MezzaVampira

di lalla124
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Capitolo ***
Capitolo 2: *** Secondo Capitolo ***
Capitolo 3: *** Terzo Capitolo ***
Capitolo 4: *** Quarto Capitolo ***
Capitolo 5: *** Quinto Capitolo ***
Capitolo 6: *** Sesto Capitolo ***
Capitolo 7: *** Settimo Capitolo ***
Capitolo 8: *** Ottavo Capitolo ***
Capitolo 9: *** Nono Capitolo ***
Capitolo 10: *** Decimo Capitolo ***
Capitolo 11: *** Undicesimo Capitolo ***
Capitolo 12: *** Dodicesimo Capitolo ***
Capitolo 13: *** Tredicesimo Capitolo ***
Capitolo 14: *** Quattordicesimo Capitolo ***
Capitolo 15: *** Quindicesimo Capitolo ***
Capitolo 16: *** Sedicesimo Capitolo ***
Capitolo 17: *** Diciassettesimo Capitolo ***
Capitolo 18: *** Diciottesimo Capitolo ***
Capitolo 19: *** Diciannovesimo Capitolo ***
Capitolo 20: *** Ventesimo Capitolo ***
Capitolo 21: *** Ventunesimo Capitolo ***
Capitolo 22: *** Ventiduesimo Capitolo ***
Capitolo 23: *** Ventitreesimo Capitolo ***
Capitolo 24: *** Ventiquattresimo Capitolo ***
Capitolo 25: *** Venticinquesimo Capitolo ***



Capitolo 1
*** Primo Capitolo ***


Primo Capitolo

 

Bene! Questo è il primo capitolo. La storia più o meno comincia un po’ prima dell’uscita al cinema di Bella e Jacob. Bhè, che dire ancora? Spero vi piaccia!

 

 

MezzaVampira

 

 

 Primo Capitolo

 

Attorno a me tutto brillava e la luce del sole riusciva ad illuminare ogni cosa. Sentivo la fredda acqua salata rinfrescarmi dalla calura del sole che batteva forte. Mi lasciavo cullare dal dolce movimento delle onde. Chiudevo gli occhi e non pensavo più a nulla.

Gli riaprii di scatto e fu tremendamente fastidioso ed irritante. Mi guardai intorno ancora scombussolata. La vista era leggermente appannata e percepivo con chiarezza un dolce tremolio sotto di me.

“Dormito bene?” mi chiese una voce familiare, quella di mia madre.

“Sì, fino a un attimo fa”  

Mi strofinai gli occhi con entrambe le mani e mi tirai indietro i capelli scompigliati e ricci. Guardai attraverso il finestrino dell’auto in corsa e mi fu impossibile trattenere una smorfia. Il cielo era plumbeo e grigio, pioveva e davanti a me sfrecciavano velocemente abeti, pini, betulle, vegetazione da un tipico clima piovoso. In quel momento, un dannatissimo ed indesiderato clima piovoso. L’esatto opposto di quello che stavo sognando: momenti di vecchi ricordi estivi.

“Per quanto ho dormito?” domandai con la voce ancora impastata dal sonno.

“Quasi tre ore” rispose mio padre al volante.

Mi sistemai meglio sul mio sedile con un sonoro sbadiglio. Dormigliona ero nata, dormigliona sarei morta. Cominciai a guardare fuori dal finestrino, mentre sentivo il rumore regolare del potente motore dell’auto di mio padre, aspettando di svegliarmi del tutto. Feci appena in tempo a vedere il cartello di benvenuto della nuova cittadina dove ci eravamo trasferiti.

“Eccoci a Forks” comunicò mio padre. Non appena entrati in città dovette rallentare e sentii chiaramente le vibrazioni sotto di me attenuarsi. Cielo grigio, foreste, cielo grigio, foreste; Forks non era molto diversa dal luogo dove abitavamo prima, una zona campagnola vicino a Chicago. Cielo grigio e foreste anche là.

Più ci avvicinavamo al centro della cittadina, più le foreste lasciavano posto a semplici abitazioni e a qualche raro negozio. Poche erano le persone che vedevo lungo i marciapiedi e tutti senza eccezione si voltavano interessati al nostro passaggio. Ah, capito; già sapevo che Forks era la cittadina più piovosa degli Stati Uniti con la bellezza di circa tremila abitanti, ma solo ora mi ero accorta che era anche la tipica cittadina dove tutti sapevano tutto di tutti e dove i nuovi arrivati erano l'attrazione della giornata, che vecchiette bisbetiche non si facevano scappare l’opportunità di prendere come succoso nuovo materiale di pettegolezzi. Va bene, forse stavo esagerando; magari le vecchiette bisbetiche non c’erano, ma era evidente che qui le voci del nostro arrivo sarebbero corse molto velocemente. Girando la testa verso il finestrino opposto, infatti, vidi una donna di mezz’età chiacchierare interessata con un’altra di poco più giovane, mentre indicava la nostra autovettura. Ripensandoci bene, sull’assenza di vecchiette bisbetiche non ci avrei messo mano sul fuoco. Anche se una Lamborghini in una città così piccola dava non poco nell’occhio. Mannaggia ai miei genitori e alle loro auto veloci.

In breve arrivammo in pieno centro, dove spuntavano gli edifici della stazione di polizia, della scuola elementare e di tutte le principali strutture della città. 

“Dalle fotografie non sembrava che le scuole elementari fossero così ben tenute” commentò con una punta di vivacità mia madre, che sarebbe stata la futura nuova insegnante della Forks Elementary School.

“Non si può dire lo stesso dell’ospedale” controbatté, a pochi metri dalla scuola, mio padre, il nuovo medico primario dell'ospedale, dove di recente era stato lasciato un posto vacante.

Passarono solo pochi minuti e ritornarono di nuovo gli alberi. Ecco Forks, un reale buco di paese, dovevo ammettere; altra cosa di cui mi resi conto solo allora. A Chicago era tutto diverso e tutto molto più grande e facile. Sapevo che la mia vita sociale non avrebbe ingranato particolarmente in una città con così pochi abitanti e con così poca scelta; ero una ragazza un po’ particolare. La nostra casa si trovava fuori città, non molto lontano dal centro, in una zona folta e boscosa. Io non l’avevo vista, ma mia madre mi aveva detto che era “una vera delizia” ed era quello che più mi preoccupava. L’auto rallentò lentamente fino a fermarsi; eravamo già arrivati.

“Che meraviglia!” Mio padre entusiasta scese dall’auto, seguito da me e da mamma. Appena scesa dovetti coprirmi con il cappuccio del giubbotto per ripararmi della pioggia che stava aumentando. Potei finalmente ammirare la mia nuova casa in tutto il suo splendore. Tanto era lo stupore, la sorpresa, l’euforia che non mi potei trattenere…

“Eh?!” esclamai, lasciandomi andare in un verso da papera.

Ma quel “Eh?!” ci stava tutto. La casa, o cosa, cambiava di poco, era un’enorme e bianca villa, perché questo e nient’altro era, a tre piani, escluso il pianoterra e la mansarda. Per non contare la cantina ed il garage che molto probabilmente si trovavano nel seminterrato. Non c’era nessun altro aggettivo se non “deliziosa” per descriverla. Dava l’impressione di essere ingombrante. Non combaciava esattamente con l’immagine che mi ero fatta.

“Che cosa diamine vuol dire Eh?” disse mio padre secco, appoggiando il gomito sopra il tettuccio dell’auto nera.

“Mi avevate detto che era abbastanza modesta. Questo” dissi puntando il dito contro l’abitazione “non è modesto!” Mia madre mi stava perforando con lo sguardo.

“Non sto dicendo che non va bene…”

“Infatti è perfetta per noi” mi interruppe mio padre “è in mezzo ai boschi, fuori dalla cittadina, in una zona tranquilla. Tua madre ha fatto una affarone.”

“Ma non è troppo…troppo…troppo tutto solo per noi tre?”

“Sì, ma in una città così piccola è stato davvero un colpo di fortuna trovare una casa” si intromise mia madre tranquilla “Pertanto, non ha alcuna importanza il tuo parere; in ogni caso avremo abitato qua” continuò sarcastica con un sorriso. Si diresse poi verso l’ingresso, seguita da mio padre sorridente. Sbuffai, ma sorrisi anch’io, preparandomi psicologicamente per l’interno. La porta d’ingresso era in pesante mogano seguita da una grande veranda coperta da eriche ed erbe selvatiche. Ecco, questo mi piaceva. Mio padre invece si stava guardando intorno insoddisfatto.

“Sarà meglio togliere queste erbacce…” Cosa?

“Perché?” dissi seriamente dispiaciuta. Mio padre mi guardò sorpreso, mentre mia madre estraeva velocemente da quella cosa indecente chiamata borsa le chiavi.

“Mi piace” mi limitai io. Mio padre fissò mia madre.

“Io ho smesso di capirla dieci anni fa” rispose lei rassegnata. In effetti non tutti traevano piacere dall’avere erbacce che devastavano la propria veranda. Con destrezza mamma aprì la porta e finalmente entrammo. Questa volta nessun verso non identificato uscì dalla mia bocca. Al momento ero troppo sconcertata. Prima di notare il grande e impolverato lampadario appeso al soffitto, prima di notare la grande scalinata che portava al primo piano, prima di notare la porta in legno che dava al salotto e che mamma aveva subito aperto, notai il bianco. Tutto in quel luogo era bianco, dall’intonaco delle pareti alle piastrelle in marmo, dalle scale ai drappi che coprivano alcuni dei mobili lasciati dai vecchi proprietari. Era decisamente inquietante.

“Allora, che ne pensi?” chiese mamma “Ah, è vero! Tanto quale che sia il tuo parere non conta” Corrugai le sopracciglia e la guardai corrucciata. 

“Lo sai che sei davvero antipatica quando fai così?”

“Scherzi a parte, come ti sembra?” chiese mio padre con una decina di teli bianchi tra le braccia. Perché doveva andare sempre così di fretta! Cosa ci trovava di tanto orribile nella calma?!

“La ridipingeremo, vero?”

“In effetti” Sì avvicinò ad una delle parerti ed indicò prima quella, poi la propria carnagione “Non c’è molta differenza”

“Sì, la dipingeremo, se vuoi” mi rassicurò mia madre “ma per il resto?” Mi guardai intorno con attenzione prima di risponderle.

“Sì, mi piace” affermai “dopo che l’avremo ridipinta, sia chiaro” precisai.

“Bene” se ne uscì mio padre con un sorriso. In quel mentre il suo cellulare squillò. Rispose prima che lo squillo fosse finito.

“Pronto?” Alcuni secondi di attesa “Certo.” Il secondo dopo era già tornato fuori sotto la pioggia.

“Intanto che tuo padre finisce di parlare con la ditta di trasporti vai a sceglierti la tua camera”

“Ah! Credo che tra una camera e l’altra non ci sarà molta differenza” dissi incamminandomi verso la scalinata “Bianco, bianco, bianco, bianco…” cominciai a blaterare.

Infatti le pareti del primo piano erano tutte bianche, compresa la moquette del pavimento. Cominciai ad aprire con malinconia tutte le porte che incontravo, ma, come previsto, tutte le stanze sembravano uguali. La casa però non era male, soprattutto per una cosa: nella parte retrostante dell’edificio il calcestruzzo delle pareti era stato sostituito dal vetro. In questo modo tutte le stanze della casa possedevano una grande parete-finestra che si apriva su un paesaggio mozzafiato, fatto di alberi e montagne. Altro punto in più per la nuova casa.

L’ultima stanza del primo piano, a differenza delle altre, era anticipata da una porta in legno più spessa e con alcune decorazioni. La stanza oltre quella porta era la più grande di tutta la casa, come lo era anche la vetrata come parete. Ma era già occupata; davanti alla vetrata c'era già una scrivania, che mio padre aveva già pensato di privare del telo, e alle pareti grandi ed alti scaffali vuoti. Sarebbe stato senz’altro il suo ufficio. Decisi perciò di passare al piano superiore, mentre sentivo il rumore dei camion di trasporti avvicinarsi.

 

Al secondo piano la ricerca della camera ebbe finalmente esiti positivi e perfino inattesi. Non avrei mai creduto che in quella casa ci potesse essere una camera che non avesse pareti bianche. Anche la stanza in questione come le altre aveva la parete-finestra, ma l'intonaco delle altre non era bianco, ma di un caldo oro, il mio colore preferito d’altronde. Avrei anche potuto scegliere un’altra delle infinite camere della casa e decidere poi io il colore delle pareti, ma avere la camera già pronta era un grande risparmio di tempo.

Sentii voci estranee e rudi provenire dal salotto: gli addetti della compagnia di trasloco dedussi.

“C'avrei scommesso che avresti scelto questa” Mio padre era apparso dietro di me per un preciso motivo; odiava la calma, e di conseguenza le persone che facevano le cose con calma. Aveva quindi dato immediatamente a mamma il compito di informare gli addetti dove collocare i vari mobili, non sopportando la loro lentezza di persone normali. Non avrebbe retto e si sarebbe innervosito.

“Vediamo se indovino dove vorrai sistemare i tuoi mobili” lui si avvicinò al vetro “qua la scrivania e qua vicino il letto” si volse verso di me “perché scommetto che vorrai goderti a pieno questa fantastica vista.” Mio padre mi conosceva davvero bene.

“Sono davvero spettacolari queste pareti-finestre”

“Già” affermai io. Lui ritornò alla stanza.

“Là lo scaffale dei libri, nell’angolo lo specchio e vicino l’armadio, nell’altro angolo l’impianto stereo” Cominciò infine ad indicare vari punti sul pavimento “e qua un cd, qua un altro, là un altro ancora.” Non ero stata mai una campionessa nell’ordine ed i miei cd ne erano la prova. Mio padre cominciò ad osservarmi.

“Dov’è finito il porta cd che ti ho regalato?” Feci spallucce. In realtà lo avevo regalato al signor Jackson, il mio vicino di casa a Chicago, se si poteva definire vicino una persona che abitava a quasi un chilometro di distanza. Non era brutto quel raccoglitore, ma serviva al signor Jackson per i suoi dischi in vinile e mi era sembrato un gesto gentile regalarglielo. Io sarei stata bene anche senza. No, ad essere sincera odiavo quel porta cd; era ingombrante ed inutile e da tempo me ne volevo sbarazzare.

“Ah…  lo sapevi che il signor Jackson ne ha uno uguale?” Cavolo, beccata.

“Davvero? Che coincidenza…” dissi facendo finta di nulla.

“Ah ha” mi guardò poi con un sorriso sincero “ma te ne ho regalato un altro” Cavolo alla seconda.

“Non avresti dovuto” Certo che non avresti dovuto! Cercai di sembrare contenta, ma lui non sembrava convinto.

“Sto scherzando. Lo so che l’hai regalato al signor Jackson perché ne aveva bisogno” Il “perché ne aveva bisogno” non era proprio proprio giusto, ma non volevo mettere i puntini sulle 'i'.

“Smettila però di provare a raccontare bugie; con noi non ci riesci e questo lo sai.” Già, era vero; io mi impegnavo, ma non capivo come diamine riuscivano a beccarmi sempre. Cominciò a battere convulsamente il piede sul pavimento stizzito ed annoiato.

“Quanto tempo ci mettono ancora?” Questa volta fui io a sbuffare. Guardai l’orologio.

“Sono passati a malapena cinque minuti. Dovrai aspettare fino a sera perché finiscano di sistemare tutto”

“E quindi devono passare ancora un po’ d’ore” sbottò particolarmente irritato.

“Sei insopportabile quando fai così”  

“Sai che l’unica persona che non mi dispiacerebbe uccidere è quella che di nome fa Calma e di cognome Tranquillità” Scossi la testa.

“Lo so che le mie battute sono delle trovate geniali, ma non ti permetto di copiarle!”

“No, sono delle pessime battute che solo una ragazza strana come te potrebbe concepire”

“Grazie per la ragazza strana” dissi sarcastica.  

I miei genitori erano diversi dagli altri in molti aspetti ed anche un po’ particolari, come d’altronde lo ero io, in altri modi però. Ormai loro si divertivano a prendermi in giro per come mi comportavo. Per esempio, la ragazza di sedici anni tipo si trucca, indossa vestiti mediamente aderenti, gonne, stivali, borsette. Per me, invece, era un po' diverso: l’unica cosa che mettevo sulla mia faccia era il sapone la mattina, i miei vestiti non erano più stretti di una L, anche se portavo ufficialmente una M, e le parole “gonna” “stivali” e “borsetta” non appartenevano al mio dizionario. Mamma apparse all’improvviso davanti alla porta.

“I traslocatori devono sistemare i mobili nella camera di Abigail” comunicò guardando sconfortata mio padre, che scosse la testa e sbuffò uscendo dalla stanza, seguito da me disperata quanto mamma. Come dicevo, anche lui a quanto stranezza non scherzava.

 

 

Aprii improvvisamente gli occhi a causa di quell'assordante rumore. Una mano uscì automaticamente dal piumone del letto per cercare a tastoni quella terribile… cosa. Finalmente il rumore smise. Mi girai dalla parte opposta ed affondai la testa sotto le coperte. L’uomo non si poteva risparmiare l’invenzione della sveglia, che diamine? Di malavoglia tirai giù le coperte. Un per niente accogliente freschetto mi avvolse e mi spinse a rimettere le coperte immediatamente dov’erano prima. Sbuffai alla sola idea di dover ritirar fuori la testa.

“Che palle…” mormorai scaraventando letteralmente le coperte giù dal letto.

Mi alzai ed uscii dalla camera in modo simile ad un automa per dirigermi verso il bagno, ovvero la stanza direttamente opposta alla mia. Mi lavai e tornai in camera per scegliere i vestiti. Optai per la mia tuta preferita, quella dorata. Oggi era il primo giorno di scuola e mi sarebbe piaciuto che non fosse un disastro sociale. Volevo cercare di adattarmi più che potevo, per questo avevo scelto quella; era la meno larga che avevo e la più elegante, a modo suo, s’intende. D’altro canto i jeans non li potevo vedere, in quanto erano assurdamente stretti e scomodi, quindi la scelta non sarebbe mai ricaduta su di loro. Scesi poi al pianoterra a prepararmi la colazione. Arrivata in salotto ebbi una bella sorpresa; i miei genitori mentre dormivo avevano finito di ordinare tutto quello che mancava ed adesso a vivacizzare l’ingresso c’era il grande tappeto persiano su cui adoravo distendermi e arrotolarmi.

Una volta che gli addetti ai traslochi avevano terminato mamma e papà, con sua grande gioia, avevano provveduto a risistemare meglio la casa, mettendo a posto il salotto, la cucina e le altre stanze, ad eccezione della mia, l’unica di cui mi sono personalmente occupata.

Attraversai velocemente l’ingresso per entrare in salotto. Ecco un’altra sorpresa; le pareti erano state ridipinte d’oro. Ora sì che andavano bene. Il salotto ne aveva proprio bisogno; prima l’unica cosa che si distaccava dal bianco era un pianoforte che i vecchi proprietari avevano lasciato. Giunsi quindi in cucina, una grande cucina bianca, che però il legno del tavolo e dei mobili non rendeva monocolore. Proprio sul tavolo c’era la mia colazione. Avevo detto mille volte a mamma che della cucina me ne occupavo io, ma lei non mi aveva mai lasciato fare. Diceva che cucinavo da schifo, ma, primo, che ne sapeva lei di come cucinavo, e secondo, certo che cucinavo da schifo se non mi lasciava mai provare! Incominciai a mangiare sola, chiedendomi dove fossero andati quei due.

Nemmeno a farlo apposta erano già lì davanti a me, vestiti e pronti per la loro prima giornata di lavoro. La gonna che arrivava alle ginocchia di mia madre ed i bellissimi e lunghi capelli castano ramati tirati indietro la facevano sembrare nient’altro che la maestra delle elementari per eccellenza e lo stesso era per mio padre, un perfetto medico con completo nero e camicia azzurra, insieme all’indimenticabile camice bianco. Assomigliavano molto a protagonisti di qualche telefilm; solo che in questo caso mia madre era la dolce e gentile maestra delle elementari strafiga, mentre mio padre era il brillante medico chirurgo strafigo. Non c’era che dire, i miei genitori erano davvero belli. A differenza della figlia dal naso a patata. In quello momento però c’era un piccolissimo problema che… tanto piccolo poi non era. Mi guardavano sorridenti, aspettando.

“Allora?” mi chiesero. Li scrutai da capo a piedi con aria critica. Non c’eravamo proprio.

“Non più di venticinque” dissi risoluta alla fine.

“Non più di venticinque? Ne dobbiamo dimostrare almeno trenta!” esclamò mia madre.

“Nessuno vi crederà trentenni!” Mio padre corrugò la fronte serio.

“Non possiamo fare di più, Abi, lo sai. E con i documenti la gente ci crederà comunque…”

“Fate come volete, la mia opinione l’ho detta…” borbottai guardando improvvisamente interessata il latte che stavo muovendo con il cucchiaio.

“Almeno un minimo di incoraggiamento lo potresti anche dare.” Alzai improvvisamente gli occhi.

“Volete un incoraggiamento? Va bene!” indicai mia madre “Tu, spero che con il tuo sorriso ammalierai tanti dolci bambini. E tu” indicando mio padre “ti auguro di conquistare tutte le infermiere dell’ospedale” Entrambi mi guardarono con un risolino sul viso.

“Bè… se meglio di così non riesci a fare…” disse mio padre scuotendo la testa per poi guardare l’orologio della cucina “Sophie, è ora di andare”

“Già. Buon primo giorno di scuola, Abi. Ci vediamo dopo.” disse mia madre con già indosso il cappotto. Già, primo giorno di scuola.

“E ricordati…”

“…che i miei genitori sono morti in un incidente stradale due anni fa ed ora vivo con i miei zii, lo so!” finii per mio padre. Tra poco mi sarebbe uscito dalle orecchie. Mio padre sorrise.

“Buona giornata, tesoro!” dissero all’unisono, prima di chiudere la porta. Il biscotto che avevo in mano mi si frantumò tra le dite. Tesoro, ma ti prego. Guardai l’orologio anch’io. Tra poco sarei dovuta andare. Presi un altro biscotto e lo immersi nel latte.

Far credere di avere un’età diversa; molti lo facevano, ma si fingevano più giovani, non più vecchi. Era un dato di fatto; i miei due genitori sembravano terribilmente giovani per avere una figlia diciassettenne e tentare di dimostrarsi più vecchi era impossibile, soprattutto quando la figlia poteva essere benissimo scambiata per loro sorella; anche se in realtà erano dei vecchiacci, soprattutto mio padre. Scossi la testa; solo loro potevano farlo, vampiri.

 

 

 

 

Sono curiosissima di sapere cosa ne pensate. Come inizio è un po’ poco, ma dal secondo capitolo ci saranno importanti sviluppi.

 

 

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Capitolo 2
*** Secondo Capitolo ***


Secondo Capitolo

 

Vi ho fatto aspettare un po', ma ecco il secondo capitolo!

 

 

Secondo Capitolo

 

Ieri non avevo avuto il tempo di controllare se stava bene; era stata, insieme all’auto di mamma, l’ultima nostra proprietà ad essere rilasciata e avevo potuto solo superficialmente constatare se andava tutto apposto. Non avevo nemmeno acceso il motore.

Dopo aver finito di fare colazione mi precipitai giù in garage già con lo zaino in spalle per controllare con più attenzione il telaio. Non appena avevo visto il garage mi erano cadute letteralmente le braccia; enorme era troppo poco. Era una specie di distesa di cemento grande quasi tutta la casa, illuminata da una ventina di lampade al neon. Decisamente troppo per due auto e una moto.

Sospirai di sollievo; gli addetti al trasloco avevano fatto attenzione e non era stata scalfita in nessun modo. Misi casco e guanti prima di accendere il motore. Un piccolo attacco di adrenalina percorse tutta la colonna vertebrale. Anche il motore era intatto. Premetti la frizione e poi l’acceleratore. Via. Uscii dalle porte del garage che erano già state aperte dai miei genitori ed attraversai il vialetto che conduceva alla strada principale non più dei quaranta, per poi raggiungere i centoventi in dieci secondi. Andavo matta per le moto da corsa; insieme alla break dance e alla corsa. 

C’era una pioggerellina leggera che bagnava l’asfalto e ed il cielo non era cambiato molto rispetto a ieri; si poteva dire che quella era una buona giornata.

Sapevo che non sarebbe stata una buona idea arrivare il primo giorno di scuola con lei, avrebbe attirato troppo l'attenzione e avrebbe corso il rischio di essere rovinata da qualche deficiente, ma fino a che non mi procuravo un altro mezzo dovevo adattarmi. A Chicago non era un problema, a scuola si trovavano moto e auto ben più vistose di una KTM, ma qui a Forks invece era tutta un’altra cosa. 

Il rumore doveva essere giunto prima del mio arrivo; non appena apparve davanti a me la Forks High School tutti gli studenti che si trovavano in giardino avevano gli occhi puntati su di lei ed alcuni si erano anche sporti dalle finestre delle aule.

Mi fu difficile trovare un parcheggio, anche perché non c’era. Ero stata abituata troppo bene a Chicago. Mi limitai quindi ad occupare uno dei posti per le auto. Spensi il motore e scesi togliendomi il casco. Non sarebbe stata però una cattiva idea tenerselo in testa; tutta la scuola stava guardando chi me, chi la moto. Dovevo proprio sembrare un alieno a questi campagnoli dalla vita monotona. Erano proprio messi male se se si comportavano in questo modo esagerato per una moto. Non era piacevole, ma non ci potevo fare niente. Pazienza. Mi diressi verso l’entrata della scuola con scioltezza. Non mancarono i commenti idioti insieme ad un totale e sorpreso silenzio. Ma io adoravo i commenti idioti, perché poi ero indiscutibilmente costretta a ribattere. C’era però solo un mormorio indistinto e di pochi riuscii a sentire il contenuto.

“ma da dov’è uscita questa!” disse troppo rumorosamente un ragazzo dai voluminosi capelli ricci. Tirai avanti senza degnarlo di uno sguardo; non sembrava antipatico, non mi andava di ribattergli.

Continuai a far finta di niente fino all’entrata della scuola. Lì c’era un gruppetto di ragazze che avevano cominciato a squadrarmi da capo a piedi con un’espressione che sembrava anticipare un connotato di vomito.

“ma non si è guardata allo specchio questa mattina?” disse una brunetta del gruppetto all’amica bionda.

“secondo me nemmeno ce l’ha lo specchio, Rachel” Speravo che non avessero notato che le avevo sentite.

“Ciao, Rachel! Tutto bene?” le chiesi con un sorriso a trentadue denti e continuai a camminare dritto. Quando tornai a girare la testa verso l’entrata riuscii a sentire parte della loro conversazione.

“La conosci?!” La bionda era la perplessità fatta a persona.

“No…no…” E potevo immaginare il rossore sulle guance della bruna per la vergogna. Sul viso mi si dipinse il mio tipico sorriso sghembo.

 

Oltre la porta d’entrata la scuola non era ancora piena di studenti e riuscii a passare inosservata. Mi diressi verso la segreteria lì vicino per farmi consegnare l'orario delle lezioni. Al bancone c’era la stessa donna di mezza età che avevo visto spettegolare l’altro giorno sul marciapiedi. Il mondo era piccolo. Dall’auto non mi ero accorta dei tinti capelli rossi e degli occhiali spessi. Mi guardava interessata e sorpresa.

“Tu devi essere la nuova studentessa, Abigail Adams” La sua voce aveva un non so che di viscido. Guardai la tessera di riconoscimento che aveva attaccata al petto. Signorina Cope. Il signorina data l'età non era molto adatto. Ecco la prima di una serie di simpatiche zitelle pettegole. Io annuii con la testa. Mi porse un foglio.

“Questo è l’orario delle lezioni che hai richiesto” Me ne porse subito un altro “E questo lo devi far compilare ai docenti di questa giornata”

“Capito. È possibile avere anche una cartina della scuola?” Mi guardò dolente.

“Mi dispiace, cara. Non credo che siano più disponibili” Rabbrividii al cara. Alzai e riabbassai impercettibilmente le spalle; nessuna cartina, perfetto. Speravo solo di non perdere troppo tempo a distinguere le aule le une dalle altre ed arrivare in ritardo. Non era affatto un buon inizio.

“Non importa, me la caverò.” Tornai indietro ed aprii la porta d’uscita della segreteria. Mi fermai di colpo sull'uscio.

“Arrivederci” dissi girando velocemente la testa. L’educazione era la prima cosa per fare buona impressione.

“Arrivederci anche a te, cara. E buona fortuna” La segretaria sembrava contenta del mio saluto. Io invece non tanto per il “cara”. Quando uscii dalla stanza il mio sguardo era fisso sull’orario: vedevo ore di matematica, trigonometria, biologia, chimica e scienza della terra. Sorrisi involontariamente; erano le mie materie preferite. Nessuno avrebbe mai detto che fossi portata per queste cose; mamma mi diceva sempre che le persone tendevano a scambiarmi per una ragazza con la testa sulle nuvole. Le apparenze ingannavano da morire. Trovavo le materie scientifiche particolarmente interessanti, per questo avevo fatto in modo di inserire nell’orario molte loro ore. Guardai l’orario del giovedì: alle prime due c’era biologia. Perfetto. Ora il problema era trovare la stanza. Poi mi guardai finalmente attorno: ora era pieno di studenti che mi guardavano come se fossi un maiale blu.

“Ehi!” Mi girai verso il proprietario della voce. Era un ragazzo moro piuttosto magricello, con un bel po’ d’acne sul viso.

“Tu devi essere Abigail” Mi porse la mano ed io la strinsi.

“In persona”

“Ahi!” la ritrasse subito “Che forza!”

“Scusa” Era il primo studente che mi rivolgeva la parola e continuavo a ripetermi le parole “buona impressione”.

“Fa niente. Io sono Eric Yorkie del quinto anno. Tu invece frequenti il…?”

“Il terzo” Diventò all’improvviso impacciato e l’allegro sorriso che aveva svanì in un attimo, lasciando il posto ad uno insicuro ed imbarazzato.

“Ah… sei più piccolina” piccolina? Feci un respiro profondo. Buona impressione, buona impressione, buona impressione.

“Puoi aiutarmi?” dissi sviando subito l’argomento “età” per incalzare quello “aiutami”.

“Certo”

“Sai dov’è l’aula di biologia?”

“Ah… in segreteria non abbonda di piantine, vero?”

“Sì, ma solo quelle verdi…” proruppi io di botto in una delle mie pessime battutine. Mannaggia, mi veniva automatico. Lui fece una risata trattenuta.

“Divertente...”

“Eh già” Ora l’insicura ero io. La campanella suonò all’improvviso per tutto l’atrio, convincendo Eric a sbrigarsi a dirmi quello che volevo sapere.

“Comunque, l’aula di biologia la trovi finito questo corridoio a destra. Scusa, ma ora devo proprio andare. Ti accompagnerei volentieri, ma la mia aula è dall'altra parte. Ciao.” disse mentre si allontanava da me correndo. Gli risposi con un cenno della mano guardandolo scappare veloce e seguii le sue istruzioni. Anch’io arrivai in fondo al corridoio mantenendo un passo sostenuto e sperai vivamente che la lezione non fosse già cominciata, esaudendo così le mie peggiori prospettive. Feci in fretta a bussare ed ad entrare. Tutti erano già seduti al proprio posto e mi sentii per un breve momento particolarmente a disagio, che sparì non appena mi accorsi che il professore era distratto a trafficare tra un mucchio di fogli. Mi diressi verso di lui. Non alzò subito la testa per osservarmi, quindi ne approfittai per dare una veloce occhiata all’aula. Era piuttosto grande, con diversi cartelloni su cellule, meiosi e fotosintesi appesi alle pareti. Non male.

Finalmente alzò lentamente la testa e mi squadrò, come stava facendo tutto il resto della classe. Prese in mano il foglio che gli stavo porgendo, lo firmò con uno svolazzo. Stava per riconsegnarmelo, ma si bloccò con lo sguardo fisso sempre sul foglio.

“Signorina Adams, le devono aver dato l’orario sbagliato. Questo è il corso di biologia per il quinto anno.”

“Appunto” gli risposi. Gli presi il foglio dalle mani, mentre lui mi guardava in modo un po’ truce. Cavolo, “appunto” non doveva essere stata una risposta gentile.

“Può andarsi a sedere vicino a Swan” e tornò alle sue carte. Feci quindi scorrere lo sguardo per l’aula in cerca di chi potesse essere Swan. Non mi fu difficile capirlo, in quanto era l’unica persona vicina ad un posto vuoto. Andai verso di lei. Swan era una ragazza dai lunghi capelli neri con gli occhi scuri, semplice, non molto diversa dalle altre. Aveva una carnagione pallida, come tutte le persone che abitavano in un buco senza sole come Forks, e due occhiaie un pò marcate, dovute forse a notti passate in bianco. Le lanciai un'occhiata mentre mi sedevo sullo sgabello imbottito vicino a lei e mi toglievo lo zaino dalle spalle. Altra cosa, questa ragazza aveva la testa terribilmente tra le nuvole: non si accorse nemmeno che c'era qualcuno accanto a lei tanto era concentrata nei suoi pensieri. Avrei voluto presentarmi, ma il professore iniziò a parlare dell’argomento del giorno e decisi che era meglio evitare di irritarlo ancora.

Quella fu un’ora lunga, continua e noiosa. Il docente fece una breve introduzione sulla teoria darwiniana che avevo già studiato l’anno scorso e che era di una noia insopportabile. Mi limitai a prendere qualche appunto ed ad osservare di tanto in tanto Swan, cercando di evitare gli sguardi diretti a me e i leggeri mormorii provenienti dal fondo. Prendeva appunti come tutti e stava in silenzio, ma la sua espressione era persa in chissà quale mondo. Era piuttosto inquietante.

La campanella suonò ed il professore smise all’istante di parlare, mentre tutti i presenti nell’aula si alzavano dai propri banchi. Nessuno si fermò ad aspettare il mio vicino, che in breve si ritrovò sola insieme a me. Aveva riempito il proprio zaino e si era già alzata. Colsi l’occasione al volo.

“Io sono Abigail Adams, quella nuova.” Lei si girò verso di me all’improvviso e sobbalzò. Non si era davvero accorta di me. Cercai di sembrarle amichevole sfoderando il mio sorrisino sghembo, ma invece di farle una buona impressione sembrava che avessi avuto l'effetto opposto; mi stava guardando immobile.

“Ehi, tutto bene?”

“Sc…scusa, non ti avevo sentita" La sua voce era molto serena. "Ah... Tu quindi sei Abigial. Io mi chiamo Isabella Swan, ma preferisco Bella.”

Era intenta a mettersi lo zaino sulla spalla, perciò non si accorse dei miei occhi sbarrati. Bella? Bella?! O mio Dio. Era peggio dell’orribile. Bella! Se mi fossi chiamata Isabella non mi sarei mai, mai, mai, fatta chiamare Bella! Bella! Bella! Mi sarei fatta chiamare Lisa, oppure ancora meglio Easy, ma Bella no! E che cavolo: dai, Abigail, il nome era suo e poteva fare quello che voleva... Bella... Bella… No, non ce la facevo, era più forte di me.

“Scusa, ma ora devo andare.”

Questa volta fu lei a riportarmi sulla terra. Senza aggiungere altro si diresse fuori dall’aula. Io la lasciai fare; non volevo crearle ulteriori disturbi.

Diedi un’occhiata veloce all’orario delle lezioni. Matematica. Bene. Adesso dovevo solo trovare l'a…

“Bella!” la chiamai mentre stava uscendo in corridoio. Al diavolo i disturbi. Corsi veloce verso di lei e la fermai appena in tempo. La raggiunsi e uscii dall’aula salutando anche il professore, che mi rispose con un brontolio. Speravo vivamente di non avergli fatto una brutta impressione.

“Scusa, ma mi potresti dire dov'è l’aula di matematica?”

“Certo, è dalla parte opposta della scuola. Devo andare anch’io da quella parte. Ti accompagno se vuoi.” Era la frase più lunga che le avevo sentito dire.

“Grazie, mi faresti un piacere.”

Camminai accanto a lei per tutto il tragitto, cercando di non badare alle occhiate che mi venivano lanciate nel corridoio. Notai che era una ragazza piuttosto alta. Più di me sicuro. Tra me e lei calò il silenzio. Perché non parlava? Di solito lo si faceva ai nuovi arrivati e questo silenzio proprio non ci stava. Di solito in queste situazioni c’erano molte cose da chiedere: perché ti sei trasferita? Con chi? Da dove? Lei invece se ne stava zitta. Un momento, chi l’ha detto che le domande dovevono farle gli altri? Potevo benissimo dirigere io la conversazione.

“Sai mi sono trasferita da Chicago” Cavolo, forse ero stata troppo impertinente. Attirai però con successo la sua attenzione.

“Quindi sei già abituata a Forks” Nella sua voce sentivo una punta di interesse che mi convinse ad andare avanti.

“Già, non è stato una novità”

“Anch’io non sono di Forks”

“Davvero? Di dove sei?”

“Phoenix”

“Tutto l’opposto quindi. Ma…” La squadrai un attimo “Non l’avrei mai detto.” Le sue labbra si piegarono in un sorriso appena accennato.

“Non si direbbe nemmeno di te”

“Solo perché ho passato tre mesi estivi a San Lucas, in California”

“Con la tua famiglia?”

“No, in campo scuola” Mi piaceva il verso che stava prendendo questa conversazione. Che si interruppe subito.

“Questa è l’aula di matematica.” Bella si fermò per indicarmi l’aula. “La mia è quella vicina.”

“Va bene. Allora, ci vediamo” le dissi mentre entravo.

Lei si diresse verso l’aula vicina salutandomi con una mano. Non vedendo però dove metteva i piedi inciampò e cadde a terra. Sarebbe stata una scena comica e avrei sorriso se me la sarei aspettata. Le andai subito incontro per aiutarla.

“Tutto bene?”

“Sì, sì, non è niente. L’equilibrio non è il mio forte” disse mentre si rialzava.

“Tutto bene, Bella?” Una voce sconosciuta.

“Sì, Mike” Il Mike in questione aveva una faccia simpatica, tondeggiante, con due occhi azzurri e capelli paglierini tirati con una grande quantità di gel.

“Ah, tu devi essere quella nuova” Questa volta si rivolse a me. Mi stava studiato con interesse, ma la sua impressione non lasciava trapelare ancora alcun giudizio.

“Abigail, piacere” gli dissi salutandolo con la mano. La stretta di mano doveva essere riveduta.

“Io sono Mike” Sentii a pochi metri di me la porta della mia aula chiudersi.

“Ehm… devo andare. Piacere di averti conosciuto, Mike. Ciao.” Entrambi mi ricambiarono, mentre anche loro entravano in classe, incominciando a discutere di una certa uscita al cinema o in qualche altro posto.

Nell’aula di matematica il professore non era ancora arrivato e regnava un insopportabile cicaleccio. La Forks High School doveva essersi fatta in fretta l’abitudine di avermi dentro, visto che questa volta furono poche le occhiate che arrivarono. Appoggiai lo zaino su un banco vuoto in seconda fila, sperando che non fosse occupato da un qualche altro ritardatario.

“Abigail” Mi girai verso Eric.

“Ciao Eric”

“Abigail, ti devi essere confusa.” Era forse una leggera compassione quella nei suoi occhi? Se sì doveva sbrigarsi a farsela passare.

“Questo è il corso di matematica per il quinto anno”

“Lo so” mi limitai con un leggero sorrisino. Lui sembrava confuso.

“Frequenti il quinto anno di matematica?”

“Solo alcune lezione. Come anche per il corso di biologia.” Ora era davvero sorpreso.

“Ah. Quindi tu devi essere un piccolo genietto!” Ma i vezzeggiativi non potevano scomparire dalla faccia della terra?

“L’avresti mai detto? Non farti troppe illusioni però. Frequento stabilmente il corso di matematica e biologia del terzo. Queste sono solo ore che ho cercato disperatamente di togliere a inglese, storia e spagnolo.”

“Non ne vai pazza?” Gli era spuntato uno strano sorrisino divertito sulla faccia.

“Certo. Ogni volta che le studio lo divento.” Che freddura. Ma me ne erano uscite di peggiori, tutto sommato. Eric rise sonoramente.

“Sei simpatica!”

In quel momento il professore Varner entrò in aula ed Eric se ne andò a sedere al suo posto. Che era quello dietro al mio. Non era antipatico, solo che avevo l’impressione che si comportasse con me come se fossi la sua sorellina. Era uno strano e perverso atteggiamento che mi dava i nervi. Soprattutto se non ci conoscevamo nemmeno da un giorno. La lezione riuscì a passare molto velocemente e fu decisamente molto più interessante di quella di biologia. Mi alzai insieme agli altri al suono della campanella.

“Ehi, Abigail! Vuoi che ti accompagni in mensa?”

“Certo” risposi contenta che qualcuno mi avesse preceduto.

Zaino in spalla, uscii in corridoio insieme ad Eric. Era desideroso di parlare con me. Ovvero, di me; perché ti sei trasferita? Con chi? Da dove? e blablabla. Aveva però incontrato un ragazzo in corridoio con cui si era perso in una conversazione sulla nuova canzone di non-so-chi che lo coinvolgeva al punto da ignorami completamente. Non mi dispiacque molto e non me la presi. Attraversai il corridoio limitandomi a stare vicina a lui in silenzio. La conversazione finì che io avevo già il mio vassoio di cibo in mano.

La mensa della scuola era molto ariosa ed ampia. Molto bianca. Mi sarebbe venuta una crisi d’identità, ne ero certa. Gli scarsi quattrocento studenti della Forks High sembravano un centinaio lì dentro. Inoltre le finestre erano larghe ed entrava molta luce che illuminava l’ambiente. Per essere più precisi, entrava la luce quando c’era. I tavoli sembravano ben tenuti, come pure le sedie.

Già dall’inizio non mi aspettavo la crème de la crème in quanto a cibo; il cibo della mensa era per definizione un vero disastro alimentare. E così era anche per la Forks High. Per lo meno la frutta e la verdura sembravano fresche. La cosa non mi andava a genio per niente; avevo la fortuna, o la sfortuna, di avere un metabolismo da ragazzo, e questo significava che all’ora di pranzo mi ritrovavo ad avere una fame da lupo e pronta a sbranare un bisonte, senza però mettere sù chili su chili. Il fatto di provare un perenne desiderio di cibo era estremamente scomodo, soprattutto quando a pranzo il cibo non era commestibile. Non avrei retto le ore pomeridiane senza proteine.

“Mi dispiace, Abigail, non volevo escluderti dalla conversazione” si scusò Eric quando ebbe finito.

“Ma figurati”

“Che ne dici allora di sederti al mio tavolo? Ti posso presentare alcune persone” mi disse gentile. Colsi la palla al balzo.

“Sicuro"

Il tavolo dove mi portò era pieno e questo era un fatto positivo: più gente da conoscere. Ma mi domandavo con preoccupazione se avrei mangiato con il gomito del mio vicino nell’occhio, tanto lo spazio era poco.

“Ragazzi, fate posto per due!” disse Eric esuberante. I ragazzi del tavolo si girarono interessati verso Eric per osservare il volto del nuovo membro del loro tavolo. Tutti erano sorpresi, chi in modo positivo, chi in modo negativo.

“Lei è Abigail” mi presentò, inutilmente, visto che tutti in quel tavolo sapevano già chi fossi.

“Salve” risposi vivacemente sedendomi sulla sedia presa da un tavolo vuoto vicino che Eric mi porse. Lo ringraziai con un cenno. Lui ricambiò sedendosi accanto a me.

“Vediamo di presentarti un po’ di gente” disse Eric ancora allegro. Indicò due ragazzi vicini a lui “Loro sono Ben e Conner.”

Cercarono di salutarmi con un cenno della mano, ma Eric passò a presentarmi subito i prossimi.

“Jessica e Angela” disse indicandole, questa volta lasciandole parlare.

“Ciao” mi disse la prima. La seconda fu più formale.

“Benvenuta a Forks, Abigail” disse porgendomi la mano. Io gliela presi cercando di non stringere troppo.

“Grazie Angela” risposi educata.

“Lei invece è Lauren” continuò Eric. Lauren era la ragazza bionda di quella mattina, quella secondo cui non avevo specchi a casa. E la ragazza bruna vicino a lei era quella Rachel. Fu una piacevole sorpresa per me. Non altrettanto per loro.

“Piacere” Sembrava uno sgorbio più che una parola. Io invece sfoderai un sorrisone.

“È un piacere Lauren” dissi cercando di essere il più sincera possibile. Con gli altri le bugie mi venivano bene.

“E ciao anche a te, Rachel” dissi senza lasciare che Eric me la presentasse. Rachel arrossì dalla vergogna e Lauren mi guardò come se fossi una pazza.

“Allora un po’ di conoscenze te le sei già fatte.” Eric sembrava orgoglioso di me. Strinsi i pugni.

“Solo di vista” confessai in tono gentile fissando Rachel negli occhi. Se avesse potuto mi sarebbe saltata addosso, come anche Lauren. Mi sentivo soddisfatta; con questa le avevo fatto rimangiare tutti i commenti poco piacevoli di quella mattina. Eric poi mi presentò altri due ragazzi ed una ragazza, dei quali mi dimenticai subito il nome.

“Scusate per il ritardo. Ah! C’è una nuova!”  Mike e Bel... Bella si erano avvicinati solo in quel momento al nostro tavolo. Anche loro facevano parte del gruppo. Eric sbuffò alla vista di Mike.

“Abigail, questa bella ragazza e questo idiota sono…”

“Mike e Bella. Li ho già conosciuti” informai Eric.

Salutai entrambi con un cenno della mano e feci spazio a Bella che si sedette vicino a me lanciandomi un piccolo sorriso. Mike si sedette vicino a lei.

“Cos’è che hai detto? Ripeti, Yorkie” disse Mike, dando una spinta alla spalla di Eric che lo fece scontrare contro… contro…Tom? Non mi ricordavo già più i nomi.

“La verità Newton, la verità” stette al gioco lui.

“Sono dei bambini, ignorali” mi disse la ragazza che doveva chiamarsi Jessica.

“Chicago deve essere una bella città” disse Angela. Caspita, sapevano persino questo.

“Non molto diversa da Forks” mugugnai io “per il clima, ovvio” precisai. Tutti i presenti ora erano concentrati su di me. Eh già, il nuovo arrivato era l’attrazione del mese qua. Chissà se anche a Bella avevano riservato lo stesso trattamento.

“Dalla tua carnagione non sembra.”

“È perché ho trascorso tre mesi in California.”

“California, caspita” si sorprese… oh, accidenti… Tom?

“Come mai ti sei trasferita in un buco come Forks?” chiese interessato Mike. Bene, via con la messa in scena.

“Mio zio è un medico; gli hanno proposto il posto di primario che si è liberato di recente qui a Forks e lui ha accettato” ma in realtà questa che vi sto raccontando è una balla assurda. I miei genitori sono dei vampiri e se ce ne fossimo andati in California, in Florida o in qualche altro posto assolato, la luce del sole li avrebbe trasformati in due palle da discoteca anni settanta e non sarebbero di certo passati inosservati.

“Zio? Vivi con i tuoi zii?” continuò Mike. Ora veniva la parte più difficile.

“Sì. I miei… i miei genitori sono morti in un incidente d’auto” mormorai imbarazzata. Caspita, mi era uscita proprio bene. Ero stata davvero convincente. Tutti, comprese Lauren e Rachel, si erano zittiti e stava aleggiando un'aria da funerale.

“Mi dispiace, davvero. Non volevo… ” balbettò amareggiato Mike.

“Non lo sapevi, non fa niente” Il silenzio calò sul tavolo, che dall’inizio del pranzo era sempre stato vivace.

“E… da quanto è successo, se posso chiederlo…” domandò Angela. La guardai in volto. Sentivo dal suo tono che non era per pettegolezzo che me lo stava chiedendo, ma per preoccupazione. Fino ad ora si era dimostrata un’ottima persona.

“N… ” mi bloccai di colpo.

O cavolo. Non mi ricordavo da quanto tempo vivevo con gli zii. E adesso che faccio? L’avrei buttata sul vago. Intanto gli occhi di Angela stavano perforando i miei e non mi stavano aiutando a concentrarmi. L’unica cosa da fare era spararla.

“Non molto tempo fa” dissi con lo stesso tono. Angela sembrava convinta e tutti se l’erano bevuta. Di solito dire bugie così grosse mi faceva venire sensi di colpa che mi tormentavano l’anima in modo assurdo, ma questa era una grossa bugia per una grossa causa.

“Ma… non vivi a Forks” disse Eric per sviare totalmente l’argomento. La sua affermazione mi sorprese.

“Sì, vivo a Forks, perché non dovrei?” Gli altri sembravano essere confusi.

“Non c’è alcuna abitazione disponibile a Forks.”

“In realtà casa mia non si trova in centro, ma poco fuori Forks. È coperta dai boschi e non è visibile dalla tangenziale. Non so se voi la conoscete”

“Aspetta un momento!” Eric mi bloccò improvvisamente ed iniziò a guardarmi in modo strano e perforante.

“Fuori città hai detto? Non sarà…”

“Abiti nella casa dei Cullen?” Mi girai improvvisamente verso Bella in un sobbalzo. Non aveva aperto bocca per tutto il pranzo e mi ero per un momento scordata che era lì. Si era improvvisamente interessata al discorso. D’altra parte non avevo la minima idea di chi fossero questi Cullen.

“Non lo so. Non li conosco. Chi sono?” le chiesi. Quello che avvenne dopo fu parecchio inquietante. Bella si limitò ad abbassare lentamente lo sguardo, mentre il silenzio era di nuovo sceso. Alcuni dei presenti si erano persi a far altro, altri invece mi guardavano in un modo che non mi piaceva. Era evidente che non era stata una buona domanda, ma non riuscivo a capirne il perché. Era una specie di tabù che non riuscivo a cogliere. La tensione si ruppe al suono improvviso della campanella, che fece alzare tutti dai propri tavoli. Tutti i ragazzi del tavolo tornarono improvvisamente sereni come prima. Tranne Bella, che non perse tempo ad aspettare gli altri e uscì subito dalla mensa. Quella reazione era troppo strana. Quel nome, Cullen; chi erano? Dovevo cercare di saperne di più. Nonostante le persone che mi stavano superando riuscii a distinguere tra la folla Jessica, credo, una ragazza del tavolo. Spintonando riuscii a raggiungerla.

“Jessica!” Lei si voltò.

“Ehi, Abigail!” Mi era sembrata cortese prima e credevo fosse la persona giusta a cui domandarlo.

“Posso chiederti una cosa?”

“Dimmi” Avevo come la netta sensazione che sapesse anche lei dove volessi andare a parare. Intanto che parlavamo ci lasciavamo trascinare dalla folla fuori dalla mensa.

“Chi sono i Cullen?” Lei si morse il labbro.

“Scusa se abbiamo reagito in quel modo, ma non è un bel argomento davanti a…” si bloccò all’improvviso. Mi trascinò vicino alla parete e rallentammo il passo.

“Ti spiego: circa tre anni fa si sono trasferiti a Forks dall' Alaska i Cullen” parlava piano in modo da non farsi sentire. Tre anni fa? Non voleva mica raccontarmi tutta la storia?! Io avevo chiesto solo chi erano! Jessica però era così presa dal racconto che non riuscii a dirle che non erano quelle le mie intenzioni.

“Era una famiglia che dava un po’ nell’occhio: tutti i figli del signor Cullen, che era stato proprio il primario dell’ospedale, erano stati adottati, perché si diceva che la signora Cullen non potesse avere figli. La cosa più strana però” La sua voce si fece più accesa e si avvicinò a me.

“La cosa più strana è che i figli, anche se non erano fratelli consanguinei, stavano insieme.” Le ultime due parole le aveva dette con uno strano luccichio negli occhi spalancati, mentre stava sfoderando un sorriso smagliante. In quel momento mi sarebbe tanto piaciuto dirle che non me ne importava un bel niente solo per vedere la faccia che avrebbe fatto, ma mi trattenni.     

“Erano cinque e quattro di loro stavano insieme! Il bello però viene adesso; indovina con chi si è messo il quinto?” Era ufficiale: non la sopportavo. Dal suo silenzio capii che non era una domanda retorica. 

“Non lo so” dissi secca. Lei andò avanti.

“Con Bella!” esplose lei, poi però acquistò un po’ di contegno “Alcuni mesi fa se ne sono andati da Forks ed Edward Cullen, il fidanzato di Bella, ha dovuto mollarla. Sembravano davvero una coppia affiatata loro due. La loro storia è durata per più di un anno. Bella è stata male per mesi, ma ora si è un po' ripresa. Ha incominciato a vedersi con il figlio dell'amico di suo padre, o che so io...” Non si rendeva proprio conto che non me ne fregava davvero niente dei fatti di Bella? Non la stava ascoltando più. Si fermò un attimo per riprendere fiato.

“Quindi cerchiamo di evitare di parlare di loro davanti a lei. A parer mio il suo comportamento è del tutto esagerato. Sono passati quasi sei mesi da quando se ne sono andati e devo dire che...” Basta. O si fermava, o le avrei infilato un libro in bocca.

“Ah… ho capito. Devo andare ora. Grazie mille Jessica. ” mormorai secca allontanandomi da lei. L’aveva tirata per le lunghe, ma alla fine c’era arrivata. La ragazza aveva la parlantina facile, ma in quel momento non era la sua loquacità a disturbarmi. Avevo scoperto perché Bella aveva reagito in quel modo strano, ed anche il nome di questo perché, un certo Edward. Giustamente il ricordo di ex, anche dopo mesi e mesi poteva far male e non c'era modo di biasimarla, soprattutto se in mezzo c'era anche un trasloco. Ma era giunta l’ora di smetterla di pensare a problemi non miei, perché mi stavano aspettando due stupende ore di spagnolo. Mi fu inevitabile sbuffare. Inoltre non sapevo neppure dove si trovasse l’aula. Sbuffai due volte. Questa volta ero certa che sarei arrivata in ritardo.

 

Entrai in segreteria subito dopo il suono della campanella per riconsegnare il foglio firmato.

“Ecco a lei” mormorai alla segretaria. Lei si rivolse a me con un sorriso.

“Grazie. Come è andato il primo giorno? Sembri essere stanca” Stanca era un eufemismo. Affrontare due ore di spagnolo, la materia più bella di questo mondo, di pomeriggio, con una miseria di pranzo era molto più che stancante.

“Sì, solo un po’. Arrivederci” le risposi gentile e veloce. Sembrava simpatica quella segretaria.

“Ciao anche a te, cara” Mi morsi la lingua; non volevo pentirmi di quello che avevo appena pensato. Seguii la mandria di studenti verso l’uscita, lasciandomi trasportare automaticamente dalle mie gambe, mentre aspettavo che una boccata di ossigeno mi facesse rinsanare almeno un minimo. L’aria fresca infatti mi fece bene e mi diede lucidità. Mi diressi verso il mio mezzo e misi subito in moto. Bastò il rumore del motore per calmarmi del tutto. Feci un respiro profondo e premetti l’acceleratore per uscire dal parcheggio della scuola. Fui di nuovo sotto lo sguardo di tutti, ma presto avrebbero perso l’abitudine di fissarmi. In quel momento pensavo solo a sfrecciare veloce. Curvavo di tanto in tanto per superare qualche auto troppo lenta, ma la strada era quasi sempre dritta, finché arrivai al viottolo nascosto tra gli alberi che conduceva a casa. Arrivai in cinque minuti. Parcheggiai la moto in garage e tolsi il casco con un sospiro. Attraversai infine la porta che conduceva all’interno della casa, sollevata che quella giornata fosse finita. Vidi mia madre già in piedi, pronta ad aspettarmi. Si era tolta i vestiti da “maestra perfettina” ed ora vedevo davanti a me sola la mia dolce mamma. Aveva un sorriso bellissimo ed i denti perfettamente allineati e bianchissimi emanavano una luce più splendente di quella della lampada. Ogni volta che non la vedevo per molto tempo era come se la vedessi per la prima volta, la mia mamma sempre uguale. Ero molto legata a lei, forse più di mio padre. Forse dipendeva dal fatto che lui non fosse il mio padre biologico, mentre lei sì. Riposi anch’io al sorriso.

“Come è andato il primo giorno di scuola?” Era entusiasta. Aspettai un attimo prima di rispondere alla sua domanda.

“Non male” Comincia a dirigermi verso le scale che portavano al primo piano, ma mi fermai di colpo. Girai la testa verso mia madre guardandola dubbiosa.

“Quando sono morti i miei genitori?” Il suo sorriso si spense subito.

“Due anni fa” disse lei sconfortata.

“Ah… va bene” Mi sentii più risollevata: l’avevo sparata giusta. Lei sospirando si sedette sul divano.

“Abigail!” mi riprese lei.

“Che c’è? L’ho detta giusta! E sono stata anche brava. Tutti mi hanno creduto” Mi diressi finalmente verso camera mia per cambiarmi dai vestiti fradici.

“Dopo raccontami com’è andata!” la sentii gridare mentre io stavo già salendo le scale.

“Certo” risposi io normalmente, sicura che mi avrebbe sentita. Entrai in camera e mi liberai del casco che avevo in mano e dei guanti che indossavo. Mi tolsi poi i vestiti per indossare qualcosa di più comodo ed asciutto: una vecchia tuta grigia pesante e morbida. Il mio stomaco che dalle due di quel pomeriggio aveva iniziato a protestare incontrollabile mi obbligò ad andare in cucina. Attraversai il salotto e mamma era ancora lì, come un bambino impaziente di farsi raccontare la favola della buonanotte.

“Numero uno: la mensa fa schifo” cominciai ad elencare mentre aprivo il cassetto dei biscotti e del pane.

“Questo si sa, no?” Mia madre era seduta su una sedia. Trovai un pacchetto di crackers e subito lo presi.

“Ma lo sai come mangio a pranzo. Questo pomeriggio le due fantastiche ore pomeridiane di spagnolo sono state una tortura per il mio stomachino.”

Aprii il pacchetto e divorai subito il primo crackers. Lei sospirò.

“Ci sono circa quattrocento persone in quella scuola che mangiano alla mensa e sono ancora tutti vivi. Devi adeguarti.”

“C’è sempre una prima volta…” mugugnai io con la bocca piena. Mia madre mi guardò truce.

“… ma tenterò, tanto l’ospedale è vicino se subirò un avvelenamento”

“Poi?” disse cambiando subito argomento “Hai conosciuto qualcuno?”

“Sì, ho conosciuto un po’ di persone del quinto anno. Sono simpatici.”

“Le lezioni del quinto anno sono difficili? Non vorrei che avessimo fatto la scelta sbagliata a calarti le ore delle altre materie”

“Mamma, sono solo all’inizio e fidati se ti dico che avete fatto la scelta giusta.” sbottai io, forse sputacchiando anche qualche briciola.

“Poi?” continuò lei. Avevo finito il primo pacchetto e cominciai ad andare alla ricerca d’altro.

“Bé, mi è toccato un po’ andare alla cieca per la scuola, visto che piantine non ce ne hanno. Ma sono sopravvissuta lo stesso. I professori non sono male. Spero di aver fatto una buona impressione.” Presi il pane senza pensarci ed aprii il frigo.

“Certo che avrai fatto una buona impressione” mi rassicurò la sua voce calda. “Strani commenti?” Individuai subito la maionese.

“Un po’. Anzi, un po’ molti, soprattutto per la moto. Ma ho risposto nella giusta maniera.”

“Hai offeso qualcuno come tuo solito?” mi rimproverò lei. Stavo sgarfando tra le verdure in cerca dei sottaceti.

“No, solo il giusto.” 

“È stata quindi una buona giornata?” Trovati; li presi subito. Salame, tocca a te.

“Tutto sommato sì”

“Hai chiesto per il corso di break dance?” Mi diedi uno schiaffo sulla fronte. Cavoli, il corso!

“A quanto pare no.”

“Già, già... chiederò sicuramente domani...” Aprii il cassetto e presi il coltello per tagliare il pane. A Chicago avevo fatto per molto tempo un corso di break dance e l’insegnate mi aveva detto che ero pronta a diventarlo anch'io. Ed era proprio quello che intendevo provare a fare qua a Forks; non credevo che ci fosse già un corso che insegnasse break dance, ma volevo esserne sicura. O magari cercavano proprio un'insegnate. Inoltre avrei guadagnato anche qualche soldo.

“Ah! Quando andate a ricaricare le batterie tu e papà?” dissi mentre spalmavo la maionese. "Ricaricare le batterie" mi sembrava più gentile di “andare a dissanguare poveri animali innocenti”

“Il prossimo fine settimana pensavamo di andare ad esplorare la zona. Vieni anche tu?”

“Ovvio” Avevo aperto il barattolo nuovo di sottaceti senza difficoltà. Disposi i cetrioli sulla fetta di pane e ci misi sopra il salame. Mi sedetti e addentai con un morso il mio panino. Alzai gli occhi masticando. Mia madre mi stava guardando in modo strano e non staccava gli occhi dai miei. Voleva qualcosa, ma non capivo cosa. Oh, ora avevo capito.

“E a te come è andata?” Le si dipinse un grandissimo sorriso e gli occhi le si riempirono di dolcezza.

“O Abigail” La sua voce era miele

“Dovresti vedere come sono dolci. Sono stati tutti zitti, immobili ed attenti mentre parlavo.”

“Sarà perché avranno avuto una paura di te…” mormorai al secondo morso. Un ringhio di pantera uscì dalla sua bocca. Non mi spaventai nemmeno un po’. E come avrei potuto; era mia madre. La sua voce si rifece dolce e continuò trasognata.

“E poi sono così belli! Hanno tutti dei grandi occhioni e quando sorridono sono così belle le loro guanciotte piene. Soprattutto quelli delle prime classi. Sono così piccolini. Tanto erano belli che li avrei mangiati!” Tornò a guardarmi truce. “Nel senso buono, ovviamente” disse seria lentamente. La faccia che avevo fatto sentita l’ultima frase diceva molto più delle parole. Eravamo fatti così: i miei genitori mi prendevano in giro perché ero strana, mentre io li prendevo in giro perché erano dei vampiri. Un equo scambio di battutine biologiche. Superdaddy e Wondermummy erano gli scemi soprannomi che gli avevo dato da piccola, insieme a Normalgirl, che ero io, e che anche adesso usavo qualche volta. Lei continuava immersa e coinvolta nel suo racconto.

“Pensa, durante l’ora pomeridiana di disegno uno dei bimbi ne ha fatto uno per me. Guarda” Tirò fuori dal nulla un foglio bianco su cui c'era disegnato…

“Una lampada?”

“No, è una farfalla” disse acida lei.

“Ah… giusto…” tornai al mio panino. Lei continuò a parlare della scuola, dei bambini. Ed ancora della scuola e dei bambini. Mia madre aveva uno assurdo senso della maternità spinto all’eccesso. Non osavo pensare i livelli che aveva raggiunto la sua gioia quando ero una lattante. Io invece non avevo ancora sviluppato questo lato materno e attualmente vedevo solo la parte brutta dei bambini: urlavano, mangiavano, non dormivano, urlavano ancora. Ed era anche un bene, visto che avevo solo diciassette anni.

“… non trovi anche tu che non sia giusto?” Io la guardai sussultando. Mi aveva fatto una domanda.

“mmhh… già, è davvero ingiusto” affermai io improvvisamente interessata. Ero arrivata a metà panino. Lei mi guardò particolarmente male.

“Non mi stavi ascoltando” disse seria.

“Mi ero solo distratta un momento. Ho passato una giornata faticosa e sono davvero stanca.” Lei non abboccò. Avvicinai il panino alla mia bocca, ma i miei denti afferrarono l’aria. Guardai le mie mani vuote. Dov’era andato a cacciarsi il mio panino?! Guardai mia madre che stava osservando il soffitto con un’aria disgustata.

“Mi hai mangiato il panino” mormorai sconvolta. C’ero rimasta male un casotto.

“Che fa anche schifo. L’ho sempre detto che tu non sai cucinare”

“Mamma, certo che ti fa schifo! Ti deve fare schifo! Tu sei un vampiro!” mi alzai ancora sorpresa. Il mio panino…

“Tu sei un vampiro… io no… Cos’è questo razzismo biologico?” Mio padre era comparso all’improvviso in cucina e stava dando un leggero bacio sulle labbra a mamma. Anche lui non aveva più i vestiti da lavoro.

“Ha mangiato il mio panino!” risposi sconvolta indicando mia madre.

“Oh… l’hai fatto tu?”

“Sì” risposi secca. Non vedevo come potesse centrare questo.

“Ti ho sempre stimata per il tuo coraggio, Sophie” disse teneramente a mia madre.

“Ma si può sapere cosa diavolo avete! Siete vampiri, non potete sapere come cucino!” gridai tornando a prende di nuovo il pane mentre tra poco mi sarebbe venuta una crisi di nervi. Loro stavo ridacchiando divertiti. Io non ci trovavo niente di divertente invece.

“Come mai hai fatto tardi?” gli chiese mia madre.

“Sono andato a prendere questo” disse tirando fuori dalla tasca della tuta un biglietto della lotteria. “Mi sentivo ispirato.”

Non è da tutti avere una villa ed una Lamborghini; la mia famiglia era piuttosto ricca ed i biglietti della lotteria ed il gioco in borsa erano le principali fonti di questa prosperità. Erano attività rischiose basate principalmente sulla fortuna, ma mio padre ne aveva tanta di fortuna. Aveva una specie di sesto senso che si attivava di botto. Mi aveva spiegato una volta che cos’era; qualche volta l’istinto prevaleva di scatto sulla ragione e gli faceva fare “la cosa giusta”, diciamo. Come per esempio trovare i giusti numeri o puntare sulla giusta società. Ma non usufruivo molto di questo bottino; la moto era stata il regalo dei sedicianni, ma per il resto me la volevo cavare da sola. Non avrei potuto contare sempre sui miei genitori. Per questo i soldi per il corso di break dance non mi sarebbero dispiaciuti. Questo dono inoltre coinvolgeva anche il futuro; certo, non lo prevedeva o cos'altro, ma sapeva semplicemente se qualcosa sarebbe andata bene o male. E ci azzeccava sempre.

“E a lavoro come è andata?” Lui sospirò.

“Abigail, domani a scuola potresti tentare di investire qualcuno, così avrò da fare qualcosa” scherzò lui.

“Ancora meglio; domani persuaderò le cuoche a lasciarmi cucinare, così avrai quattrocento casi di avvelenamento” mormorai imbronciata.

“Abigail, stavamo scherzando” disse mia madre con un sorriso.

“Sì, lo so” mi girai più serena con il panino già fatto. Mio padre continuò il discorso.

“In una piccola cittadina sono pochi i pazienti. Non c’è molto lavoro. Ma meno gente sta male, meglio è.”

Il suo lavoro gli stava molto a cuore. Mi diceva sempre che riuscire a fare il medico era stata una delle sue più grandi fortune da quando era diventato vampiro; mi aveva detto che si sentiva ogni volta felice al pensiero che se non fosse stato un vampiro “vegetariano” avrebbe ucciso tante persone quante ne salvava ora.

“Il posto è abbastanza tranquillo e per esattezza” si rivolse a me in aria di sfida “sono state tutte le infermiere che ho conquistato”

“Così si fa!” gli dissi facendogli vedere il pugno, che lui colpì con il suo. Il suo viso poi si illuminò immediatamente, diventando quello di un bambino.

“E ho saputo una notizia fantastica” Da tempo non lo vedevo così entusiasta. “Questa casa prima era di proprietà di Carlisle Cullen!” Anche mia madre divenne radiosa.

“Davvero!” Annuì la testa sorridendo.

“Il dottor Cullen, con moglie e cinque figli.” Scosse la testa ancora dalla sorpresa. “Alla fine ci è riuscito anche lui.” I miei genitori erano entrambi commossi. Io invece no. Qualcosa non andava proprio. Non avevo la più pallida idea di cosa stessero parlando, inoltre sapevo chi erano i Cullen, ma questo Carlisle…

“Chi è Carlisle?” Mio padre si sorprese di nuovo.

“Non ti ricordi? Eppure te l’ho detto molte volte chi è...”

“Ah...! È quel vampiro che ti ha insegnato la dieta vegetariana?” Ora ricordavo. Papà lo stimava tantissimo. Diceva che non aveva mai incontrato un vampiro come lui.

"Sì" rispose lui. Aspetta, aspetta. Mi stava prendendo il panico. Cominciai a ragionare: se il signor Cullen era un vampiro vegetariano... doveva esserlo anche la sua famiglia. Quindi... Bella... si era innamorata di un vampiro. Un'espressione di terrore mi si dipinse in volto. Oh... I vampiri erano tutti bellissimi ed era una delle loro caratteristiche che usavano per attirare le prede e mangiarle. Bella stava per essere uccisa da un vampiro. Vegetariano, ma sempre vampiro era. No, no, aspetta... Jessica aveva detto che erano stati insieme per più di un anno. Non si trattava di questo, l'avrebbe già uccisa, Non può essere riuscito a resistere per un anno. Ma che...!

"Cosa c'è Abigail?" Sentivo le sopraciglia contrarsi. Guardai in faccia mio padre.

"È possibile che uno dei figli del tuo amico sia umano?" Lui scosse fortemente la testa.

"No, impossibile. La tua situazione è più unica che rara. Conosco Carlisle molto bene e non avrebbe rischiato. Perchè secondo te è così?"

"Perchè una ragazza che ho conosciuto a scuola era la fidanzata di uno dei figli" dissi in un sospiro. Entrambi i miei genitori ora avevano la mia stessa espressione.

"Sei sicura che ti abbiano raccontato la verità?" disse scettico. Non ci credeva nemmeno lui.

"Sì, perchè mentirmi?" Mio padre si prese il mento tra le dita: era la sua posizione del pensatore.

"Si possono essere innamorati davvero?" ripresi io. Anche mio padre aggrottò le sopracciglia.

"Non amore. È molto più probabile che sia infatuazione l'uno con l'altro. È quello che è successo a me a tua madre." Lo vedevo ancora molto dubbioso. "Ma sono molto più convinto che il vampiro in questione non si sia del tutto adattato alla dieta." Ovvero, voleva mangiarla.

"Sono stati insieme per più di un anno" precisai io. Spalancò gli occhi. Mio padre si sorprendeva abbastanza raramente e fui sorpresa anch'io della sua reazione.

 

olte vote chi è!"pure i nuovo,

esto Carlsile...ullen! l'il suo. dre ne aveva tanta di fortuna..- si sentiva appagato ogni volto"Per più di un anno?!" disse perplesso. Io annui sicura. Lui scosse la testa.

"No, è impossibile. Un vampiro non può reprimere il suo istinto per così tanto tempo. Forse ha molti secoli di esperienza alle spalle è riesce a resistere al sangue umano come me e Carlisle..." si fermò un attimo. Quando pensava gli capitava qualche volta di ragionare ad alta voce e lentamente, nonostante fosse un vampiro abituato a fare ragionamenti impossibili in millesimi di secondo.

"E' strano però, Carlisle non avrebbe mai permesso che uno dei suoi figli arrivasse fino a questo punto, indipendentemente dalla capacità di reprimere il proprio istinto." Fece un respiro profondo e mi guardò negli occhi sconsolato.

"Non ho mai sentito nulla del genere, Abigail. Non so proprio cosa pensare." Se lui non sapeva cosa pensare allora io avevo un terribile disordine in testa, molto peggio di quello che lasciavo in bagno dopo essermi fatta la doccia. Un vampiro ed un'umana, legati da nessun particolare legame parentale, PAM!, passano un anno insieme, come una dolce coppia di fidanzatini. Più che un dato di fatto assomigliava ad una barzelletta: ehi gente, sapete qual'è il colmo per un vampiro? Infatuarsi di un'umana e restare con lei per più di un anno senza mangiarla! Ah... ah... ah...

La mia malata fantasia si interruppe quando incrociai gli occhi di mia madre. Non aveva aperto bocca da allora. Lei era molto più obbiettiva di papà e prima di esprimere il proprio giudizio voleva conoscere appieno la situazione.  

"E' assurdo, ma effettivamente non c'è altro che lo possa spiegare." Riprese mio padre

"Cosa?" Mi stava tenendo sulle spine; questa storia assurda mi aveva dannatamente coinvolto.

"Non si può più trattare di semplice infatuazione o attrazione carnale, ma di qualcosa di molto più forte e molto più grande, a questo punto. E' possibile che ci sia stato davvero dell'amore. A dirla tutta, per quanto ne so, non è mai successo una situazione del genere, ma forse non è detto che non possa avvenire." Papà cominciò a fare piccoli passi per la cucina; si era fatto completamente prendere anche lui, mentre io cercai mi spremetti le meningi per seguirlo.

"Si spiega la capacità del vampiro in questione di reprimere la sua stessa natura e a resistere al suo sangue per così tanto tempo." Spalancai gli occhi. Poteva davvero accadere?! Un vampiro ed un'umana, insieme, per più di un anno intero. Più ripensavo a quello che aveva appena detto, più mi convincevo che era così. Anche se continuava a rimanere una totale assurdità. Sorrisi involontariamente, proprio io mi stupivo della assurdità? La mia vita era l'impossibilità fatta a persona. 

"In effetti... "

"...è molto probabile che sia così" finì mio padre per me. Si fermò e si sedette su una sedia della cucina; accavallò le gambe, incrociò le braccia e continuò a ragionare con lo sguardo perso sul soffitto bianco.

"Ipotizzando che questo sia vero allora quel vampiro deve avere avuto una forza di volontà poco comune. Mi chiedo come Carlsile abbia potuto gestire questa situazione..."

"E la ragazza?" Per la prima volta mia madre si univa al discorso.

"Una semplice ragazza, un po' taciturna. Quando però ho nominato i Cullen oggi a mensa il suo viso sembrava quello di un morto vivente" le risposi, consapevole solo troppo tardi che quello che avevo detto non era molto logico.

"Giusto, c'è poi anche la ragazza. Mi chiedo come abbia fatto a non sentirsi in pericolo vicino ad un vampiro; l'istinto porta gli umani a starsene lontano da noi..." Papà sembrava in un altro mondo.

"Può non sapere che lui fosse un vampiro" Fu la prima cosa che mi venne in mente.

"Assolutamente no. Dopo così tanto tempo lo deve sapere. Anzi, a parer mio lui glielo deve aver detto fin dall'inizio..." Sembrò poi tornare tra noi.

"Un vampiro ed un essere umano. Ne avevo sentite tante, ma questa mi era del tutto nuova..."

Dopo quest'ultima frase di papà calò uno strano silenzio su tutta la casa. Se era vero quello che aveva detto su quello che c'era tra quei due, allora Bella aveva tutte le ragioni di questo mondo per essersi comportata in quel modo. Se aveva rischiato la propria vita per stare con la persona che amava vuole dire che anche lei lo amava da impazzire. Sapere che non l'avrebbe più visto aveva dovuto ucciderla. Aveva davvero un carattere forte se era riuscita a non strisciare a terra agoninate. Almeno, a me non era sembrato...

"Quei due si amavano fino al punto da rinunciare alla propria vita e reprimere la propria sete" spezzai io il silenzio, riassumendo il punto della situazione. C'era però qualcosa che continuava a non quadrare. Alzai lo sguardo che nel frattempo si era perso nel vuoto.

"Ma allora perchè i Cullen se ne sono andati? Questo non ha alcun senso"
"Abigail, adesso credo che tu stia chiedendo troppo" mi interruppe mamma.

"Tua madre ha ragione. Effettivamente noi non c'entriamo niente con questa storia e per quanto ci riguarda un'ipotesi può essere più improbabile dell'altra. E anche quello che abbiamo dedotto può non essere vero. Inoltre i Cullen se ne sono andati; non ha più senso parlarne" concordò anche mio padre.

"Abbiamo quindi sparlato della famiglia del tuo amico fino ad adesso?" dissi io neutra. Lui si girò verso di me con un sorriso enigmantico.

"Sì, ma nel senso buono del termine." Io risposi al sorriso.

Avevano ragione, ma il fatto che un vampiro ed un'umana si era innamorati era tanto assurdo quanto il fatto che si siano lasciati. Perchè? Avevano rischiato tanto fino a questo punto, perchè improvvisamente lasciar perdere?

"Cerca di lasciar perdere questa storia, va bene?" La mano di mamma sulla mia spalla mi fece tornare alla realtà, come se mi avesse letto nel penisero. Ed in un certo senso ci riusciva. 

"Sì, certo, non è affar mio..."

Giusto, dovevo lasciar perdere questa storia. Finché non ne sapevo niente era come andare alla cieca. Era però un mistero davvero avvincente e poi centrava Bella. Avrei voluto fare qualcosa per lei, soprattutto adesso che conoscevo parte della storia; entrambe abbiamo avuto a che fare con i vampiri. Mi sentivo vicina a lei, nonostane l'avessi conosciuta solo oggi. Cercai però di non badarci più e pensare ad altro di più importante. Ammirai il mio secondo panino e gli diedi un morso.

 

 

 

 

Allora? Che ve ne sembra? Le cose si stanno facendo interessanti. Anche se procederanno un po' lentamente vi chiedo di avere pazienza.

 

X RiceGrain: Ciao! Sono contentissima che il primo capitolo ti sia piacciuto! Spero lo sia anche questo! Grazie tante per il commento! :)

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 3
*** Terzo Capitolo ***


Terzo Capitolo

 

Terzo Capitolo

 

 

Il giorno dopo l’arrivo con la moto attirò meno l’attenzione. La parcheggiai sul marciapiedi nello stesso posto. Faceva davvero freddo e ieri aveva persino cominciato a nevicare. Questo non andava affatto bene per lei: la neve rischiava di rovinare il telaio se si tramutava in grandine. E non credevo che qua ci fossero parcheggi al coperto. Dovevo trovare un altro mezzo alla svelta. Farsi portare da mamma e papà non se ne parlava nemmeno, soprattutto se uno aveva una Lamborghini e l’altra un’ Alfa Romeo da competizione. Pensavo ad un’auto di seconda mano, ma in realtà mi bastava solo che andasse avanti. Sarebbe però stato difficile trovarne una. Inoltre non avevo soldi a sufficienza, cioè, soldi miei; non mi andava di chiedere un prestito ai miei. E per avere soldi serviva il corso di break dance. Fu per questo che la prima cosa che feci entrata a scuola era cercare Eric, Mike, Bella, o qualcuno che conoscevo per chiedergli del corso.

Mi mossi ad entrare; oggi era pieno di studenti infreddoliti. Un gruppetto di ragazzi vicino a me stava parlando entusiasta di una prossima battaglia a palle di neve. Un brivido mi percorse la schiena e scossi la testa automaticamente. Odiavo la neve. Era fredda, bagnata, e si scioglieva. Ed era sicuro che “freddo più bagnato” era uguale per me a “febbrone da cavallo” ed io odiavo restare a casa ammalata.

Cercai con lo sguardo qualcuno che conoscessi, ma alcuni ragazzi parecchio alti mi ostruivano la vista. Sbuffai. La mia statura qualche volta era davvero detestabile.

“Ehi, Abigail” Mi girai di scatto. Eric si era avvicinato e mi stava camminando vicino.

“Ciao Eric

“Vogliamo organizzare una partita di palle di neve per quando ce ne sarà di più. Vuoi partecipare?” Il suo entusiasmo quasi mi convinse.

“Mi spiace, ma… io detesto la neve. E mi ammalo facilmente” Lui si dispiacque un po’.

“Perché ce l’avete tanto con la neve tu e Bella?” se ne uscì scherzoso. Per me la vera domanda era: perché diamine non ce l’avete voi con la neve.

“Magari assisto…” dissi io pensando già con rassegnazione che razza di campo di battaglia umido, bagnato e fradicio poteva diventare tra poco quella scuola. Speravo tanto che non nevicasse quel giorno, ma il tempo fuori dalla finestra sembrava dire tutt’altro. Cavolo, la moto! Come avrei fatto ad accenderla con questo freddo?! Non si prestava proprio ad essere una buona giornata per me. Soprattutto con due prime ore di inglese.

Eric decise di accompagnarmi fino alla fine del corridoio, non molto lontano dalla mia classe. Approfittai del momento di silenzio per domandargli del corso di break dance.

“Senti” cominciai “sai per caso se qui a Forks c’è qualche corso di break dance?” In quel momento per Eric io mi ero trasformata in un alieno. Era terribilmente irritante quando le persone mi guardavano come se fossi un maiale blu, cosa che accadeva spesso, ma non sarei mai riuscita a farmene una ragione.  

“Vuoi iscriverti ad un corso di hip hop?” mi disse guardarmi sorpreso ed incuriosito allo stesso tempo.

Break dance” corressi subito “e no, non mi voglio iscrivere ad un corso. Ne voglio creare uno io. Per questo ti sto chiedendo se ce ne già uno”

Ma va!” Credevo che la sua espressione di sorpresa avesse raggiunto la massima estensione, ma mi sbagliavo.   

“Sei davvero così brava?”

“A quanto dicono...” dissi a testa bassa. La sua faccia stava cominciando a mettermi in imbarazzo. Eric si fermò di colpo; eravamo arrivati alla fine del corridoio.

E sai fare quindi tutte quelle mosse strane…?” disse cominciando a fare con le braccia gesti parecchio strani.

“Sì” riuscii a dire io, nonostante non capissi quello che intendeva.

E sai fare anche quello strano salto all’indietro?” Ora stava esagerando.

“Sì” ripetei secca e monotona. E si chiama back flip!

“Cavolo! Che figata! Complimenti!” disse stranamente meno esaltato

“Grazie” Questa volta sembrava essere stato realmente sincero ed io mi sforzai di ricambiare allo stesso modo.

“Oh, giusto, il corso!” esclamò improvvisamente “Non ti preoccupare, hai via libera. Ancora un po’ e qua a Forks cominceranno a togliere la parola break dance dal dizionario. Mostrai il mio sorriso sghembo alla sua battuta.

E sai anche dove potrei trovare uno spazio adatto?” Mi rispose senza pensarci troppo.

“Non credo, l’unico decente può essere la palestra della scuola. Prova a chiedere in segreteria.” La campanella a quel punto suonò.

Be, ora devo andare…” disse Eric cominciando ad allontanarsi.

“A dopo!” gli risposi di rimando.

La mattina passò piuttosto in fretta ed il mio umore stava dondolando tra la felicità per il corso di break e la terribile ansia di trovarmi della neve addosso da un momento all’altro. La battaglia si svolgeva tra un’ora e l’altra ed avevo rischiato di essere colpita un paio di volte durante il tragitto da un blocco all’altro della struttura scolastica. Fui ben lieta quindi di raggiungere la mensa sana e salva. Mi misi in coda con calma e aspettai di prendere il mio vassoio e di riempirlo di un misero pasto. Mentre aspettavo riuscii a riconoscere la sagoma della persona davanti a me.

“Ciao Bella!” Lei si girò verso di me e ricambiò il saluto con un sorriso.

“Ciao, Abigail!” Oggi non sembrava avere la testa persa tra le nuvole come ieri. Improvvisamente la mia attenzione venne catturata da una strana cartellina gialla che portava in mano, bagnata un po’ qua e là, su cui erano visibili alcuni residui di neve. Capii che l’aveva usata per ripararsi dalle palle.

Che genialata!” dissi indicando la cartellina con un dito, ad occhi spalancati. “Avrei dovuto pensarci anch’io!”

“Ah…Questa?” fece lei, sollevando la cartellina, mentre lentamente raggiungevamo il bancone del cibo. “Bhediciamo che non vado matta per la neve”

“A proposito di pazzia, io l’ho sempre detto che è matta la gente a cui piace la neve” concordai con lei. Lei sfoderò un sorriso solare.

“Oggi siamo particolarmente felici” dissi, contagiata dalla sua felicità. Ero sempre stata così; una sorta di spugna di emozioni. Gli stati d’animo degli altri mi influenzavano quasi più dei miei.

“Già” rispose lei sempre con lo stesso tono. Mi ricordai improvvisamente della discussione di ieri e cominciai a guardarla con attenzione. Avevamo concluso di non dirle niente sul fatto che i miei genitori fossero dei vampiri, principalmente perché non sarebbe stata una buona idea farle ricordare brutti momenti. Per essere più precisi, presunti brutti momenti. E poi l’avrebbe scoperto da sola; sapeva quali erano le particolarità fisiche dei vampiri e le avrebbe riconosciute presto nei miei genitori non appena li avrebbe visti, cosa che sarebbe accaduta non appena sarebbe andata in ospedale, quindi, data la sua capacità d’equilibrio, molto presto. I suoi occhi che per un attimo le si illuminarono mi fecero portare alla realtà.

“Oggi io, Mike, Angela, Ben e un mio amico andiamo a Port Angeles a vedere un film, vorresti venire anche tu?” Prendemmo entrambe un vassoio e lo trascinammo sul bancone.

“Oh…” dissi dispiaciuta “Credo proprio di no. Ho un po’ di cose che vorrei sistemare entro oggi con il corso di break” Lei si girò sorpresa verso di me.

Break dance?” Ecco, il suo non era un “sorpreso-maiale blu”, ma più un “sorpreso-incuriosito”

“Eh già, voglio organizzare un corso di break dance. Tu credi che molti possono essere interessati?” Solo allora mi accorsi che la notizia ben presto sarebbe stato di vero dominio pubblico. Lei sembrò rifletterci un po’.

“Non so… è probabile di sì” disse mentre sollevò il vassoio dal bancone. “Ma io di sicuro non ci sarò” disse sarcastica.

Non serviva che chiedessi il motivo, perché non appena cominciammo a dirigerci verso il solito tavolo, lei inciampò. Io riuscii a prendere il vassoio in tempo, ma lei cadde a terra, sbucciandosi un ginocchio.   

 

A fine pranzo aveva smesso di nevicare e le nuvole si erano fatte più chiare. Tutti gli studenti erano piuttosto depressi, ma zitta zitta io stavo gioendo. Come avevo previsto, il mio corso di break dance aveva già raggiunto le orecchie di molti, soprattutto dopo che Eric lo aveva comunicato a tutto il nostro tavolo. Avevamo parlato principalmente tutto il tempo di quello, e tutti furono sorpresi. Era davvero strano che una ragazza facesse break dance? In cambio però avevo avuto la conferma che più di qualcuno era interessato. La mia felicità però per quel giorno era del tutto finita. Alle ultime due ore c’era ginnastica ed io la odiavo, per il semplice fatto che finivo sempre per far del male a qualcuno. Odiavo lavorare con qualcosa che non fosse il mio corpo e lanciare una palla non rientrava nelle mie facoltà. Sconsolata mi diressi verso la palestra, che avevo imparato dov’era. L’inizio cominciò già male; il professore di ginnastica, il prof Clapp mi aveva consegnato l’uniforme per le sue ore. E comprendeva pantaloncini corti. Me li misi con grande difficoltà; mi davano terribilmente fastidio e mi sentivo come se fossi nuda. La lezione andò peggio. Cominciammo le battute di pallavolo ed io riuscii a spaccare una delle lampade del soffitto, non particolarmente alto, oltre a colpire due teste. Con la break dance e la corsa avevo sviluppato forti muscoli, non esageratamente appariscenti, ma in grado di colpire molto forte. Ed io non sapevo gestire la mia forza con un oggetto. In cambio potei però constatare che la palestra era sufficientemente grande per le mie lezioni.

 

Alle quattro ero a casa, di nuovo felice. Avevo parlato con la segretaria ed ero riuscita ad avere l’autorizzazione per l’uso della palestra due ore a settimana.

“Buona sera a tutti” acclamai entrando dalla porta che dava al garage. Mia madre e mio padre erano in salotto. Lui stava leggendo, lei stava ammirando un mucchio di disegni di bambini delle elementari.

“Ciao, Abi” dissero quasi contemporaneamente. Portai la mano alla bocca e tossii.

“Vorrei fare un annuncio” Due bellissime teste, si girano lentamente verso di me.

“Da questo martedì cominceranno le lezioni di break dance dell’insegnante Abigail Adams!”

Uao!” esclamò mia madre entusiasta.

“Dammi il pugno!” disse mio padre porgendolo. Io lo colpì non troppo forte.

E quindi ho bisogno del computer per i volantini per diffondere l’incredibile notizia. Non vorrei fare lezione al muro.” dissi immediatamente.

“Certo, fai pure” disse lui, in quel momento la rilassatezza fatta a persona. Non persi tempo e mi diressi in camera mia per indossare qualcosa di più comodo.

Abigail! La cena e pronta per le otto!” sentii gridare mia madre mentre salivo le scale.

“Va bene” le risposi io.

Tempo dieci minuti ed ero già sul computer di mio padre, nel suo ufficio, mentre cercavo di richiamare alla testa tutte le mie conoscenze del corso di informatica dello scorso anno. Mi ci vollero pochi minuti per fare un volantino decente e stamparlo su cartoncino rosso, preso quell’oggi prima di tornare a casa; avrebbe risaltato e si sarebbe fatto notare. Ne feci una cinquantina di copie, sperando che potessero bastare. Guardai il mio lavoro soddisfatta ed andai giù in cucina per la cena.

 

Quello che seguì fu un weekend piuttosto tranquillo. Il sabato successivo mi alzai ovviamente ad orari indecenti e passai la mattinata a cambiare le gomme della moto con quelle invernali, almeno finché non avrei trovato un altro mezzo con la quale sostituirla. Il pomeriggio invece lo passai a spargere i volantini per ogni locale ed infrastruttura di Forks. Gli avrei attaccati anche ai pali del telefono, se la perenne pioggia non li avrebbe infradiciati e staccati. Ne diedi alcuni anche a mamma per portarli a scuola; i bambini, soprattutto i maschietti, adoravano rotolare per terra come dei palloni. Approfittai di questa “full immersion” di Forks per parlare con qualcuno degli abitanti e per farmi conoscere. Mi stupii del fatto che qui tutti si dimostravano disponibili e gentili; sembrava una grande e grossa famiglia fatta a paese. Incontrai anche Mike e sua madre, al negozio di trekking. Tutti mi chiesero della mia famiglia e della vita a Chicago, ma questa volta mi ero ripassata la parte e seppi rispondere/mentire bene.

Di tanto in tanto, inoltre, domandavo dove potessi trovare un’auto di seconda mano. L’unico risultato che ottenni era che macchine di seconda mano potevo comprarle dal meccanico del paese, un certo John Dowling, ma mi avvertirono che costavano comunque un occhio della testa.

A fine pomeriggio arrivai alla centrale di polizia, l’ultima mia meta di quel lungo tour. Scesi dalla moto ed entrai. Non faceva molto caldo, ma almeno si stava all’asciutto.

“Mi dica signorina” mi chiese un poliziotto al bancone dell’entrata. Era il tipico poliziotto che si vedeva nei telefilm, con qualche chilo di troppo e una ciambella in mano. Mi avvicinai sorridendo.

“Posso appendere un paio di questi?” dissi sollevando i volantini ed indicando la bacheca in sughero per metà piena lì vicino.

“Certo” mi rispose addentando un pezzo di ciambella. Mi diressi verso la bacheca e con le puntine che avevo portato da casa appesi i volantini che erano rimasti in bella vista, mentre il poliziotto simpatico del bancone mi guardava interessato. Pensandoci bene in una città con poco più di tremila abitanti era comprensibile che l’indice di criminalità non fosse alle stelle e che la noia era di giornata qui alla stazione. Sentii il poliziotto sghignazzare.

“Ehi, capo! Ti interesserebbe un corso di break dance?” Dalla stanza vicina uscì un altro poliziotto, lo sceriffo, da come era stato chiamato. Era più asciutto del primo, ma anche lui a pancetta non scherzava e la calvizie stava cominciando a farsi vedere. Lesse velocemente il volantino e sorrise anche lui.

“Ah, non credo che qui riusciresti a reclutare qualche coraggioso!” disse mentre sorseggiava il caffè che aveva in mano. Io feci spallucce sorridendo.

“Erano gli ultimi rimasti.”

“Ah bhe, se erano gli ultimi…” ironizzò il poliziotto simpatico, provocando piccole risa generali.

“Tu devi essere la nuotata arrivata, Abigail Adams, non è vero?”

“Sissignore”  

“Io sono il capo della polizia Charlie Swan, mentre lui è il sergente Jimmydisse mentre mi porgeva la mano. Io la strinsi.

“Piacere, signorina” disse Jimmy alzando la ciambella.

“Il piacere è mio”

“Mia figlia mi ha parlato un po’ di te.” Solo allora me ne accorsi: Swan era il cognome di Bella.

“Ah, spero che le abbia raccontato buone cose su di me…” Lo sceriffo contraccambiò sorridendo.

“Ehm… senta, potrebbe farmi una cortesia?” Volevo provare per un’ultima volta la domanda della macchina.

“Certo” mi rispose, facendosi serio.

“Sa dirmi dove potrei trovare un’auto di seconda mano? Che non sia da John Bowling?” tenni a specificare. Charlie ci pensò su per un po’, ma poi scosse la testa.

“Mi spiace, ma credo che l’auto di seconda mano più vicina che potrai trovare è a Seattle”

Ma, scusa un momento” disse improvvisamente Jimmy. Io mi voltai verso di lui.

“Che rimanga tra noi” iniziò guardandomi sottecchi “Con tutti i soldi che ha la tua famiglia, non puoi comprarti un’auto nuova?”

Jimmy! Smettila di ficcare il naso!” urlò lo sceriffo con voce possente.

“Fa niente” risposi io. Non era stato il primo che me l’aveva domandato.

Diciamo che voglio arrangiarmi da sola” Jimmy cominciò a puntarmi con l’indice della mano libera.

“Tu sì che farai strada, ragazza” Lo ricambiai con un sorriso, mentre allo sceriffo gli si illuminarono per un istante gli occhi.

“Senti, forse so chi potrebbe vendertene una. Sai dov’è la riserva di La Push?” Io scossi la testa; non l’avevo mai sentita nominare.

“È ad un quarto d’ora di macchina a sud -ovest da Forks. Lì c’è il figlio di un mio amico che costruisce auto. Mmmhhh… in gamba, il figliol prodigio.

“Magari se vi mettete d’accordo lui te ne può costruire una. Non garantisco niente, ma chiedere non costa nulla, no?” Prese carta e penna e cominciò a scrivere. “Questo è il suo indirizzo di casa ed il suo numero di telefono. Mi porse il foglietto di carta e lo guardai: Billy e Jacob Black. Chissà chi era il figlio e chi il padre.

“Lo chiamerò dopo per dirgli che sei interessata” mi disse con un sorriso

“Grazie, signor Swan” gli risposi cordiale prendendo il foglio. Mi trattenei alla stazione per ancora alcuni minuti. Tornai a casa piuttosto felice. Prima il corso di break, adesso l’auto. Le cose stavano andando davvero bene per me.

 

La mattina del giorno seguente mi svegliai abbastanza presto. Colpa di strani incubi che non riuscivo a ricordare. Il risveglio però fu uno dei più piacevoli, perché quella mattina c’erano meno nuvole del solito. Quella sì che era una bella giornata per Forks. Di domenica, poi, era il massimo. Di certo non sarei rimasta a casa a far niente. Andai quindi giù in cucina per la colazione.

“Come mai già sveglia?” chiese mia madre intenta ad addobbare e rimpinzare il salotto di fiori, come se la natura appena fuori alla porta non bastasse.

“Strani sogni che neppure ricordo” risposi mezza addormentata mentre aprivo il frigo per il latte e la mensola dei biscotti. Mi preparai la colazione in silenzio, aspettando che la nebbia nella mia testa si diradasse.

Dov’è papà?” dissi a mamma con la bocca piena di biscotti.

“È all’ospedale; questa settimana fa anche il weekend, così la prossima possiamo andare in perlustrazione” gridò lei dal salotto.

“Bene…” risposi io ,appoggiando la testa sul braccio e pensando come avrei passato quella sacra giornata di sole. Nonostante il sonno riuscì a venirmi il colpo di genio. La Push; sarei potuta andare a La Push. Era domenica e non credevo fosse una bella idea andare a disturbare il “figliol prodigio amico delle auto” e suo padre. Avrei potuto però vedere la favolosa riserva. La semplice idea riuscì a darmi un po’ di energie in più. Misi la tazza nel lavello e dalla sedia della cucina mi stravaccai sul divano del salotto.

“Mamma, oggi pensavo di andare a La Push” le comunicai la mia decisione. Lei non tolse lo sguardo dal vaso di fiori davanti a sé.

La Push? La riserva, dici?”

“Ne hai sentito parlare?”

“Sì, dicono che non abbia una brutta spiaggia per…”

“Spiaggia?! Con il mare, dici?!” Io adoravo il mare. Non importava se non c’era un sole che spacca le pietre, andava bene così. Avevo sempre vissuto a Chicago ed ovviamente il mare me lo sognavo, ma da quando ero andata a San Lucas quell’estate me n’ero innamorata. Certo, Chicago si affacciava sul Lago Michigan, ma personalmente detestavo l’acqua dolce dei laghi.

“Non lo sapevi?” chiese lei guardandomi questa volta negli occhi. Io scossi la testa. Non aspettai altro ed andai subito in camera a prendere il casco della moto. Il minuto dopo ero già in sella, direzione La Push.

Mi ci vollero solo otto minuti per raggiungere il cartello di benvenuto. La strada percorreva la costa alta e frastagliata e dava sul mare, mentre l’insieme di case che formavano la riserva dovevano trovarsi un po’ più là perché dalla strada non riuscii a vederle. Parcheggiai la moto vicino ad una scalinata che portava giù alla spiaggia. Gli scalini erano parecchio ripidi e dovetti fare altrettanta attenzione. Mi avvicinai al mare, attenta a non bagnarmi ed inspirai lentamente l’aria salmastra. L’odore mi inebriò le narici. Che magnifica sensazione. Mamma aveva ragione, la spiaggia era davvero bella. La sabbia era sostituita da piccoli sassi d’ogni colore e in qualche punto giaceva qualche tronco, portato dalle onde o disposto da qualche campeggiatore per un falò. Il mare non era di un azzurro brillante come in California, ma rispecchiava comunque quei pochi raggi di sole con un colore tra l’azzurro ed il grigio. Era un po’ mosso per il vento, e ad ogni onda che si infrangeva sentivo piccole gocce salate sul viso. Lo spettacolo era incorniciato da qualche scoglio solitario che spuntava ogni tanto all’orizzonte. Mi guardai intorno; strano, non c’era nessuno con questa giornata. Ero da sola, ma questo non mi spaventava, anzi, era meglio. Adocchiai un tronco bianco ed eroso dall’acqua e mi sedetti sopra. Tirai fuori l’mp3, mettendo a basso volume musiche rilassanti. Era troppo forte la sensazione di buttarmi in acqua; nuotare era bello tanto quanto correre. Non vedevo l’ora che arrivasse l’estate per poter fare qualche tuffo.

Mi sistemai meglio sul tronco incrociando le gambe.

Quando avevo lasciato Chicago ero un po’ depressa e sconcertata; credevo che qui a Forks mi ci sarebbe voluto parecchio tempo per sentirmi a mio agio. Invece tutto quello che era successo aveva superato le mie aspettative; avevo incontrato persone simpatiche, avevo organizzato subito il corso, stavo forse per combinare anche la macchina e cosa più importante di tutte c’era il mare! Sapevo che Forks si trovava vicino alla costa, ma il mio senso della distanza non era dei migliori.

Chiusi gli occhi per qualche minuto. Forks era davvero una città strana. Mi piaceva l’idea di passare qua un po’ di tempo fino a quando la scusa non sarebbe più stata credibile, vivendo in pace e in tranquillità. Sorrisi tra me; vivere in pace e in tranquillità tenendo in conto due genitori vampiri. Aprii gli occhi di scatto; a pensarci bene la tranquillità era già andata a farsi benedire con lo scandalo di Bella. Quella dannatissima domanda che ero riuscita a rimuovere ora mi stava ritornando alla mente: perché diamine i Cullen se n’erano andati, lasciando Bella da sola? Forse non se n’erano proprio proprio andati. Forse avevano dovuto traslocare per il problema dell’età e la venivano a trovare qualche volta. Ma allora perché non se n’era andata anche lei con loro? Forse voleva finire la scuola oppure…

No, era inutile ipotizzare a caso. Se volevo scoprirlo potevo saperlo solo da lei, ma con che diamine di faccia tosta sarei andata da lei e le avrei chiesto di raccontare la storia della sua vita? E poi c’era anche Charlie. Lui lo sapeva che i Cullen erano dei vampiri?

In quel momento mandai tutto a quel paese, promettendo a me stessa che non avrei mai osato torturare in modo così crudele la mia mente. Fino a quando Bella non avrebbe scoperto che i miei genitori fossero dei vampiri, ovvio.

Una goccia sugli occhi mi fece tornare alla realtà. Acqua? Ero troppo lontana dalla riva per sentirla sul viso. In breve mi accorsi che non proveniva dal mare, ma direttamente dal cielo, che si era fatto di nuovo grigio e stava cominciando a piovere. Imprecai tra me e me. Era meglio se me ne andavo prima che cominciasse ad aumentare. Corsi verso la moto, misi il casco e partii.   

Svoltai solo un paio di volte e finalmente vidi i primi abitanti della riserva. Passai veloce accanto a loro e non riuscii a distinguerli bene, ma potei vedere il loro mastodontico corpo abbronzato coperto solo da un paio di bermuda, nonostante non fosse decisamente la stagione per il torso nudo. Il mio primo pensiero fu che fossero i soliti e dannatissimi fighetti pompati.

 

 

Il giorno dopo finii la propaganda dei volantini. La scuola era l’unico posto dove non avevo potuto appenderli perché durante il fine settimana era chiusa. Fu la prima cosa che feci non appena entrai. Bhe… in realtà fu quella di trovare la bacheca, ma non fu difficile; una grande tavola di sughero piena di volantini era posta sulla parete a sinistra dell’entrata. Cercai un posto in bella vista e ne appesi uno. Mi soffermai anche a guardare gli altri volantini. C’era proprio di tutto: dalla vendita di cd a quella di lettiere per gatti. Uno vendeva due vecchie moto, un altro offriva la possibilità di fare bungie jumping, un altro ancora vendeva tazze di ceramica antiche, un altro… Mi fermai di colpo e tornai indietro. Aspetta un attimo, bungie jumping? Staccai dalla parete il volantino verde in questione e lo lessi attentamente. Uno sport center a Port Angeles dava l’occasione di provare l’ebbrezza del bungie jumping a un prezzo che presi in grande considerazione. Era da parecchio tempo che covavo la voglia di provare a farlo e i miei me l’avrebbero permesso sicuramente. Il problema era il costo; non era eccessivo, ma dovevo risparmiare per la macchina. Decisi di prendermi un po’ di tempo per pensarci… tre… due…uno… va bene, lo faccio, la macchina poteva anche aspettare. Non potevo dire che non ci avevo pensato. Sul volantino c’era scritto che i giorni disponibili andavano dal lunedì al sabato e si svolgeva di pomeriggio. Prima era, meglio era; l’effettiva possibilità di poterlo fare aveva aumentato la voglia, perciò organizzai il tutto per mercoledì. La mia concentrazione fu brutalmente disturbata dal suono della campanella. Piegai il foglietto e lo misi nello zaino, mentre mi dirigevo verso l’aula di biologia.

Appena entrata mi sedetti al mio solito posto e salutai Bella. Lei mi rispose con un tono strano, quasi assente. La guardai bene in volto; aveva le sopracciglia aggrottate ed era tutta immersa nei suoi pensieri. Chissà a cosa stava pensando. Evidentemente a un qualcosa di molto più brutto che bello. Provai ad intavolare uno straccio di conversazione.

“Allora, come è andata l’uscita al cinema di venerdì?” cercai di chiedere con entusiasmo. Lei sbuffò e si prese la testa con le mani, come se avesse il mal di testa.

“Un disastro in tutti i sensi” disse quasi stanca.

Si interruppe all’arrivo del professore in classe. Le due ore seguenti passarono piuttosto lente, anche se la lezione era interessante. Bella non avrebbe aperto bocca per tutto il tempo, se non le avessi parlato io, un po’ chiacchierando sulla sua uscita al cinema ed un po’ blaterando. Quasi mi dispiacque di non essere andata quel venerdì; la grande compagnia si era ridotta a tre persone, lei, Mike ed il suo amico, il film poi era scadente e tutti e tre erano tornati a casa con uno strano virus intestinale. Pensandoci bene, forse era stata una fortuna non andare. Finita la lezione mi misi subito lo zaino in spalla.

“Vuoi che ti accompagni a spagnolo?” chiesi a Bella. Lei sembrò guardarmi per la prima volta.

“No, figurati, è dall’altra parte della scuola” Il suo tono però era abbastanza deciso.

“Va bene…” me ne uscii io, dirigendomi verso la porta.

Abigail, aspetta! Hai perso questo…” mi urlò Bella quando fui già arrivata alla porta. Mi girai verso di lei. Teneva in mano il volantino verde e lo stava guardando con attenzione.

“Oh, grazie!” dissi prendendolo. “Ci vediamo dopo!” Mi ero appena incamminata che mi fermò un’altra volta.

Abigial!” Si avvicinò a me. Eravamo una di fronte all’altra in mezzo al corridoio tra un mucchio di gente; non il posto perfetto per una discussione.

“Hai intenzione di darti al pericolo?” chiese indicando il volantino verde.

“Oh, sì, mi piacerebbe” le risposi mentre lo mettevo via.

“Ah… uau…” Io la guardai negli occhi; era esitante.

“Mi devi chiedere qualcosa?”

“…S- sì” mi disse dopo un po’. Perché stava tentennando in questo modo?

Ehmm….” mormorò lei “Mi piacerebbe molto anche a me” Ah, capito. Aveva paura di dimostrarsi troppo presuntuosa ad autoinvitarsi.

“Oh. Eh… vorresti venire con me?” la aiutai io. Lei mi sorrise.

Perché no?”

“Io pensavo di andarci mercoledì, ma se per te non va bene…”

“No, per me va bene” Sembrava aver riacquistato un po’ di solarità.

“Va bene. Comunque vedrò di telefonare oggi per sapere qualcosa di più o per prenotare, se si può.”

Ok. Magari vieni da me, così andiamo a Port Angeles insieme”

“Perfetto” L’inverso sarebbe stato assolutamente inadeguato. “Fatta?” Le porsi il pugno, che lei guardò per un attimo confusa prima di colpirlo.

“Fatta.”

 

“Allora, com’è andata la prima lezione?” chiese mia madre sedendosi sul divano vicino. La domanda di mia madre era irritante e sarcastica. In quel momento mi ritrovavo spiaccicata sul divano del salotto, con ancora il giubbotto addosso ed il casco per terra. Era stato un pomeriggio impossibile.

“Non ce la farò. Non ce la farò” blaterai a faccia in giù, mentre il materasso attutiva il suono della mia voce.

“Proprio tu che sei piena di energie?” ribadì mio padre in piedi. In tutta risposta rotolai distrutta per terra.

“Perché tu non hai idea di come sia gestire venti persone di età compresa tra i sette e i dodici anni!” Mi misi a sedere. 

“È stata distruttiva come esperienza” esclamai rispondendo alla domanda di mamma. 

“Devi solo abituarti…” disse lei rilassata.

“Devo” affermai alzandomi finalmente in piedi.

“E comunque scommetto che ti sei divertita” incalzò mio padre. Io cominciai a sorridere sotto i baffi e a ciondolare prima di rispondere. Non volevo ammetterlo, ma sì, era stata proprio divertente quella prima lezione di break dance. Quei bambini rotolavano come dei palloni e quella fu la prima volta che provai una sorta di felicità ed allegria a vedere dei bambini impazziti; non c’erano dubbi che il mio senso materno nascosto e sepolto si stesse risvegliando.

“Sì” ammisi alla fine “Anche se io mi aspettavo ragazzi più grandi” dissi con un po’ di delusione. Certo, alla fine quella lezione era stata un vero successone e non dovevo nemmeno lamentarmi tanto, ma mi dispiaceva che nessuno della scuola si fosse presentato, soprattutto dopo che ne avevano parlato così tanto e si erano dimostrati così entusiasti.

“Ma è solo l’inizio” mi rassicurò mia madre “Vedrai che se ne aggiungeranno ancora”

“No! Venti bastano ed avanzano!” sbottai io, dirigendomi dritta su per le scale. Stavo prendendo veramente in considerazione l’idea di percorrere Forks in lungo ed in largo per togliere qualsiasi volantino rosso. Se solo avessi saputo che fosse stato così difficile… inutile, l’avrei fatto comunque. 

Cosa vuoi per cena?”

“Niente, mamma, vado subito a dormire”

“Allora è stato più distruggente di quanto pensavamo”

“Sì, papà” risposi io a macchinetta, quasi un po’ scocciata. Non mi trattenei ancora per molto in salotto; non era il momento adatto per una felice conversazione famigliare. Andai dritta in bagno, mi feci una doccia e poi via sotto le coperte. Riuscii a dormire alla grande, preparandomi per il grande salto di domani.

 

 

 

 

Innanzitutto ringrazio inoltre in modo speciale tutti coloro che hanno messo questa storia nei preferiti o nei seguiti, oltre a tutti coloro che leggono questa fanfic! Riguardo alla ff….mmhhh… Le cose si stanno facendo un po’ noiose e lente, soprattutto in questo capitolo, me ne rendo conto, ma nel prossimo ci saranno un po’ più di dubbi ed un incontro un po’ particolare (eheh…). Inoltre sono un po’ corti, ma vedrò di rimpinzarli un po’ di più. Per il resto spero che come inizio vi intrighi e vi coinvolga. Commentate in numerosi! J

 

X RiceGrain: bhè… devi sapere una cosa, dopo un po’ divento parecchio noiosa e ripetitiva, quindi non sorprenderti se più di una volta ti ringrazierò usando le stesse identiche parole! J Sono davvero priva di fantasia in questo. Quindi ti scrivo che sono stracontenta che ti piaccia questa ff, ma soprattutto ti ringrazio per le tue opinioni ed i tuoi commenti, sempre ben accetti. Grazie ancora!  

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

                          

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Capitolo 4
*** Quarto Capitolo ***


Quarto Capitolo

Quarto Capitolo

 

“Allora? Che te ne pare?” dissi elettrizzata. Nelle vene scorreva adrenalina al posto del sangue. Davanti a me c’era uno strapiombo di decine e decine di metri cha finiva su una larga valle dove scorreva il più grosso affluente del lago Aldwell, a dieci minuti da Port Angeles.

“Allora, chi è la prima?” chiese Neil, l’assistente giovane e per niente brutto dello Sport Center.

Alle cinque precise di quel pomeriggio io e Bella eravamo già a Port Angeles, a un’ora d’auto da Forks, e non fu per niente difficile trovare l’agenzia per il pagamento e la compilazione di vari documenti per l’accertamento di buona salute e per l’esonero di qualsiasi responsabilità. Subito dopo il bel giovanetto bruno addetto all’attrezzatura e alla sicurezza che in quel momento stava preparando la piattaforma ci accompagnò sul ponte dove ci trovavamo in quel momento.

“Io!” dissi fuori di me. “Se non ti dispiace” completai guardando Bella. Era affacciata anche lei al parapetto del ponte da cui ci saremmo buttate e non sembrava decisamente tanto entusiasta quanto lo ero io; ci stava forse ripensando? Non si poteva tirare indietro proprio adesso…

“Vai pure prima tu” disse con una certa inquietudine negli occhi.

“D’accordo” feci io. Indossai la tuta che Neil mi porse e mi posizionai sulla piattaforma che era stata provvisoriamente preparata per noi. Vedendo il panorama da lassù mi venne un’altra scossa. Il giovinetto legò alle mie caviglie un’ampia e complicata imbracatura a cui era legato il gancio del cordone elastico. Non mi sentii particolarmente a mio agio quando mi domandò quanto pesavo, per la misura della corda. Ci mise cinque minuti per legarmelo, sufficienti per non sentirmi più i piedi; almeno non sarei di certo caduta. Poi mi fasciò intorno ai fianchi una secondo imbracatura a cui era collegata la corda di sicurezza. Infine legò l’altra estremità del gancio alla piattaforma.

“Ecco, fatto” disse dando una pacca all’imbracatura delle caviglie “Quando ti senti più sicura puoi buttarti. Ricorda che devi spingerti in avanti quando salti e di mantenere una posizione verticale. Quando i tre rimbalzi sono finiti aggrappati alla corda di sicurezza. Poi ti riporterò su.” Annuii convinta, posizionandomi sulla pedana. Voltai lo sguardo verso Bella, che sormontavo di un paio di metri per l’altezza della piattaforma.

“Un gelato a chi grida di più?” dissi con un sorriso a trentadue denti per l’emozione.

“Perderesti” disse lei più tranquilla di prima.

“Vediamo” Subito dopo mi lanciai nel vuoto. L’aria tuonava nelle orecchie e non riuscivo a muovermi per la sua potenza su di me; mi sentivo come un piccolo proiettile che scalfiva l’aria. Mi fu impossibile non urlare a squarciagola. Il mio sangue stava bollendo. Smisi di urlare solamente quando non avevo più fiato nei polmoni e sentii la velocità calare. Mi sentii poi risucchiare verso l’alto; non fu una bella sensazione. Percepii un forte dolore al coccige, ma con l’adrenalina in circolo e lo stomaco serrato quasi non lo sentii. Ci furono poi altri più corti rimbalzi, finché non mi fermai, penzolando a testa in giù.

Uao” era la parola più adatta per descrivere quello che avevo appena vissuto. Credevo che il bungee jumping fosse eccitante, ma mai fino a questo punto. Il cuore sembrava essere andato in tachicardia e non smetteva di battere. Capii che nella mia testa c’era troppo sangue quando sentii i battiti aumentare di risonanza in quella zona. Mi aggrappai alla corda di sicurezza e mi tirai a testa in su. Respirai profondamente cercando di calmarmi, ma senza successo; ero ancora troppo frenetica. Guardai in su e vidi le teste di Bella e di Neil sporgere dal ponte. Sventolai la mano facendo capire che stavo bene. Il secondo dopo sentii il cordone salire verso l’alto e riportarmi sulla piattaforma.

“È stato mitico!” fu la prima cosa che dissi appena salita. “Se non ti butti tu, ti butto giù direttamente io!” urlai esaltata a Bella.

“Ti è piaciuto?” disse il moretto slacciandomi.

“Da matti!” risposi io “È possibile fare un secondo giro?”

“Mi dispiace, ma due volte di seguito può essere nocivo alla salute. Ed è contro il regolamento” rispose lui amareggiato, mentre riavvolgeva il cordone. A pensarci bene però non so se sarei stata disposta farne un altro.

“Ora tocca a te” Era diventata dubbiosa e fui sul punto di credere che non l’avrebbe fatto sul serio.

“Vedi di tirare fuori il portafoglio” disse tutto ad un tratto, mentre andava ad indossare la tuta. Il moretto preparò Bella nello stesso modo e nello stesso tempo che impiegò con me. La vidi salire sulla pedana un po’ barcollante, ma dedussi che fosse per la sua scarsa capacità d’equilibrio.

“Come ti senti?” le dissi, già più calma. Questa volta era lei a guardami dall’alto me.

Quando sei pronta, salta pure” disse l’assistente. La guardai negli occhi per trovare la stessa eccitazione che provavo io. Lei però ce li aveva chiusi. A testa china stava inspirando ed espirando profondamente. La sua mano tremava, per l’agitazione, supposi. Forse non doveva buttarsi, forse non avevo interpretato bene la sua paura.

“Bella, che cos…” non finii nemmeno la frase che lei si buttò giù. Qualcosa non andava. Perché non gridava? Mi sporsi dal ponte, la vidi precipitare verso terra e rimbalzare tre volte. Il mio cuore stava ricominciando a battere, questa volta non per frenesia. Perché Bella non aveva gridato? Anche l’addetto si era sporto preoccupato.

“Tutto bene?!” gridò lui, quando Bella finì di rimbalzare. Lei però non si muoveva.

“Bella!” gridai con tutto il fiato che avevo in gola, con un urlo che batteva dieci a zero quello della caduta. Se le fosse successo qualcosa non me lo sarei mai perdonata. Anche se era più grande di me, ero stata io a coinvolgerla in quell’avventura e mi sentivo in un certo senso responsabile. Mi investii un grandissimo senso di sollievo quando la vidi arrampicarsi sulla corda e farci il gesto di “okay”. Alzai la testa e respirai, mentre anche l’assistente si rilassava.

Bella risalì in un batter d’occhio e rimasi spiazzata dalla sua espressione euforica, quasi più della mia. Aveva un sorriso che arrivava fino agli angoli della bocca e uno strano scintillio negli occhi.

“È stato stupendo!” esultò lei. Sì, stava davvero bene. Scese dalla pedana con un salto, ancora terribilmente emozionata.

“Certo che tu sei un fenomeno.” commentai io “Non hai neppure gridato”

“L’emozione è stata così grande da impedirmi di gridare” si giustificò lei “Lo rifarei sicuramente ancora” Era molto più determinata di me; non me lo sarei aspettata. Il suo comportamento mi aveva lasciato letteralmente a bocca aperta.

In pochi minuti Neil sganciò anche Bella. Con il furgone dell’agenzia ci riportò a Port Angeles, dove Bella aveva parcheggiato il suo pick up. Proposi un piccolo giro per Port Angeles, ma sfortunatamente, com’era normale, il cielo nuvoloso, che fino a poco tempo fa si era trattenuto, ora sembrava non vedere l’ora di liberarsi di tutta la pioggia che conteneva. E nessuna della due aveva un ombrello. C’era da vergognarsi che due ragazze di Forks, la città più piovosa di questo mondo, non avessero un ombrello. Un po’ come un bar senza la macchinetta del caffè.

“Non pensavo fossi tipo per queste cose” dissi forse troppo seria e tesa a Bella dopo essere salite in auto, mentre lei ingranava la prima.

“Nemmeno io” Lei invece era ancora emozionata e forse anche un po’ sconvolta. “Non credo di aver provato tanta adrenalina tutta insieme come oggi! Ti ringrazio davvero per questa giornata. A questo punto però il gelato te lo dovrei offrire io, per come hai gridato dal ponte” Sfoderai il mio sorrisetto sghembo.

“Almeno due di gelati” le risposi io, un po’ accigliata “Mi hai fatto prendere un colpo, lo sai?”

“Ti ho spaventata? Scusa, non l’ho fatto apposta” mi rispose con un sorriso, ancora sotto l’effetto dell’adrenalina. Era davvero strano vederla così felice. A scuola solamente una volta l’avevo vista realmente serena, cioè lo scorso venerdì. Mi resi però conto solo ora che quello che avevo appena pensato di lei era assolutamente infondato; la conoscevo da cinque giorni! Come potevo giudicare una persona in così poco tempo? Molto probabilmente era “il suo piccolo segreto” a influenzare parecchio la mia opinione su di lei. Scossi la testa e ritornai alla realtà, dove intanto si era creato uno strano silenzio per niente piacevole.

“Sono tanto curiosa di sapere a cosa stavi pensando quando eri su quella pedana. Eri concentrata da far paura” dissi la prima cosa che mi venne in mente.

“Ah…” si risvegliò lei. Anche lei si era persa in strani pensieri.“Mi stavo godendo appieno il momento” Trascorsero pochi secondi prima che riprendesse a parlare.

“Pensavo, che ne dici se al posto di un gelato ti offrissi una cena a casa mia? Tra poco è ora di cena” Spalancai gli occhi dallo stupore. Non mi sarei mai aspettata un invito su due piedi. La cosa però mi fece davvero molto piacere.

“Certo, non credo che ai miei gen… zii dispiaccia. Mannaggia. Mi morsi la lingua, sperando che non se ne fosse accorta. “Aspetta che glielo dico.” Continuai io, leggermente nervosa, smanettando con il cellulare ed inviando un messaggio a mia madre, con il cuore a mille.

Quindi sai cucinare.” Cercai in tutti i modi di distrarre la sua attenzione dal mio errore lessicale.

Diciamo che me la cavo. Sicuramente meglio di mio padre lo sono. Tu invece?” replicò loquace. Sospirai dal sollievo; non se n’era accorta. Per adesso.

“Vorrei, ma mia zia dice che sono proprio negata” Anche questa volta ci pensò un po’ prima di rispondermi.

“Potrei insegnarti io qualche trucco del mestiere; puoi venire un giorno a casa mia. Così mio padre sarà contento che stia ampliando la mia vita sociale.

“Non è male come idea. Ci penserò su” Mi stupii un’altra volta. Prima la cena, ora lezioni di cucina; Bella non dava di una persona così tanto socievole e piena di iniziativa. Forse l’adrenalina, come una droga, era ancora rimasta nel suo cervello e la portava a dire cose che nemmeno pensava… No, troppo fantascientifica come ipotesi.

“Lo è anche tua madre?” Continuai io per non far cadere la conversazione.

Cosa?”

“Negata in cucina, dico.”

Diciamo che lei ha più voglia di sperimentare di me. E non sempre le riescono le sue creazioni. Quindi tocca a me rimediare un pasto caldo.

“In pratica grava sulle tue spalle il compito di far sopravvivere la famiglia” ironizzai io. Lei sorrise serena, ancora elettrizzata; strano, visto che ormai era passata una mezz’ora abbondante dal “grande salto”.

“In realtà i miei genitori sono divorziati. Sbang. Uau, che figura. Questo sì che si chiama delicatezza, Abigail! Complimenti!

“Scusa, non lo sapevo” dissi frettolosa io.

“Ah. È successo fin troppi anni fa” mi rispose tranquilla, sollevando la mano per schiaffeggiare l’aria. Va bene, non avevo fatto una grande figura di...

“È adesso lei dov’è?” continuai, sicura che questo non fosse un argomento minato.

“In Florida, insieme a suo marito Phil

Ma sei nata a Phoenix, giusto?”

“Non esattamente. Io sono nata a Forks” Cristallina, Bella, sei stata cristallina…

“Mi hai mandata un po’ in confusione” confessai io. Lei sorrise.

“I miei genitori appena sposati si sono trasferiti a Forks, la città natale di mio padre. Ma quasi subito dopo si separarono e mia madre se ne andò a Phoenix, portandomi con se quando avevo solo pochi mesi.” Fece una pausa per riprendere il respiro.

“Da allora fino ai quattordici anni cominciai a passare un mese delle mie estati a Forks con mio padre; non mi ricordo molto di questa esperienza. Per i tre anni seguenti però riuscii a convincere mio padre a passare due settimane da me: odiavo da morire Forks, era troppo diversa da Phoenix e troppo… sbagliata per me. Nonostante tutto un anno fa decisi di trasferirmi totalmente da mio padre.

“Come mai?” chiesi curiosa. Forse troppo…

BhePhil è un giocatore di baseball”

“Lo conosco?” chiesi con il sorriso sghembo.

“Non credo” mi rispose lei ridendo. Aveva una bella risata; doveva farlo più spesso. “Viaggiava molto e mia madre era costretta a restare a Phoenix per me. Per questo ho deciso di venire a Forks.”

Quindi hai lasciato tutto per tua madre” riassunsi io. “Uau. Che maturità da vendere” dissi alla fine realmente stupita dalle potenzialità della ragazza vicino a me. Lei alzò le spallucce, un po’ imbarazzata. L’incapacità del movimento era andata a compensare altre qualità, prendendo in considerazione l’età.

“Complimenti davvero, non so se sarei riuscita a fare quello che hai fatto tu”

“Smettila, ora mi stai facendo arrossire” disse lei ironica, sempre con un sorriso. Seguii il suo consiglio, cambiando argomento.

“Anche a te i primi giorni ti hanno accolta con il “trattamento speciale”?”

“Oh sì. Erano tutti gentili ed educati con me. Orribile.” disse con una punta di ironia “Mi è piaciuto vedere qualcun altro nella mia stessa situazione” ironizzò lei.

“Ehi! Ti ho appena fatto un complimento! Non farmelo rimangiare!” Feci la finta offesa. “Hai passato dei belli primi giorni quindi.

“Per niente” Improvvisamente tutta la sua serenità era scomparsa. Rimasi stupita per la medesima volta, per come la sua voce era diventata roca “Ero terribilmente demoralizzata perché E…” Si bloccò alla fine.

Perché io odio terribilmente la pioggia e mi dovevo ancora abituare” riuscì a finire lei. La sua voce non era per niente convincente. Chiunque avrebbe intuito che era solo una metafora per “ti sto raccontando una balla perché la verità non te la voglio dire”. Io però avevo uno strano presentimento che mi fece capire cosa stava quella “E…”

“C’entrano i Cullen?” dissi in un soffio, senza pensarci. Che idiota! Questo non era un terreno minato, c’erano intere bombe nucleari pronte ad esplodere! Perché diavolo non me ne sono stata zitta?!

Mh…” Dalla sua bocca uscì un mormorio quasi impercettibile. Tra una maledizione e l’altra che lanciavo a me stessa mi resi conto di una cosa importante. Riuscii a trovarlo; era ben visibile adesso. Era lì, nella sua espressione, tutto il dolore che era emerso al solo pensare quel nome. Non l’aveva dimenticato affatto, non era riuscita neppure a superarlo. L’aveva solamente seppellito con chissà che cosa. Scossi la testa immediatamente; la stavo osservando da un bel po’ e questo poteva essere molto irritante. Dovevo cercare di riportare la conversazione su un terreno asciutto, anche in modo troppo evidente. Improvvisai e tirai fuori dal giubbotto il volantino verde dello Sport Center, tutto stropicciato.    

“Stai diventando dipende da questo genere di cose o è una mia impressione?” dissi tutto d’un fiato improvvisando.

“Non credo sia una tua impressione.” Il suo umore era migliore. Continuai su questa strada.

“A proposito di pericolo, tu guidi una moto, giusto?” Ora stava perfino sorridendo; si era ripresa abbastanza in fretta.

“Sì” chiesi un po’ dubbiosa. Bella non sembrava assolutamente il genere di ragazza a cui piacevano le moto.

Bhe… anch’io ne guido una.”

“Davvero?” Non riuscii proprio a trattenere lo stupore. Fu più forte di me. Per guidare una moto ci voleva equilibrio e mi dispiaceva dirlo, ma lei non ce ne aveva.

“Intendevo dire che sto imparando. E vorrei tanto continuare, ma il mio attuale istruttore… non è nel pieno delle sue facoltà per farlo.

Quindi adesso non hai più possibilità di andarci?” Ti prego, dimmi di sì. Non volevo essere a conoscenza di un probabile suicidio.

“No, anche perché la moto ce l’ha lui.” L’istruttore non era di certo un mona. “E poi mio padre non mi lascerebbe mai guidare una moto, quindi non la posso tenere a casa. E neppure il padre. “Uno degli svantaggi di avere un padre poliziotto. Anche se con tutti gli incidenti che ci sono ha ragione”

Quindi stai imparando a guidare una moto di nascosto” dedussi io. Stavo pian piano scoprendo lati di Bella davvero trasgressivi.

“Sì” disse con un sorriso imbarazzato.

“Ti deve piacere davvero tanto il pericolo, allora.

“È difficile da spiegare” se ne uscì lei. “E poi credo proprio che il mio istruttore sarà occupato per un bel po’, quindi penso che mollerò. Subito dopo le si illuminarono gli occhi. “Ti va se…no, niente”

Cosa?” chiesi io.

“No, niente” disse scuotendo la testa “Una stupidaggine”

“Non ne puoi dire sicuramente più di me. Quindi non ti devi preoccupare. Spara” la rassicurai. Sorrise di nuovo imbarazzata.

“Volevo chiederti se potessi essere tu ad insegnarmi qualcosa, ma con il corso di break dance e la scuola, non credo che tu possa perdere tempo con me” Fece una pausa e sbuffò “Inoltre con l’invito a cena e le lezioni di cucina credo di essere stato fin troppo invadente. Mi dispiace.” Questa volta fui io a farle un grande sorriso.

“Non hai fatto niente di male, anzi. Devo ringraziarti io per gli inviti.” Volevo però essere del tutto sincera con lei “Mi stupisce solo il fatto che tu me l’abbiamo chiesto pur conoscendomi così poco”

“Mi piace starti vicino e fare le cose che fai tu” distolse per la prima volta gli occhi dalla strada e mi guardò “Mi fai stare bene. Hai uno strano ascendente su di me e il mio umore, fidati.

Ricambiai il sorriso; era davvero sincera. Non avevo appieno colto ciò che voleva dirmi con questo, ma da quanto avevo capito, lei con me stava bene; era bello sentirselo dire, anche se era una ragazza appena conosciuta. Anch’io mi sentivo in sintonia con lei; non ero solita legare troppo con le persone, con lei invece mi veniva naturale.

Bella frenò improvvisamente. Sperai il peggio finché non mi accorsi che eravamo già  ritornati a casa sua. Il tempo era davvero volato in fretta.

“E comunque sarei ben felice di farti fare qualche giro, ma se solo osi farle qualcosa ti farò fare io un giro, del globo però” conclusi io ironica. Lei rispose con una risata.

Scendemmo dal pick up e facemmo presto ad entrare in casa per evitare di bagnarci troppo. La casa di Bella all’esterno era parecchio anonima, ma all’interno era tutt’altro. Era piccola ed accogliente, anche se le pareti erano bianche. Mi ci trovavo molto più a mio agio che a casa mia. Era abbastanza tranquilla, ad eccezione della televisione accesa ad alto volume. Dalle grida che si levavano o era un film dell’orrore o una partita di baseball. Per me le due cose più di qualche volta coincidevano.

“Papà, abbiamo ospiti” gridò Bella al padre, cercando di sovrastare le urla. Il volume si abbassò e subito dopo dal salotto uscì l’ispettore Swan, intento a sistemarsi la divisa della polizia ancora addosso.

“Ciao Abigial, tutto bene?”

“Benissimo, e lei?” dissi mentre gli stringevo la mano.

“Non male. E vedi di chiamami Charlie e darmi del tu” disse puntandomi il dito contro, con fare minaccioso.

“Signorsì” risposi portando due dita alla fronte.

“Bella, potevi almeno avvertirmi che portavi qualcuno a casa”

“Hai ragione, scusa papà”

“Vi siete divertite, allora?” chiese interessato.

“Alla grande” risposi io.

“Tutto apposto? Non è successo niente di grave?”

“No, papà. È stato tutto perfetto” disse lei mentre si toglieva il cappotto fradicio, seguita da me “Ti va della pizza?” Io feci cenno di sì. “È rimasta ancora pizza in frigo, papà?”

“Ah, dovete ancora cenare? Credevo che avreste mangiato qualcosa a Port Angeles. Mi sono già servito da solo, spero ce ne sia rimasta abbastanza” disse dispiaciuto.

“Perfetto” disse Bella dirigendosi in cucina e facendomi cenno di seguirla.

“A dopo, Charlie” gli dissi, mentre lui ritornava in salotto, lasciandoci tutta la privacy che si potesse avere.

 In cucina Bella aprì il frigo, tirandone fuori qualche trancio di pizza e mettendoli in forno.

“Scusa per la cena. So che non è chissà che”

“Figurati. Posso mangiare tutto ciò che è commestibile” risposi guardandomi intorno. Era una piccola, ma carina cucina con il pavimento di linoleum, bianco, ma le pareti rivestite di pannelli in legno scuro ed il mobilio giallo chiaro. O sì, giallo, un po’ di colore finalmente. Il forno emise un trillo e Bella lo aprì per prendere le pizze.

“La cena è servita” disse con un tono un po’ pomposo mettendole sul tavolino di quercia al centro della stanza.

Quindi questa sarebbe la lezione numero uno?”

“Già. Accendi il forno e poi mangia”
”L’abc della sopravvivenza, insomma” scherzai io addentando un pezzo di pizza “Credo che fin lì ci potrei arrivare”

“A proposito, come va il corso di break dance?”

Passammo così per lo più la cena a parlare di quello che facevo alla palestra di Forks, del perché lo facevo e chi ci veniva. Le solite cose, insomma.

E per la cronaca potresti venire anche tu. Quello che insegno è livello base del base” conclusi io.

“Sarebbe una grande botta alla mia autostima essere la peggiore del corso ed anche la più vecchia” rispose lei un po’ sconsolata.

“Hai ragione, saresti la più vecchia del corso” affermai io fingendomi seria.

“Grazie per il vecchia” mi fece notare lei ironica, alzandosi e prendendo il mio piatto vuoto. 

“Prego” risposi a tono alzandomi dalla sedia. “Ahi!” Dolore al coccige. Mi portai la mano sotto la schiena, mentre cercavo di drizzarla.

Cosa c’è?” chiese Bella preoccupata.

“Mi fa male il coccige. È stato sicuramente il bungee jumping.” Non era un dolore continuo, stava infatti già passando. Era strano che cominciasse solo adesso; dovevo farmi vedere da papà quando sarei ritornata a casa. Alzai la testa con un sorriso.

“Passato” Bella però non era convinta.

“Ti devo portare a casa io?” Non era convinta nemmeno lei di quello che aveva detto. “Bella a casa Cullen” era davvero un brutto, ma brutto abbinamento.

“Figurati, ce la faccio” dissi tranquilla.

“Vuoi allora che andiamo in camera mia, così poi sederti su qualcosa di più morbido?”

“Questa sì che è una bella idea” concordai con lei.

Bella mi condusse al piano superiore. Sopra non era molto grande, come anche la sua camera. Era un po’ spoglia ed anonima, ma era affascinante, soprattutto per la sedia a dondolo nell’angolo.

“Mi piace la tua camera” commentai, mentre Bella mi invitava a sedermi sul suo letto. Era molto morbido e comodo. Lei fece spallucce. “Niente di particolare.”

“È vero, ma a me piace. Ed è ordinata e pulita. La mia invece è tutto dire…”

Con una smorfia mi sistemai meglio sul letto; ora non mi faceva male il coccige, ma era solo un penoso tentativo di cambiare argomento. Penoso, ma efficace tentativo.

“Tutto apposto?”

“Sì, comincia a darmi un po’ di fastidio. Mi devo far controllare da mio zio”

Che tipo sono i tuoi zii?” disse improvvisamente.

“Sono fantastici.” Fui stranamente sincera nella risposta “Dovresti incontrarli per capirlo” Forse troppo sincera... Percepii un’improvvisa fitta al fondo schiena. Il coccige cominciava a farmi male davvero. Provai ad alzarmi per vedere se la situazione migliorava. Ma successe l’imprevisto. Una tremenda botta alla testa mi obbligò a retrocedere, inciampando sul letto e cadendo sul materasso.

Abigail!” sentii Bella avvicinarsi a me. Non capivo se stava singhiozzando o ridendo. La botta alla testa passò quasi subito, quindi mi alzai.

“Cosa diamine è successo?!” sbottai a disagio. Cosa caspita mi aveva colpito la testa?!

“Ecco, scusa…” si giustificò lei “Hai preso in pieno un’asse di legno non fissata al pavimento che ti ha colpito la testa”

Mise una mano su un punto preciso del pavimento e vidi una delle lunghe assi del pavimento alzarsi. Ah… quindi, quando mi sono alzata ho preso in pieno l’asse di legno, che mi è venuta addosso e mi ha fatto prendere l’equilibrio. Quasi come le scene dei cartoni animati con il rastrello. Ripensai alla scena e non potei non scoppiare a ridere. Solo a me potevano succedere cose del genere.

“Quanto sono stata buffa da uno a dieci?” chiesi a Bella, che stava ridendo a sua volta.

“Dieci è troppo poco” disse, mentre guardava la parte di asse a mezz’aria “Devo chiedere a Charlie di farla fissare”

Cominciarono a succedere cose strane quando guardò giù, nel buco lasciato scoperto dall’asse. Io non riuscii a vedere cosa conteneva, ma doveva essere stato qualcosa di sconvolgente, se produsse sulla faccia di Bella un’espressione del tutto indecifrabile. Rimise a posto l’asse e rimase immobile con la stessa espressione. Guardò poi verso di me.

“Forse è meglio se adesso vai; si è fatto davvero tardi” Rimasi assolutamente sbigottita dalla sua reazione, ma l’unica cosa intelligente in quel momento era stare al suo gioco e non fare domande.

“Va bene, hai ragione; si è fatto tardi” risposi presa in contromano per l’improvviso invito. In silenzio mi accompagnò alla porta. Salutai Charlie, che ricambiò ed uscii.

“Ci vediamo allora domani?” chiesi a Bella prima di salutarla.

“Certo” rispose lei in tono smorto, facendomi un segno di saluto con la mano. Io ricambiai e chiuse la porta. Mi diressi verso il garage dei Swan dove avevo lasciato la moto. Quando salii sul sellino il coccige cominciò a pulsare di nuovo, ma credevo di riuscire a raggiungere casa. E poi il male non era il primo dei miei pensieri. Durante il viaggio di ritorno a casa, mentre percorrevo le scure e piovose strade di Forks, un’unica domanda continuava a premermi in testa: cosa diamine c’era sotto quel pavimento tale da provocare la sua strana reazione? Non erano di certo affari miei e sicuramente non potevo chiederlo a Bella come niente fosse, quindi non lo avrei mai potuto sapere se non detto volutamente da lei. Ma non era solo quello. Per tutta la giornata Bella era stata felice e serena; quando abbiamo affrontato l’argomento “Cullen” però, il suo umore era andato a picco. Subito dopo però si era ripresa ed era ritornata tranquilla e spensierata. Non riuscivo a spiegarmi questo strano cambio d’umore; neppure un lunatico sarebbe stato all’altezza. Aveva detto che io avevo uno “strano ascendente sul suo umore”. Non capivo però cosa intendeva dire. Forse… questo? C’erano cose che nascondeva. Ero io a renderla lunatica? La mia stranezza era forse contagiosa? Sbuffai, avevo sempre pensato in modo strano, non solo dal lato umano, ma anche da un lato non umano. Quindi era normale che qualche volta mi venissero in mente strane teorie fantascientifiche. Da quando avevo cominciato a frequentare Bella però, la mia mente ne partoriva sempre di più.

Raggiunsi casa in un batter d’occhio. In salotto c’era mia madre che mi aspettava. Non stava facendo niente di particolare, anzi, si vedeva che si stava annoiando a morte; inevitabile se sei destinato a vivere per l’eternità.

Come è andata?” chiese entusiasta sia per realmente sapere com’era andata, sia per aver trovato qualcosa da fare.

Entrambi i miei genitori si erano esaltati all’idea che andassi a fare bungee jumping insieme a qualcuno e non da sola. Ed erano rimasti piacevolmente sorpresi che questo qualcuno era Bella, la “fidanzata del vampiro”, come si era cominciata a chiamarla in casa. Sospirai e mi buttai sul divano.

“A meraviglia. È stato davvero fantastico.”

“Dal tuo tono non si direbbe” chiese lei tornando un attimo seria. Mi misi più comoda.

“Dico sul serio; è stato davvero stupendo. Mi sono divertita moltissimo; niente a confronto delle corse in braccio a te”

“La prendo come un’offesa; vorrà dire che la prossima volta andrò più veloce” ironizzò lei, io però sorvolai.

“Solo che Bella si è comportata in maniera davvero strana” dissi finalmente.

Cosa intendi dire?”

“È stata davvero gentile ad invitarmi a casa sua, oltre, per la cronaca, a darmi lezioni di cucina” dissi apposta per farlo pesare a mia madre.

“Stavi prima a chiederlo a me, non credi?” disse accigliata e leggermente tradita, ma ancora ironica.

“Con tutta l’autostima che mi dai…” risposi sarcastica “Comunque, tornando al discorso di prima, anche Bella si è divertita un mondo, forse anche più di me, ma…”

Ma…?”

Ma si è comportata in modo un po’…così. Abbiamo per caso accennato ai Cullen e lei, com’è anche logico che sia, ci è rimasta davvero male. Ma si è ripresa in maniera così improvvisa e strana. E poi…” Volevo raccontarle anche la storia dell’asse, ma rinunciai, sia perché sarebbe stato argomento da presa in giro, sia perché non sapevo spiegarmelo nemmeno io. Guardai in faccia mia madre; sembrava una psicoanalista che guardava una pazza, poco prima di chiamare il manicomio.

Abigail, basta con questa storia. Sappiamo che questa ragazza ha passato molto probabilmente dei brutti momenti, ed ognuno reagisce in maniera diversa.

“Lo farei, se fosse una semplice conoscente. Ma credo che stia cominciando a diventare mia amica. E di solito ci si tiene agli amici!” mi giustificai io. Sul suo viso spuntò un sorrisino orgoglioso.

Uau, stai crescendo”  

“Già! E tu no!” e gli feci la linguaccia. Lei mi rispose con una smorfia.

“Come non detto.” Mi alzai subito dopo dal divano ed il dolore mi avvertì che il mio coccige non stava facendo i salti di gioia in quel momento.

“Papà!” urlai inutilmente io, convinta che anche da dove fosse e cosa facesse avesse sentito ogni singola parola della conversazione tra me e mamma. Iniziai a piccoli passi a camminare per il salotto per controllare il dolore.

“Dimmi, Abi” Era comparso sul divano dove prima ero seduta io, continuando a fare quello che faceva prima, cioè, ovviamente, leggere qualcosa di assolutamente incomprensibile per un normale essere umano.

“Mi fa male il coccige” mi lamentai tenendomi la schiena e fermandomi davanti a lui.

“Domani ti passa” disse riprendendo la sua lettura. Mi caddero le braccia a terra.

E se magari me lo fossi lussata?” dissi risentita. Non poteva liquidarmi così. Mi guardò dolcemente negli occhi.

“Se te lo fossi lussata non ti reggeresti in piedi. La tua è una piccola storta, che può capitare a chi mentre fa bungee jumping non si lancia verticalmente” Ed effettivamente avevo molti dubbi su come mi ero lanciata. Lo guardai di sottecchi e gli puntai un dito contro.

“Se non sapessi che tu sei un medico eccellente, direi che il tuo sarebbe un comportamento da incompetenti.”

Ma per fortuna lo sai” continuò lui.

“Già” dissi. Mia madre intanto si stava godendo lo spettacolino. Girai i tacchi e me ne andai a dormire.

“Buonanotte” dichiarai come se fosse un importante annuncio.

“Notte, Abi” Qualche volta la capacità di parlare in modo perfettamente coordinato dei miei genitori faceva paura.

“Un’altra cosa” dissi se non fosse importante “Vi voglio bene” Qualche volta faceva davvero bene dirlo e sentirselo dire.

 

Il giorno dopo Bella continuava a comportarsi in modo strano, ma non riuscii a capacitarmene del perché. Non avevamo molte occasioni per stare insieme; non avevamo biologia quel giorno, quindi potei stare con lei solo a pranzo. Era ormai ufficiale; Bella era le persona con cui passavo la maggior parte del tempo libero a scuola. E mi piaceva davvero stare con lei. Non mi piaceva invece vederla così pensierosa e silenziosa. Non mi andava di chiederle cosa c’era che non andava, ma speravo che non fosse per quello che era successo in camera sua. Odiavo vederla così, anche perché da spugna di emozioni che ero, perdevo anch’io la voglia di parlare. Avrei tanto voluto che si confidasse con me, per poterla aiutare in qualche modo, se avessi potuto. A mensa si scusò per avermi in pratica buttato fuori di casa e riuscimmo a reggere uno straccio di conversazione, ma continuò a rimanere seria per tutto il giorno.

Quel venerdì non era stato molto emozionante, ad eccezione della notizia che da qualche tempo alcuni orsi stavano dando fastidio e provocando numerosi incidenti, causando anche la morte di varie persone. I miei genitori sarebbero stati contenti di non allontanarsi troppo da Forks per mangiare. Questo però non fu sufficiente per distrarmi da Bella, che mi rose la testa fino a casa. Pensando però alla promessa che avevo fato alla mia salute mentale a La Push, mi imposi di smetterla di pensare a lei. E piuttosto di pensare a qualcos’altro. Tornata a casa trovai già il pranzo pronto; cose piuttosto leggere. Dopo infatti avrei accompagnato i miei genitori ad esplorare la zona e dovevo mantenermi leggera per riuscire a correre a lungo. Cercai quindi di mangiare velocemente, sapendo che quei due mi stavano già aspettando. Adoravo accompagnare i miei genitori a caccia.

Furono sufficienti solo pochi minuti per finire di mangiare, ed altrettanti per cambiarmi. Scesi all’ingresso e uscii dalla porta principale che dava sulla veranda, dove ero certa che i miei genitori mi stessero già aspettando.

Sebbene non dovevo dissanguare animali, accompagnavo sempre i miei genitori a caccia, o come quel giorno in perlustrazione. Certo, non assistevo all’ “atto” vero e proprio, ma me ne stavo per i conti miei. Mi piaceva correre per i boschi, starmene un po’ da sola e pensare ed i miei genitori non dispiaceva reggere la mia andatura. Ovviamente però c’erano alcune regole da rispettare; una di queste, per esempio, riguardava l’abbigliamento. Sfortunatamente mi era proibito portare vestiti larghi, perché potevano incastrarsi tra rovi e piante selvatiche, così indossavo una tuta piuttosto aderente, ma relativamente comoda. E la stessa cosa valeva per i capelli esageratamente voluminosi e ricci, obbligatoriamente allacciati dietro alla nuca.

“Sabbia?” chiese mio padre non appena uscii.

Ce l’ho” sbuffai, stufa della solita solfa.

“Spray?”

“Pure. Papà, ci posso arrivare, ormai”

Altra regola: i boschi erano pieni di animali, alcuni pericolosi, anche se difficilmente potevo imbattermi in loro, visto che i miei genitori non si allontanavano molto da me e gli animali sentendoli fuggivano sempre. Ma se per caso mi imbattevo in uno di loro e loro tardavano a venire, dovevo comunque essere pronta. Per questo andavo in giro con un marsupio pieno di sabbia; la lanciavo negli occhi degli animali e poi fuggivo. E quando volevo sapevo correre davvero veloce. La sabbia inoltre, essendo un prodotto naturale, non danneggiava gli occhi. C’era poi lo spray per ambienti, che bisognava usare solo in casi estremi. Danneggiava sia gli occhi sia l’olfatto, ma in maniera quasi irrimediabile; c’erano talmente tanti prodotti chimici e schifezze in quelle robe da perdere la voglia di comprarli. Sono stata costretta ad usarli solo poche volte e non era stato particolarmente favoloso accecare un povero animale. Ma me la sono sempre cavata. Poteva sembrava una totale sciocchezza andare in giro in questo modo, ma aveva il suo buon senso alla fin fine.

In quel momento, così conciata, ero un incrocio tra Lara Croft e un Ghostbuster.

“Hai anche l’acqua?” chiese questa volta mamma.

“Certo” risposi di nuovo. Accompagnavo i miei genitori da quando avevo sette anni, quindi da allora avevo più che imparato cosa portare e non.

“Pronta?”

“Come sempre” risposi stiracchiandomi “Vedete di non andare come razzi”

“Come sempre” rispose papà. L’attimo dopo entrambi erano scomparsi.

Ma così non vale!” gridai al vuoto. Feci un respiro profondo ed iniziai a correre anch’io, inoltrandomi in un qualsiasi punto nella foresta che circondava casa, sapendo con certezza che dovunque fossi andata, li avrei trovati.

Avevamo scelto il fortunato giorno di quella settimana in cui non pioveva, ma il terreno era comunque umido, quindi dovetti fare molta più attenzione a non scivolare. E poi c’era anche il problema pantano, oltre al fatto che, non conoscendo la zona non sapevo dove mettere i piedi. Conseguenza di ciò era che ben presto rallentai e da correre passai alla modalità correre a passo sostenuto.

“Tutto ok?” I miei genitori, invece, se la stavano passando bene, a saltare come eleganti scimmie da un albero all’altro sopra di me. Anche loro stavano indossando abiti comodi, ma era la stessa cosa se avessero indossato abiti da grandi cerimonie; mentre io sapevo che alla fine di quella giornata, come tutte le altre simili a quella, mi sarei trovata fango in luoghi che neppure sapevo di avere, loro ne sarebbero usciti bianchi e strapuliti e nessuno avrebbe mai detto che l’ultima cosa che avevano fatto fosse cacciare animali. Non avevo mai capito come diamine facevano.

“Sì” Il mio tono però diceva tutt’altro. Superato l’ultimo cespuglio, iniziai a correre con più sicurezza, sempre con quei due sopra di me.

“Dai, lumaca!”

“Sopporta!” Mio padre e il suo grande amore per la calma non era esattamente gradito in questo momento. Più andavo avanti, più cominciavo ad orientarmi ed il terreno si faceva sempre più asciutto. Cominciai così a correre veloce. L’aria era umida, quindi dopo già poco tempo mi ritrovai zuppa di sudore, ma un certo venticello che soffiava a tratti bastò per farmi sentire bene. Le gambe ormai correvano da sole ed ebbi un grande desiderio di chiudere gli occhi e lasciarmi andare, ma li dovevo tenere ben aperti e seguire i miei genitori. Potevo mantenere un passo sostenuto a lungo senza provare fatica per molto tempo, ma dopo un’ora sentivo la stanchezza premere. Mia madre fu la prima ad accorgersene.

Abigaildisse fermandosi “Noi andiamo avanti, tu riposati pure qua. Non andremmo lontano” Sapevo che “lontano” poteva significare anche “un chilometro”, ma cos’era mai un chilometro per un vampiro?

Mi fermai che ebbi il fiatone. Presi la bottiglietta d’acqua e bevvi a piccoli sorsi. Cominciai dunque a camminare lentamente; non dovevo sedermi o fermarmi, se no sarei rimasta lì e non sarei più riuscita a rialzarmi. Cominciai a girare tranquillamente per il bosco, cominciando ad osservare. Era quasi identico ai boschi vicino a Chicago; era effettivamente lo stesso genere di vegetazione. Ma c’erano decisamente molti più animali, di piccola taglia, per quanti vidi; un merlo, due passeri, un paio di scoiattoli. A Chicago, invece, gli scoiattoli non c’erano nemmeno; di certo perché quelli erano boschi molto più frequentati. Il battito veloce cominciò a rallentare, mentre continuavo ancora a bere. Non c’era alcun rumore, oltre quello dei miei passi, e delle bevute. Era anche per questo che adoravo i boschi. Adoravo stare da sola in un luogo del genere, un luogo che diventava mio e di nessun’altro. Continuai a camminare e non mi fermai. Di tanto in tanto si facevano sentire alcuni cinguettii ed il rumore delle foglie. Entrai in una specie di stato contemplativo, estraendomi completamente dal mondo e lasciandomi guidare unicamente dalle gambe.

Finché non arrivai in uno dei posti più belli che avessi mai visto. Non mi ricordavo la strada che avevo fatto e quindi nemmeno dove fosse situato quel piccolo paradiso. Ma l’importante era che lì c’ero io. Era un piccola radura, tonda, così circolare che sembrava essere costruita da qualcuno. Ma era troppo bella perché lo fosse. Era ricoperta da erba alta ed il cielo nuvoloso la faceva apparire scura. Non mi piaceva per com’era adesso, ma per come sarebbe stata in primavera. M’immaginavo i raggi di sole che sarebbero usciti dalle aperture tra gli alberi e che avrebbero illuminato l’erba ed i possibili fiori che sarebbero nati. Mi sentivo benissimo il quel luogo, tanto da riuscire a definirlo “la mia radura”.

“Ahi trovato un vero tesoro” Mamma mi fece sobbalzare. Sentii il suo braccio freddo appoggiarsi sulle mie spalle.

“Già. È davvero stupendo” Lei mi guardò con un sorriso. Poi posò una mano sotto il mento e fece aderire la mascella alla mandibola. Cavolo, ero rimasta a bocca aperta e non me n’ero accorta.

“Allora, ti piace?” Sapevo che non si riferiva alla radura in particolare.

“Già, Forks è perfetta per questo. Come siamo a selvaggina?”

“Molto più abbondante di Chicago sicuramente, ma tra poco verrà aperta la stagione di caccia e credo proprio che dovremmo cercare qualche luogo più appartato. Tuo padre diceva che a Goat Rocks ci sono molti orsi, un giorno proveremo a vedere.” 

“È tanto lontano da Forks?”

“Non so se ti ci possiamo portare, Abi. Troppi orsi.” Non era un problema se per una volta non gli accompagnavo, soprattutto tenendo conto di quello che c’era davanti a me. Per quel giorno però le meraviglie erano finite.

“Presto, Sophie. Andiamocene!”

Riuscii a malapena a sentire quelle parole, che dedussi erano forse di mio padre. Non me ne resi nemmeno conto che mi ritrovai sulla schiena di mamma, abbracciata con tutte le mie forze al suo collo. Aveva iniziato a correre velocissima. Abbracciare un vampiro mentre correva era una cosa straordinaria, molto meglio di una corsa in moto e molto simile ad un viaggio su un caccia dell’esercito americano a finestrino abbassato. In quel momento però non c’era nulla di straordinario. Non capivo cosa stava succedendo.

Cosa succede?” Riuscii a sentire le parole di mia madre solo per il rimbombo che la sua voce faceva contro la sua schiena. Non riuscii a sentire cosa rispondeva mio padre. Improvvisamente mia madre cominciò ad andare più veloce.

O mio Dio. Cosa sono?”

Fu sufficiente per farmi attanagliare completamente dalla paura. Quello che stava succedendo non era per niente bello. Qualcosa che mia madre non conosceva ci stava presumibilmente seguendo ed era davvero, davvero pericoloso se i miei genitori stavano fuggendo.

“Ci stanno circondando!”

Ero confusa e avevo paura, come non mai. L’unica cosa che riuscii a fare era stringermi ancor di più al collo di mia madre e ripararmi la testa con la sua schiena. Ed ecco che gli sentii. Prima un ringhio conosciuto, quello di mio padre, poi un altro, che non avevo mai sentito in vita mia. Anche mia madre cominciò feroce a ringhiare. Non avevo le forze per alzare la testa. Ed ecco un guaito. Subito dopo sentii la schiena di mia madre premermi forte e violenta sullo sterno e togliermi il respiro. Le uniche forze che avevo e che usavo per attanagliarmi a lei svanirono e precipitai a terra. Non caddi da un’altezza elevata e usai le mani per attutire la caduta. Sentii la fronte premere sul terreno. Un dolore allucinante alla testa sostituì ogni suono ad un ronzio. Misi la mano sulla fronte dov’ero atterrata e sentii qualcosa di caldo; stavo sanguinando alla testa. Alzai finalmente lo sguardo per guardarmi attorno e mi si tolse il respiro. Davanti a me c’era la creatura più strana che avessi mai visto. Era un lupo grande quanto un cavallo, con ogni parte del corpo smisurata e muscolosa. Quella strana creatura mi stava guardando, ma non mi stava ringhiando, né mi stava mostrando le zanne; non mi voleva attaccare. Credevo che l’adrenalina avrebbe preso il sopravvento e mi avrebbe immobilizzato completamente dalla paura, ma non fu così. Mi sentivo stranamente troppo tranquilla. Fissai i suoi occhi, davvero strani, profondi. Non sembravano quelli di un animale feroce, ma mi ricordavano qualcosa. Cominciò a girarmi intorno; con le enormi zampe anteriori scavalcò la mia testa, facendo modo che mi trovassi sotto la sua pancia. Io non mi mossi e non riuscii a provare niente. Ringhiò davanti a sé. Mi venne in mente una scena; questo era quello che facevano gli animali per difendere i loro cuccioli. Mi stava… mi stava forse difendendo?!

Guati troppo forti mi costrinsero a tornare alla realtà. Guati che però conoscevo fin troppo bene. La creatura sopra di me era enorme, ma riuscii a distinguere altre sagome, simili a lui. Ce n’erano altri, molti, che stavano attaccando i miei genitori. E li stavano uccidendo.

“NO!”

Un nuovo è più potente attacco di paura si avvinghiò alla colonna vertebrale. Sentii un altro suono; un ringhio di rabbia che proveniva al di là del lupo davanti a me. Improvvisamente qualcosa proveniente alla mia destra si scagliò su di lui, scaraventandolo contro un albero che si spezzò. Io mi abbassai automaticamente. Era mia madre. Si mise davanti a me, a pochi centimetri di distanza, rivolgendomi la schiena, smettendo di ringhiare, ma continuando ad osservare i lupi. Nel medesimo istante, alla sinistra di mia madre, comparve anche papà. Mi sentii leggermente sollevata dal fatto che stavano bene entrambi. Guardai davanti a me, nello stessa direzione dei miei genitori. C’erano cinque, enormi lupi sistemati in semicerchio davanti a noi. Solamente uno però stava ringhiando. Un altro brivido di paura mi percorse la schiena alla vista di quelle zanne, grosse ed affilate. Il lupo vicino, poi fece uno strano gesto verso di lui, e questo smise stranamente all’istante. Riuscivano a comunicare tra di loro. Davanti a me i miei genitori erano delle statue, dall’altra parte invece i lupi stavano fremendo. Finché il lupo centrale, il più grande e nero come la notte, si staccò dal gruppo, fece dietrofront e si diresse tra i boschi retrostanti. Pensai che quello era il capo branco, visto che era lui che nei branchi prendeva l’iniziativa. Per un secondo pensai che se ne sarebbero andati, ma dallo stesso punto in cui si era inoltrato rispuntò. Sbarrai gli occhi; non sapevo più cosa pensare. Dai miei genitori, d’altronde non trasparì alcuna emozione. Non ne era uscito un lupo, bensì un essere umano. Non un essere umano qualsiasi, solo in quel momento ricordavo di averlo già visto. Era un ragazzo, grande, imponente, dalla evidente muscolatura ed abbronzato con indosso un solo paio di pantaloncini. Era uno dei ragazzi di La Push.

“Lasciate andare l’umana, vampiri” La sua voce possente si diramò per tutta la foresta. Mi volevano forse mangiare? Qualcosa però mi spinse a non crederlo. Quel lupo di prima, per esempio, avrebbe avuto tutto il tempo per azzannarmi alla gola. No, non volevo fare del male a me. A parlare fu mio padre, il più diplomatico della famiglia, aiutato dal suo dono di fare e dire la cosa giusta al momento giusto.

“Non vogliamo farle del male” rispose calmo “Non facciamo del male alle persone. Non capii l’utilità di questa frase finché non mi accorsi di una cosa, a cui mio padre c’era arrivato prima di me. Aveva nominato il nome “vampiri”; li aveva riconosciuti. Nonostante l’agitazione di quel momento riuscii a fare un due calcoli. Conoscendo quindi i vampiri, conoscevano anche la loro bella fama. Aggiunto al fatto che non volevo attaccare me, si arrivava a concludere che quei lupi credevano che i vampiri accanto a me volessero farmi del male. Questo spiegava perché gli avevano attaccati. Molto probabilmente mio padre aveva fatto lo stesso ragionamento, ma ovviamente alla velocità della luce. Mi sentii leggermente più calma.

“Siamo come i Cullen” continuò dopo un attimo di pausa. Giusto. Se avevano riconosciuto dei vampiri era perché li avevano conosciuti. E gli ultimi vampiri che avevano abitato in questa zona erano i Cullen; dovevano per forza conoscerli, quindi, loro e la loro dieta. Sul capo branco ci fu un breve barlume di sorpresa.   

“Potete provarlo?” continuò il capo branco. Mio padre indicò me. Lo sguardo di tutti si pose su di me. Non capivo cosa voleva fare ed oltre all’ansia si aggiunse anche l’imbarazzo.

“Resistiamo al sangue” Non aveva indicato me, ma la ferita sulla fronte. Prova migliore di così…

Il capo branco rimase in silenzio. Il suo sguardo guizzò veloce dai miei genitori su di me. Aveva le sopracciglia aggrottate e mi guardava in una sorta di serietà, confusione ed ansia. Solo dopo alcuni e infiniti minuti distaccò il suo sguardo dal mio.

“Conoscete i Cullen, allora. Sappiate che con loro avevamo un patto, che vale anche per voi. Questo è il nostro territorio, e non siete i benvenuti. Quindi sarà meglio se voi vampiri stiate alla larga. E non accetteremo nemmeno che qualcuno di voi morda un essere umano” Pose particolare enfasi su queste ultime parole

Se infrangete questa regola, allora non esiteremo ad attaccarvi. Se la rispettate, noi non vi attaccheremo nel vostro territorio.  Il suo sguardo tornò a perforare il mio. Non mi accorsi che nella sua frase c’era un implicito invito ad andarsene, ma i miei genitori sì. Mia madre, che per tutto il tempo era rimasta immobile, ora si girò, sempre guardinga, verso di me, abbassandosi. Io le salii in schiena e le strinsi il collo. Indisturbati, ce ne andammo lontano da quelle strane creature il più veloce possibile.

 

A casa l’atmosfera era orribile. Eravamo tutti e tre esterrefatti. Mio padre, seduto su una sedia in cucina, guardava assorto il soffitto, mentre mia madre era china verso di me, intenta a medicarmi la fronte.

“Sei sicura di stare bene?” Aveva la voce strapreoccupata; credevo che si fosse più spaventata per me lei che io.

“Sì, mamma” le risposi sincera. Stavo davvero bene; lo spavento per averli visti era scomparso. Visti però chi? Cos’erano realmente? Ripensai a quel ragazzo, il capo branco. Prima era un lupo, poi un essere umano. Mi venne improvvisamente in testa la parola licantropo o lupo mannaro. No, impossibile. In questo mondo esistevano anche loro?!

“Sono licantropi?” chiesi automaticamente a mio padre, sperando che mi avrebbe risposto con il suo sapere centenario.

“Non lo so. Credo… una specie di licantropi” mi rispose continuando a guardare il soffitto.

Cosa intendi dire con specie?”

“Ho conosciuto qualcosa di simile anni fa. Persone che si trasformano in lupi alla luna piena. Noi vampiri li chiamiamo “Figli della Luna”, ma questi a quanto pare si possono trasformare volontariamente.”

“Vuoi dire che esistono i licantropi e tu non me lo hai mai detto?” Ero esterrefatta.

“Ad essere sincera non ne so niente neanch’io” mi appoggiò leggermente accigliata mia madre. Mio padre tranquillo alzò le spalle.

“I Figli della Luna sono quasi estinti e per questo non rappresentato un grande pericolo” fece una pausa e poi riprese “Con questi invece bisogna fare molta attenzione. Sono in molti e veloci quanto noi vampiri, hanno un grande affiatamento e riescono a comunicare tra di loro ed in qualche modo o nell’altro anche trasformati riescono a mantenere una mentalità umana ed un controllo, il che li rende ancora più pericolosi.” Scosse la testa, poi riprese, guardandomi negli occhi.

“Non attaccano gli esseri umani, ma i vampiri. È come se volessero difenderli da noi.”

Mio padre aveva notato cose che non ci sarei mai arrivata. Io mi ero limitata solo alle zanne…

E le zanne?” sbottai “Possono ferire un vampiro?”

La pelle di un vampiro era più dura del marmo, ma i guaiti dei miei genitori che ancora adesso mi tormentavano la testa mi impedivano di scartare l’opzione. Con mio grande rammarico mio padre annuii.

Ma voi state bene?” mi feci prendere dal panico. Mamma mi mise le mani sulle spalle.

“Non ti preoccupare, noi stiamo bene” Sembrava davvero sincera. Mi sentii più sollevata e felice.

“Ora vai a farti una doccia e subito dopo una bella dormita” si fermò e sorrise “Sei davvero stanca morta” Ed aveva ragione. Guardai mio padre. Era sempre seduto, ma adesso mi stava guardando con un sorriso anche lui. Non mi rassicurava per niente la prospettiva che quei… licantropi non mi avrebbero fatto del male, perché avrebbero fatto del male ai miei genitori.

“E se vi faranno del male?” Mi ero fatta prendere totalmente dall’ansia e non mi impegnavo a nasconderla. Era la mia preoccupazione più grande. Mia madre mi abbracciò.

“Ti stai agitando per niente. Per quanto forti, non ci faranno niente se non andremmo nel loro territorio. Non vogliono attaccarci di proposito.” E di certo i miei genitori non erano così idioti da andarci. Mi sentii solo un po’ più tranquilla. Mi bastava quello per ora. Prima però di andare a farmi la doccia dovevo uscire di scena come mi si addiceva.

“Papà” dissi staccandomi da mamma con voce un po’ fioca.

“Dimmi Abi” Questa volta fu lui ad abbracciarmi. Appoggia la testa su di lui e ricambiai l’abbraccio.

Non è che per caso conosci anche una strega? Pensavo di fare una piccola festicciola per l’Halloween dell’anno prossimo. E chiama anche i tuoi amici, i… i Figli della Luna. Poi si può invitare anche il mostro di Frankestein, se no si offende…” Fui però interrotta da una delle più orribili delle torture, una delle più sofferenti che un vampiro potesse fare ad un essere umano: il solletico. Con la solita super velocità cominciò a premermi dietro la schiena e sulla pancia. Io cominciai immediatamente a scalpitare con braccia e piedi, inutilmente, mentre mia madre si divertiva alle mie spalle. Per sfuggirgli tentavo invano di abbassarmi, ma senza utilità.

“Stavo scherzando, stavo scherzando…” implorai.

“Non è una brutta idea” cominciò mio padre, continuando a torturarmi “Possiamo invitare anche gli scheletri che abbiamo nell’armadio.

“No, no gli scheletri no.” Ma lui non accennava a diminuire.

E poi possiamo anche prendere un po’ di pipistrelli. Che ne dici?”

“No, i pipistrelli non mi piacciono!” Smise solamente quando mi ritrovai a ginocchia atterra.

“Bene, allora sappiamo cosa fare per l’anno prossimo” disse lui, soddisfatto per la sua tortura. Io mi alzai e lo guardai fisso negli occhi.

“Questa me la paghi, papà” Prima ancora che avessi finito sentii nuovamente qualcosa pizzicarmi la schiena. Feci uno sobbalzo di lato. Questa volta era mia madre. Guardai in cagnesco tutti e due, felici e contenti come una Pasqua, mentre se la spassavano e me ne andai finalmente a fare una doccia. Il solletico però mi aveva fatto tornare il buonumore, che durò tuttavia fin quando mi addormentai. I miei sogni quella notte fecero davvero schifo.  

 

 

 

 

Eh eh… che ve ne pare? Avete indovinato cosa c’è sotto la trave (eh…eh…)? E adesso arrivano anche i licantropi…

Scusate l’immenso ritardo; mi è venuta la voglia di scrivere ed è meglio se approfitto finché c’è, quindi non ho tempo per rileggere e pubblicare. Questa volta ho cercato di rimpolparlo un po’ di più. Spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto!

 

X Ricegrain: Oh, mia unica commentatrice! Prenditi pure tutto il tempo che vuoi! XD Sì, purtroppo questi sono capitoli di transizione, ma già dalla fine di questo si può presagire qualcosa di più coinvolgente (eh… eh…). Grazie ancora ancora ed ancora per il commento!

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Quinto Capitolo ***


Quinto Capitolo

 

Quinto Capitolo

 

Il sabato seguente mi svegliai presto. Per fortuna. Avevo passato la notte tra gli incubi a causa di quegli stupidi licantropi e non vedevo l’ora che finissero. Che cavolo, adesso esistevano anche loro! Stupidi lupi grandi quanto degli orsi… Mi ero appena svegliata, ma il mio cervello stava già lavorando. C’erano gli orsi qua a Forks. Che avevano ucciso un bel po’ di persone. E se questi orsi erano i licantropi? Erano stati forse loro ad uccidere? Ma loro non attaccavano le persone; avevano avuto tutto il tempo per farlo l’altro giorno. Anche se c’era da domandarsi di cosa si potevano mai nutrire. Aspetta, erano comunque esseri umani in parte; si nutrivano di quello che mangiano gli esseri umani. Forse. Sbuffai e mi tolsi immediatamente le coperte di dosso. Mi agitai subito già di prima mattina; stavo odiando a morte quei cosi pelosi e pulciosi. Pensandoci bene era davvero strano che dei giganteschi mostri come loro non attaccassero le persone. Anche se era così. Nonostante tutto ero di nuovo tesa; avevano la possibilità di far del male ai miei genitori e non provavano una grande simpatia per loro, questo tanto basta. Inoltre sentivo una strana malsana curiosità nei loro confronti; non era da tutti i giorni incontrare ragazzi che si trasformavano in lupi.

Mi abituai a fatica alla luce del sole fuori dalla porta, ma a passo spedito mi diressi verso i miei genitori, dovunque fossero in quella casa-cosa. Li trovai in cucina. La vista era appannata e non vidi cosa stessero facendo di preciso. 

E se gli orsi fossero i lupi?” sbottai di colpo.

“Buongiorno, Abi” disse mia madre, un po’ a disagio.

“Giorno, e se gli orsi fossero lupi?” ripetei.

E se le capre fossero galline?” rispose mio padre “Abi, che cosa stai dicendo?” Giusto. Forse non sapevano degli orsi. Mi tirai indietro i capelli davanti agli occhi.

“A scuola mi hanno detto che ultimamente un branco di orsi sta combinando danni qua in giro, facendo alcune vittime. E se questi orsi fossero i lupi?” Mi passai una mano sugli occhi per togliere l’appannamento. I miei genitori erano serissimi. Oh no; allora i lupi mangiavano veramente le persone. Come diamine lo…?

“Non sono orsi, né licantropi” comunicò mio padre, ancora serio. Ah… quindi non sono loro che hanno ucciso quelle persone. Bene, non si cibavano di essere umani.

“Sono vampiri” Era ancora serio. In quel momento mi domandai perché mai non ero rimasta a letto. Cosa caspiterina stava succedendo?!

“Eh?” Fu tutto quello che mi uscii.

Abi” Mia madre mi porse una tazza calda di caffè. Quello che mi ci voleva. A poco a poco notai l’agitazione nei loro modi; era successo qualcosa di importante. Forse ancora con i licantropi?

“Quelle persone sono state uccise da vampiri” Ah… Bhe, era normale. I vampiri uccido per sopravvivere. Ma solo quelli normali lo fanno con gli esseri umani. Non era normale che l’avessero fatto così vicino. Credevo ormai di aver raggiunto un livello di lucidità decente per capire, intendere e volere.

Cosa? Cosa ci fanno qua?” sbottai con in un misto di delirio e sorpresa. Non era la prima volta che dei vampiri nomadi si avvicinassero troppo alla nostra zona, ma non era mai una bella cosa per me quando accadeva. Inoltre se n’erano andati sempre in tempo, prima che i miei genitori intervenissero. Mio padre alzò le spalle.

“I vampiri nomadi viaggiano in continuazione” Non era esattamente quello che mi preoccupava di più.

“Quanti sono?”

“Due” Bene, almeno erano pari. Ci pensai ancora un po’ con attenzione. Alzai gli occhi e guardai dritto mio padre negli occhi, un po’ accigliata.

“Da quanto lo sapete?”   

“È da un po’ di tempo che viaggiano in questa zona” intervenne mamma, un po’ nervosa.

E perché non me l’avete mai detto?” chiesi acida.  

“Fino ad adesso hanno mantenuto le distanze e non erano un problema per la popolazione di Forks. Te lo avremmo detto con calma, quando se ne sarebbero andati. Grazie tante…  “Con l’ultimo attacco di stanotte però si sono avvicinati troppo.”

“Pensavamo quindi di intervenire. Rivendicare il nostro territorio e mandarli via. lo interruppe mia madre. Meditai su quello che aveva detto. Non avevo mai incontrato un vampiro che si nutrisse di sangue umano e neppure era mai successo che i miei genitori fossero costretti a fare qualcosa. Ma in fin dei conti, sapevo che i nomadi si tenevano ben alla larga dai centri abitati, come Chicago, quindi era anche capibile. Mi innervosii appena.

“Ah… quando?”

“Adesso” Sputai il caffè che avevo in bocca nella tazza.

“Adesso?!” esclamai io “E me lo dite solo ora?” Dalle loro facce capii di sì. Sbuffai; odiavo quando nessuno non mi diceva niente.

Bhe… se proprio vuoi, tra un po’” disse mio padre sarcastico guardandosi l’orologio al polso, forse per smorzare la tensione.

“Non è divertente!” sbottai sedendomi sul tavolo. “Allora, quando pensavate di avvertirmi di questa missione speciale?” chiesi arrabbiata.

“Non appena ti fossi svegliata”

Waow!” sbottai un’altra volta. Perché queste cose se le tenevano tutte per loro? Capisco che non volevano che mi preoccupassi, ma anch’io facevo parte di questa cavolo famiglia!

E come pensate di fare?” dissi questa volta più arrabbiata. La tensione era ormai svanita del tutto.

“Ne stavamo appunto parlando” disse mio padre, mantenendo una perfetta calma, anche se lo conoscevo troppo bene per non notare il suo lieve nervosismo della voce.

“Non potete andare lì, parlare con voi e andarvene?”

“Non è così semplice. Ci sei anche tu.” Ah… capito perché il nervosismo. Impazzivano sempre quando il problema ero io, cioè quasi sempre. Quella volta però non avevo capito cosa c’entrassi io.  

Cosa vuoi dire?”

“Dobbiamo decidere cosa fare; sappiamo che dobbiamo andare la loro, da soli ovviamente, ma non sappiamo dove potresti stare tu” mi spiegò mamma, ancora tesa.

“A casa?” suggerii.

“No, quando c’è un vampiro così vicino tu da sola non stai.” Poche volte avevo sentito mia madre così autoritaria.

La sua iperprotettività  era però fondata; queste erano le normale conseguenze che potevano insorgere incluse nel pacchetto “vita con i vampiri”. Non conoscevo questi vampiri, ma se erano esperti e sapevano quello che facevano, potevano fare le cose davvero in grande. Da quello che mi avevano raccontato sui vampiri non vegetariani avevo imparato che l’assurda possibilità di venire a sapere che c’era un’umana così legata a due vampiri e sfruttare questo elemento a proprio vantaggio in qualche strano modo inconcepibile non era assolutamente da escludere. Non sapevo se definirli astuti o pazzi. Ed effettivamente non mi sentivo sicura nemmeno io da sola; alla fin fine ero d’accordo con mamma.

Quindi?” chiesi seria.

“Quindi dobbiamo trovare un luogo sicuro per te prima di andare” mi rispose mio padre “Pensavamo di mandarti a Port Angeles; i nomadi non sono soliti esporsi così tanto in un luogo così popolato”

Bhe, questa si che era un’idea. Waow, dovevo dire che quella mattina aveva grandi prospettive. Nel giro di un weekend potevo dire addio alla mia tranquillità. Lo dicevo io che non poteva essere vero. Era come se davanti alla porta di casa ci aspettassero un branco di vampiri ed uno di… Ecco, l’illuminazione! Era perfetto e potevo stare persino vicino a casa.

Ma non sapevo dove poterli trovare… Ma sì, sapevo dove poterli trovare! Io sapevo chi erano!

“Io avrei un’idea migliore” dissi in un tono che non sapevo definire sul momento.

“Da come si illuminano i tuoi occhi direi che si tratta di una grande idea” disse neutra mamma.

“Conposto sicuro’ voi intendete un luogo dove loro non possono attaccare me, ma dove io posso essere difesa”

“Continua” disse mio padre, interessato, ma guardingo. Non sempre le mie grandi idee potevano sembrare alle persone altrui “grandi”.

Quindi mandatemi dai licantropi” conclusi, contenta di aver trovato questa geniale idea. Mia madre rise nervosa.

“Ammesso che vada bene” disse mio padre. L’inizio non era promettente “Dove speri di trovare cinque lupi giganti?”

“Io so chi sono” dissi fiera.

Cosa vuoi dire?”

“Sono Quileute di La Push. Sono sicura; vivono a La Push. Li ho visti l’ultima volta che sono andata là. Quei ragazzi erano identici al capo branco che abbiamo incontrato ieri. Dopodiché scese il silenzio. Papà non aveva un’aria per niente convinta, mentre mamma aveva cominciato a guardarmi con scherno; cosa che mi fece pentire di aver aperto bocca.

Abi” disse alla fine mamma “Ti ricordi cosa è successo ieri?” Perché la cosa non poteva essere neppure in considerazione?

“Pur una volta sono andata a La Push e sono tornata sana e salva. E poi non vogliono attaccare me!”

Ma quella volta non sapevano che tu stessi con due vampiri. Per quanto ci riguarda possono farti del male solo per questo” Ci pensai per un momento. Forse aveva ragione; poteva andare benissimo in questo modo. Scossi la testa sconsolata. Eppure in quel momento mi sembrava quasi impossibile che uno di loro potesse fare del male ad un essere umano. Ripensai a quel incontro riavvicinato di ieri e me ne convinsi ancor di più.

Che idea idiota…” mormorai sconsolata.

“No, invece è un’ottima idea” si intromise mio padre “Dato le alternative.” Mia madre lo perforò con lo sguardo e le sfuggì un ringhio.

“Non le faranno del male. Sanno che se solo oseranno farlo dovranno vedersela con due vampiri che sono disposti a tutto. Quel branco è davvero affiatato e non credo siano disposti a rischiare in questo modo la vita di uno solo dei loro compagni. Inoltre non ho nessun cattivo presentimento” disse papà, guardando convincente mamma. A pensarci bene la mia era rimasta un’idea geniale. Mamma però, che da quando aveva aperto bocca papà era diventata seria, non la pensava così.

“Sei sicuro, Will?” Sembrava più un ringhio che una frase.

“Te lo giuro, Sophie” promise mio padre, con fare dolce. Mia madre lo perforò con lo sguardo, si girò indispettita e se ne andò da quella stanza, arrabbiata. Sapevo che papà era in grado di convincerla quasi in ogni cosa. E poi mamma provava una cieca fiducia riguardo al suo dono. Sapevo che mi avrebbe lasciato andare, anche se il suo senso materno spinto all’eccesso che l’aveva fatta uscire dalla stanza continuava a fare resistenza.

Quindi era deciso: si andava dai lupi. Bastava che me ne stessi tranquilla in un luogo pubblico all’interno della riserva, cercando di passare magari inosservata.  

Abi” disse mio padre avvicinandosi, con fare un po’ preoccupato “Se ci tieni alla vita di tuo padre potresti impegnarti a tornare a casa sana e salva? Evitare di cadere dalla moto, da uno scoglio o cose del genere?” Mostrai il mio sorrisino sghembo.

“Ti ucciderà” dissi sarcastica.

“Sì, mi ucciderà” Lui però non lo era affatto.

 

Direzione: sud-ovest. Meta: La Push. Il tempo era nuvoloso e ovviamente pioveva, quindi dovetti fare più attenzione e non correre molto. Il piano alla fine era questo: sarei andata a La Push, in un luogo pubblico, e non appena uno dei miei genitori mi avesse fatto uno squillo sarei tornata dritta a casa. Mamma era davvero molto preoccupata. Era strano che io non lo fossi per me. Questa storia dei licantropi non mi piaceva affatto, perché se abitavano a La Push e mamma non voleva che mi avvicinassi troppo a loro allora non potevo andare nemmeno a La Push. Quindi niente mare. Era davvero un gran peccato. Ero convinta che non mi avrebbero fatto niente e volevo dimostrarlo a mamma. Chissà, avrei potuto anche farmi qualche amico. In fondo anche loro erano persone, mio Dio! Proprio come i vampiri. Attraversai il cartello di La Push. Eccoci nella tana del lupo. Decisi di andare ovviamente alla spiaggia.

Quando arrivai era deserta; non mi stupiva, pioveva. Non dava molto l’idea di luogo pubblico, anche perché il “pubblico” non c’era. Ma c’era il mare, quindi si rimaneva là lo stesso. Scesi dalla moto e mi tolsi il casco. Camminai in direzione del tronco bianco ed eroso dell’altra volta.

Who’s afraid of the big bad wolf, big bad wolf, big bad wolfcanticchiai mentre camminavo sulla spiaggia.

Mi sedetti e cercai un modo per passare il tempo. Quest’oggi il mare non era per niente bello; molto movimentato e grigissimo, quasi sporco. Sbuffai. Quanto tempo ci sarebbe voluto? Tentai quindi con stupidi passatempi per ingannare l’attesa. Mi girai, dando le spalle al mare e, alzando la testa, contai le persone che passavano sull’alta costa. Dopo cinque minuti nemmeno uno. Cosa diamine era, una cittadina fantasma? Ecco finalmente un passante. Correva sotto la pioggia, coperto da una giacca a vento che lo rendeva irriconoscibile. Dopo pochi secondi anche lui si girò a guardarmi. Si fermò di colpo continuando a mantenere lo sguardo. Non riuscii a vederlo in faccia sia per la lontananza che per il cappuccio della giacca. Poi riprese a correre, questa volta in direzione della foresta dalla parte opposta alla spiaggia e scomparì dalla mia visuale. Mha, che gente strana. Visto che dopo quello strano qualcuno non si era fatta vedere anima viva cominciai a contare i sassi azzurri per terra. Sembravo un po’ disperata.

Ero arrivata a dieci quando sentii avvicinarsi un rumore, di sassi, per l’appunto. Alzai lo sguardo e mi stupii di vedere la stessa persona di prima. Era sicuramente un uomo, data la corporatura nerboruta. Una vera muscolatura da… Ah. Eccone uno. Non provai al momento nessuna paura; mi sarebbe stato troppo innaturale: davanti a me c’era solo un ragazzo. Il licantropo si fermò a pochi centimetri dal tronco. Eh, eh, oggi niente torso nudo, vero?

“Tu… sei la ragazza che sta con i vampiri”

Non era una domanda; mi aveva riconosciuta. Così da vicino potei vederlo finalmente in faccia; aveva dei grandi e profondi occhi scuri leggermente a mandorla che erano accentuati dalla carnagione scura e che attirarono immediatamente la mia attenzione.

E tu sei uno dei licantropi”

Si sedette anche lui sul tronco, pochi centimetri lontano da me, verso il mare. Si tolse il cappuccio e lasciò che la pioggia bagnasse i suoi corti capelli scuri. Era enorme e doveva avere sicuramente più di vent’anni.

Cosa ci fai qua?”

Non era esattamente la domanda più importante che potesse farmi, date le circostanze, ma non era male come inizio di una conversazione. Non potevo fidarmi di loro, ma era meglio essere subito sinceri se volevo avere buoni rapporti con loro. Proprio come aveva tentato di fare papà.

“Ci sono due vampiri qua a Forks. I miei genitori sono andati pacificamente a parlare con loro. Mi hanno mandato qua perché sapevano che sarei stata più al sicuro nel vostro territorio, mentre loro non erano presenti.

“Ah…già, stiamo dando la caccia a quei due vampiri già da un bel po’. I miei compagni lo stanno facendo proprio ora.

Mi innervosii all’istante. Oh no. Ci sarebbero stati anche loro. Non sapevo dove si trovavano, ma speravo che stessero attenti a non oltrepassare il territorio o che i lupi facessero attenzione.

E perché tu non sei con loro?” continuai evidentemente tesa.

“Sarei andato, ma… ti ho vista e ti ho riconosciuta. Non abbiamo molte occasioni per parlarti e volevo farlo a nome di tutto il branco. Loro se la caveranno.” Mi accorgevo solo in quel momento della bella voce che aveva. Era davvero calda e profonda.

“Giusto. Non avrete visto tutti i giorni una ragazza insieme a due vampiri” constatai.

E voi un branco di licantropi” rispose con una smorfia che voleva essere un sorriso.

“Effettivamente non sembra una brutta idea parlare”

“Per niente.” Nonostante tutto continuammo a rimanere zitti. Che situazione imbarazzante.

Ma… hanno avuto ragione?” chiesi ancora tesa.
”Cosa?”
”A mandarmi qua. Mi… mi permettete di venire anche se sono dalla parte dei vampiri?” Ecco la domanda da un milione di dollari che mi avrebbe permesso di venire qua a La Push.

“Certo. Perché no? Sei la benvenuta a La Push, tu.” Lui era tranquillissimo.

“Ah… voi non… non mi sbranerete?” Evidentemente no; riuscii a shockarlo con la mia domanda.

“No! No, noi… non siamo i lupi cattivi che mangiano le persone! Noi le persone le difendiamo. Ti sei fatta un’idea sbagliata.”

Ecco, avevo avuto ragione. A meno che non mi stesse mentendo. Fu la forte ingenuità e sincerità che trasparivano dal suo tono di voce a convincermi a credergli.

“Ci trasformiamo in lupi, ma conserviamo ancora una parte umana. In teoria non potrei parlartene; è una nostra antica regola mantenere segreta la nostra natura. Ma il nostro capo branco ci ha permesso di parlarne almeno a te, visto che… hai uno strano ruolo in questa storia. Papà aveva ragione, erano un branco molto organizzato.

Senza rendermene conto cominciai a squadrarlo dalla testa ai piedi. Era una solo persona, né un mostro, né qualcos’altro. E non sembrava neppure avere l’intenzione di farmi male, sebbene l’avrebbe potuto fare, se l’avesse voluto. Ma visto così da vicino incuteva un po’ di sottomissione; sembrava un atleta pericolosamente doppato: aveva muscoli dappertutto ed era alto e grosso come un armadio. Avrebbe potuto stendermi con un dito anche da umano.

Cosa c’è? Perché mi stai guardando così?” chiese imbarazzato. Ah, lupetto, lupetto, cosa vai a pensare… Approfittai della situazione.

Bhè, mi sono venute in mente parecchie domande su di voi. Ed una di questa era se… questa cosa dei licantropi risentisse anche sul vostro corpo…” chiesi totalmente con scioltezza.

“Beh… sì. Diventiamo molto più resistenti e forti. Parecchio” rispose lui calmo. Quel “parecchio” però mi fece paura.

“Si vede…” Lo squadrai ancora una volta “Da quanto esistete?”

Mi venne spontanea; non era esattamente la domanda principale, ma era legittima. Supposi non da molto, se i vampiri non li conoscevano. Lui ci pensò un po’ su.

“Ad essere sincero non lo so, ma da un bel po’ di tempo. Davvero un bel po’. Tanto che anche per i licantropi esistono le loro belle leggende. Come per i succhiasangue.” Persi ogni proposito di continuare la conversazione. Mi girai improvvisamente verso di lui.  

“Come scusa?” Speravo di aver capito male. Lui mi guardò confuso.

“I vampiri”

“Ripeti un po’ come li hai chiamati” La stizza cresceva come anche la sua confusione.

“Succhiasangue”Oh… dimenticai di trovarmi di fronte ad un licantropo, in grado di stendermi con un mignolo e che non conoscevo nemmeno ed esplosi. Gli puntai un dito contro.

Se in qualche modo ti stai riferendo ai miei genitori, allora ti conviene cucirti quella boccaccia e cominciare a picchiarti da solo, perché se lo faccio io sarà molto più doloroso! Hai mai conosciuto un vampiro di persona?!

“No, m…” Era rimasto senza parole dalla mia reazione e m guardava con un certo timore.

“Allora non permetterti più di dire queste fesserie, mi hai capita?” Stavo ormai gridando e provavo un’irrefrenabile voglia di saltargli addosso. Ormai non ragionavo più.

“Io non vengo mica qua e sbatterti in faccia che voi licantropi siete degli stupidi cani bavosi, benché, lo ammetto e non me ne vergogno, non mi state simpatici neppure un po’. Soprattutto dopo quello che ha detto… Non gli diedi il tempo di dire nulla.

Quindi, che non ti accarezzi nemmeno il pensiero di pensare a quel nome! Soprattutto” sottolineai con particolare enfasi l’ultima parola. “se ti riferisci ai miei genitori. Loro sono dei vampiri non solo con la “v” maiuscola, ma con tutto il resto delle lettere. Loro sono dei V-A-M-P-I-R-I!!”

Feci un respiro profondo, con il quale mi ritornò anche quel minimo di ragione che avevo perso. Forse gli sarò sembrata una pazza da manicomio, ma se si metteva ad offendere vampiri e compagnia bella con i licantropi si iniziava davvero male. Lo guardai negli occhi. Eh già, mi guardava come se fossi una pazza. O come se fosse diventato lui pazzo ascoltandomi, non capii sul momento. La sua espressione, anche se comprensibile, mi dava fastidio.

Che c’è?” dissi per fargliela passare. La rabbia non mi era ancora passata del tutto.

“Li… li hai chiamati genitori, giusto?” Ah... era esterrefatto non per la mia scenata, ma solo per questo? Si stupiva facilmente, il ragazzo.

Anche più di una volta in questa conversazione senza senso” continuai io, con lo stesso tono. Lui respirò profondamente.

“Come… come fai?” Non capivo cosa c’era di tanto sconvolgente.

“A fare che?”

“A…” chiuse la bocca e la riaprì un paio di volte, confuso fino all’eccesso. Forza, dolcezza, ce la puoi fare.

“Tu li chiami…mamma’ e ‘papà’?” chiese con uno strano sorriso sulle labbra, come se credesse che quella domanda fosse troppo assurda ed irreale da porre.

“E secondo te come li dovrei chiamare?!” risposi secca. Stava cominciando a farmi arrabbiare di nuovo. Lui spalancò gli occhi.

“Tu chiami “mamma” e “papà” due mostri che potrebbero ucciderti?!” mormorò sconvolto.

Ok, cominciai a valutare seriamente i motivi per non ammazzarlo. Era un uomo: ma non comportava niente di grave. Era un uomo parecchio muscoloso: sorvolabile. Era un licantropo: problema. Persi la cognizione del tempo e mi resi conto che ero rimasta a guardarlo semi imbambolata per un po’ di tempo, dato che aveva la faccia tosta di sventolare la mano davanti ai miei occhi, con evidente preoccupazione. Ed con anche un sospetto ghigno sulla faccia. Decisi che l’unica cosa che potevo fare era parlargli; no, impossibile, urlargli era più facile.

Che...” Non riuscii però a indovinare quello che seguiva e mi fermai. Riprovai

“Ma quante diavolo ne stai sparando?! Cavolo…! Tu… tu sei proprio bacato. Bacato alla grande, amico. Completamente! Come ti viene in mente l’idea che loro mi potrebbero uccidere?!

… non so… forse perché sono dei vampiri?” mi rispose in tono da presa in giro. Pugno in faccia, pugno in faccia…

“Questo non spiega un cavolo! Quelli normali lo fanno. Loro bevono solo sangue animale!”

Ma questo non toglie che siano vampiri” continuò.

No, non stava scherzando era davvero serio. Ma che cavolo; conoscevano vampiri vegetariani e sapevano che non uccidevano persone, perché allora credevano che mi avrebbero uccisa?! Forse secondo loro non sarebbero riusciti a trattenersi? Bhe, forse c’era andata un po’ troppo pesante. Effettivamente per capirmi bisognava conoscere la mia storia, che loro non sapevano. Questo riuscì a calmarmi, ma solo un po’. 

“Senti, non credo proprio che tu abbia la giusta mentalità per cogliere la situazione. Non ci capiamo proprio! Insomma, ogni cosa che ti esce da quella bocca equivale a “castronata” per me! E credo che lo sia anche per te!”

“Almeno su questo siamo d’accordo” disse annuendo con la testa, tanto sconvolto, quanto io pazza. Stette alcuni secondi in silenzio, poi riprese a sparare.

“Ma…  non ti hanno mai fatto del male?”

“Ovvio che no!” Così però mi faceva arrabbiare ancora.

E… vivi… con loro? Sotto lo stesso tetto, intendo?”

“Ti ripeto che non credo che tu riesca ad afferrare il concetto!” dissi pungolandomi il cranio con le dita.

“E’ un sì, quindi?”

SI’!”

“…impossibile…”

“Vuoi davvero sentire una cosa impossibile?” dissi con voce incredibilmente controllata. “Mia madre, che è un vampiro, è la mia madre biologica” Solo per il gusto di vederlo prendersi un infarto. Non l’avrei escluso, anche così grande e grosso com’era, si sconvolgeva per poco.

“Eh?” mugugnò lui. “…Come… no… mi stai prendendo in giro. Non è divertente…”

Se non ci credi, fai pure”

“Non è possibile! Tu sei umana!”

“Ti voglio raccontare in due parole la storia della mia vita: diciassette anni fa mia madre mi sfornò dal suo pancione. Stava per morire, ma ecco che arrivò mio padre, pronto a salvarla. Lei diventò un vampiro e io restai umana. Da allora viviamo tutti e tre felici e contenti. Fine della storia.” C’erano in teoria un mucchio di particolari importanti, ma questo era sufficiente per fargli capire la situazione.

“In breve, i miei genitori riescono a sopportare l’odore del mio sangue perché mio padre è da trecento anni che si esercita sul suo autocontrollo, mentre l’istinto materno di mia madre è decine di volte superiore del suo appetito” Questa volta riuscii ad essere totalmente seria.

Se i miei genitori non fossero stati sicuri al cento per cento di non riuscire a resistere al sangue umano, allora non sarei qui, ti pare?” Forse così avrebbero capito che loro non erano pericolosi. Ma ne dubitavo, dato tutti i pregiudizi che aveva.

Ma come…” lui si fermò subito. “No, niente. Me ne sto zitto che è meglio…”

“Ecco, buona idea…” Aveva una faccia ancora più confusa di prima.

“No, aspetta” riprese quasi subito “Tu sei umana e sei nata da una donna umana” Mi ero stufata di sentirlo dire idiozie, ma questa volta ci stava provando veramente a capire, quindi lo lasciai fare.

“Sì”

“Ti ha partorita ed era ancora umana”

“Sì”

Ma subito dopo è morta”

“Stava per morire” precisai.

“Va bene. Stava per morire” si corresse dandomi corda “Ma il suc… vampiro l’ha morsa. E si è salvata”

“E quel vampiro era mio padre” tenni particolarmente a sottolineare. 

Ma non può essere tuo padre!” sbottò.

“Non è il mio padre biologico. Sotto questo punto di vista è un qualsiasi vampiro” Odiavo tremendamente definire mio padre come un qualsiasi, semplice vampiro, anche sotto questo punto di vista. “Ma rimane mio padre”

Ma non ha morso, né ucciso, te”

“No”

E neppure tua madre, che è diventata un vampiro”

“No”

“Ah…” mugugnò, ancora concentrato. Richiuse la bocca che era rimasta aperta, ma subito dopo la riaprì, senza emanare alcun suono, ad occhi spalancati. Finalmente ci era arrivato. Strizzò infine gli occhi e scosse la testa. Mi sarei divertita un sacco a vederlo così esterrefatto ed in pena, ma tutto il senso dell’umorismo era passato dopo che, volente o nolente, aveva insultato i miei genitori in mille modi.

“Quando ti abbiamo vista insieme ai due vampiri ci era sembrato assurdo che tu stessi con loro, anche se noi i vampiri del genere li conosciamo. Volevamo venire persino a Forks, nonostante non sia un nostro territorio, per chiederti di persona come stava esattamente la cosa, ma il fatto che abbiano resistito così bene al tuo sangue, ieri alla foresta, ci ha letteralmente stupito e ci ha colti del tutto impreparati. Ma questo… questo, questo è davvero assurdo!”

“Qualche volta me lo dico anch’io…”

Che conversazione. Gridare era davvero faticoso ed avevo racimolato davvero poche informazione sul loro conto, ma non avevo la benché minima intenzione di continuare una conversazione del genere. Decisi che per oggi bastava.

Ormai avevo riacquistato del tutto la ragione e mi accorsi solo in quel momento che gli avevo fatto davvero una grande scenata. Non dico che non gliel’avrei rifatta, ma di certo non era stato un comportamento gentile. E poi si era sforzato di capire; le scuse se le meritava.

“Scusami per la scenata di prima” ammisi “Queste offese alla mia famiglia mi fanno terribilmente perdere alla testa” Lui sbuffò e scosse di nuovo la testa.

“Non… non ho idea di cosa potrei risponderti” affermò lui “C’è un abisso tra di noi. Abbiamo una concezione di… vampiri davvero opposta. Lo guardai per un momento, fisso negli occhi con il mento appoggiato alla mano.

“Sono curiosa di sapere quello che stai pensando di me” Lui rise istericamente.

“Penso che tu sia una pazza. Una pazza, di quelle vere” Era molto convinto.

“Che strano, penso esattamente lo stesso di te” mi tirai su ed appoggiai le mani sul tronco “Ma, vampiri a parte, credo che potremmo riuscire a comunicare” Lui mi mostrò un ghigno.

“Forse hai ragione” Attesi qualche minuto, godendomi il venticello che soffiava lieve e mi rinfrescava la faccia.

“Non è male questo posto…” blaterai per riempire il silenzio.

“Quattro case, piove quasi sempre… ragazza, Disneyland non è niente” Mmmhh… aveva il mio stesso senso dell’umorismo. Stava cominciando a piacermi il suo lato umano, incondizionato dai vampiri. In quel momento però non avevo voglia di scherzare.

Ma c’è il mare. Prima di tre mesi fa non l’avevo mai visto…”

“E suppongo tu sia venuta qua in spiaggia per vederlo” Mi girai verso di lui, cercando di capire dove volesse arrivare.

“Sì” dissi sospetta.

“Piccola informazione: è di là” disse indicandolo. Ero infatti ancora voltata di schiena.

“Ah, ma non lo stavo guardando. Stavo… ammazzando il tempo” Il verbo ci stava appieno “Stavo… contando le persone che passavano” dissi indicando la costa.

“Oh” disse lui falsamente sorpreso “E a quante sei arrivate?”

“Uno, solo tu” ammisi io. Lui mi guardava interessato.

“Da dove vieni?”

“Chicago”

… io non ho mai visto Chicago. Siamo pari, no?” Sfoderai il piccolo sorrisetto sghembo.

“Visto che siamo riusciti a tirar fuori uno straccio di comunicazione sensata?”

“Già, mi hai sorpreso. Nel lato buono questa volta. E se proprio ci tieni a saperlo è stato anche piacevole” Questa volta fece un sorriso vero. “Ed è anche non sentirti più urlare è decisamente meglio”

“Ah ah” mugugnai io, sorridendo sorniona. Passarono ancora alcuni minuti di silenzio. Era davvero un simpatico ragazzo.

“A vivere con dei vampiri si diventa così strani?” Non lo diceva con cattiveria.

“Forse sì, forse no” dissi dondolandomi avanti ed indietro. La mia tasca vibrò. Era lo squillo. Ritornai alla realtà; in quei minuti, forse ore, mi ero scordata che i miei genitori erano andati a parlare con un vampiro. E che forse ci sarebbero stati anche i licantropi.

“Devo andare ora…” dissi seria e nervosa alzandomi subito.

“Dai due…”

Se ti viene così difficile, non dirlo” dissi riprendendo la calma ed allontanandomi.

“Ci vediamo!” gli gridai. Eccome se ci saremo rivisti; dovevo sapere ancora molte altre cose sul loro conto.

“Aspetta” In breve riuscì a raggiungermi e a fermarmi per un braccio. Aveva una stretta possente. “Non dire a nessuno che noi Quileute siamo dei licantropi” Io sbuffai e continuai ad allontanarmi.

“Mi hai forse preso per una stupida?” dissi sarcastica, con il mio sorrisino sghembo.

 

Durante il viaggio di ritorno non riuscii a pensare all’incontro che avevo avuto; diventai improvvisamente troppo nervosa per i miei genitori. Eh, dai, Abi, sono due contro due. Più, molto probabilmente, quattro licantropi. Spinsi il piede contro l’acceleratore, quei dieci minuti stavano diventando mezz’ore. Avevo almeno la certezza che stessero bene, se mi avevano fatto uno squillo. No, avevo la certezza che uno dei due stava bene. Arrivai a casa prima che pensieri malsani ed insensati, cagionevoli per la mia salute mentale, mi affollassero la mente. Spensi il motore ed inciampai per la fretta di togliermi il casco. Che caso umano. Attraversai velocemente la porticina che dava sul salotto.

“Non mi dire che eri preoccupata per noi?”

Mia madre mi stava guardando appoggiata al tavolo in marmo della cucina, con vicina papà. Si vedeva che non vedeva l’ora di vedermi. Lei sì che si era preoccupata.

“Sei stata veloce a venire qua”

Lui mi stava sorridendo. Respirai profondamente; stavano tutti bene. Mi tolsi il giubbotto e lo appoggiai sulla prima sedia, mentre mi sedevo sul tavolo vicino a mamma, che mi pose un braccio sulla spalla.

“No, ma figurati. Io? Preoccupata per due vampiri? Ma dai!”

Ma davvero, naso a patata?” Mio padre mi si avvicinò e mi tappò il naso con le dita. Io indietreggiai con la testa e gli feci la linguaccia.

“Noi piuttosto siamo stati preoccupati per te” disse mia madre stringendomi ancora di più a lei. Anche mio padre ridivenne serio.

“Ah… Non è successo niente. È andato tutto alla grande. Ho parlato anche con uno di loro”

“Ti ha fatto del male?” chiese automaticamente mia madre. Io scossi la testa per tranquillizzarla.

“No, papà aveva ragione, non fanno del male alle persone. Le difendono dai vampiri.”

“Come hanno reagito al fatto che stai con due vampiri?” si intromise mio padre.

Bhe… ne sono rimasti totalmente basiti. Gli ho raccontato la nostra storia a grandi linee. Diciamo che ho cercato di raccontare; non voleva crederci.” Mi fermai e lo guardai dubbiosa “Ho fatto bene?”

“Certo, dobbiamo farci conoscere per sembrare il meno pericolosi possibili” acconsentì papà.

“Sarebbe bello però sapere anche qualcosa sul loro di conto” continuò mamma.

“So che stranamente anche loro hanno vecchie origini, ma non abbiamo parlato molto di loro” corrugai la fronte “Ha cominciato a chiamarvi con dei nomignoli che mi hanno fatto scoppiare di rabbia!” Sbuffai, guardandoli negli occhi.

Ce l’hanno terribilmente con i vampiri. Li odiano veramente. Ne parlano come se fosse la peste. Non… non siamo riusciti a capirci su niente!” Sbuffai, di nuovo. “Credeva che fossi una pazza, mi guardava come se fossi un maiale blu! In realtà il vero pazzo è stato lui!” affermai sconcertata. “Ma, vampiri a parte, è stato simpatico.”

“Ah…” mugugnò mio padre, anche lui sconcertato. “Bhe… non ne sappiamo molto di più”

“Mi ha detto che io posso andare a La Push. Potrei incontrarli di nuovo.”

Questa cosa mi elettrizzava non poco, sembravo una sorta di mediatore tra due fazione in lotta, come nei film di spionaggio. I miei genitori non risposero subito. Si guardarono per un secondo negli occhi. Ed un secondo per dei vampiri valeva almeno cinque minuti. 

“Il ragazzo che ho incontrato è stato simpatico, ed anche gentile. Premere il tasto della “umanità” era il metodo più efficace per convincerli.

“Sono dei semplici ragazzi, un po’ cresciutelli, ma sono… umani”

Abi, il problema ora non è se vogliono o no farti del male” intervenne mio padre “Hanno avuto moltissime occasioni per farlo. Siamo convinti che non sono quelle le loro intenzioni.

“Ma allora dove sta il problema?!

“Non sappiamo se riescono a controllarsi” concluse mamma.

“Ah… dici che vale anche per loro l’‘effetto-Hulk”?” Mio padre sorrise ed annuì.

L’ “effetto-Hulk” era il nome che avevo dato all’incapacità dei vampiri di resistere al sangue. I miei genitori mi avevano detto che l’effetto del sangue può influire sull’autocontrollo dei vampiri in modo spaventoso. Un vampiro del tutto rilassato al contatto con il sangue può perdere l’uso della ragione e comportarsi come un animale. Un po’ come Hulk quando si arrabbia. Così avrebbe potuto valere anche per i licantropi; non era detto che riuscissero a mantenere la propria forma umana.

“Ma non avete neanche prove che non si riescano a controllare. Nei dintorni di La Push non ci sono state uccisioni, né incidenti di nessun tipo da quando siamo arrivati. A parte quelle degli ultimi giorni, che sono stati commessi da vampiri” affermai con convinzione.  Quasi me ne stavo dimenticando; avevo il diritto di sapere cosa fosse successo. Ne avrei subito parlato finita questa conversazione. I miei genitori se ne stavano ancora zitti.

“Facciamo così” dissi frettolosa di passare all’argomento successivo “Io vado a La Push e se mi succede qualcosa, bhé, c’è sempre mamma” affermai. Lei sbuffò.

“Non è un gioco. Anche se ci sono io, c’è la tua vita in pericolo.

“Forse, non è ancora detto.” Caspita, lupi o mostri che fossero, io volevo il mare! Mia madre scosse la testa. Papà invece se ne stava zitto.

“Come volete conoscerli, se appena vi vedono vi saltano addosso?!” sbottai io. Insomma, c’erano mille ragioni per poter andare a La Push, perché tentennavano ancora?

“Va bene, puoi andare a La Push” disse finalmente papà. Sì!

“William!” sbottò mia madre per niente contenta.

Ma sei tenuta a dircelo, ogni volta. Ed è vietato andare se entrambi siamo impegnati con il lavoro. Intesi?” disse serio. Io annuii convita e contenta. Mia madre sembrava solo leggermente tranquillizzata. Cambiai argomento, per rompere la tensione.

“Con il vampiro come è andata?”

“Come pensi che sia andata, eh?” dissi mio padre allegro, colpendo il naso con l’indice.

Io automaticamente gli tirai un pugno al petto. Un piccolo pugno ed insignificante pugno al petto, non volevo spaccarmi la mano. Quella volta però mi feci male, ma non perché avevo picchiato troppo forte. Diventai subito seria; era come se mi fossi punta. Era davvero una sensazione strana, mai provata; come possono pungere i vampiri? Hanno la pelle liscia come il marmo. A meno che… Puntai gli occhi fissi in quelli di mio padre. Lui non cambiò atteggiamento e continuò a sorridermi tranquillo.

E adesso cosa c’è?” disse lui gioioso. Io non lo ero affatto. Cominciai a sfiorare con le dita il punto dove lo avevo colpito, sopra la leggera camicia che indossava. La ritrassi spaventata, tornando a guardarlo fisso.

“Fammi vedere” ordinai in un filo di voce. Lui inarcò le sopracciglia quasi dispiaciuto.

“Non è niente, Abi” disse cercando di essere rassicurante, mentre si sbottonava la camicia. “È solo un graffio, non mi fa male”

Non mi importava affatto se gli faceva male, sapevo che non gli faceva male, era un vampiro! A preoccuparmi terribilmente era un’altra cosa. Rimasi immobile a guardare il graffio che aveva mio padre. Non era affatto un graffio, non era affatto un graffio! Era come se un architetto appena finita la sua perfetta statua greca dovesse dare un ultimo ritocco con lo scalpello e sbagliasse, scavando nella pietra e lasciando un lungo ed orribile varco per tutta la lunghezza del petto. Quello che più mi premeva era la profondità; non era affatto un graffio, dannazione! Il mio sguardo la continuò a guardare fisso, mente cominciai a ribollire di rabbia. Era troppo largo per essere stato prodotto da un vampiro; i suoi denti, seppur potentissimi, non erano così larghi. Strinsi le mani; licantropi. Potevano farne uno più profondo, oppure più di uno, potevano staccargli un braccio, oppure la testa. Quel “graffio” poteva uccidere mio padre. Sentii mia madre stringermi ancora di più.

“A te hanno fatto qualcosa?!” le chiesi con voce malferma. Lei scosse la testa e io le credetti. Tornai a guardare mio padre. Era davvero una strana sensazione vedere un vampiro muoversi tranquillamente con un solco che avrebbe ucciso un umano all’istante.

“Sto bene, Abi, sono sempre qui” disse lui prendendomi la testa con le mani.

Ma vi potevano uccidere!” urlai. Non ci vedevo più. Ero fuori di me. Sentii mia madre che mi massaggiava le spalle. Riuscii miracolosamente a calmarmi un minimo.

Cosa è successo?” bisbigliai ad occhi chiusi.

“Siamo arrivati troppo tardi. I licantropi erano già lì” iniziò mia madre “C’era solo un vampiro, ma i licantropi lo avevano già…” Cercava di trovare il termine più adatto, ma sapevo già quello che voleva dire; l’avevano ucciso, fatto a pezzi, distrutto, ce n’erano di vocaboli.

“Uno di loro si è avventato anche su di noi. Abbiamo cercato di difenderci, ma il gruppo lo stava appoggiando. Ce ne siamo quindi andati. Non ci hanno inseguiti” concluse mio padre.

Ma perché siete andati nel loro territorio?” sbottai. Mio padre si fece confuso e pensieroso. Ma non arrabbiato.

“Non eravamo nel loro territorio; eravamo vicini al loro confine, ma non lo abbiamo superato”

Cosa? CHE COSA?! Li hanno attaccati, senza che loro lo avessero superato. Avevo violato il patto da loro stessi imposto! Battei con forza le mani sul marmo sotto di me. Mi feci molto male. Mi alzai in piedi, mentre cercavo in qualche modo di contenere la rabbia. Provavo un irrefrenabile voglia di gridare, ma non so come riuscii a trattenermi. Qualcosa in me mi spingeva a ritornare a La Push e a spaccare il muso ad ognuno di loro, licantropi o no. Che falsi ed ipocriti! Non riuscivo a credere che fossero le stesse identiche persone; un ragazzo semplice e simpatico come quello incornato alla spiaggia in grado di attaccare in quel modo insulso.

Abi, calmati” disse mio padre mettendomi una mano sulla spalla. Mi voltai di scatto e lo guardai con rabbia.

“No! Non mi calmo! Non hanno rispettato il patto e potevano ucciderti!” gli gridai in faccia. Presi il giubbotto dalla sedia e lo indossai, per andare a La Push. Mia madre mi prese stretta per le spalle, senza alzarsi, bloccandomi.

“Lasciami, mamma!” gridai anche a lei.

Abi, cosa vuoi fare?” disse tranquilla. Io mi bloccai e la guardai. Perché solo io stavo esplodendo di rabbia? Perché non si rendevano conto di quello che avevano fatto?

“Per favore, Abi, calmati.” Detto da mamma, con quel tono, fece subito effetto. Riuscii a calmarmi. Mamma aveva ragione, cosa diamine volevo fare? Andare a La Push e poi? Che idiota, che stupida che ero stata a pensare di poter fare qualcosa contro cinque lupi giganti che erano riusciti a ferire mio padre.

Cosa avete intenzione di fare?” chiesi più tranquilla. “Hanno violato il patto, non potete far finta di niente”

“Questo no, non tralasceremo, ma non possiamo essere avventati con loro” spiegò papà. Feci un respiro profondo, ancora stretta fra le braccia di mah’. Io ero una stupida e loro avevano ragione. Avevo fatto una scenata del tutto inutile, impedendomi di pensare lucidamente. Adesso andava già meglio e sapevo un po’ meglio cosa fare. Feci un altro respiro profondo. I miei genitori non avrebbero lasciato sorvolare, ma i lupi cosa avrebbero potuto fare se gli avessero rincontrati? Un altro “graffio” o cosa? Potevo fare solo io qualcosa di buono.

“Devo andare a La Push” conclusi alla fine “A parlare con loro.” Sapevo che sarebbe stata una soluzione che tutti avrebbero accettato.

“A questo punto… sì” rispose mio padre

“Non la più adatta al momento di sicuro” replicò mamma.

“Ma abbiamo appena detto che..” sbottai innervosita.

“Sei andata fuori di testa, ti devi rilassare prima”

“Sono calmissima” Il mio tono di voce diceva però un'altra cosa. Dal nervoso battei ancora una volta la mano sul marmo del tavolo. E mi feci molto più male di prima. Serrai gli occhi per evitare di esplodere ancora.

Abi” Le mani gelide di mio padre mi incorniciarono il viso “Andrai a La Push, ma non adesso. Domani. Devi essere lucida e al momento non lo sei.

Cinsi il petto di mio padre con le braccia ed appoggiai la testa sul suo petto. Lo sentivo ancora, quel fregio. Ero sempre stata una persona troppo impulsiva e questo aveva sempre giocato a mio sfavore. Avrò fatto quello che mi aveva detto di fare; avrò aspettato domani e, con razionalità, avrò parlato con loro.

 

La mattina del giorno dopo cercai di svegliarmi abbastanza presto per l’incontro con i licantropi. Prima di partire sia mamma sia papà mi avevano riempito la testa con raccomandazioni e consigli di ogni tipo. Mi sentivo come una bambina al suo primo giorno di elementari, ma provavo la tensione di un ambasciatore. Era una sensazione irritante e deprimente allo stesso tempo, che non consigliavo a nessuno. Partii consocia del grande compito che mi era stato affidato. Dal giorno prima mi ero decisamente calmata e mi ero più volte preparata in mente quello che avrei dovuto dire, ma come al solito dalla mia bocca sarebbe uscito tutt’altro.

Solamente quando arrivai a La Push mi resi conto di un problema: dove li avrei trovati? Ieri alla spiaggia avevo incontrato quel ragazzo per caso. Decisi comunque di ritornarci, piuttosto di girare per La Push a casaccio. E se non li avrei trovati? Cavolo, non ci avevo pensato. Era un problema più serio di quanto immaginassi. Parcheggiai la moto nel punto di sempre e scesi in piaggia. Forse contavo troppo sul fatto che, essendo dei grossi lupi, mi avrebbero sentita arrivare sentendo il mio odore, sempre sperando che almeno uno fosse trasformato.

Quel giorno pioveva. Mi tirai sulla testa il cappuccio e come un’imbambolata aspettai ferma in piedi davanti al solito tronco eroso. In lontananza vedevo dei grossi nuvoli che si stavano avvicinando, dai quali prevedevo che quella pioggerellina sarebbe diventata un grande bel temporalone.

Erano passati quasi cinque minuti ed io ero sempre lì. Solo in quel momento mi accorsi che era un’idea proprio assurda starsene in spiaggia; insomma, La Push era piccola e cinque ragazzoni nerboruti si potevano trovare, diavolo! Mi girai dalla parte da cui ero arrivata dandomi della stupida, quando qualcosa attirò la mia attenzione. Mi bloccai all’istante. Eccoli. Li contai; ne mancava uno, ma quattro bastavano ed avanzavano. Stavano avanzando verso di me in gruppo e più si avvicinavano più sembravano ingrandirsi.

Nonostante la pioggia avevano il torso nudo questa volta, mettendo in bella vista il loro fisico doppato. Si fermarono a mezzo metro da me. E me la feci addosso. Erano quattro, grandi e nerboruti ragazzi con un’espressione seria e poco rassicurante sul volto. Non intravidi però quello del ragazzo di ieri. Peccato, la sua vista mi avrebbe rassicurato almeno un poco. Decisi però di mantenere un atteggiamento composto e persino sprezzante. Dopo averli squadrati uno per uno fissai il ragazzone più grande; era il capo branco, quello della foresta. Era con lui che dovevo parlare. Cercai di dimenticarmi dell’esistenza degli altri quattro e mi concentrai su quello che avrei detto.  

Perché li avete attaccati? Non avevano superato il confine!” dissi senza lasciargli la parola. Il mio tono non era furioso, ma solamente freddo. Il capo branco non mi rispose subito, ma sembrò pensarci un po’. Intanto mi ero distratta dall’espressione di uno degli altri quattro. Aveva una strana smorfia sul viso e sembrava contento. Lo perforai con lo sguardo, ci godeva davvero dall’aver quasi ucciso mio padre. Mi stavo arrabbiando, ma dovevo contenermi.

“Si sono avvicinati troppo…” La mia concentrazione tornò all’istante sul capo branco.

“Appunto! Si sono avvicinati, non l’hanno superato. Non avevate nessun motivo per attaccare. Questi non erano i patti” In risposta lui mi lanciò un’occhiataccia.

“Si sono avvicinati troppo ed uno di noi per sbaglio ne ha colpito uno” completò lui “Non è stato un attacco premeditato”

Io invece conoscevo un’altra versione della storia; quel lupo aveva volutamente deciso di attaccarli, non era stato un caso. Il ragazzo di prima schioccò la lingua. I miei occhi schizzarono su di lui; era stato lui ad attaccare mio padre, ne ero sicura, visto che non se ne dispiaceva affatto, a quanto pare. Sbagliai, e non riuscii a controllarmi questa volta.

“Tanto divertente uccidere persone, vero?” dissi ad alta voce al ragazzo. Dapprima si dimostrò sorpreso che gli avessi rivolto la parola, poi sfoderò un’espressione da sbruffone.

“I vampiri non sono persone.”

“Tanto quanto tu sei un mostro” risposi immediatamente. Lui perse la pazienza e, in uno scatto, superò quei cinquanta centimetri che ci separavano. Era alto almeno venti centimetri in più, ma non distolsi lo sguardo. Per un attimo i nostri occhi si spararono lampi a vicenda. Volle avanzare ancora di più, ma due dei suoi compagni riuscirono a trattenerlo in tempo.

“Sta buono, Paul” disse uno dei due. Non riuscì a guardarlo in faccia, perché i miei occhi erano ancora fissi su di lui, Paul.

Lo spinsero indietro, vicino al capo branco. Mi aveva fatta davvero incazzare. Non era però il momento di perdere le staffe, dovevo finire una conversazione. Guardai il capo branco, che mi fissava serio.    

“Avete comunque violato il patto da voi proposto” ripresi.

“Ce ne rendiamo conto e… non volevamo che accadesse” disse calmo, scandendo le parole.

L’ultima frase la disse ad alta voce, guardando quel ragazzo, Paul. Sembrava più un rimprovero diretto a lui. Capii che pur essendo un gruppo molto unito, c’erano molti contrasti di opinioni.

“Delle scuse sarebbero anche gradite, a questo punto” dissi acida. Paul, e non solo lui, trattenne a fatica una smorfia.

“Porgile pure da parte nostra” disse il capo branco. Bhe… se sono riusciti a chiedere scusa eravamo ad un buon punto.

“Abbiamo conosciuto la tua situazione; ne siamo rimasti davvero increduli. Non credevamo fosse possibile una circostanza del genere. È tutto vero?” continuò lui. Mi fu inevitabile non sbuffare. Proprio non gli entrava in testa, eh.

“Sì” sbottai acida, incrociando le braccia al petto. Lui mi osservò per un attimo pensieroso.

Temiamo però per la tua incolumità” disse con una leggera esitazione. Mi caddero le braccia.

“Sentite, è dal giorno in cui sono nata che vivo insieme a loro. Non mi hanno mai fatto del male fino adesso ed è sicuro che non lo faranno. E credo che ve l’abbiamo anche spiegato il perché di questa mia sicurezza” ridissi per l’ennesima volta.

Potete stare tranquilli, rispetteremo il patto. Garantisco che non verrà ucciso alcun essere umano, né trasformato.” Alla fine il problema rimaneva quello.

“Noi ci fidiamo di te, ma non di loro” Nei suoi occhi qualcosa improvvisamente cambiò.

“Se voi vi fidate di me ed io mi fido di loro, fidatevi anche di loro!”

“Bel colpo” sussurrò improvvisamente uno di loro, come se fosse il commentatore di un incontro di scherma. Il che non era del tutto falso.

“Non è così semplice” disse scuotendo la testa. “Per favore, fatti vedere ad queste parti più spesso. Ci farai sentire più sicuri.”

Era strano il tono che aveva usato. Era sicuramente protettivo, ma non era affettuoso come quello di Eric. Era più serio ed importante. Furono soprattutto le parole che usò a sorprendermi. Per tutta la conversazione si era tenuto sulla difensiva e si era rivolto con molta cordialità. Ero stata io a farmi prendere un po’ la mano. Mi fece una buona impressione. Feci un respiro profondo. Avevano realmente buone intenzioni, con me, per lo più.

“Va bene” Era l’unica cosa che potessi dire a quel punto. Decisi di cambiare atteggiamento; porsi la mano per farmela stringere e lui contraccambiò.

“Io sono Abigail Adams” Mi sembrava giusto presentarmi. “Mio padre si chiama William e mia madre Sophie

Dire il nome dei miei genitori mi sembrò un primo passo per sostituire il vocabolo “vampiro” o ancora peggio “succhiasangue” dal loro dizionario.

“Io sono Sam” disse il capo branco, con cordialità.

Jared” disse subito uno degli altri ragazzi.

Embry” Lui alzò perfino la mano, che ricambiai. 

Paul” disse con rabbia.

“Piacere” dissi il più tranquilla possibile. Di solito mi dimenticavo subito i nomi, questa volta invece sarebbero rimasti impressi nella memoria. A parte Paul, tutti si rivolsero a me in modo strano, distaccato. Non c’era da sorprendersi che non li stessi dal primo momento subito simpatica: io ero la ragazza che stava con i vampiri. Ritornai a guardare Sam.

“Suppongo quindi che non ci sia più niente da discutere”

“No” rispose lui, guardandomi di sottecchi, in modo strano.

Bhe… allora… ci vediamo” conclusi io, avviandomi immediatamente verso la moto, senza voltare la testa. In quel momento desideravo andarmene da lì, prendermi qualcosa di caldo e rilassarmi. Non sentii alcuna risposta al mio saluto. Non me li sarei aspettata.

Non persi tempo ad avviare il motore per ritornarmene subito a casa. 

 

Tornai a casa appena prima che iniziasse il temporale. Mi era venuto un grandissimo mal di testa e avevo bisogno di qualcosa per farmelo passare. Andai dritta in cucina e lì trovai, come ieri, i miei genitori ad aspettarmi. Erano entrambi tesi. Io sbuffai e mi andai immediatamente a sedere su una sedia. In quel preciso momento credetti che stare seduta su una sedia fosse la cosa più bella di questo mondo. Chiusi gli occhi e respirai.

“Allora?” sentii la voce vellutata di mia madre. Io li riaprii. Entrambi non si erano mossi ed entrambi mi guardavano con apprensione.

Cercai di fare mente locale.

“Abbiamo fatto una bella chiacchierata pacifica. dissi stanca “e vi chiedono anche scusa” La scenata di Paul preferivo sorvolarla.

“Davvero?” si sorprese mio padre.

“Già. Il capo branco mi ha detto che non era stato un attacco premeditato” continuai

“A me sembrava molto volontario come gesto” commentò sarcastica mia madre.

“Già. Anche se sono un branco, ognuno la pensa come vuole. C’è chi cerca di capire la situazione, chi invece non la vuole proprio accettare. Comunque il capo branco ha una grande influenza sugli altri ed è uno di quelli che rientra nella prima categoria.” 

“Come si sono comportati?” chiese mamma.

“Erano un po’ freddi, ma questo è capibile: per loro sto dalla parte dei cattivi, quindi sono una cattiva anch’io”

“Tu invece ti sei comportata bene?” chiese mio padre.

“Sì” Ahia. Non posso mentire con loro. Mamma alzò gli occhi al cielo.

Hai perso la calma, non è vero?”

“Va bene, solo un pochettino” dissi più sincera “Ma non è successo niente” Papà stava per aprire bocca, ma io lo precedetti.

“Non è loro intenzione attaccarvi, almeno non quella del capo branco, Sam. Mi hanno davvero sorpreso; il capo branco è stato davvero molto gentile. Si è dimostrato molto preoccupato per me. Credono che con voi non sia al sicuro e desiderano proteggermi. Mi hanno perfino chiesto di andare a La Push più spesso per controllarmi.”

Quindi la loro preoccupazione più grande sei tu, non noi” confermò mio padre stranito.

“Al momento sì. A quanto ho capito, loro ce l’hanno con voi perché credono che voi possiate fare del male a qualcuno.”

“Ma glielo hai detto che non è così” si intromise mamma.

“Sì, ma loro continuano a non fidarsi di voi.

“È comprensibile il loro comportamento. Nonostante i Cullen, per loro dei vampiri che non uccidono le persone è una situazione da non sottovalutare” Per pochissimi secondi scese il silenzio.

“A questo punto credo sia ufficiale che tu andrai spesso a La Push” Mi sorpresi che queste parole uscissero dalla bocca della mia mamma iperprotettiva.

“Visto come stanno le cose se non vai a La Push, i licantropi si potrebbero innervosirsi.” Il suo tono tentava di essere neutro, ma riusciva a mascherarlo davvero bene. Mi domandai come avrebbe reagito quando “l’uccellino avrebbe finalmente lasciato il nido”.

“Bene, quindi abbiamo deciso. Tutto e stato chiarito. Ed io sto impazzendo per il mal di testa”

“Allora è meglio se vai in camera tua a riposarti. Io devo parlare con tua madre” disse papà, mentre osservava il volto irrequieto di mamma. Io volai in camera, lasciando i miei genitori soli in questo momento di privacy. Il potere delle coccole sarebbe riuscito a risollevare mamma da questa decisione? Io speravo di sì.

Senza nemmeno passare per il bagno mi buttai letteralmente sul letto. Fuori il cielo era nuvoloso e l’acqua che scivolava sulla parete-finestra dava un pacato senso di rilassatezza. Chiusi per un attimo gli occhi, cercando di rilassarmi e non pensare a niente, ma pareva assolutamente impossibile. In soli tre giorni erano successe cose incredibili: avevo scoperto che esistevano i licantropi, avevo parlato con uno di loro e ho perfino rischiato di prenderle da uno di loro. Ah giusto, dimenticavo, mi ero anche incazzata con loro. Mi sembrava infatti troppo strano che fino a qualche giorno fa tutto stava andando a meraviglia. Soffocai la testa nel cuscino cercando di soffocare anche questi pensieri. Alla fine presi l’MP3, misi le cuffie alle orecchie e per un attimo sembrò funzionare. La musica riuscì a distrarmi e mi ritrovai a guardare distratta la mia camera. Osservai l’armadio, il cestino vicino al tavolo, il tavolo, il mio diario sopra il tavolo. Dalle pagine di quello svolazzò improvvisamente un foglietto. La voglia di alzarmi e raccoglierlo era zero, ma mi misi in piedi lo stesso. Lo presi e guardai cosa ci fosse scritto dentro. Cosa diamine era? C’era un indirizzo e due nomi. Billy e Jacob. Chi diamine…? Poi ricordai improvvisamente e mi vennero i crampi allo stomaco. Un altro essenziale motivo era che a La Push c’era colui che forse, con grandi speranze e aspettative avrebbe costruito la mia auto. Quindi era indispensabile andare a La Push. Decisi allora che ci sarei andata un giorno della prossima settimana.

Alla fine questa storia di dover andare per forza a La Push per i licantropi coincideva perfettamente con il mio desiderio di andare alla spiaggia e di ottenere una macchina. E alla fin fine non mi dispiacevano neppure i licantropi. Pensandoci bene forse qualcuno sì, tenendo poi conto che provavano una stima stratosferica nei confronti dei miei genitori. Ma, per esempio, uno di loro si era rivelato molto cordiale ed un altro abbastanza simpatico, di cui, tra parentesi, non conoscevo neppure il nome. Grosse e gravi antipatie a parte, dopo l’incontro di oggi mi incuriosiva ritornare nuovamente a La Push.

 

 

 

 

Eh, eh! Chi sarà mai il licantropo senza nome? Adesso le cose si stanno facendo piuttosto chiare. Ci tengo inoltre a spiegare che il racconto della storia di Abigail non si limiterà semplicemente alle tre frasi messe in croce di questo capitolo, ma verrà trattata nei particolari più avanti. Spero che la storia vi stia incuriosendo sempre più. Al prossimo capitolo!

 

X RiceGrain: Uau! L’hai definito emozionante, dico bene? Ne sono contentissima, o mia unica e sempre fedele commentatrice! XD Spero che emozionante sia stato anche questo secondo incontro con i licantropi!

Ti ringrazio per l’ennesima volta di commentare sempre ai miei capitoli un po’ strampalati.

Bacio ricambiato!  

 

 

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Capitolo 6
*** Sesto Capitolo ***


Sesto Capitolo

Sesto Capitolo

 

 

Mi ricordai dell’esistenza di Bella solamente quando la vidi a biologia il giorno dopo. Quasi me ne vergognai. La storia dei licantropi mi aveva totalmente fatto perdere la testa. Mi andai a sedere vicino a lei, al solito posto. Avevo deciso di seguire il consiglio di mamma e di lasciar perdere il suo strano comportamento di giorni fa, seppur inspiegabile e sospetto, sperando fosse tornata serena.

Ma a quanto pareva non era così.

“Ciao”

“Ciao” mormorò lei, di soprassalto. Aveva la mente persa in chissà quali pensieri ed era evidentemente nervosa. Le occhiaie erano più marcate, segno di ulteriori notti in bianco. Ultimamente più di qualche volta avrei desiderato poterle leggere nel pensiero; per me era abbastanza difficile capirla. Il professore non era ancora arrivato; ne approfittai perciò per chiacchierare un po’ con lei.

“Passato bene il weekend?” Lei annuii con la testa. Si stava comportando ancora una volta in modo strano; sembrava perennemente preoccupata e tesa. Ma non si tirò indietro dalla conversazione.

“Tu?”

“È stato parecchio movimentato” ammisi.

In quello stesso momento di prof Banner entrò nell’aula e decisi di interrompere la conversazione.

Quell’ora invece di pensare agli autotrofi e agli eterotrofi la passai ad osservare di tanto in tanto Bella. Anche lei non sembrava troppo attenta alla lezione. Non smetteva di stritolarsi le mani. Mi dispiaceva vederla così. Anche perché poi m’innervosivo anch’io. A metà lezione non riuscì a trattenermi dallo scriverle un bigliettino.

 

Tutto bene? Ti vedo un po’ strana

 

Le mi scarabocchiò poche parole. Me lo ritornò con un sorriso.

 

Non è niente, notte in bianco.

 

Avrei voluto chiederle anche il perché, ma pensavo fosse troppo da impiccioni a questo punto. Ed i bigliettini erano un mezzo poco conveniente per farlo. Nonostante tutto l’ora passò abbastanza velocemente e mi diede il tempo di pensare ad una efficace strategia. La campana della prima ora suonò e l’intera classe si alzò.

“Pensavo” le dissi “Ho sentito parlare di La Push. Ci sono andata, è un posto carino. Che ne dici se ci andassimo qualche volta?” Se dovevo andare a La Push, perché non andarci con qualcuno? E poi avrei ricambiato l’invito di Bella. Lei però non sembrava troppo entusiasta.

“Oh…” mormorò lei. Dalla sua espressione corrugata era già un no. “Credo sia una pessima idea”

Perché?”

“Ehm… in questo periodo sono… parecchio occupata” Non mi stava guardando negli occhi e stava tentennando. Era lampante, stava mentendo.

“Ah…” me ne uscii io.

“Problemi in famiglia” continuò lei, meno sicura.

Bhè… facciamo allora un altro giorno?”

“S… sì” Altra fin troppo evidente bugia. “Ci vediamo?”

“Certo” le risposi.

Prese la sua roba e uscì dall’aula anche lei. L’unica persona rimasta ero io. Mi sentivo terribilmente confusa. Non riuscivo a spiegarmi perché non volesse venire con me; l’invito a cena, le lezioni di moto. Era evidente che volesse stare con me. E me lo aveva anche detto. Perché adesso non più, così all’improvviso? Sempre se non voler stare con me era il motivo. Ma più che altro ero preoccupata per lei. Non sapevo perché si comportava in questo modo e non sapevo cosa fare per aiutarla. Avevo come la sensazione che c’entrasse con il paranormale, con i vampiri. Era molto probabile che fosse questo forse a impedirle di confidarsi con me, se voleva confidarsi con me; in fondo, lei non sapeva che con i vampiri avevo a che fare anch’io. In quel momento per la prima volta desideravo dirle in faccia la verità. Sarebbe stato tutto più semplice e sincero, questo era poco ma sicuro.

Solo quando il silenzio nell’aula cominciò ad essere opprimente mi resi conto che la seconda ora era cominciata già da cinque minuti e che ero in grande ritardo. Feci una corsa verso l’aula di storia, dove per fortuna il professore non era ancora arrivato. Ed anche quell’ora la passai pensando a Bella. Licantropi, vampiri, ragazze che stanno con i vampiri, ma dove cavolo ero finita? Una cittadina così piccola come poteva nascondere casini così grandi? Io volevo una vita tranquilla, desideravo rilassarmi. Invece, in che cosa ero mai finita

 

Alla fine avevo deciso, quel giorno sarei andata a parlare con il Billy ed il Jacob di La Push.

Avevo cercato di smettere di pensare a Bella, sperando vivamente che prima o poi scoprisse la verità su di me; avevo deciso di rispettare l’accordo di famiglia e di non dirglielo. Riguardo a questa storia poi non potevo neppure sfogarmi con mah’; mi avrebbe detto di non pensare più a lei per l’ennesima volta.

Era ormai diventato più forte di me, ma per quella volta decisi vivamente di seguire il suo consiglio; così la questione della macchina mi era sembrato un buon diversivo per quel giorno. Prima cosa che feci uscita da scuola fu di seguire le regole, cioè avvisare mamma che sarei andata a La Push. Lei mi rispose in un batter d’occhio, dandomi via libera. Andai dritta a La Push, senza passare per casa.

Loro non sapevano che stavo progettando di farmi costruire una macchina; volevo fargli una sorpresa. Cioè, almeno volevo tentare; prima o poi lo avrebbero scoperto di sicuro. Erano o no vampiri? O forse, peggio ancora, lo sapevano già, ma non mi dicevano niente per fingersi poi sorpresi a lavoro compiuto. Erano benissimo in grado di farlo, in fondo.

In dieci minuti arrivai a La Push; molto più tempo invece lo passai a trovare la casa di Billy e Jacob, nascosta un po’ tra gli alberi della foresta. Era l’opposto della mia; era piccolissima, non poteva contenere più di tre persone al massimo, verniciata di un rosso che un tempo doveva essere acceso, con qualche scrostatura qua e là. La adoravo, sembrava un piccolo fienile di campagna.

Spensi il motore della moto poco lontano dalla casa, vicino ad un’altra moto. A quanto pareva il figliol prodigio si intendeva non solo di auto. L’osservai bene: era una vecchia KTM 125 MX. Era rovinata, ma sembrava essere in ottima forma. Rimasi ad osservarla più di qualche secondo, prima di andare alla porta. Non appena bussai questa si spalancò con mia grande sorpresa. Ad aprirla era stato un uomo sulla cinquantina su sedia a rotelle. Il padre, supponevo. Mi guardava con aria più curiosa, che arcigna. Aveva comunque un’aria simpatica.

“Salve” cominciai a parlare io “Sono Abigail. Credo che l’ispettore Swan vi abbia parlato di me. Gli si illuminarono gli occhi.

“Oh, già, Abigail. Sì, Charlie mi ha detto che saresti venuta” disse con voce vivace “A proposito, io sono Billy” disse porgendomi la mano.

“Piacere” dissi ricambiando con la mia forte stretta. Anche lui aveva una stretta possente “Potrei… parlare con suo figlio per l’auto?” dissi, stranamente in imbarazzo.

“Mi dispiace, Abigial” Come risposta non era per niente rassicurante “Ne abbiamo discusso e credo che Jacob non potrà farti questo favore. Ha seri problemi con la scuola e non voglio che perda troppo tempo con le macchine. Spero tu capisca.”

“Sì… sì, capisco” dissi evidentemente amareggiata “Non fa niente. Troverò un’altra strada. Grazie ancora e scusi per il disturbo” lo salutai mentre giravo subito i tacchi.

“È stato un piacere conoscerti” mi rispose lui. Indietreggiò un poco e chiuse la porta. Mi diressi verso la moto un po’ delusa. Che sfiga; adesso mi toccava proprio risparmiare per una macchina di seconda mano.

E cosa dovremmo fare con Quil?”

Udii una strana voce quando ero già seduta sul sellino. Era un po’ lontana, proveniva da dietro la casetta, ma mi sembrava di averla già sentita. La cosa non mi piaceva affatto. Scesi dalla moto e mi diressi da dove proveniva quella voce. Dietro la casa c’era un ampio garage, non molto più piccolo della casa stessa. Le porte erano semichiuse e da dentro provenivano voci maschili occupate in una viva conversazione. Voci troppo famigliari… Mi avvicinai all’entrata e sbirciai dentro. Spalancai la bocca dalla sorpresa. Erano due licantropi. Uno era quello della spiaggia, quello con cui avevo parlato. Non si erano accorti di me, troppo occupati nella loro conversazione, di cui non capii molto. Il mio sorrisino sghembo mi si dipinse sulla faccia.

“Buongiorno, bei maschioni” urlai sfacciata verso di loro, spalancando le porte del garage. Loro si girarono di scatto, all’erta. Avrei potuto piegarmi in due dalle risate per la faccia che fecero. Stava diventando fin troppo facile scioccare i licantropi.

“Tu?” disse indicandomi a bocca aperta il ragazzo della spiaggia.

“Tu ha anche un nome” gli comunicai. 

A-Abigail?” disse quasi infastidito l’altro ragazzo, Embry, mi sembrava si chiamasse. L’altro, Jacob, guardò per un millesimo di secondo Embry e poi si rivolse, sempre con lo stesso tono, a me.

“Tu sei Abigail, la ragazza dell’auto?!” Stava ormai gridando, incredulo.

“Proprio così” dissi orgogliosa. , che coincidenza; il figliol prodigio era un licantropo. I due poveretti non si erano ancora ripresi. Il ragazzo della spiaggia non rispose.

“Ehm… io… io vado Jacob, ne riparliamo dopo” disse Embry velocemente, dirigendosi frettoloso verso l’uscita.

“Va bene” rispose l’altro, con un tono di voce forse un po’ troppo alto.

“Ciao Embry” lo salutai io.

