A passi incerti

di Ginevra1988
(/viewuser.php?uid=1001923)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 3 maggio 1998 - Hogwarts ***
Capitolo 2: *** Ancora 3 maggio 1998 – ancora Hogwarts ***
Capitolo 3: *** 4 maggio 1998 – ancora Hogwarts ***
Capitolo 4: *** 5 maggio 1998 – Hogsmeade ***
Capitolo 5: *** La Tana ***
Capitolo 6: *** 18 maggio 1998 – Casa Tonks ***
Capitolo 7: *** 19 maggio 1998 – La Tana ***
Capitolo 8: *** 26 maggio 1998 – La Tana ***
Capitolo 9: *** 27 maggio 1998 – La Tana ***
Capitolo 10: *** 2 giugno 1998 - La Tana ***
Capitolo 11: *** 3 giugno 1998 – Villa Conchiglia ***
Capitolo 12: *** 6 giugno 1998 – Villa Conchiglia ***
Capitolo 13: *** 6 giugno 1998 – La Tana ***
Capitolo 14: *** 7 giugno 1998 – La Tana ***
Capitolo 15: *** 15 giugno 1998 – Ministero della Magia ***
Capitolo 16: *** 17 giugno 1998 – La Tana ***
Capitolo 17: *** 19 giugno 1998 – San Mungo ***
Capitolo 18: *** 20 giugno 1998 – ancora San Mungo ***
Capitolo 19: *** 21 giugno 1998 – ancora San Mungo ***
Capitolo 20: *** 23 giugno 1998 – ancora San Mungo ***
Capitolo 21: *** 29 giugno 1998 – ancora San Mungo ***
Capitolo 22: *** 7 luglio 1998 – La Tana ***
Capitolo 23: *** 8 luglio 1998 – San Mungo ***
Capitolo 24: *** 8 luglio 1998 – La Tana ***
Capitolo 25: *** 13 luglio 1998 – Hogwarts ***
Capitolo 26: *** 11 agosto 1998 – La Tana ***
Capitolo 27: *** 17 agosto 1998 – San Mungo, reparto Janus Thickey ***
Capitolo 28: *** Prima e dopo l’Espresso di Hogwarts ***
Capitolo 29: *** 2 settembre 1998 – Hogwarts ***
Capitolo 30: *** 3 settembre 1998 ***
Capitolo 31: *** 7 settembre 1998 – Ministero della Magia ***
Capitolo 32: *** Ancora il lungo 7 settembre 1998 ***
Capitolo 33: *** Una lunga settimana ***
Capitolo 34: *** Verde e Argento ***
Capitolo 35: *** Leoni con un cuore ***
Capitolo 36: *** 31 ottobre 1998 – Godric’s Hollow ***
Capitolo 37: *** 1° novembre 1998 – Godric’s Hollow ***
Capitolo 38: *** 3 novembre 1998 ***
Capitolo 39: *** La verità ***



Capitolo 1
*** 3 maggio 1998 - Hogwarts ***


Una ben triste pace è quella che ci reca questo giorno.
Quest’oggi il sole, in segno di dolore, non mostrerà il suo volto, sulla terra.
W. Shackespeare – Romeo e Giulietta
 
 
 
3 maggio 1998 – Hogwarts
 
  Ginny fissava la sagoma scura nel buio. Respirava. L’aveva controllato un centinaio di volte, ma una in più non era mai abbastanza. Harry respirava. Harry dormiva. Harry era lì davanti a lei, reale, concreto e vivo.
  Si stinse le ginocchia al petto. Era l’inizio di maggio ma non era molto caldo nella Sala Grande. Quasi tutto il castello di Hogwarts era stato seriamente danneggiato dalla battaglia finale contro Voldemort e i sopravvissuti erano stati sistemati in lunghe file di sacchi a pelo al posto dei tavoli delle Case che normalmente campeggiavano sotto il soffitto incantato. Chi aveva combattuto tutta la notte del due maggio era stato lasciato riposare anche durante il giorno, un po’ qui e là, dove c’era ancora qualche dormitorio integro o quasi; ma al sopraggiungere della sera tutti avevano preferito radunarsi nella Sala Grande. Non era ancora così facile ricordarsi che il Signore Oscuro era stato sconfitto quando arrivava il buio, anche se non più tardi di qualche ora prima il suo cadavere era stato bruciato al limitare della Foresta Proibita. E non erano da escludersi rappresaglie di Mangiamorte superstiti. Era più sicuro stare tutti insieme nello stesso posto. E più rassicurante.
  “Ginevra, devi dormire.”
  Sua madre le strinse una spalla, gli occhi gonfi e l’aria preoccupata. Ginny scosse la testa.
  “Non ci riesco.”
  “Prendi un po’ di Distillato Soporifero, ne stanno distribuendo a tutti” disse lei dolcemente porgendole una fiaschetta di pelle. La ragazza la respinse.
  “No.”
  “Ginny, non…”
  “No!”
  Cercò di non urlare, ma era difficile tenere bassa la voce. Si asciugò con rabbia gli occhi.
  “Tu… tu non capisci!” sibilò tra i denti, continuando a fissare la sagoma di Harry. “Lui… era morto, o ha rischiato di morire, ancora non lo so! Ho creduto… ero convinta di averlo perso per sempre!”
  Vide sua madre annuire nel buio.
  “E hai paura che se chiudi gli occhi anche solo per un momento al tuo risveglio lui potrebbe non esserci più… di nuovo.”
  La ragazza trattenne il fiato rumorosamente. Forse lo aveva fatto un po’ troppo forte, perché Harry si mosse.
  “Ginny…” mormorò. Si mise a sedere, cercò a tentoni gli occhiali e se li infilò. Lei ricacciò indietro a forza tutte le lacrime, Harry non l’avrebbe vista piangere.
  “Tua madre ha ragione, devi dormire un po’.”
  Lui guardò sua madre come a chiederle un tacito permesso, poi accarezzò la guancia di Ginny. Fu molto difficile non sciogliersi in un pianto, ma si costrinse a guardarlo negli occhi. Aveva sentito così tanto la sua mancanza. C’erano state sere in cui non riusciva più a respirare per il dolore.
  “Non me ne andrò. Quando ti sveglierai sarò ancora qui.”
  Harry la abbracciò e le mani di Ginny scivolarono in modo naturale sulla schiena di lui.
  “Se tu mi vuoi” le sussurrò all’orecchio in modo che nessun’altro sentisse.  “Se tu mi vuoi ancora, io non ti lascerò mai più.”
  Si staccarono e si guardarono negli occhi. Ginny non sapeva che pensare. Lo amava, lo aveva sempre amato, ma lei non era più la stessa di un anno prima. Aveva paura di tutto, persino di Harry, che se ne andasse di nuovo, che le nascondesse altri segreti. Aveva bisogno di riflettere, di ascoltare il proprio cuore e magari anche un’amica.
  “Sì, va bene, dormirò.”
  Era inutile spaccarsi la testa ancora. Decise di fidarsi, almeno per quella sera, di Harry. Prese la fiaschetta che le allungava sua madre e bevve un lungo sorso. Sentì le mani di Harry prenderla e farla sdraiare dolcemente sul sacco a pelo, poi scivolò in un sonno senza sogni.


Angolo di Gin
Ciao a chiunque avrà voglia di arrivare fino a qui!
So che la mia è una fanfic lenta e molto incentrata sui personaggi più che sulle azioni, quindi chiedo scusa sin d'ora perchè i passi della narrazione sono lenti e non a tutti piacerà...! Ma confido che qualcuno dotato di pazienza là fuori che possa apprezzare la mia visione del post seconda guerra magica ci sia!
Grazie a chi ha letto e chi leggerà
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Ancora 3 maggio 1998 – ancora Hogwarts ***


Cappellaio: “Potresti restare”
Alice: “Che bell’idea. Che folle, pazza, meravigliosa idea.”
Da Alice in Wonderland – T. Burton
 
 
 
Ancora 3 maggio 1998 – ancora Hogwarts
 
  “Non so proprio cosa dirti, Harry.”
  Hermione sistemò con un ultimo tocco di bacchetta una tenda della sala comune di Grifondoro, scuotendo la testa perplessa. Roso da tutti i dubbi peggiori, Harry le aveva confidato le sue ansie con la scusa di aiutarla con le pulizie; in realtà si era limitato a lanciare qualche Tergeo a casaccio mentre parlava come un fiume in piena.
  “Expelliarmus.”
  La bacchetta di Harry volò dall’altra parte della stanza, con sorpresa del proprietario.
  “Hermione!”
  “Quel cuscino è pulito, Harry, se vai avanti così rimarranno solo le piume.”
  Hermione prese l’amico per un braccio e lo costrinse a sedersi su una poltrona, poi Appellò la sua bacchetta, gliela restituì e si sedette di fronte a lui, con l’aria di chi deve comunicare davvero una brutta notizia.
  “E’ stato un anno difficile per tutti, Harry, non devi fargliene una colpa. Probabilmente sta cercando di capire se può ancora fidarsi di te o no.”
  Lui si risentì, ma sapeva che l’amica aveva ragione. Non aveva mai preteso che Ginny gli cadesse ai piedi nel momento stesso in cui si fossero rivisti, ma quel muro di fredda indifferenza lo angosciava. Lei lo evitava: abbassava gli occhi pur di non guardarlo, cambiava strada se per caso si incrociavano. Era solo un giorno, solo un lungo, interminabile, dannatissimo giorno. Secondo Hermione, troppo presto per fasciarsi la testa.
  “Perché?!” sbottò Harry parlando più a se stesso che all’amica. “Questa notte ha dormito vicino a me! L’ho consolata quando non riusciva a dormire, le ho detto che non l’avrei lasciata mai più…”
  “Ripeterlo per la centesima volta non convincerà Ginny a parlarti di nuovo” sbuffò Hermione. Harry distolse lo sguardo stizzito; se le risposte erano quelle tanto valeva parlarne con Ron.
  “Dalle tempo.”
  Hermione prese una delle mani di Harry tra le sue e la strinse dolcemente, come una sorella maggiore che tenta di proteggere il fratellino. In qualche modo quel gesto scaldò Harry e lo spaventò allo stesso tempo. La ragazza sciolse la presa e fece per alzarsi, ma lui la afferrò di nuovo.
  “E se…?” mormorò. Deglutì prima di proseguire la frase. “Se non mi volesse più?”
  Hermione gli lanciò uno sguardo indecifrabile.
  “Io… io non credo che succederà. Insomma, Ginny… lo sappiamo, no? Tu le piaci da una vita.”
  Lo abbracciò, poi si allontanò velocemente, borbottando qualcosa sull’aiutare Luna con la sala comune di Corvonero. Harry rimase seduto, infreddolito nonostante il caldo del pomeriggio di inizio estate.
 
  Harry seduto sul prato lanciò l’ennesimo sasso sulla superficie del lago, rosso nella luce del tramonto; non rimbalzò, come gli altri nove. Abbandonò la testa tra le ginocchia, arrendendosi. Fissando l’erba cercava di mettere a fuoco tutto quello che era successo in quei giorni concitati. Solo due notti fa era convinto che sarebbe morto; si era costretto un passo dopo l’altro a consegnarsi a Voldemort, pagando con la propria vita per quella di tutti gli altri. Gli sembrava un sogno, un brutto incubo fatto da qualcun altro.
  Aveva passato la giornata pulendo e sistemando il castello, distrutto dalla battaglia, insieme a tutti coloro che erano voluti rimanere ad Hogwarts almeno per qualche giorno. Aveva fatto le cose in automatico, come se fosse una normale lezione di Incantesimi, lo aveva aiutato a non pensare. E a giudicare dalle facce degli altri, non era il solo. Tutta la famiglia Weasley sembrava estremamente indaffarata, nessuno di loro si era seduto per più di cinque minuti, anche se la signora Weasley aveva necessità del bagno molto più spesso del consueto e tornava con gli occhi gonfi e rossi. Ogni volta che la incrociava Harry si sentiva malissimo, non riusciva a fare a meno di pensare che fosse colpa sua: Fred, Tonks, Lupin, Colin… e quanti altri ancora? Perché loro erano morti… e lui era vivo?
  Non sapeva come avrebbe superato tutto questo, non vedeva proprio come sarebbe riuscito a costruirsi una vita anche solo vagamento normale.
  Anzi, un’idea ce l’aveva. Una persona lo aveva fatto sentire meravigliosamente normale, almeno per qualche mese. Forse Ginny avrebbe potuto dargli una speranza, se solo… se solo gli avesse rivolto ancora la parola. Aveva bisogno di lei e non sapeva come dirglielo. Come poteva chiederle una cosa del genere? L’aveva lasciata. Per un gran buon motivo, certo, ma era stato proprio lui a lasciarla. E tutta la famiglia Weasley aveva rischiato la vita più e più volte per Harry, e Fred…
  Una mano gli sfiorò la spalla destra.
  “Dobbiamo parlare.”
  Alzò la testa di scatto: Ginny si allontanava seguendo la riva del lago, i capelli rosso fiamma che ondeggiavano morbidi sulle spalle. Harry esitò solo un momento, una fitta allo stomaco, poi la raggiunse a grandi passi. Aprì la bocca, ma non sapeva proprio cosa dire, quindi la richiuse. Camminarono per diversi minuti, uno a fianco all’altra, lei le braccia incrociate, lui le mani in tasca, senza guardarsi. Si fermarono solo quando la scuola fu molto lontana. Harry riconobbe appena la spiaggetta riparata dove avevano passato ore ben più felici un paio di anni prima, o forse in un’altra vita.
  Ginny si parò davanti a lui, negli occhi lo sguardo duro che gli aveva riservato solo nei momenti importanti. La stretta allo stomaco di Harry peggiorò sensibilmente. Cercò comunque di continuare a guardarla. Che cosa avrebbe fatto adesso? Gli tornarono in mente le lunghe ore passate a fissare il puntino di Ginny sulla mappa del Malandrino, durante la clandestinità.
  “Stanotte” cominciò lei, la voce stranamente tesa, come se ogni parola le costasse un incredibile sforzo. “Mi hai detto una cosa. Mi hai detto che se ti avessi voluto di nuovo tu non mi avresti lasciato mai più.”
  Harry deglutì e annuì. Lei si avvicinò di un passo e lui riuscì a vedere che i suoi occhi diventavano lucidi.
  “Harry, io ti voglio. Disperatamente e da sempre.”
  Gli sembrò di tornare a respirare. Ginny gli prese una mano e lui si rese conto di quanto la amava.
  “Perciò dimmelo, ripetimelo guardandomi negli occhi!” Gli affondò un minuscolo indice nel petto, battendo con forza. “Dimmi che non mi lascerai mai più, Potter!”
  La consapevolezza di averla fatta soffrire si infilò come una spina acuminata nel cuore di Harry. Mise la mano libera sulla guancia di lei, cercando di trasmetterle tutta la sua gratitudine per quel momento, per quella frase, ma soprattutto per quella mano che lei aveva teso, quella seconda possibilità, quella luce insperata ed inaspettata.
  “Ginny, io non ti lascerò mai più, questa è una promessa. Ti fidi di me?”
  Si accorse troppo tardi di averle chiesto troppo. Gli occhi di lei si riempirono di lacrime, ma sostenne lo sguardo di Harry e, dopo un momento di esitazione, annuì faticosamente.
  Nella gola cominciò a pizzicare il panico. Voleva dimostrarle che quello che le diceva era vero, lei ne aveva bisogno, ma lui non sapeva come fare. Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte a quella di Ginny, cercando di farsi venire in mente qualche idea, una qualsiasi…
  Si staccò da Ginny e si guardò intorno, individuò un rametto abbandonato a poca distanza da loro, puntò la bacchetta su di esso e si concentrò, cercando di visualizzare con tutto se stesso quello che voleva fare.
  “Non sono mai stato bravo a parole, lo sai” disse a mo’ di scusa. “Accio anello.”
  “Accio… cosa?” bisbigliò lei, mentre un minuscolo cerchietto filava in mano a Harry. Il ragazzo contemplò la sua opera: era ancora decisamente color legno, solo qua e là c’era qualche sfumatura oro e rosso, ma almeno era liscio e levigato.
  “E sono un cane in Trasfigurazione! Ma un giorno te ne comprerò uno vero, uno bellissimo” stirò le labbra in un mezzo sorriso e sbirciò Ginny, che lo fissava esterrefatta. Harry abbassò gli occhi sulle mani di lei; non sapeva come funzionasse, non sapeva nemmeno quale fosse la mano giusta, quindi a caso prese la sinistra e infilò il piccolo anello nel suo anulare.
  “Tutte le volte che ti sentirai sola, tutte le volte che… che ti sveglierai di notte e io non ci sarò… voglio che tu guardi questo anello e che pensi a quello che ti ho promesso oggi.”
  Chiuse gli occhi e appoggiò le labbra sul cerchietto di legno, come a sigillare quella promessa.
  “Io… Ginny, il mio cuore è tuo. Per sempre.”
  Lo sguardo sbalordito di lei passava dall’anello a Harry; quando una grossa lacrima alla fine riuscì a fuggire dai suoi occhi, Ginny nascose il viso nell’abbraccio di lui, pronto ad accoglierla. Lei tremava e singhiozzava e anche lui non riuscì più a trattenersi. La stanchezza e la paura accumulate per tanto tempo nei due ragazzi si stavano finalmente sciogliendo al calore del loro giovane amore, quell’amore che finalmente potevano vivere senza timore.
 
