piazzai
sul divano e mi misi a guardare la tv; iniziai dapprima con un po’ di sano
zapping, mentre una Rosalie sul divano, annoiata tanto quanto me, sbuffava
davanti alla mia indecisione di scegliere un canale che poteva andare bene,
finché non mi strappò lei stessa il telecomando. Fui costretta alla fine a
subirmi una specie di programma sulla moda a cui non prestai neanche un minimo
della mia attenzione.
“Abigail, ti vuole Bella al
telefono” La voce cristallina di Esme mi fece fare un
piccolo salto dal divano per la felicità di aver trovato qualcosa da fare.
Voleva essere il salto di una farfalla, ma ne era uscito uno da ippopotamo.
”Pronto” esclamai troppo esuberante.
“Ciao Abi” mi rispose la mia amica “Ti ho chiamato solo per
sapere se ci sei anche tu stasera.”
“Ehm… veramente non ho idea di cosa tu stia parlando”
risposi parecchio confusa.
“Jacob non ti ha detto niente?” mi chiese stupita. Tutta
l’esuberanza scomparì e il mio umore tornò ad essere quello di prima. Pensavo
fosse tante volte meglio sentirsi annoiata fino al limite.
“No” mugugnai io.
“Ah” continuò ancora stupita. “Mi ha invitata stasera a La Push per un falò che faranno alla spiaggia. E’ strano
che non ti abbia detto niente…” Ah, bene a sapersi. Era lampante il motivo per
cui non mi aveva invitata; dopo la conversazione dell’altro giorno il suo
strepitoso intuito gli avrà ben consigliato di tacere. A lei però questo non
potevo di certo dirlo.
“No, non mi ha detto niente. Ma, ad essere sincera, non ci
sarei neanche venuta; ho avuto una giornata un po’ faticosa e sono un po’
stanca.” Mi ero ripromessa di non andare più a
raccontare balle, ed ecco che ne sparavo un’altra. Vai
così, Abigail.
“Ah…” Bella sembrava piuttosto delusa. Decisi di continuare
la conversazione per farle sparire quella brutta emozione.
“Come mai seratina a La Push? Non era
zona proibita?” Bella però mi sembrò più avvilita.
“Io e Edward siamo arrivati ad un
compromesso; sarei andata a La Push, ma solo in tua presenza. Il potere di tua
madre lo tranquillizza…” Cercò di essere il più
disinvolta possibile, ma con me non attaccava. Avevo percepito la forte nota di
dispiacere nella voce di Bella.
“Ah…” Questa volta l’allibita ero io. Quindi, Jacob l’aveva
invitata a La Push, ma ci sarebbe andata solo se con lei ci fossi stata
anch’io. Questo voleva dire vedere Jacob prima del tempo. Divenni
improvvisamente dibattuta; volevo andare a La Push, perché così ci sarebbe
andata anche Bella e, nonostante tutto, pensavo ancora fermamente che
l’amicizia tra quei due dovesse continuare. Il fatto che non volevo che si
trasformasse in qualcos’altro, era un’altra cosa. Neanche pensare poi di
convincere Edward che ci sarebbe potuta andare anche da sola: sarebbe stata
un’impresa persa fin dall’inizio. Tuttavia non avevo nessunissima voglia di
vedere Jacob prima del tempo.
“Ehi, Abi, sei ancora in linea?” E Bella che mi metteva
fretta non aiutava affatto. Cominciai a farmi prendere dal panico. Cosa dovevo
risponderle?
“Ehm… sai, ho cambiato idea. Vengo a La
Push” Doh!
“Ah, ehm... va bene” rispose lei, che non fece nulla per
nascondere la sorpresa “Vengo lì verso le sei. Edward vuole accompagnarmi. Vuoi
uno strappo?”
“Sì, volentieri” dissi a denti stretti.
“Allora… ci vediamo”
“Sì, ciao”
“Ciao”
Riattaccai forse con troppa foga. Feci un respiro per
calmarmi, ma venne fuori solo uno sbuffo. Perché avevo risposto in quella dannatissima
maniera, cavolo?! Adesso non potevo far altro che
andare a La Push…
Ero finita nella trappola da sola. Ma forse… era quello che
volevo veramente…
Stizzita per quell’inconveniente andai dritta in camera mia.
Non mi accorsi però di Emmett alla mia destra e per
poco non ci andai a sbattere. Aveva addosso uno strano sorrisino.
“Allora stasera ti dai anche tu ai licantropi” commentò
divertito. Io non lo ero per niente.
“Nessuno ti ha detto che non si
spiano le conversazione degli altri?” gli risposi decisamente stizzita. Mmmh… che faccia tosta a dare io degli spioni agli altri.
”Nessuno ti ha detto che non si dicono le bugie?” mi rispose a tono. Cambiò
subito espressione e cominciò a guardarmi storto.
“Se non vuoi andarci, perché allora ci vai?” Ecco la domanda
da un milione di dollari. Feci un respiro profondo; di nuovo assomigliò più ad
uno sbuffo.
“Perché devo chiarire con una persona” mormorai più a me
stessa che a Emmett. Lui lanciò un sonoro fischio.
“Non dirmi che te la fai con uno di loro!” esclamò
divertito, per poi sfoderare subito dopo un’espressione di puro disgusto.
“Che schifo!” Scossi la testa e me ne andai dritta in camera
mia, esasperata dal suo comportamento. Era il tipico comportamento da maschione
idiota, che mi faceva tanto ricordare Jacob.
“Non me la faccio con nessuno!” gli gridai di spalle. In
compenso lui si mise a ridere.
“Come no!”
A quel punto decisi di lasciarlo stare; se gli avessi dato
troppa corda avrebbe continuato all’infinito e anche se, lo dovevo ammettere,
questo era il genere di discussioni che mi divertivano, non era il momento.
Entrata in camera mi andai prima di tutto mi lanciai di peso
sul letto. Cominciai a massaggiarmi le tempie cercando di fare il punto della
situazione. Allora, avevo promesso a Bella che sarei andata a La Push. Lei
sarebbe venuta a prendermi alle sei. I miei occhi guizzarono veloci sulle
lancette dell’orologio; mancava ancora abbastanza per quell’ora. Avrei visto
quindi Jacob oggi e non domani. A dir la verità, forse era molto meglio così;
ero sempre stata per il motto “prima è, meglio è” in ogni cosa, e questa non
faceva eccezione. Chi lo trovava però il coraggio per farlo? Va bene, Abi, con
calma, pensa a quello che fai.
Alla fine conclusi che doveva essere come un cerotto; dovevo
dirglielo senza troppi preamboli. Non importava come l’avrebbe presa;
dopotutto, quello non era un problema mio. Sarebbe stato facile, dai. Non
vedevo al momento tutta questa grande difficoltà per parlare. Bastava rimanere
impassibili, ecco. Iniziai a soffocarmi con il cuscino; ma chi diamine volevo
prendere in giro?
Mentre mi stavo preparando psicologicamente per il grande
evento, non mi accorsi che mio padre era entrato in camera mia.
“Sei arrivata davvero a questo punto? Soffocarti per la
noia?” Io mi tolsi il cuscino dalla faccia e gli feci una smorfia molto più eloquente delle parole. Papà si sedette sul letto
vicino a me, appoggiandosi con i gomiti sul materasso.
“Mi stai cominciando a fare un po’ pena, sai? Sono venuto
per farti un po’ di compagnia” Lo guardai per un attimo
dubbiosa.
“Anche tu non hai niente da fare?” tirai ad indovinare.
“Esatto.”
Feci un’altra smorfia e tornai a soffocarmi con il cuscino.
Mio padre però me lo impedì.
“Abigail. E’ da tanto che qualcosa
non va, vero?” La sua voce si era fatta subito
preoccupata. Non era però quella preoccupazione mista ad agitazione, puramente
contagiosa; trasmetteva uno strano senso di calma, invece. Io annuii con la
testa. Non credevo che raccontare a mio padre che mi ero innamorata di un
licantropo fosse una buona idea. Non avevo mai parlato a papà di questo genere
di problemi, né gli piaceva discuterne.
“Me ne vuoi parlare?” chiese, impercettibilmente indulgente.
Io scossi la testa.
“Problemi di donne” sintetizzai io, liquidando subito il
discorso.
“Questa volta posso fare un’eccezione” continuò lui. Io lo
guardai stupita; mai mi aveva incitato a parlare di questi problemi con lui.
“Perché?” chiesi terribilmente curiosa.
“Perché ti vedo particolarmente giù da troppo tempo” disse
dandomi una leggera carezza alla testa.
“Non ti piacerà” cercai di intimorirlo io.
“Posso sopportare per una volta” rispose, guardandomi con il
suo dolce sorriso, che mi incitò a ricambiargli. Ormai convinta dalle sue
parole, accettai di partecipare a questo esperimento. Incrociai le gambe e
agguantai il cuscino, che divenne improvvisamente interessante.
“Mi sono innamorata” sussurrai. Ed ecco che sarebbe partita
la scenata.
“Oh…” mormorò lui, per niente convinto “Intuivo qualcosa del
genere.” Lo guardai attentamente; era totalmente indeciso, quasi confuso. Senza
dubbio non era a suo agio. Decisi di tirargli uno scherzo.
“E sono incinta” esclamai di butto. Subito la sua
espressione divenne impassibile e ferma come quella di una statua greca. Si
girò lentamente verso di me, i lineamenti della faccia ancora immobili ancora
immobile. Confessavo che mi metteva una certa paura.
“Papà, sto scherzando!” esclamai in una risata. D’altro
canto lui rimaneva immobile.
“Davvero?”
“Sì!”
“Non sei incinta?” continuò titubante, ma riprendendo a
respirare.
“No.” Fece un respiro e tornò ad alzarmi. Gli avevo tirato
un brutto tiro; sapevo bene che questo era il suo incubo peggiore.
“Abigail, non farlo mai più, va
bene?” mi consigliò terribilmente serio.
“Non capisco perché ne devi fare sempre una tragedia!”
cercai di uscirne. Fece un altro respiro e mi guardò con la faccia di un
bambino che aveva rotto un vaso.
“Sì, lo so, hai ragione. Sai come sono”
“Certo. Se dipendesse da te finirei in un monastero di
clausura pura e casta.” Lui rise, sintomo che aveva
superato il trauma di poco prima.
“Senza alcun dubbio” Tornò un po’ più serio, guardandomi con
una strana malinconia negli occhi. “Il tempo è passato così in fretta che non
mi sono accorto che tu sei cresciuta. Per me sei ancora una bambina…”
“Sei sicuro di volerne ancora parlare?” gli suggerii io.
“Certo” rispose lui senza problemi“Tanto per curiosità, mamma lo sa?”
“Sì”
“Va bene, allora.” Aveva riacquistato tutta la pacatezza di
poco prima. Si impegnava a nasconderlo, ma io che lo conoscevo bene notai
ancora un guizzo di disagio nei suoi gesti.
“Chi è il fortunato? Lo conosco?” Ecco il secondo colpo da
incassare, quello più difficile.
“Il ragazzo che mi ha aiutato a costruire la macchina.”
Chissà perché ma dirgli in faccia la parola “licantropo” non mi veniva facile.
Questi giochi di parole furono inutili, perché papà intese subito.
“Un… licantropo?” Non sembrava arrabbiato, solo confuso e
terribilmente spiazzato. Io annuii impercettibilmente. Mi lanciò ancora un’occhiata
dubitante.
“Ti sei… presa una cotta per un licantropo?”
“Non è una semplice cotta” specificai un po’ indecisa “Me ne
sono davvero innamorata”
“Ah” disse titubante.
“Non ti sta bene, vero?” esclamai io di botto.
“Certo che non mi sta bene” rispose col massimo della sincerità “Ma la vita è tua, giusto? Sei abbastanza grande per fare le tue scelte” continuò lui ancora confuso.
“Ah, adesso sono abbastanza grande, eh?” insinuai
sarcastica. Lui non mi rispose, anzi, mi sorrise e per un attimo i suoi dubbi
svanirono.
“Guardando il lato positivo, almeno mi divertirò ad
ucciderlo se ti farà tornare a casa piangendo” mormorò sadico.
“Papà!” lo ammonì esasperata.
“Seriamente, sono preoccupato, come sempre, d’altronde…” Ora
il dubbio nella sua voce era tornato. “ma… sono anche
contento di questa tua… storia, ecco. E mi fido di te,
come sempre… e…” Gli era davvero difficile parlare di queste cose con me; non
l’avevo mai visto così indeciso. Di solito quando parlava era convincente,
carismatico, insomma, tutt’altro. Mancava poco che adesso cominciasse a
balbettare. Non era decisamente portato per questi discorsi, il mio papà. Mi
aveva però commossa il suo desiderio di impegnarsi ad ascoltarmi. Decisi di
fermarlo subito, prima che si facesse idee sbagliate.
“Ecco, prima che tu cominci a pensare male, ti informo che
non è una cosa contraccambiata” Lui sembrò riacquistare una certa sicurezza.
“Non è successo quindi niente tra voi due?”
“No”
“Ah” Questa volta fu una vera e propria espressione di
sollievo. Scossi la testa, nuovamente esasperata.
“A lui piace un’altra” specificai io, interessandomi di
nuovo al cuscino. Non volevo specificare chi era la ragazza, non in quel
momento, visto che il problema non era Bella. Poi in quella casa anche i muri
avevano orecchie…
Lui cominciò a guardarmi in modo penetrante.
“Sei gelosa?” chiese con evidente sorpresa.
“Sì, marcia” mugugnai io senza nascondermi. Lui scosse la
testa con un sorriso.
“Non ti ho mai vista in preda alla gelosia. Forse è per questo che ultimamente ti vediamo così strana”
suggerii lui.
“Diciamo di sì” risposi io sul vago. “Fino ad adesso siamo
rimasti amici, ma non mi basta più. Stasera vado a La Push, con Bella, e glielo
dico. Non so però dove posso trovare il coraggio per tranciare di netto
un’amicizia del genere. E’ il mio migliore amico.”
Mio padre non ripose. Era tornato a guardarmi dubbioso;
aveva persino cominciato a tamburellare nervoso le dita sul ginocchio. Si stava
preparando un discorso eclatante. All’improvviso si tolse gli occhiali da vista
e si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli un po’. Conciato in quella
maniera sembrava ancora più giovane.
“Va bene, Abi, adesso ti stupisco” proruppe. Si girò verso
di me, per vedermi bene in faccia. I suoi occhi dorati subito mi ipnotizzarono.
“Ci sono lati di me di cui tu non conosci la minima
esistenza, e te ne voglio presentare uno. Prometto che adesso mi sforzo e la
smetto per un momento di fare il padre possessivo” Accese
del tutto la mia curiosità. Lo stavo guardando come uno spettatore guarda il
mago che svolge un trucco di prestigio.
“Ho sempre pensato che tu fossi brava a fare molte cose,
Abi. In altre invece sei davvero pessima. Una tra queste conquistare gli
uomini. E come puoi pensare a me è sempre andato bene così.”
Questa volta fui io a guardarlo confusa. Dov’era andata a finire tutta
quell’indecisione di prima?
“Sei sempre stata un maschiaccio. Lo sei tuttora, ne sei
cosciente e ne vai fiera, e fai bene, perché fa parte di te stessa. Crescendo,
però, non hai sviluppato quell’atteggiamento femminile che di solito le ragazze
della tua età hanno. E a quanto ho capito al ragazzo
che ti piace, piacciono le ragazze, giusto?”
No, non avevo capito bene. Mio padre, stava implicitamente
incoraggiando me, a diventare più femminile per piacere a quell’altro?!
La mia prima considerazione fu che era del tutto pazzo, non solo perché non era
da lui incitarmi ad essere più femminile, ma soprattutto perché avrebbe dovuto
sapere che non sarei mai stata più femminile di quanto fossi già!
“Mi stai forse suggerendo di cominciare a comportarmi da…
femmina, come hai detto tu? Dovrei cominciare a truccarmi, vestirmi in modo
diverso per piacergli?” esclamai in un misto di isteria
e sconcerto.
“No, non intendo questo per atteggiamento” Lui intanto non
aveva perso un minimo di quella insolita calma.
“Scommetto che lui non ha la minima idea che ti piace,
perché… non gli stai inviando i messaggi giusti.” Fu allora che compresi che
davanti a me non c’era più mio padre, quell’uomo contrario ad ogni tipo di
relazione al di là dell’amicizia. Era più una specie di… amico o fratello
maggiore, ecco. E stranamente davanti a quello sconosciuto dimenticai tutto il
disagio e le difficoltà di parlare in modo dettagliato della mia situazione
amorosa. Per evitare malintesi avrei dovuto dire le cose come stavano.
“Ho fatto in modo che non sapesse, se no l’avrei perso come
amico!” esclamai difendendomi, facendola sembrare la cosa più ovvia di questo mondo.
“Non ci hai mai provato con lui?” continuò papà, senza
scomporsi minimamente.
“No! Sarebbe stato inutile, a lui piace un’altra! Non glielo
potevo dire!”
“Hai quindi gettato subito la spugna” Il tono che usò,
dovevo ammetterlo, mi diede un po’ sui nervi. Sembrava fosse deluso, perché
avevo fatto quello che sembrava più giusto.
“Che altro potevo fare?” Forse gli risposi con troppa
rabbia. Papà rimase indifferente. Anzi, mi sfoderò un sorrisino.
“Sei proprio un pesce fuor d’acqua quando si parla di
conquistare qualcuno.” Mi sentii di nuovo spiazzata di sentire quelle parole.
“Mi stai dicendo che ho sbagliato
tutto fino ad adesso?!” insinuai io. Ora ero davvero furiosa; non era bello
sentirmi dire che tutto quello che avevo fatto era stato inutile. Mi ero
impegnata, eccome se mi ero impegnata per farmi vedere da quell’idiota! Lui mi
strinse la mano e continuò a parlarmi guardandomi negli occhi, senza far
sparire quel suo adorabile sorriso.
“Stammi a sentire; in questo caso le parole non servono a
niente, anzi sono dannose. Tu sei sempre stata diretta, hai sempre preferito
mettere le cose in chiaro. Ti svelo un segreto, in amore,
nulla è diretto”
“Che sciocchezza. Nessuno riuscirebbe a capire niente” borbottai io interrompendolo
subito. Lui allargò quel sorriso.
“Per questo bisogna essere bravi. Da quando hai capito che a
questo ragazzo piaceva un’altra, tu ti sei subito tirata
indietro, giusto?” Lo guardai immobile. Sì, era vero, il pensiero che a
Jacob piaceva Bella mi aveva sempre demoralizzata, ingelosita ed esacerbata.
Poi mi ricordai che prima di essermi resa conto di essermi innamorata di lui, sapevo
già che Jacob aveva una cotta immensa per Bella. Misi quindi in dubbio quello
che avevo pensato prima; esattamente, cosa avevo fatto per farmi notare da lui?
“E se invece non è così? Magari
avrà pensato ‘Mi piace questa ragazza, ma adesso comincia a piacermi anche Abigail. Però è inutile provarci, tanto è evidente che è interessata a me solo come amico’.”
Sentii le sue dita accarezzare le mie, come se volessero darmi coraggio e
consolarmi. Io lo ascoltavo con attenzione, come se fossi sul punto di
assistere ad una rivelazione. Non mi convincevano le parole di papà; non
credevo che Jacob avesse davvero pensato questo. Fatto sta che, per pura
illusione o no, non mi convincevo neanche che non le avesse mai pensate.
“Nel dubbio quello che devi fare è metterlo davanti ad una
scelta. O te, o lei. Deve capire che anche tu sei interessata a lui.”
E finalmente capii i miei sbagli. Francamente, come mi ero
sempre comportata con Jacob? Come una fallita; mi ero sempre lagnata di come a
Jacob piaceva Bella e non me, mi ero incavolata con lui perché ero gelosa
marcia che avesse usato me per conquistare Bella, mi ero arrabbiata con lui
perché aveva detto che non ero niente a confronto di Bella. Ma
avevo mai fatto qualcosa di concreto prima? No, mai. La colpa dei miei dolori
ero io. Anche se ero innamorata di lui, da sempre mi
ero comportata solo da amica, perché ero convinta che non avrei potuto
competere con Bella, perché sapevo che per Jacob c’era solo lei. Ma chi cavolo
l’aveva detto? Ora sì che mi rendevo conto di tutto. E mi rendevo persino conto
che il comportamento di Jacob non era del tutto sbagliato; sapeva di essere al
pari di Edward, e non demordeva nel conquistare Bella. Dovevo comportarmi come
lui. La differenza era che anche se lui ci credeva, in realtà non era affatto
così; Bella avrebbe scelto Edward. Anzi, l’aveva già
scelto, Jacob rompeva le palle e basta. Ma io, come potevo dire di non essere
al pari di Bella, se non mi ero neanche presentata a lui come ‘l’altra scelta’?
Avevo sempre voluto le cose facili; o Jacob si interessava
di me così com’ero, o niente. Non avevo mai pensato che avrei dovuto lottare;
tirare la spugna era più semplice. Quanto stupida ed ingenua
ero stata a credere di aver capito tutto.
“Cosa gli devo dire, allora?” dissi con una strana
determinazione. Mio padre allungò ulteriormente quel sorriso.
”Non gli devi dire niente, Abigail. Devi solo fare.
Fagli un sorriso in più, guardalo in un certo modo, aumenta il contatto fisico;
devi fargli presente che ci sei anche tu. Visto che a te piacciono le cose
dirette, potresti anche cambiare radicalmente il tuo
modo di vestire”
“No! Io da femminuccia non mi vesto”
sbottai immediatamente io senza pensare.
“Non ti sto chiedendo questo. Ti sto solo consigliando di
vestirti solo in modo un po’ più femminile, solo per un po’ di tempo, giusto
per mettergli la pulce in un occhio. Deve cominciare a guardarti in modo
diverso. E per farlo devi lottare.”
Ascoltavo interessatissima le sue parole. Bene, io avevo
fatto tutto l’opposto: mi rifiutavo persino di toccarlo con la scusa del
“contatto lupesco”!
“Quello che devi fare dopo è rimanere te stessa. Ricordati
che non devi cambiare per nessuno. Questo lo sai, e mi
fa un padre orgoglioso”
“E se non sceglie me?” mormorai indecisa dopo alcuni secondi
di silenzio.
“Può succedere, ma almeno non ti sarai pentita di non aver
fatto tutto il possibile.”
Il silenzio scese del tutto. Quelle parole erano state una
vera e propria illuminazione. Mi avevano fatta sentire una totale stupida, ma
mi avevano trasmesso una determinazione che scoppiava dal mio corpo. Mi avevano
dato una nuova speranza. E la persona che aveva fatto tutto questo era stata
mio padre! Non ci potevo credere! Niente mi aveva mai sorpresa così tanto.
“Mi hai appena dato un paio di consigli su come conquistare
un ragazzo. Tu!” esclamai. Lui mi fece un piccolo sorriso.
“Ebbene, sì”
“E’ impossibile” affermai scuotendo la
testa “Non avrei mai e poi mai, in nessun modo potuto immaginare una
conversazione del genere con te! Tu non sei mio padre, sei un alieno.” Ed in effetti questa sembrava la considerazione più verosimile
possibile. Lui mi lanciò un sorriso malizioso.
“Te l’ho detto che ti avrei stupita.”
“Dimmi un po’, dov’è che hai imparato tutte queste cose?”
gli chiesi piena di curiosità da poter scoppiare. Lui tornò ad essere indeciso
come prima, ma rispose.
“Prima di conoscere tua madre ero un casanova” confesso,
forse con un po’ di imbarazzo. Sbarrai bocca e occhi e se il respiro non mi si
fosse bloccato sarei scoppiata a ridire.
“Non ci credo!” sussurrai senza fiato.
“Fai pure” disse lui con un’alzata di spalle, alzandosi dal
letto.
“E… seducevi le donne?” L’espressione non era cambiata, ma
in compenso riuscivo a respirare e a parlare.
“Vampire. Quando ero in Irlanda, in Italia, in America. Quando ho cominciato ad essere insensibile al sangue, anche
donne umane, ma in quel caso mi limitavo a farle innamorare di me, e poi le
spezzavo un cuore” sintetizzò lui. Non si sentiva a suo agio a parlare di
questo argomento, tanto quanto lo ero a parlare di “problemi di donne”.
“Casanova e sciupafemmine, per di più!” Questa volta gridai.
No! Mio padre era un latin lover! “Ma… adesso, niente?” domandai con una
perversa malizia.
“Ho smesso quando mi sono innamorato per la prima volta
nella mia esistenza da vampiro; intendo di tua madre.”
“E lei lo sa di questo tuo lato?”
”Certo. Quando gliel’ho detto si è messa a ridere. Ancora adesso non capisco
perché” mormorò dubbioso, ma anche stranamente divertito. Io intanto non mi ero
ancora mossa.
“E cosa facevi? Scrivevi poesie,
inviavi mazzi di fiori anonimi e via dicendo?” iniziai
sarcastica.
“Mi stai prendendo in giro?” mi rispose a tono.
“No, è che mi sembra così strano, sapere che il mio padre
iperprotettivo è stato un latin lover!” Caspita, era la notizia del secolo!
“Ad essere sincero, in effetti, più di tua madre è stata
l’idea di una figlia a farmi cambiare totalmente modo di pensare. E mi ha lanciato nell’ansia più totale” affermò pensoso.
“Durante questa mia fase ho spezzato
molti cuori, molte ragazze, vampire e non, hanno sofferto a causa mia. Al tempo
però non me ne importava proprio niente. Per questo sono diventato così
iperprotettivo nei tuoi confronti; volevo evitare che la mia bambina soffrisse
per colpa di un idiota come lo ero stato io.” Per un
paio di secondi ritornai seria.
“Ah… ora si spiegano molte cose” Il momento serietà non durò
a lungo. Tornai subito a sfilare un’espressione sbalordita.
“Ma adesso non ti sono rimaste più le vecchie tecniche da
seduttore?” dissi maliziosa.
“Se mi sforzò, qualcosa riesce a
uscire. E questo a tua madre piace molto” rispose a
tono. Si rimise gli occhiali e si diresse verso la porta. Ora non potevo fare a
meno di guardarlo con occhi diversi.
“Bene, se non hai più bisogno, torno ad essere il padre
iperprotettivo”
“No, aspetta un attimo! Ti prego, se non me lo fai vedere,
non ci crederò mai!” Mi appoggiai sulle ginocchia,
assomigliando molto ad un cucciolo scodinzolante. “Fammi vedere come seduci!”
Lui incrociò le braccia spazientito, ma sottosotto divertito.
“E chi dovrei sedurre, sentiamo?” Presi il mio vecchio
orsacchiotto di peluche che tenevo sul letto e glielo lanciai. Papà lo prese al
volo senza neanche guardarlo.
“Chef!” Lui fece una piccola risata.
“Mi dispiace, ma gli orsacchiotti di pezza non sono il mio
forte.” Lanciò l’orsacchiotto sul letto, dove andò a finire nell’esatto punto e
nell’esatta posizione da dove lo avevo preso io. Aprì la porta della mia
camera, intenzionato a finire quella conversazione che lo imbarazzava.
“Almeno qualcosa di buono l’ho fatto; ti ho fatta divertire
e ti ho salvato da una spessa coltre di noia.” E non solo, papà. Lo guardai con
un sorriso di gratitudine, che sostituì completamente l’espressione attonita di
poco prima.
“Grazie, papà” sussurrai. Lui ricambiò al mio sorriso. Con
il dito mi indicò le lancette dell’orologio. Erano le cinque.
“Ti consiglio di andarti a preparare per stasera.” Mi fece
un occhiolino e dopo un ultimo sorriso mi lasciò qualche minuto di privacy.
Senza rendermene conto confrontai il mio
umore prima e dopo la chiacchierata con papà. Prima ero annoiata,
depressa, confusa e triste. Adesso avevo una carica in corpo in grado di poter
spaccare il mondo. Sentivo di avere la possibilità con Jacob che non avevo mai
sentito di avere. E anche se alla fine sarei tornata
al punto di prima, come aveva detto papà, ci avevo provato.
Papà aveva ragione; ero una frana con i ragazzi. E lui era
un asso con le donne; cavolo, che scoperta!
Ripensai con attenzione a quello che mi aveva detto di fare;
un sorriso in più, uno sguardo diverso. Niente parole e più contatto diretto,
insomma.
Era strano però farlo, mentre fino ad
allora avevo sempre rigettato le sue carezze. Avevo sempre creduto che
intendessero un altro significato da quello che davo loro io. Ma, aspetta un
momento, e se in realtà quei gesti avevano lo stesso mio significato? E se
Jacob aveva realmente pensato a quelle cose che aveva detto papà? A quel punto
mi diedi una calmata; meglio non illudersi troppo. Ripensai ancora alle parole
di mio padre: nel dubbio, ponilo davanti ad una scelta. Mi diedi ancora una
volta della stupida.
Mi alzai dal letto e aprii il mio armadio. Decisi cosa avrei
messo per quella sera. Una tuta, come al solito. Decisi che il cambio di look
che mi aveva suggerito papà potevo anche sorvolarlo. Poi però ci ripensai;
dovevo giocarmela bene, non potevo commettere altri errori. Dovevo optare per
qualcosa di diverso; insomma, quello non era un semplice pomeriggio nel garage
di Jacob tra olio e motori. Era una seratina sulla spiaggia, dove io facevo la
parte dell’imbucata. Sarebbe stata una scusa perfetta per giustificare il
cambio di abbigliamento e non avrei avuto altre occasioni.
Dopo aver dato una veloce occhiata al mio guardaroba,
costatai che non avevo nulla che si adattasse alla situazione. Perfetto, ero
fregata, via la carta del nuovo look. A pensarci bene c’era una persona a cui
potevo chiedere aiuto. Avrei preferito farne a meno, ma ero in una situazione
un po’ delicata e non mi venne in mente altro se non chiedere a lei. Avrei
subito una lunga tortura, ma questo e altro per quell’idiota che amavo. Con voce un po’ malferma la chiamai.
“Alice”
Dai, alla fine Jacob non è così
idiota (era solo un’impressione che volevo dare ;) ).
In realtà lui non ha alcuna colpa; alla fine si scopre che la
vera pirla di tutto è la stessa Abigail! ^^ Spero quindi che adesso lo perdonerete almeno un pochino.
Comunque voglio un applauso
generale per Abigail, che finalmente si è svegliata! Dai, forse adesso si smuoverà qualcosa tra quei due! Almeno
non la sentirete più lamentarsi e basta XD
Per quanto riguarda il resto, può sembrare un po’ noioso,
perché alla fine sono gli eventi del libro modificati. Ma dite
la verità, ci siete rimaste male quando si scopre che Bree
è amica di Abigail, eh? Preannuncio tempi di
sofferenze e dolori!
Inoltre per chi si domanda quanto durerà ancora questa fan fiction, posso assicurare che non siamo arrivati nemmeno
a metà! Forse non la finirò mai, mi stuferò prima XD Ma
per adesso non demordo.
Per questo capitolo è tutto; spero che vi sia piaciuto.
Grazie mille ancora a tutti quanti per essere arrivati fin qua
(complimenti! Avete letto 281 pagine a carattere TimesNewRoman 12! XD). Ringrazio
ancora di cuore inoltre chi ha commentato! Ci tengo moltissimo a sapere la
vostra opinione!
Ringrazio inoltre tantissimo Franny97 e mylifeabeautifullie,
che mi hanno suggerito l’attrice che potrebbe somigliare ad Abigail.
Vi ringrazio per esservi scomodate, ma nella testa avevo
un’idea un po’ diversa; penso sia normale che per ognuno qualsiasi personaggio
di qualsiasi libro sia diverso. Quindi, per favore,
non rimaneteci male! D’altro canto ho ripreso la ricerca è finalmente dopo
tanto tempo ho trovato chi le potesse somigliare!(MeaghanRath)
Ringrazio inoltre anche tutti coloro
che nei commenti oltre alle proprie opinioni mi fanno domande e mi chiedono
cose che non hanno capito; sono supercontenta di risolvere ogni vostro dubbio!
Ci vediamo al prossimo capitolo! Un enorme bacio a tutti!
X MoonLight_95: Mmmhh… non si
capisce davvero che per te Bella può anche morire, che fa un favore al genere
umano (tenendo poi conto la tua fan fic, ancora di più) XD. Spero che non ti abbia fatto
aspettare troppo; mi dispiace, ma prima non riesco proprio! Grazie ancora per
aver commentato! Un bacio grande!
X Franny97: Abigail! Ma cosa mi combini XD
Allora, vorrei rispondere in ordine a
tutte le tue domande e alle tue affermazioni. 1) Sì, sì, fai
con comodo, ammazzalo pure (se ci riesci) ^^ Aspetta però prima che finisca la ff, che mi serve ancora per un po’. 2) Questo
capitolo forse risponde alla tua domanda, ma ti rispondo io lo stesso: ebbene
sì, Jacob si può permettere eccome di corteggiare
Bella, perché Abigailfin’ora
non ha fatto un cavolo per mostrarsi più di una amica,
anche se la pensava diversamente fin’ora, e quindi Jacob non sa che piace ad Abigail.
Se no eviterebbe di parlare sempre di Bella con lei. 3)
Ehm… no, Bella non sa che aAbigail
piace Jacob; è la stessa Abigail
che ha fatto in modo fino ad adesso che Bella non lo sappia, perché ha paura di
compromettere l’amicizia tra loro due. Abigail non ha
niente in contrario se Bella e Jacob sono amici; sa
quanto bene le ha fatto quando Edward
se n’è andato. Non sarebbe d’accordo se questa amicizia
si trasformasse in qualcosa di più, ma è certa che Bella ama Edward, quindi sa che non potrà mai ricambiare Jacob. 4) Bhè, ha passato notti
in bianco, è al verde, la sua migliore amica lo ha fatto diventare pazzo perché
non vuole più essergli amico e non gli dice il perché. Bon, dai, è sufficiente
come sofferenza, no? XD 5) Eh… il fine rimarrà un dubbio fino alla fine… e non
dico altro! Vediamo se ci azzecchi o no, Abi… XD
Spero di essere stata chiara! Grazie per il parere sull’attrice
e grazie tantissimo per aver commentato! Tanti baci ricambiati!!! :) Alla prossima!
X mylifeabeautifullie: Grazie
tantissimo per il tuo parere riguardo l’attrice! Come
ho scritto sopra, non rispecchia la mia protagonista, ma sono comunque stracuriosa di sapere come l’ho dipinta ai miei lettori!
Bhè, se vuoi leggere anche questa di ff, allora ti auguro fin da adesso
buona fortuna, mia grande ammiratrice! XD
Alla prossima! Un bacio anche a te!
X nes_sie: Mi è piaciuta la tua
frase ‘Jacob si è praticamente
dimenticato dell’esistenza di Abigail’, perché è
rende benissimo quello che sente Abigail quando li
vede andar via in moto! Nonostante tutto, le tue speranze
in questo capitolo si sono avverate. Sono inoltre contenta che tu la pensi come
me riguardo ad Edward!
Spero di aver soddisfatto la tua curiosità (forse no, perché
adesso c’è il falò…) comunque grazie moltissimo per il
commento! Un bacio anche a te!
X __cory__: Mmm… ti sei spiegata
benissimo. Abigail si arrabbia proprio per il motivo
che hai detto tu. Ti riporto un passo del capitolo precedente che ti dovrebbe capire:
Mi sentivo
abbastanza confusa in quel momento. C'era un peso al petto che non voleva
scomparire. A tratti mi sentivo incazzata fuori
misura per essere stata presa in giro da quel lupo, per avermi fatto credere di
valere qualcosa anche come amico. Poi però un lampo di razionalità mi ricordava
che Jacob quand'era arrabbiato ne diceva tante di
cavolate. Ed ecco giungere la tristezza, peggio della rabbia,
che mi ricordava che io al confronto di Bella rimanevo una nullità. Conoscendolo,
Jacob era stato in quell'occasione abbastanza sincero, dopotutto. Non
mi considerava una nullità come amica; non riuscivo a pensare diversamente. Ma come qualcosa di più; ero sicura il cento per cento che a
confronto di Bella era vero. Di nuovo mi ritrovavo a riflettere sulla più vera
delle verità: a Jacob io non piacevo, lui era
innamorato di Bella. Punto, basta, non c'era nient'altro da dire.
Spero che ti sia tutto chiaro adesso ^^.
Grazie mille ancora ed ancora ed ancora
per questo e per gli altri commenti!
Una grande bacio!
X Kianna: Grazie mille per aver
commentato! Sono felicissima che la storia ti stuzzichi, insieme al modo nel
quale ho stravolto gli eventi. Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo
gradimento! Ancora mille grazie!
Un Bacio!
X nene_cullen: Allora, vuoi
prendere a sprangate Jacob, di Bella faresti anche a
meno, e Edward lo metteresti inriga. Insomma, non ti va bene nessuno
dei tre! E un po’ ti capisco: a me piacciono tutti e
tre questi personaggi, ma hanno tutti e tre dei difetti che non li fanno
assolutamente i miei personaggi preferiti.
Comunque, spero che la sofferenza
di Jacob sia sufficiente! Mmmh…
forse, no. Anzi, no di sicuro. Ma
ha sofferto! Fidati che ha sofferto, te lo dico io!
Grazie ancora tantissimo per aver commentato! Alla
prossima! Un Bacio!
“E che sarà mai un po’ di dolore!” rispose annoiata. Strinsi
i pugni, sperando che quella tortura finisse presto.
Va bene, ora sapevo che non avrei dovuto farlo. Di fatto,
non appena mi ero resa conto che nel mio armadio non c’era nulla che potesse
andare bene per la serata a La Push, commisi l’errore di chiedere ad Alice di
potermi aiutare. Forse mi doveva suggerire qualcosa il sogghigno che fece.
Non si limitò a darmi qualcosa da mettermi. Per prima cosa
mi portò in camera sua e con una diabolica pinzetta mi sistemò le sopracciglia.
Avrei tanto voluto prendere quell’esserino e buttarlo
fuori dalla finestra per il dolore. Poi, non contenta, si diede ai capelli. Ora,
dopo diffusori, piastre, robe e altre cose strane, stava dando gli ultimi
ritocchi. Me li stava in pratica tirando, ma ogni mia lamentela a lei faceva un
baffo.
“Ecco, ho finito, contenta?” mi chiese spazientita.
“Sì” mugugnai io. Non potei neanche a vedermi allo
specchio che lei girò la sedia su cui ero seduta.
“Adesso il trucco” annunciò versando su un po’ di ovatta
un liquido trasparente. Io sobbalzai. Il trucco non era affatto necessario.
Alice sbuffò.
“Te ne metto il tanto che basta per risaltare il tuo viso!”
strillò ancora “Sei davvero difficile, sai? Con i tuoi
limiti restringi la mia fantasia e mi annoi” Che
peccato…
Cominciò a strofinarmi la faccia con quel pezzo di ovatta.
”Questo pulirà la tua pelle” mormorò. Poi iniziò a straparlare “Ad essere
sincera non vedo come tu possa essere interessata a
uno di quei… cani pulciosi. Puzzano, sono insopportabili e in più pericolosi.
E’ disgustoso. Personalmente, te li sconsiglierei proprio…” Io mi discostai da lei e la guardai allibita, e anche infastidita
per il termine poco carino.
“Cosa… cosa ne sai tu?” Lei mi guardò ancora più schifata.
“Allora è davvero così?” Cominciò distratta a tirare fuori
trucchi e pennelli vari “Bhè, non sono mica stupida.
Per cos’altro se no venivi da me a farti mettere a posto prima di uscire? E comunque è un peccato che una ragazza come te si sprechi per
un…”
“Più trucco e meno chiacchiere, grazie” la ammonii io, ferma
e decisa.
“Scusa, hai ragione” disse lei, ancora con quel tono
annoiato.
Ci mise circa quindici minuti per finire il tutto. Fece
uno sbuffo ad opera conclusa.
“Accontentati di questo. In un’ora non posso fare di più.
Se me ne avessi date almeno due avrei ottenuto
qualcosa di meglio” commentò insoddisfatta, mettendo di tanto in tanto un
ricciolo a posto. Bah, a me un’ora sembrava un’infinità di tempo per
prepararmi.
“Adesso viene la parte più difficile” annunciò lei,
alzando teatralmente “Perciò vedi di collaborare almeno un minimo” Fu quasi
minacciosa. Io trattenni una risata; era buffa quando faceva così.
Aprì le ante di una porta e vi si infilò
dentro. Pensai che fosse il bagno, ma sporgendo la testa capii che in realtà
era un’altra stanza, grande quanto la camera, piena di vestiti.
Intanto che Alice trafficava nel suo armadio, riuscii a
guardarmi allo specchio. Bhè, seppure mi avesse
strillato contro tutto il tempo, Alice aveva fatto uno splendido lavoro. Era la
versione di me più bella. I capelli erano sempre gli stessi, un cestino
riccioluto. Però i ricci invece di essere crespi, scompigliati e diretti verso
ogni direzione, erano lucidi, delineati, ricadevano più ordinati e per questo
sembravano più lunghi. Il viso poi era strano. Non era lucido, il colore era di
una tonalità omogenea, il mio naso da patata si era assottigliato e le mie
labbra si erano ingrossate. Gli occhi poi si erano ingigantiti. Anche se non mi
dispiacevo, se avrei dovuto sopportare ogni volta una tortura tale, allora non
avrei visto spesso questa nuova Abigail.
Vidi il suo riflesso nello specchio spuntare fuori dall’armadio.
Mi girai verso di lei; mi stava facendo gli occhi dolci, supplicandomi di
mettere il paio di jeans che aveva in mano. Anche se era brava, quella volta non
mi convinceva nemmeno un poco.
“Assolutamente no” risposi all’istante. Gli occhi da
supplica le sparirono e cominciò a guardarmi in cagnesco. Tornò subito dentro
l’armadio, digrignando i denti.
“Come vuoi che faccia a darti qualcosa di semplice e
comodo, se i jeans non li vuoi!” protestò “Di gonne so già che non se ne
parla!”
“Io pensavo a una tuta un po’ più elegante del normale, a
dire il vero” mi intromisi io, tanto perché, visto che ero io quella che si
doveva vestire, desideravo che il mio parere venisse preso un minimo in
considerazione. Lei rispuntò all’istante, arrabbiata come se l’avessi offesa
pesantemente.
“Tu da questa stanza non esci con una tuta, chiaro?” Sarà
stata l’espressione, ma questa volta mi fece paura.
Dopodiché mi lanciò un paio di calze nere. Cosa?! Io non volevo la gonna!
“Fatteli stare, perché non avrai altro.” Non potei neanche
dibattere che lei sparì di nuovo. Guardai un po’ amareggiata le calze nere che
mi aveva lanciato. No, mi ero sbagliata; erano leggins. Bah, dopotutto non mi
dispiacevano più di tanto; erano comodi, li usavo spesso anche per andare a
correre. Solo che non mi sentivo molto a mio agio; avevo la sensazione di
essere nuda e mi vergognavo a farmi vedere così. Quindi aspettai titubante cosa
Alice mi avrebbe fatto mettere sopra. Prima ancora di vederla, mi lanciò una
cosa dorata, che presi per pura fortuna. Mi vennero i brividi. Era un vestito,
senza maniche.
“A-Alice!” la chiamai io appoggiando per terra
quell’orrore. Lei si materializzò vicino a me, minacciosa. Lentamente prese il
vestito che avevo messo a terra e me lo rimise in mano.
”Provalo” Quel sussurro mi fece venire i brividi. Poi mi sorrise; non era il
solito sorriso allegro che la caratterizzava: stava scoprendo le gengive per
mettere in evidenza i canini. Mi venne automatico fare un sorriso sforzato
anche a me. Presi il vestito e comincia a spogliarmi.
“Va bene” mormorai con falsa felicità.
“Così mi piaci” rispose lei convincente.
Era inquietante Alice quando faceva così. Le dava un
grandissimo fastidio se il modello aveva qualcosa da ridire. Se esistessero
bambole giganti gliene avrei dovuta regalare una, almeno così avrebbe potuto
sfogare tutto il suo ‘genio creativo’, come l’aveva chiamato. Mi misi quell’abitino
dorato. Mi arrivava fino a metà coscia e scendeva un po’ a palloncino; almeno
così avrebbe coperto e mimetizzato il mio grosso sedere. Il pezzo sopra però
non mi piaceva proprio, anzi, non sembrava neanche un vestito primaverile, ma estivo; non aveva le maniche, quindi sarei
morta di freddo.
“Mettiti anche questo”
Mi porse un semplice golfino nero. Lo presi e lo indossai
volentieri. Stavo cominciando già ad abbottonare tutti i bottoni, quando Alice
scosse la testa e in un secondo me li risbottonò
tutti, tranne il primo. A quel punto volli vedermi finalmente allo specchio, ma Alice me lo impedì ancora. Giusto, mancavano le
scarpe. Se scegliere il vestito era stato impossibile, per le scarpe sarebbe
stato peggio. Non ne sapevo molto di moda, ma era chiaro a quel punto che con i
leggins non sarebbero state bene scarpe da ginnastica, le uniche che mettevo.
Alice avrebbe sicuramente tirato fuori un paio di scarpe con il tac…
“Ti piacciono, vero?” Il tono che usò non ammetteva
obbiezioni.
Aveva dopotutto tirato fuori un giusto compromesso; erano
un paio di ballerine, anche loro dorate. Non di quelle eleganti, che non avrei
sopportato, ma di quelle in gomma, che dopotutto potevano essere comode. Misi i
gambaletti color carne che Alice mi diede e poi le ballerine. Prima di farmi
vedere allo specchio mi sistemò per la centesima volta i capelli. Mi diede
un’occhiata finale molto critica.
“Sì, non è male” borbottò per niente soddisfatta.
Dopodiché aprì le ante di quello che credevo essere un armadio, ma che invece
si rivelò essere uno specchio enorme. Finalmente potei guardarmi per bene;
sorrisi automaticamente. Il nero dei leggins slanciava le gambe leggermente
troppo muscolose, il sedere, come pensavo, non era più tanto grosso, il golfino
nero mi snelliva e la leggera scollatura, insieme al modo in cui il golfino
scendeva sul petto, mi faceva il seno più grande. Per di più stavo veramente
comoda.
“Che te ne pare, l’ho migliorata?” chiese Alice. Mi girai
e notai che al suo fianco c’era Jasper, molto probabilmente venuto per stare un
po’ con il suo scricciolo dispettoso.
“Decisamente” rispose lui, guardandomi appena; i suoi
occhi erano tutti per Alice.
“Ti ha fatto dannare un po’” ammise lui, mettendole una
mano sulla sua testolina. Alice sospirò, continuando a guardarmi con aria
critica.
“Non sai quanto! Non le va bene niente!” Dopo però tornò a fare la seria; mi lanciò un sorriso
sincero.
“Però sei carina” Io la contraccambiai.
“Grazie mille, Alice.”
Sembrava molto la fata madrina che aveva dato a
Cenerentola uno stupendo abito per andare al ballo. Di fatto, proprio come
Cenerentola, per quella sera il coprifuoco era a mezzanotte.
“Bella è già arrivata da un po’, ti stanno aspettando” mi
comunicò Alice. Io sobbalzai; non volevo farla aspettare. Uscii dalla camera di
Alice e scesi veloce le scale. Al primo piano però incontrai Emmett, troppo poco serio per non farmi battutine idiote. Infatti mi lanciò un fischio.
“Sicura che stasera non te la fai con nessuno?” mi chiese
ironico.
“Ah… ah… ah…” gli risposi poco divertita dai suoi
commenti. Come dovevo immaginare, all’ingresso mi aspettavano anche i miei
genitori, sia per salutarmi prima di andare, sia per vedere cosa Alice aveva
combinato. Guardai prima mia madre; mi lanciava un’occhiata misteriosa e
sorpresa.
“Ah…” esclamò all’erta, squadrandomi dalla testa ai piedi
“Mi sono persa qualcosa?”
Io in tutta risposta le lanciai un’occhiata timida. Poi
guardai papà. Mi stava sorridendo, ma i suoi occhi erano di nuovo indecisi ed
ansiosi. Mi aspettavo ad essere sincera qualcosa di diverso, che so, un
occhiolino di incoraggiamento, una pacca sulle spalle,
un ‘vai e conquistali tutti’. Invece mi trovavo di nuovo il mio papà
iperprotettivo. Non ci feci molto caso e mi diressi verso il garage.
“Tornerò verso mezzanotte, va bene?”
“Edward ci ha già detto tutto” comunicò mamma. Bene.
Scesi in garage e li adocchiai. Anche loro si accorsero
subito di me, come Bella del mio nuovo look.
“Abi, stai benissimo.” esclamò lei. “Come mai?” chiese
sorpresa e curiosa. Modificai un po’ i fatti per non far capire come in realtà
stavano le cose. Feci uno sbuffo prima di rispondere.
“Alice è riuscita a prendermi e a torturarmi” dissi esasperata.
Intanto Edward mi lanciava occhiate strane, confuse e al contempo indifferenti.
Non capivo davvero cosa volevano dire. Di nuovo le considerazioni che Rosalie
aveva fatto su di lui mi parvero alquanto strane. Mi ricordai poi della
litigata che avevamo fatto e non sapevo se ancora adesso provasse qualche
risentimento per me. Poi mi convinsi di no; in caso contrario non lascerebbe
Bella andare a La Push.
“Te la senti di portare questa a La Push?” disse lui indicando
la moto rossa accanto.
“Non ci stiamo tutti e quattro dentro la Volvo.” Aveva
parlato in tono piuttosto cordiale e gentile, e faceva sembrare che il nostro
rapporto fosse rimasto immutato.
“Certo” risposi. Bella la voleva riportare da Jacob,
quindi.
La cosa non mi pesò affatto, anzi; trovavo sia Bella, che
Edward delle persone fantastiche, sebbene entrambe avessero i loro piccoli e
grandi difetti, come tutti, d’altronde. Però facevo davvero una grande fatica a
sopportarli quand’erano insieme, rinchiusi nella loro bolla rosa di zucchero
filato a forma di cuoricino.
Lei mi passò un giubbotto rosso e un casco nero; dovevano
essere nuovi, perché non li avevo mai visti. Stavo per mettermi quest’ultimo
quando rimasi sorpresa vedendo una meraviglia che prima di allora non c’era.
Pura bellezza italiana. Una ducati 848 grigia. La moto dei miei sogni. Era
enorme, un mostro; non sapevo neanche se sarei riuscita a guidarla. Però era
così bella…
“E’ la nuova moto di Jasper” mi comunicò Edward, che aveva
notato il mio sguardo perso
“Giusto?” chiese poi a Bella.
“Giusto” affermò lei sicura. Aspetta, aspetta, c’era
qualche dubbio sul proprietario di questa moto? No, perché a questo punto, mi
sarei offerta benissimo anch’io…
“Tu vai, noi ti stiamo dietro” mi disse questa volta
Bella, interrompendo le mie stralunate fantasie.
Io mi risvegliai dal mio sogno e misi anche il casco. La accessi e mi diressi dritta verso La Push. Mi accorsi
subito che i vestiti non erano affatto un problema; mi dispiaceva solo che
mettendomi il casco avevo rovinato il lavoro di Alice.
La moto, seppur fosse un catorcio, correva più della
Volvo, e conoscendo l’autista sarebbe andata piano di proposito. Quindi molto
probabilmente ci sarebbero stati cinque minuti in cui io e Jacob saremmo stati
soli. Improvvisamente rallentai anch’io. Ma subito dopo tornai ad accelerare;
dovevo rimanere concentrata per inviargli i ‘messaggi giusti’, come li aveva
chiamati papà. Nel mentre non riuscii a non fantasticare su come sarebbe stato
quel viaggio su quella favolosa Ducati, quanto più veloce sarei potuta andare
e…
A forza di fantasticare non mi accorsi che ero già
arrivata; Jacob stava aspettando sul confine vicino alla sua Volkswagen rossa
che aveva assemblato da solo. Sorrisi per la sua espressione quando mi vide
avvicinarsi sull’Honda rossa di Bella; non capiva chi fossi.
Frenai a un paio di metri da Jacob. Mi tolsi il casco e
prima di guardarlo in faccia mi diedi una veloce scrollata ai capelli. Tornai
quindi a lui. Non potei fare a meno di piegarmi in due dal ridere; non sapevo
come, ma riuscii a trattenere ogni risata e a ridurle in un grande sorriso.
Aveva una stranissima espressione, tra l’imbambolato e lo stupito. Misi il
cavalletto e scesi.
“Ciao” mormorai.
Cercai di fare subito una buona espressione; sempre con
quel sorriso stampato in faccia mi avvicinai a lui e, seguendo i consigli di
papà, mi sforzai di guardarlo come se fosse un grande bignè al cioccolato ed io
un affamato. A dire il vero non sapevo con esattezza cosa papà intendeva con ‘sguardo diverso’, ma speravo che questo andasse bene.
Jacob sbatté un paio di volte le ciglia stranito.
“Ciao” mi rispose a voce forse troppo alta. Sembrava tanto
mio padre quando c’eravamo messi a parlare dei miei problemi.
“Non… non ti aspettavo” mormorò con la stessa indecisione.
Lo vidi poi farmi una veloce scannerizzata con gli occhi, anche se non disse
nulla.
“Stasera faccio l’imbucata” lo informai. Fino a quel
momento non avevo provato nessun risentimento per essermi auto-invitata.
“Ah…Ehm… stai… bene” mormorò al massimo del tentennamento,
indicandomi cauto.
“Ah, dici di questo?” domandai toccandomi i vestiti.
“Sì” Mi ero sicuramente sbagliata, ma per poco quella nota
nella voce la scambiai per timidezza.
“I vampiri mi hanno presa e torturata” spiegai in breve,
rifilandogli la stessa scusa che avevo usato con Bella.
“Mmh…” mormorò dubbioso “Bella
arriva?” proruppe alla svelta. Mi sentii per un attimo
decisamente spiazzata; stavamo parlando di me, ed ecco che l’argomento
si sposta su di lei. Nonostante tutto, non mi demoralizzai; mantenni quel
grande sorrisone e continuai a guardarlo come se fosse un regalo di Natale ed
io una bambina di cinque anni.
“Sì, tra poco è qua.” Fu strabiliante con quanta naturalezza
lo dissi. Sembravo scoppiare dalla gioia che anche Bella venisse a rompere le
scatole!
“Sei venuta per parlarmi,
suppongo” mi distrasse lui, forse un po’ nervoso. Giusto, dopo la conversazione
con papà me n’ero completamente dimenticata, cosa che
non avrei mai creduto di poter fare. Avevo una discussione in sospeso con
Jacob, che avrei dovuto affrontare domani. Per un momento ritornai seria.
“Sì” gli risposi con lo stesso identico tono. In realtà il
motivo era un altro, ma sorvoliamo…
“Ti ascolto” mi ammoni serissimo,
a braccia conserte.
Sentii l’auto di Edward arrivare dietro di noi. Ecco, il
momento tra noi era finito.
“Magari dopo” feci io indicando con la testa la Volvo
argentata. Lui mi rispose con un mugugno di assenso. La sua attenzione su di me
ora era scomparsa; ora guardava impaziente quell’auto grigia.
Che brutto affare; Jacob ce l’aveva
giustamente con me per la mia scenata dell’altra volta; non l’esatte condizioni
per conquistare qualcuno. Le cose si stavano mettendo male; ero già di mio una
schiappa a conquistare, se adesso devo dare anche ulteriori spiegazioni…
La Volvo si fermò parecchio lontano da noi. Vidi Bella
salutare verso questa situazione e Jacob le sorrise. Tentai di rimanere calma;
con me non l’aveva fatto. Mi imposi però di rimanere indifferente; se mi fossi
demoralizzata, avrei dato a me stessa la prova che non sapevo combattere, che
gettavo la spugna prima ancora di cominciare. Perché effettivamente questa era
una battaglia, tra me e Jacob. Più precisamente tra me e la sua infatuazione
con Bella. Dovevo rimanere quindi concentrata, perché dovevo ancora cominciare.
Cristo, non è possibile che conquistare qualcuno dovesse assomigliare ad uno
scontro armato!
I due scesero dalla macchina. Bella non venne subito verso
di noi; Edward la tirò a sé per parlarle. Sinceramente, sembrava mio padre
quando avevo quattordici anni prima di uscire la sera. Intanto l’espressione di
Jacob era tornata neutra, cercando di mascherare l’impazienza.
Dopodiché i due si salutarono; Edward le stampò una vera a
propria slinguazzata. No, non pensavo avesse usato anche la lingua, ma c’era
mancato poco. Sentii quindi i pugni di Jacob stringersi ed un mezzo ringhio
uscire dalla bocca. Quando i due ebbero finito, Edward non poté trattenersi da
una piccola risata. Troppo contento della reazione del licantropo vicino a me?
Bella cominciò quindi ad avanzare verso la nostra
direzione. Edward non riusciva a staccarle lo sguardo da dosso. Mmmh! Edward, non è un soldato che sta andando in guerra!
Tornerà viva! Lui spostò lo sguardo su di me, come per dirmi ‘mi fido di te’. Io scossi la testa, esasperata.
“Come mai mi hai riportato indietro la moto?” chiese Jacob
a Bella, indicandomi l’Honda vicino a me.
“Doveva tornare pur a casa” rispose con naturalezza lei.
Jacob le sorrise subito. Questa volta riuscii ad astenermi a qualsiasi tipo di
pensiero.
Quando Bella giunse a metà strada, Coso vicino a me partì
in quarta e la sollevò in aria in un abbraccio. Ah, che scenetta romantica…
Scossi la testa di nuovo, questa volta per togliermi i commenti acidi che mi
venivano in mente ogni volta che tra di loro c’era un contatto di qualsiasi
tipo. Di conseguenza la Volvo ringhiò e partì spedita.
“Complimenti” mormorò scontenta Bella.
“Per...?” fece finta di niente
lui, che intanto se la rideva.
“Si è già sforzato di avermi lasciata venire. Non giocare
troppo con il fuoco” lo avvertì Bella. In tutta risposta Jacob continuò a
ridere.
“Bella, il fuoco non mi fa niente.” Voleva forse essere
simpatico, ma a me sembrò invece un po’ troppo strafottente.
Ci avviamo quindi verso La Push. Il falò era alla
spiaggia, ma prima bisognava andare a casa di Jacob, per mettere giù la moto.
Ovviamente a portarla toccava a me. Durante tutto il viaggio non riuscivo a non pensare a cosa si stavano dicendo quei due
soli nella Volkswagen. Oh, adesso stavo però esagerando. Quante volte quei due
si erano visti, e cosa si erano detti, senza neanche che io lo sapessi? La cosa
mi diede parecchio fastidio. Non vedevo l’ora che iniziasse la guerra.
Fummo veloci a giungere a casa Black. Fu mentre ci
dirigevamo in spiaggia che cominciarono a venirmi i primi dubbi; non ero stata
invitata, forse avrei fatto la figura della ficcanaso, anche se i licantropi
erano sempre stati gentili con me.
Giunti nel luogo del ritrovo mi accorsi che non c’erano
solo i licantropi al completo; c’era Billy, sulla sua sedia a rotelle, su uno
sdraio un anziano dalla barba bianchissima, una ragazza vicina a Jared, una donna del posto mai vista prima, insieme ad un
ragazzino ad una ragazza forse un po’ più grande di Bella, dall’espressione
troppo seria, che faceva un contrasto enorme con l’esuberanza sprigionata dai
licantropi. Inoltre intravidi un altro ragazzo, troppo nerboruto per essere
normale; doveva essere una ‘new entry’ del club dei licantropi.
Non avevo ancora ben capito quale fosse lo scopo di quel
raduno. Nonostante fossi un’imbucata mi accolsero piuttosto calorosamente.
“Ehi, ragazza vampiro!” esclamò Embry
a Bella, dirigendosi verso di noi “E c’è anche la mezza vampira!”
Uau, ero stata ulteriormente
promossa di grado. Da ragazza vampira, a figlia dei vampiri e adesso
mezza-vampira. Stavo crescendo di pericolosità. Tra un po’ mi avrebbero
chiamata direttamente ‘vampira’. Avevano usato quello strano nomignolo che mi
aveva affibbiato Jacob, con il quale stranamente mi ci trovavo proprio.
“Sono felice che sei venuta anche tu” disse Billy, mentre
gli altri salutavano Bella. Mi sembrò straordinariamentesincero e ricambiai con la stessa
spontaneità.
Con uno sorriso salutai Emily e feci un cenno di saluto a Sam, che
fece lo stesso. Con mio grande stupore anche Jared mi
lanciò un sorriso, forse troppo teso. Tutto quindi andò bene, a parte Paul, che
ci invitò a stare sottovento per tener lontano il tanfo di vampiro. Gli
sconosciuti invece mi stavano guardando con attenzione; chi con curiosità, come
il nuovo licantropo ed il ragazzino, chi con una nota di risentimento, come la
‘ragazza infelice’.
Jacob ci fece accomodare attorno al fuocherello, lui in
mezzo a me e a Bella, mentre era ad arrostire un bel po’ di carne varia su una
griglia enorme accompagnata da una quantità disumana di patatine e birrasparsa sulla sabbia.
Che bricconi, non sapevo che i lupachiotti si
divertissero a fare beach-parties!
“Per chi non conoscesse Abigail”
iniziò Billy rivolto agli sconosciuti “lei è la ragazza che vive con i
vampiri.”
Mi sentii per un attimo sottomessa
dall’imbarazzo; gli occhi di tutti erano rivolti verso di me. Io mi limitai a
sorridere ai presenti, sperando che funzionasse. Cavolo, nella riserva ero più
famosa di quanto pensassi, e la fama che mi circondava era temibile, da quanto
anche attestava il soprannome che mi avevano dato.
“Lui è Quil, non credo tu lo
conosci” mi comunicò Jacob, indicandolo. Lui, che già si stava ingozzando di
patatine, ingurgitò rumorosamente il boccone prima di parlare.
“Ciao, piacere, Quil” esclamò
cordiale “Sei davvero una bella sventola, lo sai?” disse cercando di fare il
simpatico, dimostrandosi solo terribilmente strafottente e troppo sicuro di sé.
In compenso conquistò le risa generali.
“Quil!” sentii Emily
rimproverarlo. Com’è quel proverbio? Mai disturbare il can che dorme…
“Come le tue orecchie, giusto?” gli risposi con un sorriso
gentile, indicando le sue orecchie, per l’appunto un po’ a sventola. Lui in
compenso stette zitto, abbassando la testa e sfiorandosi le orecchie con una mano,
mentre conquistai le risa generali doppiamente più rumorose.
“Adoro questa ragazza!” esclamò Embry,
sedendosi accanto a me, per avere lo spazio sufficiente per un cinque.
“Comunque” tentò di rimanere serio Jacob, “lei è Sue
Clearwater e loro i suoi figli Seth e Leah e Sue
Clearwater.” Questi tre personaggi ebbero tutti espressioni
diverse: Seth mi guardava come un cagnolino eccitato, Leah mi lanciò nuovamente un’occhiata che esprimeva disagio,
di cui non capivo esattamente il perché, mentre Sue mi osservava un po’
terrorizzata. Che anche loro sapessero tutto? Ripensandoci bene prima Billy non
aveva avuto problemi a dire la parola ‘vampiro’, e come lui anche Embry. Quindi lì tutti sapevano tutto.
“Lei è Kim, la ragazza di Jared”
continuò Jacob. Voltai la testa verso Kim. Mi rivolgeva la stessa espressione
spaventata di Sue, che non scalfii neanche offrendole uno dei miei sorrisi
sghembi. Non mi piaceva questa sensazione che facevo suscitare nei presenti.
“E lui è il nonno di Quil, QuilAetera” intervenne Billy,
indicandomi l’anziano dalla barba bianca. Non proferì parola; mi guardava un
po’ con astio, ma soprattutto con curiosità. Nella sorpresa di tutti, mi alzai
e con uno dei sorrisi più convincenti possibile gli offrii la mano.
“E’ un piacere conoscervi” Volli sembrare il più educata e
amichevole possibile di fronte a colui che mi sembrava
il pezzo grosso di tutta la combriccola. Lui dapprima mi guardò confuso, ma
passarono solo pochi secondi prima che sfilasse la mano e me la desse. Era
rugosa e fragile, quindi cercai di fare il più attenzione possibile con la mia
stretta micidiale. Mi rivolse perfino un sorriso da sotto la barba, e per un
momento mi sembrò il Babbo Natale dei Quileute.
Mi tornai a sedere vicino a Jacob ed a Embry,
che mi porse un mega-spiedino di carne che mi fece venire l’acquolina in bocca.
L’atmosfera quindi ritornò solare ed allegra, con ragazzi
che facevano gli idioti ed io e Bella che ridevamo di loro. Questo rendeva il
mio obiettivo principale più difficile del previsto; non so se sarei riuscita a
comportarmi in maniera diversa anche di fronte agli amici di Jacob. Stavo quasi
per deporre l’ascia di guerra per quel giorno e limitarmi a godermi la festa. Mi
lanciai quindi sul mio spiedone, ma Jacob vicino a me si alzò, toccandomi la spalla.
“Io ed Abigail torniamo subito”
disse neutro. Un po’ a malincuore misi giù lo spiedino, e a malincuore mi
ricordai che noi due avevamo una discussione in sospeso. Mi alzai quindi
anch’io, non esattamente felice come una pasqua. Subito partirono commenti da
parte dei presenti.
“A chissà far cosa!” sogghignò Embry,
accompagnato dai gesti sconci di Quil. La mia
loquacità venne sopraffatta dall’imbarazzo e non riuscii a ribattere alcunché.
Abbassai la testa, per nascondere il leggero rossore che speravo che il buio
coprisse. Ecco il motivo per cui non potevo comportarmi in modo più ‘fisico’. Jacob
però non si lasciò prendere in giro.
“Che idiota, che sei!” sogghignò lui.
e idiota, che
sei!"lontano, non fece niente.
nsato che Jacob
fosse un vero pazzo a lanciare un colpo del genere ad Embry. Con una
pedata in pieno petto fece perdere l’equilibrio ad Embry,
che si rovesciò di schiena e rischiò di soffocare per il boccone che gli era
andato di traverso. Se non avessi saputo che erano licantropi avrei pensato che
Jacob fosse un vero pazzo a lanciare un colpo del genere ad Embry.
A Quil, che era troppo lontano, non fece niente.
“Me la vedo dopo con voi due!” promise Jacob, dirigendosi
lontano dal falò. Io lo seguii, sempre a testa bassa, ma ebbi modo di vedere
l’espressione al contempo confusa e sorpresa di Bella.
Anche dopo alcuni metri di distanza si sentivano i fischi
rivolti verso di noi. La situazione cominciava a innervosirmi; quando volevano
erano ancora più infantili di Jacob. Camminavamo sulla spiaggia acciottolata in
silenzio, distanti pochi centimetri l’una dall’altra. Avrei dovuto accorciare
di più quella distanza, ma sentivo ancora gli sguardi di quei licantropi
pompati addosso. Intanto nessuno dei due parlava. Non sapevo se Jacob stava
zitto perché voleva che iniziassi io; in fondo ero io che gli dovevo delle
spiegazioni. Ma era anche vero che era stato lui a congedarci dal falò, quindi
in teoria doveva iniziare lui. Mi venne un nervoso sorprendermi a pensare a
queste futili stupidaggini.
“Allora, dove eravamo rimasti? Giusto. Tu mi dici che non possiamo rimanere più amici, che vuoi rimanere
sola e non mi vuoi confessare il perché” proruppe lui. “Dimentico qualcosa?” Il
tono neutro, quasi acido che usò mi demoralizzò un poco.
“No” mormorai.
Non potevo di certo dirgli il perché, non ora almeno. Forse,
tra molto tempo, mi sarei messa a ridere quando avrei pensato a quanto ero
convinta di dirgli che lo amavo e di quanto ero convinta dell’opposto il
momento dopo. Ma la realtà adesso era questa; non gli avrei potuto dire niente
adesso. Quindi avrei dovuto mentire ancora ed ancora. Anche se questa era una
piccola bugia rispetto a quella che avevo detto ai licantropi riguardo il temporaneo trasloco dei Cullen,
da quella volta ne avevo davvero fin troppo di mentire. Speravo solo che fosse
l’ultima volta.
Intanto colsi la palla al balzo; mi avvicinai un poco e,
anche se dal tono di voce non mi sembrava una buona idea, sfiorai la sua mano
con la mia. Sorprendentemente lui mi rispose stringendomela.
“Abi, sul serio, non
riesco più a capire come ti comporti” esclamò esasperato. I suoi gesti non
erano molto coerenti con le parole.
“L’altro giorno ce l’avevi con me.
Adesso non mi sei mai stata così vicina e sei tutta felice e contenta. Mi
sembra quasi che mi voglia prendere in giro! Non ti riconosco più!” Ecco,
puntualmente lo sguardo da tenero cane bastonato che mi lanciò riuscì perfettamente a farmi sentire una stupida. Per lo
meno una persona molto incoerente. Aveva però ragione; quella volta gliela
dovevo concedere.
“Hai ragione. Mi sono comportata in modo
parecchio strano” ammisi io seria. Ora sarebbe venuta la parte più
difficile: cercare di inventare una scusa abbastanza
adeguata che rimpiazzasse il ‘io ti amo’.
“Bene, ora mi vuoi dire anche il perché?” disse decisamente
spazientito. Continuavamo intanto a camminare e se non fosse stato per i
lampioni che di tanto in tanto si alternavano non sarei riuscita a vedere
niente.
“Mi dispiace…” iniziai, ma venni subito fermata.
“Mi dispiace nel senso, mi dispiace ma non posso dirtelo o…”
Questa volta lo fermai io, lui e la sua dannata impazienza. Odiavo quando mi
interrompeva in questo modo.
“No. Mi dispiace per l’arrabbiatura della scorsa volta.” Aspettai qualche secondo prima di spararla, per valutare
la sua veridicità. “La verità è che ero ancora furiosa per quelle parole” gli
strinsi di più la mano, come se facendolo la mia balla sarebbe stata più
credibile. Lui guardò basso, meditando sulle mie parole.
“Ci sei rimasta davvero così male per quello che ho detto?”
domandò serio e ancora nervoso. Io mi limitai ad annuire con la testa; non
avevo le voglia sufficiente per mentire ancora.
“Bhè, anch’io ci sono rimasto male
per quello che hai detto tu. Dico di accettarti in tutto e per tutto e tu mi rispondi
che la nostra amicizia è finita. Bella roba…” gridò, ma sembrava più scocciato
ed infastidito, che arrabbiato.
“Sì, lo so. Scusami. Sono stata impulsiva. Anch’io qualche volta penso senza parlare” dichiarai, forse
neanche pensando prima. A dirla tutta un po’ sincera lo ero stata; più che non
aver pensato, lo avevo fatto male. Lo guardai di nuovo, non più con quello
sguardo speciale che gli dovevo fare, ma con lo sguardo dell’Abi che gli
piaceva.
“Voglio continuare ad essere la tua migliore amica, Jacob.”
Fui tremendamente sincera.
Sì, in teoria il piano diabolico comprendeva diventare
qualcosa di più di una migliore amica, ma mi sembrava che questa fosse
un’ottima base da cui partire. Di nuovo mi sorpresi dei miei pensieri;
possibile che non vivessi minimamente il romanticismo della cosa, e lo
trattassi come una partita di Risiko?! Possibile che non riuscissi a manifestare sinceramente il
mio amore per Jacob?! Cristo, ero proprio negata…
Lui intanto mi circondò le spalle con un braccio, offrendomi
quel suo magnifico sorriso. Per un attimo mi sentii avvampare, non solo per la
sua alta temperatura. Finalmente sciolse il cubetto di ghiaccio che ero e mi
permise di essere più spontanea e di godermi il contatto più intensamente.
“Anch’io, naso a patata.”
Con l’indice ed il medio della mano mi prese il naso e me lo
strizzò. In risposta mugugnai per il fastidio, ma gli lanciai anch’io il mio
sorriso sghembo, stringendogli la mano sulla spalla.
Avevamo rallentato il passo, ma non ci eravamo fermati; le
gambe ormai facevano tutto da sole. Il suo sguardo si volse davanti a lui, la
sua espressione era animata da un sorriso beato.
“Sai, credo di aver capito il perché litighiamo così spesso.
Siamo troppo uguali, noi due” constatò tranquillo. Io
in risposta alzai un sopracciglio.
“No, non credo proprio” affermai piuttosto scettica.
“Certo. Se tutti e due diciamo cose
senza pensare, è ovvio che alla fine ci facciamo del male” continuò lui,
cominciando a giocare con i miei ricci. Io mi scostai, fin troppo stuzzicata
dalle sue affermazioni.
“Ma io penso molto più di te!”
“Cosa vorrebbe dire? Che io sono
più stupido di te?” domandò stupito, fermandosi sulla spiaggia di ciottoli. Io
feci spallucce.
“Sei tu che l’hai intesa in questo modo!” gli risposi
continuando a camminare.
“Ah, davvero?” Sentii poi le sue mani calde cingermi la
vita. Mi percorse un forte brivido lungo la schiena, così potente che temetti
che anche lui lo avesse sentito. Mi caricò poi sulla spalla come se fossi un
cuscino.
“No! No! Jacob, mettimi giù! Scherzavo! Tu sei intelligente
tanto quanto me!” mi lamentai spazientita per i suoi giochetti che non potevo
contrastare.
“Questo è un insulto, allora!” rispose ridendo. Io aprii la
bocca allibita; oh, questa me la pagava salata…
“Mi dovrei arrabbiare io adesso!” Cominciai a scalpitare,
senza ovviamente nessun risultato. Non era giusto, né divertente; se si
comportava così era ovvio che potevo solo subire…
“Ma non sei nelle condizioni più convenienti per farlo”
evidenziò lui, tutto contento.
“Dai, se dici di essere tanto intelligente, mettimi giù e
invece di usare i muscoli usa la testa!” lo sfidai minacciosa. Lui tornò a
prendermi per i fianchi e a reggermi ad alcuni centimetri da terra.
“Accontentata” Dopodiché mi diede una testata sulla fronte, senza
farmi male.
“Ah, sarebbe questo il tuo modo di usare la testa, allora?” esclamai
ancora allibita, dopo che mi aveva finalmente messo giù.
“Che stupido” dissi sincera, senza trattenermi nemmeno un
po’.
“Stupida tu ad assecondare me” rispose di rimando.
Ecco, di nuovo a litigare e a stuzzicarci come bambini di
due anni. Ah, appunto. Come si dice in questi casi, il lupo perde il pelo, ma
non il vizio. Mi stavo comportando da amica, ovvero quello che non dovevo fare.
Era più forte di me, non mi veniva naturale comportarmi da ‘conquistatrice’.
Eppure io volevo davvero che Jacob fosse qualcosa di più per me. Allora perché
diavolo non ci riuscivo?!
Non mi feci prendere dallo sconforto, anzi, rincarai la
dose; non gli presi la mano come prima, ma mi avvinghiai all’intero braccio.
Riprendemmo così anche a camminare.
“Tornando a fare le persone serie” iniziai cercando di
normalizzare la situazione. “Credo di non averti ringraziato come si deve per
la macchina.”
“Mmhh… sono curioso di sapere come
mi ringrazierai” mi rispose sarcastico. Questa volta non stetti al gioco.
“Dimmi la verità, quanto tempo ci hai passato sopra?” gli
chiesi seria.
“Non ha importanza” mi rispose lui con lo stesso tono.
“Come non hanno importanza i soldi di tasca tua, che
sarebbero dovuti essere miei, che hai usato?” Lui sembrava non sentire scuse.
“Prendilo come un regalo. I regali si accettano e basta.” Io
lo guardai dubbiosa. Davvero credeva di non stare esagerando questa volta? Mi
sentivo terribilmente in debito con lui.
“Grazie per il regalo” mormorai. Non volli finirla qui; mi
fermai per abbracciarlo. Le mie braccia non riuscivano a cingerlo del tutto.
Lui rispose senza obiezioni.
“Figurati” mormorò.
Non so esattamente cosa mi prese, ma coinvolta dal contatto
fisico alzai lo sguardo e stando sulla punta di un piede riuscii a dargli un
bacio sulla guancia. Sfortunatamente riuscii a malapena ad accennarlo e non me
lo godetti per niente, da tanto era alto Jacob. Dopo che fui tornata a terra,
continuando a guardarlo come la cosa più bella del mondo, mi rivolse
un’espressione dubbiosa, ma condita da un sorriso
sornione.
“L’ultima volta che mi hai dato un bacio stavi andando a
morire” mi ricordò quella volta di Volterra.
“Ci riprovi anche questa volta?” Il sarcasmo che usò fu
sufficiente per non far sembrare macabra la frase.
“No, non questa volta” gli risposi, con una punta di mistero
che non seppi neanch’io da dove tirai fuori.
“Scusami, ma cos’è tutto questo contatto? Dov’è finita l’avversione per il ‘contatto lupesco’?” domandò
alla fine. Non sembrava dubbioso o confuso, ma solamente divertito. Forse
perché non si immaginava quello che ci stava dietro.
“Credo sia venuto il momento di metterla da parte” Fui
straordinariamente sincera anche su questo.
“Che bella notizia!” esultò lui, cingendomi questa volta i
fianchi, capendo finalmente di aver via libera.
“Allora, come vanno le cose qui a La Push?” chiesi forse con
troppa contentezza. “Vedo che avete un nuovo arrivato”
“E presto ci sarà anche Seth” mugugnò Jacob. Stranamente
parlare del branco non lo esaltava; in effetti però mi
aveva spiegato che per i licantropi subire la trasformazione non era una favola
e non l’avrebbero consigliata a nessuno.
“Ma non è troppo giovane?”
“Possiede i geni e c’è un branco di vampiri al di là del confine.
Questo basta” disse monocorde, forse troppo. Staccò
anche la mano dal mio fianco. Fu a quel punto che capii che qualcosa non stava
andando.
“Come mai quel tono?” domandai infine.
“Stiamo avendo sempre più Imprinting. La cosa si sa facendo
preoccupante. Dopo Sam, ecco Jared. Ed anche Quil”
Fu in quel momento che capii che Kim non era solo una
semplice ragazza, come avevo pensato; era l’anima gemella di Jared. Forse proprio perché in amore ero una schiappa, non
me n’ero accorta. Se ovviamente ci si poteva
accorgere…
La mia attenzione però non si posò tanto su Jared, quanto su Quil. Aveva
pronunciato il suo nome con un velo di preoccupazione che non mi sfuggì.
“Non è venuta la sua compagna” osservai.
“No” rispose sconsolato.
“Jacob, cosa ti disturba?” Mi guardò con un sopracciglio
alzato, piuttosto scettico.
“Promettimi di non pensare male?” Non si fidava per niente
di me.
“Spara” dissi io a quell’infedele.
“Quil ha avuto l’imprinting con la
cugina di Emily, Claire…”
“…e?”
“E lei ha solo due anni” disse alla fine. Oh…
“Lo sai che per la legge degli Stati Uniti d’America questo
è un crimine gravissimo?” risposi subito senza neanche pensare ad altro…
“Ecco, hai pensato male” proruppe lui, con il tono da ‘ecco,
lo sapevo’.
“Dimmelo tu allora cosa dovrei pensare.” In effetti, era
meglio non pensare...
“Quando si ha l’imprinting si è
disposti a fare qualsiasi cosa per lei. Essere qualsiasi cosa; Quil è disposto ad essere il migliore dei fratelli, il suo
migliore amico, tutto fino a quando lei non sarà cresciuta
e si renderà conto di tutto.”
Fu strano il coinvolgimento che lo prese quando lo raccontò.
Ma non ci badai molto, perché ebbi la schiacciante prova che Jacob non aveva
nessun Imprinting con Bella. Certo, questo lo sapevo già, me l’aveva già detto e
anche se di questa sua parte oscura e diabolica non mi dovevo fidare, gli avevo
lo stesso creduto. Adesso però mi rassicurava esserne certa al cento per cento;
se Jacob avesse di fatti avuto un imprinting con
Bella, come aveva appena detto, lui sarebbe stato disposto ad essere qualsiasi
cosa per lei. Ma non si accontentava di esserle amico, ergo non era Imprinting.
“Quindi questa bambina è da subito destinata a passare la
vita con lui” mormorai, riflettendo un poco sul destino già scritto che aveva.
“E perché no? Nessuno la tratterà mai come farà Quil”
“Dal commento che mi ha fatto prima, non si direbbe”
osservai sghignazzando. Lui sbuffò divertito.
“Stava solo scherzando; non è assolutamente attratto da te.
Ha solo un pessimo senso dell’umorismo.” Ci fu una brevissima pausa.
“Ne sai parecchio sull’Imprinting…” espressi alla fine il
mio pensiero. Lui fece spallucce.
“Tutto quello che so proviene dai pensieri di Quil, Sam e Jared.”
Alla fine si fermò. Avevamo camminato un bel po’, il fuoco del falò era lontano
di parecchio. Si sedette sulla sabbia e io lo imitai. Per un attimo cadde il
silenzio. No, non era affatto silenzio; era la magica musica delle onde, che
con le loro corde accompagnavano i flauti del vento primaverile, diretti
entrambi dalla natura. Quella musica però finì presto.
“Voglio parlarti di una cosa. Riguarda
Bella” proruppe lui serio. Espirai forse troppo violentemente. Di nuovo,
noi due dovevamo parlare sempre di Bella, argomento da escludere se avevo una
qualche speranza di conquistarlo.
“Sai che succederà alla fine della scuola…”
“Sì” Fui volontariamente troppo decisa.
“E’ troppo presto…” mormorò sconfortato al limite.
“Prima o poi doveva succedere” dissi eccessivamente
insensibile “Cos’è che mi devi chiedere?” continuai un po’ rude. Lui mi guardò
con quegli occhi da cane bastonato, che quella volta non attaccarono.
“Abigail, ti supplico, aiutami a
convincerla a non farlo”
“Sai che non ci riuscirei” risposi troppo alla svelta; forse
questo gli avrebbe fatto capire che era meglio non insistere. Il problema era
che ero stata troppo seria e fin troppo credibile.
“No, non è vero! A te sta ad ascoltare”
continuò lui testardo. Dando il via ad una nuova litigata…
“Jacob, l’hai vista? Come ti è sembrata? Convinta è un
eufemismo. Lei lo vuole anche adesso, con una vampira che la sta cacciando…”
“…e un vampiro sconosciuto che si infila in camera sua”
mormorò monocorde, sovrapensiero. Mi sorprese che lo sapesse, ma durò poco. Non
volli dire altro. Se continuavo era peggio. Dovevo troncare la discussione
all’istante, senza dare il modo di poter continuare.
“Jacob, ti prego, smettiamola di parlare di lei! Sembra che
la nostra amicizia esista perché esiste lei!” gli
dissi piuttosto infastidita, e tremendamente sincera. Non volevo che Bella rovinasse
questo nostro momento insieme anche quando non c’era. Rimaneva sempre una mia buona amica, ma insieme a Jacob tendevo a considerarla solo
come una rivale.
“Non è affatto vero” affermò lui, sfoderando una di quella rare
espressioni serie.
“Sì, ma sembra…” continuai un po’ più insicura, dovendogli
effettivamente dare ragione.
“Va bene, smettiamola di parlare di lei, allora” concluse
alla fine, alzando le braccia ed osservando il mare.
Non sembrava che il mio rifiuto lo avesse in qualche modo
offeso; fatto sta che fece scendere un silenzio che dopo una conversazione di
quel tipo, proprio non ci stava.
Mentre tentavo di trovare un valido argomento di
conversazione, cominciai a tirare i sassolini sotto di me, guardando trasognata
il mare. Smisi immediatamente di guardare i sassi; mi era venuta un’idea. Non
era esattamente un’idea, era una sciocchezza che faceva d’altronde molto telefilm
americano per adolescenti. Ma conoscendo il bellimbusto davanti a me, poteva
funzionare. Inoltre ci sarebbe stato tanto contatto fisico.
Mi tolsi le ballerine ed i gambaletti, mentre zampettavo
veloce sui sassi per raggiungere l’acqua, dove ci sarebbe stata la sabbia.
L’acqua non era gelida, di più, ma ormai che ero dentro non potevo tirarmi
indietro.
“Abigail, che fai?” Non lo stetti
ad ascoltare. Aspettai che l’acqua gelata mi arrivasse alle ginocchia, prima di
girarmi verso di lui.
“Muoviti!” lo chiamai, con tono da ‘mbè?
Sei ancora lì?’
“Guarda che l’acqua è gelida” mi avvertì lui, immobile sul
bagnasciuga.
“E questo per te è un problema?” risposi cercando di
sopportare il freddo il più possibile.
“No, ma lo sarà per te” continuò lui ancora sulla difensiva.
“Eh dai!” lo incoraggiai facendogli ampi gesti con le
braccia “Tempo fa non volevi buttarmi in mare? Questa è l’occasione giusta! Non
te ne ricapiteranno del genere.” Di fronte ad una provocazione del genere non
poteva rifiutarsi. Difatti sogghignò e si tolse la maglietta nera.
“Hai fatto male a stuzzicarmi” mi urlò minaccioso,
avvicinandosi in grandi balzi. Io stetti al gioco e cercai di allontanarmi da
lui, ma un po’ perché volevo che mi raggiungesse, alla fine mi fu subito vicino.
Ormai l’acqua mi arrivava al petto, mentre a lui neanche sfiorava l’addome.
Quando fu vicino si immerse per prendermi le gambe.
“Jacob! Cosa…” tentai di urlare. Come
se niente fosse, mi issò e appoggiò i miei piedi sulle sue spalle. Io, per non
perdere l’equilibrio, mi aggrappai ai suoi capelli.
“Cosa vuoi fare?” balbettai, sia perché bagnata faceva più
freddo fuori l’acqua che dentro, sia perché mi potevo aspettare di tutto da
lui.
“Vediamo come te la cavi con i tuffi” mi sfidò.
“No, Ja….Ahhhh!”
Non riuscii neanche a finire che sollevò di colpo le caviglie e mi buttò in
mare. Mi lanciò almeno un paio di metri lontano da lui. Sotto l’acqua mi
sentivo un cubetto di ghiaccio e quando emersi mi sembrava di stare peggio, sia
per il freddo, sia perché non toccavo, sia perché odiavo l’acqua salata negli
occhi.
Intanto sentivo quell’altro ridere come se avesse assistito
allo spettacolo del momento.
“Dovevi sentire come urlavi! Sembravi una
femminuccia!” Si stava piegando in due dalle risate. Speravo tanto che
nel mentre si affogasse.
“Sei uno stupido!” gli urlai cercando di pulirmi gli occhi.
“Io ti ho avvertita!” Lo sentii particolarmente vicino. Ben
presto cominciai a battere i denti.
“E’ ge-ge-gelida-da!”
Non riuscii a non lamentarmi.
“Darmi retta mai, vero?” sbuffò lui “Dai, vieni qui.”
Sentii subito le sue braccia calde prendermi e racchiudermi
nel suo petto. Questa sì che era tutta un’altra storia. Ben presto i denti
finirono di battere. Per un attimo mi godetti quel tepore ad occhi chiusi, con
una guancia appoggiata al suo petto. Fu davvero fin troppo spontaneo. Passarono
alcuni secondi prima di sentire la mano di Jacob accarezzarmi la schiena.
Sostituii quindi la guancia con il mento, in modo da poterlo guardare in
faccia. Per fortuna quella era una notte serena, la luna era
grande e luminosa in cielo, accompagnata da tante stelle brillanti, sufficienti
per guardare il suo splendido viso.
Mi rivolse un sorriso tutto nuovo, che non avevo mai visto;
era quasi timido ed esprimeva tanta tenerezza. Di solito robe del genere non mi
piacevano, ma quel sorriso… me ne innamorai immediatamente. Mi fu inevitabile
non rispondere alla stessa identica maniera.
“Non ho mai visto quest’Abi” La sua voce era calda tanto
quanto lui.
“Non va bene?”
“No, anzi, mi piace tantissimo” mormorò. Quel sussurro mi
fece di nuovo sentire i brividi lungo la schiena e questa volta credevo davvero
che se ne fosse accorto.
Lentamente quel sorriso sparì. Rimasi per un attimo
spiazzata. La mia attenzione fu però catturata da qualcos’altro di nuovo. C’era
qualcosa nei suoi occhi, che quasi mi misero paura. Non lo avevo mai visto
rivolgere uno sguardo del genere a nessuno. Quei due occhi si erano trasformati
in fiamme; ardevano tanto quanto il fuoco che c’era dentro di lui. Non capii
che cosa esprimessero; né rabbia, né dolore, ma neanche gioia o tristezza, ma non
erano nemmeno inespressivi.
Fu allora che successe; un’ondata gelida mi colpì le gambe,
e a confronto con il calore di Jacob mi sembrava fosse molto più fredda. Non
potei non battere i denti per il freddo. Il problema era che stavo sorridendo,
quindi quegli occhi infuocati si ritrovarono all’improvviso le mie gengive distanti
solo pochi centimetri.
Scomparvero veloci tanto quanto furono comparsi e Jacob
proruppe in una risata.
“Adesso è meglio se usciamo, gli altri ci staranno
aspettando”
Fortunatamente non sciolse quell’abbraccio, anzi, prese le
mie gambe e le annodò alla vita. Io, stando ben attenta a non farmi vedere,
sorridevo come una beota dietro la sua spalla. Arrivati alla riva pensavo mi
avrebbe finalmente messo giù. Ma ancora non lo fece; prese le scarpe e la
maglietta che aveva a terra e me la mise sui capelli.
Iniziò poi a camminare fino al falò. Io intanto avevo un
sorriso bloccato in una paralisi facciale, mentre il cuore batteva a mille.
Jacob non si era mai comportato così con me. Non c’era mai stato tanto
contatto. Certo, non c’era stato perché io non gli avevo mai dato l’occasione
per farlo. E poco importava se adesso questi gesti per lui avevano un
significato diverso dal mio; il mio ‘corteggiamento’ era appena iniziato.
Camminava in silenzio, e sembrava che pesassi come una piuma. Non parlavamo,
stavamo in silenzio. Stavo benissimo racchiusa in quel calduccio, con il
pensiero che senza Jacob sarei morta di freddo. Fui sul punto di addormentarmi;
quindi per evitare commentini, decisi di intavolare una qualsiasi
conversazione.
“Scusa, ma di preciso, a che cosa è dovuto questo beach-party?” mugugnai io dalla sua
spalla. Lui trattene una risata.
“Credi davvero che sia un beach-party?” domandò perplesso.
“No, ovvio” Questa volta mentii benissimo; non mi facevo
problemi se c’era di mezzo l’orgoglio.
“In teoria è una riunione del consiglio, dove verranno
raccontate le nostre storie, quelle che abbiamo sempre pensato fossero
leggende.”
“Ah! Giusto, me ne avevi parlato
una volta” dissi interessata.
“Sì, per Quil, Leah,
Kim e Seth è la prima volta.” Poi iniziò a raccontarmi di queste riunioni. “A
parlare di solito sono gli anziani, coloro a cui sono state tramandate
oralmente da non so quanti secoli”
“In questo caso tuo padre e QuilAetera” specificai.
“E anche Leah e Sue Clearwater”
“Non mi sembrano tanto vecchie”
“Prendilo in senso lato” suggerii lui
“Sostituiscono Harry Clearwater. È morto da un paio di mesi di infarto” Il suo tono si fece di colpo serio.
“Sì, mi ricordo.” La sua espressione cambiò nuovamente e non
riuscì a trattenere una risata “E poi c’è il grande
finale”
“Sarebbe?”
“Ci dipingeremo la faccia e cominceremo a ballare intorno al
fuoco” Alzai un pugno in aria.
“Evvai!” esclamai.
Jacob mi mise a terra quando all’orizzonte scorsi il fuoco
del falò e fece bene; chissà i commenti idioti ci sarebbero stati se i Quileute ci avessero visti in quelle condizioni. Grazie al
calore di Jacob mi ero del tutta asciugata, anche se ero sicura di aver un
aspetto disordinato. Alice me le avrebbe dette di tutti i colori quando mi
avrebbe vista. Lui si rimise la maglietta, mentre io le scarpe.
Raggiungemmo quindi gli altri, non più mano nella mano, ma con
un grosso sorriso in faccia, che non riuscii a mascherare.
I ragazzi non avevano ancora finito di banchettare; stavano ingurgitando
cibo come veri e propri animali. C’erano enormi bottiglie di birra vuote e
sacchi di patatine stracciati.
“Ehi, non ci avete lasciato niente?” chiese vivace Jacob. Tutti
i licantropi feci gesti, suoni e fischi molto ambigui. Io scossi la testa e mi
sedetti nello stesso posto; odiavo questo comportamento infantile troppo
insistente.
Incrociai lo sguardo di Bella, che mi lanciò la stessa
occhiata di poco prima.
“Giusto, dopo tanto divertimento avrete fame” commentò
malizioso e sfacciato Quil. Avrei tanto voluto
saltargli addosso e strappargli la testa a morsi. Per fortuna ci pensò Jacob;
in un balzo gli fu subito addosso ed iniziarono a darsele, anche violentemente.
“Jacob, non pensavo avessi due ragazze” commentò Embry. Questa volta arrossì anche Bella. Visto che Jacob era
occupato con Quil, decisi di vedermela io con Embry; presi una gruccia che veniva usata a spiedino e lo
infilai forte nel suo petto. Lui sobbalzò, più per la sorpresa che per il
dolore.
“Ahi!” si lamentò, anzi, fece finta di lamentarsi, non
smettendo più di ridere.
Billy tossì serio un paio di volte, richiamando l’ordine.
Tutti si calmarono e tornarono al proprio posto.
“Me la pagate tutti quanti” disse minaccioso Jacob per
l’ultima volta, ma con un sorrisone in faccia che lo rendeva poco credibile. Bhè, almeno la buona notizia era che avevamo fatto
sorridere Paul.
Capii che adesso sarebbe iniziata la narrazione delle
storie. C’era un profondo silenzio, interrotto solo dallo scoppiettio del fuoco
che creava un grande contrasto con il chiasso di poco prima. Vidi Emily prendere
un piccolo quaderno, pronta a trascrivere quello che si sarebbe detto. Jacob
intanto tornò a sedersi in mezzo a me e a Bella.
“La prima storia narra degli spiriti guerrieri” ci sussurrò.
Con un braccio cinse i fianchi di ognuna. Non lo fece solo con Bella, lo fece
anche con me; mi fece spuntare il mio sorrisino sghembo.
Ben presto poco mi importò se Jacob stava stringendo Bella o
me; mi dimenticai di Embry vicino a me e di tutti i
presenti. Si creò una strana atmosfera, che mi ricordò bene o male quello che
provavo quando correvo da sola nei boschi. I miei occhi si persero nelle
fiammelle del fuoco, l’unica fonte di luce in mezzo al buio della notte;
creavano un contrasto di luce meraviglioso. L’unico rumore era la voce bassa, ma chiara, quasi ritmica, di Billy, che in
quell’ambiente mistico sembrava provenire dal fuoco.
Lo stesso fuoco, antico partecipe delle vicende del suo
popolo, iniziò il racconto dalle più antiche origini dei Quileute,
dai tempi in cui si trasferirono in queste terre ed usavano la magia per
difenderle.
Capii poi in cosa consisteva questa magia; gli spiriti dei
guerrieri Quileute avevano il potere di trasmigrare
dai loro corpi ed usare il potere del vento contro i loro nemici oppure
comunicare con gli animali, affinché li attaccassero. Delle origini però di
questa magia, nessuno sapeva niente.
Ancora non capii però come questo c’entrasse con la
trasformazione in lupi pelosi, ed il fatto che questi spiriti potessero
leggersi nel pensiero e che provassero dolore ad uscire dal proprio corpo, mi
confuse ancora di più.
Da questo punto in poi, ad essere sincera, un po’ mi persi,
sia per la complicatezza dei nomi che non riuscivo a ricordare, sia per i fatti
veri e propri. Il succo era che il capo della tribù venne ingannato da uno dei
suoi guerrieri, che prese il suo posto entrando nel suo corpo ed uccidendo il
proprio. In questo modo divenne il capo della tribù, comportandosi in modo
spregiudicato e proibendo ai guerrieri di trasmigrare dai propri corpi, in modo
tale che nessuno conoscesse l’impostura. Era un vero e proprio tiranno,
insomma. E finalmente capii cosa c’entrassero i lupi in tutto questo: il vero
capo tribù, tormentato perché senza un corpo e bloccato nel nulla, chiese ad un
lupo che passava di lì di fare un piccolo posticino al suo spirito, così
avrebbe finalmente avuto un corpo, ed il lupo acconsentì.
Billy non la raccontò assolutamente in questo modo blando, ma
il succo era quello, insomma.
Così il lupo andò al villaggio, i guerrieri capirono che era
sotto l’influenza di uno spirito, uno di loro trasmigrò e venne a conoscenza
della verità. L’impostore però uccise il guerriero che aveva disubbidito ai
suoi ordini prima che quest’ultimo potesse raccontare ciò che aveva visto a
tutti. A questo punto lo spirito del vero capo tornò nel corpo del lupo e
l’odio per l’impostore e l’amore per il suo popolo furono sentimenti tanto
umani e potenti da trasformare il corpo del lupo in un essere umano. E così
uccise l’impostore. Billy accennò qualcosa riguardo alle sembianze che aveva il
Capo Supremo trasformatosi in uomo, che erano diverse da quelle precedenti,
erano molto più forti. Mi immaginai quindi il corpo troppo pompato di Jacob, Embry, Quil, e di tutti quelli
dei presenti.
Insomma, la verità venne allora scoperta, il Capo Supremo
proibì i viaggi spirituali, in modo tale che nessun’altro tradimento si potesse
ripetere, e tutti vissero felici e contenti.
Billy poi raccontò che il Capo a causa la trasformazione non
invecchiava più, e che anche i figli potevano poi trasformarsi in lupi. Fu
allora che mi resi conto che i presenti, bene o male, erano tutti imparentati
tra loro, tutti erano i lontani nipoti del Capo Supremo e che l’attributo che
si davano,’fratelli’, non era solo per simpatia.
A questo punto, alcuni dei figli decisero di affiancare il
padre, e non invecchiare più, altri invece rifiutare la trasformazione e
morirono. Alla fine però, anche il Capo Supremo, che aveva vissuto per tre
generazioni, decise di morire con la sua terza moglie, rinunciando alla
trasformazione.
Billy si fermò e fu come se mi fossi svegliata da un sonno.
Con la fronte imperlata di sudore, Billy bevve da una bottiglietta, mentre il
racconto venne proseguito dall’anziano Quil. La voce
era diversa, ma possedeva la stessa cadenza e lo stesso ritmo del narratore
precedente.
Iniziò un’altra storia, dal titolo molto curioso, ma che
aveva dietro tutto un programma; il sacrificio della terza moglie. Capii subito
che la terza moglie, con la quale il capo dei Quileute
aveva deciso di passere gli ultimi giorni, avrebbe fatto una brutta fine.
Un brivido mi percorse la schiena quando capii che gli
antagonisti di questa nuova storia non erano più impostori della tribù, ma vampiri. O Freddi, come li chiamavano loro.
All’inizio erano una minaccia che non conoscevano; uccisero molte giovani della
tribù vicina e anche molti lupi, figli del Capo Supremo, a causa della loro
forza e della loro velocità, che veniva sottovalutata. Capirono cosa fossero
solo quando uno dei lupi che riuscii a sopravvivere portò al villaggio un
cadavere dalle sembianze di un uomo duro e freddo come la pietra. Anche se
ormai era a brandelli, le stesse componenti si muovevano da sole per
riattaccarsi e assemblare il corpo. Terrorizzati, i Quileute
scoprirono che l’unico modo per eliminarlo fosse dargli fuoco. Le ceneri poi
vennero divise in sacchetti e sparpagliate per il mare, o nascoste nella
foresta. Il Capo Supremo ne prese uno con sé, in modo tale da sapere se la
creatura si sarebbe riassemblata nuovamente. Sobbalzai, quasi fosse un attacco
di singhiozzo, quando Billy mostrò il sacchetto ce
aveva al collo.
Scoprirono che la creatura in questione uccideva la loro
gente per berne in sangue; fu così che li chiamarono anche Bevitori di Sangue.
La storia però doveva ancora cominciare; il Freddo non era solo, aveva una
compagna, in cerca di vendetta per la sua morte. A quel punto ebbi un piccolo
dejà-vu con Victoria e quel famoso segugio che voleva uccidere Bella, ma che
Edward aveva eliminato per primo.
La Fredda arrivò al villaggio, e tutti furono invaghiti dal
suo aspetto meraviglioso; da come l’anziano la descrisse, mi venne subito in
mente Rosalie. Uccise quasi tutti coloro che si trovavano nelle vicinanze,
compreso l’ultimo figlio-lupo. Saputo dell’accaduto, il Capo, ormai anziano,
affrontò la Fredda da solo. Il lupo era vecchio, quindi combatteva con
difficoltà.