“Ci…Ciao Abigail” rispose un po’ sorpreso lui. Dopo che Embry se ne fu andato calò un momento di silenzio.

Che coincidenza, vero?” dissi ancora sfrontata. Mi piaceva mettere i licantropi in difficoltà.

“Già” mormorò lui, mentre mi squadrava dalla testa ai piedi, come se fossi una visione.  

“È tua la 450 SXF?” La voce di Embry rispuntò improvvisamente dietro di me.

“Sì” gli dissi girandomi.

Uau! Che forza!” Era entusiasta.

“Allora è tua la 125 MX”

“Già, batte la tua di sicuro” Ora lo sfrontato era lui. Tutti i ragazzi erano così: burloni, giocherelloni, divertenti ed immaturi. Ed i licantropi non facevano eccezione. Io stetti al gioco.

Garetta per la prossima volta?” chiesi in un tono di sfida.

“Ci sto!” rispose lui con un luccichio vivace negli occhi “A dopo, Jacob!” disse questo, prima di andarsene.

Tornai a guardare con un sorriso Jacob, ormai del tutto sicuro di chi avesse davanti. Fece due passi avanti, avvicinandosi a me. Era davvero alto in piedi; dovevo alzare la testa verso il soffitto.

“Sai, gli stai simpatica” commentò lui. Questa volta fui io ad essere impressionata.

“Davvero?”

“Sì, soprattutto dopo il tuo piccolo scontro con Paul” disse lui sorridendo.

“Fa allora parte dello schieramento “Pro Abigial”?”

“Sì, si può dire di sì” disse ghignando. Scese un leggero silenzio.

E tu da che parte stai?” chiesi curiosa.

“Mi sembra che sia chiaro. Stai simpatica anche a me.” Continuava ad essere rilassato.

Perché?” Gli volli fare un piccolo trabocchetto.

Perché non dovresti starmi simpatica?” disse leggermente confuso.

Mh… era quello che volevo sentire” Lui scosse la testa incredulo, abbassando la testa e ficcandosi le mani nei corti e vecchi jeans che indossava.

“Ho creato tanti casini tra voi?” Questa volta fui seria.

Nah, tu no. Tu sei il minimo.” Sembrava realmente sincero. Alzò la testa e mi guardò negli occhi. Alla spiaggia non li potei vedere così bene. Ero così neri che a fatica si distinguevano dalla pupilla. Ed erano anche molti belli. Scossi la testa, uscendo da quel temporaneo imbambolamento.   

Bhè, tuo padre mi ha già detto che non puoi; sono passata solo per fare un saluto. E per far vedere che i crudeli mostri non mi hanno ancora uccisa. Ci si vede” Stavo già per fare dietrofront. Lui mi trattenne il braccio.

“Aspetta. Cosa ti ha detto mio padre?” chiese sorpreso. Mi girai di scatto verso di lui. 

Che hai problemi con la scuola e non puoi occuparti di macchine” risposi confusa. Lui sembrò capire.

“Ah… quella è una scusa che ha inventato pensando che saresti stata una qualunque, non la ragazza vampira” Quindi da quelle parti ero famosa con il nome di “ragazza vampira”. Era piuttosto squallido.

“In realtà al momento siamo occupati per i vampiri” E no, ora basta.

“I miei genitori…” sbottai per l’ennesima volta. Non ne potevo davvero più di questi pregiudizi infondati.

“Non mi sto riferendo solo a loro. A quelli che hanno attaccato pochi giorni fa” chiarì subito interrompendomi.

“Ma uno l’avete ucciso e l’altro se ne è andato, no?”

Ma può ritornare.” Sbuffai infastidita. Il problema era quindi un vampiro che non c’era.

Quindi è per questo che non puoi costruirmi una macchina” conclusi.

“In gran parte, sì” mi rispose lui pensandoci.

“Ascolta allora la mia proposta” gli dissi mettendomi comoda sedendomi sul duro pavimento “Nel frattempo che questo presunto vampiro ritorni, e se ritorna, io potrei venire qua quasi ogni giorno per farmi costruire da te la macchina. Così alla fine io avrò una macchina e voi sarete più tranquilli sapendo che mi trovo a La Push. Che ne dici?” Era effettivamente una grande idea che non faceva una piega e che non poteva rifiutare. Lui ci pensò un po’, continuando a guardarmi dubbioso negli occhi.

“Potrebbe andare” concluse alla fine “Ma passando a parlare dai vampiri alle auto, non è così facile costruirne una. Ci vuole tempo...”

“Ne ho quanto ne vuoi” dissi sicura.

“… e pezzi, cioè soldi.”

“Oh, non preoccuparti per i soldi. Mi occupo io della parte finanziaria. Non ne ho molti, ma… ti vanno bene lo stesso pezzi presi dalla discarica?” Alzò di scatto le sopracciglia.

“Cerchi pezzi nelle discariche?” chiese sbalordito.

“Qualche volta. C’è davvero della roba buona che è un peccato sprecare.

Ma… i tuoi genitori non sono ricchi sfondati?”

“Sì” dissi decisa.

Perché allora non ti fai comprare un’auto nuova di zecca da loro?”

Diciamo che… me la voglio cavare da sola…” Speravo solo che adesso accettasse di costruirmi la macchina.

“Ah… bhecomunque non te la posso costruire.” Mi caddero le braccia. E adesso che c’era?

Perché no?” domandai un po’ scocciata, incrociando le braccia. Anche lui si sedette a gambe incrociate davanti a me.

“Non so se hai  presente come sono fatti i pezzi di un’auto, ma non li puoi certo mettere nel bagagliaio. Sono piuttosto grandi; ci vuole spazio. Tenendo poi in conto il fatto che ti ci vuole una base da cui iniziare…”

“Ah…” mormorai, con sconforto.

Dovevo ammetterlo, alla fine aveva vinto lui. Non avevo niente di così grande a casa. Mi guardai intorno nella speranza che avesse almeno lui un qualcosa di abbastanza spazioso. Fu la prima volta che guardai quel garage. Era davvero ampio. C’erano un bel po’ di attrezzi sparsi ovunque; un po’ rischioso, se ci si inciampava sopra. Prima non l’avevo vista, ma poco lontano da me c’era un vecchia Golf rimessa a posto. Non era male, anzi era quello che volevo e di cui sarei stata soddisfatta.

“L’hai fatta tu?” chiesi. Lui annuì, leggermente orgoglioso.  

“Complimenti, sei davvero bravo.” Tornai a guardarlo e ripresi poi la conversazione lasciata. “Ritornando al discorso di prima, tu non hai niente di simile per trasportare i pezzi?”

“No” affermò deciso lui. “Una volta avevo un vecchio pick-up, ma l’ho venduto”

Un pick-up. Che curioso; conoscevo solo una persona che aveva un pick-up. Ma molto probabilmente non era l’unica a possederne uno. La mia attenzione venne catturata di nuovo da qualcosa: un’ Harley nera ed un’ Honda rossa in buone condizioni spuntavano dal fondo, quasi fossero nascoste. Mi sembrava strano che ad una persona servissero due moto. Improvvisamente ricordai parte della conversazione che feci con Bella giorni fa.“No, anche perché la moto ce l’ha lui.” Bella guidava una moto che non poteva portare a casa, perciò l’aveva portata dal suo “istruttore”. Perforai con lo sguardo Jacob, forse in modo fin troppo evidente. Jacob aveva due moto e Bella aveva lasciato la sua dal suo istruttore. Era legittimo quindi domandarsi se l’istruttore fosse la persona qui davanti. Se si teneva in conto il pick-up c’erano ancor meno dubbi.

“Magari un Chevy rosso dell’53?” chiesi disinvolta, stiracchiandomi la schiena. I suoi occhi guizzarono su di me.  

“Sì” disse sospettoso.

“Conosci Bella Swan” affermai decisa. In un salto lui si tirò subito in piedi. Lo fissai con un certo spavento; così alto incuteva timore.

“Tu la conosci?” disse improvvisamente aggressivo. Sobbalzai leggermente.

“Sì, è un’amica” risposi sincera. “Lo è anche per te?” continuai. Un licantropo conosceva una ragazza che stava con un vampiro. La domanda da un milione di dollari era: lui sapeva che Bella aveva avuto a che fare con i Cullen?

Lo era” Era ovvio che fosse un argomento poco felice per lui; si era fatto all’improvviso cupo e serio. 

“Perché non più?” mi impicciai io, con tono ingenuo.

“Non so, forse perché sono un licantropo?” esclamò di nuovo aggressivo. Sembrava che si stesse anche per arrabbiare.

Cosa vuol dire?” sbottai io.

“Il nostro capo branco ci ha proibito di rivelare il nostro segreto. E non voglio coinvolgerla in questa storia di licantropi” si rivolse a me con sguardo severo.

Parlava di lei con un tono strano, con ansia. Sembrava che Bella fosse davvero una grande amica. Inoltre, si stava comportando in modo piuttosto gentile con me; il tono lasciava a desiderare, ma era importante il fatto che mi stesse raccontando ciò che pensavo realmente e non mi avesse liquidato con un semplice “E a te che importa?”. Forse avevano deciso di adottare la “tecnica della sincerità” anche loro. Non mi stupiva; da quell’incontro alla spiaggia con il capo branco avevo capito che ci stavano andando con i piedi di piombo.

“Ah…”

Le cose si erano fatte serie; dovevo assolutamente sapere se loro sapevano. Certo, se sapevano o no, questo non cambiava molto le cose; i Cullen se n’erano andati. Ma se realmente sapevano, allora il suo ragionamento sul “non glielo dico” cadeva a picco.

“Tu sai che sa che i Cullen sono dei vampiri?” domandai all’improvviso. Mancava il tatto, il modo, l’occasione, ma almeno glielo avevo chiesto.

“Tu come lo sai?!” sbottò lui. Aha! Allora lo sapevano! 

“Mio padre li conosce. Aggiungendo poi il fatto che è notizia nazionale che lei stava con un Cullen… Sai anche questo, no?”

“Non le avrei mica detto che tu vivi insieme a dei vampiri!” Si stava innervosendo davvero. Ah, sapeva anche di Edward. Non mi aveva risposto esplicitamente, ma chi tace acconsente. Perché poi non voleva che sapesse dell’esistenza di due nuovi vampiri a Forks? Aveva forse paura che i due mostri assetati di sangue facessero male anche a lei? Mi innervosii anch’io, ma cercai di trattenermi.

“No, non glielo abbiamo detto. Ma presto lo scoprirà; mio padre lavora all’ospedale e, non per offendere, credo che ben presto ci andrà a fare una capatina” ripresi un momento fiato.

“Ma allora perché non glielo dici che sei un licantropo?”

“Te l’ho detto; non voglio che entri nella faccenda anche lei” rispose lui, non meno rilassato, tornandosi però a sedere.  

“Scusa, ma lei è già dentro fino al collo. Conosce dei vampiri, questo è sufficiente. Pur io li conosco e so di voi, perché per lei sarebbe diverso? Non ha il diritto anche lei di venire a sapere di questo battibecco tra vampiri e licantropi? Secondo me dovresti dirglielo”

“Adesso scusami tu.” Questa volta alzò di un’ottava la voce, guardandomi truce. “Non ti conosco neppure e mi dici cosa devo fare e cosa no?” Addio “tecnica della sincerità”

“Il mio era un consiglio” dissi alzando le mani, in segno di resa.

“Senti, Miss Consigli. Tu vivi in una casa di vampiri, lei invece non ha più nulla a che fare con loro. La situazione è diversa” Ora era diventato sgarbato.

Ma ancora per poco. Prima o poi lo scoprirà, ti ripeto” cantilenai io. Le mani cominciarono a tremargli e chiuse gli occhi per cercarsi di calmarsi un po’. Il ragazzo perdeva le staffe per poco. Mi distesi rilassata, chiudendo gli occhi.

“A parer mio, dolcezza, Sam o non Sam, tu glielo devi dire. Anche perché, non hai detto che hai buttato un’amicizia per questo, no?”

“Queste sono faccende private” borbottò stizzito. Non lo ascoltai. Mi rialzai e lo guardai negli occhi riflettendo.

E se glielo dicessi io? Così non disobbediresti a Sam” conclusi alla fine.

“Non ci provare” mormorò. Mi guardava con aria di sfida. Io non mi feci intimorire.

“Allora sveglia, Bello Addormentato! Lei deve sapere!” dissi tirandogli uno scappellotto in testa.

“Non ha molto l’aria di un consiglio” disse inclinando la testa e socchiudendo gli occhi. Ormai non mi ascoltava neppure lui.

“Per niente” Per una volta in quella conversazione tornai seria. “Sei proprio sicuro che così facendo non fai l’effetto opposto? Non pensi quanto male può esserci stata per come ti sei comportato? E poi, a te non dispiace nemmeno un po’ di averla allontanata, cuore di pietra? Da come ne parli, sembrate due grandi amici voi due.

“Sei davvero una ficcanaso. Per l’ennesima volta, smettila di impicciarti nella mia vita privata!” disse seccato.

Aspetta, questo è il tuo comportamento da maschione orgoglioso davanti alla voce della verità? Facciamo allora così: facciamo finta che io sia una tua grande ed importante amica. Diciamo la tua migliore amica, ma solo per finta. Se ti dicessi le stesse identiche cose allora non mi prenderesti per una ficcanaso, perché vuole dire che, da migliore amica, mi preoccupo per te, no?” Lui mi guardò irrequieto, ma non sembrava poi così tanto nervoso.

“L’avevo detto, tu sei tutta matta”

Anch’io per te.”

“Sai, forse ci penserò” Non lo disse serio, quasi sarcastico. Speravo però che prendesse seriamente le mie parole.

“Ne sono felice” risposi a tono.

“Un’altra cosa.” disse con tono di sfida. “Perché ti importa tanto di Bella?”

“Mi sembra ovvio. Se Bella sa la verità potrà contribuire anche lei alla costruzione della mia macchina imprestandoci il pick-up. In realtà la verità era un’altra. Ad essere sincera fino ad allora non avevo la più benché minima idea che questo Jacob fosse un amico di Bella e la notizia mi aveva presa davvero alla sprovvista. In quel momento mi sembrava semplicemente corretto che Bella sapesse, nient’altro. E poi se quei due erano amici non c’era motivo di non esserlo più solo perché uno dei due non era del tutto umano.  

“Solo per questo?” Lui parve crederci.

Che persona orribile ed egoista che sono” affermai sarcastica, con voce snob. Lui rise di gusto, capendo che stavo mentendo.

“Quanto sei stupida” Mi offrì la mano per tirarmi su. Io la presi, ma subito la ritrassi. Era bollente.

Che calda che è la tua mano” dissi seria e un po’ preoccupata.

“Licantropi” risposi quasi fiero lui.

“Rientra nel pacchetto licantropi essere delle stufe?” In effetti l’essere delle stufe viventi spiegava il loro abbigliamento estivo per tutte e quattro le stagioni.

“Sei tu che la metti così” disse semplicemente lui. Ne approfittai e colsi la palla al balzo.

Cos’altro avete di strano?” Ormai il suo umore si era ristabilito.

“Immagino che quello che ti dirò lo andrai a dire a loro” Questa cosa mi stava cominciando a dare davvero sui nervi. Perché caspita l’argomento doveva alla fine ricadere sempre su di loro?! Io ero io, loro erano loro; io non ero loro!

“Certo, ma cambia qualcosa?”

“No” La sua risposta mi sorprese per un momento. Poi mi ricordai della tecnica della sincerità.

“Non ne so ancora molto, sono un licantropo da poco e non so da dove cominciare” Bene, avevo a che fare con un lupacchiotto alle prime armi. Ci pensò a lungo prima di riprendere.

Bhe, quando ci trasformiamo siamo in grado di leggerci i pensieri”

Uau!” esclamai sincera ed emozionata.

“Sì, è utile in battaglia, ma sempre diventa fastidioso”

“Oh… hai ragione.” Pensandoci bene in effetti non doveva essere sempre così bello. Era davvero irritante che tutti sapessero cosa stessi pensando, oltre che a leggere i pensieri altrui, venendo a sapere anche cose piuttosto imbarazzanti.

“Poi… di colpo cresciamo e smettiamo di invecchiare” Lo guardai riflettendo attentamente su quello che aveva detto. La cosa si faceva piuttosto poco rassicurante.

“Questo vuol dire che siete immortali?” chiesi alla fine.

“No! Almeno… fino a quando i vampiri non se ne vanno

“Ecco, cosa c’entrano di preciso i vampiri?” chiesi davvero curiosa, mettendomi comoda. Era effettivamente davvero strana l’alchimia che c’era tra quelle due creature non umane.

Bhe… non so bene come spiegarti… è come se il gene del licantropo si attivasse solo quando ci sono loro. Ultimamente molti di noi si sono improvvisamente trasformati” Era inspiegabilmente impacciato in questo argomento.

“Allora è una cosa improvvisa?”

“Sì, ma la trasformazione è anche molto dolorosa” si fece all’improvviso serio “Hai paura di non riuscire a controllarti perché tutto avviene così velocemente. È difficile, è non sempre l’aiuto dei compagni serve a qualcosa”

Quindi potresti perdere il controllo anche adesso?” non riuscii a trattenermi dal dire.

“Solo se mi arrabbio” Ah, “effetto Hulk”. Mamma e papà avevano ragione; potevano perdere il controllo. Ecco cosa stava facendo prima, quando le mani stavano cominciando a tremargli. Allora c’erano possibilità che rischiassi anche con i lupi.

E quindi diventa più difficile anche non arrabbiarsi” conclusi io alla fine.

“Già”

“Ah… allora credo che nel mio caso succederà presto” cercai di metterla sullo scherzoso.

“Non ci sono dubbi” rispose lui stando al gioco. Se scherzava anche lui, forse intendeva dire che non sarebbe successo. Forse avrei fatto meglio a tornare seria e parlarne davvero, ma qualcosa nella sua voce mi spinse a lasciar perdere e credere a ciò che avevo solo pensato.

“Sai” decisi di continuare nella mia riflessione “visto che crescete di colpo ho un po’ paura a chiederti quanti anni hai”

“Ne ho diciassette” rispose lui di botto.

“Ah…” Diciassette anni. Come faceva ad avere la mia età?! Non gli avrei dato meno di venticinque di sicuro. La cosa era inquietante. 

“Tu invece?” chiese quasi malizioso. Che sfacciato.

“La smetti di impicciarti nella mia vita privata?” gli risposi fingendo di essere offesa.

“Tu l’hai fatto per gli ultimi dieci minuti, ora tocca a me, non credi?” Lui stette al gioco.

“Ne ho trentacinque” dissi in tono di sfida. Lui si mise a ridere.

“Bugiarda.”

Che ne sai. Vivo con dei vampiri, ricordi? Posso essere una sorta di strano mezzo vampiro, non credi?”

“Mi stai prendendo per il culo?”

“Sì, ti sto prendendo per il culo” Sfoderai il mio sorrisino sghembo. “Ne ho diciassette. Ma non lo sai che ad una signora non si chiede mai l’età? La mamma non ti ha insegnato le buone maniere?” Lui rise sonoramente, poi subito dopo smise.

“Mia madre è morta” Porca vacca. Che figura. Che figura. Che figura. Che nullità. Mannaggia a me e alla mia lingua lunga.

“Ah… Scusa-mi…” mi scusai superimbarazzata a testa bassa.

“Fa niente” Lui per fortuna non sembrava offeso.

Comunque…” dissi improvvisamente per smorzare quell’orribile tensione “Pelle calda, capacità di leggere i pensieri, eterna giovinezza… qualche altro superpotere?”

“L’imprinting” disse subito lui.

“Cos’è?”

“Un colpo di fulmine” Mi fu impossibile non ridere

“Intendi… sapete lanciare fulmini e saette?” Lui sbuffò, mostrando una smorfia pur di non ridere e darmela vinta.

“No, stupida! Quando ti innamori, intendo”

Cioè? Come funziona?” chiesi appoggiando la testa sulle mani e guardandolo interessata.

Accade quando un licantropo incontra la sua anima gemella. Non succede sempre e non so come spiegartelo, non mi è mai successo.

“È quindi una specie di meccanismo che ti avverte chi amare, quando amare e per quanto tempo?” Lui alzò le mani in aria.

“Sei tu che la metti così” ripeté. Appoggiai le mani dietro di me e mi tirai indietro.

“Caspita, è un po’ squallido, lo devo ammettere, ma risolverebbe tanti di quei problemi in fatto di amore”

Perché, tu sei innamorata di qualcuno?” domandò ironico.

“Di te, ovviamente, dal primo momento che ti ho visto” risposi io sarcastica. Ah… ah… ah… che ridere.

“L’ho sempre detto che tutte le donne mi cascano ai piedi” rispose lui, vanitoso. 

“Eh già, sei proprio un latin lover…” sussurrai cercando di non ridere.

Mi guardai in giro sospetta; qualcosa era cambiato in quella stanza. Mi alzai improvvisamente in piedi quando lo capii. Si era fatta sera e avevo detto a mamma che sarei tornata entro ora di cena. Caspita, mi avrebbero ammazzata.

“Ehm… continua pure a darti tutte le arie che vuoi da solo, bel maschione, io devo andare. O i miei genitori crederanno che il lupo cattivo mi abbia mangiato. Anche lui si alzò in piedi.

“Non sia mai che chiamino il cacciatore per salvare cappuccetto rosso” Mi girai a guardarlo con il mio sorrisino sghembo.

Anche tu a stupidità non scherzi” mormorai divertita. Lui si rifece serio e per un attimo rimase impalato a guardarmi.

Quando torni?”

Quando mi avrai procurato un pick-up rosso del 53” Lui sbuffò di nuovo, mettendosi le mani in tasca e guardando il soffitto.

“Ti confesso una cosa; la tua stupidità riesce a calmarmi” Se ne uscì improvvisamente con un sorriso.

“Scusa, ma non produceva l’effetto contrario?”

“Scherzavo” Ah, bene. Diminuivano quindi le probabilità che il lupo si arrabbi.

“Io invece non scherzo sul fatto che qualcuno mi spellerà viva se non vado subito a casa” dissi seria anch’io, già fuori dal garage. “E tornerò presto” tenni a rassicuralo. Mi stavo già dirigendo verso la moto, quando pensai bene di tornare indietro.

“Un’altra cosa. Io sono Abigail” Gli porsi la mano. In tutta quella strana situazione mi ero persino dimenticata di presentarmi. Io sapevo come si chiamasse lui, lui sapeva come mi chiamassi io, ma il bon ton ce lo eravamo dimenticato. Lui sorrise.

“Piacere, io Jacob” Ricambiò la mia stretta con la sua mano bollente. Io corsi subito fuori.

“Bene, ci vediamo, bel maschione” Lui si mise a ridere

“Ci vediamo, falsa e finta migliore amica”

Accessi veloce la moto e partii spedita verso casa. Uau, come mi ero divertita! Era davvero simpatico quel Jacob. Era davvero un bravo ragazzo, simpatico, sincero, gentile a meno che non si cominciava a parlare di vampiri. Mi piaceva l’idea di poter costruire la mia auto con lui. Anche se doveva risolvere qualche problemino con stesso e con Bella. Accelerai quando mi ricordai che tra pochi secondi sarei stata spennata via. Avrei dovuto incassare una bella ramanzina, anche se non troppo esagerata. Con la mia fortuna sfacciata sarei ritornata appena in tempo e le conseguenze sarebbero state minori. E poi avrebbero sicuramente voluto sapere cos’era successo. Decisi allora che sarei stata sincera, tranne che su quel piccolo particolare del autocontrollo. Non volevo fargli preoccupare troppo e se glielo avessi detto sarebbe successa una baraonda infinita. Non ero brava a dire bugie, ma ero brava a non dire di proposito le cose. Feci un altro respiro profondo poco dopo aver attraversato il cartello di benvenuto di Forks. 

 

La settimana successiva fu senza dubbio più rilassante di quella precedente. Bella sembrava essere di colpo ritornata più tranquilla e serena, per strane ragioni che ignoravo, ma che non nascondevo di voler sapere. Riprese a passare del tempo con me durante la pausa mensa e mi invitò perfino quello stesso sabato per la prima “lezione di cucina”, approfittando dell’assenza del padre che sarebbe andato a pesca. Ormai avevo rinunciato a capire questi suoi comportamenti lunatici. Inoltre non riuscivo più a resistere; il desiderio di svelare il mio segreto stava premendo come non mai. Dall’incontro con Jacob dell’altra settimana avevo riflettuto; Bella aveva il diritto di sapere dell’esistenza dei licantropi, tanto quanto che i miei genitori erano vampiri. Mi ero comportata da egoista con Jacob, ma ero troppo orgogliosa per dirglielo e scusarmi con lui.

Inoltre, come promesso, quella settimana andai spesso a La Push, in particolare, da Jacob. Anche se la questione auto era ancora da definirsi lui era l’unica persona che conoscevo a in quella zona e che, soprattutto sapevo dove trovare con certezza. Il più delle volte, però, non lo trovai; mi spiegò che era occupato con il vampiro che non c’era. Valli a capire i licantropi. Potei stare insieme a lui solo una volta, ma scoprii un lato di Jacob che mi stupii; pensavo fosse il solito maschio giocherellone, invece era molto maturo per la sua età. Era un ragazzo fedele, anche se qualche volta troppo impulsivo. Un ottimo amico. La cosa più fantastica fu che non toccammo l’argomento soprannaturale; era stata una semplice conversazione tra ragazzi normali. Parlammo di molto: moto, auto, break dance, Chicago, le manie di protagonismo di Paul. Jacob mi stava piacendo sempre di più come persona.

Uno di quei giorni incontrai invece Embry, l’altro licantropo che mi stava in particolar modo simpatico. Facemmo la garetta tra di noi che gli avevo promesso, in una zona deserta e sabbiosa vicino a La Push. Che ovviamente vinsi io. Oltre a La Push cercai anche di guardarmi in giro per la questione auto, intanto che Jacob si fosse convinto e sbrigato di dire a Bella quello che doveva dire; come ben aveva detto, bisognava avere una base da cui cominciare.

Ed infine c’era la break dance; quel venerdì feci degli straordinari in palestra perché tra poco ci sarebbe stato il saggio di giugno e avrei dovuto preparare i bambini. Ritornai a casa piuttosto tardi e soprattutto distrutta. La macchina, i licantropi, la scuola, l’auto e la break mi occupavano davvero troppo tempo ed il mio fisico cominciava a risentirmi. Mi sedetti sul divano con il giubbotto ancora addosso, il casco della moto sotto il braccio. Feci un respiro profondo, annichilita. Il mio stomaco brontolò; era ora di mangiare. La voglia di alzarmi da lì era pari a zero, quindi preferii sopportare in silenzio. Alzai la testa di scatto; c’era troppo silenzio. Dov’erano andati quei due?

“Mamma” chiamai io. Niente. Mi alzai dal divano confusa. 

“Papà” Questa volta urlai. Li vidi prima davanti a me, poi sentii a malapena la porta d’entrata chiudersi. Avevano delle facce poco rassicuranti. Li guardai sospetta.

Cosa è successo?” Forse lo dissi un po’ troppo preoccupata.

“Il vampiro è tornato” comunicò senza troppi preamboli mio padre. Oh… promisi che non avrei più criticato le paranoie ossessive dei licantropi. “Si è avvicinato un po’ troppo in questa zona. Cerca di studiarci.” Deglutii. 

“Sempre lo stesso?” chiesi titubante.

“Sì, e non è affatto un caso. Deve cercare qualcosa qua a Forks” Lo strano tono di voce di mia mamma mi fece rabbrividire.

Cosa?” La mia voce si era fatta tremante. Il mio primo pensiero fu io. Forse questa era realmente una paranoia, assurda per di più. Non poteva di certo conoscermi, con la mia famiglia o i licantropi sempre appiccicati. Ma, d’altro canto, c’era da chiedersi chi o cos’altro mai stesse cercando. I miei genitori sembravano corrispondermi; erano davvero preoccupati ed all’erta. Bhé, non una novità, dopotutto; lo erano sempre. Mi guardarono attentamente negli occhi. Passarono alcuni secondi prima che qualcuno parlasse.

“Non lo sappiamo, ma non può stare qua” disse alla fine ottimista papà.

“Non glielo potete chiedere?” azzardai ingenua io.

“Non ci ascolterebbe; ci ha visti insieme ai licantropi. Ci crede dalla loro parte”

Quindi cosa pensate di fare?” chiesi sinceramente spiazzata.

“Pensavamo di domandare ai licantropi cosa voglia. Se ne occupano da più tempo, è probabile che lo sappiano” disse finalmente mamma “E abbiamo bisogno del tuo aiuto per parlare con loro.” C’era bisogno del tramite. Cioè, di un motivo per impedirgli di attaccare. Sbuffai. Però, c’era una grande soddisfazione a essere utile in qualche modo, non solo un fardello da proteggere. Seppur questo modo non sia molto dignitoso.  

“È davvero una rottura” blaterai tornando a sedermi sul divano. I miei genitori sembravano più tranquilli.

“Già, proprio una rottura” disse sarcastico mio padre mentre si puliva gli occhiali da vista che piaceva indossare, anche se non gli servivano a niente.

“Su, alzati. Diciassette anni e ti riduci in questo modo? Noi ne abbiamo molti di più e siamo più arzilli di te” disse mamma in una risata di campanelli.

“Per che cosa?” esclamai io, roca rispetto alla sua voce, alzandomi lentamente dal divano.

“Andare dai licantropi; si accorgeranno ben di noi” controbatté papà.

“Ora?” dissi con lo stesso tono. 

“Sì” rispose papà secco. Io mi lasciai andare in un sonoro sbuffo. Dopo una  giornata estenuante anche questo ci doveva stare. Mi issai sul bracciolo e mi buttai di peso sulla schiena di mamma, facendomi anche un po’ di male.

“Forza, supereroi. Usate i vostri superpoteri per salvare l’umanità” mormorai con poca voglia, con la faccia contro la schiena di mamma ed il braccio leggermente alzato e chiuso a pungo.

Sentii a malapena le loro risate, confuse nel vento che forte sfrecciava contro di loro. Io mi raggomitolai nella solita posizione diventata ormai famigliare, aspettando che il viaggio fosse finito, senza d’altronde sapere con esattezza dove stessimo andando. Il viaggio, come prevedibile, finì presto. Scesi dalla schiena di mamma un po’ frastornata, ma mi ripresi subito. Eravamo in un punto apparentemente qualunque della foresta, poco famigliare. Mamma mi fece avvicinare a sé.

“Stanno per arrivare” disse tranquilla. O forse era quello che cercava di sembrare, conoscendola.

Avvenne in un attimo. Quattro lupi giganteschi uscirono di colpo dall’ombra della foresta. Mia madre mi fece subito indietreggiare, la mano protettiva sulla mia spalla. I lupi davanti a noi non si misero in posizione d’attacco, ma stettero sul chi vive. Capii che non avevamo attraversato il confine. Mi guardavano tutti seri e sospettosi, facendomi di nuovo stupire di quanto umani potessero essere i loro musi canini. Era una situazione piuttosto strana. Subito dietro di loro comparve Sam, serio tanto quanto i lupi. Guardò fisso i miei genitori, aspettando che fossero loro i primi a parlare. D’altro canto anche loro erano seri e impassibili. Credevo di essere la persona più allegra della situazione. Anche se era inquietante ritrovarsi di nuovo il branco di lupi davanti agli occhi. Erano tutti presenti, cercai di associare i lupi alle persone; chissà chi erano Jacob ed Embry. Purtroppo non ci riuscii, ma capii benissimo che Paul era l’unico lupo grigio che ci mostrava la sua splendida dentatura. L’avevo detto, manie di protagonismo. Mi crebbe un’improvvisa voglia di tirargli un pungo sul muso.

“Sappiamo che da tempo state dando la caccia al vampiro” Le parole di papà mi riscossero “Ed ultimamente si sta avvicinando anche alla nostra zona. La questione a questo punto riguarda anche noi. Semplice e diretto.

Cosa volete da noi?” rispose Sam, tanto serio da apparire leggermente rude.

“Vogliamo sapere cosa cerca” ribadì papà con tono gentile. Mamma non osava rilassarsi. Sam ci pensò per parecchi secondi. Poi lanciò uno sguardo su me. Io ne approfittai per lanciargli un’occhiata da “cosa aspetti a rispondere?” Credetti per un secondo che non volesse parlare; sarebbe stato dai licantropi dirci di farci gli affari propri e che se ne sarebbero occupati loro.

“Una persona di Forks

Sentii i ringhi di disapprovazione di alcuni compagni. La sua risposta sorprese anche me, per vari motivi. Sia perché stavo cominciando a credere davvero che non avrebbe coinvolto i vampiri in questa faccenda, sia perché quella persona di Forks non poteva essere nessun altro che io. Ah… ah… un vampiro mi stava dando la caccia. Sentii le farfalle nello stomaco, ma non per la fame. Mia mamma si irrigidì ancora di più.

Abigail?” chiese sorpreso e teso allo stesso tempo mio padre.

“No, non lei” rispose tranquillo Sam.

Io ripresi a respirare, ma solo per poco. Quale poteva mai essere la seconda persona braccata da un vampiro? Bella. Un vampiro stava cacciando Bella. Molto probabilmente anche mamma e papà lo intuirono. Anzi, non c’era dubbio che lo capirono prima di me. Non mi sentivo meglio di prima, anche perché, mentre io abitavo con due vampiri ed ero super protetta, lei non aveva nessuno che la potesse difendere, eccetto ad un branco di lupi giganti, che altri non erano che adolescenti pompati.

Cosa caspita aveva fatto Bella con dei vampiri per farsi inseguire da uno di loro?! Inoltre ero assurdamente arrabbiata con Jacob; un vampiro la voleva uccidere e nessuno le diceva niente?! Jacob non poteva, doveva assolutamente dirglielo, sia del vampiro, che, di conseguenza, dei licantropi! Le avrebbe sentite, e anche tante.

“Posso permettermi di chiedere anche il perché?” Papà mi sapeva leggere nel pensiero.

“No, questo no. Sono faccende piuttosto private” rispose Sam, questa volta più mite. Non c’erano problemi; se era Bella, ed era lei, lo avremmo saputo presto.

“Saremmo felici di aiutarvi nel braccarlo” continuò papà.

“Grazie per l’offerta, ma ce la caveremo da soli” replicò subito Sam, sempre con quel tono calmo e privo di emozioni. Ecco, questi erano i licantropi spregiudicati che conoscevo!

“Va bene” Papà non demordeva “Ma trattandosi di un abitante di Forks, cioè del nostro territorio, sono tenuto ad avvertirvi che non ce ne staremo con le mani in mano” Si levarono degli inquietanti ringhi generali e non fu solo Paul a digrignare i denti.

“Una… breve collaborazione avrebbe creato meno equivoci e la situazione si sarebbe risolta più velocemente. Tutto questo discorsone altisonante con la sua voce gentile e melodiosa sembrava dare indirettamente degli stupidi ai licantropi per non aver accettato.  

“La nostra idea non cambia” Sam era irremovibile. Mio padre sfoderò il suo sorrisone.

“Va bene. Grazie per l’aiuto” completò papà, sempre dannatamente gentile “Vi anticipo dunque che supervisioneremo noi la zona riguardante la città di Forks.” Sam guardò per un attimo mio padre negli occhi ed annuì. Senza dire niente mia madre mi issò sulla sua schiena e partimmo immediatamente.

 

Mamma si fermò in salotto, esattamente nel posto dove eravamo partiti. La prima cosa che feci fu buttarmi di nuovo sul divano. Ora mi era passata tutta la fame.

“Perché un vampiro vuole uccidere Bella?!” esclamai improvvisamente alzandomi, quasi isterica. Uau, la mia miglior amica stava rischiando la pelle. Uau. Ma il fatto che ora i miei genitori lo sapessero bastò a calmarmi; mi fidavo di loro e di quello che avrebbero fatto.

“Non ne ho la più minima idea” disse mio padre sedendosi sulla poltrona. Poche erano le volte in cui non sapeva rispondere alle mie domande.

“Credi che dobbiamo parlare con lei?” disse mamma a papà. Mio padre la guardò amareggiato.

“A questo punto, sì” E questo voleva dire che Bella avrebbe saputo tutto. Sembrava quasi un peso che si levava dallo stomaco e concordavo in pieno con mamma. Lei mi perforò con lo sguardo.

“Domani hai intenzione di andare da lei, no?”

“Sì” risposi a disagio per la sua occhiata guardinga.

“Perfetto. Glielo dirà Abi” continuò rivolta verso mio padre. Cosa, cosa, cosa, cosa?!

“Eh?!” Papera.

“Non vorrai mica che glielo diciamo noi?” continuò mio padre “È meglio se prima glielo dici tu, l’impatto sarà meno forte”

A-aspettate” balbettai. Io? Dovevo dirglielo io?! Mi avevano preso del tutto impreparata. “E… cosa le dovrei dire?!

“Tutto. Raccontale la mia storia” intervenì papà. Certo, trecento anni di storia potevano essere una spiegazione esauriente alla domanda “i tuoi zii sono dei vampiri?”. E poi come avrebbe reagito lei? No, non volevo pensarci. Sicuramente non bene, dato le sue presunte disavventure finite tragicamente. Cominciai ad innervosirmi davvero. Calmati, Abigail, calmati. Proprio non andava.

“Non so se ce la posso fare” mormorai, implorando, ma inutilmente.

“Noi ci fidiamo di te” rispose sicuro mio padre. Waow, di male in peggio. Quindi, dovevo dire ad una ragazza moralmente distrutta a causa di un vampiro, che i miei genitori erano vampiri. Avevo una gran voglia di ridere istericamente come una pazza. Perché, ne ero sicura, ne sarei uscita pazza da questa storia.

“Auguratemi buona fortuna, però” mormorai angosciata.

“Ce la farai…” si lamentò mio padre, stufo della mia scenata. “Ho un buon presentimento.” Forse per la prima volta papà avrebbe fatto cilecca. Oppure ci sarebbe voluta una fortuna sfacciata. Feci un respiro profondo e mi decisi a pensare a qualcosa di più bello. Per esempio a quella domenica; i miei genitori sarebbero andati a caccia e io li avrei accompagnati.

Dove andiamo domenica?” chiesi un po’ più rilassata, per cambiare argomento. Mia mamma mi guardò dubbiosa.

“Noi andiamo a caccia” mi rispose categorica “Tu a La Push.” Io strabuzzai gli occhi.

Cosa?” sillabai.

“C’è un vampiro nelle vicinanze e tu vorresti venire a cacciare con noi? Non se ne parla proprio. Non pensiamo di allontanarci molto e c’è il rischio di incontrarlo. Questo voleva dire che il poter speciale di papà gli dava una brutta sensazione, di cui avevo imparato a fidarmi ciecamente. Ma ero ancora scioccata. Cavolo, quell’occasione speciale di ogni mese o due era stata cancellata per colpa di un vampiro idiota! Non ero in vena quel giorno e misi anche il broncio.

“Ehi. Non durerà presto, bambina” cercò di confortarmi papà scompigliandomi i capelli. “Ho una buona sensazione al proposito”

disse facendomi l’occhiolino.

“Va bene, va bene” dissi scostandomi, un pochino irritata dal “bambina”. Poi, se lo diceva papà allora c’era da fidarsi.

“Cercherò di sopportare in silenzio” dissi in un sospiro. Lui sorrise.

“Questa è la Abi che conosco” Mi porse il pugno, che io colpì.

Bhe.. io vado a dormire. Sono… sconvolta” Era una domanda più che un’ informazione. Era più forte di me. Questa era proprio la ciliegina sulla giornata.

“Aspetta solo un momento” sibilò mamma trattenendo il fiato. Prese il deodorante per ambienti che tenevamo in salotto e me lo spruzzò sui vestiti. Io la guardai sconcertata.

“Scusa” Sembrava in imbarazzo. “Solo che… i tuoi vestiti hanno preso una puzza di cane” No, questa era la ciliegina.

 

Ore di sonno: una. Ero totalmente un fascio di nervi. A preoccuparmi non era tanto il durante. Lo dicevo, e fine della cosa. A preoccuparmi era il dopo; cosa mi avrebbe chiesto, e soprattutto come avrebbe reagito?! Avevo assolutamente bisogno di darmi una calmata. L’appuntamento con Bella era fissato alle undici a casa sua, quindi avevo tutta la mattina a disposizione per tormentarmi e ideare discorsi su discorsi che non avrei mai detto come avrei voluto. Perfetto. In un lampo di pazzia mi venne in mente l’idea di andare a La Push, da Jacob. Così, tanto per innervosirmi ancora di più mandandogliene e tante. E per trovare anche uno straccio di sostegno morale, d’altronde. Partii abbastanza presto, avvertendo i miei, dopo un’abbondante colazione.

Quando arrivai a La Push soffiava un gelido venticello, nonostante fossimo in marzo. Parcheggiai la moto nel punto dell’altra volta e mi tolsi il casco per guardare meglio. La casa era tutta buia. Mannaggia, era ancora a dormire. Stavo per andare alla porta quando mi ricordai che avrei svegliato anche Billy e mi sarei comportata da perfetta maleducata nei suoi confronti. Invece, di quelli di Jacob non me ne importava proprio niente. Mi venne in mente un modo per svegliare solo Jacob; presi un sassolino da terra e lo lanciai nella sua camera, che altri non poteva essere che quella con la finestra aperta. Chi mai l’avrebbe tenuta aperta con questo freddo, se non una stufa vivente? Aspettai qualche secondo. Nessun rumore in risposta. Provai con un altro. Ancora niente. Riprovai ancora, ed ancora. Ormai ci avevo preso gusto ed anche se era evidente che in quella camera lui non c’era, continuai lo stesso a farlo. Era anche rilassante. Ero ormai arrivata forse a cinque sassolini.

“Perché diamine stai riempiendo la mia camera di sassi?” La voce che proveniva dalle mie spalle mi fece mollare la presa del sasso. Mi girai di scatto. Era lui. Risi per la sua andatura e la sua espressione inebetita.

Cosa ci fai a quest’ora del mattino? Tutta la notte in giro ad ubriacarsi, eh?” Anche se però non c’era niente da ridere; aveva due occhiaie che facevano invidia ai vampiri e due borse della spesa sotto gli occhi. Lui sbuffò.

“Esattamente quello” disse lui, troppo stanco per tirarla per le lunghe “Non hai risposto alla mia domanda. Cosa ci fai qui?”

Bhe…” La faccia stanca che aveva mi fece quasi pena; ero quasi sul punto di chiedergli scusa del disturbo e di lasciarlo andare a dormire. Quasi.

“In realtà…” continuai imperterrita io “sono venuta qui a parlarti di ieri e a lanciarti un bel po’ di insulti, ma la tua faccia mi ha convinto a lanciarti solo gli insulti.” Riuscii a strappargli una risata.

“Io non riderei così tanto se fossi in te” continuai, cominciando ad adirarmi “Un vampiro vuole uccidere una persona che conosce i vampiri e tu non gli dici che sei un licantropo e che la vuoi proteggere?” Ormai ero partita in quarta.

“L’ho sempre detto che sei totalmente bacato. Forse quasi incosciente. Me ne frego altamente delle tue motivazioni, ma glielo dovevi dire!” Lui non mi stava ascoltando, era troppo occupato nelle sue boccacce di sonno.

“Gliel’ho detto” disse tranquillo e beato.

“Ti avverto, diglielo, perché se no ti giuro che… cosa?”

“Ho detto a Bella che sono un licantropo. Ora lasciami dormire.” Detto questo si diresse verso casa, ma io lo fermai in tempo.

“Glielo hai detto? Davvero?” chiesi felice. Lui sbuffò.

“Capito. Cosa lunga. Vieni” borbottò essenziale. Ciondolando un po’ mi fece strada fino al garage.

“Siediti sul tettuccio” disse pieno di sonno indicando la Golf. Io feci ciò che mi disse mentre lui si distese sul cofano. Pensai per un momento che l’auto non avrebbe retto sotto di lui, ma non fu così. Lo vidi sotto di me, spaparanzato con gli occhi chiusi, mentre cercava una posizione per stare più comodo. Il cervello era troppo annebbiato per cercare un posto più comodo? Come per esempio, dentro la macchina?

“Parla, ti ascolto” disse compiendo uno sforzo immane per parlare.

“Davvero tu mi ascolti e non ti addormenti?” chiesi titubante.

“Sì, ma non è detto che ti risponda” disse in un risolino, ad occhi chiusi. Uau, concertante. Mi fidai di lui per quella volta.

Quindi finalmente glielo hai detto. E lei come l’ha presa?” Dopo alcuni secondi non mi aveva ancora risposto. Come non detto. Gli diedi un colpo con il piede sullo stomaco. Lui si ridestò.

“Lei… ha reagito bene. Non si è allontanata da me scalpitando” mi rispose calmo.  

E per merito di chi glielo hai detto? Sentiamo?” dissi orgogliosa di me.

“Non per merito tuo di sicuro. Ci ho pensato e mi era sembrata la cosa giusta” mormorò lui.

“Davvero? O questo è di nuovo il tuo orgoglio da maschio a parlare?” Lui tornò a sorridere. Aveva proprio un bel sorriso.

“Va bene, forse un pochino tu c’entri” disse sincero ed allungò quel sorriso “Forse un po’ più di un pochino.

Mentre parlava, come nulla fosse, appoggiò la sua testa sulla mia gamba. Io la ritrassi immediatamente, anche perché la sua testa, vuota o no non lo sapevo, pesava.

“Ehi! Non sono mica un tuo cuscino!” sbottai arrabbiata, ma felice che le mie ciance fossero servite a qualcosa.

“Va bene! Che cos’hai contro il contatto umano?” disse evidentemente offeso dalla privazione del suo nuovo cuscino.

“Contro l’umano niente. Ho qualche risentimento contro quello lupesco” tenni a precisare io.

“Va bene, va bene… come vuoi tu…” mugugnò di malavoglia. Oh no, lo stavo perdendo. Dovevo sbrigarmi a parlare.

“Non gli hai detto dei miei genitori?”

“No” rispose più sveglio. Anche se non mi sarebbe dispiaciuto che glielo avesse detto; avrebbe risparmiato a me l’arduo compito di poco.

“Tanto per curiosità quando glielo hai detto?”

Ehmmm.. una settimana fa”

“Cosa?!” urlai io. Fu sufficiente a fargli aprire gli occhi. “E non mi dici niente” Lui li richiuse subito, tornando nel suo stato di semi-trance.

“Non me l’hai mai chiesto” si limitò lui.

“Ma cosa vuoi che ne sappia io se tu glielo hai detto?!” sbottai di nuovo. In un modo o nell’altro riusciva a farmi arrabbiare comunque. Che nervi.

“Mi sarà uscito di testa, cosa devo dirti”

Era totalmente indifferente alla mia arrabbiatura; aveva scoperto un metodo perfetto per ignorarmi e far sì che bollissi nel mio brodo. Lasciai passare; non era dopotutto così importante. Anche se avevo ragione io…

Un rumore strano mi fece sussultare. Mi guardai in giro sospetta. Subito dopo capii che era Jacob che stava russando. Schioccai la lingua; si era addormentato. Io gli diedi di nuovo un calcio, ma non si mosse. Riprovai un po’ più forte, ma mi feci male io. Adottai un metodo drastico; scesi dal tettuccio della Golf e mi misi in piedi sui suoi addominali. Cominciai a saltargli sulla pancia, sperando che si risvegliasse. Mi ricordai quando lo facevo da piccola a mio padre, quando volevo qualcosa. Ci provai per un minuto e quando dovetti ammettere che era tutto inutile mi arresi e ritornai sul tettuccio. Guardai l’orologio; mancava ancora un’eternità alle undici. E non mi veniva in mente nessun posto dove poter andare, se non casa mia a grogiolarmi nell’attesa. Rimanere su un tettuccio di una Golf con un licantropo sul cofano che dorme mi sembrava l’unica attrattiva disponibile al momento. Lo guardai per un attimo mentre dormiva: aveva il viso dolce di un bambino che russa come una motosega. Le palpebre mi si chiusero per un momento. In effetti non avevo dormito molto e non sapevo come tutto il sonno si stava presentando in quel momento. Inoltre la stufa che avevo ai piedi era un invito diretto ad un pisolino. Cercai di mettermi comoda sul parabrezza, facendo attenzione ai tergicristalli. Mi persi a guardare il soffitto in ferro battuto del garage. Non avrei dormito, ma mi sarei solamente rilassata un po’. Solo… un… po’…

 

Mi svegliai di colpo. Mi ci vollero un paio di secondi per capire dove fossi e perché mi ero svegliata. Ed avevo un caldo da impazzire.
Il perché fu ciò che capii per primo. La causa di tutto quel caldo era ovviamente Jacob, che al momento era avvinghiato a me; non contento della gamba ora si era preso l’intera pancia. Non ero per niente d’accordo con la situazione, sia perché stavo crepando dal caldo, sia per il contatto lupesco.  

Jacob” dissi cercando di svegliarlo, invano. Poco prima gli ero saltata sulla pancia e non aveva funzionato, ora cosa avrei dovuto fare? Guardai l’orologio per verificare quanto tempo era passato da quel “poco prima”. Mancavano dieci minuti alle undici. No, bisognava toglierlo da lì. Anche perché il caldo stava raggiungendo livelli poco sopportabili. Cominciai a tirargli i capelli, ma fu peggio: mugugnò infastidito e mi strinse ancora di più. Ora non riuscivo a respirare. In preda ad un impeto di rabbia per quel idiota che mi stava abbracciando gridai il suo nome con il fiato che mi era rimasto nei polmoni nel suo orecchio. Funzionò e lui si svegliò. Di soprassalto, ma si svegliò. Anzi, forse era meglio se non si fosse svegliato. Così grosso che era cadde di lato portandomi con sé. Atterrai così a terra spiaccicandomi su di lui, o su un muro in calcestruzzo, non c’era differenza. Colpì lo stomaco e la testa.

Auch!” Rotolai di lato tenendomi i punti percossi con una mano.

Cosa è successo?” si azzardò lui a pronunciare, sorpreso. Io lo ignorai, pensando piuttosto al mio dolore.

“Oh no. Ti ho fatto male” disse lui vedendomi.

“No, tutto bene” gli risposi in un fil di voce, cercando di alzarmi. Vidi per un attimo le stelline, ma ce la feci.

“Devi vomitare?” domandò dubbioso.

“Sì, tutto il fastidio che provo per te su di te, ma cerco di trattenermi. Feci due respiri profondi. Stetti meglio, il dolore alla testa e allo stomaco passarono, grazie anche all’aria più fresca con Jacob lontano da me. Lo guardai negli occhi. Era davvero in ansia.

“Sto bene” dissi guardando l’orologio. Ero in un imbarazzante ritardo “E devo andare. Ti auguro tante buone cose e spero che tu abbia dormito divinamente sulla mia pancia” Mi diressi immediatamente subito all’uscita del garage. Jacob però mi bloccò per un braccio.

“Sei sicura di stare bene?” Non voleva smettere di essere in ansia.

“Sì, fidati” gli dissi seria e sincera. Lui sembrò calmarsi sul serio.

“Dove devi andare?” Su questo argomento invece volli essere meno sincera.

“Da Bella.” ma non aggiunsi nient’altro. Lui non batté ciglio. 

Bhè, spero vi divertiate.” Era sincero. Ed anche carino per averlo detto. Gli si illuminarono gli occhi.

“Prima di andare aspetta.” Andò dall’altra parte del garage in cerca di qualcosa. Ritornò poi con un pacchettino in mano.

“Per te” disse solare. Mi aveva fatto un regalo.

“Sul serio? Grazie” dissi quasi commossa. Mi pentii di tutte le cattiverie dette e fatte sul suo conto. Era un bel pensiero. Lo scartai subito. Non riuscii però a capire il messaggio del regalo: era un piccolo deodorante per ambienti.

“Spruzzatelo prima di venire qua, per favore” disse ancora gioioso “Perché puzzi di morto.” Io lo guardai allibita. Era uno scherzo, uno stupido scherzo idiota. Bella messa in scena, davvero bella. Lo guardai esterrefatta.

Che c’è?” Dal suo sorriso sornione si poteva capire ben di più. Socchiusi gli occhi acida. Gli spruzzai il deodorante in faccia prima di andarmene spedita verso la porta del garage, stando ben attenta a non mostrare le mie risate trattenute a Jacob.

 

“E adesso gli devi mettere a friggere” Con abilità Bella prese un nacho e lo mise nella padella di olio fritto.

“Prova tu” disse tranquilla. Io non lo ero affatto.

Quel oggi Bella aveva avuto la brillante idea di insegnarmi come si cucinano i nachos. E non era la cosa più facile del mondo; mi andavano bene anche due uova strapazzate. Ero una totale schiappa in cucina; si vedeva ad un chilometro che non ero in grado di prendere in mano una padella. Colpa di mamma che non mi faceva mai provare. Bella invece mi impressionò; era davvero un asso. Sapeva cucinare davvero tantissime cose e la sua incapacità di equilibrio in questo campo si annullava. Sembrava anzi che si trasferisse su di me. Imitai Bella, presi una paletta e ci misi il nacho sopra con la mano. Durante il tragitto verso la pentola però il nacho mi cadde sul pavimento. L’ennesimo guaio della giornata. Sbuffando mi chinai a raccoglierlo.

“Scusa, sto solo combinando guai” dissi affrancata.

“Devi imparare no?” Bella cercò di tirarmi inutilmente su. Trattenni un secondo sbuffo.

“La prossima volta partiamo da qualcosa di più facile, va bene?”

Decisamente” concordò lei, mentre sistemava i suoi nachos nella padella. Già la frittura era un’impresa, non volevo pensare a come fare per mettere quello che vi andava sopra.

Nonostante tutto riuscii alla fine a mettere quasi tutti i nachos a friggere. Almeno avevo fatto qualcosa. Bella aprii la finestra facendo entrare un po’ di aria; straordinariamente quel giorno splendeva il sole. Non credevo che ci fosse mai stata una giornata così bella.

“Ora?” dissi entusiasta per essere riuscita a mettere in una padella dei nachos.

“Ora aspettiamo che si friggano. Ci vorrà un po’” Si sedette sul bordo del tavolo e io la imitai.

“Sei concentrata” evidenziò lei.

“Già, mi ha davvero preso. E poi non è molto facile per me.” No, non era affatto facile spostare qualcosa in una padella. Che disastro.

“Scusa, avrei dovuto avvertirti qual era il mio livello di cucina”

Ma non ti capita mai di cucinare a casa?”

“No, mai. Vuole fare tutto mia… zia” In quel momento sentii prendere fuoco e non era per il caldo della frittura. Mi ricordai che dovevo dirle qualcosa di importante a proposito di zii inesistenti. Quei nachos mi avevano tanto coinvolto da farmelo uscire dalla testa.

Bhè… almeno ti sei divertita” mi interruppe Bella, speranzosa.

“Ah.. quello sì. Divertirmi a sporcarti tutta la casa, intendi?” Avevo trasformato quella stanza in un porcile, mi sentivo davvero in colpa. Lei sorrise.

“Io lo chiamo cucinare”

“Sì. Mi sono divertita a… come che hai detto? Ah sì! Cucinare” ironizzai io. Lei ampliò il sorriso. E anch’io mi tirai un poco su.

Senza rendermene conto presi il deodorante nella tasca e cominciai a giocherellarci; giocherellare con le cose era un mio piccolo tic che compariva qualche volta e non riuscivo a controllare. Calò un momento di silenzio, che mi rifece pensare a “quella cosa”. Presi un respiro profondo trovando un modo per incominciare. “Sai, i miei zii in realtà sono i miei genitori e sono dei vampiri” mi sembrava da escludere come possibilità.

“Volevo dirti una cosa” Come inizio non era male, tralasciando la tensione della voce. Lei mi guardò interessata e io contraccambiai il suo sguardo. La lingua non si muoveva più. No buono. Non dovevo guardarla negli occhi.

“Tu lavori?” Non ci riuscii. Cominciai a roteare più velocemente il deodorante tra le dita.

“Sì, al negozio di trekking dei Newton” Lei parve confusa. “Perché scusa?”

“No, niente, per curiosità” dissi iperagitata. Che figuraccia. Qualcosa di meglio non potevo trovare? Ah… non andava bene. Non sapevo che fare.

Che ne dici se intanto tagliamo i peperoni?” fece lei ancora dubbiosa. 

“Certo” dissi io, esuberante, cercando di cancellare quella nota perplessa nella sua voce.

Entrambe prendemmo un coltello, ma successe l’imprevisto. L’imbranataggine di Bella si ripresentò sul più bello; sentii solo il coltello cadere a terra e tanto, ma tanto sangue uscire dalla sua mano sinistra. E così mi dimenticai ancora una volta che dovevo dirle qualcosa.

“Oh…oh…” mormorò lei. Si mise la mano sana sul naso per trattenere il respiro. O il senso di nausea, non sapevo. Per fortuna mio padre era un dottore e quindi ero preparata in questo tipo di situazioni. Presi immediatamente un canovaccio pulito dal tavolo e lo avvolsi su tutto il palmo.

“Ti fa male?” chiesi seria. Lei si teneva ancora il naso con la mano. Scosse la testa.

“Non è niente” disse con voce nasale “L’odore del sangue mi dà la nausea. Ah…  a questo però non sapevo reagire. Anzi… forse… Fui impulsiva; presi il deodorante di Jacob.

“Scusami” dissi mentre lo spruzzavo su Bella. Chiuse gli occhi e tossi per un po’.

“Va meglio?” Lei aprì gli occhi e respirò normalmente, annuendo con la testa. Grazie, Jacob.

“Forse è meglio se do un’occhiata” le chiesi indicando lo strofinaccio.

“Certo” Scostai un poco la stoffa, stando bene attenta che Bella non vedesse il colore rosso del sangue. Cavolo, aveva davvero un taglio profondo. Doveva andare a farsi dei punti, e subito.

“Ehm… facciamo che ti accompagno in ospedale?” Anche perché le era impossibile guidare con una sola mano.

“No, figurati. Non mi fa male. Non è necessario” cercò di rassicurarmi. Niente obiezioni.

“No, guarda che hai bisogni di punti” Forse era perché non aveva visto il taglio che aveva, ma sembrava la tranquillità fatta a persona.

“Ci posso andare anche dopo in ospedale. Me ne sono successe di peggiori e non sono mai morta” Non voleva davvero darmi retta.

“Bella, hai bisogno di un medico. Fidati” dissi seria, guardandola negli occhi. Lei sospirò.

“Va bene” disse spegnendo il gas della pentola. Avevamo sicuramente due concezioni diverse di “ferita”; con tutta la calma del mondo prese le chiavi del pick-up dal giubbotto sull’appendino in corridoio, facendomi poi strada. Salimmo sul pick-up. Dovetti fare mente locale un momento per ricordarmi come si guidasse un veicolo a quattro ruote.

“Non andare oltre gli ottanta” mi avvertì lei. Io annuii mettendo in moto. Feci lentamente retromarcia; bhé, non ero dopotutto così arrugginita. Sebbene guidare un pick-up di quelle dimensioni mi richiedeva molta attenzione. Percorremmo le strade stranamente soleggiate ed asciutte di Forks verso l’ospedale.

“Sei brava nel pronto soccorso” disse lei, serena vicino a me.

“Zio medico” mi limitai io. Che tra poco saremmo andate a trovare, perché aveva turno quella domenica. Mi infiammai di nuovo. Non glielo avevo detto. Non sarebbe stato bello scoprirlo in questo modo; mi aveva avvertito papà. Dovevo dirglielo ora, ma non era affatto una buona idea con una mano insanguinata. Ah! Che guaio.

Sai, dovrei assumerti come infermiera a tempo pieno. Con tutto quello che mi succede saresti sempre occupata” smorzò lei.

Io feci una risatina nervosa. Eravamo arrivati. Parcheggiai davanti all’entrata ed entrammo. Mi guardai intorno in cerca di mio padre. Non lo trovai; meglio così. Quella domenica l’ospedale era quasi deserto.

“Mi scusi”

Intanto che io pensavo a salvare la mia di vita, Bella si occupava della sua. Attirò l’attenzione di un’anziana infermiera che stava passando nei paraggi. “Mi sono tagliata.” L’infermiera sbirciò nell’asciugamano e sussultò.

“Oh, cara. Hai bisogno di punti di sutura.” L’infermiera ci accompagnò in una piccola stanza, dotata di un lettino, su cui Bella si sedette. Io invece mantenei le distanze e rimasi appoggiata ad una delle quattro pareti bianche.

“Aspettate qua mentre chiamo il dottore.” Quale dottore?! Sussultai. Cominciai a stritolarmi le mani nervosa. Fa che non sia il dottor Adams, fa che non sia mio padre…

“Tutto bene?” Non avevo idea di come Bella potesse essere così tranquilla pur avendo una mano quasi tagliata in due. Dovevano esserle capitate davvero di peggiori.

“Sì, certo. Ho solo un po’ freddo” mentii, strofinandomi le spalle. Mi stavo comportando da totale imbecille. Passarono ancora alcuni secondi e ancora niente dottore.

“La mano come sta?” esordii all’improvviso.

“Va bene”

Sarebbe stata tranquilla ancora per poco. Tornai con lo sguardo fisso verso la porta, aspettando il dottore. Ecco, si aprì. Quella giornata non era quella buona. Entrò con l’eleganza di un modello di Valentino, tutto perfetto nel suo camice bianco.

“Buongiorno” salutò con la sua voce dolce come il miele, pensando che lei sapesse già tutto. Era essere sorpreso di vederci in ospedale. Lo fissai, cercando di attirare la sua attenzione. Lui mi guardò. Sfoderai un’espressione che voleva essere ansiosa, tesa, agitata, depressa, insomma, non lo sapevo neppure io, ma qualcosa che gli avrebbe fatto capire che lei non sapeva ancora nulla.

Lui capì, dato che il suo mega sorrisone da pubblicità da dentifricio divenne solo un affascinante sorriso. Continuai a tenere la testa voltata verso la porta; non osavo vedere la faccia di Bella.

“Lei dev’essere la signorina Swan.”

Nessuna risposta. Ebbi il coraggio di voltarmi. Me ne pentii subito; l’espressione di Bella era del tutto indecifrabile. C’era sorpresa, ma anche timore e confusione. Inoltre la sua faccia da bianca era passata ad un verdastro, mentre fissava mio padre.

“Non pensavo che Abigail fosse così imbranata in cucina” ironizzò lui, mentre con cura toglieva l’asciugamano dalla mano di Bella.

“Spiritoso” risposi io tesa. Non era il momento di allietare l’atmosfera. Cominciò a guardare attentamente la ferita. Bella ora aveva anche gli occhi lucidi. Mi coprii il viso con le mani; non volevo continuare ad assistere. Per fortuna il verdetto di papà arrivò presto.

“La ferita non è grave come sembra. Basteranno solo alcuni punti. Le chiamerò subito l’infermiera. Oltre a questo è sicuro che vada tutto bene?” Bella ora era veramente verde.

“Certo” Riuscii a sentirla a malapena.

“Credo allora di aver terminato. Arrivederci, signorina Swan” Lei non rispose. Con la stessa camminata da modello uscì dalla porta. Avrei voluto seppellirmi viva. Arrivò subito un’infermiera molto più giovane della precedente con tutto il necessario per svolgere una sutura.

Se vuoi puoi aspettare fuori” Questa volta si rivolse a me. O grazie. Io mi limitai ad annuire ed uscii dalla stanzetta, nella sala d’attesa.

Mi diressi sulla prima sedia e mi ci accasciai sopra di peso. La sala era deserta, fatta eccezione per mio padre e me.

Perché non glielo hai detto?” Non era arrabbiato, piuttosto comprensivo.

“Non ce l’ho fatta. Non ho trovato un modo” risposi depressa “Questa volta il tuo potere ha fatto cilecca”

“I doni dei vampiri non sono fatti per far cilecca” mormorò sedendosi vicino a me.

Bhè… adesso credo che la tua amica abbia più di qualche domanda da farti”

“Già” sussurrai. “Non glielo puoi dire tu, vero?”

Abigail, quella ragazza stava davvero male, per avermi solo visto. Pensa se ci parlo.” Aveva ragione, come sempre. Sentii la sua mano sulla spalla.

“Per la cronaca, si è fatta male da sola” affermai sprezzante. Lui continuò a sorridere.

“Lo so” Mi diede un leggero bacio sulla testa. “Ce la puoi fare, Abi.” Detto questo si alzò e se ne andò. Il secondo dopo la porta si aprì. Inquietava questa sorta di perfetta coordinazione tipicamente vampiresca.

Ne uscì solo Bella; dedussi che l’infermiera stesse ancora riordinando. Non aveva ancora cambiato espressione, anche se non sapevo dire con esattezza che tipo di espressione fosse. Aveva la mano sinistra completamente fasciata e non avrebbe potuto guidare per tornare a casa.

“Ti accompagno a casa?” dissi cercando di non guardarla in faccia, ma davanti a me e soprattutto cercando di non parlare con quel tono da “io-so-che-tu-sai”, ma era ormai troppo tardi. Bella, d’altra parte, non smetteva di fissarmi. Sembrava preoccupata ed incredula. Lei annuì decisa. Salimmo sul pick-up e lo misi in moto, dirigendomi verso casa Swan. Lo spettacolo stava per iniziare.

 

 

 

 

 

Bhè? Che ve ne pare? Ad essere sincera mi sono divertita tantissimo a scriverlo! E da adesso si cominciare a sapere qualcosa di più anche di questa Abigial. Alla prossima!

 

X mikkicullen: Uau! Sono stracontenta che tu mi abbia commentato e che ti piaccia Abigail! Anche se ho fatto aspettare… Comportamento deplorevole, mea culpa XD. Bhè… per ora ti lascio solo immaginare quello che potrà succedere. Eh eh eh

Grazie ancora mille per il commento! Ciauz!

 

X Emily94: Per un attimo mi hai fatto sentire valoroso capo branco di licantropi adolescenti iperpompati XD. Deliri a parte, sono rimasta piacevolmente colpita dalla tua idea, oltre dalla tua sfilza di complimentoni. Fino ad ora nessuno mi ha mai chiesto di poter fare un seguito, ed ammetto che, pur avendo molte idee in testa, mi servirebbe proprio una botta di ispirazione con idee diverse per poter battere a computer. Perciò, certo che accetto la tua proposta più che volentieri, anche se ne dovremmo parlare bene! Poi si sa, due menti sono meglio di due. Salvo il tuo contatto e ci sentiamo! Ciauz!

 

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Capitolo 7
*** Settimo Capitolo ***


Settimo Capitolo

 

 

 

Settimo Capitolo

 

 

Calò un attanagliante silenzio. Avrei forse dovuto parlare io? Aspettava che fossi io a dire qualcosa? Cercai di trovare una valida interpretazione di quel silenzio, ma soprattutto cercai qualcosa da dire.

“Quello… quello era un vampiro” sussurrò alla fine lei, ma non spaventata, solo terribilmente scioccata. Inoltre quella non era affatto una domanda, ma un’affermazione. Io mantenei lo sguardo fisso sulla strada. Davvero non si era accorta del mio sguardo “io-so-che-tu-sai”?

“Sì” mi limitai a rispondere. Parlare di vampiri con un’altra persona mi metteva a disagio, oltre ad essere uno strano argomento di conversazione per due adolescenti. Lei continuava a perforarmi con gli occhi.

“Perché non ti sorprende che io lo sappia?” chiese più confusa, che arrabbiata. Ma non c’era anche quello. Anche lei credevo si sentisse a disagio; le sue reazioni continuavano ad essere indecifrabili. Io deglutii. Era inevitabile che non se ne sarebbe accorta ed ancora una volta io non sapevo come dirglielo e, cosa che mi preoccupava ancora di più, sarebbe stato il dopo.

“Sappiamo che tu conosci i Cullen. E mio padre conosce i Cullen” L’unica soluzione che trovai era quella di essere schietta, anche se a proposito dissi “conosci i Cullen”, piuttosto che “stavi insieme ad un Cullen”. Non volevo ancora farle capire che sapevo di Edward, non in questo momento, almeno.

“Quindi sappiamo che tu consoci i vampiri.” Questa volta fu lei a deglutire. A causa della lentezza del pick-up quel viaggio sarebbe stato più lungo di quanto sperassi.

“Tuo padre?” esclamò lei con voce roca.

“Sì, non è mio zio. E mia zia è mia mamma” dissi mentre delle farfalle mi si agitavano nello stomaco.

Per un attimo riuscii a riconoscere la sua espressione. Era curiosa e stranita, con le sopracciglia aggrottate. Fermai il pick-up sul viottolo di casa Swan e scesi subito. Bella mi seguii. Decisi di sedermi sui gradini della piccola veranda e Bella si sedette vicina. Aveva ragione, era proprio una bella giornata. Era un peccato sprecarla stando dentro. Ero però anche uno spreco pensare ad altro e non alla conversazione con Bella che non vedevo di affrontare.

“Ti vivi con dei vampiri?” Il suo tono di voce era molto più sicuro. Bene, l’argomento era passato da Cullen ad Adams. Almeno per ora. Quindi mi sentii molto più sicura su un terreno di mia conoscenza. La guardai negli occhi con il mio sorriso sghembo.

“Ti va di sentire la storia strappa lacrime della mia famiglia?” dissi, seguendo il consiglio di mio padre. Molto probabilmente così facendo ci saremmo risparmiati un bel po' di domande.

“Mi piacerebbe” disse neutra. Iniziai così a descrivere in dettaglio la storia di papà, che ormai sapevo a memoria.

“Tutto ha inizio con mio padre, William O’Brian, nato nel 1712 a Waterford, la più antica delle sette principali città dell’Irlanda, pensa un po’ te” cercai di fare dell’auto-ironismo, ma servì ben poco. Lei mi guardava con attenzione, seria.

“Era un ricco borghese, con moglie, figli. Era un uomo felice, anche se ora non ricorda né i loro nomi né i loro volti.”

Molte volte mi ero sorpresa ad immaginare come potesse essere la sua vita prima. Me lo immaginavo amare altri figli che non fossi io ed un’altra donna che non fosse mamma. Sembrava un’altra persona ed era quello che mi diceva lui: era davvero un’altra persona.

“Felice finché la sua vita non venne distrutta dai vampiri e sempre loro gli crearono una nuova. L’abitazione dove viveva, fuori città, fu invasa da vampiri, che fecero uno sterminio della famiglia, ma lui non rimase ucciso. Stranamente non lo uccisero, ma lo morsero. E diventò un vampiro. Passò due orribili giorni per i dolori della trasformazione" mi fermai un attimo credendo fosse conveniente aprire una piccola parentesi.

"Lo sai, come funziona la trasformazione, no?" Lei annuii impercettibilmente ed io ripresi.

"Ma fu ancora più orribile quando si risvegliò, quando divenne consapevole di quello che era successo. I ricordi erano però diventati offuscati e bastò poco per fargli dimenticare l'umano che era. La sua nuova natura di vampiro lo portò a comportasi come tale; per qualche decennio visse come un nomade, cibandosi senza giudizio o rancore.” Ancora una volta mi trovai ad immaginare mio padre come un vero vampiro senza controllo.

“Da nomade passò poi a vivere in comunità di altri vampiri irlandesi. Con loro divenne più civile, molto più simile ad una persona. E divenne anche consapevole di aver ucciso e di essere destinato a farlo per l'eternità.” Mi fermai un attimo per respirare; Bella vicina a me non fiatava.

“Fu allora che cominciarono a venire i sensi di colpa. Capiva che così non poteva funzionare; non sarebbe riuscito a convivere con sé stesso, un assassino. E nemmeno con vampiri assassini come lui. Passarono una cinquantina d’anni prima che se ne andasse dal clan irlandese. Loro capirono e non opposero resistenza. Cominciò a viaggiare per l’Europa, ma l’odio per sé stesso rimaneva. Continuava ad uccidere, ma capiva che era sbagliato. Più di una volta aveva tentato il suicidio, ma senza risultati. La sua vita fu un tormento finché non incontrò Carlisle Cullen.” La vidi aggrottare le sopraciglia di nuovo.

“Non ne so molto su questo Carlisle, forse tu probabilmente ne saprai qualcosa di più, ma papà non fa altro che osannarlo e dire che senza di lui io non sarei qui. Ed in effetti ha ragione. Quel vampiro è stata proprio la salvezza per mio padre. Gli rifece trovare la speranza. Gli propose un diverso modo di cibarsi; non più sangue umano, ma animale. Mio padre ne fu davvero entusiasta ed iniziò subito a mettere in pratica questa nuova dieta.” Questa volta mi fermai invece per creare più suspanse al discorso, anche se inutile; la suspanse c’era lo stesso.

“Ma non fu tutto. Carlisle gli disse che la sua più grande aspirazione era quella di diventare medico, curare la gente. Salvare così, tante persone quante ne avrebbe potute uccidere, eh che roba” mi sforzai di trattenermi, ma non ci riuscii. Se non ne sparavo non ero proprio contenta…

“Mio padre divenne un’altra persona grazie a Carlisle. Seguì la sua strada; desiderò anche lui diventare un medico. Cambiò il suo cognome in Adams ed iniziò una nuova vita. L’inizio non fu una passeggiata. Per abituarsi all’odore del sangue gli ci vollero almeno due secoli. Intanto le prime scoperte scientifiche portarono anche scoperte mediche. Passò questi duecento anni a studiare di giorno ed imparare a resistere al sangue di notte, continuando a spostarsi, evitando di rimanere nello stesso luogo per troppo tempo. Finché non si ritrovò in America” ripresi fiato. Credevo che Bella vicino a me non respirasse più.

“Ventesimo secolo. Il dottor Adams poté iniziare a lavorare per la prima volta in un piccolo ospedale nel Connecticut. La sua esistenza non era più così noiosa; ora salvava vite. Continuò senza alcun problema e difficoltà a sopportare il sangue finché diciassette anni fa in un ospedale del Ohio incontrò Sophie Rogers nel reparto maternità.” Molto probabilmente dissi l’ultima frase con troppa mielosità.

“Stava aspettando un bambino e aveva un pancione di cinque mesi. Sfortunatamente in quel periodo ci fu un caso di influenza molto contagioso nell’ospedale e molti dottori ed infermiere ne rimasero colpiti. Mio padre ne fu contentissimo; triplo lavoro per lui. Il caso volle che gli affidarono l’intero reparto maternità per troppa mancanza di personale. Non esattamente il suo campo, ma accettò. E così conobbe mia madre.” Da mieloso il mio tono passò a confuso.

“Tra quei due nacque una sorta di infatuazione, non proprio vero amore. Papà mi ha detto che fu strana come emozione per un vampiro; non l’aveva mai provata. Una strana attrazione.” Guardai per la prima volta Bella negli occhi. Questo non era di certo lo stesso caso di Bella, che prese le gambe tra le braccia e cercò di schiacciarle al petto, come se volesse soffocarsi con la pressione delle sue stesse gambe. Inevitabilmente aveva collegato la cosa al suo vampiro. Decisi di continuare.

“Comunque, i mesi passarono, i casi di influenza parevano aumentare e per mia madre era giunta l'ora di sfornare il fagiolo. Fortuna vuole che l’unica ostetrica era ammalata. Così mio padre fece nascere per la prima volta un bambino. Mi ha detto che non era mai stato nervoso come in quel momento. Inoltre ci sarebbe stato sangue dappertutto ed una donna che urlava come una pazza; sarebbe stata davvero una bella prova per lui" dissi con enfasi, anche per coinvolgere di più Bella.

“Mia madre però non se la cavò bene; da sempre era stata di costituzione esile e molti medici le avevano detto che c’era la possibilità di non riuscire a sopravivere ad un parto. Fatto sta che non appena partorì fu sul punto di morire.” Lo dissi in un tono stranamente troppo insensibile, per essere cosciente del fatto che mia madre avrebbe potuto morire.

“Ecco, qua devo introdurre una piccola parentesi. Devi sapere che mio padre possiede una strana dote, non comune a tutti i vampiri. Forse avrai sentito parlarle di queste strana capacità.” Lei annuii impedendomi di fermarmi.

"Comunque, qualche volta riesce a capire quale sia la "cosa giusta" da fare in quel momento e a compierla, quasi senza rendersene conto, seguendo unicamente il proprio istinto. Non credo abbia mai capito neppure lui come funziona esattamente; non dipende dalla sua volontà. Accade e basta. Un esempio sono i numeri della lotteria; quando si sente "ispirato" azzecca tutti i numeri giusti. O le azioni in borsa. O ancora quando mia madre partorì" dissi l’ultima frase guardandola negli occhi. Aveva diminuito la presa sulle gambe ed era ora più rilassata.

"Accadde tutto in un istante. Mio padre fu spinto dall'istinto a fare la cosa giusta, morse mia madre e le salvò la vita" riassunsi in breve.
"Le cose adesso diventano complicate. Mio padre temeva di aver compiuto una sciocchezza; c'era un bambino da una parte e sua madre-vampiro dall'altra. Sapeva che avrebbe dovuto abbandonarlo, allontanarlo dalla madre per evitare che gli facesse del male. Ma non ci riuscì. E' una delle poche cose che non riesco a capire ancora adesso; molto probabilmente grazie al suo dono, ma è stato molto vago su questo. Comunque, dopo due giorni di pene anche mia madre si risvegliò come una vampira. E vide quel bambino” presi un altro respiro, guardandomi intorno. Le nuvole avevano fatto largo a più raggi di sole e non c’era anima viva nelle vicinanze.

"Papà dice che è stato assolutamente innaturale. Lei non andò fuori di testa, non desiderava ucciderlo ardentemente. Bensì l'opposto. Riuscì a prenderlo in braccio, a baciarlo perfino, con un autocontrollo che nemmeno mio padre aveva accumulato e non lo perdeva sentendo l'odore del suo sangue. Mai un essere umano aveva aiutato a placare l'istinto di un vampiro, neonato per giunta. Diventarono così una famiglia e l'infatuazione tra mio padre e mia madre si trasformò in amore. Non vollero abbandonare quel bambino, decisero di tenerlo con se, pur consapevoli di intraprendere rischi enormi; mia madre lo amava troppo e non gli avrebbe mai fatto del male e mio padre sarebbe riuscito a controllarsi grazie ai suoi secoli di esperienza. Ed ecco la famiglia Adams. Turututu” Schioccai le dita due volte imitando la canzoncina della Famiglia Adams, che ci stava d’altronde un casotto. Riuscii persino a strapparle un piccolo sorrisetto sul suo volto sorpreso.

“Ah… per la cronaca, quel bambino ero io. Ma credo che tu l'abbia capito” finii finalmente. Ora era venuto il tempo delle domande. Perché ce ne sarebbero state eccome!

"Come... come è possibile che tua madre non ti abbia ucciso?" chiese meravigliata Bella.

"Mio padre pensa che l'istinto materno sia stato superiore a quello per il sangue. Oppure, molto più probabile, si tratta di una dote particolare di mia madre. Ha sviluppato uno strano rapporto con me. In un certo senso, non tanto paranormale. Sai qual'è l'animale più feroce di una specie?" le domandai per vedere se sapesse rispondere.

"La madre" mi rispose sicura.

"Un lupo costretto a stare in gabbia è niente rispetto ad una lupa che protegge i propri cuccioli in pericolo. Ecco, prendi questo concetto e introducilo nei vampiri. In questa situazione mia madre può perdere il controllo e non è affatto un bella cosa, ma non è tutto; mia madre sente, sa quando provo paura o quando sono in pericolo. E non si tratta di un "circa, più o meno, quasi", lo sa davvero! E quando accade lei viene da me, indipendentemente dal luogo in cui mi trovo, perché lei intuisce anche quello.” La guardai negli occhi per vedere la sua espressione attonita.

"Non l'ho mai vista perdere il controllo in questo modo; non sono mai stata in grave pericolo fino ad ora, per quanto mi ricordi. Strano, ma vero. Lei mi ha detto che è successo una sola volta, ma io ho rimosso completamente."

“Ah…” uscì dalla sua bocca. Era ancora piuttosto confusa.

 Il racconto della mia storia mi aveva permesso di rompere il ghiaccio ed ora ero pronta ad affrontare ogni conseguenza. Le si dipinse una smorfia sul viso e scosse la testa, per poi prendersela con le mani ed appoggiarla sulle gambe. In un scatto veloce si ritirò su e si tirò i capelli indietro guardandomi con un’aria strana quasi esasperata, ma lo strano sorrisino che aveva insieme alle sopracciglia aggrottate la rendeva inquietante.

“Non l’avrei mai immaginato, mai” disse quieta. Dal suo tono calmo sembrava avesse accettato ciò che era stato detto. 

“Sono così allibita che...” esclamò poi guardando davanti a sé “È sconvolgente.”

Ora quel suo sorrisino era scomparso e rimaneva solo un’espressione confusa e meditabonda. Io le sorrisi.

“Io rispondo alle tue domande e tu rispondi alle mie, va bene?”

Era l’unico modo per venire a sapere della faccenda “Cullen”, che, tra parentesi, in teoria non me ne doveva importare proprio niente. Ma il mio interesse per la vita passata di Bella non era più diventata una semplice curiosità; era di un’evidenza strabiliante che per lei questo costituiva un problema ed un tormento e visto la delicatezza dell’argomento non credevo avesse avuto possibilità di parlarne con qualcuno. Avevo avuto occasione di imparare che confidarsi con qualcuno riguardo un serio problema era la prima cosa da fare per affrontarlo, anche se la più difficile. E si sa che due cervelli sono meglio di uno. Speravo solo che Bella mi considerasse quel tipo di persona a cui raccontare questa sua faccenda, soprattutto dopo la mia dichiarazione. Inoltre, da spugna di emozioni, ci stavo male anch’io a vederla in quello stato. Lei non fu per niente esuberante, anzi; dalla sua espressione non le piacque neppure un po’ l’idea e per un attimo me ne pentii. Tuttavia, silenziosa, annuì con la testa.

“Inizia pure tu” dissi cercando di farla sentire per un minimo a suo agio. Lei non si mosse, né aprì bocca. Non capivo se era per il timore di raccontare o per la scelta della domanda da pormi. Quando parlò la voce però non tradì lo stato d’animo; era ferma e interessata.

“Perché vi siete trasferiti? L’incidente dei tuoi genitori è una frottola” affermò lei. Non esattamente la domanda più importante; stava incominciando con le domande più facili per poi raggiungere quelle più difficili.

“Qualcosa di vero però c’è: a mio padre hanno offerto veramente il posto di primario” dissi serena di non dovermi più trattenere dal dire “zio”.

“In realtà ci siamo trasferiti principalmente perché i miei genitori non invecchiano. Quindi dopo un po’ la cosa può suscitare sospetti.”

“Ne so qualcosa al proposito” disse lei con voce decisa, ma con sguardo distratto e vacuo, diretto verso la foresta davanti a casa. Subito si riscosse e tornò a guardarmi curiosa.

“Non ti senti… totalmente a disagio a stare con le persone dopo una vita passata con dei vampiri?” Io mi strinsi le spalle aggrottai le sopracciglia. Cavolo, questa era davvero difficile. Ci pensai parecchio prima di rispondere.

“No” dissi alla fine, anche se non ero troppo convinta “Insomma, vivo con dei vampiri in casa, ma, tranne per alcuni piccoli aspetti, si comportano come delle persone. Inoltre sono sempre entrata in contatto con degli esseri umani; andavo a scuola con delle persone umane, avevo degli amici umani, facevo cose da umani.” Più parlavo però meno ero convinta di quello che dicevo.

“Anche se a dirla tutta stare con i vampiri mi piace di più. Forse è l’abitudine, ma mi emoziona molto di più.”

“Già” mormorò lei spensierata, immersa nei suoi pensieri e nelle mie parole. Dopo un poco riprese con le domande con uno strano sorrisino in volto.

“Com’è vivere con dei vampiri?” Non riuscii a trattenermi da una bella risata. Ne avrei potuto parlare per ore. Cercai di riordinarmi un po’ le idee per le informazioni necessarie al riguardo.

“Bhè, lo ammetto, è parecchio strano. La prima stranezza è il cibo. Loro sono dei "vegetariani", così si fanno chiamare, quindi vanno a caccia nei boschi. E io li accompagno ogni volta. È un’abitudine che ho cominciato fin da quando ero piccola.” Mi interruppi per ridere per la faccia spiazzata di Bella.

“Non assisto all’atto vero e proprio; mi limito a starmene per conto mio, non troppo distante da loro. Siamo in pratica io e la foresta. Mi è sempre piaciuto quel senso di tranquilla solitudine” dissi serafica, ma non per troppo tempo.

Infatti non avrei più accompagnato i miei genitori finché non si sarebbe risolto il problema con quel vampiro. Mi sentii per un attimo sprofondare; non c’era solo l'argomento “Cullen” da affrontare, ma indispensabilmente anche quello “licantropi”, di conseguenza. Quella sarebbe stata una lunga giornata.

“Poi, lo stesso problema dell’età e del fisico da statua greca, come lo chiamo io, qualche volta è un problema. È un po’ demoralizzate avere dei genitori sempre bellissimi ed impeccabili, soprattutto sapendo che saranno per sempre bellissimi ed impeccabili, quando si ha una faccia terribilmente anonima e destinata a ricoprirsi di rughe. Dovrebbe essere l’inverso. Inoltre c’è di mezzo la loro super intelligenza misurabile in millisecondi che ti fa sentire una vera stupida.”

Come avevo detto, ne avrei potuto parlare per ore. Lei si lasciò andare in una breve risatina trattenuta.

“Non lo dico per cattiveria, ma per simpatia. Io e i miei genitori appunto per questo bisticciamo quasi sempre.” Bella mi guardava in modo strano. Più che guardare mi stava fissando in modo strano. Forse… quasi invidioso?

“Sei fortuna ad avere due genitori così” mormorò lei. Questa volta aveva ragione; ero stata fortunata a capitare in una famiglia così strana. Non si poteva dire di annoiarsi o di non avere mai niente da fare, soprattutto da quando ci eravamo trasferiti qua a Forks.

“Lo sai, dopo una vita passata con dei vampiri è inevitabile diventare un po’ simile a loro” me ne uscii quasi senza rendermene conto.

“E non vuoi diventare uguale a loro?”

Rabbrividii all’istante e quel senso di tranquillità che era nato parlando dei miei genitori sparì all’istante. Voleva dire se sarei diventata anch’io un vampiro. Questa era di sicuro la domanda più difficile, a cui avrei mentito di sicuro anche se solo in parte. Era una cosa che non avrei mai detto a nessuno, neppure e soprattutto ai miei genitori, visto che loro erano il motivo principale. Forse nemmeno a Bella. Non ora.

“No.” Cercai di uscirne sicura, ma fui anche piuttosto cupa. Bella rimase confusa.

“Perché no?” disse scioccata.

Evidentemente non riusciva a capire come non si potesse desiderare di diventare come loro. Dalla sua reazione capii che Bella desiderava diventare un vampiro; per lei inoltre c'era Edward, una motivazione più che valida. L’amore che lei provava per lui, che tutti avevano la possibilità solo di immaginare, era una motivazione più che valida. L’amore invece che provavo per i miei genitori era forte, ma era un amore del tutto diverso. Feci una faccia schifata e mortificata.

“Hai vissuto una vita con dei vampiri. Hai detto tu stessa che è meglio di una vita tra gli umani. Perché non vuoi diventarlo?” Lei continuava a non capire. Ed in effetti speravo che non capisse tutto fino in fondo. “I tuoi genitori non te lo permettono?”

“No, loro non c'entrano. Mi lasciano carta bianca; comunque vada loro accetteranno il mio volere” dissi a testa bassa, per poi subito rialzarla e guardare negli occhi Bella.

“Hai ragione, sarebbe più sensato che fosse così. Ma io… I vampiri vivono in eterno, ma non in tutti i sensi” cambiai subito discorso io. “Non invecchiano e questo non ha solo un lato negativo. Ed io voglio invecchiare. Voglio crescere, sposarmi e forse avere anche dei figli” esclamai quasi volessi che accadesse in quel momento. Bella davanti a me era incredula e forse anche stranamente delusa.

“Mi crederai forse un’egoista…” dissi leggermente smorta.

“No, solo che…” si bloccò di colpo “I tuoi genitori lo sanno?”

“Sì, lo abbiamo deciso insieme. Cioè, l’ho deciso con loro presenti” Quanto avevo pianto quel giorno e per quanti motivi. Quella fottutissima sera di metà ottobre di cinque anni fa da dimenticare totalmente.
"Tu invecchierai e loro ti guarderanno, rimanendo per sempre giovani"

"No, non provo disagio a farmi vedere vecchia e decrepita davanti alle stesse persone che mi hanno visto fare pupù nel vasino" le spiegai io, cercando in tutti i modi di trattenere un amaro sorriso.

"Ma non ti mancheranno? Tu morirai, mentre loro vivranno per sempre.” Era ancora confusa ed io totalmente pensierosa.

“Sì, mi mancheranno. Ma… mi sembra giusto così. Insomma, l’uccellino prima o poi deve lasciare il nido, no?” dissi guardandola negli occhi. Quante volte avevamo usato quell’espressione in quei cinque anni. In realtà la faccenda era leggermente più complicata.

“Quindi i tuoi genitori ti vedranno morire” affermò sussurrando. In realtà no. Non avrei mai permesso ai miei genitori vedermi morire.

“Sì, ma… va bene così” sussurrai io neutra. Bugia. “Ora credi che sia un’egoista?”

Volli chiederle un’opinione concreta. Sapevo benissimo che con questa scelta a soffrire saremmo stati in tre, forse in modo equo. Con l’altra scelta, però, quelli che avrebbero sofferto sarebbero stati comunque tre, ma in modo più ingigantito, ne ero certa.

“Credo di sì” mormorò lei un po’ insicura e dubbiosa. Mi stava forse rivalutando come persona? Ne aveva comunque tutti i mezzi. Io annuii con la testa; io invece credevo proprio che i miei genitori non mi giudicassero un’egoista.

“Passiamo ad un’altra domanda?” esclamai di soppianto, cercando di cambiare l’atmosfera. Mi misi le mani sotto le cosce in attesa. Dopo alcuni secondi la domanda arrivò.

“Hai sempre saputo che i tuoi genitori fossero vampiri?” Altro argomento triste ed infelice, ma meno complicato. Io sbuffai e scossi la testa.

“No, me lo dissero quando avevo cinque anni e stavo cominciando ad andare all’asilo. Da lì iniziano i miei ricordi. Credo che avessi sempre sospettato qualcosa, dato che non mangiavano mai con me, mentre tutte le altre famiglie di solito lo facevano, ma non me resi mai conto fino in fondo finché non me lo dissero loro in faccia. Mi ricordo che ero abbastanza felice ed entusiasta del fatto, fino a quando mi dissero che uccidevano animali.” Iniziai a sogghignare “Avevo appena visto Bambi e ti lascio immaginare la mia reazione quando mio padre mi disse che di solito mangiavano caprioli” Cominciai a ridere ed anche a Bella sfuggì un sorriso.

“Invece il particolare che tutti gli altri vampiri uccidessero persone mi fu ignoto fino a sette anni, quando me ne resi finalmente conto e glielo chiesi. Da lì in poi quando se ne presentò occasione cominciarono a parlarmi dei vampiri e a portarmi a cacciare insieme a loro.”

“E non hai mai avuto paura di loro?” Di primo acchito mi venne spontaneo considerarla come una domanda sciocca.

“Nah” dissi semplicemente io sciolta, alzando le spalle. Tanto basta come risposta.

Il viso di Bella improvvisamente si incupì un poco. Stava tentennando; doveva essere una domanda bella fetente se si comportava così.

“È una domanda personale che…” disse indecisa.

“Fai pure. Puoi chiedere tutto quello che vuoi” la rassicurai tranquilla. Lei respirò profondamente.

“Sai chi è il tuo vero padre?” Già, aveva ragione, non me la doveva fare come domanda.

“No. Ha abbandonato mia madre non appena ha saputo che era incita. So solo questo e non voglio sapere altro” dissi eccessivamente furiosa davanti ad una Bella che non aveva colpa. Mi ribrezzava la consapevolezza di non essere figlia di sangue di papà, ma di un…

“Scusa, non dovevo fartela” si scusò subito lei.

“No, non lo potevi sapere” dissi più calmai io. Ne aveva di domande la ragazza. Si cinse le ginocchia con le braccia.

“Posso farti un’ultima domanda? Anche questa po’ personale” mi avvertì lei. Non mi piacevano le sue domande personali, ma annuii lo stesso con la testa; almeno era l’ultima.

“Perché non mi hai mai detto prima dei tuoi genitori, se sapevi che conoscevo i vampiri?”

Me lo chiese piuttosto con tranquillità, non me lo voleva rinfacciare. Questo però non fu sufficiente per calmare i sudori freddi che ricominciavano. Bene, era venuto il momento di svelarle che sapevamo anche di Edward. 

“Ecco…” cominciai titubante. Cavolo, cavolo, cavolo. “Non ci è sembrato opportuno dirtelo perché… abbiamo immaginato che non ti avrebbe fatto piacere.” Uau, Abigail, la chiarezza fatta a persona! Non mi stupii se l’espressione di Bella si era fatta confusa. Feci un respiro profondo, guardando avanti a me.

“Ho saputo che tu ed Edward eravate molto… uniti. Era logico pensare che tu non dovessi essere al settimo cielo quando i Cullen si erano trasferiti. Quindi…” girai molto lentamente la testa verso di lei. La sua espressione non era cambiata, fatta eccezione per un non so che di malinconico nei suoi occhi.  

“…abbiamo deciso di non dirtelo. Anche perché tu l’avresti scoperto da sola; Forks è piccola. E poi, non sapevo esattamente come dirtelo…” Blablabla… tante scuse per nascondere il fatto che bene o male mi sono fatta gli affari suoi il primo giorno di scuola insieme a mamma e papà. 

“Ah…” sussurrò lei abbassando la testa. Non disse nient’altro. Ora era arrivato il mio turno per la tortura. La sua espressione quasi mi convinse a non parlare. Non ci avrei messo molto; volevo sapere da lei solo una cosa. Quella stupidissima domanda; perché i Cullen si erano trasferiti. Non mi interessava per niente sapere quello che c’era tra lei ed Edward, anche se dal mio comportamento fino ad allora non si sarebbe detto. E poi era logico dedurre cosa ci fosse tra quei due. No, adesso volevo ficcare il mio dannatissimo naso a patata in quella questione. Decisi però di agire come Bella poco prima, cominciare quindi con domande poco importanti ed apparentemente irrilevanti. Me ne vennero in mente solo due.

“Charlie lo sa?”

“No, non lo sa.”

“Pensi di dirglielo?”

“Ora come ora… no” Il suo tono si fece improvvisamente ancora più moscio. Passai alla seconda domanda preliminare.

“Ti ricordi quando siamo andate a fare bungee jumping? Quando la sera mi hai invitata a casa tua?” Lei annuì profondamente.

“Perché ti sei comportata in modo strano dopo che l’asse di legno mi è venuta in faccia?” Inclinò la testa, aprendo bocca, ma chiudendola subito. Non sapevo esattamente se aveva a che fare con il sovrannaturale, potevo anche sbagliarmi.

“Non… non credo capiresti se te lo dicessi” La sua voce tremula me ne diede invece la conferma.

“Ha a che fare con i vampiri?” continuai, sicura della risposta. Lei annuì ripetutamente, confondendo l’affermazione con i tremuli che la scuotevano. Io corrugai le sopracciglia, nervosissima. Sarei tornata dopo su questa domanda. Oppure, no; non sapevo se mi interessava davvero saperlo. 

“Perché i Cullen si sono trasferiti?” La mia voce era decisa. Lei non mosse un muscolo. Non riuscivo nemmeno a distinguere il petto che si abbassa ed alzava. Cominciai a preoccuparmi dopo un minuto che era rimasta immobile in quella posizione. Era bianca come un cencio.

“A causa mia” A malapena riuscii a sentirla. Cominciavo a pentirmi davvero della mia stupidissima e riprovevole ficcanasaggine. “Se ne sono andati a causa mia”

“N…non l’ho mai raccontato a nessuno” La sua voce tremava, come se a minuti stesse per scoppiare a piangere “Vuoi sentirmi?”

Il suo viso mi convinceva in tutti i modi a dire di no. Sarebbe stata malissimo se lo avesse fatto. Ma sempre in quello stesso viso, negli occhi in particolare, c’era una sorta di strano scintillio che, malsanamente, mi spinse ad annuire con la testa. Ero matta, e sadica e masochista per di più. Quel barlume però dava una certa sicurezza al suo viso, che non riuscivo a spiegarmi. Forse era lei stessa a volermelo raccontare, indipendentemente dalla mia stupida proposta. Ne stavo facendo di cazzate ultimamente…  

“Era il giorno del mio compleanno ed i C-Cullen aveva organizzato una festa per me. Lui mi accompagnò a casa sua.” Avrebbe dovuto fermarsi più volte durante il racconto per deglutire. Le braccia che cingevano le gambe erano bianche dalla tensione ed era scossa da leggeri tremulimentre parlava. Aveva gli occhi puntati su un punto indefinito, magari proprio sul soggetto del suo racconto, visibile solo nella sua mente.

“Mi fecero anche dei regali, anche se non avrebbero dovuto. Non…” Cominciò anche a balbettare. Vedendola in quelle condizioni diventai bianca anch’io. Stetti per dirle di lasciare perdere, ma quello scintillio che non era ancora scomparso mi convinse di nuovo a stare ammutolita.

“Mentre aprivo uno dei pacchetti mi tagliai un dito con la carta…”

“Oh…” la interrupi io, non riuscendo a trattenermi. Non serviva che dicesse altro. Avevo capito, o quasi. Da sempre la combinazione “vampiri più sangue” era uguale ad un mare di guai, che si quintuplicavano se il tutto era elevato alla potenza “vegetariani”. 

“Uno dei suoi fratelli aveva sempre avuto qualche difficoltà a resistere al sangue. Cercò di uccidermi, ma E…lui riuscì a fer-fermarlo.”

Mi fu inevitabile sentire un brivido percorrermi lungo la schiena. Aveva detto “fratello”, era un suo parente. Era come se io portassi Bella a casa e mia madre la assalisse. Scossi la testa; non volevo neppure pensarci, anche se era un’ipotesi più che assurda; quante di quelle volte i bambini a scuola si era tagliati e lei era riuscita a resistere alla grande, anche se sforzandosi?

“Pochi giorni dopo mi disse che se ne sarebbero andati. Mi… mi aveva detto che l’età che avevano non era più credibile. Volevo andare con loro, ma lui mi disse che non mi voleva più. Non…non… mi amava più.” Il suo tono di voce si era fatto più lieve e stava cominciando a prendere l’impasto amaro delle lacrime. Continuai a stare zitta.

“Mi disse che sarebbe stato tutto come se lui non fosse esistito. Fotografie, regali… fece scomparire tutto.”

Per la prima volta alzò lo sguardo verso di me. Mi sentii sprofondare, mi promisi di seppellirmi e di non dare più ascolto a strani scintilli di sicurezza. Aveva gli occhi luccicanti ed un sorriso che non aveva assolutamente nulla di felice.

“Sotto quella trave c’erano proprio regali e foto che mi avevano fatto i Cullen. Gli aveva nascosti lì. Scusami se mi sono comportata in quel modo quel giorno. Ero rimasta… totalmente spiazzata.”

La sentii fare un respiro profondo, ma senza successo; era interrotto dai singhiozzi che la stavo percuotendo. Dopo di quello cominciarono a seguirne altri, più profondi, come se avesse appena affrontato un’immersione, cercando di recuperare l’autocontrollo che aveva. Il suo comportamento confermava ancora il suo inimmaginabile amore verso questo Edward. Avrei voluto chiederle scusa di averle fatto raccontare eventi che la facevano soffrire e che non aveva ancora superato. Ora che sapevo cosa fosse successo avrei voluto rincuorarla, starle vicina; la potevo in un certo senso capire, dato che conoscevo anch’io i vampiri.

Ma non in quel momento. Ora ero io quella che aveva bisogno di un aiuto, immediato, prima che esplodessi. Aiuto però che non sarebbe arrivato, ergo sarei esplosa. Riflettei su tutto ciò che aveva detto, e con molta attenzione. Mi incazzai quasi subito, perché tutta quella situazione non aveva senso. Non aveva senso che Bella soffrisse, perché non ce n’era ragione! Anzi, dovrebbe essere terribilmente arrabbiata anche lei! Questo Edward poi… Bene, glielo avrei fatto capire io. Sarei stata un po’ drastica, priva di tatto ed insensibile, ma poi lei avrebbe capito.   

“Che bugiardo illuso!” gridai, non riuscendo più a trattenermi “Dio…!” Balzai in piedi.

“E tu non hai potuto giustamente capirlo, visto come ti ha ridotta!”

“...cosa stai dicendo...?" mormorò lei. Non sembrava molto offesa per quello che stavo dicendo, che avrebbe dovuta farla arrabbiare, ma che d’altronde non riusciva a capire. Sembrava piuttosto spaventata. La guardai bene negli occhi, puntandole un dito contro.

“Sto dicendo che il tuo vampiro è un bugiardo ed un illuso” sillabai chiaro e tondo, continuando senza darle tempo di controbattere.

“Numero uno: Ti ha raccontato una grandissima, enorme, stratosferica, gigantesca balla!” alzai le braccia al cielo.

Non ti voglio…ma per piacere! È lampante che si tratta di una balla grossissima! Lo capisco io, che con questa storia non c'entro niente!” Questa volta indicai me.

“Pensaci: ha trascorso ben un anno con te, rischiando ogni minuto di ogni giorno di ucciderti, pur di starti accanto. E' uno sforzo immane per un vampiro, quasi impossibile. Significa sconfiggere sè stessi e la propria natura. Lui ti ha amato fino a questo punto, Bella! E per questo deve continuare a farlo anche adesso! Capisci?! Lui deve essere disposto a passare l’eternità con te! Non può smettere di farlo nemmeno dopo aver avuto la prova schiacciante dei suoi più peggiori propositi! Quindi, ti ama ancora.”

“Numero due: Sembrerà che tutto sia tornato come prima… A parer mio questa mi sembra una grande presa in giro. Come se degli oggetti potessero fartelo dimenticare! Ed, infatti, tu l’hai proprio dimenticato!” La mia voce si riempì improvvisamente di amarezza. E fu lì che mi lasciai un po’ andare…

“Quasi non si direbbe se abbia capito quanto tu sia disposta a dare per lui. Anche tu devi essere consapevole dei rischi da correre per stargli solo vicina e lui deve essersene per forza reso conto. Si è totalmente illuso di riuscire a fare qualcosa di buono, mentre ha contribuito solamente ad ingigantire la grande cazzata che ha fatto...”

“Taci” Fui bruscamente interrotta da Bella. Ora anche lei si era alzata. E si era arrabbiata molto, come avevo previsto. Ora avevo capito che stavo facendo una retorica poco carino del suo vampiro.

“Non azzardarti a parlare di lui in quel modo. Anzi, non parlare mai più di lui. Non hai idea di quello che ho passato io, non hai idea di quello che ha passato lui. Non sai niente, Abigail! Non sai proprio niente...” Non gridava, il che era ancora peggio. No, il peggio era che mentre lo diceva a stento riusciva a trattenere le lacrime. Che disastro stavo facendo, quella volta ero io la causa di quel male; bene, voleva dire che il mio piano stava funzionando. Lei si voltò di scattò, dirigendosi verso la porta di casa. Questo non era previsto; la presi per il polso trattenendola.

"... ma tutto quello che ha fatto, è comprensibile; non bisogna dimenticare che i vampiri conservano ancora una parte umana.” Abbassai ed addolcii il tono della mia voce, cominciando a parlare guardandola negli occhi, senza però farmi influenzare da quelle lacrime che minacciavano di scendere.

“Quando ha visto quel vampiro pronto ad avventarsi su di te deve avere avuto una paura da morire, scusa il termine. Non si trattava di un vampiro qualunque, ma di un vampiro che considera pur sempre un fratello." La sua espressione non cambiò ancora, ma ora aveva smesso di svincolarsi dalla mia stretta e mi stava a sentire.

"Spesso le persone quando hanno paura fanno cose che non farebbero. E fidati se ti dico che i vampiri sono persone, sotto questo punto di vista. E' stato del tutto condizionato dalla paura di perderti ed in quel momento l'unica cosa che deve aver pensato è stata di mettere in salvo la tua vita e ha trascurato quello che vi lega.” Mi accorsi di un piccolo cambiamento. Ah già, una lacrima era scesa. Cercai di mandare giù il groppo che avevo in gola per non mettermi a piangere anch’io.

“Lui continua ad amarti. E' distante, ma lui prova ancora quell'amore per te. Ti pensa ancora. Lui non ti ha dimenticata.” Mollai finalmente il suo polso. Si asciugò immediatamente con entrambe le mani quelle lacrime che erano diventate lacrimoni e fece un paio di respiri profondi.

“Ti senti un po’ meglio?” L’occhiata offensiva di puro scherno mi convinse del contrario.

"Certo che no! Perché mai?! Una… pazza comincia d'un tratto a rimproverarmi di quello che ho fatto della mia vita senza neppure conoscerla e a criticare Ed...”

Non riuscì a completare quel nome, che non era mai riuscita a pronunciare. La velocità con cui si sedette mi fece pensare che fosse svenuta. Mi sedetti subito anch’io vicino a lei. No, mi ero spinta stupidamente troppo in là. Non l’avevo premeditato. O forse sì?

"Bella..." mormorai apprensiva.

"Non hai idea di quello che vuol dire non sentire più la sua voce, vedere i suoi occhi, il suo sorriso, toccare la sua pelle..." sussurrò da sotto le sue gambe. Stava sprofondando nel suo stesso dolore. Dovevo tirarla fuori. Ho fatto trenta, facciamo trentuno.

"Gli occhi, la voce, il sorriso... di lui non ti manca la sua presenza? Quello che facevate assieme? La sensazione che provavi vicino a lui?" chiesi con tono di sfida. Lei alzò immediatamente la testa. Sì, Bella, reagisci!

"Che diamine stai dicendo" La sua voce era decisa, non mi più impastata da lacrime.
"Allora perché non gli hai nominati? Sembra che l'unica cosa che ti manchi è il suo corpo, i suoi occhi, la sua voce ed il suo sorriso... Sembra che ami questo..." Continuai io imperterrita.

“No” Questa volta lo disse arrabbiata. Con un sorriso le presi le spalle.

“Allora continua a sperare, Bella! Continua a sperare.” Pronunciai quelle parole con una strana felicità. "Ti è mai capitato di reggerti grazie ad un pensiero? Non è detto che sia vero, non è detto che si realizzi, ma per te è vero, palpabile. Lo puoi percepire come se fosse ad un centimetro da te. Ti è mai capitato, Bella?” Lei mi guardò immobile. Niente più dolore, né rabbia sul suo viso. Solamente… niente. La sua espressione era totalmente indecifrabile. 

"Fa allora che il ritorno di Edward diventi questo pensiero. Fallo diventare costante, un pensiero su cui costruire ogni ora di ogni giorno. Credici sempre, e non demoralizzarti mai. Perché sarà un pensiero che si realizzerà davvero. Edward tornerà, perché ti ama ancora e anche lui non può fare a me di te. Edward tornerà.”

“Cosa ti fa pensare che tornerà?” Sorrisi; non lo disse più arrabbiata, ma… quasi ingenuamente e con una certa serietà nel volto che mi fece capire che per la prima volta aveva preso in vera considerazione l’idea del suo ritorno.

“Voleva salvarti, non voleva che tu morissi per colpa sua. È logico che se ne sia andato. Ma secondo te quante volte aveva già preso in considerazione questo rischio prima? Se ha deciso di rimanerti accanto per tutto quel tempo, deve averlo più che accettato. È da veri incoscienti pensarci solamente dopo così tanto tempo.” Presi un lungo e profondo respiro per scacciare la tensione.

“Per questo, se l’ha fatto, è solo perché si è fatto prendere dalla paura. Quando gli sarà passata, tornerà da te.”

“Tu non lo conosci. Cosa ne puoi sapere di quello che farà?” Ancora quello strano tono. La guardai convinta, con il mio sorriso sghembo.

“No, io non lo conosco. Ma credo di conoscere i vampiri da tempo sufficiente per sapere cosa devono rinunciare per restare vicino ad un umano.”

Le mie spalle continuavano a cingere le sue. Lei abbassò la testa. Sembrava riflettere sulle mie parole. Rimanemmo un’eternità in quella posizione, in silenzio. Le mie spalle cominciavano ad indolenzirsi. Improvvisamente alzò il capo. Un lieve sorrisino si era aperto su quel suo bel faccino.

“Quindi tornerà?” Lo disse con un barlume di speranza nella voce che mi commosse. Sorrisi anch’io.

“Certo, e con la coda tra le gambe, implorando il tuo perdono, direi” dissi sicura e convinta.

“E se invece…” Questa volta si era fatta più titubante.

“E se invece niente, Bella. Ti prometto che tornerà, te lo giuro.”

E ne ero realmente sicura quella volta. Le avevo detto tutto quello che pensavo, tutto quello che ero sicura sarebbe accaduto. Speravo solo che oltre a bugiardo ed illuso non fosse anche stupido e non tornasse. C’era da dire che mi ero fatta non una felice e bella opinione di questo comprensibile combina guai. Lasciai andare le braccia dalle spalle di Bella, le mossi un po’, cercando di riprendere la circolazione. Mi voltai verso Bella. Cingeva ancora le gambe con le braccia, ma senza esercitare alcuna pressione. Aveva lo sguardo perso in un punto inesistente davanti a sé ed uno sorrisino sereno sulle labbra. Mi ritrovai ad osservarla per alcuni minuti. Sembrava davvero felice. Sorrisi anch’io, d’orgoglio per me stessa, consapevole anche che questo nuovo metodo di dire le cose doveva essere punito dalla legge con l’ergastolo, ma soprattutto perché lei stava bene, né arrabbiata, né disperata, né triste.

Certo che non ero solo io che avevo vissuto e stavo vivendo una vita strana; anche Bella aveva avuto le sue gatte da pelare. Riflettei ancora su quello che era successo. Tutta quella paura per colpa di uno stupido pezzo di carta. Non doveva essere facile amare un vampiro. Cioè, in quel modo; non consideravo difficile amare i miei genitori. Mi venne in mente una scena assurda; e se i miei genitori mi lasciassero esattamente come aveva fatto Edward? Mi era davvero difficile immaginarmelo; non ero sicura, ma molto di più che i miei genitori non mi avrebbero mai, mai abbandonata. Infatti, quella che li avrebbe abbandonati ero io. Scossi improvvisamente la testa; stavo paragonando la mia situazione con un’altra del tutto differente. Edward aveva lasciato Bella per aver avuto paura di farle del male, i miei genitori mi avrebbero lasciato andare per tutt’altro motivo. Feci di nuovo un respiro profondo.

Eravamo proprio due umane, sfigate e fortunatissime, capitate quasi per caso in un mondo sopranaturale fatto di vampiri e, come se non ce ne bastasse, anche di licantropi. Oh… già. Era necessario affrontare anche questo. Non mi sembrava però il momento più adatto; era da goderselo appieno questa pausa di tranquillità. Bella si girò improvvisamente verso di me, con ancora quel sorriso.

“Allora io ti credo.” Feci un pieno sorriso a trentadue denti. Gli mostrai il pugno. Lei lo batté con il suo e mi mise un braccio attorno alle  spalle. Io contraccambiai, presa, lo dovevo ammettere, un po’ di sorpresa.

“Grazie” la sentii mormorare. Sentii le labbra tremare e gli occhi diventare bagnatici. Odiavo questi momenti commoventi. Era arrivato il giusto momento di affrontare la conversazione “io, tu ed i licantropi di La Push”. 

“Allora” dissi svelta slegando l’abbraccio “com’è questa storia tra te ed il lupetto?” Lei mi guardò come se fossi pazza.

“Lo sai che qualche volta credo che tu sia pazza?” Aveva un non so che di spensierato nella voce che mi fece di nuovo sorridere.

“Bhè… so che tu sai che esistono anche i licantropi. E so che conosci anche Jacob Black. L’ho potuto conoscere anch’io.”

“Oh .…" diventò confusa immediatamente "i licantropi… oh…” Sembrava stesse facendo mente locale del tutto.

“Loro non mi hanno detto niente che ci sono vampiri a Forks.” Io sbuffai. Lo sapevo.

“Sanno che tu hai già avuto a che fare e per l’immenso amore che nutrono nei confronti dei vampiri non vogliono che tu sapessi dell’esistenza di altri.” Certo, non me l’avevano detto esplicitamente, ma, insomma, era davvero troppo implicito il concetto.

“Ah… lo dovevo immaginare” acconsentì anche lei. Ritornò a riflettere ancora. Poi spalancò gli occhi.

“Avete… avete avuto problemi con loro?” Io annuii con l’aria di una che la sapeva lunga, preparandomi a raccontare anche questa di storia.

“Il nostro primo incontro non è stato per niente molto amichevole"

"Hanno fatto del male a te o hai tuoi genitori?" Mi sorprese moltissimo la sua reazione. Stava cominciando ad arrabbiarsi veramente, ma quel che più mi sorprendeva era che non solo si interessava alla mia salute, ma persino a quella dei miei genitori.

"No... non hanno fatto niente né a me, né ai miei genitori." Non credevo fosse necessario che sapesse della ferita di mio padre. Quei poveri lupi troppo cresciuti avevano già dovuto subire la mia collera, non meritavano anche la sua. Anche se mi sarebbe piacciuto molto assistere alla scena...

"Abbiamo avuto dei... piccoli problemi di comprensione, ma li abbiamo risolti. Puoi immaginarti la loro reazione quando hanno visto me insieme ai miei genitori..."

"In effetti..." Bella sembrava essere realmente presa dal mio racconto. Ovvio, riguardava anche lei.

"Insomma, credevano che volessero uccidermi o assurdità del genere. Andai direttamente a La Push, da sola, per parlare con loro, ma ancora niente. Abbiamo dovuto quindi fare un patto; sarei andata spesso a La Push, per fargli sapere che stavo bene. Dopotutto non sono così male; in fondo è questo che li importa, che io stia bene." Almeno, quasi tutti. Lei sghignazzò.

"Hai ragione. Forse troppo bambini, ma sono dei bravi ragazzi"

"Dei bambini pompati, vorresti dire" la corressi io, facendola ridere.

"Ma... come l'hanno presa?" Ritornò subito seria e tesa. Sbuffai di nuovo. Questa faccenda dei licantropi si era dimostrata davvero pesante e persino il parlarne mi affaticava.

"Tutto questo gran casino fatto di me ed i miei genitori? Bhè... ovvio, un po' male. Ho spiegato come stanno le cose; la mia storia e blablabla. Sono rimasti sotto schock per un po'. I miei genitori non possono attraversare il confine ed io ho creato gli schieramenti "pro Abigail" e "contro Abigail" nel branco" Cambiai subito argomento, stufa. 

"Tu invece da quanto conosci Jacob Black?" dissi guardandola maliziosa.

"Lui sarebbe il lupetto?" disse lei ironica "In teoria da molto tempo; siamo amici d'infanzia. Ma in pratica da poco."

"E' un bravo ragazzo. Un po' confuso forse... E' un tuo amico, vero?"

"Sì, un grande amico" Decisi di essere sincera fino in fondo con lei. Lo ero stata fino ad adesso con i vampiri, perchè non riservare lo stesso trattamento ai licantropi? Ecco, oggi era il giorno della sincerità, in cui ognuno diceva la verità, solo la verità, nient'altro che la verità su tutto. E a proposito di questo, mi rendevo conto solo allora che in pratica non solo conoscevo nei particolari la storia tra Bella ed i vampiri, ma anche quella tra i licantropi e Bella, senza che lei lo sapesse. La guardai con l'aria colpevole.

"Sai, io sono una grande ficcanaso"

"Cosa vorresti dire?" Sfoderai il mio sorriso sghembo, quasi per giustificarmi.

"Ecco, ho scoperto che anche Jacob ti conosceva e quindi abbiamo parlato di te." Alzai gli indici delle mani "E se mi permetti, devo dire che ha fatto davvero una grande cazzatta a non dirti che era un licantropo. E per questo d'altronde avete semi litigato o qualcosa del genere..."

"Pure questo sai?" Adesso era allibita. Cercai di impietosirla, per farle almeno un po' di pietà, annuendo.

"Tu quindi hai sempre saputo che loro erano licantropi. Oltre a sapere... di me" sottolineò lei. Annuii di nuovo. Lei schioccò la lingua amareggiata. 

"Ah... questa me la paga..." disse scuotendo la testa "Con me ha fatto tutte quelle storia, invece..." Non era arrabbiata, forse un po' delusa e molto probabilmente ci era rimasta male. Tuttavia non lo dimostrò.

"Ora va tutto bene con te e Jacob?" Attirai la sua attenzione su un argomento diverso per distrarla.

"Sì, ci siamo chiariti" Il suo tono di voce era tornato sereno "Com'è che hai stretto così grandi rapporti con lui?" Ora fu lei ad essere la maliziosa.

"Bhè..." Stavo per dirglielo, ma ci ripensai "Vieni da lui. E' molto probabile che troverai anche me. Lo potrai vedere con i tuoi stessi occhi" dissi lasciando traspirare dalla voce una nota di mistero. In questo modo sarebbe venuta con il pick-up e saremmo andati a prendere i pezzi della mia auto! Che idea diabolicamente geniale!
"Ammetto che da un po' di tempo a questa parte i segreti non mi piacciono molto." Non sembrava molto entusiasta della mia risposta. 

"Ma questo non è niente di assolutamente importante e paranormale" la rassicurai io prontamente. Lei sbuffò guardandomi di sottecchi.

"C'è qualcos'altro che sai che io non so?" disse  sconsolata appogiando la testa sul braccio. Sì, c'era qualcos'altro, effettivamente...

"Bhè... so qualcosa che tu sai: i licantropi hanno detto che un vampiro ti sta dando la caccia" dissi tesa e seria. Lei si tirò subito su la testa. Sfoderò una pura espressione di terrore; non c'era da darle alcun torto.

"Già" mormorò.

"Oh... sta tranquilla!" Esclamai cingendole le spalle con un braccio "Non solo hai un branco di lupi giganti, indisciplinati e pulciosi, ma anche la bellezza non di uno, ma di due vampiri esperti che sono pronti a proteggerti ogni istante. C'è una possibilità su un migliardo che ti succeda qualcosa... " Mi guardò con un timido sorriso.

"Grazie..." Ok, altro momento commovente.

"A proposito" dissi sciogliendo l'abbraccio. "Io che ci abito da una vita non sono mai riuscita a farmi dare la caccia da un vampiro. Com'è che tu in due anni o giù di lì ce l'hai fatta?" Per un momento la vidi terribilmente a disagio, poi però si tranquillizzò quasi all'istante.
"Oh... storia lunga, triste e... piena di sangue." Io le sorrisi.

"Il sangue non mi ha mai dato il voltastomaco" dissi mettendomi comoda per il suo di racconto. Lei accolse il mio invito.

"I Cullen mi hanno portato ad una partita di baseball"

"Partita di baseball?!" la fermai subito.

"Ai Cullen piaceva giocare a baseball, sì." Quand'è che i vampiri giocavano a baseball?! Sì, insomma, loro potevano fare tutto. Mi soffermai a pensare come potrebbe essere una partita di baseball giocata da vampiri. Non ci riuscii perchè Bella riprese subito.

"Quella fu l'occasione in cui incontrai tre vampiri nomadi. Non vegetariani. Uno di loro era un segugio e... decise di darmi la caccia. Traslasciando molti particolari le cose si conclusero che Ed... Lui riuscì ad ucciderlo. Quel vampiro mi morse, ma lui fu capace di estrarmi il veleno" mormorò, non essendo ancora in grado di pronunicare il suo nome. Ecco, questo era quello che intendevo per "cose in grande" o "pure pazzie".

"Oh!" mi fu impossibile trattenere un'escalamazione "Cavolo! Com'è possibile che tu abbia avuto tante disavventure in così poco tempo?"

Ero effettivamente allibita; un vampiro l'aveva morsa ed era lì davvero per miracolo. Avevo sempre saputo che si era spacciati se si veniva morsi, e mio padre mi aveva anche accennato la possibilità di salvarsi succhiando il veleno. La cosa però pareva quasi impossibile; quando si inizia e quasi impossibile bloccarsi. Edward però ci era riuscito. Caspita! Il ragazzo aveva un autocontrollo da titano!
"Attiro disgrazie..." disse con una certa nostalgia nella voce, ma si riscosse subito.

"Dicevo. Gli altri due membri del gruppo non si fecero più vedere finché i Cullen non se ne andarono. A darmi la caccia in realtà erano due vampiri..."

"... ma i licantropi ne hanno abilmente ucciso uno. So anche questo" Intervenni io con un po' di amarezza nella voce. Non c'era che dire, avevo ficcato il mio naso davvero dappertutto. Bella alzò gli occhi al cielo.

"Sì. Il terzo membro, quello che mi sta dando la caccia, è una donna che si chiama Victoria..."

"Ne hai fatta di conoscenza se conosci persino il suo nome" Lei saggiamente non mi diede retta.

"...che era la compagna del segugio. Per vendicarsi quindi di Ed... vuole uccidere la sua di compagna, cioè io."

"Ecco, io non ho mai capito cosa ci sia nel cervello dei vampiri per portarli a compiere ragionamenti del genere!" esclamai improvvisamente prendendomi la testa tra le mani. Bella si limitò a stringersi nelle spalle. La fissai per un secondo.

"Mi fai vedere il morso?" le chiesi curiosa. Forse non avrei dovuto; era una cosa che richiamava brutti ricordi e blablabla...

"Dove mi ha morso il vampiro intendi?" disse tranaquilla, mostrandomi il polso. Rimasi a bocca aperta; la sua pelle era parecchio bianca, ma si notava piuttosto bene. Su entrambi i lati del suo polso c'era una cicatrice a mezzaluna, ampia e abbastanza profonda. Le presi delicatamente il polso.

"Ti fa male?" chiesi guardandola. Lei scosse la testa, con ancora quella perenne tranquillità.

Mi ci ero abituata alle stranezze che si potevano incontrare vivendo nel sopranaturale, tanto abituata che quelle stranezze erano diventate la mia normalità. Anche mio padre e mia madre ne avevano due simili, che avevo visto migliaia di volte. Ormai mi ero abituata anche a quelle cicatrici. Vederle però su un corpo umano mi provocò un certo disagio. Ne toccai una; era fredda. Un brivido mi percorse la schiena. Bella sembrava proprio la protagonista da film dell'orrore. E, dopo essere stata una preda di un vampiro, non credevo di essere andata molto lontana dalla verità.

Avvicinai la mia bocca alle cicatrici.

"Cos..."  sobbalzò lei.

Appoggiai i miei denti sull'orma lasciata dal vampiro precedente. Dopo alcuni secondi lasciai il suo polso.

"Caspita, aveva davvero una gran bocca quel vampiro" scherzai io. Lei, un po' a disagio, si mise a ridere, dandomi una spinta alla spalla.

Un improvviso e strano rumore mi fece sobbalzare. In realtà non era uno strano rumore, era semplicemente Charlie che stava tornando dalla pesca. Quella via però era rimasta talmente tanto tempo deserta che l'auto della polizia mi spaventò per un momento. Un momento, quanto tempo era "tanto tempo"? Molto, visto che il cielo stavo imbrunendo. Mi guardai intorno con aria totalmente disorientata. Quanto tempo abbiamo parlato io e Bella?

"Tutto bene?" disse Bella vicino a me, alzandosi.

"Quanto tempo abbiamo parlato?" sussurai, ancora allibita.

"Quattro ore." Spalancai la bocca.

"Ancora qui, Abigail?" La voce di Charlie, che era appena sceso dalla sua auto, mi distrasse. Era strano non vederlo in uniforme. 

"Già... ma credo che... adesso è meglio se me ne torno a casa..."

"Puoi restare per cena se ti va" propose Bella, cercando di convincermi con un sorriso.

"Come se avessi accettato... credo di aver già combinato fin troppo guai nella tua povera cucina... Poi i miei genitori crederanno che tu mi abbia mangiata" sussurai, per non farmi sentire da Charlie. C'era una strana soddisfazione dire finalmente la parola "genitori".

"Ci siamo però divertite, no?" Mi sfoderò un grande sorriso.

"Che parola grossa" ricambiai io. "Se devo essere sincera non ho mai affrontato una conversazione tanto lunga e difficile. Non vorrei ripetarla in un futuro..."

"Già..." rispose lei, ancora con quel sorriso "Ci vediamo allora lunedì?" Annuii con la testa. Bella si avvicinò a me e, prendendomi alla sprovvista, mi abbracciò. Mi venne un improvviso ed imbarazzante desiderio di mettermi a piangere. Le diedi due pacche sulla schiena scostandomi. Mi limitai a risponderle con il mio sorrisino sghembo.

Entrai un'ultima volta in casa Swan per salutare Charlie e prendere chiavi e casco della moto. Diedi un ultimo saluto a Bella e salii in sella. Durante il viaggio una strana adrenalina mi percorreva ogni muscolo del mio corpo. Non la stessa che sentivo ogni volta che montavo in sella; mi dava uno straordinario senso di leggerezza che mi faceva volare. Premetti il pedale dell'accelerazione e via.

 

Quando tornai a casa la sera, la prima cosa che feci fu buttarmi sul mio morbido divano a peso morto. Avevo uno strano sorrisino sulle labbra che non riuscivo a togliere. Chiusi gli occhi ed inspirai profondamente; invece dell’aria inodore sentii una fragranza di girasole, misto a menta. Quando gli riaprii trovai i miei genitori, come comparsi dal nulla, seduti vicini a me. Mi guardavano con uno sfavillante sorriso rassicurante. Dal viso di mamma, capii che papà ne aveva parlato anche a lei.

“Allora? Com’è andata?” mi chiese papà curioso. 

“Avevi ragione tu. L’ha presa bene” dissi sollevata.

“Le hai raccontato la storia?” Io annuii. Preferii sorvolare sulla discussione di Edward e tenermela per me.

“Oh… bene!” esclamò mamma “Allora è arrivato il momento di presentarcela, non trovi?” Io e papà ci guardammo per un attimo insicuri.

“Forse è meglio che si abitui all’idea. È meglio aspettare un po’.” Mamma ci guardò sospettosa e stranita.

“Mi state nascondendo qualcosa?”

“Solo una grande brutta figura” mormorai io.

“Ha solamente ritardato un po’ prima di dirglielo” minimizzò papà. Mamma lo guardava confusa.

“Prima ha visto me, poi le ha raccontato la storia” confessò papà.

“Oh…” esclamò mamma, pensandoci un po’ su “Certo che l’avrà presa male!”

“Piuttosto” esclamai attirando l’attenzione su un argomento meno imbarazzante “So perché quel vampiro sta inseguendo Bella.” I miei genitori mi guardarono interessati.

“Riguarda avvenimenti accaduti prima che i Cullen se ne andassero. È un po’ complicato. In pratica, un segugio ha deciso di braccarla, ma Edward è riuscito ad ucciderlo. Così la compagna di questo vampiro vuole uccidere Bella. I dettagli non li so raccontare bene.”

“Un segugio?” esclamò papà sorpreso. “Gliene sono capitate davvero tante. A te non è mai successo.”

“È quello che ho pensato anch’io” dissi concordando con lui. Alzai le braccia al cielo, per la notizia che avrebbe sconvolto tutti.

“Non è tutto! Il segugio l’ha morsa ed Edward è riuscito ad estirparle il veleno, senza ucciderla!” Produssi l’effetto desiderato.

“Dici sul serio?” esclamò incredulo papà. Io annuii. Lui si mise la mano sotto il mento “Bè… è stato molto a lungo in stretto contatto con un umano. È in parte ovvio…”

“… ma sorprendente” concluse mamma, con evidente sorpresa.

“Sarei parecchio curioso di conoscerlo” commentò papà, alzandosi.

“Un’ultima cosa” Con forza gli presi i jeans che indossava e lo obbligai a risedersi. Era essenziale.

“Anche i licantropi sono a conoscenza della faccenda e stanno proteggendo Bella.”

“Mm, buono a sapersi” mormorò mamma con una certa indifferenza.

“Solo che... insomma, sono solo dei ragazzi un po’ immaturi. Non si sa mai, potrebbero fare della sciocchezze. Potreste… tenere d'occhio anche voi Bella?” mormorai con fare supplichevole. Non avevo mai chiesto un favore così grande; già bastavo io, due erano davvero troppo. Mio padre ci pensò un po’.

“Io ho un’idea migliore” disse “È da molto tempo che non mangio un essere umano. Sarà meglio rimediare” Io mi alzai con uno sbuffo. Odiavo quando scherzavano in quel modo. Mia madre mi costrinse a rimanere seduta.

“Ed io non ne ho mai assaggiato uno. Uno in due dici che può bastare?” chiese seria a papà.

“Nel caso avessi ancora sete, ce sempre lei” rispose a tono papà.

“No, il suo odore è troppo acido”

“Tutto questo per dirmi…?” sbottai interrompendo quell’orrido scherzo.

“Per dirti che l’avremmo fatto comunque, anche se tu non ce lo avessi chiesto” esclamò mamma seria “Non vogliamo che nessun abitante di Forks muoia a causa di un vampiro. ” Io mi rilassai; erano davvero due persone fantastiche.

“Posso ringraziarvi?”

“Solo se vuoi una doppia razione di solletico” propose mamma, con un grande sorriso sulle labbra.

“Allora rifiuto” affermai convinta. Mio padre rise gioiosamente.

“Ma noi te lo facciamo lo stesso.”

 

 

 

 

 

Allora? Piacciato questo settimo capitolo? :) Tengo inoltre a scusarmi se ho pubblicato così in ritardo, causa vacanze, oltre di non aver avvertito in tempo. Alla prossima!

  

 

 

 

 

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Capitolo 8
*** Ottavo Capitolo ***


olè8

 

Ottavo Capitolo

 

Il giorno dopo era una domenica e chiesi a papà di poter andare a La Push; avrei voluto dire a Jacob com’erano andate le cose con Bella, cioè benissimo, alla faccia sua.

Mi svegliai abbastanza presto quella mattina; non era nei miei standard, ma per quel giorno feci un’eccezione. Mi sbrigai a fare colazione e mezz’ora dopo ero già a La Push.

Non appena arrivata a casa di Jacob ebbi una bellissima sorpresa. Scesi dalla moto, sbalordita e a bocca aperta. Era il pick-up di Bella. Alzai le braccia al cielo e feci saltelli e movimenti davvero molti imbarazzanti. Fui persino sul punto di abbracciare quel pick-up se non fosse stato per Billy che mi lanciava strane occhiate oltre la finestra. Rimasi immobile a braccia alzate.

Mmhh….” mugugnai, imbarazzata solo un pochino. Feci un sorrisone a trentadue denti ed agitai la mano in segno di saluto. Lui si allontanò dalla finestra e poco dopo aprì la porta. Oh… avevo seri dubbi che avesse qualcosa da dire sulla scenata di poco prima. Corsi verso di lui.

“Buongiorno, signor Black” salutai, nettamente felice.

“Ciao, Abigail” Lui era un poco sospettoso “Cosa stavi facendo al pick prima?”

“Ehm….” Ti pareva. Avevo paura che se avessi detto la verità gli sarei parsa una scroccona, quindi cercai di improvvisare qualcosa su due piedi.

“Ehm… stretching” mi limitai io, non avendo proprio niente da dire.

“Ah…” Lui si confuse, ma sorvolò. “Quindi sei tu la figlia dei vampiri” aggiunse totalmente serio.

, mi avevano cambiato nome. Da “ragazza vampira” a “figlia dei vampiri”. Ero stata promossa di grado, grado di pericolosità, s’intende. Molto probabilmente era Bella la nuova “ragazza vampira”, data la situazione. Io mi limitai annuire con la stessa serietà.

“Piacere di conoscerti, allora” mi porse la mano cortese, ma aveva lo sguardo preoccupato e stranamente all’erta. Ma mi ci ero abituata; me lo avevano rivolto i licantropi ogni volta che mi avevano vista fino ad allora. Era lo sguardo che diceva “stai attenta”. E ne avevo le scatole piene. Tuttavia ricambiai la stretta e feci finta di non aver notato nulla. Mantenni il sorriso.

“Starai cercando Jacob, è in garage” mi comunicò lui, interrompendo così la sgradevole discussione.

“Grazie, signor Black” dissi, mentre me ne andavo svelta sul retro della casa.

Sbuffai, ricordando che lo stavano facendo perché si preoccupavano per me e cercai di alleviare questo peso paragonando la loro attenzione alle cure troppo apprensive e soffocanti di una nonna. Riuscii a tirarmi fuori un sorriso da sola. Che caso umano…

Senza troppe cerimonie aprii la porta del garage. Ed eccoli lì, uno davanti all’altra. Interruppero subito la conversazione al mio arrivo. Un sorriso mieloso mi incorniciò il viso, mentre loro non erano affatto sorpresi di vedermi. Mi avevano sicuramente sentito arrivare e chissà se l’argomento di quella conversazione non ero io.

“Oh…” dissi con un tono di voce decisamente innaturale e mieloso. Mi avvicinai alla Golf di Jacob e ci appoggiai i gomiti, poi misi la testa sopra i palmi delle mani.

“Che dolce, non trovate? Adesso Bella sa dei miei genitori e dei licantropi, tu sai che lei sa dei miei genitori, tutti sanno tutto di tutti, come una piccola grande famiglia felice. Non è commovente?”
”Ciao Abigail” disse
Bella a disagio, ma pur sempre sorridente. Jacob invece sbuffò.

“Ciao Abigail” Lui invece sembrava annoiato per la mia scenata.

“Come stiamo, gente?” dissi mettendomi comoda senza permesso sul cofano della sua Golf, vicino a Bella.

Stavamo meglio prima” disse lui sarcastico, dandomi uno scappellotto dietro la nuca per farmi scendere dall’auto.

“Vacci piano con le bugie, Pinocchio” scherzai di riamando io.

“Allora, Jacob ti ha accennato il suo prossimo lavoro?” mi rivolsi a Bella mentre mi tornavo a mettere comoda. Le si dipinse un sorriso in faccia.

“Sì, proprio ora me ne accennava. Sono pronta a collaborare. Do la completa disposizione del pick-up” Perfetto! Mi voltai come un cucciolo felice verso Jacob. Non sembrava molto in forma quell’oggi; era di nuovo stanco.

“Non lo so. Ci vorrà tantissimo tempo”

“Lo so, me l’hai già detto. Ed io ti ripeto che non ho fretta. Inoltre non credere che m’intenda solo di moto, so qualcosa anche di auto; ti posso aiutare.” Lui sbuffò.

“Non mi sembra un brutta idea. Ovvio, se per te non è un problema, Jake” mi sostenne Bella, lanciando un’occhiata a Jacob. Lei però poteva restare seduta sulla GolfJacob sbuffò ancora.

“No, no… va bene” disse sconsolato, a testa basta trovando improvvisamente molto interessante la ruota posteriore di una delle due moto, parcheggiate al solito posto in fondo al garage.

“Oh…” mi uscì improvvisamente. Mi sorprese la velocità che aveva impiegato per dirlo. Bella aveva davvero un grande ascendente su Jacob. Qua la cosa puzzava…

Cosa vuol dire “Ohh…”?” chiese stufo Jacob. Lo guardai per mezzo secondo negli occhi, come a volerlo studiare. 

“Niente, niente…” dissi alla fine, sventolando una mano. “E, per l’esattezza, non dovrai costruire un’auto da zero” precisai cambiando discorso, con un enorme sorriso sulla faccia.

“La dovrai solo rimettere a posto; ne ho già comprata una. Questo tanto bastò per farlo svegliare completamente e renderlo più inquieto che mai. Non si fidava forse della scelta della mia auto? , non sapeva quanto si sbagliava. Mi rivolsi con aria di sfida a Bella.

“Potresti imprestarmi il pick-up per mezz’ora?” Bella non aveva un’espressione molto convinta, ma per fortuna aveva imparato a fidarsi di me.

“Io non lo farei” le suggerii Jacob sospettoso. A quanto pare questo non valeva anche per Jacob.

“Abbi fede” dissi mentre Bella mi consegnava le chiavi. Corsi immediatamente fuori.

“Mezz’ora!” tornai a precisare all’uscita del garage.

Fui un fulmine, per quanto me lo permettevano gli ottanta chilometri orari, s’intende. Presi il pick-up di Bella; ci misi dieci minuti per andare da Jackson. Jackson, non sapevo se era nome, cognome o soprannome, era il vecchio e un po’ andato proprietario di un negozio di auto usate che vendeva a prezzi stracciati. Mi sorprese che nessuno mi avesse detto niente di lui, anche perché aveva della buona roba. Jackson, con cui strinsi subito amicizia, mi disse che la gente credeva che le sue auto fossero pericolose e questo non aveva fatto buona pubblicità e nessuno da un po’ di anni lo consigliava più. Lo scoprii quasi per caso quella settimana, facendo un giro attorno a La Push dopo essere stata da Jacob. Là trovai esattamente l’auto che cercavo; non era nelle condizioni per essere guidata, certo, ma per questo c’era pur Jacob. Con quell’auto eravamo già a metà del lavoro. Appena arrivata salutai Jackson e mi aiutò a fissare al paraurti del pick-up l’auto che avevo comprato.

Ritornai a casa di Jacob cinque minuti prima del previsto. Questa volta mi aspettavano direttamente davanti alla piccola casetta rossa. Scesi dal pick-up con un soddisfatto sorriso a trentadue denti stampato in faccia per la felicità. Adoravo quella macchina.

Bhè?” dissi fiera del mio acquisto. Sentii Jacob fischiare, mentre si avvicinava a lei, studiandola. Bella invece manteneva le distanze, un po’ confusa.

Dov’è che l’hai presa?” disse Jacob realmente interessato questa volta.

“Da Jackson per soli cinquecento dollari”

Jackson?! Sul serio?!” si stupì lui guardandomi negli occhi “È solo un vecchio pazzo con qualche rotella fuori posto. Non credo avesse queste robe!” Io feci spallucce.

“Mi ha anche assicurato che potrebbe procuraci qualche pezzo…” Jacob sghignazzò.

“Immagino in che condizioni, non le stesso dell’auto, spero” disse lui, dando un’ultima occhiata alla macchina “Davvero complimenti, Abigail.” Gli sorrisi orgogliosa; l’avevo ormai del tutto convinto a procedere.

“Scusate, io non me ne intendo molto di auto, ma non è un po’… vuota?” se ne uscì Bella, che fino ad allora se n’era stata zitta. Non aveva tutti i torti; era una vecchissima Cadillac Eldorado del 59, dal colore non definibile, che praticamente non aveva niente; né fari, vetri, sedili, cinture di sicurezza, per non parlare del motore.

“Ha una buona struttura, però, è solida” le spiegò Jacob, mentre staccava l’auto dal pick-up e la trascinava dentro il proprio garage con la sola forza della braccia. Rimasi ancora una volta impressionata e non per il trasporto dell’auto; Jacob aveva guardato Bella in un modo un po’… trasognato. Guardai Bella, che notandomi mi fece un sorriso. Mi nacque un piccolo dubbio, che si sarebbe poi ingigantito enormemente; quanto erano amici quei due?

Jacob, che ancora non aveva smesso di guardare interessato la mia Cadillac, cominciò subito a lavorare. Diede dapprima un’occhiata approfondita e della salute alla macchina  mentre nominava ad alta voce le cose che servivano, molte. Io ero seduta vicino a lui e scrivevo su un pezzo di carta l’elenco delle cose che mancavano. Bella invece se ne stava accovacciata sul sedile della Golf. Mi domandai se non si sarebbe annoiata a stare lì seduta; questa era in effetti una cosa che non avevo programmato, cioè quale sarebbe stato il coinvolgimento di Bella nella costruzione, se lei stessa aveva affermato che di auto ci capiva davvero poco. Glielo domandai e lei mi rispose che guardarci lavorare la rilassava e che non dovevamo tanto badare a lei. Seguii, anche se con molti dubbi, il suo consiglio.

Avevamo appena finito il controllo generale che Jacob si accasciò per terra distrutto. Io mi distesi vicino a lui, mentre Bella si alzò dal sedile.

“Per oggi basta così” mormorò distrutto, ad occhi chiusi. Aveva la faccia di un bambino, quando era stanco.

Perché non dormi Jacob? Dovresti farlo di più” disse Bella in pensiero.

“Lo sai perché” replicò lui improvvisamente serio.

Sam potrebbe anche…” Jacob aprì gli occhi di scatto e si tirò immediatamente su. Io invece, che avevo scoperto quanto fosse comodo stare sdraiati in quel punto, rimasi lì.

Sam è il capo, non posso disobbedirgli” fece lui categorico, con tono deciso e duro verso Bella.

“Ehm… ragazzi, scusate l’interruzione” intervenni io, ad occhi chiusi, ancora in quella posizione, per rompere la tensione “Non credo ancora di capire bene, bene, bene il vostro argomento di conversazione.

“I licantropi danno la caccia a Victoria giorno e notte, ma essendo anche umani, poi sono stremati” mi spiegò Bella irritata. Ah, ecco il motivo della sua brutta cera. Mi tirai su a sedere.

“Come state procedendo?” chiesi seria. Jacob ritornò sdraiato accanto a me, sempre ad occhi chiusi. Non era però tanto stanco quanto l’altra volta e non credo si sarebbe addormentato.

“Insomma… Sappiamo dov’è, ma non appena ci avviciniamo scappa e dobbiamo ricominciare da zero. Ieri l’avevamo quasi presa…” Mi tirai su in piedi, un poco indispettita.

“Se aveste accettato la proposta di alleanza di mio padre adesso stareste facendo progressi” reclamai acida e preoccupata per la sua salute. Balzò a sedere anche Jacob.

Senti, Abigail, conosci già la storia. Inoltre non posso farci niente, anche se volessi; non posso contrastare il mio capo branco!” Jacob quasi abbaiò e mi fece ricordare che avrei potuto affrontare l’argomento con più gentilezza e tatto.

“Non mi sembra poi che i tuoi genitori si diano tanto da fare” replicò lui, arrabbiato. Forse non se n’era accorto, preso troppo dalla rabbia, ma li aveva chiamati “genitori”, non vampiri, succhiasangue o dispregiativi del genere. Per quella piccola cosa mi acquietai un poco, ma non smisi per questo di litigare/discutere con lui.

“Si dia il caso che, visto che oltre a circa tremila persone si trovano a Forks ed essendo inoltre solo in due, è molto più saggio restare in quella zona, invece di girovagare e giocare al gatto e al topo, no?” insinuai io. Lui incrociò le braccia guardandomi con aria di sfida. Bene, io e lui dovevamo litigare, sempre, per quel particolare motivo, persino davanti ad altre persone. Era proprio destino.

“Oh… sentiamo allora che cos’ha da dire la maestrina.

“È perfettamente inutile che il gatto, insegua il topo; ci sono troppo buchi nel muro, dove si può nascondere. È molto più sensato attirarlo con un pezzo di formaggio, no?” risposi io, guardandolo fisso negli occhi, con tono appunto da maestrina.

“Sono proprio curioso di sapere chi può essere il pezzo di formaggio. Bella, forse? Te lo scordi! Ancora ancora se il formaggio sei tu.” Ora Jacob si stava davvero arrabbiando ed anch’io ne avevo piene le scatole. Era arrivato il momento di finirla.

“Senti…” Qualcosa mi bloccò.

Aspetta, aspetta, non era male come idea. Io facevo da esca, il vampiro braccava me, il vampiro poi veniva fatto a pezzettini da vampiri e licantropi in agguato e tutti erano felici e contenti. Non era affatto una brutta idea! L’unico problema era che l’esca ero io. Bhè, d’altronde se lo scopo era di salvare Bella, lo avrei fatto senza problemi. Non ero sicura al cento per cento dei pericoli che potevo incorrere; bisognava studiare un piano come si doveva per capirlo. Poi pensai alla mia iperprotettiva madre; fu allora che buttai questa idea nel cestino. Inoltre c’erano solo i miei genitori ed io, oppure io ed i licantropi, al massimo, perché non si poteva parlare di alleanze e patti vari. No, non poteva assolutamente funzionare.

“Ora basta, smettetela” urlò Bella imbarazzata, che fino ad allora se n’era stata in disparte ad osservare lo spettacolo, mentre i suoi occhi avevano guizzato per tutto il tempo da me a Jacob. “Sembrate una vecchia coppia di sposi”

“Non sono io che ho cominciato!” Io e Jacob ci guardammo negli occhi spaventati per la nostra inaspettata sincronia.

“No, anzi, mi ricredo, due bambini” commentò lievemente disgusta Bella, ma con un sorriso sornione sulle labbra.

“Forse è meglio se vado, così potete litigare quanto volete” disse lei alzandosi e dirigendosi verso il garage.

“Già, si è fatto tardi anche per me” dissi, convenendo che era una salutare idea per me salutare in quel momento Jacob.

“Aspetta, te ne vai di già?” Di nuovo quella eccessiva preoccupazione nella voce mi fece pensare. E non solo quello…

Scusa, sei dispiaciuto che lei se ne vada, ma non lo sei per me?” dissi a metà tra l’arrabbiato e l’offeso. No, con lui non potevo non litigare. Lui mi si avvicinò con un sorriso beffardo stampato in faccia.

“Tu potresti anche andare, cara mogliettina” Ricambiai il sorriso, stando al gioco.

“Come vuoi tu, caro maritino. Aspetta solo che ti dia un bacio” Mentre ancora stavo parlando presi con entrambe le mani il suo faccione e stampai sulla sua guancia una slinguazzata.  

“Ehi!” Si lamentò lui, indietreggiando da me.
”Ci vediamo, bel maschione. Prima di uscire dal garage mi avvicinai a Bella, che stava ridendo per la scenetta, e le diede un vero bacio sulla guancia. Era strano; non mi risultava essere mai stata così affettuosa con una persona. Quel giorno, però, inspiegabilmente mi andava.

“Ciao, ciao” salutai uscendo.

 

Passò in questo modo marzo, ed arrivò aprile. E questo voleva dire finalmente vacanze pasquali. Mi sentivo decisamente molto più rilassata senza la scuola ed il corso di break dance; avevo infatti deciso di far godere questi giorni di vacanza anche ai bambini. Concentrai quindi tutte le mie energie sulla macchina, continuando a farmi tenere informata della situazione dai licantropi. Possedevo un grande quadro generale della situazione, visto che anche i miei genitori mi tenevano informata. Sembrava che la sua area di attacco si stesse allontanando sempre più da Forks, anche se ancora non demordeva. Dovevo ammettere che anche senza due vampiri esperti i licantropi se la stavano cavando bene. Non era però questo un buon motivo per esultare; Bella doveva ancora subire la tensione.

Quello del vampiro, anche perché io di per me non potevo fare molto, fu un argomento che non mi tenne molto occupata. Piuttosto erano i lavori della macchina che mi facevano pensare. Passai quasi ogni giorno da Jacob, ma il più delle volte eravamo solo io e Bella, perché il signorino era a correre per i boschi. Anche Bella venne da Jacob quasi ogni giorno, sempre a guardarci o guardarmi lavorare alla macchina.

Solo dopo capii il motivo di quella sua permanenza, non molto differente dal mio; visto che c’era un vampiro che voleva ucciderla in circolazione, stare a La Push dai licantropi erano buone misure di sicurezza. Inoltre ad entrambe ci piaceva stare qui, quindi problemi non c’erano. Stammo quindi molto tempo insieme, parlando più che altro del più e del meno, della nostra infanzia, argomenti del genere, insomma. Non toccammo mai il tema “Edward”, ma era straordinario quanto fosse diventata serena.

Non volendo però ancora credere come si potesse divertire guardandomi non restai a lavorare tutto il tempo; tenni fede alla promessa di insegnarle come si guida la moto, facendo così delle pause per distrarmi dall’auto. Facevamo piccoli giretti per La Push, e dovevo dire che Bella non se la cavava affatto male con la moto. Jacob doveva averle insegnato bene l’abc.

Non era l’auto in stessa a preoccuparmi; ero riuscita a combinare da Jackson dei pezzi in buone condizioni, mentre Jacob e Bella erano andati a prendere qualcosa dalla discarica con il pick-up. Anzi, ero più che contenta di come si stava trasformando la mia Cadillac. Ad insospettirmi era come si comportava Jacob con Bella; alla fine l’avevo capito. A convincermi sorprendentemente era stato Mike, che non c’entrava assolutamente nulla con quella storia. A scuola si sapeva che Bella si vedeva con Jacob, oltre a sapere che anch’io lo frequentavo. Il commento poco carino di Mike, quasi seccato, riguardo al fatto che Jacob era cotto di Bella mi convinse. Cioè, mi fece davvero pensare; era ovvio che quello di Mike era stato un semplice attacco di gelosia. Sbavava quando stava con Bella. Tuttavia non aveva avuto tutti i torti. Pensando a come si comportava con lei, gli sguardi, il tono della voce, i sorrisi alla fine sono giunta che solo un cieco non poteva non notare che Jacob era cotto di Bella.

Fui un poco gelosa; non intendevo dire che Jacob mi piacesse, solo che a confronto lui mi trattava come una gomma usata; era vero che io ricambiavo con gli interessi il suo comportamento, ma capii alla fine che non ci potevo fare niente. Jacob era il tipo di persona con cui non potevo non relazionarmi in quel modo; ad essere sincera poi ci divertivamo tantissimo quando facevamo gli scemi; non potevamo essere seri. Ma questo non giustificava il senso di gelosia.   

Non capivo però cosa volesse fare Bella. Ero sicura che lo avesse notato; insomma, non era né stupida, né cieca, quindi quando le cingeva le spalle in quel certo modo, doveva per forza pensarla così. La cosa che mi rendeva scettica era che sapevo con certezza che Bella non ricambiava; c’era sempre Edward, ma questo non gli impediva di comportarsi così. Non riuscivo a capirlo e neppure volevo pensare male di lei, anche se c’erano parecchie cose misteriose. Se era bisognosa di attenzioni da testosterone, doveva però tenere conto che così lo illudeva.

Fu così che un giorno, invece di parlare del più e del meno, affrontammo l’argomento.

“Senti” biascicai, mentre ero intenta ad oliare le portiere “posso chiederti una cosa?”

“Certo” mi rispose lei, seduta sul cofano della Golf. Io smisi di lavorare e mi appoggiai sulla mia auto. Decisi di prendere la via più indifferente possibile.

Jacob per caso ha una cotta per te?” Potevo fare di meglio, per quanto riguardava il tatto. Lei si rannuvolò quasi subito e staccò gli occhi me.

“Credo di sì” mormorò a testa bassa. Traduzione: un sì convinto.

Ma tu non ricambi, però neppure lo scoraggi” continuai, riuscendo ad esprimere i miei pensieri in poche parole. Lei corrugò le sopracciglia.  

“Per me Jacob è come un fratello, niente di più. Gli ho anche cercato di dire che non può funzionare, ma…” si interruppe, alzò la testa e mi guardò.

“Tengo troppo a lui.” Ah… comprensibile il suo indeciso comportamento; aveva paura di perderlo. Non era quindi una semplice amicizia, esattamente come avevo immaginato. Solo che Bella lo considerava come una sorta di fratello, mentre Jacob la considerava come un’altra cosa. Bella si strinse alle spalle.

Quando se n’è andato Jacob è stato la mia unica ancora. Fino a che non sei arrivata tu.” Mi commosse la sua seconda frase.

“Con lui mi sento davvero bene, anche se i suoi gesti io li interpreto in un modo, mentre lui in un altro. Tornò a guardarmi sorridendo.

Anche per te è la stessa cosa; anche con te mi sento davvero bene” Io ricambiai il suo sorriso, abbassando la testa.

Caspita, mi aveva appena confessato che teneva a Jacob quanto teneva a me. E a Jacob teneva molto.

Non c’era poi da stupirsi; quando Edward se n’era andato doveva stare davvero male. E Jacob era stato il primo a porgerle la mano per farla rialzare e le era stato accanto. Lo dicevo che era un bravo ragazzo; peccato che la sua mente oltre di buon cuore era piena di testosterone. Bella alla fine stava cercando di essere felice, anche se Jacob si stava illudendo, nonostante Bella glielo aveva detto che non avrebbe contraccambiato.

Il problema ora diventava Jacob; era lui che doveva capire e mettersi in testa che non sarebbe successo niente. Sapevo che sapeva di Edward; forse era sicuro che senza di lui aveva il via libera? Oppure non era una semplice cotta ed era ben intenzionato a raggiungere il suo scopo? Avrei dovuto parlargli uno di questi giorni riguardo l’argomento, da buona amica.

“Ah… ti devo dire un’altra cosa” se ne uscì improvvisamente Bella, cambiando argomento e facendomi sfuggire da un prossimo arrossamento. Dal tono serio della sua voce era qualcosa di importante.

“Io e Jacob ieri abbiamo parlato di te. Jacob mi ha fatto un po’ di domande; ho risposto quello che mi hai detto tu. Mi sembrava corretto dirtelo” Si fece improvvisamente imbarazzata. Io mi confusi.

Che tipo di domande?” Lei respirò profondamente.

“Mi ha chiesto se diventerai un vampiro.” Mi stupii di non averci pensato prima; per loro era essenziale sapere i numero di vampiri da tenere sottocontrollo… oltre a preoccuparsi per me, ovvio.

“Ah… perché non l’ha chiesto direttamente a me?” Mi sembrava che potevamo parlare liberamente di questo argomento; fino ad allora non ci eravamo risparmiati, in ogni senso. Lei mi guardò malinconica.

“Era davvero convinto che lo saresti diventata. Voleva prima parlarne con me per sapere come avrebbe dovuto reagire. Stava dando scintille. Si è calmato immediatamente quando gli ho detto che non è tua intenzione diventare un vampiro.”

Io scossi la testa; poteva evitare di fare tutte quelle scenate. Era inoltre incluso nel patto con i licantropi che i miei genitori non avrebbero potuto mordere alcun essere umano. Non capivo i suoi sbalzi d’umore, né la sua preoccupazione. Inoltre, anche se fossi diventata un vampiro, che problema ci sarebbe stato? Io sarei rimasta sempre Abigail, solo più… tutto. Ci misi un po’ per ricordarmi che il suo comportamento aveva un senso, se prendevo in considerazione la sua ottica sul vampirismo. Avevamo opinioni del tutto opposte, quindi, dopotutto era comprensibile non riuscire a capire la sua reazione. Però un sorriso mi uscii lo stesso; se stava andando di matto, allora voleva dire che almeno un pochino di me gliene importava.

Quindi, non… ci sei rimasta male.” Guardai più confusa di prima la sua espressione indulgente.

“No, perché scusa?” Questa volta a confondersi fu lei.

“Tu… non…?” si interruppe subito. “Oh… no, niente, lascia stare.” Avrei tanto voluto leggerle nel pensiero, perché al momento non riuscivo a capire proprio nulla di quello che stava dicendo.

Cosa c’è?” domandai sospettosa. Lei agitò una mano nell’aria.

“No, mi sono sbagliata” disse cominciando ad arrossire e a sorridere “Pensavo che… a te piacesse JacobLasciai perdere l’auto e mi concentrai esclusivamente su di lei. Cos…?

“No!” esclamai forte “Hai ragione, ti sei completamente sbagliata. Io? Jacob? Ma dai!! Non mi dava da pensare quello che aveva detto, quanto perché lo aveva pensato.

“Scusa perché credevi che fosse così?” Lei fece spallucce imbarazzata.

“È che… non ti ho mai vista divertirti tanto insieme qualcuno. Poi pensavo che gli sguardi che gli lanci…” si interruppe saggiamente a metà. Aspetta, aspetta, quali sguardi? Non lo guardavo in nessun modo particolare! Oh… bene. Davo quindi l’impressione di essere cotta per Jacob Black.

“Sai, ci sono rimasta un po’ male…” confessai guardando il soffitto.

“Hai ragione. Comunque, è solo un mio errore…” si giustificò lei.

“Sì, ma se do lo stesso tipo di impressione ad altre persone? E se do questa impressione a lui?” esclamai dando libero sfogo ai miei dubbi “E poi, scusa, ma come lo guardo?” Mi ero avvicinata lentamente a lei.

“Può essere solo un mio punto di vista, ma… lo guardi come se fossi… assorta. A scuola non guardi nessuno in quel modo.

Mi confuse ancora di più. La cosa non mi piaceva, per di più era inquietante. Mi sedetti per terra, con una mano sotto il mento, riflettendo che tipo di sguardo potevo avere.

“Ehi, Abigail. Non dare troppa importanza alla cosa.” Sentii la mano di Bella sulla mia spalla. “È solo una mia impressione. E poi, quello che conta, è che ci sia chiarezza tra voi due. Alzai la testa, guardandola negli occhi. Sembrava una zia che stava rassicurando la propria nipote dei suoi problemi di cuore. Aveva ragione, cavolo, aveva ragione. E mi stavo comportando come un’ingenua.

Mi rialzai e passammo la successiva mezz’ora a lavorare alla macchina. Quando si stava per fare sera decisi di andare a casa, mentre Bella decise di aspettare ancora Jacob, che era ancora in giro.

Mentre sfrecciavo verso Forks i miei pensieri erano tutti concentrati lì. Io essere cotta di Jacob?! No, era troppo improbabile. Era una cosa paranormale, impossibile, al di là di ogni facoltà umana e non. A me non poteva piacere Jacob! Non avevamo quel particolare tipo di rapporto! E non provavo assolutamente nulla per lui. No, Jacob non mi piaceva, assolutamente no, per niente. Non covavo alcunché per lui e non provavo niente del genere. Niente. NIENTE….

 

Il giorno dopo mercoledì si apprestava ad essere una brutta mattina. Quando mi alzai ero parecchio agitata per il sogno che avevo fatto. Per la prima volta avevo sognato Jacob, seppur non ricordassi niente. Bastò la sua sola immagine impressa nel cervello a scatenare tutta quella agitazione. Era strano che sognassi persone; era già tanto se sognavo. Insomma, non ero stata tanto entusiasta della sua comparsa anche nel cuore della notte. Pensai che doveva essere dovuto all’argomento di ieri che mi aveva assai sconvolto e niente di più.

Me la presi comoda e trascorsi la mattina in piccole cose: feci un’abbondante colazione di biscotti, manutenzione alla moto, cercai di dimenticarmi di Jacob. Aspettai il pomeriggio prima di andare a La Push.

Arrivai abbastanza presto a casa di Jacob. Ed ovviamente lui non c’era. La cosa stava cominciando a darmi sui nervi; quel ragazzo non viveva! Aveva bisogno di riposo e svago. Scommettevo che era un fascio di nervi. Pensavo di parlarne con Sam riguardo il suo metodo, che effettivamente stava funzionando, seppur con grandi sprechi di energia e tempo. Poi però, pensando che avrebbe avuto tutto il diritto di ridermi in faccia, in quanto chi mai ero io per criticare le sue mosse, capii che era già una battaglia persa.

Quel giorno non sarei riuscita proprio a fare niente senza Jacob; ero arrivata a un punto delicato contro cui la mia esperienza non poteva competere. Inoltre avevo anche bisogno del pick-up di Bella per portare da Jacob alcuni pezzi nuovi che ero riuscita a comprare con i soldi di break dance.

Alla fine, da vera illusa, i miei genitori avevano scoperto i miei piani per l’auto e ne erano rimasti tanto orgogliosi da farmi imbarazzare. Non furono tanto entusiasti di sapere che il meccanico era un licantropo, ma non sembrava che avessero nulla in contrario; non provavano alcun apparente ed insensato odio contro i licantropi, essendo esseri comprensivi di mentalità aperta a differenza di qualcun altro, quindi furono ben lieti di sostenere i miei desideri. Ecco, se i licantropi avessero solo una minima parte di versatilità dei miei genitori, le cose andrebbero molto diversamente.

Passai a dare un saluto a Billy e, mentre aspettavo Bella, intavolai persino una conversazione con lui. Non era così ansioso e diffidente come la scorsa volta, ma molto più calmo e sereno. Evitammo di parlare della mia famiglia e ci concentrammo piuttosto su Jacob. Venni a sapere che a casa, le poche volte che era lì, non faceva altro che parlare di me, non in relazione alla mia famiglia, ma di me e basta. Billy mi disse che mi criticava e sparlava di me tutto il tempo, e più di qualche volta si arrabbiava davvero. Ne fui sorpresa, ma allo stesso tempo ci rimasi davvero male. Inoltre non capii perché Billy aveva da ridere così tanto. Mi disse poi che Jacob era un ragazzo complicato e parlava in questo modo solo riguardo alle persone a cui in realtà teneva davvero. Mi guardò con uno strano barlume negli occhi quando lo disse. Io mi limitai a scuotere la testa esasperata.

Non passò molto tempo prima che Bella arrivò. Quel giorno non aveva neanche lei molta voglia di guardarmi a lavorare, perciò mi propose un’alternativa; andare a trovare Emily. Bella mi raccontò che Emily era la ragazza di Sam, aveva tanto sentito parlare di me e le sarebbe piaciuto conoscermi. Io accettai, curiosa della visita. Mi sorprese che un personaggio come Sam avesse qualcuno, poi però Bella durante il viaggio in macchina, mi informò di altri particolari; Emily era l’anima gemella di Sam, colei con cui lui aveva avuto l’imprinting. Iniziò persino a raccontarmi la storia di Sam, ma solo alla fine capii il perché. Sam era stato il primo licantropo del branco a trasformarsi. Era solo, senza che qualcuno gli potesse spiegare cosa gli stesse succedendo. Perdendo il controllo ferì così Emily, che fu costretta a giustificare le cicatrici sul suo viso con un attacco di un orso. La semplice spiegazione di Bella mi resa cupa ed inquieta. Quindi anche i licantropi possono perdere il controllo. Mamma e papà avevano ragione. Però Sam era solo, invece adesso c’era un intero branco. Ero più che sicura che con me non sarebbe successo e neppure con Bella. Ripensai all’incontro con Paul; se fossimo stati da soli mi avrebbe scannata viva, ma c’erano i suoi compagni, quindi non era successo nulla. Però Sam amava davvero Emily. Mi cominciava a fare compassione; non era mr. Simpatia, ma ne aveva passate di cotte e crude.

In breve arrivammo davanti ad una piccola casetta, davvero carina. Era un po’ scrostata in alcuni punti, ma il giardino che la circondava era davvero splendido. C’erano tantissimi piccoli fiori pronti a sbocciare. Bella mi guidò verso la porta, che aprì non appena una voce femminile la invitò ad avanzare. Subito dopo la porta c’era la cucina, piccola, ma il profumo di biscotti mi fece venire l’acquolina alla bocca.

“Tu quindi sei la figlia dei vampiri” Mi volsi verso quella voce cristallina. La giovane ragazza davanti a me era davvero bella; aveva la pelle color cannella, gli occhi ovali e neri risplendevano e le labbra piene si aprivano in un sorriso. Purtroppo il tutto era rovinato da tre evidenti cicatrici che le fregiavano tutto il lato destro. Sentii di nuovo brividi percorrermi la schiena. Io sfoderai il mio sorriso sghembo.

“Sì, ma preferisco Abigail” dissi porgendole la mano. “Avete davvero una scalmanata fantasia per inventarvi questi soprannomi” commentai sperando di non sembrare offensiva. Sentii la sua splendida voce melodiosa ridere.

“Io sono la ragazza vampiro” disse Bella, confermando le mie supposizioni.

E io la ragazza lupo” continuò Emily. “È un vero piacere conoscerti. Ero desiderosa fare la tua conoscenza.”

Era davvero strano che un membro del popolo Quileute mi rivolgesse tutta questa gentilezza. Mentre conversavamo cucinava; stava preparando un’enorme quantità di pasta all’uovo. Mi domandai per un momento se doveva preparare un matrimonio con tutta La Push.

“Vuoi un biscotto?” Mi parò davanti agli occhi un vassoio pieno di enormi biscotti al cioccolato appena fatti. In preda alla gola alzai la mano e timidamente ne presi uno.

“Grazie” dissi in un sussurro. Mordicchiai il bordo assaporando il sapore. Ben presti i piccoli morsetti si trasformarono in morsi voraci.

“Allora, cosa ne pensi dei licantropi?” chiese dopo aver offerto i biscotti anche a Bella.

“Un branco di enormi adolescenti iperpompati” Lo dissi quasi senza pensarci. Anzi non ci avevo affatto pensato; ero tanto abituata ad avere una certa opinione di loro che mi veniva automatico. “Simpatici” riuscii a concludere in tempo per salvare almeno un po’ di contegno. Entrambe si misero a ridere.

“Per l’enorme ti do ragione” mi rispose Emily, mentre si passava una mano sulla fronte “Mangiano come dei bisonti”

Fu allora che capì che molto probabilmente tutta quella quantità di impasto era per loro.

“Vuoi dire che quello è tutto per loro?” chiesi totalmente allibita. Indicando la pasta. Bella vicino a me annuì con l’aria di una che la sapeva lunga.

“Caspita!” esclamai “E dove la mettono tutta quella roba?!

“Me lo sono sempre chiesta…” fece Emily scuotendo la testa “Ma mi piace occuparmi di loro”

Se fossi in te, io mi farei pagare” proposi seria.  

“Forse dovrei davvero farlo!” La sua risata fu improvvisamente interrotta dalla porta che sbatté contro la parete.

Emily” Era la voce autoritaria di Sam. Solo che questa volta non era autoritaria, ma stranamente gentile e dolce. Metteva i brividi. Scrutò prima me e poi Bella, soffermandosi in modo particolare su di me. Poi però si rilassò.

“È un piacere rivederti, AbigailÈ un piacere rivederti viva, voleva forse dire “Bella” disse facendo un cenno verso di lei.

“Ciao Sam” dissi molto sciolta. Qualcosa nell’atmosfera cambiò quando gli occhi di Sam incontrarono quelli di Emily. Era come se la stanza si fosse riempita di piccoli cuoricini rosa. L’abbracciò protettivo la schiena, mentre non si staccavano ancora gli occhi di dosso. Si erano ormai estraniati in un mondo tutto loro. Io guardavo la scena con un certo disgusto ed anche Bella vicino a me sembrava non gradire molto. Mi voltai indietro, mettendomi un dito in gola. La scena era tanto mielosa che i miei livelli di glucosio stavano andando alle stelle. Bella mi diede una gomitata per farmi smettere, anche se le uscì un sorrisino.

Quando finalmente si staccarono fu Bella stessa a salutare, risparmiandoci una scena così mielosa.

Andammo quindi alla spiaggia. Non pioveva, ma sarebbe cominciato sicuramente da un momento all’altro. Quel giorno vedevo Bella più pensierosa del solito. Mantenni una certa discrezione, finché non superammo i cinque minuti di silenzio.

“Ti vedo un po’ giù” Lei schioccò la lingua.

“Sono… un po’ agitata”

“Per cosa?” Lei alzò gli occhi al cielo e prese fiato.

“Per cominciare un vampiro mi sta dando la caccia e un branco di licantropi, oltre a due vampiri, stanno rischiando la vita per me. Mio padre e la polizia credono che ad aver provocato le uccisioni siano orsi e quindi se ne vanno a caccia di animali, mentre potrebbero imbattersi in ben altro. Non so che fare con Jacob e poi… mi mancano” La guardai seria, aspettando che finisse il suo elenco di preoccupazioni. Bella era il genere di persona che si faceva tanti problemi per niente.

“Allora” incominciai prendendola a braccetto, mentre camminavano avanti ed indietro per la spiaggia.

“Promettimi che non ti farai più condizionare dalla storia di questa Victoria. Numero uno, ci sono già licantropi e vampiri che sono già abbastanza preoccupati, ed altra preoccupazione non serve a niente. Numero due, i miei genitori sono dei bracconieri più che qualificati e fidati se ti dico che lo sono anche i lupi.” Riuscii a strapparle un sorriso.

“Per quanto riguarda Charlie, i miei genitori stanno tenendo d’occhio Forks e chi ci abita. Quindi di Charlie se ne occupa la mia famiglia.” Feci una pausa per riprendere fiato.

“Poi, in quanto a Jacobbhé, che si arrangi e…” la guardai improvvisamente con sguardo mieloso, cercando di simulare lo stesso sguardo di Sam di poco prima “non posso essere io un valido sostituto di Edward?” dissi sfoderando il mio sorrisino sghembo. Bella mi guardò per un secondo inespressiva, per poi mettersi subito a ridere.

Che idiota che sei!” esclamò cominciando a darmi degli spintoni. Continuò così per cinque minuti buoni.

Che ne dici se ti presento i miei genitori domani?” esclamai all’improvviso, sia per l’immediatezza dell’idea, sia per risparmiarmi da quella tortura. Lei infatti smise subito; ci pensò per alcuni secondi, abbassando lo sguardo e diventando seria. A loro avrebbe fatto sicuramente piacere conoscere la mia prima amica di Forks, ma soprattutto chi stavano proteggendo.

“Va bene” Sollevò lo sguardo e parlò con sguardo deciso. Era almeno sicura di quello che stava facendo; volevo evitare che prendesse molte batoste.

“Ciao” Mi voltai verso la voce di Jacob, che stava correndo verso di noi. Era la prima volta che lo vedevo quella settimana.

“Oh… ciao, Jacob! Ti ricordi ancora di noi? Le tue amiche Abigail e Bella? Io sono Abigail, mentre lei e Bella.” Si fermò davanti a me, lanciandomi un pericoloso sorriso ironico, mentre se ne stava a braccia incrociate. L’armadio e la bambina. Scosse ancora la testa, con quell’aria pericolosa.

“Tu rompi troppo” Si abbassò prendendomi le gambe. Io caddi automaticamente sulla sua spalla.

Se non mi metti giù subito, ti rompo io qualcosa!” gli gridai, pur non riuscendo a veder niente a causa dei capelli sulla faccia.

“Senza dire qualcosa di poco gentile tu non riesci a superare la giornata, vero?” Parlava ancora con quella voce sarcastica e cinica. “Voglio solo ricambiare, per dimostrarti il mio amore” Lo sentì muoversi.

“Non le fare male!” Sentii la voce di Bella preoccupatamente lontana. Cominciai a scalciare, per liberarmi dal sadico sotto di me. Colpii con il ginocchio una parte di lui, che non seppi identificare.

“Ahi!” Una fitta di dolore mi obbligò a star ferma. Giusto, i licantropi sono più forti e resistenti. Non era però una giusta ragione per sottomettersi alla loro volontà!

“Attenta, che gambe e braccia ti serviranno” Ora il signorino aveva cominciato a sghignazzare. Ed io ad arrabbiarmi. Cosa diamine stava facendo?! Non sentii più la voce di Bella, il che dava da preoccuparmi.

“Spero che tu sappia nuotare, pesciolino” Sbarrai gli occhi. No, non poteva essere serio. L’acqua era gelata e mi sarei presa un febbrone da cavallo. Addio al resto delle vacanze pasquali. Tutta per colpa sua.

“Non osare farlo” dissi severa a denti stretta. Ma figuriamoci se gli avrei messo paura. “Mettimi giù” Già sentivo lo scroscio delle onde. Lui sghignazzò.

“Va bene” E mi buttò giù.

“No, Jacob!” Gridai, aspettandomi di bagnarmi. Caddi invece su una parte di spiaggia fatta di sabbia. Mi guardai disorientata; il mare era molto lontano. Lui davanti a me si stava tenendo gli addominali, piegandosi in due. Più in là Bella stava scuotendo la testa. Molto probabilmente ci stava dando dei bambini.

“Ci sei cascata appieno!” guaì lui, che non accennava a calmarsi.

“Brutto stupido, questa me la paghi!” Lui ci poteva trovare qualcosa di divertente, ma io no. Non per quello scherzo. Mi stavo cominciando ad arrabbiare davvero ed il fatto che lui non si calmasse non contribuiva a calmare me. Decisi di sguinzagliare il mio lato assassino; dato il soggetto credevo che gli avrei fatto a malapena il solletico. Con un balzo gli saltai sulla schiena, afferrandogli la gola con le braccia, strozzandolo. Lui sembrava ridere ancora di più, mentre si muoveva verso Bella.  

“Cos’è questo tentativo, scimmiotta?” Cavolo, questi licantropi avevano muscoli persino sul collo, ancora un po’ molto più potenti di quelli delle mie braccia. Mi prese le mani e sciolse la mia presa come niente. Io caddi a terra, che adesso era tornata ad essere ciottolata.

“Potevi anche evitare di farlo” disse Bella con rimprovero.

E rinunciare a tutto questo divertimento?” O la smetteva di ridere, o la smetteva. Io mi tirai su, a braccia incrociate mi misi vicino a Bella, guardandolo in cagnesco. Era una vita che pensavo ad assurdi metodi per farla pagare ai vampiri, anche se senza successo, e ora ecco a mettersi in mezzo anche i licantropi.

Comunque” sembrava essersi finalmente calmato “Ho chiesto a Sam mezza giornata di pausa per domani. Gli altri riusciranno a sopravvivere anche senza di me.

Solo mezza giornata? Ehi, potresti chiedere molto di più; almeno due settimane, per tutti gli straordinari che state facendo. Dì un po’, voi i sindacati non ce li avete?” Era inevitabile, anche arrabbiata dovevo mostrare quanta zucca avevo nel cervello. Risero entrambi, ma non ci badarono molto.

“Pensavo che domani potremmo fare qualcosa di divertente; ci possiamo tuffare dagli scogli, ricordi che te lo avevo promesso? L’acqua sarà sicuramente molto meno fredda di oggi.”

Sentii Bella trasalire. Non capii se per la paura o l’emozione; a lei piaceva il pericolo. Quanto a me l’idea non mi stuzzicava granché, dopo lo scherzo di prima.

“Così ti potrò lanciarti veramente in acqua” disse con un sorriso sornione verso di me. Io gli feci una linguaccia.

“Va bene, sarà divertente” rispose Bella entusiasta, alla fine.

E tu ci stai?” chiese Jacob con esplicito tono di sfida. Così, sia per non poter non accettare la sfida, sia perché si sarebbe stati in compagnia, accettai. Anche se sospettavo un raffreddore in agguato. Jacob appoggiò il braccio intorno alle spalle di Bella.

“Sarà una specie di appuntamento” disse ancora con quello sguardo e con quel tono che sembravano dire “Sono cotto di Bella Swan

“Un appuntamento? No, meglio un incontro tra tre amici. Non voglio fare il terzo incomodo” interruppi io. Mi sorpresi di quanto mi avesse dato fastidio quel braccio intorno a Bella. Lei lo lasciò fare, facendo finta di niente.

“Va bene! Un appuntamento a tre” esclamò esasperato Jacob. In compenso, con mio grande compiacimento, tolse il braccio da Bella.

“Ci vediamo domani. Ora però riposati” gli ordinò Bella, gentile. Dovevo ancora capire come lo faceva a sopportare, anche se con lei non si comportava da insopportabile. E ne fui ancora più gelosa, cavolo

 

La mattina dopo non fu meno pessima della precedente. Avevo di nuovo sognato Jacob Black. Mi soffocai con un cuscino. Quello era stato un sogno malsano; avevo sognato di essere Bella e lui, vicino a me, mi trattava con gentilezza e dolcezza. E mi era dannatamente piaciuto. Mi misi improvvisamente a sedere sul letto, a gambe incrociante, mentre tentavo di strozzare il cuscino. Mi concentrai e ripensai al sogno, così vivido, mentre sbucava dall’angolo del dimenticatoio la scena di Jacob del giorno prima, quando mi aveva preso in braccio. Mi sentii arrossire tutta ed i battiti cominciarono ad aumentare. Mi premetti il cuscino sulla faccia. Ero ammalata, di una malattia grave ed in questo caso mortale. I sintomi c’erano tutti. Balzai in piedi, camminando avanti ed indietro nella mia camera dorata. Mi spiaccicai poi la guancia sulla finestra-parete, lasciandoci tutto un alone. Non era possibile, era orribile; ero innamorata di Jacob Black. Mi presi i capelli con le mani; no, non volevo crederci, perché? Perché poi proprio di un idiota del genere. Certo, un adorabile idiota…No, altro che adorabile, un deficiente. Mi sedetti sul pavimento, schiena contro il letto. Stavo ripensando a lui senza volerlo. Questa volta il cuore non voleva collaborare con la testa.

Solo una volta mi ero innamorata, come lo ero adesso. Provavo le stesse emozioni, ma ero felice perché la ragione ed i sentimenti andavano d’amore e d’accordo. Questa volta no, e non mi andava affatto bene. Jacob era un bambino, mi trattava male, sia perché gli andava, sia perché lo trattavo male io. Ma era anche un ottimo e fedele amico.

Ecco, lo volevo come amico, nelle mie migliori aspettative miglior amico. Non poteva essere diversamente! Cercai di immaginarmi noi due assieme e constatai che la cosa non poteva funzionare. E poi c’era Bella, quindi non c’era motivo di partorire queste idee. Invece di sentirmi meglio però mi sentii peggio. Per di più gelosa.

Va bene, avevo capito; un emissario del diavolo si era impadronito quella notte del mio corpo e mi stava facendo patire le pene dell’inferno.

“Esci da questo corpo!” gridai fuori di me, accoltellandomi ripetutamente con il cuscino.

“Hai bisogno di un prete o combini da sola?”

Mio padre, senza alcun problema, aveva aperto la porta della mia camera. Mi stava guardano con aria un po’ preoccupata. Tolsi il cuscino dalla testa e lo guardai indispettita.

“Cose da donne”

Il che era vero. Queste semplici parole bastavano per evitare di affrontare discorsi piuttosto “intimi” con mio padre. Non avevo mai capito il suo problema, ma evita tutti i problemi che riguardassero le ragazze come la peste affidando il compito a mamma, che era senza dubbio molto più portata. Lui diceva che “questi discorsi portavano a torture mentali che non poteva sopportare”, ma da tempo credevo che invece si vergognava a morte parlarne con me.

“Me ne tiro subito fuori allora” disse a mani alzate. “È risolvibile?”

“È tragico” sbuffai io. Lui mi guardò fisso negli occhi per alcuni secondi. Poi aggrottò le sopracciglia; stava forse cercando le parole più indicate per questo tipo di conversazione a lui sconosciuto?

“Oggi vai a La Push?” Passò però a tutt’altro argomento.

“Sì” risposi confusa e più tranquilla.

“Ho un brutto presentimento.”

Non era affatto una buona notizia; non erano molto frequenti i brutti presentimenti. Voleva dire che sarebbe successo qualcosa di brutto.

“È meglio se oggi resti a casa.”

Mi fu chiaro che molto probabilmente fosse dovuto ai tuffi che avremmo fatto; erano l’unica cosa di diverso dagli altri giorni. Era facile immaginarsi Bella scivolare e spaccarsi la testa. Oppure sarebbe successo qualcosa con Victoria. Oppure ancora sarebbe caduto un meteorite; non potevo dirlo con certezza. Però c’era un modo per scoprirlo; questa cosa dei buoni, brutti presentimenti funzionava in base alle decisioni delle persone ed erano sempre veri. Quindi se io, Bella e Jacob avessimo deciso di non tuffarci più dagli scogli, il brutto presentimento di papà sarebbe scomparso. Caso contrario, sarebbe successo qualcos’altro di poco piacevole.

“Credo invece di doverci andare. Credo di sapere cosa sia” dissi cercando da qualche parte la tuta. Guardai l’orologio; era un po’ tardi ed ero sicura che quei due mi stessero già aspettando. Oppure avevano già cominciato.

“Intendi dire con i tuffi?” Papà si fece scuro in volto. Andai alla ricerca di una maglietta.

“Già, devo andare a dirgli di non farlo” Chiusi la porta in faccia a papà per cambiarmi.

“Sta attenta però” Sentii la sua voce offuscata dalla porta “Potrebbe non essere quello…” Avevo capito che stava pensando a Victoria.

“Dì allora a mamma di tenermi d’occhio prima di andare all’ospedale” dissi mentre quasi mi inciampavo vestendomi alla velocità della luce.

“Certo. E non cadere” mi rispose, notando la mia imbranataggine. Io sbuffai, mentre prendevo casco, guanti e chiavi.

 

Sfrecciai sulla tangenziale 101 verso La Push. Mi diressi subito in spiaggia. Dovevo fare presto; il brutto presentimento di papà poteva avverarsi in qualsiasi momento. E se era quello che pensavo, dovevo fare in fretta. Mi diressi verso la zona di ieri, ma non c’era nessuno. Non avevo nessuna voglia di perlustrare tutta La Push. Pensai poi che la cosa più ovvia ed intelligente che potessi fare era andare a controllare gli scogli. Pioveva, faceva vento ed il mare era mosso; non sarebbe stato comunque il giorno migliore per far tuffi nell’oceano. C’erano alcuni scogli piuttosto bassi, non molto lontano da qui che circondavano uno strapiombo. Credevo di poterli trovare tutti e due lì. Corsi verso quella direzione.

Vidi Bella prima di averli raggiunto. Era sullo strapiombo più alto, mentre guardava giù. Continuai a correre, più sollevata che stesse bene. Se voleva però osservare le onde alte e minacciose avrebbe dovuto andare verso gli scogli più bassi, sarebbe potuta cadere.

Mi fermai di botto. Sbarrai gli occhi e smisi di respirare. Bella si era lanciata. Non era caduta, si era lanciata volontariamente da quello strapiombo altissimo. La vidi precipitare come un proiettile verso le onde ed infrangersi sugli scogli. Per venti secondi non capii più niente.

Abigail” mi voltai come un morto. Jacob camminava tranquillo verso di me; non aveva visto la scena. Cazzo, Abigail, fai qualcosa, muoviti, porca puttana! Dopo la voce della ragione si susseguirono in me sentimenti troppo forti per poterli reggere. In un millesimo di secondo tornai lucida. Cominciai a correre più veloce che potei verso Jacob.

Jacob!” urlai a squarciagola, roca ed esasperata. Lui si fermò per lo spavento, ma subito dopo cominciò a correre anche lui.

“Cosa c’è?” chiese impaurito.

“Bella si è butta dallo strapiombo” La mia voce non voleva smettere di essere roca e folle.

Se questo è uno scherzo…” cominciò Jacob serio.

“Ti sembra sia uno scherzo?!” urlai a denti stretti, arrabbiata, esacerbata, delusa.  

Non riuscii più a vederlo per le lacrime. Me li asciugai in fretta; vidi poi gettarsi dallo strapiombo anche lui. Collassai per terra. Mi misi le mani sugli occhi per nascondere il viso. Bella non sarebbe mai resistita a quelle onde, da quell’altezza. Avrà preso uno scoglio e… Nessun umano avrebbe potuto sopravvivere. Avevo visto Bella morire con i miei occhi. Diedi libero sfogo ai singhiozzi e alle lacrime. Perché Bella, perché lo avevi fatto? Non avevi capito niente di quello che ti avevo detto? Non lo capivi che sarebbe tornato?! Alzai il viso, ancora scossa dai singhiozzi e presi il cellulare. Non mi andava per nulla di farlo, non avevo né forze o voglie. Se non lo avessi fatto però avrei perso qualcun altro.

Abigail, cosa diamine è successo?” Mamma era furiosa.  

Mamma…” singhiozzai io.

“Arrivo subito, sta tranquilla, Abi” disse più dolce. Era esattamente quello che non avrebbe dovuto fare.

“No!” sbottai io. Feci un respiro profondo, sufficiente per poter parlare.

“Sto bene” Chiunque avrebbe capito che era una bugia.

Cosa ti hanno fatto?” ritornò a dire arrabbiata.

“I licantropi non c’entrano niente, mamma. Non venire qua a La Push, ti prego. Non voglio che ti facciano del male” E neppure che facesse del male a loro. Mia mamma riconobbe che non mentivo.

Cosa è successo?” chiese più comprensibile. Inghiottii di nuovo. 

“È successo qualcosa a Bella e mi sono spaventa-ta” mormorai tra i singhiozzi “Ti racconterò. Tu va via però.” Seguirono attimi di silenzio, durante i quali io approfittai per respirare malamente.

“Va bene, Abi, mi fido di te” mormorò quasi assente lei

“Certo” singhiozzai io. Riattaccai e continuai a piangere. Bella mi aveva distrutta. Io la odiavo; non aveva pensato a me? Jacob? Charlie? Era una stupida idiota, che odiavo.

Abigail, muoviti, è ancora viva!”

Alzai lo sguardo; Jacob stavo uscendo dall’acqua. Tra le braccia aveva il corpicino di Bella, immobile. In uno scatto mi alzai e corsi verso di loro, indecisa se andarla a salvare o ad ucciderla. Jacob la posò per terra, mentre io le balzai vicino. Il suo colorito blu incitò le lacrime a scendere e mi gettò nella disperazione; decisi allora di salvarla. Ripresi per pochi secondi lucidità.

“Sai fare la respirazione bocca a bocca?” chiesi seria e priva di emozioni a Jacob. Lui tremò, invece di scuotere la testa. Con entrambe le mani feci ripetutamente pressione sotto lo sterno, poi le chiusi il naso, aderii la mia bocca alla sua e soffiai dentro; sentii i polmoni gonfiarsi. Ripetei l’operazione per due volte. Jacob rimaneva immobile vicino a me. Quando cominciò a tossire e a sputare acqua, mi scansai. Jacob si animò subito.

“Forza, Bella, così! Respira!” disse, dandole forti pacche sulla schiena. Lui sembrava essere più tranquillo, ora che lei era viva. Io invece, ero più arrabbiata che mai.

Jacob, cosa è successo?” La voce di Sam attirò per un attimo la mia attenzione. Molto probabilmente aveva anche lui assistito alla scena da lontano.

“È caduta in acqua” rispose Jacob di nuovo teso. Sam mi diede uno sguardo rigido.

“Tutto bene?” mi fece titubante. Io annuii di malavoglia. Sam aiutò poi Jacob a far sputare tutta l’acqua che quella sciocca aveva bevuto. Io me ne stetti ancora immobile e distante.

“Tesoro, mi senti?” disse Jacob con un tono particolarmente dolce, per niente mieloso. Strinsi i pugni fino a che le nocche fossero diventate bianche.

“Da quanto tempo è svenuta?” chiese Sam.

“Da poco, credo” disse scostandole i capelli dalla faccia.

“Ha cominciato a respirare. Bisogna portarla al caldo. Non ha un bel colorito” commentò Sam “Ha qualcosa di rotto?”

“No” sbottai io, che avevo avuto tempo di controllare anche quello dopo la respirazione. L’attenzione su di me non durò molto.

Abi? Ja-jake?” mugugnò lei. Jacob si rifondò su di lei, come le api sul miele.

“Oh, Bells, è tutto ok?” continuò a parlare più tranquillo. Passarono alcuni minuti di silenzio prima che riprendesse a parlare.

“Go-la, bru-cia” biascicò lei.

Lui non perse tempo a prenderla in braccio con leggerezza. Jacob mi dava la schiena, ma dal suo immenso petto sbucò la testa di Bella. Aveva gli occhi aperti e fissava me. La ricambiai con uno sguardo severo che la fece raggelare. Mi spostai vicino a Jacob, in modo da non farmi vedere da lei.

“L’hai trovata?” chiese Sam. Mi ci volle un momento per capire che stavano parlando di Victoria.

“Sì, ci sono andato vicino. Tu torna all’ospedale, verrò più tardi. Grazie, Sam.” Sam fece un segno verso Jacob.

“Ciao, Abigail” disse invece a me, guardingo. Io lo salutai con una mano. Ero troppo arrabbiata per chiedergli cosa volesse dire con “ospedale”; era strano che un licantropo finisse in ospedale, rimarginavano le ferite molto velocemente. Jacob cominciò a correre lentamente, per portare Bella al caldo. Non feci fatica a seguire il passo. Stetti ancora zitta, aspettando che la rabbia mi avesse mangiata tutta.

“Come hai fatto a trovarmi?” mormorò lei.

“Ti stavo cercando, ma è stata Abigail a trovarti per prima” Sentii il suo sguardo verso di me. Io mi fermai di colpo.

Jacob, fammi scendere” rantolò ancora. Lui si fermò ancora sulla spiaggia.

Ma…”

“Fallo..” disse, scossa dai colpi di tosse. Io la guardai impietrita. Mi guardò negli occhi anche lei, mentre in piedi si reggeva a Jacob.

“Sei una stupida” incominciai decisa, ma non lasciavo ancora traspirare alcuna emozione. “Perché volevi ucciderti?” Ricominciai a vedere sfuocato.

“Io non mi volevo uccidere” mormorò roca Bella. Era troppo sincera per mentirmi; non le credetti lo stesso, mi fece solo incazzare di più.

Ma andiamo Bella! Non lo hai notato il tempo? Le onde? Gli scogli? L’altezza?!” urlai io. Mi avvicinai minacciosa a lei. Non volevo farle del male, ma Jacob ebbe la saggia idea di impedirmi di avvicinarmi con una mano.

“L’hai fatto per lui?! Sai che tornerà. Volevi ucciderti perché lui non c’è ve-vero?” Ormai non riuscivo più a parlare. Bella sembrava un fantasma; era stravolta e blu a causa della caduta e stremata per la mia arrabbiatura. Ora era Jacob a starsene zitto.

“No, non volevo uccidermi, credimi, Abi.”

Lo disse con una certa autorità, anche se spenta, che mi spinse a crederle davvero. Me lo aveva promesso, non voleva uccidersi. Io le volli credere, anche se non ci vedevo nessun’altro tipo di spiegazione. Mi asciugai le lacrime con le mani.

“Mi hai fatto morire dalla paura, sai? Ti ho vista mentre cadevi e…” non riuscii a terminare la frase.

“Mi dispiace” Ora stava singhiozzando anche lei. No, non ce la facevo ad odiarla, ora basta. Decisi di buttare tutto l’odio da parte, il che fu molto più facile di quanto pensassi. Mi fiondai su di lei e l’abbracciai forte.

“Ti racconterò il perché, lo prometto” mormorò, per non farsi sentire da Jacob. Io la strinsi ancora di più e mi spuntò anche un sorriso. Sentii Jacob sbuffare. Invece che essere io, alla fine era lui ad essere il terzo in comodo che assisteva ad un abbraccio di un appuntamento a due.

“Va bene, basta romanticismo.” Mi prese rude per la tuta e mi scostò da Bella, che riprese immediatamente in braccio.

“Tu sei una grande stupida” esclamò severo indicando Bella. Era arrabbiato anche lui, ma trattandosi di Bella era evidente che tratteneva gran parte della rabbia.

Mentre tu devi imparare a gestire le tue reazioni!” sbottò più violentemente verso di me. Io mi risentii.

“Ah, davvero?” commentai a braccia incrociate. Da che pulpito veniva la predica. Avrei voluto ribattere, ma una litigata in nostro stile non era adatta a quella particolare occasione. E visto che io ero una ragazza vaccinata e matura, mi sarei astenuta dalle cattiverie per quell’oggi. Sia verso Jacob, sia verso quella stupida di Bella. Non l’avrebbe passata liscia, anche se non ero più tanto infuriata con lei.

“L’a-avete trovata?” mormorò Bella dal braccio di Jacob.

“No, è fuggita in acqua. Sono tornato subito qui, per paura che mi precedesse. Passi troppo tempo da sola sulla spiaggia…”

Spalancai gli occhi. Bella era in mare, Victoria era in mare; non era affatto una bella cosa. Cosa sarebbe successo se io e Jacob non fossimo arrivati in tempo? Bella sarebbe morta comunque, ma non per le onde. La possibilità che Bella fosse andata dritta nelle fauci di Victoria per la cazzata che aveva fatto mi dava la nausea. Ero lì per arrabbiarmi di nuovo con lei e fu il solo pensiero che lei non poteva sicuramente saperlo che mi calmò un poco. Continuai a rimanere zitta fino a casa di Jacob. Per un po’ non ascoltai neppure quello che quei due si stavano dicendo.

Qu…qualcuno si è fatto male? Hai… hai detto ospedale…” rantolò Bella. Jacob sembrava a disagio.

“No. Emily mi ha detto che Harry Clearwater ha avuto un infarto” Non avevo la minima idea di chi fosse Harry, ma dalla reazione di Bella e dal tono di Jacob, sembrava qualcuno di importante.

“Cosa?!” sbottò rauca “E… Charlie?” Jacob si fece più cupo.

“È all’ospedale, con mio padre.” Capii che doveva trattarsi di un amico di famiglia. Cioè, un amico di entrambe le famiglie.

“Come sta?” mormorò triste Bella. Il silenzio di Jacob diceva male.

Aveva smesso di piovere, ma faceva ancora piuttosto freddo. Arrivammo a casa di Jacob e la temperatura si alzò. Non avevo mai visto l’interno della piccola casetta rossa. Era simile a quella di Emily; appena attraversata la porta c’era un piccolo salotto sulla sinistra e la cucina sulla destra. Jacob l’appoggiò sul divano.

“Stai qui, vado a prenderti qualcosa di asciutto” disse mentre si addentrava nel corridoio. Non ci mise molto a tornare.

“Ti staranno larghissimi, ma… non credo che mio padre nasconda vestiti da donna in camera sua. Io esco così tu…” Lo guardai per un secondo. Si imbarazzava a dire “io esco così tu ti puoi cambiare”?

“No, resta pure.”

Lasciò i vestiti vicino a lei, mentre Jacob sedeva sul pavimento, vicino a lei Anch’io mi sedetti sul pavimento vicino a Jacob; per lasciare il piccolo divano a Bella, non per altro. Anche se sentire il calore della sua pelle, mentre pioveva e fuori faceva freddo era come una tazza di cioccolata calda a Natale. Appoggiò la testa sul cuscino vicino a Bella.

“Mi riposo un attimo. Tu che fai, testolina?” Sentii la sua mano sfiorarmi la testa, mentre i suoi occhi neri mi osservavano da sotto le sopracciglia. Io deglutii.

“Credo che ti seguirò nel mondo dei sogni” dissi appoggiandomi al divano dietro di me.

“Andiamo, allora” declamò, con la mano ancora sopra la mia testa. Perché si stava comportando così con me? Non più con scherzo, ma… con gentilezza. La stessa che riserbava a Bella. Era davvero un bella sensazione. Jacob iniziò a russare quasi subito. Sghignazzai. Mi voltai; erano tutti e due nel mondo dei sogni. Io invece credevo che sarei rimasta qua. Non avevo voglia di dormire, non mi sentivo ancora abbastanza tranquilla. Non sapevo più a cosa pensare, né avevo voglia di farlo. Era stata una giornata esasperante. E poi scommettevo che mia madre si era presa uno spavento da record. Sbuffai.

Sentii qualcosa muoversi sotto i miei capelli. Mi voltai di scatto. Solo ora mi accorsi che Jacob aveva smesso di russare e mi guardava fisso. Bella invece stava ancora dormendo.

“Tutto bene?” chiese per una volta serio ed interessato. Ringraziai la sua parte matura che spuntava solo ogni tanto. Io annuii con il mio sorrisino sghembo, mentre la sua mano stava giocando con i miei ricci, facendomi il solletico.

“Sai correre davvero veloce. Quasi come me” constatò ironico.

“Tu mi sottovaluti”

“Magari sai anche spostare un’auto a mani nude” propose come alternativa. Davvero divertente.

“No, ma qualche volta mi piace bere sangue” stetti io al gioco. Ecco, non potevamo essere diversi. Smise di giocare con i capelli e tolse la mano. Ci rimasi un po’ male; mi diedi veloce un pizzicotto per aver provato quelle cose.

Cosa volevi dire prima? Con quello che hai detto a Bella?” Tanto bastò per distrarmi. Mi pentii subito di quello che avevo fatto. Dovevo starmene zitta. Jacob era troppo acuto per dimenticarsene. Adesso avrei dovuto spiegare, ma era impossibile. Oltre ad arrabbiarsi come un pazzo, lo avrei anche danneggiato da un punto di vista sentimentale, come se non bastasse. E poi Jacob non avrebbe capito nulla, finché la sua considerazione per i vampiri rimaneva quella che era.

“Lui tornerà” Poteva riassumersi in queste due parole tutto il concetto.

“Come fai ad esserne così sicura? Non puoi saperlo.” sussurrò arrabbiato, per non svegliare Bella vicino a noi, ma anche così incuteva un certo terrore “L’hai solo illusa. Perché mai allora se n’è andato, se l’amava? Non sai niente di questa storia”. Mi guardava con occhi seri che avevano un qualche cosa di pericoloso. Puff, la bomba era esplosa.

Perché allora tu sei sicuro che non tornerà? Anche tu non c’entri niente” risposi di rimando io, molto più tranquilla, perché sapevo come muovermi in questo argomento.

“Tu non hai mai conosciuto un vampiro, non puoi immaginare quello che provano. Fidati, tornerà” Mi girai verso di lui, lanciandogli uno sguardo di supplica, affinché mi credesse davvero. Lui non rispose, ma quello sguardo arrabbiato rimase. Mi alzai stiracchiandomi, mezza intorpidita, mentre uscivo da casa Black e da quella situazione, per ritornarmene a casa.

“Preparati ad una battaglia persa in partenza” mormorai. Già, perché quando Edward sarebbe tornato, non avrebbero potuto fare niente, Jacob ed il suo amore per Bella. In brevi passi arrivai alla porta ed uscii.

“Aspetta! Cosa vuoi dire con battaglia persa?” Anche lui era uscito ed ora poteva sfogarsi quanto gli pareva. Inclinai la testa e lo guardai intensamente.

“Le sbavi dietro, si vede da un chilometro” chiesa seria e decisa “Quanto ci tieni a lei?” Per un attimo si sorprese della mia domanda, ma si riscosse subito.

“Tanto” disse con una punta di esitazione che prima non c’era “Me ne sono davvero innamorato” Mi venne in mente una prospettiva da brivido, anche se non avrebbe dovuto esserlo per niente.

Imprinting?” Nel chiederlo fui stranamente titubante.

“No” E nel sentire dire questo stranamente sollevata. Lo diceva sinceramente, d’altronde. Feci un respiro.

“Lei non potrà mai ricambiarti, Jacob. Ama ancora immensamente Edward e lo ha appena dimostrato. In questo modo fai del male solo a te e a lei. Lui aggrottò le sopracciglia e mi guardò con aria di sfida.

“Se ti spiego come la penso, non so se capirai.

Il suo tono non mi piacque; aveva parlato con scherno, in un modo che mi dava della stupida a non capirlo subito. Era arrabbiato per quello che avevo detto, ingiustamente o no. Feci un respiro profondo e riunii tutto l’autocontrollo e la maturità in me.

“Mi sforzerò” affermai decisa. 

“Quello che deve cambiare non sono io, è lei. Forse conosci anche quando lui tornerà, Nostradamus?” insinuò lui. Parlandomi in tono di sfida.

“Non penso proprio. Per quanto ti riguarda anche tra cinquant’anni, no? E nel frattempo lei getterà via la sua vita nell’illusione. Rimasi zitta ed imperturbabile.

“Mi spiace, ma non glielo permetterò. Io ci provo. Se tu invece vuoi assistere allo spettacolo, fa pure. Io non me ne sto con le mani in mano.” Guardai in basso.

Se mi voleva fare sentire una stupida, c’era riuscito; questa volta aveva avuto anche ragione. Ero io la totale idiota della situazione. Non sapevo quando Edward sarebbe tornato, non avevo mai saputo niente della faccenda. Volevo far davvero sentire Bella un’illusa, senza che io me ne accorgessi. Non avrei dovuto farle quel discorso giorni fa. Mi sentivo una vera e propria rovina vita. Alzai lo sguardo con aria colpevole. Lui non accennò a cambiare espressione; me la meritavo tutta.

“Fa quello che puoi per farla felice. A quanto pare io lo sto facendo nel modo sbagliato”

Non dissi nient’altro. Mi diressi verso la moto e partii, senza aspettare reazione alcuna da Jacob. Aveva anche ricominciato a piovere. Mi veniva quasi da piangere; avevo fatto più male a Bella di quanto mi fossi aspettata. Non avevo neppure il diritto di odiarla. Jacob aveva ragione a provarci con lei. Non sapevo se Bella avrebbe mai ricambiato Jacob, ma glielo auguravo davvero. Sia Jacob, sia Bella sarebbero stati felici. E quando Edward sarebbe ritornato, bhè, l’unica cosa che avrebbe potuto fare era retro front e tanti saluti, via nel dimenticatoio! Se invece Edward sarebbe tornato prima che Bella lo avesse dimenticato, cosa a parer mio molto più probabile, si salvi chi può; sarebbe nato un triangolo di conseguenze enormi e gigantesche. Anzi, forse forse anche un rombo, se mi ci mettevo anch’io, cazzo! Sbuffai. In quel momento non avrei mai voluto che Edward se ne fosse andato. Tutto sarebbe stato più normale e tutti sarebbero stati più felici. Odiai per la prima volta una persona che non conoscevo e che non avevo mai visto in vita mia. Hai combinato davvero un gran casino, Cullen. E ti meriti tutte le conseguenze. 

 

 

 

 

 

Eh, eh! Allora, piaciuto questo ottavo capitolo? La situazione ormai si sta sviluppando e complicando….

Vorrei sottolineare una cosa importante. A partire da questo capitolo ci saranno dialoghi e situazioni ripresi dai tre libri e cambiati di poco. Per evitare un totale plagio ho cercato di cambiare la forma sintattica dei dialoghi, mantenendone inalterato il significato. Ci tengo comunque a specificare che la maggior parte di personaggi, le ambientazioni e parte della trama non è opera mia ma della scrittrice Stephenie Meyer.

Alla prossima! J

 

X mikkicullen: ih ih! Soddisfacente come seguito? J Sono ancora ed ancora e ancora contenta che ti siano piaciuto questi due capitoli, insieme a tutta la fanfiction! Ed il prossimo capitolo sarà ancora più movimentato XD. Al prossimo capitolo, allora!

 

 

 

 

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Capitolo 9
*** Nono Capitolo ***


olè9

 

Nono Capitolo

 

Arrivai a casa distrutta. Erano successe troppe cose ed ero completamente scombussolata. Non sapevo né come cosa pensare, né tanto meno come comportarmi, tra i tanti problemi che in sette ore erano comparsi. Avrei tanto voluto che il cervello fosse intercambiabile; te lo toglievi dalla testa quando volevi, niente più ti tormentava e stavi bene.

Entrai in salotto dalla porta che dava sul garage. Prima ancora di notare i suoi intensi occhi dorati fissarmi, sentii le fredde ed affusolate mani di mio padre che mi stringevano il viso.

“Come stai, Abi? Cosa è successo?” Nonostante lo sguardo in allerta la sua voce era piuttosto calma e ferma; di solito intuiva anche quando i suoi presentimenti si avveravano.

“Tua madre è impazzita” Ah, ecco; ci mancava solo questa.

“Poteva, ma non è successo ni…”

Mi bloccai, mentre davo una rapida occhiata al salotto. Non eravamo soli. C’era un uomo appoggiato sul divano. Aveva la testa girata, non riuscivo a vederlo bene. Mio padre continuò a fissarmi ancora per un po’, cercando di intuire dalla mia espressione che non gli mentiva mai se stavo realmente bene. Il suo viso si rilassò; staccò le mani dal mio viso e mi pose una mano dietro la schiena, voltandomi verso l’uomo appoggiato al divano.

“Voglio presentarti una persona.”

La persona in questione si voltò verso di noi. O. Mio. Dio. Era un vampiro, era biondo, era vegetariano. Era incredibilmente bello. I suoi occhi dorati mi stavano studiando con un certo stupore; di certo papà gli aveva raccontato chi fossi. Era il primo vampiro che vedevo oltre i miei genitori e mi ero completamente dimenticata di quanto potessero essere realmente belli. Le labbra mi si paralizzarono sul viso in un sorriso. Capii subito di chi si trattasse; erano pochi i vampiri vegetariani in circolazione che conoscevano mio padre.

Carlisle Cullen?” mi schiarii subito la gola; il mio tono era eccessivamente mieloso. Il vampiro davanti a me sorrise. Cavolo, che sorriso…

“Vedo che sai chi sono, come io so chi sei tu” Mi porse la mano con cautela. Io gliela strinsi forte. E che voce!

Improvvisamente tornai in me. Aspetta, Cullen, parente di Edward Cullen. Cos’era venuto a fare qua Carlisle Cullen? Semplice visita di cortesia? In ritardo, visto che erano passati parecchi secoli da quando mio padre non lo vedeva. E poi, come faceva a sapere che gli Adams abitavano a Forks? Qua la cosa puzzava davvero.

“Tua figlia è bellissima” disse rivoltò a mio padre. Le mie labbra si paralizzarono in un nuovo sorriso.

“Ho sentito dire che anche tu adesso hai una famiglia” rispose mio padre con lo stesso sorriso.

Qualcosa mi spinse a girarmi violentemente. Ora era mia madre che mi teneva il viso. Aveva gli occhi sbarrati dallo spavento.

“Cos’è successo, Abi? Tu stai bene? Quando mi hai telefonato avevi una voce isterica e piangevi…” Papà aveva ragione, sembrava impazzita.

“Non credevo che…” mormorò confuso. Ora si stava preoccupando anche papà, oltre a fare una scenata davanti a qualcuno.

“No, papà….” dissi convinta, prendendo con forza il viso di mamma e costringendola a guardarmi.

“È lei che fa la tragica…” dissi guardandola negli occhi e sfoderando il sorriso sghembo “Sto bene adesso” Lei si rilassò solo un poco.

Cosa è successo a Bella?” continuò a domandarmi tesa, ignorando completamente il nuovo ospite. Dedussi che erano avvenute già le presentazioni anche per lei.

“L’ho vista cadere da uno scoglio e mi sono spaventata da morire” riassunsi in breve “Adesso però sta bene”

“Lei è ancora viva?” Il tono che usò Carlisle attirò l’attenzione di tutti su di lui. Era sorpreso come… come se si aspettasse che Bella fosse morta. Come se sapesse già in anticipo quello che era successo.

“Tu conosci Isabella Swan?” mi chiese con una certa curiosità. I miei genitori si lanciarono strane occhiate, di cui Carlisle si accorse di sicuro.

“Già, e non solo. È diventata piuttosto famosa.” Lo guardai in modo piuttosto eloquente, porgendo particolare attenzione a quel “e non solo”, per fargli intendere che tutta la famiglia Adams era a conoscenza della sua situazione.

“Ah…” mormorò, avendo capito cosa intendessi dire, guardando in modo strano mio padre.

“Chi è l’altro vampiro?” se ne uscì mio madre improvvisamente. Ce n’era un altro?!

“È mia figlia Alice. Possiede l’abilità di prevedere il futuro e ha visto Isabella gettarsi da uno scoglio. Pensavamo fosse morta. Mi ha chiesto di accompagnarla qua a Forks, per rassicurarvi sulla sua presenza.

Ma come sapete che noi abitiamo qui?” sbottai, forse troppo invadente. Voltò paziente lo sguardo verso di me. Sempre con quel sorriso…

“L’ospedale di Forks mi ha inviato il curriculum del mio sostituto. Niente di soprannaturale.”

“Credo che abbiamo tante cose di cui parlare” si intromise mio padre dopo un secondo di silenzio, mettendo una mano sulla spalla di Carlisle in segno di amicizia.

“A quanto pare sì” rispose quest’ultimo in tono cordiale.

Si era creata un’atmosfera piuttosto tranquilla, dopo un breve intervallo di dubbi ed incertezze. Quella stessa atmosfera venne rotta da qualcosa. Un rumore, dal mio stomaco. Avevo fame, e tanta anche. Non avevo pranzato, il che era grave. Per lo spavento di quella mattina mi si era chiuso lo stomaco e si era riaperto solo ora. Tre vampiri mi stavano guardando con un sorrisino appena accennato.

“Ehm…” mormorai rivolta verso Carlisle “Probabilmente ho fame… capita… tre volte al giorno… come minimo… in una media di cinque volte…” Il suo sorriso divertito ora si era allargato. Mio padre invece mi stava guardando come una pazza. Non mi girai per vedere anche l’espressione di mia madre vicino di me. Io invece divenni più rossa. Che cavolo di figura…

“Vado… a mangiare…” abbassai violentemente la testa. Solo che invece di andare in cucina, mi diressi in camera mia.

“La cucina è di là” fece mia madre. Mi voltai verso di lei, ancora più imbarazzata. Mi stava guardando come se fossi un maiale blu.

“Mi vado a fare un bagno prima” cercai di dirlo il più naturalmente possibile, per non sembrare più stupida di quanto avevo già dimostrato di essere. Salii immediatamente le scale che portavano in camera mia. Che figura! Che figura! Cosa diamine mi era mai preso?! Sarà stata sicuramente la stanchezza, Abi, sarà stata sicuramente quella…

Riempii l’acqua fino all’orlo, ci buttai il bagnoschiuma e mi ci buttai dentro. Quella del bagno era stata davvero una bella idea. Cercai di stare in silenzio per ascoltare le voci dal salotto, ma ovviamente non sentii niente. Ero piuttosto curiosa di conoscere l’argomento della conversazione. In realtà ero curiosa di conoscere cosa dicesse Carlisle; volevo sapere qualcosa di più su questi Cullen, di Edward in particolare e del vampiro che in quel momento si trovava da Bella. Chissà poi come stava; l’avevo lasciata a casa di Jacob; non credevo fosse ancora là.

Mi tirai fuori dalla vasca e mi asciugai veloce; volevo andare da Bella al più presto, anche se l’ora non era delle migliori. Non credevo poi che Charlie fosse a casa; forse era ancora all’ospedale per quel suo amico. Quindi in teoria non avrei disturbato nessuno. Mi vestii con un minimo di decenza, che andava del tutto a farsi benedire quando non c’erano ospiti a casa. Ritornai quindi in salotto. Prima di entrare sentii pronunciare il mio nome, mentre si stavano spegnendo melodiose risa. Sembrava un coro di angeli.

“Non si dovrebbe sparlare delle persone alle loro spalle” dissi entrando in salotto. Trovai mia madre, mio padre e Carlisle seduti sui divani, che davano un tocco di umanità all’ambiente.

“Stavamo raccontando a Carlisle la nostra storia” mi rispose mio padre allegro.

“La storia della famiglia Adams. Turututù” Schioccai due volte le dita, continuando a camminare.

“Non è sempre così” rassicurò mamma Carlisle. Mi fermai per un attimo sulla soglia della porta.

“Solo quando dormo” risposi entrando. Sentii dolci risate trattenute provenire dal salotto.

Ero intenzionata a farmi da mangiare da sola, sfoderando almeno per una volta la mia abilità nella preparazione della frittata, ma mamma mi aveva già preceduto ed ecco un piattone di spaghetti all’italiana con tanto pomodoro e formaggio. Mi venne l’acquolina in bocca sentendone l’odore. Mangiai tutto e con gusto. Dopo fui così piena che rischiai di non riuscire più ad alzarmi. Mi venne per un attimo il desiderio starmene a casa e partecipare alla conversazione iniziata dai tre vampiri nel salotto, per cercare di scoprire qualcosa di interessante. Bella però era la priorità al momento, quindi non mi feci troppi problemi. Presi casco, guanti, chiavi che avevo lasciato in cucina e dopo aver sparecchiato entrai in salotto.

“Io vado da Bella a vedere come sta”

Fa attenzione. Si sta facendo buio” fece mia madre preoccupata.

“Ci sarà anche Alice, mia figlia” aggiunse Carlisle, in una sorta di avvertimento. Io gli alzai il pollice in risposta. Dissi un “ciao” convinto e uscii dopo aver ricevuto risposta.

Ci impiegai tre minuti per arrivare a casa Swan. Una Mercedes mai vista parcheggiata poco lontano mi suggerii che fosse dei Cullen; me lo suggeriva più la marca dell’auto, che la presenza dell’auto stessa. Cercai di fare meno rumore possibile quando parcheggiai vicino al garage, ma Bella si accorse di me lo stesso, visto che aprì la porta di casa prima che io suonassi il campanello. Mi accolse con un grande sorriso.

“Ciao” mi disse particolarmente allegra. Forse un po’ troppo; era davvero euforica.

“Ciao. Come stai?” le chiesi entrando.

“Mi fa tremendamente male la gola” disse con voce roca, come se lo avesse fatto apposta. Entrata mi guardai intorno; della vampira non c’era traccia. Nel salotto però si intravedeva un letto improvvisato ed il rumore della TV accesa.

“Ti sta bene. Te lo meriti tutto” le dissi con autorità e con un sorriso, per farle capire che non ero più realmente arrabbiata.

“Hai ragione” ammise lei.

Dov’è…” pensai per un attimo al suo nome “…Alice?” Lei corrugò per un attimo le sopracciglia.

“Te l’ha detto Carlisle? L’hai conosciuto?” Guardai trasognata un punto indistinto sulla parete.

“Già…” sussurrai assente. 

“Chi sei tu?” Una voce sconosciuta mi fece sobbalzare. Presi anche una certa paura; sembrava una di quelle vocette strane dei film dell’orrore, solo più dolce, il che aumentava l’effetto. Mi girai verso Bella. Vicino a lei c’era un piccolo folletto. Se non avessi saputo che era un vampiro l’avrei scambiata con un elfo di Babbo Natale. I grandi occhi dorati accesi, che facevano un bellissimo effetto con i corti e lucidi capelli neri, mi guardavano incuriositi.

“Tu sei Alice” dedussi io ad alta voce. Lei si fece sospettosa.

“Come lo sai?” chiese seria. Spalancando occhi e bocca si voltò verso Bella “Bella, non avrai mica detto a qualcuno che…”

“No, Bella non mi ha detto niente” la interruppi, prima che facesse un’inutile lavata di capo a Bella.

“Non glielo hai detto?” chiesi a Bella. Lei alzando gli occhi al cielo scosse la testa.

“Dirmi cosa? E tu chi sei?” esclamò stizzita. Fece un passo verso di me, mentre notai una scintilla di pericolo nei suoi occhi. Io non indietreggiai, anzi, pensai che fosse un po’ buffa, essendo persino più bassa di me. Alla piccoletta non piaceva che ci fossero cose che non sapeva. Pensai ad un modo per dirglielo.

“Ehm… hai presente i due vampiri di Forks?” Lei annuì, rimanendo ancora seria “Sono i miei genitori” Non cambiò assolutamente espressione; anzi, si arrabbiò ancora di più. Non voleva crederci.

“È vero” mi appoggiò Bella. Alice spalancò leggermente gli occhi, stupita.

“È una storia lunga da raccontare…” mi giustificai io.   

“C’era anche lei nella visione” mormorò a Bella, pensierosa. Lei le sorrise.

“È una cara amica.”

“Ah…già, sai vedere nel futuro!” esclamai io d’un tratto ricordarmene “Che figata

“No, riesco a prevedere le decisioni prese. Il futuro che vedo io è molto impreciso.” Se ne uscì lei in fretta. “Questo però spiega molte cose. Te l’ha detto allora Carlisle chi sono” affermò di nuovo sospettosa.

“Sì. Mi ha detto anche perché siete venuti qua, della visione del salto dallo scoglio e tutto il resto…” tagliai corto sciolta e sincera. Lei aggrottò le sopracciglia.

“Quanto sa di Edward?” chiese sospettosa verso Bella.

“Le ho detto tutto” Anche Bella fu sciolta. L’unica tesa in questo momento era Alice. Tornò a guardare me.

“Io però non ho ancora capito chi sei” mi domandò confusa.

Decisi che la cosa migliore da fare era raccontare la mia storia. Mi sedetti sul divano letto e le raccontai a grandi linee quello che già avevo detto a Bella una volta. Saltai alcuni passaggi e fui davvero molto sintetica. Lei però riuscì a cogliere il succo del discorso.

“Oh…!” esclamò sorpresa. “Il tuo è un caso piuttosto raro. Unico, direi” dedusse con calma e guardandomi interessata. Ora si era calmata e sembrava fidarsi più di me. Il suo sguardo affascinato mi diede un po’ di fastidio, ma scomparve quasi subito dal suo viso appuntito.

“Da quanto tempo siete amiche?” chiese curiosa, sedendosi anche lei sul divano ed abbracciando Bella, tra me e lei.

“Da pochi mesi…”

“Ah” esclamò lei sorpresa, guardandoci una ad una.

Mi caddero le braccia. Pochi mesi; com’era possibile che tutti questi casini si potessero concentrare in pochi mesi? Vidi Bella stringersi ancora di più ad Alice, come se avesse paura che le potesse sfuggire. Bella, oltre al pericolo, era terribilmente affezionata ai vampiri vegetariani, a quanto pareva.

“Lo sa Edward che sei qua?” mormorò Bella all’improvviso. Mi stupii ancora una volta della scioglievolezza con cui aveva imparato a dire improvvisamente quel nome. La visita di Alice aveva avuto un effetto immediato sul suo stato emotivo.

“No, non vive più con noi” replicò Alice con voce strana, un po’ smorta.

Mmhh…” si limitò a mormorare lei. “Da dove vieni? Hai parlato di aereo poco fa, no?” continuò cambiando argomento.

“Vengo da Denali; sono stata dalla famiglia di Tanya

“Una famiglia di vampiri?” m’intromisi curiosa io.

“Sì, vegetariani” concordò Alice. Aguzzai gli occhi; c’erano altri vampiri vegetariani oltre ai Cullen e papà non mi aveva mai detto niente?! Ahh

“Non ne sapevo niente di altri vampiri vegetariani” mormorai un po’ acida, senza farlo apposta.

Carlisle mi ha raccontato a grandi linee chi fosse William Adams, ma non credo che sappia della loro esistenza” mi spiegò Alice. Ed era meglio che fosse stato così per lui; basta segreti e cose che non sapevo.

“A Charlie andrà bene se starò qui per questa notte?” chiese a Bella, cambiando di nuovo argomento.

“Sono sicura che non ci saranno problemi” rispose sicura Bella.

“Non dovremmo aspettare molto per chiederglielo.

Sentii il rumore delle ruote sull’asfalto ed un motore spegnersi. Bella balzò in piedi e si diresse ad aprire la porta. La vidi abbracciare Charlie, che aveva davvero un aspetto tremendo, con tanto di occhi lucidi.

“Mi dispiace tanto” mormorò lei. Guardavo la scena e mi sentii totalmente di troppo. Charlie borbottò qualcosa che non riuscii a decifrare.

“Sue?” chiese Bella.

“Non se ne rende ancora conto. Sam è con lei” sospirò e la sua voce diventò troppo lieve. Era evidente che questo amico, Harry, mi sembrava, non ce l’avesse fatta. Mi vergognai immensamente di essere lì. Ancora abbracciati si avvicinarono verso la porta. Prima di vedere Alice, Charlie vide me. Mi sembrò giusto avvicinarmi, timida. Gli porsi la mano.

“Mi dispiace tanto, Charlie” dissi imbarazzata. Lui mi sorrise ed abbracciò anche me. Ricambiai con vigore.

“Sei davvero una brava ragazza, Abigail” mi disse dopo aver sciolto l’abbraccio. Non capii cosa potesse c’entrare questo, ma non osai discutere.

“Papà?” Bella attirò la sua attenzione e subito dopo sbucò Alice.

“Buonasera, Charlie. Non sono arrivata al momento giusto, mi dispiace” disse esitante.

“Alice Cullen? Sei tu?” Charlie le lanciò un’occhiata sorpreso.

“Mi trovavo da questo parti” si giustificò lei.

“E Carlisle?” chiese mentre stringeva la spalla di Bella.

“È da mio zio. Erano colleghi un tempo, si conoscono” subentrai improvvisamente io. Alice mi lanciò uno sguardo d’intesa.

“Può dormire da noi? Gliel’ho già chiesto” chiese subito Bella a Charlie, facendogli anche mezzi occhi dolci.

“Sicuro” rispose lui convinto. Sembrava che Alice fosse davvero simpatica a Charlie.

“Grazie ancora. So che non dovrei essere qui in questo momento.

“Figurati. Sarò impegnato a dare sostegno alla famiglia Clearwater; mi piacerebbe che ci fossi tu a far compagnia a Bella” Si rivolse poi anche a me.

Ed ovviamente sei invitata anche tu, Abigail” Più che ad un invito sembrava un ordine.

“Se rispondo di no mi multa per oltraggio a pubblico ufficiale?”

“Proprio così” disse, riuscendo a estorcergli un sorriso.

“Non ho scelta, allora” mi arresi a mani alzate.

“La tua cena è pronta, papà” disse Bella, cordiale.

“Ti ringrazio” le rispose Charlie, dopo averla abbracciata per un’ultima volta, mentre andava in cucina.

Ci andammo a sedere tutte e tre sul divano. Mandai velocemente un messaggio a mamma, per avvertirla. Ovviamente si preoccupò perché non avevo né pigiama, né dentifricio. Bastò farle ricordare in che condizioni dormivo a San Lucas per convincerla che quel divano era un albergo a cinque stelle.

Mi misi comoda sul divano per partecipare alla conversazione iniziata da Alice e Bella, ma forse mi misi troppo comoda. Ascoltai senza attenzione quello che dicevano. Il più delle cose non riuscivo neppure a capirle, riferite a persone o a eventi che non conoscevo. E l’avere le palpebre pesanti non aiutava affatto. Finii quindi ben presto con l’addormentarmi.

 

Furono delle voci a svegliarmi il giorno dopo. Mi ci vollero un po’ di secondi per capire chi fossero. La voce rauca e dura doveva essere di Charlie, l’altra non poteva non essere di Alice. Mi mossi cercando una posizione più comoda. Alla fine ero caduta dal divano ed ero distesa sul pavimento. Sentivo i sospiri di Bella vicino a me, oltre ad un profumo di pane caldo.

“Ho chiesto a sua madre di riportarla a Phoenix. Se fosse crollata ed avesse avuto bisogno di cure serie, avrei preferito che ci fosse stata sua madre a sostenerla. Era la voce di Charlie. La curiosità dell’argomento mi costrinse ad origliare; stavano parlando di Bella.

“Glielo dissi, ma… esplose! Non avevo mai sospettato che potesse reagire in quel modo. Era una furia incontrollabile. Lanciava in aria tutto quello che le capitava sottomano, urlava, piangeva. A quel punto non me la sentii di mandarla via. Ci furono poi dei piccoli miglioramenti, ma…” sembrò esitare.

Ma?” lo incoraggiò Alice.

Ma sembrava assente. Mangiava, dormiva, faceva i compiti, parlava se interpellata, ma… sembrava non provare più niente. Sembrava che non gli andasse più niente. Non ascoltava più musica, né leggeva. Capii che voleva tenersi lontana da tutto quello che le faceva venire in mente lui. Non parlavamo; avevo paura che sarebbe diventata furibonda un’altra volta. Era troppo suscettibile ed intollerante. Stava sempre da sola, non aveva più una vita sociale e anche le sue amiche finirono per smettere di frequentarla.

Smisi per un attimo di ascoltare. Questa era la verità, questa era la manifestazione di quel dolore che intravedevo soltanto appena. Era stato davvero devastante. Mi dispiaceva per quello che Bella aveva patito e temporaneamente ero arrabbiata con Edward; non sapevo se la sua paura potesse essere stata abbastanza per giustificare questo. Mi rallegrai al pensiero che non fosse più così, che fosse più allegra. Con me esprimeva veramente dei sentimenti, non era un automa. Adesso era più felice.

“Però adesso sta meglio” La squillante voce di Alice fu tanto melodiosa da attirare di nuovo l’attenzione.

“Sì, da quando ha cominciato a frequentare Jacob Black. È più serena. Parla di più, ha ricominciato a rivedersi con le amiche, ha di nuovo degli hobby. Respirò pesantemente.

“Lui ha un anno meno di lei; all’inizio erano amici, ma sono talmente legati che ora non si tratta più di sola amicizia, credo. Charlie aveva cominciato a parlare in un tono strano, quasi di sfida.

Nonostante l’età che ha è un ragazzo molto maturo; ha affrontato con serietà i problemi fisici di suo padre. Inoltre è un bel ragazzo; ha preso tutto dalla mamma. È perfetto per lei.” Charlie continuava ancora con quel tono strano.

Quindi è stato merito suo” precisò Alice.

“Non lo so…” sospirò CharlieDa quando vede Jacob… c’era ancora qualcosa nei suoi occhi che mi inquietava. Devo ammettere che non ho mai capito appieno quanto soffrisse. Era strano, Alice. Sembrava… un morto”

Un morto; Charlie aveva azzeccato finalmente la parola. Bella era diventata un morto. Questa parola poteva riassumere tutto quello che Bella era stata e che si sentiva tuttora, credevo. Oh bhè, speravo tanto che Edward avesse sofferto lo stesso, e che si fosse fatto tanti, ma tanti sensi di colpa.

Finché non è spuntata dal nulla quella strana ragazza, Abigail” continuò Charlie, cambiando di nuovo tono, diventando più sollevato. Le mie orecchie si drizzarono ancora di più.

“Ha avuto uno straordinario effetto su di Bella. Non ho idea di come ci sia riuscita.” Ebbi improvvisamente caldo sotto le coperte.

“Non conosco né lei, né la sua famiglia, ma è una ragazza simpatica, ironica e anche molto responsabile. Bella è stata attratta subito da quella ragazza; quando esce, è quasi sempre con lei.” Fece un respiro pesante.

“Certo, mi preoccupa anche lei. Insieme fanno cose abbastanza… pericolose. Per esempio sono andate a fare bungee jumping. Bella non è mai stata incline al pericolo. Di certo, quella ragazzina l’ha cambiata.

“In meglio, a quanto pare” lo incoraggiò Alice. Charlie era diventato entusiasta.

“Certo! Bella si è ripresa quasi del tutto. Adesso sorride, persino, esprime emozioni. È tornata ad essere serena.”

Charlie credeva che fossi un guru dell’amicizia e dei sorrisi; mi dava fin troppo importanza. In realtà avevo fatto così poco, se solo lo avesse saputo. Chissà se era così anche per Bella. In ogni caso mi imbarazzai del discorso fatto ad Alice, ma soprattutto dei paroloni che non mi si addicevano affatto. Nonostante il caldo mi seppellii ancora di più sotto le coperte.

“È sempre stata testarda. È difficile che cambi idea. Credo che Abigail sia stata la prima persona che ci sia riuscita. Hanno davvero una strano feeling insieme.”

Ora mi credeva una specie di alchimista con superpoteri. Certo, avevo cambiato la vita di Bella, ma l’avrebbe potuto fare anche da sola, se solo avesse capito ed avesse avuto fiducia. Il che però risultava davvero difficile. Ero sicura però che prima o poi l’avrebbe capito, io avevo solo accelerato i tempi. Prima della totale depressione. Possibile che io avevo fatto davvero così tanto e non me n’era neppure accorta?

“Bella è davvero un fenomeno” rispose dura Alice.

Inoltre, Alice… Bella è felicissima di vederti, e lo sono anch’io. Ma… ho paura di quello che potrà succedere dopo” fece Charlie con voce preoccupata.

“Hai ragione Charlie. Non sarei venuta, se non avessi supposto che fosse successo qualcosa. Perdonami”       

“Non scusarti. Magari continuerà a stare bene. C’è sempre Abigail con lei. E poi c’è Jacob” Oh… credevo di aver capito perché per Charlie io fossi importante quanto Jacob. Aveva notato netti miglioramenti da quando c’ero io. Ma a quanto avevo capito l’intervento di Jacob era stato essenziale. Un po’ come per un malato che sviene, Jacob era il pronto soccorso, mentre io il medico che aveva eseguito la diagnosi. Un efficace gioco di squadra, né più, né meno.

“Spero che sia così” mormorò Alice. In quel momento di silenzio sentii chiare le forchette grattare sul fondo del piatto. Un momento, i vampiri non mangiano. Ero curiosa di vedere cosa stava facendo Alice in merito.

“Vorrei chiederti una cosa, Alice” Charlie si rifece serio e teso.

“Dimmi pure”

“Lui non verrà a trovarla, vero?” No, non era solo teso e serio, ma anche arrabbiato.

“Non sa che sono qui. L’ultima volta che l’ho visto era in America Latina” rispose Alice confortante. Charlie sbuffò.

“Gli auguro di divertirsi”

“Non ci giurerei, Charlie” insinuò con una certa insistenza Alice. Seguì poi il fastidioso rumore prodotto da una sedia che si stava spostando ed il sciacquio dell’acqua. La conversazione era chiusa. E per quanto pacifica non era stata delle migliori. Sentii qualcosa muoversi anche alla mia destra, sul divano letto. Bella si stava svegliando. Strano, proprio quando questo genere di conversazione era finita. Prima che si alzasse mi avventurai sotto le sue coperte e le fui addosso.

Abigail, che fai?” protestò lei giustamente infastidita.

“Quanto hai sentito?” gli sussurrai piano in un orecchio. Lei si immobilizzò e non rispose.

“Spiona” mormorai ancora.  

“Buongiorno, Bella!” urlai togliendo bruscamente le coperte da dosso e le strapazzai i capelli senza scrupoli, mentre lei calciava e si dimenava invano. Finita la tortura balzai fuori dal letto.

“Ti detesto, Abigail. Sei orribile” farfugliò lei da sotto i capelli.

Anch’io ti voglio bene” risposi melensa a quelle dolci parole.

Che cosa diamine le hai fatto?” Alice era spuntata dalla cucina ed era indecisa se rimanere seria o no. Charlie invece non pose resistenza.

Cosa faremo senza di te, Abigail” esclamò ancora sorridendo.

“Staremo tutti meglio?” propose Bella, mentre aiutata da Alice cercava di disfare i nodi che le avevo procurato.

Ben presto Charlie uscì, dicendo che avrebbe dovuto dare una mano alla famiglia di Harry per il funerale. Non sapevo per quanto tempo si sarebbe trattenuta Alice, ma Charlie aveva ragione; la sua visita avrebbe avuto delle conseguenze. Lo vedevo bene da come si comportava con lei. Bella le stringeva sempre la mano, oppure doveva stare in stretto contatto con lei, come per convincersi che fosse realmente lì o che non scappasse.

Per tutta la mattina Alice parlò della sua famiglia; il che mi interessò molto. Mi fece una piccola introduzione, che mi servì molto a capire chi erano i Cullen. Era una famiglia piuttosto numerosa, quattro vampiri e tre vampire, che si fingevano fratelli adottati per giustificare l’età. C’era però un forte rapporto tra loro, quindi non si facevano problemi a considerarsi davvero fratelli e sia Carlisle sia… la sua compagna di cui non mi ricordavo già il nome li consideravano davvero come figli.

Iniziò poi a parlare di ciascun membro della famiglia e mi persi completamente, riuscendo a capire che Carlisle lavorava all’ospedale di Itacha e teneva alcune ore alla Cornell University; dall’altra parte dello stato, quindi. Ciò che mi rimase più impresso era che attualmente in teoria vivevano tutti ad Itacha, ma in pratica ognuno era disperso per il mondo; chi era andato in luna di miele, chi era rimasto là, chi era andato in giro per lo stato. Chi era andato a prendere il sole in America Latina. Mi venne un terribile mal di testa. Ero l’unica persona in questo mondo ad essere allergica all’aspirina, quindi chiesi se per piacere potessi andare a casa a farmi una doccia calda.

“Poi però torni?” mi supplicò Bella. Cos’era, adesso ero diventata la sua aria? Feci finta di pensarci per un secondo, così, tanto perché mi divertivo farla soffrire in quel modo giocoso.

Tornai a casa, ma trovai solo mamma; Carlisle e papà erano andati a caccia a Goat Rocks, non molto lontano da qua. Mi andai a fare un lungo e rilassante bagno caldo. Il mal di testa passò quasi subito ed anche il mal di schiena per aver dormito sul pavimento. Mamma mi lasciò andare a dormire una seconda volta da Bella; era davvero felice che la mia vita sociale lì a Forks fosse migliore di quella a Chicago. Era ora di pranzo; decisi quindi di pranzare a casa, evitando a Bella di sprecare ulteriormente la cucina per me.

“C’è anche la vampira da Bella? Alice?” mi chiese mamma, seduta davanti a me, mentre mi guardava mangiare. Papà non era ancora tornato.

“Sì. È simpatica. Bella le è davvero affezionata.” Mamma incrociò le gambe e mi guardò con un timido sorriso.

“Sono i primi vampiri che vedi oltre a noi…” esclamò come se si trattasse del mio primo giorno di scuola. Alzai la testa al cielo.

“Doveva succedere prima o poi” risposi seria. Mia madre non rispose.

Carlisle invece? Si tratterrà per molto?” Non so che strani suoni fossero usciti dalla mia bocca piena di bistecca.

“È venuto per accompagnare Alice, quindi dipende da quanto si tratterrà lei. E cioè dipendeva da Bella e dalla sua capacità di convincere le persone supplicandole.

“Di cosa avete parlato?” continuai curiosa. Mia madre assunse un tono annoiato.

“Di noi. E dei Cullen” Quindi niente di più di quello che già sapevo io, grazie ad Alice. “E dei licantropi. Ci ha raccontato quello che Carlisle sa al proposito. Non è molto diverso da quello che sappiamo già noi” Mi guardò irrequieta “Poi abbiamo parlato di Victoria. Ci ha raccontato nei dettagli la faccenda. È preoccupato anche lui. Non ne sapeva niente del suo ritorno.” Tacque per un paio di secondi, pensierosa e mi lanciò poi un’occhiata strana.

“A proposito, come vanno le cose a La Push?”

“La macchina sta andando alla grande. Il licantropo che mi aiuta, Jacob, è davvero in gamba”

“Io mi riferivo ad altro” mi chiese con un sorriso malizioso. Io sapevo cosa si riferiva quel sorriso malizioso. “Hai legato tanto con loro?” Io la guardai di sottecchi.

“Mamma, non dovresti incitarmi al soprannaturale” suggerii io.

“Il mio non era in incitamento, era una semplice domanda” rispose lei, ancora maliziosa. Mi alzai con calma e difficoltà per la bistecca di proporzioni enormi che avevo appena mangiato. 

“Sono tutti degli stupidi adolescenti pompati. Sono tutti troppo immaturi” risposi secca poggiando il piatto vuoto nel lavello.

Che ti prende?” rispose con lo stesso tono lei. Mi voltai quasi isterica. Non ero ancora pronta di parlargli di Jacob. Dovevo ringraziare i vampiri per avermelo fatto dimenticare per un po’.

“Niente. Sono solo stanca, vado a dormire un po’” dissi uscendo dalla cucina. Ovviamente mia madre non se la bevve, ma fu abbastanza per impedirle di chiedermi spiegazioni e farle germogliare il seme del dubbio. Sarà ovviamente venuto il momento delle spiegazioni; ed io le volevo dare davvero. Non in quel momento, era troppo presto. Dovevo prima pensarci per conto mio, quando ne avrei avuto voglia.

“Tuo padre mi ha detto che ieri mattina ti sei messa ad urlare come un’assatanata dicendo che avevi dei problemi da donna.” Mia madre comparì di nuovo in salotto. Io mi voltai verso di lei. Ovvio, aveva capito tutto. Cosa mi aspettavo?  

“È vero, ma non mi va di parlarne ora” risposi sincera e franca.

“Va bene, sai come trovarmi, se mai avessi voglia di parlarne” disse lei osservandomi per un attimo negli occhi.

Mi girai per dirigermi finalmente in camera mia. Mi buttai a pancia in giù sul letto, lasciando le tende aperte. Forse avrei fatto meglio ad andare a La Push per la macchina, magari Jacob era disponibile a mettere su quei dannattissimi pezzi. Ma era meglio che se ne andasse a riposare un po’ anche lui. E poi non mi andava di vederlo.

Non avevo per niente voglia di dormire. Tuttavia mi sentivo particolarmente tesa e nervosa. Presi da terra le mie cuffie e ascoltai un po’ di musica.

Il ritmo delle canzoni che ascoltai mi presero a tal punto da farmene perdere il conto e da distinguere una canzone dall’altra. Scoprii con sorpresa che era ormai tarda sera quando le orecchie cominciarono a farmi male per la troppa musica. Tornai giù in cucina e cenai con qualcosa di leggero. Papà non era ancora tornato. Mamma mi disse che in teoria sarebbero dovuti tornare a momenti. Salutai con un bacio mamma e, questa volta armata di pigiama e spazzolino, andai a casa di Bella.

Era ormai tarda e a quel punto mi dispiacque entrare per disturbare. Bussai comunque alla porta, sapendo che almeno un abitante di quella casa era sicuramente sveglio. Mi venne però ad aprire Bella. Era evidentemente mezza addormentata. Si vede che l’avevo svegliata comunque. Si stizzì per il mio ritardo ed io cercai di scusarmi come meglio potei. Alice era ancora lì, seduta sul divano letto come se aspettasse che qualcuno le dovesse fare una fotografia. Bella ritornò a distendersi sul divano letto  e non perse ulteriore tempo a riaddormentarsi di nuovo. Concordai con lei che fosse una buona idea; non avevo dormito molto bene la notte scorsa e visto che il pomeriggio non avevo dormito, mi sentivo provata anch’io. Anch’io ben presto mi addormentai.