  Quando si decisero a fare ritorno al castello era quasi buio e l’aria decisamente pungente. Passeggiarono lungo la riva del lago ridendo e tenendosi per mano; Harry non riusciva a pensare a niente, riusciva solo a guardare Ginny che gli sorrideva, tutto il suo mondo cominciava e finiva lì.
  Poco prima della scalinata d’ingresso la ragazza lasciò per la prima volta la mano di lui ed estrasse la bacchetta dalla tasca dei jeans. Sospirò guardando l’anello che Harry le aveva messo al dito, una smorfia dolce sulle labbra, e con un rapido movimento fece apparire un sottile cordone di cuoio. Con evidente dispiacere si tolse l’anello e lo infilò nella cordicina, che si passò poi attorno al collo. Harry la aiutò ad annodarla mentre lei si scusava.
  “Meglio tenerlo nascosto, Harry” sussurrò anche se non c’era nessuno che potesse origliare.
  Il ragazzo annuì. Meglio non fare troppa pubblicità. Non in quel momento. Immaginò brevemente la faccia di Ron se avesse visto un anello al dito di sua sorella e rabbrividì.
  Ginny nascose con cura il suo nuovo pendente sotto la camicetta, tastandone la sagoma con le dita. Sorrideva mentre lo faceva, lo sguardo perso nell’erba; poi alzò gli occhi e fece cenno ad Harry di entrare.
  “Dobbiamo tornare dagli altri, si staranno chiedendo che fine abbiamo fatto.”
  Harry annuì. Non riuscì a resistere e le diede un altro bacio velocissimo sulle labbra, poi si avviarono insieme lungo le scale.


Angolo di Gin
Lo so, lo so, miele su miele, fiumi di miele.
Sogno questa scena dal loro primo bacio nel sesto libro - e non vi sto a dire quanto ho pianto quando Harry ha lasciato Ginny. Quindi ahimè mi sciroppate la scena d'amore più zuccherosa che mi sia venuta in mente.
Ma credetemi - sarà tutt'altro che facile da ora in poi per i nostri fidanzatini.
Un grazie speciale a Franci, la prima a recensire i miei deliri magici!
Grazie a chiunque ha letto e leggerà
Smack
Gin

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** 4 maggio 1998 – ancora Hogwarts ***


Allora io raccolgo i chilometri di pellicola della mia vita,
mi ci avvolgo come nelle spire di un serpente e alla fine trovo quel pezzo di racconto.
Cerco di togliere via il troppo dolore, e la futilità, e i particolari superflui,
tanto so che torneranno poco alla volta.
 
S. Benni – Margherita Dolcevita
 
 
4 maggio 1998 – ancora Hogwarts
 
   I passi di Harry e Hermione rimbombavano sulle pareti del corridoio illuminato solo dalle torce. In silenzio i due amici stavano andando probabilmente per l’ultima volta nell’ufficio del Preside di Hogwarts. Era strano pensare per l’ultima volta, soprattutto per Harry. Faticava ancora a mettere in fila gli avvenimenti, a rendersi conto di quello che gli era successo, a capire cosa c’era stato prima e cosa sarebbe stato da quel momento in avanti. Aveva la sensazione che il suo cervello fosse immerso in una vischiosa gelatina verde che gli impediva di pensare chiaramente.
   Forse era proprio quello il motivo per cui aveva chiesto alla professoressa McGranitt un piccolo incontro prima che tutti facessero ritorno alle loro vite, più per aiutare se stesso a riflettere lucidamente che per spiegare agli altri cosa era realmente successo.
   Ne hanno diritto, si ripeté per l’ennesima volta. Una parte di lui sarebbe scappata all’infinito, un’altra parte continuava a sentire la McGranitt che urlava alla vista di quello che credeva essere il suo cadavere. Per più di un anno centinaia di persone avevano combattuto, resistito e lottato sotto l’egida del nome di Harry Potter e queste persone meritavano davvero di sapere la verità, per quanto terribile potesse essere rivivere quei momenti. Per un attimo gli passò davanti agli occhi l’immagine della casa a Godric’s Hallow, il cartello e la staccionata pieni di scritte.
   Hermione gli toccò un braccio, riscuotendolo dai suoi pensieri. Erano arrivati davanti al gargoyle, tornato al suo consueto posto di guardia.
   “Non sei obbligato, Harry. Sappiamo che hai fatto quello che dovevi fare per… il bene di tutti. Non devi per forza raccontare…”
   Harry le sorrise. Si comportava proprio come una sorella maggiore, si preoccupava sempre di proteggerlo, anche da se stesso se necessario. Lei non lo aveva mai abbandonato un attimo. Meritava di sapere, più di tutti gli altri. Le strinse velocemente una mano ed annuì.
   “Sono pronto.”
   Hermione esitò un altro istante, poi si rivolse al gargoyle: “Zenzerotti”
   La creatura di pietra balzò di lato, lasciandoli salire sugli scalini perennemente in movimento della scala a chiocciola che conduceva all’ufficio del Preside.
   La professoressa McGranitt sedeva dietro la sua scrivania, la schiena dritta, le dita incrociate davanti a sé, circondata dai dipinti dei presidi precedenti tranquillamente addormentati; alla sua destra su una poltrona scura si era accomodato il neo Ministro della Magia Kingsley, mentre l’altro lato della stanza era occupato dai signori Weasley, Ron e Ginny. Harry salutò tutti con un cenno del capo; ero stato chiaro con la Preside sulla “lista degli invitati” a quella riunione e gli fece piacere constatare che lei aveva rispettato i suoi desideri. Raggiunse un angolo e si appollaiò su una sedia tra la scrivania e Ron, che gli sorrise. Anche Hermione prese posto accanto al suo ragazzo, la chioma castana che spiccava in mezzo a quella piccola foresta di capelli rossi.
   Harry si schiarì la gola.
   “Grazie… grazie per essere qui stasera. Io… beh, credo che sia giusto… insomma, dovete sapere cos’è successo quest’anno.”
   Deglutì e chiuse gli occhi per un attimo. Era difficile, ma questo lo sapeva già.
   “Tanto per essere chiari… so che è quasi impossibile, ma mi piacerebbe che questa… storia rimanesse all’interno dell’Ordine della Fenice.”
   Fece scorrere lo sguardo sui presenti, tutti annuirono, mentre la signora Weasley si limitò a fissarlo con uno sguardo preoccupato. Harry abbassò gli occhi sul pavimento e cominciò a raccontare. Partì dall’anno precedente, spiegando che Silente aveva scoperto degli Horcrux – sentì chiaramente la McGranitt trattenere il respiro a quella parola – e che aveva affidato a lui il compito di trovarli e distruggerli; spiegò che Ron e Hermione si erano offerti – senza accettare un no come risposta, ad essere sinceri – di accompagnarlo in quel viaggio e che cosa avevano sacrificato per poterlo fare. Raccontò cos’era successo dopo il matrimonio di Bill e Fleur, l’intrusione al Ministero, la lunga clandestinità, cercando di ricordare quanto più chiaramente potesse gli eventi. Omise volontariamente alcune parti: non sarebbe stato lui a dire alla famiglia Weasley che Ron se n’era andato; glissò anche su Godric’s Hallow, il racconto era già abbastanza difficile senza tirare in ballo i suoi genitori e le visioni sulla loro morte. Harry era arrivato alla notte in cui il medaglione di Serpeverde era stato distrutto quando Ron lo interruppe.
   “No, Harry.”
   Il ragazzo aveva drizzato la schiena, rosso in volto, senza guardare nessuno in particolare.
   “Io…” si voltò verso i suoi genitori, Harry notò che Hermione gli stringeva una mano. “Non sono stato tutto il tempo con loro. Li ho mollati. Me ne sono pentito subito, ma l’ho fatto.”
   Era sbiancato di colpo, come se il coraggio che aveva messo insieme per fare quell’ammissione gli avesse prosciugato tutto il sangue, ma teneva lo sguardo alto davanti alla sua famiglia. Ginny aveva un’espressione dura, terribile. La signora Weasley scuoteva la testa, evidentemente incredula.
   “Che vuoi dire? Vi hanno separati?”
   “No… me ne sono andato.”
   “Ma è tornato” intervenne Harry. “E mi ha salvato la vita, la sera in cui ha distrutto il medaglione. Poi è rimasto, sempre.”
   Il signor Weasley allungò il braccio oltre Hermione e strinse la spalla del figlio senza dire nulla, ma negli occhi aveva compassione. Ginny aveva abbassato lo sguardo e la signora Weasley sembrava sull’orlo delle lacrime.
   Harry strinse velocemente una mano sul ginocchio dell’amico e proseguì il racconto. Arrivò fin troppo presto alla Gringott e alla notte tra il primo e il due maggio. E a ricordi di Piton.
   Fu incredibilmente difficile raccontare cosa aveva scoperto mentre li guardava, più di tutto il resto. Si fermò alcune volte per schiarirsi la gola e cercare di prendere fiato, aveva la sensazione di non riuscire a tirare nei polmoni abbastanza aria. Parlava guardando con insistenza un’imperfezione sul pavimento di pietra davanti a lui, ma sentiva fisso su una guancia lo sguardo di Ginny. Si costrinse a dire che lui, Harry, era stato un Horcrux e che aveva scelto volontariamente di consegnarsi a Voldemort, di farsi uccidere e fare in modo che il Signore Oscuro potesse essere definitivamente sconfitto. La professoressa McGranitt si lasciò sfuggire un singhiozzo. Harry non alzò gli occhi ma non riuscì più a proseguire. Il breve silenzio fu interrotto dalla voce di Ginny.
   “Cos’è successo di là?”
   Harry finalmente riuscì a staccare lo sguardo dal pavimento e la guardò. Era molto pallida, ma non piangeva. Lei non piangeva quasi mai, era forte e bellissima.
   “Ho visto Silente” rispose Harry lentamente; raccontò loro cosa il professore gli aveva spiegato sul legame che Voldemort aveva creato prendendo il sangue di Harry per riacquistare un corpo umano.
   “Mi… mi è stata data una scelta. Potevo andare avanti, o tornare indietro grazie a… all’errore di Voldemort.”
   “E’ stupefacente” esalò Kingsley. “E’ magia antica. Complessa, meravigliosa. Incredibile.”
   Harry gli lanciò uno sguardo veloce e carico di dubbio. Il Ministro parve capirlo, perché proseguì: “Il tuo è stato un nobile gesto, il sacrificio massimo e puro, scelto e voluto per il bene di tutti. Questa scelta che, come dici, ti è stata data è un dono prezioso… vogliamo chiamarlo un premio?”
   Harry si lasciò sfuggire una risata malevola.
   “Kingsley, davvero lo pensi? Pensi che gli altri non meritassero questo… premio? Il sacrificio di Colin non era volontario? Moody non ha fatto un gesto nobile? Tonks e Lupin…” la voce gli si ruppe improvvisamente in gola. “Avevano appena avuto un figlio. Non meritavano di tornare da Teddy? E Fred…”
   Si voltò verso la famiglia Weasley, pentendosi di aver detto quel nome.
   “Io sono qui ma non penso di valere più di ciascuno di loro…”
   La signora Weasley scosse con forza la testa, le guance rigate di lacrime.
   “Non dirlo Harry” la donna abbassò lo sguardo per un attimo. “Non sai cosa darei per riavere mio figlio, ma non posso. Se fossi morto anche tu il dolore sarebbe lo stesso. Non tormentarti per cose che non dipendono da te. Harry, noi siamo felici che tu sia qui con noi.”
   Il ragazzo aveva la bocca asciutta; avrebbe voluto abbracciarla, ma l’imbarazzo era più forte. La McGranitt si schiarì la gola.
   “Molly, vuoi… vuoi dire a Harry e Hermione quello di cui parlavamo prima?”
   La signora Weasley si riscosse, battendo le palpebre come se faticasse a riconoscere la stanza in cui si trovava; guardò il marito e si scambiarono un cenno di assenso.
   “Io e Arthur ne abbiamo parlato e… saremmo entusiasti se voi veniste ad abitare alla Tana. Lo spazio è quello che è, lo sapete anche voi, ma non avete più una casa e noi vi vogliamo al sicuro.”
   Non era una domanda, era quasi un ordine. Harry sentì il cuore dilatarsi nel petto: non aveva ancora pensato a cosa avrebbe fatto o dove sarebbe andato e la prospettiva di abitare alla Tana lo mandava al settimo cielo. Lanciò uno sguardo a Ginny prima di annuire entusiasta, mentre Hermione squittiva: “Signori Weasley, io… non so cosa dire!”
   “Dì di sì, cara” rispose con semplicità la signora Weasley.
   “A una condizione però” disse Harry alzandosi. “Pagherò un affitto. Non starò da voi gratis.”
   Il signor Weasley aprì la bocca per replicare, ma il ragazzo lo interruppe subito. “E pagherò anche per Hermione. E’ il minimo che possa fare per lei.”
   Guardò l’amica, che non tentò nemmeno di protestare, ma sorrise. La signora Weasley annuì, lievemente imbarazzata.
   “Andiamo ragazzi, domani sarà una lunga giornata” disse sistemandosi nervosamente una ciocca di capelli sfuggita alla crocchia. “Dobbiamo tornare a casa.”
 