Accadde però l’imprevisto; la terza moglie, che aveva appena
visto suo figlio morire, si avvicinò alla Fredda e con un pugnale si trapassò
il cuore.
A quel punto le braccia stringevano talmente le gambe al
petto che il respiro mi si fermò. La Fredda venne distratta ed il lupo poté così
ucciderla. Da quel momento il branco fu sempre preparato contro gli attacchi
dei Freddi; sapevano come combatterli e le tecniche vennero tramandate da lupo
a lupo. Seppur talvolta alcuni Freddi attraversassero il territorio, non ci fu
mai più una carneficina delle stesse dimensioni. I Freddi si presentavano
sempre in coppia, quindi il gruppo di licantropi si limitò sempre a tre membri
o poco più. Alla fine smisero di trasformarsi; l’avrebbero fatto solo in caso
di necessità, all’arrivo dei Freddi.
Finché non giunse un gruppo più grande, neanche tanto tempo
fa, che coinvolse i bisnonni dei licantropi qui presenti; erano i Cullen.
Carlisle però mise subito le cose
in chiaro, e promise al capo, Ephraim Black, avo di
Jacob, che non avrebbero attaccato, o ucciso nessuno. Lui gli
credette, anche perché i lupi erano in svantaggio numerico, i Freddi avrebbero
potuto eliminarli all’istante.
I Cullen non infransero mai il
patto, anche se la loro presenza attirava quella di altri vampiri. Era a causa
delle grandi dimensioni di questo clan, che da allora il gruppo di licantropi
aumentò di numero.
A quel punto la storia finì. Bhè,
non in questo modo; non facevo onore né a Billy, né al vecchio Quil. In realtà però la storia non era affatto finita,
perché la stavamo vivendo proprio adesso tutti noi.
Mi accorsi del sobbalzò di Quil, spaventato per il sassolino lanciatogli da Jared, che provocò risa generali. La mia mente tuttavia era
ancora persa in quel mondo così antico, ma che sopravviveva ancora oggi.
Sembravano storie raccontate ai bambini per far loro paura, ma non erano
nient’altro che dettagliati resoconti storici del popolo Quileute.
Non riuscii a non pensare a quei vampiri, così diversi dai miei genitori, dai Cullen, dai vampiri con cui avevo sempre vissuto che mi
veniva naturale chiamarli con un altro nome, Freddi, appunto. Non erano però
neanche così diversi dai Volturi, i vampiri che dovevo temere. Sembrava così
strano che in una stessa specie ci potessero essere così grandi differenze tra i
suoi membri.
Quei racconti furono davvero, molto, molto interessanti; non
sapevo se i vampiri avessero anche loro radici così profonde. Incoerentemente,
ascoltate le storie dei licantropi, mi assalì il desiderio di conoscere le
storie dei vampiri, come erano nati, come si erano diffusi. Mi sorprese che
papà non me lo avesse mai detto; forse perché non lo sapeva? Era ovvio che non
c’era la stessa trasmissione orale del gruppo dei
licantropi.
Non mi accorsi mai come in quel momento quanto licantropi e
vampiri fossero così diversi, non solo per aspetto
fisico; qualcosa mi aveva sempre spinto che, bene o male, essendo entrambe
creature non umane, avessero più o meno anche la stessa origine. Mi sbagliavo
completamente. Quello che avevo appena ascoltato mi spinse a fare strane e
profonde riflessioni sul modo con il quale vampiri e
licantropi creavano i proprio successori. Era come se la nascita di nuovi
vampiri fosse determinata da crudeltà, disinteresse, desiderio di sangue, da
uno spietato istinto predatore, davanti al quale non c’era scelta, come aveva
detto Rosalie. Per i licantropi, invece, era l’opposto; si trattava di una
trasmissione genetica, quindi era legato all’amore tra due persone, poi all’amore
per il proprio popolo, in quanto il gene si attivava per lo scopo di
difenderlo, ma veniva coinvolto anche l’amore fraterno che nasceva nel branco,
per non parlare dell’Imprinting.
Mi sembrava così strano che tra i licantropi ci fosse così
tanto amore, mentre i vampiri sembravano essere destinati a sopportare odio e
crudeltà, quando tutto l’amore che avevo provato fin’ora proveniva da due
vampiri. Ma proprio per questo credevo che i vampiri, almeno, quelli che si
facevano chiamare ‘vegetariani’ si dimostravano più forti dei licantropi,
perché ci voleva una forza immane per uscire da una situazione destinata al
rancore, per andare contro se stessi, ed ottenere un
po’ di felicità e di gioia, sentimenti di mondo non gli apparteneva più.
Uno starnuto fermò il flusso dei pensieri, riportandomi alla
realtà. Mannaggia, no! A causa di quel bagno in acqua mi sarebbe venuto come
minimo un raffreddore. Ma non me ne sarei mai pentita, per nessunissima ragione
al mondo. Vidi gli occhi neri e profondi dei due anziani osservarmi attenti.
Non capii cosa volesse significare; erano curiosi della mia reazione alla
storia?
Jacob mi sfiorò il braccio ed io sussultai. Mi ero
dimenticata di lui. Mi lanciò un sorriso ed indicò Bella vicino a lui. Si era
addormentata con il capo appoggiato al suo braccio. Con delicatezza la prese in
braccio.
“E’ meglio se adesso andiamo” sussurrò per non svegliarla. Guardai
l’orologio al polso; mancavano quindici minuti a mezzanotte. Mi alzai anch’io e
mi congedai dal branco di licantropo, che avevano ripreso a mangiare gli ultimi
avanzi di cibo e stavano litigando come affamati cuccioli troppo cresciuti.
“E’ stata una serata davvero speciale” dissi educata
avvicinandomi a Billy e al vecchio Quil.
“Come le hai trovate le nostre storie?” mi chiese Billy,
mentre insieme all’anziano Quil mi osservavano ancora
interessati.
“Mi hanno fatto pensare molto” risposi senza peli sulla
lingua. Billy si limitò a guardarmi fisso e accennò a quello che doveva essere
un sorriso.
Salutai anche gli altri licantropi ed i Clearwater, prima
di seguire Jacob nel suo garage.
Aprì la portiera della Volkswagen rossa e adagiò Bella sul
sedile anteriore, ancora immersa nel sonno. Nel mentre non potei fare a meno di
lanciare un’occhiata languida alla mia nuova auto, messa lì vicino. Strepitavo
all’idea di poterla guidare. Jacob chiuse piano la portiera e mi si avvicinò.
Lo guardai come fossi un cagnolino impaziente. Lui capì e con un sorriso tirò
fuori dalla tasca le chiavi della macchina. Fui senza respiro; non era contento
di avermi messo i dadi, doveva anche regalarmi il portachiavi con la palla da
biliardo giallo scuro con il numero uno. Sentii i miei occhi luccicarmi per la
commozione.
“Oh, Jake…” sussurrai.
“Oh, sì, continua ad adularmi, continua…” replicò lui
dandosi un sacco di arie.
“Jacob, io non posso non ricambiarti per l’auto” mormorai
cominciando a saltellare nervosa. Era davvero troppo.
“Ci hai messo anche i dadi!” esclamai a bassa voce
tenendomi la testa. Lui rise.
“Sii la mia migliore amica” rispose semplicemente. Io gli
sorrisi, ed annuii con la testa. Va bene, sarei stata anche la sua migliore
amica. Ma non solo…
“Allora, come ti è sembrata la serata?” Lo guardai con
espressione delusa.
“Ma non abbiamo ballato attorno al fuoco!” mi lamentai con
tono infantile.
“No, ma sarà quello che succederà al prossimo beach-party
a La Push” rispose lui sarcastico.
“Seriamente, le ho trovato molto
interessanti. E mi sono stupita di quanto amore c’è
nel tuo popolo rispetto…” Fermai il mio flusso di pensiero giusto in tempo. Non
ero sicura di condividere con qualcuno queste riflessioni, almeno non ancora. Lui
mi guardò confuso.
“Finisci il discorso” mi invitò curioso. Tentenni per un
momento, poi decisi di dirglielo, ma solo metà.
“Voi licantropi siete circondati dall’amore. Coinvolgete
l’amore tra due persone, perché è genetico, l’amore per il proprio popolo, l’amore fraterno, c’è poi l’Imprinting…”
Lo guardi titubante, come se avesse lo sguardo di uno che
si trova davanti a una pazza. Così però non fu; sembrava interessato dalla mia
osservazione.
“Insomma, mi sono accorto che voi licantropi siete molto
romantici” commentai per smorzare la tensione. Lui rise di gusto.
“Certo, siamo degli amorini!” Lui mi mise le chiavi
davanti agli occhi, ma le tirò indietro quando tentai di prenderle.
“Te le do solo se mi dici che tornerai presto” Era ovvio;
ero solo all’inizio dell’opera.
“Cosa credi? Che io sia davvero
tua amica? Non ti sei accorto che ti ho usato fino a questo momento solo per avere una macchina?” gli dissi invece sarcastica.
“Oh, come ho fatto a non accorgermene!” rispose lui, in
falso tono tragico.
“Contaci” gli risposi questa volta seria. Come promesso,
mi diede le chiavi. Prima di salire in macchina, non potei non dargli di nuovo
un abbraccio. Lui rispose sfiorandomi la testa con una mano.
“Grazie, Jacob” La mia voce veniva bloccata dal suo
petto.
“Quanto sei noiosa” replicò lui. “A dirla tutta, può
diventare inquietante quest’Abi dolce e tenera.” Mi staccai con un sorriso.
“E il bacio non me lo dai?”
chiese, abituato troppo bene da quando poche ore fa avevo reintrodotto il
‘contatto lupesco’. Io mi avvicinai, mentre lui esponeva la sua guancia scura.
Invece del bacio, come ben gli stava gli diedi una grande slinguazzata. Lui si
ritrasse disgustato.
“Credevo che per voi lupacchiotti tanto amorevoli questo è
il modo di darvi un bacio” mi giustificai innocente.
“Vattene prima che ti prenda!” mi minacciò lui, ridendo e
pulendosi il viso. Con un sorriso salii in macchina e partii verso casa.
Da non so quanto tempo mi sentivo così felice! Era stata
la serata più emozionante della mia vita! Avevo finalmente la macchina, ero
stata coinvolta dalla magia dei Quileute e avevo
passato una serata mai avuta prima con Jacob! Dovevo ammetterlo, non era
successo niente di speciale e all’inizio avevo avuto molte difficoltà
nell’ingranare. Ma alla fine era stato così spontaneo e così facile vivere dei
momenti speciali con lui, senza pensare in negativo, senza la sensazione che
lui non ricambiasse.
Mi sentivo leggera e davvero non riuscivo a togliermi
dalla faccia un sorriso ebete, mentre lo stomaco mi si rivoltava. L’ebbrezza
poi di guidare finalmente la mia nuova auto mi faceva scoppiare! Ero abbastanza
strana da comportarmi da pazza quando raggiungevo livelli così alti di
felicità. Di solito iniziavo a cantare la Macarena.
Iniziai di conseguenza a mormorare le parole della canzone, mentre scuotevo
il capo a destra e a sinistra.
Arrivata al confine chi mai potevo incontrare? Proprio
lui, con la sua Volvo sul ciglio della strada, ad aspettare la sua Bella. Forse
in realtà non se n’era mai neanche andato. Ero così felice che la sua
espressione seccata mi scivolò addosso.
Arrivai al garage e con sorpresa mi accorsi che Emmett e Rosalie, insieme ad Alice e Jasper erano lì,
mentre guardavano con curiosità la Cadillac. Alice doveva averli avverti che sarei arrivata e dal suo viso immaginavo che avesse
visto anche in che stati.
Spensi il motore e scesi; come con Edward, mi scivolarono
anche le loro reazioni.
“E’ la mia nuova macchina” esclamai sempre un sorriso a
trentadue denti.
“Non male” commentò Rosalie, stranamente presa più dalla
macchina, che da me. A differenza di Alice, che mi guardava a bocca aperta.
“Cosa hai fatto hai capelli!”
esclamò lei, prendendosi la testa con le mani e guardando sconvolta il suo
lavoro “E i vestiti! Hai rovinato tutto!” La sua disperazione mi entrò in un orecchio e uscì dall’altro.
“Dai, dai, con quanti di loro te la sei fatta?” esclamò Emmett con un sorriso al pari del mio.
“Me li sono sbattuta tutti quanti. Tutti
contemporaneamente, e in acqua” gli dissi in tono di sfida, presa dall’euforia.
Lui proruppe in una sonora risata.
“Ad occhi chiusi e su un piede solo” completò lui,
sarcastico.
“Ben detto” gli risposi, dirigendomi in salotto, in preda
alle risate.
L’unico che non disse una parola fu Jasper. Mi guardava in
modo piuttosto strano; come appunto fossi pazza. Ma scivolò anche quello. In
salotto incontrai invece mamma, papà, Carlisle ed Esme. Erano intenti in una conversazione che interruppero
quando entrai. Tutti e quattro mi lanciarono uno sguardo stupito, molto
probabilmente per come ero conciata. Mi diressi con la leggerezza di un
ippopotamo verso camera mia, poco importandomi della presenza di quei quattro
vampiri. Forse qualcuno di loro mi disse qualcosa, ma scivolò anche quello.
Ancora con la mente persa nei miei momenti magici, mi feci
una doccia e mi infilai sotto le coperte. A dormire? Neanche per idea; non ci
sarei riuscita. A ripensare ancora, ed ancora a quello che era appena successo.
Mi accorsi che qualcuno si era seduto sul mio letto. La
mia testa fuoriuscì dalle lenzuola. Mia madre e mio padre mi guardavano
straniti, ma stavano sorridendo tutti e due.
“Ti sei divertita, a quanto pare” Io annuii con foga,
sempre con un sorriso stampato. Mi alzai e presi la mano a papà.
“Ha funzionato! Quello che hai detto ha funzionato! E’
stato… bellissimo!” Mio padre me la strinse, ma quella nota di
indecisione e di preoccupazione non volevano scomparire.
“Ah… son…sono contento” disse alla fine, estremamente
indeciso. Mamma lo guardò di sottecchi.
“Cos’è che gli avresti detto?” Lui fece spallucce.
“Di comportarsi in modo più… spontaneo” sintetizzò lui.
“Tu?” chiese scettica.
“Gli ho presentato il mio lato da casanova” Mia madre fece
una risata che sembrava il risuono di campanellini.
“Perché diavolo ridi ogni volta?” esclamò mio padre, anche
però lui sorridente.
“E’ stato… bellissimo” mormorai di nuovo, la mente ancora
immersa nei ricordi.
“Hai fatto pace con il tuo amico?” chiese mia madre. Io
annuì e lei sorrise sincera.
“Che peccato” sussurrò, questa
volta facendolo apposta, papà.
“Dai!” esclamai dandogli uno spintone che non lo mosse di
un millimetro.
“Sono felice che tu sia di nuovo felice” disse mamma.
“Siamo felici” la corresse papà.
“Lo sono anch’io” sospirai anch’io.
“Notte, Abi” mi disse prima papà, poi mamma.
“Buona notte anche a voi” risposi imbucandomi sotto le
coperte, senza accorgermi della loro smaterializzazione.
Fu estremamente difficile addormentarmi; lo stomaco era
ancora contratto e il viso di Jacob non riusciva a dissolversi. Come neanche
quegli occhi fiammeggianti, impressi nella mia mente a fuoco, appunto.
Il giorno dopo mi svegliai con un mal di testa da leoni.
Sapevo di aver sognato, ma non mi ricordavo cosa; speravo non fosse un bel
sogno, allora. Dalla parete-finestra vedevo il cielo grigio e plumbeo che mi
trasmise una grandissima voglia di rimanere nel letto a dormire. Cercai di
pensare, ma il mal di testa mi diede una scossa orribile; era così forte che mi
faceva male persino pensare. Mi misi a sedere; per poco non persi l’equilibrio
e ricaddi giù. Dopo quel piccolo momento di defaillance
mi misi in piedi e tutto andò meglio. Mi accorsi solo allora di avere il naso
totalmente tappato e di respirare solo con la bocca. Cercai di liberarlo un po’
soffiando su un pezzo di carta igienica, ma rimaneva ancora chiuso. Cazzarola, avevo preso il raffreddore. Mi andai quindi a
lavare la faccia; mi accorsi che ero verde. Non erano le luci; in quel bagno
c’era l’illuminazione giusta per girare un film. Ero proprio verde. Mah,
proprio verde, no. Diciamo bianca, sfumata sul verde. Gli occhi erano rossi,
come se fossero irritati, e lacrimavano, mentre il naso a patata, già grosso di
per sé, ora era più grande. Tenendo conto che a causa del naso tappato dovevo
tenere la bocca aperta, sembravo un pagliaccio. Facevo davvero schifo; avevo
una pessima cera. Non era affatto normale. Mi toccai la fronte con la mano, per
vedere se avevo febbre. Non riuscii a capirlo, la mano era
troppo calda. Andai in camera mia e presi il termometro dal cassetto. Era uno
di quelli super-tecnologici che mi aveva dato papà, quindi seppi subito la mia
temperatura. Merda. Avevo quaranta di febbre. E dire che non me li sentivo.
Persi di nuovo l’equilibrio, cascai all’indietro e feci un atterraggio di
fortuna sul letto. Come non detto; ce li avevo tutti quanti. Il mio sguardo si
posò sul calendario vicino allo specchio. Era lunedì 4 giugno. La sorpresa mi
fece trattenere il respiro e questo provocò un forte attacco di tosse.
Raffreddore, febbre, vertigini, tosse, mal di testa; ci mancava solo un po’ di
vomito e diarrea ed ero apposto.
Cazzarola alla seconda! Giovedì
ci sarebbe stato il saggio dei bambini. Ed io ero ammalata. No, no, no. Domani
era l’ultima lezione e non potevo mancare alle prove generali! Anche se sarebbe
stata una cosa molto informale, dalla durata di due minuti di numero, alla fine
dell’ultima lezione dell’anno. Mi presi la testa con le mani. Adesso che
facevo? Dovevo cercare di fingere di stare bene. Ah, impossibile, con due
vampiri-medici che fiutavano la malattia come fosse sangue.
Non c’era niente che potevo fare; dovevo arrendermi e
rimanere a casa. Mi trascinai sotto le lenzuola e lì stetti. Sapevo che tra
poco sarebbe venuta mia madre o mio padre per vedere come stavo. Mi sbagliai;
arrivarono tutti e due. Per quell’occasione si fecero sentire, non entrarono di
soppiatto.
“Abi, tutto ok?” chiese la voce di mia madre. Io emersi
dalle lenzuola, in tutto il mio splendore.
“Ah” esclamò lei comprensiva “Sì, oggi è meglio se stai a casa”
“E’ di oggi?” chiese mio padre,
con il mano il termometro. Io annuii piano. Mamma si rannicchiò vicino a me e
si mise ad accarezzarmi la fronte. Sembravo essere regredita all’età di cinque
anni, ma a me andava benissimo.
“Ti sta bene. E’ colpa del bagno di
ieri” commentò lei.
“Ma ne è valsa la pena” Quasi non ci credetti che era la
mia voce, tanto era roca. Mio padre mi mise una mano fredda sulla guancia, per
darmi sollievo.
“Hai solo febbre?”
“Mal di testa, raffreddore, vertigini. E
tosse” mugugnai.
“Vomito o diarrea?”
“Aspetta cinque minuti e verranno anche quelle” Almeno il
mio senso dell’umorismo era intatto. Non c’era però
niente da ride; non avevo fame di prima mattina, e questo era già un grave
sintomo.
“Ti porto qualcosa questo pomeriggio” concluse mio padre
alzandosi, seguito da mia madre, in divisa da lavoro.
“Prima no?”
“Sarà la tua punizione per esserti buttata stupidamente
nell’acqua gelida” Quando lo disse aveva uno strano sorrisino sul viso. Se non
avessi già avuto la bocca aperta, lo sarebbe diventata. Come! Lui mi aveva
detto di aumentare il contatto! Perché adesso me lo stava rinfacciando?
“Ma…”
“E’ tardi Abi, dobbiamo andare” mi interruppe mia madre,
prima che iniziassi a parlare.
“Oggi Carlisle ha il giorno
libero. Gli dirò che non stai bene. Se ti serve
qualcosa chiedi pure a lui” mi rassicurò papà. Io rinunciai a parlare e mi
limitai ad annuire sconsolata. Se ne andarono, dopo un ultimo bacio sulla
fronte da parte di mamma.
Io sprofondai nelle lenzuola. Che tipo, che era papà.
Prima mi aiutava a conquistare gli uomini, poi mi rimproverava. Credevo che in
lui vivessero due personalità; il perenne padre possessivo, quello che avevo
conosciuto, ed il casanova morto e sepolto che mi aveva fatto scoprire
occasionalmente. Ormai mi ero abituata a questa figura che spargeva perle di
saggezza sull’amore come fossero caramelle. E forse stavo proprio sbagliando se
credevo che lo avrei incontrato di nuovo. Sconsolata mi rannicchiai ed iniziai
a pensare alla serata di ieri, con vano successo, in quanto la testa tornò a
pulsare. Pensai allora a cosa avrebbe detto Jacob se mi avesse visto in quegli
stati; ma la testa ancora non era d’accordo.
“Carlisle” mormorai rochissima. Lui,
educato, bussò prima di entrare. Credevo che sarei riuscita a convincerlo a
darmi un po’ di paracetamolo.
“Tutto bene, Abigail?” chiese
con il suo tono cortese.
“Mi potresti dare un po’ di paracetamolo, per cortesia?”
cercai di fare gli occhi grandi. Come conseguenza, si misero a lacrimare;
perfetto, gli avrei fatto ancora più pena. Difatti lui mi guardò con grande
ansia.
“Tuo padre ha detto che te lo porterà più tardi” commentò
poco deciso. Io rincarai.
“Credo che stia peggiorando” mentii alla grande. Sì, lo
so, avevo detto basta alla bugie, ma era in gioco la
mia salute, questa volta. E così, per una scusa o per l’altra, le balle
venivano fuori lo stesso. Lui però abboccò.
“Vado a prenderti qualcosa” Il secondo dopo aveva un
bicchiere d’acqua in mano con un po’ di paracetamolo sciolto dentro, mentre lo
stava mescolando con un cucchiaio.
“Grazie, Carlisle” dissi,
prendendo il bicchiere. Almeno il mal di testa sarebbe passato di un minimo.
Lui mi lanciò uno splendido sorriso e fu in quel momento che mi parve uguale a
quella piccola figura nel quadro di papà.
“Misurati la febbre tra un’ora. E per qualsiasi altra cosa
chiamami. Ora prova a dormire.” Io annuii con la testa, indecisa se cambiare
medico o no. Mi rimboccai sotto le coperte e cercai di rilassarmi. All’inizio
continuai ad avere freddo, poi la medicina entrò in circolo e l’ondata di caldo
mi spinse a togliermi le coperte. Fu allora che la testa cominciò a dolermi di
meno. Così potei sognare bellissimi sogni che quando
mi sarei svegliata, avrei ricordato.
A tutti coloro che dal quinto
capitolo aspettavano un po’ di romanticismo tra i due, che non veniva mai, dopo
dodici infiniti capitoli, eccovene un assaggio, in
questo capitolo dedicato, più o meno, a loro due!
E’ stata dura, ma alla fine, la vecchia Abice l’ha fatta! Allora, vi
piace questo suo nuovo aspetto dolce e tenerone,
oppure preferivate quello più da maschiaccio? Ma
nonostante tutto, i suoi pensieri, rimangano pazzoidi
e fuori dal comune.
Forse il riassunto delle storie dei Quileute
era meglio se non lo mettevo, lo conosciamo tutti, ma saltarlo
e riassumerlo tutto in una frase non mi andava proprio.
Mi ha fatto molto piacere che molti di voi, commentandomi,
abbiano apprezzato l’idea che Abigail e Breesiano amiche (eh…eh…eh…, che
idea malvagia) e mi sono sorpresa che vi sia piaciuto sapere che il padre di Abigail, era un casanova; a differenza della precedente, quest’idea mi era venuta improvvisamente arrivata alla fine
del capitolo (in origine lei avrebbe dovuto confessare a Jacob
che era innamorata di lui, tanto per capirci) e non immaginavo come voi
l’avreste presa. Quindi sono contentissima che vi sia
piaciuta!
Bhè, per me questo è uno dei
capitoli più belli. Spero lo sia anche per voi! Ringrazio, come faccio sempre
da un po’ di tempo a questa parte, tutti coloro che
hanno commentato, messo questa fan fiction nei ricordati, seguiti e preferiti e
letto fino a questo diciassettesimo capitolo!
Ci becchiamo nel prossimo capitolo! Vi voglio bene! Un
bacio a tutti quanti!
X MoonLight_95:
Spero che anche questo capitolo abbia rispettato le tue aspettative!
Per quanto riguarda la Bella della tua storia, non mi
stupisce che sia OOC, tenendo conto del grande amore che covi per lei! E per questo non vedo l’ora di vedere come sarà, quindi ti
conviene pubblicare presto!
Baci!
X Kianna: Grazie per il
commento! Sì, sì, adesso le cose si complicano finalmente e si fanno anche più
interessanti (come puoi vedere da questo capitolo)! Grazie mille ancora! Un
bacio!
X nes_sie: Ah, bé! Come dire,
forse ti saresti aspettata qualcosa di diverso come ‘tecniche di seduzione’,
niente di così strampalato! Ma spero che ti sia
divertita! Ancora grazie infinite per il commento! Bacio!
X mylifeabeautifullie: A quanto pare, di fortuna ne aveva tanto bisogno, la cara Abigail XD Bhè, dai, un po’ te lo
aspettavi che tra Abi e Jake
sarebbe successo qualcosa del genere, no? : )
Grazie ancora mille per aver commento! Spero che anche
questo capitolo ti sia piaciuto! Bacioni e alla
prossima!
X __cory__: Lo sai una cosa? Adoro i tuoi commenti! Perché
oltre a farmi complimenti, che apprezzo davvero tanto, mi esprimi
anche i tuoi dubbi e mi fai notare le cose su cui non sei d’accordo, che penso
siano per il mio ruolo di scrittrice molto utili, e che soprattutto dimostrano
che sei davvero interessata alla storia (Grazie mille!!!!).
Concordo con te, non ci sarei andata a La Push neanch’io. Non sarebbe stato molto educato e sarei stata
inappropriata. Ma a differenza di noi due, Abigail è
solita dimenticare spesso l’educazione! E non si è fatta manco un problema. Bon,
forse un po’ alla fine, ma niente di più : )
Per quanto riguarda Bella, hai ragione, rileggendo il
capitolo ho avuto anch’io questa sensazione che mentre scrivevo il capitolo non
avevo avuto. Si è dimostrata priva di tatto, ma dopotutto, la sua azione è un
po’ giustificata: voglio dire, Edward se ne va e lei riesce a trovare
inizialmente il suo appiglio in Jacob, poi ritorna Edward che le vieta di stare
con lui. Adesso Edward le permette di andare a La Push, a patto che venga anche
Abigail. A questo punto, la comprenderei se ha
chiamato Abigail per assicurasi
che ci fosse anche lei. Secondo me non l’ha fatto con cattiveria, o
menefreghismo; sì, si è dimostrata sgarbata, ma non credo non l’abbia fatto apposta, insomma.
Cooomunque, per quanto riguarda
che cosa succederà con Bree, ti consiglio di farti
pure guidare dal tuo intuito, che sei sulla giusta strada,
ragazza!
Bhè, spero che anche questo sia
stato di tuo gradimento! Grazie ancora tantissimo per i tuoi commenti molto
costruttivi! Un bacio grande e alla prossima!
X Franny97: Ti dico subito che ho trovato molto
inquietante la tua recensione scritta in prima persona XD Ma,
Abi, mi sa che mi ci devo abituare XD!
C’è una frase che ha colpito la mia attenzione: ‘anche se personalmente ho qualche dubbio a riguardo’, riferendoti a Jacob. Ma come! Non essermi così pessimista! Certo, potrebbe
essere, come anche no! Ma non buttarti giù! La
speranza è l’ultima a morire! E poi c’è stata quest’altra
frase qua, ‘Non avevo pensato neanche a Jacob che ha tutti stiproblemi’, che mi ha fatto sghignazzare parecchio, perché
effettivamente Abigail la dirà nei prossimi capitoli,
anche se messa in modo molto diverso, e riferita a cose che si vedranno (sto
facendo al misteriosa, ma non mi viene bene XD). E ancora una volta mi hai
dimostrato di essere lei XD.
Inoltre, se sei convinta di recensire fino alla fine, bhè, allora ti consiglio di armarti di pazienza finita,
perché sarà mooolto lunga come fan
fiction.
Tornando seri, grazie tantissimo
per aver commentato e per commentare anche in futuro! Sono contentissima che tu
ti sia affezionata così tanto alla mia storia! Ti mando un grandissimo bacio!
Quei due occhi si erano trasformati in fiamme; ardevano
tanto quanto il fuoco che c’era dentro di lui. Non capii che cosa esprimessero;
né rabbia, né dolore, neanche gioia o tristezza, ma non erano nemmeno
inespressivi.
Questa volta non venne nessun getto di acqua gelida a
lambirmi le gambe. Il suo viso si fece più vicino. Io rimasi immobile; sapevo
quello che voleva fare, e non feci niente per assecondarlo.
Sfiorò le mie labbra con le sue; sentii i brividi che mi
percorrevano la schiena. Erano morbide e sapevano di buono; non riuscii a
resistere e le morsi. Avevano il sapore del mare. Lui aumentò il contatto e
premette con foga la bocca sulla mia. Mi lasciai trascinare dai suoi gesti. I
palmi delle sue grandi mani aderirono alla mia schiena, ricoprendola quasi
tutta, mentre io cinsi le sue guance, per avvicinarlo a me. Mi passò la lingua
sulle labbra e risi per il solletico.
“Abigail” sussurrò con voce ardente, passionale. Quelle
sua voce baritonale mi eccitò. Aumentai il contatto e cercai la sua lingua con
la mia. Lui si staccò.
“Abigail?” La sua voce era strana; non era la sua, ma mi
era comunque famigliare. Non ci badai e continuai, ma lui me lo impedì. Toccò
la mia guancia con la mano; non era calda, era tiepida. Cominciò ad
accarezzarmela.
“Abigail” mormorò lui, con uno sguardo eccessivamente
troppo seducente. La pressione di quelle carezze aumentò, tanto da potermi
stordire.
Fu così che mi ritrovai nel mio letto, al caldo sotto le
coperte. Il mio unico pensiero era dove fosse finito Jacob.
“Finalmente ti sei svegliata” mi voltai ancora
addormentata verso quella voce. Mio padre mi stava accarezzando la guancia con
la mano, per darmi un minimo di sollievo dalla febbre.
“Hai dormito un giorno intero, lo sai?” mi disse con un
sorriso. Quel sorriso perché non te lo metti…
Era un sogno, solo un sogno. Mi rannicchiai sotto le
coperte, terribilmente delusa.
“Tieni, misurati la febbre. Ti è sicuramente scesa”
continuò lui, porgendomi il termometro. Io lo presi sgarbata e me lo misi in
bocca.
“Come sei scorbutica la mattina” commentò lui raggiante.
La sua felicità poteva andarla a mostrare a qualcun altro; ce l’avevo
terribilmente con lui. Ero incavolata nera, e lo sarei stata almeno fino a
quando non mi sarei svegliata del tutto. Cavolo, faceva il paranoico nella
realtà, perché doveva disturbare anche i miei sogni! Non lo sopportai proprio.
Papà mi prese il termometro dalla bocca e gli diede una veloce occhiata.
“Trentasette e mezzo. Se ti scende questo pomeriggio,
domani puoi tornare a scuola” Io borbottai, nascondendomi sotto le coperte,
facendo l’antipatica.
“Quanto sei pigra, quando vuoi!” esclamò esasperato,
uscendo dalla mia porta.
Chiusi gli occhi con lo splendido proposito di riprendere
il sogno da dove lo avevo lasciato. Purtroppo non ero fatta così: quando ero
sveglia, ero sveglia.
Automaticamente mi alzai dal letto e andai in bagno a
lavarmi. Bastò un po’ di acqua gelida sulla faccia. Continuai a pensare al
sogno appena fatto, senza più bramarlo, anche se con papà ce l’avevo ancora.
Non era di certo la prima volta che sognavo Jacob, ma non avevo mai fatto un
sogno del genere, che in più mi era perversamente piaciuto. Quella volta avevo
proprio trasgredito. Inoltre me lo ricordavo ancora adesso precisamente, mentre
di solito i sogni non li ricordavo mai. Chissà perché succedeva solo con Jacob.
Smisi di fantasticare e tentai piuttosto di fare mente
locale; papà aveva detto che avevo dormito un giorno; caspita! Tornai in camera
e fissai l’orologio; di fatti erano le otto di mattina. E oggi, martedì,
c’erano le prove generali di break; bene o male, sarei andata in quella dannata
palestra, con o senza febbre. Intanto andai in cerca di una tuta da mettere per
stare in casa; ero stufa di rimanere chiusa lì dentro ad annoiarmi, e stavo
abbastanza bene per sapere cosa succedeva nel mondo al di fuori della mia
enorme stanza. Mi mossi e le ossa mi dolsero, facendomi sentire un’ottantenne;
avevo dormito troppo e questi erano i risultati. Il naso era ancora un po’
chiuso, e la testa mi faceva ancora un po’ male, ma per il resto stavo bene.
Anche l’arrabbiatura con papà era passata.
Scesi quattro rampe di scale senza neanche ammazzarmi ed
raggiunsi il salotto, dove avrei sicuramente trovato qualcuno. Carlisle, Esme,
Jasper ed i miei genitori guardavano il telegiornale a senza volume, in
pratica; c’era un servizio sulle uccisioni a Seattle. Alice stava seduta
sull’ultimo gradino della scala, un’espressione sul viso di assoluto sconforto,
come una bambina che non aveva ricevuto nessun regalo a Natale.
“La Bella Addormentata si è finalmente svegliata?” Ora che
avevo dato corda ad Emmett, lui non perdeva occasione di sguinzagliare tutto il
suo repertorio di battutine.
“Sì” mormorai secca.
“Abigail, stai bene? La febbre ti è scesa?” chiese mamma,
alzandosi e prendendomi le guance con le mani. Io feci un passo indietro,
imbarazzata da tutto questo contatto di fronte ad altre persone. Mamma non ci
faceva mai caso, ma io sì.
“Sì, certo” l’assicurai prendendo le sue mani e
stringendole tra le mie. Tornai poi a spostare l’attenzione su Alice.
“Alice cosa c’è?”
“C’è che non vedo più” mormorò sconfortata, guardando un
punto indefinito sul pavimento “Se non facciamo niente, non riesco a vedere
niente, ma per agire aspettate che io veda…” sconfortata, tornò a isolarsi nel
suo modo. Mi fece una pena.
“Papà, tu non senti niente?” domandai a lui. Lui scosse la
testa, sempre con gli occhi fissi sul video.
“Non capisco cosa ci sia da aspettare”
“Una mia visione. È probabile” sussurrò Alice di nuovo “Edward
e Bella arriveranno tra poco.” Bhè, almeno qualcosa da vedere ce l’aveva.
Sul tavolo al centro del salotto notai il giornale del
giorno, sempre il ‘Seattle Times’, e lo lessi. Il titolo ‘Morte e terrore a
Seattle’ era tutto un programma. I numeri si facevano sempre più alti, e
attiravano sempre più l’attenzione. E i Volturi si facevano sempre più vicini.
Qualcosa a questo punto si doveva fare, e alla svelta.
Sentii la porta d’ingresso aprirsi e Bella ed Edward
entrare. Emmett non risparmiò neanche Bella dalle sue battute, che qualche
volta non facevano neanche ridere, a dire il vero. Io mi andai a sistemare sul
divano tra mamma e papà, curiosa di ascoltare la conversazione del giorno e del
perché Bella, particolarmente nervosa, si trovava lì e non a scuola. Senza che
niente si fosse programmato, forse stava iniziando una specie di riunione
generale sul da farsi? A prendere la parola fu Edward.
“Credono sia un serial killer” disse, indicando con il
mento la televisione. Bè, non c’erano poi andati così lontani, dopotutto.
“Alla CNN non hanno fatto che parlare di questo” gli
rispose Carlisle pensieroso. “Dobbiamo fare qualcosa”
“Va bene, facciamo qualcosa” esclamò Emmett entusiasta
“Non ho niente da fare.”Sentii un
bisbiglio provenire dai piani alti. Rosalie, dedussi, l’unica che non era
presente.
“Che pessimista!” brontolò con sarcasmo. Finalmente anche
Rosalie entrò, inespressiva e con tutta la sua bellezza. Ora eravamo al
completo.
“Non abbiamo mai affrontato situazioni del genere. Questo
non è compito nostri, ma dei Volturi” scosse la testa Carlisle. Cominciai a
preoccuparmi anch’io. Non mi ero mai resa conto della gravità della situazione,
ma se anche un vampiro che non fosse uno dei miei genitori, era teso, voleva
dire che un po’ dovevo preoccuparmi anch’io.
“Vorrei evitare che lo facessero, Carlisle” intervenì mio
padre schietto.
“Per non parlare di tutti quegli innocenti. Non c’entrano
niente noi” si intromise Esme comprensiva.
“Ah, giusto. Questo mi era sfuggito. Se fosse così, le
cose sono più complicate” disse all’improvviso Edward verso Jasper. Lo guardai
curiosa di sapere cos’avesse appena pensato.
“E’ meglio se lo spieghi agli altri” suggerì, mentre
iniziò a camminare fissando il pavimento. Assomigliava tanto a papà.
“Cosa sta blaterando?” chiese curiosa Alice a Jasper, ora
vicina a lui.
Jasper si sentì per un attimo a disagio ad essere al
centro dell’attenzione. Guardò in faccia ciascuno di noi, dubbioso sul da
dirsi.
“Sei agitata” sottolineò calmo, guardando Bella. Bella
scoperta, era da quando era entrata che era un fascio di nervi. “E anche tu”
disse poi guardando me. Bhè, agitata era una parola grossa. C’era da dire che
poi l’articolo del giornale non aveva affatto aiutato.
“Lo siamo tutti” rispose al posto nostro Emmett, che per
una volta faceva il serio.
“Prima loro devono sapere, Emmett. Sono con noi, ora” gli
rispose Jasper, riferendosi a Bella, a me. Fece un respiro profondo prima di
rivolgersi a noi.
“Cosa sapete di me?” ci chiese. Emmett sbuffò e si sedette
sul divano, in modo molto teatrale.
“Non molto” rispose Bella.
“Niente” dissi io, guardandolo confusa per quella domanda
che apparentemente non si collegava con il resto del discorso. Jasper guardò
Edward.
“No, sai il perché. A questo punto, però, forse è meglio”
rispose lui.
Jasper annuì e si alzò le maniche del maglione bianco,
avvicinandolo alla luce di una lampadina. Dall’espressione confusa che fece
Bella, non le notò subito. A me invece saltò subito all’occhio il leggero
accenno di ombre che si intrecciavano l’una all’altra. Soprattutto riconobbi a
cosa e a quante erano dovute. Automaticamente la mia mano scivolò sul collo, a
toccare la mia. Non tentai nemmeno di contarle.
“Jasper, hai una cicatrice come la mia” sospirò Bella. La
sua mano teneva il polso.
“Non solo una” La mia voce fu talmente traballante che
sembravo terrorizzata. Jasper però conosceva le mie emozioni e difatti sapeva
che non era così. I suoi occhi guizzarono su di me e tornai ad essere più
tranquilla. Sapevo come se l’era procurato, conoscevo il dolore, ci ero passata
anch’io. Quello che non riuscii a fare era moltiplicare quel dolore per il
numero di quello cicatrici.
“Jasper, cosa ti è successo?” sussurrò in un sospiro
Bella, che aveva finalmente capito.
“No, Bella” dissi, con gli occhi incollati su quelle
cicatrici “La domanda giusta è: Jasper, come fai ad essere ancora vivo?” Gli si
dipinse un ampio sorriso amaro dal grandissimo contrasto.
“Me lo sono spesso domandato” rispose malinconico.
“Perché?” chiese Bella impaurita. Se la stava facendo
addosso dalla paura, ma io non ero da meno. Riuscivo a malapena a immaginare
cosa fosse successo quando era accaduto. Entrambe continuammo a guardare quel
macabro puzzle di morsi come ipnotizzate, che bastò per farci dimenticare per
un momento quello che stava succedendo a Seattle.
“Non ho avuto lo stesso passato dei miei fratelli.” Il suo
tono cambiò, diventando quasi duro. Non era difficile supporre che fossero
memorie dolorose da ricordare e troppo impresse per dimenticare. Riuscì a
catturare completamente l’attenzione mia e di Bella. Gli altri invece tornarono
a farsi i cavoli propri; Carlisle ed Emmett alla TV e Alice vicino a Esme, come
se quello che stava per raccontare Jasper fosse una storia sentita e risentita.
Solo Edward sembrava interessato, ma più che a Jasper, alle reazione e alle
emozioni di Bella, che riusciva a cogliere nei dettagli grazie al potere di
Jasper. Mi stupii che anche i miei genitori non stessero a sentire; mi sembrava
strano che non provassero un minimo di interesse. Difatti anche mio padre tornò
alla televisione mentre mamma si alzò per andare in cucina.
“Sanno già tutto” mi chiarì Edward per lasciare spazio a
Jasper più presto possibile. Io annuii, facendomi appena distrarre dalla sua
voce.
“Prima di spiegarvelo, dovete conoscere parte della storia
di noi vampiri” continuò Jasper, rispondendo alla domanda di Bella. “In alcuni
luoghi in media la vita dei vampiri non dura secoli, ma settimane.”
Evidentemente, pensai, perché si scannavano tra di loro.
“Al mondo ci sono luoghi dove a noi vampiri piace vivere
più che in altri. Luoghi dove possiamo nutrirci inosservati, dove la
popolazione è più fitta.” Sentii Bella vibrare vicino a me alla parola
‘nutrirci’; se si spaventata così tanto per così poco, quando Jasper sarebbe
arrivato al dunque era probabile che sarebbe svenuta.
“Nel Nord viviamo perlopiù come nomadi, cerchiamo di
essere invisibili agli occhi degli umani. Nel Sud invece quelli della nostra
specie si comportano in modo del tutto diverso. Poco gli importa di essere
visti dagli umani; l’unica vera minaccia rimangono i Volturi. Numerosi clan di
vampiri combattono tra di loro per conquistare le zone più popolate o per
difendere le proprie da altri gruppi. Passano giorni interi a ideare strategie
contro i loro nemici.” Bella sembrava abbastanza confusa, ma io credevo di aver
capito. Me ne aveva parlato papà tempo fa, ma me lo ricordavo bene.
“Stai parlando della guerra del Messico, non è vero?” lo
interruppi senza pensare. Lui si fermò e mi guardò con una certa curiosità
nascosta.
“Cosa sai della guerra del Messico?”
“Gliene ho parlato io” si intromise papà, diventando per
un attimo interessato al discorso. Rimasi sbalordita dal suo tono di voce
titubante.
“Ci sei stato?” gli chiese Jasper monocorde. Mio padre
fece un respiro profondo prima di continuare.
“Facevo parte della guardia dei Volturi, quando vennero in
Messico” ammise con un po' vergogna. Jasper spalancò gli occhi dalla sorpresa;
io osservavo prima papà, per poi passare a Jasper, confusa da quella
conversazione.
"Vuoi… vuoi finire di raccontare tu?" disse
Jasper, con un certo rispetto nella voce. Papà scosse violentemente la testa.
"No, continua pure tu" mormorò lui, tornando a
vedere distratto la tv. Rimasi a guardare fissa per alcuni secondi papà, prima
di tornare a Jasper.
“Cosa sai
esattamente della guerra in Messico?” riprese Jasper, continuando a guardarmi
con quella nota di curiosità. Per un attimo mi imbarazzai ad essere al centro
dell’attenzione.
“E’ stata una delle guerre più feroci nel mondo dei
vampiri perché per la prima volta ciascun clan per eliminare il rivale…” Questa
volta mi bloccai anch’io, incerta su quello che stavo per dire. Ripresi subito
coraggio e continuai.
“…trasformava gli esseri umani in vampiri con l’unico
scopo di formare un esercito di neonati.” Mi fermai un attimo per respirare;
papà mi aveva raccontato molte cose, ma se c’era una che sapevo a memoria era
cos’erano i neonati. Mi voltai questa volta verso Bella, che mi guardava
confusa.
“I vampiri appena nati sono decisamente più forti e veloci
di quelli più anziani, perché nei loro corpi c’è ancora il vecchio sangue
umano. Per questo questi eserciti erano così micidiali. Ma sono anche molto
inesperti ed istintivi, non sanno gestire la loro forza e la loro velocità, per
questo non è impossibile sconfiggerli. E sono incontrollabili, vittime della
loro sete; ci vuole un niente affinché perdano il controllo e diventino più
dannosi che utili. Sono necessarie molte risorse per mantenere un esercito
anche solo di dieci membri; è necessario nutrirli, saperli usare, ed…
eliminarli allo scadere dell’anno di età, perché… troppo deboli. Ne morirono e
ne vennero trasformati così tanti che gli umani diedero la colpa ad una
pandemia.”
Mi accorsi di nuovo delle differenze tra licantropi e
vampiri; i primi uniti per battere un nemico in comune, per amore versi i
propri simili, i secondi divisi per distruggersi a vicenda, in preda unicamente
dell’ingordigia del potere. E della sete; questo era quello che faceva la
differenza più grande.
Non negai di aver parlato in modo insensibile; anzi,
durante tutto il discorso ero stata in perenne disagio e Jasper era il primo ad
accorgersene.
“Sai molte dei neonati” mi fece notare prima di
riprendere, con un accenno di sorriso e uno sguardo ancora interessato.
“E’ perché un tempo pensavo di diventarlo anch’io”
mormorai quasi impercettibilmente. L’atmosfera di congelò all’istante; non
avrei dovuto parlare. Ma era vero, prima della mia decisione definitiva di
rimanere umana, fino all’età di quindici anni ero fermamente convinta che sarei
diventata un vampiro come mamma e papà. Ingenuamente a quel tempo non sapevo
ancora cosa volesse essere un vampiro e tutte le storie sui neonati rimanevano
un concetto astratto. Mi ricordavo ancora quando avevo cinque anni; le mie
compagne volevano diventare principesse o ballerine. Io da grande volevo
diventare un vampiro. Jasper fu abile a lasciar cadere il discorso e a
riprendere quello precedente.
“A questo punto intervennero i Volturi, con l’intera
guardia al completo. Distrussero ogni neonato e chi fosse in loro compagnia; in
pratica tutti i vampiri in Messico vennero sterminati. Ci volle quasi un anno.
Una volta ho avuto modo di parlare con un vampiro che assistette al massacro.”
Non so se fu una mia impressione, ma credetti che Jasper avesse tremato. E se
Jasper si spaventava, voleva dire che piuttosto che essere un neonato in mezzo
a quell’inferno, la morte era la cosa migliore. Guardai per un attimo papà; lui
aveva vissuto tutto questo. Cercava di non ascoltare, ma non poteva nascondere
il viso contratto. Sapevo perché quando mi aveva raccontato, aveva saltato
questo particolare, perché c’entravano i Volturi. Per un attimo mi sforzai di
immaginare papà in mezzo a quel massacro che aveva appena descritto Jasper, ma
non ci riuscii.
“Fortunatamente nessuno da quel momento formò più
eserciti. Gli scontri tra i clan tuttavia continuarono, anche dopo il ritorno
dei Volturi in Italia. E poco dopo ricomparvero anche gli eserciti, seppure,
rimembri dello sterminio del Volturi, più contenuti e attenti a passare
inosservati. Chi non riusciva a tenere a bada il proprio esercito, i Volturi
venivano a saperlo e lo eliminavano. Chi però sapeva cosa stava facendo, poteva
agire del tutto indisturbato. Gli umani che sarebbero diventati neonati
cominciavano ad essere scelti per le loro prestazioni fisiche e vennero
allenati meglio…” Jasper lasciò il discorso in sospeso, lo sguardo vacuo, perso
nei suoi pensieri.
“E’ questo il motivo per cui ti sei trasformato” mormorò
Bella vicino a me, atterrita. Io non osavo fiatare.
“Sì” disse lui in un soffio. Fu allora che iniziò a
raccontare. Raccontò della sua breve, ma promettente carriere militare, grazie
al suo carisma, che poi si era rivelato essere il dono che aveva ora. Fu in
occasione del rientro di un evacuazione che successe.
L’inizio, non sapevo perché, mi ricordava la storia di
Rosalie: successe per entrambi di notte, per entrambi fu una sorpresa, anche se
in modo diverso. In particolare, Jasper venne colpito soprattutto dalla
bellezza delle tre vampire che incontrò. Non era bravo a suscitare determinate
emozioni usando solo il suo potere, ma ci riusciva benissimo utilizzando anche
solo l’uso delle parole.
Quella stessa bellezza che lo affascinò gli consigliò
anche di scappare, ma una di quelle tre ragazze, Maria, come l’aveva chiamata,
lo trasformò prima che lui avesse potuto dare ascolto al suo istinto,
lasciandogli quei marchi indelebili sulla sua pelle.
Jasper fece una descrizione accuratissima di quello che
successe quella notte. Si ricordava tutto, proprio come Rosalie, riportò anche
i dialoghi. Si interruppe bruscamente, saltando la narrazione di qualche
giorno, molto probabilmente per evitarci i passaggi più cruenti. Oppure per
calmare Edward, che cominciava ad innervosirsi per le reazioni di Bella.
Continuavo a non approvare tutta questa segretezza nei suoi confronti; non
c’era da stupirsi se sussultava al suono di semplici parole. Era normale che lo
pensassi, essendo sempre stata abituata fin dai dieci anni a storie che agli
altri bambini potevano suonare spaventose. I miei genitori mi raccontavano
sempre tutto; tranne ovviamente quello che era davvero importante, ovvero
quello che coinvolgeva la mia famiglia di persona.
Fu così che Jasper si ritrovò ad essere un soldatino
dell’esercito di tre vampire alleate per convenienza; una desiderosa di
riconquistare i propri territori, le altre due di avere una più ampia scelta
alimentare. La capo clan, Maria, desiderava assemblare un esercito imbattibile
e sceglieva con cura ogni neonato, in particolare accettava di trasformare solo
uomini. Addestrò i suoi soldati in maniera impeccabila; voleva insomma che i
suoi neonati avessero i pregi dei vampiri appena nati e di quelli anziani:
velocità e forza al di sopra della media e tecnica. Tutto questo molto
velocemente, per evitare che i suoi burattini perdessero forza al compimento
dell’anno di vita.
Incontrò molte difficoltà anche a tenerli a bada; si
eliminavano a vicenda scontrandosi tra loro. Fu in questa occasione che notò
l’abilità di Jasper nel combattimento. Fu così che da maggiore di un esercito
di umani divenne il maggiore di un esercito di vampiri. Inoltre iniziò a
scoprire l’esistenza del suo potere e poté dissipare il malumore nella
compagnia, rafforzandola ulteriormente.
Quando l’esercito di Maria comandato da Jasper fu pronto
contava ventitre membri; la prima battaglia la vinsero senza troppe difficoltà.
Da una vittoria seguirono altre e Maria giunse a
controllare Texas e Messico settentrionale. Dopo un grande numero di vittorie
era inevitabile che sarebbe giunta la sconfitta, ancora più amara perché mai
provata: un clan del sud riuscì a sterminare totalmente l’esercito, ad
eccezione di Jasper. Dall’amarezza nacque l’insoddisfazione e fu così che le
altre due vampire si ribellarono contro Maria e Jasper, che riuscirono a
eliminarle.
Ormai le guerre del Sud non erano più legate a una
questione di terra, ma per il puro piacere di combattere e come pedine si
usavano dei neonati che alla fine dell’anno venivano buttati via.
Con il passare del tempo Jasper si stava stufando di
quello stile di vita. Le cose cominciarono lentamente a cambiare quando uno dei
neonati più grande, Peter, con il quale Jasper aveva instaurato un rapporto di
semi-amicizia, scappò con una neonata che doveva essere rimossa dall’esercito.
Tempo più tardi, Peter tornò, quando il malumore di Jasper si era trasformato
in depressione, e gli raccontò del diverso modo di vivere nel Nord, senza
faide, senza rivali. Se ne andò senza rifletterci troppo.
“Quando vivi per combattere, per il sangue, le relazioni
che stringi sono fragili e facili a rompersi” disse Jasper mantenendo un tono
composto. Fu la frase che mi colpì di più. La frase che, bene o male, era la
risposta a ogni domanda o dubbio. E che mi faceva pensare.
Il resto della storia, fino a un certo punto, fu simile a
quella di papà: Jasper viaggiò per un po’ con Peter e la sua compagna, ma
rimaneva ancora insoddisfatto; soprattutto, si era dimenticato come ci si
sentisse essere umani. Come papà, il mostro che era in lui non gli dava pace.
Anzi, forse il tutto era amplificato, perché aveva il potere il sentire ciò che
le loro vittime provavano quando le uccideva. E Jasper non voleva più farlo.
Lasciò Peter, come papà aveva lasciato il clan irlandese.
Mi sorpresi quando il suo tono cambiò. Ebbi un piccolo
dejà-vu; papà aveva avuto lo stesso identico tono quando mi aveva parlato della
prima volta di Carlisle. Jasper però non si riferì a lui, ma a Alice. In quel
momento mi parve di capire che quello che aveva fatto l’incontro con Carlisle
era ben poca cosa rispetto a quello avuto con Alice.
“’Mi hai fatto aspettare’ disse” Jasper interpretò le
parole di Alice con un sorriso che non gli avevo mai visto. Avevo sempre
considerato Jasper una persona molto buia, grigia. La sua dinamicità espressiva
mi ricordava molto quella di Edward Mani di Forbice. Vederlo sorridere
fu una cosa tanto strana e io ero una così grande spugna di emozioni che non servirono
i suoi poteri per farmi sorridere e mettermi subito il buonumore. Alice spuntò
vicino a lui, ridendo.
“Da bravo gentiluomo del Sud hai chinato la testa e hai
detto: ‘Mi dispiace, signorina’” Sorrise anche lei.
“Mi diedi la mano e io la presi, senza neanche sapere
quello che stavo facendo. E cominciai a sperare di nuovo” disse Jasper
prendendo la mano di Alice. Non ero mai stata una romanticona, ma tenendo in
considerazione la cruenta storia precedente, e il dolce lieto fine interpretato
dal vivo con gli attori originali, bhè, riuscì a farmi commuovere.
“Avevo paura che non saresti mai arrivato” Si guardarono
per un attimo felici, l’uno negli occhi dell’altro. Poi Jasper, con un sorriso
stampato, tornò a calcolarci.
“Alice mi raccontò delle sue visioni e di aver visto
Carlisle e la sua famiglia. Non avrei mai immaginato un’esistenza simile.
Andammo a cercarli insieme.”
“Presero un bello spavento” intervenne Edward, con gli
occhi verso il cielo “Io ed Emmett eravamo a caccia. Videro presentarsi Jasper
pieno di ferite insieme a un mostriciattolo che salutò tutto per nome e chiese
di mostrarle la sua stanza” Dopodiché lanciò una gomitata ad Alice. Jasper ed
Alice risero insieme, come gli angeli di un coro.
“Quando tornai a casa tutte le mie cose erano in garage”
“La tua stanza aveva la vista migliore” si giustificò lei.
Risero tutti insieme, in memoria dei vecchi e felici ricordi. Forse troppo
pochi.
“E’ una bella storia” concluse Bella. Anche lei aveva un
sorrisino sulle labbra. Gli occhi di Alice, Edward e Jasper le lanciarono
un’occhiataccia.
“Intendo il lieto fine con Alice” specificò lei.
“Tutto a posto, Abigail?” disse Jasper, lanciandomi la
stessa occhiata che poco prima aveva dato a Bella. Infatti se Bella aveva fatto
una figuraccia, io avevo fatto peggio. Ero stata così presa dal racconto
dell’ultima parte, che mi ero messa comoda, con la mano che reggeva la testa,
appoggiata sul gomito, a guardarli con un sorriso così ebete, che riuscii a
calcolarne le portate solo con la reazione di Jasper. Per un lungo momento fui
invidiosa della loro speciale relazione. Io scossi la testa e gli mostrai un
sorriso più convincente. L’intervento di Alice mi salvò.
“Perché non l’hai mai detto che poteva trattarsi di
questo?” Con la domanda di Alice, l’atmosfera cambiò totalmente. I ricordi
vennero lasciati da parte e presero il loro posto gli eventi presenti. Solo
adesso mi ero resa conto cosa comportava l’esistenza di un possibile esercito
di vampiri a Seattle. E dopo il racconto fatto da Jasper, non riuscii a rimanere
seria e a trattenere un brivido. Mi rifiutavo di immaginare un vampiro così
forte e così incontrollabile vicino a un mio genitore.
“Ne sei davvero sicuro?” mormorò papà, appena udibile.
L’idea di ritornare a massacrare neonati lo terrorizzava. Anche gli altri
tornarono a volgere l’attenzione su Jasper. Lui annuì sommessamente.
“Non mi sembrava credibile. Non c’è nessun motivo. Qui al
Nord non ci sono mai stati scontri tra clan, se fatta eccezione per qualche
piccolo gruppo. Fatto sta che nessuno ha niente da rivendicare. Tuttavia non
c’è altra spiegazione. A Seattle c’è un esercito di vampiri appena nati.” Persi
la mia iniziale sicurezza quando capii che l’ipotesi di Jasper si era
trasformata in una certezza.
“Non sono numerosi, meno di venti.” Ecco un altro brivido.
Non voleva dire niente; noi eravamo in nove, sempre in inferiorità numerica.
“E non sono allenati; sono troppo indisciplinati. Chi li
ha trasformati sembra non avere esperienza del campo. Se vanno avanti così la
situazione peggiorerà di sicuro. E interverranno sicuramente in Volturi, come
in precedenza. Anzi, mi sorprende che non siano già qui.”
Questa volta non mi innervosii, mi stizzii; quella sarà
stata la terza volta che sentivo quella frase! Fino ad adesso si erano dette
solo parole, ma non si era mai fatto niente. Anche se, a dire il vero, il fare
continuava a preoccuparmi…
“Abigail ha ragione. Adesso basta con le parole, bisogna
passare i fatti” proruppe Edward serio e un po’ teso anche lui.
“Cosa possiamo fare?” intervenne Carlisle, verso Jasper.
Mi sembrava strano che ora tutta la situazione stava dipendendo da un unico
vampiro.
“Non c’è altra soluzione che eliminarli direttamente. E
subito.” La dura affermazione di Jasper mi spinse quasi a parlare. Insomma, un
conto era conoscere i neonati da una storia, un altro averceli faccia a faccia.
Vidi papà tremare di sfuggita.
“Vi dovrò insegnare come. Non sarà facile muoversi in
città; dobbiamo evitare di farci vedere. E soprattutto dobbiamo evitare che
loro si facciano vedere. Potremmo usare un’esca…” Ormai Jasper era partito in
quarta, ma Edward lo fermò.
“Non credo che ci servirà” mormorò Edward cupo “L’unico
motivo per il quale qualcuno può creare un esercito può essere solo noi.” Io
non mi scandalizzai troppo; che ce l’avessero con noi o no, non cambiava molto,
visto che comunque avemmo dovuto combattere contro di loro. Fui quindi sorpresa
dalle reazioni spiazzate degli altri: Jasper chiuse gli occhi e scosse la
testa, Carlisle li spalancò e mio padre cominciò a guardare confuso un punto
indefinito della parete.
“C’è anche la famiglia di Tanya” cercò di far ragionare
Edward Esme. Ah, giusto, adesso mi sembrava di ricordare. Durante il volo verso
Volterra, se non sbagliavo, Alice ne aveva accennato.
“Ma sono più vicini a noi” rincarò Edward con più foga.
“No, non credo” intervene Alice “O almeno… forse non
ancora”
“Hai visto forse qualcosa?” chiese Edward ansioso.
“Flash” rispose Alice “Sto avendo una specie di scorci che
non riescono a darmi un’idea precisa. Qualcuno sta passando da una decisione
all’altra senza darmi possibilità di capire”
“Indecisione?” chiese Jasper incredulo.
“Forse…”
“Lo fa apposta” ammonì Edward svelto “Qualcuno sa che fino
a che non avrà preso una decisione, non potrai vedere. Si deve trattare di
qualcuno che ti conosce bene” Io lo guardai incredula. Non credevo che Alice
fosse il tipo di farsi nemici in giro per il mondo…
“Chi?” sussurrò Alice, leggermente atterrita dalla opzione
di Edward.
“Aro” disse subito lui. Eddai! Ancora con i Volturi?!
"Ma se avesse deciso..." Alice fu subito
interrotta da Rosalie.
"Forse è un favore. Qualcuno del Sud che ha avuto
problemi con la legge, e che i Volturi hanno risparmiato, a patto che risolva
questa faccenda. Ecco perché i Volturi ritardano ad intervenire." Non
sapevo perché, ma le parole di Rosalie proprio non mi convincevano. Non
accettavo l'idea che potessero essere loro.
"Non capisco perché i Volturi..." iniziò
Carlisle.
"L'ho visto" lo interruppe Edward, usando una
calma che non la diceva tutta "Aro è rimasto affascinato dai miei poteri,
da quelli Alice e da quello di Sophie. Avrebbe presente e futuro sotto mano,
l'onniscienza mentale, oltre a una potenza distruttiva invincibile. Quando l'ha
pensato, credevo che non avrebbe abbandonato alla svelta l'idea di volerci al
suo fianco, e di volere Abigail." Sentii di nuovo i brividi quando Edward
mi ricordò questo particolare.
"Inoltre la nostra è la comunità più grande dopo la
loro. La paura che vede nella nostra famiglia che si rafforza e che cresce insieme
alla gelosia di quello che desidera devono averlo spinto ad agire."
Ascoltai attentamente le sue parole. E forse, per la prima volta, presi in
considerazione l'idea che erano i Volturi dietro a tutto questo. I moventi,
come aveva appena detto Edward, c'erano. E se tutto questo fosse una trappola,
un diversivo, una distrazione o chicchesia per distruggere la mia famiglia e
per arrivare a me? Il pensiero, che si stava sempre più realizzando, cominciò a
mettermi una paura del diavolo e a dimenticare tutta la filippica di papà.
"No, non infrangerebbero mai le regole. Va contro la
loro mentalità" ribatté Carlisle. Papà non apriva bocca e seguiva
interessato e contemporaneamente atterrito la conversazione. Può darsi forse
che anche lui, dopo le rivelazioni di Edward, ci stesse ripensando? Non aveva
difatti una bella espressione. Cominciai davvero a innervosirmi e a muovere
freneticamente le gambe.
"Appunto perché noi crediamo che rispetteranno le
regole, ci prenderanno in contropiede quando giocheranno sporco. Stanno facendo
il doppiogioco. Per salvare l'apparenza, poi, interverranno, ma solo dopo che
l'esercito a Seattle avrà realizzato il loro obiettivo." Edward fu fermato
da Jasper, che scettico scosse la testa.
"No, sono d'accordo con Carlisle. I Volturi non
infrangono le regole. Inoltre tutto questo è improvvisato. Ripeto che questo
vampiro non ha una minima esperienza del campo. Credo che i Volturi, per
ipotesi, se volessero creare un esercito di neonati senza dare nell'occhio,
chiamerebbero un esperto, non un principiante."
"Tuttavia" intervenne mio padre, con la voce
appesantita dalla stanchezza "Penso sia inutile cercare di indovinare chi
ci sia dietro tutto questo, Volturi o non Volturi. Jasper vi deve insegnare a
distruggerli.” Il tono duro e indifferente che usò papà quasi mi spaventò.
“Vorresti aiutarmi, William?” chiese di nuovo Jasper “Le
tue tecniche potrebbero rivelarsi più valide delle mie.” Usava uno strano tono
delicato intriso di rispetto. Mio padre ci pensò su per alcuni secondi, prima
di scuotere impercettibilmente la testa.
“Mi dispiace, Jasper” emanò in un sussurro. Jasper non
insistette ulteriormente. Papà allora si volse verso di me. Non l’avevo mai
visto così cupo. Cercò di rispondere con un sorriso rassicurante al mio sguardo
spaventato, invano.
Ora non eravamo solo io e Bella, ma adesso tutti i
presenti avevano un'espressione atterrita. Ecco, ora si era fatta concreta
l'evento di una battaglia. E di solito in battaglia, bene o male, anche se si
vince, c’erano delle perdite. C'era poi troppa differenza numerica. Ok, la cosa
mi stava distruggendo come non mai. Avevo così paura all'idea di questa
battaglia che costrinsi Jasper ad intervenire per calmarmi.
Da tempo avevo digerito l'idea che con dei vampiri, dei
casini nascevano. Ma non avevo mai pensato a battaglie o roba del genere. Era
così sovrannaturale che neanche al cinema credevo ci fossero film su scontri
tra vampiri; tra licantropi e vampiri sì, ma quello nella realtà era più che
normale.
"Sarà meglio avere un po' di aiuto" constatò
Jasper "Sarà disposta la famiglia di Tanya? Altri cinque vampiri sono un
vantaggio importante, soprattutto con i poteri di Eleazar e Kate."
"Glielo chiederemo" lo assicurò Carlisle. Jasper
gli lanciò il cellulare.
"Adesso" rafforzò Jasper, leggermente
innervosito. La sua reazione doveva essere contagiosa, perché si tese anche
Carlisle. Si avvicinò alle ampie finestre e compose il numero. Era inquietante
vedere Carlisle, calmo e allegro fin da quando lo conoscevo, inquieto in quella
maniera. Cominciò a parlare troppo sottovoce perché io o Bella potessimo
capirlo. Quella conversazione aveva attirato l'attenzione di tutti.
"Ah, non sapevamo che Irina si fosse comportata
così" esclamò Carlisle sorpreso, mentre Edward mugugnava maledizioni. Non
riuscii a sentirlo.
"Laurent?" sussurrò Bella, più vicina a me. Chi
era Laurent? Benissimo! Voleva forse aggiungersiqualche altro nuovo vampiro? Stavano
spuntando così tanti vampiri da ognidove che per un attimo mi domandai se al
mondo ci fossero ancora esseri umani. Tuttavia sembravo essere io l'unica a
pensarlo; gli altri non avevano distolto gli occhi da Carlisle, che ora parlava
con un tono convincente e determinato.
"Neanche a pensarci. Persiste un patto tra noi"
continuò Carlisle ad alta voce. Sussultai per la sorpresa che venne sostituita
dalla confusione. Gli unici con i quali i Cullen avevano un patto erano i
licantropi. Ma cosa aveva a che fare questa famiglia con i licantropi?
"Certo, ce la caveremo da soli" mormorò alla
fine, reprimendo la delusione con l'indifferenza. Rimase ad osservare la
nebbiolina mattutina oltre la finestra. Bene, quindi eravamo ancora in nove.
"Cosa c'è?" chiese Emmett a Edward.
"Tra Irina e Laurent il legame era più forte di
quanto pensassimo. Ora lei c'è l'ha con i lupi per averlo ucciso.
Vuole..." Si fermò per guardare Bella titubante. Non ci feci molto caso,
persa nella mia confusione. Riuscii straordinariamente in breve a capire di chi
stavamo parlando. Si trattava del vampiro che i licantropi avevano ucciso; mi
fu impossibile non ricordarmi che in quella occasione mio padre stava per
rimetterci le penne. E nient'altro che era il complice di Victoria. A quanto
pare, aveva trascorso un po' di tempo presso questa famiglia prima di venire a
cercare Bella.
"Va avanti" ordinò Bella, mascherandosi
inutilmente con la calma. Edward continuò a guardarla incerto. Non sopportavo
questo suo fare misterioso e tutti questi particolari che voleva tralasciarle.
Ancora una volta dovetti dare ragione a Jacob, quando quella volta al
parcheggio disse che era meglio una preoccupazione, che un segreto o una bugia.
E oltre all'orgoglio ferito per avergli dato ragione, provai ancora più
vergogna sapere che questo valeva anche per me.
"Vuole vendetta, annientare il branco. Vogliono scambiare
il nostro permesso per il loro aiuto"
"No!" urlò categorica Bella.
La prima cosa che pensai io, invece, non fu la
sterminazione dei licantropi; mi resi conto che non mi sarei mai stupita di
quanti casi psicotici si trovavano in giro. Questa vampira non era affatto
molto diversa da Vittoria. Pensando poi alla cronica paranoia di Edward e dei
miei genitori e la gelosia assolutamente infondata di Rosalie, cominciavo a
credere che con la trasformazione si rischiassero dei gravi mutamenti
psicologici.
"Non temere, Carlisle non accetterebbe mai" la
rassicurò velocemente Edward. "E nemmeno io." Notai che lo disse con
una certa difficoltà "Laurent se l'è meritato. E mi sento ancora in debito
con loro" concluse con un ringhio rabbioso.
“Ma non siamo ancora abbastanza" riprese il discorso
Jasper "Siamo più abili di loro, ma siamo in minor numero. Vinceremo, ma a
quale prezzo?" Guardò teso Alice. Per un attimo mi si bloccò il respiro.
Una cosa era pensarlo, un’altra sentirlo dire. Guardai atterrita ciascuno dei
vampiri presenti in quella stanza. Il tono di voce di Jasper non era affatto
ambiguo; qualcuno di loro ci avrebbe lasciati. Sì, ma chi? Al pensiero delle
due persone vicino a me mi venne una forte emicrania ed i brividi di freddo.
Per l'agitazione mi era tornata a salire la febbre.
Quel pomeriggio non andai alle prove generali.
Sinceramente, chi se ne frega di uno stupido saggio di stupidi bambini che
amavo rispetto a quello che sarebbe dovuto succedere. Mi accorsi che quel
giorno non avevo toccato cibo e questo sarebbe dovuto equivalere ad una morte
imminente. Riuscii a camuffare la mia eccessiva ansia a entrambi i miei
genitori e per evitare che notassero qualcosa di strano, rispondevo che era
colpa della febbre che era tornata a salire. Solo Jasper sapeva com'erano in
realtà le cose, e fu soprattutto grazie al suo potere, se ero riuscita a
fingere. Cercò di farmi sentire meglio, guardandomi giù di tono; forse credeva
di avere esagerato con le parole? No, anzi, si sbagliava; come disse il saggio
Jacob Black, meglio una preoccupazione che un segreto. Ma al saggio stavo per
rispondergli: meglio un segreto che una preoccupazione che ti impedisce di
mangiare.
Stetti infilata tutto il giorno nel letto. Non chiusi
occhio fino a notte inoltrata; di solito odiavo starmene nel letto a fare
niente, ma ero troppo arrabbiata per dormire. Già, dopo la paura e un po' di
tristezza del momento, era subentrata la rabbia. Ero fatta così, la rabbia era
uno dei sentimenti che provavo di più, anche in situazioni dove l'ira poteva
sembrare inappropriata. Avevo una voglia matta di prendere quella dannata testa
rossa e sbatterla contro il muro finché non si sarebbe rotta. Poi sarei tanto
andata a Seattle a fare un culo grande come una casa a tutti i neonati che
incontravo, soprattutto quel deficiente che gli aveva creati. E già che c'ero
incendiavo il castello di Volterra.
Erano tutte stupide fantasie, ma dopo un po' che
continuavo a fare questi pensieri, riuscii a sbollirmi. Poi la paura mi
agguantò lo stomaco di nuovo. Cercai di pensare positivo; oltre a Jasper,
nessuno sembrava poi essersene preoccupato. Ma in fondo, non bastava il
semplice fatto che un veterano come lui fosse in guardia, per convincermi a
gettarmi nella disperazione?
E poi c’era papà; non mi ero dimenticata della sua
reazione al racconto di Jasper. Aveva gli occhi terrorizzati ripensando a
quello che lo aveva circondato, quando sotto gli ordini dei Volturi era andato
in Messico. Sveglia più che mai, mi misi a sedere sul letto.
“Papà” sussurrai. Non mi sorpresi che dopo una decina di
secondi stava socchiudendo la mia porta per entrare.
“Perché sei ancora sveglia, Abi?” mi chiese gentile. Dalla
sua espressione intuii che sapeva anche la risposta.
“Ho bisogno di parlare con te” mormorai. Lui mi fu subito
accanto. Si sistemò sul materasso vicino a me e mi rivolse tutta la sua
attenzione.
“Riguarda quello che ha detto Jasper?” Io annuii
lentamente. Sentii la sua mano accarezzarmi lentamente la guancia.
“Non preoccuparti per quello che ha detto” cercò di
rassicurarmi lui.
“Non sembrava molto ottimista” mugugnai agitata “Sono
preoccupata per te e la mamma.” Lui abbassò lo sguardo, osservando un punto
indefinito nel pavimento.
“So cosa significa combattere contro vampiri neonati. Ne
ho uccisi molti in Messico.” Il suo tono era terribilmente apatico, molto
probabilmente perché voleva evitare di farsi coinvolgere dalle emozioni dei
suoi ricordi.
“E’ stato grazie al mio dono, che mi diceva di fare la
cosa giusta, se sono riuscito a sopravvivere. Era l’istinto che mi guidava ad
ucciderli e a non morire.” Alzò lo sguardo verso di me.
“Per questo per me era davvero facile eliminarli. E vale
anche per questi. Non mi succederà niente, fidati” disse leggermente meno
indifferente. Lo guardai bene.
“Tu non vuoi combattere, vero?” Non era difficile capirlo.
“Nessuno lo vorrebbe” disse facendo scivolare la mano
sulla mia “Ma non posso voltare le spalle a Carlisle, dopo quello che ha fatto
per me. Spero che tu lo comprenda”
“E la mamma?” chiesi in un flebile sussurro.
“La terrò d’occhio, non ti preoccupare. Non ci succederà
niente” mi calmò lui.
“Ma non puoi tenere d’occhio tutti i Cullen” evidenziai io
avvilita.
“Abi, ascoltami” Le sue mani mi circondarono lentamente il
viso e i suoi occhi dorati riuscirono a calmarmi almeno un minimo
“Non piangere quando il latte non è stato ancora versato.
Non combatteremo da soli. Troveremo qualcuno che ci aiuti.” Con queste parole
mi spinse supina e mi tirò su le coperte, come quando ero bambina.
“Ora dormi.” Mi diede un lungo bacio sulla fronte, prima
di avvicinare le labbra al mio orecchio.
“Non hai idea di quanto ti voglio bene, Abigail” mi
sussurrò, come se fosse un importante segreto.
“Anch’io, papà” risposi con lo stesso tono. Dopo quelle
parole non riuscii a non sorridergli. Ci scambiammo un lungo sorriso, prima che
lui uscì dalla stanza.
Mi raggomitolai su me stessa, ma lo stomaco era ancora in
subbuglio. Papà era riuscito a tranquillizzarmi e a rendermi quasi felice
all’idea che sia lui, che mamma sarebbero usciti illesi. Tuttavia non ero tanto
preoccupata per loro, ma per i Cullen; bene o male mi ci ero affezionata a
ognuno di loro e l’idea che molto probabilmente potessero morire faceva tornare
l’ansia.
Solo dopo molti minuti riuscii a rilassarmi; quel pensiero
mi continuava ad assillarmi, ma non mi preoccupava più terribilmente. Forse
l'avevo digerito.
Un colpo al vetro mi fece girare verso la finestra;
stranamente non mi mise sul chi vive. Mi stupii di vedere Jasper arrampicato
sull'albero attaccato alla parete-finestra. Mi stava lanciando un mezzo
sorriso. Ah, capito: era lui l'artefice del mio umore. Risposi al sorriso e gli
sussurrai un 'grazie' soffocato. Lui mi fece l'occhiolino, prima di saltare
giù. Non doveva essere molto lontano, perché il suo potere continuava a fare
effetto. Grazie a lui, almeno mi riuscii ad addormentare senza problemi.
Aprii gli occhi di scatto. Il cuore mi era salito in gola.
Ancora incerta in quale mondo mi trovavo, se in quello dei sogni o nella
realtà, mi voltai per vedere che ora segnava la sveglia. Erano le cinque del
mattino. Mi afflosciai di nuovo sul materasso. Più che un sogno avevo fatto un
incubo. Per colpa sua non mi sarei addormentata. Come ciliegina sulla torta
avevo sognato che Jasper uccideva due neonati che altri non erano che i miei
genitori. A tratti assistevo la scena come un invisibile e terrorizzato
spettatore esterno, a tratti come Maria, che impassibile dava l'ordine di
ucciderli. Ecco, ci mancava questa. Fui terribilmente felice di sapere che era solo
un sogno.
Non volli ancora uscire dal letto; almeno lì ero al
calduccio. Inoltre mi sentivo ancora abbastanza sconquassata. Non potei non
pensare di nuovo a quello che sarebbe successo. Sbuffai, stufa di quell'agonia.
Feci allora un patto con me stessa e mi promisi di non pensarci più, anche se
era davvero impossibile, almeno fino a quando Jasper non avesse insegnato
l'arte del mestiere agli altri.
Mentre pensavo si erano fatte le sei. Prima di alzarmi
guardai il sole di quel giorno di inizio estate farsi largo tra le montagne e
illuminare di una luce dorata i sempreverdi, mentre tingeva il cielo di rosa
pallido. Il rosa, il verde e il dorato creavano un grandissimo, quanto
prestigioso contrasto. Ero fortunata ad ammirare uno spettacolo del genere da sotto
le coperte al calduccio ed avere la stessa vista che si poteva avere da un'alta
collina. Alla fine, presi un forte respiro e mi alzai.
Quel giorno non mi feci accompagnare come al solito da
Edward ed Alice; quel giorno avrei inaugurato la macchina in modo ufficiale.
Misi in moto e potei così ripensare a un po' di cose felici; come per esempio a
chi me l'aveva costruita. Arrivai a scuola con un sorriso deficiente sulle
labbra, mentre guardavo fiera i miei dadi sul parabrezza. Fu un po' come il
primo giorno di scuola, ma solo che ora tutti erano meravigliati in modo
positivo. La mia vecchia auto d'epoca rimessa in sesto aveva fatto scalpore tra
il popolo maschile. Molti vi si avvicinarono e la guardarono bene in ogni suo
punto e qualcuno osò anche toccarla. Giù le mani dalla mia bimba! Ero diventata
subito gelosa di tutte quelle attenzioni, come una madre paranoica. Altri,
invece, non si limitarono solo a guardarla ma mi vennero a parlare chiedendomi
se l'auto era mia, dove l'avevo ricavata e via dicendo. Un tizio fissato con le
Caddilac mi fece persino una sfilza di domande che io non riuscivo neanche a
capire e che liquidai con un 'non mi intendo molto di auto'.
Ben presto però tutta quella curiosità svanì e potei
entrare a scuola come una ragazza normale. Improvvisamente quel luogo, che mi
era sembrato tanto anonimo fino ad allora, mi risollevò per la prima volta. Mi
trovavo in un luogo normale, circondata da ragazzi e adulti normali, con
problemi normali. Questo fu più che sufficiente per farmi sentire parte di
quella normale realtà.
La mattina si concluse presto e a fine lezione mi sentii
straordinariamente bene. Avevo dimenticato di avere dei genitori vampiri, di
abitare in una casa di vampiri, di avere un migliore amico licantropo. Mi
sentii euforica mentre blateravo con i miei compagni su quanto fosse noioso il
professore di storia o quanti compiti ci avesse affidato quello di inglese.
Fu per questo che ci rimasi un po' male quando incontrai
per la prima volta quel giorno Alice, Edward e Bella a mensa. Erano seduti al
solito tavolo ed erano impegnati in una discussione che da quella distanza non
riuscivo a sentire. Prima di sedermi feci la fila per il cibo.
"Ciao Abigail!" disse la squillante voce di
Jessica. Per un attimo la paragonai allo squittio di un topo. Quel giorno mi
esaltavo per ogni conversazione con ogni essere umano e non mi accorsi in un
primo momento del suo esagerato sorriso.
"Allora, come stai?" continuò lei "E' da
tanto che non parliamo insieme" Fu allora che mi accorsi della sua paralisi
facciale persistente.
"Ehm, sì, sono un po' impegnata; ho il saggio, fino a
poco fa la macchina, poi la scuola... non ho avuto molto tempo libero"
cercai di giustificarmi io.
"Sì, sì" mormorò lei, per niente interessata a
quello che dicevo. Mentre era distratta a guardare la ricca scelta che la mensa
offriva, la guardai torva. Se non era interessata a una parola di quello che
dicevo, era perché voleva qualcosa da me.
"Ho sentito che adesso abitate a casa Cullen" la
buttò lei sul caso. Non capii dove voleva arrivare.
"Sì. Il dottor Cullen è amico di mio zio, e visto che
hanno una casa molto grande e il posto dove abitavamo prima era piuttosto
distante da Forks, ci hanno permesso di stare da loro" la buttai io,
improvvisando sfacciatamente.
"Ah..." disse lei più interessata
"Dev'essere... interessante poter abitare con i figli del signor
Cullen." Dopodiché mi lanciò un'occhiata molto eloquente. Ah, capii che
con 'figli' intendeva solo gli uomini. Bhé, non era strano che prima o poi
qualcuna mi avrebbe chiesto com'é vivere con delle statue d'Adone come loro.
"Bhe..." tentennai prima di trovare una scusa
"normale, penso" la buttai io, sulla difensiva per mancanza di idee.
Slittammo con il vassoio più in là.
"Bhé, ho sempre pensato che al di fuori della scuola
Edward fosse un tipo… interessante, o mi sbaglio?" Vidi quel sorriso a
trentadue denti troppo vicino a me. Il mio primo pensiero era quello di dire di
farsi gli affari propri, a quella grande pettegola. Poi mi venne invece un'idea
più divertente.
"Bhè..." mormorai incerta, per non farmi
sentire, calandomi nella parte. Guardai furtiva verso il tavolo; Alice mostrava
la sua risata cristallina, mentre Edward si mise una mano sul mento per
nascondere un sorriso. Questo mi incitò a continuare.
"Che rimanga tra noi" continuai. I suoi occhi si
fecero più grandi.
"Certo, certo" mi assicurò lei.
"Diciamo che... si comporta in modo un po' strano
qualche volta" mormorai misteriosa.
"Tipo?" Il suo tono si fece più basso e
interessato.
"Passa interi pomeriggi a fare lunghi discorsi da
solo. Credo che... abbia un amico immaginario" rivelai io. Dovetti fare
uno sforzo immenso per non mettermi a ridere. Jessica mi guardava allibita. Non
credevo che questa fosse l'immagine di macho che pensava.
"Oh... davvero?" domandò questa volta delusa.
"Ma non lo devi dire a nessuno. Soprattutto a Bella;
non credo la prenderà bene" continuai con l'aria di chi la sapeva lunga.
"Sì, sì" disse lei, ancora incredula della balla
appena raccontata.
Prendemmo i nostri vassoi e ci dirigemmo verso il tavolo;
Alice e Edward non avevano cambiato posizioni e feci una fatica immensa per non
ridire di fronte allo sguardo che Jessica gli lanciò.
Quel giorno mi sedetti vicino a Bella e Alice, distante
dagli altri, cosicché fossi abbastanza nascosta per ridacchiare.
"Ah, non sapevo che io avessi un amico
immaginario" mi disse Edward. Non era arrabbiato, anzi, sembrava davvero
divertito. Bella, che credevo si fosse informata dai due Cullen su quello che
era successo, sembrava essere più imbarazzata che divertita.
"Io qualche dubbio ce l'avevo" sussurrò Alice in
mezzo alle risate. Edward le lanciò un calcio da sotto il tavolo che lei deviò
prontamente.
"Allora, quali sono le cose da sistemare?"
chiese Bella, ponendo fine a quel piccolo intervallo. Mi accorsi che era
nervosa tanto quanto me ieri sera; non c'era dubbio che fosse tesa come una
corda di violino. Quella sua tensione mi contagiò e divenni seria anch'io.
"Stiamo tentando di farci aiutare; la famiglia di
Tanya non è l'unica" le rispose Edward a voce bassa. Insomma, non erano
proprio i discorsi adatti in una mensa scolastica.
"Carlisle e William stanno cercando di entrare in
contatto con vecchi amici, mentre Jasper è andato da Peter e Charlotte. Pensava
anche a Maria, ma non è una buona idea coinvolgere quelli del Sud."
La notizia riuscii a rilassarmi un poco; più eravamo,
meglio sarebbe stato.
"Perché dici che non è una buona idea?" proruppi
io "Se hanno tanta esperienza, ci saranno utili"
"A patto che accettino" mi spiegò Edward paziente
e cortese "Sono nel mirino dei Volturi da troppo tempo; è rischioso"
"D'altro canto" intervenne insicura Alice
"non credo che qualcuno li rivoglia vedere qua. Non dovrebbe essere un
problema convincerli"
"Se succedesse, verrebbero al Nord. A quelli del Sud
non importerebbe" ribatté Edward.
"Ma non sono... vegetariani?" intervenne Bella
fermando quella discussione a 'botta e risposta'.
"No" affermò deciso. Mmhh... la cosa non mi
entusiasmava...
"Qui?" esclamò Bella basita.
"Sono dei nostri" la rassicurò Alice, e senza
volerlo anche me "Poi Jasper ci insegnerà cosa fare..."
Non riuscii a capire cosa volesse dire quel sorriso che
spuntò dagli angoli della bocca di Edward.
"Quando partite?" chiese Bella.
"Una settimana sarà più che sufficiente per
organizzarci" rispose lui. Mi colpì la disinvoltura con cui lo disse;
forse perché cercava di calmare Bella? Bhé, non funzionò per niente. Io
deglutii con il gelo nelle vene; una settimana era troppo poco tempo.
"Siete bianche tutte e due" evidenziò Alice.
Sentii la sua mano sulla mia spalla, mentre Edward pensava ad abbracciare
Bella.
"Non accadrà niente. Fidati" le mormorò
convincente e per nulla preoccupato.
"Certo, Edward ha ragione" rincarò Alice con la
stessa sincerità.
"Dal discorso di ieri di Jasper, non mi sembra che
andrà tutto bene" mugugnai. Alice perse credibilità e si rattristò anche
lei.
"Avete bisogno di aiuto" proruppe convinta
Bella. Edward e Alice la guardavano confusa.
"Posso aiutarvi io" disse decisa.
Per la prima volta, considerai l'idea della trasformazione
prima del tempo un'ottima idea. Più eravamo, meglio era e meno rischi ognuno di
noi correva. E... a questo proposito cominciai a pensare anch'io.
"Saresti solo d'intralcio" mormorò riluttante
"E tu non pensarci neanche, chiaro?" avvertì me, puntandomi un dito.
"Abbiamo tutto il tempo" ribatté Bella.
"Bella ha ragione" riuscii a sussurrare io.
Bella mi guardò confusa. Edward mi lanciò una lunga occhiataccia.
"Conosci bene i neonati, Abigail, sai che è più probabile
che creino danni e siano d'impiccio" mi rimproverò severa Alice, sorpresa.
Non si sarebbe aspettata una frase del genere da parte mia.
Le sue parole riuscirono a riportarmi alla realtà; giusto,
avrei fatto solo danni. Già mi immaginavo io e Bella, giovani vampire, che
cercavamo di ammazzarci a vicenda. Scossi la testa, cercando di dimenticarmi di
quella stupida idea. Avrei dovuto pensare prima di parlare; era inutile, l'idea
del futuro massacro mi angustiavano e non mi aveva lasciato ragionare.
"Sì, scusa. Ho
detto una cavolata" dissi quelle frasi quasi con tono di scusa. Mi alzai
lentamente dal tavolo, accompagnate dalle occhiate ancora confuse di Alice e da
quelle penetranti di Edward.
Non stavo affatto bene; l'idea di un'inevitabile
battaglia, non importava dove, contro chi o quando, mi stava facendo impazzire.
Le parole di Jasper, che ancora rimbombavano in testa, mi mandavano ancora più
nel panico. Vinceremo, ma a quale prezzo?
Sapevo che c'era solamente un modo per calmarmi, o per
essere più precisi, una persona: Jacob. Stare in sua compagnia mi avrebbe di
certo rilassato e fatto pensare ad altro. E magari avrei anche potuto
confessargli le mie angosce; ma, giusto, non avrei potuto, perché i Cullen non
avevano intenzione di coinvolgere i licantropi in questa storia. Mi sarei
sorpresa del contrario, con tutta la simpatia che circolava tra quelle due
specie.
Inoltre quel mercoledì pomeriggio dovetti rimanere a
Forks; la lezione di ieri era saltata, quindi avrei dovuto recuperare oggi. Non
ebbe gli stessi effetti che mi avrebbe dato Jacob, ma riuscì a distrarmi
abbastanza. Quando finii era buio, e puntualmente ero troppo stanca per andare
a La Push.
A casa un po' l'atmosfera riuscì a rincuorarmi; nessuno
aveva la faccia di uno che tra una settimana sarebbe morto. C'è chi se ne stava
a guardare la tv, chi leggeva, chi cucinava per me. Chi in garage collaudava le
ruote della Ducati. Mi venne una voglia immensa di andare in garage e chiedere
a Jasper se ci potevo fare un giro piccolo piccolo, ma ero stanca anche per
questo. La lezione di break dance mi toglieva ogni energia.
Dopo aver mangiato, mi lavai e mi misi subito a letto, un
po' più tranquilla, se per merito di Jasper non lo sapevo, e mi resi conto con
meraviglia che domani sarebbe stato l'ultimo giorno di scuola. Mi addormentai
quindi pensando a quanto veloce fosse passato il tempo. E cosa il futuro che
avevo scelto mi avrebbe riservato.
Il giorno dopo a scuola non vidi per tutto il giorno né
Bella, né i Cullen. Non mi sorpresi, dovevano fare gli esami, mentre noi degli
altri anni, come ogni giorno di fine scuola, facevamo festa. Stetti di nuovo
bene in mezzo ai ragazzi della mia età, contenta di evadere per un attimo dalla
mia realtà quotidiana fatta di licantropi e vampiri e di troppe tensioni per
reggerle. Mi rilassava parlare di cose inutili, e anche spettegolare, attività
verso cui ero priva di interesse, lo trovavo piacevole. Quel giorno forse mi
rivelai più simpatica di quanto non avessi fatto durante tutto l'anno,
trascorso sempre in compagnia di Bella e Cullen.
Finito quell'ultimo giorno di scuola e fatto i soliti saluti, tornai a casa,
mentre stavo cominciando ad essere nervosa per il saggio. Proprio come ieri,
morivo dalla voglia di vedere Jacob, ma non potevo, perché quella era l'ultima
lezione di break. Arrivai circa mezz'ora prima, per preparare tutto. Essendo
l'ultima lezione, pensavo che un piccolo rinfresco sarebbe stato carino.
Arrivarono poi anche i bambini, tutti emozionati ed eccitati perché i loro
genitori li avrebbero visti ballare per la prima volta. Dopo un quarto d'ora,
tutti i bambini erano presenti e tutti i genitori, fratelli, zii, nonni e
parenti vari erano seduti sugli spalti. Si trattava di una cosa molto
informale; sostanzialmente, i parenti avrebbero assistito ad una lezione
normale, che si sarebbe conclusa con un piccolo spettacolo di un due minuti,
che per i bambini sarebbe stato un sacco di tempo.
Dopo una breve presentazione con i saluti iniziai. I
bambini erano tutti agitati, molti tremavano e alcuni sbagliavano, ma a fine
lezione tutti si erano messi a proprio agio e la presenza dei parenti non li
spaventava più, anzi, dava loro la carica. Era principalmente questo il mio
obiettivo, quando decisi di invitare i genitori per assistere anche alla
lezione.
Feci di nuovo una piccola presentazione per lo spettacolo
e diedi il via alla musica. Mentre ballavano guardavo quei bambini con un
sorriso enorme. Qualcuno certo sbagliava, ma l'energia che emanavano e la
felicità che provavano provando un pezzo fatto da me, mi commossero. Pensai che
stavo diventando proprio come mamma o Esme. Finiti quei due minuti iniziarono
gli applausi, ma senza dubbio quella che fece più baccano fui io. Iniziò poi il
rinfresco, che durò poco più di mezz'ora.
Tutto fu poi abbastanza veloce; ci fu la foto di gruppo, i
genitori venivano a parlarmi per sapere qualcosa su di me o sui bambini, a mano
a mano che se ne andavano, ciascun bambino mi dava un bacio chiedendomi se ci
sarei stata l'anno prossimo. Io gli rispondevo che speravo di sì.
Quando tutti se ne furono andati e quando misi a posto
tutto, mi venne una certa malinconia sapere che sarebbe stata l'ultima volta
per quell'anno che facevo il corso. A parte il cospicuo denaro che guadagnavo,
ormai era diventato una mia abitudine, e come tutte le abitudini si fa fatica a
dimenticarsene. Quando uscii, mi venne una voglia matta di stendere un cartone
nel parcheggio della scuola e fare un po' di break, tanta era stata l'energia
che mi avevano trasmesso.
Prima di salire in moto decisi cosa avrei potuto fare; a
tornare a casa proprio non mi andava. Andare a La Push sarebbe poi stato troppo
tardi; decisi quindi di andare a trovare Bella. Non le avevo ancora chiesto
com'erano andati gli esami.
Salii in moto e mi diressi verso casa Swan. Vidi il
pick-up rosso sul vialetto. Parcheggiai e suonai subito il campanello. Mi venne
ad aprire Charlie.
"Ciao Abigail" mi salutò entusiasta "E' da
tanto che non ci si vede. Tu come stai?"
"Ciao, Charlie" gli risposi "Io sto benissimo. Jacob è riuscito
a finirmi la macchina"
"Sì, mi ha detto Billy" continuò lui con lo
stesso tono. Sorvolai i convenevoli e andai subito al sodo.
"C’è Bella?"
"Bella non è in casa. E' a La Push con Jacob"
"Ah" risposi sorpresa. Uau, cosa mi sono persa?
Bella è riuscita a convincere Edward ad andare da Jacob senza di me? Caspita,
stavano facendo progressi.
"Quando vuoi, Abigail. Sei la benvenuta" mi
rispose Charlie cordiale. Salii di nuovo sulla moto e me ne andai a casa.
Ero rimasta un po' delusa che Bella non fosse in casa,
avevo voglia di vederla. Però ero contenta che poteva vedere Jacob più spesso
adesso. A patto che lui facesse il buono...
Svoltai la curva e a pochi metri vidi dallo specchietto
retrovisore la Volkswagen rossa di Jacob entrare nella via di Bella. Erano
appena tornati; stavo per tornare indietro, ma cambiai idea. Adesso che stavo
andando a casa, non mi andava di tornare indietro. Mi sorpresi del fatto che a
riaccompagnarla a casa fosse Jacob; di solito Edward l'aspettava al confine.
Possibile che fosse arrivato a permettere così tanto? Se così fosse, Edward
stava facendo passi da gigante nella sua battaglia contro la sua paranoia.
Parlando del diavolo, sulla corsia di sinistra vidi
sfrecciare la Volvo argentata di Edward. Superava di molto il limite di
velocità. Ok, mi rimangiavo tutto quello che avevo appena pensato. Certo, lui
guidava veloce di suo, ma non così tanto. La cosa cominciava a puzzarmi. Spinta
dal mia indole di ficcanaso, feci una curva a U nella strada deserta e tornai
indietro. Avevo visto troppe cose strane che di per sé sembravano sciocchezze,
ma insieme mi facevano insospettire. Non svoltai nella via di Bella, ma un po'
più in là, nei boschi. Ero curiosa di sapere quale sarebbe stata la conversazione
tra Jacob ed Edward, ma se mi sarei fatta vedere in quel momento, era evidente
che non sarebbe stata una coincidenza e sì che avrei fatto la figura
dell’impicciona. Era inutile fare le cose di nascosto; Edward mi avrebbe notato
comunque, ma non Jacob, non in forma umana, almeno.
Per fortuna che ero in moto da cross; grazie a lei riuscii
a percorre il tratto di bosco con facilità. Mi fermai a qualche metro di
distanza e poi prosegui a piedi. Mi ci vollero cinque minuti per arrivare. Mi
misi dietro a un cespuglio e stetti a guardare. Come avevo immaginato, da
quella posizione avevo un'ottima visuale della scena; Bella, Edward, Jacob
erano in giardino, Charlie sulla porta di casa. Non riuscii subito a capire
cosa fosse successo, ma c'era tensione nell'aria.
"Non voglio litigi, ok?" disse Charlie in tono
autoritario, osservando Edward "Mi posso mettere il distintivo, se vi
serve un divieto ufficiale"
"Non è necessario" rispose Edward freddo ed
impassibile.
"Dovresti arrestare me, papà" esclamò Bella. Era
fuori di sé, non credo l'avessi mai vista così. "Sono io che tiro
cazzotti." Riuscii a capirci qualcosa in più. Bella aveva picchiato
qualcuno; infatti non mi ero accorta prima che sulla sua mano c'era del
ghiaccio.
"Vuoi sporgere denuncia, Jake" disse Charlie a
Jacob, l'unico che sembrava starsene tranquillo e beato.
"No, ma un giorno o l'altro lo farò" Sorrise per
l'idea.
Ah, però; Bella aveva dato un pugno a Jacob. Cominciai ad
innervosirmi; Bella sapeva che ai licantropi non avrebbe fatto niente e, a
differenza di me, non era un tipo violento. Jacob doveva averne combinata una
davvero grossa per spingere Bella a picchiarlo e per farla infuriare in quel
modo.
"Papà, posso prendere per un attimo la mazza da
baseball?" esclamò Bella di nuovo. Intanto Edward guardava Jacob con una
smorfia; era la stessa espressione che aveva riservato a Jacob il giorno che
era venuto a scuola, voleva essere calmo, ma in realtà se avesse potuto, lo
avrebbe scannato. Di certo non poteva essere felice per la mano di Bella.
"Bella, stai esagerando" l'ammonì Charlie. Bhè,
aveva decisamente ragione. Intanto io seguivo la scena silenziosa e curiosa
fino all'estremo, per capire cosa fosse successo.
"E' meglio che Carlisle dia un'occhiata alla tua
mano, prima che tu finisca al fresco" disse Edward, cercando di farla
allontanare da Jacob. Si diressero verso la Volvo argentata. Bella borbottò
qualcosa furiosa che non riuscii a capire. Invece capii benissimo l'occhiata
che mi rivolse Edward.
"Un minuto, Charlie. Torno subito" disse Jacob,
mentre chiudeva la porta davanti alla faccia di Charlie, sorpreso. Edward
intanto, indifferente, aprì la porta del passeggero a Bella e si voltò verso
Jacob, il quale rimaneva disinvolto, a braccia conserte. Il suo volto tuttavia
non era per niente disinvolto. Intanto anche Charlie si era messo a sbirciare,
come stavo facendo io, lui però dalla finestra del soggiorno.
"Non ti uccido ora, solo perché c'è Bella" lo
avvertì Edward, sempre con la sua dannata cortesia. Io non stavo più nella
pelle; Bella cosa aveva fatto per rompersi la mano? Non dev'essere stato un
semplice incidente, Bella non sarebbe così furiosa. Jacob doveva aver fatto
qualcosa apposta.
"Uffa" si lamentò lei.
"Se fossi lucida te ne pentiresti" le disse
Edward con un sorriso. Quando si voltò di nuovo verso Jacob, quel sorriso era
scomparso.
"Se la riporti a casa di nuovo ferita, non m'importa
cosa le possa essere successo, ma se succede ancora, ti spezzo le gambe. Hai
capito, randagio?" L'ultima frase la disse scandendo per bene le parole,
come se si stesse rivolgendo a qualcuno con problemi di comprendonio. Jacob, in
risposta, non si arrabbiò, anzi, con la sua aria strafottente alzò gli occhi al
cielo e se la rise.
"E chi tornerà?" mugugnò Bella dall'auto.
"Se ti azzardi ancora a baciarla, ti spacco la faccia
al posto suo" promise Edward, ancora con lo stesso tono di voce.
Io trattenni il respiro per un attimo. Ah, Jacob l'aveva
baciata. E lei aveva risposto.
Non sapevo come, ma mi sentii stranamente e terribilmente
impassibile. Avrei dovuto provare qualcosa, qualsiasi emozione, ma niente, non
riuscivo a sentire niente. Rimasi immobile, ancora trattenendo il respiro, in
ascolto.
"E se sarà lei a baciarmi?" disse Jacob
sfacciato.
"Ti prego!" esclamò Bella del tutto contrariata.
Edward non batté ciglio.
"Se così fosse, non avrò nulla in contrario. Però
sarà meglio per te aspettare che te lo dica, non interpretare a tuo piacimento
i gesti del suo corpo." Jacob in risposta continuò a sorridere.