 

Mi svegliai all’alba il giorno dopo, completamente riposata. Mi stiracchiai stando ancora sotto le coperte. Vicino a me se ne stava Bella; questa volta non ero caduta per terra. Alice invece era seduta sulla poltrona, mentre fingeva di dormire. Sentii dei passi pesanti scendere le scale. Era Charlie, vestito con un vecchio completo nero. Caspita, oggi c’era il funerale; mi sentii di nuovo a disagio. Aprì la porta ed uscì in punta di piedi, per non svegliarci. La coperta sotto cui si trovava Alice si sollevò. Era già vestita.

Cosa facciamo oggi?” chiese con la sua esuberanza.

“Vedi qualcosa che si potrebbe fare?” propose Bella ironica.

“Non ancora” Alice sorrise “Potremmo chiedere ad Abigail, il genio delle trovate” disse ricordandosi dei capelli di Bella del giorno prima.

“Davvero divertente” borbottai ancora sotto le coperte “Dovete strofinare tre volte la lampada” Sentii dei sogghigni. Mi tirai finalmente fuori dalle coperte. Vidi Bella guardarsi in giro guardinga.

“Credo che questa casa abbia bisogno di un po’ di pulizia” mormorò con un po’ di disgusto. Mi guardai attorno anch’io; a me sembrava già pulita.

Iniziò così a pulire la casa; per prima cosa si occupò del bagno. Io mi offrii di scopare un po’ in giro. Lottai un po’ con Bella prima di vincere il manico della scopa; mi tormentava dicendomi che ero un ospite e non sarebbe stato giusto farmi fare i lavori domestici e blablabla. Mentre Bella era sommersa di detersivo ed io spazzolavo un po’ il corridoio, Alice, appoggiata alla porta del bagno, faceva domande a Bella sulla scuola. Ben presto però si passò a parlare del mio corso di break, in quanto l’argomento durò abbastanza poco; Bella dimostrò di non avere molto da dire. Insomma, non aveva un’emozionante vita sociale; seguiva il proverbio “pochi, ma buoni”. Bhè… non era l’unica.

Ma anche quell’argomento durò poco; il campanello suonò. Alice si voltò in uno scatto. La sua velocità mi fece paura. Aveva la perfetta fronte marmorea corrugata da una linea lunga e sinuosa. Quello che mi colpì era il suo naso piccolo arricciato.

“Arrivo!” urlò Bella dandosi una lavata. Io forse avevo già capito chi fosse.

“Credo che forse me ne devo andare” mormorò Alice, seria. Bella si confuse.

“Non riesco a vedere, proprio come ieri. Ho un buco nero. Deve essere Jacob Black o un licantropo”

“Non riesci a vederli?” chiese Bella osservandola. Alice alzò le spalle, indispettita. Era forse per il suo dono che non le piaceva non sapere sempre tutto. Io al momento non mi preoccupavo delle sue visioni. Mi preoccupavo di Jacob. C’era un vampiro in quella casa ed un licantropo ed un vampiro in stretto contatto avrebbero fatto scintille. Bella scosse la testa.

“Non devi sentirti in dovere di andare da nessuna parte. Alice rise in modo strano.

“Non è una buona idea. Fidati.”

“Ha ragione” intervenni io. Bella guardò prima me, poi Alice. Quest’ultima la salutò con un bacio, entrò in una stanza e sparì. Il campanello suonò di nuovo. 

Bella corse ad aprire ed io la seguii. Era ovviamente Jacob alla porta, che assomigliava molto ad una bomba pronta ad esplodere. Il naso era arricciato per il profumo di Alice, che contribuì a dare più significato alla sua espressione seria. Vidi le sue mani tremare. Non mi piacque per niente; se cominciava a tremare tutto si sarebbe presto trasformato ed avrebbe perso il controllo. Notai sulla strada la Golf di Jacob, con Jared al guidante ed Embry vicino. Mi sentii più sicura, se sarebbe successo qualcosa a Jacob ci sarebbero stati loro. Li salutai inosservata con una mano; Embry fu l’unico a rispondermi, con un veloce sorrisino che subito dopo scomparve. Trattenni il respiro. Che situazione… 

“Ciao” disse Bella sprezzante. La guardai in volto; sembrava essere irritata dalla sua espressione. Oh no, avevano litigato ancora. Jacob non rispose. Fece scorrere lo sguardo oltre la spalla di Bella.

“Lei non c’è” rispose Bella con lo stesso tono.

“Sei sola?” disse dopo alcuni minuti.

“Ehm… grazie, Jacob. Io sto bene e tu?” esclamai infastidita. Lui sembrò vedermi per la prima volta.

“Ciao Abigail” Spalancai gli occhi dalla sorpresa per il tono sereno. Di solito il tono che aveva usato con Bella lo usava con me e viceversa. Non mi sembrava ci fosse stato uno scambio di ruoli…

“Come stai?”   

“Bene” risposi ancora scettica.

“Posso parlare da solo con Bella?” Guardai prima Jacob, poi Bella. Lei mi fece cenno di andare. Non mi fidavo a lasciarla sola con Jacob in queste condizioni. Mi sembrava inoltre strano che dovessero parlare di qualcosa di cui io non dovevo venire al corrente. Me ne uscì comunque in giardino, avvicinandomi alla Golf. Vidi Embry fare un cenno a Jacob dietro alla mia spalla. Perché tutte queste formalità?  

“Ciao ragazzi”

“Ciao Abigail” mi rispose Embry in uno sbuffo. Jared continuò a starsene zitto, guardandomi truce. Sospirai. Sentii la porta dietro di me chiudersi.

“Si può sapere cos’hai contro di me, tu?” Guardai negli occhi Jared, che fece una faccia stralunata. Aprì bocca, ma al momento non volevo sentire le sue lamentele. Non sapevo neppure perché gliel’avessi domandato; molto probabilmente per sfogo. Sicuramente erano le solite cose; tu stai dalla parte dei vampiri e non voglio neppure avere a che fare con te e blablabla

“Perché siete venuti con Jacob?” chiesi subito a Embry, per passare quei minuti. Mi voltai verso la finestra della cucina, che Jared ed Embry da quella posizione non potevano vedere. Bella e Jacob erano lì; lui si stava tenendo ancora a debita distanza. E aveva smesso di tremare. Mi sentii più tranquilla.

“Per il vampiro” rispose secco lui.

“Ma non vuole attaccare” ribadii. Jared riaprì bocca, ma Embry gli misi una mano sulla spalla e si calmò subito.

“Per sicurezza” mi rispose deciso Embry, per chiudere l’argomento.  

“Sai cosa vuole Jacob da Bella?” Tentai il tutto per tutto. Lui mi guardò.

“Solo se mi fai fare un giro sulla tua moto” rispose con un ghigno. Brutto ricattatore pulcioso. Jared continuava a guardare la porta di casa Swan, evidentemente a disagio per la mia presenza.

“Sei uno schifo” mi lamentai. Piuttosto che rischiare di farmi rovinare la moto da Embry, me lo facevo dire direttamente da Bella.

“Per metterla in guardia dal vampiro” rispose con un’alzata di spalle.

“Tutto qui?” Lui annuì con la testa. Non avrei mai capito la mentalità dei licantropi.

Mi voltai di nuovo verso la cucina. Il respiro si fermò per un attimo. Ora erano vicini, troppo vicini, preoccupatamente vicini. Jacob le stava sfiorando la guancia con una mano. Sentivo Embry che continuava a parlami, ma non lo ascoltai. Fissai ogni movimento che Jacob faceva. Bella continuava a restare immobile, a non reagire. Sapevo che sarebbe stato un bene se tra quei due fosse nato qualcosa di veramente serio, e una minima parte di me sperava che sarebbe accaduto ciò che stava per accadere. L’altra, invece, quella più grande provava un grandissimo desiderio di correre in quella cucina e prendere a calci tutti e due. Volevo che Jacob si fermasse, il suo viso era troppo vicino a quello di Bella. Ma non mi mossi, rimasi lì, a fissare la scena, impietrita, aspettando di incassare il colpo, senza fare niente. Niente avrebbe potuto fare qualcosa.

Improvvisamente Jacob si scostò da Bella. Lo vidi prendere la cornetta del telefono della cucina. Sospirai dal sollievo. Anche se…

Abigail, sei morta?” La prorompente voce di Embry mi fece sobbalzare. Mi guardava esterrefatto.

“Scu-sa, Embry, stavo pensando. Adesso devo andare, ci vediamo” Non stetti neppure a sentire le voci di rimando. Entrai in casa. Non sapevo bene cosa avrei fatto una volta disturbati entrando in cucina. Oltrepassai la soglia. Jacob sembrava essere di nuovo furibondo. Bella invece era confusa.

“Ci vediamo BellsJacob si voltò di scatto, prendendomi a pieno. Caddi a terra. Sentii un armadio cadermi addosso.

“Che cos..?” Sentii un secondo tonfo; anche Bella era caduta dietro di lui. Non avevo ancora aperto gli occhi.

“Promettimi che tu non mi abbandonerai quando torneranno” mi mormorò all’orecchio. Gli riaprii. Ebbi il tempo di vedere una strana espressione sul suo viso, che non seppi decifrare. Si rialzò veloce, aiutando anche Bella a rialzarsi. Non capii subito il significato di quella frase. Quando torneranno. Credeva forse che, tornata una, sarebbero tornati tutti? Mi rialzai veloce anch’io. Jacob era ancora davanti a me, irrigidito.

Mi voltai e vidi Alice sulle scale, anche lei una statua. Al momento mi trovavo in mezzo ad un vampiro ed un licantropo, per niente tranquilli. Non ne ero particolarmente felice.

“Bella?” mormorò, fredda. Lei le fu subito accanto. Alice cominciò a comportarsi in modo molto strano. Aveva lo sguardo vitreo, come in trance. Non era normale per un vampiro. Forse funzionava così quando vedeva.  

“Al…”

Alice si voltò improvvisamente verso Bella. Sobbalzai per lo spavento. Lei sì che sembrava la bambina dell’Esorcista. Dietro di me sentii il calore della pelle di Jacob.

Edward” Era un mormorio, ma tutti in quella stanza lo sentirono. Improvvisamente Bella entrò nello stesso stato di Alice. Jacob cominciò a bestemmiare dietro di me. Avrei tanto voluto seguire l’esempio di Jacob, ma, mentre lui lo faceva per rabbia, io lo avrei fatto per disperazione. Di sicuro non erano buone notizie. Quel vampiro aveva la dote di creare guai agli altri e a stesso. Alice si riprese con un sobbalzò e Jacob mi oltrepassò.

Cosa lei hai fatto?” disse in un misto di preoccupazione e minaccia. Il che risultava buffo.

“Bella? Mi senti?” Alice invece era quasi isterica ed ignorava il licantropo dieci volte più alto e grosso di lei al suo fianco.

“Non ti avvicinare” si intromise Jacob, avvicinandosi di più a lei. Alice lo guardò truce.

“Sta calmo, Jacob Black. Non vorrai comportarti in questo modo davanti a lei?”

Bene, oltre ad avere un’amica in catalessi, c’erano un licantropo ed un vampiro che stavano bisticciando. Ne avevo proprio abbastanza di loro due. Mi misi in mezzo e tirai un leggero schiaffo a Bella. Ottenni due strabilianti effetti; il primo fu che i due smisero di litigare, il secondo fu che Bella si riprese subito, anche se mi guardava ancora spaesata.

“Potevi essere più gentile” sentii borbottare Jacob. L’espressione di Alice sembrava concordare. O mio Dio, un licantropo ed un vampiro che si trovano d’accordo! Chi l’avrebbe mai detto! Alzai gli occhi al cielo esasperata dall’osservazione.

“La ragazza ne ha passate di peggio!” esclamai.

“Cos’è successo, Alice?” mormorò Bella, attenta e concentrata su Alice. Il nome di Edward, detto in quel modo, l’aveva davvero sconvolta. Volevo proprio sapere cosa caspita stava succedendo.

“Non lo so!” strillò all’improvviso la vampira. Si era agitata. Bella appoggiò un braccio a Jacob, per reggersi, mentre cominciava a tremare. Io, alla sua sinistra, provai a stringergli la mano. Voltò di scattò la testa verso di me. Lo guardai rassicurante, nonostante non sapessi se c’era da stare tranquilli. Jacob smise di tremare, ma non si liberò dalla mano. Mi soffermai improvvisamente alle strane parole di prima. Cosa caspita voleva dire che…

“Rose, sai qualcosa di Edward?” La squillante voce di Alice mi riportò alla realtà. La vidi parlare veloce al telefono con qualcuno.

Cosa hai fatto?” esclamò allibita ed arrabbiata. Aveva le mani che le tremavano per la rabbia e per la paura. Era successo davvero qualcosa di grave, se un vampiro perdeva la calma in questo modo. Cominciai ad avere paura.

“Sbagli in entrambi i casi!” urlò ancora “Lei sta bene. Ho sbagliato… storia lunga… No, sei tu che sbagli, ho chiamato… Sì, è quello che ho visto.

È tardi Rose. Sono inutili le tue scuse” disse a denti stretti prima di chiudere il cellulare con forza.

“Alice?” mormorò Bella, ancora stretta a Jacob, ma in tono più convinto. La mano cominciò a sudare.

Carlisle prima ha chiamato” comunicò. Catturò la mia attenzione; dove c’era Carlisle c’era mio padre. Ecco chi c’era al telefono. Ma perché avrebbe dovuto chiamare se si trovava proprio a Forks?

Quando?” continuò a mormorare Alice.

“Poco fa”

“Cos’ha detto?”

“Gli ha parlato lui” Il mio sguardo guizzò su Jacob. Alice lo perforò e lui sussultò impercettibilmente.

“Cercava Charlie e gli ho detto che era andato al funerale.” Molto probabilmente Carlisle, saputo del funerale di Harry voleva fare le condoglianze a Charlie. Ma come l’aveva saputo? E perché non era venuto di persona? Non riuscivo a capire assolutamente nulla.

“Non era Carlisle al telefono” La voce di Alice aveva un non so che di terribile. Era agitata e sconvolta.

“Credi che sia un bugiardo?” sbottò Jacob. Gli diedi un pizzicotto con le unghie per il suo intervento inappropriato, che ovviamente non sentì.

“Era Edward. Crede che tu sia morta” mormorò. Mi abbandonai con il pensiero ad una bestemmia anch’io questa volta. Fin troppe volte i mie genitori mi avevano detto “se tu morissi, non credo riuscire a vivere ancora” per non capire che c’era una grande possibilità che Edward volesse suicidarsi!!! Che casino, che casino, che casino…   

“È stata Rosalie a dirglielo?” Bella sembrava troppo tranquilla per rendersi pienamente conto di quello che stava succedendo.

“Sì…” si limitò a dire lei, trattenendo la rabbia.

E lui ha creduto che il funerale fosse il mio…” mormorò lei. Sembrava ancora troppo tranquilla.

“Non sei sconvolta” constatò veloce Alice. Più guardavo la sua espressione, più sembrava confermare le mie teorie.

“Mi sembra solo un equivoco, quando ritelefonerà…”

Dimmi che non andrà ad uccidersi” interruppi di scatto Bella. L’occhiata che mi lanciò Alice mi diede conferma. Bestemmiai questa volta ad alta voce. Ti odio Cullen! Bella sembrava essersene resa finalmente conto. Guardava Alice impietrita, pallida, a bocca aperta. Sembrava essere sul punto di svenire.

“È andato in Italia.” Perché fin laggiù? Non poteva dar fastidio al primo vampiro che capitava ed evitare di scomodarsi in questo modo? Non la stetti molto a sentire, troppo concentrata sulla reazione di Bella.

“NO!” esclamò finalmente Bella “No…n”. Andò in iperventilazione, mentre Jacob la continuava a sostenere, preoccupato ed in silenzio.

“Ha deciso un attimo dopo che lui gli ha parlato” disse Alice, cupa.

Ma… non ha senso! Lui non mi vuole! Che differenza…” si bloccò. Voltò lentamente la testa verso di me.

“Avevi ragione…avevi… ragione…” Non riuscì più a parlare. Cominciò a singhiozzare e gli occhi le diventarono subito lucidi. Non aveva mai creduto appieno a quello che avevo detto. Era ancora dubbiosa, non le si poteva dare torto. Mi dispiaceva solo che lo avesse scoperto in questo modo.

Cosa le hai detto?” mi chiese seria Alice. Io non le risposi; non era il momento.

Che…” La voce di Bella si era fatta ora sprezzante, mentre stava cercando di trovare un aggettivo giusto per definire Edward. Si staccò da Jacob, cercando di scansarlo. Sentii la presa della sua mano farsi più forte. Io ricambiai.

Cosa facciamo?” supplicò Bella Alice. Nonostante fosse esasperata, era anche abbastanza lucida. “Lo possiamo chiamare”

“Ho provato, ma ha gettato il cellulare; ha risposto qualcun altro” fece seria.

“Alice” Bella la guardò con sguardo supplicante.

“Bella… non credo che… sia possibile che tu…” disse esitante. Lei aveva qualche idea in mente.

“Sarà possibile” confermò Bella. Le appoggiò le mani sulle spalle.

“Forse è troppo tardi, ma… l’ho visto andare dai Volturi, per chiedergli di ucciderlo” Bella la guardò perplessa e spaventata. Io invece confusa. Chi erano i Volturi? Non ne avevo mai sentito parlare.  

“Dipende se accetteranno o no. È molto probabile che non acconsentiranno, Aro è molto amico di Carlisle. Ma tenterà comunque un’altra strada; i Volturi tengono molto a Volterra, Edward sa che se sconvolgerà la sua tranquillità, loro interverranno. E… lo fermeranno.”

Era ovvio che quel fermeranno stava per uccideranno. Io però rimanevo confusa. Chi erano questi vampiri, questi Volturi? Perché doveva andare proprio da loro? Perché i miei genitori non me ne avevano mai parlato? Li conoscevano?

Quindi, se acconsentiranno, sarà troppo tardi. Se non acconsentiranno, dipende; si potrà forse fare ancora qualcosa.

“Andiamo” esclamò subito lei. Io ero ancora troppo confusa per riflettere. Jacob sembrava pensarla allo stesso mio modo, vicino a me.

“Bella! Ci ritroveremo nella città dei Volturi. Se Edward ce la farà, crederanno che c’entri qualcosa anch’io. E tu sei un umano, che conosce i vampiri, oltre ad avere un buon profumo. È molto possibile che moriremo tutti. Nel tuo caso, ti mangeranno.”

“È l’unico motivo?” Bella ci rimase piuttosto male “Se tu non vuoi venire, ci andrò da sola.

Un brivido mi percorse la schiena. Bella. In quella conversazione poco chiara era lampante una cosa; Bella in una città piena di vampiri. No, no, no. Era troppo. Non sapeva cosa stava facendo. Anzi, lo sapeva fin troppo bene; se non avrebbe tentato, avrebbe perso sicuramente Edward. Altra cosa lampante. Con la mano libera mi tenni la testa. Sarebbe andata, e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea. Non quando si trattava della vita di Edward. Inoltre condividevo appieno la sua idea; avrei fatto lo stesso se fossi stata in lei. Sentii la mano di Jacob stringere ancora di più. Ne sarebbe uscita con un’ustione di terzo grado se continuava così. Era rimasto atterrito da tutto questo. 

“Ho paura che ti uccidano” mormorò Alice. Bella scioccò la lingua.

“Rischio ogni giorno! Dimmi cosa devo fare.” Alice tentennò solo un paio di secondi.

“Tu scrivi un biglietto a Charlie, mentre io prenoto l’aereo.

Charlie” esclamò Bella.

“Lo difenderò io. Non me ne importa più niente del patto” s’intromise arrabbiato e terribilmente confuso. Immaginavo che di tutta quella conversazione avesse capito solo che Bella stava per andare in una città piena di vampiri. Sentii la mano di Jacob staccarsi dalla mia, che poté finalmente respirare.

“Muoviti, Bella!” sentii urlare Alice. Bella mormorò qualcosa che non riuscii a capire sulle prime. Se ne andò svelta in cucina. Jacob la seguì poco dopo. Intanto io pensavo sulla situazione seduta sul divano. Ancora una volta giunsi a quella conclusione. Forse non ci avevo pensato realmente, perché se lo avessi fatto, non ci sarei arrivata. Ma ero una stupida idiota che non poteva fare a meno di esserlo.

Dimmi che hai un passaporto! È troppo tardi per fartene uno” esclamò Alice, spuntata dal nulla. Le mie mani scattavano veloci sui pantaloni della tuta. Che fortuna; da quando avevo perso la carta d’identità a San Lucas usavo sempre il passaporto. Bella salii veloce le scale. Mi alzai dal divano convinta.

“Prenota per tre Alice. Vengo anch’io.” Fu istintivo, d’obbligo. Un dovere. Non avrei mai permesso a Bella di andarsene in una città piena di vampiri. Ma visto che questo non si poteva fare, non vedevo altro modo di risolvere la situazione se non quello di andare con lei. Tutti restarono a fissarmi. Bella si bloccò sulle scale.

“No, tu non c’entri. È troppo pericoloso” esclamò Bella, severa.

“Non se ne parla nemmeno! Tu sei pazza! Rischierai anche tu, per niente!” rincarò Alice.

“Non puoi fare niente, Abi” Fu la cupa voce di Jacob a colpirmi di più. Me ne fregai di tutti.

“Io vengo, che voi lo vogliate o no” dissi arrabbiata “Non lascerò mai Bella andare da sola in una città di vampiri, mai”

Abigail…” Bella aveva ricominciato.

“No, Bella! Io vengo.”

“Lasciala fare quello che vuole! Non abbiamo tempo. I rischi li conosce molto bene” sbottò irritata più che mai Alice. Bella riprese a salire le scale, arrabbiata più di prima. Rimarrà arrabbiata per un po’. Jacob mi guardava truce.

“Vuoi morire?” mi sibilò. “Credi che non tenga a te?” Io lo guardai ancora scettica. Jacob si stava comportando in modo strano da quando aveva varcato la soglia di quella casa. Cominciai a fissarlo.

“Tieni a Bella? Allora lasciami andare” gli risposi convinta. Lui aguzzò gli occhi.

“Fai pure quello che vuoi. E fregatene delle persone a cui vuoi bene” Fu dura da incassare il colpo, ma lo digerii bene. Era niente rispetto a quello che mi sarei aspettata dalla mia famiglia. Mi avrebbe disintegrata. Cominciò a sfogarsi poi con Alice.

“Sei matta a portarla là! Voi riuscirete anche a controllarvi, ma quelle sanguisughe…” sbottò furioso. Prima che finisse ed Alice gli spaccasse la faccia riuscii a fermarlo.

“Smettila!” gli urlai incontro. Lui mi guardò, ferito, impassibile, come se fossi un’estranea. Mi fece più male di quanto pensassi.

“Non serve più a niente. Quando Bella decide, deve arrivare fino in fondo, tu questo lo sai. Questa volta più di tutte; si parla di Edward. E su questo nessuno ha parola in capitolo, nemmeno tu.

“Tu però ci riesci” mi accusò lui “Sei riuscita a convincerla che tornerà, che la ama ancora. Fallo anche ora; convincila a rimanere!” mi ordinò. Io lo guardai impassibile. Lui mi guardò di sottecchi.

“Tu non vuoi farlo” mi ammonì.

“Se fosse per me vorrei, ma… non vedo nulla che possa convincerla” Perché, perché tutti mi stavano dando capacità che io non avevo?!

“Smettetela, per favore” Bella ringhiò furiosa, mentre scendeva di corsa, rischiando di inciampare. Jacob mi continuava a guardare furibondo, e deluso. Mi ero messa in grandi, enormi casini; speravo solo che un giorno avremmo risolto.   

“Tu c’è l’hai il passaporto?” trillò seria Alice. Io annuii convinta. Il secondo dopo la vidi sfrecciare verso l’auto parcheggiata fuori. Jacob fece un ultimo tentativo. Prese il braccio di Bella.

“Bella, ti prego, pensa a Charlie, pensa a me” supplicò lui.

“Mi dispiace Jake” replicò lei con voce affranta.

“Non voglio che tu muoia” Fece fatica a pronunciare bene le parole. Lei lo abbracciò per un istante, mentre lui le sfiorava la testa.

“Scusami” mormorò. Gli prese la mano e gliela baciò. Se ne andò svelta fuori dalla casa. Jacob tornò a guardare me. Aveva uno strano luccichio negli occhi. Era sorpreso e per un attimo felice di vedermi ancora lì; credeva che non sarei andata e sarei rimasta con lui. Invece volevo che Bella se ne andasse per avere la privacy di fare una piccola cosa, di cui se fosse andata male, mi sarei pentita a morte di non averlo fatto. Mi avvicinai a lui, mi strinsi alle sue spalle ed alzandomi sulle punte dei piedi gli diedi un piccolo bacio. Sentii solo per pochi secondi la sensazione delle sue calde e tenere labbra sulle mie. Mi scostai subito e senza guardarlo in faccia mi diressi anch’io verso la Mercedes parcheggiata sul vialetto.

Abigail!” mi urlò Bella dal sedile del passeggero, mentre Alice non esitava a sfrecciare a duecento. “Se fossi in te rimarrei in aeroporto!”

“Fortuna che non sei me!” le risposi di rimando.

“Stai facendo una follia! Rischierai di morire! Te ne rendi conto? I tuoi genitori cosa diranno?”

“Lo sai che potrei dire le stesse cose di te?” insinuai io.  

“No, Abigail, non è la stessa cosa. Io lo faccio per Edward e tu sai cosa significa per me. Tu invece…”

E io lo faccio per te!” le urlai in faccia. Touchè.

Ma io non voglio che tu lo faccia…” disse questa volta con mera decisione.

“Non penso che Edward sia desideroso che tu vada in una città piena di vampiri…”

“Ora basta!” ghignò a denti stretti Alice. Entrambe tacemmo, anche perché la conversazione a quel punto era già finita. “Abigail, Bella ha ragione. Dovresti rimanere all’aeroporto” disse facendo un ultimo tentativo. Fiato sprecato.

Arrivammo all’aeroporto in dieci minuti. Mancava pochissimo alla partenza dell’aereo e per poco non lo perdemmo. Mentre l’aereo stava per decollare Bella, tra me ed Alice, fremeva. Io le presi la mano, ma lei si rifiutò di stringermela. Bella ce l’avrebbe avuta con me per un bel po’ di tempo. Alice le sussurrò parole rassicuranti, che non funzionarono. Durante il decollo, Alice con uno scatto veloce afferrò il telefono davanti a sé, mentre l’hostess ci guardava severa. Tuttavia non aprì bocca. Cominciò a parlare con qualcuno, troppo velocemente per capire quello che stava dicendo. Ed io ero troppo distratta per ascoltare. Solo quando l’aereo si staccò dal suolo, pensai davvero a quello che stavo facendo. Stavo andando in Italia, per evitare che Edward, la vita, l’amore, l’amore della vita e blablabla di Bella non morisse. Personalmente, non me ne sarebbe importato niente se si fosse tolto la vita o no. Anzi, forse era meglio così; avrebbe dato a Bella tutto il tempo per superare la cosa e decidersi nella sua indecisione se amare quell’altro o no. Le avrebbe dato una vita di normalità. Su questo ero d’accordo con Jacob. Questo era per lo più quello che pensava il lato razionale. A spingermi in tutta quella faccenda era stato l’altro lato di me, quello che non potevo controllare, neanche fosse il mio lato oscuro della forza. La principale ragione che lo aveva stuzzicato era stata proprio Bella; non me ne fregava niente, se lei andava dai vampiri, ci andavo anch’io. Era stata una cosa istintiva e del tutto impulsiva, che influenza anche l’altra parte razionale; non trovavo motivi logici per giustificarmi, nonostante ce ne fossero assai per convincermi del contrario. Il secondo motivo era che Bella teneva ad Edward e se fosse morto, ne sarebbe uscita distrutta. Insomma, quello che era bene, era diverso da ciò che era giusto. Si erano poi tanto impegnati quei due per restare insieme e farla finita per una semplice incomprensione era davvero squallido. Quindi sembrava bene e giusto aiutarla nel suo intento, anche se non sapevo bene cosa avrebbero dovuto fare due umane per salvare un vampiro; di solito era sempre il contrario.   

A me poi, non ci pensavo tanto. Lo avrei fatto dopo. Se ne avessi avuto il tempo e la possibilità. I miei genitori mi avrebbero massacrata. E mi dispiaceva davvero; si erano sempre fidati di me, in ogni situazione. Non li avevo mai delusi così tanto come questa volta, ne ero certa. Feci un respiro profondo; mi costrinsi a non pensare a loro. Ne a Jacob; cavolo, aveva ragione, ero una grande egoista. Una stupida e grande egoista, che non poteva migliorare. E poi quel bacio… se fosse andato bene mi avrebbe chiesto spiegazioni. E mi ci volevo vedere cosa avrei fatto.

Cosa ti ha detto? Dimmelo, per piacere. Perché Jasper dovrebbe fermare Emmett? Non possono aiutarci?” La voce di Bella mi riscosse dai miei pensieri. Drizzai le orecchie; dovevano essere i nomi dei fratelli Cullen. Alice chiuse gli occhi.

“Per due motivi. Potrebbero aiutarci; Emmett riuscirebbe a fermarlo e potremmo convincerlo che tu non sia morta. Ma capirà che vogliamo fermarlo, quindi agirà più velocemente. Farà qualcosa di imprevedibile, come lanciare un’auto contro un muro, e i Volturi lo prenderanno. Il secondo motivo invece è che se gli altri ci raggiungessero ed Edward riuscirebbe nel suo intento, i Volturi ci dichiarerebbero guerra, Bella.” Alice aprì gli occhi.

E noi quattro… non siamo in grado di vincerli. Sarebbe diverso se avessi qualche possibilità, ma… Non voglio perdere Jasper” mormorò inquieta. Era vero; non eravamo solo io e Bella a rischiare. C’era anche Alice che avrebbe lasciato la sua famiglia. Oltre a Edward.

Edward non potrebbe scoprire che sto bene leggendoti il pensiero?” Sobbalzai. Aveva una dote che era quella di leggere il pensiero? Oltre a quella di riuscire a mettere tutti nei casini. Era strabiliante. Sarebbe magnifico sentire i pensieri di tutti quelli che conoscevo. In particolare di Bella; non capivo mai cosa le frullava in testa. A pensarci bene però, povera Bella; sapere che la persona che ami conosca di te ogni tuo pensiero. Se fossi in lei mi sentirei perennemente imbarazzata e frustata. 

Se mi credesse; è possibile mentire con il pensiero, pensare a falsità. Anche se pensassi con intensità che tu sei viva non mi ascolterebbe”

“Scusate” m’intromisi io. Si voltarono entrambe verso di me, stizzite per averle interrotte.

Edward legge nel pensiero? Non potrebbe… leggere quelli di Bella?”

“Con me non ci riesce” mi rispose un po’ seccata Bella. Io tornai al mio posto, in silenzio. Facevano di tutto per farmi sentire in colpa, anche se le prime ad esserlo con stesse dovevano essere loro. Sapevo che lo facevano perché io ero in effetti l’unica che poteva tirarsi indietro. Provai a distrarmi un poco, guardando di tanto in tanto le hostess che passavano e gli altri passeggeri. Ma non durò tanto.

“Chi sono i Volturi? Come possono essere più pericolosi di voi quattro assieme?”

La domanda di Bella attirò tutta la mia attenzione. Alice fece un respiro profondo. Si voltarono entrambe di scatto; non capii cosa stessero facendo. Capii solo più tardi che qualcuno stava cercando di spiarle. Dopodiché, dopo aver lanciato uno sguardo poco amichevole all’interessato, si fecero più vicine. Cercai di avvicinarmi anch’io, premendo il fianco violentemente contro il braccio del sedile.

“Non sapevo li conoscessi. Credevo non sapessi cosa volessi dire con “È in Italia”. Te l’ha detto lui.”

“Sì, ma non me ne ha parlato molto. So che sono molto antichi e potenti, una specie di famiglia reale. Mi ha… anche avvertito che chi si mette contro di loro va in contro a morte certa” disse le ultime parole con una certa titubanza. 

“Invece mi sorprende che tu non li conosca” si rivolse a me, scura in volta.

“Dovrei?” chiesi ansiosa. Perché d’un colpo compaiono questi Volturi? Non capivo cosa volesse dire Alice. La guardai attentamente negli occhi, aspettando una risposta. Anche Alice divenne tituba, mentre Bella mi guardava curiosa e confusa. 

“È meglio se parli con la tua famiglia” disse alla fine. Non poteva rispondermi in questo modo. Perché avrei dovuto conoscerli?! Aprii bocca, preparandomi a parlare con un tono di voce troppo alto, ma Alice mi precedette.

“Senti, se i tuoi genitori non te l’hanno detto, ci sarà un motivo. Spetta a loro, non a me.”

Tornai per un attimo seduta al mio posto, con il fianco dolorante. Ero arrabbiata. Non con Alice, perché non voleva dirmelo, ma con loro. Non era la prima volta che non mi dicevano certe cose, ed il motivo era sempre quello; si preoccupavano da paura per me. O era mia madre, o era mio padre; mai nessuno non si preoccupava per me. E tutte queste cose non dette, per non dire segreti, mi facevano perdere la testa. Tornai a distendermi non appena Alice ricominciò a raccontare.

Fece parecchi accenni ad eventi che non conoscevo e che, da quanto mi aveva raccontato Bella, erano accaduti prima del mio arrivo a Forks, quindi persi alcuni passaggi ed informazioni. Face ammonimenti a parecchie cose riguardanti il comportamento dei vampiri non-vegetariani, che non mi erano nuovi; per fortuna papà mi aveva detto almeno questo. Ciononostante afferrai il concetto per quanto riguardava i Volturi. Non erano buone notizie. I Volturi erano un gruppo di vampiri, piuttosto numeroso, circostanza strana per i vampiri, in quanto la loro natura li spingeva a vivere in coppia o da soli. All’inizio erano tre, poi passarono a cinque; Alice supponeva che fossero riusciti a sopravvivere insieme fino ad ora per l’età: erano dei vecchiacci di tremila anni e quindi molto esperti. Oppure per le doti che due di loro avevano, come papà e forse mamma. Oppure ancora per la semplice voglia di governare insieme il mondo. Dovevo ammettere che la vampira aveva idee abbastanza chiare. Disse anche i loro nomi, in latino, tanto per cambiare, quindi non mi sforzai a ricordarli. Ancora non contenti, c’era il corpo di guardia. Come se un vampiro non potesse difendersi da solo; avevano davvero spinto fino all’eccesso l’idea di “famiglia reale”. Ma, si sa, ai vampiri piace fare le cose in grande. Per quanto ne sapeva Alice la guardia era costituita da nove membri, ma il numero era variabile; c’era un continuo reclutamento e solo chi possedeva particolari doti poteva entrare a farne parte. Quindi si trattava di un gran numero di vampiri superdotati. Perciò, cinque vampiri, più nove e più, era una motivazione più che sufficiente per capire che nessuno avrebbe avuto scampo con loro. E noi in quel momento gli andavamo a… “disturbare gentilmente”. Cominciarono i sudori freddi; se lo avessi saputo prima… ci sarei andata lo stesso, inutile. Adesso capivo perché Edward aveva scelto proprio l’Italia come meta. Papà, come aveva detto anche Alice, diceva che i vampiri vegetariani erano, in un certo senso, più civili, più umani, rispetto a quelli normali. Questi erano normali, ma speravo in cuor mio che fossero civili lo stesso.

La conversazione si fece più interessante quando Alice cominciò a parlare del “ruolo” che avevano, oltre a sussurrare più piano. In pratica, consapevoli della loro grande forza, non avendo da fare niente quel giorno, si auto-proclamarono difensori delle regole, una specie di giudici del mondo dei vampiri. Questo sì che era una presa di potere; erano piuttosto impertinenti. La cosa mi stupii, di nuovo; Vampirlandia non era una assoluta anarchia come pensavo, ma una stretta oligarchia controllata. E nessuno mi aveva detto niente, il che mi fece ancora più stizzire. E preoccupare. Con questo potere che si erano dati avevano il compito di punire i ribelli, coloro cioè che infrangevano le regole.

“Regole?” si sorprese Bella. Io continuavo a rimanere scettica ed ad avere una brutta opinione su di loro.      

Ssh!”

Perché non me l’avete detto? Volevo… diventare anch’io un vampiro. Avrei dovuto sapere” sussurrò irritata. Alice sogghignò.

“Non è difficile. C’è solo una semplice regola. Lo puoi capire da sola”

“Fare in modo che gli umani non vengano a sapere della loro esistenza” mormorai pensierosa. Alice annuì nella mia direzione. Oh… questo spiegava le intenzioni di Edward; voleva dimostrare al popolo di Volterra di essere un vampiro. E sarebbe diventato così il ribelle.  

“È successo altre volte che un vampiro svelasse il nostro segreto, per noia. O poiché ha perso il controllo impazzendo. In quel caso, prima che il vampiro in questione sveli il nostro segreto, i Volturi sono tenuti ad agire.

“Così vuole violare le regole e fare il cattivo ragazzo” mormorai. Alice annuì ancora.

“Sono regole molto ferree, a Volterra. È perfino proibito cacciare al suo interno; è sicuramente la zona più protetta dai vampiri.

“Come fanno allora a nutrirsi, se non escono mai?” Bella mi aveva letto nel pensiero.

“Attirano il cibo dall’esterno; è uno dei compiti delle guardie, oltre a quello di far rispettare la regola e difendere Volterra. Era al contempo disgustata e curiosa di sapere cosa intendesse per Attirano dall’esterno.

“Non credo si siano mai trovati in una situazione del genere. Non molti furono i vampiri che vollero suicidarsi in passato. Bella gemette; si stava preoccupando a morte per Edward. Alice le passò un braccio intorno alle spalle ed io le strinsi la mano e questa volta ricambiò.

“Faremo il possibile, Bella. Mi farò in quattro per riportarvi a Forks sane e salve. Quel plurale mi fece sentire più sicura, ma anche più in colpa.

“Non permetterti quindi di creare problemi” Alice si atteggiò autoritaria, guardandola in cagnesco.

“Te lo prometto, Alice”

“Soprattutto tu” disse marcando ancora di più il tono di voce e puntandomi persino il bianco dito affusolato contro. Io mi bacia l’indice ed il medio della mano destra, in segno di promessa. Non era però stata molto chiara in cosa volesse dire con “guai”.

“Ora devo concentrarmi, per vedere cosa vorrà fare” disse Alice, appoggiandosi allo schienale ad occhi chiusi, con ancora il braccio intorno a Bella. Lei si voltò verso di me. Mi guardava con espressione incomprensibile, ma continuava a stringermi la mano.

Cosa pensi?” mi chiese sottovoce. Ci pensai su per un po’.

“Penso che questi Volturi siano davvero degli impertinenti esibizionisti, con il corpo di guardia, il titolo di difensori della legge e blablabla” Riuscii a strapparle un piccolo sorriso. Rimase però ancora agitata; anzi, non si era mai lasciata andare per tutto il tempo. Ero costretta ad ammettere che ero rigida e tesa anch’io. Il resto del viaggio lo passammo per lo più in silenzio; era meglio se al momento ognuna se ne stesse immersa nei propri pensieri.

Osservai per un paio di minuti lo schermo della TV dell’aereo, ma ero talmente tanto agitata ed impensierita che chiudere gli occhi e cercare di rilassarmi sembrava un’idea migliore.

Dopo parecchie ore, l’aereo cominciò ad atterrare a New York. Mi slacciai la cintura del sedile.

“Hai visto qualcosa?” sentii mormorare Bella ad Alice. Mi avvicinai per sentire la risposta.

“Non esattamente. Sta decidendo come presentare la proposta. Quindi, ancora niente. Bhè, avevamo ancora tempo, se doveva ancora chiederglielo.

Ci trovammo a correre per l’aeroporto, per prendere la coincidenza. Subito dopo il decollo, Alice tornò immobile, a vedere. Io e Bella continuammo a stare zitte. Cercavo in ogni maniera di non pensare ai miei genitori, il più grande rammarico che stavo portando. Feci un respiro profondo; non c’era tempo per tornare indietro e cambiare idea. Dovevo essere responsabile ed accettare le conseguenze, in qualsiasi modo sarebbe andata. E ben mi stava se avrei sofferto parecchio. Poi c’era Jacob; non avrebbe più rivolto la parola, né a me, né a Bella. Mi sentii in colpa per rischiare di non vederlo più. Forse era questo il dolore più grande, sorvolato solo dal non vedere più la mia famiglia. Abbassai la testa; mi sentivo una colpevole, come un’assassina di un omicidio. Quegli orribili pensieri furono per fortuna interrotti. Alice aveva visto qualcosa; i Volturi avevano rifiutato la proposta di Edward. Era un bene, perché ci dava più tempo. Uno steward si avvicinò.

“Desiderate un cuscino?”

“No, la ringrazio” Il sorriso abbagliante di Alice disorientò per un attimo lo steward.

“Ti ascolto” mormorò Bella. Ancora una volta mi slanciai nella loro direzione, sentendo nuovamente un dolore acuto al fianco.

“Gli proporranno di stare con loro; gli interessa il suo potere”  Bene, questo voleva dire ancora più tempo. Sarei poi stata curiosa di cosa avremmo fatto appena atterrati; speravo che Alice avesse un piano.     

E lui?”

“Non lo vedo, ma scommetto che gli risponderà a proprio modo. È una buona notizia; la proposta di Aro di proporgli di unirsi a loro lo farà pensare, e perdere un po’ di tempo a nostro favore” Alice era raggiante. Anche se “raggiante” in quel caso sembrava sconveniente.

“Non capisco. Perché in certe occasioni vedi tutto molto più chiaro, rispetto ad altre che non accadranno” chiese dubbiosa Bella.

Iniziò così una lunga conversazione sulle visioni di Alice, che dipendevano dalla specie del soggetto che vedeva, dall’affinità, dalla distanza nel tempo e blablabla. Sinceramente non mi interessava; ero improvvisamente diventata tesa per la mia famiglia, Jacob, la mia famiglia ed ancora Jacob. Cercai però di rilassarmi, per evitare che Alice e Bella se ne accorgessero.

Cominciarono poi a parlare della possibilità di Bella di diventare un vampiro, il che cominciò ad interessarmi; Alice l’aveva vista diventare un vampiro. Cosa voleva dire esattamente? Che era una remota possibilità, o una certezza? Perché non avevo ascoltato Alice prima!

“Lo sai, Bella, questa situazione sta diventando assurda. Sto accarezzando persino l’idea di farti diventare io stessa un vampiro” sussurrò esasperata. Bella ne era rimasta folgorata.  

“Scusa, ti ho messo paura?” chiese preoccupata Alice.

“Certo!” esclamò Bella, come se avesse avuto l’idea del secolo “Ti prego, Alice. Fallo, adesso. Così posso essere in grado di aiutarti e non di creare solo problemi. Mordimi!” No, era la stupidata del secolo. Prima ancora che Alice rispondesse io mi misi a sogghignare. Bella ed Alice si voltarono verso di me.

Perché ridi?” mi chiese Bella, confusa e un po’ stizzita.

“È esattamente quello che non devi fare; questo sarebbe un guaio” dissi con una certa presunzione nella voce; mi piaceva fare la “so tutto io” a breve termine.

“Oltre a necessitare di due giorni, come minimo, di tempo per trasformarti, che non abbiamo, saresti un vampiro neonato privo di qualsiasi controllo e pronto a scannarti su ogni essere umano che incontri. Inoltre è piuttosto doloroso, cominceresti a gridare come un’assatanata e proprio qua in aereo darebbe parecchio nell’occhio.” Bella mi guardava ad occhi spalancati. Forse avevo esagerato ed adesso si sentiva una stupida.

“Ah…” disse lei rimangiandosi tutto quanto.   

“Sai tante cose” mormorò Alice guardandomi con un certo stupore contenuto.

“Ehi, io ci vivo con quelli come voi. È logico che sappia queste cose” feci con aria un po’ annoiata da saputella.

E inoltre non credo di saperlo fare. Non fidarti troppo di me” Si tornò a rivolgere a Bella, con aria supplichevole.

“Voglio rischiare” Io sorrisi; quante volte mi sono sentita dire quelle parole. Era in effetti quello che la mia famiglia stava facendo da diciassette anni.

“Sei strana, lo sai?” mormorò Alice. Bella sorrise.

“Grazie” rispose confusa.

“Non immaginavo fossi così. Cioè, non a questi livelli. C’entra forse lei?” Mi girai distaccata, vedendomi tirata in causa. Bella sorrise anche a me.

“Qualcosa” mormorò.

Cosa?” chiesi, per essermi distratta un momento e non avendo ascoltato la loro conversazione.

E poi era solo una remota ipotesi. L’importante è rimanere vive fino a domani” concluse Alice, tralasciando la mia domanda. Avvampai improvvisamente di calore. Domani. I miei genitori si sarebbero presto infuriati, preoccupati, impazziti per me.
”Pronto?” Alice alzò velocemente la cornetta del suo telefono, mentre un’hostess le lanciò di nuovo una greve occhiataccia.

“Sì, Carlisle…. Jasper te l’ha detto?... Non so ancora quello che vuole fare, è meglio aspettare prima di agire… sì, è con noi.” Detto questo lanciò un’occhiata spettrale verso di me. Mi strofinai il viso con le mani; dove c’era Carlisle, c’era papà. Sospirai pesantemente. Passarono alcuni momenti di silenzio. Il suo viso si increspò. Vicino a me, anche Bella si destò.

“E tu non gli hai trattenuti?! Ti ha detto Jasper che…” Si bloccò istantaneamente. Rimase immobile per non so quanti secondi. Io continuavo a guardarla fissa negli occhi.

“Va bene” detto questo buttò giù il telefono. Mi lanciò un’occhiata per niente amichevole.

“Tuo padre ha usato il tuo potere e adesso i tuoi genitori ci stanno seguendo” disse arrabbiata. Mi sentii stranamente sollevata; i miei genitori stavo venendo da me. Per farmi sicuramente qualcosa di brutto, per cui non c’era tanto da rasserenarsi. Ma in confronto a stare da sole con un gruppo di un numero tra i dieci ed i venti vampiri, era la salvezza. Alice sospirò.

“Per fortuna sono distanti due ore da noi, quindi quando ci raggiungeranno le cose si saranno già risolte a Volterra, in un modo o nell’altro.” Io trasalii. No, perché? Io volevo che venissero al più presto.

Perché dici cosi?” domandai con una certa esitazione che non era da me.

“Perché se avessero preso il volo precedente, ci avrebbero raggiunti ed avrebbero pagato anche loro le conseguenze” Cercò di dirlo con tono neutro, ma che non poté fare a meno di suonarmi come un rimprovero. Aggrottai le sopracciglia; quel senso di colpevolezza, di assomigliare molto più ad un assassino, era aumentato. Mi sentii una totale imbecille. Mi stavo comportando esattamente come una stupida; non avevo pensato davvero a quello che avrei rischiato e cosa avrebbe davvero comportato la mia sciocca idea.

Sentii la mano di Bella stringere la mia; ebbi appena la forza per ricambiare. Si limitò solo a quello; cosa mai avrebbe potuto dire? Anzi, me lo avrebbe dovuto far pesare ancora di più; lei era stata la prima a dirmi di lasciar perdere. Per fortuna era un’amica e non lo fece, nonostante non mi meritassi un comportamento simile. Anche Alice ebbe il buon pensiero di tacere; si stava rivelando un’ottima persona. Oltre a tenere a Bella, a Edward, a tal punto di rischiare la vita, aveva accettato anche me.

“È meglio se ne approfittate per dormire un po’ e riposarvi. Vi sveglierò io” disse Alice abbracciandosi le gambe e appoggiandosi il mento sopra. Per quanto mi riguardava dormire era collocato all’ultimo posto delle cose da fare al momento. Mi limitai ad appoggiare la testa sul sedile, mentre guardavo distratta uno steward ed un’hostess parlottare allegramente.

“Hanno rifiutato la richiesta” disse Alice impercettibilmente, dopo non so quanto tempo.

Cosa farà?” mormorò Bella, troppo tesa.

“È confuso, deve ancora decidersi…” Pian piano cominciai a capire come funzionavano davvero le visioni di Alice; capivo cosa significava vedere le decisioni prese dalle persone, i loro progetti. Ciò che vorrebbero attuare. Più che prevedere il futuro, prevedeva le volontà.

Cosa hai visto?” chiese al limite della preoccupazione. Alice sospirò e fissò Bella.

“Voleva andare a caccia. Dentro le mura” completò lei in un sussurro.

Io mi concentrai su Alice; dopo ore passate in uno stato quasi catatonico, passando il tempo impegnata a compiangermi, avevo finalmente deciso di rivestire un ruolo più attivo e di collaborare. Solo allora mi accorgevo che Alice non aveva un piano predefinito in partenza, cioè, un piano dettagliato; stava improvvisando in base alle decisioni di Edward. L’improvvisazione era un buon piano, solo se si aveva molta fortuna, il che non ce lo garantiva nessuno.

“Ma ha cambiato subito idea” concluse Alice.

“Non voleva deludere Carlisle” dedusse Bella.

“No” concordò Alice. Decisi di non lasciare più pensieri solo per me.

“Almeno siamo sicuri che non attaccherà persone innocenti, ma troverà un altro modo” Alice e Bella mi guardarono.

“È proprio quello che vuole fare” Alice mi guardò ancora sorpresa. Io le sorrisi.

“Siamo ancora in tempo?” esclamò all’improvviso Bella.

“Sì, se manterrà la sua decisione”

“Quale?”

“Esporsi al sole in pieno giorno.”

Ci pensai un po’ su. Si sarebbe trasformato in una palla da discoteca anni settanta e tutti ne sarebbe rimasti folgorati da cotale bellezza. Ed avrebbe rivelato il segreto. Ruppi il momento di silenzio.

“Come posso dire…” cominciai cercando le parole esatte “È una decisione davvero… elegante, per farsi uccidere. Il ragazzo ha molta classe. Un po’ drammatico, forse.” Alice mi lanciò un’occhiataccia.

“Arriveremo in ritardo” sussurrò Bella. Non riuscivo a capire il perché, finché non mi accorsi della luce dell’alba che penetrava nell’oblò. Nella mia mente di susseguirono una serie di parolacce da rimanere all’inferno per l’eternità.

“No, non lo farà adesso. Aspetterà un pubblico più numeroso possibile; per questo andrà in piazza, sotto il campanile. Le mura sono alte; aspetterà quindi che il sole sorga alto in cielo.

Lo dicevo, il ragazzo voleva fare le cose in grande e in modo melodrammatico; nessun vampiro si potrà mai accontentare in nessuna situazione delle semplice cose.

“Abbiamo tempo fino a mezzogiorno?” mormorò Bella.

Se non cambia idea, sì.”

Bene, avevamo un piano, con dei dettagli: sapevamo dov’era, sapevamo cosa e quando voleva fare. L’unica cosa che mancava era il come fermarlo. Intanto il prossimo passo era raggiungere Volterra prima di mezzogiorno, il che era qualcosa. C’era poi il come raggiungerla, ma per questo doveva già averci pensato Alice. La voce del pilota all’altoparlante avvertì gli ospiti dell’imminente arrivo a Firenze. Mi allacciai le cinture di sicurezza.

“Quanto è lontana Firenze da Volterra?” chiese Bella.

“Dipende dal mezzo…” Voltò la testa e ci guardò seria.

“Vi sentirete a disagio di fronte ad un prossimo furto d’auto?” Io non riuscii a trattenermi da una risata nervosa.

“Solo se la scelgo io.”

 

Alla fine non me la fece scegliere, anche se la Porsche gialla che aveva preso non era male. Al rumore del motore parecchie persone si voltarono a guardarla. Era una signora auto, quella. Dopo che anche Bella fu salita a bordo sentii il motore rombare e partire.

“Alice, non… non potevi prendere qualcosa di più sobrio?” disse Bella un po’ a disagio. Io mi accostai a lei.

“Ricordati, Bella, i vampiri fanno sempre le cose in grande. Mi raccomando, ricordatene” le sussurrai in un orecchio, mentre Alice con un piccolo sorriso sulle labbra, accelerò facendomi sbattere contro il sedile.

“Le cinture, prego” mormorò con finta altezzosità “Dobbiamo ritenerci fortunate; è la più veloce che ho trovato.

“Ci sarà utile ai posti di blocco” minimizzò Bella. Alice ghignò.

“Non avranno tempo per sistemarli, Bella.

Detto questo una brusca accelerata mi schiacciò ancora di più contro il sedile. Con forza mi aggrappai al sedile di Bella di fronte a me e mi avvicinai a lei. Si stava avvinghiando al sedile, terrorizzata. Il contachilometri segnava i quattrocento.

“Cose in grande, Bella, cose in grande” confabulai io senza senso. Lei si mise persino a ridere nervosa.

“Non credo sia il momento adatto per ridere” si intromise Alice brusca.

“Questo è esattamente il momento più adatto per ridere. Forse l’unico” la contraddissi io.

L’ultime parole le dissi con una certa inquietudine nella voce. Volli godermi il paesaggio fuori dal finestrino, forse anche per rilassarmi, ma il nostro autista andava così veloce che fu impossibile fare anche quello.

“Qualche novità Alice?” chiesi per tenermi informata sulla situazione. Lei aggrottò le sopracciglia; mi preoccupava il fatto che stesse guidando e contemporaneamente vedendo da un’altra parte.

“C’è… un festa. Vedo… molte bandiere, persone vestite in rosso. Che giorno è oggi?”

“Quindici” risposi sicura. Alice ghignò.

“San Marco”

Quindi?” continuai.

“Ogni anno si festeggia uno dei patroni di Volterra, il vescovo cristiano Marco, che in realtà sarebbe Marcus dei Volturi, perché secondo la leggenda scacciò i vampiri dalla città secoli fa. Morì in Romania, mentre tentava di scacciare i vampiri anche in quella zona. Ovviamente non è vero. Da questa storia sono nate molte altre leggende, come la faccenda di aglio e croci.”

Quindi, la popolazione di Volterra festeggiava al momento un vampiro, che uccideva le persone, invece di un vescovo, che le salvava. E tutto ciò era stato architettato da uno dei Volturi stessi. Era un piano talmente orrido, disgusto e meschino che c’era da complimentarsi per l’ingegnosità. I Volturi cominciavano a farmi ancora più ribrezzo; chi diavolo si credevano di essere?

“Gli darà parecchio fastidio vedersi rovinare la festa da Edward” commentò Bella. Mi venne un’improvvisa voglia di rovinarla io stessa, la festa.

“No, agiranno prima che Edward possa fare qualcosa” commentò cupa Alice “Sanno quello che vuole fare. E lo stanno aspettando.”

“Bene, allora che si fa?” chiesi impaziente.

“Tu niente” accusò contro di me “Basta che veda Bella” E basta? Sembrava essere facile e… semplice come piano. Io mi accasciai sul sedile, delusa di non poter essere utile in alcun modo. Ero davvero venuta là per niente.

Cosa devo fare?” proruppe seria Bella.

“Cercherò di portarti il più vicino possibile alla piazza. Poi ti indicherò dove dovrai correre” disse seria.  

“Ti prego, non inciampare, non c’è molto tempo” supplicò Alice. Forse non sapeva con chi stava parlando; Bella che corre e non inciampa? No, impossibile. La conoscevo fin troppo bene. Era un piano che faceva acqua da tutte le parti. Mi accasciai di nuovo sul sedile, molto sconfortata. Non aprii bocca, per togliere anche le ultime speranze.

Il sole intanto si era alzato molto, parecchio in alto. Il tempo stringeva…

“Siamo arrivati” Mi misi a guardare oltre la spalla di Bella. Davanti a noi si erigevano alte mura di mattoni. Lo stomaco mi si chiuse improvvisamente e rimasi a fissarle immobile, mentre le attraversavamo ed entravamo nella città.

 

  

 

 

E allora? Che ve ne pare? Adesso le cose diventano più emozionanti!! XD

 

X eia: Uau! Sono felice che ti piaccia la mia ff e grazie molte per i complimenti e per il commento! Non ti do torto, tra 2971 ff è un’impresa trovarne una… : )  Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gusto! Alla prossima!

 

X Ryry_: Davvero? Sono curiosa di leggere la tua ff, ank se hai scritto un solo capitolo. E anche di sapere di cosa si tratta : ). , insomma, era scontato che Abigail si innamorasse di Jacob, no? : ) Sempre insieme, sempre a litigare e poi far pace…Bon, ora basta! XD Grazie ancora per il commento! Ciauz!

 

 

 

 

 

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Capitolo 10
*** Decimo Capitolo ***


Decimo Capitolo

 

 

Decimo Capitolo

 

 

Davanti a noi si prolungava una ripida salita ed il traffico aumentò. Le strade si fecero sempre più strette ed Alice fu costretta a fermarsi. Guardai l’orologio; mancavano dieci minuti a mezzogiorno.

“Alice” supplicò Bella.

“È l’unica strada” La voce ingannava la sua apparente tranquillità. Ormai era come restare bloccati in un ingorgo all’ora di punta. All’improvviso Alice frenò di colpo, di nuovo. Fui sul punto di scagliarmi contro il sedile di Bella. Guardai oltre alla sua spalla; un posto di blocco. Non ci voleva.

“Alice” disse di nuovo Bella nervosa. Guardai di nuovo l’orologio; otto minuti.

“Lo so” le rispose Alice tesa.

Basta! Stavo scoppiando! Non saremmo mai arrivati da nessuna parte a quel passo! Dentro l’abitacolo della Porsche il caldo era aumentato per il sole che batteva forte. Guardai invidiosa e con rabbia i turisti e gli italiani che, camminando tranquillamente, ci superavano ed arrivavano in piazza in un batter d’occhio.

E Bella avrebbe dovuto correre in mezzo a tutti loro. Sarebbe stato impossibile per lei farlo abbastanza in fretta. A confronto, invece, sembrava che io avessi migliori probabilità; potevo essere molto veloce. Mi venne un’improvvisa, tanto quanto scapestrata idea. Certo! Ma non sapevo come lo avrei potuto fermare. Poco male; avrei improvvisato secondo l’esigenze della situazione, come conveniva in quei casi fare. Non sapevo poi dov’era la piazza, ma la soluzione in quel caso era semplice: bastava seguire tutta la marmaglia di gente. L’adrenalina entrò in circolo per l’impresa; me ne sarebbe servita tanta.

“Alice, dov’è di preciso nella piazza?” chiesi impaziente. Lei doveva essere troppo concentrata sul futuro di Edward per vedere il mio, perché non previde in tempo la mia decisione.

“A destra del campanile” rispose lei, quasi in preda al panico. Slacciai immediatamente la cintura.

“È stato un vero piacere fare la vostra conoscenza” dissi frenetica aprendo la portiera. Alice si voltò di scattò verso di me; ora aveva capito. Non ebbe il tempo di parlare perché io le chiusi la porta in faccia. Bella d’altronde, non si era neppure girata. Appena uscita fui travolta da un forte vento impetuoso, che per fortuna mi avrebbe reso più facile reggere quell’insopportabile caldo. C’era moltissima gente, ma per quell’occasione avevo lasciato l’educazione a casa, quindi non sarebbe stato un problema spintonarne un po’.

Incominciai a correre agile e scattante, talvolta spingendo, talvolta sviando le persone davanti a me. Tutte si stavano dirigendo verso un’unica direzione; doveva essere per forza la piazza. Mi lasciai finalmente dietro la lenta e gialla Porsche. Aumentai il passo, fino a raggiungere il limite, per cercare di raggiungere quella maledetta piazza in tempo. La folla si faceva sempre più calcante ed il sole mi accecava, ma io correvo lo stesso. Oddio, stavo cercando di salvare la vita ad un vampiro! Sentii voci rudi urlarmi in una lingua sconosciuta; italiani, mi ero sempre domandata come facessero a capirsi in una lingua così strana.

Dopo tre minuti un mare di luce improvvisa mi obbligò a fermarmi, accecata. Non capivo dove fossi finita; c’era un mare di persone, vestite di rosso, accalcate. Un vero delirio. Mi voltai disorientata per un po’, prima di capire dove fossi finita e di vedere un grande campanile di fronte a me. Ero nella piazza e quello era il campanile. Si trovava completamente dal lato opposto a dove mi trovavo io. Guardai il suo imponente orologio. Tre minuti. Con un impulso violento, cominciai ad avventurarmi in quel mare di teli e mantelli. Feci davvero un grandissimo macello; investii bambini ed anziani e qualcuno ebbe anche il buon pensiero di picchiarmi in testa o dove era più agevole farlo. Non sprecai tempo per vedere in faccia le mie povere vittime; che persona senza scrupoli, pensai con ironia, in prenda all’isteria del momento. La mia coscienza ne avrebbe forse risentito. Per fortuna a Volterra nessuno mi conosceva; sicuramente non ci sarei tornata una seconda volta.

Mi fermai in tempo prima di urtare il cemento della fontana della piazza. Una fontana, non ci voleva. In due secondi trovai un modo veloce per aggirarla. Salii veloce sul largo bordo, piuttosto alto. Mi alzai sulla punta dei piedi per vedere la base del campanile. Ero ancora troppo bassa; non riuscii a distinguere alcunché. Con uno sbuffo saltai e intravidi già qualcosa. Cominciai a saltare ripetutamente con forza. Eccolo, era lì. Sembrava più che altro una statua in marmo bianco di Carrara, ma dubitavo che una statua potesse trovarsi in un vicolo a destra del campanile. Ergo, era un vampiro. Constatai che mancava ancora mezza piazza per raggiungerlo, anche se non era molta la gente che si accalcava nella sua direzione. Percorsi metà fontana, evitando di attraversarla per lungo, di bagnarmi e di diventare più lenta, ed ignorando i cartelli che mi proibivano di fare quello che stavo facendo. Scesi veloce dalla fontana. Ed altri bambini, vecchietti, donne e uomini innocenti furono vittime dei miei spintoni. Ricevetti un colpo in testa dal ventaglio di una vecchietta temeraria che mi fece parecchio male.

La calca di gente si stava diramando; ero quasi riuscita ad arrivare alla fine. Riuscii ad intravedere la sagoma di Edward. Lo scambiai per le prime per un angelo in procinto di spiccare il volo. Era a petto nudo, sul bordo di un vicoletto, gli occhi chiusi, mentre le braccia leggermente distaccate dal busto, con i palmi delle mani aperte, verso il cielo. Sembra un giovane martire sul punto di morte, oppure uno di quei personaggi dei romanzi cavallereschi, che aspettano di morire con onore e dignità. Davvero scenografica, come morte; sì, non c’erano dubbi, era lui. Aspettava impaziente di fare quell’unico passo che lo avrebbe esposto alla luce del sole. Ebbi tempo di scorgere una piccola famigliola lì vicino, che si era accorta di lui e lo guardava piuttosto incuriosita. Oh no, no, no… Doveva coprirsi immediatamente! Sì, ma con che…

Mi venne un’idea; scippai il mantello rosso che portava sotto il braccio un uomo di giovane età piuttosto alto. Fui abbastanza veloce per non farmi beccare. Insomma, piuttosto che rubare una Porsche

In breve riuscii finalmente a superare la folla che rimaneva. Ora nessuno mi separava da quella statua immobile; solo una quindicina di metri. Ed iniziai ad improvvisare davvero; come si fermava un vampiro? Corsi come una forsennata verso di lui. Mancava un minuto. Meno dieci metri; lui continuava a rimanere immobile. Meno cinque; lui restava fermo, ad occhi chiusi, forse ignaro che qualcuno si stava avvicinando. Arrivata a meno cinque metri srotolai il mantello rosso davanti a me, tenendolo ben largo e sostenendolo con entrambe le mani. Era abbastanza largo, come avevo sperato. NON FARLO, BRUTTO IDIOTA!

A meno due metri gli saltai addosso. Fu un piccolo ragionamento di due secondi; era difficile spostare un vampiro, con i soliti modi. Era molto più facile prenderli alla sprovvista. Le mie gambe e le mie braccia gli si avvinghiarono intorno. Il velo rosso fu abbastanza grande per coprirgli busto e faccia. Produssi un gemito indistinto. Subito dopo un dolore allucinante. Vidi la luce farsi sempre più soffusa e sentirmi cadere verso l’oscurità del vicolo. Dopo capii che era stato lui ad arretrare. Ce l’avevo fatta, si era allontanato dalla luce. Mi mancò improvvisamente la forza, sia nelle braccia, sia nelle gambe e mi afflosciai a terra. Un dolore allucinante al petto mi obbligò a mantenere una posizione supina.

“Ahia!” gridai per il dolore. Strinsi gli occhi per reprimerlo; mi ero slanciata troppo forte su di lui e mi ero rotta una costola. Un verso strozzato mi uscii improvviso dalla gola. Qualcosa di freddo me la tratteneva e non mi permetteva di respirare. Aprii gli occhi; Edward mi stava tenendo spiaccicata contro il muro a vari centimetri di altezza, tenendomi con una mano il collo, che avrebbe potuto spezzare in poco tempo. Il suo viso davanti al mio. Per la prima volta lo vidi in faccia. Era un bel ragazzo, non c’era che dire. Non era però un buon momento per pensare alla sua invidiabile bellezza. Mi guardava con un sorriso ed uno sguardo pieno di tenerezza, che mi avrebbe potuta ipnotizzare, se non avessi saputo cosa stava realmente a significare.

“Non avresti dovuto farlo” mormorò con una voce simile al miele, che data la situazione, non mi incantò per niente “Mi dispiace”

Sfoderò poi un ghigno che mise ben in evidenza i canini. Capito, voleva mangiarmi. Tanto che differenza faceva, esporsi al sole o mangiare o uccidere un essere umano? I Volturi avrebbero reagito comunque. Inoltre dopo quell’interruzione la sua coscienza ed il suo senso morale lo avevano di sicuro abbandonato.

Quel suo comportamento mi fece davvero incazzare. Mi aveva rotto la costola – in realtà me l’ero rotta io, ma mi piaceva vederla in questo senso – ed ora voleva anche uccidermi. Dopo tutto quello che avevo fatto per Bella, per lui, dopo tutto quello che avevo rischiato e lasciato a casa, con il dolore per la costola rotta e per la sua manaccia stretta al collo, mi potevo permettere di arrabbiarmi un pochino. Forse aspettava di vedersi davanti una ragazzina spaventata. Io invece gli spuntai in quella sua boccuccia aperta. Lo presi di nuovo alla sprovvista e fu troppo lento per chiuderla. Io lo guardai furiosa.

“Allora sei proprio un idiota” mormorai “Sono corsa da te per venirti a dire che Bella non è morta prima che tu ti uccidessi e tu mi uccidi? Fallo pure! Poi ti assicuro che muori di sicuro”

Il suo viso perfetto si contrasse per la confusione, condita anche con un non so che che esprimeva disgusto. Non accennava a lasciarmi il collo. Cominciai a diventare bordeaux per il poco ossigeno. In quel momento ero tanto arrabbiata che non me ne importava, persino. Anche se inconsapevolmente, lui aveva ferito la mia dignità ed i miei sforzi. Sobbalzai al primo suono della campana.

“Chi diamine sei?” mormorò, ancora con quell’aria confusa e contemporaneamente disgustata.

“Lasciami andare prima, grazie” chiesi senza troppi complimenti, con un filo di voce. Lui non accennò a mollare. Io tossii.

“Prima dimmi chi sei. Come fai a conoscere Bella e me?”

Bhè, aveva in parte ragione. Una pazza gli saltava addosso e gli diceva che Bella non era morta. Aveva i suoi buoni motivi per dubitare di me ed essere così cauto. In quel momento però la costola mi ricordò che ero incazzata ed in quel momento invece di pensare che stava agendo in buona volontà, pensai che fosse un idiota ostinato. Io sbuffai. Secondo ritocco.

Improvvisamente caddi pesantemente a terra. La costola rotta imprecò, come me. Ritornai a respirare affannosamente. Finalmente mi aveva lasciata andare. Mi appoggiai alla parete contro cui mi aveva tenuta. Alzai il viso verso di lui con una smorfia di dolore sul viso. Era pietrificato, la mano con cui mi aveva stretto ancora alzata a mezz’aria ed il volto diretto verso l’esterno della piazza. Mormorò qualcosa che non riuscii a capire. Suonò un terzo colpo, ma riuscii a distinguere abbastanza chiaramente una voce.

Edward!”

Era Bella, era riuscita a raggiungermi. Sospirai di sollievo, ma la costola mi fece male. Cercai di respirare con gli addominali, ma il dolore non sembrava passare. Molto probabilmente si trattava dell’ultima costola, così, tanto per sfiga.

“Bel-la?” lo sentii dire più chiaramente, lieve e delicato, come se quello fosse il nome di una creatura mitica.

Il secondo dopo vidi un’altra figura schiantarsi contro di lui, con meno forza di quanta ne avessi usata io. Edward l’abbracciò prima che il suo corpo si fosse aderito completamente al suo. La campana stava finendo di battere gli ultimi colpi.

Edward…” mormorò un’ultima volta lei, gli occhi fissi nei suoi. Li vidi lacrimare. Di lui invece, dandomi le spalle, non riuscii a distinguere l’espressione, ma lo vidi alzare lentamente una mano per sfiorarle la guancia. Non sembrava che Bella si fosse accorta di me. Stavo assistendo ad una scena talmente romantica e commovente che batteva dieci a zero Sam ed Emily. Non era però esattamente quello che pensavo in quel momento; Bella mi aveva risparmiato brutti momenti con Edward.

“Bella… sei…sei morta tu o lo sono già io?” mormorò di nuovo con quella voce al miele, ma molto più sincera. E zuccherosa. Cominciai esasperata a battere la testa contro il muro, come se fossi una pazza di un manicomio. Non aveva capito proprio niente?

“Mah… secondo te?” esclamai con la voce di una vecchia pazza, che interruppe quella scenetta commovente piena di emozioni. Bella ora si accorse di me.

Abigail” disse ancora con gli occhi lucidi. Non si mosse, rimase lì, in quella posizione, abbracciata al suo angelo custode, per me in quel momento una pigna nel sedere.

“Bella” mormorò ancora con quel tono, solo molto più confuso. “Non… non capisco…” E sembrava veramente non riuscire a capirlo. Guardava il viso di Bella come se ne fosse ipnotizzato.

“Io sono viva, Edward! Non sono morta” supplicò lei abbracciandolo più forte. Va bene, lo shock poteva essere stato molto grande, ma doveva già averlo superato, no? Solo in quel momento sembrò veramente capire le parole di Bella. Finalmente si riscosse.

Mi prese alla sprovvista; si avvicinò a me, mi prese per un braccio e veloce mi mise in piedi. Tennero per miracolo. Mi spinse verso di Bella, lanciandomi un’occhiata inespressiva, e ci fece scudo con il suo corpo. Io mi aggrappai a Bella. Mi si dipinse una smorfia di dolore sul viso. Bella mi sorresse, leggermente goffa. Guardai la schiena di Edward, cercando di capire cosa stesse facendo.

“Buongiorno signori. Non credo di dover usufruire ulteriormente della vostra disponibilità. Vi chiedo gentilmente di inviare i miei ringraziamenti ai vostri padroni” disse con voce gentile e tranquilla Edward, del tutto lucido. Ora sapevo cosa stava succedendo; erano arrivati. Mi innervosii subito; ciò che avevo sperato non accedesse era successo davvero.

“La conversazione può continuare in un luogo più adatto” sussurrò qualcuno, ostile. Ebbi improvvisamente freddo in quel caldo di fine aprile.

“Non c’è ne il bisogno. Credo di non aver violato nessuna regola, Felix” rispose Edward, inquieto. Cominciò a girarmi alla testa. Mi strinsi a Bella vicino a me. La costola mi faceva davvero male. Strinsi le labbra e strizzai gli occhi.

Felix intende la vicinanza al sole. Sarà meglio andare in un luogo più ombreggiato. Sentii una seconda voce, diversa. Più… più da vampiro. Alzai gli occhi per intravedere i proprietari delle due voci. Erano nascosti nell’ombra, vicino all’entrata del vicolo, non riuscivo a vedere nient’altro. Abbassai di nuovo la testa; il dolore era diventato insopportabile e respirare impossibile.

Fatemi strada, allora” rispose Edward innervosito “Bella, perché tu e la tua amica non andate ad approfittare dei festeggiamenti?”

“No, le ragazze vengono con noi.”

Ero lì per vomitare. Magari se lo avrei fatto veramente mi avrebbero lasciata davvero andare. In fondo al momento dovevo avere un aspetto malaticcio; avevo una costola rotta, stavo per vomitare, avevo un mal di testa allucinante: non ero affatto una preda succulenta. Insomma, io personalmente non avrei mai mangiato un umano in quelle condizioni. Inoltre ero piuttosto bassina e di sangue ce n’era poco, poi papà mi diceva sempre che l’odore del mio sangue era piuttosto acido e non molto invitante. Gli avrei sconsigliato di mangiarmi. Ah… il delirio era già arrivato.

“Scordatevelo” disse Edward, minaccioso, acquattandosi. Oddio, voleva attaccare brighe proprio qua? E poi loro erano due, mentre lui uno. Ecco, dopo aver rischiato di morire per mano dello stesso Edward, per salvarlo, ora decide di volerle dare ad altri due vampiri, rischiando ancora. No, che pensavo, aveva ragione, saremmo morti tutti e quanti comunque. Tanto valeva che iniziasse subito e la facessero finita ora.

Vicino a me Bella bisbigliò qualcosa che non capii, ma capii bene quando Edward le ordinò di fare silenzio. Anche lei, vicino a me, pareva inquieta, ma straordinariamente per nulla spaventata.

“No, Felix” s’intromise l’altro vampiri, quello meno scavezzacollo, a quanto sembrava “Aro desidera discutere di nuovo con te, se hai deciso davvero di non metterti contro di noi.”

“Sicuramente. Ma lasciate andare le ragazze”  

“Non credo sia possibile, Edward. Conosci le regole” rispose di nuovo il vampiro più calmo. Le sue scuse sembravano tanto finte che la sensazione di nausea e vomito tornò.

“Temo di non poter accettare l’invito di Aro, Demetri.” Ci fu un breve silenzio.

“D’accordo. Ne sarà molto dispiaciuto” sospirò lui.

“Riuscirà a dimenticare il spiacere.”

Seguì un altro momento di silenzio indecifrabile. Stavo per alzare la testa, ma il dolore mi obbligò a rimanere piegata. Le gambe cominciarono a tremarmi; non ce la facevo a rimanere in piedi. Improvvisamente la testa di Edward si voltò verso l’oscurità del vicolo. Oh, se si voltava, voleva dire che c’era qualcun altro dietro di noi. Eravamo circondati, quindi. Tre contro uno; speravo solo che passasse presto. Cominciai a tremare. Bella se ne accorse e sentii la sua mano ferma prendere la mia. Perché sembrava essere così terribilmente a proprio agio?

“Sarebbe meglio darsi un contegno. Non sono i modi da usare davanti a delle signore.

Era Alice. Fui per un attimo sollevata. Si accostò vicino ad Edward, riuscendo a coprire me e Bella quasi del tutto. Alice non esprimeva alcuna emozione; sembrava tanto tranquilla, quanto quel vampiro, Demetri. Furono invece gli altri due vampiri ad innervosirsi e mettersi in guardia; ora eravamo pari.

“Abbiamo visite” disse lei. I due vampiri si guardarono alle spalle. Alla fine qualcuno ci aveva notati; la stessa famigliola che avevo visto prima ci stava guardando curiosa, mentre il padre attirava l’attenzione di un altro uomo vestito in rosso.

Edward, ragiona” mormorò quello che doveva essere Demetri.

Ora stava supplicando, il poverino. Se non avesse rispettato tutte le regole il padrone gli avrebbe fatto la bua, eh? Non avrei dovuto ironizzare i miei probabili carnefici in quel modo, ma trovavo che fosse un buon modo per pensare ad altro e smorzare la tensione prima della morte, se e quando sarebbe venuta.

“Va bene. Non vi preoccupate, togliamo subito il disturbo” rispose cordiale Edwad. Ora avevamo noi il coltello dalla parte del manico.

“Almeno accetta di parlare in privato.” Dimitri si stava innervosendo, mentre l’altro, Felix, rimaneva immobile e rigido. L’allegra famigliola ora era accompagnata da sei uomini in rosso, tutti che stavano guardando noi.

“No” grignò Edward. Felix sorrise per la preoccupazione nella voce di Edward. 

“Basta.”

Un’altra voce sconosciuta. E non era un altro Cullen. Ora eravamo di nuovo svantaggiati. Ciò che mi fece sobbalzare di quella voce era che proveniva da dietro di noi. Non mi voltai; il dolore sarebbe aumentato. Respirai profondamente, ma ne uscirono solo due colpi di tosse. Alice si voltò verso di me e mi guardò. Notò che mi tenevo il torace con una mano. Mi voltai allora leggermente anch’io; un bambino? Non era più alto di Alice. Guardai quella figura bene in faccia; anche lei, come Felix e Demetri portava un lungo mantello nero, che li copriva dai raggi del sole. Notai il suo viso; no, era solo una piccola mocciosa. Fui sorpresa di come Felix e Demetri, ma anche Edward si fossero calmati all’improvviso al suo arrivo. Era piccola, ma doveva essere un pezzo grosso della guardia.

Jane” mormorò con una certa esasperazione.

“Seguitemi” ci ordinò con voce infantile, che faceva un grandissimo contrasto con l’ordine. Si voltò e s’immerse nell’oscurità del vicolo. Felix, che sembrava in brodo di giuggiole, con un gesto ci indicò di seguirla. Alice si accostò a me e mi cinse le spalle. La sua pelle fredda mi diede un certo ristoro. Mi spinse a seguirla; i bambini non mi erano mai andati molto a genio, seguire poi gli ordini che mi davano e farmi comandare a bacchetta, neppure per scherzo. Anche se questa bambina avesse mille anni. Sentii i passi di Bella dietro di me, ma non mi voltai.

“Non credo di dovermi sorprendere di trovarti qua, Alice” ruppe il silenzio Edward, come se non ci fossero tre vampiri non-vegetariani a circondarci.

“Colpa mia. Dovevo rimediare” rispose Alice senza esprimere alcuna emozione.

“Cos’è successo?” chiese Edward, con lo stesso tono di Alice. Lei si voltò velocemente.

“Storia lunga. In breve, si è tuffata da uno scoglio, ma non voleva uccidersi. Si è data al pericolo, ultimamente.”

Mmm…” mormorò Edward, questa volta più esitante.

E qualcuno l’ha aiutata…” Questa volta si rivolse verso di me.

“Oh… ti prego…” mormorai annoiata. Mi stupii di quanto gracchiasse la mia voce rispetto a quei suoni melodiosi.

Il pavimento in discesa attirò la mia attenzione; la costola cominciò a farmi più male. Avevo bisogno di sedermi.

Davanti a me ed Alice non c’era più nessuno, oltre ad un muro di mattoni senza uscita. Jane era sparita. Alice si fermò. Notai allora un buco che scendeva sottoterra: era un tombino aperto. Fogne? I Volturi vivevano nelle fogne? Si davano tante arie regali e poi abitavano nelle fogne?!

Era piccolo, ma lo eravamo anche io ed Alice, quindi abbastanza grande per noi due. Senza che neanche me ne accorgessi Alice mi strinse i fianchi e saltò giù. Toccammo a terra prima che potessi gridare per lo spavento. Non mi fece nemmeno male alla costola.

“Ti ho fatto male?” mi domandò. Io scossi la testa, evitando di parlare. Era davvero buio là in fondo e mi ci volle un poco per abituarmici. L’unica fonte di luce era quella che spuntava dal tombino.

“Alice?” Ora era il turno di Bella scendere, troppo alta per passare con Edward.

“Sono pronta” rispose lei.

In mezzo secondo anche Bella toccò terra. Avemmo il tempo di scambiarci una breve occhiata.  

Alice tornò a cingermi le spalle e farmi da sostegno. Di nuovo trattenni un gemito di dolore. Alice continuò guidarmi, mentre la luce dal tombino si faceva sempre più lieve e scomparì. Come pensai bene, quelle non erano fogne, sebbene non riuscissi a capire cosa fossero per la troppa poca luce; non percepii infatti alcun odore sospetto. Mi attraversò un brivido di paura, scatenato da quella oscurità. Mi sentivo sola, nonostante ci fosse Alice insieme a me. E divenni realmente consapevole che mi ero immischiata in affari troppo grandi per un essere umano, che non mi riguardavano. Gli occhi ritornarono umidi, e questa volta non era per la costola. Il sentiero cominciò a scendere. Non sopportavo più il dolore; mi fermai di colpo. Prima che Alice ebbe modo di mormorare il mio nome, ripresi a camminare, senza più tenermi alla costola, lasciando che mi facesse male apposta. Non importava più niente, ormai. I miei genitori non sarebbero riusciti a raggiungermi in tempo. Meglio così, non sarebbero morti. O forse… sì…

Spuntò una piccola luce, che mi permise di studiare l’ambiente circostante. Ci trovavamo in una galleria sormontata da grandi e basse arcate. Incutevano abbastanza timore; era molto vampiresco. Attraversammo tutta la galleria; alla fine c’era una grande grata con grosse sbarre di ferro color porpora per la ruggine. In quella stessa grata si apriva una porticina fatta di sbarre più piccole, in contrasto con quelle più grandi. Alice me la fece attraversare, poi mi seguì. Dove cavolo ci stavano portando? Erano necessarie tutte quelle cerimonie, per ucciderci? Fui per un momento accecata dalla luce che proveniva dalla sala subito oltre quella porta.

Ora ci trovavamo in una sala grande e molto luminosa. Sobbalzai quando la porta dietro di noi si chiuse; sembrava la cella di una prigione. E forse non ero tanto lontana dalla realtà. Dall’altra parte della stanza c’era una porta in legno pesante. Varcammo anche quella porta. Ad accoglierci c’era sempre un corridoio luminoso e ampio, con pareti bianche, moquette grigia e lampade al neon appese al soffitto. Chi diamine l’aveva arredata questa stanza? Nonostante la temperatura fosse leggermente più alta rispetto alle fogne, non smisi di tremare. Dall’altra parte del corridoio c’era un ascensore, vicino al quale si era appostata Jane. Sali, scendi, sali, scendi… sarà mai finita questa tortura? Sobbalzai di nuovo al rumore della porta che si chiuse dietro di noi. Alice tenendomi stretta a sé mi guidò dentro l’ascensore. Continuava a rimanere indifferente a quello che stava succedendo. Una volta saliti i tre vampiri si slacciarono i mantelli e si tolsero il cappuccio. Rimasi atterrita e di nuovo la schiena venne percorsa da un brivido; le loro pupille erano di un rosso scuro, quasi nero. Non incrociai i loro sguardi, ma abbassai la testa comunque; quegli occhi mi facevano paura. Bella era accanto a me. Lei sembrava del tutto rilassata tra le braccia di Edward. Doveva ritenersi fortunata, morire insieme a lui. Con me non c’erano i miei genitori; forse era meglio così, ma avevo bisogno della loro presenza in quel momento. L’ascensore cominciò a salire. Vidi Edward muovere impercettibilmente la testa verso di me, mentre gli ricambiavo veloce l’occhiata. Mi guardava in modo strano.

Solo quando l’ascensore si fermò capii. Cavolo, sapeva leggere nel pensiero. Aveva forse ascoltato tutto quello che avevo pensato? Le guance mi si colorarono di porpora per la mia privacy infranta. Va bhè, ma intanto, cosa importava? Che leggesse pure, tanto saremmo morti.

Scesi dall’ascensore dovemmo percorre ancora un’ultima piccola salita. Sbucammo in una stanza molto elegante, con morbida moquette verde, pareti in legno costoso, piccole poltrone in pelle, tavoli in vetro laccato e vasi pieni di fiori. Questa era la mia idea di “regale”. C’era poi una grossa scrivania in legno al centro della stanza. Dietro alla quale c’era una donna. No, non era una vampira, era una donna umana. Mi pietrificai per un attimo.

“Buongiorno, Jane” rispose educata e totalmente a proprio agio in mezzo a cinque vampiri, più due umane, una dall’aspetto orribile. O non aveva la minima idea che davanti a lei ci fossero dei vampiri, o lo sapeva, ma non capivo cosa ci facesse lì.

“Ciao, Gianna” rispose apatica Jane.

Alice mi spinse a seguirla e a mantenere il suo passo, nonostante stessi facendo i salti mortali per il dolore. Ci avviammo verso la fine di quella stanza raffinata verso una grossa e grande porta in mogano.

Oltre a quella porta ad accoglierci ci fu un altro vampiro. Portava un completo grigio ed era molto simile alla piccola vampira.

Jane” disse alla pseudo-sorella.

Alec” rispose lei con la stessa tenerezza nella voce. Si abbracciarono e si baciarono sulle guance. Quante scene per nulla; quei due si saranno visti come minimo dieci minuti fa, ma si stavano comportando come se avessero passato mesi senza vedersi. Era leggermente patetico.

“Esci per prenderne due e ne riporti due… più altre due metà. Complimenti” disse con una strana euforia negli occhi, mentre osservava me e Bella. Non lo conoscevo e già mi stava tremendamente antipatico. Lei rise infantilmente, come se avesse avuto cinque anni. Uno peggio dell’altra a quanto pareva.

“Bentornato Edward. Vedo con piacere che il tuo umore è migliorato” disseAlec.

“Un poco” mormorò Edward impassibile. Non proprio la voce di uno che ha un umore migliore. Osservò prima me, poi Bella, scannerrizzandoci per bene. Mi stava guardando come un topo da laboratorio; la rabbia cominciò a premere ancora.

“Tutto questo quindi per… lei?” Edward rimase immobile dietro di me.

“Fatti avanti” disse Felix, a proprio agio, rivolto verso di Bella. Ora il manico ce lo avevano loro. Sentii Edward ringhiare forte, ma non mi voltai. Alec ora stava guardando me. Non voleva smetterla di fissarmi. Dunque, sarei morta comunque, quindi non avevo niente da perdere. Meglio uscire in grande stile. Continuai a guardarlo negli occhi. Alice si era avvicinata per un attimo al fratello, molto probabilmente per calmarlo dall’attacco verbale di Felix, lasciandomi sola. Alec sembrò incuriosito e fece alcuni passi in avanti verso di me. In faccia aveva stampato un sorrisino del tutto divertito, da presa in giro. Io incrociai le braccia, stando attenta alla costola e ricambiai lo sguardo, stando seria. Non ebbi paura degli occhi porpora, quella volta ne sarebbe andato del mio orgoglio; Alec era un ragazzetto poco più grande di Jane. Sembrava un bambino delle medie, non potevo dargliela vinta. Intorno a noi calò il silenzio; tutti attenti ad osservare il nostro spettacolo. Distolsi lo sguardo solo per osservare con aria critica il completo grigio. Notai una piega sulla spalla. Alzai una mano e gliela tolsi, spavalda. Tornai a fissarlo negli occhi; questa volta stavano avvampando, ma non di rabbia. Capii di cosa si trattasse quando di proposito fece spuntare un pezzetto di lingua dalle labbra. Bene, avevo trovato il mio carnefice: sarei stata mangiata da un ragazzetto, ottimo.

“Aro vi sta aspettando” disse improvvisamente, discostando lo sguardo da me. Mi lanciò un’altra occhiata suadente e ci fece strada insieme a Jane, mano nella mano, come Hansel e Gretel.

“Sarà meglio non farlo aspettare” continuò. Anche Jane, vicino al fratello mi guardò, furente. Alice tornò vicino a me ed il pizzicotto che mi diede al braccio lo tradussi come un pesante rimprovero.

Attraversammo un altro corridoio, anche questo ampio, luminoso e decorato sfarzosamente. Basta camminare, non ce la facevo più. In compenso lo stomaco mi si era del tutto ristretto ed il dolore alla costola stava diminuendo. E comunque ormai non ci badavo più. Alec aprì un pannello in legno scorrevole dietro il quale c’erano la stessa strada ciottolata delle vie della città, immersa nel buio. Mi avrebbe messo paura un passaggio del genere, a confronto con la luce attorno, se non fossi stata circondata da qualcuno per cui provavo una paura maggiore. A fatica trattenni uno sbuffo.

Quel piccolo tracciato fu lungo solo un paio di passi. Entrammo poi in una stanza perfettamente circolare, illuminata da finestre rettangolari alte e strette. Lungo le pareti circolari erano disposte molte sedie di fattezza regale; come se dei vampiri ne avessero bisogno. Al centro c’era un altro tombino, che presumibilmente lo utilizzavano per uscire, esattamente come avevamo fatto noi prima. Non mi fermai a guardare molto la stanza, quanto chi c’era dentro. Non avevo mai visto così tanti vampiri in una volta. Un brivido mi percorse la schiena; faceva piuttosto freddo.

Tutti i presenti si voltarono curiosi verso di noi, interrotti da qualche conversazione. Sembravano in un certo modo tutti imparentati tra loro; gli stessi occhi color porpora, la stessa carnagione pallida, gli stessi lineamenti marcati. Un vampiro tra questi, dai lunghi capelli corvini, l’unico vestito con una tunica nera simile a quella di Jane, si rivolse a noi.

Jane, sei tornata!” esclamò euforico.

Rimasi a bocca aperta, ma subito dopo la chiusi; perché c’era bisogno di fare così tante scene? Cos’era quella mocciosa? Non potevano vivere senza di lei? Mi innervosii ulteriormente. Si mosse verso di lei con un movimento delicato. Si avvicinarono insieme a lui in modo coordinato anche il resto degli altri vampiri. Da quella posizione lo potei vedere chiaramente.

Di primo acchito non lo riconobbi come un vampiro; era troppo… diverso. La carnagione non era di un bianco marmoreo come quella dei presenti, ma quasi trasparente. Sembrava fragile, delicata, come carta velina che minacciava di rompersi da un momento all’altro. Inoltre anche gli occhi rubini erano diversi; erano opachi. Come se soffrisse di cataratta agli occhi. All’inizio lo scambiai veramente per una mummia, non per un vampiro, poi capii che era tutte e due le cose; mi ricordai di quando Alice aveva detto che i Volturi avevano più di mille anni. E così anche i vampiri prima o poi provano i segni dell’età; avevano una giovinezza non eterna ma a tempo indeterminato.

Lo vidi prendere il viso di Jane e darle un lieve bacio sulle labbra.

“Sì, mio Signore. L’ho riportato vivo, come mi avete chiesto” rispose con un tono così zuccheroso che mi venne da vomitare di nuovo. Proprio non li sopportavo; troppo superficiali, scenici e pomposi.

Che gioia mi procuri.” Alzò il suo sguardo su di noi e sorrise estasiato. “E ad accompagnarlo ci sono anche Alice e Bella!”

Come diavolo faceva a sapere il loro nome? Glielo aveva detto Edward stesso? E poi, come mai tanta voglia di vederle, come se fossero vecchie conoscenze? Che teatrale! Era evidente che stavamo creando solo problemi, altro che lieti ospiti.

“Tu invece…”

Sobbalzai. Il vampiro si avvicinò a me e mi osservò attentamente. Il suo viso era davvero poco distante dal mio. Lo guardai per un attimo spaventata da quel incontro troppo ravvicinato. Mi guardava confuso, come se semplicemente osservandomi potesse capire chi fossi; aveva degli occhi davvero strani, davvero persuasivi ed ipnotici. In effetti io ero l’unica persona che non c’entrava assolutamente niente in quella storia. Il suo sguardo si illuminò, spalancando gli occhi dall’euforia.

“Oh…” mormorò “Che… grande sorpresa trovarti qui.” L’età gli aveva recato qualche danno anche alla testa.

“Ho capito finalmente chi sei; è davvero da molto tempo che non ci vediamo. Poi tu sei cresciuta in una maniera impressionante. Forse più di qualche danno. Ci guardò tutti e quattro per un’ultima volta, al culmine della felicità. Si rivolse verso Felix.

Felix, annuncia ai miei fratelli della presenza dei nostri ospiti, te ne prego.

Nel frattempo Edward mi lanciò un’occhiata breve, ma evidentemente preoccupata e perforante. Anche Alice e Bella fecero lo stesso. Mi sentii improvvisamente a disagio. Cosa aveva fatto scattare loro quella reazione? Le parole di Aro? Si stava sbagliando, non l’avevo mai visto in vita mia.

Era però strano che un vampiro compisse così grandi errori mnemonici; la memoria di un vampiro era perfetta. Edward mi lanciò una seconda occhiata, più arrabbiata. Giusto, lui sapeva leggere nel pensiero; non me ne rendevo ancora conto. Ed evidentemente non era d’accordo con quello che avevo pensato. Mi guardai disorientata attorno. Mi accorsi con paura che tutti i presenti stavano guardando interessati me. Non Bella, né tanto meno Alice o Edward. Me. Mi percorse un altro brivido, molto più potente dei precedenti. E non era per il freddo. Mi si bloccò il respiro. Edward stava cercando di dirmi che le parole di Aro erano vere; lui mi conosceva veramente. Non uno, ma tutti i vampiri presenti, a quanto pareva. E io non ne sapevo niente.

“Certamente, signore” Felix sparì dietro di noi. Ascoltavo distratta le voci attorno a me.

“Ecco, Edward. Non sei felice di aver ottenuto ciò che mi hai chiesto ieri?”

“Sì, ora sì” Edward strinse Bella, vicina a me e ad Alice.

“Adoro i lieti fine. Avvengono così raramente. Ciononostante sono curioso di sapere tutta la storia” sospirò.

Che razza di ipocrita, un vampiro come lui come poteva solo anche pensare questo senza passare per un bugiardo? Strinsi i pugni; ero arrabbiata, troppo. Non con lui, con mamma e papà. Loro ne sapevano qualcosa, forse più. Come poteva non essere così? E non mi avevano mai detto niente. Rimasi apatica solamente per poco, poi col nascere della rabbia, il mio pensiero divenne più pungente. Aro si rivolse ad Alice.

“Com’è potuto accadere, Alice? Tuo fratello credeva che tu fossi infallibile. Aro guardò me, di nuovo. Continuava a osservarmi, nonostante non mi si rivolgesse. Anche il resto dei vampiri continuavano a tenere lo sguardo fisso su di me. Divenni improvvisamente confusa ed imbarazzata. E la paura crebbe.

Alice gli rispose con un sorriso sincero. Le nocche fuoriuscivano però dai pugni chiusi.

“Ah, tutt’altro. Come hai potuto constatare tu stesso, risolvo tanti guai quanti ne creo” rispose con allegria.

Che modestia! Sono venuto a conoscenza di parecchie opere incredibili compiute da te e sono rimasto folgorato dalle tue doti. Sono straordinarie” Ci fu solo un piccolo momento di silenzio.

Perdonami, non mi sono presentato. Ma mi sembra già di conoscerti. Ieri tuo fratello mi ha parlato di te in una maniera piuttosto particolare. Vedi, il mio dono è molto simile al suo. Ma purtroppo, deve rispettare alcuni limiti” disse con evidente tono da falso invidioso.

“Ma è molto più potente” intervenne Edward, per niente gioioso quanto Aro. Si volse vero Alice.

“Aro riesce a percepire i pensieri, ma ha bisogno del contatto fisico. A differenza di me, Aro percepisce ogni pensiero che la mente del soggetto toccato abbia mai generato.”

Oh… anche lui era un invadente. Voleva dire che avrei dovuto evitare di farmi toccare da lui; dopo tutto quello di poco carino, ma vero, che avevo pensato... Era probabile che invece di rivolgersi a Alice volesse farlo capire a me. Forse per farmi smettere di pensare a tutte quelle sciocchezze. Se fosse stato così, se lo poteva pure scordare. Faceva a meno di sentire; poteva essere questo il mio ultimo desiderio prima di morire?

Ma sarebbe molto più… conveniente” continuò.

Alzò lo sguardo oltre le nostre spalle, insieme a tutti i presenti. Timidamente li imitai. Mi accorsi solo allora che Alec, Demetri e Jane, che si era mossa senza che io lo notassi, ci stavano ancora alle spalle. Felix stava attraversando la soglia e non era solo. Due vampiri con una tonaca nera uguale a quella di Aro entrarono nella sala circolare. La pelle e gli occhi erano uguali a suoi. L’unica cosa di diverso era l’assenza di gioia; sembravano entrambi seccati di trovarsi lì. Almeno loro erano sinceri.

Marcus, Caius, guardate!” esultò raggiante Aro “Bella alla fine è viva, ed è insieme ad Alice.” L’espressione di entrambi non mutò. Li compativo; come facevano a sopportarlo?

E che impressionante sorpresa! È successo persino l’imprevisto.”

Questa volta indicò me ed il viso di entrambi, dapprima confuso, si animò di una strana luce. Sembravano sorpresi, ma anche… dubbiosi. Ed io ancora non capivo perché mi conoscevano.

Uno dei due vampiri, con una lunga chioma bianca, dello stesso colore della carnagione, si diresse con eleganza verso uno dei troni, cauto. L’altro, dai capelli lunghi e corvini come Aro, si soffermò porgendo la mano ad Aro, che lui strinse. Dopo un breve contatto la ritrasse, avvicinandosi al vampiro dai capelli bianchi.

“Grazie, Marcus. Interessante” disse curioso e sorpreso.

Capii che in quel modo aveva letto il pensiero a Marcus. In lui per un momento non c’era più quella strana e falsa spensieratezza, ma unicamente serietà. Per una volta non fingeva di esprimere ciò che realmente provava. Vicino a Caius e Marcus si avvicinarono due vampiri, appartenenti alla guardia del corpo, e due vampire, molto probabilmente i due membri femminili della “famiglia reale” di cui mi aveva fatto cenno Alice.

“Davvero impressionante” esclamò nuovamente Aro. Alice aggrottò impercettibilmente le sopracciglia, nervosa. Come lo stavo diventando io. Si voleva sapere cosa c’era di tanto impressionante?!

Marcus ha il potere di vedere le relazioni tra persone. È rimasto sorpreso dalla mia con Bella.” Sentii il mormorio di Edward parlare irrequieto ad Alice vicino a me. La spiegazione mi fu esauriente. Aro notò l’intervento di Edward.

“Stupire Marcus è davvero un’impresa. Complimenti. Ancora non riesco a capire come tu ci riesca” disse fissando ora attentamente Bella questa volta.

“Non è facile” rispose Edward monotono.   

Ma, in fondo… è la tua cantante” disse di nuovo con quella gelosia fasulla. Aspetta, aspetta, non mi era nuovo come termine. L’avevo sentire nominare una volta da papà, ma non mi ricordavo bene cosa fosse. Era una maniera pomposa e del tutto sfarzosa per indicare degli umani speciali. Ah sì. Ogni vampiro aveva gusti particolari in quanto a sangue. Quando un vampiro trovava un essere umano con l’odore più squisito e delizioso che avesse mai sentito, tale da impedirgli di non assaporare il suo sangue, quello era una o un cantante.   

Papà mi aveva raccontato che aveva incontrato la propria cantante. E di averla uccisa, anche se questo rientrava nella sua fase di vampiro normale. Non sapevo neppure se la o il cantante potesse essere unico, oppure se si potesse rincontrare un altro essere umano dalle caratteristiche simili . Mi ha raccontato che quello che aveva provato succhiando quel sangue era stato puro godimento.

E Bella era la cantante di Edward. Cosa?! Bella era la cantante di Edward, ed in questo momento le stava così vicino?! Ora sì che comprendevo la sorpresa di Aro! Cavolo! Papà non aveva pensato un secondo di più prima di saltarle addosso. Edward, invece, era… era davvero formidabile. Forse non era un vampiro. Mi ricordai, di nuovo, che era in grado di leggere nel pensiero. Approfittai dell’occasione per rivolgermi a lui: Edward, tu sei un alieno, vero?  

La voce di Aro improvvisamente mi fece tornare alla realtà. Mi ero persa un bel po’ di conversazione.

“Il pensiero di quanto ti affascina il suo sapore alletta la mia sete” sussurrò suadente ed ironico. Edward non ne sembrò contento.

“Oh, non preoccuparti, non le farò del male” Sì, lui, ma gli altri?

Aro mi guardò entusiasta un’altra volta, prima di rivolgersi ancora ad Edward. Evidentemente mi voleva lasciare per ultima. Intanto la curiosità cresceva, diventando un essenziale bisogno di sapere il perché di quegli sguardi. Smaniavo di saperlo. Ed avevo sempre più paura.  

“Mi sono però incuriosito di una sua particolarità” Osservò Bella e le avvicinò la mano. Troppo vicino. Mi innervosii.

“Posso?” chiese a Edward.

“Chiedilo a lei” rispose indifferente Edward. No, non volevo che la toccasse.

“Ovvio! Che maleducato! Perdonami Bella. Sono sorpreso che tu sia l’unica eccezione al potere di Edward. Ne sono rimasto davvero incuriosito. Perciò mi domandavo se non fosse un’eccezione solo per Edward, ma anche per me, in quanto i nostri poteri sono molto simili.”

Bella lanciò un’occhiata ad Edward, il quale rimase rigido. Aro non la smetteva di guardarmi, quindi, invece di non far finta di niente, gli risposi anch’io con occhiate poco simpatiche. Edward incoraggiò Bella a seguire la richiesta di Aro. Non mi andava a genio l’idea, ma visto che lui sapeva leggere nella mente di Aro, ponevo una certa fiducia in lui. Bella sollevò tremante la mano verso quella di Aro, che continuò a guardarla con quegli occhi lattiginosi. Le due mani entrarono in contatto. Ben presto Aro rimase incredulo; arrivai a capire che non aveva sentito niente. Ritornò però ben presto raggiante.

“Davvero interessante” disse lasciando finalmente la mano. Rimase in silenzio, pensieroso. Ehi, noi non abbiamo tutto il giorno! Muoviti, dolcezza!

“Non è mai successo” mormorò “Che sia immune ai nostri poteri? Jane…”

“No!” sbottò Edward, d’un tratto. Alice cercò di trattenerlo inutilmente. Perché questa reazione davanti ad un mocciosa? Osservai Jane, che guardava estasiata Aro. Quale potere aveva? Lei sorrise timidamente.

“Sì, signore?” Edward fece scudo a Bella e non smetteva di guardare Aro in cagnesco e di ringhiare. Felix fece un passo avanti, ma Aro lo bloccò paziente.

“Mi chiedevo, cara Jane, se Bella fosse immune anche a te” Edward ringhiò. Caius si alzò, finalmente incuriosito, insieme alle due guardie. Jane si lasciò andare in un sorriso.

“No!” gridò Alice. Non vidi neppure Edward gettarsi verso la mocciosa che era subito a terra. Si muoveva in sussulti e sembrava soffrire in silenzio. Rimasi ad occhi spalancati, ma cercai di evitare di spalancare anche la bocca. Ah… avevo capito perché tutti non la trattavano da mocciosa, ma da capo. Ed anch’io ebbi per la prima volta paura di lei.

“Basta!”

La voce di Bella mi spinse a voltarmi verso di lei con sguardo preoccupato. Cercò di avvicinarsi a Edward, ma saggiamente Alice la trattenne. Io guardavo la scena immobile, seria. A Bella sarebbe successo lo stesso. Ed io sarei rimasta a guardare. Mi ero sbagliata; avevo pensato che i vampiri non fossero inclini a morti lente e dolorose; bastava un’unica goccia di sangue per scatenarli e morire mangiati, il che era breve, non indolore, ma breve. I Volturi invece avevano a disposizioni questi mezzi di tortura. Quindi prima di morire avrei dovuto soffrire in quel modo e avrei visto Bella soffrire in quel modo. Stavo pensando seriamente di mordermi l’unghia di un dito un po’ troppo, in modo da farlo sanguinare. Sarebbe successo un vero pandemonio. E tutto si sarebbe risolto in breve.

Con un semplice gesto della mano di Aro, Jane smise. Aro osservava Bella interessato; fu allora che desiderai saltargli addosso e strappargli quegli occhi dalla testa. Stava trattando Bella come una cavia da laboratorio. Strinsi le labbra, furiosa.

“Sta bene” sentii Alice grignare, mentre teneva ancora tra le braccia Bella. In breve Edward si riprese e le tornò vicino. Tornai a guardare Jane, ma ancora una volta incontrai lo sguardo di Aro. Ora stava guardando anche me come fossi una cavia. Interruppi subito il contatto e guardai Jane. Aveva le sopracciglia contratte, in preda alla concentrazione, gli occhi fissi su di Bella, mentre sbuffava. Era la stessa identica espressione di un bambino che non riesce a prendere qualcosa messo in alto, perché troppo basso. Sorrisi senza renderne conto; non ce la faceva, Bella era immune anche a lei. Jane scoprì i denti verso di lei, irritata. Aro invece scoppiò a ridere.

“Non dispiacerti, cara. Siamo tutti nella tua situazione” continuò allegro, sfiorando la spalla della mocciosa per confortarla. Incrociai di punto in bianco lo sguardo di Alec, che mi guardò a sua volta, alzando un sopracciglio e guardandomi con aria invitate, come se fossi una pallina di profitterol. Scostai lo sguardo, disgustata. Aro intanto non smetteva di ridere.

“Sei davvero potente per sopportare in silenzio, Edward. Lui lo guardò torvo. E solo un pochino incazzato.

“Perdonami, se ti ho esclusa fino ad ora. So di essere stato maleducato.”

Lo stomaco mi si chiuse all’istante quando Aro si stava rivolgendo questa volta a me. Bella si voltò di scatto, continuando a stringersi ad Edward. L’attenzione si pose su di me e mi sentii subito a disagio. 

“Non finirò mai di ripetere che è stata davvero una grande sorpresa trovarti qui. Non è vero, Marcus, Caius?” Il suo tono di voce era cambiato questa volta. Rimaneva gioioso ed entusiasta, ma ora la falsità della sua voce era fin troppo evidente. Caius e Marcus risposero con un’occhiata penetrante che mi lanciarono. Distolsi subito lo sguardo da loro. Dai loro sguardi veritieri colsi che lì, per qualche strano motivo, non ero la benvenuta.

Ma ancora più mi sorprende come tu sia stata coinvolta in tutta questa storia. A quanto pare anche per Edward questa è la prima volta che ti vede” continuò, lanciando uno sguardo piuttosto eloquente a Edward, che rimase immobile e rigido.

Anche se, Bella ed Alice hanno già avuto il piacere di fare la tua conoscenza” riprese, guardando negli occhi Bella, poi Alice.

Tornò a rivolgersi a me. “Forse me lo puoi dire tu” All’inizio pensai di rimanere zitta. Poi deglutii, cercando di trovare un tono di voce deciso.

“Sfortuna” dissi chiaramente, apatica. Lui sorrise beato.

“Anche se tuo padre è bravo a sviarla…” disse più a stesso, che a me. Lo stomaco mi borbottava; i vampiri davanti a me conoscevano bene papà ed il suo potere. Altre due guardie si misero sull’attenti attorno ad Aro. Come se un essere umano potesse fare qualcosa ad un vampiro. Bella cominciò a lanciarmi continue occhiate pericolose ed interrogative. Io cercai di ricambiare con un’occhiata confusa, cercando di farle capire che anche per me la situazione era ignota. Aro sembrò accorgersene; tornò di nuovo a guardarmi, avvicinandosi pericolosamente.

“Suppongo che tu non ti ricorda di noi...  Si fermò per un attimo, confuso “Credo di non sapere il tuo nome. Tuo padre non me lo ha mai rivelato.”

Abigail” mormorai, ma ero ancora decisa.

Abigail!” ripeté, come se fosse la soluzione ad un complicato problema. “Eri piuttosto piccola quella volta” disse guardandomi con aria quasi trasognata. Piccola? Mi aveva visto da piccola? Io avrei dovuto vederlo da piccola?

“No…” Fui decisamente molto meno decisa. Aro allargò quel sorriso, facendolo sembrava falsamente confortante, quando sapevo benissimo che godeva del mio tentennamento.

“Ma William e Sophie avrebbero dovuto dirti chi siamo. In fondo, abbiamo avuto un… incontro avventuroso, che tu dovresti ora conoscere bene” riprese, ancora più raggiante.

“n-no…” Il mio tono scese al minimo ed abbassai persino la testa. Le mani stavano cominciando a tremare. Presto il tremore avrebbe scosso tutto il mio corpo. Come… come faceva a conoscermi…?

“Oh…! Non ti hanno raccontato niente? Davvero?” continuò a fingere “Ne sono molto dispiaciuto. Ma suppongo che…”

Alzai la testa per il modo brusco con il quale si era interrotto. Si susseguirono una sequenza di scene veloci che mi disorientarono completamente. Tutti i vampiri, in uno scatto fulmineo, si girarono verso l’entrata della stanza circolare. Marcus e Caius si alzarono veloci ed eleganti avvicinandosi ad Aro, seguiti dalle guardie del corpo che si disposero in cerchio attorno a loro. Alec, Felix, Jane e Demetri rimasero dietro di noi, quatti, in posizione d’attacco. Mi voltai anch’io, per assistere a quello che i vampiri di quella stanza stavano aspettando. Tutti avevano un’espressione all’erta ed attenta, sorpresa, ma anche inquieta. I tre Volturi dai mantelli neri soprattutto. Gli unici apparentemente calmi erano Alice ed Edward. Rimasi allibita e confusa di fronte a quei gesti repentini. Mentre vedevo Bella stringersi ancora di più ad Edward, per quei movimenti bruschi, sentii le mani di Alice sfiorarmi le spalle.

“È tutto finito” mi disse, con voce davvero rassicurante.

Fu allora che due figure comparvero dall’ombra del piccolo corridoio da cui eravamo entrati, senza che io non ne avessi nemmeno sentito i passi. Mi venne un groppo in gola e fu quasi per miracolo che non mi misi a piangere. Erano mamma e papà. Era la più bella sorpresa che avessi mai ricevuto. Non ci credevo ancora. Ammirai bene i loro visi perfetti, i leggeri capelli lisci e rossicci di mamma, la mascella squadrata di papà, particolari che vedevo ogni giorno, ma che non mi soffermavo mai a guardare. La mano di Alice cominciò a stringere la mia.

“Buongiorno, Aro” salutò papà, con un grande sorriso sul volto ed un’espressione amichevole. Mamma si limitò ad un sorriso cordiale.

Si creò davvero una strana atmosfera; nessuno dei vampiri lì presenti sembrava avere lo stesso piacere di quella visita. Avevano un’espressione seria, quasi… sì, preoccupata. Anche Edward ed Alice cominciarono ad osservarli guardinghi. Ciò che più mi sorprese furono le due donne dei Volturi; si tenevano le mani l’una all’altra, guardando ad occhi spalancati le due figure. Come… come se avessero paura di loro. Tornai ad ispezionare la stanza sotto quella nuova ottica. Sembrava che l’arrivo dei miei genitori avesse un non so che di straordinario, ma divenni ancora più confusa. Incrociai lo sguardo di mamma. Era del tutto freddo ed impassibile, ma poco importava. Poco adesso importava di tutto; loro erano lì, non c’era alcun problema. Saremmo morti tutti e tre, ma fui tanto egoista da infischiarmene anche di questo. Adesso capivo quello che stava provando Bella.

“William, amico mio!” Aro riprese lo stesso tono di voce con cui aveva accolto Edward.

Con un gesto invitò i vampiri di quella stanza a tranquillizzarsi, cosa che non fecero del tutto. Gli altri due invece non accennarono a cambiare espressione. A braccia aperte si diresse leggero verso mio padre. Si abbracciarono come due vecchi amici.

Sophie. È un piacere rivederti.”

Le prese le mani e le baciò lievemente. Mia madre rispose allargando il sorriso che già le incorniciava le labbra, scoprendo la dentatura lucente e perfetta.

“La vostra è una lieta visita, anche se dopo poco tempo” li accolse Aro, sempre impeccabilmente cortese. I miei genitori rimasero immobili in fondo alla stanza.

“Ti ringraziamo dell’accoglienza, Aro. Non intendiamo però disturbarvi troppo con la nostra presenza” gli rispose papà.

Non è affatto un disturbo, William, anzi. Lo sai che è sempre un piacere rivedere un vecchio amico. Inoltre ho fatto la conoscenza di…” si interruppe, voltandosi verso di me e guardandomi confuso “della vostra… piccola umana. È cresciuta parecchio dall’ultima volta” disse, quasi soddisfatto di aver trovato le giuste parole. Piccola umana? Non ero mica Mowgli, il cucciolo d’uomo della situazione!

“Sono passati quattordici anni” aprì per la prima volta bocca mamma. Mi lasciai per un attimo cullare da quella melodia. Ormai mi sentivo del tutto rilassata. Anche se trovavo spregevole da parte di Aro comportarsi da amico e poi ucciderlo a tradimento. Scossi la testa e riflettei su quelle parole. Quattordici anni fa io incontrai i Volturi. Ero troppo piccola, ovviamente, non me lo potevo ricordare.

“Giusto. Ho dimenticato gli effetti che il tempo può avere su di loro” rispose lui, realmente sorpreso. “Anche se devo dire che sono rimasto piuttosto deluso di te, Will. Non le hai mai detto chi siamo?” Mio padre venne preso in contropiede.

“No, non ancora.”

“È davvero un peccato. Adesso però hai l’occasione di farlo” rispose di nuovo gioioso Aro. Notai Jane mostrare i denti superiori a mia madre, che fece finta di non vederla. 

“Evidentemente, ora sì” rispose con tanta naturalezza da farmi arrabbiare, ma solo un poco.

“Conosci già, William, i nostri dubbi sulla tua scelta e su… Abigail” riprese Aro. Drizzai le orecchie; non avevo ben capito cosa intendesse dire “Devo però adesso ricredermi del tutto; il suo comportamento è stato impeccabile. Quale comportamento impeccabile? Di sicuro avrebbe cambiato idea all’istante se avesse ascoltato i miei pensieri.  

“Abbiamo cercato di crescerla il meglio che potevamo” ammise mamma lanciandomi uno sguardo, di nuovo freddo. Era incazzata come una iena, ma io ero strafelice che mi lanciasse quegli sguardi.

“Ed infatti mi congratulo con voi. Anche se… ha una leggera tendenza a trovarsi in brutte situazione” sottolineò con un briciolo di amarezza e voltandosi verso di me, con una leggera aria di rimprovero.

“In questo a preso dalla madre” s’intromise mamma, sempre gentile. Una lieve risata cristallina, terribilmente fasulla, si levò per tutta la stanza. Ancora non mi facilitavo a capire come potesse esserci un così grande contrasto; Marcus e Caius non avevano detto parola e continuavano ad osservare Aro con attenzione. Gli altri vampiri invece non volevano abbassare la guardia e Alice ed Edward sembravano confusi. Alice ed Edward non avevano provocato un effetto simile quando eravamo entrati. I miei genitori mi avevano nascosto qualcosa di grande, che avrebbero fatto meglio a dirmelo al più presto.  

“Lo sai, Will, come sono curioso” cambiò argomento Aro “La mia curiosità non è molto diversa dalla tua e quella di Carlisle, quindi puoi ben capirmi. Sono davvero desideroso di sapere ciò che può caratterizzare un essere umano che ha vissuto in stretto contatto con dei vampiri. Un brivido inatteso mi percorse. Avevo avuto la possibilità di conoscere i suoi modi di “sperimentare”. 

“Rimane esattamente come un essere umano” Mamma parlò con una voce strana; voleva essere gentile, ma non poté evitare di esprimere una sorte di rabbia repressa. Le guardie tornarono in posizione d’attacco, alcune scoprendo i canini. Io divenni ancora più confusa; perché stavano reagendo in questo modo di fronte ad un unico vampiro?

Ma… certo, Sophie” rispose Aro, sempre cortese. Ma questa volta anche impercettibilmente intimorito. Un momento. No, non mi sbagliavo. Qua qualcuno aveva paura di qualcun altro. Alice vicino a me si fece dubbiosa, mentre Edward rimaneva apatico.    

“Ci dispiace, Aro, di avervi disturbato. Credo che sia meglio per noi togliere il disturbo” intervenne veloce papà, per spezzare la tensione che si era creata.

“Non intendete trattenervi un altro poco?” proruppe Aro. Ma evidentemente tutti gli altri vampiri presenti non condividevano la stessa opinione.

“Suppongo che Abigail sia fin troppo provata” intervenne di nuovo mamma.

“Oh…! Vedo. Mi scordo sempre come sono fatti gli esseri umani” cominciò a scusarsi apprensivo Aro.

“Arrivederci, Marcus, Caiusconcluse papà, guardando i due vampiri impassibili dietro di lui “Aro” disse guardandolo negli occhi.

“Arrivederci, amico mio” rispose amichevolmente abbracciandolo di nuovo “Vi chiedo però di aspettare qua fuori, fino a che il sole non sia tramontato”

“Certamente, Aro. Sai che è importante per noi rispettare le regole.

Un improvviso ringhio fuoriuscì dal vampiro dai capelli corvini, Marcus, ma attirò solamente la mia attenzione.  

Abigail.”

Drizzai la testa verso mia madre, come fa un cucciolo con la sua padroncina. Voleva che andassi con lei. Mi mossi con lentezza e la costola cominciò minacciosa a pulsare di nuovo, mentre ero immersa nella confusione. Non… non facevano niente per trattenermi? Per loro ero pur sempre una probabile complice di un quasi-trasgressore. Non era logico lasciarmi andare. Riuscii finalmente a raggiungere mamma, che mi mise una mano sulla spalla. Entrambi si girarono e si diressero verso le tenebre del piccolo corridoio ciottolato. Volsi un’ultima occhiata verso Bella, che mi guardava confusa. E loro? Io mi sarei salvata e loro sarebbero morti o cos’altro? No! Io… io ero venuta per Bella, non la potevo abbandonare. In quel momento non potei far altro che seguire i due vampiri davanti a me. Quando attraversammo la piccola porta scorrevole la luce mi abbagliò. Una serie di fattori mi obbligarono a fermarmi per forza; la forte luce, in contrasto con il buio della stanza, lo stomaco che ora si era riaperto, minacciando di liberarsi di tutto quello che era stato riempito, la costola che aveva cominciato a farmi male del momento in cui mi ero mossa, l’emicrania dovuto a tutto questo. Cominciai a tremare. Giusto, c’era anche il fatto che probabilmente Bella sarebbe morta. Cominciai a vedere piccole stelline, mentre il corridoio luminoso ed ampio davanti a me si sfuocava. Il cuore cominciò a battere per la momentanea cecità. Finché non fu davvero tutto nero.

 

Non ricordai bene quando mi svegliai. Probabilmente non me ne accorsi neanche; credevo di sognare ancora. C’era un azzurro chiaro davanti a me; probabilmente era il cielo. Proprio come in un sogno, non capii cos’altro mi circondava. Avevo perso il controllo del corpo, e viaggiavo solo con la mente.

Un sussulto mi agitò improvvisamente, rendendomi conscia di essere sveglia. Il torace mi pulsava a scatti, anche se non faceva male. Mi ricordai improvvisamente la costola rotta. Il cielo improvvisamente si trasformò in pareti azzurro ceruleo. Ora sapevo di non stare sognando. Aspettai alcuni secondi per mettere a fuoco quel luogo. Era senza dubbio la mia camera, ma era troppo diversa. Per cominciare le pareti erano di un colore orribile. Poi vicino a me non c’era la parete-finestra, ma una comunissima parete cerulea. Ben presto intravidi chi c’era in quella stanza. Vidi prima mio padre, in piedi,  la schiena appoggiata contro la parete di fronte a me. Poi intravidi mia madre, seduta su una sedia, molto più vicino. Mi sentii terribilmente a disagio vedendo le loro espressioni fredde, inespressive, indifferenti, fisse su di me.

Mi ricordai poi il perché di quelle espressioni. Mi tirai lentamente su a sedere. Era arrivato il momento dell’arrabbiatura.

Fu così veloce che non me ne accorsi neppure. La guancia cominciò a pungermi forte. Me la tenni con una mano, a testa bassa, sperando che il cestino di capelli che avevo fosse utile almeno ogni tanto e mi coprisse il viso. Cominciai a piangere in silenzio, non tanto per il dolore, quanto per il gesto; nessuno dei miei genitori mi aveva mai tirato uno schiaffo.

Cosa diavolo credevi di fare?” Nella sua voce erano chiari la rabbia, il disprezzo e l’amarezza, ma non gridava. Rimasi immobile.  

“Sei partita di punto in bianco verso l’Italia, consapevole di andare in una città piena di vampiri. Lo sai cosa fanno i vampiri normali? Mi sembra che te ne abbiamo già parlato. Rispondi, Abigail, lo sai cosa fanno?” Non ebbi il coraggio di aprire bocca.

“Credo lo sappia perfettamente” rispose papà al posto mio. Lui mi fece ancora più male; continuava a rimanere indifferente.

“Uccidono le persone. E tu potevi essere una di queste” mi asciugai velocemente con una mano una lacrima che stava per scendere.

“Hai pensato per un attimo a questa possibilità? Hai pensato a quello che sarebbe stato di te e come ci hai fatti sentire? Siamo tutti e due impazziti per te, per venire a riprenderti e a salvarti. Ci è mancato davvero poco. Di questo te ne rendi conto?” Aveva alla fine alzato la voce. Sobbalzai a quel cambio di tonalità.

“Per far cosa, alla fine? Per tentare di salvare un vampiro, che nemmeno conosci. Abigail, davvero credevi di poter far qualcosa? Mi chiedo cosa te ne sia fatta di tutto quello su cui ti abbiamo sempre messo in guardia.”

“Mi sembra di parlare ad una stupida” sussurrò rassegnata. Singhiozzai almeno un paio di volte. Aveva ragione, aveva ragione. Perché ero una stupida? Loro non meritavano una stupida. Perché avevo agito così? Tutti quegli assurdi motivi che avevo stilato in aereo erano totali sciocchezze. Già, alla fine non avevo combinato assolutamente nulla di buono. Mi illudevo davvero di essere capace di fare qualcosa. Di essere anch’io un po’ vampiro. Dio, che stupida…  

“Ci hai deluso moltissimo Abi. Hai perso la nostra fiducia” intervenne freddamente papà. Trattenni il respiro, mentre il mio viso si deformava in una smorfia mostruosa. Ci fu un orribile ed insopportabile momento di silenzio.

“Abbiamo pensato che forse avevamo sbagliato a prenderti con noi. Che un essere umano non sarebbe riuscito a vivere con dei vampiri” continuò di nuovo papà. “Abbiamo pensato di lasciarti…” Alzai improvvisamente la testa, terrorizzata da quelle parole.

“NO!” urlai, mentre cercavo di togliere quelle stupide lacrime che mi impedivano di vedere.

“No! no, no, no, no! Vi prego, no! No, io… n…non mi lasciate…”

La voce cominciò ad affievolirsi e per poco non scomparve. Faceva male parlare. Il dolore, l’agonia. Sentivo la vita che mi abbandonava, che sembrava fregarsene di me, che stufa aveva deciso che ormai non valeva più la pena. Ed in quel momento nessun conforto o parola sarebbe servita a qualcosa. Mi slanciai isterica verso mia madre, prendendole mani, viso, capelli, braccia, mentre guardavo implorante mio padre; una disperata sul punto di morte che tentava di aggrapparsi alla vita che la stava lasciando, cercando di avere anche un’unica, minima possibilità di vivere ancora, pregando a quella stessa vita di non abbandonarla. Ora sapevo esattamente quello che aveva provato Bella.

“Non resisterò. Non ora, non adesso. Io…” urlai slanciandomi a braccia aperte su mamma. La strinsi forte, facendomi persino male. Non l’avrei lasciata andare, nonostante fosse decine di volte più forte di me. Quando sentii le sue mani fredde sulla schiena aumentai la presa, rischiando persino di soffocare.

“Lo abbiamo solo pensato, Abi” mi rispose mamma diversamente, con vera tenerezza. Fu solo allora che capii che stava ricambiando il mio abbraccio. Nascosi il viso nell’incavo della sua spalla. “Non ne siamo in grado neanche noi”

“Tu ormai sei la nostra vita, Abi, e lo sarai sempre, per quanto dolore potrai recarci.

Sentii la mano fredda di papà sulla testa, ed alzai il viso per guardarlo. Ora sembrava che gli fosse successa la cosa più felice che gli potesse mai capitare e mi guardava con una lieve e paterna derisione, come se quello che aveva detto fosse talmente tanto ovvio da non poterlo non comprenderlo subito. Chiusi gli occhi e cercai con una mano quella di papà. Tutta quell’angoscia, quel terrore, svanirono di colpo, come un subacqueo che tornava a respirare dopo troppi minuti in apnea.   

“Lo so, sapevo cosa mi aspettava” mormorai con voce fin troppo malferma “E avete ragione, in tutto. Mi sono comportata da perfetta incosciente ed ammetto che ho pensato a voi quando sono salita su quella macchina e l’averlo fatto nonostante questo è stato da veri idioti. Mi dispiace. Non… non so che altro dirvi…”

Aprii gli occhi di scatto e sciolsi l’abbraccio di mamma. Ora ero io quella delusa ed arrabbiata. Guardai i due vampiri davanti a me dapprima confusa.

“…se non perché quei vampiri mi conoscevano” dissi con voce ferma. Subentrò subito la rabbia.

“Non mi sono mai sentita a disagio e vulnerabile. E per di più vi conoscevano.” Non gridavo, ma la voce mi si inacidì all’istante.

“Ora voglio sapere io perché non mi avete mai detto dell’esistenza di un gruppo di vampiri in grado di controllare tutti gli altri e che mi conosce. Non gli lasciai però rispondere.

“È sempre per il solito motivo, no? “Non vogliamo che ti preoccupi” oppure “Non credevamo fosse indispensabile che tu lo sapessi”. Io magari non so cosa fanno i vampiri normali, ma voi non sapete essere sinceri. Fui io ora a ferirli davvero. Mamma abbassò la testa, contorcendosi le mani, le sopracciglia aggrottate e gli occhi più grandi del solito.

“Mi tenete nascosti troppi segreti. Una famiglia unita non ce li ha! Io non mi preoccupo di sapere che esiste un gruppo di potenti vampiri, mi preoccupo quando uno di questi vampiri mi conosce” dissi questa volta più con dispiacere, facendo trasparire appieno la delusione. Mio padre mi guardò negli occhi amareggiato.  

“Questa volta hai ragione tu; abbiamo sbagliato noi. Non è giusto incolparti di tutto. Ed il motivo è sempre quello, come hai detto tu. La voce gli tremava e riusciva a malapena a mormorare. Trascorsero solo un paio di secondi di silenzio.

“Ti voglio spiegare cosa io e tua madre ci lega a quei vampiri e perché non te lo abbiamo mai detto.” Si fece subito comprensivo.

“Non ti ho mai raccontato che una parte della mia vita la passai a Volterra, dai Volturi; fu lì che incontrai Carlisle. Erano affascinati dai miei poteri e mi proposero di entrare a far parte della loro guardia. Io accettai, ma dopo aver ascoltato le teoria di Carlisle sulla sua alimentazione cambiai idea e me ne andai.” Ascoltavo con interesse il racconto e rabbrividii al pensiero di papà come una guardia di quei vampiri. Fare le stesse cose che facevano loro, obbedire a quegli ordini… 

Lascai Aro, Marcus e Caius da buoni amici, anche se capivo che provavano un certo risentimento per aver lasciato andare un ottimo elemento. Non li incontrai più finché non nascesti tu. S’interruppe per un momento perché gli mancò la voce.    

“Seppero che io e tua madre eravamo ben decisi ad allevare un essere umano e questo andava contro la loro regola; pensavano che avresti potuto svelare a qualcuno la nostra identità, che fossi pericolosa per la comunità dei vampiri.” Parlava con un’angoscia che mi smorzò il respiro.

Non fu affatto un bel periodo. Un giorno d’inverno vennero qui in America, da noi, per parlarci di te. Tu avevi appena tre anni, non te lo puoi ricordare. Ed è meglio così.” Papà fece un respiro profondo, per mantenere un certo distacco dall’argomento e non farsi coinvolgere troppo dalle sensazione di quegli eventi.

“È raro che i Volturi escano dalle mura di Volterra, ma è anche vero che il tuo era un caso assolutamente unico. Cercai di convincerli, in segno di buona amicizia, a poterti tenere con noi. Fallii; decisero che tu dovevi morire. Ovviamente noi opponemmo resistenza, ma il corpo di guardia ci attaccò. Furono attimi che vorremmo dimenticare.”

Mamma fece scivolare veloce una mano verso papà, stringendo a sua volta la sua. Papà si voltò a guardare verso la finestra di quella sconosciuta stanza. Fu come se ad un tratto entrò in trance; parlò apatico, forse mentre stava rivivendo proprio quegli attimi.

“Io ti avevo in braccio. Ti stringevi a me con forza. Avevi una grandissima paura e stavi tremando come una foglia. Fu inutile fuggire, ci furono subito addosso. Uno dei membri della guardia, Felix, mi strattonò e tu mi scivolasti dalle braccia e quando cadesti cominciasti a piangere. La guardia dei Volturi è imbattibile; questo lo sapevo bene, come anche che saremmo morti presto.” Mi congelai all’istante. Sembrava un fatto successo ad un’altra persona e non direttamente a me. Mi sembrava che non fosse neanche accaduto. Avevo sentito Alice parlare della guardia dei Volturi come una esercito invincibile. Perché allora noi eravamo ancora vivi?

Cosa è successo?” mormorai.

“Ti ricordi quando ti ho detto che so quello che provi? Che ti posso raggiungere quando hai paura o sei in pericolo? E cosa posso fare quando succede?” intervenne mamma, con voce calma e rassicurante. Già, me lo ricordavo, diventava più potente. Questa specie di potere o sesto senso mi aveva sempre rassicurato. Mi avevano detto che era successo solo una volta, ma che ero stata troppo piccola per ricordarmelo. Non era difficile capire che si riferissero a questa volta. Ancora però non capivo cosa poteva c’entrare il potere di mamma. L’altra sua mano prese la mia.

“In quel momento ho provato la tua paura, il tuo terrore e ne rimasi terrorizzata anch’io. Non sono mai stata in grado di spiegare a parole ciò che successe. In quel momento ogni mio pensiero si sciolse e se ne presentò solo uno; quello di difendere la mia piccolina. Mi guardò con una malinconia ed un dispiacere che mi commossero.

“Cominciai a ragionare veloce il doppio del normale, a essere agile e forte il doppio. I loro poteri cominciavano a non avere più effetto. La sua dolcezza si trasformò all’improvviso in disagio. “Riuscii ad uccidere da sola metà della guardia. E avrei potuto continuare, se tu non avessi più avuto paura. Non ti ho mai amata e voluta tanto come in quel momento.” La sua mano si strinse. Io spalancai gli occhi. Il ricordo dei Volturi era ancora nitido nella mia mente. L’invincibile guardia, sconfitta da un solo vampiro? Era totalmente incredibile. Rabbrividii.

“È… impossibile. Com… come hai fatto?” balbettai io, presa del tutto in contropiede. Sapevo che mamma poteva diventare forte, ma fino a questo punto…

“Non lo so, forse puro istinto materno spinto all’estremo, forse lo stesso motivo per cui fin dal primo momento non venivo attratta dal tuo sangue. Forse è il mio potere.” Mi sfoderò un grandissimo sorriso, tale che mi obbligò a sorridere anche me. Papà riprese il discorso, uscito da quella strana trance. Sembrava più sereno e tranquillo anche lui.

“Fummo tutti sorpresi da ciò che tua madre fece, io, lei, loro. Da quel momento cominciarono ad avere paura di noi. Capirono che quell’incredibile forza fosse dovuta a te; era evidente dal comportamento possessivo di tua madre in quel momento. Non ebbero altra possibilità che stare alle nostre condizioni e scendere a patti; ci permetterono di tenerti, a patto che il segreto non venisse svelato.”

Oh… così… così erano andate le cose. Ora si spiegava perché quel comportamento da parte loro. Quella paura, quella riverenza. Pensavo che niente mi avrebbe mai più sorpreso. Provai una sorta di godimento improvviso al pensiero di tutta quella paura causata della mia famiglia. Durò però poco, spiazzato da un’ulteriore confusione. Non riuscivo a capire molte cose, oltre ad essere incredula per quelle che ero riuscita a capire.

Perché non mi avete mai detto niente?” Papà mi guardò con aria greve.

“Si tende a distruggere quel che si teme. Pensavo che fossero nate cattive intenzioni in loro; li conoscevo bene. Non sapevo cosa avessero bene in mente, ma non avrebbero mai messo una pietra sopra a quello che era successo; avrebbero fatto qualcosa. Il mio potere non mi obbligò a fare mai niente di particolare, tranne che starti sempre vicino, sottostretta sorveglianza.”

“Spero che ora tu capisca che non te lo abbiamo mai detto perché pensavamo che potesse renderti angoscioso vivere sapendo che dei vampiri come i Volturi potessero apparire da un momento all’altro.” Io annuii seria e silenziosa.

Avevano ragione, capivo benissimo. Questa volta non mi sarei arrabbiata, sarei rimasta solo un po’ stizzita. Forse, dopo averli incontrati, era vero che non avrei mai vissuto in pace. Avevano fatto la cosa giusta, tenendomi questo segreto, ma fino ad un certo punto. Avevo diciassette anni, ero abbastanza matura; avrei dovuto saperlo da un po’.

“Non per niente quei tre mesi a San Lucas, noi li passammo a Coalinga” confessò papà. Io sbarrai gli occhi. Cosa?! Certo, visto come stavano le cose, a saperlo prima glielo avrei chiesto io direttamente di venire. Ma farlo di nascosto senza dirmi niente…

“Mi… avete spiata?” strillai.

“No, ti abbiamo tenuto d’occhio da lontano” rispose mamma, ancora calma.

“Davvero?” richiesi per niente convinta.

“Sì” affermò categorico papà.

E non è mai successo niente?” chiesi più dubbiosa.

“No” Tirai un lieve respiro di sollievo. Cominciai a fare mente locale, a testa bassa. Era stato davvero un grandissimo colpo da incassare. Papà con i Volturi, i Volturi che cercano di uccidere la mia famiglia, mamma… Nonostante tutto mi sentii terribilmente tranquilla. Tutto era finito, non ero a casa, ma qui con me c’erano i miei due supergenitori, che mi avrebbero tenuta ancora per molto tempo. Tanto bastava.

Quindi alla fine anche Normalgirl ha qualche superpotere” esclamai con l’euforia di un bambino.

“No” disse secco mio padre, mentre un’improvvisa cuscinata mi fece perdere l’equilibrio e caddi supina sul letto. Tornai subito su. Appoggiai un braccio su ciascuna delle spalle dei miei genitori, come una squadra di rugby prima di una partita.

“Io vi perdono” mormorai sincera “Voi perdonate me?”

“Certo, tesoro” esclamò mamma, senza neppure pensarci.

“Mi sembrava fosse implicito” aggiunse papà, con un sorriso.

Ma ci devi promettere…” iniziò mamma impensierita.

“Di non fare più sciocchezze del tipo?” proposi io “Mi sembrava fosse già implicito” Riuscii a farli sorridere un po’ entrambi.

Adams come prima?”

Adams come prima” dissero in coro entrambi. La gioia durò poco, offuscata ancora da una perenne confusione.  

“Bene, ora mi volete dire dove mi trovo?” sbottai all’istante.

“Ci siamo trasferiti” rispose tranquilla mamma. Cosa?! Perché?! No! Mi ero appena fatta una vita lì a Forks! Avevo trovato degli amici.

“A Beaversottolineò papà, prima che esplodessi.

“Ah…ah…” Fu tutto quello che mi uscì. Beavier era uno sputo ancora più piccolo di Forks, ma distava solo trenta minuti di moto. Pensavo a distanze molto più grandi. In realtà pensavo anche a stati diversi. C’era però una cosa che non capivo.

“Per… perché?” continuai ancora disorientata.

“I Cullen sono tornati. Sono molto più numerosi di noi, quindi ci è sembrato giusto concedergli la casa. Poi neanche ti piaceva” spiegò mamma, con un’alzata di spalle.

“Sì, s…sì… non mi piaceva” mormorai, accettando completamente la cosa. Anche se le pareti-finestre mi sarebbero mancate.

“Potrebbero aiutarci molto con Victoria. Abbiamo saputo che durante la nostra assenza si è avvicinata davvero troppo. Ascoltai distratta quello che diceva mia madre. Mi presi la testa confusa. Qualcos’altro non tornava proprio.

“Per quanto tempo ho dormito?”

“Tre giorni” intervenne papà. Caspita. Ero davvero troppo distrutta. All’improvviso capii cosa c’era che non andava. Mi feci prendere subito dal panico. Come avevo potuto non pensarci prima. Ero stata così egoista. Dopo quello che avevo fatto, poi, doveva essere la prima cosa!

Be...Bella?! Cosa le è successo? Cosa le hanno fatto? Ed Alice? Edward? Lei..” Mio padre mi bloccò in tempo prima che cominciassi a delirare un po’ troppo.

“Stanno bene, calmati Abi” disse, cercando di farmi stare ferma sul letto, in modo che non mi muovessi troppo per la costola rotta. “I Volturi hanno lasciato andare anche lei, insieme ad Edward ed Alice.” Feci due profondi sospiri di sollievo, mentre il cuore cercava di calmarsi di nuovo. Capivo che ero giovane, ma due attacchi di seguito non facevano affatto bene al mio cuore.

E… adesso dov’è?”

“È a casa sua, a riposare”

“La posso andare a trovare?” dissi levandomi subito le coperte di dosso. Mamma le prese al volo e tornò a coprirmi.

“Non adesso, in queste condizioni. Ti sei fratturata una costola. Non è grave, non ti ho fatto alcuna ingessatura. Devi solamente rimanere a letto per un paio di giorni” specificò papà “E se ti fa troppo male, prendi gli antidolorifici sul comodino” Guardai la piccola boccetta di medicinali di fianco a me.

“Non me la sono rotta?” chiesi con un certo stupore. “Mi faceva davvero male.” Mio padre alzò la testa in cielo.

“Solo perché ti fa male, non vuol dire che è grave. Hai sempre avuto una concezione un po’ strana del dolore. Si avvicinò e mi baciò sui capelli.

Ora riposati” ordinò mamma, imitando papà. Sembravo una piccola malata. “Vuoi che ti abbassi le tende?”

“No grazie” mormorai, ancora confusa.

“Noi siamo di sotto. Se ti serve qualcosa chiamaci.”

Non feci molto caso alla risposta che diedi, ed ancor meno al silenzio che fecero per uscire. Mi sentivo terribilmente a disagio, ma non riuscivo a capire perché. Ero totalmente scombussolata e quello stupido color ceruleo non aiutava per niente.

C’erano essenzialmente due cose che mi tormentavano; la prima era una strana sensazione di confusione, propria quella che si sente quando si ha perso qualcosa, ma non si ha ben in mente cosa. Mi rendeva nervosa e molto agitata.

La seconda invece consisteva nel fatto che non avevo ancora del tutto accettato quello che era accaduto. Era come se mi fossi persa un capitolo della mia stessa vita ed adesso non riuscivo a capirci nulla. C’erano davvero troppe cose da tenere in conto; io ero viva, i miei genitori erano vivi, Alice ed Edward erano vivi, Bella era viva. Fino a questo punto non era difficile. Voleva dire che a Volterra si era risolto tutto per il meglio anche per loro. Avrei tanto voluto sapere come. Nonostante sapessi questo, avevo un grandissimo desiderio di rivederla, di parlare e stare un po’ con lei. Chissà poi Edward; poteva essere con lei? Di certo non era troppo lontano, visto che i Cullen si erano ritrasferiti. Già, il che voleva dire più vampiri a Forks. Poi c’era Victoria, che a quanto pareva si era avvicinata molto di più. Ma lei era sempre stata un problema. Più vampiri a Forks, però, equivaleva a dire molti più problemi con i licantropi.

“Porca…” Mi spiaccicai le mani sulla fronte prima che potessi finire. Ecco, avevo ritrovato la cosa che avevo perso; i licantropi. In particolare, Jacob. Ora sì che c’erano grandi casini da risolvere. Non c’era alternativa, dovevo andare a parlare con lui. Non avevo la minima idea né di cosa gli avrei potuto dire, né di cosa sarebbe saltato fuori, tenendo conto poi che nove volte su dieci litighiamo. La mia miglior ipotesi al momento era il dubbio assoluto. La peggiore era che non mi avrebbe voluta degnare di uno sguardo e che avrebbe preso a manganellate la mia macchina nuova. Così addio auto. La peggiore era inoltre che, essendo segregata in questo letto per altri due giorni, non avrei neppure avuto l’occasione di provarci, quindi ero destinata a navigare nell’angoscia, rendendomi davvero penosa la lunga attesa. Per non parlare degli altri licantropi. Gli avevo promesso che sarei andata a La Push spesso, invece, ecco arrivare altri vampiri. Avevo infranto la loro promessa. Diciamo semi-infranto; non avevano specificato quanto spesso.

Di solito la vita è fatto di scelta giuste e sbagliate. A sua volta, le scelte sbagliate si dividono in “consapevoli” ed “inconsapevoli” dei rischi da correre. Di conseguenza la prima categoria era la peggiore. Ecco, le mie decisioni facevano parte di questa categoria. Di solito coloro che fanno scelte sbagliate consapevolmente sono o dei totali masochisti, depressi, con nessun scopo o amore per la vita o degli assoluti idioti, stupidi, privi di materia grigia, infantili, immaturi, egoisti. Persone cioè con un assoluto bisogno di sostegno. Forse ero troppo diretta; coloro che fanno scelte sbagliate consapevolmente non devono per forza avere queste caratteristiche. Io però ero sicura di avere tutte le caratteristiche del secondo tipo di persona. Non ero per niente fiera di esserlo, ma nonostante tutto me ne stavo qui a lagnarmi e a compiangermi, invece di alzare il culo e migliorarmi. Cosa che potevo benissimo fare, dopo che sarei uscita da un’oscura depressione. Avevo un bisogno grandissimo di risollevare il mio umore e compiere azioni buone ed intelligenti per dimostrare a me stessa che in me c’era anche qualcosa di buono.

Ci furono tre colpi alla porta.     

 

 

 

 

Ah, ah, ah!!! Il momento più coinvolgente ed emozionante di New Moon è arrivato ed io lo stravolgo in questo modo. XD Mi dispiace se vi ho rovinato forse la scena più bella del libro; è stato più forte di me! Ditemi però cosa ne pensate.

Vorrei fare anche un annuncio: con l’inizio della scuola è molto probabile che avrò minor tempo per scrivere, quindi spesso pubblicherò molto più raramente di quanto non faccia adesso. Chiedo scusa in anticipo per i prossimi ritardi!

Alla Prossima!

 

X Ryry_: Vedi allora di postare presto! Sono curiosa di leggerlo!! Piaciuto questo capitolo? XD Sono proprio curiosa di saperlo! E per precisare, l’idea originale ed attuale è quella di rivedere tutti gli ultimi tre libri. Quindi, sì, ci sarà anche Eclipse! Bacio ricambiato!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 11
*** Undicesimo Capitolo ***


Undicesimo Capitolo

 

 

Undicesimo Capitolo

 

“Avanti” La porta si aprì lentamente. Sulla soglia c’era Bella. Mi tirai subito a sedere, esaltata.

“Ciao” mormorò, come se mi potesse infastidire la sua voce. Tutto il contrario, invece. “Volevo vederti.” Desiderio riievo vederti.” Desiderio contraccambiato.

“Ehilà, donzella, come va?” esclamai io. Rimase in piedi a metà stanza, mani dietro alla schiena. Mi dimenticai perfino di invitarla a sedersi.

“Perfettamente” mi rispose lei “Tua madre mi ha detto che eri sveglia.”

“Infatti lo ero” dissi con la stessa esultanza. La sua visita mi aveva reso felicissima.

“Tu, invece?”

“Frattura alla costola. Niente di che. Tra un paio di giorni tornerò a renderti la vita impossibile” risposi, non riuscendo a togliermi il mio sorriso sghembo dalla faccia. Anche il suo viso non riusciva a nascondere la contentezza. In realtà, il suo viso sembrava stranamente diverso. Tutto era più… luminoso. No, forse era la luce della finestra, quella. Era più… giovane, disteso. Come se fosse stata vecchia fino ad ora e di colpo fosse ringiovanita all’età che aveva. La confrontai con la Bella tesa, ansiosa, che avevo conosciuto pochi mesi fa. Sembrava quasi di avere un’altra persona davanti, migliore e che soprattutto si sentiva tale. Inoltre emanava una tranquillità ed una serenità palpabili. 

“Sembri essere al settimo cielo” confessai i miei pensieri. Lei allungò le labbra, alzando gli zigomi ed aumentando lo spessore delle guance. 

“Sì, infatti lo sono.” Era d’altronde evidente il motivo di quella felicità: iniziava con la “E” e finiva con la “dward”.

“I due piccioni di nuovo insieme?” biascicai, abbracciandomi le spalle ed inviando bacini scherzosi a Bella. 

“Smettila” mi avvertì lei, diventando subito rossa, un po’ per l’imbarazzo, un po’ per la vergogna. Sospirai e appoggiai i gomiti alle ginocchia. Era davvero innamorata, la ragazza. Tornai seria.

“Allora, si è finalmente deciso? Rimarrà con te?” Lei aggrottò le sopracciglia; sembrava confusa. Tirai a me le ginocchia, invitandola a sedersi sul mio letto. Lei si accomodò poco lontano da me. Abbassò leggermente la testa, mentre concentrata stringeva il bordo della sua camicetta. Sembrava stesse cercando le parole giuste per un discorso importante.

“Io… io... credo che ti debba ringraziare di molte cose” cominciò, mantenendo la testa bassa. “Per essere venuta con me a Volterra ed aver salvato Edward. Per quello che mi hai detto…” Si bloccò improvvisamente, come se avesse perso il filo. Mi guardò negli occhi. Esprimevano un grande senso di gratitudine. Io rimasi zitta, ricambiando lo sguardo, ascoltandola con attenzione ed aspettando che avesse finito di parlare.

“Era… era tutto vero. Avevi ragione. Mi ha detto che… era una bugia, quella di non volermi più. Ha detto che non mi lascerà. Ed io gli credo. Mi ama, veramente.” Riuscii a capire il suo discorso, per quanto sconnesso fosse. Si afferrò le mani e cominciò a stringerle. Si era fatta prendere da diversi tipi di emozioni che in quel momento l’attanagliavano e che l’impedivano di esprimersi con chiarezza.

"Gli hai raccontato del salto dallo scoglio?" le chiesi.

"Sì. E' rimasto senza parole" rispose, con un punta di sarcasmo e di acida ironia nei propri confronti.

"Come tutti..." sussurrai, evitando che mi sentisse.

“Ha sofferto anche lui” proseguì, tornando ad abbassare la testa e guardando interessata le sue dita che giocavano con un filo della camicia. Io continuai a mantenere il silenzio. Senza dubbio aveva sofferto molto anche lui, fin dal primo momento, persino. Forse non potevo sapere quanto, ma potevo forse immaginare. Non pensavo però che questo fosse un motivo per discolparlo.

“Voleva darmi una vita normale” continuò. Io aggrottai le sopracciglia. Era una buona intenzione, da riconoscere, valida sul piano teorico, ma purtroppo non su quello pratico.

“È… è andata esattamente come hai detto tu. È… tornato…” esclamò improvvisamente lei, mentre cercava le mie mani.

“Ammetto che non ti ho mai fermamente creduto del tutto, anche se grazie a te ci ho davvero sperato per la prima volta .” Si avvicinò a me ed i suoi occhi sembrarono essere aumentati stranamente di volume. Questa volta fui io ad arrossire.

“Non ci voleva dopotutto un genio per capirlo. Bisognava solo trovare le parole giuste per fartelo suonare verosimile” cercai di confessare io, facendo scivolare le mie mani da sotto le sue.

"Grazie, Abi” mormorò grata. Non capiva che così facendo mi rendeva ancora più difficili le cose?

“Eddai! E di cosa, poi?” esclamai io, guardando un punto indefinito della camera.

“Proprio non te ne rendi conto, vero?” mormorò rassegnata, con un timido sorriso. Non l’avevo mai vista sorridere in quel modo. Era un sorriso molto più sincero e vero di quanto non avesse mai fatto. I miei occhi ricaddero su di lei. 

“Quindi adesso sempre insieme?” dissi, cercando di cancellare quella atmosfera di totale imbarazzo.

“Già…” Stranamente però non era felice come avrebbe dovuto essere “Forse… fino a un certo punto…”

“Cosa intendi dire?” chiesi confusa. Alzò di nuovo gli occhi verso i miei, le sopracciglia aggrottate, lo sguardo rattristato.

“Credi davvero che possa durare per sempre? Io lo amo più di me stessa. Farei qualsiasi cosa per lui. Ma infondo sono solo una stupida, fragile umana. Lui si merita di meglio. Credi che non si stuferà di me? Forse un giorno non mi amerà più. Lui è…”

“Stop!” esclamai io, forse troppo forte, sfoderando una mano verso di lei. “Spero che tu sia in piena crisi isterica. Dimmi, stai scherzando?” La ragazza aveva un qualche serio problema…

“No, non sto scherzando. Pensavo che tu avresti capito” mi rispose, sorpresa ed inquieta. La guardai senza parlare per alcuni secondi. Cercai di capire dal suo sguardo cosa ci fosse che non andava, ma non riuscii a cavarci un ragno dal buco.

“No, mi dispiace, non capisco!” mormorai stanca, ma riprendendomi subito. “Bella, sei cieca? Quello che stai dicendo non sta né in cielo, né in terra! È ovvio, certo, sicuro, che non smetterà di amarti! Cavolo, Bella! Eddai!” Sbottai e lanciai via le coperte da sopra di me, che per l’agitazione che Bella mi aveva procurato mi stavano facendo caldo.

“Sei la sua cantante, ha succhiato il tuo sangue senza ucciderti, si spaventa e si preoccupa per te al punto da perdere la ragione, si uccide non appena sa che tu sei morta. Mi sembra che sia abbastanza per convincere anche il più scettico che il vostro amore è speciale e straordinario” dissi, elencando con le dita i motivi.

“Forse la sua assenza ti ha completamente sconvolta e hai solamente bisogno di stare un po’ con lui per capirlo da te” conclusi sicura, annuendo per dimostrarmi più convincente. Lei abbassò leggermente la testa, con ancora il dubbio in volto. Assomigliava molto ad un cane maltrattato. Non capivo perché dubitava così tanto. Era davvero troppo incredibile per lei che lui l’amasse? Credeva davvero che non fosse alla sua altezza? Agli occhi di Bella Edward era davvero… troppo?

Trascorse un minuto buono a guardarmi negli occhi e a limitarsi a mugugnare, come risposta a ciò che avevo detto. Sorrisi leggermente; doveva essere solo tremendamente confusa. Riavere Edward con se doveva essere tanto sconvolgente quanto non sentirlo più accanto per lei. Ma visto che i suoi pensieri non erano altro che una piccola sciocchezza, ero sicura che sarebbero scomparsi dopo poco tempo passato con il belloccio. Questa volta fui io a prenderle le mani.

“Sta tranquilla e non pensarci. E mi raccomando di strapazzarlo per bene anche per me” tenni io a sottolineare con una certa malizia, per farle tornare quel nuovo sorriso.

“Cosa stai dicendo?” Ecco, di nuovo quello strano imbarazzo. Che strano vederlo su di lei. La rendeva però più dolce.

“A malapena mi bacia…” ammise e cambiò subito il suo tono in delusione e scontentezza, mettendo il broncio.

“Scusa, perché?” chiesi io, sorpresa.

“Ha paura di perdere il controllo e… problemi del genere” spiegò lei.

“Cos…” Mister io-so-controllarmi-come-tu-non-lo-sapresti-mai-fare ha paura di perdere il controllo? Ma… insomma! Riesce a resistere al suo sangue e riesce a malapena a baciarla?! Era un grande controsenso. O lui non si rendeva proprio conto del grande potenziale che aveva, oppure, molto più probabile, era talmente tanto preoccupato di ferirla o farle del male che si stava facendo tante, troppe seghe mentali, perdendo anche la fiducia in se stesso. Ma infondo, era un comportamento lodevole da parte sua; dimostrava per l’ennesima volta quanto lei era importante. 

“Credo che quel ragazzo sia diventato pazzo di te e per te” biascicai senza pensarci.

“Cosa?”

“No, niente, riflessioni personali” dissi, sventolando una mano in aria.

Dovevo ammettere che questa nuova siuazione mi entusiasmava parecchio. Ora come io avevo dei genitori vampiri, Bella aveva un... compagno vampiro. Mi accorsi per l'ennesima volta di quanto noi due avevamo in comune. Fino allora non avevo mai conosciuto un altro essere umano che viveva a stretto contatto con dei vampiri; sapere che non ero l'unica non mi faceva sentire più sola.

Sentii di nuovo la costola pulsare. Me l'accarezzai leggermente, maledicendo quel dannato salto che... 

Un lampo mi attraversò improvvisamente la mente e mi rese conto della cruda realtà. Mi ritornarono in mente con chiarezza gli eventi  da poco passati. 

“Oh!” esclamai all’improvviso io, facendola anche sobbalzare. La guardai preoccupata, non sapendo da dove iniziare.

“Cosa… cosa è successo con i Volturi?! Ti… hanno fatto qualcosa?!” cominciai io ad alterarmi. Mi ero talmente fatta coinvolgere dalla notizia bomba del ritorno di Edward che mi ero totalmente dimenticata della cosa di massima importanza. Molto probabilmente anche perchè io in primis desideravo dimenticare.

“Non è successo niente” cominciò cercando da subito di rassicurarmi, anche se il suo tono era inconsueto per quelle parole.

“Edward non ha infranto alcuna regola, in pratica, quindi lui ed Alice erano salvi fin dal principio. Io invece…” tenne il discorso sospeso. Era evidente che non aveva molta voglia di parlarne, ma ne era strettamente obbligata.

“Tu…?” la incitai io curiosa, cominciando a stropicciare il cuscino, come se stessi assistendo ad un film dell’orrore. Il che ci andava molto vicino.

“Conoscevo troppo sui vampiri, e volevano uccidermi” confessò alla fine, con un certo inspiegabile imbarazzo.

“Oh…!” esclamai io, in fin dei conto non tanto sorpresa. Sapevo che era una delle probabilità. Nonostante tutto cominciai ad agitarmi.

“Ma Edward è riuscito a giungere ad un patto. Non mi avrebbero uccisa, ma sarei diventata io stessa una vampira” continuò lei, con voce più serena “È in fondo quello che vogliono anche loro. Sono interessati alla mia... stranezza. Il fatto che sia immune ai loro poteri mentali. E poi è quello che voglio anch’io.”

“Mmh…” mormorai e riflettei attentamente su quello che aveva appena detto, tenendomi il mento. “Diventerai quindi presto una vampira” dedussi alla fine.

“Edward però non vuole” Qualcosa fece sì che la voce di  Bella fosse animata da uno strano timbro, che la rendeva decisa, seccata ed imbronciata.

“Scusa?” chiesi io. Credevo di aver capito male

“Non vuole che diventi una vampira.” Ehm… no, non aveva alcun senso. Questa volta non potevo raggiungere ad una conclusione; dovevo sottomettermi alla potente mente di un vampiro e farmi spiegare ciò che a quella umana sfuggiva. 

“Lui vuole che tu muoia?” Pronunciai ogni parola chiaramente, esprimendo evidente ignoranza. Lei rivolse gli occhi al cielo, guardandolo disgustata e si appoggiò al materasso con i gomiti.

“Vuole che io viva la mia vita da mortale. Vuole che io invecchi e quando vorrò starmene con qualcun altro, cosa che dubito accadrà, lui sarà disposto a mettersi da parte. Così io morirò. E quando avverrà, morirà anche lui, come ha tentato di fare. Mi ha confessato che sarebbe andato prima o poi dai Volturi lo stesso, perché senza di me non sarebbe riuscito a vivere.”

“È… quello che ha detto?” chiesi confusa.

“Sì” rispose decisa ed in disaccordo.

Ora avevo capito benissimo il suo precedente piano per il futuro: andarsene da Bella e lasciare che entrambi trascorressero la propria esistenza nel dolore e nella disperazione, fino alla morte di Bella, perché, essendo un essere umano, sarebbe morta comunque. Poi, dopo essersi disperato quel che bastava per la sua morte, si sarebbe ucciso anche lui, non avendo più altro da fare. Che bella esistenza del cazzo. C’è un limite che separa le decisioni prese in momenti di totale panico a vere e pure idiozie. E lui aveva superato questo limite.

“Tu…” iniziai seriamente preoccupata “ti rendi conto dell’assurdità della cosa, vero?”

“Certo” mormorò lei, stizzita.

“Bene! Stammi a sentire” incominciai e le misi le mani su entrambe le spalle. La guardai attentamente negli occhi. “Hai a che fare con un vampiro mentalmente disturbato. Promettimi che non lo starai a sentire”

“Abigail, stai esagerando” rispose lei, con tono da rimprovero. 

“No! Io non sto esagerando per niente! Promettimi che farai sempre e solo quello che ti dirò io” continuai io, mezza isterica, costringendola a guardarmi attentamente negli occhi.

“È da un po’ di tempo a questa parte che lo sto facendo…” affermò lei con leggerezza.

“Continua a farlo!” ordinai io.

“Ora” continuai, togliendole le mani da dosso “Dimmi, ti ha detto anche perché lo pensa?”

“Ha paura che la mia anima venga dannata” confessò lei, con strana rassegnazione.

“Oh…” Forse avevo sottovalutato Edward e le sue motivazioni. Questa questione dell’anima era molto complessa. Personalmente, io credevo che l’anima di Bella appartenesse a Edward e viceversa. O qualcosa di simile, insomma. In effetti, c’erano molte cose che mi spingevano a pensarlo, in primis il fatto che si amassero così tanto, nonostante fossero creature diverse. Era un po’ come se fossero stati destinati. Ma nessuno, io compresa, poteva, né aveva il diritto di cambiare l’opinione di Edward su questo. Era un argomento tanto delicato quanto ignoto ed ogni vampiro ed essere umano aveva il pieno diritto di pensarla come voleva. Era un po’ come la vita dopo la morte o la reincarnazione; ognuno era libero di pensarla come voleva. Ed io non potevo contraddire Edward su questo.

“Ma tu ti trasformerai in un vampiro, vero?” chiesi di nuovo seria “Non hai appena detto che i Volturi…”

“Esatto. Ma non appena Alice avrà previsto il loro arrivo, lui mi nasconderà” Io inclinai la testa confusa. Per un vampiro questo era un gioco da ragazzi ed inoltre era un’idea che avrebbe funzionato alla grande. Fino a quando non li avrebbero trovati comunque; non potevano mica scappare all’infinito. Avrebbero vissuto sempre in quell’agitazione… che forse avrei provato io se i miei genitori mi avessero parlato dei Volturi prima del dovuto.

“Io continuo ad essere dell'opinione che diventare un vampiro sia la scelta più giusta” mormorai io, concentrata.

"Quindi tu sei dell'opinione che io debba diventare un vampiro" Alzai gli occhi verso di lei.

"Ovvio! Fidati, farà felici più che un paio di persone. Te, ma soprattutto lo stesso Edward” la rassicurai io.

"Ma tu non vuoi diventare un vampiro..." precisò lei ancora confusa.

"Ehi! Il mio caso è diverso dal tuo! Tu hai una ragione più che sufficiente: Edward. La mia unica ragione sarebbero i miei genitori. Ma l'amore che provi tu per lui, è molto diverso da quello che io provo per loro. Non è la stessa cosa...” cercai di spiegarle io. Tornai all’argomento sviato, evitando accuratamente il mio futuro. Se c'era un argomento di cui odiavo parlare era quello...

“Insomma, tu come hai reagito?

“Sono andata subito a casa sua. Ho esposto la questione alla sua famiglia e l’ho messa ai voti” ammise seria.

“Davvero?”esclamai esterrefatta "E' stata un’azione matura e saggia. Hai senza dubbio fatto la scelta più giusta” mi complimentai con lei.

"Ho pensato che con l'intervento dei Volturi sarebbero stati tutti coinvolti" spiegò, un po’ in colpa.

"Giustamente" continuai con fervore.

"Ci sono stati molto più voti favorevoli"

"Bene!"

“Anche se non hanno accettato subito” ammise con una certa delusione. Io alzai gli occhi al cielo.

"Bella!" le misi le mani in testa "Non puoi pretendere che ti trasformino così, in un momento! Mi hai sentita sull’aereo, no? Non è come un esame del sangue. Piuttosto è molto più simile ad un operazione al fegato. Devi aspettarne uno che sia compatibile, poi devi aspettare l'intervento. Inoltre il chirurgo deve essere un ottimo chirurgo, non il primo specializzando che passa, no?"

"Sì, Alice mi ha detto che non ne è capace" mormorò, ancora con quella certa delusione, mentre si mordicchiava il labbro. 

"Quindi? Avete deciso una data?" la incoraggiai io.

“Sì. Dopo il diploma” Il suo tono tuttavia continuava ad essere pensieroso ed incomprensibile, sospetto.

"Questo mi sembra un lasso di tempo ragionevole” commentai ed incrociai le gambe. Aspettò un attimo prima di continuare il discorso.

"Voglio però che sia Edward a farlo" confessò con tono lieve, ma stranamente speranzoso. Faceva uno strano contrasto.

"Pensiero giusto, ma quasi impossibile. Si rinchiuderà come minimo a casa sua il giorno del diploma" commentai ironica.

"No, invece me l'ha promesso" mi rispose lei seria, guardandomi negli occhi. Il suo sguardo era terribilmente dubbioso, sconcertato. Era davvero in controsenso con quello che stava dicendo. 

"Davvero? E' strano, dopo quello che pensa riguardo..." ammisi caotica.

"Prima vuole che io lo sposi" Tutti i dubbi, le incertezze e lo scompiglio che provava si espressero appieno in queste poche parole. Ne rimasi piuttosto stupita.

"Tutto qui? Le sue idee per un matrimonio? E' piuttosto variabile, il ragazzo" commentai con sarcasmo.

"Vuole sposarmi, Abi! Io ho solo dicianove anni!" esplose lei. Io la guardai confusa. Non capivo davvero dove stesse il grande problema. Lo amava, no? Era un modo perfetto per celebrare il loro amore. Io non ci vedevo niente di male.

"E... tu non lo vuoi sposare?" domandai scettica. 

"No” rispose secca “Mia madre non lo prenderà bene. I miei genitori si sono sposati da giovani e subito dopo hanno divorziato. Hanno molte riserve su questo argomento. Mio padre, poi, lo odia" Stizzita ed ansiosa, appoggiò la testa sul palmo della mano. Aspettai un attimo di silenzio, per sentire le altre motivazioni.

"Tutto qui?" chiesi alla fine.

"Abi! Io non voglio deluderli” sbottò lei, agitata “E poi non è necessario alcun matrimonio! Io lo amo lo stesso!”

"Però quando eri stata disposta a diventare subito un vampiro, non ti sei fatta problemi a lasciarli" specificai io. Ci andai troppo pesante. Bella tacque e si impensierì ancora di più. Le misi di nuovo una mano sulla spalla.

"Capiranno, fidati. Non ti disconosceranno. Tua padre sembra volerti davvero bene" Sbuffò con un sorriso.

“E poi, se l’ha proposto lui, si vede che ci tiene molto” dissi con grande enfasi.

“Sì” mormorò lei allungando il sorriso e perdendosi un attimo tra i suoi pensieri.

"Così vi sposerete subito dopo il diploma?" continuai, cercando di ravvivarla.

"Già" borbottò lei.

"Oh... Non ho mai partecipato ad un matrimonio. Essendo poi tra vampiri sarà davvero in grande. Forse lo farete alla Sagrada Familia" ironizzai io, sarcastica. Lei sorrise, ma subito dopo tornò seria, immobile, per alcuni secondi con lo sguardo fisso davanti a sé, impaurita.

"Ma c’è Victoria" se ne uscì all’istante. Tornai subito seria con un sospiro.

"Credo sia l'ultimo dei tuoi problemi. Hai un esercito di vampiri e licantropi al tuo servizio" continuai io per rassicurarla.

"Che potrebbero morire per colpa mia" borbottò. Questa ragazza si faceva davvero troppi problemi. E lo pseudo-fidanzato non era da meno.

"Ehi! Siamo cento contro uno!" le ricordai io con foga "Non succederà niente." Decisi di piantare anche questo argomento; ne avevo abbastanza di problemi e seghe mentali senza senso.

"Dimmi, piuttosto, come l'ha presa Charlie?" Lei si rianimò.

"Male, ovviamente. Si è infuriato. Sia con me, sia con Edward. Non gli perdonerà come mi ha trattato, quando se ne è andato" disse giù di morale. "Mi ha messo in punizione. Mi sembra il minimo."

"Cosa gli hai raccontato?" chiesi curiosa.
"Ho improvvisato. Ho in pratica dato la colpa ad Alice, che mi ha trascinato a Los Angeles" continuò, sempre con lo stesso noto, facendo girovagare lo sguardo sul soffitto. "Non posso neppure andare a La Push. Mi ha lasciato venire da te perché ha saputo che non stavi molto bene."

"Non mi crede una cattiva ragazza?"

"No, la considerazione che ha di te è mutata solo un poco" rispose lei con mezzo sorriso e leggermente più serena.

"Hai sentito Jacob?" esplosi improvvisamente. Il modo migliore per rovinare una lieta conversazione.
"No, tu?" mi rispose inquieta.

"No. Con la costola fratturata sono costretta a stare qua ancora per un pò" le spiegai "Sarà furioso. Lui sì che ci disconoscerà"

Scese un momento di silenzio. Jacob ci avrebbe voluto ammazzare tutte e due. Forse Bella la perdonerà; infondo era lei di cui era innamorato. Non io. Con me sarebbe stata più dura. Sbuffai infastidita. Non volevo perdere un amico come lui. Non ne avevo mai avuti molti e mai come lui.

“Ti stava per baciare, prima” dissi improvvsiamente, cercando di reprimere il fastidio che traspirava dalla mia voce.

“Sì.” mormorò lei “Mi ha presa in contropiede. Non me l’aspettavo. Non sono riuscita a reagire" rispose nervosa. Io cambiai argomento all'istante. Parlare assieme a lei di Jacob sotto questi termini mi faceva infuriare e quella non era esattamente l'occasione adatta per una sfuriata. in contropide primere il fastidio che traspirava dalla mia voce. a e visto che il pomeriggio non avevo dormito, ora

“Lui non lo sa che vorresti diventare un vampiro, vero?” mormorai svogliata.

“No”

“Sarà complicato dirglielo” commentai ed arricciai le labbra.

“E anche a mio padre…” aggiunse lei, coprendosi il viso con le mani.

“Quando potrò alzarmi andrò da lui” continuai e mi distesi.

“Cerca di fare attenzione…”

“Cerca di fare un miracolo, altroché!” la interruppi io, tornando a sedere “Si sentirà fuori di sé non solo per noi, ma anche per Edward”

Ahah… adesso sarebbe iniziato lo spettacolo. Da una parte c’era un vampiro suicida perdutamente innamorato di un ragazza, a sua volta perdutamente innamorata di lui. Dall’altra, un licantropo adolescente con una tremenda cotta per questa medesima ragazza ed un’innata indole testarda. E poi c’ero io, con il compito di assicurarmi che Bella non si facesse male fisicamente e moralmente.

“È vero. Adesso che sono tornati i Cullen sarà tutto più difficile” affermò lei sospirando.

“Ah, senti, potresti trovare un modo per far sapere ai licantropi che sto bene?" troncai subito io il discorso, per paura di dimenticarmene. Sapevo che loro ci tenevano particolarmente di saperlo.

"Oh, non preoccuparti. Charlie l'avrà spiattellato a tutta La Push"

"Lui si è ripreso dal funerale di Harry?" chiesi con gentilezza.

"Un po'. La mia fuga però non gli ha fatto di certo bene" sospirò Bella. Mi tornai a distendermi sul materasso, ad occhi chiusi. Mi feci prendere da una strana ansia. Aveva a che fare con i licantropi ed i vampiri. Sarebbero nati dei grandi casini a causa di tutti quei pregiudizi che avevano quei cagnoloni troppo cresciuti.

“Quindi?” esclamò Bella impaziente. Tornai su. Mi fissava con insistenza, la testa appoggiata al proprio gomito. Aggrottai le sopracciglia confusa.

“Forse devi dare a me delle spiegazioni, adesso” mi chiese, continuando a guardarmi tesa come una corda di violino

“Come facevi a conoscerli?” domandò seria. La domanda in realtà era come faceva a sapere lei che… Ah.

“È Edward che te lo ha detto?”

“Lui non mi ha detto proprio niente” esclamò ancora più seria “Non ha voluto farlo. Mi ha detto che dovevi essere tu. Non ti nascondo che mentre ne parlavamo si è impensierito. Sembrava totalmente confuso” insinuò con fare indagatore. Io sospirai.

“In realtà anch’io l’ho saputo solo poche ore fa” mormorai stringendomi le gambe.

“Cosa?” domandò attenta.

 

Avevo finito di raccontarle quello che sapevo da un’ora abbondante. Io gliel’avevo fatta molto breve; non ero mai stata una cima nei racconti. Bella era rimasta zitta tutto il tempo, concentrata su di me e sulle mie parole. Aspettavo con ansia una qualsiasi sua reazione, mentre fissava immobile il pavimento, ingombro di CD ancora per poco. Alzò lentamente la testa verso di me, l’espressione attonita.vevo finito di raccontarle quello che sapevo da un minuto abbondate.  Bella noo. doloramente.

"Davvero?" sussurrò. Io annuii leggermente.

"E'… assurdo... Solo tua madre contro…" si bloccò "E non te l'hanno mai detto..." continuò fissandomi.

"No" gli risposi serena.

"Non… non sei terrorizzata?" sussurrò. Io feci spallucce.

Ad essere sincera non provavo alcun tipo di paura. Mi sentivo del tutto sicura e protetta grazie ai poteri di mamma e papà. Voglio dire, sono passati quattordici anni e non è successo niente fino ad ora. Mi sentivo a mio agio, sotto quel punto di vista.

Bella mi lanciò un’occhiata d’intesa.

"Mi ha accompagnato Edward, sai? Voleva parlare con i tuoi genitori riguardo a qualcosa sui Volturi. Ha letto qualcosa di strano nei loro pensieri." Io spalancai gli occhi. Edward Cullen? Qua?

"Vuoi dire che al momento i miei genitori stanno parlando con lui?" chiesi per conferma. Lei annuì. Ah…

"Vuole anche parlare con te" continuò sempre con tono circospetto.

"Ma davvero?!" esclamai sorpresa.

“Credi che riguardi quello che mi hai appena detto?” domandò impensierita.

“Possibile” conclusi io “A te non ha detto niente?”

“No” commentò “Non sembrava sicuro neppure lui” disse a testa bassa, facendo cadere il discorso. Restammo in silenzio per alcuni minuti. La pioggia si fece sentire contro i vetri della finestra, aumentando mano a mano. Per un momento mi prese la curiosità di alzarmi e vedere come fosse il paesaggio fuori. Mi sembrava così strano non aver ancora visto la mia nuova casa. Ancora più strano era come i miei genitori mi avevano portato da un palazzo pieno di vampiri in una stanza dalle pareti color vomito – ceruleo all’estremità degli Stati Uniti d’America. E ad essere sincera non volevo neppure saperlo.

"Ho conosciuto i tuoi genitori. Tua madre è fantastica, e bellissima" se ne uscì all’improvviso. Io feci spallucce.

"Non ti capita mai di sentirti... una nullità vicino a loro?" Le rivolsi uno sguardo scrutatore. Non lo diceva con cattiveria, anzi, con comprensione.

"Qualche volta sì. Vivere con qualcuno più forte, veloce, intelligente, bello. Più tutto. E non poter essere come lui."

"E' esattamente quello che provo anch'io” confessò con mezzo sorriso. Un mezzo triste sorriso. Sbuffai, stufa. Basta seghe mentali inutili.

"Ehi! Sei favolosa anche tu agli occhi di Edward!" esclamai come se fosse la cosa più ovvia di questo mondo.

"Però non sono come lui. Anche se voglio diventarlo." continuò con una punta di depressione. Mi buttai a peso morto e rimbalzai sul materasso. Cercai di soffocarmi con il mio cuscino. Già avevo i miei problemi, non potevo fare anche la psicanalista di problemi inesistenti. Bella riuscì ad intendere il messaggio implicito di quella scenata infantile.

"Bella la camera" disse cambiando discorso guardandosi attorno interessata. Il suo commento mi persuase dal tentativo si soffocamento. Me lo tolsi dalla faccia ed alzai spallucce.

“Camera” mi limitai a biascicare, senza neppure sapere con certezza cosa volessi dire.

"Non saresti dovuta venire" dissi lei all’improvviso con uno strano tono di rimprovero. Sapevo a cosa si riferiva. Mi stupii la rapidità del cambio d’argomento. Mi guardava attentamente, cogliendo ogni espressione del viso. Mi venne una malsana voglia di farle una linguaccia.

"Lo so" ammisi io, dispiaciuta.  

"Ma non avresti salvato Edward" continuò lei, scuotendo la testa.

"Non ne sono così tanto sicura. Saresti arrivata anche tu in tempo..." continuai convinta. 

"Non dire fesserie, Abi" emise con rimprovero. La nostra conversazione venne interrotta da due battiti sulla porta della mia camera.

"Avanti" dissi verso la porta.

Rimasi per un attimo senza fiato davanti alla figura di Edward che scivolava elegante dentro alla mia camera. Mi ero dimenticata che c’era anche lui. Rimase vicino alla porta, la mano fredda e affusolata ancora sul pomello della porta.

"Potrei parlarti un momento, Abigail?” La sua voce melodiosa si propagò per tutta la camera.

"Certo" risposi io, con evidente sorpresa nella voce. Mi rivolsi veloce verso Bella "Ci vediamo tra un paio di giorni a scuola"

"Va bene” Si avvicinò e mi abbracciò con un unico braccio, per evitare di farmi male alla costola.

"Stammi bene" disse allontanandosi. Mi fece un ultimo cenno con la mano e si avvicinò ad Edward. Vidi posarle una mano con nonchalance sulla sua guancia.

“Non ci metterò molto” La sua voce si fece un sussurro e di conseguenza molto più suadente.

“Va bene” rispose Bella roca. Cominciai ad osservare attentamente il loro comportamento. Era sorprendente il modo in cui la guardava; come se davanti a sé avesse il mondo. Come se cercasse di entrare dentro di lei con la semplice vista. In parole povere, la stava mangiando con gli occhi, anche se come espressione pareva essere troppo rozza e inadatta. Di conseguenza questo non aiutava di certo Bella a non ricambiare lo sguardo, sfuggendo per un attimo dalla realtà.

In realtà la cosa sorprendente fu che tutto questo durò che una decina di secondi. Le dita di Edward ne approfittarono per scostarle dal viso una ciocca di capelli. Che tra parentesi non aveva alcun bisogno di essere scostata; era, a parer mio, solo una scusa per toccare il suo viso.

Bella uscì dalla stanza, rischiando di inciampare sull’uscio della porta che si stava chiudendo. Era già imbranata di suo, bene volendole, se poi si inebetiva anche in questo modo…

Edward chiuse la porta. Mi rivolse un’occhiata scocciata verso di me, mentre a passi leggeri mi si avvicinava. Mantenne le distanze e si fermò a poco più di metà stanza. Non riuscii a capire il perché di quell’occhiata, fina a quando non mi ricordai che il signorino sapeva leggere nei pensieri. Una sfilza di maledizioni cominciarono a susseguirsi nella mia mente. Non doveva aver preso molto bene le utlime parole...

“Sono desolato di avervi disturbato” sentenziò, sicuramente per interrompere quella catena di parole poco gentili. Davanti a me c’era una persona che sapeva leggermi il pensiero. Mi imbarazzai tanto da arrossire completamente. Era orribile come situazione, ingiusta.

“Fi-figurati” balbettai.

Sono desolato? Da dove veniva, dall’ottocento?! Era meglio se non ne dubitavo, però; poteva darsi.

Lo guardai per la prima volta bene, con attenzione, senza rischiare questa volta di morire. Era un gran, gran bel vampiro. I suoi capelli leggermente spettinati erano di un curioso castano rossiccio, che facevano davvero uno splendido abbinamento con gli occhi perfettamente dorati, segno di una recente mangiatona. Aveva un non so che… Sembrava… un leoncino. Un piccolo leoncino, per l’esattezza; era incredibilmente giovane. Bisognava contare che la trasformazione comprendeva un processo di evidente ringiovanimento, ma non gli davo più di diciott’anni. La sua espressione si fece di colpo stizzita. Uffa! Noi due non saremmo andati d’accordo per il solo fatto che era in grado di leggermi il pensiero.

“Di cosa mi vuoi parlare?" chiesi facendo finta di nulla, mettendomi comoda, ancora bordeaux.

“Innanzitutto volevo sapere come stavi. La costola ti procura ancora dolore?" chiese con cortesia. Aveva cambiato subito atteggiamento e mi stava rivolgendo un’occhiata davvero gentile. Era una brava persona, dopotutto; mi aveva anche chiesto come stavo. Cambiai quindi anch’io atteggiamento.

"No, adesso sto meglio" risposi con la medesima gentilezza, ma anche con una certa curiosità.

"Prima che tu inizi a parlare” cominciai prima che aprisse bocca “Vorrei scusarmi per esserti gettata addosso, per averti sputato in bocca e per averti gridato in faccia. Non sono stata molto educata” dissi con dispiacere. Gli spuntò uno strano sorrisino sghembo sul viso pallido. Era decisamente molto più intrigante e misterioso del mio. Provai una certa invidia per quel sorriso sghembo.

"Azioni davvero fuori dal comune, devo essere d'accordo con te. Tuttavia, in parte efficaci” commentò con ampollosità, ma anche con una certa comprensione nella voce.

"Tenendo poi in conto il fatto che volevi uccidermi..." aggiunsi, a mò di giustificazione per i miei atti stupidi. Abbassai la testa mortificata.

“No, non era nelle mie intenzioni ucciderti, affatto” specificò lui con leggerezza, un po’ confuso, ma ancora totalmente rilassato, al centro della mia stanza. “Solo farti paura”

"Ah" emisi io, presa alla sprovvista. "Complimenti, ci sei riuscito" gli confessai a disagio.

"Sono venuto perchè vorrei ringraziarti di persona per tutto ciò che hai fatto per Bella” riprese lui passando finalmente al sodo “So che sei stata insieme a lei, dopo che me ne sono andato. Oltre al tuo intervento a Volterra, benché, perdona la franchezza, è stato un atto alquanto sciocco e stupido. Ma di questo credo te ne sia già resa conto.”

Con il fatto che era in grado di saper leggere nel pensiero aveva un detestabile atteggiamento da sapientino che mi dava sui nervi. Il fatto che poi non lo dicesse con un tono da “so-tutto-io”, ma comprensivo, quasi timido, oltre a quello che aveva una ragione assurda, mi innervosiva ancora di più. Bhè… me l’ero cercata.

"Te ne sono infinitamente grato e debitore. Per lei sei una persona davvero importante." Rimasi per un attimo imbambolata a guardarlo negli occhi, proprio come Bella poco prima. Fui colpita dal suo tono pieno di gratitudine e anche di rispetto. Gli occhi che mi guardavano erano gioiosi e sembravano brillare. Le labbra poi, ora si erano aperte in un sorriso pieno, che alzava gli zigomi dandogli una certa aria infantile ed ingenua. M’imbarazzai tanto che sentii le guance pizzicarmi. Maledetti vampiri… Abbassai subito lo sguardo per sfuggire ad un arrossamento totale e moralmente distruttivo.

"Gr... grazie" borbottai io, sempre più rossa. Notai che il suo sorriso era tornato sghembo.

"Vorrei solo chiederti una cosa" iniziò cogliendomi di sorpresa, la voce tornata seria e anche curiosa "Cosa hai detto di preciso a Bella?" Tornai a guardarlo negli occhi, ora sospettosi e diffidenti. Il vampiro davanti a me era evidentemente bravo a cambiare spesso umore. 

"Perché mi fai questa domanda?" chiesi io confusa, più per il suo cambio di espressione, che per le sue parole.

"Durante una nostra conversazione ha cominciato a nominare il tuo nome e dire che avevi ragione. Cosa intendeva dire?" chiese di nuovo gentile, ma gli occhi non erano cambiati.

"Le ho solo detto che saresti tornato" confessai.

“Lei ci ha creduto?” Tutta la gentilezza fece spazio ad un tono asciutto e serio. Io annuii, a disagio, questa volta, per i suoi cambiamenti fulminei, che, lo ammettevo, incutevano un inconsueto timore.

“Perché le hai mentito in questo modo?” La sua voce non era animata dalla rabbia, ma dal dispiacere “Avrebbe presto capito che la tua era una bugia, se non fosse successo davvero quel che è accaduto. L’avresti fatta soffrire e nient'altro.” Io lo guardai per alcuni secondi, alzando un sopracciglio in uno scatto fulmineo, allibita.

“Non le ho detto una bugia” confessai sincera “Sapevo che saresti tornato” affermai sicura. Scosse la testa frenetico, con un leggero sorriso di giocoso scherno sulle labbra, come se stesse parlando ad un bambino di pochi anni.

“Come potevi saperlo con certezza?” chiese, calmo “Sei stata troppo avventata.” Ora quel suo nuovo comportamento, per quanto innocente e involontario che fosse, mi dava di nuovo sui nervi, perché sembrava dirmi “io-sono-troppo-intelligente-perché-tu-capisca”. Sbuffai, dovendo di nuovo raccontare tutta la storia.

“So che lei è la tua cantante, so che hai bevuto il suo sangue senza ucciderla, so che sei stato in stretto contatto con lei per più di un anno senza morderla” elencai scocciata.“È evidente che tu l'ami molto. Troppo, più di te stesso” conclusi ferma.

“Non riesco a seguirti” disse, completamente serio. “Non sembra giustificare la tua azione”

“Oh, giustifica, giustifica” esclamai “Ti dovresti essere torturato domandandoti se saresti stato in grado di stare o no con lei, prima ancora di rivolgerle solamente la parola. Sei hai deciso di farlo, allora eri davvero convinto che saresti potuto rimanerle accanto. È da stupidi decidere di andarsene dopo tutto questo tempo per paura di farle del male e tu non lo sei. Per le spiegazioni che le hai dato, non avevi nessun motivo di andartene” conclusi io, provando un certo gusto a fare la sapientina.

La sua espressione cambiò di nuovo. Ora aveva la mia completa attenzione e non mi sfuggì lo scatto verso l’alto delle sue sopraciglia, per quanto veloce. Mi guardava con curiosità e dubbio. Cercava di leggermi ancora il pensiero, lo sapevo. Per quella volta stetti al suo gioco. Ripensai all’incontro avuto con Bella meglio che potei, con più dettagli possibili, ciò che lei aveva detto a me, quello che io avevo detto a lei. Lui rimaneva immobile, una statua, non respirava neppure, la sua espressione non cambiò di un millimetro. Mi furono necessari un paio di minuti. Pensare così intensamente mi face male alla testa. L’unico suo movimento percettibile  fu sbattere le ciglia un'unica volta.    

"Li conosci davvero bene i vampiri" mormorò con voce assente, magari concentrato nei suoi, o nei miei pensieri. Alzai gli occhi verso il soffitto.

"Forse è proprio perché sono umana. Ho a che fare con loro fin dal giorno in cui sono nata e quindi  riesco a capirli, a cogliere le differenze con gli uomini in modo obiettivo, in una visione d'insieme, insomma, proprio perché la loro situazione e la loro mentalità non mi riguardano direttamente” farfugliai distratta, sorridendo tra me e me. Guardai Edward. Non mi aveva ancora levato gli occhi di dosso. Erano inquieti, agitati e pensierosi. Continuava a non muoversi, il che  mi mise ancor più a disagio. Inoltre non mi piaceva che mi fissasse in quel modo.

"Cosa vi siete detti?” chiesi cercando di distrarlo. Lui scosse lentamente la testa, sbattendo un paio di volte le ciglia.

“Abbiamo parlato di ciò che è accaduto a Volterra” mi disse asciutto, senza alcuna traccia della trepidazione di prima.

“Hanno anche tenuto a raccontarmi della nascita della vostra famiglia. Oltre alla reazione dei Volturi nei tuoi confronti.”

Oh, quindi anche lui sapeva tutto di tutti in questa casa. Speravo solo che non fosse venuto a sapere che…

L’improvvisa indecisione nei suoi occhi mi fece capire che adesso lo sapeva, perché lo avevo appena pensato. Merda. Merda. Merda.

“Marcus aveva ragione. Tu è tua madre avete un legame straordinario” riprese, con uno strano timbro nella voce. Era qualcosa di simile alla meraviglia e al rispetto. Un tono che non esprimeva alcunché per quello che avevo pensato. Mi ci vollero un paio di secondi per ricordarmi che Marcus era quello dei tre capi Volturi in grado di rivelare le relazioni tra persone o qualcosa del genere. Io annuii la testa, non sapendo sinceramente cosa dire.

“Bella mi ha parlato di qualcosa che hai letto nei loro pensieri” precisai.

“Esattamente. Ma credo che sia meglio che te lo dicano i tuoi genitori di persona" Corrugai la fronte. Perché mai non me lo voleva dire? Era strano. Oppure piuttosto delicato come argomento. Mi ricordavo gli ammonimenti fatti da Bella sul nervosismo di Edward. Confermati poi dal tono di voce fin troppo indifferente, che stonava terribilmente con le parole.

“Ti hanno raccontato anche di Victoria?” continuai io, cercando di non far cadere la conversazione nel silenzio.

“Sì” mormorò subito, con rimpianto, nervoso più di prima. Il suo viso era diventato tormentato; in effetti andandosene aveva rischiato che Bella diventasse una sua preda. Doveva roderlo un grande rimorso. Rimase zitto, facendo calare un pesante silenzio. Mi mossi goffa tra le lenzuola, battendo le dita sul cuscino.

"Senti, cosa ne dici se ricominciamo da capo?” proposi alla fine io "Non è stato un granché il nostro primo incontro." Lui mi guardò dapprima stupito, poi gli si dipinse il sorriso sghembo sulle labbra.

"Certo" rispose sereno "Sono davvero interessato a conoscerti, Abigail Adams"

"Curiosità ricambiata" risposi con vivacità, alzando la mano per farmela stringere. Gli bastarono due passi per poter stringere la mia. Fu piacevole la sensazione di gelo della sua mano; mi dava il solletico.

"Posso chiederti io una cosa ora?” chiesi modesta.

“Certo”

“Potresti evitare di leggermi nel pensiero? E' abbastanza irritante” confessai sinceramente.

“Cercherò di non farlo” promise, impassibile nel suo sorriso “Anzi, mi converrebbe. Non offenderti se ti dico che quello che pensi è davvero strano” concluse con un velo di ironia e di presa in giro.

“Grazie” dissi io sarcastica.

"Forse è meglio se adesso ti lasci riposare" disse mentre allontanava la mano. Io annuii. 

"Grazie per la visita, Edward” lo ringrazia sinceramente.

"E' stato un piacere” rispose lui, con un’involontaria voce suadente. Elegantemente si girò e spinse il pomello della porta. 

"Un'altra cosa" dissi, seria, con un tono di voce un po’ troppo alto. Si voltò come un modello di una pubblicità di profumi.

“Non dirlo a nessuno, neppure a Bella.” Lui mi guardò per un secondo, per poi annuire serio.

“Lo farò” disse con la mia stessa serietà.

Edward era davvero una buona persona, dalle scelte avventate, con tutto un suo modo di pensare, ma agiva in fin di bene, in ogni caso. Inoltre era anche gentile e simpatico, sebbene un po’ retrò come modi.

Non appena chiuse la porta dietro di sé tirai su le coperte in modo che mi coprissero la testa. Osservai le lenzuola arancioni, mentre la scarsa luce dalla finestra che le illuminava colorava l’aria d’arancio. Guardai verso il basso e mi accorsi di vestire il mio pigiama verde. Chiusi gli occhi e sentii il lenzuolo fresco posarsi sulla pelle del viso, mentre ascoltavo lo scroscio della pioggia contro il vetro. Era un rumore assolutamente rilassante. Mi concentrai su quel rumore, liberando la mente da tutto il resto. Lo facevo spesso quando avevo problemi di cui non volevo pensare e di solito funzionava.

Avevo perso la concezione del tempo quando fui costretta ad emergere per mancanza di fiato. Rimasi supina e mi sfiorai la costola fratturata. Al contatto provai solo un lieve formicolio. Volsi la testa verso la finestra e sbuffai. Mi sentivo nervosa, per niente tranquilla. Il letto si fece stretto e non potei più rimanere lì distesa. Riuscii a capire il perché. Balzai, mettendo piede sul parquet un po’ sbiadito. Passai qualche secondo in piedi per familiarizzare con le gambe, in disuso da un po’. All’inizio erano malferme, poi si fecero rigide, ristabilendosi.

A passi lenti mi diressi verso la finestra. La costola continuò a provocarmi quel torpore. Oltre il vetro c’era un immensa distesa di alberi tutto in torno; non riuscivo a vedere altro. Anche questa casa si trovava nascosta dagli alberi. Una piccola stradina d’asfalto consumato si faceva strada tra la foresta. Dedussi che molto probabilmente doveva portare alla tangenziale 101, che portava direttamente a Forks. Mi avvicinai quindi alla porta. Afferrai il pomello freddo e l’aprii lentamente. Mi sentii disorientata dal corridoio alieno. Guardai attentamente a destra e sinistra. Era modesto come ambiente. Il corridoio era abbastanza piccolo, ricoperto da moquette rossiccia e pareti in mogano. Il corridoio dava su altre tre camere, con porte di cedro chiaro. Davanti a me c’era una piccola scala che portava al pianterreno.

“Abi, sono qua” mi chiamò mamma da sotto. Scesi i gradini, forse un po’ troppo alti, tenendomi al corrimano. Il pianterreno sembrava essere molto più spazioso del piano superiore. Una grazioso ingresso dava al salotto e alla cucina, oltre ad altre due porte chiuse. Mi diressi verso la cucina, dove c’era mamma. Mi sedetti su una sedia, apatica, guardandomi intorno. La cucina era piuttosto grande, con mobili in legno e con al centro un tavolo piuttosto grande. Davanti a me mamma aveva un grandissimo pacco di fogli sulla casa.

“Tutto bene?” mi chiese materna. 

“Sì” risposi roca. “Papà?” 

“Sta leggendo sul tetto” rispose, poco concentrata sulle carte sotto di lei. “La casa ti piace? Si è appena liberata. Abbiamo avuto fortuna.”

“Non è male” mugugnai “Anzi, mi piace.” Era molto simile alla casa di Chicago, forse un po’ piccola. Sicuramente molto meglio della villa bianca.

“Non credo però ci staremo per molto” rispose lei sospirando.

“A papà già va stretta?” tirai ad indovinare.

“Già” mormorò lei, alzando le sopracciglia. “È stato carino da parte della tua amica venirti a trovare” iniziò lei, guardandomi con attenzione ed animazione “E’ incredibile come lui sta vicino lei, come la tocca. Persino come si guardano.”

“Cosa ti ha detto Edward?” chiesi direttamente con interesse, tralasciando sovrannaturali particolari amorosi. Il tempo di ritornare seria, che papà era comparso sul ciglio della porta, consapevole di ogni parola detta.

“Ciao, Abi” disse mentre si avvicinava a me sorridente “Stiamo meglio a quanto pare.” Mi prese la testa con una mano ci posò le labbra. Il bacio durò un bel po’ di secondi. Si distaccò, lasciando che un suo braccio mi sfiorasse una spalla e continuò a guardarmi con quel sorriso. In un modo del tutto diverso da come guardava Edward Bella, ma di poco meno intenso. Come se fossi un prezioso gioiello. Non mi feci ingannare.

“È una cosa piuttosto seria” dedussi io. D’altronde si trattava dei Volturi, le cose non potevano andare diversamente.

“Dipende” mormorò lui. Mia madre balzò in piedi in uno scatto, guardandolo furibonda.

“Da che cosa, Will?” disse seria “Da cosa dipende? Non dipende da niente! È grave, punto.” Io retrocedetti impercettibilmente verso lo schienale della sedia. Mi faceva sempre un certo senso vdere mamma arrabbiata.

“Sophie, la stai spaventando” tentò di rassicurarla calmo papà. Lei alzò il dito per dire qualcosa, ma si bloccò, mi guardò tesa, arricciando le labbra. Si diresse poi nervosa verso una delle finestre e si mise a guardare fuori. Mio padre si chinò su di me. Io lo guardai di sottecchi. Avevo capito che quella di mamma era una scenata come altre, dovuta all’eccessiva preoccupazione. Ma si stava trattando dei Volturi, quindi poteva darsi che questa volta avesse ragione. Mio padre mi guardò negli occhi.

“Edward ha ben pensato di metterci in guardia su cosa pensano i Volturi” iniziò con voce greve “Sono interessati a te. Lo sono da quattordici anni.”

“Mmh...” bisbigliai io. Mio padre annuì deciso.

“Non capiscono perché un essere umano riesca ad influenzare un vampiro in questo modo.”

“Quindi?” chiesi leggermente tremula. Questo lo sapevo già, lui lo sapeva. Dove voleva andare a parare. Ci pensò un attimo, ma poi distolse lo sguardo sul pavimento.

“Su Will, diglielo” sentì brusca mamma dietro di me “Da cosa dipende il tuo mutismo?” gli rinfacciò più acida. Io mi rivolsi nervosa verso di mamma. Stringeva con entrambe le mano il granito del piano di cottura, rischiando di romperlo e guardando papà sospettosa.

“Abi” Mi rivolsi di nuovo verso di lui. Nei suoi occhi c’era qualcosa che esitava e che mi rendeva inquieta.

“I Volturi hanno pensato per un po’ di tempo di… rapirti, se vuoi metterla in questi termini.”

“Ra-rapirmi?” balbettai io. Papà annuì lievemente la testa.

“Sanno che tu riesci a scatenare il potere di tua madre. Ma se loro fossero capaci di controllare te? Vogliono capire come funzioni”

Mi alzai di scatto. Non avevo ancora compreso bene. Scossi la testa impercettibilmente la testa.

“Intendi dire che vogliono portarmi via da voi?" sussurrai io attonita. Mio padre mi guardò confuso.

“No, no, no” esclamò ripetutamente “Un tempo, lo credevano possibile. Ma… non hanno trovato un modo per farlo. Ti stavamo sempre vicini e non sapevano come sviare tua madre. Hanno rinunciato da tempo.”

Mi furono necessari un paio di minuti per capirlo. Un tempo i Volturi volevano rapirmi, ma ora non più. Quindi, finché ci starebbero stati i miei genitori, nessun pericolo. Feci un respiro profondo. Guardai negli occhi mio padre, decisamente più tranquilla. Mi guardava ancora titubante.

“Non… non sei spaventata?”

“Di una cosa successa tanto tempo fa e che non sta succedendo adesso?” dissi sarcastica io “No, anzi, non capisco perché mi avete spaventata in questo modo” esclamai secca. Anche mio padre tirò un sospirò di sollievo e mi scosse lievemente i capelli.

“Dipende da come avrebbe reagito” disse papà alla mamma. Io tornai a girarmi verso di lei. Aveva dato in escandescenza, come al solito.

Mi fece sentire ancora più stupida ed inetta. Andando a Volterra mi ero offerta a loro su un piatto d’argento. Ogni, stupidissima cosa, ora, mi faceva capire che avevo compiuto una sciocchezza enorme. Come se prima non ne fossi abbastanza convinta! Cavolo, quanto diamine avevo rischiato. Mah’ non si era mossa dal piano cottura e continuava a guardarmi tesissima. Io le feci un sorriso di incoraggiamento. Mi rispose con una smorfia.

“Mamma, è tutto ok” le dissi per rassicurarla. Lei rimase zitta, a braccia incrociate e strette.

“Amore” disse papà, con la stessa voce suadente di Edward. Le si avvicinò e le incorniciò il viso con le mani “Non puoi continuare ad angosciarti in questo modo. Non vivrai bene.”

“E invece sembra che tu ti preoccupi troppo poco” mormorò con foga lei, stringendo i pugni. Papà fece lo stesso gesto di Edward, scostò una ciocca, che apparentemente non serviva essere scostata, dal viso di mah’.

“Io le voglio un mondo di bene. Sono pronto a morire per lei. L’ultima cosa che voglio è il suo male” La sua voce si fece sempre più intensa e bassa, mentre, assorto negli occhi di mia madre, le accarezzava una guancia. Mia madre rimase zitta, le mani rilassate, ma il viso ancora preoccupato.

“Anch’io mi preoccupo, ma ho fiducia. Sia nel mio dono, sia in Abigail” Il tono di papà si fece impercettibile e non sentii più niente. La distanza tra le loro labbra si annullò. Cominciarono a darsi teneri baci, non troppo passionali, ma infinitamente teneri ed intensi, alternando piccole carezze e lievi baci sul collo dati di sfuggita a “Ti amo” dolci ed appena sussurrati.

Ed io ero lì, a contemplare lo spettacolo, la testa poggiata alla mano. Li guardavo annoiata, con un pelo di disgusto per aver dimenticato la mia presenza. Insomma, avevo diciassette anni e non mi scandalizzavo se i miei genitori si baciavano. Certo, da piccolina mi ricordo che arrossivo e me ne andavo più lontano possibile da loro, quando lo facevano. Ma n’era era passato del tempo da quando avevo cinque anni. Inoltre, nonostante tutto, non ero neppure invidiosa se io non potevo fare lo stesso con un'altra persona. Non mi interessava affatto. No, niente invidia. Neppure un po’. Niente.

Mi alzai dalla sedia, leggermente stizzita.

“Prima di cominciare a spogliarvi, abbiate un minimo di contegno e appartatevi in un luogo più adatto, grazie” dissi sarcasticamente arrabbiata. Diedi le spalle a quella scenetta mielosa e mi diressi verso la porta.

“Abi” mi ammonì esasperata mamma.

“Fate, fate pure! Non vi disturberò. Come se io non ci fossi!” dissi dando ancora loro le spalle e facendo strani gesti per aria.

“No, Abi” La serietà del tono di papà mi spinse a girare la testa verso di loro. Li ritrovai ancora abbracciati l’un l’altra.

“Il patto?” Bastarono quelle poche parole per far tornare seria anche me e per capire a cosa si riferisse. Questa notizia dei Volturi era del tutto inappropriata.

“Non vedo come lo possa influenzare” risposi seria. Rimanendo ancora seria, e perdendo tutta la vivacità della giornata, andai ai piani superiori per cercare un bagno e farmi una doccia calda.

 

Dopo un paio di giorni la costola smise di farmi male del tutto, come aveva previsto il medico di famiglia. Erano d’altronde gli ultimi due giorni di vacanze, sfortunatamente. Furono le vacanze pasquali più assurde che avessi mai passato.

Tornai a scuola e rividi tutta la gentaglia di Forks, che non mi era particolarmente mancata. Anche perché non avevo avuto molto tempo per pensare a loro.

A scuola era tutto nomarle, il che mi fece sentire di nuovo parte del mondo degli umani, dopo giorni di irrealtà. I professori spiegavano la lezione, gli studenti non gli ascoltavano, la mensa continuava a fare schifo, Mike ed Eric continuavano a picchiarsi, Ben continuava a stare insieme ad Angela e scoprii che da molto tempo Jessica correva dietro a Mike. Ed a pensarci prima era più che evidente. Ciò dimostrava la grande attenzione che ponevo a quella scuola. Tutto si presentava normale, umano. Tranne per una cosa; i Cullen erano tornati. Addio dose di totale umanità.

Il primo giorno di scuola Bella Swan si trovava in dolce compagnia di Edward ed Alice Cullen. Non per niente la stupida Volvo grigia di Edward mi aveva rubato il mio solito parcheggio. Incontrai i tre proprio all’entrata della scuola; Bella mano nella mano con Edward ed Alice vestita impeccabilmente con abiti che mi parevano eccessivi per la scuola. Lei fu molto gentile, mi accolse con grande simpatia e mi spinse ad intavolare con lei discorsi sulla loro copertura. Al momento loro fingevano di avere diciannove anni e quindi erano costretti a finire il liceo. Mmhhh… non male questa scusa dell’adozione. Avremmo dovuto pensarci anche noi. L’unico suo comportamento che mi irritava erano strane occhiate che mi lanciava. Capii grazie ad un commentino innocente sulla mia tuta che evidentemente non approvava il mio look. Le risposi al suo invito di un pomeriggio di sano shopping con grande discrezione, mettendola sul vago ed elencando possibili impegni. Senza la perenne preoccupazione sul viso durante il viaggio in Italia, Alice dimostrava di essere una ragazza fin troppo esuberante e piena di energie. Sembrava non stare ferma un momento e parlava, parlava, parlava. Ed era evidente che le piaceva fare shopping. Al pensiero quindi di tutta quella energia dentro un centro commerciale che mi travolgeva mi venne per un attimo la pelle d’oca.

Gli altri due invece, appositamente dietro di noi, erano rinchiusi in una bolla impenetrabile e fuori dal mondo, mano nella mano, ancora. Sembravano due fidanzatini normali, anche se erano tutto, fuorché normali. Stetti con loro fino alla campanella della prima ora, dovendo andare ad inglese del terzo anno, per poi rincontrare Bella a biologia. Mi correggo, Bella ed Edward. Edward, seppur costretto a seguire da zero il programma dell’anno aveva fatto in modo di stare con Bella la maggior parte di ore possibili.

Mi accorsi che Bella era molto cambiata; infatti non si poteva più parlare di “Bella” ma di “Bella ed Edward”, come se fossero un’unica inscindibile persona. La disposizione nei banchi a biologia era pertanto Io-Bella-Edward. Ammettevo che cominciavo a sentirmi a disagio, essendo il terzo incomodo. E forse anche un po’ infastidita; era più che giusto e normale che Bella stesse con la persona che amava, ma speravo che potesse stare anche un po’ con me. E con Jacob. Anche tra persone normali capita che con l’arrivo di fidanzati a rimetterci era il gruppo di amici. Il gruppo “Abigail-Jacob-Bella” era decisamente a rischio. Avevamo passato dei bellissimi momenti noi tre; non volevo che andasse tutto a rotoli. Avevo però fiducia in Bella ed ero certa che non avrebbe volto le spalle a me e a Jacob. Forse lo avrebbe fatto Jacob, ma speravo di combinare qualcosa di buono quell’oggi andando a trovarlo a casa sua. Dopotutto c’era anche qualcosa di buono; Mike avrebbe smesso di fare il fanfarone con Bella, lasciando strada spianata a Jessica.

A mensa capii che fu una grande sorpresa, quanto un grande colpo da incassare, per la Forks High il ritorno dei Cullen. Non erano particolarmente ben visti. Non capii esattamente di cosa si trattasse; tutti facevano attenzione ad evitare sguardi e parole con loro, né mostrarono particolare interesse nel loro ritorno, nonostante le ore successive tutti non avevano parlato che di quello. Forse si trattava di invidia; erano d’altronde gli studenti più brillanti e più belli della scuola. Oppure perché gli facevano paura ed erano sottomessi dalla loro sola presenza; sapevo che l’aspetto dei vampiri aveva lo scopo di attirare la preda. Inoltre se l’istinto degli animali li costringeva alla fuga, doveva per forza valere qualcosa del genere anche per gli umani. Oppure tutte e due le cose.

Si sedettero nel nostro tavolo, confinati in un angolo con Bella ed io che facevamo da confine con gli altri. Sembrava che si fossero creati due tavoli distinti, escludendoci dalla conversazione da loro iniziata. Era evidente che alla maggior parte dei membri di quel tavolo i due Cullen proprio lì non erano graditi. Così formammo i Fantastici 4; la veggente, il ficcanaso, l’imbranata e la sfigata di turno. Cercai comunque di interagirmi anche nella parte dei “normali”, non accettando quella sorta di emarginazione, cosa che sembrò gradire particolarmente ad Eric, intromettendosi in un discorso intavolato con i “non umani” sul mio corso di break con i bambini, argomento verso cui Edward sembrò stranamente interessato.

 

La giornata si concluse piuttosto in fretta e non fu per niente emozionante. Piuttosto strana. Mi aveva scombussolato un po’, ma alla fine non era andata male. I due Cullen erano di allegra compagnia, nonostante l’atteggiamento che gli era riservato.

Suonata le campanella delle quattro salutai veloce Bella e Cullen, presi la moto ed andai dritta a La Push. Andai abbastanza piano, a causa delle pozzanghere e dell’asfalto bagnato dall’acquazzone precedente. Più di una volta pensai di far dietrofront ed andarmene dritta a casa. Pensai veramente che questa fosse la volta buona che perdesse la pazienza e si trasformasse in lupo. No, molto probabilmente lo aveva già fatto prima, a rabbia piena.

Intravidi subito la piccola casetta rossa. Sentii le farfalle nello stomaco. Mancavano solo una decina di metri prima di parcheggiare nel solito posto e subito mi saltò all’occhio una strana figura strepitante. Frenai ed appoggiai il piede a terra per far perno e girare di centoottanta gradi. Quella strana figura era un Jacob a dir poco delirante che stava correndo ad una velocità impressionante verso di me. Spensi di colpo il motore e mi allontanai indietreggiando dalla moto, e quindi da Jacob. Credevo che mi sarebbe venuto addosso e mi avrebbe investito in pieno, invece si fermò proprio davanti alla moto a terra. Era livido di rabbia, respirava affannosamente.

“Perché sei venuta?” mi urlò “Potevi risparmiarti la benzina della tua stupida moto e startene a casa dai tuoi succhiasangue! Non farti più vedere!” Si voltò quasi subito e se ne andò a passo sostenuto verso casa sua. 

“Black, fermati immediatamente!” cercai di bloccarlo io scavalcando la moto e togliendomi il casco contemporaneamente “Jake!” urlai.

“Non rivolgermi la parola” mi urlò nuovamente, mentre non pareva voler fermarsi. Scossi la testa; era peggio di quanto avessi immaginato.

“Mi dispiace, ok?” gli urlai anch’io implorante “Ho sbagliato!”

“Perché te ne sei andata con lei?” Si voltò e tornò a coprire in breve la distanza che aveva percorso. Me lo ritrovai davanti, in tutta la sua corpulenta statura “Da dei vampiri! Potevi morire. Sei un’idiota.” Più parlava, più diventava furibondo. Feci qualche passo indietro, intimorita.

“L’ho pensato…” iniziai a mormorare.

“Non in tempo, a quanto pare! Quanto sei stupida, stupida, Abigail”

Un brivido mi percorse inspiegabilmente la schiena. Ero certa che non avrei avuto più un amico tra breve. Mi stava facendo sentire terribilmente in colpa, inetta. Quante altre persone mi avrebbero reso lo stesso trattamento. Quanto ancora avrei perso per la mia sciocchezza. Sembrò calmarsi solo un poco.

“Di me proprio non te ne importa niente” disse deluso, addolorato. Forse era davvero così, visto che in quel momento non avevo pensato minimamente a lui. O forse ero un’egoista che credeva che, qualsiasi cosa facesse, agli altri sarebbe stato del tutto indifferente. Cercai di inghiottire il groppo che avevo in gola.

“Sei arrabbiato per questo” constatai sulla difensiva, inutilmente.

“No, il problema è la tua vita!” ripeté imperterrito lui. Mi sembrava di sentire mia madre.

“Me l’hanno già detto. La mia famiglia, Bella, i Cullen…” sussurrai.

“Forse perché è questa la verità!” tornò a sbraitare lui. Aguzzò gli occhi e mostrò i denti, facendo emergere la parte animale che c’era in lui. Non stava però tremando. La mascella era serrata e tesa, gli occhi neri fiammeggianti di rabbia. Si acquietò subito dopo. Il suo viso era ora contratto da tormento e spasimi di dolore. Distolse lo sguardo da me, per riprendere a respirare. Gli avevo fatto troppo male. Il collo era teso e forse stava anche lui trattenendo qualcosa che non voleva mostrare.

“Pensavo che tu fossi diversa, Abigail” mormorò questa volta, ancora terribilmente arrabbiato “Pensavo che, seppur stessi dalla parte dei vampiri, pensassi anche a me. Ma infondo dovevo aspettarmelo di essermi solo illuso” finì acido, gli occhi cattivi. 

“Smettila, basta con questa storia dei vampiri!” Fui io ad urlare questa volta. Non c’entrava proprio niente questo. Non doveva tirarli in ballo.

“Oh no, non la smetto, perché il problema è proprio quello!” riprese ad urlare ancora. Fece un passo avanti e sfoderò uno sguardo di scherno. “Stupida figliastra di sanguisughe.”

Mi sentii come un grande castello di carte, a cui era stata appena tolta una delle ultime. Quelle parole, dette con quel tono quasi da presa in giro, di disprezzo, di puro odio, da Jacob, la persona verso cui provavo qualcosa più forte dell’amicizia scatenarono una seria di azioni a catena incontrollabili. La ragione per un attimo mi abbandonò ed il mio corpo, scosso da sofferenza, rabbia, odio, confusione, delusione, incredulità, si mosse da solo. Gli tirai un pugno in piena faccia, con tutta la forza che il mio braccio disponeva. Non avevo ancora tolto i guanti da moto, che erano rivestiti in acciaio per le cadute, ed il male che mi feci sostituì una mano rotta. Il dolore alla mano mi percosse tutto il corpo, riuscì però ad alleviare l’altro tipo di dolore e far sì che tornassi a ragionare. Jacob aveva fatto un passo indietro, mentre si teneva il naso, dolorante, ad occhi chiusi. Ora ero tornata a far del male io a lui. 

“Ti comporti in questo modo perché io ti ho fatto del male e tu me ne vuoi fare ancora di più, giusto?” dissi con voce roca e poco chiara.  Jacob aveva ufficialmente chiuso con me. Ora ero io quella che non voleva più vederlo. Aveva detto una cosa orribile, che aveva ferito me e la mia famiglia. La mia famiglia non si toccava. E per di più era una persona che consideravo amica. Gli amici non si trattano in quel modo. Noi non potevamo essere amici. Ora era diventato lui quello che credevo fosse diverso, quello che, seppur fosse un licantropo, avrebbe accettato la mia provenienza.

“Ci stai riuscendo alla grande!” dissi malferma “Ma hai ragione, Jacob Black. Hai ragione come…come sem-sempre” Gli occhi cominciarono a pizzicare. Mi faceva ancora, ancora male…

“Vuoi che ti dica perché sono venuta qua? Per scusarmi. Per dirti che non lo farò più, che ho capito il mio errore e che non l'ho fatto per ferire nessuno. Per dirti che.. da ora mi impegnerò a mantenere la promessa che ci siamo fatti.” La voce mi avrebbe retto ancora per poco “Ma sai cosa? Non lo farò. Dovevo capirlo che noi due non eravamo in alcun modo compatibili. Me ne vado. Non ti disturberò più. Me ne andrò alla spiaggia d’ora in poi.” Lui si tolse le mani dal naso sanguinante. Guardava la macchia di sangue che aveva sul palmo della mano, confuso. Tornò poi a guardare me, inespressibile.

Mi girai di scatto, mettendomi di nuovo in testa il casco. Appena in tempo per iniziare a piangere. Non credevo di meritarmi questo. Neanche il più stupido ed orribile tra i comportamenti se lo poteva meritare. O forse sì? Singhiozzai, dirigendomi dritta verso la moto. Mi scivolò dalle mani; Jacob me l’aveva preso. Mi girai, infischiandomi dell’orribile smorfia che dovevo avere in faccia.

“Dammelo” ordinai guardandolo negli occhi. Ora i ruoli si erano scambiati. Ora era lui ad essere mortificato. Lui non me lo diede.

“No, Abi” mormorò, nascondendomelo. Io tornai a voltarmi, tornando spedita verso la moto. Lui mi bloccò in un abbraccio. La temperatura di colpo si alzò.

“Va a quel paese!" urlai con il fiato che mi rimaneva in gola, scoppiando in una fontana di singhiozzi. Cercai di divincolarmi dalla sua morsa, ma era impossibile.

“No.” Sentii il suo sospiro terribilmente vicino al mio orecchio. Le braccia si fecero più strette e per poter continuare a respirare dovetti smetterla di muovermi.

“Sei un idiota” dissi sprezzante, con lo stesso tono che aveva usato lui. 

“Sì hai ragione. Sono un idiota” Sentii ancora il suo respiro caldo contro la pelle del mio collo. “Tu hai fatto del male a me, io volevo fare del male a te. Ma sono uno stupido licantropo, ricordi?”

“Crepa, Black” mormorai acida, provando ancora a divincolarmi, ma inutilmente.

“E ho esagerato. Scusa per quell’orribile cosa che ti ho detto” continuò lui. “Perdonami.” mormorò. Io riuscii a calmarmi. Sapevo riconoscere quando Jacob era sincero o no. Adesso lui era sincero. Rimasi a testa bassa per alcuni secondi, mentre lui continuava a stringermi.

Un lampo in lontananza preannunciò l’arrivo di un temporale. Il vento si era alzato, facendo scuotere il fogliame degli abeti che circondavano la piccola casetta. La sua voce era addolorata. Ed era dolce. Quello stesso tono che Jacob riservava solo a Bella, ora lo usava anche con me. Un sorriso amaro si dipinse in faccia. Decisi di perdonarlo. Non lo aveva detto apposta, era solo terribilmente arrabbiato. E poi cosa potevo aspettarmi? Che mi accogliesse a braccia aperte? Dovevo immaginarmi che sarebbe andata in questo modo e che mi avrebbe detto orribili cattiverie, essendo impulsivo ed avendo ragione di arrabbiarsi. Aveva esagerato, non lo mettevo in dubbio. Ma Jacob era anche maturo; aveva riconosciuto il male che aveva fatto e si era scusato sinceramente.

“Siamo due completi idioti” mormorai, la voce malferma, ma non più piangendo “Non siamo capaci di non farci male”

“Già” mormorò lui in un sogghigno.

“Mi odi ancora?” chiesi titubante.

"Mi confermi quello che sei venuta a dirmi?"

"Sì"

“No, non ti odio più” rispose con la sua voce calda “Tu?”

“No” dissi senza pensarci, sicura.

“Allora volta le chiappe e dammi un abbraccio, sciocca” disse facendomi fare un giro di centottanta gradi, continuando a mantenere l’abbraccio. Con un piccolo sorriso lo ricambiai. O per meglio dire, cercai; non riuscivo a congiungere le braccia e a circondare il suo giro vita nella sua completezza. Inoltre dovetti cercare di evitare di schiacciarmi del tutto contro i suoi addominali d’acciaio. Nonostante tutto, fui più che felice di farmi stringere da lui.

“Se promettessimo di non comportarci più in questo modo, dici che ce la faremmo?” mormorai in un fil di voce.

“Non ci scommetterei” rispose con tono quasi ironico. E sarebbe risuccesso sicuramente.

“A proposito di male” incominciò lui, distaccandomi leggermente. Mi guardò negli occhi, lo sguardo proprio come volevo ricordarmelo; simpatico, sincero ed un po’ deficiente.

“Però, caspita! Mi hai fatto male, lo sai?” esclamò stupito. Osservai il suo naso; era ricoperto da un po’ di sangue, ma sembrava che stesse bene. Per essere uscito del sangue doveva almeno… Giusto, licantropi. Con il senno di poi, però, dovevo ammettere che quel pugno gli aveva fatto davvero bene; era riuscito a fargli ritornarnare il lume della ragione, dopo che l'aveva perso a causa mia.

“Non abbastanza, forse” constatai “Meglio se riprovo” dissi alzando di nuovo il pugno.

“Come no” rispose lui, bloccandomi entrambi i pugni. Alzai la testa verso il suo viso. Aveva il sorriso di un bambino di cinque anni. Con qualche dente in più, ma stupendo. Sentii le guance pizzicarmi ed abbassai immediatamente la testa. Feci un passo indietro per sciogliermi dalla sua presa. Alzai il palmo delle mani verso di lui.

“Contatto lupesco, ricordi?” lo ammonii, con una lieve espressione di divertente disgusto.

“Ah, giusto” rispose lui, con l’aria di uno che la sapeva lunga.

C’erano principalmente due tipi di acquazzoni a Forks; il primo iniziava con una leggera pioggerellina, per poi aumentare d’intensità, dando così anche un grande margine di avvertimento. Il secondo, invece, sembrava più un monsone; incominciavano subito a scendere ettolitri di pioggia, prendendoti del tutto alla sprovvista. Quel giorno, ed i lampi in lontananza erano un chiaro segnale, sarebbe venuto un temporale del secondo tipo. Subito dopo essermi allontanata da Jacob, sentii grosse gocce d’acqua infradiciarmi in breve.

“Forse è meglio andare in gar…”

Jacob si accovacciò come un giocatore di rugby e mi raccolse le gambe. Io di conseguenza caddi sulla sua schiena.

“Ho le gambe anch’io!” esclamai sorpresa da quella presa “Posso camminare!” Lui si mise subito a correre verso la casetta rossa. In breve la superò e giungemmo al garage.

“È troppo facile” dichiarò “Io sopporto la tua puzza. Devi per forza sopportare anche me” Mi inflisse una leggera pacca sulla schiena.

Sentii la pioggia smettere di scrosciarmi addosso, sentendone solo il forte rumore contro i pannelli in ferro del garage. Jacob mi depositò con poca curanza sul pavimento.

“Complimenti per la gentilezza” commentai io.

“Scusami” disse sincero, ma non troppo.

Tirai indietro i capelli bagnati, mentre osservavo Jacob. Lui non era bagnato, ma cosparso di piccole goccioline di vapore, come se fosse una pentola in ebollizione. Sogghignai, girando la testa senza farmi vedere. Incrociai la mia Cadillac. A fianco a lei, pezzi che non avevo mai visto e che aspettavano di essere montati.

“Pensavo l’avresti distrutta” confessai tornandolo a guardare. Si appoggiò alla portiera della sua Golf, mentre scuoteva freneticamente la testa per togliersi l’acqua dalla testa. Cane anche da umano.

“Nah” rispose in un ghigno “L’avrei finita per me.” Ne fui abbastanza felice. Continuai a guardarmi attorno. Il garage era rimasto sempre lo stesso. Scese per un attimo il silenzio, che però non durò molto.

"Ritornando al discorso di prima" riprese Jacob, appaggiando la schiena contro la parete del garage. Tornai anch'io seria.

“Avrò almeno il diritto di sapere cosa sia successo dopo, no?” domandò con naturalezza e tranquillità. Due atteggiamenti che non gli donavano affatto, che non lo facevano assomigliare al Jacob scapestrato che conoscevo. Mi venne automatico ripensare alla corsa in piazza, ai Volturi, alla paura che mi conoscessero, a quello che avrebbe potuto succedere…

Lo guardai amareggiata e scossi la testa, facendo rimbalzare i miei ricci disordinati.

“Proprio no, Jake, davvero” Quasi mormorai. Lui mi guardò serio con attenzione per vari secondi, prima di scostare lo sguardo da me e perdersi nei suoi pensieri. Mi piacque che non insistette. 

Di nuovo, nessuno apriva bocca, ma l’argomento era abbastanza chiaro; la conseguenza di tutto quello, di cui nessuno dei due sembrava aver voglia di parlarne. Almeno, lo era per me. Feci un respiro profondo ed incrociando le gambe a farfalla parlai.

“I Cullen sono tornati” la buttai lì io, anche per cambiare argomento.

Jacob, che fino ad un momento prima sorrideva, si fece subito serio ed acquistò una strana aria matura, che lo fece sembrare più vecchio. In quel momento pensai che Jacob sembrava davvero più vecchio di mio padre.

“Ah… ho capito dove vuoi andare a parare” disse un po’ scocciato, incrociando le braccia, molto probabilmente ricordandosi di quella conversazione in cui lo avevo avvertito.

“Esatto” risposi sicura io “Come l’avete presa?”

“Come vuoi che l’abbiamo presa?!” sbottò lui “Come se non ne bastassero quelli che ci sono già!” esclamò. Io respirai profondamente. Sapevamo entrambi che di questo argomento non si poteva parlare tra noi; per fortuna credevo che entrambi avevamo imparato a sopportare le idee dell’altro, fino ad un certo limite, ovviamente.

“Sai che non daranno fastidio” dissi lentamente, cercando di farlo ragionare.

“La loro semplice presenza…” cominciò lui, alzando le mani. Ecco questo era il limite.

“Blablabla…” lo interruppi immediatamente io, imitando il becco di una papera con una mano “Sai che questa è la strada sbagliata che porta a brutti esiti tra noi due.” Appoggiò entrambe le mani al tettuccio della Golf.

“Ci saranno d’impiccio per cacciare quella vampira” disse severo, concentrato ed irritato.

“Non hai mai pensato che forse vi saranno d’aiuto?” esclamai io, ancora con tono tranquillo. Dal nostro primo incontro avevo capito che se non riuscivo a fargli cambiare idea sui vampiri gridando, l’altra soluzione era quella di sforzarmi di parlare da persona civile, anche se era la via più difficile. Lui alzò la testa verso l’alto e sospirò.

“Come non detto” lo bloccai subito io, alzando le mani in segno di resa. Era una battaglia persa in partenza con Jacob, ma il fatto che era il mio migliore amico mi spingeva a provarci almeno con lui. Lui rimase zitto. Stava facendo sfoggio di un autocontrollo e di una maturità da vendere. Mi fermai a guardarlo per qualche secondo, mentre lui continuava a rimanere assorto.

“Sei tanto arrabbiato con Bella?” dissi chiaramente. Lui si fece pensieroso, lo sguardo anche perso.

“Dispiaciuto. Deluso” Alzò lo sguardo verso di me. “Lei un motivo ce l’aveva…”

Potevo solo immaginare quello che gli frullava nella mente, le sensazioni che provava, i pensieri che non avrei capito e che non avrebbe detto a nessuno. Strinse forte pugni e labbra, fino a far diventare bianche le nocche.

“Ed è per questo meglio se non si fa vedere.” Feci un respiro profondo. Era distrutto da quello che gli aveva fatto anche Bella.

“Infatti hai proprio l’aria di uno che non vuole vederla” ammisi. Potevo essere ironica, ma continuai a rimanere seria.

“Smettila, Abi” mi ammonì lui severo “Adesso sai cosa succederà?”

“No. Ma sarà una catastrofe” commentai con un ghigno. Tornai a guardarlo negli occhi, mentre ciondolavo avanti ed indietro tenendomi le gambe. “A te piace ancora” ammisi seria, ma con uno strano tono di voce.

“Non si tratta solo di quello!” esclamò lui “Io ho paura che la uccida. E se osa solamente farle del male, io ucciderò lui” mormorò arrabbiato, stringendo ancora di più i pugni. Io cercai di trattenere una risata. Lui alzò immediatamente lo sguardo su di me

“Ridi?” mi attaccò con vera accidia nella voce.

“Jacob, non succederà. Ed essere o no dalla parte dei vampiri non c’entra niente. Prendilo come un dato di fatto che lui non le farà mai del male” cercai di rassicurarlo con calma. Edward che faceva del male a Bella, fisicamente, s'intende. Che barzelletta.

“Ha un autocontrollo che tu non puoi neanche immaginare” conclusi. 

“Non sei convincente” bisbigliò, senza alcun minimo cambiamento nella voce “Questo non toglie che sia un vampiro” Io scossi la testa e guardai il soffitto. Giusto, lui non capiva. E sembrava neppure sforzarsi. Eppure sembrava che avesse capito che avevo ragione.

“Non voglio che diventi un vampiro” mormorò.

“È possibile” affermai io, mentendo “Ma ricorda che il vostro patto lo vieta” aggiunsi per rassicurarlo vanamente. Questo era compito di Bella ed io non volevo immischiarmi ulteriormente.

“Se ne andranno. La porterà via e la trasformeranno in vampiro. E la perderò” disse a voce alta, facendo rimbombare la sua voce sulle pareti del garage. Avevamo superato il limite di comprensione reciproca; mi ero totalmente persa. Perché mai credeva che l’avrebbe persa?

“Che pessimismo!” esclamai, questa volta sarcastica “Non si dimenticherà di te. Sarà sempre Bella! Solo con un po’ di puzza in più!” Lui scosse la testa. La sua espressione si fece esasperata.

“No, Abi. Non capisci. Non voglio che si trasformi in qualcosa che per sopravvivere deve uccidere! Non voglio che diventi il mio nemico! Spero piuttosto che muoia!”

Jacob riuscì soprattutto a spaventarmi. Spero piuttosto che muoia. Non avrebbe mai detto su Bella una cattiveria simile. Questa era troppo persino diretto a me. Ne rimasi totalmente spiazzata. Era davvero così grave, orribile per lui che Bella diventasse un vampiro?

Forse per la prima volta riuscii a capire la sua ottica riflettendo su quelle parole. Non riuscii comunque a comprendere del tutto; immedesimarsi in un licantropo era troppo difficile. Quella volta, qualcosa mi costrinse a dargli ragione, dal suo punto di vista.  

“Non posso stare con lei se è un vampiro. Né se sta con i vampiri. Bella non esisterà più!” concluse lui, con rimpianto. Aveva le sopracciglia aggrottate e ogni fibra tesa al massimo.

“Con me però lo fai” sottolineai io. Lui sogghignò.

“Con te è diverso. Non vuoi diventare un vampiro” disse con un tono di voce più morbido. Aprii bocca per ribattere qualcosa, ma tacqui, rispettando l’ottica licantropesca. Effettivamente qualcosa di vero nella sua frase c’era stato, ma c’erano fin troppe cose che non capivo. Si era lasciato per la prima volta scappare il piccolo particolare che per la maggior parte, lui non voleva che Bella se ne andasse da lui perché era innamorato cotto di lei. Non era la scoperta dell’acqua calda, ma sentirglielo dire era come ripetersi che io non contavo nulla in quel senso.

“Non ti dimenticherà. Né tu, né io” affermai sicura, guardandolo negli occhi. Lui interruppe lo sguardo.

“Sarà lui a farla dimenticare” bisbigliò “Lo scommetto.” Adesso stava proprio esagerando. Edward non aveva motivo di vietare a Bella di vederlo. Lei d’altronde non glielo avrebbe permesso. Forse… se fosse riuscita… 

“Lo odi proprio?” constatai con un sorriso amaro. Ovvio che lo odiava! Aveva in pratica continuato ad affermare e riaffermare solo quello da quando avevo pronunciato per la prima volta quel giorno “Cullen”!

“Sì” esclamò convinto, infuriato “Vorrei non fosse mai tornato”

“Ad essere sincera, all’inizio non piaceva neppure a me” mormorai per essergli di un minimo di consolazione. Passò alcuni secondi in silenzio, prima di alzare lo sguardo su di me.  

“Se io ti chiedessi di convincerla a lasciarlo stare, tu non mi aiuterai, vero?” disse, conoscendo ovviamente la risposta.

“No. Dalla mia ottica pro-vampiri non vedo sinceramente alcun motivo perché loro due non possano stare insieme” sottolinei decisa.

Lui sbuffò con un ghigno. Rimase per un attimo immobile, mani sul viso, appoggiato alla Golf rossa. Le intenzioni ed i pensieri di Jacob mi preoccupavano e non mi piacevano affatto. Prevedevo un brutto periodo. Alzò lo sguardo e si avvicinò, notando la mia preoccupazione, si chinò su di me e mi scompigliò i capelli, in gesto d’amicizia.

“Dovevo aspettarmelo da una mezza vampira come te” disse sfoderandomi un sorrisino. Mi alzai di scatto, arrabbiata. Non mi piaceva quando faceva il cretino in questo modo.

“Cos…!” Mi bloccai, riflettendo su quello che aveva detto “Cosa hai detto?” domandai confusa.

“Mezza vampira” ripeté in una risata. “Da come mi hai picchiato prima, sembri essere una mezza vampira. Con le strambe idee che hai, poi.” Lo ascoltai con grande attenzione. Mezza vampira. Nessuno mi aveva mai chiamata con quel nome. In realtà non ci avevo mai pensato. E poi era solo per modo di dire; continuavo ad essere umana cento per cento. Mi piaceva, però.

“Una mezza vampira però riesci a sopportarla” risposi in un sorriso. Lui appoggiò una mano al pavimento e si sedette vicino a me. Forse troppo vicino; cominciai in breve a sudare per il caldo.

“A stento” rispose lui a tono. Feci un respiro profondo, decidendo di essere franca fino in fondo.

“Perché non l’accetti per quello che è, come fai con me? Solo Bella, nient’altro. Anche se adesso sono tornati i Cullen, lei non è cambiata.” Lui alzò la testa verso il soffitto in un ghigno ironico. “Lo sappiamo entrambi che ti manca.”

Si vedeva, cavolo se si vedeva che Bella le mancava tantissimo. Nonostante quello che aveva detto sulla compagnia che frequentava, vederla gli avrebbe fatto bene. Anzi, avrebbe fatto bene a tutti e tre. Bella doveva venire a La Push.

“Io non posso…” finì improvvisamente la frase. Dopo un altro secondo riprese a parlare. Voltò la testa verso di me. Il suo sguardo prese a scintillare di uno strano luccichio. Pericoloso e protettivo, come il tono di voce che usò.

“Io non posso semplicemente accettarla.”

Per lunghi minuti calò il silenzio. Per la prima volta ebbi timore di Jacob. Non capii esattamente quello che disse, troppo concentrata nel suo tono di voce. Era una determinazione cupa e misteriosa. Qualsiasi cosa si trattasse ce n’era tanta, abbastanza da mettermi i brividi. Scostai lo sguardo, abbassando leggermente la testa. Avrei tanto voluto sapere che idee ci fossero nella sua testa.

“Io ti piaccio?” disse tranquillo e serio come primo. 

“Sì, mi piaci” approvai io, confusa ed ancora attonita. Doveva anche saperlo. Infondo se eravamo amici doveva anche averlo capito. Era strano che fosse serio.

“Nel senso” continuò lui. “Provi qualcosa di più dell’amicizia per me, non è vero?” Merda, merda, merda. Me l’ero del tutto dimenticata. Eppure, come si poteva dimenticare il primo bacio alla persona che piace? Cominciai ad avere molto, molto più caldo.

“No” dissi con la stessa tranquillità e lo stesso dubbio di prima. Ero fortunata a saper dire bene le bugie.

“Allora perché quel bacio?” mi chiese sospettoso guardarmi questa volta attentamente negli occhi. 

“Ah…” sospirai io. Mi volsi verso di lui. Il suo sguardo mi fece all’inizio tentennare, ma riuscii a sostenerlo.

“In realtà volevo darti un bacio sulla guancia, ma andavo di corsa, tu sei alto e te l’ho dato dove ho potuto.” Che cosa stupida! Che balla assurda. Era davvero un poveraccio se c’avrebbe creduto sul serio! Era d’altronde la prima cosa sensata che mi era venuta in mente. Inoltre avevo usato serietà ed ironia quanto bastava per renderla una cosa fattibile e far sentire lui uno stupido a pensare ad una cosa del genere.

“Ah” mormorò lui, uscendo poi in una risata.  “Lo so, scusa, è una sciocchezza”

“Basta che tu abbia capito” Il mormorio della mia voce probabilmente mi ingannò.

Scossi impercettibilmente la testa, facendolo scambiare per un tic. Non avrei potuto dirglielo, finché rimaneva così innamorato di Bella. Di sicuro non mi avrebbe ricambiato e forse non saremmo stati neppure amici. O forse sì; da un certo punto di vista eravamo persone abbastanza mature. Cominciava però a darmi fastidio vederlo preoccupato per Bella, ma non come lo sarebbe per me, pensare a lei, ma non come penserebbe a me. Sospirai impercettibilmente; era un prezzo che avrei accettato, pur di essergli solo sua amica. E poi non avremmo più parlato di questo lato della loro amicizia. Questo però non mi rallegrava per niente.  

“Sai, non sembri più tanto stanco” dissi all’improvviso, per evitare che il mio silenzio attirasse troppa attenzione. Purtroppo non lo dissi come avrei voluto.

“Stavo dormendo, infatti, ma il rumore della tua moto mi ha svegliato. Grazie tante” rispose lui, ironico. Sembrava non essersi accorto del mio tentennamento.

“Meglio così. Al lavoro?” proposi di colpo più entusiasta. Lui prima guardò la macchina, poi sospirò.

“Al lavoro” disse. Subito dopo cominciò a canticchiare la canzoncina dei Sette Nani. Riuscì a farmi ridere. Ne avevo davvero bisogno. C’era un secondo e più importante motivo del finire al più presto la macchina che mi aveva spinto a fare quella proposta.

Lavorare mi avrebbe magari distratto. Calmata di sicura. Quella conversazione mi aveva fatto pensare, più che parlare.

Ero preoccupata per quello che pensava Jacob, per quello che voleva fare, che d’altronde era inaspettato. Avevo pensato che sarebbero nate delle controversie tra i due, ma avevo dimenticato ancora una volta che uno era un vampiro e l’altro un licantropo. Già non prevedevo cosa avrebbe potuto fare un licantropo, se poi ad un vampiro, diventava del tutto impensabile. A preoccuparmi di più di Jacob era la determinazione; ne aveva troppa. E poteva farsi male.

La grinta che mi aveva dimostrato l’aveva presa da motivazioni da amico; quando mi aveva chiesto di convincere Bella a lasciar stare Edward, me l’aveva chiesto come se fosse un suo amico. Ma anche se non lo aveva accennato di proposito, lui era innamorato di quella ragazza e la tenacia che poteva nascere da quest’unica motivazione valeva mille volte più di qualsiasi altra. Non avevo in realtà idea di quanto fosse grande, ma sapevo che ce l'aveva e questo bastava per spaventarmi.

Desideravo placare quella sua cocciutaggine, perché non volevo che si facesse male. Era come un treno senza ferroviere che si sarebbe presto sbattuto contro un muro. Avrebbe fatto qualcosa per riappropriarsi di Bella, in quel senso. E non credevo sarei riuscita a fermarlo; non credevo di riuscire a competere con quel suo immane fervore che metteva i brividi.

La cosa giusta ora sarebbe stata quella di cercare di convincerlo a lasciar perdere Bella prima che qualcuno cominciasse a soffrire davvero. Ma se non ero neppure riuscita a far cambiare idea controbattendo alle sue motivazioni di amico, come potevo riuscirci da quelle di innamorato? Ci avevo provato una volta, e mi ero sentita una stupida. E poi sarebbe stato impossibile, dato le diverse ideologie.

Le opzioni erano quindi due: o cercare di convincere Jacob a lasciar perdere Bella, con una percentuale di successo del zero percento ed una del cento per cento di perdere Jacob, oppure farmi da parte, accontentarmi di aver Jacob come amico e permettere ad un sanguinolento triangolo amoroso di nascere. E io mi sarei messa da parte. Volevo bene a Bella e desideravo che fosse felice, ma volevo pensare a me questa volta. Per ora non avrei convinto Jacob di niente e lo avrei lasciato agire; tenevo troppo a lui.

Continuai quindi a lavorare vicino a Jacob, fingendomi solo una grande amica e niente più.

 

 

 

 

 

Uau! Non ci posso credere! Sono finalmente risucita a pubblicare un capitolo! Voglio chiedere scusa a tutti i lettori di questo ritardo stratosferico; è da mesi che non pubblico qualcosa. Ci tengo inoltre a farvi sapere che questo ritardo non sarà l'ultimo: è molto probabile che il prossimo capitolo verrà pubblicato a distanza di mesi. Mi dispiace farvi attendere in modo così esagerato, soprattutto perché la storia in questo modo non ha una linearità. In questi mesi sono stata molto occupata, e lo sarò per molto tempo, a causa della scuola e non solo, quindi vi chiedo di avere pazienza almeno fino a giugno.

Sappiate però che non ho mai avuto intenzione di mollare questa storia e prima o poi, a distanza anche di anni o anche decenni, riuscirò a finirla.

Parlando quindi della storia; finalmente entra in scena il grande Edward, per la gioia di tutti voi. Vi avverto che una cosa che mi piace fare da impazzire quando devo scrivere su di lui è prenderlo in giro, in senso buono, ovviamente. Quindi vi avverto già che nel corso del tempo Abigail avrà più di qualche occasione per fare battutine scherzose su di lui. Ma nonostante questo mi impegnerò a descriverlo in modo affascinante, come è giusto che sia.

Vorrei inoltre avvertirvi che per adesso le cose si fanno un po' noiose e solo tra un po' si faranno un po' più interessanti.

Dopo di questo vi saluto, ringraziandovi per l'ennesima volta del sostegno che, anche a distanza di tempo, continuate a darmi.

Alla prossima!

 

 

 

 

X _cory_: Oh, ma quante domande!! Purtroppo non ti posso rispondere a nessuna, ma dovrai scoprirlo da te :) Ti posso dire però che la ff non è affatto finita, anzi, ho l'intenzione di portarla fino alla fine di breaking dawn. Adesso più o meno a livello di libri new moon è finito e questo dovrebbe essere un capitolo di intermezzo tra new moon ed eclipse.