   Ron era determinato ad essere l’ultimo ad uscire dallo studio della Preside; chino su una scarpa ormai perfettamente allacciata, aspettò inutilmente che anche Hermione si decidesse a scendere le scale, ma lei lo stava aspettando sulla soglia, in silenzio. Quando finalmente lui si alzò e si avviò verso la porta, lei lo guardò con un sorriso incerto sulle labbra.
   “Sei… stato molto coraggioso stasera.”
   Hermione passò a forza un braccio sotto quello di Ron, che si ostinava a tenere le mani affondate nelle tasche mentre si lasciavano trasportare dai gradini verso il corridoio di pietra. Lui scrollò le spalle.
   “Tuo padre… mi sembra l’abbia presa bene” continuò la ragazza.
   “Ma Ginny non mi parlerà per anni” concluse Ron con stizza. Ormai sua sorella apparteneva a Harry, lo aveva capito dal modo in cui l’aveva fissato per tutta la sera. Lui era il suo migliore amico, in assoluto, e si rendeva conto di volergli bene come se fosse stato uno dei suoi fratelli. E come faceva con tutti gli altri fratelli, non poteva fare a meno di mettersi in confronto con lui. Un confronto che non avrebbe mai potuto reggere, ovviamente. Lui era Harry Potter, mentre Ron… Ron era la spalla. Una spalla che lo aveva anche piantato in asso nel momento più buio.
   “Ron, loro sono la tua famiglia! Hanno accolto a braccia aperte Percy, e lui si è comportato diecimila volte peggio!”
   Il ragazzo annuì inarcando le sopracciglia. Questo era vero.
   Erano arrivati davanti al ritratto della Signora Grassa, che si aprì quando li vide senza nemmeno chiedere loro la parola d’ordine. Scivolarono dentro al buco e arrivarono dentro la Sala Comune di Grifondoro, ormai completamente risistemata. Harry e Ginny erano davanti al camino quasi spento, stretti in un abbraccio; si staccarono immediatamente quando si accorsero di Ron e Hermione. I quattro amici rimasero per qualche momento in silenzio a fissarsi.
   “Ginny…” cominciò Ron, ma richiuse subito la bocca, passandosi la lingua sulle labbra. Aveva un bisogno disperato di sentirsi dire che andava tutto bene, che non c’era niente di cui vergognarsi. “Io…” tentò di nuovo, ma ancora le parole non volevano uscire.
   “Sei un idiota” disse secca lei. Ma lo sguardo era divertito. Gli tirò un pugno su una spalla e gli fece male.
   “Ahia! Sei scema?”
   Ron stava per rispondere con una leggera spinta, ma si accorse che Ginny aveva gli occhi lucidi. Rimase per un momento con la mano sospesa in aria, poi la allungò ad accarezzare un braccio della sorella. Lei scivolò in avanti e lo strinse in un abbraccio; Ron rispose non senza un certo imbarazzo, sbirciando Harry con la coda dell’occhio. Veloce come si era avvicinata, Ginny sciolse la stretta.
   “Vado a letto” disse guardando il fratello negli occhi. “Ci vediamo domani.”
   Sorrise a Harry, salutò Hermione con una mano e sparì nel dormitorio delle ragazze. Ron era sconvolto. Conosceva bene sua sorella, sapeva che era decisamente una ragazza fuori dal comune, ma Ginny era sempre in grado di sorprenderlo. Era quasi certo che quello fosse stato il modo della ragazza per dirgli che non era arrabbiata, anzi, che era felice di averlo accanto.


Angolo di Gin
Cominciamo ad aprire un po' la visuale sul resto della famiglia, oltre a Harry e Ginny. C'è una vita là fuori da riprendere in mano, anzi, molto più di una. 
Questo e direi anche il prossimo saranno capitoli di passaggio, ma penso che sia normale che la ripresa dopo la Guerra sia abbastanza lenta.
Uff, mi sento più brava a scrivere i capitoli che queste righe di "presentazione"!
Ahah perdonate l'imbarazzo
Grazie a chi ha letto e leggerà
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** 5 maggio 1998 – Hogsmeade ***


Ha avuto successo colui che ha vissuto bene, ha riso spesso e amato molto; […]
chi ha trovato il suo posto e ha portato a termine il suo compito;
chi ha lasciato il mondo meglio di come l'ha trovato,
grazie a un papavero coltivato, a una poesia perfetta o a un'anima salvata; […]
 il cui ricordo è una benedizione.
 
 Bessie Anderson Stanley - Successo
 
 
5 maggio 1998 – Hogsmeade
 
   Il Ministero della Magia aveva espropriato una larga fetta di un campo vicino alla Testa di Porco, ma Harry era certo che Aberforth non avesse protestato più di tanto: la destinazione di quel prato di erbacce scolorite dal sole era molto più onorevole di quanto quel fazzoletto di terra avesse mai potuto sperare. Circondato da una cancellata di scuro ferro battuto, il Cimitero dei Caduti del Due Maggio era punteggiato da una cinquantina di lapidi di forme e materiali diversi, la terra smossa di recente ovunque si guardasse.
   Harry sentì sul viso la brezza ancora fresca del tardo mattino mentre osservava le fila di maghi e streghe assottigliarsi ai lati del Cimitero. In segno di rispetto solo alle famiglie dei caduti era stato permesso l’accesso diretto all’interno della cancellata durante la cerimonia, mentre chi era semplicemente venuto a rendere un ultimo saluto lo aveva fatto da una certa distanza. Gruppi più o meno piccoli erano radunati attorno a ciascuna lapide. Dennis Canon era inconsolabile, tra le braccia della madre, nell’angolo più a nord del Cimitero. La McGranitt, la Sprite e Vitiuos erano impegnati in una fitta conversazione con Kingsely, poco distanti dal punto in cui l’officiante aveva celebrato il funerale. Le sorelle Patìl e Lavanda Brown stavano deponendo diverse corone qua e là a nome degli studenti di Hogwarts. Luna osservava le compagne da dietro la cancellata, gli occhi azzurri sporgenti, i capelli biondi sciolti sulle spalle; al braccio di lei era aggrappato Xenophilius, pallido e magro, gli occhi bassi circondati da profonde occhiaie.
   Harry era sollevato nel vedere che nonostante tutto il signor Lovegood stesse bene e avesse potuto riabbracciare sua figlia. E allo stesso tempo quella scena non faceva altro che accentuare la sensazione di essere incredibilmente fuori posto, come se si fosse intromesso in qualche cosa di privato a cui lui non apparteneva. Come Hermione si era unito alla famiglia Weasley per l’ultimo a saluto a Fred, ma si era tenuto un passo indietro finché Ginny non lo aveva preso per mano costringendolo a starle vicino.
   Questi sono i tuoi amici, i tuoi insegnanti, i signori Weasley ti trattano come un figlio, disse una voce insistente dentro di lui. Harry la trovava di gran buon senso, solo non riusciva a convincersi che quella voce avesse ragione.
   Rilesse per l’ennesima volta la scritta sulla lapide chiara davanti a lui, provando di nuovo quella stretta allo stomaco. Passò un braccio attorno alle spalle di Ginny, che si rannicchiò istintivamente contro il suo petto. Non sapeva dire chi avesse più bisogno dell’altro in quel momento. Ron e Hermione non si erano ancora staccati un attimo, mentre ogni altro membro della famiglia Weasley cercava di rincuorare i propri cari come meglio poteva, con pacche sulle spalle e abbracci. Tutti a parte George. George era da buttare via: da giorni non mangiava, non dormiva, non voleva quasi alzarsi da letto. Solo quella mattina il signor Weasley si era arrabbiato sul serio e lo aveva trascinato giù per la scalinata di Hogwarts praticamente di peso.
   “Harry” sussurrò Ginny, indicando con un cenno della testa un punto poco più avanti di loro. Il ragazzo seguì lo sguardo di lei e si chiese come avesse fatto a non notarla prima: davanti a due lapidi di marmo rossastro molto vicine tra loro, una donna dai lunghi capelli castani e le palpebre cadenti teneva in braccio un fagottino, stringendolo come se non avesse altro a cui aggrapparsi.
   Harry e Ginny si avvicinarono.
   “Signora Tonks” la salutò il ragazzo. Lei si voltò, gli occhi arrossati, ma trovò comunque la forza di rivolgergli un sorriso.
   “Harry” rispose.
   Lui abbassò lo sguardo sul bambino: Teddy dormiva beato tra le braccia di sua nonna, le guance rosa e un ciuffetto di capelli azzurro cielo che spuntava sulla fronte, solitario e arruffato.
   “Somiglia molto a Dora” disse la signora Tonks guardando a sua volta il nipote. “Ma gli occhi sono quelli di Remus.”
   Due grosse lacrime bagnarono la coperta giallo limone in cui era avvolto il bambino. Harry allungò una mano, esitò un momento, poi accarezzò una guancia di Teddy.
   “Posso?” Ginny aveva teso le braccia, sorridendo. La signora Tonks allungò il fagottino alla ragazza, non senza una certa esitazione, ma Ginny prese con delicatezza il bambino, una mano a reggere la testa. Teddy aprì gli occhi ma non si agitò, scrutando con attenzione il volto nuovo che si era trovato davanti. La ragazza gli sorrideva e lo cullava come se non avesse fatto altro per tutta la vita. Harry si trovò a pensare a quanto fosse simile a Lily che giocava con lui, in un’altra vita, in una delle tante dolorose visioni che gli erano toccate nell’ultimo anno. Ginny sarebbe stata una madre fantastica.
   Si costrinse a guardare la signora Tonks, che non riusciva a staccare lo sguardo da Teddy.
   “Cosa posso fare, signora Tonks? Di cosa avete bisogno?”
   Lei sorrise con dolcezza senza smettere di tenere d’occhio il nipote.
   “Avremo bisogno di te, Harry. Ci sarai per lui?”
   “Sempre” assicurò il ragazzo. Per un attimo gli balenò in testa uno dei ricordi di Piton, che davanti a Silente evocava il proprio patronus a forma di cerva, dichiarando con quella semplice parola la sua fedeltà a Lily Evans anche dopo molto anni dalla morte di lei. Richiuse quel pensiero in un angolo e salutò con calore la signora Tonks, promettendole che sarebbe andato a trovarli quanto più spesso avrebbe potuto. Ginny diede nuovamente Teddy in braccio alla nonna e si incamminò lungo il vialetto del Cimitero a fianco di Harry.
   “Sei brava con i bambini” disse lui. Lei scrollò le spalle.
   “Sono la più piccola di tutta la famiglia, non so un accidenti di bambini. Credo che sia solo l’istinto materno insito nelle donne Weasley!”
   Rise gettando indietro i capelli rossi, che brillarono al sole.
   “Mi darai una mano con Teddy?” Harry lo disse senza pensarci e quasi se ne pentì. Era lui il padrino e sua la responsabilità. Ginny rise di nuovo e la sua mano andò a tastare qualcosa sotto la maglia scura.
   “Harry, mi hai dato un anello, temo di doverti stare accanto per molto tempo… e per molte cose!”
   Per qualche motivo quell’affermazione lo fece sentire un egoista. La sua vita era da sempre dannatamente complicata e Ginny avrebbe meritato di stare tranquilla, con un ragazzo normale. Ricordava fin troppo bene come si era sentito quando l’aveva lasciata, pensando a lei sull’altare di fianco a uno sconosciuto. Harry la voleva, la voleva tutta per sé. Ma qual era il prezzo che Ginny avrebbe dovuto pagare?

 
 
Angolo di Gin
Rieccoci qua con un nuovo, seppur breve capitolo!
E’ un momento molto doloroso per tutti, non si sa da che parte guardare!
Ma è anche l’occasione per una piccola visione del futuro: Ginny madre. Sembra che sia nata per questo, mentre Harry… oddio, sa a malapena cosa ha mangiato a colazione.
Grazie a chi ha letto e leggerà, ma soprattutto a chi vorrà recensire!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** La Tana ***


Ognuno di noi all’inizio è una nave inaffondabile.
Poi ci succedono alcune cose: persone che ci lasciano,
che non ci amano, che non capiscono o che noi non capiamo,
e ci perdiamo, sbagliamo, ci facciamo male, gli uni con gli altri.
E lo scafo comincia a creparsi. […]
Ed è solo in quel momento che possiamo vederci,

perché vediamo fuori di noi dalle nostre fessure e dentro gli altri attraverso le loro.
John Green – Città di carta
 