"Se hai finito di rovistarmi nella testa, forse è ora
che vi occupate della sua mano" rispose Jacob, ora seccato. La sua
risposta però non fece altro che istigarlo a continuare.
"Prima o poi devi decidere, Jacob" La sua voce
ora si era fatta tagliente. "E lei lo verrà a sapere lo stesso" Gli
occhi di Jacob si animarono di rabbia. Ora aveva smesso di sorridere.
"Cosa stai dicendo, Edward?" gli chiese confusa
Bella. Lui non rispose; continuò a guardarlo sprezzante.
"E' inutile che menti a te stesso" continuò lui
"Ammettilo che hai fatto una sciocchezza."
In un impeto di rabbia Jacob fece un passo avanti furioso.
Aveva cominciato a tremare e non poteva fare a meno di mostrare le gengive
furioso. Anche Edward si era messo sul chi vive e aveva sfoderato uno sguardo
da vampiro.
"Non... provare... a immischiarti... di
nuovo..." mormorò Jacob, talmente tanto furioso che non riusciva a
parlare.
Fu questa volta Edward ad arretrare, pur mantenendo lo
stesso sguardo. Bella osservava la scena attonita. Edward si diresse verso il
posto del guidatore. Jacob, immobile, non accennava a calmarsi. La Volvo
argentata partì spedita verso casa Cullen. Jacob si rilassò un poco. Ed anch'io
finalmente riuscii a respirare. Avevo trattenuto il respiro tutto il tempo ed
ora dovevo essere bordeaux.
Cominciai a guardare un punto indefinito nel buio del
bosco. Jacob aveva baciato Bella, alla fine. Bhé, era quasi da quando lo
conoscevo che lo desiderava ed adesso che ci provava, Bella, giustamente, gli
aveva tirato un cazzotto. Insomma, cosa si aspettava? Che avrebbe ricambiato
appassionatamente? Avrei potuto essere fiera di lei, se la notizia non mi
avesse riguardato direttamente.
Quindi, questa era la scelta di Jacob. Aveva scelto Bella;
per un momento pensai che tutto quello che avevo fatto la sera del falò fosse
stato inutile, che ero stata un perfetta cretina. Anzi, aveva fatto l'effetto
opposto, se lui adesso andava a baciarla. Però una sera non poteva bastare per
fargli capire quale fosse la scelta; era troppo poco tempo per fargli capire
che ero interessata a lui. E poi, aveva sempre voluto baciarla...
Se così fosse, allora, cosa avrei dovuto fare? Non farmi
più vedere? Dirgli che la nostra amicizia era finita? Che mi serviva tempo per
pensare? Avrei dovuto continuare il mio 'corteggiamento'? Avrei dovuto
rimanergli solo amica? E di quello che aveva detto Edward, io non ci avevo
capito assolutamente niente.
Speravo che le mie emozioni mi avrebbero detto cosa fare.
Purtroppo, non sentivo assolutamente niente. Non provavo né rabbia, né
tristezza, né dolore, né gioia, né paura, né vergogna, niente, assolutamente
niente. Quando mi aveva chiamata 'stupida figliastra di sanguisuga', c'ero
rimasta subito di merda, quando mi aveva definita una 'nullità', c'ero rimasta
subito di merda. Adesso non provavo neppure quello. Non sapevo né cosa pensare,
né cosa provare. Ero rimasta assolutamente impassibile, come se Bella e Jacob
non fossero i miei migliori amici, come se non mi importasse niente di loro.
Intanto Jacob era ancora lì, appoggiato alla sua
Volkswagen rossa, le mani contro gli occhi. Distolsi lo sguardo e pensai che lì
in mezzo ai boschi non potevo stare. O forse sì, perché no? Facendomi guidare
allora dal buon senso, decisi che a quel punto dovevo andare a casa. Tornai
indietro a piedi e accesi la moto, ripercorrendo la strada inversa. Mi diressi
verso la 101. Non ero ancora uscita da quello stato di indifferenza e totale
impassibilità. Non sapere cosa pensare era peggio di sentire tutte le emozioni
possibili contemporaneamente.
Fu così che, quasi automaticamente, svoltai nella via di
Bella. Impulsivamente, avevo deciso di parlare a Jacob; almeno oltre a capirci
qualcosa in più avrei anche provato qualcosa. Ero curiosa di sapere come mi
avrebbe esposto i fatti appena accaduti. Era un'idea campata per aria, ma non
ragionavo più solo con la testa.
Quando arrivai era ancora lì. Mi lanciò un'occhiata
penetrante quando mi vide. Scesi e mi tolsi il casco. Decisi che mi sarei
comportata come se non avessi visto nulla. Per tanto, decisi anche di
comportarmi come sempre, cercando di dare nulla a vedere.
"Ehi, ciao Jacob" esclamai. Ero stranamente
tranquilla e riuscii a mimare bene il senso di sorpresa.
"Ciao Abi" mi rispose lui, cercando di
sfoderarmi un sorriso, invano. Anche se non avessi assistito alla scena, si
capiva che c'era qualcosa che non andava in lui. Mi domandai ancora una volta
il senso delle parole di Edward per averlo ridotto in quello stato, da
sorridente e strafottente qual'era. Non gli chiesi subito il perché di quel
muso lungo.
"Sei venuto anche tu a trovare Bella?" chiesi
facendo finta di nulla.
"No, l'ho riaccompagnata da La Push" mi rispose, assente. Era stato
sincero. Ma quel tono di voce fiacco era troppo evidente perché io non gli
chiedessi il motivo.
"Sembri affaticato" gli feci notare.
"Sam ci obbliga a fare turno doppio, a causa di
Victoria" brontolò lui.
"Mmh..." feci io incerta. Mi aveva appena detto
una bugia. O una mezza verità, per essere più precisi; poteva essere anche
vero. Io lo stuzzicai.
"Senti, mentre venivo qua ho visto la macchina di
Edward. Dentro c'era anche lei" dissi rimanendo sul vago "Adesso ti
vedo qua. E' successo qualcosa tra te e lui?" chiesi, con l'aria di una
che la sapeva lunga. Era strano come anche davanti a lui, anche se gli stavo
parlando, rimanevo così tanto impassibile. La mia natura mi avrebbe consigliato
di esplodere in una vera e propria litigata, come avevo sempre fatto, ma per la
prima volta, mi suggeriva di comportarmi in modo subdolo con lui.
"Bella si è fatta male alla mano e il vampiro se l'è
presa con me" mugugnò lui. Ora era tornato sincero; il suo tono di voce
però era cambiato, non ostentava più la sua solita sicurezza e, anzi, fissava
un punto indefinito alla sua sinistra appunto per evitare di guardarmi.
"Ah, ci è mancato poco allora che ti spezzasse le
ossa" esclamai io, facendo persino dell'ironia.
"Così lui ha detto" rispose ancora svogliato.
"Perché si è fatta male?" chiesi allora io, i
miei occhi puntati su di lui. Senza volerlo non riuscii a trattenere l'accidia.
"Niente, una sciocchezza" mugugnò lui, scuotendo
la testa. Questa la raccontò così bene che se non avessi saputo niente ci avrei
creduto. Perché allora non me lo voleva dire?
"Ah" esclamai io, stando al gioco "Bene,
visto che so che Bella è dai Cullen, penso che dopo andrò da loro. Così posso
parlare dell'accaduto anche con lei" lo minacciai, stando attenta al tono
di voce.
Per un attimo calò il silenzio. Jacob ora aveva alzato lo
sguardo e mi guardava attento negli occhi. Aveva per un momento ritrovato la
sua sicurezza.
"Io... l'ho baciata. E lei mi ha tirato un
pugno." Non riuscì però a non essere titubante. Alla fine me lo aveva
detto. Anche sentirselo dire in faccia non aveva cambiato niente; perché
diamine continuavo a rimanere impassibile?
"Ah!" esclamai io, sorpresa "Era una vita
che aspettavi di farlo. Spero tu sia contento ora" gli dissi con il tono
da 'te lo avevo detto'.
"Per niente" mugugnò lui, scontento.
"Ah, giusto, se ti ha tirato un pugno non credo che
abbia ricambiato molto..." feci sarcastica io, cercando di fargli capire
che gli stava solo che bene.
"Non per quello"
"Per cosa allora?" chiesi strafottente. Lui alzò
gli occhi al cielo, mordendosi le labbra e stringendosi i jeans alle ginocchia.
Ancora un po’ che le avrebbe morse, le avrebbe lacerate. Jacob si stava
comportando in modo molto strano; sembrava nervoso, molto, ma non l'avevo mai
visto così, quindi non potevo essere certa che quello fosse davvero nervosismo.
Si alzò dalla Volkswagen, mi superò e iniziò a camminare avanti e indietro. Io
intanto lo guardavo confusa. Poi si girò.
"Tu non avresti dovuto saperlo" mi urlò, non
arrabbiato. Non c'era la minima traccia di rabbia in quell'urlo. Solo tanta
indecisione e confusione.
"Perché, scusa?" gli chiesi stordita per la sua
reazione. Poi riuscii a recuperare un po' si strafottenza. "Perché non
vuoi che ti venga a dire 'Jacob, io te lo avevo detto'?" continuai
sarcastica.
"Esatto, non voglio che tu me lo stia a dire"
concordò lui, arrabbiato. Non riuscì a darmela a bere; se fosse davvero così,
allora non avrebbe sventato quel sorriso strafottente per tutto il tempo. Fino
a quando Edward non gli aveva detto quelle parole, lui aveva continuato a
rimanere presuntuoso.
"Perché allora non ti ha soddisfatto?" tentai di
nuovo, infervorandomi perché non mi stava dando risposte. Mi superò di nuovo,
aprì la portiera della macchina, ci entrò e la richiuse con rabbia. Tornò a
guardarmi; ora tutta la confusione di prima si era dissolta e mi guardava
arrabbiato.
"Hai ragione tu. Abbiamo bisogno di una pausa di riflessione"
"Cosa vorrebbe dire 'pausa di riflessione'?!"
gli chiesi io, non riuscendo davvero a capire il senso delle sue parole.
"Cosa voleva dire quando me lo hai detto tu?"
continuò lui deciso, colpendo il mio punto debole di quella conversazione.
Cambiai immediatamente il soggetto della discussione su di lui.
"Jacob, si può sapere cosa ti succede?!" Questa
volta non feci nessuna fatica a usare un tono confuso, perché lo ero realmente.
Mi tornò a guardare di nuovo, molto più rabbioso.
"Adesso sai come ci si sente, quando il tuo migliore
amico ti fa impazzire" disse acido. Non mi offesi né per il tono, né per
le parole, tanto confusa ero. Lui accese il motore.
"Jacob!" Non potevo credere che se ne andasse
senza avermi detto niente di sensato! Mi tornò a guardare; di nuovo quello
sguardo indeciso.
"Per favore, non venire a casa mia" disse fermo e serio. Mise la
retromarcia, poi la prima e se ne andò. Dovetti arretrare di qualche metro per
non essere investita. Mi misi sulla strada, continuando a guardare la macchina
rossa che si confondeva con il buio della notte.
"BLACK!!!" gridai per un'ultima volta, con la
vana speranza che mi sentisse e si fermasse e magari che tornasse anche
indietro. Ovviamente non avvenne niente di tutto quello.
Rimasi quindi lì, in mezzo alla strada, per un bel po',
cercando di capire cosa significasse tutto questo. Non riuscii proprio ad
arrivarne a capo. Bhè, almeno adesso qualcosa provavo: una specie di confusione
tale che mi mandava in ansia e mi causava un mal di testa lupo.
Rimasi in mezzo alla strada per un bel po’, a pensare,
pensare, e ancora pensare. Tanto farlo in camera mia o lì, al buio, non faceva
alcuna differenza. Cercai di fare un po’ di mente locale tra quello che pensavo
e quello che provavo. Jacob aveva baciato Bella, lei gli aveva tirato un pugno
ed Edward si era giustamente incavolato come una iena. Bhé, fin lì ci arrivavo.
Riflettendoci, quando avrei incontrato Bella avrei dovuto farle i miei più
grandi complimenti per quel cazzotto.
Poi veniva la parte più difficile. Ancora non capivo
perché ero rimasta così indifferente davanti alla notizia del bacio. Non ero
neppure gelosa. Insomma, quando mi aveva usata per far ingelosire Bella, avevo
fatto una scenata di gelosia seguita da una litigata, quando mi aveva definita
una nullità a confronto di Bella, non volevo più essere sua amica. Adesso che
lui l’aveva baciata avrei come minimo voluto ucciderlo. Invece no, ero andata
da lui e gli avevo parlato in modo piuttosto civile. Perché? Probabilmente era
stato lo shock del momento, oppure perché non avrei mai creduto che potesse
arrivare fino a quel punto e ancora non ci credevo che l’avesse fatto.
E non era finita qui. Come minimo, sia per il mio, sia per il suo carattere,
non mi sarei stupita se questa conversazione che avevo iniziato in modo così
civile si fosse trasformata in una della nostre litigate di urli e grida.
Invece no, sia per la mia strana reazione alla cosa, sia per il suo
comportamento fin troppo strano; fino a un attimo prima sfoderava uno
strafottente sorriso d’orgoglio per aver baciato Bella, che non mascherava di
nascondere davanti ad Edward per farlo ulteriormente arrabbiare. Poi Edward gli
leggeva nel pensiero e con quelle strane parole che solo Jacob poteva
intendere, era cambiato completamente. Dapprima era furioso, poi quando ero
andata a parlare con lui sembrava soprappensiero, quasi non mi stesse
ascoltando, forse tremendamente indeciso e confuso. L’indecisione non era
decisamente una delle qualità di Jacob; anche nelle azioni più impossibili, insensate
e masochiste lui era testardo.
Alla fine capii il perché non mi sentivo nepurre
arrabbiata con lui per quel bacio, ed era stata la sua reazione, che mi aveva
completamente spiazzata e che aveva avuto effetti stravolgenti sulla mia sfera
emotiva. Anzi, stavo cominciando a provare una certa compassione per lui, e mi
sentivo preoccupata. Mentre parlava avevo notato una certa nota sofferente nel
suo sguardo. C’era qualcosa che non andava, era evidente.
E poi aveva cominciato a non dirmi cos’avesse e a non
venire più da lui per un bel po’. Questo allora voleva dire che molto il suo
problema ero io. Ma ora, cosa diamine avevo fatto per farlo comportare così? E
se così fosse, perché non me lo diceva in faccia?!
In un modo o nell'altro, la questione del bacio la posi in
secondo piano, preceduta dal problema che Jacob aveva con me. Ma come poteva
essere così, se l'ultima volta che ci eravamo visti non eravamo mai stati così
amici?!
Ne uscii molto turbata da quell’incontro; invece di fumare
dalla gelosia e dalla rabbia, mi sentivo confusa e preoccupata.
Sorrisi pensando alle parole di Jacob sulla spiaggia, che
noi eravamo uguali; dopotutto lui mi aveva appena detto le stesse cose che gli
avevo detto io davanti alla palestra della scuola. E chissà se lui me ne
avrebbe rivelato il motivo, o se assomigliava a me anche in questo. Cercai di
pensare anche a cosa gli fosse potuto succedere per spiegare la sua reazione,
forse qualcosa con il branco riguardo a me, o forse anche no.
Bhé, era impossibile ricercare le cause di un
comportamento già di per sé inspiegabile. Cercai allora di dare qualche
spiegazione alle parole che aveva detto. ‘Non avresti dovuto saperlo’. Non
riuscivo proprio a capire perché non voleva che io non sapessi che aveva
baciato Bella; per lo stesso Jacob a cui tanto tempo fa avevo detto che non
aveva nessuna possibilità con Bella, quel giorno in cui si era buttata dallo
scoglio, io sarei stata sicuramente la prima persona che glielo sarebbe andato
a dire correndo. Ma anche questo valeva la stessa spiegazione del discorso
precedente.
Con calma andai a riprendere la moto e me ne andai a casa.
Non mi accorsi quanto tempo ero rimasta lì a pensare, ma durante il viaggio
vidi sfrecciare sull’altra corsia la Volvo di Edward verso casa Swan.
Durante il viaggio decisi cosa fare per superare questa
situazione: avrei seguito il consiglio di Jacob, e avrei aspettato che fosse
lui a cercare me. Se gli avessi disubbidito avrei fatto solo che peggio; se il
suo problema ero io, allora era meglio se non mi intromettevo. E poi non mi
aveva urlato in faccia che non potevamo essere più amici, come avevo fatto io.
Inoltre se volevo capire qualcosa del suo comportamento, non potevo far
nient'altro che chiedere a lui. Per quanto riguardava il bacio invece, bhé, ero
ancora confusa; mi domandavo ancora se così facendo aveva espresso la sua
scelta oppure no. Dopotutto, avevo fatto troppo poco durante il falò, e non me
la sentivo di disperarmi pensando che lui avesse scelto Bella. Quindi mi
promisi che se si fossero manifestati sintomi di gelosia o rabbia di reprimerli
fino a quando non avrei incontrato di nuovo Jacob e mi sarei chiarita le idee.
A dire il vero, questo mi faceva sentire un po’ irritata;
voleva dire aspettarlo fino a quando non sarebbe stato pronto per dirmelo,
sopportando intanto questo dubbio.
In quel momento, tuttavia, c’erano due cose che mi
permisero di accettare volentieri questo compromesso; il fatto che io non mi
ero comportata in maniera migliore, dicendogli che non potevo essere più sua amica
e non chiarendogli il perché, e l’inevitabilità di una battaglia, davanti alla
quale i miei problemi amorosi con Jacob erano una sciocchezza.
Era una situazione esasperatamente stressante; avevo tanto
sperato di trovare in Jacob un amico che mi avrebbe potuto risollevare e alla
fine veniva fuori che lui aveva un problema con me di cui non mi voleva
parlare.
Se quindi non volevo scoppiare, dovevo per un attimo
lasciar stare lui, la mia infatuazione per lui e il bacio, e cogliere il suo
invito a non andare più da lui. Faticai ad accettare l'idea che il mio
principale sostegno fosse crollato; non c'era dubbio che senza Jacob sarebbe
stato tutto più duro da sopportare. Avrei tanto voluto cercare un modo per
aiutarlo, ma era impossibile, quando anch'io avevo bisogno di aiuto.
Quando arrivai nel garage di casa Cullen, in una più
totale caoticità mentale, fui presa da una specie di soddisfazione per me
stessa per aver trovato nella più grande confusione delle soluzioni che mi
stavano bene, anche se ora il rapporto tra me e Jacob era rimasto ancora nella
confusione. Feci un respiro profondo che funzionò. Hakuna Matata, mi
dissi.
“Hai perso già in partenza, Emmett, vincerò io”
“Non è ancora detto niente. E’ ancora umana!”
La conversazione tra Jasper ed Emmett mi distrasse dai
miei fitti pensieri. Stavano cambiando le ruote della Ducati per metterne di
più spesse. Quella meraviglia aveva ancora la carrozzeria lucida, come se non
fosse mai usata, ma le ruote erano diventate finissime. Sospirai malinconica, pensando
che io avrei trattato quella bellezza con molto più amore.
“Di cosa state parlando?” La mia voce distrasse anche
loro.
“Abbiamo fatto una scommessa” mi comunicò Emmett con un
sorriso malizioso “Quanti Bella ne farà fuoridopo essersi trasformata” mi disse franco e schietto. Io lanciai loro
uno sguardo di disgusto.
“Avete un’ironia molto macabra” risposi incredula.
“E’ una tua impressione” rispose Jasper con un sorriso un
po’… inquietante, ecco. A quanto pareva a loro piacevano le scommesse. Ebbene,
anche a me.
“Voglio scommettere anch’io” dissi decisa. Emmett alzò le
sopracciglia meravigliato.
“Scommetto che il primo umano che Bella incontrerà, lo
risparmierà senza essere aiutata da nessuno” proruppi decisa. Sembrava una
grandissima sciocchezza, non c’era dubbio. Tuttavia, non sapevo perché, ma
avevo sempre immaginato Bella una vampira molto controllata rispetto agli
altri, perché conosceva a differenza degli altri tutte le conseguenze che
avrebbe comportato la trasformazione.
Dapprima entrambi mi guardarono increduli, poi scoppiarono
a ridere senza ritegno.
“Ti rendi conto di quello che hai appena detto?” mi chiese
Jasper, tra una risata e l’altra.
“Sì” dissi decisa.
“Bello scherzo!” proruppe Emmett.
“Emmett, non sta scherzando” disse Jasper, smettendo di
ridere, ma non riuscendo a togliersi un sorriso divertito dalla faccia. Io
rimasi impassibile, con un sorriso orgoglioso sulle labbra. Diciamo, era una
grande cazzata, ma ero convinta. Mi era venuta in mente una grande idea per la
quale sarei disposta a rischiare.
“E cosa vorresti scommettere, sentiamo?” chiese Emmett. Mi
rivolsi a Jasper; era con lui che volevo scommettere.
“La mia moto per la tua” dissi decisa. Sentii Emmett
fischiare.
“La ragazza punta in alto!” In realtà Emmett si sbagliava;
ormai la moto aveva fatto il suo tempo e tra un po’ l’avrei buttata. Con questa
scommessa quindi speravo di poterne acquistare una nuova senza chiedere in
giro, appendere volantini o farmi aiutare da Jacob. Jasper intanto tornò a ridere.
“Per me va bene” disse dopo aver smesso “Non riesco però a
capire perché te ne vuoi sbarazzare in questo modo.”
“Non farti troppe domande e accetta” ordinai sicura di me.
Lui fece spallucce, ancora con un sorriso incredulo stampato in faccia.
“Come vuoi tu”
“Bene” dissi dando loro le spalle allontanandomi. Sentii
le loro risatine fino a quando non uscii dal garage. Speravo tanto di aver
avuto ragione.
Salve a tutti! Inizio subito con lo scusarmi di questo mio
ritardo; da luglio fino a questa parte ho iniziato a pubblicare
settimanalmente, ma questa volta ho ritardato di un bel po'. Vi chiedo quindi
di essere pazienti e di leggere a poco a poco i capitoli, soprattutto adesso
che inizia la scuola e che, vi avverto già da adesso, pubblicherò al massimo ogni
due settimane, probabilmente anche di più.
Parlando ora della storia, vi è piaciuto l'inizio? Molti
di voi hanno notato lo sguardo che Jacob dà ad Abigail e ho voluto usare il
sogno un po' per farvi capire cosa volesse dire. Chiaro, no? XD Ho voluto fare
un piccolo regalino, sperando di salvarmi la vita da coloro che mi vorrebero
sicuramente uccidere dopo aver letto la fine. Mi dispiace! Tra Jacob ed Abigail
è un esasperante tira e molla che sembra non avere una fine bella o brutta,
almeno per adesso. Perdonate quindi oltra ai miei ritardi, anche il mio sadismo
:) e spero che vi consolerete sapere che questo tira e molla una fine ce
l'avrà.
Per il resto non ho altro da dirvi. Vi ringrazio ancora ed
ancora tantissimo per leggere questa mia storia ed apprezzare la mia fantasia!
Vi mando a tutti un enorme bacio!
X MoonLight_95: Bhè, sei tu che l'hai intesa in questo modo XD. Non è
che il lupo ha avuto l'impriting ma non lo vuole ammettere? Lo sparo. Per
quanto riguardo l'imprinting, non posso dire niente, ma per quanto riguarda gli
spari, ho come la sensazione che tu me ne voglia dare parecchio, dopo questo
capitolo XD. Battute a parte, grazie ancora tantissime per aver commentato e
per commentare! Un bacio grande anche a te! PS: è da tanto che non pubblichi,
come mai?
X Kianna: Non penso che dopo questo capitolo tu abbia ancora un sorriso
stampato, o mi sbaglio (sono crudele!)? Comunque hai ragione, qua Jacob cova,
cova, cova qualcosa alla grande! Per scoprirlo però, bisognerà aspettare ancora
un po', purtroppo. Intanto ti ringrazio ancora moltissimo per il commento! Ci
vediamo allora al prossimo capitolo! Baci!
X nes_sie: Mmh... cosa sarebbe queste conclusioni affrettate? Sono
curiosa di conoscerle! Comunque, credo che tu sarai felice di sapere che
incontraremo questa Abi di nuovo, forse non molto presto, ma ci sarà ancora
(ovviamente, con Bella fuori dai piedi!). Grazie millissime per il commento!
Tanti bacioni!
X Franny97: No, no! Per niente! Il mio non era una
constatazione negativa, bensì positiva! Non fraintendermi! Per quanto riguardo
il capitolo, bhè, credo che a questo punto userai quel lunghissimo nuovo
vocabolo che hai appena creato per descrivere la cruenza della morte di cui mi
avrai appena minacciato, o no? XD Insomma, tu mi dici che vuoi più momenti
romantici e adesso ecco una nuova separazione. No, no, tu adesso mi uccidi, lo
sento. Bhè, dai, almeno in una cosa ti ho accontentata: ovvero che sarà una
storia moolto, moolto lunga! Sempre se riuscirò a finirla, questo è il
problema... Dubbi a parte, ti ringrazio ancora tantissimo per i super
complimentoni e per commentare ancora ed ancora! Tanti bacioni e auguri di
pronta guarigione per l'amnesia ;)
X GiuliaMary:Grazie tantissimo per i tuoi complimenti riguardo la mia fantasia :) !
Son contenta che tu non abbia mai letto una storia dalla trama simile e che ti
piaccia! Scusa quindi se con questo capitolo ti ho fatto aspettare più del
dovuto. Grazie ancoraper il commento!
Spero che continuerai a seguire la mia fan fiction! Alla prossima!
X __cory__: Uau! Hai delle visioni o sei una veggente?
Chissà perché, ma quel tuo intuito ci ha azzeccato! XD Inoltre concordo con te
su Bella, un bel personaggio, ma dopo un po' noioso, per quanto mi rigurda.
Allora per quanto riguarda l'ammiratore, c'è! Non si vede, Abi non lo nota
manco di striscio, ma c'é! Avrò scritto su diciotto capitolo solo una frase su
di lui, ma c'é! Ed é Eric! All'inizio, non so ben dove, ho scritto che Eric
aveva una piccola cotta per Abigail, ma lei lo lascia subito stare. Ti posso
scrivere però che tra un po' ne spuntarà uno, non tanto nel senso di ammiratore
innamorato come Mike, Eric, Tyler, Jacob e volendo anche Edward nei confronti
di Bella, ma... in un altro senso :) Spero di essere stata abbastanza
misteriosa! Ti ringrazio ancora di scrivermi le tue riflessioni interessanti
che adoro! :) Un bacio, e alla prossima!
Stranamente riuscii a dormire bene quella notte; il
pensiero di Jacob non mi tornò in mente nemmeno per
un momento, troppo presa per la battaglia a venire. Anche se,
seppure mi sforzavo, infrangevo più di qualche volta la promessa fattami.
Davanti all'inevitanbilità di
dover avere a che fare con dei problemi che andavano
al di là delle mie capacità, fui contenta che quel giorno, per un attimo, mi
sarei di nuovo immersa in qualcosa di umano: Alice, Edward
e Bella avrebbero ricevuto il diploma quel pomeriggio e non vedevo l'ora di
vedere il trio in toghe giallo canarino.
Dopo pranzo mi cambiai; avevo
deciso di rimettermi i vestiti che mi aveva imprestato Alice per il falò,
questa volta senza trucco o cos’altro. Quando aprii
l’armadio mi accorsi che non sarebbe stato troppo facile prenderli; sembrava
che una bomba di vestiti fosse scoppiata nell’armadio ed i suoi resti fossero
rimasti sparsi ovunque. Guardai l’orologio e decisi che potevo accordarmi
qualche minuto per rimettere a posto almeno un poco. Tirai fuori tutto
l’ammasso e iniziai ad abbinare i pantaloni in tuta con le rispettive felpe, a
piegare le magliette e a mettere ciascuna scarpa vicino alla sua gemella. Dopo
mezz’ora avevo sistemato tutto e avevo trovato anche quello che mi serviva. Per
ultimo, presi i pantaloni, le scarpe, la fascia e la maglia che usavo per
andare a caccia insieme ai miei. Sfortunatamente
trovai tutto, tranne la fascia. Sbuffai, questa non ci voleva.
Non ero particolarmente attaccata alle mie cose, prova era il mio disordine, ma quella fascia faceva un’eccezione; era il
primo regalo che mi aveva fatto il mio primo fidanzatino, quando avevo tredici
anni, e seppure ripensando a quei momenti ridevo dell'ingenuità che avevo avuto
al tempo, quell’oggetto aveva comunque un valore
affettivo.
Prima mi vestii, poi andai alla ricerca della fascia
perduta, che tra l’altro era anche del mio colore preferito e mi piaceva un
sacco. Guardai in ogni angolo della camera: sotto il letto, tra le lenzuola, in
bagno, dietro lo specchio e la scrivania. Niente. Sbuffai di nuovo, dove cavolo
era andata a finire?! Pensai che fosse era rimasta impigliata nella lavatrice o nell’asciugatrice.
Pensi poi che era impossibile: era mamma che mi lavava
i vestiti e non sarebbe da un vampiro dimenticare cose in giro. E poi era passato tanto tempo dall’ultima battuta di caccia…
Quando mi resi conto, mi irrigidii.
L’ultima volta che ero andata a caccia ero stata attaccata da Victoria. Quando
ero partita la fascia ce l’avevo. Quando i miei
genitori mi avevano lasciata ce l’avevo. Quando mi
aveva attaccato ce l’avevo. Ora mi ricordai che la
fascia all’ospedale non c’era. In quel momento ero troppo distratta per accorgermene. Inoltre, se mi si fosse sfilata durante
l’attacco, i miei genitori l’avrebbero trovata e restituita. Oppure
sarebbe rimasta incustodita a terra. In ogni caso, ero sicura che Victoria mi aveva preso la fascia.
Non avrei provato un brivido lungo la schiena, se non mi
fosse parso tanto famigliare a quello che era successo a Bella. Anche a lei qualcuno aveva preso dei vestiti.
Queste due situazioni erano troppo simili per sembrare coincidenze: il vampiro che era entrato in
camera di Bella doveva essere un complice di Victoria. Ma
per quale motivo Victoria avrebbe dovuto prendere qualcosa mio e di Bella?
L’odore lo conosceva già. Forse... si era fatta nel frattempo più di qualche
alleato.
Mi alzai come una molla dal divano e corsi giù in salotto.
Dovevo informare tutti dell'accaduto.
Vidi mio padre seduto sul divano intento a leggere il ‘Seattle Times’ del giorno, con
aria tesa.
“Papà” dissi seria. Lui alzò lo sguardo interessato.
“Dimmi, Abi.”
Aprii la bocca, ma Alice si smaterializzò accanto a me
e mi impedì di continuare. Aveva i muscoli della faccia tirati. Cosa ci faceva Alice qui? Doveva essere a scuola per la
consegna.
Al suo fianco comparve quasi contemporaneamente anche Jasper, pronto per farla rilassare. Insieme a lui arrivarono poi anche Rosalie, Emmett
e mia madre. Tutti guardavano interessati e leggermente ansiosi l’espressione di Alice.
“Bella ha avuto un’ottima intuizione.” Il suo nervosismo
era visibile anche dal tono di voce “Sia il vampiro che è entrato in camera
sua, sia quello che sta creando un esercito a Seattle
sanno usare i buchi delle mie visioni, entrambi conoscono il mio potere. A
questo punto sarebbe molto improbabile se si trattasse di due persone diverse.”Ergo, i due vampiri erano la
stessa persona. Mio padre annuì leggermente, visibilmente
preoccupato. Tutti i presenti avevano un’espressione sorpresa, me
compresa.
“Bella ha avuto ragione. Dovevamo pensarci prima. Non può essere diversamente” affermò papà.
Intanto io mi ero persa a guardare un punto indefinito del
pavimento. Se il vampiro che era entrato in camera di
Bella, c’entrava con Victoria ed era lo stesso che aveva creato i vampiri a
Seattle…
“…Victoria è coinvolta con l’esercito di Seattle” mormorai
tra me e me. Sei paia di occhi mi guardarono curiosa.
“Cosa te lo fa pensare?” mi
chiese pensierosa mamma.
“Non trovo più la fascia arancione, quella che metto per
venire con voi” dissi seria “L’ho indossata anche quando Victoria mi ha attaccata.”
“Non c’era nessuna fascia quando
siamo venuti in tuo aiuto” proruppe Alice, seria più di me.
“Perché la presa Victoria” continuò a ragionare mio padre
“Esattamente come ha fatto il vampiro sconosciuto con
Bella.” Il resto del ragionamento venne eseguito in
maniera piuttosto chiara e veloce dagli altri vampiri.
“Quindi Victoria c’entra qualcosa
con l’esercito di Seattle” disse ad alta voce Rosalie. La rivelazione aveva innervosito tutti.
“Forse è stata proprio lei a
crearlo” disse Jasper. Lo guardai interessata.
“Tempo fa, mentre la cacciavamo, abbiamo perso le sue
tracce in Texas. Credo che lì si sia fatta l’idea di provare a creare un
esercito. Ed in effetti il profilo del vampiro che lo
ha creato a Seattle coincide con il suo.”
“Lei aveva rapporti con Laurent,
che vive con la famiglia di Tanya.
Molto probabilmente è stato lui a raccontarle delle mie visioni” si intromise Alice.
“Combacia tutto” affermò deciso papà “La fascia che ha
fatto prendere ad Abigail serve per dare una traccia
ai vampiri, un obiettivo da attaccare.”
“E il vampiro che è entrato in camera di Bella può essere
un neonato che ha superato l’anno, abituato all’odore umano” concluseJasper. Il ragionamento non faceva una grinza.
Nonostante tutto, non mi sentii affatto più
innervosita di prima; in ogni caso ci sarebbe stata una battaglia. Anzi, mi
sentivo un po’ meglio, ora che sapevo chi c’era dietro tutto
questo.
Così alla fine la causa dei vampiri di Seattle e del vampiro in camera di Bella, era lei. Tutte e tre le cose
erano legate tra loro. Come avevo ben pensato io
all’inizio, i Volturi non c’entravano. Per ora. Ora che sapevo con chi
prenderla avrei tanto voluto prenderla a sberle. Fin
da quando mi ero trasferita a Forks, non aveva smesso
di rompere le palle un momento.
Nonostante tutto, tutti quanti rimanemmo
rimanemmo piuttosto stupiti, soprattutto i Cullen, che la dovevano conoscere da più tempo di noi.
“Bisogna avvertire Carlisle, Esme e Edward” Rosalie scattò e prese il cellulare sul tavolino. Alice la fermò
subito.
“No, meglio fare dopo, con più calma. Edward
si farà prendere dal panico. E’ meglio informarli a cerimonia finita.” Giusto; se avrebbe saputo che
l’obiettivo di tutto non fossero i Cullen, ma Bella
sarebbe scoppiato. Certo, lo ero anch'io, ma non gli sarebbe
importato granché di questo.
“Ci occorre l’aiuto dei licantropi” esclamò mio padre
alzandosi in piedi e iniziando a camminare. Lo guardai decisamente
basita per l’improvvisa affermazione. Come se questo fosse
d’altronde possibile. Non fui solo io a rimanere allibita dalle parole
di papà; per un attimo scese il silenzio più fitto.
“Davvero?” borbottò Emmett poco
convinto. Nessuno difatti fremeva all’idea. Non avevo ancora capito cosa
c'entrasse.
“Assolutamente. Abbiamo bisogno di aiuto
ed il loro potenziale è ottimo" affermò papà, sempre più convinto di
quello che diceva “Era quello che mi sta dicendo di fare il mio dono. Era
questa la cosa che stavo aspettando; la consapevolezza che tutte e tre gli
eventi erano attaccati.”
“E come farai a convincerli?” Non
potei trattenermi dall’usare un tono sarcastico. Papà mi guardò con occhi
intesi.
“Anche loro stanno braccando
Victoria e quindi anche loro sono coinvolti in questa battaglia. E poi se sono
intenzionati a proteggere te e Bella, non gli converrebbe fare altrimenti.” Finalmente si fermò dalla sua camminata.
Scese ancora per un
attimo il silenzio.
“In effetti” iniziò Jasper,
non proprio entusiasta “Quei lupi potrebbero fare una grandissima
differenza. Renderebbero le cose molto più facili,
senza il rischio di feriti” appoggiò mio padre.
Quando concluse ebbi come il
presentimento che le ultime parole fossero riferite a me. Fatto sta, che mi
sentii sollevata. Quanti erano i licantropi adesso, sette? Saremmo
stati un totale di sedici creature esperte contro un branco di poco meno
di venti neonati: in pratica un vampiro a testa.
Magicamente mi sentii tremendamente rincuorata; tutta
quella tensione che mi aveva impedito di dormire, solo all’idea che qualcuno
rischiasse la vita, era finita. Queste parole di Jasper
mi avevano calmata tanto quanto quell'altre
mi avevano gettata nel panico.
“Dobbiamo parlare con loro” disse mio padre, guardandomi.
Compresi immediatamente.
“Vado a La Push” dissi alzandomi.
Già mi stavo immaginando i discorsoni che avrei fatto
a Sam. Papà mi bloccò per le spalle.
“No, vai alla cerimonia” mi disse energico. Io lo guardai
dubbiosa.
“Vai” mi disse ancora per incoraggiarmi. Non ne capii
subito il perché, ma obbedii senza fiatare, fidandomi cecamente
di lui, con la certezza che fosse anche quello un’intuizione da parte del dono
di papà.
Questa volta presi la macchina,
che fino a quel momento non avevo usato molto. Arrivai in dieci minuti. Feci
una fatica bestia per parcheggiare l’auto, sia perché non ero per niente
abituata a guidare un quattro-ruote, figuriamoci di quelle dimensioni, sia perché il parcheggio
era tutto pieno. Dopo aver finalmente trovato un buco adatto alla mia Cadillac,
mi diressi nel padiglione centrale. Entrai senza attirare troppo l’attenzione;
la consegna dei diplomi era iniziata. Cercai con lo sguardo Bella o Edward, ma intravidi solo Eric,
che mi salutò e che io ricambiai.
“Pss!” Mi girai automaticamente
verso quel suono; Jacob, Charlie
e Billy dalla sua sedia a rotelle richiamavano la mia
attenzione. Molto probabilmente papà si riferiva a questo.
Mi avvicinai a Jacob e salutai
tutti e tre. Sorrisi per la noia disumana che doveva subirsi Billy, espressa in continui sbadigli, e l’impazienza di Charlie di vedere sua figlia. Jacob
d’altronde se ne stava immobile, la testa leggermente bassa e la schiena
appoggiata alla parete.
Percepii che si trovava
leggermente a disagio. Ad essere sincera, vedere Jacob vicino, mi faceva lo stesso effetto. Feci un
respiro profondo, cercando di convincermi ad essere paziente e pensando che se Jacob aveva un problema con me, me ne sarebbe venuto
sicuramente prima o poi a parlare.
Cercai di dimostrarmi il più indifferente possibile e
decisi di riferirgli il messaggio. Mi alzai sulla punta dei piedi verso di lui.
“I Cullen e la mia famiglia
hanno bisogno di parlare con voi” gli sussurrai. Lui mi guardò strano,
dimenticando quell’iniziale disagio.
“Perché?”
“Victoria” mormorai io. Di colpo vidi in tutto quel mare
di tuniche in poliestere giallo girarsi la testa di Edward. Aveva un’espressione di panico.
“Cosa?” chiese ancora
insoddisfatto.
“Ve ne parleranno loro” lo liquidai io in
risposta. Edward si alzò e si diresse
diresse veloce verso il palco per ritirare il
suo diploma. Osservando la sua reazione, decisi di
assecondare Alice e non pensare troppo alla conversazione di poco prima.
Con Jacob vicino la cosa si dimostrava piuttosto
facile. Mi avvicinai a lui e approfittando del fatto che non potesse scappare
iniziai a parlargli.
“Mi vuoi dire cosa c’è che non va?” Non mi dimostrai molto
decisa; pensavo lo avrei irritato e basta. Infatti lui
sospirò pesantemente.
“E’ un problema che hai con me?” continuai, non
demordendo. Dovevo sapere almeno questo, poi lo avrei
lasciato stare. Lui fece un altro respiro, scuotendo la testa.
“No, non sei tu. Anzi, sì, ma…” mormorò confuso. Bhè, cristallina come spiegazione. Lasciai che finesse. Si avvicinò all’orecchio per parlarmi. Non potei
non notare il suo respiro caldo che mi faceva il solletico.
“Senti, sto vivendo un momento di grande
confusione, e questa cosa della vampira non aiuta proprio. Vorrei stare da
solo” disse lui dispiaciuto, nello stesso tono che usava
quando era in cerca del mio perdono.
“Intendi da solo con Bella? Non si spiegherebbe il perché
tu sia qua” dissi di getto senza pensarci, con
accidia. Forse esagerai.
“Le ho telefonato ieri sera per
dirle le stesse cose” mi spiegò lui, impassibile.
“Ah.”
Lo confesso, c’ero rimasta
davvero male. Questo voleva dire che mi ero sbagliata;
non aveva un problema solo con me, ma anche con Bella, la persona di cui era
innamorato. Era strano, dopo che l’aveva baciata, e allo stesso tempo non
vedevo perché non potevo credergli; sarebbe stato più logico se fosse stata
Bella a consigliargli di non farsi più vedere. La cosa era molto più complessa
di quanto immaginavo.
“Jacob, mi stai preoccupando”
dissi tesa.
“Ne riparleremo” mormorò abbattuto. Lui continuava a
guardare avanti, ma io non riuscivo a staccare gli occhi. Si era chiuso in una
specie di impenetrabile isolamento, ma se ieri almeno
avevo cercato di ipotizzare cosa potesse essere, ora che sapevo che il suo
problema riguardava anche Bella, pensare a cosa fosse dovuto era diventato
indiscutibilmente impossibile.
Tornai anch’io a guardare di fronte a me, in attesa che arrivasse Bella. Poco dopo sentii la sua mano
sfiorare la mia. Pensavo che fosse stato solo un contatto casuale, ma subito
dopo passò le sue dita sul mio palmo. Lo fulminai con lo sguardo.
“Scusa, non mi hai appena detto
che non mi vuoi più vedere? Non sei molto coerente” chiesi
sbalordita.
“Bhé, tu lo
sei molto meno” mi mormorò lui per ripicca. Touché.
Questa volta l’aveva vinta lui; aveva colpito nel punto debole. Ma ero
orgogliosa, quindi lo guardai per parecchi secondi stranita
prima di riprendere a guardare il preside che consegnava diplomi. Per un attimo
lasciai tutta la preoccupazione che mi aveva afflitta prima e l’altro giorno;
con la sua mano nella mia, non mi faceva per nulla pena.
“Secondo te dovrei sopportare
tutti questi tuoi cambi di umore senza sentirmi presa in giro?” chiesi con
calma e pacatezza.
“Come io ho fatto con te” mi rispose soddisfatto. Adesso
ci godeva proprio a rinfacciarmelo, eh? Ancora una volta non potei fare altro
che stare zitta. Se ero stata così incoerente un prezzo
lo dovevo pagare; non potevo di certo dirgli il motivo che mi aveva spinta a
tutto questo, almeno, non così presto.
“Dammi qualche giorno per pensare, per favore” disse
serio, sottolineando le parole, intrinseche di una
straordinaria e sincera supplica. Lo guardai negli occhi e lessi anche lì la
preghiera che mi stava lanciando. Fu più che sufficiente; era ormai certo che
gli avrei detto di sì. Gli feci solo l’accenno di un sorriso.
“Poi però mi racconterai tutto” lo esordii io.
“Va bene, lo prometto” Non fu particolarmente sicuro, ma
aveva comunque promesso. Alla risposta della sua mano
contro la mia, intrecciai le mie dita con le sue. Qualsiasi cosa gli stesse
succedendo, qualsiasi problema avesse di cui non me ne voleva parlare,
qualsiasi fosse il motivo per cui non voleva vedere né
Bella, né me, volevo che sapesse che io c’ero; dopotutto, ero ancora la sua
migliore amica, e il vero amico si fa vedere sempre nel momento del bisogno.
Riflettendoci bene, Jacob era un
amico eccezionale; mai da quando ci eravamo conosciuti
aveva messo in dubbio la nostra amicizia e, dopotutto, questo valeva ancora
adesso. Ero stata io quella che aveva cercato di farlo, io ero tra i due
l’amica peggiore: ovvio, l’amicizia non mi bastava più e non
mi sentivo affatto egoista a rischiare di buttare via questo splendido
rapporto.
Tutto questo, però, avrebbe dovuto aspettare.
Arrivò quindi il momento di Bella. Era tesa come una corda
di violino e sembrava avere la testa tra le nuvole quando
andò a prendere il proprio diploma. Chissà, forse il nervosismo del momento? O forse qualcosa di ben peggiore…
Ben presto anche la cerimonia finì e per un attimo regnò
il caos. Tutte le famiglie si alzarono per andare in contro
ai propri figli, e d’altro canto i diplomati si stringevano tra loro,
scambiandosi gli ultimi saluti. Jacob fece scivolare
le sue dita dalle mie.
“Devo andare” mormorò in mezzo a tutto quel frastuono. “Ci
vediamo.” Avrei tanto voluto rispondergli con una
delle mie battutine sarcastiche di pessimo gusto, ma la sua voce malinconica mi
fece ripensare.
“Ci vediamo” dissi con lo stesso tono. Mi lanciò un
sorriso appena visibile, nemmeno l’ombra di quello di cui ero
innamorata.
Sia Jacob, che Billy non ebbero difficoltà a perdersi nella calca di
persone e io lo persi subito di vista. Come se non ci
volesse, dopo questa ultima chiacchierata, non potei non
sentirmi in pensiero. Riuscii però a dimenticarmi per un attimo
di lui e cercai di farmi spazio per andare a salutare Bella. Prima
ancora di raggiungerla, Edward mi venne incontro. Mi
agguantò il braccio e la sua presa mi fece quasi male. Era furibondo.
“Dimmi quello che è successo” ordinò. Io lo guardai per un
paio di secondi spaventata; Alice aveva ragione quando
aveva detto che era meglio non pensare. Avevo cercato in ogni modo di non accennare
al fatto di quella mattina e credevo di esserci riuscita. Perciò
dev’essere stata per forza Bella a dirgli quello che
aveva dedotto. Ormai ero spacciata. Pensai velocemente alla
conversazione avvenuta poco prima a casa, da quando
non avevo trovato la fascia a quando papà aveva avuto il presentimento. Quando ebbi finito, lui mollò la presa e si diresse
immediatamente verso l’uscita. Mi voltai a guardarlo tesa; ancora un po’, e
avrebbe perso il controllo, anche se non era esattamente da lui farlo. Lo lasciai perdere quando riuscii a intravedere Bella; non si
era ancora tolta quell’espressione nervosa e tesa.
“Complimenti” dissi facendomi largo per andare ad
abbracciarla.
“Grazie” disse in un sussurro lei, ancora spaesata. Ora
sapevo che il suo comportamento riguardava l’intuizione che aveva avuto.
“Pensavamo di andare al Lodge,
vorresti venire anche tu, Abigail?” chiese affettuoso
Charlie. Bella intanto seguiva distratta quello che Charlie diceva.
“No, figurati. Non voglio rovinare questo momento in
famiglia” cercai di scusarmi “E poi dovrei scappare
anch’io. Quindi vi saluto” Diedi un abbraccio prima a Charlie, poi a Bella.
“Ti prego, non ti tormentare, se no
scoppierai” le sussurrai dolcemente all’orecchio. Sentii la sua risposta
nell’abbraccio che si strinse di più.
“Ci vediamo dopo, Abi” mi disse,
con un accenno di sorriso sulle labbra. Figuriamoci se si fosse
rilassata; finita la cena sarebbe corsa a casa nostra. Io contraccambiai
con un sorriso più ampio e tranquillo.
Uscii da quell’ammasso di
persone e me ne tornai a casa, per sapere se c’erano novità. Sulla 101 cercai
di individuare il quasi invisibile sentiero che portava a casa Cullen. Fui sorpresa di vedere che i primi due alberi erano
illuminati da lucine intermittenti.
“Ma che…?” Non era finita, per
tutto il sentiero ogni due metri c’erano fiaccole che illuminavano il cammino
della lunghezza di cinque chilometri. Accelerai, più confusa che curiosa, per
raggiungere la villa bianca e scoprire cosa stava succedendo. Parcheggiai nel
garage ed entrai. Rimasi a bocca aperta; Rosalie, Esme
ed Alice stavano addobbando il salotto e l’ingresso con palloncini e luci e la
cucina era invasa da una quantità enorme di
stuzzichini e bibite analcoliche offerte da una prestigiosa società di catering. Casa Cullen aveva
cambiato del tutto facciata, trasformandosi in una di
quelle discoteche che facevano vedere nei telefilm sugli adolescenti
californiani straricchi.
“Ci sarà una festa?” chiesi spiazzata. Avevamo da poco
scoperto chi ci fosse dietro all’esercito di Seattle,
e loro facevano una festa? Non era molto coerente. Alice mi guardò confusa.
“Certo, la festa del diploma di
Bella. Le capiterà una volta sola nella vita e deve
festeggiare” affermò decisa, continuando a sistemare i palloncini. Bhé, fantastico. Era straordinario anche il fatto che non
ne sapevo niente e che nessuno mi aveva invitata, seppure vivessi
temporaneamente lì. Ma ad essere sincera, poco male;
odiavo le feste. La musica era troppo alta perché si potesse parlare senza
urlare, così alla fine della serata ci si ritrovava sordi e muti. E poi odiavo
la massa di persone tutto accalcate tra di loro che
saltavano e si muovevano con la grazia di un elefante. Non mi faceva sentire a
mio agio, ecco. Quindi non mi offesi più di tanto, se nessuno mi avesse detto niente. Alice si diede uno schiaffo sulla fronte
all’improvviso.
“Oh, no!” esclamò affranta. Scese veloce
le scale e mi prese le mani, sventolando una faccia dispiaciuta.
“Mi sono completamente dimenticata di dirtelo. Non so come
mi sia uscito di testa. Ovviamente
sei invitata anche tu” Alice ovviamente confermò le mie paure. Le inviai
un sorriso che aveva poco dell’entusiasta.
“Grazie” mormorai io. ‘Grazie’
era decisamente una parola inappropriata. Poi mi guardò con aria critica.
“Ora sono occupata con i preparativi. Se riesco a finire ti do una sistemata veloce” Deglutii sonoramente;
speravo tanto non avesse tempo per me. Annuii cercando di dimostrarmi
entusiasta, ma fu poco convincente per entrambe. Ritornò veloce ad attaccare
palloncini. Io guardai la scena ancora stranita; faceva un grandissimo
contrasto quell’atmosfera festaiola con la
rivelazione di questo pomeriggio. Tuttavia, a pensarci bene,
Alice non aveva avuto mica torto; quella poteva essere l’ultima occasione di
fare una festa.
“Abigail, puoi venire un attimo
in cucina” mi chiamò mamma. Insieme a lei c’era anche
papà. Io andai veloce da loro. Chiusi la porta dietro
di me, anche se fin dall’ufficio di papà gli abitanti di quella casa potevano
sentire le nostre voci.
“Cosa c’è?” Non serviva che lo chiedessi.
Era visibile in entrambi le espressioni di preoccupazione e tensione. Non mi
trattenni nel fare uno sbuffo; le avevo viste talmente tante volte che
cominciavano ad annoiarmi. Dopo il momento di iniziale
spiazzamento, tutti e due, esattamente come Edward,
avevano iniziato a preoccuparsi. A differenza loro, la mia di preoccupazione
era scomparsa, da quando era diventata palpabile la
prospettiva di un aiuto da parte dei licantropi. Nonostante
tutto, li lasciai parlare.
“Adesso che sappiamo che quell’esercito
di vampiri è stato creato per te e Bella” iniziò mamma. Mi circondò il viso con
le mani per rassicurarmi.
“Sappi che faremo di tutto per proteggerti” Io la guardai
annoiata; gli unici in ansia erano solo lei e papà.
Anzi, trovavo strano che fosse agitato anche lui, quando era stato il primo a
dirmi di non preoccuparmi.
Era di per sé già implicito il messaggio, oltre ad essere
stato ripetuto in continuazione nel corso del tempo.
“Me l’hai già detto, mamma” dissi
togliendole le mani e prendendole tra le mie, questa volta per cercare di
rassicurare io lei.
“Lo sai che siamo disposti a rischiare la vita” continuò
papà. Già ripetuto anche questo. Tuttavia mi trattenni
dall’esprimere qualsiasi emozione, dato che quella prospettiva si poteva
fare più reale che mai.
“Te lo diciamo adesso, con calma” intervenne mamma. Io
cominciai a guardarli preoccupata “Se ci dovesse
succedere qualcosa ad entrambi…”
“Non vi succederà niente! Con l’aiuto dei licantropi non
ci sarà problema” esclamai con ironia “E poi papà mi ha già assicurato che non
vi succederà niente!” In realtà avevo ben poco di ironico;
quei discorsi lanciarono anche me nell’ansia, perché mi avevano fatto
puntualmente ricordare che, anche se con i licantropi diventata tutto più
facile, la realtà era che le probabilità che i miei genitori sarebbero
sopravissuti sarebbero state del novantanove per cento, non del cento per
cento. Mio padre intuì il mio stato d’animo e mi
sorrise.
“Certo, sarà quasi impossibile che ci possa succedere
qualcosa” disse lui “Ma se per caso così non fosse,
sappi che abbiamo chiesto a Carlisle di prenderti
cura di te, almeno fino a quando non andrai al college.” Scossi la testa; non
volevo ascoltare.
“E’ solo una precauzione, Abi”
disse mia mamma tornando ad accarezzarmi. Io non mi
sentii ancora del tutto sicura.
“Promettetemi già da adesso che starete attenti” gli ordinai io, indicai poi papà minaccioso “Promettimi che non
ti farai uccidere e che sarai l’ombra della mamma”
“Certamente” mi assicurò papà.
“E niente eroismi!” continuai io.
Riuscii a farli ridere entrambi.
“Va bene” disse mamma con tono fin troppo infantile. Mi
fermai un attimo per guardare negli occhi i miei due genitori speciali. Non
sapevo se sarei sopravissuta senza di loro. Ma mi
fidavo e confidavo nell’aiuto dei licantropi. Mia madre mi sorrise.
“Va, Alice ha finito con i preparativi, ti aspetta” Io
alzai gli occhi al cielo, esasperata. No, ancora una volta no.
Alla fine non fu per niente doloroso, anzi, Alice fu
particolarmente magnanima, perché dopo avermi passato un tocco di trucco sul
viso mi aveva dato la possibilità di scegliere quello che avrei voluto dal suo
armadio. E non mi toccò neanche i capelli. Dopo che
finì con me si sistemò e si vestì ancor prima che io avessi deciso cosa
mettermi. ‘Devo sbrigare le ultime cose, quindi fai
pure con comodo’, mi aveva assicurato lei.
Entrai quasi con timidezza in quella specie di seconda
stanza. Era molto più grande di quanto mi immaginavo.
Era impossibile contare quanti vestiti ci fossero.
Erano disposti per colore; inoltre in bella vista c’era un vestito campione, e
subito dietro si snodavano capi dello stesso modello, ma di taglie diverse.
Sotto i vestiti c’erano le scarpe, divise tra con e
senza tacco, eleganti e casual. Con mia grande sfortuna, non intravidi niente
di abbastanza sportivo; erano per lo più vestiti
eleganti, troppo per me. Dopo un’attenta ricerca notai qualcosa che poteva
andarmi bene e per la prima volta il mio senso sulla moda e sul buon gusto si
attivò.
Ci misi mezz’ora per decidere: alla fine, priva di
fantasie, mi vestii in pratica come al falò, sempre con un paio di leggins, con
le stesse ballerine, di un blu scuro questa volta, insieme a
un vestito che mi arrivava a metà coscia azzurro acceso, insieme a un copri-spalle dello stesso colore delle ballerine. Quando fui convinta che copriva abbastanza pelle e stavo
comoda, andai giù in salotto.
All’ingresso vidi Alice indaffarata a smistare centinaia
di cd in due pile. Non appena mi vide mi chiese di portare i vassoi di cibo
dalla cucina sui tavoli disposti nell’enorme ingresso. Eseguii contenta di
poter essere utile.
“Abigail! Ti ho
detto di portare gli stuzzichini sul tavolo, non di mangiarli!” mi ammonì
Alice, ancora indaffarata con i cd.
“Non stavo mangiando!” dissi a bocca piena, spingendo con
un dito un crostino di salmone e panna che era la fine del mondo dentro la
bocca e abbassando la testa per cercare di non farmi vedere. Alice non si
trattenne dal ridere.
“Bella edEdward
sono arrivati” mi comunicò. Il secondo dopo la porta si aprì. Io feci un sospiro esasperata. Una aveva un’espressione proprio
sotto i tacchi; scommetto che non aveva passato neanche un minuto a non pensare
ai vampiri neonati. L’altro invece non si staccava da lei e a parer mio era
esageratamente appiccicoso, ma questo suo modo di fare
sembrava far sentire meglio Bella.
“Edward, ti prego! Sono
abbastanza sicura che Bella anche senza di te riuscirà ad arrivare viva e
vegeta fino a domani” gli dissi esasperata
avvicinandomi a lui. Lui sospirò e alzò gli occhi al cielo.
“Perché non mi lasciai stare una
buona volta?” disse in un tono strano, un misto tra l’infastidito e il
divertito, continuando ad abbracciare Bella. Io sghignazzai divertita.
“Pronta per il super-party?” chiesi fingendomi entusiasta.
“Certo” rispose lei sarcastica.
“Anche tu non sei tipo da festa,
vedo” dedussi, comprendendo la sua allegria.
“Edward, che musica devo mettere? Conosciuta e rassicurante oppure gli educhiamo
a gusti migliori?” chiese indicando prima una pila,
poi l’altra di cd.
“Meglio la rassicurante” le raccomandò Edward.
Mentre Edward parlava con Alice mi soffermai
sull’espressione affranta di Bella mentre guardava il
salotto. Mi fece sorridere. Chiesi mentalmente ad Edward
se Bella sapeva anche di Victoria. Anche se continuava a
guardare Alice, scosse la testa, quanto bastava per rispondermi e per non farsi
vedere da Bella. Bhé, la cosa non mi
sorprendeva; ma lo avrebbe saputo presto. A quel punto mi lanciò
un’occhiataccia e sempre senza farmi vedere gli lanciai una linguaccia.
“Non credo di essere abbastanza elegante” mormorò Bella,
imbarazzata, osservandosi ancora in giro. Edward
cambiò immediatamente espressione; le si avvicinò con
il suo solito sorriso sghembo e le diede un veloce bacio sulla guancia.
“Sei bellissima” rispose Edward.
“Molto meglio di Abigail di sicuro” intervenì Alice, osservandomi in
disaccordo “Sei troppo ripetitiva” Lanciai una linguaccia anche a lei.
“Verrà qualcuno?” mormorò Bella speranzosa in una risposta
negativa. D’altro canto, io condividevo lo stesso stato d’animo.
“Verranno tutti” esclamò Alice.
“Non vedono l’ora di entrare nella misteriosa casa dei Cullen” spiegò Edward.
“Bene” mormorò lei sconfortata “Posso
essere d’aiuto in qualche modo?”
“Puoi aiutarmi a portare gli stuzzichini” le proposi.
“Perfetto”
La condussi in cucina, e forse per la prima volta nel corso della giornata, Edward
non la seguii. Doveva darsi davvero una calmata, o avrebbe
avuto seri problemi di stress. Mi dovevo ricredere sui miei genitori;
loro erano rilassatissimi a confronto di lui. Entrammo in salotto e le indicai
la porta che portava al garage.
“Se siamo svelte possiamo saltare
in macchina ed andarcene” le proposi a bassa voce.
“Vi sento!” ci urlò Alice dall’ingresso.
“Come non detto” disse Bella, con un sorriso, il primo che
la vedevo fare in quella giornata. In cucina prendemmo
due vassoi a testa. La finta privacy che dava quel luogo chiuso
mi spinse a parlare.
“Sai cosa sta succedendo a Jacob?”
le chiesi di botto, ripensando alle sue parole di poco prima. Cercavo di non
pensarci, ma quello stava diventando un chiodo fisso velenoso e pericoloso. Lei
sospirò profondamente.
“No, e mi rifiuto di capirlo” mugugnò lei, seria. Prese un
solo vassoio, a causa della mano steccata. Io gliela indicai.
“Ho saputo che ti ha baciata.”
Lei si guardò per un momento la mano, per poi pensare ai vassoi.
“Ah sì? Te l’ha detto lui immagino” Io annuii
in silenzio, anche se non era andata esattamente così.
“Prima mi bacia e poi mi dice che
si è pentito e che vuole rimanere da solo. Bhé, dopo
quello che ha fatto, era sicuro che non sarei più andata da lui. Mi fa davvero uscire
di senno quando fa così” disse infervorandosi. Rimasi
del tutto spiazzata. Aveva detto che si era pentito?
Lui, che voleva farlo da una vita? Presi un po’ troppo in fretta un vassoio e
per poco non lo feci cadere.
“L’ha detto anche a me” le risposi, nervosa. Lei mi guardò
spiazzata.
“Davvero?” Negli occhi si poteva leggere la stessa mia
sorpresa.
“C’entra qualcosa quello che vi siete detti al falò?”
chiese titubante. Io scossi la testa convinta.
“No. Quel giorno dovevamo finire ancora di discutere
riguardo l’ultima litigata. Non c’eravamo
chiariti molto” dissi, mezza sincera e mezza bugiarda. Scosse anche lei
la testa nervosa e uscì dalla cucina.
“E’ meglio evitare di pensarci” mormorò. Io la seguii, ammettendo
che aveva completamente ragione.
Avevamo appena appoggiato i vassoi, che alla porta suonarono. Alice alzò la musica ed andò ad aprire. Scesero
dai piani superiori anche i miei genitori e i Cullen,
pronti a sfoderare un’espressione calorosa e solare. E,
dato le circostanze, poco sincera. Ma anche in quella
fittizia normalità, riuscii a sentirmi a mio agio.
Alla porta c’erano Jessica, Angela, Ben, Mike ed Eric, gli amici del
nostro tavolo a mensa. Sorrisi vedendo le loro espressioni timide ed insicure
davanti alla porta aperta di casa: tutti rimasero sbalorditi di vedere cosa
aveva fatto Alice. Bella cercò di accoglierli nel modo più caloroso possibile,
facendoli mettere a proprio agio. Parlava in modo agitato,
così per aiutarla, cercai di intervenire anch’io. Dopo di loro, cominciò
ad affluire un’ondata senza fine di ospiti. Bella
parlò con tutti e si sforzò di essere gentile. Risi pensando che non vedeva l’ora che tutto fosse finito.
Nonostante la casa fosse deiCullen,
nessuno badò molto a loro.
Le luci che Alice aveva accesso
creavano un’atmosfera psichedelica, che rendeva ancora più inquietanti i
vampiri in fondo alla sala. Vidi Emmett sorridere a Mike, dall’altra parte del buffet,
mostrandogli la sua luccicante dentatura che risplendeva in modo particolare
sotto quell’illuminazione. Mike
si allontanò subito intimorito. Io invece mi avvicinai
sorridendo.
“Emmett, il buffet serve per
rinfrescare gli ospiti, non come esca per procacciarsi
cibo” gli spiegai sottovoce, seppure a causa della musica e della lontananza
nessuno mi poteva sentire. Lui mi sfoderò lo stesso identico sorriso.
“Scusa, credo di aver frainteso” mi disse sarcastico.
Scossi la testa, presi una tartina e me ne andai.
Forse perché era
l’eccezione, ma non fu affatto male come festa. Forse
perché lo spazio era grande quindi la gente poteva
disperdersi e l’ossigeno non mancava, forse perché non trovavo la musica così
assordante da non poter parlare, forse perché il cibo era buonissimo, riuscii
anche a divertirmi. C’era in pratica quasi tutta la scuola e quasi tutti quelli
del terzo anno che conoscevo. Parlai, ballai, mi divertii come una normale
diciassettenne. Insieme a me, inoltre, anche tutti gli
altri sembravano divertirsi da matti.
Fin dall’inizio fui subito braccata da Eric,
che dopo una breve chiacchierata, tra college e cose varie mi propose di ballare e, sperando che non attribuisse al ballo
un significato particolare, accettai. Per fortuna lui non lo notò, ma vidi lo
sguardo di mio padre che lo fissava tutto il tempo dal fondo della sala, mentre
ballavamo. Pensai che quell’uomo era
pazzo. Perciò, quando fui sicura che Eric non vedeva, passai un dito sulla gola, come minaccia
di morte. Per fortuna mamma se ne accorse subito e lo
convinse a smetterla. Questo fu l’unica complicazione fino ad ora. Di tanto in
tanto osservavo Bella per vedere come se la stava
cavando. Andava avanti e indietro per tutto l’atrio, parlando con tutti e potei
constatare che si stava cominciando a sentire un po’ più a suo agio. Ovviamente
Edward non le staccava la mano dalla vita e la
seguiva dappertutto e questo a Bella sembrava fare solo che piacere.
Sinceramente, se io avessi avuto un ragazzo così assillante, sarei impazzita
prima, ma il loro amore riguardava solo loro due, e io non dovevo
impicciarmi. Mi stupii quindi vedere ad un certo punto Bella da sola. Vidi che
allungava il collo verso la parte opposta del corridoio, verso la cucina. Io
che ero più vicina vidi bene Edward che stava discutendo
con Alice.
“Balli davvero bene, sai?” mi fece i complimenti un Eric sfrenato.
“Grazie” risposi distratta, guardando i
due Cullen confusa. “Scusa un momento, torno
subito.” Vidi Edward andarsene e raggiungere veloce
la parte opposta della stanza. Mi staccai da Eric, che ci rimase anche piuttosto male, ed andai in
cucina. Mi raggiunse anche Bella. Alice era ancora lì, lo sguardo vitreo e una
mano sulla porta, come se avesse bisogno di reggersi a qualcosa. Alzò lo
sguardo, freddo e duro, verso un punto lontano. Mi girai e vidi che era rivolto a Edward, che sparì subito
sotto le scale.
“Alice, cosa stai vedendo?” chiese Bella, tesa. Il
campanello suonò e automaticamente Alice sfoderò un’espressione di disgusto.
“Chi ha invitato i licantropi?!”
Ci fu un secondo di assoluto silenzio.
“Scusa Alice. Colpa mia” mormorò Bella rabbuiandosi. Io invece sbuffai infastidita; non era esattamente il momento per
venire. Conoscendo Jacob l’aveva fatto
apposta. Speravo solo che non rovinasse la festa.
“Perfetto, allora pensaci tu a loro. Devo parlare con Carlisle e William” rispose Alice
scocciata.
“Alice, aspetta!” Bella cercò di acchiapparla, invano. “Mannaggia!”
“Perché hai invitato Jacob alla festa?” chiesi stranita. Dopo il pugno in
faccia, non mi sembrava molto coerente invitarlo alla festa.
“L’invito risale a prima del… bacio. Pensavo che con il
pugno avesse capito che non era più valido. Inoltre con la seguente
conversazione mi sembrava più che chiaro che non fosse intenzionato a venire”
continuò furente. “Hai capito perché si stanno comportando in questo modo?” disse
facendo cadere l’attenzione nuovamente sui vampiri.
“No” dissi in un sussurro, rimuginando su
cosa stesse succedendo.
“Ehm… Bella” cercai di attirare la sua attenzione
titubante. Lei però ignorò me e quel deficiente che si divertiva a tenere
premuto il campanello. Iniziò ad aggirarsi tra la gente in cerca di Alice, senza fermarsi, mentre io tentavo invano di
spiegarle che i licantropi erano lì per un altro motivo. Si diresse verso le
scale e prontamente la seguii.
“Ehi, Bella, Abigail!” La sua
voce profonda si sparse per tutta la stanza e oltre a richiamare l’attenzione
mia e di Bella, attirò anche quella di tutti i presenti. Mmh…
grande entrata di scena, Jacob.
Tentai di controllare le farfalle allo stomaco non appena lo vidi. Insieme a lui c’erano anche Quil ed Embry; stavano tremando come foglie e per poco credetti che
se la sarebbero fatta addosso. Non riuscii a non ridere per la scena; e dire che dovevano essere forti licantropi in grado di
uccidere vampiri. Jacob invece era più tranquillo,
con il naso arricciato per il profumo. Bella ricambiò veloce il segno di saluto
e se né andò di nuovo, troppo concentrata a pensare cosa stava succedendo ad
Alice edEdward. Io, stufa
delle sue corse, le presi un braccio e cercai di trattenerla, per dirle una
buona volta che Jacob non era venuto per la festa.
Lei si girò e mi guardò sorpresa per il gesto. Intanto Jacob
ci aveva raggiunte.
“Che accoglienza!” commentò,
sembrava del tutto rilassato; anzi sembrava felice di vederci. Avrei tanto
voluto imitare Bella e tirargli un pugno per il suo cavolo di comportamento.
“Che fai qua?” gli chiese Bella
scortese. Se fossi stata in lei avrei reagito allo
stesso modo.
“Mi hai invitato, ricordi?” continuò lui, giocandosela un
po’. Bella lo guardò a bocca aperta.
“Pensavo che il mio cazzotto ti fosse stato chiaro. Anzi,
da quello che mi hai detto quando mi hai telefonato,
sembrava che avessi più che capito” disse furibonda. Lui stette zitto e fece un
respiro profondo.
“Sono venuto per portarvi un regalo, tutto qua” disse
tirando fuori dalla tasca dei jeans due sacchetti
colorati, che attirarono poco la mia attenzione. Ah, non era quindi venuto per
parlare con i Cullen? Bella non lo guardava neppure,
continuando a girarsi e ad allungare il collo in cerca di qualche vampiro.
“E mi scuso per quello che è
successo l’altro giorno. Te l’ho già detto che me ne
sono pentito” disse alzando le mani in segno di resa.
“Non mi interessa, ora ho da
fare. Riportalo indietro” rispose lei distratta.
“Non posso, l’ho fatto io” brontolò lui “E poi potresti
accettare le mie scuse”
“Scuse accettate. Ora sono impegnata”
Bella continuava a guardare da tutt’altra
parte. Presi allora con decisione i sacchetti che aveva in mano Jacob e uno lo tenni per me e l’altro lo spiaccicai
uno sulla mano di Bella. Almeno così era contento.
“Non sei venuto quindi per parlare?” esclamai scioccata.
Ci mancava davvero solo quella. Così però riuscii però
ad attirare l’attenzione di Bella, che smise di cercare Alice in giro per la
stanza. Lui alzò e lasciò cadere pesantemente le braccia.
“Sì, quello è il motivo principale” rispose lui.
“Siete venuti a parlare con i Cullen?”
chiese Bella tremendamente confusa “E perché?” Jacob
indicò me con il mento.
“Alla tua cerimonia è arrivata a lei e mi ha detto che i vampiri volevano parlarci” spiegò Jacob “di Victoria”
Bella ora guardò me scombussolata, e anche spaventata.
“E’ successo qualcosa con Victoria?” La voce le si era fatta un po’ roca. Io annuii sommessamente.
“Victoria è chi sta dietro l’esercito di Seattle” affermai
decisa.
“Cosa?” chiesa ancora più
incredula.
“Esercito?! Quale esercito?” esclamò Jacob con lo stesso tono di Bella. “Cosa ci state tenendo nascosto?” O cavolo. Sia Bella, sia Jacob mi guardavano come se fossi un maiale blu ed il fatto
che entrambi volevano sapere cose diverse da me,
rendeva tutto più difficile. Ora fui io a guardarmi in giro, alzandomi sulle
punte dei piedi, in cerca di mio padre, ora ero io quella che non dava loro nessuna attenzione.
“Cosa vuol dire, Abigail?” ripeté Bella, con voce roca.
“Cosa diamine sta succedendo?”
rincarò Jacob, che si stava arrabbiando. Io mossi
convulsamente le braccia per farli tacere.
“Saprete tutto adesso!” gli dissi urlando sottovoce.
Tornai a cercare con lo sguardo qualche vampiro, e finalmente vidi mio padre
scendere le scale. Cercai di sbracciarmi per attirare l’attenzione, ma lui
sapeva già dov’eravamo. Intanto Quil ed Embry alla vista di papà si erano fatti più vicini.
“Grazie per essere venuti” disse serio. Jacob ricambiò quello sguardo in silenzio. “Anche se non è decisamente il momento più opportuno. Vi accompagno in un
luogo più appartato” Sentii la mano di papà sulla schiena che mi spinse a girami. Vidi di sottecchi l’occhiataccia che Jacob lanciò alla mano di mio padre e ci mancò poco che gli
sputassi in un occhio. I tre licantropi ci seguirono senza fiatare, vicino a Bella, silenziosa pure lei.
Papà ci portò in cucina, dove ad aspettarci c’erano i Cullen al completo. Una volta entrati,
Bella automaticamente si diresse vicino ad Edward,
che le cinse i fianchi come aveva fatto durante tutta la serata. Notai lo
sguardo spaventato che gli lanciò, ma l’espressione che lui fece non servì a
rassicurarla. Io, che ero rimasta vicino ai
licantropi, notai le nocche serrate di Jacob durante quell’abbraccio, ma era in veste di rappresentate dei
licantropi, quindi cercò di darsi un contegno. Embry
e Quil, dietro di lui, tentarono di fare lo stesso,
ma non sembravano esattamente a loro agio.
“Allora? Cos’è questa storia?” chiese Jacob
in tono autoritario. Carlisle e mio padre si scambiarono una veloce occhiata.
“Avremmo preferito parlare a tutto il branco…” iniziò
papà.
“Il branco è occupato” lo interruppe Jacob
maleducato. Io gli lanciai un’occhiataccia; non si rendeva conto che stava
parlando a mio padre? Di conseguenza anche papà cambiò tono, diventando più
freddo e diplomatico.
“Sarò breve: si sta formando un esercito di vampiri a
Seattle” annunciò mio padre “Che presto sarà qui.”
Drizzai le orecchie e il cuore mi andò in gola. Cosa?
Qui? Era allora questo quello che Alice aveva visto?
Guardai Bella, che era più terrorizzata di me.
“Cosa sarebbe questo esercito?”
chiese Jacob confuso, ma mantenendo il tono arrogante.
“Si tratta di un esercito di vampiri appena creati, più
veloci e più forti di un vampiro normale” intervenne Jasper.
“Sarà una lotta ad armi pari, ma non riusciremo a
proteggere la città” continuò papà.
“Ah, quindi avete bisogno del nostro aiuto” dedusse Jacob, sempre serio, ma anche leggermente soddisfatto.
“E perché sta venendo qua?”
continuò.
“Crediamo che questo esercito sia
stato formato da Victoria. Eliminando noi, potrà occuparsi di Bella ed Abigail.” Con abilità papà riuscì
a toccare il punto debole dei licantropi, di Jacob in
particolare. Lui infatti divenne ancora più serio e
Bella cominciò a rabbrividire nell’abbraccio di Edward.
“Perché ne siete convinti?” domandò Jacob,
ora totalmente spiazzato.
“Abbiamo delle prove” rispose vago papà. Jacob guardò prima me, poi Bella per alcuni secondi.
“Allora è necessario coordinarci” continuò Jacob. Bene, avevano accettato. L’agitazione di prima
scomparve, ma a quanto pare non fu lo stesso per
Bella.
“No!” urlò Bella, che ormai aveva smesso di tremare. “Voi
non vi immischierete.” Io le lanciai un’occhiataccia; a
cosa diamine stava pensando questa ragazza?
“A quanto pare non sembra essere
così” rispose Jacob con mezzo sorriso appena
accennato.
“Vi uccideranno!” I tre licantropi esplosero in una
risata.
“Bella, divisi ci uccideranno” le disse mio padre, con
tono più calmo possibile “Uniti sarà più semplice per tutti”
“Quanti sono?” chiese Quil, un po’
a suo agio.
“No!” gridò Bella per la seconda volta. Nessuno fece caso a lei.
“Dipende, poco meno di venti. Ma
tendono a diminuire” intervenne Alice.
“Perché?” chiese Jacob.
“Non è il momento adatto per spiegarlo” continuò lei.
“Se volete combattere insieme a
noi, avrete bisogno di addestramento” li informò Jasper.
Tutti e tre non parvero granché entusiasti, ma acconsentirono.
“No!” urlò Bella, per la terza volta.
“Dobbiamo dirlo a Sam. Quando ci incontriamo?” continuò Jacob.
“Alle tre nella foresta di Hoh, a tre chilometri a nord dalla base delle guardie
forestali. Se venite da ovest, riconoscerete la
nostra scia” rispose papà.
“Ci saremo” rispose Jacob, con
un ghigno divertito. Si diressero verso la porta della cucina per andarsene.
“Jake, no!” continuò lei.
“Non essere ridicola, Bells!” le
rispose Jacob lanciandole uno dei suoi sorrisi.
“No!” urlò ancora. Ma i tre licantropi
se n’erano ormai già andati. Io sbuffai, davanti al suo quarto ‘no’. Mi
alzai e mi diressi anch’io veloce fuori dalla cucina,
per godermi gli ultimi momenti di festa e di umanità, inutilmente. Ormai la festa
era rovinata, e sorprendentemente non c’entravano i licantropi. Se Bella avesse
continuato ancora un po’ a urlare le avrei infilato
qualcosa in bocca per farla stare zitta. Possibile che non capisse che sarebbe
peggio se i licantropi non ci fossero stati? Tuttavia mi
astenni dal fare tutto questo, sia per evitare scenate davanti ai Cullen e ai miei, sia perché molto probabilmente era stata
una reazione sconsiderata; con tutta questa tensione per la battaglia e tenendo
conto che aveva appena saputo che l’artefice di tutto era Victoria, ero sicura
che aveva agito senza pensare. D’altronde, anch’io a causa di tutto
questo avevo detto o pensato a tante sciocchezze di cui poi mi sono pentita.
Tentai quindi di pensare a qualcos’altro tornando a
ballare con Eric.
La festa finì non molto dopo. Chi l’avrebbe mai detto; non
mi ero mai divertita così tanto. E
così grazie a quell’occasione, avevo scoperto che ero
effettivamente tipo da feste. Bhè, non esageriamo,
ero il tipo da feste di Alice, avevo dei gusti molti
delicati. Dopo che tutti se ne furono andati Edward
riaccompagnò a casa Bella. Tutti i Cullen, dopo la
temporanea alleanza che avevano stretto con i licantropi, erano molto più
tranquilli e rilassati, per non parlare di Emmett che sprizzava entusiasmo da tutti i pori. Tutti cercarono
di tranquillizzare Bella più che potevano, io compresa. Se prima il suo
comportamento mi aveva irritata parecchio, ora provavo
solo dispiacere per lei; era un fascio di nervi, ancora più tesa di quanto
fossi io quando non avevamo a disposizione nessun aiuto.
Potevo sapere quello che pensava e provava; gli aiuti che
non poteva dare, il peso che rivestiva e coinvolgeva vampiri e licantropi, la
probabilità, minimizzata al limite, ma sempre
presente, che qualcuno potesse morire erano angosce che provavo anch’io.
Erano, dopotutto, sensazioni e pensieri con cui un umano
che vive con dei vampiri deve fare i conti prima o poi
e che alla fine deve essere in grado di accettare, sentendosi inutile, inetto,
anche dannoso. Se un umano non avesse accettato tutto
questo, allora non sarebbe riuscito a vivere con dei vampiri. Anch’io l’avevo accettato, con fatica, talvolta dando retta,
talvolta no, ai miei genitori, che seri mi assicuravano che se fossi stata un
peso non mi avrebbero tenuta con loro. Loro più di tutti non sopportavano che
mi sentissi tale.
Speravo che valesse anche per Bella. Almeno, speravo che
potesse convivere con questi rimorsi fino al giorno
della trasformazione.
Forse era la contentezza per il grande
vantaggio che ora avevamo contro Victoria, ma oltre a rassicurare Bella, i Cullen coprirono di attenzioni anche me, come se ne avessi
bisogno. Esme mi abbracciò
lentamente, stando attenta a non farmi male, Carlisle
mi assicurò con una mano sulla spalla, Jasper
contribuì a rendermi ancora più felice, come se l’euforia della festa fosse
finita, ed Emmett non poté trattenersi dalle sue
battute.
“Per una che si sbatte tutti i licantropi di La Push, sarà un gioco da ragazzi menare una ventina di
neonati” Presa dalla troppa euforia, non potei non stare al gioco.
“Ovvio, non vedo perché vi dobbiate preoccupare” dissi con
aria snob, non facendo altro che aumentare le sue risate.
Tentai a festa finita di convincere Alice ad aiutarla a
sistemare la casa, ma lei sistemò tutto da sola dieci volte
più velocemente di quanto lo avrei fatto io.
In compenso andai in camera a riposare un po’; i miei
genitori mi avrebbero portato con loro all’‘addestramento’ di Jasper, decisi a non lasciarmi da sola neanche un secondo.
Ero curiosa anch’io di sapere di cosa si sarebbe trattato; l’unica cosa che mi
dispiaceva era l’orario per me assurdo, ma d’altro canto non poteva essere
diversamente.
Mi fu abbastanza difficile addormentarmi; nonostante fossi
abbastanza stanca avevo ancora la musica e l’adrenalina in corpo che mi facevano stare sveglia.
Quando mi svestii per mettermi più comoda
qualcosa cadde dalla tasca del vestito attirando la mia attenzione. Era il sacchettino tutto colorato di Jacob.
Lo presi sospirando rumorosamente, guardandolo confusa. Jacob
mi dava i nervi; stava diventando insopportabile e sempre più incomprensibile.
Prima diceva che non voleva vedere né Bella, né me, ed
ecco subito che ci dava questo regalo. D’altronde, a questo punto, non sapevo
cosa fare, se assecondarlo o no. In teoria non avrei
dovuto accettarlo, ma lo aprii lo stesso; decisi che in base al regalo lo avrei
tenuto o no.
Dentro c’era un braccialetto e un foglietto. ‘Scusa ancora se mi sto comportando così. Ti
spiegherò tutto’. Leggendo quel biglietto, mi
convinsi a tenere il regalo. Era una situazione irritante, ma dopotutto Jacob non si comportava così né perché era arrabbiato, né
perché non mi voleva più come amica. Lo assecondai così anche questa volta. Quando mi avrebbe raccontato tutto di questa faccenda, le
avrebbe sentite di brutto. Presi il braccialetto e lo osservai bene; era in
semplice caucciù, ma colpì la mia attenzione il ciondolo che
era attaccato: un lupo accovacciato intarsiato nel legno. Era splendido.
Adesso che mi ricordavo Jacob aveva detto che l’aveva fatto lui. Inoltre il colore del legno mi
ricordava moltissimo il colore della sua pelliccia, quando era trasformato in
un lupo. Era perfetto per ricordarmi sempre di lui; se questo era il suo
obiettivo con quel braccialetto, bhè, c’era riuscito
alla grande. Me lo legai subito al polso sinistro.
Dopo essermi cambiata, mi appisolai sul letto. Caddi nel
mondo dei sogni quasi subito, ma non riuscii neanche a
entrarvi che fui subito svegliata da mamma; era già ora di andare. Sulle prime
pensavo di fare un po’ di capricci e rimanere lì, poi mi decisi ad indossare il
giubbotto e a raggiungere gli altri in salotto.
Salii sulla schiena di papà e partimmo. Era da tempo che
non viaggivo su un vampiro e sentire quel senso
familiare di adrenalina mi risollevò l’animo e mi
svegliò del tutto.
Papà si fermò dopo neanche un minuto. Ammisi che mi sentii un po’ scombussolata quando mi mise giù. Cercai
allora di capire dove fossimo. Era troppo buio, quindi
dovette passare un po’ di tempo prima che i miei occhi si fossero
abituati. Scoprii che ci trovavamo in una grande
spiazzo, immenso, circondato dagli alberi.
“Ora aspettiamo Edward” comunicò
Carlisle. Si creò un’atmosfera piuttosto tranquilla,
si formarono piccoli gruppi che iniziarono a chiacchierare. L’unica che faceva
un’eccezione era Alice, accucciata in disparte, a pochi metri da Jasper, che si riscaldava per l’allenamento. Aveva
un’espressione imbronciata e infastidita, mentre osservava un punto indefinito
sul terreno. Mi avvicinai e le sedetti a pochi centimetri di distanza.
“Tutto bene?” Mi venne poi spontaneo scherzare un po’ con
lei per tirarle su il morale “Ma come? Hai fusto a pochi metri di distanza e
non lo guardi neppure?” In risposta, Jasper alzò gli occhi al cielo, ma continuò con il suo
riscaldamento. Alice invece sbuffò, sorridendomi.
“Non riesco a vedere per colpa dei licantropi. Mi infastidisce non vedere niente” disse, più stizzita che
sconsolata. Io appoggiai la testa sulla mano, in direzione di Jasper.
“Bhè, allora non ti dispiace se
mentre tu pensi a quello che non vedi, io osservo quello che si può vedere”
mormorai con una certa malizia. Jasper si mise a
sghignazzare, mentre Alice mi guardò allibita. Cominciò allora a spingermi,
cercando di farmi allontanare.
“Via! Aria! Sciò!” mi ordinò con un sorriso stampato sulle
labbra. Io mi alzai e seguii il suo ordine, lanciandole un sorriso. Almeno
l’avevo fatta sorridere. Anzi, da quel momento si dimostrò più interessata a Jasper, che al buio della sua mente.
“Sono arrivati” esclamò Esme.
Pochi secondi dopo, spuntarono dalla foresta, mano nella mano,
Edward e Bella. Supponevo che anche lei fosse venuta qui sulla schiena di Edward. Dovetti
supporre che, come i miei genitori, forse anche Edward
non voleva lasciarla sola.
“Ciao Bella” la salutò Emmett
“Ti ha portata ad allenarti con noi?” Giusto, non poteva mancarci la battutina di Emmett. Edward
gli lanciò un ringhio.
“Non metterle in mente certe idee” gli ordinò.
“Tra quanto arriveranno?” gli chiese Carlisle.
“Tra poco, ma non verranno in forma umana. Ancora non si fidano di noi” comunicòEdward.
“Mi sembra normale. Dovremmo ringraziarli solo perché sono
venuti” risposeCarlisle.
Intanto che quel minuto passasse, mi avvicinai a
Bella, la presi a braccetto e la rapii momentaneamente da Edward,
iniziando a camminare non molto distanti dal gruppo di vampiri. Lei ricambiò la
stretta in modo energico, forse un po’ troppo.
“Allora, come stai?” le chiesi comprensiva.
“Male” mormorò lei. “Sapere che sia i vampiri, sia i
licantropi stanno mettendo in gioco la loro vita per me mi fa sentire un problema.
Non provi anche tu questa sensazione?” mi chiese
curiosa, e a suo agio a parlare della sua angoscia con chi la poteva condividerla.
Io annuii lentamente.
“Certo, sono preoccupata anch’io per loro” concordai con
lei, poi alzai le spalle “Ad essere sincera, è da
parecchio tempo che vivo nella convinzione di essere un peso per i miei
genitori, adesso non solo per loro. Da tanto che ho
cominciato ad abituarmi” dissi con una nota di tristezza, mentre Bella
mi guardava attenta.
“Ho sempre creduto che per vivere bene assieme a dei
vampiri, è necessario adattarsi ed accettare di essere
inferiore a loro, da un punto di vista fisico e mentale, ad essere sempre
protetta, a non poter essere mai d’aiuto, perché incapaci.” Con i miei discorsi
avevo reso Bella ancora più malinconica.
“Davvero hai sempre vissuto questo senso di inferiorità con i tuoi genitori?”
“Sì, bhè, ma con il tempo quasi
non la noto più. Anzi, questo mi permette di
riscattarmi sul piano morale” evidenziai, con un po’
più di convinzione. Intanto ci eravamo allontanate di
un bel pezzo dal resto degli altri vampiri. Lei sospirò, concentrata nei suoi
pensieri.
“Vorrei tanto che Victoria lasciasse stare tutti quanti e
venisse direttamente da me” mormorò quasi arrabbiata. Io la guardai con occhi
stralunati.
“Preferisci morire e concederti a lei, piuttosto che far
iniziare questa battaglia” dedussi io. Lei mi guardò seria ed annuì convinta.
Bella aveva una visione alquanto ristretta della morte.
“Però tu non vuoi che i Cullen,
i licantropi, JacobedEdward soffrano” Lei scosse la testa con la stessa
convinzione.
“No, affatto. Appunto per questo
che…” Ma io la interruppi subito.
“Tu credi che loro non soffriranno se tu morissi?” chiesi
allibita. “Credi davvero che se accedesseEdward non ritornerebbe veloce come una scheggia in Italia
a farsi uccidere?” Lei scosse la testa agitata.
“Ma dimmi, i Cullen
cosa c’entrano in questa storia? Non puoi certo dire
che sono importante per loro, tanto quanto lo sono per Edward.”
Io sfoderai un piccolo sorriso davanti alla sua perplessità.
“Io credo che, da come si comportano con te, che in questo
momento non stanno difendendo una persona cara ad Edward,
ma un membro della famiglia” E feci un respiro per poi continuare “E per quanto
riguarda i licantropi, se ci tieni a sapere anche questo, con lo spirito di
fratellanza che hanno di certo non si tireranno
indietro per sostenere Jacob. Per non parlare del
fatto che stanno venendo a Forks, quindi sono in
rischio anche i suoi abitanti. Insomma…” esclamai, alzando le braccia al cielo.
“Ci sono altri motivi affinché questa battaglia debba
avvenire” affermai sicura. Bella però mi stava guardando ancora dubbiosa. La
costrinsi a fermarsi, appoggiando entrambe le mani sulle sue spalle.
“So quello che stai provando. Anch’io
ho attraversato e sto attraversando attimi difficili, perché anch’io ho avuto i
tuoi stessi pensieri, che mi hanno spinto ad agire in modo sbagliato. Quindi, per favore…” dissi le ultime parole quasi in atto di
supplica, che mi sembrò potessero persuaderla.
“…promettimi che smetterai di fare questi pensieri. Fallo
per me. Fallo per Edward.”
Cercai di essere convincente, soprattutto quando
pronunciai l’ultima frase. Non sembrò aver avuto un grande effetto su di Bella,
ma lei annuì sommessamente. In quel momento accanto a noi apparve Edward.
“Stanno arrivando” ci comunicò. Prese Bella per i fianchi
e l’accompagnò verso gli altri, mentre lei cercava l’altra mano di lui. Quando
Bella si era già girata Edward
si voltò velocemente per lanciarmi un occhiolino condito dal suo sorriso
sghembo. Io sbuffai come un toro arrabbiato. Brutto spione! Correndo li
raggiunsi.
Gli altri intanto si erano disposti in fila, in allerta.
Io mi infilai in fondo alla fila, tra Emmett e mamma. Aspettavano immobili, osservando il fitto
fogliame della foresta.
“Che diamine!” esclamò sbalordito Emmett
“Mai visto una cosa del genere.”
Insieme a lui molti si lanciarono
occhiate sorprese. Cercai di capire cosa ci fosse di
tanto strabiliante. Quando i lupi uscirono dalla foresta un
forte brivido mi percorse la schiena. Vederli tutti
insieme mi ricordò il terrore di quando ci avevano attaccati, quando
ancora non conoscevano me e la mia famiglia. Sentii la mano di mia madre
stringere la mia. Compresi la sorpresa dei vampiri; i lupi erano cresciuti di
numero. Erano dieci; non avevo idea che si fossero trasformati così in tanti.
Ero rimasta a sei, forse sette. D’altra parte però questo mi rassicurava molto;
eravamo in diciannove, più o meno lo stesso numero dei
neonati. In questo modo ci sarebbe stato un neonato a testa. Carlisle fece un passo deciso in avanti, pronto per
incominciare.
“Benvenuti”
“Grazie” fece da interprete Edward,
con tono sciatto. Vidi qualcosa brillare nell’ammasso scuro del fogliame;
dovevano essere gli occhi di Sam, ma il pelo era così
nero da non poterlo distinguere.
“Osserveremo ed ascolteremo, ma nulla di più” disse Edward, riportando l’esatto tono e le esatte
parole di Sam.
“Perfetto” consentì Carlisle
“Mio figlio possiede una vasta esperienza in questo campo. Ci insegnerà come eliminare i neonati. Sono sicuro che si
adatteranno alle vostre strategie di caccia” assicuròCarlisle, indicando Jasper,
pronto e diffidente verso i lupi.
“In cosa sono diversi da voi?” disse Edward.
“Sono giovani; hanno un paio di mesi. Per questo sono
molto inesperti. Non riescono a controllarsi, ma sono più forti e veloci di
noi. Stasera sono in venti, dieci per noi e dieci per voi, ma si scontrano e si
eliminano a vicenda, quindi il loro numero cala progressivamente.” Un mormorio fuoriuscii dal buio.
“Possiamo occuparcene anche di più” rispose Edward, meno impassibile. “Sapete quando e dove
arriveranno?”
“Valicheranno le montagne tra quattro giorni, in tarda
mattinata. Non appena saranno vicini, Alice ci comunicherà l’esatta posizione.” Ancora un brivido mi attraversò la schiena, quando mi resi
conto che il tempo stava volando fin troppo velocemente.
“Grazie per le informazioni. Staremo attenti.”
Dopo questa piccola discussione iniziale, Jasper poté finalmente iniziare. Carlisle
si ritirò nella fila e Jasper si mise in mezzo. Notai dalla sua espressione che si trovava nettamente a disagio;
difatti si voltò verso di noi, dando le spalle ai licantropi e ignorandoli
completamente. Mi sembrava strano per una persona così carismatica, come
aveva detto di essere stato.
“Concordo con Carlisle” iniziò
lui “Sono privi di tecnica, e questo gioca a nostro
vantaggio. È necessario ricordare due cose: non lasciare che vi stringano tra
le braccia e non attaccarli in modo prevedibile. Dovete continuare a muovermi,
colpirli di lato, giocare di strategia, in modo da confonderli. Emmett?” Lui uscì dalla fila con un sorriso stampato.
“L’attacco di Emmett
è molto simile a quello di un neonato.” AEmmett non piacque il paragone.
“Cercherò di non romperti nulla” disse minaccioso. Jasper sorrise.
“Nel senso che Emmett tende a
sfruttare la sua forza fisica. È molto diretto. Attaccami
nella maniera più semplice” disseJasper,
indietreggiando di qualche passo. L’ultima cosa che riuscii
a vedere fu il sorriso di Emmett che si trasformò in
un ghigno. Lo vidi a malapena andare addosso a Jasper,
che subito sparì. Anche a quel livello di velocità, potei distinguere che Jasper era molto più veloce di Emmett, che cercava di prenderlo, ma senza successo.
Entrambi si fermarono; Jasper
gli aveva bloccato le spalle, con i canini a pochi centimetri dalla gola. Non
avevo la minima idea di come ci fosse riuscito. Emmett si lamentò innervosito.
“Di nuovo” urlò Emmett.
“No, tocca a me” si intromise Edward, entusiasta anche lui di provare.
“Adesso” lo rassicurò Jasper
“Prima voglio far vedere una cosa a Bella.”
Incuriosita dalle parole di Jasper, mi voltai verso
di lei. Jasper chiamò a sé
Alice, che si mosse leggera verso di lui.
“So che sei preoccupata per lei. Voglio mostrarti perché
non è necessario.” Che strano; a differenza di Bella,
io avevo pensato che Alice sarebbe stata tra quelli che avrebbe
avuto meno difficoltà. Certo, se venisse presa, la si
poteva spezzare come un ramoscello, ma era bassa, leggera, molto agile e
scattante, quindi mi dava proprio l’idea di un mostriciattolo imprendibile, abituato
a non usare tanto la forza fisica, a non fermarsi mai e a mettere in pratica
strategie imprevedibili. Tenendo conto del suo dono, avevo ancora meno dubbi.
Difatti Alice rimase immobile, lanciando un’occhiata
schietta aEmmett dietro di
lei, mentre Jasper si mise in posizione d’attacco.
Alice chiuse gli occhi, molto probabilmente per vedere le decisioni di Jasper. Lui partì, ma non fu così veloce come con Emmett. Sembrava quasi non attaccarla, sembrava
che le stesse volando attorno, mentre Alice rimaneva immobile. In realtà Jasper stava cercando di attaccarla eccome; Alice non era
immobile, ma eseguiva impercettibili passi di pochi centimetri, appena
sufficienti a schivare l’attacco. Jasper si mosse più
deciso e veloce e anche Alice cominciò a muoversi più evidentemente. Sembravano
un’aquila che cercava di afferrare con colpi veloci e decisi un uccellino che
volteggiava senza fermarsi. Alla fine Alice lo prese
in contro piede e gli salì sulle spalle, baciandogli il collo.
“Preso!” esclamò scoppiando a ridere.
“Sei davvero un mostriciattolo” mormorò Jasper scuotendo la testa. Tra i lupi intanto ci furono dei
nuovi mormorii. QuandoJasper
ebbe finito si fece avanti Edward, impaziente di
prenderle. Mi illusi; entrambi cominciarono a muoversi
veloci, ma riuscii comunque a distinguere qualcosa. Jasper
aveva cambiato tattica, che ora si adattava più alla tecnica di
Edward, che contava sulla sua velocità. Edward schivava tutti i colpi, sia grazie alla sua
velocità, sia leggendo i pensieri di Jasper, ma
continuava ad essere in difficoltà, esattamente come Jasper
i cui affondi centravano il vuoto, nonostante la
tecnica molto più precisa ed efficace.
Quello scontro sarebbe durato un’eternità se Carlisle non li avesse fermati
tossendo. Jasper rise e fece un passò
indietro ed Edward lo ricambiò.
“Parità” annunciò Jasper. Dopo di Edward toccò a Carlisle, Rosailie, Esme, di nuovo Emmett.
Proprio come mi ero aspettata, mi affascinò l’allenamento
di Jasper. Stetti incredibilmente attenta a come si
muovevano, anche quando Jasper si fermava per dare
correzioni o consigli. Lo associai per un attimo a me quando
lavoravo con i miei bambini. Da interessata passai a
emozionata quando toccò ai miei genitori. Jasper fece
un segno, in dubbio, a papà, ma lui rifiutò con una mano.
“Non serve, fidati” mormorò papà, per niente con un tono
orgoglioso, anzi, era piuttosto malinconico. Non era una piacevole situazione
per lui, dopo la quantità di neonati che doveva aver ucciso sotto gli ordini
dei Volturi. Jasper annuì e
passò oltre. Indicò mia madre; la guardai eccitata, mentre lei si metteva in
posizione. Nel girò di neanche un secondo l’aveva
atterrata; la guardai leggermente sconsolata. Mamma se la stava cavando proprio
male; non per criticare, ma era peggio di tutti. Non riusciva a muoversi nel
modo giusto, come facevano gli altri. Forse non aveva l’istinto del
combattimento, cosa davvero strana per un vampiro. Per questo Jasper dovette passare più tempo a
occuparsi di lei e darle istruzioni, mentre gli altri si allenavano per conto
proprio. Mi innervosii subito; se mamma non era in
grado di uccidere un neonato, allora sarebbe stato un bersaglio debole. I miei
occhi guizzarono su papà, che mi fece un occhiolino di rassicurazione. Non
c’era da dire che non funzionò affatto. Non c’era
niente che potesse smuoverla di un poco? Mi venne un’improvvisa e curiosa idea…
“Interessante” esclamò Edward verso di me “Potrebbe funzionare, sai?” continuò
lui. Bella mi guardava curiosa, anche lei non meno interessata di me
all’allenamento. Edward fu subito vicino
aJasper, che gli illustrò prontamente cosa
volessi fare. Parlò troppo veloce per me, ma tutti i vampiri e licantropi
sentirono. Di conseguenza, mi alzai e andai anch’io verso di loro, entusiasta
per l’idea, seguita da papà. Ora solo Bella non aveva
idea di cosa stava per succedere.
“Ti andrebbe, Sophie, di
provare?” chiese Jasper incuriosito. Mamma non
sembrava convinta.
“Non vorrei far del male a qualcuno” rispose mia madre tesa.
“Non esagerò” cercò di rassicurarla Jasper
“Abigail, mettiti pure là.”
Eseguii i suoi ordini e mi misi a parecchi metri di distanza. Ora tutti erano
desiderosi di conoscere i risvolti dell’esperimento. A
pochi metri da me si posizionòJasper.
Molto più in là invece si misero in posizione papà, e subito dietro mamma.
“Abigail, sei pronta?” mi chiese
Jasper. Io annuii convinta. Il senso di paura mi
raggiunse all’istante. Aveva un non so che di irreale;
non c’era effettivamente nessun pericolo di fronte a me. Ma in pochi millesimi
di secondi mi terrorizzai. Fu una sensazione appena percettibile, di neanche un
secondo. Finita quella sensazione di terrore, ne subentrò un’altra di sorpresa,
questa volta naturale. Un attimo prima mia madre si trovava a
una cinquantina di metri da me, mentre adesso mi era rannicchiata vicina,
mentre i corpi di papà e Jasper erano finiti a terra.