Grazie mille per gli splendidi complimenti! Bacio!

 

X Ryry_: Peccato! Non è Jacob! Ma se non è zuppa è pan pagnato, no? XD Sono contenta che il salvataggio sia stato ad effetto, un pò meno per il comportamento di Edward all'inizio. Cavolo, hai ragione tu. All'inizio non l'avevo scritto così. L'ho cambiato all'ultimo secondo e ora come ora non mi ricordo più il perchè. Ripensandoci hai ragione, non era affatto da Edward. Mannaggia! La prossima volta starò più attenta.

Uau! Grazie per i complementi! Anche se mi dispiace di deluderti, per questi ritardi enormi. Grazie ancora! Bacio!!

Ps: mmh... mi hai incuriosita. Di che fan fiction si tratta? :) :) :)

 

X liala90: No, non ho intenzione di interromperla. Sono sono enormemente in ritardo con i tempi. X) Prima o poi, però, ce la farò! Grazie per aver postato un tuo commento! ciao! :)

 

X: Frammento: Sono lusingata che una delle prime storie che hai letto è stata red eyes, anche se mi sembra ora come ora di averla scritta una vita fa! tornando però a parlare di questo ff, bhè, mi dispiace tantissimo per il ritardo. Farò tutto il possibile per continuare a scrivere e a pubblicare, ma non assicuro niente... Ciononostante, ti ringrazio tantissimo per il commento e per i complimenti ai miei personaggi al di fuori dal normale! XD alla prossima!

 

 

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Capitolo 12
*** Dodicesimo Capitolo ***


Capitolo Dodicesimo

 

Capitolo Dodicesimo

 

 

Il giorno dopo mi svegliai di buon’ora. Comportamento fin troppo strano da parte mia e mamma se ne incuriosii parecchio.

Il motivo era Bella: avevo terribilmente bisogno di parlare con qualcuno di amico e desideravo passare un po’ di tempo con lei, da sole, come ai vecchi tempi e rubarla per un attimo ad Edward, che speravo avrebbe capito. Avevo quindi deciso che la sera precedente mi sarei alzata presto per preparare il pranzo da poter mangiare insieme in giardino, visto che con l’arrivo di maggio le giornate piovose e fredde si erano dimezzate. Mamma ascoltò la mia idea e l’approvò con grande entusiasmo, sostenendo fosse una cosa carina da parte mia e soprattutto inaspettata, cosa più importante. Adoravo stupire la gente. 

Non essendo tuttqavia una cima a cucinare, nonostante l’aiuto di mia madre ottenuto dopo imbarazzanti suppliche, non riuscii a raggiungere niente di speciale: due panini grossi e ripieni. Decisamente molto meglio del cibo della mensa. Mi domandavo solamente se avessi azzeccato i gusti di Bella.

Fu straordinariamente stancante alzarmi presto e mi ci volle un caffè per tirarmi su, dopo la prova di cucina.

Non avevo per niente riacquistato energie dal giorno precedente, passato per gran parte a lavorare sulla macchina da Jacob, fino però ad arrivare ad un ottimo punto del lavoro. Occorrevano pezzi nuovi, ma i soldi del corso di break erano abbastanza, soprattutto per l’inaspettato arrivo di altri cinque bambini. Se fosse una fortuna o no, su questo dovevo pensarci.

Il caffè riuscì a svegliarmi completamente. Nonostante tutto arrivai in ritardo comunque, ormai abituata ai tempi in cui andavo a scuola partendo da casa Cullen. Arrivai raggiante, o così mi dissero che fossi. Quel giorno non avevo nessun'ora che coincidesse con quelle di Bella e non l'incontrai neppure all’entrata, così come per i Cullen.

Trascorsi quindi noiosissime ore di inglese e perfino di chimica rodendomi e sperando di incontrarla nella pausa tra un’ora e l’altra nel corridoio. Tra quella di chimica e spagnolo riuscii a scorgere Edward e tutto lo spazio vuoto che gli altri ragazzi creavano cautamente attorno a lui. Lui si girò verso di me non appena pronunciai mentalmente il suo nome senza accorgermene. Mi feci largo tra la gente e lo raggiunsi.

“Ehi, ciao Abigail!” esclamò Alice entusiasta, interrompendosi nel mezzo di un discorso.

“Salve” risposi io, prendo fiato e tenendo il loro passo.

“Buongiorno” disse Edward, sempre molto formale. Con la gentilezza che aveva poteva essere perdonato per avermi letto nel pensiero.

“Ciao” disse anche Bella “Come mai sei arrivata in ritardo oggi?” Aprii bocca per replicare, ma il sogghigno di Edward mi distrasse.

“A proposito, che cosa gentile” constatò Alice, accanto ad Edward. Bella guardò prima loro, poi me con aria confusa. Io richiusi la bocca, con aria abbattuta. Che guasta feste. Guardai decisa Bella, fingendo per un attimo che gli altri due non esistessero.

“Ho preparato dei panini per il pranzo. Sono mangiabili; mi ha aiutato mia madre a farli” la rassicurai subito io “Vuoi venire a pranzare con me?” la invitai io.

“Avresti però…” Alice non finì la frase che Edward le posò una mano sulla spalla per bloccarla. Lei lo guardò stupito, mentre lui mormorò qualcosa con le labbra tanto veloce da non poterlo sentire. Si fermarono di colpo, ed io li imitai, capendo solo dopo che eravamo giunti davanti alla loro aula. Bella dopo aver lanciato un’occhiata confusa ai due Cullen, tornò a guardare me.

“Non so…” mormorò guardando di nuovo Edward ed Alice. Ah…! Se la sarebbero cavata anche senza di lei a superare la terribile ora della pausa pranzo!

“Vai pure, Bella” le disse gentile, mentre le metteva una mano sulla spalla “Credo che riusciremo a cavarcela a superare la terribile ora della pausa pranzo.” Mi lanciò uno sguardo rassicurante condito dal sorrisino sghembo. Io spalancai la bocca allibita, per aver usato le mie identiche parole.

“Va bene, allora…” confermò Bella un po’ titubante. Mi accorsi solo dopo che quell’imbarazzo era dovuto alla mano di Edward sulla sua schiena. La presenza di Edward su di lei sembrava avere gli stessi effetti di dipendenza di una dose di cocaina. La tornai a guardarla sorridente.

“Ci vediamo fuori in giardino, allora” confermai io, allontanandomi a passo sostenuto da loro, verso la mia classe. Alice entrò in classe ancora con espressione dubbiosa ed osservando curiosa Edward, il quale era l’immagine della tranquillità, mano nella mano con Bella, di poco meno serena.

L’orribile ora di spagnolo non pareva smettere di finire. Al suono della campanella presi di corsa il mio zaino e mi diressi verso l’uscita. In corridoio la presa di qualcuno sul mio braccio mi fece voltare.

“Ehi, Abigail” disse Eric entusiasta verso di me “Aspetta, che ti accompagno”

“Oggi io non ci sono a mensa” gli spiegai io, fermandomi “Io e Bella andiamo a mangiare fuori in giardino”

“Oh” disse Eric più confuso che sorpreso. “È per Cullen, dico bene?” sentenziò dopo un momento di pausa.

“Cosa vuoi dire?” domandai incuriosita.

“Bhe, stanno tutto il tempo insieme. Vuole allora dire che stanno davvero tutto il tempo insieme, se persino tu sei costretta a questi mezzi.”

Io arricciai le labbra, limitandomi a tacere. Dal suo tono traspariva una certa ironia, ma non sapeva quanto aveva ragione. Anzi, mi sarei sorpresa io stessa se quei due non passavano effettivamente tutto il tempo insieme.

Salutai velocemente Eric e andai dritta in giardino. C’era un po’ di vento, ma era anche abbastanza caldo da poter stare fuori senza patire il freddo. Puntai alla panchina più vicina e la occupai. Mi guardai intorno in cerca di Bella e fui sorpresa dal constatare quanta gente avesse imitato la mia idea e fosse venuta in giardino a pranzare. Perciò mi alzai e andai a sedermi nella panchina più lontana, lontano da orecchie indiscrete. Gli argomenti di discussione tra me e Bella il più delle volte non dovevano essere ascoltati. Mi sedetti sulla panchina ed aspettai.

E continuai ad aspettare. Erano passati già cinque minuti, molti tenendo conto che la pausa pranzo era di un’ora. Separarsi da Edward per un’ora era così traumatico? Uff… che pensiero cattivo...

La vidi finalmente uscire dalla porta secondaria e perlustrare il giardino. Le sventolai una mano affinché mi vedesse. Mi notò e si diresse a passo sostenuto verso di me, rischiando di inciampare durante il tragitto. Sorrisi e scossi la testa.

“Allora, da quand’è che hai iniziato a cucinare di tua spontanea iniziativa?” disse curiosa, sedendosi ed osservando guardinga la scatola di plastica dove avevo messo i panini.

“Per te questo e altro, Bella” risposi in tono melodrammatico, aprendo la scatola ed offrendole il panino. Lei lo prese tra le mani guardandolo leggermente stupita.

“Hai ucciso un elefante per questo?” mi chiese, evidentemente spaventata dal mio panino.

“E secondo te dove finisce tutta la carne dei pasti dei miei genitori?” le sussurrai io sarcastica. Lei fece una smorfia improvvisa e lo allontanò.

“Non è divertente” mormorò lei, mentre io sghignazzavo.

“E comunque è maiale, quello che mangerai” constatai, azzannando il panino.

“Questo mi rassicura un po’ di più” rispose, cominciando a mordicchiarlo a timidi morsi. Poco dopo si fermò.

“A cosa devo esattamente questa speciale occasione?” mi chiese interessata. Aspettai di inghiottire il pezzo di panino in bocca prima di risponderle.

“Bhè…” iniziai io “Volevo stare un po’ da sola con te. Constaterai anche tu che la maggior parte del tempo lo passi con Edward.” Alzai improvvisamente le mani, in segno di resa.

“Non dico che non sia giusto. Anzi, è legittimo da parte tua. Solo che…” mi fermai di colpo, abbassando le mani e soffermandomi su un punto indeterminato “Mi mancano le nostre chiacchierate da sole.” Bella mi guardava attenta. Poggiò il panino e parlò.

“Se volevi stare con me non era un’idea migliore chiedermelo e basta?” mi chiese sorridente. La guardai sospettosa. Perché non ci avevo pensato prima? C’era probabilmente una carente mancanza di materia grigia nel mio cervello.

“In realtà avevo una voglia matta di cucinare” mentii io, ironica.

“Bugiarda” affermò sogghignando. Io le risposi nella stessa maniera. Appoggiai per un attimo il panino ed iniziai a parlare di cose serie.

“Come sta andando la tua libertà vigilata?” Lei sbuffò, tornando a prendere tra le mani il panino ed esaminando l’insalata che ne usciva.

“Ancora in perenne punizione” mormorò, mettendo il broncio “E quello stupido di Jacob non aiuta.” Anch’io appoggiai il panino, con la fame improvvisamente passata. Mi sarei sentita perennemente preoccupata per quello che d’ora in poi Jacob avrebbe fatto.

“Cosa ha fatto?” chiesi cercando di nascondere la tensione. Bella non ricambiava la mia inquietudine, bensì sembrava solamente arrabbiata.

“Ha portato la moto a casa mia, davanti agli occhi di mio padre” affermò rabbiosa. Io mi rilassai. Finché si trattava solo di questo non c’era da preoccuparsi; piccole sciocchezza da ragazzini. Ma mi aspettavo da Jacob qualcosa di più pericoloso. Mi sembrava però strano averlo sopravalutato.

“Perché l’ha fatto?” chiesi decisamente sospettosa, riprendendo a morsicare il mio panino. Bella mi seguì, ancora stizzita.

“Mio padre è un grande amico di suo padre. Sa che Edward non gli va a genio e ha giocato questa carta” affermò lei spazientita “Credeva che in questo modo mio padre mi avrebbe messo in punizione e avrei visto di meno Edward.”

Mi soffocai, cercando di evitare di ridere. O Dio. Se questi erano i piani di Jacob per riconquistare la sua Bella, bhè, doveva impegnarsi un pochino di più.

“Come se non fossi in punizione già di mio” continuò lei “E delle sue scuse non me ne faccio niente.”

“Perché, poi si è scusato?” Lei annuì ancora stizzita. Io smisi di mangiare il panino. Perché un atto così stupido ed infantile? Certo, lui era stupido ed infantile. Ma mi sembrava strano che non avesse notato che sarebbe stato del tutto inutile, anzi, degradante per lui. Ed in più non potevo neppure parlarne con lui, a causa del patto che mi ero fatta a me stessa ieri. Sospirai, cercando di accettare questo come un atto di pura follia e disperazione.

“Che bambino…” mormorò improvvisamente lei, continuando a mordicchiare il panino.

“Già…” concordai io, ancora pensierosa. Scossi la testa, tornando alla conversazione.

“Ma esattamente” iniziai io “cosa pensa Edward di Jacob?” Questa era un' importante domanda. Lei sbuffò.

“Lo infastidisce, come d’altronde i licantropi a tutti i Cullen” affermò “Cova per lui i soliti pregiudizi.” Io inarcai le sopraciglia. I Cullen avevano dei pregiudizi sui licantropi? Mi sembrava strano; i miei genitori non ce li avevano. Oppure, si comportavano come se non ce li avessero, perché fin dal primo momento c’ero di mezzo io, e quindi li avevano assecondati.

“Lui l’ha ringraziato. Per…” si bloccò improvvisamente “per essermi stato vicino quando lui se n’era andato” terminò tentennante, ancora a testa bassa, per poi alzarla di scatto.

“Jacob invece gli ha chiesto di andarsene senza tanti preamboli” esordì di scatto. Non serviva domandarle se si fosse arrabbiata o no. Sarebbe stata una domanda da veri stupidi.

“Ma non ti manca neanche un po’?” le chiesi mordendo il panino. Lei si fece cupa.

“Sì. Mi manca molto” dichiarò dopo un po’ “Forse sono io che non manco a lui. Sembra che mi odi”

“Oh, non ti odia affatto. Le manchi anche tu” affermai io soprapensiero. Solo dopo aver parlato mi accorsi che forse avrei dovuto tacere. Mi ero promessa di non interferire nella faccenda tra Bella e Jacob e questo era proprio quello che stavo facendo. Mi morsi la lingua per aver parlato.

“Ah, sì, sei andata da Jacob” constatò lei. Voleva delle spiegazioni, era ovvio. Io inghiottii il cibo che avevo in bocca e mi presi un altro boccone, per temporeggiare e pensare a qualcosa. Quando dovetti inghiottire anche il secondo boccone fui costretta a parlare.

“Era incavolato con me” mormorai a testa bassa “Ma abbiamo risolto. E adesso amici come prima” conclusi io veloce.

“Ah…” esclamò lei “Avete parlato anche di me, suppongo” constatò lei, non con freddezza, ma con inquietudine. Riflettei per un momento per decidere cosa avrei dovuto dirle.

“Gli manchi. Ed è deluso, più che arrabbiato”

“Mmh…” mormorò lei, il panino ancora mezzo intatto.

“Hai provato a chiamarlo?” dissi io per rompere quel momento di imbarazzante tensione.

“Sì, ma non risponde” sospirò lei, rattristata di colpo “Edward mi ha esplicitamente detto che sarebbe disposto ad ucciderlo se solo mi facesse del male. Mi spaventa” mormorò nel più totale sconforto.

Mi vennero in mente le parole di Jacob riguardo ad Edward e dovetti constatare anch’io con amarezza che il desiderio era ricambiato. Quei due avevano le capacità, ma soprattutto la volontà di uccidersi a vicenda. Sentii i brividi percorrermi la schiena. C’era davvero una brutta tensione in quel triangolo. Mi preoccupai molto anch’io. La prospettiva di vederli azzannarsi a vicenda era sconfortante per me, per Bella sarebbe stato il disastro completo.

“Edward mi ha detto dei Volturi” mormorò lei, attirando la mia attenzione.

“Ah…” sussurrai. Quell’improvviso cambio di argomento mi spiazzò ancora di più.

“È orribile” si limitò a dire lei. Io rimasi zitta. Scese uno strano silenzio, freddo, rispetto alla temperatura calda della stagione e alle voci dei ragazzi in giardini. Apparentemente quella sembrava una giornata che non poteva andare che bene. Bella si decise ad addentare voracemente il panino, cercando di cambiare immediatamente discorso. Si era accorta che avrebbe fatto meno a non toccare quell’argomento. Ogni volta che ci pensavo, mi sentivo come un rifiuto.

“Quindi” iniziò deglutendo “Il mio migliore amico ora mi considera una nemica. Una vampira sta cercando di uccidermi. Le persone a cui tengo stanno rischiando la morte per me. I Volturi mi uccideranno se non mi trasformo in vampira. Ma, giusto, se questo accadde il patto con i licantropi verrà meno, dando inizio ad una guerra epocale tra licantropi e vampiri.”

“Vogliamo metterla in questi termini, allora?” continuai io con aria di sfida “Sono partita con una vampira per salvare un vampiro che non ho mai visto in vita mia, rischiando vivamente di tirare le cuoia, facendo arrabbiare come matti i miei genitori, Jacob ed irritare i licantropi. Ho saputo poi che sempre questi vampiri per un bel po’ di tempo hanno avuto la viva intenzione di rapirmi per capire come funziono.” Feci una pausa per riprendere fiato. “Manca qualcosa…?”

Ero sul punto di dire “Sono stracotta del mio migliore amico, che sfortunatamente è stracotto della mia migliore amica”, ma qualcosa mi trattenne. Passai alcuni minuti a riflettere se questa mia confessione avesse potuto influire sulla promessa fatta a me stessa. Mi tranquillizzai quando capii che non avrebbe cambiato niente: Bella era innamorata di Edward, quindi non l’avrebbe fatta allontanare molto di più da Jacob, da questo punto di vista. Glielo avrei detto.

“Che bel periodo…” conclusi io, ancora leggermente isterica.

Mi era però nata un’improvvisa paura che mi impedì di confessare. Avevo paura che avrei compromesso l’amicizia tra me e lei e che lei avrebbe assunto un comportamento diverso nei miei confronti. Sapevo che Bella non contraccambiava Jacob allo stesso modo, ma per lei lui era terribilmente importante ed adesso la odiava. Non riuscivo a spiegare bene neppure a me stessa cosa dovesse centrare questo nella nostra amicizia; era più che altro un presentimento. Non sapevo come avrebbe reagito, bene o male. 

Oltre forse a rovinare ulteriormente la stessa amicizia tra i due, convincendo Bella ad allontanarsi ancora più da Jacob. Non era un’assoluta certezza, bensì un altro presentimento. La sola percentuale di rischio che tutto questo potesse accadere mi convinse a tacere. Mi sentivo terribilmente insicura. Bella sogghignò insieme a me.

“Già proprio un bel periodo…” constatò lei.

“Adesso basta per un momento del sopranaturale!” proposi io, agguantando la mia metà di panino.

“Concordo” ammise e l’appetito le ritornò.

“Il lavoro come va?”

“Mmh…” mormorò, mentre deglutiva “Sto guadagnando. Non credo abbastanza per l’università, però”

“Università? Non dovevi avere un altro impegno per dopo il liceo?” replicai confusa. Ecco, bene o male si ritornava sempre su questo argomento, seppur fosse davvero difficile farne a meno, dato che era diventata la nostra vita.

“È il piano B di Edward” mi spiegò borbottando “Mi ricopre di moduli di iscrizione ogni giorno”

“Ah…” esclamai io “Alla faccia della promessa “dopo il liceo ti trasformo”! Come minimo io scapperei dall’altare il giorno del matrimonio.” Bella sogghignò, indicandomi con un dito.

“Potrebbe essere un’idea” esclamò concorde, per ritornare subito seria “Ma in effetti non ha tutti i torti. È anche una copertura per Charlie, per non farlo insospettire finché non glielo dirò”

“Quando hai intenzione di farlo?” chiesi seria.

“Non lo so” rispose abbattuta. Alzò poi lo sguardo, di nuovo interessata “Ed il tuo di lavoro?”

“Oh…” esclamai sorpresa “Si sono aggiunti altri cinque bambini e la scorsa volta uno mi ha vomitato addosso. Credo che dovrò comunicare ai genitori di portarli senza essersi abbuffati di schifezze.” Bella sfoderò una smorfia di disgusto.

“Non esattamente la cosa migliore di questo mondo”

“Affatto. Però sto guadagnando abbastanza per la macchina, che è a buon punto” disse entusiasta, continuai subito per evitare che il discorso cadesse su altri argomenti indesiderati. 

“Ho qualche problema però con la distanza della nuova casa da Forks. Non ha molto senso tornare a casa finita scuola, per poi tornare subito qua per il corso di break, oltre ad essere uno spreco di benzina. Sono costretta a passare il pomeriggio a Forks, ma non saprei dove…”

“Puoi venire a casa mia” propose all’improvviso Bella. Alzai curiosa lo sguardo verso di lei. Che idea interessante.

“Davvero? Sei sicura che andrà bene a tuo padre?” Lei alzò le spalle.

“Certo, ti adora, non mi dirà di no. È Edward quello che odia ” specificò lei, lanciandomi uno sguardo strano “Così potremmo stare da sole” disse enfatizzando l’intera frase.

“Niente Edward?” esclamai io allibita.

“Solo dalle sette alle nove e mezzo” sospirò lei, come se si trattasse delle sua trasmissione televisiva preferita. Guardai famelica il mio panino e lo addentai con gusto.

“Questa cosa mi piace” affermai “Grazie per l’invito”

“Figurati” rispose lei “A proposito, il panino non è male”

“Grazie” le dissi io. “Buon appetito, allora!”

 

 

“Però, che bel plico…” feci notare mentre mi sedevo sulla prima sedia libera che trovai nella cucina di casa Swan.

“Di solito non basta frequentare un college solo?” ammonii sarcastica.

“Edward desidera che sfrutti ogni possibilità” mi spiegò lei imitandomi.

Quel giorno il brutto tempo era tornato e se non ci fosse stata Bella ad offrirmi la disponibilità della sua casa durante il pomeriggio in questo momento mi sarei trovata fradicia.

Erano passati un paio di giorni dal pranzo in giardino e, relativamente, le cose stavano andando bene e male. Bene perché la mia amicizia con Jacob era tornata quella di prima. Senza Bella, ovviamente, questa era la parte che andava male. Ormai avevo accettato con tristezza che il trio di amici sarebbe diventato un duo, inevitabilmente, ed io non potevo farci niente, se volevo essere amica di entrambi. Le cose belle riguardavano poi Victoria; la mia famiglia mi aveva comunicato che Victoria era da un po’ che non si faceva più vedere. La brutta era che sia i miei genitori, sia i Cullen avevano notato strani articoli sui giornali riguardati svariati omicidi avvenuti a Seattle, che secondo loro erano opera di un vampiro o più. Lo o Li stavano pertanto tenendo d’occhio. Non era effettivamente una brutta notizia, ma bella non di sicuro. Altra cattiva notizia riguardava Bella. Più che altro era una sensazione. La presenza costante di Edward cominciava ad irritarmi. Non perché non mi piacesse come persona, anzi. Qualsiasi altra persona al posto di Edward mi avrebbe infastidita. Avevo la sensazione che la stesse rubando da ogni altra creatura vivente. Insomma, lei stava davvero tutto il tempo con lui. Per fortuna questa era rimasta solo una brutta sensazione temporanea; ero infatti sicura che sarebbe presto passata, grazie ai pomeriggi a casa di Bella.

“Vuoi un tè?” mi chiese gentile lei.

“Sì, grazie” Appoggiai lo zaino per terra e ne tirai fuori il libro di storia. Afferrai il bicchiere che Bella mi mise sul tavolo e ne bevvi metà.

“Buono” esclamai rimettendolo al suo posto “Non ti dispiace se adesso mi chiudo nel mio mondo di inizio seicento? Domani avrei una verifica di storia e non sarebbe una cattiva idea darci una studiata” dissi aprendo quello stupido ed inutile tomo a metà.

“Ah, figurati. Io dovrei finire la tesi per l’esame” mi spiegò.

“Tesa per gli esami?” Lei fece spallucce.

“No, per niente” mi disse con leggerezza.

“Ah, ho capito” insinuai io “Ti aiuta un maestro qualificato in tutto, no?” Lei mi fece un sorrisino.

“Anche per quello.” Tornai poi a guardare la pagina del mio libro.

“Chissà se può aiutare anche me” me ne uscì all’improvviso io “Magari Filippo II l’ha conosciuto veramente. Quanti secoli ha?”

“Non sei divertente”

“Stai sogghignando, però” precisai io imitandola.

“Per non piangere” disse a mezza voce.

“Allora, rispondi alla mia domanda.”

“Un centinaio” disse lei buttandola sul vago, poco interessata alla conversazione e concentrata sui libri che aveva davanti.

“È allora un giovane vampiro adolescente” ironizzai io. Lei scosse la testa evidentemente scocciata e s’immerse tra i libri. Decisi di seguire anch’io il suo esempio.

Riuscì a resistere un massimo di un’ora e mezza prima di chiudere definitivamente il libro, ripromettendomi di continuare più tardi, e fare una lunga pausa. Mi misi in bilico sulla sedia e mi stropicciai gli occhi, lasciando che si creassero strani disegni di luce sotto le palpebre. La testa aveva cominciato a pulsare, come succedeva spesso quando studiavo materie noiose. Tornai giù e finii il mio bicchiere di tè. Cominciai ad osservare Bella, ancora concentrata sui libri. Non mi ero mai accorta dei lineamenti che aveva; la facevano sembrare un’adulta. Avevamo due anni di differenza, ma a confronto io sembravo ancora una bambina. Guardai distratta l’orologio; mancava un’ora alla lezione.

“Com’è va con la tua famiglia?” La voce di Bella mi fece scattare. Aveva deciso anche lei di prendersi una pausa.

“Sì, sì, va alla grande” mormorai “Tra due settimane andranno a caccia. Non si distanzieranno molto.” Lo dissi con un certo entusiasmo; Victoria non si faceva vedere da un po’, quindi mamma e papà avevano deciso di tornare a portare anche me.

“Con la tua invece?” chiesi con un certa esitazione nella voce, riconoscendo solo più tardi i suoi problemi famigliari.

“Charlie è più rilassato; ha smesso di fare gli straordinari per l’“orso”, che adesso sembra essersi allontanato” disse alzando due dita alla parola “orso”. “A mia madre in Florida, manco un po’ invece.”

“Senti spesso tua madre?”

“Qualche volta. Le scrivo in pratica un’e-mail al giorno” mi rispose disinvolta, mentre trafficava con le carte sotto di sé. Le si illuminarono per un momento gli occhi e lasciò perdere per un attimo i fogli.

“E la punizione è stata ridotta al coprifuoco” esclamò vittoriosa.

“Davvero?” risposi entusiasta anch’io “Potrai uscire, quindi! Non è durata molto.” Lei fece spallucce e sembrò demoralizzarsi un poco.

“Certo, a delle condizioni” disse, riprendendo a trafficare “Anche mio padre crede che stia trascurando le mie amicizie. Forse è proprio per questo che si è dimostrato tanto entusiasta all’idea che tu venga a casa mia. Dice che passo troppo tempo con Edward e trascuro i miei amici.” disse leggermente stizzita.

“Ha ragione” me ne uscii veloce io. Lei si fermò e mi lanciò un’occhiata eloquente per alcuni secondi prima di parlare.

“Lui intende Jacob con amici” rispose improvvisamente melanconica. Riflettei per un istante. Non volevo dissuadere Jacob dai suoi piani diabolici, come neppure aiutarlo in quella realizzazione. Dopo quell’incontro con Jacob ero piuttosto preoccupata di quello che sarebbe potuto succedere se Bella fosse andata a La Push. D’altro canto, il non vedersi avrebbe causato problemi maggiori, come per esempio la totale depressione di entrambi. Quei due si mancavano da morire. Dovevano vedersi, anche se ognuno dei due la pensava diversamente su molte cose.

“Andrai da lui, allora?” le chiesi seria. Lei tirò fuori goffamente un bigliettino dalla tasca dei jeans. Lo presi confusa e lo lessi. Era da parte di Jacob. Quei due avevano iniziato a scambiarsi bigliettini; un buon miglioramento, tenendo conto che prima c’era un totale isolamento. Vi erano molte righe leggibili cancellate e profondi buchi nella carta. Quello che Jacob scriveva era piuttosto sconnesso; esprimeva un indiretto odio verso di lei ed i vampiri, alternato ad un evidente senso di mancanza. Le restituii il biglietto.

“Tu cosa pensi di fare?” chiesi nuovamente seria. Lei si strinse le spalle, abbattuta.

“Non lo so…” mormorò “Ho paura di come reagirà; mi odia per averlo “tradito”, per essere passata dalla parte dei vampiri. E per questo credo che a La Push non sarò la benvenuta neppure per i licantropi.” Questo effettivamente poteva essere un problema, ma se io ero ancora viva, voleva dire che avrebbero risparmiato anche lei.

"Edward poi, non vorrebbe..." Avvampai per un attimo di rabbia, ma riuscii a trattenerla e decisi di aspettare che Bella avesse finito. Non capivo perché Edward costituisse un motivo in tutto questo. Edward era debitore nei confronti di Jacob, me lo aveva detto la stessa Bella. Era stato Jacob il primo a starle vicina quando lui se n'era andato e per questo non aveva il diritto di nessuna voce in capitolo. Su questo ero categorica. Dal suo silenzio fin troppo prolungato capii che aveva concluso. Io d'altro canto rimasi zitta, mentre mi si dipingeva un sorriso amaro. Non credevo fossero ragioni sufficienti per non andare a La Push e quella volta non glielo dissi sbraitando come una pazza, come mio solito. Avevo ben riflettuto su questo ed avevo capito che potevo essere molto più convincente se non gridavo.

“E dopo la trasformazione, dubito che vorrà ancora vedermi…”

"Pensaci bene" le consigliai io tranquilla "Non vuole che ti dimentichi di lui." Restò a guardarmi per alcuni secondi.

"A lui non basta l'amicizia, Abi. Tu lo sai. " disse questa volta più mortificata. "Non voglio che continui a capire nel modo sbagliato." Questa volta riflettei con più attenzione. Di primo acchito mi diedero parecchio fastidio sentire ancora una volta quelle parole. Il sapore della cruda verità.

"Un motivo in più per andare a La Push e spiegarglielo" dissi, ancora calma e consapevole del fatto che non avrei in questo modo impedito a Jacob alcunché, visto che era dovere di Bella prima o poi farglielo capire. O avrebbe finalmente capito lui da solo. E non nego che quelle parole mi erano uscite in parte a causa dell'amarezza per le parole di Bella.

Bella mi guardò per alcuni secondi, incredibilmente seria, per poi tornare, con le sopracciglia aggrottate, alla sua tesi d'esame.

Si creò infine un'orribile atmosfera tagliente, che mi mise subito a disagio. Bella continuava a rimanere seria, apparentemente concentrata in quello che aveva sotto il suo sguardo. Nacque l'inspiegabile sensazione che in qualche modo ce l'avesse con me per quello che avevo detto. Decisi veloce di spezzare quell'atmosfera.
"Mi è venuta un'idea" esclamai entusiasta. Attirai la sua attenzione e la sua espressione si rilassò.

"Visto che non sei più in punizione potremmo fare qualcosa insieme. Lo Sport Center di Port Angeles organizza anche paracadutismo in tandem" dissi allegra, sapendo che lo sarebbe stata anche lei, conoscendo la sua indole spericolata. I suoi occhi diventarono più cupi, mentre abbassava la testa, in totale disagio. Io la guardavo confusa.

"Abigail, io..." disse frenetica, muovendo le braccia repentinamente, non sapendo neppure lei dove metterle. Alla fine se le strinse.

"Io non..." disse interrompendosi subito. Io la guardai ancora più confusa. "Io non faccio più queste cose" disse guardandomi negli occhi.
"Perché?" mormorai io, spiazzata dalla sua reazione.

"Io..." si fermò ancora, tentennante. Non capivo cosa diamine le stava succedendo. Prese un respiro profondo prima di parlare.

"Io ho voluto fare bungee jumping, ti ho chiesto di insegnarmi a guidare la moto, a fare tutte queste cose pericolose perché..." si fermò di nuovo. Cominciai ad agitarmi sul serio.

"Perché ogni volta che lo facevo avevo la voce di Edward nella testa" disse alla fine.

"Come?" sussurrai io, che ancora non avevo capito.

"Sentivo la sua voce nella testa che mi diceva di fermarmi, ogni volta" ripeté, coinvolta dal discorso "In quel periodo avrei potuto morire pur di sentirla" mormorò quasi sovrapensiero. Restai per un attimo totalmente immobile, cercando di capire. E alla fine capii.

"Hai saltato lo scoglio per sentire la sua voce, vero?" dedussi io. Lei annuii, improvvisamente intimidita. Ecco il segreto che sulla spiaggia mi aveva promesso di svelare.

 Ero... allibita. Bella sentiva la sua voce nella sua testa quando Edward se n'era andato. Ecco, ora venivano fuori tutti i problemi che di primo acchito, quando conobbi la sua storia, mi sorpresi che non ci fossero. Ero del tutto spiazzata da quello che era successo a Bella. Ora credevo ancora di più che fossero davvero in qualche modo destinati ad incontrarsi loro due. Erano legati da un qualcosa di assolutamente inscindibile. Non avevo assolutamente idea di cosa ci fosse tra loro. Dio, morire pur di sentire anche solo la sua voce...

"Ce l'hai con me?" Io la guardai improvvisamente, gli occhi ingigantiti. Guardavo ora Bella con una certa nuova curiosità, come se fosse speciale.

"Perché?" dissi con voce da papera, sottoshock.

"Per averti... usata. Per non essere venuta con te, a Port Angeles, per stare con te. Cioè, sì" si corresse subito "Volevo stare con te, ma il mio obiettivo principale era..."

"No, no, no!" dissi io ripetutamente "Non sono arrabbiata, affatto. Solo..." la guardai per l'ennesima volta in viso "E' eccezzionale, sorprendente, straordinario" dissi in un fil di voce. Ora era Bella a guardarmi tremendamente confusa.

"Cosa stai dicendo?" La guardai ancora, ancora scossa. Era incredibile quanto potesse l'uno amare l'altro. Erano davvero una persona sola, vivevano in due una sola vita insieme. Erano... Dovevo ammetterlo, sconvolgente era scoprire quanto un vampiro potesse fare per stare con un essere umano. Ancor più sconvolgente era l'incontrario, che si spingeva ben oltre al dolore. Cominciai a provare un strano rispetto per quella unione, quasi sacra. E pensai per la prima volta che non valessi realmente niente per Bella, in confronto ad Edward. Era così, e stranamente rispettavo anche questo. Sbattei per un attimo le palpebre, tentando di uscire dal mio scombussolamento.

"Stai bene?" mi chiese Bella preoccupata scandendo le parole.

"Sì" le risposi, totalmente tranquilla "Ero persa nei miei pensieri" Lei mi guardò con aria confusa. Il mio sguardo si posò sull'orologio che avevo messo sul tavolo. Ero terribilmente in ritardo. Lo afferrai insieme alla mia roba e lo misi dentro lo zaino.

"Scusa, sono ritardo, devo scappare" dissi frenetica "Grazie ancora per l'ospitalità e ci vediamo domani" dissi mettendomi lo zaino in spalla e scappando dalla cucina.

"Abigail!" esclamò Bella sorpresa. La sentii a malapena, perché ero già uscita da casa sua.

 

Il giorno dopo la mattina ed il primo pomeriggio a scuola si rivelarono piuttosto tranquilli, nonostante Bella, sembrava continuarmi a guardare in modo strano, dovuto sempre al giorno prima. Dovevo ammettere infatti che forse l’avevo un po’ spaventata con la mia reazione. La rivelazione dell’altro giorno mi aveva piuttosto spiazzata e più di qualche volta lanciai ad entrambi strane occhiate. Insieme a Bella anche Edward cominciò a guardarmi strano; speravo solo che non fosse perché avesse letto i miei pensieri, ma unicamente per i miei modi di fare. Fu così che cominciai a lanciargli anche brutte occhiatacce; lui sapeva cosa pensavi tu, ma era un’ingiustizia non sapere cosa pensava lui di te. Alice sembrò invece non essersene accorta, o non farcene caso. Propose se uno di quei giorni lei, io e Bella saremmo andate con lei a Port Angeles per un po’ di “sano shopping tra donne”, come lo definì. Bella sembrava favorevole all’idea, nonostante la condizione “sole ragazze” e quindi no Edward. Il suo entusiasmo, insieme a quello di Alice, riuscirono a convincermi ad accettare questa impresa che andava oltre la mia sopportazione. 

Sperai che quella giornata finisse presto, soprattutto l’orribile tensione che ogni giorno incontravo in sala pranzo. Avevo fretta di andare da Jacob, nonostante fossero passati solo pochi giorni. Aspettai con impazienza la campanella delle tre. Quando suonò partì spedita per La Push, rischiando persino di dimenticarmi di salutare i Cullen e Bella. Mi domandai per la prima volta cosa ne pensavano loro riguardo la mia libera relazione con i licantropi. In particolare mi interessava sapere cosa ne pensava Edward, prendendo in considerazione i suoi pregiudizi su di loro, amplificati dalla presenza di Bella, indecisa sul cosa fare con Jacob.

Salii sulla moto e dopo dieci minuti fui a casa Black. Vidi Billy seduto sulla sua sedia a rotelle in veranda, mentre leggeva le pagine di un quotidiano umido per la pioggerellina. Scesa dalla moto mi sembrò una buona idea andarlo a salutare.

“Ciao, Billy” esclamai con entusiasmo. Rimasi in piedi, oltre gli scalini della veranda.

“Ciao, Abigail” disse lui con voce stanca. Mise il quotidiano da parte e incrociando le mani rivolse la sua attenzione su di me. Era da un bel pezzo che non avevo l’opportunità di scambiare quattro chiacchiere con lui. E ad essere sincera me lo ricordavo molto più… solare. Ora mi osservava con espressione cupa e sospettosa.

“Tu come stai?” mi chiese, con voce gutturale. Aggrottai le sopracciglia per il suo strano comportamento. Avevo uno strano rapporto con Billy; non avevo mai capito cosa pensasse esattamente di me e del mio rapporto con il figlio.

“Sto bene, grazie Billy” cercai di rispondere gentile “Tu, invece?”

“Me la cavo” continuò, ancora stanco.

“I ragazzi stanno bene?” ripresi io, riferendomi ai licantropi. Sapevo che Billy conosceva i licantropi, ma effettivamente era più logico chiedere allo stesso Jacob. Lui fece un respiro profondo. La sua occhiata greve mi misi i brividi.

“Non cacciarti più nei guai” mi disse serio. Voleva essere un consiglio o un ordine? Aprii bocca confusa per chiedergli spiegazioni, ma Jacob spuntò dalla porta di casa sua.

“Ciao” Mi accolse con un sorrisone, che faceva un grande contrasto con il viso serio di suo padre. Oltrepassò con un balzo i quattro scalini della veranda.

“Ciao” gli risposi io, ancora confusa, guardando verso l’alto per la sua imponente altezza. Mi prese una spalla con il braccio e mi condusse dietro la piccola casetta rossa.

“Divertitevi” Il tono di Billy era di nuovo cambiato. Era diventato solare. Mi girai per guardarlo confusa, mentre lui ci lanciava un sorriso, finché la stazza del braccio di Jacob mi ostruì la vista. Mi condusse veloce verso il garage. Sempre il solito, zeppo di pezzi da tutte le parti.

“Pronta per un’altra giornata di duro lavoro?” mi chiese, sempre con un sorrisone. Io gli risposi con un sorrisino, ma non con lo stesso tono entusiasta.

“Ma come? Non vedi l’ora di finire la mia auto? E dire che all’inizio non ne volevi sapere” precisai io. Lui prese una chiave inglese e me la lanciò.

“Sto ancora sperando che tu cambi idea, così me la prendo io” rispose lui entusiasta.

“Ah, ora capisco” dissi avvicinandomi alla Cadillac.

“E poi tu sei la ragazza che ci sa più fare con le auto che io abbia mai conosciuto” continuò, sporgendosi dentro il cofano aperto.

“Quante ragazze che se la sanno cavare con le auto hai conosciuto?” risposi io. Non riuscivo ad usare il suo stesso tono spensierato.

“Ehm…” sembrò pensarci lui, particolarmente attento al motore dentro il cofano. Questa volta mi fece sorridere. Da un po’ di tempo il rapporto d’amicizia tra me e Jacob era cambiato. Non ci stuzzicavamo più come prima. Sembravamo più legati. La cosa mi piaceva. Ma continuavamo a litigare, non c'era scampo a questo.

“Sei entusiasta, come mai?” gli chiesi. Era strano vederlo così, dopo l’altro giorno. Lui mi sfoderò un sorriso. Non aveva più le occhiaie. Questo voleva dire che anche Sam aveva dato un po’ più di riposo ai licantropi. Mi faceva piacere vederlo così rilassato.

“Non dovrei esserlo?” chiese lui, ancora felice “Passami l’olio.”

Io mi limitai a seguire le sue istruzioni, stando zitta. Mha, non poteva di certo essere il fatto che la ragazza per cui tu hai una cotta  è tra le braccia di un vampiro. Non mi andava di distruggere quella felicità dovuta a non so che cosa. Lo guardai bene, mentre concentrato stava studiando il motore. Aveva deciso di tenere i capelli lunghi, che ora portava legati in una piccolissima e ridicola coda. Stava però terribilmente bene. Scostai lo sguardo prima che notasse qualcosa di strano, mentre arrossivo. Immersi la mano nello zaino e tirai fuori il mio ultimo “stipendio” del corso.

“Ehm…” dissi cercando di cambiare colore del viso “Questi sono per te” dissi dandoglieli. Lui li guardò con diffidenza.

“Ah” mormorò e se li ficcò nella tasta dei pantaloncini. Faceva sempre così, ogni volta. Gli dava fastidio che gli dessi i soldi per i pezzi e per il lavoro, ma se solo avesse osato non accettarli avrei cambiato senza pensarci meccanico di fiducia.

Ripresi la chiave inglese e mi misi al lavoro anch’io. Notai una moto nera in fondo al garage e mi ricordai di cosa ne aveva fatto dell’altra. Questo mi incupii ancora di più e mi fece ancora più insospettire. Mi sembrava ancora terribilmente strano quel suo gesto, dopo tutto quei presagi. Ebbi una grande voglia di chiederlo, ma avevo paura che saremmo finiti per litigare. E poi non serviva che infierissi ancora di più, per rovinare la sua felicità. Lasciai quindi stare la faccenda, anche se con il dubbio.

Non era però solo quello che mi rendeva cupa. Mancava uno spettatore importante. Mi mancava terribilmente la presenza di Bella in tutto questo. Era più vuoto il garage senza di lei. Senza rendermene conto con il gomito smossi l’asta che teneva il cofano aperto. Il cofano rimbalzo sulla dura testa di Jacob.

“Scusa” mormorai a mezza voce, ritornando a tirarlo su. Lui emerse dal motore, senza essersi fatto niente. Mi guardava con aria preoccupata.

“Cos’hai Abigail oggi?” chiesi timoroso. Io feci un sospiro. Poggiai lo zaino per terra e mi tolsi il giubbotto. Osservai anch’io il motore attenta. Non era il caso di raccontare tutta la verità; optai solo per mezza.

“No, niente” dissi particolarmente seria. “Solo una brutta sensazione.” Lui mi sorprese chiudendo il cofano ed appoggiandoci il gomito sopra, voltato verso di me.

“Me ne vuoi parlare?” mi chiese comprensivo, ma anche curioso. Io sbuffai e sorrisi, per fargli capire che non era effettivamente niente. Abbassai la testa e scossi la testa.

“Tuo padre prima mi ha trattata in modo strano” ammisi io alla fine. Lui si tirò su.

“Ah” ammise lui, con una certa curiosità. “Non farci caso” riprese, con la solita scioglievolezza. La mia occhiata interrogativa lo spinse a confessare.

“È preoccupato per te” dissi però più serio. “Dalla tua scappatella in Italia.” Faceva ben attenzione a non usare un tono accidioso e gliene fui grata.

“Ha una brutta opinione di me?” Gli porsi la stessa domanda che feci a Bella riguardo Charlie.

“Non proprio” dissi confuso “Anche agli altri non è piaciuto, anche se in teoria ti potrebbe succedere qualsiasi cosa fuori dal nostro territorio che non ce ne dovrebbe riguardare…” La sua voce si affievolì gradualmente. Alzò la testa verso di me; non aveva perso il suo sorriso. “Ma solo in teoria” affermò, esprimendo un pensiero del tutto personale che mi rese felice. Riprese a lavorare con un'allegra energia.

“Sai, hanno capito che tengo a te. È normale che quindi si preoccupino un po’ di più.” Tornò ad alzare lo sguardo verso di me, gioioso. Io risposi al sorriso, abbassando la testa. Seppure giovani ed un po’ idioti, i licantropi erano davvero emotivi riguardo gli affari dei propri compagni. Finii in brodo di giuggiole per le sue parole.

“Sam pensava anche di venire a parlare con te sull’argomento, ma lo convinto a non farlo” continuò con nonchalance. “E comunque se fai la brava gli passerà.” Io alzai la testa di scatto.

“Grazie” esclamai di colpo. Parlare con un licantropo riguardo a quello che era successo a Volterra era una situazione che mi avrebbe messo terribilmente a disagio. Oltre al fatto più importante che quella storia me la volevo totalmente estirpare dalla mente, cosa che molto probabilmente Jacob aveva capito alla grande.

“Mi devi un grosso favore” disse, come ad esporre un evidente dato di fatto.

“Sicuro” dovetti affermare anch’io. Il buonumore riuscì a tornarmi; quindi ripresi a lavorare con attenzione ed entusiasmo al motore della mia macchina. Trascorsi più o meno dieci minuti in quello stato.

“Il motore mi sembra a posto, no?” ammisi fuoriuscendo dal cofano.

“Sì. Direi anch’io” confermò anche lui, dando un’ultima attenta occhiata. Mi asciugai il sudore della fronte con un braccio.

“Quindi abbiamo finito per oggi” riassunsi io “Tocca spendere, adesso. Bisogna andare a prendere pezzi nuovi. La marmitta è uno sfracello…”

“Sì…” ammise anche lui soprapensiero, mentre mi sorpresi con grande imbarazzo ad osservare con attenzione il sudore che rendeva la pelle scura dei suoi pettorali lucida. 

“A no, aspetta, ancora una cosa” si ricordò d’improvviso. Chiuse il cofano e si piegò, in modo da afferrare l’estremità della parte superiore dell’auto, poco più avanti delle ruote. La mia Cadillac si sollevò di parecchi centimetri da terra, perfettamente parallela al terreno. Rimasi per un attimo ad osservare quella scena; non mi ero ancora abituata alla superforza dei lupi da umani. I muscoli delle sue braccia erano del tutto contratti ed erano visibili grosse vene. Io deglutii.

“Olia la parte sotto” mi ordinò lui, con la voce del tutto rilassata. Afferrai cauta l’olio vicino a me e mi avvicinai a lui. Mi chinai ancora titubante, osservandolo.

“Cosa c’è?” esclamò un po’ infastidito, presagendo già qualcosa.

“Sei sicuro che non me la fai cadere addosso?”

“Vai!” esclamò lui, stizzito. Io mi fidai ed andai sotto. Era un modo molto casereccio di sostituire un elevatore. Mi misi supina esattamente sotto la macchina. Individuai i punti che dovevano essere oliati e cercai di sbrigarmi ad andarmene da lì sotto. I miei genitori erano stati piuttosto minacciosi e chiari quando mi avevano detto che qualsiasi cosa mi fosse successa a La Push avrei dovuto dire addio alla riserva e a tutti quelli che ci vivevano. Grossi goccioloni di olio nero mi caddero sul viso e sulla maglietta. Ah, vedi il furbo. Ecco perché me lo aveva chiesto a me di fare; si sarebbe risparmiato il lavoro sporco. In una veloce occhiata constatai che ne avrei avuto per molto e nonostante mi fidassi ciecamente di Jacob, che non dimostrava alcun tentennamento, e non volessi distrarlo in qualche modo, gli parlai. Mi era venuta una domanda piuttosto curiosa, ripensando a suo padre.

“Jacob, anche tuo padre è un licantropo?” Era strano che non ci avessi pensato prima; se era una cosa ereditaria, doveva essere così.

“Oh…” rispose lui pensieroso. Impercettibilmente la macchina mi si fece più vicina e sobbalzai.

“Oh, oh, oh, oh!” ripetei io, spaventata.

“Ah, scusa” rispose lui, con nonchalance, tornando a rialzarla al livello di prima. Ripresi ad oliare il più veloce possibile.

“Ehm…” continuò a pensare lui “Credo che… avrebbe potuto esserlo, se ci sarebbero stati vampiri nelle vicinanze tempo fa. Secondo Sam i geni dei licantropi si disattivano dopo una certa età.” Ero contenta del fatto che Jacob pian piano aveva imparato ad usare il vocabolo “vampiro” in mia presenza e non più “sanguisuga” o sinonimi vari.

“Ah” commentai interessata.

“Il nonno di mio padre, Ephriam Black, lo era. A quel tempo c’erano i Cullen” disse, esponendomi un esempio.

“I Cullen?” dissi stranita. Jessica tempo fa mi aveva detto che erano a Forks solo da pochi anni, non da decenni.

“Se ne sono andati e sono tornati adesso” riassunse lui.

“Il tuo bisnonno era un licantropo” ripetei io “E per questa questione che tuo padre conosce i licantropi?”

“Tutti a La Push conoscono i licantropi!” esclamò lui in una risata. Io mi confusi subito e smisi di oliare.

“Ci sono decine di leggende su di noi che tutti qua conoscono. Siamo famosi” disse vanitoso, come se fosse una celebrità. 

“Il fatto è che non tutti ci credono” tornò a spiegare “E comunque sì, mio padre conosce il nostro segreto per il fatto dell’ereditarietà. Anzi, ti dirò di più, è una specie di custode di questo segreto. Quando mi sono trasformato per la prima volta lui riuscì subito a capirlo e chiamò Sam.” Il suo tono di voce si fece subito pensieroso “Sono certo che lui sapeva che mi sarei dovuto trasformare, prima o poi.” Io continuavo a lavorare, ascoltandolo con estrema attenzione.

“Quanti licantropi eravate, quando i Cullen sono arrivati per la prima volta?”

“Erano in tre. Il nonno di mio padre, Ephriam Black, quello di mia madre, Quil Ateara e quello del padre di Sam, Levi Uley”

“Come mai solo in tre?” chiesi stupita. Non mi piaceva questo improvviso aumento di numero. Era piuttosto sospetto.

“Non lo so di preciso” affermò confuso “Credo sia dovuto alle varie unioni che sono avvenute tra noi. E al gene, che si è rafforzato, dopo solo pochi decenni di distanza dall’ultima volta. Prima di allora dovrebbero essere stati centinaia di anni che nessun licantropo si sia dovuto trasformare.” Lasciai scendere uno strano e lungo silenzio, durante il quale riuscii a finire il lavoro. Erano davvero molte le cose che ancora non conoscevo dei licantropi. Soprattutto la loro storia; erano davvero antichi. Forse come i vampiri, ma ne dubitavo. Ancora adesso non capivo come mai i vampiri, oltre ai Cullen e noi, non li conoscevano. Molto probabilmente per la zona limitata di La Push.

“Sai, voi siete ancora un grande mistero per me” dissi dando gli ultimi ritocchi.

“Sei vuoi puoi assistere ai nostri raduni”

“Intendi dire che vi mettete intorno al fuoco e fumate strani incensi, con indosso strane decorazioni piumate ed un totem vicino?” ironizzai io, senza trattenermi.

“Voglio ricordarti che sei sotto una macchina di alcune tonnellate e che a tenerla ci sono io” disse con evidente gusto, per la situazione.

“Ops…” mormorai io, tenendo la bocca chiusa.

“Non è niente di che. Il fuoco c’è; si fa alla spiaggia, di notte. Si raccontano semplicemente le nostre leggende, tutte vere quindi.”

“Non mi dispiacerebbe venire a sapere qualcosa in più sul vostro conto” commentai io.

“Puoi venire una volta, se hai tanti dubbi sulla nostra storia.” Pensai con vivo interesse alla sua proposta. Avrei avuto l’opportunità di conoscere moltissime cose sui licantropi, cose che forse neppure Jacob sapeva. Mi era già venuta in mente l’idea di domandare direttamente al padre di Jacob qualcosa; a quanto pare lui ne sapeva molto più del figlio. Ma questo poteva essere un espediente decisamente migliore.  

“Augh” affermai io con voce gutturale. Le ruote posteriori improvvisamente caddero sul pavimento in un botto. Mi rannicchiai in posizione fetale in un sobbalzo, emettendo anche un lieve gridolino. Uscì spedita da lì sotto. Mi rivolsi a Jacob infuriata, mentre lui tranquillo rimetteva a posto l’auto.

“Ma sei matto!” gli urlai in faccia. Lui alzò le spalle, innocente.

“L’hai voluto tu” confessò tranquillo. Io sbuffai. Sapevo che non potevo farmi male e che quel gesto, seppur avventato, era stato calcolato. L’arrabbiatura passò quasi subito.

“Quindi tu discendi direttamente da due licantropi” ammisi io, cominciandolo a squadrare da testa a piedi.

“Forse è per questo che sono più veloce degli altri e che tutto mi è così… facile” disse lui sovrapensiero, con avvilimento quasi. Non capii perché quel tono. Non doveva invece essere felice?

“E non ti piace?” continuai io. Lui scosse la testa convulsamente.

“Mi piace da impazzire, ma non mi sento a mio agio essere così diverso dagli altri” ammise ancora pensieroso. Al contrario di me, quindi, che cercavo di essere diversa da tutti in ogni cosa. Mi sfoderò un improvviso sorrisone. Conoscevo quella sua gestualità; voleva dire argomento chiuso, ma con cordialità. Io ricambiai con un sorrisino amaro. Jacob non mi aveva mai parlato di cosa provava emotivamente ad essere un licantropo, ad essere così diverso da un tempo, quando non lo era. Mi accorsi solo allora della prova che aveva dovuto superare, per affrontare la cosa. Mi ricordavo che me ne aveva parlato all’inizio, ma allora non mi ero affezionata in questo modo a lui. Avrei voluto che un giorno o l’altro sarebbe riuscito a confidarsi con me su questo, se avrebbe ritenuto necessario farlo. Molto probabilmente le mie considerazioni su di loro certo non lo aiutavano. Forse fino ad adesso non era esclusivamente solo lui quello che aveva sbagliato, con pregiudizi vari. Forse un po’ ero anch’io quella che non capiva, o che non voleva capire. Mi promisi di cercare da quel momento in poi di comprendere meglio il punto di vista dei licantropi, di Jacob in particolare. Anche se sarebbe stato difficile. Era inutile, anche se ci saremmo messi d’impegno tra me e Jacob ci sarebbero state sempre cose che non avremmo potuto dirci, proprio a causa delle nostre famiglie ed ottiche diverse.

Per il momento però era meglio pensare al presente. Ed a come ricambiare il sorrisone sornione che mi stava lanciando. Il mio sorrisino sghembo si allungò sulle labbra. Mi era venuta in mente una bellissima idea, che anche a lui sarebbe piaciuta molto.

“Mi fai vedere come ti trasformi?” chiesi, leggermente eccitata. Non lo avevo mai visto in forma canina. Cioè, sì, l’avevo visto, anche un paio di volte, ma non lo avevo mai riconosciuto. Gli si illuminarono gli occhi anche a lui.

“Certo!” esclamò, come un bambino a cui avevo chiesto di farmi vedere il suo nuovo trenino “Vieni con me.” Mi prese la mano con la sua. La diversa temperatura mi fece sobbalzare un poco. Mi trascinò fuori dal garage. Stava correndo verso la foresta, abbastanza veloce, ma era un’andatura che potevo benissimo reggere anch’io. Ci inoltrammo tra gli alberi appena davanti al garage. Camminammo per alcuni minuti. Stava cominciando ad scurirsi pian piano, a causa delle sempre più numerose fronde degli alberi che impedivano alla luce del sole, oscurato già dalle nuvole, di filtrare.

Di colpo si fermò. Si voltò verso di me; il suo sorriso non era ancora scomparso.

“Aspettami qua” disse voltandosi e correndo dentro gli alberi. Io lo guardai confusa. Voleva farmi vedere la sua trasformazione e lui se ne andava?

Vidi subito spuntare un muso tra gli alberi. Quel muso poi divenne una testa, che poi si allungò nella forma di un lupo, grosso come un cavallo. Feci un passo indietro, in modo tale che potesse farsi vedere interamente. Non mi ricordavo fossero così grandi e grossi. Mi ero dimenticata i canini che spuntavano e i muscoli delle zampe troppo grossi. Mi ero dimenticata di quanto gli occhi che avevano potessero essere umani. A contrario del colore dei capelli il pelo era rossiccio. Chissà da cosa dipendeva, poi…

Il licantropo davanti a me aveva un’espressione strana. Sembrava… stesse sorridendo, esattamente come continuava a fare Jacob fino a poco fa. Non credevo però che i lupi riuscissero a sorridere. Mi accorsi solo più tardi che la mia espressione non doveva essere meno strana della sua. Forse per farmi uscire dallo stato di imbambolamento Jacob si acquattò e cominciò a spostarsi sulle zampe posteriori, la coda alta e scodinzolante e la lingua fuori per l’entusiasmo. Riuscì a farmi ridere. Avvicinai lentamente una mano al suo muso. Lui si fermò, aspettando che lo accarezzassi. Lo accarezzai con la punta delle dita, partendo dal naso, fino a sotto il suo occhio sinistro. Aveva un pelo morbidissimo. La feci scivolare poi dietro il suo orecchio e cominciai a grattare. Chiuse gli occhi e cominciò ad ansimare. Io risi ancora.

“Ti piacciono le coccole, vero cucciolone?” mormorai soprapensiero. Lui la prese per una presa in giro e mi starnutì in faccia. Qualcosa di umido mi bagnò la faccia. Ritrassi immediatamente la mano.

“Dio! Che schifo, Jacob!” mi lamentai cercando di togliermi il suo muco canino dalla faccia. Cavolo, questa se la poteva davvero risparmiare; che schifo. Lui aprì la bocca, soddisfatto. Prima di potergli lanciare un’occhiataccia lo vidi accovacciarsi a quattro zampe e tirare il collo verso di sé. Ci dovetti un po’ pensare prima di capire cosa volesse esattamente.

“Vuoi che ti salti in groppa?” Lui annuì con la testa ed io mi sorpresi di nuovo di quanto potesse essere strano un animale che si comporta da uomo. Già dimenticata del torto subito ed incuriosita mi avvicinai a lui e gli salti sopra. Appena salita si alzò, ma ancora non partì. Cercai meglio che potei di tenermi stretta a lui. Tuttavia non sapevo esattamente cosa fare; la sua gabbia toracica era troppo larga affinché le mie gambe riuscissero a circondarla. Tentai quindi di aggrapparmi al suo collo con le braccia, sperando che reggessero. Lui ancora non partiva.

“Se vuoi sapere se sono pronta, lo sono” dissi con la guancia destra schiacciata contro il suo pelo.

Non fu esattamente come un giro in moto. Di solito si incominciava con i settanta, per poi aumentare gradualmente. Jacob partì spedito, subito. Di conseguenza mi strinsi ancora di più. Non era molto diverso da un giro sulla schiena di mia madre. Il vento mi sfrecciava velocissimo sulla fronte. A differenza di mia madre, su Jacob riuscii a percepire il movimento. Sentivo le sue zampe muoversi, premere frenetiche sul terreno per darsi la spinta ed ogni fibra del suo corpo tendersi senza alcuno sforzo. Dovevo ammettere che cavalcare un licantropo era meglio di viaggiare sulla schiena di un vampiro. Si buttò improvvisamente verso sinistra, per cambiare direzione. Su mia madre non sentivo niente di tutto questo; i suoi movimenti erano decisamente molto più aggraziati. Jacob curvò di nuovo, spintonandomi ancora. L’adrenalina che circolava mi spinse ad emettere un urlo di entusiasmo, come quello delle montagne russe, che sembrò incitare Jacob ad andare più veloce. Strinsi il suo collo in una morsa, mentre non ero più così entusiasta di constatare che sapeva correre più veloce di un vampiro. Forse era la presa che era aumentata che gli fece intuire di rallentare, fino a fermarsi.

Alzai lentamente la testa dall’ammasso di pelo dove ero stata per tutto il tempo. Mi girava leggermente la testa e pensai di rimanere in groppa a Jacob ancora per un po’, per non rischiare di cadere come una pera messo piede a terra e fare una figuraccia in sua presenza. Staccai le mani sudate dal suo pelo. Fui brava a non strapparne neppure uno. Lui girò la testa verso di me, con preoccupazione.

“Lo ammetto, mi hai sorpreso” confessai, con la testa che vedeva tutto un po’ sottosopra “Lasciami solo riprendere” dissi accarezzandogli affettuosamente la schiena. Lui con la testa girata, continuava a guardarmi con sguardo attento. Si sedette sulle zampe posteriore facendomi scivolare all’indietro. Atterrai sull’erba. Il terreno solido e fermo sotto di me mi stabilizzò un po’. In breve tornai lucida. Non riconoscevo quel punto della foresta; credevo di non averlo mai visto. Era uno grande spazio di erba, sormontato da grandi querce le cui radici spuntavano prepotenti dal terreno. Il grande fogliame degli alberi ricopriva ancora il cielo e filtrava poca luce. Non aveva niente di particolare quel luogo, se non l’assoluta pace e silenzio. Gli animali del bosco, compresi quelli più piccoli, se ne dovevano essere andati a causa di Jacob. Poteva in fin dei conti essere un predatore anche lui.

Sentii la schiena appoggiarsi sul pelo morbido di Jacob, la sua testa poco lontana da me, appoggiata sul terreno. Mi guardava ancora con quell’espressione allegra e spensierata che aveva avuto per tutto il giorno. No, ci doveva essere qualcosa che lo aveva reso così felice. O più che altro, non vedevo altri motivi che lo potessero rendere così felice.

“Cosa vuoi fare adesso?” gli chiesi per rompere il ghiaccio. Lui fece ciondolare la testa ed io non seppi come interpretare quel gesto. Dalla bocca mi uscì una via di mezzo tra uno sbuffo ed un sospiro.

“Bene, sto affrontando un’interessantissima conversazione con un licantropo che non è in grado di parlare…” mi girai di scatto verso di lui. “Tu non parli, vero?” Lui espirò profondamente in uno scatto. Lo interpretai come un no.

“… e di cui non riesco a interpretare i gesti” conclusi io. Lo tornai a guardare sconsolata.

“Perché mi hai portata qua?” riprovai io. Lui però non mi stava a sentire; se ne stava sereno disteso dietro di me, con il muso tra le zampe anteriore a sonnecchiare. Io sbuffai. Certo, a correre erano bravi, ma che noia parlare con loro. Qualcosa di grigio mi fece voltare verso destra. Che cos’era? Era legato alla sua zampa. Sulle prime pensai che fosse una benda, per qualche ferita o cose del genere. Notai poi però che non era una benda.

“Ma che…” Jacob drizzò le orecchie ed aprì gli occhi. Mi avvicinai alla zampa ed afferrai la cosa grigia. Era di cotone pesante. La slegai e curiosa la spiegai davanti di me. Erano dei pantaloncini grigi. Ora, cosa faceva un licantropo con dei pantaloncini legati alla zampa che corre per la foresta? Questo, era davvero strano. Dovettero passare alcuni lunghi minuti prima di riuscirlo a capire.

“Oh…” esclamai io, guardando ancora stranita quei pantaloncini. Poteva essere in certi casi parecchio imbarazzante…

“Un licantropo non ha solo lati positivi, allora” sogghignai io. “Non sarebbe un bel gesto questo, per te..” dissi, mentre infilavo i calzoni nel mio giubbotto e chiudevo la zip. Lui alzò il collo e mi mostrò i denti.

Non durò molto. Si rizzò in piedi. Incominciò a correre lontano da me ed ad un certo punto saltò. Fu una scena particolarmente veloce e sulle prima mi spaventò anche un pochino. Nel momento preciso in cui saltò qualcosa di grosso quanto Jacob, spuntò veloce dagli alberi e si andò a scontrare contro di lui. Subito dopo capii che anche la cosa che era spuntata era un licantropo. Era meno grosso di Jacob, ma più slanciato. Era grigio, con delle chiazze nere sparse qua e là. Iniziò un veloce combattimento tra i due. Si levarono ringhi e si scambiarono molti morsi, rotolandosi nell’erba e sollevando alcuni metri di sottile polvere. Dopo neanche un minuto, il lupo rossiccio riuscì a immobilizzare a terra quello grigio. Fiero sollevò la testa verso l’alto ed emise un lungo ululato. Ripresi a respirare e riuscii a muovermi solamente quando intuii che stessero giocando. Il lupo grigio sotto Jacob si liberò senza troppa fatica. Mi vide e drizzò le orecchie, incuriosito. Lo guardai attentamente. Non era molto diverso da Jacob, se non per il colore. Aveva anche lui un paio di pantaloni annodati. Sollevata notai che entrambi non avevano un graffio.

“Ciao” dissi apatica al lupo grigio. Mi schiarii la gola “Tu chi sei?” chiesi con un po’ più di emozione. Lui mi abbaiò una volta e cominciò a guardarmi allegro come Jacob accanto a lui.

“Uof? Non ho mai sentito parlare di Uof. Devi essere uno nuovo” dedussi seria, ma con una forte nota sarcastica. Sia il lupo grigio, sia Jacob, spalancarono la bocca e cominciarono a fiatare forte. Inquietante il loro modo di esprimere gioia e felicità.

Il lupo grigio picchiò la spalla di Jacob con il muso. Si scambiarono un lungo sguardo eloquente. Intuii che si stavano leggendo nel pensiero. Subito dopo Jacob starnutì tre volte, battendo la zampa per terra e scuotendo la testa. Anche da lupo si capiva quando era arrabbiato. Ouf continuava a guardarlo imperterrito. Jacob si avvicinò a me veloce. Si abbassò facendomi segno di salirli in groppa.

“Va bene, ho capito” dissi evidentemente sarcastica. Cominciava a essere irritante questo “gioco del silenzio”. Stetti alle sue regole e mi aggrappai alla sua schiena. Partì subito veloce. Non riuscii bene a capire se anche Ouf ci stava seguendo; ero troppo impegnata a mantenere la presa ed evitare di spiaccicarmi da qualche parte. Andò veloce come la prima volta. E via fiumi di adrenalina nelle vene. Quando si fermò però non mi girava già più la testa. Mi fece scendere alla svelta. Riuscivo ad intravedere la casetta rossa da lì. Con il muso mi picchiettò forte la schiena, verso l’uscita della foresta.

“Va bene, va bene, ho capito!” mi lamentai io. Mi girai verso di lui. Era impaziente che me ne andassi.

“È successo qualcosa?” chiesi con una certa preoccupazione nella voce. Anche se i tre quarti di quello che mi comunicava non riuscivo a capirlo minimante era chiara l’espressione esasperata che fece scuotendo la testa. Io risi, per quanto buffo mi sembrava in quel momento. Mi incitò con il muso ad andarmene un’altra volta. Seguii il suo consiglio. 

“Ci vediamo, Jacob” lo salutai. Lui annuii freneticamente la testa e mi incitò di nuovo ad andarmene. Io uscii dalla foresta; se Jacob mi diceva che non c’era niente di cui preoccuparsi, io gli credevo. Fuori c’era un pesante silenzio; non c’era neppure Billy sulla veranda.

Non c’era che dire; gli ultimi momenti erano stati quelli più eloquenti e chiari di tutta la mia vita. Non sapevo bene cosa pensare al riguardo se non la sola parola “strano”.

A squarciare quel silenzio furono alcuni tuoni soffocanti in lontananza, che mi spinsero a prendere lo zaino nel garage di Jacob e correre alla moto, prima che iniziasse il temporale. Fu solo quando salii in moto che mi accorsi del rigonfiamento del mio giubbotto. Oh, i pantaloni di Jacob, gli sarebbero di certo serviti. Tirai giù la zip e li tirai fuori; sarei tornata indietro e gli avrei messi nel punto dove mi aveva scaricata. Mi fermai un momento, riflettendo sulle conseguenze che sarebbero accadute se non li avessi riconsegnati. Li rimisi subito dentro il giubbotto con l’intenzione di portarmeli a casa, trattenendo a stento le risate.

 

Il giorno dopo mi alzai decisamente con il piede giusto. Vedere i pantaloni di Jacob nella mia camera mi fece ripensare alla reazione che avrebbe potuto avere dopo aver scoperto che non ce li aveva.

Ovviamente fu la prima cosa che attirò l’attenzione dei miei genitori, in particolare quella di papà. Insomma, era strano vedere la propria figlia tornare a casa con un paio di pantaloni pieni dell’odore, o puzza, di licantropo. Mio padre mi lanciò una vera e propria occhiataccia; provava un certo ribrezzo sul stare insieme non ad un licantropo, ma ad un ragazzo, come ogni padre con idee esagerate al riguardo. E credetti subito che avrebbe pensato al peggio, con quei pantaloni in mano.

Spiegai ad entrambi la situazione. Mia madre se ne uscì con una risatina un po’ nervosa, segno che avrebbe voluto rimproverarmi, ma la situazione le era parsa più divertente. Mio padre invece si limitò a restare in silenzio, pensieroso.

Mio padre era quel genere di padre che avrebbe desiderato che la propria figlia rimanesse pura e casta fino al giorno del matrimonio. Ed infatti preferivo sempre avvertire mamma, quando andavo dai licantropi, piuttosto che assistere all’espressione ambigua ed indecisa di papà. Molto probabilmente i pregiudizi che covava lui non erano tanto diretti al loro gene licantropesco, quanto a quello umano; ero sicura cento per cento che l’idea di me accanto a dei ragazzi alti come armadi e forti il doppio non gli andava minimamente a genio. Ma per fortuna c’era mamma che sapeva come ammorbidirlo su questo punto.

Ultimamente le giornate si stavano facendo piuttosto monotone. Andavo a scuola, poi qualche volta da Bella, poi a breakdance, poi qualche volta da Jacob. Era cominciato un periodo molto tranquillo, dopo l’avventura di Volterra, movimentato solo dalla recentissima notizia che Victoria stava tornando qua a Forks. Aggiunsero poi però che si trovava parecchio lontano da Forks e che Bella non doveva temere alcun pericolo.

A parte questo, però, non sarebbe affatto durato a lungo; dovevo aspettarmi qualcosa da Jacob, seppure anche con lui le cose sembravano andare tranquille. Insomma, più che tranquillo, quello era un periodo ambiguo. C’era almeno la scuola che mi teneva occupata un minimo.

Anche il problema di Bella che stava sempre con Edward non lo era più, da quando andavo regolarmente a casa sua. Dovevo ammettere che con Edward non avevo legato parecchio. Non ci ignoravamo completamente, ma di certo non potevo dire che eravamo migliori amici. Seppure mi guardava in maniera… strana. Interessato, ecco, mi guardava interessato, come se rivestissi un qualche peso nella sua vita. A pensarci bene, poi, non avevo ancora conosciuto nessun membro del resto della famiglia, seppure avevo saputo da papà che anche Carlisle era tornato a lavorare in ospedale. Se era vero che una mela al giorno toglie il medico di torno, con due dottori del genere, qua a Forks ci sarebbe una devastazione di meli.

Potevo dire che il Cullen con cui avevo legato di più era Alice. Era diventata la persona con cui parlavo di più a scuola, ormai. Anche perché, con quei due rinchiusi in una bolla di zucchero e cuoricini rosa, era io la prima candidata alla conversazione per lei. E dovevo ammettere che era piuttosto simpatica, soprattutto dopo quell’uscita a insieme a Bella a Port Angeles. Non si era dimostrata assillante e travolgente come avevo creduto. Anzi, stava al ritmo mio e di Bella e mi aveva consigliato qualcosa contemporaneamente sportivo e femminile che dovevo dire mi era piaciuto molto.

Quel giorno arrivai a scuola abbastanza presto. Parcheggiai la moto al solito posto e mi diressi direttamente in classe. Ovviamente fuori pioveva e quindi non c’era nessuno, dentro invece era più popolato. Incontrai in corridoio Eric e Mike, insieme a Ben e Angela. Mi fermai a chiacchierare un po’ con loro. Per lo più l’attenzione fu rivolta agli esami e a quello che sarebbe venuto per loro dopo, con una veloce domanda sul corso di break. La campanella della prima ora suonò e mi diressi verso l’aula di storia, senza che quel giorno avessi ancora visto Bella ed i Cullen.

Alla terza ora riuscii a beccarli in corridoio. Ci salutammo, ripetendo una continua routine. Lui teneva la mano di lei ed Alice faceva il terzo incomodo a proprio agio.

“Scusa Bella, potresti accompagnarmi al bagno un momento?” dissi totalmente disinteressata, una domanda che non voleva avere come scopo lo stare da sola con lei. Dopo mi resi conto di questo potenziale.

“Certo” rispose lei, staccando la mano da quella di Edward. “Ci vediamo in classe” disse ai due Cullen.

I bagni si trovavano dall’altra parte del corridoio. E a dirla tutta non erano nelle migliori condizioni. Mi lavai le mani, sporche del carboncino della matita, mentre Bella si ravvivò i capelli. Il bagno era deserto ed entrambe non avevamo aperto bocca. Non avevo molto da dire al momento. Cominciai a fischiettare la canzone del saggio dei bambini, che mi stava dando la nausea, da tanto l’avevo sentita. Poi mi accorsi che ero sola con lei e mi venne la rivelazione; di cosa in genere parlavamo io e lei, quando eravamo da sole? E al proposito c’era abbastanza da dire.

“Ci hai pensato a Jacob?” dissi apatica, mentre con le mani bagnate, mi tiravo indietro i capelli.

“Sì” rispose lei, fissandomi. “Devo andarci” ammise lei. Lo sapevo che lo avrebbe detto. Gli rivolsi il mio sorriso.

“Buon proposito” dissi facendomi una coda alla bell'e meglio.

“Ma non ci andrò” ammise lei, con un lieve rammarico. La coda si sciolse e mi voltai dubbiosa verso di lei.

“E perché no?” dissi con tono leggermente troppo alto. Mi lanciò un’occhiata amara.

“Edward non me lo permette. Era più che prevedibile.” Aprii leggermente la bocca, allibita. Cosa?! Non poteva farlo! Non lui! Con che diritto, poi! Mi sentii per un attimo confusa.

“E perché?” sbottai eccessivamente io.

“Crede che mi possa fare del male” disse con una leggera punta di esasperazione, mentre si avviava all’uscita. Certo, perché vicino ad un vampiro i rischi diminuivano. Un vampiro che non fosse Edward, però, che era esattamente l’unico vampiro che non avrebbe mai potuto fare dal male a Bella. Dal punto di vista fisico, ovvio. Da quello morale aveva vinto la medaglia d’oro del dolore. Fatto sta, se Bella voleva andare da Jacob, Edward non glielo poteva impedire.

“Non devi avere il suo consenso per andare da lui” dissi cercando di ridurre l’accidia nella voce. Lei sospirò.

“Lui è un vampiro.” Ah, giusto. Questo diceva tutto; se Edward non voleva che Bella andasse da Jacob, allora avrebbe fatto tutto il possibile affinché questo non accadesse. E quello che un vampiro poteva fare era per gli esseri umani l’impossibile. Non c’era alcun dubbio.

A fatica risposi al saluto di Bella, tanto persa ero nei miei pensieri per quella storia. Ed ero anche terribilmente infastidita dal comportamento di Edward. Le successive due ore le passai con la testa tra le nuvole e non ascoltai una parola.

Come faceva Edward a non rendersi conto che quel gesto significava ferire ancora di più Bella? Mi sembrava di aver capito che lui fosse in un certo senso riconoscente a Jacob, per quello che aveva fatto per Bella. Che problema c’era allora manifestare questa riconoscenza facendo andare Bella a La Push? Non riuscivo a capirlo.

Gli unici motivi plausibili che trovavo per spiegare il suo comportamento erano i pregiudizi che poteva avere verso i lupi. Ma dei pregiudizi non potevano competere contro quello che Jacob aveva fatto. Oppure, molto più plausibile, era realmente convinto che Jacob avrebbe potuto perdere il controllo e farle del male. Preoccupazione del tutto superflua, che a pensarci bene non era neanche tanto lontana dal genere di preoccupazioni dei miei genitori.

Questa però era decisamente infondata; io ci andavo quasi ogni giorno a La Push ed ero ancora viva. Ed ancora questo non gli bastava come prova inconfutabile che a Bella non sarebbe successo niente? Evidentemente no, perché, e me l’ero dimenticata, lui era pazzamente innamorato e legato a Bella, e questo risentiva incredibilmente sulla vita e sul modo di pensare di entrambi.

Pur rispettando la loro unione, continuavo a credere con convinzione che Edward sbagliava. E questa determinazione mi portò alla conclusione che, benché non credo sarebbe servito a molto, avrei fatto bene a parlare con Edward al proposito.

Avrei messo ancora una volta dito nello scottante triangolo amoroso, cosa che mi ero ripromessa assolutamente di non fare per non trasformare questo triangolo in un rombo. Ma si vedeva proprio che era destino. A pensarci bene poi non avrei fatto proprio niente, sia perché Edward non avrebbe preso in considerazione le mie parole, sia perché prima o poi Bella a La Push ci sarebbe andata comunque. Sarebbe però stata un’impresa titanica sfuggire alle grinfie del suo custode, certo.

In breve finì la quinta ora. Mi alzai un po’ titubante. Avevo deciso di parlarne con Edward durante la pausa pranzo.

Ero un po’ agitata, a dire la verità. Edward mi aveva sempre messo una certa soggezione, seppur fosse gentile nei miei confronti ed era lui il primo a mostrarsi ossequioso nei miei riguardi. Ed era forse questa semplicità che aveva nei modi a mettermi a disagio.

Uscii nel corridoio pieno di studenti diretti in un’unica direzione. Pensai di andare anch’io direttamente a mensa, così da poterlo sicuramente trovare. Urtai all’improvviso qualcuno. Alzai subito lo sguardo, indispettita dalla consistenza della cosa che avevo colpito. Mi ritrovai gli occhi dorati e perforanti di Edward addosso. La prima cosa che notai fu il colore; si era scurito enormemente. Non avevo mai visto gli occhi di mamma e papà di un colore così scuro. Avrebbe dovuto andare a caccia già da tempo. Mi passò velocemente accanto e passò oltre, mentre uno spazio bianco attorno a lui si chiudeva al suo seguito.

Girai i tacchi e lo seguii. L’unico motivo che poteva giustificare la sua presenza senza Bella era che sapeva che gli volevo parlare, perché aveva letto i miei pensieri. Pensai un po’ irritata a quanto aveva potuto ascoltare, tenendo ben conto che gli avevo detto chiaro e tondo di evitare di farlo. Lo seguii verso l’uscita che dava verso il giardino. Aveva smesso improvvisamente di piovere, ma le panchine erano ancora bagnate. Il giardino al momento non era il posto adatto per parlare, nonostante fosse deserto. Uscii fuori anch’io. Lui camminava a molti metri di distanza. Camminava a passo eccessivamente veloce e dovetti imitarlo per seguirlo. Superò le panchine e si diresse al blocco di francese, il più isolato della scuola. Prima ancora di raggiungerlo lo vidi appoggiarsi con eleganza alle panchine deserte e ancora asciutte ai lati della porta d’ingresso. Gli ultimi metri li feci correndo.

“Mi hai letto nel pensiero, non è vero?” dissi senza nascondere l’accidia e sedendomi con la grazia di un elefante vicino a lui. Lui mi rivolse il suo dannato sorriso sghembo.

“Perdonami, non era mia reale intenzione farlo. La tua voce mi è ormai famigliare e particolarmente difficile da ignorare” mi disse quasi assorto.

“Come mai?” continuai curiosa io.

“La tua voce “mentale” è terribilmente simile a quella reale di Bella” disse facendo scomparire quel sorriso. Io lo guardai sbalordita.

“Credevo fosse realmente quella di Bella, appena sentita” riprese, cambiando posizione. Ah… uau. Non sapevo esattamente se questo poteva essere un bene o un male. Conclusi alla fine che non cambiava assolutamente nulla. Non per me, almeno. Scossi la testa; mi aveva fatto perdere il filo del discorso.

“Oh, mi dispiace…” ammise vicino lui. Gli lanciai un’occhiataccia. Molto probabilmente non lo hai mai sentito dalla voce reale di Bella, ma da quella mentale sì: smettila, ficcanaso! Pensai diretta a lui. Lui sorrise ancora. Ah, ecco, me n’ero dimenticata; era la sua capacità di leggermi il pensiero a mettermi del tutto a disagio.

“È normale che tu ti preoccupi per lei” disse tranquillo, con lo sguardo assente verso il giardino poco illuminato per le nuvole. Non è normale che lo sia tu. Lui si girò verso di me.

“Pensavo che conoscessi i vampiri tanto bene da capirne anche il perché” rispose lui, con una sottile punta di altezzosità della voce. Fu allora che mi resi forse conto che le mie conoscenze sui vampiri a Edward non piacevano molto.

“A quanto pare tu fai un’eccezione” dissi sicura, guardandolo negli occhi, che, per quanto scuri erano, mi mettevano a disagio. Lui sfoderò un ghigno amaro.

“Voglio evitare in qualsiasi modo che si faccia del male, Abigail. Non mi fido affatto dei licantropi. Sono poco esperti e possono sbagliare. Ed io non sono disposto a tollerare neppure il minimo errore da parte loro”

La straordinaria determinazione e serietà che aveva nella voce quasi mi convinsero. Mi ricordava in parte quella di Jacob, ad eccezione che quella di Edward era molto più convincente. Per un momento pensai di chiudere lì il discorso ed andarmene. Feci un respiro e provai a rispondergli con logica.

“Non sono così inesperti come credi. Sono cresciuti, moralmente e fisicamente, dai primi tempi che si sono trasformati. E se non hanno fatto male né a Bella né a me allora, è molto improbabile che accada anche adesso.” 

“È probabile, non sicuro.” La sua voce dura ed inflessibile mi interruppe. Mi sfoderò un’occhiata timida, condita con un sorriso indulgente.

“Non è necessario che tu capisca.” Io continuai a guardarlo dubbiosa.

“Pur io vado regolarmente dai licantropi e non mi è mai successo niente!” ribadì io, che non avevo ancora gettato la spugna.

“In effetti ho parlato anche di questo con i tuoi genitori” disse, mentre la sua espressione si fece dubbiosa ed il suo sguardo penetrante. Io rimasi a bocca aperta. Pure di questo? Ma allora sapeva davvero tutto! Come se leggermi nel pensiero non bastasse!

“La tua è una situazione più delicata. I licantropi riversano molte più attenzioni su di te, che su di Bella. Non possono sapere in alcun modo se tu sia viva o morta, che il patto venga rispettato in un caso ad alto rischio come il tuo. Bella invece riescono controllarla meglio; suo padre è in continuo contatto con uno di loro. Nel tuo caso invece non possono avere nessuna certezza; per tanto è essenziale per loro che tu vada a La Push. Se non andassi i licantropi sospetterebbero qualcosa e a pagare sarebbero i tuoi genitori. Ma questo lo sai già, ovviamente. Bella invece non ha nessun bisogno di andare a La Push.” 

Aprii la bocca, ma rimasi zitta davanti alla sua retorica da una logica perfetta. Ormai non sapevo più dove andare a parare. Lo dovevo immaginare che era un inutile tentativo questo.

“I miei genitori però non sembrano essere ossessionati dalla prospettiva che mi possano fare male” ribadii io.

“Loro sono certi che non ti possa succedere niente, grazie ad un potere come quello di tua madre” affermò veloce, sospirando. “Se reagissi anch’io come tua madre nel caso di Bella, tutto sarebbe davvero più semplice.” Il suo tono era diventato trasognato e bramoso. “Lei sarebbe davvero al sicuro, non le succederebbe niente. Né i Volturi, né i licantropi, nessuno potrebbe farle del male.”

Rimasi per un lungo attimo in silenzio, scossa ed allibita dal suo immenso desiderio di essere come mia madre. Si voltò verso di me.
”Sono terribilmente invidioso di tua madre” disse serio, quasi prepotente. Mi sembrò un vero vampiro. Io deglutii sconfortata dalla sua reazione.

“Non dovresti vivere nel continuo desiderio che le succeda qualcosa, è malsano per entrambi” affermai io, la testa bassa. Evidente tentativo di fargli cambiare quella espressione. Lui questa volta rise. Una melodiosa risata cristallina.

“La perseguita la sfortuna. Non ho mai visto in vita mia qualcuno tanto sfortunato come lei.” Io lo guardai di nuovo sconfortata. I pensieri di Edward mi facevano davvero paura. Speravo che non parlasse davvero sul serio…

“La sfortuna non esiste!” esclamai guardandolo allibita.

“Se pensi davvero a quello che le è capitato finora concorderai sul fatto che esiste” disse lui, con tono amaro. In effetti le sono successe davvero di cotte e di crude. Che però io classificavo come imprevisti, cose che vivendo con dei vampiri è ovvio che succedano.

“La sua manifestazione più grande è stata incontrarmi” ammise, apatico.

“O la più grande delle fortune” replicai io. Lui sogghignò.

“È infatti una fortuna innamorarsi di un mostro in grado di ucciderla.”

“Sì, una grande sfortuna innamorarsi di una persona al punto tale da poter dare tutto sé stesso e sapere che questa persona ricambia” affermai sarcastica e stizzita dal suo commento. “È decisamente meglio una vita apatica, senza senso. Ed un’eternità apatica, senza senso, non è vero?” dissi rivolta verso l’interessato. Lo sorpresi guardarmi con interesse. Quegli occhi neri che mi fissavano mi fecero di nuovo sentire terribilmente a disagio.

“Ho sempre trovato interessante il tuo modo di pensare. Hai una logica curiosa, che si dimostrerebbe terribilmente esatta, se non fosse per l’eccessivo ottimismo” Lo guardai di sbieco.

“Posso dire la stessa cosa di te, per quanto riguarda il pessimismo” biascicai con la mia voce straziante rispetto alla sua. Lui mi rivolse un ultimo sorriso sghembo prima di alzarsi dalla panchina.

“È stato lodevole da parte tua tentare di parlare con me, per assecondare i desideri di Bella” disse con quel tono da ottocento. “Non credo però sia servito a qualcosa” Rimasi a guardarlo per un attimo, spaesata. Piaceva essere conciso, diretto e soprattutto sincero, al ragazzo. Mi alzai anch’io, alzando le mani in segno di resa.

“Io ci ho provato” dissi, poi continuai, più misteriosa “Ma ci proverà anche lei” affermai dirigendomi verso la mensa. Stavo cominciando ad avere realmente fame. Lui mi seguì, mantenendo una certa distanza.

“Lo so” disse pensieroso e preoccupato. Afferrai la maniglia che dava all’interno della scuola, ma Edward la bloccò.

“Ancora una cosa” disse con la sua voce suadente di natura. Mi guardò attentamente negli occhi. 

“Non ho mai avuto alcuna intenzione di impedirti di vedere Bella. Desidero che ti sia chiaro” mi disse terribilmente serio. Io spinsi la maniglia di sicurezza ed entrai a scuola.

“Visto che sei così bravo a leggermi il pensiero, dovresti averlo capito che è tutta una mia sega mentale” dissi con un ironico sorrisino rivolto a me stessa, mentre mi dirigevo dritta verso la mensa. Lui non rispose. Arrivammo in breve davanti alla porta della mensa. Indugiai ad aprirla.

“Un’altra cosa” dissi in tono di sfida “Semmai Bella mi chiederà di aiutarla a sfuggire dalla sua prigione dorata, io non mi farò indietro.” Il suo viso si trasformò in un secondo.

“Non lo fare, ti prego” mi supplicò, in un mormorio. Le suppliche dei vampiri potevano essere decisamente terribilmente convincenti. Ma non mi feci ingannare. Aprì la porta della mensa, mentre gli facevo una linguaccia.

 

 

 

 

Ed ecco il dodicesimo capitolo! Ho pubblicato, finalmente! Questa volta però nn sono riuscita a resistere e alla fine ho pubblicato, anche se non avrei dovuto. Vi devo infatti confidare una cosa: i capitoli che fin'ora ho scritto arrivano fino al quindicesimo, ma non li pubblico perchè magari li potrei modificare mentre scrivo i nuovi. Il problema è che adesso preferisco rileggermi i capitoli che ho scritti piuttosto che scrivere, e quindi la storia non sta andando avanti. Ma non vi preoccupate di questo! Intanto leggetevi questo capitolo!

Ho cercato di tagliare il più possibile e di non farla lunga con i fatti che vengo descritti alla perfezione in Eclipse, per non rendere le cose troppo ripetitive, ma ci ho aggiunto molto di personale. Questo capitolo mi piace particolarmente perchè Abigail ha un dialogo con tutti e tre i personaggi principali e comincia a delinearsi il compito che Abigail rivestirà nel corso della storia, che tutti quanti conoscono. Quindi vi dovreste aspettare delle grandi sorprese. ^^

Direi che ho parlato troppo. Alla prossima, allora!

 

X Frammento: Spero che ti siano alla fine piaciuto entrambi i capitoli! ^^ Hai ragione ad aver perso le speranze, colpa mia. Inoltre adesso è in pratica sicuro che non pubblicherò prima di giugno, ma è sicuro che ci saranno ancora capitoli. Ti chiedo quindi solo di aver un pò di pazienza ed aspettare fino a giugno, per favore.^^° Grazie in anticipo per sopportarmi!

 

X __cory__: allora, la tua domanda è legittima e ti risponderò volentieri. Abigail è un essere umano 100% e, facendo un pò di spoiler, necessario però affinchè si capisca la storia, sarà sempre un essere umano al 100%. Il fatto che Jacob la chiama mezza vampira è perchè Abi non è affatto come Reneesme. Abi è più "potente" delle altre ragazze normali (le piace correre e quindi è più veloce, le piace andare in moto e pratica la break, quindi è più forte) tanto da sembrare un ragazzo, nei modi di fare e nell'abbigliamento, anche se ha una sua femminilità evidente. Inoltre è importante una frase che dice, non so in quale capitolo, in cui afferma che "con il passare una vita insieme ai vampiri, si tende a diventare come loro". Quindi quel "mezza vampira" può essere interpretato come un "maschiaccio" spinto all'eccesso. Hai ragione ad avere questi dubbi, non mi sono mai soffermata a descrivere nei dettagli la figura di Abigail, ma spero che adesso ti sia chiaro questo aspetto. Per quanto riguarda i Volturi, loro sono interessati a lei per il legame che ha con sua madre. E' un pò lungo da spiegare, quindi ti consiglio di andarti a rileggere l'ultima parte del capitolo 10 e del 7, alla fine della storia di Abigail. Spero che ora le idee ti siano più chiare^^ Un bacio anche a te.

 

X Nona: Ciao, Martina. Sono lusingata dei tuoi complimenti sia sulla creatività, ma soprattutto sulla scrittura (forse non sembra, ma ho enormi problemi in questo campo)! ^^ E sono contentissima che il personaggio di Abigail ti piaccia e che, a quanto pare condividiamo le stesse idee: senza Edward con Bella, secondo me, non ci può essere twilight.

Ancora con un grazie infinite per il tuo commento, ti dico di non preoccuparti e ti prometto che prima o poi, potrei raggingere i sessant'anni questa ff la finirò! :) A presto

 

X Ryry_: Va beh! Jacob è può essere stupido qualche volta, ma non è cieco! XD Anzi, credo di aver creato un lato bruttissimo di lui. La scusa di Abi del "sei troppo alto e ti ho baciato sulla bocca" è una scusa totalmente assurda e priva di senso, scritta volutamente per creare ironia, anche se con la inevitabile conseguenza che Jacob ci fa la figura dello scemo. Povero Jacob. XD E comunque Abi ed Edward non diventeranno amiconi, ma amici del cuore (come no...) XD XD! Abi si divertirà a criticarlo 24 ore su 24! XD No, scherzo: non lo farà solo quando dorme. XD

Grazie ancora per il commento!! Ciao!     

 

 

 

 

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Capitolo 13
*** Tredicesimo Capitolo ***


Tredicesimo Capitolo

Tredicesimo Capitolo

 

 

 

Edward ed io entrammo nell’ampia mensa della scuola. L’uno alcuni metri di distanza dall’altra, ci dirigemmo dritti al consueto tavolo. Alla fine il mio intervento non era servito proprio a niente, anzi, avevo solo fatto la figura dell’impicciona. Tuttavia non ne uscii molto delusa; Edward era riuscito ad essere convincente nel giustificare il suo comportamento, anche se solo in parte.  

Mi sedetti nel solito posto, davanti a Bella. Lanciò fugaci ed intese occhiate ad entrambi, prima di perdersi per un lungo arco di tempo negli occhi dorati del suo amato.

“Ah, eccovi qua” esclamò Alice, mentre chiacchierava con Bella, Angela e Ben. Il nostro gruppetto di quattro da un po’ di tempo aveva inglobato nuovi membri; Angela e Ben, seguiti occasionalmente da Mike ed Eric, il primo interessato a Bella, il secondo a me. Mi ero accorta solo da pochi giorni di una possibile cotta di Eric nei miei confronti, ma io continuavo ad ignorarlo ed ad allontanarlo nel modo più gentile possibile, presa com’ero dai miei problemi.

Si vedeva che non gli dovevamo più sembrare mostruosi. 

Alice, a confronto di Bella, sembrava trovarsi del tutto a suo agio e continuava a parlare di uscite finesettimanali. Sembrava realmente entusiasta, anche se i vampiri erano spettacolari nel fingere.

Cominciai tranquilla a giocare con l’insalata che avevo velocemente preso prima di sedermi. Non prestai molta attenzione a quello che diceva Alice, Angela o Ben, ma non ero neanche immersa in pensieri particolari. Avevo semplicemente per un attimo staccato la spina, non per un motivo particolare, per il solo fatto che mi andava, diventando taciturna.

A risvegliarmi dal mio stato semicatatonico fu la voce di Alice che si fermò all’improvviso, troppo bruscamente per aver concluso un discorso. Alzai la testa e la vidi immobile, gli occhi vitrei; non respirava neppure. Mi era famigliare quel suo comportamento; stava vedendo qualcosa. Di abbastanza importante, avrei osato dire. Durante il viaggio a Volterra si paralizzava in quel modo solo per grosse previsioni; mi irrigidii anch’io.

“Ehi, Alice, tutto bene?” esclamò Angela, sventolandole una mano davanti. A quel punto lanciai un’occhiata ansiosa ad Edward, che però mi ignorò. Le tirò una gomitata giocosa ed Alice si scosse.

“Ehi, sorellina, non è ancora ora del pisolino” disse tranquillo e sereno. Alice gli rispose con un sorriso e si scusò, facendo poi finta di nulla e continuando a parlare. Entrambi i due Cullen si trovavano a proprio agio; Alice sembrò chiacchierare ancora più ostinatamente di prima. La normalità in questo modo tornò immediatamente. Tranne per me e Bella. La delicata linea che si era formata lungo la sua fronte rispecchiava il suo sospetto. Ci scambiammo un paio di occhiate dubbiose, come se stessimo cercando risposte l’una nell’altra, senza successo, ovviamente.

Rimasi irrequieta e silenziosa per tutta la pausa pranzo, fino alla fine della scuola, quando raggiunsi i Cullen e Bella al parcheggio. Alice non aveva ancora finito di parlare. Era diventata una macchinetta; non l’avevo mai vista chiacchierare così tanto. Di cose relativamente inutili, poi. Discuteva sui lavori di manutenzione che Edward avrebbe dovuto fare al SUV di Mike. Altra cosa davvero strana era che Edward facesse un favore a Mike; sapevo che Edward non lo guardava sotto una buona luce, molto probabilmente perché sapeva che gli piaceva Bella. Edward covava una sorta malsana gelosia nei confronti di Bella, per qualsiasi uomo che ci provasse, seppur lui in primis non l’avrebbe mai ammesso. Anche se come poteva collegarsi questo strano comportamento con la visione di Alice? Salutai in fretta i Cullen e Bella, confusa almeno quanto me, forse anche di più. Volai veloce verso casa; magari i miei genitori sapevano qualcosa.

A casa l’atmosfera era tranquilla; tutto stava andando nei migliori dei modi. Sentii l’odore del forno caldo. Entrai in cucina e vidi mamma fare la sua buonissima torta di mele e marmellata di pesche. La cosa migliore era che poi me la mangiavo tutta io.  

“Ciao, Abi. Come è andata oggi?” chiese con voce interessata, mentre tagliava come un razzo le mele a fettine perfette.

“Bene” risposi io, indifferente “Monotono”. La pancia prese il controllo della mente e mi spinse ad immergere il dito nel vasetto della marmellata sul tavolo. Prima che neanche toccasse il vetro la mia mano venne colpita da quella di mia madre che mi spinse ad arretrare.

“Ti aspetta più tardi la torta” mi ammonì lei. Mi sedetti indispettita sulla sedia, in attesa che la mettesse in forno.

Dove andiamo a caccia?” dissi io, con i crampi allo stomaco, per far passare più veloce il tempo.

“Non molto lontano da qua. Tra un poco sarà aperta la caccia all’orso e quindi da queste parti ne sarà pieno. Annuii a me stessa, estasiata. Ora che Victoria si era allontanata potevo finalmente andare con loro.

“Senti mamma” iniziai io, tranquilla. Non mi ero affatto dimenticata della visione. “Papà ha chiamato?” Lei si girò, presa in contropiede. 

“No, è in ospedale. Perché?” 

“È successo qualcosa?” chiesi con il suo stesso tono. Vidi le sue sopracciglia rossicce contrarsi.

“No, assolutamente” disse più preoccupata “Perché me lo chiedi?”

“Alice ha avuto una visione su qualcosa di abbastanza importante. Ma non sono riuscita a capire cosa fosse” confessai io. Lei si girò verso il piano cucina, ancora sospettosa.

“Se riguarda i Volturi, la vampira, te o Bella, o qualcosa che secondo i Cullen è giusto comunicarcelo, ce lo diranno” dedusse lei. Da quando i Cullen erano tornati tra loro e gli Adams si era creata un’alleanza che prevedeva di far fronte ai pericoli imminenti su Forks, che riguardassero me o Bella. Almeno loro…

“Quindi non impensierirti” concluse lei, lanciandomi uno sguardo dolce oltre la spalla. Io mugugnai un’affermazione e mi alzai dalla sedia, decisamente più rincuorata, ma non meno dubbiosa. Se mamma diceva che non era grave, allora non era davvero grave. E poi avrei chiesto domani a scuola spiegazioni al riguardo.

Inoltre se fosse successo qualcosa papà avrebbe sicuramente avvertito. Quindi molto probabilmente lui non aveva sentito niente perché quello che Alice aveva visto non lo riguardava. Il dono di mio padre era abbastanza limitato, anche se molto preciso; i suoi presentimenti e le sue azioni si riferivano solamente agli eventi propri e delle persone che per lui contavano, me e mia madre, in particolare. Forse anche per Alice era simile; non credevo leggesse il futuro di tutta Forks, né di tutta l’America.

“Come va la macchina?” esclamò mia madre. Io mi fermai sulla porta.

“Bene, siamo a buon punto” affermai contenta io.

“Mi fa piacere” mi rispose lei sincera, guardando distratta le mele. Avrei voluto andare a farmi una doccia calda, ma invece rimasi lì. Mi era saltata alla mente una domanda piuttosto curiosa.

Mamma, tu e papà covate pregiudizi nei confronti dei licantropi?” la buttai lì. Lei si girò ancora sospettosa.

Cosa intendi con pregiudizi?” domandò lei.

“Come li consideri, personalmente?” precisai io. Lei non tardò a rispondere.

Sono delle creature alquanto pericolose, organizzate e con un terribile odore. Non mi piacciono per niente” rispose immediatamente, apatica. Io ci rimasi un po’ male. Insomma, cosa mi aspettavo, la prima volta avevano cercato di ucciderli, che idea poteva essersi fatta di loro? Però mi stupii lo stesso il fatto che anche mia madre, come sicuramente mio padre, avesse dei pregiudizi simili. Mi metteva a disagio sapere che i miei pensieri fossero totalmente contrastanti con quelli dei miei genitori. Lei alzò di nuovo la testa.

“Ma tento di non badarci” riprese dolce, come se mi avesse letto nel pensiero. Io le sorrisi. Me ne andai veloce al piano di sopra, di nuovo più tranquilla. In un certo senso con quelle parole mamma mi aveva detto che la considerazione che avevo per i licantropi andava bene. Era stato una specie di permesso concesso per continuare a stare con loro. Come se volesse farmi intendere che era d’accordo della mia amicizia con Jacob.  

 

Il giorno dopo la prima cosa arrivata a scuola fu parlare immediatamente con un Cullen o con Bella riguardo a quello che era successo il giorno prima. Sempre più spesso la mattina prima delle lezioni non riuscivo a incontrare né l’una, né gli altri. Quel giorno però gli avrei incontrati sicuramente prima della pausa pranzo; la prima ora avevo biologia al quinto anno. Entrai veloce in classe, levandomi il cappotto infradiciato. Non vedevo l’ora che l’auto fosse pronta; mi sarei risparmiata inutili bagni con la moto. Mi diressi verso il mio posto, vicino a due piccioncini in fase di corteggiamento. Lui stava delicatamente giocando con le dita della mano di lei. Mi dava le spalle, quindi non potei vedere la sua espressione, ma vidi bene quella di Bella; del tutto persa, troppo anche per godere della vista della creatura più bella. Era uno sguardo decisamente più profondo. Che tuttavia in quel momento potevo capire unicamente io, in quell’aula.

Mi sedetti vicino a Bella. Vidi gli occhi ancora troppo scuri di Edward mantenere il contatto con i suoi ed ignorarmi completamente. Decisi di interrompere quel momento romantico, per rispetto del terzo incomodo maiale blu vicino a loro. Misi la sedia davanti a loro, disturbandoli.

“Buongiorno, piccioncini” salutai io.

“Buongiorno anche a te, Abigail” mi rispose Edward, continuando ad ammirare Bella e sorridendo. Più a lei, che a me.

“Respira” lo sentii poi mormorare tanto lievemente che a stento riuscii a sentirlo. Mi voltai di scatto verso di Bella. Era arrossita di colpo. No, non era imbarazzo. La sua cassa toracica non si muoveva. Improvvisamente riprese ad alzarsi ed abbassarsi e le si ricolorò il viso di un normale rosa pallido. Edward rivolse lentamente la testa verso di me, sempre con quel sorriso sincero. Bella mi rivolse uno sguardo interessato. Io li guardavo confusi. La mia mente ipotizzò le più svariate teorie prima di formulare quella più realistica: dati i personaggi e l’intensità dei loro sguardi, qualcosa mi spinse a credere con fermezza che Bella avesse perso il respiro osservando Edward. Quando si dice bellezza mozzafiato… seppure non si trattasse solo di questo, certo.

Se era realmente così, , un defibrillatore sotto il letto era consigliabile. Edward trattenne una lieve risata. I miei occhi guizzarono da lui a lei, prima di scuotere la testa e lasciar perdere l’argomento.

“Cos’ha visto ieri Alice?” chiesi a bassa voce, coincisa, avvicinandomi a loro un poco. Bella guardò subito Edward, in attesa che fosse lui a parlare. Anche a lei quindi non aveva detto niente; la cosa non mi stupì.

“Niente di cui tu e la tua famiglia vi dobbiate preoccupare” mi rispose subito cortese “Riguarda unicamente noi. Che in breve significa “sono problemi nostri, tu non ci ficcare il naso”. Come l’aveva detto Edward mi piaceva di più però. Io annuii, con ogni mio dubbio risolto.

“Ah, Abi, il prossimo fine settimana io ed Edward non ci saremo” La voce di Bella attirò nuovamente l’attenzione.

“Andremo in Florida” terminò Edward, riappropriandosi della mano di Bella, che ricambiò prendendo l’altra di mano.

“Davvero?” esclamai sorpresa “Voi due insieme? Che romantico…” dissi eccessivamente mielosa, intromettendomi tra loro due accarezzando i dorsi delle loro mani con l’indice. Riuscii farli staccare. 

“Non so quanto sarà romantico, noi due e mia madre” fece lei sarcastica.

“Ah, giusto, in Florida c’è tua madre”

E non hai idea di come ha reagito mio padre” rispose guardando storto Edward, ma sempre con un sorrisino. Immaginavo; sapevo che a Charlie non stava molto simpatico Edward. Per niente. Supponeva quindi che un week-end Bella ed Edward da soli avrebbe voluto sicuramente essere un modo per appassionare la loro relazione o cose simili. Non doveva esserne stato molto contento.

“Il fine giustifica i mezzi” sentenziò lui, con viso d’angelo. Lo guardai storta anch’io, ma senza sorridere.

“Gliel’ha detto lui” disse Bella. Proprio la persona più adatta! Spalancai gli occhi.

“Tu sì che sai come dire le cose!” emisi con sorpresa, forse con un tono di voce troppo alto. “Come mai proprio adesso?”

“I biglietti dell’aereo sono un regalo di compleanno e tra poco non sono più utilizzabili” disse Bella, a tono basso, quasi di malavoglia. Capii che era quel compleanno.

“Ah…” mi limitai a dire io, osservando la mano di Edward che stringeva quella di Bella.

In quel momento il docente entrò. Spostai con discrezione la sedia con le gambe verso il mio posto.

 

 

“Non ho ancora capito perché ogni horror deve sembrare un film vietato ai minori” ammisi, mettendomi in bocca un popcorn.

“Eh… Non ci sono più i film di una volta” sospirò Jacob, vicino a me, con sopra i suoi addominali scolpiti la ciotola di popcorn.

“Come quelli con tanto sangue, urla, vampiri, licantropi e vampiri che danno calci nel sedere ai licantropi” commentai fingendomi seria.

“Io preferisco quelli dove i licantropi prendono a calci i vampiri” rispose a tono. Restammo per un attimo zitti, in attesa che la scena orribile e di poco gusto passasse.

Dopo la scuola ero andata dritta da Jacob, ma entrambi non avevamo molta voglia di lavorare tra motori che non partono e sportelli da riparare. Billy non era a casa; sarebbe stato tutto il pomeriggio a casa di Charlie a vedere una partita di nonsoche. Fu impulsiva l’idea di andare a prendere un film. Non ricordavo bene chi l’avesse proposto, ma chiunque dei due fosse stato avrebbe fatto meglio a tenere la bocca chiusa. Al momento ci era sembrata una buona idea per entrambi, quindi eravamo andati alla videoteca scarsamente fornita di La Push a prendere un film. C’era così poca roba da buttarci nell’horror; non proprio adatto a due con una vita dello stesso genere. Almeno ci saremmo fatti quattro risate.

Ci eravamo sistemati sul divano, troppo piccolo. Abbiamo stabilito dei confini, visto che i licantropi erano tanto bravi a farlo, anche se venivano continuamente violati da Jacob, ovviamente. Con mia grande sfortuna, a metà del film cominciarono a susseguirsi scene non proprio spaventose. Cioè, spaventose, certo, ma non come desideravo io.

Stavo provando un senso di ribrezzo e disgusto; esattamente le sensazioni provocate da un film horror, seppur non fosse tanto horror.

Passarono ben tre minuti e la scena continuava. Jacob vicino a me continuava a mangiare popcorn, apatico. Fui sul punto di sbuffare. Quello era decisamente il film più brutto che avessi mai visto. Vidi un popcorn volare verso di me. L’ennesimo.

“Ma la vuoi smettere?! Non sono un cestino” mi lamentai io, spingendomi verso il bracciolo del divano. L’idea geniale di Jacob era scoprire quanti popcorn potessero rimanere impigliati nei miei capelli. Lui mi ghignò.

“Potresti mettere su un’impresa di cuscini fatti di capelli e sopravvivere con quella senza problemi”

“Pensa ai tuoi di capelli!” esclamai io, tirandogli la coda che aveva, con scarsi risultati di fargli male.

“Aspetta, aspetta, sembra che abbiano finito” disse lui, tornando a mangiare i popcorn. Patetica scusa per sviarmi. Mi sistemai meglio nella mia parte di divano ridotta della metà ed aspettai che quel film si facesse più interessate.  

Quella scena a luci rossi a due invece di finire si trasformò in un quadretto a tre, come se non bastasse. Sospirai profondamente. Che palle. E per fortuna eravamo soli a casa. Basta, quel film mi aveva proprio stufato.

Jacob?” dissi categorica. Lui mugugnò da sotto un pugno di popcorn. “Spegni la tv.” Lui balzò in piedi.

“Questa è decisamente l’idea migliore della giornata” commentò chiudendo quell’obbrobrio alla televisione. Vedere lo schermo nero era decisamente molto più intrattenente.

Tanto per far valere il suo lato stupido, invece che sedersi Jacob pensò bene di buttarsi di peso sul divano. Per sua fortuna non beccò me, che mi scansai in tempo, ma per poco non gli caddi addosso, oltre a rischiare di rompere il divano. Gli lanciai un’esclamazione, prima di rimanere immobilizzata un paio di secondi precisi ad osservarlo sorridermi negli occhi.

“Tu sei strano in questo periodo” commentai seria, ma contenta “Sei troppo felice” Lui decise di mettersi bene a sedere.

“Ho motivo di esserlo” disse allargando quel sorriso. Io pensai subito al peggio. Qualcosa che riguardasse Bella, qualche idea strana che gli era venuta. Mi preoccupai.

“Senti, dimmi un po’” iniziai, senza togliermi quella nota tesa da dosso “Perché l’altro giorno mi hai mandata via in quel modo?” Rispose con un mugugno esasperato, prima di ricominciare ad ingolfarsi di popcorn.

Paul” si limitò lui con la bocca piena.

Cosa c’entra?” Lui inghiottì.

“È bravissimo a rompere le scatole. Era lupo quando noi eravamo insieme. Ha sentito il tuo odore insieme al nostro e si è arrabbiato. Non vuole che tu sappia troppo di noi. È quello a cui stai meno simpatica. Embry mi ha suggerito di portarti via prima che quell’idiota fosse venuto ed avesse fatto una scenata.

“Ah…” esclamai io “Quindi era Embry, Uof” Lui si mise a ridere, facendo cadere anche qualche popcorn.

“Ti odia per questo! Adesso tutti lo sanno e lo chiamano sempre così” esclamò lui. Mi venne da ridere anche a me, anche se non mi piaceva l’idea di inimicarmi licantropi.

“Non se la sarà presa troppo?”

Nah, figurati” rispose lui tranquillizzandomi. Calò per un momento il silenzio, tra lo sgranocchio di popcorn ed alcune molle rotte del divano.

“Senti” iniziai di nuovo seria “Non hai ancora sentito Bella?” Improvvisamente un mio ricciolo mi sembrò davvero interessante e decisi di giocarci un po’. Lui smise di mangiare ed appoggiò la ciotola mezza vuota per terra.

“No” rispose deciso “E poi adesso sarà impegnata per i preparativi del viaggio” La nota di accidia era appena percepibile. In altri casi avrebbe dato il meglio di sé per essere odioso. Adesso c’era piuttosto dispiacere.

“Ah, lo sai anche tu” mormorai io, non sapendo come ribattere.

“Certo che lo so anch’io. Mio padre e suo padre sono amici, ricordi?” sbottò lui questa volta. Si fece improvvisamente serio, pensieroso e terribilmente malinconico. Non c’era più rabbia in lui; gli era passato quel periodo di totale repulsione. Gli avevo cancellato il sorriso e me ne dispiacque molto. Divenni pensierosa anch’io; se quel sorriso non era dovuto pensando a Bella, perché era allora così felice?

“Mi manca” ammise pieno di nostalgia “La voglio vedere” Quest’ultimo sembrava più un ordine detto con furia. Io rimasi zitta. Mi ero promessa di non interferire troppo. Ma si stava facendo più difficile del previsto non impicciarsi, cavolo.

Parlai quasi senza rendermene conto, trascinata e impietosita dalla sua espressione infelice.

“Sai cosa? Potresti farle una sorpresa quando torna” dissi con convinzione “Uno dei giorni della prossima settima puoi presentarti a casa sua il pomeriggio. Charlie ne sarà contento.” Subito dopo però mi venne una grandissima voglia di mangiarmi le mani. Questa era esattamente quello che mi ero promessa di non fare, diamine! Non incitare Jacob nelle sue idee strane. Eppure quei due si dovevano vedere. Questo poi voleva dire andare contro Edward, che aveva torto; motivo in più per farlo.

Lui non rispose, ma mi guardò curioso. Continuava a guardarmi negli occhi, concentrato, come se dovesse cogliere qualcosa dal mio sguardo. Se ne uscì poi con un suono strano ed un’inspiegabile ghigno. Perché Edward sapeva leggere i pensieri ed io no?! Non mi piaceva vedere Jacob pensare in quel modo. Le idee che partoriva erano dannose.

“Ah, giusto, me n’ero dimenticata, tieni” disse improvvisamente cambiando discorso per farlo smettere di pensare. Sgarfai nello zaino vicino al divano, ne tirai fuori i pantaloni grigi e glieli lanciai. Lui li riconobbe subito.

“Ce li avevi tu! Lo sapevo!” urlò lui prendendoli ed osservandoli. Fece un verso di disgusto e li lanciò per terra.

“Odorano di morto!” esclamò lui, riferendosi probabilmente al sublime profumo dei miei genitori.

“L’hai fatto apposta, non è vero?” cercò di dire minaccioso, vanamente. Io alzai le spalle.

“Mi sembrava divertente” dissi stando al gioco e guardandolo con aria di sfida. Lui ricambiò.

Vuoi vedere cos’è davvero divertente?”

Non me ne accorsi neanche. Come una pantera arretrò per poi saltarmi subito addosso. Sprofondai dentro il divano, soffocando sotto il suo grandissimo peso. Cominciò a farmi il solletico ed io a ridere come una stupida. Era decisamente molto più forte di me, quindi non potei fare molto per liberarmi da lui, anche perché se lo avrei fatto mi sarei fatta male io. Rimanevo quindi lì, a sganasciarmi e a sopportare a malapena.

Aha! Allora soffri il solletico!” dedusse lui, incoraggiato dalla mia reazione a continuare.

“Sì, ti prego, basta!” Ecco, mi ero abbassata a supplicare un licantropo.

“Aspetta, voglio sentirti implorarmi ancora un po’!” mi rispose lui, continuando e continuando ancora.

 

 

Non passò molto prima che arrivasse il fine settimana. Mi alzai abbastanza presto sabato, euforica. Mi vestii e mi accessoriai dei miei “strumenti da caccia” senza perder tempo. Balzai sulla schiena di papà e ci dirigemmo subito fuori Forks.

Mi scaricarono non molto lontano dalla zona prestabilita, in modo che anch’io potessi godermi il viaggio correndo.

Non era lo stesso percorso che avevo affrontato la volta scorsa, ma era piuttosto simile; stesse rocce umide e scivolose per il muschio, erba bagnata per la pioggia, alte betulle ed abeti che oscuravano la foresta. Riuscii pertanto ad orientarmi bene ed ad andare veloce. Papà non si lamentò neppure una volta. Lui e mamma saltavano agili, come sempre sugli alberi, che sorvolavano con grandi salti.

“Tutto apposto?” Papà era comparso all’improvviso vicino a me. Non stava correndo, stava camminando veloce. Io invece correvo come una disperata. Odiavo quando faceva così. Mi faceva sentire una tartaruga. Per questo ero stata io stessa a ben consigliare ai miei genitori di stare in alto. Almeno così non avrei visto il confronto in modo diretto. A mio padre però quando era in vena piaceva farmi sentire una schiappa. Io non risposi e cercai di risparmiare fiato. Senza neanche ragionare cominciai ad andare più veloce. Mio padre se ne accorse.

“Stai forse cercando di superarmi?” esclamò senza il minimo di esitazione. Io invece se avessi parlato sarei morta. Lui continuava a mantenere quel passo, nonostante i miei sforzi.

“Lo sai che diventa competitiva. Non stuzzicarla” urlò mamma da su, in modo che sentissi anch’io. Io non le diedi più di tanto retta e continuai a correre con tutta me stessa.

“Tanto non ce la fai” commentò in una risata papà. Sembrò che invece di andare più veloce rallentasse ancora di più, tenendomi però sempre testa. Le gambe cominciarono a farmi male e presto avrei dovuto rallentare. Lo presi in contropiede e prima di fermarmi gli saltai addosso. Lui mi accolse in un abbraccio con una risata. Mi prese il fiatone e cominciai a respirare affannosamente; non riuscivo neanche a parlare.

“Sei diventata più veloce, sai?” mormorò lui nell’orecchio, facendomi il solletico con il fiato “Ma meno imprevedibile.”

Mi girai verso di lui e gli leccai la guancia. Lui si lamentò schifato.

“Mi correggo, scusa, sei migliorata anche in questo” borbottò scontento. Soddisfatta, mi lasciai portare in braccio mentre papà ricominciava a correre.

Mi tornò alla mente ancora una volta quanto poteva essere diverso lo stesso viaggio in groppa ad un licantropo. , ad un licantropo non avrei mai leccato una guancia. Passarono pochi minuti prima che papà si fermasse e mi mettesse giù.

“Noi andiamo” disse mia madre “Fai quello che fai sempre.

“Ricevuto” affermai convinta, ormai con i polmoni di nuovo piedi. Diedi loro le spalle e mi distanziai.

Mi immersi nel verde della foresta. Mi limitai ad una corsa leggera, mentre cercavo di non scivolare sull’erba e sulle rocce bagnate. Per quel giorno Alice aveva previsto sereno ed aveva avuto assolutamente ragione. Faceva poi anche abbastanza caldo ed il fresco venticello della mattina metteva i brividi a contatto con il sudore. Speravo solo di non ammalarmi.

Mi fermai un momento per riposare alcuni minuti e mettermi una felpa addosso. Mi misi seduta su un ammasso di pietre molto probabilmente creato da qualche cacciatore. Non avevo la minima idea di dove mi trovassi, neanche vaga. Mi ero totalmente persa, come succedeva sempre e come piaceva me. Correre verso una meta che non si conosceva, vivere il viaggio per quello che era; questo era un altro dei motivi per cui mi piaceva correre nei boschi, come fosse una specie di terapia spirituale. Ed in effetti mi faceva sentire bene, mi rilassava completamente, mi tranquillizzava e contemporaneamente mi sentivo intraprendente. Se poi c’era la certezza assoluta che questa volta nessun licantropo mi sarebbe balzato addosso, andava ancora meglio. Mi rifeci la coda ai capelli e tornai a correre. L’atmosfera nell’aria era quasi ultraterrena. Niente rumori e chiasso della città, solo i suoni della foresta che richiamavano una realtà diversa, lontana nel tempo, quando l’uomo viveva ancora nella natura. Ero riuscita a riscoprire il vero silenzio standomene nei boschi. Sentivo solo i miei piedi che correvano, il mio fiato e il cinguettio degli uccelli. Era primavera inoltrata, era incominciata la stagione degli amori. Quindi l’aria era piena di uccellini in via di corteggiamento che non facevano altro che cinguettare, cinguettare ed ancora cinguettare finché non avevano trovato quello che cercavano; un uccellino maschio o femmina della stessa specie. Se io fossi stata un uccello, sarei stata sicuramente un dodo, l’ultimo sulla terra. Buffo, basso, tanto sfigato che non sapeva neanche volare. E per questo nessun altro dodo mi avrebbe mai corteggiato. Un dodo tanto sfigato che si era innamorato di un falco, il quale era altrettanto sfigato, perché si era innamorato di un cigno, perdutamente innamorato di un’aquila reale. Ma dopotutto per quanto simpatico, vivace, scapestrato fosse questo dodo quante possibilità aveva di riuscire a conquistare un possente e stupido falco?

Pensando a questi argomenti divenni più intollerante ai pigolii intorno a me. Cominciarono ad innervosirmi parecchio. Desideravo vivamente che smettessero. Senza farlo a posta i cinguettii smisero realmente. Mi sentii subito soddisfatta ed allibita per il tempismo.

Tornai improvvisamente seria e smisi di correre. Scherzi a parte, era davvero strano che avessero smesso in questo modo, tutti insieme. Ora che anch’io mi ero fermata il silenzio era totale ed opprimente. Cominciai ad innervosirmi; qualcosa non andava.

Poi qualcosa di pesante e forte mi travolse e mi spiaccicò al terreno. Sentii il collo lacerarsi, seguito immediatamente da una bruciatura, come se qualcuno mi avesse messo un tizzone ardente sul collo. Solo allora venni completamente attanagliata dalla paura di non sapere cosa stesse succedendo e da uno strano dolore. Era simile all’aceto su una ferita, solo che lo sentivo nascere e diffondersi da dentro. Usai il fiato che avevo conservato per correre per gridare forte, strizzando gli occhi. Mi sentivo bruciare, ma avevo anche freddo. Rimasi immobile, spaventata, terrorizzata, sperduta.

Il freddo passò quasi subito, ma non il bruciore, anzi, quello sembrava aumentare ancora di più. Di conseguenza, anche il tono della mia voce aumentò. Nella mia testa c’era solo la mia voce che gridava. Improvvisamente se ne andò poi anche il bruciore. Smisi di gridare per il sollievo, con gli occhi ancora chiusi. Non avevo ancora la benché minima idea di quello che era appena successo. Cominciai a respirare affannosamente. La testa mi faceva male, continuavo ad essere confusa e spaventata, ma mi sentivo bene almeno. Il ronzio nella mia testa venne interrotto da un suono.

Abigail, stai bene?” La voce di mia mamma, anche se roca, rimaneva la più bella di tutte. Aprii gli occhi. Le palpebre erano pesantissime e feci uno sforzo immenso per tenerle aperte. Riuscii a vedere il viso di mia madre. Era sfuocato, ma era lui.

Abi, riesci a sentirmi?” disse, la voce in preda al panico. I suoi occhi risplendevano dorati. Volli risponderle, ma mi mancò la forza. Richiusi immediatamente gli occhi.

Abigail, no! Non chiudere gli occhi” Mi sentivo sfibrata di ogni particella di energia nel mio corpo. Non avevo forza per parlare, né per tenere gli occhi aperti, né per ascoltare. Neppure per sentire i latrati ed i ringhi attorno a me.

 

Non mi sentivo molto bene. Cioè, non mi sentivo proprio. Non riuscivo a prendere possesso del mio corpo, a muoverlo, a sentirlo. Non ero più in lui. Per lo meno, così era all’inizio. Mi cominciai a svegliare molto lentamente. Molto probabilmente fu un irritante, forte beep a svegliarmi. Mi entrava in testa e la spaccava. Aprii lentamente le palpebre, credendo che fossero diventate pesanti. Invece si dimostrarono più leggere di quanto pensassi. Un’accecante luce mi obbligò a sbattere le ciglia più di una volta. Vedevo ancora tutto offuscato, ma sentii chiaramente un tocco leggero sfiorarmi la testa.

“Ehi, tesoro, come stai?” Era di nuovo la sua dolce voce. Era straordinariamente vicina. Riaprii gli occhi, per osservare il suo viso. Da sfuocato che era si fece sempre più chiaro e luminoso. Era uno spettacolo vedere il suo sorriso perfetto, che le alzava gli zigomi, e lo sguardo brillante e felice. Fui tanto felice di vederlo che mi venne da piangere, senza un motivo preciso. Cercai di trattenere il groppo in gola, mentre gli occhi si facevano umidi.

“Certo che sta bene. È fortissima.”

Mio padre era vicino a mia madre, avvicinò la sua mano alla mia e me la prese. Sorrisi involontariamente. Mi misi a sedere, da distesa che ero. La testa mi girò subito, quindi la tenni bassa per qualche secondo. Quando la rialzai non girava più e mi sentivo completamente lucida. Tornai a rivolgere uno sguardo ai miei genitori, che non si erano mossi, né avevano cambiato espressione. Ero incredibilmente felice di vederli lì, ma anche terribilmente confusa. Mi guardai intorno; mi trovavo in una piccola stanza con le pareti bianche, le finestre coperte da leggere tende dello stesso colore. Era pressoché spoglia, se non per un piccolo tavolino, un armadio ed un letto, su cui c’ero distesa io. Mi drizzai ancora di più e guardai con aria schifata la camicia, maglia, cosa che avevo addosso. Come quella di un… Di nuovo quel fastidiosissimo beep. Mi girai alla mia sinistra e lo vidi. Era un elettrocardiogramma che faceva quel rumore. Vicino a lui una flebo scendeva da un sacchetto di plastica pieno di acqua. Poi mi accorsi che la flebo ed i cavi dell’elettrocardiogramma erano legati a me. Ero in un ospedale. Mi volsi curiosa verso i miei genitori. Ora avevano cambiato espressione. Erano tesi, soprattutto mia madre.

Cosa è successo?” chiesi tesa anch’io e terribilmente roca, ma soprattutto terribilmente spaventata. Mi ricordavo benissimo quella strana sensazione di bruciore, che non sapevo bene come classificare. Mio padre si girò ed andò a chiudere al porta di quella stanza a chiave. Indossava il suo camice bianco. Solamente quando sentì il rumore della serratura mia madre parlò.

“Victoria ti ha morsa, Abi.” La sua voce era un lieve mormorio. “Non hai idea di quanto ci sentiamo colpevoli” mormorò ancora più piano, mentre il suo viso si trasformò in una maschera di tristezza.

Io sobbalzai e spalancai gli occhi. Eh? No, non era possibile. Mi portai veloce la mano sul collo, proprio dove avevo sentito il bruciore. Venni inondata dai brividi quando le sentii. Le percorsi piano con la punta delle dita e subito le ritrassi spaventata. Due fredde cicatrici a forma di semicerchio a destra del mio collo.

In uno scatto mi guardai subito le mani. Erano sempre uguali, dello stesso colore scuro. Niente a che fare con le dita bianche ed affusolate dei miei genitori. Mi risollevai dall’improvviso pensiero che avevo avuto; non ero un vampiro. Mi rassicurai del tutto; i miei genitori mi avevano salvata. Sì, mia madre era lì perché mi aveva salvata. Ma… come?  E soprattutto Victoria come era riuscita a mordermi? Non se n’era andata da Forks? Ancora non riuscivo a capire cosa fosse accaduto.

Li osservai attentamente. Se avesse potuto mia madre si sarebbe messa a piangere ed il viso sempre spensierato di mio padre ora era irriconoscibile. Odiavo vederli così.

“Cos’è successo?” ripetei, questa volta più sicura. “Com’è potuto succedere? Perché papà non è riuscita a prevederlo?”

“Sì, ci sono riuscito. Ma non in tempo” Era disperato e terribilmente in colpa. “Non era stata una sua decisione predefinita. È stata un’azione improvvisata” La sua voce divenne più roca della mia. Io li guardai spiazzata.

Se sei arrabbiata, furiosa con noi per quello che è successo, hai assolutamente ragione. È tutta colpa nostra” aggiunse mio padre nello stesso tono.

“Ma voi mi avete salvata!” Sentii le fredde mani di mia madre prendermi il viso. Mi obbligò a guardarla in faccia. Mi guardava seria con due occhi ardenti che non avevo mai visto su di lei.

Abi.” Benché fosse un sussurro fu incredibilmente chiaro e sicuro. Suonava quasi minaccioso.  

“Ti prometto” sillabò lentamente “che non ti succederà mai niente del genere d’ora in poi. Mai. Dovessi morire.”

Io la guardai confusa e spaventata. Non avevo mai visto mia mamma così protettiva, non a questi livelli. Capii che non era semplicemente mia mamma quella che avevo davanti. In quel momento era soprattutto un vampiro, che voleva proteggere a tutto i costi quello che aveva di più caro. Mi sentii malsanamente confortata. Il secondo dopo sentii le sue braccia circondarmi lentamente.

“Ci dispiace ancora così tanto” Riacquistò il tono di poco prima. Sentii papà baciare il palmo della mia mano. Sospirai cercando di trattenere le lacrime. No, basta, ne avevo abbastanza dei loro sensi di colpa. Cercai di camuffare un nuovo sospiro in uno sbuffo.

“Possiamo saltare queste scenate così mi dite con esattezza cos’è successo?” dissi con un sorriso appena accennato, per cercare di sdrammatizzare. Quando mamma si staccò da me vidi un sorriso amaro incorniciarle il viso. Si sedette su una sedia vicina, mentre mio padre si accomodò sul mio letto, accarezzandomi la testa con una mano. Mi sentivo meglio anch’io ora che avevano cambiato entrambi espressione; mi guardavano come se fossi il loro gioiello più prezioso. Io d’altronde non riuscivo ancora a rendermi bene conto di quello che era successo.

“Questa volta saprai tutto, Abi” mi rispose mamma, solo leggermente più calma. Fu mio padre a parlare, cercando di usare tutta l’obiettività che gli rimaneva.

“Sai che Victoria si era allontanata da Forks, vero?” Il suo tono era quasi serio. Io annuii decisa, sperando che diventasse anche lui più sicuro.

“Bene. Carlisle è stato in grado di darci un resoconto dettagliato di quello che è successo. Questa mattina mentre noi eravamo a caccia si è nuovamente avvicinata di molto a Forks. Alice però è riuscita a vederla, quindi i Cullen si sono subito mossi, ma non sono riusciti a prenderla; quella vampira ha una vera predisposizione speciale per la fuga. Sfortunatamente si è allontanata lungo i confini di La Push.” Io aggrottai subito le sopracciglia. Immaginavo già quello che era successo.

“Ovviamente c’erano anche i licantropi e sono nate alcune incongruenze che hanno impedito sia ai Cullen, che a loro di continuare la caccia. Uno dei licantropi ha tentato di attaccare uno di noi, credendo che avesse superato il confine. Ognuno quindi ha lasciato perdere Victoria per difendere il proprio gruppo.” Prima ancora di aprire bocca lui continuò.

“Non è poi successo niente. Uno dei figli di Carlisle riesce a manipolare le emozioni ed è riuscito a calmare le acque, insieme all’intervento di Carlisle stesso, che ha parlato con il capo branco.

Un fratello di Edward era in grado di manipolare le emozioni?! Che figata! Non ne sapevo niente. Non espressi in ogni modo il mio entusiasmo, per evitare di interrompere il racconto di mio padre.

“Victoria però si era già fatta lontana. Si è avventurata a nord, verso di noi e ha sentito il tuo odore. Alice ha previsto l’intenzione di Victoria di attaccarti nello stesso momento in cui io ho avuto un brutto presentimento. Un orribile presentimento.” La sua voce si voce terribilmente pesata e greve sull’ultima frase. Mamma mise una mano sulla spalla a papà, che la sfiorò con le sue dita.

“Io e tua madre ci precipitammo da te, mentre da sud giungevano anche i Cullen, seguiti dai licantropi.” Papà si interruppe di nuovo.

“Nessuno dei tre sfortunatamente è giunto in tempo.” Fu mamma a parlare, con voce più sicura di mio padre, con mia sorpresa.

“Sentii la tua paura” continuò, guardando a testa bassa un punto indefinito “Ed esattamente come l’ultima volta, mi fiondai da te. Riuscii a fermarla prima che…” si fermò tentennante. Aveva una stranissima voce, quasi inquietante. Mamma non aveva mai parlato con quel tono e mi fece piuttosto paura  “…prima che ti uccidesse. Ed avrei potuto ucciderla, se non fossi stata tu la priorità più grande. Posò lo sguardo nei miei occhi, con espressione indecifrabile.

“Tua madre ha succhiato il veleno dal tuo corpo ed è riuscita a salvarti” concluse papà, con la voce decisa.

“Solo dopo arrivai io, i licantropi ed i Cullen. Tua madre ha agito con una rapidità, una forza ed un autocontrollo incredibili” disse con una nota di venerazione nella voce. “Cercammo di rianimarti sul momento, ma eri troppo provata. Abbiamo dovuto portarti immediatamente in ospedale.

Io rimasi totalmente allibita. Quello che mi era successo era stata davvero questione di secondi. Neanche un minuto. E mamma era riuscita a scacciare Victoria e a… succhiarmi il sangue. Proprio come Edward aveva fatto con Bella tempo fa. Sapevo che l’odore del mio sangue non le aveva mai sorprendentemente fatto niente, ma il sapore... Credevo che almeno quello provocasse qualcosa. Invece niente. Riusciva a sopportare tutto di me. Mi confusi terribilmente. Non sarebbe successo lo stesso con papà, seppur anche con lui avessi uno speciale legame. Anche per lo stesso Edward non era stata affatto una passeggiata. Era davvero troppo strano e curioso il comportamento di mia madre nei miei confronti.

“Siamo rimasti a dir poco terrorizzati per quello che è successo” riprese mamma greve “Sia noi, che i Cullen. Non pensavamo che poteste, tu o Bella, rimanere coinvolte in questo modo.

, per fortuna Bella non c’era, era in Florida. Avrebbe potuto succedere a lei e non a me, chi lo sa. Comunque, non credevo che Victoria mi avrebbe attaccata, se non fossi stata nel luogo sbagliato al momento sbagliato. Ma… era stata realmente una fortuna, che Bella se ne fosse andata? I Cullen conoscevano le mosse di Victoria... E se il viaggio in Florida fosse stato tutto programmato per questa evenienza da quell’ossessivo compulsivo di Edward? Non era da scartare come opzione.

“D’ora in poi penseremo a proteggerti in ogni modo, finché questa storia non sarà finita” disse categorico papà. Lo guardai sorpresa per quel tono inappropriato su di lui. “Torneremo ad abitare a casa Cullen.” Ora fui realmente sorpresa.

E… e i Cullen?” chiesi sbalordita, come primo pensiero.

“Andremo a vivere con loro” chiarì mamma seria. Io spalancai la bocca. Saremmo andati a vivere con i Cullen?! Guardai prima mia madre, poi mio padre. Erano terribilmente seri; non stavano scherzando.

Non aveva senso. Si erano fatti prender dal panico, dovevo immaginarlo. Ora credevo che stessero esagerando tutti e due.

Ma… perché?” sbottai ancora sorpresa io “Non… non c’è motivo. Victoria non vuole me! Vuole Bella!”

“Su questo ti sbagli” disse, in un tono leggermente più basso, mamma. Io suoi occhi penetranti mi stavano fissando “Vuole anche te” Io mi confusi ancora di più.

Perché?” sussurrai smarrita. Intervenne mio padre, con la stessa serietà di mamma.

“Nel tentativo di allontanare Victoria da te, tua madre le ha staccato il braccio destro e gran parte dei capelli, con la sola forza delle mani. Io rimasi ancora zitta, solamente più impressionata. Non riuscii a immaginarmi mia madre mentre strappa via il braccio di un altro vampiro.

“Le vampire solitamente sono gelose del proprio corpo; non può cambiare e se viene sfigurato rimarrà tale per l’eternità” continuò mio padre. Ne sapevo qualcosa; non mi ero dimenticata dello sfregio di mio padre.

“Tua madre le ha strappato metà dei capelli. Tu sai che ai vampiri non ricrescono. La sua bellezza quindi è rovinata per sempre. Io rimasi ancora zitta, non capendo ancora cosa diamine c’entrassero i suoi capelli con me. 

“È logico intuire che stia covando un grande odio verso tua madre per quello che le ha fatto.” Bene, adesso questa psicopatica ce l’aveva anche con mia madre.

Ma è infuriata con mamma, non con me” dissi in un filo di voce, ancora confusa.

“Ma è molto più probabile che attacchi te. Ha capito che stavo proteggendo te, che sei importante per me” s’intromise mamma. “È molto più facile attaccare un’umana, che una vampira, Abi.

Ora avevo capito. Tutto questo era totalmente assurdo, ma assolutamente possibile. Lo stesso vampiro che aveva deciso di vendicarsi del proprio compagno, uccidendo il compagno dell’uccisore, non avrebbe avuto problemi ad uccidere ciò che colei che le aveva strappato braccio e capelli considerasse importante. Compagno per compagno, cosa importante per cosa importante. Anche se mi dava un leggero fastidio essere paragonata a un po’ di capelli e a un braccio. Quella vampira era una vera psicopatica.

Così, anch’io ero entrata nel suo elenco di cose da fare, insieme a Bella. Ora non era l’unica ad essere cacciata da una vampira. Non mi sentivo però agitata tanto quanto i miei genitori. Ora comprendevo anche la loro ansia e la loro irrevocabile decisione. Improvvisamente l’idea di stare a casa da sola, lontana trenta minuti da Forks, mentre molto probabilmente un vampiro mi dava la caccia, non mi piacque per niente. Avevo però ancora qualche dubbio sul trasferimento a casa Cullen.

“Non credete che la mia presenza darebbe loro qualche fastidio?” Mi venne automatico pensare a quello che era successo al compleanno di Bella. Avrei creato tantissimi disagi agli abitanti di quella casa e non volevo essere un peso per nessuno.

“Di questo non ti devi preoccupare” La voce di papà era tornata calma e razionale “Ne abbiamo discusso con loro; è vero, alcuni membri della famiglia sono particolarmente sensibili all’odore del sangue. Sono stati tuttavia queste stesse persone a garantirci che hanno superato parte di questi problemi e che non ti succederà niente.”

E se per sbaglio mi taglio?” dissi, richiamando una situazione già vissuta dai Cullen. Gli spuntò un piccolo sorriso.

“Sono sicuro che non succederà.” Mi fece poi l’occhiolino. Ah… avevo capito dove veniva fuori questa trovata. Il potere di mio padre gli diceva che la cosa giusta era andare a vivere dai Cullen. Mia madre prese la mia mano.

“Sarà solo una situazione temporanea, Abi. Finché questa storia non sarà finita” disse dolce, di nuovo con un sorriso “È grande come casa, non ci saranno problemi di spazio. Inoltre è molto più vicina a Forks.” Guardai attentamente prima mio padre, poi mia madre. Non avevo ben capito se potevo scegliere o era già tutto deciso. Sospirai profondamente.

Quando ci traslochiamo?”

“Già fatto” mi comunicò mia mamma con un sorriso. Ah… non avevo scelta. Sarei andata subito a vivere con altri sette vampiri. Riflettendoci però la cosa non mi sembrava tragica; avrei fatto quello che facevo sempre, quando abitavamo là. Più ci pensavo, più accettavo l’idea.

“Tu come ti senti adesso?” disse mamma, sfiorando la guancia con la mano. Io annuii sincera. Mio padre si avvicinò e mi tolse in un attimo la flebo dalla vena.

“Cominciamo col togliere questo.” Prese i cavi collegati all’elettrocardiogramma e tolse anche quelli “E questi; non ne hai più bisogno. Riesci a camminare?”

Mi tolsi le coperte e mi misi in piedi. Fui per un attimo disgustata dal colore della camicia che indossavo, ma per il resto stavo bene. Guardai mio padre ed annuii convinta. Mi sentivo realmente bene. Mio padre prese la cartella allegata al letto e la firmò con uno svolazzo, mentre mia madre si alzava dalla sedia su cui era seduta.

“È ufficialmente dimessa, signorina Adams” comunicò con il suo sorriso da testimonial di dentifricio.

“Ricevuto, zio” risposi a tono per prenderlo in giro.

“Ti aspettiamo fuori mentre tu ti cambi” disse mia madre, uscendo dalla porta insieme a mio padre.

Mi tolsi immediatamente quella cosa che avevo addosso e mi vestii con i miei vestiti messi sulla sedia. Per curiosità scostai poi la finestra della piccola camera. Eravamo all’ospedale di Forks. Il cielo si era fatto improvvisamente nuvoloso. Strano, non era così quella mattina. Il tempo era cambiato così velocemente? Mi girai di scatto in cerca di un orologio. Sul soffitto ne vedi appeso uno. Era mattina tardi. A me però interessava il giorno. In basso a destra, vicino al quattro, spuntava un rettangolino che segnava i giorni. Caspita! Avevo dormito un giorno! Credevo decisamente molto di meno.

Prima di uscire dalla porta afferrai curiosa la cartellina sopra il mio letto. Alla voce sintomi c’era scritto svenimento dovuto ad intossicamento. Bhè, almeno erano stati sinceri.    

Raggiunsi i miei genitori ed uscimmo dall’ospedale. Il tragitto dalla stanza dell’ospedale alla Lamborghini di mio padre fu abbastanza divertente. I colleghi di mio padre lo salutavano passando senza alcun problema. Le colleghe, invece, arrossivano come pomodori maturi ed alcune neanche lo facevano, per la presenza di mamma vicino. Loro vicino a me facevano finta di niente. O così sembrava. Era davvero duro il lavoro di mio padre in queste condizioni. Tutti ci lanciavano occhiate stupite. Si domandavano sicuramente cosa ci facesse tutta la famiglia Adams riunita nell’ospedale. Visto che quella era una piccola e pettegola città, non credevo dovesse passare molto tempo prima che la voce del mio “svenimento dovuto ad intossicamento” fosse nota a tutti. Finita la passerella salimmo in auto.

Mio padre partì spedito verso casa Cullen, supposi. Ebbi un piccolo dejà-vu, seduta sul sedile posteriore. Mi ricordai improvvisamente del primo giorno qua a Forks. Il tempo non era così brutto, però. Ripensai a quanto avevo detestato quella casa quando l’avevo vista per la prima volta. E poi il primo giorno di scuola. Era stato il primo giorno di scuola più emozionante e, lo confesso, bello che avessi mai avuto. Da quel giorno era cominciata un’esistenza movimentata piena di sconvolgenti scoperte. Avevo incontrato Bella, ero venuta a sapere dei Cullen, più tardi Victoria e poi i licantropi. Già, i licantropi; gli esseri umani e non, più strani che avessi mai visto. Nonostante il primo terrificante incontro, dovevo ora ammettere che erano loro la sorpresa più grande che avevo ricevuto da questa città. Sobbalzai all’improvviso. Oh, cavolo! I licantropi!

“E i licantropi?!” esclamai in uno scatto, facendo spaventare mamma davanti di me. “Come… come hanno reagito? C’erano anche loro, no? Sanno che Victoria ora vuole anche me?” Mi immaginavo già il peggio: io svenuta per terra con mia madre vicina. Conoscendoli avrebbero perso subito il controllo, credendo malsanamente che magari fosse stata lei a cercarmi di uccidermi! Non aveva alcun senso, ma appunto per questo ero sicura che lo pensassero.

“Sì, lo sanno. E sì, si sono allarmati anche loro, ma non hanno attaccato, né noi, né i Cullen. Si sono tenuti alla larga, a osservarci, aspettando che facessimo un passo sbagliato con te, mentre cercavamo di farti riprendere i sensi” mi rispose papà, sorpreso anche lui dal mio spavento. Era ovvio, appena ero certa di aver capito un minimo della loro logica, ecco a far tutto l’opposto. Almeno ero felice che non avessero attaccato come prima reazione.

“Ad eccezione di uno, che non smetteva di dimenarsi” esclamò mamma, un po’ stizzita. Oh… non serviva che le chiedessi di che colore aveva il pelo. “Neanche i suoi compagni sono riusciti a tenerlo fermo. Sai chi è?” fece lei curiosa.

“Sì” risposi di malavoglia. Mi misi una mano sulla fronte, scuotendo la testa. Non lo avrei mai ammesso, ma ero felicissima che Jacob si fosse preoccupato così per me. Cercai di trattenere un sorrisino. Appena avrei potuto, lo avrei come minimo dovuto chiamare.

“Si stava preoccupando molto per te” mugugnò mio padre, sospettoso. Mia madre non commentò ed io rimasi zitta, non avendo nulla da dire. Mamma appoggiava la mia amicizia con i licantropi, ma papà? Voleva che mi limitassi ad andare a La Push e basta? Andare a La Push per dimostrare di star bene era una cosa, stringere amicizia con i licantropi era un’altra. 

Era importante per me il giudizio dei miei genitori sulle compagnie da frequentare. In questo caso, giudizio era una parola grossa. Approvazione andava meglio.

Tempo solo dieci minuti ed eravamo già giunti a casa Cullen. Pardon, casa nostra. Mi sembrava così strano vederla di nuovo. Anzi, fu strano; era come la prima volta. Avevo imparato che “casa nuova” era uguale a “vita nuova”. Questo poteva essere adattato anche in questa situazione, seppure la casa non fosse nuova.

“I Cullen sono desiderosi di conoscerti” disse mamma. Era positivo; da quando ero tornata da Volterra ne avevo visti solo tre. Non capii mai appieno il motivo per cui i miei genitori non me li fecero mai presentare prima. Forse gli davo fastidio, essendo un essere umano. Sarebbe però del tutto contrario a quello che stava succedendo ora.

Entrammo nel solito bianco salotto. Sembrava appartenere ad una casa del tutto diversa da quella dove mi ero trasferita. Per iniziare, nessun tappeto persiano a terra. I muri erano tornati bianchi e alle pareti c’erano bei quadri mai visti prima. Ma soprattutto, quando c’ero io, non c’erano sei vampiri sconosciuti che mi fissavano.

Li guardai per un momento sorpresa. Non avevo mai visto così tanti vampiri non disposti a mangiarmi fino ad ora. Erano poi tutti così simili; lo stesso sguardo, gli stessi lineamenti perfetti. A guardali bene sembravano davvero imparentati e la copertura dell’adozione un po’ vacillava. Notai subito Alice. Anzi, la sentii subito; senza che me ne accorgessi mi abbracciò, facendo attenzione a non stringermi troppo.

“Ciao Abigail” disse guardandomi poi con i suoi occhioni dorati, molto più grandi da quella distanza. “Benvenuta a casa nostra.” Questo sì che era un benvenuto. Si scostò da me, in modo da presentarmi anche gli altri componenti della famiglia.

“Lei è Esme.”

Con il gesto di un indice, che per un attimo mi sembrò il tocco della bacchetta di una fata, mi indicò la vampira vicino a Carlisle. Doveva essere la sua compagna, quella di cui non mi ricordavo il nome. Era più vecchia di Alice, ma non troppo. Tra lei ed Alice ci doveva essere più o meno la stessa differenza di età tra me e mia madre. Aveva dei voluminosi capelli castano rossastri e per un attimo mi domandai come facessero a non essere crespi. Mi sfoderò un sorriso e si avvicinò cautamente a me. Mi porse educatamente una mano, che io, presa alla sprovvista, tentennai prima di stringere.

“Piacere di conoscerti, Abigail. Siamo felici di ospitarti in casa nostra” disse quasi commossa.

Tra tutti i vampiri lì presenti ad un primo acchito fu quella che mi spaventò di più: aveva un modo di fare, un sorriso, un tono di voce, identico a quello di mia madre. Sembrava essere una fotocopia non venuta male, ma diversa di mia mamma. Come una gemella. Non capii davvero perché mi diede questa inquietante sensazione.

Carlisle lo conosci già” continuò Alice.

“Ci fa piacere sapere che stai bene” disse, mentre una linea sinuosa di preoccupazione si incastonò silenziosa nella sua bianca fronte. Io mi limitai a rispondere con un sorriso. I miei occhi poi scattarono più a sinistra, sulla figura più imponente delle sei. Mi ricordava molto Jacob, per quanto riguardava la corporatura. Era davvero grosso. I vampiri erano già forti di loro, lui però sembrava esserlo il doppio. Avrebbe potuto incutere una certa paura se non fosse stato per quel suo sorriso. Era il sorriso più simpatico e spiritoso che avessi mai visto, amplificato dalla cascata di riccioli neri e giocosi che aveva in testa. Purtroppo primo anche rispetto a quello di Jacob. Mi fece immediatamente una buonissima impressione. Alzò una mano in segno di saluto, come fanno gli indiani per salutare, mentre diconoaugh”. Oh… questo era già il terzo paragone che facevo con Jacob. Io gli risposi portandomi l’indice ed il medio della mano destra sulla fronte, imitando il saluto della marina. Lui sfoderò la sua dentatura perlacea.

“Loro sono Emmett e Rosalie.”

Non mi ero dimenticata di lei, della vampira che si trovava vicina ad Emmett. Anzi, fu la prima che attirò la mia attenzione, in realtà. Mi mise subito una grandissima soggezione, che però passò subito. Era la vampira più bella che avessi mai visto. Bionda, un fisico, bhè, perfetto era forse poco, labbra carnose. Sembrava una Barbie pallida. Portava però con eleganza quella sua bellezza; non la vendeva con il suo atteggiamento. Insomma, niente a che fare con quelle galline strafirmate. Soprattutto perché non mi guardava con altezzosità, né con disgusto, ma con curiosità. Cioè, tutti appena entrata mi avevano rivolto uno sguardo curioso. Quello degli altri però non durò che alcuni secondi.

E lui è Jasper.” Alice svolazzò accanto a Rosalie, sorpassandola. Si avvicinò ad un vampiro vicino alla bionda, ma distante a sufficienza da non notarlo. Gli prese la mano e lo fece avanzare di qualche passo. La prima persona che mi venne in mente vedendolo fu un attore famoso. Anche lui era molto bello, ma non mi fece lo stesso effetto di Emmett. Anzi, forse il contrario. Mi trasmise… tristezza. Se ogni persona fosse collegata a un colore, per lui sarebbe il grigio. Mi fece un piccolo sorrisino quasi impercettibile come saluto. Faceva un grandissimo contrasto con la giocosità di Alice. Sembrava essere teso, infastidito. A quel punto mi fu facile dedurre che, tra i due, il fratello che tentò di uccidere Bella fosse lui.

Mi arrabbiai subito. I miei genitori avevano detto che non c’era alcun problema, tanto non avrei infastidito nessuno. Bhè, non mi sembrava che proprio tutti…

Perché sei arrabbiata?” chiese sorpreso Jasper. La sua tensione ora aveva lasciato posto alla sorpresa. Io lo guardai confusa, aprii bocca quando mi ricordai che probabilmente era lui che sapeva controllare le emozioni. La richiusi subito quando non seppi cosa rispondere. Mi accorsi poi che tutti i vampiri di quella stanza mi stavano osservando. Oh. Che figura di…

“Non sono arrabbiata” biascicai in imbarazzo…. e dai! Come poteva essere credibile Non sono arrabbiata ad uno che sapeva leggermi le emozioni?! Schifo, schifo, schifo, schifo! Jasper mi lanciò un’occhiataccia. La situazione però venne salvata in tempo da Alice. Si avvicinò in un soffio a me e mi prese per mano.

“Ti faccio vedere la tua camera, Abigail” mi condusse veloce verso le scale. Non ebbi il tempo di vedere in faccia nessuno. Facemmo veloce le tre rampe. Al terzo piano ce n’era una che non ricordavo. Il che era grave, visto che la mia camera si trovava al terzo piano una volta. Portava ad un ulteriore quarto piano. C’era un quarto piano? Avevano restaurato ultimamente la casa? Alice mi fece salire anche l’ignota scala in legno. Portava ad una porta nel soffitto, che Alice aprì. Che stupida; non era il quarto piano, era la soffitta.

“La tua camera, spero di piaccia” mi disse soddisfatta “Ah, una cosa, le altre stanze non sono accessibili. Sono piene di scatoloni da dare in beneficenza.

Io ero senza parole. Era… enorme. Ricopriva tutta casa Cullen ed era divisa da pareti in legno, che delimitavano le stanze di quello che era un enorme appartamento. Alla mia stanza si entrava da una porta, in legno anch’essa immediatamente dopo quella nel pavimento. Era almeno il doppio più grande di quella dorata. Era tutta rivestita in legno, pareti e pavimento. Vidi il mio letto, la mia scrivania, il mio armadio collocati nella stanza, nella stessa disposizione di sempre. La cosa più importante era il letto, affiancato alla finestra parete, presente anche lì. Vidi Alice volare verso il centro della stanza.

“Ai mobili ci hanno pensato i tuoi genitori. Si avvicinò alla parete destra della stanza e spalancò una porta che da quella posizione che non riuscii a vedere.

E questo è il bagno.” Mi avvicinai. Sì! Un bagno attaccato alla camera!

“Una Iacuzzi?!” esclamai. Era strano che quel bagno non fosse in oro. Era stupendo. Era in marmo e al centro invece di vasca da bagno o doccia c’era una Iacuzzi. Idromassaggio. Godevo già all’idea di provarne uno.

“Va bene lo stesso?” chiese Alice impensierita “Ma non te n’eri mai accorta?” Io scossi la testa, uscendo dal bagno. Quella casa era talmente tanto grande che non sarei riuscita a vederla tutta neanche in un giorno intero.

“Non ero mai stata quassù” ammisi sedendomi sul letto. Lei si mise al centro della stanza, mani sui fianchi.

“Allora?” chiese con aria furbetta.

Uau è soddisfacente?” dissi balbettando un poco. Lei annuì sembrando soddisfatta. L

’emozione iniziale un po’ si alleviò. Sarebbe stato stancante andare su e giù continuamente, facendo tre piani più di due volte al giorno. Quella grandezza inoltre stava diventando paradossalmente claustrofobica.

“Per curiosità, perché proprio quassù?” Dubitavo che non ci fosse una qualsiasi camera libera ai piani inferiori. Lei mi sfoderò un sorriso imbarazzato.

“Solo… per precauzione.” Io mi incupii. Diamine! Lo sapevo! Mettevo tutti sottotorchio comunque. Non andava affatto bene la mia presenza. Stavo per iniziare a sbuffare.

“Oh, Abigail!” In uno scattò si avvicinò a me e mi abbracciò il doppio più forte di quanto abbia fatto prima.

“Alice, soffoco” mormorai con il respiro corto. Lei si staccò subito.

“Scusami” biascicò guardandomi inquieta. “È stato orribile quello che è successo. Sono rimasta paralizzata dalla paura quando ti ho vista…” Stava andando in escandescenza. Era meglio se la smetteva, prima di dare fuoco a tutto. Io le misi una mano sulla spalla.

“Tranquilla, Alice.” Lei mi guardò sconsolata ed annuì freneticamente la testa. Faceva tenerezza quando si preoccupava. Si sedette a gambe incrociate davanti a me. Aveva cambiato subito espressione. In questo assomigliava molto ad Edward. Mi guardava sospettosa e sorpresa. Continuò per un paio di secondi prima di parlare.

Perché eri arrabbiata con Jasper?” Ecco, di nuovo l’imbarazzo. Forse arrossii anche un poco. Presi il cuscino dietro di me e cominciai a giocarci interessata.

“No, non sono arrabbiata con lui, figurati. Sono arrabbiata con… sono arrabbiata e basta” dissi alla fine. Lei rimase zitta, aspettando che continuassi. In effetti… che risposta…

“Gli do fastidio” ammisi alzando gli occhi “Non voglio che succeda. Alice mi prese la mano dal cuscino.

Jasper non ti farà male” disse con voce d’angelo. Io scossi frenetica la testa.

“Ne sono più che certa! Ma…” feci un respiro profondo “Lo rendo inquieto, si vede. Non voglio che la mia presenza sia una condanna ” risposi infine. Lei aguzzò gli occhi.

Quindi è per questo che ti sei arrabbiata?” Io corrugai la fronte.

“Non è un buon motivo?” Lei mi sorrise. Non era quello solito, a trentadue denti, che sprizzava gioia da tutte le parti. Questo era pur sempre a trentadue denti, ma era… timido. Sembrava nascondere qualcosa di misterioso.

“Non devi angustiarti per lui. Anche se devo dire che mi fa piacere che tu l’abbia detto” disse serena. Io la osservai per due secondi. Quel suo strano sorriso, quelle parole…  

“Ma lui è il tuo…” Mi interruppi subito. Come definirlo in rapporto ad Alice? Ragazzo era da escludere, fidanzato era pacchiano, amore della vita esagerato…o forse no. Feci un’espressione strana, vicina al disgusto, anche se in realtà le mie considerazioni erano ben lungi dall’esserne vicine. Lei capì per fortuna al volo.

“Sì” rispose decisa, quasi fiera. Io ciondolai la testa, come affermazione.

“Sai” riprese dopo una piccola pausa “Lo hai sorpreso. Non è facile sorprenderlo.” Io alzai le sopracciglia. Uau, che paroloni. Ma alla fine, chi non avevo sorpreso in quella famiglia? Ero la figlia dei vampiri! Se poi mi arrabbiavo davanti ad un vampiro che non mi conosceva neanche, era ovvio che si stupisse. Forse mi credeva una svampita...

Alice si alzò con un elegante saltello dal letto.

“È meglio se ora ti conceda qualche minuto umano. In effetti la Iacuzzi chiamava….

“Va bene” dissi alzandomi anch’io.

“Per qualsiasi cosa, chiamami.” Il secondo dopo si era volatilizza. Sobbalzai. Mamma o papà non facevano mai così; almeno fingevano uscendo dalla porta.

Mi fiondai direttamente in bagno ed aprii l’acqua della Iacuzzi, aspettando che fosse calda prima di riempirla. Ci misi tanto bagnoschiuma ed accesi l’idromassaggio. Le bollicine e la schiuma aumentarono. Mi svestii in fretta per tuffarmici dentro. Mi fermai però a metà. Me n’era totalmente dimenticata. Dovevo telefonare a Jacob. Doveva essere in ansia e questa volta credevo proprio che anche i suoi compagni condividessero lo stato d’animo. Andai a prendere il telefono e cercai il foglietto su cui una volta Jacob avevo scritto il suo numero di casa. Poi mi buttai dentro la vasca; avrei potuto benissimo fare le due cose contemporaneamente. Sprofondai nell’acqua, mentre venivo scossa dai potenti getti d’acqua. Questa sì che era vita! Solo dopo aver collaudato nei particolari l’idromassaggio composi il numero di Jacob. Aspettai che qualcuno rispondesse, ad occhi chiusi. Non dovetti aspettare molto.

“Pronto.” Sentii chiara e forte la voce di Jacob irritata ed infastidita. Era lo stesso tono di una persona che aveva avuto una giornataccia.

“Potresti essere più gentile quando rispondi al telefono?” risposi, sempre con gli occhi chiusi, con tono più sereno del solito.

Abigail?!” La sua voce cambiò improvvisamente e mi fece sobbalzare. “Sei tu?! Cristo… Stai bene?” Mi sorpresi di quanto agitato fosse.

“Sì, sto bene...”

“Non hai idea di... Credevo fossi morta” sbottò ancora per niente tranquillo e del tutto serio.

Jacob, ora calmati, dico davvero. Stai esagerando.” Figuriamoci se mi ascoltava una buona volta.

“Non doveva succedere. Anche Sam è agitato…” Io sospirai, lasciandolo sfogare. Si dava colpe che non aveva.

“No, Jacob, non è stata colpa vostra. Mi hanno raccontato tutto…”

“… Se non avessimo perso tempo con i succhiasangue tu non avresti rischiato di morire.” Rimasi zitta, spaventata dal suo tono arrabbiato.  

“Non rischierai più in questo modo. È una promessa mia e dei miei compagni” Non parlai. Mi scostai lentamente dal getto d’acqua; mi sentivo un po’ in pena a godermela in quel modo, mentre ero sicura che Jacob mi immaginava agonizzante su un letto. Rimasi sbigottita. Le sue parole erano molto simili a quelle dei miei genitori. Lui sospirò.

“Quando vieni a La Push? Ho bisogno di vederti” chiese implorante. A stento trattenni un sorriso per la felicità.

“Presto, Jacob” risposi inevitabilmente felice.

“Domani?” disse impaziente.

“Domani ho lezione” risposi. Lui sembrò deluso.

“Ah… non importa, fa lo stesso” disse subito ripreso. “Tu stai davvero bene?”

“Sì, Jake, sto davvero bene. Meglio di quanto tu pensi” dissi mentre giocavo con la schiuma della vasca.

“È stata la tua…?” si interruppe senza continuare. Capii quello che voleva dirmi lo stesso.

“Sì, è stata lei” risposi leggermente fiera, come Alice, parlando di Jasper.

“Ah…” fece lui dubbioso e sorpreso che i vampiri non solo uccidevano vite, ma anche le salvavano di tanto in tanto. Seguì un lungo momento di silenzio.

“Ti ringrazio per aver chiamato” fece alla fine.

“Qualcuno mi ha detto che eravate in pensiero per me…” mi giustificai io.

Mh…” rifece lui. Passarono ancora alcuni secondi. “Bhè, allora ci vediamo?”

“Sì, ci vediamo” dissi sorridendo automaticamente “Ciao, Jacob

“Ciao, Abi” Misi giù prima di lui. Cominciai a giocare con la schiuma, con un sorriso ebete sulla faccia. Jacob era preoccupato per me. Mi faceva toccare il cielo con il dito. Doveva dispiacermi vederlo in pensiero ed agitato, ma questo dimostrava che anch’io contavo per lui. Al pensiero poi che mi voleva vedere al più presto, andavo in brodo di giuggiole. Cominciai a tirare la schiuma in aria, prima di rendermi conto di quanto sciocca ero. Per un attimo, solo per un attimo, avevo pensato di essere al pari di Bella, che valessi come lei. Che sciocchezza. Si stava preoccupando da amico. Lui non amava me, amava lei.

Spensi del tutto l’idromassaggio. Mi andava però bene così; cercavo di farmela andare bene così. Dovevo. Volevo restare sua amica più di quasi altra cosa. Con il suo comportamento aveva dimostrato quanto io contavo per lui. Doveva bastarmi. Ma purtroppo non era così.

La mia mano scivolò un attimo sul mio collo. Ne tracciai il contorno e tremai all’idea di essere stata così vicina dal diventare un vampiro o di morire. E tutto era successo così velocemente che non avevo avuto il tempo di accorgermene.

Tolsi subito il tappo dell’acqua. Quel bagno mi aveva agitata anziché rilassata. Mi asciugai e mi vestii velocemente. Mi feci tre rampe di scale prima di arrivare all’ingresso. Decisi di andare a fare la spesa per distrarmi un po’; non credevo che in una casa di vampiri ci fosse del cibo. Entrai in salotto. Era deserto, a parte Emmett che stava guardando poco interessato una partita di baseball. Mi diressi spedita verso la porticina che dava sul garage. Stavo per mettermi a gridare, avvertendo mamma o papà o qualcuno che me ne andavo, ma poi ci pensai bene. Non ero a casa mia, in teoria. Ero un ospite; sarei stata maleducata se mi fossi messa ad urlare. Tornai indietro, mentre mi apprestavo a chiamare mia madre. Prima ancora di sentir parlare sentii delle risate provenire dalla cucina. Entrai e crollai. Mia madre stava mostrando ad Esme il mio album di fotografie, fatto interamente da papà. Lì dentro c’era tutta la mia vita, in pratica. Compleanni, eventi importanti; mio padre era molto meticoloso. Diceva sempre che quando sarei stata vecchia mi avrebbe fatto piacere averlo. In effetti aveva ragione. Ma come giusto che fosse, il momento di fare la foto era sempre molto palloso.

“Qua aveva quattro anni” mormorò commossa mamma.

“Oh… che amore” rispose Esme, commossa anche lei. Io le guardai terrorizzata. Ecco, avevo capito perché erano così spaventosamente uguali; entrambe covavano un amore eccessivo per i bambini. Facevano entrambe parte del gruppo di mamme incallite. Mamma mi volse uno sguardo.

“Sto facendo vedere ad Esme il tuo album di fotografie”

“Vedo…” dissi per niente entusiasta. “Sei arrivata a quando mi sono versata il piatto di spaghetti in testa?” Ebbene, per mio padre anche questo era da considerarsi un evento importante.

“Eri davvero una splendida bambina” si complimentò Esme. Venni messa per un attimo in soggezione dalla sua gentilezza.

Gr… grazie” balbettai io, per subito dopo tornare in me stessa “Vado a fare la spesa” dissi per svignarmela subito.

Esme è stata così gentile da occuparsene lei” mi avvertì mamma. Io mi girai di scatto, guardando Esme sorpresa. Le si dipinse un piccolo sorrisino.

“Non è nulla” si giustificò lei.

“Grazie, Esme” la ringraziai. Lei sventolò una mano.

“Figurati” disse lei, riprendendo a vedere le mie fotografie. Andai al ripiano dove una volta tenevo i cereali. Speravo di trovarli ancora lì… Ed infatti c’erano. Afferrai un pacchetto di crackers e lasciai la stanza. Ero rimasta realmente intenerita dal gesto di Esme. Era una persona di gran cuore. Mi ci affezionai subito, dopo lo stravolgente impatto iniziale. Sembrava una specie di zia…

Mi diressi dritta verso camera mia, ma mi fermai ancora una volta. Mi avvicinai al divano bianco su cui era seduto Emmett e mi appoggiai allo schienale, mentre sgranocchiavo. Fissai curiosa per alcuni istanti il televisore al plasma lungo almeno quanto me. Stava trasmettendo una partita di baseball, il volume era azzerato. Non ci avevo mai capito niente di sport che non fosse break dance o c’entrasse con l’hiphop o la corsa o le moto. Venni però incuriosita da quelle piccole figure che correvano agitate per tutto il campo. Del baseball sapevo solo che bisognava tirare la palla e poi iniziare a correre. Pensandoci bene non era affatto male come sport per me, a parte il fatto che non avrei saputo centrare la pallina da colpire. Ero ancora più curiosa per il fatto che proprio un vampiro lo stesse vedendo. Mio padre non era mai stato un tipo sportivo e non lo avevo mai sorpreso a vedere una partita di un qualsiasi sport. Mi aveva detto che la loro lentezza gli annoiava terribilmente. Tipico di lui.

“Scusa, ma non ti annoi a vederli?” chiesi curiosa, con al bocca piena di crackers. Vicino a me Emmett, lo sguardo perso nel megaschermo, alzò lievemente le spalle.

“Un po’ sì. Non è però difficile farmelo piacere. In alternativa non c’è molto da fare” disse rivolgendomi un simpatico sorriso di rammarico. Io annuii la testa, capendo. L’eternità dava anche questo tipo di fastidio. Essendo un vampiro, inoltre, lo standard delle cose che si riusciva ad apprezzare si alzava.

“Aspetta. Voi giocate a baseball?” sbottai io di scatto, ricordandomi delle parole di Bella di tanto tempo fa.

“Sì” rispose lui, con un mezzo sorriso “Ed è molto più divertente di questo” disse indicando il televisore al plasma. Lo guardai per un attimo, impensierita.

“Mi piacerebbe vedervi giocare”

Quando ci sarà l’occasione, lo vedrai”

Cosa intendi per occasione?” chiesi confusa. Lui mi rivolse un sorriso furbetto.

Quando c’è un temporale. Con le mazze da baseball facciamo piuttosto rumore” disse con sguardo d’intesa. Lo guardai per un paio di secondi, mentre mi creavo una proiezione mentale di quello che aveva appena detto. Alzai in uno scatto le sopracciglia.

Ohh!” esclamai io, imitando un bambino mentre guardava i fuochi d’artificio. Certo, cavolo, che mi sarebbe piaciuto vederli! Era forse la prima volta che provavo un così grande interesse per uno sport. Si girò su un fianco per guardarmi meglio.

“Lo sai, tua madre è una forza!” disse con ammirazione. Io mi chiusi nelle spalle e tornai a vedere il megaschermo.  

“Lo so” sussurrai io, orgogliosa. Lui si stiracchiò.

“Oh! Il signorino è ritornato dalla sua piccola vacanza” disse in tono da presa in giro. Prima di riuscire a capire che fosse Edward, sentii la sua voce.

Emmett, cos’è successo?” Mi fece sobbalzare. Mi voltai di scatto. Era teso e terribilmente serio. I suoi occhi erano fissi su di Emmett, muto, per poi posarsi su di me, cambiando subito impressione, impressionandosi. Capii che stava leggendo nel suo pensiero. A stento vidi Esme volteggiare per la stanza per abbracciarlo.

“Ciao, Edward. Spero ti sia piaciuto il viaggio in Florida” disse Esme in un sorriso, staccandosi dall’abbraccio. Edward era spaesato a tal punto che non ricambiò neppure l’abbraccio.

“Sì…” mormorò titubante. “Devo parlare con Carlsile” disse più convinto, ma non più rassicurato. Sparì un’altra volta. Esme si girò verso di noi e guardandomi ci abbagliò con un sorriso.

“È bello vederlo prendersi tanto a cuore quella ragazza” disse serena, tornando veloce ed elegante in cucina.

Mmh…” mormorò Emmett sprezzante, tornando a guardare la tv.

“Bella non ti piace?” chiesi dubbiosa. Lui tornò a guardarmi, le sopracciglia alzate per lo stupore.

“No, anzi. È una ragazza fantastica” disse rassicurante “È il suo comportamento che non mi entusiasma. Sempre, per qualsiasi cosa riguardi lei va in paranoia. È stressante quando fa così” disse diventando più scontento. Feci una piccola risata, condividendo appieno quello che aveva detto. Poi riflettei un po’sulle sue parole.

Edward era tanto diverso prima di Bella?”

“Era totalmente un’altra persona. In alcuni periodi sembrava costantemente infelice ed insoddisfatto. Viveva tutto in modo passivo” disse rammaricato per il passato del fratello. “Quella ragazza è stata un miracolo per lui. Mi venne spontaneo mostrare il mio sorriso sghembo.

“Lo sai, Emmett, sono d’accordo con te.” Gli porsi il pugno. Lui lo guardò con un sorriso, capendo subito cosa stesse per significare. Con leggerezza fece sbattere le sue grosse e pallide nocche contro le mie.

 

 

 

 

Inizio subito con lo scusarmi (ultimamente sto facendo solo quello). Avevo promesso che già all’inizio di giugno avrei postato il nuovo capitolo, ma invece lo faccio solo a luglio. Per evitare quindi di non rispettare promesse, ho deciso direttamente di non farle: posterò quando posterò. XD Almeno vi posso assicurare che non ritardo a pubblicare perché decido di non continuare più questa fan fic, ma per mancanza di tempo e di ispirazione.

Passando al capitolo, , che ve ne pare? Dopo un paio o forse più di capitolo in cui non succede nulla di interessante, ecco che giungono novità interessanti. Ad essere sincera non vedo l’ora di finire la parte che riguarda il terzo libro, per passare a quella che riguarda il quarto, quella più bella secondo me. Spero quindi che anche questo capitolo vi sia piaciuto! Grazie ancora a tutti quelli che mi seguono, anche dopo dodici capitoli. Un bacio da Laura!

 

X __cory__: Ciao, cory! Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace. Pensi bene, ovviamente io a queste domande non posso rispondere. Ma sono curiosa; con quale licantropo vuoi che Abigail abbia l’imprinting? Grazie infinite per aver commentato! Un grosso bacio ricambiato!

 

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Capitolo 14
*** Quattordicesimo Capitolo ***


Quattordicesimo Capitolo

 

Quattordicesimo Capitolo

 

 

La mattina seguente fu strano svegliarmi. Primo di tutto, ero l’unica in quella casa in grado di svegliarsi, oltre anche a mangiare, affaticarsi, provare dolori fisici e altro ancora. Ero insomma l’unica umana; l’unica diversa in quella casa. Abitando unicamente con due vampiri non mi ero mai accorta di questo dato di fatto; dal momento che i vampiri non erano più due, la situazione si faceva molto più sentire. Non mi dava particolarmente fastidio, mi sembrava semplicemente inusuale. Ma ero sicura che con il tempo mi ci sarei abituata. Oppure ce ne saremmo andati, dipendeva da quello che sarebbe accaduto.

In secondo luogo, svegliarmi fu piuttosto strano per la mia nuova stanza, oltre ad un bagno fantastico; non mi ci trovavo ancora.

La colazione fu invece la solita, come pure il viaggio in moto verso scuola. Per quei quarantacinque minuti in quella casa gli unici vampiri che avevo visto erano i miei genitori, ma quasi non mi accorsi dell'assenza degli altri. Non vedere degli esseri umani nella propria casa era strano, dei vampiri non così tanto, dopotutto.

La cosa che però mi rese ancora più strano quel risveglio fu quello che trovai all’entrata della scuola. Anzi, più che svegliarmi mi aveva fatto credere di stare ancora sognando.

Fu per questo che andai prima di tutto a parcheggiare cauta la moto, prima di avvicinarmi a lui. Mi tolsi il casco titubante. I battiti cardiaci erano aumentati, non però per l’adrenalina della moto. Rimasi per un attimo incredula, mentre lui mi guardava con un impeccabile sorriso bianco, messo in risalto dalla pelle scura. No, non ci potevo credere. Era Jacob, sul marciapiede davanti al parcheggio della scuola. Mi fece impaziente segno di avvicinarmi. Io mi mossi lentamente, ancora sottochoc. Era spettacolare; indossava dei jeans sgualciti ed una maglietta nera aderente a maniche corte, mentre reggeva l’Harley nera. Sembrava terribilmente molto più grande. Mi mise una certa soggezione e per un attimo mi vergognai di quella momentanea eccitazione. Non smisi di essere incantata da quel sorriso e l’ultimo tratto che mi separava da lui lo feci senza rendermene conto. Appena poté si pose in avanti e mi abbracciò. Ebbi un fremito quando le sue braccia calde strinsero il mio corpo che facevano sembrare esile.

“Sono contentissimo di vederti” sentii la sua voce ridotta ad un mormorio sfiorarmi i capelli. Deglutii e respirai con la bocca per seguire il senso di quello che diceva. Mi continuò a tenere stretta. Non sarei riuscita a rispondergli in quella posizione. Mi scostai un attimo da lui. Faceva decisamente più freddo ora, anche solo di poco. Decisamente stavo meglio prima. Lo guardai negli occhi. Il suo viso possedeva ancora quel fantastico sorriso ed anche gli occhi neri luccicavano per l’entusiasmo. Sentii le guance pizzicarmi un pochino. Ormai non ragionavo più con la testa.

“Perché sei venuto?” mormorai, contraccambiando il suo sorriso con una paralisi facciale. Lui rise per un secondo.

“Per te, sciocca” Mi mise una mano sulla testa e mi diede una veloce accarezzata ai capelli. Io sussultai.

“Non dovevi disturbarti, sarei venuta io a La Push” Lui inclinò la testa.

“E per Bella” disse questa volta serio.

Ok, mi ero svegliata. In modo molto cruento. Rimasi… delusa dalle sue parole. Tutta l’emozione di poco prima sparì di colpo. Tanto veloce da far male. Per un attimo avevo sperato che il significato dei gesti di Jacob fosse ben diverso. Avevo ragione; stavo ancora sognando. Possibile fossi davvero così illusa da…

“Abi, tutto ok?” chiese, appoggiando di nuovo la mano sulla mia testa. Io chiusi gli occhi immediatamente ed istintivamente mi allontanai quel tanto da fargli scivolare la mano da me.

“Sì. Sono ancora un po’ addormentata” mentii con la voce un po’ tremolante, che poteva essere scambiata per assonnata. Ultimamente le mie balle facevano davvero pena; mi domandavo se lui ci credeva seriamente.

“Perché sei venuto per Bella?” Non mi resi effettivamente conto di quello che avevo appena chiesto. Lo vidi sorridermi.

“Mi hai dato tu l’idea. È questa la sorpresa.”

Di nuovo mi sentii delusa, ma questa volta di me stessa. No, anzi, arrabbiata; o ero pazza, o masochista.

Solo allora mi accorsi che la parte che amava Jacob avrebbe voluto azzannare quella più razionale, che sapeva ciò che era giusto. Solo allora sentii appieno quel grande conflitto, che sfociava solamente quando vicino c’era lui.

Da una parte desideravo ardentemente che Jacob e Bella si vedessero, perché sapevo che li avrebbe resi tutti e due più felici e da buona amica io ci tenevo che i miei amici fossero felici. L’altra invece non era per niente d'accordo.

La delusione e la rabbia si sostituirono a disagio e a una completa confusione. Per uscirne decisi di impegnarmi in quella conversazione.

“Ne rimarrà sicuramente sorpresa” replicai io, insicura. “Come lo sarà Edward” Il suo dolce sorriso si trasformò in uno diabolico.

“Già” disse malizioso, a braccia incrociate. Oh, no, no, no. Ecco, avevo sbagliato. Mi ero contraddetta per l’ennesima volta, nel modo più irreparabile. Avevo aiutato Jacob a realizzare quelle strane idee che gli vorticavano nel cervello e che mi ero con così grande convinzione proposta di non fare.

In me c’erano due persone completamente opposte. Non credevo di essermi mai sentita così a disagio con me stessa come adesso. Ebbi appena il tempo vedere gli occhi di Jacob guardarmi con attenzione, prima che guizzassero verso la mia sinistra.

“Ah, eccoli” mormorò, mettendosi la mano sotto il mento. Mi girai anch’io. La Volvo argentata di Edward parcheggiò dolcemente al solito posto. Solo allora capii le conseguenze che la sua presenza avrebbero portato. Un vampiro a pochi centimetri da un licantropo, con gli stessi interessi verso Bella. Sarebbe stata una conversazione che avrebbe fatto scintille. Mi guardai intorno; notai le occhiate curiose che lanciavano prima a Jacob, poi a me gli studenti che si fermavano incuriositi, lontani da noi di qualche metro. Dopotutto la loro presenza sarebbe stata un bene; niente versamenti di sangue. E forse Jacob era stato il primo a pensarlo.

Avrei tanto voluto scomparire per evitare quell’incontro spaventoso. L’unica cosa che mi premeva era che avrebbe partecipato senza ombra di dubbio anche Bella. Ed entrambe le parti di me erano d’accordo a rimanere lì ed a impegnarsi a fare in modo di farla uscire moralmente illesa.

Guardai dubitante Jacob; il sorriso di poco prima era scomparso. Aveva lasciato spazio ad un’espressione seria, ma tranquilla, come se avesse tutto sottocontrollo. Mi ricordava molto Sam; anche lui emanava la stessa calma. Era l’espressione che il capo branco riservava ai vampiri.

Il suo sguardo si indurì quando vide Edward e Bella. Edward era impassibile, gli occhi però furenti. Bella invece sembrava confusa, curiosa soprattutto.

Li vidi avvicinarsi e fermarsi a pochi metri da noi. Edward coprì con la sua spalla Bella. Intuii che era per Jacob; come diamine poteva credere che Jacob l’avrebbe anche solo sfiorata?! Il suo comportamento era ossessivo e malsano. Espirai profondamente. Edward posò gli occhi su di me solo per pochi secondi, prima di tornare a Jacob. Gli occhi di Bella invece guizzavano continuamente da Jacob a me. 

“Se volevi parlare con me, avresti dovuto chiamarci” disse Edward fermo. Cosa?! Jacob era venuto per parlare con Edward?! Mi aveva detto che era per vedere Bella. E per me.

“Non sono venuto solo per quello” rispose Jacob, torcendo il naso, acido. Edward lo fissò per un attimo, prima di riprendere. 

“Questo non è il luogo più adatto, Jacob. Ne possiamo riparlare un’altra volta?”

“Sicuro. Dopo scuola posso sempre fermarmi alla tua tomba” rispose con un ghigno.

Avrei tanto voluto sottolineare il piccolo fatto che quella tomba era anche casa mia, ma non lo feci. Se Jacob, e quindi i licantropi, sarebbero venuti a sapere che non abitavo più con due vampiri, ma ben con nove non sapevo bene come avrebbero reagito. Forse era meglio se questa era un’informazione non la sapessero. Edward ispezionò i dintorni con lo sguardo. Il parcheggio ora si era popolato: c’erano molti più studenti ad assistere allo spettacolo. Mi sentivo un po’ a disagio, perché guardavano anche me. Bhè, non male come primo giorno della settimana…

“So cosa vuoi dirmi” sibilò Edward impercettibilmente “Ho capito. Consideraci avvisati.” Edward guardò per un attimo Bella.

“Potrei sapere di cosa state parlando?” chiese leggermente spazientita. Ed in effetti la pensavo come lei; non capivo neanch’io a cosa diamine si stessero riferendo. 

“Non gliel'hai detto suppongo” disse Jacob in un tono più alto del normale “Hai paura che si schieri con noi?”

“Ti prego, Jacob, smettila di dire stupidaggini” lo ammonii automaticamente, abituata a rimproverarlo quando ne diceva di così grandi. Adesso era chiaro l’argomento della discussione. Quello che era successo con Victoria e la questione del territorio “circa-più-o-meno-quasi-violato”. Ed Edward non glielo aveva davvero detto a Bella. Bhè, a dirla tutta anche i miei genitori effettivamente non lo avrebbero fatto. Per lo meno, non subito. Avrebbero aspettato l’ultimo momento, come hanno dimostrato di saper fare.

Però niente toglie al fatto che Bella aveva diritto di sapere quello che era accaduto. Soprattutto perché il seguito riguardava anche me. Ma infondo questo era il normale comportamento di Edward, che non sarei mai riuscita a capire e che bisognava sforzarsi di accettare. 

“Ah!” esclamò Jacob verso di me “Sono curioso di sentire cos’hanno raccontato a te!” Io mi limitai a fissarlo seria.

“Cos’è che non so, Edward?” chiese improvvisamente Bella, confusa. Edward continuò a rimanere zitto.

“Jake?” disse rivolta a Jacob.

“Non ti ha raccontato che… suo “fratello” ha passato il confine domenica mattina?” mormorò guardandola di sottecchi. Tornò poi a perforare Edward.

“Paul aveva il diritto di…”

“Era terra di nessuno” replicò Edward.

“No!”

Sbuffai. Stavano litigando come bambini. Ora come ora, che importanza aveva? Cominciai a battere frenetica le dita sul giubbotto. Vicino a me sentivo Jacob tremare per la rabbia. Edward lo notò.

“Se fossi in te mi allontanerei da lui” mi disse cauto. Jacob a quel punto esplose. Sentii la sua mano sul mio fianco tirarmi più vicina a lui.

“A lei non glielo puoi impedire” sibilò lui, a denti stretti. Io quasi inciampai per il suo gesto improvviso. Scese per un attimo il silenzio. Edward rimaneva zitto, fulminando con lo sguardo Jacob, che ricambiava appieno. Bella vicino ad Edward aggrottò le sopracciglia confusa ed ancora più stizzita, mentre io cercavo a disagio di allontanarmi da Jacob, senza però riuscirci. La sua mano continuava ad essere appoggiata al mio fianco.

“Emmett e Paul?” intervenne Bella, pensierosa. “Cos’è successo? Hanno combattuto? Qualcuno si è fatto male?”
”Non è successo niente” riferì calmo Edward “Nessuno è stato ferito. Non preoccuparti”

“Ah! Ora ho capito perché l’hai portata via. Tu lo sapevi e non volevi che…”

“Vattene, Jacob” lo interruppe di colpo Edward. Improvvisamente il viso di Edward si trasformò. Non era più quel viso calmo e razionale che conoscevo, troppo apprensivo. Quello era il viso di un vampiro, pronto ad attaccare. Guardava minaccioso dritto negli occhi di Jacob. Mi ricordò per un attimo i volti dei Volturi ed un brivido mi scosse. Le sue dita si strinsero nel mio giubbotto. Cominciò a sogghignare.

“Credi davvero che non abbia il diritto di sapere cosa sia successo? Cosa è successo ad Abigail?” mormorò furibondo. “Sai benissimo che poteva rimetterci la pelle. E questo a Bella non dovrebbe riguardare?”

Il viso di Edward tornò improvvisamente normale, mentre fu quello di Jacob a diventare mostruoso. Aveva la mascella serrata, mentre con lo sguardo scintillante osservava Edward. Gli occhi di Bella guizzarono subito su di me.

“Cosa ti è successo, Abi?” mormorò ansiosa. Io sbuffai e scossi la testa tranquilla. Aprii bocca, ma mi fermai, mentre Edward mi osservava. Per un paio di secondi ricambiai lo sguardo. Era serio, quasi inquietante. Non vuoi che glielo dica, Edward?

“No” mi rispose lui. Scossi la testa. Non è un’ingenua bambina da dover proteggere dal mondo; trattala da adulta.

Arricciò il naso, come avvertimento. Io non lo ascoltai. Girai la testa verso la scuola, svelando la cicatrice sul collo che la felpa mi nascondeva. Dopo un po’ di secondi tornai a guardare Bella. Era più pallida del normale, gli occhi spalancati, mentre si teneva con una mano alla spalla di Edward. Subito lui le cinse la vita con la mano, mentre contemporaneamente mi guardava truce. Jacob continuava a fulminare Edward; le sue dita avevano cominciato ad andare impercettibilmente su e giù sulla mia anca. Tentai ancora una volta di staccarmi da lui, ma inutilmente.

“E’… è stata lei?” mormorò malferma. Edward l’abbracciò immediatamente. Le accarezzò il viso con le mani bianche perlacee.

“Va tutto bene. Non si avvicinerà a te, te lo prometto” mormorò rassicurante. Bella non rispose. Continuava a guardare terrorizzata me. Decisi di intervenire io.

“Ehi, se sono ancora qui tra voi vuol dire che sto bene, no?” sdrammatizzai io. Bella non accennò ad un sorriso, ma sembrò calmarsi. I suoi occhi diventarono lucidi.

“Soddisfatto, randagio?” riprese Edward, ignorando la mia battuta.

“E ancora non credi che abbia diritto di sapere?” rispose ancora rabbioso Jacob.

“Se non è mai stata in pericolo, perché dovrebbe preoccuparsi?” mormorò impercettibilmente Edward.

“Meglio una preoccupazione di una bugia.” Edward veloce raccolse una lacrima che scendeva dal viso di Bella.

“Credi che tormentarla sia meglio che proteggerla?” mormorò.

“E’ più forte di quanto credi. Ne ha passate di peggiori” affermò Jacob, impercettibilmente più calmo. Dopo quel veloce scambio di battute decisi di intervenire. Dovevo ammettere che ad aver ragione era Jacob questa volta.

Il dialogo si interruppe di punto in bianco. Jacob ora aveva cambiato espressione; guardava Edward pensieroso e concentrato. Anche quello di Edward si trasformò. Divenne improvvisamente spaventato, agonizzante.

Avevo capito; Jacob si era concentrato su brutti pensieri che, dall'espressione di Edward, riguardavano Bella. Quelli che precedevano il mio arrivo, quelli appartenenti ad un tempo da dimenticare a me estraneo.

Seppur Jacob avesse ragione, non era giusto far rinfacciare ad Edward tutto questo. Quindi ripensai quindi anch’io agli episodi passati con Bella, quelli belli ed entusiasmanti, sperando che l’attenzione di Edward si posasse su di me. Ripensai più vivamente possibile a quella volta del paracadute, di come era emozionata e felice. Ripensai a quella volta dei nachos, che era stata un vero e proprio disastro. Ripensai a quando le ero saltata addosso per giocare prima di andare a Volterra. Ripensai ai pomeriggi passati al garage di Jacob a costruire la mia auto, noi due sole.

“Grazie, Abi”

La voce di velluto di Edward mi distrasse. Mi lanciò un mezzo sorriso di gratitudine. Jacob invece mi guardò confuso. Io lo contraccambiai con rimprovero.

Tornai a fissare Edward. Diglielo, Edward. In questo modo non la stai proteggendo, le stai tenendo solo dei segreti. Sorrisi. Scommetto che vorrebbe sentirsi preoccupata; le piacerà tantissimo farsi rincuorare da te. A quel punto Edward mi sfoderò il suo sorriso sghembo.

“Cosa state facendo?” intervenne Bella.

“Niente, Bella. Hanno solo una buona memoria” disse guardando pacato Jacob. Lui sogghignò ed Edward rabbrividì.

“Jacob smettila!” ordinò Bella, che aveva capito anche lei. Jacob fece spallucce.

“Non è colpa mia se i miei ricordi non gli piacciono” si giustificò con un sorrisino poco divertente. Io vicino a lui sbuffai forte, in modo che mi sentisse. Ora il bambino era solo lui.

“Il preside sta arrivando. Andiamo ad inglese, Bella, così non ti darà noia” mormorò Edward.

“Iperprotettivo, vero?” s’intromise Jacob, verso Bella “Gli imprevisti rendono la vita divertente. Scommetto che non hai il permesso di divertirti.” Edward scoprì in risposta i denti in un ghigno.

C’era un motivo per cui durante quella conversazione rimasi pressoché sempre zitta; Jacob aveva avuto nella maggior parte dei casi, anzi, forse sempre, ragione. L’unico modo che avevo per intervenire era quello di dar ragione a Jacob, quindi. Non mi piaceva dargli ragione, troppo abituata a dargli torto, anche se in questo caso lo meritava. Inoltre quella conversazione era tra Edward e Jacob, principalmente. Sembravamo due fazioni in guerra, in quella posizione. Edward e Bella, contro me e Jacob. 

“Chiudi il becco, Jacob” rispose Bella. Jacob sorrise.

“Credo sia un “no”. Comunque, se ti viene voglia di riavere una vita, vieni a trovarmi. Ho ancora la tua moto” A quel punto le sue dita cominciarono a tamburellare. Io mi innervosii, mentre Bella si rilassò.

“Avresti dovuto venderla. L’hai promesso a Charlie.”

“Sì, ma non è mia. Me la terrò finché non ritornerai” Jacob sorrise ancora di più. “C’è poi la macchina di Abigail da finire.”

“Jake…” sussurrò Bella indecisa. Lui si sporse verso di lei, continuando a stringermi.

“Forse mi sono sbagliato. Sul fatto che non possiamo tornare amici. Ce la possiamo fare, dentro i miei confini. Vieni a trovarmi. Ci manchi.”

Sobbalzai a quel “ci manchi”. Come si permetteva di usare in modo così naturale il plurale? Aveva però completamente ragione, e forse questo mi irritava ancora di più. Lanciai un’occhiata veloce ad Edward, per vedere la sua reazione. Era inutile suggergli che Jacob aveva ragione; era un tentativo già provato. Lo vedevo tranquillo, mentre abbracciava Bella, immobile.

“Io… non lo so, Jake” balbettò Bella, a disagio.

“Mi manchi, Bella. Sento la tua mancanza ogni giorno” disse nel solito tono dolce che riservava sempre a Bella. E qualche strana volta, anche a me.

“Lo so. Mi dispiace, Jake…” Jacob sospirò.

“Non importa, va bene? Non morirò, sta tranquilla.” Cercò di fare un sorriso, che però fu scambiato per una smorfia. Cercai nuovamente di staccarmi da lui, ma ancora senza successo. Quella situazione mi aveva irritata abbastanza.

“Tutti in classe. Forza, signor Crowley.” Tutti e quattro sentimmo una voce rude provenire dietro di noi. Doveva essere il preside, ma non ne ero completamente sicura; non l'avevo mai visto.

“Torna a scuola, Jake” gli sussurrò Bella. Jacob tolse la sua mano dal mio fianco, finalmente. Quel gesto mi spinse a guardarlo. Mi osservava dubbioso, ma non senza un piccolo sorrisino ironico.

“Che dici, vado?” mi chiese sprezzante. Io corrugai le sopracciglia. Non hai bisogno del mio permesso per andartene, Jacob.

“È meglio di sì” mormorai, apatica. Aguzzò per un attimo gli occhi, cercando di studiare la mia espressione stranamente indifferente. Se avessi realmente espresso ciò che provavo sarebbe stato peggio. Fece poi una cosa che non avrebbe dovuto fare. Avvicinò le labbra al mio orecchio.

“Non so cosa farei senza di te” mi mormorò. A fatica riuscii a sentirlo. Sentii invece benissimo le sue labbra premere sulla mia guancia. Erano morbide come l’ultima volta. Mi sentii completamente rilassata. Dimenticai per un attimo cosa volesse significare realmente quel bacio e lo interpretai come volli io. Quell’attimo passò immediatamente, quando, più precisamente, allontanò il suo viso dal mio. Strinsi i pugni per non esplodere. Inevitabilmente girai i tacchi e me ne andai, non guardando in faccia a nessuno. Fui sorpresa della folla che si era creata vicina a noi e che al momento guardava esclusivamente me. Mi feci varco tra la gente, che mi lasciò facilmente passare.

Come se non bastava già quello che era successo, ora mi toccava subire anche questo imbarazzo. Mi diressi dritta verso l’aula di matematica, mentre passavo accanto al direttore, che non si accorse di me, e che subito dopo cominciò ad urlare verso la piccola folla.

Non riuscii bene a capire come mi sentissi; diciamo soprattutto agitata e preoccupata. Camminavo svelta nei corridoi ancora pieni, persa nelle mie riflessioni. L’amicizia con Jacob stava diventando sempre più difficile, se cominciava a comportarsi in quel modo. Pensavo che sarebbe bastato semplicemente non dirgli quello che pensavo di lui per salvarlo e tenermelo ancora amico. Ma non andava, invece! Non poteva abbracciarmi né baciarmi in nessun modo! Non tolleravo che quei baci e quegli abbracci avessero un significato diverso. Questo non lo potevo accettare. Mi sentivo presa in giro. Era meglio se non mi toccava affatto. Dovevo allontanarlo da un punto di vista fisico. Avrei dovuto trovare un modo…

Stavo però cominciando a perdere le speranze; le possibilità di continuare ad essere amici si stavano riducendo. Ed il loro numero era diminuito ulteriormente da quell’oggi.

Forse si erano completamente ridotte a zero. Alla fine ci arrivai. Brutto stronzo. Ora si spiegavano molte cose; la mano sul fianco, il bacio. Solo per far ingelosire Bella; dovevo immaginarlo. Dopo avermi dato il bacio ed essersi allontanato non aveva guardato me. Aveva guardato Bella. Non me. Non avrebbe dovuto guardare lei! Idiota di un cane! Era questo il motivo per il quale me n'ero andata via fuggendo.

Voleva controllare quale effetto avrebbe procurato quel bacio su di lei. Era venuto per Bella; non per parlare con Edward, quella era solo una scusa, né per vedere me. Era venuto solo per lei.

Così alla fine quei due si erano finalmente visti. Come volevi tu Abigail, no? Desideravi tanto che quei due si vedessero di nuovo, perché adesso non sei felice?!

Mi aveva usata, tutto il tempo, per cercare di farla ingelosire. Dio, sapevo che aveva in mente qualcosa, ma non credevo che potesse arrivare fino a questo punto, che potesse arrivare a coinvolgere in questo modo subdolo me. Non poteva farmi questo.

Per tutta la lezione di matematica non pensai ad altro. Mi veniva da piangere, ma non uscì neanche una lacrima. Anzi, fremevo dalla rabbia. Non si trattava semplicemente di Jacob, a questo punto, ma di qualcuno che aveva offeso la mia persona; sapeva che fin dal principio non ero d'accordo con le sue insistenze e non poteva coinvolgermi così a tradimento. Le avrebbe sentite. Tanto per cominciare non sarei andata a La Push quella settimana; avrei chiesto a Bella il piacere di dirgli che stavo bene. Avrei scommesso che da ora in poi si sarebbero telefonati più spesso. Se era vero che gli mancavo, allora un po’ di mia assenza gli avrebbe fatto bene.

Quando mi sarebbe andata, sarei andata da lui a litigare un po’. Di nuovo. Scossi automaticamente la testa senza accorgermene. Cosa diavolo credevo di fare? Non facevamo altro che far quello; litigare, litigare, litigare. Come avrei creduto che lui potesse ricambiare? Anche se Bella non esistesse, non sarebbe cambiato assolutamente niente. Non eravamo compatibili. Non potevamo; sarebbe stato dannoso per entrambi. Ma io lo volevo...

Ancora una volta non sapevo cosa fare. No, forse quello lo sapevo. Non sapevo se quello che facevo era la cosa più giusta. Mi sentivo terribilmente confusa.

Finita la lezione mi alzai come un automa. Mi lasciai trasportare verso l’aula di storia, mentre pensavo distratta a non andare in mensa per quel giorno. Ci sarebbe stato sicuramente qualcuno desideroso di parlare con me, come Mike, Eric, e al momento non ne avevo voglia.

Arrivata a storia mi sedetti al mio solito posto, penultima fila. Sentii alcuni ragazzi dietro di me parlare chiaramente del fatto di poco prima. Ecco, perfetto…

“Io punto dieci su Edward” esclamò Steven Hudson.

“Nah, ma non l’hai visto quell’altro? Spezzerebbe Cullen in un secondo! Io punto dieci su quell’altro” gli rispose Klar Ross.

“No, impossibile, lui sta con Abigail. Non hai visto come ci stava vicino? Ne scommetto dieci che stanno insieme!” continuò il primo.

“Io invece credo di no. È troppo grande per Abigail. Punto dieci che non stanno insieme” rispose Daniel Nelson.

Brutti idioti. Io mi girai verso di loro, scocciata. Appena mi videro smisero subito di parlare; probabilmente non se n’erano accorti prima. Li guardai truci per un momento.

“Oh… Abigail…” mormorò Steven, impacciato. Sfoderai il mio sorrisino sghembo.

“Io scommetto mille su Edward ed altri mille che io e quell’altro non stiamo insieme” dissi sprezzante, sperando che così dopo l’avrebbero smessa. Dovevo ammetterlo; adoravo scommettere e mi riusciva anche bene.

“Anch’io!” esclamò Karl.

“Pure io!” lo seguì veloce Daniel. Io mi tornai a girare, soddisfatta. La cosa bella fu che smisero davvero.

 

Alle quattro tardai ad uscire da scuola; punizione. Non ero stata abbastanza attenta alla pallosa lezione di inglese e quindi il professor Berty mi aveva dato esercizi extra da svolgere in classe dopo la lezione. Era stata una mezz’ora per niente emozionante. Quando uscii dalla scuola il parcheggio era completamente deserto, fatta eccezione per la mia moto. La montai e l’accesi. Quasi non mi accorsi delle curve da fare per raggiungere casa. Questa volta il motore non riuscii a calmarmi e per poco non continuai sulla 101, andando verso la mia vecchia seconda casa. Distratta la parcheggiai nel garage, insieme a moltissime altre auto veloci. Emmett mi aveva detto che la maggior parte erano di Edward, che ne era un appassionato. Contento lui…

Ecco, la rabbia stava condizionando ogni mio pensiero. Non mi era ancora passata; figuriamoci se era una cosa da poco. Chiusi la porta del salotto con eccessiva foga. Immediatamente tornai ad essere calma e rilassata, come se sbattendola tutte le preoccupazioni se ne fossero andate. Ripensai a quello che quella mattina Jacob mi aveva fatto e non mi arrabbiai, rimasi calma. Perché poi arrabbiarsi? Entrata in salotto fui sorpresa di vedere tutta la famiglia Cullen, più i miei genitori al completo. Più Bella. Fu strano vederla lì. Mi lanciò uno sguardo lungo e penetrante.

“Cosa sta succedendo?” chiesi curiosa. Carlisle mi lanciò un’occhiata comprensiva.

“Bella è tesa per quello che è successo a te e per il ritorno di Victoria.” Io le lanciai un’occhiataccia.

“Ovviamente non le succederà niente. Come ovviamente lo sarà per te” continuò Esme, subito al mio fianco, tenendomi le spalle. Io tornai a guardare esasperata Bella e scossi la testa.

“Lei non mi sembra troppo preoccupata. Segui il suo esempio” disse Emmett, appoggiando il gomito alla mia spalla. Alice alzò la testa la cielo.

“Mi ritengo offesa. Non dirmi che sei in pensiero davvero?” disse esacerbata Alice, vicino a lei. I miei occhi guizzarono su Jasper, vicino ad Alice. Mi osservava sospettoso. Mi sembrò strano fino a quando riuscii a capire che aveva i suoi buoni motivi per esserlo; doveva essere lui al momento a farmi sentire questa calma e doveva essere strano per lui percepirmi per due volte di seguito arrabbiata. Tornai ad osservare stizzita Bella, che continuava a guardare attentamente me. Capii che aveva bisogno di parlare.

“Vorresti vedere la mia nuova camera?” chiesi come scusa. Faceva tanto bambina delle elementari, ma al momento non mi era venuta in mente nessun’altra idea. Lei annuì decisa, guardandomi seria. Mi avvicinai a lei e la presi a braccetto. Mi girai verso Edward lanciandogli un’occhiataccia, per fargli capire che volevamo stare da sole. Lui alzò gli occhi al cielo, più per disperazione che per consenso. Uscita dal salotto tutta la calma scomparve in un attimo e tornai ad essere di nuovo arrabbiata. Dovetti fare un respiro profondo per calmare le apparenze.

“Non mi dire che sei geloso” Sentii Emmett sarcastico dal salotto.

“Non sei spiritoso, Emmett” rispose Edward, evidentemente annoiato. Io sorrisi appena.

L’intero tragitto lo facemmo in silenzio.

“Devi fare tutta questa strada ogni volta?” domandò Bella, un po’ stanca. Io aprii la porta nel pavimento.

“Già, ma non mi dà fastidio.”

La feci accomodare sul mio letto ed io mi misi di fronte a lei. Presi il cuscino e me lo strinsi alla pancia.

“Di cosa vuoi parlarmi?” chiesi, anche se la domanda a questo punto era retorica. Non ero ancora entusiasta all’idea di parlare, ma forse mi avrebbe fatto bene. Mi rivolse un’occhiata tesa.

“Cosa è successo con Victoria?” domandò subito. Io sbuffai.

“Non mi dire che Edward non te l’ha ancora detto!”

“No, me l’ha detto. Voglio sentirlo però da te.” Io feci spallucce, con un sorriso amaro.

“Non ti posso raccontare molto di più. Mi è venuta addosso e poi mi sono ritrovata in ospedale” dissi con leggerezza. Lei continuò a guardarmi impensierita.

“Davvero non sei preoccupata? Anche… anche lei adesso vuole te”

“Ah, già, vero. Me l’ero dimenticata” esclamai per rendere l’importanza che aveva per me la situazione “Sono intollerante alla preoccupazione, in questo genere di cose. Lo sono già mio padre e mia madre; esserlo anch’io non ha molto senso.” Mi sfoderò un sorriso amaro.

“Già, tu sei ben protetta. Questa casa poi è il luogo più adatto…”

“Guarda che lo sei anche tu. Essere in questa fortezza o a un paio di chilometri di distanza non fa nessuna differenza.”

“Sì…” mormorò lei, impensierita. L’osservai per un attimo. Non sembrava essere felice di essere protetta.

“Aspetta…” dissi soprapensiero “Tu non sei preoccupata per te, non è vero? Sei preoccupata per gli altri; i Cullen, i miei genitori…” Spalancò gli occhi.

“Certo. Stanno rischiando per me e per te”

“Oh, ti prego, Bella!” esclamai lanciando il cuscino dietro di me “E’ peggio che preoccuparsi per sé. Sono nove vampiri contro uno. Non puoi preoccuparti.”

“Invece lo sono” disse decisa. Si stava facendo prendere un po’ dal panico. Rilassai le spalle e mi calmai.

“Io ti consiglierei di lasciare le preoccupazioni a Edward. Lo è già di natura; un po’ di tensione in più non gli farà male.” Lei mi rispose con un mugugno. Sospirai. Speravo in cuor mio che smettesse di tormentarsi in questo modo. Era totalmente insensato.

Bella era sempre stata un tipo apprensivo; anche prima dell’arrivo dei Cullen, si era preoccupata che sei licantropi adolescenti si potessero ferire rincorrendo Victoria. Quella volta però mi sembrava che l’avessi convinta a tranquillizzarsi. Questa volta invece era un osso ancora più duro. Forse parlare sventolando la cicatrice sul mio collo non era il modo migliore.

“Allora, com’è andato il viaggio in Florida?” dissi all’improvviso, per cambiare argomento.

“Bene” mormorò. Lei non continuò e ripresi io.

“Com’è sembrata a tua madre Edward?” A questo punto credevo di averla coinvolta a sufficienza. Lei sospirò.

“E’ preoccupata” mormorò “E’ preoccupata della nostra relazione. Non credeva che fosse così seria”

“Oh…” mugugnai io. Non era una buona prima impressione, visto che quei due si dovevano sposare.

“Dice che è troppo protettivo nei miei confronti”

“Questo lo dico anch’io” esclamai e sottolineai che non era una novità. Lei mi guardò impensierita.

“Ha capito che c’è anche un qualche segreto” mormorò. Io alzai le sopracciglia.

“Davvero?” esclamai “Perspicace" Lei fece spallucce.

“È sempre riuscita a capirmi” dichiarò.

“La mamma è sempre la mamma” mormorai distratta.

“E ovviamente sembra essere del tutto in disaccordo con l’idea del matrimonio” esclamò d’un tratto irritata. Quest’idea del matrimonio non l’aveva ancora digerita.

“A quanto sembra sì.” Lei scosse la testa. Ne avevamo già parlato una volta, quindi mi fermai e non continuai. Il silenzio durò ben poco.

“Per caso” iniziò curiosa “c’entri qualcosa con l’apparizione di Jacob, oggi?” Ecco, come non detto. Quella minima calma che avevo acquistato era persa. Inspirai profondamente.

“Ehm… forse” dissi decisa. Lei alzò gli occhi verso il cielo.

“Ma sei pazza?! Perché gli hai detto di venire a scuola? Sai che Edward…”

“Non gli ho detto di venire a scuola” mi giustificai, fermandola prima che finisse “Gli ho solo consigliato di farti una sorpresa, quando Edward non c’era, a casa tua.” Lei sospirò dopo alcuni secondi.

“Mi ha fatto piacere vederlo dopo così tanto tempo, però” disse con mezzo sorriso. “Sai, non credo che solo Edward sia deciso a impedirmi di andare a La Push, ma anche gli altri Cullen sembrano ben disposti. Soprattutto Alice; riesce a guardare nel futuro e a prevedere qualsiasi mia intenzione di andare a La Push.”

“Sei proprio messa male.” Strinsi il cuscino. Jacob doveva essere un argomento off limits per un po’. Si voltò sospettosa.

“Perché ti sei allontanata così improvvisamente questa mattina?” Io feci un respiro profondo, abbassando la testa.

“Dovevo andare subito in bagno; mi scappava la pipì” mormorai.

“Sii seria, Abi”

Feci un altro respiro ed alzai la testa. Ero io la prima a dire che parlare dei propri problemi poteva aiutare, ma quando avevo io dei problemi la voglia di parlare era zero. La guardai involontariamente acida.

“Hai notato i suoi tentativi di farti ingelosire?” Lei spalancò gli occhi.

“I suoi tentativi di farmi cosa?” chiese confusa. Mi arrabbiai ancora di più; aveva fatto tutto questo gran casino, e non era servito poi alla fine a niente. Me lo dovevo però aspettare.

“Sì, stava cercando di farti ingelosire. Sai, lui è ancora innamorato di te…” dissi a denti stretti. Mi punsero quelle ultime parole. Lei scosse la testa.

“Lo dovevo immaginare…” disse in un sospiro.

“E per farlo ha usato me. L’abbraccio, il bacio… perché secondo te l’ha fatto?!” Lei mi guardò impensierita.

“Non credi di esagerare forse?” mi disse comprensiva “A me è sembrato che si comportasse da amico.” Scossi freneticamente la testa.

“Ti dico che è così” mormorai a denti stretti. “Mi faresti quindi un piacere se lo senti di dirgli che i mostri non mi hanno ancora mangiata. E di evitare il fatto che da due sono passata ad abitare con nove vampiri, per favore. Non credo che andrò a La Push spesso” Lei mi guardò greve.

“Io credo che ti stia sbagliando” ammise lei “Credo che dovresti chiarire con lui.” La guardai attentamente per alcuni secondi e presi veramente in considerazione quello che mi aveva detto. E se avesse ragione lei e non io? Se fosse stato così io avrei preso un granchio di dimensioni gigantesche e Jacob avrebbe fatto bene ad arrabbiarsi. Ma forse lei non si era accorta di una cosa; dopo avermi baciata lui aveva guardato lei, non me. No, non poteva essere diversamente. Questa volta fui io a mugugnare.

"Abigail" disse stranamente sorpresa "Sei gelosa?" La guardai sorpresa quanto lei. No, figuriamoci, manco un pelo. Mi morsi le labbra, pensando velocemente come rispondere. Certo che ero gelosa, ma non potevo certo dirlo a Bella. Era mia amica, le dicevo tutto, ma di Jacob, non se ne parlava. Quella brutta sensazione al riguardo non era ancora sparita.

"No, non è questo!" dissi continuando ad essere arrabbiata. "Insomma, io ho cercato di fargli capire che tu sei innamorata di Edward. Tu stessa hai tentato. Mi ha chiesto di convincerti a lasciar stare Edward, perché pensa che ti possa far del male. E, bhè, anche per gelosia, ovviamente."

"Davvero ti ha chiesto questo?" L'espressione di pura sorpresa non aveva ancora abbandonato il viso di Bella.

"Me lo dovevo aspettare..."

"Già, mi ha fatto sentire parecchio usata questa sua improvvisa presa di iniziativa che mi ha coinvolto nella realizzazione di qualcosa su cui non sono d'accordo" proruppi alla fine. Fui alla fine mezza sincera; non le confessai la mia profonda gelosia, ma solo la parte che riguardava il mio orgoglio. Questo però non fu sufficiente a convincerla.

“Non lo so. Pensaci bene, Abi, lo conosci, credi davvero che possa comportarsi così?”

La guardai per un minuto abbondante in silenzio. Certo che me lo sarei aspettato da lui. Era lei a non conoscerlo, lei non conosceva quella sua parte che sarebbe disposta a fare tutto per lei. Non conosceva affatto Jacob come lo conoscevo io. Restai però zitta. A quel punto avrei potuto benissimo parlare, dire quello che Jacob era; avrebbero magari litigato. Jacob avrebbe sofferto un po’, e gli sarebbe stata bene. Ma non lo feci, perché non aveva alcun senso immischiarsi nell’amicizia di Bella e Jacob. Tra me e Jacob l’amicizia non sarebbe mai diventata qualcosa di più. Non era Bella il problema, ero io. Tanto valeva quindi fare in modo che l’amicizia tra i due si mantenesse; non avevo niente da perdere. Anche se adesso ero terribilmente delusa di Jacob.

Per il resto del tempo io e Bella non parlammo molto. Divenni improvvisamente taciturna, a causa dell’ultimo argomento affrontato.

Bella dopo alcuni minuti si congedò dalla mia camera, dicendo che doveva andare, lasciandomi da sola. Mi buttai sul mio letto. Guardavo il cielo oltre alla porta-finestra; l’immagine concreta del mio umore. C’erano grandi nuvole nere che coprivano il cielo, facendo sì che sembrasse notte e non giorno. Tuonava minacciosamente, ma ancora non pioveva, ma sarebbe arrivato presto. Cercai di addormentarmi, ma i tuoni, sia quelli lontani, che quelli vicini, mi disturbavano. Riuscii ad appisolarmi solo quando iniziò a piovere.

 

Passò una settimana e, come promisi a me stessa, non andai a trovare Jacob. Né fu lui a chiamare.

La stizza non era affatto passata e non servivano né a mamma né a papà nè i poteri di Jasper, che credevo ormai pensasse che avessi un’indole arrabbiata, per capire che c’era qualcosa che non andava. Li vedevo guardarmi preoccupati, ma non mi chiesero mai niente. Questa non era una situazione nuova solo per me, ma anche per loro; mi ero sempre confidata con i miei genitori, con l’uno o con l’altra in base ai diversi problemi. Questa era la prima volta che tenevo i miei problemi per me, perciò intuii, ma questo solo alla fine della settimana, che non sapevano con esattezza come agire nei miei confronti e per tanto lasciarono che fossi io a parlare con loro, se e quando volessi.

Ah, giusto, i miei problemi li condividevo con qualcuno. Con Edward, ovviamente. Non ero certa di quanto e cosa sapesse, né se sapeva. Mi inquietava e mi infuriava ancora di più che qualcuno sapesse della mia… cosa per Jacob. Fino ad ora non osò mai affrontare con me l’argomento e di certo non sarei stata io ad andare da lui a parlarne. Jacob non era esattamente il miglior argomento di conversazione per lui, quanto al momento per me. Sarebbe poi stato terribilmente imbarazzante.

A poco a poco avevo cominciato a rivalutare la posizione di Edward; “ficcanaso” non era il termine più adatto. Conoscendo i pensieri di tutti era una persona molto discreta quando il tema di conversazione erano i fatti di altre persone. Giunsi a questa conclusione riflettendo bene sul suo comportamento nei miei confronti, in particolare a quell’episodio in cui non disse nulla a Bella dei Volturi, quando dopo la “gita” a Volterra venne a casa mia. Mi ricordava sempre più uno di quei gentiluomini dell’ottocento e cominciai ad immaginarmelo benissimo in completo nero con tanto di cilindro in testa.

Non era però esattamente Edward la persona a cui pensai durante quella settimana. Inoltre la noia di quei giorni non aiutò affatto. L’unica cosa eccitante fu sapere che Victoria se n’era andata, di nuovo. Quella vipera stava giocando al gatto e al topo, oltre a condurre un’implicita guerra psicologica nei nostri confronti, in quelli dei miei genitori e di Edward in particolare; ogni volta che si avvicinava troppo entrambi andavano in paranoia, per non parlare di Edward.

Martedì decisi di andare da Jacob, avendo constatato che non era servita a niente quella settimana lontana da lui; quello che avrei dovuto fare fin dall'inizio era andare direttamente da lui, il giorno successivo a quella scenata a scuola. Mi sarei risparmiata una brutta settimana.

Quella mattina a scuola potei restare tutto il tempo con Bella. Anche se da quando mi ero trasferita dai Cullen la scusa della lontananza non reggeva più per restare a casa sua, continuai ad andarci lo stesso e Charlie, pur sapendolo, non fece domande, né mi cacciò mai, come invece avrebbe voluto fare con Edward. Provavo un senso di soddisfazione sapere che gli andavo più a genio di lui, più a genio di un vampiro.

Quella era una bellissima e serena giornata, quasi senza una nuvola, ed alcuni membri dei Cullen ne avevano approfittato per andare a “ricaricare le batterie” non molto lontano da qui, circa un quarto d’ora di distanza, compresi Edward ed Alice. Bella ed io potevamo quindi strarcene finalmente sole.

Avrei scommesso che Edward avrebbe preferito morire di fame, se avesse potuto, piuttosto che allontanarsi da lei anche per mezza giornata. Lo dedussi osservando Bella quel giorno. Non era molto allegra, ma neanche triste. Era un po’ giù. Non ci voleva un genio per capire che quella malinconia era dovuta all’assenza di Edward. Dedussi quindi che valeva lo stesso anche per lui. La lontananza portava entrambi ad un male fisico.

Ma anch’io avevo i miei mali fisici e non a cui pensare. Per tutta la settimana non toccammo l’argomento “Jacob”; e fu meglio così. 

Non l’avvertii nemmeno che avevo in mente di andare da lui; il solo parlare mi infastidiva. Non andai subito da lui quel pomeriggio. Andai prima a casa a prepararmi psicologicamente all’incontro. Feci tutto quello che avrebbe potuto servire per impedire a quella litigata di diventare un massacro; avrei voluto che ci fossero più parole comprensibili con una logica, che urla senza senso. Per prima cosa mangiai; a stomaco vuoto diventavo più irritabile. Andai in camera mia a fare stretching e rilassamento, lo stesso che facevo fare ai bambini a fine lezione. E poi mi feci un bagno nella Iacuzzi; fu ciò che mi aiutò di più. Mi ci vollero due ore e mezza per tutto questo. Alla fine fui davvero più rilassata. Mi sentivo ancora stizzita, ma ero sicura che fossi in grado di affrontare una conversazione decente.

Prima di partire avvertì come sempre mamma. Sembrò per un attimo sorpresa e mi fece anche un grande sorrisone. Dovevo essere davvero più rilassata. Il motore della moto, poi, aiutò ancora di più. Mi sentivo padrona di me stessa. Ci misi un quarto d’ora, come sempre. Parcheggiai allo stesso posto.

Lo vidi prima ancora di essermi fermata. Mi caddero le braccia. Poco lontana dalla mia moto c’era un pick-up rosso che conoscevo bene. Oh, no…

Non avrei di certo potuto discutere di quello che avrei dovuto discutere con Bella vicina. Non la prima volta che veniva a La Push dopo tanto tempo. Ero così presa a pensare a Jacob che non mi resi neanche conto cosa significasse quel pick-up lì. Era il simbolo di una ribellione venuta a termine con esiti positivi. Stava a significare che Bella era riuscita a svignarsela, eludendo l’iperprotettività del suo vampiro e perfino il potere di Alice, approfittando della distanza. Per un attimo fui orgogliosa di lei, ma durò un niente. Quello era il giorno peggiore in cui potesse venire. Avrei dovuto dirglielo quella mattina che sarei andata a La Push! Non mi andava di rovinare la nostra rimpatriata. Stavo per fare marcia indietro e ritornarmene a casa. Invece scesi dalla moto. No, io non me ne sarei andata. Non volevo aspettare un giorno di più. E chissene se avrei rovinato qualcosa!

Nessuno spuntò fuori dalla casetta rossa; voleva dire che non erano in casa. Rimasi per un attimo delusa. Erano forse in garage a fare qualcosa di privato? Scossi frenetica la testa. Che stupide sciocchezze…

Feci un respiro profondo, togliendomi il casco ed appoggiandolo sulla moto. Decisi di andare a bussare.

“Arrivo!” Bene, Billy era in casa. Mi venne ad aprire alcuni minuti dopo, sulla sua sedia a rotelle. Mi guardò con sorpresa e con la stesso sguardo teso che mi rivolgeva sempre.

“Ciao Abigail” disse caloroso. “Come stai?” questa volta non si trattenne dal trapelare una nota di preoccupazione.

“Bene” mentii io.

“Ti sei ripresa? Jacob mi ha detto che non sei più venuta perché non stavi molto bene.” Lo guardai per un attimo confusa, come d’altronde lui stava guardando me. Non avevo idea di cosa stesse parlando, né di che cosa gli avesse mai detto Jacob.

“Sì” risposi dubbiosa “Non stavo molto bene. Credo sia dovuto al cambio di stagione”

“Ah, già” disse lui, guardandomi per un attimo sospettoso. Nonostante il tempo Billy aveva sempre mantenuto quella sua perenne preoccupazione che aveva un qualche cosa di paterno nei miei confronti.

“Se cerchi Jacob e Bella, sono alla spiaggia” disse riscuotendosi.

“Oh, bene, grazie. Allora vado da loro. Ciao Billy” dissi svelta andandomene via.

“Ciao, Abigail” rispose lui e chiuse la porta. A passi svelti mi diressi verso la spiaggia.

Non sapevo ancora esattamente cosa fare. Conclusi infine che la cosa più intelligente era aspettare che Bella se ne fosse andata. Certo, ma nel frattempo? Sarei sicuramente esplosa. Bene, allora voleva dire che avrei fatto in modo di far capire a Bella di andarsene. Non ero molto coerente con me stessa; avevo sempre desiderato che quei due potessero stare un po’ assieme ed adesso ero io quella che li voleva separare. 

Arrivai ben presto alla spiaggia e il profumo del mare riuscì a calmarmi un pochino. Ma ben presto tutti i tentativi che avevo fatto per rilassarmi svanirono completamente. Li vidi su quel tronco bianco ed eroso, lo stesso dove io e Jacob c’eravamo conosciuti per la prima volta. Lei se ne stava seduta sul tronco, mentre Jacob, incredibilmente vicino a lei, se ne stava sul terreno acciottolato. Si tenevano la mano. Mi fermai all’istante. Girai i tacchi, con l’intenzione di andarmene. Avevo iniziato a fremere di rabbia, di nuovo.

“Ehi, Abigail” urlò Jacob gioioso. Nonostante tutte le mie intenzioni la sua voce riuscì a bloccarmi. Con grande fatica mi girai lentamente. Jacob, ancora in quella posizione, stava sventolando la mano libera verso di me. A piccoli passi mi diressi verso di loro, a testa bassa, le mani strette in ferrei pugni nelle mie tasche.

“Ehi, Abi, come stai?” Feci lo sbaglio di alzare la testa. Mi osservava con il suo sorriso bianco, che mi disorientò e mi confuse parecchio. Senza volerlo sorrisi anch’io.

“Bene” dissi in un tono indecifrabile. Mi stavano attanagliando un mare di emozioni, mentre il mio sguardo passava dalle loro mani incrociate al suo sorriso.

“Bella mi ha detto che avevi la febbre e non saresti venuta” disse, guardandomi strano. Io fissai Bella, che mi guardò eloquente. Era stata sincera per metà; ero stata realmente male.

“Ah, già” mugugnai “Ora sto meglio”

“Avresti però potuto avvertire direttamente me” mormorò, dubbioso. Io non seppi davvero cosa rispondere, soprattutto perché in quel momento la mia testa era altrove. Mi limitai ad accennare un’alzata di spalle. Brutta risposta; ora avevo fatto capire che qualcosa in me non andava. Entrambi mi guardavano fissi e confusi, Jacob molto più di Bella.

“Abigail, sei sicura che sia tutto okay?” La sua serietà mi sorprese. Io alzai le sopracciglia ed annuii involontariamente.

“Forse credo ancora di risentire della febbre” dissi nervosa. Stavo perdendo il controllo. Chiusi gli occhi e feci un breve respiro. Cercai di guardare entusiasta Bella.

“Uau, Bella, vedo che sei riuscita a sfuggire dal tuo aguzzino, complimenti” dissi, leggermente ad alta voce. Lei sfoderò un piccolo sorrisino imbarazzato.

“Già” mormorò sconsolata. “Scommetto però che mi starà già aspettando oltre il confine.” Vidi Jacob stringere ancora di più la mano, voltandosi verso di lei con un sorriso; io spalancai gli occhi, arcigna. Nessuno però lo notò.

“Vorrà dire che lo faremo aspettare per molto tempo” rispose allegro. Tornò a guardare me “Ora i tre sono tornati assieme.” Io non risposi. No, affatto, i tre non esistevano più, né sarebbero più esistiti. Non per colpa di Edward, come Jacob era stato il primo a credere, e come anch’io per un po’ di tempo avevo creduto. Non sarebbero più esistiti per colpa mia. Se dovevo sentirmi così… strana ed imbarazzata come adesso insieme a loro due, bhè, allora non avrei partecipato molto alla compagnia. 

“Vi ho interrotto mentre parlavate di qualcosa di importante?” dissi invece di botto. Speravo solo che non avessero notato la nota acida della voce. Bella mi lanciò un’occhiata penetrante.

“No” disse quasi disgustata. Anche lui mi lanciò un’occhiata intensa. “Abi, cosa c’è che non va?” Abbassai la testa e la scossi ripetutamente.

“No, niente, sono… un po’ nervosa” dissi con rassegnazione. Era senz’altro la miglior bugia che avessi mai detto.

“Vuoi… sederti?” mi domandò Bella, esitante. Alzai di scattò la testa.

“Certo, grazie.” Automaticamente mi infilai in mezzo a Jacob e a Bella.

“Scusa, Bella, vai un po’ più in là, che non ci sto, grazie…” Fui quasi contenta di dire quelle parole, mentre muovendo il mio fondoschiena cercavo di crearmi un varco. Le loro mani si separarono e me ne rallegrai. Incrociai le braccia e le gambe. Per la prima volta sorrisi quel giorno, anche se era un sorriso isterico. Jacob guardò Bella con dispiacere, mentre lei mi continuava a fissare immobile. Mi sentii stranamente più rilassata, ora che tra loro due c’ero io.

“Allora, Jacob, di cosa stavate parlando?” dissi, con troppa insistenza nella voce. Mi guardò per un attimo, sgomentato, che però sparì subito davanti al mio falso sorriso sincero. Ero proprio una guastafeste. Me ne dispiaceva così tanto…

 Jacob mi lanciò un’occhiataccia. Si era creata un’atmosfera molto pesante da quando ero arrivata; la percepivo, ma sentirla mi faceva malsanamente piacere.

Bella si alzò improvvisamente dal tronco eroso. Mi guardò un’ultima volta. Era stata la prima ad accorgersene. Io le indicai con il mento di andarsene al più presto. Lei mi capì, guardandomi impensierita. Pensavo avesse capito che dovevo parlare con Jacob al più presto.

“Non stavamo parlando di niente di importante” mormorò, sistemandosi i pantaloni “Forse adesso è meglio se vado. Angela mi sta aspettando…” Angela? Angela Weberg? Perché doveva andare da Angela? Era stata un’ottima scusa, se lo era…

“No! Resta ancora un po’!” sobbalzò Jacob, mentre le afferrava la mano, sotto i miei occhi. Io mantenni lo sguardo fisso su di Bella, che stava guardando dispiaciuta Jacob.

“Jacob, devo andare…” mormorò. Lui sbuffò, peggio di un bambino.

“Ti prego rimani ancora un po’…” implorò, stringendo di più la mano e tirando Bella leggermente verso di se. Quella situazione non mi fece pena neppure un po’, non in quel momento.

“Non posso” disse, con voce leggermente più ferma. Jacob espirò profondamente, totalmente demoralizzato.

“Ma quando ci possiamo rivedere?” continuò.

“Al più presto possibile, Jacob, te lo prometto” disse sicura Bella.

Non volevo far perdere le speranze a nessuno dei due, ma credevo proprio che da quella trasgressione Edward avrebbe rinforzato la guardia. Per un attimo mi ricordai dei Volturi, che non erano molto diversi da Bella; loro avevano una guardia di una decina di vampiri, Bella aveva una guardia di una decina di vampiri contro i licantropi. Che paragone inquietante. Jacob annuì con la testa.

“Va bene” mormorò rassegnato “Ti accompagniamo.” Mi alzai insieme a Jacob senza fiatare ed accompagnammo Bella al pick-up. Per tutto il tragitto stetti attaccata a Bella, ben lontana da Jacob.

“Bhè, io vado” disse Bella, aprendo la porta del pick-up. Prendendola alla sprovvista Jacob la afferrò e la strinse. Bella dopo un momento di sgomento, ricambiò con un sorriso. L’abbraccio durò relativamente poco. A pochi centimetri di distanza, Jacob le accarezzò con il palmo della mano una guancia. Strinsi pugni e denti, cominciai a fremere, come fossi un licantropo in trasformazione.

“Telefonami, mi raccomando” mormorò. Lei si scostò leggermente, ma ricambiando il sorriso.

“Certo.” Si rivolse poi verso di me “Ci vediamo domani, Abi” Feci una fatica immensa per togliere la mano dalla tasca e sventolarla. Ingranò la prima ed il pick-up rosso e lentamente si allontanò verso la 101. Jacob lo fissò, finché non scomparì completamente. Io non riuscii a muovere un muscolo.

“Mi vuoi dire che cosa cazzo ti è preso?!” urlò furibondo verso di me. Non era tanto arrabbiato, quanto confuso. Non risposi alla sua domanda. Proprio quel giorno Bella aveva intenzione di andare a La Push? Ero ridiventata un fascio di nervi. Se avessi parlato di “quella cosa” con il diretto interessato Billy avrebbe di certo creduto che ci stessimo ammazzando, da tanto avremo gridato e litigato. Dovevo trovare prima un modo per calmarmi. Mi venne automatico andare quindi in garage; speravo che lavorare per un po’ alla macchina mi avrebbe calmata un minimo. Jacob mi si parò davanti. Alzai lo sguardo verso di lui, spaesata.

“Mi vuoi dire cosa cavolo ti sta succedendo, Abi?” disse questa volta più preoccupato. Mi venne un crampo alle braccia.

“Andiamo a lavorare prima alla macchina” mormorai, scansandomi. Si spostò di nuovo davanti di me.

“E’ successo qualcosa di grave, vero?” mormorò serio anche lui. Sì, è successo qualcosa di grave, ma sei troppo stupido per capire che il “grave” sei tu. Inevitabilmente lo fulminai con lo sguardo.

“Te ne parlo dopo aver lavorato un po’ alla macchina” ripetei, a denti stretti. Nonostante tutto l’occhiata che gli lanciai la doveva aver recepita come uno sguardo di supplica, perché mi fece strada al solito garage.

Lavorammo alla macchina in silenzio, per le seguenti una, due ore. Non parlammo neanche e per passarci gli attrezzi, ci limitavamo ad indicarli e basta. L’atmosfera si era fatta di nuovo pesante e l’espressione concentrata e seria di Jacob lo faceva sembrare arrabbiato. E forse anche lo era. Mi tenni concentrata fino a che potei. Lavorammo così tanto da finire i pezzi nuovi che Jacob aveva procurato, cosicché non c’era più niente da fare. Quando gli diedi i soldi per il lavoro lui li accettò senza fiatare.

Ok, l’atmosfera si era fatta davvero insopportabile ed invece di rilassarmi mi stava opprimendo ancora di più. Decisi di parlare.

“Jacob?” mormorai.

“Finalmente” sospirò lui, nervoso. Per una volta non ci badai. Incrociai le braccia e lo guardai fisso negli occhi.

“Non sei venuto per me, stamattina, vero? Sei venuto per Bella” dissi di getto. Lui alzò un sopracciglio, confuso.

“No, sono venuto anche per te, te l’ho detto” mi rispose seccato. “E’ solo questo il tuo problema?” Solo questo?!

“Ma all’inizio era per vedere Bella, non è vero? Non mentirmi” insinuai io acida, la voce di una nota più bassa. Aprì la bocca per ribattere, ma io non lo lasciai fare.

“E dimmi perché eri tanto affettuoso con me. L’abbraccio, il bacio… E’ strano che tu lo sia stato proprio in quel momento. Era per farla ingelosire, non è vero?” Questa volta lui non parlò. Rimase a pensarci un momento, osservandomi pensieroso.

“Ah. E’ per questo” mormorò. Io esplosi. Quindi era veramente come pensavo. E dire che avevo sperato fino all’ultimo che non fosse così…

“Che stupido! Primo, cosa ti ha fatto pensare che potesse ingelosirla?! L’unico geloso eri solo tu, Jacob! Secondo, mi hai fatto incazzare come una iena! Non mi frega niente cosa vuoi fare con Bella, ma non osare usare me! Ti ho avvertito, sai che con questa storia io non ci voglio avere nulla a che fare!”

“Sì, lo ammetto, ero geloso” alzò la voce anche lui, per farsi sentire “Mi stava facendo impazzire vederli assieme. E sì, ho cercato di farla ingelosire. Non è stato però un atto premeditato, mi è venuto spontaneo. Ma sono venuto davvero anche per te!” Non badai all’ultima frase.

“Ma cosa vuoi che m’importa se è stato un atto premeditato o no?!” sbottai io. Fece un respiro profondo e mi guardò dispiaciuto. Conoscevo quell’occhiata. Era quella che dava inizio alla “sequenza del perdono”; lui si scusava, io continuavo a rimanere della mia, lui continuava a scusarsi ancora, io decidevo di perdonarlo, sentendomi una gran stupida per aver litigato con il mio migliore amico.

“Mi dispiace di averlo fatto. Non volevo affatto usarti.” Ma la “sequenza del perdono” avrebbe quell’oggi fatto un’eccezione.

“Mi dispiace, non lo faccio più, mi perdoni, blablabla…” lo interruppi io, al colmo dell’irritazione. Ecco, avevamo cominciato a gridare. “Ecco perché eri sempre felice ultimamente, con quel dannato sorriso in faccia, perché eri strasicuro che quello che avresti fatto sarebbe andato a tuo vantaggio!”

“Ero felice perché vicino a me c’era ancora una persona come te che mi faceva sentire bene” mi rispose serio e calmo, con l’esatto tono che aveva usato quella mattina con Edward, lo stesso tono che anche Sam usava con i vampiri, che non aveva niente a che fare con il Jacob che conoscevo io. Quelle parole, poi, furono peggio di un colpo in pieno petto, tali che mi fecero stare zitta.

“Io sto cercando di scusarmi e tu fai la stupida! Abi, sii seria almeno per una volta.” La sequenza non era cambiata del tutto; mi aveva dato della stupida e mi sentivo veramente una stupida. Ma quello che sapevo con certezza era che quella volta più stupido di me era lui.

“Mi stai dando della stupida? A me?! Ma come… come… ti permetti? Proprio tu, poi?!” sbottai riuscendo a staccare le braccia intorpidite dal petto.

“Come diavolo faccio a parlarti, se tu non mi stai neanche a sentire?!” sbottò anche lui. Non erano però parole quelle che volevo. Riuscii finalmente a scampare dalla mia rabbia travolgente. Le parole non sarebbero servite, no. Quello che volevo da Jacob lui non lo capiva…

“Puoi fare di meglio, Jacob” limitai a mormorare. Lui alzò le braccia e subito le lasciò subito andare, sospirando.

“Non spreco fiato con persone che non mi ascoltano. Va a quel paese, Abigail. Tu e quel succhiasangue” mormorò stufo della mia scenata. “Gli auguro tanta sofferenza…”

“Come se non l’avesse già avuta quando ha lasciato Forks per Bella” dissi sottovoce, scuotendo la testa, sovrapensiero.

“Tu sai cos’è successo” ammise con voce ferma. Il mio sfogo si bloccò di colpo. Lo guardai negli occhi impassibile, mentre lui mi ricambiava uno sguardo allarmato. Imprecai nella mia mente.

Mi ero accorta solo adesso della grande cavolata che avevo detto. Se Jacob avesse davvero saputo la goccia che fece traboccare il vaso e che aveva spinto Edward ad andarsene, non solo lui, ma tutti i licantropi si sarebbero mossi e sarebbero nati fin troppi guai. Dovevo andarmene al più presto, sperando che il seme del dubbio non fosse già germogliato.

“Ciao, Jacob” dissi veloce e brusca, andandomene immediatamente da quel posto. Lui fu più veloce e mi prese il braccio.

“No, Abi, dimmi cos’è successo.” Sentivo tremare la mano che mi tratteneva. Lo guardai negli occhi.

“Non ci penso nemmeno” dissi in tono di sfida, senza neanche sapere se era la cosa giusta da dire. Lui mi strinse il braccio ancora di più.

“Le hanno fatto del male? Hanno forse cercata di ucciderla, vero?” sibilò a denti stretti, ragionando da licantropo. “Perché diamine non ci avevo pensato prima?” Cominciò a tremare tutto. Mi misi sul chi vive; era sulla buona strada per trasformarsi.

Allarme rosso; le cose da fare erano diventate due. O me ne andavo al più presto, o trovavo un modo per calmarlo. Visto che la seconda opzione era impossibile al momento, era meglio se filavo alla svelta. O meglio, era quello che avrei dovuto fare. La cattiveria che mi trascinava mi spinse a non pensare a questi particolari che potevano diventare vitali.

“Perché non lo vai a chiedere alla diretta interessata, che ami tanto per cui useresti i tuoi amici per farla ingelosire?!” sbottai senza pensarci, riuscendo a liberarmi dalla sua presa. In realtà fu lui che me la lasciò.

“Sai una cosa? Sarà proprio quello che farò” ammise deciso. Mi superò, uscì dal giardino e lo vidi sottoforma di lupo prima ancora di inoltrarsi nel bosco. Rimasi nel garage almeno per due secondi, senza rendermi conto di quello che era successo. Elaborai il tutto in breve. Jacob, fortemente instabile, stava andando da Bella. Avrebbe parlato a Bella in quello stato. Non volevo neanche pensare alla scena. Non mi fidavo di lui in quel momento. O mio Dio. Mi sentivo terribilmente stupida.

Magnifico. Cos’era, una maledizione quella che avevo ricevuto qua a Forks? Prima andando a Volterra, poi dicendo le cose sbagliate alle persone sbagliate; non avevo mai creato e affrontato situazioni difficili o impossibili tanto spesso da quando ci eravamo trasferiti.

Mi feci prendere subito dall’agitazione. Bhè, a Bella almeno non sarebbe successo niente; ci sarebbe stato Edward. In compenso, ci sarebbero stati, nella migliore delle ipotesi, un licantropo ed un vampiro pronti ad azzannarsi. Scattai verso la moto, accessi, misi il casco e partii in quarta verso casa di Bella. Dovevo fare qualcosa, dovevo fare qualcosa, anche se avevo già fatto abbastanza. Per tutto il tragitto pensai a quanto poteva andare veloce una moto a confronto di un licantropo e mi trovai ad accelerare sempre di più, ringraziando l’asfalto asciutto.

Superai ogni record ed arrivai a casa di Bella in cinque minuti. Sentendomi arrivare lei si era già presentata sul marciapiede, dove mi stava aspettando. Mi guardava confusa. Tolsi veloce il casco ed automaticamente mi guardai attorno. Non c’era traccia di vampiri, né di licantropi.

“Abigail, sai cosa è successo, non è vero?” mi domandò allarmata. Lo sapeva?

“Cosa è successo?” le chiesi ansimando, allarmata più di lei. Lei si immobilizzò.

“Edward è appena andato via senza dirmi niente. Anzi, si è appena volatilizzato. È un termine migliore. È una coincidenza che ora tu ti sia materializzata a casa mia?” mi disse tesa.

Ovvio; Edward sentendo arrivare Jacob, era andato subito da lui, senza lasciargli il tempo di avvicinarsi troppo a Bella. E quindi, sentendolo arrivare anche i Cullen, erano sicuramente andati da lui. E di conseguenza anche i licantropi. O. Mio. Dio. Guardai Bella implorante.

“Ho fatto un casino, Bella” Lei mi perforò seria con lo sguardo.