 
La Tana
 
       15 maggio 1998
 
   Harry si buttò sul letto ancora completamente vestito; un’altra lunga giornata era finita e lui era esausto. Si tolse gli occhiali, li appoggiò sul comodino e si passò una mano sugli occhi. I signori Weasley lo avevano sistemato nella vecchia camera di Bill e Charlie e gli avevano prestato una serie di vecchi vestiti dei vari fratelli che potevano andargli bene, in attesa del giorno in cui sarebbero potuti andare con calma in Diagon Alley per le compere. Dopo il due maggio a Harry era rimasto giusto ciò che aveva addosso quella sera; anche Hermione aveva dovuto prendere in prestito gli abiti di Ginny, con la quale divideva la camera.
   Erano state due settimane molto intense: la Tana era disabitata da alcuni mesi, il ché significava che le creature magiche che di solito venivano tenute a bada aveva preso il controllo. Il demone della soffitta che aveva impersonato Ron per tutto l’anno scolastico si era auto eletto sovrano indiscusso dell’edificio e aveva preso possesso della camera da letto dei signori Weasley, mettendola a soqquadro. Ci vollero diversi giorni solo per convincerlo ad uscire dalla stanza in cui si era barricato e l’argomento decisivo fu una serie di fatture Orcovolanti di Ginny, dopo di ché il demone fu gentilmente riaccompagnato in soffitta dalla signora Weasley a suon di incantesimi. Gli gnomi avevano ridotto il giardino a un colabrodo, scavando buche ovunque e sradicando tutto ciò che non erano ben fissato al terreno. Era stato con una stretta al cuore che Harry aveva aiutato Bill e Charlie a Evanescere le macerie del capanno delle scope, ridotto ormai a un ammasso di segatura.
   Ginny, Hermione, Fleur e la signora Weasley per una decina buona di giorni non avevano fatto altro che pulire, rassettare e sistemare gli oggetti fuori posto – ed era stato un lavoro decisamente lungo e faticoso nonostante l’uso della magia. A Harry, di fatto rimasto l’unico uomo a dare una mano, erano stati assegnati tutti i compiti fisicamente più pesanti: aveva passato interi pomeriggi a dare la caccia a gnomi che non ne volevano sapere di uscire dai cespugli di rose, per non parlare dei numerosi viaggi avanti ed indietro da casa di zia Muriel per prendere tutti gli oggetti personali della famiglia Weasley ancora rimasti nel nascondiglio.
   Percy, Bill e il signor Weasley erano finalmente tornati al lavoro e rientravano alla Tana solo per cena, esausti: il Ministero era in piena ricostruzione, sia fisica dell’edificio che in termini di riorganizzazione dopo la caduta definitiva di Voldemort. Charlie era rimasto una settimana, poi aveva fatto ritorno in Romania tra i singhiozzi della signora Weasley, che aveva la lacrima decisamente facile; Harry sospettava che ci sarebbe voluto parecchio tempo prima che l’emotività della donna tornasse a livelli accettabili o comunque controllabili. Bill e Fleur dormivano a Villa Conchiglia, ma per quel primo periodo avevano deciso di passare le giornate con la famiglia Weasley, mentre Percy, forse deciso a farsi perdonare, aveva ripreso posto nella sua vecchia camera e non perdeva occasione per aiutare i genitori anche quando non ne avevano affatto bisogno.
   Il vero cambiamento era quello che aveva fatto George: la prima sera in cui erano tornati alla Tana si era rifiutato categoricamente di mettere piede nella stanza che aveva diviso con Fred, urlando parole a caso sull’orlo delle lacrime finché Ron non aveva detto che poteva dormire sulla brandina che di solito occupava Harry. La mattina dopo Ron aveva due occhiaie enormi e George gli occhi più rossi e gonfi che mai, ma sembrava avere addosso l’argento vivo: a colazione aveva dichiarato a gran voce che il fratello minore era attualmente il Weasley che preferiva e che lo voleva come socio per il negozio Tiri Vispi. Ron si era ritrovato ad accettare, un po’ per la poca lucidità dovuta alla scarsità di sonno, un po’ perché vedere il gemello di nuovo reattivo non aveva prezzo. George aveva quindi sequestrato il fratello ogni giorno per risistemare il negozio di Diagon Alley e far ripartire l’attività; si aggrappava a lui e al loro progetto in modo quasi maniacale, disperato. Harry lo capiva perfettamente: avere qualcosa da fare, un obiettivo da perseguire teneva la mente occupata e i pensieri a bada. Anche Ron pareva aver compreso il comportamento del fratello e lo supportava in tutto e per tutto, nonostante ogni sera arrivasse a casa distrutto; Hermione era evidentemente dispiaciuta, si capiva lontano un miglio che avrebbe preferito passare più tempo con il suo ragazzo, ma aveva deciso di fare la sua parte e pazientare per tutto il tempo che sarebbe servito a George per elaborare il lutto.
   Dei colpi alla porta svegliarono Harry, che si era appisolato sul letto; scattò a sedere, il cuore che martellava: come tutti gli altri non si era ancora abituato al fatto che non ci fossero pericoli mortali dietro ogni angolo e bastava poco per scatenare una reazione di difesa. Si rese conto di avere la bacchetta in mano.
   “Harry, sono io”
   La voce di Ginny. Il ragazzo appoggiò la bacchetta sul comodino, si infilò gli occhiali e andò ad aprire la porta. Lei era lì, i capelli raccolti alla bell’e meglio in una coda, il viso stanco; Harry buttò l’occhio lungo il corridoio per controllare che non ci fosse nessuno, poi la prese per un braccio e la tirò in camera.
   “Hey!” protestò Ginny, ma si lasciò baciare e rispose con trasporto.
   “Mi sei mancata”
   “Ma se abitiamo nella stessa casa!”
   “Sai cosa intendo!”
   Harry la baciò di nuovo, stringendola a sé il più possibile. Fu Ginny a staccarsi per prima.
   “Mamma dice che è pronto, di scendere a mangiare. E dice anche che domani andremo a Diagon Alley!”
   Il ragazzo sorrise e affondò il viso nell’incavo del collo di lei, che lo abbracciò di nuovo. Harry respirò a pieni polmoni il familiare profumo di fiori; si sentiva finalmente al sicuro, in qualche modo a casa. Eppure non era ancora riuscito a liberarsi della sensazione di essere capitato lì per caso, di essere un di più, qualcosa di estraneo al calore di quella famiglia. Poteva solo sperare che quei sentimenti sparissero in fretta.
 

       16 maggio 1998
 
   “Adoro questo vestito!”
   Ginny, seduta sul letto addossato alla parete, sorrise guardando Hermione girare davanti allo specchio della sua camera mentre si rimirava dentro l’abitino azzurro, uno dei molti nuovi acquisti fatti quel giorno. Dopo una breve discussione davanti alla Gringott, Harry aveva piazzato in braccio all’amica una borsa discretamente pesante piena di galeoni, dicendole – o meglio, ordinandole – di comprarsi tutto quello che voleva. Hermione sembrava sul punto di morire per l’imbarazzo, ma Ginny l’aveva presa sotto braccio e l’aveva accompagnata lungo le vie di Diagon Alley in un pellegrinaggio di shopping quanto mai necessario.
   “Possiamo entrare? Siete vestite?” chiese la voce di Harry da dietro la porta.
   “Se Hermione non è vestita è meglio!” urlò Ron.
   Hermione ridacchiò come una ragazzina stupida, mentre Ginny saltò giù dal letto e aprì la porta con la bacchetta sfoderata.
   “Ronald Weasley!” ringhiò, rendendosi conto con un secondo di ritardo di essere la copia perfetta di sua madre. Cercò di lanciare al fratello una fattura a caso, ma lui la precedette e la Disarmò senza nemmeno aprire bocca.
   “Ehilà, signorina, tu sei ancora minorenne!” disse prendendo al volo la bacchetta della sorella. “Non puoi fare magie fuori da Hogwarts!”
   Ginny gliela strappò di mano e sbuffò: “In una casa piena di maghi maggiorenni chi vuoi che si accorga di una Fattura Orcovolante sul tuo stupido naso?!”
   Ron rise, scrollò le spalle e percorse a lunghi passi la stanza per prendere tra le braccia Hermione. La staccò dal pavimento e la fece volteggiare mentre lei ridacchiava rossa in volto. Si baciarono senza alcun ritegno.
   Ginny un po’ li invidiava: non avevano nessun problema a dimostrare al mondo intero quanto si amassero, al limite dell’eccessivo; forse ne avevano passate così tante insieme che quello sembrava loro un sogno che inaspettatamente si avverava. Lei e Harry invece erano in un equilibrio precario: Ginny si sentiva come un gatto che camminava su un cornicione, ogni passo andava fatto con cautela o sarebbe caduta. Non aveva dubbi sui loro sentimenti: sapeva di amarlo e sentiva l’amore di lui sulla pelle e nelle ossa. Era più una questione di quotidianità, di abitudini, di vita di tutti i giorni. Era stranamente difficile per lei capire che Harry era lì, al suo fianco, raggiungibile in ogni momento e non chissà dove a rischiare la vita; c’erano ancora notti in cui si svegliava col cuore in gola e coperta di sudore dopo un incubo: di solito nel sogno si trovava ancora a Hogwarts e uno dei Carrow o Piton davano la notizia della morte di Harry nella Sala Grande. Quando le succedeva non riusciva più a prendere sonno, vagava tra la cucina e il salotto bevendo latte caldo e leggendo qualcosa, in attesa dell’alba. Non era quasi mai sola: George non dormiva molto più di lei e spesso le faceva compagnia; una volta si erano anche addormentati insieme sul divano, lei con la testa sulla spalla del fratello, il latte rovesciato sui cuscini.
   Anche Harry sembrava avere difficoltà ad adattarsi a una vita normale; la sensazione che aveva Ginny era che lui fosse sempre sulle spine: mangiava in punta di sedia, si guardava attorno continuamente come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro, spesso era sopra pensiero e lei lo doveva chiamare più di una volta prima che rispondesse. Aveva provato a chiedergli cosa c’era che non andava, ma la domanda era risultata abbastanza stupida una volta che l’aveva detta ad alta voce, e Harry si era limitato a sorridere e ad abbracciarla. Più che parlare il ragazzo amava il contatto fisico, come se avesse bisogno costante di sentirla vicino.
   Ginny si tormentava, cercando di capire come poterlo aiutare, ma ancora non aveva trovato una risposta. Intuiva che se fosse riuscita a trovare il modo di stargli accanto sarebbe stata meglio anche lei, un primo passo verso quell’equilibrio che tanto desiderava. Avrebbe voluto parlarne con Hermione, ma l’amica era in piena luna di miele con suo fratello e non aveva proprio la testa per ascoltare i problemi di Ginny; aveva anche pensato di scrivere a Luna, ma era rimasta solo un’idea confusa in mezzo a quelle giornate piene di cose da fare.
   Harry le prese discretamente la mano mentre ancora Hermione e Ron tubavano come colombe.
   “Ciao”
   “Ciao” rispose Ginny, dandogli un bacio veloce sulle labbra. “Com’è andato lo shopping?”
   “Direi… bene! Vuoi vedere i miei acquisti?”
   “Volentieri!”
   Lasciarono i due piccioncini in camera di Ginny e si trasferirono in quella di Harry, piena di borse e pacchi.
   “Ti sei lasciato prendere la mano!” esclamò lei davanti a quella distesa colorata. Lui rise.
   “Non avevo mai comprato abiti nuovi per me, a parte la divisa di Hogwarts; di solito mi rifilavano i vestiti smessi di Dudley. Mi sono sfogato!”
   “Decisamente hai recuperato!”
   Harry aveva mantenuto gusti babbani e aveva comprato per lo più jeans, magliette e qualche camicia, ma si era lanciato anche nell’acquisto di un paio di vesti da mago piuttosto eleganti e un po’ fuori moda, davanti alle quali Ginny non riuscì a trattenere una risatina.
   “Che c’è?” chiese Harry.
   “Niente… solo… beh, sarai uno dei pochi a portare questa” disse alzando con due dita la manica di una tunica verde scuro. Lui fece una smorfia, risentito. Ginny prese il suo viso tra le mani e lo baciò.
   “Quanto sei permaloso!” disse divertita; lui la buttò sul letto di peso e cominciò a farle il solletico. Furono interrotti dalla voce della madre di Ginny, che, rimbombando amplificata con la magia su per la tromba delle scale, annunciava che la cena era pronta. I due si lanciarono in un ultimo bacio appassionato e si staccarono a fatica.
 
   Ginny si tirò su di scatto, trattenendo a mala pena un urlo; il cuore le martellava tra le costole e il sudore le aveva appiccicato la maglietta del pigiama addosso. Di nuovo il suo incubo, ma in una variante peggiore: il cadavere di Harry veniva mostrato nella Sala Grande come prova della sua morte, la bocca semi aperta, gli occhi verdi spalancati e vuoti che la fissavano. La mano andò istintivamente all’anello, appeso al sicuro alla cordicina attorno al collo; Ginny lo strinse forte, pensando a quello che le aveva promesso Harry, come lui le aveva detto di fare. Non lo lasciò finché non riuscì a regolarizzare il respiro.
   Era buio pesto, doveva mancare ancora molto al mattino, pensò con sconforto; Hermione dormiva beata nel letto incastrato di fianco al suo, sentiva il respiro tranquillo poco lontano da lei. Si alzò, Appellò con un sussurro una maglia pulita dal cassettone e uscì in silenzio dalla stanza, diretta verso il bagno. Mentre si rinfrescava continuò a ripetersi che era stato solo un sogno, solo un sogno. Ricacciò indietro le lacrime, dandosi della stupida, si cambiò e scese le scale con la bacchetta accesa, cercando di non fare rumore. Si chiese se George fosse sveglio, aveva voglia di fare due chiacchiere, giusto per distrarsi, ma arrivata al piano terra scoprì che salotto e cucina erano deserti. Con un sospiro, prese un bicchiere dalla credenza e andò al lavandino per riempirlo d’acqua, ma un bagliore in giardino attirò il suo sguardo; si avvicinò alla finestra e guardò con più attenzione: seduta sul prato c’era una figura che giocava con una bacchetta, lanciando scintille e piccole fiamme blu a intervalli regolari con movimenti svogliati. Ginny appoggiò il bicchiere sul tavolo ed uscì scalza sull’erba; man mano che si avvicinava si accorse che la figura aveva sul naso un paio di familiari occhiali rotondi. Harry sussultò quando lei gli tocco una spalla, sedendosi al suo fianco.
   “Ginny! Che ci fai alzata?”
   “La stessa cosa che fai tu, direi”
   Lui ripose la bacchetta in una tasca dei jeans, le passò un braccio attorno alle spalle e le diede un bacio sulla fronte. Stava male, lo poteva dire con certezza, lo sentiva chiaramente. Gli mise una mano sulla guancia e lo costrinse a guardarla negli occhi.
   “Parla con me, Harry. Parlami. Cosa ti passa per la testa?”
   Lui chiuse gli occhi e appoggiò la fronte a quella di Ginny, come aveva fatto la sera in cui le aveva dato l’anello, poi si staccò e si sdraiò sull’erba; lei lo imitò.
   “Non voglio sembrarti un ingrato, io… so di essere molto fortunato” cominciò Harry; era chiaro che ogni parola gli costava fatica. “I tuoi genitori mi trattano come un figlio, mi sento al sicuro. Sono circondato dai miei amici e… ho te” le prese la mano e la strinse forte. Ginny attese, paziente, stavano arrivando al nocciolo della questione.
   “Ma mi sembra di aver preso la vita di qualcun altro. E… ho la costante sensazione che questo qualcun altro presto se la verrà a riprendere.”
   “Che vuoi dire?”
   “Ginny io… io dovevo morire. Non dovrei essere qui, è stato solo l’errore di Voldemort a riportarmi indietro. E tu dovresti stare con… non lo so, chiunque altro che ti possa rendere felice, che ti possa dare una vita… normale.”
   Quella frase le fece male: lei non voleva una vita normale e un ragazzo qualunque, voleva Harry punto e basta. Le sembrava di essere già stata chiara su quel punto. Ma finalmente lui era stato sincero, si era aperto e questa era una cosa preziosa. Fece un lungo respiro a occhi chiusi; quando li riaprì sapeva che cosa doveva dire.
   “Vedi le stelle?”
   “Cosa?”
   “Sono bellissime, non trovi?”
   “S-sì…”
   Era chiaro dalla sua voce che Harry non aveva capito dove Ginny volesse andare a parare, ma che avesse comunque deciso di lasciarla continuare.
   “Se una persona vede sempre e solo le stelle pensa che non ci sia niente di più bello e luminoso; ma prima o poi arriva l’alba e il sole le cancella completamente. E una volta che hai visto il sole, che hai provato il suo calore sulla pelle, sai che nient’altro ti potrà mai scaldare allo stesso modo.”
   Si schiarì la gola e proseguì.
   “Harry, io ci ho provato. Sono stata con altre persone, ma per quanto Michael o Dean fossero stelle luminose, l’alba per me arrivava sempre. Tu sei il mio sole. Credo di averlo sempre saputo, di essere destinata a te; so che non esiste nessun’altra persona che mi possa far provare quello che mi fai provare tu.”
   Sapeva di non averlo ancora convinto, lo sentiva deglutire le lacrime di fianco a lei. Decise di forzare la mano.
   “Harry, la cosa sbagliata in tutta questa storia è Voldemort, non sei tu. Senza di lui tu saresti cresciuto con i tuoi genitori, avresti ricevuto la lettera per Hogwarts, avresti incontrato Ron e Hermione e sareste diventati amici; poi avresti conosciuto me e ci saremmo comunque innamorati.”
   Ginny rotolò sulla pancia per guardarlo negli occhi; anche al buio vide le sue guance bagnate.
   “Questa è la tua vita, tua e di nessun altro.”
   Harry ormai piangeva senza più cercare di nasconderlo.
   “Lo credi davvero?” chiese con voce spezzata.
   “Io non lo credo, io lo so”
   Lui la abbracciò, nascondendo il volto tra i suoi capelli, stringendola come se non ci fosse altro al mondo. Adesso Ginny sapeva di aver visto il vero Harry e per qualche strana ragione la cosa le riempiva il cuore di calore.