“Che forza!” Il breve silenzio venne
interrotto dall’esclamazione di Emmett. Mamma si
voltò e mi lanciò un sorriso rassicurante. Papà e Jasper
si rialzarono senza problemi.
“Incredibile” sussurrò Rosalie. Vidi l’espressione di
Bella non meno sorpresa della mia. Edward invece
aveva visto la scena con una visibile ombra di invidia
negli occhi.
“Bhè, ha funzionato, direi”
osservò Jasper, entusiasta per la buona riuscita
dell’esperimento. Alla fine il potere di mamma funzionava non solo quando ero davanti a un reale pericolo, ma anche quando
subivo emozioni fittizie, come quelle create da Jasper.
“Potrebbe esserci utile durante la battaglia” propose Jasper. Non l’avesse mai fatto.
“Preferirei di no” esclamò subito mamma, fin troppo seria,
per poi subito ricomporsi. “Vorrei usare il mio potere solo se necessario.”Jasper la fissò per alcuni
secondi, per poi annuire.
“Non c’è problema” affermò convincente. Poi si rivolse
verso i licantropi per la prima volta.
“Domani ci eserciteremo ancora.
Sempre qui alla stessa ora.”
“Ci saremo” disse Edward, duro.
Poi si rivolse a noi. “Il branco crede sia importante che memorizzino i nostri
odori, così da non poterli confonderli con quelli nemici. Se staremo fermi, per
loro sarà più facile.”
“Certo” acconsentì Carlisle
rivolto verso Sam. Mi diressi accanto a Bella, mentre
i lupi emergevano dal buio del fogliame. Ormai era arrivata l’alba e anche se
una coltre di nuvole ricopriva il sole, la luce era sufficiente per distinguere
i colori dei manti dei lupi. Li contai di nuovo, credendo che prima avessi sbagliato,
per la mancanza di luce, ma avevo avuto ragione, erano dieci. I lupi
cominciarono a muoversi lentamente, capeggiati dal lupo grosso e nero, Sam. Iniziò ad annusare Carlisle,
poi con una sorta di smorfia sul volto, passò a Jasper,
che lo guardava teso ed innervosito. Dietro di lui sfilava il resto del branco.
Alcuni lupi erano più piccoli rispetto alla media; in particolare ce n’era uno
dal pelo color sabbia, che mi suscitò una sorta di tenerezza
quando guaì, passando accanto a mia madre. Cercai di identificare i lupi
con le persone, ma non ci riuscì con tutti. Riconobbi Paul
dall’espressione schifata che aveva sul viso, evidente anche in quelle
sembianze, e di Embry, che
camminava teso a passo lento. Non era solo lui; tutti i licantropi non si
trovavano a proprio agio a stare così vicini a dei vampiri, neanche da lupi. Tutti tranne uno, che anche se era trasformato, non perdeva il suo
orgoglio e la sua sfacciataggine. Jacob,
dietro a Sam, con il pelo rossiccio, si comportava
come se i vampiri non esistessero. Sorrisi e scossi la testa; era sempre il
solito. Credo che si accorse della mia risata, perché
mi mostrò le grandi e taglienti zanne, in segno di ammonito. Poteva essere
minaccioso e mi avrebbe messo paura, se non avesse
lasciato la lingua a penzoloni, cercando di imitare un sorriso. Spalancò la
bocca e riservò lo stesso trattamento anche a Bella. Riprese
la fila, sotto gli sguardi contraddetti dei licantropi e quelli di
dissenso dei vampiri.
Finirono in breve, dopodiché se ne andarono
subito. Almeno, tutti tranne Jacob. Si avvicinò a me
e a Bella, edEdward gli fu
subito vicino. Vicino agli alberi erano rimasti due lupi a tenere d’occhio Jacob: uno era Embry, l’altro
doveva essere sicuramente Quil. Edward
aveva preso per mano Bella ed osservava Jacob interessato.
“Sì, giusto” gli disse “Dobbiamo ancora parlarne” Jacobin risposta fece un ringhio
cupo. Cercai di capire di cosa stessero parlando, ma
senza successo.
“E’ più complesso di quanto sembra” continuò lui. “Faremo
in modo che tutto si svolga nel maniera migliore.”
“Di cosa state parlando?” chiese finalmente Bella.
“Strategie” rispose Edward. Non fu
proprio cristallino. Jacob osservò prima me, poi
Bella ed infine Edward, prima di inoltrarsi nella
foresta.
“Torna adesso” spiegò Edward “Vuole parlare da solo con noi” Poi volse la
testa verso i miei genitori. “William, Sophie” Loro
arrivarono in un lampo.
“Sarà meglio decidere dove staranno Bella ed Abigail durante la battaglia.” Entrambi
annuirono decisi.
Ah, ecco di cosa si erano messi a
parlare. Qualcosa di grande importanza, dopotutto; ero stato troppo
impegnata a pensare alla vita dei Cullen e dei
licantropi, piuttosto che preoccuparmi della mia. Come aveva detto Edward, era una faccenda molto complessa, in quanto eravamo
proprio noi il bersaglio di Victoria.
“Ne abbiamo discusso in privato”
iniziò mamma “Crediamo che sia meglio che sia Abigail
che Bella rimangano insieme, anche se separate saranno un obiettivo più
difficile” Edward annuì convinto.
“Naturalmente” Dovevo dire che Edward e mia madre formavano un’accoppiata formidabile e
per quanto riguardava l’iperprotettività la pensavano allo stesso identico
modo.
“E anche se sarebbe pericoloso,
non vogliamo che si distanziano molto da noi. Dovrebbero stare in un luogo da
noi raggiungibile in qualsiasi momento. Inoltre non pensiamo sia una buona idea lasciarle completamente sole” continuò mamma. Edward annuì più volte.
“Concordo assolutamente, Sophie.
Con i licantropi possiamo trovare una soluzione più che adeguata” l’assicurò Edward.
Dagli alberi fuoriuscì finalmente Jacob,
nudo se non fosse per un largo paio di calzoncini
neri. Ci raggiunse con il solito atteggiamento sfrontato che non perdeva mai.
“Allora, cosa c’è di complicato?” esclamò spazientito. Si
mantenne a debita distanza, ora che non c’era solo Edward,
ma anche i miei genitori.
“Non possiamo rischiare che qualcuno le raggiunga” rispose
Edward, con calma.
“Se mai dovesse succedere, posso intervenire io” si intromise ancora mamma. Edward
la guardò riconoscente, ed annuì.
“Lo so, Sophie, ma è meglio
cercare di eliminare ogni possibilità”
“Certamente” affermò lei. Per un attimo pensai che se
fosse dipeso da quei due, avrebbero di sicuro
costruito un bunker militare dove ficcarci.
“Le possiamo lasciare alla riserva. Collin
e Brady resteranno comunque
lì. Saranno entrambe protette” proposeJacob.
“Di certo a Forks non possono
stare” intervenne papà.
“Starà con Billy” rispose Jacob “Non credo che farà tante storie; sabato ci sarà la
partita.”
“Non credo che La Push sia una
buona idea” continuò Edward serio e pensieroso “Ci
sono già state troppe volte. Hanno lasciato tracce dappertutto e Victoria le potrebbe trovare. Se così fosse,
Alice non potrà vedere le sue decisioni. Dovremmo lasciarle in un luogo dove
non vanno di solito e dove sarà difficile trovarle.”
Mmmh… potrebbero buttarci in un
sommergibile e lasciarci lì per tutto il giorno; di certo le profondità del
mare non sono luoghi che io e Bella frequentiamo
spesso. Almeno, non io.
“Potremmo fare anche quello, se non la smetti” mi
rimproverò Edward, stizzito dai miei pensieri, mentre
i miei genitori mi lanciavano occhiate di rimprovero.
“Allora nascondiamole là” propose Jacob,
indicando i Monti Olimpici. “Ci sono molti luoghi nascosti che ognuno di noi
potrebbe raggiungere.”
“Mi sembra un’ottima idea” confermò papà “Se non fosse per il loro odore. Insieme ai
nostri, inoltre, lascerebbero una scia troppo evidente.”
“William ha ragione” confermò Edward
“Non sappiamo che strada prenderanno.” Tutti e quattro
si incupirono.
“Dev’esserci un modo per
mimetizzare il loro odore” disse mamma.
“Ci penseremo domani” proruppe Edward,
osservando attentamente Bella “Bella ha bisogno di risposo.”
“Hai detto che il mio odore vi
disgusta, giusto?” esclamò all’improvviso Jacob,
tutto concentrato. A Edward gli si illuminarono
gli occhi.
“Giusto” disse convinto. Si voltò per chiamare anche Jasper. Lui si avvicinò interessato, con un’Alice
dall’espressione sconsolata.
“Va bene, Jacob” disse Edward per dargli il permesso. Sì,
ma il permesso di fare cosa? Jacob si voltò verso me
e Bella, entusiasta.
“Cos’hai in mente, Edward?”
chiese mia madre, tesa per l’espressione del licantropo.
“L’odore dei licantropi dovrebbe coprire quello di Abigail e Bella. Vogliamo fare una prova?” spiegòEdward.
Anche i miei genitori sembravano diventati entusiasti
dell’idea.
“Riesci a portarle tutte e due?” chiese Edward. Jacob alzò le braccia con
un ghigno strafottente.
“Certo, nessun problema.” Lui non
vedeva l’ora di prenderci in braccio, ma io e Bella non eravamo
dell’esatta sua opinione. Allungò ancora le braccia verso di noi.
“Forza!” ci incitò Jacob. I miei genitori mi guardavano impazienti, mentre
anche Edward la invitava ad accettare con lo sguardo,
seppure non facesse nemmeno lui i salti di gioia. Feci uno sbuffo e mi
avvicinai a lui. Gli sarei salita sopra, ma non avrei di certo permesso che
fosse lui a usare le mani; non credevo che il contatto
fisico fosse la migliore delle idee in quel momento. Mi convinsi a muovermi quando fui certa che sul suo viso non ci fosse
nient’altro che serietà. Mi misi dietro di lui e mi arrampicai sulla sua
schiena. Strinsi in una morsa la sua vita con le gambe, mentre mi tenevo con le
braccia al suo collo, posizionandomi come quando
viaggiavo con i miei genitori. Forse strinsi un po’ troppo.
“Stai cercando di strozzarmi?” mormorò lui divertito.
“E’ solo una tua impressione” gli risposi nello stesso
tono. Poi anche Bella si decise a farsi prendere in braccio. Cercai di
immaginarci in quella posizione; dovevamo proprio sembrare degli incapaci acrobati
del circo. Poi Edward si rivolse a Jasper.
“Io sono troppo sensibile all’odore di Bella. E questo
credo valga anche per Will e Sophie”
disse, mentre i miei genitori fecero un cenno di assenso
“Abbiamo bisogno di qualcuno che verifichi che l’odore scompaia.” Jasper annuì, mentre Jacob
cominciò a inoltrarsi nella foresta.
Il giro fu piuttosto breve, per mia fortuna. Tutto il
tragitto lo passammo in silenzio ed era fin troppo palpabile la situazione tesa
tra me, Jacob e Bella. Se prima chiusa nel mio
cappotto stavo bene, adesso morivo di caldo
avvinghiata a lui. Per non pensare poi a come sarei stata al
posto di Bella… No, basta pensieri del genere; al momento mi erano più che
dannosi. Ma perché diamine mi dovevo innamorare di una persona così
volubile?!
Tornammo nella radura, ma non sbucammo nell’esatto punto
da dove eravamo partiti. Edward ed i miei genitori ci
aspettavano là. Jacob mollò Bella non appena lo vide,
e io feci lo stesso. Vicino a loro apparvero anche Alice e Jasper.
Li raggiungemmo, aspettando il loro verdetto.
“Quindi?” chiese Bella.
“E’ impossibile notare i vostri odori, a
meno che non tocchiate qualcosa” disse Jasper
in una smorfia di disgusto. “Era quasi inesistente.”
“Concordo” affermò anche Alice, esibendo la stessa
espressione.
“E mi ha fatto venire un’idea”
continuò Jasper.
“Che funzionerà” lo appoggiò
Alice.
“Perfetto” si complimentò Edward.
“Come fate a sopportarli?” sentii Jacob
mormorare. Tentai di reprimere un sorriso, dovendo ammettere che aveva ragione. I miei genitori li guardavano interessati, in attesa di spiegazioni.
“Bella ed Abigail tracceranno
una falsa scia, che li porterà qua, nella radura. I neonati non ragioneranno
più e verranno sicuramente qua, dove noi li aspetteremo. Alice ha già visto
come si comporteranno; metà verrà qua, mentre l’altra
andrà nella foresta, dove la visione si interrompe…”
“Esatto!” esclamò Jacob.
“Quindi metà a noi e metà a voi”
riassunse papà. Fui molto soddisfatta delle strategie che licantropi e vampiri
stavano elaborando, che sembravano davvero efficaci, e dovevo ammettere che ero davvero contenta, sia perché vedevo licantropi e
vampiri, nemici mortali, collaborare civilmente, sia perché queste strategie
comprendevano anche me e Bella, quindi non saremmo state un peso del tutto
inutile.
“Non pensarlo neanche!” esclamò poi Edward
irritato verso Jasper.
“Sì, scusami” rispose lui sulla difensiva “Non l’ho
neanche preso in considerazione.” Alice gli pestò un
piede. Rimasi un po’ spiazzata dalle loro reazioni: cosa poteva mai aver
pensato Jasper? Di metterci forse imbevute di sangue
al centro della radura per fare da esca?
“Abigail, non ci mettere anche
tu” mi rimproverò Edward, con un
espressione di disgusto. “E non ci sei andata
molto lontana.” Sbiancai un poco e credetti per un attimo che Jasperavesse una mente perversa.
“Se Bella ed Abigail
fossero nella radura” spiegò lui “li farebbero perdere il controllo. Se facessi
spaventare Abigail, poi sarebbe tutto più semplice…” Ma si interruppe davanti allo sguardo duro e
severo dei miei genitori, in particolare di mamma.
“Ma mi rendo conto che sarebbe
troppo pericoloso. Era solo un’idea” concluse Jasper,
forse un pochino intimorito. Per una volta, concordavo con i miei genitori e
con Edward; sarebbe stato pericoloso essere lì
presenti. E poi non mi piaceva l’idea di vedere mamma
e papà mentre combattevano.
Jasperprese
per mano Alice e si diresse dagli altri, che intanto si stavano esercitando da
soli. Jacob gli lanciò un’occhiata schifata da dietro
le spalle.
“Jasper è scrupoloso: guarda le
cose da un punto di vista strategico. Non pensa immediatamente alle conseguenze
che avrebbero su Bella o Abigail.”
In tutta risposta Jacob sbuffò. Edward
lo ignorò e tornò a parlare ai miei genitori.
“Venerdì pomeriggio porterò qui Bella ed Abigail, così da lasciare la falsa traccia. Jacob ci raggiungerà più tardi e le porterà in un luogo
difficile da individuare, ma facile da raggiungere” Mio padre annuì.
“Hai già in mente dove?”
“Ho un’idea”
“E poi? Le lasciamo
lì con un cellulare?” intervenneJacob
ironico.
“Jacob ha ragione. Non è prudente lasciarle lì da sole” confermò mamma. Jacob fece una faccia piuttosto sorpresa, quando mia madre
gli diede ragione, ma non durò molto, troppo concentrato a pianificare.
“Potrebbe venire Seth…” propose Jacob a mezza voce. Quelle parole non potevano significare
niente per noi, ma non per Edward.
“Buona idea” gli rispose Edward. “Uno dei loro lupi più giovani da
La Push può raggiungerle, così potranno essere sempre in contatto con il
branco” spiegò, per poi rivolgersi verso Jacob “La
distanza non crea problemi?”
“No”
“Cinquecento chilometri non sono un problema?” chiese Edward piuttosto sbalordito.
“E’ la distanza massima che abbiamo raggiunto. Nessun
problema” rispose Jacob, con una punta di immancabile orgoglio. I miei genitori annuirono per
l’ultima volta.
“Mi sembra che a questo punto non ci sia altro da
pianificare” concluse mamma.
“Sì, per ora è tutto. Tuttavia
teniamoci in contatto, in previsione di qualsiasi cambiamento” disse Edward a Jacob.
“Va bene” rispose lui. Jacob si voltò
e raggiunse i due licantropi che non avevano smesso di aspettarlo. Prima di
vederlo scomparire tra gli alberi, badò bene a lanciare a me e a Bella un
sorriso di saluto.
L’allenamento continuò fino a tarda mattinata, ma io e
Bella andammo subito a casa; lei faceva fatica a
reggersi in piedi, mentre io percepii la stanchezza solo quando arrivai a casa.
Andai subito a dormire e mi sembrò quasi di sognare ricordando Jacob, Edward e i miei genitori,
licantropo e vampiri, nemici naturali, così uniti per proteggere le persone a
cui tenevano di più.
Il mio ultimo pensiero confuso prima di addormentarmi fu
che senza renderci conto, io e Bella avevamo di nuovo unito
i loro destini, in modo tale da aggiungere un nuovo e differente capitolo
all’antica storia di entrambe le due creature.
Ed ecco che è andato anche il
diciannovesimo capitolo! Dai, piano piano la fine di Eclipse si sta avvicinando e
subito dopo ci sarà l’inizio di BreakingDawn, che, anche se non l’ho ancora scritto, vi posso
assicurare che sarà il migliore dei tre! Intanto se prima sembrava che qualcosa
si fosse mosso, ora si fa ancora più confuso il rapporto tra Jacob e Abigail. Lo so, vi sto tenendo
sulle spine, ma non posso davvero svelarvi nient’altro.
A malincuore, vi comunico che questo sarà l’unico capitolo
che pubblicheròquest’estate,
pertanto quelli che seguiranno potrei postarli anche a distanza di settimane, anche
se pensavo a questo punto di farli davvero più corti. Ringrazio quindi già da
adesso tutti coloro che saranno disposti ad aspettare
i capitoli di questa storia, anche a distanza di mesi. XD
Ringrazio nuovamente tutti coloro
che hanno segnalato questa mia storia in preferiti, ricordati e segnalati, e
soprattutto ringrazio coloro che hanno commentato (Grazie tantissime! Questa
volta siete stati tantissimi)! Ma nonostante tutto, un grandissimo bacione lo mando lo stesso a tutti ;).
X MoonLight_95: Che peccato! Ho visto che hai cancellato
la tua storia, alla fine. E così rimarrò nel dubbio. :( Effettivamente già da un po’ di capitoli vedo che la tua
recensione è sempre la prima, e da un po’ di tempo mi sto chiedendo quanto tu
stia su EFP (parlo io, che un tempo ero peggio di te ;) )! No, no, dai!
Deficiente è una parola grossa! Diciamo che è solo un po’
confuso XD.
Grazie tantissimo per continuare a commentare! Un bacio!
X __cory__: Aspetta, aspetta,
aspetta, definiamo il termine ‘ammiratore’. Credo forse di aver
capito male che cosa intendevi, perché effettivamente Eric ci prova ‘anche’ perché Abigail
è nuova, ma soprattutto perché gli fa tenerezza: fin dall’inizio tende a fare con
lei il fratello maggiore.
Per quanto riguarda il resto, mi dispiace liquidarti così,
ma non posso dire assolutamente niente! Mi saprò far perdonare. Ti ringrazio
ancora per i tuoi commenti e ti ripeto che adoro il modo in cui mi esponi i
tuoi pensieri! Un bacio anche a te!
X Kianna: Buongiorno! No, dai,
scemo è un po’ esagerato! Diciamo che ha le idee un po’
confuse ;). Mi ha fatto piacere che tu abbia trovato divertente la sommessa
finale (Mi è venuta naturale proprio alla fine!) come anche la storia di Jasper ed Alice riassunta fino al midollo. Credevo davvero che
così ripetuto fosse di troppo. Per quanto riguarda la
figura di Jessica, pensavo che ci stesse davvero! E sottolineo
che con questo non volevo per niente ‘offendere’ Edward,
solo scherzare un po’.
Grazie ancora tantissime per il commento! Un bacio anche a
te!
X Franny97: Ciao, Abi, no,
scusa, Franny97, no aspetta Abi,
sì, Abi, no, Franny97 @_@. Tu, insomma!
Bon, dai, pensa positivo, anche
se alla fine si è rivelato tutto un sogno, mentre stavi leggendo era come se
succedesse davvero no? XD Bon sì, effettivamente c’è poco da pensare positivo…
Allora, ti riassumo in breve perché Abigail
non reagisce così male. Di fronte al bacio non fa niente perché c’è rimasta troppo di sasso, quindi va a parlare con Jacob. Dopo quello che le ha detto
ci rimane ancora di più di sasso, tanto che invece di fumare dalla gelosia, comincia
a preoccuparsi per lui. Poi, no, non si sta affatto
dimenticando di lui, ma è tanto presa dalla battaglia che sta per arrivare, che
pensa sia davvero meglio in questo momento non pensare a Jacob.
Ma se vuoi chiarirti di più le idee, ti consiglio di andare a leggere l’ultimo
paragrafo del precedente capitolo ;). Allora, ti
assicuro che Eclipse lo finisco di sicuro, ma per
quanto riguarda BreakingDawn…
Io mi impegno, ma spero davvero di farcela davvero...
Comunque, grazie tantissimo per
il commento! Un grande bacio anche a te!
X Newdark: No, dai, totalmente
pazza mi sembra esagerato. Diciamo ‘leggermente pazza’,
come la Ferrarelle XD. Aspetta, aspetta,
aspetta! Non ti arrabbiare! Era solo uno scherzo! Un po’ di pessimo gusto,
forse hai ragione, ma con questo non volevo affatto
offendere Edward, che anzi è il primo a sbattersene
completamente di quello che pensano gli altri! Detto questo… di più non ti posso dire! Lo si scoprirà solo
leggendo. Tra un po’. Oltre a questo, ti ringrazio vivamente di seguire la mia
storia e anche per tutti i tuoi splendidi complimenti! Spero che ci sentiremo
presto! Un baco!
X nes_sie: Non so perché, ma è solamente
leggendo il tuo commento che il termine ‘pausa di riflessione’
non mi sembra poi tanto adatto e che fa davvero un gran ridere come parola,
anche se Jacob l’ha usato di
proposito per rinfacciarglielo a Abigail. A parte
questo, sono contenta che sia piaciuta anche a te il riassunto della storia di Jasper, che pensavo annoiasse e
basta, e della scommessa! Inoltre son felice anche
che ti sia accorta del forte rapporto che c’è tra Abigail
ed il padre, e non solo quello che ha con sua madre!
Detto questo, ti saluto tanto e ti ringrazio ancora! Un
bacio!
X GiuliaMary: Si, scusa per il grande ritardo! Anzi, ti avverto già da adesso che purtroppo
sarà anche peggio! Quindi sarà indispensabile armarsi
di pazienza. Inoltre ti do un pollice in su (come con
i video su youtube XD) per le fette di prosciutto
sugli occhi! Ti ringrazio ancora moltissimo per il commento! Spero che, anche
se ce ne vorrà, leggerai anche il prossimo capitolo :)
PS: Abigail è felice che
qualcuno apprezzi le sue battutine che considera solo
freddure poco divertenti ;)
X mylifeabeautifullie: Uau, Londra! Ci sono stata anch’io, tempo fa! Mi è piaciuta un sacco! E stranamente
non ha piovuto manco un giorno! Scusa, a parte questo, non ti uccido se per una volta non commenti. Ma
che sia l’ultima, chiaro? ;) Ovviamente stavo
scherzando! Mmh… scusa un momento, ma cosa vuol dire
esattamente ‘riusciranno a fare qualcosa quei due?’. Quel ‘qualcosa’
lo hai usato in modo generico o ti riferivi a qualcosa di particolare? :) A parte questo, ti ringrazio ancora di aver sempre
commentato fino ad ora. Ti saluto tantissimo! Un bacio.
X Veronika97: Da come l’hai messa, mi è sembrato un
ordine! A cui io rispondo ‘Sì, signora’.
Non appena ho finito di pubblicare, corro subito a scrivere! XD
X eleonora96: Sono contentissima che trovi questa storia
originale, anche se in realtà alla fine nient’altro è che una revisione della saga. Anch’io penso che quei due formino una
grande e bella coppia insieme, anche se ce li vedo più come amici, che altro, e
ti prometto che in qualche modo, tra un bel po’, la cosa si risolverà in
qualche modo :) . Per ora ti ringrazio tantissimo per
lo stupendo complimento! Ci vediamo alla prossima! Un bacio.
Non appena mi svegliai, invece di rimanere a letto a
lamentarmi del solito freddo al di fuori della lenzuola,
con un grande sprint di energia mi
misi subito in piedi. Era da tantissimo tempo che non dormivo così bene e così
tanto. Uscii in forze da quella dormita, non ero
nemmeno troppo scombussolata.
Verificai per quanto avevo dormito e mi accorsi che era
tardo pomeriggio. Oh bè, adesso si capiva tutto;
ringraziavo i miei per non avermi svegliata prima. E
poi ci sarebbe stato anche stanotte l’allenamento notturno di licantropi e
vampiri, quindi dovevo essere carica. Mi dispiaceva solo per il mio orologio
biologico, che per un po’ ne avrebbe risentito.
Andai in bagno con calma, e mi scelsi velocemente i vestiti
per la giornata, mentre pensavo a cosa avrei potuto fare. Dovevo ammetterlo,
per certi versi la scuola qualche volta mi era davvero insopportabile, ma almeno
teneva occupata metà della mia giornata; senza invece potevo girarmi i pollici
e basta per tutto il giorno, visto che, ancora un po’, non potevo nemmeno
uscire di casa. No, stavo esagerando, ma al massimo mi
era consentito andare a La Push, di Port Angeles, non
se ne parlava proprio, per esempio.
Mentre mi allacciavo le scarpe, quindi, le scelte che mi si
erano presentate erano due; o andavo a La Push,
ovviamente non da Jacob, ma a trovare Emily, e stare un po’ con quegli idioti
di licantropi a stuzzicarci a vicenda, facendo i soliti discorsi da maschi, che
almeno mi avrebbero distratta. Oppure andavo da Bella; era da parecchio che non
ci andavo, però l’idea che ci sarebbe stato anche
l’inseparabile Edward non mi faceva toccare il cielo con un dito.
Quando scesi in garage avevo
deciso: sarei andata da Bella. Volevo verificare se il suo umore si fosse
risollevato e se i pensieri che mi aveva confessato
l’altra notte fossero almeno un po’ cambiati. Inoltre
mancava pochissimo al gran giorno, e a dire il vero mi tranquillizzava stare in
sua compagnia, per tirarci su il morale a vicenda. E per una volta avrei anche
sopportato sguardi e carezze indiscrete.
Feci una veloce colazione, poi partii verso casa Swan. Arrivata, come immaginavo, c’era la Volvo di Edward. Notai
che la macchina della polizia non c’era; meglio così, si sarebbe potuto parlare
dei ‘nostri’ argomenti. Parcheggiai la mia Caddilac
accanto al marciapiedi e andai a suonare il
campanello, ma Edward mi venne ad aprire prima ancora
che toccassi la porta.
“Buongiorno!” esclamai con un tono di voce forte e
squillante.
“Buongiorno anche a te, Abigial”
mi rispose lui, sempre educato e formale, alzando gli occhi al cielo. Lo
oltrepassai e mi diressi in cucina. Vidi Bella intenta a fare colazione;
dall’aspetto dedussi che si era appena svegliata anche lei.
“Anche tu ti sei svegliata adesso?” le chiesi retorica. Lei
annuì, con un boccone in bocca. Mi indicò una brioche
accanto a lei.
“Serviti pure se vuoi.” Bhè avevo
già fatto colazione, era vero, ma intanto rifiutare sarebbe stato da
maleducati, poi una brioche alla marmellata non me la potevo
negare.
“Grazie” dissi afferrandola subito. Era anche calda. “Sono
venuta a fare un po’ di sostegno morale, se ce né bisogno” annunciai,
addentando il primo morso. Lei sorrise a testa bassa, scuotendola
sommessamente.
“Grazie, Abi” sussurrò.
“Avete del succo in frigo? Ne posso prenderne un poco?” chiesi
cambiando subito argomento, come se si trattasse di una questione di assoluta importanza, a confronto dell’argomento di poco
prima.
“Certo” rispose lei, parecchio dubbiosa “Come mai sei così
felice?” Aprii il frigo e ne tirai fuori il succo, per poi prendere dalla
credenza un bicchiere pulito. La guardai con un sorrisone.
“Per sabato.” Lei divenne ancora più dubbiosa, mentre un Edward esasperato schioccò la lingua.
“Non vedo cosa ci sia di divertente” rispose in tono quasi
serio.
“Per il fatto che se magari qualcosa va storto, in una
minima percentuale di casi, questa sarà l’ultima occasione che avrò per
esserlo” le spiegai con semplicità, tornandomi a sedere “Penso molto più in
negativo di quanto credi.” Non era esattamente così;
io avevo esagerato un pochino le cose per rallegrarla un minimo. Edward pensò bene a mettere le cose in chiaro.
“In realtà è più tranquilla e più ottimista di te”
intervenne lui “Come lo siamo tutti. Cerca di prendere
l’esempio da lei” le consigliò. Bella si volse lentamente verso di me e sorrise
davanti al mio intenzionale sorrisone da idiota del ‘buono
esempio’, come mi aveva definito Edward.
“Ancora brutti pensieri?” chiesi tornando un
pochetto più seria.
“Pessime intenzioni, più che altro” mi rispose Edward. Io lo
guardai con le sopracciglia aggrottate.
“Cioè?”
“Alice un momento fa l’ha vista dispersa nella foresta
durante la battaglia” mi spiegò, non staccando per un attimo gli occhi da
Bella, ponendo una particolare enfasi su quelle parole. Bella si alzò dalla
sedia stizzita per andare a mettere nel lavello il piattino delle brioche.
“Adesso è proibito anche avere delle
idee?” chiese scontrosa. Davanti alla sua espressione
quasi imbronciata Edward non poté trattenersi da un sorriso. La puntai
con l’indice e l’osservai aguzzando gli occhi.
“Attenta, ti terrò molto d’occhio” pronunciai con fare
falsamente minaccioso.
“In realtà in compagnia di Bella c’eri anche tu nella
visione” rispose Edward, leggermente divertito. Io rimasi a bocca aperta,
spiazzata.
“Oh…” mormorai quasi impercettibilmente. Bhè,
sì, ovvio che se durante la battaglia a Bella sarebbe venuta
in mente l’idea di raggiungere la radura, l’avrei convinta a tutti i costi a
rimanere nell’accampamento. Ma cosa mi avrebbe spinto ad assecondarla? Mi
riscossi, pensando che le visioni di Alice ultimamente erano pessime e facevano
un po’ cilecca.
“Vi ho interrotti mentre parlavate di qualcosa di
importante?” chiesi all’improvviso, solo allora conscia di essere irrotta a
casa Swan senza invito. Pensandoci bene, forse ero
stata un pochino maleducata, ma ero fatta così; mi
comportavo in modo gentile e cortese con sconosciuti o conoscenti per far loro
buona impressione, mentre violavo ogni regola del galateo con amici e parenti,
comportandomi qualche volta in modo inopportuno e poco consono. Per esempio,
quando ancora vivevo a Chicago e andavo dal signor Jackson per farmi imprestare
qualcosa e lui non c’era, prendevo sempre la chiave
che teneva dentro il vaso in veranda, entravo, mi prendevo quello che mi serviva
scrivendogli un messaggio su un post-it e me ne
andavo. Certo, ovviamente lo sapeva; mi aveva detto lui stesso dove avrei potuto
trovare le chiavi, se ne avessi avuto bisogno.
In continuazione i miei genitori mi avevano rimproverata dicendomi che non era affatto un giusto
comportamento irrompere in questo modo nelle case altrui. Purtroppo per loro,
non sono riusciti nell’impresa: quando un padrone di casa mi diceva ‘fai come
se fossi a casa tua’, io tendenzialmente prendevo alla lettera quelle parole,
che in questo caso erano state pronunciate sia dal signor Jackson, sia da
Charlie.
“Edward mi stava parlando dei licantropi” intervenne Bella,
desiderosa di spostare l’attenzione da lei. “Per cercare di distrarmi dalle mie
idee pericolose, giusto?” azzardò lei stizzita, colpendo nel segno. Edward si
limitò a fare spallucce, segnato dal suo splendido sorriso sghembo.
Io invece lo guardai con una nota acida; quando un vampiro
parlava di licantropi, non mi potevo aspettare che fossero complimenti. Mi sorprese
quindi sentire Edward parlare di loro con vivido interesse.
“Stavo raccontando a Bella che sono rimasto ammaliato dalla
loro capacità di leggersi nelle menti, del vantaggio e delle difficoltà che
presenta questa loro dote” poi cominciò inspiegabilmente a sghignazzare. “Inoltre
le discussioni che nascono quando la propria privacy
viene totalmente invasa creano scene migliori di quelle di una soap opera.”
Si sporse di più verso di Bella, appoggiando i gomiti sul
tavolo in modo elegante e silenzioso, come un gatto.
“Hai notato il lupo grigio?” Bella annuì, fingendosi
disinteressata; in realtà quella ragazza non poteva fare a meno di prendere per
oro colato tutto quello che usciva dalla bocca del suo vampiro. Almeno, quasi
tutto. A Edward si stampò un enorme sorriso.
“Prendono così sul serio le loro storie, ma in realtà
servono a ben poco a prepararli” disse in tono vago e misterioso. Io corrugai
di nuovo le sopracciglia.
“Di cosa stai parlando?” Odiavo le persone che stuzzicavano
l’attenzione e poi tranciavano di netto il discorso. Solo più tardi mi resi
conto che l’obiettivo di Edward non era catturare la mia attenzione, ma quella
di Bella, come aveva ben detto prima lei.
“Hanno sempre pensato che soltanto i pronipoti diretti del
primo lupo possono trasformarsi” continuò lui, sempre con quel sorriso
involontariamente seducente. Di primo acchito mi sembrava così strano sentire
pronunciare dalla bocca di Edward dettagli che potevo
trovare nella mia memoria solo dai racconti di Billy e del vecchio Quil.
“Si è trasformato qualche discendente indiretto?” tentò di
indovinare Bella, che ormai si era fatta sopraffare dal fare ammaliatore di
Edward.
“No. Anche lei è una discendente” Sbattei violentemente le
ciglia, capendo che la parola chiave della frase di Edward
non era ‘discendete diretto’, ma ‘pronipoti’ al maschile. Una donna? C’era una
donna lupo?! Jacob non mi aveva detto niente! Bhè, ad essere sincera, non mi aveva detto neanche dei
quattro lupi in più. Bella sembrava avermi letto nel pensiero, perché espresse
lo stesso mio identico stupore.
“Lei?” esclamò stupita. Edward annuì.
“Sì, LeahClerwater.
La conoscete” Io spalancai gli occhi dallo stupore.
“Leah licantropo!” mi seguì Bella
“Da quando? Jacob non me ne aveva mai parlato.”
“Sam ha dato
l’ordine al branco di non svelare a nessuno molte cose, per esempio
quanti sono. Il capo branco esercita uno strano ascendente, tale che per gli
altri lupi è impossibile disubbidire” spiegò lui,
davvero interessato. E la cosa stava interessando
anche a me; solo adesso mi rendevo conto che c’erano tante altre cose sui
licantropi che non potevo sapere, nonostante Jacob si fosse dimostrato con me
subito sincero, dal primo momento.
“Jacob è stato attento a non
pensarci. Ma dopo la scorsa notte, nessuno si è
trattenuto” disse, in un accenno di sorriso.
“Povera Leah” sussurrò Bella,
sconfortata. Intuii che Bella doveva sapere qualcosa in più riguardo a Leah, per spiegare questo suo dispiacere. Sembrava
parecchio dispiaciuta dalla cosa, mentre io, più che altro, non conoscendola
per nulla, rimasi inflessibile.
“Forse non merita il tuo dispiacere. Sta disturbando la
coesione del branco” mormorò questa volta stranamente serio.
“Perché?” chiese Bella.
“E’ una situazione difficile sentire continuamente i
pensieri altrui…”
“E tu ne che ne sai?” lo interruppi
io, sarcastica. Lui scosse la testa prima di riprendere.
“I pensieri degli altri compagni influenzano parecchio
l’umore di uno solo; per questo la maggior parte del branco cerca di pensare positivo, ma basta anche un solo cattivo pensiero per
rendersi la vita impossibile. ELeah
è brava a farlo” Poi emise una leggera risata verso di me “E’ certo che con i
tuoi strani pensieri starebbero benissimo” Io lo guardai acida, per niente
offesa.
“Ah, ah, ah” risposi sarcastica.
“A me sembra che Leah abbia
ragione” rispose Bella. A quel punto volli partecipare alla conversazione
anch’io e chiesi informazioni.
“Ma di cosa diavolo state parlando?” sbottai io.
“Prima di incontrate Emily, Sam era
innamorato di Leah. Da quando ha avuto il suo
imprinting, per Sam non esiste nesun’altra se non
Emily. Per Leahè stata dura” mi
spiegò Bella.
“Oh!” esclamai io. Leah era la
vecchia fiamma di Sam? No, anzi, Sam aveva avuto una fiamma prima di Emily?! Lo stesso Sam che avevo in mente io?! Sinceramente, non avrei mai creduto che potesse aver
avuto una storia con un’altra ragazza; non mi sembrava decisamente il tipo. Era
troppo… serio; insomma, non esattamente Mr.
Simpatia.
“Povera Leah” simulai Bella.
L’avevo giudicata troppo presto quella ragazza, basandomi su
una semplice occhiata. Doveva essere stato orribile, non tanto per il fatto
accaduto, quanto per la velocità con la quale era accaduto. Era bastata una
semplice occhiata a Emily per dimenticare Leah. E per
dare un’occhiata quanto ci voleva? Neanche un secondo. Aggiungendo poi il fatto
che adesso faceva parte del branco, per lei la situazione era peggiorata. Non
avrei mai voluto essere nei suoi panni. Insieme a me, anche Edward si perse
negli stessi pensieri.
“Non ho mai visto niente di simile all’Imprinting, e di cose
strane ne ho viste parecchie.” Scosse leggermente la
testa, non trovando le parole adatte “E’ impossibile descrivere il legame tra
Sam e la sua Emily. Forse è più corretto dire che lui è suo; Sam non poteva
scegliere. Mi sembra Sogno di una notte
di mezza estate, con tutti gli incantesimi creati dalle fate. Bhè, in effetti, sembra una magia.” Sfoderò il suo
sorrisino. “E’ una sensazione forte, quasi come quella che io provo per te.”
Evitiamo questi paragoni sdolcinati, per favore.
“Quali pensieri cattivi?” lo interruppi io.
“Pensieri sgradevoli per tutti, che Leah
continua a ripescare” mi rispose Edward, ignorando il
mio commento.
“Tipo?” insistetti.
“Embry, per esempio.”
“Qual è il problema?” intervenne Bella. Mi accorsi di aver
iniziato a bere il mio succo con avidità, mentre ero in attesa di un’altra
sorprendente rivelazione.
“Sua madre lasciò la riserva Makah
per venire in quella dei Quileute. Tutti pensavano
che il padre fosse rimasto là. Ha suscitato parecchio scalpore
quandoEmbry è entrato nel branco.”
Quindi il padre era uno dei Quileute!
Ma non un Quileute qualsiasi, un discendente del Capo
Supremo.
“I probabili padri sono il padre di
QuilAteara, JoshuaUley e Billy Black”
concluse Edward.
“No!” esclamammo io e Bella in un coro, con lo stesso tono
sorpreso, che fece sghignazzare per alcuni secondi Edward. Cavolaccio! E vedi
che cosa poteva aver combinato quel briccone di Billy! La riserva era più
piccola di Forks, ma qua mica succedevano cose del
genere.
Questo sì che era uno pettegolezzo
succoso! Forse perché si trattava di un argomento che mi riguardava e mi interessava, ma non avrei mai creduto di entusiasmarmi di
fronte a dei pettegolezzi peggio di Jessica Stanley!
“Ora Sam, Jacob e Quil si stanno
domandando chi di loro abbia un fratellastro. Tutti pensano sia il padre di
Sam, che non è stato sempre fedele. Ma il dubbio rimane. Jacob non è mai
riuscito a chiederlo a suo padre.”
“Caspita. E hai scoperto tutto
questo in una notte sola?” chiese Bella perplessa.
“Le loro menti sono affascinanti; pensano insieme e
contemporaneamente in modo individuale. C’è davvero molto da leggere.”
“E non c’è magari qualcos’altro?
Come per esempio altre ragazze incinte, oppure strane preferenze sessuali, cose
così?” chiesi al massimo del coinvolgimento. La Push
era sul punto di diventare la scena per una sit-com!
“Adesso stai esagerando” mi avvertì Edward,
per nulla divertito.
“Caspita” copiai Bella anch’io, solo molto più basita.
Con il pretesto di distrarre Bella Edward
si era per un attimo scordato la discrezione che aveva sempre tenuto riguardo i
pensieri altrui e ne erano uscite fuori di tutti i colori. Cavolo, a leggere i
pensieri non ti annoiavi mai. E in questo momento, come avrei
voluto sgarfare nella dannata mente di una persona in particolare. Mi
voltai lentamente verso Edward, lanciandogli uno sguardo languido.
“Vorrei approfittare per un attimo della tua momentanea
mancanza di discrezione, se non ti dispiace…” dissi con nonchalance.
“No” mi rispose categorico lui. Io pestai involontariamente
i piedi a terra.
“Eddai!” mi lamentai io.
“Cosa gli hai chiesto?” chiese Bella curiosa.
“Che cosa frulla nella mente di
Jacob” Allorché anche lei lo guardò interessata.
“Ci terrei molto a saperlo anch’io” disse con un velo di
stizza, per il comportamento lunatico del licantropo.
“Jacob vi sta tenendo nascoste molte cose” disse Edward
apparentemente imperturbabile, ma in realtà leggermente smosso dalla richiesta
di Bella.
“Fino a lì ci sono arrivata anch’io” esclamai spazientita “Esattamente,
cosa sono queste cose?” Edward si rivolse esclusivamente verso di me.
“E’ una faccenda che non mi riguarda direttamente, che
personalmente non mi interessa e in cui preferirei non essere coinvolto” disse
con una compostezza e una calma invidiabili.
“Ma a te è chiara, che faccenda sia” continuai io, che non
volevo demordere.
“Più di lui sicuramente” affermò “E’ confuso” si lasciò
sfuggire alla fine. Non una grande bella novità.
“C’è l’ha detto” mormorai avvilita e determinata a insistere.
“Bene, non ho altro da aggiungere” concluse lui,
appoggiandosi sullo schienale della sedia in legno.
Sospirai, sconfitta; era impossibile far cambiare opinione a Edward. Però era
piuttosto strano che facesse tanto il misterioso per un problema di Jacob;
insomma, perché tanti problemi per infrangere la sua privacy, se fino ad adesso
aveva sparlato come una vecchia pettegola? Inoltre era qualcosa che io e Bella
avevamo il diritto di sapere, questo non poteva metterlo in dubbio nessuno.
“Insomma dalla tua bocca non uscirà niente” osservai io alla
fine, come ultima carta. “Perché?” Lui non aspettò per rispondere.
“Mi comporterei in modo sleale; in certe occasioni sono
disposto a farlo, ma non in questa” disse semplicemente, alzando leggermente le
spalle, con fare quasi annoiato. Lo guardai con le ciglia aggrottate; si
sarebbe comportato in maniera scorretta nei confronti di Jacob?
Pensandoci bene, mi sembrava avere anche un senso; Edward mi
aveva sempre dato l’impressione di un giovane dell’Ottocento, con un certo
galateo e certi valori, tra questi quello di
rispettare nel bene o nel male anche il nemico che si odiava, in questo caso
Jacob. Sembrava insomma un personaggio uscito da un vecchio romanzo inglese.
“Abbiamo il diritto di sapere” osservò Bella, leggendomi nel
pensiero. Anche lei era determinata.
Se c’era una persona che poteva
convincere Edward a cambiare idea, quella era senza dubbio Bella, anche se
doveva lavorarselo per bene e a lungo. Quindi Edward aggirò nuovamente l’affermazione.
“Ve lo dirà; pensava di farlo dopo la battaglia, ma non era
sicuro” disse lui, per cercare di concludere quella
conversazione. E ci riuscì benissimo, perché la
discussione passò di nuovo sulla battaglia.
“Non esattamente il luogo adatto” brontolai io. “Voi siete
pronti?” lo assecondai io, convinta che ormai non ci avrebbe detto niente. Almeno
l’idea che finalmente avrebbe parlato mi confortava un minimo.
Edward si animò. “Mancano solo gli
ultimi preparativi. Stiamo mettendo appunto un piano d’attacco per prenderli di
sorpresa. Tuo padre è molto d’aiuto, con il suo dono; sa quello che dobbiamo
fare. Tuttavia la sua opinione è molto mutevole, quindi temo che all’ultimo
minuto cambieremo di nuovo configurazione.”
“Edward” lo interruppe Bella, con
una serietà sul suo volto che la faceva sembrare più vecchia “Voglio venire
anch’io nella radura” affermò convinta. Io mi girai verso Edward, irrequieta.
“La posso picchiare?” mormorai, con un tono abbastanza alto in
modo che anche lei potesse sentire.
“No” rispose Edward categorico e severo, molto probabilmente
non solo a Bella, ma anche a me. Bella abbassò gli occhi, e divenne
improvvisamente cupa. Pensai che fosse una reazione troppo esagerata, ma poi
capii che non si trattava di quello.
“Edward, le cose stanno così” sussurrò alla fine. Sembrava
essere diventata più pallida, mentre continuava a non staccare gli occhi dal
tavolo. Edward si fece preoccupato, ed anch’io.
“Se tu mi lasciassi ancora, impazzerei di nuovo” disse alla
fine. Bella continuava a tenere gli occhi fissi sul tavolo e non poté notare il
fantastico sorriso che Edward le fece, non più sghembo, ma magnificamente
esteso.
In un attimo le fu subito vicino per abbracciarla ed
accarezzarla.
Bella era terribilmente in angoscia per il suo Edward, un’afflizione diversa dalla mia, tanto quanto lo
era il mio amore per i miei genitori ed il suo per lui.
“Non è vero, lo sai” mormorò lui “Tornerò presto”
“Non ce la faccio” rispose determinata lei, il tono di voce
nel panico. “Non so se ritornerai o no. No, non saprò resistere” riprese lei,
cercando di contenersi in mia presenza.
Per la serietà della situazione e per il rispetto dei
sentimenti della mia amica, mi risparmiai dal dire i miei commenti.
Sapevo perfettamente quali erano i nostri vantaggi: c’erano
i lupi, il numero di neonati stava calando, papà aveva il suo potere ed avrebbe
tenuto d’occhio mamma. Ero sempre più sicura che non sarebbe successo niente,
come anche ero certa che domani sarei stata tesissima tutto
il giorno, perché, bene o male, del futuro non si ha certezza.
“E’ inutile che ti preoccupi; andrà tutto bene” ripeté Edward.
Immaginavo che finita quella storia Bella non avrebbe più
sopportato quelle parole, da tante volte le erano state dette, sia da Edward,
che dai Cullen, e perfino da Jacob.
“Davvero?” chiese lei per sicurezza.
“Certo” rispose Edward, dolce come il miele, senza neppure
un accenno di divertimento per l’eccessiva preoccupazione di Bella. Io d’altro
canto, cercai di farmi piccola piccola, nell’angolo
della cucina, sentendomi un imbarazzato terzo incomodo. Era esattamente per
questo che all’inizio dubitavo di venire qua.
“E ve la caverete tutti?”
“Tutti, senza grandi sforzi” ripeté di nuovo.
“Tanto che qualcuno starà in disparte?”
“Sì”
“E se quel qualcuno fossi tu?” La sua ultima domanda ruppe
quella catena ripetitiva di conforto. L’espressione di Edward fu indecifrabile.
Bella però sembrò essere più determinata.
“Le cose sono due: o il rischio è più grave di quanto tu mi faccia credere, quindi è giusto che io venga con voi.
Oppure, come hai detto tu, gli altri ce la faranno anche senza di te. Quale delle due è giusto?”
Uau! In quel momento guardavo
realmente sbalordita Bella, per il suo discorsone incalzante, che mise Edward
con le spalle al muro, cosa che personalmente non sarei mai riuscita a fare. Di
fatti lui non rispose.
“Mi stai chiedendo di ritirarmi dalla battaglia?” chiese in
compenso. La sua voce non era mutata di una virgola.
“O mi fai partecipare; purché
stiamo vicini” scese a compromessi lei. La sua voce tuttavia non aveva ancora
riacquistato fermezza. Si voltò lentamente verso di me. Aveva gli occhi
divorati dal senso di colpa.
“Mi dispiace Abigial. So di
comportarmi in maniera egoista, soprattutto nei tuoi confronti e in quelli di Sophie e William. Hai ragione se ce l’hai
con me” disse con tono greve.
In un primo momento avevo pensato che il suo era davvero un comportamento da egoisti, ed ero anche
intenzionata a dirglielo, ma poi un’immagine mi si presentò in mente, che mi
fece cambiare del tutto idea, e mi convinse che la presenza di Edward fosse
indispensabile.
Mi immaginai io e Bella, in qualche
luogo sperduto tra i monti, con affianco un licantropo giovane e inesperto, che
giaceva immobile a terra, ed una furba e pazza vampira a pochi metri di
distanza, pronta ad ucciderci. Anzi, insieme a lei,
comparve una seconda figura, lo stesso vampiro che l’aveva aiutata a creare
quell’esercito o che magari aveva preso i vestiti di Bella. Se fosse successo,
non sapevo in quali stati mamma ed Edward ci avrebbero
trovati, quando fossero arrivati. Insomma arrivare al nostro nascondiglio
sarebbe stato molto difficile, ma Victoria era scaltra
e imprevedibile e mi sentii improvvisamente insicura di fronte a
quell’immagine.
“In realtà…” Guardai Edward con un sorriso tesissimo. “In
realtà mi è venuta una voglia pazzesca di averti vicino, Edward” dissi con un
tono di voce più acuto del normale. Lui mi guardava invece serio, Bella invece
mi lanciava strane occhiate.
“Hai ragione” disse alla fine “Abigail ha completamente ragione. Devo stare con te”
disse alla fine, allarmato. Lo sguardo totalmente
spaesato di Bella lo spinse a spiegare.
“E’ ovvio che Victoria non combatterà; lei vuole voi. Vi
verrà a cercare ed il tuo pensiero, Abigail, si
potrebbe avverare; un giovane licantropo non avrà molte chances .”
Io deglutii rumorosamente, mentre Bella mi lanciava un’occhiata piena di
gratitudine, a cui io risposi con un lieve sorriso. Edward prese il cellulare
dalla tasca dei pantaloni.
“Avremmo dovuto pensarci, ma ci siamo
fatti prendere troppo dalla battaglia nella radura. Ho
sbagliato, mi dispiace” disse Edward, febbricitante, cercando di
scusarsi e incolpando se stesso per non aver pensato ad ogni modo possibile ed
immaginabile per salvare la vita a Bella. Prese immediatamente le mani a Bella,
guardandola negli occhi.
“Non ti lascerò, promesso” promise ancora. Ora quello che
aveva i sensi di colpa era lui; la situazione si era improvvisamente ribaltata.
Bella si limitò a guardarlo immobile, con un’espressione molto più tranquilla.
“Bhè” interruppi io. Insomma,
l’idea l’avevo avuta io, no? Ed ero rimasta un po’ insoddisfatta dall’uso del
singolare.
“E’ ovvio chi salveresti per prima,
se entrambe fossi sul punto di morte, non c’è alcun dubbio. Tuttavia, se si
presentasse questa situazione, e se in quel momento avessi
tempo e voglia, sempre ovviamente dopo aver messo al sicuro Bella, non sia
mai!, se per caso ti capita di difendere un pochettino
anche la mia di vita, mi farebbe molto piacere” dissi in un constante tono
sarcastico. Certo, la presenza di Edward mi rassicurava; ma eravamo certi che
volesse prendere un po’ in considerazione anche me, oppure sarebbe stato
totalmente concentrato su Bella? In compenso Edward sghignazzò.
“Non ti preoccupare, porterò con me il mio amico immaginario.” Non poté non trattenere una sonora risata, mentre Bella
cercava di farlo smettere, ma anche lei faceva fatica
a tenere nascosto un sorrisino. Io mi imbronciai, ma
non me la presi più di tanto con lui; se non altro me la presi con me stessa,
per essere stata battuta dalla le mie stesse armi.
“Spiritoso…” borbottai. Edward smise quasi subito.
“In realtà stavo pensando che con me potrebbe venire anche Sophie, a questo punto” propose lui. Io mi illuminai e mi
sentii leggera; con mamma vicina a me sarei stata molto più tranquilla,
soprattutto ripensando alla sua sbadataggine nel combattimento.
Intanto non mi ero accorta che Edward stava parlando al
telefono.
“Alice, puoi venire da Bella per un po’? Devo parlare con
Jasper.” Come al solito Edward stava esagerando; per
pochi minuti non sarebbe morto nessuno. E poi c’ero
io, no? Alice rispose decisa dall’altra parte del telefono.
“Di cosa devi parlare con Jasper?” sussurrò Bella.
“Se è possibile se io e Sophie
stiamo in disparte” rispose Edward fermo. “Dovevamo pensarci prima” continuò,
non smettendo di incolparsi per qualcosa che dopotutto lui non aveva fatto.
In compenso Bella riuscì arincuorarlo nei migliori dei modi; gli
si fece vicina e appoggiò il viso sull’incavo del collo. Automaticamente lui le
cinse i fianchi con le mani e sorrise lievemente, quando lei gli pronunciò qualcosa
all’orecchio che da quella distanza non riuscii a
cogliere.
Ed io ero lì, l’invisibile terzo in comodo che ne aveva fin
troppo di romanticismo. Insomma, parliamoci chiaro, quasi
tutte le persone che conoscevo avevano qualcuno, tra una casa di vampiri
fatta di coppiette e il fenomeno dell’Imprinting che scoppiava a La Push, e a
me toccava guardare tutto questo da sola.
Il sospiro che mi uscì dalla bocca assomigliò più che altro a un gorgoglio.
“Chi è la terza moglie?” chiese improvvisamente Edward, non
capendo bene se per curiosità, o per un minimo riguardo ai miei pensieri.
“Cosa?” chiese Bella, con il tono
di voce appena teso. Lui la studiò con lo sguardo.
“La notte scorsa hai detto qualcosa riguardo alla ‘terza
moglie’. Non ho ben capito cosa volessi dire”
“Ah. E’ una storia che ho sentito raccontare al falò. Deve avermi colpita” disse cercando di essere il minimo
indifferente possibile, alzando pure le spalle per accentuare la leggerezza dell’argomento.
Ripensando al sacrificio della terza moglie, della Fredda, e
del capo tribù, capii perché non glielo voleva dire; quella storia era fin
troppo simile alle sue intenzioni.
“Ora ho capito perché ti ha colpita”
disse in tono estremamente troppo neutro, mentre mi lanciava un occhiata
loquace. Bella mi fulminò per un attimo con gli occhi. Ops, solo adesso mi ero accorta
di quello che avevo fatto.
L’improvviso arrivo di Alice
risparmiò Bella dai rimproveri e dalle conseguenti dolci rassicurazioni di Edward. A differenza del fratello, lei aveva un’espressione
del tutto imbronciata.
“Ti perderei tutto il divertimento” mugugnò.
“Ciao Alice” la salutò Edward,
dimenticandosi apparentemente del precedente argomento di conversazione.
“Tornerò stasera. Vado ad esercitarmi con gli altri e a
riorganizzare i piani” disse questa volta rivolgendosi
a Bella e salutandola con un bacio.
“Non c’è molto da riorganizzare” intervenne Alice “L’ho già
detto a tutti. Emmett è contento; più vampiri per lui.”
“Certo” disse Edward divertito.
“E Sophie ha detto
che preferisce rimanere nella radura” concluse Alice, imperturbabile. Io
sbarrai gli occhi.
“Cosa?!” esclamai io, in tono così
chiaro e piatto da mettere in evidenzia ciascuna lettera. Anche Edward rimase
confuso. Alice fece spallucce.
“Vuole parlare con te” continuò lei, verso Edward. Lui annuì serio, prima di scomparire.
Io non mi ero ancora ripresa; cosa diamine credeva di fare
quella donna?! Lasciarmi sola, mentre una pazza mi
poteva scovare ed uccidere?!
“Perché?” chiesi con leggero tono isterico che cercai di
mimetizzare.
“Dice che sarà più utile nella
radura” rispose lei, particolarmente calma. Emisi un verso molto simile a
quello di una papera; non c’erano dubbi, anch’io avrei dovuto parlare con
mamma, e subito.
“Credi che senza Edward i rischi aumenteranno?” chiese
Bella, tesa. In compenso Alice sbuffò.
“Ti verranno i capelli bianchi per la troppa preoccupazione”
osservò lei. Io dovetti darle assoluta ragione.
“Perché sei allora agitata?” continuò ancora Bella.
“Edward diventa insopportabile quando
comincia a darsi colpe inutili per qualcosa che avrebbe dovuto pensare prima.
Sto soltanto immaginando la vita con lui nei prossimi mesi.”
Poi tornò a Bella.
“Ti consiglio vivamente di controllare il tuo pessimismo,
Bella.”
“Lasceresti combattere Jasper senza di te?”
“E’ diverso” rispose all’istante Alice.
“Mmh…” asserì Bella.
“Ora va a cambiarti” proruppe all’istante lei “Charlie sarà
qui tra poco, e in queste condizioni non ti farà più uscire.”
Bella si guardò in un sussulto il pigiama, che si era
dimenticata di indossare ancora.
“Sì, hai ragione” borbottò, salendo le scale per il secondo
piano.
Avevo fatto poco caso alla conversazione tra Alice e Bella.
Stavo ancora pensando a mamma e al cavolo di perché non voleva stare con me.
Mi alzai impaziente, con il proposito di andare
immediatamente a casa.
“Vado a casa a parlare con mia madre” dissi nervosissima. E forse anche un po’ delusa.
Era un’azione del tutto imprevedibile da parte di mamma. Mi
immaginavo che si sarebbe comportata come Edward, presa dalle sue manie di
preoccupazione. Invece aveva fatto tutto l’opposto. Non riuscivo a darmi una
spiegazione.
“Ti prego, non ti ci mettere anche tu. Bella basta e avanza”
cercò di smorzare la tensione Alice, accorgendosi
della mia agitazione. Io cercai di farle un sorriso sforzato, uscendo e
dicendole di salutare Bella da parte mia.
La Cadillac non era di certo un bolide e non raggiungeva
affatto i chilometri orari della mia KTM, quindi arrivai un po’ più tardi di quanto
pensavo. Parcheggiai la macchina in garage ed entrai.
La casa era deserta; tutti i vampiri stavano facendo un
allenamento intensivo a un centinaio di metri da qui,
per prepararsi al meglio alla battaglia. Questo era uno dei vantaggi a non
stancarsi mai.
“Mamma!” la chiamai nervosa. Nessuna risposta o apparizione.
“Mamma!” urlai, questa volta. Ancora niente. Cominciai a
battere impaziente il piede contro il pavimento di marmo. Inspirai
profondamente, riempiendo d’aria i miei polmoni.
“Mamma!” urlai con quanto fiato avevo.
“Ho sentito!” disse mamma, comparsa a fianco a me “Non c’è
bisogno di gridare così tanto! Ti hanno sentita tutti.
Sembra che qualcuno ti stia accoltellando” disse lei, con il suo sarcasmo, che
a me ora non mi faceva ridere per niente.
Il mio sguardo serio le fece cambiare espressione.
“Alice mi ha detto che starai con gli altri, nella radura.”
Lei mi guardò con le sopracciglia aggrottate, studiando ogni movimento del
viso.
“Vuoi che rimanga con te, vero?” mi domandò con la sua irresistibile
voce di mamma. Io annuii decisa.
“Sì. Pensavo che tu accettasi
l’idea senza problemi! Insomma, questo è quello che mi sarei aspettata dalla
mia mamma iper-preoccupata” dissi
abbattuta. Lei mi sfoderò un sorrisino, prendendomi il viso con le sue gelide
mani.
“Edward e l’altro licantropo sono una protezione più che
sufficiente. Ho voluto parlare con lui, poco prima, per garantirmi che veda
anche di te. In caso di bisogno, sai che verrò subito”
mi disse con la voce calda e rassicurante come il miele. “Non so quanto potrà
giovare un ulteriore vampiro fuoricampo. La mia assenza potrà creare qualche
disagio.”
“Ma se sei una schiappa a combattere!” osservai senza la
paura di ferirla. Difatti mamma mi lanciò un’occhiataccia.
“Non è vero!” rispose di rimando lei, leggermente
imbronciata. “Sto facendo progressi.”
“Mmh…” mugugnai io, poco convinta,
andandomi a sedere sul divano di un bianco candido. Mamma mi imitò.
“Non dirmi che vuoi che stia con
te, perché sei convinta che partirò svantaggiata.” Ci riflettei sopra; certo,
c’era comunque papà che l’avrebbe tenuta d’occhio,
però…
“Un pochino” ammisi sottovoce. Lei fece un sospiro,
guardando con un sorriso la mia faccia preoccupata. Mi appoggiò la mano sulla
spalla e sentii la sua pelle fredda a contatto con la mia.
“Stamattina eri l’immagine della tranquillità e
dell’allegria. Perché questo cambio di umore
improvviso?” Io respirai profondamente e la guardai abbattuta.
“Un insieme di cose, credo. All’inizio il pensiero che
Victoria possa trovare me e Bella, poi quello che tu non possa farcela.” Sospirai ancora. “Potete dirmi tutti quanti, quante volte
volete che andrà tutto bene. Me lo dico sempre anch’io e qualche volta pure
riesco a convincermi. Ma fino a quando tutto questo non sarà finito, non sarò
tranquilla.” Mamma mi appoggiò entrambe le mani sulle
spalle.
“Mi dispiace se stai vivendo tutto questo, Abigail. E’ colpa nostra” disse in un sussurro “Qualche
volta credo che io e Will siamo stati davvero troppo
egoisti.” Io mi scostai da lei e la guardai dritta in faccia, per quello che
aveva detto, che tuttavia non mi era nuovo.
“Eppure io non ho mai sognato una famiglia diversa.” Mia madre mi sorrise. Quello stupendo sorriso che anche
quando sarei morta, non avrei dimenticato.
“Abbracciami, patata” sussurrò, chiamandomi con il
soprannome che poteva usare solo lei. Non ci pensai due volte e le buttai le
braccia al collo. Per quanto potevano esseri duri e freddi, non potevo
paragonarli a nessuno, nemmeno a quelli caldi e morbidi di un licantropo.
Alle tre spaccate ci trovavamo di nuovo nella radura dove si
sarebbe svolto il massacro. Mi sentivo stanchissima; forse non avrei dovuto
fare break dance fino a tardi.
Mi sentivo piena di energie e di
preoccupazioni e la break mi sembrava l’unico modo per scaricarmi un po’,
soprattutto dopo che l’ansia da saggio era cessata; ma dovevo immaginare come
sarebbe finita. Ogni volta che iniziavo, mi facevo prendere ed esageravo,
quindi dopo ero esausta. Dormii un paio d’ore e anziché ristorarmi, mi affaticarono
ancora di più. Nonostante tutto, non avrei mai
confessato la mia stanchezza ai miei genitori; il mio orgoglio non avrebbe
resistito ai loro ‘non avresti dovuto farlo’, quindi tentai in tutti i modi di
nascondere la mia spossatezza.
Mi misi a sedere sotto un albero, al limite della radura,
evitando di abbandonarmi come un macigno. Edward e Bella, insieme ai
licantropi, dovevano ancora arrivare, quindi gli altri cominciarono a
riscaldarsi. Improvvisamente mi venne una grandissima voglia di dormire e
constatai con interesse che il mio cestino di capelli appoggiato alla betulla
dietro i me, creava un comodo cuscino.
Per evitare di addormentarmi e fare una pessima figura, che
avrebbe suscitato i commenti dei miei genitori e le risate di
Emmett, cercai un modo per intrattenermi e
cominciai ad osservare attentamente gesti ed espressioni di ogni vampiri.
Jasper ed Emmett avevano iniziato senza perdere
tempo, ma a giudicare dalle risate stavano solo giocando. Senza dubbio, Emmett era il più entusiasta di tutti per la battaglia;
aveva un temperamento molto combattivo.
Alice e Rosalie stavano facendo stretching per terra, mentre
li osservavano con un sorriso. Alice era piuttosto brava a nascondere le
proprie emozioni, come tutti i vampiri, d’altronde, e sembrava che sia lei, che Rosalie, non fossero più agitate di un
ballerino professionista che doveva eseguire un suo pezzo durante una sagra di
paese.
Esme e Carlisle
se ne stavano in disparte, e vedendo le loro mani intrecciate e i loro visi
vicini, non credevo pensassero molto alla battaglia.
Infine c’erano i miei genitori. A differenza di tutti, papà
era l’unico che sembrava preoccuparsene; era da quando avevamo capito che una
battaglia sarebbe stata inevitabile, che raramente si toglieva
quell’espressione di dosso. Per quanto mi sforzavo, non potevo capire il
tormento che lo assillava nel ritornare in un inferno. Mamma, per quanto
poteva, riusciva poco a distrarlo. A me però non sembrava che Jasper provasse
le stesse emozioni, ma mi ricordavo bene il terrore nei suoi occhi, quando ci aveva parlato delle guerre in Messico; nonostante Jasper si fosse sempre comportato con la mente fredda e
lucida del soldato, non potevo pensare che gli fosse indifferente ritornare nel
campo di battaglia.
Oltre alle loro espressioni, purtroppo, notai anche
qualcos’altro, ovvero la moltitudine di coppiette: Rosalie con Emmett, Jasper con Alice, Carlisle
con Esme, mamma con papà. Come se non bastasse erano
arrivati anche Edward e Bella. L’unica single ero io. Osservando
bene la scena, stonavo tantissimo. Mi sentii per un attimo
sola e tanto, tanto gelosa.
Bella mi si avvicinò, rimanendo in piedi, sempre
accompagnata da Edward. Era evidente che il suo viso non fosse più animato
dall’inquietudine del giorno prima. Ci salutammo con un sorriso.
Quella notte le nuvole non erano così spesse come la volta
precedente, pertanto i raggi di luna mi permisero di distinguere con più
facilità le sagome dei lupi, e di notare che erano solo tre. Il lupo che stava
in testa, grosso con il suo pelo rossiccio, era inconfondibile. Accanto a lui
vidi con chiarezza il pelo grigio scuro di Embry e quello
color cioccolato di Quil. Era l’inseparabile trio.
“Dove sono gli altri?” sentii chiedere Bella a Edward.
“Non serve che venga tutto il
branco; non ce n’é bisogno, con la loro capacità di leggersi i pensieri. Jacob avrebbe voluto venire anche da solo, ma Sam non si fida.”
“Jacob però si fida” osservò
Bella.
“Sa che non lo uccideremo” le rispose Edward
semplicemente.
Ascoltai con poco interesse quelle quattro parole che i due
si scambiarono; avevo fatto il terribile errore di
appoggiarmi sul tronco ed ero tutta presa e concentrata anche solo ad accettare
l’idea di alzarmi. In quella posizione particolarmente comoda le mie palpebre
si fecero in poco tempo molto pesanti.
“Stanotte ti alleni anche tu?” sentii la voce di Bella
ovattata, mentre guardavo i movimenti ipnotici di Emmett
e Jasper.
“Aiuterò Jasper e Will a formare dei gruppi, in caso di attacchi multipli” le rispose Edward.
Il mio sguardo allora si posò distratto sui licantropi.
Jacob guardava da questa direzione, con la lingua a penzoloni.
Gli sfoderai a fatica un sorriso. Cominciò a venirci incontro e mi costrinse a
spalancare di nuovo gli occhi.
“Jacob” lo salutò Edward. Jacob lo ignorò; guardò Bella,
avvicinandosi a lei, emettendo un latrato.
“Sto bene” gli rispose, senza che Edward traducesse. “Solo
un po’ preoccupata”
“Chiede il perché” continuò Edward. Jacob ringhiò
infastidito e Edward gli lanciò un’occhiataccia.
“Pensa che le mie traduzioni non siano abbastanza fedeli. Letteralmente
ha detto ‘Che cazzata. Cosa c’è da preoccupasi’, ma
ho voluto riadattarle a un linguaggio meno volgare.” A
fatica trattenni un sorriso; Edward non si smentiva mai.
“Un sacco di cose. Per esempio, un branco di sciocchi lupi
che non pensano di farsi male” rispose Bella.
Allora ero troppo stanca per prendere
sul serio l’inequivocabile nervosismo della sua voce. Vidi poi il lupo
rossiccio guardarmi con attenzione, per poi voltarsi verso di Edward.
“E’ solo stanca” gli rispose Edward. Solo in quel momento mi
accorsi che la mia stanchezza era più che visibile e che difficilmente l’avrei
potuta nascondere.
“Solo un poco, tutto qua” dissi con voce troppo roca.
“Jasper ha bisogno di aiuto. Ve la cavate da sole?” chiese Edward, lasciando la mano di Bella.
Lei annuì sicura e per un attimo della sua vita Edward riuscì a staccarsi da
lei. Il lupo continuava a guardarmi interessata, mentre anche Bella si sedeva
vicino a me.
“Perché così stanca?” mi chiese. Io
feci spallucce.
“Volevo distrarmi un po’ e ho esagerato con la break” mugugnai a occhi chiusi.
“E poi sei tu che dici a me di non preoccuparmi” mi fece
notare con sorriso. Io feci finta di nulla. Jacob scosse la testa, mentre con
un mezzo passo si avvicinò anche a me. Io lo guardai confusa.
“Scusa, ma non avevi detto che volevi stare un po’ da solo,
o in forma di lupo questo non vale?” chiesi piuttosto scettica. Lui scosse di
nuovo la testa e starnutì ai miei piedi. Li trassi dal suo muco a terra.
“La prossima volta esigo la traduzione letteraria di questo”
ordinai categoria.
“Ci parlerai prima o poi di questo,
no?” domandò Bella, mentre cercava di trattenere il fastidio.
Lui in compenso si fece largo tra me e lei, e si acquattò
per terra. Con la scusa che non poteva parlare faceva solo quello che voleva.
Nonostante la stanchezza, mi accorsi che il suo era un comportamento davvero
infido e subdolo, perché noi non potevamo andare da lui, ma lui poteva stare
con noi, perché noi stesse glielo permettevamo; bene o male, entrambe volevamo
la sua compagnia.
Il suo naso nero attirò la mia attenzione e indicò il suo
pelo rossiccio. Io, che non avevo mai capito i linguaggio
dei lupi, guardai spaesata Bella.
“Credo che ti stia chiedendo di appoggiarti” mi tradusse
Bella. Io spalancai gli occhi.
“Pure?” chiesi allibita “Comunque
no, non ne ho bisogno.” Sarebbe stato tutto credibile, se subito dopo non mi
fossi esibita in una boccaccia di sonno. Jacob emise un latrato, che voleva
essere una delle sue risate fragorose.
Sentii una fredda e spiacevole brezza soffiare attraverso la
radura e quel punto cominciai ad avere piuttosto freddo. Involontariamente mi
strinsi alla pelliccia calda di Jacob.
“Va bene. Accetto l’invito, ma solo perché ho freddo” dissi svelta, salvando il mio orgoglio e
contemporaneamente anche la mia salute. A causa del freddo, anche Bella mi imitò.
Venni subito riscaldata da quel tiepido tepore. Mmh, era molto più comodo di un piumone. Neanche mi sforzai
di tenere gli occhi aperti; quella pelliccia aveva fatto svanire ogni volontà e
anche ogni sensatezza, quando mi ritrovai a pensare a
un modo per scuoiarlo per farmi una calda pelliccia.
I suoi gorgoglii per un attimo mi disturbarono; erano simili
alle fusa dei gatti quando venivano accarezzati, ma
non mi risultava che anche i lupi le facessero.
“Mi sarebbe piaciuto avere un cane” disse improvvisamente
Bella “Purtroppo Reneé è allergica.”
“Anche a me sarebbe piaciuto aver qualche animale” dissi
entrando nella conversazione “Se non fosse per il fatto che sarebbero tutti
morti di paura.” Dovevo ammettere che mentre la frase di Bella poteva suonare
ironica, la mia era proprio macabra. Fatto che Jacob espresse tutto il suo
disappunto starnutendo un’altra volta.
“Me la devi proprio spiegare, questa!” ripetei infastidita,
arretrando.
Per lo più il resto del tempo lo passammo
in silenzio; Jacob in quello stato non era un grande conversatore. D’altra
parte, anche Bella era silenziosa, mentre osservava attenta un po’ Jacob, un
po’ Edward. O forse si dissero anche qualcosa, ma a
stento li sentii. Fu questione di pochi minuti prima che mi addormentassi
su Jacob.
Il risveglio non fu piacevole: Jacob fu così maleducato da
neanche avvertirmi prima di alzarsi all’improvviso, così da farmi sbattere la
testa sulla dura e ossuta spalla di Bella. Poi non andò meglio, a causa delle
osservazioni saputelle di mamma e dai commenti poco maturi di
Emmett, ma tornati a casa non ci badai quasi più,
anzi, nonostante quel piccolo riposino ebbi la faccia tosta di buttarmi sul
letto e continuare a dormire fino al giorno dopo.
Mancavano due giorni alla battaglia, e domani io e Bella saremmo dovute andare nella radura a segnare le nostre
tracce, per poi andare nel luogo dove ci saremo accampate la notte, riparandoci
della battaglia del giorno dopo.
I Cullen e i miei genitori dovevano
quindi prepararsi e partirono pomeriggio presto per ‘caricarsi
le batterie’. Meno erano assetati, più il loro corpo conteneva sangue ed erano
più forti. Non sarebbero andati tutti; ovviamente Edward li aveva preceduti e
quindi era lui a fare la guardia a Bella. E speravo anche a me.
Poco prima di partire Alice mi prese in disparte. Credevo
che volesse parlare con me della battaglia, del non essere preoccupata e via
dicendo. Invece la sua richiesta mi sorprese parecchio.
“Stasera Bella verrà a dormire qui” mi comunicò misteriosa.
Io la guardai confusa; non era la prima volta.
“Va bene” Non capivo perché si comportasse in questo modo
“Perché?” chiesi alla fine.
“Ho detto a Charlie che starà a dormire
da me, mentre gli altri andranno a fare trekking. Una copertura per il week-end”
“Ah, ah” dissi io, annuendo sommessamente. Intuii che il
nocciolo non era quello, quindi aspettai che continuasse.
“E quindi Edward e Bella vorrebbero
stare un po’ soli. Li ho visti” mi spiegò lei,
irritata perché non coglievo il succo. Capii che in realtà quella nota di
mistero in realtà era malizia.
“Cerca di non disturbarli” mi ordinò lei.
“Ah!” esclamai io, che finalmente avevo capito “Va bene, gli
lascerò la loro privacy.” Alice in
risposta mi fece un ampio sorriso.
Mi disse anche che Bella sarebbe arrivata verso tardi, dopo
cena; quindi avevo comunque a disposizione
quell’enorme casa tutta per me per il pomeriggio. Il problema era che io non me
ne facevo niente di una casa enorme. Ovviamente non mi potevo allontanare da Forks. Però a La Push ci potevo andare. Anzi, era fin
troppo tempo che non mi facevo vedere da quelle parti. Dal giorno del falò,
precisamente. A Sam avrebbe forse fatto piacere se rispettavo
il patto anche durante questa temporanea alleanza. E non credevo che avrei
disturbato anche a pochi giorni della battaglia.
Un’ora dopo che i vampiri se n’erano andati, presi la moto e
in un quarto d’ora fui a La Push. Era una splendida giornata, il cielo era
coperto dalle nuvole, ma non erano nuvoloni grigi.
Evitai di andare da Jacob, non tanto perché mi aveva in pratica urlato di non farlo, quanto perché, a pochi
giorni della battaglia, una litigata tra noi due non sarebbe stata una buona
idea, soprattutto per il resto del branco.
Andai quindi da Emily; era da tantissimo tempo che non
l’andavo a trovare e sicuramente le avrebbe fatto piacere. Riuscii a ricordarmi
la stradina che portava alla piccola casetta. A giugno la mansarda era piena di
fiori colorati.
Bussai alla porta prima di entrare.
“Arrivo!” urlò lei oltre la porta. Dopo un paio di secondi
mi venne ad aprire.
“Abigail! Che
sorpresa!” esclamò con un ampio sorriso, rovinato da quelle orribili cicatrici.
Mi abbracciò prima che potessi rispondere al saluto.
“Entra, entra pure!” disse facendomi
strada verso la cucina.
Non mi sorpresi vedere pentole e padelle sul fuoco. Per
tutto l’ambiente c’era uno squisito odore di biscotti. Entrare nella cucina di
Emily era un po’ come andare dal fornaio.
“Scusa se non ho avvisato. Forse ti disturbo”
dissi educatamente, appoggiandomi sulla parete opposta all’entrata.
Emily non perse tempo e riprese a cucinare, mentre intanto parlava con me.
Iniziò a pelare una quantità disumana di patate. Dedussi che stesse preparando
la cena e mi sembrò parecchio strano, dato che erano le tre di pomeriggio.
“Figurati. Anzi, una presenza femminile è più che gradita”
mi rassicurò contenta.
La compresi; non sapevo perché, ma Emily me la immaginavo
sempre in cucina, da sola, a non far altro che cucinare, aspettando che arrivassero
dieci lupi affamati che spazzolassero tutto quanto. Notai con ironia che non si
sarebbero limitati a fare un massacro domani, ma che lo facevano puntualmente
nella cucina di Emily.
“Sempre che cucini, vedo” iniziai, attirando la sua
attenzione “Non ti stufi mai?” Lei mi rivolse ancora il suo ampio sorriso,
staccando solo a momenti gli occhi dalle patate.
“No, anzi. Nonostante il lavoro da fare, adoro occuparmi di
loro.” Feci un mezzo sorriso.
“Sei una specie di seconda mamma, allora” osservai. Lei mi
guardò incuriosita.
“Sì, una specie” disse staccandosi dalle patate per andare a
sollevare il coperchio dell’acqua che bolliva sul fuoco vicino a me, prima che
uscisse dalla pentola. Non mi ero affatto accorta dell’acqua che saliva, se no
avrei sollevato io il coperchio. Credevo che ormai Emily passasse così tanto tempo in quella cucina da essere entrata in
sinergia con quella stanza. Mi riscossi da quei pensieri, sicura che mi stessi
facendo un’immagine totalmente sbagliata di lei.
“Dove sono?” chiesi per mantenere viva la conversazione.
Emily prese l’enorme scodella piena di impasto e
cominciò a mescolare distrattamente.
“Si stanno preparando per… la battaglia. Devono essere qui a
momenti.” Il suo tono di voce era piuttosto tremulo, e non osava staccare gli
occhi da quella scodella.
Non serviva chiederne il motivo; dopotutto, non credevo che
fosse davvero molto diverso da quello che avevo provato e talvolta continuavo a
provare io. Era triste paragonarla ad una madre che il
giorno dopo doveva salutare figli e marito in partenza per la guerra e che non
sapeva se sarebbero tornati, ma non trovai paragone più azzeccato.
Forse avrei potuto provare a dire qualcosa per rassicurarla,
o forse quel che avrebbe detto lei a tal proposito avrebbe rassicurato me. Aprii bocca, ma la porta che si spalancò di botto mi fece
sussultare. Entrò un Quil piuttosto agitato, come un
cagnolino quando vede i propri padroni tornare a casa dopo una vacanza.
“Claire?” chiese con entusiasmo, senza neanche avermi
notata. La malinconia negli occhi di Emily scomparve immediatamente.
“Arriverà verso sera, Quil” gli
rispose, prendendo i guantoni da forno. Sogghignai nel vedere l’immediato
sconforto di Quil, che creava un profondissimo
contrasto con la gioia che aveva avuto fino a un attimo
prima.
“Mmh, che profumino!” esclamò Jared, subito dietro a Quil.
Prima che potessi accorgermene, tutto il branco si era materializzato in
cucina.
“Ehi! C’è la mezza vampira!” esclamòQuil, che finalmente mi vide.
“Già” continuò Paul, guardandomi altero. “Anche lei dovrebbe
rispettare il confine.” Fui troppo impegnata a domandarmi come potevano starci
dentro una cucina così piccola quei mufloni per ascoltare le cavolate che sparava Paul.
“Ciao, Abi” esclamò entusiasta Embry,
buttandomi un braccio intorno alla spalla come se fossi un vecchio amico.
“Ciao, ragazzi” risposi al saluto, un po’ troppo intimorita
da quei corpi pompati di quanto volessi dimostrare.
“I muffin!” gridò Jared, quando li
vide Emily tirarli fuori dal
forno.
“Prima agli ospiti” lo ammonì lei, come una vera e propria mamma. “Serviti pure” disse rivolgendosi gentilmente
a me. Guardai vorace gli strepitosi muffin di Emily,
che se non sbaglio ce li aveva offerti a me e a Bella anche la volta scorsa.
“Grazie” mormorai, trattenendo le risate davanti agli occhi
affamati dei licantropi, che sembravano ordinarmi di darmi una mossa a prendere
il mio muffin, così da potersi servire anche loro.
Non appena Emily appoggiò il
vassoio al centro della tavola, il massacro iniziò. Alla fine non rimase nessun
muffin superstite. Sarebbe stato bello se i licantropi avrebbe
sconfitto i neonati come avevano appena fatto con quei dolci.
“Ciao, Abigail” attirò la mia
attenzione Sam, ovviamente appiccicato a Emily “Come
mai qua?” chiese con la sua voce bassa e tonante, perfettamente adatta per un
capo branco che doveva farsi rispettare. Io alzai le spalle e gli feci un
sorrisino ingenuo.
“Come cosa ci faccio qua” risposi
innocente “E’ il patto, no?”
Lui non mi rispose, ma fu molto eloquente
quando mi fece un cenno con la testa e mi sfoderò un sorriso. In realtà
era una smorfia, ma non avendolo mai visto sorridere ero convinta che riuscisse
a fare soltanto quelle.
Mentre mangiavo il mio pasticcino, rimasi
per alcuni secondi in silenzio, mentre osservavo il comportamento dei lupi.
Erano tutti euforici e carichi per la battaglia di domani, e nell’aria volavano
scommesse su quanti ne avrebbe uccisi. Sembravano che
considerassero tutto questo come un gioco e pensai che
forse Bella aveva avuto ragione ad evitare che facessero parte nella battaglia,
se questa era la serietà che dimostravano. Speravo soltanto che questa sarebbe rimasta solo un’impressione.
C’era però chi era concentrato più
su di me, che su quella conversazione. Vidi due ragazzini fermi sul ciglio
della porta guardarmi curiosi. Dedussi che fossero i due giovani lupi, di cui
ovviamente non mi ricordavo il nome, che avrebbero controllato La Push, domani.
Mi stavano guardando meravigliati, come se fosse un dinosauro vivente. Sorrisi a quali potevano essere i loro pensieri; come poteva un
umano vivere con dei terribili vampiri, come faceva a non essere morta e via
dicendo.
Altri invece, mi fecero capire che a La
Push non ero proprio la benvenuta; mi riferivo a Leah.
Non mi ero accorta che era entrata anche lei. A differenza degli altri, se ne
stava in disparte, osservandomi cupa. Anche quando
incrociai i suoi occhi, lei non gli abbassò, anzi, me li fece abbassare a me. Odiavo
quel suo sguardo indagatore; insomma, nessuno le aveva insegnato che era cattiva
educazione fissare la gente?
“Allora ci vediamo sabato, noi” Una strana voce attirò l’attenzione
alla mia destra. Seth Clearwater mi guardava con uno strano sorriso. Mi
meravigliai di quanto fosse cresciuto e soprattutto della sua voce, che mi
ricordavo avesse un tono più infantile.
“Ah, già, sì Seth” dissi, ricordandomi a cosa si riferisse.
“Mmhh…” continuò lui, facendo
cadere il discorso nel silenzio. Non capivo perché, ma sembrava essere
imbarazzato. Decisi di aiutarlo a scampare da questa situazione, ponendo al
resto dei licantropi la domanda da un milione di dollari.
“Dov’è Jacob?”
Fu inquietante come tutto l’entusiasmo del gruppo di spense nel silenzio. Credevo che a forza di leggersi nel
pensiero, cominciassero a pensare allo stesso modo. Quel che fu più
inquietante, fu che tutti guardarono me. A rompere la tensione fu Leah, che si alzò parecchio scocciata.
“Non capisco proprio cosa ci trovi in te” commentò
indifferente, prima di uscire dalla cucina. Guardai gli altri, confusa dalle
sue parole.
“Lasciala perdere, Leah è fatta così” mi consigliò Embry
“Ehi! Lascia stare quel muffin! E’ mio!”
Le gridai entusiastiche vennero
sostituite da indecifrabili borbottii e sospiri stizzosi. Dovevo dedurre che il
problema che aveva Jacob stava influenzando tremendamente anche loro..
“Dov’è Jacob?”
chiesi di nuovo, non avendo ricevuto risposta. Di nuovo silenzio, questa volta
molto più breve.
“Sulla spiaggia, a pensare” brontolò Embry
stufo. “Ci va ogni volta che può.”
“Eviterebbe di tormentarci l’anima, se non fosse per voi
due” intervenne Paul acido. Due? Ovvio, io e Bella. Fin’ora
niente di nuovo.
“Paul, hai rotto davvero!” gli andò contro Jared. Mi stupii che finalmente anche Jared
era passato al gruppo ‘pro Abigail’.
“Sapete cosa sta succedendo a Jacob” constatai retorica, un
modo nascosto per domandare cosa stava succedendo al Grande Lupo.
“A memoria, ormai!” esclamò Seth vicino a me, con lo stesso
tono di Embry.
“Se domani si permette solo di accennare al suo dramma,
credo che penserò ad uccidere lui e non quegli schifosi succhiasangue” anche Jared si unì alla catena di lamentele, che fino ad adesso non mi avevano permesso di capire granché del
problema che avesse Jacob. Fui sul punto di chiedere
all’allegra combriccola in modo diretto cosa stava succedendo, quando il
commento di Quil mi perplesse.
“E quando comincia a perdere la ragione, diventa ancora più
insopportabile” esclamò stizzito “E’ una
mia proprietà. Esagera.”
“Quil” lo ammonì il vocione di
Sam, per fargli intendere che svelare i loro pensieri non era ammesso. Ormai
però Quil aveva acceso la mia curiosità. Proprietà?!
“Una sua proprietà?” domandai perplessa “Chi?”
Quil abbassò la testa, cercando di fare finta
di niente. Incomprensibilmente Embry si mise a
ridere.
“Ti ammazza di sicuro, Quil!”
“Ha definito Bella una sua proprietà?” tentai ancora, priva di idee. Non lo avrei mollato facilmente. QuandoQuil lo capì, non perse tempo ad arrendersi. Sollevò
lentamente la testa su di me, nel silenzio più totale della stanza. Un silenzio
imbarazzante, direi; li sapevo riconoscere in un colpo d’occhio.
“No. Si riferiva a te” mi rispose insicuro.
“Ah” mi limitai io.
Seth fu un genio a rompere quell’atmosfera di ghiaccio, ponendo l’attenzione di nuovo
sulla battaglia e riuscendo a coinvolgere tutti quanti nell’entusiasmo per
domani. Da grande sarebbe stato un ottimo avvocato.
L’attenzione su di me sparì, cosicché io potei rimuginare.
Oltre al fatto che, collegando quelle parole, con il desiderio di non vedere
più né Bella, né me, con quello però di voler comunque
stare insieme a noi, ci capivo ancora meno dei suoi problemi, quelle parole mi
colpirono come un fulmine a ciel sereno. E’
una mia proprietà. Risuonavano nella mia mente come un campanello.
Insomma, se me le avesse dette, non credevo che mi sarei
arrabbiata. Anzi, me lo immaginavo pensarle con sarcasmo; era tipico da lui
fare battutine del genere. Ma dalla reazione dei suoi
compagni, e di Quil in particolare, mi sembrava che
fosse stato piuttosto serio. Quella frase mi mandò nella confusione più totale.
Non mi sembrava un insulto, ma neanche una cosa poco carina. Mi sarei dovuta
arrabbiare o no?
Ripensai silenziosa nel mio angolino
per un bel po’, domandandomi cosa ci fosse dietro a quelle parole.
Alla fine fui tanto spaesata da non sapere cosa pensare, né
cosa provare. Non era la prima volta che mi trovavo in una situazione del
genere per colpa di Jacob. Quindi, come per la scorsa
volta, anche ora adottai la soluzione precedente; andare a parlarne con il
diretto interessato. A questo punto me ne sarei assolutamente fregata delle sue
richieste di stare lontana da lui.
Aspettai impaziente che passassero ancora altri minuti;
nonostante lo avrebbero saputo, non volevo far capire adesso ai presenti che sarei andata da Jacob. Mi intromisi perfino in qualche loro
conversazione con battutine futili.
Resistetti un quarto d’ora, quindi mi congedai, salutai
Emily, i licantropi e feci in modo che quel saluto fosse il più veloce
possibile.
Presi la moto e mi andai alla spiaggia; secondo quanto aveva
detto Embry, doveva essere là.
Feci le cose piuttosto in fretta e subito fui sulla spiaggia
acciottolata. Lo vidi subito; camminava svogliato, a testa bassa, spostando di
tanto in tanto un sassolino. Io gli andai incontro a grandi falcate veloci, pensando
al modo in cui mi sarei posta, per mascherare la mia assoluta incertezza. Optai
quindi per la strafottenza e la stizza di essere stata chiamata con quei
termini. Quando finalmente si accorse che qualcuno gli stava vendendo incontro
sbarrò gli occhi.
“Cosa ci fai qui?” mi disse piuttosto serio. Io non gli
detti retta, entrando perfettamente nella parte dell’arrabbiata.
“Disturbo solo per un minuto la sua meditazione, Signor Solo e Pensoso” iniziai con perfetta
strafottenza. “Voglio che tu risponda ad una semplice domanda, poi me ne andrò. Cosa vuol dire che sono una tua proprietà?” sbottai veloce io. Lui
chiuse gli occhi e si serrò le labbra in una morsa, alzando la testa verso il
cielo.
“Non sviare il discorso, rispondimi” continuai io.
“Cosa ti hanno detto?” mi rispose lui infuriato.
“Purtroppo nient’altro” risposi arrogante.
“Solo questo?” riprese lui, serio.
“Rispondimi!” gli ordinai. Lui alzò di nuovo gli occhi al
cielo, per sospirare di sollievo.
“Non c’è niente da sospirare” gli gridai, con voce di un
tono più acuta. “Cosa diavolo significa sono
una tua proprietà? Siamo in Arabia di due secoli fa, e tu mi hai appena
comprato per dieci cammelli? Oppure stavi pensando a
me come un appezzamento di terreno?”
“Varresti di più di dieci cammelli” disse lui sghignazzando.
Io lo guardai allibita, dalla sua reazione di fronte alla mia arrabbiatura. Ve
bene che stavo fingendo di essere arrabbiata, ma adesso ci si metteva di mezzo
l’orgoglio.
“Eddai, Abigail!”esclamò
lui, prima di farmi aprire bocca. “Era solo uno stupidissimo
pensiero! Non dirmi che tu non hai mai pensato cose
assurde su di me.” Lo guardai seria, mentre serravo le labbra e lo studiavo
attentamente, per verificare che fosse sincero.
Con mio grande rammarico, quell’affermazione fu più vera che mai; insomma, nei miei
pensieri avevo definito Jacob anche peggio di una proprietà, ammettiamolo. Inoltre i pensieri erano fatti appunto per
non essere detti, molte volte perché la stessa persona che li aveva formulati
li considerava davvero stupidi. Io ne sapevo qualcosa, ma questo credevo valesse per tutti. Allora, perché avevo avuto una
reazione così esagerata per un suo pensiero?
Arrivai al punto che non potei controbattere né a lui, né
tanto meno a me stessa. Fu allora che mi accorsi che con Jacob avevo fatto una
vera e propria figuraccia. Mi vergognai terribilmente dell’orribile scenata che
avevo fatto, otre a sentirmi una vera stupida, per non averlo realizzato prima.
Lui non si accorse di tutto questo; anzi, cominciò a
guardarmi piuttosto preoccupato.
“Di solito non ti arrabbi per così poco.” Cercai di salvare
il salvabile con una mezza verità.
“Bhè, sai con questo tuo strano
comportamento, sono diventata molto più suscettibile.”
Tentai di essere ancora infuriata, ma in realtà era più incerta che mai.
Spostai l’attenzione da me a lui, per riacquistare sicurezza.
“Mi vuoi dire cosa caspita ti sta succedendo?” Ritornai a riacquistare
tutta la mia serietà e riuscii a salvarmi alla grande.
“Te l’ho detto che te lo dirò” mormorò lui.
“Tra quanti decenni?”
chiesi sarcastica io.
“Abigai, è complicato e difficile
per me.”
“Cosa?” esclamai ancora acuta. Lui mi guardò senza aprire
bocca. Un modo indiretto per dire ‘tanto non te lo dico’, insomma.
“Dopo la battaglia lo saprete” si decise alla fine a dire.
Incrociai le braccia e scossi la testa. Jacob mi avrebbe fatto come minimo
impazzire.
“A domani, Abi” proruppe lui, subito dopo. Non fece
traspirare niente dal tono di voce o dallo sguardo, ma l’intenzione era ovvia;
mi stava mandando via a calci nel sedere.
“A domani, Signore del Dramma” brontolai sconsolata. Feci
retro-front e con le stesse rapide falcate ritornai alla
moto.
La vergogna non era ancora passata, ma durante quei quindici
minuti di moto usati tutti a pensare e a ripensare a quello che era successo riuscii a capire qualcosa. Non feci altro che domandarmi
come diavolo avevo fatto a non prendere in
conservazione prima l’idea che molto probabilmente era un pensiero detto in un
momento di dramma, usando le parole di Embry, e
tenendo conto poi che già di per sé Jacob parlava senza pensare, dovevo
immaginarmi l’assurdità dei suoi pensieri. Doveva essere lampante.
Invece, avevo perso il controllo e la ragione. Il motivo non
mi fu subito chiaro, ma lo capii quando ripensai a
quelle parole durante il viaggio in moto, soprattutto a cosa provavo nel
ripeterle nella mia mente. Capii perché avevo perso il controllo, riuscii a
dare un nome a quello che provai quando sentii quelle parole, qualcosa che come
intensità era pari alla stizza che mi era venuta così spontanea emulare con
Jacob. Fu molto inquietante. Era una cosa del tutto perversa, insensata,
malsana e malata, irrazionale e depravata. Tuttavia non potevo fingere che non
fosse così. La verità era che mi era piaciuta parecchio l’idea di essere in qualche modo sua.
Il resto del pomeriggio lo passai a leggere, ascoltare
musica, fare un po’ di break, mangiare un misero pasto, vedere un po’ di tv e
leggere le e-mail. Bree non mi aveva ancora risposto.
Strano, a differenza mia lei ci andava su internet ogni giorno.
Feci altre piccole cose, il tempo sufficiente per
raggiungere l’ora di infilarsi sotto le coperte ed evitare di pensare a Jacob.
Volevo cercare di evitare in ogni modo di pensare, a lui e ai suoi pensieri che
andavano contro anni ed anni di emancipazione
femminile, soprattutto perché domani sarebbe stata una giornata, che non
avrebbe permesso certe distrazioni per nessuno.
Stetti per almeno un paio d’ore sotto le lenzuola a
rigirarmi, cercando una posizione comoda che non trovavo. L’ansia era tornata
proprio prima di addormentarmi. Insieme ovviamente a Jacob; il mio subconscio
non voleva collaborare.
Solo allora, cercando di pensare a qualcosa che mi potesse distrarre,
mi ricordai che Bella ed Edward dovevano essere già arrivati. Molto
probabilmente erano in camera sua in questo momento, data l’ora. L’immagine di
loro due, mentre si coccolavano e si davano dolci bacetti, mi fece di nuovo
avvampare di gelosia. Quando vivevo a Chicago non
avrei mai pensato di poter arrivare a questo punto.
Non potevo ormai più negarlo; da quando ero arrivata a Forks, ero cambiata moltissimo. No, anzi, non credevo di
essere solo e semplicemente cambiata, ero finalmente cresciuta, cominciando a poco
a poco a uscire dalla mia maschera da maschiaccio rompipalle che mi ero creata
e diventare una donna adulta. Rabbrividii all’immagine di un’Abigail in completo d’affari; no, stavo crescendo, ma c’era
ancora molta strada da fare.
“Can you feel the love tonight?” Sovrapensiero
cominciai a canticchiare il ritornello di quella famosa canzone del Re Leone. E mai come
in quel momento, come anzi in quel periodo, al vecchio Elton avrei risposto un
sì convinto.
La mattina dopo mi svegliai alle nove; non troppo tardi, né
troppo presto. Anche se i miei sogni quella notte erano stati piuttosto
agitati. Difficilmente mi ricordavo un sogno, e quindi avevo solo terribili
flash riguardo a una chioma di capelli color rosso fuoco e a un paio di canini
scintillanti. Stranamente, i sogni che mi ricordavo alla perfezione erano solo
quelli con Jacob come protagonista maschile.
Scesi le scale fino ad arrivare al terzo piano. Mi
soffermarmi sulla camera di Edward, in fondo al
corridoio. Non sapevo cosa avevano fatto, né mi interessava
saperlo, ma dalla mansarda non avevo sentito alcun rumore.
Per un attimo pensai di entrare per chiedere a Bella se volesse fare colazione, ma poi ripensai ancora al
suggerimento di Alice e scesi in cucina.
Mi era d’altronde venuta un’idea migliore: le avrei preparato io stessa la colazione. Era vero che non sapevo
cucinare, ma a tirare fuori un paio di biscotti erano capaci tutti.
Tirai fuori un bel po’ di roba, sia per Bella, ma
soprattutto per me; già di per sé, la mattina avevo una fame lupo, tenendo poi
in conto il fatto che ieri sera non avevo fatto un grande
banchetto e che sarebbe stato un giorno impegnativo, quella mattina volli
esagerare. Tirai fuori di tutto: biscotti, fette biscottate, pane e marmellate,
cereali, latte, cioccolata, frutta, e perfino il salame. Presto rinunciai ad
ogni proposito di aspettarla e cominciai a servirmi da me.
La sentii attraversare il salotto quando io ero già a metà
dell’opera. Entrò in cucina già vestita e lavata, a differenza mia, nel mio
pigiamone verde e largo, che ormai aveva fatto il suo tempo, ancora tutta
spettinata. Vicino a lei c’era Edward, che anche se
avesse affrontato terremoti, alluvioni, incendi e avesse fatto andata e ritorno
al e dal centro della terra, sarebbe stato sempre impeccabile.
“Buongiorno” esclamai esuberante.
“Buongiorno, Abigail” mi rispose
Edward, sempre cortese con un grande sorriso.
“Buongiorno, anche a te.” Bella invece sembrava essere turbata.
Inizialmente pensai che fosse dovuta alla preoccupazione per dopo.
“Hai preparato la colazione anche per me?”
chiese sorpresa. Io le lanciai il mio sorriso sghembo.
“In realtà questa sarebbe la mia colazione, ma se vuoi
approfittarne, fai pure.”
“Non ho molta fame” rispose distratta, sedendosi davanti a
me. Edward si mise invece capotavola, osservando con attenzione riluttante il
cibo sulla tavola.
“Mangia, ti conviene” le assicurai.
“Abigail ha ragione, dovresti
mangiare qualcosa” mi supportò Edward, che rafforzò l’ammonizione con una
carezza gelata alle sue dita.Fu più che
sufficiente per convincere Bella a prendere un biscotto al cioccolato. Appena
se lo mise in bocca cominciò a sfregarsi le mani. All’inizio pensai perché
avesse ancora freddo, quindi non lo notai.
“Passata una bella nottata?” chiesi mentre addentavo il mio
panino al salame, facendo apposta la figura della ficcanaso.
“Mh…” rispose Bella svogliata,
mentre masticava il biscotto.
“Sei proprio un’impicciona, lo sai questo?” mi ammonì
Edward, stizzito.
“Certo che lo so!” gli risposi di rimando,
altera. “Spero di non avervi disturbato. Credo di aver rivestito un po’
il ruolo di terzo incomodo, ieri sera” continuai, passando sulla difensiva.
“No, non ti abbiamo sentita” mi assicurò Bella. Continuava
ancora a toccarsi le mani, ma ancora non ci feci caso.