“C’entra Jacob, vero? Di cosa avete parlato?” Respirai profondamente.

“Gli ho detto che sapevo perché Edward se n’era andato” Lei spalancò gli occhi.

“E tu glielo hai detto?!” sbottò. L’auto della polizia per fortuna non c’era.

“Ovvio che no” specificai subito “Gli ho fatto capire che lo sapevo. Lui l’ha voluto sapere, ma io non glielo voluto dire. Ed ha voluto venire da te. Ma Edward deve essere andato subito da lui. Quindi anche i Cullen e gli altri licantropi li hanno seguiti” conclusi facendo un respiro profondo e continuando ad ansimare. Bella si mise una mano tra i capelli, restando zitta. Cavolo, cavolo, cavolo, che razza di casino che avevo combinato.

“Bisogna fermali, prima che succeda qualcosa” disse seria. Io la guardai ancora implorante.

“E cosa?” dissi completamente spaesata. Seria, cominciò a fissare un punto indefinito sul pavimento.

“Bisogna senz’altro calmare Jacob. E’ il più instabile e predisposto ad iniziare uno scontro.”

“E come?! Sei sicura che i suoi compagni lo aiuteranno a calmarsi davanti un’orda di vampiri pronti ad….?!” Mi venne il lampo di genio. A calmarlo non dovevano essere loro, dovevamo essere noi. O per meglio dire, doveva essere Bella; si era infuriato perché voleva parlare con lei, no? Farlo quindi lo avrebbe tranquillizzato di sicuro. Era però impossibile raggiungerli. Non avrei mai portato Bella in mezzo ad un combattimento tra licantropi e vampiri, oltre a non avere la minima idea di dove fossero. Conoscevo però un modo per comunicare con Jacob senza avvicinarmi a lui. Dovevamo però fare in fretta. Guardai Bella negli occhi.

“Sali” le ordinai. Lei scosse impercettibilmente la testa.

“Cosa hai intenzione di fare?” La tornai a guardare.

“Fidati di me, funzionerà!” Credo. Le porsi il casco. Dopo un attimo di tentennamento lei lo prese e se lo mise. Partii spedita per La Push, di nuovo. Raggiunsi la stessa velocità di prima, nonostante dietro di me ci fosse un’altra persona. La sentii stringersi a me man mano che acceleravo. Arrivammo a La Push dopo cinque minuti. Questa volta però non andai a casa di Jacob. Andai a casa di Emily. Avevo bisogno di un licantropo e non sapevo dove altro trovarli se non lì.

Spensi la moto dopo che la porta della casa di Emily si fu bruscamente aperta . Ad uscire era Paul. O no, tra tutti i licantropi proprio lui? Sarebbe stato impossibile collaborare, ma non avevo altra scelta. Paul si diresse spedito verso di noi, mentre mi lanciava occhiate poco gradite. Dietro di lui spuntò Emily, che rimase vicino alla porta, guardandoci confusa.

“Che cosa hai intenzione di fare?” mi ripeté confusa ed esasperata Bella.

“Cosa siete venute a fare qua?” ci diede il benvenuto Paul. Cominciavamo già bene. Mi lanciò uno sguardo riluttante. Per quella volta non ci feci caso e ricambiai con uno sguardo implorante.

“Abbiamo bisogno di un favore” Lui alzò lo zigomo, con espressione di scherno.

“Non faccio favori a finte figlie di succhiasangue.” Strinsi i pugni. Feci tutto il possibile per non pensarci. Qualsiasi cosa avrebbe detto non avrebbe dovuto farmi perdere le staffe. Avevo già combinato fin troppi guai. Ebbi la forza di tralasciare anche quel particolare. Feci un respiro profondo. Bella lo guardava ripugnante.

“E’ per Jacob” specificai io. Lui alzò le sopracciglia.

“Che cosa gli avete fatto?” sbottò “Sapevo che non avrebbe dovuto stare con voi. Soprattutto con te” disse indicando me.

“Dobbiamo parlare con lui, attraverso la capacità di leggere il pensiero di voi licantropi. E’ importante!” Lui mi guardò di sbieco. Bella mi guardò, intuendo i miei piani.

“Cosa sta succedendo a Jacob?” rispose di rimando. In forma umana non poteva sapere quello che stava succedendo. Era inutile, non capiva. Io cominciavo ad agitarmi sempre di più. Ci avrebbe davvero dato il tempo di comunicare con Jacob, una volta che, trasformatosi anche lui, sarebbe venuto a conoscenza di tutto, e non sarebbe partito spedito verso il branco? Di colpo venne sorpassato da Emily.

“Paul, per favore, fai quello che ti dicono” Sarà stato intuito femminile, oppure no, ma Emily aveva capito la gravità della situazione. La guardai per un momento con gratitudine, e mi ricambiò con un sorriso. Paul guardò riluttante anche lei, ma cominciò a tremare e si trasformò. Quella per fortuna era una strada sempre deserta e nessuno poteva vederlo. Paul cominciò a ringhiare, pronto per balzare lontano da noi ed andarsene dai suoi compagni.

“No, Paul, per favore, rimani” disse Emily più nervosa di prima. Magicamente Paul obbedì e rimase fremente lì dov’era, mentre osservava quello che stava succedendo miglia lontani da qua. Era straordinario come Paul diventasse pongo nella mani di Emily; aveva una certa influenza, essendo l’anima gemella del capo branco. Non persi troppo tempo. Oltrepassai Emily, mettendomi davanti a lui. I miei occhi incrociarono i suoi. Il suo sguardo sprezzante non era ancora cambiato.

“Mi può sentire?” Con mia grande sorpresa Paul fece un piccolo accenno con la testa. Mi volsi verso Bella, stranita dalla situazione.

“Parlagli” le chiesi. Avere la certezza di essere osservata non solo da Paul, ma da molti altri licantropi era una strana realtà. Bella si fece avanti, più sicura di me. Guardò attentamente gli occhi di Paul.

“Jacob torna a La Push” disse, come se fosse lì davanti a sé “Non fare sciocchezze. Ti dirò tutto quello che vuoi sapere qui. Non me ne vado finché torni.” Quando terminò Paul continuò a rimanere immobile, respirando pesantemente.

Non sapevo quello che sarebbe venuto adesso; Jacob aveva davvero ascoltato Bella? Sarebbero ritornati, lui ed i suoi compagni a La Push? Aveva funzionato il mio piano?

Vidi veloce Paul scattare di lato e partire verso la fitta vegetazione che circondava la casetta di Emily. Feci un paio di passi avanti, confusa dalla sua reazione.

“Ragazze, cosa è successo?” ci chiese Emily preoccupata, il tono scandito dalla sua consueta gentilezza. La guardai con rammarico, senza però dire niente.

Fu in quel momento che arrivarono. Non molto lontano da noi uscirono dallo stesso punto in cui era scomparso Paul il branco di lupi al completo. Camminavano svelti e spediti verso noi tre, preceduti tutti da Jacob. Il pensiero di quello che avevano appena fatto mi attanagliò per un attimo. Erano andati dai vampiri; avevano combattuto? O non ce n’era stato il tempo?

Jacob si parò immediatamente di fronte a Bella, guardandola impietrito e non muovendo un solo muscolo. Il resto del branco invece squadrava me. C’era un grande fremore nell’aria.

“Sono tutto orecchi” mormorò Jacob. Bella riuscì a mantenere lo sguardo senza abbassarlo.

“Questa questione riguarda tutto il branco, Jacob” intervenì Sam, avvicinandosi a lui e distanziandosi solo il minimo indispensabile da Emily. Per la prima volta Jacob distolse lo sguardo da Bella e fulminò Sam.

“Posso parlarle prima io?” disse monocorde. Bella continuava a rimanere immobile davanti di lui. Sam e Jacob si scambiarono una lunga occhiata indecifrabile.

“Jacob, chi sei tu per disubbidire agli ordini di Sam?!” sbottò Jared improvvisamente, alzando le braccia al cielo. Vedevo con la coda nell’occhio Paul fulminarmi.

“No, Jared. Se prima Jacob vuole parlare con Bella è libero di farlo” disse infine Sam. Jacob non perse tempo e guidò Bella verso la casetta di Emily, nel retro.

“Sam, non puoi farti sempre condizionare in questo modo da Jacob!” sbraitò di nuovo Jared. Vidi intanto Embry guardarmi curioso, ma non ne capì bene il perché.

“Ce lo dirà Abigail quello che abbiamo il diritto di sapere” disse rivolgendosi per la prima volta verso di me. Ora tutti e quattro i licantropi stavano osservando me, aspettando che parlassi. Notai stranamente che avevano composto un vago semicerchio attorno a me. Come appunto un cerbiatto circondato dai lupi. Ricambiai lo sguardo di Sam meglio che potei, cercando di nascondere il disagio ed il nervosismo. Di colpo il cuore cominciò a battere più velocemente. Credevo di non aver mai desiderato così tanto scomparire. Non avrei mai immaginato che non dirlo a Jacob avrebbe comportato doverlo dire a tutti i licantropi. Tutti e quattro mi guardavano impazienti e terribilmente seri. La verità, certo, non l’avrei potuta dire; avrei dovuto mentire. Chissà però se ci sarei riuscita questa volta.

“Credo sia meglio ve lo dica Bella, visto che è lei la diretta interessata” dissi mostrando sicurezza. Bene, dal mentire ero passata a creare guai agli altri e a render loro la vita più difficile. Era caduta molto in basso, recentemente.

“Non credo sia molto importante questo. Ne verremo a conoscenza in ogni caso” rispose immediatamente Sam. Era sicuramente una mia impressione, ma credevo che il cerchio si stesse stringendo. Feci un respiro profondo.

“È meglio se ve lo dice lei. O Jacob. Non ero presente in quel momento ed è molto probabile che ciò che so non sia esatto”

“Basterà sicuramente” replicò sicuro Sam. “Abigail, non ce lo vuoi dire perché in realtà i Cullen hanno cercato di uccidere Bella, e tu in questo momento stai cercando di difenderli, vero?” continuò, l’espressione irremovibile, il tono calmo e sereno.

Mi feci prendere subito dal panico; aveva centrato il problema appieno. Guardai per un attimo Emily, vicina a Sam, che da sempre mi aveva sostenuta, sperando di trovare un appoggio anche in quel momento. Anche lei mi guardava con la stessa identica e calma impressione di Sam; l’unica differenza era la curiosità che ostentava. Tornai a guardare Sam, fingendomi sicura e facendo finta degli altri tre licantropi.  

“No, non hanno cercato di ucciderla” mentii alla grande. Fu una grande prestazione. Sam respirò profondamente, poco convinto.

“Abigail, non ti nascondo che all’inizio ero diffidente nei tuoi confronti. Ma Jacob ha molta fiducia in te, quindi ne voglio avere anch’io, nonostante alcuni miei compagni non condividono pienamente le mie opinioni” disse dosando bene le parole “Usa bene questa fiducia, Abigail.” Il suo tono era diventato molto più comprensivo.

Imprecai mentalmente. Odiavo questi discorsi sulla fiducia, sull’importanza che le persone mi davano, che d’altronde, in un modo o nell’altro, non stavo mai a sentire, e che quindi procuravano solo delusione. Feci un respiro profondo anch’io. Sam mi aveva messa con le spalle al muro. In questo caso mentire alla grande implicava alcune cose molto gravi per me; innanzitutto, se un domani i licantropi avrebbero scoperto la verità, oltre a creare un conflitto supernaturale, avrei potuto considerarmi fuori dal gruppo dei licantropi, e quindi lontana da Jacob. Poi, avrei messo in grandi guai i Cullen. Anzi no; li avevo già messi nei guai. Più pensavo a quelle poche parole che avevo detto, più mi stavo rendendo conto di quello che avevo causato. 

“No, non hanno cercato di ucciderla” dissi, scandendo le sillabe, poiché mi ero terribilmente difficile. Fui incredibilmente credibile, nonostante il mio stato emotivo sotto zero. Credevo inoltre senza alcun dubbio che sarebbe stato anche quello che avrebbe detto Bella a Jacob.

“Mente!” sbottò Paul, parlando per la prima volta. Sobbalzai, non tanto per la voce alta, quanto per quello che aveva detto. Pensai che in realtà avevano la capacità di capire chi mente e chi no. Magari sentendo il mio battito cardiaco, ora a mille, attraverso una specie di macchina della verità incorporata, o altre cose licantropesche. Sam non stette ad ascoltarlo e continuò ad osservare me. Per non sembrare insicura, mantenni anch’io lo sguardo fermo.

“Io le voglio credere” disse alla fine Sam, voltandosi verso i suoi compagni, i quali non sembravano pensarla come lui.

“Sam, sta dalla parte dei succhiasangue, secondo te ce lo verrebbe a dire? Non è stupida” sbottò Paul, avvicinandosi a Sam.

“Ne abbiamo già parlato, Paul” rispose severo Sam.

“Sei davvero sicuro di quello che fai, Sam?” chiese Jared, con le braccia incrociate, più razionale e tentennante di Paul. Sam mi guardò ancora una volta.

“Sì, Jared”

“Io le credo” esclamò con un sorriso Embry. Grazie, Embry. Io gli risposi al sorriso; intanto mi sentivo sempre più una vera e propria nullità. Vidi anche Emily accennarmi ad un sorriso. Paul alzò le braccia e subito le lasciò cadere a terra. Alla fine quindi ero riuscita a convincerli. Bene. Cioè, in realtà male, per come stavo in quel momento.

“A proposito, buona trovata quella di prima!” continuò entusiasta Embry. “Sei riuscita a calmare Jacob; non ci siamo mai riusciti. Cioè, sì” si corresse “ma non in così poco tempo!”

Io mi limitai ad alzare le spalle, non sapendo cosa dire. In realtà era stata Bella, non io a calmarlo. Sembrava averlo detto però, non diretto a me, ma agli altri tre licantropi, in particolare Jared e Paul, per sottolineare i miei lati positivi. Di fronte all’affermazione di Embry Paul continuò a sbuffare, mentre Jared rimaneva immobile e pensieroso. Sam sembrò che ammiccasse un sorriso nella mia direzione, ma fu talmente tanto impercettibile che forse lo confusi con una smorfia. Tuttavia mi sentii solo un po’ meglio. 

Sobbalzai all’imprecazione di Jacob, proveniente da dietro alla casa di Emily. Divenni improvvisamente tesa. Avevano iniziato a gridare. Quell’urlo richiamò l’attenzione generale.

“Jacob sta cominciando a dare in escandescenze” disse Embry, nervoso. Il mio primo impulso fu quello di andare dietro a quella casa, per vedere cosa stava succedendo.

“È meglio se vado a vedere cosa sta succedendo” mormorai, tentando di uscire da quella situazione tesa ed imbarazzante. Sam mi fece un cenno di consenso.

“È meglio di sì.” Mi mossi subito, sotto le battute poco piacevoli di Paul.

“Certo, lei ormai è diventata una maestra a proposito” Lo sentii gridare.

“Paul, datti una calmata” sentii invece dire Jared calmo. Percorsi la distanza che separava me dal retro della casa in poco tempo, desiderosa di lasciarmi i licantropi alle spalle il più presto possibile. Che situazione devastante.

Arrivata cominciai ad arretrare, per non farmi sentire. Non mi feci subito vedere dai due, ma rimasi nascosta dietro la parete, per sentire quello che stavano dicendosi. Era in realtà come spiarli, ma a me piaceva vederla come aspettare il momento più giusto per intervenire.

“Cosa vorrebbe dire che ne era ossessionato?!” sbottò Jacob, arrabbiato. Non potevo vedere le loro facce, ma potevo immaginarmi la sua espressione furente.

“Vuole dire che nessuno mi ha mai fatto niente. I Cullen se ne sono andati perché Edward era persuaso che prima o poi sarebbe successo.” Anche Bella si era adirata. Erano in piena lite, forse sarei dovuta intervenire. Tuttavia Bella gli stava tenendo testa abbastanza bene. Era stato straordinario il suo cambiamento di fronte a questa situazione; aveva dimostrato una fermezza che non avrei mai immaginato in quella ragazza inciampante. Stava inoltre mentendo in modo strabiliante, nonostante sapevo che era davvero scarsa. Diciamo nascondere la verità per il bene di tutti; mentire era una parola abbastanza brutta. 

“Bè, avvertimento più chiaro di questo!” riprese Jacob. “Se anche lui è convinto di poterti far del male, vuole dire che molto probabilmente prima o poi succederà! Sono troppo pericolosi, Bella, lui e i suoi compagni. Non lo capisci?”

“No, non lo capisco.”

“Lasciali stare, ti prego.” Il tono di Jacob ora si era fatto implorante. Lo faceva quasi sempre; quello che non riusciva ad ottenere gridando o sbraitando, cercava di ottenerlo implorando. Nel solo caso di Bella, però. Con me invece mi mandava direttamente a quel paese.

“No” rispose Bella, non arrabbiata, ma ferma. Mi sorpresi di nuovo della Bella che stavo sentendo. Era una persona totalmente diversa.

“Sai che sono in grado di impedirtelo” riprese Jacob, passando direttamente alle minacce, tentando il tutto e per tutto. Strano, a me non mi aveva mai minacciato, nonostante fosse una tattica coerente con il nostro rapporto conflittuale.

“Davvero?! Vuoi nascondermi nel tuo garage per il resto della vita. Non ci credo!” sbottò Bella sarcastica. Ebbi una straordinaria ammirazione per quella ragazza; non solo stava riuscendo a convincere Jacob di una balla, ma lo stava prendendo anche in giro. Io non avrei saputo fare di meglio.

“No, ma siamo un gruppo di licantropi numeroso, in grado di tener testa a quello dei tuoi amici succhiasangue” insinuò lui serio, con voce cattiva. Jacob ci andò davvero pesante; a Bella aveva sempre inquietato questa particolare caratteristica dei licantropi e sapevo che Jacob lo sapeva. Lei però riuscì ad uscirne in modo altrettanto maestrale.

“Sentiamo, con che scusa riuscirai a trascinarli in questa impresa suicida?! Non hanno violato il patto, non avete alcun pretesto! Jacob, smettila di fare il bambino!” replicò, questa volta anche lei acida. Passarono alcuni minuti di silenzio. Touchè; Bella ci era riuscita, era riuscita a convincere Jacob, lo sapevo. Senti un profondo sospiro; doveva essere di Jacob. 

“Ci vediamo così poco ed in questi rari momenti litighiamo, sempre sullo stesso dannato argomento. Bella cosa ci sta succedendo?” rispose, senza alcuna traccia della precedente arrabbiatura. “Mi sento così solo senza di te.” Sentii qualcosa frusciare, ma non capii bene cosa.

“C’è sempre Abigail” rispose Bella, comprensiva, anche lei non più arrabbiata.

“Ah!” sbuffò scocciato “Lei non è niente. Non vale nulla, in confronto a te”

Ogni fibra del mio corpo si contrasse, fino a non respirare più. Ah… bene. Sentii le sopracciglia corrugarsi, poiché non avevo ancora capito bene cosa stava succedendo al mio corpo. Una nullità, eh?

 

 

 

 

Per tutti coloro che aspettano da un momento all'altro una dolce scenetta tra Abigail e Jacob, mi dispiace, ma dovranno aspettare ancora un po', perché è evidente che litigherano ancora ed ancora!

Non è successo nulla di interessante in questo capitolo, se non per la fine. E' una cosa che in parte mi tocca fare, per seguire i tempi del libro (sono tipo ogni volta messa davanti al computer con eclipse sulle gambe pensando 'allora, nel libro succede questo questo e questo, quindi nel mentre Abigail farà questo questo e quest'altro)!

Nonostante tutto, spero che anche questo sia stato di piacevole lettura!

Ancora una cosa, mi rendo conto della lunghezza stratosferica dei capitoli, ma mi è necessario anche questo, perchè la storia è ancora molto lunga e non voglio arrivare a pubblicare cento capitoli!

Grazie ancora a tutti per aver letto fino a questo capitolo! Adesso con l'estate ho più tempo per scrivere, ma continuo a pubblicare saltuariamente. Uffa! Perdonatemi anche per questo! XD

Alla prossima! 

 

 

X nes_sie: Ciao! Mi dispiace, ti aspettavi curiosi episodi a casa Cullen, ed ecco che ti ritrovi di nuovo guai con i licantropi. Non ti sei offesa, vero? :( Tornando seria, sono davvero contenta che tu abbia commentato! Chissà, forse nei prossimi capitolo a casa Cullen succederà qualcosa ;). Chi lo sa! Grazie ancora!

 

X sackiko_chan: Sono d'accordo anch'io con te; Renesmee è un personaggio che non sopporto neanch'io e che sto valutando tantissimo se inserirlo o no, anche se adesso, purtroppo, visto che fin dall'inizio hi promesso di attenermi alla storia originale e visto che in pratica tutto breaking dawn gira intorno a lei, bè, mi vedo costretta ad inserirla...

Ma è ancora tutto da decidere. Comunque grazie mille per i complimenti e per aver commentato! :) Un bacio!

 

X __cory__: Ma non serve scusarsi di niente! Ancora un po' e non mi scusa neanch'io di aver pubblicato per essere andata in vacanza! XD Mmhh... è una mia impressione o Renesmee ti sta un po' antipatica (no so, il nome tra parentesi mi ha messo il dubbio...)? Ti sei dimenticata di Paul! Anche lui non ha avuto l'imprinting, se non sbaglio. Ma tra lui ed Abigail non c'è decisamente un grandissimo rapporto amoroso. Comunque son d'accordo con te, anche a me piacciono tutti e due, ma forse prefersico Embry...

Comunque grazie ancora mille per esserti ricordata di questa fan fiction anche dopo una rilassante vacanza ristoratrice! XD Un bacio!

 

 

 

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Capitolo 15
*** Quindicesimo Capitolo ***


Quindicesimo Capitolo

 

Quindicesimo Capitolo

 

 

In punta di piedi mi allontanai dal retro della casa. Non provavo il minimo interesse verso quello che si sarebbero detti dopo. E Bella se la stava cavando alla grande; non aveva bisogno di alcun aiuto. Vidi il branco di licantropi osservarmi. Mi domandai per un momento se fosse per la mia espressione indecifrabile o per l’esito della mia 'non necessaria missione di soccorso'. Mi avvicinai a loro più dubitante di quanto avessi voluto.

“Stanno risolvendo. Tra poco dovrebbero avere finito, credo.” Mi stupii del mio tono di voce confuso. La confusione non era affatto un sentimento che in quel momento provavo. Quello che più le si avvicinava era l’incredulità.

“Non ho voluto disturbarli.”

Sam mi fece un impercettibile cenno di assenso con la testa. Paul invece mi guardava acido. A parte quello non credevo che gli altri avessero intuito qualcosa di diverso in me. Molto probabilmente perché la sottoscritta si sforzava di rimuovere inconsapevolmente il fatto appena accaduto. Osservai con attenzione le cinque persone davanti a me e impulsivamente concludere il discorso di prima sembrava un modo più che ottimo di sopprimere la valanga di emozioni che tra breve mi avrebbero sommersa. Feci un respiro profondo, che poteva essere scambiato per stanchezza, invece che per nervosismo.

“Vi chiedo scusa per aver spinto Jacob a comportarsi in quel modo e di aver coinvolto anche voi” dissi guardando negli occhi ciascuno. “Penso abbiate già altro a cui pensare. E vi posso assicurare ancora una volta che i Cullen, così come i miei genitori, non hanno in alcun modo ferito, o feriranno, Bella, me, o qualsiasi altro essere umano.”

Feci un respiro profondo prima di concludere molto diplomaticamente.

“Nonostante questo comprendo, anche se con qualche difficoltà, le vostre avversioni verso di loro e ci tengo molto a ringraziarvi per la vostra particolare attenzione nei miei confronti.” Anche se assolutamente eccessiva.

Fui sorpresa dalle parole che mi uscirono, dette totalmente soprapensiero. Durante il silenzio che seguì mi soffermai sul sorriso dolce di Emily e su quello amichevole di Embry, e non tanto sull’indifferenza di Paul e sulla perplessità di Jared.

“Ti ringrazio in nome di tutto il branco per le tue parole e ti rispondo che quello che facciamo è il nostro dovere” mi rispose Sam sereno, non con la fittizia tranquillità con la quale parlava ai vampiri, ma con sincera calma. Emily mi si fece vicina, mettendomi una mano sulla spalla.

“Quello che il troppo orgoglioso capo di questo branco vuole dirti è che pensare a te non è ormai più un obbligo, ma è diventato un piacere.” Io sorrisi prima a lei, poi a Sam, che stava scuotendo la testa, segretamente divertito per le parole della sua compagna.

“Grazie” sussurrai non sapendo esattamente cosa c’entrasse. Sentii un improvviso disagio a sentirmi circondata da persone e sentii un pulsante desiderio di stare da sola. Il motivo era più che lampante. Forse lasciai i licantropi un pò confusi per la mia improvvisa uscita di scena, ma quasi non me ne accorsi.

“Adesso è meglio se vado” affermai non molto convinta. Alzai la mano in segno di saluto, mentre cominciavo già ad allontanarmi, ricambiato da Sam e Embry.

“Ciao Abigail” mi salutò calorosa Emily. Camminando mi accorsi che Jacob e Bella erano ancora sul retro. Aumentai veloce il passo, mi misi il casco e montai in moto come un fulmine e con la stessa velocità mi allontanai da La Push. Il mio desiderio era solo quello.

Mi trovavo ora da sola con i miei pensieri. Guidare la moto mi era tanto automatico che non ci pensavo più; mi sforzai più che potei quindi di pensare al rumore del motore. Insieme a lui si mischiava una parolina aguzza e letale: nullità. Lo sentii cambiare di intensità per via del cambio della marcia, che lo mandava su di giri. Nonostante cercassi di coprire il suono di quella parola con quello del motore, sembrava che fosse sempre più forte di lui. Perciò io acceleravo, acceleravo, acceleravo, per nascondere il suono di quella parola che vinceva sempre.

Finché in una decina di secondi scarsi non andai più veloce, evitando molto probabilmente di fare un incidente. Non riuscii neanche a vederlo da tant’era veloce, o da tanto io non ci vedevo. Sentii dapprima la mia mano scivolare dall’acceleratore e l’altra premere forte sul freno. La cosa strana era che non avevo deciso io di frenare; c’era qualcosa di duro e forte a obbligarmelo. La ruota anteriore si bloccò, facendo perno su quella posteriore, che cominciò a girare sull’asfalto e a disegnare una circonferenza perfetta, mentre fumava per la corrosione con il terreno. Andai a sbattere contro qualcosa che mi impedì di proiettarmi fuori sella. Solo quando la moto si fermò dopo alcuni giri riuscii a intendere quello che era successo. Edward accanto a me, teneva  ferma la ruota della moto con la gamba, mentre mi bloccava le mie mani sul manubrio.

Prima che riuscissi a collegare mi tolse veloce il casco e per la veloce seguenza dei fatti, persi l'equilibrio e scivolai goffa dalla sella, cadendo malamente a terra. Edward lasciò cadere davanti a me la mia povera moto con un tonfo, insieme al casco. Mi ripresi velocemente e mi tirai su a sedere guardandolo confusa per la sua apparizione. Arrabbiato era a dir poco. Era incazzato come una iena. Si limitò solo a guardarmi. Quegli occhi neri non mi fecero nessun effetto in particolare, anche se avrebbero dovuto; avrei dovuto sentire una strizza assurda, ma non arrivò. Quel suo sguardo non mi toccava per niente, come se fossi una spettatrice di quella scena e la guardassi da fuori. Sentivo di starlo a guardare come una perfetta imbambolata.

“Abigail” sussurrò con voce smorzata, ancora immobile  “Tutto questo… è stata una tua messa in scena per portare Bella a La Push?” Strabuzzai gli occhi. Una constatazione del genere riuscì a rianimarmi dalla mia situazione catatonica. Come poteva venirgli in mente un'idea simile?! Non ero stupida! Sì, lo ero, lo ammetto, ma non fino a quel punto!

“No!” sbottai.

“Non c’era alcun bisogno di portarla qua” sibilò ancora a denti stretti, guardando all’orizzonte, verso la cittadella dei licantropi. Sapeva sicuramente che non stavo mentendo; intuivo che in quel momento mi stava leggendo sfacciatamente la mente come fosse uno specchio. Aveva avuto un brusco cambio di umore: ora nella sua espressione insieme alla rabbia c’era forte e palpabile un senso di inquietudine. Non ne riuscii davvero a capire il motivo.

“Mi sembra di essere stato abbastanza chiaro quando abbiamo affrontato l’argomento, Abigail” mi disse serio, sfoderandomi un’occhiata che non avrebbe tollerato nient’altro al proposito. Mi venne automatico ripensare alla nostra discussione a scuola, ma non riuscii a concludere nulla. Mi si fece vicino di pochi centimetri in lampo. Io sobbalzai per lo spavento. La sua vicinanza riuscì a intimorirmi.

“Perché diavolo l’hai lasciata da loro?” Il suo sussurro riuscì a farmi rabbrividire questa volta. Il mio primo pensiero fu che Edward stava cominciando a dare i numeri davvero. Non c’era da stupirsene; questa era la seconda volta a distanza di poche ore che Bella andava a La Push.

In quel momento però, non riuscii seriamente a concepire perché Edward si stesse comportando così per Bella. Mi assalì una grandissima confusione per non riuscire a capire da cosa dipendesse quella sensazione. A dirla tutta non mi stavo neanche sforzando. Era come se nella mia mente tutto ad un tratto si fosse formato un tappo che mi impedisse di ragionare, qualcosa che mi distraeva e sproporzionava l’importanza delle cose.

Mi ritrovai a pensare senza volerlo al motivo per cui avevo lasciato Bella a La Push. Quando me n’ero andata non avevo pensato minimamente a lei. non avevo pensato minimamente a lei. Se l’avevo portata io, allora come avrebbe fatto a tornare indietro? Ah già, giusto, ci sarebbe stato Jacob che... che l'avrebbe portata a casa. Quello stesso Jacob che mi considerava una nullità. Di cui mi ero fidata, che consideravo un'ottima persona. Tutto inutile. Avevo capito cos'era quel tappo.

E finalmente capii che Edward si stava comportando in quel modo perchè temeva che i licantropi potessero fare del male a Bella. Ah! Sapevo che il comportamento di Edward era fin troppo esagerato e dovevo ammettere che, non potendo fare niente al riguardo, mi ero finita per abituarmici. In quel momento però il mio stato d'animo che non sapevo come definire ingigantì quel fastidio che ero solita reprimere. E provai finalmente qualcosa che conoscevo bene: rabbia. 

 "Non avresti dovuto stuzzicare in quel modo il licantropo" affermò cupo Edward, che intanto si era allontanato da me. Serrai la mascella. Quella voce da rimprovero mi fece davvero saltare i nervi. Non riuscii a sopportarlo ed esplosi, perdendo del tutto il controllo. In quel momento mi domandai chi diamine fosse lui per giudicare le mie azioni. Lo perforai con gli occhi.

“Hai paura che uno di loro si trasformi e le possa saltare addosso" iniziai con voce piuttosto roca. Lui mi guardava immobile. "Ma se solo conoscessi i licantropi almeno un poco, la loro storia, sapresti che le probabilità che uno di loro possa farle del male sono tante quante quelle che un membro della tua famiglia possa farne a me. Cioè zero!” Feci un profondo respiro prima di riprendere. Ero sicura di quello che stavo dicendo: nonostante fosse capitato una volta mi avevano più e più volte assicurato che non sarebbe più accaduto.

“Ma ovviamente tu non li conosci, il tuo metro di giudizio si basa su pregiudizi! Così stai facendo soffrire Bella, perché le stai impedendo di stare con la persona più importante per lei dopo che tu te ne sei andato. Bravo! Sei davvero un campione a farla soffrire, in un modo o nell’altro.”

Cominciai a respirare affannosamente per il mio sfogo, durante il quale avevo fatto correre liberi i pensieri. Non era servito proprio a niente, mi sentivo anzi peggio di prima. Le parole di Jacob senza neanche rendermi conto mi stavano uccidendo. Sopratutto non capivo il motivo che mi aveva spinto a dire quelle cose. Avevo difeso i licantropi quando l'attimo prima uno di loro mi aveva... Fu allora che capii che non stavo più ragionando con la testa, ma con l'istinto; nonostante tutto io, stupidamente, continuavo ancora a tenere a Jacob. Sommato al fatto che in quel momento odiavo Edward  con tutta me stessa, le cose si facevano chiare.

Lui in risposta mi guardò pensieroso; non sembrava affatto infuriato per le mie parole. Cominciò a studiarmi con lo sguardo, mentre se ne stava in piedi, sul ciglio della strada, in atto di aspettare qualcuno. Sembrava che ogni fibra del suo corpo e della sua mente fosse concentrata su Bella e quello che pensavo o dicevo per lui in quel momento contava poco o niente.

"Hai ragione. E' tutto inutile offendermi. Quindi evita di farlo, per favore" disse indifferente, tanto che quel 'per favore' lo faceva sembrare gentile. Io rimasi spiazzata. Stava usando il suo potere per scoraggiarmi, e ci stava riuscendo benissimo. Quel tono mi infuriò ancora di più, oltre a farmi rendere conto di essere una grandissima stupida. Mi sentii anche terribilmente in imbarazzo; ora Edward conosceva non solo quello che era successo e quello che pensavo, ma anche quello che sentivo e detestavo che gli altri mi vedessero come una debole.

Quello che mi faceva innervosire più di tutto era che Edward mi stesse leggendo nel pensiero. Sentii un'istantaneo rigetto per quel vampiro e senza dire una parola, con movimenti veloci e repentini mi rimisi il casco, per sopprimere la voglia di tirargli un cazzotto.

Non appena mi girai sobbalzai. Un altro vampiro si trovava davanti a me. Era mia madre. Un vampiro che avrei desiderato ardentemente vedere in quel momento. Solo allora presi veramente in considerazione le reazione da parte dei miei genitori e dei Cullen. Mamma deve essere andata in paranoia.

"Stai bene, Abi?" Che strano. Il suo tono non era tremendamente irriquieto. Nè tanto meno arrabbiato. Era solamente dolce, come sempre. La guardai attentamente negli occhi; ecco, il suo sguardo tradiva quell'ansia che il tono di voce nascondeva. Mi venne automatico sorriderle leggermente. Annuii leggermente con la testa.

"Vieni, andiamo a casa" disse mantenendo lo stesso tono. Si girò di schiena e capii subito di dover salirle sopra. Lei afferrò la moto come se fosse un cuscino. Partì quindi spedita verso casa, mentre quella piccola strada continuava a rimanere deserta. In tutto questo mia madre non notò minimamente Edward, come lui d'altro canto faceva finta che non esistessimo. Agii in modo molto automatico e mi accorsi con stupore che non riuscivo a provare proprio niente. Mi sentivo come se fossi uscita da una lavatrice. Mi accorsi bruscamente che mia madre aveva iniziato la sua corsa. Tanto ero abituata a stare sulla schiena mentre correva che ormai per me era diventata una cosa normale. Per un attimo però risentii il vento tra i capelli, la velocità ed il caos di colori che mi circondava come se fosse la prima volta. Incondizionatamente pensai che fosse molto simile ed adrenalinico come una corsa in groppa a un licantropo. Come non detto; il poco benessere che avevo trovato era scomparso in un baleno. Tornai a stringere forte mamma, sperando che si sarebbe presto fermata. Lo fece pochi secondi dopo.

Appoggiati i piedi sul terreno mi sentii decisamente meglio. Alzai lentamente la testa, per evitare che l'improvviso capogiro che mi era venuto non mi facesse cadere come una pera. Davanti a casa c'erano i Cullen al completo, compreso mio padre, impegnati in una tesa discussione. Tutti si interruppero al mio arrivo. Il primo a farsi vicino fu ovviamente mio padre, mentre sentivo la mano di mia madre attaccata alla mia spalla. 

"Abigail, stai bene?" mi disse con voce fin troppo tranquilla. Che strano; mia madre e mio padre erano fin troppo quieti. Un branco di licantropi aveva cercato di attaccarli, no? Ed io ero nel loro territorio. Sarebbe stato normale che a questo punto cominciassero a dare di matto. Ancora più sconvolgente era che anche nelle espressioni degli altri Cullen non c'era nessuna ansia o agitazione. Erano piuttosto confusi, come lo ero io. Prima di rispondere decisi che era una buona idea fare un respiro profondo. Avevo risolto la situazione con i licantropi, ma non con i vampiri, che era la parte più difficile. Avrei dovuto raccontare tutto.

"Sì, io sto bene" dissi con voce più decisa di quanto mi aspettassi. Alzai la testa in direzione di Carlisle "E' stata tutta colpa mia" confessai. Carlisle corrugò la fronte.

"Di cosa saresti colpevole, esattamente?"

"I licantropi vi hanno attaccato per colpa mia" dissi senza pensarci. Ci fu per un attimo il silenzio, che fu rotto solo più tardi da una risata trattenuta di Emmett.

"I licantropi non ci hanno attaccato" mi comunicò papà, guardandomi dubbioso. Ricambiai lo sguardo. Cosa diamine aveva fatto quel Jacob furioso che avevo visto scomparire nella foresta? Pensandoci bene poi, licantropi e vampiri stavano tutti bene. Era inutile che mi sforzassi di capire cos'era successo; non ne avevo alba.

"Cosa è successo?" sussurrai confusa.

"Purtroppo, proprio niente!" Se ne uscì Emmett con la sua voce poderosa.

"Qualche minuto fa abbiamo sentito il branco di licantropi avvicinarsi troppo al confine. Ci siamo subito diretti da loro. Non sembravano intenzionati ad attaccarci, ma erano nervosi. Soprattutto uno. Abbiamo subito pensato che erano venuti per parlare" gli fece seguito la dolce voce di Esme.

"E' arrivato anche Edward, che di solito non si stacca mai da Bella. Sapeva cosa volevano da noi, ma non ha voluto dirci di cosa" continuò Alice, quella più agitata  "Ha letto per alcuni attimi le loro menti. Poi sia i licantropi, sia lui si sono dileguati. Non sono riuscita a vedere dove diamine se n'è andato. Quindi deve c'entrare sicuramente con quei cani" sbuffò sonoramente. "Odio quando non riesco a vedere!"

"Siamo parecchio confusi sia sul comportamento di Edward, che su quello dei licantropi" intervenne di nuovo Carlisle "Puoi dirci qualcosa di più?" Lo guardai per un attimo sbalordita. Feci poi un un nuovo respiro. Alla fine non avevo coinvolto tutti i licantropi e i vampiri, ma solamente due in particolare, per fortuna. Ciò non toglie il fatto che avevo messo nei guai tutti quanti.

"Ho... ho accennato per sbaglio ad uno dei licantropi che conoscevo il motivo per cui voi ve ne siete andati da Forks" confessai senza perdere tempo "Ovviamente non gliel'ho detto" tenni subito a precisare "ma... ha voluto venire a parlarvene di persona." Feci un altro respiro profondo e scossi convulsamente la testa.

"Scusate, ho combinato un pasticcio. Volevo rimediare in qualche modo, così sono tornata qua a Forks, ho preso Bella, l'ho portata a La Push e abbiamo cercato di convincere i licantropi a ritornare alla riserva per parlare, sfruttando la loro capacità di leggere il pensiero con l'aiuto di uno di loro. Era questo che Edward stava vedendo""

"Quindi loro adesso sanno però il motivo per cui ce ne siamo andati" mi interruppe improvvisamente Carlisle, pensieroso, ma per niente arrabbiato. A parte che per vederlo arrabbiato ce ne voleva. Notai però che anche gli altri non sambravano minimamente incavolati. Solo forse un po' sorpresi. Ciò che mi sconvolse di più erano i miei genitori. Erano del tutto impassibili. Faceva strano non vederli preoccupati. Va bene, non era successo niente che potesse far pensare ai vampiri che mi fosse successo qualcosa a La Push. Era quindi normale che i Cullen non fossero preoccupati per me. Per i miei genitori assolutamente no; appena si presentava la minima occasione lo diventavano.

"No, quando sono tornati a La Push io e Bella abbiamo parlato con loro e li abbiamo tranquillizzati raccontandogli... una balla" dissi veloce per cercare di minimizzare il tutto. Quasi mi vergognai a dire la parola 'balla' dopo quello che mi aveva detto Sam poco prima.

"Uau!" Il grido di Emmett mi fece sussultare "Che genio! Sei riuscita a calmare un branco di licantropi incalliti!" disse sgargiante. La sua reazione mi spiazzò ancora di più. Avevo rischiato di iniziare una battaglia sovranaturale e loro la buttavano sul ridere? Tirò una gomitata a Jasper, vicino a lui

"Jasper, mi spiace, ma lei è più brava di te"

"Mmh..." Non mi piaceva l'espressione di Jasper, concentrato ed inquieto allo stesso tempo. Non era difficile indovinare come poteva stare. D'altronde, era stato lui a cercare di uccidere Bella. Quello a cui andava più scomoda la situazione era proprio lui.

"Ecco, ci mancava, come se non avessimo altro a cui pensare..." intervenne anche Rosalie, gridando al cielo e alzando le braccia, con fare quasi teatrale, mentre stizzita alzava i tacchi e come un'attrice di telefilm americani se ne andava dentro casa. Neanche la stizza era una reazione da ritenersi normale.

"Rosalie...!" le gridò dietro Emmett, sparendo per andare da lei.

"Non badare a lei" continuò Alice, parandosi davanti di me "Ha ragione Emmett, te la sei cavata bene"

"Sì, ma... non siete arrabbiati con me? I licantropi vi avrebbero attaccati..." dissi guardando i presenti confusa. In risposta sentii dei lievi risolini.

"No di certo!" disse questa volta Carlisle "Grazie ai poteri di Jasper, li avremmo convinti a discutere, prima di tutto. Inoltre non avevano un vero motivo; come hai detto tu, non gli hai detto niente"

"Il nostro primo pensiero non è stato affatto quello che volessero attaccarci, se è questo che credi. E, per sfortuna, non sono così stupidi da attaccarci così all'improvviso" continuò Alice. "Saremo sopravvissuti tutti anche senza di te, ma grazie comunque per l'aiuto."

"Ma ho comunque parlato dei fatti vostri..." insistetti ancora. Era arrivata al punto in cui volevo che si arrabbiassero con me. Insomma, solo io credevo di averne combinata un'altra grossa?

"Questo in effetti non avresti dovuto farlo. E' stato piuttosto fastidioso" mi disse con il visetto imbronciato. Poi lo distese e mi illuminò con il suo splendido sorriso "Ma non fa niente. Non è morto mica qualcuno" Io la guardai scettica, con la bocca leggermente aperta. La richiusi dubbiosa. Nessuno si era arrabbiato. Ormai ero così abituata a creare casini e a subirmi la successiva fase di 'cazzettone' che mi sembrava strana quella situazione.

"Sophie, William, calmatevi, lei sta bene" disse Carlisle rivolto ai miei genitori. Li guardai dubbiosa. Avevano ancora l'aria strana. Sembravano... Era impossibile. Adesso che li guardavo meglio sembravano essersi fatti di qualcosa.

"Certo, Carlisle" lo rassicurò mio padre, impassibile.

"Li sto calmando io" intervenne Jasper, tremendamente seccato "La loro ansia mi sta infastidendo parecchio. E' esasperante e... troppa" L'ultima parola la disse quasi ringhiando. Ah, ecco a cosa erano dovute quelle espressioni strane da parte dei miei genitori. Come pure quella di Jasper. Non era agitato per quello che era successo, ma perchè stava cercando di tenere buoni i miei genitori. Povero Jasper, alla fine l'unico a soffrirne rimaneva lui. 

"Non credo sia più necesario, Jasper" lo informò mamma. Lui d'altrocanto li guardò dubbiosi, ma subito fece un respiro che scambiai con uno sbuffo. L'istante dopo già non c'era più. Senti quindi la mano di Alice picchiattare la mia spalla.

"Vado a caccia con Jasper. Ci vediamo dopo, ok?" non ebbi neanche tempo di risponderle che anche Alice se n'era andata. Guardai di conseguenza i miei genitori. Mmh, ecco, ora erano più normali. Le loro espressioni a dire il vero erano quelle di prima, anche se non più impassibili. Il loro senso di protezione lo percepii nella mano di mia madre che mi stringeva la spalla ed il pollice alzato che mi rivolse mio padre, al quale io risposi con un sorriso. Feci un altro respiro. Tutto si era risolto abbastanza bene. Mi venne una voglia improvvisa di un bagno bollente.

"A questo punto vado anch'io" dissi dirigendomi verso le scale. Notai solo più tardi che il motivo per il quale Esme e Carlisle non se n'erano andati anche loro era che volevano parlare da soli con i miei genitori e aspettavano solo il momento che me ne andassi. Feci lentamente le infinite rampe di scale che mi separavano dalla mia camera. Ero sfinita.

Quando arrivai sul mio letto ebbi solo la forza di togliermi le scarpe. Ringrazia la spiegazione che avevo dovuto dare ai vampiri per avermi distratta almeno un po'. Ora tornavo a sentirmi male sul serio. Ero da sola, nessuno mi poteva vedere; la situazione psicologica perfetta per scoppiare a piangere. Fu improvviso, come una bomba che esplode. Iniziai subito a singhiozzare, anche rumorosamente, soddisfatta, in un certo senso, di poter fare finalmente quello che volevo: piangere per aver perso il mio migliore amico. Abbracciai il cuscino. Non volevo smettere ad essere sincera, volevo continuare fino a non avere più liquidi in corpo. Almeno così poi non avrei più sofferto, pensavo. Balle, invece.
Ecco, balle. La parola del giorno era balle. Anzi, di quel periodo. Da quando eravamo a Forks non avevo mai raccontato così tante balle. Sapevo che non era una bella cosa, ma non me n'era mai fatta una ragione. Forse era davvero arrivato il momento di smettarla. Inutile, pensare ad altro non serviva a dimenticare quell'altro.  

"Ciao Abi, perchè sei così triste?" disse una vocina sopra di me.

Fu più forte di me lanciare una risata. Quella strana vocina irriconoscibile proveniva dal mio orsacchiotto. Potevo dire che era il giocattolo a cui ero più affezzionata fin da bambina e non ero riuscita a buttarlo, sebbene fosse rovinatissimo. Anche se adesso lo lasciavo solo sul letto, da piccolina ci dormivo sempre e quando ero triste mamma lo muoveva e lo faceva parlare con me. Da piccola funzionava sempre, così questa volta a distanza di anni mia madre aveva ben pensato di riprovare il trucco dell'orsacchiotto. Mi asciugai con una mano le lacrime, maledicendo l'udito sopraffino dei vampiri. Molto probabilmente tutti mi avevano sentito piangere. Per una volta, me n'ero totalmente dimenticata.

"Ciao, Chef" risposi stando al gioco. Si chiamava Chef perchè in origine aveva un capello da cuoco cucito sopra la testa, che adesso ovviamente non c'era più.

"E' da tanto che non parliamo" continuò mia madre con la voce di Chef, rannicchiata dietro al mio letto. Era così brava che non riuscivo neanche a vedere la sua mano mentre lo muoveva.

"Vuoi dire al tuo vecchio Chef perchè sei così triste?"

Incoerentemente sorrisi di nuovo. Tutte e due sapevamo che era una cosa stupida ed infantile, ma forse era quello che volevo. Credevo fosse giunto il momento di parlare con mia madre. Era da un'eternità che non mi confidavo con lei, mentre un tempo ci parlavo davvero di tutto. Il motivo erano i licantropi. Difatti tutti i miei problemi erano sempre roetai su di loro. In particolare su di lui. E avevo sempre avuto paura di cosa mi avrebbe detto mamma, nonostante avesse messo ben in chiaro che a lei, come anche a mio padre, stava bene. Adesso però non me ne importava proprio niente. Con lui volevo avere meno a che fare possibile. Inoltre sapevo benissimo che l'unica soluzione per stare meglio era parlare con qualcuno.

"Ho... ho litigato con un mio amico" dissi a voce preoccupatamente tremula. Il viso di mia madre spuntò da dietro il mio letto. Aveva intuito che l' "amico" era Jacob e aveva lasciato da parte Chef.

"Ne vuoi parlare?"
"Sì" dissi senza preamboli. "Quando ero a La Push, prima, ho spiato una conversazione tra Jacob e Bella. E Jacob..." Iniziò subito a sgorgare un fiume di parole che si fermò all'istante al nome di Jacob "...mi ha definita una nullità." Quasi vomitai quest'ultima parola. Mia madre non si scompose, nonostante io lo fossi già.

"Non conosco bene questo Jacob, ma da come me lo hai descritto tu sembrava essere una buona persona" disse con un'innaturevole calma, tralasciando ogni traccia di pregiudizio. Adoravo Sophie perché sapeva esattamente come fare la madre.

"Quando ci siamo incontrati con i licantropi prima, uno di loro era particolarmente agitato. Era lui, no?" continuò, più precisa. Io annuii convulsamente con la testa. Fece un respiro e si mise a sedere vicino a me.

"Talvolta le persone quando perdono la testa, come è successo al tuo amico, dicono e fanno cose che non pensano..."

"Dal tono che ha usato sembrava piuttosto convinto" dissi interruppendola subito. Ero terribilmente cocciuta in quel momento e parole ragionevoli, anche se dette da mia mamma, non avevano alcun effetto.

"Dovresti chiarire con lui" continuò lei. Io scossi ancora la testa; al momento stranamente non riuscivo a trovare nelle parole di mamma nessun tipo di conforto o di appiglio a cui aggrapparmi.

"Non ci penso nemmeno. Non lo voglio neanche vedere"

"Eppure voi due litigate quasi sempre, da quanto mi hai detto" riprese mia madre.

"Ma lui era serio, troppo..." esclamai interrompendomi subito "Lui può diventare davvero cattivo quando... quando si tratta di Bella" conclusi con uno strano tremulo nella voce.

"A Jacob piace Bella, quindi?" esclamò leggermente sorpresa. Io la guardai spiazzata per un attimo, per il tono troppo alto che aveva usato.

"Non ti preoccupare, la casa è vuota, possiamo parlare liberamente" mi assicurò lei.

"Sì, molto" dissi mogia, a bassa voce "tanto da perdere la testa per lei"

"Non avevo idea dell'esistenza di questo triangolo" riprese lei, accavallando le gambe e continuando ad osservarmi. Aveva uno sguardo un po' strano, come se mi stesse osservando. Al momento però non ci badai molto, troppo presa dalla tristezza.

"Povera Bella, tra un licantropo e un vampiro. Per fortuna che ci sei tu che le dai un po' di umanità"

"Sì..." mormorai, un po' sconfortata questa volta. Non riuscivo a capire cosa stesse dicendo mia madre, perché si stava perdendo in argomenti che non c'entravano niente con quello che volevo da lei. Alzai la testa per guardarla negli occhi e mi accorsi che la sua espressione era cambiata. Mi stava guardando con uno strano sorrisino, quasi triste, mentre dondolava avanti ed indietro.

"Scusami, Abi, l'ho capito solo adesso. Perdonami se non sono stata attenta" dissi con quella voce dolce come il miele che solo lei aveva. Io la guardai terribilmente confusa.

"Eh?" proruppi io con il mio solito verso di papera. Lei si avvicinò a me e mi scostò i capelli dal viso.

"Il motivo per cui stai male è che hai avuto la prova troppo amara che Jacob non ti ricambia, vero?" Io la guardai immobile. Mi ci vollero un paio di secondi per capire a cosa si era riferita: non le avevo mai detto che ero innamorata di Jacob. Era ovvio quindi che non riusciva a capire il mio vero problema. Abbassai la testa e mi portai le gambe al petto, cominciando a annuire piano. Solo ora capii che la prima cosa che dovevo confidare a mamma era questa, perchè alla fine questo era il vero problema di tutto.

"Vieni qui" disse lei, allargando le braccia. Oh sì, questo era il momento giusto per un freddo abbraccio. Mi avvicinai a lei e la strinsi a me. Al primo impatto sentii un brivido di freddo percormermi la schiena, seguito subito dopo dal suo indescrivibile profumo. Stetti subito un po' meglio.

"Mi dispiace, Abi..."

"No, non fa niente" Io la interruppi subito, scioglendo quell'abbraccio. Mi asciugai le ultime lacrime; ora non sentivo più l'esigenza di piangere. "Non serve che tu dica niente. So quello che devo fare." Anche il tono della mia voce era ritornato alla normalità. In realtà ero terribilmente abbattuta e spaventata. Fin da quando aveva pronunciato quelle parole sapevo che cosa avrei dovuto fare. Non ero per nulla indecisa. Solo che tra il dire ed il fare c'è il mare; non avevo il coraggio per farlo. Ma non volevo soffrire ancora per lui. 

"Grazie per la chiacchierata" dissi alzandomi dal letto. Mi stavo comportando come se tutto fosse passato con quell'abbraccio. Ma così non era e mamma se n'era perfettamente accorta. Lo intuivo dallo sguardo enigmatico con cui mi guardava.

"Ora sto meglio." Ecco un'altra bugia. Ero una vera illusa se credevo che mia madre ci cascasse. Lei però fece finta di nulla e continuò a parlare. 

"Perchè non me ne hai parlato? Mi hai fatto pensare quando tornavi a casa giù di corda. Non volevo crederci che era stanchezza." Feci un respiro profondo prima di rispondere.

"Perchè si trattava di un licantropo." Vidi per un momento roteare i suoi occhi.

"Ti ho spiegato che a me andava bene se tra i licantropi ti facevi qualche amico e che quello che penso io non importava"

"Sì, lo so" dissi io "ma... pensavo che ti aversti fatta influenzare dai tuoi pregiudizi"

"Così non è stato, mi sembra" continuò lei del tutto impassibile. "Credo di aver parlato di lui come un ragazzo normale, non credi?" Feci un profondo respiro. Ecco, perchè tra i miei genitori ed i Cullen c'era un abisso nel modo di pensare?! Entrambi avevano gli stessi pregiudizi, ma i miei genitori non li facevano pesare su di me.

"Ecco, perchè Edward non ragiona come te?!" esclamai io, contenta che in quella casa non ci fosse nessuno. "Se lo facesse, Bella avrebbe sicuramente più libertà e..."

"Non mi piace ficcare il naso nei fatti degli altri, come invece piace fare a te" interevenne mamma fermandomi subito, appoggiando i gomiti sul materasso "ma credo che sia dovuto al fatto che Edward si lasci prendere troppo dal pericolo che le possa succedere qualcosa, non avendo un potere come il mio che lo "controlli"." Tornò a tirarsi su, guardandomi con i suoi splendidi occhi dorati

"Sai, non credo di poter essere tanto diversa da lui senza il mio potere." Per un attimo pensai a come sarebbe stato se mia madre non avesse alcuna dote. Per cominciare La Push non l'avrei neanche potuta sognare. Ero realmente convinta che mia madre sarebbe stata peggio di Edward.

"Ma anche papà..." continuai io. Lei mi interruppe di nuovo.

"Papà ha invece il suo di dono. Ti ricordi che è stato lui il primo ad acconsentirti di andare a La Push?" mi chiese. Io annuii con la testa. Era quindi per questo che la mia famiglia era diversa dai Cullen. Dovevo immaginarmelo.

"Ti senti meglio adesso?" riprese mia madre.

"Un poco" dissi io realmente sincera. Parlare con mamma era servito, dopotutto. Bè, piuttosto di dire che sto meglio, era più corretto dire che stavo meno peggio. Era ovvio che stavo ancora male, ma era passato tempo sufficente per poter convinvere con questo dolore.

"Continuerà per un po', ma poi passerà" specificai. Prima di parlare mia madre mi guardò ancora con quello sguardo enigmatico.

"Non buttare però un'amicizia così..." riprovò mia mamma un'ultima volta. Io scossi la testa. Nessuno meglio di lei conosceva la mia cocciutaggine. E se ero convinta di una cosa, la facevo e basta. Anche se in questo caso sarebbe stato un gran peccato.

"No, mamma. Non lo posso rivedere. La nostra amicizia finisce qua." Mi sorpresi di quanto fossi seria. "Non può essere solo un'amicizia." Non fu per niente difficile dirlo. Difficile fu poi gestire il dolore al petto. Mia mamma mi guardava mortificata, ben sapendo che qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe stato inutile. Se c'era una cosa di cui ero immune erano i metodi di persuasione dei vampiri. Ad eccetto di quelli di Alice, che andavano oltre alle mie capacità.

"Adesso vado a farmi un bagno" dissi, tentando inutilmente di mostrare un'ombra di sorriso. Chi volevo illudere? Io, forse? Mi chiusi in bagno e quella razza di sorriso scomparve immediatamente. Sbuffai, mentre andavo ad aprire il rubinetto della Iacuzzi. Sbuffare era tutto quello che riuscivo a fare. Mi appoggiai alla parete del bagno mentre la vasca si riempieva. Mi sentivo abbastanza confusa in quel momento. C'era un peso al petto che non voleva scomparire. A tratti mi sentivo incazzata fuori misura per essere stata presa in giro da quel lupo, per avermi fatto credere di valere qualcosa anche come amico. Poi però un lampo di razionalità mi ricordava che Jacob quand'era arrabbiato ne diceva tante di cavolate. Ed ecco giungere la tristezza, peggio della rabbia, che mi ricordava che io al confronto di Bella rimanevo una nullità. Conoscendolo, Jacob era stato in quell'occasione abbastanza sincero, dopotutto. Non mi considerava una nullità come amica; non riuscivo a pensare diversamente. Ma come qualcosa di più; ero sicura il cento per cento che a confronto di Bella era vero. Di nuovo mi ritrovavo a riflettere sulla più vera delle verità: a Jacob io non piacevo, lui era innamorato di Bella. Punto, basta, non c'era nient'altro da dire. Mai come in quel momento la cosa mi faceva star male. Sapevo di essere giunta al punto in cui dovevo smettere di essere amica di Jacob; non sarei riuscita a rimanere solo quello. Dovevo tagliare tutti i ponti con lui, ma il solo pensiero mi mandava in confusione. C'era una domanda che rimaneva nella mia testa e non trovava risposta: davvero non sarei riuscita a rimanere solo un'amica adesso? Una parte di me mi spingeva a rimanere sua amica, mi faceva credere che avrei sopportato che lui fosse innamorato di Bella. Ma di questa parte non mi fidavo. Insomma, in quel momento non sapevo davvero a cosa pensare. Decisi quindi di buttarmi nella Iacuzzi e tentare di affogarmi. Così forse magari avrei anche soffocato la confusione, la rabbia e la tristezza.

Stetti per almeno un'ora nell'acqua calda. Quando uscii avevo tutta la pella screpolata. Da quando ero andata a San Lucas avevo scoperto che l'acqua riusciva a rilassarmi piuttosto bene. Ma non quel giorno, a quanto si direbbe. Uscii dal bagno in accappatoio e mi buttai sul letto, rannicchiandomi su un fianco. I miei pensieri erano tutti concentrati su quella persona e la confusione che avevo mi fece venire il mal di testa. Stava diventando insopportabile. Dovevo fare qualcosa che mi tenesse occupata. Mi alzai e mi guardai attorno, in cerca di qualcosa che mi avrebbe potuto distrarre. Solo dopo un minuto lo vidi. Mi alzai, presi il telefono e chiamai senza rendermene conto Bella. Pensai che parlare con lei fosse un'ottima distrazione. Ci sarebbe stato sicuramente anche Edward, ma poco male; avrei detto a Bella di mandarlo via senza troppi preamboli. Della buona educazione ora non me ne importava proprio niente; volevo solo parlare alla mia amica, chiederle come stava e sì, anche se era un comportamento del tutto masochista chiderle come era andata a La Push. Sentii il telefono squillare per qualche secondo.

"Pronto?"

"Ciao Bella, sono io, Abigail"

"Ciao Abigail" Il suo tono non  mi sembrò particolarmente vivace. Forse non era il momento giusto e la stavo disturbando?

"Allora sei arrivata sana e salva a casa" tentai di buttarla io sul ridere. Non ne avevo per niente voglia e lo dissi piuttosto svogliata.

"Sì" Anche lei sembrava non essere del giusto umore per ridere. Anzi, sembrava quasi tentennare mentre parlava.

"C'è Edward lì con te?" azzardai quindi io.

"Sì" Bè, non serviva neanche che lo chiedessi; era ovvio che c'era anche lui.

"Ho bisogno di parlarti da sola" replicai io. Ci furono alcuni secondi di silenzio. Sentii poi la mano di Bella coprire la cornetta. Solo dopo un minuto abbondante tornò a parlare.

"Ti ascolto" disse lei, sempre con quella voce svogliata.

"Ti sento stanca" notai io. In effetti lo ero anch'io, anche se più di tanto la stanchezza non attirava la mia attenzione. La sentii sospirare.

"Dopo quello che è successo un po' lo sono"

"Scusami. E' colpa mia" Sentii una piccola risata dall'altra parte della cornetta.

"Agli imprevisti ci sono abituata" disse lei, leggermente meno fiacca. Calò per un attimo il silenzio. Decisi quindi di domandarle ciò per il quale le avevo telefonato.

"Alla fine hai risolto con Jacob?" Mi fu straordinariamente difficile pronunciare l'intera frase. Volevo però parlare con lei di quello che era successo. Inoltre le avrei dovuto comunque dire di comunicare a Jacob che da lui non ci sarei più andata, se no mi sarebbe di certo venuto a cercare ed ora avevo il buon proposito di non vederlo per almeno una vita.
"Sì, con lui ho risolto" disse lei, questa volta sollevata.

"Cosa vi siete detti?" chiesi io, impicciona come sempre.

"Abbiamo litigato, ce ne siamo dette di cotte e di crude. Alla fine però l'ho convinto che non è succeso niente" disse molto vaga. Non credevo avesse molta voglia di parlare, ma avevo un estremo bisogno che mi ascoltasse e continuai.

"Ehm..." dissi dubbiosa. Per un secondo mi era venuto il dubbio su ciò che volevo dirle. Scomparì però il secondo dopo. "Ti devo dire una cosa" dissi più decisa.

"Sì, ti ascolto" disse Bella confusa " Abi, tutto ok?"

"A dire il vero no" risposi con la stessa franchezza "Prima, a La Push, quando parlavi con Jacob, l'ho sentito gridare un po' troppo e sono venuta a vedere cosa stava succedendo" dissi sperando di mantenere un tono chiaro, che però stava già cominciando a vacillare "Vi ho spiati per un po'. Non avrei dovuto farlo, scusa. A un certo punto Jacob ha detto qualcosa su di me. Ci sono rimasta piuttosto male." L'ultima frase l'avevo detta con voce molto flebile, anche se ero rimasta abbastanza impassibile. Sentii Bella sospirare di nuovo.

"Abigail, dovresti conoscere Jacob, com'è fatto. Quando si arrabbia non capisce più niente. Non sa nemmeno lui cos'ha detto." Bella si era improvvisamente animata ed ora mi stava parlando come un'amica che consola.

"Sì, lo so, però..." La mia voce era ritornata indecisa "Non ho più intenzione di andare da lui, quando verrò a La Push. Glielo puoi dire tu, per favore?" Ci fu ancora un attimo di silenzio, prima del terzo sospiro di Bella di quella telefonata.

"Va bene, glielo dirò." Avevo come la netta situazione che non si sarebbe limitata a questo, ma avrebbe affrontato direttamente con Jacob il problema; non sarebbe stata la prima volta. Non volevo che lo facesse, ma ripensando a quante volte io avevo cercato di riappacificare loro due, intromettendomi nei loro affari, non potevo dire niente a riguardo. E poi forse sotto sotto volevo anch'io risolvere con Jacob. Mi misi una mano sulla fronte. Non era possibile che prima volevo qualcosa, l'ora dopo il suo opposto. Non sapevo cosa volevo; questa era l'unica spiegazione. Scossi la testa e cercai di pensare a qualcos'altro. Automaticamente spuntò un sorriso amaro.

"Quanto è arrabbiato Edward con me da zero a dieci?" le chiesi con una punta di ironia.

"No, non mi sembra che ce l'abbia con te" disse lei un po' dubbiosa "Piuttosto, gli hai detto qualcosa?"

"Perchè?" chiesi confusa. Bè, più che parlato era più corretto dire urlato in faccia.

"Mi ha chiesto se sto male quando lui non mi permette di andare a La Push." mi rispose lei. "Ho come avuto l'impressione che ci stia ripensando. Non mi è sembrata tutta farina del suo sacco"
"Sì, gli ho parlato" risposi svogliata, iniziando a giocare con la fodera del cuscino. "Ma credevo che non mi stesse ascoltando. Poi anch'io ero un po' fuori di me e ho sparlato"

"Forse ti ha ascoltata invece" Sentii un lievo sbadiglio in sottofondo. Forse era meglio se adesso la lasciavo riposare; quello che dovevo dirle ormai glielo avevo detto.

"Scusami se ti ho telefonato. Adesso forse è meglio se ti lascio riposare"

"No, figurati. Anzi." 

"A domani allora?"
"A domani. Ciao Abi"
"Ciao Bella"

Detto questo riattaccai. Mi misi comoda sul cuscino e cercai di fare un pisolo con ancora l'accappatoio addosso. Cercai di dormire, ma ovviamente non ci riuscii. La mia mente ripassava gli eventi che erano successi quel giorno e non aveva intenzione di smetterla: la litigata con Jacob, l'adrenalinica fuga a La Push, l'arrabbiatura di Edward. Stranamente mi soffermai particolarmente su di lui. Certo, aveva esagerato, non c'era alcun dubbio, poteva darsi una calmata. Era vero però che anch'io avevo esagerato. Ripresi il telefono e me lo passai per un po' da una mano all'altra. Ero indecisa se telefonare di nuovo a Bella per parlare con lui e porgli le mie scuse. Non mi piaceva che le persone ce l'avessero con me. Sarebbe stato meglio se gliele avessi fatte di persona, ma visto che non riusciva a staccarsi un attimo da Bella, telefonargli mi sembrava la cosa migliore. Inoltre non avrebbe potuto leggere i miei pensieri. O forse ci riusciva anche attraverso la cornetta del telefono? Ricomposi il numero di Bella. 

"Pronto?" disse svogliata più di prima. Mi spiaceva disturbarla ancora una volta.

"Sono ancora io. Scusa se ti disturbo ancora"
"Ciao Abi" mi rispose lei stranita. Aveva lo stesso tono di qualcuno che si era appena svegliato "Tutto bene?"
"Sì, vorrei parlare con Edward se non ti dispiace" dissi spiccia. Ci furono alcuni secondi di silenzio.

"Va bene" disse lei confusa. Non ci volle neanche un secondo che rispose lui.

"Cosa vuoi?" Lui non aveva per niente la voce di uno che si era appena svegliato. Anzi, era piuttosto acida. Forse non glielo voleva far capire a Bella, ma ero piuttosto sicura che Edward ce l'avesse ancora con me.

"Volevo chiederti scusa per quello che ti ho detto prima. Non ero molto in me" dissi cercando di essere il più sincera possibile.

"Sì, me ne sono accorto" rispose Edward tagliente "Per questo non ho fatto il minimo caso a quello che hai detto" Il suo tono di voce era piuttosto impassibile e anche severo.

"Ah" riuscii a dire io, totalmente spiazzata dalla sua reazione.

"Comunque, non fa niente" Il suo tono di voce non cambiò minimamente "Mi devi dire qualcos'altro?" Ci pensai bene prima di rispondere. Ragionai un attimo; nonostante io gli avessi fatto le mie scuse e lui le avesse accettate, continuava ancora ad essere arrabbiato. Non mi sembrava essere qualcuno che accettava le scuse e continuava ad essere infuriato. Non era per niente così infantile. Dedussi quindi che il vero motivo era che avevo portato Bella a La Push, a rigor di logica. Va bene, non mi piaceva quando le persone ce l'avevano con me, ma solo quando avevano un buon motivo. Non sentivo per niente il bisogno di chiedere scusa ad Edward per questo; non avevo fatto nulla di male, anche se lui la pensava diversamente. Preferivo che ce l'avesse con me, piuttosto, e che se la facesse passare da solo, se era davvero questo il motivo. Non mi sembrava tipo da tener rancore, quindi se ne sarebbe ben presto dimenticato.
"No. Tutto qui" dissi con la sua stessa voce impassibile.

"Allora ciao, Abigail"

"Ciao, Edward."

 

Il giorno dopo, giovedì, fu strano tornare a casa non sapendo che dopo sarei andata a La Push. Ero ancora terribilmente giù di corda, non c'era che dire. Alice se n'era subito accorta e quel giorno fece davvero i salti mortali per strapparmi un sorriso e per tenermi occupata in qualche conversazione. Per quanto riguardava Edward, bhè, non sembrava che mi stesse odiando, ma mi trattava pur sempre con certa diffidenza. Poco male, me ne sarei fatta una ragione.

Il pomeriggio, finita scuola, andai subito a casa. Parcheggiai la moto vicino alla nuova macchina di Alice, una Porsche giallo canarino, come quella che aveva rubato a Volterra. Gliela aveva regalata Edward, ma non avevo ben capito perché ed ad essere sincera non me ne importava molto. Entrata in salotto vidi Emmett e Jasper guardare la tv. Senza rendermene conto li salutai un po' moscia. Il secondo dopo tutta la depressione che avevo si sostituì a un grande senso di felicità.

"Giornata pesante?" mi chiese Jasper con un piccolo sorriso. Io gli risposi con il mio solito sorriso sghembo, limitandomi ad annuire. Quando entrai in cucina tornai esattamente come prima. Forse Jasper non avrebbe dovuto farlo, perchè adesso mi sentivo quasi peggio di prima. Mentre mi preparavo uno spuntino riflettei sul potere di Jasper. Aveva gli stessi effetti che poteva avere l'assunzione di droghe pesanti. Chissà se avrebbe creato dipendenza.

Finii di mangiare il panino, scuotendo la testa per i miei sciocchi pensieri e me ne andai subito in camera mia. Mamma e papà erano ancora a lavoro, quindi prima delle sei non sarebbero venuti. Buttai lo zaino sul letto ed iniziai subito a fare i compiti. Feci i compiti di tutte le materie, anche quelli per la prossima settimana. Non avevo mai studiato tanto in vita mia. Cercavo di mantenermi concentrata più che potevo, per evitare di pensare a La Push e chi ci abitava. Quando finii con la scuola, decisi di allenarmi un poco con la break dance. Lo spazio che c'era in quella soffitta, in particolare nella mia camera era più che sufficente. Misi la musica a palla ed iniziai a fare un po' di riscaldamento, per poi passare ai freeze, tanto per cominciare. La concentrazione che richiedeva la break dance per evitare di cadere e spezzarsi qualcosa fu tale che mi impedì di pensare nient'altro che alla musica e al mio corpo.

Mi allenai fino a quando sentii la musica fermarsi. Mi alzai un po' paonazza e con il respiro affannoso. Mia madre, ancora vestita con gli abiti da lavoro, mi guardava con uno strano sorrisino.

"La battutta di caccia di domani è stata spostata ad oggi. Sono partiti adesso" disse con uno strano tono esasperato. Sapevo che domani sera gli uomini di casa sarebbero andati in una riserva della California a papparsi qualche puma. C'è chi va in bar a bersi una birra, chi invece a bersi puma. Non capivo però quale fosse il problema.

"Edward non ha voluto lasciare Bella da sola e ha convinto Alice a farla rimanere qua per questa notte e la prossima."

Rimasi totalmente a bocca aperta. Edward era uno psicopatico. Mia mamma si avvicinò, mettendomi una mano sulla spalla.

"Stanno arrivando adesso, molto probabilmente a Bella farà piacere vederti" Io annuii convulsamente.

"Lasciami il tempo di farmi una doccia" dissi dirigendomi molto lentamente verso il bagno, ancora un po' scossa. Mia mamma si fermò sul ciglio della porta.

"Ah, mi sono dimenticata di dirti che per stasera ci sarà in programma un pigiama party di sole donne" disse con una certa eloquenza. Sbarrai gli occhi. Cosa?! Pigiama Party tra sole donne! Odiavo i pigiama party, figuriamoci tra sole donne! Oh no, no, no. Essere tra donne significava fare cose da donne, proprio il genere di cose che odiavo. Caddi teatricamente sul parquet e cominciai a respirare affannosamente.

"Mamma! Mi sento male! Non riesco a respirare! Portami all'ospedale" Mia madre si limitò a guardarmi e a sorridere sorniona.

"Tanto non ti crede nessuno" Detto questo se ne andò. Mi rialzai con uno sbuffo malvolentieri. Bè, per prima cosa facciamoci una lunga doccia, capelli compresi. Bella, mi dispiace, ma dovrai aspettare.

Non ci credevo ancora! Quella mente psicopatica, pur di impedire a Bella di andare a La Push, ne ero strasicura, aveva convinto Alice a portarla qua con la scusa del pigiama party! Altro che festa, questa sarebbe stata una notte in prigione per lei! Ma non finisce qui! Quel genio di Alice aveva avuto la brillante idea di una fantastica notte tra sole donne! Quindi non solo Bella sarebbe stata in prigione, ma anch'io avrei vissuto le pene dell'inferno nelle prossime ore! Stavo cominciando ad innervosirmi davvero e credevo proprio che sarebbe stato il caso di rimanere in camera con la scusa della 'giornata pesante'. Così in una mossa sola Edward si era garantito la sicurezza di Bella e me l'aveva fatta pagare per averla portata a La Push, nolente o volente. Ahh! La cosa mi faceva imbestialire solo al pensiero. Cercai di fare qualche respiro profondo, ma senza concreti risultati. Alla fine trovai il coraggio e decisi di affrontare la situazione. Mi feci solo una doccia veloce ed andai subito giù. Mi ero infatti ricordata che Bella dopotutto doveva trovarsi in condizioni peggiori.

"Abigail, siamo qua" sentii la squillante voce di Alice provenire dalla sua stanza. Quando aprii la porta mi vennero già i brividi. Vidi Alice colorare di un rosso sangue le unghie di Bella. Speravo che Alice non avesse l'intenzione di farlo anche a me.

"Finalmente sei arrivata, Abigail. Mancavi solo tu" disse mentre ammirava il suo operato. Io lanciai un'occhiata a Bella. Mi guardava come un canarino in gabbia.

"Stasera fai la parte del detenuto, quindi?" dissi con una certa malinconia nella voce, mentre mi sedevo sul divano di Alice. La vidi sospirare svogliata. Sorrisi con il mio solito sorriso sghembo per l'espressione che fece.

"Dai, Bella, non continuare ad essere giù di morale. Ti rovinerai la serata" cercò di consolarla Alice. Sapevo che Edward era non era del tutto a posto, ma era piuttosto strano che Alice lo assecondasse. 

"Ti sei fatta coinvolgere anche tu in questa assurda situazione, allora" dissi ad Alice. "Non pensi che Edward stia un pochino esagerando?" Alice fece spallucce, continuando a guardare le unghie di Bella.

"Non lo penso. Sono giovani e soprattutto non riesco a vederli. Penso anch'io che siano pericolosi" rispose rendendo implicito il fatto che senza Edward Bella sarebbe andata a La Push.

"Non dimentichiamoci che ti sei fatta comprare" continuò Bella, ancora molto stizzita. Alice mi guardò con viso angelico.

"Mi ha regalato la Porsche." Ah, ecco il perché dell'auto. Solo in quel momento mi accorsi che non solo Edward, ma tutta la famiglia era composta da vampiri psicopatici! Bene, ero finita a vivere in un luogo davvero molto accogliente.

"Alice, posso usare il telefono?" chiese Bella svogliata. Doveva chiedere il permesso di usare il telefono?! Altro che prigione! Al carcere di Alcatraz i Cullen facevano un baffo. Forse doveva chiedere il permesso anche di andare in bagno? Se prima era solo un'ipotesi, adesso ero certa che Alice stesse esagerando.

"Charlie sa dove sei" rispose Alice alzando per un attimo lo sguardo.

"Non devo chiamare Charlie. Devo annullare altri programmi." La punta di tensione con cui lo disse mi permise di capire immediatamente a chi si stava riferendo. Incrociai le braccia e trovai improvvisamente interessante il colore delle unghie di Bella.

"Non saprei" rispose Alice indecisa.

"Alice, per favore!" cercò di intenerirla Bella. Alice scomparve e tornò un secondo dopo con il cellulare.

"Va bene, su questo non ha detto niente" borbottò mentre lo dava a Bella, che cominciò subito a comporre il numero. Iniziai a tamburellare frenetica con le dita, cercando di pensare ad altro. Non avevo la minima voglia di stare a sentire la conversazione di Bella con Jacob. La mia attenzione venne catturata da Alice alle mie ginocchia. Sfoderava un sorriso a trentadue denti.

"Di che colore vuoi che ti faccia le unghie?" disse entusiasta. Con uno scatto mi alzai immediatamente dal divano. Bene o male, Alice stava riuscendo a distrarmi dalla telefonata, almeno. Senza rendermene conto mi stavo avvicinando alla porta. Alice continuava a guardarmi con quel sorriso, che per un momento scambiai per quello dei vampiri che facevano vedere nei film dell'orrore.

"Bè, ecco, in realtà io..." tentennai. Forza, dovevo inventarmi qualcosa alla svelta, prima di essere torturata. Poi arrivò il lampo di genio.

"Pensavo di andare a prendere un po' di gelato" dissi convincente. "Che pigiama party sarebbe senza gelato?" Alice continuò a sfoderarmi quel sorriso.

"Ottima idea! Non ci avevo pensato" disse entusiasta. Io me ne stavo già andando fuori.

"Fai presto. Che non vedo l'ora di metterti lo smalto." Mi girai lentamente verso di lei. Mi sembrava davvero un vampiro in quel momento. Mi sforzai di sorridere per poi andare subito in cucina. Il tragitto cercai di farlo molto lentamente. In questo modo evitavo sia Alice, sia la telefonata. Arrivata in cucina mi lanciai sul freezer e presi il gelato al cioccolato. Cominciai a divorarlo in grandi cucchiaiate. Che seratina...

"Come sta andando?" chiese Esme che si era materializzata davanti a me. Io le sorrisi debolmente.

"Non sono esattamente il mio genere di serate" Esme sorrise serafica.

"E' difficile tenere calma Alice"

"Molto difficile"concordai al terzo cucchiaio. Io ero quel genere di persona che a causa dei miei ormoni femminili trovava un grande conforto nel cibo, soprattutto nei dolci, in particolare nel gelato. Quindi, dopo la quarta cucchiaiata mi sentivo già meglio. Quando decisi che ero pronta per tornare a farmi torturate presi il gelato e tornai nella camera di Alice.

"Questa storia del rapimento è proprio divertente" sentii Alice quando aprì la porta. Constatai che l'umore di Bella non era per nulla cambiato.

"Ora vado a dormire" borbottò esasperata. Io rimanevo chiusa nella mia sfera di tranquillità improvvisata dal gelato. Notai che lo stavo quasi finendo. Sentii intanto Alice spingermi verso il corridoio.

"Non sarebbe un vero pigiama party, se non si dorme insieme." Sentii Bella sospirare davanti a me, mentre continuavo a mangiare gelato. Salimmo le scale. In camera mia ci saremmo state benissimo, dopotutto. Invece di salire le scale della soffitta, proseguimmo per il corridoio.
"Dove dormiremo?" chiesi con il barilotto di gelato finito.

"Nella camera di Edward" rispose Alice, spintonandomi ancora. Bella aprì la porta della stanza in fondo al corridoio.

Mi fece uno stranissimo effetto vedere la mia vecchia camera. Le pareti erano sempre le stesse, come pure la porta finestra che mi piaceva tanto. Ciò di cui andai pazza però era l'enorme letto al centro della stanza. Le lenzuola erano dell'esatto colore dorato che adoravo e la struttura del letto era in nero ferro battuto, con il baldacchino formato da intricate rose metalliche. Rimasi a bocca aperta. Era il letto più bello che avessi mai visto. Ne volevo anch'io uno. Ai piedi del letto c'erano il beauty case di Bella il suo pigiama ed il mio.

"Cosa vorrebbe dire questo?" disse Bella, nascondendo difficilmente una nota di meraviglia.

"Non ti avrebbe lasciata dormire sul divano" rispose Alice "In realtà mi ha detto che il letto sarebbe stato solo per Bella. Ma ho deciso spontaneamente di disubbidire. Non mi sembra corretto lasciarti sola" disse questa volta riferendosi a me. Bella si diresse verso il suo beauty case, borbottando.

"Vi lascio un po' di privacy." Mi strappò il barattolone di gelato vuoto da sotto il braccio. La guardai come un bambino a cui era stato tolto il ciuccio.

"Questo te lo vado a buttare io"

"Grazie" mormorai io.

"Ci vediamo domani mattina." Detto questo si volatilizzò. Vidi Bella andare in bagno, con una camminata troppo veloce per lei. Io intanto mi misi il pigiama. Mi sedetti poi sul letto dorato. Era morbidissimo. Appoggiai la testa sul cuscino. Si stava benissimo! Vidi Bella ritornare nella stanza pronta per la notte.

"Questo letto è fantastico" commentai. Bella mi rispose ancora stizzita con uno sbuffo.

"Anch'io al tuo posto sarei così" continuai "Anzi, peggio. Tenterei di scappare dalla finestra, se non fosse per Alice"

"E' assurdo" mi rispose lei sedendosi sul divano.

"Altrochè" risposi io fin troppo tranquilla "Siamo finite in una famiglia di pazzi." Bella ridacchiò nervosa.

"Quando torna le sente" mormorò.

"Sì, Bella, ribellati, vai così!" esclamai sdraiandomi sul letto. Lei prese un cuscino.

"Intendi dormire tu qui?"

"Certo!" Prese con una mano il copriletto.

"Ne hai bisogno?" Feci spallucce.

"Figurati, dormo sempre con il lenzuolo." Trascinò il copriletto ed andò a piazzarsi su un divano nero in fondo alla stanza.

"Non dormi nel letto?" chiesi stranita. Non aveva nemmeno provato quanto era soffice.

"No, non mi va" borbottò lei di malavoglia. "Cerco di dormire. Ci vediamo domani"

"A domani" mormorai io, infilandomi sotto le lenzuola. Mi dispiaceva per Bella, che era nervosa all'inverosimile. Cercai di addormentarmi anch'io, evitando di pensare a quell'assurda situazione.

Grazie alla morbidezza di quel letto ci riuscii quasi subito. Non fu però un sonno tranquillo. Durante la notte mi svegliai. C'era uno strano suono che mi disturbava. Quando fui abbastanza sveglia, capii che era una voce. Mi ci vollero alcuni minuti per capire che era di Rosalie. Credevo stesse parlando con Bella. Invece di tornare a dormire, la mia ficcanasaggine mi spinse ad ascoltare l'intero discorso.

"Se fossi in te, io rimarrei umana. Sono venuta perché voglio spiegarti il perché" disse Rosalie in un sussurro. Molto probabilmente stavano cercando di parlare piano per non svegliarmi, perché credevano che io dormissi. Io drizzai le orecchie. Rosalie voleva che Bella rimanesse umana? Era una curiosa situazione. A dire il vero, anche se abitavamo sotto lo stesso tetto, poche volte avevo visto Rosalie e non ci avevo mai parlato. Dalla prima volta che l'avevo vista non mi ero mai fatta un'opinione precisa su di lei. E non capivo se lei se l'era fatta su di me. Ascoltare questa conversazione forse mi avrebbe aiutato a conoscerla meglio. Non sentii quello che rispose Bella.

"Edward non ti ha mai raccontato com'é andata?" continuò lei.

"Mi ha detto che é accaduto qualcosa di simile a quello che é capitato a me a Port Angeles, ma nessuno in quell'occasione è venuto a salvarmi." Mi pietrificai tutta. Cosa era successo a Bella a Port Angeles? Non me ne aveva mai parlato.

"Solo questo?" chiese Rosalie stupefatta.

"Sì"

"Bè, c'è dell'altro" continuò Rosalie, con la voce più dura.

"Vuoi ascoltare la mia storia, Bella?" Per un attimo mi ricordai il giorno in cui avevo raccontato a Bella la storia della mia famiglia. Mi ricordavo ancora che più o meno avevo iniziato in questo modo. Non continuai, però, come lo fece Rosalie.

"Non ha un lieto fine. A dir la verità, nessuno di noi ne ha avuto uno, se no saremmo già sottoterra." Aveva uno strano tono nella voce che mi fece rabbrividire. Ciò che però mi inquietò ancora di più era quello che aveva detto. Rosalie detestava essere diventata un vampiro. Ad essere sincera, non avrei mai detto questo di Rosalie. Aveva opinioni abbastanza simili a quelle di Edward nei confronti di Bella.

Tornai ad ascoltare. Iniziò a raccontare la storia della sua vita. Una vera propria vita da favola. Già me la vedevo, perfetta come una bambola di porcellana, vestita come un bambola, in una casa da sogno, come quelle che si vedevano nei film. Ma anche ottusa come una bambola; più volte la stessa Rosalie si rimproverava di essere stata una ragazza ingenua, superficiale e materiale. Quindi anche lei un tempo non era tanto diversa dalle maggioranza di ragazze galline che si trovavano in giro. A dire il vero neanche per colpa sua, visto che fin dall'inizio i genitori la trattava come una ragazza oggetto da vendere al migliore offerente come moglie. Era davvero entusiasta all'idea di sposare un ricco rampollo di una famiglia che le avrebbe offerto una vita nel lusso. Non lo era per niente invece mentre lo raccontava. Non la riuscivo a vedere, per tanto ciò che mi colpì di più era il suo tono di voce; parlava con rimpianto, quasi con rimprovero. Era come se stesse raccontando la vita di un'altra persona, che con lei non aveva minimamente a che fare. Era più che evidente che si era pentita di quella vita.

Ad essere sincera mi sarei annoiata un poco, mentre raccontava per filo e per segno il corteggiamento del suo futuro marito, la felicità che provava nella prospettiva di diventare madre e non essere più invidiosa della sua amica, se non fosse stato per il suo tono teso che preannunciava qualcosa di terribile. L'aveva detto che non c'era stato un lieto fine, nè per lei, nè per gli altri Cullen e a ben pensarci neanche per la mia famiglia.

Quando iniziò a raccontare come era avvenuta la trasformazione, involontariamente mi strinsi al lenzuolo. Stetti ferma ad ascoltare immobile senza respirare. Lo stava raccontando così com'era successo, persino i suoi pensieri; era la notte che non avrebbe mai dimenticato. Prestai la stessa attenzione al resto del racconto, di come Carlisle che avvertendo l'odore del sangue l'aveva salvata, di come fosse terrorizzata, del dolore che aveva provato, di come aveva deciso di entrare a far parte della famiglia, di come incominciò a incolpare se stessa e la propria bellezza e a invidiare la vita della sua amica e di come uccise il futuro marito e i suoi compari. A un certo punto si interruppe.

"Ti sto spaventando?" chiese a Bella.

"Sto bene" Era chiaro come il sole che mentiva. Solo se si impegnava era davvero brava. D'altronde anch'io me la stavo facendo sotto. Non mi ero ancora rilassata da quella posizione e mi stavano venendo i crampi allo stomaco. Riuscii però a rilassarmi e mancò davvero poco che mi alzassi e mi girassi incolpando Rosalie di essere pazza, quando rivelò di essere gelosa a causa della sua vanità, perchè Edward non l'aveva mai filata, mentre era caduto subito ai piedi di Bella. Di Bella però non era solo gelosa, ma anche invidiosa. Mi fece pensare quello che disse dopo, ovvero il vero motivo della conversazione: era invidiosa della vita che Bella aveva avanti, l'opportunità che aveva per farsi una famiglia ed invecchiare insieme a qualcuno, ma che Rosalie aveva perso.

Riuscivo a comprendere l'intenzione di Rosalie. In quel momento mi dava l'impressione di essere una zia che stava cercando di convincere la propria nipote a riflettere su una scelta che era ben decisa a fare. Sapevo che questo non sarebbe stato minimamente sufficente per convincere Bella a cambiare idea; per lei tutto valeva la pena per Edward. Anche se non riuscivo ancora a immaginarmela, ero sicura che Bella sarebbe diventata una vampira.

Quando sentii a malapena Rosalie alzarsi tornai a chiudere gli occhi.

"Buona notte, Bella."

"Buona notte, Rosalie"

"Buona notte, Abigail" Una smorfia mi si dipinse automaticamente sul viso. Si era accorta di me. Mi chiesi da quanto se n'era accorta, e soprattutto come. Non mi sembrava proprio di aver fatto movimenti strani. Difatti socchiusi un po' gli occhi. Rosalie stava sul ciglio della porta, aspettando che le rispondessi, guardandomi con uno strano sorriso. Richiusi gli occhi con un sospiro.

"Buona notte, Rosalie" mugugnai io, fingendo almeno di essere assonnata. Almeno così non avrei fatto la figura dell'impicciona volontaria, ma di quella che era costretta ad esserlo, a causa delle voci troppo alte.

Quando chiuse la porta mi ci vollero un paio di secondi per riprendere sonno. La storia che avevo appena sentito mi aveva completamente terrorizzata. La cosa più paurosa era che era vera. E ciò che ancora mi sorprendeva era la gelosia che aveva provato Rosalie nei confronti di Bella; nonostante il tempo, rimaneva ancora una ragazza un po' troppo vanitosa, che dai discorsi fatti raggiungeva l'assurdità. 

Alla fine di quella giornata mi addormentai con un solo pensiero: in quella casa erano davvero tutti matti.

 

Il giorno dopo Alice ci accompagnò a scuola.

"Stasera andiamo a Olympia o a farci un giro?" chiese ancora esaltata "Ci divertiremo, vi va?". Come diavolo riusciva ad esserlo ancora, vicina a due persone con l'entusiasmo di un morto?

"Perché non mi chiudi in cantina?" rispose Bella irritata.

L'umore di Bella non era migliorato affatto, anzi, era peggiorato. Io invece da spugna di emozioni qual'era assorbivo sia l'esuberanza di Alice, sia quella di Bella. Il risultato era l'impassibilità assoluta. Inoltre quel sabato non mi andava proprio di andare a fare un giro; sai che novità. Da quando era successo quella cosa con Jacob avevo la voglia di iniziativa sotto i tacchi; non mi andava di fare niente, se non era assolutamente necessario.

"Si riprenderebbe la Porsche" ammisse Alice accigliata "Non sto facendo del mio meglio. Vi dovreste divertire" Bella sospirò.

"Non è colpa tua. Ci vediamo a pranzo." Scendemmo dall'auto ed entrammo a scuola. All'entrata Alice mi si avvicinò.

"Cosa credi che dovrei fare per farla sentire un po' meglio?" mi chiese leggermente amareggiata. Io le lanciai un'occhiata di intesa.

"Semplice. L'unica cosa che non può fare" mugugnai, pensando con rammarico chi coinvolgeva. Alice sbuffò.

"Qualcos'altro?" Io feci un'alzata di spalle, scuotendo la testa, mentre Alice, sbuffando un'altra volta si diresse a francese.

Entrai in aula. Quel giorno c'era compito; tutti quanti erano agitati per il tremendo ed orribile compito di matematica. Solo io ero felice, perché così almeno mi avrebbe distratta a dovere.

Quando finì l'ora me ne uscii sotto la piogerellina, per andare a spagnolo. Venerdì non avevo nessuna ora che coincidesse con quella di Bella; sapevo quindi che mi sarei un po' annoiata.

Finito il compito di matematica mi sentivo un po' scombussolata e avevo la testa piena solo di numeri; un po' di aria fresca era quello che mi ci voleva.

Dopo aver respirato un po' pensavo che sarei stata meglio. Invece stetti doppiamente peggio. Sentii subito il rombo della sua moto, che conoscevo ormai molto bene. Alzai lo sguardo per capire dove fosse, ancora incredula.

"Corri, Bella!" urlò.

Lo intravidi subito, mentre Bella gli stava già correndo incontro. Si era messo nell'esatto punto dove lo incontrai l'ultima volta che era venuto a scuola. La scena si svolse molto in fretta ed inoltre una moltitudine di ragazzi più alti di me mi rendevano difficile la vista, per questo ero sicura che entrambi non si erano accorti di me. Dopo quindici secondi che era arrivato, se ne andarono subito. Per quei quindici secondi rimasi attonita, mentre fissavo i loro movimenti ed anche per il minuto successivo. Questa volta era venuto per Bella e basta, non per me. Non si era neanche preoccupato di cercarmi con lo sguardo. Sentii stringere i pugni. Bè, meglio così per lui; se avesse chiamato anche me io non gli avrei rivolto parola. I mormorii di sorpresa che si erano formati per l'evento non si erano ancora fermati. Stavano accrescendo ancora di più la rabbia e la frustazione di quel momento. Scossi la testa, cercando di dimenticare quella scena, mentre a passo di lumaca mi dirigevo verso il blocco di spagnolo. Dovevo essere contenta per Bella; era finalmente riuscita a scappare dai suoi aguzzini e a vivere un momento di libertà. Dovevo almeno pensare che quelli non erano più affari miei, ma solo di loro due. Ma non ci riuscii. Avevo una grandissima voglia di piangere, anche se ero troppo orgogliosa per farlo in pubblico. A distrarmi fu Alice; furiosa era un eufemismo. Mi venne quasi da ridere a guardare la sua faccia.

"Mi sa che devi dire addio alla Porsche" le dissi avvicinandomi a lei, non sapendo bene da dove trovassi il sarcasmo che avevo. Lei in compenso mi guardò ancora più infuriata.

"Taci!" sussurrò a denti stretti, mentre veloce se ne andava. Cercai anch'io di far presto, anche perchè la campanella era già suonata da un pezzo. Al momento non mi importava proprio un fico secco della campanella, ma almeno mi avrebbe ulteriormente distratta. Il mio cervello ormai non faceva altro che vedere e rivedere la scena di quei due che se ne andavano, l'una abbracciata all'altro. Cercai di fare un respiro profondo per asciugarmi gli occhi lucidi. Preferivo avere un casino di numeri in testa, piuttosto. 

 

Tornai a casa accompagnata da Alice. Era ancora furibonda per la fregata giocatale da Bella, quindi durante il viaggio di ritorno si limitò a starsene zitta a cuocersi nel suo brodo. D'altra parte, anch'io avevo bisogno di pensare ai fatti miei. Non riuscivo più a capire come diavolo stavo. A tratti mi incazzavo come una iena, l'attimo dopo mi prendeva una strana malinconia, l'attimo successivo mi sentivo così male da voler rannicchiarmi e mettermi a piangere e a fatica trattenevo una smorfia. Non poteva andare avanti così. Sapevo benissimo che l'unica soluzione in quel momento era parlare con lui, ma al solo pensiero, mi veniva da vomitare. Sparevo che iniziassi presto a star meno male. Scossi la testa, mentre Alice parcheggiava vicino alla Porsche. Scesi e andai dritta dentro casa, mentre Alice, con un sospiro, si sedette sul tettuccio della Porsche, per darle un ultimo saluto.

La vera e unica soluzione in quel momento, Abigail, era non pensare a lui.

Avevo l'intenzione di andare dritta in camera mia a decidermi di fare qualcosa. Di solito alle tre dopo scuola mi fiondavo in cucina e mi ingozzavo di tutto quello che mi capitava sotto mano. Quel giorno invece non avevo proprio fame; già non c'era dubbio, stavo davvero molto male.

"Abigail" Alzai lo sguardo sorpresa. Sul divano Rosalie mi stava guardando attenta. Non mi ero accorta di lei, tanto ero persa a pensare a cose che non dovevo pensare.

"Ciao, Rosalie" le risposi mettendo a terra lo zaino e togliendomi il cappotto. Lei mi rivolse un piccolo sorriso.

"Vorrei parlare un momento con te" disse invitandomi con lo sguardo a sedere sul divano davanti a lei. Accettai l'invito volentieri: avevo trovato qualcosa da fare.

"Riguardo alla conversazione di ieri sera?" Lei accennò lievemente con la testa.

"Scusami, non avrei dovuto origliare" mormorai. Lei scosse la testa.

"Non importa. Anzi, mi ha fatto piacere che sentissi anche tu." Le diedi una veloce occhiata. Qualsiasi cosa indossasse, ovunque andasse, qualsiasi cosa facesse, Rosalie con la sua bellezza avrebbe lasciato a bocca aperta chiunque.

"Volevo un tuo parere" iniziò "Dici che quello che ho detto a Bella l'ha convinta almeno un minimo a ripensarci?" Io accennai ad un sorriso e scossi la testa.

"Lo immaginavo. Almeno ho tentato" Le sue stupende labbra si aprirono in un sorriso di rammarico "Voglio essere sincera con te, Abigail. Visto che adesso conosci la mia storia, bè, sappi che hai tutto il mio appoggio nella decisione di voler rimanere umana." Abbassai la testa. Odiavo parlare di questo argomento.

"Ve l'hanno detto i miei genitori suppongo" Forse fui troppo seria nel risponderle. Lei parve però non accorgersene.

"Sì. E anche i perché della tua scelta, che effettivamente non sono tanto diverso dai miei" Tornai a guardarla negli occhi. Questa volta mi stava rivolgendo un vero sorriso sincero. Diversamente da come io ero stata. Effettivamente era vero che anch'io, come Rosalie, volevo invecchiare, avere dei figli, sposarmi, anche se le idee che avevo io a tal proposito erano decisamente diverse dalle sue. Ma non era questo quello che mi spingeva a riamanere umana. I miei genitori avevano fatto bene a raccontare solo metà della storia.

"Ti auguro che tu possa raggiungere quello che desideri" Questa volta cambiò tono. Notavo una punta di accidia. Non mi fu difficile capirne il perché.

"Sei... sei invidiosa di me, come lo sei di Bella?" azzardai io piuttosto insicura. Lei mi lanciò un sorriso amaro.

"Ebbene, lo ammetto, sì, sono invidiosa. Ma è un'invidia giustificata, non trovi?" sospirò.
"E... lo ammetto, anche un po' gelosa" 

"Di cosa, esattamente?" chiesi subito. No, ora basta. Già era assurdo che potesse essere gelosa di Bella. Figuariamoci di me! Ero curiosa di sapere di cos'era gelosa.
"Forse non ci crederai, ma della considerazione che Edward ha di te" Mi fu impossibile trattenere una risata nervosa. Essere gelosa proprio di questo, non mi sembrava decisamente normale. Edward mi odiava. Come faceva ad essere invidiosa di questo?!

"Bè, non mi sembra che abbiai una grande considerazione di me" esclamai sarcastica. Rosalie mi guardò leggermente contrariata.

"Invece ti sbagli" disse decisa "Lui ti è molto riconoscente per come Bella ti sta a cuore e per quello che fai per lei. Mentre io... fin'ora ho combinato solo danni." Avevo capito che si stava riferendo a quella volta di Volterra, quando aveva in pratica mandato Edward sul patibolo. Però quello che disse mi fece riflettere. Non vedevo questa grande riconoscenza da parte di Edward, soprattutto da quella volta di La Push. Certo, una volta mi aveva ringraziato, subito dopo Volterra. Ripensai poi che anche quando Edward era tornato a Forks aveva esplicitamente espresso la sua riconoscenza a Jacob; ma non mi sembrava che in seguito si fosse continuato a dimostrare tale. Senza dubbio Edward aveva una  idea di "riconoscenza" diversa dalla mia, come anche quella di Rosalie.

"Ma non ce l'hai con me?" continuai io. Pensavo che alla fine provasse per me ciò che provava per Bella.
"No, non ce l'ho con te e non ce l'ho mai avuta" disse forse un po' sorpresa per questa avventata conclusione "Devo però ammettere che all'inizio, quando tu e la tua famiglia vi siete trasferiti qua, ti consideravo solo un ospite un po' fastidioso, niente di più. Per quello che è successo recentemente con i licantropi, ancora di più." Ripensando alla scenata che aveva fatto quello là lo stomaco riprese ad attorcigliarsi. 

"E adesso?" Cercavo di mantenere accesa la conversazione, per evitare di pensare a cose sbagliate.

"Adesso sei un ospite ben accetto" mi disse straordinariamente cordiale. Mi fu automatico sorridere alle sue parole sincere. Questo detto da Rosalie, valeva molto per me, visto che, quando ci eravamo trasferiti qua, lei mi sembrava una di coloro che accettavano malvolentieri la mia presenza.

"Sono contenta che tu me l'abbia detto. All'inizio non ero tanto convinta della decisione presa dai miei genitori, di venire a vivere qui, intendo. Ero sicura che avrei creato dei fastidi. Perciò quello che mi stai dicendo mi sta rassicurando molto" le risposi anch'io sincera.

"Ne sono felice" Mi alzai stiracchiandomi un po'. Non avrei mai detto che questa piccola conversazione mi avrebbe fatto bene. 

"Bè, se non c'è altro, io mi andrei a fare un bagno. Grazie per la chiacchierata, Rosalie" Lei rimase invece immobile sul divano. Sembrava una modella pronta per essere fotografata.

"Grazie a te per avermi ascoltata, Abigail" mi rispose. La sentii accendere la televisione, mentre io salivo gli scalini per il primo piano. Ora dovevo cercare di affogarmi nei compiti, per poi riposarmi ed essere pronta per la lezione di break. Ormai il saggio era alle porte ed erano necessarie prove extra e tanta, tanta, ma tanta concentrazione. Esattamente quello che mi serviva al momento.

 

 

 

 

 

Allora, comincio col dire che dopo che molti di voi hanno lasciato, come dire, commenti poco simpatici, ecco, verso il caro Jacob, dopo aver letto questo capitolo ho paura che sempre queste persone lo vogliano già bell'e morto e sepolto. XD

E qualche volta mi domando se non ho esagerato... per poi rispondermi con un secco 'no'! Questa è solo un' impressione che voglio dare (cioè l'impressione che ha Abigail)! Ma vedrete che cambierete idea già dal prossimo capitolo, ne sono sicura. Vi avverto: la mia storia non è oggettiva, ma tremendamente soggettiva, quindi la realtà viene modificata dagli occhi del mio personaggio.

Vorrei adesso porre l'attenzione sul personaggio di Edward, che bene o male, fino ad adesso, non è stato un grande protagonista e anzi, viene preso parecchio in giro. Forse qualcuno lo potrà trovare troppo antipatico, forse anche troppo serio rispetto all'Edward che vede Bella nei libri originali; è del tutto normale, appunto perchè non è l'Edward che fa battere il cuore, l'Edward dai profondi occhi dorati, di Bella, ma è quello ossessivo-possessivo di Abigail, che è un personaggio che osserva la vicenda dei due innamorati come un terzo spettatore. Volevo mettere in chiaro questa cosa, anche se di per sè può essere lampante, appunto perché in questo capitolo anche Edward non é il massimo della gentilezza.

Poi, volevo parlare di altre due cose (uau, oggi faccio una chiacchieratona con voi!). Primo; ho sempre avuto difficoltà ad orientarmi con i raiting (rosso, verde, giallo, arancione, mancano solo il violetto, l'indaco e il blu e facciamo l'arcobaleno -battuta alla Abigail-); io ho messo verde, ma non sono del tutto certa che sia il raiting adatto, sia per le scene, sia soprattutto per il gergo di Abigail. Non so quindi se devo mettere giallo, o anche arancione, a questo punto. Ringrazio chi me lo dice!

Seconda cosa: mi potreste per favore dare, sempre se volete, il nome di un'attrice che vada bene per interpretare Abigail, secondo la vostra opinione? Avevo il mezzo pensiero di provare a fare un piccolo video su questa fan fiction, ma non riesco a trovare qualcuno che possa andare bene per il suo personaggio. Se mi aiutate anche in questo, ve ne sarò molto grata!

Finalmente ho finito! Mi rendo conto che forse in questo capitolo è stato un po' palloso sentire sta qua che si lamenta e basta. Jacob di qua, Jacob di là, blablabla. Ma forse la smetterà presto, o forse no...

Lo scoprirete al prossimo episodio! Un bacio a tutti quelli che sono riusciti a leggere fino a questo punto, due a quelli che hanno messo la mia ff nei preferiti, ricordate o seguite (anche qui, se qualcuno mi vuole spiegare la differenza, ne sarei molto grata, grazie :) ) e tre a chi ha commentato! No dai, scherzo, invio mille baci a tutti quanti!

Alla prossima! 

 

X mylifebeautifullie: Ah! Finalmente dopo tanto tempo ci vediamo di nuovo!dopo red eyes adesso ti metti a leggere anche questa? ma non sei stufa di me? XD Scherzo, scherzo, anzi, grazie mille per i complimenti e per aver letto e commentato anche questa di fan fic! Alla prossima! Un bacio!

 

X nene_cullen: mmmhhh... credo di aver a che fare con una sadica, vero? XD bene, perchè tra sadiche ci si comprende meglio! Ma dai, il povero Jacob non ha colpa se è cieco di brutto e ha nella testa solo quell'altra (infatti la colpa è mia XD). Comunque è anche vero che è la stessa Abi a farsi trattare da schifo (per capire sta frase, mi sa che devi aspettare il prossimo capitolo! Scusa!) Grazie ancora mille per il commento! :) Alla prossima! Un Bacio!

 

X nes_sie: Sì, Jacob ci è andato giù pesante (l'ha sempre fatto più o meno XD). E' un bene comunque che a te piacciono i licantropi! Perchè cercherò di dividere lo scenario un pò equamente tra licantropi, vampiri e umani! XD Comunque grazie tantissimo per la tua opinione! Spero che commenterai anche questo!

Un Bacio!

 

X MoonLight_95: Finalmente pubblico di nuovo! Sono curiosa di sapere cosa ne pensi anche di questo capitolo! XD Ci sentiamo presto! Un Bacio!

 

X __cory__: Azz! Mi hai sgamata! E' vero! Paul sta con Rachel! E per fortuna che tra un po' (un po' molto) passarò a breaking dawn! Chissà cosa penserai adesso di me! Eh, dai, non è giusto! Lo accennano appena! Spero che mi perdonerai di questa mia svuggita!

Comunque, concordo con te, sul fatto del ruolo del personaggio di Renesmee. Poi personalmente la mia opinione non è granchè positiva sull'ultimo libro della saga, per motivi che non sto a scrivere. Per questo riscriverò il quarto libro con il mio personaggio! XD Almeno così mi piacerà un poco di più. Per quanto riguarda se e con chi avrà l'imprinting, mi limito a dirti che tu (a differenza di me, a quanto pare) della saga, hai capito tutto! XD

Continuai a seguirmi! (e grazie per la recensione chilometrica :D)! Un Bacio

 

X Franny97: o è meglio se scrivo X Abigail? D'ora in poi ti chiamerò così! XD Sono contenta che tu ti immedesimi nel mio personaggio; di fatti, era questo l'obiettivo, insieme a quello di divertire un po' i lettori. Per quanto riguarda la lunghezza dei capitoli, mi tocca farli così lunghi e forse può essere anche troppo pesante leggerli, ma se li facessi più corti arriverei a cento capitoli o giù di lì!

Sì, hai ragione, Jacob non si è comportato molto bene, ma se è tonto è tonto! XD Mah, vediamo come vanno le cose adesso (sto facendo la misteriosa, se non si capisce...)

Per quanto riguarda il rinammoramento, il lieto fine, l'imprinting, tu sei Abigail, no? Allora dovresti saperlo già! ;)

Vediamo se indovini cosa succede dopo, anche perché la storia è già tutta scritta nella mia testa ;)

Ci conto! :) Un bacio!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 16
*** Sedicesimo Capitolo ***


Sedicesimo Capitolo

 

Sedicesimo Capitolo

 

 

 

Era stata un’ora e mezza particolarmente stancante. I bambini erano ormai pronti e si erano impegnati un sacco, ma dopo mesi di insegnamento ed anche se a tutti loro mi ci ero bene o male affezionata, non ero ancora riuscita ad uscire da una lezione senza sospirare o senza essere stanca morta, non tanto per lo sforzo fisico, quanto per quello psicologico.

Dopo aver salutato l’ultimo bambino misi a posto lo stereo della palestra e uscii da scuola. A quell’ora era abbastanza buio ed il parcheggio vuoto era parecchio inquietante. Ma non ci facevo mai particolarmente caso; troppo distrutta com’ero era già tanto se riuscivo ad arrivare a casa.  

L’aria fresca della sera e della pioggia mi risollevarono un poco. Scesi distratta gli scalini, dove vicino avevo parcheggiato la mia moto, mentre con una mano mi tiravo indietro i capelli ad occhi chiusi, per godermi meglio la frescura della sera.

Gli riaprii subito, ma me ne pentii amaramente. Vidi Jacob in piedi vicino alla mia moto; la sua espressione era impassibile. Presa da un istintivo impulso di rabbia distolsi subito lo sguardo e decisi di salire in moto come se lui non esistesse. Non ero ancora pronta per affrontarlo. Non ero solo arrabbiata con lui; ma la confusione che avevo in testa non mi permetteva di capire quello che volevo.

Cercai di fare tutto alla svelta per togliermelo dalla vista.  

Purtroppo dovetti fermarmi di nuovo, questa volta per la sorpresa. Pensai che il cuore mi si fosse fermato. Non avevo visto che vicino alla moto c’era una Cadillac Eldorado del 59 dorata, con la carrozzeria lucida. Gli occhi divennero lucidi e mi morsi il labbro per contenermi. Era la mia auto quella; l’aveva finita da solo.

No, era impossibile, c’era ancora tantissimo lavoro da fare; doveva aver passato intere notti in bianco. E poi c’erano tantissimi pezzi da comprare che costavano una caterva di soldi e che non andavano bene se presi dalla discarica. Dove cavolo avrà preso tutti quei soldi? Se erano suoi, mi sarei incazzata come una bestia…

Mi fu impossibile non rimanere lì ferma, dandogli la schiena. La ispezionai con lo sguardo in ogni suo punto, in cerca di qualcosa che non andasse. Ma, cavolo, era tutto perfetto! Meglio di quanto immaginavo! C’erano perfino le cinture di sicurezza e fui sul punto di crollare quando vidi che sullo specchietto retrovisore c’erano attaccati i dadi; gliel’avevo detto solo una volta che mi sarebbe piaciuto da impazzire metterci i dadi e Jacob se n’era ricordato.

Bhè, questo fu sufficiente per dargli una possibilità; era riuscito a commuovermi. Mi conosceva tanto quanto io conoscevo lui. Che buffo, criticavo tanto Alice per essere stata corrotta da una Porsche, ma io non ero da meno. Aspettai quindi che parlasse, continuando ad ammirare la mia bimba. Lui intanto rimaneva ancora in silenzio. 

“Sono riuscito a finirla. Spero ti piaccia” disse con voce incerta. Avrei tanto voluto ringraziarlo, ma dovevo fare i conti con il mio orgoglio, che mi impedì anche solo di fiatare. Lo sentii fare ancora un respiro. Per una volta nella sua vita era deciso ad affrontare un discorso da adulti.

“Bella mi ha detto perché non mi rivolgi più la parola e dove ti avrei potuta trovare” ci riprovò. Non mi sorprese nemmeno un po’.

“Non è assolutamente vero e so che tu lo sai.” Presi un sospiro e mi girai guardandolo negli occhi. Non era mai stato più serio.

“Sì, lo so” mormorai impassibile.

Seriamente, sapevo che era da lui reagire in quel modo, lo conoscevo bene. E intuivo quella sorta di sorpresa nel suo modo di comportarsi per quella sfuriata secondo lui fin troppo esagerata. Pensava che la sua migliore amica Abigail non si sarebbe offesa fino a questo punto; lui non aveva dopotutto giudicato la nostra amicizia quella volta. Ma non era quell’Abigail che c’era rimasta di merda.

Feci un respiro profondo. Anzi, era più simile ad uno sbuffo. Basta, ormai ero stufa di litigare e poi far pace, per poi litigare e far pace di nuovo, mentre io rimanevo sempre delusa, perché non potevo essere per Jacob quello che volevo essere.

Non si trattava più tanto dell’insulto; cavolo, ci insultavamo ogni volta! Si trattava dell’amore che provavo per lui, che ormai era diventato insopportabile tenermi dentro e del dolore delle troppe illusioni che ogni volta insieme a lui mi facevo. Basta, era giunto il momento di dirglielo.

“Mi dispiace Abi. Non pensavo a quello che dicevo. Ero tremendamente arrabbiato con te quel giorno” continuò lui. Conoscevo quel tono di dispiacere, le mani che si stritolavano a vicenda, l’espressione corrucciata. Quante volte l’avevo visto comportarsi in questo modo, ogni volta che cercava di farsi perdonare?

“Lo sai come mi comporto quando c’entra Bella e quanto mi fa perdere la testa l’idea che quei…” Lo fermai subito.

“Sì, lo so che sei dannatamente impulsivo. Quello che hai detto mia ha ferita terribilmente, certo, ma… il vero problema è un altro” risposi io, con una decisione nella voce che non mi aspettavo. Aggrottai le sopracciglia per la paura ed abbassai la testa.

“Non capisco” mi rispose Jake confuso “Perché allora sei arrabbiata con me?” Perché sei uno zuccone, idiota!

Scossi la testa ed appoggiai il sedere sulla moto. Aprivo la bocca e subito dopo la richiudevo. Avevo sempre avuto il coraggio di affrontare ogni situazione; perché questa volta sembrava mancarmene del tutto? Avevo la testa bassa, non riuscivo a vedere la sua espressione.

“Perché mi odi Jacob?” gli chiesi alzando la testa. Non ci ero riuscita, non gli avevo confessato niente, ma ero riuscita a sviarla. In realtà gli volevo chiedere “perché non mi ami”, ma all’ultimo minuto avevo ribaltato la domanda. Gli sarebbe sembrata un’assurdità, ma… ripensando anche al tono con cui aveva parlato con Bella l’altro giorno e a molte altre litigate finite male, come quella fatta dopo il mio viaggio in Italia, in certi momenti mi era sembrato che… mi odiasse davvero.

 “No, io non ti odio, Abigail” esclamò sorpreso, guardandomi del tutto perplesso. Si avvicinò a me, ritrovandosi a pochi centimetri di distanza. Lo guardai bene per alcuni secondi. Non era cambiato di una virgola quel viso; non lo ammisi subito, ma paradossalmente scoppiavo di gioia nel rivedere quel Jacob che non poteva essere mio. 

“Quando parliamo di vampiri e licantropi finiamo sempre per litigare. E qualche volta esageri un po’ troppo. Sembra che tu mi odi” confessai con voce più malinconica. “Anche se dici cose che non pensi, quello che dici mi fa male, soprattutto perché penso che tu sia mio amico. Il mio migliore amico.” Mi scostai una ciocca di capelli dal viso. “Per esempio quelle parole quando sono tornata dall’Italia” Aspetta, com’erano? Ah, già, giusto, stupida figliastra di sanguisughe. Sapevo che se ne ricordava benissimo. 

“Non capisco perché ti comporti in questo modo.” Jacob rimase a guardarmi fisso per alcuni secondi, cercando di elaborare una risposta.   

“Vuoi sapere veramente perché qualche volta mi comporto così?” sospirò alla fine serio. Io annuii convinta. Lo sentii fare un respiro profondo e guardare un punto indefinito sopra di me.

“Fin da quando ti ho conosciuta ho un dubbio che non riesco a togliermi dalla testa. Anzi, più che un dubbio è quasi una certezza…” si fermò subito. Sembrava confuso, non sapeva da che parte iniziare. Io comunque stetti zitta ad ascoltare. Lui chiuse gli occhi ed annuì.

In effetti hai ragione, Abigail; ti odio” affermò deciso. Li riaprì e mi guardò in faccia “e ti voglio bene.” Io aggrottai le sopracciglia confusa. Riprese cercando di essere più chiaro.

“Una parte di te, Abi, è quella che si presenta sempre davanti al mio garage, con cui litigo sempre per poco, che mi fa piegare in due dalle risate, con cui vedo schifosissimi film horror” mentre lo diceva sorrideva tra sé e sé.  

“E questa è la mia migliore amica Abigail, che non mi permetterei mai di offendere, e che difenderei ad ogni costo da qualsiasi minaccia.” Mi guardò con quegli splendidi occhi scuri che mi avevano fatta innamorare di lui e dopo tanto tempo riuscii a sorridergli. Ma lui tornò subito serio. 

“L’altra invece la odio. Tu non te ne accorgi neanche, ma mi infastidisce, mi dà fuori di testa, non riesco proprio a sopportarla” disse con voce acerba, che mi fece subito togliere quel sorriso dalle labbra.

“Non capisco” risposi confusa. Mi guardò di nuovo; sembrava… infastidito, ma non capivo da cosa.

“Hai presente quando ti dicevo che eri una mezza vampira?”

“Cosa c’entra, scusa?”

“Sembra che tu lo sia davvero” affermò sprezzante.

Ehmm, no, non credo proprio. Non riesco proprio a capire dove sia il problema. Più apriva bocca, più non capivo quello che diceva. Mi ricordava moltissimo la nostra prima conversazione, quando stavo per rompergli la faccia perché non credeva che dei vampiri fossero i miei genitori. Solo che a differenza di quella volta ora la confusione era doppiamente più grande. Fece un respiro profondo e si appoggiò anche lui sul sedile della moto, accanto a me.

“Sto parlando del tuo modo di pensare e di comportarti. Quando litighiamo su… di loro, li difendi sempre e… ragioni come se fossi un vampiro. Mentre parlava si stava infervorando. Io continuavo ad essere ancora più confusa.  

Si stava sbagliando; io non ero così. Mi sembrava di essere sempre stata obiettiva. Era ovvio che a lui sembrava che stessi dalla loro parte, visto che ce l’aveva a morte con loro. Sottosotto però, non ero molto sicura neanch’io. Davvero Jacob poteva avere ragione? Certo, vivendo con dei vampiri, era logico che si diventasse un po’ come loro. Ma Jacob la stava ingigantendo troppo. Forse.

Comunque, in quel momento, che avesse ragione o no, quello non c’entrava. Il problema era un altro.

“Jacob, tu non mi hai ancora accettato per quello che sono, vero?” indovinai io. Eppure mi sembrava strano che fosse così. “Loro sono i miei genitori…”

“No, non è questo. Ho imparato a dividere te da loro” disse categorico, interrompendomi subito. Fui giunta al limite della possibile; non sapevo più che pesci pigliare.

“Jacob, io proprio…”

Abigail, sono terrorizzato dell’idea che tu possa diventare un vampiro” esclamò, alzandosi e parandosi dritto davanti a me.

“Jacob, loro non possono mordere…” dissi in tono piuttosto arrabbiato. Questo l’aveva già chiarito tutto il branco con i miei genitori!

“Non mi sono spiegato bene. Sono terrorizzato dall’idea che tu voglia diventare un vampiro” precisò lui. Credevo di non averlo mai visto così serio. Come d’altronde, io non lo avevo mai guardato così. Effettivamente non avevamo mai parlato di questo argomento insieme. Era normale: litigavamo già solamente parlando di altri vampiri, ci saremmo azzannati a morte se avessimo cominciato a discutere di quello che sarebbe stato di me. Mi sembrava però così strano che fosse rimasto di questa opinione.

“Bella ti ha detto che io non voglio trasformarmi” affermai impassibile.

Infatti all’inizio ne ero convinto, ma poi… mi è stato abbastanza difficile crederlo. Pensavo che avessi cambiato idea. Li consideri come… genitori, perché allora non diventare come loro? Pensare a questa cosa, ogni volta, mi fa schifo. E comincio ad odiarti. Non lo sopporterei se tu diventassi un vampiro, Abi. Non… tu.” Jacob aveva iniziato a parlare con una nota di disgusto. Quella volta però non mi toccò per niente; non se si stava parlando di questo.

“Se questo era il problema, perché non me ne hai mai parlato prima?” Mmmh... Avevo proprio una faccia tosta a fargli questa domanda, quando io in prima persona mi rifiutavo categoricamente di evitare l’argomento. Lui però stette zitto; cominciò a guardare l’asfalto del pavimento, facendo grande respiri. Gli ci vollero alcuni secondi prima di rispondermi.

“Ero sicuro che… se tu mi avessi detto quello che non volevo sentire… avrei perso il controllo, mi sarei trasformato. Per questo ho sempre cercato di non toccare l’argomento”

“Jacob, io non diventerò un vampiro.” Questa volta lo dissi quasi annoiata; odiavo ripetere quella frase. Lui non era per niente convinto.

E se cambiassi idea? Basta poco per andarsene da Forks e diventare una suc…” Decisi di interromperlo immediatamente.

“No, Jacob, non si tratta di cambiare idea o no. Io non diventerò un vampiro. Punto.” Non ero ancora arrabbiata, ma lo stavo per diventare. Ora era lui a guardarmi confuso.

“Perché sei così sicura?”

“Non domandarmelo ancora.”

“Ora sono io a non capire” Alzò le mani al cielo e le lasciò cadere subito a terra. “Davvero è un così grande segreto che non mi puoi rivelare?” Mi alzai dal sedile della moto e lo perforai con gli occhi.

“Jacob. Basta.” Mi sembrò quasi di ringhiare. Per un attimo scese il silenzio. Jacob continuava a guardarmi sorpreso. Poi la sorpresa si trasformò in inquietudine.

“Quest’Abi invece non l’ho mai vista.” Il tono di voce che gli uscì era strano; non l’avevo mai sentito. Sembrava… no, non poteva essere spaventato.

“E spera di non vederla mai” ringhiai ancora. Tornai ad appoggiarmi goffamente sul sedile vicino a lui. Con le braccia incrociate al petto sembravo imbronciata. Lui mi squadrò dall’alto in basso prima di parlare.

“Ne riparleremo?” sussurrò. Io balzai in piedi in uno scatto. Ebbene, anche per me c’era una parte di Jacob che odiavo. Soprattutto in quel momento. Ed era la sua insistenza.

“Noi non abbiamo mai avuto regole nella nostra amicizia. Bene, vorrà dire che da adesso ce ne sarà una: non chiedermi mai più perché non voglio diventare un vampiro.” Feci alcuni respiri profondi per quella sfogata; ora non c’era dubbio, Jacob era davvero terrorizzato da me. C’ero andata giù pesante, ma almeno adesso avrebbe smesso di fare domande.

“Fidati di me e basta.” Questa volta parlai in modo normale; un tono stranamente dolce. Mi risedetti vicino a lui. Jacob ora non osava fiatare; quella sua espressione non era cambiata.

La pioggerellina persistente di Forks cominciava ad aumentare gradualmente; presto sarei dovuta andare a casa, prima che iniziasse un vero acquazzone. Dovevo prima finire questa esasperante conversazione con Jacob. Senza dubbio, la più impegnativa che avevamo mai fatto. Era davvero sfibrante avere un licantropo come amico. Cercavo di fare dell’auto-ironia, come al solito, ma non serviva proprio a niente, soprattutto ora. Era sceso un pesantissimo silenzio; nessuno dei due osava parlare. Non sembrava uno di quei silenzi imbarazzanti; con Jacob non ce n’erano mai stati, o se sì, se li potevano contare con le dita di una mano. Dopo alcuni infinti minuti e l’aumento della pioggia decisi di parlare per prima.

“Ora che sei sicuro che non mi trasformerò, non mi odierai più? Accetti anche l’altra parte di me… quella da vampiro?” Lui vicino a me sorrise. Quel dannatissimo sorriso. Senza neanche accorgermene il cuore cominciò ad aumentare di battiti.

“Chi l’avrebbe mai detto” sussurrò beato.

“Cosa vuol dire?” Si girò verso di me. Era quell’irresistibile sguardo. Oh no. Sguardo più sorriso creavano una combinazione micidiale e dovetti rimanere concentratissima per capire quello che diceva.

“Vuol dire che ti rispondo di sì. Se questo vuol dire tenere la mia migliore amica, allora ne vale la pena. Crack. L’atmosfera si ruppe subito. Svelta cominciai a guardare il pavimento. Dannate fantasie; non mi facevano altro che un male lupo. Feci un respiro profondo, irrequieta. Ancora una volta, mi venne voglia di piangere. Forse era la stanchezza del periodo, o quella maledetta situazione o che altro, ma mai come in quei giorni avevo avuto così bisogno di piangere e sfogarmi.

Certo, le sue parole potevano anche commuovermi, se mi fossi accontentata. Basta con le illusioni, Abi, rimarrai solo la migliore amica.

“Jacob, noi non possiamo essere più amici” mormorai. Era appena più di un sussurro, ma almeno l’avevo detto. Lui balzò in piedi, cominciando immediatamente a tremare.

“I succhiasangue hanno impedito anche a te di venire a La Push?” Adesso era lui che ringhiava.

“No. Smettila di chiamarli così!” gli urlai, svogliata.

“… o è stato Cullen?” Adesso stava davvero esagerando. 

“No, Jacob, sei fuori strada” dissi quasi volta scuotendo la testa per le minchiate che sparava. Mi alzai dal sellino, con tutta la buona volontà di andarmene. Jacob si mise tra me e la moto e mi spinse ad arretrare. Mi guardava cupo.

“Ti sta succedendo qualcosa di strano in questi giorni” mormorò “Sembra che adesso sei tu che mi stai odiando.” Bene o male, quelle parole mi fecero male, come il tono che aveva usato. Maledetto Jacob, riusciva sempre a farmela avere con me stessa, in ogni occasione.

“Ho… ho bisogno di una pausa di riflessione.” Buttai giù la prima cosa che mi venne in mente. In effetti, ci avrei anche potuto pensare un po’ di più, perché “pausa di riflessione” suonava davvero male. Forse “Ho bisogno di non vederti più” era più efficace e chiaro. Jacob fu sul punto di ridere.

Cosa…?! Una pausa di riflessione da cosa?!

“Ho bisogno di stare da sola, Jake, per un po’” cercai di chiarire. Lui tornò a farsi cupo e piuttosto angosciato.

“Mi sto preoccupando Abi” mormorò “Perché non mi vuoi dire niente?” Sentii la sua mano calda cercare la mia. Con grande fatica dovetti nasconderla dietro la schiena, in modo che non la prendesse.

“Non ci riesco”

Cosa vuol dire?!” esclamò lui, gridando verso il cielo. Mi guardò esasperato. “Mi stai facendo diventare pazzo!” Senza guardarlo negli occhi approfittai che si fosse spostato per salire sulla moto. Lui fu più veloce, mi prese per le spalle e mi allontanò di un metro.

“Ehi, ehi, ehi! Tu non vai da nessuna parte!” esclamò ancora fuori di sé. Come avevo già detto, odiavo quando diventava insistente. Lo guardai in un misto di rabbia e paura. Per quanto adorassi le sue mani, in quel momento mi davano solo fastidio.

“Mi stai facendo male” dissi a detti stretti. Non era vero, Jacob aveva sempre fatto attenzione. Era la prima scusa che mi era venuta in mente per liberarmi di lui. Lui difatti mi lasciò subito. Passarono alcuni interminabili secondi prima che qualcuno parlasse. Io non riuscivo a guardarlo negli occhi, mentre sapevo che mi stavano fulminando.

Avrei dovuto conoscere Jacob: era determinato e il silenzio era come un insulto in pieno viso. Non c’era altra soluzione; dovevo dirgli le cose come stavano. Non potevo fare diversamente con lui. Ma figuriamoci se proprio adesso ci sarei riuscita! Dovevamo tornare a parlare. Non c’era altro modo per convincerlo a lasciarmi andare.

“Portami la macchina lunedì dopo scuola. Ne riparleremo” dissi continuando a mantenere lo sguardo basso. Speravo che gli bastasse. Lui mormorò un “va bene” come risposta. Lunedì avrei anche potuto saltare scuola.

“Allora a lunedì, Abigail.” Lui però non si muoveva. Salii in moto. Lui me lo lasciò fare. Prima di salire sulla mia Cadillac per tornare a La Push, fece una cosa che poteva anche risparmiarsi: mi prese la testa con una mano e senza darmi il tempo di liberarmi mi diede un lungo bacio sui capelli.

 

Arrivai a casa moralmente distrutta; perché non c’era un’altra soluzione? E se c’era, perché diamine non riuscivo a trovarla. Parcheggiai la moto vicino ad un’Honda rossa particolarmente famigliare. Non c’era dubbio, era la moto di Bella, quella che avevo visto tanti giorni fa al garage di Jacob. Pensavo avesse fatto una brutta fine.

Con l’unica voglia di andarmene a fare un bagno e poi andare a dormire, scesi dalla moto ed entrai in casa.

“Ciao Abigail” mi salutò mia madre comparendo dalla porta della cucina. “La cena è pronta. Come mai così in ritardo?” Io la guardai da subito come una morta vivente.

“Ho avuto da fare con bambini per il saggio” dissi parecchio svogliata, smovendomi i capelli subito dopo essermi tolta il casco. Mia madre mi diede una veloce occhiata attenta.

“Si vede che sei distrutta” disse dubbiosa. Eh! Figuriamoci se lei non lo capiva che c’entrava qualcosa di più di sedici bambini scalpitanti.

“Vado subito a dormire” mormorai. Lei non disse nient’altro; per fortuna, non avevo la benché minima voglia di parlare in quel momento. Salii tre rampe di scale. Al terzo piano mi fermai. Papà e gli altri erano ancora a caccia, quindi anche Edward. Per tanto Bella doveva essere ancora qui. Non l’avevo vista giù in salotto; forse era andata a dormire presto anche lei. Con il dubbio e l’incertezza, entrai nell’ultima camera del corridoio. Nonostante fosse del tutto buio, intravidi la sagoma di Bella rannicchiata sul divano vicino alla finestra. Mi avvicinai, facendo per niente attenzione di far rumore; per sua fortuna, era sveglia. 

“Ciao” mi disse con voce chiara. Io mi sedetti accanto a lei sulla moquette alta quattro dita.

“Ciao” risposi peggio di quanto non avessi detto a mia mamma. Non mi andava di parlare proprio con nessuno, ma… lo ammetto, ero decisamente troppo curiosa di sapere quello che avevano fatto quei due. In realtà ero gelosa da far schifo, mica tanto curiosa.

“Come è andata a break dance?” Feci una smorfia.

“Come mai me lo domandi?” dissi sarcastica.

“E’ venuto?” Ci pensai un po’ prima di risponderle.

“Ci siamo chiariti.” Rimasi piuttosto sul vago; non era né il momento, né il luogo di parlare di questo, tanto meno la persona con la quale parlarne. Ero ancora dell’opinione che se Bella non sapeva della mia cotta per Jacob, meglio era, sia per noi due, che per loro due.

Mmhh…” Anche lei era piuttosto svogliata e poco desiderosa di una chiacchierata notturna.

“Divertiti in marina?” andai al sodo io.

“Per niente” mugugnò seria. “Abbiamo litigato, di nuovo. Gli ho detto che mi trasformerò tra poche settimane. E...” tentennò un poco prima di continuare "...tanto per cambiare, mi ha detto che piuttosto mi preferisce morta"

Mmmhh…” risposi io, forse con troppo disinteresse. Mah, la cosa non mi stupiva per niente: era da un bel po' che pensavo che Jacob fosse un deficiente e questo non faceva altro che rafforzare l'ipotesi. Mi alzai in uno scatto; ne avevo abbastanza quell’oggi di Jacob.

“Va , io vado a dormire.” Non sarei rimasta a dormire lì; mamma mi aveva detto che gli altri sarebbero arrivati entro la notte e quindi era meglio lasciare un po’ di intimità a quei due quando Edward sarebbe tornato. A pensarci bene sarebbe stato più divertente fare la cavolata e infilarmi nel letto, così, giusto per fare la rompi scatole. Ma i risvolti di quella lunga serata mi avevano più provata che mai e la voglia di fare la stupida era passata. Mi limitai quindi a mormorare un “buonanotte” prima di uscire dalla stanza.

 

 

Il giorno dopo mi alzai piuttosto tardi. Preferivo continuare a sognare e a fare finta di niente, piuttosto che pensare a lunedì. Feci un grosso respiro profondo: l’unica cosa che mi avrebbe impedito di riflettere era andare a correre, ma ovviamente con una vampira poco più che pazza che mi dava la caccia al momento mi era un pochino difficile. Di solito non era da me cercare di dimenticare i miei problemi; avevo sempre cercato una soluzione. Avevo smesso però di farlo quando mi ero accorta che pensare troppo accumulava solo tanto stress. Si poteva dire che il motto di quel periodo un po’ hippy era Hakuna Matata, senza pensieri.

Nonostante tutto, mi alzai lo stesso: ero pigra, ma il far niente mi annoiava proprio. Mi lavai con calma in bagno e decisi di andare a fare colazione con tanti, ma tanti biscotti al cioccolato; quando avevo dei problemi, abbuffarsi aiutava.

Scesi giù, ed ecco l’imprevisto. Non ero mai andata matta né per imprevisti, né tanto meno per le sorprese; in quel periodo però non potevo farne a meno. I miei genitori e quasi tutti i Cullen erano giù in salotto, immobili come statue. Intuii che era successo qualcosa. Dalle espressioni che fecero qualcosa di poco gradevole; ovvero un altro problema.

“E ora che c’è?” Emanai un grande sbuffo; ad essere sincera, ora mi ero proprio stufata di avere a che fare con altri problemi.

“Qualcuno è stato a casa di Bella la scorsa notte. Un vampiro” disse serio mio padre. Mi immobilizzai anch’io come tutti gli altri. Com’era possibile? Perché i Cullen non se n’erano accorti? Voglio dire, Bella ed io non eravamo super protette? Sì, certo, ovviamente, ma non casa sua; di fatto la scorsa notte si trovava qua. Mi promisi di non criticare più il comportamento ossessivo-possessivo di Edward: ci sarebbe potuta essere lei in quella casa. Aspetta, ma in quella casa c’era anche Charlie. Il padre di Bella era quindi morto?

La porta d’ingresso si spalancò ed osservai pietrificata e terrorizzata Edward e Bella entrare. Edward sembrava fuori di sé, pronto ad azzannare qualcuno, non importava chi fosse. Bella invece mi sembrava confusa, ma non scossa, in semi-schock o cos’altro; insomma, non aveva la faccia di chi le era morto il padre.

“Cos’è successo?” Edward si avventò subito su Alice, la quale, rannicchiata su se stessa, sembrava in stato semi-catotico.

“Non lo so. Non ho visto niente.” Mmmh… prepariamoci a una clamorosa dimostrazione di tutta l’ira di Edward Cullen!

“Perché?” chiese acido lui. Ce l’aveva proprio con Alice, che, povera, non aveva fatto proprio niente: non era colpa sua se non aveva visto, vero?

“Non è una scienza precisa, Edward” tentò di calmarlo Carlisle, invano. Lui continuò inutilmente ad accusare Alice.

“E’ andato nella sua stanza, Alice. Lei poteva essere lì”

“In tal caso me ne sarei accorta.” Ora aveva alzato la voce anche Alice.

“Sicura?” continuò a sbraitare Edward. Stavano litigando come bambini di cinque anni. Non mi spiegavo cosa sarebbe servito accusare Alice in quel modo.

“Sto già controllando i Volturi, le mosse di Victoria, Bella. Vuoi qualcos’altro? Anche Charlie, la stanza di Bella, la casa o tutta Forks? Le cose cominceranno a sfuggirmi!”

“Sembra che sia già così” rispose duro Edward.

“Scusate se interrompo la vostra interessantissima conversazione” li fermai alzano anch’io il tono per farmi sentire “Ma non credo che litigare servirebbe a scoprire chi è stato ad entrare in casa di Bella.” Per un attimo riuscii ad ottenere un minimo di silenzio. Entrambi sembravano essere tornati in loro.

“Scusa, Alice. Non avrei dovuto attaccarti in questo modo” disse Edward decisamente più mansueto.

“Ti comprendo. Neanche a me piace tutto questo” mormorò Alice un po’ più stizzita. Edward fece un respiro profondo.

“Va bene. Chi potrebbe essere stato?” chiese rivolgendosi a tutti quanti. Tutti si rilassarono e sembrava che delle statue avessero preso vita. Bella si sedette sul divano accanto a me. Io un’idea ce l’avevo: un vampiro “x” era entrato passando dalla finestra, si era pappato Charlie e se n’era andato.

“Charlie sta bene. Non l’ha neanche visto” mi comunicò Edward senza degnarmi di uno sguardo “Inoltre il vampiro non è uscito dalla camera di Bella”

“Ah!” mi uscì senza rendermene conto. Per un paio di minuti avevo realmente pensato che Bella fosse orfana di padre. La notizia mi rassicurava molto, ma mi metteva un sacco di dubbi. Un vampiro era entrato in camera di Bella, senza uccidere Charlie. Alice non l’aveva visto, e da quanto avevo capito nessuno sapeva chi era. Qua la cosa puzzava parecchio.

“Victoria?” chiese Carlisle.

“No, non era il suo odore” rispose Edward “Secondo me è uno dei Volturi, qualcuno che non conosco.” Alice scosse la testa.

“Aro non ha ancora ordinato niente.”

“Potrebbe non essere un ordine” propose Edward guardingo.

“Qualcuno che sta agendo da solo? E perché?” Di nuovo la conversazione si stava svolgendo tra Alice ed Edward.

“Potrebbe c’entrare Caius” disse Edward torvo.

“O Jane” continuò Alice.

“Sembra non avere senso” proruppe Esme “Non era intenzionato a far del male a Bella. Per lo meno, a Charlie non gliene ha fatto. Sentii Bella sussultare vicino a me.

Anch’io non ho avvertito alcun brutto presentimento. La penso come Esme” intervenne papà. 

“Allora cosa volevano?” mormorò Carlisle.

“Controllare se fossi ancora umana?” intervenne Bella.

“Probabile” le rispose Carlisle. Rimasi zitta per tutta la conversazione. Non sapevo perché, ma quello che dicevano non mi convinceva. Bene o male, non volevo credere che fosse opera dei Volturi.

Rosalie sospirò. Avrei tanto voluto imitarla anch'io. Quella situazione stava diventando esasperante. C'erano tante ipotesi, ma nulla di concreto. Non si poteva far altro che rimanere nel dubbio. Per questo, tutti sembravano particolarmente scoraggiati, soprattutto Edward, che oltre che abbattuto continuava a rimanere isterico. 

Se posso dire la mia” disse mio padre intromettendosi nel discorso “Sono abbastanza sicuro che non siano stati i Volturi”

“Cosa te lo fa pensare?” chiese Carlisle. Incrociò le braccia e si mise a guardare il soffitto.

“Intanto, credo che non sia qualcuno di loro che stia agendo per conto proprio: prima o poi, Aro lo scoprirebbe e penso di conoscerlo abbastanza bene da credere che non gli piacerebbe che qualcuno faccia qualcosa senza la sua supervisione.”

“Questo è vero” affermò Carlisle.
”Inoltre, non è il loro modo comportarsi. Non si preoccupano di agire allo scoperto; se proprio volevano controllare che Bella fosse ancora umana, sarebbero dovuti venir qua. E a quel punto, Alice li avrebbe dovuti vedere. Conoscendo poi sia il potere di Alice, che il mio, avrebbero dovuto già in partenza sapere che fare le cose di nascosto sarebbe stato tutto inutile.” Si fermò per fare un respiro profondo.

Anche la questione dell’odore non mi convince. Se Edward non ha riconosciuto l'odore e se questo vampiro si trattasse realmente di uno dei Volturi, venuto per controllare che Bella sia ancora umana, allora non sarebbe di certo un nuovo membro. Per loro non si tratta di qualcosa da poco: il loro segreto è in pericolo. Per questo non avrebbero mandato il primo arrivato." Ormai nessuno osava fiatare, neppure Alice ed Edward.

"E personalmente, sto controllando i Volturi da quasi quindici anni e non me lo perdonerei se si fossero trovati così vicino ad Abigail." Mi sarei quasi messa a fischiare. Adoravo i discorsi di papà, perché riuscivano a convincere anche i più scettici, anche se aveva usato solo il condizionale e fatto solo ipotesi.

Emmett e Jasper spuntarono dalla cucina.

"Se ne sono andati da molto" disse il primo, amareggiato pure lui "La scia portava a est e poi a sud. Sono scomparse su una via secondaria. C'era una macchina che lo stava aspettando."

"Se fosse andato a ovest... quei cani ci avrebbero aiutati senza problemi" borbottò Edward, con l'espressione persa, quasi in trance. Sentii Bella trasalire, mentre io stringevo denti e pugni e per poco non mi mettevo a ringhiare: non ero d'accordo con nominativi come "succhiasangue" e "sanguisuga" da parte dei licantropi, ma neanche insulti da parte dei vampiri.

"Non lo abbiamo riconosciuto, ma abbiamo trovato questo" disse Jasper a Carlisle e a mio padre, mentre tirava fuori un ramo di felce.

"Forse riconoscete il profumo." Carlisle lo prese e lo annusò, così fece dopo anche mio padre.

"No, non mi è familiare" ammise Carlisle.

"Neanch'io lo conosco" lo seguì papà. Bene, quindi la minaccia dei Volturi si stava scartando sempre più come opzione.

"Secondo me dobbiamo cambiare prospettiva, forse è solo una coincidenza" affermò improvvisamente Esme. Dalle espressioni degli altri, intesi che non condividevano il suo parere. Per quanto mi riguardava, neanch'io.

"Potrebbe magari trattarsi di un semplice curioso. In fin dei conti, Bella è circondata dal nostro odore. Si sarà chiesto perché vive così vicino a noi" rincarò Esme.

"Allora perché non è venuto direttamente qua?" chiese Emmett. Esme le rivolse il suo sguardo materno, che mi fece per un attimo paura: era identico a quello di mia madre.

"E' quello che avresti fatto tu. Sentendo più odori differenti avrà capito che siamo una famiglia numerosa e si sarà intimorito. E ha risparmiato Charlie. Questo vuol dire che non è un nemico, è che dispone di un certo autocontrollo." Il discorso di Esme non aveva convinto molto i presenti.

"Credo che Esme abbia ragione" intervenne finalmente mia madre. Le lanciai per un attimo un'occhiata inorridita. Nelle conversazioni, mamma non era solita partecipare molto, ma quando apriva bocca, era convintissima della sua posizione. Era un tipo piuttosto riflessivo. Pensare quindi che fosse dell'ipotesi dello sconosciuto mi metteva in reale difficoltà, perchè oltre ad essere convintissima, era anche molto convincente, soprattutto con me.

Mah, io però credevo ancora che, bene o male, si trattava di Victoria. Era una psicopatica, che agiva da tale, e quindi bisognava pensare da tale. Il semplice fatto che non ci fossero prove per designarla come autore del misfatto, mi convinceva ancora di più che fosse lei. Era un ragionamento senza senso, da veri psicotici, insomma.

"Non penso sia andata così. E' stato troppo veloce. Il vampiro è stato attento a non incontrare nessuno, come... se sapesse che me ne sarei accorta" affermò Alice poco convinta.

"Poteva non farsi vedere anche per altre ragioni" rispose Esme.

"Giusto. Magari non ha incontrato nessuno perché non ne ha avuto la possibilità. Non aveva modo di farsi vedere, se non per... eliminare Charlie." Mamma stette molto attenta ad usare vocaboli poco traumatizzanti in presenza di Bella. Ancora non riuscivo a convincermi. In realtà, tutto quello che si era detto fino ad adesso non mi convinceva, a parte il discorso di papà.

"Ma alla fine, ha davvero importanza chi fosse?" A parlare era stata Bella, in un tono fin troppo nervoso. Mi girai curiosa verso di lei.

"Il fatto che qualcuno mi abbia cercata, non basta a... ad accorciare i tempi?" Trattenni un respiro. Fin dal principio ero d'accordo con il desiderio di Bella di diventare un vampiro. Fin dal principio però non mi era mai andata a genio tutta la sua fretta nel diventarlo. Adesso però, pensandoci bene, dopo quello che era successo a Volterra, con una pazza che voleva ucciderla e un vampiro sconosciuto, per la prima volta mi ritrovai d'accordo con lei.

"Non è necessario, Bella." Chi mai avrebbe potuto risponderle in questo modo? "Se fossi realmente in pericolo, lo sapremmo"

"Pensa a Charlie" le ricordò Carlisle "Soffrirebbe se tu sparissi"

"Appunto per Charlie, che vi sto chiedendo di fare in fretta!" esplose Bella, al limite dell'esasperazione. "E se l'ospite avesse avuto sete? Se starò vicina a Charlie, anche lui sarà in pericolo. Sarebbe tutta colpa mia se gli succedesse qualcosa."

Mi ricordava molto me, quando ero venuta a conoscenza del fregio di mio padre causato dai licantropi. Non avevo dimenticato l'odio e la paura di aver rischiato di perdere un padre.

"Non ti preoccupare" la rassicurò Esme. "Non riaccadrà. A Charlie non succederà niente. Basterà stare solo più attenti?"

"Più attenti?" ripeté Bella, quasi con tono di disgusto.

"Andrà tutto bene, Bella" promise Alice. Il fatto era che Alice non usò un tono molto rassicurante, più agitato, direi, per me non fu molto credibile.

"D'ora in poi, ci sarà sempre qualcuno a controllare casa tua…" la rassicurò subito Edward. Il modo in cui si interruppe, però, sembrava nascondere qualcosa. Voltandosi lentamente verso mia madre, iniziò a parlare.

"Credo che a questo punto Bella dovrebbe trascorrere più tempo con Abigail. Se dovesse esserci qualche pericolo, ci sarà sempre il tuo potere, Sophie." Mia madre sfoderò il suo sorrisone verso Edward.

"Certamente, non è affatto un problema. Questo ti farà stare più tranquilla?" domandò cordiale a Bella. Giusto, se io mi sentivo in pericolo, mamma grazie al suo potere veniva in mio aiuto e se c'era anche Bella, avrebbe salvato anche lei. Mi sembrava per Edward la più fiduciosa barriera di protezione. Inoltre se fossi stata a casa sua, anche Charlie sarebbe stato protetto. Bella guardò dubbiosa mia madre, ma annuì lo stesso. Anche a me garbava molto la cosa.

"Però, mi sembra strano..." commentò Carlisle "Il vampiro sconosciuto pare che stia tentando di entrare in contatto con Bella, ma perché non con Abigail?" Trattenni un respiro. Oh no! Adesso stavano coinvolgendo anche me. Mia madre al solo pensiero si innervosì subito.

"Appunto, forse era solo qualcuno incuriosito dal nostro odore a casa di Bella" rafforzò lei la sua ipotesi.

"Oppure qualcuno abbastanza prudente da non avvicinarsi a una famiglia numerosa di vampiri" intervenne per la prima volta Jasper. Adesso cominciavano a spararne davvero di grosse.

"Sentite" sbottai interrompendo la discussione su di me "Abbiamo degli elementi concreti? L'odore di un vampiro sconosciuto in camera di Bella, che Alice non ha visto, suo padre ancora vivo e una scia che non porta da nessuna parte. Mi sembra che questo non sia abbastanza. Ci stiamo facendo solo castelli per aria" conclusi io davvero irritata. Avevo già i miei problemi, concreti, nella testa. Adesso se ci mettevano anche loro con teorie e probabilità e compagnia bella, mi sarei davvero rotta le scatole prima o poi.

"Sono d'accordo con Abigail" sbuffò stufa Rosalie, che fino ad allora non aveva aperto bocca. Bhè, a dire il vero ero contenta che almeno qualcuno fosse d'accordo con me.

 

 

La riunione si concluse subito dopo. Edward portò Bella a casa, ancora scossa per l'accaduto, e ogni membro di casa Cullen era andato a farsi i cavoli propri, detta alla spiccia. Io compresa. Di quella storia mi dimenticai quasi subito, seppure in ogni caso un vampiro si fosse intrufolato in casa di Bella. Non era effettivamente una bella cosa da pensare: voglio dire, il padre di Bella aveva rischiato di morire senza saperlo. Ma, nonostante ci tenessi alla vita dello sceriffo di Forks, al momento, anche se suonava orribile, non me ne fregava proprio niente; avevo altre cose per la testa. E poi ormai il vampiro era andato; non c’era nient’altro che si potesse fare se non torturarsi il cervello inutilmente. Lasciai quindi passare quella giornata senza troppi problemi.

Il giorno dopo fu proprio strano: mi svegliai e non sapevo proprio cosa fare. I compiti li avevo già finiti tutti ieri sera, quindi via un'altra distrazione. La break mi aveva stufato; in realtà l'adoravo ancora, ma a causa del corso che stavo facendo ogni volta che facevo anche solo top rock  mi venivano in mente i bambini ed il saggio che avrebbero dovuto fare e mi si chiudeva lo stomaco. Chi avrebbe mai detto che sarei stata così preoccupata per un saggio, che avevo solo preparato.

Decisi di andare a fare un giro in moto, o ancora meglio a correre. Ah, già, giusto, una vampira mi aveva morsa e ora l'unico posto più lontano dove sarei potuta andare era la cucina. Mi tornai a distendere sul letto con un tonfo. A causa di tutta questa storia tutte le mie abitudini che mi divertivano erano impraticabili. Mi chiedevo soltanto quanto sarebbe durata la cosa.

Sbuffai tornando in piedi: o trovavo qualcosa da fare, o impazzivo. Me ne sarei potuta andare a casa di Bella, così stavo un po' con lei e avrei fatto felici tutti quanti, soprattutto quell'ossessivo-possessivo. Ma, giusto, ovviamente se sarei andata a casa Swan lo avrei incontrato sicuramente. E ad essere sincera non mi andava tanto di stare troppo vicino a lui e assorbire tutto il suo umore. Avrei allora potuto passare il tempo con qualcuno in quella casa: insomma, tra otto vampiri, almeno uno avrebbe voluto sopportarmi per un po', no?

Però... volevo restare sola in quel momento. Insomma, ero arrivata a un punto tale dove neanch'io sapevo cosa volevo.

Mi trovai a squadrare per un attimo la mia camera, senza pensarci, ed iniziai a fare una cosa che non avevo mai fatto in tutta la mia vita; la misi in ordine e la pulii. Nel mentre ascoltavo musica e canticchiavo le parole, tanto per tenere occupata anche la mente e non solo il corpo, ma non fu sufficiente a non farmi ricordare che domani sarebbe stato lunedì.

Finii in poco più di un'ora. La guardai con aria critica: non mi piaceva, non rispecchiava me stessa. Soprattutto in quel momento. Fui quasi sul punto di rimetterla in disordine di nuovo, ma evitai di farlo. Solo perché non serviva a distrarmi.

Scesi le scale e, nel limite della disperazione andai nell'ufficio di mio padre, gettandomi sul computer. Da sempre stare sul computer o peggio ancora guardare la televisione, se non ero stanca morta, mi erano da sempre sembrate delle grosse perdite di tempo ed avevo sempre preferito fare qualcos'altro piuttosto che stare davanti ad uno schermo, semi amorfa. Quell'occasione però era l'eccezione.

Entrai in ufficio di papà senza bussare. Vidi papà e Carlisle guardarmi curiosa. Giusto, mi ero dimenticata che quello non era solo l'ufficio di papà: da quando ci eravamo trasferiti, mio padre e Carlisle se lo dividevano. Era così grande che ci potevano stare comodamente anche sei scrivanie.

“Ho interrotto qualcosa?” chiesi sul ciglio della porta.

“No, figurati, Abigail, entra pure” disse Carlisle. Aveva un tono strano, quasi stanco. Ma chi lo poteva biasimare? Mi diressi verso la scrivania di papà e mi sedetti sulla sua poltrona enorme.

“Controllo se ho ricevuto qualche e-mail” annunciai accendendo il computer.

“Tu non controlli mai l’e-mail” sottolineò mio padre sorpreso, appoggiato alla scrivania.

Bhè, andrei volentieri a fare un giro in moto, oppure a correre un po’, ma una vampira psicopatica mi sta dando la caccia. Potrei fare un po’ di break, ma farlo mi fa venire ansia per il saggio dei bambini. Potrei allora fare i compiti e riordinare la mia camera, ma l’ho già fatto” dissi svogliata guardando con poca attenzione lo schermo del computer. Papà sogghignò.

“Sei proprio messa male, allora.”

“Già, quindi se decidete di fare una partita a monopoli o cos’altro, io sono disponibile” dissi ancora più annoiata, iniziando a guardarmi intorno, osservando quello che c’era di nuovo.

“Buono a sapersi” rispose Carlisle, animato da uno dei suoi angelici sorrisi.

Quasi non ascoltai quello che disse, perché la mia attenzione venne attirata da qualcosa che mi lasciò piuttosto basita. Sulla parete di fronte a me c’erano numerosi quadri, grandi e piccoli, dai colori vivaci e spenti che non avevo mai visto prima. Tra questi il più grande mi colpì. Sembrava un quadro rinascimentale, o barocco. Veniva rappresentata una festa, con gente che rideva, si divertiva, in una piazza come quelle dell’Italia antica. Ciò che attirò la mia attenzione furono tre figure che osservavano la scena dall’alto, da un grande balcone in marmo. Quelle figure erano strane, tanto quanto familiari. Un brivido mi percorse la schiena.

“Scusate, ma… avete per caso deciso di appendere un quadro con i Volturi giusto per sentire la loro minaccia sul collo ogni giorno che passa?” chiesi con un’ottava di tono più alto, attonita ed inorridita. Carlisle e papà non riuscirono a trattenere una risata melodiosa, che fosse per quello che avevo detto o per l’espressione che feci.

“Non esattamente” mi informò Carlisle “Questi quadri rappresentano le tappe fondamentali della mia vita”

“Ah…” mormorai io.

Provai a vederla sotto questa ottica; in effetti, Carlisle aveva conosciuto i Volturi parecchi decadi fa. Accanto alle tre terribili figure si notavano altre due in secondo piano, che forse venivano un po’ nascoste da quelle dei Volturi. Riuscii a riconoscere i capelli castano chiaro di papà e quelli biondo oro di Carlisle. Mi stupii di quanto la prima figura assomigliasse a papà. Anzi, mi stupii di quanta somiglianza ci fosse tra quelle tre figure ed i Volturi. Quello che però doveva essere Carlisle, non assomigliava tanto a lui. Doveva essere un vampiro ma quello era molto più simile a un angelo.

“Non ti assomiglia molto, Carlisle” gli dissi indicando il quadro. Lui sogghignò e lanciò una loquace occhiata a mio padre.

“Si vede che il pittore non era molto bravo”

“O forse troppo abile a ricercare l’essenza dei soggetti” rispose a tono mio padre, con la stessa occhiata. Prima guardai confusa mio padre, poi Carlisle. Solo dopo capii cosa volessero dire quegli sguardi.

“Papà, hai dipinto tu quel quadro?” chiesi poco sicura che fosse così.

“Ebbene sì” disse ammirandolo, forse per la miliardesima volta. Tornai a guardarlo anch’io. , che dire.. era un quadro davvero bello… Mi tornai a girare di nuovo verso papà.

“Non sapevo che ti piacesse dipingere” Lui fece spallucce.

“Al tempo mi piaceva…”

“Ah, giusto, poi è arrivata la macchina fotografica. E dopo ancora sono arrivata io, il tuo soggetto preferito” mugugnai in disaccordo. Lui mi lanciò un sorriso.

“E così la fotografia ha sostituito la pittura” concluse.

Però un ritratto lo potevi fare a mamma. A me lo potevi fare!” dissi imbronciata. Era stato piuttosto brutta come notizia; ora il ritratto lo volevo anch’io! Lui rifece spallucce.

“Sei vuoi te lo faccio” disse rassegnato.

“Certo! Guarda che ci conto!” Nel mentre tornai a guardare il quadro. Per me rimaneva ancora strano vedere la gente che forse mi voleva uccidere appesa alla parete.

“Tornando al discorso di prima, se papà ha disegnato questo quadro e tu lo hai appeso alla parete, vuol dire che al tempo voi due eravate… molto uniti a loro” dedussi rivolgendomi a Carlisle. Lui mi lanciò un’espressione di dissenso.

“Diciamo che lo tengo più che altro perché lo ha dipinto tuo padre” disse con un velo di sarcasmo rivolgendosi a papà.

“Troppo gentile” rispose mio padre, poi si rivolse a me “A dire il vero al tempo, tutto sommato, si sono rivelati alquanto… gentili nei nostri confronti, anche se troppo insistenti. Soprattutto nei miei; volevano convincermi ad entrare a far parte della loro guardia, e alla fine ci sono riusciti. Erano eccessivamente interessati al mio potere. Sentii intanto Carlisle sogghignare, forse perso nei suoi pensieri.

“Avresti dovuto vedere tuo padre quando ci siamo conosciuti. Mi seguiva dappertutto, era diventato ormai la mia ombra, prendeva come oro colato ogni parola che dicevo e non smetteva mai di sorridermi”

“Grazie , Carlisle” disse papà un po’ in imbarazzo.

La discussione venne improvvisamente interrotta dalle porte della stanza che si aprivano e chiudevano a una velocità mostruosa. Poi vidi Jasper davanti alla scrivania in mogano di papà. Aveva un'espressione così tesa che per poco non mi fece rabbrividire. Senza dire una parola appoggiò il giornale, il "Seattle Times", che aveva in mano sul tavolo. Lessi velocemente i titoli in grassetto della prima pagina: "La scia di omicidi si diffonde, nessuna pista per la polizia".

"Abbiamo un problema" mormorò impassibile. Nello stesso intervallo di tempo che io lessi i titoli in grassetto, papà e Carlisle avevano letto l'intero articolo.

“Non può essere opera di un solo vampiro” affermò Carlisle, tornato immediatamente serio.

"Se così fosse, allora il loro creatore non sa niente dei Volturi" rispose papà. "Sembra che non faccia caso al disordine che creano." Ecco, giusto per stare in tema. Carlisle annuì.

"Avverto Edward" Senza che me ne accorgessi fece il numero su un cellulare apparso dal nulla. Il secondo dopo iniziò a parlare troppo veloce perchè lo comprendessi.

"I Volturi?" domandai intanto incuriosita a mio padre, che sospirò.

"Se questi vampiri vanno avanti così, qualche umano prima o poi scoprirà quello che sta dietro a queste uccisioni. Ed il compito dei Volturi, come tu ben sai, è di evitarlo."

"Ben presto interverranno" affermò Jasper. "E Seattle è vicina a Forks. Non escludo che possano venire anche qua. Per Abigail o per Bella."

Un brivido mi percorse lungo la schiena. Fino cinque minuti fa l'esistenza di questo vampiro a Seattle era passato subito nel dimenticatoio. Adesso che papà e Carlisle avevano tirato fuori l'esistenza di altri vampiri e soprattutto dei Volturi ci mancò poco che mi venisse un mancamento. Come se non bastassero i problemi che avevo già. Dico, a Chicago non era mai successo niente, arrivavo a Forks ed ecco che venivo stravolta da orde di vampiri e non solo.

E poi c'erano i Volturi; questa era la cosa che mi spaventava di più. Solo pensare a loro mi spaventava. Sentii la mano fredda mi papà sulla spalla. Il sorriso che mi fece spinse a sorridere anche a me.

"Non verranno qui" Si rivolse poi a Jasper "Dovremmo intervenire noi, spiegar loro le regole"

"E' il tuo potere?" Mio padre scosse la testa.

"No, continua a rimanere sempre la stessa sensazione..."

"Quale sensazione?" domandai curiosa. Mmmm... non mi piaceva quando non mi veniva detto niente...

"Quella di aspettare" Ah... , non un’importante informazione, dopotutto. Carlisle finì la conversazione; sembrava più serio di prima.

"Il visitatore di Bella non è semplicemente stato in camera sua. Le ha preso dei vestiti." Jasper corrugò immediatamente le sopracciglia.

"Per l'odore"

"Non penso che l'abbia fatto per tenerselo semplicemente con sé" intervenne papà.

"Forse per dimostrare a qualcuno di aver trovato Bella" concluse Carlisle.

"Vado a parlare con Alice" disse Jasper. Dopodiché non solo lui, ma anche gli altri due vampiri si smaterializzarono.

Io rimasi da sola. Avevo ancora bisogno del tempo per digerire l'idea. Il visitatore quindi aveva un motivo preciso. Ho forse, no; Bella aveva un buon odore. Il vampiro si sarà portato dietro un souvenir. Ma suonava fin troppo strano...

Mi tenni la fronte con le mani. I miei genitori ed i Cullen iniziavano ad agitarsi per questa storia. Ed insieme a loro anch'io. Da una parte c'erano i Volturi, dall'altra ancora Victoria, poi un vampiro in camera di Bella, poi ancora dei vampiri senza controllo a Seattle. Ma tutte a noi dovevano succedere?

Feci uno sbuffo; mi ero stufata di questa situazione che si stava ingarbugliando sempre di più.

Per distrarmi un po' ed uscire dal mondo sopranaturale aprii la mia casella di posta elettronica. C'erano tipo venti e-mail mai lette; non avevo numerosi contatti, ma quelli che avevo almeno un po' si ricordavano di me. Erano tutte e-mail inviatemi dai ragazzi che avevo incontrato a San Lucas, in campo scuola. Metà erano della mia compagna di stanza, forse la persona con la quale avevo legato di più, anche se non sapevamo molto l'una dell'altra, neanche il luogo dove vivevamo. Dopo averle lette tutte, inizia a rispondere partendo da lei: "Cara Bree..."

 

Il pomeriggio passò lentamente e fu terribilmente noioso. Dopo aver letto le mail, andai a vedermi un paio di video su break, moto, e perfino su gente che correva; se io non potevo, almeno mi era di un minimo di consolazione vedere altre persone farlo. Dopodiché toccai il fondo: mi piazzai sul divano e mi misi a guardare la tv; iniziai dapprima con un po’ di sano zapping, mentre una Rosalie sul divano, annoiata tanto quanto me, sbuffava davanti alla mia indecisione di scegliere un canale che poteva andare bene, finché non mi strappò lei stessa il telecomando. Fui costretta alla fine a subirmi una specie di programma sulla moda a cui non prestai neanche un minimo della mia attenzione.

Abigail, ti vuole Bella al telefono” La voce cristallina di Esme mi fece fare un piccolo salto dal divano per la felicità di aver trovato qualcosa da fare. Voleva essere il salto di una farfalla, ma ne era uscito uno da ippopotamo.
”Pronto” esclamai troppo esuberante.

“Ciao Abi” mi rispose la mia amica “Ti ho chiamato solo per sapere se ci sei anche tu stasera.”

“Ehm… veramente non ho idea di cosa tu stia parlando” risposi parecchio confusa.

“Jacob non ti ha detto niente?” mi chiese stupita. Tutta l’esuberanza scomparì e il mio umore tornò ad essere quello di prima. Pensavo fosse tante volte meglio sentirsi annoiata fino al limite.

“No” mugugnai io.

“Ah” continuò ancora stupita. “Mi ha invitata stasera a La Push per un falò che faranno alla spiaggia. E’ strano che non ti abbia detto niente…” Ah, bene a sapersi. Era lampante il motivo per cui non mi aveva invitata; dopo la conversazione dell’altro giorno il suo strepitoso intuito gli avrà ben consigliato di tacere. A lei però questo non potevo di certo dirlo.

“No, non mi ha detto niente. Ma, ad essere sincera, non ci sarei neanche venuta; ho avuto una giornata un po’ faticosa e sono un po’ stanca. Mi ero ripromessa di non andare più a raccontare balle, ed ecco che ne sparavo un’altra. Vai così, Abigail.

“Ah…” Bella sembrava piuttosto delusa. Decisi di continuare la conversazione per farle sparire quella brutta emozione.

“Come mai seratina a La Push? Non era zona proibita?” Bella però mi sembrò più avvilita.

“Io e Edward siamo arrivati ad un compromesso; sarei andata a La Push, ma solo in tua presenza. Il potere di tua madre lo tranquillizza…” Cercò di essere il più disinvolta possibile, ma con me non attaccava. Avevo percepito la forte nota di dispiacere nella voce di Bella.

“Ah…” Questa volta l’allibita ero io. Quindi, Jacob l’aveva invitata a La Push, ma ci sarebbe andata solo se con lei ci fossi stata anch’io. Questo voleva dire vedere Jacob prima del tempo. Divenni improvvisamente dibattuta; volevo andare a La Push, perché così ci sarebbe andata anche Bella e, nonostante tutto, pensavo ancora fermamente che l’amicizia tra quei due dovesse continuare. Il fatto che non volevo che si trasformasse in qualcos’altro, era un’altra cosa. Neanche pensare poi di convincere Edward che ci sarebbe potuta andare anche da sola: sarebbe stata un’impresa persa fin dall’inizio. Tuttavia non avevo nessunissima voglia di vedere Jacob prima del tempo.

“Ehi, Abi, sei ancora in linea?” E Bella che mi metteva fretta non aiutava affatto. Cominciai a farmi prendere dal panico. Cosa dovevo risponderle?

“Ehm… sai, ho cambiato idea. Vengo a La Push” Doh!

“Ah, ehm... va bene” rispose lei, che non fece nulla per nascondere la sorpresa “Vengo lì verso le sei. Edward vuole accompagnarmi. Vuoi uno strappo?”

“Sì, volentieri” dissi a denti stretti.

“Allora… ci vediamo”

“Sì, ciao”

“Ciao”

Riattaccai forse con troppa foga. Feci un respiro per calmarmi, ma venne fuori solo uno sbuffo. Perché avevo risposto in quella dannatissima maniera, cavolo?! Adesso non potevo far altro che andare a La Push…

Ero finita nella trappola da sola. Ma forse… era quello che volevo veramente…

Stizzita per quell’inconveniente andai dritta in camera mia. Non mi accorsi però di Emmett alla mia destra e per poco non ci andai a sbattere. Aveva addosso uno strano sorrisino.

“Allora stasera ti dai anche tu ai licantropi” commentò divertito. Io non lo ero per niente.

“Nessuno ti ha detto che non si spiano le conversazione degli altri?” gli risposi decisamente stizzita. Mmmh… che faccia tosta a dare io degli spioni agli altri.
”Nessuno ti ha detto che non si dicono le bugie?” mi rispose a tono. Cambiò subito espressione e cominciò a guardarmi storto.

“Se non vuoi andarci, perché allora ci vai?” Ecco la domanda da un milione di dollari. Feci un respiro profondo; di nuovo assomigliò più ad uno sbuffo.

“Perché devo chiarire con una persona” mormorai più a me stessa che a Emmett. Lui lanciò un sonoro fischio.

“Non dirmi che te la fai con uno di loro!” esclamò divertito, per poi sfoderare subito dopo un’espressione di puro disgusto.

“Che schifo!” Scossi la testa e me ne andai dritta in camera mia, esasperata dal suo comportamento. Era il tipico comportamento da maschione idiota, che mi faceva tanto ricordare Jacob.

“Non me la faccio con nessuno!” gli gridai di spalle. In compenso lui si mise a ridere.

“Come no!”

A quel punto decisi di lasciarlo stare; se gli avessi dato troppa corda avrebbe continuato all’infinito e anche se, lo dovevo ammettere, questo era il genere di discussioni che mi divertivano, non era il momento.

Entrata in camera mi andai prima di tutto mi lanciai di peso sul letto. Cominciai a massaggiarmi le tempie cercando di fare il punto della situazione. Allora, avevo promesso a Bella che sarei andata a La Push. Lei sarebbe venuta a prendermi alle sei. I miei occhi guizzarono veloci sulle lancette dell’orologio; mancava ancora abbastanza per quell’ora. Avrei visto quindi Jacob oggi e non domani. A dir la verità, forse era molto meglio così; ero sempre stata per il motto “prima è, meglio è” in ogni cosa, e questa non faceva eccezione. Chi lo trovava però il coraggio per farlo? Va bene, Abi, con calma, pensa a quello che fai.

Alla fine conclusi che doveva essere come un cerotto; dovevo dirglielo senza troppi preamboli. Non importava come l’avrebbe presa; dopotutto, quello non era un problema mio. Sarebbe stato facile, dai. Non vedevo al momento tutta questa grande difficoltà per parlare. Bastava rimanere impassibili, ecco. Iniziai a soffocarmi con il cuscino; ma chi diamine volevo prendere in giro?

Mentre mi stavo preparando psicologicamente per il grande evento, non mi accorsi che mio padre era entrato in camera mia.

“Sei arrivata davvero a questo punto? Soffocarti per la noia?” Io mi tolsi il cuscino dalla faccia e gli feci una smorfia molto più eloquente delle parole. Papà si sedette sul letto vicino a me, appoggiandosi con i gomiti sul materasso.

“Mi stai cominciando a fare un po’ pena, sai? Sono venuto per farti un po’ di compagnia” Lo guardai per un attimo dubbiosa.

“Anche tu non hai niente da fare?” tirai ad indovinare.

“Esatto.”

Feci un’altra smorfia e tornai a soffocarmi con il cuscino. Mio padre però me lo impedì.

Abigail. E’ da tanto che qualcosa non va, vero?” La sua voce si era fatta subito preoccupata. Non era però quella preoccupazione mista ad agitazione, puramente contagiosa; trasmetteva uno strano senso di calma, invece. Io annuii con la testa. Non credevo che raccontare a mio padre che mi ero innamorata di un licantropo fosse una buona idea. Non avevo mai parlato a papà di questo genere di problemi, né gli piaceva discuterne.   

“Me ne vuoi parlare?” chiese, impercettibilmente indulgente. Io scossi la testa.

“Problemi di donne” sintetizzai io, liquidando subito il discorso.

“Questa volta posso fare un’eccezione” continuò lui. Io lo guardai stupita; mai mi aveva incitato a parlare di questi problemi con lui.

“Perché?” chiesi terribilmente curiosa.

“Perché ti vedo particolarmente giù da troppo tempo” disse dandomi una leggera carezza alla testa.

“Non ti piacerà” cercai di intimorirlo io.

“Posso sopportare per una volta” rispose, guardandomi con il suo dolce sorriso, che mi incitò a ricambiargli. Ormai convinta dalle sue parole, accettai di partecipare a questo esperimento. Incrociai le gambe e agguantai il cuscino, che divenne improvvisamente interessante.

“Mi sono innamorata” sussurrai. Ed ecco che sarebbe partita la scenata.

“Oh…” mormorò lui, per niente convinto “Intuivo qualcosa del genere.” Lo guardai attentamente; era totalmente indeciso, quasi confuso. Senza dubbio non era a suo agio. Decisi di tirargli uno scherzo.

“E sono incinta” esclamai di butto. Subito la sua espressione divenne impassibile e ferma come quella di una statua greca. Si girò lentamente verso di me, i lineamenti della faccia ancora immobili ancora immobile. Confessavo che mi metteva una certa paura.

“Papà, sto scherzando!” esclamai in una risata. D’altro canto lui rimaneva immobile.

“Davvero?”

“Sì!”

“Non sei incinta?” continuò titubante, ma riprendendo a respirare.

“No.” Fece un respiro e tornò ad alzarmi. Gli avevo tirato un brutto tiro; sapevo bene che questo era il suo incubo peggiore.

Abigail, non farlo mai più, va bene?” mi consigliò terribilmente serio.

“Non capisco perché ne devi fare sempre una tragedia!” cercai di uscirne. Fece un altro respiro e mi guardò con la faccia di un bambino che aveva rotto un vaso.

“Sì, lo so, hai ragione. Sai come sono”

“Certo. Se dipendesse da te finirei in un monastero di clausura pura e casta. Lui rise, sintomo che aveva superato il trauma di poco prima.

“Senza alcun dubbio” Tornò un po’ più serio, guardandomi con una strana malinconia negli occhi. “Il tempo è passato così in fretta che non mi sono accorto che tu sei cresciuta. Per me sei ancora una bambina…”

“Sei sicuro di volerne ancora parlare?” gli suggerii io.

“Certo” rispose lui senza problemi  “Tanto per curiosità, mamma lo sa?”

“Sì”

“Va bene, allora.” Aveva riacquistato tutta la pacatezza di poco prima. Si impegnava a nasconderlo, ma io che lo conoscevo bene notai ancora un guizzo di disagio nei suoi gesti.

“Chi è il fortunato? Lo conosco?” Ecco il secondo colpo da incassare, quello più difficile.

“Il ragazzo che mi ha aiutato a costruire la macchina.” Chissà perché ma dirgli in faccia la parola “licantropo” non mi veniva facile. Questi giochi di parole furono inutili, perché papà intese subito.

“Un… licantropo?” Non sembrava arrabbiato, solo confuso e terribilmente spiazzato. Io annuii impercettibilmente. Mi lanciò ancora un’occhiata dubitante.

“Ti sei… presa una cotta per un licantropo?”

“Non è una semplice cotta” specificai un po’ indecisa “Me ne sono davvero innamorata”

“Ah” disse titubante.

“Non ti sta bene, vero?” esclamai io di botto.

“Certo che non mi sta bene” rispose col massimo della sincerità “Ma la vita è tua, giusto? Sei abbastanza grande per fare le tue scelte” continuò lui ancora confuso.

“Ah, adesso sono abbastanza grande, eh?” insinuai sarcastica. Lui non mi rispose, anzi, mi sorrise e per un attimo i suoi dubbi svanirono.

“Guardando il lato positivo, almeno mi divertirò ad ucciderlo se ti farà tornare a casa piangendo” mormorò sadico.

“Papà!” lo ammonì esasperata.

“Seriamente, sono preoccupato, come sempre, d’altronde…” Ora il dubbio nella sua voce era tornato. “ma… sono anche contento di questa tua… storia, ecco. E mi fido di te, come sempre… e…” Gli era davvero difficile parlare di queste cose con me; non l’avevo mai visto così indeciso. Di solito quando parlava era convincente, carismatico, insomma, tutt’altro. Mancava poco che adesso cominciasse a balbettare. Non era decisamente portato per questi discorsi, il mio papà. Mi aveva però commossa il suo desiderio di impegnarsi ad ascoltarmi. Decisi di fermarlo subito, prima che si facesse idee sbagliate.

“Ecco, prima che tu cominci a pensare male, ti informo che non è una cosa contraccambiata” Lui sembrò riacquistare una certa sicurezza.

“Non è successo quindi niente tra voi due?”

“No”

“Ah” Questa volta fu una vera e propria espressione di sollievo. Scossi la testa, nuovamente esasperata.

“A lui piace un’altra” specificai io, interessandomi di nuovo al cuscino. Non volevo specificare chi era la ragazza, non in quel momento, visto che il problema non era Bella. Poi in quella casa anche i muri avevano orecchie…

Lui cominciò a guardarmi in modo penetrante.

“Sei gelosa?” chiese con evidente sorpresa.

“Sì, marcia” mugugnai io senza nascondermi. Lui scosse la testa con un sorriso.

“Non ti ho mai vista in preda alla gelosia. Forse è per questo che ultimamente ti vediamo così strana” suggerii lui.

“Diciamo di sì” risposi io sul vago. “Fino ad adesso siamo rimasti amici, ma non mi basta più. Stasera vado a La Push, con Bella, e glielo dico. Non so però dove posso trovare il coraggio per tranciare di netto un’amicizia del genere. E’ il mio migliore amico.”

Mio padre non ripose. Era tornato a guardarmi dubbioso; aveva persino cominciato a tamburellare nervoso le dita sul ginocchio. Si stava preparando un discorso eclatante. All’improvviso si tolse gli occhiali da vista e si passò una mano tra i capelli, scompigliandoli un po’. Conciato in quella maniera sembrava ancora più giovane.

“Va bene, Abi, adesso ti stupisco” proruppe. Si girò verso di me, per vedermi bene in faccia. I suoi occhi dorati subito mi ipnotizzarono.

“Ci sono lati di me di cui tu non conosci la minima esistenza, e te ne voglio presentare uno. Prometto che adesso mi sforzo e la smetto per un momento di fare il padre possessivo” Accese del tutto la mia curiosità. Lo stavo guardando come uno spettatore guarda il mago che svolge un trucco di prestigio.

“Ho sempre pensato che tu fossi brava a fare molte cose, Abi. In altre invece sei davvero pessima. Una tra queste conquistare gli uomini. E come puoi pensare a me è sempre andato bene così. Questa volta fui io a guardarlo confusa. Dov’era andata a finire tutta quell’indecisione di prima?

“Sei sempre stata un maschiaccio. Lo sei tuttora, ne sei cosciente e ne vai fiera, e fai bene, perché fa parte di te stessa. Crescendo, però, non hai sviluppato quell’atteggiamento femminile che di solito le ragazze della tua età hanno. E a quanto ho capito al ragazzo che ti piace, piacciono le ragazze, giusto?”

No, non avevo capito bene. Mio padre, stava implicitamente incoraggiando me, a diventare più femminile per piacere a quell’altro?! La mia prima considerazione fu che era del tutto pazzo, non solo perché non era da lui incitarmi ad essere più femminile, ma soprattutto perché avrebbe dovuto sapere che non sarei mai stata più femminile di quanto fossi già!

“Mi stai forse suggerendo di cominciare a comportarmi da… femmina, come hai detto tu? Dovrei cominciare a truccarmi, vestirmi in modo diverso per piacergli?” esclamai in un misto di isteria e sconcerto.

“No, non intendo questo per atteggiamento” Lui intanto non aveva perso un minimo di quella insolita calma.

“Scommetto che lui non ha la minima idea che ti piace, perché… non gli stai inviando i messaggi giusti.” Fu allora che compresi che davanti a me non c’era più mio padre, quell’uomo contrario ad ogni tipo di relazione al di là dell’amicizia. Era più una specie di… amico o fratello maggiore, ecco. E stranamente davanti a quello sconosciuto dimenticai tutto il disagio e le difficoltà di parlare in modo dettagliato della mia situazione amorosa. Per evitare malintesi avrei dovuto dire le cose come stavano.

“Ho fatto in modo che non sapesse, se no l’avrei perso come amico!” esclamai difendendomi, facendola sembrare la cosa più ovvia di questo mondo.

“Non ci hai mai provato con lui?” continuò papà, senza scomporsi minimamente.

“No! Sarebbe stato inutile, a lui piace un’altra! Non glielo potevo dire!”

“Hai quindi gettato subito la spugna” Il tono che usò, dovevo ammetterlo, mi diede un po’ sui nervi. Sembrava fosse deluso, perché avevo fatto quello che sembrava più giusto.

“Che altro potevo fare?” Forse gli risposi con troppa rabbia. Papà rimase indifferente. Anzi, mi sfoderò un sorrisino. 

“Sei proprio un pesce fuor d’acqua quando si parla di conquistare qualcuno.” Mi sentii di nuovo spiazzata di sentire quelle parole.

“Mi stai dicendo che ho sbagliato tutto fino ad adesso?!” insinuai io. Ora ero davvero furiosa; non era bello sentirmi dire che tutto quello che avevo fatto era stato inutile. Mi ero impegnata, eccome se mi ero impegnata per farmi vedere da quell’idiota! Lui mi strinse la mano e continuò a parlarmi guardandomi negli occhi, senza far sparire quel suo adorabile sorriso.

“Stammi a sentire; in questo caso le parole non servono a niente, anzi sono dannose. Tu sei sempre stata diretta, hai sempre preferito mettere le cose in chiaro. Ti svelo un segreto, in amore, nulla è diretto”

Che sciocchezza. Nessuno riuscirebbe a capire niente” borbottai io interrompendolo subito. Lui allargò quel sorriso.

“Per questo bisogna essere bravi. Da quando hai capito che a questo ragazzo piaceva un’altra, tu ti sei subito tirata indietro, giusto?” Lo guardai immobile. Sì, era vero, il pensiero che a Jacob piaceva Bella mi aveva sempre demoralizzata, ingelosita ed esacerbata. Poi mi ricordai che prima di essermi resa conto di essermi innamorata di lui, sapevo già che Jacob aveva una cotta immensa per Bella. Misi quindi in dubbio quello che avevo pensato prima; esattamente, cosa avevo fatto per farmi notare da lui?

E se invece non è così? Magari avrà pensato ‘Mi piace questa ragazza, ma adesso comincia a piacermi anche Abigail. Però è inutile provarci, tanto è evidente che è interessata a me solo come amico’.” Sentii le sue dita accarezzare le mie, come se volessero darmi coraggio e consolarmi. Io lo ascoltavo con attenzione, come se fossi sul punto di assistere ad una rivelazione. Non mi convincevano le parole di papà; non credevo che Jacob avesse davvero pensato questo. Fatto sta che, per pura illusione o no, non mi convincevo neanche che non le avesse mai pensate.

“Nel dubbio quello che devi fare è metterlo davanti ad una scelta. O te, o lei. Deve capire che anche tu sei interessata a lui.

E finalmente capii i miei sbagli. Francamente, come mi ero sempre comportata con Jacob? Come una fallita; mi ero sempre lagnata di come a Jacob piaceva Bella e non me, mi ero incavolata con lui perché ero gelosa marcia che avesse usato me per conquistare Bella, mi ero arrabbiata con lui perché aveva detto che non ero niente a confronto di Bella. Ma avevo mai fatto qualcosa di concreto prima? No, mai. La colpa dei miei dolori ero io. Anche se ero innamorata di lui, da sempre mi ero comportata solo da amica, perché ero convinta che non avrei potuto competere con Bella, perché sapevo che per Jacob c’era solo lei. Ma chi cavolo l’aveva detto? Ora sì che mi rendevo conto di tutto. E mi rendevo persino conto che il comportamento di Jacob non era del tutto sbagliato; sapeva di essere al pari di Edward, e non demordeva nel conquistare Bella. Dovevo comportarmi come lui. La differenza era che anche se lui ci credeva, in realtà non era affatto così; Bella avrebbe scelto Edward. Anzi, l’aveva già scelto, Jacob rompeva le palle e basta. Ma io, come potevo dire di non essere al pari di Bella, se non mi ero neanche presentata a lui come ‘l’altra scelta’?

Avevo sempre voluto le cose facili; o Jacob si interessava di me così com’ero, o niente. Non avevo mai pensato che avrei dovuto lottare; tirare la spugna era più semplice. Quanto stupida ed ingenua ero stata a credere di aver capito tutto.

“Cosa gli devo dire, allora?” dissi con una strana determinazione. Mio padre allungò ulteriormente quel sorriso.
”Non gli devi dire niente, Abigail. Devi solo fare. Fagli un sorriso in più, guardalo in un certo modo, aumenta il contatto fisico; devi fargli presente che ci sei anche tu. Visto che a te piacciono le cose dirette, potresti anche cambiare radicalmente il tuo modo di vestire”

“No! Io da femminuccia non mi vesto” sbottai immediatamente io senza pensare.

“Non ti sto chiedendo questo. Ti sto solo consigliando di vestirti solo in modo un po’ più femminile, solo per un po’ di tempo, giusto per mettergli la pulce in un occhio. Deve cominciare a guardarti in modo diverso. E per farlo devi lottare.”

Ascoltavo interessatissima le sue parole. Bene, io avevo fatto tutto l’opposto: mi rifiutavo persino di toccarlo con la scusa del “contatto lupesco”!

“Quello che devi fare dopo è rimanere te stessa. Ricordati che non devi cambiare per nessuno. Questo lo sai, e mi fa un padre orgoglioso”

“E se non sceglie me?” mormorai indecisa dopo alcuni secondi di silenzio.

“Può succedere, ma almeno non ti sarai pentita di non aver fatto tutto il possibile.”

Il silenzio scese del tutto. Quelle parole erano state una vera e propria illuminazione. Mi avevano fatta sentire una totale stupida, ma mi avevano trasmesso una determinazione che scoppiava dal mio corpo. Mi avevano dato una nuova speranza. E la persona che aveva fatto tutto questo era stata mio padre! Non ci potevo credere! Niente mi aveva mai sorpresa così tanto.

“Mi hai appena dato un paio di consigli su come conquistare un ragazzo. Tu!” esclamai. Lui mi fece un piccolo sorriso.

“Ebbene, sì”

“E’ impossibile” affermai scuotendo la testa “Non avrei mai e poi mai, in nessun modo potuto immaginare una conversazione del genere con te! Tu non sei mio padre, sei un alieno.” Ed in effetti questa sembrava la considerazione più verosimile possibile. Lui mi lanciò un sorriso malizioso.

“Te l’ho detto che ti avrei stupita.”

“Dimmi un po’, dov’è che hai imparato tutte queste cose?” gli chiesi piena di curiosità da poter scoppiare. Lui tornò ad essere indeciso come prima, ma rispose.

“Prima di conoscere tua madre ero un casanova” confesso, forse con un po’ di imbarazzo. Sbarrai bocca e occhi e se il respiro non mi si fosse bloccato sarei scoppiata a ridire.

“Non ci credo!” sussurrai senza fiato. 

“Fai pure” disse lui con un’alzata di spalle, alzandosi dal letto.

“E… seducevi le donne?” L’espressione non era cambiata, ma in compenso riuscivo a respirare e a parlare.

“Vampire. Quando ero in Irlanda, in Italia, in America. Quando ho cominciato ad essere insensibile al sangue, anche donne umane, ma in quel caso mi limitavo a farle innamorare di me, e poi le spezzavo un cuore” sintetizzò lui. Non si sentiva a suo agio a parlare di questo argomento, tanto quanto lo ero a parlare di “problemi di donne”.

“Casanova e sciupafemmine, per di più!” Questa volta gridai. No! Mio padre era un latin lover! “Ma… adesso, niente?” domandai con una perversa malizia.

“Ho smesso quando mi sono innamorato per la prima volta nella mia esistenza da vampiro; intendo di tua madre.”

“E lei lo sa di questo tuo lato?”
”Certo. Quando gliel’ho detto si è messa a ridere. Ancora adesso non capisco perché” mormorò dubbioso, ma anche stranamente divertito. Io intanto non mi ero ancora mossa.

E cosa facevi? Scrivevi poesie, inviavi mazzi di fiori anonimi e via dicendo?” iniziai sarcastica.

“Mi stai prendendo in giro?” mi rispose a tono.

“No, è che mi sembra così strano, sapere che il mio padre iperprotettivo è stato un latin lover!” Caspita, era la notizia del secolo!

“Ad essere sincero, in effetti, più di tua madre è stata l’idea di una figlia a farmi cambiare totalmente modo di pensare. E mi ha lanciato nell’ansia più totale” affermò pensoso.

“Durante questa mia fase ho spezzato molti cuori, molte ragazze, vampire e non, hanno sofferto a causa mia. Al tempo però non me ne importava proprio niente. Per questo sono diventato così iperprotettivo nei tuoi confronti; volevo evitare che la mia bambina soffrisse per colpa di un idiota come lo ero stato io. Per un paio di secondi ritornai seria.

“Ah… ora si spiegano molte cose” Il momento serietà non durò a lungo. Tornai subito a sfilare un’espressione sbalordita.

“Ma adesso non ti sono rimaste più le vecchie tecniche da seduttore?” dissi maliziosa.

“Se mi sforzò, qualcosa riesce a uscire. E questo a tua madre piace molto” rispose a tono. Si rimise gli occhiali e si diresse verso la porta. Ora non potevo fare a meno di guardarlo con occhi diversi.

“Bene, se non hai più bisogno, torno ad essere il padre iperprotettivo”

“No, aspetta un attimo! Ti prego, se non me lo fai vedere, non ci crederò mai!” Mi appoggiai sulle ginocchia, assomigliando molto ad un cucciolo scodinzolante. “Fammi vedere come seduci!” Lui incrociò le braccia spazientito, ma sottosotto divertito. 

“E chi dovrei sedurre, sentiamo?” Presi il mio vecchio orsacchiotto di peluche che tenevo sul letto e glielo lanciai. Papà lo prese al volo senza neanche guardarlo.

“Chef!” Lui fece una piccola risata.

“Mi dispiace, ma gli orsacchiotti di pezza non sono il mio forte.” Lanciò l’orsacchiotto sul letto, dove andò a finire nell’esatto punto e nell’esatta posizione da dove lo avevo preso io. Aprì la porta della mia camera, intenzionato a finire quella conversazione che lo imbarazzava.

“Almeno qualcosa di buono l’ho fatto; ti ho fatta divertire e ti ho salvato da una spessa coltre di noia.” E non solo, papà. Lo guardai con un sorriso di gratitudine, che sostituì completamente l’espressione attonita di poco prima.

“Grazie, papà” sussurrai. Lui ricambiò al mio sorriso. Con il dito mi indicò le lancette dell’orologio. Erano le cinque.

“Ti consiglio di andarti a preparare per stasera.” Mi fece un occhiolino e dopo un ultimo sorriso mi lasciò qualche minuto di privacy.

Senza rendermene conto confrontai il mio umore prima e dopo la chiacchierata con papà. Prima ero annoiata, depressa, confusa e triste. Adesso avevo una carica in corpo in grado di poter spaccare il mondo. Sentivo di avere la possibilità con Jacob che non avevo mai sentito di avere. E anche se alla fine sarei tornata al punto di prima, come aveva detto papà, ci avevo provato.

Papà aveva ragione; ero una frana con i ragazzi. E lui era un asso con le donne; cavolo, che scoperta!

Ripensai con attenzione a quello che mi aveva detto di fare; un sorriso in più, uno sguardo diverso. Niente parole e più contatto diretto, insomma.

Era strano però farlo, mentre fino ad allora avevo sempre rigettato le sue carezze. Avevo sempre creduto che intendessero un altro significato da quello che davo loro io. Ma, aspetta un momento, e se in realtà quei gesti avevano lo stesso mio significato? E se Jacob aveva realmente pensato a quelle cose che aveva detto papà? A quel punto mi diedi una calmata; meglio non illudersi troppo. Ripensai ancora alle parole di mio padre: nel dubbio, ponilo davanti ad una scelta. Mi diedi ancora una volta della stupida.

Mi alzai dal letto e aprii il mio armadio. Decisi cosa avrei messo per quella sera. Una tuta, come al solito. Decisi che il cambio di look che mi aveva suggerito papà potevo anche sorvolarlo. Poi però ci ripensai; dovevo giocarmela bene, non potevo commettere altri errori. Dovevo optare per qualcosa di diverso; insomma, quello non era un semplice pomeriggio nel garage di Jacob tra olio e motori. Era una seratina sulla spiaggia, dove io facevo la parte dell’imbucata. Sarebbe stata una scusa perfetta per giustificare il cambio di abbigliamento e non avrei avuto altre occasioni.

Dopo aver dato una veloce occhiata al mio guardaroba, costatai che non avevo nulla che si adattasse alla situazione. Perfetto, ero fregata, via la carta del nuovo look. A pensarci bene c’era una persona a cui potevo chiedere aiuto. Avrei preferito farne a meno, ma ero in una situazione un po’ delicata e non mi venne in mente altro se non chiedere a lei. Avrei subito una lunga tortura, ma questo e altro per quell’idiota che amavo. Con voce un po’ malferma la chiamai.

“Alice”

 

 

 

 

 

Dai, alla fine Jacob non è così idiota (era solo un’impressione che volevo dare ;) ). In realtà lui non ha alcuna colpa; alla fine si scopre che la vera pirla di tutto è la stessa Abigail! ^^ Spero quindi che adesso lo perdonerete almeno un pochino.

Comunque voglio un applauso generale per Abigail, che finalmente si è svegliata! Dai, forse adesso si smuoverà qualcosa tra quei due! Almeno non la sentirete più lamentarsi e basta XD

Per quanto riguarda il resto, può sembrare un po’ noioso, perché alla fine sono gli eventi del libro modificati. Ma dite la verità, ci siete rimaste male quando si scopre che Bree è amica di Abigail, eh? Preannuncio tempi di sofferenze e dolori!

 

Inoltre per chi si domanda quanto durerà ancora questa fan fiction, posso assicurare che non siamo arrivati nemmeno a metà! Forse non la finirò mai, mi stuferò prima XD Ma per adesso non demordo.

Per questo capitolo è tutto; spero che vi sia piaciuto.

Grazie mille ancora a tutti quanti per essere arrivati fin qua (complimenti! Avete letto 281 pagine a carattere Times New Roman 12! XD). Ringrazio ancora di cuore inoltre chi ha commentato! Ci tengo moltissimo a sapere la vostra opinione!

Ringrazio inoltre tantissimo Franny97 e mylifeabeautifullie, che mi hanno suggerito l’attrice che potrebbe somigliare ad Abigail. Vi ringrazio per esservi scomodate, ma nella testa avevo un’idea un po’ diversa; penso sia normale che per ognuno qualsiasi personaggio di qualsiasi libro sia diverso. Quindi, per favore, non rimaneteci male! D’altro canto ho ripreso la ricerca è finalmente dopo tanto tempo ho trovato chi le potesse somigliare!  (Meaghan Rath) 

Ringrazio inoltre anche tutti coloro che nei commenti oltre alle proprie opinioni mi fanno domande e mi chiedono cose che non hanno capito; sono supercontenta di risolvere ogni vostro dubbio!

Ci vediamo al prossimo capitolo! Un enorme bacio a tutti!

 

X MoonLight_95: Mmmhh… non si capisce davvero che per te Bella può anche morire, che fa un favore al genere umano (tenendo poi conto la tua fan fic, ancora di più) XD. Spero che non ti abbia fatto aspettare troppo; mi dispiace, ma prima non riesco proprio! Grazie ancora per aver commentato! Un bacio grande!

 

X Franny97: Abigail! Ma cosa mi combini XD

Allora, vorrei rispondere in ordine a tutte le tue domande e alle tue affermazioni. 1) Sì, sì, fai con comodo, ammazzalo pure (se ci riesci) ^^ Aspetta però prima che finisca la ff, che mi serve ancora per un po’. 2) Questo capitolo forse risponde alla tua domanda, ma ti rispondo io lo stesso: ebbene sì, Jacob si può permettere eccome di corteggiare Bella, perché Abigail fin’ora non ha fatto un cavolo per mostrarsi più di una amica, anche se la pensava diversamente fin’ora, e quindi Jacob non sa che piace ad Abigail. Se no eviterebbe di parlare sempre di Bella con lei. 3) Ehm… no, Bella non sa che a Abigail piace Jacob; è la stessa Abigail che ha fatto in modo fino ad adesso che Bella non lo sappia, perché ha paura di compromettere l’amicizia tra loro due. Abigail non ha niente in contrario se Bella e Jacob sono amici; sa quanto bene le ha fatto quando Edward se n’è andato. Non sarebbe d’accordo se questa amicizia si trasformasse in qualcosa di più, ma è certa che Bella ama Edward, quindi sa che non potrà mai ricambiare Jacob. 4) Bhè, ha passato notti in bianco, è al verde, la sua migliore amica lo ha fatto diventare pazzo perché non vuole più essergli amico e non gli dice il perché. Bon, dai, è sufficiente come sofferenza, no? XD 5) Eh… il fine rimarrà un dubbio fino alla fine… e non dico altro! Vediamo se ci azzecchi o no, Abi… XD

Spero di essere stata chiara! Grazie per il parere sull’attrice e grazie tantissimo per aver commentato! Tanti baci ricambiati!!! :) Alla prossima!

 

X mylifeabeautifullie: Grazie tantissimo per il tuo parere riguardo l’attrice! Come ho scritto sopra, non rispecchia la mia protagonista, ma sono comunque stracuriosa di sapere come l’ho dipinta ai miei lettori! Bhè, se vuoi leggere anche questa di ff, allora ti auguro fin da adesso buona fortuna, mia grande ammiratrice! XD   

Alla prossima! Un bacio anche a te!

 

X nes_sie: Mi è piaciuta la tua frase ‘Jacob si è praticamente dimenticato dell’esistenza di Abigail’, perché è rende benissimo quello che sente Abigail quando li vede andar via in moto! Nonostante tutto, le tue speranze in questo capitolo si sono avverate. Sono inoltre contenta che tu la pensi come me riguardo ad Edward!

Spero di aver soddisfatto la tua curiosità (forse no, perché adesso c’è il falò…) comunque grazie moltissimo per il commento! Un bacio anche a te!

 

X __cory__: Mmm… ti sei spiegata benissimo. Abigail si arrabbia proprio per il motivo che hai detto tu. Ti riporto un passo del capitolo precedente che ti dovrebbe capire:

Mi sentivo abbastanza confusa in quel momento. C'era un peso al petto che non voleva scomparire. A tratti mi sentivo incazzata fuori misura per essere stata presa in giro da quel lupo, per avermi fatto credere di valere qualcosa anche come amico. Poi però un lampo di razionalità mi ricordava che Jacob quand'era arrabbiato ne diceva tante di cavolate. Ed ecco giungere la tristezza, peggio della rabbia, che mi ricordava che io al confronto di Bella rimanevo una nullità. Conoscendolo, Jacob era stato in quell'occasione abbastanza sincero, dopotutto. Non mi considerava una nullità come amica; non riuscivo a pensare diversamente. Ma come qualcosa di più; ero sicura il cento per cento che a confronto di Bella era vero. Di nuovo mi ritrovavo a riflettere sulla più vera delle verità: a Jacob io non piacevo, lui era innamorato di Bella. Punto, basta, non c'era nient'altro da dire.

Spero che ti sia tutto chiaro adesso ^^.  Grazie mille ancora ed ancora ed ancora per questo e per gli altri commenti!

Una grande bacio!

 

X Kianna: Grazie mille per aver commentato! Sono felicissima che la storia ti stuzzichi, insieme al modo nel quale ho stravolto gli eventi. Spero che anche questo capitolo sia stato di tuo gradimento! Ancora mille grazie!

Un Bacio!

 

X nene_cullen: Allora, vuoi prendere a sprangate Jacob, di Bella faresti anche a meno, e Edward lo metteresti in  riga. Insomma, non ti va bene nessuno dei tre! E un po’ ti capisco: a me piacciono tutti e tre questi personaggi, ma hanno tutti e tre dei difetti che non li fanno assolutamente i miei personaggi preferiti.  

Comunque, spero che la sofferenza di Jacob sia sufficiente! Mmmh… forse, no. Anzi, no di sicuro. Ma ha sofferto! Fidati che ha sofferto, te lo dico io!

Grazie ancora tantissimo per aver commentato! Alla prossima! Un Bacio!

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 17
*** Diciassettesimo Capitolo ***


Diciassettesimo Capitolo

 

Diciassettesimo Capitolo

 

 

Abigail, sta ferma!” strillò Alice accanto a me.

“Mi fai male!” mi lamentai di rimando.

“E che sarà mai un po’ di dolore!” rispose annoiata. Strinsi i pugni, sperando che quella tortura finisse presto.

Va bene, ora sapevo che non avrei dovuto farlo. Di fatto, non appena mi ero resa conto che nel mio armadio non c’era nulla che potesse andare bene per la serata a La Push, commisi l’errore di chiedere ad Alice di potermi aiutare. Forse mi doveva suggerire qualcosa il sogghigno che fece.

Non si limitò a darmi qualcosa da mettermi. Per prima cosa mi portò in camera sua e con una diabolica pinzetta mi sistemò le sopracciglia. Avrei tanto voluto prendere quell’esserino e buttarlo fuori dalla finestra per il dolore. Poi, non contenta, si diede ai capelli. Ora, dopo diffusori, piastre, robe e altre cose strane, stava dando gli ultimi ritocchi. Me li stava in pratica tirando, ma ogni mia lamentela a lei faceva un baffo.

“Ecco, ho finito, contenta?” mi chiese spazientita.

“Sì” mugugnai io. Non potei neanche a vedermi allo specchio che lei girò la sedia su cui ero seduta.

“Adesso il trucco” annunciò versando su un po’ di ovatta un liquido trasparente. Io sobbalzai. Il trucco non era affatto necessario. Alice sbuffò.

“Te ne metto il tanto che basta per risaltare il tuo viso!” strillò ancora “Sei davvero difficile, sai? Con i tuoi limiti restringi la mia fantasia e mi annoi” Che peccato…

Cominciò a strofinarmi la faccia con quel pezzo di ovatta.
”Questo pulirà la tua pelle” mormorò. Poi iniziò a straparlare “Ad essere sincera non vedo come tu possa essere interessata a uno di quei… cani pulciosi. Puzzano, sono insopportabili e in più pericolosi. E’ disgustoso. Personalmente, te li sconsiglierei proprio…” Io mi discostai da lei e la guardai allibita, e anche infastidita per il termine poco carino.

“Cosa… cosa ne sai tu?” Lei mi guardò ancora più schifata.

“Allora è davvero così?” Cominciò distratta a tirare fuori trucchi e pennelli vari “Bhè, non sono mica stupida. Per cos’altro se no venivi da me a farti mettere a posto prima di uscire? E comunque è un peccato che una ragazza come te si sprechi per un…”

“Più trucco e meno chiacchiere, grazie” la ammonii io, ferma e decisa.

“Scusa, hai ragione” disse lei, ancora con quel tono annoiato.

Ci mise circa quindici minuti per finire il tutto. Fece uno sbuffo ad opera conclusa.

“Accontentati di questo. In un’ora non posso fare di più. Se me ne avessi date almeno due avrei ottenuto qualcosa di meglio” commentò insoddisfatta, mettendo di tanto in tanto un ricciolo a posto. Bah, a me un’ora sembrava un’infinità di tempo per prepararmi.

“Adesso viene la parte più difficile” annunciò lei, alzando teatralmente “Perciò vedi di collaborare almeno un minimo” Fu quasi minacciosa. Io trattenni una risata; era buffa quando faceva così.  

Aprì le ante di una porta e vi si infilò dentro. Pensai che fosse il bagno, ma sporgendo la testa capii che in realtà era un’altra stanza, grande quanto la camera, piena di vestiti.

Intanto che Alice trafficava nel suo armadio, riuscii a guardarmi allo specchio. Bhè, seppure mi avesse strillato contro tutto il tempo, Alice aveva fatto uno splendido lavoro. Era la versione di me più bella. I capelli erano sempre gli stessi, un cestino riccioluto. Però i ricci invece di essere crespi, scompigliati e diretti verso ogni direzione, erano lucidi, delineati, ricadevano più ordinati e per questo sembravano più lunghi. Il viso poi era strano. Non era lucido, il colore era di una tonalità omogenea, il mio naso da patata si era assottigliato e le mie labbra si erano ingrossate. Gli occhi poi si erano ingigantiti. Anche se non mi dispiacevo, se avrei dovuto sopportare ogni volta una tortura tale, allora non avrei visto spesso questa nuova Abigail.

Vidi il suo riflesso nello specchio spuntare fuori dall’armadio. Mi girai verso di lei; mi stava facendo gli occhi dolci, supplicandomi di mettere il paio di jeans che aveva in mano. Anche se era brava, quella volta non mi convinceva nemmeno un poco.

“Assolutamente no” risposi all’istante. Gli occhi da supplica le sparirono e cominciò a guardarmi in cagnesco. Tornò subito dentro l’armadio, digrignando i denti.

“Come vuoi che faccia a darti qualcosa di semplice e comodo, se i jeans non li vuoi!” protestò “Di gonne so già che non se ne parla!”

“Io pensavo a una tuta un po’ più elegante del normale, a dire il vero” mi intromisi io, tanto perché, visto che ero io quella che si doveva vestire, desideravo che il mio parere venisse preso un minimo in considerazione. Lei rispuntò all’istante, arrabbiata come se l’avessi offesa pesantemente.

“Tu da questa stanza non esci con una tuta, chiaro?” Sarà stata l’espressione, ma questa volta mi fece paura. Dopodiché mi lanciò un paio di calze nere. Cosa?! Io non volevo la gonna!

“Fatteli stare, perché non avrai altro.” Non potei neanche dibattere che lei sparì di nuovo. Guardai un po’ amareggiata le calze nere che mi aveva lanciato. No, mi ero sbagliata; erano leggins. Bah, dopotutto non mi dispiacevano più di tanto; erano comodi, li usavo spesso anche per andare a correre. Solo che non mi sentivo molto a mio agio; avevo la sensazione di essere nuda e mi vergognavo a farmi vedere così. Quindi aspettai titubante cosa Alice mi avrebbe fatto mettere sopra. Prima ancora di vederla, mi lanciò una cosa dorata, che presi per pura fortuna. Mi vennero i brividi. Era un vestito, senza maniche.

“A-Alice!” la chiamai io appoggiando per terra quell’orrore. Lei si materializzò vicino a me, minacciosa. Lentamente prese il vestito che avevo messo a terra e me lo rimise in mano.
”Provalo” Quel sussurro mi fece venire i brividi. Poi mi sorrise; non era il solito sorriso allegro che la caratterizzava: stava scoprendo le gengive per mettere in evidenza i canini. Mi venne automatico fare un sorriso sforzato anche a me. Presi il vestito e comincia a spogliarmi.

“Va bene” mormorai con falsa felicità.

“Così mi piaci” rispose lei convincente.

Era inquietante Alice quando faceva così. Le dava un grandissimo fastidio se il modello aveva qualcosa da ridire. Se esistessero bambole giganti gliene avrei dovuta regalare una, almeno così avrebbe potuto sfogare tutto il suo ‘genio creativo’, come l’aveva chiamato. Mi misi quell’abitino dorato. Mi arrivava fino a metà coscia e scendeva un po’ a palloncino; almeno così avrebbe coperto e mimetizzato il mio grosso sedere. Il pezzo sopra però non mi piaceva proprio, anzi, non sembrava neanche un vestito primaverile, ma estivo; non aveva le maniche, quindi sarei morta di freddo.

“Mettiti anche questo”

Mi porse un semplice golfino nero. Lo presi e lo indossai volentieri. Stavo cominciando già ad abbottonare tutti i bottoni, quando Alice scosse la testa e in un secondo me li risbottonò tutti, tranne il primo. A quel punto volli vedermi finalmente allo specchio, ma Alice me lo impedì ancora. Giusto, mancavano le scarpe. Se scegliere il vestito era stato impossibile, per le scarpe sarebbe stato peggio. Non ne sapevo molto di moda, ma era chiaro a quel punto che con i leggins non sarebbero state bene scarpe da ginnastica, le uniche che mettevo. Alice avrebbe sicuramente tirato fuori un paio di scarpe con il tac…

“Ti piacciono, vero?” Il tono che usò non ammetteva obbiezioni.

Aveva dopotutto tirato fuori un giusto compromesso; erano un paio di ballerine, anche loro dorate. Non di quelle eleganti, che non avrei sopportato, ma di quelle in gomma, che dopotutto potevano essere comode. Misi i gambaletti color carne che Alice mi diede e poi le ballerine. Prima di farmi vedere allo specchio mi sistemò per la centesima volta i capelli. Mi diede un’occhiata finale molto critica.

“Sì, non è male” borbottò per niente soddisfatta. Dopodiché aprì le ante di quello che credevo essere un armadio, ma che invece si rivelò essere uno specchio enorme. Finalmente potei guardarmi per bene; sorrisi automaticamente. Il nero dei leggins slanciava le gambe leggermente troppo muscolose, il sedere, come pensavo, non era più tanto grosso, il golfino nero mi snelliva e la leggera scollatura, insieme al modo in cui il golfino scendeva sul petto, mi faceva il seno più grande. Per di più stavo veramente comoda.

“Che te ne pare, l’ho migliorata?” chiese Alice. Mi girai e notai che al suo fianco c’era Jasper, molto probabilmente venuto per stare un po’ con il suo scricciolo dispettoso.

“Decisamente” rispose lui, guardandomi appena; i suoi occhi erano tutti per Alice.

“Ti ha fatto dannare un po’” ammise lui, mettendole una mano sulla sua testolina. Alice sospirò, continuando a guardarmi con aria critica.

“Non sai quanto! Non le va bene niente!” Dopo però tornò a fare la seria; mi lanciò un sorriso sincero.

“Però sei carina” Io la contraccambiai.

“Grazie mille, Alice.”

Sembrava molto la fata madrina che aveva dato a Cenerentola uno stupendo abito per andare al ballo. Di fatto, proprio come Cenerentola, per quella sera il coprifuoco era a mezzanotte.

“Bella è già arrivata da un po’, ti stanno aspettando” mi comunicò Alice. Io sobbalzai; non volevo farla aspettare. Uscii dalla camera di Alice e scesi veloce le scale. Al primo piano però incontrai Emmett, troppo poco serio per non farmi battutine idiote. Infatti mi lanciò un fischio.

“Sicura che stasera non te la fai con nessuno?” mi chiese ironico.

“Ah… ah… ah…” gli risposi poco divertita dai suoi commenti. Come dovevo immaginare, all’ingresso mi aspettavano anche i miei genitori, sia per salutarmi prima di andare, sia per vedere cosa Alice aveva combinato. Guardai prima mia madre; mi lanciava un’occhiata misteriosa e sorpresa.

“Ah…” esclamò all’erta, squadrandomi dalla testa ai piedi “Mi sono persa qualcosa?”

Io in tutta risposta le lanciai un’occhiata timida. Poi guardai papà. Mi stava sorridendo, ma i suoi occhi erano di nuovo indecisi ed ansiosi. Mi aspettavo ad essere sincera qualcosa di diverso, che so, un occhiolino di incoraggiamento, una pacca sulle spalle, un ‘vai e conquistali tutti’. Invece mi trovavo di nuovo il mio papà iperprotettivo. Non ci feci molto caso e mi diressi verso il garage.

“Tornerò verso mezzanotte, va bene?”

“Edward ci ha già detto tutto” comunicò mamma. Bene.

Scesi in garage e li adocchiai. Anche loro si accorsero subito di me, come Bella del mio nuovo look.

“Abi, stai benissimo.” esclamò lei. “Come mai?” chiese sorpresa e curiosa. Modificai un po’ i fatti per non far capire come in realtà stavano le cose. Feci uno sbuffo prima di rispondere.

“Alice è riuscita a prendermi e a torturarmi” dissi esasperata. Intanto Edward mi lanciava occhiate strane, confuse e al contempo indifferenti. Non capivo davvero cosa volevano dire. Di nuovo le considerazioni che Rosalie aveva fatto su di lui mi parvero alquanto strane. Mi ricordai poi della litigata che avevamo fatto e non sapevo se ancora adesso provasse qualche risentimento per me. Poi mi convinsi di no; in caso contrario non lascerebbe Bella andare a La Push.

“Te la senti di portare questa a La Push?” disse lui indicando la moto rossa accanto.

“Non ci stiamo tutti e quattro dentro la Volvo.” Aveva parlato in tono piuttosto cordiale e gentile, e faceva sembrare che il nostro rapporto fosse rimasto immutato.

“Certo” risposi. Bella la voleva riportare da Jacob, quindi.

La cosa non mi pesò affatto, anzi; trovavo sia Bella, che Edward delle persone fantastiche, sebbene entrambe avessero i loro piccoli e grandi difetti, come tutti, d’altronde. Però facevo davvero una grande fatica a sopportarli quand’erano insieme, rinchiusi nella loro bolla rosa di zucchero filato a forma di cuoricino.

Lei mi passò un giubbotto rosso e un casco nero; dovevano essere nuovi, perché non li avevo mai visti. Stavo per mettermi quest’ultimo quando rimasi sorpresa vedendo una meraviglia che prima di allora non c’era. Pura bellezza italiana. Una ducati 848 grigia. La moto dei miei sogni. Era enorme, un mostro; non sapevo neanche se sarei riuscita a guidarla. Però era così bella…

“E’ la nuova moto di Jasper” mi comunicò Edward, che aveva notato il mio sguardo perso

“Giusto?” chiese poi a Bella.

“Giusto” affermò lei sicura. Aspetta, aspetta, c’era qualche dubbio sul proprietario di questa moto? No, perché a questo punto, mi sarei offerta benissimo anch’io…

“Tu vai, noi ti stiamo dietro” mi disse questa volta Bella, interrompendo le mie stralunate fantasie.

Io mi risvegliai dal mio sogno e misi anche il casco. La accessi e mi diressi dritta verso La Push. Mi accorsi subito che i vestiti non erano affatto un problema; mi dispiaceva solo che mettendomi il casco avevo rovinato il lavoro di Alice.

La moto, seppur fosse un catorcio, correva più della Volvo, e conoscendo l’autista sarebbe andata piano di proposito. Quindi molto probabilmente ci sarebbero stati cinque minuti in cui io e Jacob saremmo stati soli. Improvvisamente rallentai anch’io. Ma subito dopo tornai ad accelerare; dovevo rimanere concentrata per inviargli i ‘messaggi giusti’, come li aveva chiamati papà. Nel mentre non riuscii a non fantasticare su come sarebbe stato quel viaggio su quella favolosa Ducati, quanto più veloce sarei potuta andare e…

A forza di fantasticare non mi accorsi che ero già arrivata; Jacob stava aspettando sul confine vicino alla sua Volkswagen rossa che aveva assemblato da solo. Sorrisi per la sua espressione quando mi vide avvicinarsi sull’Honda rossa di Bella; non capiva chi fossi.

Frenai a un paio di metri da Jacob. Mi tolsi il casco e prima di guardarlo in faccia mi diedi una veloce scrollata ai capelli. Tornai quindi a lui. Non potei fare a meno di piegarmi in due dal ridere; non sapevo come, ma riuscii a trattenere ogni risata e a ridurle in un grande sorriso. Aveva una stranissima espressione, tra l’imbambolato e lo stupito. Misi il cavalletto e scesi.

“Ciao” mormorai.

Cercai di fare subito una buona espressione; sempre con quel sorriso stampato in faccia mi avvicinai a lui e, seguendo i consigli di papà, mi sforzai di guardarlo come se fosse un grande bignè al cioccolato ed io un affamato. A dire il vero non sapevo con esattezza cosa papà intendeva consguardo diverso’, ma speravo che questo andasse bene. Jacob sbatté un paio di volte le ciglia stranito.

“Ciao” mi rispose a voce forse troppo alta. Sembrava tanto mio padre quando c’eravamo messi a parlare dei miei problemi.

“Non… non ti aspettavo” mormorò con la stessa indecisione. Lo vidi poi farmi una veloce scannerizzata con gli occhi, anche se non disse nulla.

“Stasera faccio l’imbucata” lo informai. Fino a quel momento non avevo provato nessun risentimento per essermi auto-invitata.

“Ah…Ehm… stai… bene” mormorò al massimo del tentennamento, indicandomi cauto.

“Ah, dici di questo?” domandai toccandomi i vestiti.

“Sì” Mi ero sicuramente sbagliata, ma per poco quella nota nella voce la scambiai per timidezza.

“I vampiri mi hanno presa e torturata” spiegai in breve, rifilandogli la stessa scusa che avevo usato con Bella.

Mmh…” mormorò dubbioso “Bella arriva?” proruppe alla svelta. Mi sentii per un attimo decisamente spiazzata; stavamo parlando di me, ed ecco che l’argomento si sposta su di lei. Nonostante tutto, non mi demoralizzai; mantenni quel grande sorrisone e continuai a guardarlo come se fosse un regalo di Natale ed io una bambina di cinque anni.

“Sì, tra poco è qua.” Fu strabiliante con quanta naturalezza lo dissi. Sembravo scoppiare dalla gioia che anche Bella venisse a rompere le scatole!

Sei venuta per parlarmi, suppongo” mi distrasse lui, forse un po’ nervoso. Giusto, dopo la conversazione con papà me n’ero completamente dimenticata, cosa che non avrei mai creduto di poter fare. Avevo una discussione in sospeso con Jacob, che avrei dovuto affrontare domani. Per un momento ritornai seria.

“Sì” gli risposi con lo stesso identico tono. In realtà il motivo era un altro, ma sorvoliamo…

“Ti ascolto” mi ammoni serissimo, a braccia conserte.

Sentii l’auto di Edward arrivare dietro di noi. Ecco, il momento tra noi era finito.

“Magari dopo” feci io indicando con la testa la Volvo argentata. Lui mi rispose con un mugugno di assenso. La sua attenzione su di me ora era scomparsa; ora guardava impaziente quell’auto grigia.

Che brutto affare; Jacob ce l’aveva giustamente con me per la mia scenata dell’altra volta; non l’esatte condizioni per conquistare qualcuno. Le cose si stavano mettendo male; ero già di mio una schiappa a conquistare, se adesso devo dare anche ulteriori spiegazioni…

La Volvo si fermò parecchio lontano da noi. Vidi Bella salutare verso questa situazione e Jacob le sorrise. Tentai di rimanere calma; con me non l’aveva fatto. Mi imposi però di rimanere indifferente; se mi fossi demoralizzata, avrei dato a me stessa la prova che non sapevo combattere, che gettavo la spugna prima ancora di cominciare. Perché effettivamente questa era una battaglia, tra me e Jacob. Più precisamente tra me e la sua infatuazione con Bella. Dovevo rimanere quindi concentrata, perché dovevo ancora cominciare. Cristo, non è possibile che conquistare qualcuno dovesse assomigliare ad uno scontro armato!

I due scesero dalla macchina. Bella non venne subito verso di noi; Edward la tirò a sé per parlarle. Sinceramente, sembrava mio padre quando avevo quattordici anni prima di uscire la sera. Intanto l’espressione di Jacob era tornata neutra, cercando di mascherare l’impazienza.

Dopodiché i due si salutarono; Edward le stampò una vera a propria slinguazzata. No, non pensavo avesse usato anche la lingua, ma c’era mancato poco. Sentii quindi i pugni di Jacob stringersi ed un mezzo ringhio uscire dalla bocca. Quando i due ebbero finito, Edward non poté trattenersi da una piccola risata. Troppo contento della reazione del licantropo vicino a me?

Bella cominciò quindi ad avanzare verso la nostra direzione. Edward non riusciva a staccarle lo sguardo da dosso. Mmmh! Edward, non è un soldato che sta andando in guerra! Tornerà viva! Lui spostò lo sguardo su di me, come per dirmi ‘mi fido di te’. Io scossi la testa, esasperata.

“Come mai mi hai riportato indietro la moto?” chiese Jacob a Bella, indicandomi l’Honda vicino a me.

“Doveva tornare pur a casa” rispose con naturalezza lei. Jacob le sorrise subito. Questa volta riuscii ad astenermi a qualsiasi tipo di pensiero.

Quando Bella giunse a metà strada, Coso vicino a me partì in quarta e la sollevò in aria in un abbraccio. Ah, che scenetta romantica… Scossi la testa di nuovo, questa volta per togliermi i commenti acidi che mi venivano in mente ogni volta che tra di loro c’era un contatto di qualsiasi tipo. Di conseguenza la Volvo ringhiò e partì spedita.

“Complimenti” mormorò scontenta Bella.

“Per...?” fece finta di niente lui, che intanto se la rideva.

“Si è già sforzato di avermi lasciata venire. Non giocare troppo con il fuoco” lo avvertì Bella. In tutta risposta Jacob continuò a ridere.

“Bella, il fuoco non mi fa niente.” Voleva forse essere simpatico, ma a me sembrò invece un po’ troppo strafottente.

 

Ci avviamo quindi verso La Push. Il falò era alla spiaggia, ma prima bisognava andare a casa di Jacob, per mettere giù la moto. Ovviamente a portarla toccava a me. Durante tutto il viaggio non riuscivo a non pensare a cosa si stavano dicendo quei due soli nella Volkswagen. Oh, adesso stavo però esagerando. Quante volte quei due si erano visti, e cosa si erano detti, senza neanche che io lo sapessi? La cosa mi diede parecchio fastidio. Non vedevo l’ora che iniziasse la guerra.

Fummo veloci a giungere a casa Black. Fu mentre ci dirigevamo in spiaggia che cominciarono a venirmi i primi dubbi; non ero stata invitata, forse avrei fatto la figura della ficcanaso, anche se i licantropi erano sempre stati gentili con me.

Giunti nel luogo del ritrovo mi accorsi che non c’erano solo i licantropi al completo; c’era Billy, sulla sua sedia a rotelle, su uno sdraio un anziano dalla barba bianchissima, una ragazza vicina a Jared, una donna del posto mai vista prima, insieme ad un ragazzino ad una ragazza forse un po’ più grande di Bella, dall’espressione troppo seria, che faceva un contrasto enorme con l’esuberanza sprigionata dai licantropi. Inoltre intravidi un altro ragazzo, troppo nerboruto per essere normale; doveva essere una ‘new entry’ del club dei licantropi.

Non avevo ancora ben capito quale fosse lo scopo di quel raduno. Nonostante fossi un’imbucata mi accolsero piuttosto calorosamente.

“Ehi, ragazza vampiro!” esclamò Embry a Bella, dirigendosi verso di noi “E c’è anche la mezza vampira!”

Uau, ero stata ulteriormente promossa di grado. Da ragazza vampira, a figlia dei vampiri e adesso mezza-vampira. Stavo crescendo di pericolosità. Tra un po’ mi avrebbero chiamata direttamente ‘vampira’. Avevano usato quello strano nomignolo che mi aveva affibbiato Jacob, con il quale stranamente mi ci trovavo proprio.

“Sono felice che sei venuta anche tu” disse Billy, mentre gli altri salutavano Bella. Mi sembrò straordinariamente  sincero e ricambiai con la stessa spontaneità.

Con uno sorriso salutai  Emily e feci un cenno di saluto a Sam, che fece lo stesso. Con mio grande stupore anche Jared mi lanciò un sorriso, forse troppo teso. Tutto quindi andò bene, a parte Paul, che ci invitò a stare sottovento per tener lontano il tanfo di vampiro. Gli sconosciuti invece mi stavano guardando con attenzione; chi con curiosità, come il nuovo licantropo ed il ragazzino, chi con una nota di risentimento, come la ‘ragazza infelice’.

Jacob ci fece accomodare attorno al fuocherello, lui in mezzo a me e a Bella, mentre era ad arrostire un bel po’ di carne varia su una griglia enorme accompagnata da una quantità disumana di patatine e birra  sparsa sulla sabbia. Che bricconi, non sapevo che i lupachiotti si divertissero a fare beach-parties!

“Per chi non conoscesse Abigail” iniziò Billy rivolto agli sconosciuti “lei è la ragazza che vive con i vampiri.”

Mi sentii per un attimo sottomessa dall’imbarazzo; gli occhi di tutti erano rivolti verso di me. Io mi limitai a sorridere ai presenti, sperando che funzionasse. Cavolo, nella riserva ero più famosa di quanto pensassi, e la fama che mi circondava era temibile, da quanto anche attestava il soprannome che mi avevano dato.

“Lui è Quil, non credo tu lo conosci” mi comunicò Jacob, indicandolo. Lui, che già si stava ingozzando di patatine, ingurgitò rumorosamente il boccone prima di parlare.

“Ciao, piacere, Quil” esclamò cordiale “Sei davvero una bella sventola, lo sai?” disse cercando di fare il simpatico, dimostrandosi solo terribilmente strafottente e troppo sicuro di sé. In compenso conquistò le risa generali.

Quil!” sentii Emily rimproverarlo. Com’è quel proverbio? Mai disturbare il can che dorme…

“Come le tue orecchie, giusto?” gli risposi con un sorriso gentile, indicando le sue orecchie, per l’appunto un po’ a sventola. Lui in compenso stette zitto, abbassando la testa e sfiorandosi le orecchie con una mano, mentre conquistai le risa generali doppiamente più rumorose.

“Adoro questa ragazza!” esclamò Embry, sedendosi accanto a me, per avere lo spazio sufficiente per un cinque. 

“Comunque” tentò di rimanere serio Jacob, “lei è Sue Clearwater e loro i suoi figli Seth e Leah e Sue Clearwater.” Questi tre personaggi ebbero tutti espressioni diverse: Seth mi guardava come un cagnolino eccitato, Leah mi lanciò nuovamente un’occhiata che esprimeva disagio, di cui non capivo esattamente il perché, mentre Sue mi osservava un po’ terrorizzata. Che anche loro sapessero tutto? Ripensandoci bene prima Billy non aveva avuto problemi a dire la parola ‘vampiro’, e come lui anche Embry. Quindi lì tutti sapevano tutto.

“Lei è Kim, la ragazza di Jared” continuò Jacob. Voltai la testa verso Kim. Mi rivolgeva la stessa espressione spaventata di Sue, che non scalfii neanche offrendole uno dei miei sorrisi sghembi. Non mi piaceva questa sensazione che facevo suscitare nei presenti.

“E lui è il nonno di Quil, Quil Aetera” intervenne Billy, indicandomi l’anziano dalla barba bianca. Non proferì parola; mi guardava un po’ con astio, ma soprattutto con curiosità. Nella sorpresa di tutti, mi alzai e con uno dei sorrisi più convincenti possibile gli offrii la mano.

“E’ un piacere conoscervi” Volli sembrare il più educata e amichevole possibile di fronte a colui che mi sembrava il pezzo grosso di tutta la combriccola. Lui dapprima mi guardò confuso, ma passarono solo pochi secondi prima che sfilasse la mano e me la desse. Era rugosa e fragile, quindi cercai di fare il più attenzione possibile con la mia stretta micidiale. Mi rivolse perfino un sorriso da sotto la barba, e per un momento mi sembrò il Babbo Natale dei Quileute.

Mi tornai a sedere vicino a Jacob ed a Embry, che mi porse un mega-spiedino di carne che mi fece venire l’acquolina in bocca.

L’atmosfera quindi ritornò solare ed allegra, con ragazzi che facevano gli idioti ed io e Bella che ridevamo di loro. Questo rendeva il mio obiettivo principale più difficile del previsto; non so se sarei riuscita a comportarmi in maniera diversa anche di fronte agli amici di Jacob. Stavo quasi per deporre l’ascia di guerra per quel giorno e limitarmi a godermi la festa. Mi lanciai quindi sul mio spiedone, ma Jacob vicino a me si alzò, toccandomi la spalla.

“Io ed Abigail torniamo subito” disse neutro. Un po’ a malincuore misi giù lo spiedino, e a malincuore mi ricordai che noi due avevamo una discussione in sospeso. Mi alzai quindi anch’io, non esattamente felice come una pasqua. Subito partirono commenti da parte dei presenti.

“A chissà far cosa!” sogghignò Embry, accompagnato dai gesti sconci di Quil. La mia loquacità venne sopraffatta dall’imbarazzo e non riuscii a ribattere alcunché. Abbassai la testa, per nascondere il leggero rossore che speravo che il buio coprisse. Ecco il motivo per cui non potevo comportarmi in modo più ‘fisico’. Jacob però non si lasciò prendere in giro.

“Che idiota, che sei!” sogghignò lui.

e idiota, che sei!"lontano, non fece niente.

nsato che Jacob fosse un vero pazzo a lanciare un colpo del genere ad Embry. Con una pedata in pieno petto fece perdere l’equilibrio ad Embry, che si rovesciò di schiena e rischiò di soffocare per il boccone che gli era andato di traverso. Se non avessi saputo che erano licantropi avrei pensato che Jacob fosse un vero pazzo a lanciare un colpo del genere ad Embry. A Quil, che era troppo lontano, non fece niente.

“Me la vedo dopo con voi due!” promise Jacob, dirigendosi lontano dal falò. Io lo seguii, sempre a testa bassa, ma ebbi modo di vedere l’espressione al contempo confusa e sorpresa di Bella.

Anche dopo alcuni metri di distanza si sentivano i fischi rivolti verso di noi. La situazione cominciava a innervosirmi; quando volevano erano ancora più infantili di Jacob. Camminavamo sulla spiaggia acciottolata in silenzio, distanti pochi centimetri l’una dall’altra. Avrei dovuto accorciare di più quella distanza, ma sentivo ancora gli sguardi di quei licantropi pompati addosso. Intanto nessuno dei due parlava. Non sapevo se Jacob stava zitto perché voleva che iniziassi io; in fondo ero io che gli dovevo delle spiegazioni. Ma era anche vero che era stato lui a congedarci dal falò, quindi in teoria doveva iniziare lui. Mi venne un nervoso sorprendermi a pensare a queste futili stupidaggini.

“Allora, dove eravamo rimasti? Giusto. Tu mi dici che non possiamo rimanere più amici, che vuoi rimanere sola e non mi vuoi confessare il perché” proruppe lui. “Dimentico qualcosa?” Il tono neutro, quasi acido che usò mi demoralizzò un poco.

“No” mormorai. 

Non potevo di certo dirgli il perché, non ora almeno. Forse, tra molto tempo, mi sarei messa a ridere quando avrei pensato a quanto ero convinta di dirgli che lo amavo e di quanto ero convinta dell’opposto il momento dopo. Ma la realtà adesso era questa; non gli avrei potuto dire niente adesso. Quindi avrei dovuto mentire ancora ed ancora. Anche se questa era una piccola bugia rispetto a quella che avevo detto ai licantropi riguardo il temporaneo trasloco dei Cullen, da quella volta ne avevo davvero fin troppo di mentire. Speravo solo che fosse l’ultima volta.

Intanto colsi la palla al balzo; mi avvicinai un poco e, anche se dal tono di voce non mi sembrava una buona idea, sfiorai la sua mano con la mia. Sorprendentemente lui mi rispose stringendomela.

 “Abi, sul serio, non riesco più a capire come ti comporti” esclamò esasperato. I suoi gesti non erano molto coerenti con le parole.

“L’altro giorno ce l’avevi con me. Adesso non mi sei mai stata così vicina e sei tutta felice e contenta. Mi sembra quasi che mi voglia prendere in giro! Non ti riconosco più!” Ecco, puntualmente lo sguardo da tenero cane bastonato che mi lanciò riuscì perfettamente a farmi sentire una stupida. Per lo meno una persona molto incoerente. Aveva però ragione; quella volta gliela dovevo concedere.

“Hai ragione. Mi sono comportata in modo parecchio strano” ammisi io seria. Ora sarebbe venuta la parte più difficile: cercare di inventare una scusa abbastanza adeguata che rimpiazzasse il ‘io ti amo’.

“Bene, ora mi vuoi dire anche il perché?” disse decisamente spazientito. Continuavamo intanto a camminare e se non fosse stato per i lampioni che di tanto in tanto si alternavano non sarei riuscita a vedere niente.

“Mi dispiace…” iniziai, ma venni subito fermata.

“Mi dispiace nel senso, mi dispiace ma non posso dirtelo o…” Questa volta lo fermai io, lui e la sua dannata impazienza. Odiavo quando mi interrompeva in questo modo.

“No. Mi dispiace per l’arrabbiatura della scorsa volta. Aspettai qualche secondo prima di spararla, per valutare la sua veridicità. “La verità è che ero ancora furiosa per quelle parole” gli strinsi di più la mano, come se facendolo la mia balla sarebbe stata più credibile. Lui guardò basso, meditando sulle mie parole.

“Ci sei rimasta davvero così male per quello che ho detto?” domandò serio e ancora nervoso. Io mi limitai ad annuire con la testa; non avevo le voglia sufficiente per mentire ancora.

Bhè, anch’io ci sono rimasto male per quello che hai detto tu. Dico di accettarti in tutto e per tutto e tu mi rispondi che la nostra amicizia è finita. Bella roba…” gridò, ma sembrava più scocciato ed infastidito, che arrabbiato.

“Sì, lo so. Scusami. Sono stata impulsiva. Anch’io qualche volta penso senza parlare” dichiarai, forse neanche pensando prima. A dirla tutta un po’ sincera lo ero stata; più che non aver pensato, lo avevo fatto male. Lo guardai di nuovo, non più con quello sguardo speciale che gli dovevo fare, ma con lo sguardo dell’Abi che gli piaceva.

“Voglio continuare ad essere la tua migliore amica, Jacob.” Fui tremendamente sincera.

Sì, in teoria il piano diabolico comprendeva diventare qualcosa di più di una migliore amica, ma mi sembrava che questa fosse un’ottima base da cui partire. Di nuovo mi sorpresi dei miei pensieri; possibile che non vivessi minimamente il romanticismo della cosa, e lo trattassi come una partita di Risiko?! Possibile che non riuscissi a manifestare sinceramente il mio amore per Jacob?! Cristo, ero proprio negata…

Lui intanto mi circondò le spalle con un braccio, offrendomi quel suo magnifico sorriso. Per un attimo mi sentii avvampare, non solo per la sua alta temperatura. Finalmente sciolse il cubetto di ghiaccio che ero e mi permise di essere più spontanea e di godermi il contatto più intensamente.

“Anch’io, naso a patata.”

Con l’indice ed il medio della mano mi prese il naso e me lo strizzò. In risposta mugugnai per il fastidio, ma gli lanciai anch’io il mio sorriso sghembo, stringendogli la mano sulla spalla.

Avevamo rallentato il passo, ma non ci eravamo fermati; le gambe ormai facevano tutto da sole. Il suo sguardo si volse davanti a lui, la sua espressione era animata da un sorriso beato.

“Sai, credo di aver capito il perché litighiamo così spesso. Siamo troppo uguali, noi due” constatò tranquillo. Io in risposta alzai un sopracciglio.

“No, non credo proprio” affermai piuttosto scettica.

“Certo. Se tutti e due diciamo cose senza pensare, è ovvio che alla fine ci facciamo del male” continuò lui, cominciando a giocare con i miei ricci. Io mi scostai, fin troppo stuzzicata dalle sue affermazioni.

“Ma io penso molto più di te!”

“Cosa vorrebbe dire? Che io sono più stupido di te?” domandò stupito, fermandosi sulla spiaggia di ciottoli. Io feci spallucce.

“Sei tu che l’hai intesa in questo modo!” gli risposi continuando a camminare.

“Ah, davvero?” Sentii poi le sue mani calde cingermi la vita. Mi percorse un forte brivido lungo la schiena, così potente che temetti che anche lui lo avesse sentito. Mi caricò poi sulla spalla come se fossi un cuscino.

“No! No! Jacob, mettimi giù! Scherzavo! Tu sei intelligente tanto quanto me!” mi lamentai spazientita per i suoi giochetti che non potevo contrastare.

“Questo è un insulto, allora!” rispose ridendo. Io aprii la bocca allibita; oh, questa me la pagava salata…

“Mi dovrei arrabbiare io adesso!” Cominciai a scalpitare, senza ovviamente nessun risultato. Non era giusto, né divertente; se si comportava così era ovvio che potevo solo subire…

“Ma non sei nelle condizioni più convenienti per farlo” evidenziò lui, tutto contento.

“Dai, se dici di essere tanto intelligente, mettimi giù e invece di usare i muscoli usa la testa!” lo sfidai minacciosa. Lui tornò a prendermi per i fianchi e a reggermi ad alcuni centimetri da terra.

“Accontentata” Dopodiché mi diede una testata sulla fronte, senza farmi male.

“Ah, sarebbe questo il tuo modo di usare la testa, allora?” esclamai ancora allibita, dopo che mi aveva finalmente messo giù.

“Che stupido” dissi sincera, senza trattenermi nemmeno un po’.

“Stupida tu ad assecondare me” rispose di rimando.

Ecco, di nuovo a litigare e a stuzzicarci come bambini di due anni. Ah, appunto. Come si dice in questi casi, il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Mi stavo comportando da amica, ovvero quello che non dovevo fare. Era più forte di me, non mi veniva naturale comportarmi da ‘conquistatrice’. Eppure io volevo davvero che Jacob fosse qualcosa di più per me. Allora perché diavolo non ci riuscivo?!

Non mi feci prendere dallo sconforto, anzi, rincarai la dose; non gli presi la mano come prima, ma mi avvinghiai all’intero braccio. Riprendemmo così anche a camminare.

“Tornando a fare le persone serie” iniziai cercando di normalizzare la situazione. “Credo di non averti ringraziato come si deve per la macchina.”

Mmhh… sono curioso di sapere come mi ringrazierai” mi rispose sarcastico. Questa volta non stetti al gioco.

“Dimmi la verità, quanto tempo ci hai passato sopra?” gli chiesi seria.

“Non ha importanza” mi rispose lui con lo stesso tono.

“Come non hanno importanza i soldi di tasca tua, che sarebbero dovuti essere miei, che hai usato?” Lui sembrava non sentire scuse.

“Prendilo come un regalo. I regali si accettano e basta.” Io lo guardai dubbiosa. Davvero credeva di non stare esagerando questa volta? Mi sentivo terribilmente in debito con lui.

“Grazie per il regalo” mormorai. Non volli finirla qui; mi fermai per abbracciarlo. Le mie braccia non riuscivano a cingerlo del tutto. Lui rispose senza obiezioni.

“Figurati” mormorò.

Non so esattamente cosa mi prese, ma coinvolta dal contatto fisico alzai lo sguardo e stando sulla punta di un piede riuscii a dargli un bacio sulla guancia. Sfortunatamente riuscii a malapena ad accennarlo e non me lo godetti per niente, da tanto era alto Jacob. Dopo che fui tornata a terra, continuando a guardarlo come la cosa più bella del mondo, mi rivolse un’espressione dubbiosa, ma condita da un sorriso sornione.

“L’ultima volta che mi hai dato un bacio stavi andando a morire” mi ricordò quella volta di Volterra.

“Ci riprovi anche questa volta?” Il sarcasmo che usò fu sufficiente per non far sembrare macabra la frase.

“No, non questa volta” gli risposi, con una punta di mistero che non seppi neanch’io da dove tirai fuori.

“Scusami, ma cos’è tutto questo contatto? Dov’è finita l’avversione per il ‘contatto lupesco’?” domandò alla fine. Non sembrava dubbioso o confuso, ma solamente divertito. Forse perché non si immaginava quello che ci stava dietro.

“Credo sia venuto il momento di metterla da parte” Fui straordinariamente sincera anche su questo.

“Che bella notizia!” esultò lui, cingendomi questa volta i fianchi, capendo finalmente di aver via libera.

“Allora, come vanno le cose qui a La Push?” chiesi forse con troppa contentezza. “Vedo che avete un nuovo arrivato”

“E presto ci sarà anche Seth” mugugnò Jacob. Stranamente parlare del branco non lo esaltava; in effetti però mi aveva spiegato che per i licantropi subire la trasformazione non era una favola e non l’avrebbero consigliata a nessuno.

“Ma non è troppo giovane?”