 
 
Angolo di Gin
Eccoci alle prese con il ritorno a casa, alla normalità… che fatica districarsi tra gli strascichi dell’ipervigilanza da Mangiamorte e gli incubi che continuano comunque a popolare le notti dei nostri giovani maghi.
So che questo capitolo è un po’ lento (in origine erano due, ma nel primo non succedeva proprio niente niente!), ma l’intento è quello di ricreare una quotidianità, una routine che è andata completamente a quel paese e che tutti stanno cercando di riconquistarsi.
La voglia di riprendersi la propria vita è tanta, ma il passato è pesante… e forse non tanto passato.
Spero che il miele del finale non faccia salire troppo la glicemia!
Grazie a chiunque ha letto e leggerà e soprattutto a coloro che hanno aggiunto la storia ai seguiti/preferiti/ricordati, siete più di qualcuno! Con mia dolce sorpresa :)
Smack!
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** 18 maggio 1998 – Casa Tonks ***


Una realtà non ci fu data e non c'è,
ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere:
e non sarà mai una per tutti, una per sempre,
ma di continuo e infinitamente mutabile.
Uno, nessuno, centomila – Luigi Pirandello

 
 
 
18 maggio 1998 – Casa Tonks
 
   La primavera stava scivolando velocemente verso l’estate, in anticipo rispetto al solito, come se la Natura volesse recuperare il bel tempo che era mancato l’anno precedente, risucchiato dai Dissennatori liberi per le strade del Paese. Harry e Ginny percorrevano il vialetto di casa Tonks assaporando l’aria calda del tardo pomeriggio domenicale, piena dei profumi del giardino; lui aveva sotto braccio un cestino di vimini e si sentiva vagamente Cappuccetto Rosso in visita alla nonna. Aveva fatto ridere Ginny quando le aveva raccontato poco prima quella fiaba babbana, anche se la parte del lupo che mangia la vecchietta indifesa l’aveva fatta ridere molto meno: il ricordo di Fenrir Greyback nei corridoi di Hogwarts era ancora molto vivido. Harry si era sentito immediatamente un idiota totale per averle parlato di quella favola con tanta leggerezza.
   La casa dei Tonks era modesta ma curata, circondata da un giardino rigoglioso che traboccava di gigli, rose e tulipani; le pareti erano state dipinte di fresco di un acceso color limone che ricordava molto la copertina in cui era avvolto Teddy il giorno del funerale dei Caduti. Una piccola veranda accoglieva gli ospiti prima della porta d’ingresso, sulla quale campeggiava un battente di ottone semplice e liscio. Ginny lo afferrò e diede due colpi.
   “Signora Tonks! Siamo Harry e Ginny!”
   La porta si aprì quasi subito, mostrando il volto stanco ma sorridente della padrona di casa.
   “Ragazzi! Puntualissimi! Entrate!”
   “Questo glielo manda la signora Weasley” disse Harry allungandole il cestino di vimini.
   “Crostata di mele! Che cara, io adoro la crostata di mele, le manderò un gufo per ringraziarla!”
   Il corridoio d’ingresso era piccolo ma accogliente, le pareti cariche di foto di famiglia; Harry riconobbe un giovane Ted Tonks che giocava con una bambina di non più di cinque anni i cui capelli non smettevano di cambiare colore. C’erano i signori Tonks il giorno del loro matrimonio che salutavano sorridendo da sopra una piccola credenza e di fianco Ninfadora, Lupin e il piccolo Teddy probabilmente nato da poche ore. Fu con uno sforzo disumano che Harry desistette dal gettarsi ai piedi della signora Tonks chiedendole perdono; il senso di colpa era ancora molto forte, quella famiglia era stata distrutta a causa sua.
   Non tua, di Voldemort, disse decisa la voce del buon senso dentro di lui; da qualche tempo quella voce aveva cominciato ad assomigliare sempre di più a quella di Ginny.
   La signora Tonks guidò i suoi ospiti nel salotto, dove Harry riconobbe il divano a fiori sul quale era stato soccorso poco meno di un anno prima; la luce calda in cui era immersa la stanza strideva con il ricordo tetro che il ragazzo aveva di quella notte, che sembrava appartenere a un’altra vita. Teddy era in una culla gialla a lato di una poltrona, intento a giocare con un sonaglino rumorosissimo. Ginny percorse la stanza a grandi passi e andò a salutare il piccolo, prendendolo in braccio e coprendolo di baci. Come la prima volta il bambino non si agitò, ma si limitò a scrutare la sconosciuta con interesse mentre lei gli offriva di nuovo il sonaglio. Harry e la signora Tonks si sedettero sul divano a guardare la scena.
   “Come sta, signora Tonks?” chiese il ragazzo.
   “Ti prego, Harry, passiamo al tu, vuoi? E chiamami Andromeda. Mi sento già terribilmente vecchia anche senza tutti questi signora Tonks!” rise stancamente.
   “D’accordo… come stai, Andromeda?” Harry ripeté la domanda; lei scrollò le spalle.
   “Teddy va per i due mesi e non ha ancora dormito più di due ore di fila. Dora non era così agitata… sono stata fortunata una volta, non potevo sperare di esserlo ancora!”
   “Possiamo prenderlo noi qualche volta, per farti riposare un po’, dico” propose Harry. “Io non sono molto… ferrato in materia, ma la signora Weasley non dovrebbe avere alcun problema.”
   “Oooh sì sarebbe fantastico!” esclamò Ginny mentre faceva il solletico a Teddy, che rideva come un matto. Andromeda si morse appena un labbro, sovrapensiero.
   “Non so, Harry. E’ ancora molto… presto. Mi piace averlo sott’occhio, capisci? Non credo resisterei anche solo un paio d’ore lontano.”
   “Vieni alla Tana, allora” rilanciò Ginny in tono pratico. Andromeda esitò un momento prima di rispondere.
   “Sì, questo si può fare. Mi farà bene vedere qualche volto amico.”
   “Ti farò mandare un gufo dalla mamma a breve” concluse la ragazza. “Harry, vieni! Non morde mica, sai?” Ginny fece cenno al ragazzo di avvicinarsi; lui obbedì, stranamente impacciato nei movimenti. Lei fece il gesto di dargli il bambino in braccio, ma lui reagì d’istinto allontanandosi di un mezzo passo.
   “Tranquillo! Devi solo mettergli una mano sotto la testa, così, vedi?”
   Ginny guidò i suoi gesti e riuscì a passargli Teddy senza troppe difficoltà; Harry era sbalordito, era incredibile trovarsi tra le braccia quel fagottino morbido che lo guardava serio. Andromeda aveva ragione, gli occhi erano proprio quelli del padre.
   “Ciao” sussurrò. “Sono Harry, molto piacere.”
   Come se il bambino volesse rispondere, il ciuffetto di capelli virò dall’azzurro al rosa shocking; fu impossibile per Harry non pensare subito a Tonks, con una brutta stretta al cuore. Un giorno Teddy sarebbe cresciuto e gli avrebbe domandato chi diavolo era lui e soprattutto dov’erano i suoi genitori; si chiese che cosa avrebbe potuto dirgli, ma si rese subito contro che era un pensiero inutile in quel momento. Si accorse di stare cullando il bimbo, che si stava addormentando.
   “Ma guarda come prende sonno in fretta con te!” esclamò Andromeda, che li aveva raggiunti. “Mi saresti davvero utile certe volte…”
   “Forse mi trova solo noioso” scherzò Harry. Ripose con cautela Teddy nella sua culla e gli accarezzò un’ultima volta i pochi capelli, che tornarono azzurro cielo.
 
   Harry e Ginny tornarono alla Tana poco prima di cena, lo stomaco pieno di pasticcini al limone e crostata di mele di cui si erano ampiamente serviti durante il lungo tè a casa Tonks. Tutti si dimostrarono entusiasti all’idea di ospitare Andromeda e Teddy, e la signora Weasley cominciò nell’immediato a progettare spostamenti di camere per cercare di piazzare tutti comodi – o quasi – in quella casa sgangherata ed accogliente. Harry osservò con un sorriso le scaramucce tra i vari fratelli per mantenere il possesso della propria stanza; qualcosa dentro di lui era cambiato da quando aveva parlato con Ginny un paio di notti prima. Con il senno del poi avrebbe voluto farlo prima: non era stato facile dirle che cosa davvero provava, ma lei invece di giudicarlo lo aveva accolto e capito. Altre volte aveva fatto lo sbaglio di chiudersi in se stesso e nelle sue convinzioni, come quando si era persuaso di essere posseduto da Voldemort durante le vacanze di Natale del quinto anno; non aveva ancora capito che a volte gli altri vedevano le cose in modo molto più lucido di lui.
   “Harry, caro, temo che l’unica soluzione sia farti spostare in camera con Percy, quando verranno Andromeda e Teddy” disse la signora Weasley, cominciando a sparecchiare a colpi di bacchetta dopo il dolce.
   “Non c’è problema” acconsentì il ragazzo, tirandosi leggermente indietro per evitare che un piatto gli prendesse in pieno il naso; il signor Weasley non fu altrettanto pronto e venne colpito ad una tempia.
   “Molly!” protestò.
   “Oh, scusa Arthur!” la signora Weasley agitò la bacchetta e recuperò il piatto. “Vuoi del Dittamo?”
   “No, cara, grazie.”
   “Arthur…” la signora Weasley cercò di richiamare l’attenzione del marito con discrezione, ma Harry notò perfettamente i gesti che faceva con la testa nella sua direzione. Lei se ne accorse e le sue orecchie diventarono rosse, proprio come succedeva a Ron; strinse la pila di piatti al petto e, abbandonando ogni precauzione, disse ad alta voce: “Non dovevi parlare con Harry?”
   “Oh, sì, certo…”
   Il signor Weasley sembrava imbarazzato. Parlare con lui? Che cosa aveva fatto? Il cervello di Harry cominciò immediatamente ad analizzare le ultime settimane, pensando a che cosa poteva essere andato storto. Incrociò lo sguardo di Ginny, che alzò le spalle come a dire che non ne sapeva nulla.
   Ha detto loro dell’anello.
   Sì, doveva essere quello. Harry deglutì, improvvisamente a disagio. Che cosa gli avrebbe detto? Per qualche ragione pensava di doversi giustificare e stava febbrilmente cercando qualcosa da dire. Il signor Weasley si alzò e gli fece cenno di seguirlo; sorrideva, il ché lo fece rilassare un po’. Lo guidò in giardino, dove erano state disposte due sedie spaiate e scolorite, distanti dalla casa ma proprio di fronte alle finestre della cucina; Harry vide la signora Weasley sbirciare velocemente dai vetri aperti mentre suo marito si sedeva e faceva cenno al ragazzo di fare lo stesso. Harry sentiva il cuore battere all’impazzata e la testa completamente vuota.
   “Allora, hai già pensato a cosa fare… adesso?”
   “Hem…”
   Non gli veniva in mente niente di decente. A cosa si riferiva il signor Weasley?
   Sai benissimo a cosa si riferisce, imbecille.
   “Non voglio girarci intorno” tagliò corto. “Non so se ti ho fatto conoscere Frankie? Frank Prewett.”
   Harry scosse la testa.
   “Io e lui eravamo a Hogwarts insieme, stesso dormitorio per sette anni. Ed è il cugino di Molly, sì. Insomma, ci conosciamo da una vita. Ha fatto anche qualche missione per l’Ordine, in tutte e due le Guerre; non in prima linea, ma comunque è stato parte attiva.”
   Harry era confuso, ma lasciò che il signor Weasley continuasse; forse l’anello non c’entrava nulla.
   “La settimana scorsa è stato nominato da Kingsley a capo dell’Ufficio Auror e… beh, vuole conoscerti. Mi ha pregato di presentarvi.”
   “Io?”
   Il ragazzo era sempre più confuso.
   “Sa che abiti da noi e… beh, ieri mi ha fermato in ascensore e mi ha detto che c’è un posto riservato a te nella squadra degli Auror…”
   La buttò lì come se fosse una cosa quasi imbarazzante, fissando distrattamente Percy che sistemava una pila di tazze in una credenza.
   “Cosa?” Harry era sbalordito.
   “Gli ho detto che forse ne avevi abbastanza di maghi oscuri e tutto il resto… dopo… dopo l’ultimo anno, ma Frankie mi ha fatto promettere almeno di dirtelo.”
   Il ragazzo boccheggiava; un posto negli Auror? Sarebbe stato pazzesco, un sogno che si avverava. Il signor Weasley interpretò il suo silenzio nel senso sbagliato.
   “Harry, se non te la senti non ti biasima nessuno. Molly l’aveva detto…”
   “No, io… sarebbe fantastico!” esalò. “Ma… non ho i M.A.G.O. necessari, dovrei finire…”
   “Direi che sugli studi Frankie sarà pronto a soprassedere. Insomma, Harry! Credi davvero di dover presentare un pezzo di carta a qualcuno dopo il due maggio?”
   Il ragazzo si passò una mano tra i capelli, cercando di assimilare quello che il signor Weasley gli aveva appena detto.
   “Sì” disse dopo qualche momento. “Sì, voglio conoscere Fr… il signor Prewett. Mi piacerebbe moltissimo, beh… lavorare per lui.”
   “Sei sicuro?” il signor Weasley lo scrutava con attenzione da dietro le lenti cerchiate di corno, l’aria preoccupata. “Non vorresti, che so, fare qualcosa di più leggero?”
   Harry si prese un attimo per pensare, ma non gli venne in mente una sola cosa che desiderasse di più, professionalmente parlando.
   “Cos’altro potrei fare, signor Weasley? Dare la caccia ai maghi oscuri è quello che mi riesce meglio!”
   Lui scrollò le spalle e sorrise, poi si alzò, imitato da Harry, a cui diede una pacca sulla schiena.
   “Io…” cominciò il ragazzo; voleva dire qualcosa che sentiva da tempo, era importante. “Vi devo molto, signor Weasley. Una casa, una famiglia, …”
   Lui lo interruppe.
   “Credi che noi non dobbiamo nulla a te? L’ho già detto una volta, Harry, il giorno in cui Ron ha scelto di sedersi di fianco a te è stato un giorno fortunato per la famiglia Weasley.”
   In quel momento Ginny passò davanti alla finestra della cucina, urlando qualcosa contro George che non aveva rimesso a posto un bicchiere. Il signor Weasley sorrise.
   “Non l’ho mai vista così, sai? Non è un periodo felice, certo, ma… la vedo serena, nonostante tutto. Tu la rendi serena.”
   Harry sentì il cuore gonfiarsi.
   “E Harry… siamo Arthur e Molly, va bene?”
   Gli diede un’altra pacca sulla spalla, affettuoso come un padre.
   “Ti faccio sapere quando Frankie avrà tempo per vederti.”
 