“A parte quando hai cominciato a cantare” intervenne Edward,
con mezzo sorriso. Io lo guardai facendo gli occhi dolci.
“Era per rendere un po’ romantica l’atmosfera” dissi
mielosa.
“Fidati, non sarebbe servito” mi rispose Bella in un
sussurro, soprapensiero.
Questa volta guardai attentamente le sue mani; non aveva
ancora smesso di sfregarsele. Dopo pochi secondi capii che non si stava
toccando le mani, ma solo l’anulare sinistro.
“Perché ti stai grattando il dito?” chiesi confusa. Lei
sobbalzò e mi guardò con occhi spalancati. Lasciò andare immediatamente le mani
e riprese un altro biscotto.
“No, no, niente” disse stranamente tesa.
Bella non sapeva mentire, quando veniva
presa impreparata. Non fu per niente convincente. AncheEdward la guardò attentamente, ma a differenza di
lei, lui sapeva dissimulare meravigliosamente le emozioni.
“Dammi qua” le ordinai, offrendole la mano. Lei me la porse
senza problemi.
“Non ho niente. Solo un tic” mi disse lei.
Io non la sentii ed osservai bene l’anulare. Notai che alla
base del dito, nonostante Bella avesse una carnagione particolarmente chiara,
la pelle era leggermente lucida, oltre che arrossata per il continuo tormento a
cui quel dito era sottoposto. Era lo stesso segno che lascia
un orologio dopo averlo tolto.
Quel particolare segno sull’anulare sinistro lo collegai
solo a una cosa. Mollai la mano e guardai Edward
entusiasta sfoderando un sorriso a trentadue denti, mentre Bella mi guardava
sorpresa.
“Che tenero!” esclamai apposta con
voce fin troppo infantile. “Finalmente ti sei deciso a darle l’anello!”
continuai, con il mio normale tono di voce. Lui guardò sbalordito prima me, poi
Bella.
“Glielo hai detto?!”
“Cosa?” domandò lei confusa.
“Del nostro… compresso” continuò lui, più controllato di
prima.
“Intendi il vostro piano ‘prima ti sposo,
poi ti trasformo’? Sì” intervenni io, continuando
indisturbata a mangiare e pensando che sarebbe stato un ottimo titolo per una
commedia al cinema.
“Perché?” domandò ancora Edward.
“Avevo bisogno di sentire il suo parere e di un consiglio”
rispose Bella, nascondendo la mano sinistra sotto il tavolo. “Non avrei
dovuto?”
“Avrei voluto che rimanesse una cosa esclusivamente nostra”
rispose Edward, con un po’ di rammarico.
“Scusami” gli rispose Bella, dispiaciuta.
“Comunque non l’ho detto a nessuno” lo assicurai io, a bocca
piena.
“Lo so” affermò lui, in un sospiro.
“E prima o poi si verrà a sapere” continuai, andando in
difesa di Bella.
“Non credo che adesso sia il momento adatto” rispose lui
serio.
“E credo che sia un ottimo ed equo
compromesso” conclusi affannata, imburrando una fetta biscottata.
“Tendente al ricatto” mormorò Bella, che le era tornato un
po’ l’appetito. Io guardai entrambi con un sorriso.
“Vedete? State già battibeccando come una vecchia coppia di
sposi!”
“Ti prego, Abigail” brontolò
Bella, scuotendo la testa.
L’idea del matrimonio, adesso che si
presentava più palpabile che mai, le rivoltava proprio lo stomaco.
“Ah! Mi immagino la tua faccia quando hai visto l’anello. Avresti voluto buttarti dalla finestra, vero?” constatai con
ironia.
“Scappare dalla porta, in realtà” mi corresse lei,
improvvisamente interessata a un’albicocca.
“Perché non ce l’hai adesso?” continuai, prendendo il latte.
“Non voglio che si rovini” la buttò vaga lei. Bevvi una
bella sorsata dalla mia enorme tazza, prima di continuare.
“Forse è un po’ presto, ma avete già pensato qualcosa per la
cerimonia?” chiesi curiosa.
Forse avrei fatto meglio a stare zitta: non solo Bella, ma
neanche Edward scoppiavano dalla gioia di parlarne. Di questo però me ne accorsi solo dopo; al momento ero solo contenta per loro
due, perché finalmente avevano iniziato a realizzare i loro piani per il
futuro.
“Sinceramente, non ci voglio pensare” mormorò Bella, come se
la peggiore delle torture.
“Abbiamo deciso per Las Vegas” intervenne Edward, che,
seppure avesse voluto che questa faccenda del matrimonio restasse tra loro,
esprimeva un minimo di entusiasmo in più di Bella.
Posai la tazza mezza vuota e lo guardai con incredibile
serietà. Non credevo a quello che avesse appena detto.
“Suppongo che il matrimonio per te abbia un determinato
significato, ed anche un nobile valore, se tu stesso hai proposto questo
compromesso, giusto?” Lui mi guardò confuso.
“Anche” mi rispose con la stessa
mia serietà.
“Mi è un po’ difficile immaginare che tu accetti che questa
nobiltà venga proclamata in un qualcosa che assomiglia
a una cappella oscena da un individuo, molto probabilmente ubriaco che forse
non ha nemmeno l’autorità per farlo” dissi incredula.
Insomma, avevo sempre avuto una brutta opinione su quello
che si faceva a Las Vegas e non riuscivo proprio a considerare una di quelle
cerimonie un matrimonio. Mi stupii quindi la serietà nelle parole di Edward; trovavo che fosse davvero un’idea molto
squallida. Edward si limitò a fare spallucce.
“E’ un compromesso del compromesso” si limitò a rispondere
“Non do molta importanza al luogo.”
“Per me è già troppo” mormorò Bella svogliata.
“Proprio non accetti una cerimonia normale?” proposi io,
così, tanto perché era questo che le persone normali facevano. Ma sapevo già la
risposta.
“No” esclamò lei, convinta.
“Non avete una seconda opzione?” chiesi, sperando che
avessero pensato ad altro.
“Forse potremmo convincere Emmett
a svolgere la funzione” mi disse distratta, concentrata a spalmare di
marmellata la sua fetta biscottata.
Fu immediata l’immagine di Emmett, vestito da pastore, mentre cercava di rimanere
serio e trasformava le parole ufficiali per la proclamazione di un unione in
pessime battute da cabaret. Rispetto a questo, Las Vegas era decisamente
meglio. Mi coprii gli occhi con le mani, scuotendo la testa al massimo
dell’esasperazione.
“O mio Dio! Voi non vi volete sposare,
volete profanare la sacralità del matrimonio!” esclamai alzandomi di
botto dalla sedia, per andare a mettere la tazza nel lavello. “Vi prego,
evitate di sposarvi, piuttosto!”
“Credo che Abigail abbia avuto
un’ottima idea” constatò Bella.
“Bella” la riprese Edward, con un tono dolce, piuttosto
convincente.
“Piuttosto fuggite in un ignoto paesino di campagna,
corrompete il primo pastore che incontrate e in cinque minuti siete marito e
moglie” proposi io, mentre lavavo la tazze e davo loro
le spalle.
“Andare a Las Vegas è meno impegnativo” mi rispose Bella.
“Va bene, va bene, fate come volete” dissi alzando in aria
le mani ancora bagnate, voltandomi verso di loro. “Ma non credo che Alice la
prenderà bene. Anzi, scommetto che riuscirà a convincerti a
organizzarti il matrimonio.”
“Non questa volta” Bella era piuttosto convincente,
ma Alice lo era di più.
“Lo vedremo” dissi io in tono di sfida. Ed il sorriso
sghembo che cercò di nascondere Edward sembrava darmi ragione.
Scherzavo! Lo scorso capitolo
vi avevo comunicato che quello sarebbe stato l’ultimo dell’estate, ma
fortunatamente non è stato così grazie a un’improvvisa
ispirazione che mi ha permesso di scrivere e di pubblicare un nuovo capitolo. Tuttavia, senza scherzare, questo sarà davvero l’ultimo
capitolo dell’estate.
Spero che vi siano piaciuti i
due dialoghi iniziali e finali con Bella, Edward ed Abigail; ho cercato di modificare quelli originali in modo
tale che fosse tutto un po’ più divertente (e lo ammetto, anche meno serio). E spero che questo valga anche per lo strano colloquio tra Abigail e Jacob. Fatemi sapere
che cosa ne pensate a proposito, sono curiosa :)
Parlando sempre di Jacob, ho ben notato che nei vostri commenti tutti ce l’avete con lui. E avete assolutissimamente ragione! Ma
voglio ricordarvi che quella tra Jacob ed Abigail non è semplicemente una storia (forse) d’amore tra
una persona normale ed un idiota, ma tra ben due idiota, perché anche Abigail, ricordiamocelo, ha creato la sua parte di guai.
Ultima cosa; molti di voi stanno aspettando impazienti la scena della tenda.
Purtroppo non compare in questo capitolo, ma nel prossimo, già scritta e pronta
per essere riletta :).
Concludo quindi ringraziando ancora tutti quelli che mi hanno
sostenuto in vari modi, chi scrivendo commenti, chi inserendo la storia in
preferiti, ricordati e seguiti, chi anche semplicemente leggendola.
Un bacio a tutti quanti e buon
inizio scuola :).
X MoonLight95: Già, la scuola,
gran bel problema. Sarà proprio a causa sua che non scriverò più come prima. Comunque sono contenta che almeno non abbia cancellato i
capitoli e spero vivamente di poter un giorno sapere come andrà a finire il tuo
misterioso racconto :). Per quanto riguarda il povero cervello di Jacob, ti posso assicurare che si smuoverà, bene o male non
si sa, forse anche troppo, ma avverrà anche quel momento.
Grazie ancora per aver puntualmente
commentato (per prima, che strano ;) ) la mia storia!
Baci!
X mylifeabeautifullie:
Ah! Ho inteso. E io che pensavo a qualcosa di più malizioso… Non
dico altro! Scusa, qualche volta tendo ad avere una mente perversa XD.
Rispondendo alla tua domanda, bò (grande
bella risposta, no?)! Non si può dire, mi spiace! XD Comunque grazie tantissimi per i complimenti e per il
periodico commento! Un grandebacione
anche a te e alla prossima!
X __cory__: NO! Come faccio io,
se non hai da ridire nulla su niente! Bon, bon, almeno spero
di essermi guadagnata un bel po’ di osservazioni con questo ;). Allora, ho
capito finalmente cosa intendi per ammiratore e mi dispiace risponderti che no,
non ce n’è nessuno. E poi, immagina che casino; Edward ama Bella, Bella ama Edward,
Jacob ama Bella, Abigail
ama Jacob, pensa se qualcuno amasse Abigail! La cosa diventerebbe troppo ingestibile!
Per quanto riguarda BreakingDawn, tanto per
curiosità, non ci sono ancora arrivata. Sto davvero cercando di impegnarmi di
finire Eclipse prima dell’inizio
della scuola e spero davvero di riuscirci.
Concludo ringraziandoti ancora tantissimo per il commento (sì,
anche se non hai avuto niente da ridire ;) ). Un bacio e alla prossima!
X Franny97: Inizio con il dirti che sono felice che anche questo frammento della tua vita
sia stato di tuo gradimento ;). Poi, ho letto a tutto d’un fiato le domande che
mi hai fatto, e non posso fare altro che risponderti
così: per alcune non ci sei proprio, per altre ci hai azzeccato in pieno, per
altre ancora… bò! Non lo so neppure io. A te
suddividere le tue domande a queste tre categorie ;).
Poi, non ho ancora ben capito la tua identità: perché dici di non poter
prevedere il futuro, se tu stessa mi hai detto che sei
l’Abigail del futuro? Dovrei forse segnalare alle
autorità di Forks di scovare la tua vera identità?
XD. Ecco a causa di questo pensiero ho l’immagine di Charlie
tutto preso a immedesimarsi nell’ispettore Gadget.
Orride immagini a parte, ti
ringrazio tantissimo per l’enorme sostegno che mi dai! :)
Grazie anche per esserti espressa sulla questione dei capitoli. L’ho
semplicemente proposto perché così facendo avrei postato prima, ma dopotutto mi
va meglio come dici tu. Un altro caro saluto! Baci!
PS: Mi tocca risponderti nello
stesso modo di prima; una delle tre arriverà prima delle altre due, che
giungeranno insieme (di cui una durerà poco, d’altronde). Vediamo se riesci a
risolvere questo indovinello! XD
X nes_sie:
Sono contenta che ti siano piaciute queste due scenette non dico
romantiche, ma dolci, anche se poco coerenti :). Per quanto riguarda il bacio
che nell’Eclipse originale Jacob
darà a Bella, non posso dirti molto se non che ho già
scritto la scena in questione, che comparirà tra due capitoli (Un po’ in là,
purtroppo). Sono felice che ti sia espressa anche sulla questione dei capitoli.
Io l’ho proposto perché in questo modo pubblicherò prima, ma mi fido del vostro
parere e se tu mi dici che così lunghi non sono
pesanti, allora ti credo ;).
Ti ringrazio ancora tantissime
per il commento! Un bacio!
X eleonora96: Forse sono
partita io, perché rileggo e pubblico capitoli, mentre sto continuando a
scrivere la storia due capitoli in avanti, ma non ho capito cosa intendi per
invidia. La gelosia che prova Abigail per Bella e Jacob, dici?
Spero di averti fatto piacere
vedere questo nuovo capitolo pubblicato così presto! :) La cattiva notizia è che, come ho scritto sopra, non te
potrò farti altri di piaceri del genere. Comunque, un
grosso bacio anche a te! Alla prossima!
X GiuliaMary:
Il tordo avrà il suo bel da fare, qualsiasi cosa dovrà fare
in futuro, te l’assicuro! XD Mi dispiace di averti dato una brutta impressione,
ma questo non credo che possa essere considerato come
un capitolo decisivo. In compenso, ti assicurò che come minimo i prossimi tre
lo saranno, e per tante cose!
Grazie tantissimo per il
commento! Alla prossima!
X Kianna:
Mi dispiace che non ti sia piaciuta la scena del ballo! Lo so con chi avresti voluto che Abigail
ballasse (almeno, è la stessa persona che penso io, no?). Altro poi non posso dirti che, come si sarà sicuramente capito, tra Abi e Jake è tutto un tira e
molla e quindi è ormai palese una riconciliazione, e se non è una
riconciliazione, un chiarimento è assicurato. Grazie ancora tantissimo per aver
commentato! Un bacio!
Gli altri arrivarono a mezzogiorno preciso. Se i giorni
precedenti si erano bene o male mostrati sicuri o tranquilli, ora non fingevano
di trattenere una certa tensione. Perfino Emmett non manifestava l’esaltazione
che aveva sempre avuto.
Quella che più di tutti sembrava piuttosto che agitata,
demoralizzata, era Alice. Supposi che aveva ancora problemi con le sue visioni,
che non riusciva a mettere a fuoco a causa dei licantropi. Difatti disse subito
ad Edward che non vedeva dove sarebbe stato quel pomeriggio, né dove saremmo
state noi, a causa di Jacob prima, e Seth poi. Tuttavia almeno un particolare
riuscì a coglierlo.
“In montagna ci sarà un bella tempesta di neve stasera” ci
comunicò cupa. Una bufera a giugno?! E noi dovevamo accamparci in una tenda
mentre fuori nevicava?! Questa si chiamava proprio sfiga, ragazzi.
Mentre Edward preparava l’attrezzatura per Bella, i miei
genitori ed io ci preoccupavamo della mia. Della tenda ci avrebbe pensato Edward,
quindi pensai più che altro a un sacco a pelo, pile, giochi di società in caso
di noia assoluta, al cibo e ai vestiti. Per quanto riguardava il cibo rimpinzai
il mio zaino da campeggio, che portavano con me quando io e i miei genitori
andavamo a caccia per più di un giorno, di barrette energetiche, frutta secca e
altri alimenti poco pesanti ed ingombranti, ma nutrienti, oltre ad acqua e
soprattutto un termos di media grandezza con dentro tanto tè bollente. Per
quanto riguardava i vestiti, dato il tempo, avrei proferito vestirmi con la mia
tuta in speciale tessuto termico, che usavo d’inverno nei giorni più freddi,
insieme a una sciarpa, guanti e una cuffia. L’istinto materno di mia madre
tuttavia si fece sentire; riempì mezzo zaino con un maglione ed una felpa di
lana di mio padre, che andava largo persino a lui.
“Mamma, non credi di esagerare?” le domandai scettica.
“Alice ha previsto una tempesta, e tu sei fin troppo
sensibile al freddo” replicò mamma, mentre ripiegava con cura i maglioni e me
li metteva nello zaino.
“La tuta tiene già caldo” osservai ansimando.
Ero già pronta e stare dentro casa con quella temperatura
mi faceva sudare come un maiale blu. Di fronte a quella scena mio padre con un
sorriso mi cinse tra le sue braccia fredde e potei sospirare per un po’ di
sollievo.
“Già meglio” mormorai, soddisfatta “E comunque non credo
che Alice avrà previsto così tanto freddo; ha detto a Bella di portare solo la
giacca a vento” Mia madre mi consegnò lo zaino pronto per essere indossato con
un sorriso.
“Lei però non ha un istinto da mamma” si giustificò lei,
come se questa potesse essere una valida scusa “Mi farai stare più tranquilla”
“Fai quello che dice tua madre” le diede corda papà. Alla
fine dovetti accettare con uno sbuffo.
“Bene, allora sono pronta per andare” dissi, osservando la
stanza in cerca di qualcosa che avevo dimenticato.
“Già.”
Il tono cupo di papà mi fece voltare verso di lui. Solo
ora mi accorsi che quello sarebbe stato l’ultimo momento che ci saremmo visti
prima della battaglia. Da allora sarei stata tenuta d’occhio da Edward. Ci
guardammo per alcuni secondi; nessuno sapeva cosa dire. Nessuno osava toccare
direttamente l’argomento, perché così facendo l’eventualità che qualcosa
potesse andare storta sarebbe diventata più reale. Era un momento di strano
imbarazzo. Ed io odiavo i momenti imbarazzanti.
“Bhè, allora a dopo” dissi stranamente a mio agio. Mi misi
lo zaino in spalla e notai che era più pesante di quanto pensavo.
“Sicuro” rispose mio padre, sicuro e convincente come
sempre. Guardai per un’ultima volta i miei genitori negli occhi; erano
tranquilli e rilassati, non traspariva nessun segno di preoccupazione.
Finalmente mi voltai e scesi in garage, dove Edward e
Bella ci stavano aspettando.
Non appena scesi le scale della mansarda, con i miei
genitori subito dietro di me, mi assalì un’atroce sensazione; se fosse successo
qualcosa davvero, non mi sarei mai potuta perdonare quell’addio, che lo avevamo
fatto scambiare per un arrivederci. Ma la verità era che nessuno dei tre lo avrebbe
mai accettato come un addio.
Arrivati in garage notai che Alice aveva riacquistato il
buon umore, mentre Bella lo aveva perso. Ero curiosa di sapere che
conversazione c’era stata tra i tre, ma le circostanze del momento mi fecero
dimenticare quel particolare in breve tempo.
“Bhè, allora passate una bella notte” ci salutò Alice
esuberante, per poi scomparire dal garage. Fui per un brevissimo attimo
contagiata da quel suo ottimismo.
“Siamo pronti” annunciò mamma ad Edward, mettendomi una
mano fredda sulla spalla. Edward annuì.
“Allora possiamo partire” Lanciò un sorriso rassicurante a
mamma e papà. “Non temete, la terrò d’occhio” Anche i miei genitori annuirono.
Mamma mi strinse ancora un po’ la spalla, prima di mollarla. Papà invece mi
diede una carezza sui capelli. Ci demmo un ultimo sguardo. Mi lasciai fin
troppo trasportare da quella marea di oro puro. Erano sguardi del tutto
indecifrabile. Come forse lo era il mio; tra tante emozioni che volevo
trasmettere, non riuscii a sceglierne una per il momento. Quello fu il nostro
ultimo saluto.
Edward correva veloce attraverso la foresta, molto più di
mamma e papà, nonostante Bella in braccio ed io dietro la sua schiena. Fece un
lungo giro, per evitare che il nostro odore si avvicinasse troppo al sentiero
che avremmo percorso con Jacob. Non ci badai però molto; non potevo ancora non
pensare ai miei genitori. Avevo una grandissima voglia di farmi portare
indietro e lanciargli le braccia al collo, ma era troppo tardi. Nonostante
condividessi le sue motivazioni, avrei immensamente voluto che insieme a Edward
ci fosse anche mah’.
Sorrisi amaramente, ripensando ad un’altra situazione del
tutto opposta a questa. Quando ero andata a Volterra all’inizio mi ero fatta
pochi problemi all’idea di una città zeppa di vampiri, dove molto probabilmente
avrei perso la vita e non avevo detto niente ai miei genitori. In questa
occasione, invece, a morire potevano essere loro, ma le probabilità che
succedesse erano pochissime ed ero stata avvertita in tempo per prepararmi
psicologicamente. Nonostante tutto mi sentivo terribilmente agitata e pensai
con paura e vergogna che quello che stavo provando adesso, era un niente
rispetto a quello che avevano causato ai miei genitori.
Ironia della sorte, quando ero partita per l’Italia, la
persona più importante che avevo salutato era Jacob e lo avevo fatto in uno dei
modi più significativi, baciandolo. Adesso, avevo salutato i miei genitori, ma
invece di esprimere un cavolo di sentimento, avevo mentito, a loro e a me
stessa.
Questo piccolo particolare mi faceva incazzare come una
iena, perché mi dava l’erronea impressione che tenessi più a Jacob che a loro.
Grandi e piccoli problemi a parte, a Jacob volevo bene, ma non mi vergognavo
minimamente a pensare che se i miei genitori e lui stessero per morire e io
dovessi scegliere uno dei due da salvare, avrei scelto senza il minimo dubbio
loro.
Alla fine Edward ci depositò nella parte settentrionale
della radura.
“Camminate verso nord e toccate tutto ciò che potete.
Alice sa quale strada seguiranno e non tarderanno a incontrare la vostra scia.”
Ancora immersa nei miei pensieri, eseguii le sue indicazioni distrattamente e
mi diressi all’interno della foresta, mentre mi seguiva una Bella dubbiosa.
Con calma Bella ed io ci
avventurammo nel fogliame. Stavamo in silenzio, toccando tutto quello che ci
capitava a tiro. Fortunatamente c’era un fresco venticello, che mi permetteva
di stare a mio agio; il cielo era sereno, e non dava affatto l’aria di
prospettare l’arrivo di una tempesta.
“Ehi Abi, tutto ok? Sei più
taciturna del solito” mi chiese Bella, un metro dietro di me. Alla fine aveva
notato qualcosa. Io le lanciai uno sguardo che voleva essere rassicurante;
decisamente quello non era il momento adatto per un certo tipo di discorsi.
Credevo che sarebbe successa una cosa simile al branco di licantropi: non
volevo rompere l’equilibrio e la quiete del gruppo con un pensiero cattivo.
“No, niente” cercai di essere il
più sincera possibile. Aspettai Bella per andare alla sua andatura e chiacchierare
un po’ con lei, per dimostrarle di essere stata sincera e anche per cercare di
distrarmi.
Mentre stendeva le braccia per
toccare cortecce e pietre, non potei non notare il luccichio di arcobaleni
prodotto da un qualcosa al suo polso. Lo osservai bene: era un ciondolo a forma
di cuore. Era carino, ma troppo elegante per i miei gusti.
“Bello. Chi te l’ha regalato?”
chiesi con interesse. Lei arrossì leggermente.
“Edward” confessò lei in un
sussurro.
“Ah” esclamai con il tono di una
che la sapeva lunga. Ma non era finita lì; accanto al cuore, su un braccialetto
diverso, notai anche un ciondolo in legno, a forma di lupo, il gemello del
regalo che Jacob mi aveva fatto. Sorrisi all’idea che in questo modo poteva
portare con sé un pezzetto di Edward e Jacob, due delle persone più care.
Fu così che mi venne in mente
un’idea; fino a prova contraria anch’io ero una persona importante per lei.
L’idea di essere ricordata anch’io in quel modo mi apparve fin troppo naturale.
Decisi quindi che quando saremmo tornate a casa anch’io avrei dovuto trovare
qualcosa da regalarle da mettere al polso, insieme ai due ciondoli.
“Va bene così?” chiese Bella a
Edward, una ventina di metri lontano da noi, con i nostri zaini sulle spalle.
“Perfetto.”
Forse era perché ero ancora
troppo presa a cercare nelle mie memorie qualcosa di significativo che potesse
ben rappresentarmi, che non notai l’eccessivo muschio scivoloso su cui poggiai
il piede sinistro. Scivolai improvvisamente all’indietro, ma riuscii a non
cadere a terra, sia perché il destro aveva un appoggio solido, sia perché mi
tenni con il braccio destro alla corteccia dell’albero vicino. Tuttavia, per
afferrare l’albero, avevo mollato la presa ad un ramo spinoso che mi bloccava
il passaggio e che avevo tirato indietro. L’effetto fu che quest’ultimo tornò
nella sua posizione naturale beccandomi dritto in testa. Nel mentre si impigliò
ben bene nei miei capelli ricci. Partì spedito verso l’alto, portandoseli con
sé.
“AHI!”
Una fitta di dolore allucinante
mi spinse a gridare e divincolarmi; mi ritrovai in neanche un secondo in punta
di piedi, cercando di prendere quel dannato ramo, per me troppo alto.
Prima ancora che Bella si
avvicinò allarmata, accanto a me si materializzò Edward. Spezzò il ramo
dall’albero e potei tirare un sospiro di sollievo. Ma non era ancora finita:
avevo ancora il ramo attaccato ai capelli. Presi allora con forza la fine dei
miei capelli ed il ramo in questione. Tirai con forza e riuscii a liberarmi
dalla sua presa. In mano mi ritrovai una manciata di capelli spezzati, che feci
scivolare via trascinati dal vento.
“Buona idea, Abigail, questo
rafforzerà la scia” intervenne Edward. Io lo guardai un po’ confusa, prima di
sfoderare il mio sorriso sghembo, concordando anch’io sulla sua affermazione.
Incitate quindi dal commento di
Edward, entrambe continuammo a strapparci singoli capelli per disporli sulla
vegetazione, seppure secondo Edward stessimo esagerando.
“Non sei obbligata a darla vinta
ad Alice” esclamò all’improvviso lui, riferendosi sicuramente alla
conversazione che avevano avuto con Alice poco prima. Ormai che sapeva che io
sapevo, non si faceva più problemi a parlarne in mia presenza. Cercai di
nascondere il mio sorriso sghembo che voleva dire ‘te l’avevo detto’.
“Non fa niente; non ti lascerò
solo all’altare” gli rispose Bella, stranamente indifferente, forse perché
troppo concentrata a svolgere il suo compito.
“Ma vorresti” intervenni io
ironica, senza riflettere. Lei non trattenne un sorriso.
“Quello è un altro discorso”
“Non voglio che tu ti faccia
condizionare troppo da Alice” riprese Edward serio, ignorando la mia battuta.
“Voglio che quel giorno sia come lo voglia tu.”
Bella non rispose; era ovvio che
per accontentare il desiderio di Edward, quel giorno non doveva esserci
proprio.
“E comunque non sarà una
cerimonia esagerata” continuò lui, più rassicurante “Saremo soltanto noi.” Io
alzai la testa verso il cielo.
“E un pastore vero” chiesi
implorante, mentre continuavamo con la nostra scampagnata. Mi era
insopportabile l’immagine di Emmett vestito da pastore. Edward sogghignò.
“E un pastore vero” confermò.
Anche Bella sfoderò un piccolo sorriso.
“Ci penserò”
“Un compromesso si trova sempre”
continuò Edward, che di compromessi ormai era diventato un esperto.
Camminammo ancora per un po’,
prima di arrivare al luogo dove i neonati avrebbero incontrato la nostra scia.
Per lo più il tempo rimasto lo passammo in silenzio, ma a me andava
splendidamente bene così, perché ne avevo di cose su cui riflettere. Questa
volta non c’entravano i miei genitori, me lo imposi con tutta me stessa e ci
riuscii; si trattava del matrimonio di Bella. Quando ne avevamo parlato tempo
fa mi aveva confessato che le sue paure erano dovute sia a ciò che avrebbero
potuto pensare gli altri, non tanto gli sconosciuti, quanto le persone a lei
care, sia perché, intuii, non faceva proprio parte del suo carattere tutto quel
momento di attenzione su di sé.
Tuttavia nella mia mente si era
formata una nuova ipotesi, di cui la stessa Bella non mi aveva fatto parola, ma
di cui ero abbastanza convinta; credevo che Bella considerasse il matrimonio
come il suo ultimo contatto umano con il mondo, l’evento che simbolicamente
rappresentava tutto ciò che avrebbe perduto dopo la trasformazione, l’ultima
occasione per salutare Charlie e sua madre Renée, insieme a Jacob, forse. Ero
quasi certa che fosse pronta a dire loro addio, ma rivederli un’ultima volta
tutti e tre nello stesso momento, sarebbe stato fin troppo deprimente. Per
questo un po’ la comprendevo.
Sobbalzai di fronte all’occhiata
penetrante che Edward mi lanciò.
Una volta arrivati, tornammo indietro, ripercorrendo la
stessa identica strada per evitare sgradite deviazioni da parte dei neonati,
seguendo le indicazioni di Edward.
Poco prima di arrivare nella
radura, Bella inciampò e cadde a terra. Mi sembrava strano che non fosse
accaduto prima; scossi la testa e mi pentii immediatamente di quell’orribile
pensiero. Alzandosi, mi accorsi di una ferita sanguinante al palmo della sua
mano.
“Sì, resta dove sei. Sto
sanguinando…” lo avvertì lei in allerta.
Non la lasciò neanche finire che
fu subito accanto a lei. Io osservavo immobile la scena: non mi sarei mai
immaginata che Edward potesse perdere il controllo o chissà che cosa, però,
bene o male, era comunque sangue, e lui era un vampiro; poteva resistere senza
problemi, ma di certo non credevo si sentisse del tutto a proprio agio.
“Ho un kit di pronto soccorso”
disse, prendendolo dallo zaino di Bella “Non serve essere Alice, per immaginare
che sarebbe potuto servire” disse reprimendo il sarcasmo. Mi avvicinai a lui
per farmi dare il kit.
“Faccio io, se vuoi.” Lui invece
prese la mano insanguinata di Bella e la guardò con un sorriso.
“Non è più problema” disse
tranquillo. Lo osservai attentamente: stava sorridendo, il naso non era
arricciato e respirava regolarmente, gli occhi era di un oro scintillante.
Caspita, aveva ragione.
“Cioè?” chiese Bella confusa.
“Ho risolto il problema” rispose
lui semplicemente. Anche il tono di voci era dei più tranquilli.
“Intendi dire che oltre a saper
resistere all’odore del suo sangue, resisti anche senza dover reprimere la
gola?” chiesi scettica “Bhè, certo, voglio dire, sei riuscito a bere il suo
sangue senza ucciderla, però…”
“Era una circostanza piuttosto
particolare” disse interrompendomi subito, con un tono piuttosto cupo
“Comunque, per rispondere alla tua domanda, sì.” Rimasi sorpresa di nuovo,
anche se non troppo; mi ero fatta un po’ l’abitudine di considerare Edward non
più come un vampiro, ma come un super-vampiro o ancora più realisticamente un
alieno.
“Quando? E come?” chiese Bella
stupita.
“Bhè, dopo ventiquattrore
vissute nella certezza che tu fossi morta, per me sono cambiate molte cose,
Bella” rispose con uno strano tono rassegnato.
“Il mio odore è diverso?”
“No, lo è il mio modo di
reagire.” Sfoderò ancora il suo sorriso davanti alla ferita. “Rifiuto ogni
azione che potrebbe procurarti una sofferenza come quella.” Questa bella
notizia mi rassicurò parecchio.
“Direi che è stata un’esperienza
molto educativa” continuò aumentando la larghezza di quel sorriso.
“Che assicureresti ad ogni
vampiro innamorato di un’umana” completai io sarcastica.
“Divertente” mi rispose lui con
lo stesso tono, lanciandomi un’occhiataccia. Tornò poi subito a Bella. “Lascia
che te la medichi.” Bella però gliela sfilò subito.
“Mi è appena venuta un’idea”
disse curiosa. Si avvicinò ad una roccia non molto lontana e la segnò con la
mano sanguinata.
“Uau! Che idea!” esclamai,
capendo le sue intenzioni. I neonati sarebbero di certo impazziti in questo
modo.
“Bella, credo che adesso tu stia
esagerando” intervenne Edward, preoccupato.
“Intendo fare tutto quello che
posso” protestò Bella, continuando imperterrita. Ed era quello che avrei fatto
anch’io. Prima ancora di trovare qualcosa di appuntito Edward mi fermò.
“No, Abi” mi bloccò all’istante.
“E’ un’idea geniale, invece”
protestai io “Perderanno il controllo e si azzufferanno fra di loro riducendosi
di numero a vicenda.” L’idea che potessi in qualche modo intervenire sul numero
dei neonati che i vampiri e i licantropi avrebbero dovuto eliminare mi esaltò.
“Mi trovo a mio agio con il
sangue di Bella, ma non con il tuo” mi avvertì serio. Mi convinse a fermarmi di
colpo. Certo, aveva ragione. Edward non era mamma o papà. Con grande rammarico
abbandonai il mio intento; in compenso controllai che Bella spargesse il suo di
sangue in luoghi strategici.
“Complimenti, ci sei riuscita. I
neonati perderanno il controllo e Jasper sarà contento di te” sentenziò Edward
in fretta, dopo che Bella aveva sperperato il suo sangue a mezza foresta.
“Adesso però lasciati curare la ferita; è sporchissima.”
In breve tempo è senza problemi,
la disinfettò e la incerottò in un istante. Sorrisi amaramente nel vedere
quanto era malmessa Bella, una mano incerottata, l’altra ancora steccata a
causa del pugno dato a Jacob.
“Avete fatto la vostra parte”
disse rimettendo a posto il kit e tirando fuori un giubbotto imbottito. “Ora
andiamo in campeggio!” Sorridemmo entrambe del finto entusiasmo della sua voce.
“Dove dovremmo incontrare
Jacob?” domandò Bella. Lui si limitò a fare un cenno verso gli alberi davanti a
noi.
Subito spuntò Jacob, in forma
umana, più grosso di quanto mi ricordassi. Avanzava a braccia conserte,
stringendo due giubbotti in una mano. Ci guardava serio, senza tradire
emozioni; era lo sguardo di Sam, che riservava ai vampiri. Il sorriso sul viso
di Edward sparì subito, come se si fosse appena pentito del compito che aveva
accettato che Jacob si assumesse.Andiamo
in campeggio!, pensai con lo stesso finto entusiasmo di Edward.
“Ciao, Jacob” lo salutai,
quando fu abbastanza vicino.
“Ciao, Jake” ripeté Bella. Il
suo viso riacquistò per un momento l’ombra del suo fantastico sorriso.
“Ciao, ragazze.”
Se la sua voce avesse avuto il
suo tipico tono strafottente, avrebbe sicuramente fatto la figura del playboy.
Tuttavia la situazione era troppo seria per scherzare ancora.
“Buongiorno, Jacob” lo salutò
Edward, cordiale come sempre. Jacob, con molta educazione dovevo dire, lo
ignorò.
“Dove le porto?” Edward prese
dallo zaino di Bella una piantina e gliela diede.
“Noi siamo qui” disse Edward,
totalmente indifferente al comportamento di Jacob, indicando con il dito un
punto sulla carta. Quando Jacob sentì la mano di Edward avvicinarsi al foglio
si ritrasse automaticamente, per poi riprendersi. Io scossi la testa
sconfortata; non c’era niente da fare, quando si era nemici di natura. Edward
almeno fu accorto e fece finta di nulla.
“Tu le porti quassù, a una
dozzina di chilometri di distanza” continuò, spostando il dito verso l’alto.
Jacob si limitò ad annuire.
“A due chilometri da qui
incontrerai la mia scia. Ti servirà la mappa?”
“No, grazie. Conosco bene la
zona; mi saprò orientare” disse masticando amaramente quel ‘grazie’ tra le
labbra. Gli riusciva davvero così difficile mostrarsi un po’ più cortese? Anche
se stava parlando a un vampiro, si trattava pur sempre di una questione di
educazione. Edward annuì impercettibilmente.
“Io prenderò una strada più
lunga. Ci vedremo tra un paio d’ore.” Mentre parlava lanciò uno sguardo mesto
verso Bella, all’idea di lasciarla, ricambiato anche da quest’ultima. Scossi di
nuovo la testa; cosa saranno mai un paio d’ore!
“A dopo, Edward” lo salutai,
cercando di far tornare i due piccioncini alla realtà. Edward mi rivolse un
breve sguardo di assenso, prima di ritornare di nuovo su Bella.
“Ci vediamo” sussurrò lei. Si
scambiarono gli sguardi ancora per un secondo, prima che Edward si
smaterializzasse. Non appena Edward scomparve, Jacob si tranquillizzò.
“Come va?”
Anche se si era rilassato, Jacob
non si trovava affatto a suo agio. Sembrava impacciato, per non dire
imbarazzato, e il tono della sua voce sembrava essere quasi timido. In altre
parole, Jacob stava dando mostra di tutto il suo strano ed incomprensibile
comportamento che da qualche tempo lo aveva cambiato. Anche Bella lo osservava
sospettosa.
“Tu?” insinuai loquace,
squadrandolo dalla testa ai piedi, per fargli capire più chiaramente possibile
a cosa mi stavo riferendo. Lui sviò la domanda con un falso sospiro esasperato.
“Salta su, dobbiamo andare”
schivò lui il discorso, indossando uno dei due giubbotti che aveva e legando
alla vita l’altro, per avere le mani libere. Gli diedi corda e gli saltai sulla
schiena; tanto, qualsiasi cosa avrei detto o fatto, non mi avrebbe mai
ascoltata. Dopodiché prese in braccio Bella. Per un momento ci sembrammo tre
equilibristi imbranati.
Non perse ulteriore tempo ed
iniziò a correre. Mi stupii non tanto della velocità, pari a quella di
un’atleta ben allenato senza quasi cento chili addosso, quanto della resistenza
di poter mantenere quel passo per dodici chilometri.
Scese quindi un lungo silenzio,
spezzato unicamente dai passi di Jacob sul terreno ripido. Mi trovavo dietro
alla sua schiena, pertanto non potei osservare l’espressione del suo viso, ma
Bella, tra le sue braccia, gli lanciava occhiate attente, che tuttavia Jacob
sembrava ignorare, come anche la stessa Bella e me. Si comportava come se non
esistessimo, oppure come se fosse perso nei suoi pensieri, non lo capivo.
“Se continui a correre tra un
poco ti stancherai” osservò Bella, rompendo il ghiaccio. Jacob si riscosse e
sogghignò. Mi confuse quell’immediato cambio di umore.
“Non mi stanco affatto” affermò
lui, continuando con la sua andatura “E poi è meglio arrivare all’accampamento
prima possibile; tra poco farà molto freddo. Gli animali se ne sono andati;
dev’essere senz’altro qualcosa di grosso. Rende nervoso anche me.”
“Così grosso da gelare anche un
licantropo focoso come te?” chiesi maliziosa, pindicando il giubbotto che
indossava. Vidi gli angoli della bocca piegarsi in un sorriso.
“Nient’affatto. Questi li ho
portati per voi due, pensando che ne avreste avuto bisogno” rispose lui. Era
ovvio che non conosceva le manie di una madre paranoica e iperprotettiva.
La conversazione fu breve e
ricadde nuovamente nel silenzio. Intanto la strada si faceva man mano più
ripida, ma non sembrava mettere Jacob in difficoltà, che anzi continuava agile
e deciso, senza neppure l’ausilio delle mani.
Fu durante una di queste ripide
salite che notai il ciondolo a forma di lupo che sporgeva dalla manica del
giubbotto intorno al collo di Jacob. In un sussulto mi ricordai che non lo
avevo neppure ringraziato.
“Grazie per il braccialetto”
dissi scotendo il polso “E’ bellissimo.” Jacob sorrise di nuovo.
“Sì, è molto bello” rincarò
Bella, leggermente pensierosa.
“Non c’è di che” rispose
tranquillo lui. “Piuttosto, cosa ci hai attaccato insieme?”
I miei occhi sovrastarono la sua
spalla e incontrarono i raggi di luce colorata del brillante a forma di cuore.
“Un altro regalo per il diploma”
rispose Bella, troppo velocemente per non far trapelare dell’imbarazzo.
“Un brillante, che strano”
mugugnò lui scontroso.
L’atmosfera che si era creata
non mi piaceva; la discussione era caduta su‘Bella ed Edward’ che con Jacob non
portava a nulla di buono. Pensai di uscire con una battuta delle mie per
evitare di inoltrarsi troppo nell’argomento, ma fui troppo lenta e Jacob mi
precedette.
“Bella, te lo chiedo da amico”
iniziò lui, in un tono misto tra serietà e sconforto. “Ti prego, ripensaci.”
Dovevo ammettere però che era un sollievo sapere che la grande e misteriosa
‘crisi mistica’ che Jacob stava vivendo aveva lasciato alterato almeno
qualcosa. Ovvio, le cose più fastidiose.
“Me lo hai già detto” rispose
Bella categorica, evidentemente desiderosa di evitare di parlare di questo. “E
ti rispondo ancora che non è necessario.”
“Come puoi sapere se non c’è
altro che vuoi?” insistette lui, testardo come sempre. “Hai davvero valutato
ogni aspetto della tua decisione?”
“Sì. Edward è tutto quello che
voglio” rispose di nuovo decisa.
Feci un respiro profondo, che
Jacob, preso com’era dalla discussione, non notò. Ormai mi avevano escluso
totalmente dalla loro conversazione, ed ero costretta a starmene dietro le
quinte e fare l’ascoltatrice forzata. Più di qualche volta la testardaggine di
Jacob raggiungeva il limite e questa era una di quelle; quante volte ormai
doveva aver posto quella domanda a Bella, e quante lei gli aveva risposto in
questo modo? Era quasi da quando ci eravamo conosciuti che si era posto
l’obiettivo di convincere Bella a rinunciare a Edward e alla trasformazione –e
a convincerla che lei era innamorata di lui, ma questi erano dettagli – ancora
non aveva capito che non ci sarebbe riuscito e in quel momento trovai i suoi
rinnovati tentativi noiosi e ripetitivi.
Allo stesso tempo però dovevo
ammettere che non so che avrei dato per avere un minimo di quella sua
testardaggine. Se fossi stata come Jacob, allora forse lui…
“Come puoi dirlo? Sei giovane e
ci sono fin troppe esperienze che non hai ancora provato” continuò, lungi dal
gettare la spugna. Anche se dopo un po’ stufava e rompeva, io in segreto lo
ammiravo.
“Esperienze che non ho ancora
provato con te, vuoi insinuare?” ribatté Bella stizzita, affondando un colpo
più forte per chiudere il discorso. “Una mi è già bastata.” Già, si stava
riferendo al bacio. Sentii appena un po’ di amaro in bocca, che però ben presto
scomparve. Sembrava che Bella avesse fatto touché; Jacob si zittì
all’istante e sentii i muscoli del suo collo e della sua schiena irrigidirsi.
“Te l’ho già detto, Bella. Sai
che me ne sono pentito” si mise Jacob sulla difensiva, amareggiato perfino.
“Anche questa conversazione l’ho
già sentita, Jake” continuò Bella, ormai stufa marcia, come lo ero anch’io.
Tuttavia ci voleva ben altro per sviare Jacob dai suoi obiettivi; non si perse
d’animo e continuò con un nuovo approccio.
“E comunque non ho specificato
con chi” continuò lui riacquistando immediatamente tutta la pacatezza che aveva
perso, e perfino un po’ di ironia.
“A me sembrava fin troppo
implicito” replicò Bella.
“Va bene, hai ragione tu. Non lo
nego” continuò lui, dandole ragione “Devi ammettere però che certe esperienze
le hai vissute unicamente con lui, e non ti costerebbe nulla provare con
qualcun altro, per confronto. E sottolineo il fatto che con questo non intendo
direttamente me.” Cominciai a sghignazzare senza ritegno.
“Sì, certo” diss’io sarcastica
“Per te allora andrà bene se Bella baciasse me, così oltre ad avere
‘confrontato’, come hai detto tu, avrà anche arricchito il suo curriculum di
esperienze con qualcosa di nuovo e trasgressivo!”
“Credo proprio che succederà
questo, prima di chiederti di darmi il bacio che aspetti, Jacob” lo avvertì
sarcastica anche Bella, stando al mio gioco. Al momento quasi non mi accorsi
delle parole di Bella; solo più tardi mi sarebbero venute in mente. Riuscii a
tornare seria solo dopo alcuni secondi, sentendo appena sotto di me la schiena
di Jacob irrigidirsi ancora.
Con quella battuta finale, Bella
aveva finalmente concluso la conversazione e ben presto tornò il silenzio,
accompagnato unicamente del vento che cominciava a soffiare forte tra gli
alberi. Ero troppo tranquilla e forse troppo distratta per notare l’agitazione
di Jacob, che stava cominciando ad essermi familiare.
Dopo cinque minuti arrivammo a
uno strapiombo ripido, cominciando a seguirne la base che pendeva verso l’alto
e che usciva dalla foresta. Ben presto il silenzio venne rotto nuovamente da
Jacob.
“Cosa c’è, Bella?” domandò
inquieto. Incuriosita dalla sua domanda, appoggiai le mani sulle spalle di
Jacob e mi issai per vedere Bella. Era talmente impensierita da sembrare triste.
Interruppe il flusso dei suoi pensieri, per guardare verso la mia direzione.
“Sto pensando se è giusto che
Edward rimanga con noi. Un vampiro in più o in meno farà la differenza”
sussurrò lei.
Io alzai gli occhi al cielo,
scuotendo la testa. Possibile che non si rendesse conto del motivo per il quale
Edward doveva rimanere con noi?! Quella ragazza avrebbe fatto meglio a pensare
al più presto un po’ più a se stessa che agli alti. Aveva uno spirito di
auto-conservazione a rasoterra.
“Pensala così, che non lo vuoi
tu al tuo fianco, ma che lo voglio io, ok?” cercai di convincerla. Lei mi
lanciò un sorriso, che sembrava una smorfia, per poi tornare ai suoi pensieri.
“Perché dovrebbe stare con te?”
chiese Jacob indispettito, ma cercando di rimanere serio. Aveva lo stesso tono
dei bimbi quando si lamentavano dicendo ‘perché lui sì e io no?’.
“Victoria è furba e l’idea che
ci possa trovare dispersi qua sui monti ha convinto Edward a rimanere con noi”
mi affrettai a rispondere io, facendola breve. “In fondo ha avuto ragione; il
suo obiettivo siamo noi.”
“Mmh…” mugugnò lui, annuendo
sommessamente con la testa, probabilmente con l’irritazione di non aver avuto
lui per primo l’intuizione. “Speriamo almeno che il tuo vampiro sia rimasto
anche per Abigail e non solo per te.”
“Certamente” sbottò Bella. Io
invece rimasi zitta, cercando di nascondere un sorrisino e la mia condivisione
dell’opinione di Jacob.
“Devo ammettere però che mi
dispiace un po’ per lui; io non mi perderei questo scontro per nulla al mondo”
esclamò dopo alcuni secondi, per ricompensare la precedente delusione. Alzai
nuovamente lo sguardo al cielo.
“Non rimarresti con noi neppure
se ti preghiamo in dieci lingue diverse” constatai io.
“Nessuna delle due però lo ha
chiesto anche a me” lo sentii sussurrare, forse più a se stesso che a noi. Io
corrugai le sopraciglia confusa. Mi sembrò quasi che fosse amareggiato e
geloso.
“Hai appena detto che avresti rifiutato” replicai io,
confusa.
“Infatti” rispose subito lui deciso, ma anche troppo
velocemente. Non ebbi nemmeno il tempo per riflettere su quelle strane parole
che Jacob si fermò, annusando l’aria circostante.
“Ecco il suo odore” comunicò disgustato. Lampi in
lontananza intanto accompagnavano l’arrivo di grosse nuvole nere e violacee che
provenivano da ovest. Le guardai spaventata; non era davvero una buona nottata
per un campeggio.
“Jake, accelera, il tempo
non promette nulla di buono” gli chiesi, ormai del tutto dimenticata della
precedente discussione. Lui obbedì alla mia richiesta ed aumentò il passo.
“Non riuscirai a tornare a casa in tempo” dedusse Bella,
guardando anche lei preoccupata i nuvoloni.
“Infatti non torno a casa” rispose Jacob monotono, il
respiro ancora regolare nonostante il passo.
“Ci farai compagnia in tenda?” gli chiesi sbalordita. Uau,
saremmo stati io, Bella, lui e Edward. Ne sarebbero uscite delle feroci partite
a carte, oltre a ben altro ancora.
“No, ma grazie dell’invito; preferisco la tormenta alla
puzza” spiegò lui, già nauseato all’idea. “Il tuo vampiro vorrà sicuramente
mantenersi in contatto con il branco per coordinarci, quindi svolgerò la
funzione di tramite.”
“Non toccava a Seth?” chiese Bella.
“Mi sostituirà domani.”
“Visto che però starai qui oggi, tanto vale rimanere anche
domani” osservò Bella, cercando di essere il più indiscreta possibile,
camuffando quella che doveva essere una richiesta.
Fui subito in disaccordo con lei; non poteva mica chiedere
a tutti quanti di rimanere lì con noi! Ero sicura che Edward e Seth erano più
che sufficienti; Jacob invece era necessario in un campo di battaglia. Mi
rendevo perfettamente conto che se Jacob sarebbe restato qua non avrebbe
rischiato niente, ma più persone combattevano, meno sarebbero state le
possibilità che qualcosa andasse storto nella radura. E poi c’era un altro e un
po’ cattivo motivo che non mi faceva accettare l’idea che Jacob potesse
rimanere lì con noi: mia madre aveva rifiutato, perché allora lui poteva
restare? Non ammettevo assolutamente che lui rimanesse lì con noi, quando non era
necessario, mentre mia madre combatteva. Se fosse stato così, allora avrei
preferito assolutamente fare cambio.
“Sarebbe bello vederti implorarmi” rispose Jacob in un
sogghigno divertito.
“Figurati” rispose lei scocciata.
“E poi non sono io quello che decide; è Sam.”
“Ah, Edward mi ha raccontato una cosa al riguardo”
continuò Bella, cambiando argomento, vedendo che non c’erano possibilità di
convincerlo.
“Bugia” sputò immediatamente lui. Io gli feci una smorfia
per dietro; che antipatico.
“Non sei una specie di… vice-capobranco?” continuò lei,
ginorandolo.
“Vice-capobranco?” intervenni io curiosa “Cos’è? Hai
ricevuto una specie di promozione per le tue notti in bianco?”
“No” rispose lui categorico e serio.
“Perché non me lo hai detto prima?” chiese ancora Bella,
alquanto incuriosita dalla cosa.
“Cosa sarebbe cambiato?” rispose lui, non dando affatto la
stessa importanza che dava lei.
“E’ interessante. Come funziona, esattamente? Sam è il
maschio alfa e tu il… beta?” tirò ad indovinare. Sentii Jacob ridere per il
termine inventato.
”Sam è stato il primo. Quindi è logico che il capo sia lui” spiegò in breve.
Questo però non convinse Bella.
“Ma allora il secondo sarebbe dovuto essere Jared o Paul”
replicò lei.
“Non è esattamente così” rispose con poca voglia. Quel suo
tono stanco e stufo mi attirò parecchio; non voleva affatto parlare
dell’argomento, come se fosse un peso per lui. Si trattava comunque di una
posizione di un certo rilievo tra i licantropi, che gli altri non avevano;
Jacob non era mai stato vanitoso, ma neppure modesto, quindi mi sorpresi
anch’io che non lo avessi mai saputo. Forse c’entrava l’invidia che questo
scatenava nel resto del branco?
“E come, allora?” continuò Bella, cocciuta.
“E’ una questione di discendenza” continuò lui svogliato.
“Giusto; Ephraim Black era l’ultimo capotribù” mi ricordai
io. “Allora perché il capo non sei tu?” Jacob rallentò e si fece cupo,
racchiudendosi in un silenzio. Sulle prime non capii davvero perché reagisse
così.
“Jake?” lo riscosse Bella, stranita.
“Spetta a Sam” rispose lui con decisione. Conoscevo Jacob
da un po’ di tempo e avevo imparato a decifrare abbastanza bene il linguaggio
del suo corpo. Questo di certo non poteva dirsi quando era un lupo; lì
l’esperta era Bella. Capii quindi quale fosse il motivo, e l’invidia qua non
c’entrava affatto.
“Perché?”
“Perché non lo vuole essere lui” risposi al posto di
Jacob. Lui fece un lieve rumore di assenso con la gola.
“Non accettavo l’idea di diventare un licantropo,
figuriamoci l’alfa. Quando Sam me lo ha chiesto, io ho subito rifiutato.”
“Pensavo però che fossi più felice così” continuò Bella,
non meno confusa di prima.
“Sì. E’ tutto decisamente molto più divertente, come
quello che succederà domani, per esempio. All’inizio però mi sentivo solo costretto
e totalmente spaesato a entrare nel mondo di quelle che consideravo storielle
inventate. Non avevo scelta.” affermò ancora un po’ cupo.
Io lo prendevo sempre in giro, mi riferivo a lui come a un
idiota e gli davo del bambino immaturo. Ma questo era quello che succedeva
nella mia testa; la realtà era che Jacob era un ragazzo molto più maturo di
altre persone più vecchie di lui, che era stato costretto a diventare davanti
agli eventi difficili e dolorosi che la vita gli aveva parato davanti, cominciando
dalla morte di sua madre e dall’incidente di suo padre. Me n’ero sempre
perfettamente resa conto, e lo sforzo che aveva dovuto affrontare per accettare
quello che era diventato era un’altra prova della sua maturità.
In tutto questo un’altra cosa avevo notato, sempre
riguardante il rapporto tra vampiri e licantropi che avevo cominciato a
studiare dall’incontro al falò. Questa volta mi ero accorta di una somiglianza
tra i due; entrambi erano costretti ad entrare in un mondo che credevano fosse
irreale ed accettarlo con tutte le sconosciute e dure conseguenze. A dire il
vero questo valeva un po’ anche per gli umani, come per Bella e per certi versi
anche per me, anche se le ‘conseguenze’ in questione erano leggermente
differenti.
“Capo Jacob” disse Bella sarcastica, come per verificare
se l’abbinamento suonasse bene.
“Augh!” la seguii io. Jacob scoccò la lingua contrariato.
“Simpatiche, davvero” commentò, per niente divertito.
Fu allora che il vento aumentò. Mi sentii congelare il
naso e automaticamente lo infilai dentro il colletto della giacca, così da
poterlo riscaldare con il collo di Jacob. Le nubi raggiunsero il sole e lo
coprirono, e contemporaneamente cominciarono a scendere anche i primi fiocchi
bianchi. Avvenne tutto quasi contemporaneamente e ciò rese ancora l’ambiente
ancora più lugubre e per niente simile a un giorno di metà giugno. Pensare che
un anno fa mi trovavo a nuotare in California.
Vedendo questi brutti segnali, Jacob aumentò l’andatura,
guardando attentamente il terreno per sapere dove mettere i piedi. Ben presto
la tenda di medie dimensioni apparve protetta ai piedi della parete rocciosa. E
ovviamente vicino a lei c’era un Edward impaziente.
“Bella!” gridò Edward, osservando con sollievo che stava
bene. Cercai di trattenere uno sbuffo per la sua reazione troppo esagerata;
credeva davvero che le sarebbe successo chissà che cosa senza di lui per un
paio d’ore? Credeva che forse la sfortuna aspettasse in agguato che Edward se
ne andasse per piombare all’improvviso su Bella? Mi risposi subito di sì e fui
piuttosto sicura della mia risposta.
Edward apparve accanto a lei e Jacob sussultò per la
velocità. Non appena la fece scendere l’abbracciò stretta. In modo molto più
indiscreto, senza nessuno che mi accogliesse, mollai la presa e scesi a terra.
“Sei stato più veloce di quanto pensassi. Grazie davvero”
gli disse Edward sincero. Jacob, esattamente come prima, sembrava indifferente,
anzi, infastidito da quella cortesia e si limitò a scrollare le spalle.
“Portala dentro. La tempesta arriverà tra poco. La tenda è
solida?” chiese monotono.
“E’ quasi un tutt’uno con la roccia” lo assicurò Edward.
Lo disse tanto convinto che per un attimo mi sembrò il commesso di un negozio
di trekking che tentava di vendere una tenda illustrandone la resistenza. Se
fosse stato così, il cliente l’avrebbe acquistata subito.
“Mmh” si limitò Jacob. Studiò un’ultima volta il cielo,
prima di muoversi.
“Vado a trasformarmi. Devo sapere cosa succede a casa.”
Appese le due giacche ad un ramo e se ne andò nella foresta.
Non degnò nessuno di uno sguardo. Tranne me. Prima di
inoltrarsi, mi lanciò un lungo e perforante sguardo. Non notò Bella, né tanto
meno Edward. Unicamente me.
Dell’incomprensibile comportamento di Jacob che mi mandava
fuori di testa me ne dimenticai subito; in breve divenne buio e il freddo
triplicò. Bevemmo tutto il tè caldo che mi ero portata, ma dopo cinque minuti
il suo effetto era già svanito. Mi infilai assieme a Bella nel suo sacco a
pelo, in modo da scaldarci a vicenda. Avevo anche indossato le felpe in più che
mamma mi aveva messo nello zaino. Mi angosciava sentire l’odore di mio padre
sulla sua felpa e per poco decisi di non metterla, ma il freddo mi spinse a
fare anche questo.
Erano le due di notte, indossavo come minimo tre maglioni,
avevo bevuto un termos di tè bollente, ero appiccicata a Bella, e nonostante
tutto questo le raffiche di vento riuscivano a penetrare attraverso il sacco a
pelo e nel giaccone. Giuravo di non aver mai sentito così tanto freddo tutto
assieme: non sentivo più il naso, i denti battevano all’impazzata e a forza di
stare rannicchiata avevo un enorme crampo allo stomaco. Inoltre dopo tutto quel
tè sentivo la vescica premere forte, ma non mi passò nemmeno per l’anticamera
del cervello di calarmi i pantaloni là fuori.
Ed era giugno; com’era possibile un freddo del genere a
giugno?! Ancora un po’ in quelle condizioni, e mi sarei beccata un febbrone da
cavallo dalle proporzioni colossali.
Edward invece se ne stava seduto in un angolo, il più
distante da noi possibile, evitando di inviarci ulteriore freddo. Faceva troppo
buio, ma sentivo eccome i suoi occhi puntati su Bella.
“Forse…” iniziò teso.
Era terribilmente frustato che non potesse fare qualcosa;
aveva quindi proposto una dozzina di volte di portarci un po’ più a valle, dove
il vento era meno forte. Rifiutai il pensiero con tutte le mie forze; se faceva
freddo lì, non volevo sapere cosa fosse fuori.
“No-n no-n vo-voglio u-u-uscire” balbettò Bella da sotto
le coperte. Lei era messa meglio di me; almeno riusciva a parlare. Avevo
tentato un paio di volte prima, ma senza successo. Era terribilmente
demoralizzante.
“Cosa posso fare?” chiese implorante. Bella non
rispose, ma per un ghiacciolo come lui la risposta era più che implicita.
Sentii Jacob ululare forte fuori; con tutto quell’ammasso
di pelo di cui disponeva, non aveva certo problemi a patire il freddo. Dalla
gola di Bella uscì uno strano suono incomprensibile, che forse voleva essere
una parola, ma che era stata smorzata dai troppi tremori. Jacob ululò ancora.
“Cosa vuoi che faccia?!” sbottò Edward, che ormai aveva
abbandonato tutta la sua educazione “Dovrei portarle via adesso, forse?
Piuttosto renditi utile. Va prendere una stufa o qualcosa del genere.”
“Sto b-b-bene” protestò Bella. Io no, sbottai con il
pensiero. Non avrei mai pensato che in questa situazione avrei trovato comoda
la capacità di Edward di leggermi i pensieri. Non serviva che nemmeno mi
sforzassi. Jacob si lamentò ancora, tanto forte da superare il baccano del
vento.
Sconsolata, immersi la testa dentro il sacco a pelo.
Effettivamente c’era una cosa che tutti e due potevano fare per farci star
meglio: chiudere quella loro boccaccia e smetterla di battibeccare tra loro.
“E’ l’idea peggiore che potessi avere” sbuffò Edward,
ignorando i miei pensieri.
“Sicuramente meglio della tua” rispose Jacob, che si era
ritrasformato. Io mi immersi ancora; di male in peggio, ora la loro cavolo di
litigata sarebbe stata ancora più difficile da sopportare.
“Va a pretendere una stufa” citò Jacob “Non sono
mica un sambernardo.” Sghignazzai all’idea di un mastodontico lupo dal pelo
rosso che affrontava le tempeste con attaccato al collo una botticella. La
cerniera si aprì velocemente. Sfortunatamente Jacob non fu così veloce ad
entrare, perché il vento soffiò gelido dentro la tenda tanto forte da
obbligarmi a stringere talmente tanto le gambe al petto da poter schiacciare la
mia vescica piena.
“Scordatelo” ribadì Edward serio “Dalle il giaccone e
vattene.” Riuscii a far uscire la testa dal piumone; in mezzo al buio intravidi
la pelle nuda e scura di Jacob.
“D-d-d-d-d-d” balbettò Bella vicina a me.
“Questo di certo non le servirà domani. È troppo
ghiacciato” disse appoggiando entrambi i giacconi vicino all’entrata.
“Hai detto che aveva bisogno di una stufa, giusto? Eccomi
qua” disse allargando le braccia più che poteva dentro la piccola tenda. Avevo
capito quale fosse l’idea, e dovevo ammettere che non era per niente peggiore
come aveva detto Edward.
“E poi non puoi di certo obbligarmi a stare lontano da
Abigail” disse con una soddisfazione ed un’accidia immensa. Sentii un ringhio
soffocato provenire dalla gola di Edward. Io sbuffai sotto le coperte, cercando
di scaldarmi le mani, aspettando il felice momento in cui i due avrebbero
chiuse le loro boccacce e Jacob sarebbe venuto più vicino.
“J-j-jake, con-con-ge-gelerai” disse Bella in un flebile
sussurro. Jacob si mise a sghignazzare.
“Io di certo no. La mia temperatura media è di quarantadue
gradi. Vi riscalderò in un baleno.” Fu subito vicino, con una mano teneva già
la lampo del sacco a pelo. La mano di Edward scattò velocissima ed afferrò la
sua spalla. Jacob si irrigidì, contraendo i muscoli delle braccia e della
schiena, e mostrando le gengive in un ringhio.
“Giù le mani” lo minacciò Jacob.
“Giù le mani da lei” lo avvertì Edward cattivo. A quel
punto persi la pazienza e ritrovai la forza di balbettare.
“Ba-ba-basta-a-a rom-rom-pe-re-re-re. Po-po-rta le-le
tu-tue chi-chi-chiap-p-p-p-e qua-a sot-t-t-t-to o-o-o-ra-a.” Con uno strattone
Jacob liberò la spalla dalla stretta di Edward.
“Mi sembra che sia stata piuttosto chiara, no?” gli
rinfacciò di nuovo Jacob, con lo stesso tono appagato di poco prima “E di certo
non me lo puoi impedire.” Edward quindi tornò nel suo angolo, muto ed immobile.
Gli ci era voluto un po’ per capire che era la cosa giusta in quel momento per
la vita mia e di Bella. Jacob aprì svelto la cerniera e si coricò dentro.
“Fatemi spazio” disse aprendo di più il sacco a pelo,
cercando di sistemarsi in mezzo a noi due.
“Attento a quello che fai” lo minacciò Edward monocorde.
Jacob quasi non lo ascoltò e ci abbracciò con entrambe le braccia, premendoci
contro il suo petto.
“N-n-n-n-n” balbettò Bella, cercando di protestare quel
contatto che con Jacob era fin troppo intimo.
“Non fare la sciocca” disse serio “Ti potrebbero servire
le dita dei piedi” Con il mento indicò me, alla sua destra.
“Abigail non si fa tutti questi problemi.” Difatti
l’istinto aveva preso il sopravvento; non m’importava se era Jacob, non
m’importava se ero innamorata di lui, non m’importava del suo strano
comportamento, non m’importava nemmeno quel contatto che in un’altra situazione
mi avrebbe mandato il cuore a mille. M’importava solo di salvare la pellaccia
dal quel dannatissimo freddo, per tanto senza esitazione e ritegno, senza alcun
romanticismo, mi ero letteralmente spiaccicata contro di lui e avvinghiavo la
sua vita. Premetti il naso sul suo sterno e mi parve un ghiacciolo che si
scioglie su una stufa. Quella potente fonte di calore in quelle condizioni mi dava
un senso di godimento assoluto, come bere dell’acqua per un assettato.
Anche Bella alla fine fu succube di quel toccasana e lo
accolse di buon grado.
“Siete ghiacciate” si lamentò lui. Non mi ero accorta che
effettivamente, pensandoci bene, per Jacob quella situazione, al contrario di
noi, non era per niente piacevole. Era peggio di alzarsi dal letto in pieno
inverno.
“S-s-s-s-cusa” si dispiacque Bella.
“Tra un minuto sarete al caldo” disse con uno sorrisino
divertito, controllando i brividi che gli recavamo. “Certo, se vi toglieste i
vestiti, vi riscaldereste prima” disse, sicuramente per far arrabbiare Edward.
Non reagì tanto al ruggito di Edward, quanto alla mia mano
che afferrò il suo capezzolo e lo strizzò.
“Ahia!” esclamò sorpreso più che addolorato, facendo un
balzo nel sacco a pelo. Di sotto fondo si sentiva Edward sghignazzare.
“E’ un dato di fatto, Abigail! Corso di sopravvivenza” si
giustificò lui.
“J-j-jacob-b” lo avvertì Bella stizzita dalle sue battute
di pessimo gusto.
“Lascialo perdere” disse lui, compiaciuto “E’ solo
geloso.”
“Certo che sì” esclamò Edward, né acido, né tanto meno
geloso “Non puoi immaginare quanto desidero fare a lei quello che le stai
facendo tu, randagio.”
“Se non altro, sai che lei vorrebbe te al tuo posto” disse
con una leggera nota amara che tentò di camuffare.
“Vero” rispose Edward sicuro.
“Se posso dire la mia” decisi di intervenire in
quell’assurda conversazione, ancora infreddolita, ma calda abbastanza per
parlare “Non per offenderti, Edward, ma se dovessi scegliere tra i due, la mia
preferenza cadrebbe su Jacob.” Sebbene sarei saltata addosso anche a Edward, se
potesse scaldare come Jacob, e me ne sarei assolutamente fregata della
possibile gelosia di Bella.
“Almeno c’è qualcuno qua dentro contento della mia
presenza” esultò Jacob. Sentii Edward schioccare la lingua contrariato. Non
capii cosa volesse significare fino a quando Jacob si irrigidì vicino a me.
“Non ti azzardare” gli disse Jacob burbero. Dedussi che la
reazione di Edward fosse la risposta poco gradita ad un pensiero di Jacob.
“Cosa?” chiesi con una vena di curiosità.
“Niente” mi disse Jacob così rude e sgarbato che mi
convinse a non insistere. Non so che avrei dato per poter leggere i pensieri di
Jacob in quel momento; avrei capito ogni cosa di quello che lo angosciava e del
problema che aveva con noi due. Problema che tra l’altro riusciva benissimo a
metterlo da parte in determinate occasioni, come questa.
Feci uno sbuffo e stizzita dalla situazione mi accovacciai
un po’ meglio. Afferrai la mano calda di Jacob e l’appoggiai sulla guancia
ancora infreddolita. Lo sentii sussultare quando entrò in contatto con la mia
pelle fredda.
Il calore ormai mi circondava completamente, e mollai la
presa dal suo corpo. Potei allora rendermi conto più lucidamente della
situazione e improvvisamente il contatto con Jacob non mi fu più indifferente.
Cominciai a provarci gusto a stargli così vicina, ma contemporaneamente questa
sensazione era guastata dall’imbarazzo di avere Bella d’altra parte.
Nonostante tutto, la fatica che avevo accumulato durante
il giorno si rifece subito sentire; sembrava che anche lei fosse stata
congelata fino a quel momento. Inoltre quel tepore era troppo invitante. Chiusi
gli occhi e mi rilassai, cercando di estraniare la mente da quel luogo, e
magari anche di dormire un poco. A quel punto sarebbero dovute essere le tre,
ed era meglio riposare almeno un minimo per domani. Tuttavia con il rumore del
vento e la sua potenza che minacciava di portarsi via la tenda era fin troppo
difficile addormentarsi.
“Jake?” sussurrò Bella. “Posso chiederti una cosa?”
“Certo.”
“Perché il tuo pelo è così folto rispetto agli altri? Non
sei costretto a rispondere.” Lo sentii sogghignare sotto di me.
“Perché ho i capelli lunghi” rispose divertito, scuotendo
la sua chioma corvina, che gli arrivava ormai al mento. Sentii le punte dei
suoi capelli farmi il solletico sulle guance. Lo guardai attentamente, seppure
il buio non me lo permetteva molto: non mi ero mai accorta che a Jacob fossero
cresciuti così tanto i capelli.
“Ah” rispose Bella sorpresa “Allora perché non li tagli?”
Edward fu molto discreto a trattenere una risata.
“E’ un po’ imbarazzante” disse per nulla imbarazzato,
quanto divertito. Lo continuai ad osservare curiosa anch’io di conoscere il motivo.
“Scusa, non volevo farmi gli affari tuoi” si scusò lei,
con voce assonnata.
“In realtà ti stai facendo gli affari miei e di Abigail”
disse con un sorriso sornione “L’idea me l’ha data lei.”
Mi ci volle un bel po’ per capire a cosa si stesse
riferendo. All’improvviso ricordai e cominciai a ridere sonoramente. Si doveva
riferire probabilmente a quella volta di un sacco di tempo fa, quando ci
eravamo appena conosciuti e ancora non sapevo che lui e Bella si conoscessero.
Per un motivo e per l’altro Jacob e io avevamo iniziato a parlare delle cose
che piacevano alle ragazze. Solo adesso mi rendevo conto che quella volta
cercava qualche dritta per apparire più affascinante con Bella. Non so come, ma
eravamo finti a parlare dei suoi capelli e io gli avevo risposto con sincerità,
ancora abbastanza estranei da risparmiargli tutto il mio sarcasmo, che sarebbe
stato meglio con i capelli lunghi,. Mi stupii che avesse davvero seguito il mio
consiglio.
“Non ti starai mica riferendo a quando ci eravamo appena
conosciuti?” chiesi per conferma.
“Eh già” rispose lui in un sospiro. Lo guardai di nuovo
bene con aria critica.
“Scusa, ma mi devo contraddire. Con i capelli lunghi non
sei granché” gli feci notare sarcastica, anche se lui stava bene comunque.
“Grazie per la gentilezza, Abi” disse scuotendo la testa
“Almeno il tuo errore ora si è rivelato utile per stanotte.”
Ancora con un sorriso stampato, mi accucciai di nuovo,
questa volta con il proposito di dormire sul serio. Anche se il vento
continuava a soffiare imperturbato e ogni volta rischiava di trascinare con sé
la tenda e chi ci stava dentro, non si sentivano più le voci di quei due
rompiscatole.
Nonostante tutto quel fracasso, credetti di essere così
stanca che mi addormentai subito.
Ero sicura che non avrei sognato affatto, tenendo conto il
luogo e la compagnia, invece feci uno dei sogni più strani che avevo mai fatto.
Non c’erano figure, solo voci la facevano da protagoniste. I proprietari di
queste due voci erano Jacob ed Edward, ma parlavano in tono vago, distante, ed
erano troppo flebili per essere reali ed avendo il sonno pesante non avrei mai
sentiti della voci così lievi, se fossi stata realmente sveglia.
Inoltre, come tutti i sogni che facevo, quando mi svegliai
il giorno dopo, non me lo ricordai affatto.
“Diamine” esclamò a denti stretti Edward, rabbioso.
“Puoi farmi il piacere di controllare i tuoi pensieri?”
“Se ti danno fastidio, allora non ascoltarli” rispose
Jacob strafottente come sempre, ma anche disturbato.
“Vorrei farlo, ma non sai quanto siano rumorosi. Li stai
praticamente urlando.” Jacob si sforzò di contenere una risata.
“Allora cercherò di pensare a bassa voce.”
Scese il silenzio per qualche secondo.
“Non starai ‘così bene’ per sempre” disse Edward rispondendo
ad un pensiero di Jacob.
“E’ piuttosto scorretto leggermi i pensieri e io non
poterlo farle con i tuoi” gli disse di rimando Jacob in tono di sfida.
“Sei tu che ti stai comportando in modo disonesto con
entrambe” disse Edward calmo come sempre.
“Dimmi la verità” grignò a denti stretti Jacob “Non
aspetti altro che scelga Abigail, così mi leverò di torno da Bella, non è
vero?”
“Non sai quanto vorrei che fosse così” ammise Edward
sincero.
“E questo magari sarebbe un tuo tentativo di
convincermi a farlo?” Il tono della voce era di un’ottava più alto.
“Non voglio convincerti di nulla, Jacob. Anche se lo
facessi, so che non mi sarebbe possibile.” Edward invece continuava a rimanere
distaccato.
“Allora perché diamine ne stai parlando?” continuò
Jacob.
“Perché mi dà terribilmente fastidio il tuo comportamento
ipocrita nei confronti di Bella.” Questa volta non poté trattenere la stizza.
“Non è affatto così, e tu lo sai bene” sussurrò
furioso Jacob.
“Forse sei troppo confuso per rendertene conto” disse
Edward, riacquistando il suo tono pacato.
“Per fortuna che non volevi convincermi di nulla”
sbottò Jacob di rimando.
“Se ti comporti in questo modo solo per fare un torto
a me, allora sei davvero un ingenuo, Jacob”
“Assolutamente no, ma è una conseguenza che mi piace”
disse quasi soddisfatto “Come potrebbe essere quella che Bella possa cambiare
idea.”
“Ma è davvero quello che vuoi?” Edward riusciva benissimo
a rimanere impassibile e a nascondere le proprie emozioni, a differenza di
Jacob.
“Hai trovato il mio punto debole e non fai altro che
attaccarmi lì, vero?” rispose con accidia, ma nascondeva male l’amarezza.
“Posso però fare anch’io lo stesso, sai?”
Passarono appena un paio di secondi.
“Geloso?” chiese Jacob compiaciuto e
contemporaneamente arrabbiato.
“A fatica riesco a controllare la voce” sussurrò a fatica
Edward, in tutta sincerità. “E quando è lontana, è ancora peggio.”
“Adesso allora siamo pari” concluse Jacob.
Questa volta il silenzio fu più lungo. L’atmosfera
cambiò rapidamente.
“Pensi sempre a lei? Quando lei è lontana riesci a
concentrarti?” domandò Jacob, senza alcuna cattiveria.
“Sì. La mia mente è diversa dalla tua; riesce a
pensare a più cose contemporaneamente. Quindi posso pensare a lei e
contemporaneamente a quello che lei sta pensando” rispose composto Edward.
“E direi che ti pensa spesso. Più di quanto credo”
continuò con amarezza “E tu di questo te ne sai approfittare benissimo.”
“Posso approfittare di ben poco, con la certezza che è
innamorata di te” rispose Jacob in un tono simile a quello di Edward.
“Perché allora non scegli Abigail? E’ più semplice”
tornò sull’argomento Edward.
“Nient’affatto. So che Bella è innamorata di te, ma è
anche innamorata di me. Sono sicuro invece che Abigail non mi ricambia” rispose
amareggiato Jacob. “E poi è da idioti parlare di entrambe in questi termini.”
Trattenne per un attimo il respiro.
“Inoltre, anche se Bella è innamorata di me, lei non
lo sa” mormorò stranamente neutro.
“Non esserne convinto.”
“Ti piacerebbe leggere nei suoi pensieri, vero?”
chiese Jacob sconsiderato.
“No. Per lei è meglio così. E preferisco impazzire,
piuttosto che renderla infelice” rispose Edward senza indugiare.
“Mi sembra che però Abigail abbia la capacità di
comportarsi come se lo sapesse fare” osservò Jacob. Edward schioccò la lingua.
“A quanto pare” disse con un’invidia trattenuta. “Lei
crede che sia perché riesce ad essere umana e contemporaneamente vampira, e in
questo devo darle ragione. Il suo è un caso più unico che raro.”
“Il soprannome ‘mezza-vampira’ è perfetto, devo dire”
continuò Edward, con tono leggermente divertito. Jacob non rispose
all’apprezzamento, facendo cadere di nuovo la conversazione nel silenzio.
“Leggi i suoi pensieri?” sussurrò Jacob, più a se
stesso che al suo interlocutore.
“Certo. È devo ammettere che sono davvero assurdi”
gli rispose Edward con accennata ironia.
“Come lei, d’altronde” osservò Jacob “Sai anche cosa
pensa di me, allora.”
“Certo.” La risposta di Edward fu più dura del
normale.
“Non mi sono mai permesso di dirle i tuoi” disse
nello stesso tono dopo alcuni secondi.
“Era solo un pensiero” sbottò Jacob infastidito.
Cadde di nuovo il silenzio.
“Ti sembrerà strano, Jacob, ma sono felice che tu sia
qui” riprese Edward sincero. Jacob sogghignò.
“Intendi ‘non sai quanto vorrei ucciderti, ma finché
la stai a scaldare, sono contento?’” chiese sarcastico.
“Questa convivenza forzata si sta rivelando difficile
a tutti e due, non è vero?” rispose Edward alla stessa maniera.
“Lo sapevo, siamo tutti e due pazzi di gelosia”
concluse Jacob.
“Almeno io sono molto più discreto” tenne a precisare
Edward.
“Tu sei più paziente” lo corresse Jacob.
“Ho imparato ad esserlo dopo un secolo in sua
attesa.”
“E quando hai deciso di essere così paziente?” gli
chiese Jacob con una vena di sarcasmo.
“Quando ho capito che soffriva davanti a una scelta” gli
rispose Edward, questa volta serio. “Come te, a quanto pare” continuò
allusivo.
“Inizi di nuovo?” rispose Jacob scontroso. “Secondo me hai
solo paura che costringendola a scegliere, non avrebbe scelto te” disse
passando dalla difensiva all’attacco. Edward aspettò qualche secondo prima di
parlare.
“In minima parte è così” rispose Edward, ignorando la
scortesia di Jacob e facendo l’onesto fino in fondo.
“Ma ognuno ha i suoi dubbi. Il dubbio più grande che ho
avuto è stato quello che avrebbe potuto farsi male per venire a La Push di
nascosto. Sapevo poi che Abigail l’avrebbe sicuramente aiutata, e le mie paure
si erano raddoppiate. Ho smessa di esasperarla quando ho acconsentito che
andasse solo in compagnia di Abigail.”
“Adesso sei tu quello che si comporta in maniera scorretta
con lei.” gli rinfacciò Jacob.
“Me ne rendo perfettamente conto, e me ne dispiace. Mi ci
è voluto un po’ per capire che Bella sarebbe stata al sicuro anche senza
Abigail” rispose affranto. “Ha fatto davvero di tutto per convincermi a
mandarla a La Push.”
“Davvero?” chiese Jacob, trattenendo la sorpresa.
“Abigail ha da sempre sostenuto la vostra amicizia e c’è
stato un periodo in cui non mi poteva proprio sopportare. Confesso che ancora
adesso cova qualche antipatia nei miei confronti” disse sereno “È da lei che ho
capito quanto bene voi avete fatto a Bella.”
“Questo non lo sapevo” mormorò sommessamente, per poi
riprendere il suo naturale atteggiamento sfrontato. “Tu invece sembri sapere
tutto.”
“Ci sono tante cose che non so, invece” rispose lui a
malincuore.
“Sei però sicuro che Bella non cambierà idea” continuò
sfacciato.
“Non so nemmeno questo.”
“Se fosse così, cercheresti di uccidermi?” Ora Jacob era
diventato un po’ più serio.
“No.”
“Perché no?” rispose lui, nascondendo la curiosità.
“Perché la ferirei se non rispettassi la sua decisione”
spiegò breve e chiaro, come se fosse qualcosa di più che evidente. “Chi deve
subire la conseguenza della scelta della persona che ama, non può fare altro
che rispettare la sua decisione” terminò ponendo particolare enfasi su
quest’ultima frase.
“Hai ragione. Però…”
“Però è un’idea affascinante” concluse Edward per lui. A
Jacob gli fu spontanea una piccola risata di assenso.
Scese di nuovo il silenzio, questa volta molto più
lungo.
“Com’è stato quando l’hai persa?” riprese il discorso
Jacob.
“Indescrivibile” rispose Edward assolutamente
impassibile. Jacob aspettò che continuasse.
“Ci ho pensato in due circostanze” spiegò sommesso.“La
prima, quando l’ho lasciata, è stato… insopportabile. Credevo che potesse
vivere anche senza di me. Riuscii a rimanerle lontano per più di sei mesi; in
cuor mio, sapevo benissimo che non ce l’avrei fatta, prima o poi sarei tornato
anche solo per vedere come stava. E se l’avessi trovata felice…”
“Ero un illuso. Non era affatto felice. Oltre al fatto che
la sua incolumità è in pericolo, quello che più di tutto mi ha convinto a
rimanere qua con lei è stato il ricordo di ciò che ha sofferto in mia assenza;
ancora le capita oggi quando non ci sono. Si sente malissimo a parlarne, e ha
ragione. Non riuscirò mai a farmi perdonare, ma non smetterò mai di provarci.”Jacob
non rispose subito.
“Era vero allora quando Abigail diceva che saresti
tornato” osservò in un sussurro.
“Abigail ha fatto male a darle così tante speranze” disse
in tono piuttosto severo.
“Ma sono state quelle che le hanno fatto più bene”
contestò Jacob.
“Già” dovette ammettere Edward.
“E la seconda… è stato quando pensavi fosse morta?”
sussurrò Jacob con voce roca.
“Sì” mormorò Edward. “Quando… ‘succederà’ probabilmente
proverai la stessa sensazione, no? Per l’idea che hai, Bella non sarà più
quella che conosci” continuò in tono più sollevato.
“Però te ne sei andato perché non volevi trasformarla in
una succhiasangue. Tu vuoi che resti umana” fece notare Jacob con decisione.
Prima di parlare Edward esitò per un istante.
“Quando ho capito di amare Bella, ho concluso che ci
sarebbero stato quattro possibilità. La prima, la migliore per Bella, era
quella di ignorare i miei sentimenti e andare avanti. Me ne sarei fatto una
ragione. Ma non ci sono riuscito. Tu pensi che io sia fatto di pietra dura,
fredda ed insensibile. Tuttavia, quando noi subiamo un profondo cambiamento,
come è successo quando ho incontrato Bella, viene sconvolta tutta la nostra
natura.
La seconda alternativa, quella che ho seguito dall’inizio,
era restarle accanto per tutta la sua vita umana. Mi sembrava la scelta più
semplice, anche se quella più infelice; quando sarebbe morta, l’avrei seguita
anch’io. Sessanta, settant’anni non è per noi un arco di tempo lungo. Tuttavia
vivere a stretto contatto con il mio mondo la esponeva a rischi continui, che
non riuscivo ad evitarle. Era troppo pericoloso per lei. Non sarebbe durata
sessant’anni. Così scelsi la terza opzione, andarmene via, in modo da
costringerla a dimenticarmi. Il risultato è stato che entrambi abbiamo
rischiato di morire. Sono stato costretto a scegliere la quarta alternativa,
quella che lei pensa di desiderare. Ho cercato in ogni modo di farla ricredere,
darle tempo per ripensarci, ma Bella è troppo cocciuta. Questo lo sai bene
anche tu. Cercherò di temporeggiare ancora per qualche mese, ma lei ha fretta;
è terrorizzata dallo scorrere del tempo…”
“L’opzione uno mi piace” commentò sincero. “Ammetto che… a
modo tuo la ami. Non credo però che dovresti lasciar stare la prima scelta.
Secondo me ci saranno buone possibilità che si riprenda, con un po’ di tempo.
Se a marzo non si fosse gettata da uno scoglio e… avessi aspettato altri sei
mesi…”
“E non ti fossi reso conto che sei innamorato anche di
Abigail” lo interruppe velocemente Edward.
“Soprattutto questo” mormorò Jacob pensieroso. “Forse,
bhé, l’avresti trovata ragionevolmente felice. Avevo una tattica…”
“Forse ci saresti riuscito. Era un bel piano” commentò in
un sogghigno.
“Già.”
“Jacob. Io sono convinto che tu saresti meglio di
qualsiasi altro. Sei forte abbastanza da riuscire a proteggerla da se stessa e
da tutto il mondo. Lo hai già dimostrato e per questo te ne sarò debitore per
sempre. Tuttavia non sono così idiota da commettere di nuovo quell’errore. Non
la costringerò a scegliere la prima alternativa. Ci sarò finché mi vorrà.”
“E se dovesse preferire me?” chiese superbo “Anche se ce
ne vorrà” continuò moderando i termini.
“La lascerei andare” si limitò Edward “Non le mostrerei
quanto mi fa soffrire, ma resterei in allerta.”
“E basta?”
“Sì, ammettendo che sia quello che vuoi anche tu” continuò
Edward, acerbo. Jacob rispose con un muto silenzio.
“Jacob” continuò Edward, senza più traccia di disagio
“Cosa intendi fare se Bella scegliesse te e tu Abigail?” Il silenzio sembrò
farsi più pesante.
“Per questo stai cercando ti stai auto-convincendo che
Abigail sia meno importante di Bella?” riprese “Ma come hai detto tu stesso
sono tutt’e due sullo stesso piano.”
“Questi non sono affari tuoi” si decise a rispondere
Jacob, rude e nervoso per le intrusioni mentali di Edward.
“Va bene, Jacob, fai come voi” esclamò Edward, stufo. “Non
importa chi sceglierai tu, non importa chi sceglierà Bella, ma se le farai del
male, io ti uccido. Mi sembra di averti già avvisato.”
“Sì, non me lo sono dimenticato” gli rispose sprezzante.
Ricadde di nuovo il silenzio, in modo molto più brusco.
“Anche se mi sembra difficile che scelga te, con
l’influenza che Abigail ha su di lei.” Edward aveva riacquistato la sua
compostezza, anzi, sfoderava perfino un mezzo tono compiaciuto. “Non ha mai
dubitato che Bella potesse amare qualcun altro se non me.” Jacob sbuffò
sonoramente.
“Perché? Perché si deve comportare così? Perché crede che
Bella possa amare solo te?” esclamò di punto in bianco.
“Perché sa essere umana e vampira allo stesso tempo”
rispose distratto Edward.
“Vuole che Bella si trasformi in una succhiasangue, ma
perché lei non lo vuole?” si fermò un attimo per acquistare un tono di totale
serietà. “Perché non lo vuole, vero?”
“No” rispose Edward, questa volta impassibile.
“Il suo è tutto un contro senso. Più ci penso, più mi
sembra incomprensibile” osservò sconfortato. “Tu ne sai qualcosa?”
“Sì” rispose Edward dopo un momento di silenzio.
“E’ ovviamente non me lo dirai” replicò Jacob, che aveva
capito come stava le cose.
“Mi ha esplicitamente chiesto di non dirlo a nessuno.”
“Vorrei tanto conoscerne il perché” sbottò Jacob.
“Jacob” iniziò Edward, prima di fermarsi di nuovo. “Lei…
ha un’idea molto particolare della vita.”
“Cosa vorrebbe dire?” chiese confuso.
“Dico che faresti meglio a lasciar stare” gli consigliò
Edward terribilmente imperturbabile.
“Che cavolo di risposta…” grugnì insoddisfatto Jacob,
ponendo fine di nuovo alla conversazione. Poi riprese.
“Devo ammettere che sei stato più sincero di quanto
pensassi, Edward. Ti ringrazio per avermi fatto entrare nella tua testa”
mormorò Jacob in mezzo ad uno sbadiglio.
“Come ti ho già detto, ti sono grato di far parte della
vita di Bella, stanotte. E sicuramente Sophie ti ringrazierebbe moltissimo per
Abigail” rispose garbatamente Edward.
“Chi?” chiese con voce più acuta del normale.
“La madre di Abigail” rispose Edward monocorde.
“Ah…” si limitò a dire Jacob. Gli ci volle un po’ prima di
porre la domanda a Edward.
“Ma… per Abigail è davvero una… madre?”
“Non hai idea di quello che c’è tra Abigail e sua madre”
rispose in tono di venerazione, condito da un’inappagabile, quanto ben nascosta
invidia. “E’ un qualcosa che va oltre all’amore che io provo per Bella. E’
difficile da spiegare, non è come il semplice amore tra madre e figlia. Abigail
sicuramente non lo saprà spiegare e forse neppure se ne accorge, perché lo
prova da sempre. Quello che prova sua madre per lei però… è indescrivibile.
Sente le sue emozioni, reagisce in modo immeditato se si trova in pericolo.
Ammetto che non so cosa darei per provare quelle stesse reazioni. Hai visto
quando Victoria l’ha attaccata, cosa ha fatto.”
“Sì, ho presente” rispose Jacob, che a fatica comprendeva
le parole di Edward. “Abigail allora si trova davvero bene con loro?”
“Non desidererebbe altro.”
“Mmh…” fece Jacob soddisfatto.
“Sai Jacob, se non fossimo nemici giurati e non
cercheresti di rubarmi la mia ragione di vita, penso che mi saresti simpatico”
confessò Edward in tutta sincerità.
“Forse, se non fossi un vampiro che in programma di
uccidere una delle persone che amo… no, nemmeno in quel caso” rispose invece
Jacob con sarcasmo.
“La nostra tregua quando finisce?” Le parole di Jacob
dette così repentinamente a confronto con quelle precedenti furono divertenti.
“Alla prime luci o dopo la battaglia?” Ci fu un breve attimo di silenzio.
“Alle prime luci” dissero all’unisono. Entrambi
sghignazzarono per la coincidenza.
“Buonanotte, Jacob. Goditi il momento, sarà l’unico”
concluse finalmente quella lunga conversazione Jacob.
“Potresti allora concederci un po’ di privacy, noi tre
soli” rispose Jacob sarcastico.
“Vuoi una mano per addormentarti, Jacob?” chiese Edward
stando al gioco.
“Se vuoi tentare. Sarebbe divertente chi è che scappa per
primo.”
“Non giocare troppo con il fuoco, lupo. La mia pazienza
non è infinita.”
“Tra i due quello che ha più a che fare con il fuoco credo
di essere io, se permetti.”
Le voci continuarono ancora, ma da quel momento si fecero
più confuse, tali da diventare incomprensibili, sempre più flebili e leggere,
fino a quando non le sentii più.
Ta-dan! Eccovi finalmente l’agoniata scena della tenda che
tutti stavano aspettando! Spero tanto che, anche senza troppo romanticismo,
abbia soddisfatto le vostre aspettative. E ancora più importante è stato il
dialogo finale; finalmente sono arrivate le spiegazioni! Tutti ovviamente chi
prima o chi poi avete intuito che Jacob si trova davanti a una scelta e questo
fa dei miei tentavi di fare la misteriosa nelle risposte delle vostre
recensioni dei buchi nell’acqua XD.
Mi rendo conto che il dialogo tra Jacob e Edward non è
stato granché comprensibile; questo perché non ha tanto la funzione di
chiarificare qualcosa, ma di rivelare, in questo caso che Jacob è innamorato
sia di Bella che di Abigail. Ciò che è rimasto in dubbio verrà chiarito nei
seguenti capitoli :).
Inoltre, ci tengo a sottolineare una frase che dice
Abigail: ‘Inoltre, come tutti i sogni che facevo, quando mi svegliai il giorno
dopo, non me lo ricordai affatto.’ Questo per dirvi che Abigail non saprà
niente della conversazione tra i due; il mio obiettivo era quello di usare uno
stratagemma per comunicare ai lettori, e solo ai lettori, i pensieri di Jacob e
Edward, senza passare per Abigail, cosa che è impossibile, avendo lei come
narratore.
In conclusione, mi dispiace che la maggior parte del
dialogo sia stato incentrato su di Bella, e non su di Abigail, ma converrete
anche voi che Jacob e Edward hanno più in comune con Bella, che non con
Abigail.
Sono curiosissima di sapere cosa pensate! :)
Per concludere, sono costretta a darvi due notizie, una
pessima e una di magra consolazione.
La pessima è che non potrò più scrivere, per mancanza di
tempo e di troppi impegni. Con questo non dico che non scriverò più, ma che
almeno fino a luglio del prossimo anno, non scriverò più una riga. La notizia
di magra consolazione è che questo non vuol dire che non pubblicherò più; sono
riuscita a completare Eclipse e questo vuol dire che oltre a questo ho altri
due capitoli pronti per essere revisionati e pubblicati. Quindi resterò con voi
ancora per un po’, seppure anche per correggere un capitolo ci metto un
po’.
So che tutti coloro che mi seguono vorrebbero vedere
questa fan fiction finita, ma a questo punto dovrà passare davvero molto, molto
tempo. Mi dispiace tantissimo di aver illuso le vostre aspettative, soprattutto
di coloro che in qualche modo mi hanno espresso il loro sostegno, chi salvando
questa ff tra le preferite, seguite o ricordate, chi, soprattutto, me lo ha
detto a chiare lettere nei commenti e chi semplicemente leggendo queste pagine,
ma non posso fare altrimenti.
Tuttavia, questo non è affatto tempo né di addii, né di
arrivederci! Quindi ancora per adesso vi dico ‘Alla prossima’!
X mylifeabeautifullie: No, no, cara, cancella pure il forse!
XD Per quanto riguarda l’Imprinting, dai tempo al tempo, e danne soprattutto
molto a me, che nei prossimi capitoli qualcosa al riguardo (ma non come si
intende <- me misteriosa XD) si dirà, si dirà.
Spero tantissimo che anche questo capitolo sia stato
sufficiente per appagare la tua ansia! Grazie ancora tantissimo del commento!
Alla prossima!
X Franny97: E vicino al premio Nobel per la pace, ecco il
premio Nobel per le fan fiction! Altro che Bono degli U2! XD Ed iniziamo subito
a rispondere alle domande che incontro durante il ‘cammin’ di questo commento
‘di nostra vita’; per quanto riguarda il comportamento di Jacob, non ti
preoccupare, non è strano solo quando è in forma lupesca (a parte che Abigail
non è proprio brava a capirlo quando è trasformato, proprio come hai detto tu),
ma è strano anche da umano! E adesso hai anche capito il perché ;).
Il pezzo dei licantropi l’ho messo proprio per metterli in
risalto; tanto ero presa a seguire il filo del libro che me li sono
dimenticati, quindi ho cercato di salvarmi in extremis. Poi, c’è una tua frase
che è davvero curiosa (non parlo di imprinting, magari fosse così), perché il
discorso, ti preavviso, verrà toccato ‘in una certa maniera’ tra due capitoli e
secondo me, sarà una cosa davvero molto carina. Ma non preannuncio altro e ti
lascio interpretare come vuoi tu! XD
Per quanto riguarda il profumo d’amore, complimenti, hai
un buon naso XD. Però ti chiarifico una cosa; Abigail è super-consapevole di
essere innamorata di Jake, attenzione! Era Jacob che fino ad adesso non si
capiva bene cosa cavolo faceva!
Insomma, spero che la scena della tenda ti sia piaciuta!
Anche se il romanticismo purtroppo non c’è stato (insomma, non mi ci vedo
Abigail fare qualcosa di romantico con Jacob insieme a Bella ed Edward)
Ma il meglio per quanto romanticismo deve ancora venire,
sta tranquilla!
“l’attesa rende il momento ancora più eclatante” Forse è
meglio se moderi le parole, perché la pubblicazione dei miei prossimi capitoli
sarà allora un evento paragonabile unicamente all’arrivo di una apocalisse! XD
Per quanto riguarda alle domande che hai azzeccato, ti
rispondo, sempre molto chiaramente, che per alcune hai avuto ragione, per altre
no (chiarissimo!). Per quanto riguarderà Renesmee, neanche a me piace molto,
quindi ti preannuncio già che prenderò dei seri provvedimenti nei suoi
confronti.
Scusa un momento, ma io sono vecchia e non riesco più a
distinguere tra te te, e te Abi: cosa intendi dire con ‘storia precedente’???
Questa me la devi proprio spiegare, perché non l’ho capita XD.
In conclusione, grazie mille per i tuoi sempre lunghissimi
commentini! Mi rende felicissima avere una fan come te che usa tanto tempo per
commenti così ricchi! XD Un mega bacio!
PS: ‘Annuncio di servizio. Le soluzioni dei rebus che vi
offriamo le potrete trovare durante il corso di questa storia. Grazie per
l’attenzione ed arrivederci.” XD
X __cory__: Evvai! Mi hai fatto notare qualcosa! Si
ritorna all’attività che adoro di più! Con questa recensione lunga, lunga ti
perdono per la dimenticanza dell’altra volta XD.
Quindi, preannunciando i molto apprezzati complimenti, ti
rispondo seriamente; non c’è solo Leah che ce l’ha con Abigail perché i suoi
genitori sono vampiri, non è un problema che riguarda solo lei (continua ad
esserci anche Paul) e questa è un’antipatia collegata al vecchio pregiudizio
dei licantropi nei confronti dei vampiri, quindi, non è neanche colpa di Leah
se lei ce l’ha con Abi. Per questo, secondo me, Leah non concepisce la
considerazione che proprio Abigail possa diventare sua amica.
Interrompo il momento serietà per rispondere ad una tua
frase (Penso che se quei due stessero realmente insieme succederebbe la fine
del mondo) con una grande risata all’idea. Intanto speriamo che il prode
Edoardo che difende la sua bella Bella pensi un po’ anche ad Abi XD.
Per quanto riguarda il comportamento di Sophie, la
spiegazione relativa alla storia è che lei si rende conto che un vampiro in
meno che combatte è un rischio per l’incolumità degli altri, e
contemporaneamente è sicura che la presenza di Seth e di Edward sia più che
sufficiente per difendere temporaneamente Abigail fino al suo arrivo. Di
conseguenza mi sembrava troppo strano che se Edward restava con Bella, allora
Sophie non stava con Abigail, quindi ho trovato questa scusa. La vera
spiegazione però era che Sophie in mezzo a Edward, Jacob, Bella ed Abigail
nella tenda non c’entrava un cavolo! XDE dopo aver dimostrato che Jacob sarà
pure idiota, ma non scemo, ti do un bacione anch’io! Smack!
Ps: grazie tante! Mi ci vuole tanta!
X nes_sie: Già, anch’io ho pensato che Edward “pettegola”
fosse un’idea divertente e mi sono messa a ridere da sola quando l’ho letto da
Eclipse! Non me lo ricordavo proprio! Per quanto riguarda Leah, lei ce l'ha con
Abigail per il solito e vecchio pregiudizio che i licantropi hanno nei
confronti dei vampiri (per esempio, all’inizio a molti del branco non stava
simpatica Abigail perché i suoi genitori erano vampiri e anche adesso Paul non l’accetta).
Per quanto riguarda il comportamento di Sophie, già precedentemente me l’hanno
domandato e ti rispondo quindi nello stesso modo: la spiegazione relativa alla
storia è che lei si rende conto che un vampiro in meno che combatte è un
rischio per l’incolumità degli altri, e contemporaneamente è sicura che la
presenza di Seth e di Edward sia più che sufficiente per difendere
temporaneamente Abigail fino al suo arrivo. Di conseguenza mi sembrava troppo
strano che se Edward restava con Bella, allora Sophie non stava con Abigail,
quindi ho trovato questa scusa. La vera spiegazione però era che Sophie in
mezzo a Edward, Jacob, Bella ed Abigail nella tenda non c’entrava un cavolo! XD
Insomma, alla fine è andata così; Jacob è innamorato di
tutte e due. Qualcosa di più chiaro alla fine è saltato fuori, no? Ma per
quanto riguarda le ‘svolte interessanti’, c’è da aspettare il prossimo capitolo
e quello dopo ancora! ;)
Un grazie ancora immenso per il commento! Un bacio
ricambiato anche a te!
X Veronika97: Mi dispiace, l’ordine non è stato eseguito!
Ci ho messo un’eternità a pubblicare! Forse dovresti ordinarmi l’opposto, così
davvero pubblico più veloce ;)
X eleonora96: Ah! Adesso ho capito! Mah, diciamo che
quello che pensa e che prova Abigail per l’amore di Jacob verso Bella è un po’
tutto un casino, perché è gelosissima di Bella, ma al tempo stesso supporta con
fervore l’amicizia tra i due, perché sa quanto fa bene ad entrambi. È un po’
contrastante la cosa, ma ritornando alla gelosia di Abigail, invidio anch’io la
sua sopportazione!