“Possiede i geni e c’è un branco di vampiri al di là del confine. Questo basta” disse monocorde, forse troppo. Staccò anche la mano dal mio fianco. Fu a quel punto che capii che qualcosa non stava andando.

“Come mai quel tono?” domandai infine.

“Stiamo avendo sempre più Imprinting. La cosa si sa facendo preoccupante. Dopo Sam, ecco Jared. Ed anche Quil

Fu in quel momento che capii che Kim non era solo una semplice ragazza, come avevo pensato; era l’anima gemella di Jared. Forse proprio perché in amore ero una schiappa, non me n’ero accorta. Se ovviamente ci si poteva accorgere…

La mia attenzione però non si posò tanto su Jared, quanto su Quil. Aveva pronunciato il suo nome con un velo di preoccupazione che non mi sfuggì.

“Non è venuta la sua compagna” osservai.

“No” rispose sconsolato.

“Jacob, cosa ti disturba?” Mi guardò con un sopracciglio alzato, piuttosto scettico.

“Promettimi di non pensare male?” Non si fidava per niente di me.

“Spara” dissi io a quell’infedele.  

Quil ha avuto l’imprinting con la cugina di Emily, Claire…”

“…e?”

“E lei ha solo due anni” disse alla fine. Oh…

“Lo sai che per la legge degli Stati Uniti d’America questo è un crimine gravissimo?” risposi subito senza neanche pensare ad altro…

“Ecco, hai pensato male” proruppe lui, con il tono da ‘ecco, lo sapevo’.

“Dimmelo tu allora cosa dovrei pensare.” In effetti, era meglio non pensare...

Quando si ha l’imprinting si è disposti a fare qualsiasi cosa per lei. Essere qualsiasi cosa; Quil è disposto ad essere il migliore dei fratelli, il suo migliore amico, tutto fino a quando lei non sarà cresciuta e si renderà conto di tutto.”

Fu strano il coinvolgimento che lo prese quando lo raccontò. Ma non ci badai molto, perché ebbi la schiacciante prova che Jacob non aveva nessun Imprinting con Bella. Certo, questo lo sapevo già, me l’aveva già detto e anche se di questa sua parte oscura e diabolica non mi dovevo fidare, gli avevo lo stesso creduto. Adesso però mi rassicurava esserne certa al cento per cento; se Jacob avesse di fatti avuto un imprinting con Bella, come aveva appena detto, lui sarebbe stato disposto ad essere qualsiasi cosa per lei. Ma non si accontentava di esserle amico, ergo non era Imprinting.

“Quindi questa bambina è da subito destinata a passare la vita con lui” mormorai, riflettendo un poco sul destino già scritto che aveva.

“E perché no? Nessuno la tratterà mai come farà Quil

“Dal commento che mi ha fatto prima, non si direbbe” osservai sghignazzando. Lui sbuffò divertito.

“Stava solo scherzando; non è assolutamente attratto da te. Ha solo un pessimo senso dell’umorismo.” Ci fu una brevissima pausa.

“Ne sai parecchio sull’Imprinting…” espressi alla fine il mio pensiero. Lui fece spallucce.

“Tutto quello che so proviene dai pensieri di Quil, Sam e Jared.”
Alla fine si fermò. Avevamo camminato un bel po’, il fuoco del falò era lontano di parecchio. Si sedette sulla sabbia e io lo imitai. Per un attimo cadde il silenzio. No, non era affatto silenzio; era la magica musica delle onde, che con le loro corde accompagnavano i flauti del vento primaverile, diretti entrambi dalla natura. Quella musica però finì presto.

“Voglio parlarti di una cosa. Riguarda Bella” proruppe lui serio. Espirai forse troppo violentemente. Di nuovo, noi due dovevamo parlare sempre di Bella, argomento da escludere se avevo una qualche speranza di conquistarlo.

“Sai che succederà alla fine della scuola…”

“Sì” Fui volontariamente troppo decisa.

“E’ troppo presto…” mormorò sconfortato al limite.

“Prima o poi doveva succedere” dissi eccessivamente insensibile “Cos’è che mi devi chiedere?” continuai un po’ rude. Lui mi guardò con quegli occhi da cane bastonato, che quella volta non attaccarono.

Abigail, ti supplico, aiutami a convincerla a non farlo”

“Sai che non ci riuscirei” risposi troppo alla svelta; forse questo gli avrebbe fatto capire che era meglio non insistere. Il problema era che ero stata troppo seria e fin troppo credibile.

“No, non è vero! A te sta ad ascoltare” continuò lui testardo. Dando il via ad una nuova litigata…

“Jacob, l’hai vista? Come ti è sembrata? Convinta è un eufemismo. Lei lo vuole anche adesso, con una vampira che la sta cacciando…”

“…e un vampiro sconosciuto che si infila in camera sua” mormorò monocorde, sovrapensiero. Mi sorprese che lo sapesse, ma durò poco. Non volli dire altro. Se continuavo era peggio. Dovevo troncare la discussione all’istante, senza dare il modo di poter continuare.

“Jacob, ti prego, smettiamola di parlare di lei! Sembra che la nostra amicizia esista perché esiste lei!” gli dissi piuttosto infastidita, e tremendamente sincera. Non volevo che Bella rovinasse questo nostro momento insieme anche quando non c’era. Rimaneva sempre una mia buona amica, ma insieme a Jacob tendevo a considerarla solo come una rivale.

“Non è affatto vero” affermò lui, sfoderando una di quella rare espressioni serie.

“Sì, ma sembra…” continuai un po’ più insicura, dovendogli effettivamente dare ragione.

“Va bene, smettiamola di parlare di lei, allora” concluse alla fine, alzando le braccia ed osservando il mare.

Non sembrava che il mio rifiuto lo avesse in qualche modo offeso; fatto sta che fece scendere un silenzio che dopo una conversazione di quel tipo, proprio non ci stava.

Mentre tentavo di trovare un valido argomento di conversazione, cominciai a tirare i sassolini sotto di me, guardando trasognata il mare. Smisi immediatamente di guardare i sassi; mi era venuta un’idea. Non era esattamente un’idea, era una sciocchezza che faceva d’altronde molto telefilm americano per adolescenti. Ma conoscendo il bellimbusto davanti a me, poteva funzionare. Inoltre ci sarebbe stato tanto contatto fisico.

Mi tolsi le ballerine ed i gambaletti, mentre zampettavo veloce sui sassi per raggiungere l’acqua, dove ci sarebbe stata la sabbia. L’acqua non era gelida, di più, ma ormai che ero dentro non potevo tirarmi indietro.

Abigail, che fai?” Non lo stetti ad ascoltare. Aspettai che l’acqua gelata mi arrivasse alle ginocchia, prima di girarmi verso di lui.

“Muoviti!” lo chiamai, con tono da ‘mbè? Sei ancora lì?’

“Guarda che l’acqua è gelida” mi avvertì lui, immobile sul bagnasciuga.

“E questo per te è un problema?” risposi cercando di sopportare il freddo il più possibile.

“No, ma lo sarà per te” continuò lui ancora sulla difensiva.

“Eh dai!” lo incoraggiai facendogli ampi gesti con le braccia “Tempo fa non volevi buttarmi in mare? Questa è l’occasione giusta! Non te ne ricapiteranno del genere.” Di fronte ad una provocazione del genere non poteva rifiutarsi. Difatti sogghignò e si tolse la maglietta nera.

“Hai fatto male a stuzzicarmi” mi urlò minaccioso, avvicinandosi in grandi balzi. Io stetti al gioco e cercai di allontanarmi da lui, ma un po’ perché volevo che mi raggiungesse, alla fine mi fu subito vicino. Ormai l’acqua mi arrivava al petto, mentre a lui neanche sfiorava l’addome. Quando fu vicino si immerse per prendermi le gambe.

“Jacob! Cosa…” tentai di urlare. Come se niente fosse, mi issò e appoggiò i miei piedi sulle sue spalle. Io, per non perdere l’equilibrio, mi aggrappai ai suoi capelli.

“Cosa vuoi fare?” balbettai, sia perché bagnata faceva più freddo fuori l’acqua che dentro, sia perché mi potevo aspettare di tutto da lui.

“Vediamo come te la cavi con i tuffi” mi sfidò.

“No, Ja….Ahhhh!” Non riuscii neanche a finire che sollevò di colpo le caviglie e mi buttò in mare. Mi lanciò almeno un paio di metri lontano da lui. Sotto l’acqua mi sentivo un cubetto di ghiaccio e quando emersi mi sembrava di stare peggio, sia per il freddo, sia perché non toccavo, sia perché odiavo l’acqua salata negli occhi.

Intanto sentivo quell’altro ridere come se avesse assistito allo spettacolo del momento.

“Dovevi sentire come urlavi! Sembravi una femminuccia!” Si stava piegando in due dalle risate. Speravo tanto che nel mentre si affogasse.

“Sei uno stupido!” gli urlai cercando di pulirmi gli occhi.

“Io ti ho avvertita!” Lo sentii particolarmente vicino. Ben presto cominciai a battere i denti.

“E’ ge-ge-gelida-da!” Non riuscii a non lamentarmi.

“Darmi retta mai, vero?” sbuffò lui “Dai, vieni qui.”

Sentii subito le sue braccia calde prendermi e racchiudermi nel suo petto. Questa sì che era tutta un’altra storia. Ben presto i denti finirono di battere. Per un attimo mi godetti quel tepore ad occhi chiusi, con una guancia appoggiata al suo petto. Fu davvero fin troppo spontaneo. Passarono alcuni secondi prima di sentire la mano di Jacob accarezzarmi la schiena. Sostituii quindi la guancia con il mento, in modo da poterlo guardare in faccia. Per fortuna quella era una notte serena, la luna era grande e luminosa in cielo, accompagnata da tante stelle brillanti, sufficienti per guardare il suo splendido viso.

Mi rivolse un sorriso tutto nuovo, che non avevo mai visto; era quasi timido ed esprimeva tanta tenerezza. Di solito robe del genere non mi piacevano, ma quel sorriso… me ne innamorai immediatamente. Mi fu inevitabile non rispondere alla stessa identica maniera.

“Non ho mai visto quest’Abi” La sua voce era calda tanto quanto lui.

“Non va bene?”

“No, anzi, mi piace tantissimo” mormorò. Quel sussurro mi fece di nuovo sentire i brividi lungo la schiena e questa volta credevo davvero che se ne fosse accorto.

Lentamente quel sorriso sparì. Rimasi per un attimo spiazzata. La mia attenzione fu però catturata da qualcos’altro di nuovo. C’era qualcosa nei suoi occhi, che quasi mi misero paura. Non lo avevo mai visto rivolgere uno sguardo del genere a nessuno. Quei due occhi si erano trasformati in fiamme; ardevano tanto quanto il fuoco che c’era dentro di lui. Non capii che cosa esprimessero; né rabbia, né dolore, ma neanche gioia o tristezza, ma non erano nemmeno inespressivi.

Fu allora che successe; un’ondata gelida mi colpì le gambe, e a confronto con il calore di Jacob mi sembrava fosse molto più fredda. Non potei non battere i denti per il freddo. Il problema era che stavo sorridendo, quindi quegli occhi infuocati si ritrovarono all’improvviso le mie gengive distanti solo pochi centimetri.

Scomparvero veloci tanto quanto furono comparsi e Jacob proruppe in una risata.

“Adesso è meglio se usciamo, gli altri ci staranno aspettando”

Fortunatamente non sciolse quell’abbraccio, anzi, prese le mie gambe e le annodò alla vita. Io, stando ben attenta a non farmi vedere, sorridevo come una beota dietro la sua spalla. Arrivati alla riva pensavo mi avrebbe finalmente messo giù. Ma ancora non lo fece; prese le scarpe e la maglietta che aveva a terra e me la mise sui capelli.

Iniziò poi a camminare fino al falò. Io intanto avevo un sorriso bloccato in una paralisi facciale, mentre il cuore batteva a mille. Jacob non si era mai comportato così con me. Non c’era mai stato tanto contatto. Certo, non c’era stato perché io non gli avevo mai dato l’occasione per farlo. E poco importava se adesso questi gesti per lui avevano un significato diverso dal mio; il mio ‘corteggiamento’ era appena iniziato. Camminava in silenzio, e sembrava che pesassi come una piuma. Non parlavamo, stavamo in silenzio. Stavo benissimo racchiusa in quel calduccio, con il pensiero che senza Jacob sarei morta di freddo. Fui sul punto di addormentarmi; quindi per evitare commentini, decisi di intavolare una qualsiasi conversazione.

“Scusa, ma di preciso, a che cosa è dovuto questo beach-party?” mugugnai io dalla sua spalla. Lui trattene una risata.

“Credi davvero che sia un beach-party?” domandò perplesso.

“No, ovvio” Questa volta mentii benissimo; non mi facevo problemi se c’era di mezzo l’orgoglio.

“In teoria è una riunione del consiglio, dove verranno raccontate le nostre storie, quelle che abbiamo sempre pensato fossero leggende.”

“Ah! Giusto, me ne avevi parlato una volta” dissi interessata.

“Sì, per Quil, Leah, Kim e Seth è la prima volta.” Poi iniziò a raccontarmi di queste riunioni. “A parlare di solito sono gli anziani, coloro a cui sono state tramandate oralmente da non so quanti secoli”

“In questo caso tuo padre e Quil Aetera” specificai.

“E anche Leah e Sue Clearwater”

“Non mi sembrano tanto vecchie”

“Prendilo in senso lato” suggerii lui “Sostituiscono Harry Clearwater. È morto da un paio di mesi di infarto” Il suo tono si fece di colpo serio.

“Sì, mi ricordo.” La sua espressione cambiò nuovamente e non riuscì a trattenere una risata “E poi c’è il grande finale”

“Sarebbe?”

“Ci dipingeremo la faccia e cominceremo a ballare intorno al fuoco” Alzai un pugno in aria.

Evvai!” esclamai.

 

Jacob mi mise a terra quando all’orizzonte scorsi il fuoco del falò e fece bene; chissà i commenti idioti ci sarebbero stati se i Quileute ci avessero visti in quelle condizioni. Grazie al calore di Jacob mi ero del tutta asciugata, anche se ero sicura di aver un aspetto disordinato. Alice me le avrebbe dette di tutti i colori quando mi avrebbe vista. Lui si rimise la maglietta, mentre io le scarpe.

Raggiungemmo quindi gli altri, non più mano nella mano, ma con un grosso sorriso in faccia, che non riuscii a mascherare.

I ragazzi non avevano ancora finito di banchettare; stavano ingurgitando cibo come veri e propri animali. C’erano enormi bottiglie di birra vuote e sacchi di patatine stracciati.

“Ehi, non ci avete lasciato niente?” chiese vivace Jacob. Tutti i licantropi feci gesti, suoni e fischi molto ambigui. Io scossi la testa e mi sedetti nello stesso posto; odiavo questo comportamento infantile troppo insistente.

Incrociai lo sguardo di Bella, che mi lanciò la stessa occhiata di poco prima.

“Giusto, dopo tanto divertimento avrete fame” commentò malizioso e sfacciato Quil. Avrei tanto voluto saltargli addosso e strappargli la testa a morsi. Per fortuna ci pensò Jacob; in un balzo gli fu subito addosso ed iniziarono a darsele, anche violentemente.

“Jacob, non pensavo avessi due ragazze” commentò Embry. Questa volta arrossì anche Bella. Visto che Jacob era occupato con Quil, decisi di vedermela io con Embry; presi una gruccia che veniva usata a spiedino e lo infilai forte nel suo petto. Lui sobbalzò, più per la sorpresa che per il dolore.

“Ahi!” si lamentò, anzi, fece finta di lamentarsi, non smettendo più di ridere.

Billy tossì serio un paio di volte, richiamando l’ordine. Tutti si calmarono e tornarono al proprio posto.

“Me la pagate tutti quanti” disse minaccioso Jacob per l’ultima volta, ma con un sorrisone in faccia che lo rendeva poco credibile. Bhè, almeno la buona notizia era che avevamo fatto sorridere Paul.

Capii che adesso sarebbe iniziata la narrazione delle storie. C’era un profondo silenzio, interrotto solo dallo scoppiettio del fuoco che creava un grande contrasto con il chiasso di poco prima. Vidi Emily prendere un piccolo quaderno, pronta a trascrivere quello che si sarebbe detto. Jacob intanto tornò a sedersi in mezzo a me e a Bella.

“La prima storia narra degli spiriti guerrieri” ci sussurrò. Con un braccio cinse i fianchi di ognuna. Non lo fece solo con Bella, lo fece anche con me; mi fece spuntare il mio sorrisino sghembo.

Ben presto poco mi importò se Jacob stava stringendo Bella o me; mi dimenticai di Embry vicino a me e di tutti i presenti. Si creò una strana atmosfera, che mi ricordò bene o male quello che provavo quando correvo da sola nei boschi. I miei occhi si persero nelle fiammelle del fuoco, l’unica fonte di luce in mezzo al buio della notte; creavano un contrasto di luce meraviglioso. L’unico rumore era la voce bassa, ma chiara, quasi ritmica, di Billy, che in quell’ambiente mistico sembrava provenire dal fuoco.

Lo stesso fuoco, antico partecipe delle vicende del suo popolo, iniziò il racconto dalle più antiche origini dei Quileute, dai tempi in cui si trasferirono in queste terre ed usavano la magia per difenderle.

Capii poi in cosa consisteva questa magia; gli spiriti dei guerrieri Quileute avevano il potere di trasmigrare dai loro corpi ed usare il potere del vento contro i loro nemici oppure comunicare con gli animali, affinché li attaccassero. Delle origini però di questa magia, nessuno sapeva niente.

Ancora non capii però come questo c’entrasse con la trasformazione in lupi pelosi, ed il fatto che questi spiriti potessero leggersi nel pensiero e che provassero dolore ad uscire dal proprio corpo, mi confuse ancora di più.

Da questo punto in poi, ad essere sincera, un po’ mi persi, sia per la complicatezza dei nomi che non riuscivo a ricordare, sia per i fatti veri e propri. Il succo era che il capo della tribù venne ingannato da uno dei suoi guerrieri, che prese il suo posto entrando nel suo corpo ed uccidendo il proprio. In questo modo divenne il capo della tribù, comportandosi in modo spregiudicato e proibendo ai guerrieri di trasmigrare dai propri corpi, in modo tale che nessuno conoscesse l’impostura. Era un vero e proprio tiranno, insomma. E finalmente capii cosa c’entrassero i lupi in tutto questo: il vero capo tribù, tormentato perché senza un corpo e bloccato nel nulla, chiese ad un lupo che passava di lì di fare un piccolo posticino al suo spirito, così avrebbe finalmente avuto un corpo, ed il lupo acconsentì.

Billy non la raccontò assolutamente in questo modo blando, ma il succo era quello, insomma.

Così il lupo andò al villaggio, i guerrieri capirono che era sotto l’influenza di uno spirito, uno di loro trasmigrò e venne a conoscenza della verità. L’impostore però uccise il guerriero che aveva disubbidito ai suoi ordini prima che quest’ultimo potesse raccontare ciò che aveva visto a tutti. A questo punto lo spirito del vero capo tornò nel corpo del lupo e l’odio per l’impostore e l’amore per il suo popolo furono sentimenti tanto umani e potenti da trasformare il corpo del lupo in un essere umano. E così uccise l’impostore. Billy accennò qualcosa riguardo alle sembianze che aveva il Capo Supremo trasformatosi in uomo, che erano diverse da quelle precedenti, erano molto più forti. Mi immaginai quindi il corpo troppo pompato di Jacob, Embry, Quil, e di tutti quelli dei presenti.

Insomma, la verità venne allora scoperta, il Capo Supremo proibì i viaggi spirituali, in modo tale che nessun’altro tradimento si potesse ripetere, e tutti vissero felici e contenti.

Billy poi raccontò che il Capo a causa la trasformazione non invecchiava più, e che anche i figli potevano poi trasformarsi in lupi. Fu allora che mi resi conto che i presenti, bene o male, erano tutti imparentati tra loro, tutti erano i lontani nipoti del Capo Supremo e che l’attributo che si davano,’fratelli’, non era solo per simpatia.

A questo punto, alcuni dei figli decisero di affiancare il padre, e non invecchiare più, altri invece rifiutare la trasformazione e morirono. Alla fine però, anche il Capo Supremo, che aveva vissuto per tre generazioni, decise di morire con la sua terza moglie, rinunciando alla trasformazione.

Billy si fermò e fu come se mi fossi svegliata da un sonno. Con la fronte imperlata di sudore, Billy bevve da una bottiglietta, mentre il racconto venne proseguito dall’anziano Quil. La voce era diversa, ma possedeva la stessa cadenza e lo stesso ritmo del narratore precedente.

Iniziò un’altra storia, dal titolo molto curioso, ma che aveva dietro tutto un programma; il sacrificio della terza moglie. Capii subito che la terza moglie, con la quale il capo dei Quileute aveva deciso di passere gli ultimi giorni, avrebbe fatto una brutta fine.

Un brivido mi percorse la schiena quando capii che gli antagonisti di questa nuova storia non erano più impostori della tribù, ma vampiri. O Freddi, come li chiamavano loro. All’inizio erano una minaccia che non conoscevano; uccisero molte giovani della tribù vicina e anche molti lupi, figli del Capo Supremo, a causa della loro forza e della loro velocità, che veniva sottovalutata. Capirono cosa fossero solo quando uno dei lupi che riuscii a sopravvivere portò al villaggio un cadavere dalle sembianze di un uomo duro e freddo come la pietra. Anche se ormai era a brandelli, le stesse componenti si muovevano da sole per riattaccarsi e assemblare il corpo. Terrorizzati, i Quileute scoprirono che l’unico modo per eliminarlo fosse dargli fuoco. Le ceneri poi vennero divise in sacchetti e sparpagliate per il mare, o nascoste nella foresta. Il Capo Supremo ne prese uno con sé, in modo tale da sapere se la creatura si sarebbe riassemblata nuovamente. Sobbalzai, quasi fosse un attacco di singhiozzo, quando Billy mostrò il sacchetto ce aveva al collo. 

Scoprirono che la creatura in questione uccideva la loro gente per berne in sangue; fu così che li chiamarono anche Bevitori di Sangue. La storia però doveva ancora cominciare; il Freddo non era solo, aveva una compagna, in cerca di vendetta per la sua morte. A quel punto ebbi un piccolo dejà-vu con Victoria e quel famoso segugio che voleva uccidere Bella, ma che Edward aveva eliminato per primo.

La Fredda arrivò al villaggio, e tutti furono invaghiti dal suo aspetto meraviglioso; da come l’anziano la descrisse, mi venne subito in mente Rosalie. Uccise quasi tutti coloro che si trovavano nelle vicinanze, compreso l’ultimo figlio-lupo. Saputo dell’accaduto, il Capo, ormai anziano, affrontò la Fredda da solo. Il lupo era vecchio, quindi combatteva con difficoltà.

Accadde però l’imprevisto; la terza moglie, che aveva appena visto suo figlio morire, si avvicinò alla Fredda e con un pugnale si trapassò il cuore.

A quel punto le braccia stringevano talmente le gambe al petto che il respiro mi si fermò. La Fredda venne distratta ed il lupo poté così ucciderla. Da quel momento il branco fu sempre preparato contro gli attacchi dei Freddi; sapevano come combatterli e le tecniche vennero tramandate da lupo a lupo. Seppur talvolta alcuni Freddi attraversassero il territorio, non ci fu mai più una carneficina delle stesse dimensioni. I Freddi si presentavano sempre in coppia, quindi il gruppo di licantropi si limitò sempre a tre membri o poco più. Alla fine smisero di trasformarsi; l’avrebbero fatto solo in caso di necessità, all’arrivo dei Freddi.

Finché non giunse un gruppo più grande, neanche tanto tempo fa, che coinvolse i bisnonni dei licantropi qui presenti; erano i Cullen.

Carlisle però mise subito le cose in chiaro, e promise al capo, Ephraim Black, avo di Jacob, che non avrebbero attaccato, o ucciso nessuno. Lui gli credette, anche perché i lupi erano in svantaggio numerico, i Freddi avrebbero potuto eliminarli all’istante.

I Cullen non infransero mai il patto, anche se la loro presenza attirava quella di altri vampiri. Era a causa delle grandi dimensioni di questo clan, che da allora il gruppo di licantropi aumentò di numero.

A quel punto la storia finì. Bhè, non in questo modo; non facevo onore né a Billy, né al vecchio Quil. In realtà però la storia non era affatto finita, perché la stavamo vivendo proprio adesso tutti noi.

Mi accorsi del sobbalzò di Quil, spaventato per il sassolino lanciatogli da Jared, che provocò risa generali. La mia mente tuttavia era ancora persa in quel mondo così antico, ma che sopravviveva ancora oggi. Sembravano storie raccontate ai bambini per far loro paura, ma non erano nient’altro che dettagliati resoconti storici del popolo Quileute. Non riuscii a non pensare a quei vampiri, così diversi dai miei genitori, dai Cullen, dai vampiri con cui avevo sempre vissuto che mi veniva naturale chiamarli con un altro nome, Freddi, appunto. Non erano però neanche così diversi dai Volturi, i vampiri che dovevo temere. Sembrava così strano che in una stessa specie ci potessero essere così grandi differenze tra i suoi membri.

Quei racconti furono davvero, molto, molto interessanti; non sapevo se i vampiri avessero anche loro radici così profonde. Incoerentemente, ascoltate le storie dei licantropi, mi assalì il desiderio di conoscere le storie dei vampiri, come erano nati, come si erano diffusi. Mi sorprese che papà non me lo avesse mai detto; forse perché non lo sapeva? Era ovvio che non c’era la stessa trasmissione orale del gruppo dei licantropi.

Non mi accorsi mai come in quel momento quanto licantropi e vampiri fossero così diversi, non solo per aspetto fisico; qualcosa mi aveva sempre spinto che, bene o male, essendo entrambe creature non umane, avessero più o meno anche la stessa origine. Mi sbagliavo completamente. Quello che avevo appena ascoltato mi spinse a fare strane e profonde riflessioni sul modo con il quale vampiri e licantropi creavano i proprio successori. Era come se la nascita di nuovi vampiri fosse determinata da crudeltà, disinteresse, desiderio di sangue, da uno spietato istinto predatore, davanti al quale non c’era scelta, come aveva detto Rosalie. Per i licantropi, invece, era l’opposto; si trattava di una trasmissione genetica, quindi era legato all’amore tra due persone, poi all’amore per il proprio popolo, in quanto il gene si attivava per lo scopo di difenderlo, ma veniva coinvolto anche l’amore fraterno che nasceva nel branco, per non parlare dell’Imprinting.

Mi sembrava così strano che tra i licantropi ci fosse così tanto amore, mentre i vampiri sembravano essere destinati a sopportare odio e crudeltà, quando tutto l’amore che avevo provato fin’ora proveniva da due vampiri. Ma proprio per questo credevo che i vampiri, almeno, quelli che si facevano chiamare ‘vegetariani’ si dimostravano più forti dei licantropi, perché ci voleva una forza immane per uscire da una situazione destinata al rancore, per andare contro se stessi, ed ottenere un po’ di felicità e di gioia, sentimenti di mondo non gli apparteneva più.

Uno starnuto fermò il flusso dei pensieri, riportandomi alla realtà. Mannaggia, no! A causa di quel bagno in acqua mi sarebbe venuto come minimo un raffreddore. Ma non me ne sarei mai pentita, per nessunissima ragione al mondo. Vidi gli occhi neri e profondi dei due anziani osservarmi attenti. Non capii cosa volesse significare; erano curiosi della mia reazione alla storia? 

Jacob mi sfiorò il braccio ed io sussultai. Mi ero dimenticata di lui. Mi lanciò un sorriso ed indicò Bella vicino a lui. Si era addormentata con il capo appoggiato al suo braccio. Con delicatezza la prese in braccio.

“E’ meglio se adesso andiamo” sussurrò per non svegliarla. Guardai l’orologio al polso; mancavano quindici minuti a mezzanotte. Mi alzai anch’io e mi congedai dal branco di licantropo, che avevano ripreso a mangiare gli ultimi avanzi di cibo e stavano litigando come affamati cuccioli troppo cresciuti.

“E’ stata una serata davvero speciale” dissi educata avvicinandomi a Billy e al vecchio Quil.

“Come le hai trovate le nostre storie?” mi chiese Billy, mentre insieme all’anziano Quil mi osservavano ancora interessati.

“Mi hanno fatto pensare molto” risposi senza peli sulla lingua. Billy si limitò a guardarmi fisso e accennò a quello che doveva essere un sorriso.

Salutai anche gli altri licantropi ed i Clearwater, prima di seguire Jacob nel suo garage.

Aprì la portiera della Volkswagen rossa e adagiò Bella sul sedile anteriore, ancora immersa nel sonno. Nel mentre non potei fare a meno di lanciare un’occhiata languida alla mia nuova auto, messa lì vicino. Strepitavo all’idea di poterla guidare. Jacob chiuse piano la portiera e mi si avvicinò. Lo guardai come fossi un cagnolino impaziente. Lui capì e con un sorriso tirò fuori dalla tasca le chiavi della macchina. Fui senza respiro; non era contento di avermi messo i dadi, doveva anche regalarmi il portachiavi con la palla da biliardo giallo scuro con il numero uno. Sentii i miei occhi luccicarmi per la commozione.

“Oh, Jake…” sussurrai.

“Oh, sì, continua ad adularmi, continua…” replicò lui dandosi un sacco di arie.

“Jacob, io non posso non ricambiarti per l’auto” mormorai cominciando a saltellare nervosa. Era davvero troppo.

“Ci hai messo anche i dadi!” esclamai a bassa voce tenendomi la testa. Lui rise.

“Sii la mia migliore amica” rispose semplicemente. Io gli sorrisi, ed annuii con la testa. Va bene, sarei stata anche la sua migliore amica. Ma non solo…

“Allora, come ti è sembrata la serata?” Lo guardai con espressione delusa.

“Ma non abbiamo ballato attorno al fuoco!” mi lamentai con tono infantile.

“No, ma sarà quello che succederà al prossimo beach-party a La Push” rispose lui sarcastico.

“Seriamente, le ho trovato molto interessanti. E mi sono stupita di quanto amore c’è nel tuo popolo rispetto…” Fermai il mio flusso di pensiero giusto in tempo. Non ero sicura di condividere con qualcuno queste riflessioni, almeno non ancora. Lui mi guardò confuso.

“Finisci il discorso” mi invitò curioso. Tentenni per un momento, poi decisi di dirglielo, ma solo metà.

“Voi licantropi siete circondati dall’amore. Coinvolgete l’amore tra due persone, perché è genetico, l’amore per il proprio popolo, l’amore fraterno, c’è poi l’Imprinting…”

Lo guardi titubante, come se avesse lo sguardo di uno che si trova davanti a una pazza. Così però non fu; sembrava interessato dalla mia osservazione.

“Insomma, mi sono accorto che voi licantropi siete molto romantici” commentai per smorzare la tensione. Lui rise di gusto.

“Certo, siamo degli amorini!” Lui mi mise le chiavi davanti agli occhi, ma le tirò indietro quando tentai di prenderle.

“Te le do solo se mi dici che tornerai presto” Era ovvio; ero solo all’inizio dell’opera.

Cosa credi? Che io sia davvero tua amica? Non ti sei accorto che ti ho usato fino a questo momento solo per avere una macchina?” gli dissi invece sarcastica.

“Oh, come ho fatto a non accorgermene!” rispose lui, in falso tono tragico.

“Contaci” gli risposi questa volta seria. Come promesso, mi diede le chiavi. Prima di salire in macchina, non potei non dargli di nuovo un abbraccio. Lui rispose sfiorandomi la testa con una mano. 

“Grazie, Jacob” La mia voce veniva bloccata dal suo petto. 

“Quanto sei noiosa” replicò lui. “A dirla tutta, può diventare inquietante quest’Abi dolce e tenera.” Mi staccai con un sorriso.

“E il bacio non me lo dai?” chiese, abituato troppo bene da quando poche ore fa avevo reintrodotto il ‘contatto lupesco’. Io mi avvicinai, mentre lui esponeva la sua guancia scura. Invece del bacio, come ben gli stava gli diedi una grande slinguazzata. Lui si ritrasse disgustato.

“Credevo che per voi lupacchiotti tanto amorevoli questo è il modo di darvi un bacio” mi giustificai innocente.

“Vattene prima che ti prenda!” mi minacciò lui, ridendo e pulendosi il viso. Con un sorriso salii in macchina e partii verso casa.

Da non so quanto tempo mi sentivo così felice! Era stata la serata più emozionante della mia vita! Avevo finalmente la macchina, ero stata coinvolta dalla magia dei Quileute e avevo passato una serata mai avuta prima con Jacob! Dovevo ammetterlo, non era successo niente di speciale e all’inizio avevo avuto molte difficoltà nell’ingranare. Ma alla fine era stato così spontaneo e così facile vivere dei momenti speciali con lui, senza pensare in negativo, senza la sensazione che lui non ricambiasse.

Mi sentivo leggera e davvero non riuscivo a togliermi dalla faccia un sorriso ebete, mentre lo stomaco mi si rivoltava. L’ebbrezza poi di guidare finalmente la mia nuova auto mi faceva scoppiare! Ero abbastanza strana da comportarmi da pazza quando raggiungevo livelli così alti di felicità. Di solito iniziavo a cantare la Macarena. Iniziai di conseguenza a mormorare le parole della canzone, mentre scuotevo il capo a destra e a sinistra.

Arrivata al confine chi mai potevo incontrare? Proprio lui, con la sua Volvo sul ciglio della strada, ad aspettare la sua Bella. Forse in realtà non se n’era mai neanche andato. Ero così felice che la sua espressione seccata mi scivolò addosso. 

Arrivai al garage e con sorpresa mi accorsi che Emmett e Rosalie, insieme ad Alice e Jasper erano lì, mentre guardavano con curiosità la Cadillac. Alice doveva averli avverti che sarei arrivata e dal suo viso immaginavo che avesse visto anche in che stati.

Spensi il motore e scesi; come con Edward, mi scivolarono anche le loro reazioni.

“E’ la mia nuova macchina” esclamai sempre un sorriso a trentadue denti.

“Non male” commentò Rosalie, stranamente presa più dalla macchina, che da me. A differenza di Alice, che mi guardava a bocca aperta.

Cosa hai fatto hai capelli!” esclamò lei, prendendosi la testa con le mani e guardando sconvolta il suo lavoro “E i vestiti! Hai rovinato tutto!” La sua disperazione mi entrò in un orecchio e uscì dall’altro.

“Dai, dai, con quanti di loro te la sei fatta?” esclamò Emmett con un sorriso al pari del mio.

“Me li sono sbattuta tutti quanti. Tutti contemporaneamente, e in acqua” gli dissi in tono di sfida, presa dall’euforia. Lui proruppe in una sonora risata.

“Ad occhi chiusi e su un piede solo” completò lui, sarcastico.

“Ben detto” gli risposi, dirigendomi in salotto, in preda alle risate.

L’unico che non disse una parola fu Jasper. Mi guardava in modo piuttosto strano; come appunto fossi pazza. Ma scivolò anche quello. In salotto incontrai invece mamma, papà, Carlisle ed Esme. Erano intenti in una conversazione che interruppero quando entrai. Tutti e quattro mi lanciarono uno sguardo stupito, molto probabilmente per come ero conciata. Mi diressi con la leggerezza di un ippopotamo verso camera mia, poco importandomi della presenza di quei quattro vampiri. Forse qualcuno di loro mi disse qualcosa, ma scivolò anche quello.

Ancora con la mente persa nei miei momenti magici, mi feci una doccia e mi infilai sotto le coperte. A dormire? Neanche per idea; non ci sarei riuscita. A ripensare ancora, ed ancora a quello che era appena successo.

Mi accorsi che qualcuno si era seduto sul mio letto. La mia testa fuoriuscì dalle lenzuola. Mia madre e mio padre mi guardavano straniti, ma stavano sorridendo tutti e due.

“Ti sei divertita, a quanto pare” Io annuii con foga, sempre con un sorriso stampato. Mi alzai e presi la mano a papà.

“Ha funzionato! Quello che hai detto ha funzionato! E’ stato… bellissimo!” Mio padre me la strinse, ma quella nota di indecisione e di preoccupazione non volevano scomparire.

“Ah… son…sono contento” disse alla fine, estremamente indeciso. Mamma lo guardò di sottecchi.

“Cos’è che gli avresti detto?” Lui fece spallucce.

“Di comportarsi in modo più… spontaneo” sintetizzò lui.

“Tu?” chiese scettica.

“Gli ho presentato il mio lato da casanova” Mia madre fece una risata che sembrava il risuono di campanellini.

“Perché diavolo ridi ogni volta?” esclamò mio padre, anche però lui sorridente.

“E’ stato… bellissimo” mormorai di nuovo, la mente ancora immersa nei ricordi.

“Hai fatto pace con il tuo amico?” chiese mia madre. Io annuì e lei sorrise sincera.

Che peccato” sussurrò, questa volta facendolo apposta, papà.

“Dai!” esclamai dandogli uno spintone che non lo mosse di un millimetro.

“Sono felice che tu sia di nuovo felice” disse mamma.

“Siamo felici” la corresse papà.

“Lo sono anch’io” sospirai anch’io.

“Notte, Abi” mi disse prima papà, poi mamma.

“Buona notte anche a voi” risposi imbucandomi sotto le coperte, senza accorgermi della loro smaterializzazione.

Fu estremamente difficile addormentarmi; lo stomaco era ancora contratto e il viso di Jacob non riusciva a dissolversi. Come neanche quegli occhi fiammeggianti, impressi nella mia mente a fuoco, appunto.

 

Il giorno dopo mi svegliai con un mal di testa da leoni. Sapevo di aver sognato, ma non mi ricordavo cosa; speravo non fosse un bel sogno, allora. Dalla parete-finestra vedevo il cielo grigio e plumbeo che mi trasmise una grandissima voglia di rimanere nel letto a dormire. Cercai di pensare, ma il mal di testa mi diede una scossa orribile; era così forte che mi faceva male persino pensare. Mi misi a sedere; per poco non persi l’equilibrio e ricaddi giù. Dopo quel piccolo momento di defaillance mi misi in piedi e tutto andò meglio. Mi accorsi solo allora di avere il naso totalmente tappato e di respirare solo con la bocca. Cercai di liberarlo un po’ soffiando su un pezzo di carta igienica, ma rimaneva ancora chiuso. Cazzarola, avevo preso il raffreddore. Mi andai quindi a lavare la faccia; mi accorsi che ero verde. Non erano le luci; in quel bagno c’era l’illuminazione giusta per girare un film. Ero proprio verde. Mah, proprio verde, no. Diciamo bianca, sfumata sul verde. Gli occhi erano rossi, come se fossero irritati, e lacrimavano, mentre il naso a patata, già grosso di per sé, ora era più grande. Tenendo conto che a causa del naso tappato dovevo tenere la bocca aperta, sembravo un pagliaccio. Facevo davvero schifo; avevo una pessima cera. Non era affatto normale. Mi toccai la fronte con la mano, per vedere se avevo febbre. Non riuscii a capirlo, la mano era troppo calda. Andai in camera mia e presi il termometro dal cassetto. Era uno di quelli super-tecnologici che mi aveva dato papà, quindi seppi subito la mia temperatura. Merda. Avevo quaranta di febbre. E dire che non me li sentivo. Persi di nuovo l’equilibrio, cascai all’indietro e feci un atterraggio di fortuna sul letto. Come non detto; ce li avevo tutti quanti. Il mio sguardo si posò sul calendario vicino allo specchio. Era lunedì 4 giugno. La sorpresa mi fece trattenere il respiro e questo provocò un forte attacco di tosse. Raffreddore, febbre, vertigini, tosse, mal di testa; ci mancava solo un po’ di vomito e diarrea ed ero apposto.

Cazzarola alla seconda! Giovedì ci sarebbe stato il saggio dei bambini. Ed io ero ammalata. No, no, no. Domani era l’ultima lezione e non potevo mancare alle prove generali! Anche se sarebbe stata una cosa molto informale, dalla durata di due minuti di numero, alla fine dell’ultima lezione dell’anno. Mi presi la testa con le mani. Adesso che facevo? Dovevo cercare di fingere di stare bene. Ah, impossibile, con due vampiri-medici che fiutavano la malattia come fosse sangue.

Non c’era niente che potevo fare; dovevo arrendermi e rimanere a casa. Mi trascinai sotto le lenzuola e lì stetti. Sapevo che tra poco sarebbe venuta mia madre o mio padre per vedere come stavo. Mi sbagliai; arrivarono tutti e due. Per quell’occasione si fecero sentire, non entrarono di soppiatto.

“Abi, tutto ok?” chiese la voce di mia madre. Io emersi dalle lenzuola, in tutto il mio splendore.

“Ah” esclamò lei comprensiva “Sì, oggi è meglio se stai a casa”

“E’ di oggi?” chiese mio padre, con il mano il termometro. Io annuii piano. Mamma si rannicchiò vicino a me e si mise ad accarezzarmi la fronte. Sembravo essere regredita all’età di cinque anni, ma a me andava benissimo.

“Ti sta bene. E’ colpa del bagno di ieri” commentò lei.

“Ma ne è valsa la pena” Quasi non ci credetti che era la mia voce, tanto era roca. Mio padre mi mise una mano fredda sulla guancia, per darmi sollievo.

“Hai solo febbre?”

“Mal di testa, raffreddore, vertigini. E tosse” mugugnai.

“Vomito o diarrea?”

“Aspetta cinque minuti e verranno anche quelle” Almeno il mio senso dell’umorismo era intatto. Non c’era però niente da ride; non avevo fame di prima mattina, e questo era già un grave sintomo.

“Ti porto qualcosa questo pomeriggio” concluse mio padre alzandosi, seguito da mia madre, in divisa da lavoro.

“Prima no?”

“Sarà la tua punizione per esserti buttata stupidamente nell’acqua gelida” Quando lo disse aveva uno strano sorrisino sul viso. Se non avessi già avuto la bocca aperta, lo sarebbe diventata. Come! Lui mi aveva detto di aumentare il contatto! Perché adesso me lo stava rinfacciando?

“Ma…”

“E’ tardi Abi, dobbiamo andare” mi interruppe mia madre, prima che iniziassi a parlare.

“Oggi Carlisle ha il giorno libero. Gli dirò che non stai bene. Se ti serve qualcosa chiedi pure a lui” mi rassicurò papà. Io rinunciai a parlare e mi limitai ad annuire sconsolata. Se ne andarono, dopo un ultimo bacio sulla fronte da parte di mamma.

Io sprofondai nelle lenzuola. Che tipo, che era papà. Prima mi aiutava a conquistare gli uomini, poi mi rimproverava. Credevo che in lui vivessero due personalità; il perenne padre possessivo, quello che avevo conosciuto, ed il casanova morto e sepolto che mi aveva fatto scoprire occasionalmente. Ormai mi ero abituata a questa figura che spargeva perle di saggezza sull’amore come fossero caramelle. E forse stavo proprio sbagliando se credevo che lo avrei incontrato di nuovo. Sconsolata mi rannicchiai ed iniziai a pensare alla serata di ieri, con vano successo, in quanto la testa tornò a pulsare. Pensai allora a cosa avrebbe detto Jacob se mi avesse visto in quegli stati; ma la testa ancora non era d’accordo.

Carlisle” mormorai rochissima. Lui, educato, bussò prima di entrare. Credevo che sarei riuscita a convincerlo a darmi un po’ di paracetamolo.

“Tutto bene, Abigail?” chiese con il suo tono cortese.

“Mi potresti dare un po’ di paracetamolo, per cortesia?” cercai di fare gli occhi grandi. Come conseguenza, si misero a lacrimare; perfetto, gli avrei fatto ancora più pena. Difatti lui mi guardò con grande ansia.

“Tuo padre ha detto che te lo porterà più tardi” commentò poco deciso. Io rincarai.

“Credo che stia peggiorando” mentii alla grande. Sì, lo so, avevo detto basta alla bugie, ma era in gioco la mia salute, questa volta. E così, per una scusa o per l’altra, le balle venivano fuori lo stesso. Lui però abboccò.

“Vado a prenderti qualcosa” Il secondo dopo aveva un bicchiere d’acqua in mano con un po’ di paracetamolo sciolto dentro, mentre lo stava mescolando con un cucchiaio.

“Grazie, Carlisle” dissi, prendendo il bicchiere. Almeno il mal di testa sarebbe passato di un minimo. Lui mi lanciò uno splendido sorriso e fu in quel momento che mi parve uguale a quella piccola figura nel quadro di papà.

“Misurati la febbre tra un’ora. E per qualsiasi altra cosa chiamami. Ora prova a dormire.” Io annuii con la testa, indecisa se cambiare medico o no. Mi rimboccai sotto le coperte e cercai di rilassarmi. All’inizio continuai ad avere freddo, poi la medicina entrò in circolo e l’ondata di caldo mi spinse a togliermi le coperte. Fu allora che la testa cominciò a dolermi di meno. Così potei sognare bellissimi sogni che quando mi sarei svegliata, avrei ricordato.  

 

 

 

 

A tutti coloro che dal quinto capitolo aspettavano un po’ di romanticismo tra i due, che non veniva mai, dopo dodici infiniti capitoli, eccovene un assaggio, in questo capitolo dedicato, più o meno, a loro due!

E’ stata dura, ma alla fine, la vecchia Abi ce l’ha fatta! Allora, vi piace questo suo nuovo aspetto dolce e tenerone, oppure preferivate quello più da maschiaccio? Ma nonostante tutto, i suoi pensieri, rimangano pazzoidi e fuori dal comune.

Forse il riassunto delle storie dei Quileute era meglio se non lo mettevo, lo conosciamo tutti, ma saltarlo e riassumerlo tutto in una frase non mi andava proprio.

Mi ha fatto molto piacere che molti di voi, commentandomi, abbiano apprezzato l’idea che Abigail e Bree siano amiche (eh…eh…eh…, che idea malvagia) e mi sono sorpresa che vi sia piaciuto sapere che il padre di Abigail, era un casanova; a differenza della precedente, quest’idea mi era venuta improvvisamente arrivata alla fine del capitolo (in origine lei avrebbe dovuto confessare a Jacob che era innamorata di lui, tanto per capirci) e non immaginavo come voi l’avreste presa. Quindi sono contentissima che vi sia piaciuta!

Bhè, per me questo è uno dei capitoli più belli. Spero lo sia anche per voi! Ringrazio, come faccio sempre da un po’ di tempo a questa parte, tutti coloro che hanno commentato, messo questa fan fiction nei ricordati, seguiti e preferiti e letto fino a questo diciassettesimo capitolo!

Ci becchiamo nel prossimo capitolo! Vi voglio bene! Un bacio a tutti quanti!

 

 

 X MoonLight_95: Spero che anche questo capitolo abbia rispettato le tue aspettative!

Per quanto riguarda la Bella della tua storia, non mi stupisce che sia OOC, tenendo conto del grande amore che covi per lei! E per questo non vedo l’ora di vedere come sarà, quindi ti conviene pubblicare presto!

Baci!

 

X Kianna: Grazie per il commento! Sì, sì, adesso le cose si complicano finalmente e si fanno anche più interessanti (come puoi vedere da questo capitolo)! Grazie mille ancora! Un bacio!

 

X nes_sie: Ah, ! Come dire, forse ti saresti aspettata qualcosa di diverso come ‘tecniche di seduzione’, niente di così strampalato! Ma spero che ti sia divertita! Ancora grazie infinite per il commento! Bacio!

 

X mylifeabeautifullie: A quanto pare, di fortuna ne aveva tanto bisogno, la cara Abigail XD Bhè, dai, un po’ te lo aspettavi che tra Abi e Jake sarebbe successo qualcosa del genere, no? : )

Grazie ancora mille per aver commento! Spero che anche questo capitolo ti sia piaciuto! Bacioni e alla prossima!

 

X __cory__: Lo sai una cosa? Adoro i tuoi commenti! Perché oltre a farmi complimenti, che apprezzo davvero tanto, mi esprimi anche i tuoi dubbi e mi fai notare le cose su cui non sei d’accordo, che penso siano per il mio ruolo di scrittrice molto utili, e che soprattutto dimostrano che sei davvero interessata alla storia (Grazie mille!!!!).   

Concordo con te, non ci sarei andata a La Push neanch’io. Non sarebbe stato molto educato e sarei stata inappropriata. Ma a differenza di noi due, Abigail è solita dimenticare spesso l’educazione! E non si è fatta manco un problema. Bon, forse un po’ alla fine, ma niente di più : )

Per quanto riguarda Bella, hai ragione, rileggendo il capitolo ho avuto anch’io questa sensazione che mentre scrivevo il capitolo non avevo avuto. Si è dimostrata priva di tatto, ma dopotutto, la sua azione è un po’ giustificata: voglio dire, Edward se ne va e lei riesce a trovare inizialmente il suo appiglio in Jacob, poi ritorna Edward che le vieta di stare con lui. Adesso Edward le permette di andare a La Push, a patto che venga anche Abigail. A questo punto, la comprenderei se ha chiamato Abigail per assicurasi che ci fosse anche lei. Secondo me non l’ha fatto con cattiveria, o menefreghismo; sì, si è dimostrata sgarbata, ma non credo non l’abbia fatto apposta, insomma.

Cooomunque, per quanto riguarda che cosa succederà con Bree, ti consiglio di farti pure guidare dal tuo intuito, che sei sulla giusta strada, ragazza!

Bhè, spero che anche questo sia stato di tuo gradimento! Grazie ancora tantissimo per i tuoi commenti molto costruttivi! Un bacio grande e alla prossima!

X Franny97: Ti dico subito che ho trovato molto inquietante la tua recensione scritta in prima persona XD Ma, Abi, mi sa che mi ci devo abituare XD!

C’è una frase che ha colpito la mia attenzione:anche se personalmente ho qualche dubbio a riguardo’, riferendoti a Jacob. Ma come! Non essermi così pessimista! Certo, potrebbe essere, come anche no! Ma non buttarti giù! La speranza è l’ultima a morire! E poi c’è stata quest’altra frase qua,Non avevo pensato neanche a Jacob che ha tutti sti problemi’, che mi ha fatto sghignazzare parecchio, perché effettivamente Abigail la dirà nei prossimi capitoli, anche se messa in modo molto diverso, e riferita a cose che si vedranno (sto facendo al misteriosa, ma non mi viene bene XD). E ancora una volta mi hai dimostrato di essere lei XD.

Inoltre, se sei convinta di recensire fino alla fine, bhè, allora ti consiglio di armarti di pazienza finita, perché sarà mooolto lunga come fan fiction.

Tornando seri, grazie tantissimo per aver commentato e per commentare anche in futuro! Sono contentissima che tu ti sia affezionata così tanto alla mia storia! Ti mando un grandissimo bacio!

 

 

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Capitolo 18
*** Diciottesimo Capitolo ***


Diciottesimo Capitolo

 

 

Diciottesimo Capitolo

 

 

Quei due occhi si erano trasformati in fiamme; ardevano tanto quanto il fuoco che c’era dentro di lui. Non capii che cosa esprimessero; né rabbia, né dolore, neanche gioia o tristezza, ma non erano nemmeno inespressivi.

Questa volta non venne nessun getto di acqua gelida a lambirmi le gambe. Il suo viso si fece più vicino. Io rimasi immobile; sapevo quello che voleva fare, e non feci niente per assecondarlo.

Sfiorò le mie labbra con le sue; sentii i brividi che mi percorrevano la schiena. Erano morbide e sapevano di buono; non riuscii a resistere e le morsi. Avevano il sapore del mare. Lui aumentò il contatto e premette con foga la bocca sulla mia. Mi lasciai trascinare dai suoi gesti. I palmi delle sue grandi mani aderirono alla mia schiena, ricoprendola quasi tutta, mentre io cinsi le sue guance, per avvicinarlo a me. Mi passò la lingua sulle labbra e risi per il solletico.

“Abigail” sussurrò con voce ardente, passionale. Quelle sua voce baritonale mi eccitò. Aumentai il contatto e cercai la sua lingua con la mia. Lui si staccò.

“Abigail?” La sua voce era strana; non era la sua, ma mi era comunque famigliare. Non ci badai e continuai, ma lui me lo impedì. Toccò la mia guancia con la mano; non era calda, era tiepida. Cominciò ad accarezzarmela.

“Abigail” mormorò lui, con uno sguardo eccessivamente troppo seducente. La pressione di quelle carezze aumentò, tanto da potermi stordire.

Fu così che mi ritrovai nel mio letto, al caldo sotto le coperte. Il mio unico pensiero era dove fosse finito Jacob.

“Finalmente ti sei svegliata” mi voltai ancora addormentata verso quella voce. Mio padre mi stava accarezzando la guancia con la mano, per darmi un minimo di sollievo dalla febbre.

“Hai dormito un giorno intero, lo sai?” mi disse con un sorriso. Quel sorriso perché non te lo metti…

Era un sogno, solo un sogno. Mi rannicchiai sotto le coperte, terribilmente delusa.

“Tieni, misurati la febbre. Ti è sicuramente scesa” continuò lui, porgendomi il termometro. Io lo presi sgarbata e me lo misi in bocca.

“Come sei scorbutica la mattina” commentò lui raggiante. La sua felicità poteva andarla a mostrare a qualcun altro; ce l’avevo terribilmente con lui. Ero incavolata nera, e lo sarei stata almeno fino a quando non mi sarei svegliata del tutto. Cavolo, faceva il paranoico nella realtà, perché doveva disturbare anche i miei sogni! Non lo sopportai proprio. Papà mi prese il termometro dalla bocca e gli diede una veloce occhiata.

“Trentasette e mezzo. Se ti scende questo pomeriggio, domani puoi tornare a scuola” Io borbottai, nascondendomi sotto le coperte, facendo l’antipatica.

“Quanto sei pigra, quando vuoi!” esclamò esasperato, uscendo dalla mia porta.

Chiusi gli occhi con lo splendido proposito di riprendere il sogno da dove lo avevo lasciato. Purtroppo non ero fatta così: quando ero sveglia, ero sveglia.

Automaticamente mi alzai dal letto e andai in bagno a lavarmi. Bastò un po’ di acqua gelida sulla faccia. Continuai a pensare al sogno appena fatto, senza più bramarlo, anche se con papà ce l’avevo ancora. Non era di certo la prima volta che sognavo Jacob, ma non avevo mai fatto un sogno del genere, che in più mi era perversamente piaciuto. Quella volta avevo proprio trasgredito. Inoltre me lo ricordavo ancora adesso precisamente, mentre di solito i sogni non li ricordavo mai. Chissà perché succedeva solo con Jacob.

Smisi di fantasticare e tentai piuttosto di fare mente locale; papà aveva detto che avevo dormito un giorno; caspita! Tornai in camera e fissai l’orologio; di fatti erano le otto di mattina. E oggi, martedì, c’erano le prove generali di break; bene o male, sarei andata in quella dannata palestra, con o senza febbre. Intanto andai in cerca di una tuta da mettere per stare in casa; ero stufa di rimanere chiusa lì dentro ad annoiarmi, e stavo abbastanza bene per sapere cosa succedeva nel mondo al di fuori della mia enorme stanza. Mi mossi e le ossa mi dolsero, facendomi sentire un’ottantenne; avevo dormito troppo e questi erano i risultati. Il naso era ancora un po’ chiuso, e la testa mi faceva ancora un po’ male, ma per il resto stavo bene. Anche l’arrabbiatura con papà era passata.

Scesi quattro rampe di scale senza neanche ammazzarmi ed raggiunsi il salotto, dove avrei sicuramente trovato qualcuno. Carlisle, Esme, Jasper ed i miei genitori guardavano il telegiornale a senza volume, in pratica; c’era un servizio sulle uccisioni a Seattle. Alice stava seduta sull’ultimo gradino della scala, un’espressione sul viso di assoluto sconforto, come una bambina che non aveva ricevuto nessun regalo a Natale.

“La Bella Addormentata si è finalmente svegliata?” Ora che avevo dato corda ad Emmett, lui non perdeva occasione di sguinzagliare tutto il suo repertorio di battutine.

“Sì” mormorai secca.

“Abigail, stai bene? La febbre ti è scesa?” chiese mamma, alzandosi e prendendomi le guance con le mani. Io feci un passo indietro, imbarazzata da tutto questo contatto di fronte ad altre persone. Mamma non ci faceva mai caso, ma io sì.

“Sì, certo” l’assicurai prendendo le sue mani e stringendole tra le mie. Tornai poi a spostare l’attenzione su Alice.

“Alice cosa c’è?”

“C’è che non vedo più” mormorò sconfortata, guardando un punto indefinito sul pavimento “Se non facciamo niente, non riesco a vedere niente, ma per agire aspettate che io veda…” sconfortata, tornò a isolarsi nel suo modo. Mi fece una pena.

“Papà, tu non senti niente?” domandai a lui. Lui scosse la testa, sempre con gli occhi fissi sul video.

“Non capisco cosa ci sia da aspettare”

“Una mia visione. È probabile” sussurrò Alice di nuovo “Edward e Bella arriveranno tra poco.” Bhè, almeno qualcosa da vedere ce l’aveva.

Sul tavolo al centro del salotto notai il giornale del giorno, sempre il ‘Seattle Times’, e lo lessi. Il titolo ‘Morte e terrore a Seattle’ era tutto un programma. I numeri si facevano sempre più alti, e attiravano sempre più l’attenzione. E i Volturi si facevano sempre più vicini. Qualcosa a questo punto si doveva fare, e alla svelta.

Sentii la porta d’ingresso aprirsi e Bella ed Edward entrare. Emmett non risparmiò neanche Bella dalle sue battute, che qualche volta non facevano neanche ridere, a dire il vero. Io mi andai a sistemare sul divano tra mamma e papà, curiosa di ascoltare la conversazione del giorno e del perché Bella, particolarmente nervosa, si trovava lì e non a scuola. Senza che niente si fosse programmato, forse stava iniziando una specie di riunione generale sul da farsi? A prendere la parola fu Edward.

“Credono sia un serial killer” disse, indicando con il mento la televisione. Bè, non c’erano poi andati così lontani, dopotutto.

“Alla CNN non hanno fatto che parlare di questo” gli rispose Carlisle pensieroso. “Dobbiamo fare qualcosa”

“Va bene, facciamo qualcosa” esclamò Emmett entusiasta “Non ho niente da fare.”  Sentii un bisbiglio provenire dai piani alti. Rosalie, dedussi, l’unica che non era presente.

“Che pessimista!” brontolò con sarcasmo. Finalmente anche Rosalie entrò, inespressiva e con tutta la sua bellezza. Ora eravamo al completo.

“Non abbiamo mai affrontato situazioni del genere. Questo non è compito nostri, ma dei Volturi” scosse la testa Carlisle. Cominciai a preoccuparmi anch’io. Non mi ero mai resa conto della gravità della situazione, ma se anche un vampiro che non fosse uno dei miei genitori, era teso, voleva dire che un po’ dovevo preoccuparmi anch’io.

“Vorrei evitare che lo facessero, Carlisle” intervenì mio padre schietto.

“Per non parlare di tutti quegli innocenti. Non c’entrano niente noi” si intromise Esme comprensiva.

“Ah, giusto. Questo mi era sfuggito. Se fosse così, le cose sono più complicate” disse all’improvviso Edward verso Jasper. Lo guardai curiosa di sapere cos’avesse appena pensato.

“E’ meglio se lo spieghi agli altri” suggerì, mentre iniziò a camminare fissando il pavimento. Assomigliava tanto a papà.

“Cosa sta blaterando?” chiese curiosa Alice a Jasper, ora vicina a lui.

Jasper si sentì per un attimo a disagio ad essere al centro dell’attenzione. Guardò in faccia ciascuno di noi, dubbioso sul da dirsi.

“Sei agitata” sottolineò calmo, guardando Bella. Bella scoperta, era da quando era entrata che era un fascio di nervi. “E anche tu” disse poi guardando me. Bhè, agitata era una parola grossa. C’era da dire che poi l’articolo del giornale non aveva affatto aiutato.

“Lo siamo tutti” rispose al posto nostro Emmett, che per una volta faceva il serio.

“Prima loro devono sapere, Emmett. Sono con noi, ora” gli rispose Jasper, riferendosi a Bella, a me. Fece un respiro profondo prima di rivolgersi a noi.

“Cosa sapete di me?” ci chiese. Emmett sbuffò e si sedette sul divano, in modo molto teatrale.

“Non molto” rispose Bella.

“Niente” dissi io, guardandolo confusa per quella domanda che apparentemente non si collegava con il resto del discorso. Jasper guardò Edward.

“No, sai il perché. A questo punto, però, forse è meglio” rispose lui.

Jasper annuì e si alzò le maniche del maglione bianco, avvicinandolo alla luce di una lampadina. Dall’espressione confusa che fece Bella, non le notò subito. A me invece saltò subito all’occhio il leggero accenno di ombre che si intrecciavano l’una all’altra. Soprattutto riconobbi a cosa e a quante erano dovute. Automaticamente la mia mano scivolò sul collo, a toccare la mia. Non tentai nemmeno di contarle.

“Jasper, hai una cicatrice come la mia” sospirò Bella. La sua mano teneva il polso.

“Non solo una” La mia voce fu talmente traballante che sembravo terrorizzata. Jasper però conosceva le mie emozioni e difatti sapeva che non era così. I suoi occhi guizzarono su di me e tornai ad essere più tranquilla. Sapevo come se l’era procurato, conoscevo il dolore, ci ero passata anch’io. Quello che non riuscii a fare era moltiplicare quel dolore per il numero di quello cicatrici.

“Jasper, cosa ti è successo?” sussurrò in un sospiro Bella, che aveva finalmente capito.

“No, Bella” dissi, con gli occhi incollati su quelle cicatrici “La domanda giusta è: Jasper, come fai ad essere ancora vivo?” Gli si dipinse un ampio sorriso amaro dal grandissimo contrasto.

“Me lo sono spesso domandato” rispose malinconico.

“Perché?” chiese Bella impaurita. Se la stava facendo addosso dalla paura, ma io non ero da meno. Riuscivo a malapena a immaginare cosa fosse successo quando era accaduto. Entrambe continuammo a guardare quel macabro puzzle di morsi come ipnotizzate, che bastò per farci dimenticare per un momento quello che stava succedendo a Seattle.

“Non ho avuto lo stesso passato dei miei fratelli.” Il suo tono cambiò, diventando quasi duro. Non era difficile supporre che fossero memorie dolorose da ricordare e troppo impresse per dimenticare. Riuscì a catturare completamente l’attenzione mia e di Bella. Gli altri invece tornarono a farsi i cavoli propri; Carlisle ed Emmett alla TV e Alice vicino a Esme, come se quello che stava per raccontare Jasper fosse una storia sentita e risentita. Solo Edward sembrava interessato, ma più che a Jasper, alle reazione e alle emozioni di Bella, che riusciva a cogliere nei dettagli grazie al potere di Jasper. Mi stupii che anche i miei genitori non stessero a sentire; mi sembrava strano che non provassero un minimo di interesse. Difatti anche mio padre tornò alla televisione mentre mamma si alzò per andare in cucina.

“Sanno già tutto” mi chiarì Edward per lasciare spazio a Jasper più presto possibile. Io annuii, facendomi appena distrarre dalla sua voce.

“Prima di spiegarvelo, dovete conoscere parte della storia di noi vampiri” continuò Jasper, rispondendo alla domanda di Bella. “In alcuni luoghi in media la vita dei vampiri non dura secoli, ma settimane.” Evidentemente, pensai, perché si scannavano tra di loro.

“Al mondo ci sono luoghi dove a noi vampiri piace vivere più che in altri. Luoghi dove possiamo nutrirci inosservati, dove la popolazione è più fitta.” Sentii Bella vibrare vicino a me alla parola ‘nutrirci’; se si spaventata così tanto per così poco, quando Jasper sarebbe arrivato al dunque era probabile che sarebbe svenuta.

“Nel Nord viviamo perlopiù come nomadi, cerchiamo di essere invisibili agli occhi degli umani. Nel Sud invece quelli della nostra specie si comportano in modo del tutto diverso. Poco gli importa di essere visti dagli umani; l’unica vera minaccia rimangono i Volturi. Numerosi clan di vampiri combattono tra di loro per conquistare le zone più popolate o per difendere le proprie da altri gruppi. Passano giorni interi a ideare strategie contro i loro nemici.” Bella sembrava abbastanza confusa, ma io credevo di aver capito. Me ne aveva parlato papà tempo fa, ma me lo ricordavo bene.

“Stai parlando della guerra del Messico, non è vero?” lo interruppi senza pensare. Lui si fermò e mi guardò con una certa curiosità nascosta.

“Cosa sai della guerra del Messico?”

“Gliene ho parlato io” si intromise papà, diventando per un attimo interessato al discorso. Rimasi sbalordita dal suo tono di voce titubante.

“Ci sei stato?” gli chiese Jasper monocorde. Mio padre fece un respiro profondo prima di continuare.

“Facevo parte della guardia dei Volturi, quando vennero in Messico” ammise con un po' vergogna. Jasper spalancò gli occhi dalla sorpresa; io osservavo prima papà, per poi passare a Jasper, confusa da quella conversazione.

"Vuoi… vuoi finire di raccontare tu?" disse Jasper, con un certo rispetto nella voce. Papà scosse violentemente la testa.

"No, continua pure tu" mormorò lui, tornando a vedere distratto la tv. Rimasi a guardare fissa per alcuni secondi papà, prima di tornare a Jasper.

 “Cosa sai esattamente della guerra in Messico?” riprese Jasper, continuando a guardarmi con quella nota di curiosità. Per un attimo mi imbarazzai ad essere al centro dell’attenzione.

“E’ stata una delle guerre più feroci nel mondo dei vampiri perché per la prima volta ciascun clan per eliminare il rivale…” Questa volta mi bloccai anch’io, incerta su quello che stavo per dire. Ripresi subito coraggio e continuai.

“…trasformava gli esseri umani in vampiri con l’unico scopo di formare un esercito di neonati.” Mi fermai un attimo per respirare; papà mi aveva raccontato molte cose, ma se c’era una che sapevo a memoria era cos’erano i neonati. Mi voltai questa volta verso Bella, che mi guardava confusa.

“I vampiri appena nati sono decisamente più forti e veloci di quelli più anziani, perché nei loro corpi c’è ancora il vecchio sangue umano. Per questo questi eserciti erano così micidiali. Ma sono anche molto inesperti ed istintivi, non sanno gestire la loro forza e la loro velocità, per questo non è impossibile sconfiggerli. E sono incontrollabili, vittime della loro sete; ci vuole un niente affinché perdano il controllo e diventino più dannosi che utili. Sono necessarie molte risorse per mantenere un esercito anche solo di dieci membri; è necessario nutrirli, saperli usare, ed… eliminarli allo scadere dell’anno di età, perché… troppo deboli. Ne morirono e ne vennero trasformati così tanti che gli umani diedero la colpa ad una pandemia.”

Mi accorsi di nuovo delle differenze tra licantropi e vampiri; i primi uniti per battere un nemico in comune, per amore versi i propri simili, i secondi divisi per distruggersi a vicenda, in preda unicamente dell’ingordigia del potere. E della sete; questo era quello che faceva la differenza più grande.

Non negai di aver parlato in modo insensibile; anzi, durante tutto il discorso ero stata in perenne disagio e Jasper era il primo ad accorgersene.   

“Sai molte dei neonati” mi fece notare prima di riprendere, con un accenno di sorriso e uno sguardo ancora interessato.

“E’ perché un tempo pensavo di diventarlo anch’io” mormorai quasi impercettibilmente. L’atmosfera di congelò all’istante; non avrei dovuto parlare. Ma era vero, prima della mia decisione definitiva di rimanere umana, fino all’età di quindici anni ero fermamente convinta che sarei diventata un vampiro come mamma e papà. Ingenuamente a quel tempo non sapevo ancora cosa volesse essere un vampiro e tutte le storie sui neonati rimanevano un concetto astratto. Mi ricordavo ancora quando avevo cinque anni; le mie compagne volevano diventare principesse o ballerine. Io da grande volevo diventare un vampiro. Jasper fu abile a lasciar cadere il discorso e a riprendere quello precedente.

“A questo punto intervennero i Volturi, con l’intera guardia al completo. Distrussero ogni neonato e chi fosse in loro compagnia; in pratica tutti i vampiri in Messico vennero sterminati. Ci volle quasi un anno. Una volta ho avuto modo di parlare con un vampiro che assistette al massacro.” Non so se fu una mia impressione, ma credetti che Jasper avesse tremato. E se Jasper si spaventava, voleva dire che piuttosto che essere un neonato in mezzo a quell’inferno, la morte era la cosa migliore. Guardai per un attimo papà; lui aveva vissuto tutto questo. Cercava di non ascoltare, ma non poteva nascondere il viso contratto. Sapevo perché quando mi aveva raccontato, aveva saltato questo particolare, perché c’entravano i Volturi. Per un attimo mi sforzai di immaginare papà in mezzo a quel massacro che aveva appena descritto Jasper, ma non ci riuscii.

“Fortunatamente nessuno da quel momento formò più eserciti. Gli scontri tra i clan tuttavia continuarono, anche dopo il ritorno dei Volturi in Italia. E poco dopo ricomparvero anche gli eserciti, seppure, rimembri dello sterminio del Volturi, più contenuti e attenti a passare inosservati. Chi non riusciva a tenere a bada il proprio esercito, i Volturi venivano a saperlo e lo eliminavano. Chi però sapeva cosa stava facendo, poteva agire del tutto indisturbato. Gli umani che sarebbero diventati neonati cominciavano ad essere scelti per le loro prestazioni fisiche e vennero allenati meglio…” Jasper lasciò il discorso in sospeso, lo sguardo vacuo, perso nei suoi pensieri.

“E’ questo il motivo per cui ti sei trasformato” mormorò Bella vicino a me, atterrita. Io non osavo fiatare.

“Sì” disse lui in un soffio. Fu allora che iniziò a raccontare. Raccontò della sua breve, ma promettente carriere militare, grazie al suo carisma, che poi si era rivelato essere il dono che aveva ora. Fu in occasione del rientro di un evacuazione che successe. 

L’inizio, non sapevo perché, mi ricordava la storia di Rosalie: successe per entrambi di notte, per entrambi fu una sorpresa, anche se in modo diverso. In particolare, Jasper venne colpito soprattutto dalla bellezza delle tre vampire che incontrò. Non era bravo a suscitare determinate emozioni usando solo il suo potere, ma ci riusciva benissimo utilizzando anche solo l’uso delle parole.

Quella stessa bellezza che lo affascinò gli consigliò anche di scappare, ma una di quelle tre ragazze, Maria, come l’aveva chiamata, lo trasformò prima che lui avesse potuto dare ascolto al suo istinto, lasciandogli quei marchi indelebili sulla sua pelle.

Jasper fece una descrizione accuratissima di quello che successe quella notte. Si ricordava tutto, proprio come Rosalie, riportò anche i dialoghi. Si interruppe bruscamente, saltando la narrazione di qualche giorno, molto probabilmente per evitarci i passaggi più cruenti. Oppure per calmare Edward, che cominciava ad innervosirsi per le reazioni di Bella. Continuavo a non approvare tutta questa segretezza nei suoi confronti; non c’era da stupirsi se sussultava al suono di semplici parole. Era normale che lo pensassi, essendo sempre stata abituata fin dai dieci anni a storie che agli altri bambini potevano suonare spaventose. I miei genitori mi raccontavano sempre tutto; tranne ovviamente quello che era davvero importante, ovvero quello che coinvolgeva la mia famiglia di persona.

Fu così che Jasper si ritrovò ad essere un soldatino dell’esercito di tre vampire alleate per convenienza; una desiderosa di riconquistare i propri territori, le altre due di avere una più ampia scelta alimentare. La capo clan, Maria, desiderava assemblare un esercito imbattibile e sceglieva con cura ogni neonato, in particolare accettava di trasformare solo uomini. Addestrò i suoi soldati in maniera impeccabila; voleva insomma che i suoi neonati avessero i pregi dei vampiri appena nati e di quelli anziani: velocità e forza al di sopra della media e tecnica. Tutto questo molto velocemente, per evitare che i suoi burattini perdessero forza al compimento dell’anno di vita.

Incontrò molte difficoltà anche a tenerli a bada; si eliminavano a vicenda scontrandosi tra loro. Fu in questa occasione che notò l’abilità di Jasper nel combattimento. Fu così che da maggiore di un esercito di umani divenne il maggiore di un esercito di vampiri. Inoltre iniziò a scoprire l’esistenza del suo potere e poté dissipare il malumore nella compagnia, rafforzandola ulteriormente.

Quando l’esercito di Maria comandato da Jasper fu pronto contava ventitre membri; la prima battaglia la vinsero senza troppe difficoltà.

Da una vittoria seguirono altre e Maria giunse a controllare Texas e Messico settentrionale. Dopo un grande numero di vittorie era inevitabile che sarebbe giunta la sconfitta, ancora più amara perché mai provata: un clan del sud riuscì a sterminare totalmente l’esercito, ad eccezione di Jasper. Dall’amarezza nacque l’insoddisfazione e fu così che le altre due vampire si ribellarono contro Maria e Jasper, che riuscirono a eliminarle.

Ormai le guerre del Sud non erano più legate a una questione di terra, ma per il puro piacere di combattere e come pedine si usavano dei neonati che alla fine dell’anno venivano buttati via.

Con il passare del tempo Jasper si stava stufando di quello stile di vita. Le cose cominciarono lentamente a cambiare quando uno dei neonati più grande, Peter, con il quale Jasper aveva instaurato un rapporto di semi-amicizia, scappò con una neonata che doveva essere rimossa dall’esercito. Tempo più tardi, Peter tornò, quando il malumore di Jasper si era trasformato in depressione, e gli raccontò del diverso modo di vivere nel Nord, senza faide, senza rivali. Se ne andò senza rifletterci troppo.

“Quando vivi per combattere, per il sangue, le relazioni che stringi sono fragili e facili a rompersi” disse Jasper mantenendo un tono composto. Fu la frase che mi colpì di più. La frase che, bene o male, era la risposta a ogni domanda o dubbio. E che mi faceva pensare.

Il resto della storia, fino a un certo punto, fu simile a quella di papà: Jasper viaggiò per un po’ con Peter e la sua compagna, ma rimaneva ancora insoddisfatto; soprattutto, si era dimenticato come ci si sentisse essere umani. Come papà, il mostro che era in lui non gli dava pace. Anzi, forse il tutto era amplificato, perché aveva il potere il sentire ciò che le loro vittime provavano quando le uccideva. E Jasper non voleva più farlo. Lasciò Peter, come papà aveva lasciato il clan irlandese.

Mi sorpresi quando il suo tono cambiò. Ebbi un piccolo dejà-vu; papà aveva avuto lo stesso identico tono quando mi aveva parlato della prima volta di Carlisle. Jasper però non si riferì a lui, ma a Alice. In quel momento mi parve di capire che quello che aveva fatto l’incontro con Carlisle era ben poca cosa rispetto a quello avuto con Alice.

“’Mi hai fatto aspettare’ disse” Jasper interpretò le parole di Alice con un sorriso che non gli avevo mai visto. Avevo sempre considerato Jasper una persona molto buia, grigia. La sua dinamicità espressiva mi ricordava molto quella di Edward Mani di Forbice. Vederlo sorridere fu una cosa tanto strana e io ero una così grande spugna di emozioni che non servirono i suoi poteri per farmi sorridere e mettermi subito il buonumore. Alice spuntò vicino a lui, ridendo.

“Da bravo gentiluomo del Sud hai chinato la testa e hai detto: ‘Mi dispiace, signorina’” Sorrise anche lei.

“Mi diedi la mano e io la presi, senza neanche sapere quello che stavo facendo. E cominciai a sperare di nuovo” disse Jasper prendendo la mano di Alice. Non ero mai stata una romanticona, ma tenendo in considerazione la cruenta storia precedente, e il dolce lieto fine interpretato dal vivo con gli attori originali, bhè, riuscì a farmi commuovere.

“Avevo paura che non saresti mai arrivato” Si guardarono per un attimo felici, l’uno negli occhi dell’altro. Poi Jasper, con un sorriso stampato, tornò a calcolarci.

“Alice mi raccontò delle sue visioni e di aver visto Carlisle e la sua famiglia. Non avrei mai immaginato un’esistenza simile. Andammo a cercarli insieme.”

“Presero un bello spavento” intervenne Edward, con gli occhi verso il cielo “Io ed Emmett eravamo a caccia. Videro presentarsi Jasper pieno di ferite insieme a un mostriciattolo che salutò tutto per nome e chiese di mostrarle la sua stanza” Dopodiché lanciò una gomitata ad Alice. Jasper ed Alice risero insieme, come gli angeli di un coro.

“Quando tornai a casa tutte le mie cose erano in garage”

“La tua stanza aveva la vista migliore” si giustificò lei. Risero tutti insieme, in memoria dei vecchi e felici ricordi. Forse troppo pochi.

“E’ una bella storia” concluse Bella. Anche lei aveva un sorrisino sulle labbra. Gli occhi di Alice, Edward e Jasper le lanciarono un’occhiataccia.

“Intendo il lieto fine con Alice” specificò lei.

“Tutto a posto, Abigail?” disse Jasper, lanciandomi la stessa occhiata che poco prima aveva dato a Bella. Infatti se Bella aveva fatto una figuraccia, io avevo fatto peggio. Ero stata così presa dal racconto dell’ultima parte, che mi ero messa comoda, con la mano che reggeva la testa, appoggiata sul gomito, a guardarli con un sorriso così ebete, che riuscii a calcolarne le portate solo con la reazione di Jasper. Per un lungo momento fui invidiosa della loro speciale relazione. Io scossi la testa e gli mostrai un sorriso più convincente. L’intervento di Alice mi salvò.

“Perché non l’hai mai detto che poteva trattarsi di questo?” Con la domanda di Alice, l’atmosfera cambiò totalmente. I ricordi vennero lasciati da parte e presero il loro posto gli eventi presenti. Solo adesso mi ero resa conto cosa comportava l’esistenza di un possibile esercito di vampiri a Seattle. E dopo il racconto fatto da Jasper, non riuscii a rimanere seria e a trattenere un brivido. Mi rifiutavo di immaginare un vampiro così forte e così incontrollabile vicino a un mio genitore.

“Ne sei davvero sicuro?” mormorò papà, appena udibile. L’idea di ritornare a massacrare neonati lo terrorizzava. Anche gli altri tornarono a volgere l’attenzione su Jasper. Lui annuì sommessamente.

“Non mi sembrava credibile. Non c’è nessun motivo. Qui al Nord non ci sono mai stati scontri tra clan, se fatta eccezione per qualche piccolo gruppo. Fatto sta che nessuno ha niente da rivendicare. Tuttavia non c’è altra spiegazione. A Seattle c’è un esercito di vampiri appena nati.” Persi la mia iniziale sicurezza quando capii che l’ipotesi di Jasper si era trasformata in una certezza.

“Non sono numerosi, meno di venti.” Ecco un altro brivido. Non voleva dire niente; noi eravamo in nove, sempre in inferiorità numerica.

“E non sono allenati; sono troppo indisciplinati. Chi li ha trasformati sembra non avere esperienza del campo. Se vanno avanti così la situazione peggiorerà di sicuro. E interverranno sicuramente in Volturi, come in precedenza. Anzi, mi sorprende che non siano già qui.”

Questa volta non mi innervosii, mi stizzii; quella sarà stata la terza volta che sentivo quella frase! Fino ad adesso si erano dette solo parole, ma non si era mai fatto niente. Anche se, a dire il vero, il fare continuava a preoccuparmi…

“Abigail ha ragione. Adesso basta con le parole, bisogna passare i fatti” proruppe Edward serio e un po’ teso anche lui.

“Cosa possiamo fare?” intervenne Carlisle, verso Jasper. Mi sembrava strano che ora tutta la situazione stava dipendendo da un unico vampiro.

“Non c’è altra soluzione che eliminarli direttamente. E subito.” La dura affermazione di Jasper mi spinse quasi a parlare. Insomma, un conto era conoscere i neonati da una storia, un altro averceli faccia a faccia. Vidi papà tremare di sfuggita.

“Vi dovrò insegnare come. Non sarà facile muoversi in città; dobbiamo evitare di farci vedere. E soprattutto dobbiamo evitare che loro si facciano vedere. Potremmo usare un’esca…” Ormai Jasper era partito in quarta, ma Edward lo fermò.

“Non credo che ci servirà” mormorò Edward cupo “L’unico motivo per il quale qualcuno può creare un esercito può essere solo noi.” Io non mi scandalizzai troppo; che ce l’avessero con noi o no, non cambiava molto, visto che comunque avemmo dovuto combattere contro di loro. Fui quindi sorpresa dalle reazioni spiazzate degli altri: Jasper chiuse gli occhi e scosse la testa, Carlisle li spalancò e mio padre cominciò a guardare confuso un punto indefinito della parete.

“C’è anche la famiglia di Tanya” cercò di far ragionare Edward Esme. Ah, giusto, adesso mi sembrava di ricordare. Durante il volo verso Volterra, se non sbagliavo, Alice ne aveva accennato.

“Ma sono più vicini a noi” rincarò Edward con più foga.

“No, non credo” intervene Alice “O almeno… forse non ancora”

“Hai visto forse qualcosa?” chiese Edward ansioso.

“Flash” rispose Alice “Sto avendo una specie di scorci che non riescono a darmi un’idea precisa. Qualcuno sta passando da una decisione all’altra senza darmi possibilità di capire”

“Indecisione?” chiese Jasper incredulo.

“Forse…”

“Lo fa apposta” ammonì Edward svelto “Qualcuno sa che fino a che non avrà preso una decisione, non potrai vedere. Si deve trattare di qualcuno che ti conosce bene” Io lo guardai incredula. Non credevo che Alice fosse il tipo di farsi nemici in giro per il mondo…

“Chi?” sussurrò Alice, leggermente atterrita dalla opzione di Edward.

“Aro” disse subito lui. Eddai! Ancora con i Volturi?!

"Ma se avesse deciso..." Alice fu subito interrotta da Rosalie.

"Forse è un favore. Qualcuno del Sud che ha avuto problemi con la legge, e che i Volturi hanno risparmiato, a patto che risolva questa faccenda. Ecco perché i Volturi ritardano ad intervenire." Non sapevo perché, ma le parole di Rosalie proprio non mi convincevano. Non accettavo l'idea che potessero essere loro.

"Non capisco perché i Volturi..." iniziò Carlisle.

"L'ho visto" lo interruppe Edward, usando una calma che non la diceva tutta "Aro è rimasto affascinato dai miei poteri, da quelli Alice e da quello di Sophie. Avrebbe presente e futuro sotto mano, l'onniscienza mentale, oltre a una potenza distruttiva invincibile. Quando l'ha pensato, credevo che non avrebbe abbandonato alla svelta l'idea di volerci al suo fianco, e di volere Abigail." Sentii di nuovo i brividi quando Edward mi ricordò questo particolare.

"Inoltre la nostra è la comunità più grande dopo la loro. La paura che vede nella nostra famiglia che si rafforza e che cresce insieme alla gelosia di quello che desidera devono averlo spinto ad agire." Ascoltai attentamente le sue parole. E forse, per la prima volta, presi in considerazione l'idea che erano i Volturi dietro a tutto questo. I moventi, come aveva appena detto Edward, c'erano. E se tutto questo fosse una trappola, un diversivo, una distrazione o chicchesia per distruggere la mia famiglia e per arrivare a me? Il pensiero, che si stava sempre più realizzando, cominciò a mettermi una paura del diavolo e a dimenticare tutta la filippica di papà.

"No, non infrangerebbero mai le regole. Va contro la loro mentalità" ribatté Carlisle. Papà non apriva bocca e seguiva interessato e contemporaneamente atterrito la conversazione. Può darsi forse che anche lui, dopo le rivelazioni di Edward, ci stesse ripensando? Non aveva difatti una bella espressione. Cominciai davvero a innervosirmi e a muovere freneticamente le gambe.

"Appunto perché noi crediamo che rispetteranno le regole, ci prenderanno in contropiede quando giocheranno sporco. Stanno facendo il doppiogioco. Per salvare l'apparenza, poi, interverranno, ma solo dopo che l'esercito a Seattle avrà realizzato il loro obiettivo." Edward fu fermato da Jasper, che scettico scosse la testa.

"No, sono d'accordo con Carlisle. I Volturi non infrangono le regole. Inoltre tutto questo è improvvisato. Ripeto che questo vampiro non ha una minima esperienza del campo. Credo che i Volturi, per ipotesi, se volessero creare un esercito di neonati senza dare nell'occhio, chiamerebbero un esperto, non un principiante."

"Tuttavia" intervenne mio padre, con la voce appesantita dalla stanchezza "Penso sia inutile cercare di indovinare chi ci sia dietro tutto questo, Volturi o non Volturi. Jasper vi deve insegnare a distruggerli.” Il tono duro e indifferente che usò papà quasi mi spaventò.

“Vorresti aiutarmi, William?” chiese di nuovo Jasper “Le tue tecniche potrebbero rivelarsi più valide delle mie.” Usava uno strano tono delicato intriso di rispetto. Mio padre ci pensò su per alcuni secondi, prima di scuotere impercettibilmente la testa.

“Mi dispiace, Jasper” emanò in un sussurro. Jasper non insistette ulteriormente. Papà allora si volse verso di me. Non l’avevo mai visto così cupo. Cercò di rispondere con un sorriso rassicurante al mio sguardo spaventato, invano.

Ora non eravamo solo io e Bella, ma adesso tutti i presenti avevano un'espressione atterrita. Ecco, ora si era fatta concreta l'evento di una battaglia. E di solito in battaglia, bene o male, anche se si vince, c’erano delle perdite. C'era poi troppa differenza numerica. Ok, la cosa mi stava distruggendo come non mai. Avevo così paura all'idea di questa battaglia che costrinsi Jasper ad intervenire per calmarmi.

Da tempo avevo digerito l'idea che con dei vampiri, dei casini nascevano. Ma non avevo mai pensato a battaglie o roba del genere. Era così sovrannaturale che neanche al cinema credevo ci fossero film su scontri tra vampiri; tra licantropi e vampiri sì, ma quello nella realtà era più che normale.

"Sarà meglio avere un po' di aiuto" constatò Jasper "Sarà disposta la famiglia di Tanya? Altri cinque vampiri sono un vantaggio importante, soprattutto con i poteri di Eleazar e Kate."

"Glielo chiederemo" lo assicurò Carlisle. Jasper gli lanciò il cellulare.

"Adesso" rafforzò Jasper, leggermente innervosito. La sua reazione doveva essere contagiosa, perché si tese anche Carlisle. Si avvicinò alle ampie finestre e compose il numero. Era inquietante vedere Carlisle, calmo e allegro fin da quando lo conoscevo, inquieto in quella maniera. Cominciò a parlare troppo sottovoce perché io o Bella potessimo capirlo. Quella conversazione aveva attirato l'attenzione di tutti.

"Ah, non sapevamo che Irina si fosse comportata così" esclamò Carlisle sorpreso, mentre Edward mugugnava maledizioni. Non riuscii a sentirlo.

"Laurent?" sussurrò Bella, più vicina a me. Chi era Laurent? Benissimo! Voleva forse aggiungersi  qualche altro nuovo vampiro? Stavano spuntando così tanti vampiri da ognidove che per un attimo mi domandai se al mondo ci fossero ancora esseri umani. Tuttavia sembravo essere io l'unica a pensarlo; gli altri non avevano distolto gli occhi da Carlisle, che ora parlava con un tono convincente e determinato.

"Neanche a pensarci. Persiste un patto tra noi" continuò Carlisle ad alta voce. Sussultai per la sorpresa che venne sostituita dalla confusione. Gli unici con i quali i Cullen avevano un patto erano i licantropi. Ma cosa aveva a che fare questa famiglia con i licantropi?

"Certo, ce la caveremo da soli" mormorò alla fine, reprimendo la delusione con l'indifferenza. Rimase ad osservare la nebbiolina mattutina oltre la finestra. Bene, quindi eravamo ancora in nove.

"Cosa c'è?" chiese Emmett a Edward.

"Tra Irina e Laurent il legame era più forte di quanto pensassimo. Ora lei c'è l'ha con i lupi per averlo ucciso. Vuole..." Si fermò per guardare Bella titubante. Non ci feci molto caso, persa nella mia confusione. Riuscii straordinariamente in breve a capire di chi stavamo parlando. Si trattava del vampiro che i licantropi avevano ucciso; mi fu impossibile non ricordarmi che in quella occasione mio padre stava per rimetterci le penne. E nient'altro che era il complice di Victoria. A quanto pare, aveva trascorso un po' di tempo presso questa famiglia prima di venire a cercare Bella.

"Va avanti" ordinò Bella, mascherandosi inutilmente con la calma. Edward continuò a guardarla incerto. Non sopportavo questo suo fare misterioso e tutti questi particolari che voleva tralasciarle. Ancora una volta dovetti dare ragione a Jacob, quando quella volta al parcheggio disse che era meglio una preoccupazione, che un segreto o una bugia. E oltre all'orgoglio ferito per avergli dato ragione, provai ancora più vergogna sapere che questo valeva anche per me.

"Vuole vendetta, annientare il branco. Vogliono scambiare il nostro permesso per il loro aiuto"

"No!" urlò categorica Bella.

La prima cosa che pensai io, invece, non fu la sterminazione dei licantropi; mi resi conto che non mi sarei mai stupita di quanti casi psicotici si trovavano in giro. Questa vampira non era affatto molto diversa da Vittoria. Pensando poi alla cronica paranoia di Edward e dei miei genitori e la gelosia assolutamente infondata di Rosalie, cominciavo a credere che con la trasformazione si rischiassero dei gravi mutamenti psicologici.

"Non temere, Carlisle non accetterebbe mai" la rassicurò velocemente Edward. "E nemmeno io." Notai che lo disse con una certa difficoltà "Laurent se l'è meritato. E mi sento ancora in debito con loro" concluse con un ringhio rabbioso.

“Ma non siamo ancora abbastanza" riprese il discorso Jasper "Siamo più abili di loro, ma siamo in minor numero. Vinceremo, ma a quale prezzo?" Guardò teso Alice. Per un attimo mi si bloccò il respiro. Una cosa era pensarlo, un’altra sentirlo dire. Guardai atterrita ciascuno dei vampiri presenti in quella stanza. Il tono di voce di Jasper non era affatto ambiguo; qualcuno di loro ci avrebbe lasciati. Sì, ma chi? Al pensiero delle due persone vicino a me mi venne una forte emicrania ed i brividi di freddo. Per l'agitazione mi era tornata a salire la febbre.

 

Quel pomeriggio non andai alle prove generali. Sinceramente, chi se ne frega di uno stupido saggio di stupidi bambini che amavo rispetto a quello che sarebbe dovuto succedere. Mi accorsi che quel giorno non avevo toccato cibo e questo sarebbe dovuto equivalere ad una morte imminente. Riuscii a camuffare la mia eccessiva ansia a entrambi i miei genitori e per evitare che notassero qualcosa di strano, rispondevo che era colpa della febbre che era tornata a salire. Solo Jasper sapeva com'erano in realtà le cose, e fu soprattutto grazie al suo potere, se ero riuscita a fingere. Cercò di farmi sentire meglio, guardandomi giù di tono; forse credeva di avere esagerato con le parole? No, anzi, si sbagliava; come disse il saggio Jacob Black, meglio una preoccupazione che un segreto. Ma al saggio stavo per rispondergli: meglio un segreto che una preoccupazione che ti impedisce di mangiare.

Stetti infilata tutto il giorno nel letto. Non chiusi occhio fino a notte inoltrata; di solito odiavo starmene nel letto a fare niente, ma ero troppo arrabbiata per dormire. Già, dopo la paura e un po' di tristezza del momento, era subentrata la rabbia. Ero fatta così, la rabbia era uno dei sentimenti che provavo di più, anche in situazioni dove l'ira poteva sembrare inappropriata. Avevo una voglia matta di prendere quella dannata testa rossa e sbatterla contro il muro finché non si sarebbe rotta. Poi sarei tanto andata a Seattle a fare un culo grande come una casa a tutti i neonati che incontravo, soprattutto quel deficiente che gli aveva creati. E già che c'ero incendiavo il castello di Volterra.

Erano tutte stupide fantasie, ma dopo un po' che continuavo a fare questi pensieri, riuscii a sbollirmi. Poi la paura mi agguantò lo stomaco di nuovo. Cercai di pensare positivo; oltre a Jasper, nessuno sembrava poi essersene preoccupato. Ma in fondo, non bastava il semplice fatto che un veterano come lui fosse in guardia, per convincermi a gettarmi nella disperazione?

E poi c’era papà; non mi ero dimenticata della sua reazione al racconto di Jasper. Aveva gli occhi terrorizzati ripensando a quello che lo aveva circondato, quando sotto gli ordini dei Volturi era andato in Messico. Sveglia più che mai, mi misi a sedere sul letto.

“Papà” sussurrai. Non mi sorpresi che dopo una decina di secondi stava socchiudendo la mia porta per entrare.

“Perché sei ancora sveglia, Abi?” mi chiese gentile. Dalla sua espressione intuii che sapeva anche la risposta.

“Ho bisogno di parlare con te” mormorai. Lui mi fu subito accanto. Si sistemò sul materasso vicino a me e mi rivolse tutta la sua attenzione.

“Riguarda quello che ha detto Jasper?” Io annuii lentamente. Sentii la sua mano accarezzarmi lentamente la guancia.

“Non preoccuparti per quello che ha detto” cercò di rassicurarmi lui.

“Non sembrava molto ottimista” mugugnai agitata “Sono preoccupata per te e la mamma.” Lui abbassò lo sguardo, osservando un punto indefinito nel pavimento.

“So cosa significa combattere contro vampiri neonati. Ne ho uccisi molti in Messico.” Il suo tono era terribilmente apatico, molto probabilmente perché voleva evitare di farsi coinvolgere dalle emozioni dei suoi ricordi.

“E’ stato grazie al mio dono, che mi diceva di fare la cosa giusta, se sono riuscito a sopravvivere. Era l’istinto che mi guidava ad ucciderli e a non morire.” Alzò lo sguardo verso di me.

“Per questo per me era davvero facile eliminarli. E vale anche per questi. Non mi succederà niente, fidati” disse leggermente meno indifferente. Lo guardai bene.

“Tu non vuoi combattere, vero?” Non era difficile capirlo.

“Nessuno lo vorrebbe” disse facendo scivolare la mano sulla mia “Ma non posso voltare le spalle a Carlisle, dopo quello che ha fatto per me. Spero che tu lo comprenda”

“E la mamma?” chiesi in un flebile sussurro.

“La terrò d’occhio, non ti preoccupare. Non ci succederà niente” mi calmò lui.

“Ma non puoi tenere d’occhio tutti i Cullen” evidenziai io avvilita.

“Abi, ascoltami” Le sue mani mi circondarono lentamente il viso e i suoi occhi dorati riuscirono a calmarmi almeno un minimo

“Non piangere quando il latte non è stato ancora versato. Non combatteremo da soli. Troveremo qualcuno che ci aiuti.” Con queste parole mi spinse supina e mi tirò su le coperte, come quando ero bambina.

“Ora dormi.” Mi diede un lungo bacio sulla fronte, prima di avvicinare le labbra al mio orecchio.

“Non hai idea di quanto ti voglio bene, Abigail” mi sussurrò, come se fosse un importante segreto.

“Anch’io, papà” risposi con lo stesso tono. Dopo quelle parole non riuscii a non sorridergli. Ci scambiammo un lungo sorriso, prima che lui uscì dalla stanza.

Mi raggomitolai su me stessa, ma lo stomaco era ancora in subbuglio. Papà era riuscito a tranquillizzarmi e a rendermi quasi felice all’idea che sia lui, che mamma sarebbero usciti illesi. Tuttavia non ero tanto preoccupata per loro, ma per i Cullen; bene o male mi ci ero affezionata a ognuno di loro e l’idea che molto probabilmente potessero morire faceva tornare l’ansia.

Solo dopo molti minuti riuscii a rilassarmi; quel pensiero mi continuava ad assillarmi, ma non mi preoccupava più terribilmente. Forse l'avevo digerito.

Un colpo al vetro mi fece girare verso la finestra; stranamente non mi mise sul chi vive. Mi stupii di vedere Jasper arrampicato sull'albero attaccato alla parete-finestra. Mi stava lanciando un mezzo sorriso. Ah, capito: era lui l'artefice del mio umore. Risposi al sorriso e gli sussurrai un 'grazie' soffocato. Lui mi fece l'occhiolino, prima di saltare giù. Non doveva essere molto lontano, perché il suo potere continuava a fare effetto. Grazie a lui, almeno mi riuscii ad addormentare senza problemi.

 

Aprii gli occhi di scatto. Il cuore mi era salito in gola. Ancora incerta in quale mondo mi trovavo, se in quello dei sogni o nella realtà, mi voltai per vedere che ora segnava la sveglia. Erano le cinque del mattino. Mi afflosciai di nuovo sul materasso. Più che un sogno avevo fatto un incubo. Per colpa sua non mi sarei addormentata. Come ciliegina sulla torta avevo sognato che Jasper uccideva due neonati che altri non erano che i miei genitori. A tratti assistevo la scena come un invisibile e terrorizzato spettatore esterno, a tratti come Maria, che impassibile dava l'ordine di ucciderli. Ecco, ci mancava questa. Fui terribilmente felice di sapere che era solo un sogno.

Non volli ancora uscire dal letto; almeno lì ero al calduccio. Inoltre mi sentivo ancora abbastanza sconquassata. Non potei non pensare di nuovo a quello che sarebbe successo. Sbuffai, stufa di quell'agonia. Feci allora un patto con me stessa e mi promisi di non pensarci più, anche se era davvero impossibile, almeno fino a quando Jasper non avesse insegnato l'arte del mestiere agli altri.

Mentre pensavo si erano fatte le sei. Prima di alzarmi guardai il sole di quel giorno di inizio estate farsi largo tra le montagne e illuminare di una luce dorata i sempreverdi, mentre tingeva il cielo di rosa pallido. Il rosa, il verde e il dorato creavano un grandissimo, quanto prestigioso contrasto. Ero fortunata ad ammirare uno spettacolo del genere da sotto le coperte al calduccio ed avere la stessa vista che si poteva avere da un'alta collina. Alla fine, presi un forte respiro e mi alzai.

 

Quel giorno non mi feci accompagnare come al solito da Edward ed Alice; quel giorno avrei inaugurato la macchina in modo ufficiale. Misi in moto e potei così ripensare a un po' di cose felici; come per esempio a chi me l'aveva costruita. Arrivai a scuola con un sorriso deficiente sulle labbra, mentre guardavo fiera i miei dadi sul parabrezza. Fu un po' come il primo giorno di scuola, ma solo che ora tutti erano meravigliati in modo positivo. La mia vecchia auto d'epoca rimessa in sesto aveva fatto scalpore tra il popolo maschile. Molti vi si avvicinarono e la guardarono bene in ogni suo punto e qualcuno osò anche toccarla. Giù le mani dalla mia bimba! Ero diventata subito gelosa di tutte quelle attenzioni, come una madre paranoica. Altri, invece, non si limitarono solo a guardarla ma mi vennero a parlare chiedendomi se l'auto era mia, dove l'avevo ricavata e via dicendo. Un tizio fissato con le Caddilac mi fece persino una sfilza di domande che io non riuscivo neanche a capire e che liquidai con un 'non mi intendo molto di auto'.

Ben presto però tutta quella curiosità svanì e potei entrare a scuola come una ragazza normale. Improvvisamente quel luogo, che mi era sembrato tanto anonimo fino ad allora, mi risollevò per la prima volta. Mi trovavo in un luogo normale, circondata da ragazzi e adulti normali, con problemi normali. Questo fu più che sufficiente per farmi sentire parte di quella normale realtà.

La mattina si concluse presto e a fine lezione mi sentii straordinariamente bene. Avevo dimenticato di avere dei genitori vampiri, di abitare in una casa di vampiri, di avere un migliore amico licantropo. Mi sentii euforica mentre blateravo con i miei compagni su quanto fosse noioso il professore di storia o quanti compiti ci avesse affidato quello di inglese.

Fu per questo che ci rimasi un po' male quando incontrai per la prima volta quel giorno Alice, Edward e Bella a mensa. Erano seduti al solito tavolo ed erano impegnati in una discussione che da quella distanza non riuscivo a sentire. Prima di sedermi feci la fila per il cibo.

"Ciao Abigail!" disse la squillante voce di Jessica. Per un attimo la paragonai allo squittio di un topo. Quel giorno mi esaltavo per ogni conversazione con ogni essere umano e non mi accorsi in un primo momento del suo esagerato sorriso.

"Allora, come stai?" continuò lei "E' da tanto che non parliamo insieme" Fu allora che mi accorsi della sua paralisi facciale persistente.

"Ehm, sì, sono un po' impegnata; ho il saggio, fino a poco fa la macchina, poi la scuola... non ho avuto molto tempo libero" cercai di giustificarmi io.

"Sì, sì" mormorò lei, per niente interessata a quello che dicevo. Mentre era distratta a guardare la ricca scelta che la mensa offriva, la guardai torva. Se non era interessata a una parola di quello che dicevo, era perché voleva qualcosa da me.

"Ho sentito che adesso abitate a casa Cullen" la buttò lei sul caso. Non capii dove voleva arrivare.

"Sì. Il dottor Cullen è amico di mio zio, e visto che hanno una casa molto grande e il posto dove abitavamo prima era piuttosto distante da Forks, ci hanno permesso di stare da loro" la buttai io, improvvisando sfacciatamente.

"Ah..." disse lei più interessata "Dev'essere... interessante poter abitare con i figli del signor Cullen." Dopodiché mi lanciò un'occhiata molto eloquente. Ah, capii che con 'figli' intendeva solo gli uomini. Bhé, non era strano che prima o poi qualcuna mi avrebbe chiesto com'é vivere con delle statue d'Adone come loro.

"Bhe..." tentennai prima di trovare una scusa "normale, penso" la buttai io, sulla difensiva per mancanza di idee. Slittammo con il vassoio più in là.

"Bhé, ho sempre pensato che al di fuori della scuola Edward fosse un tipo… interessante, o mi sbaglio?" Vidi quel sorriso a trentadue denti troppo vicino a me. Il mio primo pensiero era quello di dire di farsi gli affari propri, a quella grande pettegola. Poi mi venne invece un'idea più divertente.

"Bhè..." mormorai incerta, per non farmi sentire, calandomi nella parte. Guardai furtiva verso il tavolo; Alice mostrava la sua risata cristallina, mentre Edward si mise una mano sul mento per nascondere un sorriso. Questo mi incitò a continuare.

"Che rimanga tra noi" continuai. I suoi occhi si fecero più grandi.

"Certo, certo" mi assicurò lei.

"Diciamo che... si comporta in modo un po' strano qualche volta" mormorai misteriosa.

"Tipo?" Il suo tono si fece più basso e interessato.

"Passa interi pomeriggi a fare lunghi discorsi da solo. Credo che... abbia un amico immaginario" rivelai io. Dovetti fare uno sforzo immenso per non mettermi a ridere. Jessica mi guardava allibita. Non credevo che questa fosse l'immagine di macho che pensava.

"Oh... davvero?" domandò questa volta delusa.

"Ma non lo devi dire a nessuno. Soprattutto a Bella; non credo la prenderà bene" continuai con l'aria di chi la sapeva lunga.

"Sì, sì" disse lei, ancora incredula della balla appena raccontata.

Prendemmo i nostri vassoi e ci dirigemmo verso il tavolo; Alice e Edward non avevano cambiato posizioni e feci una fatica immensa per non ridire di fronte allo sguardo che Jessica gli lanciò.

Quel giorno mi sedetti vicino a Bella e Alice, distante dagli altri, cosicché fossi abbastanza nascosta per ridacchiare.

"Ah, non sapevo che io avessi un amico immaginario" mi disse Edward. Non era arrabbiato, anzi, sembrava davvero divertito. Bella, che credevo si fosse informata dai due Cullen su quello che era successo, sembrava essere più imbarazzata che divertita.

"Io qualche dubbio ce l'avevo" sussurrò Alice in mezzo alle risate. Edward le lanciò un calcio da sotto il tavolo che lei deviò prontamente.

"Allora, quali sono le cose da sistemare?" chiese Bella, ponendo fine a quel piccolo intervallo. Mi accorsi che era nervosa tanto quanto me ieri sera; non c'era dubbio che fosse tesa come una corda di violino. Quella sua tensione mi contagiò e divenni seria anch'io.

"Stiamo tentando di farci aiutare; la famiglia di Tanya non è l'unica" le rispose Edward a voce bassa. Insomma, non erano proprio i discorsi adatti in una mensa scolastica.

"Carlisle e William stanno cercando di entrare in contatto con vecchi amici, mentre Jasper è andato da Peter e Charlotte. Pensava anche a Maria, ma non è una buona idea coinvolgere quelli del Sud."

La notizia riuscii a rilassarmi un poco; più eravamo, meglio sarebbe stato.

"Perché dici che non è una buona idea?" proruppi io "Se hanno tanta esperienza, ci saranno utili"

"A patto che accettino" mi spiegò Edward paziente e cortese "Sono nel mirino dei Volturi da troppo tempo; è rischioso"

"D'altro canto" intervenne insicura Alice "non credo che qualcuno li rivoglia vedere qua. Non dovrebbe essere un problema convincerli"

"Se succedesse, verrebbero al Nord. A quelli del Sud non importerebbe" ribatté Edward.

"Ma non sono... vegetariani?" intervenne Bella fermando quella discussione a 'botta e risposta'.

"No" affermò deciso. Mmhh... la cosa non mi entusiasmava...

"Qui?" esclamò Bella basita.

"Sono dei nostri" la rassicurò Alice, e senza volerlo anche me "Poi Jasper ci insegnerà cosa fare..."

Non riuscii a capire cosa volesse dire quel sorriso che spuntò dagli angoli della bocca di Edward.

"Quando partite?" chiese Bella.

"Una settimana sarà più che sufficiente per organizzarci" rispose lui. Mi colpì la disinvoltura con cui lo disse; forse perché cercava di calmare Bella? Bhé, non funzionò per niente. Io deglutii con il gelo nelle vene; una settimana era troppo poco tempo.

"Siete bianche tutte e due" evidenziò Alice. Sentii la sua mano sulla mia spalla, mentre Edward pensava ad abbracciare Bella.

"Non accadrà niente. Fidati" le mormorò convincente e per nulla preoccupato.

"Certo, Edward ha ragione" rincarò Alice con la stessa sincerità.

"Dal discorso di ieri di Jasper, non mi sembra che andrà tutto bene" mugugnai. Alice perse credibilità e si rattristò anche lei.

"Avete bisogno di aiuto" proruppe convinta Bella. Edward e Alice la guardavano confusa.

"Posso aiutarvi io" disse decisa.

Per la prima volta, considerai l'idea della trasformazione prima del tempo un'ottima idea. Più eravamo, meglio era e meno rischi ognuno di noi correva. E... a questo proposito cominciai a pensare anch'io.

"Saresti solo d'intralcio" mormorò riluttante "E tu non pensarci neanche, chiaro?" avvertì me, puntandomi un dito.

"Abbiamo tutto il tempo" ribatté Bella.

"Bella ha ragione" riuscii a sussurrare io. Bella mi guardò confusa. Edward mi lanciò una lunga occhiataccia.

"Conosci bene i neonati, Abigail, sai che è più probabile che creino danni e siano d'impiccio" mi rimproverò severa Alice, sorpresa. Non si sarebbe aspettata una frase del genere da parte mia.

Le sue parole riuscirono a riportarmi alla realtà; giusto, avrei fatto solo danni. Già mi immaginavo io e Bella, giovani vampire, che cercavamo di ammazzarci a vicenda. Scossi la testa, cercando di dimenticarmi di quella stupida idea. Avrei dovuto pensare prima di parlare; era inutile, l'idea del futuro massacro mi angustiavano e non mi aveva lasciato ragionare.

 "Sì, scusa. Ho detto una cavolata" dissi quelle frasi quasi con tono di scusa. Mi alzai lentamente dal tavolo, accompagnate dalle occhiate ancora confuse di Alice e da quelle penetranti di Edward.

 

 

Non stavo affatto bene; l'idea di un'inevitabile battaglia, non importava dove, contro chi o quando, mi stava facendo impazzire. Le parole di Jasper, che ancora rimbombavano in testa, mi mandavano ancora più nel panico. Vinceremo, ma a quale prezzo?

Sapevo che c'era solamente un modo per calmarmi, o per essere più precisi, una persona: Jacob. Stare in sua compagnia mi avrebbe di certo rilassato e fatto pensare ad altro. E magari avrei anche potuto confessargli le mie angosce; ma, giusto, non avrei potuto, perché i Cullen non avevano intenzione di coinvolgere i licantropi in questa storia. Mi sarei sorpresa del contrario, con tutta la simpatia che circolava tra quelle due specie.

Inoltre quel mercoledì pomeriggio dovetti rimanere a Forks; la lezione di ieri era saltata, quindi avrei dovuto recuperare oggi. Non ebbe gli stessi effetti che mi avrebbe dato Jacob, ma riuscì a distrarmi abbastanza. Quando finii era buio, e puntualmente ero troppo stanca per andare a La Push.

A casa un po' l'atmosfera riuscì a rincuorarmi; nessuno aveva la faccia di uno che tra una settimana sarebbe morto. C'è chi se ne stava a guardare la tv, chi leggeva, chi cucinava per me. Chi in garage collaudava le ruote della Ducati. Mi venne una voglia immensa di andare in garage e chiedere a Jasper se ci potevo fare un giro piccolo piccolo, ma ero stanca anche per questo. La lezione di break dance mi toglieva ogni energia.

Dopo aver mangiato, mi lavai e mi misi subito a letto, un po' più tranquilla, se per merito di Jasper non lo sapevo, e mi resi conto con meraviglia che domani sarebbe stato l'ultimo giorno di scuola. Mi addormentai quindi pensando a quanto veloce fosse passato il tempo. E cosa il futuro che avevo scelto mi avrebbe riservato.

 

Il giorno dopo a scuola non vidi per tutto il giorno né Bella, né i Cullen. Non mi sorpresi, dovevano fare gli esami, mentre noi degli altri anni, come ogni giorno di fine scuola, facevamo festa. Stetti di nuovo bene in mezzo ai ragazzi della mia età, contenta di evadere per un attimo dalla mia realtà quotidiana fatta di licantropi e vampiri e di troppe tensioni per reggerle. Mi rilassava parlare di cose inutili, e anche spettegolare, attività verso cui ero priva di interesse, lo trovavo piacevole. Quel giorno forse mi rivelai più simpatica di quanto non avessi fatto durante tutto l'anno, trascorso sempre in compagnia di Bella e Cullen.
Finito quell'ultimo giorno di scuola e fatto i soliti saluti, tornai a casa, mentre stavo cominciando ad essere nervosa per il saggio. Proprio come ieri, morivo dalla voglia di vedere Jacob, ma non potevo, perché quella era l'ultima lezione di break. Arrivai circa mezz'ora prima, per preparare tutto. Essendo l'ultima lezione, pensavo che un piccolo rinfresco sarebbe stato carino. Arrivarono poi anche i bambini, tutti emozionati ed eccitati perché i loro genitori li avrebbero visti ballare per la prima volta. Dopo un quarto d'ora, tutti i bambini erano presenti e tutti i genitori, fratelli, zii, nonni e parenti vari erano seduti sugli spalti. Si trattava di una cosa molto informale; sostanzialmente, i parenti avrebbero assistito ad una lezione normale, che si sarebbe conclusa con un piccolo spettacolo di un due minuti, che per i bambini sarebbe stato un sacco di tempo.

Dopo una breve presentazione con i saluti iniziai. I bambini erano tutti agitati, molti tremavano e alcuni sbagliavano, ma a fine lezione tutti si erano messi a proprio agio e la presenza dei parenti non li spaventava più, anzi, dava loro la carica. Era principalmente questo il mio obiettivo, quando decisi di invitare i genitori per assistere anche alla lezione.

Feci di nuovo una piccola presentazione per lo spettacolo e diedi il via alla musica. Mentre ballavano guardavo quei bambini con un sorriso enorme. Qualcuno certo sbagliava, ma l'energia che emanavano e la felicità che provavano provando un pezzo fatto da me, mi commossero. Pensai che stavo diventando proprio come mamma o Esme. Finiti quei due minuti iniziarono gli applausi, ma senza dubbio quella che fece più baccano fui io. Iniziò poi il rinfresco, che durò poco più di mezz'ora.

Tutto fu poi abbastanza veloce; ci fu la foto di gruppo, i genitori venivano a parlarmi per sapere qualcosa su di me o sui bambini, a mano a mano che se ne andavano, ciascun bambino mi dava un bacio chiedendomi se ci sarei stata l'anno prossimo. Io gli rispondevo che speravo di sì.

Quando tutti se ne furono andati e quando misi a posto tutto, mi venne una certa malinconia sapere che sarebbe stata l'ultima volta per quell'anno che facevo il corso. A parte il cospicuo denaro che guadagnavo, ormai era diventato una mia abitudine, e come tutte le abitudini si fa fatica a dimenticarsene. Quando uscii, mi venne una voglia matta di stendere un cartone nel parcheggio della scuola e fare un po' di break, tanta era stata l'energia che mi avevano trasmesso.

Prima di salire in moto decisi cosa avrei potuto fare; a tornare a casa proprio non mi andava. Andare a La Push sarebbe poi stato troppo tardi; decisi quindi di andare a trovare Bella. Non le avevo ancora chiesto com'erano andati gli esami.

Salii in moto e mi diressi verso casa Swan. Vidi il pick-up rosso sul vialetto. Parcheggiai e suonai subito il campanello. Mi venne ad aprire Charlie.

"Ciao Abigail" mi salutò entusiasta "E' da tanto che non ci si vede. Tu come stai?"
"Ciao, Charlie" gli risposi "Io sto benissimo. Jacob è riuscito a finirmi la macchina"

"Sì, mi ha detto Billy" continuò lui con lo stesso tono. Sorvolai i convenevoli e andai subito al sodo.

"C’è Bella?"

"Bella non è in casa. E' a La Push con Jacob"

"Ah" risposi sorpresa. Uau, cosa mi sono persa? Bella è riuscita a convincere Edward ad andare da Jacob senza di me? Caspita, stavano facendo progressi.

"Va bene, tornerò un'altra volta" dissi sconsolata.

"Quando vuoi, Abigail. Sei la benvenuta" mi rispose Charlie cordiale. Salii di nuovo sulla moto e me ne andai a casa.

Ero rimasta un po' delusa che Bella non fosse in casa, avevo voglia di vederla. Però ero contenta che poteva vedere Jacob più spesso adesso. A patto che lui facesse il buono...

Svoltai la curva e a pochi metri vidi dallo specchietto retrovisore la Volkswagen rossa di Jacob entrare nella via di Bella. Erano appena tornati; stavo per tornare indietro, ma cambiai idea. Adesso che stavo andando a casa, non mi andava di tornare indietro. Mi sorpresi del fatto che a riaccompagnarla a casa fosse Jacob; di solito Edward l'aspettava al confine. Possibile che fosse arrivato a permettere così tanto? Se così fosse, Edward stava facendo passi da gigante nella sua battaglia contro la sua paranoia.

Parlando del diavolo, sulla corsia di sinistra vidi sfrecciare la Volvo argentata di Edward. Superava di molto il limite di velocità. Ok, mi rimangiavo tutto quello che avevo appena pensato. Certo, lui guidava veloce di suo, ma non così tanto. La cosa cominciava a puzzarmi. Spinta dal mia indole di ficcanaso, feci una curva a U nella strada deserta e tornai indietro. Avevo visto troppe cose strane che di per sé sembravano sciocchezze, ma insieme mi facevano insospettire. Non svoltai nella via di Bella, ma un po' più in là, nei boschi. Ero curiosa di sapere quale sarebbe stata la conversazione tra Jacob ed Edward, ma se mi sarei fatta vedere in quel momento, era evidente che non sarebbe stata una coincidenza e sì che avrei fatto la figura dell’impicciona. Era inutile fare le cose di nascosto; Edward mi avrebbe notato comunque, ma non Jacob, non in forma umana, almeno.

Per fortuna che ero in moto da cross; grazie a lei riuscii a percorre il tratto di bosco con facilità. Mi fermai a qualche metro di distanza e poi prosegui a piedi. Mi ci vollero cinque minuti per arrivare. Mi misi dietro a un cespuglio e stetti a guardare. Come avevo immaginato, da quella posizione avevo un'ottima visuale della scena; Bella, Edward, Jacob erano in giardino, Charlie sulla porta di casa. Non riuscii subito a capire cosa fosse successo, ma c'era tensione nell'aria.

"Non voglio litigi, ok?" disse Charlie in tono autoritario, osservando Edward "Mi posso mettere il distintivo, se vi serve un divieto ufficiale"

"Non è necessario" rispose Edward freddo ed impassibile.

"Dovresti arrestare me, papà" esclamò Bella. Era fuori di sé, non credo l'avessi mai vista così. "Sono io che tiro cazzotti." Riuscii a capirci qualcosa in più. Bella aveva picchiato qualcuno; infatti non mi ero accorta prima che sulla sua mano c'era del ghiaccio.

"Vuoi sporgere denuncia, Jake" disse Charlie a Jacob, l'unico che sembrava starsene tranquillo e beato.

"No, ma un giorno o l'altro lo farò" Sorrise per l'idea.

Ah, però; Bella aveva dato un pugno a Jacob. Cominciai ad innervosirmi; Bella sapeva che ai licantropi non avrebbe fatto niente e, a differenza di me, non era un tipo violento. Jacob doveva averne combinata una davvero grossa per spingere Bella a picchiarlo e per farla infuriare in quel modo.

"Papà, posso prendere per un attimo la mazza da baseball?" esclamò Bella di nuovo. Intanto Edward guardava Jacob con una smorfia; era la stessa espressione che aveva riservato a Jacob il giorno che era venuto a scuola, voleva essere calmo, ma in realtà se avesse potuto, lo avrebbe scannato. Di certo non poteva essere felice per la mano di Bella.

"Bella, stai esagerando" l'ammonì Charlie. Bhè, aveva decisamente ragione. Intanto io seguivo la scena silenziosa e curiosa fino all'estremo, per capire cosa fosse successo.

"E' meglio che Carlisle dia un'occhiata alla tua mano, prima che tu finisca al fresco" disse Edward, cercando di farla allontanare da Jacob. Si diressero verso la Volvo argentata. Bella borbottò qualcosa furiosa che non riuscii a capire. Invece capii benissimo l'occhiata che mi rivolse Edward.

"Un minuto, Charlie. Torno subito" disse Jacob, mentre chiudeva la porta davanti alla faccia di Charlie, sorpreso. Edward intanto, indifferente, aprì la porta del passeggero a Bella e si voltò verso Jacob, il quale rimaneva disinvolto, a braccia conserte. Il suo volto tuttavia non era per niente disinvolto. Intanto anche Charlie si era messo a sbirciare, come stavo facendo io, lui però dalla finestra del soggiorno.

"Non ti uccido ora, solo perché c'è Bella" lo avvertì Edward, sempre con la sua dannata cortesia. Io non stavo più nella pelle; Bella cosa aveva fatto per rompersi la mano? Non dev'essere stato un semplice incidente, Bella non sarebbe così furiosa. Jacob doveva aver fatto qualcosa apposta.

"Uffa" si lamentò lei.

"Se fossi lucida te ne pentiresti" le disse Edward con un sorriso. Quando si voltò di nuovo verso Jacob, quel sorriso era scomparso.

"Se la riporti a casa di nuovo ferita, non m'importa cosa le possa essere successo, ma se succede ancora, ti spezzo le gambe. Hai capito, randagio?" L'ultima frase la disse scandendo per bene le parole, come se si stesse rivolgendo a qualcuno con problemi di comprendonio. Jacob, in risposta, non si arrabbiò, anzi, con la sua aria strafottente alzò gli occhi al cielo e se la rise.

"E chi tornerà?" mugugnò Bella dall'auto.

"Se ti azzardi ancora a baciarla, ti spacco la faccia al posto suo" promise Edward, ancora con lo stesso tono di voce.

Io trattenni il respiro per un attimo. Ah, Jacob l'aveva baciata. E lei aveva risposto.

Non sapevo come, ma mi sentii stranamente e terribilmente impassibile. Avrei dovuto provare qualcosa, qualsiasi emozione, ma niente, non riuscivo a sentire niente. Rimasi immobile, ancora trattenendo il respiro, in ascolto.

"E se sarà lei a baciarmi?" disse Jacob sfacciato.

"Ti prego!" esclamò Bella del tutto contrariata. Edward non batté ciglio.

"Se così fosse, non avrò nulla in contrario. Però sarà meglio per te aspettare che te lo dica, non interpretare a tuo piacimento i gesti del suo corpo." Jacob in risposta continuò a sorridere.

"Se hai finito di rovistarmi nella testa, forse è ora che vi occupate della sua mano" rispose Jacob, ora seccato. La sua risposta però non fece altro che istigarlo a continuare.

"Prima o poi devi decidere, Jacob" La sua voce ora si era fatta tagliente. "E lei lo verrà a sapere lo stesso" Gli occhi di Jacob si animarono di rabbia. Ora aveva smesso di sorridere.

"Cosa stai dicendo, Edward?" gli chiese confusa Bella. Lui non rispose; continuò a guardarlo sprezzante.

"E' inutile che menti a te stesso" continuò lui "Ammettilo che hai fatto una sciocchezza."

In un impeto di rabbia Jacob fece un passo avanti furioso. Aveva cominciato a tremare e non poteva fare a meno di mostrare le gengive furioso. Anche Edward si era messo sul chi vive e aveva sfoderato uno sguardo da vampiro.

"Non... provare... a immischiarti... di nuovo..." mormorò Jacob, talmente tanto furioso che non riusciva a parlare.

Fu questa volta Edward ad arretrare, pur mantenendo lo stesso sguardo. Bella osservava la scena attonita. Edward si diresse verso il posto del guidatore. Jacob, immobile, non accennava a calmarsi. La Volvo argentata partì spedita verso casa Cullen. Jacob si rilassò un poco. Ed anch'io finalmente riuscii a respirare. Avevo trattenuto il respiro tutto il tempo ed ora dovevo essere bordeaux.

Cominciai a guardare un punto indefinito nel buio del bosco. Jacob aveva baciato Bella, alla fine. Bhé, era quasi da quando lo conoscevo che lo desiderava ed adesso che ci provava, Bella, giustamente, gli aveva tirato un cazzotto. Insomma, cosa si aspettava? Che avrebbe ricambiato appassionatamente? Avrei potuto essere fiera di lei, se la notizia non mi avesse riguardato direttamente.

Quindi, questa era la scelta di Jacob. Aveva scelto Bella; per un momento pensai che tutto quello che avevo fatto la sera del falò fosse stato inutile, che ero stata un perfetta cretina. Anzi, aveva fatto l'effetto opposto, se lui adesso andava a baciarla. Però una sera non poteva bastare per fargli capire quale fosse la scelta; era troppo poco tempo per fargli capire che ero interessata a lui. E poi, aveva sempre voluto baciarla...

Se così fosse, allora, cosa avrei dovuto fare? Non farmi più vedere? Dirgli che la nostra amicizia era finita? Che mi serviva tempo per pensare? Avrei dovuto continuare il mio 'corteggiamento'? Avrei dovuto rimanergli solo amica? E di quello che aveva detto Edward, io non ci avevo capito assolutamente niente.

Speravo che le mie emozioni mi avrebbero detto cosa fare. Purtroppo, non sentivo assolutamente niente. Non provavo né rabbia, né tristezza, né dolore, né gioia, né paura, né vergogna, niente, assolutamente niente. Quando mi aveva chiamata 'stupida figliastra di sanguisuga', c'ero rimasta subito di merda, quando mi aveva definita una 'nullità', c'ero rimasta subito di merda. Adesso non provavo neppure quello. Non sapevo né cosa pensare, né cosa provare. Ero rimasta assolutamente impassibile, come se Bella e Jacob non fossero i miei migliori amici, come se non mi importasse niente di loro.

Intanto Jacob era ancora lì, appoggiato alla sua Volkswagen rossa, le mani contro gli occhi. Distolsi lo sguardo e pensai che lì in mezzo ai boschi non potevo stare. O forse sì, perché no? Facendomi guidare allora dal buon senso, decisi che a quel punto dovevo andare a casa. Tornai indietro a piedi e accesi la moto, ripercorrendo la strada inversa. Mi diressi verso la 101. Non ero ancora uscita da quello stato di indifferenza e totale impassibilità. Non sapere cosa pensare era peggio di sentire tutte le emozioni possibili contemporaneamente.

Fu così che, quasi automaticamente, svoltai nella via di Bella. Impulsivamente, avevo deciso di parlare a Jacob; almeno oltre a capirci qualcosa in più avrei anche provato qualcosa. Ero curiosa di sapere come mi avrebbe esposto i fatti appena accaduti. Era un'idea campata per aria, ma non ragionavo più solo con la testa.

Quando arrivai era ancora lì. Mi lanciò un'occhiata penetrante quando mi vide. Scesi e mi tolsi il casco. Decisi che mi sarei comportata come se non avessi visto nulla. Per tanto, decisi anche di comportarmi come sempre, cercando di dare nulla a vedere.

"Ehi, ciao Jacob" esclamai. Ero stranamente tranquilla e riuscii a mimare bene il senso di sorpresa.

"Ciao Abi" mi rispose lui, cercando di sfoderarmi un sorriso, invano. Anche se non avessi assistito alla scena, si capiva che c'era qualcosa che non andava in lui. Mi domandai ancora una volta il senso delle parole di Edward per averlo ridotto in quello stato, da sorridente e strafottente qual'era. Non gli chiesi subito il perché di quel muso lungo.

"Sei venuto anche tu a trovare Bella?" chiesi facendo finta di nulla.
"No, l'ho riaccompagnata da La Push" mi rispose, assente. Era stato sincero. Ma quel tono di voce fiacco era troppo evidente perché io non gli chiedessi il motivo.

"Sembri affaticato" gli feci notare.

"Sam ci obbliga a fare turno doppio, a causa di Victoria" brontolò lui.

"Mmh..." feci io incerta. Mi aveva appena detto una bugia. O una mezza verità, per essere più precisi; poteva essere anche vero. Io lo stuzzicai.

"Senti, mentre venivo qua ho visto la macchina di Edward. Dentro c'era anche lei" dissi rimanendo sul vago "Adesso ti vedo qua. E' successo qualcosa tra te e lui?" chiesi, con l'aria di una che la sapeva lunga. Era strano come anche davanti a lui, anche se gli stavo parlando, rimanevo così tanto impassibile. La mia natura mi avrebbe consigliato di esplodere in una vera e propria litigata, come avevo sempre fatto, ma per la prima volta, mi suggeriva di comportarmi in modo subdolo con lui.

"Bella si è fatta male alla mano e il vampiro se l'è presa con me" mugugnò lui. Ora era tornato sincero; il suo tono di voce però era cambiato, non ostentava più la sua solita sicurezza e, anzi, fissava un punto indefinito alla sua sinistra appunto per evitare di guardarmi.

"Ah, ci è mancato poco allora che ti spezzasse le ossa" esclamai io, facendo persino dell'ironia.

"Così lui ha detto" rispose ancora svogliato.

"Perché si è fatta male?" chiesi allora io, i miei occhi puntati su di lui. Senza volerlo non riuscii a trattenere l'accidia.

"Niente, una sciocchezza" mugugnò lui, scuotendo la testa. Questa la raccontò così bene che se non avessi saputo niente ci avrei creduto. Perché allora non me lo voleva dire?

"Ah" esclamai io, stando al gioco "Bene, visto che so che Bella è dai Cullen, penso che dopo andrò da loro. Così posso parlare dell'accaduto anche con lei" lo minacciai, stando attenta al tono di voce.

Per un attimo calò il silenzio. Jacob ora aveva alzato lo sguardo e mi guardava attento negli occhi. Aveva per un momento ritrovato la sua sicurezza.

"Io... l'ho baciata. E lei mi ha tirato un pugno." Non riuscì però a non essere titubante. Alla fine me lo aveva detto. Anche sentirselo dire in faccia non aveva cambiato niente; perché diamine continuavo a rimanere impassibile?

"Ah!" esclamai io, sorpresa "Era una vita che aspettavi di farlo. Spero tu sia contento ora" gli dissi con il tono da 'te lo avevo detto'.

"Per niente" mugugnò lui, scontento.

"Ah, giusto, se ti ha tirato un pugno non credo che abbia ricambiato molto..." feci sarcastica io, cercando di fargli capire che gli stava solo che bene.

"Non per quello"

"Per cosa allora?" chiesi strafottente. Lui alzò gli occhi al cielo, mordendosi le labbra e stringendosi i jeans alle ginocchia. Ancora un po’ che le avrebbe morse, le avrebbe lacerate. Jacob si stava comportando in modo molto strano; sembrava nervoso, molto, ma non l'avevo mai visto così, quindi non potevo essere certa che quello fosse davvero nervosismo. Si alzò dalla Volkswagen, mi superò e iniziò a camminare avanti e indietro. Io intanto lo guardavo confusa. Poi si girò. 

"Tu non avresti dovuto saperlo" mi urlò, non arrabbiato. Non c'era la minima traccia di rabbia in quell'urlo. Solo tanta indecisione e confusione.

"Perché, scusa?" gli chiesi stordita per la sua reazione. Poi riuscii a recuperare un po' si strafottenza. "Perché non vuoi che ti venga a dire 'Jacob, io te lo avevo detto'?" continuai sarcastica.

"Esatto, non voglio che tu me lo stia a dire" concordò lui, arrabbiato. Non riuscì a darmela a bere; se fosse davvero così, allora non avrebbe sventato quel sorriso strafottente per tutto il tempo. Fino a quando Edward non gli aveva detto quelle parole, lui aveva continuato a rimanere presuntuoso.

"Perché allora non ti ha soddisfatto?" tentai di nuovo, infervorandomi perché non mi stava dando risposte. Mi superò di nuovo, aprì la portiera della macchina, ci entrò e la richiuse con rabbia. Tornò a guardarmi; ora tutta la confusione di prima si era dissolta e mi guardava arrabbiato.

"Hai ragione tu. Abbiamo bisogno di una pausa di riflessione"

"Cosa vorrebbe dire 'pausa di riflessione'?!" gli chiesi io, non riuscendo davvero a capire il senso delle sue parole.

"Cosa voleva dire quando me lo hai detto tu?" continuò lui deciso, colpendo il mio punto debole di quella conversazione. Cambiai immediatamente il soggetto della discussione su di lui.

"Jacob, si può sapere cosa ti succede?!" Questa volta non feci nessuna fatica a usare un tono confuso, perché lo ero realmente. Mi tornò a guardare di nuovo, molto più rabbioso.

"Adesso sai come ci si sente, quando il tuo migliore amico ti fa impazzire" disse acido. Non mi offesi né per il tono, né per le parole, tanto confusa ero. Lui accese il motore.

"Jacob!" Non potevo credere che se ne andasse senza avermi detto niente di sensato! Mi tornò a guardare; di nuovo quello sguardo indeciso.
"Per favore, non venire a casa mia" disse fermo e serio. Mise la retromarcia, poi la prima e se ne andò. Dovetti arretrare di qualche metro per non essere investita. Mi misi sulla strada, continuando a guardare la macchina rossa che si confondeva con il buio della notte.

"BLACK!!!" gridai per un'ultima volta, con la vana speranza che mi sentisse e si fermasse e magari che tornasse anche indietro. Ovviamente non avvenne niente di tutto quello.

Rimasi quindi lì, in mezzo alla strada, per un bel po', cercando di capire cosa significasse tutto questo. Non riuscii proprio ad arrivarne a capo. Bhè, almeno adesso qualcosa provavo: una specie di confusione tale che mi mandava in ansia e mi causava un mal di testa lupo.

 

Rimasi in mezzo alla strada per un bel po’, a pensare, pensare, e ancora pensare. Tanto farlo in camera mia o lì, al buio, non faceva alcuna differenza. Cercai di fare un po’ di mente locale tra quello che pensavo e quello che provavo. Jacob aveva baciato Bella, lei gli aveva tirato un pugno ed Edward si era giustamente incavolato come una iena. Bhé, fin lì ci arrivavo. Riflettendoci, quando avrei incontrato Bella avrei dovuto farle i miei più grandi complimenti per quel cazzotto.

Poi veniva la parte più difficile. Ancora non capivo perché ero rimasta così indifferente davanti alla notizia del bacio. Non ero neppure gelosa. Insomma, quando mi aveva usata per far ingelosire Bella, avevo fatto una scenata di gelosia seguita da una litigata, quando mi aveva definita una nullità a confronto di Bella, non volevo più essere sua amica. Adesso che lui l’aveva baciata avrei come minimo voluto ucciderlo. Invece no, ero andata da lui e gli avevo parlato in modo piuttosto civile. Perché? Probabilmente era stato lo shock del momento, oppure perché non avrei mai creduto che potesse arrivare fino a quel punto e ancora non ci credevo che l’avesse fatto.
E non era finita qui. Come minimo, sia per il mio, sia per il suo carattere, non mi sarei stupita se questa conversazione che avevo iniziato in modo così civile si fosse trasformata in una della nostre litigate di urli e grida. Invece no, sia per la mia strana reazione alla cosa, sia per il suo comportamento fin troppo strano; fino a un attimo prima sfoderava uno strafottente sorriso d’orgoglio per aver baciato Bella, che non mascherava di nascondere davanti ad Edward per farlo ulteriormente arrabbiare. Poi Edward gli leggeva nel pensiero e con quelle strane parole che solo Jacob poteva intendere, era cambiato completamente. Dapprima era furioso, poi quando ero andata a parlare con lui sembrava soprappensiero, quasi non mi stesse ascoltando, forse tremendamente indeciso e confuso. L’indecisione non era decisamente una delle qualità di Jacob; anche nelle azioni più impossibili, insensate e masochiste lui era testardo.

Alla fine capii il perché non mi sentivo nepurre arrabbiata con lui per quel bacio, ed era stata la sua reazione, che mi aveva completamente spiazzata e che aveva avuto effetti stravolgenti sulla mia sfera emotiva. Anzi, stavo cominciando a provare una certa compassione per lui, e mi sentivo preoccupata. Mentre parlava avevo notato una certa nota sofferente nel suo sguardo. C’era qualcosa che non andava, era evidente.

E poi aveva cominciato a non dirmi cos’avesse e a non venire più da lui per un bel po’. Questo allora voleva dire che molto il suo problema ero io. Ma ora, cosa diamine avevo fatto per farlo comportare così? E se così fosse, perché non me lo diceva in faccia?!

In un modo o nell'altro, la questione del bacio la posi in secondo piano, preceduta dal problema che Jacob aveva con me. Ma come poteva essere così, se l'ultima volta che ci eravamo visti non eravamo mai stati così amici?!

Ne uscii molto turbata da quell’incontro; invece di fumare dalla gelosia e dalla rabbia, mi sentivo confusa e preoccupata.

Sorrisi pensando alle parole di Jacob sulla spiaggia, che noi eravamo uguali; dopotutto lui mi aveva appena detto le stesse cose che gli avevo detto io davanti alla palestra della scuola. E chissà se lui me ne avrebbe rivelato il motivo, o se assomigliava a me anche in questo. Cercai di pensare anche a cosa gli fosse potuto succedere per spiegare la sua reazione, forse qualcosa con il branco riguardo a me, o forse anche no.

Bhé, era impossibile ricercare le cause di un comportamento già di per sé inspiegabile. Cercai allora di dare qualche spiegazione alle parole che aveva detto. ‘Non avresti dovuto saperlo’. Non riuscivo proprio a capire perché non voleva che io non sapessi che aveva baciato Bella; per lo stesso Jacob a cui tanto tempo fa avevo detto che non aveva nessuna possibilità con Bella, quel giorno in cui si era buttata dallo scoglio, io sarei stata sicuramente la prima persona che glielo sarebbe andato a dire correndo. Ma anche questo valeva la stessa spiegazione del discorso precedente.

Con calma andai a riprendere la moto e me ne andai a casa. Non mi accorsi quanto tempo ero rimasta lì a pensare, ma durante il viaggio vidi sfrecciare sull’altra corsia la Volvo di Edward verso casa Swan.

Durante il viaggio decisi cosa fare per superare questa situazione: avrei seguito il consiglio di Jacob, e avrei aspettato che fosse lui a cercare me. Se gli avessi disubbidito avrei fatto solo che peggio; se il suo problema ero io, allora era meglio se non mi intromettevo. E poi non mi aveva urlato in faccia che non potevamo essere più amici, come avevo fatto io. Inoltre se volevo capire qualcosa del suo comportamento, non potevo far nient'altro che chiedere a lui. Per quanto riguardava il bacio invece, bhé, ero ancora confusa; mi domandavo ancora se così facendo aveva espresso la sua scelta oppure no. Dopotutto, avevo fatto troppo poco durante il falò, e non me la sentivo di disperarmi pensando che lui avesse scelto Bella. Quindi mi promisi che se si fossero manifestati sintomi di gelosia o rabbia di reprimerli fino a quando non avrei incontrato di nuovo Jacob e mi sarei chiarita le idee.

A dire il vero, questo mi faceva sentire un po’ irritata; voleva dire aspettarlo fino a quando non sarebbe stato pronto per dirmelo, sopportando intanto questo dubbio.

In quel momento, tuttavia, c’erano due cose che mi permisero di accettare volentieri questo compromesso; il fatto che io non mi ero comportata in maniera migliore, dicendogli che non potevo essere più sua amica e non chiarendogli il perché, e l’inevitabilità di una battaglia, davanti alla quale i miei problemi amorosi con Jacob erano una sciocchezza.

Era una situazione esasperatamente stressante; avevo tanto sperato di trovare in Jacob un amico che mi avrebbe potuto risollevare e alla fine veniva fuori che lui aveva un problema con me di cui non mi voleva parlare.

Se quindi non volevo scoppiare, dovevo per un attimo lasciar stare lui, la mia infatuazione per lui e il bacio, e cogliere il suo invito a non andare più da lui. Faticai ad accettare l'idea che il mio principale sostegno fosse crollato; non c'era dubbio che senza Jacob sarebbe stato tutto più duro da sopportare. Avrei tanto voluto cercare un modo per aiutarlo, ma era impossibile, quando anch'io avevo bisogno di aiuto.  

Quando arrivai nel garage di casa Cullen, in una più totale caoticità mentale, fui presa da una specie di soddisfazione per me stessa per aver trovato nella più grande confusione delle soluzioni che mi stavano bene, anche se ora il rapporto tra me e Jacob era rimasto ancora nella confusione. Feci un respiro profondo che funzionò. Hakuna Matata, mi dissi.

“Hai perso già in partenza, Emmett, vincerò io”

“Non è ancora detto niente. E’ ancora umana!”

La conversazione tra Jasper ed Emmett mi distrasse dai miei fitti pensieri. Stavano cambiando le ruote della Ducati per metterne di più spesse. Quella meraviglia aveva ancora la carrozzeria lucida, come se non fosse mai usata, ma le ruote erano diventate finissime. Sospirai malinconica, pensando che io avrei trattato quella bellezza con molto più amore.

“Di cosa state parlando?” La mia voce distrasse anche loro.

“Abbiamo fatto una scommessa” mi comunicò Emmett con un sorriso malizioso “Quanti Bella ne farà fuori  dopo essersi trasformata” mi disse franco e schietto. Io lanciai loro uno sguardo di disgusto.

“Avete un’ironia molto macabra” risposi incredula.

“E’ una tua impressione” rispose Jasper con un sorriso un po’… inquietante, ecco. A quanto pareva a loro piacevano le scommesse. Ebbene, anche a me.

“Voglio scommettere anch’io” dissi decisa. Emmett alzò le sopracciglia meravigliato.

“Scommetto che il primo umano che Bella incontrerà, lo risparmierà senza essere aiutata da nessuno” proruppi decisa. Sembrava una grandissima sciocchezza, non c’era dubbio. Tuttavia, non sapevo perché, ma avevo sempre immaginato Bella una vampira molto controllata rispetto agli altri, perché conosceva a differenza degli altri tutte le conseguenze che avrebbe comportato la trasformazione.

Dapprima entrambi mi guardarono increduli, poi scoppiarono a ridere senza ritegno.

“Ti rendi conto di quello che hai appena detto?” mi chiese Jasper, tra una risata e l’altra.

“Sì” dissi decisa.

“Bello scherzo!” proruppe Emmett.

“Emmett, non sta scherzando” disse Jasper, smettendo di ridere, ma non riuscendo a togliersi un sorriso divertito dalla faccia. Io rimasi impassibile, con un sorriso orgoglioso sulle labbra. Diciamo, era una grande cazzata, ma ero convinta. Mi era venuta in mente una grande idea per la quale sarei disposta a rischiare.

“E cosa vorresti scommettere, sentiamo?” chiese Emmett. Mi rivolsi a Jasper; era con lui che volevo scommettere.

“La mia moto per la tua” dissi decisa. Sentii Emmett fischiare.

“La ragazza punta in alto!” In realtà Emmett si sbagliava; ormai la moto aveva fatto il suo tempo e tra un po’ l’avrei buttata. Con questa scommessa quindi speravo di poterne acquistare una nuova senza chiedere in giro, appendere volantini o farmi aiutare da Jacob. Jasper intanto tornò a ridere.

“Per me va bene” disse dopo aver smesso “Non riesco però a capire perché te ne vuoi sbarazzare in questo modo.”

“Non farti troppe domande e accetta” ordinai sicura di me. Lui fece spallucce, ancora con un sorriso incredulo stampato in faccia.

“Come vuoi tu”

“Bene” dissi dando loro le spalle allontanandomi. Sentii le loro risatine fino a quando non uscii dal garage. Speravo tanto di aver avuto ragione.

 

 

 

 

Salve a tutti! Inizio subito con lo scusarmi di questo mio ritardo; da luglio fino a questa parte ho iniziato a pubblicare settimanalmente, ma questa volta ho ritardato di un bel po'. Vi chiedo quindi di essere pazienti e di leggere a poco a poco i capitoli, soprattutto adesso che inizia la scuola e che, vi avverto già da adesso, pubblicherò al massimo ogni due settimane, probabilmente anche di più.

Parlando ora della storia, vi è piaciuto l'inizio? Molti di voi hanno notato lo sguardo che Jacob dà ad Abigail e ho voluto usare il sogno un po' per farvi capire cosa volesse dire. Chiaro, no? XD Ho voluto fare un piccolo regalino, sperando di salvarmi la vita da coloro che mi vorrebero sicuramente uccidere dopo aver letto la fine. Mi dispiace! Tra Jacob ed Abigail è un esasperante tira e molla che sembra non avere una fine bella o brutta, almeno per adesso. Perdonate quindi oltra ai miei ritardi, anche il mio sadismo :) e spero che vi consolerete sapere che questo tira e molla una fine ce l'avrà.

Per il resto non ho altro da dirvi. Vi ringrazio ancora ed ancora tantissimo per leggere questa mia storia ed apprezzare la mia fantasia!

Vi mando a tutti un enorme bacio!

 

X MoonLight_95: Bhè, sei tu che l'hai intesa in questo modo XD. Non è che il lupo ha avuto l'impriting ma non lo vuole ammettere? Lo sparo. Per quanto riguardo l'imprinting, non posso dire niente, ma per quanto riguarda gli spari, ho come la sensazione che tu me ne voglia dare parecchio, dopo questo capitolo XD. Battute a parte, grazie ancora tantissime per aver commentato e per commentare! Un bacio grande anche a te! PS: è da tanto che non pubblichi, come mai?

X Kianna: Non penso che dopo questo capitolo tu abbia ancora un sorriso stampato, o mi sbaglio (sono crudele!)? Comunque hai ragione, qua Jacob cova, cova, cova qualcosa alla grande! Per scoprirlo però, bisognerà aspettare ancora un po', purtroppo. Intanto ti ringrazio ancora moltissimo per il commento! Ci vediamo allora al prossimo capitolo! Baci!

X nes_sie: Mmh... cosa sarebbe queste conclusioni affrettate? Sono curiosa di conoscerle! Comunque, credo che tu sarai felice di sapere che incontraremo questa Abi di nuovo, forse non molto presto, ma ci sarà ancora (ovviamente, con Bella fuori dai piedi!). Grazie millissime per il commento! Tanti bacioni!

 

X Franny97: No, no! Per niente! Il mio non era una constatazione negativa, bensì positiva! Non fraintendermi! Per quanto riguardo il capitolo, bhè, credo che a questo punto userai quel lunghissimo nuovo vocabolo che hai appena creato per descrivere la cruenza della morte di cui mi avrai appena minacciato, o no? XD Insomma, tu mi dici che vuoi più momenti romantici e adesso ecco una nuova separazione. No, no, tu adesso mi uccidi, lo sento. Bhè, dai, almeno in una cosa ti ho accontentata: ovvero che sarà una storia moolto, moolto lunga! Sempre se riuscirò a finirla, questo è il problema... Dubbi a parte, ti ringrazio ancora tantissimo per i super complimentoni e per commentare ancora ed ancora! Tanti bacioni e auguri di pronta guarigione per l'amnesia ;)

 

X GiuliaMary:  Grazie tantissimo per i tuoi complimenti riguardo la mia fantasia :) ! Son contenta che tu non abbia mai letto una storia dalla trama simile e che ti piaccia! Scusa quindi se con questo capitolo ti ho fatto aspettare più del dovuto. Grazie ancora  per il commento! Spero che continuerai a seguire la mia fan fiction! Alla prossima!

 

X __cory__: Uau! Hai delle visioni o sei una veggente? Chissà perché, ma quel tuo intuito ci ha azzeccato! XD Inoltre concordo con te su Bella, un bel personaggio, ma dopo un po' noioso, per quanto mi rigurda. Allora per quanto riguarda l'ammiratore, c'è! Non si vede, Abi non lo nota manco di striscio, ma c'é! Avrò scritto su diciotto capitolo solo una frase su di lui, ma c'é! Ed é Eric! All'inizio, non so ben dove, ho scritto che Eric aveva una piccola cotta per Abigail, ma lei lo lascia subito stare. Ti posso scrivere però che tra un po' ne spuntarà uno, non tanto nel senso di ammiratore innamorato come Mike, Eric, Tyler, Jacob e volendo anche Edward nei confronti di Bella, ma... in un altro senso :) Spero di essere stata abbastanza misteriosa! Ti ringrazio ancora di scrivermi le tue riflessioni interessanti che adoro! :) Un bacio, e alla prossima!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Capitolo 19
*** Diciannovesimo Capitolo ***


Diciannovesimo Capitolo

Diciannovesimo Capitolo

 

 

Stranamente riuscii a dormire bene quella notte; il pensiero di Jacob non mi tornò in mente nemmeno per un momento, troppo presa per la battaglia a venire. Anche se, seppure mi sforzavo, infrangevo più di qualche volta la promessa fattami.

Davanti all'inevitanbilità di dover avere a che fare con dei problemi che andavano al di là delle mie capacità, fui contenta che quel giorno, per un attimo, mi sarei di nuovo immersa in qualcosa di umano: Alice, Edward e Bella avrebbero ricevuto il diploma quel pomeriggio e non vedevo l'ora di vedere il trio in toghe giallo canarino.

Dopo pranzo mi cambiai; avevo deciso di rimettermi i vestiti che mi aveva imprestato Alice per il falò, questa volta senza trucco o cos’altro. Quando aprii l’armadio mi accorsi che non sarebbe stato troppo facile prenderli; sembrava che una bomba di vestiti fosse scoppiata nell’armadio ed i suoi resti fossero rimasti sparsi ovunque. Guardai l’orologio e decisi che potevo accordarmi qualche minuto per rimettere a posto almeno un poco. Tirai fuori tutto l’ammasso e iniziai ad abbinare i pantaloni in tuta con le rispettive felpe, a piegare le magliette e a mettere ciascuna scarpa vicino alla sua gemella. Dopo mezz’ora avevo sistemato tutto e avevo trovato anche quello che mi serviva. Per ultimo, presi i pantaloni, le scarpe, la fascia e la maglia che usavo per andare a caccia insieme ai miei. Sfortunatamente trovai tutto, tranne la fascia. Sbuffai, questa non ci voleva. Non ero particolarmente attaccata alle mie cose, prova era il mio disordine, ma quella fascia faceva un’eccezione; era il primo regalo che mi aveva fatto il mio primo fidanzatino, quando avevo tredici anni, e seppure ripensando a quei momenti ridevo dell'ingenuità che avevo avuto al tempo, quell’oggetto aveva comunque un valore affettivo.

Prima mi vestii, poi andai alla ricerca della fascia perduta, che tra l’altro era anche del mio colore preferito e mi piaceva un sacco. Guardai in ogni angolo della camera: sotto il letto, tra le lenzuola, in bagno, dietro lo specchio e la scrivania. Niente. Sbuffai di nuovo, dove cavolo era andata a finire?! Pensai che fosse era rimasta impigliata nella lavatrice o nell’asciugatrice. Pensi poi che era impossibile: era mamma che mi lavava i vestiti e non sarebbe da un vampiro dimenticare cose in giro. E poi era passato tanto tempo dall’ultima battuta di caccia…

Quando mi resi conto, mi irrigidii. L’ultima volta che ero andata a caccia ero stata attaccata da Victoria. Quando ero partita la fascia ce l’avevo. Quando i miei genitori mi avevano lasciata ce l’avevo. Quando mi aveva attaccato ce l’avevo. Ora mi ricordai che la fascia all’ospedale non c’era. In quel momento ero troppo distratta per accorgermene. Inoltre, se mi si fosse sfilata durante l’attacco, i miei genitori l’avrebbero trovata e restituita. Oppure sarebbe rimasta incustodita a terra. In ogni caso, ero sicura che Victoria mi aveva preso la fascia.

Non avrei provato un brivido lungo la schiena, se non mi fosse parso tanto famigliare a quello che era successo a Bella. Anche a lei qualcuno aveva preso dei vestiti.

Queste due situazioni erano troppo simili per sembrare coincidenze: il vampiro che era entrato in camera di Bella doveva essere un complice di Victoria. Ma per quale motivo Victoria avrebbe dovuto prendere qualcosa mio e di Bella? L’odore lo conosceva già. Forse... si era fatta nel frattempo più di qualche alleato.

Mi alzai come una molla dal divano e corsi giù in salotto. Dovevo informare tutti dell'accaduto.

Vidi mio padre seduto sul divano intento a leggere ilSeattle Times’ del giorno, con aria tesa.

“Papà” dissi seria. Lui alzò lo sguardo interessato.

“Dimmi, Abi. Aprii la bocca, ma Alice si smaterializzò accanto a me e mi impedì di continuare. Aveva i muscoli della faccia tirati. Cosa ci faceva Alice qui? Doveva essere a scuola per la consegna.

Al suo fianco comparve quasi contemporaneamente anche Jasper, pronto per farla rilassare. Insieme a lui arrivarono poi anche Rosalie, Emmett e mia madre. Tutti guardavano interessati e leggermente ansiosi l’espressione di Alice.

“Bella ha avuto un’ottima intuizione.” Il suo nervosismo era visibile anche dal tono di voce “Sia il vampiro che è entrato in camera sua, sia quello che sta creando un esercito a Seattle sanno usare i buchi delle mie visioni, entrambi conoscono il mio potere. A questo punto sarebbe molto improbabile se si trattasse di due persone diverse. Ergo, i due vampiri erano la stessa persona. Mio padre annuì leggermente, visibilmente preoccupato. Tutti i presenti avevano un’espressione sorpresa, me compresa.

“Bella ha avuto ragione. Dovevamo pensarci prima. Non può essere diversamente” affermò papà.

Intanto io mi ero persa a guardare un punto indefinito del pavimento. Se il vampiro che era entrato in camera di Bella, c’entrava con Victoria ed era lo stesso che aveva creato i vampiri a Seattle…

“…Victoria è coinvolta con l’esercito di Seattle” mormorai tra me e me. Sei paia di occhi mi guardarono curiosa.

Cosa te lo fa pensare?” mi chiese pensierosa mamma.

“Non trovo più la fascia arancione, quella che metto per venire con voi” dissi seria “L’ho indossata anche quando Victoria mi ha attaccata.”

“Non c’era nessuna fascia quando siamo venuti in tuo aiuto” proruppe Alice, seria più di me.

“Perché la presa Victoria” continuò a ragionare mio padre “Esattamente come ha fatto il vampiro sconosciuto con Bella.” Il resto del ragionamento venne eseguito in maniera piuttosto chiara e veloce dagli altri vampiri.

Quindi Victoria c’entra qualcosa con l’esercito di Seattle” disse ad alta voce Rosalie. La rivelazione aveva innervosito tutti.

“Forse è stata proprio lei a crearlo” disse Jasper. Lo guardai interessata.

“Tempo fa, mentre la cacciavamo, abbiamo perso le sue tracce in Texas. Credo che lì si sia fatta l’idea di provare a creare un esercito. Ed in effetti il profilo del vampiro che lo ha creato a Seattle coincide con il suo.”

“Lei aveva rapporti con Laurent, che vive con la famiglia di Tanya. Molto probabilmente è stato lui a raccontarle delle mie visioni” si intromise Alice.

“Combacia tutto” affermò deciso papà “La fascia che ha fatto prendere ad Abigail serve per dare una traccia ai vampiri, un obiettivo da attaccare.

“E il vampiro che è entrato in camera di Bella può essere un neonato che ha superato l’anno, abituato all’odore umano” concluse Jasper. Il ragionamento non faceva una grinza. Nonostante tutto, non mi sentii affatto più innervosita di prima; in ogni caso ci sarebbe stata una battaglia. Anzi, mi sentivo un po’ meglio, ora che sapevo chi c’era dietro tutto questo.

Così alla fine la causa dei vampiri di Seattle e del vampiro in camera di Bella, era lei. Tutte e tre le cose erano legate tra loro. Come avevo ben pensato io all’inizio, i Volturi non c’entravano. Per ora. Ora che sapevo con chi prenderla avrei tanto voluto prenderla a sberle. Fin da quando mi ero trasferita a Forks, non aveva smesso di rompere le palle un momento.

Nonostante tutto, tutti quanti rimanemmo rimanemmo piuttosto stupiti, soprattutto i Cullen, che la dovevano conoscere da più tempo di noi.

“Bisogna avvertire Carlisle, Esme e Edward” Rosalie scattò e prese il cellulare sul tavolino. Alice la fermò subito.

“No, meglio fare dopo, con più calma. Edward si farà prendere dal panico. E’ meglio informarli a cerimonia finita. Giusto; se avrebbe saputo che l’obiettivo di tutto non fossero i Cullen, ma Bella sarebbe scoppiato. Certo, lo ero anch'io, ma non gli sarebbe importato granché di questo.

“Ci occorre l’aiuto dei licantropi” esclamò mio padre alzandosi in piedi e iniziando a camminare. Lo guardai decisamente basita per l’improvvisa affermazione. Come se questo fosse d’altronde possibile. Non fui solo io a rimanere allibita dalle parole di papà; per un attimo scese il silenzio più fitto.

“Davvero?” borbottò Emmett poco convinto. Nessuno difatti fremeva all’idea. Non avevo ancora capito cosa c'entrasse.

“Assolutamente. Abbiamo bisogno di aiuto ed il loro potenziale è ottimo" affermò papà, sempre più convinto di quello che diceva “Era quello che mi sta dicendo di fare il mio dono. Era questa la cosa che stavo aspettando; la consapevolezza che tutte e tre gli eventi erano attaccati.

E come farai a convincerli?” Non potei trattenermi dall’usare un tono sarcastico. Papà mi guardò con occhi intesi.

Anche loro stanno braccando Victoria e quindi anche loro sono coinvolti in questa battaglia. E poi se sono intenzionati a proteggere te e Bella, non gli converrebbe fare altrimenti. Finalmente si fermò dalla sua camminata.

 Scese ancora per un attimo il silenzio.

“In effetti” iniziò Jasper, non proprio entusiasta “Quei lupi potrebbero fare una grandissima differenza. Renderebbero le cose molto più facili, senza il rischio di feriti” appoggiò mio padre.

Quando concluse ebbi come il presentimento che le ultime parole fossero riferite a me. Fatto sta, che mi sentii sollevata. Quanti erano i licantropi adesso, sette? Saremmo stati un totale di sedici creature esperte contro un branco di poco meno di venti neonati: in pratica un vampiro a testa.

Magicamente mi sentii tremendamente rincuorata; tutta quella tensione che mi aveva impedito di dormire, solo all’idea che qualcuno rischiasse la vita, era finita. Queste parole di Jasper mi avevano calmata tanto quanto quell'altre mi avevano gettata nel panico. 

“Dobbiamo parlare con loro” disse mio padre, guardandomi. Compresi immediatamente.

“Vado a La Push” dissi alzandomi. Già mi stavo immaginando i discorsoni che avrei fatto a Sam. Papà mi bloccò per le spalle.

“No, vai alla cerimonia” mi disse energico. Io lo guardai dubbiosa.

“Vai” mi disse ancora per incoraggiarmi. Non ne capii subito il perché, ma obbedii senza fiatare, fidandomi cecamente di lui, con la certezza che fosse anche quello un’intuizione da parte del dono di papà.

Questa volta presi la macchina, che fino a quel momento non avevo usato molto. Arrivai in dieci minuti. Feci una fatica bestia per parcheggiare l’auto, sia perché non ero per niente abituata a guidare un quattro-ruote, figuriamoci di quelle dimensioni, sia perché il parcheggio era tutto pieno. Dopo aver finalmente trovato un buco adatto alla mia Cadillac, mi diressi nel padiglione centrale. Entrai senza attirare troppo l’attenzione; la consegna dei diplomi era iniziata. Cercai con lo sguardo Bella o Edward, ma intravidi solo Eric, che mi salutò e che io ricambiai.

Pss!” Mi girai automaticamente verso quel suono; Jacob, Charlie e Billy dalla sua sedia a rotelle richiamavano la mia attenzione. Molto probabilmente papà si riferiva a questo.

Mi avvicinai a Jacob e salutai tutti e tre. Sorrisi per la noia disumana che doveva subirsi Billy, espressa in continui sbadigli, e l’impazienza di Charlie di vedere sua figlia. Jacob d’altronde se ne stava immobile, la testa leggermente bassa e la schiena appoggiata alla parete.

Percepii che si trovava leggermente a disagio. Ad essere sincera, vedere Jacob vicino, mi faceva lo stesso effetto. Feci un respiro profondo, cercando di convincermi ad essere paziente e pensando che se Jacob aveva un problema con me, me ne sarebbe venuto sicuramente prima o poi a parlare.

Cercai di dimostrarmi il più indifferente possibile e decisi di riferirgli il messaggio. Mi alzai sulla punta dei piedi verso di lui.

“I Cullen e la mia famiglia hanno bisogno di parlare con voi” gli sussurrai. Lui mi guardò strano, dimenticando quell’iniziale disagio.

Perché?”

“Victoria” mormorai io. Di colpo vidi in tutto quel mare di tuniche in poliestere giallo girarsi la testa di Edward. Aveva un’espressione di panico.

Cosa?” chiese ancora insoddisfatto.

“Ve ne parleranno loro” lo liquidai io in risposta. Edward si alzò e si diresse diresse veloce verso il palco per ritirare il suo diploma. Osservando la sua reazione, decisi di assecondare Alice e non pensare troppo alla conversazione di poco prima. Con Jacob vicino la cosa si dimostrava piuttosto facile. Mi avvicinai a lui e approfittando del fatto che non potesse scappare iniziai a parlargli.

“Mi vuoi dire cosa c’è che non va?” Non mi dimostrai molto decisa; pensavo lo avrei irritato e basta. Infatti lui sospirò pesantemente.

“E’ un problema che hai con me?” continuai, non demordendo. Dovevo sapere almeno questo, poi lo avrei lasciato stare. Lui fece un altro respiro, scuotendo la testa.

“No, non sei tu. Anzi, sì, ma…” mormorò confuso. Bhè, cristallina come spiegazione. Lasciai che finesse. Si avvicinò all’orecchio per parlarmi. Non potei non notare il suo respiro caldo che mi faceva il solletico.

“Senti, sto vivendo un momento di grande confusione, e questa cosa della vampira non aiuta proprio. Vorrei stare da solo” disse lui dispiaciuto, nello stesso tono che usava quando era in cerca del mio perdono.

“Intendi da solo con Bella? Non si spiegherebbe il perché tu sia qua” dissi di getto senza pensarci, con accidia. Forse esagerai.

“Le ho telefonato ieri sera per dirle le stesse cose” mi spiegò lui, impassibile.

“Ah.”

Lo confesso, c’ero rimasta davvero male. Questo voleva dire che mi ero sbagliata; non aveva un problema solo con me, ma anche con Bella, la persona di cui era innamorato. Era strano, dopo che l’aveva baciata, e allo stesso tempo non vedevo perché non potevo credergli; sarebbe stato più logico se fosse stata Bella a consigliargli di non farsi più vedere. La cosa era molto più complessa di quanto immaginavo.

Jacob, mi stai preoccupando” dissi tesa.

“Ne riparleremo” mormorò abbattuto. Lui continuava a guardare avanti, ma io non riuscivo a staccare gli occhi. Si era chiuso in una specie di impenetrabile isolamento, ma se ieri almeno avevo cercato di ipotizzare cosa potesse essere, ora che sapevo che il suo problema riguardava anche Bella, pensare a cosa fosse dovuto era diventato indiscutibilmente impossibile.

Tornai anch’io a guardare di fronte a me, in attesa che arrivasse Bella. Poco dopo sentii la sua mano sfiorare la mia. Pensavo che fosse stato solo un contatto casuale, ma subito dopo passò le sue dita sul mio palmo. Lo fulminai con lo sguardo.

“Scusa, non mi hai appena detto che non mi vuoi più vedere? Non sei molto coerente” chiesi sbalordita.

Bhé, tu lo sei molto meno” mi mormorò lui per ripicca. Touché. Questa volta l’aveva vinta lui; aveva colpito nel punto debole. Ma ero orgogliosa, quindi lo guardai per parecchi secondi stranita prima di riprendere a guardare il preside che consegnava diplomi. Per un attimo lasciai tutta la preoccupazione che mi aveva afflitta prima e l’altro giorno; con la sua mano nella mia, non mi faceva per nulla pena.

“Secondo te dovrei sopportare tutti questi tuoi cambi di umore senza sentirmi presa in giro?” chiesi con calma e pacatezza.

“Come io ho fatto con te” mi rispose soddisfatto. Adesso ci godeva proprio a rinfacciarmelo, eh? Ancora una volta non potei fare altro che stare zitta. Se ero stata così incoerente un prezzo lo dovevo pagare; non potevo di certo dirgli il motivo che mi aveva spinta a tutto questo, almeno, non così presto.

“Dammi qualche giorno per pensare, per favore” disse serio, sottolineando le parole, intrinseche di una straordinaria e sincera supplica. Lo guardai negli occhi e lessi anche lì la preghiera che mi stava lanciando. Fu più che sufficiente; era ormai certo che gli avrei detto di sì. Gli feci solo l’accenno di un sorriso.

“Poi però mi racconterai tutto” lo esordii io.

“Va bene, lo prometto” Non fu particolarmente sicuro, ma aveva comunque promesso. Alla risposta della sua mano contro la mia, intrecciai le mie dita con le sue. Qualsiasi cosa gli stesse succedendo, qualsiasi problema avesse di cui non me ne voleva parlare, qualsiasi fosse il motivo per cui non voleva vedere né Bella, né me, volevo che sapesse che io c’ero; dopotutto, ero ancora la sua migliore amica, e il vero amico si fa vedere sempre nel momento del bisogno.

Riflettendoci bene, Jacob era un amico eccezionale; mai da quando ci eravamo conosciuti aveva messo in dubbio la nostra amicizia e, dopotutto, questo valeva ancora adesso. Ero stata io quella che aveva cercato di farlo, io ero tra i due l’amica peggiore: ovvio, l’amicizia non mi bastava più e non mi sentivo affatto egoista a rischiare di buttare via questo splendido rapporto.

Tutto questo, però, avrebbe dovuto aspettare.

Arrivò quindi il momento di Bella. Era tesa come una corda di violino e sembrava avere la testa tra le nuvole quando andò a prendere il proprio diploma. Chissà, forse il nervosismo del momento? O forse qualcosa di ben peggiore…

Ben presto anche la cerimonia finì e per un attimo regnò il caos. Tutte le famiglie si alzarono per andare in contro ai propri figli, e d’altro canto i diplomati si stringevano tra loro, scambiandosi gli ultimi saluti. Jacob fece scivolare le sue dita dalle mie.

“Devo andare” mormorò in mezzo a tutto quel frastuono. “Ci vediamo. Avrei tanto voluto rispondergli con una delle mie battutine sarcastiche di pessimo gusto, ma la sua voce malinconica mi fece ripensare.

“Ci vediamo” dissi con lo stesso tono. Mi lanciò un sorriso appena visibile, nemmeno l’ombra di quello di cui ero innamorata.

Sia Jacob, che Billy non ebbero difficoltà a perdersi nella calca di persone e io lo persi subito di vista. Come se non ci volesse, dopo questa ultima chiacchierata, non potei non sentirmi in pensiero. Riuscii però a dimenticarmi per un attimo di lui e cercai di farmi spazio per andare a salutare Bella. Prima ancora di raggiungerla, Edward mi venne incontro. Mi agguantò il braccio e la sua presa mi fece quasi male. Era furibondo.

“Dimmi quello che è successo” ordinò. Io lo guardai per un paio di secondi spaventata; Alice aveva ragione quando aveva detto che era meglio non pensare. Avevo cercato in ogni modo di non accennare al fatto di quella mattina e credevo di esserci riuscita. Perciò dev’essere stata per forza Bella a dirgli quello che aveva dedotto. Ormai ero spacciata. Pensai velocemente alla conversazione avvenuta poco prima a casa, da quando non avevo trovato la fascia a quando papà aveva avuto il presentimento. Quando ebbi finito, lui mollò la presa e si diresse immediatamente verso l’uscita. Mi voltai a guardarlo tesa; ancora un po’, e avrebbe perso il controllo, anche se non era esattamente da lui farlo. Lo lasciai perdere quando riuscii a intravedere Bella; non si era ancora tolta quell’espressione nervosa e tesa.

“Complimenti” dissi facendomi largo per andare ad abbracciarla.

“Grazie” disse in un sussurro lei, ancora spaesata. Ora sapevo che il suo comportamento riguardava l’intuizione che aveva avuto.

“Pensavamo di andare al Lodge, vorresti venire anche tu, Abigail?” chiese affettuoso Charlie. Bella intanto seguiva distratta quello che Charlie diceva.

“No, figurati. Non voglio rovinare questo momento in famiglia” cercai di scusarmi “E poi dovrei scappare anch’io. Quindi vi saluto” Diedi un abbraccio prima a Charlie, poi a Bella.

“Ti prego, non ti tormentare, se no scoppierai” le sussurrai dolcemente all’orecchio. Sentii la sua risposta nell’abbraccio che si strinse di più.

“Ci vediamo dopo, Abi” mi disse, con un accenno di sorriso sulle labbra. Figuriamoci se si fosse rilassata; finita la cena sarebbe corsa a casa nostra. Io contraccambiai con un sorriso più ampio e tranquillo.

Uscii da quell’ammasso di persone e me ne tornai a casa, per sapere se c’erano novità. Sulla 101 cercai di individuare il quasi invisibile sentiero che portava a casa Cullen. Fui sorpresa di vedere che i primi due alberi erano illuminati da lucine intermittenti.

Ma che…?” Non era finita, per tutto il sentiero ogni due metri c’erano fiaccole che illuminavano il cammino della lunghezza di cinque chilometri. Accelerai, più confusa che curiosa, per raggiungere la villa bianca e scoprire cosa stava succedendo. Parcheggiai nel garage ed entrai. Rimasi a bocca aperta; Rosalie, Esme ed Alice stavano addobbando il salotto e l’ingresso con palloncini e luci e la cucina era invasa da una quantità enorme di stuzzichini e bibite analcoliche offerte da una prestigiosa società di catering. Casa Cullen aveva cambiato del tutto facciata, trasformandosi in una di quelle discoteche che facevano vedere nei telefilm sugli adolescenti californiani straricchi.

“Ci sarà una festa?” chiesi spiazzata. Avevamo da poco scoperto chi ci fosse dietro all’esercito di Seattle, e loro facevano una festa? Non era molto coerente. Alice mi guardò confusa.

Certo, la festa del diploma di Bella. Le capiterà una volta sola nella vita e deve festeggiare” affermò decisa, continuando a sistemare i palloncini. Bhé, fantastico. Era straordinario anche il fatto che non ne sapevo niente e che nessuno mi aveva invitata, seppure vivessi temporaneamente lì. Ma ad essere sincera, poco male; odiavo le feste. La musica era troppo alta perché si potesse parlare senza urlare, così alla fine della serata ci si ritrovava sordi e muti. E poi odiavo la massa di persone tutto accalcate tra di loro che saltavano e si muovevano con la grazia di un elefante. Non mi faceva sentire a mio agio, ecco. Quindi non mi offesi più di tanto, se nessuno mi avesse detto niente. Alice si diede uno schiaffo sulla fronte all’improvviso.

“Oh, no!” esclamò affranta. Scese veloce le scale e mi prese le mani, sventolando una faccia dispiaciuta.

“Mi sono completamente dimenticata di dirtelo. Non so come mi sia uscito di testa. Ovviamente sei invitata anche tu” Alice ovviamente confermò le mie paure. Le inviai un sorriso che aveva poco dell’entusiasta.

“Grazie” mormorai io. ‘Grazie’ era decisamente una parola inappropriata. Poi mi guardò con aria critica.

“Ora sono occupata con i preparativi. Se riesco a finire ti do una sistemata veloce” Deglutii sonoramente; speravo tanto non avesse tempo per me. Annuii cercando di dimostrarmi entusiasta, ma fu poco convincente per entrambe. Ritornò veloce ad attaccare palloncini. Io guardai la scena ancora stranita; faceva un grandissimo contrasto quell’atmosfera festaiola con la rivelazione di questo pomeriggio. Tuttavia, a pensarci bene, Alice non aveva avuto mica torto; quella poteva essere l’ultima occasione di fare una festa.

Abigail, puoi venire un attimo in cucina” mi chiamò mamma. Insieme a lei c’era anche papà. Io andai veloce da loro. Chiusi la porta dietro di me, anche se fin dall’ufficio di papà gli abitanti di quella casa potevano sentire le nostre voci.

“Cosa c’è?” Non serviva che lo chiedessi. Era visibile in entrambi le espressioni di preoccupazione e tensione. Non mi trattenni nel fare uno sbuffo; le avevo viste talmente tante volte che cominciavano ad annoiarmi. Dopo il momento di iniziale spiazzamento, tutti e due, esattamente come Edward, avevano iniziato a preoccuparsi. A differenza loro, la mia di preoccupazione era scomparsa, da quando era diventata palpabile la prospettiva di un aiuto da parte dei licantropi. Nonostante tutto, li lasciai parlare.

“Adesso che sappiamo che quell’esercito di vampiri è stato creato per te e Bella” iniziò mamma. Mi circondò il viso con le mani per rassicurarmi.

“Sappi che faremo di tutto per proteggerti” Io la guardai annoiata; gli unici in ansia erano solo lei e papà. Anzi, trovavo strano che fosse agitato anche lui, quando era stato il primo a dirmi di non preoccuparmi.

Era di per sé già implicito il messaggio, oltre ad essere stato ripetuto in continuazione nel corso del tempo.

“Me l’hai già detto, mamma” dissi togliendole le mani e prendendole tra le mie, questa volta per cercare di rassicurare io lei.

“Lo sai che siamo disposti a rischiare la vita” continuò papà. Già ripetuto anche questo. Tuttavia mi trattenni dall’esprimere qualsiasi emozione, dato che quella prospettiva si poteva fare più reale che mai.

“Te lo diciamo adesso, con calma” intervenne mamma. Io cominciai a guardarli preoccupata “Se ci dovesse succedere qualcosa ad entrambi…”

“Non vi succederà niente! Con l’aiuto dei licantropi non ci sarà problema” esclamai con ironia “E poi papà mi ha già assicurato che non vi succederà niente!” In realtà avevo ben poco di ironico; quei discorsi lanciarono anche me nell’ansia, perché mi avevano fatto puntualmente ricordare che, anche se con i licantropi diventata tutto più facile, la realtà era che le probabilità che i miei genitori sarebbero sopravissuti sarebbero state del novantanove per cento, non del cento per cento. Mio padre intuì il mio stato d’animo e mi sorrise.

“Certo, sarà quasi impossibile che ci possa succedere qualcosa” disse lui “Ma se per caso così non fosse, sappi che abbiamo chiesto a Carlisle di prenderti cura di te, almeno fino a quando non andrai al college.” Scossi la testa; non volevo ascoltare.

“E’ solo una precauzione, Abi” disse mia mamma tornando ad accarezzarmi. Io non mi sentii ancora del tutto sicura.

“Promettetemi già da adesso che starete attenti” gli ordinai io, indicai poi papà minaccioso “Promettimi che non ti farai uccidere e che sarai l’ombra della mamma”

“Certamente” mi assicurò papà.

E niente eroismi!” continuai io. Riuscii a farli ridere entrambi.

“Va bene” disse mamma con tono fin troppo infantile. Mi fermai un attimo per guardare negli occhi i miei due genitori speciali. Non sapevo se sarei sopravissuta senza di loro. Ma mi fidavo e confidavo nell’aiuto dei licantropi. Mia madre mi sorrise.

“Va, Alice ha finito con i preparativi, ti aspetta” Io alzai gli occhi al cielo, esasperata. No, ancora una volta no.

 

Alla fine non fu per niente doloroso, anzi, Alice fu particolarmente magnanima, perché dopo avermi passato un tocco di trucco sul viso mi aveva dato la possibilità di scegliere quello che avrei voluto dal suo armadio. E non mi toccò neanche i capelli. Dopo che finì con me si sistemò e si vestì ancor prima che io avessi deciso cosa mettermi. ‘Devo sbrigare le ultime cose, quindi fai pure con comodo’, mi aveva assicurato lei.

Entrai quasi con timidezza in quella specie di seconda stanza. Era molto più grande di quanto mi immaginavo. Era impossibile contare quanti vestiti ci fossero. Erano disposti per colore; inoltre in bella vista c’era un vestito campione, e subito dietro si snodavano capi dello stesso modello, ma di taglie diverse. Sotto i vestiti c’erano le scarpe, divise tra con e senza tacco, eleganti e casual. Con mia grande sfortuna, non intravidi niente di abbastanza sportivo; erano per lo più vestiti eleganti, troppo per me. Dopo un’attenta ricerca notai qualcosa che poteva andarmi bene e per la prima volta il mio senso sulla moda e sul buon gusto si attivò.

Ci misi mezz’ora per decidere: alla fine, priva di fantasie, mi vestii in pratica come al falò, sempre con un paio di leggins, con le stesse ballerine, di un blu scuro questa volta, insieme a un vestito che mi arrivava a metà coscia azzurro acceso, insieme a un copri-spalle dello stesso colore delle ballerine. Quando fui convinta che copriva abbastanza pelle e stavo comoda, andai giù in salotto.

All’ingresso vidi Alice indaffarata a smistare centinaia di cd in due pile. Non appena mi vide mi chiese di portare i vassoi di cibo dalla cucina sui tavoli disposti nell’enorme ingresso. Eseguii contenta di poter essere utile.

Abigail! Ti ho detto di portare gli stuzzichini sul tavolo, non di mangiarli!” mi ammonì Alice, ancora indaffarata con i cd.

“Non stavo mangiando!” dissi a bocca piena, spingendo con un dito un crostino di salmone e panna che era la fine del mondo dentro la bocca e abbassando la testa per cercare di non farmi vedere. Alice non si trattenne dal ridere.

“Bella ed Edward sono arrivati” mi comunicò. Il secondo dopo la porta si aprì. Io feci un sospiro esasperata. Una aveva un’espressione proprio sotto i tacchi; scommetto che non aveva passato neanche un minuto a non pensare ai vampiri neonati. L’altro invece non si staccava da lei e a parer mio era esageratamente appiccicoso, ma questo suo modo di fare sembrava far sentire meglio Bella.

Edward, ti prego! Sono abbastanza sicura che Bella anche senza di te riuscirà ad arrivare viva e vegeta fino a domani” gli dissi esasperata avvicinandomi a lui. Lui sospirò e alzò gli occhi al cielo.

Perché non mi lasciai stare una buona volta?” disse in un tono strano, un misto tra l’infastidito e il divertito, continuando ad abbracciare Bella. Io sghignazzai divertita.

“Pronta per il super-party?” chiesi fingendomi entusiasta.

“Certo” rispose lei sarcastica.

Anche tu non sei tipo da festa, vedo” dedussi, comprendendo la sua allegria.

Edward, che musica devo mettere? Conosciuta e rassicurante oppure gli educhiamo a gusti migliori?” chiese indicando prima una pila, poi l’altra di cd.

“Meglio la rassicurante” le raccomandò Edward. Mentre Edward parlava con Alice mi soffermai sull’espressione affranta di Bella mentre guardava il salotto. Mi fece sorridere. Chiesi mentalmente ad Edward se Bella sapeva anche di Victoria. Anche se continuava a guardare Alice, scosse la testa, quanto bastava per rispondermi e per non farsi vedere da Bella. Bhé, la cosa non mi sorprendeva; ma lo avrebbe saputo presto. A quel punto mi lanciò un’occhiataccia e sempre senza farmi vedere gli lanciai una linguaccia.

“Non credo di essere abbastanza elegante” mormorò Bella, imbarazzata, osservandosi ancora in giro. Edward cambiò immediatamente espressione; le si avvicinò con il suo solito sorriso sghembo e le diede un veloce bacio sulla guancia.

“Sei bellissima” rispose Edward.

“Molto meglio di Abigail di sicuro” intervenì Alice, osservandomi in disaccordo “Sei troppo ripetitiva” Lanciai una linguaccia anche a lei.

“Verrà qualcuno?” mormorò Bella speranzosa in una risposta negativa. D’altro canto, io condividevo lo stesso stato d’animo.

“Verranno tutti” esclamò Alice.

“Non vedono l’ora di entrare nella misteriosa casa dei Cullen” spiegò Edward.

“Bene” mormorò lei sconfortata “Posso essere d’aiuto in qualche modo?”

“Puoi aiutarmi a portare gli stuzzichini” le proposi.

“Perfetto”

La condussi in cucina, e forse per la prima volta nel corso della giornata, Edward non la seguii. Doveva darsi davvero una calmata, o avrebbe avuto seri problemi di stress. Mi dovevo ricredere sui miei genitori; loro erano rilassatissimi a confronto di lui. Entrammo in salotto e le indicai la porta che portava al garage.

Se siamo svelte possiamo saltare in macchina ed andarcene” le proposi a bassa voce.

“Vi sento!” ci urlò Alice dall’ingresso.

“Come non detto” disse Bella, con un sorriso, il primo che la vedevo fare in quella giornata. In cucina prendemmo due vassoi a testa. La finta privacy che dava quel luogo chiuso mi spinse a parlare.

“Sai cosa sta succedendo a Jacob?” le chiesi di botto, ripensando alle sue parole di poco prima. Cercavo di non pensarci, ma quello stava diventando un chiodo fisso velenoso e pericoloso. Lei sospirò profondamente.

“No, e mi rifiuto di capirlo” mugugnò lei, seria. Prese un solo vassoio, a causa della mano steccata. Io gliela indicai.

“Ho saputo che ti ha baciata.” Lei si guardò per un momento la mano, per poi pensare ai vassoi.

“Ah sì? Te l’ha detto lui immagino” Io annuii in silenzio, anche se non era andata esattamente così.

“Prima mi bacia e poi mi dice che si è pentito e che vuole rimanere da solo. Bhé, dopo quello che ha fatto, era sicuro che non sarei più andata da lui. Mi fa davvero uscire di senno quando fa così” disse infervorandosi. Rimasi del tutto spiazzata. Aveva detto che si era pentito? Lui, che voleva farlo da una vita? Presi un po’ troppo in fretta un vassoio e per poco non lo feci cadere.

“L’ha detto anche a me” le risposi, nervosa. Lei mi guardò spiazzata.

“Davvero?” Negli occhi si poteva leggere la stessa mia sorpresa.

“C’entra qualcosa quello che vi siete detti al falò?” chiese titubante. Io scossi la testa convinta.

“No. Quel giorno dovevamo finire ancora di discutere riguardo l’ultima litigata. Non c’eravamo chiariti molto” dissi, mezza sincera e mezza bugiarda. Scosse anche lei la testa nervosa e uscì dalla cucina.

“E’ meglio evitare di pensarci” mormorò. Io la seguii, ammettendo che aveva completamente ragione. 

Avevamo appena appoggiato i vassoi, che alla porta suonarono. Alice alzò la musica ed andò ad aprire. Scesero dai piani superiori anche i miei genitori e i Cullen, pronti a sfoderare un’espressione calorosa e solare. E, dato le circostanze, poco sincera. Ma anche in quella fittizia normalità, riuscii a sentirmi a mio agio.

Alla porta c’erano Jessica, Angela, Ben, Mike ed Eric, gli amici del nostro tavolo a mensa. Sorrisi vedendo le loro espressioni timide ed insicure davanti alla porta aperta di casa: tutti rimasero sbalorditi di vedere cosa aveva fatto Alice. Bella cercò di accoglierli nel modo più caloroso possibile, facendoli mettere a proprio agio. Parlava in modo agitato, così per aiutarla, cercai di intervenire anch’io. Dopo di loro, cominciò ad affluire un’ondata senza fine di ospiti. Bella parlò con tutti e si sforzò di essere gentile. Risi pensando che non vedeva l’ora che tutto fosse finito. Nonostante la casa fosse dei Cullen, nessuno badò molto a loro.

Le luci che Alice aveva accesso creavano un’atmosfera psichedelica, che rendeva ancora più inquietanti i vampiri in fondo alla sala. Vidi Emmett sorridere a Mike, dall’altra parte del buffet, mostrandogli la sua luccicante dentatura che risplendeva in modo particolare sotto quell’illuminazione. Mike si allontanò subito intimorito. Io invece mi avvicinai sorridendo.

Emmett, il buffet serve per rinfrescare gli ospiti, non come esca per procacciarsi cibo” gli spiegai sottovoce, seppure a causa della musica e della lontananza nessuno mi poteva sentire. Lui mi sfoderò lo stesso identico sorriso.

“Scusa, credo di aver frainteso” mi disse sarcastico. Scossi la testa, presi una tartina e me ne andai.

 Forse perché era l’eccezione, ma non fu affatto male come festa. Forse perché lo spazio era grande quindi la gente poteva disperdersi e l’ossigeno non mancava, forse perché non trovavo la musica così assordante da non poter parlare, forse perché il cibo era buonissimo, riuscii anche a divertirmi. C’era in pratica quasi tutta la scuola e quasi tutti quelli del terzo anno che conoscevo. Parlai, ballai, mi divertii come una normale diciassettenne. Insieme a me, inoltre, anche tutti gli altri sembravano divertirsi da matti.

Fin dall’inizio fui subito braccata da Eric, che dopo una breve chiacchierata, tra college e cose varie mi propose di ballare e, sperando che non attribuisse al ballo un significato particolare, accettai. Per fortuna lui non lo notò, ma vidi lo sguardo di mio padre che lo fissava tutto il tempo dal fondo della sala, mentre ballavamo. Pensai che quell’uomo era pazzo. Perciò, quando fui sicura che Eric non vedeva, passai un dito sulla gola, come minaccia di morte. Per fortuna mamma se ne accorse subito e lo convinse a smetterla. Questo fu l’unica complicazione fino ad ora. Di tanto in tanto osservavo Bella per vedere come se la stava cavando. Andava avanti e indietro per tutto l’atrio, parlando con tutti e potei constatare che si stava cominciando a sentire un po’ più a suo agio. Ovviamente Edward non le staccava la mano dalla vita e la seguiva dappertutto e questo a Bella sembrava fare solo che piacere. Sinceramente, se io avessi avuto un ragazzo così assillante, sarei impazzita prima, ma il loro amore riguardava solo loro due, e io non dovevo impicciarmi. Mi stupii quindi vedere ad un certo punto Bella da sola. Vidi che allungava il collo verso la parte opposta del corridoio, verso la cucina. Io che ero più vicina vidi bene Edward che stava discutendo con Alice.

“Balli davvero bene, sai?” mi fece i complimenti un Eric sfrenato.

“Grazie” risposi distratta, guardando i due Cullen confusa. “Scusa un momento, torno subito.” Vidi Edward andarsene e raggiungere veloce la parte opposta della stanza. Mi staccai da Eric, che ci rimase anche piuttosto male, ed andai in cucina. Mi raggiunse anche Bella. Alice era ancora lì, lo sguardo vitreo e una mano sulla porta, come se avesse bisogno di reggersi a qualcosa. Alzò lo sguardo, freddo e duro, verso un punto lontano. Mi girai e vidi che era rivolto a Edward, che sparì subito sotto le scale.  

“Alice, cosa stai vedendo?” chiese Bella, tesa. Il campanello suonò e automaticamente Alice sfoderò un’espressione di disgusto.

“Chi ha invitato i licantropi?!” Ci fu un secondo di assoluto silenzio.

“Scusa Alice. Colpa mia” mormorò Bella rabbuiandosi. Io invece sbuffai infastidita; non era esattamente il momento per venire. Conoscendo Jacob l’aveva fatto apposta. Speravo solo che non rovinasse la festa.

“Perfetto, allora pensaci tu a loro. Devo parlare con Carlisle e William” rispose Alice scocciata.

“Alice, aspetta!” Bella cercò di acchiapparla, invano. “Mannaggia!”

Perché hai invitato Jacob alla festa?” chiesi stranita. Dopo il pugno in faccia, non mi sembrava molto coerente invitarlo alla festa.

“L’invito risale a prima del… bacio. Pensavo che con il pugno avesse capito che non era più valido. Inoltre con la seguente conversazione mi sembrava più che chiaro che non fosse intenzionato a venire” continuò furente. “Hai capito perché si stanno comportando in questo modo?” disse facendo cadere l’attenzione nuovamente sui vampiri.

“No” dissi in un sussurro, rimuginando su cosa stesse succedendo.

“Ehm… Bella” cercai di attirare la sua attenzione titubante. Lei però ignorò me e quel deficiente che si divertiva a tenere premuto il campanello. Iniziò ad aggirarsi tra la gente in cerca di Alice, senza fermarsi, mentre io tentavo invano di spiegarle che i licantropi erano lì per un altro motivo. Si diresse verso le scale e prontamente la seguii.

“Ehi, Bella, Abigail!” La sua voce profonda si sparse per tutta la stanza e oltre a richiamare l’attenzione mia e di Bella, attirò anche quella di tutti i presenti. Mmhgrande entrata di scena, Jacob. Tentai di controllare le farfalle allo stomaco non appena lo vidi. Insieme a lui c’erano anche Quil ed Embry; stavano tremando come foglie e per poco credetti che se la sarebbero fatta addosso. Non riuscii a non ridere per la scena; e dire che dovevano essere forti licantropi in grado di uccidere vampiri. Jacob invece era più tranquillo, con il naso arricciato per il profumo. Bella ricambiò veloce il segno di saluto e se né andò di nuovo, troppo concentrata a pensare cosa stava succedendo ad Alice ed Edward. Io, stufa delle sue corse, le presi un braccio e cercai di trattenerla, per dirle una buona volta che Jacob non era venuto per la festa. Lei si girò e mi guardò sorpresa per il gesto. Intanto Jacob ci aveva raggiunte.

Che accoglienza!” commentò, sembrava del tutto rilassato; anzi sembrava felice di vederci. Avrei tanto voluto imitare Bella e tirargli un pugno per il suo cavolo di comportamento.

Che fai qua?” gli chiese Bella scortese. Se fossi stata in lei avrei reagito allo stesso modo.

“Mi hai invitato, ricordi?” continuò lui, giocandosela un po’. Bella lo guardò a bocca aperta.

“Pensavo che il mio cazzotto ti fosse stato chiaro. Anzi, da quello che mi hai detto quando mi hai telefonato, sembrava che avessi più che capito” disse furibonda. Lui stette zitto e fece un respiro profondo.

“Sono venuto per portarvi un regalo, tutto qua” disse tirando fuori dalla tasca dei jeans due sacchetti colorati, che attirarono poco la mia attenzione. Ah, non era quindi venuto per parlare con i Cullen? Bella non lo guardava neppure, continuando a girarsi e ad allungare il collo in cerca di qualche vampiro.

E mi scuso per quello che è successo l’altro giorno. Te l’ho già detto che me ne sono pentito” disse alzando le mani in segno di resa.

“Non mi interessa, ora ho da fare. Riportalo indietro” rispose lei distratta.

“Non posso, l’ho fatto io” brontolò lui “E poi potresti accettare le mie scuse”

“Scuse accettate. Ora sono impegnata”

Bella continuava a guardare da tutt’altra parte. Presi allora con decisione i sacchetti che aveva in mano Jacob e uno lo tenni per me e l’altro lo spiaccicai uno sulla mano di Bella. Almeno così era contento.

“Non sei venuto quindi per parlare?” esclamai scioccata. Ci mancava davvero solo quella. Così però riuscii però ad attirare l’attenzione di Bella, che smise di cercare Alice in giro per la stanza. Lui alzò e lasciò cadere pesantemente le braccia.

“Sì, quello è il motivo principale” rispose lui.

“Siete venuti a parlare con i Cullen?” chiese Bella tremendamente confusa “E perché?” Jacob indicò me con il mento.

“Alla tua cerimonia è arrivata a lei e mi ha detto che i vampiri volevano parlarci” spiegò Jacob “di Victoria”

Bella ora guardò me scombussolata, e anche spaventata.

“E’ successo qualcosa con Victoria?” La voce le si era fatta un po’ roca. Io annuii sommessamente.

“Victoria è chi sta dietro l’esercito di Seattle” affermai decisa.

Cosa?” chiesa ancora più incredula.

“Esercito?! Quale esercito?” esclamò Jacob con lo stesso tono di Bella. “Cosa ci state tenendo nascosto?” O cavolo. Sia Bella, sia Jacob mi guardavano come se fossi un maiale blu ed il fatto che entrambi volevano sapere cose diverse da me, rendeva tutto più difficile. Ora fui io a guardarmi in giro, alzandomi sulle punte dei piedi, in cerca di mio padre, ora ero io quella che non dava loro nessuna attenzione.

Cosa vuol dire, Abigail?” ripeté Bella, con voce roca.

Cosa diamine sta succedendo?” rincarò Jacob, che si stava arrabbiando. Io mossi convulsamente le braccia per farli tacere.

“Saprete tutto adesso!” gli dissi urlando sottovoce. Tornai a cercare con lo sguardo qualche vampiro, e finalmente vidi mio padre scendere le scale. Cercai di sbracciarmi per attirare l’attenzione, ma lui sapeva già dov’eravamo. Intanto Quil ed Embry alla vista di papà si erano fatti più vicini. 

“Grazie per essere venuti” disse serio. Jacob ricambiò quello sguardo in silenzio. “Anche se non è decisamente il momento più opportuno. Vi accompagno in un luogo più appartato” Sentii la mano di papà sulla schiena che mi spinse a girami. Vidi di sottecchi l’occhiataccia che Jacob lanciò alla mano di mio padre e ci mancò poco che gli sputassi in un occhio. I tre licantropi ci seguirono senza fiatare, vicino a Bella, silenziosa pure lei.

Papà ci portò in cucina, dove ad aspettarci c’erano i Cullen al completo. Una volta entrati, Bella automaticamente si diresse vicino ad Edward, che le cinse i fianchi come aveva fatto durante tutta la serata. Notai lo sguardo spaventato che gli lanciò, ma l’espressione che lui fece non servì a rassicurarla. Io, che ero rimasta vicino ai licantropi, notai le nocche serrate di Jacob durante quell’abbraccio, ma era in veste di rappresentate dei licantropi, quindi cercò di darsi un contegno. Embry e Quil, dietro di lui, tentarono di fare lo stesso, ma non sembravano esattamente a loro agio.

“Allora? Cos’è questa storia?” chiese Jacob in tono autoritario. Carlisle e mio padre si scambiarono una veloce occhiata.

“Avremmo preferito parlare a tutto il branco…” iniziò papà.

“Il branco è occupato” lo interruppe Jacob maleducato. Io gli lanciai un’occhiataccia; non si rendeva conto che stava parlando a mio padre? Di conseguenza anche papà cambiò tono, diventando più freddo e diplomatico.

“Sarò breve: si sta formando un esercito di vampiri a Seattle” annunciò mio padre “Che presto sarà qui.” Drizzai le orecchie e il cuore mi andò in gola. Cosa? Qui? Era allora questo quello che Alice aveva visto? Guardai Bella, che era più terrorizzata di me.

Cosa sarebbe questo esercito?” chiese Jacob confuso, ma mantenendo il tono arrogante.

“Si tratta di un esercito di vampiri appena creati, più veloci e più forti di un vampiro normale” intervenne Jasper.

“Sarà una lotta ad armi pari, ma non riusciremo a proteggere la città” continuò papà.

“Ah, quindi avete bisogno del nostro aiuto” dedusse Jacob, sempre serio, ma anche leggermente soddisfatto.

E perché sta venendo qua?” continuò.

“Crediamo che questo esercito sia stato formato da Victoria. Eliminando noi, potrà occuparsi di Bella ed Abigail. Con abilità papà riuscì a toccare il punto debole dei licantropi, di Jacob in particolare. Lui infatti divenne ancora più serio e Bella cominciò a rabbrividire nell’abbraccio di Edward.

“Perché ne siete convinti?” domandò Jacob, ora totalmente spiazzato.

“Abbiamo delle prove” rispose vago papà. Jacob guardò prima me, poi Bella per alcuni secondi.

“Allora è necessario coordinarci” continuò Jacob. Bene, avevano accettato. L’agitazione di prima scomparve, ma a quanto pare non fu lo stesso per Bella.

“No!” urlò Bella, che ormai aveva smesso di tremare. “Voi non vi immischierete.” Io le lanciai un’occhiataccia; a cosa diamine stava pensando questa ragazza?

A quanto pare non sembra essere così” rispose Jacob con mezzo sorriso appena accennato.

“Vi uccideranno!” I tre licantropi esplosero in una risata. 

“Bella, divisi ci uccideranno” le disse mio padre, con tono più calmo possibile “Uniti sarà più semplice per tutti”

“Quanti sono?” chiese Quil, un po’ a suo agio.

“No!” gridò Bella per la seconda volta. Nessuno fece caso a lei.

“Dipende, poco meno di venti. Ma tendono a diminuire” intervenne Alice.

Perché?” chiese Jacob.

“Non è il momento adatto per spiegarlo” continuò lei.

“Se volete combattere insieme a noi, avrete bisogno di addestramento” li informò Jasper. Tutti e tre non parvero granché entusiasti, ma acconsentirono.

“No!” urlò Bella, per la terza volta.

“Dobbiamo dirlo a Sam. Quando ci incontriamo?” continuò Jacob.

“Alle tre nella foresta di Hoh, a tre chilometri a nord dalla base delle guardie forestali. Se venite da ovest, riconoscerete la nostra scia” rispose papà.

“Ci saremo” rispose Jacob, con un ghigno divertito. Si diressero verso la porta della cucina per andarsene.

Jake, no!” continuò lei.

“Non essere ridicola, Bells!” le rispose Jacob lanciandole uno dei suoi sorrisi.

“No!” urlò ancora. Ma i tre licantropi se n’erano ormai già andati. Io sbuffai, davanti al suo quarto ‘no’. Mi alzai e mi diressi anch’io veloce fuori dalla cucina, per godermi gli ultimi momenti di festa e di umanità, inutilmente. Ormai la festa era rovinata, e sorprendentemente non c’entravano i licantropi. Se Bella avesse continuato ancora un po’ a urlare le avrei infilato qualcosa in bocca per farla stare zitta. Possibile che non capisse che sarebbe peggio se i licantropi non ci fossero stati? Tuttavia mi astenni dal fare tutto questo, sia per evitare scenate davanti ai Cullen e ai miei, sia perché molto probabilmente era stata una reazione sconsiderata; con tutta questa tensione per la battaglia e tenendo conto che aveva appena saputo che l’artefice di tutto era Victoria, ero sicura che aveva agito senza pensare. D’altronde, anch’io a causa di tutto questo avevo detto o pensato a tante sciocchezze di cui poi mi sono pentita.

Tentai quindi di pensare a qualcos’altro tornando a ballare con Eric.

 

La festa finì non molto dopo. Chi l’avrebbe mai detto; non mi ero mai divertita così tanto. E così grazie a quell’occasione, avevo scoperto che ero effettivamente tipo da feste. Bhè, non esageriamo, ero il tipo da feste di Alice, avevo dei gusti molti delicati. Dopo che tutti se ne furono andati Edward riaccompagnò a casa Bella. Tutti i Cullen, dopo la temporanea alleanza che avevano stretto con i licantropi, erano molto più tranquilli e rilassati, per non parlare di Emmett che sprizzava entusiasmo da tutti i pori. Tutti cercarono di tranquillizzare Bella più che potevano, io compresa. Se prima il suo comportamento mi aveva irritata parecchio, ora provavo solo dispiacere per lei; era un fascio di nervi, ancora più tesa di quanto fossi io quando non avevamo a disposizione nessun aiuto.

Potevo sapere quello che pensava e provava; gli aiuti che non poteva dare, il peso che rivestiva e coinvolgeva vampiri e licantropi, la probabilità, minimizzata al limite, ma sempre presente, che qualcuno potesse morire erano angosce che provavo anch’io.

Erano, dopotutto, sensazioni e pensieri con cui un umano che vive con dei vampiri deve fare i conti prima o poi e che alla fine deve essere in grado di accettare, sentendosi inutile, inetto, anche dannoso. Se un umano non avesse accettato tutto questo, allora non sarebbe riuscito a vivere con dei vampiri. Anch’io l’avevo accettato, con fatica, talvolta dando retta, talvolta no, ai miei genitori, che seri mi assicuravano che se fossi stata un peso non mi avrebbero tenuta con loro. Loro più di tutti non sopportavano che mi sentissi tale.

Speravo che valesse anche per Bella. Almeno, speravo che potesse convivere con questi rimorsi fino al giorno della trasformazione.

Forse era la contentezza per il grande vantaggio che ora avevamo contro Victoria, ma oltre a rassicurare Bella, i Cullen coprirono di attenzioni anche me, come se ne avessi bisogno. Esme mi abbracciò lentamente, stando attenta a non farmi male, Carlisle mi assicurò con una mano sulla spalla, Jasper contribuì a rendermi ancora più felice, come se l’euforia della festa fosse finita, ed Emmett non poté trattenersi dalle sue battute.

“Per una che si sbatte tutti i licantropi di La Push, sarà un gioco da ragazzi menare una ventina di neonati” Presa dalla troppa euforia, non potei non stare al gioco.

“Ovvio, non vedo perché vi dobbiate preoccupare” dissi con aria snob, non facendo altro che aumentare le sue risate.

Tentai a festa finita di convincere Alice ad aiutarla a sistemare la casa, ma lei sistemò tutto da sola dieci volte più velocemente di quanto lo avrei fatto io.

In compenso andai in camera a riposare un po’; i miei genitori mi avrebbero portato con loro all’‘addestramento’ di Jasper, decisi a non lasciarmi da sola neanche un secondo. Ero curiosa anch’io di sapere di cosa si sarebbe trattato; l’unica cosa che mi dispiaceva era l’orario per me assurdo, ma d’altro canto non poteva essere diversamente.

Mi fu abbastanza difficile addormentarmi; nonostante fossi abbastanza stanca avevo ancora la musica e l’adrenalina in corpo che mi facevano stare sveglia.

Quando mi svestii per mettermi più comoda qualcosa cadde dalla tasca del vestito attirando la mia attenzione. Era il sacchettino tutto colorato di Jacob. Lo presi sospirando rumorosamente, guardandolo confusa. Jacob mi dava i nervi; stava diventando insopportabile e sempre più incomprensibile. Prima diceva che non voleva vedere né Bella, né me, ed ecco subito che ci dava questo regalo. D’altronde, a questo punto, non sapevo cosa fare, se assecondarlo o no. In teoria non avrei dovuto accettarlo, ma lo aprii lo stesso; decisi che in base al regalo lo avrei tenuto o no.

Dentro c’era un braccialetto e un foglietto. Scusa ancora se mi sto comportando così. Ti spiegherò tutto’. Leggendo quel biglietto, mi convinsi a tenere il regalo. Era una situazione irritante, ma dopotutto Jacob non si comportava così né perché era arrabbiato, né perché non mi voleva più come amica. Lo assecondai così anche questa volta. Quando mi avrebbe raccontato tutto di questa faccenda, le avrebbe sentite di brutto. Presi il braccialetto e lo osservai bene; era in semplice caucciù, ma colpì la mia attenzione il ciondolo che era attaccato: un lupo accovacciato intarsiato nel legno. Era splendido. Adesso che mi ricordavo Jacob aveva detto che l’aveva fatto lui. Inoltre il colore del legno mi ricordava moltissimo il colore della sua pelliccia, quando era trasformato in un lupo. Era perfetto per ricordarmi sempre di lui; se questo era il suo obiettivo con quel braccialetto, bhè, c’era riuscito alla grande. Me lo legai subito al polso sinistro.

Dopo essermi cambiata, mi appisolai sul letto. Caddi nel mondo dei sogni quasi subito, ma non riuscii neanche a entrarvi che fui subito svegliata da mamma; era già ora di andare. Sulle prime pensavo di fare un po’ di capricci e rimanere lì, poi mi decisi ad indossare il giubbotto e a raggiungere gli altri in salotto.

Salii sulla schiena di papà e partimmo. Era da tempo che non viaggivo su un vampiro e sentire quel senso familiare di adrenalina mi risollevò l’animo e mi svegliò del tutto.

Papà si fermò dopo neanche un minuto. Ammisi che mi sentii un po’ scombussolata quando mi mise giù. Cercai allora di capire dove fossimo. Era troppo buio, quindi dovette passare un po’ di tempo prima che i miei occhi si fossero abituati. Scoprii che ci trovavamo in una grande spiazzo, immenso, circondato dagli alberi.

“Ora aspettiamo Edward” comunicò Carlisle. Si creò un’atmosfera piuttosto tranquilla, si formarono piccoli gruppi che iniziarono a chiacchierare. L’unica che faceva un’eccezione era Alice, accucciata in disparte, a pochi metri da Jasper, che si riscaldava per l’allenamento. Aveva un’espressione imbronciata e infastidita, mentre osservava un punto indefinito sul terreno. Mi avvicinai e le sedetti a pochi centimetri di distanza.

“Tutto bene?” Mi venne poi spontaneo scherzare un po’ con lei per tirarle su il morale “Ma come? Hai fusto a pochi metri di distanza e non lo guardi neppure?” In risposta, Jasper alzò gli occhi al cielo, ma continuò con il suo riscaldamento. Alice invece sbuffò, sorridendomi.

“Non riesco a vedere per colpa dei licantropi. Mi infastidisce non vedere niente” disse, più stizzita che sconsolata. Io appoggiai la testa sulla mano, in direzione di Jasper.

Bhè, allora non ti dispiace se mentre tu pensi a quello che non vedi, io osservo quello che si può vedere” mormorai con una certa malizia. Jasper si mise a sghignazzare, mentre Alice mi guardò allibita. Cominciò allora a spingermi, cercando di farmi allontanare.

“Via! Aria! Sciò!” mi ordinò con un sorriso stampato sulle labbra. Io mi alzai e seguii il suo ordine, lanciandole un sorriso. Almeno l’avevo fatta sorridere. Anzi, da quel momento si dimostrò più interessata a Jasper, che al buio della sua mente.

“Sono arrivati” esclamò Esme. Pochi secondi dopo, spuntarono dalla foresta, mano nella mano, Edward e Bella. Supponevo che anche lei fosse venuta qui sulla schiena di Edward. Dovetti supporre che, come i miei genitori, forse anche Edward non voleva lasciarla sola.

“Ciao Bella” la salutò Emmett “Ti ha portata ad allenarti con noi?” Giusto, non poteva mancarci la battutina di Emmett. Edward gli lanciò un ringhio.

“Non metterle in mente certe idee” gli ordinò.

“Tra quanto arriveranno?” gli chiese Carlisle.

“Tra poco, ma non verranno in forma umana. Ancora non si fidano di noi” comunicò Edward.

“Mi sembra normale. Dovremmo ringraziarli solo perché sono venuti” rispose Carlisle. Intanto che quel minuto passasse, mi avvicinai a Bella, la presi a braccetto e la rapii momentaneamente da Edward, iniziando a camminare non molto distanti dal gruppo di vampiri. Lei ricambiò la stretta in modo energico, forse un po’ troppo.

“Allora, come stai?” le chiesi comprensiva.

“Male” mormorò lei. “Sapere che sia i vampiri, sia i licantropi stanno mettendo in gioco la loro vita per me mi fa sentire un problema. Non provi anche tu questa sensazione?” mi chiese curiosa, e a suo agio a parlare della sua angoscia con chi la poteva condividerla. Io annuii lentamente.

“Certo, sono preoccupata anch’io per loro” concordai con lei, poi alzai le spalle “Ad essere sincera, è da parecchio tempo che vivo nella convinzione di essere un peso per i miei genitori, adesso non solo per loro. Da tanto che ho cominciato ad abituarmi” dissi con una nota di tristezza, mentre Bella mi guardava attenta.

“Ho sempre creduto che per vivere bene assieme a dei vampiri, è necessario adattarsi ed accettare di essere inferiore a loro, da un punto di vista fisico e mentale, ad essere sempre protetta, a non poter essere mai d’aiuto, perché incapaci.” Con i miei discorsi avevo reso Bella ancora più malinconica.

“Davvero hai sempre vissuto questo senso di inferiorità con i tuoi genitori?”

“Sì, bhè, ma con il tempo quasi non la noto più. Anzi, questo mi permette di riscattarmi sul piano morale” evidenziai, con un po’ più di convinzione. Intanto ci eravamo allontanate di un bel pezzo dal resto degli altri vampiri. Lei sospirò, concentrata nei suoi pensieri.

“Vorrei tanto che Victoria lasciasse stare tutti quanti e venisse direttamente da me” mormorò quasi arrabbiata. Io la guardai con occhi stralunati.

“Preferisci morire e concederti a lei, piuttosto che far iniziare questa battaglia” dedussi io. Lei mi guardò seria ed annuì convinta. Bella aveva una visione alquanto ristretta della morte.

“Però tu non vuoi che i Cullen, i licantropi, Jacob ed Edward soffrano” Lei scosse la testa con la stessa convinzione.

“No, affatto. Appunto per questo che…” Ma io la interruppi subito.

“Tu credi che loro non soffriranno se tu morissi?” chiesi allibita. “Credi davvero che se accedesse Edward non ritornerebbe veloce come una scheggia in Italia a farsi uccidere?” Lei scosse la testa agitata.

Ma dimmi, i Cullen cosa c’entrano in questa storia? Non puoi certo dire che sono importante per loro, tanto quanto lo sono per Edward.” Io sfoderai un piccolo sorriso davanti alla sua perplessità.

“Io credo che, da come si comportano con te, che in questo momento non stanno difendendo una persona cara ad Edward, ma un membro della famiglia” E feci un respiro per poi continuare “E per quanto riguarda i licantropi, se ci tieni a sapere anche questo, con lo spirito di fratellanza che hanno di certo non si tireranno indietro per sostenere Jacob. Per non parlare del fatto che stanno venendo a Forks, quindi sono in rischio anche i suoi abitanti. Insomma…” esclamai, alzando le braccia al cielo.

“Ci sono altri motivi affinché questa battaglia debba avvenire” affermai sicura. Bella però mi stava guardando ancora dubbiosa. La costrinsi a fermarsi, appoggiando entrambe le mani sulle sue spalle.

“So quello che stai provando. Anch’io ho attraversato e sto attraversando attimi difficili, perché anch’io ho avuto i tuoi stessi pensieri, che mi hanno spinto ad agire in modo sbagliato. Quindi, per favore…” dissi le ultime parole quasi in atto di supplica, che mi sembrò potessero persuaderla.

“…promettimi che smetterai di fare questi pensieri. Fallo per me. Fallo per Edward. Cercai di essere convincente, soprattutto quando pronunciai l’ultima frase. Non sembrò aver avuto un grande effetto su di Bella, ma lei annuì sommessamente. In quel momento accanto a noi apparve Edward.

“Stanno arrivando” ci comunicò. Prese Bella per i fianchi e l’accompagnò verso gli altri, mentre lei cercava l’altra mano di lui. Quando Bella si era già girata Edward si voltò velocemente per lanciarmi un occhiolino condito dal suo sorriso sghembo. Io sbuffai come un toro arrabbiato. Brutto spione! Correndo li raggiunsi.

Gli altri intanto si erano disposti in fila, in allerta. Io mi infilai in fondo alla fila, tra Emmett e mamma. Aspettavano immobili, osservando il fitto fogliame della foresta.

“Che diamine!” esclamò sbalordito Emmett “Mai visto una cosa del genere.

Insieme a lui molti si lanciarono occhiate sorprese. Cercai di capire cosa ci fosse di tanto strabiliante. Quando i lupi uscirono dalla foresta un forte brivido mi percorse la schiena. Vederli tutti insieme mi ricordò il terrore di quando ci avevano attaccati, quando ancora non conoscevano me e la mia famiglia. Sentii la mano di mia madre stringere la mia. Compresi la sorpresa dei vampiri; i lupi erano cresciuti di numero. Erano dieci; non avevo idea che si fossero trasformati così in tanti. Ero rimasta a sei, forse sette. D’altra parte però questo mi rassicurava molto; eravamo in diciannove, più o meno lo stesso numero dei neonati. In questo modo ci sarebbe stato un neonato a testa. Carlisle fece un passo deciso in avanti, pronto per incominciare.

“Benvenuti”

“Grazie” fece da interprete Edward, con tono sciatto. Vidi qualcosa brillare nell’ammasso scuro del fogliame; dovevano essere gli occhi di Sam, ma il pelo era così nero da non poterlo distinguere.

“Osserveremo ed ascolteremo, ma nulla di più” disse Edward, riportando l’esatto tono e le esatte parole di Sam.

“Perfetto” consentì Carlisle “Mio figlio possiede una vasta esperienza in questo campo. Ci insegnerà come eliminare i neonati. Sono sicuro che si adatteranno alle vostre strategie di caccia” assicurò Carlisle, indicando Jasper, pronto e diffidente verso i lupi.

“In cosa sono diversi da voi?” disse Edward.

“Sono giovani; hanno un paio di mesi. Per questo sono molto inesperti. Non riescono a controllarsi, ma sono più forti e veloci di noi. Stasera sono in venti, dieci per noi e dieci per voi, ma si scontrano e si eliminano a vicenda, quindi il loro numero cala progressivamente. Un mormorio fuoriuscii dal buio.

“Possiamo occuparcene anche di più” rispose Edward, meno impassibile. “Sapete quando e dove arriveranno?”

“Valicheranno le montagne tra quattro giorni, in tarda mattinata. Non appena saranno vicini, Alice ci comunicherà l’esatta posizione. Ancora un brivido mi attraversò la schiena, quando mi resi conto che il tempo stava volando fin troppo velocemente.

“Grazie per le informazioni. Staremo attenti.

Dopo questa piccola discussione iniziale, Jasper poté finalmente iniziare. Carlisle si ritirò nella fila e Jasper si mise in mezzo. Notai dalla sua espressione che si trovava nettamente a disagio; difatti si voltò verso di noi, dando le spalle ai licantropi e ignorandoli completamente. Mi sembrava strano per una persona così carismatica, come aveva detto di essere stato.

“Concordo con Carlisle” iniziò lui “Sono privi di tecnica, e questo gioca a nostro vantaggio. È necessario ricordare due cose: non lasciare che vi stringano tra le braccia e non attaccarli in modo prevedibile. Dovete continuare a muovermi, colpirli di lato, giocare di strategia, in modo da confonderli. Emmett?” Lui uscì dalla fila con un sorriso stampato.

“L’attacco di Emmett è molto simile a quello di un neonato.” A Emmett non piacque il paragone.

“Cercherò di non romperti nulla” disse minaccioso. Jasper sorrise.

“Nel senso che Emmett tende a sfruttare la sua forza fisica. È molto diretto. Attaccami nella maniera più semplice” disse Jasper, indietreggiando di qualche passo. L’ultima cosa che riuscii a vedere fu il sorriso di Emmett che si trasformò in un ghigno. Lo vidi a malapena andare addosso a Jasper, che subito sparì. Anche a quel livello di velocità, potei distinguere che Jasper era molto più veloce di Emmett, che cercava di prenderlo, ma senza successo. Entrambi si fermarono; Jasper gli aveva bloccato le spalle, con i canini a pochi centimetri dalla gola. Non avevo la minima idea di come ci fosse riuscito. Emmett si lamentò innervosito.

“Di nuovo” urlò Emmett.

“No, tocca a me” si intromise Edward, entusiasta anche lui di provare.

“Adesso” lo rassicurò Jasper “Prima voglio far vedere una cosa a Bella. Incuriosita dalle parole di Jasper, mi voltai verso di lei. Jasper chiamò a sé Alice, che si mosse leggera verso di lui.

“So che sei preoccupata per lei. Voglio mostrarti perché non è necessario. Che strano; a differenza di Bella, io avevo pensato che Alice sarebbe stata tra quelli che avrebbe avuto meno difficoltà. Certo, se venisse presa, la si poteva spezzare come un ramoscello, ma era bassa, leggera, molto agile e scattante, quindi mi dava proprio l’idea di un mostriciattolo imprendibile, abituato a non usare tanto la forza fisica, a non fermarsi mai e a mettere in pratica strategie imprevedibili. Tenendo conto del suo dono, avevo ancora meno dubbi.

Difatti Alice rimase immobile, lanciando un’occhiata schietta a Emmett dietro di lei, mentre Jasper si mise in posizione d’attacco. Alice chiuse gli occhi, molto probabilmente per vedere le decisioni di Jasper. Lui partì, ma non fu così veloce come con Emmett. Sembrava quasi non attaccarla, sembrava che le stesse volando attorno, mentre Alice rimaneva immobile. In realtà Jasper stava cercando di attaccarla eccome; Alice non era immobile, ma eseguiva impercettibili passi di pochi centimetri, appena sufficienti a schivare l’attacco. Jasper si mosse più deciso e veloce e anche Alice cominciò a muoversi più evidentemente. Sembravano un’aquila che cercava di afferrare con colpi veloci e decisi un uccellino che volteggiava senza fermarsi. Alla fine Alice lo prese in contro piede e gli salì sulle spalle, baciandogli il collo.

“Preso!” esclamò scoppiando a ridere.

“Sei davvero un mostriciattolo” mormorò Jasper scuotendo la testa. Tra i lupi intanto ci furono dei nuovi mormorii. Quando Jasper ebbe finito si fece avanti Edward, impaziente di prenderle. Mi illusi; entrambi cominciarono a muoversi veloci, ma riuscii comunque a distinguere qualcosa. Jasper aveva cambiato tattica, che ora si adattava più alla tecnica di Edward, che contava sulla sua velocità. Edward schivava tutti i colpi, sia grazie alla sua velocità, sia leggendo i pensieri di Jasper, ma continuava ad essere in difficoltà, esattamente come Jasper i cui affondi centravano il vuoto, nonostante la tecnica molto più precisa ed efficace.

Quello scontro sarebbe durato un’eternità se Carlisle non li avesse fermati tossendo. Jasper rise e fece un passò indietro ed Edward lo ricambiò.

“Parità” annunciò Jasper. Dopo di Edward toccò a Carlisle, Rosailie, Esme, di nuovo Emmett.

Proprio come mi ero aspettata, mi affascinò l’allenamento di Jasper. Stetti incredibilmente attenta a come si muovevano, anche quando Jasper si fermava per dare correzioni o consigli. Lo associai per un attimo a me quando lavoravo con i miei bambini. Da interessata passai a emozionata quando toccò ai miei genitori. Jasper fece un segno, in dubbio, a papà, ma lui rifiutò con una mano.

“Non serve, fidati” mormorò papà, per niente con un tono orgoglioso, anzi, era piuttosto malinconico. Non era una piacevole situazione per lui, dopo la quantità di neonati che doveva aver ucciso sotto gli ordini dei Volturi. Jasper annuì e passò oltre. Indicò mia madre; la guardai eccitata, mentre lei si metteva in posizione. Nel girò di neanche un secondo l’aveva atterrata; la guardai leggermente sconsolata. Mamma se la stava cavando proprio male; non per criticare, ma era peggio di tutti. Non riusciva a muoversi nel modo giusto, come facevano gli altri. Forse non aveva l’istinto del combattimento, cosa davvero strana per un vampiro. Per questo Jasper dovette passare più tempo a occuparsi di lei e darle istruzioni, mentre gli altri si allenavano per conto proprio. Mi innervosii subito; se mamma non era in grado di uccidere un neonato, allora sarebbe stato un bersaglio debole. I miei occhi guizzarono su papà, che mi fece un occhiolino di rassicurazione. Non c’era da dire che non funzionò affatto. Non c’era niente che potesse smuoverla di un poco? Mi venne un’improvvisa e curiosa idea…

“Interessante” esclamò Edward verso di me “Potrebbe funzionare, sai?” continuò lui. Bella mi guardava curiosa, anche lei non meno interessata di me all’allenamento. Edward fu subito vicino a Jasper, che gli illustrò prontamente cosa volessi fare. Parlò troppo veloce per me, ma tutti i vampiri e licantropi sentirono. Di conseguenza, mi alzai e andai anch’io verso di loro, entusiasta per l’idea, seguita da papà. Ora solo Bella non aveva idea di cosa stava per succedere.

“Sì, potrebbe funzionare” confermò papà. “Ottima idea, Abigail

“Ti andrebbe, Sophie, di provare?” chiese Jasper incuriosito. Mamma non sembrava convinta.

“Non vorrei far del male a qualcuno” rispose mia madre tesa.

“Non esagerò” cercò di rassicurarla JasperAbigail, mettiti pure là. Eseguii i suoi ordini e mi misi a parecchi metri di distanza. Ora tutti erano desiderosi di conoscere i risvolti dell’esperimento. A pochi metri da me si posizionò Jasper. Molto più in là invece si misero in posizione papà, e subito dietro mamma.

Abigail, sei pronta?” mi chiese Jasper. Io annuii convinta. Il senso di paura mi raggiunse all’istante. Aveva un non so che di irreale; non c’era effettivamente nessun pericolo di fronte a me. Ma in pochi millesimi di secondi mi terrorizzai. Fu una sensazione appena percettibile, di neanche un secondo. Finita quella sensazione di terrore, ne subentrò un’altra di sorpresa, questa volta naturale. Un attimo prima mia madre si trovava a una cinquantina di metri da me, mentre adesso mi era rannicchiata vicina, mentre i corpi di papà e Jasper erano finiti a terra.

“Che forza!” Il breve silenzio venne interrotto dall’esclamazione di Emmett. Mamma si voltò e mi lanciò un sorriso rassicurante. Papà e Jasper si rialzarono senza problemi.

“Incredibile” sussurrò Rosalie. Vidi l’espressione di Bella non meno sorpresa della mia. Edward invece aveva visto la scena con una visibile ombra di invidia negli occhi.

Bhè, ha funzionato, direi” osservò Jasper, entusiasta per la buona riuscita dell’esperimento. Alla fine il potere di mamma funzionava non solo quando ero davanti a un reale pericolo, ma anche quando subivo emozioni fittizie, come quelle create da Jasper.

“Potrebbe esserci utile durante la battaglia” propose Jasper. Non l’avesse mai fatto.

“Preferirei di no” esclamò subito mamma, fin troppo seria, per poi subito ricomporsi. “Vorrei usare il mio potere solo se necessario. Jasper la fissò per alcuni secondi, per poi annuire.

“Non c’è problema” affermò convincente. Poi si rivolse verso i licantropi per la prima volta.

“Domani ci eserciteremo ancora. Sempre qui alla stessa ora.”

“Ci saremo” disse Edward, duro. Poi si rivolse a noi. “Il branco crede sia importante che memorizzino i nostri odori, così da non poterli confonderli con quelli nemici. Se staremo fermi, per loro sarà più facile.

“Certo” acconsentì Carlisle rivolto verso Sam. Mi diressi accanto a Bella, mentre i lupi emergevano dal buio del fogliame. Ormai era arrivata l’alba e anche se una coltre di nuvole ricopriva il sole, la luce era sufficiente per distinguere i colori dei manti dei lupi. Li contai di nuovo, credendo che prima avessi sbagliato, per la mancanza di luce, ma avevo avuto ragione, erano dieci. I lupi cominciarono a muoversi lentamente, capeggiati dal lupo grosso e nero, Sam. Iniziò ad annusare Carlisle, poi con una sorta di smorfia sul volto, passò a Jasper, che lo guardava teso ed innervosito. Dietro di lui sfilava il resto del branco. Alcuni lupi erano più piccoli rispetto alla media; in particolare ce n’era uno dal pelo color sabbia, che mi suscitò una sorta di tenerezza quando guaì, passando accanto a mia madre. Cercai di identificare i lupi con le persone, ma non ci riuscì con tutti. Riconobbi Paul dall’espressione schifata che aveva sul viso, evidente anche in quelle sembianze, e di Embry, che camminava teso a passo lento. Non era solo lui; tutti i licantropi non si trovavano a proprio agio a stare così vicini a dei vampiri, neanche da lupi. Tutti tranne uno, che anche se era trasformato, non perdeva il suo orgoglio e la sua sfacciataggine. Jacob, dietro a Sam, con il pelo rossiccio, si comportava come se i vampiri non esistessero. Sorrisi e scossi la testa; era sempre il solito. Credo che si accorse della mia risata, perché mi mostrò le grandi e taglienti zanne, in segno di ammonito. Poteva essere minaccioso e mi avrebbe messo paura, se non avesse lasciato la lingua a penzoloni, cercando di imitare un sorriso. Spalancò la bocca e riservò lo stesso trattamento anche a Bella. Riprese la fila, sotto gli sguardi contraddetti dei licantropi e quelli di dissenso dei vampiri.

Finirono in breve, dopodiché se ne andarono subito. Almeno, tutti tranne Jacob. Si avvicinò a me e a Bella, ed Edward gli fu subito vicino. Vicino agli alberi erano rimasti due lupi a tenere d’occhio Jacob: uno era Embry, l’altro doveva essere sicuramente Quil. Edward aveva preso per mano Bella ed osservava Jacob interessato.

“Sì, giusto” gli disse “Dobbiamo ancora parlarne” Jacob in risposta fece un ringhio cupo. Cercai di capire di cosa stessero parlando, ma senza successo.

“E’ più complesso di quanto sembra” continuò lui. “Faremo in modo che tutto si svolga nel maniera migliore.”

“Di cosa state parlando?” chiese finalmente Bella.

“Strategie” rispose Edward. Non fu proprio cristallino. Jacob osservò prima me, poi Bella ed infine Edward, prima di inoltrarsi nella foresta.

“Torna adesso” spiegò Edward “Vuole parlare da solo con noi” Poi volse la testa verso i miei genitori. “William, Sophie” Loro arrivarono in un lampo.

“Sarà meglio decidere dove staranno Bella ed Abigail durante la battaglia. Entrambi annuirono decisi.

Ah, ecco di cosa si erano messi a parlare. Qualcosa di grande importanza, dopotutto; ero stato troppo impegnata a pensare alla vita dei Cullen e dei licantropi, piuttosto che preoccuparmi della mia. Come aveva detto Edward, era una faccenda molto complessa, in quanto eravamo proprio noi il bersaglio di Victoria.

Ne abbiamo discusso in privato” iniziò mamma “Crediamo che sia meglio che sia Abigail che Bella rimangano insieme, anche se separate saranno un obiettivo più difficile” Edward annuì convinto.

“Naturalmente” Dovevo dire che Edward e mia madre formavano un’accoppiata formidabile e per quanto riguardava l’iperprotettività la pensavano allo stesso identico modo.

E anche se sarebbe pericoloso, non vogliamo che si distanziano molto da noi. Dovrebbero stare in un luogo da noi raggiungibile in qualsiasi momento. Inoltre non pensiamo sia una buona idea lasciarle completamente sole” continuò mamma. Edward annuì più volte.

“Concordo assolutamente, Sophie. Con i licantropi possiamo trovare una soluzione più che adeguata” l’assicurò Edward.

Dagli alberi fuoriuscì finalmente Jacob, nudo se non fosse per un largo paio di calzoncini neri. Ci raggiunse con il solito atteggiamento sfrontato che non perdeva mai.

“Allora, cosa c’è di complicato?” esclamò spazientito. Si mantenne a debita distanza, ora che non c’era solo Edward, ma anche i miei genitori.

“Non possiamo rischiare che qualcuno le raggiunga” rispose Edward, con calma.

“Se mai dovesse succedere, posso intervenire io” si intromise ancora mamma. Edward la guardò riconoscente, ed annuì.

“Lo so, Sophie, ma è meglio cercare di eliminare ogni possibilità”

“Certamente” affermò lei. Per un attimo pensai che se fosse dipeso da quei due, avrebbero di sicuro costruito un bunker militare dove ficcarci.

“Le possiamo lasciare alla riserva. Collin e Brady resteranno comunque lì. Saranno entrambe protette” propose Jacob.

“Di certo a Forks non possono stare” intervenne papà.

E Charlie?” esclamò improvvisamente preoccupata Bella.

“Starà con Billy” rispose Jacob “Non credo che farà tante storie; sabato ci sarà la partita.

“Non credo che La Push sia una buona idea” continuò Edward serio e pensieroso “Ci sono già state troppe volte. Hanno lasciato tracce dappertutto e Victoria le potrebbe trovare. Se così fosse, Alice non potrà vedere le sue decisioni. Dovremmo lasciarle in un luogo dove non vanno di solito e dove sarà difficile trovarle.”

Mmmh… potrebbero buttarci in un sommergibile e lasciarci lì per tutto il giorno; di certo le profondità del mare non sono luoghi che io e Bella frequentiamo spesso. Almeno, non io.

“Potremmo fare anche quello, se non la smetti” mi rimproverò Edward, stizzito dai miei pensieri, mentre i miei genitori mi lanciavano occhiate di rimprovero.

“Allora nascondiamole là” propose Jacob, indicando i Monti Olimpici. “Ci sono molti luoghi nascosti che ognuno di noi potrebbe raggiungere.

“Mi sembra un’ottima idea” confermò papà “Se non fosse per il loro odore. Insieme ai nostri, inoltre, lascerebbero una scia troppo evidente.”

“William ha ragione” confermò Edward “Non sappiamo che strada prenderanno.” Tutti e quattro si incupirono.

Dev’esserci un modo per mimetizzare il loro odore” disse mamma.

“Ci penseremo domani” proruppe Edward, osservando attentamente Bella “Bella ha bisogno di risposo.”

“Hai detto che il mio odore vi disgusta, giusto?” esclamò all’improvviso Jacob, tutto concentrato. A Edward gli si illuminarono gli occhi.

“Giusto” disse convinto. Si voltò per chiamare anche Jasper. Lui si avvicinò interessato, con un’Alice dall’espressione sconsolata.

“Va bene, Jacob” disse Edward per dargli il permesso. Sì, ma il permesso di fare cosa? Jacob si voltò verso me e Bella, entusiasta.

“Cos’hai in mente, Edward?” chiese mia madre, tesa per l’espressione del licantropo.

“L’odore dei licantropi dovrebbe coprire quello di Abigail e Bella. Vogliamo fare una prova?” spiegò Edward. Anche i miei genitori sembravano diventati entusiasti dell’idea.

“Riesci a portarle tutte e due?” chiese Edward. Jacob alzò le braccia con un ghigno strafottente.

“Certo, nessun problema. Lui non vedeva l’ora di prenderci in braccio, ma io e Bella non eravamo dell’esatta sua opinione. Allungò ancora le braccia verso di noi.

“Forza!” ci incitò Jacob. I miei genitori mi guardavano impazienti, mentre anche Edward la invitava ad accettare con lo sguardo, seppure non facesse nemmeno lui i salti di gioia. Feci uno sbuffo e mi avvicinai a lui. Gli sarei salita sopra, ma non avrei di certo permesso che fosse lui a usare le mani; non credevo che il contatto fisico fosse la migliore delle idee in quel momento. Mi convinsi a muovermi quando fui certa che sul suo viso non ci fosse nient’altro che serietà. Mi misi dietro di lui e mi arrampicai sulla sua schiena. Strinsi in una morsa la sua vita con le gambe, mentre mi tenevo con le braccia al suo collo, posizionandomi come quando viaggiavo con i miei genitori. Forse strinsi un po’ troppo.

“Stai cercando di strozzarmi?” mormorò lui divertito.

“E’ solo una tua impressione” gli risposi nello stesso tono. Poi anche Bella si decise a farsi prendere in braccio. Cercai di immaginarci in quella posizione; dovevamo proprio sembrare degli incapaci acrobati del circo. Poi Edward si rivolse a Jasper.

“Io sono troppo sensibile all’odore di Bella. E questo credo valga anche per Will e Sophie” disse, mentre i miei genitori fecero un cenno di assenso “Abbiamo bisogno di qualcuno che verifichi che l’odore scompaia.” Jasper annuì, mentre Jacob cominciò a inoltrarsi nella foresta.

Il giro fu piuttosto breve, per mia fortuna. Tutto il tragitto lo passammo in silenzio ed era fin troppo palpabile la situazione tesa tra me, Jacob e Bella. Se prima chiusa nel mio cappotto stavo bene, adesso morivo di caldo avvinghiata a lui. Per non pensare poi a come sarei stata al posto di Bella… No, basta pensieri del genere; al momento mi erano più che dannosi. Ma perché diamine mi dovevo innamorare di una persona così volubile?!

Tornammo nella radura, ma non sbucammo nell’esatto punto da dove eravamo partiti. Edward ed i miei genitori ci aspettavano là. Jacob mollò Bella non appena lo vide, e io feci lo stesso. Vicino a loro apparvero anche Alice e Jasper. Li raggiungemmo, aspettando il loro verdetto.

Quindi?” chiese Bella.

“E’ impossibile notare i vostri odori, a meno che non tocchiate qualcosa” disse Jasper in una smorfia di disgusto. “Era quasi inesistente.” 

“Concordo” affermò anche Alice, esibendo la stessa espressione.

E mi ha fatto venire un’idea” continuò Jasper.

Che funzionerà” lo appoggiò Alice.

“Perfetto” si complimentò Edward.

“Come fate a sopportarli?” sentii Jacob mormorare. Tentai di reprimere un sorriso, dovendo ammettere che aveva ragione. I miei genitori li guardavano interessati, in attesa di spiegazioni.

“Bella ed Abigail tracceranno una falsa scia, che li porterà qua, nella radura. I neonati non ragioneranno più e verranno sicuramente qua, dove noi li aspetteremo. Alice ha già visto come si comporteranno; metà verrà qua, mentre l’altra andrà nella foresta, dove la visione si interrompe…”

“Esatto!” esclamò Jacob.

Quindi metà a noi e metà a voi” riassunse papà. Fui molto soddisfatta delle strategie che licantropi e vampiri stavano elaborando, che sembravano davvero efficaci, e dovevo ammettere che ero davvero contenta, sia perché vedevo licantropi e vampiri, nemici mortali, collaborare civilmente, sia perché queste strategie comprendevano anche me e Bella, quindi non saremmo state un peso del tutto inutile.

“Non pensarlo neanche!” esclamò poi Edward irritato verso Jasper.

“Sì, scusami” rispose lui sulla difensiva “Non l’ho neanche preso in considerazione. Alice gli pestò un piede. Rimasi un po’ spiazzata dalle loro reazioni: cosa poteva mai aver pensato Jasper? Di metterci forse imbevute di sangue al centro della radura per fare da esca?

Abigail, non ci mettere anche tu” mi rimproverò Edward, con un espressione di disgusto. “E non ci sei andata molto lontana.” Sbiancai un poco e credetti per un attimo che Jasper avesse una mente perversa.

Se Bella ed Abigail fossero nella radura” spiegò lui “li farebbero perdere il controllo. Se facessi spaventare Abigail, poi sarebbe tutto più semplice…” Ma si interruppe davanti allo sguardo duro e severo dei miei genitori, in particolare di mamma.

Ma mi rendo conto che sarebbe troppo pericoloso. Era solo un’idea” concluse Jasper, forse un pochino intimorito. Per una volta, concordavo con i miei genitori e con Edward; sarebbe stato pericoloso essere lì presenti. E poi non mi piaceva l’idea di vedere mamma e papà mentre combattevano.

Jasper prese per mano Alice e si diresse dagli altri, che intanto si stavano esercitando da soli. Jacob gli lanciò un’occhiata schifata da dietro le spalle.

Jasper è scrupoloso: guarda le cose da un punto di vista strategico. Non pensa immediatamente alle conseguenze che avrebbero su Bella o Abigail. In tutta risposta Jacob sbuffò. Edward lo ignorò e tornò a parlare ai miei genitori.

“Venerdì pomeriggio porterò qui Bella ed Abigail, così da lasciare la falsa traccia. Jacob ci raggiungerà più tardi e le porterà in un luogo difficile da individuare, ma facile da raggiungere” Mio padre annuì.

“Hai già in mente dove?”

“Ho un’idea”

E poi? Le lasciamo lì con un cellulare?” intervenne Jacob ironico.

Jacob ha ragione. Non è prudente lasciarle lì da sole” confermò mamma. Jacob fece una faccia piuttosto sorpresa, quando mia madre gli diede ragione, ma non durò molto, troppo concentrato a pianificare.

“Potrebbe venire Seth…” propose Jacob a mezza voce. Quelle parole non potevano significare niente per noi, ma non per Edward.

Buona idea” gli rispose Edward. “Uno dei loro lupi più giovani da La Push può raggiungerle, così potranno essere sempre in contatto con il branco” spiegò, per poi rivolgersi verso Jacob “La distanza non crea problemi?”

“No”

“Cinquecento chilometri non sono un problema?” chiese Edward piuttosto sbalordito.

“E’ la distanza massima che abbiamo raggiunto. Nessun problema” rispose Jacob, con una punta di immancabile orgoglio. I miei genitori annuirono per l’ultima volta.

“Mi sembra che a questo punto non ci sia altro da pianificare” concluse mamma.

“Sì, per ora è tutto. Tuttavia teniamoci in contatto, in previsione di qualsiasi cambiamento” disse Edward a Jacob.

“Va bene” rispose lui. Jacob si voltò e raggiunse i due licantropi che non avevano smesso di aspettarlo. Prima di vederlo scomparire tra gli alberi, badò bene a lanciare a me e a Bella un sorriso di saluto.

L’allenamento continuò fino a tarda mattinata, ma io e Bella andammo subito a casa; lei faceva fatica a reggersi in piedi, mentre io percepii la stanchezza solo quando arrivai a casa. Andai subito a dormire e mi sembrò quasi di sognare ricordando Jacob, Edward e i miei genitori, licantropo e vampiri, nemici naturali, così uniti per proteggere le persone a cui tenevano di più.

Il mio ultimo pensiero confuso prima di addormentarmi fu che senza renderci conto, io e Bella avevamo di nuovo unito i loro destini, in modo tale da aggiungere un nuovo e differente capitolo all’antica storia di entrambe le due creature.  

 

 

 

 

 

Ed ecco che è andato anche il diciannovesimo capitolo! Dai, piano piano la fine di Eclipse si sta avvicinando e subito dopo ci sarà l’inizio di Breaking Dawn, che, anche se non l’ho ancora scritto, vi posso assicurare che sarà il migliore dei tre! Intanto se prima sembrava che qualcosa si fosse mosso, ora si fa ancora più confuso il rapporto tra Jacob e Abigail. Lo so, vi sto tenendo sulle spine, ma non posso davvero svelarvi nient’altro.

A malincuore, vi comunico che questo sarà l’unico capitolo che pubblicherò quest’estate, pertanto quelli che seguiranno potrei postarli anche a distanza di settimane, anche se pensavo a questo punto di farli davvero più corti. Ringrazio quindi già da adesso tutti coloro che saranno disposti ad aspettare i capitoli di questa storia, anche a distanza di mesi. XD

Ringrazio nuovamente tutti coloro che hanno segnalato questa mia storia in preferiti, ricordati e segnalati, e soprattutto ringrazio coloro che hanno commentato (Grazie tantissime! Questa volta siete stati tantissimi)! Ma nonostante tutto, un grandissimo bacione lo mando lo stesso a tutti ;).