Angolo di Gin
Ebbene sì, lo sapevamo, Harry diventerà Auror con canale preferenziale! Ma gli uomini, si sa, spesso fanno le cose senza pensare al resto del pianeta…
Grazie a chi ha letto e leggerà, e un grazie speciale a chi segue!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** 19 maggio 1998 – La Tana ***


Bisogna avere molta cautela, con chi è felice.
Jack Frusciante è uscito dal gruppo – Enrico Brizzi
 
 
  
19 maggio 1998 – La Tana
 
   “Miseriaccia!”
   Ron quasi si affogò con il porridge di avena quando Harry disse che avrebbe incontrato a breve il capo dell’Ufficio Auror. Aveva approfittato del fatto che quella mattina la colazione era a numero ridotto: Arthur e Percy erano andati al Ministero molto presto, mentre Molly era riuscita a convincere George a farle vedere il negozio risistemato, così Ron aveva avuto una giornata libera. Sembrava quasi una mattina qualsiasi delle vacanze estive, solo Harry, Ron, Hermione e Ginny seduti attorno al tavolo della cucina senza un pensiero al mondo. O quasi.
   “Harry, è… fantastico! Insomma, era quello che volevi, no?” esclamò Hermione. Il ragazzo annuì entusiasta; cercò lo sguardo di Ginny, che però era molto concentrata sulle sue uova strapazzate. D’istinto allungò la mano verso il braccio di lei, che lo ritrasse.
   “Ginny?”
   “Che c’è?!”
   “Tutto bene?”
   “Meravigliosamente.”
   La ragazza si alzò di scatto e fece per afferrare il suo piatto, ma le sfuggì di mano rompendosi per terra; pezzi di uovo volarono un po’ ovunque. Tutti la fissarono con sguardo interrogativo; Hermione balzò in piedi e ripulì la cucina con due colpi di bacchetta, poi si voltò verso Ron:
   “Andiamo” ordinò.
   “Cosa? Ma non ho finito la…” protestò lui.
   “Ho detto andiamo!”
   Lei lo prese per un braccio e lo trascinò fuori; la ciotola di porridge si rovesciò, ma nessuno ci fece caso.
   “Ginny, cosa…” cominciò Harry, che aveva ancora la forchetta sospesa a mezz’aria, la salsiccia morsicata a metà, sinceramente confuso. Lei si lasciò cadere sulla sedia, lo sguardo basso.
   “Scusami” sussurrò. “Io… il pensiero che tu vada ancora in giro a… lo sai!” la voce si ruppe e Ginny non riuscì a continuare. Harry mollò la forchetta nel piatto e le passò un braccio attorno le spalle; non sapeva cosa dire, non aveva pensato un attimo a lei quando aveva accettato la proposta di Arthur e non capiva come avesse potuto fare una cosa del genere.
   “Ginny, se tu… io rifiuterò, se non sei tranquilla, troverò qualcos’altro, io…” affondò il viso nei capelli di lei. “Tu sei più importante” sussurrò al suo orecchio. Lei scosse la testa con forza.
   “No, Harry, questo è il tuo sogno, non posso chiederti una cosa del genere.”
   Si allontanò quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi, seria. Come sempre, non piangeva.
   “Solo… stai attento. Ricordati cosa mi hai promesso.”
   Ginny gli prese una mano e la guidò sull’anello nascosto sotto la maglietta.
   Un grosso gufo grigio entrò dalla finestra aperta e planò con eleganza sul tavolo, evitando di poco il porridge sparso un po’ dappertutto. Lasciò una grossa busta di pergamena davanti ad Harry e stridette infastidito; Ginny estrasse la bacchetta.
   “Tergeo” disse puntandola verso la pozza appicciocosa. “Scusa tanto!” aggiunse con le sopracciglia inarcate. Il gufo le voltò le spalle e riprese il volo, ma quasi si schiantò contro un secondo volatile, più chiaro che stava entrando in quel momento. Seguì una breve colluttazione tra i due uccelli, che sparsero piume ovunque; una seconda busta di pergamena schizzò in un angolo della cucina.
   “Oh, per l’amor del Cielo!” esclamò Ginny. Con un colpo di bacchetta spedì i due litiganti fuori dalla finestra, poi Appellò la busta, sulla quale era scritto il suo nome con inchiostro verde. Il blasone delle quattro Case impresso in un angolo non lasciava dubbi sul mittente.
   “Hogwarts?” disse perplesso Harry, osservando la propria lettera.
   Hermione e Ron entrarono di corsa in cucina.
   “Che cavolo… è successo qua dentro?” Ron quasi urlò.
   “Gufi permalosi” borbottò Harry, cercando di sistemare la stanza con movimenti distratti della bacchetta, ottenendo solo di far volare le piume più in alto. Ginny sbuffò e ripeté l’incantesimo di pulizia.
   “L’avete ricevuta anche voi?” chiese Hermione, eccitata come una bambina il giorno di Natale. “Cosa credete che ci sia scritto?”
   Si sedette davanti a Harry e Ginny senza nemmeno aspettare le loro risposte e cominciò ad aprire la busta con mani tremanti. Harry strappò un bordo della propria con un unico movimento e spiegò il foglio spesso; sotto l’ormai familiare intestazione della scuola, c’era un lungo testo scritto a righe fitte nella calligrafia precisa che gli aveva dato tanti voti severi in Trasfigurazione.
 
 
   Gentili studenti,
   l’anno appena trascorso si può definire in molti modi, ma non si può dire che sia stato ordinario. Il Consiglio Scolastico appena riunitosi ha perciò deciso di prendere provvedimenti straordinari, di cui qui di seguito.
 
   Gli studenti che hanno frequentato gli anni dal primo al quarto e il sesto sono automaticamente ammessi all’anno successivo, senza necessità di sostenere alcun esame.
 
   Gli studenti che hanno frequentato il quinto anno dovranno ripeterlo, in quanto la preparazione fornita da alcuni insegnanti è stata giudicata insufficiente ed inadatta al conseguimento dei G.U.F.O. dagli ispettori ministeriali.
 
   Per analoghe motivazioni, gli studenti che hanno frequentato il settimo anno dovranno ripeterlo e sostenere i M.A.G.O. con una preparazione adeguata. Tuttavia è previsto un diploma honoris causa, che gli interessati sono liberi di accettare o meno, per coloro che si sono distinti durante la Guerra Magica; a costoro verrà allegata comunicazione a parte alla presente lettera.
 
   Gli studenti che sono stati esclusi da Hogwarts nell’anno appena concluso a causa del proprio Stato di Sangue saranno ammessi all’anno di pertinenza.
 
   I corsi avranno inizio il 1° di settembre, è attesa una risposta da ciascuno studente entro e non oltre il 30 giugno p.v. via gufo, in modo da poter inviare in tempo utile le successive lettere di convocazione con relative liste di libri occorrenti.
   Con la presente il Consiglio intende anche invitare studenti, genitori e chiunque desideri partecipare alla Cerimonia dei Diplomati, che si terrà per la prima volta a numero aperto il 30 agosto p.v. Seguirà rifresco danzante.
 
   Cordiali saluti
   Minerva McGranitt
 
 
   Al primo foglio seguiva un secondo, senza intestazione, molto più breve, ma scritto dalla stessa mano.
 
 
   Caro signor Potter,
   inutile dire che tu, il signor Wealey e la signorina Granger avete già in mano un diploma, anche se sono convinta che la signorina Granger si precipiterà comunque a terminare il settimo anno.
   Pensateci, Potter, e fatemi sapere. Hogwarts è sempre qui.
   Minerva McGranitt
 
 
   Harry alzò lo sguardo: anche Ron e Hermione avevano in mano due fogli, mentre Ginny guardava imbronciata il suo.
   “Non dico che speravo in un diploma honoris causa…”
   “Sì che ci speravi” tagliò corto Ron, ributtando la lettera nella busta in malo modo; la sorella sbuffò, ripiegando la sua con più cura. “Ringrazia che non sei una del quinto, quelli si devono ripetere un intero anno!” concluse lui ghignando.
   Hermione guardava ancora perplessa il secondo foglio.
   “Cos’è che non ti torna nella frase hai già il diploma in mano?” chiese Ron, le braccia dietro la nuca come se fosse in spiaggia.
   “Non mi sembra molto giusto” borbottò lei. “C’è chi si è spaccato la schiena sui libri per i suoi M.A.G.O. e noi dovremmo saltare gli esami come se nulla fosse?”
   Harry e Ron si scambiarono uno sguardo eloquente, Ginny sbuffò incredula.
   “Beh sì, Hermione, direi… o meglio, la McGranitt dice che ce lo siamo meritati” puntualizzò Harry sventolando il secondo foglio della sua lettera. L’amica scosse la testa e disse risoluta: “E’ ovvio che finiremo gli studi.”
   Seguì un momento di silenzio imbarazzante. Hermione fece scivolare lo sguardo da Harry a Ron, sbalordita, ma nessuno dei due trovò il coraggio di contraddirla.
   “Ragazzi… siete seri?”
   Sembrava una terribile imitazione di se stessa prima di un esame, negli anni passati, quando scopriva che i suoi due migliori amici non avevano aperto un libro; Harry credeva che l’ultimo anno avesse cambiato tutti, ma evidentemente certe cose non cambiavano mai.
   “Hermione, io lavoro con George ormai. Non… non lo lascerò per tornare a scuola.”
   Pronunciò l’ultima parola come se fosse qualcosa di osceno; lei rimase un attimo interdetta da quell’affermazione, poi strinse una mano di Ron.
   “Sì, io… sì, che stupida…”
   Harry si accorse che Hermione aveva gli occhi lucidi.
   “Quando dobbiamo rispondere?” chiese lei, tanto per cambiare argomento; era chiaro che sapeva la risposta, ma controllò comunque la lettera. “Sì, entro il 30 giugno. Giusto. Ci penseremo e…”
   Si alzò di scatto.
   “Che dite di un giro a Diagon Alley? George potrebbe avere bisogno di aiuto con la si… Molly.”
   Harry e Ginny annuirono, Ron grugnì.
   “Per una volta che avevo un giorno libero…!”
   Hermione gli scoccò un’occhiata che avrebbe potuto incendiare la sedia sulla quale lui era seduto.
   “E va bene” sospirò Ron. “Ma voglio una fetta gigante di torta al mirtillo della Pasticceria del Confetto!”
 
 
 
   Ginny buttò la giacca di jeans sul letto e si passò una mano sugli occhi, rilassando finalmente i muscoli della faccia; per tutta la giornata si era sforzata di mantenere il sorriso, davanti al negozio dei suoi fratelli (doveva ammettere che l’avevano sistemato davvero bene, considerato come l’avevano conciato i Mangiamorte qualche mese prima), in Pasticceria mentre si costringeva a trangugiare almeno un muffin, in mezzo agli scaffali del Ghirigoro dove si era rifugiata con Harry quando Hermione aveva sequestrato sua madre.
   Era chiaro come la luce del sole, almeno per lei, che il vero scopo della gita improvvisata a Diagon Alley era per Hermione parlare con Molly; l’amica aveva bisogno di un consiglio materno sulla scuola e tutto il resto e la cosa più vicina a una mamma in quel momento era proprio la signora Weasley. Ginny capiva perfettamente. Davvero, la capiva. Ma questo non le impediva di sentirsi incredibilmente frustrata, triste e sola: la sua amica era angosciata per gli affari suoi, sua madre era impegnata a consolare l’amica in questione, il suo ragazzo era il motivo per cui si sentiva triste. E Ginny gli aveva già detto che non c’era problema, accetta pure quel lavoro Harry. Che stupida.
   Si sedette di peso sul letto, la testa tra le mani. L’anello scivolò fuori da un bottone aperto della blusa bianca e Ginny lo afferrò d’istinto; sentì di nuovo le parole di Harry, chiare come se gliele stesse sussurrando all’orecchio in quel momento: Non ti lascerò mai più, questa è una promessa.
   “Sarà meglio per te, Potter!” sbottò da sola.
   “Cosa?”
   Ron era sulla porta; come al solito non aveva bussato prima di entrare in camera sua.
   “Niente!”
   Ginny ricacciò l’anello sotto i vestiti e afferrò la bacchetta, pronta ad affatturare il fratello, ma per l’ennesima volta lui la Disarmò con velocità impressionante. Ginny urlò, frustrata, alzandosi di scatto. Ron la guardò, confuso.
   “Va… tutto bene?”
   “Appella la mia bacchetta”
   “Ginny…”
   “Appella la mia bacchetta ADESSO!”
   Ron obbedì.
   “Comunque la cena è pronta” disse lui asciutto. Lei annuì mentre riprendeva la sua bacchetta; sentiva bruciare le guance di vergogna, si era già pentita del suo scatto.
   “Arrivo subito.”
 