Sono contenta che l’ultimo dialogo tra i tre ti sia
piaciuto! Mi sono immaginata Emmett vestito da pastore ed è stato uno
spettacolo! XD spero quindi che abbia apprezzato anche quest’ultimo di dialogo
(ih ih ih )
Un grande bacione anche a te!
X Kianna: Sì! Scusa! Colpa mia che tendo tranelli alle
persone! XD Lupo rossiccio, dici? Lupo rossiccio, Lupo rossiccio… no, non mi
suona familiare. (XD). Spero quindi che la scena della tenda ti abbia
adeguatamente soddisfatta (poco romanticismo, lo so, ma quello arriva dopo)! E
ti ringrazio ancora per il complimenti suoi miei dialoghi strampalati, sperando
di non aver rovinato un’opera romanzesca vampiresca!
Un grande bacio anche a te! Alla prossima.
X GiuliaMary: Se non è stato decisivo il precedente, lo
sarà stato sicuramente questo! Come hai potuto vedere, Jacob ha avuto un gran
bel da fare non solo a pensare al suo dramma interiore, ma anche ad avere il
difficoltoso e doloroso compito di riscaldare le due damigelle che ama. Che
compito arduo e difficile, da non consigliare a nessuno (XD). Ancora grazissime
per il commento e spero quindi che anche questo capitolo ti sia piaciuto :) Un
grosso bacio!
Il risveglio della mattina dopo
fu decisamente la parte peggiore. Colpì qualcosa di duro e freddo e presi un
colpo in testa che sulle prime sembrava abbastanza forte. Ancora ad occhi
socchiusi, dovetti aspettare qualche secondo per capire dove fossi e
soprattutto se stavo ancora sognando o no. Mi fu quasi subito chiaro che mi
trovavo distesa sul fondo ghiacciato della tenda. Poi mi ricordai anche della
sera precedente, di Jacob e del suo calduccio. Cominciai a tremare senza
controllo a contatto con il suolo.
“Abigail, tutto bene?” Riconobbi
la voce di Bella. Mi misi supina per osservare la situazione, ancora mezza
addormentata. Vidi Jacob vicino a me, mezzo inginocchiato, Edward qualche metro
più distante, accucciato e Bella in mezzo ai due. A condire il tutto c’era una
grandissima sinfonia di ringhi da parte di Jacob, Edward e Seth, fuori dalla
tenda. Che strano, avevano iniziato a litigare di nuovo. Se il buongiorno si
vedeva dal mattino...
“Buongiorno, ragazzi” esclamai
con forza, per placare i ringhi generali, mettendomi a sedere con un sonoro
sbadiglio.
“Saresti potuto essere più
delicato” mormorò acido Jacob.
“E tu avresti potuto evitare di colpirla in pieno” rispose
Edward con lo stesso tono, cingendo i fianchi di Bella e tirandola a sé. Io
sbuffai, premendo le tempie con le dita.
“Smettetela, ora!” ordinò Bella. Jacob si calmò solo un
poco, ma continuava a fissare Edward furioso, mentre Seth dava una
dimostrazione della potenza dei suoi polmoni con un ringhio lungo e prolungato.
“Abi, tutto ok?” mi chiese di nuovo Bella. Io la guardai
di sottecchi, di malumore per il brusco risveglio.
“Non ho la benché minima idea di quello che è successo, e
nemmeno lo voglio sapere” le risposi io.
“C’è che per poco non saresti stata schiacciata per colpa
del succhiasangue” continuò Jacob in un ringhio.
“Non dare colpe a me. Sei tu quello che avrebbe potuto
schiacciare entrambe” rispose di rimando Edward.
“Edward, Jacob ha ragione” gli disse Bella con rimprovero
“Dovresti almeno chiedere scusa.”
“Stava per farvi male seriamente” replicò serio e furioso
Edward.
“Perché l’hai buttato a terra! Non l’ha fatto apposta e
non ci ha fatto male!” continuò Bella. Avevo ancora le idee un po’ confuse, ma
ero piuttosto sicura sul cosa avesse causato tutta quella tensione. Sbadigliai
ancora una volta, del tutto disinteressata di quello che era appena accaduto.
“Scusa, cane” disse Edward, in una smorfia.
“Nessun problema” rispose Jacob, con sarcasmo appena
percettibile. Scossi la testa esasperata; neanche i bambini dell’asilo si
comportavano così. E che diamine! Se quei due dovevano trattarsi in quel modo,
a questo punto sarebbe stato decisamente meglio se fin da subito Jacob se ne
fosse tornato indietro. Non so se questo valeva anche per Bella, ma i loro
litigi inutili mi stavano rendendo la situazione più difficile da sopportare.
“Se non vi dispiace sfrutterei ancora il sacco a pelo”
annunciò Jacob, infilandosi nella sacca “Non ero ancora pronto per svegliarmi.
Non è stata una bella dormita.”
“L’idea è stata tua” rispose Edward indifferente “E poi
credevo che sarebbe stata la tua notte migliore” finì con una punta di accidia,
riferendosi a Bella. Cominciai a picchiettare con le dita della mano il
ginocchio, in attesa che finissero.
“Non ho detto questo. Mi dispiace solo di non aver dormito
abbastanza. Temevo che Bella continuasse all’infinito” disse soddisfatto. Quasi
non lo ascoltai troppo concentrata che ero nel trattenere i miei nervi fin dal
primo mattino.
“Sono lieto che ti sia divertito” mugugnò Edward.
“Va bene, ora basta” dissi al limite, mettendomi a
carponi. “Mi sono stufata delle vostre litigate da bambini di cinque anni.
Quindi o continuate fuori, o me ne vado io.” Scelsi direttamente io l’opzione;
superai tutti ed uscii dalla tenda prima ancora di lasciar parlare uno dei tre
.
“Abigail!” mi urlò Jacob, cercando di attirare la mia
attenzione. Io non lo ascoltai.
Fuori dalla tenda, tutto il paesaggio era coperto da un
sottile strato di neve. Uno spettacolo che mi convinceva di essere in gennaio,
più che a giugno, se non fosse stato per gli uccellini che si sentivano dalle
montagne. Felice mi accorsi che la temperatura si era alzata e che mi sentivo
abbastanza al caldo anche così. Mi massaggiai le mani, per riscaldarle, prima
di fare qualche passo attorno all’accampamento.
Mi sentivo ancora particolarmente addormentata, ancora nel
mondo dei sogni. Mi ricordai allora dello stranissimo sogno che avevo fatto. Per
un attimo fui davvero sul punto di credere che fosse stata la realtà, ma le
risate di Edward e Jacob erano state sufficienti a convincermi del tutto che
non poteva essere nient’altro che un sogno.
Un latrato attirò la mia attenzione. Mi girai preoccupata,
prima di incontrare gli occhi di un enorme lupo color sabbia. Accovacciato su
un giaciglio di aghi di pino, stava ansimando con la bocca aperta, da cui
uscivano piccole nuvole di vapore. Tentai di interpretare in qualche modo, e
alla fine conclusi che si trattava probabilmente di un saluto.
“Ciao, Seth” ricambai io. Lui continuò ad ansimare. E
adesso? Cosa voleva dirmi? Niente da fare, non riuscivo a capirli quando erano
in forma umana, figuriamoci da lupi.
All’istante sentii dei feroci crampi avvinghiarmi lo
stomaco e mi ricordai che non avevo ancora fatto colazione.
Pronta a rimediare al buco che avevo, tornai in tenda,
disposta a sopportare di nuovo quei due, pur di raccattare del cibo.
Avevo mosso solo pochi passi che la cerniera della tenda
si aprì e ne uscì Jacob.
“Finalmente uno di voi ha deciso di dimostrare un po’ di
maturità” esclamai, mentre cercavo di scaldare la mani infreddolite mettendole
sotto le ascelle. Vedendomi il viso si illuminò e mi lanciò uno di quei
splendidi sorrisi familiari, tanto frequenti quando eravamo ancora amici
'normali'.
“Ehi! Non è colpa mia se…” si giustificò alzando le
braccia, raggiungendomi in due passi. Io scossi la testa esasperata.
“Va bene, come non detto” tagliai corto io, sventolando
una mano a mezz'aria.
“Scusami se ti ho quasi schiacciata, prima” mi disse con
un po’ più di serietà.
“Figurati, non me ne sono quasi accorta, dormivo.”
“Allora scusa per il risveglio.”
“Così va già meglio” dissi un po’ più soddisfatta “Sei
venuto a prendere una boccata d’aria dalla 'puzza'?” scherzai io.
“No. Bhè, non solo” specificò lui ironico. “La battaglia
inizierà tra un’ora; è meglio se vado a parlare con Sam.” In un attimo il
sorriso che avevo scomparve. Tra un’ora? Pensavo che ci sarebbe stato più
tempo.
Davanti alla prospettiva della battaglia, persi di nuovo
la convinzione che tutto si sarebbe risolto per il meglio e cominciarono ad
assalirmi mille dubbi ed ipotesi. E per la prima volta mi resi davvero conto
che anche Jacob, esattamente come i miei genitori, aveva quell’un per cento di
possibilità di non farcela. Al quel punto divenni totalmente succube della mia
insicurezza.
“Così presto?” mormorai io, incredula.
“Prima è, meglio è, no?” rispose lui con un sorriso
divertito.
“Già, già” mugugnii, incapace di mostrarmi sicura. Lui
fece un respiro profondo, alzando gli occhi al cielo.
“Abi, ti prego, non essere anche tu paranoica come Bella!”
esclamò esasperato. Il leggero tono da presa in giro nascosto dietro
quell’esclamazione fu sufficiente a ridestare il mio orgoglio.
“Io sono convinta che andrà tutto bene” affermai il più
convincente possibile. Jacob smise di fare dell’ironia e cominciò a guardarmi
serio; evidentemente non ero stata affatto credibile. Prima di parlare fece
cadere le mie mani sui fianchi e me le prese per scaldarle tra le sue.
“Non mi sembra” osservò serio. Feci un respiro profondo
per camuffare il più possibile la tensione.
“Sono preoccupata un po’ anch’io, Jacob. Credo sia
normale” gli risposi, con tono rassegnato, evitando di guardarlo negli occhi.
“Sei preoccupata anche per me?” chiesi con una strana nota
di curiosità. Alzai finalmente gli occhi verso di lui. I suoi occhi neri per un
attimo mi impedirono di parlare.
“Certo che sono preoccupata anche per te!” esclamai, un
po' anche delusa che non lo ritenesse implicito. “Soprattutto per te, dato la
serietà con cui prendi la cosa” specificai sarcastica.
“E dai, non mi succederà niente!” continuò lui,
tranquillo. "E' ovvio che ci starò attento. Ci tengo alla mia
pellaccia!"
“Ti ripeto che lo so” ripetei con la stessa convinzione.
“Allora ci vediamo dopo la battaglia?” Lo guardai
immobile. Non avevo affatto capito che quello era il nostro ultimo saluto prima
della battaglia. Avevo come la sensazione che poi sarebbe tornato e non avevo
affatto elaborato la cosa.
“Questo sarebbe l’ultimo saluto?” domandai titubante.
“Ultimo? Per fortuna che hai detto di essere sicura
che andrà tutto bene!” mi rispose lui, sarcastico.
“Sì, insomma… hai capito cosa intendevo” tagliai corto.
“Sì, questo sarebbe un saluto” disse mantenendo ancora
quella serenità che io non provavo da molto tempo.
“Me lo vuoi dare come si deve?” chiese aprendo le braccia
ed invitandomi ad un abbraccio.
Ci pensai solo un momento; non volevo salutare anche Jacob
nello stesso modo che avevo salutato i miei genitori. Mandai allora al diavolo
tutti i problemi che io e lui avevamo avuto e lo andai ad abbracciare con tutte
le forze.
In quell’occasione non interpretai il suo forte e caldo
abbraccio come quello della persona di cui ero innamorata, né dell’amico che
era, né della persona che aveva tutt’ora dei problemi con me. In quel momento
sentii unicamente Jacob, così com’era. Riuscì così a restituirmi un poco della
sicurezza che avevo perduto.
Quell’abbraccio durò meno di quanto pensassi e me ne
staccai a malincuore.
“Sei una migliore amica fantastica, Abigail” mormorò
appena. Lo guardai decisamente preoccupata.
“Questo invece sembra più adatto ad un addio” osservai
critica, in vena perfino di fare dell’ironia.
“Allora dimmi tu cosa dovrei dire!” esclamò alzando le
braccia al cielo. Le mie mani scivolarono nelle tasche del giaccone e cominciai
a spostare senza badarci il peso da un piede all’altro.
“Non sono molto brava con i saluti” ammisi io, con gli
occhi fissi sul terreno innevato, forse con eccessivo imbarazzo. Fu appunto
perché guardavo in basso che non mi accorsi dell’enorme mano di Jacob prendermi
la testa e darmi un veloce bacio sui capelli.
“Accontentai allora di questo e non fiatare” mi ordinò
lui. Tornai ad alzare lo sguardo e feci il segno di chiudermi la bocca con una
lampo.
“Allora ci vediamo” disse lui alla fine. Capii dalle sue
parole che era giunto il momento di andarsene. Lo guardai per un lungo attimo.
“Ci vediamo” gli risposi anch’io, adesso senza alcuna
traccia di insicurezza, ma con la certezza che lo avrei rivisto molto presto.
Si voltò, ma non fece nemmeno due passi che si voltò di nuovo.
“Abigail” disse con lo stesso tono curioso di prima. “Non
vorresti neanche un po’ che io resti qui con te?” Pensai alla risposta per un
attimo. Non ero intenzionata a dirgli tutta la verità, non era affatto
l’occasione, quindi optai solo per mezza.
“Sì” risposi alla fine “ma il tuo posto è con i tuoi
compagni. Quindi non mi permetto di chiedertelo.” Rimase per un attimo a
guardarmi, prima che gli angoli della sua bocca si piegassero in un sorriso. Si
voltò di nuovo e si incamminò all’interno della foresta.
“Jacob” lo chiamai io. Lui si voltò ancora una volta
“Niente eroismi” lo avvertii io.
“Dove sta allora il divertimento?” mi rispose con lo
stesso tono di un bambino di fronte al divieto di una mamma.
“Prometti” gli ordinai io.
“Prometto” mi rispose a malincuore, incamminandosi
nuovamente.
“Jacob” ripetei.
“Eh?” mi rispose lui, questa volta leggermente
infastidito.
“Fagli le chiappe nere anche da parte mia” gli dissi con
il mio sorriso sghembo.
“Contaci” mi rispose lui con sguardo d’intesa. Raggiunse
il limite della foresta.
“Jacob”
“Vuoi deciderti a lasciarmi andare?!” sbottò lui in un
misto di fastidio ed esasperazione.
“Anche tu sei un migliore amico fantastico” gli dissi,
salutandolo per l’ultima volta.
Prima di vederlo scomparire davvero nella foresta mi fece
il dono del suo fantastico sorriso, che avrei sempre apprezzato, qualsiasi
valore avrei rivestito per lui.
Feci un respiro profondo. Il saluto con Jacob non era
stato affatto tragico come mi aspettavo, anzi era riuscito persino a
tranquillizzarmi e nella mia mente non riuscii a immaginarmelo se non vivo e
vegeto, totalmente entusiasta e orgoglioso della battaglia appena vinta.
La fame non se n'era andata, anzi, con la tension per
l'insicurezza che se n'era andata ce ne avevo anche di più. Mi diressi quindi
verso la tenda, per trovare qualcosa da sgranocchiare. Prima di irrompere nella
temporanea intimità di Edward e Bella mi sembrò educato avvertire.
“Entra” mi disse Edward, anticipandomi. Come non detto.
Aprii la cerniera e mi infilai di nuovo dentro. Del calore
che aveva lasciato Jacob ormai non c’era più traccia. Vidi Bella accucciata
ancora dentro il suo sacco a pelo, mentre Edward vicino a lei le teneva la
mano.
“Non disturbo?” chiesi, fin troppo sarcastica, mentre a
carponi raggiungevo il mio zaino.
“No” La risposta fin troppo repentina e seria di Edward fu
piuttosto chiaro nel dirmi che quel mio tono lo irritava.
“Stavamo discutendo di questa notte” mi rispose Bella più
educata, dimostrandomi che non si era formato nessun genere di romanticismo
durante quel piccolo momento di privacy.
“Ah, già, stanotte” dissi ricordandomene, mentre ero in
cerca della cioccolata “E’ stata pessima. Tu e Jacob non avete fatto
nient’altro che litigare che vi ho pure sognato!”
“Abbiamo parlato davvero io e Jacob” mi disse Edward. Ah,
capito; sentire le loro voci durante la notte ha fatto sì che facessi quel
sogno assurdo. Ora si spiegava tutto.
Sulle prime però non capii perché mi stava guardando
piuttosto strano, con i suoi occhi dorati più grandi del normale. Credevo fosse
perché gli desse fastidio che mangiassi la cioccolata in sua presenza.
“Sì, ho sentito le vostre voci” disse Bella, interessata
all’argomento “Di cosa avete parlato?” Edward si limitò a fare spallucce.
“Niente di importante” disse indifferente.
“Ah sì, un’altra cosa” dissi a bocca piena, ricordandomene
solo in quel momento e cambiando del tutto argomento.“Davvero parli nel sonno?”
chiesi incredula a Bella. Le si colorarono un poco le guance, prima di annuire
sommessamente.
“Davvero?” chiesi interessata “E cosa dici?”
“Ripete il mio nome” intervenne Edward, mentre guardava
assente il viso di Bella “Ed il tuo.” Spalancai gli occhi dalla sorpresa.
“Parli di me?” domandai ancora. Lei alzò le braccia in
segno di resa.
“Non chiederlo a me. Non so quello che dico” disse
evidentemente imbarazzata da questa sua gaffe.
“Allora a che cosa si riferiva Jacob, poco prima?” Mi
accorsi che quella fu una brutta domanda dal fitto silenzio che scese dopo.
“Al suo nome” rispose di nuovo Edward, ancora con tono
assente. Io mi limitai a mugugnare, improvvisamente impegnata a mangiare la
cioccolata. Dovevo immaginare che sentire il proprio nome accostato a quello di
Jacob doveva essere stata una grande batosta per Edward, seppure Bella fosse
solita a quanto pare a nominare anche gli amici nel sonno.
Un lungo e potente brivido lungo la schiena mi distrasse.
Capii che non era dovuto affatto al freddo; era dalla scorsa notte che dovevo
andare in bagno e adesso stava diventando una situazione insopportabile. Dovevo
fare qualcosa, se no sarei davvero scoppiata. Ripiegai la cioccolata a metà e
la risistemai nello zaino.
“Vado a fare ancora un giro. Torno subito” avvertii
discreta, ma inevitabilmente imbarazzata per i reali motivi che ovviamente
Edward conosceva bene.
Uscii veloce dalla tenda, infastidita dall’idea di dovermi
calare i pantaloni in mezzo alla neve, ma che dovetti per forza accettare. Per
fortuna che la temperatura era salita di qualche grado. Mi guardai intorno, in
cerca di qualche posticino adatto non tanto lontano. Il mio sguardo piombò poi
su Seth, che mi guardava interessato. No, dovevo cercarmi un luogo un po’ più
distante; la presenza di Seth non mi metteva affatto a mio agio. Iniziai quindi
a fare il percorso inverso di quello fatto da Jacob per arrivare
all’appostamento. Era più ripido di quanto immaginassi, ma riuscii a scendere
incolume. Decisi di scendere ancora un poco, fino a quando per mia fortuna la
neve cominciò a scomparire dal terreno, rendendomi decisamente più facile
l’operazione che dovevo eseguire. Dopo dieci minuti di discesa, trovai un
posticino, coperto abbastanza dai cespugli e poco in pendio.
Mi accucciai e mi guardai in giro un paio di volte, come
se quello che stessi per fare fosse un'operazione segreta che nessuno doveva
venire a sapere.
Mi misi in posizione e iniziai. Mi appoggiai ad un albero
lì vicino per evitare di perdere l’equilibrio e fare un ruzzolone, mentre mi
godevo fino all’ultimo quell’indescrivibile sensazione di liberazione, in un
completo stato di pacatezza e tranquillità.
Il sussulto che feci perciò fu grande, quando sentii in
lontananza un ululato, il cui suono venne amplificato dalle pareti di roccia
nuda su cui rimbalzò. Ci mancò poco che persi l’equilibrio, cadendo
all’indietro e percorrendo tutta la montagna con i pantaloni abbassati.
Non riuscii a capire da dove provenisse, se
dall’accampamento o no, e nemmeno quale licantropo lo aveva prodotto. Tuttavia
era chiaro che la situazione non era normale; quello che avevo sentito era un
ululato di dolore.
Mi risistemai e ripresi a scalare il pendio
immediatamente.
La prima cosa a cui pensai fu che qualcuno di poco
desiderato avesse raggiunto l’appostamento. Non appena questo pensiero
attraversò la mia mente, aumentai automaticamente la mia andatura, dato che
molto probabilmente questo ipotetico qualcuno poteva cercare me. Ci misi dieci
minuti a tornare alla tenda; il terreno coperto di neve mi rendeva la salita
più scivolosa. Quando intravidi tra le fronde la tenda cominciai a correre
agitata.
“Sono di fretta, Bella. Dimmi quello che devi dire.” Mi
fermai all’istante non appena sentii la voce di Jacob. Cosa ci faceva ancora
qua?
Tremai sentendo la sua voce; era deluso, furioso ed
amareggiato allo stesso tempo, ma straordinariamente riusciva a mantenere un
tono moderato. Non mi fu difficile quindi capire che quell’ululato era suo e
che non era affatto dovuto all'arrivo di un vampiro.
“Sono stata cattiva ed egoista.” Fu appena che un
sussurro. “Forse era meglio se non ci fossimo mai conosciuti. Ti avrei
risparmiato tutto questo. Ti resterò lontana. Me ne andrò in un altro Stato.
Non dovrai più venirmi a cercare.”
A parlare era stata Bella. Dal tono di entrambi mi fu
facile capire che ad aver fatto male a Jacob era stata in qualche modo lei.
Durante la mia assenza doveva essere accaduto qualcosa che aveva avuto un
grandissimo impatto su di Jacob, che a quanto pare era ritornato. Ma perché? Di
Edward e di Seth, invece neanche l’ombra. Perché cavolo dovevano succedere
sempre queste cose quando non c’ero?!
Sopraffatta dal mia ficcanasaggine, mi avvicinai quatta ai
limiti del bosco, per avere un’inquadratura migliore della scena, nascosta dai
cespugli, senza farmi vedere, per capire la causa di quella tremenda
discussione.
Ormai avrei dovuto sapere che spiare i discorsi delle
altre persone mi portava sempre a conoscere rivelazioni poco piacevoli, oltre
ad essere terribilmente da maleducati. Dopotutto questa sarebbe la terza volta
che spiavo Bella e Jacob. Tuttavia la malsana curiosità che mi impossessò
sotterrò immediatamente la fastidiosa voce della ragione e del bon ton.
“Non mi sembra un buona soluzione” mormorò questa volta
lasciandosi sopraffare dalla tristezza. “E se invece preferissi che restassi?”
“No, Jacob” disse flebilmente Bella, tanto piano da quasi
non poter riconoscere la nota di immenso dispiacere che l’animava. “Ho
sbagliato a starti vicina quando sapevo che desideravamo cose diverse. Non
intendo più ferirti.” Si interruppe bruscamente. Io intanto guardavo la scena
al limite dell’attenzione, in cerca di un qualsiasi dettagli che mi permettesse
di capire il perché delle sue parole. Cosa aveva potuto fare a Jacob, da
rimangiarsi l’intera loro splendida amicizia? Bhé, era lampante che quella
conversazione convergeva sul fatto che fino ad adesso Jacob aveva provato
qualcosa per Bella e che lei pur sapendolo, aveva continuato a restargli amica.
Però questo non poteva assolutamente essere un motivo valido per aver potuto
scatenare una discussione di quel tipo; Jacob era più che conscio che Bella
fosse persa per Edward e che lei non l'amava.
“Devo ammettere però che anch’io mi sono comportato
davvero male. Ti ho reso la vita più difficile, mentre avrei potuto farmi da
parte fin dal principio” le rispose lui, la voce per niente in colpa, ma
terribilmente convinta.
Osservai attentamente la sua postura, terribilmente
rigida, i muscoli della faccia e del collo tesi, ma furono soltanto i suoi
occhi scintillanti di rabbia a farmi capire che Jacob stava facendo uno sforzo
immane per contenerla.
“E’ colpa mia.”
“No, Bella. Non prenderti tutte le responsabilità.”
Scese un silenzio pesantissimo, che venne spezzato solo
quando Jacob si permise di manifestare una minima parte della rabbia che stava
cercando di reprime.
“E’ tutto deciso, allora?” disse in tono troppo in
contrapposizione con i pugni tremanti.
“Sì” mormorò Bella, terribilmente monocorde.
“Ci tengo che mi invitiate come testimone” rispose Jacob,
in una delle sue battute meno umoristiche e più sofferenti di sempre.
Mi avvicinai ancora un poco, dopo aver capito quello che
aveva scatenato tutto questo. Jacob era venuto a sapere del matrimonio, molto
probabilmente per caso, in quanto non credevo che Bella, proprio in questo
momento, gliel’avesse detto. E come voleva dimostrare, non l’aveva presa bene;
era l’atto che rendeva Bella unicamente di Edward, davanti al quale Jacob
doveva riconoscere di averla persa per sempre.
“Ora devo andare, ho una battaglia che mi aspetta”
mormorò, il più passibile possibile. Poi non resistette e cedette alla rabbia
che non sapeva controllare.
“Magari può essere una soluzione migliore della tua”
sbottò a denti stretti.
“Cosa intendi dire?” chiese Bella confusa.
“Sarà un perfetto modo di uscire di scena. Non dovrai
nemmeno traslocare” affermò guardando negli occhi Bella e sputando quelle
parole come fossero un insulto, e con un amaro sorriso strafottente. Bella
intese le sue reali intenzioni.
“No! No, no, Jacob” balbettò terrorizzata.
Capii anch’io cosa volesse dire Jacob nello stesso momento
in cui lo intese Bella. Tuttavia, capii ben altro da quello che intuì lei. Dal
suo tono, Bella ci aveva più che creduto alle parole di Jacob, e molto
probabilmente era già di per sé moralmente distrutta per accorgersi che erano
solo una bufala.
Strinsi i pugni, incazzata come una iena dal comportamento
esageratamente sconsiderato di Jacob. Conoscevo Jacob abbastanza bene da sapere
che quando si faceva prendere dall’ira si comportava senza pensare, e vedendo
la scena come un terzo spettatore, mi era più che evidente che in quel momento
era totalmente accecato dalla rabbia ed infierire sembrava l’unico modo per
sbarazzarsene. Era troppo furioso da non capire che Bella si sentiva già fin
troppo in colpa senza le sue ridicole minacce. Stava superando il limite e per
poco non mi convinsi ad uscire allo scoperto, ma mi trattenni.
“Lo sai che non mi voglio perdere questo quarto d’ora di
rissa per niente al mondo” disse in un sibilo, ora anche soddisfatto per averla
convinta. Odiavo Jacob quando faceva del male a me, con le sue parole
sconsiderate e tutto il resto, ma non pensavo che vederlo fare agli altri era
forse anche peggio. Trattenni il desiderio di alzarmi e di andare a tirargli un
cazzotto in piena faccia. Le avrebbe sentite, tante, ma tante che se le poteva
solo sognare.
“Resta con me, Jacob” lo supplicò Bella.
“Non puoi obbligarmelo” continuò lui, facendosi per
girare.
“Per favore” continuò lei, faticando a parlare. Lui la
guardò solo per un istante.
“No, devo andare” disse, scuotendo la testa. Si voltò e se
ne andò.
“Farò tutto ciò che vuoi, Jacob, ma non farlo!” urlò lei
con voce spezzata per fermarlo. Ah, Jacob, ancora non ti basta? Crudele…
“Non dici sul serio” la sfidò lui, tornando sui suoi
passi.
“Baciami e torna, Jacob.” Quasi le vomitò quelle parole,
ma la serietà con cui le disse dissipò tutto il suo tentennamento. Jacob rimase
immobile, in silenzio, stupito lui stesso per la richiesta che le aveva fatto.
Io invece guardavo confusa la scena, totalmente spaesata, mentre i miei occhi
rimbalzavano da Bella a Jacob. Cosa? Perché quelle parole? Perché Bella gli
aveva chiesto…
Poi ricordai. Ieri, mentre Jacob ci accompagnava
all’accampamento. Credo che succederà questo, prima di chiederti di darmi il
bacio che aspetti, Jacob, aveva detto Bella. Jacob aspettava che lei
baciasse lui. Perché non l’avevo capito prima? Perché non me n’ero accorta? Era
stato il tono scherzoso che aveva usato Bella, a non farmi capire quello che
aveva detto?
Cominciai a tremare dietro al cespuglio. Se così era,
avevo terribilmente paura di aver frainteso il comportamento di Jacob. Quelle
minacce che aveva rivolto a Bella non erano allora semplici sfoghi detti senza
pensare per placare la rabbia; Jacob cercava di rubare l’ultimo bacio a Bella,
senza dubbio contro la sua volontà, davanti alla prospettiva che non sarebbe
più potuta essere sua.
Jacob fece un paio di passi avanti, sufficienti per
accorciare le distanze da Bella. Io automaticamente abbassai la testa. Volevo
scomparire, diventare invisibile e trovarmi in un altro posto. Chiusi gli
occhi, mentre mordevo le labbra fino a farmi male. Che razza di amore poteva
provare Jacob verso Bella, se era disposto a questi sotterfugi per strappare un
bacio negato? Che razza di persona poteva essere uno come lui?
Oltre a questo però, c’era un’altra cosa che mi rendeva
assolutamente insopportabile quel momento; se avesse accettato, allora avrebbe
espresso la sua scelta. Baciare una donna che ormai non era più sua, lo
consideravo un ottimo modo per scegliere. Oppure, per convincermi che per lui
non ci sarebbero state alternative oltre a lei. Respiravo profondamente, mentre
aspettavo che venisse. Perché, ne ero certa, lo avrebbe fatto. Morsi ancora di
più le labbra, per evitare di piangere.
“Scusami, Bella, ho esagerato. Non sarebbe il bacio che
vorrei.” Alzai automaticamente la testa, per verificare di aver sentito
bene.
“Cosa?” sussurrò Bella, incredula, leggendomi il pensiero.
Jacob fece qualche passo indietro. Il mio stupore aumentò nel vedere che era
cambiato. Come la fiamma di una candela sotto ad un bicchiere, lentamente si
spegne, così era scomparsa la sua rabbia, dalla sua voce, dai suoi gesti, dai
suoi occhi. Ora gli era rimasta unicamente l’indecisione che aveva avuto
durante la nostra ultima conversazione, durante quella che avevamo avuto noi
tre nella foresta, ieri, e quella che aveva cercato di mascherare quando mi
aveva annunciato di aver finalmente baciato Bella.
“Non sono sicuro di voler dare a te questo bacio, Bella”
chiarì, convinto, ma inevitabilmente dispiaciuto.
“Cosa starebbe a dire?” chiese ancora, con un tono di voce
deciso, ma ancora troppo sorpreso.
“Lascia stare” esclamò all’improvviso lui, in un sussurro,
voltandosi a testa bassa.
“Jacob!” lo richiamò lei, facendo fuoriuscire per un
attimo la rabbia. Jacob si fermò. Fece due profondi respiri prima di voltarsi
verso di lei e parlare. D’altro canto, io non potevo fare a meno di assistere
alla scena completamente inerme e totalmente, assolutamente confusa.
“Io amo un’altra persona, oltre a te” rivelò, ora senza
più traccia di indecisione. Io rimasi a bocca aperta, esattamente come Bella.
Che cosa?! Jacob amava un’altra persona oltre a Bella?! Perché diamine non me
lo aveva mai detto?! Come diavolo poteva essere innamorato di due persone?!
Contro chi altra me la dovevo ancora vedere?!
“Io sono innamorato di Abigail” continuò “Amo sia te, sia
Abigail.” Eh?
Bella rimase immobile, gli occhi spalancati, le sopracciglia
aggrottate, scossa dalla rivelazione. Io, bhé, all’inizio non condivisi la sua
stessa sorpresa. Pensavo davvero di aver capito male il nome. Tuttavia, lo
stomaco che si arrotolava su se stesso e che minacciava di rigettare verso
l’esterno la cioccolata e l’ondata di calore che mi invase e che mi scosse mi
mandarono in una totale confusione. Fu lì che intesi che Jacob era innamorato
di me. Il cervello andò immediatamente in black out, perdendo ogni
capacità di produrre pensieri e il sistema respiratorio si fermò.
“Tu mi stai dicendo che tutto quello che hai fatto con me
fin’ora, le parole, i gesti, il contatto, l’hai fatto pensando anche a
Abigail?” esclamò poi Bella. Ora chi era infuriato era lei. “Hai giocato con
noi due tutto il tempo, Jacob!” lo accusò.
“No, Bella, non è assolutamente vero. I miei sentimenti
sono sinceri per entrambe” la corresse lui ferito, con lo stesso identico tono.
“Dai, Jacob! Come puoi amare due persone!” continuò Bella,
ora del tutto infervorata, mentre si portava le mani alla testa per
disperazione. “Ti sei divertito alle mie spalle! Mi hai preso in giro! Non
avevo idea che tu potessi essere così…” si interruppe, non trovando parole più
adatte.
“Da quale pulpito viene la predica” rispose Jacob,
stranamente fin troppo tranquillo. “Non credere che tu sia in una situazione
tanto diversa dalla mia.”
“Io ho già scelto, Jacob. Ho scelto Edward” gli spiegò
Bella seria, cercando di trattenere la rabbia, parlando lentamente, affinché
Jacob potesse capire appieno il significato delle sue parole
“Allora perché quando sei con lui pensi sempre a me?” le
rinfacciò lui, acido. “Me l’ha detto lui. La verità è che anche tu mi ami,
renditene conto.”
“E’ un amore diverso, Jacob” rispose Bella, tentennando.
“Questa l’ho già sentita” sbottò lui. “Non importa se è un
amore diverso o no. Anche tu sei stata un’egoista a volerci tutti e due, come
io con te e Abigail.”
Tra i due calò per un attimo un pesante ed insopportabile
silenzio. Io, intanto, non avevo ancora ripreso a respirare.
“Da me non avrai l’amore che vuoi” continuò Bella, cupa.
“Nemmeno da Abigail, se per questo. Devo lottare in tutti
i casi” rispose Jacob con un tono particolarmente battagliero, ma
impercettibilmente deluso.
Se la sorpresa mi aveva tolto il respiro, sempre lei me lo
aveva ridato. Aspetta, aspetta, aspetta un attimo. Se avevo capito bene, Jacob
non credeva che io lo potessi ricambiare? Non credeva che io lo amassi?!
Lentamente, per evitare di fare alcun rumore, mi presi i capelli e me li tirai
fino a quando non si fossero spezzati. Rimasi tremendamente e profondamente
sconfortata sapere che il mio modo di pensare, che fino ad allora credevo fosse
davvero il giusto modo di vedere ed interpretare la realtà, non ci si
avvicinava neppure un po’ a qualcosa che si potesse definire tale.
“E poi sbagli” continuò lui.
“Cioè?” continuò Bella, sempre con quel tono serio.
“Che tu non mi puoi dare l’amore che voglio”
“No, Jake” rispose lei convinta.
“Allora perché mi avresti voluto dare un bacio?” gridò,
più che parlò, Jacob.
“Perché sei stato così meschino da minacciarmi di morire,
mentre non l’avresti fatto comunque!” rispose Bella, con lo stesso tono. “Forse
hai ragione, sono innamorata di te anch’io, ma almeno io so quello che voglio!”
No, aspetta, cosa?! Bella... Bella era innamorata di
Jacob?! No, no, no, no, frena un attimo. Lei amava Edward! Amava immensamente
Edward! Cosa diamine c'entrava Jacob! Il mio corpo si paralizzò davanti a tali
enormi rivelazioni.
Questa volta Jacob dovette stare zitto, dovendo accettare
la cruda realtà. Si creò un silenzio ancora più assordante ed opprimente, che
neppure il vento che qualche volta si degnava di soffiare, sembrava avere
qualche effetto su lui.
“Pensavo di essere io l’unica egoista, l’unica cattiva
della situazione” mormorò Bella, più delusa ora che arrabbiata. “Ma tu non sei
meno di me.”
“Non volevo assolutamente giocare con te, Bella” rispose
Jacob, unicamente dispiaciuto. “Ho fatto di tutto per togliermi Abigail dalla testa,
ma…”
“Forse è meglio se ti togli dalla testa me” gli consigliò
vivamente Bella. “Potrebbe essere più facile”
“Impossibile, Bella”mormorò lui in un sussurrò.
“Mi auguro che tu lo dica anche ad Abigail” disse ancora
non meno furiosa.
“Dov’è Abigail?” esclamò improvvisamente Jacob. Sussultai
quando sentii pronunciare il mio nome.
“E’ andata a farsi un giro” rispose Bella rude “Non
tentare di cambiare argomento.”
Senza neppure pensarci, senza che potessi spiegarmi il
perché lo feci, spontaneamente mi alzai e uscii dai cespugli.
Feci solo qualche passo avanti, giusto per far capire ad
entrambi la mia presenza.
“Cristo!” esclamò Jacob, prendendosi la testa tra le mani.
Mi sembrò sulle prime davvero strano che la loro
attenzione ora si era posata su di me. Non ebbi all’inizio il coraggio di
guardare Jacob, quindi posai lo sguardo su di Bella. Mi guardava immobile, non
esprimeva alcun sentimento, ed era in attesa di una mia parola. Alla fine mi
voltai verso di Jacob. Lui più di me, non aveva il coraggio di guardarmi in
faccia; manteneva la testa abbassata, lo sguardo fisso sul pavimento, in un
punto sulla sua destra.
“Hai sentito tutto, immagino” disse facendo il possibile
per non tradire nessuna emozione. Era orgoglioso almeno quanto me.
“Sì” dissi neutra. Alzò le braccia e le fece ricadere sui
fianchi con un tonfo, mentre sospirava infuriato con te stesso.
“Perfetto” mugugnò lui a denti stretti. Non disse
nient’altro, si prese e se ne andò via, correndo veloce.
“Jacob” lo fermai io, sempre con quel tono di voce neutro.
Lui si fermò, ma non si voltò.
“Torna” gli ordinai semplicemente io. Non mi rispose e
riprese a correre.
Avevo sempre considerato i problemi che avevo con Jacob in
secondo piano rispetto alla battaglia con i neonati, ma per uno scherzo del
destino, a pochi minuti dall’inizio, non mi sentivo affatto agitata per quello
che sarebbe successo, né preoccupata al massimo alla prospettiva che i miei
genitori avrebbero combattuto. Ovviamente non potevo far a meno di pensare a
Jacob. Tra tutti i più svariati sentimenti di incredulità, sorpresa, e gioia,
c’era anche questa rabbia insensata per Jacob, che, come farlo apposta, era
stato in grado di farmi pensare a lui e non hai miei genitori e a tutti gli
altri che stavano rischiando la vita per me.
Jacob se n’era andato da poco. Bella se ne stava a faccia
in giù, arrotolata nel suo sacco a pelo, io mi trovavo accucciata in fondo alla
tenda, Edward vicino a lei e Seth fuori. Ci avrei scommesso la moto che tutti e
quattro stavamo pensando alla stessa cosa, anche se in termini diversi.
Calò immediatamente un fitto silenzio, che non intendevo
rompere. Tenevo le braccia alle ginocchia, osservando un punto indefinito e
pensando e ripensando a tutto questo grande casino.
‘Sono innamorato di Abigail’. Quelle parole mi vorticavano
nella mente senza smetterla mi inondavano di felicità. Difatti cercavo di
nascondere con le ginocchia il perenne sorriso ebete che mi si era formato.
Jacob era stato chiaro, lui era innamorato anche di me, ma la sola notizia di
sapere che aveva preso in considerazione anche me, che si trovava davvero
davanti ad una scelta, mi riempiva il cuore di felicità.
Accanto a questo, c’era la delusione. Credeva davvero che
non fossi innamorata di lui. Papà aveva avuto ragione, avevo proprio sbagliato.
Ero stata davvero una cretina a negare sempre e a tenere tutto dentro. Ero un
incapace, una di quelle vere e la cosa mi dava terribilmente sui nervi. Che
cosa sarebbe successo, se fin da subito avesse saputo che anch’io ricambiavo?
Sarebbe stato tutto diverso, anche se ora come ora non sapevo se meglio o
peggio.
Ma più di tutto, più della gioia, della delusione e della
rabbia ero totalmente incredula. Non me n’ero mai, mai accorta, in tutto questo
tempo che ho passato con lui, né un segnale, né un accenno. Perché? Come era
potuto succedere sotto il mio naso? E quando? Mi sembrava a quel punto ovvio
che lo strano comportamento di Jacob c'entrasse con questo.
Era un grandissimmo ed enorme casino. Se la gente
innamorata cominciasse un po' più a parlare e meno a pensare a cosa può pensare
l'altro, ci sarebbero state più persone felici. E il romanticismo della cosa a
quel paese!
"Stai bene?" A spezzare il silenzio fu Edward,
che iniziò ad accarezzare i capelli di Bella.
"Dovresti uccidermi, Edward" le consigliò lui,
da sotto il sacco a pelo, ripensando alla richiesta che gli aveva fatto.
"Non lo potrei mai fare" rispose lui
semplicemente, il miele in bocca, mentre la sua mano dai capelli passò a
sfiorare la guancia nascosta dentro il piumino.
Giusto, e poi c'era il problema di Bella. Credevo di non
aver bene capito quale fosse la situazione. Avevo sentito chiaramente Bella
dire che era innamorata di Jacob, ma non era possibile in alcun senso, perchè
lei amava Edward! Fosse allora che so, l'aveva detto perché ne era stata
costretta dalla minaccia di Jacob, come era successo quando gli aveva chiesto
di baciarla. E poi c'era Edward, che non sembrava né furioso, né tantomeno
tradito. L'unica cosa da fare a questo punto era parlare con lei il più presto
possibile.
"E dire che credevo che fossi io a giocare
sporco" disse a malincuore. "Non ce l'ho con te, amore. Jacob è stato
più furbo di quanto pensassi ad ingannarti, anche se neanche se n'é reso
conto" continuò più dolce. "Certo, avrei preferito che non fossi
stata tu a chiederglielo; ora non ho nemmeno un motivo per spaccargli la
faccia."
"Ingannarmi?" chiese Bella confusa.
"Certo, Bella. Non si è affatto comportato da
gentiluomo. Non avrebbe mai realmente approffitato della battaglia per uscire
di scena" le spiegò comprensivo. Bella si alzò quel tanto che bastava per
guardarlo bene in viso, confusa ed ancora in colpa.
"Sei così incapace di mentire, che credi a
chiunque" constatò in una lieve risata.
"Cosa vuol dire che non se n'è reso conto?" sbottò
all'improvviso.
"Parlava senza pensare. Quando si è accorto del
limite che aveva superato, non ha saputo nemmeno lui cosa voleva ed è tornato
subito indietro" spiegò lui, contenendo la rabbia. "Dovrebbe
cominciare a comportarsi in modo più maturo." Ero piuttosto sicura che
quelle parole avevano per me un significato diverso rispetto a Bella.
"Perchè allora non ce l'hai con me?" sussurrò
Bella "Dovresti essere furioso"
"E' pur sempre una conseguenza di quello che ti ho
fatto no?" rispose in tono tranquillo e amareggiato "Quando me ne
sono andato ho aperto una ferita che Jacob ha curato. Non posso incolpare
nessuno di qualcosa che ho scatenato io. Non posso evitare le conseguenze"
"Sei insopportabile. Stai cercando un modo per
sentirti in colpa. Per piacere, smettila" lo pregò Bella, dispiaciuta.
"Piuttosto, qualcun'altro dovrebbe sentirsi in colpa" concluse
stizzita.
Era rimasta unicamente un'ascoltatrice di quella
conversazione, che avevo sentito solo per metà, persa nei miei pensieri
com'ero. Non potevo dare torto a Bella; le aveva esplicitamente detto che
l'amava e adesso veniva fuori che amava qualcun'altro. Mi sarei sentita presa
anch'io terribilmente in giro. Anzi, a pensarci bene io per prima, cercando di
porre Jacob davanti ad una scelta, lo avevo involontariamente istigato a
comportarsi in quel modo.
"Questo potrebbe un motivo per spaccargli
qualcosa" continuò Edward, neutro "Se tuttavia non provassi una certa
compassione per lui." Bella si tirò su a sedere per osservare attentamente
Edward.
"Lo sai? Hai ragione. Compassione è la parola
esatta" riprese con lo stesso tono.
"Per lo meno, è stato sincero, prima" disse
Edward, anche lui stizzito.
"Cosa intendi?"
"Non ha mai voluto ferire nessuno" le spiegò
lui.
"Era questo che non volevi dirci di lui, giusto?" gli domandò Bella,
cupa.
"Esatto"
"Dopotutto hai fatto bene a non dirlo" riprese
Bella dopo alcuni secondi di silenzio, nuovamente stizzita.
Non sapevo se essere o no d'accordo con Bella. Da una
parte, se lo avessi saputo prima, non sapevo cosa sarebbe cambiato; avrei
davvero convinto Jacob a scegliere? O sarebbe davvero stato tutto inutile? E
ancora, se avessi convinto Jacob a scegliere, la sua scelta sarebbe stata
quella giusta? O sarebbe stata troppo influenzata?
D'altra parte, dovevo ammettere che saperlo prima mi
avrebbe fatta sentire decisamente meglio.
Inoltre dirmelo sarebbe andato tutto a favore di Edward,
dopotutto; doveva ammettere che sarei stata nella posizione di far cambiare
idea a Jacob, a convincerlo a scegliere me, il rapporto tra Bella e Jacob
sarebbe rimasto finalmente solo amicizia.
“Non mi piace la natura di questo tuo pensiero; troppo
opportunista” intervenne all'improvviso lui, interrompendo i miei pensieri.
"Cosa?" chiese Bella, leggermente spaesata per
la sua affermazione. Lo guardai incredula. Opportunista?! Non sarebbe affatto
stato opportunista. Insomma, mi avrebbe fatto solo che piacere venirlo a
sapere. Non avrei mai immaginato che il suo problema sarebbe stato questo. Edward
si voltò improvvisamente verso di me, tanto che sussultai.
“Abigail, la mia morale è fatta di certi valori, che solo
in rari casi sono portato a disubbidire. In questo caso sarebbe la correttezza”
mi spiegò lui, neutro. Non capisco con chi tu saresti potuto essere scorretto.
“Con te, Abigail” Come? Ormai mi ero completamente persa
nella sua discussione.
"Ammetto che sono disposto a battermi in maniera
sleale per Bella, ma mi sarei comportato da totale opportunista se avessi in
qualche modo influito nel tuo rapporto con Jacob" continuò lui, come se
nulla fosse.
"Di cosa state parlando?" intervenne di nuovo
Bella, ma non ci feci caso.
"Assolutamente no. Sarei stata contentissima del tuo
opportunismo!" esclmai questa volta ad alta voce.
“Sapevo che l’avresti pensata così” rispose disinvolto.
“Ma spero che tu capirai anche il mio punto di vista”
"Sì, sei stato corretto, ma..." ammisi con
difficoltà.
“E poi, non intendo offenderti” concluse
disinteressato.“Ma non mi interessa molto quello che succede tra te e
Jacob”
"Ah, bè! Ci mancherebbe!" esclamai io.
"Potete spiegarmi cosa sta succedendo?" chiese
ancora Bella, più seria del normale. Guardando prima me, poi Edward, che fece
spallucce.
"Stavo rispondendo ad una domanda che mi aveva fatto
Abigail" rispose lui sul vago.
"E cosa c'entro io?" continuò ancora, questa
volta leggermente preoccupata. Questa volta Edward non rispose, e in un sospiro
posò la sua attenzione su un punto indefinito della tenda. Bella ora guardava
interessata me. Feci un sospiro anch'io e mi avvicinai di più a lei. Ormai,
data la situazione, tanto valeva che lo sapesse.
"Io ricambio Jacob" sbottai di brutto, forse
troppo rude.
"Cosa?" domandò lei, evidentemente spiazzata.
"Ricambio i suoi sentimenti" ripetei io,
terribilmente seria. "Sono anch'io innamorata di lui. E con questo non
intendo una cotta qualsiasi." Bella rimase immobile, con gli occhi fissi
su di me, il tempo sufficiente per elaborale le mie parole.
"Dici sul serio?" chiese in un sussurro,
insicura.
"E tu lo sapevi" disse ad Edward. Lui si limitò
a guardarla poco interessato e fare di nuovo spallucce.
"Lui sa tutto dei miei problemi amorosi" dissi
io sottovoce, irritata.
"Ma questo allora vuol dire..." si interruppe
"Abigail, mi dispiace, io... mi sento un mostro" disse terribilmente
in colpa. "Gli ho chiesto di baciarmi e tu... hai sentito tutto" Io
scossi la testa, anche se non molto convinta.
"Non ce l'ho affatto con te per questo, se è questo
che intendi" le dissi io, mettendo in chiaro le idee. "Ci sono
arrivata anch'io che ti ha manipolata." Difatti il problema che avevo non
riguardava tanto questo, quanto quello che realmente provava lei con lui.
Ovviamente però non potevamo affrontare una conversazione del genere in questo
momento, né in compagnia di Edward, anche se senz'altro avrebbe saputo tutto.
"Quindi l'unica allocca sono io..." mormorò,
affranta e furiosa.
"Bella..." intervenne per la prima volta Edward.
"Non ti devi dispiacere di niente" lo interuppi
io.
"Perchè non me l'hai detto?" chiese alla fine
"Non mi sarei mai comportata in questo modo con lui, se l'avessi
saputo." Questa volta fui io a stare in silenzio per qualche secondo. Mi
sentii improvvisamente a disagio a parlare di Jacob a Bella in questi termini.
"Avevo paura che ti saresti allontanata da
Jacob" mormorai "E non volevo rovinare la vostra amicizia. Ne avevi
davvero bisogno. Sia tu, che lui."
"Ma in questo modo saresti stata tu infelice"
ribatté lei affranta.
"Sì, mi sono scavata la fossa da sola, ma mi andava
bene così" conclusi io alla svelta.
"Abi..." si interruppe quasi subito.
"Poteva essere un'occasione per troncare di netto la
nostra amicizia" disse infine, sconsolata "e sarebbe stato davvero
meglio così, se adesso siamo arrivati a questo..."
Rimasi in silenzio, pensando alle sue parole. Dovevo darle
ragione; per quanto aveva fatto bene a entrambi questa amicizia, Jacob aveva
delle idee troppo diverse affinché potesse durare. Tuttavia, rimanevo ancora
del parere che, seppure quella amicizia a questo punto ormai fosse appassita,
aveva dato degli splendidi frutti.
"La battaglia sta iniziando" affermò Edward
deciso.
Sobbalzai all'improvviso, come se mi fossi svegliata da un
brutto sogno. Provai una profonda rabbia per me stessa, sapere che avevo
trascorso quegli ultimi attimi a riflettere e a discutere di cose così futili.
"Andrà tutto bene, Bella" la rassicurò Edward,
mentre prendeva con una mano dolcemente la sua. "Abbiamo tecnica,
allenamento e il fattore a sorpresa. Finirà presto."
Presa da un attacco di panico, mi avvicinai quatta ad
Edward, mi appropriai della sua mano libera e la strinsi tra le mie, come
tentativo di auto-rassicurazione. Edward mi lasciò fare, limitandosi a
sospirare pesantemente, perfino ricambiando la stretta.
"Alice è così piccola" sussurrò Bella.
"Mamma è così imbranata" la imitai io.
"Non esiste qualcuno in grado di prendere Alice e
Sophie è in buone mani" disse in una risata "Mi è un poco difficile
consolare entrambe"
"Io non ho bisogno di essere consolata" affermai
orgogliosa, continuando a stringere la mano di Edward "So che andrà tutto
bene" esclamai ponendo particolare enfasi sulla prima parola. Edward in
compenso sghignazzò di più.
Seth iniziò a uggiolare fuori dalla tenda.
"Cosa succede?" domandò Bella, eccessivamente
tesa, mentre con la stessa espressione io osservavo Edward.
"E' solo arrabbiato perché è costretto a rimanere
qua" spiegò con una tranquillità quasi irreale.
"I neonati hanno raggiunto la fine del sentiero"
annunciò Edward, iniziando una cronaca dettagliata, ricavata dalla mente di
Seth. "Come previsto da Alice, si stanno dividendo in due gruppi. Sam sta
guindando i suoi per prendere di sorpresa il gruppo dell'imboscata."
Guardava un punto indefinito della tenda; anche se il suo corpo era lì, la sua
mente si trovava ormai nel campo di battaglia.
"Respira, Bella" interruppe per un attimo la
descrizione. "Il primo gruppo è entrato nella radura; si sentono i rumori
della battaglia." Mi innervosii sapere che nel primo gruppo c'erano i miei
genitori.
"Riusciamo a sentire Emmett: si sta divertendo"
disse in una risata, tanto concentrato da parlare al plurale, participando più
che al gruppo di vampiri, a quello dei licantropi.
"Il secondo gruppo si sta preparando. Non ci hanno
ancora sentiti." Edward si fermò di colpo, senza muovere un muscolo.
"Brava, Leah!" esclamò all'improvviso, facendomi
sussultare "Uno dei neonati si è accorto della nostra scia, ma Leah lo ha
subito eliminato. Ora Sam la sta aiutando a finirlo. Paul e Jacob ne hanno
preso un altro. Ora i neonati sono in difficoltà, non sanno come attaccarci.
No, lasciate che sia Sam a guidare. Separateli, non lasciate che si difendano a
vicenda." Edward si era fatto talmente coinvolgere che non si limitava a
riportarci fedelmente il corso degli eventi, ma pure interveniva consigliando
strategie attraverso Seth. Certo, ci tenevo a sapere come stava andando ai
licantropi, ma ci tenevo ancora di più a sapere come andava ai vampiri.
"Così va meglio, spingeteli verso la radura."
Sì, ecco, spingeteli verso la radura, così saprò come se la stanno cavando i
miei genitori. Senza rendersene conto, Edward inizò a muoversi a scatti,
imitando le stesse mosse che avrebbe fatto se fosse stato lì. Tenendo conto che
entrambe gli tenevamo le mani, lo scambiai per un attimo per uno entrato in
comunicazione con gli spiriti o cavolate del genere.
All'improvviso smise di muoversi. All'inizio pensai
davvero che fosse dovuto alla mia squallida battuta. Dopo realizzai che era
successo qualcosa, ma ancora non volevo ammettere che avevamo perso qualcuno.
In uno scattò Edward lacerò la tenda, mentre la luce di
mezzogiorno mi spinse a socchiudere gli occhi aspettando di abituarmi. Seth ed
Edward si scambiarono un lungo sguardo.
"Vai, Seth!" sussurò infine Edward. In uno
scatto veloce, Seth sparì nella foresta. Involontariamente cominciai a tremare
e la convinzione che tutto si sarebbe risolto bene svanì immediatamente.
"E..." Senza che me ne accorgessi, Edward spinse
me e Bella contro la parete della montagna, mentre lui si posizionava a pochi
centimetri da noi. Il colpo mi morzò il respiro e per un attimo credetti di
soffocare. Si rannicchiò, mettendosi sulla difensiva. Con ironia pensai che un
tempo, a Volterra, noi tre ci eravamo trovati nella stessa identica posizione.
Per fortuna questa volta non avevo nessuna costola fratturata.
Con orrore capii cosa stava succedendo; qualcuno ci aveva
raggiunto.
"Victoria" sputò Edward, mentre le lettere quasi
si confusero con il ringhio che fece. Ecco, quello che più temevo che
accadesse, era successo. Stranamente, non ne ero ancora terrorizzata.
"Non intende combattere insieme ai neonati. Ha
incontrato la mia scia, e ora sa che se la seguirà, potrà incontrare anche te.
Con Abigail, prenderà un piccione con due fave." Questo voleva dire che
era abbastanza vicina da udirne i pensieri
"E non è sola" disse in un sussurro concentrato.
Uau, stupendo!, pensai sarcastica, mentre tremavo alla prospettiva che a questo
punto, un vampiro solo non sarebbe bastato. Non capii a questo punto perché
aveva mandato via Seth. Era troppo giovane per riuscire a fronteggiare un
vampiro come Victoria? Lo aveva mandato a chiamare rinforzi? Nonostante tutto,
non mi feci ancora prendere dal panico, e restai in attesa.
Edward si mosse impercettibilmente verso la foresta.
Osservai il punto che ci aveva indicato; due ombre cominciarono ad affiorare
dalla foresta. Ben presto lasciarono spazio alle sagome di due vampiri. A
precederli c'erano mille scintille di luce e di colori che si riflettevano sul
terreno e sulla parete di roccia, prodotti dalla luce del sole.
Erano in due; un ragazzo biondo, non molto più vecchio di
me, nonostante la muscolatura e l'altezza. Doveva essere il lui il complice di
Victoria, il vampiro il cui odore non riconoscevamo. Gli occhi scintillanti,
più rossi di qualsiasi altro, mi misero i brividi. A distanza di qualche metro,
Victoria fissava entrambe. Per un attimo ebbi l'illusione che la cicatrice al
collo ardesse.
Era la prima volta che avevo l'occasione di studiare il
suo profilo; gli occhi erano neri per la sete, ma scintillavano di rabbia. Si
spostavano da Edward a noi, senza mai soffermarsi su di Edward più di qualche
secondo. Si sentiva involontariamente attratta da noi. Aveva un non so che di
felino nella postura, che per certi ed orribili versi, mi ricordò mia madre. Il
viso era una maschera di marmo immobile, le labbra rosse rigide in una linea
retta ed inespressiva. La parte sinistra del corpo, era coperta da coprispalle
di pellicia, per nascondere l'assenza del braccio.
Sarebbe sembrata una figura minacciosa, se non fosse stato
per i capelli. Se non fosse stata lì con lo scopo di uccidermi, sarei scoppiata
a ridere. Un tempo doveva avere una fluente e mossa chioma rosso fiammeggiante,
che rispecchiava e trasmetteva la sua feroce personalità; ora questo effetto si
era perso, a causa della chiazza di capelli mancati in basso sinistra della sua
testa, malamente camuffata dai capelli restanti. A dirla tutta, se qualcuno mi
avesse fatto uno scempio del genere ai capelli, lo avrei ucciso anch'io. Che
poi, adesso, cosa cavolo avevo fatto di male, se non essere nel posto sbagliato
al momento sbagliato?!
La mia attenzione venne catturata da altri e più orridi
particolari; loro erano in due, mentre con noi c'era solo Edward. Era ovvio; il
ragazzo biondo avrebbe distratto Edward e lei ci avrebbe potuto uccidere.
Sicuramente prima che mamma arrivasse.
Le mie emozioni tuttavia parvero tremendamente
controllate. Non volevano obbidire alla ragione, alla più rosea prospettiva che
con mamma le cose sarebbero finite in un istante. La verità, anche se non
volevo ammetterlo, era che ero terrorizzata all'idea di realizzare che nel
frattempo qualcosa era andato male nella radura, e che se avessi permesso alla paura
di prendere il controllo e lei non sarebbe venuta, a quel punto, non avrei
voluto nient'altro che morire anch'io. Perciò, automaticamente, respiravo
profondamente, controllando i battiti del mio cuore, regolari e appena
percettibili. Al contrario, potevo sentire i battiti furiosi e veloci di Bella
vicino a me. Senza rendermene conto, la mia mano andò a prendere la sua, sicura
che la schiena di Edward avrebbe protetto quel contatto dalla vista dei due
vampiri. Involontariamente Bella strinse la mano tanto che mi fece male.
Seth ululò lontano, ormai troppo per ritornare di nuovo
qua. Il ragazzo biondo diede un veloce sguardo a Victoria, aspettando un
ordine. Lei in silenzio gli indicò di procedere.
"Riley" richiamò la sua attenzione Edward, quasi
pregandolo. "Lei ti sta mentendo, l'ho ha fatto da sempre. A te, e a tutti
quelli che in questo momento stanno morendo nella radura. Sai che ha mentito a
loro, ti ha chiesto lei stessa di farlo, perché non tornerete a salvarli.
Perché allora credi che non l'abbia fatto anche con te?" domandò ipnotico.
Riley rimase in silenzio, confuso. Edward cominciò ad allontanarsi da noi,
muovendosi lentamente verso destra, lasciandomi intanto mezza scoperta da un
immediato attacco di Victoria. Riley lo seguì automaticamente.
"Non ti ama, Riley" continuò, con lo stesso tono
di un padre premuroso che rassicura il figlio. "Non lo ha mai fatto.
L'unico suo amore è stato James, e tu non sei altro che una sua pedina."
Le labbra infuocate scoprirono le gengive, mentre i suoi occhi ora non erano
che per Bella. Riley guardò guardò di nuovo Victoria, implorandole delle
spiegazioni.
"Riley" lo richiamò Edward. "Lei sa che ti
ucciderò. Lei vuole questo. Lo ha sempre voluto, fin da quando ti ha creato. Ti
sei accorto dell'indicesione nei suoi occhi e della falsità della sue promesse.
Ogni bacio, ogni carezza, è stata una bugia" concluse, ponendo particolare
enfasi sull'ultima parola.
Edward si mosse di
nuovo verso di lui, lasciando uno spazio maggiore tra me e Bella. Lo sguardo di
Victoria fissò attenta la distanza che intercorreva tra noi ed Edward,
aspettando il momento per attaccare e ucciderci tutte e due in un colpo solo.
Spontaneamente, il mio corpo andò a sistemarsi lentamente davanti a quello di
Bella, come se così facendo, la distanza da Edward si riducesse di qualche
centimetro. Una mossa del tutto inutile, come se io potessi difendere qualcuno
da un vampiro, se non ero in grado di difendere neppure me stessa. Riley
rispose più indeciso ai movimenti di Edward.
"Non devi morire per forza" gli assicurò Edward,
fissandolo negli occhi. "Ci sono altri modi di vivere, oltre a quello che
ti ha mostrato lei" Pensai per un attimo che Edward stesse usando le
stesse parole che Peter aveva usato con Jasper. E in quel momento, mi accorsi
anche che quel ragazzo, Riley, non era poi tanto diverso da come Jasper era
stato un tempo, né Victoria da Maria.
"Non è soltanto bugie e sangue. Puoi andartene anche
adesso, se vuoi. Non sei costretto a morire a causa delle sue bugie."
Edward si spostò ancora di lato. La distanza ora era di un metro; Victoria si
mise in attacco. E fu allora che pensai che molto probabilmente tutta questa
questione della distanza era una trappola che Edward stava tendendo a Victoria
per attacarla, con noi come esche.
"Ti do un'ultima occasione, Riley" mormorò
Edward. L'espressione di totale confusione non era ancora scoparsa dal viso di
Riley.
"E' lui che ti sta raccontando delle bugie,
Riley" Rabbrividì al suono della voce di Victoria, non tanto per il
timore, quanto per il fastidio che mi fece. Era stridula, quasi infantile,
quell'esatto genere di voce che avevano le bambine viziate e che non le si
addiceva proprio.
"Ti ho parlato dei loro trucchetti. Ci sei solo tu
per me, questo lo sai." Certo, ma solo fino a quando ne avrai bisogno,
vero, rossa? Era gratificante sapere che il senso dell'umorismo nei momenti di
morte non mi aveva ancora abbandonata.
Riley si irrigidì all'istante. Erano bastate le parole di
Victoria, per annullare dalla sua mente quelle di Edward.
Riley si preparò ad attaccare. Victoria era pronta a
lanciarsi su di noi, aspettando un unico passo falso di Edward.
Un ringhio squarciò l'aria e una sagoma indistinta biombò
su Riley e lo gettò a terra.
"No!" gridò Victoria, con la sua vocetta che mi
trapanava la testa. A mezzo metro, un lupo stava sbrandellando Riley. Riconobbi
il pelo color sabbia. Mi sentii per un attimo sollevata dalla presenza di Seth.
Qualcosa di bianco rotolò vicino a me e se non avessi
fatto un balzo mi sarebbe finito sulla caviglia. Io e Bella ce ne allontanammo
contemporaneamente, disgustate ed allerta.
Riley recuperò il vantaggio dell'attacco a sorpresa e
nonostante avesse perso una mano, riuscì a tirare un calcio contro la spalla di
Seth, che guaì zoppicante alla rottura dell'osso.
Victoria non si sprecava minimamente ad osservare il
combattimento del suo compagno vicino a lei. Ci guardava feroce, le gengive
scoperte ed i canini ben in vista, quasi accecata dall'ira.
"No" mormorò di nuovo, questa volta non perché
aveva perso il compagno, ma perché era svantaggiata. Edward si parò davanti di
noi, sbarrandole la strada. Io mi trovavo ancora davanti a Bella e per un
momento ci paragonai ad un inusuale sandwich umano.
I due vampiri presero a combattere in una velocità
impressionante. Sembravano danzare. Victoria si muoveva indietro e poi in
avanti, in cerca di un varco che le avrebbe permesso di arrivare a noi.
Victoria era agile e sapeva schivare bene i colpi di Edward, ma lui era molto
più veloce e conosceva le sue mosse, perciò non le lasciava possibilità di
scappare.
Parallelamente, Seth affondo i denti contro il fianco di
Riley, strappandogli qualcos'altro e lanciandolo nella foresta. Riley rispose
con un ringhio furioso e Seth, straordinariamente ripresosi dal colpo
precedente, schivò prontamente l'attacco del suo avversario.
Intanto, io e Bella eravamo lì, ad assistere ai due
combattimenti in corso, con il respiro mozzato, l'una davanti all'altra,
aspettando, di morire, di vedere Victoria e Riley uccisi, di vedere Edward e
Seth uccisi, tante cose, insomma. Il bello era che non potevamo fare
assolutamente niente. Fantastico.
Victoria aveva cambiato strategia, si era nascosta nella
foresta, cercando di fuggire, quando ormai Riley era spacciato, ma noi eravamo
fin troppo vicine e un'occasione del genere non l'avrebbe mai più avuta.
"Non andartene, Victoria" sussurò Edward,
suadente "Non avrai un'altra occasione" copiò le mie parole. Scoprì
le gengive, mentre sembrava incapace di allontanarsi.
"Poi avrai un sacco di tempo per correre"
insinuò Edward. "E' quello che ti riesce meglio. Ed è il motivo per cui
James ti teneva con sé. E' utile, quando si vuole uccidere. Peccato però che
non ti abbia avuta con se quando lo abbiamo scovato a Phoenix. Gli saresti
stata utile anche in quell'occasione." Victoria ringhiò all'istante, ma
Edward non si impressionò.
"Ma non sarai mai nient'altro per lui. Che
stupidaggine, rivendicare qualcuno che ti considereva poco più di una
cavalcatura per un cavaliere. Poco più importante di una comodità."Edward riuscì nel suo intento; Victoria
sfrecciò fuori dalla vegetazione e i due tornarono a danzare.
Un ululato di dolore catturò di nuovo la mia attenzione:
Riley ora aveva colpito il bacino di Seth, che cercò di mantenere la
concetrazione per dimenticare il dolore. Quanto ancora sarebbe dovuto durare
quel secondo combattimento? Entrambi sembravano essere ad armi pari, entrambi
sembravano incassare i colpi allo stesso modo ed entrambi sembravano attaccare
con la stessa frequenza. Ma soltanto uno sarebbe sopravissuto, bisognava solo
aspettare quale.
Aspettare e guardare, aspettare e guardare. Ne stavo
cominciando ad avere abbastanza. Ero stata io la prima a dovermi sottomettere
alla condizione di 'peso', ma mai in questo momento la sentivo insopportabile.
Riley ebbe per un attimo la meglio su Seth e lo spinse a
dirigersi verso la parete rocciosa, per avere la meglio, ma Seth costrinse
Riley a rinunciare. Victoria sembrò finalmente interessata alla sorte del suo
compagno. Più che alla sorte del suo compagno, alla sorte del licantropo.
"Non mi si rivolterà contro" le assicurò Edward,
avvicinandosi cautamente "Abbiamo un nemico in comune, grazie a te. Ci
siamo alleati." Lei ringhiò sommessamente, arrettrando immeditamente,
raggiungendo di nuovo la penombra della foresta. Davanti alla prospettiva di
avere ormai poche possibilità, di fronte ai licantropi e ai vampiri insieme,
tornò a contemplare la fuga.
"Guarda meglio" la stuzzicò Edward, per
convincerla a restare "E' molto simile al mostro che James ha seguito in
Siberia, vero?" I suoi occhi si staccarono da me e da Bella, iniziando a
vorticare veloci da Edward a Seth.
"Impossibile!" sussurò lei, poco convinta.
"Niente è impossibile" mormorò mentre le si
avvicinava ancora di un poco "eccetto ciò che desideri" concluse con
un accento di malizia. Lei scosse convulsamente la testa, tremante, cercando di
porre l'attenzione su di Edward.
Per un attimo le parole di Edward sembravano perdere
effetto; sul suo viso si dipinse un viso appena accennato e gli occhi divennero
due fessure.
"I tuoi trucchi con me non funzionano" disse
alla fine, di nuovo con quella vocetta insopportabile. Questa volta Edward non
poté che tacere, mentre in uno scatto tentò di afferarla. Ma lei tendeva alla
fuga, quindi era già pronta per scappare. Si era appena nascosta ai margini
della foresta, quando avanzai convinta di due passi. Quando si voleva far
davvero incazzare qualcuno, la cortesia serviva ben a poco.
"Ehi, rossa!" sbottai io, senza nemmeno sapere
quello che stavo dicendo. Edward mi osservò imperturbabile, mentre Victoria si
rifece viva. Era a una decina di metri da me, niente ci separava. Mi sembrò che
i suoi occhi fossero tornati rossi per la rabbia e l'aria che entrava e usciva
dai denti contratti produceva un inquietante fischio. Mi guardava muta, con la
stessa aria da 'ma tu come ti permetti di parlare con me'.
"Bei capelli" mormorai toccandomeli, usando
tutto il mio sarcasmo. Prima ancora di vedere la sua figura che si slanciava
verso di me e quella di Edward bloccarla all'istante, sentii un ringhio
orribile scquarciare l'aria. Automaticamente mi ritrassi, ritornando nella
posizione di prima, davanti a Bella. Non avevo la più pallida idea di quello
che avevo fatto, ma a quanto pareva, aveva funzionato.
Victoria non era affatto una vampira priva di esperienza,
quindi vide bene di non farsi controllare dalla rabbia, mentre cercava di
affondare i colpi che una frazione di secondo prima, Edward parava. A causa
della loro velocità, non riuscii a capire chi fosse in vantaggio e chi no, se
qualcuno era in vantaggio.
Anche Riley si lasciò distrarre dal combattimento della
sua compagna. A suo svantaggio, perché Seth gli piombò addoso e gli strappò un
altro brandello di corpo. Il vampiro lanciò un altro urlo, e Seth non riuscì a
prevedere la sua risposta; colpì il giovane lupo in pieno petto, scagliandolo
contro la parete della montagna, che sembrò muoversi, e producendo centinaia di
schegge di roccia che caddero sulle nostre teste. Io e Bella dovemmo scansarci
di qualche metro per evitare di finire schicciate da Seth, mentre cadeva a
terra, in un guaito di dolore.
Dopo che ebbi scostato le braccia, affinché mi
proteggessero dalle pagliuzze di roccia, lo scenario della battaglia era
cambiato radicalmente e improvvisamente. Seth rimaneva a terra, immobile.
Accanto a lui, si trovava Riley. Ora che aveva ormai eliminato il suo nemico,
aveva cambiato obiettivo; incontrai i suoi occhi rosso sangue guardarmi fisso.
Neanche un metro mi distanziava da lui. Victoria e Edward scomparirono, insieme
a Bella, ancora dietro di me, e quello che restava di Seth.
La paura allora si impossessò di me: i muscoli si
paralizzarono, il respiro cessò. L'unico organo che sembrava ancora funzionare
era il cuore che, come impazzito, lo potevo sentire ovunque, nel petto, nel
collo, mentre il suo rimbombo mi faceva diventare sorda da quanto era forte.
Sentii la mano fredda che gli rimaneva afferrare la mia gola, mentre i miei
occhi erano fissi nei suoi vermigli. Emisi un rantolo ed automaticamente le mie
mani si avvinghiarono alle sue, per cercare invano di farle staccare dal mio
collo.
Non respiravo più e la pressione che esercitava sul mio
collo mi obbligava ad inarquare la schiena.
Avrebbe potuto rompersi l'osso del collo senza neanche che
me ne potessi accorgere. E forse fu quello che successe, quando all'improvviso
cominciai a vedere tutto nero.
Qualcosa mi colpii la testa, e fu come se smettessi di
esistere.
Eccomi qua, finalmente! Dopo un bel pò di tempo, ecco il
penultimo capitolo di Eclipse! Questa volta devo ammettere che ho esagerato
parecchio con i tempi e confesso che la storia l'ho trascurata parecchio.
Quindi vi chiedo puntualmente di scusarmi.
Allora, come vi è sembrato questo capitolo? Fin troppe
cose sono successe...
Procediamo per ordine; 'dell'ultimo' saluto tra i due
volontariamente non ho descritto la scena con romanticismo, proprio perché
volevo sottolineare la loro amicizia, che qualisiasi cosa accada ci sarà
sempre. Bhè, poi, finalmente il grande momento finalmente: Abigail scopre che
lui è innamorato di lei, poi viene la scena del bacio che alla fine non lo dà a
Bella e tante altre cose, ma quella più importante rimane la morale della
favola: assecondate sempre la vostra vescica! Potreste scoprire che la persona
di cui siete innamorati ricambia! XD
E dopo questo momento poco serio, spero che anche questa
importantissima scena vi sia piaciuta e soprattutto l'abbiate capita, perché
rileggendola mi è sembrata di una confusione assurda!
E poi c'è Victoria e questo strano finale sospetto......
Ma ora basta parlare! Do la parola a voi! Sono
strastracuriosa di sapere cosa ne pensate! Vi avverto che il prossimo ed ultimo
di Eclipse non sarà da meno! Un grandissimo bacio a tutti!
X __cory__: Iee! Ora mi appresterò a rispondere ad una ad
una le tue domande! 1. mmmhhh.... questa domanda conservamela per il prossimo
capitolo e ti spiegherò cosa vuole dire (se non sarà evidente già di per sè)!
2. sì, esatto, si riferisce a quel pezzo di conversazione di Eclipse che però
Abigail non ha ascoltato. Questo capitolo però ti dovrebbe spiegare il perché
l'ho messa ;) 3.Insomma, a questo punto non serve rispondere alle tue domande,
no? ^^ Comunque sì, hai ragione, la sto torturando, è che sono fermamente
convinta che lasciare vivere momenti di felicità ai miei personaggi sia banale,
nonostante sappia benissimo che dicendo questo io sia in errore. Bon dai, però
hai ragione, in BD la tratterò meglio ^^. 4. Mmmhhh.... bella domanda! E' senza
dubbio la domanda più impestata che tu mi abbia mai fatto e che abbia ricevuto!
Allora, sicuramente un po' ci è rimasto, perché sia Abigail, che Bella lo hanno
chiesto ad Edward, ma non a lui, quindi si può dire che lo dice perché si sente
un pò 'trascurato'. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, non so
se sarebbe rimasto se Abigail glielo avesse chiesto; non dipende solo da quanto
gli sta a cuore Abigail, ma anche anche quanto gli sta a cuore la vita dei suoi
compagni. Per rispondere a questa domanda quindi avrei bisogno dell'aiuto della
Meyer ^^. 5. Forse non lo scritto bene, ma volevo con quello sguardo rivolto
solo a lei far capire che, dopo che tutto il tempo nella foresta che ha parlato
con Bella, Abigail conta moltissimo per lui. 6. Ebbene sì, ho deciso così
perché mi complicava di mooolto meno le cose ^^ E poi anche Bella non se lo
ricorderà. 7. Un anno! non esageriamo! Solo un pochetto di mesi, diciamo
cinque! Lo so, lo so, mi dispiace tantissimo doverlo fare, soprattutto adesso
che arriva la parte più interessante, a tal proposito poi non ho nessuna
giustificazione da offrire, quindi spero che mi perdonerai.
Bhè, se questa è la recensione più lunga che tu abbia
fatto, mi sembra che questa sia una tra le risposte più lunghe che abbia mai
dato!E poi perché dovrei ucciderti? Non
ne vedo assolutamente il motivo! ^^ Un bacio anche a te e un grande saluto!
X Franny97: Bene, bene, bene! Passiamo alla 'grande
recensione'! Inizio con il dire, ABIGAIL, che non mi hai affatto annoiato in
alcun modo! Anzi! E' bellissimo che il mio personaggio ti sia piacciuto così
tanto! Piuttosto, sono rimasta confusa dai tuoi improvvisi cambi di identità!
XD
Tornando alla storia; sono felicissima che ti sia piaciuta
com'é andata!!! ^^ Spero di conseguenza che sia stata all'altezza anche la
scena 'rivelazione' di questo capitolo! Per quanto riguarda Bella hai ragione,
più sto andando avanti, più si fa antipatica. Ho cercato di farla passare
sempre sotto una buona luce, sottolineando più volte che Abigail e lei sono
ancora buone amiche, ma credo proprio che adesso che Abigail ha scoperto che
anche lei ama Jacob le cose degenereranno ancora di più, mi sa. Poi, per la
parte con i pensieri di Jacob, ti posso svelare senza problemi che non ci sarà
nulla del genere, purtroppo. Anche se ho stranamente notato che c'è una strana
somiglianza tra il modo di pensare suo e di Abigail, non mi immedesimo così
tanto in Jacob da potergli conferire il ruolo di protagonista-narratore anche
per un solo pezzo, mi dispiace :(. Ed ecco un lunghissimo elogio alla scena
della tenta! Ti ringrazio tantissimo, ma io, umile scrittrice, non credo
proprio di essere paragonata a tanto! ^^ Ciononostate, accetto volentierissimi
i tuoi complimenti! Aprendo una piccola parentesi, so che non vedi l'ora che
arrivi un po' di romanticismo tra i due e smani di leggere anche un solo
piccolissimo bacio, quindi vorrei farti le mie più grandi scuse se la sto
tirando così alla lunga tra i due, perché so che ti sto facendo soffrire
tantissimo! Chiusa parentesi. Ah, comunque: Rompiballen Cullen XDXDXDXDX
Ahahahahah! Mai sentita! Forte questa! ma chi l'ha inventata?!
Tornando a cose serie, insomma, il dialogo della tenda non
era nient'altro che una piccola introduzione al grande colpo di scena che sarebbe
la rivelazione. Quindi... non vedo l'ora di sapere cosa ne pensi al riguardo!
XD
Passiamo ora alla domande, per niente inutili, anzi, la
prima che mi fai è curiosissima, perché di fatti alla fine del capitolo le cose
non si sono messe benissimo, no? (sono cattivissima!) A risponderti però,
purtroppo, sarà l'inizio del prossimo capitolo (che verrà pubblicato nell'Era
del Mai, tra l'altro -.-) Per tutte le altre domande, mi dispiace, ma le
risposte anche per queste le troverai tutte nel prossimo capitolo (lo so, sono
noiosa e ripetiva)
Mi dispiace!!!!!! Dispiace un mondo anche a me
interrompere la ff, ma in questo momento mi ritrovo la vita davvero fin troppo
impegnata, e se ci fosse solo la scuola, non avrei davvero nessunissimo
problema a continuare, ma ci sono altre cose a cui non vorrei proprio
rinunciare. Spero quindi che tu capisca e comprenda i miei motivi :( :(.
Detto questo, ti ringrazio ancora di cuore per le tue
puntuali e sempre immancabili recensioni :). Sono contentissima che sei sempre
presente, anche a distanza di tanto tempo! Ti invio quindi un bacio enorme ed
un enorme saluto, aspettando il tuo prossimo commento nel prossimo capitolo!
eleonora_96: Allora, vediamo. Hai detto che Bella è
diversa? Mhh... mi interessa questa cosa; in che senso diversa? Non vorrei che
a renderla diversa sia io, che sbaglio di scrivere! Eh eh! Ebbene sì, lui non
sa che anche lei ricambia e non se lo può nemmeno immaginare! Lo so, sono
cattiva. E poi, scusa, cosa vuol dire presto?! E' da almeno tre capitoli che se
la sta menando con questo comportamento strano e finalmente ecco che lo dice!
XD Bon dai, non ha ascoltato il dialogo tra Jacob e Edward, ma quello tra Bella
e Jacob sì, che alla fine, credo sia stato anche peggio! :).
Spero quindi che anche questo capitolo ti sia piaciuto
come il precedente, anche perché contiene una delle parti più importanti, forse
la più importante, di tutto Eclipse. Anche grazie mille per le tue puntuali
recensioni! :) Un grosso bacio anche a te!
X nes_sie: Sono contentissima che la scena della tenda sia
stata all'altezza della situazione! E' difatti un passo importante anche
nell'Eclipse originale. Quello che viene dopo poi, lo ammetto, non fa altro che
risolvere e complicare le cose! Intendo la rivelazione e tutto il resto! E a proposito,
mi dispiace, il bacio non è scappato ad Abigail, ma nemmeno a Bella, quindi
poco male! Dispiace tantissimo anche a me non continuare più, soprattutto
perché Renesmee sarà un fondamentale personaggio nella storia, che la cambierà
radicalmente.
Nel frattempo ti faccio un grande saluto, aspettandoti
anche alla prossima, se vorrai! :) Grazie ancora tantissimo per il commento! Un
grande bacio!
X mylifeabeautifullie: Eh, eh! Domanda da un milione di
euro. Lo dice nel capitolo precedente e lo ripete anche in questo: non può
scegliere tra Bella o Abigail, perché in pratica è come rispondere alla domanda
'ti piace di più il gelato o la pizza?', in poche parole. Lui è innamorato di
tutte e due e, pur sapendo di dover scegliere una della due, è terribilmente indeciso,
anche perché Abigail rispetto a Bella non è affatto più semplice da
conquistare, visto che è fermamente convinto che a Abigail lui non interessa
proprio. Spero quindi che anche questo capitolo ti sia piaciuto e di esserti
stata chiara :)! Un grosso bacio e alla prossima!
X Kianna: Non serve tanto aspettare! Tempo il giorno dopo
lei lo sa già! XD Il fatto poi che Edward non glielo ha detto viene spiegato in
questo capitolo (perché effetivamente anch'io avevo pensato a questa
possibilità). Ah Ah Ah Ah! Esatto! E' più o meno anche quello che ho pensato io
quando l'ho scritto! Peccato per il freddo, però, che ha fatto saltare tutto
:(.Detto questo, ti ringrazio tantissimo per la recensione! :) Un Bacio!
X GiuliaMary: Mi fa felicissima il fatto che il dialogo
della tenda rielaborato sia riuscito! E inoltre apprezzo immensamente il tuo
appoggio e la tua futura e continua partecipazione alla mia fan fiction. Ti
ringrazio di cuore. :) Ti mando un grosso bacio!
Quella strana sensazione di gelo mi portò a realizzare
che, ovviamente, non ero morta.
“Abi”
Subito dopo l’udito, ben presto riprese a funzionare anche
la vista. Il viso perfetto e unico di mia madre mi guardava con un sorriso
tremendamente dispiaciuto. Io le sorrisi automaticamente, facendo fatica a
reprimere gli occhi lucidi. Provai a muovere le dita, per assicurarmi di aver
il controllo di tutto il resto del corpo. Quando me ne assicurai, mi tirai su a
sedere. Forse fui troppo veloce, perché la testa cominciò a girarmi e a pulsare
violentemente. Evidentemente, in qualche maniera avevo battuto la testa.
I miei occhi incrociarono ancora quelli di mia madre, il
cui sorriso ora splendeva e la rendeva un essere angelico. Fu inspiegabile la
gioia che provai vederla lì, viva accanto a me.
“Come stai Abi?” mi sussurrò lei, attenta a non
confondermi con suoni troppo forti. Io annuii freneticamente, convinta che se
avessi pronunciato parola, sarei scoppiata a piangere.
Mi diedi una veloce occhiata attorno completamente
spaesata. Rimasi immobile ad osservare Edward e Seth raccogliere pezzi di corpi
bianchi sparsi per l’accampamento e la foresta. Erano quelli di Victoria e
Riley. Feci un respiro profondo, completamente rilassata; mamma alla fine era
venuta a salvarmi.
Un momento, Seth? Me lo ricordavo a terra, immobile, senza
l’ombra di un respiro. Ora invece era tutto allegro e contento mentre
gironzolava insieme ad Edward.
Sulla mia sinistra, invece, nell’esatta posizione in cui l’avevo lasciata,
Bella osservava rigida e incredula prima i movimenti di Edward e Seth, poi i
miei e quelli di mia madre, stringendo qualcosa nella mano non steccata. Dire
che era scioccata era un eufemismo. Mi tirai su in piedi, con l’intenzione di
vedere effettivamente come stava. Tuttavia, non appena ebbi un solido appoggio
ai piedi, ricevetti un poderoso abbraccio da mamma. Quando si distaccò mi
incorniciò il viso con le mani, come le piaceva tanto fare.
“Lo so, è tutta colpa mia, Abi” disse piano, la voce quasi
rotta. “Avrei dovuto rimanere con te, non sarei dovuta andare con gli altri.
Avrei dovuto immaginare che sarebbe successo questo. Sono stata troppo convinta
e presuntuosa di poter arrivare da te qualsiasi cosa…” Guardavo allibita mia
madre, incapace di fermare quel terribile mea culpa, che io non avevo
mai per neanche un minuto pensato.
“Non è colpa tua, Sophie” intervenne all’improvviso
Edward, mentre tirava fuori dalla tasca dei pantaloni un accendino a benzina.
Le sue parole riuscirono a distrarre mamma.
“Cosa stai dicendo, Edward?” gli chiese guardandolo
confusa. Lui mi lanciò un’occhiata poco amichevole.
“Avresti potuto terrorizzarti prima, Abigail” disse
davvero irritato. “Victoria e l’altro vampiro erano qua già da un bel po’”
continuò a spiegare a mamma. Incoerentemente, lei si sentì ancora più in colpa.
“Abigail, cos’è successo?” chiese in un sussurro, con voce
tremante. Io la guardai ancora spaesata per quegli ultimi istanti in cui
credetti davvero di morire. Anzi, erano stati così veloci che nemmeno mi ero
resa conto di questa possibilità.
“Non lo so” risposi incerta. Quegli occhi davanti a me
pieni di tristezza minacciavano di piangere, seppure non lo avrebbero potuto
fare. Mia madre si limitò ad abbracciarmi ancora, appoggiando la testa sulla
mia spalla.
“Abi” sospirò lei, tanto flebilmente da non poter
distinguere il tono “E’ colpa mia se…” Io scossi velocemente la testa, mentre
già sapevo quello che avrebbe voluto dire.
“No” la interruppi io, trovandomi ad accarezzarle la
testa. “Tu hai avuto solo la colpa di voler fare da mamma alla tua bambina”
dissi quasi soprapensiero. Lei rimase in silenzio, incastrando la testa tra la
mia spalla ed il collo. Io continuavo ad accarezzarle i lisci e rossicci
capelli, con il mento appoggiato alla sua testa. Alla fine di tutto, ero io a
consolare lei.
Dopo alcuni secondi alzò la testa. Nei suoi occhi non era
più rimasta alcuna traccia di tristezza o senso di colpa. Mi lanciava quel suo
sorriso e lo sguardo che mi inviò, fu molto più eloquente di cento, mille
parole; diceva di volermi bene.
“Sophie.” Edward interruppe questo splendido momento madre
e figlia. A malincuore, i suoi occhi si staccarono da me.
“Per cortesia, potresti spostarti da Bella?” disse in tono
cortese, cercando di compensare con la sua educazione l’interruzione di prima.
Entrambe guardammo Bella.
“Oh” mormorò mamma affranta. Il secondo dopo fu accanto ad
Edward. Osservai Bella confusa, cercando di individuare il motivo che aveva
spinto mia madre a staccarsi così improvvisamente da me. Poi capii, vedendo il
braccio di Bella mezzo insanguinato.
“Oh” ripetei anch’io. Bella, intanto, continuava stordita
a mantenere gli occhi fissi su Edward.
“Abigail, per favore, toglile di mano quella pietra” mi
ordinò lui. Senza neanche che mi accorgessi della pietra, Bella aprì la mano
stretta a pugno e fece scivolare la pietra che teneva in mano.
Stranamente, Edward manteneva le distanze, le mani alzate
e lo sguardo indeciso. Mi rifiutai di comprendere il suo comportamento e pensai
piuttosto a cercare di far tornare Bella alla realtà.
“Ehi, Bella, è tutto finito! Io sono viva, Edward è vivo,
siamo tutti vivi!” dissi prendendole entrambe le mani. Sfortunatamente, ero
ancora in uno stato fin troppo confusionale per sembrare anche solo un minimo
rassicurante.
“Non avere paura, Bella” continuò Edward “Non ti faremo
del male” disse rimanendo immobile e cauto. Io mi girai verso di lui, per guardarlo
confusa. Perché diavolo credeva che Bella la pensasse in questo modo?
“Andrà tutto bene. So che adesso hai paura, ma non ti
succederà niente. Nessuno di farà del male” continuò imperterrito lui. Mia
madre, decisa a dargli corda, le mostrò il suo dolce sorriso da mamma
iperprotettiva, che solitamente usava esclusivamente con me.
“Perché continui a ripetermelo?” chiese allora Bella
nervosa, alla faccia di Edward.
“Non hai…” disse indeciso lui “Non hai paura di noi?”
“Perché?” chiese Bella tesa. Fece alcuni passi in avanti,
ma inciampò su qualcosa. Io, vicino a lei, riuscì a trattenerla appena in
tempo. Accorciando totalmente le distanze, Edward si fiondò su di lei e
l’afferrò, mentre Bella si lasciava andare in singhiozzi, stretta nel suo petto.
“Bella, scusami. E’ finita, è finita.” Mi avvicinai subito
a mamma, lasciando anche a quei due un momento di felice riconciliazione.
A qualche metro di distanza intanto se ne stava tranquillo
Seth. Per nulla stanco dal combattimento appena vinto, se ne andava avanti ed
indietro, scodinzolando soddisfatto e fiero della vittoria. Quando si accorse
che l’osservavo mi abbaiò felice. Quel suono richiamò l’attenzione di mamma,
che si voltò automaticamente verso di lui. Fu quasi comica la scena, quando non
appena gli occhi di mamma incontrarono quelli del lupo, Seth abbassò orecchie e
coda e uggiolando si allontanò velocemente da lei. Poteva essere solo
un’impressione, ma credevo che Seth avesse una paura micidiale di mia madre.
Allora mi attraversò come un lampo nella mente la
consapevolezza che se adesso stavamo vivendo felici momenti di riconciliazione,
forse non succedeva questo nella radura.
“E gli altri?” esclamai io, la voce fin troppo stridula.
“Stanno tutti bene. Anche giù è tutto finito. E’ andato
tutto liscio” mi rispose Edward, rassicurando in questo modo anche Bella.
Guardai agitata mamma.
“Quindi anche papà…”
“Sì, sta benone” mi assicurò mamma con un sorriso “Anzi,
ha tolto il divertimento a più di qualcuno.” Mi sentii doppiamente rassicurata.
La sensazione di sollievo che provai era indescrivibile, quando l’altro giorno
pensavo che tutto avrebbe avuto un risvolto negativo.
“Perché pensavi che avessi paura di te?” insistette Bella,
ripresasi del tutto, discostandosi solo di un poco da Edward.
“Scusami ancora, Bella” disse di nuovo terribilmente
dispiaciuto “Non volevo che mi vedessi in questo modo. Ero certa di averti
terrorizzato.” Ah bè, giusto, per lui ero io quella che si doveva terrorizzare
il prima possibile. Sbuffai e mamma, quasi leggendomi nel pensiero, mi tirò una
leggera gomitata alle costole per farmi smettere.
“Davvero?” domandò lei, infine. Lui le prese delicatamente
il mento, in modo da poterla osservare negli occhi.
“Bella, io stavo cercando di uccidere una creatura
pensante a meno venti metri da te” Con un cenno di occhi indicò mamma. “E
Sophie l’ha smembrata in neanche mezzo secondo. Non ne sei provata?” Bella in
compenso, fece spallucce. Forse non era molto corretto, ma ci godevo tantissimo
nel vedere che per una volta le preoccupazioni di quel paranoico infastidivano
lei e sorprendevano lui per la sua reazione.
“In realtà, avevo paura per te e Seth.” si spiegò lei,
giustificando il braccio sanguinato.
“Seth stava fingendo” disse scuotendo la testa.
“Davvero?” esclamai io incredula.
“Davvero?” mi emulò Bella.
“Sì” affermò secco lui.
“Bhè, non lo sapevo” tentò di giustificarsi lei “Volevo
cercare di aiutarvi.”
“Ah, già” continuò lui monocorde. “Il numero con il sasso.
Mi hai fatto venire un infarto e ti garantisco che non è facile. Per non
parlare del tuo intervento!” sbottò alla fine verso di me, mentre mamma mi
guardava interessata. “Ehi, rossa, bei capelli!” Rimasi strabiliata per la sua
voce, che imitò in modo così perfetto la mia. Mamma mi guardò sorpresa.
“Davvero?” mi disse in un sussurro impercettibile. Io
annuì fiera.
“Però devi ammettere che ha funzionato alla grande”
ribattei, compiaciuta almeno quanto Seth. Mamma vicino a me, tentò di
trattenere una risata a fatica. Edward, invece, non volendo rispondermi, rimase
in silenzio.
“Edward?” Il tono teso di Bella tornò a mettermi allerta.
I suoi occhi sfrecciarono su mamma, che si irrigidì all’istante.
“Manca un minuto” mormorò Edward cupo. Mia madre annuì
percettibilmente, mentre Edward fece un segno anche a Seth. Io e Bella
osservavamo i nostri vampiri in silenzio.
“Cosa succede?” chiese alla fine Bella.
“Niente” rispose automaticamente Edward.
“Vorresti spiegarmi il significato di niente per
cortesia?” chiese più irritata.
“Non c’è motivo di avere paura. Fidati, per piacere” le
chiese con tono convinto. Bella annuì, sussurrando un ‘va bene’. Io non ero
affatto convinta. Perforai con lo sguardo mamma, che rivelava un velo di
preoccupazione in più di Edward. In risposta, mi accarezzò i capelli, dandomi
un lieve bacio sulla fronte.
“Fidati, Abi” si limitò a dire. A quel punto dovetti
mettermi l’anima in pace anch’io. Edward lanciò ancora un’altra occhiata
nervosa a Seth.
“Cosa sta facendo?” gli chiese. Seth rispose con un
mugolio irrequieto. A quel punto anche mamma si tese di nuovo. Ci fu un lungo
secondo di silenzio.
“No!” Il silenzio venne rotto dall’urlo di Edward. “Non
farlo!” Si mosse improvvisamente, come per afferrare qualcosa di invisibile,
mentre lo osservavo totalmente terrorizzata. Seth emise un ululato di dolore.
“Edward!” esclamò seria mamma. Nello stesso momento lui
cadde a terra in ginocchio, la testa stretta tra le mani e un’espressione di
dolore dipinta sul volto. Rimasi immobile, incredula e scioccata per la scena
che stavo assistendo. Edward non si era mai comportato in quel modo. Bella
lanciò un grido, facendosi immediatamente vicino a lui.
“Edward!” gridò. Mamma scattò e si inginocchiò vicino a
lui, tenendogli una mano sul collo ed una sulla fronte.
“Edward, cosa sta succedendo?” domandò più seria di prima,
quasi severa. Edward aprì lentamente gli occhi e scostò delicatamente le mani
di mia madre.
“Tutto a posto. Andrà tutto bene…” mormorò con uno sforzo
enorme.
“Che succede?” urlò di nuovo Bella, mentre Seth continuava
a ululare disperato.
“Andrà tutto per il meglio” continuò lui, come se fosse
caduto in catalessi. “Sam, aiutalo!” urlò poi. Va bene, stava succedendo
qualcosa nel branco di licantropi; Edward si era immedesimato nuovamente nella
mente del branco. Scattò poi in piedi, così veloce che mamma dovette scansarsi.
“Seth” gridò. Il giovane lupo, ancora parecchio scosso, si
slanciò nella foresta.
“No!” ordinò Edward “Tu vai dritto a casa. Adesso. Più
veloce che puoi!” Seth sembrò non dargli alcuna retta, perché scosse la testa
frenetico.
“Seth, fidati!” urlò di nuovo Edward, questa volta per
rimproverarlo. Seth tentennò ancora per qualche secondo, prima di ripartire
spedito, scomparendo dalla nostra vista.
“Cos’è successo, Edward?” riprese di nuovo mamma, questa
volta più dolce.
“Non ora, Sophie” disse Edward, prendendo Bella tra le
braccia. Le lanciò un’occhiata tesa “Stanno per arrivare.” Mamma comprese
immediatamente quelle parole e mi caricò sulla schiena.
“Cosa sta succedendo, mamma?” le chiesi dietro di lei.
Aspettò un attimo prima di rispondermi.
“I Volturi stanno arrivando” mi comunicò impassibile.
“Alice l’ha visto stamattina, e ha informato i licantropi.”
Persi il respiro e mi vennero le vertigini quando, senza
che me lo aspettassi, mamma partì. Quegli occhi rosso scuro, quei mantelli nero
fumo, quella cattiveria nei loro occhi, il desiderio di vedermi morta mi
ritornarono all’improvviso alla mente. Per lo spavento aumentai la pressione
attorno al collo di mamma, che di conseguenza rallentò, per farmi riprendere.
“Non spaventarti, non sono venuti per noi, né per Bella”
mi comunicò lei, continuando a procedere. Appoggiai la mia testa sul suo
torace, in modo da sentire il rimbombo della sua voce contro le sue costole.
“Vengono per ripulire i disastri come questo.”
“Che strano, solo ora” mormorai sarcastica, per quanto
atterrita potevo essere. Tenni gli occhi chiusi per tutto il viaggio, mentre
sentivo il vento scompigliarmi i capelli. Mia madre non rispose; era ovvio che,
dopotutto, se l’esercito dei neonati avrebbe eliminato qualche Cullen, o
qualche Adams, più di qualcuno a Volterra sarebbe stato contento.
“Dobbiamo presentarci a loro” continuò mamma, cupa.
“Dobbiamo?” domandai confusa.
“I Volturi hanno paura di noi, quindi siamo indispensabili
per formare un gruppo unito” comunicò mamma. Certo, i Volturi avevano paura di
noi, tanto quanto noi di loro.
“Bella poi è ancora umana.” Un brivido mi scosse la
schiena. Giusto, la promessa. “Se si nascondesse, sarebbe peggio; con il loro
segugio, la troverebbero subito. Dobbiamo essere presenti, affinché i Volturi
non prendano decisioni affrettate.”
Non servivano tanti giri di parole: quello che voleva dire
mamma era che i Volturi, vedendo Bella umana, l’avrebbero potuta direttamente
uccidere. Tornai a tremare come una foglia, sicura ormai che quest’orribile
avventura non aveva ancora raggiunto il suo termine.
“Non ti preoccupare per lei. Andrà tutto bene; Alice l’ha
visto e tuo padre sa cosa fare” mi assicurò mamma, più tranquilla.
“E i lupi?” chiesi di nuovo più agitata.
“Se ne sono andati; i Volturi non avrebbero rispettato la
tregua con loro” mi spiegò mamma paziente “Ora sono al sicuro” mi assicurò lei.
Io rimasi in silenzio, lasciandomi trasportare in quella posizione tanto
familiare quanto per un piccolo koala con la sua mamma, mentre lo stomaco
ingarbugliato si snodava solo un poco, alla notizia che i licantropi erano al
sicuro. In lontananza, una coltre di fumo si ergeva minacciosa verso il cielo.
“Oh” sbottò mamma.
“Cosa?” chiesi immediatamente io. Lei non mi rispose. Fece
solo che peggio.
“Mamma” la richiamai io, più tesa.
“Ho capito quello che è successo prima” mormorò insicura
lei “Edward lo ha appena detto a Bella.” Mi guardai attorno in cerca della
figura di Edward, ma tutto quello che distinsi fu unicamente il fogliame
confuso degli alberi.
“Qualcuno si è fatto male?” azzardai io. Rimasi in attesa
con il fiato sospeso.
“Sì” mormorò mamma. “Ma si riprenderà” completò in fretta.