 

X MoonLight_95: Che peccato! Ho visto che hai cancellato la tua storia, alla fine. E così rimarrò nel dubbio. :( Effettivamente già da un po’ di capitoli vedo che la tua recensione è sempre la prima, e da un po’ di tempo mi sto chiedendo quanto tu stia su EFP (parlo io, che un tempo ero peggio di te ;) )! No, no, dai! Deficiente è una parola grossa! Diciamo che è solo un po’ confuso XD.

Grazie tantissimo per continuare a commentare! Un bacio!

 

X __cory__: Aspetta, aspetta, aspetta, definiamo il termine ‘ammiratore’. Credo forse di aver capito male che cosa intendevi, perché effettivamente Eric ci prova ‘anche’ perché Abigail è nuova, ma soprattutto perché gli fa tenerezza: fin dall’inizio tende a fare con lei il fratello maggiore.

Per quanto riguarda il resto, mi dispiace liquidarti così, ma non posso dire assolutamente niente! Mi saprò far perdonare. Ti ringrazio ancora per i tuoi commenti e ti ripeto che adoro il modo in cui mi esponi i tuoi pensieri! Un bacio anche a te!

 

X Kianna: Buongiorno! No, dai, scemo è un po’ esagerato! Diciamo che ha le idee un po’ confuse ;). Mi ha fatto piacere che tu abbia trovato divertente la sommessa finale (Mi è venuta naturale proprio alla fine!) come anche la storia di Jasper ed Alice riassunta fino al midollo. Credevo davvero che così ripetuto fosse di troppo. Per quanto riguarda la figura di Jessica, pensavo che ci stesse davvero! E sottolineo che con questo non volevo per niente ‘offendere’ Edward, solo scherzare un po’.

Grazie ancora tantissime per il commento! Un bacio anche a te!

 

X Franny97: Ciao, Abi, no, scusa, Franny97, no aspetta Abi, sì, Abi, no, Franny97 @_@. Tu, insomma!

Bon, dai, pensa positivo, anche se alla fine si è rivelato tutto un sogno, mentre stavi leggendo era come se succedesse davvero no? XD Bon sì, effettivamente c’è poco da pensare positivo

Allora, ti riassumo in breve perché Abigail non reagisce così male. Di fronte al bacio non fa niente perché c’è rimasta troppo di sasso, quindi va a parlare con Jacob. Dopo quello che le ha detto ci rimane ancora di più di sasso, tanto che invece di fumare dalla gelosia, comincia a preoccuparsi per lui. Poi, no, non si sta affatto dimenticando di lui, ma è tanto presa dalla battaglia che sta per arrivare, che pensa sia davvero meglio in questo momento non pensare a Jacob. Ma se vuoi chiarirti di più le idee, ti consiglio di andare a leggere l’ultimo paragrafo del precedente capitolo ;). Allora, ti assicuro che Eclipse lo finisco di sicuro, ma per quanto riguarda Breaking Dawn… Io mi impegno, ma spero davvero di farcela davvero...

Comunque, grazie tantissimo per il commento! Un grande bacio anche a te!

 

X Newdark: No, dai, totalmente pazza mi sembra esagerato. Diciamo ‘leggermente pazza’, come la Ferrarelle XD. Aspetta, aspetta, aspetta! Non ti arrabbiare! Era solo uno scherzo! Un po’ di pessimo gusto, forse hai ragione, ma con questo non volevo affatto offendere Edward, che anzi è il primo a sbattersene completamente di quello che pensano gli altri! Detto questo… di più non ti posso dire! Lo si scoprirà solo leggendo. Tra un po’. Oltre a questo, ti ringrazio vivamente di seguire la mia storia e anche per tutti i tuoi splendidi complimenti! Spero che ci sentiremo presto! Un baco!

 

X nes_sie: Non so perché, ma è solamente leggendo il tuo commento che il termine ‘pausa di riflessione’ non mi sembra poi tanto adatto e che fa davvero un gran ridere come parola, anche se Jacob l’ha usato di proposito per rinfacciarglielo a Abigail. A parte questo, sono contenta che sia piaciuta anche a te il riassunto della storia di Jasper, che pensavo annoiasse e basta, e della scommessa! Inoltre son felice anche che ti sia accorta del forte rapporto che c’è tra Abigail ed il padre, e non solo quello che ha con sua madre!

Detto questo, ti saluto tanto e ti ringrazio ancora! Un bacio!

 

X GiuliaMary: Si, scusa per il grande ritardo! Anzi, ti avverto già da adesso che purtroppo sarà anche peggio! Quindi sarà indispensabile armarsi di pazienza. Inoltre ti do un pollice in su (come con i video su youtube XD) per le fette di prosciutto sugli occhi! Ti ringrazio ancora moltissimo per il commento! Spero che, anche se ce ne vorrà, leggerai anche il prossimo capitolo :)

PS: Abigail è felice che qualcuno apprezzi le sue battutine che considera solo freddure poco divertenti ;)

 

X mylifeabeautifullie: Uau, Londra! Ci sono stata anch’io, tempo fa! Mi è piaciuta un sacco! E stranamente non ha piovuto manco un giorno! Scusa, a parte questo, non ti uccido se per una volta non commenti. Ma che sia l’ultima, chiaro? ;) Ovviamente stavo scherzando! Mmh… scusa un momento, ma cosa vuol dire esattamente ‘riusciranno a fare qualcosa quei due?’. Quelqualcosa’ lo hai usato in modo generico o ti riferivi a qualcosa di particolare? :) A parte questo, ti ringrazio ancora di aver sempre commentato fino ad ora. Ti saluto tantissimo! Un bacio.

 

X Veronika97: Da come l’hai messa, mi è sembrato un ordine! A cui io rispondo ‘Sì, signora’. Non appena ho finito di pubblicare, corro subito a scrivere! XD

 

X eleonora96: Sono contentissima che trovi questa storia originale, anche se in realtà alla fine nient’altro è che una revisione della saga. Anch’io penso che quei due formino una grande e bella coppia insieme, anche se ce li vedo più come amici, che altro, e ti prometto che in qualche modo, tra un bel po’, la cosa si risolverà in qualche modo :) . Per ora ti ringrazio tantissimo per lo stupendo complimento! Ci vediamo alla prossima! Un bacio.

 

 

 

 

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Capitolo 20
*** Ventesimo Capitolo ***


Ventesimo Capitolo

 

Ventesimo Capitolo

 

 

Non appena mi svegliai, invece di rimanere a letto a lamentarmi del solito freddo al di fuori della lenzuola, con un grande sprint di energia mi misi subito in piedi. Era da tantissimo tempo che non dormivo così bene e così tanto. Uscii in forze da quella dormita, non ero nemmeno troppo scombussolata.

Verificai per quanto avevo dormito e mi accorsi che era tardo pomeriggio. Oh , adesso si capiva tutto; ringraziavo i miei per non avermi svegliata prima. E poi ci sarebbe stato anche stanotte l’allenamento notturno di licantropi e vampiri, quindi dovevo essere carica. Mi dispiaceva solo per il mio orologio biologico, che per un po’ ne avrebbe risentito.

Andai in bagno con calma, e mi scelsi velocemente i vestiti per la giornata, mentre pensavo a cosa avrei potuto fare. Dovevo ammetterlo, per certi versi la scuola qualche volta mi era davvero insopportabile, ma almeno teneva occupata metà della mia giornata; senza invece potevo girarmi i pollici e basta per tutto il giorno, visto che, ancora un po’, non potevo nemmeno uscire di casa. No, stavo esagerando, ma al massimo mi era consentito andare a La Push, di Port Angeles, non se ne parlava proprio, per esempio.

Mentre mi allacciavo le scarpe, quindi, le scelte che mi si erano presentate erano due; o andavo a La Push, ovviamente non da Jacob, ma a trovare Emily, e stare un po’ con quegli idioti di licantropi a stuzzicarci a vicenda, facendo i soliti discorsi da maschi, che almeno mi avrebbero distratta. Oppure andavo da Bella; era da parecchio che non ci andavo, però l’idea che ci sarebbe stato anche l’inseparabile Edward non mi faceva toccare il cielo con un dito.  

Quando scesi in garage avevo deciso: sarei andata da Bella. Volevo verificare se il suo umore si fosse risollevato e se i pensieri che mi aveva confessato l’altra notte fossero almeno un po’ cambiati. Inoltre mancava pochissimo al gran giorno, e a dire il vero mi tranquillizzava stare in sua compagnia, per tirarci su il morale a vicenda. E per una volta avrei anche sopportato sguardi e carezze indiscrete.

Feci una veloce colazione, poi partii verso casa Swan. Arrivata, come immaginavo, c’era la Volvo di Edward. Notai che la macchina della polizia non c’era; meglio così, si sarebbe potuto parlare dei ‘nostri’ argomenti. Parcheggiai la mia Caddilac accanto al marciapiedi e andai a suonare il campanello, ma Edward mi venne ad aprire prima ancora che toccassi la porta.

“Buongiorno!” esclamai con un tono di voce forte e squillante.

“Buongiorno anche a te, Abigial” mi rispose lui, sempre educato e formale, alzando gli occhi al cielo. Lo oltrepassai e mi diressi in cucina. Vidi Bella intenta a fare colazione; dall’aspetto dedussi che si era appena svegliata anche lei.

“Anche tu ti sei svegliata adesso?” le chiesi retorica. Lei annuì, con un boccone in bocca. Mi indicò una brioche accanto a lei.

“Serviti pure se vuoi.” Bhè avevo già fatto colazione, era vero, ma intanto rifiutare sarebbe stato da maleducati, poi una brioche alla marmellata non me la potevo negare.

“Grazie” dissi afferrandola subito. Era anche calda. “Sono venuta a fare un po’ di sostegno morale, se ce né bisogno” annunciai, addentando il primo morso. Lei sorrise a testa bassa, scuotendola sommessamente.

“Grazie, Abi” sussurrò.

“Avete del succo in frigo? Ne posso prenderne un poco?” chiesi cambiando subito argomento, come se si trattasse di una questione di assoluta importanza, a confronto dell’argomento di poco prima.

“Certo” rispose lei, parecchio dubbiosa “Come mai sei così felice?” Aprii il frigo e ne tirai fuori il succo, per poi prendere dalla credenza un bicchiere pulito. La guardai con un sorrisone.

“Per sabato.” Lei divenne ancora più dubbiosa, mentre un Edward esasperato schioccò la lingua.

“Non vedo cosa ci sia di divertente” rispose in tono quasi serio.

“Per il fatto che se magari qualcosa va storto, in una minima percentuale di casi, questa sarà l’ultima occasione che avrò per esserlo” le spiegai con semplicità, tornandomi a sedere “Penso molto più in negativo di quanto credi.” Non era esattamente così; io avevo esagerato un pochino le cose per rallegrarla un minimo. Edward pensò bene a mettere le cose in chiaro.

“In realtà è più tranquilla e più ottimista di te” intervenne lui “Come lo siamo tutti. Cerca di prendere l’esempio da lei” le consigliò. Bella si volse lentamente verso di me e sorrise davanti al mio intenzionale sorrisone da idiota delbuono esempio’, come  mi aveva definito Edward.

“Ancora brutti pensieri?” chiesi tornando un pochetto più seria.

“Pessime intenzioni, più che altro” mi rispose Edward. Io lo guardai con le sopracciglia aggrottate.

“Cioè?”

“Alice un momento fa l’ha vista dispersa nella foresta durante la battaglia” mi spiegò, non staccando per un attimo gli occhi da Bella, ponendo una particolare enfasi su quelle parole. Bella si alzò dalla sedia stizzita per andare a mettere nel lavello il piattino delle brioche.

“Adesso è proibito anche avere delle idee?” chiese scontrosa. Davanti alla sua espressione quasi imbronciata Edward non poté trattenersi da un sorriso. La puntai con l’indice e l’osservai aguzzando gli occhi.

“Attenta, ti terrò molto d’occhio” pronunciai con fare falsamente minaccioso.

“In realtà in compagnia di Bella c’eri anche tu nella visione” rispose Edward, leggermente divertito. Io rimasi a bocca aperta, spiazzata.

“Oh…” mormorai quasi impercettibilmente. Bhè, sì, ovvio che se durante la battaglia a Bella sarebbe venuta in mente l’idea di raggiungere la radura, l’avrei convinta a tutti i costi a rimanere nell’accampamento. Ma cosa mi avrebbe spinto ad assecondarla? Mi riscossi, pensando che le visioni di Alice ultimamente erano pessime e facevano un po’ cilecca.

“Vi ho interrotti mentre parlavate di qualcosa di importante?” chiesi all’improvviso, solo allora conscia di essere irrotta a casa Swan senza invito. Pensandoci bene, forse ero stata un pochino maleducata, ma ero fatta così; mi comportavo in modo gentile e cortese con sconosciuti o conoscenti per far loro buona impressione, mentre violavo ogni regola del galateo con amici e parenti, comportandomi qualche volta in modo inopportuno e poco consono. Per esempio, quando ancora vivevo a Chicago e andavo dal signor Jackson per farmi imprestare qualcosa e lui non c’era, prendevo sempre la chiave che teneva dentro il vaso in veranda, entravo, mi prendevo quello che mi serviva scrivendogli un messaggio su un post-it e me ne andavo. Certo, ovviamente lo sapeva; mi aveva detto lui stesso dove avrei potuto trovare le chiavi, se ne avessi avuto bisogno.

In continuazione i miei genitori mi avevano rimproverata dicendomi che non era affatto un giusto comportamento irrompere in questo modo nelle case altrui. Purtroppo per loro, non sono riusciti nell’impresa: quando un padrone di casa mi diceva ‘fai come se fossi a casa tua’, io tendenzialmente prendevo alla lettera quelle parole, che in questo caso erano state pronunciate sia dal signor Jackson, sia da Charlie.

“Edward mi stava parlando dei licantropi” intervenne Bella, desiderosa di spostare l’attenzione da lei. “Per cercare di distrarmi dalle mie idee pericolose, giusto?” azzardò lei stizzita, colpendo nel segno. Edward si limitò a fare spallucce, segnato dal suo splendido sorriso sghembo.

Io invece lo guardai con una nota acida; quando un vampiro parlava di licantropi, non mi potevo aspettare che fossero complimenti. Mi sorprese quindi sentire Edward parlare di loro con vivido interesse.

“Stavo raccontando a Bella che sono rimasto ammaliato dalla loro capacità di leggersi nelle menti, del vantaggio e delle difficoltà che presenta questa loro dote” poi cominciò inspiegabilmente a sghignazzare. “Inoltre le discussioni che nascono quando la propria privacy viene totalmente invasa creano scene migliori di quelle di una soap opera.”

Si sporse di più verso di Bella, appoggiando i gomiti sul tavolo in modo elegante e silenzioso, come un gatto.

“Hai notato il lupo grigio?” Bella annuì, fingendosi disinteressata; in realtà quella ragazza non poteva fare a meno di prendere per oro colato tutto quello che usciva dalla bocca del suo vampiro. Almeno, quasi tutto. A Edward si stampò un enorme sorriso.

“Prendono così sul serio le loro storie, ma in realtà servono a ben poco a prepararli” disse in tono vago e misterioso. Io corrugai di nuovo le sopracciglia.

“Di cosa stai parlando?” Odiavo le persone che stuzzicavano l’attenzione e poi tranciavano di netto il discorso. Solo più tardi mi resi conto che l’obiettivo di Edward non era catturare la mia attenzione, ma quella di Bella, come aveva ben detto prima lei.

“Hanno sempre pensato che soltanto i pronipoti diretti del primo lupo possono trasformarsi” continuò lui, sempre con quel sorriso involontariamente seducente. Di primo acchito mi sembrava così strano sentire pronunciare dalla bocca di Edward dettagli che potevo trovare nella mia memoria solo dai racconti di Billy e del vecchio Quil. 

“Si è trasformato qualche discendente indiretto?” tentò di indovinare Bella, che ormai si era fatta sopraffare dal fare ammaliatore di Edward.

“No. Anche lei è una discendente” Sbattei violentemente le ciglia, capendo che la parola chiave della frase di Edward non era ‘discendete diretto’, ma ‘pronipoti’ al maschile. Una donna? C’era una donna lupo?! Jacob non mi aveva detto niente! Bhè, ad essere sincera, non mi aveva detto neanche dei quattro lupi in più. Bella sembrava avermi letto nel pensiero, perché espresse lo stesso mio identico stupore.

“Lei?” esclamò stupita. Edward annuì.

“Sì, Leah Clerwater. La conoscete” Io spalancai gli occhi dallo stupore.

Leah licantropo!” mi seguì Bella “Da quando? Jacob non me ne aveva mai parlato.”

Sam ha dato l’ordine al branco di non svelare a nessuno molte cose, per esempio quanti sono. Il capo branco esercita uno strano ascendente, tale che per gli altri lupi è impossibile disubbidire” spiegò lui, davvero interessato. E la cosa stava interessando anche a me; solo adesso mi rendevo conto che c’erano tante altre cose sui licantropi che non potevo sapere, nonostante Jacob si fosse dimostrato con me subito sincero, dal primo momento.

Jacob è stato attento a non pensarci. Ma dopo la scorsa notte, nessuno si è trattenuto” disse, in un accenno di sorriso.

“Povera Leah” sussurrò Bella, sconfortata. Intuii che Bella doveva sapere qualcosa in più riguardo a Leah, per spiegare questo suo dispiacere. Sembrava parecchio dispiaciuta dalla cosa, mentre io, più che altro, non conoscendola per nulla, rimasi inflessibile.

“Forse non merita il tuo dispiacere. Sta disturbando la coesione del branco” mormorò questa volta stranamente serio.

“Perché?” chiese Bella.

“E’ una situazione difficile sentire continuamente i pensieri altrui…”

“E tu ne che ne sai?” lo interruppi io, sarcastica. Lui scosse la testa prima di riprendere.

“I pensieri degli altri compagni influenzano parecchio l’umore di uno solo; per questo la maggior parte del branco cerca di pensare positivo, ma basta anche un solo cattivo pensiero per rendersi la vita impossibile. E Leah è brava a farlo” Poi emise una leggera risata verso di me “E’ certo che con i tuoi strani pensieri starebbero benissimo” Io lo guardai acida, per niente offesa.

“Ah, ah, ah” risposi sarcastica.

“A me sembra che Leah abbia ragione” rispose Bella. A quel punto volli partecipare alla conversazione anch’io e chiesi informazioni.

“Ma di cosa diavolo state parlando?” sbottai io.

“Prima di incontrate Emily, Sam era innamorato di Leah. Da quando ha avuto il suo imprinting, per Sam non esiste nesun’altra se non Emily. Per Leah è stata dura” mi spiegò Bella.

“Oh!” esclamai io. Leah era la vecchia fiamma di Sam? No, anzi, Sam aveva avuto una fiamma prima di Emily?! Lo stesso Sam che avevo in mente io?! Sinceramente, non avrei mai creduto che potesse aver avuto una storia con un’altra ragazza; non mi sembrava decisamente il tipo. Era troppo… serio; insomma, non esattamente Mr. Simpatia.

“Povera Leah” simulai Bella.

L’avevo giudicata troppo presto quella ragazza, basandomi su una semplice occhiata. Doveva essere stato orribile, non tanto per il fatto accaduto, quanto per la velocità con la quale era accaduto. Era bastata una semplice occhiata a Emily per dimenticare Leah. E per dare un’occhiata quanto ci voleva? Neanche un secondo. Aggiungendo poi il fatto che adesso faceva parte del branco, per lei la situazione era peggiorata. Non avrei mai voluto essere nei suoi panni. Insieme a me, anche Edward si perse negli stessi pensieri.

“Non ho mai visto niente di simile all’Imprinting, e di cose strane ne ho viste parecchie. Scosse leggermente la testa, non trovando le parole adatte “E’ impossibile descrivere il legame tra Sam e la sua Emily. Forse è più corretto dire che lui è suo; Sam non poteva scegliere. Mi sembra Sogno di una notte di mezza estate, con tutti gli incantesimi creati dalle fate. Bhè, in effetti, sembra una magia.” Sfoderò il suo sorrisino. “E’ una sensazione forte, quasi come quella che io provo per te.” Evitiamo questi paragoni sdolcinati, per favore.

“Quali pensieri cattivi?” lo interruppi io.

“Pensieri sgradevoli per tutti, che Leah continua a ripescare” mi rispose Edward, ignorando il mio commento.

“Tipo?” insistetti.

Embry, per esempio.”

“Qual è il problema?” intervenne Bella. Mi accorsi di aver iniziato a bere il mio succo con avidità, mentre ero in attesa di un’altra sorprendente rivelazione.

“Sua madre lasciò la riserva Makah per venire in quella dei Quileute. Tutti pensavano che il padre fosse rimasto là. Ha suscitato parecchio scalpore quando Embry è entrato nel branco.”

Quindi il padre era uno dei Quileute! Ma non un Quileute qualsiasi, un discendente del Capo Supremo.

“I probabili padri sono il padre di Quil Ateara, Joshua Uley e Billy Black” concluse Edward.

“No!” esclamammo io e Bella in un coro, con lo stesso tono sorpreso, che fece sghignazzare per alcuni secondi Edward. Cavolaccio! E vedi che cosa poteva aver combinato quel briccone di Billy! La riserva era più piccola di Forks, ma qua mica succedevano cose del genere.  

Questo sì che era uno pettegolezzo succoso! Forse perché si trattava di un argomento che mi riguardava e mi interessava, ma non avrei mai creduto di entusiasmarmi di fronte a dei pettegolezzi peggio di Jessica Stanley!

“Ora Sam, Jacob e Quil si stanno domandando chi di loro abbia un fratellastro. Tutti pensano sia il padre di Sam, che non è stato sempre fedele. Ma il dubbio rimane. Jacob non è mai riuscito a chiederlo a suo padre.

“Caspita. E hai scoperto tutto questo in una notte sola?” chiese Bella perplessa.

“Le loro menti sono affascinanti; pensano insieme e contemporaneamente in modo individuale. C’è davvero molto da leggere.”

E non c’è magari qualcos’altro? Come per esempio altre ragazze incinte, oppure strane preferenze sessuali, cose così?” chiesi al massimo del coinvolgimento. La Push era sul punto di diventare la scena per una sit-com!

“Adesso stai esagerando” mi avvertì Edward, per nulla divertito.

“Caspita” copiai Bella anch’io, solo molto più basita.

Con il pretesto di distrarre Bella Edward si era per un attimo scordato la discrezione che aveva sempre tenuto riguardo i pensieri altrui e ne erano uscite fuori di tutti i colori. Cavolo, a leggere i pensieri non ti annoiavi mai. E in questo momento, come avrei voluto sgarfare nella dannata mente di una persona in particolare. Mi voltai lentamente verso Edward, lanciandogli uno sguardo languido.

“Vorrei approfittare per un attimo della tua momentanea mancanza di discrezione, se non ti dispiace…” dissi con nonchalance.    

“No” mi rispose categorico lui. Io pestai involontariamente i piedi a terra.

Eddai!” mi lamentai io.

“Cosa gli hai chiesto?” chiese Bella curiosa.

Che cosa frulla nella mente di Jacob” Allorché anche lei lo guardò interessata.

“Ci terrei molto a saperlo anch’io” disse con un velo di stizza, per il comportamento lunatico del licantropo.

“Jacob vi sta tenendo nascoste molte cose” disse Edward apparentemente imperturbabile, ma in realtà leggermente smosso dalla richiesta di Bella.

“Fino a lì ci sono arrivata anch’io” esclamai spazientita “Esattamente, cosa sono queste cose?” Edward si rivolse esclusivamente verso di me.

“E’ una faccenda che non mi riguarda direttamente, che personalmente non mi interessa e in cui preferirei non essere coinvolto” disse con una compostezza e una calma invidiabili.

“Ma a te è chiara, che faccenda sia” continuai io, che non volevo demordere.

“Più di lui sicuramente” affermò “E’ confuso” si lasciò sfuggire alla fine. Non una grande bella novità.

“C’è l’ha detto” mormorai avvilita e determinata a insistere.

“Bene, non ho altro da aggiungere” concluse lui, appoggiandosi sullo schienale della sedia in legno. Sospirai, sconfitta; era impossibile far cambiare opinione a Edward. Però era piuttosto strano che facesse tanto il misterioso per un problema di Jacob; insomma, perché tanti problemi per infrangere la sua privacy, se fino ad adesso aveva sparlato come una vecchia pettegola? Inoltre era qualcosa che io e Bella avevamo il diritto di sapere, questo non poteva metterlo in dubbio nessuno.

“Insomma dalla tua bocca non uscirà niente” osservai io alla fine, come ultima carta. “Perché?” Lui non aspettò per rispondere.

“Mi comporterei in modo sleale; in certe occasioni sono disposto a farlo, ma non in questa” disse semplicemente, alzando leggermente le spalle, con fare quasi annoiato. Lo guardai con le ciglia aggrottate; si sarebbe comportato in maniera scorretta nei confronti di Jacob?

Pensandoci bene, mi sembrava avere anche un senso; Edward mi aveva sempre dato l’impressione di un giovane dell’Ottocento, con un certo galateo e certi valori, tra questi quello di rispettare nel bene o nel male anche il nemico che si odiava, in questo caso Jacob. Sembrava insomma un personaggio uscito da un vecchio romanzo inglese.

“Abbiamo il diritto di sapere” osservò Bella, leggendomi nel pensiero. Anche lei era determinata.

Se c’era una persona che poteva convincere Edward a cambiare idea, quella era senza dubbio Bella, anche se doveva lavorarselo per bene e a lungo. Quindi Edward aggirò nuovamente l’affermazione.

“Ve lo dirà; pensava di farlo dopo la battaglia, ma non era sicuro” disse lui, per cercare di concludere quella conversazione. E ci riuscì benissimo, perché la discussione passò di nuovo sulla battaglia.

“Non esattamente il luogo adatto” brontolai io. “Voi siete pronti?” lo assecondai io, convinta che ormai non ci avrebbe detto niente. Almeno l’idea che finalmente avrebbe parlato mi confortava un minimo.   

Edward si animò. “Mancano solo gli ultimi preparativi. Stiamo mettendo appunto un piano d’attacco per prenderli di sorpresa. Tuo padre è molto d’aiuto, con il suo dono; sa quello che dobbiamo fare. Tuttavia la sua opinione è molto mutevole, quindi temo che all’ultimo minuto cambieremo di nuovo configurazione.”

Edward” lo interruppe Bella, con una serietà sul suo volto che la faceva sembrare più vecchia “Voglio venire anch’io nella radura” affermò convinta. Io mi girai verso Edward, irrequieta.

“La posso picchiare?” mormorai, con un tono abbastanza alto in modo che anche lei potesse sentire.

“No” rispose Edward categorico e severo, molto probabilmente non solo a Bella, ma anche a me. Bella abbassò gli occhi, e divenne improvvisamente cupa. Pensai che fosse una reazione troppo esagerata, ma poi capii che non si trattava di quello.

“Edward, le cose stanno così” sussurrò alla fine. Sembrava essere diventata più pallida, mentre continuava a non staccare gli occhi dal tavolo. Edward si fece preoccupato, ed anch’io.

“Se tu mi lasciassi ancora, impazzerei di nuovo” disse alla fine. Bella continuava a tenere gli occhi fissi sul tavolo e non poté notare il fantastico sorriso che Edward le fece, non più sghembo, ma magnificamente esteso.

In un attimo le fu subito vicino per abbracciarla ed accarezzarla.

Bella era terribilmente in angoscia per il suo Edward, un’afflizione diversa dalla mia, tanto quanto lo era il mio amore per i miei genitori ed il suo per lui.

“Non è vero, lo sai” mormorò lui “Tornerò presto”

“Non ce la faccio” rispose determinata lei, il tono di voce nel panico. “Non so se ritornerai o no. No, non saprò resistere” riprese lei, cercando di contenersi in mia presenza.

Per la serietà della situazione e per il rispetto dei sentimenti della mia amica, mi risparmiai dal dire i miei commenti.

Sapevo perfettamente quali erano i nostri vantaggi: c’erano i lupi, il numero di neonati stava calando, papà aveva il suo potere ed avrebbe tenuto d’occhio mamma. Ero sempre più sicura che non sarebbe successo niente, come anche ero certa che domani sarei stata tesissima tutto il giorno, perché, bene o male, del futuro non si ha certezza.

“E’ inutile che ti preoccupi; andrà tutto bene” ripeté Edward.

Immaginavo che finita quella storia Bella non avrebbe più sopportato quelle parole, da tante volte le erano state dette, sia da Edward, che dai Cullen, e perfino da Jacob.

“Davvero?” chiese lei per sicurezza.

“Certo” rispose Edward, dolce come il miele, senza neppure un accenno di divertimento per l’eccessiva preoccupazione di Bella. Io d’altro canto, cercai di farmi piccola piccola, nell’angolo della cucina, sentendomi un imbarazzato terzo incomodo. Era esattamente per questo che all’inizio dubitavo di venire qua. 

“E ve la caverete tutti?”

“Tutti, senza grandi sforzi” ripeté di nuovo.

“Tanto che qualcuno starà in disparte?”

“Sì”

“E se quel qualcuno fossi tu?” La sua ultima domanda ruppe quella catena ripetitiva di conforto. L’espressione di Edward fu indecifrabile. Bella però sembrò essere più determinata. 

“Le cose sono due: o il rischio è più grave di quanto tu mi faccia credere, quindi è giusto che io venga con voi. Oppure, come hai detto tu, gli altri ce la faranno anche senza di te. Quale delle due è giusto?”

Uau! In quel momento guardavo realmente sbalordita Bella, per il suo discorsone incalzante, che mise Edward con le spalle al muro, cosa che personalmente non sarei mai riuscita a fare. Di fatti lui non rispose.

“Mi stai chiedendo di ritirarmi dalla battaglia?” chiese in compenso. La sua voce non era mutata di una virgola.

O mi fai partecipare; purché stiamo vicini” scese a compromessi lei. La sua voce tuttavia non aveva ancora riacquistato fermezza. Si voltò lentamente verso di me. Aveva gli occhi divorati dal senso di colpa.

“Mi dispiace Abigial. So di comportarmi in maniera egoista, soprattutto nei tuoi confronti e in quelli di Sophie e William. Hai ragione se ce l’hai con me” disse con tono greve.

In un primo momento avevo pensato che il suo era davvero un comportamento da egoisti, ed ero anche intenzionata a dirglielo, ma poi un’immagine mi si presentò in mente, che mi fece cambiare del tutto idea, e mi convinse che la presenza di Edward fosse indispensabile.

Mi immaginai io e Bella, in qualche luogo sperduto tra i monti, con affianco un licantropo giovane e inesperto, che giaceva immobile a terra, ed una furba e pazza vampira a pochi metri di distanza, pronta ad ucciderci. Anzi, insieme a lei, comparve una seconda figura, lo stesso vampiro che l’aveva aiutata a creare quell’esercito o che magari aveva preso i vestiti di Bella. Se fosse successo, non sapevo in quali stati mamma ed Edward ci avrebbero trovati, quando fossero arrivati. Insomma arrivare al nostro nascondiglio sarebbe stato molto difficile, ma Victoria era scaltra e imprevedibile e mi sentii improvvisamente insicura di fronte a quell’immagine.

“In realtà…” Guardai Edward con un sorriso tesissimo. “In realtà mi è venuta una voglia pazzesca di averti vicino, Edward” dissi con un tono di voce più acuto del normale. Lui mi guardava invece serio, Bella invece mi lanciava strane occhiate.

“Hai ragione” disse alla fine “Abigail ha completamente ragione. Devo stare con te” disse alla fine, allarmato. Lo sguardo totalmente spaesato di Bella lo spinse a spiegare.

“E’ ovvio che Victoria non combatterà; lei vuole voi. Vi verrà a cercare ed il tuo pensiero, Abigail, si potrebbe avverare; un giovane licantropo non avrà molte chances . Io deglutii rumorosamente, mentre Bella mi lanciava un’occhiata piena di gratitudine, a cui io risposi con un lieve sorriso. Edward prese il cellulare dalla tasca dei pantaloni.

“Avremmo dovuto pensarci, ma ci siamo fatti prendere troppo dalla battaglia nella radura. Ho sbagliato, mi dispiace” disse Edward, febbricitante, cercando di scusarsi e incolpando se stesso per non aver pensato ad ogni modo possibile ed immaginabile per salvare la vita a Bella. Prese immediatamente le mani a Bella, guardandola negli occhi.

“Non ti lascerò, promesso” promise ancora. Ora quello che aveva i sensi di colpa era lui; la situazione si era improvvisamente ribaltata. Bella si limitò a guardarlo immobile, con un’espressione molto più tranquilla.

Bhè” interruppi io. Insomma, l’idea l’avevo avuta io, no? Ed ero rimasta un po’ insoddisfatta dall’uso del singolare.

“E’ ovvio chi salveresti per prima, se entrambe fossi sul punto di morte, non c’è alcun dubbio. Tuttavia, se si presentasse questa situazione, e se in quel momento avessi tempo e voglia, sempre ovviamente dopo aver messo al sicuro Bella, non sia mai!, se per caso ti capita di difendere un pochettino anche la mia di vita, mi farebbe molto piacere” dissi in un constante tono sarcastico. Certo, la presenza di Edward mi rassicurava; ma eravamo certi che volesse prendere un po’ in considerazione anche me, oppure sarebbe stato totalmente concentrato su Bella? In compenso Edward sghignazzò.

“Non ti preoccupare, porterò con me il mio amico immaginario. Non poté non trattenere una sonora risata, mentre Bella cercava di farlo smettere, ma anche lei faceva fatica a tenere nascosto un sorrisino. Io mi imbronciai, ma non me la presi più di tanto con lui; se non altro me la presi con me stessa, per essere stata battuta dalla le mie stesse armi.

“Spiritoso…” borbottai. Edward smise quasi subito.

“In realtà stavo pensando che con me potrebbe venire anche Sophie, a questo punto” propose lui. Io mi illuminai e mi sentii leggera; con mamma vicina a me sarei stata molto più tranquilla, soprattutto ripensando alla sua sbadataggine nel combattimento.

Intanto non mi ero accorta che Edward stava parlando al telefono.

“Alice, puoi venire da Bella per un po’? Devo parlare con Jasper.” Come al solito Edward stava esagerando; per pochi minuti non sarebbe morto nessuno. E poi c’ero io, no? Alice rispose decisa dall’altra parte del telefono.

“Di cosa devi parlare con Jasper?” sussurrò Bella.

“Se è possibile se io e Sophie stiamo in disparte” rispose Edward fermo. “Dovevamo pensarci prima” continuò, non smettendo di incolparsi per qualcosa che dopotutto lui non aveva fatto.

In compenso Bella riuscì a  rincuorarlo nei migliori dei modi; gli si fece vicina e appoggiò il viso sull’incavo del collo. Automaticamente lui le cinse i fianchi con le mani e sorrise lievemente, quando lei gli pronunciò qualcosa all’orecchio che da quella distanza non riuscii a cogliere.

Ed io ero lì, l’invisibile terzo in comodo che ne aveva fin troppo di romanticismo. Insomma, parliamoci chiaro, quasi tutte le persone che conoscevo avevano qualcuno, tra una casa di vampiri fatta di coppiette e il fenomeno dell’Imprinting che scoppiava a La Push, e a me toccava guardare tutto questo da sola. Il sospiro che mi uscì dalla bocca assomigliò più che altro a un gorgoglio.

“Chi è la terza moglie?” chiese improvvisamente Edward, non capendo bene se per curiosità, o per un minimo riguardo ai miei pensieri.

Cosa?” chiese Bella, con il tono di voce appena teso. Lui la studiò con lo sguardo.

“La notte scorsa hai detto qualcosa riguardo alla ‘terza moglie’. Non ho ben capito cosa volessi dire”

“Ah. E’ una storia che ho sentito raccontare al falò. Deve avermi colpita” disse cercando di essere il minimo indifferente possibile, alzando pure le spalle per accentuare la leggerezza dell’argomento.

Ripensando al sacrificio della terza moglie, della Fredda, e del capo tribù, capii perché non glielo voleva dire; quella storia era fin troppo simile alle sue intenzioni.

“Ora ho capito perché ti ha colpita” disse in tono estremamente troppo neutro, mentre mi lanciava un occhiata loquace. Bella mi fulminò per un attimo con gli occhi. Ops, solo adesso mi ero accorta di quello che avevo fatto.

L’improvviso arrivo di Alice risparmiò Bella dai rimproveri e dalle conseguenti dolci rassicurazioni di Edward. A differenza del fratello, lei aveva un’espressione del tutto imbronciata.

“Ti perderei tutto il divertimento” mugugnò.

“Ciao Alice” la salutò Edward, dimenticandosi apparentemente del precedente argomento di conversazione.

“Tornerò stasera. Vado ad esercitarmi con gli altri e a riorganizzare i piani” disse questa volta rivolgendosi a Bella e salutandola con un bacio.

“Non c’è molto da riorganizzare” intervenne Alice “L’ho già detto a tutti. Emmett è contento; più vampiri per lui.”

“Certo” disse Edward divertito.

“E Sophie ha detto che preferisce rimanere nella radura” concluse Alice, imperturbabile. Io sbarrai gli occhi.

“Cosa?!” esclamai io, in tono così chiaro e piatto da mettere in evidenzia ciascuna lettera. Anche Edward rimase confuso. Alice fece spallucce.

“Vuole parlare con te” continuò lei, verso Edward. Lui annuì serio, prima di scomparire.

Io non mi ero ancora ripresa; cosa diamine credeva di fare quella donna?! Lasciarmi sola, mentre una pazza mi poteva scovare ed uccidere?!

“Perché?” chiesi con leggero tono isterico che cercai di mimetizzare.

Dice che sarà più utile nella radura” rispose lei, particolarmente calma. Emisi un verso molto simile a quello di una papera; non c’erano dubbi, anch’io avrei dovuto parlare con mamma, e subito.

“Credi che senza Edward i rischi aumenteranno?” chiese Bella, tesa. In compenso Alice sbuffò.

“Ti verranno i capelli bianchi per la troppa preoccupazione” osservò lei. Io dovetti darle assoluta ragione.

“Perché sei allora agitata?” continuò ancora Bella.

“Edward diventa insopportabile quando comincia a darsi colpe inutili per qualcosa che avrebbe dovuto pensare prima. Sto soltanto immaginando la vita con lui nei prossimi mesi. Poi tornò a Bella.

“Ti consiglio vivamente di controllare il tuo pessimismo, Bella.”

“Lasceresti combattere Jasper senza di te?”

“E’ diverso” rispose all’istante Alice.

Mmh…” asserì Bella.

“Ora va a cambiarti” proruppe all’istante lei “Charlie sarà qui tra poco, e in queste condizioni non ti farà più uscire.”

Bella si guardò in un sussulto il pigiama, che si era dimenticata di indossare ancora.

“Sì, hai ragione” borbottò, salendo le scale per il secondo piano.

Avevo fatto poco caso alla conversazione tra Alice e Bella. Stavo ancora pensando a mamma e al cavolo di perché non voleva stare con me.  

Mi alzai impaziente, con il proposito di andare immediatamente a casa.

“Vado a casa a parlare con mia madre” dissi nervosissima. E forse anche un po’ delusa.

Era un’azione del tutto imprevedibile da parte di mamma. Mi immaginavo che si sarebbe comportata come Edward, presa dalle sue manie di preoccupazione. Invece aveva fatto tutto l’opposto. Non riuscivo a darmi una spiegazione.

“Ti prego, non ti ci mettere anche tu. Bella basta e avanza” cercò di smorzare la tensione Alice, accorgendosi della mia agitazione. Io cercai di farle un sorriso sforzato, uscendo e dicendole di salutare Bella da parte mia.

La Cadillac non era di certo un bolide e non raggiungeva affatto i chilometri orari della mia KTM, quindi arrivai un po’ più tardi di quanto pensavo. Parcheggiai la macchina in garage ed entrai.

La casa era deserta; tutti i vampiri stavano facendo un allenamento intensivo a un centinaio di metri da qui, per prepararsi al meglio alla battaglia. Questo era uno dei vantaggi a non stancarsi mai.

“Mamma!” la chiamai nervosa. Nessuna risposta o apparizione.

“Mamma!” urlai, questa volta. Ancora niente. Cominciai a battere impaziente il piede contro il pavimento di marmo. Inspirai profondamente, riempiendo d’aria i miei polmoni.

“Mamma!” urlai con quanto fiato avevo.

“Ho sentito!” disse mamma, comparsa a fianco a me “Non c’è bisogno di gridare così tanto! Ti hanno sentita tutti. Sembra che qualcuno ti stia accoltellando” disse lei, con il suo sarcasmo, che a me ora non mi faceva ridere per niente.

Il mio sguardo serio le fece cambiare espressione.

“Alice mi ha detto che starai con gli altri, nella radura.” Lei mi guardò con le sopracciglia aggrottate, studiando ogni movimento del viso.

“Vuoi che rimanga con te, vero?” mi domandò con la sua irresistibile voce di mamma. Io annuii decisa.

“Sì. Pensavo che tu accettasi l’idea senza problemi! Insomma, questo è quello che mi sarei aspettata dalla mia mamma iper-preoccupatadissi abbattuta. Lei mi sfoderò un sorrisino, prendendomi il viso con le sue gelide mani.

“Edward e l’altro licantropo sono una protezione più che sufficiente. Ho voluto parlare con lui, poco prima, per garantirmi che veda anche di te. In caso di bisogno, sai che verrò subito” mi disse con la voce calda e rassicurante come il miele. “Non so quanto potrà giovare un ulteriore vampiro fuoricampo. La mia assenza potrà creare qualche disagio.

“Ma se sei una schiappa a combattere!” osservai senza la paura di ferirla. Difatti mamma mi lanciò un’occhiataccia.

“Non è vero!” rispose di rimando lei, leggermente imbronciata. “Sto facendo progressi.”

Mmh…” mugugnai io, poco convinta, andandomi a sedere sul divano di un bianco candido. Mamma mi imitò.

“Non dirmi che vuoi che stia con te, perché sei convinta che partirò svantaggiata.” Ci riflettei sopra; certo, c’era comunque papà che l’avrebbe tenuta d’occhio, però…

“Un pochino” ammisi sottovoce. Lei fece un sospiro, guardando con un sorriso la mia faccia preoccupata. Mi appoggiò la mano sulla spalla e sentii la sua pelle fredda a contatto con la mia.

“Stamattina eri l’immagine della tranquillità e dell’allegria. Perché questo cambio di umore improvviso?” Io respirai profondamente e la guardai abbattuta.

“Un insieme di cose, credo. All’inizio il pensiero che Victoria possa trovare me e Bella, poi quello che tu non possa farcela. Sospirai ancora. “Potete dirmi tutti quanti, quante volte volete che andrà tutto bene. Me lo dico sempre anch’io e qualche volta pure riesco a convincermi. Ma fino a quando tutto questo non sarà finito, non sarò tranquilla. Mamma mi appoggiò entrambe le mani sulle spalle.

“Mi dispiace se stai vivendo tutto questo, Abigail. E’ colpa nostra” disse in un sussurro “Qualche volta credo che io e Will siamo stati davvero troppo egoisti.” Io mi scostai da lei e la guardai dritta in faccia, per quello che aveva detto, che tuttavia non mi era nuovo.

“Eppure io non ho mai sognato una famiglia diversa. Mia madre mi sorrise. Quello stupendo sorriso che anche quando sarei morta, non avrei dimenticato.

“Abbracciami, patata” sussurrò, chiamandomi con il soprannome che poteva usare solo lei. Non ci pensai due volte e le buttai le braccia al collo. Per quanto potevano esseri duri e freddi, non potevo paragonarli a nessuno, nemmeno a quelli caldi e morbidi di un licantropo.

 

 

Alle tre spaccate ci trovavamo di nuovo nella radura dove si sarebbe svolto il massacro. Mi sentivo stanchissima; forse non avrei dovuto fare break dance fino a tardi.

Mi sentivo piena di energie e di preoccupazioni e la break mi sembrava l’unico modo per scaricarmi un po’, soprattutto dopo che l’ansia da saggio era cessata; ma dovevo immaginare come sarebbe finita. Ogni volta che iniziavo, mi facevo prendere ed esageravo, quindi dopo ero esausta. Dormii un paio d’ore e anziché ristorarmi, mi affaticarono ancora di più. Nonostante tutto, non avrei mai confessato la mia stanchezza ai miei genitori; il mio orgoglio non avrebbe resistito ai loro ‘non avresti dovuto farlo’, quindi tentai in tutti i modi di nascondere la mia spossatezza.

Mi misi a sedere sotto un albero, al limite della radura, evitando di abbandonarmi come un macigno. Edward e Bella, insieme ai licantropi, dovevano ancora arrivare, quindi gli altri cominciarono a riscaldarsi. Improvvisamente mi venne una grandissima voglia di dormire e constatai con interesse che il mio cestino di capelli appoggiato alla betulla dietro i me, creava un comodo cuscino.

Per evitare di addormentarmi e fare una pessima figura, che avrebbe suscitato i commenti dei miei genitori e le risate di Emmett, cercai un modo per intrattenermi e cominciai ad osservare attentamente gesti ed espressioni di ogni vampiri. Jasper ed Emmett avevano iniziato senza perdere tempo, ma a giudicare dalle risate stavano solo giocando. Senza dubbio, Emmett era il più entusiasta di tutti per la battaglia; aveva un temperamento molto combattivo.

Alice e Rosalie stavano facendo stretching per terra, mentre li osservavano con un sorriso. Alice era piuttosto brava a nascondere le proprie emozioni, come tutti i vampiri, d’altronde, e sembrava che sia lei, che Rosalie, non fossero più agitate di un ballerino professionista che doveva eseguire un suo pezzo durante una sagra di paese.

Esme e Carlisle se ne stavano in disparte, e vedendo le loro mani intrecciate e i loro visi vicini, non credevo pensassero molto alla battaglia.

Infine c’erano i miei genitori. A differenza di tutti, papà era l’unico che sembrava preoccuparsene; era da quando avevamo capito che una battaglia sarebbe stata inevitabile, che raramente si toglieva quell’espressione di dosso. Per quanto mi sforzavo, non potevo capire il tormento che lo assillava nel ritornare in un inferno. Mamma, per quanto poteva, riusciva poco a distrarlo. A me però non sembrava che Jasper provasse le stesse emozioni, ma mi ricordavo bene il terrore nei suoi occhi, quando ci aveva parlato delle guerre in Messico; nonostante Jasper si fosse sempre comportato con la mente fredda e lucida del soldato, non potevo pensare che gli fosse indifferente ritornare nel campo di battaglia.

Oltre alle loro espressioni, purtroppo, notai anche qualcos’altro, ovvero la moltitudine di coppiette: Rosalie con Emmett, Jasper con Alice, Carlisle con Esme, mamma con papà. Come se non bastasse erano arrivati anche Edward e Bella. L’unica single ero io. Osservando bene la scena, stonavo tantissimo. Mi sentii per un attimo sola e tanto, tanto gelosa.

Bella mi si avvicinò, rimanendo in piedi, sempre accompagnata da Edward. Era evidente che il suo viso non fosse più animato dall’inquietudine del giorno prima. Ci salutammo con un sorriso.

Quella notte le nuvole non erano così spesse come la volta precedente, pertanto i raggi di luna mi permisero di distinguere con più facilità le sagome dei lupi, e di notare che erano solo tre. Il lupo che stava in testa, grosso con il suo pelo rossiccio, era inconfondibile. Accanto a lui vidi con chiarezza il pelo grigio scuro di Embry e quello color cioccolato di Quil. Era l’inseparabile trio.

“Dove sono gli altri?” sentii chiedere Bella a Edward.

“Non serve che venga tutto il branco; non ce n’é bisogno, con la loro capacità di leggersi i pensieri. Jacob avrebbe voluto venire anche da solo, ma Sam non si fida.”

Jacob però si fida” osservò Bella.

“Sa che non lo uccideremo” le rispose Edward semplicemente.

Ascoltai con poco interesse quelle quattro parole che i due si scambiarono; avevo fatto il terribile errore di appoggiarmi sul tronco ed ero tutta presa e concentrata anche solo ad accettare l’idea di alzarmi. In quella posizione particolarmente comoda le mie palpebre si fecero in poco tempo molto pesanti.

“Stanotte ti alleni anche tu?” sentii la voce di Bella ovattata, mentre guardavo i movimenti ipnotici di Emmett e Jasper.

“Aiuterò Jasper e Will a formare dei gruppi, in caso di attacchi multipli” le rispose Edward.

Il mio sguardo allora si posò distratto sui licantropi. Jacob guardava da questa direzione, con la lingua a penzoloni. Gli sfoderai a fatica un sorriso. Cominciò a venirci incontro e mi costrinse a spalancare di nuovo gli occhi.

“Jacob” lo salutò Edward. Jacob lo ignorò; guardò Bella, avvicinandosi a lei, emettendo un latrato.

“Sto bene” gli rispose, senza che Edward traducesse. “Solo un po’ preoccupata”

“Chiede il perché” continuò Edward. Jacob ringhiò infastidito e Edward gli lanciò un’occhiataccia.

“Pensa che le mie traduzioni non siano abbastanza fedeli. Letteralmente ha detto ‘Che cazzata. Cosa c’è da preoccupasi’, ma ho voluto riadattarle a un linguaggio meno volgare.” A fatica trattenni un sorriso; Edward non si smentiva mai.

“Un sacco di cose. Per esempio, un branco di sciocchi lupi che non pensano di farsi male” rispose Bella.

Allora ero troppo stanca per prendere sul serio l’inequivocabile nervosismo della sua voce. Vidi poi il lupo rossiccio guardarmi con attenzione, per poi voltarsi verso di Edward.

“E’ solo stanca” gli rispose Edward. Solo in quel momento mi accorsi che la mia stanchezza era più che visibile e che difficilmente l’avrei potuta nascondere.

“Solo un poco, tutto qua” dissi con voce troppo roca.

“Jasper ha bisogno di aiuto. Ve la cavate da sole?” chiese Edward, lasciando la mano di Bella. Lei annuì sicura e per un attimo della sua vita Edward riuscì a staccarsi da lei. Il lupo continuava a guardarmi interessata, mentre anche Bella si sedeva vicino a me.

Perché così stanca?” mi chiese. Io feci spallucce.

“Volevo distrarmi un po’ e ho esagerato con la break” mugugnai a occhi chiusi.

“E poi sei tu che dici a me di non preoccuparmi” mi fece notare con sorriso. Io feci finta di nulla. Jacob scosse la testa, mentre con un mezzo passo si avvicinò anche a me. Io lo guardai confusa.

“Scusa, ma non avevi detto che volevi stare un po’ da solo, o in forma di lupo questo non vale?” chiesi piuttosto scettica. Lui scosse di nuovo la testa e starnutì ai miei piedi. Li trassi dal suo muco a terra.

“La prossima volta esigo la traduzione letteraria di questo” ordinai categoria.

“Ci parlerai prima o poi di questo, no?” domandò Bella, mentre cercava di trattenere il fastidio.

Lui in compenso si fece largo tra me e lei, e si acquattò per terra. Con la scusa che non poteva parlare faceva solo quello che voleva. Nonostante la stanchezza, mi accorsi che il suo era un comportamento davvero infido e subdolo, perché noi non potevamo andare da lui, ma lui poteva stare con noi, perché noi stesse glielo permettevamo; bene o male, entrambe volevamo la sua compagnia.

Il suo naso nero attirò la mia attenzione e indicò il suo pelo rossiccio. Io, che non avevo mai capito i linguaggio dei lupi, guardai spaesata Bella.

“Credo che ti stia chiedendo di appoggiarti” mi tradusse Bella. Io spalancai gli occhi.

“Pure?” chiesi allibita “Comunque no, non ne ho bisogno.” Sarebbe stato tutto credibile, se subito dopo non mi fossi esibita in una boccaccia di sonno. Jacob emise un latrato, che voleva essere una delle sue risate fragorose.

Sentii una fredda e spiacevole brezza soffiare attraverso la radura e quel punto cominciai ad avere piuttosto freddo. Involontariamente mi strinsi alla pelliccia calda di Jacob.

“Va bene. Accetto l’invito, ma solo perché ho freddo” dissi svelta, salvando il mio orgoglio e contemporaneamente anche la mia salute. A causa del freddo, anche Bella mi imitò.

Venni subito riscaldata da quel tiepido tepore. Mmh, era molto più comodo di un piumone. Neanche mi sforzai di tenere gli occhi aperti; quella pelliccia aveva fatto svanire ogni volontà e anche ogni sensatezza, quando mi ritrovai a pensare a un modo per scuoiarlo per farmi una calda pelliccia.

I suoi gorgoglii per un attimo mi disturbarono; erano simili alle fusa dei gatti quando venivano accarezzati, ma non mi risultava che anche i lupi le facessero.

“Mi sarebbe piaciuto avere un cane” disse improvvisamente Bella “Purtroppo Reneé è allergica.”

“Anche a me sarebbe piaciuto aver qualche animale” dissi entrando nella conversazione “Se non fosse per il fatto che sarebbero tutti morti di paura.” Dovevo ammettere che mentre la frase di Bella poteva suonare ironica, la mia era proprio macabra. Fatto che Jacob espresse tutto il suo disappunto starnutendo un’altra volta.

“Me la devi proprio spiegare, questa!” ripetei infastidita, arretrando.

Per lo più il resto del tempo lo passammo in silenzio; Jacob in quello stato non era un grande conversatore. D’altra parte, anche Bella era silenziosa, mentre osservava attenta un po’ Jacob, un po’ Edward. O forse si dissero anche qualcosa, ma a stento li sentii. Fu questione di pochi minuti prima che mi addormentassi su Jacob.

 

Il risveglio non fu piacevole: Jacob fu così maleducato da neanche avvertirmi prima di alzarsi all’improvviso, così da farmi sbattere la testa sulla dura e ossuta spalla di Bella. Poi non andò meglio, a causa delle osservazioni saputelle di mamma e dai commenti poco maturi di Emmett, ma tornati a casa non ci badai quasi più, anzi, nonostante quel piccolo riposino ebbi la faccia tosta di buttarmi sul letto e continuare a dormire fino al giorno dopo.

Mancavano due giorni alla battaglia, e domani io e Bella saremmo dovute andare nella radura a segnare le nostre tracce, per poi andare nel luogo dove ci saremo accampate la notte, riparandoci della battaglia del giorno dopo.

I Cullen e i miei genitori dovevano quindi prepararsi e partirono pomeriggio presto percaricarsi le batterie’. Meno erano assetati, più il loro corpo conteneva sangue ed erano più forti. Non sarebbero andati tutti; ovviamente Edward li aveva preceduti e quindi era lui a fare la guardia a Bella. E speravo anche a me.

Poco prima di partire Alice mi prese in disparte. Credevo che volesse parlare con me della battaglia, del non essere preoccupata e via dicendo. Invece la sua richiesta mi sorprese parecchio. 

“Stasera Bella verrà a dormire qui” mi comunicò misteriosa. Io la guardai confusa; non era la prima volta.

“Va bene” Non capivo perché si comportasse in questo modo “Perché?” chiesi alla fine.

“Ho detto a Charlie che starà a dormire da me, mentre gli altri andranno a fare trekking. Una copertura per il week-end

“Ah, ah” dissi io, annuendo sommessamente. Intuii che il nocciolo non era quello, quindi aspettai che continuasse.

E quindi Edward e Bella vorrebbero stare un po’ soli. Li ho visti” mi spiegò lei, irritata perché non coglievo il succo. Capii che in realtà quella nota di mistero in realtà era malizia.

“Cerca di non disturbarli” mi ordinò lei.

“Ah!” esclamai io, che finalmente avevo capito “Va bene, gli lascerò la loro privacy. Alice in risposta mi fece un ampio sorriso.

Mi disse anche che Bella sarebbe arrivata verso tardi, dopo cena; quindi avevo comunque a disposizione quell’enorme casa tutta per me per il pomeriggio. Il problema era che io non me ne facevo niente di una casa enorme. Ovviamente non mi potevo allontanare da Forks. Però a La Push ci potevo andare. Anzi, era fin troppo tempo che non mi facevo vedere da quelle parti. Dal giorno del falò, precisamente. A Sam avrebbe forse fatto piacere se rispettavo il patto anche durante questa temporanea alleanza. E non credevo che avrei disturbato anche a pochi giorni della battaglia.

Un’ora dopo che i vampiri se n’erano andati, presi la moto e in un quarto d’ora fui a La Push. Era una splendida giornata, il cielo era coperto dalle nuvole, ma non erano nuvoloni grigi.

Evitai di andare da Jacob, non tanto perché mi aveva in pratica urlato di non farlo, quanto perché, a pochi giorni della battaglia, una litigata tra noi due non sarebbe stata una buona idea, soprattutto per il resto del branco.

Andai quindi da Emily; era da tantissimo tempo che non l’andavo a trovare e sicuramente le avrebbe fatto piacere. Riuscii a ricordarmi la stradina che portava alla piccola casetta. A giugno la mansarda era piena di fiori colorati.

Bussai alla porta prima di entrare.

“Arrivo!” urlò lei oltre la porta. Dopo un paio di secondi mi venne ad aprire.

Abigail! Che sorpresa!” esclamò con un ampio sorriso, rovinato da quelle orribili cicatrici. Mi abbracciò prima che potessi rispondere al saluto.

“Entra, entra pure!” disse facendomi strada verso la cucina.

Non mi sorpresi vedere pentole e padelle sul fuoco. Per tutto l’ambiente c’era uno squisito odore di biscotti. Entrare nella cucina di Emily era un po’ come andare dal fornaio.

“Scusa se non ho avvisato. Forse ti disturbo” dissi educatamente, appoggiandomi sulla parete opposta all’entrata. Emily non perse tempo e riprese a cucinare, mentre intanto parlava con me. Iniziò a pelare una quantità disumana di patate. Dedussi che stesse preparando la cena e mi sembrò parecchio strano, dato che erano le tre di pomeriggio.

“Figurati. Anzi, una presenza femminile è più che gradita” mi rassicurò contenta.

La compresi; non sapevo perché, ma Emily me la immaginavo sempre in cucina, da sola, a non far altro che cucinare, aspettando che arrivassero dieci lupi affamati che spazzolassero tutto quanto. Notai con ironia che non si sarebbero limitati a fare un massacro domani, ma che lo facevano puntualmente nella cucina di Emily.

“Sempre che cucini, vedo” iniziai, attirando la sua attenzione “Non ti stufi mai?” Lei mi rivolse ancora il suo ampio sorriso, staccando solo a momenti gli occhi dalle patate.

“No, anzi. Nonostante il lavoro da fare, adoro occuparmi di loro.” Feci un mezzo sorriso.

“Sei una specie di seconda mamma, allora” osservai. Lei mi guardò incuriosita.

“Sì, una specie” disse staccandosi dalle patate per andare a sollevare il coperchio dell’acqua che bolliva sul fuoco vicino a me, prima che uscisse dalla pentola. Non mi ero affatto accorta dell’acqua che saliva, se no avrei sollevato io il coperchio. Credevo che ormai Emily passasse così tanto tempo in quella cucina da essere entrata in sinergia con quella stanza. Mi riscossi da quei pensieri, sicura che mi stessi facendo un’immagine totalmente sbagliata di lei.

“Dove sono?” chiesi per mantenere viva la conversazione. Emily prese l’enorme scodella piena di impasto e cominciò a mescolare distrattamente.

“Si stanno preparando per… la battaglia. Devono essere qui a momenti.” Il suo tono di voce era piuttosto tremulo, e non osava staccare gli occhi da quella scodella.

Non serviva chiederne il motivo; dopotutto, non credevo che fosse davvero molto diverso da quello che avevo provato e talvolta continuavo a provare io. Era triste paragonarla ad una madre che il giorno dopo doveva salutare figli e marito in partenza per la guerra e che non sapeva se sarebbero tornati, ma non trovai paragone più azzeccato.

Forse avrei potuto provare a dire qualcosa per rassicurarla, o forse quel che avrebbe detto lei a tal proposito avrebbe rassicurato me. Aprii bocca, ma la porta che si spalancò di botto mi fece sussultare. Entrò un Quil piuttosto agitato, come un cagnolino quando vede i propri padroni tornare a casa dopo una vacanza.

“Claire?” chiese con entusiasmo, senza neanche avermi notata. La malinconia negli occhi di Emily scomparve immediatamente.

“Arriverà verso sera, Quil” gli rispose, prendendo i guantoni da forno. Sogghignai nel vedere l’immediato sconforto di Quil, che creava un profondissimo contrasto con la gioia che aveva avuto fino a un attimo prima.

Mmh, che profumino!” esclamò Jared, subito dietro a Quil. Prima che potessi accorgermene, tutto il branco si era materializzato in cucina.

“Ehi! C’è la mezza vampira!” esclamò Quil, che finalmente mi vide.

“Già” continuò Paul, guardandomi altero. “Anche lei dovrebbe rispettare il confine.” Fui troppo impegnata a domandarmi come potevano starci dentro una cucina così piccola quei mufloni per ascoltare le cavolate che sparava Paul.

“Ciao, Abi” esclamò entusiasta Embry, buttandomi un braccio intorno alla spalla come se fossi un vecchio amico.

“Ciao, ragazzi” risposi al saluto, un po’ troppo intimorita da quei corpi pompati di quanto volessi dimostrare.

“I muffin!” gridò Jared, quando li vide Emily tirarli fuori dal forno.

“Prima agli ospiti” lo ammonì lei, come una vera e propria mamma. “Serviti pure” disse rivolgendosi gentilmente a me. Guardai vorace gli strepitosi muffin di Emily, che se non sbaglio ce li aveva offerti a me e a Bella anche la volta scorsa.

“Grazie” mormorai, trattenendo le risate davanti agli occhi affamati dei licantropi, che sembravano ordinarmi di darmi una mossa a prendere il mio muffin, così da potersi servire anche loro.

Non appena Emily appoggiò il vassoio al centro della tavola, il massacro iniziò. Alla fine non rimase nessun muffin superstite. Sarebbe stato bello se i licantropi avrebbe sconfitto i neonati come avevano appena fatto con quei dolci.

“Ciao, Abigail” attirò la mia attenzione Sam, ovviamente appiccicato a Emily “Come mai qua?” chiese con la sua voce bassa e tonante, perfettamente adatta per un capo branco che doveva farsi rispettare. Io alzai le spalle e gli feci un sorrisino ingenuo. 

“Come cosa ci faccio qua” risposi innocente “E’ il patto, no?”

Lui non mi rispose, ma fu molto eloquente quando mi fece un cenno con la testa e mi sfoderò un sorriso. In realtà era una smorfia, ma non avendolo mai visto sorridere ero convinta che riuscisse a fare soltanto quelle.

Mentre mangiavo il mio pasticcino, rimasi per alcuni secondi in silenzio, mentre osservavo il comportamento dei lupi. Erano tutti euforici e carichi per la battaglia di domani, e nell’aria volavano scommesse su quanti ne avrebbe uccisi. Sembravano che considerassero tutto questo come un gioco e pensai che forse Bella aveva avuto ragione ad evitare che facessero parte nella battaglia, se questa era la serietà che dimostravano. Speravo soltanto che questa sarebbe rimasta solo un’impressione.

C’era però chi era concentrato più su di me, che su quella conversazione. Vidi due ragazzini fermi sul ciglio della porta guardarmi curiosi. Dedussi che fossero i due giovani lupi, di cui ovviamente non mi ricordavo il nome, che avrebbero controllato La Push, domani. Mi stavano guardando meravigliati, come se fosse un dinosauro vivente. Sorrisi a quali potevano essere i loro pensieri; come poteva un umano vivere con dei terribili vampiri, come faceva a non essere morta e via dicendo.

Altri invece, mi fecero capire che a La Push non ero proprio la benvenuta; mi riferivo a Leah. Non mi ero accorta che era entrata anche lei. A differenza degli altri, se ne stava in disparte, osservandomi cupa. Anche quando incrociai i suoi occhi, lei non gli abbassò, anzi, me li fece abbassare a me. Odiavo quel suo sguardo indagatore; insomma, nessuno le aveva insegnato che era cattiva educazione fissare la gente?

“Allora ci vediamo sabato, noi” Una strana voce attirò l’attenzione alla mia destra. Seth Clearwater mi guardava con uno strano sorriso. Mi meravigliai di quanto fosse cresciuto e soprattutto della sua voce, che mi ricordavo avesse un tono più infantile.  

“Ah, già, sì Seth” dissi, ricordandomi a cosa si riferisse.

Mmhh…” continuò lui, facendo cadere il discorso nel silenzio. Non capivo perché, ma sembrava essere imbarazzato. Decisi di aiutarlo a scampare da questa situazione, ponendo al resto dei licantropi la domanda da un milione di dollari.

Dov’è Jacob?”

Fu inquietante come tutto l’entusiasmo del gruppo di spense nel silenzio. Credevo che a forza di leggersi nel pensiero, cominciassero a pensare allo stesso modo. Quel che fu più inquietante, fu che tutti guardarono me. A rompere la tensione fu Leah, che si alzò parecchio scocciata.

“Non capisco proprio cosa ci trovi in te” commentò indifferente, prima di uscire dalla cucina. Guardai gli altri, confusa dalle sue parole.

Lasciala perdere, Leah è fatta così” mi consigliò Embry “Ehi! Lascia stare quel muffin! E’ mio!”

Le gridai entusiastiche vennero sostituite da indecifrabili borbottii e sospiri stizzosi. Dovevo dedurre che il problema che aveva Jacob stava influenzando tremendamente anche loro..

Dov’è Jacob?” chiesi di nuovo, non avendo ricevuto risposta. Di nuovo silenzio, questa volta molto più breve.

“Sulla spiaggia, a pensare” brontolò Embry stufo. “Ci va ogni volta che può.”

“Eviterebbe di tormentarci l’anima, se non fosse per voi due” intervenne Paul acido. Due? Ovvio, io e Bella. Fin’ora niente di nuovo.

“Paul, hai rotto davvero!” gli andò contro Jared. Mi stupii che finalmente anche Jared era passato al gruppo ‘pro Abigail’.

“Sapete cosa sta succedendo a Jacob” constatai retorica, un modo nascosto per domandare cosa stava succedendo al Grande Lupo.

“A memoria, ormai!” esclamò Seth vicino a me, con lo stesso tono di Embry.

“Se domani si permette solo di accennare al suo dramma, credo che penserò ad uccidere lui e non quegli schifosi succhiasangue” anche Jared si unì alla catena di lamentele, che fino ad adesso non mi avevano permesso di capire granché del problema che avesse Jacob. Fui sul punto di chiedere all’allegra combriccola in modo diretto cosa stava succedendo, quando il commento di Quil mi perplesse.

“E quando comincia a perdere la ragione, diventa ancora più insopportabile” esclamò stizzito “E’ una mia proprietà. Esagera.”

Quil” lo ammonì il vocione di Sam, per fargli intendere che svelare i loro pensieri non era ammesso. Ormai però Quil aveva acceso la mia curiosità. Proprietà?!

“Una sua proprietà?” domandai perplessa “Chi?” Quil abbassò la testa, cercando di fare finta di niente. Incomprensibilmente Embry si mise a ridere.

“Ti ammazza di sicuro, Quil!”

“Ha definito Bella una sua proprietà?” tentai ancora, priva di idee. Non lo avrei mollato facilmente. Quando Quil lo capì, non perse tempo ad arrendersi. Sollevò lentamente la testa su di me, nel silenzio più totale della stanza. Un silenzio imbarazzante, direi; li sapevo riconoscere in un colpo d’occhio.

“No. Si riferiva a te” mi rispose insicuro.  

“Ah” mi limitai io.  

Seth fu un genio a rompere quell’atmosfera di ghiaccio, ponendo l’attenzione di nuovo sulla battaglia e riuscendo a coinvolgere tutti quanti nell’entusiasmo per domani. Da grande sarebbe stato un ottimo avvocato.

L’attenzione su di me sparì, cosicché io potei rimuginare. Oltre al fatto che, collegando quelle parole, con il desiderio di non vedere più né Bella, né me, con quello però di voler comunque stare insieme a noi, ci capivo ancora meno dei suoi problemi, quelle parole mi colpirono come un fulmine a ciel sereno. E’ una mia proprietà. Risuonavano nella mia mente come un campanello.

Insomma, se me le avesse dette, non credevo che mi sarei arrabbiata. Anzi, me lo immaginavo pensarle con sarcasmo; era tipico da lui fare battutine del genere. Ma dalla reazione dei suoi compagni, e di Quil in particolare, mi sembrava che fosse stato piuttosto serio. Quella frase mi mandò nella confusione più totale. Non mi sembrava un insulto, ma neanche una cosa poco carina. Mi sarei dovuta arrabbiare o no?

Ripensai silenziosa nel mio angolino per un bel po’, domandandomi cosa ci fosse dietro a quelle parole.

Alla fine fui tanto spaesata da non sapere cosa pensare, né cosa provare. Non era la prima volta che mi trovavo in una situazione del genere per colpa di Jacob. Quindi, come per la scorsa volta, anche ora adottai la soluzione precedente; andare a parlarne con il diretto interessato. A questo punto me ne sarei assolutamente fregata delle sue richieste di stare lontana da lui.

Aspettai impaziente che passassero ancora altri minuti; nonostante lo avrebbero saputo, non volevo far capire adesso ai presenti che sarei andata da Jacob. Mi intromisi perfino in qualche loro conversazione con battutine futili.

Resistetti un quarto d’ora, quindi mi congedai, salutai Emily, i licantropi e feci in modo che quel saluto fosse il più veloce possibile.

Presi la moto e mi andai alla spiaggia; secondo quanto aveva detto Embry, doveva essere là.

Feci le cose piuttosto in fretta e subito fui sulla spiaggia acciottolata. Lo vidi subito; camminava svogliato, a testa bassa, spostando di tanto in tanto un sassolino. Io gli andai incontro a grandi falcate veloci, pensando al modo in cui mi sarei posta, per mascherare la mia assoluta incertezza. Optai quindi per la strafottenza e la stizza di essere stata chiamata con quei termini. Quando finalmente si accorse che qualcuno gli stava vendendo incontro sbarrò gli occhi.  

“Cosa ci fai qui?” mi disse piuttosto serio. Io non gli detti retta, entrando perfettamente nella parte dell’arrabbiata.

“Disturbo solo per un minuto la sua meditazione, Signor Solo e Pensoso” iniziai con perfetta strafottenza. “Voglio che tu risponda ad una semplice domanda, poi me ne andrò. Cosa vuol dire che sono una tua proprietà?” sbottai veloce io. Lui chiuse gli occhi e si serrò le labbra in una morsa, alzando la testa verso il cielo.

“Gli ammazzo quei deficienti” mormorò impercettibilmente.

“Non sviare il discorso, rispondimi” continuai io.

“Cosa ti hanno detto?” mi rispose lui infuriato.

“Purtroppo nient’altro” risposi arrogante.

“Solo questo?” riprese lui, serio.

“Rispondimi!” gli ordinai. Lui alzò di nuovo gli occhi al cielo, per sospirare di sollievo.

“Non c’è niente da sospirare” gli gridai, con voce di un tono più acuta. “Cosa diavolo significa sono una tua proprietà? Siamo in Arabia di due secoli fa, e tu mi hai appena comprato per dieci cammelli? Oppure stavi pensando a me come un appezzamento di terreno?”

“Varresti di più di dieci cammelli” disse lui sghignazzando. Io lo guardai allibita, dalla sua reazione di fronte alla mia arrabbiatura. Ve bene che stavo fingendo di essere arrabbiata, ma adesso ci si metteva di mezzo l’orgoglio.

Eddai, Abigail!”esclamò lui, prima di farmi aprire bocca. “Era solo uno stupidissimo pensiero! Non dirmi che tu non hai mai pensato cose assurde su di me.” Lo guardai seria, mentre serravo le labbra e lo studiavo attentamente, per verificare che fosse sincero.

Con mio grande rammarico, quell’affermazione fu più vera che mai; insomma, nei miei pensieri avevo definito Jacob anche peggio di una proprietà, ammettiamolo. Inoltre i pensieri erano fatti appunto per non essere detti, molte volte perché la stessa persona che li aveva formulati li considerava davvero stupidi. Io ne sapevo qualcosa, ma questo credevo valesse per tutti. Allora, perché avevo avuto una reazione così esagerata per un suo pensiero?

Arrivai al punto che non potei controbattere né a lui, né tanto meno a me stessa. Fu allora che mi accorsi che con Jacob avevo fatto una vera e propria figuraccia. Mi vergognai terribilmente dell’orribile scenata che avevo fatto, otre a sentirmi una vera stupida, per non averlo realizzato prima.

Lui non si accorse di tutto questo; anzi, cominciò a guardarmi piuttosto preoccupato.

“Di solito non ti arrabbi per così poco.” Cercai di salvare il salvabile con una mezza verità.

Bhè, sai con questo tuo strano comportamento, sono diventata molto più suscettibile. Tentai di essere ancora infuriata, ma in realtà era più incerta che mai. Spostai l’attenzione da me a lui, per riacquistare sicurezza.

“Mi vuoi dire cosa caspita ti sta succedendo?” Ritornai a riacquistare tutta la mia serietà e riuscii a salvarmi alla grande.  

“Te l’ho detto che te lo dirò” mormorò lui.

“Tra quanti decenni?” chiesi sarcastica io.                          

Abigai, è complicato e difficile per me.

“Cosa?” esclamai ancora acuta. Lui mi guardò senza aprire bocca. Un modo indiretto per dire ‘tanto non te lo dico’, insomma.

“Dopo la battaglia lo saprete” si decise alla fine a dire. Incrociai le braccia e scossi la testa. Jacob mi avrebbe fatto come minimo impazzire.

“A domani, Abi” proruppe lui, subito dopo. Non fece traspirare niente dal tono di voce o dallo sguardo, ma l’intenzione era ovvia; mi stava mandando via a calci nel sedere.

“A domani, Signore del Dramma” brontolai sconsolata. Feci retro-front e con le stesse rapide falcate ritornai alla moto.

La vergogna non era ancora passata, ma durante quei quindici minuti di moto usati tutti a pensare e a ripensare a quello che era successo riuscii a capire qualcosa. Non feci altro che domandarmi come diavolo avevo fatto a non prendere in conservazione prima l’idea che molto probabilmente era un pensiero detto in un momento di dramma, usando le parole di Embry, e tenendo conto poi che già di per sé Jacob parlava senza pensare, dovevo immaginarmi l’assurdità dei suoi pensieri. Doveva essere lampante.

Invece, avevo perso il controllo e la ragione. Il motivo non mi fu subito chiaro, ma lo capii quando ripensai a quelle parole durante il viaggio in moto, soprattutto a cosa provavo nel ripeterle nella mia mente. Capii perché avevo perso il controllo, riuscii a dare un nome a quello che provai quando sentii quelle parole, qualcosa che come intensità era pari alla stizza che mi era venuta così spontanea emulare con Jacob. Fu molto inquietante. Era una cosa del tutto perversa, insensata, malsana e malata, irrazionale e depravata. Tuttavia non potevo fingere che non fosse così. La verità era che mi era piaciuta parecchio l’idea di essere in qualche modo sua.

 

Il resto del pomeriggio lo passai a leggere, ascoltare musica, fare un po’ di break, mangiare un misero pasto, vedere un po’ di tv e leggere le e-mail. Bree non mi aveva ancora risposto. Strano, a differenza mia lei ci andava su internet ogni giorno.

Feci altre piccole cose, il tempo sufficiente per raggiungere l’ora di infilarsi sotto le coperte ed evitare di pensare a Jacob. Volevo cercare di evitare in ogni modo di pensare, a lui e ai suoi pensieri che andavano contro anni ed anni di emancipazione femminile, soprattutto perché domani sarebbe stata una giornata, che non avrebbe permesso certe distrazioni per nessuno.

Stetti per almeno un paio d’ore sotto le lenzuola a rigirarmi, cercando una posizione comoda che non trovavo. L’ansia era tornata proprio prima di addormentarmi. Insieme ovviamente a Jacob; il mio subconscio non voleva collaborare.

Solo allora, cercando di pensare a qualcosa che mi potesse distrarre, mi ricordai che Bella ed Edward dovevano essere già arrivati. Molto probabilmente erano in camera sua in questo momento, data l’ora. L’immagine di loro due, mentre si coccolavano e si davano dolci bacetti, mi fece di nuovo avvampare di gelosia. Quando vivevo a Chicago non avrei mai pensato di poter arrivare a questo punto.

Non potevo ormai più negarlo; da quando ero arrivata a Forks, ero cambiata moltissimo. No, anzi, non credevo di essere solo e semplicemente cambiata, ero finalmente cresciuta, cominciando a poco a poco a uscire dalla mia maschera da maschiaccio rompipalle che mi ero creata e diventare una donna adulta. Rabbrividii all’immagine di un’Abigail in completo d’affari; no, stavo crescendo, ma c’era ancora molta strada da fare.

Can you feel the love tonight?Sovrapensiero cominciai a canticchiare il ritornello di quella famosa canzone del Re Leone. E mai come in quel momento, come anzi in quel periodo, al vecchio Elton avrei risposto un sì convinto.

 

La mattina dopo mi svegliai alle nove; non troppo tardi, né troppo presto. Anche se i miei sogni quella notte erano stati piuttosto agitati. Difficilmente mi ricordavo un sogno, e quindi avevo solo terribili flash riguardo a una chioma di capelli color rosso fuoco e a un paio di canini scintillanti. Stranamente, i sogni che mi ricordavo alla perfezione erano solo quelli con Jacob come protagonista maschile.

Scesi le scale fino ad arrivare al terzo piano. Mi soffermarmi sulla camera di Edward, in fondo al corridoio. Non sapevo cosa avevano fatto, né mi interessava saperlo, ma dalla mansarda non avevo sentito alcun rumore.

Per un attimo pensai di entrare per chiedere a Bella se volesse fare colazione, ma poi ripensai ancora al suggerimento di Alice e scesi in cucina.

Mi era d’altronde venuta un’idea migliore: le avrei preparato io stessa la colazione. Era vero che non sapevo cucinare, ma a tirare fuori un paio di biscotti erano capaci tutti.

Tirai fuori un bel po’ di roba, sia per Bella, ma soprattutto per me; già di per sé, la mattina avevo una fame lupo, tenendo poi in conto il fatto che ieri sera non avevo fatto un grande banchetto e che sarebbe stato un giorno impegnativo, quella mattina volli esagerare. Tirai fuori di tutto: biscotti, fette biscottate, pane e marmellate, cereali, latte, cioccolata, frutta, e perfino il salame. Presto rinunciai ad ogni proposito di aspettarla e cominciai a servirmi da me.

La sentii attraversare il salotto quando io ero già a metà dell’opera. Entrò in cucina già vestita e lavata, a differenza mia, nel mio pigiamone verde e largo, che ormai aveva fatto il suo tempo, ancora tutta spettinata. Vicino a lei c’era Edward, che anche se avesse affrontato terremoti, alluvioni, incendi e avesse fatto andata e ritorno al e dal centro della terra, sarebbe stato sempre impeccabile.

“Buongiorno” esclamai esuberante.

“Buongiorno, Abigail” mi rispose Edward, sempre cortese con un grande sorriso.

“Buongiorno, anche a te.” Bella invece sembrava essere turbata. Inizialmente pensai che fosse dovuta alla preoccupazione per dopo.

“Hai preparato la colazione anche per me?” chiese sorpresa. Io le lanciai il mio sorriso sghembo.

“In realtà questa sarebbe la mia colazione, ma se vuoi approfittarne, fai pure.

“Non ho molta fame” rispose distratta, sedendosi davanti a me. Edward si mise invece capotavola, osservando con attenzione riluttante il cibo sulla tavola.

“Mangia, ti conviene” le assicurai.

Abigail ha ragione, dovresti mangiare qualcosa” mi supportò Edward, che rafforzò l’ammonizione con una carezza gelata alle sue dita.  Fu più che sufficiente per convincere Bella a prendere un biscotto al cioccolato. Appena se lo mise in bocca cominciò a sfregarsi le mani. All’inizio pensai perché avesse ancora freddo, quindi non lo notai.

“Passata una bella nottata?” chiesi mentre addentavo il mio panino al salame, facendo apposta la figura della ficcanaso.

Mh…” rispose Bella svogliata, mentre masticava il biscotto.

“Sei proprio un’impicciona, lo sai questo?” mi ammonì Edward, stizzito.

“Certo che lo so!” gli risposi di rimando, altera. “Spero di non avervi disturbato. Credo di aver rivestito un po’ il ruolo di terzo incomodo, ieri sera” continuai, passando sulla difensiva.

“No, non ti abbiamo sentita” mi assicurò Bella. Continuava ancora a toccarsi le mani, ma ancora non ci feci caso.

“A parte quando hai cominciato a cantare” intervenne Edward, con mezzo sorriso. Io lo guardai facendo gli occhi dolci.

“Era per rendere un po’ romantica l’atmosfera” dissi mielosa.

“Fidati, non sarebbe servito” mi rispose Bella in un sussurro, soprapensiero.

Questa volta guardai attentamente le sue mani; non aveva ancora smesso di sfregarsele. Dopo pochi secondi capii che non si stava toccando le mani, ma solo l’anulare sinistro.

“Perché ti stai grattando il dito?” chiesi confusa. Lei sobbalzò e mi guardò con occhi spalancati. Lasciò andare immediatamente le mani e riprese un altro biscotto.

“No, no, niente” disse stranamente tesa.

Bella non sapeva mentire, quando veniva presa impreparata. Non fu per niente convincente. Anche Edward la guardò attentamente, ma a differenza di lei, lui sapeva dissimulare meravigliosamente le emozioni.

“Dammi qua” le ordinai, offrendole la mano. Lei me la porse senza problemi.

“Non ho niente. Solo un tic” mi disse lei.

Io non la sentii ed osservai bene l’anulare. Notai che alla base del dito, nonostante Bella avesse una carnagione particolarmente chiara, la pelle era leggermente lucida, oltre che arrossata per il continuo tormento a cui quel dito era sottoposto. Era lo stesso segno che lascia un orologio dopo averlo tolto.

Quel particolare segno sull’anulare sinistro lo collegai solo a una cosa. Mollai la mano e guardai Edward entusiasta sfoderando un sorriso a trentadue denti, mentre Bella mi guardava sorpresa.

Che tenero!” esclamai apposta con voce fin troppo infantile. “Finalmente ti sei deciso a darle l’anello!” continuai, con il mio normale tono di voce. Lui guardò sbalordito prima me, poi Bella.

“Glielo hai detto?!

“Cosa?” domandò lei confusa.

“Del nostro… compresso” continuò lui, più controllato di prima. 

Intendi il vostro piano ‘prima ti sposo, poi ti trasformo’? Sì” intervenni io, continuando indisturbata a mangiare e pensando che sarebbe stato un ottimo titolo per una commedia al cinema.

“Perché?” domandò ancora Edward.

“Avevo bisogno di sentire il suo parere e di un consiglio” rispose Bella, nascondendo la mano sinistra sotto il tavolo. “Non avrei dovuto?”

“Avrei voluto che rimanesse una cosa esclusivamente nostra” rispose Edward, con un po’ di rammarico.

“Scusami” gli rispose Bella, dispiaciuta. 

“Comunque non l’ho detto a nessuno” lo assicurai io, a bocca piena.

“Lo so” affermò lui, in un sospiro.

“E prima o poi si verrà a sapere” continuai, andando in difesa di Bella.

“Non credo che adesso sia il momento adatto” rispose lui serio.

E credo che sia un ottimo ed equo compromesso” conclusi affannata, imburrando una fetta biscottata.

“Tendente al ricatto” mormorò Bella, che le era tornato un po’ l’appetito. Io guardai entrambi con un sorriso.

“Vedete? State già battibeccando come una vecchia coppia di sposi!”

“Ti prego, Abigail” brontolò Bella, scuotendo la testa.

L’idea del matrimonio, adesso che si presentava più palpabile che mai, le rivoltava proprio lo stomaco. 

“Ah! Mi immagino la tua faccia quando hai visto l’anello. Avresti voluto buttarti dalla finestra, vero?” constatai con ironia.

“Scappare dalla porta, in realtà” mi corresse lei, improvvisamente interessata a un’albicocca.

“Perché non ce l’hai adesso?” continuai, prendendo il latte.

“Non voglio che si rovini” la buttò vaga lei. Bevvi una bella sorsata dalla mia enorme tazza, prima di continuare.

“Forse è un po’ presto, ma avete già pensato qualcosa per la cerimonia?” chiesi curiosa.

Forse avrei fatto meglio a stare zitta: non solo Bella, ma neanche Edward scoppiavano dalla gioia di parlarne. Di questo però me ne accorsi solo dopo; al momento ero solo contenta per loro due, perché finalmente avevano iniziato a realizzare i loro piani per il futuro. 

“Sinceramente, non ci voglio pensare” mormorò Bella, come se la peggiore delle torture.

“Abbiamo deciso per Las Vegas” intervenne Edward, che, seppure avesse voluto che questa faccenda del matrimonio restasse tra loro, esprimeva un minimo di entusiasmo in più di Bella.

Posai la tazza mezza vuota e lo guardai con incredibile serietà. Non credevo a quello che avesse appena detto.

“Suppongo che il matrimonio per te abbia un determinato significato, ed anche un nobile valore, se tu stesso hai proposto questo compromesso, giusto?” Lui mi guardò confuso.

Anche” mi rispose con la stessa mia serietà.

“Mi è un po’ difficile immaginare che tu accetti che questa nobiltà venga proclamata in un qualcosa che assomiglia a una cappella oscena da un individuo, molto probabilmente ubriaco che forse non ha nemmeno l’autorità per farlo” dissi incredula.

Insomma, avevo sempre avuto una brutta opinione su quello che si faceva a Las Vegas e non riuscivo proprio a considerare una di quelle cerimonie un matrimonio. Mi stupii quindi la serietà nelle parole di Edward; trovavo che fosse davvero un’idea molto squallida. Edward si limitò a fare spallucce.

“E’ un compromesso del compromesso” si limitò a rispondere “Non do molta importanza al luogo.

“Per me è già troppo” mormorò Bella svogliata.

“Proprio non accetti una cerimonia normale?” proposi io, così, tanto perché era questo che le persone normali facevano. Ma sapevo già la risposta.

“No” esclamò lei, convinta.

“Non avete una seconda opzione?” chiesi, sperando che avessero pensato ad altro.

“Forse potremmo convincere Emmett a svolgere la funzione” mi disse distratta, concentrata a spalmare di marmellata la sua fetta biscottata.

Fu immediata l’immagine di Emmett, vestito da pastore, mentre cercava di rimanere serio e trasformava le parole ufficiali per la proclamazione di un unione in pessime battute da cabaret. Rispetto a questo, Las Vegas era decisamente meglio. Mi coprii gli occhi con le mani, scuotendo la testa al massimo dell’esasperazione.

“O mio Dio! Voi non vi volete sposare, volete profanare la sacralità del matrimonio!” esclamai alzandomi di botto dalla sedia, per andare a mettere la tazza nel lavello. “Vi prego, evitate di sposarvi, piuttosto!”

“Credo che Abigail abbia avuto un’ottima idea” constatò Bella.

“Bella” la riprese Edward, con un tono dolce, piuttosto convincente.

“Piuttosto fuggite in un ignoto paesino di campagna, corrompete il primo pastore che incontrate e in cinque minuti siete marito e moglie” proposi io, mentre lavavo la tazze e davo loro le spalle.

“Andare a Las Vegas è meno impegnativo” mi rispose Bella.

“Va bene, va bene, fate come volete” dissi alzando in aria le mani ancora bagnate, voltandomi verso di loro. “Ma non credo che Alice la prenderà bene. Anzi, scommetto che riuscirà a convincerti a organizzarti il matrimonio.”

“Non questa volta” Bella era piuttosto convincente, ma Alice lo era di più.

“Lo vedremo” dissi io in tono di sfida. Ed il sorriso sghembo che cercò di nascondere Edward sembrava darmi ragione.

 

 

 

 

 

Scherzavo! Lo scorso capitolo vi avevo comunicato che quello sarebbe stato l’ultimo dell’estate, ma fortunatamente non è stato così grazie a un’improvvisa ispirazione che mi ha permesso di scrivere e di pubblicare un nuovo capitolo. Tuttavia, senza scherzare, questo sarà davvero l’ultimo capitolo dell’estate.

Spero che vi siano piaciuti i due dialoghi iniziali e finali con Bella, Edward ed Abigail; ho cercato di modificare quelli originali in modo tale che fosse tutto un po’ più divertente (e lo ammetto, anche meno serio). E spero che questo valga anche per lo strano colloquio tra Abigail e Jacob. Fatemi sapere che cosa ne pensate a proposito, sono curiosa :)

Parlando sempre di Jacob, ho ben notato che nei vostri commenti tutti ce l’avete con lui. E avete assolutissimamente ragione! Ma voglio ricordarvi che quella tra Jacob ed Abigail non è semplicemente una storia (forse) d’amore tra una persona normale ed un idiota, ma tra ben due idiota, perché anche Abigail, ricordiamocelo, ha creato la sua parte di guai. Ultima cosa; molti di voi stanno aspettando impazienti la scena della tenda. Purtroppo non compare in questo capitolo, ma nel prossimo, già scritta e pronta per essere riletta :).

Concludo quindi ringraziando ancora tutti quelli che mi hanno sostenuto in vari modi, chi scrivendo commenti, chi inserendo la storia in preferiti, ricordati e seguiti, chi anche semplicemente leggendola.

Un bacio a tutti quanti e buon inizio scuola :).

 

X MoonLight95: Già, la scuola, gran bel problema. Sarà proprio a causa sua che non scriverò più come prima. Comunque sono contenta che almeno non abbia cancellato i capitoli e spero vivamente di poter un giorno sapere come andrà a finire il tuo misterioso racconto :). Per quanto riguarda il povero cervello di Jacob, ti posso assicurare che si smuoverà, bene o male non si sa, forse anche troppo, ma avverrà anche quel momento.

Grazie ancora per aver puntualmente commentato (per prima, che strano ;) ) la mia storia! Baci!

 

X mylifeabeautifullie: Ah! Ho inteso. E io che pensavo a qualcosa di più malizioso… Non dico altro! Scusa, qualche volta tendo ad avere una mente perversa XD. Rispondendo alla tua domanda, (grande bella risposta, no?)! Non si può dire, mi spiace! XD Comunque grazie tantissimi per i complimenti e per il periodico commento! Un grande bacione anche a te e alla prossima!

 

X __cory__: NO! Come faccio io, se non hai da ridire nulla su niente! Bon, bon, almeno spero di essermi guadagnata un bel po’ di osservazioni con questo ;). Allora, ho capito finalmente cosa intendi per ammiratore e mi dispiace risponderti che no, non ce n’è nessuno. E poi, immagina che casino; Edward ama Bella, Bella ama Edward, Jacob ama Bella, Abigail ama Jacob, pensa se qualcuno amasse Abigail! La cosa diventerebbe troppo ingestibile!

Per quanto riguarda Breaking Dawn, tanto per curiosità, non ci sono ancora arrivata. Sto davvero cercando di impegnarmi di finire Eclipse prima dell’inizio della scuola e spero davvero di riuscirci.

Concludo ringraziandoti ancora tantissimo per il commento (sì, anche se non hai avuto niente da ridire ;) ). Un bacio e alla prossima!

 

X Franny97: Inizio con il dirti che sono felice che anche questo frammento della tua vita sia stato di tuo gradimento ;). Poi, ho letto a tutto d’un fiato le domande che mi hai fatto, e non posso fare altro che risponderti così: per alcune non ci sei proprio, per altre ci hai azzeccato in pieno, per altre ancora… ! Non lo so neppure io. A te suddividere le tue domande a queste tre categorie ;). Poi, non ho ancora ben capito la tua identità: perché dici di non poter prevedere il futuro, se tu stessa mi hai detto che sei l’Abigail del futuro? Dovrei forse segnalare alle autorità di Forks di scovare la tua vera identità? XD. Ecco a causa di questo pensiero ho l’immagine di Charlie tutto preso a immedesimarsi nell’ispettore Gadget.

Orride immagini a parte, ti ringrazio tantissimo per l’enorme sostegno che mi dai! :) Grazie anche per esserti espressa sulla questione dei capitoli. L’ho semplicemente proposto perché così facendo avrei postato prima, ma dopotutto mi va meglio come dici tu. Un altro caro saluto! Baci!

PS: Mi tocca risponderti nello stesso modo di prima; una delle tre arriverà prima delle altre due, che giungeranno insieme (di cui una durerà poco, d’altronde). Vediamo se riesci a risolvere questo indovinello! XD

 

X nes_sie: Sono contenta che ti siano piaciute queste due scenette non dico romantiche, ma dolci, anche se poco coerenti :). Per quanto riguarda il bacio che nell’Eclipse originale Jacob darà a Bella, non posso dirti molto se non che ho già scritto la scena in questione, che comparirà tra due capitoli (Un po’ in là, purtroppo). Sono felice che ti sia espressa anche sulla questione dei capitoli. Io l’ho proposto perché in questo modo pubblicherò prima, ma mi fido del vostro parere e se tu mi dici che così lunghi non sono pesanti, allora ti credo ;).

Ti ringrazio ancora tantissime per il commento! Un bacio!

 

X eleonora96: Forse sono partita io, perché rileggo e pubblico capitoli, mentre sto continuando a scrivere la storia due capitoli in avanti, ma non ho capito cosa intendi per invidia. La gelosia che prova Abigail per Bella e Jacob, dici?

Spero di averti fatto piacere vedere questo nuovo capitolo pubblicato così presto! :) La cattiva notizia è che, come ho scritto sopra, non te potrò farti altri di piaceri del genere. Comunque, un grosso bacio anche a te! Alla prossima!

 

X GiuliaMary: Il tordo avrà il suo bel da fare, qualsiasi cosa dovrà fare in futuro, te l’assicuro! XD Mi dispiace di averti dato una brutta impressione, ma questo non credo che possa essere considerato come un capitolo decisivo. In compenso, ti assicurò che come minimo i prossimi tre lo saranno, e per tante cose!

Grazie tantissimo per il commento! Alla prossima!

 

X Kianna: Mi dispiace che non ti sia piaciuta la scena del ballo! Lo so con chi avresti voluto che Abigail ballasse (almeno, è la stessa persona che penso io, no?). Altro poi non posso dirti che, come si sarà sicuramente capito, tra Abi e Jake è tutto un tira e molla e quindi è ormai palese una riconciliazione, e se non è una riconciliazione, un chiarimento è assicurato. Grazie ancora tantissimo per aver commentato! Un bacio!

 

 

 

 

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Capitolo 21
*** Ventunesimo Capitolo ***


Ventunesimo Capitolo

 

 

 

Ventunesimo Capitolo

 

Gli altri arrivarono a mezzogiorno preciso. Se i giorni precedenti si erano bene o male mostrati sicuri o tranquilli, ora non fingevano di trattenere una certa tensione. Perfino Emmett non manifestava l’esaltazione che aveva sempre avuto.

Quella che più di tutti sembrava piuttosto che agitata, demoralizzata, era Alice. Supposi che aveva ancora problemi con le sue visioni, che non riusciva a mettere a fuoco a causa dei licantropi. Difatti disse subito ad Edward che non vedeva dove sarebbe stato quel pomeriggio, né dove saremmo state noi, a causa di Jacob prima, e Seth poi. Tuttavia almeno un particolare riuscì a coglierlo.

“In montagna ci sarà un bella tempesta di neve stasera” ci comunicò cupa. Una bufera a giugno?! E noi dovevamo accamparci in una tenda mentre fuori nevicava?! Questa si chiamava proprio sfiga, ragazzi.

Mentre Edward preparava l’attrezzatura per Bella, i miei genitori ed io ci preoccupavamo della mia. Della tenda ci avrebbe pensato Edward, quindi pensai più che altro a un sacco a pelo, pile, giochi di società in caso di noia assoluta, al cibo e ai vestiti. Per quanto riguardava il cibo rimpinzai il mio zaino da campeggio, che portavano con me quando io e i miei genitori andavamo a caccia per più di un giorno, di barrette energetiche, frutta secca e altri alimenti poco pesanti ed ingombranti, ma nutrienti, oltre ad acqua e soprattutto un termos di media grandezza con dentro tanto tè bollente. Per quanto riguardava i vestiti, dato il tempo, avrei proferito vestirmi con la mia tuta in speciale tessuto termico, che usavo d’inverno nei giorni più freddi, insieme a una sciarpa, guanti e una cuffia. L’istinto materno di mia madre tuttavia si fece sentire; riempì mezzo zaino con un maglione ed una felpa di lana di mio padre, che andava largo persino a lui.

“Mamma, non credi di esagerare?” le domandai scettica.

“Alice ha previsto una tempesta, e tu sei fin troppo sensibile al freddo” replicò mamma, mentre ripiegava con cura i maglioni e me li metteva nello zaino.

“La tuta tiene già caldo” osservai ansimando.

Ero già pronta e stare dentro casa con quella temperatura mi faceva sudare come un maiale blu. Di fronte a quella scena mio padre con un sorriso mi cinse tra le sue braccia fredde e potei sospirare per un po’ di sollievo.

“Già meglio” mormorai, soddisfatta “E comunque non credo che Alice avrà previsto così tanto freddo; ha detto a Bella di portare solo la giacca a vento” Mia madre mi consegnò lo zaino pronto per essere indossato con un sorriso.

“Lei però non ha un istinto da mamma” si giustificò lei, come se questa potesse essere una valida scusa “Mi farai stare più tranquilla”

“Fai quello che dice tua madre” le diede corda papà. Alla fine dovetti accettare con uno sbuffo.

“Bene, allora sono pronta per andare” dissi, osservando la stanza in cerca di qualcosa che avevo dimenticato.

“Già.”

Il tono cupo di papà mi fece voltare verso di lui. Solo ora mi accorsi che quello sarebbe stato l’ultimo momento che ci saremmo visti prima della battaglia. Da allora sarei stata tenuta d’occhio da Edward. Ci guardammo per alcuni secondi; nessuno sapeva cosa dire. Nessuno osava toccare direttamente l’argomento, perché così facendo l’eventualità che qualcosa potesse andare storta sarebbe diventata più reale. Era un momento di strano imbarazzo. Ed io odiavo i momenti imbarazzanti.

“Bhè, allora a dopo” dissi stranamente a mio agio. Mi misi lo zaino in spalla e notai che era più pesante di quanto pensavo.

“Sicuro” rispose mio padre, sicuro e convincente come sempre. Guardai per un’ultima volta i miei genitori negli occhi; erano tranquilli e rilassati, non traspariva nessun segno di preoccupazione.

Finalmente mi voltai e scesi in garage, dove Edward e Bella ci stavano aspettando.

Non appena scesi le scale della mansarda, con i miei genitori subito dietro di me, mi assalì un’atroce sensazione; se fosse successo qualcosa davvero, non mi sarei mai potuta perdonare quell’addio, che lo avevamo fatto scambiare per un arrivederci. Ma la verità era che nessuno dei tre lo avrebbe mai accettato come un addio.

Arrivati in garage notai che Alice aveva riacquistato il buon umore, mentre Bella lo aveva perso. Ero curiosa di sapere che conversazione c’era stata tra i tre, ma le circostanze del momento mi fecero dimenticare quel particolare in breve tempo.

“Bhè, allora passate una bella notte” ci salutò Alice esuberante, per poi scomparire dal garage. Fui per un brevissimo attimo contagiata da quel suo ottimismo.

“Siamo pronti” annunciò mamma ad Edward, mettendomi una mano fredda sulla spalla. Edward annuì.

“Allora possiamo partire” Lanciò un sorriso rassicurante a mamma e papà. “Non temete, la terrò d’occhio” Anche i miei genitori annuirono. Mamma mi strinse ancora un po’ la spalla, prima di mollarla. Papà invece mi diede una carezza sui capelli. Ci demmo un ultimo sguardo. Mi lasciai fin troppo trasportare da quella marea di oro puro. Erano sguardi del tutto indecifrabile. Come forse lo era il mio; tra tante emozioni che volevo trasmettere, non riuscii a sceglierne una per il momento. Quello fu il nostro ultimo saluto.

 

Edward correva veloce attraverso la foresta, molto più di mamma e papà, nonostante Bella in braccio ed io dietro la sua schiena. Fece un lungo giro, per evitare che il nostro odore si avvicinasse troppo al sentiero che avremmo percorso con Jacob. Non ci badai però molto; non potevo ancora non pensare ai miei genitori. Avevo una grandissima voglia di farmi portare indietro e lanciargli le braccia al collo, ma era troppo tardi. Nonostante condividessi le sue motivazioni, avrei immensamente voluto che insieme a Edward ci fosse anche mah’.

Sorrisi amaramente, ripensando ad un’altra situazione del tutto opposta a questa. Quando ero andata a Volterra all’inizio mi ero fatta pochi problemi all’idea di una città zeppa di vampiri, dove molto probabilmente avrei perso la vita e non avevo detto niente ai miei genitori. In questa occasione, invece, a morire potevano essere loro, ma le probabilità che succedesse erano pochissime ed ero stata avvertita in tempo per prepararmi psicologicamente. Nonostante tutto mi sentivo terribilmente agitata e pensai con paura e vergogna che quello che stavo provando adesso, era un niente rispetto a quello che avevano causato ai miei genitori.

Ironia della sorte, quando ero partita per l’Italia, la persona più importante che avevo salutato era Jacob e lo avevo fatto in uno dei modi più significativi, baciandolo. Adesso, avevo salutato i miei genitori, ma invece di esprimere un cavolo di sentimento, avevo mentito, a loro e a me stessa.

Questo piccolo particolare mi faceva incazzare come una iena, perché mi dava l’erronea impressione che tenessi più a Jacob che a loro. Grandi e piccoli problemi a parte, a Jacob volevo bene, ma non mi vergognavo minimamente a pensare che se i miei genitori e lui stessero per morire e io dovessi scegliere uno dei due da salvare, avrei scelto senza il minimo dubbio loro.

Alla fine Edward ci depositò nella parte settentrionale della radura.

“Camminate verso nord e toccate tutto ciò che potete. Alice sa quale strada seguiranno e non tarderanno a incontrare la vostra scia.” Ancora immersa nei miei pensieri, eseguii le sue indicazioni distrattamente e mi diressi all’interno della foresta, mentre mi seguiva una Bella dubbiosa.

Con calma Bella ed io ci avventurammo nel fogliame. Stavamo in silenzio, toccando tutto quello che ci capitava a tiro. Fortunatamente c’era un fresco venticello, che mi permetteva di stare a mio agio; il cielo era sereno, e non dava affatto l’aria di prospettare l’arrivo di una tempesta.

“Ehi Abi, tutto ok? Sei più taciturna del solito” mi chiese Bella, un metro dietro di me. Alla fine aveva notato qualcosa. Io le lanciai uno sguardo che voleva essere rassicurante; decisamente quello non era il momento adatto per un certo tipo di discorsi. Credevo che sarebbe successa una cosa simile al branco di licantropi: non volevo rompere l’equilibrio e la quiete del gruppo con un pensiero cattivo.

“No, niente” cercai di essere il più sincera possibile. Aspettai Bella per andare alla sua andatura e chiacchierare un po’ con lei, per dimostrarle di essere stata sincera e anche per cercare di distrarmi.

Mentre stendeva le braccia per toccare cortecce e pietre, non potei non notare il luccichio di arcobaleni prodotto da un qualcosa al suo polso. Lo osservai bene: era un ciondolo a forma di cuore. Era carino, ma troppo elegante per i miei gusti.

“Bello. Chi te l’ha regalato?” chiesi con interesse. Lei arrossì leggermente.

“Edward” confessò lei in un sussurro.

“Ah” esclamai con il tono di una che la sapeva lunga. Ma non era finita lì; accanto al cuore, su un braccialetto diverso, notai anche un ciondolo in legno, a forma di lupo, il gemello del regalo che Jacob mi aveva fatto. Sorrisi all’idea che in questo modo poteva portare con sé un pezzetto di Edward e Jacob, due delle persone più care.

Fu così che mi venne in mente un’idea; fino a prova contraria anch’io ero una persona importante per lei. L’idea di essere ricordata anch’io in quel modo mi apparve fin troppo naturale. Decisi quindi che quando saremmo tornate a casa anch’io avrei dovuto trovare qualcosa da regalarle da mettere al polso, insieme ai due ciondoli.

“Va bene così?” chiese Bella a Edward, una ventina di metri lontano da noi, con i nostri zaini sulle spalle.

“Perfetto.”

Forse era perché ero ancora troppo presa a cercare nelle mie memorie qualcosa di significativo che potesse ben rappresentarmi, che non notai l’eccessivo muschio scivoloso su cui poggiai il piede sinistro. Scivolai improvvisamente all’indietro, ma riuscii a non cadere a terra, sia perché il destro aveva un appoggio solido, sia perché mi tenni con il braccio destro alla corteccia dell’albero vicino. Tuttavia, per afferrare l’albero, avevo mollato la presa ad un ramo spinoso che mi bloccava il passaggio e che avevo tirato indietro. L’effetto fu che quest’ultimo tornò nella sua posizione naturale beccandomi dritto in testa. Nel mentre si impigliò ben bene nei miei capelli ricci. Partì spedito verso l’alto, portandoseli con sé.

“AHI!”

Una fitta di dolore allucinante mi spinse a gridare e divincolarmi; mi ritrovai in neanche un secondo in punta di piedi, cercando di prendere quel dannato ramo, per me troppo alto.

Prima ancora che Bella si avvicinò allarmata, accanto a me si materializzò Edward. Spezzò il ramo dall’albero e potei tirare un sospiro di sollievo. Ma non era ancora finita: avevo ancora il ramo attaccato ai capelli. Presi allora con forza la fine dei miei capelli ed il ramo in questione. Tirai con forza e riuscii a liberarmi dalla sua presa. In mano mi ritrovai una manciata di capelli spezzati, che feci scivolare via trascinati dal vento.

“Buona idea, Abigail, questo rafforzerà la scia” intervenne Edward. Io lo guardai un po’ confusa, prima di sfoderare il mio sorriso sghembo, concordando anch’io sulla sua affermazione.

Incitate quindi dal commento di Edward, entrambe continuammo a strapparci singoli capelli per disporli sulla vegetazione, seppure secondo Edward stessimo esagerando.

“Non sei obbligata a darla vinta ad Alice” esclamò all’improvviso lui, riferendosi sicuramente alla conversazione che avevano avuto con Alice poco prima. Ormai che sapeva che io sapevo, non si faceva più problemi a parlarne in mia presenza. Cercai di nascondere il mio sorriso sghembo che voleva dire ‘te l’avevo detto’.

“Non fa niente; non ti lascerò solo all’altare” gli rispose Bella, stranamente indifferente, forse perché troppo concentrata a svolgere il suo compito.

“Ma vorresti” intervenni io ironica, senza riflettere. Lei non trattenne un sorriso.

“Quello è un altro discorso”

“Non voglio che tu ti faccia condizionare troppo da Alice” riprese Edward serio, ignorando la mia battuta. “Voglio che quel giorno sia come lo voglia tu.”

Bella non rispose; era ovvio che per accontentare il desiderio di Edward, quel giorno non doveva esserci proprio.

“E comunque non sarà una cerimonia esagerata” continuò lui, più rassicurante “Saremo soltanto noi.” Io alzai la testa verso il cielo.

“E un pastore vero” chiesi implorante, mentre continuavamo con la nostra scampagnata. Mi era insopportabile l’immagine di Emmett vestito da pastore. Edward sogghignò.

“E un pastore vero” confermò. Anche Bella sfoderò un piccolo sorriso.

“Ci penserò”

“Un compromesso si trova sempre” continuò Edward, che di compromessi ormai era diventato un esperto.

Camminammo ancora per un po’, prima di arrivare al luogo dove i neonati avrebbero incontrato la nostra scia. Per lo più il tempo rimasto lo passammo in silenzio, ma a me andava splendidamente bene così, perché ne avevo di cose su cui riflettere. Questa volta non c’entravano i miei genitori, me lo imposi con tutta me stessa e ci riuscii; si trattava del matrimonio di Bella. Quando ne avevamo parlato tempo fa mi aveva confessato che le sue paure erano dovute sia a ciò che avrebbero potuto pensare gli altri, non tanto gli sconosciuti, quanto le persone a lei care, sia perché, intuii, non faceva proprio parte del suo carattere tutto quel momento di attenzione su di sé.

Tuttavia nella mia mente si era formata una nuova ipotesi, di cui la stessa Bella non mi aveva fatto parola, ma di cui ero abbastanza convinta; credevo che Bella considerasse il matrimonio come il suo ultimo contatto umano con il mondo, l’evento che simbolicamente rappresentava tutto ciò che avrebbe perduto dopo la trasformazione, l’ultima occasione per salutare Charlie e sua madre Renée, insieme a Jacob, forse. Ero quasi certa che fosse pronta a dire loro addio, ma rivederli un’ultima volta tutti e tre nello stesso momento, sarebbe stato fin troppo deprimente. Per questo un po’ la comprendevo.

Sobbalzai di fronte all’occhiata penetrante che Edward mi lanciò.

Una volta arrivati, tornammo indietro, ripercorrendo la stessa identica strada per evitare sgradite deviazioni da parte dei neonati, seguendo le indicazioni di Edward.

Poco prima di arrivare nella radura, Bella inciampò e cadde a terra. Mi sembrava strano che non fosse accaduto prima; scossi la testa e mi pentii immediatamente di quell’orribile pensiero. Alzandosi, mi accorsi di una ferita sanguinante al palmo della sua mano.

“Perfetto” si lamentò lei.

“Tutto bene?” chiese Edward, immediatamente preoccupato.

“Sì, resta dove sei. Sto sanguinando…” lo avvertì lei in allerta.

Non la lasciò neanche finire che fu subito accanto a lei. Io osservavo immobile la scena: non mi sarei mai immaginata che Edward potesse perdere il controllo o chissà che cosa, però, bene o male, era comunque sangue, e lui era un vampiro; poteva resistere senza problemi, ma di certo non credevo si sentisse del tutto a proprio agio. 

“Ho un kit di pronto soccorso” disse, prendendolo dallo zaino di Bella “Non serve essere Alice, per immaginare che sarebbe potuto servire” disse reprimendo il sarcasmo. Mi avvicinai a lui per farmi dare il kit.

“Faccio io, se vuoi.” Lui invece prese la mano insanguinata di Bella e la guardò con un sorriso.

“Non è più problema” disse tranquillo. Lo osservai attentamente: stava sorridendo, il naso non era arricciato e respirava regolarmente, gli occhi era di un oro scintillante. Caspita, aveva ragione.

“Cioè?” chiese Bella confusa.

“Ho risolto il problema” rispose lui semplicemente. Anche il tono di voci era dei più tranquilli.

“Intendi dire che oltre a saper resistere all’odore del suo sangue, resisti anche senza dover reprimere la gola?” chiesi scettica “Bhè, certo, voglio dire, sei riuscito a bere il suo sangue senza ucciderla, però…”

“Era una circostanza piuttosto particolare” disse interrompendomi subito, con un tono piuttosto cupo “Comunque, per rispondere alla tua domanda, sì.” Rimasi sorpresa di nuovo, anche se non troppo; mi ero fatta un po’ l’abitudine di considerare Edward non più come un vampiro, ma come un super-vampiro o ancora più realisticamente un alieno.

“Quando? E come?” chiese Bella stupita.

“Bhè, dopo ventiquattrore vissute nella certezza che tu fossi morta, per me sono cambiate molte cose, Bella” rispose con uno strano tono rassegnato.

“Il mio odore è diverso?”

“No, lo è il mio modo di reagire.” Sfoderò ancora il suo sorriso davanti alla ferita. “Rifiuto ogni azione che potrebbe procurarti una sofferenza come quella.” Questa bella notizia mi rassicurò parecchio.

“Direi che è stata un’esperienza molto educativa” continuò aumentando la larghezza di quel sorriso.

“Che assicureresti ad ogni vampiro innamorato di un’umana” completai io sarcastica.

“Divertente” mi rispose lui con lo stesso tono, lanciandomi un’occhiataccia. Tornò poi subito a Bella. “Lascia che te la medichi.” Bella però gliela sfilò subito.

“Mi è appena venuta un’idea” disse curiosa. Si avvicinò ad una roccia non molto lontana e la segnò con la mano sanguinata.

“Uau! Che idea!” esclamai, capendo le sue intenzioni. I neonati sarebbero di certo impazziti in questo modo.

“Bella, credo che adesso tu stia esagerando” intervenne Edward, preoccupato.

“Intendo fare tutto quello che posso” protestò Bella, continuando imperterrita. Ed era quello che avrei fatto anch’io. Prima ancora di trovare qualcosa di appuntito Edward mi fermò.

“No, Abi” mi bloccò all’istante.

“E’ un’idea geniale, invece” protestai io “Perderanno il controllo e si azzufferanno fra di loro riducendosi di numero a vicenda.” L’idea che potessi in qualche modo intervenire sul numero dei neonati che i vampiri e i licantropi avrebbero dovuto eliminare mi esaltò.

“Mi trovo a mio agio con il sangue di Bella, ma non con il tuo” mi avvertì serio. Mi convinse a fermarmi di colpo. Certo, aveva ragione. Edward non era mamma o papà. Con grande rammarico abbandonai il mio intento; in compenso controllai che Bella spargesse il suo di sangue in luoghi strategici.

“Complimenti, ci sei riuscita. I neonati perderanno il controllo e Jasper sarà contento di te” sentenziò Edward in fretta, dopo che Bella aveva sperperato il suo sangue a mezza foresta. “Adesso però lasciati curare la ferita; è sporchissima.”

In breve tempo è senza problemi, la disinfettò e la incerottò in un istante. Sorrisi amaramente nel vedere quanto era malmessa Bella, una mano incerottata, l’altra ancora steccata a causa del pugno dato a Jacob.

“Avete fatto la vostra parte” disse rimettendo a posto il kit e tirando fuori un giubbotto imbottito. “Ora andiamo in campeggio!” Sorridemmo entrambe del finto entusiasmo della sua voce.

“Dove dovremmo incontrare Jacob?” domandò Bella. Lui si limitò a fare un cenno verso gli alberi davanti a noi.

Subito spuntò Jacob, in forma umana, più grosso di quanto mi ricordassi. Avanzava a braccia conserte, stringendo due giubbotti in una mano. Ci guardava serio, senza tradire emozioni; era lo sguardo di Sam, che riservava ai vampiri. Il sorriso sul viso di Edward sparì subito, come se si fosse appena pentito del compito che aveva accettato che Jacob si assumesse.  Andiamo in campeggio!, pensai con lo stesso finto entusiasmo di Edward.

“Ciao, Jacob” lo salutai, quando fu abbastanza vicino.

“Ciao, Jake” ripeté Bella. Il suo viso riacquistò per un momento l’ombra del suo fantastico sorriso.

“Ciao, ragazze.”

Se la sua voce avesse avuto il suo tipico tono strafottente, avrebbe sicuramente fatto la figura del playboy. Tuttavia la situazione era troppo seria per scherzare ancora.

“Buongiorno, Jacob” lo salutò Edward, cordiale come sempre. Jacob, con molta educazione dovevo dire, lo ignorò.

“Dove le porto?” Edward prese dallo zaino di Bella una piantina e gliela diede.

“Noi siamo qui” disse Edward, totalmente indifferente al comportamento di Jacob, indicando con il dito un punto sulla carta. Quando Jacob sentì la mano di Edward avvicinarsi al foglio si ritrasse automaticamente, per poi riprendersi. Io scossi la testa sconfortata; non c’era niente da fare, quando si era nemici di natura. Edward almeno fu accorto e fece finta di nulla.

“Tu le porti quassù, a una dozzina di chilometri di distanza” continuò, spostando il dito verso l’alto. Jacob si limitò ad annuire.

“A due chilometri da qui incontrerai la mia scia. Ti servirà la mappa?”

“No, grazie. Conosco bene la zona; mi saprò orientare” disse masticando amaramente quel ‘grazie’ tra le labbra. Gli riusciva davvero così difficile mostrarsi un po’ più cortese? Anche se stava parlando a un vampiro, si trattava pur sempre di una questione di educazione. Edward annuì impercettibilmente.

“Io prenderò una strada più lunga. Ci vedremo tra un paio d’ore.” Mentre parlava lanciò uno sguardo mesto verso Bella, all’idea di lasciarla, ricambiato anche da quest’ultima. Scossi di nuovo la testa; cosa saranno mai un paio d’ore!

“A dopo, Edward” lo salutai, cercando di far tornare i due piccioncini alla realtà. Edward mi rivolse un breve sguardo di assenso, prima di ritornare di nuovo su Bella.

“Ci vediamo” sussurrò lei. Si scambiarono gli sguardi ancora per un secondo, prima che Edward si smaterializzasse. Non appena Edward scomparve, Jacob si tranquillizzò.

“Come va?”

Anche se si era rilassato, Jacob non si trovava affatto a suo agio. Sembrava impacciato, per non dire imbarazzato, e il tono della sua voce sembrava essere quasi timido. In altre parole, Jacob stava dando mostra di tutto il suo strano ed incomprensibile comportamento che da qualche tempo lo aveva cambiato. Anche Bella lo osservava sospettosa.

“Tu?” insinuai loquace, squadrandolo dalla testa ai piedi, per fargli capire più chiaramente possibile a cosa mi stavo riferendo. Lui sviò la domanda con un falso sospiro esasperato.

“Salta su, dobbiamo andare” schivò lui il discorso, indossando uno dei due giubbotti che aveva e legando alla vita l’altro, per avere le mani libere. Gli diedi corda e gli saltai sulla schiena; tanto, qualsiasi cosa avrei detto o fatto, non mi avrebbe mai ascoltata. Dopodiché prese in braccio Bella. Per un momento ci sembrammo tre equilibristi imbranati.

Non perse ulteriore tempo ed iniziò a correre. Mi stupii non tanto della velocità, pari a quella di un’atleta ben allenato senza quasi cento chili addosso, quanto della resistenza di poter mantenere quel passo per dodici chilometri.

Scese quindi un lungo silenzio, spezzato unicamente dai passi di Jacob sul terreno ripido. Mi trovavo dietro alla sua schiena, pertanto non potei osservare l’espressione del suo viso, ma Bella, tra le sue braccia, gli lanciava occhiate attente, che tuttavia Jacob sembrava ignorare, come anche la stessa Bella e me. Si comportava come se non esistessimo, oppure come se fosse perso nei suoi pensieri, non lo capivo.

“Se continui a correre tra un poco ti stancherai” osservò Bella, rompendo il ghiaccio. Jacob si riscosse e sogghignò. Mi confuse quell’immediato cambio di umore.

“Non mi stanco affatto” affermò lui, continuando con la sua andatura “E poi è meglio arrivare all’accampamento prima possibile; tra poco farà molto freddo. Gli animali se ne sono andati; dev’essere senz’altro qualcosa di grosso. Rende nervoso anche me.”

“Così grosso da gelare anche un licantropo focoso come te?” chiesi maliziosa, pindicando il giubbotto che indossava. Vidi gli angoli della bocca piegarsi in un sorriso.

“Nient’affatto. Questi li ho portati per voi due, pensando che ne avreste avuto bisogno” rispose lui. Era ovvio che non conosceva le manie di una madre paranoica e iperprotettiva.

La conversazione fu breve e ricadde nuovamente nel silenzio. Intanto la strada si faceva man mano più ripida, ma non sembrava mettere Jacob in difficoltà, che anzi continuava agile e deciso, senza neppure l’ausilio delle mani.

Fu durante una di queste ripide salite che notai il ciondolo a forma di lupo che sporgeva dalla manica del giubbotto intorno al collo di Jacob. In un sussulto mi ricordai che non lo avevo neppure ringraziato.

“Grazie per il braccialetto” dissi scotendo il polso “E’ bellissimo.” Jacob sorrise di nuovo.

“Sì, è molto bello” rincarò Bella, leggermente pensierosa.

“Non c’è di che” rispose tranquillo lui. “Piuttosto, cosa ci hai attaccato insieme?”

I miei occhi sovrastarono la sua spalla e incontrarono i raggi di luce colorata del brillante a forma di cuore.

“Un altro regalo per il diploma” rispose Bella, troppo velocemente per non far trapelare dell’imbarazzo.

“Un brillante, che strano” mugugnò lui scontroso.

L’atmosfera che si era creata non mi piaceva; la discussione era caduta su‘Bella ed Edward’ che con Jacob non portava a nulla di buono. Pensai di uscire con una battuta delle mie per evitare di inoltrarsi troppo nell’argomento, ma fui troppo lenta e Jacob mi precedette.

“Bella, te lo chiedo da amico” iniziò lui, in un tono misto tra serietà e sconforto. “Ti prego, ripensaci.” Dovevo ammettere però che era un sollievo sapere che la grande e misteriosa ‘crisi mistica’ che Jacob stava vivendo aveva lasciato alterato almeno qualcosa. Ovvio, le cose più fastidiose.

“Me lo hai già detto” rispose Bella categorica, evidentemente desiderosa di evitare di parlare di questo. “E ti rispondo ancora che non è necessario.”

“Come puoi sapere se non c’è altro che vuoi?” insistette lui, testardo come sempre. “Hai davvero valutato ogni aspetto della tua decisione?”

“Sì. Edward è tutto quello che voglio” rispose di nuovo decisa.

Feci un respiro profondo, che Jacob, preso com’era dalla discussione, non notò. Ormai mi avevano escluso totalmente dalla loro conversazione, ed ero costretta a starmene dietro le quinte e fare l’ascoltatrice forzata. Più di qualche volta la testardaggine di Jacob raggiungeva il limite e questa era una di quelle; quante volte ormai doveva aver posto quella domanda a Bella, e quante lei gli aveva risposto in questo modo? Era quasi da quando ci eravamo conosciuti che si era posto l’obiettivo di convincere Bella a rinunciare a Edward e alla trasformazione –e a convincerla che lei era innamorata di lui, ma questi erano dettagli – ancora non aveva capito che non ci sarebbe riuscito e in quel momento trovai i suoi rinnovati tentativi noiosi e ripetitivi.

Allo stesso tempo però dovevo ammettere che non so che avrei dato per avere un minimo di quella sua testardaggine. Se fossi stata come Jacob, allora forse lui…

“Come puoi dirlo? Sei giovane e ci sono fin troppe esperienze che non hai ancora provato” continuò, lungi dal gettare la spugna. Anche se dopo un po’ stufava e rompeva, io in segreto lo ammiravo.

“Esperienze che non ho ancora provato con te, vuoi insinuare?” ribatté Bella stizzita, affondando un colpo più forte per chiudere il discorso. “Una mi è già bastata.” Già, si stava riferendo al bacio. Sentii appena un po’ di amaro in bocca, che però ben presto scomparve. Sembrava che Bella avesse fatto touché; Jacob si zittì all’istante e sentii i muscoli del suo collo e della sua schiena irrigidirsi.

“Te l’ho già detto, Bella. Sai che me ne sono pentito” si mise Jacob sulla difensiva, amareggiato perfino.

“Anche questa conversazione l’ho già sentita, Jake” continuò Bella, ormai stufa marcia, come lo ero anch’io. Tuttavia ci voleva ben altro per sviare Jacob dai suoi obiettivi; non si perse d’animo e continuò con un nuovo approccio.

“E comunque non ho specificato con chi” continuò lui riacquistando immediatamente tutta la pacatezza che aveva perso, e perfino un po’ di ironia.

“A me sembrava fin troppo implicito” replicò Bella.

“Va bene, hai ragione tu. Non lo nego” continuò lui, dandole ragione “Devi ammettere però che certe esperienze le hai vissute unicamente con lui, e non ti costerebbe nulla provare con qualcun altro, per confronto. E sottolineo il fatto che con questo non intendo direttamente me.” Cominciai a sghignazzare senza ritegno.

“Sì, certo” diss’io sarcastica “Per te allora andrà bene se Bella baciasse me, così oltre ad avere ‘confrontato’, come hai detto tu, avrà anche arricchito il suo curriculum di esperienze con qualcosa di nuovo e trasgressivo!”

“Credo proprio che succederà questo, prima di chiederti di darmi il bacio che aspetti, Jacob” lo avvertì sarcastica anche Bella, stando al mio gioco. Al momento quasi non mi accorsi delle parole di Bella; solo più tardi mi sarebbero venute in mente. Riuscii a tornare seria solo dopo alcuni secondi, sentendo appena sotto di me la schiena di Jacob irrigidirsi ancora. 

Con quella battuta finale, Bella aveva finalmente concluso la conversazione e ben presto tornò il silenzio, accompagnato unicamente del vento che cominciava a soffiare forte tra gli alberi. Ero troppo tranquilla e forse troppo distratta per notare l’agitazione di Jacob, che stava cominciando ad essermi familiare.

Dopo cinque minuti arrivammo a uno strapiombo ripido, cominciando a seguirne la base che pendeva verso l’alto e che usciva dalla foresta. Ben presto il silenzio venne rotto nuovamente da Jacob.

“Cosa c’è, Bella?” domandò inquieto. Incuriosita dalla sua domanda, appoggiai le mani sulle spalle di Jacob e mi issai per vedere Bella. Era talmente impensierita da sembrare triste. Interruppe il flusso dei suoi pensieri, per guardare verso la mia direzione.

“Sto pensando se è giusto che Edward rimanga con noi. Un vampiro in più o in meno farà la differenza” sussurrò lei.

Io alzai gli occhi al cielo, scuotendo la testa. Possibile che non si rendesse conto del motivo per il quale Edward doveva rimanere con noi?! Quella ragazza avrebbe fatto meglio a pensare al più presto un po’ più a se stessa che agli alti. Aveva uno spirito di auto-conservazione a rasoterra.

“Pensala così, che non lo vuoi tu al tuo fianco, ma che lo voglio io, ok?” cercai di convincerla. Lei mi lanciò un sorriso, che sembrava una smorfia, per poi tornare ai suoi pensieri.

“Perché dovrebbe stare con te?” chiese Jacob indispettito, ma cercando di rimanere serio. Aveva lo stesso tono dei bimbi quando si lamentavano dicendo ‘perché lui sì e io no?’.

“Victoria è furba e l’idea che ci possa trovare dispersi qua sui monti ha convinto Edward a rimanere con noi” mi affrettai a rispondere io, facendola breve. “In fondo ha avuto ragione; il suo obiettivo siamo noi.”

“Mmh…” mugugnò lui, annuendo sommessamente con la testa, probabilmente con l’irritazione di non aver avuto lui per primo l’intuizione. “Speriamo almeno che il tuo vampiro sia rimasto anche per Abigail e non solo per te.”

“Certamente” sbottò Bella. Io invece rimasi zitta, cercando di nascondere un sorrisino e la mia condivisione dell’opinione di Jacob.

“Devo ammettere però che mi dispiace un po’ per lui; io non mi perderei questo scontro per nulla al mondo” esclamò dopo alcuni secondi, per ricompensare la precedente delusione. Alzai nuovamente lo sguardo al cielo.

“Non rimarresti con noi neppure se ti preghiamo in dieci lingue diverse” constatai io.

“Nessuna delle due però lo ha chiesto anche a me” lo sentii sussurrare, forse più a se stesso che a noi. Io corrugai le sopraciglia confusa. Mi sembrò quasi che fosse amareggiato e geloso.

“Hai appena detto che avresti rifiutato” replicai io, confusa.

“Infatti” rispose subito lui deciso, ma anche troppo velocemente. Non ebbi nemmeno il tempo per riflettere su quelle strane parole che Jacob si fermò, annusando l’aria circostante.

“Ecco il suo odore” comunicò disgustato. Lampi in lontananza intanto accompagnavano l’arrivo di grosse nuvole nere e violacee che provenivano da ovest. Le guardai spaventata; non era davvero una buona nottata per un campeggio.

“Jake, accelera, il tempo non promette nulla di buono” gli chiesi, ormai del tutto dimenticata della precedente discussione. Lui obbedì alla mia richiesta ed aumentò il passo. 

“Non riuscirai a tornare a casa in tempo” dedusse Bella, guardando anche lei preoccupata i nuvoloni.

“Infatti non torno a casa” rispose Jacob monotono, il respiro ancora regolare nonostante il passo.

“Ci farai compagnia in tenda?” gli chiesi sbalordita. Uau, saremmo stati io, Bella, lui e Edward. Ne sarebbero uscite delle feroci partite a carte, oltre a ben altro ancora.

“No, ma grazie dell’invito; preferisco la tormenta alla puzza” spiegò lui, già nauseato all’idea. “Il tuo vampiro vorrà sicuramente mantenersi in contatto con il branco per coordinarci, quindi svolgerò la funzione di tramite.”

“Non toccava a Seth?” chiese Bella.

“Mi sostituirà domani.”          

“Visto che però starai qui oggi, tanto vale rimanere anche domani” osservò Bella, cercando di essere il più indiscreta possibile, camuffando quella che doveva essere una richiesta.

Fui subito in disaccordo con lei; non poteva mica chiedere a tutti quanti di rimanere lì con noi! Ero sicura che Edward e Seth erano più che sufficienti; Jacob invece era necessario in un campo di battaglia. Mi rendevo perfettamente conto che se Jacob sarebbe restato qua non avrebbe rischiato niente, ma più persone combattevano, meno sarebbero state le possibilità che qualcosa andasse storto nella radura. E poi c’era un altro e un po’ cattivo motivo che non mi faceva accettare l’idea che Jacob potesse rimanere lì con noi: mia madre aveva rifiutato, perché allora lui poteva restare? Non ammettevo assolutamente che lui rimanesse lì con noi, quando non era necessario, mentre mia madre combatteva. Se fosse stato così, allora avrei preferito assolutamente fare cambio.

“Sarebbe bello vederti implorarmi” rispose Jacob in un sogghigno divertito.

“Figurati” rispose lei scocciata.

“E poi non sono io quello che decide; è Sam.”

“Ah, Edward mi ha raccontato una cosa al riguardo” continuò Bella, cambiando argomento, vedendo che non c’erano possibilità di convincerlo.

“Bugia” sputò immediatamente lui. Io gli feci una smorfia per dietro; che antipatico.

“Non sei una specie di… vice-capobranco?” continuò lei, ginorandolo.

“Vice-capobranco?” intervenni io curiosa “Cos’è? Hai ricevuto una specie di promozione per le tue notti in bianco?”

“No” rispose lui categorico e serio.

“Perché non me lo hai detto prima?” chiese ancora Bella, alquanto incuriosita dalla cosa.

“Cosa sarebbe cambiato?” rispose lui, non dando affatto la stessa importanza che dava lei.

“E’ interessante. Come funziona, esattamente? Sam è il maschio alfa e tu il… beta?” tirò ad indovinare. Sentii Jacob ridere per il termine inventato.
”Sam è stato il primo. Quindi è logico che il capo sia lui” spiegò in breve. Questo però non convinse Bella.

“Ma allora il secondo sarebbe dovuto essere Jared o Paul” replicò lei.

“Non è esattamente così” rispose con poca voglia. Quel suo tono stanco e stufo mi attirò parecchio; non voleva affatto parlare dell’argomento, come se fosse un peso per lui. Si trattava comunque di una posizione di un certo rilievo tra i licantropi, che gli altri non avevano; Jacob non era mai stato vanitoso, ma neppure modesto, quindi mi sorpresi anch’io che non lo avessi mai saputo. Forse c’entrava l’invidia che questo scatenava nel resto del branco?

“E come, allora?” continuò Bella, cocciuta.

“E’ una questione di discendenza” continuò lui svogliato.

“Giusto; Ephraim Black era l’ultimo capotribù” mi ricordai io. “Allora perché il capo non sei tu?” Jacob rallentò e si fece cupo, racchiudendosi in un silenzio. Sulle prime non capii davvero perché reagisse così.

“Jake?” lo riscosse Bella, stranita.

“Spetta a Sam” rispose lui con decisione. Conoscevo Jacob da un po’ di tempo e avevo imparato a decifrare abbastanza bene il linguaggio del suo corpo. Questo di certo non poteva dirsi quando era un lupo; lì l’esperta era Bella. Capii quindi quale fosse il motivo, e l’invidia qua non c’entrava affatto.

“Perché?”

“Perché non lo vuole essere lui” risposi al posto di Jacob. Lui fece un lieve rumore di assenso con la gola.

“Non accettavo l’idea di diventare un licantropo, figuriamoci l’alfa. Quando Sam me lo ha chiesto, io ho subito rifiutato.”

“Pensavo però che fossi più felice così” continuò Bella, non meno confusa di prima.

“Sì. E’ tutto decisamente molto più divertente, come quello che succederà domani, per esempio. All’inizio però mi sentivo solo costretto e totalmente spaesato a entrare nel mondo di quelle che consideravo storielle inventate. Non avevo scelta.” affermò ancora un po’ cupo.

Io lo prendevo sempre in giro, mi riferivo a lui come a un idiota e gli davo del bambino immaturo. Ma questo era quello che succedeva nella mia testa; la realtà era che Jacob era un ragazzo molto più maturo di altre persone più vecchie di lui, che era stato costretto a diventare davanti agli eventi difficili e dolorosi che la vita gli aveva parato davanti, cominciando dalla morte di sua madre e dall’incidente di suo padre. Me n’ero sempre perfettamente resa conto, e lo sforzo che aveva dovuto affrontare per accettare quello che era diventato era un’altra prova della sua maturità.

In tutto questo un’altra cosa avevo notato, sempre riguardante il rapporto tra vampiri e licantropi che avevo cominciato a studiare dall’incontro al falò. Questa volta mi ero accorta di una somiglianza tra i due; entrambi erano costretti ad entrare in un mondo che credevano fosse irreale ed accettarlo con tutte le sconosciute e dure conseguenze. A dire il vero questo valeva un po’ anche per gli umani, come per Bella e per certi versi anche per me, anche se le ‘conseguenze’ in questione erano leggermente differenti.

“Capo Jacob” disse Bella sarcastica, come per verificare se l’abbinamento suonasse bene.

“Augh!” la seguii io. Jacob scoccò la lingua contrariato.

“Simpatiche, davvero” commentò, per niente divertito.

Fu allora che il vento aumentò. Mi sentii congelare il naso e automaticamente lo infilai dentro il colletto della giacca, così da poterlo riscaldare con il collo di Jacob. Le nubi raggiunsero il sole e lo coprirono, e contemporaneamente cominciarono a scendere anche i primi fiocchi bianchi. Avvenne tutto quasi contemporaneamente e ciò rese ancora l’ambiente ancora più lugubre e per niente simile a un giorno di metà giugno. Pensare che un anno fa mi trovavo a nuotare in California.

Vedendo questi brutti segnali, Jacob aumentò l’andatura, guardando attentamente il terreno per sapere dove mettere i piedi. Ben presto la tenda di medie dimensioni apparve protetta ai piedi della parete rocciosa. E ovviamente vicino a lei c’era un Edward impaziente.

“Bella!” gridò Edward, osservando con sollievo che stava bene. Cercai di trattenere uno sbuffo per la sua reazione troppo esagerata; credeva davvero che le sarebbe successo chissà che cosa senza di lui per un paio d’ore? Credeva che forse la sfortuna aspettasse in agguato che Edward se ne andasse per piombare all’improvviso su Bella? Mi risposi subito di sì e fui piuttosto sicura della mia risposta.

Edward apparve accanto a lei e Jacob sussultò per la velocità. Non appena la fece scendere l’abbracciò stretta. In modo molto più indiscreto, senza nessuno che mi accogliesse, mollai la presa e scesi a terra.

“Sei stato più veloce di quanto pensassi. Grazie davvero” gli disse Edward sincero. Jacob, esattamente come prima, sembrava indifferente, anzi, infastidito da quella cortesia e si limitò a scrollare le spalle.

“Portala dentro. La tempesta arriverà tra poco. La tenda è solida?” chiese monotono.

“E’ quasi un tutt’uno con la roccia” lo assicurò Edward. Lo disse tanto convinto che per un attimo mi sembrò il commesso di un negozio di trekking che tentava di vendere una tenda illustrandone la resistenza. Se fosse stato così, il cliente l’avrebbe acquistata subito.

“Mmh” si limitò Jacob. Studiò un’ultima volta il cielo, prima di muoversi.

“Vado a trasformarmi. Devo sapere cosa succede a casa.” Appese le due giacche ad un ramo e se ne andò nella foresta.

Non degnò nessuno di uno sguardo. Tranne me. Prima di inoltrarsi, mi lanciò un lungo e perforante sguardo. Non notò Bella, né tanto meno Edward. Unicamente me.

 

Dell’incomprensibile comportamento di Jacob che mi mandava fuori di testa me ne dimenticai subito; in breve divenne buio e il freddo triplicò. Bevemmo tutto il tè caldo che mi ero portata, ma dopo cinque minuti il suo effetto era già svanito. Mi infilai assieme a Bella nel suo sacco a pelo, in modo da scaldarci a vicenda. Avevo anche indossato le felpe in più che mamma mi aveva messo nello zaino. Mi angosciava sentire l’odore di mio padre sulla sua felpa e per poco decisi di non metterla, ma il freddo mi spinse a fare anche questo.

Erano le due di notte, indossavo come minimo tre maglioni, avevo bevuto un termos di tè bollente, ero appiccicata a Bella, e nonostante tutto questo le raffiche di vento riuscivano a penetrare attraverso il sacco a pelo e nel giaccone. Giuravo di non aver mai sentito così tanto freddo tutto assieme: non sentivo più il naso, i denti battevano all’impazzata e a forza di stare rannicchiata avevo un enorme crampo allo stomaco. Inoltre dopo tutto quel tè sentivo la vescica premere forte, ma non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello di calarmi i pantaloni là fuori.

Ed era giugno; com’era possibile un freddo del genere a giugno?! Ancora un po’ in quelle condizioni, e mi sarei beccata un febbrone da cavallo dalle proporzioni colossali.

Edward invece se ne stava seduto in un angolo, il più distante da noi possibile, evitando di inviarci ulteriore freddo. Faceva troppo buio, ma sentivo eccome i suoi occhi puntati su Bella.

“Forse…” iniziò teso.

Era terribilmente frustato che non potesse fare qualcosa; aveva quindi proposto una dozzina di volte di portarci un po’ più a valle, dove il vento era meno forte. Rifiutai il pensiero con tutte le mie forze; se faceva freddo lì, non volevo sapere cosa fosse fuori.

“No-n no-n vo-voglio u-u-uscire” balbettò Bella da sotto le coperte. Lei era messa meglio di me; almeno riusciva a parlare. Avevo tentato un paio di volte prima, ma senza successo. Era terribilmente demoralizzante.

“Cosa posso fare?” chiese implorante. Bella non rispose, ma per un ghiacciolo come lui la risposta era più che implicita.

Sentii Jacob ululare forte fuori; con tutto quell’ammasso di pelo di cui disponeva, non aveva certo problemi a patire il freddo. Dalla gola di Bella uscì uno strano suono incomprensibile, che forse voleva essere una parola, ma che era stata smorzata dai troppi tremori. Jacob ululò ancora.

“Cosa vuoi che faccia?!” sbottò Edward, che ormai aveva abbandonato tutta la sua educazione “Dovrei portarle via adesso, forse? Piuttosto renditi utile. Va prendere una stufa o qualcosa del genere.”

“Sto b-b-bene” protestò Bella. Io no, sbottai con il pensiero. Non avrei mai pensato che in questa situazione avrei trovato comoda la capacità di Edward di leggermi i pensieri. Non serviva che nemmeno mi sforzassi. Jacob si lamentò ancora, tanto forte da superare il baccano del vento.

Sconsolata, immersi la testa dentro il sacco a pelo. Effettivamente c’era una cosa che tutti e due potevano fare per farci star meglio: chiudere quella loro boccaccia e smetterla di battibeccare tra loro.

“E’ l’idea peggiore che potessi avere” sbuffò Edward, ignorando i miei pensieri.

“Sicuramente meglio della tua” rispose Jacob, che si era ritrasformato. Io mi immersi ancora; di male in peggio, ora la loro cavolo di litigata sarebbe stata ancora più difficile da sopportare.

Va a pretendere una stufa” citò Jacob “Non sono mica un sambernardo.” Sghignazzai all’idea di un mastodontico lupo dal pelo rosso che affrontava le tempeste con attaccato al collo una botticella. La cerniera si aprì velocemente. Sfortunatamente Jacob non fu così veloce ad entrare, perché il vento soffiò gelido dentro la tenda tanto forte da obbligarmi a stringere talmente tanto le gambe al petto da poter schiacciare la mia vescica piena.

“Scordatelo” ribadì Edward serio “Dalle il giaccone e vattene.” Riuscii a far uscire la testa dal piumone; in mezzo al buio intravidi la pelle nuda e scura di Jacob.

“D-d-d-d-d-d” balbettò Bella vicina a me.

“Questo di certo non le servirà domani. È troppo ghiacciato” disse appoggiando entrambi i giacconi vicino all’entrata.

“Hai detto che aveva bisogno di una stufa, giusto? Eccomi qua” disse allargando le braccia più che poteva dentro la piccola tenda. Avevo capito quale fosse l’idea, e dovevo ammettere che non era per niente peggiore come aveva detto Edward.

“E poi non puoi di certo obbligarmi a stare lontano da Abigail” disse con una soddisfazione ed un’accidia immensa. Sentii un ringhio soffocato provenire dalla gola di Edward. Io sbuffai sotto le coperte, cercando di scaldarmi le mani, aspettando il felice momento in cui i due avrebbero chiuse le loro boccacce e Jacob sarebbe venuto più vicino.

“J-j-jake, con-con-ge-gelerai” disse Bella in un flebile sussurro. Jacob si mise a sghignazzare.

“Io di certo no. La mia temperatura media è di quarantadue gradi. Vi riscalderò in un baleno.” Fu subito vicino, con una mano teneva già la lampo del sacco a pelo. La mano di Edward scattò velocissima ed afferrò la sua spalla. Jacob si irrigidì, contraendo i muscoli delle braccia e della schiena, e mostrando le gengive in un ringhio.

“Giù le mani” lo minacciò Jacob.

“Giù le mani da lei” lo avvertì Edward cattivo. A quel punto persi la pazienza e ritrovai la forza di balbettare.

“Ba-ba-basta-a-a rom-rom-pe-re-re-re. Po-po-rta le-le tu-tue chi-chi-chiap-p-p-p-e qua-a sot-t-t-t-to o-o-o-ra-a.” Con uno strattone Jacob liberò la spalla dalla stretta di Edward.

“Mi sembra che sia stata piuttosto chiara, no?” gli rinfacciò di nuovo Jacob, con lo stesso tono appagato di poco prima “E di certo non me lo puoi impedire.” Edward quindi tornò nel suo angolo, muto ed immobile. Gli ci era voluto un po’ per capire che era la cosa giusta in quel momento per la vita mia e di Bella. Jacob aprì svelto la cerniera e si coricò dentro.

“Fatemi spazio” disse aprendo di più il sacco a pelo, cercando di sistemarsi in mezzo a noi due.

“Attento a quello che fai” lo minacciò Edward monocorde. Jacob quasi non lo ascoltò e ci abbracciò con entrambe le braccia, premendoci contro il suo petto.

“N-n-n-n-n” balbettò Bella, cercando di protestare quel contatto che con Jacob era fin troppo intimo.

“Non fare la sciocca” disse serio “Ti potrebbero servire le dita dei piedi” Con il mento indicò me, alla sua destra.

“Abigail non si fa tutti questi problemi.” Difatti l’istinto aveva preso il sopravvento; non m’importava se era Jacob, non m’importava se ero innamorata di lui, non m’importava del suo strano comportamento, non m’importava nemmeno quel contatto che in un’altra situazione mi avrebbe mandato il cuore a mille. M’importava solo di salvare la pellaccia dal quel dannatissimo freddo, per tanto senza esitazione e ritegno, senza alcun romanticismo, mi ero letteralmente spiaccicata contro di lui e avvinghiavo la sua vita. Premetti il naso sul suo sterno e mi parve un ghiacciolo che si scioglie su una stufa. Quella potente fonte di calore in quelle condizioni mi dava un senso di godimento assoluto, come bere dell’acqua per un assettato.

Anche Bella alla fine fu succube di quel toccasana e lo accolse di buon grado.

“Siete ghiacciate” si lamentò lui. Non mi ero accorta che effettivamente, pensandoci bene, per Jacob quella situazione, al contrario di noi, non era per niente piacevole. Era peggio di alzarsi dal letto in pieno inverno.

“S-s-s-s-cusa” si dispiacque Bella.

“Tra un minuto sarete al caldo” disse con uno sorrisino divertito, controllando i brividi che gli recavamo. “Certo, se vi toglieste i vestiti, vi riscaldereste prima” disse, sicuramente per far arrabbiare Edward.

Non reagì tanto al ruggito di Edward, quanto alla mia mano che afferrò il suo capezzolo e lo strizzò.

“Ahia!” esclamò sorpreso più che addolorato, facendo un balzo nel sacco a pelo. Di sotto fondo si sentiva Edward sghignazzare.

“E’ un dato di fatto, Abigail! Corso di sopravvivenza” si giustificò lui.

“J-j-jacob-b” lo avvertì Bella stizzita dalle sue battute di pessimo gusto.

“Lascialo perdere” disse lui, compiaciuto “E’ solo geloso.”

“Certo che sì” esclamò Edward, né acido, né tanto meno geloso “Non puoi immaginare quanto desidero fare a lei quello che le stai facendo tu, randagio.”

“Se non altro, sai che lei vorrebbe te al tuo posto” disse con una leggera nota amara che tentò di camuffare.

“Vero” rispose Edward sicuro.

“Se posso dire la mia” decisi di intervenire in quell’assurda conversazione, ancora infreddolita, ma calda abbastanza per parlare “Non per offenderti, Edward, ma se dovessi scegliere tra i due, la mia preferenza cadrebbe su Jacob.” Sebbene sarei saltata addosso anche a Edward, se potesse scaldare come Jacob, e me ne sarei assolutamente fregata della possibile gelosia di Bella.

“Almeno c’è qualcuno qua dentro contento della mia presenza” esultò Jacob. Sentii Edward schioccare la lingua contrariato. Non capii cosa volesse significare fino a quando Jacob si irrigidì vicino a me.

“Non ti azzardare” gli disse Jacob burbero. Dedussi che la reazione di Edward fosse la risposta poco gradita ad un pensiero di Jacob.

“Cosa?” chiesi con una vena di curiosità.

“Niente” mi disse Jacob così rude e sgarbato che mi convinse a non insistere. Non so che avrei dato per poter leggere i pensieri di Jacob in quel momento; avrei capito ogni cosa di quello che lo angosciava e del problema che aveva con noi due. Problema che tra l’altro riusciva benissimo a metterlo da parte in determinate occasioni, come questa.

Feci uno sbuffo e stizzita dalla situazione mi accovacciai un po’ meglio. Afferrai la mano calda di Jacob e l’appoggiai sulla guancia ancora infreddolita. Lo sentii sussultare quando entrò in contatto con la mia pelle fredda.

Il calore ormai mi circondava completamente, e mollai la presa dal suo corpo. Potei allora rendermi conto più lucidamente della situazione e improvvisamente il contatto con Jacob non mi fu più indifferente. Cominciai a provarci gusto a stargli così vicina, ma contemporaneamente questa sensazione era guastata dall’imbarazzo di avere Bella d’altra parte.

Nonostante tutto, la fatica che avevo accumulato durante il giorno si rifece subito sentire; sembrava che anche lei fosse stata congelata fino a quel momento. Inoltre quel tepore era troppo invitante. Chiusi gli occhi e mi rilassai, cercando di estraniare la mente da quel luogo, e magari anche di dormire un poco. A quel punto sarebbero dovute essere le tre, ed era meglio riposare almeno un minimo per domani. Tuttavia con il rumore del vento e la sua potenza che minacciava di portarsi via la tenda era fin troppo difficile addormentarsi.

“Jake?” sussurrò Bella. “Posso chiederti una cosa?”

“Certo.”

“Perché il tuo pelo è così folto rispetto agli altri? Non sei costretto a rispondere.” Lo sentii sogghignare sotto di me.

“Perché ho i capelli lunghi” rispose divertito, scuotendo la sua chioma corvina, che gli arrivava ormai al mento. Sentii le punte dei suoi capelli farmi il solletico sulle guance. Lo guardai attentamente, seppure il buio non me lo permetteva molto: non mi ero mai accorta che a Jacob fossero cresciuti così tanto i capelli.

“Ah” rispose Bella sorpresa “Allora perché non li tagli?” Edward fu molto discreto a trattenere una risata.

“E’ un po’ imbarazzante” disse per nulla imbarazzato, quanto divertito. Lo continuai ad osservare curiosa anch’io di conoscere il motivo.

“Scusa, non volevo farmi gli affari tuoi” si scusò lei, con voce assonnata.

“In realtà ti stai facendo gli affari miei e di Abigail” disse con un sorriso sornione “L’idea me l’ha data lei.”

Mi ci volle un bel po’ per capire a cosa si stesse riferendo. All’improvviso ricordai e cominciai a ridere sonoramente. Si doveva riferire probabilmente a quella volta di un sacco di tempo fa, quando ci eravamo appena conosciuti e ancora non sapevo che lui e Bella si conoscessero. Per un motivo e per l’altro Jacob e io avevamo iniziato a parlare delle cose che piacevano alle ragazze. Solo adesso mi rendevo conto che quella volta cercava qualche dritta per apparire più affascinante con Bella. Non so come, ma eravamo finti a parlare dei suoi capelli e io gli avevo risposto con sincerità, ancora abbastanza estranei da risparmiargli tutto il mio sarcasmo, che sarebbe stato meglio con i capelli lunghi,. Mi stupii che avesse davvero seguito il mio consiglio.

“Non ti starai mica riferendo a quando ci eravamo appena conosciuti?” chiesi per conferma.

“Eh già” rispose lui in un sospiro. Lo guardai di nuovo bene con aria critica.

“Scusa, ma mi devo contraddire. Con i capelli lunghi non sei granché” gli feci notare sarcastica, anche se lui stava bene comunque.

“Grazie per la gentilezza, Abi” disse scuotendo la testa “Almeno il tuo errore ora si è rivelato utile per stanotte.”

Ancora con un sorriso stampato, mi accucciai di nuovo, questa volta con il proposito di dormire sul serio. Anche se il vento continuava a soffiare imperturbato e ogni volta rischiava di trascinare con sé la tenda e chi ci stava dentro, non si sentivano più le voci di quei due rompiscatole. 

Nonostante tutto quel fracasso, credetti di essere così stanca che mi addormentai subito.

Ero sicura che non avrei sognato affatto, tenendo conto il luogo e la compagnia, invece feci uno dei sogni più strani che avevo mai fatto. Non c’erano figure, solo voci la facevano da protagoniste. I proprietari di queste due voci erano Jacob ed Edward, ma parlavano in tono vago, distante, ed erano troppo flebili per essere reali ed avendo il sonno pesante non avrei mai sentiti della voci così lievi, se fossi stata realmente sveglia.

Inoltre, come tutti i sogni che facevo, quando mi svegliai il giorno dopo, non me lo ricordai affatto.

“Diamine” esclamò a denti stretti Edward, rabbioso. “Puoi farmi il piacere di controllare i tuoi pensieri?”

“Se ti danno fastidio, allora non ascoltarli” rispose Jacob strafottente come sempre, ma anche disturbato.

“Vorrei farlo, ma non sai quanto siano rumorosi. Li stai praticamente urlando.” Jacob si sforzò di contenere una risata.

“Allora cercherò di pensare a bassa voce.” 

Scese il silenzio per qualche secondo.

“Non starai ‘così bene’ per sempre” disse Edward rispondendo ad un pensiero di Jacob.

“E’ piuttosto scorretto leggermi i pensieri e io non poterlo farle con i tuoi” gli disse di rimando Jacob in tono di sfida.

“Sei tu che ti stai comportando in modo disonesto con entrambe” disse Edward calmo come sempre.

“Dimmi la verità” grignò a denti stretti Jacob “Non aspetti altro che scelga Abigail, così mi leverò di torno da Bella, non è vero?”

“Non sai quanto vorrei che fosse così” ammise Edward sincero.

“E questo magari sarebbe un tuo tentativo di convincermi a farlo?” Il tono della voce era di un’ottava più alto.

“Non voglio convincerti di nulla, Jacob. Anche se lo facessi, so che non mi sarebbe possibile.” Edward invece continuava a rimanere distaccato.

“Allora perché diamine ne stai parlando?” continuò Jacob.

“Perché mi dà terribilmente fastidio il tuo comportamento ipocrita nei confronti di Bella.” Questa volta non poté trattenere la stizza.

“Non è affatto così, e tu lo sai bene” sussurrò furioso Jacob.

“Forse sei troppo confuso per rendertene conto” disse Edward, riacquistando il suo tono pacato.

“Per fortuna che non volevi convincermi di nulla” sbottò Jacob di rimando.

“Se ti comporti in questo modo solo per fare un torto a me, allora sei davvero un ingenuo, Jacob”

“Assolutamente no, ma è una conseguenza che mi piace” disse quasi soddisfatto “Come potrebbe essere quella che Bella possa cambiare idea.”

“Ma è davvero quello che vuoi?” Edward riusciva benissimo a rimanere impassibile e a nascondere le proprie emozioni, a differenza di Jacob. 

“Hai trovato il mio punto debole e non fai altro che attaccarmi lì, vero?” rispose con accidia, ma nascondeva male l’amarezza. “Posso però fare anch’io lo stesso, sai?”

Passarono appena un paio di secondi.

“Geloso?” chiese Jacob compiaciuto e contemporaneamente arrabbiato.

“A fatica riesco a controllare la voce” sussurrò a fatica Edward, in tutta sincerità. “E quando è lontana, è ancora peggio.”

“Adesso allora siamo pari” concluse Jacob.

Questa volta il silenzio fu più lungo. L’atmosfera cambiò rapidamente.

“Pensi sempre a lei? Quando lei è lontana riesci a concentrarti?” domandò Jacob, senza alcuna cattiveria.

“Sì. La mia mente è diversa dalla tua; riesce a pensare a più cose contemporaneamente. Quindi posso pensare a lei e contemporaneamente a quello che lei sta pensando” rispose composto Edward.

“E direi che ti pensa spesso. Più di quanto credo” continuò con amarezza “E tu di questo te ne sai approfittare benissimo.”

“Posso approfittare di ben poco, con la certezza che è innamorata di te” rispose Jacob in un tono simile a quello di Edward.

“Perché allora non scegli Abigail? E’ più semplice” tornò sull’argomento Edward.

“Nient’affatto. So che Bella è innamorata di te, ma è anche innamorata di me. Sono sicuro invece che Abigail non mi ricambia” rispose amareggiato Jacob. “E poi è da idioti parlare di entrambe in questi termini.” Trattenne per un attimo il respiro.

“Inoltre, anche se Bella è innamorata di me, lei non lo sa” mormorò stranamente neutro.

“Non esserne convinto.”

“Ti piacerebbe leggere nei suoi pensieri, vero?” chiese Jacob sconsiderato.

“No. Per lei è meglio così. E preferisco impazzire, piuttosto che renderla infelice” rispose Edward senza indugiare.

“Mi sembra che però Abigail abbia la capacità di comportarsi come se lo sapesse fare” osservò Jacob. Edward schioccò la lingua.

“A quanto pare” disse con un’invidia trattenuta. “Lei crede che sia perché riesce ad essere umana e contemporaneamente vampira, e in questo devo darle ragione. Il suo è un caso più unico che raro.”

“Il soprannome ‘mezza-vampira’ è perfetto, devo dire” continuò Edward, con tono leggermente divertito. Jacob non rispose all’apprezzamento, facendo cadere di nuovo la conversazione nel silenzio.

“Leggi i suoi pensieri?” sussurrò Jacob, più a se stesso che al suo interlocutore.

“Certo. È devo ammettere che sono davvero assurdi” gli rispose Edward con accennata ironia. 

“Come lei, d’altronde” osservò Jacob “Sai anche cosa pensa di me, allora.”

“Certo.” La risposta di Edward fu più dura del normale.

“Non mi sono mai permesso di dirle i tuoi” disse nello stesso tono dopo alcuni secondi.

“Era solo un pensiero” sbottò Jacob infastidito.

Cadde di nuovo il silenzio.

“Ti sembrerà strano, Jacob, ma sono felice che tu sia qui” riprese Edward sincero. Jacob sogghignò.

“Intendi ‘non sai quanto vorrei ucciderti, ma finché la stai a scaldare, sono contento?’” chiese sarcastico.

“Questa convivenza forzata si sta rivelando difficile a tutti e due, non è vero?” rispose Edward alla stessa maniera.

“Lo sapevo, siamo tutti e due pazzi di gelosia” concluse Jacob.

“Almeno io sono molto più discreto” tenne a precisare Edward.

“Tu sei più paziente” lo corresse Jacob.

“Ho imparato ad esserlo dopo un secolo in sua attesa.”

“E quando hai deciso di essere così paziente?” gli chiese Jacob con una vena di sarcasmo.

“Quando ho capito che soffriva davanti a una scelta” gli rispose Edward, questa volta serio. “Come te, a quanto pare” continuò allusivo. 

“Inizi di nuovo?” rispose Jacob scontroso. “Secondo me hai solo paura che costringendola a scegliere, non avrebbe scelto te” disse passando dalla difensiva all’attacco. Edward aspettò qualche secondo prima di parlare.

“In minima parte è così” rispose Edward, ignorando la scortesia di Jacob e facendo l’onesto fino in fondo.

“Ma ognuno ha i suoi dubbi. Il dubbio più grande che ho avuto è stato quello che avrebbe potuto farsi male per venire a La Push di nascosto. Sapevo poi che Abigail l’avrebbe sicuramente aiutata, e le mie paure si erano raddoppiate. Ho smessa di esasperarla quando ho acconsentito che andasse solo in compagnia di Abigail.”

“Adesso sei tu quello che si comporta in maniera scorretta con lei.” gli rinfacciò Jacob.

“Me ne rendo perfettamente conto, e me ne dispiace. Mi ci è voluto un po’ per capire che Bella sarebbe stata al sicuro anche senza Abigail” rispose affranto. “Ha fatto davvero di tutto per convincermi a mandarla a La Push.”

“Davvero?” chiese Jacob, trattenendo la sorpresa.

“Abigail ha da sempre sostenuto la vostra amicizia e c’è stato un periodo in cui non mi poteva proprio sopportare. Confesso che ancora adesso cova qualche antipatia nei miei confronti” disse sereno “È da lei che ho capito quanto bene voi avete fatto a Bella.”

“Questo non lo sapevo” mormorò sommessamente, per poi riprendere il suo naturale atteggiamento sfrontato. “Tu invece sembri sapere tutto.”

“Ci sono tante cose che non so, invece” rispose lui a malincuore.

“Sei però sicuro che Bella non cambierà idea” continuò sfacciato.

“Non so nemmeno questo.”

“Se fosse così, cercheresti di uccidermi?” Ora Jacob era diventato un po’ più serio.

“No.”

“Perché no?” rispose lui, nascondendo la curiosità.

“Perché la ferirei se non rispettassi la sua decisione” spiegò breve e chiaro, come se fosse qualcosa di più che evidente. “Chi deve subire la conseguenza della scelta della persona che ama, non può fare altro che rispettare la sua decisione” terminò ponendo particolare enfasi su quest’ultima frase.

“Hai ragione. Però…”

“Però è un’idea affascinante” concluse Edward per lui. A Jacob gli fu spontanea una piccola risata di assenso.

Scese di nuovo il silenzio, questa volta molto più lungo. 

“Com’è stato quando l’hai persa?” riprese il discorso Jacob.

“Indescrivibile” rispose Edward assolutamente impassibile. Jacob aspettò che continuasse.

“Ci ho pensato in due circostanze” spiegò sommesso.“La prima, quando l’ho lasciata, è stato… insopportabile. Credevo che potesse vivere anche senza di me. Riuscii a rimanerle lontano per più di sei mesi; in cuor mio, sapevo benissimo che non ce l’avrei fatta, prima o poi sarei tornato anche solo per vedere come stava. E se l’avessi trovata felice…”

“Ero un illuso. Non era affatto felice. Oltre al fatto che la sua incolumità è in pericolo, quello che più di tutto mi ha convinto a rimanere qua con lei è stato il ricordo di ciò che ha sofferto in mia assenza; ancora le capita oggi quando non ci sono. Si sente malissimo a parlarne, e ha ragione. Non riuscirò mai a farmi perdonare, ma non smetterò mai di provarci.” Jacob non rispose subito.

“Era vero allora quando Abigail diceva che saresti tornato” osservò in un sussurro.

“Abigail ha fatto male a darle così tante speranze” disse in tono piuttosto severo.

“Ma sono state quelle che le hanno fatto più bene” contestò Jacob.

“Già” dovette ammettere Edward.

“E la seconda… è stato quando pensavi fosse morta?” sussurrò Jacob con voce roca.

“Sì” mormorò Edward. “Quando… ‘succederà’ probabilmente proverai la stessa sensazione, no? Per l’idea che hai, Bella non sarà più quella che conosci” continuò in tono più sollevato. 

“Però te ne sei andato perché non volevi trasformarla in una succhiasangue. Tu vuoi che resti umana” fece notare Jacob con decisione. Prima di parlare Edward esitò per un istante.

“Quando ho capito di amare Bella, ho concluso che ci sarebbero stato quattro possibilità. La prima, la migliore per Bella, era quella di ignorare i miei sentimenti e andare avanti. Me ne sarei fatto una ragione. Ma non ci sono riuscito. Tu pensi che io sia fatto di pietra dura, fredda ed insensibile. Tuttavia, quando noi subiamo un profondo cambiamento, come è successo quando ho incontrato Bella, viene sconvolta tutta la nostra natura.

La seconda alternativa, quella che ho seguito dall’inizio, era restarle accanto per tutta la sua vita umana. Mi sembrava la scelta più semplice, anche se quella più infelice; quando sarebbe morta, l’avrei seguita anch’io. Sessanta, settant’anni non è per noi un arco di tempo lungo. Tuttavia vivere a stretto contatto con il mio mondo la esponeva a rischi continui, che non riuscivo ad evitarle. Era troppo pericoloso per lei. Non sarebbe durata sessant’anni. Così scelsi la terza opzione, andarmene via, in modo da costringerla a dimenticarmi. Il risultato è stato che entrambi abbiamo rischiato di morire. Sono stato costretto a scegliere la quarta alternativa, quella che lei pensa di desiderare. Ho cercato in ogni modo di farla ricredere, darle tempo per ripensarci, ma Bella è troppo cocciuta. Questo lo sai bene anche tu. Cercherò di temporeggiare ancora per qualche mese, ma lei ha fretta; è terrorizzata dallo scorrere del tempo…”

“L’opzione uno mi piace” commentò sincero. “Ammetto che… a modo tuo la ami. Non credo però che dovresti lasciar stare la prima scelta. Secondo me ci saranno buone possibilità che si riprenda, con un po’ di tempo. Se a marzo non si fosse gettata da uno scoglio e… avessi aspettato altri sei mesi…”

“E non ti fossi reso conto che sei innamorato anche di Abigail” lo interruppe velocemente Edward.

“Soprattutto questo” mormorò Jacob pensieroso. “Forse, bhé, l’avresti trovata ragionevolmente felice. Avevo una tattica…”

“Forse ci saresti riuscito. Era un bel piano” commentò in un sogghigno. 

“Già.”

“Jacob. Io sono convinto che tu saresti meglio di qualsiasi altro. Sei forte abbastanza da riuscire a proteggerla da se stessa e da tutto il mondo. Lo hai già dimostrato e per questo te ne sarò debitore per sempre. Tuttavia non sono così idiota da commettere di nuovo quell’errore. Non la costringerò a scegliere la prima alternativa. Ci sarò finché mi vorrà.”

“E se dovesse preferire me?” chiese superbo “Anche se ce ne vorrà” continuò moderando i termini.

“La lascerei andare” si limitò Edward “Non le mostrerei quanto mi fa soffrire, ma resterei in allerta.”

“E basta?”

“Sì, ammettendo che sia quello che vuoi anche tu” continuò Edward, acerbo. Jacob rispose con un muto silenzio.

“Jacob” continuò Edward, senza più traccia di disagio “Cosa intendi fare se Bella scegliesse te e tu Abigail?” Il silenzio sembrò farsi più pesante.

“Per questo stai cercando ti stai auto-convincendo che Abigail sia meno importante di Bella?” riprese “Ma come hai detto tu stesso sono tutt’e due sullo stesso piano.”

“Questi non sono affari tuoi” si decise a rispondere Jacob, rude e nervoso per le intrusioni mentali di Edward.

“Va bene, Jacob, fai come voi” esclamò Edward, stufo. “Non importa chi sceglierai tu, non importa chi sceglierà Bella, ma se le farai del male, io ti uccido. Mi sembra di averti già avvisato.”

“Sì, non me lo sono dimenticato” gli rispose sprezzante.

Ricadde di nuovo il silenzio, in modo molto più brusco.

“Anche se mi sembra difficile che scelga te, con l’influenza che Abigail ha su di lei.” Edward aveva riacquistato la sua compostezza, anzi, sfoderava perfino un mezzo tono compiaciuto. “Non ha mai dubitato che Bella potesse amare qualcun altro se non me.” Jacob sbuffò sonoramente.

“Perché? Perché si deve comportare così? Perché crede che Bella possa amare solo te?” esclamò di punto in bianco.

“Perché sa essere umana e vampira allo stesso tempo” rispose distratto Edward.

“Vuole che Bella si trasformi in una succhiasangue, ma perché lei non lo vuole?” si fermò un attimo per acquistare un tono di totale serietà. “Perché non lo vuole, vero?”

“No” rispose Edward, questa volta impassibile.

“Il suo è tutto un contro senso. Più ci penso, più mi sembra incomprensibile” osservò sconfortato. “Tu ne sai qualcosa?”

“Sì” rispose Edward dopo un momento di silenzio.

“E’ ovviamente non me lo dirai” replicò Jacob, che aveva capito come stava le cose.

“Mi ha esplicitamente chiesto di non dirlo a nessuno.”

“Vorrei tanto conoscerne il perché” sbottò Jacob.

“Jacob” iniziò Edward, prima di fermarsi di nuovo. “Lei… ha un’idea molto particolare della vita.”

“Cosa vorrebbe dire?” chiese confuso.

“Dico che faresti meglio a lasciar stare” gli consigliò Edward terribilmente imperturbabile.

“Che cavolo di risposta…” grugnì insoddisfatto Jacob, ponendo fine di nuovo alla conversazione. Poi riprese.

“Devo ammettere che sei stato più sincero di quanto pensassi, Edward. Ti ringrazio per avermi fatto entrare nella tua testa” mormorò Jacob in mezzo ad uno sbadiglio.

“Come ti ho già detto, ti sono grato di far parte della vita di Bella, stanotte. E sicuramente Sophie ti ringrazierebbe moltissimo per Abigail” rispose garbatamente Edward.

“Chi?” chiese con voce più acuta del normale.

“La madre di Abigail” rispose Edward monocorde.

“Ah…” si limitò a dire Jacob. Gli ci volle un po’ prima di porre la domanda a Edward.

“Ma… per Abigail è davvero una… madre?”

“Non hai idea di quello che c’è tra Abigail e sua madre” rispose in tono di venerazione, condito da un’inappagabile, quanto ben nascosta invidia. “E’ un qualcosa che va oltre all’amore che io provo per Bella. E’ difficile da spiegare, non è come il semplice amore tra madre e figlia. Abigail sicuramente non lo saprà spiegare e forse neppure se ne accorge, perché lo prova da sempre. Quello che prova sua madre per lei però… è indescrivibile. Sente le sue emozioni, reagisce in modo immeditato se si trova in pericolo. Ammetto che non so cosa darei per provare quelle stesse reazioni. Hai visto quando Victoria l’ha attaccata, cosa ha fatto.”

“Sì, ho presente” rispose Jacob, che a fatica comprendeva le parole di Edward. “Abigail allora si trova davvero bene con loro?”

“Non desidererebbe altro.”

“Mmh…” fece Jacob soddisfatto.

“Sai Jacob, se non fossimo nemici giurati e non cercheresti di rubarmi la mia ragione di vita, penso che mi saresti simpatico” confessò Edward in tutta sincerità.

“Forse, se non fossi un vampiro che in programma di uccidere una delle persone che amo… no, nemmeno in quel caso” rispose invece Jacob con sarcasmo.

“La nostra tregua quando finisce?” Le parole di Jacob dette così repentinamente a confronto con quelle precedenti furono divertenti. “Alla prime luci o dopo la battaglia?” Ci fu un breve attimo di silenzio.

“Alle prime luci” dissero all’unisono. Entrambi sghignazzarono per la coincidenza.

“Buonanotte, Jacob. Goditi il momento, sarà l’unico” concluse finalmente quella lunga conversazione Jacob.

“Potresti allora concederci un po’ di privacy, noi tre soli” rispose Jacob sarcastico.

“Vuoi una mano per addormentarti, Jacob?” chiese Edward stando al gioco.

“Se vuoi tentare. Sarebbe divertente chi è che scappa per primo.”

“Non giocare troppo con il fuoco, lupo. La mia pazienza non è infinita.”

“Tra i due quello che ha più a che fare con il fuoco credo di essere io, se permetti.”

Le voci continuarono ancora, ma da quel momento si fecero più confuse, tali da diventare incomprensibili, sempre più flebili e leggere, fino a quando non le sentii più.

 

 

 

 

Ta-dan! Eccovi finalmente l’agoniata scena della tenda che tutti stavano aspettando! Spero tanto che, anche senza troppo romanticismo, abbia soddisfatto le vostre aspettative. E ancora più importante è stato il dialogo finale; finalmente sono arrivate le spiegazioni! Tutti ovviamente chi prima o chi poi avete intuito che Jacob si trova davanti a una scelta e questo fa dei miei tentavi di fare la misteriosa nelle risposte delle vostre recensioni dei buchi nell’acqua XD.

Mi rendo conto che il dialogo tra Jacob e Edward non è stato granché comprensibile; questo perché non ha tanto la funzione di chiarificare qualcosa, ma di rivelare, in questo caso che Jacob è innamorato sia di Bella che di Abigail. Ciò che è rimasto in dubbio verrà chiarito nei seguenti capitoli :).

Inoltre, ci tengo a sottolineare una frase che dice Abigail: ‘Inoltre, come tutti i sogni che facevo, quando mi svegliai il giorno dopo, non me lo ricordai affatto.’ Questo per dirvi che Abigail non saprà niente della conversazione tra i due; il mio obiettivo era quello di usare uno stratagemma per comunicare ai lettori, e solo ai lettori, i pensieri di Jacob e Edward, senza passare per Abigail, cosa che è impossibile, avendo lei come narratore.

In conclusione, mi dispiace che la maggior parte del dialogo sia stato incentrato su di Bella, e non su di Abigail, ma converrete anche voi che Jacob e Edward hanno più in comune con Bella, che non con Abigail.

Sono curiosissima di sapere cosa pensate! :)

Per concludere, sono costretta a darvi due notizie, una pessima e una di magra consolazione.

La pessima è che non potrò più scrivere, per mancanza di tempo e di troppi impegni. Con questo non dico che non scriverò più, ma che almeno fino a luglio del prossimo anno, non scriverò più una riga. La notizia di magra consolazione è che questo non vuol dire che non pubblicherò più; sono riuscita a completare Eclipse e questo vuol dire che oltre a questo ho altri due capitoli pronti per essere revisionati e pubblicati. Quindi resterò con voi ancora per un po’, seppure anche per correggere un capitolo ci metto un po’. 

So che tutti coloro che mi seguono vorrebbero vedere questa fan fiction finita, ma a questo punto dovrà passare davvero molto, molto tempo. Mi dispiace tantissimo di aver illuso le vostre aspettative, soprattutto di coloro che in qualche modo mi hanno espresso il loro sostegno, chi salvando questa ff tra le preferite, seguite o ricordate, chi, soprattutto, me lo ha detto a chiare lettere nei commenti e chi semplicemente leggendo queste pagine, ma non posso fare altrimenti.

Tuttavia, questo non è affatto tempo né di addii, né di arrivederci! Quindi ancora per adesso vi dico ‘Alla prossima’!

 

X mylifeabeautifullie: No, no, cara, cancella pure il forse! XD Per quanto riguarda l’Imprinting, dai tempo al tempo, e danne soprattutto molto a me, che nei prossimi capitoli qualcosa al riguardo (ma non come si intende <- me misteriosa XD) si dirà, si dirà.

Spero tantissimo che anche questo capitolo sia stato sufficiente per appagare la tua ansia! Grazie ancora tantissimo del commento! Alla prossima!

 

X Franny97: E vicino al premio Nobel per la pace, ecco il premio Nobel per le fan fiction! Altro che Bono degli U2! XD Ed iniziamo subito a rispondere alle domande che incontro durante il ‘cammin’ di questo commento ‘di nostra vita’; per quanto riguarda il comportamento di Jacob, non ti preoccupare, non è strano solo quando è in forma lupesca (a parte che Abigail non è proprio brava a capirlo quando è trasformato, proprio come hai detto tu), ma è strano anche da umano! E adesso hai anche capito il perché ;). 

Il pezzo dei licantropi l’ho messo proprio per metterli in risalto; tanto ero presa a seguire il filo del libro che me li sono dimenticati, quindi ho cercato di salvarmi in extremis. Poi, c’è una tua frase che è davvero curiosa (non parlo di imprinting, magari fosse così), perché il discorso, ti preavviso, verrà toccato ‘in una certa maniera’ tra due capitoli e secondo me, sarà una cosa davvero molto carina. Ma non preannuncio altro e ti lascio interpretare come vuoi tu! XD

Per quanto riguarda il profumo d’amore, complimenti, hai un buon naso XD. Però ti chiarifico una cosa; Abigail è super-consapevole di essere innamorata di Jake, attenzione! Era Jacob che fino ad adesso non si capiva bene cosa cavolo faceva!

Insomma, spero che la scena della tenda ti sia piaciuta! Anche se il romanticismo purtroppo non c’è stato (insomma, non mi ci vedo Abigail fare qualcosa di romantico con Jacob insieme a Bella ed Edward)

Ma il meglio per quanto romanticismo deve ancora venire, sta tranquilla!

“l’attesa rende il momento ancora più eclatante” Forse è meglio se moderi le parole, perché la pubblicazione dei miei prossimi capitoli sarà allora un evento paragonabile unicamente all’arrivo di una apocalisse! XD

Per quanto riguarda alle domande che hai azzeccato, ti rispondo, sempre molto chiaramente, che per alcune hai avuto ragione, per altre no (chiarissimo!). Per quanto riguarderà Renesmee, neanche a me piace molto, quindi ti preannuncio già che prenderò dei seri provvedimenti nei suoi confronti.

Scusa un momento, ma io sono vecchia e non riesco più a distinguere tra te te, e te Abi: cosa intendi dire con ‘storia precedente’??? Questa me la devi proprio spiegare, perché non l’ho capita XD.

In conclusione, grazie mille per i tuoi sempre lunghissimi commentini! Mi rende felicissima avere una fan come te che usa tanto tempo per commenti così ricchi! XD Un mega bacio!

PS: ‘Annuncio di servizio. Le soluzioni dei rebus che vi offriamo le potrete trovare durante il corso di questa storia. Grazie per l’attenzione ed arrivederci.” XD

 

X __cory__: Evvai! Mi hai fatto notare qualcosa! Si ritorna all’attività che adoro di più! Con questa recensione lunga, lunga ti perdono per la dimenticanza dell’altra volta XD.

Quindi, preannunciando i molto apprezzati complimenti, ti rispondo seriamente; non c’è solo Leah che ce l’ha con Abigail perché i suoi genitori sono vampiri, non è un problema che riguarda solo lei (continua ad esserci anche Paul) e questa è un’antipatia collegata al vecchio pregiudizio dei licantropi nei confronti dei vampiri, quindi, non è neanche colpa di Leah se lei ce l’ha con Abi. Per questo, secondo me, Leah non concepisce la considerazione che proprio Abigail possa diventare sua amica.

Interrompo il momento serietà per rispondere ad una tua frase (Penso che se quei due stessero realmente insieme succederebbe la fine del mondo) con una grande risata all’idea. Intanto speriamo che il prode Edoardo che difende la sua bella Bella pensi un po’ anche ad Abi XD.

Per quanto riguarda il comportamento di Sophie, la spiegazione relativa alla storia è che lei si rende conto che un vampiro in meno che combatte è un rischio per l’incolumità degli altri, e contemporaneamente è sicura che la presenza di Seth e di Edward sia più che sufficiente per difendere temporaneamente Abigail fino al suo arrivo. Di conseguenza mi sembrava troppo strano che se Edward restava con Bella, allora Sophie non stava con Abigail, quindi ho trovato questa scusa. La vera spiegazione però era che Sophie in mezzo a Edward, Jacob, Bella ed Abigail nella tenda non c’entrava un cavolo! XDE dopo aver dimostrato che Jacob sarà pure idiota, ma non scemo, ti do un bacione anch’io! Smack!

Ps: grazie tante! Mi ci vuole tanta!

 

X nes_sie: Già, anch’io ho pensato che Edward “pettegola” fosse un’idea divertente e mi sono messa a ridere da sola quando l’ho letto da Eclipse! Non me lo ricordavo proprio! Per quanto riguarda Leah, lei ce l'ha con Abigail per il solito e vecchio pregiudizio che i licantropi hanno nei confronti dei vampiri (per esempio, all’inizio a molti del branco non stava simpatica Abigail perché i suoi genitori erano vampiri e anche adesso Paul non l’accetta). Per quanto riguarda il comportamento di Sophie, già precedentemente me l’hanno domandato e ti rispondo quindi nello stesso modo: la spiegazione relativa alla storia è che lei si rende conto che un vampiro in meno che combatte è un rischio per l’incolumità degli altri, e contemporaneamente è sicura che la presenza di Seth e di Edward sia più che sufficiente per difendere temporaneamente Abigail fino al suo arrivo. Di conseguenza mi sembrava troppo strano che se Edward restava con Bella, allora Sophie non stava con Abigail, quindi ho trovato questa scusa. La vera spiegazione però era che Sophie in mezzo a Edward, Jacob, Bella ed Abigail nella tenda non c’entrava un cavolo! XD

Insomma, alla fine è andata così; Jacob è innamorato di tutte e due. Qualcosa di più chiaro alla fine è saltato fuori, no? Ma per quanto riguarda le ‘svolte interessanti’, c’è da aspettare il prossimo capitolo e quello dopo ancora! ;)

Un grazie ancora immenso per il commento! Un bacio ricambiato anche a te!

 

X Veronika97: Mi dispiace, l’ordine non è stato eseguito! Ci ho messo un’eternità a pubblicare! Forse dovresti ordinarmi l’opposto, così davvero pubblico più veloce ;)

 

X eleonora96: Ah! Adesso ho capito! Mah, diciamo che quello che pensa e che prova Abigail per l’amore di Jacob verso Bella è un po’ tutto un casino, perché è gelosissima di Bella, ma al tempo stesso supporta con fervore l’amicizia tra i due, perché sa quanto fa bene ad entrambi. È un po’ contrastante la cosa, ma ritornando alla gelosia di Abigail, invidio anch’io la sua sopportazione!

Sono contenta che l’ultimo dialogo tra i tre ti sia piaciuto! Mi sono immaginata Emmett vestito da pastore ed è stato uno spettacolo! XD spero quindi che abbia apprezzato anche quest’ultimo di dialogo (ih ih ih )

Un grande bacione anche a te!

 

X Kianna: Sì! Scusa! Colpa mia che tendo tranelli alle persone! XD Lupo rossiccio, dici? Lupo rossiccio, Lupo rossiccio… no, non mi suona familiare. (XD). Spero quindi che la scena della tenda ti abbia adeguatamente soddisfatta (poco romanticismo, lo so, ma quello arriva dopo)! E ti ringrazio ancora per il complimenti suoi miei dialoghi strampalati, sperando di non aver rovinato un’opera romanzesca vampiresca!

Un grande bacio anche a te! Alla prossima.

 

X GiuliaMary: Se non è stato decisivo il precedente, lo sarà stato sicuramente questo! Come hai potuto vedere, Jacob ha avuto un gran bel da fare non solo a pensare al suo dramma interiore, ma anche ad avere il difficoltoso e doloroso compito di riscaldare le due damigelle che ama. Che compito arduo e difficile, da non consigliare a nessuno (XD). Ancora grazissime per il commento e spero quindi che anche questo capitolo ti sia piaciuto :) Un grosso bacio!

 

 

 

 

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Capitolo 22
*** Ventiduesimo Capitolo ***


Capitolo Ventiduesimo

 

 

Capitolo Ventiduesimo

 

Il risveglio della mattina dopo fu decisamente la parte peggiore. Colpì qualcosa di duro e freddo e presi un colpo in testa che sulle prime sembrava abbastanza forte. Ancora ad occhi socchiusi, dovetti aspettare qualche secondo per capire dove fossi e soprattutto se stavo ancora sognando o no. Mi fu quasi subito chiaro che mi trovavo distesa sul fondo ghiacciato della tenda. Poi mi ricordai anche della sera precedente, di Jacob e del suo calduccio. Cominciai a tremare senza controllo a contatto con il suolo.

“Abigail, tutto bene?” Riconobbi la voce di Bella. Mi misi supina per osservare la situazione, ancora mezza addormentata. Vidi Jacob vicino a me, mezzo inginocchiato, Edward qualche metro più distante, accucciato e Bella in mezzo ai due. A condire il tutto c’era una grandissima sinfonia di ringhi da parte di Jacob, Edward e Seth, fuori dalla tenda. Che strano, avevano iniziato a litigare di nuovo. Se il buongiorno si vedeva dal mattino...

“Buongiorno, ragazzi” esclamai con forza, per placare i ringhi generali, mettendomi a sedere con un sonoro sbadiglio.

“Saresti potuto essere più delicato” mormorò acido Jacob.

“E tu avresti potuto evitare di colpirla in pieno” rispose Edward con lo stesso tono, cingendo i fianchi di Bella e tirandola a sé. Io sbuffai, premendo le tempie con le dita.

“Smettetela, ora!” ordinò Bella. Jacob si calmò solo un poco, ma continuava a fissare Edward furioso, mentre Seth dava una dimostrazione della potenza dei suoi polmoni con un ringhio lungo e prolungato.

“Abi, tutto ok?” mi chiese di nuovo Bella. Io la guardai di sottecchi, di malumore per il brusco risveglio.

“Non ho la benché minima idea di quello che è successo, e nemmeno lo voglio sapere” le risposi io.

“C’è che per poco non saresti stata schiacciata per colpa del succhiasangue” continuò Jacob in un ringhio.

“Non dare colpe a me. Sei tu quello che avrebbe potuto schiacciare entrambe” rispose di rimando Edward.

“Edward, Jacob ha ragione” gli disse Bella con rimprovero “Dovresti almeno chiedere scusa.”

“Stava per farvi male seriamente” replicò serio e furioso Edward.

“Perché l’hai buttato a terra! Non l’ha fatto apposta e non ci ha fatto male!” continuò Bella. Avevo ancora le idee un po’ confuse, ma ero piuttosto sicura sul cosa avesse causato tutta quella tensione. Sbadigliai ancora una volta, del tutto disinteressata di quello che era appena accaduto.

“Scusa, cane” disse Edward, in una smorfia.

“Nessun problema” rispose Jacob, con sarcasmo appena percettibile. Scossi la testa esasperata; neanche i bambini dell’asilo si comportavano così. E che diamine! Se quei due dovevano trattarsi in quel modo, a questo punto sarebbe stato decisamente meglio se fin da subito Jacob se ne fosse tornato indietro. Non so se questo valeva anche per Bella, ma i loro litigi inutili mi stavano rendendo la situazione più difficile da sopportare.

“Se non vi dispiace sfrutterei ancora il sacco a pelo” annunciò Jacob, infilandosi nella sacca “Non ero ancora pronto per svegliarmi. Non è stata una bella dormita.”

“L’idea è stata tua” rispose Edward indifferente “E poi credevo che sarebbe stata la tua notte migliore” finì con una punta di accidia, riferendosi a Bella. Cominciai a picchiettare con le dita della mano il ginocchio, in attesa che finissero.

“Non ho detto questo. Mi dispiace solo di non aver dormito abbastanza. Temevo che Bella continuasse all’infinito” disse soddisfatto. Quasi non lo ascoltai troppo concentrata che ero nel trattenere i miei nervi fin dal primo mattino.

“Sono lieto che ti sia divertito” mugugnò Edward.

“Va bene, ora basta” dissi al limite, mettendomi a carponi. “Mi sono stufata delle vostre litigate da bambini di cinque anni. Quindi o continuate fuori, o me ne vado io.” Scelsi direttamente io l’opzione; superai tutti ed uscii dalla tenda prima ancora di lasciar parlare uno dei tre .

“Abigail!” mi urlò Jacob, cercando di attirare la mia attenzione. Io non lo ascoltai.

Fuori dalla tenda, tutto il paesaggio era coperto da un sottile strato di neve. Uno spettacolo che mi convinceva di essere in gennaio, più che a giugno, se non fosse stato per gli uccellini che si sentivano dalle montagne. Felice mi accorsi che la temperatura si era alzata e che mi sentivo abbastanza al caldo anche così. Mi massaggiai le mani, per riscaldarle, prima di fare qualche passo attorno all’accampamento.

Mi sentivo ancora particolarmente addormentata, ancora nel mondo dei sogni. Mi ricordai allora dello stranissimo sogno che avevo fatto. Per un attimo fui davvero sul punto di credere che fosse stata la realtà, ma le risate di Edward e Jacob erano state sufficienti a convincermi del tutto che non poteva essere nient’altro che un sogno.

Un latrato attirò la mia attenzione. Mi girai preoccupata, prima di incontrare gli occhi di un enorme lupo color sabbia. Accovacciato su un giaciglio di aghi di pino, stava ansimando con la bocca aperta, da cui uscivano piccole nuvole di vapore. Tentai di interpretare in qualche modo, e alla fine conclusi che si trattava probabilmente di un saluto.

“Ciao, Seth” ricambai io. Lui continuò ad ansimare. E adesso? Cosa voleva dirmi? Niente da fare, non riuscivo a capirli quando erano in forma umana, figuriamoci da lupi.

All’istante sentii dei feroci crampi avvinghiarmi lo stomaco e mi ricordai che non avevo ancora fatto colazione.

Pronta a rimediare al buco che avevo, tornai in tenda, disposta a sopportare di nuovo quei due, pur di raccattare del cibo.

Avevo mosso solo pochi passi che la cerniera della tenda si aprì e ne uscì Jacob.

“Finalmente uno di voi ha deciso di dimostrare un po’ di maturità” esclamai, mentre cercavo di scaldare la mani infreddolite mettendole sotto le ascelle. Vedendomi il viso si illuminò e mi lanciò uno di quei splendidi sorrisi familiari, tanto frequenti quando eravamo ancora amici 'normali'.

“Ehi! Non è colpa mia se…” si giustificò alzando le braccia, raggiungendomi in due passi. Io scossi la testa esasperata.

“Va bene, come non detto” tagliai corto io, sventolando una mano a mezz'aria.

“Scusami se ti ho quasi schiacciata, prima” mi disse con un po’ più di serietà.

“Figurati, non me ne sono quasi accorta, dormivo.”

“Allora scusa per il risveglio.”

“Così va già meglio” dissi un po’ più soddisfatta “Sei venuto a prendere una boccata d’aria dalla 'puzza'?” scherzai io.

“No. Bhè, non solo” specificò lui ironico. “La battaglia inizierà tra un’ora; è meglio se vado a parlare con Sam.” In un attimo il sorriso che avevo scomparve. Tra un’ora? Pensavo che ci sarebbe stato più tempo.

Davanti alla prospettiva della battaglia, persi di nuovo la convinzione che tutto si sarebbe risolto per il meglio e cominciarono ad assalirmi mille dubbi ed ipotesi. E per la prima volta mi resi davvero conto che anche Jacob, esattamente come i miei genitori, aveva quell’un per cento di possibilità di non farcela. Al quel punto divenni totalmente succube della mia insicurezza.

“Così presto?” mormorai io, incredula.

“Prima è, meglio è, no?” rispose lui con un sorriso divertito.

“Già, già” mugugnii, incapace di mostrarmi sicura. Lui fece un respiro profondo, alzando gli occhi al cielo.

“Abi, ti prego, non essere anche tu paranoica come Bella!” esclamò esasperato. Il leggero tono da presa in giro nascosto dietro quell’esclamazione fu sufficiente a ridestare il mio orgoglio.

“Io sono convinta che andrà tutto bene” affermai il più convincente possibile. Jacob smise di fare dell’ironia e cominciò a guardarmi serio; evidentemente non ero stata affatto credibile. Prima di parlare fece cadere le mie mani sui fianchi e me le prese per scaldarle tra le sue.

“Non mi sembra” osservò serio. Feci un respiro profondo per camuffare il più possibile la tensione.

“Sono preoccupata un po’ anch’io, Jacob. Credo sia normale” gli risposi, con tono rassegnato, evitando di guardarlo negli occhi.

“Sei preoccupata anche per me?” chiesi con una strana nota di curiosità. Alzai finalmente gli occhi verso di lui. I suoi occhi neri per un attimo mi impedirono di parlare. 

“Certo che sono preoccupata anche per te!” esclamai, un po' anche delusa che non lo ritenesse implicito. “Soprattutto per te, dato la serietà con cui prendi la cosa” specificai sarcastica.

“E dai, non mi succederà niente!” continuò lui, tranquillo. "E' ovvio che ci starò attento. Ci tengo alla mia pellaccia!"

“Ti ripeto che lo so” ripetei con la stessa convinzione.

“Allora ci vediamo dopo la battaglia?” Lo guardai immobile. Non avevo affatto capito che quello era il nostro ultimo saluto prima della battaglia. Avevo come la sensazione che poi sarebbe tornato e non avevo affatto elaborato la cosa.

“Questo sarebbe l’ultimo saluto?” domandai titubante.

Ultimo? Per fortuna che hai detto di essere sicura che andrà tutto bene!” mi rispose lui, sarcastico.

“Sì, insomma… hai capito cosa intendevo” tagliai corto.

“Sì, questo sarebbe un saluto” disse mantenendo ancora quella serenità che io non provavo da molto tempo.

“Me lo vuoi dare come si deve?” chiese aprendo le braccia ed invitandomi ad un abbraccio.

Ci pensai solo un momento; non volevo salutare anche Jacob nello stesso modo che avevo salutato i miei genitori. Mandai allora al diavolo tutti i problemi che io e lui avevamo avuto e lo andai ad abbracciare con tutte le forze.

In quell’occasione non interpretai il suo forte e caldo abbraccio come quello della persona di cui ero innamorata, né dell’amico che era, né della persona che aveva tutt’ora dei problemi con me. In quel momento sentii unicamente Jacob, così com’era. Riuscì così a restituirmi un poco della sicurezza che avevo perduto.

Quell’abbraccio durò meno di quanto pensassi e me ne staccai a malincuore.

“Sei una migliore amica fantastica, Abigail” mormorò appena. Lo guardai decisamente preoccupata.

“Questo invece sembra più adatto ad un addio” osservai critica, in vena perfino di fare dell’ironia.

“Allora dimmi tu cosa dovrei dire!” esclamò alzando le braccia al cielo. Le mie mani scivolarono nelle tasche del giaccone e cominciai a spostare senza badarci il peso da un piede all’altro.

“Non sono molto brava con i saluti” ammisi io, con gli occhi fissi sul terreno innevato, forse con eccessivo imbarazzo. Fu appunto perché guardavo in basso che non mi accorsi dell’enorme mano di Jacob prendermi la testa e darmi un veloce bacio sui capelli.

“Accontentai allora di questo e non fiatare” mi ordinò lui. Tornai ad alzare lo sguardo e feci il segno di chiudermi la bocca con una lampo.

“Allora ci vediamo” disse lui alla fine. Capii dalle sue parole che era giunto il momento di andarsene. Lo guardai per un lungo attimo.

“Ci vediamo” gli risposi anch’io, adesso senza alcuna traccia di insicurezza, ma con la certezza che lo avrei rivisto molto presto. Si voltò, ma non fece nemmeno due passi che si voltò di nuovo.

“Abigail” disse con lo stesso tono curioso di prima. “Non vorresti neanche un po’ che io resti qui con te?” Pensai alla risposta per un attimo. Non ero intenzionata a dirgli tutta la verità, non era affatto l’occasione, quindi optai solo per mezza.

“Sì” risposi alla fine “ma il tuo posto è con i tuoi compagni. Quindi non mi permetto di chiedertelo.” Rimase per un attimo a guardarmi, prima che gli angoli della sua bocca si piegassero in un sorriso. Si voltò di nuovo e si incamminò all’interno della foresta.

“Jacob” lo chiamai io. Lui si voltò ancora una volta “Niente eroismi” lo avvertii io.

“Dove sta allora il divertimento?” mi rispose con lo stesso tono di un bambino di fronte al divieto di una mamma.

“Prometti” gli ordinai io.

“Prometto” mi rispose a malincuore, incamminandosi nuovamente. 

“Jacob” ripetei. 

“Eh?” mi rispose lui, questa volta leggermente infastidito.

“Fagli le chiappe nere anche da parte mia” gli dissi con il mio sorriso sghembo.

“Contaci” mi rispose lui con sguardo d’intesa. Raggiunse il limite della foresta.

“Jacob”

“Vuoi deciderti a lasciarmi andare?!” sbottò lui in un misto di fastidio ed esasperazione.

“Anche tu sei un migliore amico fantastico” gli dissi, salutandolo per l’ultima volta.

Prima di vederlo scomparire davvero nella foresta mi fece il dono del suo fantastico sorriso, che avrei sempre apprezzato, qualsiasi valore avrei rivestito per lui.

 

Feci un respiro profondo. Il saluto con Jacob non era stato affatto tragico come mi aspettavo, anzi era riuscito persino a tranquillizzarmi e nella mia mente non riuscii a immaginarmelo se non vivo e vegeto, totalmente entusiasta e orgoglioso della battaglia appena vinta.

La fame non se n'era andata, anzi, con la tension per l'insicurezza che se n'era andata ce ne avevo anche di più. Mi diressi quindi verso la tenda, per trovare qualcosa da sgranocchiare. Prima di irrompere nella temporanea intimità di Edward e Bella mi sembrò educato avvertire.

“Entra” mi disse Edward, anticipandomi. Come non detto.

Aprii la cerniera e mi infilai di nuovo dentro. Del calore che aveva lasciato Jacob ormai non c’era più traccia. Vidi Bella accucciata ancora dentro il suo sacco a pelo, mentre Edward vicino a lei le teneva la mano.

“Non disturbo?” chiesi, fin troppo sarcastica, mentre a carponi raggiungevo il mio zaino.

“No” La risposta fin troppo repentina e seria di Edward fu piuttosto chiaro nel dirmi che quel mio tono lo irritava.

“Stavamo discutendo di questa notte” mi rispose Bella più educata, dimostrandomi che non si era formato nessun genere di romanticismo durante quel piccolo momento di privacy.

“Ah, già, stanotte” dissi ricordandomene, mentre ero in cerca della cioccolata “E’ stata pessima. Tu e Jacob non avete fatto nient’altro che litigare che vi ho pure sognato!”

“Abbiamo parlato davvero io e Jacob” mi disse Edward. Ah, capito; sentire le loro voci durante la notte ha fatto sì che facessi quel sogno assurdo. Ora si spiegava tutto.

Sulle prime però non capii perché mi stava guardando piuttosto strano, con i suoi occhi dorati più grandi del normale. Credevo fosse perché gli desse fastidio che mangiassi la cioccolata in sua presenza. 

“Sì, ho sentito le vostre voci” disse Bella, interessata all’argomento “Di cosa avete parlato?” Edward si limitò a fare spallucce.

“Niente di importante” disse indifferente.

“Ah sì, un’altra cosa” dissi a bocca piena, ricordandomene solo in quel momento e cambiando del tutto argomento.“Davvero parli nel sonno?” chiesi incredula a Bella. Le si colorarono un poco le guance, prima di annuire sommessamente.

“Davvero?” chiesi interessata “E cosa dici?”

“Ripete il mio nome” intervenne Edward, mentre guardava assente il viso di Bella “Ed il tuo.” Spalancai gli occhi dalla sorpresa.

“Parli di me?” domandai ancora. Lei alzò le braccia in segno di resa.

“Non chiederlo a me. Non so quello che dico” disse evidentemente imbarazzata da questa sua gaffe.

“Allora a che cosa si riferiva Jacob, poco prima?” Mi accorsi che quella fu una brutta domanda dal fitto silenzio che scese dopo.

“Al suo nome” rispose di nuovo Edward, ancora con tono assente. Io mi limitai a mugugnare, improvvisamente impegnata a mangiare la cioccolata. Dovevo immaginare che sentire il proprio nome accostato a quello di Jacob doveva essere stata una grande batosta per Edward, seppure Bella fosse solita a quanto pare a nominare anche gli amici nel sonno.

Un lungo e potente brivido lungo la schiena mi distrasse. Capii che non era dovuto affatto al freddo; era dalla scorsa notte che dovevo andare in bagno e adesso stava diventando una situazione insopportabile. Dovevo fare qualcosa, se no sarei davvero scoppiata. Ripiegai la cioccolata a metà e la risistemai nello zaino.

“Vado a fare ancora un giro. Torno subito” avvertii discreta, ma inevitabilmente imbarazzata per i reali motivi che ovviamente Edward conosceva bene.

Uscii veloce dalla tenda, infastidita dall’idea di dovermi calare i pantaloni in mezzo alla neve, ma che dovetti per forza accettare. Per fortuna che la temperatura era salita di qualche grado. Mi guardai intorno, in cerca di qualche posticino adatto non tanto lontano. Il mio sguardo piombò poi su Seth, che mi guardava interessato. No, dovevo cercarmi un luogo un po’ più distante; la presenza di Seth non mi metteva affatto a mio agio. Iniziai quindi a fare il percorso inverso di quello fatto da Jacob per arrivare all’appostamento. Era più ripido di quanto immaginassi, ma riuscii a scendere incolume. Decisi di scendere ancora un poco, fino a quando per mia fortuna la neve cominciò a scomparire dal terreno, rendendomi decisamente più facile l’operazione che dovevo eseguire. Dopo dieci minuti di discesa, trovai un posticino, coperto abbastanza dai cespugli e poco in pendio.

Mi accucciai e mi guardai in giro un paio di volte, come se quello che stessi per fare fosse un'operazione segreta che nessuno doveva venire a sapere.

Mi misi in posizione e iniziai. Mi appoggiai ad un albero lì vicino per evitare di perdere l’equilibrio e fare un ruzzolone, mentre mi godevo fino all’ultimo quell’indescrivibile sensazione di liberazione, in un completo stato di pacatezza e tranquillità.

Il sussulto che feci perciò fu grande, quando sentii in lontananza un ululato, il cui suono venne amplificato dalle pareti di roccia nuda su cui rimbalzò. Ci mancò poco che persi l’equilibrio, cadendo all’indietro e percorrendo tutta la montagna con i pantaloni abbassati.

Non riuscii a capire da dove provenisse, se dall’accampamento o no, e nemmeno quale licantropo lo aveva prodotto. Tuttavia era chiaro che la situazione non era normale; quello che avevo sentito era un ululato di dolore.

Mi risistemai e ripresi a scalare il pendio immediatamente.

La prima cosa a cui pensai fu che qualcuno di poco desiderato avesse raggiunto l’appostamento. Non appena questo pensiero attraversò la mia mente, aumentai automaticamente la mia andatura, dato che molto probabilmente questo ipotetico qualcuno poteva cercare me. Ci misi dieci minuti a tornare alla tenda; il terreno coperto di neve mi rendeva la salita più scivolosa. Quando intravidi tra le fronde la tenda cominciai a correre agitata.

“Sono di fretta, Bella. Dimmi quello che devi dire.” Mi fermai all’istante non appena sentii la voce di Jacob. Cosa ci faceva ancora qua?

Tremai sentendo la sua voce; era deluso, furioso ed amareggiato allo stesso tempo, ma straordinariamente riusciva a mantenere un tono moderato. Non mi fu difficile quindi capire che quell’ululato era suo e che non era affatto dovuto all'arrivo di un vampiro.

“Sono stata cattiva ed egoista.” Fu appena che un sussurro. “Forse era meglio se non ci fossimo mai conosciuti. Ti avrei risparmiato tutto questo. Ti resterò lontana. Me ne andrò in un altro Stato. Non dovrai più venirmi a cercare.”

A parlare era stata Bella. Dal tono di entrambi mi fu facile capire che ad aver fatto male a Jacob era stata in qualche modo lei. Durante la mia assenza doveva essere accaduto qualcosa che aveva avuto un grandissimo impatto su di Jacob, che a quanto pare era ritornato. Ma perché? Di Edward e di Seth, invece neanche l’ombra. Perché cavolo dovevano succedere sempre queste cose quando non c’ero?!

Sopraffatta dal mia ficcanasaggine, mi avvicinai quatta ai limiti del bosco, per avere un’inquadratura migliore della scena, nascosta dai cespugli, senza farmi vedere, per capire la causa di quella tremenda discussione.

Ormai avrei dovuto sapere che spiare i discorsi delle altre persone mi portava sempre a conoscere rivelazioni poco piacevoli, oltre ad essere terribilmente da maleducati. Dopotutto questa sarebbe la terza volta che spiavo Bella e Jacob. Tuttavia la malsana curiosità che mi impossessò sotterrò immediatamente la fastidiosa voce della ragione e del bon ton.

“Non mi sembra un buona soluzione” mormorò questa volta lasciandosi sopraffare dalla tristezza. “E se invece preferissi che restassi?”

“No, Jacob” disse flebilmente Bella, tanto piano da quasi non poter riconoscere la nota di immenso dispiacere che l’animava. “Ho sbagliato a starti vicina quando sapevo che desideravamo cose diverse. Non intendo più ferirti.” Si interruppe bruscamente. Io intanto guardavo la scena al limite dell’attenzione, in cerca di un qualsiasi dettagli che mi permettesse di capire il perché delle sue parole. Cosa aveva potuto fare a Jacob, da rimangiarsi l’intera loro splendida amicizia? Bhé, era lampante che quella conversazione convergeva sul fatto che fino ad adesso Jacob aveva provato qualcosa per Bella e che lei pur sapendolo, aveva continuato a restargli amica. Però questo non poteva assolutamente essere un motivo valido per aver potuto scatenare una discussione di quel tipo; Jacob era più che conscio che Bella fosse persa per Edward e che lei non l'amava.

“Devo ammettere però che anch’io mi sono comportato davvero male. Ti ho reso la vita più difficile, mentre avrei potuto farmi da parte fin dal principio” le rispose lui, la voce per niente in colpa, ma terribilmente convinta.

Osservai attentamente la sua postura, terribilmente rigida, i muscoli della faccia e del collo tesi, ma furono soltanto i suoi occhi scintillanti di rabbia a farmi capire che Jacob stava facendo uno sforzo immane per contenerla.

“E’ colpa mia.”

“No, Bella. Non prenderti tutte le responsabilità.”

Scese un silenzio pesantissimo, che venne spezzato solo quando Jacob si permise di manifestare una minima parte della rabbia che stava cercando di reprime.

“E’ tutto deciso, allora?” disse in tono troppo in contrapposizione con i pugni tremanti.

“Sì” mormorò Bella, terribilmente monocorde.

“Ci tengo che mi invitiate come testimone” rispose Jacob, in una delle sue battute meno umoristiche e più sofferenti di sempre.

Mi avvicinai ancora un poco, dopo aver capito quello che aveva scatenato tutto questo. Jacob era venuto a sapere del matrimonio, molto probabilmente per caso, in quanto non credevo che Bella, proprio in questo momento, gliel’avesse detto. E come voleva dimostrare, non l’aveva presa bene; era l’atto che rendeva Bella unicamente di Edward, davanti al quale Jacob doveva riconoscere di averla persa per sempre.

“Ora devo andare, ho una battaglia che mi aspetta” mormorò, il più passibile possibile. Poi non resistette e cedette alla rabbia che non sapeva controllare.

“Magari può essere una soluzione migliore della tua” sbottò a denti stretti.

“Cosa intendi dire?” chiese Bella confusa.

“Sarà un perfetto modo di uscire di scena. Non dovrai nemmeno traslocare” affermò guardando negli occhi Bella e sputando quelle parole come fossero un insulto, e con un amaro sorriso strafottente. Bella intese le sue reali intenzioni.

“No! No, no, Jacob” balbettò terrorizzata.

Capii anch’io cosa volesse dire Jacob nello stesso momento in cui lo intese Bella. Tuttavia, capii ben altro da quello che intuì lei. Dal suo tono, Bella ci aveva più che creduto alle parole di Jacob, e molto probabilmente era già di per sé moralmente distrutta per accorgersi che erano solo una bufala.

Strinsi i pugni, incazzata come una iena dal comportamento esageratamente sconsiderato di Jacob. Conoscevo Jacob abbastanza bene da sapere che quando si faceva prendere dall’ira si comportava senza pensare, e vedendo la scena come un terzo spettatore, mi era più che evidente che in quel momento era totalmente accecato dalla rabbia ed infierire sembrava l’unico modo per sbarazzarsene. Era troppo furioso da non capire che Bella si sentiva già fin troppo in colpa senza le sue ridicole minacce. Stava superando il limite e per poco non mi convinsi ad uscire allo scoperto, ma mi trattenni.  

“Lo sai che non mi voglio perdere questo quarto d’ora di rissa per niente al mondo” disse in un sibilo, ora anche soddisfatto per averla convinta. Odiavo Jacob quando faceva del male a me, con le sue parole sconsiderate e tutto il resto, ma non pensavo che vederlo fare agli altri era forse anche peggio. Trattenni il desiderio di alzarmi e di andare a tirargli un cazzotto in piena faccia. Le avrebbe sentite, tante, ma tante che se le poteva solo sognare.

“Resta con me, Jacob” lo supplicò Bella.

“Non puoi obbligarmelo” continuò lui, facendosi per girare.

“Per favore” continuò lei, faticando a parlare. Lui la guardò solo per un istante.

“No, devo andare” disse, scuotendo la testa. Si voltò e se ne andò.

“Farò tutto ciò che vuoi, Jacob, ma non farlo!” urlò lei con voce spezzata per fermarlo. Ah, Jacob, ancora non ti basta? Crudele…

“Non dici sul serio” la sfidò lui, tornando sui suoi passi.

“Baciami e torna, Jacob.” Quasi le vomitò quelle parole, ma la serietà con cui le disse dissipò tutto il suo tentennamento. Jacob rimase immobile, in silenzio, stupito lui stesso per la richiesta che le aveva fatto. Io invece guardavo confusa la scena, totalmente spaesata, mentre i miei occhi rimbalzavano da Bella a Jacob. Cosa? Perché quelle parole? Perché Bella gli aveva chiesto…

Poi ricordai. Ieri, mentre Jacob ci accompagnava all’accampamento. Credo che succederà questo, prima di chiederti di darmi il bacio che aspetti, Jacob, aveva detto Bella. Jacob aspettava che lei baciasse lui. Perché non l’avevo capito prima? Perché non me n’ero accorta? Era stato il tono scherzoso che aveva usato Bella, a non farmi capire quello che aveva detto?

Cominciai a tremare dietro al cespuglio. Se così era, avevo terribilmente paura di aver frainteso il comportamento di Jacob. Quelle minacce che aveva rivolto a Bella non erano allora semplici sfoghi detti senza pensare per placare la rabbia; Jacob cercava di rubare l’ultimo bacio a Bella, senza dubbio contro la sua volontà, davanti alla prospettiva che non sarebbe più potuta essere sua.

Jacob fece un paio di passi avanti, sufficienti per accorciare le distanze da Bella. Io automaticamente abbassai la testa. Volevo scomparire, diventare invisibile e trovarmi in un altro posto. Chiusi gli occhi, mentre mordevo le labbra fino a farmi male. Che razza di amore poteva provare Jacob verso Bella, se era disposto a questi sotterfugi per strappare un bacio negato? Che razza di persona poteva essere uno come lui?

Oltre a questo però, c’era un’altra cosa che mi rendeva assolutamente insopportabile quel momento; se avesse accettato, allora avrebbe espresso la sua scelta. Baciare una donna che ormai non era più sua, lo consideravo un ottimo modo per scegliere. Oppure, per convincermi che per lui non ci sarebbero state alternative oltre a lei. Respiravo profondamente, mentre aspettavo che venisse. Perché, ne ero certa, lo avrebbe fatto. Morsi ancora di più le labbra, per evitare di piangere.

“Scusami, Bella, ho esagerato. Non sarebbe il bacio che vorrei.” Alzai automaticamente la testa, per verificare di aver sentito bene. 

“Cosa?” sussurrò Bella, incredula, leggendomi il pensiero. Jacob fece qualche passo indietro. Il mio stupore aumentò nel vedere che era cambiato. Come la fiamma di una candela sotto ad un bicchiere, lentamente si spegne, così era scomparsa la sua rabbia, dalla sua voce, dai suoi gesti, dai suoi occhi. Ora gli era rimasta unicamente l’indecisione che aveva avuto durante la nostra ultima conversazione, durante quella che avevamo avuto noi tre nella foresta, ieri, e quella che aveva cercato di mascherare quando mi aveva annunciato di aver finalmente baciato Bella.

“Non sono sicuro di voler dare a te questo bacio, Bella” chiarì, convinto, ma inevitabilmente dispiaciuto.

“Cosa starebbe a dire?” chiese ancora, con un tono di voce deciso, ma ancora troppo sorpreso.

“Lascia stare” esclamò all’improvviso lui, in un sussurro, voltandosi a testa bassa.

“Jacob!” lo richiamò lei, facendo fuoriuscire per un attimo la rabbia. Jacob si fermò. Fece due profondi respiri prima di voltarsi verso di lei e parlare. D’altro canto, io non potevo fare a meno di assistere alla scena completamente inerme e totalmente, assolutamente confusa.

“Io amo un’altra persona, oltre a te” rivelò, ora senza più traccia di indecisione. Io rimasi a bocca aperta, esattamente come Bella. Che cosa?! Jacob amava un’altra persona oltre a Bella?! Perché diamine non me lo aveva mai detto?! Come diavolo poteva essere innamorato di due persone?! Contro chi altra me la dovevo ancora vedere?!

“Io sono innamorato di Abigail” continuò “Amo sia te, sia Abigail.” Eh?

Bella rimase immobile, gli occhi spalancati, le sopracciglia aggrottate, scossa dalla rivelazione. Io, bhé, all’inizio non condivisi la sua stessa sorpresa. Pensavo davvero di aver capito male il nome. Tuttavia, lo stomaco che si arrotolava su se stesso e che minacciava di rigettare verso l’esterno la cioccolata e l’ondata di calore che mi invase e che mi scosse mi mandarono in una totale confusione. Fu lì che intesi che Jacob era innamorato di me. Il cervello andò immediatamente in black out, perdendo ogni capacità di produrre pensieri e il sistema respiratorio si fermò.

“Tu mi stai dicendo che tutto quello che hai fatto con me fin’ora, le parole, i gesti, il contatto, l’hai fatto pensando anche a Abigail?” esclamò poi Bella. Ora chi era infuriato era lei. “Hai giocato con noi due tutto il tempo, Jacob!” lo accusò.

“No, Bella, non è assolutamente vero. I miei sentimenti sono sinceri per entrambe” la corresse lui ferito, con lo stesso identico tono.

“Dai, Jacob! Come puoi amare due persone!” continuò Bella, ora del tutto infervorata, mentre si portava le mani alla testa per disperazione. “Ti sei divertito alle mie spalle! Mi hai preso in giro! Non avevo idea che tu potessi essere così…” si interruppe, non trovando parole più adatte.

“Da quale pulpito viene la predica” rispose Jacob, stranamente fin troppo tranquillo. “Non credere che tu sia in una situazione tanto diversa dalla mia.”

“Io ho già scelto, Jacob. Ho scelto Edward” gli spiegò Bella seria, cercando di trattenere la rabbia, parlando lentamente, affinché Jacob potesse capire appieno il significato delle sue parole

“Allora perché quando sei con lui pensi sempre a me?” le rinfacciò lui, acido. “Me l’ha detto lui. La verità è che anche tu mi ami, renditene conto.”

“E’ un amore diverso, Jacob” rispose Bella, tentennando.

“Questa l’ho già sentita” sbottò lui. “Non importa se è un amore diverso o no. Anche tu sei stata un’egoista a volerci tutti e due, come io con te e Abigail.”

Tra i due calò per un attimo un pesante ed insopportabile silenzio. Io, intanto, non avevo ancora ripreso a respirare.

“Da me non avrai l’amore che vuoi” continuò Bella, cupa.

“Nemmeno da Abigail, se per questo. Devo lottare in tutti i casi” rispose Jacob con un tono particolarmente battagliero, ma impercettibilmente deluso.

Se la sorpresa mi aveva tolto il respiro, sempre lei me lo aveva ridato. Aspetta, aspetta, aspetta un attimo. Se avevo capito bene, Jacob non credeva che io lo potessi ricambiare? Non credeva che io lo amassi?! Lentamente, per evitare di fare alcun rumore, mi presi i capelli e me li tirai fino a quando non si fossero spezzati. Rimasi tremendamente e profondamente sconfortata sapere che il mio modo di pensare, che fino ad allora credevo fosse davvero il giusto modo di vedere ed interpretare la realtà, non ci si avvicinava neppure un po’ a qualcosa che si potesse definire tale.

“E poi sbagli” continuò lui.

“Cioè?” continuò Bella, sempre con quel tono serio.

“Che tu non mi puoi dare l’amore che voglio”

“No, Jake” rispose lei convinta.

“Allora perché mi avresti voluto dare un bacio?” gridò, più che parlò, Jacob.

“Perché sei stato così meschino da minacciarmi di morire, mentre non l’avresti fatto comunque!” rispose Bella, con lo stesso tono. “Forse hai ragione, sono innamorata di te anch’io, ma almeno io so quello che voglio!”

No, aspetta, cosa?! Bella... Bella era innamorata di Jacob?! No, no, no, no, frena un attimo. Lei amava Edward! Amava immensamente Edward! Cosa diamine c'entrava Jacob! Il mio corpo si paralizzò davanti a tali enormi rivelazioni.

Questa volta Jacob dovette stare zitto, dovendo accettare la cruda realtà. Si creò un silenzio ancora più assordante ed opprimente, che neppure il vento che qualche volta si degnava di soffiare, sembrava avere qualche effetto su lui.

“Pensavo di essere io l’unica egoista, l’unica cattiva della situazione” mormorò Bella, più delusa ora che arrabbiata. “Ma tu non sei meno di me.”

“Non volevo assolutamente giocare con te, Bella” rispose Jacob, unicamente dispiaciuto. “Ho fatto di tutto per togliermi Abigail dalla testa, ma…”

“Forse è meglio se ti togli dalla testa me” gli consigliò vivamente Bella. “Potrebbe essere più facile”

“Impossibile, Bella”  mormorò lui in un sussurrò.

“Mi auguro che tu lo dica anche ad Abigail” disse ancora non meno furiosa.

“Dov’è Abigail?” esclamò improvvisamente Jacob. Sussultai quando sentii pronunciare il mio nome.

“E’ andata a farsi un giro” rispose Bella rude “Non tentare di cambiare argomento.”

Senza neppure pensarci, senza che potessi spiegarmi il perché lo feci, spontaneamente mi alzai e uscii dai cespugli.

Feci solo qualche passo avanti, giusto per far capire ad entrambi la mia presenza.

“Cristo!” esclamò Jacob, prendendosi la testa tra le mani.

Mi sembrò sulle prime davvero strano che la loro attenzione ora si era posata su di me. Non ebbi all’inizio il coraggio di guardare Jacob, quindi posai lo sguardo su di Bella. Mi guardava immobile, non esprimeva alcun sentimento, ed era in attesa di una mia parola. Alla fine mi voltai verso di Jacob. Lui più di me, non aveva il coraggio di guardarmi in faccia; manteneva la testa abbassata, lo sguardo fisso sul pavimento, in un punto sulla sua destra.

“Hai sentito tutto, immagino” disse facendo il possibile per non tradire nessuna emozione. Era orgoglioso almeno quanto me.

“Sì” dissi neutra. Alzò le braccia e le fece ricadere sui fianchi con un tonfo, mentre sospirava infuriato con te stesso.

“Perfetto” mugugnò lui a denti stretti. Non disse nient’altro, si prese e se ne andò via, correndo veloce.

“Jacob” lo fermai io, sempre con quel tono di voce neutro. Lui si fermò, ma non si voltò.

“Torna” gli ordinai semplicemente io. Non mi rispose e riprese a correre.

 

Avevo sempre considerato i problemi che avevo con Jacob in secondo piano rispetto alla battaglia con i neonati, ma per uno scherzo del destino, a pochi minuti dall’inizio, non mi sentivo affatto agitata per quello che sarebbe successo, né preoccupata al massimo alla prospettiva che i miei genitori avrebbero combattuto. Ovviamente non potevo far a meno di pensare a Jacob. Tra tutti i più svariati sentimenti di incredulità, sorpresa, e gioia, c’era anche questa rabbia insensata per Jacob, che, come farlo apposta, era stato in grado di farmi pensare a lui e non hai miei genitori e a tutti gli altri che stavano rischiando la vita per me.

Jacob se n’era andato da poco. Bella se ne stava a faccia in giù, arrotolata nel suo sacco a pelo, io mi trovavo accucciata in fondo alla tenda, Edward vicino a lei e Seth fuori. Ci avrei scommesso la moto che tutti e quattro stavamo pensando alla stessa cosa, anche se in termini diversi.

Calò immediatamente un fitto silenzio, che non intendevo rompere. Tenevo le braccia alle ginocchia, osservando un punto indefinito e pensando e ripensando a tutto questo grande casino.

‘Sono innamorato di Abigail’. Quelle parole mi vorticavano nella mente senza smetterla mi inondavano di felicità. Difatti cercavo di nascondere con le ginocchia il perenne sorriso ebete che mi si era formato. Jacob era stato chiaro, lui era innamorato anche di me, ma la sola notizia di sapere che aveva preso in considerazione anche me, che si trovava davvero davanti ad una scelta, mi riempiva il cuore di felicità.

Accanto a questo, c’era la delusione. Credeva davvero che non fossi innamorata di lui. Papà aveva avuto ragione, avevo proprio sbagliato. Ero stata davvero una cretina a negare sempre e a tenere tutto dentro. Ero un incapace, una di quelle vere e la cosa mi dava terribilmente sui nervi. Che cosa sarebbe successo, se fin da subito avesse saputo che anch’io ricambiavo? Sarebbe stato tutto diverso, anche se ora come ora non sapevo se meglio o peggio.

Ma più di tutto, più della gioia, della delusione e della rabbia ero totalmente incredula. Non me n’ero mai, mai accorta, in tutto questo tempo che ho passato con lui, né un segnale, né un accenno. Perché? Come era potuto succedere sotto il mio naso? E quando? Mi sembrava a quel punto ovvio che lo strano comportamento di Jacob c'entrasse con questo.

Era un grandissimmo ed enorme casino. Se la gente innamorata cominciasse un po' più a parlare e meno a pensare a cosa può pensare l'altro, ci sarebbero state più persone felici. E il romanticismo della cosa a quel paese!

"Stai bene?" A spezzare il silenzio fu Edward, che iniziò ad accarezzare i capelli di Bella.

"Dovresti uccidermi, Edward" le consigliò lui, da sotto il sacco a pelo, ripensando alla richiesta che gli aveva fatto.

"Non lo potrei mai fare" rispose lui semplicemente, il miele in bocca, mentre la sua mano dai capelli passò a sfiorare la guancia nascosta dentro il piumino.

Giusto, e poi c'era il problema di Bella. Credevo di non aver bene capito quale fosse la situazione. Avevo sentito chiaramente Bella dire che era innamorata di Jacob, ma non era possibile in alcun senso, perchè lei amava Edward! Fosse allora che so, l'aveva detto perché ne era stata costretta dalla minaccia di Jacob, come era successo quando gli aveva chiesto di baciarla. E poi c'era Edward, che non sembrava né furioso, né tantomeno tradito. L'unica cosa da fare a questo punto era parlare con lei il più presto possibile.

"E dire che credevo che fossi io a giocare sporco" disse a malincuore. "Non ce l'ho con te, amore. Jacob è stato più furbo di quanto pensassi ad ingannarti, anche se neanche se n'é reso conto" continuò più dolce. "Certo, avrei preferito che non fossi stata tu a chiederglielo; ora non ho nemmeno un motivo per spaccargli la faccia."

"Ingannarmi?" chiese Bella confusa.

"Certo, Bella. Non si è affatto comportato da gentiluomo. Non avrebbe mai realmente approffitato della battaglia per uscire di scena" le spiegò comprensivo. Bella si alzò quel tanto che bastava per guardarlo bene in viso, confusa ed ancora in colpa.

"Sei così incapace di mentire, che credi a chiunque" constatò in una lieve risata.

"Cosa vuol dire che non se n'è reso conto?" sbottò all'improvviso.

"Parlava senza pensare. Quando si è accorto del limite che aveva superato, non ha saputo nemmeno lui cosa voleva ed è tornato subito indietro" spiegò lui, contenendo la rabbia. "Dovrebbe cominciare a comportarsi in modo più maturo." Ero piuttosto sicura che quelle parole avevano per me un significato diverso rispetto a Bella.

"Perchè allora non ce l'hai con me?" sussurrò Bella "Dovresti essere furioso"

"E' pur sempre una conseguenza di quello che ti ho fatto no?" rispose in tono tranquillo e amareggiato "Quando me ne sono andato ho aperto una ferita che Jacob ha curato. Non posso incolpare nessuno di qualcosa che ho scatenato io. Non posso evitare le conseguenze"

"Sei insopportabile. Stai cercando un modo per sentirti in colpa. Per piacere, smettila" lo pregò Bella, dispiaciuta. "Piuttosto, qualcun'altro dovrebbe sentirsi in colpa" concluse stizzita.

Era rimasta unicamente un'ascoltatrice di quella conversazione, che avevo sentito solo per metà, persa nei miei pensieri com'ero. Non potevo dare torto a Bella; le aveva esplicitamente detto che l'amava e adesso veniva fuori che amava qualcun'altro. Mi sarei sentita presa anch'io terribilmente in giro. Anzi, a pensarci bene io per prima, cercando di porre Jacob davanti ad una scelta, lo avevo involontariamente istigato a comportarsi in quel modo.

"Questo potrebbe un motivo per spaccargli qualcosa" continuò Edward, neutro "Se tuttavia non provassi una certa compassione per lui." Bella si tirò su a sedere per osservare attentamente Edward.

"Lo sai? Hai ragione. Compassione è la parola esatta" riprese con lo stesso tono.

"Per lo meno, è stato sincero, prima" disse Edward, anche lui stizzito.

"Cosa intendi?"

"Non ha mai voluto ferire nessuno" le spiegò lui.
"Era questo che non volevi dirci di lui, giusto?" gli domandò Bella, cupa.

"Esatto"

"Dopotutto hai fatto bene a non dirlo" riprese Bella dopo alcuni secondi di silenzio, nuovamente stizzita.

Non sapevo se essere o no d'accordo con Bella. Da una parte, se lo avessi saputo prima, non sapevo cosa sarebbe cambiato; avrei davvero convinto Jacob a scegliere? O sarebbe davvero stato tutto inutile? E ancora, se avessi convinto Jacob a scegliere, la sua scelta sarebbe stata quella giusta? O sarebbe stata troppo influenzata?

D'altra parte, dovevo ammettere che saperlo prima mi avrebbe fatta sentire decisamente meglio.

Inoltre dirmelo sarebbe andato tutto a favore di Edward, dopotutto; doveva ammettere che sarei stata nella posizione di far cambiare idea a Jacob, a convincerlo a scegliere me, il rapporto tra Bella e Jacob sarebbe rimasto finalmente solo amicizia.

“Non mi piace la natura di questo tuo pensiero; troppo opportunista” intervenne all'improvviso lui, interrompendo i miei pensieri.

"Cosa?" chiese Bella, leggermente spaesata per la sua affermazione. Lo guardai incredula. Opportunista?! Non sarebbe affatto stato opportunista. Insomma, mi avrebbe fatto solo che piacere venirlo a sapere. Non avrei mai immaginato che il suo problema sarebbe stato questo. Edward si voltò improvvisamente verso di me, tanto che sussultai.

“Abigail, la mia morale è fatta di certi valori, che solo in rari casi sono portato a disubbidire. In questo caso sarebbe la correttezza” mi spiegò lui, neutro. Non capisco con chi tu saresti potuto essere scorretto.

“Con te, Abigail” Come? Ormai mi ero completamente persa nella sua discussione.

"Ammetto che sono disposto a battermi in maniera sleale per Bella, ma mi sarei comportato da totale opportunista se avessi in qualche modo influito nel tuo rapporto con Jacob" continuò lui, come se nulla fosse.

"Di cosa state parlando?" intervenne di nuovo Bella, ma non ci feci caso.

"Assolutamente no. Sarei stata contentissima del tuo opportunismo!" esclmai questa volta ad alta voce.

“Sapevo che l’avresti pensata così” rispose disinvolto. “Ma spero che tu capirai anche il mio punto di vista”

"Sì, sei stato corretto, ma..." ammisi con difficoltà.

“E poi, non intendo offenderti” concluse disinteressato.“Ma non mi interessa molto quello che succede tra te e Jacob” 

"Ah, bè! Ci mancherebbe!" esclamai io.

"Potete spiegarmi cosa sta succedendo?" chiese ancora Bella, più seria del normale. Guardando prima me, poi Edward, che fece spallucce.

"Stavo rispondendo ad una domanda che mi aveva fatto Abigail" rispose lui sul vago.

"E cosa c'entro io?" continuò ancora, questa volta leggermente preoccupata. Questa volta Edward non rispose, e in un sospiro posò la sua attenzione su un punto indefinito della tenda. Bella ora guardava interessata me. Feci un sospiro anch'io e mi avvicinai di più a lei. Ormai, data la situazione, tanto valeva che lo sapesse.

"Io ricambio Jacob" sbottai di brutto, forse troppo rude.

"Cosa?" domandò lei, evidentemente spiazzata.

"Ricambio i suoi sentimenti" ripetei io, terribilmente seria. "Sono anch'io innamorata di lui. E con questo non intendo una cotta qualsiasi." Bella rimase immobile, con gli occhi fissi su di me, il tempo sufficiente per elaborale le mie parole. 

"Dici sul serio?" chiese in un sussurro, insicura.

"E tu lo sapevi" disse ad Edward. Lui si limitò a guardarla poco interessato e fare di nuovo spallucce.

"Lui sa tutto dei miei problemi amorosi" dissi io sottovoce, irritata.

"Ma questo allora vuol dire..." si interruppe "Abigail, mi dispiace, io... mi sento un mostro" disse terribilmente in colpa. "Gli ho chiesto di baciarmi e tu... hai sentito tutto" Io scossi la testa, anche se non molto convinta.

"Non ce l'ho affatto con te per questo, se è questo che intendi" le dissi io, mettendo in chiaro le idee. "Ci sono arrivata anch'io che ti ha manipolata." Difatti il problema che avevo non riguardava tanto questo, quanto quello che realmente provava lei con lui. Ovviamente però non potevamo affrontare una conversazione del genere in questo momento, né in compagnia di Edward, anche se senz'altro avrebbe saputo tutto.

"Quindi l'unica allocca sono io..." mormorò, affranta e furiosa.

"Bella..." intervenne per la prima volta Edward.

"Non ti devi dispiacere di niente" lo interuppi io.

"Perchè non me l'hai detto?" chiese alla fine "Non mi sarei mai comportata in questo modo con lui, se l'avessi saputo." Questa volta fui io a stare in silenzio per qualche secondo. Mi sentii improvvisamente a disagio a parlare di Jacob a Bella in questi termini.

"Avevo paura che ti saresti allontanata da Jacob" mormorai "E non volevo rovinare la vostra amicizia. Ne avevi davvero bisogno. Sia tu, che lui."

"Ma in questo modo saresti stata tu infelice" ribatté lei affranta.

"Sì, mi sono scavata la fossa da sola, ma mi andava bene così" conclusi io alla svelta.

"Abi..." si interruppe quasi subito.

"Poteva essere un'occasione per troncare di netto la nostra amicizia" disse infine, sconsolata "e sarebbe stato davvero meglio così, se adesso siamo arrivati a questo..."

Rimasi in silenzio, pensando alle sue parole. Dovevo darle ragione; per quanto aveva fatto bene a entrambi questa amicizia, Jacob aveva delle idee troppo diverse affinché potesse durare. Tuttavia, rimanevo ancora del parere che, seppure quella amicizia a questo punto ormai fosse appassita, aveva dato degli splendidi frutti.

"La battaglia sta iniziando" affermò Edward deciso.

Sobbalzai all'improvviso, come se mi fossi svegliata da un brutto sogno. Provai una profonda rabbia per me stessa, sapere che avevo trascorso quegli ultimi attimi a riflettere e a discutere di cose così futili.

"Andrà tutto bene, Bella" la rassicurò Edward, mentre prendeva con una mano dolcemente la sua. "Abbiamo tecnica, allenamento e il fattore a sorpresa. Finirà presto."

Presa da un attacco di panico, mi avvicinai quatta ad Edward, mi appropriai della sua mano libera e la strinsi tra le mie, come tentativo di auto-rassicurazione. Edward mi lasciò fare, limitandosi a sospirare pesantemente, perfino ricambiando la stretta.

"Alice è così piccola" sussurrò Bella.

"Mamma è così imbranata" la imitai io.

"Non esiste qualcuno in grado di prendere Alice e Sophie è in buone mani" disse in una risata "Mi è un poco difficile consolare entrambe"

"Io non ho bisogno di essere consolata" affermai orgogliosa, continuando a stringere la mano di Edward "So che andrà tutto bene" esclamai ponendo particolare enfasi sulla prima parola. Edward in compenso sghignazzò di più.

Seth iniziò a uggiolare fuori dalla tenda.

"Cosa succede?" domandò Bella, eccessivamente tesa, mentre con la stessa espressione io osservavo Edward.

"E' solo arrabbiato perché è costretto a rimanere qua" spiegò con una tranquillità quasi irreale.

"I neonati hanno raggiunto la fine del sentiero" annunciò Edward, iniziando una cronaca dettagliata, ricavata dalla mente di Seth. "Come previsto da Alice, si stanno dividendo in due gruppi. Sam sta guindando i suoi per prendere di sorpresa il gruppo dell'imboscata." Guardava un punto indefinito della tenda; anche se il suo corpo era lì, la sua mente si trovava ormai nel campo di battaglia.

"Respira, Bella" interruppe per un attimo la descrizione. "Il primo gruppo è entrato nella radura; si sentono i rumori della battaglia." Mi innervosii sapere che nel primo gruppo c'erano i miei genitori.

"Riusciamo a sentire Emmett: si sta divertendo" disse in una risata, tanto concentrato da parlare al plurale, participando più che al gruppo di vampiri, a quello dei licantropi.

"Il secondo gruppo si sta preparando. Non ci hanno ancora sentiti." Edward si fermò di colpo, senza muovere un muscolo.

"Brava, Leah!" esclamò all'improvviso, facendomi sussultare "Uno dei neonati si è accorto della nostra scia, ma Leah lo ha subito eliminato. Ora Sam la sta aiutando a finirlo. Paul e Jacob ne hanno preso un altro. Ora i neonati sono in difficoltà, non sanno come attaccarci. No, lasciate che sia Sam a guidare. Separateli, non lasciate che si difendano a vicenda." Edward si era fatto talmente coinvolgere che non si limitava a riportarci fedelmente il corso degli eventi, ma pure interveniva consigliando strategie attraverso Seth. Certo, ci tenevo a sapere come stava andando ai licantropi, ma ci tenevo ancora di più a sapere come andava ai vampiri.

"Così va meglio, spingeteli verso la radura." Sì, ecco, spingeteli verso la radura, così saprò come se la stanno cavando i miei genitori. Senza rendersene conto, Edward inizò a muoversi a scatti, imitando le stesse mosse che avrebbe fatto se fosse stato lì. Tenendo conto che entrambe gli tenevamo le mani, lo scambiai per un attimo per uno entrato in comunicazione con gli spiriti o cavolate del genere.

All'improvviso smise di muoversi. All'inizio pensai davvero che fosse dovuto alla mia squallida battuta. Dopo realizzai che era successo qualcosa, ma ancora non volevo ammettere che avevamo perso qualcuno.

In uno scattò Edward lacerò la tenda, mentre la luce di mezzogiorno mi spinse a socchiudere gli occhi aspettando di abituarmi. Seth ed Edward si scambiarono un lungo sguardo.

"Vai, Seth!" sussurò infine Edward. In uno scatto veloce, Seth sparì nella foresta. Involontariamente cominciai a tremare e la convinzione che tutto si sarebbe risolto bene svanì immediatamente.

"E..." Senza che me ne accorgessi, Edward spinse me e Bella contro la parete della montagna, mentre lui si posizionava a pochi centimetri da noi. Il colpo mi morzò il respiro e per un attimo credetti di soffocare. Si rannicchiò, mettendosi sulla difensiva. Con ironia pensai che un tempo, a Volterra, noi tre ci eravamo trovati nella stessa identica posizione. Per fortuna questa volta non avevo nessuna costola fratturata.

Con orrore capii cosa stava succedendo; qualcuno ci aveva raggiunto.

"Victoria" sputò Edward, mentre le lettere quasi si confusero con il ringhio che fece. Ecco, quello che più temevo che accadesse, era successo. Stranamente, non ne ero ancora terrorizzata.

"Non intende combattere insieme ai neonati. Ha incontrato la mia scia, e ora sa che se la seguirà, potrà incontrare anche te. Con Abigail, prenderà un piccione con due fave." Questo voleva dire che era abbastanza vicina da udirne i pensieri

"E non è sola" disse in un sussurro concentrato. Uau, stupendo!, pensai sarcastica, mentre tremavo alla prospettiva che a questo punto, un vampiro solo non sarebbe bastato. Non capii a questo punto perché aveva mandato via Seth. Era troppo giovane per riuscire a fronteggiare un vampiro come Victoria? Lo aveva mandato a chiamare rinforzi? Nonostante tutto, non mi feci ancora prendere dal panico, e restai in attesa.

Edward si mosse impercettibilmente verso la foresta. Osservai il punto che ci aveva indicato; due ombre cominciarono ad affiorare dalla foresta. Ben presto lasciarono spazio alle sagome di due vampiri. A precederli c'erano mille scintille di luce e di colori che si riflettevano sul terreno e sulla parete di roccia, prodotti dalla luce del sole.

Erano in due; un ragazzo biondo, non molto più vecchio di me, nonostante la muscolatura e l'altezza. Doveva essere il lui il complice di Victoria, il vampiro il cui odore non riconoscevamo. Gli occhi scintillanti, più rossi di qualsiasi altro, mi misero i brividi. A distanza di qualche metro, Victoria fissava entrambe. Per un attimo ebbi l'illusione che la cicatrice al collo ardesse.

Era la prima volta che avevo l'occasione di studiare il suo profilo; gli occhi erano neri per la sete, ma scintillavano di rabbia. Si spostavano da Edward a noi, senza mai soffermarsi su di Edward più di qualche secondo. Si sentiva involontariamente attratta da noi. Aveva un non so che di felino nella postura, che per certi ed orribili versi, mi ricordò mia madre. Il viso era una maschera di marmo immobile, le labbra rosse rigide in una linea retta ed inespressiva. La parte sinistra del corpo, era coperta da coprispalle di pellicia, per nascondere l'assenza del braccio.

Sarebbe sembrata una figura minacciosa, se non fosse stato per i capelli. Se non fosse stata lì con lo scopo di uccidermi, sarei scoppiata a ridere. Un tempo doveva avere una fluente e mossa chioma rosso fiammeggiante, che rispecchiava e trasmetteva la sua feroce personalità; ora questo effetto si era perso, a causa della chiazza di capelli mancati in basso sinistra della sua testa, malamente camuffata dai capelli restanti. A dirla tutta, se qualcuno mi avesse fatto uno scempio del genere ai capelli, lo avrei ucciso anch'io. Che poi, adesso, cosa cavolo avevo fatto di male, se non essere nel posto sbagliato al momento sbagliato?!

La mia attenzione venne catturata da altri e più orridi particolari; loro erano in due, mentre con noi c'era solo Edward. Era ovvio; il ragazzo biondo avrebbe distratto Edward e lei ci avrebbe potuto uccidere. Sicuramente prima che mamma arrivasse.