   Ginny correva lungo la scala di marmo, era in ritardo per la cena, non ricordava nemmeno più il motivo. La Sala Grande era già piena; quando entrò tutti i ragazzi seduti ai tavoli delle Case smisero di parlare tra di loro e la fissarono. Lei si fermò un attimo, confusa da tutti quegli sguardi, poi proseguì per la sua strada.
   “Signorina Weasley!”
   La voce della professoressa McGranitt la chiamava dal fondo della Sala. Ginny andò verso di lei, attraversando lo spazio tra i tavoli di Corvonero e Tassorosso. In due passi la raggiunse, con sua stessa sorpresa. Si accorse che la professoressa era in lacrime.
   “Signorina Weasley” mormorò prendendo la ragazza per un braccio. “Non volevo, credimi, non volevo che lo scoprissi così!”
   “Scoprire cosa, professoressa?”
   La McGranitt guardò ai piedi di Ginny, che abbassò a sua volta lo sguardo: riverso sul pavimento c’era il cadavere di Harry, la bocca semiaperta, gli occhiali storti, i vestiti laceri e gli occhi verdi, spalancati, che la guardavano vuoti.
   “NOOOO!”
   Ginny si svegliò urlando. Si tappò da sola la bocca con la mano e sentì le guance bagnate di lacrime. Si voltò verso il letto di Hermione, certa di averla svegliata, ma l’amica non c’era. Ginny ringraziò il Cielo silenziosamente e si cinse le ginocchia con le braccia: non aveva avuto altri incubi da quando era riuscita a far parlare Harry, ma la sua psiche era evidentemente ancora molto scossa.
   La porta della camera si schiuse e Ginny si affrettò ad asciugarsi gli occhi; Hermione entrò in punta di piedi con la bacchetta accesa.
   “Ginny!”
   “Già, dormo qui.”
   La ragazza si riparò gli occhi dalla luce.
   “Scusa” mormorò l’amica. “Nox. Non volevo svegliarti.”
   “Ero già sveglia. Dove diavolo eri Hermione?” chiese dopo un momento. L’altra ragazza tossì imbarazzata e Ginny capì che era stata con Ron, così preferì non fare altre domande. Hermione si sedette sul suo letto.
   “Come mai eri sveglia?”
   Ginny fu grata del buio, perché sentì scivolare sulle guance altre due grosse lacrime.
   “Un brutto sogno” mormorò.
   “Anch’io ne faccio ancora, sai?”
   Ginny non trovò niente da dire e strinse di nuovo le ginocchia al petto.
   “Sei preoccupata per Harry? Il lavoro da Auror?”
   Altre lacrime. Riuscì a mugugnare un sì che non facesse suonare la sua voce troppo rotta. Poi le parole cominciarono a fluire senza che Ginny potesse fermarle; si ritrovò tra le braccia di Hermione mentre le raccontava dei mesi passati senza di loro a Hogwarts e dell’esilio da zia Muriel. Arrivò a dirle dell’anello quasi senza accorgersene, continuando a ripetere quello che Harry le aveva detto.
   “Me l’ha promesso, Hermione, mi ha promesso che non mi lascerà di nuovo!”
   Si sentiva una bambina incredibilmente stupida, ma non riusciva proprio a smettere di parlare.
   “E non lo farà” disse l’amica stringendola con un braccio. “Conosci Harry, se fa una promessa la mantiene.”
   Ci vollero altri dieci minuti buoni e tutta la pazienza di Hermione prima che la ragazza si calmasse.
   “Davvero hai un anello… di Harry?” si azzardò a chiederle l’amica mentre Ginny si asciugava per l’ultima volta gli occhi.
   “S-sì. Lo tengo al collo.”
   “Quindi… vi sposerete?”
   L’emozione era appena percepibile nella voce, ma Ginny la sentì.
   “Certo, non domani! Ma… sì, direi di sì.”
   Le due ragazze rimasero per qualche momento in silenzio, abbracciate nel buio.
   “E non hai paura?” chiese Hermione. “Non hai avuto paura quando ti ha… messo un anello al dito?”
   Ginny non ebbe bisogno di chiedere a cosa si riferisse: pensare a un’intera vita insieme a sedici anni dava le vertigini, era come cercare di immaginare i confini dell’universo. E poi si parlava di Harry Potter. Che sarebbe diventato un Auror e si sarebbe ficcato in un mucchio di guai.
   “Ho i brividi” disse Ginny con un mezzo sorriso sulle labbra. “E’ un salto nel vuoto. Ma so che è la mia strada. Dove c’è Harry c’è la mia gioia e la mia casa.”
 


Angolo di Gin
E’ ora di cominciare a pensare concretamente al futuro! Hogwarts o non Hogwarts? Auror? Negozio? E ommiodio stiamo scherzando, un matrimonio? Chi ci pensa a questa età??
La verità è certe esperienze forti (e i nostri personaggi ne hanno fatto il pieno) ti cambiano, mettono l’acceleratore sul cronometro e ti trovi improvvisamente troppo grande in un corpo troppo piccolo.
E non sempre riesci a calibrare bene i tuoi passi: ne fai uno troppo lungo e rischi di inciampare.
Filosofia e altro miele in questo capitolo, insomma!
Non perdetevi il prossimo, andremo a dare una sbirciatina al Ministero della Magia post bellico!
Grazie a chi ha letto e leggerà, e a chi segue, questa settimana abbiamo sfondato la soglia della venti seguiti (più otto preferiti a cui mando cuoricini! <3 <3) quindi davvero grazie! La mia autostima ne beneficia molto.
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** 26 maggio 1998 – La Tana ***


La memoria umana è uno strumento meraviglioso ma fallace.
È questa una verità logora, nota non solo agli psicologi,
ma anche a chiunque abbia posto attenzione al comportamento di chi lo circonda,
o al suo stesso comportamento.
I sommersi e i salvati – Primo Levi
 
 
 
 
26 maggio 1998 – La Tana
 
   Nella cucina regnava il caos.
   Da un lato del tavolo Percy urlava contro George.
   “… e piantala di lasciare in giro quelle cose!”
   “Oh, mollami! Sei tu che hai preso una penna autocorreggente scarica, non dare la colpa a me!”
   Buttata sul tavolo tra i due fratelli c’era una pergamena indirizzata alla Estrema Presidente di Hozwurts Malerba McGranitico. Percy era stato incaricato – o meglio, si era offerto – di scrivere la risposta a Hogwarts per tutti, i due Weasley, Harry e Hermione.
   “Percy, prendi un’altra penna e finisci quella lettera, per l’amor del Cielo!” esclamò Molly, impegnata a domare un calderone di uova sode che ribolliva emettendo una strana schiuma viola.
   “Ginny! Dammi una mano, non so che cosa… Ooooh!”
   La signora Weasley cadde all’indietro, presa al volo da Ron, mentre il calderone rigurgitava una melma verdastra e sparava gusci fino al soffitto.
   “Protego!
   L’incantesimo Scudo di Harry evitò che la famiglia Weasley venisse travolta da fango e uova.
   “Ma che diavolo…” esalò Molly, mentre prontamente Ginny faceva Evanescere quella che avrebbe dovuto essere la colazione. La ragazza inclinò con una mano il calderone vuoto e sbuffò.
   “Mamma! E’ il mio calderone di pozioni! Ci credo che esplode, con tutto quello che ci metto dentro durante l’anno!”
   “Cosa ne sapevo? Era tra le stoviglie, io lo uso! Fallo sparire, dannazione!”
   Ginny buttò il calderone in un angolo e ne prese un altro dalla credenza, borbottando contrariata.
   “Harry caro, non ti sei sporcato vero?”
   Molly cominciò a sistemare la camicia del ragazzo, che era già perfettamente stirata e al suo posto; lui allontanò con delicatezza le mani della signora Weasley. Harry aveva provato a mettersi una delle vesti da mago, ma le risate di Ginny lo avevano indotto ad optare per camicia e pantaloni babbani, nei quali si sentiva comunque stranamente fuori posto.
   “No, tranquilla.”
   Molly si morse un labbro.
   “Oggi è un giorno importante, devi essere in ordine.”
   Con un gesto della bacchetta Evocò un pettine e sbirciò Harry come un gatto affamato; lui protese subito le braccia.
   “Mettilo via, Molly”
   “Ma…”
   “Sai che non funziona.”
   Ron si lasciò cadere su una sedia, imbronciato.
   “Si può avere qualcosa da mettere sotto i denti o è chiedere troppo?” chiese con il peggior tono che potesse trovare.
   “Arrivo!” sibilò Molly scoccandogli un’occhiata gelida, poi gli voltò le spalle e prese a trafficare con il secondo calderone e nuove uova.
   Harry si sedette di fianco all’amico; ricordava perfettamente che cosa era successo quando avevano aperto il medaglione di Serpeverde ed era convinto che il malumore di Ron fosse dovuto agli stessi sentimenti dell’epoca, quanto meno quelli che riguardavano sua madre. Aprì la bocca, ma non trovando niente di sensato da dire la richiuse. Hermione entrò in cucina trattenendo un piccolo gufo grigio per una zampa.
   “Percy, hai fatto? Leo non si tiene più e io ho finito i biscottini gufici!”
   “Quanta – fretta! Una lettera ben scritta richiede un po’ di tempo!”
   Ron sbuffò, incrociando lo sguardo di Harry.
   “Quanto tempo ci vorrà per scrivere: Cara McGranitt, Ginny e Hermione saranno dei tuoi, ma Harry e Ron ti mandano i loro più cari saluti! Ci vediamo alla cerimonia dei diplomati! Io avrei già finito venti minuti fa!”
   Harry soffocò una risata in un bicchiere di succo di zucca.
   Fece il suo ingresso in cucina anche Arthur, trafelato, mentre con una mano tentava di appiattirsi i radi capelli rossi sulla nuca.
   “Molly, c’è qualcosa di pronto?”
   “Anche tu!” sbottò la signora Weasley. “Avete tutti molta fretta stamattina!”
   “Suppongo sia un no” disse Arthur più a se stesso che alla moglie. “Harry, dobbiamo andare o faremo tardi. Frankie ha il tempo estremamente contato, mangeremo qualcosa a Londra.”
   Harry annuì, appoggiò il bicchiere e si alzò; anche Ron si alzò, le orecchie rosse, in evidente imbarazzo.
   “Allora… in bocca al lupo, amico. Sono sicuro che… beh sì, ti hanno già preso.”
   Per un attimo sembrò volerlo abbracciare, poi si limitò a dargli una pacca sulla spalla.
   “Grazie” disse Harry, grato.
   Ginny lo abbracciò e lo baciò, seguita da tutto il resto della famiglia Weasley e da Hermione, ancora alle prese con Leo, più eccitato che mai all’idea di dover consegnare una lettera.
   Harry e Arthur andarono in salotto, raggiunsero il camino e il signor Weasley accese il fuoco con la bacchetta, poi prese una manciata di Polvere Volante da una ciotola su un tavolino, ma esitò un momento prima di lanciarla nelle fiamme.
   “Il Ministero è cambiato dall’ultima volta che ci sei stato” disse guardando Harry, che non capì se quella volesse essere una rassicurazione o un avvertimento. Arthur sembrò non trovare le parole adatte per rispondere allo sguardo interrogativo del ragazzo, così si limitò a dire: “Sei al sicuro, Harry.”
 
   Harry atterrò sul pavimento di legno scuro dell’Atrium, tossendo e cominciando a togliersi la fuliggine dai pantaloni. Come al solito aveva respirato durante il viaggio nella Metropolvere, non aveva mai imparato a tenere la bocca chiusa. Si sistemò gli occhiali e alzò lo sguardo: Arthur aveva ragione, il Ministero era cambiato.
   Al centro dell’enorme sala, al posto delle orrende statue del mago e della strega, campeggiava una semplice stele di un grigio chiaro, lucida e fittamente incisa; tutt’attorno erano state deposte centinaia di ghirlande e candele dalla fiamma blu, quella fiamma che Harry ben conosceva.
   “Avvicinati, Harry” disse Arthur e il ragazzo obbedì.
   Nella parte più alta della stele erano scolpite chiare, quasi urlate, alcune parole: IL MONDO MAGICO NON DIMENTICA. Sotto erano elencati tutti i nomi dei caduti della Guerra – sì, adesso la Gazzetta del Profeta la chiamava la Seconda Guerra Magica; c’erano anche le prime vittime, quelle vite spezzate quando ancora Harry veniva bollato come pazzo per aver sostenuto che Voldemort era ritornato: con una stretta al cuore il ragazzo lesse i nomi di Cedric Diggory, Sirius Black e Albus Silente. Una sezione a parte riportava i caduti del due maggio, mentre girando attorno alla stele Harry vide che erano stati scolpiti anche i nomi di coloro che erano morti durante la Prima Guerra Magica; i suoi genitori erano gli ultimi due.
   Il ragazzo rimase qualche momento a fissare la superficie grigia senza realmente vederla; si sentiva di nuovo il bambino di undici anni davanti allo Specchio dei Desideri, perso di fronte alle immagini di James e Lily che lo salutavano.
   Arthur appoggiò una mano sulla sua spalla e Harry si riscosse.
   “E’…” bisbigliò il ragazzo, continuando a fissare la stele; non sapeva come terminare la frase: bellissima? Commovente?
   “E’ giusta” completò Arthur per lui. “Andiamo” disse stringendo la presa un attimo, avviandosi poi verso gli ascensori. Harry lo seguì, leggermente stordito; il pensiero sfrecciò verso Ginny, per qualche ragione avrebbe voluto che lei fosse lì accanto a lui. Notava appena le persone che gli passavano di fianco, finché non si accorse del silenzio che regnava nell’Atrium; alzò allora lo sguardo, perplesso: si era aspettato che la sala fosse confusionaria come al solito. Incrociò così gli occhi di un mago vecchio e magro, ma dritto come un fuso e con un cipiglio serio e fiero; l’uomo lo guardò intensamente, poi si portò il pollice della mano destra alla fronte ed eseguì una specie di saluto militare. In silenzio si allontanò, lasciando Harry ancora più confuso. Una strega poco distante, i capelli castani raccolti in una treccia e gli occhi neri cerchiati da occhiali, fece lo stesso gesto sempre in direzione del ragazzo, come la sua amica bionda che teneva a braccetto. In breve Harry si accorse che ogni persona presente nell’Atrium affollato lo salutava in silenzio, con quel gesto del pollice sulla fronte.
   “Cosa…?” chiese Harry più a se stesso che ad altri.
   Arthur accelerò il passo.
   “Questo è il saluto che si scambiavano, beh, i tuoi sostenitori mentre Voldemort era al potere” disse come se fosse una cosa imbarazzante. “Ci riconoscevamo così, semplice, veloce, poteva essere camuffato in fretta con una grattata alla testa” proseguì con un mezzo sorriso. Arthur tacque un attimo, poi, come se avesse deciso di spiegare qualcosa di ovvio, aggiunse: “La fronte sta, sai, per…”
   “La mia cicatrice” completò Harry senza fiato. Non ci poteva credere. Non sapeva nemmeno cosa fare, davanti a tutte quelle persone che lo salutavano, avrebbe tanto voluto il Mantello dell’Invisibilità. E Ginny. Ginny lo avrebbe preso sotto braccio e si sarebbe comportata come se quella fosse una passeggiata al parco, non una passerella imbarazzante.
   Superarono i cancelli dorati passando velocemente dalla Sorveglianza, dove un giovane mago con le guance piene di lentiggini si limitò a ripetere il saluto con il pollice in direzione di Harry, rifiutando la sua bacchetta; finalmente raggiunsero gli ascensori e la folla ebbe il buon senso di evitare di salire con il ragazzo e il signor Weasley. Harry tirò il fiato quando rimase solo con Arthur, che sembrava ancora più in imbarazzo di lui.
   “Harry, io ho scelto per te” disse l’uomo guardando fisso davanti a sé. “Ho scelto per te come per i miei figli e Hermione. Ho voluto tenervi lontano da tutto questo. Non sai quanti gufi ci sono arrivati dalla Gazzetta del Profeta, per non parlare di altri giornali. Io e Molly li abbiamo respinti tutti. Qui al Ministero hanno presentato progetti di tutti i tipi, statue, premi, manifestazioni… un delirio, credimi. Kingsley ha dovuto usare le maniere forti per impedire che in mezzo all’Atrium piazzassero un Harry in bronzo alto tre metri!” ridacchiò.
   “Arthur… grazie” disse il ragazzo in un sussurro. Ancora una volta i signori Weasley lo proteggevano, come un figlio.
   “Credo che sia il minimo che il mondo magico possa fare per voi: lasciarvi in pace. Avete diritto a una vita normale. Almeno un po’.”
   In quel momento Harry capì quanto Ginny somigliasse a suo padre: asciutta e protettiva, forte e capace di un amore gratuito, incondizionato. E semplice.
 