“Chi?” sbottai. Un altro secondo di interminabile attesa.
“Jacob.”
Mi strinsi ancora di più a mamma, iniziando a maledire e a
lanciare una serie di pensanti insulti a quell’idiota. Come diavolo aveva fatto
ad essere così pollo da essere stato l’unico a farsi beccare?! Nella mia mente
lasciavo che gli insulti si susseguissero liberamente, ma sapevo che erano solo
un modo poco efficace per reprimere l’immensa paura che mi attanagliava.
“Si riprenderà, non è grave” mi assicurò di nuovo mah’.
Sfortunatamente, non servirono a niente quelle parole.
Il viaggio terminò. Scesi con difficoltà dalla schiena di
mamma, ancora piuttosto scossa. Neanche posati i piedi a terra e papà fu subito
accanto a me. Vedendolo mi risollevai appena. Mise una mano sulla mia testa per
accarezzarmi, ma io non contenta mi presi tutto il corpo, cercando di
stritolarlo in un abbraccio, trascurando il pubblico che ci circondava.
Poco distanti da me apparvero anche Edward e Bella.
“Davvero si riprenderà?” chiese Bella a Edward, non meno
agitata di me. Quelle parole tornarono immediatamente a lanciarmi nel panico.
Mi staccai da papà, per aspettare attenta il responso di Edward. A rispondere
però fu Carlisle.
“L’abbiamo visitato io e Will” ci comunicò, serio ma
rassicurante.
“Sta guarendo a velocità impressionante” intervene papà,
subito dietro di me “Tuttavia prima di tornare completamente sano, dovranno
passare alcuni giorni; quasi tutte le ossa della parte destra sono state
sbriciolate.” Guardavo ipnotizzata papà, rabbrividendo alle ultime parole.
“Faremo il possibile per lui quando avremo finito. Sam lo
sta aiutando a tornare umano, così sarà più facile per noi curarlo” continuò
Carlisle. Accennò appena a un sorriso “Non ho specializzazioni in veterinaria.”
“Cosa gli è successo?” domandai, cercando di moderare il
tono per essere comprensibile. Carlisle si fece serio. “C’era un altro lupo in
pericolo.”
“Leah” intervenne Bella. Io ascoltavo attenta, cercando di
capire cosa c’entrasse Leah.
“Sì. E’ riuscito a spostarla, ma non ha avuto il tempo di
difendersi. Il neonato lo ha stretto in una morsa” rispose papà.
Sospirai e tornai ad arrabbiarmi; mi sembrava di essere
stata chiara quando gli avevo proibito di fare l’eroe. Tuttavia, era probabile
che senza il suo intervento sarebbe toccato a Leah adesso subire la stessa
sorte, oppure peggio. “Sam e Paul sono arrivati in tempo, mentre lo portavano a
La Push stava già guarendo.”
“Quindi guarirà del tutto?” domandò ansiosa Bella.
“Sì. Non ci saranno danni permanenti” cercò di
rassicurarla papà.
“Tre minuti” squillò Alice calma. Il suo monito mi riportò
ancora con più orrore alla realtà.
I vampiri si riunirono attorno a me e a Bella, formando
una sorta di semicerchio attorno al falò, dal quale ormai le fiamme erano
coperte da uno spesso strato di fumo nero.
Jasper era il più vicino a quell’ammasso di fumo, dandoci
la schiena e continuando distratto a grattarsi il braccio.
“Jasper sta bene?” chiesi a Edward, vicino a Bella.
“Sì. E’ il veleno che pizzica.” Sbarrai gli occhi.
“Lo hanno morso?” esclamò Bella impaurita. Jasper, che da
quella distanza aveva ascoltato tutto, si voltò verso di noi.
“Scusami ancora, Jasper” gli disse papà, in tono
dispiaciuto. Jasper si limitò ad alzare il braccio ‘sano’, come per dire che
era tutto ok. Io lo guardai allibita.
“Perché lo hai morso?” gli dissi in uno strano tono di
rimprovero.
“Non l’ho fatto apposta” mi spiegò immediatamente papà.
“Cercavano entrambi di essere ovunque, ed in un momento di
scoordinamento è successo” spiegò Edward.
“Non è stato affatto divertente” si intromise Emmett, che
per la prima volta lo vedevo sconsolato. “Hanno fatto tutto loro” brontolò.
Bhè, se Emmett davvero non si era divertito, la battaglia era durata meno del
previsto.
“Più che altro Jasper cercava di alleggerire il peso di
Alice” continuò Edward con un sorriso.“Come se ce ne fosse stato bisogno.”
Alice lanciò una linguaccia alla sua metà.
“Che sciocchino.” In risposta Jasper si voltò per farle un
occhiolino, per poi ritornare immediatamente ad osservare qualcosa ai suoi
piedi.
Allora mi accorsi perché Jasper si trovava proprio là e
cosa stesse facendo; non tutti i neonati erano stati eliminati. Era una
ragazza, raggomitolata accanto al fuoco. Era più giovane di me. Si stringeva le
gambe al petto, come se temesse che qualcosa le potesse sfuggirle da dentro,
mentre era scossa da convulsioni improvvise e temporanee. I lunghi capelli neri
le incorniciavano il viso, e davano spicco alle iridi rosse, più intense di
quelle di Riley, che guizzavano isteriche da me a Bella. Il suo viso era
completamente distorto dalla sete e dalla rabbia anche solo per distinguerne i
lineamenti.
“Si è arresa” spiegò Edward, tranquillo. Voltandomi per
guardarlo, vidi che anche Bella aveva avuto la mia stessa reazione nel vederla.
“Solo qualcuno come Carlisle avrebbe pensato di offrile la resa. Jasper non è
d’accordo.”
La giovane vampira lanciò uno strillo acuto di dolore che
mi fece accapponare la pelle. In risposta Jasper le ruggì contro; lei si tirò
indietro e cominciò ad affondare le unghie nel terreno, dondolando agonizzante.
Non avrei dovuto provare pena per lei, ma è quello che sentii. Di proposito,
papà si posizionò davanti a me, in modo da togliermi dalla vista della vampira
ed Edward fece lo stesso con Bella, ma io mi sporsi un po’ più in là per
osservare la scena.
Carlisle affiancò Jasper, e posò la mano sulla sua spalla.
“Ci hai ripensato, giovane?” le chiese Carlisle, per nulla
teso. “Non intendiamo eliminarti, ma se non riesci a controllarti, non potremo
fare altrimenti.”
“Come fate a sopportare?” urlò lei, con voce troppo
infantile. Era in pratica una bambina. “Le voglio” mormorò a denti stretti,
mentre i suoi occhi erano rivolti verso di noi.
“Devi sopportare” l’ammonì ancora Carlisle. La ragazza si
prese la testa tra le mani e continuò a dondolare avanti e indietro.
Quell’immagine mi spinse a compatirla ancora di più.
Non le riuscivo a staccare gli occhi di dosso. Bella
chiese qualcosa a Edward che non riuscii a capire, mentre la testa della
giovane si rialzò di scatto, verso la mia direzione. Fu probabilmente quando
capì che, essendo Bella coperta da Edward, il bersaglio scoperto ero io, che
cominciò a fissarmi. Mi mostrava i denti, mentre continuava a scavare. Io non
riuscivo ancora a rimanere impassibile.
Ad un certo punto sembrò calmarsi; le sue labbra si
chiusero leggermente ed i suoi lineamenti si distesero. Continuava a guardarmi,
furiosa e assetata, ma questa volta anche curiosa. Era forse il colorito
pallido della trasformazione, ma sembrava più piccola di quanto non fosse.
Non seppi perché, ma all’improvviso mi ricordò Bree.
Rabbrividii al solo pensiero. Dovevo ammettere che non le assomigliava granché;
i capelli avevano un taglio diverso, anche se il colorito era simile, mentre i
lineamenti erano quelli di un vampiro, troppo diversi da quelli della mia
amica. Tuttavia c’era un qualcosa, non sapevo esattamente bene cosa, ma…
Impossibile; lei non abitava a Seattle, lei era di… A dire
il vero non mi aveva mai detto di dov’era.
La continuai a guardare fissa, questa volta non per
osservare la sua agonia, ma in cerca di quel qualcosa che mi aveva spinta a
credere per un attimo che fosse lei. Anzi, ancora adesso avevo l’orribile,
impossibile e del tutto insensato presentimento che fosse lei.
Vidi Edward staccarsi velocemente da Bella e andare da
Jasper. Quando la neonata la vide, iniziò a scavare nella terra più
furiosamente, mentre tratteneva un ringhio tra i denti. Gli disse velocemente
qualcosa all’orecchio, tanto piano che nemmeno mamma che lo guardava curiosa
riuscì a capire.
Dopodiché Carlisle, Jasper ed Edward ritornarono verso di
noi, mentre Emmett Rosalie ed Esme li imitavano. Crearono un fronte unito, con
me e Bella al centro, le più protette. Il motivo di quei movimenti strategici
mi costrinse a lasciar perdere per un attimo la vampira. Non riuscivo ancora a
vederli; il centro della radura continuava ad essere riempito dal fumo nero e
denso del rogo. A un mormorio proveniente dalla nebbia papà rispose con tono
educato e freddo.
“Benvenuta, Jane.”
Emersero cinque sagome, che i mantelli grigio scuro
confondevano col fumo. Riconobbi subito Jane dalla sua corporatura minuta e
bassa. Man mano che si avvicinavano, anche il suo viso da marmocchia cominciò a
rendersi visibile attraverso il cappuccio.
Non riuscii invece a riconoscere le quattro e imponenti
figure che la seguivano. La più grossa immaginavo fosse quella di Felix, uno
dei due primi vampiri che avevo avuto il piacere di conoscere a Volterra,
nonché il primo che aveva avuto la possibilità di uccidermi quattordici anni
fa. Quest’ultimo si abbassò il cappuccio e confermò le mie supposizioni, mentre
faceva un occhiolino e sorrideva, non sapevo se a Bella o a me, o a entrambe.
In risposta gli lanciai un’occhiataccia; oltre ad assomigliare fisicamente ad
Emmett, per certi versi anche il suo comportamento mi ricordava il Cullen.
Ciononostante, dietro a questo comportamento che poteva sembrare fin troppo
arrogante, non mi trovavo affatto a mio agio e smaniavo dalla voglia che tutto
questo fosse finito.
Jane, con una calma che fece sicuramente irritare papà, si
soffermò ad osservare i volti dei Cullen uno per uno, non ponendo alcuna
attenzione ai miei genitori o a me.
Fu quando i suoi occhi si posero per un attimo sulla
neonata, ancora agonizzante per i nostri odori, mi ricordai di lei. Dopo averla
nuovamente osservata, ebbi ancora la medesima sensazione di prima, che fosse
realmente Bree.
“Non capisco” disse Jane, con la sua voce apatica.
“Si è arresa” le spiegò Edward, in risposta ai suoi
pensieri. La Voltura lo perforò con lo sguardo.
“Arresa?”
“Carlisle le ha dato una possibilità” disse semplicemente,
come se fosse un fatto normalissimo.
La mia gamba cominciò a muoversi convulsamente; un tic che
mi veniva nei momenti di grande agitazione. Mio padre vicino a me si mosse
impercettibilmente per coprirmi.
“Chi infrange le nostre leggi non merita seconde chance”
rispose Jane severa. Non mi sarebbe mai passata la strana impressione di vedere
una marmocchia dare ordini a destra e a manca.
“Sta comunque a voi decidere” intervenne Carlisle,
gentilmente. “Non ha voluto attaccarci, quindi abbiamo rinunciato a
eliminarla.”
“Ciò è irrilevante” mormorò Jane, indifferente.
“Come credi” rispose nello stesso tono Carlisle. Jane lo
osservò per un altro secondo, per poi degnare dello primo sguardo anche mio
padre e mia madre.
“Carlisle, William, Aro sperava che ci spingessimo tanto a
ovest per incontrarvi. Vi manda i suoi saluti” ci comunicò fredda.
“Ti prego di portare i nostri a lui” rispose Carlisle,
parlando anche per mio padre, che preferì rimanere in silenzio.
“Certamente.” Jane sorrise, falsa. Diede uno sguardo
veloce al fuoco vicino a noi. “A quanto pare ci avete risparmiato del lavoro…
almeno la maggior parte” disse, indicando la neonata. “Per curiosità, sapete
dire quanti erano? Hanno seminato un bel po’ di terrore a Seattle.”
“Diciotto, lei compresa” le comunicò Carlisle. Jane alzò
appena le sopracciglia, guardando ancora una volta il rogo. Ci fu un fugace
scambio di sguardo che non mi piacque anche nelle retrovie, tra gli altri
quattro vampiri di Jane.
“Diciotto?” ripeté, con voce più contenuta.
“Tutti neonati. Tutt’altro che esperti” specificò
Carlisle, tenendo a semplificare l’impresa appena svolta. Davanti ai Volturi
era meglio mostrarci meno imbattibili possibile. Tuttavia non ricavammo questo
risultato.
“Immagino che sia stato piuttosto semplice grazie a
William e a… Sophie” intervenne Jane, che a fatica era riuscita a pronunciare
l’ultimo nome. I miei genitori continuarono a rimanere immobili. “Chi è stato a
trasformarli?” riprese Jane, rivolta ora verso i Cullen, senza dare il tempo di
rispondere ai miei genitori.
“Si chiamava Victoria” intervenne Edward.
“Chiamava?” ripeté Jane. Edward indicò la zona nord della
foresta. Jane lo seguì con gli occhi, per osservare in lontananza una quasi
invisibile colonna di fumo.
“Questa Victoria… era assieme a questi diciotto?”
“Sì, con lei ce n’era uno solo. Non era giovane come
questa, ma aveva meno di un anno”
“Venti, allora” continuò Jane “Chi si è occupato di questa
Victoria?”
“Io” rispose monocorde mamma. Jane le lanciò uno sguardo
furioso, come se il suono della sua voce l’avesse terribilmente infastidita, ma
non aveva il coraggio di usare il suo potere.
“La cosa non mi stupisce” mormorò a denti stretti. Mia
madre continuò a rimanere in silenzio, impassibile. Dopo un ultimo sguardo
truce, Jane si rivolse di nuovo verso la neonata.
“Tu” disse sprezzante, come per riversare tutta la rabbia
per mia madre su di lei. “Come ti chiami?”
La neonata in risposta le lanciò uno sguardo ostile. Jane
le rivolse un sorriso angelico.
L’urlo che la neonata lanciò mi fece automaticamente
abbassare la testa, costringendomi a strizzare gli occhi e resistendo
all’impulso di coprirmi le orecchie, e a quello di scappare. Le urla si fecero
più forti; cominciai a tremare e serrai le dita in due pugni ben stretti per
controllarmi. In soccorso arrivò immediatamente la mano di mamma sulla schiena.
Solo quando calò il silenzio ebbi il coraggio di alzare
gli occhi. La neonata si trovava riversa a terra, il viso coperto dai capelli
neri.
“Dimmi come ti chiami” ripeté Jane.
“Bree” mormorò lei insicura. Jane sorrise di nuovo e la
serie di urli riprese.
Questa volta però erano più dolorosi e soffocanti. Ormai
non riuscivo a trovare alcun compromesso con me stessa, ormai la convinzione
che fosse Bree, la mia amica Bree, era lampante ed inevitabile. No, non era
possibile, non ci volevo credere. La ragazza che in questo momento stava urlando,
che stava soffrendo, che aveva sofferto, non poteva essere la mia amica Bree,
no, non ci credevo.
Aspettai qualsiasi reazione di dolore da parte del mio
corpo; lacrime, urli, pianti a dirotto, qualsiasi cosa. Rimasi invece
totalmente impassibile, i battiti del mio cuore erano normali, il mio respiro
regolare, i miei occhi perfettamente asciutti, il mio corpo rilassato. Ero
totalmente calma, tanto che la vista della mia amica, mentre veniva torturata
non mi procurava alcun effetto. Erano tutte reazioni assurde per essere
naturali. In quel frangente i miei occhi si fondarono su Jasper, che ricambiò;
era lui che tentava di reprimere il mio dolore e lo assorbiva in se stesso e lo
sguardo che mi lanciò non fece altro che confermare le mie teorie.
In questa situazione in cui non ero succube delle mie
emozioni e tutto ciò che mi rimaneva era solo la fredda razionalità dei miei
pensieri, realizzai più velocemente la causa che aveva spinto Jasper a farlo:
qualsiasi manifestazione da parte mia, avrebbe sicuramente attirato
l’attenzione di Jane e ci avrei scommesso che, capendo che provavo dell’affetto
per la mia piccola amica, l’avrebbe doppiamente torturata. Ma Jasper come
sapeva… Edward. Ecco che cosa gli aveva detto poco prima. Lui lo sapeva fin
dall’inizio che era lei.
In quell’istante le sue urla strazianti smisero.
“Ti dirà tutto. Non è necessario trattarla in questo modo”
intervenne Edward in sua difesa, a denti stretti. Jane alzò gli occhi verso di
lui, mentre sembrava sprizzare gioia da tutti i pori.
“Ah, lo so” affermò quasi contenta.
Tutto ciò che riuscii a fare fu pensare che quella era una
viscida creatura. Sarebbe stato fin troppo naturale sentirmi terribilmente
incazzata, ma questa volta non successe. Mi sentivo a disagio a non provare
alcuna emozione. Sentivo che una libertà mi era stata privata e
contemporaneamente la mia parte razionale mi convinceva che era meglio così.
Riuscivo solamente a pensare che non era giusto, non era giusto che Jane
trattasse in quel modo orribile Bree e non era giusto che lei fosse stata
tramutata in una vampira.
“Bree” continuò Jane, fredda “E’ vera questa storia?
Eravate in venti?” Bree stramazzava a terra, con il respiro pesante, provata da
quella tortura.
“Diciannove o venti, forse di più, non lo so!” Si allontanò,
per paura che una risposta così imprecisa le recasse altro dolore. La sua voce
anche se più melodiosa, ora mi ricordò terribilmente quella della mia amica.
“E questa Victoria? E’ stata lei a trasformarti?”
“Non lo so” ripeté, tremando. “Riley non ce lo ha mai
detto. Quella notte non ho visto niente… era buio… e faceva male.” Non era
giusto! “Diceva che non dovevamo pensare a lei. Diceva che i nostri pensieri
erano spiati…”Gli occhi di Jane
incrociarono quelli di Edward, per poi tornare immediatamente su Bree.
“Raccontami di Riley. Perché vi ha portati qui?”
“Riley ci ha detto che dovevamo eliminare gli strani
occhi-gialli” balbettò svelta la mia amica. “Ha detto che sarebbe stato facile,
che la città era loro e che presto se la sarebbero ripresa. Dovevamo
distruggerli, così il sangue sarebbe stato nostro. Ci ha fatto sentire i loro
odori” disse indicando me e Bella.
“Ha detto che li avremmo riconosciuti, perché stavano con
loro. Ha detto che il primo che le trovava, poteva averle per sé.” Perché Bree parlava
di me in questo modo, come se fossi solo una pietanza? Forse non mi aveva
riconosciuta? Forse mi aveva riconosciuta, ma adesso io non ero nient’altro che
un qualcosa di invitante?
Sentii Edward innervosirsi vicino a Bella. Gli lanciai una
muta supplica, pregandolo di fare tutto il possibile per salvare la mia amica,
essendo esclusivamente lui l’unico cui potevo rivolgermi.
“A quanto pare Riley si è illuso che fosse così facile”
commentò Jane. Bree annuì agitata, sollevata che Jane avesse smesso.
“Non so cos’è successo” si giustificò “Ci siamo divisi in
due gruppi. Poi Riley ci ha abbandonati, senza tornare per aiutarci, come ci
aveva detto. Poi c’è stata solo confusione, e tutti sono morti” concluse
tremando.
“Ho cominciato ad avere paura. Volevo scappare. Lui” ed
indicò Carlisle “mi ha detto che se avessi smesso di combattere, non mi
avrebbero fatto niente.”
“Ma non toccava a lui farti un tale dono, ragazzina” la
interruppe Jane con dissenso. “Chi infrange le regole merita una punizione.”
Ormai avevo imparato quale fosse questo genere di
punizione. Bree era ignara di tutto e non si rese conto di ciò che voleva far
intendere Jane. Un impulso improvviso mi spinse ad intervenire. Aprii la bocca
per dire qualcosa, ma non uscì alcun suono; la voce mi era morta in gola. Il
mio corpo non collaborava, addormentato nell’illusione che non stava succedendo
niente che non andasse.
“Siete sicuri di averli eliminati tutti? Anche l’altro
gruppo?” chiese Jane a Carlisle.
“Anche noi ci siamo divisi” affermò Carlisle. Jane accennò
a malapena a un altro falso sorriso.
“Non ho mai visto nessuna famiglia uscire illesa da un
attacco simile” ammise Jane monotona “A parte la tua, William” disse, mentre
tentava di mantenere un tono piatto, rievocando ricordi piuttosto imbarazzanti
per la potenza dei Volturi. Dietro alle sue spalle sentii altri mormorii.
“Con un potere come il vostro, sono abbastanza sicura che
avreste risolto il problema brillantemente anche da soli” continuò, quasi
sprezzante. “Ho sentito dire che in passato hai compiuto gesta molto più
valorose, William, mi deludi" biascicò, sicuramente riferendosi alla
Guerra del Messico a cui aveva partecipato papà.
“L’inerzia è nemica della pratica” si limitò a rispondere
lui educato, mentre dietro alla schiena stringeva i pugni.
“Comunque” riprese Jane cambiando immediatamente discorso
“Sapete cos’è stato a scatenarli? E’ un comportamento eccessivo, considerato il
vostro stile di vita. Suppongo che la ragazza c’entri qualcosa” azzardò,
soffermandosi per un istante su Bella. Automaticamente voltai la testa verso di
lei; guardava Jane immobile.
“Victoria aveva un conto in sospeso con Bella” si affrettò
a rispondere Edward. Jane emise una dolce quanto falsa risata infantile.
“A quanto pare, non solo la vostra… umana scatena forti e
strane reazioni in noi” disse guardandomi di sottecchi. Io non riuscii a
provare niente. “Ma anche la ragazza sembra non essere da meno” commentò
sorridendole.
“Non farlo, ti prego” mormorò teso Edward. Jane scoppiò di
nuovo in una stridula ed acuta risatina.
“Stavo sono ricontrollando. Sembra che non le abbia fatto
alcunché.” Edward si mosse impercettibilmente verso di Bella.
“A questo punto, non ci resta molto da fare” continuò
Jane, secondo le formali frasi di congedo. Se ne stavano per andare e fremevo
all’arrivo di quel momento. “Non capita spesso di essere inutili. È stato un
peccato esserci persi il combattimento; doveva essere divertente.”
“Sì” tagliò corto Edward. “Se sareste arrivati mezz’ora
prima, avreste potuto compiere il vostro dovere.” Jane guardò fisso Edward per
alcuni istanti.
“Davvero un peccato che sia andata così.” Altroché;
intuivo pure io che, seppure non sapessi leggere i pensieri, bene o male Edward
aveva avuto ragione: i Volturi sapevano già di questa storia e avevano preso la
palla al balzo per farci togliere di mezzo senza sporcarsi le mani.
Jane si voltò di nuovo verso Bree. Il potere di Jasper
stava facendo ancora effetto. Lasciala stare, lasciala stare.
“Felix?” mormorò annoiata.
“Aspetta” la interruppe subito Edward. Jane lo guardò,
leggermente stizzita, mentre quest’ultimo si rivolgevaa Carlisle. “Potremmo spiegarle le regole.
Sembra essere desiderosa di imparare. Non sapeva cosa stava facendo.”
“Saremmo disposti a dichiararci responsabili di Bree”
sostenne Carlisle Edward.
Io più di tutti, credevo, desideravo che le parole di
Edward e Carlisle venissero prese davvero in considerazione. Ma, già in
partenza, sapevo che con la gente con cui avevamo a che fare, era impossibile.
Jane sfoderò un’espressione divertita e contemporaneamente
incredula, felice davanti alle richieste di pietà.
“Non facciamo eccezioni” rispose insensibile “E non diamo
seconde possibilità. Il che mi ricorda…” si interruppe. Tornò ad osservare
Bella, lieta. “A Caius farà piacere sapere che sei ancora umana, Bella. Potrà
decidere di farti una visita.” No, non anche Bella.
“La data è decisa” intervenne svelta Alice “E’ probabile
che saremo noi a farvi visita.” Alla risposta tempestiva di Alice, Jane dovette
cambiare discorso.
“E’ stato un piacere conoscerti, Carlisle. Pensavo che Aro
avesse esagerato. Alla prossima, quindi…”
Carlisle annuì teso. Il momento di andarsene era arrivato,
e io non vedevo l’ora che Jasper mi ritornasse le emozioni. Anzi, forse era
meglio di no.
“Occupatene tu, Felix” disse Jane, annoiata “Voglio
tornare a casa.”
Mio padre si mise davanti a me. Mi obbligò ad appoggiarmi
al suo petto, mentre con le mani mi tappò le orecchie; avevo capito a cosa si
stava riferendo. Non servì granché. Sentii il ringhio di Felix, sentii le grida
stridule e troppo acute di Bree. La mia amica smise di gridare presto. Poi si
susseguirono orribili rumori di spaccature.
Davanti a tutto questo, io continuavo a rimanere calma e
indifferente. Il mio unico e duro pensiero, vuoto, animato da nessuna emozione,
era il fatto logico che non era giusto. Tuttavia, il mio corpo riuscì a
ribellarsi un minimo dai poteri di Jasper, quando una lacrima fuori controllo
mi rigò il viso perfettamente rilassato.
“Venite” annunciò Jane.
Papà si staccò da me, solo quando i cinque Volturi se ne
furono andati silenziosi. Le sue mani fredde dalle orecchie mi circondarono le
guance obbligandomi a guardarlo negli occhi. Sentii la rinnovata puzza di fumo,
e per poco non percepii l’odore della mia amica.
“Tutto bene, Abi?” mi chiese in un sussurro. E mi guardò
con quegli occhi di tristezza, dolore, angoscia e paura, che entrambi i miei
genitori avevano quando erano preoccupati per me. Quando credevano di aver
fatto la scelta sbagliata tenendomi con loro. Io annuii e la calma che mi
pervadeva mi permetteva di fare l’accenno di un sorriso che per quanto falso,
pareva essere convincente per i miei genitori.
Mi voltai immediatamente verso Edward, per evitare di
prolungare quello sguardo e di subire quello di mia madre, che mi cingeva le
spalle dietro di me. Edward, che si era abbandonato ad un abbraccio con Bella,
ricambiò.
Gli chiesi mentalmente di pregare Jasper di trattenermi le
emozioni ancora per un po’, fino a quando non sarei giunta a casa, dove in
camera mia, da sola, avrei potuto darne sfogo.
I miei genitori non avrebbero dovuto sapere niente di
questa storia; ce l'avevano con se stessi per non essermi stati vicini quando
Victoria ci aveva attaccati e non volevo che si sentissero ulteriormente in
colpa. Edward acconsentì di farmi questa cortesia, lasciando per una manciata
di secondi Bella, per parlare in segreto con Jasper.
Dopo che i Volturi se ne furono andanti, anche noi andammo
immediatamente a casa, lasciadoci alle spalle il massacro appena accaduto.
Jasper, per mia fortuna, tenne duro fino alla fine, seppure era visibile dal
suo viso il muto sforzo cui era sottoposto. Pertanto, non vedevo l’ora di
andare a casa e rintanarmi sotto le coperte, a piangere e a consumare almeno in
parte il dolore che mi avrebbe tanto afflitta.
Arrivati a casa l’ultima cosa che mi rimaneva da fare era
cercare di rimanere sola; con papà non c’era problema, visto che insieme a
Carlisle andò immediatamente a La Push, per via di Jacob.
Con mamma dovetti stare un po’ di più; anche con il potere
di Jasper aveva ovviamente capito che c’era qualcosa che non andava, voleva che
glielo dicessi, e io le continuavo a dirle che non c’era niente, che stavo
bene, ma che ero stanca e volevo dormire. Capì immediatamente che la verità era
che volevo stare da sola; adoravo la mia mamma comprensiva.
Quando mamma uscì dalla mia stanza, sentii il potere di
Jasper mollare lentamente la presa su di me. Ciononostante, fu un colpo
durissimo da incassare. Le emozioni fluirono veloci, tutte improvvisamente.
Credetti che se fossi stata in piedi, mi sarei accasciata a terra. Mi strinsi
come in una gabbia tra le lenzuola e seppellii la testa sotto il cuscino,
cercando di reprimere il suono delle lacrime. Ben presto le emozioni
condizionarono irrimediabilmente anche il modo di pensare.
Piangevo, piangevo, e continuavo ancora a piangere per
Bree. Al ricordo della sua voce, piangevo, delle sue agonie, piangevo, del modo
orribile in cui era morta, piangevo. E ancora cercavo di illudermi e di
convincermi che non era lei, che era impossibile che fosse stata proprio lei.
Ma era lei, la stessa con cui avevo diviso una fantastica estate, la sola che
riusciva a battermi nelle gare di apnea, quella che detestava da morire i miei
vestiti. La persona che adesso era morta.
Ed ero anche arrabbiata, perché i Volturi l’avevano
uccisa. Perché se Carlisle non le avesse dato clemenza, qualcun altro l’avrebbe
uccisa, forse anche mia madre, perché era diventata solo un neonato che dava
disturbo.
Solo allora mi accorsi di un’orribile rivelazione, che mai
prima mi aveva sfiorato; i neonati che i Cullen e la mia famiglia avevano
ucciso, erano state delle persone. Potevano continuare ad essere delle persone,
esattamente come gli splendidi abitanti di questa casa, invece erano stati
privati della vita contro la loro volontà, erano stati usati come dei burattini,
per poi morire.
E non solo; mi stupii anche della considerazione che
avevano avuto i Cullen e i miei genitori, dell’obbligo che rappresentava la
battaglia, l’unica possibile soluzione. Come se dal momento in cui erano stati
trasformati in vampiri, l'unica cosa che potevano fare con loro era quella di
ucciderli tutti. Ma... molto probabilmente, erano già morti prima, quando erano
stati trasformati in vampiri, privati della loro umanità e catapultati in un
mondo assurdo e spregevole.
E mi sorpresi nuovamente di quanto potesse diventare
totalmente opposta la visione di questo mondo, se dall’altra parte c’era ad
aspettarti qualcuno che provava amore per te, un sentimento che la maggior
parte dei vampiri era costretto a rinunciare.
Sentii la porta aprirsi e mi zittii all’istante. Stavo
cercando di fare il meno rumore possibile, ma dovevo immaginare che qualcuno
avesse sentito. Aprì la porta e silenzioso lo sentii appoggiarsi al materasso
del mio letto. Senza dire una parola, sentii la sua mano sulla mia spalla,
sopra la coperta. Era la mano di papà; feci scivolare al di fuori la mia per
afferrarla.
“Sono io.” La voce di Edward mi fece sobbalzare. Staccai
all’istante la mano dalla sua e mi tirai fuori dalle coperte guardando
allibita. Mi guardava serio, gli occhi dorati stranamente più grandi del
normale, mentre disinvolto appoggiava la schiena sulla parete-finestra dietro
di sé.
Davanti alla sua presenza, smisi immediatamente di
piangere, troppo orgogliosa per farlo davanti a lui, ma non così tanto da farmi
vedere con gli occhi rossi e lucidi. Anche perché, lui sapeva tutto, quindi
tanto valeva.
“Mi dispiace per com’è andata” iniziò, sincero. Io tirai
su con il naso, prima di rispondere.
“Non è colpa tua” gli risposi rauca, scuotendo
sommessamente la testa. “Piuttosto, grazie per aver fatto qualcosa per… lei. E
ringrazia da parte mia anche Jasper.”
“Lo farò” si limitò a dire lui. Passarono un paio di
secondi, prima che riprendessi.
“Mi ha riconosciuta?”
“No, non ti ha riconosciuta” mi assicurò Edward. Bhé, meglio
così. L’ultima cosa che avrei voluto era sentire le sue grida chiamare il mio
nome mentre Felix la stava squartando. Un brivido mi scosse tutta e con
difficoltà si placò. Edward iniziò a parlare.
“I tuoi genitori ti vogliono troppo bene; hanno cercato di
difenderti e proteggerti dai pericoli del nostro mondo fino ad ora. E devo
constatare che ci sono riusciti perfettamente.” La sua voce era melodiosa e
dolce e il tono ero lo stesso che aveva usato poco prima, durante la
conversazione con Riley, ma allo stesso tempo sembrava totalmente diverso.
“Ma così funzionano le cose, Abi. Questa è la nostra
realtà, purtroppo” concluse, leggermente freddo. Io annuii sommessamente. Aveva
completamente ragione; non conoscevo proprio niente dei vampiri. Fino a quel
momento mi ero vantata con me stessa di sapere tutto di loro. Ma fin’ora avevo
visto con i miei occhi solo il lato buono, non quello cattivo, di cui non mi
ero mai resa conto, che avevo solo sentito, sia dai miei genitori, sia dalle
leggende dei Quileute, sia dal breve incontro con i Volturi.
“Ti ringrazio per esserti messa in difesa di Bella”
continuò, preferendo cambiare argomento. “Non eri costretta, ma l’hai fatto
comunque.” Feci spallucce e stetti zitta. Ad essere sincera quello era stato
tutto istinto.
“Ti ringrazio di cuore” disse con tono profondo, realmente
grato. Io, imbarazzata da tutte quelle attenzione, ritornai a fare spallucce,
come se fosse stata la cosa più naturale di questo mondo.
“Vorrei però chiederti una cosa, posso?” continuò interessato,
cambiando ancora discorso e facendosi più vicin “Cos’è che vedi negli occhi dei
tuoi genitori?” Io rimasi zitta.
“Scusa, sono stato troppo indiscreto” disse scuotendo la
testa. Non era esattamente quello il motivo per cui stetti zitta; non gradivo
l’idea che qualcuno ci stesse a sentire.
“No, non c’è nessuno in casa” mi rassicurò Edward.
“Paura, angoscia e dolore” recitai quasi a memoria. Presi
un respiro profondo prima di affrontare questo argomento; non ne avevo mai
parlato con nessuno, ma mi metteva a mio agio farlo con un vampiro come
Edward.
“Qualche volta mi rivolgono quegli sguardi che mi
ossessionano. Hanno irrimediabilmente paura che io diventi un vampiro, che sia
una di voi, ne sono certa. Che viva la vostra vita. So che soffrirebbero se lo
diventassi, anche se mi hanno sempre dato libera scelta a riguardo. Non
vogliono che condivida con loro il lato più pericoloso di essere un vampiro”
gli spiegai guardando un punto indefinito nel letto, cercando inutilmente di
mantenere un tono più distaccato possibile. Appunto, non volevano che
condividessi con loro il lato più pericoloso di essere un vampiro e dopo questa
giornata, sapevo perfettamente il perché la pensassero in questo modo.
“Mi hanno fatto capire che la vita di un vampiro è un vero
inferno. Una vita piena di rimorsi, sensi di colpa, ulteriori paure, anche se
solo oggi ho capito cosa intendessero realmente. Non è così?” domandai per
chiedere conferma, con la voce ormai tremula.
“Sì, è così” mormorò Edward.
“Non sopporterei l’idea di vedere in quegli occhi paure ed
angosce realizzate. Non sopporterei di essere la causa del dolore dei miei
genitori. Farei qualsiasi cosa per non farli agonizzare. E se restare umana e
vivere la mia vita senza di loro, per infine morire li renderebbe più felici,
per me va bene” conclusi. Edward rimase zitto, concentrato sulle mie parole.
Era uno dei principali motivi, anche se non l’unico, per cui non volevo
diventare un vampiro e rivelarlo per la prima volta a qualcuno che non si
permetteva di giudicarmi, mi rese ancora più contenta della mia scelta di
averglielo rivelato.
“Loro vogliono che debba restare umana, vero?” continuai
io.
“Sì, è quello che pensano” continuò Edward, limitandosi a
confermare quello che io sapevo benissimo già prima.
“Anche se io…”
“Sì”
“Pensi la stessa cosa per Bella?” continuai io, seria e a
mio agio con il mio confidente.
“Sì” sussurrò lui, malinconico. “Anch’io lo penso, Abi. I
pensieri dei tuoi genitori su di te non sono così diversi dai miei su Bella”
continuò con aria stanca. Senza rendersene conto, mentre parlava aveva
afferrato Chef e se lo stava studiando distrattamente.
“Anch’io non voglio che condivida i miei stessi tormenti e
le mie stesse paure. E non mi importa proprio niente se invecchierà e io no. Ho
cercato di spiegarglielo, ma sembra non voler capire.” Scossi immediatamente la
testa.
“Per voi è diverso. Entrambi guadagnerete molto più di
quanto perderete, lei in maniera particolare. Entrambi riuscirete a superare il
lato difficile di essere un vampiro, insieme” diss’io più convinta. “Lei nei
tuoi occhi vede solamente l’eterna felicità, la sua intera esistenza. E non
perché sia ceca, ma perché quando la guardi…” mi fermai per un lungo momento,
osservando fisso gli occhi dorati di Edward. “Tu hai non gli stessi occhi dei
miei genitori” mormorai.
Ricambiò lo sguardo che gli avevo lanciato. Mi permise
così di studiare i suoi occhi con maggiore attenzione e mi convinsi di quello
che gli avevo appena detto. Mi fece un sorriso appena accennato.
“Io, invece, non amo i miei genitori come Bella ama te”
continuai in un sussurro “D’altro canto è risaputo che l’uccellino prima o poi
deve lasciare il nido” dissi con un tono di falsa allegria. Detestavo quella
frase; mi riportava a brutti ricordi.
Restammo in silenzio per un po’, io a riflettere sul mio
futuro, Edward a giocherellare distratto con Chef, perso nei suoi pensieri, o
probabilmente nei miei. Fu Edward a rompere il silenzio.
“Abi.” Aspettò ancora un attimo prima di concludere “Sappi
che ti stimo moltissimo per la tua scelta” mi disse con una serietà estrema.
Ecco, lì capii che stavo ascoltando i miei pensieri. Mi venne spontaneo
sfoderargli il mio sorrisino sghembo.
“Grazie Edward” gli risposi sincera “Lo considero un gesto
importante, da parte tua.”Calò di nuovo
il silenzio. Non era uno di quei silenzi imbarazzanti, dove nessuno aveva
qualcosa da dire. Con Edward in silenzio ci stavo bene.
“Ah, grazie” s’intromise lui, divertito. Io sbuffai
innervosita; ci stavo bene, eccetto quando faceva così.
Non potevo dirmi di essermi ripresa del tutto da quello
che era appena successo, ma la compagnia di Edward ebbe l’effetto miracoloso di
rilassarmi almeno un pò.
“Oddio!” esclamai io all’improvviso “Non sei con Bella?!
Cosa è successo?!” chiesi fin troppo esagerata. Lui sbuffò innervosito.
“E’ da Jacob” rispose lui a tono, del tutto a suo agio per
l’argomento. Quel nome mi riscosse; giusto, Jacob. Chissà come stava adesso.
Appena sentii quel nome, il bisogno che doveva essere saziato di andare da lui
si impossessò di me.
“Se vuoi ti posso portare io” mi propose lui “Devo
comunque andare a prendere Bella.” Lo guardai interessata ed accettai la
proposta con vero piacere.
“Avverti tu mia madre?”
“Certo. Però…” disse, alzandosi dal letto ed indicandosi
la schiena. “Io opterei per il mezzo più veloce e meno reperibile” disse
indicando con il pollice la sua schiena. Io gli sorrisi.
“Vada per quello” gli risposi soddisfatta.
Edward era decisamente molto più veloce di mamma e
arrivammo a La Push in un baleno. Trovai il branco di licantropi accampato
appena fuori dalla porta della piccola casetta, visto che dentro non ci stavano
tutti. Non appena videro Edward non gli risparmiarono occhiate di disgusto o
peggio ancora, ma non fiatarono alla sua presenza: a causa di Jacob avevano
sanzionato una temporanea tregua con i vampiri, in modo tale che Carlisle e mio
padre potessero aiutare Jacob.
Bella era fuori con loro, in attesa di Edward. Non sapevo
se era da ricercarsi nell’avventura appena vissuta, o dal dialogo appena avuto
con Jacob, ma aveva un aspetto distrutto e orribile, un misto tra il senso di
colpa e la disperazione. Non cambiò espressione nemmeno quando mi vide. Mi fu
troppo istintivo pensare che l’incontro appena avuto con Jacob avesse
contribuito grandemente alla sua condizione.
“Ciao” mormorò. La sentii appena. “Vuole parlare anche con
te.” Evitava di incontrare il mio sguardo, osservando fisso il terren, come se
si sentisse a disagio con me, o provasse vergogna per se stessa, non riuscii
bene a distinguerlo. Annuii appena, mentre lei mi superava per andare verso
Edward, dietro di me. Io e lei prossimamente avremmo dovuto fare un lungo
discorso chiarificatore, ma per il momento, dovevo pensare a Jacob.
Entrai nella piccola casetta deserta e mi diressi dritta
verso la camera di Jacob. Non sapevo perché, ma avevo qualche presentimento su
ciò che mi volesse dire. E nonostante questa previsione, non avevo ancora la
più pallida idea di cosa potergli rispondere. Mi fermai sul ciglio della porta
chiusa. Involontariamente, iniziai a tremare. Cosa dovevo fare? Come dovevo
reagire dopo che…
“Abigail, entra! Con la tua camminata da elefante ti si
sente da un chilometro!” La voce di Jacob, oltre la porta, era sfacciata come
sempre. Aprii la porta con un sorriso.
Si trovava disteso nel suo lettino microscopico, immobile, con tutta la parte
destra fasciata. Mi fece una strana sensazione vedere il ‘colosso Jacob’ in
quelle condizioni. La sua faccia però era rimasta sempre la stessa.
“Sei un grandissimo sfigato” gli risposi, vendicandomi
della ‘camminata da elefante’.
Lui sogghignò “Puoi dirlo forte!” esclamò, alzando gli
occhi al cielo. “Prima mi faccio spiare, facendo una grandissima figura di
merda con te. Poi sbaglio posto e lascio a Seth tutta la gloria. Poi ancora,
Leah decide di dimostrarci la sua innata bravura e l’idiota che la salva sono
io.” Mi guardò intensamente, con un sorrisino sarcastico stampato sul viso.
“Hai ragione; sono uno sfigato.” Dopo un paio di passi arrivai al bordo del
letto, dove mi inginocchiai.
“Io ti avevo detto niente eroismi” lo rimproverai io. “Ma
tu non mi ascolti mai.”
“Sì, forse hai ragione, dovrei ascoltarti più spesso”
concordò lui, piuttosto serio.
“Finalmente” sussurrai io con sollievo.
Scese per un attimo il silenzio e la rilassatezza che mi
aveva dato quello breve scambio di battute con Jacob svanì.
Ero io la prima a dire che le cose che prima iniziano,
prima finiscono, ma in quel momento, non ero affatto di quel parere. Persi
tutto il coraggio che avevo per affrontare laconversazione a cui non
ero affatto preparata ed attaccai a parlare d’altro, impegnandomi a non dare
spazio al silenzio.
“Vedo che stai bene” osservai indicandolo. “Nella mia
mente ti immaginavo in fin di vita” dissi con sarcasmo, per nascondere la
tensione. A differenza mia Jacob era del tutto rilassato. Chissà, forse
rischiare di morire cambiava terribilmente la prospettiva delle cose.
Lui rise sereno. “Non ti concederei questa soddisfazione.
Comunque sì, sembra andar meglio. I dottori Canino e Dracula non conoscono la
dose giusta di antidolorifici da darmi, così vanno a tentativi.” Anche lui ora
stava usando il sarcasmo, ma non aveva niente da nascondere. O forse sì? Mi
rivolse il suo candido sorriso e mi fu automatico sorridere anche a me.
“Ti hanno riempito come una botte” continuai, dando una
risposta alla sua completa staticità.
“Esatto. Almeno non sento dolore” mi rispose lui. Smise
all’istante di sorridere e vidi i muscoli del collo tirarsi.
“Tu come stai, invece?” mi chiese a denti stretti “Ho
visto che quel succhiasangue…”
“Sono viva, no? E’ tutto ok” mi affettai a rispondere. Non
era il caso per Jacob di infuriarsi; se non stava fermo avrebbe potuto
danneggiare la guarigione. Tentai allora di cambiare argomento, ma feci una
terribile gaffe.
“Allora, di cosa volevi parlarmi?” domandai troppo
istintivamente. L’istante successivo mi diedi della deficiente; come avevo
potuto porgli proprio la domanda che volevo evitare?! Ero stata tanto impulsiva
che avevo sparato la prima cosa che avevo in mente, ovvero quello che volevo
schivare, oppure il mio subconscio mi stava tirando dei brutti tiri?
“Non fare la finta tonta. Lo sai di cosa voglio parlarti”
mi rispose lui serio. Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi.
“Mmh…” mugugnai io, che a fatica riuscii a camuffare la
tensione. Nonostante mi fossi data la zappa sui piedi, tentai ancora e
vanamente di temporeggiare.
“Non avrei dovuto spiarvi. Mi dispiace, ho fatto la figura
dell’impicciona.” Con mia sorpresa, lui si mise a ridere.
“No, hai fatto bene, invece. Non sarei mai riuscito a
dirtelo in faccia.” Riaprì gli occhi verso di me, con espressione dispiaciuta.
Tentai ancora di sviare, ma a questo punto farlo lo rendeva un’azione piuttosto
squallida.
“Devo però dire che tu ti sei comportato da vero stronzo,
a dire a Bella tutte quelle finte minacce di morte” lo rimproverai io. Lui
sospirò pesantemente.
“Lo so, lo so” brontolò lui, gli occhi verso il soffitto.
“L’ho già capito, non serve che tu mi faccia la predica.” La sua serietà mi
convinse a non continuare a girare il coltello nella piaga.
Non fui abbastanza veloce e Jacob si approfittò della
pausa di silenzio prima di me.
“Volevo chiederti cosa ne pensi.” Di cosa, sembrava troppo
implicito. Bene, eravamo arrivati alla fine dei conti. Lo guardai, cercando di
rimanere inespressiva. Avevo i suoi scuri occhi indagatori addosso, in attesa
della mia risposta.
E adesso, cosa avrei dovuto rispondere? Avrei, o no dovuto
dirgli che anch’io lo ricambiavo? Confessarglielo, non avrebbe complicato di
più le cose?In realtà, avevo il
terribile timore che Jacob scegliesse me, solo perché io ero disponibile,
perché io ero ‘più facile’. Non lo avrei sopportato, anche se Jacob aveva detto
chiaro e tondo a Bella che non era così. Riuscivo a crederci poco, visto che il
suo primo amore era quasi irrimediabilmente perso; tanto vale accontentarsi del
secondo, no?
Non riuscivo a fidarmi di Jacob. No, non di Jacob in sé,
ma del suo amore per Bella. Fu così che non glielo dissi.
Cosa avrei potuto rispondere ora? Stavo prendendo troppo
tempo e Jacob chissà cosa avrebbe pensato vedendomi così tentennante. Così
analizzai la domanda che mi aveva fatto, decisa a dirgli unicamente quello che
mi aveva chiesto, niente di più o di me.
“Diciamo che ne sono rimasta esterrefatta” dissi con un
sorriso sforzato. “Non ci sarei mai arrivata da sola, che la causa del tuo
dramma fosse questa.” Mi stupii della straordinaria sincerità che stavo
dimostrando.
“Almeno in qualcosa sono stato bravo” mormorò, più a se
stesso che a me.
“Posso sapere da quanto?” A differenza di ciò che avevo
fatto fin’ora, questo glielo chiesi perché la cosa mi incuriosiva realmente. E
poi, certo, l'attenzione passava da me a lui. Mi guardò fisso, con un sorriso
rassegnato.
“Tanto vale. La figuraccia l’ho già fatta. Non mi costa
niente dirtelo.” Poi cambiò espressione. “Però non ti arrabbiare. Non ti
piacerà” disse temendo il peggio. Lo guardai confusa, non capendo cosa avesse
detto.
“Spara.” Fu più un ordine che un invito.
“Ad essere sincero, non da molto tempo dopo che ci siamo
conosciuti” disse con un velo di disagio, che però durò poco. Sgranai gli
occhi.
“Cosa vuoi dire?” Mi guardò con i suoi occhi neri,
cercando le mie scuse.
“Ti ho sempre trovato una ragazza affascinante, Abi” disse
alla fine, cauto. Invece di arrabbiarmi, come, non sapevo perché, lui si
aspettava, mi misi a sghignazzare.
“Non sono esattamente l’immagine della femminilità”
mormorai a occhi bassi, stranamente imbarazzata.
”Proprio per questo mi sei piaciuta fin dal primo istante” Il suo tono serio mi
costrinse a rialzare lo sguardo. “Non ci potevo credere che finalmente avevo
trovato un ragazza che si intendesse di auto e moto!” esclamò contento.
Sgranai gli occhi di nuovo, quando divenni completamente
conscia delle sue parole. Cosa?! Non solo lui provava qualcosa per me e non me
n’ero mai accorta, ma era qualcosa che era iniziato molto, molto tempo fa. Poco
dopo che c’eravamo conosciuti. Io invece avevo cominciato a provare qualcosa
per lui un bel po’ dopo.
Aspetta, aspetta, quindi Jacob provava qualcosa per me, prima
che io mi ero innamorata di lui?!
Impossibile, non ci credevo. Per lo meno, come cavolo non
mi ero mai accorta di nulla?! Come…
E poi c’era quella cosa della femminilità che aveva appena
nominato; a lui piacevano le ragazze-maschiacci! Alla faccia di papà e il suo
‘ai ragazzi piacciono le ragazze femminili’!
Quello però era il meno peggio. Mi sentivo ribollire
all’idea che lui si fosse accorto di qualcosa prima di me, anche se non
riuscivo a giustificarlo in alcuna maniera.
Dentro stavo per scoppiare, ma credevo di riuscire a
contenere bene quelle emozioni. Mi limitai a guardarlo immobile, con gli occhi
ancora sgranati e riuscii a balbettare solo poche parole.
“Che bella scoperta…” mormorai io. ‘Scoperta’ era troppo
riduttivo.
“All’inizio però era unicamente… un’attrazione fisica,
ecco” spiegò lui. “Mi piaceva osservarti, quando lavoravamo alla tua auto.”
Questo particolare mi normalizzò solo in parte.
“E io credevo che stessi lavorando davvero!” lo accusai
con sarcasmo, forse troppo rigida.
“Facevo le mie pause” mi rispose lui, con fare
malizioso.
“Non me ne sono mai accorta” ribadì, allibita.
“E’ perché che stavi oliando il motore” mi rispose lui,
con mezzo sorriso, guardando un punto indefinito sul soffitto.
Quell’osservazione riuscì a staccare del tutto la mia mente dalla rivelazione
che avevo appena ascoltato. Lo guardai ad occhi aperti, incredula.
“Mi stai dicendo che il vero motivo per cui mi facevi
piegare per oliare il motore era per guardarmi il fondoschiena?” chiesi
lentamente, scandendo le parole, per paura di avere inteso male.
“Era vero però che fino in fondo al cofano non ci
arrivavo!” cercò inutilmente di difendersi lui, confermando le mie ipotesi.
Stetti ancora per un attimo in silenzio. Al tempo mi sarei incazzata come una
iena e me ne sarei andata via all’istante. Ma ora, non sapevo proprio cosa
pensare.
Insomma, cosa mi scandalizzavo a fare? Fino a prova
contraria io ero una donna e lui un uomo, adolescenti per lo più. Quindi doveva
essere normale questo scambio di sguardi. E poi diciamocelo, anch’io al tempo
avevo buttato l’occhio. Col tempo poi ero peggiorata e mi arrapavo ogni volta.
Quindi fin’ora la maniaca restavo io.
“Ah” mi limitai io, in un tono del tutto inespressivo. “Ed
è ancora così?” Lui rise.
“Eh sì” disse con tanta semplicità che mi sembrò mi desse
della stupida. Ritornò però subito serio.
“Qualcosa però è cambiato quando sei partita per l’Italia.
Non era una preoccupazione normale. Sulle prime ho creduto che la stessi
confondendo per quella che provavo per Bella, ma quando venisti da me, capii
che mi sbagliavo. Non ho mai provato un sentimento del genere per nessuna.
Sulle prime ho pensato quindi che era la nostra amicizia che si era
rafforzata.” Posò il suo sguardo su di me, amareggiato, mentre io lo guardavo
immobile. Jacob si stava aprendo e mi stava mostrando tutto se stesso. Sarei
riuscita a farlo anch’io un giorno?
“Mi resi davvero conto di amarti da quel giorno del falò;
hai presente quando mi hai trascinato in mare? In quell’occasione ho avuto
un’irrefrenabile desiderio di baciarti, lo stesso che provavo con Bella.” I
suoi occhi fiammeggianti mi tornarono alle mente in un lampo. Fece un respiro
prima di continuare.
“Da quel momento cominciai a comportarmi senza ragionare.
Cercai di convincermi che mi stavo sbagliando, che amavo solo Bella; cominciai
a fare casini, e così la baciai. Ma mi accorsi che non era quello che volevo.”
Fu strano quando disse che non mi voleva dimenticare; da una parte mi sentivo
terribilmente amareggiata dal fatto che non mi volesse più amare, dall’altro
terribilmente importante perché non ci era riuscito.
“Non capii più niente; a tratti non vi volevo entrambe, a
tratti vi desideravo tutte e due. Vi ho fatto impazzire, scusa”
“L’importante è che adesso tu abbia deciso cosa fare”
mormorai alla fine, in segreto tremendamente agitata.
“No, invece” sussurrò flebile, strizzando gli occhi. Alzai
lo sguardo su di lui seria.
“Allora cosa intendi fare?” Passarono alcuni secondi prima
che mi rispondesse.
“Ho deciso che l’unico modo è quello di pensare, da solo,
senza interruzioni; senza i pensieri del branco. Unicamente con i miei.” Se non
gli ero già vicina, probabilmente non lo avrei sentito. Sgranai ancora gli
occhi.
“Te ne vai?”
“Sì” mi rispose flebile, gli occhi attaccati ai miei, per
studiare ogni mia reazione. Distaccai automaticamente lo sguardo, deglutendo a
fatica. Non sapevo cosa rispondergli. Sapevo però come mi sentivo; questo suo
comportamento strano dovuto a me e a Bella, mi aveva sempre infastidito perché
era terribilmente confuso e ci faceva preoccupare da morire. Io però lo avevo
sempre accettato, perché Jacob rimaneva comunque il mio migliore amico. Adesso
però, mi era divenuto intollerante; perché diamine se ne doveva andare? Ancora
una volta credevo che questo fosse ingiusto. Avevo un necessario bisogno di
lui, dopo così tanto tempo che non lo potevo vedere. Non era così anche per
lui? Non provava le stesse cosa per la sua migliore amica Abigail? Perché, io
rimanevo ancora sua amica, giusto?
“Sai, Bella ha avuto ragione, quando ti ha detto che stai
giocando con tutte e due” mormorai, inconsapevolmente acida, persa nei miei
dubbi e nella mia delusione.
“Non è mai stata mia intenzione farlo!” esclamò
all’improvviso lui, facendomi sobbalzare. La sua mano andò veloce a prendere la
mia. “Avete ragione a pensarlo, tutte e due. Mi dispiace.” Io continuai a
tenere lo sguardo basso, ma in compenso ricambiai la stretta.
“Ho mandato a quel paese la nostra amicizia, vero?” Rimasi
immobile, mentre mi ponevo la stessa domanda. Sarei stata la sua amica lo
stesso, qualche sarebbe stata la sua scelta? Forse, sì…
“Sono un grandissimo idiota” sospirò lui, non capii se
come reazione al mio silenzio, che interpretò come un sì.
“Siamo due grandissimi idiota” dovetti correggerlo io,
ripensando a cosa avevo fatto io per tentare di distruggere la nostra amicizia.
“Sì, hai ragione” affermò lui dopo alcuni secondi,
ripensando anche lui a ciò che stavo pensando io, ma interpretandolo in maniera
diversa.
“Bella lo sa?” chiesi subito.
“No, lei no” mi rispose mogio. Automaticamente ripensai
alla conversazione che avevano avuto prima. Dall’espressione di Jacob, non
doveva essere andata bene neppure a lui. Tuttavia, non ebbi il coraggio di chiedergli
di cosa avessero parlato, né lo volevo sapere. Anzi, sì lo sapevo. Ancora una
volta mi tornarono in mente le parole di Bella su Jacob. Mi innervosii e mi
confusi ancora di più. Dovevo parlare con lei a riguardo il più presto
possibile.
“Lo sai cosa?” interruppe i miei pensieri Jacob. “Credo di
avere avuto l’imprinting con te” disse con un sorrisino.
“Scusa, ma non mi hai detto che non…”
“Non l’imprinting che trova l’anima gemella” mi corresse
lui. “Quello che trova il migliore amico.” Quella frase mi fece nascere un
enorme e involontrio sorriso; pensai che non ci potessero essere altri termini
per dimostrare l’enorme importanza che per lui aveva la nostra amicizia. Da
parte mia, condividevo appieno quello che aveva detto.
“Davvero esiste un Imprinting del genere?” chiesi curiosa.
“Nessuno lo ha mai avuto, e nelle leggende non c’è nulla
di simile” mi rispose lui con il suo sorriso. “Però perché non possiamo essere
noi i primi?”
“Giusto, hai ragione.”
Dovevo ammetterlo,
questa era stata la constatazione più bella e vera che avesse mai detto. Perché
sarebbe stato davvero così, qualsiasi cosa sarebbe successo, qualsiasi
tentativo mio o suo di reciderla, qualsiasi decisione lui avrebbe preso, questa
amicizia sarebbe durata, nel bene, nel male e nelle baruffe. Fu proprio questa
certezza che mi spinse a rischiare anche a me.
“Voglio farti una domanda” Attirai tutta la sua
attenzione. “Se non ci fosse Edward, tu sceglieresti Bella?”
“Un tempo l’avrei fatto eccome” mi rispose incerto.“Ma
adesso non ne sarei così sicuro.”
“E varrebbe la stessa cosa se io fossi innamorata di te,
mentre Bella di Edward?” gli domandai alla fine, sicura. Lui mi guardò
incuriosito, per poi mettersi subito a ridere.
“No, sarebbe difficile lo stesso. Immagino che anche se in
qualche miracoloso modo tu mi ricambiassi, devo per forza tener conto il dopo,
cioè la parte più difficile.” Mi immaginai per un momento noi due, se una
situazione del genere sarebbe successa davvero; non saremmo assomigliati a
nessuno dei normali e comuni fidanzati che si incontravano per la strada.
“Non mi immagino dei romantici fidanzatini” constatai
sogghignando anch’io.
“Neppure io”
“E se scegliessi me, come faresti a conquistarmi?”
continuai io, curiosa di sapere cosa avesse risposto. Lui mi guardò serio.
“Darò tutto me stesso. Sai quanto posso essere testardo.”
“E se non ci riesci?” Fece un lungo respiro profondo.
“Verrò da te in ginocchio a supplicarti di perdonarmi e di
rimanere la mia migliore amica. In qualche modo con me ti devo avere, se no non
resisto.” La tristezza nella sua voce quasi mi turbò. Con il pensiero che per
lui io sarei sempre stata qualcosa di importante, e svaniti tutti i miei futili
e ridicoli dubbi che la sua scelta potesse riguardare la ‘più facile’, decisi
di farlo.
“Va bene, va pure a scegliere” dissi alla fine, accettando
ogni cosa. “Fa che sia una scelta sincera, però”
“E’ proprio per questo che me ne voglio andare subito”
ribadì lui, assorto. Presi ancora un respiro.
“E’ giusto però che tu abbia tutti gli elementi su cui
riflettere.” Mi fu particolarmente difficile dire quelle parole.
Senza lasciargli tempo per replicare, avvicinai il mio
viso al suo. Lui mi stava mostrando il suo scintillante sorriso, curioso di
sapere quello che stavo per fare, che subito svanì, quando mi feci troppo
vicina. Schiusi appena le labbra, per cogliere il suo labbro inferiore. La sua
bocca era come me la ricordavo, morbida, calda e per questo irresistibile. Era
il mio secondo bacio con lui. Non mi permisi di assaporare ulteriormente il mio
gesto avventato e mi separai subito.
Ora sapeva tutto, e a partire da adesso, doveva pensare a
scegliere. Per questo non potevo rimanere ancora lì. Mi alzai di scatto, senza
neppure vederlo negli occhi, come se il solo guardarlo avrebbe potuto
condizionare di già la sua scelta.
“Ciao, Jake” mormorai, mentre raggiunsi la porta della
camera in un attimo.
“Abigail!” gridò lui “Ahi!” Probabilmente aveva tentato di
alzarsi. Non ci badai e mi fiondai fuori dalla piccola casetta di La Push.
Mi ricordai stranamente di Bella, quando poco tempo fa
anche lei era uscita da una probabile sconvolgente discussione con Jacob. Solo
in quell’attimo riuscii a comprenderla benissimo e ad essere certa che stessi
provando le stesse identiche emozioni e che sventolassi la stessa identica
faccia stravolta.
Allora, allora, allora, allora! Eccomi qua ad aggiornare
di nuovo la storia! Ho pubblicato apposta il nuovo capitolo in questo periodo,
come regalo di Natale. Nuovo e, come sapete tutti, ultimo capitolo di
Eclipse!
Partiamo allora dalla cosa più importante, cioè dal fondo.
Ebbene sì, finalmente anche Abigail, in modo forse eccessivamente teatrale, ma
secondo me emotivamente coinvolgente, si è finalmente confessata! Inoltre,
altra cosa che mi preme tantissimo sottolineare, è la frase che dice Jacob
"Credo di aver avuto l'imprinting con te, ma non quello che trova
l'anima gemella, ma quello che trova il migliore amico", che dà una
certezza che rimmarrà tale per tutta la fanfiction: qualsiasi cosa succederà,
loro saranno migliori amici. E con qualsiasi cosa, intendo qualsiasi.
Anche se, un esempio molto a caso, Jacob avrà l'Imprinting con la figlia
mezza-vampira di Bella ed Edward XD. Tengo a rivelare quest'anticipazione
abbastanza vaga di Breaking Dawn perché voglio che abbiate presente
l'importanza dell'amicizia tra i due, che sarà determinante durante il resto
della storia.
Voglio passare poi a parlare del rapporto tra Abigail e
Bella; non ci ho posto particolarmente attenzione in questo capitolo, ma le
cose tra le due, che predentemente si erano un pò fratturate, adesso si sono
definitivamente rotte, dopo che Abigail è venuta a sapere che anche lei è
innamorata di Jacob. Voglio però specificare, rivolgendomi soprattutto a tutti
coloro che desiderano vedere Bella fare la parte della Befana questo 6 gennaio
cosicché bruci nel rogo, che Abigail non è tanto arrabbiata con lei, quanto
essasperatamente confusa. Per tanto aspettatevi nei prossimi capitoli una
chiarita tra le due.
E poi passiamo a dire tre parole riguardo il rapporto tra
Edward ed Abigail; uau! L'ossessivo compulsivo che ad Abigail stava tanto
antipatico adesso rischia di diventare un suo grande amico! Anzi, rileggendo
questo capitolo, ho avuto l'impressione che l'amicizia tra la mia protagonista
e lui sia più forte di quella tra lei e Bella.
Concludiamo allora con Bree; immagino che a moltissimi di
voi non è piacciuta per niente la fine che ho fatto fare alla piccola Bree.
Esattamente come Jane, anch'io non ho avuto nessuna pietà di lei e l'ho fatta
togliere dalla scena. Come giustificazione dico che nella mia testa ho già una
scaletta pronta di quello che succederà in Breaking Dawn e la nuova figura di
Bree non riesce a rientrare nei miei piani.
Bene, passiamo allora ai saluti. Come sapete questa non è
esattamente la fine della fan fiction, ma un po' è come se lo fosse, tenendo
conto che riprenderò a pubblicare solamente a luglio, come ben sapete. E cinque
mesi non sono pochi.
So che dispiacerà un sacco a molti di voi, soprattutto a
coloro che attraverso ai loro commenti puntualmente mi hanno fatto sentire il
loro affetto per questa fan fiction, e dispiacerà un mondo anche a me
interrompere la narrazzione proprio sul più bello e non poter più riuscire ad
avere una valvola di sfogo in più dai miei quotidiani problemi.
Detto questo vi saluto, ma non intendo fare tutta la
grande sfilza di saluti e di ringraziamenti che, seppure tutti voi vi meritiate
alla fine di ogni capitolo, solitamente faccio alla fine della fan fiction. Perché,
ripeto, questa NON è la fine della fanfiction e intendo riprendere a pubblicare
a qualsiasi costo. Questa è una promessa che faccio a tutti quanti.
Concludo quindi con i normali saluti, ringranziando tutti
coloro che hanno inserito questa fanfiction in seguite, ricordate e preferite,
a coloro che hanno anche solo letto e soprattutto a coloro che puntualmente, ma
anche occasionalmente, hanno lasicato un commento piccolo, lungo e medio.
Grazie immensamente per il sostegno di tutti quanti! Un
bacio da Lalla124.
X mylifeabeautifullie: Iee! Sono contenta che ti sia
piacciuta la parte più importante dello scorso capitolo (sperando che valga la
stessa cosa anche per questo)! Ovviamente Abigail non è nè morta, né niente,
volevo solo creare suspance alla fine del capitolo (anche se molto
probabilmente non ci sono riuscita, visto che far morire il proprio personaggio
principale a metà fanfiction non ha alcun senso). Ti ringrazio ancora ed ancora
ed ancora dei tuoi sempre presenti commenti! Ti invio un grande bacio! Ciao e
alla prossima!
X nes_sie: Bene! Sono contenta che l'umanità di Abigail
venga apprezzata in ogni suo aspetto XD. E ti ringrazio anche per avermi detto
che la spiegazione non è stata solo un grande casino; credevo davvero di aver
esagerato! Fiù! Poi, dopo aver letto il tuo commento, penso proprio che ti sia
piaciuto anche l'ultimo pezzo di questo capitolo, mi riferisco a quando Jacob
dice la frase dell'Imprinting etc... :) Mah, sai una cosa? Forse hai ragione,
la sfiga di Bella ha influenzato prima me leggendo la serie di Twilight e poi
di conseguenza Abigail. E' un'ipotesi da non scartare XD.
Sono inoltre contentissima che tu mi possa capire riguardo
al mio ritardo! :)
Un grosso bacio anche a te e alla prossima!
Ps: No!!! E' solo un'impressione. Anzi, per di più alla
fine è Abi che bacia Jacob! ihihihihih!
X __cory__: Cos'è? Adesso ti sei fatta prendere la mano e
inizi a farmi terzi gradi? XD Uau, che bello! Vediamo allora di rispondere alle
tue ben sette domande/constatazioni:
1) Allora, adesso che sai che i genitori di Abi non sono
morti, ti spiego cosa vuol dire quella frase. Abigail non ne è certa, ma ha la
brutta sensazione che i suoi genitori faranno la fine del topo con il gatto,
quindi l'ho volutamente messa così per dare l'impressione che hai avuto tu,
ovvero che i genitori di Abi moriranno, e per esprimere le impressioni di
Abigail, ma in realtà si doveva intendere come "Quello fu il nostro ultimo
saluto prima dell'inizio della battaglia" il che non vuol dire che neccesariamente
Sophie e Will tireranno le cuoia, ma che semplicemente non si vedranno più fino
alla fine della battaglia. Ihih! Sono un'autrice perfida che tenta di illudere,
confondere e sviare il proprio lettore in ogni maniera possibile! XD
2&3) Guarda, non ti preoccupare, la situazione da
tempo non la regge neanche Abigail XD Sta piano piano dando sempre più di
matto, mano a mano che la fanfiction va avanti. Ed ora è arrrivata la prova del
nove per i suoi nervi a fior di pelle! XD E poi cosa più importante; non solo
Jacob non ha baciato Bella, ma Abigail ha baciato Jacob! ihihih!
4) ehm...ehmm.... a tal proposito mi limito a urlarti un
MI DISPIACE particolarmente grosso...
5) Mah, insomma, io non la metterei in questi termini.
Diciamo che Bella non se ne è mai resa conto non perché è stordita, ma perché
Abi è stata tanto brava da non farglielo capire. Suona meglio messa così XD
6) No, no, sta tranquilla, come Edward ha detto ad Abi
nello scorso capitolo, per questione di correttezza nei confronti di Abi e di Jacob
non dirà niente a nessuno. Anche se tutto sarebbe davvero diventato molto più
facile se fosse intervenuto lui. Ma per me le cose più facili sono sempre le
più noiose da scrivere, quindi ho voluto incasinare un bel po' tutto quanto XD
7)Ovvio che non muore! Ecco, qua ho fatto un'altra mia
piccola gaffe; ho voluto dare un po' di suspance alla fine del capitolo, ma
ovviamente dovevo aspettarmelo che nessuno poteva credere davvero che il
personaggio principale muoia così.
Spero di essere stata esauriente! Non vedo l'ora di
sentire le domande riguadanti questo capitolo (ti ho già detto che adoro quando
me le fai, no?). Un grosso bacione alla mia "domandaiola!" preferita!
Alla prossima!
X KaytheAngel: Breve, concisa, ed efficace: mi piaci! XD
Grazie mille per il commento! Continuerò il più presto possibile!
X Franny97: Ciao, Abi! ^^ Se con i tuoi commenti mi
scocci, allora sei la rompiballe più gradita tra tutti! XD Vediamo allora di
cercare di risponderti, sperando che con questo capitolo tu non sia morta
(scherzo!!!)
Allora, ovviamente l'addio/arriverderci, come hai ben
detto tu, non doveva essere assolutamente troppo serio (vedi per esempio quando
Abigail lo richiama tre volte, prima che lui se ne vada), ma alla fine dello
scherzo il momento serio doveva assolutamente starci! Ma, aspetta, aspetta, che
ti vedo troppo esauberante. Abi non è l'unica "number one", c'è anche
Bella che sarebbe la "first number one"; mi raccomando, non facciamo
troppe illusioni! E poi, hai ragione a dire che Abi ama lui e lui ama Abi, ma
io non userei quel per sempre con così grande naturalezza; la fan
fiction non è ancora finita e tutto può succedere! E poi, dai, comprendiamo
Jacob idiota/amore mio (che sembra il nome di un bambolotto stile Ciccio Bello
XD che forte!) ha appena fatto una grandissima figura di merda, ovvio che se ne
va così!
Per quanto riguarda la battaglia, hai ragione, l'ho
descritta in modo veloce, ma questo perché Abigail è un'umana e i movimenti di
vampiri e licantropi le sembrano appunto molto veloci.
Ovviamente, da vera Abigail come tu sei, hai indovinato
perfettamente il seguito della storia (che, giuro, era già stato scritto). E io
che volevo creare solo un po' di suspance... E ancora, ovviamente, hai
indovinato anche la seconda parte! Ma dico, a questo punto cosa continuo a
scrivere, se ci sei tu che sai tutto! BD me lo scriverai tu! XD
Ehm...ehm.. bhè, ecco per quanto riguarda Bree.... sì, sì,
lo so, sono stata cattiva, sono un'autrice sadica lo so, ma mi farò ben
perdonare, non ti preoccupare!
Per il finale della storia (a patto che ci devo ancora
pensare, ma sono abbastanza sicura), ovviamente non posso dirti niente, ma
posso dirti che il rapporto tra Renesmee e Abi sarà... curioso ed interessante
(interpretalo come vuoi!)
Grazie infine infinite per i tuoi puntali commenti e per i
tuoi insostituibili ringraziamenti! Spero quindi che anche questo ultimo
capitolo ti sia piaciuto! Un grandissimo bacione!
X Rainbow Girl: Nooo!! Povera Bella! Certo, non conosce i
suoi migliori amici, ma questo perchè sono i suoi migliori amici che non le
dicono i cavoli propri! Insomma, non diamo tutte le colpe a lei... Inoltre
Jacob è doppiamente un grande, perché con la parte destra immobilizzata ha il
pretesto per farsi baciare da Abigail senza reagire, così lui fa la figura
della povera vittima ed Abigail dell'approfittatrice! E poi non serve neanche
dirlo, ma come hai detto tu, sarà senz'altro un amore strambo (sempre se lo è!)
Un grandissimo bacione ricambiato! Alla prossima!
X elvira91: Uau! Tutto in un solo giorno! Ti deve aver
tremendamente appassionato! ^^ E sono contentissima che la storia fili lo
stesso anche con il mio personaggio in mezzo. Sì, hai ragione, sembrava davvero
scontato che alla fine Abigail si innamorasse di Jacob (e un pochino anche che
lui ricambiasse alla fine), ma quello che non sarà per nulla scontato sarà il
seguito, fidati! Per quanto riguarda Bella, ti ripeto quello che dice Abigail
nello scorso capitolo; sì, hai ragione ad aver avuto questa impressione, ma, al
posto di Bella, tutti si sentirebbero prese un po' in giro sapere che il
ragazzo che ti fa la corte da una vita in realtà è innamorato anche di un'altra
persona, tenendo poi conto che in un modo davvero contorto anche Bella è
innamorata di Jacob.
Spero quindi di averti davvero sorpreso (sia in positivo,
ma anche in negativo, perché no? L'importante è stupire!)
Sono contentissima del tuo commento e delle tue splendide
opinioni! Ti ringrazio ancora tantissimo! Alla prossima!
X GiuliaMary: Bene! Sono felice che alla fine la trama è
rimasta a grande linee così com'è (immaginati me davanti al computer con
Eclipse sulle ginocchia che studia i dialoghi tra i personaggi e li ricopia
cercando di capire quali sono i più importanti e quali no XD) Spero quindi che
anche questo capitolo ti abbia coinvolto come i precedenti! Enormi baci e
grazie tantissimo per il grande appoggio che mi dai!
Auguri di Buon Natale e di
Felice Annno Nuovo a Tutti Quanti!
Lo so, lo so, lo so! Avevo detto che pubblicavo a luglio, invece ho pubblicato adesso. Ed è già la seconda volta che lo dico, ma che poi non lo
faccio. Però, a dire la verità… non riesco a non
scrivere la mia fan fiction! Alcuni di voi si divertiranno a leggerla, ma
scriverla è un sacco più divertente! XD
Inoltre, non mi è sembrato affatto
giusto far aspettare tutti voi per così lungo tempo. È stato principalmente per
questo che ho deciso di pubblicare questo capitolo ora.
Mi dispiace un sacco solo scrivere cose che poi non mantengo, ma ho pensato che, se davvero per una serie di
impegni non avrei davvero pubblicato fino a luglio, e non vi avessi avvertito,
sarebbe stato peggio, no?
Spero che quindi questo capitolo lo prendiate
come una felice sorpresa inaspettata e questa volta vi premetto, giuro, che non
pubblicherò fino a luglio! XD
Ventiquattresimo
Capitolo
Avevo deciso di andare a fare una lunga passeggiata per Forks, nonostante fosse il pomeriggio di un sabato
piovigginoso. Casa Cullen era sotto il monopolio di Alice, che, entusiasta di preparare il matrimonio di
Bella ed Edward del giorno dopo, studiava ogni
millimetro della villa per decidere il colore dei tappeti, delle tovaglie, dei tovaglioli
e di tutte quelle serie di cose che di solito si usavano per i matrimoni.
Ovviamente era appoggiata ventiquattro ore su ventiquattro da altre tre vampire
esaltate che non aspettavano ad assecondarla. L’atmosfera a casa quindi era
diventata insostenibile per me. Certo, perché Casa Cullen
continuava ancora ad essere casa nostra: visto che il
matrimonio era alle porte non sarebbe costato niente rimandare il trasferimento
a dopo le nozze.
Quella però era l’ultima cosa a cui pensavo.
Dopo aver preso la moto dal garage mi diressi dritta in
centro; pioveva, potevo prendere benissimo la macchina, ma al momento andava
contro ogni mio buon proposito di non pensare a certe cose.
Quasi in trance, parcheggiai la
moto nel parcheggio deserto della scuola e mi avviai a piedi, fregandomene
della pioggerellina che tra breve mi avrebbe inzuppata tutta.
Ovviamente, non riuscivo a pensare ad altro che a lui. Il
primo dei pensieri che mi perforavano la testa e che cercavo inutilmente di
rimuovere era il bacio che gli avevo dato. Più ci riflettevo, più pensavo di aver fatto una colossale figura
di merda. Come cavolo mi era venuto in mente di farlo?! E con che coraggio?!
Inoltre… mi mancava da morire. Sentivo che mi mancava
qualcosa di insostituibile; Forks
non era affatto Forks senza di lui. A questo punto,
chi se ne fregava davvero di chi avrebbe scelto; come amico o no, io lo volevo
insieme a me. No, no, no! Basta pensare a lui! Basta!
Cominciai a camminare più svelta, sperando così di seminare
anche i miei pensieri. Senza rendermene conto, andai addosso a qualcosa.
Rimbalzai indietro, tenendomi la testa con una mano, maledicendo la mia immensa
sbadataggine. Alzai lo sguardo per fulminare l’albero che aveva attentato alla
mia vita e come farlo apposta, i pensieri che avevo creduto di aver lasciato
indietro, mi si ripresentarono tutti davanti; sull’albero in questione c’era
attaccato uno dei volantini che Charlieaveva appeso per tutta Forks. Ritraevano
un’immagine in bianco e nero di Jacob, con sottoscritto
in grande “RAGAZZO SCOMPARSO”.
Chiarlie, non appena aveva saputo
da Billy che Jacob era
scappato, aveva tappezzato non solo Forks, ma
l’intero stato di Washington con quei dannati volantini. Un po’ mi faceva pena:
si stava facendo in due per trovare Jacob ed era deluso dal comportamento di Billy, che si rifiutava di collaborare alle ricerche. Ma di certo non poteva venire a sapere la verità.
Guardai per la centesima volta sospirando pesantemente quel
volantino che non sarebbe servito a niente, se non a
stressarmi ulteriormente. Mi avvicinai dunque e lo staccai via con forza; Charlie avrebbe sicuramente pensato che fosse stata opera
della pioggia.
Avanzai oltre per continuare la mia passeggiata, ma per mia sfortuna davanti a me si susseguivano una serie di
volantini identici attaccati su alberi, pali della luce e del telefono.
Sospirai ancora profondamente. Mi avvicinai con rabbia all’albero successivo e
strappai anche lì il foglietto mezzo inzuppato dalla pioggia.
Decisi allora di continuare con quell’operazione finché non ci fossero stati più volantini.
Dovevo dire poi che era un gesto piuttosto liberatorio; accartocciare con foga
la fonte dei miei problemi era terapeutico.
Arrivai forse a una cinquantina di
volantini quando sentii il rombo di un motore avvicinarsi. Mi voltai e
riconobbi l’auto di Bella. Preciso, la nuova auto di Bella. Da poco il suo
vecchio pick-up rosso aveva esalato l’ultimo respiro e quell’ossessivo
di Edward ne aveva
approfittato per comprarle l’auto nuova. Ovviamente, non
un’auto qualsiasi, un’auto in grado di sopportare tempeste, terremoti ed
uragani. Mi stupisco che non le abbia direttamente comprato
un Panzer.
La Mercedes si avvicinò al ciglio
della strada, mentre il guidatore abbassava il finestrino. Bella mi fissava
inquieta, mentre guardava prima me, poi i volantini che tenevo in mano. A quel
punto guardai anch’io l’ammasso confuso di carte che stringevo tra le dita e
dovetti constatare che in quelle condizioni potevo sembrare un tantino fuori di
me.
“Ciao” si limitò a dire.
“Ciao” risposi io roca, e forse un po’ sconsolata.
“Vuoi un passaggio?” mi chiese titubante. La ringrazia
mentalmente per non aver accennato a quello che stavo facendo. La guardai per
qualche istante, indecisa se fosse arrivato il momento
di andarmene a casa o no. Guardai avanti e il numero
di volantini che ancora mi attendevano mi convinse che l’idea migliore sarebbe
stata quella di tornare a casa.
“Sì, grazie.”
Buttai i volantini nel bidone lì vicino e corsi al riparo
dentro la Mercedes. L’auto partì velocissima
quando Bella sfiorò il piede dell’acceleratore. E
così calò subito il silenzio.
Bella ed io avevamo alla fine parlato.
E avevamo risolto, nonostante Bella si era mostrata
piuttosto confusa; tra lei, Jacob e me, non so chi
fosse peggio in materia d’amore.
Mi aveva confessato che per Jacob
non provava semplice amicizia, ma qualcosa simile a quel sentimento di affetto che si instaura tra fratelli. Ero quindi giunta alla conclusione che molto probabilmente le parole
che le erano uscite durante quella tremenda discussione in montagna tra lei e Jacob fossero davvero dovute alla tensione del momento e
alle pressioni psicologiche che quell’idiota le aveva
fatto; la prospettiva di Jacob convinto a uccidersi
l’aveva costretta a confondere l’affetto che provava per lui.
C’era un’inviolabile certezza, che mi portava a crederle
fedelmente; l’amore che lei provava per Edward,
davanti al quale nessun sentimento che potesse provare per Jacob
avrebbe potuto sopravaricare. Inoltre Edwardnon sembrava affatto
tradito o offeso dal comportamento di Bella; molto probabilmente lui era giunto
a pensarla come me molto prima. O ancora più probabile qualsiasi scelta Bella avesse
fatto, l’avrebbe accettata comunque, bastava che fosse
felice.
Ciononostante, anche se avevamo in parte chiarito, non
potevo fingere che la nostra amicizia non si fosse notevolmente raffreddata. Non ero affatto arrabbiata con lei per la questione del
bacio, che Jacob aveva costretto Bella a dare con
l’inganno, in pratica. Era un qualcosa di molto più vecchio.
Da quando Edward era tornato erano
cambiate moltissime cose tra noi e il tempo che passavamo insieme era ben poco.
Avevo sempre accettato che per Bella Edward andasse al primo posto, la comprendevo, anzi, ne ero
sempre stata contenta, perché era dopotutto quello che la rendeva più felice.
Una delle irrimediabili conseguenze tuttavia era che noi non eravamo più amiche
come prima; da tempo tutto ciò di cui parlavamo
apparteneva al mondo sovrannaturale di vampiri e licantropi e benché fosse
normale, in quanto entrambe ne eravamo immerse fino al collo, eravamo umane, e
per questo mi sembrava giusto parlare e fare cose da umane. La nostra amicizia,
prima di Edward, era forte
proprio perché ci comportavamo come due normali ragazze, facevamo bunjejumping e altre cose che
allontanavano il nostro rapporto dal mondo fatto di vampiri e licantropi e lo
rendevano un qualcosa di mio e suo e di nessun’altro.
Con questo non volevo affatto dire
che non eravamo più amiche, anzi, c’era ancora una grandissima confidenza tra
noi due. L’unica cosa era che questa confidenza si era decisamente
affievolita.
Mi dispiaceva parecchio, ma, d’altronde, lo dovevo
prevedere; questa non poteva essere nient’altro che una conseguenza della sua
decisione di diventare un vampiro. Quello sì che avrebbe
stravolto la nostra amicizia; sfidavo qualsiasi umano ad essere amico di un vampiro
neonato.
“Ho appena scoperto che quest’auto
è rivestita da due tonnellate di blindatura e vetri
antimissile” ruppe lei il silenzio in un tono tra il sarcastico e il
sorpreso.
“Tsk” le diedi corda io. La cosa
non mi stupiva per niente “I vampiri fanno sempre le cose in
grande” constatai io.
”Già” rispose lei. “Sai, mia madre arriverà presto per occuparsi dei
preparativi del matrimonio” mi comunicò lei in un tono abbastanza neutro.
D’altro canto io mi spiaccicai le mani sulla fronte.
“No! Ancora!” esclami io esasperata all’idea di un altro
membro che si andava ad aggiungere alla ‘truppa matrimoniale’,
come la chiamavo io. “E’ un vero inferno già così quel posto!”
“Non ti invidio per niente” disse
Bella sincera. Detto questo, scese di nuovo il silenzio. Purtroppo uno di
quelli imbarazzanti. Ecco, tanto eravamo abituate a parlare di cose che avevano
a che fare con i vampiri o con i licantropi che quando avevamo esaurito tutti
gli argomenti al proposito, io e Bella non riuscivamo
più a comunicare. Forse, arrivata a questo punto, così vicina alla sua prossima
trasformazione, non le interessavano neanche più le cose da umani. Mi agitai subito all’idea di come la nostra amicizia ci stava
scivolando dalle mani.
“Ho appena parlato con Seth. Pensavo
che ti avrebbe fatto piacere saperlo” proruppe di nuovo Bella, particolarmente
seria.
”Ah” dissi io monocorde.
Alla fine, ovviamente, lo aveva saputo anche lei, seppure
non sapevo quanto sapesse e non desideravo neppure
chiederglielo. Da quel momento si era sempre tenuta in contatto con Seth, non a caso l’unico licantropo che andasse
un po’ a genio a SirEdwardCullen. Ad essere sincera, non mi interessava
per niente sapere cosa diamine stava facendo quello là….
Dai, non raccontiamoci balle, Abi, tu scoppi dal desiderio di sapere cosa diamine stava
facendo.
“E che cosa ha detto?” chiese in un
soffio. Bella fece spallucce.
“Non ha ancora intenzione di tornare” si limitò lei. Serrai
le mani sul sedile in pelle: questa era decisamente
una brutta notizia.
Il discorso si fermò lì; né per me né per Bella quello era
un fantastico argomento di conversazione.
Sentii Bella fare un respiro profondo, mentre teneva il
volante stretto in una morsa. Era nervosa, si vedeva
da un chilometro. Ed ero abbastanza sicura di sapere
il perché. Almeno, era quello che credevo fino a quando
non iniziò a parlare.
“Abi… posso… posso farti una
domanda un po’… personale?” La guardai curiosa per la
balbettio. Immaginavo già l’argomento.
“Su Jacob, vero?” la precedetti io,
evidenziando ampiamente il fatto che non avevo assolutamente intenzione di
affrontare l’argomento.
“No, no, lui non c’entra. Qualcosa che riguarda me” mi corresse lei, mentre l’indecisione nella sua voce aumentava.
“Va bene, dimmi” chiesi allora piuttosto
curiosa.
“Ecco, non so se…” disse fermandosi subito “Insomma, non dico che non sia pronta, ma sai, per capire…” Ah, capito.
“Bella, ti ho già detto che
preferirei evitare di parlare sul perché io non voglio diventare un…” ripetei
io per l’ennesima volta.
“No, no! Non si tratta neppure di quello!”
mi corresse ancora, con un tono di voce più alto del normale, più
stridulo ed agitato. Io la guardai con occhi spalancati, non potendo immaginare
a cosa si potesse mai riferire. Lei fece un altro respiro prima di riprendere.
“Ecco… non credo di avere al momento confidenza con nessun
altro come con te. Ma se ti sembra troppo personale puoi anche evitare di
rispondere.” A quel punto la mia attenzione era stata
totalmente catturata.
“Tu sei vergine, Abigail?” Il
secondo successivo lo passai con il fiato sospeso.
“Ah!” dissi io, totalmente spiazzata. Bhè,
sì, certo, mi sembrava giusto che, essendo a quanto pare la sua prima volta, avesse qualche dubbio che volesse condividere con qualcuno
e…
“Ah… sì, sì, lo sono, lo sono” mi affrettai a dire,
leggermente in imbarazzo. “Mi dispiace, ma non credo di poterti aiutare in quel
senso” risposi io, non meno balbuziente di lei.
“Figurati, non c’è problema” rispose lei svelta, con lo
stesso tono. “Era solo per sapere.” Fu così che anche quell’argomento,
venne troncato di netto, con la gioia di entrambe.
Comprendevo appieno Bella e i suoi dubbi. In fondo era
qualcosa che riguardava tutte le donne. Appunto, le donne: e fu così che con
piacere ebbi la prova che noi due potevamo ancora essere in grado di affrontare
una conversazione su problemi comuni.
Inoltre c’era da immaginarselo; in luna di miele di certo non
si passa la sera giocando a carte. Ma… se lei era
un’umana e lui un vampiro, non è che… Non ci avevo mai pensato, a dire il vero.
Mi feci lasciare al parcheggio della scuola, dove ripresi la
mia moto. Ci scambiammo alcune brevi parole ed un saluto ed ognuna se ne andò per conto suo.
Dovevo ammettere che la conversazione avuta con Bella mia aveva fatto, a modo suo, parecchio bene perché mi fece per
qualche tempo dimenticare il mio abituale pensiero fisso che venne sostituito
da un altro meno importante, ma alquanto curioso.
Andai quindi veloce a casa, decisa di fare una bella
chiacchierata al riguardo con mamma; almeno così avrei avuto qualcosa da fare
per un po’ di tempo.
Aprii con calma, senza far rumore, la porta che collegava il
salotto al garage. Misi la testa dentro, per verificare che non ci fosse
nessuno. L’intera casa era immersa nel silenzio. Con un po’ più di sicurezza
scivolai dentro: ultimamente gli abitanti di quella casa, per via dei
preparativi del matrimonio, erano soliti preannunciare la loro presenza con un
bel po’ di baccano. Tirai un sospiro di sollievo;
molto probabilmente quelle quattro pazze erano uscite da qualche parte.
Sfortunatamente, tra queste quattro persone compariva anche mamma, che voleva dire che al momento non era affatto disponibile per una
chiacchierata.
“Ciao, Abi.” La voce di papà
risuonò melodiosa per la sala. Sussultai appena per lo spavento: immobile come
una statua, se ne stava seduto sul divano a leggere. Alzò appena gli occhi dal
grande e vecchio volume che teneva tra le mani per lanciarmi un sorriso
accennato. Mmh… di certo papà non era la persona
adatta per parlare di queste cose, ma dopotutto la cosa
poteva rivelarsi divertente.
“Ciao, pah” dissi sedendomi sulla
poltrona bianca di fronte a lui. “Gli altri dove sono?” chiesi per
effettivamente assicurarmi che quella casa fosse davvero deserta. Lui continuò
a rivolgere l’attenzione al suo libro.
“I ragazzi sono andati a una breve
battuta di caccia, Carlisle è all’ospedale” Alzò per
un attimo gli occhi al cielo. “E la ‘truppa matrimoniale’,
come la chiami tu, è uscita.” Feci un mezzo sorriso per l’enfasi che aveva
usato. Bene, avevo la certezza di essere soli. Lui si immerse di nuovo nella lettura.
“Papà, voglio parlare con te di sesso” proruppi io, con un
mezzo sorriso, prevedendo la sua incondizionata reazione. Difatti lui alzò più
veloce della luce gli occhi dal tomo, fissandomi piuttosto spaesato.
“Ah.” Fu tutto quello che riuscì a dire. “Credevo che fossi
abbastanza cresciuta da sapere di cosa si tratta…” continuò lui, con il suo
tipico tono indeciso che usava in queste occasioni.
“No, non sto parlando di questo” precisai io, cercando di
rimanere seria. “Sono solo curiosa di sapere una cosa.”
“Perché, hai intenzione di perdere
la verginità?” mi accusò lui, in un tono che voleva essere minaccioso, ma che
si rivelò comico per la tensione della sua voce. “Perché
spero che tu sia ancora vergine…” A quel punto non riuscii a non trattenere una
risata.
“Sì, papà, lo sono ancora.”
“Bhè” disse lui, al massimo del
nervosismo, chiudendo il libro e poggiandolo sul tavolino di vetro. “E’ normale
che tu sia curiosa. E’ più che giusto. Anzi, devi essere curiosa” iniziò lui, ripetitivo.
“Forse però è meglio se lo chiedi a tua madre; lei molto
probabilmente sarà più comprensiva” concluse in un
tono speranzoso. Io gli lanciai un sorriso sarcastico, per
nulla imbarazzata dell’argomento, come invece era lui. Sicuramente aveva
da subito frainteso, ma era divertente vederlo così.
“Mamma come puoi vedere è impegnata” replicai io tranquilla.
“Se vuoi te la vado a chiamare io”
disse immediatamente, alzandosi dal divano come un fulmine.
“Papà, prima o poi dovrai superare
anche questo problema, non credi?” intervenni io nel ruolo della sua coscienza.
Lui si arrestò per guardarmi di sottecchi; non poteva negare che avevo ragione.
Con calma si risedette al suo posto, cercando di essere
apparentemente pronto per la conversazione.
“E va bene” continuò, quasi
rassegnato. “Allora, cosa vuoi sapere?”
“Bè, ecco…” dissi cercando di
trovare le parole più giuste per esporre al problema. Insomma, non avevo
intenzione di violare l’intimità di Edward e Bella, anche se era palese i riferimenti che avrei
fatto a loro due. Cercai allora di prenderla larga.
“Voi vampiri potete avere rapporti sessuali, giusto?” Mio
padre mi guardò in cagnesco.
“Perché mi stai facendo questa
domanda, Abi?” chiese stupito. Aveva sicuramente
immaginato un tipo di rapporto molto più umano.
“Dopo ti spiego, tu intanto rispondi” tagliai io corto,
sapendo che ben presto con la sua intuitività l’avrebbe capito da solo.
“Sì, come tu ben sai” rispose,
ancora parecchio confuso.
“E com’è?” chiesi io curiosa.
Aspettò immobile alcuni secondi, prima di iniziare a stringersi le mani. Mi
perforava con i suoi occhi dorati, che cercavano di trovare nella mia
espressione anche un solo indizio che potesse spiegare la mia serie di domande.
Non avendo trovato molto, mio padre si rassegnò a rispondere.
“Bhè… come deve essere; bello” disse
in un sussurro impacciato. Feci particolarmente fatica a trattenere un sorriso;
espressioni come “bello” le usava mamma quando avevo
dieci anni e credevo ancora a storielle di api, fiori, cavoli e cicogne.
Davvero, non riuscivo a capire perché trovasse così imbarazzante parlare con
sua figlia di questi argomenti, soprattutto se si teneva in conto il fatto che
lui era un medico. Ciononostante, apprezzai i suoi sforzi.
“Puoi essere più preciso?” cercai di aiutarlo io. Lui spostò
sistematicamente lo sguardo da me, per guardare un punto indefinito alla sua
destra.
“Diciamo che, rispetto a un
rapporto umano, è molto più… coinvolgente e… bello” tentennò “Alla pari di
quello che si prova nel bere sangue umano.”
“Mmmh…” mormorai, riflettendo
sull’ultima parte della sua affermazione. “E se questo
genere di rapporto avvenisse tra un umano e un vampiro?” chiesi, costretta a
questo punto a mostrarmi esplicitamente chiara. A quel punto papà fece un
respiro profondo.
“Ah. Ho capito dove volevi andare a parare” disse, particolarmente sollevato, smettendola di tritarsi le
mani. “Stai parlando di Bella edEdward,
giusto?”
“No, bhè, in realtà mi sono
completamente innamorata di un vampiro e pensavo di dedicarmi totalmente a lui
in ogni senso” dissi prenderlo un po’ in giro.
“Spiritosa” mi rispose a tono. “Comunque
se volevi chiedermi se è fisicamente possibile, bhè,
è possibile.” Ora che sapeva che il vero soggetto di quella discussione non ero
io era molto più tranquillo.
“Lo trovi abbastanza insolito, dico
bene?”
“Bhè, un po’ sì…” Questa volta l’insicura ero io. “Ma scusa,
tu come sai che loro due…” Lui si morse per un attimo le labbra, prima di
rispondere.
“Non intendo scendere in particolari per rispetto della privacy, ma ammetto che Edward è
venuto a parlarmene più volte, sperando che gli potessi dare… un consiglio,
dato il mio passato piuttosto… movimento che tu ben conosci” rispose, cercando
di dosare bene le parole.
“Ah” esclamai, sorpresa. “Però” continuai io dubbiosa “se tu
mi hai detto che è come bere sangue umano, allora è
particolarmente pericoloso.” A questo punto lui si fece molto serio.
“Sì, è pericolosissimo. È molto facile
perdere il controllo” mi rispose con sicurezza, mostrandosi ora molto
più controllato. Questa parte sicuramente non era piaciuta ad Edward.
“Non lo consiglieresti a nessuno, quindi” constatai. Lui
tornò a sghignazzare.
“Non consiglierei neppure a nessun vampiro di crescere una
piccola umana, se per questo” rispose lui a tono. Io lasciai passare la sua
battutina, ancora piuttosto confusa dalla faccenda.
“Tu però durante la tua vita da Casanova non hai mai…”
chiesi io, sperando che avesse colto.
“No, non mi sono mai spinto fino a quel punto” disse subito
lui. Corrugò poi le sopracciglia e guardando in un punto
lontano riprese il discorso, questa volta non rivolgendosi a me, ma
dando voce ai suoi pensieri. “Ma solo perché non resistevo e le uccidevo prima.”
“Ah” esclamai io, abbastanza atterrita. Lui mi guardò
sorpreso, ora conscio di quello che aveva appena
detto.
“Edward però ha un autocontrollo
molto superiore al mio” continuò per rassicurarmi.
“Certo, certo” dissi, ancora agitata, ma del
tutto convinta. O quasi. Bhè,
in fondo si stava parlando di Edward,
no? Il vampiro in grado di stare vicino alla propria cantante senza papparsela, colui che pur
bevendo il suo sangue non l’aveva uccisa. Insomma, non
dubitavo affatto che qualcosa potesse andare male. Non credevo sarebbe stata una passeggiata per lui, ma ero più che sicura
che, nonostante le brutte esperienze di papà, Bella sarebbe tornata viva e
vegeta.
Insomma, da quello che aveva detto papà e dati i due
soggetti in questione, immaginavo che la situazione fosse
più che chiara: lei voleva, ma lui no.
Alla fine però non avevo mica capito se erano davvero
intenzionati a compiere il grande passo. D’altronde
non mi sarei mai permessa di chiederglielo a nessuno dei due.
“Ti ho spaventato?” chiese papà
leggermente preoccupato.
“No. E’ che… sto cercando di immaginarmi come potrebbe essere ma… non ci riesco” confessai io.
“Non ti sforzare troppo. Tanto non sarà
mai un tuo problema” tagliò subito corto lui.
“Di questo ne sono abbastanza
sicura anch’io” dovetti concordare con lui.
“Immagino allora che tu e mamma…” continuai allora, io
questa volta cambiando totalmente soggetto. Papà tornò ad essere all’improvviso
agitato.
“Mi sembra normale, no?”
“Bhè… io non me ne sono mai
accorta” completai sincera.
“Mi sembra che ogni genitore normale non faccia queste cose
davanti agli occhi dei propri figli” continuò lui, usando quel tono sarcastico
e da presa in giro come un’arma per difendere il suo imbarazzo.
“Ma quanto spesso lo fate?”
continuai io apposta, per tenerlo sulle spine. Tuttavia, dovevo ammettere che
non era solo per quello: in effetti era strano che in
diciassette anni non avevo mai avuto nessuno strano presentimento di questo
genere.
“Vuoi sapere ogni singolo dettaglio di quello che io e tua
madre facciamo in privato, Abi?” continuò lui, sempre
più nervoso. A quel punto non potei non ridere.
“Ti sto facendo sudare le pene dell’inferno, vero?” chiesi,
mettendo in chiaro le cose.
“E’ una pura tortura quella che mi stai facendo sopportare”
mi rispose lui, mostrandomi ora tutto il suo disagio.
“Allora, mi rispondi?” continuai io, insensibile ai tormenti
a cui lo sottoponevo.
“Mentre dormivi, ovvio” mi rispose
lui, quasi imbronciato. Risi un’ultima volta per la sua espressione.
“Insomma, è bello sapere che anche
il vostro letto matrimoniale ha una sua utilità” conclusi io.
“Ti sbagli, anche quello era solo
una pura formalità. Non lo abbiamo mai fatto dentro
casa, non volevamo mica distruggerla” disse ancora con quel tono vago, che
usava quando parlava ad alta voce a se stesso.
“Cosa intendi dire scusa?” chiesi
io, che mi sembrava di non aver capito bene. Nuovamente mi guardò sorpreso,
mordendosi la lingua per l’errore che aveva fatto.
“Tra poco inizia il mio orario all’ospedale. Ci vediamo, Abi” disse allora lui,
salvandosi in extremis ed anche in
modo abbastanza patetico. Alla velocità della luce mi diede un bacio sulla
fronte e se ne andò.
Rimasi per tanto basita dalla sua
azione fin troppo frettolosa. E poi, aspetta, ma oggi papà
non aveva giorno libero?
Non potei nemmeno aver il tempo di pensare che la materializzazione
di Alice sotto i miei occhi mi spaventò.
“Ma dove caspita eri finita!” mi
urlò squillante, parecchio arrabbiata “Non abbiamo tempo da perdere per
cercarti, forza, abbiamo bisogno di te!” Contro ogni mia volontà Alice mi prese
il braccio e mi obbligò ad alzarmi dal divano. Io, ancora spaesata, riuscii con
difficoltà a rielaborare che la ‘truppa matrimoniale’era purtroppo tornata a casa. Con forza mi fece salire le
scale.