Le mie emozioni tuttavia parvero tremendamente controllate. Non volevano obbidire alla ragione, alla più rosea prospettiva che con mamma le cose sarebbero finite in un istante. La verità, anche se non volevo ammetterlo, era che ero terrorizzata all'idea di realizzare che nel frattempo qualcosa era andato male nella radura, e che se avessi permesso alla paura di prendere il controllo e lei non sarebbe venuta, a quel punto, non avrei voluto nient'altro che morire anch'io. Perciò, automaticamente, respiravo profondamente, controllando i battiti del mio cuore, regolari e appena percettibili. Al contrario, potevo sentire i battiti furiosi e veloci di Bella vicino a me. Senza rendermene conto, la mia mano andò a prendere la sua, sicura che la schiena di Edward avrebbe protetto quel contatto dalla vista dei due vampiri. Involontariamente Bella strinse la mano tanto che mi fece male.

Seth ululò lontano, ormai troppo per ritornare di nuovo qua. Il ragazzo biondo diede un veloce sguardo a Victoria, aspettando un ordine. Lei in silenzio gli indicò di procedere.

"Riley" richiamò la sua attenzione Edward, quasi pregandolo. "Lei ti sta mentendo, l'ho ha fatto da sempre. A te, e a tutti quelli che in questo momento stanno morendo nella radura. Sai che ha mentito a loro, ti ha chiesto lei stessa di farlo, perché non tornerete a salvarli. Perché allora credi che non l'abbia fatto anche con te?" domandò ipnotico. Riley rimase in silenzio, confuso. Edward cominciò ad allontanarsi da noi, muovendosi lentamente verso destra, lasciandomi intanto mezza scoperta da un immediato attacco di Victoria. Riley lo seguì automaticamente.

"Non ti ama, Riley" continuò, con lo stesso tono di un padre premuroso che rassicura il figlio. "Non lo ha mai fatto. L'unico suo amore è stato James, e tu non sei altro che una sua pedina." Le labbra infuocate scoprirono le gengive, mentre i suoi occhi ora non erano che per Bella. Riley guardò guardò di nuovo Victoria, implorandole delle spiegazioni.

"Riley" lo richiamò Edward. "Lei sa che ti ucciderò. Lei vuole questo. Lo ha sempre voluto, fin da quando ti ha creato. Ti sei accorto dell'indicesione nei suoi occhi e della falsità della sue promesse. Ogni bacio, ogni carezza, è stata una bugia" concluse, ponendo particolare enfasi sull'ultima parola.

 Edward si mosse di nuovo verso di lui, lasciando uno spazio maggiore tra me e Bella. Lo sguardo di Victoria fissò attenta la distanza che intercorreva tra noi ed Edward, aspettando il momento per attaccare e ucciderci tutte e due in un colpo solo. Spontaneamente, il mio corpo andò a sistemarsi lentamente davanti a quello di Bella, come se così facendo, la distanza da Edward si riducesse di qualche centimetro. Una mossa del tutto inutile, come se io potessi difendere qualcuno da un vampiro, se non ero in grado di difendere neppure me stessa. Riley rispose più indeciso ai movimenti di Edward.

"Non devi morire per forza" gli assicurò Edward, fissandolo negli occhi. "Ci sono altri modi di vivere, oltre a quello che ti ha mostrato lei" Pensai per un attimo che Edward stesse usando le stesse parole che Peter aveva usato con Jasper. E in quel momento, mi accorsi anche che quel ragazzo, Riley, non era poi tanto diverso da come Jasper era stato un tempo, né Victoria da Maria.

"Non è soltanto bugie e sangue. Puoi andartene anche adesso, se vuoi. Non sei costretto a morire a causa delle sue bugie." Edward si spostò ancora di lato. La distanza ora era di un metro; Victoria si mise in attacco. E fu allora che pensai che molto probabilmente tutta questa questione della distanza era una trappola che Edward stava tendendo a Victoria per attacarla, con noi come esche.

"Ti do un'ultima occasione, Riley" mormorò Edward. L'espressione di totale confusione non era ancora scoparsa dal viso di Riley.

"E' lui che ti sta raccontando delle bugie, Riley" Rabbrividì al suono della voce di Victoria, non tanto per il timore, quanto per il fastidio che mi fece. Era stridula, quasi infantile, quell'esatto genere di voce che avevano le bambine viziate e che non le si addiceva proprio.

"Ti ho parlato dei loro trucchetti. Ci sei solo tu per me, questo lo sai." Certo, ma solo fino a quando ne avrai bisogno, vero, rossa? Era gratificante sapere che il senso dell'umorismo nei momenti di morte non mi aveva ancora abbandonata.

Riley si irrigidì all'istante. Erano bastate le parole di Victoria, per annullare dalla sua mente quelle di Edward.

Riley si preparò ad attaccare. Victoria era pronta a lanciarsi su di noi, aspettando un unico passo falso di Edward.

Un ringhio squarciò l'aria e una sagoma indistinta biombò su Riley e lo gettò a terra.

"No!" gridò Victoria, con la sua vocetta che mi trapanava la testa. A mezzo metro, un lupo stava sbrandellando Riley. Riconobbi il pelo color sabbia. Mi sentii per un attimo sollevata dalla presenza di Seth.

Qualcosa di bianco rotolò vicino a me e se non avessi fatto un balzo mi sarebbe finito sulla caviglia. Io e Bella ce ne allontanammo contemporaneamente, disgustate ed allerta.

Riley recuperò il vantaggio dell'attacco a sorpresa e nonostante avesse perso una mano, riuscì a tirare un calcio contro la spalla di Seth, che guaì zoppicante alla rottura dell'osso.

Victoria non si sprecava minimamente ad osservare il combattimento del suo compagno vicino a lei. Ci guardava feroce, le gengive scoperte ed i canini ben in vista, quasi accecata dall'ira.

"No" mormorò di nuovo, questa volta non perché aveva perso il compagno, ma perché era svantaggiata. Edward si parò davanti di noi, sbarrandole la strada. Io mi trovavo ancora davanti a Bella e per un momento ci paragonai ad un inusuale sandwich umano.

I due vampiri presero a combattere in una velocità impressionante. Sembravano danzare. Victoria si muoveva indietro e poi in avanti, in cerca di un varco che le avrebbe permesso di arrivare a noi. Victoria era agile e sapeva schivare bene i colpi di Edward, ma lui era molto più veloce e conosceva le sue mosse, perciò non le lasciava possibilità di scappare.

Parallelamente, Seth affondo i denti contro il fianco di Riley, strappandogli qualcos'altro e lanciandolo nella foresta. Riley rispose con un ringhio furioso e Seth, straordinariamente ripresosi dal colpo precedente, schivò prontamente l'attacco del suo avversario.

Intanto, io e Bella eravamo lì, ad assistere ai due combattimenti in corso, con il respiro mozzato, l'una davanti all'altra, aspettando, di morire, di vedere Victoria e Riley uccisi, di vedere Edward e Seth uccisi, tante cose, insomma. Il bello era che non potevamo fare assolutamente niente. Fantastico.

Victoria aveva cambiato strategia, si era nascosta nella foresta, cercando di fuggire, quando ormai Riley era spacciato, ma noi eravamo fin troppo vicine e un'occasione del genere non l'avrebbe mai più avuta.

"Non andartene, Victoria" sussurò Edward, suadente "Non avrai un'altra occasione" copiò le mie parole. Scoprì le gengive, mentre sembrava incapace di allontanarsi.

"Poi avrai un sacco di tempo per correre" insinuò Edward. "E' quello che ti riesce meglio. Ed è il motivo per cui James ti teneva con sé. E' utile, quando si vuole uccidere. Peccato però che non ti abbia avuta con se quando lo abbiamo scovato a Phoenix. Gli saresti stata utile anche in quell'occasione." Victoria ringhiò all'istante, ma Edward non si impressionò.

"Ma non sarai mai nient'altro per lui. Che stupidaggine, rivendicare qualcuno che ti considereva poco più di una cavalcatura per un cavaliere. Poco più importante di una comodità."  Edward riuscì nel suo intento; Victoria sfrecciò fuori dalla vegetazione e i due tornarono a danzare.

Un ululato di dolore catturò di nuovo la mia attenzione: Riley ora aveva colpito il bacino di Seth, che cercò di mantenere la concetrazione per dimenticare il dolore. Quanto ancora sarebbe dovuto durare quel secondo combattimento? Entrambi sembravano essere ad armi pari, entrambi sembravano incassare i colpi allo stesso modo ed entrambi sembravano attaccare con la stessa frequenza. Ma soltanto uno sarebbe sopravissuto, bisognava solo aspettare quale.

Aspettare e guardare, aspettare e guardare. Ne stavo cominciando ad avere abbastanza. Ero stata io la prima a dovermi sottomettere alla condizione di 'peso', ma mai in questo momento la sentivo insopportabile.

Riley ebbe per un attimo la meglio su Seth e lo spinse a dirigersi verso la parete rocciosa, per avere la meglio, ma Seth costrinse Riley a rinunciare. Victoria sembrò finalmente interessata alla sorte del suo compagno. Più che alla sorte del suo compagno, alla sorte del licantropo.

"Non mi si rivolterà contro" le assicurò Edward, avvicinandosi cautamente "Abbiamo un nemico in comune, grazie a te. Ci siamo alleati." Lei ringhiò sommessamente, arrettrando immeditamente, raggiungendo di nuovo la penombra della foresta. Davanti alla prospettiva di avere ormai poche possibilità, di fronte ai licantropi e ai vampiri insieme, tornò a contemplare la fuga.

"Guarda meglio" la stuzzicò Edward, per convincerla a restare "E' molto simile al mostro che James ha seguito in Siberia, vero?" I suoi occhi si staccarono da me e da Bella, iniziando a vorticare veloci da Edward a Seth.

"Impossibile!" sussurò lei, poco convinta.

"Niente è impossibile" mormorò mentre le si avvicinava ancora di un poco "eccetto ciò che desideri" concluse con un accento di malizia. Lei scosse convulsamente la testa, tremante, cercando di porre l'attenzione su di Edward.

Per un attimo le parole di Edward sembravano perdere effetto; sul suo viso si dipinse un viso appena accennato e gli occhi divennero due fessure.

"I tuoi trucchi con me non funzionano" disse alla fine, di nuovo con quella vocetta insopportabile. Questa volta Edward non poté che tacere, mentre in uno scatto tentò di afferarla. Ma lei tendeva alla fuga, quindi era già pronta per scappare. Si era appena nascosta ai margini della foresta, quando avanzai convinta di due passi. Quando si voleva far davvero incazzare qualcuno, la cortesia serviva ben a poco.

"Ehi, rossa!" sbottai io, senza nemmeno sapere quello che stavo dicendo. Edward mi osservò imperturbabile, mentre Victoria si rifece viva. Era a una decina di metri da me, niente ci separava. Mi sembrò che i suoi occhi fossero tornati rossi per la rabbia e l'aria che entrava e usciva dai denti contratti produceva un inquietante fischio. Mi guardava muta, con la stessa aria da 'ma tu come ti permetti di parlare con me'.

"Bei capelli" mormorai toccandomeli, usando tutto il mio sarcasmo. Prima ancora di vedere la sua figura che si slanciava verso di me e quella di Edward bloccarla all'istante, sentii un ringhio orribile scquarciare l'aria. Automaticamente mi ritrassi, ritornando nella posizione di prima, davanti a Bella. Non avevo la più pallida idea di quello che avevo fatto, ma a quanto pareva, aveva funzionato.

Victoria non era affatto una vampira priva di esperienza, quindi vide bene di non farsi controllare dalla rabbia, mentre cercava di affondare i colpi che una frazione di secondo prima, Edward parava. A causa della loro velocità, non riuscii a capire chi fosse in vantaggio e chi no, se qualcuno era in vantaggio.

Anche Riley si lasciò distrarre dal combattimento della sua compagna. A suo svantaggio, perché Seth gli piombò addoso e gli strappò un altro brandello di corpo. Il vampiro lanciò un altro urlo, e Seth non riuscì a prevedere la sua risposta; colpì il giovane lupo in pieno petto, scagliandolo contro la parete della montagna, che sembrò muoversi, e producendo centinaia di schegge di roccia che caddero sulle nostre teste. Io e Bella dovemmo scansarci di qualche metro per evitare di finire schicciate da Seth, mentre cadeva a terra, in un guaito di dolore.

Dopo che ebbi scostato le braccia, affinché mi proteggessero dalle pagliuzze di roccia, lo scenario della battaglia era cambiato radicalmente e improvvisamente. Seth rimaneva a terra, immobile. Accanto a lui, si trovava Riley. Ora che aveva ormai eliminato il suo nemico, aveva cambiato obiettivo; incontrai i suoi occhi rosso sangue guardarmi fisso. Neanche un metro mi distanziava da lui. Victoria e Edward scomparirono, insieme a Bella, ancora dietro di me, e quello che restava di Seth.

La paura allora si impossessò di me: i muscoli si paralizzarono, il respiro cessò. L'unico organo che sembrava ancora funzionare era il cuore che, come impazzito, lo potevo sentire ovunque, nel petto, nel collo, mentre il suo rimbombo mi faceva diventare sorda da quanto era forte. Sentii la mano fredda che gli rimaneva afferrare la mia gola, mentre i miei occhi erano fissi nei suoi vermigli. Emisi un rantolo ed automaticamente le mie mani si avvinghiarono alle sue, per cercare invano di farle staccare dal mio collo.

Non respiravo più e la pressione che esercitava sul mio collo mi obbligava ad inarquare la schiena.

Avrebbe potuto rompersi l'osso del collo senza neanche che me ne potessi accorgere. E forse fu quello che successe, quando all'improvviso cominciai a vedere tutto nero.

Qualcosa mi colpii la testa, e fu come se smettessi di esistere.

 

 

 

 

Eccomi qua, finalmente! Dopo un bel pò di tempo, ecco il penultimo capitolo di Eclipse! Questa volta devo ammettere che ho esagerato parecchio con i tempi e confesso che la storia l'ho trascurata parecchio. Quindi vi chiedo puntualmente di scusarmi.

Allora, come vi è sembrato questo capitolo? Fin troppe cose sono successe...

Procediamo per ordine; 'dell'ultimo' saluto tra i due volontariamente non ho descritto la scena con romanticismo, proprio perché volevo sottolineare la loro amicizia, che qualisiasi cosa accada ci sarà sempre. Bhè, poi, finalmente il grande momento finalmente: Abigail scopre che lui è innamorato di lei, poi viene la scena del bacio che alla fine non lo dà a Bella e tante altre cose, ma quella più importante rimane la morale della favola: assecondate sempre la vostra vescica! Potreste scoprire che la persona di cui siete innamorati ricambia! XD

E dopo questo momento poco serio, spero che anche questa importantissima scena vi sia piaciuta e soprattutto l'abbiate capita, perché rileggendola mi è sembrata di una confusione assurda!

E poi c'è Victoria e questo strano finale sospetto......

Ma ora basta parlare! Do la parola a voi! Sono strastracuriosa di sapere cosa ne pensate! Vi avverto che il prossimo ed ultimo di Eclipse non sarà da meno! Un grandissimo bacio a tutti!

 

X __cory__: Iee! Ora mi appresterò a rispondere ad una ad una le tue domande! 1. mmmhhh.... questa domanda conservamela per il prossimo capitolo e ti spiegherò cosa vuole dire (se non sarà evidente già di per sè)! 2. sì, esatto, si riferisce a quel pezzo di conversazione di Eclipse che però Abigail non ha ascoltato. Questo capitolo però ti dovrebbe spiegare il perché l'ho messa ;) 3.Insomma, a questo punto non serve rispondere alle tue domande, no? ^^ Comunque sì, hai ragione, la sto torturando, è che sono fermamente convinta che lasciare vivere momenti di felicità ai miei personaggi sia banale, nonostante sappia benissimo che dicendo questo io sia in errore. Bon dai, però hai ragione, in BD la tratterò meglio ^^. 4. Mmmhhh.... bella domanda! E' senza dubbio la domanda più impestata che tu mi abbia mai fatto e che abbia ricevuto! Allora, sicuramente un po' ci è rimasto, perché sia Abigail, che Bella lo hanno chiesto ad Edward, ma non a lui, quindi si può dire che lo dice perché si sente un pò 'trascurato'. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, non so se sarebbe rimasto se Abigail glielo avesse chiesto; non dipende solo da quanto gli sta a cuore Abigail, ma anche anche quanto gli sta a cuore la vita dei suoi compagni. Per rispondere a questa domanda quindi avrei bisogno dell'aiuto della Meyer ^^. 5. Forse non lo scritto bene, ma volevo con quello sguardo rivolto solo a lei far capire che, dopo che tutto il tempo nella foresta che ha parlato con Bella, Abigail conta moltissimo per lui. 6. Ebbene sì, ho deciso così perché mi complicava di mooolto meno le cose ^^ E poi anche Bella non se lo ricorderà. 7. Un anno! non esageriamo! Solo un pochetto di mesi, diciamo cinque! Lo so, lo so, mi dispiace tantissimo doverlo fare, soprattutto adesso che arriva la parte più interessante, a tal proposito poi non ho nessuna giustificazione da offrire, quindi spero che mi perdonerai.

Bhè, se questa è la recensione più lunga che tu abbia fatto, mi sembra che questa sia una tra le risposte più lunghe che abbia mai dato!  E poi perché dovrei ucciderti? Non ne vedo assolutamente il motivo! ^^ Un bacio anche a te e un grande saluto!

 

X Franny97: Bene, bene, bene! Passiamo alla 'grande recensione'! Inizio con il dire, ABIGAIL, che non mi hai affatto annoiato in alcun modo! Anzi! E' bellissimo che il mio personaggio ti sia piacciuto così tanto! Piuttosto, sono rimasta confusa dai tuoi improvvisi cambi di identità! XD

Tornando alla storia; sono felicissima che ti sia piaciuta com'é andata!!! ^^ Spero di conseguenza che sia stata all'altezza anche la scena 'rivelazione' di questo capitolo! Per quanto riguarda Bella hai ragione, più sto andando avanti, più si fa antipatica. Ho cercato di farla passare sempre sotto una buona luce, sottolineando più volte che Abigail e lei sono ancora buone amiche, ma credo proprio che adesso che Abigail ha scoperto che anche lei ama Jacob le cose degenereranno ancora di più, mi sa. Poi, per la parte con i pensieri di Jacob, ti posso svelare senza problemi che non ci sarà nulla del genere, purtroppo. Anche se ho stranamente notato che c'è una strana somiglianza tra il modo di pensare suo e di Abigail, non mi immedesimo così tanto in Jacob da potergli conferire il ruolo di protagonista-narratore anche per un solo pezzo, mi dispiace :(. Ed ecco un lunghissimo elogio alla scena della tenta! Ti ringrazio tantissimo, ma io, umile scrittrice, non credo proprio di essere paragonata a tanto! ^^ Ciononostate, accetto volentierissimi i tuoi complimenti! Aprendo una piccola parentesi, so che non vedi l'ora che arrivi un po' di romanticismo tra i due e smani di leggere anche un solo piccolissimo bacio, quindi vorrei farti le mie più grandi scuse se la sto tirando così alla lunga tra i due, perché so che ti sto facendo soffrire tantissimo! Chiusa parentesi. Ah, comunque: Rompiballen Cullen XDXDXDXDX Ahahahahah! Mai sentita! Forte questa! ma chi l'ha inventata?!

Tornando a cose serie, insomma, il dialogo della tenda non era nient'altro che una piccola introduzione al grande colpo di scena che sarebbe la rivelazione. Quindi... non vedo l'ora di sapere cosa ne pensi al riguardo! XD

Passiamo ora alla domande, per niente inutili, anzi, la prima che mi fai è curiosissima, perché di fatti alla fine del capitolo le cose non si sono messe benissimo, no? (sono cattivissima!) A risponderti però, purtroppo, sarà l'inizio del prossimo capitolo (che verrà pubblicato nell'Era del Mai, tra l'altro -.-) Per tutte le altre domande, mi dispiace, ma le risposte anche per queste le troverai tutte nel prossimo capitolo (lo so, sono noiosa e ripetiva)

Mi dispiace!!!!!! Dispiace un mondo anche a me interrompere la ff, ma in questo momento mi ritrovo la vita davvero fin troppo impegnata, e se ci fosse solo la scuola, non avrei davvero nessunissimo problema a continuare, ma ci sono altre cose a cui non vorrei proprio rinunciare. Spero quindi che tu capisca e comprenda i miei motivi :( :(.

Detto questo, ti ringrazio ancora di cuore per le tue puntuali e sempre immancabili recensioni :). Sono contentissima che sei sempre presente, anche a distanza di tanto tempo! Ti invio quindi un bacio enorme ed un enorme saluto, aspettando il tuo prossimo commento nel prossimo capitolo!

 

eleonora_96: Allora, vediamo. Hai detto che Bella è diversa? Mhh... mi interessa questa cosa; in che senso diversa? Non vorrei che a renderla diversa sia io, che sbaglio di scrivere! Eh eh! Ebbene sì, lui non sa che anche lei ricambia e non se lo può nemmeno immaginare! Lo so, sono cattiva. E poi, scusa, cosa vuol dire presto?! E' da almeno tre capitoli che se la sta menando con questo comportamento strano e finalmente ecco che lo dice! XD Bon dai, non ha ascoltato il dialogo tra Jacob e Edward, ma quello tra Bella e Jacob sì, che alla fine, credo sia stato anche peggio! :).

Spero quindi che anche questo capitolo ti sia piaciuto come il precedente, anche perché contiene una delle parti più importanti, forse la più importante, di tutto Eclipse. Anche grazie mille per le tue puntuali recensioni! :) Un grosso bacio anche a te!

 

X nes_sie: Sono contentissima che la scena della tenda sia stata all'altezza della situazione! E' difatti un passo importante anche nell'Eclipse originale. Quello che viene dopo poi, lo ammetto, non fa altro che risolvere e complicare le cose! Intendo la rivelazione e tutto il resto! E a proposito, mi dispiace, il bacio non è scappato ad Abigail, ma nemmeno a Bella, quindi poco male! Dispiace tantissimo anche a me non continuare più, soprattutto perché Renesmee sarà un fondamentale personaggio nella storia, che la cambierà radicalmente.

Nel frattempo ti faccio un grande saluto, aspettandoti anche alla prossima, se vorrai! :) Grazie ancora tantissimo per il commento! Un grande bacio!

 

X mylifeabeautifullie: Eh, eh! Domanda da un milione di euro. Lo dice nel capitolo precedente e lo ripete anche in questo: non può scegliere tra Bella o Abigail, perché in pratica è come rispondere alla domanda 'ti piace di più il gelato o la pizza?', in poche parole. Lui è innamorato di tutte e due e, pur sapendo di dover scegliere una della due, è terribilmente indeciso, anche perché Abigail rispetto a Bella non è affatto più semplice da conquistare, visto che è fermamente convinto che a Abigail lui non interessa proprio. Spero quindi che anche questo capitolo ti sia piaciuto e di esserti stata chiara :)! Un grosso bacio e alla prossima!

 

X Kianna: Non serve tanto aspettare! Tempo il giorno dopo lei lo sa già! XD Il fatto poi che Edward non glielo ha detto viene spiegato in questo capitolo (perché effetivamente anch'io avevo pensato a questa possibilità). Ah Ah Ah Ah! Esatto! E' più o meno anche quello che ho pensato io quando l'ho scritto! Peccato per il freddo, però, che ha fatto saltare tutto :(.Detto questo, ti ringrazio tantissimo per la recensione! :) Un Bacio!

 

X GiuliaMary: Mi fa felicissima il fatto che il dialogo della tenda rielaborato sia riuscito! E inoltre apprezzo immensamente il tuo appoggio e la tua futura e continua partecipazione alla mia fan fiction. Ti ringrazio di cuore. :) Ti mando un grosso bacio!

 

 

 

 

 

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Capitolo 23
*** Ventitreesimo Capitolo ***


Ventitreesimo Capitolo

 

 

Ventitreesimo Capitolo

 

 

Quella strana sensazione di gelo mi portò a realizzare che, ovviamente, non ero morta.

“Abi”

Subito dopo l’udito, ben presto riprese a funzionare anche la vista. Il viso perfetto e unico di mia madre mi guardava con un sorriso tremendamente dispiaciuto. Io le sorrisi automaticamente, facendo fatica a reprimere gli occhi lucidi. Provai a muovere le dita, per assicurarmi di aver il controllo di tutto il resto del corpo. Quando me ne assicurai, mi tirai su a sedere. Forse fui troppo veloce, perché la testa cominciò a girarmi e a pulsare violentemente. Evidentemente, in qualche maniera avevo battuto la testa.

I miei occhi incrociarono ancora quelli di mia madre, il cui sorriso ora splendeva e la rendeva un essere angelico. Fu inspiegabile la gioia che provai vederla lì, viva accanto a me.

“Come stai Abi?” mi sussurrò lei, attenta a non confondermi con suoni troppo forti. Io annuii freneticamente, convinta che se avessi pronunciato parola, sarei scoppiata a piangere.

Mi diedi una veloce occhiata attorno completamente spaesata. Rimasi immobile ad osservare Edward e Seth raccogliere pezzi di corpi bianchi sparsi per l’accampamento e la foresta. Erano quelli di Victoria e Riley. Feci un respiro profondo, completamente rilassata; mamma alla fine era venuta a salvarmi.

Un momento, Seth? Me lo ricordavo a terra, immobile, senza l’ombra di un respiro. Ora invece era tutto allegro e contento mentre gironzolava insieme ad Edward.
Sulla mia sinistra, invece, nell’esatta posizione in cui l’avevo lasciata, Bella osservava rigida e incredula prima i movimenti di Edward e Seth, poi i miei e quelli di mia madre, stringendo qualcosa nella mano non steccata. Dire che era scioccata era un eufemismo. Mi tirai su in piedi, con l’intenzione di vedere effettivamente come stava. Tuttavia, non appena ebbi un solido appoggio ai piedi, ricevetti un poderoso abbraccio da mamma. Quando si distaccò mi incorniciò il viso con le mani, come le piaceva tanto fare.

“Lo so, è tutta colpa mia, Abi” disse piano, la voce quasi rotta. “Avrei dovuto rimanere con te, non sarei dovuta andare con gli altri. Avrei dovuto immaginare che sarebbe successo questo. Sono stata troppo convinta e presuntuosa di poter arrivare da te qualsiasi cosa…” Guardavo allibita mia madre, incapace di fermare quel terribile mea culpa, che io non avevo mai per neanche un minuto pensato.

“Non è colpa tua, Sophie” intervenne all’improvviso Edward, mentre tirava fuori dalla tasca dei pantaloni un accendino a benzina. Le sue parole riuscirono a distrarre mamma.

“Cosa stai dicendo, Edward?” gli chiese guardandolo confusa. Lui mi lanciò un’occhiata poco amichevole.

“Avresti potuto terrorizzarti prima, Abigail” disse davvero irritato. “Victoria e l’altro vampiro erano qua già da un bel po’” continuò a spiegare a mamma. Incoerentemente, lei si sentì ancora più in colpa.

“Abigail, cos’è successo?” chiese in un sussurro, con voce tremante. Io la guardai ancora spaesata per quegli ultimi istanti in cui credetti davvero di morire. Anzi, erano stati così veloci che nemmeno mi ero resa conto di questa possibilità.

“Non lo so” risposi incerta. Quegli occhi davanti a me pieni di tristezza minacciavano di piangere, seppure non lo avrebbero potuto fare. Mia madre si limitò ad abbracciarmi ancora, appoggiando la testa sulla mia spalla.

“Abi” sospirò lei, tanto flebilmente da non poter distinguere il tono “E’ colpa mia se…” Io scossi velocemente la testa, mentre già sapevo quello che avrebbe voluto dire.

“No” la interruppi io, trovandomi ad accarezzarle la testa. “Tu hai avuto solo la colpa di voler fare da mamma alla tua bambina” dissi quasi soprapensiero. Lei rimase in silenzio, incastrando la testa tra la mia spalla ed il collo. Io continuavo ad accarezzarle i lisci e rossicci capelli, con il mento appoggiato alla sua testa. Alla fine di tutto, ero io a consolare lei.

Dopo alcuni secondi alzò la testa. Nei suoi occhi non era più rimasta alcuna traccia di tristezza o senso di colpa. Mi lanciava quel suo sorriso e lo sguardo che mi inviò, fu molto più eloquente di cento, mille parole; diceva di volermi bene.

“Sophie.” Edward interruppe questo splendido momento madre e figlia. A malincuore, i suoi occhi si staccarono da me.

“Per cortesia, potresti spostarti da Bella?” disse in tono cortese, cercando di compensare con la sua educazione l’interruzione di prima. Entrambe guardammo Bella.

“Oh” mormorò mamma affranta. Il secondo dopo fu accanto ad Edward. Osservai Bella confusa, cercando di individuare il motivo che aveva spinto mia madre a staccarsi così improvvisamente da me. Poi capii, vedendo il braccio di Bella mezzo insanguinato.

“Oh” ripetei anch’io. Bella, intanto, continuava stordita a mantenere gli occhi fissi su Edward.

“Abigail, per favore, toglile di mano quella pietra” mi ordinò lui. Senza neanche che mi accorgessi della pietra, Bella aprì la mano stretta a pugno e fece scivolare la pietra che teneva in mano.

Stranamente, Edward manteneva le distanze, le mani alzate e lo sguardo indeciso. Mi rifiutai di comprendere il suo comportamento e pensai piuttosto a cercare di far tornare Bella alla realtà.

“Ehi, Bella, è tutto finito! Io sono viva, Edward è vivo, siamo tutti vivi!” dissi prendendole entrambe le mani. Sfortunatamente, ero ancora in uno stato fin troppo confusionale per sembrare anche solo un minimo rassicurante.

“Non avere paura, Bella” continuò Edward “Non ti faremo del male” disse rimanendo immobile e cauto. Io mi girai verso di lui, per guardarlo confusa. Perché diavolo credeva che Bella la pensasse in questo modo?

“Andrà tutto bene. So che adesso hai paura, ma non ti succederà niente. Nessuno di farà del male” continuò imperterrito lui. Mia madre, decisa a dargli corda, le mostrò il suo dolce sorriso da mamma iperprotettiva, che solitamente usava esclusivamente con me.

“Perché continui a ripetermelo?” chiese allora Bella nervosa, alla faccia di Edward.

“Non hai…” disse indeciso lui “Non hai paura di noi?”

“Perché?” chiese Bella tesa. Fece alcuni passi in avanti, ma inciampò su qualcosa. Io, vicino a lei, riuscì a trattenerla appena in tempo. Accorciando totalmente le distanze, Edward si fiondò su di lei e l’afferrò, mentre Bella si lasciava andare in singhiozzi, stretta nel suo petto.

“Bella, scusami. E’ finita, è finita.” Mi avvicinai subito a mamma, lasciando anche a quei due un momento di felice riconciliazione.

A qualche metro di distanza intanto se ne stava tranquillo Seth. Per nulla stanco dal combattimento appena vinto, se ne andava avanti ed indietro, scodinzolando soddisfatto e fiero della vittoria. Quando si accorse che l’osservavo mi abbaiò felice. Quel suono richiamò l’attenzione di mamma, che si voltò automaticamente verso di lui. Fu quasi comica la scena, quando non appena gli occhi di mamma incontrarono quelli del lupo, Seth abbassò orecchie e coda e uggiolando si allontanò velocemente da lei. Poteva essere solo un’impressione, ma credevo che Seth avesse una paura micidiale di mia madre.

Allora mi attraversò come un lampo nella mente la consapevolezza che se adesso stavamo vivendo felici momenti di riconciliazione, forse non succedeva questo nella radura.

“E gli altri?” esclamai io, la voce fin troppo stridula.

“Stanno tutti bene. Anche giù è tutto finito. E’ andato tutto liscio” mi rispose Edward, rassicurando in questo modo anche Bella. Guardai agitata mamma.

“Quindi anche papà…”

“Sì, sta benone” mi assicurò mamma con un sorriso “Anzi, ha tolto il divertimento a più di qualcuno.” Mi sentii doppiamente rassicurata. La sensazione di sollievo che provai era indescrivibile, quando l’altro giorno pensavo che tutto avrebbe avuto un risvolto negativo.

“Perché pensavi che avessi paura di te?” insistette Bella, ripresasi del tutto, discostandosi solo di un poco da Edward.

“Scusami ancora, Bella” disse di nuovo terribilmente dispiaciuto “Non volevo che mi vedessi in questo modo. Ero certa di averti terrorizzato.” Ah bè, giusto, per lui ero io quella che si doveva terrorizzare il prima possibile. Sbuffai e mamma, quasi leggendomi nel pensiero, mi tirò una leggera gomitata alle costole per farmi smettere. 

“Davvero?” domandò lei, infine. Lui le prese delicatamente il mento, in modo da poterla osservare negli occhi.

“Bella, io stavo cercando di uccidere una creatura pensante a meno venti metri da te” Con un cenno di occhi indicò mamma. “E Sophie l’ha smembrata in neanche mezzo secondo. Non ne sei provata?” Bella in compenso, fece spallucce. Forse non era molto corretto, ma ci godevo tantissimo nel vedere che per una volta le preoccupazioni di quel paranoico infastidivano lei e sorprendevano lui per la sua reazione.

“In realtà, avevo paura per te e Seth.” si spiegò lei, giustificando il braccio sanguinato.

“Seth stava fingendo” disse scuotendo la testa. 

“Davvero?” esclamai io incredula.

“Davvero?” mi emulò Bella.

“Sì” affermò secco lui.

“Bhè, non lo sapevo” tentò di giustificarsi lei “Volevo cercare di aiutarvi.”

“Ah, già” continuò lui monocorde. “Il numero con il sasso. Mi hai fatto venire un infarto e ti garantisco che non è facile. Per non parlare del tuo intervento!” sbottò alla fine verso di me, mentre mamma mi guardava interessata. “Ehi, rossa, bei capelli!” Rimasi strabiliata per la sua voce, che imitò in modo così perfetto la mia. Mamma mi guardò sorpresa.

“Davvero?” mi disse in un sussurro impercettibile. Io annuì fiera.

“Però devi ammettere che ha funzionato alla grande” ribattei, compiaciuta almeno quanto Seth. Mamma vicino a me, tentò di trattenere una risata a fatica. Edward, invece, non volendo rispondermi, rimase in silenzio.

“Edward?” Il tono teso di Bella tornò a mettermi allerta. I suoi occhi sfrecciarono su mamma, che si irrigidì all’istante.

“Manca un minuto” mormorò Edward cupo. Mia madre annuì percettibilmente, mentre Edward fece un segno anche a Seth. Io e Bella osservavamo i nostri vampiri in silenzio.

“Cosa succede?” chiese alla fine Bella.

“Niente” rispose automaticamente Edward.

“Vorresti spiegarmi il significato di niente per cortesia?” chiese più irritata.

“Non c’è motivo di avere paura. Fidati, per piacere” le chiese con tono convinto. Bella annuì, sussurrando un ‘va bene’. Io non ero affatto convinta. Perforai con lo sguardo mamma, che rivelava un velo di preoccupazione in più di Edward. In risposta, mi accarezzò i capelli, dandomi un lieve bacio sulla fronte. 

“Fidati, Abi” si limitò a dire. A quel punto dovetti mettermi l’anima in pace anch’io. Edward lanciò ancora un’altra occhiata nervosa a Seth.

“Cosa sta facendo?” gli chiese. Seth rispose con un mugolio irrequieto. A quel punto anche mamma si tese di nuovo. Ci fu un lungo secondo di silenzio.

“No!” Il silenzio venne rotto dall’urlo di Edward. “Non farlo!” Si mosse improvvisamente, come per afferrare qualcosa di invisibile, mentre lo osservavo totalmente terrorizzata. Seth emise un ululato di dolore.

“Edward!” esclamò seria mamma. Nello stesso momento lui cadde a terra in ginocchio, la testa stretta tra le mani e un’espressione di dolore dipinta sul volto. Rimasi immobile, incredula e scioccata per la scena che stavo assistendo. Edward non si era mai comportato in quel modo. Bella lanciò un grido, facendosi immediatamente vicino a lui. 

“Edward!” gridò. Mamma scattò e si inginocchiò vicino a lui, tenendogli una mano sul collo ed una sulla fronte.

“Edward, cosa sta succedendo?” domandò più seria di prima, quasi severa. Edward aprì lentamente gli occhi e scostò delicatamente le mani di mia madre.

“Tutto a posto. Andrà tutto bene…” mormorò con uno sforzo enorme.

“Che succede?” urlò di nuovo Bella, mentre Seth continuava a ululare disperato.

“Andrà tutto per il meglio” continuò lui, come se fosse caduto in catalessi. “Sam, aiutalo!” urlò poi. Va bene, stava succedendo qualcosa nel branco di licantropi; Edward si era immedesimato nuovamente nella mente del branco. Scattò poi in piedi, così veloce che mamma dovette scansarsi.

“Seth” gridò. Il giovane lupo, ancora parecchio scosso, si slanciò nella foresta.

“No!” ordinò Edward “Tu vai dritto a casa. Adesso. Più veloce che puoi!” Seth sembrò non dargli alcuna retta, perché scosse la testa frenetico.

“Seth, fidati!” urlò di nuovo Edward, questa volta per rimproverarlo. Seth tentennò ancora per qualche secondo, prima di ripartire spedito, scomparendo dalla nostra vista.

“Cos’è successo, Edward?” riprese di nuovo mamma, questa volta più dolce.

“Non ora, Sophie” disse Edward, prendendo Bella tra le braccia. Le lanciò un’occhiata tesa “Stanno per arrivare.” Mamma comprese immediatamente quelle parole e mi caricò sulla schiena.

“Cosa sta succedendo, mamma?” le chiesi dietro di lei. Aspettò un attimo prima di rispondermi.

“I Volturi stanno arrivando” mi comunicò impassibile. “Alice l’ha visto stamattina, e ha informato i licantropi.”

Persi il respiro e mi vennero le vertigini quando, senza che me lo aspettassi, mamma partì. Quegli occhi rosso scuro, quei mantelli nero fumo, quella cattiveria nei loro occhi, il desiderio di vedermi morta mi ritornarono all’improvviso alla mente. Per lo spavento aumentai la pressione attorno al collo di mamma, che di conseguenza rallentò, per farmi riprendere.

“Non spaventarti, non sono venuti per noi, né per Bella” mi comunicò lei, continuando a procedere. Appoggiai la mia testa sul suo torace, in modo da sentire il rimbombo della sua voce contro le sue costole. “Vengono per ripulire i disastri come questo.”

“Che strano, solo ora” mormorai sarcastica, per quanto atterrita potevo essere. Tenni gli occhi chiusi per tutto il viaggio, mentre sentivo il vento scompigliarmi i capelli. Mia madre non rispose; era ovvio che, dopotutto, se l’esercito dei neonati avrebbe eliminato qualche Cullen, o qualche Adams, più di qualcuno a Volterra sarebbe stato contento.

“Dobbiamo presentarci a loro” continuò mamma, cupa.

“Dobbiamo?” domandai confusa.

“I Volturi hanno paura di noi, quindi siamo indispensabili per formare un gruppo unito” comunicò mamma. Certo, i Volturi avevano paura di noi, tanto quanto noi di loro.

“Bella poi è ancora umana.” Un brivido mi scosse la schiena. Giusto, la promessa. “Se si nascondesse, sarebbe peggio; con il loro segugio, la troverebbero subito. Dobbiamo essere presenti, affinché i Volturi non prendano decisioni affrettate.”

Non servivano tanti giri di parole: quello che voleva dire mamma era che i Volturi, vedendo Bella umana, l’avrebbero potuta direttamente uccidere. Tornai a tremare come una foglia, sicura ormai che quest’orribile avventura non aveva ancora raggiunto il suo termine.

“Non ti preoccupare per lei. Andrà tutto bene; Alice l’ha visto e tuo padre sa cosa fare” mi assicurò mamma, più tranquilla.

“E i lupi?” chiesi di nuovo più agitata.

“Se ne sono andati; i Volturi non avrebbero rispettato la tregua con loro” mi spiegò mamma paziente “Ora sono al sicuro” mi assicurò lei. Io rimasi in silenzio, lasciandomi trasportare in quella posizione tanto familiare quanto per un piccolo koala con la sua mamma, mentre lo stomaco ingarbugliato si snodava solo un poco, alla notizia che i licantropi erano al sicuro. In lontananza, una coltre di fumo si ergeva minacciosa verso il cielo.

“Oh” sbottò mamma.

“Cosa?” chiesi immediatamente io. Lei non mi rispose. Fece solo che peggio.

“Mamma” la richiamai io, più tesa.

“Ho capito quello che è successo prima” mormorò insicura lei “Edward lo ha appena detto a Bella.” Mi guardai attorno in cerca della figura di Edward, ma tutto quello che distinsi fu unicamente il fogliame confuso degli alberi.

“Qualcuno si è fatto male?” azzardai io. Rimasi in attesa con il fiato sospeso.

“Sì” mormorò mamma. “Ma si riprenderà” completò in fretta.

“Chi?” sbottai. Un altro secondo di interminabile attesa.

“Jacob.”

Mi strinsi ancora di più a mamma, iniziando a maledire e a lanciare una serie di pensanti insulti a quell’idiota. Come diavolo aveva fatto ad essere così pollo da essere stato l’unico a farsi beccare?! Nella mia mente lasciavo che gli insulti si susseguissero liberamente, ma sapevo che erano solo un modo poco efficace per reprimere l’immensa paura che mi attanagliava.

“Si riprenderà, non è grave” mi assicurò di nuovo mah’. Sfortunatamente, non servirono a niente quelle parole.

Il viaggio terminò. Scesi con difficoltà dalla schiena di mamma, ancora piuttosto scossa. Neanche posati i piedi a terra e papà fu subito accanto a me. Vedendolo mi risollevai appena. Mise una mano sulla mia testa per accarezzarmi, ma io non contenta mi presi tutto il corpo, cercando di stritolarlo in un abbraccio, trascurando il pubblico che ci circondava.

Poco distanti da me apparvero anche Edward e Bella.

“Davvero si riprenderà?” chiese Bella a Edward, non meno agitata di me. Quelle parole tornarono immediatamente a lanciarmi nel panico. Mi staccai da papà, per aspettare attenta il responso di Edward. A rispondere però fu Carlisle.

“L’abbiamo visitato io e Will” ci comunicò, serio ma rassicurante.

“Sta guarendo a velocità impressionante” intervene papà, subito dietro di me “Tuttavia prima di tornare completamente sano, dovranno passare alcuni giorni; quasi tutte le ossa della parte destra sono state sbriciolate.” Guardavo ipnotizzata papà, rabbrividendo alle ultime parole.

“Faremo il possibile per lui quando avremo finito. Sam lo sta aiutando a tornare umano, così sarà più facile per noi curarlo” continuò Carlisle. Accennò appena a un sorriso “Non ho specializzazioni in veterinaria.”

“Cosa gli è successo?” domandai, cercando di moderare il tono per essere comprensibile. Carlisle si fece serio. “C’era un altro lupo in pericolo.”

“Leah” intervenne Bella. Io ascoltavo attenta, cercando di capire cosa c’entrasse Leah.

“Sì. E’ riuscito a spostarla, ma non ha avuto il tempo di difendersi. Il neonato lo ha stretto in una morsa” rispose papà.

Sospirai e tornai ad arrabbiarmi; mi sembrava di essere stata chiara quando gli avevo proibito di fare l’eroe. Tuttavia, era probabile che senza il suo intervento sarebbe toccato a Leah adesso subire la stessa sorte, oppure peggio. “Sam e Paul sono arrivati in tempo, mentre lo portavano a La Push stava già guarendo.”

“Quindi guarirà del tutto?” domandò ansiosa Bella. 

“Sì. Non ci saranno danni permanenti” cercò di rassicurarla papà.

“Tre minuti” squillò Alice calma. Il suo monito mi riportò ancora con più orrore alla realtà.

I vampiri si riunirono attorno a me e a Bella, formando una sorta di semicerchio attorno al falò, dal quale ormai le fiamme erano coperte da uno spesso strato di fumo nero.

Jasper era il più vicino a quell’ammasso di fumo, dandoci la schiena e continuando distratto a grattarsi il braccio.

“Jasper sta bene?” chiesi a Edward, vicino a Bella.

“Sì. E’ il veleno che pizzica.” Sbarrai gli occhi.

“Lo hanno morso?” esclamò Bella impaurita. Jasper, che da quella distanza aveva ascoltato tutto, si voltò verso di noi.

“Scusami ancora, Jasper” gli disse papà, in tono dispiaciuto. Jasper si limitò ad alzare il braccio ‘sano’, come per dire che era tutto ok. Io lo guardai allibita.

“Perché lo hai morso?” gli dissi in uno strano tono di rimprovero.

“Non l’ho fatto apposta” mi spiegò immediatamente papà.

“Cercavano entrambi di essere ovunque, ed in un momento di scoordinamento è successo” spiegò Edward.

“Non è stato affatto divertente” si intromise Emmett, che per la prima volta lo vedevo sconsolato. “Hanno fatto tutto loro” brontolò. Bhè, se Emmett davvero non si era divertito, la battaglia era durata meno del previsto.

“Più che altro Jasper cercava di alleggerire il peso di Alice” continuò Edward con un sorriso.“Come se ce ne fosse stato bisogno.” Alice lanciò una linguaccia alla sua metà.

“Che sciocchino.” In risposta Jasper si voltò per farle un occhiolino, per poi ritornare immediatamente ad osservare qualcosa ai suoi piedi.

Allora mi accorsi perché Jasper si trovava proprio là e cosa stesse facendo; non tutti i neonati erano stati eliminati. Era una ragazza, raggomitolata accanto al fuoco. Era più giovane di me. Si stringeva le gambe al petto, come se temesse che qualcosa le potesse sfuggirle da dentro, mentre era scossa da convulsioni improvvise e temporanee. I lunghi capelli neri le incorniciavano il viso, e davano spicco alle iridi rosse, più intense di quelle di Riley, che guizzavano isteriche da me a Bella. Il suo viso era completamente distorto dalla sete e dalla rabbia anche solo per distinguerne i lineamenti.

“Si è arresa” spiegò Edward, tranquillo. Voltandomi per guardarlo, vidi che anche Bella aveva avuto la mia stessa reazione nel vederla. “Solo qualcuno come Carlisle avrebbe pensato di offrile la resa. Jasper non è d’accordo.”

La giovane vampira lanciò uno strillo acuto di dolore che mi fece accapponare la pelle. In risposta Jasper le ruggì contro; lei si tirò indietro e cominciò ad affondare le unghie nel terreno, dondolando agonizzante. Non avrei dovuto provare pena per lei, ma è quello che sentii. Di proposito, papà si posizionò davanti a me, in modo da togliermi dalla vista della vampira ed Edward fece lo stesso con Bella, ma io mi sporsi un po’ più in là per osservare la scena.

Carlisle affiancò Jasper, e posò la mano sulla sua spalla.

“Ci hai ripensato, giovane?” le chiese Carlisle, per nulla teso. “Non intendiamo eliminarti, ma se non riesci a controllarti, non potremo fare altrimenti.”  

“Come fate a sopportare?” urlò lei, con voce troppo infantile. Era in pratica una bambina. “Le voglio” mormorò a denti stretti, mentre i suoi occhi erano rivolti verso di noi.

“Devi sopportare” l’ammonì ancora Carlisle. La ragazza si prese la testa tra le mani e continuò a dondolare avanti e indietro. Quell’immagine mi spinse a compatirla ancora di più. 

Non le riuscivo a staccare gli occhi di dosso. Bella chiese qualcosa a Edward che non riuscii a capire, mentre la testa della giovane si rialzò di scatto, verso la mia direzione. Fu probabilmente quando capì che, essendo Bella coperta da Edward, il bersaglio scoperto ero io, che cominciò a fissarmi. Mi mostrava i denti, mentre continuava a scavare. Io non riuscivo ancora a rimanere impassibile. 

Ad un certo punto sembrò calmarsi; le sue labbra si chiusero leggermente ed i suoi lineamenti si distesero. Continuava a guardarmi, furiosa e assetata, ma questa volta anche curiosa. Era forse il colorito pallido della trasformazione, ma sembrava più piccola di quanto non fosse.

Non seppi perché, ma all’improvviso mi ricordò Bree. Rabbrividii al solo pensiero. Dovevo ammettere che non le assomigliava granché; i capelli avevano un taglio diverso, anche se il colorito era simile, mentre i lineamenti erano quelli di un vampiro, troppo diversi da quelli della mia amica. Tuttavia c’era un qualcosa, non sapevo esattamente bene cosa, ma…

Impossibile; lei non abitava a Seattle, lei era di… A dire il vero non mi aveva mai detto di dov’era.

La continuai a guardare fissa, questa volta non per osservare la sua agonia, ma in cerca di quel qualcosa che mi aveva spinta a credere per un attimo che fosse lei. Anzi, ancora adesso avevo l’orribile, impossibile e del tutto insensato presentimento che fosse lei.

Vidi Edward staccarsi velocemente da Bella e andare da Jasper. Quando la neonata la vide, iniziò a scavare nella terra più furiosamente, mentre tratteneva un ringhio tra i denti. Gli disse velocemente qualcosa all’orecchio, tanto piano che nemmeno mamma che lo guardava curiosa riuscì a capire.

Dopodiché Carlisle, Jasper ed Edward ritornarono verso di noi, mentre Emmett Rosalie ed Esme li imitavano. Crearono un fronte unito, con me e Bella al centro, le più protette. Il motivo di quei movimenti strategici mi costrinse a lasciar perdere per un attimo la vampira. Non riuscivo ancora a vederli; il centro della radura continuava ad essere riempito dal fumo nero e denso del rogo. A un mormorio proveniente dalla nebbia papà rispose con tono educato e freddo.

“Benvenuta, Jane.”

Emersero cinque sagome, che i mantelli grigio scuro confondevano col fumo. Riconobbi subito Jane dalla sua corporatura minuta e bassa. Man mano che si avvicinavano, anche il suo viso da marmocchia cominciò a rendersi visibile attraverso il cappuccio.

Non riuscii invece a riconoscere le quattro e imponenti figure che la seguivano. La più grossa immaginavo fosse quella di Felix, uno dei due primi vampiri che avevo avuto il piacere di conoscere a Volterra, nonché il primo che aveva avuto la possibilità di uccidermi quattordici anni fa. Quest’ultimo si abbassò il cappuccio e confermò le mie supposizioni, mentre faceva un occhiolino e sorrideva, non sapevo se a Bella o a me, o a entrambe. In risposta gli lanciai un’occhiataccia; oltre ad assomigliare fisicamente ad Emmett, per certi versi anche il suo comportamento mi ricordava il Cullen. Ciononostante, dietro a questo comportamento che poteva sembrare fin troppo arrogante, non mi trovavo affatto a mio agio e smaniavo dalla voglia che tutto questo fosse finito.

Jane, con una calma che fece sicuramente irritare papà, si soffermò ad osservare i volti dei Cullen uno per uno, non ponendo alcuna attenzione ai miei genitori o a me.

Fu quando i suoi occhi si posero per un attimo sulla neonata, ancora agonizzante per i nostri odori, mi ricordai di lei. Dopo averla nuovamente osservata, ebbi ancora la medesima sensazione di prima, che fosse realmente Bree.

“Non capisco” disse Jane, con la sua voce apatica.

“Si è arresa” le spiegò Edward, in risposta ai suoi pensieri. La Voltura lo perforò con lo sguardo.

“Arresa?”

“Carlisle le ha dato una possibilità” disse semplicemente, come se fosse un fatto normalissimo.

La mia gamba cominciò a muoversi convulsamente; un tic che mi veniva nei momenti di grande agitazione. Mio padre vicino a me si mosse impercettibilmente per coprirmi.

“Chi infrange le nostre leggi non merita seconde chance” rispose Jane severa. Non mi sarebbe mai passata la strana impressione di vedere una marmocchia dare ordini a destra e a manca.

“Sta comunque a voi decidere” intervenne Carlisle, gentilmente. “Non ha voluto attaccarci, quindi abbiamo rinunciato a eliminarla.”

“Ciò è irrilevante” mormorò Jane, indifferente.

“Come credi” rispose nello stesso tono Carlisle. Jane lo osservò per un altro secondo, per poi degnare dello primo sguardo anche mio padre e mia madre.

“Carlisle, William, Aro sperava che ci spingessimo tanto a ovest per incontrarvi. Vi manda i suoi saluti” ci comunicò fredda.

“Ti prego di portare i nostri a lui” rispose Carlisle, parlando anche per mio padre, che preferì rimanere in silenzio.

“Certamente.” Jane sorrise, falsa. Diede uno sguardo veloce al fuoco vicino a noi. “A quanto pare ci avete risparmiato del lavoro… almeno la maggior parte” disse, indicando la neonata. “Per curiosità, sapete dire quanti erano? Hanno seminato un bel po’ di terrore a Seattle.”

“Diciotto, lei compresa” le comunicò Carlisle. Jane alzò appena le sopracciglia, guardando ancora una volta il rogo. Ci fu un fugace scambio di sguardo che non mi piacque anche nelle retrovie, tra gli altri quattro vampiri di Jane.

“Diciotto?” ripeté, con voce più contenuta.

“Tutti neonati. Tutt’altro che esperti” specificò Carlisle, tenendo a semplificare l’impresa appena svolta. Davanti ai Volturi era meglio mostrarci meno imbattibili possibile. Tuttavia non ricavammo questo risultato.

“Immagino che sia stato piuttosto semplice grazie a William e a… Sophie” intervenne Jane, che a fatica era riuscita a pronunciare l’ultimo nome. I miei genitori continuarono a rimanere immobili. “Chi è stato a trasformarli?” riprese Jane, rivolta ora verso i Cullen, senza dare il tempo di rispondere ai miei genitori.

“Si chiamava Victoria” intervenne Edward.

“Chiamava?” ripeté Jane. Edward indicò la zona nord della foresta. Jane lo seguì con gli occhi, per osservare in lontananza una quasi invisibile colonna di fumo.

“Questa Victoria… era assieme a questi diciotto?”

“Sì, con lei ce n’era uno solo. Non era giovane come questa, ma aveva meno di un anno”

“Venti, allora” continuò Jane “Chi si è occupato di questa Victoria?”

“Io” rispose monocorde mamma. Jane le lanciò uno sguardo furioso, come se il suono della sua voce l’avesse terribilmente infastidita, ma non aveva il coraggio di usare il suo potere.

“La cosa non mi stupisce” mormorò a denti stretti. Mia madre continuò a rimanere in silenzio, impassibile. Dopo un ultimo sguardo truce, Jane si rivolse di nuovo verso la neonata.

“Tu” disse sprezzante, come per riversare tutta la rabbia per mia madre su di lei. “Come ti chiami?”

La neonata in risposta le lanciò uno sguardo ostile. Jane le rivolse un sorriso angelico.

L’urlo che la neonata lanciò mi fece automaticamente abbassare la testa, costringendomi a strizzare gli occhi e resistendo all’impulso di coprirmi le orecchie, e a quello di scappare. Le urla si fecero più forti; cominciai a tremare e serrai le dita in due pugni ben stretti per controllarmi. In soccorso arrivò immediatamente la mano di mamma sulla schiena.

Solo quando calò il silenzio ebbi il coraggio di alzare gli occhi. La neonata si trovava riversa a terra, il viso coperto dai capelli neri.

“Dimmi come ti chiami” ripeté Jane.

“Bree” mormorò lei insicura. Jane sorrise di nuovo e la serie di urli riprese.

Questa volta però erano più dolorosi e soffocanti. Ormai non riuscivo a trovare alcun compromesso con me stessa, ormai la convinzione che fosse Bree, la mia amica Bree, era lampante ed inevitabile. No, non era possibile, non ci volevo credere. La ragazza che in questo momento stava urlando, che stava soffrendo, che aveva sofferto, non poteva essere la mia amica Bree, no, non ci credevo.

Aspettai qualsiasi reazione di dolore da parte del mio corpo; lacrime, urli, pianti a dirotto, qualsiasi cosa. Rimasi invece totalmente impassibile, i battiti del mio cuore erano normali, il mio respiro regolare, i miei occhi perfettamente asciutti, il mio corpo rilassato. Ero totalmente calma, tanto che la vista della mia amica, mentre veniva torturata non mi procurava alcun effetto. Erano tutte reazioni assurde per essere naturali. In quel frangente i miei occhi si fondarono su Jasper, che ricambiò; era lui che tentava di reprimere il mio dolore e lo assorbiva in se stesso e lo sguardo che mi lanciò non fece altro che confermare le mie teorie.

In questa situazione in cui non ero succube delle mie emozioni e tutto ciò che mi rimaneva era solo la fredda razionalità dei miei pensieri, realizzai più velocemente la causa che aveva spinto Jasper a farlo: qualsiasi manifestazione da parte mia, avrebbe sicuramente attirato l’attenzione di Jane e ci avrei scommesso che, capendo che provavo dell’affetto per la mia piccola amica, l’avrebbe doppiamente torturata. Ma Jasper come sapeva… Edward. Ecco che cosa gli aveva detto poco prima. Lui lo sapeva fin dall’inizio che era lei.

In quell’istante le sue urla strazianti smisero.

“Ti dirà tutto. Non è necessario trattarla in questo modo” intervenne Edward in sua difesa, a denti stretti. Jane alzò gli occhi verso di lui, mentre sembrava sprizzare gioia da tutti i pori.

“Ah, lo so” affermò quasi contenta.

Tutto ciò che riuscii a fare fu pensare che quella era una viscida creatura. Sarebbe stato fin troppo naturale sentirmi terribilmente incazzata, ma questa volta non successe. Mi sentivo a disagio a non provare alcuna emozione. Sentivo che una libertà mi era stata privata e contemporaneamente la mia parte razionale mi convinceva che era meglio così. Riuscivo solamente a pensare che non era giusto, non era giusto che Jane trattasse in quel modo orribile Bree e non era giusto che lei fosse stata tramutata in una vampira. 

“Bree” continuò Jane, fredda “E’ vera questa storia? Eravate in venti?” Bree stramazzava a terra, con il respiro pesante, provata da quella tortura.

“Diciannove o venti, forse di più, non lo so!” Si allontanò, per paura che una risposta così imprecisa le recasse altro dolore. La sua voce anche se più melodiosa, ora mi ricordò terribilmente quella della mia amica.

“E questa Victoria? E’ stata lei a trasformarti?”

“Non lo so” ripeté, tremando. “Riley non ce lo ha mai detto. Quella notte non ho visto niente… era buio… e faceva male.” Non era giusto! “Diceva che non dovevamo pensare a lei. Diceva che i nostri pensieri erano spiati…”  Gli occhi di Jane incrociarono quelli di Edward, per poi tornare immediatamente su Bree.

“Raccontami di Riley. Perché vi ha portati qui?”

“Riley ci ha detto che dovevamo eliminare gli strani occhi-gialli” balbettò svelta la mia amica. “Ha detto che sarebbe stato facile, che la città era loro e che presto se la sarebbero ripresa. Dovevamo distruggerli, così il sangue sarebbe stato nostro. Ci ha fatto sentire i loro odori” disse indicando me e Bella.

“Ha detto che li avremmo riconosciuti, perché stavano con loro. Ha detto che il primo che le trovava, poteva averle per sé.” Perché Bree parlava di me in questo modo, come se fossi solo una pietanza? Forse non mi aveva riconosciuta? Forse mi aveva riconosciuta, ma adesso io non ero nient’altro che un qualcosa di invitante?

Sentii Edward innervosirsi vicino a Bella. Gli lanciai una muta supplica, pregandolo di fare tutto il possibile per salvare la mia amica, essendo esclusivamente lui l’unico cui potevo rivolgermi.

“A quanto pare Riley si è illuso che fosse così facile” commentò Jane. Bree annuì agitata, sollevata che Jane avesse smesso.

“Non so cos’è successo” si giustificò “Ci siamo divisi in due gruppi. Poi Riley ci ha abbandonati, senza tornare per aiutarci, come ci aveva detto. Poi c’è stata solo confusione, e tutti sono morti” concluse tremando.

“Ho cominciato ad avere paura. Volevo scappare. Lui” ed indicò Carlisle “mi ha detto che se avessi smesso di combattere, non mi avrebbero fatto niente.”

“Ma non toccava a lui farti un tale dono, ragazzina” la interruppe Jane con dissenso. “Chi infrange le regole merita una punizione.”

Ormai avevo imparato quale fosse questo genere di punizione. Bree era ignara di tutto e non si rese conto di ciò che voleva far intendere Jane. Un impulso improvviso mi spinse ad intervenire. Aprii la bocca per dire qualcosa, ma non uscì alcun suono; la voce mi era morta in gola. Il mio corpo non collaborava, addormentato nell’illusione che non stava succedendo niente che non andasse.

“Siete sicuri di averli eliminati tutti? Anche l’altro gruppo?” chiese Jane a Carlisle.

“Anche noi ci siamo divisi” affermò Carlisle. Jane accennò a malapena a un altro falso sorriso.

“Non ho mai visto nessuna famiglia uscire illesa da un attacco simile” ammise Jane monotona “A parte la tua, William” disse, mentre tentava di mantenere un tono piatto, rievocando ricordi piuttosto imbarazzanti per la potenza dei Volturi. Dietro alle sue spalle sentii altri mormorii.

“Con un potere come il vostro, sono abbastanza sicura che avreste risolto il problema brillantemente anche da soli” continuò, quasi sprezzante. “Ho sentito dire che in passato hai compiuto gesta molto più valorose, William, mi deludi" biascicò, sicuramente riferendosi alla Guerra del Messico a cui aveva partecipato papà.

“L’inerzia è nemica della pratica” si limitò a rispondere lui educato, mentre dietro alla schiena stringeva i pugni.

“Comunque” riprese Jane cambiando immediatamente discorso “Sapete cos’è stato a scatenarli? E’ un comportamento eccessivo, considerato il vostro stile di vita. Suppongo che la ragazza c’entri qualcosa” azzardò, soffermandosi per un istante su Bella. Automaticamente voltai la testa verso di lei; guardava Jane immobile.

“Victoria aveva un conto in sospeso con Bella” si affrettò a rispondere Edward. Jane emise una dolce quanto falsa risata infantile.

“A quanto pare, non solo la vostra… umana scatena forti e strane reazioni in noi” disse guardandomi di sottecchi. Io non riuscii a provare niente. “Ma anche la ragazza sembra non essere da meno” commentò sorridendole.

“Non farlo, ti prego” mormorò teso Edward. Jane scoppiò di nuovo in una stridula ed acuta risatina.

“Stavo sono ricontrollando. Sembra che non le abbia fatto alcunché.” Edward si mosse impercettibilmente verso di Bella.

“A questo punto, non ci resta molto da fare” continuò Jane, secondo le formali frasi di congedo. Se ne stavano per andare e fremevo all’arrivo di quel momento. “Non capita spesso di essere inutili. È stato un peccato esserci persi il combattimento; doveva essere divertente.”

“Sì” tagliò corto Edward. “Se sareste arrivati mezz’ora prima, avreste potuto compiere il vostro dovere.” Jane guardò fisso Edward per alcuni istanti.

“Davvero un peccato che sia andata così.” Altroché; intuivo pure io che, seppure non sapessi leggere i pensieri, bene o male Edward aveva avuto ragione: i Volturi sapevano già di questa storia e avevano preso la palla al balzo per farci togliere di mezzo senza sporcarsi le mani.

Jane si voltò di nuovo verso Bree. Il potere di Jasper stava facendo ancora effetto. Lasciala stare, lasciala stare.

“Felix?” mormorò annoiata.

“Aspetta” la interruppe subito Edward. Jane lo guardò, leggermente stizzita, mentre quest’ultimo si rivolgeva  a Carlisle. “Potremmo spiegarle le regole. Sembra essere desiderosa di imparare. Non sapeva cosa stava facendo.”

“Saremmo disposti a dichiararci responsabili di Bree” sostenne Carlisle Edward.

Io più di tutti, credevo, desideravo che le parole di Edward e Carlisle venissero prese davvero in considerazione. Ma, già in partenza, sapevo che con la gente con cui avevamo a che fare, era impossibile.

Jane sfoderò un’espressione divertita e contemporaneamente incredula, felice davanti alle richieste di pietà.

“Non facciamo eccezioni” rispose insensibile “E non diamo seconde possibilità. Il che mi ricorda…” si interruppe. Tornò ad osservare Bella, lieta. “A Caius farà piacere sapere che sei ancora umana, Bella. Potrà decidere di farti una visita.” No, non anche Bella.

“La data è decisa” intervenne svelta Alice “E’ probabile che saremo noi a farvi visita.” Alla risposta tempestiva di Alice, Jane dovette cambiare discorso.

“E’ stato un piacere conoscerti, Carlisle. Pensavo che Aro avesse esagerato. Alla prossima, quindi…”

Carlisle annuì teso. Il momento di andarsene era arrivato, e io non vedevo l’ora che Jasper mi ritornasse le emozioni. Anzi, forse era meglio di no.

“Occupatene tu, Felix” disse Jane, annoiata “Voglio tornare a casa.”

Mio padre si mise davanti a me. Mi obbligò ad appoggiarmi al suo petto, mentre con le mani mi tappò le orecchie; avevo capito a cosa si stava riferendo. Non servì granché. Sentii il ringhio di Felix, sentii le grida stridule e troppo acute di Bree. La mia amica smise di gridare presto. Poi si susseguirono orribili rumori di spaccature.

Davanti a tutto questo, io continuavo a rimanere calma e indifferente. Il mio unico e duro pensiero, vuoto, animato da nessuna emozione, era il fatto logico che non era giusto. Tuttavia, il mio corpo riuscì a ribellarsi un minimo dai poteri di Jasper, quando una lacrima fuori controllo mi rigò il viso perfettamente rilassato.

“Venite” annunciò Jane.

Papà si staccò da me, solo quando i cinque Volturi se ne furono andati silenziosi. Le sue mani fredde dalle orecchie mi circondarono le guance obbligandomi a guardarlo negli occhi. Sentii la rinnovata puzza di fumo, e per poco non percepii l’odore della mia amica.

“Tutto bene, Abi?” mi chiese in un sussurro. E mi guardò con quegli occhi di tristezza, dolore, angoscia e paura, che entrambi i miei genitori avevano quando erano preoccupati per me. Quando credevano di aver fatto la scelta sbagliata tenendomi con loro. Io annuii e la calma che mi pervadeva mi permetteva di fare l’accenno di un sorriso che per quanto falso, pareva essere convincente per i miei genitori.

Mi voltai immediatamente verso Edward, per evitare di prolungare quello sguardo e di subire quello di mia madre, che mi cingeva le spalle dietro di me. Edward, che si era abbandonato ad un abbraccio con Bella, ricambiò.

Gli chiesi mentalmente di pregare Jasper di trattenermi le emozioni ancora per un po’, fino a quando non sarei giunta a casa, dove in camera mia, da sola, avrei potuto darne sfogo.

I miei genitori non avrebbero dovuto sapere niente di questa storia; ce l'avevano con se stessi per non essermi stati vicini quando Victoria ci aveva attaccati e non volevo che si sentissero ulteriormente in colpa. Edward acconsentì di farmi questa cortesia, lasciando per una manciata di secondi Bella, per parlare in segreto con Jasper.

 

Dopo che i Volturi se ne furono andanti, anche noi andammo immediatamente a casa, lasciadoci alle spalle il massacro appena accaduto. Jasper, per mia fortuna, tenne duro fino alla fine, seppure era visibile dal suo viso il muto sforzo cui era sottoposto. Pertanto, non vedevo l’ora di andare a casa e rintanarmi sotto le coperte, a piangere e a consumare almeno in parte il dolore che mi avrebbe tanto afflitta.

Arrivati a casa l’ultima cosa che mi rimaneva da fare era cercare di rimanere sola; con papà non c’era problema, visto che insieme a Carlisle andò immediatamente a La Push, per via di Jacob.

Con mamma dovetti stare un po’ di più; anche con il potere di Jasper aveva ovviamente capito che c’era qualcosa che non andava, voleva che glielo dicessi, e io le continuavo a dirle che non c’era niente, che stavo bene, ma che ero stanca e volevo dormire. Capì immediatamente che la verità era che volevo stare da sola; adoravo la mia mamma comprensiva.

Quando mamma uscì dalla mia stanza, sentii il potere di Jasper mollare lentamente la presa su di me. Ciononostante, fu un colpo durissimo da incassare. Le emozioni fluirono veloci, tutte improvvisamente. Credetti che se fossi stata in piedi, mi sarei accasciata a terra. Mi strinsi come in una gabbia tra le lenzuola e seppellii la testa sotto il cuscino, cercando di reprimere il suono delle lacrime. Ben presto le emozioni condizionarono irrimediabilmente anche il modo di pensare.

Piangevo, piangevo, e continuavo ancora a piangere per Bree. Al ricordo della sua voce, piangevo, delle sue agonie, piangevo, del modo orribile in cui era morta, piangevo. E ancora cercavo di illudermi e di convincermi che non era lei, che era impossibile che fosse stata proprio lei. Ma era lei, la stessa con cui avevo diviso una fantastica estate, la sola che riusciva a battermi nelle gare di apnea, quella che detestava da morire i miei vestiti. La persona che adesso era morta.

Ed ero anche arrabbiata, perché i Volturi l’avevano uccisa. Perché se Carlisle non le avesse dato clemenza, qualcun altro l’avrebbe uccisa, forse anche mia madre, perché era diventata solo un neonato che dava disturbo. 

Solo allora mi accorsi di un’orribile rivelazione, che mai prima mi aveva sfiorato; i neonati che i Cullen e la mia famiglia avevano ucciso, erano state delle persone. Potevano continuare ad essere delle persone, esattamente come gli splendidi abitanti di questa casa, invece erano stati privati della vita contro la loro volontà, erano stati usati come dei burattini, per poi morire.

E non solo; mi stupii anche della considerazione che avevano avuto i Cullen e i miei genitori, dell’obbligo che rappresentava la battaglia, l’unica possibile soluzione. Come se dal momento in cui erano stati trasformati in vampiri, l'unica cosa che potevano fare con loro era quella di ucciderli tutti. Ma... molto probabilmente, erano già morti prima, quando erano stati trasformati in vampiri, privati della loro umanità e catapultati in un mondo assurdo e spregevole.

E mi sorpresi nuovamente di quanto potesse diventare totalmente opposta la visione di questo mondo, se dall’altra parte c’era ad aspettarti qualcuno che provava amore per te, un sentimento che la maggior parte dei vampiri era costretto a rinunciare.

Sentii la porta aprirsi e mi zittii all’istante. Stavo cercando di fare il meno rumore possibile, ma dovevo immaginare che qualcuno avesse sentito. Aprì la porta e silenzioso lo sentii appoggiarsi al materasso del mio letto. Senza dire una parola, sentii la sua mano sulla mia spalla, sopra la coperta. Era la mano di papà; feci scivolare al di fuori la mia per afferrarla.

“Sono io.” La voce di Edward mi fece sobbalzare. Staccai all’istante la mano dalla sua e mi tirai fuori dalle coperte guardando allibita. Mi guardava serio, gli occhi dorati stranamente più grandi del normale, mentre disinvolto appoggiava la schiena sulla parete-finestra dietro di sé.

Davanti alla sua presenza, smisi immediatamente di piangere, troppo orgogliosa per farlo davanti a lui, ma non così tanto da farmi vedere con gli occhi rossi e lucidi. Anche perché, lui sapeva tutto, quindi tanto valeva.

“Mi dispiace per com’è andata” iniziò, sincero. Io tirai su con il naso, prima di rispondere.

“Non è colpa tua” gli risposi rauca, scuotendo sommessamente la testa. “Piuttosto, grazie per aver fatto qualcosa per… lei. E ringrazia da parte mia anche Jasper.”

“Lo farò” si limitò a dire lui. Passarono un paio di secondi, prima che riprendessi.

“Mi ha riconosciuta?”

“No, non ti ha riconosciuta” mi assicurò Edward. Bhé, meglio così. L’ultima cosa che avrei voluto era sentire le sue grida chiamare il mio nome mentre Felix la stava squartando. Un brivido mi scosse tutta e con difficoltà si placò. Edward iniziò a parlare. 

“I tuoi genitori ti vogliono troppo bene; hanno cercato di difenderti e proteggerti dai pericoli del nostro mondo fino ad ora. E devo constatare che ci sono riusciti perfettamente.” La sua voce era melodiosa e dolce e il tono ero lo stesso che aveva usato poco prima, durante la conversazione con Riley, ma allo stesso tempo sembrava totalmente diverso.

“Ma così funzionano le cose, Abi. Questa è la nostra realtà, purtroppo” concluse, leggermente freddo. Io annuii sommessamente. Aveva completamente ragione; non conoscevo proprio niente dei vampiri. Fino a quel momento mi ero vantata con me stessa di sapere tutto di loro. Ma fin’ora avevo visto con i miei occhi solo il lato buono, non quello cattivo, di cui non mi ero mai resa conto, che avevo solo sentito, sia dai miei genitori, sia dalle leggende dei Quileute, sia dal breve incontro con i Volturi.

“Ti ringrazio per esserti messa in difesa di Bella” continuò, preferendo cambiare argomento. “Non eri costretta, ma l’hai fatto comunque.” Feci spallucce e stetti zitta. Ad essere sincera quello era stato tutto istinto. 

“Ti ringrazio di cuore” disse con tono profondo, realmente grato. Io, imbarazzata da tutte quelle attenzione, ritornai a fare spallucce, come se fosse stata la cosa più naturale di questo mondo.

“Vorrei però chiederti una cosa, posso?” continuò interessato, cambiando ancora discorso e facendosi più vicin “Cos’è che vedi negli occhi dei tuoi genitori?” Io rimasi zitta.

“Scusa, sono stato troppo indiscreto” disse scuotendo la testa. Non era esattamente quello il motivo per cui stetti zitta; non gradivo l’idea che qualcuno ci stesse a sentire.

“No, non c’è nessuno in casa” mi rassicurò Edward.

“Paura, angoscia e dolore” recitai quasi a memoria. Presi un respiro profondo prima di affrontare questo argomento; non ne avevo mai parlato con nessuno, ma mi metteva a mio agio farlo con un vampiro come Edward. 

“Qualche volta mi rivolgono quegli sguardi che mi ossessionano. Hanno irrimediabilmente paura che io diventi un vampiro, che sia una di voi, ne sono certa. Che viva la vostra vita. So che soffrirebbero se lo diventassi, anche se mi hanno sempre dato libera scelta a riguardo. Non vogliono che condivida con loro il lato più pericoloso di essere un vampiro” gli spiegai guardando un punto indefinito nel letto, cercando inutilmente di mantenere un tono più distaccato possibile. Appunto, non volevano che condividessi con loro il lato più pericoloso di essere un vampiro e dopo questa giornata, sapevo perfettamente il perché la pensassero in questo modo.

“Mi hanno fatto capire che la vita di un vampiro è un vero inferno. Una vita piena di rimorsi, sensi di colpa, ulteriori paure, anche se solo oggi ho capito cosa intendessero realmente. Non è così?” domandai per chiedere conferma, con la voce ormai tremula.

“Sì, è così” mormorò Edward.

“Non sopporterei l’idea di vedere in quegli occhi paure ed angosce realizzate. Non sopporterei di essere la causa del dolore dei miei genitori. Farei qualsiasi cosa per non farli agonizzare. E se restare umana e vivere la mia vita senza di loro, per infine morire li renderebbe più felici, per me va bene” conclusi. Edward rimase zitto, concentrato sulle mie parole. Era uno dei principali motivi, anche se non l’unico, per cui non volevo diventare un vampiro e rivelarlo per la prima volta a qualcuno che non si permetteva di giudicarmi, mi rese ancora più contenta della mia scelta di averglielo rivelato.

“Loro vogliono che debba restare umana, vero?” continuai io.

“Sì, è quello che pensano” continuò Edward, limitandosi a confermare quello che io sapevo benissimo già prima.

“Anche se io…”

“Sì”

“Pensi la stessa cosa per Bella?” continuai io, seria e a mio agio con il mio confidente.

“Sì” sussurrò lui, malinconico. “Anch’io lo penso, Abi. I pensieri dei tuoi genitori su di te non sono così diversi dai miei su Bella” continuò con aria stanca. Senza rendersene conto, mentre parlava aveva afferrato Chef e se lo stava studiando distrattamente.

“Anch’io non voglio che condivida i miei stessi tormenti e le mie stesse paure. E non mi importa proprio niente se invecchierà e io no. Ho cercato di spiegarglielo, ma sembra non voler capire.” Scossi immediatamente la testa.

“Per voi è diverso. Entrambi guadagnerete molto più di quanto perderete, lei in maniera particolare. Entrambi riuscirete a superare il lato difficile di essere un vampiro, insieme” diss’io più convinta. “Lei nei tuoi occhi vede solamente l’eterna felicità, la sua intera esistenza. E non perché sia ceca, ma perché quando la guardi…” mi fermai per un lungo momento, osservando fisso gli occhi dorati di Edward. “Tu hai non gli stessi occhi dei miei genitori” mormorai.

Ricambiò lo sguardo che gli avevo lanciato. Mi permise così di studiare i suoi occhi con maggiore attenzione e mi convinsi di quello che gli avevo appena detto. Mi fece un sorriso appena accennato.

“Io, invece, non amo i miei genitori come Bella ama te” continuai in un sussurro “D’altro canto è risaputo che l’uccellino prima o poi deve lasciare il nido” dissi con un tono di falsa allegria. Detestavo quella frase; mi riportava a brutti ricordi.

Restammo in silenzio per un po’, io a riflettere sul mio futuro, Edward a giocherellare distratto con Chef, perso nei suoi pensieri, o probabilmente nei miei. Fu Edward a rompere il silenzio.

“Abi.” Aspettò ancora un attimo prima di concludere “Sappi che ti stimo moltissimo per la tua scelta” mi disse con una serietà estrema. Ecco, lì capii che stavo ascoltando i miei pensieri. Mi venne spontaneo sfoderargli il mio sorrisino sghembo.

“Grazie Edward” gli risposi sincera “Lo considero un gesto importante, da parte tua.”  Calò di nuovo il silenzio. Non era uno di quei silenzi imbarazzanti, dove nessuno aveva qualcosa da dire. Con Edward in silenzio ci stavo bene.

“Ah, grazie” s’intromise lui, divertito. Io sbuffai innervosita; ci stavo bene, eccetto quando faceva così.

Non potevo dirmi di essermi ripresa del tutto da quello che era appena successo, ma la compagnia di Edward ebbe l’effetto miracoloso di rilassarmi almeno un pò.

“Oddio!” esclamai io all’improvviso “Non sei con Bella?! Cosa è successo?!” chiesi fin troppo esagerata. Lui sbuffò innervosito.

“E’ da Jacob” rispose lui a tono, del tutto a suo agio per l’argomento. Quel nome mi riscosse; giusto, Jacob. Chissà come stava adesso. Appena sentii quel nome, il bisogno che doveva essere saziato di andare da lui si impossessò di me.

“Se vuoi ti posso portare io” mi propose lui “Devo comunque andare a prendere Bella.” Lo guardai interessata ed accettai la proposta con vero piacere.

“Avverti tu mia madre?”

“Certo. Però…” disse, alzandosi dal letto ed indicandosi la schiena. “Io opterei per il mezzo più veloce e meno reperibile” disse indicando con il pollice la sua schiena. Io gli sorrisi.

“Vada per quello” gli risposi soddisfatta.

 

Edward era decisamente molto più veloce di mamma e arrivammo a La Push in un baleno. Trovai il branco di licantropi accampato appena fuori dalla porta della piccola casetta, visto che dentro non ci stavano tutti. Non appena videro Edward non gli risparmiarono occhiate di disgusto o peggio ancora, ma non fiatarono alla sua presenza: a causa di Jacob avevano sanzionato una temporanea tregua con i vampiri, in modo tale che Carlisle e mio padre potessero aiutare Jacob.

Bella era fuori con loro, in attesa di Edward. Non sapevo se era da ricercarsi nell’avventura appena vissuta, o dal dialogo appena avuto con Jacob, ma aveva un aspetto distrutto e orribile, un misto tra il senso di colpa e la disperazione. Non cambiò espressione nemmeno quando mi vide. Mi fu troppo istintivo pensare che l’incontro appena avuto con Jacob avesse contribuito grandemente alla sua condizione.

“Ciao” mormorò. La sentii appena. “Vuole parlare anche con te.” Evitava di incontrare il mio sguardo, osservando fisso il terren, come se si sentisse a disagio con me, o provasse vergogna per se stessa, non riuscii bene a distinguerlo. Annuii appena, mentre lei mi superava per andare verso Edward, dietro di me. Io e lei prossimamente avremmo dovuto fare un lungo discorso chiarificatore, ma per il momento, dovevo pensare a Jacob.

Entrai nella piccola casetta deserta e mi diressi dritta verso la camera di Jacob. Non sapevo perché, ma avevo qualche presentimento su ciò che mi volesse dire. E nonostante questa previsione, non avevo ancora la più pallida idea di cosa potergli rispondere. Mi fermai sul ciglio della porta chiusa. Involontariamente, iniziai a tremare. Cosa dovevo fare? Come dovevo reagire dopo che…

“Abigail, entra! Con la tua camminata da elefante ti si sente da un chilometro!” La voce di Jacob, oltre la porta, era sfacciata come sempre. Aprii la porta con un sorriso.
Si trovava disteso nel suo lettino microscopico, immobile, con tutta la parte destra fasciata. Mi fece una strana sensazione vedere il ‘colosso Jacob’ in quelle condizioni. La sua faccia però era rimasta sempre la stessa.

“Sei un grandissimo sfigato” gli risposi, vendicandomi della ‘camminata da elefante’.

Lui sogghignò “Puoi dirlo forte!” esclamò, alzando gli occhi al cielo. “Prima mi faccio spiare, facendo una grandissima figura di merda con te. Poi sbaglio posto e lascio a Seth tutta la gloria. Poi ancora, Leah decide di dimostrarci la sua innata bravura e l’idiota che la salva sono io.” Mi guardò intensamente, con un sorrisino sarcastico stampato sul viso. “Hai ragione; sono uno sfigato.” Dopo un paio di passi arrivai al bordo del letto, dove mi inginocchiai.

“Io ti avevo detto niente eroismi” lo rimproverai io. “Ma tu non mi ascolti mai.”

“Sì, forse hai ragione, dovrei ascoltarti più spesso” concordò lui, piuttosto serio.

“Finalmente” sussurrai io con sollievo.

Scese per un attimo il silenzio e la rilassatezza che mi aveva dato quello breve scambio di battute con Jacob svanì.

Ero io la prima a dire che le cose che prima iniziano, prima finiscono, ma in quel momento, non ero affatto di quel parere. Persi tutto il coraggio che avevo per affrontare la conversazione a cui non ero affatto preparata ed attaccai a parlare d’altro, impegnandomi a non dare spazio al silenzio.

“Vedo che stai bene” osservai indicandolo. “Nella mia mente ti immaginavo in fin di vita” dissi con sarcasmo, per nascondere la tensione. A differenza mia Jacob era del tutto rilassato. Chissà, forse rischiare di morire cambiava terribilmente la prospettiva delle cose. 

Lui rise sereno. “Non ti concederei questa soddisfazione. Comunque sì, sembra andar meglio. I dottori Canino e Dracula non conoscono la dose giusta di antidolorifici da darmi, così vanno a tentativi.” Anche lui ora stava usando il sarcasmo, ma non aveva niente da nascondere. O forse sì? Mi rivolse il suo candido sorriso e mi fu automatico sorridere anche a me.

“Ti hanno riempito come una botte” continuai, dando una risposta alla sua completa staticità.

“Esatto. Almeno non sento dolore” mi rispose lui. Smise all’istante di sorridere e vidi i muscoli del collo tirarsi.

“Tu come stai, invece?” mi chiese a denti stretti “Ho visto che quel succhiasangue…”

“Sono viva, no? E’ tutto ok” mi affettai a rispondere. Non era il caso per Jacob di infuriarsi; se non stava fermo avrebbe potuto danneggiare la guarigione. Tentai allora di cambiare argomento, ma feci una terribile gaffe.

“Allora, di cosa volevi parlarmi?” domandai troppo istintivamente. L’istante successivo mi diedi della deficiente; come avevo potuto porgli proprio la domanda che volevo evitare?! Ero stata tanto impulsiva che avevo sparato la prima cosa che avevo in mente, ovvero quello che volevo schivare, oppure il mio subconscio mi stava tirando dei brutti tiri? 

“Non fare la finta tonta. Lo sai di cosa voglio parlarti” mi rispose lui serio. Fece un respiro profondo e chiuse gli occhi.

“Mmh…” mugugnai io, che a fatica riuscii a camuffare la tensione. Nonostante mi fossi data la zappa sui piedi, tentai ancora e vanamente di temporeggiare.

“Non avrei dovuto spiarvi. Mi dispiace, ho fatto la figura dell’impicciona.” Con mia sorpresa, lui si mise a ridere.

“No, hai fatto bene, invece. Non sarei mai riuscito a dirtelo in faccia.” Riaprì gli occhi verso di me, con espressione dispiaciuta. Tentai ancora di sviare, ma a questo punto farlo lo rendeva un’azione piuttosto squallida.

“Devo però dire che tu ti sei comportato da vero stronzo, a dire a Bella tutte quelle finte minacce di morte” lo rimproverai io. Lui sospirò pesantemente.

“Lo so, lo so” brontolò lui, gli occhi verso il soffitto. “L’ho già capito, non serve che tu mi faccia la predica.” La sua serietà mi convinse a non continuare a girare il coltello nella piaga.

Non fui abbastanza veloce e Jacob si approfittò della pausa di silenzio prima di me.

“Volevo chiederti cosa ne pensi.” Di cosa, sembrava troppo implicito. Bene, eravamo arrivati alla fine dei conti. Lo guardai, cercando di rimanere inespressiva. Avevo i suoi scuri occhi indagatori addosso, in attesa della mia risposta.

E adesso, cosa avrei dovuto rispondere? Avrei, o no dovuto dirgli che anch’io lo ricambiavo? Confessarglielo, non avrebbe complicato di più le cose?  In realtà, avevo il terribile timore che Jacob scegliesse me, solo perché io ero disponibile, perché io ero ‘più facile’. Non lo avrei sopportato, anche se Jacob aveva detto chiaro e tondo a Bella che non era così. Riuscivo a crederci poco, visto che il suo primo amore era quasi irrimediabilmente perso; tanto vale accontentarsi del secondo, no?

Non riuscivo a fidarmi di Jacob. No, non di Jacob in sé, ma del suo amore per Bella. Fu così che non glielo dissi.

Cosa avrei potuto rispondere ora? Stavo prendendo troppo tempo e Jacob chissà cosa avrebbe pensato vedendomi così tentennante. Così analizzai la domanda che mi aveva fatto, decisa a dirgli unicamente quello che mi aveva chiesto, niente di più o di me.

“Diciamo che ne sono rimasta esterrefatta” dissi con un sorriso sforzato. “Non ci sarei mai arrivata da sola, che la causa del tuo dramma fosse questa.” Mi stupii della straordinaria sincerità che stavo dimostrando.

“Almeno in qualcosa sono stato bravo” mormorò, più a se stesso che a me.

“Posso sapere da quanto?” A differenza di ciò che avevo fatto fin’ora, questo glielo chiesi perché la cosa mi incuriosiva realmente. E poi, certo, l'attenzione passava da me a lui. Mi guardò fisso, con un sorriso rassegnato.

“Tanto vale. La figuraccia l’ho già fatta. Non mi costa niente dirtelo.” Poi cambiò espressione. “Però non ti arrabbiare. Non ti piacerà” disse temendo il peggio. Lo guardai confusa, non capendo cosa avesse detto.

“Spara.” Fu più un ordine che un invito.

“Ad essere sincero, non da molto tempo dopo che ci siamo conosciuti” disse con un velo di disagio, che però durò poco. Sgranai gli occhi.

“Cosa vuoi dire?” Mi guardò con i suoi occhi neri, cercando le mie scuse.

“Ti ho sempre trovato una ragazza affascinante, Abi” disse alla fine, cauto. Invece di arrabbiarmi, come, non sapevo perché, lui si aspettava, mi misi a sghignazzare.

“Non sono esattamente l’immagine della femminilità” mormorai a occhi bassi, stranamente imbarazzata.
”Proprio per questo mi sei piaciuta fin dal primo istante” Il suo tono serio mi costrinse a rialzare lo sguardo. “Non ci potevo credere che finalmente avevo trovato un ragazza che si intendesse di auto e moto!” esclamò contento.

Sgranai gli occhi di nuovo, quando divenni completamente conscia delle sue parole. Cosa?! Non solo lui provava qualcosa per me e non me n’ero mai accorta, ma era qualcosa che era iniziato molto, molto tempo fa. Poco dopo che c’eravamo conosciuti. Io invece avevo cominciato a provare qualcosa per lui un bel po’ dopo.

Aspetta, aspetta, quindi Jacob provava qualcosa per me, prima che io mi ero innamorata di lui?!

Impossibile, non ci credevo. Per lo meno, come cavolo non mi ero mai accorta di nulla?! Come…

E poi c’era quella cosa della femminilità che aveva appena nominato; a lui piacevano le ragazze-maschiacci! Alla faccia di papà e il suo ‘ai ragazzi piacciono le ragazze femminili’!

Quello però era il meno peggio. Mi sentivo ribollire all’idea che lui si fosse accorto di qualcosa prima di me, anche se non riuscivo a giustificarlo in alcuna maniera.

Dentro stavo per scoppiare, ma credevo di riuscire a contenere bene quelle emozioni. Mi limitai a guardarlo immobile, con gli occhi ancora sgranati e riuscii a balbettare solo poche parole.

“Che bella scoperta…” mormorai io. ‘Scoperta’ era troppo riduttivo.

“All’inizio però era unicamente… un’attrazione fisica, ecco” spiegò lui. “Mi piaceva osservarti, quando lavoravamo alla tua auto.” Questo particolare mi normalizzò solo in parte.

“E io credevo che stessi lavorando davvero!” lo accusai con sarcasmo, forse troppo rigida.

“Facevo le mie pause” mi rispose lui, con fare malizioso. 

“Non me ne sono mai accorta” ribadì, allibita. 

“E’ perché che stavi oliando il motore” mi rispose lui, con mezzo sorriso, guardando un punto indefinito sul soffitto. Quell’osservazione riuscì a staccare del tutto la mia mente dalla rivelazione che avevo appena ascoltato. Lo guardai ad occhi aperti, incredula.

“Mi stai dicendo che il vero motivo per cui mi facevi piegare per oliare il motore era per guardarmi il fondoschiena?” chiesi lentamente, scandendo le parole, per paura di avere inteso male.

“Era vero però che fino in fondo al cofano non ci arrivavo!” cercò inutilmente di difendersi lui, confermando le mie ipotesi. Stetti ancora per un attimo in silenzio. Al tempo mi sarei incazzata come una iena e me ne sarei andata via all’istante. Ma ora, non sapevo proprio cosa pensare.

Insomma, cosa mi scandalizzavo a fare? Fino a prova contraria io ero una donna e lui un uomo, adolescenti per lo più. Quindi doveva essere normale questo scambio di sguardi. E poi diciamocelo, anch’io al tempo avevo buttato l’occhio. Col tempo poi ero peggiorata e mi arrapavo ogni volta. Quindi fin’ora la maniaca restavo io.

“Ah” mi limitai io, in un tono del tutto inespressivo. “Ed è ancora così?” Lui rise.

“Eh sì” disse con tanta semplicità che mi sembrò mi desse della stupida. Ritornò però subito serio.

“Qualcosa però è cambiato quando sei partita per l’Italia. Non era una preoccupazione normale. Sulle prime ho creduto che la stessi confondendo per quella che provavo per Bella, ma quando venisti da me, capii che mi sbagliavo. Non ho mai provato un sentimento del genere per nessuna. Sulle prime ho pensato quindi che era la nostra amicizia che si era rafforzata.” Posò il suo sguardo su di me, amareggiato, mentre io lo guardavo immobile. Jacob si stava aprendo e mi stava mostrando tutto se stesso. Sarei riuscita a farlo anch’io un giorno?

“Mi resi davvero conto di amarti da quel giorno del falò; hai presente quando mi hai trascinato in mare? In quell’occasione ho avuto un’irrefrenabile desiderio di baciarti, lo stesso che provavo con Bella.” I suoi occhi fiammeggianti mi tornarono alle mente in un lampo. Fece un respiro prima di continuare.

“Da quel momento cominciai a comportarmi senza ragionare. Cercai di convincermi che mi stavo sbagliando, che amavo solo Bella; cominciai a fare casini, e così la baciai. Ma mi accorsi che non era quello che volevo.” Fu strano quando disse che non mi voleva dimenticare; da una parte mi sentivo terribilmente amareggiata dal fatto che non mi volesse più amare, dall’altro terribilmente importante perché non ci era riuscito.

“Non capii più niente; a tratti non vi volevo entrambe, a tratti vi desideravo tutte e due. Vi ho fatto impazzire, scusa”

“L’importante è che adesso tu abbia deciso cosa fare” mormorai alla fine, in segreto tremendamente agitata.

“No, invece” sussurrò flebile, strizzando gli occhi. Alzai lo sguardo su di lui seria.

“Allora cosa intendi fare?” Passarono alcuni secondi prima che mi rispondesse.

“Ho deciso che l’unico modo è quello di pensare, da solo, senza interruzioni; senza i pensieri del branco. Unicamente con i miei.” Se non gli ero già vicina, probabilmente non lo avrei sentito. Sgranai ancora gli occhi. 

“Te ne vai?”

“Sì” mi rispose flebile, gli occhi attaccati ai miei, per studiare ogni mia reazione. Distaccai automaticamente lo sguardo, deglutendo a fatica. Non sapevo cosa rispondergli. Sapevo però come mi sentivo; questo suo comportamento strano dovuto a me e a Bella, mi aveva sempre infastidito perché era terribilmente confuso e ci faceva preoccupare da morire. Io però lo avevo sempre accettato, perché Jacob rimaneva comunque il mio migliore amico. Adesso però, mi era divenuto intollerante; perché diamine se ne doveva andare? Ancora una volta credevo che questo fosse ingiusto. Avevo un necessario bisogno di lui, dopo così tanto tempo che non lo potevo vedere. Non era così anche per lui? Non provava le stesse cosa per la sua migliore amica Abigail? Perché, io rimanevo ancora sua amica, giusto?

“Sai, Bella ha avuto ragione, quando ti ha detto che stai giocando con tutte e due” mormorai, inconsapevolmente acida, persa nei miei dubbi e nella mia delusione.

“Non è mai stata mia intenzione farlo!” esclamò all’improvviso lui, facendomi sobbalzare. La sua mano andò veloce a prendere la mia. “Avete ragione a pensarlo, tutte e due. Mi dispiace.” Io continuai a tenere lo sguardo basso, ma in compenso ricambiai la stretta.

“Ho mandato a quel paese la nostra amicizia, vero?” Rimasi immobile, mentre mi ponevo la stessa domanda. Sarei stata la sua amica lo stesso, qualche sarebbe stata la sua scelta? Forse, sì…

“Sono un grandissimo idiota” sospirò lui, non capii se come reazione al mio silenzio, che interpretò come un sì.

“Siamo due grandissimi idiota” dovetti correggerlo io, ripensando a cosa avevo fatto io per tentare di distruggere la nostra amicizia.

“Sì, hai ragione” affermò lui dopo alcuni secondi, ripensando anche lui a ciò che stavo pensando io, ma interpretandolo in maniera diversa.

“Bella lo sa?” chiesi subito.

“No, lei no” mi rispose mogio. Automaticamente ripensai alla conversazione che avevano avuto prima. Dall’espressione di Jacob, non doveva essere andata bene neppure a lui. Tuttavia, non ebbi il coraggio di chiedergli di cosa avessero parlato, né lo volevo sapere. Anzi, sì lo sapevo. Ancora una volta mi tornarono in mente le parole di Bella su Jacob. Mi innervosii e mi confusi ancora di più. Dovevo parlare con lei a riguardo il più presto possibile.

“Lo sai cosa?” interruppe i miei pensieri Jacob. “Credo di avere avuto l’imprinting con te” disse con un sorrisino.

“Scusa, ma non mi hai detto che non…”

“Non l’imprinting che trova l’anima gemella” mi corresse lui. “Quello che trova il migliore amico.” Quella frase mi fece nascere un enorme e involontrio sorriso; pensai che non ci potessero essere altri termini per dimostrare l’enorme importanza che per lui aveva la nostra amicizia. Da parte mia, condividevo appieno quello che aveva detto.

“Davvero esiste un Imprinting del genere?” chiesi curiosa.

“Nessuno lo ha mai avuto, e nelle leggende non c’è nulla di simile” mi rispose lui con il suo sorriso. “Però perché non possiamo essere noi i primi?”

“Giusto, hai ragione.”

 Dovevo ammetterlo, questa era stata la constatazione più bella e vera che avesse mai detto. Perché sarebbe stato davvero così, qualsiasi cosa sarebbe successo, qualsiasi tentativo mio o suo di reciderla, qualsiasi decisione lui avrebbe preso, questa amicizia sarebbe durata, nel bene, nel male e nelle baruffe. Fu proprio questa certezza che mi spinse a rischiare anche a me.

“Voglio farti una domanda” Attirai tutta la sua attenzione. “Se non ci fosse Edward, tu sceglieresti Bella?”

“Un tempo l’avrei fatto eccome” mi rispose incerto.“Ma adesso non ne sarei così sicuro.”

“E varrebbe la stessa cosa se io fossi innamorata di te, mentre Bella di Edward?” gli domandai alla fine, sicura. Lui mi guardò incuriosito, per poi mettersi subito a ridere.

“No, sarebbe difficile lo stesso. Immagino che anche se in qualche miracoloso modo tu mi ricambiassi, devo per forza tener conto il dopo, cioè la parte più difficile.” Mi immaginai per un momento noi due, se una situazione del genere sarebbe successa davvero; non saremmo assomigliati a nessuno dei normali e comuni fidanzati che si incontravano per la strada. 

“Non mi immagino dei romantici fidanzatini” constatai sogghignando anch’io.

“Neppure io”

“E se scegliessi me, come faresti a conquistarmi?” continuai io, curiosa di sapere cosa avesse risposto. Lui mi guardò serio.

“Darò tutto me stesso. Sai quanto posso essere testardo.”

“E se non ci riesci?” Fece un lungo respiro profondo.

“Verrò da te in ginocchio a supplicarti di perdonarmi e di rimanere la mia migliore amica. In qualche modo con me ti devo avere, se no non resisto.” La tristezza nella sua voce quasi mi turbò. Con il pensiero che per lui io sarei sempre stata qualcosa di importante, e svaniti tutti i miei futili e ridicoli dubbi che la sua scelta potesse riguardare la ‘più facile’, decisi di farlo.

“Va bene, va pure a scegliere” dissi alla fine, accettando ogni cosa. “Fa che sia una scelta sincera, però”

“E’ proprio per questo che me ne voglio andare subito” ribadì lui, assorto. Presi ancora un respiro.

“E’ giusto però che tu abbia tutti gli elementi su cui riflettere.” Mi fu particolarmente difficile dire quelle parole.

Senza lasciargli tempo per replicare, avvicinai il mio viso al suo. Lui mi stava mostrando il suo scintillante sorriso, curioso di sapere quello che stavo per fare, che subito svanì, quando mi feci troppo vicina. Schiusi appena le labbra, per cogliere il suo labbro inferiore. La sua bocca era come me la ricordavo, morbida, calda e per questo irresistibile. Era il mio secondo bacio con lui. Non mi permisi di assaporare ulteriormente il mio gesto avventato e mi separai subito.

Ora sapeva tutto, e a partire da adesso, doveva pensare a scegliere. Per questo non potevo rimanere ancora lì. Mi alzai di scatto, senza neppure vederlo negli occhi, come se il solo guardarlo avrebbe potuto condizionare di già la sua scelta.

“Ciao, Jake” mormorai, mentre raggiunsi la porta della camera in un attimo.

“Abigail!” gridò lui “Ahi!” Probabilmente aveva tentato di alzarsi. Non ci badai e mi fiondai fuori dalla piccola casetta di La Push.  

Mi ricordai stranamente di Bella, quando poco tempo fa anche lei era uscita da una probabile sconvolgente discussione con Jacob. Solo in quell’attimo riuscii a comprenderla benissimo e ad essere certa che stessi provando le stesse identiche emozioni e che sventolassi la stessa identica faccia stravolta.
 

 

 

 

 

Allora, allora, allora, allora! Eccomi qua ad aggiornare di nuovo la storia! Ho pubblicato apposta il nuovo capitolo in questo periodo, come regalo di Natale. Nuovo e, come sapete tutti, ultimo capitolo di Eclipse! 

Partiamo allora dalla cosa più importante, cioè dal fondo. Ebbene sì, finalmente anche Abigail, in modo forse eccessivamente teatrale, ma secondo me emotivamente coinvolgente, si è finalmente confessata! Inoltre, altra cosa che mi preme tantissimo sottolineare, è la frase che dice Jacob "Credo di aver avuto l'imprinting con te, ma non quello che trova l'anima gemella, ma quello che trova il migliore amico", che dà una certezza che rimmarrà tale per tutta la fanfiction: qualsiasi cosa succederà, loro saranno migliori amici. E con qualsiasi cosa, intendo qualsiasi. Anche se, un esempio molto a caso, Jacob avrà l'Imprinting con la figlia mezza-vampira di Bella ed Edward XD. Tengo a rivelare quest'anticipazione abbastanza vaga di Breaking Dawn perché voglio che abbiate presente l'importanza dell'amicizia tra i due, che sarà determinante durante il resto della storia.

Voglio passare poi a parlare del rapporto tra Abigail e Bella; non ci ho posto particolarmente attenzione in questo capitolo, ma le cose tra le due, che predentemente si erano un pò fratturate, adesso si sono definitivamente rotte, dopo che Abigail è venuta a sapere che anche lei è innamorata di Jacob. Voglio però specificare, rivolgendomi soprattutto a tutti coloro che desiderano vedere Bella fare la parte della Befana questo 6 gennaio cosicché bruci nel rogo, che Abigail non è tanto arrabbiata con lei, quanto essasperatamente confusa. Per tanto aspettatevi nei prossimi capitoli una chiarita tra le due.

E poi passiamo a dire tre parole riguardo il rapporto tra Edward ed Abigail; uau! L'ossessivo compulsivo che ad Abigail stava tanto antipatico adesso rischia di diventare un suo grande amico! Anzi, rileggendo questo capitolo, ho avuto l'impressione che l'amicizia tra la mia protagonista e lui sia più forte di quella tra lei e Bella.

Concludiamo allora con Bree; immagino che a moltissimi di voi non è piacciuta per niente la fine che ho fatto fare alla piccola Bree. Esattamente come Jane, anch'io non ho avuto nessuna pietà di lei e l'ho fatta togliere dalla scena. Come giustificazione dico che nella mia testa ho già una scaletta pronta di quello che succederà in Breaking Dawn e la nuova figura di Bree non riesce a rientrare nei miei piani.

Bene, passiamo allora ai saluti. Come sapete questa non è esattamente la fine della fan fiction, ma un po' è come se lo fosse, tenendo conto che riprenderò a pubblicare solamente a luglio, come ben sapete. E cinque mesi non sono pochi.

So che dispiacerà un sacco a molti di voi, soprattutto a coloro che attraverso ai loro commenti puntualmente mi hanno fatto sentire il loro affetto per questa fan fiction, e dispiacerà un mondo anche a me interrompere la narrazzione proprio sul più bello e non poter più riuscire ad avere una valvola di sfogo in più dai miei quotidiani problemi.

Detto questo vi saluto, ma non intendo fare tutta la grande sfilza di saluti e di ringraziamenti che, seppure tutti voi vi meritiate alla fine di ogni capitolo, solitamente faccio alla fine della fan fiction. Perché, ripeto, questa NON è la fine della fanfiction e intendo riprendere a pubblicare a qualsiasi costo. Questa è una promessa che faccio a tutti quanti.

Concludo quindi con i normali saluti, ringranziando tutti coloro che hanno inserito questa fanfiction in seguite, ricordate e preferite, a coloro che hanno anche solo letto e soprattutto a coloro che puntualmente, ma anche occasionalmente, hanno lasicato un commento piccolo, lungo e medio.

Grazie immensamente per il sostegno di tutti quanti! Un bacio da Lalla124.

 

X mylifeabeautifullie: Iee! Sono contenta che ti sia piacciuta la parte più importante dello scorso capitolo (sperando che valga la stessa cosa anche per questo)! Ovviamente Abigail non è nè morta, né niente, volevo solo creare suspance alla fine del capitolo (anche se molto probabilmente non ci sono riuscita, visto che far morire il proprio personaggio principale a metà fanfiction non ha alcun senso). Ti ringrazio ancora ed ancora ed ancora dei tuoi sempre presenti commenti! Ti invio un grande bacio! Ciao e alla prossima!

 

X nes_sie: Bene! Sono contenta che l'umanità di Abigail venga apprezzata in ogni suo aspetto XD. E ti ringrazio anche per avermi detto che la spiegazione non è stata solo un grande casino; credevo davvero di aver esagerato! Fiù! Poi, dopo aver letto il tuo commento, penso proprio che ti sia piaciuto anche l'ultimo pezzo di questo capitolo, mi riferisco a quando Jacob dice la frase dell'Imprinting etc... :) Mah, sai una cosa? Forse hai ragione, la sfiga di Bella ha influenzato prima me leggendo la serie di Twilight e poi di conseguenza Abigail. E' un'ipotesi da non scartare XD.

Sono inoltre contentissima che tu mi possa capire riguardo al mio ritardo! :)

Un grosso bacio anche a te e alla prossima!

Ps: No!!! E' solo un'impressione. Anzi, per di più alla fine è Abi che bacia Jacob! ihihihihih!

 

X __cory__: Cos'è? Adesso ti sei fatta prendere la mano e inizi a farmi terzi gradi? XD Uau, che bello! Vediamo allora di rispondere alle tue ben sette domande/constatazioni:

1) Allora, adesso che sai che i genitori di Abi non sono morti, ti spiego cosa vuol dire quella frase. Abigail non ne è certa, ma ha la brutta sensazione che i suoi genitori faranno la fine del topo con il gatto, quindi l'ho volutamente messa così per dare l'impressione che hai avuto tu, ovvero che i genitori di Abi moriranno, e per esprimere le impressioni di Abigail, ma in realtà si doveva intendere come "Quello fu il nostro ultimo saluto prima dell'inizio della battaglia" il che non vuol dire che neccesariamente Sophie e Will tireranno le cuoia, ma che semplicemente non si vedranno più fino alla fine della battaglia. Ihih! Sono un'autrice perfida che tenta di illudere, confondere e sviare il proprio lettore in ogni maniera possibile! XD

2&3) Guarda, non ti preoccupare, la situazione da tempo non la regge neanche Abigail XD Sta piano piano dando sempre più di matto, mano a mano che la fanfiction va avanti. Ed ora è arrrivata la prova del nove per i suoi nervi a fior di pelle! XD E poi cosa più importante; non solo Jacob non ha baciato Bella, ma Abigail ha baciato Jacob! ihihih!

4) ehm...ehmm.... a tal proposito mi limito a urlarti un MI DISPIACE particolarmente grosso...

5) Mah, insomma, io non la metterei in questi termini. Diciamo che Bella non se ne è mai resa conto non perché è stordita, ma perché Abi è stata tanto brava da non farglielo capire. Suona meglio messa così XD

6) No, no, sta tranquilla, come Edward ha detto ad Abi nello scorso capitolo, per questione di correttezza nei confronti di Abi e di Jacob non dirà niente a nessuno. Anche se tutto sarebbe davvero diventato molto più facile se fosse intervenuto lui. Ma per me le cose più facili sono sempre le più noiose da scrivere, quindi ho voluto incasinare un bel po' tutto quanto XD

7)Ovvio che non muore! Ecco, qua ho fatto un'altra mia piccola gaffe; ho voluto dare un po' di suspance alla fine del capitolo, ma ovviamente dovevo aspettarmelo che nessuno poteva credere davvero che il personaggio principale muoia così.

Spero di essere stata esauriente! Non vedo l'ora di sentire le domande riguadanti questo capitolo (ti ho già detto che adoro quando me le fai, no?). Un grosso bacione alla mia "domandaiola!" preferita! Alla prossima!

 

X KaytheAngel: Breve, concisa, ed efficace: mi piaci! XD Grazie mille per il commento! Continuerò il più presto possibile!

 

X Franny97: Ciao, Abi! ^^ Se con i tuoi commenti mi scocci, allora sei la rompiballe più gradita tra tutti! XD Vediamo allora di cercare di risponderti, sperando che con questo capitolo tu non sia morta (scherzo!!!)

Allora, ovviamente l'addio/arriverderci, come hai ben detto tu, non doveva essere assolutamente troppo serio (vedi per esempio quando Abigail lo richiama tre volte, prima che lui se ne vada), ma alla fine dello scherzo il momento serio doveva assolutamente starci! Ma, aspetta, aspetta, che ti vedo troppo esauberante. Abi non è l'unica "number one", c'è anche Bella che sarebbe la "first number one"; mi raccomando, non facciamo troppe illusioni! E poi, hai ragione a dire che Abi ama lui e lui ama Abi, ma io non userei quel per sempre con così grande naturalezza; la fan fiction non è ancora finita e tutto può succedere! E poi, dai, comprendiamo Jacob idiota/amore mio (che sembra il nome di un bambolotto stile Ciccio Bello XD che forte!) ha appena fatto una grandissima figura di merda, ovvio che se ne va così!

Per quanto riguarda la battaglia, hai ragione, l'ho descritta in modo veloce, ma questo perché Abigail è un'umana e i movimenti di vampiri e licantropi le sembrano appunto molto veloci.

Ovviamente, da vera Abigail come tu sei, hai indovinato perfettamente il seguito della storia (che, giuro, era già stato scritto). E io che volevo creare solo un po' di suspance... E ancora, ovviamente, hai indovinato anche la seconda parte! Ma dico, a questo punto cosa continuo a scrivere, se ci sei tu che sai tutto! BD me lo scriverai tu! XD

Ehm...ehm.. bhè, ecco per quanto riguarda Bree.... sì, sì, lo so, sono stata cattiva, sono un'autrice sadica lo so, ma mi farò ben perdonare, non ti preoccupare!

Per il finale della storia (a patto che ci devo ancora pensare, ma sono abbastanza sicura), ovviamente non posso dirti niente, ma posso dirti che il rapporto tra Renesmee e Abi sarà... curioso ed interessante (interpretalo come vuoi!)

Grazie infine infinite per i tuoi puntali commenti e per i tuoi insostituibili ringraziamenti! Spero quindi che anche questo ultimo capitolo ti sia piaciuto! Un grandissimo bacione!

 

X Rainbow Girl: Nooo!! Povera Bella! Certo, non conosce i suoi migliori amici, ma questo perchè sono i suoi migliori amici che non le dicono i cavoli propri! Insomma, non diamo tutte le colpe a lei... Inoltre Jacob è doppiamente un grande, perché con la parte destra immobilizzata ha il pretesto per farsi baciare da Abigail senza reagire, così lui fa la figura della povera vittima ed Abigail dell'approfittatrice! E poi non serve neanche dirlo, ma come hai detto tu, sarà senz'altro un amore strambo (sempre se lo è!) Un grandissimo bacione ricambiato! Alla prossima!

 

X elvira91: Uau! Tutto in un solo giorno! Ti deve aver tremendamente appassionato! ^^ E sono contentissima che la storia fili lo stesso anche con il mio personaggio in mezzo. Sì, hai ragione, sembrava davvero scontato che alla fine Abigail si innamorasse di Jacob (e un pochino anche che lui ricambiasse alla fine), ma quello che non sarà per nulla scontato sarà il seguito, fidati! Per quanto riguarda Bella, ti ripeto quello che dice Abigail nello scorso capitolo; sì, hai ragione ad aver avuto questa impressione, ma, al posto di Bella, tutti si sentirebbero prese un po' in giro sapere che il ragazzo che ti fa la corte da una vita in realtà è innamorato anche di un'altra persona, tenendo poi conto che in un modo davvero contorto anche Bella è innamorata di Jacob. 

Spero quindi di averti davvero sorpreso (sia in positivo, ma anche in negativo, perché no? L'importante è stupire!)

Sono contentissima del tuo commento e delle tue splendide opinioni! Ti ringrazio ancora tantissimo! Alla prossima!

 

X GiuliaMary: Bene! Sono felice che alla fine la trama è rimasta a grande linee così com'è (immaginati me davanti al computer con Eclipse sulle ginocchia che studia i dialoghi tra i personaggi e li ricopia cercando di capire quali sono i più importanti e quali no XD) Spero quindi che anche questo capitolo ti abbia coinvolto come i precedenti! Enormi baci e grazie tantissimo per il grande appoggio che mi dai!

 

 

Auguri di Buon Natale e di Felice Annno Nuovo a Tutti Quanti!

 

 

 

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Capitolo 24
*** Ventiquattresimo Capitolo ***


Ventiquattresimo Capitolo

Lo so, lo so, lo so! Avevo detto che pubblicavo a luglio, invece ho pubblicato adesso. Ed è già la seconda volta che lo dico, ma che poi non lo faccio. Però, a dire la verità… non riesco a non scrivere la mia fan fiction! Alcuni di voi si divertiranno a leggerla, ma scriverla è un sacco più divertente! XD

Inoltre, non mi è sembrato affatto giusto far aspettare tutti voi per così lungo tempo. È stato principalmente per questo che ho deciso di pubblicare questo capitolo ora.

Mi dispiace un sacco solo scrivere cose che poi non mantengo, ma ho pensato che, se davvero per una serie di impegni non avrei davvero pubblicato fino a luglio, e non vi avessi avvertito, sarebbe stato peggio, no?

Spero che quindi questo capitolo lo prendiate come una felice sorpresa inaspettata e questa volta vi premetto, giuro, che non pubblicherò fino a luglio! XD

 

 

Ventiquattresimo Capitolo

 

Avevo deciso di andare a fare una lunga passeggiata per Forks, nonostante fosse il pomeriggio di un sabato piovigginoso. Casa Cullen era sotto il monopolio di Alice, che, entusiasta di preparare il matrimonio di Bella ed Edward del giorno dopo, studiava ogni millimetro della villa per decidere il colore dei tappeti, delle tovaglie, dei tovaglioli e di tutte quelle serie di cose che di solito si usavano per i matrimoni. Ovviamente era appoggiata ventiquattro ore su ventiquattro da altre tre vampire esaltate che non aspettavano ad assecondarla. L’atmosfera a casa quindi era diventata insostenibile per me. Certo, perché Casa Cullen continuava ancora ad essere casa nostra: visto che il matrimonio era alle porte non sarebbe costato niente rimandare il trasferimento a dopo le nozze.

Quella però era l’ultima cosa a cui pensavo.

Dopo aver preso la moto dal garage mi diressi dritta in centro; pioveva, potevo prendere benissimo la macchina, ma al momento andava contro ogni mio buon proposito di non pensare a certe cose.

Quasi in trance, parcheggiai la moto nel parcheggio deserto della scuola e mi avviai a piedi, fregandomene della pioggerellina che tra breve mi avrebbe inzuppata tutta.

Ovviamente, non riuscivo a pensare ad altro che a lui. Il primo dei pensieri che mi perforavano la testa e che cercavo inutilmente di rimuovere era il bacio che gli avevo dato. Più ci riflettevo, più pensavo di aver fatto una colossale figura di merda. Come cavolo mi era venuto in mente di farlo?! E con che coraggio?!

Inoltre… mi mancava da morire. Sentivo che mi mancava qualcosa di insostituibile; Forks non era affatto Forks senza di lui. A questo punto, chi se ne fregava davvero di chi avrebbe scelto; come amico o no, io lo volevo insieme a me. No, no, no! Basta pensare a lui! Basta!

Cominciai a camminare più svelta, sperando così di seminare anche i miei pensieri. Senza rendermene conto, andai addosso a qualcosa. Rimbalzai indietro, tenendomi la testa con una mano, maledicendo la mia immensa sbadataggine. Alzai lo sguardo per fulminare l’albero che aveva attentato alla mia vita e come farlo apposta, i pensieri che avevo creduto di aver lasciato indietro, mi si ripresentarono tutti davanti; sull’albero in questione c’era attaccato uno dei volantini che Charlie aveva appeso per tutta Forks. Ritraevano un’immagine in bianco e nero di Jacob, con sottoscritto in grande “RAGAZZO SCOMPARSO”.

Chiarlie, non appena aveva saputo da Billy che Jacob era scappato, aveva tappezzato non solo Forks, ma l’intero stato di Washington con quei dannati volantini. Un po’ mi faceva pena: si stava facendo in due per trovare Jacob ed era deluso dal comportamento di Billy, che si rifiutava di collaborare alle ricerche. Ma di certo non poteva venire a sapere la verità.

Guardai per la centesima volta sospirando pesantemente quel volantino che non sarebbe servito a niente, se non a stressarmi ulteriormente. Mi avvicinai dunque e lo staccai via con forza; Charlie avrebbe sicuramente pensato che fosse stata opera della pioggia.

Avanzai oltre per continuare la mia passeggiata, ma per mia sfortuna davanti a me si susseguivano una serie di volantini identici attaccati su alberi, pali della luce e del telefono. Sospirai ancora profondamente. Mi avvicinai con rabbia all’albero successivo e strappai anche lì il foglietto mezzo inzuppato dalla pioggia.

Decisi allora di continuare con quell’operazione finché non ci fossero stati più volantini. Dovevo dire poi che era un gesto piuttosto liberatorio; accartocciare con foga la fonte dei miei problemi era terapeutico.

Arrivai forse a una cinquantina di volantini quando sentii il rombo di un motore avvicinarsi. Mi voltai e riconobbi l’auto di Bella. Preciso, la nuova auto di Bella. Da poco il suo vecchio pick-up rosso aveva esalato l’ultimo respiro e quell’ossessivo di Edward ne aveva approfittato per comprarle l’auto nuova. Ovviamente, non un’auto qualsiasi, un’auto in grado di sopportare tempeste, terremoti ed uragani. Mi stupisco che non le abbia direttamente comprato un Panzer.

La Mercedes si avvicinò al ciglio della strada, mentre il guidatore abbassava il finestrino. Bella mi fissava inquieta, mentre guardava prima me, poi i volantini che tenevo in mano. A quel punto guardai anch’io l’ammasso confuso di carte che stringevo tra le dita e dovetti constatare che in quelle condizioni potevo sembrare un tantino fuori di me.

“Ciao” si limitò a dire.

“Ciao” risposi io roca, e forse un po’ sconsolata.

“Vuoi un passaggio?” mi chiese titubante. La ringrazia mentalmente per non aver accennato a quello che stavo facendo. La guardai per qualche istante, indecisa se fosse arrivato il momento di andarmene a casa o no. Guardai avanti e il numero di volantini che ancora mi attendevano mi convinse che l’idea migliore sarebbe stata quella di tornare a casa.

“Sì, grazie.”

Buttai i volantini nel bidone lì vicino e corsi al riparo dentro la Mercedes. L’auto partì velocissima quando Bella sfiorò il piede dell’acceleratore. E così calò subito il silenzio.

Bella ed io avevamo alla fine parlato. E avevamo risolto, nonostante Bella si era mostrata piuttosto confusa; tra lei, Jacob e me, non so chi fosse peggio in materia d’amore.

Mi aveva confessato che per Jacob non provava semplice amicizia, ma qualcosa simile a quel sentimento di affetto che si instaura tra fratelli. Ero quindi giunta alla conclusione che molto probabilmente le parole che le erano uscite durante quella tremenda discussione in montagna tra lei e Jacob fossero davvero dovute alla tensione del momento e alle pressioni psicologiche che quell’idiota le aveva fatto; la prospettiva di Jacob convinto a uccidersi l’aveva costretta a confondere l’affetto che provava per lui.   

C’era un’inviolabile certezza, che mi portava a crederle fedelmente; l’amore che lei provava per Edward, davanti al quale nessun sentimento che potesse provare per Jacob avrebbe potuto sopravaricare. Inoltre Edward non sembrava affatto tradito o offeso dal comportamento di Bella; molto probabilmente lui era giunto a pensarla come me molto prima. O ancora più probabile qualsiasi scelta Bella avesse fatto, l’avrebbe accettata comunque, bastava che fosse felice.

Ciononostante, anche se avevamo in parte chiarito, non potevo fingere che la nostra amicizia non si fosse notevolmente raffreddata. Non ero affatto arrabbiata con lei per la questione del bacio, che Jacob aveva costretto Bella a dare con l’inganno, in pratica. Era un qualcosa di molto più vecchio.

Da quando Edward era tornato erano cambiate moltissime cose tra noi e il tempo che passavamo insieme era ben poco. Avevo sempre accettato che per Bella Edward andasse al primo posto, la comprendevo, anzi, ne ero sempre stata contenta, perché era dopotutto quello che la rendeva più felice. Una delle irrimediabili conseguenze tuttavia era che noi non eravamo più amiche come prima; da tempo tutto ciò di cui parlavamo apparteneva al mondo sovrannaturale di vampiri e licantropi e benché fosse normale, in quanto entrambe ne eravamo immerse fino al collo, eravamo umane, e per questo mi sembrava giusto parlare e fare cose da umane. La nostra amicizia, prima di Edward, era forte proprio perché ci comportavamo come due normali ragazze, facevamo bunje jumping e altre cose che allontanavano il nostro rapporto dal mondo fatto di vampiri e licantropi e lo rendevano un qualcosa di mio e suo e di nessun’altro.

Con questo non volevo affatto dire che non eravamo più amiche, anzi, c’era ancora una grandissima confidenza tra noi due. L’unica cosa era che questa confidenza si era decisamente affievolita.

Mi dispiaceva parecchio, ma, d’altronde, lo dovevo prevedere; questa non poteva essere nient’altro che una conseguenza della sua decisione di diventare un vampiro. Quello sì che avrebbe stravolto la nostra amicizia; sfidavo qualsiasi umano ad essere amico di un vampiro neonato.

“Ho appena scoperto che quest’auto è rivestita da due tonnellate di blindatura e vetri antimissile” ruppe lei il silenzio in un tono tra il sarcastico e il sorpreso.

Tsk” le diedi corda io. La cosa non mi stupiva per niente “I vampiri fanno sempre le cose in grande” constatai io.
”Già” rispose lei. “Sai, mia madre arriverà presto per occuparsi dei preparativi del matrimonio” mi comunicò lei in un tono abbastanza neutro. D’altro canto io mi spiaccicai le mani sulla fronte.

“No! Ancora!” esclami io esasperata all’idea di un altro membro che si andava ad aggiungere alla ‘truppa matrimoniale’, come la chiamavo io. “E’ un vero inferno già così quel posto!”

“Non ti invidio per niente” disse Bella sincera. Detto questo, scese di nuovo il silenzio. Purtroppo uno di quelli imbarazzanti. Ecco, tanto eravamo abituate a parlare di cose che avevano a che fare con i vampiri o con i licantropi che quando avevamo esaurito tutti gli argomenti al proposito, io e Bella non riuscivamo più a comunicare. Forse, arrivata a questo punto, così vicina alla sua prossima trasformazione, non le interessavano neanche più le cose da umani. Mi agitai subito all’idea di come la nostra amicizia ci stava scivolando dalle mani.

“Ho appena parlato con Seth. Pensavo che ti avrebbe fatto piacere saperlo” proruppe di nuovo Bella, particolarmente seria.
”Ah” dissi io monocorde.

Alla fine, ovviamente, lo aveva saputo anche lei, seppure non sapevo quanto sapesse e non desideravo neppure chiederglielo. Da quel momento si era sempre tenuta in contatto con Seth, non a caso l’unico licantropo che andasse un po’ a genio a Sir Edward Cullen. Ad essere sincera, non mi interessava per niente sapere cosa diamine stava facendo quello là….

Dai, non raccontiamoci balle, Abi, tu scoppi dal desiderio di sapere cosa diamine stava facendo.

E che cosa ha detto?” chiese in un soffio. Bella fece spallucce.

“Non ha ancora intenzione di tornare” si limitò lei. Serrai le mani sul sedile in pelle: questa era decisamente una brutta notizia.

Il discorso si fermò lì; né per me né per Bella quello era un fantastico argomento di conversazione.

Sentii Bella fare un respiro profondo, mentre teneva il volante stretto in una morsa. Era nervosa, si vedeva da un chilometro. Ed ero abbastanza sicura di sapere il perché. Almeno, era quello che credevo fino a quando non iniziò a parlare.

Abi… posso… posso farti una domanda un po’… personale?” La guardai curiosa per la balbettio. Immaginavo già l’argomento.

“Su Jacob, vero?” la precedetti io, evidenziando ampiamente il fatto che non avevo assolutamente intenzione di affrontare l’argomento. 

“No, no, lui non c’entra. Qualcosa che riguarda me” mi corresse lei, mentre l’indecisione nella sua voce aumentava.

“Va bene, dimmi” chiesi allora piuttosto curiosa.

“Ecco, non so se…” disse fermandosi subito “Insomma, non dico che non sia pronta, ma sai, per capire…” Ah, capito.

“Bella, ti ho già detto che preferirei evitare di parlare sul perché io non voglio diventare un…” ripetei io per l’ennesima volta.

“No, no! Non si tratta neppure di quello!” mi corresse ancora, con un tono di voce più alto del normale, più stridulo ed agitato. Io la guardai con occhi spalancati, non potendo immaginare a cosa si potesse mai riferire. Lei fece un altro respiro prima di riprendere.

“Ecco… non credo di avere al momento confidenza con nessun altro come con te. Ma se ti sembra troppo personale puoi anche evitare di rispondere. A quel punto la mia attenzione era stata totalmente catturata.

“Tu sei vergine, Abigail?” Il secondo successivo lo passai con il fiato sospeso.

“Ah!” dissi io, totalmente spiazzata. Bhè, sì, certo, mi sembrava giusto che, essendo a quanto pare la sua prima volta, avesse qualche dubbio che volesse condividere con qualcuno e…

“Ah… sì, sì, lo sono, lo sono” mi affrettai a dire, leggermente in imbarazzo. “Mi dispiace, ma non credo di poterti aiutare in quel senso” risposi io, non meno balbuziente di lei.

“Figurati, non c’è problema” rispose lei svelta, con lo stesso tono. “Era solo per sapere.” Fu così che anche quell’argomento, venne troncato di netto, con la gioia di entrambe.

Comprendevo appieno Bella e i suoi dubbi. In fondo era qualcosa che riguardava tutte le donne. Appunto, le donne: e fu così che con piacere ebbi la prova che noi due potevamo ancora essere in grado di affrontare una conversazione su problemi comuni.

Inoltre c’era da immaginarselo; in luna di miele di certo non si passa la sera giocando a carte. Ma… se lei era un’umana e lui un vampiro, non è che… Non ci avevo mai pensato, a dire il vero.

Mi feci lasciare al parcheggio della scuola, dove ripresi la mia moto. Ci scambiammo alcune brevi parole ed un saluto ed ognuna se ne andò per conto suo.

Dovevo ammettere che la conversazione avuta con Bella mia aveva fatto, a modo suo, parecchio bene perché mi fece per qualche tempo dimenticare il mio abituale pensiero fisso che venne sostituito da un altro meno importante, ma alquanto curioso.

Andai quindi veloce a casa, decisa di fare una bella chiacchierata al riguardo con mamma; almeno così avrei avuto qualcosa da fare per un po’ di tempo.

 

Aprii con calma, senza far rumore, la porta che collegava il salotto al garage. Misi la testa dentro, per verificare che non ci fosse nessuno. L’intera casa era immersa nel silenzio. Con un po’ più di sicurezza scivolai dentro: ultimamente gli abitanti di quella casa, per via dei preparativi del matrimonio, erano soliti preannunciare la loro presenza con un bel po’ di baccano. Tirai un sospiro di sollievo; molto probabilmente quelle quattro pazze erano uscite da qualche parte. Sfortunatamente, tra queste quattro persone compariva anche mamma, che voleva dire che al momento non era affatto disponibile per una chiacchierata.

“Ciao, Abi.” La voce di papà risuonò melodiosa per la sala. Sussultai appena per lo spavento: immobile come una statua, se ne stava seduto sul divano a leggere. Alzò appena gli occhi dal grande e vecchio volume che teneva tra le mani per lanciarmi un sorriso accennato. Mmh… di certo papà non era la persona adatta per parlare di queste cose, ma dopotutto la cosa poteva rivelarsi divertente.

“Ciao, pah” dissi sedendomi sulla poltrona bianca di fronte a lui. “Gli altri dove sono?” chiesi per effettivamente assicurarmi che quella casa fosse davvero deserta. Lui continuò a rivolgere l’attenzione al suo libro.

“I ragazzi sono andati a una breve battuta di caccia, Carlisle è all’ospedale” Alzò per un attimo gli occhi al cielo. “E la ‘truppa matrimoniale’, come la chiami tu, è uscita.” Feci un mezzo sorriso per l’enfasi che aveva usato. Bene, avevo la certezza di essere soli. Lui si immerse di nuovo nella lettura.

“Papà, voglio parlare con te di sesso” proruppi io, con un mezzo sorriso, prevedendo la sua incondizionata reazione. Difatti lui alzò più veloce della luce gli occhi dal tomo, fissandomi piuttosto spaesato.

“Ah.” Fu tutto quello che riuscì a dire. “Credevo che fossi abbastanza cresciuta da sapere di cosa si tratta…” continuò lui, con il suo tipico tono indeciso che usava in queste occasioni.

“No, non sto parlando di questo” precisai io, cercando di rimanere seria. “Sono solo curiosa di sapere una cosa.”

Perché, hai intenzione di perdere la verginità?” mi accusò lui, in un tono che voleva essere minaccioso, ma che si rivelò comico per la tensione della sua voce. “Perché spero che tu sia ancora vergine…” A quel punto non riuscii a non trattenere una risata.

“Sì, papà, lo sono ancora.”

Bhè” disse lui, al massimo del nervosismo, chiudendo il libro e poggiandolo sul tavolino di vetro. “E’ normale che tu sia curiosa. E’ più che giusto. Anzi, devi essere curiosa” iniziò lui, ripetitivo.

“Forse però è meglio se lo chiedi a tua madre; lei molto probabilmente sarà più comprensiva” concluse in un tono speranzoso. Io gli lanciai un sorriso sarcastico, per nulla imbarazzata dell’argomento, come invece era lui. Sicuramente aveva da subito frainteso, ma era divertente vederlo così.   

“Mamma come puoi vedere è impegnata” replicai io tranquilla.

“Se vuoi te la vado a chiamare io” disse immediatamente, alzandosi dal divano come un fulmine.

“Papà, prima o poi dovrai superare anche questo problema, non credi?” intervenni io nel ruolo della sua coscienza. Lui si arrestò per guardarmi di sottecchi; non poteva negare che avevo ragione.

Con calma si risedette al suo posto, cercando di essere apparentemente pronto per la conversazione.

E va bene” continuò, quasi rassegnato. “Allora, cosa vuoi sapere?”

, ecco…” dissi cercando di trovare le parole più giuste per esporre al problema. Insomma, non avevo intenzione di violare l’intimità di Edward e Bella, anche se era palese i riferimenti che avrei fatto a loro due. Cercai allora di prenderla larga.

“Voi vampiri potete avere rapporti sessuali, giusto?” Mio padre mi guardò in cagnesco.

Perché mi stai facendo questa domanda, Abi?” chiese stupito. Aveva sicuramente immaginato un tipo di rapporto molto più umano.

“Dopo ti spiego, tu intanto rispondi” tagliai io corto, sapendo che ben presto con la sua intuitività l’avrebbe capito da solo.

“Sì, come tu ben sai” rispose, ancora parecchio confuso.

E com’è?” chiesi io curiosa. Aspettò immobile alcuni secondi, prima di iniziare a stringersi le mani. Mi perforava con i suoi occhi dorati, che cercavano di trovare nella mia espressione anche un solo indizio che potesse spiegare la mia serie di domande. Non avendo trovato molto, mio padre si rassegnò a rispondere.

Bhè… come deve essere; bello” disse in un sussurro impacciato. Feci particolarmente fatica a trattenere un sorriso; espressioni come “bello” le usava mamma quando avevo dieci anni e credevo ancora a storielle di api, fiori, cavoli e cicogne. Davvero, non riuscivo a capire perché trovasse così imbarazzante parlare con sua figlia di questi argomenti, soprattutto se si teneva in conto il fatto che lui era un medico. Ciononostante, apprezzai i suoi sforzi.

“Puoi essere più preciso?” cercai di aiutarlo io. Lui spostò sistematicamente lo sguardo da me, per guardare un punto indefinito alla sua destra.

Diciamo che, rispetto a un rapporto umano, è molto più… coinvolgente e… bello” tentennò “Alla pari di quello che si prova nel bere sangue umano.”

Mmmh…” mormorai, riflettendo sull’ultima parte della sua affermazione. “E se questo genere di rapporto avvenisse tra un umano e un vampiro?” chiesi, costretta a questo punto a mostrarmi esplicitamente chiara. A quel punto papà fece un respiro profondo.

“Ah. Ho capito dove volevi andare a parare” disse, particolarmente sollevato, smettendola di tritarsi le mani. “Stai parlando di Bella ed Edward, giusto?”

“No, bhè, in realtà mi sono completamente innamorata di un vampiro e pensavo di dedicarmi totalmente a lui in ogni senso” dissi prenderlo un po’ in giro.

“Spiritosa” mi rispose a tono. “Comunque se volevi chiedermi se è fisicamente possibile, bhè, è possibile.” Ora che sapeva che il vero soggetto di quella discussione non ero io era molto più tranquillo.

“Lo trovi abbastanza insolito, dico bene?”

Bhè, un po’ sì…” Questa volta l’insicura ero io. “Ma scusa, tu come sai che loro due…” Lui si morse per un attimo le labbra, prima di rispondere.

“Non intendo scendere in particolari per rispetto della privacy, ma ammetto che Edward è venuto a parlarmene più volte, sperando che gli potessi dare… un consiglio, dato il mio passato piuttosto… movimento che tu ben conosci” rispose, cercando di dosare bene le parole.

“Ah” esclamai, sorpresa. “Però” continuai io dubbiosa “se tu mi hai detto che è come bere sangue umano, allora è particolarmente pericoloso.” A questo punto lui si fece molto serio.

“Sì, è pericolosissimo. È molto facile perdere il controllo” mi rispose con sicurezza, mostrandosi ora molto più controllato. Questa parte sicuramente non era piaciuta ad Edward.

“Non lo consiglieresti a nessuno, quindi” constatai. Lui tornò a sghignazzare.

“Non consiglierei neppure a nessun vampiro di crescere una piccola umana, se per questo” rispose lui a tono. Io lasciai passare la sua battutina, ancora piuttosto confusa dalla faccenda.

“Tu però durante la tua vita da Casanova non hai mai…” chiesi io, sperando che avesse colto.

“No, non mi sono mai spinto fino a quel punto” disse subito lui. Corrugò poi le sopracciglia e guardando in un punto lontano riprese il discorso, questa volta non rivolgendosi a me, ma dando voce ai suoi pensieri. “Ma solo perché non resistevo e le uccidevo prima.

“Ah” esclamai io, abbastanza atterrita. Lui mi guardò sorpreso, ora conscio di quello che aveva appena detto.

Edward però ha un autocontrollo molto superiore al mio” continuò per rassicurarmi.

“Certo, certo” dissi, ancora agitata, ma del tutto convinta. O quasi. Bhè, in fondo si stava parlando di Edward, no? Il vampiro in grado di stare vicino alla propria cantante senza papparsela, colui che pur bevendo il suo sangue non l’aveva uccisa. Insomma, non dubitavo affatto che qualcosa potesse andare male. Non credevo sarebbe stata una passeggiata per lui, ma ero più che sicura che, nonostante le brutte esperienze di papà, Bella sarebbe tornata viva e vegeta.

Insomma, da quello che aveva detto papà e dati i due soggetti in questione, immaginavo che la situazione fosse più che chiara: lei voleva, ma lui no.

Alla fine però non avevo mica capito se erano davvero intenzionati a compiere il grande passo. D’altronde non mi sarei mai permessa di chiederglielo a nessuno dei due.

“Ti ho spaventato?” chiese papà leggermente preoccupato.

“No. E’ che… sto cercando di immaginarmi come potrebbe essere ma… non ci riesco” confessai io.

“Non ti sforzare troppo. Tanto non sarà mai un tuo problema” tagliò subito corto lui.

“Di questo ne sono abbastanza sicura anch’io” dovetti concordare con lui.

“Immagino allora che tu e mamma…” continuai allora, io questa volta cambiando totalmente soggetto. Papà tornò ad essere all’improvviso agitato.

“Mi sembra normale, no?”

Bhè… io non me ne sono mai accorta” completai sincera.

“Mi sembra che ogni genitore normale non faccia queste cose davanti agli occhi dei propri figli” continuò lui, usando quel tono sarcastico e da presa in giro come un’arma per difendere il suo imbarazzo.

Ma quanto spesso lo fate?” continuai io apposta, per tenerlo sulle spine. Tuttavia, dovevo ammettere che non era solo per quello: in effetti era strano che in diciassette anni non avevo mai avuto nessuno strano presentimento di questo genere.

“Vuoi sapere ogni singolo dettaglio di quello che io e tua madre facciamo in privato, Abi?” continuò lui, sempre più nervoso. A quel punto non potei non ridere.

“Ti sto facendo sudare le pene dell’inferno, vero?” chiesi, mettendo in chiaro le cose.

“E’ una pura tortura quella che mi stai facendo sopportare” mi rispose lui, mostrandomi ora tutto il suo disagio.

“Allora, mi rispondi?” continuai io, insensibile ai tormenti a cui lo sottoponevo.

Mentre dormivi, ovvio” mi rispose lui, quasi imbronciato. Risi un’ultima volta per la sua espressione.

“Insomma, è bello sapere che anche il vostro letto matrimoniale ha una sua utilità” conclusi io.

“Ti sbagli, anche quello era solo una pura formalità. Non lo abbiamo mai fatto dentro casa, non volevamo mica distruggerla” disse ancora con quel tono vago, che usava quando parlava ad alta voce a se stesso.

Cosa intendi dire scusa?” chiesi io, che mi sembrava di non aver capito bene. Nuovamente mi guardò sorpreso, mordendosi la lingua per l’errore che aveva fatto.

“Tra poco inizia il mio orario all’ospedale. Ci vediamo, Abi” disse allora lui, salvandosi in extremis ed anche in modo abbastanza patetico. Alla velocità della luce mi diede un bacio sulla fronte e se ne andò.

Rimasi per tanto basita dalla sua azione fin troppo frettolosa. E poi, aspetta, ma oggi papà non aveva giorno libero?

Non potei nemmeno aver il tempo di pensare che la materializzazione di Alice sotto i miei occhi mi spaventò.

Ma dove caspita eri finita!” mi urlò squillante, parecchio arrabbiata “Non abbiamo tempo da perdere per cercarti, forza, abbiamo bisogno di te!” Contro ogni mia volontà Alice mi prese il braccio e mi obbligò ad alzarmi dal divano. Io, ancora spaesata, riuscii con difficoltà a rielaborare che la ‘truppa matrimoniale’ era purtroppo tornata a casa. Con forza mi fece salire le scale.

Dove, dove mi stai portando, Alice?” domandai, parecchio spaventata. Lei sbuffò infastidita.

“A preparare il tuo vestito”

“Quale vestito?” chiesi io confusa. Lei mormorò qualcosa furiosa.

“Quello del matrimonio! Che domande!” Prima che potei davvero realizzare quello che stava succedendo a quel punto eravamo già arrivate in camera sua. Davanti a me si susseguivano immagini di stoffe, aghi, forbici. Un brivido mi percorse la schiena, con la consapevolezza che a quello che mi sarebbe aspettato non avrei avuto nessuna possibilità di fuga. Da Alice infatti non si poteva scappare.

 

Furono ore strazianti, che passai tutte e quante a maledire Bella e la sua proposta di essere sua damigella, insieme ad Alice e Rosalie. Voglio dire, due non bastavano? E poi avrei sicuramente sfigurato accanto a loro.

Dopo almeno un paio d’ore costretta a stare in piedi a fare il manichino, mentre un’Alice che impazziva a ogni mio movimento misurava ogni centimetro del mio corpo per poi coprirlo d’una strana stoffa sbrilluccicosa, dovetti subire per le successive due ore l’acconciatura dei capelli e il make-up, perché, secondo Alice, ‘era impossibile giudicare un vestito senza la piega ed il trucco giusto’.

La cosa peggiore in tutto questo era che Esme, Rosalie e mamma non facevano altro che supportare Alice nella sua opera. Mi stupii in particolar modo di mamma, che con il suo sorriso a trentadue denti si sbiascicava in espressioni quali ‘Abi, sei bellissima’ o ‘Abi, sei stupenda’, invece di salvarmi da questo inferno. Ma si vuol sapere che razza di madre era?!  

“Ecco fatto” disse alla fine Alice. Era piuttosto felice. Brutto segno. Insieme a lei anche le altre tre erano esaltate, soprattutto Esme, che si era unita a mia madre in quel mieloso coro, mentre Rosalie, forse perché poco le importava, non per altro, partecipava alla mia tortura in maniera abbastanza distaccata, limitandosi ad assecondare i consigli, anzi, ordini, di Alice. In quel momento pensai fosse l’unico essere compassionevole in quella stanza.

“Devi assolutamente vederti allo specchio, Abi” trillò la mia mamma traditrice. A forza, mi portò davanti all’immenso specchio di Alice.

Analizzai allora con attenzione la figura che avevo davanti, una specie di bambola di ceramica; senza l’ombra di dubbio non ero io. Alzato però un sopracciglio, anche la sconosciuta davanti a me fece lo stesso. Cambiai postura e lei mi seguì. Caspita, ero davvero io!

Ero decisamente stranissima, non c’era che dire; riguardo al vestito, era stupendo in sé. Su di me molto probabilmente non rendeva. Inoltre Alice mi aveva fatto il dono di un paio di ballerine e non di scomode scarpe con il tacco, dovuto molto probabilmente non a un atto di pietà, ma alla presa di coscienza che avrei sicuramente rovinato la cerimonia se avessi camminato fino all’altare con dei trampoli.

Quello che mi stupì più di tutto era il mio viso; c’era qualcosa di strano, innaturale. I capelli, senza dubbio, erano inumani; non avevo mai visto nessuno con dei boccoli così definiti e perfetti, come quelli delle bamboline di ceramiche. Alzai la mano per sfiorarli e constatai che ero sofficissimi. Inoltre erano di un colore bellissimo, di un marrone scuro splendente. Non mi sembrava però che Alice mi avesse tinto i capelli.

Tornai poi a concentrarmi di nuovo sul mio viso; ancora non riuscivo a capire cosa ci fosse di strano.

“Sei davvero bellissima” disse per la centesima volta mamma, avvicinandosi a me. E fu lì che capii. Essendo due creature diverse, io e mia madre non ci assomigliavamo affatto. Ma quella volta… senza tener conto della carnagione più scura, dell’assenza di occhiaie violacee e di occhi dorati, eravamo… davvero simili. Grazie al potere del trucco il mio naso a patata sembrava dritto come uno stelo ed anche i lineamenti del viso erano più marcati. Avevo come la sensazione di… assomigliare ad un vampiro.

“Finalmente è arrivato!” esclamò Alice, ancora con quella sua vocetta furiosa che mi fece spaventare. Mi girai curiosa, giusto in tempo per vedere Alice spalancare la porta e trascinare dentro un Edward con tanto di giacca e cravatta, il vestito del matrimonio. Dovevo ammetterlo, vestito così sembrava un po’ un damerino, ma ciononostante… era un gran bel figo.  

“E’ davvero necessario tutto questo, Alice?” borbottò lui, esasperato almeno tanto quanto lo ero io. Con forza lo mise vicino a me. Io guardai confusa prima Alice, poi Edward, infine mia madre in cerca di spiegazioni.

“Ovvio che sì, Edward” rispose scocciata lei. Con una mano sotto il mento fece scorrere il suo sguardo prima su di me, poi su di Edward, per poi cominciare da capo. Ci stava studiando come due topi da laboratorio.

“Alice, stai esagerando” le fece notare Edward piuttosto serio. Alice sussultò, come se fosse stata interrotta da una delle sue visioni. Lo guardò prima truce, poi il suo viso si aprì in un bellissimo, quanto minaccioso sorriso.

“Lascia fare a me, fratellino” disse in tono infantile. Edward non poté far altro che sbuffare, ormai arreso.

Dopodiché Alice continuò a guardarci come alieni.  

“Alice…” azzardai io, con voce tremante per paura di provocare un’altra sua crisi “Cosa stai facendo esattamente?”

Tsk” fece subito lei “Mi sembra logico, no?” sbottò irritata “Sto verificando che il vestito delle damigelle si intoni perfettamente con quello dello sposo.” Cos… Aspetta, ma questo non valeva solo per quello della sposa? Guardai Alice preoccupata, cercando di convincermi che tutto questo era normale per una pazza come lei.

Esme, Rosalie, Sophie.” Alice, dopo averci studiato a sufficienza, chiamò a raccolta la truppa, che veloce si riunì attorno a lei. Iniziarono a discutere tra di loro tutte insieme e talmente tanto velocemente che non riuscii a capire una parola. Edward intanto, accanto a me, si sosteneva la fronte con una mano, sopportando a fatica il comportamento di sua sorella. Alla fine Alice tornò a porre l’attenzione su di noi.

“Non vi muovete, torniamo subito” ci ordinò minacciosa. Il secondo dopo tutte quante si volatilizzarono. Edward fece un respiro profondo, cominciando a tamburellare con le dita della mano. A differenza sua, io ero rimasta immobile come una statua ed ancora mezza spaventata. Voltai lentamente la testa verso Edward, cercando di muovermi il meno possibile per paura di vedere un’Alice isterica comparire all’improvviso e urlare ‘Ho detto di non muovervi!’.

E adesso?” sussurrai io. Perché diavolo stavo sussurrando?

“Adesso aspettiamo” mormorò sconfortato Edward, lasciandosi andare in un altro respiro profondo. Io non fui d’accordo con lui. Dopo cinque secondi mi convinsi dell’assurdità e della pazzia della cosa e presi i miei vestiti con tutte le buone intenzioni di rivestirmi. Non mi sarei ancora fatta mettere i piedi in testa in questo modo da uno scricciolo come Alice.

“Io mi cambio” affermai più che convinta.

“Non ti conviene” mi avvertii lui, ancora in piedi. “Farai solo arrabbiare Alice, che ti riserverà qualcosa di peggiore. L’idea mi fece rabbrividire. Seguendo il consiglio di Edward, rimisi a malincuore i vestiti al loro posto.

“Tu come fai a sopportarla?! E’ una pazza!” esclamai nevrotica. Lui sfoderò il suo solito sorrisetto sghembo.

“Dopo un po’ di anni riesci ad abituartici.” Dopodiché scese il silenzio.

Durante la battaglia ed il successivo periodo Edward si era comportato in modo alquanto gentile con me e mi era stato relativamente vicino; in breve, anche se era strano ammetterlo, mi aveva dato un valido aiuto. Soprattutto con Bree. Avevo allora creduto che le cose erano davvero almeno un minimo cambiate tra noi. Che so, speravo che mi avrebbe calcolata un po’ di più. Come non detto, dopo la battaglia le cose erano ritornate esattamente come prima tra noi; lui mi era sempre più insopportabile con la sua ossessione per Bella e per questo a quanto pareva se ne infischiava totalmente di me.

Per questa serie di motivi non sapevo bene che cosa dire per spezzare quel silenzio soffocante. Trovandolo insostenibile sparai la prima cosa che mi sfiorò la mente.

“Emozionato per il matrimonio?” Che patetica! Ma certo che era emozionato! Chi non sarebbe stato emozionato al proprio matrimonio?! Lui allora sorrise, forse per cortesia, forse per le fesserie che pensavo.

“Diciamo di sì” mi rispose lui calmo. Feci un mormorio d’assenso. Decisi allora di riprovare a intavolare una conversazione e questa volta ci pensai di più prima di aprire bocca.

“Dov’è che hai detto che andate in luna di miele?” chiesi allora interessata.

Infatti non l’ho detto” rispose immediatamente lui, sempre pacato. Aveva un’espressione assorta, come se fosse immerso nei propri pensieri. O chissà, forse nei miei. Fatto sta, non sembrava avere l’espressione di uno che mi stesse ascoltando, ma continuai ugualmente.

“Ah, già. Allora, dove andate?” gli chiesi curiosa. Questa volta mi degnò di uno sguardo.

“E’ una sorpresa. Non voglio che Bella lo sappia”

Mica lo dirò a Bella.” Lui sorrise ancora.

“Mi sembra però che ultimamente condividiate parecchie cose insieme” disse con voce ironica, ma anche un po’ strana, riferendosi a qualcosa in particolare. Che io ovviamente capii. Doveva riferirsi sicuramente alla mia discussione con Bella. Un momento, ma non l’avevo pensata. O forse sì? Sì, bhè, in effetti un frangente d’immagine veloce ce l’avevo avuto, ma speravo che Edward non l’avesse notato.

“Ah…” esclamai con un velo di imbarazzo trattenuto. Questo brutto colpo mi costrinse a troncare il discorso di netto e a ricadere nel silenzio.

La cosa non mi riguardava affatto, ma… mi incuriosiva. Alla fine, avrebbero combinato o no? E poi, ad essere sincera, non avevo ancora bene appreso la situazione.

“La puoi smettere per favore? Sei piuttosto irritante. Soprattutto per l’argomento” intervenì Edward piuttosto acido.

“Evita di leggermi i pensieri, allora” ribattei con un’aria da snob. La piega che prendeva la situazione a causa delle nostre battutine pungenti sembrava presagire il ritorno del silenzio, ma solo dopo alcuni secondi, Edward riprese la conversazione.

“Lei non è veramente pronta, vero?” chiese in un sussurro, serio. Aha! Ma allora gli interessava la discussione che io e Bella avevamo avuto!

“Certo che lo è!” dissi convinta. Forse. Quasi. “Era solo… una chiacchierata tra donne, tutto qua!” dissi cercando vanamente di attenuare la sua indole iperpreoccupata. I miei pensieri tuttavia gli avevano dovuto dare una risposta più che soddisfacente. Visto che oggi Edward sembrava in vena di parlare, data la sua precedente presa di iniziativa, mi buttai.

E tu? Lo sei?”

“Perdonami, ma non credo siano affari tuoi” rispose subito, mantenendo un tono impeccabilmente educato.

“Come non lo sono i miei per te” ribattei io a tono. Touché. Cercai di trattenere una risata; ci stavamo pizzicando come dei bambini immaturi. Lo facevamo sempre, io e J…

Comunque, secondo me, anche se forse tu non sarai d’accordo, sì” continuai nervosa, senza pensare, non tanto per vera curiosità, quanto per evitare di ricordare.

“A questo punto, devo esserlo” rispose Edward, forse troppo di getto, quasi sovrapensiero. Molto probabilmente anche lui si faceva distrarre troppo dai suoi pensieri e diceva cose che non voleva dire.

Guardai il suo volto pensoso e gli parlai, accogliendo la possibilità di non ricevere una risposta in cambio.

“Suppongo sia un qualcosa a cui lei tiene particolarmente e che tu potresti fare benissimo a meno, dico bene?”

“Esatto” rispose lui, con tono distratto. “Abigail” disse alla fine, definitivamente uscito dalla sua riflessione. Richiamò completamente la mia attenzione.

“Scusa Abigail se adesso forse ti posso chiedere troppo” disse facendosi più vicino. Lo studia per bene: voce: implorante. Occhi: da cane bastonato. Scopo: voleva che io facessi qualcosa per lui. “Ho bisogno che tu mi faccia un’immensa cortesia.” Infatti.

“Come hai ben intuito, lei vorrebbe, ma io… non mi sento per nulla pronto” continuò lui, cercando di sembrare il più convincente possibile. “E’ pericoloso e sono terrorizzato all’idea di poterle fare del male. Inoltre non credo sia affatto necessario.”

“A forza di pensare che le potresti fare del male, le farai male sul serio, sai?” lo interrupi io, incapace dal trattenermi di fare l’ironica.

“Non scherzare” mi richiamò lui, particolarmente serio. “Ti chiedo per favore di parlarle. Convincila a cambiare idea. Lei ti ha sempre dato retta.” Sbuffai mentalmente; perché tutti ancora credevano che io avessi come un potere magico su di lei? Ciononostante, non fui in grado di dargli immediatamente una risposta. Era un argomento piuttosto complesso per me.

“Non so…” mormorai.

“Non sai quale causa tra le due appoggiare o non sai se riuscirai a convincerla?” fu più preciso lui. Attesi un paio di secondi prima di rispondere.

“Tutte e due.” Non potevo dargli una risposta così su due piedi.

Fino ad allora avevo sempre preso le parti di Bella nei piccoli divari tra lei ed Edward. Ma se questa volta avesse avuto ragione Edward? Bisognava valutarne i rischi, ma la mia completa ignoranza sull’argomento non aiutava. Anzi, per tutti credevo fosse un qualcosa di inusuale.

Insomma, se l’avessi convinta le avrei privato una delle esperienze più importanti della sua vita umana (io le conferivo questo significato ed ero certa che lo condividesse anche Bella), oppure l’avrei salvata da una condizione di estremo pericolo?

Come farlo apposta, Alice in quel momento si materializzò nuovamente in camera. Teneva in mano un rotolone di stoffa sbrilluccicosa uguale alla prima. Ci guardò un’altra volta, prima di scuotere convulsamente la testa.

“No, no, non ci siamo proprio. È tutto sbagliato. Il colore è tutto sbagliato. Questo è migliore” disse confrontando il vestito di Edward con la stoffa che teneva in mano. Colore sbagliato? Ma se erano completamente uguali!

“Alice, lasciami andare” disse Edward stizzito.

“Sì, sì, tu puoi andare” rispose Alice senza neanche degnarlo di uno sguardo, mentre con un paio di forbici pensava a tagliare la stoffa. Edward, libero da Alice, si diresse lentamente verso la porta, mentre lo fissavo invidiosa. Sulla soglia si girò verso di me, aspettando una mia risposta. Io scossi la testa dubbiosa. Ci devo pensare, gli dissi. Lui cercò di farmi un ultimo sorriso convincente prima di scappare dalla camera di Alice.

“Bisogna rifare tutto da capo” mi informò Alice, cominciando a togliere tutte le cuciture del vestito.

Cosa?” sussurrai io. Lei mi guardò seria ed immobile.

“Questo vestito è tutto sbagliato. Bisogna rifarlo. Quindi rendimi le cose più facili e inizia a spogliarti” Cosa? Mi stava in pratica dicendo che avrei dovuto subire altre due ore di quello strazio? Non ebbi la forza di muovermi e rimasi impalata in quella posizione. Ma… ma… avevo fatto la brava, non mi ero mossa… perché? Poteva davvero andare peggio di così?

“Allora? Ancora lì?” disse Alice inviperita, per poi farsi più vicina. Diede un’ulteriore occhiata anche al trucco. “Perfetto, bisogna rifare anche il trucco. Sì, poteva andare peggio di così. A quel punto non ressi più.

Abigail, che succede? Perché stai piangendo?” esclamò sorpresa Alice, che tuttavia non sembrò minimamente intenerita.

 

Ancora adesso non capii grazie a quale capacità nascosta riuscii a subire un ulteriore strazio di ben tre ore per il nuovo vestito. Anzi, se non fosse stato per la lezione di break dance del pomeriggio, quella pazzoide mi avrebbe tenuta là dentro anche di più.

Il corso di break era finito a giugno, ma ero disperatamente in cerca di distrazioni, quindi avevo proposto ai bambini un corso di ‘approfondimento’ per il periodo estivo. Furono tutti estremamente entusiasti e questo mi dava una grandissima soddisfazione.

Tirando quindi un enorme respiro di sollievo, filai dritta in camera mia per andarmi a preparare per la lezione, sperando di non tardare. In un baleno fui quindi a cavallo della mia KTM. Arrivai con qualche minuto di ritardo; tutta colpa di Alice. Esasperata e contemporaneamente arrabbiata con lei mi diressi a grandi passi verso la palestra della scuola. Vidi allora due bambine del corso farsi i cavoli propri fuori dell’aula. Ecco uno degli svantaggi del non arrivare puntuali: tutti quanti facevano di testa loro ed era poi quasi impossibile riprendere il controllo della situazione.

Stephanie, Aurora, cosa ci fate fuori in corridoio?” chiesi loro forse un po’ troppo brusca. Loro due si voltarono quasi spaventate al suono della mia voce. Avevano davvero un’espressione terrorizzata; non pensavo di aver gridato troppo.

“Signora maestra” mi disse Aurora, con la sua vocina fievole. “In palestra c’è uno strano tizio.” Cosa? Entrai immediatamente in palestra, superipermegastratopreoccupata. Al giorno d’oggi il mondo era pieno di matti e se per caso uno di questi si era infilato in palestra in mia assenza e avesse fatto qualcosa ai miei bambini…

“Ciao, Abigail!” mi rispose Seth, tanto felice da toccare il cielo con un dito. Tirai immediatamente un respiro di sollievo. Non era un pazzo furioso, ma la prossima volta dovevo stare più attenta se no… Aspetta, cosa ci faceva qua Seth?  

Lo guardai bene; se ne stava in prima fila, accanto allo stereo che molto cortesemente aveva tirato fuori dallo sgabuzzino. Sembrava avere proprio tutte le intenzioni di partecipare a una mia lezione. In un angolo, se ne stava ammassato il resto dei bambini, che stavano confabulando tra loro, guardando curiosi e contemporaneamente preoccupati il ragazzo lupo al centro della palestra. Per dei bambini come loro, in effetti, Seth doveva sembrare davvero un brutto ceffo.

“Mettetevi in posizione e iniziate a scaldarvi un po’ da soli” dissi cercando di attirare la loro attenzione. Loro mi si avvicinarono cautamente, mentre lanciavano occhiate sospette a Seth, d’altro canto tanto euforico che se avesse avuto la coda avrebbe scodinzolato.

Attaccai con la musica, ma i miei piccoli allievi erano così spaventati che neanche si mossero. Indicai allora a Seth di venire da me. Lui si avvicinò a grandi passi, con un grande sorriso stampato. Quando si fu allontanato un poco, i bambini si sentirono più a proprio agio e iniziarono ad accennare a quei semplici movimenti di riscaldamento che dopo un anno avevano imparato alla perfezione.

Cosa ci fai qui, Seth?” gli chiesi curiosa, mentre la musica dello stereo copriva in parte la mia voce.

“Voglio imparare la break dance” disse lui, non smettendola di sorridermi.

“Chi ti ha detto che continuo il corso di break dance anche in estate?” continuai io, guardandolo ora sospetta. Non avevo dubbi che sapesse che avevo un corso di break: lo aveva sicuramente letto nella mente di qualcuno in particolare. Non riuscivo però a capire come sapesse che il corso lo continuavo anche in estate.

“L’ho saputo da alcuni bambini della riserva” mi spiegò indicandomi con lo sguardo un paio di bambini, che nonostante fossero di La Push, erano anche loro terrorizzati da Seth.

Guardai dubbiosa Seth; ero contenta che finalmente anche unadulto’ aveva intenzione di seguire il corso. Tuttavia l’effetto che aveva sui bambini era stravolgente e con lui mi era davvero impossibile fare lezione. Inoltre aveva una differenza d’età non insignificante. Niente da fare, purtroppo lo avrei dovuto mandare via.

“Ah… ehm…ecco…” dissi cercando di trovare le parole più adatte.“Sono contenta che tu voglia imparare la break dance”

“E’ davvero una figata!” esclamò felice lui interrompendomi.

“Sì, ecco, ma… io faccio livello molto base, in questo momento” cercai di spiegargli garbatamente.

“Ah, bhè, non ti preoccupare; io non so proprio niente” ribatté lui convinto.

Seth” affermai, decidendo di tagliare corto. “Credo di non poterti insegnare…”

“Ah no? Perché no? Mi impegnerò, anche se sarà difficile” mormorò dispiaciuto. Mi sembrò che i suoi occhi neri si fossero ingranditi e forse sarà stata una mia impressione, ma mi sembravano anche luccicanti.

Oh no, oh no! Aveva cominciato a farmi gli occhi dolci. Due occhi dolci da un potere enorme.

Per quanto mi sforzassi non riuscii a resistergli e trovai una soluzione.

Seth” cercai di essere più chiara. “Intendo dire, non adesso” Con lo sguardo indicai i bambini. “Non con loro” Lui guardò confuso prima loro, poi me.

E perché no?”

“Non noti?” cercai di fargli capire io.

Cosa?” Lui sembrava proprio non capire. In questo mi ricordava qualcuno…

“Gli stai mettendo una paura del diavolo” ammisi infine. Lui spalancò gli occhi.

“Oh!” guardò svelto i bambini, per poi guardare stupito me “Dici?”

“Sì, Seth” confermai io. “Se vuoi però quando ho finito con loro, posso occuparmi di te.

“Dici noi due soli?” esclamò, mentre gli occhi tornarono ad accendersi.

“Sì”

“Sarebbe stupendo!” urlò di gioia lui.

“Va bene, allora. Siediti là” gli dissi indicando uno degli angoli della palestra, verso cui Seth ci si fiondò immediatamente.

 

Quella giornata mi fu parecchio difficile lavorare; i bambini non erano per niente concentrati a causa di Seth, che serio e attento studiava e apprendeva ogni mio movimento dal fondo dell’aula. D’altro canto, non lo potevo neanche mandare via dalla palestra.

Fui quindi relativamente contenta quando quella disastrosa lezione finì. Accompagnai i bambini fuori dalla palestra e rientrai solo quando tutti furono stati prelevati dai rispettivi genitori.

Rientrata, Seth mi stava aspettando in piedi, al centro della palestra e a fatica riusciva a contenere la voglia di iniziare. Io mi posizionai davanti a lui, mentre il suo sguardo seguiva ogni mio movimento.

“Allora? Con cosa cominciamo?” chiese esuberante. Io mi sedetti a terra e lui, credendo fosse l’inizio di un esercizio, mi imitò alla velocità della luce.

Prima di iniziare, però, dovevo mettere in chiaro una cosa: ero sì contenta che finalmente qualcuno di più grande avesse deciso di seguire il mio corso, ma il fatto che questo qualcuno fosse un licantropo, mi faceva pensare parecchio.

“Comincia con il dirmi perché hai deciso di fare break” gli chiesi interessata. A pensarci bene forse non sarebbero stati affari miei, ma al momento non riuscii a controllare la mia ficcanasaggine.

Perché è una grandissima figata” rispose lui, come se fosse la cosa più semplice del mondo.

E…?” continuai io.

“Ci deve essere qualcos’altro?” rispose a tono.

Perché, c’è?” Diamine, forse il mio lungo naso stava esagerando, perché in un attimo tutto il suo entusiasmo svanì. Sventolai una mano in aria, per fargli intendere di lasciar stare quello che avevo appena detto.

“Scusami, scusami, non sono affari miei.” Lui però sembrò ignorare quest’ultima frase.

“Non proprio” mi confidò dubbioso. “Sì, ecco” disse alla fine.

“E’ per una serie di cose” continuò mogio. “Innanzitutto, per Jacob. Siamo tutti preoccupati per lui.”

“Immagino” riuscii a dire io, mentre anche la mia di esaltazione se ne andava.

“A casa poi n…non va molto bene” continuò incupendosi ancora di più. “Litigo spesso con Leah, ultimamente. Non è contenta che io e mamma andiamo al matrimonio.” Alzai le sopracciglia per lo stupore.

“Stai parlando del matrimonio di Edward e Bella?”

“Sì, certo” rispose lui convinto.

“Siete invitati anche voi?”

“Eh già.”

“Ah! Non lo sapevo” esclamai sorpresa. Non avrei mai, mai creduto che un licantropo si fosse presentato al matrimonio. Insomma, cosa se non questo matrimonio rappresentava tutto ciò contro cui i licantropi avevano sempre combattuto? Controsenso a parte, questa cosa era fantastica! Finalmente il rapporto tra licantropi e vampiri aveva subito un netto miglioramento.

“Così ho deciso di fare break dance da te” concluse. “Sia perché così mi sfogo, sia perché me ne starò un po’ lontano dagli altri e soprattutto da mia sorella, sia perché stando con te farò felice Sam, sia perché qua ci sei tu. Insomma, tutti motivi estremamente validi… tranne per l’ultimo.

E io che c’entro?” chiesi confusa. Lui tornò a sorridere come un bambino.

“Hai avuto un effetto propedeutico su… Jacob. Quando stava con te stava lasciava sempre i brutti pensieri a casa” mi spiegò lui, con fare di uno che la sapeva lunga. “Forse funziona anche con me, chissà.” Io lo guardai e scossi la testa: questo era stata la scusa meno credibile che avessi mai sentito.

“Bando alle ciance, allora!” dissi cercando animare l’atmosfera. “Vedrai, ti farò sudare così tanto che i brutti pensieri te li farò venire, altro che mandarli via.” Invece di essere spaventato, si esaltò ancora di più.

“Non vedo l’ora!”

 

Quella fu un’ora e mezza davvero impegnativa, che, d’altro canto, cadde a fagiolo, facendomi tenere lontana dalla ‘casa degli orrori’.

Insomma, non serviva di certo dire che dal punto di vista fisico Seth era molto più allenato, pertanto nel giro di qualche tempo, ero sicura che sarebbe diventato più bravo di me. Ma questo solo in teoria: gli mancava tutta la tecnica di base e i movimenti erano parecchio goffi, ma imparava in fretta e dopo qualche prova le cose gli riuscivano in maniera accettabile. Ciononostante, era un po’ avvilente vedere qualcuno che nel giro di un’ora era in grado di fare cose che io avevo imparato nel giro di anni.

“Adesso basta, direi” dissi con il fiatone e imbrattata di sudore. Lui si tirò su da terra profumato come una rosa.  

“E’ stato fan-ta-sti-co!” urlò al culmine della felicità. “E tu sei bravissima come insegnante” Io lo guardai con un sorriso.

“Grazie, nessuno me lo aveva mai detto così chiaramente” gli risposi grata.

Sistemai in breve lo stereo e insieme uscimmo dalla palestra.

Faceva freddo per essere giugno, quindi vidi bene dal coprirmi e dal muovermi ad andare a casa.

“Sei davvero portato lo sai?” mi congratulai con lui.

“Davvero?” chiese felice. “O sono i ‘superpoteri’ da licantropo?”

“Ehm…” Mi aveva messa alle strette. “Non saprei. Diciamo che questo incide ampiamente” affermai io. “Allora, ci vediamo la prossima lezione?”

“Sicuro!” esclamò lui. “Ci vediamo domani, Abi.” Giusto, il matrimonio.

“Certo” dissi, senza fin troppo entusiasmo. “Ci vediamo, Jacob.” Sobbalzai all’improvviso. “Ehm… volevo dire, Seth” mi corressi io all’ultimo minuto. Forse Seth non mi aveva sentito, perché mi sorrise un’ultima volta, prima di dirigersi verso la foresta.

 

Per tutto il tragitto verso casa il mio pensiero fu costantemente rivolto a quello che avevo detto. Perché mi era uscito quel nome così spontaneamente e così all’improvviso? Certo, Seth assomigliava vagamente a Jacob e il mio inconscio ne aveva sicuramente approfittato per giocarmi un brutto tiro.

Arrivata a casa, questo brutto pensiero venne tuttavia sostituito da un altro non meno brutto. Non appena mi tolsi il casco in garage, le voci della ‘truppa matrimoniale’ mi giunsero ben chiare. Domani c’era il matrimonio, quindi senza dubbio al momento stavano pensando a decorare la casa. Dopo il trauma che avevo avuto, il mio istinto di sopravvivenza mi suggeriva di prendere ed andarmene da qualche parte: avrei preferito dormire sotto un ponte piuttosto che entrare in quella casa.

La mia parte razionale invece mi incitava a muovermi e ad entrare, che se fossi rimasta ancora del tempo lì ad aspettare mi sarei presa qualcosa. Fu così che stetti almeno cinque minuti seduta sulla moto, indecisa se alzarmi dalla sella ed entrare oppure infilare la chiave e partire alla volta del nulla.

La risposta provenne da dentro; la porta si aprì e ne uscirono Jasper ed Emmett. Svelti si diressero verso la Jeep di Emmett. Capii che se ne stavano andando da qualche parte e attirai subito la loro attenzione.

Ciao andate via vengo con voi” esclamai svelta, mandando a quel paese l’educazione e l’arte che non avevo mai avuto di farmi i cavoli propri.

Entrambi i vampiri si voltarono verso di me, guardandomi stralunati.

Anche no” ribatté Jasper, prendendomi poco sul serio, molto probabilmente perché credeva scherzassi.

“Dai! Portiamola con noi! Potrebbe essere divertente!” intervenne allora Emmett, ma non capii se fosse serio o no. Jasper non lo degnò di uno sguardo.

“Andiamo a caccia” mi avvertì Jasper.

“Come addio al celibato per Edward” specificò Emmett. Sì, bhè, mi sembrava ovvio che non volessero un’umana tra i piedi nel momento in cui potevano ‘sfogarsi’ un po’, ma continuai a infischiarmene.

“Vi prego, portatemi con voi” li implorai.

“Non intendo farti da baby-sitter” replicò Jasper, serio e anche un tantino arrabbiato.

“Sono autosufficiente! Me ne starò buona buona in un angolino, ma vi prego” dissi indicando la porta.“non mi fate entrare là dentro.”

“Sì, per favore Jasper, portiamola con noi” rincarò Emmett, come se invece di una persona fossi un cagnolino. Lui questa volta lo guardò truce, come a volerlo abbrustolire sul posto. Guardò poi me in cagnesco.

Se Edward viene con noi, Bella si ritroverà da sola. Potresti farle un po’ di compagnia” mugugnò Jasper, trovando un’alternativa. Ad essere sincera mi sentivo un po’ in colpa: Jasper era il vampiro con maggiori difficoltà di autocontrollo e arrivato il momento in cui poteva davvero rilassarsi dopo un estenuante autocontrollo, ecco che arrivavo io che gli rovinavo anche il suo momento di relax. Era davvero crudele che istinto di sopravvivenza ed educazione non andassero sempre d’accordo, pensai sarcastica.

“Stupendo!” esclamai contenta.

“Peccato, sarà per la prossima volta” disse Emmett, sarcasticamente dispiaciuto.

Io intanto guardavo la Jeep con fare supplichevole.

Non è che mi potete dare anche un passaggio, già che ci siete?” sussurrai.

“Certo che sì!” esclamò Emmett affabile. Jasper invece rispose con uno sbuffo. Svelta come il fulmine saltai su. Emmett era appena uscito dal garage quando me ne ricordai.

“Aspettate! Devo avvertire…”

“Tuo padre ha già sentito tutto” brontolò Jasper.

“Oh!” mi limitai ad esclamare io. Per evitare di creare altri disagi, decisi che il minimo che potevo fare era starmene dietro in silenzio. Ebbi così anche modo di pensare, cercando anche di ignorare quel cretino di Emmett che superava almeno di cinquanta chilometri orari il limite.

Quella sarebbe stata l’occasione perfetta per parlare con Bella, se avessi deciso di dare ragione ad Edward.

In quel breve frangente allora cercai di soppesare velocemente i pro ed i contro. Da una parte c’era una delle tappe fondamentali per una coppia, di qualsiasi specie appartenesse, anzi, forse la più importante e per questo non doveva essere ostacolata. Dall’altra c’era il fatto che questo evento fondamentale avesse una percentuale di pericolo molto alta. E per questo doveva essere ostacolato.

Dopo qualche secondo, con abbastanza sicurezza decisi che, per la prima volta, dovevo dare ragione ad Edward: era meglio se non fosse successo niente di tutto questo. Insomma, quante dimostrazioni del loro amore dovevano ancora dare? Questo lo sapevano già tutti e due. O almeno, era quello che dovevano sapere. Inoltre, cosa molto più importante, che fretta c’era, se avevano tutta un’eternità dopo la trasformazione di Bella?

Mi stupii di essere riuscita a prendere una posizione nel giro di cinque minuti. Emmett inchiodò bruscamente e io uscii con un balzo. Entrambi si diressero sotto la finestra aperta della camera di Bella ed io li seguii.

Se non lo fai uscire, veniamo a prenderlo noi!” disse Emmett minaccioso. In risposta niente. Almeno, niente che potessi sentire io.

Guardai allora Emmett e con un dito indicai la finestra.

“Mi puoi aiutare?” Lui mi sfoderò la sua dentatura e i canini bianchissimi scintillarono nel buio.

“Certo!”

Fu così veloce che non riuscii a spiegarmi né la carica di adrenalina né la pazza voglia di urlare a squarciagola. Nel giro di neanche un secondo, infatti, mi ritrovai a svariati metri dal terreno, mentre qualcosa di freddo mi stringeva lo stomaco e la bocca, impedendomi di cadere e di urlare.

Emmett! Sei pazzo!” sibilò Edward dietro di me. Emmett sghignazzò divertito. Immediatamente Edward mi portò dentro.

“Scusalo” mormorò, togliendomi le mani di dosso. Io non riuscii a parlare, ancora mezza morta dallo spavento. Incrociai allora gli occhi sorpresi di Bella mentre era rintanata sotto le coperte al calduccio.

“Sorpresa!” esclamai forse troppo forte, alzando le mani in aria.

Cosa ci fai qua?” mi chiese lei stupita.

“Sono l’anima della festa!”

“Viene con voi?” chiese questa volta ad Edward.

“No, starà con te” rispose lui dubbioso. Io mi volsi verso di lui con disinvoltura. A parlare di certe cose, gli comunicai. Poi la mia attenzione tornò di nuovo su di Bella. Mi avvicinai a lei saltellando.

“Ho già chiamato gli spogliarellisti, non credo sia un problema per te se ho dato l’indirizzo di casa tua” le dissi, mentre mi sedevo sul letto accanto a lei. “Anche tu ti meriti un addio al nubilato come si deve”

Abi…” sussurrò flebile all’orribile prospettiva di un gruppo di ragazzi mezzi nudi a casa Swan.

“Sto scherzando! Sto scherzando!” mi affrettai subito a dire, trattenendo a fatica una risata.

Senza che me accorgessi, Edward si avvicinò a Bella per darle un bacio sulla fronte.

“Cerca di dormire. Domani sarà un giorno importante” le sussurrò. Bella gli sfoderò un’espressione di disgusto.

“Questo aiuta proprio a rilassarmi” Edward sfoderò il suo sorriso sghembo.

“Ci vediamo all’altare”

“Io sarò quella in bianco” ribatté sarcastica. Io feci una smorfia per trattenere un sorriso.

“Non avevo dubbi” disse Edward ridacchiando. Si accucciò e il momento dopo svanì invisibile. Sentii provenire da fuori i lamenti di Emmett.

“Non fategli fare tardi” mormorò Bella accanto a me. Il viso di Jasper allora spuntò dalla finestra.

“Non preoccuparti, Bella. Lo riporteremo a casa in tempo” la rassicurò lui. All’improvviso mi sentii tranquillissima.

Jasper, cosa fanno i vampiri alle feste di addio al celibato?” continuò a chiedere Bella “Non lo porterete in giro per strip club, vero?”

“Non dirle niente!” protestò Emmett dal basso. Cercai di soffocare una risata per la sua battuta.

“Noi Cullen abbiamo una versione tutta nostra. Soltanto puma e grizzly. Una normalissima serata, tutto qui”

“Grazie Jasper” Fece un occhiolino e sparì anche lui, lasciandoci sole.

Mi voltai dispiaciuta verso Bella.

“Mi spiace disturbarti in questo modo, la notte prima del matrimonio” esclamai, intuendo solo ora che forse invadere la sua privacy così all’improvviso non era decisamente adeguato.

“No, fa niente” mi rispose lei, alquanto dubbiosa. “Come mai questa presa d’iniziativa?” Le sfoderai il mio sorriso sghembo, permettendomi di mettermi comoda sul letto a due piazze.

“Il mio istinto di sopravvivenza mi ha suggerito di andarmene alla svelta da quella casa degli orrori” spiegai in breve, leggermente ironica. “Non sarei riuscita a metterci piede almeno fino a domani” finii preoccupatamente sincera.

“Ah, capisco” esclamò lei esasperata, comprendendo appieno la situazione. “Se stare qua può servire a qualcosa, allora sei la benvenuta” disse, accennandomi l’ombra di un sorriso.

Quella ragazza non riusciva proprio ad accettare l’idea di un matrimonio, neanche sotto sforzo.

“Sei sicura di non voler fare proprio niente per il tuo addio al nubilato?” le chiesi ingenuamente, tentando di risollevarle il morale, facendo vedere cosa c’era di positivo in tutto questo. Non avevo previsto però l’occhiata gelida che mi perforò.

“Ti devo forse ricordare cosa ne penso di questo matrimonio?” borbottò scontrosa. Scossi la testa con mezzo sorriso sulle labbra senza farmi vedere, rendendomi conto che quella non doveva essere la serata migliore della sua vita.

“No, direi di no.” Lanciai un’occhiata alla sua espressione imbronciata e non potei trattenermi dallo sghignazzare.

“Forza, sarà come togliersi un cerotto!” tentai per l’ennesima volta io, sapendo pienamente tuttavia che sarebbe stata una battaglia persa; nessuno sarebbe riuscito a levarle quell’espressione immusonita. D’altronde ci avevo provato molte altre volte prima, ma senza successo. Non osavo immaginarmi l’espressione che avrebbe avuto domani. 

“Lo spero” sbuffò lei. “Potremmo fare scambio di posto, che dici?” Era evidente che era una battuta ironica, ma il tono era tanto indispettito che sembrava dicesse sul serio. Io la guardai sconfortata. 

“Non credo funzionerà” ammisi io l’evidenza. Con un ultimo sbuffo appoggiò la schiena alla parete.

“Non vedo l’ora che arrivi il dopo” disse con voce speranzosa, immergendosi nei propri pensieri. Io sussultai leggermente.

“La luna di miele?” Lei annuì leggermente, ancora con la testa tra le nuvole. O cavoli. A causa della scenata di Emmett mi ero totalmente dimenticata di quello che dovevo assolutamente parlarle. Okay, ma ora il problema era come avrei iniziato la conversazione. Insomma, eravamo donne adulte per le quali queste cose, a quest’età, erano più che normali. Tuttavia io e Bella non avevamo mai parlato di queste cose, quindi sarebbe stato inevitabile precipitare nello stesso imbarazzo di poco prima. Deglutii profondamente, diventando improvvisamente nervosa e cercando di trovare il modo più disinvolto possibile per affrontare l’argomento. Alla fine optai di prenderla larga.

Edward non ti ha ancora detto dove ti porterà?” iniziai a chiedere io, dosando la tensione che si faceva sempre più sentire. Lei sobbalzò leggermente, tornando alla realtà dal mondo dei suoi pensieri.

“No, non ancora. Ma Alice lo sa; si sta già occupando della valigia” disse lei accigliata, con un tono leggermente più acido di prima. Non era difficile capire che non saperlo l’irritava ulteriormente. 

Quindi non sai cosa farete” continuai io, ora con voce piuttosto tremula. Sbagliai totalmente atteggiamento.

Bhè, no…” mi rispose lei, guardandomi confusa per la domanda, ovviamente senza senso. E che cavolo! Me ne poteva venire in mente una migliore, no? Ma ormai che la frittata era fatta, decisi di fare come piaceva a me: essere diretta.

“Senti, Bella, voglio parlarti” dissi con decisione. “Hai presente quando mi hai chiesto se ero vergine, oggi?” sbottai io franca e schietta. I suoi occhi si allargarono all’improvviso e le sue guance diventarono appena più colorite. Ciononostante, cercò di nascondere l’imbarazzo annuendo convinta.

Bhè, ecco, mi hai fatto pensare” continuai io, un po’ meno decisa per la sua reazione che mi contagiò. “Ho capito che tu e Edward volete…” Lei annuì ancora più decisa, facendomi intendere alla perfezione che aveva capito.

“…e… mi è sembrato… strano, per un’umana ed un vampiro. Trovavo estremamente difficile esprimermi su questi argomenti. Ora sapevo cosa doveva provare mio padre quando parlavamo di questo. “E… ne ho parlato con mio padre” aggiunsi, ricollegandomi ai miei pensieri.

“Sì, Edward mi ha detto che l’ha fatto anche lui” rispose lei, con voce uguale alla mia. Presi un respiro profondo, ora che dovevo arrivare al succo della questione.

“Ecco. Bhè…” Cercai di temporeggiare fino all’ultimo per dirglielo in maniera meno traumatica possibile. “Credo di essere d’accordo con lui sul fatto che non sia una buona idea.” Come avevo in un certo senso immaginato la sua espressione imbarazzata mutò all’istante. Ma non avevo previsto un’espressione così seria.

“Come sai che lui non è d’accordo? Ti ha parlato?” mi chiese decisa. Beccata. Tuttavia io sapevo mentire bene. 

“E’ palese, Bella!” esclamai io. “Credo di averlo abbastanza capito per essere sicura al cento per cento che lui non vuole!” Bhè, ero stata più sincera di quanto pensassi. Forse era perché Bella aveva ormai capito quando sparavo balle, o forse, molto più probabilmente, era perché sapeva com’era fatto Edward, ma non mi credette.

“Hai parlato con lui” confermò senza battere ciglio. “Ti ha chiesto lui di parlarmi di questo?” Presa contropiede, non potendo ormai negare l’evidenza, mi limitai a guardare in basso e a fare spallucce. Lei scosse la testa, prendendosi la testa con entrambe le mani.

“Lo sapevo” mormorò, irritata che Edward mi avesse usata contro di lei. Il che non era affatto vero.

“Aspetta, aspetta, Bella” ripetei io, cercando di essere più chiara. “Lui mi ha chiesto di venirti a parlare, ma sono stata io che ho deciso di farlo. Con queste parole riotteni la sua attenzione, mentre si sforzava di non guardarmi truce.

“Seriamente, Bella. Hai valutato quanto pericoloso sia e quanto costerebbe a lui?” le chiese cercando di farla ragionare.

“Certo” rispose lei senza alcun dubbio.

E hai valutato anche la prospettiva di poterlo fare dopo?” arrivai quindi io al succo. “Dopo la trasformazione tutto sarà meno rischioso. Il suo sguardo, che per tutto il tempo era rimasto fisso nel mio, lentamente si abbassò. Bella non era una sciocca; conosceva le conseguenze di questa sua decisione. Pertanto, supponevo che a sostenere la sua tesi ci fossero motivazioni molto serie ed importanti per lei.

“E’ vero” mormorò alla fine, dopo non so quanti secondi di silenzio. “Ma a quel punto io… non sarò più io.” Io non capii.

Che vuoi dire?”

“Sarò una neonata, Abi. Tu sai meglio di me cosa significa” esclamò, forse un po’ troppo forte. “Non penserò nient’altro che al sangue. Sarò totalmente succube della mia sete. E… ho paura che al confronto non sentirò neppure il bisogno di Edward” disse con una nota di preoccupazione nella voce difficilmente nascondibile.

“Ma non sarai una neonata per sempre!” ribadì allora io.

“No, ma… quanto dovrò aspettare?” continuò lei. “Se invece accade adesso riuscirò a viverlo in ogni istante, come vorrei, e come dovrebbe essere.”

Fu allora che mi venne spontaneo formulare un pensiero, forse troppo crudo, ma senza dubbio terribilmente avventato. Il problema fu che non mi accorsi che lo dissi realmente.

Edward ha aspettato tutta la sua esistenza da vampiro prima di incontrare te” mormorai tra me e me, inconsapevole di parlare. “Tu non riusciresti a fare altrettanto per lui?”

“No” mi rispose lei, senza esitazione, stringendo la fodera della coperta tra le dita. “Evidentemente Edward mi ama molto di più di quanto io ami lui. D’altronde, sono sempre stata convinta di questo” concluse con una nota dolente ed un’espressione cupa in volto. Sussultai improvvisamente. Cosa diamine avevo detto?! Da dove cavolo venivano quelle parole?! Ah! Che avevo fatto! Era stata senza dubbio la cosa più brutta che le avevo mai detto. Il giorno prima del matrimonio, poi; non poteva andare peggio! Ma lei, in quel momento, mi aveva presa sul serio, glielo vedevo dalla sua espressione.

Cercai di rimediare velocemente.

“Non è assolutamente vero, Bella!” esclamai io, sul punto di urlare. “Non è mica una gara a punti, dove è migliore chi ama di più! E poi, insomma, tutte le volte che gli hai dimostrato il tuo amore, la maggior parte delle quali implicavano la morte, non ti bastano?” le feci notare io. Mi guardò con la stessa identica espressione ancora per un bel po’.

“Su questo hai ragione” mormorò alla fine. Allorché ricadde ancora il silenzio. Io d’altro canto, lascia scorrere i secondi, dandole tutto il tempo per pensare. La sua espressione si fece sofferente, mentre si sorreggeva con una mano il mento, rivolgendo gli occhi fuori dalla finestra, come se la risposta alle sue preoccupazioni si trovasse al di là di quel vetro.

Non era affatto mia intenzione rovinarle l’unico motivo per cui sarebbe riuscita a sopportare la cerimonia di domani, ma, prima di decidere, volevo che prendesse in considerazione ogni aspetto. Si rivolse alla fine a me, con espressione immutata.

Abigail, dici davvero che…” si interruppe all’istante, sospirando profondamente. Si prese la testa tra le mani, come per paura di vedersela rotolare sul pavimento da un momento all’altro.

Abigail, dimmi cosa devo fare.” A quell’affermazione detta così su due piedi rimasi per alcuni secondi paralizzata. Bella mi guardava con occhi preganti, supplicandomi di darle una risposta. Aveva imparato da tempo a fidarsi di me, e al momento, anche e soprattutto per causa mia, aveva fatto una delle cose che, lo sapevo, la mandavano totalmente in panico: si era ricreduta. A tal punto che ora non aveva più la minima idea di cosa fare.

La cosa più giusta, in quel momento, sarebbe stata quella di dirle di lasciar perdere, rinunciare a questa sua esperienza, ma non era affatto la più corretta. Ero certa che, se io le avessi detto cosa doveva fare, lei lo avrebbe seguito senza indugi: in pratica avrei deciso io per lei. Ma chi diamine ero io per decidere come Bella avrebbe dovuto vivere? Chi ero io per prendere le decisioni al posto suo? Doveva farlo esclusivamente lei, punto e basta. Fu così che decisi di non rispondere alla sua domanda.

“Non posso dirti niente, Bella” risposi terribilmente seria “Sta a te decidere”

Bella non mi rispose, si limitò a guardarmi immobile. Di certo una risposta del genere da me non se l’aspettava. Soprattutto, non si aspettava che l’avrei lasciata sola nel dubbio.

Bene, avevo ufficialmente rovinato la serata. Per la tensione che si era creata, non parlammo molto. Anzi, non parlammo affatto. Tempo cinque minuti, e Bella si era già infilata sotto le coperte: chiaro segnale che era ora di andare a dormire. Seguii il suo esempio e mi accucciai ai piedi del letto, neanche fossi un cagnolino.

Oltre che la serata, le avevo rovinato anche il sonno; la sentii per tutta la notte muoversi sotto le coperte. E mi sentii terribilmente in colpa; ero stata troppo avventata, non dovevo pormi in quel modo. Avevo sbagliato tutto. Per non parlare di quella cavolo di frase, che da chissà dove mi era uscita! Fu così che quella notte la passai in bianco anch’io, pensando a quello che avevo fatto, ma soprattutto, cosa sarebbe successo se avessi imposto la mia decisione a Bella.

 

 

 

 

 

Ed eccoci arrivati finalmente a Breaking Dawn! Premetto subito una cosa: il quarto libro, personalmente, è stato quello che mi ha soddisfatta di meno. Pertanto, a differenza degli altri, sarà il libro che stravolgerò di più, pur cercando sempre in linea di massima di seguire la trama originale. Un primo esempio è stata la domanda di Bella all’inizio capitolo; sinceramente, non ce la vedo fare domande del genere. Tuttavia il motivo per cui ho deciso di inserirlo è stato... perché mi andava di farlo, e che cavolo! E’ o no la mia fanfiction? XD

Secondo punto della fan fiction: ebbene sì, ai licantropi piace la break dance! XD Non so se sia da Seth o no, ma ce lo vedo benissimo fare break dance!

Lo so, come andamento questo capitolo è un po’ lento. Ma voglio ricordare che nel prossimo ci sarà il matrimonio e… vi ricordate che seguo più o meno la trama della saga, no? eh eh eh eh! 

Concludo allora ringraziandovi, per la ventiquattresima volta tutti voi, ad essere precisi, che mi sopportare con i miei ritardi (che fino ad adesso non ho rispettato XD ) e di essere così pazienti da riuscire ad aspettare fino a luglio.

Un grosso bacio a tutti quanti!!!

 

X __cory__: Eh già, c’hai avuto ragione te, Sir Cullen è rimasto uguale a prima, a quanto pare XD e forse, a dirla tutta, in questo capitolo si è mostrato anche un po’ opportunista; ma trattandosi di Bella, mi sembra che sia stato normale per lui. Poi, hai ragione, è stato brutto che Bree non si ricordasse di Abigail; ma sarebbe stato molto più brutto e tragico se si fosse ricordata di lei, fidati. Per quanto riguarda a un possibile collasso da parte della mia protagonista, c’ho pensato seriamente, visto che più avanti si va, più diventa dura per lei XD.

Mi dispiace, forse ti ho delusa a non inserire un incontro all’ultimo sangue tra Abigail e Bella; ad essere sincera fino al penultimo capitolo ero convintissima che avrei scritto il dialogo che si sarebbe svolto tra le due, ma all’ultimo minuto ho cambiato ideata, perché sapevo che non sarebbe stato poi così interessante (mi dispiace, ma sarebbe stata proprio poco verosimile una scena da pugilato tra Bella ed Abigail XD).

Mmmhhh… le tue supposizioni sono molto interessanti, ma staremo a vedere, staremo a vedere… :) Lo sai che non posso dire proprio niente al riguardo, vero? Non commento, non commento!

Noooo! Ma come nessuna domanda? Da te! Mi deludi! Allora, la prossima volta ne voglio come minimo venti, sul prossimo capitolo, sulla storia in generale, se vuoi puoi farmi anche domande senza senso, ma ne voglio venti, chiaro? XD

Grazie mille e un bacione grosso anche a te!!

 

X Elvira910: a quanto pare, le tue speranze si sono realizzate, finalmente! Hai ragione, Bella come personaggio è abbastanza negativo, sia nella mia ff che nella storia originale, ma devo dire però che anche Edward e Jacob c’hanno avuto i loro piccoli e grandi difettucci che non hanno esitato a mostrare… Per quanto riguarda l’amicizia tra Edward e Abigail, mah, amicizia ora come ora è una parola grossa, ma forse qualcosa più avanti cambierà.

Grazie tantissimo per aver commentato! Un bacio!

 

X mylifeisabeautifullie: Uau! Hai lanciato una nuova idea per delle magliette! “Jake, fa la scelta giusta = Abi”! Ci starebbero però, forse lo convinciamo davvero a farlo XD. Grazie mille per gli auguri di Natale, ma soprattutto per i tuoi complimentozzi che non mi fai mai mancare! Grazie anche moltissimo per il consueto commento! Un bacio grande grande!

 

X Franny97: Mmhhh… è una mia impressione, o più si va avanti e più i tuoi commenti si fanno lunghi? Vedo che questa volta non ti sei accontentata di lasciare un commento solo, bensì due! Cosa mi devo aspettare la prossima volta? Pubblicherai direttamente un commento come fan fiction? XD Scherzi a parte, e già che ci siamo, mettiamo da parte anche la tua autostima sottozero, che non ha motivo di essere tale, perché di persone che mi recensiscono in questo modo, ancora non ci son state, passiamo alla risposta al tuo commentoneoneoneone. Credo che ti faccia felice sapere che con la tua venerazione ora mi sono montata la testa e mi credo chissà chi. Comunque, ma chissà perché questa volta hai iniziato a commentare dal fondo, chissà, chissà, chissà… XD.

Mmmhhh… non credo servirà la ‘truppa del mistero’ (Nota Bene il penoso richiamo alla ‘truppa matrimoniale’), forse hai ragione tu, è stata sicuramente la botta in testa, che ha fatto Abi propensa a scene piuttosto teatrali per dimostrare i suoi sentimenti, non lo metterei in dubbio. Poi, alla tua affermazione “Probabilmente volevi sottintendere che se non me ne fossi andata all’ istante sarei saltata addosso a Jacob senza alcun ritegno” vorrei rispondere con: non esattamente, diciamo che era la solita uscita teatrale di Abigail XD. No! Io non definirei affatto Jacob ‘maniacale’! Voglio dire, in rapporto con i diciassettenni di oggi, Jacob si è dimostrato un monaco di clausura XD, come d’altronde Abigail una suora di convento! (ehm… no, non ho idea di che cosa sia un pedobear, ma grazie per avermi culturalmente arricchita!). Allora, allora, allora, aspetta l’ultimo capitolo, poi vediamo di fare una classifica. Perché non hai ancora visto niente, ragazza! Ah ah ah!

Poi, tu hai scritto “non farmi ancora attendere, o le persone si stancheranno delle indecisioni”. Ti correggo, tutti si sono già stufati delle indecisioni, io compresa! Ma d’altro canto, in un certo senso anche tutto Eclipse originale è fatto delle indecisioni di Bella, che non sa scegliersi tra Edward e Jacob, quindi meglio andarci giù pensati con le indecisioni, almeno così sono sicura di seguire la trama del libro XD. Scherzi a parte, hai ragione. Ma il momento arriverà, te l’assicuro (pensa che devo seguire la trama del libro e pensa a che punto della storia siamo arrivati adesso, pensa, pensa!), ma purtroppo, come ben tu sai, non posso dirti altro!

Uau, che male alle dita! Hai scritto davvero tantissime cose, e mi dispiace non aver risposto a tutte le tue riflessioni, che sono davvero tantissime, spero tu capirai.

Devo ammetterlo, cara mia Abi, che questa volta hai davvero superato te stessa. Ho seriamente paura per la prossima recensione.

Non posso fare altro di più sincero che mandarmi un enorme bacio via web! Smack!

Ancora moltissime, e moltissime grazie! :)

 

NB: mmhh… non lo so, non ci vedo molto bene Abigail regalare fiori a Jacob. Però è interessante questa cosa del fiore (mi puoi dire anche che fiore è?)

 

X nes_sie: mmmh… influenza negativa di chi? Chissà, chissà… XD Sì, è strano vedere Edward in un atteggiamento diverso, ma almeno, finalmente, ha cambiato modo di comportarsi anche se per poco, dimostrandosi meno noioso di sempre!

Mi dispiace! Alla fine non ho deciso di inserire il dialogo tra le due; non mi veniva l’ispirazione e non sarebbe stato interessante. Comunque a prescindere non avrei inserito nessun duello stile western, te lo posso garantire XD.

Oh! Direi che ti meriti un applauso *CLAP*, perché hai centrato il tema fondamentale di questa fan fiction; cosa pensa Abigail sul rimanere umana? Mi dispiace, ma non posso dirti niente di più di quello che ho già scritto, perché quest’argomento giocherà una parte fondamentale nel finale che ho previsto. Spero di esserti stata esauriente :). Purtroppo, come ben sai, non posso rispondere a tutte le constatazioni che hai fatto nell’ultima parte :(. Non commento, non commento!! Ma ti posso benissimo, anzi, devo, ringraziarti di cuore per i tuoi commenti sempre presenti! Un bacione enorme ed un grazie ancora più grande!

 

X Newdark: mmmhh…, amici. Essere amici è banale. Diciamo che il loro è un rapporto ‘un po’ conflittuale, ma quando serve un amico c’è sempre l’altro che ti viene in soccorso’. Chiaro, no? XD Allora, che Jacob sia un cretino, non è una novità e lo sarà sempre, quindi mettiti il cuore in pace, che ne farà, ne farà di cavolate anche per molto XD. Grazie ancora tantissimo per i tuoi splendidi complimenti e per gli auguri che mi hai fatto!! Spero che la mia storia continuerà ancora a coinvolgerti ed appassionarti! Un grosso bacio!

 

X KaytheAngel: spero davvero che non ne sei rimasta delusa!! Grazie ancora moltissimo per il commento! Alla prossima!!

 

X Ossequi_Monet: ohh… sono rimasta atterrita dal tuo commento. E’ uguale allo stile che il New York Times, il Rolling Stone e riviste di questo calibro usano per i commenti! Scherzi a parte, sono contenta che si noti che il parallelismo con la storia originale sia rimasto immutato, ma soprattutto mi sento gratificata dal fatto che tu abbia paragonato la mia fanfiction ad una droga, in pratica! Grazie ancora per il commento! Spero che anche in seguito la mia storia ti soddisferà! Alla prossima!

 

 

 

 

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Capitolo 25
*** Venticinquesimo Capitolo ***


Venticinquesimo Capitolo

 

Venticinquesimo Capitolo

 

Il giorno dopo a svegliarmi fu un dolore allucinante al braccio. Senza aprire gli occhi, ancora mezza addormentata, cercai di muoverlo, ma senza risultati. Era come se non ce lo avessi più. Decisi allora di aprire gli occhi, per verificare che brutta fine avesse fatto. Ancora scombussolata, notai che si trovava sotto la mia testa: molto probabilmente, senza rendermene conto, lo avevo usato come cuscino, in assenza di un immediato sostituto. Seccata lo presi con l’altra mano e lo misi sul fianco. Un tremendo formicolio mi invase tutto l’arto superiore destro. Che orribile sensazione.

Innervosita da quella brusco sensazione, decisi di svegliarmi del tutto. Aprii del tutto gli occhi e i pochi e tenui raggi di sole che filtravano dalla tapparelle mi permisero di capire che non mi trovavo affatto nella mia stanza. Improvvisamente sentii un bisbiglio ed ebbi allora un sobbalzo nel sentire che accanto a me cerca qualcun altro che si muoveva.

Tempo due secondi, e capii di trovarmi in camera di Bella. Mi trovavo ai piedi del suo letto, accovacciata come se fossi il suo gatto, mentre sentivo il respiro della mia amica che dormiva. Mi tirai su a sedere e constatai felicemente che oltre al braccio che continuavo ancora a non sentire la schiena non si trovava in stati migliori. Cercai di distenderla il meglio che potevo e sentii tutte le vertebre scroccare rumorosamente.

Bella riemerse da sotto le coperte, mentre si stiracchiava anche lei, tirandosi indietro i capelli.

“Buongiorno” mormorai con la voce rauca.

“Oggi proprio non ci sta” brontolò lei, stropicciandosi la fronte. Io sorrisi per la sua risposta.

“Fidati, sarà come togliersi un cerotto” le ripetei io “E scommetto che alla fine ti divertirai almeno un pochino. Cavolo, chi non si divertiva al proprio matrimonio! Lei rimuginò qualcosa, scontrosa.

“Hai dormito bene?” chiesi allora, per cambiare discorso.

“Per niente” mi rispose lei “Strani sogni” tagliò corto. Io rimasi un attimo in silenzio prima di parlare.

“C’entra qualcosa la conversazione di ieri?” chiesi titubante.

Anche” rispose lei svelta. Passarono ancora alcuni secondi prima che io le parlassi.

“Scusami, Bella. Non sarei dovuta venire da te ieri notte a farti quei discorsi” mi scusai, sentendomi ancora in colpa. Lei sbuffò.

“No, figurati. Anzi, mi sono serviti da lezione” cercò di minimizzare lei. Aprii bocca per risponderle che farlo in un momento in cui era già abbastanza tesa non era la cosa migliore da fare, quando il rumore di qualcosa che ripetutamente sbatteva contro il vetro mi zittii. Quel rumore si ripeté ancora un paio di volte.

“Oh, questo dev’essere sicuramente Edward” Senza rendersene conto, Bella balzò dal letto alla velocità di una gazzella inseguita da un leone, per andare immediatamente ad aprire la finestra. La luce del sole che entrò mi obbligò a chiudere gli occhi.

“Buongiorno, Bella” disse una meravigliosa voce che non mi aspettavo di sentire “Mi dispiace tantissimo di averti disturbata, cara” disse terribilmente dispiaciuta.

“Oh, no, non fa niente, tanto eravamo già sveglie” rispose Bella, dispiaciuta che non fosse Edward. Io mi alzai di scatto dal letto e mi avvicinai alla finestra, mentre assonnata mi stropicciavo gli occhi. Vidi allora la mia mamma strepitosa aggrappata senza alcuna fatica alla finestra della camera da Bella.

“Mamma, cosa ci fai qua?” chiesi sorpresa. Con un elegante balzo fu subito dentro.

“Dobbiamo prepararti per il matrimonio, Abi” mi spiegò lei con tono meravigliato, come se fosse un qualcosa di lampante. “Ti ricordi che sei la damigella d’onore, giusto?” Passai una mano sulla fronte.

“Ah, già” mormorai al limite della sconsolazione “Grazie mille, Bella, per l’incarico” aggiunsi poi. Bella accanto a noi alzò le mani in segno di resa.

“Non guardare me! Ha fatto tutto Alice!” Il mio sguardo guizzò su di Bella. Cosa? Alice mi aveva detto che era stata Bella a dirle che voleva fossi io la damigella! Ma allora… era stata tutta una messa in scena di Alice!

“Forza, Abi, salta su. Non c’è molto tempo” mi mise fretta mia mamma, entusiasta come un bambino al parco giochi all’idea di questo matrimonio. 

“Mamma, è l’alba. Il matrimonio sarà questo pomeriggio” le feci notare scettica.

“Appunto” rispose lei, ancora con quel fastidiosissimo tono da evidenza “Suppongo che tu non ti sia vista, giusto? Ci sarà molto lavoro da fare.” La guardai stupita per quello che aveva appena detto. Mi ricordava molto i discorsi isterici di Alice.

“Ti sei fatta influenzare troppo da Alice o è una mia impressione?” Lei fece spallucce, stampandosi un sorriso da innocentina sulle labbra. 

“E’ che i matrimoni mi esaltano tantissimo” rispose semplicemente. Non s’era proprio capito. Mamma cambiò allora subito discorso, spostando l’attenzione su Bella, la persona che, purtroppo per lei, sarebbe stata servita e riverita quel giorno.

“Hai dormito bene, Bella” chiese mamma con tono zuccherino. Bella, senza alcun apparente motivo, arrossì leggermente, come faceva spesso, d’altronde.

“Non molto” rispose lei, ancora con la voce roca dal sonno.

“Sì, si vede. Hai delle occhiaie terribili. Alice non ne sarà contenta” constatò mamma esageratamente preoccupata, dopo averle dato una veloce e approfondita scansione.

“Già” mormorò sconsolata lei, all’idea di trascorrere un divertentissimo pomeriggio sotto le mani di Alice.

“Oh, Bella!!” scoppiò allora mamma, buttandole le braccia al collo. Sobbalzai per quell’atto troppo veloce ed inaspettato e così fece anche Bella. Quando mamma se ne accorse, si staccò subito, limitandosi a cingerle le spalle.

“Oh, scusami, Bella” disse, guardandola con un sorriso smagliante negli occhi

 “Anche se adesso ti sarà difficile crederlo, questa sarà un’esperienza meravigliosa, che non dimenticherai tanto facilmente.

“Vorrei che fosse come dici tu, Sophie” mormorò Bella, ancora provata per quel repentino contatto inaspettato.

“Lo sarà, vedrai” disse sfiorandole la punta del naso in atto giocoso. “Come sono contenta per te, Bella” disse mielosa per l’ennesima volta, evitando questa volta di abbracciarla. Bella non riuscì a trattenersi dal fare una smorfia, che in realtà doveva essere un sorriso, mentre guardavo esasperata il soffitto, in attesa che finisse l’esuberanza di mamma.

“Stai tranquilla, Bella” disse per l’ultima volta. “Abi, dai, su, che non c’è tempo. Io sobbalzai per il richiamo. Manco fossi un cagnolino. Nonostante preferissi restarmene a dormire ancora un po’ e pensassi che fosse una esagerazione assurda introdurmi all’inferno della preparazione del matrimonio all’alba, mi arrampicai sulla schiena di mamma.

“A dopo Bella” esclamò entusiasta mamma.

“A dopo” rispose lei.

“Ciao” mormorai invece io, non proprio al massimo della gioia, mentre l’attimo dopo mamma si lanciò dalla finestra.

 

Sentii per al massimo alcuni secondi la sensazione del vento che sferzava il mio viso, che eravamo già arrivati davanti a casa. Io scesi dalla schiena di mamma con malavoglia, al solo pensiero di quello che avrei dovuto affrontare, mentre non smettevo di sbadigliare dal sonno.

“Oh Abi, non fare così! Vedrai che sarà divertente” esclamò di nuovo esuberante. Io la guardai truce, non trovandoci proprio niente di divertente. Mamma allora sbuffò.

“Non fare la guastafeste!” mi ammonì lei, spingendomi verso l’interno della casa. “Almeno fingi di divertirti. Almeno così non rischi di contagiare l’umore di Bella” Feci nuovamente un respiro profondo, dovendo alla fine dare ragione a mamma. Dovevo dare prova di tutte le mie arti recitative, perché in questa occasione più che mai ce ne sarebbe stato il bisogno.

Aprii dunque la porta di casa Cullen, pronta ad affrontare l’insopportabile. Rimasi totalmente pietrificata davanti allo spettacolo che mi si pone davanti. Ogni cosa era ricoperta di nastri di tulle, ghirlande di boccioli bianchi, raso bianco ed una quantità innaturale di fiori di arancio, lillà, fresie e rose dappertutto. E non avevo ancora visto il retro, dove si sarebbe svolta la cerimonia. Tutto preannunciava un matrimonio elegante fatto alla grande. Io sbuffai nuovamente alla vista di quella sfarzosità: ovviamente Alice non aveva badato a spese.

Come farlo apposta, non appena pensai ad Alice, ecco che si materializzò davanti a me.

“Eccoti finalmente!” mi disse con quel dannato tono isterico che aveva da ormai due giorni. “Devi prepararti immediatamente” mi ordinò quel folletto. Senza troppe cerimonie, mi prese per il polso e mi trascinò fino ai piani di sopra, con una mamma tutta elettrizzata dietro di me.

“Alice, è l’alba! Non ti sembra di esagerare?” le feci notare io, un po’ irritata per essere trattata come una bambola di prima mattina. Alice si fermò di botto guardandomi truce. Quello sguardo mi impedì di proferire parole e mi fece pentire del commento che avevo appena detto. Lei si limitò a sfoderarmi un sorrisino, uno di quelli perfidi e malvagi tipici di Alice nelle sue crisi isteriche, che minacciavano guai seri nel caso in cui i suoi ordini sarebbero stati contraddetti. La sua attenzione si spostò sua mamma, senza più badare a me.

“Posso lasciarla nelle tue mani?”

“Senza alcun problema” rispose sicura mamma.

“Bene” rispose Alice, con l’autorità di un generale, per poi subito sparire chissà dove. Io guardai curiosa mamma, mentre mi portava nella camera sua e di papà.

“Alice?” chiesi dubbiosa. Ero assolutamente sicura che ad occuparsi di me sarebbe stata quel demonio di Alice.

“Deve occuparsi di Bella, quindi non ha molto tempo per sistemare te. Quindi ci penserò io” mi disse in un sorriso. Feci un lungo respiro di sollievo. Mi ero già costruita mentalmente tutto un film sulle orribili torture di Alice, quindi fui felicissima all’idea che a mettere mani su di me sarebbe stata mamma, che aveva un tocco decisamente più delicato.

Non appena entrai sobbalzai alla quantità di trucchi e creme tutte per me che era disposte sull’enorme bancone.

“Siediti, forza” mi invitò mamma, riferendosi ad una poltrona, più che ad una sedia. Io a malincuore obbedii e, chiudendo gli occhi, lasciai che mamma iniziasse.

“Verrai strepitosa, vedrai” mi confermò mamma.

“Sì, come no” ribadii immediatamente io. “Come se lo potessi essere, vicina a te” Mamma sbuffò infastidita.

Quando avrò finito ti farò rimangiare questa frase, e con gli interessi” mi avvertì mamma, mentre continuava imperterrita nella sua opera. Trattenni l’ennesimo sbuffo, pensando a come in realtà era del tutto inutile curare il mio aspetto fisico per una cerimonia di mezza giornata. Mentre ero in preda di queste mie riflessioni non molto ottimiste, sentii mamma canticchiare.

“Mamma, non riesco davvero a capire il motivo per cui sei così euforico per questo matrimonio” brontolai, esasperata dalla sua allegria che non mi contagiava affatto.

“Insomma, lo sai come la penso del matrimonio, no? E’ l’atto di amore che unisce due persone, per quanto formale sia, e che dà l’occasione alle persone care di partecipare a questo amore” mi rispose semplicemente, continuando a spalmarmi creme e cremine. “E poi sai che adoro vedere persone innamorate.

 All’udire questa particolare frase mi irrigidii e finalmente riuscii a uscire dalla mia prospettiva di totale rigetto per la cosa ed immedesimarsi nei suoi panni. Mamma, da quando la conoscevo, era sempre stata una persona con un grande bisogno di ricevere amore. Non mi aveva mai parlato molto della sua vita umana, che d’altronde non si ricordava chiaramente neppure lei, ma da quel poco che sapevo non era stata affatto una vita da rimpiangere, bastava solo prendere in considerazione che fine aveva fatto quell’obbrobrio di uomo che l’aveva messa incinta. Pertanto, come risultato di queste esperienze, mamma aveva cominciato a sviluppare una forte attrazione per l’amore: non solo riceveva e dava tutto il suo amore a me e a papà, ma si sentiva particolarmente coinvolta in qualsiasi forma d’amore. Molto spesso, infatti, la vedevo commuoversi davanti ad un film romantico, o soffermarsi ad osservare una mamma che sorrideva al proprio bambino incontrati per strada. Poteva essere scambiata sicuramente per una romanticona con troppe fantasie in testa, per chi non la conoscesse. Ed egoisticamente quella volta anch’io l’avevo per un attimo considerata come una romanticona piena di fantasia. Decisi allora, non solo per compiacere Bella, ma anche mamma, di sforzarmi di prendere seriamente questo matrimonio e svolgere in modo impeccabile il mio ruolo di damigella, iniziando prima di tutto a sopportare in silenzio questa tortura.

Mi lasciai allora trasportare dalle dita di mamma, che veloci mi massaggiavano le guance con qualcosa di liquido e cremoso. Questa dolce sensazione mi spinse a rilassarmi del tutto e a recuperare le ore di sonno perdute. Stavo quasi per addormentarmi, quando una domanda mi sorse improvvisamente spontanea.     

Perché non ti sei mai sposata con papà?” mormorai io nella beatitudine del suo massaggio, ma con viva occasione. Sapevo infatti che mamma e papà non si erano mai sposati, ma non avevo mai realmente preso in considerazione il motivo questa scelta, visto che i miei genitori si amavano come se lo fossero già da tempo.

Bhè, diciamo che non c’è mai stata occasione, con una piccola umana a cui badare” mi rispose lei senza un minimo di esitazione nella voce. “E poi non conoscevamo troppe persone da invitare”

“Ma adesso che la piccola umana è cresciuta e può pensare a stessa. Inoltre, adesso conosciamo un po’ più di persone da poter invitare” replicai io con fermezza. “Oltre ad avere un’ottima organizzatrice di matrimoni.

“Stai forse dicendo che saresti in grado di sopportare tutto questo un’altra volta?” domandò lei in tono ironico. Ci pensai su prima di rispondere.

Mmhh…. Per voi lo farei volentieri” Sentii la sua risata cristallina risuonare.

“Ti ringrazio per sacrificarti in questo modo per noi” continuò, ridendo. “Ma preferirei di gran lunga ora come ora assistere al tuo di matrimonio” disse senza rendersi conto di quello che diceva. Sentì le sue mani fredde fermarsi e scivolare via dal mio viso. Quella affermazione fu più che sufficiente per creare un’atmosfera di gelo: da un po’ di anni a questa parte, infatti, il mio futuro remoto era diventato un argomento piuttosto tabù. Aprii gli occhi lentamente. Vidi mamma osservare il pavimento in uno stato di avvilimento eccessivo, rispetto alla gioia che emanava prima, mentre le braccia le scendevano lungo i fianchi. Da quando ci eravamo trasferiti a Forks, per un problema o per l’altro non si era mai creata l’occasione di pensare a quella cosa.

“Oh, Abi, per quanto mi sia sforzata fino ad adesso di non pensarci, io…” mormorò con tono rotto. Io feci un respiro. Odiavo vedere mamma così. Ma d’altronde, se mi fossi trasformata, sarebbe stata molto peggio…

“L’uccellino deve abbandonare il nido prima o poi…” dissi, pronunciando per l’ennesima volta la frase che più sintetizzava il mio futuro e che troppe volte avevo detto e sentito.  “Mamma, è giusto così. Non puoi stare accanto a me per sempre. Le mamme di qualsiasi specie lasciano i loro piccoli” continuai con un tono di voce tranquillo e contenuto, convinto di quello che diceva.

“Lo so, lo so” continuò lei, alzò lo sguardo verso di me. Gli occhi era lucidi e a quella vista fu come se qualcuno mi stringesse il cuore. “Ma tu sei una rinuncia troppo grande, Abi. Chiusi gli occhi, incapace di resistere a quello sguardo.

“Anche tu lo sei per me, mamma” mormorai inconsciamente. Sentii allora le sue forti braccia fredde, in grado di spezzare la colonna vertebrale di un grizzly, leggere attorno a me.

Abi, Abi” mormorò ancora con la voce roca. Io mi staccai subito da quell’abbraccio che mi avrebbe ben presto portato alle lacrime. Non era ancora tempo per questo genere di commozioni.

“Su, bando alle ciance!” dissi con tono più esuberante possibile, per distrarre mamma e farla concentrare nuovamente su questo matrimonio. “Hai ancora tanto lavoro da fare, no?” Mamma mi fece un sorriso timido e titubante, ma riuscii nel mio intento.

“Hai ragione” disse non del tutto convinto, rimettendosi a spalmarmi creme.

 

Abi? Svegliati su!” Qualcosa di freddo sul collo mi obbligò ad aprire gli occhi improvvisamente. Davanti a me c’era il sorrisone a trentadue denti di mamma.

Sei magnifica, Abi” Sorpresa, il mio sguardo guizzò sui miei capelli, che ricadevano sulle spalle in boccoli impeccabili con un eccessivo profumo di lacca.

“Già fatto?” esclamai esterrefatta, ripensando alle due ore che ci aveva impiegato Alice. Mamma mi guardava compiaciuta.

“Sì. Hai dormito per tre ore. È stato piuttosto facile, senza le tue lamentele” Io trattenni un sorriso.

“Scommetto che adesso inizierai a truccarmi la notte per il giorno dopo” Lei rise

“Potrebbe essere un’idea” replicò, accucciandosi “Ora guarda verso di me, ti devo da una sistemata agli occhi” obbedii e ci impiegò al massimo due minuti per mettermi non so che cosa sugli occhi.

“Perfetto” Mi lanciò un sorrisone “Ora sei perfetta.” Stavo per girare la sedia e guardarmi allo specchio, quando mamma mi bloccò.

“No, no, no! Prima ti devi mettere il vestito. Mi fu impossibile non fare una smorfia, ma mi feci trasportare da mamma senza alcun problema. Mamma scomparì ed un attimo dopo comparve di nuovo con in mano un appendino ed il fantomatico vestito sbrilluccicoso. Senza lamentarmi troppo, iniziai a svestirmi ed indossai il vestito. Non appena ebbi tirato su la zip, come se fosse stato una sorta di richiamo, entrò un’Alice alquanto agitata. Indossava il medesimo mio vestito – a lei, ovviamente, stava molto meglio – ed i capelli erano raccolti in una complicata acconciatura, che la facevano sembrare molto più un folletto. Tremavo all’idea che quello che avesse fatto mamma non andasse affatto bene e che era necessario fare tutto da capo. Ciononostante, non appena mi guardò il suo viso si rilassò e sfoderò un grande sorriso. Guardò compiaciuta mamma.

“Hai fatto davvero un ottimo lavoro, Sophie. Davvero stupefacente. Non avrei saputo fare di meglio. Mamma ricambiò il sorriso, guardando nuovamente il suo prodotto con orgoglio, mentre io avevo tutte le intenzioni di tirare un sospiro di sollievo. Tuttavia, mi si bloccò in gola quando Alice, da non so dove, tirò fuori un paio di trampoli argentati.

“Deve riuscire a camminarci entro l’inizio della cerimonia. Dici che riuscirà a farcela?” chiese Alice a mamma, senza degnarmi di uno sguardo. Mamma fece spallucce.

“Non lo so. Possiamo provare” rispose dubbiosa mamma. Scu-scusate?! Dov’erano finite le ballerine?!?!

E le ballerine?” riuscì a dire io. Alice mi lanciò un’occhiataccia, come se fosse infastidita di averla interpellata.

“Stoni con le ballerine” si limitò a dire lei autoritaria. Io aprii bocca per replicare, ma Alice mi anticipò.

“Mi fido di te, Sophie” disse a mamma, affidandole le scarpe. “Io vado a occuparmi di Bella”

“Vedrò quel che posso fare, Alice” le rispose prendendole con cura. Dopo aver fatto un cenno autoritario, Alice se ne andò. Io mi voltai lentamente verso mamma, guardandola basita. Lei ricambiò il mio sguardo, facendo spallucce e facendo cenno alle scarpe.

“Ma stiamo scherzando?!?!” proruppi allora io, infastidita per non essere stata minimamente interpellata di niente.

“Alice ha ragione, tesoro” cercò di convincermi mamma “Sei l’unica damigella con le ballerine. E stoni tantissimo.” Io feci un respiro profondo, tentando di calmarmi, ma inutilmente, scoppiai lo stesso.

E chi se ne frega!” esclamai io. Inviperita, tentai di afferrare la lampo dietro al schiena, con tutte le buone intenzioni di togliermi quel vestito e ammutinarmi. C’era un limite a tutto e questo era davvero troppo. Il trucco ed il vestito potevo accettarlo, ma fare la passerella con quelle scarpe, non si parlava nemmeno.

Abi, Abi” Mamma veloce afferrò le mie mani e le bloccò. “Almeno prova, cosa ti costa?” Io la guardai truce.

“Costa la salute dei miei piedi! Ecco cosa costa!” tentai di liberarmi dalla presa, ma inutilmente.

“Senti, facciamo un patto, tu impegnati, se non ci riesci, convincerò Alice a darti le ballerine”

“Il punto è, mamma, che non ho nessuna intenzione di impegnarmi!” sbottai io. Mamma sbuffò.

Abi, dovrai prima o poi imparare a usare le scarpe col tacco, no?”

“Meglio poi che prima!” continuai cocciuta io. Lei allora mi sfoderò i suoi occhioni dolci, che puntualmente mi ricordarono che se non lo volevo fare per me o per Bella, avrei reso fatto contenta la mia super mamma. Così quegli occhioni furono sufficientemente potenti per convincermi almeno a provare. E feci l’ennesimo sbuffo della giornata.

 

Io e mamma andammo a provare direttamente dietro casa, dove si sarebbe svolta la cerimonia, lungo il tappeto bianco che portava all’altare e che non appena lo vidi mi sembrava non finire mai. Ovviamente anche tutto l’esterno era pieno di nastri bianchi, fiori profumati e cose così.

Fino a quel momento avevo sempre pensato che fare la damigella comportasse unicamente camminare in linea retta tenendo in mano un mazzo di fiori, e fin lì tutti erano bravi a farlo, ma non avevo per nulla preso in considerazione alcuni importanti fattori, come per esempio un centinaio di occhi puntati verso di me, l’inaspettato pericolo di inciampare, ipotetici e disorientanti flash delle macchine fotografiche. E adesso c’erano anche le scarpe. Oh no.

“E’ davvero stupendo!” esclamò estasiata mamma, che non ci stava più nella pelle. L’osservai e sorrisi involontariamente. La rendeva davvero felice assistere ad un matrimonio, sebbene non fosse neppure suo. Anche perché, pensandoci bene, doveva essere la prima volta della sua esistenza da vampiro, se non sbagliavo. Per un attimo la sua allegria riuscì alla fine a contagiarmi e a convincermi a fare un piccolo sforzo per renderla ancora più felice. Mi sedetti su una delle centinaia di sedie che c’erano, pronta a farmi infilare le scarpe.

“Forza, fuori il dente, fuori il dolore” la richiamai allora io alla realtà. Lei si riscosse un attimo per poi dedicarsi a me.

“Sì, certo” disse lei svelta e spaesata. Chissà a cosa stava pensando, mentre guardava quell’immenso spiazzo.

Tempo cinque secondi e mi aveva già legato ai piedi quegli orribili trampoli. Feci un respiro profondo e mi alzai. Subito barcollai, instabile. Caspita, quant’era alto il mondo da lassù! Dovetti immediatamente appoggiarmi a mamma. Lei in un baleno mi raddrizzò. Sentii già da subito i piedi farmi male.

“Mamma, toglimele” mormorai, aggrappandomi a lei nuovamente. Mamma sbuffò.

Abi! Non è un’impresa sovraumana!” ribadì lei. Prese nuovamente le mie braccia e mi ristabilizzò. Riuscii a farmi trovare l’equilibrio, almeno se stavo ferma.

“Coraggio, cammina!” mi esortò lei. Io la guardai dubbiosa.

“Come si fa?” mormorai impaurita. A quel punto mamma capii che da sola non sarei riuscita a muovere un passo. Quindi mi prese a braccetto e mi esortò nuovamente ad andare avanti.

“Tacco, punta, tacco, punta. Non è difficile!” Cercai allora di seguire i suoi consigli. Durante i primi passi continuai a perdere l’equilibrio, ma dopo un po’ riuscii a farli senza problemi. Mi sentii soddisfatta ed orgogliosa di me stessa all’idea di non essermi fatta battere da un paio di trampoli qualunque, anche se sentivo i piedi pulsare.

“No, non va bene, Abi” Come non detto. “Non devi arrancare, devi camminare!” Io la guardai dubbiosa. Perché, non andava bene anche solo riuscire ad andare avanti?

“Devi muovere i fianchi!” Io la guardai ancora più dubbiosa. Ecco, muovere i fianchi. Lo stava chiedendo alla persona sbagliata. Tentai di fare anche quello, ma l’inesperienza non aiutava affatto.

“Di più, Abi, muovili di più! Non avere paura di essere scambiata per una ragazza!” continuò mamma, con tono ironico. Io la fulminai con lo sguardo lanciandole un’occhiataccia. Non era esattamente il momento per fare dell’ironia. Ciononostante, a metà del percorso, riuscii a strappare da mamma un complimento.

Non appena terminai quella cavolo di passerella ed arrivai all’altare, mamma non mi diede neppure un secondo per esultare, che dovetti nuovamente tornare indietro. Dopo altri due minuti di quella prova, i miei ormai mi facevano così male che neppure li sentivo. Orami mi ero fatta prendere del tutto ed osservare serissima il pavimento, cercando di non cadere e di mantenere il ritmo che avevo acquistato. Quindi era normale il sobbalzo che feci alla vista di un flash. Osservai davanti a me, sorpresa. Vidi papà con in mano la sua macchina fotografica di ultima generazione guardarmi con un sorriso orgoglioso.

Io alzai gli occhi esasperata. Ovviamente dovevo prevederlo, che papà, con la sua passione per la fotografia, non perdesse l’occasione per scattare un bel po’ di foto. Almeno i Cullen avrebbero risparmiato con il fotografo, seppure nel loro caso non fosse necessario.

“Sei meravigliosa, Abi” mi disse in un tono del tutto estasiato. Come se lui nel suo smoking grigio fumo non facesse un figurone.

Anche tu sei un bel pezzo di gnocco, papà” gli risposi sfoderando tutta la mia classe.

“Molto fine, come sempre, vedo” mi sottolineò lui. Io in risposta gli feci una linguaccia.

“Sei arrivato giusto in tempo, Will” comunicò mamma, con voce sempre più entusiasta, mano a mano che si avvicinava l’ora “x”. “Puoi aiutare tu Abi? Devo ancora andare a prepararmi”

“Certo” rispose papà, stranamente entusiasta.

“Bene” diede conferma mamma. Mi appigliai allora al braccio di papà, mentre mamma si volatilizzava. Papà ricambiò la mia stretta, guardando leggermente confuso.

“Dimmi, esattamente cosa devi fare?” Io sbuffai. Ancora.

“Devo imparare a camminare consti cosi per la cerimonia, perché secondo quella pazza di Alice stono se metto delle ballerine” borbottai seccata. Papà trattenne un sorriso.

“Così però sei più bella, sai?” mi sussurrò papà all’orecchio, come sostegno. Io grugnii.

“Certo” risposi ironica. Papà sorrise sotto i baffi.

Eravamo a metà del secondo giro e mi sembrava di andare piuttosto bene.

“Pensavo fossi peggio a camminare con i tacchi, sai? Mi stupisci” osservò papà. “Solo che dovresti muovere di più i fianchi. Sei troppo rigida”

“Non avrei mai detto che proprio tu mi avresti detto di muovere di più i fianchi” gli feci sottolineare io. Papà fece spallucce, trattenendo un sorriso.

“Hai ragione”

D’un tratto, Emmett e Jasper spuntarono dal salotto, ovviamente vestiti in maniera impeccabile anche loro. Stavano portando ancora altri vasi di fiori da disporre. Come se quelli che già c’erano non bastassero già. Mi domandavo dove li avrebbero messi, visto che ormai non c’era più posto. Evidentemente anche loro non erano sfuggiti dalle grinfie di Alice, che li aveva soggiogati a dei burattini.

Speravo tanto che facessero quello che dovessero fare senza prestarmi troppa attenzione, ma me lo dovevo aspettare che non sarebbe andata così. Emmett, come sarebbe stato normale, non iniziò neppure a disporre quei cavoli di fiori bianchi che si immobilizzò a guardarmi dapprima curioso, per non riuscire a trattenere un sorriso subito dopo. Cercai di fare finta di nulla, ma quel suo comportamento da cretino mi irritava e mi distraeva.

Cosa stai tentando di fare, scusa?” mi chiese curioso e divertito, facendosi vicino.

“Camminare, se non si nota” borbottai irritata. Lui allora scoppiò a ridere.

“Se ce la faccio io, allora non vedo perché tu non puoi riuscirci. E detto questo iniziò a camminare velocemente, muovendo esageratamente i fianchi in un atteggiamento preoccupatamente femminile. Io mi abbattei ancora di più vedere Emmett fare quello che avrei fatto io molto meglio, questo bisognava dirlo. Doveva essere lui la damigella d’onore.

Fu allora che, troppo innervosita, misi male il piede e di sicuro sarei caduta come una pera, se mio padre non fosse stato tanto accorto da trattenermi. Di conseguenza, com’era ovvio, Emmett iniziò a sganasciarsi dalle risate, mentre io diventavo rossa come un peperone dall’imbarazzo.

Emmett, così non l’aiuto” intervenne mio padre in mia difesa.

“Sei un fascio di nervi” intervenne allora Jasper, che, a differenza di suo fratello, era molto più discreto e si era limitato a svolgere il compito affidatogli da Alice senza notarmi. “Devi stare più tranquilla” disse in tono particolarmente loquace.

Infatti, non appena ripresi a camminare, provai una grande sensazione di tranquillità e sicurezza che mi permisero di muovermi molto più decisa di prima, nonostante l’indiscreta presenza di Emmett.

Una volta arrivata dalla parte opposta dell’altare e compiuto anche il secondo giro, Emmett e Jasper avevano già finito da un pezzo e si erano diretti verso la sala dove si sarebbe svolta la cena, lasciando me e papà di nuovo da soli.

Non ce la feci più: raggiunsi la sedia più vicina e ci crollai sopra, con i piedi doloranti. Non osavo pensare alla quantità di vesciche che mi sarebbero venute.

“Aspetta torno subito” mi avvertì papà. Il secondo dopo era di nuovo lì, con un pacchetto di cerotti in mano. Benedissi quel santo uomo ed iniziai ad incerottarmi i piedi, infischiandomene completamente se per Alice questo sarebbe stato anti-estetico. Dopo aver fatto, papà mi aiutò a rimettermi in piedi e sfilò dalla parte opposta un bouquet enorme con gli stessi fiori sparsi per la sala. Io lo guardai, contemporaneamente disgustata e sorpresa.

“Questo dovrebbe essere il tuo bouquet” mi informò papà “Dovresti iniziare a prenderci confidenza” mi disse in tono ironico. Lo presi con malavoglia, prevedendo che non sarebbe stato affatto facile camminare e tenerlo in mano. Infatti, non appena mossi i primi passi, mi sembrai del tutto uguale ad una trapezista. Senza avvedermene, quindi, iniziai a canticchiare sottovoce la canzoncina del circo. Papà allora si mise a ridere.

“Esagerata!” disse dandomi un leggero pizzicotto “E non ti dimenticare che devi anche sorridere, oltre a fare tutto questo.” Non appena lo disse mi si dipinse automaticamente un’espressione da funerale. Come se non ci bastasse anche questa. Non avrei mai pensato che sarebbe stato così complicato fare una semplice camminata.

“Stai migliorando” mi comunicò papà. Sì, ma ancora non riuscivo a staccarmi dal suo braccio, purtroppo. Capendo dunque che parlare di quello che stavo facendo non serviva a molto, papà iniziò a distrarmi cambiando discorso.

“Ti ricordi quando da piccola giocavamo ai matrimoni?” mi ricordò sorridente. Io scoppiai immediatamente a ridere.

“Ci saremmo sposati almeno una cinquantina di volte!” esclamai io, con le lacrime agli occhi.

“Quasi sposati. Ti divertivi sempre a lasciarmi all’altare. La cosa più divertente era che ogni volta sceglievi un modo diverso”

“Hai ragione!” continuai io, ridendo come una matta per i ricordi della mia infanzia.

Quando ero piccola, io e mio papà giocavamo sempre al “gioco del matrimonio”. Non mi ricordavo ora bene come fosse saltato fuori, molto probabilmente avevo visto qualche film alla tv. Fatto sta che il gioco consisteva nello sposare papà, ma ogni volta che dovevo dire “sì”, mi inventavo ogni scusa possibile ed immaginabile per scappare. Alla fine finiva sempre che me ne andavo sul mio triciclo. Con il senno di adesso ammetto che era un gioco davvero stupido ed infantile, ma al tempo era il massimo il “gioco del matrimonio”.

“E come ti impegnavi a vestirti da sposa” continuò papà. Io non riuscivo a smetterla di ridire.

“E’ vero! Usavo quantità enormi di carta igienica per il velo!”

“E impiegavi ore per fare dei bouquet da sposa davvero orribili” sottolineò papà. Io gli lanciai una gomitata.

“Non è vero!” ribattei io.

“Fidati, è così” ribadì sicuro papà. “Attenta al gradino.” Allorché sobbalzai sorpresa, guardando davanti di me: eravamo già arrivati all’altare. Mi appoggiai a papà per salire. Lui mi raggiunse e lentamente mi prese entrambe le mani.

Bhè, almeno non potrò rimpiangere di non averti portato all’altare almeno una volta” disse con uno strano tono malinconico. Io mi paralizzai all’istante; il discorso, com’era successo con mamma, era finito di nuovo su quell’argomento anche con papà.

“Hai sentito il discorso con mamma?” bisbigliai, a disagio.

“No, affatto” mi rispose sincero lui “Ma non mi sorprende che non ne abbiate parlato.” Io mi limitai a tenere lo sguardo fisso verso il basso. Scese allora un pesante silenzio imbarazzante. Io continuai a mantenere lo sguardo verso il basso, in attesa che papà dicesse qualcosa.

Abi…” incominciò, per poi troncare il discorso lì, evidentemente perché, stranamente, non trovava le parole da dire. Lo sentii fare un respiro profondo, per poi cingermi le spalle con le braccia, mentre appoggiava le labbra fredde sulla mia fronte. Iniziò, in silenzio, a cullarmi lentamente, mentre con una mano mi accarezzava la schiena scoperta. Con grande fatica, ricambiai quell’abbraccio. Non aveva senso tutto questo, mancava ancora tanto tempo e non sarebbe servito a niente disperarsi ora. Sfoderai allora tutta la mia ironia ed il mio sarcasmo, facendo senza dubbio la figura dell’inconveniente e dell’indelicata.

“Non mi stringere troppo, papà.” La mia voce risuonava ovattata, da sotto la giacca di mio padre “O Alice mi concerà per le feste. In una risata fin troppo forzata, papà sciolse l’abbraccio. Mi guardò quindi con quel suo sguardo fiero, tipico di papà.

“Certo, hai ragione” disse, capendo sicuramente che non volevo toccare quell’argomento di discussione. Mi diede poi una dettagliata scannerizzazione dalla testa ai piedi.

Abi, da dove vengono fuori tutte queste curve” mi fece notare lui, tornando ad essere il padre super-preoccupato che amavo. “Mi devo cominciare a preoccupare sul serio, allora. Io sbuffai, alzando gli occhi al soffitto.

“Come no, papà” esclamai io esasperata.

“No! Dico sul serio!” continuò lui convinto. Fece allora un giro veloce intorno a me, osservandomi bene. Mi guardò decisamente preoccupato. “Ti preferivo con la tuta, sai?” Io sghignazzai in modo mascolino. 

“A chi lo dici, pah’.” Sobbalzai immediatamente alla vista di Alice davanti a noi. Mi diede un’occhiata veloce e mi lanciò un sorriso.

“Sei davvero splendida, Abigail.” Io sorrisi automaticamente, all’idea che Alice stessa mi faceva un complimento. Il secondo dopo, invece, mi diedi della totale stupida ad averlo anche solo pensato.

“Vediamo allora come cammini” continuò lei senza perdere entusiasmo. Io feci un respiro profondo. Ecco, la prova del nove era arrivata. Feci un passo in avanti convinta, ma persi immediatamente l’equilibrio senza l’appoggio di papà e con un bouquet in mano. Fortunatamente, papà mi afferrò subito, evitando di farmi cadere. Alice automaticamente cambiò umore, mentre si strofinava disperata una mano sulla fronte.

“Come non detto. Dovevo immaginarlo” esclamò seccata. “Ecco, tieni.” Da non so dove mi porse un paio di ballerine dal colore e dal tessuto identico a quelle con il tacco. Feci un grande respiro di sollievo, mentre velocemente mi toglievo quelle che avevo addosso.

“Avanti, fammi vedere come intendi camminare” mi esortò Alice. Improvvisai allora una breve camminata, facendo particolare attenzione a sorridere. Alice però non sembrava troppo convinta.

“No, non ci siamo. Ondeggia ancora un po’.” Dovetti pensare qualche secondo prima di capire che voleva che muovessi i fianchi. Cercai allora di camminare come avevo fatto fino ad adesso con le scarpe coi tacchi, seppure era una sensazione piuttosto strana, che mi metteva a disagio.

Mmhh… non c’è male” concluse alla fine Alice. Non mi lasciò nemmeno il tempo di respirare che mi trascinò via per un polso. “Forza, gli invitati arriveranno a momenti. Io, del tutto sconcertata, mi volsi in dietro, come richiesta d’aiuto a papà. Lui, però, si limitò a farmi l’occhiolino come gesto di incoraggiamento, lasciando che Alice mi trascinasse nelle camere di sopra.

 

 

 

 

 

Suonino le trombe, l’autrice ha pubblicato un nuovo capitolo! Dopo mesi e mesi di silenzio, finalmente mi rifaccio viva.

Purtroppo ho una bruttissima notizia da darvi: ho serie intenzioni di lasciare incompiuta questa fan fiction e fermarmi qua.

Non riesco più a scrivere, per poco perfino mi annoia farlo. Credo che ormai è scomparsa quella voglia di scrivere di due anni fa, quando ho postato il primo capitolo. E questo, dopo due anni, mi sembra anche un fatto normale. Purtroppo, mi sono posta un obiettivo troppo grosso. Mi dispiace solo mollare quando manca relativamente poco alla fine e quando accadranno i fatti centrali di questa storia!

Mi trovo quindi in una situazione piuttosto disperata, e credo di dover proprio chiedere l’aiuto di qualcuno, se spero di concludere questa fan fiction. È vero che da una parte mi è difficile lasciare questa storia nelle mani di qualcun altro, in quanto ci sono fin troppo affezionata. Dall’altra, tuttavia, desidero con tutto il cuore vedere questa mia storia finita, come molti di voi, e quindi sono più che disposta ad accettare l’aiuto di qualcuno. Quindi, chi vuole aiutarmi a concludere questa fan fiction, mi contatti pure!

Detto questo, è forse giunta l’ora di concludere con un ultimo saluto. Ringrazio, dunque, tutti voi, miei lettori, che avete apprezzato le disavventure di Abigail, che forse, spero, vi abbiano fatto sognare, come hanno fatto con me. 

Vi saluto, dunque, (forse) per l’ultima volta, mandandovi un forte, grosso e strabordante GRAZIE DI TUTTO!!!

 

Lalla124

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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