“Dove, dove mi stai portando,
Alice?” domandai, parecchio spaventata. Lei sbuffò infastidita.
“A preparare il tuo vestito”
“Quale vestito?” chiesi io confusa. Lei mormorò qualcosa
furiosa.
“Quello del matrimonio! Che domande!” Prima che potei davvero realizzare quello che stava succedendo a quel
punto eravamo già arrivate in camera sua. Davanti a me si susseguivano immagini
di stoffe, aghi, forbici. Un brivido mi percorse la schiena,
con la consapevolezza che a quello che mi sarebbe aspettato non avrei avuto
nessuna possibilità di fuga. Da Alice infatti
non si poteva scappare.
Furono ore strazianti, che passai tutte e quante a maledire
Bella e la sua proposta di essere sua damigella, insieme ad
Alice e Rosalie. Voglio dire, due non bastavano? E poi avrei sicuramente sfigurato accanto a loro.
Dopo almeno un paio d’ore costretta a stare in piedi a fare
il manichino, mentre un’Alice che impazziva a ogni mio
movimento misurava ogni centimetro del mio corpo per poi coprirlo d’una strana
stoffa sbrilluccicosa, dovetti subire per le successive due ore l’acconciatura
dei capelli e il make-up, perché, secondo Alice, ‘era impossibile giudicare un
vestito senza la piega ed il trucco giusto’.
La cosa peggiore in tutto questo era che Esme,
Rosalie e mamma non facevano altro che supportare Alice nella sua opera. Mi
stupii in particolar modo di mamma, che con il suo sorriso a trentadue denti si
sbiascicava in espressioni quali ‘Abi, sei bellissima’ o ‘Abi, sei stupenda’, invece di salvarmi da questo inferno.
Ma si vuol sapere che razza di madre era?!
“Ecco fatto” disse alla fine Alice. Era piuttosto felice.
Brutto segno. Insieme a lei anche le altre tre erano
esaltate, soprattutto Esme, che si era unita a mia
madre in quel mieloso coro, mentre Rosalie, forse perché poco le importava, non
per altro, partecipava alla mia tortura in maniera abbastanza distaccata,
limitandosi ad assecondare i consigli, anzi, ordini, di Alice. In quel momento
pensai fosse l’unico essere compassionevole in quella stanza.
“Devi assolutamente vederti allo specchio, Abi” trillò la mia mamma traditrice. A forza, mi portò
davanti all’immenso specchio di Alice.
Analizzai allora con attenzione la figura che avevo davanti,
una specie di bambola di ceramica; senza l’ombra di dubbio non ero io. Alzato
però un sopracciglio, anche la sconosciuta davanti a me fece lo stesso. Cambiai
postura e lei mi seguì. Caspita, ero davvero io!
Ero decisamente stranissima, non
c’era che dire; riguardo al vestito, era stupendo in sé. Su di me molto
probabilmente non rendeva. Inoltre Alice mi aveva fatto il dono di un paio di
ballerine e non di scomode scarpe con il tacco, dovuto molto probabilmente non a un atto di pietà, ma alla presa di coscienza che avrei
sicuramente rovinato la cerimonia se avessi camminato fino all’altare con dei
trampoli.
Quello che mi stupì più di tutto era il mio viso; c’era
qualcosa di strano, innaturale. I capelli, senza dubbio, erano inumani; non
avevo mai visto nessuno con dei boccoli così definiti e perfetti, come quelli
delle bamboline di ceramiche. Alzai la mano per sfiorarli e constatai che ero sofficissimi. Inoltre erano di
un colore bellissimo, di un marrone scuro splendente. Non mi sembrava però che
Alice mi avesse tinto i capelli.
Tornai poi a concentrarmi di nuovo sul mio viso; ancora non
riuscivo a capire cosa ci fosse di strano.
“Sei davvero bellissima” disse per la centesima volta mamma,
avvicinandosi a me. E fu lì che capii. Essendo due creature diverse, io e mia
madre non ci assomigliavamo affatto. Ma quella volta…
senza tener conto della carnagione più scura, dell’assenza di
occhiaie violacee e di occhi dorati, eravamo… davvero simili. Grazie al
potere del trucco il mio naso a patata sembrava dritto come uno stelo ed anche
i lineamenti del viso erano più marcati. Avevo come la sensazione di…
assomigliare ad un vampiro.
“Finalmente è arrivato!” esclamò Alice, ancora con quella
sua vocetta furiosa che mi fece spaventare. Mi girai
curiosa, giusto in tempo per vedere Alice spalancare la porta e trascinare
dentro un Edward con tanto di giacca e cravatta, il
vestito del matrimonio. Dovevo ammetterlo, vestito così sembrava un po’ un
damerino, ma ciononostante… era un gran bel figo.
“E’ davvero necessario tutto questo, Alice?” borbottò lui,
esasperato almeno tanto quanto lo ero io. Con forza lo mise
vicino a me. Io guardai confusa prima Alice, poi Edward,
infine mia madre in cerca di spiegazioni.
“Ovvio che sì, Edward” rispose
scocciata lei. Con una mano sotto il mento fece scorrere il
suo sguardo prima su di me, poi su di Edward,
per poi cominciare da capo. Ci stava studiando come due topi da laboratorio.
“Alice, stai esagerando” le fece notare Edward
piuttosto serio. Alice sussultò, come se fosse stata interrotta da una delle
sue visioni. Lo guardò prima truce, poi il suo viso si aprì
in un bellissimo, quanto minaccioso sorriso.
“Lascia fare a me, fratellino” disse in tono infantile. Edward non poté far altro che sbuffare, ormai arreso.
Dopodiché Alice continuò a guardarci come alieni.
“Alice…” azzardai io, con voce tremante per paura di
provocare un’altra sua crisi “Cosa stai facendo
esattamente?”
“Tsk” fece subito lei “Mi sembra
logico, no?” sbottò irritata “Sto verificando che il vestito delle damigelle si intoni perfettamente con quello dello sposo.” Cos…
Aspetta, ma questo non valeva solo per quello della
sposa? Guardai Alice preoccupata, cercando di convincermi che tutto questo era
normale per una pazza come lei.
“Esme, Rosalie, Sophie.” Alice, dopo averci studiato a sufficienza, chiamò
a raccolta la truppa, che veloce si riunì attorno a lei. Iniziarono a discutere
tra di loro tutte insieme e talmente tanto velocemente
che non riuscii a capire una parola. Edward intanto,
accanto a me, si sosteneva la fronte con una mano, sopportando a fatica il
comportamento di sua sorella. Alla fine Alice tornò a porre l’attenzione su di
noi.
“Non vi muovete, torniamo subito” ci ordinò minacciosa. Il
secondo dopo tutte quante si volatilizzarono. Edward fece un respiro profondo, cominciando a tamburellare
con le dita della mano. A differenza sua, io ero rimasta immobile come una
statua ed ancora mezza spaventata. Voltai lentamente la testa verso Edward, cercando di muovermi il meno possibile per paura di vedere un’Alice isterica comparire all’improvviso e
urlare ‘Ho detto di non muovervi!’.
“E adesso?” sussurrai io. Perché
diavolo stavo sussurrando?
“Adesso aspettiamo” mormorò sconfortato Edward,
lasciandosi andare in un altro respiro profondo. Io non fui d’accordo con lui.
Dopo cinque secondi mi convinsi dell’assurdità e della
pazzia della cosa e presi i miei vestiti con tutte le buone intenzioni di
rivestirmi. Non mi sarei ancora fatta mettere i piedi in testa in questo modo
da uno scricciolo come Alice.
“Io mi cambio” affermai più che convinta.
“Non ti conviene” mi avvertii lui, ancora in piedi. “Farai
solo arrabbiare Alice, che ti riserverà qualcosa di peggiore.”
L’idea mi fece rabbrividire. Seguendo il consiglio di Edward, rimisi a malincuore i vestiti al loro posto.
“Tu come fai a sopportarla?!E’ una pazza!” esclamai nevrotica. Lui sfoderò il suo solito
sorrisetto sghembo.
“Dopo un po’ di anni riesci ad
abituartici.” Dopodiché scese il silenzio.
Durante la battaglia ed il successivo periodo Edward si era comportato in modo alquanto gentile con me e
mi era stato relativamente vicino; in breve, anche se era strano ammetterlo, mi
aveva dato un valido aiuto. Soprattutto con Bree.
Avevo allora creduto che le cose erano davvero almeno
un minimo cambiate tra noi. Che so, speravo che mi
avrebbe calcolata un po’ di più. Come non detto, dopo la
battaglia le cose erano ritornate esattamente come prima tra noi; lui mi era
sempre più insopportabile con la sua ossessione per Bella e per questo a quanto
pareva se ne infischiava totalmente di me.
Per questa serie di motivi non sapevo bene che cosa dire per
spezzare quel silenzio soffocante. Trovandolo insostenibile sparai la prima
cosa che mi sfiorò la mente.
“Emozionato per il matrimonio?” Che patetica! Ma certo che era emozionato! Chi non sarebbe stato
emozionato al proprio matrimonio?! Lui allora sorrise,
forse per cortesia, forse per le fesserie che pensavo.
“Diciamo di sì” mi rispose lui calmo.
Feci un mormorio d’assenso. Decisi allora di riprovare a
intavolare una conversazione e questa volta ci pensai di più prima di aprire
bocca.
“Dov’è che hai detto che andate in
luna di miele?” chiesi allora interessata.
“Infatti non l’ho detto” rispose
immediatamente lui, sempre pacato. Aveva un’espressione assorta, come se fosse
immerso nei propri pensieri. O chissà, forse nei miei.
Fatto sta, non sembrava avere l’espressione di uno che mi stesse
ascoltando, ma continuai ugualmente.
“Ah, già. Allora, dove andate?” gli chiesi
curiosa. Questa volta mi degnò di uno sguardo.
“E’ una sorpresa. Non voglio che Bella lo sappia”
“Mica lo dirò a Bella.” Lui sorrise
ancora.
“Mi sembra però che ultimamente condividiate parecchie cose
insieme” disse con voce ironica, ma anche un po’ strana, riferendosi a qualcosa
in particolare. Che io ovviamente capii. Doveva
riferirsi sicuramente alla mia discussione con Bella. Un momento, ma non
l’avevo pensata. O forse sì? Sì, bhè,
in effetti un frangente d’immagine veloce ce l’avevo
avuto, ma speravo che Edward non l’avesse notato.
“Ah…” esclamai con un velo di imbarazzo
trattenuto. Questo brutto colpo mi costrinse a troncare il discorso di netto e
a ricadere nel silenzio.
La cosa non mi riguardava affatto,
ma… mi incuriosiva. Alla fine, avrebbero combinato o no? E
poi, ad essere sincera, non avevo ancora bene appreso la situazione.
“La puoi smettere per favore? Sei piuttosto irritante.
Soprattutto per l’argomento” intervenì Edward
piuttosto acido.
“Evita di leggermi i pensieri, allora” ribattei con un’aria
da snob. La piega che prendeva la situazione a causa delle nostre battutine pungenti sembrava presagire il ritorno del silenzio, ma solo
dopo alcuni secondi, Edward riprese la conversazione.
“Lei non è veramente pronta, vero?” chiese in un sussurro,
serio. Aha! Ma allora gli interessava la discussione
che io e Bella avevamo avuto!
“Certo che lo è!” dissi convinta. Forse. Quasi. “Era solo…
una chiacchierata tra donne, tutto qua!” dissi cercando vanamente di attenuare
la sua indole iperpreoccupata. I
miei pensieri tuttavia gli avevano dovuto dare una risposta più che
soddisfacente. Visto che oggi Edward sembrava
in vena di parlare, data la sua precedente presa di iniziativa,
mi buttai.
“E tu? Lo sei?”
“Perdonami, ma non credo siano affari tuoi” rispose subito,
mantenendo un tono impeccabilmente educato.
“Come non lo sono i miei per te” ribattei io a tono. Touché. Cercai di trattenere una risata; ci stavamo
pizzicando come dei bambini immaturi. Lo facevamo sempre, io e J…
“Comunque, secondo me, anche se
forse tu non sarai d’accordo, sì” continuai nervosa, senza pensare, non tanto
per vera curiosità, quanto per evitare di ricordare.
“A questo punto, devo esserlo” rispose Edward,
forse troppo di getto, quasi sovrapensiero. Molto probabilmente anche lui si
faceva distrarre troppo dai suoi pensieri e diceva cose che non voleva dire.
Guardai il suo volto pensoso e gli parlai, accogliendo la
possibilità di non ricevere una risposta in cambio.
“Suppongo sia un qualcosa a cui lei tiene particolarmente e
che tu potresti fare benissimo a meno, dico bene?”
“Esatto” rispose lui, con tono distratto. “Abigail” disse alla fine, definitivamente uscito dalla sua
riflessione. Richiamò completamente la mia attenzione.
“Scusa Abigail se adesso forse ti
posso chiedere troppo” disse facendosi più vicino. Lo studia
per bene: voce: implorante. Occhi: da cane bastonato. Scopo: voleva che
io facessi qualcosa per lui. “Ho bisogno che tu mi faccia
un’immensa cortesia.” Infatti.
“Come hai ben intuito, lei vorrebbe, ma io… non mi sento per
nulla pronto” continuò lui, cercando di sembrare il più convincente possibile. “E’
pericoloso e sono terrorizzato all’idea di poterle fare del male. Inoltre non credo sia affatto necessario.”
“A forza di pensare che le potresti fare del male, le farai
male sul serio, sai?” lo interrupi io, incapace dal
trattenermi di fare l’ironica.
“Non scherzare” mi richiamò lui, particolarmente serio. “Ti
chiedo per favore di parlarle. Convincila a cambiare idea. Lei ti ha sempre
dato retta.” Sbuffai mentalmente; perché tutti ancora credevano che io avessi
come un potere magico su di lei? Ciononostante, non fui in grado di dargli
immediatamente una risposta. Era un argomento piuttosto complesso per me.
“Non so…” mormorai.
“Non sai quale causa tra le due appoggiare o non sai se
riuscirai a convincerla?” fu più preciso lui. Attesi un paio di secondi prima
di rispondere.
“Tutte e due.” Non potevo dargli una risposta così su due
piedi.
Fino ad allora avevo sempre preso le
parti di Bella nei piccoli divari tra lei ed Edward. Ma se questa volta avesse avuto ragione Edward?
Bisognava valutarne i rischi, ma la mia completa ignoranza sull’argomento non
aiutava. Anzi, per tutti credevo fosse un qualcosa di inusuale.
Insomma, se l’avessi convinta le avrei privato una delle
esperienze più importanti della sua vita umana (io le conferivo questo
significato ed ero certa che lo condividesse anche Bella), oppure l’avrei
salvata da una condizione di estremo pericolo?
Come farlo apposta, Alice in quel momento si materializzò
nuovamente in camera. Teneva in mano un rotolone di stoffa sbrilluccicosa
uguale alla prima. Ci guardò un’altra volta, prima di scuotere convulsamente la
testa.
“No, no, non ci siamo proprio. È tutto sbagliato. Il colore
è tutto sbagliato. Questo è migliore” disse confrontando il vestito di Edward con la stoffa che teneva
in mano. Colore sbagliato? Ma se erano completamente
uguali!
“Alice, lasciami andare” disse Edward
stizzito.
“Sì, sì, tu puoi andare” rispose Alice senza neanche
degnarlo di uno sguardo, mentre con un paio di forbici pensava a tagliare la
stoffa. Edward, libero da Alice, si diresse
lentamente verso la porta, mentre lo fissavo
invidiosa. Sulla soglia si girò verso di me, aspettando una mia risposta. Io
scossi la testa dubbiosa. Ci devo pensare, gli dissi.
Lui cercò di farmi un ultimo sorriso convincente prima di scappare dalla camera
di Alice.
“Bisogna rifare tutto da capo” mi informò
Alice, cominciando a togliere tutte le cuciture del vestito.
“Cosa?” sussurrai io. Lei mi guardò
seria ed immobile.
“Questo vestito è tutto sbagliato. Bisogna rifarlo. Quindi rendimi le cose più facili e inizia a spogliarti”
Cosa? Mi stava in pratica dicendo che avrei dovuto
subire altre due ore di quello strazio? Non ebbi la forza di muovermi e rimasi
impalata in quella posizione. Ma… ma… avevo fatto la
brava, non mi ero mossa… perché? Poteva davvero andare peggio di così?
“Allora? Ancora lì?” disse Alice inviperita, per poi farsi
più vicina. Diede un’ulteriore occhiata anche al
trucco. “Perfetto, bisogna rifare anche il trucco.”
Sì, poteva andare peggio di così. A quel punto non ressi più.
“Abigail, che succede? Perché stai piangendo?” esclamò sorpresa Alice, che tuttavia non
sembrò minimamente intenerita.
Ancora adesso non capii grazie a quale capacità nascosta
riuscii a subire un ulteriore strazio di ben tre ore
per il nuovo vestito. Anzi, se non fosse stato per la lezione
di break dance del pomeriggio, quella pazzoide mi avrebbe tenuta là dentro anche
di più.
Il corso di break era finito a
giugno, ma ero disperatamente in cerca di distrazioni, quindi avevo proposto ai
bambini un corso di ‘approfondimento’ per il periodo estivo. Furono tutti estremamente entusiasti e questo mi dava una grandissima
soddisfazione.
Tirando quindi un enorme respiro di sollievo, filai dritta
in camera mia per andarmi a preparare per la lezione, sperando di non tardare.
In un baleno fui quindi a cavallo della mia KTM. Arrivai con qualche minuto di
ritardo; tutta colpa di Alice. Esasperata e
contemporaneamente arrabbiata con lei mi diressi a
grandi passi verso la palestra della scuola. Vidi allora due bambine del corso
farsi i cavoli propri fuori dell’aula. Ecco uno degli
svantaggi del non arrivare puntuali: tutti quanti facevano di testa loro ed era
poi quasi impossibile riprendere il controllo della situazione.
“Stephanie, Aurora, cosa ci fate fuori in corridoio?” chiesi loro forse un po’ troppo
brusca. Loro due si voltarono quasi spaventate al suono della mia voce. Avevano
davvero un’espressione terrorizzata; non pensavo di aver gridato troppo.
“Signora maestra” mi disse Aurora, con la sua vocina
fievole. “In palestra c’è uno strano tizio.” Cosa?
Entrai immediatamente in palestra, superipermegastratopreoccupata.
Al giorno d’oggi il mondo era pieno di matti e se per
caso uno di questi si era infilato in palestra in mia assenza e avesse fatto
qualcosa ai miei bambini…
“Ciao, Abigail!” mi rispose Seth, tanto felice da toccare il cielo con un dito. Tirai
immediatamente un respiro di sollievo. Non era un pazzo furioso, ma la prossima
volta dovevo stare più attenta se no… Aspetta, cosa ci faceva qua Seth?
Lo guardai bene; se ne stava in prima fila, accanto allo
stereo che molto cortesemente aveva tirato fuori dallo
sgabuzzino. Sembrava avere proprio tutte le intenzioni di partecipare a una mia lezione. In un angolo, se ne
stava ammassato il resto dei bambini, che stavano confabulando tra loro,
guardando curiosi e contemporaneamente preoccupati il ragazzo lupo al centro
della palestra. Per dei bambini come loro, in effetti, Sethdoveva sembrare davvero un
brutto ceffo.
“Mettetevi in posizione e iniziate a scaldarvi un po’ da
soli” dissi cercando di attirare la loro attenzione. Loro mi si avvicinarono
cautamente, mentre lanciavano occhiate sospette a Seth,
d’altro canto tanto euforico che se avesse avuto la coda avrebbe
scodinzolato.
Attaccai con la musica, ma i miei piccoli allievi erano così
spaventati che neanche si mossero. Indicai allora a Seth
di venire da me. Lui si avvicinò a grandi passi, con un grande
sorriso stampato. Quando si fu allontanato un poco, i
bambini si sentirono più a proprio agio e iniziarono ad accennare a quei
semplici movimenti di riscaldamento che dopo un anno avevano imparato alla
perfezione.
“Cosa ci fai qui, Seth?” gli chiesi curiosa, mentre la musica dello stereo
copriva in parte la mia voce.
“Voglio imparare la break dance”
disse lui, non smettendola di sorridermi.
“Chi ti ha detto che continuo il
corso di break dance anche in estate?” continuai io, guardandolo ora sospetta.
Non avevo dubbi che sapesse che avevo un corso di break:
lo aveva sicuramente letto nella mente di qualcuno in particolare. Non riuscivo
però a capire come sapesse che il corso lo continuavo anche in estate.
“L’ho saputo da alcuni bambini della riserva” mi spiegò
indicandomi con lo sguardo un paio di bambini, che nonostante fossero di La Push, erano anche loro terrorizzati da Seth.
Guardai dubbiosa Seth; ero
contenta che finalmente anche un ‘adulto’ aveva
intenzione di seguire il corso. Tuttavia l’effetto che aveva
sui bambini era stravolgente e con lui mi era davvero impossibile fare lezione.
Inoltre aveva una differenza d’età non insignificante.
Niente da fare, purtroppo lo avrei dovuto mandare via.
“Ah… ehm…ecco…” dissi cercando di trovare le parole più
adatte.“Sono contenta che tu voglia imparare la break
dance”
“E’ davvero una figata!” esclamò
felice lui interrompendomi.
“Sì, ecco, ma… io faccio livello molto base, in questo
momento” cercai di spiegargli garbatamente.
“Ah, bhè, non ti preoccupare; io
non so proprio niente” ribatté lui convinto.
“Seth” affermai, decidendo di
tagliare corto. “Credo di non poterti insegnare…”
“Ah no? Perché no? Mi impegnerò, anche se sarà difficile” mormorò dispiaciuto. Mi
sembrò che i suoi occhi neri si fossero ingranditi e forse sarà
stata una mia impressione, ma mi sembravano anche luccicanti.
Oh no, oh no! Aveva cominciato a farmi gli occhi dolci. Due occhi dolci da un potere enorme.
Per quanto mi sforzassi non riuscii
a resistergli e trovai una soluzione.
“Seth” cercai di
essere più chiara. “Intendo dire, non adesso” Con lo sguardo indicai i
bambini. “Non con loro” Lui guardò confuso prima loro, poi me.
“E perché no?”
“Non noti?” cercai di fargli capire io.
“Cosa?” Lui sembrava proprio non
capire. In questo mi ricordava qualcuno…
“Gli stai mettendo una paura del diavolo” ammisi infine. Lui
spalancò gli occhi.
“Oh!” guardò svelto i bambini, per poi
guardare stupito me “Dici?”
“Sì, Seth” confermai io. “Se vuoi
però quando ho finito con loro, posso occuparmi di te.”
“Dici noi due soli?” esclamò, mentre gli occhi tornarono ad
accendersi.
“Sì”
“Sarebbe stupendo!” urlò di gioia lui.
“Va bene, allora. Siediti là” gli dissi
indicando uno degli angoli della palestra, verso cui Seth
ci si fiondò immediatamente.
Quella giornata mi fu parecchio difficile lavorare; i
bambini non erano per niente concentrati a causa di Seth,
che serio e attento studiava e apprendeva ogni mio movimento dal fondo
dell’aula. D’altro canto, non lo potevo neanche mandare via dalla palestra.
Fui quindi relativamente contenta quando
quella disastrosa lezione finì. Accompagnai i bambini fuori
dalla palestra e rientrai solo quando tutti furono stati prelevati dai
rispettivi genitori.
Rientrata, Seth mi stava
aspettando in piedi, al centro della palestra e a fatica riusciva a contenere
la voglia di iniziare. Io mi posizionai davanti a lui,
mentre il suo sguardo seguiva ogni mio movimento.
“Allora? Con cosa cominciamo?” chiese
esuberante. Io mi sedetti a terra e lui, credendo fosse l’inizio di un
esercizio, mi imitò alla velocità della luce.
Prima di iniziare, però, dovevo mettere in chiaro una cosa:
ero sì contenta che finalmente qualcuno di più grande avesse deciso di seguire
il mio corso, ma il fatto che questo qualcuno fosse un licantropo, mi faceva
pensare parecchio.
“Comincia con il dirmi perché hai deciso di fare break” gli chiesi interessata. A pensarci bene forse non
sarebbero stati affari miei, ma al momento non riuscii
a controllare la mia ficcanasaggine.
“Perché è una grandissima figata” rispose lui, come se fosse la cosa più semplice del
mondo.
“E…?” continuai io.
“Ci deve essere qualcos’altro?” rispose a tono.
“Perché, c’è?” Diamine, forse il
mio lungo naso stava esagerando, perché in un attimo tutto il suo entusiasmo
svanì. Sventolai una mano in aria, per fargli intendere di lasciar stare quello
che avevo appena detto.
“Scusami, scusami, non sono affari
miei.” Lui però sembrò ignorare quest’ultima frase.
“Non proprio” mi confidò dubbioso. “Sì, ecco” disse alla fine.
“E’ per una serie di cose” continuò mogio. “Innanzitutto, per Jacob. Siamo
tutti preoccupati per lui.”
“Immagino” riuscii a dire io, mentre anche la mia di esaltazione se ne andava.
“A casa poi n…non va molto bene” continuò incupendosi ancora
di più. “Litigo spesso con Leah, ultimamente. Non è
contenta che io e mamma andiamo al matrimonio.” Alzai
le sopracciglia per lo stupore.
“Stai parlando del matrimonio di Edward e Bella?”
“Sì, certo” rispose lui convinto.
“Siete invitati anche voi?”
“Eh già.”
“Ah! Non lo sapevo” esclamai sorpresa.
Non avrei mai, mai creduto che un licantropo si fosse presentato al matrimonio.
Insomma, cosa se non questo matrimonio rappresentava tutto ciò contro cui i licantropi avevano sempre combattuto? Controsenso a
parte, questa cosa era fantastica! Finalmente il rapporto tra licantropi e
vampiri aveva subito un netto miglioramento.
“Così ho deciso di fare break dance
da te” concluse. “Sia perché così mi sfogo, sia perché me ne starò un po’
lontano dagli altri e soprattutto da mia sorella, sia perché stando con te farò
felice Sam, sia perché qua ci sei tu.” Insomma, tutti motivi estremamente
validi… tranne per l’ultimo.
“E io che c’entro?” chiesi confusa.
Lui tornò a sorridere come un bambino.
“Hai avuto un effetto propedeutico su… Jacob.
Quando stava con te stava lasciava sempre i brutti
pensieri a casa” mi spiegò lui, con fare di uno che la sapeva lunga. “Forse
funziona anche con me, chissà.” Io lo guardai e scossi la testa: questo era
stata la scusa meno credibile che avessi mai sentito.
“Bando alle ciance, allora!” dissi cercando animare
l’atmosfera. “Vedrai, ti farò sudare così tanto che i
brutti pensieri te li farò venire, altro che mandarli via.” Invece di essere
spaventato, si esaltò ancora di più.
“Non vedo l’ora!”
Quella fu un’ora e mezza davvero
impegnativa, che, d’altro canto, cadde a fagiolo, facendomi tenere
lontana dalla ‘casa degli orrori’.
Insomma, non serviva di certo dire
che dal punto di vista fisico Seth era molto più
allenato, pertanto nel giro di qualche tempo, ero sicura che sarebbe diventato
più bravo di me. Ma questo solo in teoria: gli mancava tutta la tecnica di base
e i movimenti erano parecchio goffi, ma imparava in fretta e dopo qualche prova
le cose gli riuscivano in maniera accettabile. Ciononostante, era un po’
avvilente vedere qualcuno che nel giro di un’ora era in grado di fare cose che
io avevo imparato nel giro di anni.
“Adesso basta, direi” dissi con il
fiatone e imbrattata di sudore. Lui si tirò su da terra
profumato come una rosa.
“E’ stato fan-ta-sti-co!”
urlò al culmine della felicità. “E tu sei bravissima
come insegnante” Io lo guardai con un sorriso.
“Grazie, nessuno me lo aveva mai detto così chiaramente” gli
risposi grata.
Sistemai in breve lo stereo e insieme uscimmo
dalla palestra.
Faceva freddo per essere giugno, quindi vidi bene dal
coprirmi e dal muovermi ad andare a casa.
“Sei davvero portato lo sai?” mi
congratulai con lui.
“Davvero?” chiese felice. “O sono i ‘superpoteri’ da licantropo?”
“Ehm…” Mi aveva messa alle strette. “Non saprei. Diciamo che questo incide ampiamente” affermai io. “Allora,
ci vediamo la prossima lezione?”
“Sicuro!” esclamò lui. “Ci vediamo domani, Abi.” Giusto, il matrimonio.
“Certo” dissi, senza fin troppo entusiasmo.
“Ci vediamo, Jacob.” Sobbalzai all’improvviso. “Ehm…
volevo dire, Seth” mi corressi
io all’ultimo minuto. Forse Seth non mi aveva
sentito, perché mi sorrise un’ultima volta, prima di dirigersi verso la
foresta.
Per tutto il tragitto verso casa il
mio pensiero fu costantemente rivolto a quello che avevo detto. Perché mi era uscito quel nome così spontaneamente e così
all’improvviso? Certo, Seth assomigliava vagamente a Jacob e il mio inconscio ne aveva
sicuramente approfittato per giocarmi un brutto tiro.
Arrivata a casa, questo brutto pensiero venne
tuttavia sostituito da un altro non meno brutto. Non appena mi tolsi il casco
in garage, le voci della ‘truppa matrimoniale’mi giunsero ben chiare. Domani c’era il
matrimonio, quindi senza dubbio al momento stavano pensando a decorare
la casa. Dopo il trauma che avevo avuto, il mio istinto di sopravvivenza mi
suggeriva di prendere ed andarmene da qualche parte: avrei preferito dormire
sotto un ponte piuttosto che entrare in quella casa.
La mia parte razionale invece mi incitava
a muovermi e ad entrare, che se fossi rimasta ancora del tempo lì ad aspettare
mi sarei presa qualcosa. Fu così che stetti almeno cinque
minuti seduta sulla moto, indecisa se alzarmi dalla sella ed entrare
oppure infilare la chiave e partire alla volta del nulla.
La risposta provenne da dentro; la porta si aprì e ne
uscirono Jasper ed Emmett.
Svelti si diressero verso la Jeep di Emmett. Capii che se ne stavano andando da qualche parte e
attirai subito la loro attenzione.
“Ciao andate via vengo con voi”
esclamai svelta, mandando a quel paese l’educazione e l’arte che non avevo mai
avuto di farmi i cavoli propri.
Entrambi i vampiri si voltarono verso di me, guardandomi
stralunati.
“Anche no” ribatté Jasper, prendendomi poco sul serio, molto probabilmente
perché credeva scherzassi.
“Dai! Portiamola con noi! Potrebbe essere divertente!” intervenne
allora Emmett, ma non capii se fosse
serio o no. Jasper non lo
degnò di uno sguardo.
“Andiamo a caccia” mi avvertì Jasper.
“Come addio al celibato per Edward”
specificò Emmett. Sì, bhè,
mi sembrava ovvio che non volessero un’umana tra i piedi nel momento in cui
potevano ‘sfogarsi’ un po’, ma continuai a
infischiarmene.
“Vi prego, portatemi con voi” li implorai.
“Non intendo farti da baby-sitter” replicò
Jasper, serio e anche un tantino arrabbiato.
“Sono autosufficiente! Me ne starò buona buona in un angolino, ma vi prego” dissi indicando
la porta.“non mi fate entrare là dentro.”
“Sì, per favore Jasper, portiamola
con noi” rincarò Emmett, come se invece di una
persona fossi un cagnolino. Lui questa volta lo guardò
truce, come a volerlo abbrustolire sul posto. Guardò poi me in cagnesco.
“SeEdward
viene con noi, Bella si ritroverà da sola. Potresti farle un po’ di compagnia” mugugnò
Jasper, trovando un’alternativa.
Ad essere sincera mi sentivo un po’ in colpa: Jasper
era il vampiro con maggiori difficoltà di autocontrollo
e arrivato il momento in cui poteva davvero rilassarsi dopo un estenuante
autocontrollo, ecco che arrivavo io che gli rovinavo anche il suo momento di
relax. Era davvero crudele che istinto di sopravvivenza ed
educazione non andassero sempre d’accordo, pensai sarcastica.
“Stupendo!” esclamai contenta.
“Peccato, sarà per la prossima volta” disse Emmett, sarcasticamente dispiaciuto.
Io intanto guardavo la Jeep con fare supplichevole.
“Non è che mi potete dare anche un
passaggio, già che ci siete?” sussurrai.
“Certo che sì!” esclamò Emmett
affabile. Jasper invece rispose con uno sbuffo.
Svelta come il fulmine saltai su. Emmett
era appena uscito dal garage quando me ne ricordai.
“Aspettate! Devo avvertire…”
“Tuo padre ha già sentito tutto” brontolò Jasper.
“Oh!” mi limitai ad esclamare io. Per
evitare di creare altri disagi, decisi che il minimo che potevo fare era
starmene dietro in silenzio. Ebbi così anche modo di pensare, cercando
anche di ignorare quel cretino di Emmett
che superava almeno di cinquanta chilometri orari il limite.
Quella sarebbe stata l’occasione perfetta per parlare con
Bella, se avessi deciso di dare ragione ad Edward.
In quel breve frangente allora cercai di soppesare
velocemente i pro ed i contro. Da una parte c’era una delle tappe fondamentali
per una coppia, di qualsiasi specie appartenesse,
anzi, forse la più importante e per questo non doveva essere ostacolata.
Dall’altra c’era il fatto che questo evento
fondamentale avesse una percentuale di pericolo molto alta. E
per questo doveva essere ostacolato.
Dopo qualche secondo, con abbastanza
sicurezza decisi che, per la prima volta, dovevo dare ragione ad Edward: era meglio se non fosse successo niente di tutto
questo. Insomma, quante dimostrazioni del loro amore dovevano ancora dare?
Questo lo sapevano già tutti e due. O
almeno, era quello che dovevano sapere. Inoltre, cosa molto
più importante, che fretta c’era, se avevano tutta un’eternità dopo la
trasformazione di Bella?
Mi stupii di essere riuscita a prendere una posizione nel
giro di cinque minuti. Emmett inchiodò bruscamente e
io uscii con un balzo. Entrambi si diressero sotto la
finestra aperta della camera di Bella ed io li seguii.
“Se non lo fai uscire, veniamo a
prenderlo noi!” disse Emmett minaccioso. In risposta niente. Almeno, niente che
potessi sentire io.
Guardai allora Emmett e con un
dito indicai la finestra.
“Mi puoi aiutare?” Lui mi sfoderò la sua dentatura e i
canini bianchissimi scintillarono nel buio.
“Certo!”
Fu così veloce che non riuscii a spiegarmi né la carica di adrenalina né la pazza voglia di urlare a squarciagola.
Nel giro di neanche un secondo, infatti, mi ritrovai a
svariati metri dal terreno, mentre qualcosa di freddo mi stringeva lo stomaco e
la bocca, impedendomi di cadere e di urlare.
“Emmett! Sei
pazzo!” sibilòEdward dietro di me. Emmett sghignazzò divertito. Immediatamente Edward mi portò dentro.
“Scusalo” mormorò, togliendomi le mani di dosso. Io non
riuscii a parlare, ancora mezza morta dallo spavento. Incrociai allora gli
occhi sorpresi di Bella mentre era rintanata sotto le
coperte al calduccio.
“Sorpresa!” esclamai forse troppo forte, alzando le mani in
aria.
“Cosa ci fai qua?” mi chiese lei
stupita.
“Sono l’anima della festa!”
“Viene con voi?” chiese questa volta ad Edward.
“No, starà con te” rispose lui dubbioso. Io mi volsi verso
di lui con disinvoltura. A parlare di certe cose, gli comunicai. Poi la mia
attenzione tornò di nuovo su di Bella. Mi avvicinai a lei saltellando.
“Ho già chiamato gli spogliarellisti, non credo sia un
problema per te se ho dato l’indirizzo di casa tua” le dissi, mentre mi sedevo
sul letto accanto a lei. “Anche tu ti meriti un addio
al nubilato come si deve”
“Abi…” sussurrò flebile
all’orribile prospettiva di un gruppo di ragazzi mezzi nudi a casa Swan.
“Sto scherzando! Sto scherzando!” mi
affrettai subito a dire, trattenendo a fatica una risata.
Senza che me accorgessi, Edward si avvicinò a Bella per darle un bacio sulla fronte.
“Cerca di dormire. Domani sarà un giorno
importante” le sussurrò. Bella gli sfoderò un’espressione di disgusto.
“Questo aiuta proprio a rilassarmi” Edward
sfoderò il suo sorriso sghembo.
“Ci vediamo all’altare”
“Io sarò quella in bianco” ribatté sarcastica. Io feci una
smorfia per trattenere un sorriso.
“Non avevo dubbi” disse Edward
ridacchiando. Si accucciò e il momento dopo svanì invisibile. Sentii provenire
da fuori i lamenti di Emmett.
“Non fategli fare tardi” mormorò
Bella accanto a me. Il viso di Jasper allora spuntò
dalla finestra.
“Non preoccuparti, Bella. Lo riporteremo a
casa in tempo” la rassicurò lui. All’improvviso mi sentii
tranquillissima.
“Jasper, cosa fanno i vampiri alle
feste di addio al celibato?” continuò a chiedere Bella
“Non lo porterete in giro per strip club, vero?”
“Non dirle niente!” protestò Emmett
dal basso. Cercai di soffocare una risata per la sua battuta.
“Noi Cullen abbiamo una versione
tutta nostra. Soltanto puma e grizzly. Una normalissima serata, tutto qui”
“Grazie Jasper” Fece un occhiolino
e sparì anche lui, lasciandoci sole.
Mi voltai dispiaciuta verso Bella.
“Mi spiace disturbarti in questo modo, la notte prima del
matrimonio” esclamai, intuendo solo ora che forse invadere la sua privacy così
all’improvviso non era decisamente adeguato.
“No, fa niente” mi rispose lei, alquanto dubbiosa. “Come
mai questa presa d’iniziativa?” Le sfoderai il mio sorriso
sghembo, permettendomi di mettermi comoda sul letto a due piazze.
“Il mio istinto di sopravvivenza mi ha suggerito di
andarmene alla svelta da quella casa degli orrori” spiegai in breve,
leggermente ironica. “Non sarei riuscita a metterci piede almeno fino a domani”
finii preoccupatamente sincera.
“Ah, capisco” esclamò lei esasperata, comprendendo appieno
la situazione. “Se stare qua può servire a qualcosa,
allora sei la benvenuta” disse, accennandomi l’ombra di un sorriso.
Quella ragazza non riusciva proprio
ad accettare l’idea di un matrimonio, neanche sotto sforzo.
“Sei sicura di non voler fare proprio niente per il tuo
addio al nubilato?” le chiesi ingenuamente, tentando di risollevarle il morale,
facendo vedere cosa c’era di positivo in tutto questo.
Non avevo previsto però l’occhiata gelida che mi
perforò.
“Ti devo forse ricordare cosa ne penso di questo
matrimonio?” borbottò scontrosa. Scossi la testa con mezzo sorriso sulle labbra
senza farmi vedere, rendendomi conto che quella non doveva essere la serata
migliore della sua vita.
“No, direi di no.” Lanciai un’occhiata alla sua
espressione imbronciata e non potei trattenermi dallo sghignazzare.
“Forza, sarà come togliersi un cerotto!” tentai per l’ennesima
volta io, sapendo pienamente tuttavia che sarebbe stata una battaglia persa;
nessuno sarebbe riuscito a levarle quell’espressione
immusonita. D’altronde ci avevo provato molte altre volte
prima, ma senza successo. Non osavo immaginarmi l’espressione che
avrebbe avuto domani.
“Lo spero” sbuffò lei. “Potremmo fare scambio di posto,
che dici?” Era evidente che era una battuta ironica,
ma il tono era tanto indispettito che sembrava dicesse sul serio. Io la guardai
sconfortata.
“Non credo funzionerà” ammisi io l’evidenza. Con un ultimo
sbuffo appoggiò la schiena alla parete.
“Non vedo l’ora che arrivi il dopo” disse con voce
speranzosa, immergendosi nei propri pensieri. Io sussultai leggermente.
“La luna di miele?” Lei annuì leggermente, ancora con la
testa tra le nuvole. O cavoli. A causa della scenata di Emmett mi ero totalmente
dimenticata di quello che dovevo assolutamente parlarle. Okay,
ma ora il problema era come avrei iniziato la conversazione. Insomma, eravamo
donne adulte per le quali queste cose, a quest’età,
erano più che normali. Tuttavia io e Bella non avevamo
mai parlato di queste cose, quindi sarebbe stato inevitabile precipitare nello
stesso imbarazzo di poco prima. Deglutii profondamente, diventando
improvvisamente nervosa e cercando di trovare il modo più disinvolto possibile
per affrontare l’argomento. Alla fine optai di
prenderla larga.
“Edward non ti ha ancora detto
dove ti porterà?” iniziai a chiedere io, dosando la tensione che si faceva
sempre più sentire. Lei sobbalzò leggermente, tornando alla realtà dal mondo
dei suoi pensieri.
“No, non ancora. Ma Alice lo sa; si
sta già occupando della valigia” disse lei accigliata, con un tono leggermente
più acido di prima. Non era difficile capire che non saperlo l’irritava
ulteriormente.
“Quindi non sai cosa farete” continuai
io, ora con voce piuttosto tremula. Sbagliai totalmente atteggiamento.
“Bhè, no…” mi rispose lei, guardandomi
confusa per la domanda, ovviamente senza senso. E che
cavolo! Me ne poteva venire in mente una migliore, no? Ma
ormai che la frittata era fatta, decisi di fare come piaceva a me: essere
diretta.
“Senti, Bella, voglio parlarti” dissi con decisione. “Hai presente quando mi hai chiesto se ero vergine, oggi?”
sbottai io franca e schietta. I suoi occhi si allargarono all’improvviso e le
sue guance diventarono appena più colorite. Ciononostante, cercò di nascondere
l’imbarazzo annuendo convinta.
“Bhè, ecco, mi hai fatto
pensare” continuai io, un po’ meno decisa per la sua reazione che mi contagiò.
“Ho capito che tu e Edward volete…” Lei annuì ancora
più decisa, facendomi intendere alla perfezione che aveva capito.
“…e… mi è sembrato… strano, per un’umana ed un vampiro.” Trovavo estremamente difficile
esprimermi su questi argomenti. Ora sapevo cosa doveva provare mio padre quando parlavamo di questo. “E…
ne ho parlato con mio padre” aggiunsi, ricollegandomi ai miei pensieri.
“Sì, Edward mi ha detto che l’ha fatto anche lui” rispose lei, con voce uguale
alla mia. Presi un respiro profondo, ora che dovevo arrivare al succo della
questione.
“Ecco. Bhè…” Cercai di
temporeggiare fino all’ultimo per dirglielo in maniera meno traumatica
possibile. “Credo di essere d’accordo con lui sul fatto che non sia una buona idea.” Come avevo in un certo senso immaginato
la sua espressione imbarazzata mutò all’istante. Ma
non avevo previsto un’espressione così seria.
“Come sai che lui non è d’accordo? Ti ha
parlato?” mi chiese decisa. Beccata. Tuttavia io
sapevo mentire bene.
“E’ palese, Bella!” esclamai io. “Credo di averlo
abbastanza capito per essere sicura al cento per cento
che lui non vuole!” Bhè, ero stata più sincera di
quanto pensassi. Forse era perché Bella aveva ormai capito
quando sparavo balle, o forse, molto più probabilmente, era perché
sapeva com’era fatto Edward, ma non mi credette.
“Hai parlato con lui” confermò senza battere ciglio. “Ti
ha chiesto lui di parlarmi di questo?” Presa contropiede, non potendo ormai
negare l’evidenza, mi limitai a guardare in basso e a
fare spallucce. Lei scosse la testa, prendendosi la testa
con entrambe le mani.
“Lo sapevo” mormorò, irritata che Edward
mi avesse usata contro di lei. Il che non era affatto vero.
“Aspetta, aspetta, Bella” ripetei io, cercando di essere più chiara. “Lui mi ha chiesto di venirti a
parlare, ma sono stata io che ho deciso di farlo.” Con
queste parole riotteni la sua attenzione, mentre si sforzava di non guardarmi
truce.
“Seriamente, Bella. Hai valutato quanto pericoloso sia e quanto costerebbe a lui?” le chiese cercando di farla
ragionare.
“Certo” rispose lei senza alcun dubbio.
“E hai valutato anche la
prospettiva di poterlo fare dopo?” arrivai
quindi io al succo. “Dopo la trasformazione tutto sarà meno rischioso.” Il suo sguardo, che per tutto il tempo era rimasto fisso nel
mio, lentamente si abbassò. Bella non era una sciocca; conosceva le conseguenze
di questa sua decisione. Pertanto, supponevo che a sostenere la
sua tesi ci fossero motivazioni molto serie ed importanti per lei.
“E’ vero” mormorò alla fine, dopo non so
quanti secondi di silenzio. “Ma a quel punto io… non
sarò più io.” Io non capii.
“Che vuoi dire?”
“Sarò una neonata, Abi. Tu sai
meglio di me cosa significa” esclamò, forse un po’
troppo forte. “Non penserò nient’altro che al sangue. Sarò totalmente succube
della mia sete. E… ho paura che al confronto non sentirò
neppure il bisogno di Edward” disse con una nota di
preoccupazione nella voce difficilmente nascondibile.
“Ma non sarai una neonata per sempre!” ribadì
allora io.
“No, ma… quanto dovrò aspettare?” continuò lei. “Se invece
accade adesso riuscirò a viverlo in ogni istante, come vorrei, e come dovrebbe essere.”
Fu allora che mi venne spontaneo formulare un pensiero,
forse troppo crudo, ma senza dubbio terribilmente avventato. Il problema fu che
non mi accorsi che lo dissi realmente.
“Edward ha aspettato tutta la
sua esistenza da vampiro prima di incontrare te” mormorai tra me e me,
inconsapevole di parlare. “Tu non riusciresti a fare altrettanto
per lui?”
“No” mi rispose lei, senza esitazione, stringendo la
fodera della coperta tra le dita. “Evidentemente Edward
mi ama molto di più di quanto io ami lui. D’altronde,
sono sempre stata convinta di questo” concluse con una
nota dolente ed un’espressione cupa in volto. Sussultai improvvisamente. Cosa
diamine avevo detto?! Da dove cavolo venivano quelle
parole?! Ah! Che avevo fatto!
Era stata senza dubbio la cosa più brutta che le avevo
mai detto. Il giorno prima del matrimonio, poi; non
poteva andare peggio! Ma lei, in quel momento, mi
aveva presa sul serio, glielo vedevo dalla sua espressione.
Cercai di rimediare velocemente.
“Non è assolutamente vero, Bella!” esclamai io, sul punto
di urlare. “Non è mica una gara a punti, dove è migliore chi ama di più! E poi,
insomma, tutte le volte che gli hai dimostrato il tuo amore, la maggior parte
delle quali implicavano la morte, non ti bastano?” le
feci notare io. Mi guardò con la stessa identica espressione ancora per un bel
po’.
“Su questo hai ragione” mormorò alla fine. Allorché ricadde ancora il silenzio. Io d’altro canto,
lascia scorrere i secondi, dandole tutto il tempo per pensare. La sua
espressione si fece sofferente, mentre si sorreggeva con una mano il mento,
rivolgendo gli occhi fuori dalla finestra, come se la
risposta alle sue preoccupazioni si trovasse al di là di quel vetro.
Non era affatto mia intenzione
rovinarle l’unico motivo per cui sarebbe riuscita a sopportare la cerimonia di
domani, ma, prima di decidere, volevo che prendesse in considerazione ogni
aspetto. Si rivolse alla fine a me, con espressione immutata.
“Abigail, dici davvero che…” si interruppe all’istante, sospirando profondamente. Si
prese la testa tra le mani, come per paura di vedersela rotolare sul pavimento
da un momento all’altro.
“Abigail, dimmi cosa devo fare.”
A quell’affermazione detta così su due piedi rimasi per alcuni secondi paralizzata. Bella mi guardava con occhi
preganti, supplicandomi di darle una risposta. Aveva imparato da tempo a
fidarsi di me, e al momento, anche e soprattutto per causa mia, aveva fatto una
delle cose che, lo sapevo, la mandavano totalmente in panico: si era ricreduta.
A tal punto che ora non aveva più la minima idea di cosa fare.
La cosa più giusta, in quel momento, sarebbe stata quella
di dirle di lasciar perdere, rinunciare a questa sua
esperienza, ma non era affatto la più corretta. Ero certa che, se io le avessi detto cosa doveva fare, lei lo avrebbe seguito senza indugi:
in pratica avrei deciso io per lei. Ma chi diamine ero io per decidere come Bella avrebbe dovuto vivere? Chi ero io per prendere le
decisioni al posto suo? Doveva farlo esclusivamente lei, punto e basta. Fu così
che decisi di non rispondere alla sua domanda.
“Non posso dirti niente, Bella” risposi terribilmente
seria “Sta a te decidere”
Bella non mi rispose, si limitò a
guardarmi immobile. Di certo una risposta del genere da me non se l’aspettava.
Soprattutto, non si aspettava che l’avrei lasciata sola nel dubbio.
Bene, avevo ufficialmente rovinato la serata. Per la
tensione che si era creata, non parlammo molto. Anzi, non
parlammo affatto. Tempo cinque minuti, e Bella si era già infilata sotto
le coperte: chiaro segnale che era ora di andare a dormire. Seguii il suo
esempio e mi accucciai ai piedi del letto, neanche fossi
un cagnolino.
Oltre che la serata, le avevo rovinato
anche il sonno; la sentii per tutta la notte muoversi sotto le coperte. E mi sentii terribilmente in colpa; ero stata troppo
avventata, non dovevo pormi in quel modo. Avevo sbagliato tutto. Per non
parlare di quella cavolo di frase, che da chissà dove
mi era uscita! Fu così che quella notte la passai in bianco anch’io, pensando a
quello che avevo fatto, ma soprattutto, cosa sarebbe successo se avessi imposto
la mia decisione a Bella.
Ed eccoci arrivati finalmente a BreakingDawn! Premetto subito
una cosa: il quarto libro, personalmente, è stato quello che mi ha soddisfatta di meno. Pertanto, a differenza degli altri,
sarà il libro che stravolgerò di più, pur cercando sempre in linea di massima
di seguire la trama originale. Un primo esempio è stata la domanda di Bella
all’inizio capitolo; sinceramente, non ce la vedo fare domande del genere.
Tuttavia il motivo per cui ho deciso di inserirlo è
stato... perché mi andava di farlo, e che cavolo! E’ o no la mia fanfiction? XD
Secondo punto della fan fiction:
ebbene sì, ai licantropi piace la break dance! XD Non so se sia da Seth o no, ma ce lo vedo benissimo
fare break dance!
Lo so, come andamento questo capitolo è
un po’ lento. Ma voglio ricordare che nel prossimo ci sarà il matrimonio e… vi
ricordate che seguo più o meno la trama della saga,
no? eheheheh!
Concludo allora ringraziandovi, per
la ventiquattresima volta tutti voi, ad essere precisi, che mi sopportare con i
miei ritardi (che fino ad adesso non ho rispettato XD ) e di essere così
pazienti da riuscire ad aspettare fino a luglio.
Un grosso bacio a tutti quanti!!!
X __cory__: Eh già, c’hai avuto
ragione te, SirCullen è
rimasto uguale a prima, a quanto pare XD e forse, a dirla tutta, in questo
capitolo si è mostrato anche un po’ opportunista; ma trattandosi di Bella, mi
sembra che sia stato normale per lui. Poi, hai ragione, è stato brutto che Bree non si ricordasse di Abigail; ma sarebbe stato molto più brutto e tragico se si
fosse ricordata di lei, fidati. Per quanto riguarda a
un possibile collasso da parte della mia protagonista, c’ho pensato seriamente,
visto che più avanti si va, più diventa dura per lei XD.
Mi dispiace, forse ti ho delusa a
non inserire un incontro all’ultimo sangue tra Abigail
e Bella; ad essere sincera fino al penultimo capitolo ero convintissima che
avrei scritto il dialogo che si sarebbe svolto tra le due, ma all’ultimo minuto
ho cambiato ideata, perché sapevo che non sarebbe stato poi così interessante (mi
dispiace, ma sarebbe stata proprio poco verosimile una scena da pugilato tra
Bella ed Abigail XD).
Mmmhhh… le tue supposizioni sono
molto interessanti, ma staremo a vedere, staremo a
vedere… :) Lo sai che non posso dire proprio niente al riguardo, vero? Non commento, non commento!
Noooo! Ma
come nessuna domanda? Da te! Mi deludi! Allora, la prossima volta ne voglio
come minimo venti, sul prossimo capitolo, sulla storia
in generale, se vuoi puoi farmi anche domande senza senso, ma ne voglio venti,
chiaro? XD
Grazie mille e un bacione grosso
anche a te!!
X Elvira910: a quanto pare, le tue speranze si sono
realizzate, finalmente! Hai ragione, Bella come personaggio è abbastanza
negativo, sia nella mia ffche
nella storia originale, ma devo dire però che anche Edward
e Jacob c’hanno avuto i loro piccoli e grandi
difettucci che non hanno esitato a mostrare… Per quanto riguarda l’amicizia tra
Edward e Abigail, mah,
amicizia ora come ora è una parola grossa, ma forse qualcosa più avanti
cambierà.
Grazie tantissimo per aver commentato! Un bacio!
X mylifeisabeautifullie: Uau! Hai lanciato una nuova idea per delle magliette! “Jake, fa la scelta giusta = Abi”!
Ci starebbero però, forse lo convinciamo davvero a
farlo XD. Grazie mille per gli auguri di Natale, ma soprattutto per i tuoi complimentozzi che non mi fai mai
mancare! Grazie anche moltissimo per il consueto commento! Un bacio grande grande!
X Franny97: Mmhhh… è una mia
impressione, o più si va avanti e più i tuoi commenti si fanno lunghi? Vedo che
questa volta non ti sei accontentata di lasciare un commento
solo, bensì due! Cosa mi devo aspettare la
prossima volta? Pubblicherai direttamente un commento come fan
fiction? XD Scherzi a parte, e già che ci siamo, mettiamo da parte anche la tua
autostima sottozero, che non ha motivo di essere tale,
perché di persone che mi recensiscono in questo modo, ancora non ci son state, passiamo alla risposta al tuo commentoneoneoneone. Credo che ti faccia felice sapere che
con la tua venerazione ora mi sono montata la testa e
mi credo chissà chi. Comunque, ma chissà perché questa
volta hai iniziato a commentare dal fondo, chissà, chissà, chissà… XD.
Mmmhhh… non credo servirà la
‘truppa del mistero’ (Nota Bene il penoso richiamo
alla ‘truppa matrimoniale’), forse hai ragione tu, è
stata sicuramente la botta in testa, che ha fatto Abi
propensa a scene piuttosto teatrali per dimostrare i suoi sentimenti, non lo metterei in dubbio. Poi, alla tua affermazione “Probabilmente volevi sottintendere che se
non me ne fossi andata all’ istante sarei saltata
addosso a Jacob senza alcun ritegno” vorrei
rispondere con: non esattamente, diciamo che era la solita uscita teatrale di Abigail XD. No! Io non definirei affattoJacob ‘maniacale’! Voglio dire, in rapporto con i
diciassettenni di oggi, Jacob
si è dimostrato un monaco di clausura XD, come d’altronde Abigail
una suora di convento! (ehm… no, non ho idea di che
cosa sia un pedobear, ma grazie per avermi
culturalmente arricchita!). Allora, allora, allora, aspetta l’ultimo capitolo,
poi vediamo di fare una classifica. Perché non hai
ancora visto niente, ragazza! Ah ahah!
Poi, tu hai scritto “non farmi ancora attendere, o le
persone si stancheranno delle indecisioni”. Ti correggo,
tutti si sono già stufati delle indecisioni, io compresa! Ma d’altro canto, in un certo senso anche tutto Eclipse originale è fatto delle indecisioni di Bella, che
non sa scegliersi tra Edward e Jacob,
quindi meglio andarci giù pensati con le indecisioni, almeno così sono sicura
di seguire la trama del libro XD. Scherzi a parte, hai ragione. Ma il momento arriverà, te l’assicuro (pensa che devo seguire
la trama del libro e pensa a che punto della storia siamo arrivati adesso,
pensa, pensa!), ma purtroppo, come ben tu sai, non posso dirti altro!
Uau, che male alle dita! Hai
scritto davvero tantissime cose, e mi dispiace non aver risposto a tutte le tue
riflessioni, che sono davvero tantissime, spero tu
capirai.
Devo ammetterlo, cara mia Abi, che
questa volta hai davvero superato te stessa. Ho
seriamente paura per la prossima recensione.
Non posso fare altro di più sincero che mandarmi un enorme
bacio via web! Smack!
Ancora moltissime, e moltissime
grazie! :)
NB: mmhh… non lo so, non ci vedo
molto bene Abigail regalare fiori a Jacob. Però è interessante questa cosa del fiore (mi puoi
dire anche che fiore è?)
X nes_sie: mmmh…
influenza negativa di chi? Chissà, chissà… XD Sì, è strano
vedere Edward in un atteggiamento diverso, ma almeno,
finalmente, ha cambiato modo di comportarsi anche se per poco,
dimostrandosi meno noioso di sempre!
Mi dispiace! Alla fine non ho deciso di inserire il dialogo
tra le due; non mi veniva l’ispirazione e non sarebbe stato interessante. Comunque a prescindere non avrei inserito nessun duello
stile western, te lo posso garantire XD.
Oh! Direi che ti meriti un applauso
*CLAP*, perché hai centrato il tema fondamentale di
questa fan fiction; cosa pensa Abigail sul rimanere
umana? Mi dispiace, ma non posso dirti niente di più di quello che ho già
scritto, perché quest’argomento giocherà una parte
fondamentale nel finale che ho previsto. Spero di esserti stata esauriente :). Purtroppo, come ben sai, non posso rispondere a tutte
le constatazioni che hai fatto nell’ultima parte :(.
Non commento, non commento!!Ma
ti posso benissimo, anzi, devo, ringraziarti di cuore per i tuoi commenti
sempre presenti! Un bacione enorme ed un grazie ancora più grande!
X Newdark: mmmhh…,
amici. Essere amici è banale. Diciamo che il loro è un
rapporto ‘un po’ conflittuale, ma quando serve un amico c’è sempre l’altro che
ti viene in soccorso’. Chiaro, no? XD Allora, che Jacob sia un cretino, non è una novità e lo sarà sempre,
quindi mettiti il cuore in pace, che ne farà, ne farà
di cavolate anche per molto XD. Grazie ancora tantissimo per i tuoi splendidi
complimenti e per gli auguri che mi hai fatto!! Spero
che la mia storia continuerà ancora a coinvolgerti ed appassionarti! Un grosso
bacio!
X KaytheAngel: spero davvero che
non ne sei rimasta delusa!! Grazie ancora moltissimo
per il commento! Alla prossima!!
X Ossequi_Monet: ohh… sono rimasta atterrita dal tuo commento. E’ uguale
allo stile che il New YorkTimes,
il RollingStone e riviste
di questo calibro usano per i commenti! Scherzi a parte, sono contenta che si noti
che il parallelismo con la storia originale sia rimasto immutato, ma
soprattutto mi sento gratificata dal fatto che tu abbia paragonato la mia fanfiction ad una droga, in pratica! Grazie ancora per il
commento! Spero che anche in seguito la mia storia ti soddisferà! Alla
prossima!
Il giorno dopo a svegliarmi fu un dolore allucinante al
braccio. Senza aprire gli occhi, ancora mezza addormentata, cercai di muoverlo,
ma senza risultati. Era come se non ce lo avessi più. Decisi allora di aprire gli occhi, per verificare che brutta fine avesse
fatto. Ancora scombussolata, notai che si trovava sotto la mia testa:
molto probabilmente, senza rendermene conto, lo avevo usato come cuscino, in
assenza di un immediato sostituto. Seccata lo presi
con l’altra mano e lo misi sul fianco. Un tremendo formicolio mi invase tutto l’arto superiore destro. Che
orribile sensazione.
Innervosita da quella brusco sensazione,
decisi di svegliarmi del tutto. Aprii del tutto gli occhi e i pochi e tenui
raggi di sole che filtravano dalla tapparelle mi
permisero di capire che non mi trovavo affatto nella mia stanza.
Improvvisamente sentii un bisbiglio ed ebbi allora un sobbalzo nel sentire che
accanto a me cerca qualcun altro che si muoveva.
Tempo due secondi, e capii di trovarmi in camera di Bella.
Mi trovavo ai piedi del suo letto, accovacciata come se fossi il suo gatto,
mentre sentivo il respiro della mia amica che dormiva. Mi tirai su a sedere e
constatai felicemente che oltre al braccio che continuavo ancora a non sentire
la schiena non si trovava in stati migliori. Cercai di distenderla il meglio
che potevo e sentii tutte le vertebre scroccare
rumorosamente.
Bella riemerse da sotto le coperte, mentre si stiracchiava
anche lei, tirandosi indietro i capelli.
“Buongiorno” mormorai con la voce rauca.
“Oggi proprio non ci sta” brontolò lei, stropicciandosi la
fronte. Io sorrisi per la sua risposta.
“Fidati, sarà come togliersi un cerotto” le ripetei io “E
scommetto che alla fine ti divertirai almeno un pochino.”
Cavolo, chi non si divertiva al proprio matrimonio! Lei rimuginò qualcosa,
scontrosa.
“Hai dormito bene?” chiesi allora, per cambiare discorso.
“Per niente” mi rispose lei “Strani
sogni” tagliò corto. Io rimasi un attimo in silenzio
prima di parlare.
“C’entra qualcosa la conversazione di ieri?” chiesi
titubante.
“Anche” rispose lei svelta.
Passarono ancora alcuni secondi prima che io le
parlassi.
“Scusami, Bella. Non sarei dovuta venire da te ieri notte
a farti quei discorsi” mi scusai, sentendomi ancora in
colpa. Lei sbuffò.
“No, figurati. Anzi, mi sono serviti da lezione” cercò di minimizzare lei. Aprii bocca per risponderle che
farlo in un momento in cui era già abbastanza tesa non era la cosa migliore da
fare, quando il rumore di qualcosa che ripetutamente sbatteva contro il vetro
mi zittii. Quel rumore si ripeté ancora un paio di volte.
“Oh, questo dev’essere
sicuramente Edward” Senza rendersene conto, Bella
balzò dal letto alla velocità di una gazzella inseguita da un leone, per andare
immediatamente ad aprire la finestra. La luce del sole che entrò mi obbligò a
chiudere gli occhi.
“Buongiorno, Bella” disse una meravigliosa voce che non mi
aspettavo di sentire “Mi dispiace tantissimo di averti
disturbata, cara” disse terribilmente dispiaciuta.
“Oh, no, non fa niente, tanto eravamo già sveglie” rispose
Bella, dispiaciuta che non fosseEdward.
Io mi alzai di scatto dal letto e mi avvicinai alla finestra, mentre assonnata
mi stropicciavo gli occhi. Vidi allora la mia mamma strepitosa
aggrappata senza alcuna fatica alla finestra della camera da Bella.
“Mamma, cosa ci fai qua?” chiesi sorpresa. Con un elegante
balzo fu subito dentro.
“Dobbiamo prepararti per il matrimonio, Abi” mi spiegò lei con tono meravigliato, come se fosse un
qualcosa di lampante. “Ti ricordi che sei la damigella d’onore, giusto?” Passai
una mano sulla fronte.
“Ah, già” mormorai al limite della
sconsolazione “Grazie mille, Bella, per l’incarico” aggiunsi poi. Bella
accanto a noi alzò le mani in segno di resa.
“Non guardare me! Ha fatto tutto Alice!”
Il mio sguardo guizzò su di Bella. Cosa? Alice
mi aveva detto che era stata Bella a dirle che voleva
fossi io la damigella! Ma allora… era stata tutta una messa in scena di Alice!
“Forza, Abi, salta su. Non c’è
molto tempo” mi mise fretta mia mamma, entusiasta come
un bambino al parco giochi all’idea di questo matrimonio.
“Mamma, è l’alba. Il matrimonio sarà questo pomeriggio” le
feci notare scettica.
“Appunto” rispose lei, ancora con quel fastidiosissimo
tono da evidenza “Suppongo che tu non ti sia vista,
giusto? Ci sarà molto lavoro da fare.” La guardai stupita per quello che aveva
appena detto. Mi ricordava molto i discorsi isterici di Alice.
“Ti sei fatta influenzare troppo da Alice o è una mia
impressione?” Lei fece spallucce, stampandosi un sorriso da innocentina sulle
labbra.
“E’ che i matrimoni mi esaltano tantissimo” rispose
semplicemente. Non s’era proprio capito. Mamma cambiò allora subito discorso,
spostando l’attenzione su Bella, la persona che, purtroppo per lei, sarebbe
stata servita e riverita quel giorno.
“Hai dormito bene, Bella” chiese mamma con tono
zuccherino. Bella, senza alcun apparente motivo, arrossì leggermente, come
faceva spesso, d’altronde.
“Non molto” rispose lei, ancora con la voce roca dal
sonno.
“Sì, si vede. Hai delle occhiaie terribili. Alice non ne sarà contenta” constatò mamma esageratamente preoccupata,
dopo averle dato una veloce e approfondita scansione.
“Già” mormorò sconsolata lei, all’idea di trascorrere un
divertentissimo pomeriggio sotto le mani di Alice.
“Oh, Bella!!” scoppiò allora
mamma, buttandole le braccia al collo. Sobbalzai per quell’atto
troppo veloce ed inaspettato e così fece anche Bella. Quando mamma se ne accorse, si staccò subito, limitandosi a cingerle le
spalle.
“Oh, scusami, Bella” disse, guardandola con un sorriso
smagliante negli occhi
“Anche se adesso ti
sarà difficile crederlo, questa sarà un’esperienza meravigliosa, che non
dimenticherai tanto facilmente.”
“Vorrei che fosse come dici tu, Sophie”
mormorò Bella, ancora provata per quel repentino contatto inaspettato.
“Lo sarà, vedrai” disse sfiorandole la punta del naso in
atto giocoso. “Come sono contenta per te, Bella” disse mielosa per l’ennesima
volta, evitando questa volta di abbracciarla. Bella
non riuscì a trattenersi dal fare una smorfia, che in realtà doveva essere un
sorriso, mentre guardavo esasperata il soffitto, in
attesa che finisse l’esuberanza di mamma.
“Stai tranquilla, Bella” disse per l’ultima volta. “Abi, dai, su, che non c’è tempo.”
Io sobbalzai per il richiamo. Manco fossi un
cagnolino. Nonostante preferissi restarmene a dormire ancora un po’ e pensassi che fosse una esagerazione assurda introdurmi
all’inferno della preparazione del matrimonio all’alba, mi arrampicai sulla
schiena di mamma.
“A dopo Bella” esclamò entusiasta mamma.
“A dopo” rispose lei.
“Ciao” mormorai invece io, non proprio al massimo della
gioia, mentre l’attimo dopo mamma si lanciò dalla finestra.
Sentii per al massimo alcuni
secondi la sensazione del vento che sferzava il mio viso, che eravamo già
arrivati davanti a casa. Io scesi dalla schiena di mamma con malavoglia, al
solo pensiero di quello che avrei dovuto affrontare, mentre non smettevo di
sbadigliare dal sonno.
“Oh Abi, non fare così! Vedrai
che sarà divertente” esclamò di nuovo esuberante. Io
la guardai truce, non trovandoci proprio niente di divertente. Mamma allora
sbuffò.
“Non fare la guastafeste!” mi ammonì lei, spingendomi
verso l’interno della casa. “Almeno fingi di divertirti. Almeno così non rischi
di contagiare l’umore di Bella” Feci nuovamente un respiro profondo, dovendo
alla fine dare ragione a mamma. Dovevo dare prova di
tutte le mie arti recitative, perché in questa occasione più che mai ce ne
sarebbe stato il bisogno.
Aprii dunque la porta di casa Cullen,
pronta ad affrontare l’insopportabile. Rimasi totalmente pietrificata davanti
allo spettacolo che mi si pone davanti. Ogni cosa era
ricoperta di nastri di tulle, ghirlande di boccioli bianchi, raso bianco ed una
quantità innaturale di fiori di arancio, lillà, fresie
e rose dappertutto. E non avevo ancora visto il retro,
dove si sarebbe svolta la cerimonia. Tutto preannunciava un matrimonio elegante
fatto alla grande. Io sbuffai nuovamente alla vista di quella sfarzosità:
ovviamente Alice non aveva badato a spese.
Come farlo apposta, non appena pensai ad
Alice, ecco che si materializzò davanti a me.
“Eccoti finalmente!” mi disse con quel dannato tono
isterico che aveva da ormai due giorni. “Devi prepararti immediatamente” mi
ordinò quel folletto. Senza troppe cerimonie, mi prese per il polso e mi
trascinò fino ai piani di sopra, con una mamma tutta elettrizzata dietro di me.
“Alice, è l’alba! Non ti sembra di esagerare?” le feci
notare io, un po’ irritata per essere trattata come una bambola di prima
mattina. Alice si fermò di botto guardandomi truce. Quello sguardo mi impedì di proferire parole e mi fece pentire del commento
che avevo appena detto. Lei si limitò a sfoderarmi un sorrisino, uno di quelli
perfidi e malvagi tipici di Alice nelle sue crisi
isteriche, che minacciavano guai seri nel caso in cui i suoi ordini sarebbero
stati contraddetti. La sua attenzione si spostò sua mamma,
senza più badare a me.
“Posso lasciarla nelle tue mani?”
“Senza alcun problema” rispose sicura mamma.
“Bene” rispose Alice, con l’autorità di un generale, per
poi subito sparire chissà dove. Io guardai curiosa mamma, mentre mi portava
nella camera sua e di papà.
“Alice?” chiesi dubbiosa. Ero assolutamente sicura che ad
occuparsi di me sarebbe stata quel demonio di Alice.
“Deve occuparsi di Bella, quindi non ha molto tempo per
sistemare te. Quindi ci penserò io” mi disse in un sorriso.
Feci un lungo respiro di sollievo. Mi ero già costruita mentalmente tutto un
film sulle orribili torture di Alice, quindi fui
felicissima all’idea che a mettere mani su di me sarebbe stata mamma, che aveva
un tocco decisamente più delicato.
Non appena entrai sobbalzai alla quantità di trucchi e
creme tutte per me che era disposte sull’enorme
bancone.
“Siediti, forza” mi invitò mamma,
riferendosi ad una poltrona, più che ad una sedia. Io a malincuore obbedii e,
chiudendo gli occhi, lasciai che mamma iniziasse.
“Verrai strepitosa, vedrai” mi
confermò mamma.
“Sì, come no” ribadii
immediatamente io. “Come se lo potessi essere, vicina a te” Mamma sbuffò
infastidita.
“Quando avrò finito ti farò
rimangiare questa frase, e con gli interessi” mi avvertì mamma, mentre
continuava imperterrita nella sua opera. Trattenni l’ennesimo sbuffo, pensando
a come in realtà era del tutto inutile curare il mio aspetto fisico per una
cerimonia di mezza giornata. Mentre ero in preda di
queste mie riflessioni non molto ottimiste, sentii mamma canticchiare.
“Mamma, non riesco davvero a capire il motivo per cui sei così euforico per questo matrimonio” brontolai,
esasperata dalla sua allegria che non mi contagiava affatto.
“Insomma, lo sai come la penso del matrimonio, no? E’
l’atto di amore che unisce due persone, per quanto
formale sia, e che dà l’occasione alle persone care di partecipare a questo
amore” mi rispose semplicemente, continuando a spalmarmi creme e cremine. “E
poi sai che adoro vedere persone innamorate.”
All’udire questa
particolare frase mi irrigidii e finalmente riuscii a
uscire dalla mia prospettiva di totale rigetto per la cosa ed immedesimarsi nei
suoi panni. Mamma, da quando la conoscevo, era sempre stata una persona con un grande bisogno di ricevere amore. Non mi aveva mai parlato
molto della sua vita umana, che d’altronde non si ricordava chiaramente neppure
lei, ma da quel poco che sapevo non era stata affatto
una vita da rimpiangere, bastava solo prendere in considerazione che fine aveva
fatto quell’obbrobrio di uomo che l’aveva messa
incinta. Pertanto, come risultato di queste
esperienze, mamma aveva cominciato a sviluppare una forte attrazione per
l’amore: non solo riceveva e dava tutto il suo amore a me e a papà, ma si
sentiva particolarmente coinvolta in qualsiasi forma d’amore. Molto spesso,
infatti, la vedevo commuoversi davanti ad un film romantico, o soffermarsi ad
osservare una mamma che sorrideva al proprio bambino
incontrati per strada. Poteva essere scambiata sicuramente per una
romanticona con troppe fantasie in testa, per chi non la conoscesse.
Ed egoisticamente quella volta anch’io l’avevo per un
attimo considerata come una romanticona piena di fantasia. Decisi allora, non
solo per compiacere Bella, ma anche mamma, di sforzarmi di prendere seriamente
questo matrimonio e svolgere in modo impeccabile il mio ruolo di damigella,
iniziando prima di tutto a sopportare in silenzio questa tortura.
Mi lasciai allora trasportare dalle dita di mamma, che
veloci mi massaggiavano le guance con qualcosa di liquido e cremoso. Questa
dolce sensazione mi spinse a rilassarmi del tutto e a recuperare le ore di
sonno perdute. Stavo quasi per addormentarmi, quando una domanda mi sorse
improvvisamente spontanea.
“Perché non ti sei mai sposata
con papà?” mormorai io nella beatitudine del suo massaggio, ma con viva
occasione. Sapevo infatti che mamma e papà non si
erano mai sposati, ma non avevo mai realmente preso in considerazione il motivo
questa scelta, visto che i miei genitori si amavano come se lo fossero già da
tempo.
“Bhè, diciamo
che non c’è mai stata occasione, con una piccola umana a cui badare” mi rispose
lei senza un minimo di esitazione nella voce. “E poi
non conoscevamo troppe persone da invitare”
“Ma adesso che la piccola umana è cresciuta e può pensare
a sé stessa. Inoltre, adesso conosciamo
un po’ più di persone da poter invitare” replicai io con fermezza.
“Oltre ad avere un’ottima organizzatrice di matrimoni.”
“Stai forse dicendo che saresti
in grado di sopportare tutto questo un’altra volta?” domandò lei in tono
ironico. Ci pensai su prima di rispondere.
“Mmhh…. Per voi lo farei volentieri” Sentii la sua risata cristallina
risuonare.
“Ti ringrazio per sacrificarti in questo modo per noi”
continuò, ridendo. “Ma preferirei di gran lunga ora
come ora assistere al tuo di matrimonio” disse senza rendersi conto di quello
che diceva. Sentì le sue mani fredde fermarsi e scivolare via dal mio viso. Quella affermazione fu più che sufficiente per creare
un’atmosfera di gelo: da un po’ di anni a questa parte, infatti, il mio futuro
remoto era diventato un argomento piuttosto tabù. Aprii gli occhi lentamente.
Vidi mamma osservare il pavimento in uno stato di avvilimento
eccessivo, rispetto alla gioia che emanava prima, mentre le braccia le
scendevano lungo i fianchi. Da quando ci eravamo
trasferiti a Forks, per un problema o per l’altro non
si era mai creata l’occasione di pensare a quella cosa.
“Oh, Abi, per quanto mi sia
sforzata fino ad adesso di non pensarci, io…” mormorò
con tono rotto. Io feci un respiro. Odiavo vedere mamma così. Ma d’altronde, se mi fossi trasformata, sarebbe stata molto
peggio…
“L’uccellino deve abbandonare il nido
prima o poi…” dissi, pronunciando per l’ennesima volta la frase che più
sintetizzava il mio futuro e che troppe volte avevo detto e sentito.“Mamma, è giusto così. Non puoi stare accanto
a me per sempre. Le mamme di qualsiasi specie lasciano
i loro piccoli” continuai con un tono di voce tranquillo e contenuto, convinto
di quello che diceva.
“Lo so, lo so” continuò lei, alzò lo sguardo verso di me.
Gli occhi era lucidi e a quella vista fu come se
qualcuno mi stringesse il cuore. “Ma tu sei una rinuncia troppo grande, Abi.” Chiusi gli occhi, incapace
di resistere a quello sguardo.
“Anche tu lo sei per me, mamma”
mormorai inconsciamente. Sentii allora le sue forti braccia fredde, in grado di
spezzare la colonna vertebrale di un grizzly, leggere attorno a me.
“Abi, Abi”
mormorò ancora con la voce roca. Io mi staccai subito da quell’abbraccio
che mi avrebbe ben presto portato alle lacrime. Non era ancora tempo per questo
genere di commozioni.
“Su, bando alle ciance!” dissi con tono più esuberante
possibile, per distrarre mamma e farla concentrare nuovamente su questo
matrimonio. “Hai ancora tanto lavoro da fare, no?” Mamma mi fece
un sorriso timido e titubante, ma riuscii nel mio intento.
“Hai ragione” disse non del tutto convinto, rimettendosi a
spalmarmi creme.
“Abi? Svegliati su!” Qualcosa di
freddo sul collo mi obbligò ad aprire gli occhi improvvisamente. Davanti a me
c’era il sorrisone a trentadue denti di mamma.
“Sei magnifica, Abi”
Sorpresa, il mio sguardo guizzò sui miei capelli, che ricadevano sulle
spalle in boccoli impeccabili con un eccessivo profumo di lacca.
“Già fatto?” esclamai esterrefatta, ripensando alle due
ore che ci aveva impiegato Alice. Mamma mi guardava compiaciuta.
“Sì. Hai dormito per tre ore. È stato
piuttosto facile, senza le tue lamentele” Io trattenni un sorriso.
“Scommetto che adesso inizierai a truccarmi la notte per
il giorno dopo” Lei rise
“Potrebbe essere un’idea” replicò, accucciandosi “Ora
guarda verso di me, ti devo da una sistemata agli occhi” obbedii e ci impiegò al massimo due minuti per mettermi non so che
cosa sugli occhi.
“Perfetto” Mi lanciò un sorrisone
“Ora sei perfetta.” Stavo per girare la sedia e guardarmi allo specchio, quando
mamma mi bloccò.
“No, no, no! Prima ti devi mettere il vestito.” Mi fu impossibile non fare una smorfia, ma mi feci trasportare da mamma senza alcun problema. Mamma scomparì
ed un attimo dopo comparve di nuovo con in mano un
appendino ed il fantomatico vestito sbrilluccicoso. Senza lamentarmi troppo,
iniziai a svestirmi ed indossai il vestito. Non appena ebbi tirato su la zip, come se fosse stato una sorta di richiamo, entrò
un’Alice alquanto agitata. Indossava il medesimo mio vestito – a lei,
ovviamente, stava molto meglio – ed i capelli erano raccolti in una complicata
acconciatura, che la facevano sembrare molto più un
folletto. Tremavo all’idea che quello che avesse fatto mamma non
andasse affatto bene e che era necessario fare tutto da capo.
Ciononostante, non appena mi guardò il suo viso si
rilassò e sfoderò un grande sorriso. Guardò compiaciuta mamma.
“Hai fatto davvero un ottimo lavoro, Sophie.
Davvero stupefacente. Non avrei saputo fare di meglio.”
Mamma ricambiò il sorriso, guardando nuovamente il suo prodotto con orgoglio,
mentre io avevo tutte le intenzioni di tirare un sospiro di
sollievo. Tuttavia, mi si bloccò in gola quando
Alice, da non so dove, tirò fuori un paio di trampoli argentati.
“Deve riuscire a camminarci entro l’inizio della
cerimonia. Dici che riuscirà a farcela?” chiese Alice
a mamma, senza degnarmi di uno sguardo. Mamma fece spallucce.
“Non lo so. Possiamo provare” rispose
dubbiosa mamma. Scu-scusate?! Dov’erano finite le
ballerine?!?!
“E le ballerine?” riuscì a dire
io. Alice mi lanciò un’occhiataccia, come se fosse infastidita di averla interpellata.
“Stoni con le ballerine” si limitò a dire lei autoritaria.
Io aprii bocca per replicare, ma Alice mi anticipò.
“Mi fido di te, Sophie” disse a
mamma, affidandole le scarpe. “Io vado a occuparmi di
Bella”
“Vedrò quel che posso fare, Alice” le rispose prendendole
con cura. Dopo aver fatto un cenno autoritario, Alice se ne andò.
Io mi voltai lentamente verso mamma, guardandola basita. Lei ricambiò il mio
sguardo, facendo spallucce e facendo cenno alle
scarpe.
“Ma stiamo scherzando?!?!”
proruppi allora io, infastidita per non essere stata minimamente interpellata
di niente.
“Alice ha ragione, tesoro” cercò di
convincermi mamma “Sei l’unica damigella con le ballerine. E stoni tantissimo.” Io feci un respiro profondo, tentando
di calmarmi, ma inutilmente, scoppiai lo stesso.
“E chi se ne frega!” esclamai io.
Inviperita, tentai di afferrare la lampo dietro al
schiena, con tutte le buone intenzioni di togliermi quel vestito e ammutinarmi.
C’era un limite a tutto e questo era davvero troppo. Il trucco ed il vestito potevo accettarlo, ma fare la passerella con quelle scarpe,
non si parlava nemmeno.
“Abi, Abi”
Mamma veloce afferrò le mie mani e le bloccò. “Almeno prova, cosa ti costa?” Io
la guardai truce.
“Costa la salute dei miei piedi! Ecco cosa costa!” tentai di liberarmi dalla presa, ma inutilmente.
“Senti, facciamo un patto, tu impegnati, se non ci riesci,
convincerò Alice a darti le ballerine”
“Il punto è, mamma, che non ho nessuna intenzione
di impegnarmi!” sbottai io. Mamma sbuffò.
“Abi, dovrai prima
o poi imparare a usare le scarpe col tacco, no?”
“Meglio poi che prima!” continuai cocciuta io. Lei allora
mi sfoderò i suoi occhioni dolci, che puntualmente mi
ricordarono che se non lo volevo fare per me o per Bella, avrei reso fatto contenta la mia super mamma. Così quegli occhioni
furono sufficientemente potenti per convincermi almeno a provare. E feci l’ennesimo sbuffo della giornata.
Io e mamma andammo a provare direttamente dietro casa,
dove si sarebbe svolta la cerimonia, lungo il tappeto bianco che portava
all’altare e che non appena lo vidi mi sembrava non finire mai. Ovviamente
anche tutto l’esterno era pieno di nastri bianchi, fiori profumati e cose così.
Fino a quel momento avevo sempre pensato che fare la
damigella comportasse unicamente camminare in linea retta tenendo in mano un
mazzo di fiori, e fin lì tutti erano bravi a farlo, ma non avevo per nulla
preso in considerazione alcuni importanti fattori, come per esempio un
centinaio di occhi puntati verso di me, l’inaspettato
pericolo di inciampare, ipotetici e disorientanti flash delle macchine
fotografiche. E adesso c’erano anche le scarpe. Oh no.
“E’ davvero stupendo!” esclamò estasiata mamma, che non ci
stava più nella pelle. L’osservai e sorrisi involontariamente. La rendeva
davvero felice assistere ad un matrimonio, sebbene non fosse neppure suo. Anche perché, pensandoci bene, doveva essere la prima volta della
sua esistenza da vampiro, se non sbagliavo. Per un attimo la sua
allegria riuscì alla fine a contagiarmi e a convincermi a fare un piccolo
sforzo per renderla ancora più felice. Mi sedetti su una delle centinaia di
sedie che c’erano, pronta a farmi infilare le scarpe.
“Forza, fuori il dente, fuori il dolore” la richiamai
allora io alla realtà. Lei si riscosse un attimo per poi dedicarsi a me.
“Sì, certo” disse lei svelta e spaesata. Chissà a cosa stava pensando, mentre guardava quell’immenso
spiazzo.
Tempo cinque secondi e mi aveva
già legato ai piedi quegli orribili trampoli. Feci un respiro profondo e mi
alzai. Subito barcollai, instabile. Caspita, quant’era
alto il mondo da lassù! Dovetti immediatamente appoggiarmi a mamma. Lei in un
baleno mi raddrizzò. Sentii già da subito i piedi farmi male.
“Mamma, toglimele” mormorai, aggrappandomi a lei
nuovamente. Mamma sbuffò.
“Abi! Non è un’impresa
sovraumana!” ribadì lei. Prese nuovamente le mie
braccia e mi ristabilizzò. Riuscii a farmi trovare l’equilibrio, almeno se
stavo ferma.
“Coraggio, cammina!” mi esortò lei. Io la guardai
dubbiosa.
“Come si fa?” mormorai impaurita. A quel punto mamma capii
che da sola non sarei riuscita a muovere un passo. Quindi
mi prese a braccetto e mi esortò nuovamente ad andare avanti.
“Tacco, punta, tacco, punta. Non è difficile!” Cercai allora di seguire i suoi consigli.
Durante i primi passi continuai a perdere
l’equilibrio, ma dopo un po’ riuscii a farli senza problemi. Mi sentii
soddisfatta ed orgogliosa di me stessa all’idea di non essermi fatta battere da
un paio di trampoli qualunque, anche se sentivo i piedi pulsare.
“No, non va bene, Abi” Come non
detto. “Non devi arrancare, devi camminare!” Io la guardai
dubbiosa. Perché, non andava bene anche solo riuscire
ad andare avanti?
“Devi muovere i fianchi!” Io la guardai ancora più
dubbiosa. Ecco, muovere i fianchi. Lo stava chiedendo alla persona sbagliata.
Tentai di fare anche quello, ma l’inesperienza non aiutava
affatto.
“Di più, Abi, muovili di più!
Non avere paura di essere scambiata per una ragazza!” continuò mamma, con tono
ironico. Io la fulminai con lo sguardo lanciandole un’occhiataccia. Non era
esattamente il momento per fare dell’ironia. Ciononostante, a metà del
percorso, riuscii a strappare da mamma un complimento.
Non appena terminai quella cavolo
di passerella ed arrivai all’altare, mamma non mi diede neppure un secondo per
esultare, che dovetti nuovamente tornare indietro. Dopo altri due minuti di
quella prova, i miei ormai mi facevano così male che neppure li sentivo. Orami
mi ero fatta prendere del tutto ed osservare serissima il pavimento, cercando di non cadere e di
mantenere il ritmo che avevo acquistato. Quindi era normale il sobbalzo che feci alla vista di un flash. Osservai davanti a me,
sorpresa. Vidi papà con in mano la sua macchina
fotografica di ultima generazione guardarmi con un sorriso orgoglioso.
Io alzai gli occhi esasperata.
Ovviamente dovevo prevederlo, che papà, con la sua passione
per la fotografia, non perdesse l’occasione per scattare un bel po’ di
foto. Almeno i Cullen avrebbero risparmiato con il
fotografo, seppure nel loro caso non fosse necessario.
“Sei meravigliosa, Abi” mi disse
in un tono del tutto estasiato. Come se lui nel suo smoking
grigio fumo non facesse un figurone.
“Anche tu sei un bel pezzo di
gnocco, papà” gli risposi sfoderando tutta la mia classe.
“Molto fine, come sempre, vedo” mi sottolineò
lui. Io in risposta gli feci una linguaccia.
“Sei arrivato giusto in tempo, Will” comunicò mamma, con voce sempre più entusiasta, mano
a mano che si avvicinava l’ora “x”. “Puoi aiutare tu Abi?
Devo ancora andare a prepararmi”
“Certo” rispose papà, stranamente entusiasta.
“Bene” diede conferma mamma. Mi appigliai allora al
braccio di papà, mentre mamma si volatilizzava. Papà ricambiò la mia stretta,
guardando leggermente confuso.
“Dimmi, esattamente cosa devi fare?” Io sbuffai. Ancora.
“Devo imparare a camminare con ‘sti cosi per la cerimonia, perché secondo quella pazza di
Alice stono se metto delle ballerine” borbottai seccata. Papà trattenne un
sorriso.
“Così però sei più bella, sai?” mi sussurrò papà
all’orecchio, come sostegno. Io grugnii.
“Certo” risposi ironica. Papà sorrise
sotto i baffi.
Eravamo a metà del secondo giro e mi sembrava di andare
piuttosto bene.
“Pensavo fossi peggio a camminare con i tacchi, sai? Mi stupisci” osservò papà. “Solo che dovresti muovere di più i
fianchi. Sei troppo rigida”
“Non avrei mai detto che proprio
tu mi avresti detto di muovere di più i fianchi” gli feci sottolineare io. Papà
fece spallucce, trattenendo un sorriso.
“Hai ragione”
D’un tratto, Emmett e Jasper spuntarono dal salotto, ovviamente vestiti in maniera impeccabile anche loro. Stavano portando ancora
altri vasi di fiori da disporre. Come se quelli che già
c’erano non bastassero già. Mi domandavo dove li avrebbero
messi, visto che ormai non c’era più posto. Evidentemente anche loro non erano
sfuggiti dalle grinfie di Alice, che li aveva
soggiogati a dei burattini.
Speravo tanto che facessero quello che dovessero fare senza prestarmi troppa attenzione, ma me lo dovevo
aspettare che non sarebbe andata così. Emmett, come
sarebbe stato normale, non iniziò neppure a disporre quei cavoli di fiori
bianchi che si immobilizzò a guardarmi dapprima
curioso, per non riuscire a trattenere un sorriso subito dopo. Cercai di fare
finta di nulla, ma quel suo comportamento da cretino
mi irritava e mi distraeva.
“Cosa stai tentando di fare,
scusa?” mi chiese curioso e divertito, facendosi vicino.
“Camminare, se non si nota” borbottai irritata. Lui allora
scoppiò a ridere.
“Se ce la faccio io, allora non vedo perché tu non puoi
riuscirci.”E detto questo
iniziò a camminare velocemente, muovendo esageratamente i fianchi in un
atteggiamento preoccupatamente femminile. Io mi abbattei ancora di più vedere Emmett fare quello che avrei fatto
io molto meglio, questo bisognava dirlo. Doveva essere lui la damigella
d’onore.
Fu allora che, troppo innervosita, misi male il piede e di
sicuro sarei caduta come una pera, se mio padre non fosse stato tanto accorto
da trattenermi. Di conseguenza, com’era ovvio, Emmett
iniziò a sganasciarsi dalle risate, mentre io diventavo rossa come un peperone
dall’imbarazzo.
“Emmett, così non l’aiuto”
intervenne mio padre in mia difesa.
“Sei un fascio di nervi” intervenne allora Jasper, che, a differenza di suo fratello, era molto più
discreto e si era limitato a svolgere il compito
affidatogli da Alice senza notarmi. “Devi stare più tranquilla” disse in tono
particolarmente loquace.
Infatti, non appena ripresi a camminare, provai una grande sensazione di tranquillità e sicurezza che mi
permisero di muovermi molto più decisa di prima, nonostante l’indiscreta
presenza di Emmett.
Una volta arrivata dalla parte opposta dell’altare e
compiuto anche il secondo giro, Emmett e Jasper avevano già finito da un pezzo e si erano diretti
verso la sala dove si sarebbe svolta la cena, lasciando me e papà di nuovo da
soli.
Non ce la feci più: raggiunsi la sedia più vicina e ci
crollai sopra, con i piedi doloranti. Non osavo pensare alla quantità di
vesciche che mi sarebbero venute.
“Aspetta torno subito” mi avvertì papà. Il secondo dopo
era di nuovo lì, con un pacchetto di cerotti in mano. Benedissi quel santo uomo ed iniziai ad incerottarmi i piedi,
infischiandomene completamente se per Alice questo sarebbe stato anti-estetico.
Dopo aver fatto, papà mi aiutò a rimettermi in piedi e sfilò dalla parte
opposta un bouquet enorme con gli stessi fiori sparsi
per la sala. Io lo guardai, contemporaneamente disgustata e sorpresa.
“Questo dovrebbe essere il tuo bouquet” mi
informò papà “Dovresti iniziare a prenderci confidenza” mi disse in tono
ironico. Lo presi con malavoglia, prevedendo che non sarebbe
stato affatto facile camminare e tenerlo in mano. Infatti,
non appena mossi i primi passi, mi sembrai del tutto uguale ad una trapezista.
Senza avvedermene, quindi, iniziai a canticchiare sottovoce la canzoncina del
circo. Papà allora si mise a ridere.
“Esagerata!” disse dandomi un leggero pizzicotto “E non ti
dimenticare che devi anche sorridere, oltre a fare
tutto questo.” Non appena lo disse mi si dipinse automaticamente un’espressione
da funerale. Come se non ci bastasse anche questa. Non
avrei mai pensato che sarebbe stato così complicato fare una semplice
camminata.
“Stai migliorando” mi comunicò papà. Sì, ma ancora non
riuscivo a staccarmi dal suo braccio, purtroppo. Capendo dunque che parlare di
quello che stavo facendo non serviva a molto, papà iniziò a distrarmi cambiando
discorso.
“Ti ricordi quando da piccola
giocavamo ai matrimoni?” mi ricordò sorridente. Io scoppiai immediatamente a
ridere.
“Ci saremmo sposati almeno una cinquantina di volte!”
esclamai io, con le lacrime agli occhi.
“Quasi sposati. Ti divertivi sempre a lasciarmi
all’altare. La cosa più divertente era che ogni volta sceglievi un modo
diverso”
“Hai ragione!” continuai io, ridendo come una matta per i ricordi
della mia infanzia.
Quando ero piccola, io e mio papà giocavamo
sempre al “gioco del matrimonio”. Non mi ricordavo ora bene come fosse saltato fuori, molto probabilmente avevo visto qualche
film alla tv. Fatto sta che il gioco consisteva nello sposare papà, ma ogni volta che dovevo dire “sì”, mi inventavo ogni
scusa possibile ed immaginabile per scappare. Alla fine finiva sempre che me ne andavo sul mio triciclo. Con il senno di adesso ammetto
che era un gioco davvero stupido ed infantile, ma al
tempo era il massimo il “gioco del matrimonio”.
“E come ti impegnavi a vestirti
da sposa” continuò papà. Io non riuscivo a smetterla di ridire.
“E’ vero! Usavo quantità enormi di carta igienica per il
velo!”
“E impiegavi ore per fare dei bouquet da sposa davvero
orribili” sottolineò papà. Io gli lanciai una
gomitata.
“Non è vero!” ribattei io.
“Fidati, è così” ribadì sicuro
papà. “Attenta al gradino.” Allorché sobbalzai sorpresa,
guardando davanti di me: eravamo già arrivati all’altare. Mi appoggiai a
papà per salire. Lui mi raggiunse e lentamente mi prese entrambe le mani.
“Bhè, almeno non potrò
rimpiangere di non averti portato all’altare almeno una volta” disse con uno
strano tono malinconico. Io mi paralizzai all’istante; il discorso, com’era
successo con mamma, era finito di nuovo su quell’argomento
anche con papà.
“Hai sentito il discorso con mamma?” bisbigliai, a
disagio.
“No, affatto” mi rispose sincero lui “Ma
non mi sorprende che non ne abbiate parlato.” Io mi limitai a tenere lo sguardo
fisso verso il basso. Scese allora un pesante silenzio imbarazzante. Io
continuai a mantenere lo sguardo verso il basso, in
attesa che papà dicesse qualcosa.
“Abi…” incominciò, per poi
troncare il discorso lì, evidentemente perché, stranamente, non trovava le
parole da dire. Lo sentii fare un respiro profondo, per poi cingermi le spalle
con le braccia, mentre appoggiava le labbra fredde sulla mia fronte. Iniziò, in
silenzio, a cullarmi lentamente, mentre con una mano mi accarezzava la schiena
scoperta. Con grande fatica, ricambiai quell’abbraccio. Non aveva senso tutto questo, mancava
ancora tanto tempo e non sarebbe servito a niente
disperarsi ora. Sfoderai allora tutta la mia ironia ed il mio
sarcasmo, facendo senza dubbio la figura dell’inconveniente e dell’indelicata.
“Non mi stringere troppo, papà.” La mia voce risuonava
ovattata, da sotto la giacca di mio padre “O Alice mi concerà per le feste.” In una risata fin troppo forzata, papà sciolse
l’abbraccio. Mi guardò quindi con quel suo sguardo fiero, tipico di papà.
“Certo, hai ragione” disse, capendo sicuramente che non
volevo toccare quell’argomento di discussione. Mi
diede poi una dettagliata scannerizzazione dalla testa ai piedi.
“Abi, da dove vengono fuori
tutte queste curve” mi fece notare lui, tornando ad essere il padre super-preoccupato che amavo. “Mi devo cominciare a
preoccupare sul serio, allora.” Io sbuffai, alzando
gli occhi al soffitto.
“Come no, papà” esclamai io esasperata.
“No! Dico sul serio!” continuò
lui convinto. Fece allora un giro veloce intorno a me, osservandomi bene. Mi
guardò decisamente preoccupato. “Ti preferivo con la
tuta, sai?” Io sghignazzai in modo mascolino.
“A chi lo dici, pah’.” Sobbalzai
immediatamente alla vista di Alice davanti a noi. Mi diede un’occhiata veloce e mi lanciò un sorriso.
“Sei davvero splendida, Abigail.”
Io sorrisi automaticamente, all’idea che Alice stessa mi faceva un complimento.
Il secondo dopo, invece, mi diedi della totale stupida
ad averlo anche solo pensato.
“Vediamo allora come cammini” continuò lei senza perdere
entusiasmo. Io feci un respiro profondo. Ecco, la prova del nove era arrivata.
Feci un passo in avanti convinta, ma persi immediatamente l’equilibrio senza
l’appoggio di papà e con un bouquet in mano.
Fortunatamente, papà mi afferrò subito, evitando di farmi cadere. Alice
automaticamente cambiò umore, mentre si strofinava disperata una mano sulla
fronte.
“Come non detto. Dovevo immaginarlo”
esclamò seccata. “Ecco, tieni.” Da non so dove mi porse un paio di
ballerine dal colore e dal tessuto identico a quelle con il tacco. Feci un grande respiro di sollievo, mentre velocemente mi toglievo
quelle che avevo addosso.
“Avanti, fammi vedere come intendi camminare” mi esortò
Alice. Improvvisai allora una breve camminata, facendo particolare attenzione a
sorridere. Alice però non sembrava troppo convinta.
“No, non ci siamo. Ondeggia ancora un po’.” Dovetti
pensare qualche secondo prima di capire che voleva che
muovessi i fianchi. Cercai allora di camminare come avevo fatto fino ad adesso con le scarpe coi tacchi, seppure era una
sensazione piuttosto strana, che mi metteva a disagio.
“Mmhh… non c’è male” concluse
alla fine Alice. Non mi lasciò nemmeno il tempo di respirare che mi trascinò
via per un polso. “Forza, gli invitati arriveranno a momenti.”
Io, del tutto sconcertata, mi volsi in dietro, come richiesta d’aiuto a papà.
Lui, però, si limitò a farmi l’occhiolino come gesto di incoraggiamento,
lasciando che Alice mi trascinasse nelle camere di sopra.
Suonino le trombe, l’autrice ha
pubblicato un nuovo capitolo! Dopo mesi e mesi di
silenzio, finalmente mi rifaccio viva.
Purtroppo ho una bruttissima notizia da darvi: ho serie
intenzioni di lasciare incompiuta questa fan fiction e
fermarmi qua.
Non riesco più a scrivere, per poco
perfino mi annoia farlo. Credo che ormai è scomparsa
quella voglia di scrivere di due anni fa, quando ho postato il primo capitolo. E questo, dopo due anni, mi sembra anche un fatto normale.
Purtroppo, mi sono posta un obiettivo troppo grosso. Mi dispiace solo mollare quando manca relativamente poco alla fine e quando
accadranno i fatti centrali di questa storia!
Mi trovo quindi in una situazione piuttosto disperata, e
credo di dover proprio chiedere l’aiuto di qualcuno, se spero di concludere questa fan fiction. È vero che da una parte mi è
difficile lasciare questa storia nelle mani di qualcun altro, in quanto ci sono
fin troppo affezionata. Dall’altra, tuttavia, desidero con tutto il cuore
vedere questa mia storia finita, come molti di voi, e quindi sono più che disposta
ad accettare l’aiuto di qualcuno. Quindi, chi vuole aiutarmi a concludere questa fan fiction, mi contatti pure!
Detto questo, è forse giunta l’ora di concludere
con un ultimo saluto. Ringrazio, dunque, tutti voi, miei lettori, che avete
apprezzato le disavventure di Abigail,
che forse, spero, vi abbiano fatto sognare, come hanno fatto con me.
Vi saluto, dunque, (forse) per l’ultima volta, mandandovi
un forte, grosso e strabordante GRAZIE DI TUTTO!!!