   “Secondo Livello, Ufficio Applicazione della Legge sulla Magia, comprendente l’Ufficio per l’Uso Improprio delle Arti Magiche, il Quartier Generale degli Auror e i Servizi Amministrativi Wizengamot” scandì la solita fredda voce femminile. Certe cose non cambiavano mai.
   “Siamo arrivati” disse Arthur.
   Percorsero insieme un breve tratto di corridoio e arrivarono nell’open space che ospitava ancora i cubicoli degli Auror; a differenza dell’ultima volta che Harry aveva visto quel posto, solo poche scrivanie erano occupate e gli unici rumori erano qualche penna che grattava su un foglio e lo strusciare di una spazzola sul pavimento. In un angolo Harry notò due Elfi domestici chini su una grossa macchia scura; indossavano strofinacci color blu pavone bordati d’oro che richiamavano le divise degli altri dipendenti. Il ragazzo sorrise, pensando a cosa ne avrebbe detto Hermione. Circa a metà della stanza due streghe erano intente a spostare grossi fascicoli da uno scatolone a una scrivania, mentre una di loro dettava quello che sembrava un inventario a una penna rossa che schizzava avanti ed indietro su una pergamena. Un uomo alto e robusto dai radi capelli di un rosso ormai molto sbiadito dava le spalle all’ingresso, le braccia incrociate mentre guardava una scritta nera dipinta sopra le finestre dell’open space. Harry lesse velocemente e fu percorso all’istante da brividi: LA MAGIA E’ POTERE. Doveva essere un residuo del regime di Voldemort.
   “Frankie!” chiamò il signor Weasley; l’uomo si voltò, mostrando un volto solcato da molte rughe e cicatrici; il labbro superiore era coperto da folti baffi rossicci e gli occhi azzurri brillavano sotto un paio di sopracciglia quasi bianche. Harry trovava impossibile che avesse la stessa età di Arthur, dimostrava almeno dieci anni di più. Frank strinse con cura tra i denti un sigaro spento mentre si voltava completamente e sorrideva ai nuovi arrivati.
   “Arthur!” esclamò con lo stesso tono di voce che avrebbe usato in un pub di Dublino. “Per la miseria!” urlò percorrendo la breve distanza a lunghi passi, le braccia larghe, lo sguardo fisso su Harry come se fosse una deliziosa bistecca.
   “Signor Potter!” ululò, prendendo una delle mani del ragazzo tra le sue e scuotendola con violenza. La strega che stava facendo l’inventario lanciò uno sguardo infuocato nella loro direzione, poi riprese il suo lavoro.
   “Il piacere è mio, signor Prewett” disse Harry, riuscendo finalmente a liberare la mano dalla presa. Frank rideva come se gli avessero detto che il Natale era stato anticipato.
   “Sapevo che non avrebbe rifiutato la mia proposta, signor Potter! C’è una scrivania che aspetta solo lei!”
   Harry rise, ma il signor Prewett gli assestò una pacca che rischiò di lussargli la spalla e indicò un cubicolo, sul quale campeggiava un cartello a lettere scarlatte: SCRIVANIA DI HARRY POTTER.
   “In senso letterale, Potter! Guarda lì! Non ti offendi se ti do del tu, vero?”
   “Non c’è problema” sussurrò Harry mentre fissava sbigottito la scritta. Per fortuna c’erano poche persone; si chiese quanti invece l’avessero già vista e da quanto tempo fosse lì.
   “Frankie! Ti avevo detto di evitare queste scemenze!” esclamò Arthur; estrasse la bacchetta, raggiunse velocemente il cubicolo e fece Evanescere il cartello con un gesto stizzito; l’incantesimo non riuscì proprio perfettamente, tanto che sulla parete del cubicolo rimase una macchia scura dalla quale salirono alcune spirali di fumo chiaro. Il signor Prewett sbuffò rumorosamente, le mani conficcate nelle tasche della veste.
   “Il vecchio Arthur è sempre stato noioso, non so cosa ci trovi Molly!” disse tra i denti rivolto a Harry, il sigaro che rischiava di sfuggirgli dalle labbra a ogni parola. Quando Arthur si avvicinò il signor Prewett raddrizzò la schiena e assunse un tono più professionale. “Come vedi, Potter, siamo a numero ridotto. Gli Auror sono stati dichiarati Traditori del loro Sangue in blocco sotto il regime di Tu-Sai-Chi; alcuni sono espatriati, tanti sono stati presi, soprattutto nelle prime settimane di bando. Non ce lo aspettavamo, diciamo così.”
   Harry non riuscì a trattenere un commento acido.
   “Ma davvero? Voldemort sale al potere e voi non vi aspettavate ritorsioni contro la squadra che ha cacciato i suoi amichetti per vent’anni?”
   Il signor Prewett abbassò lo sguardo; era difficile dirlo con certezza ma sembrava imbarazzato.
   “Non è così semplice, Potter. Nessuno aveva capito che O’Tusoe era sotto la Maledizione Imperius, subito. E quando ce ne siamo resi conto era troppo tardi.”
   Questa volta Harry si morse la lingua, era inutile specificare che lui aveva detto come stavano le cose anni prima, e che se gli avessero dato ascolto si sarebbero evitate tanti… incidenti. In fondo il signor Prewett sarebbe stato il suo capo e polemizzare sui fatti della Guerra Magica non era un buon inizio. Deglutì quello che pensava e si limitò ad annuire.
   “Comunque quelli che sono rimasti e sopravvissuti si sono riuniti e adesso siamo in piena riorganizzazione!” riprese allegro il signor Prewett. “Alcune squadre sono partite a caccia dei Mangiamorte che sono ancora in giro a scorrazzare… o meglio, ancora per poco” aggiunse con un ghigno. “Qui abbiamo solo le nostre due future mammine!” urlò a pieni polmoni avvicinandosi a grandi passi alle due streghe, che alzarono gli occhi al cielo in contemporanea. Harry e Arthur lo seguirono mentre le donne appoggiavano i fascicoli e si lisciavano le vesti.
   “Io sono Miranda” disse la strega più alta, dai folti ricci neri “E lei è Linda.” L’altra sorrise in segno di saluto, sistemando con un gesto nervoso la coda di capelli lisci e castani. “E’ un onore conoscerla, signor Potter” entrambe le streghe fecero il saluto con il pollice e Harry sentì le guance avvampare. “E sì, come il nostro capo non perde occasione di dire a chiunque, siamo in dolce attesa.”
   “Quindi relegate a lavori d’ufficio” sbuffò Linda senza preoccuparsi di nascondere il suo fastidio. Il signor Prewett rise come se la strega avesse fatto una battuta, ma Miranda cercò di pestare un piede alla collega, che fu più veloce e si spostò.
   “Che c’è?!”
   “Devi lamentarti proprio davanti a lui?” sibilò Miranda indicando Harry. Linda lo guardò con il dubbio dipinto sulla faccia, ma il ragazzo aveva capito a cosa la strega facesse riferimento.
   “Sono il padrino di Teddy Lupin.”
   Linda sbiancò.
   “Oh.”
   “Già.”
   “Ho fatto il corso da Auror con… Tonks” bisbigliò mentre gli occhi le si riempivano di lacrime; li asciugò con un gesto rabbioso. “Maledetti ormoni, piango per tutto ormai!”
   Miranda la fece sedere senza tanti complimenti su una sedia, mentre il signor Prewett prese per un braccio Harry e lo trascinò oltre le due streghe, ridendo come se la scena fosse stata comica. Confuso, Harry lanciò uno sguardo furtivo a Arthur, che guardava insistentemente il pavimento con espressione neutra, le narici lievemente dilatate. Il trio superò i due Elfi domestici.
   “Stiamo ancora sistemando le cose qui!” sbraitò il signor Prewett. “Quella macchia è ostinata, eh ragazzi?”
   I due Elfi si limitarono a guardarlo per qualche secondo in modo inespressivo, poi tornarono a concentrarsi sul loro lavoro. Harry preferì non chiedersi di che natura fosse quella grossa pozza scura.
   “Anche quella dannata scritta non ne vuole sapere di cancellarsi!” urlò Frank indicando la parete con le finestre. “Quasi quasi chiedo a Kingsley di metterci una bella teca, sai di quelle pompose, per non dimenticare” sottolineò le ultime parole alzando due dita e ruotando la mano ad arco, come se le vedesse già davanti a sé. “Quelle robe lì che vanno tanto adesso!”
   Arthur sbuffò, ma cercò di farlo passare per un colpo di tosse portandosi una mano alla bocca. La netta impressione che aveva Harry era che il nuovo capo degli Auror non andasse per niente a genio al signor Weasley, nonostante la presentazione che aveva fatto alla Tana suonasse bene.
   I tre attraversarono una porta sul fondo dell’open space e si trovarono in un corridoio stretto al termine del quale era stato incastrato un ufficio; la targhetta dorata recitava semplicemente: Reclutamento Auror. Il signor Prewett non si preoccupò di bussare ed entrò urlando come se dovesse farsi sentire dall’altro capo di Londra.
   “Vi ho portato un regalino!”
   Un regalino?! Harry avrebbe voluto sprofondare; il suo futuro capo gli piaceva sempre meno.
   L’ufficio Reclutamento era una stanza non molto grande in cui erano state stipate a forza due scrivanie, una di fronte all’altra. L’ambiente sembrava diviso in due e le metà non potevano essere una più diversa dell’altra: a sinistra i muri erano tappezzati di articoli della Gazzetta del Profeta, poster dei Cannoni di Chudley e qualche foto di strega non proprio vestita, mentre a destra c’erano due alti schedari e due semplici cornici che racchiudevano ritratti di famiglia. Tanto la prima scrivania era caotica e piena di scartoffie buttate qua e là alla rinfusa, quanto la seconda era pulita e ordinata, con pile simmetriche di fogli e un vaso di delicati fiori a decorarla. Anche l’unica finestra sembrava essere divisa a metà, indecisa tra una bella giornata di sole e un’uggiosa mattina invernale; il tempo oltre i vetri cambiava talmente vorticosamente che Harry distolse lo sguardo.
   Seduti agli estremi della stanza a fissare i nuovi arrivati con aria interrogativa c’erano un uomo e una donna nella divisa color pavone del Ministero: il primo sembrava un marine appena tornato da una missione di guerra, i capelli scuri rasati corti e gli occhi grigi cerchiati di scuro; la seconda non doveva avere più di trentacinque anni, ben curata, la pelle color dell’ebano, i capelli scuri raccolti in uno chignon perfetto. Fu lei la prima ad alzarsi e a salutare Harry con il solito gesto del pollice, poi gli tese la mano con un sorriso.
   “Signor Potter!” esclamò. “Frank ci aveva detto che oggi sarebbe venuto! Mi chiamo Lena Shacklebolt.”
   Prima che Harry facesse in tempo a fare due più due, il signor Prewett diede di gomito al ragazzo.
   “E’ la sorella del capo!” ghignò. Lena mantenne il sorriso, ma un’ombra passò per un attimo nei suoi occhi.
   “Sì, è intuibile” sbottò l’uomo seduto all’altra scrivania. Si alzò con aria infinitamente scocciata e raggiunse Harry, squadrandolo da capo a piedi, le braccia incrociate sul petto. “Io sono Roy Leatherman” disse senza fare cenno di voler stringere la mano di Harry. “Io e Lena saremo i tuoi Istruttori. Il che vuol dire che per te siamo il signor Leatherman e la signora Shacklebolt, intesi?”
   Harry annuì, la bocca asciutta.
   “Il corso durerà un paio di anni” disse con più gentilezza Lena. “Abbiamo deciso di accorciare un po’ i tempi per via del… calo di personale.”
   Il ragazzo alzò un sopracciglio, ma ancora una volta annuì; non gli piaceva molto questo tentativo di far sembrare migliore la realtà.
   “Abbiamo appena cominciato a vagliare le domande di reclutamento che ci stanno arrivando in questi giorni” proseguì la donna dando un colpetto aggraziato su una pila di fogli lilla sulla sua scrivania. “Più avanti faremo le selezioni vere e proprie. Siamo stati entusiasti quando Frank ci ha detto che aveva accettato la sua proposta!”
   La Shacklebolt guardò Leatherman radiosa, ma l’uomo non cambiò espressione, le braccia ancora saldamente incrociate.
   “Bene!” sbottò il signor Prewett scuotendo una spalla di Harry senza un motivo apparente. “Vogliamo fargli compilare i moduli, Lena?”
   Harry passò un buon quarto d’ora a riempire scartoffie con i propri dati, la sua storia, il suo stato di salute e un mucchio di altre informazioni di cui non sapeva proprio cosa potesse farsene il Ministero.
   “A cosa vi serve il numero della mia camera alla Gringott?” chiese il ragazzo perplesso prima di compilare l’ennesimo modulo.
   “Agli Auror in addestramento è riconosciuta un’indennità, signor Potter” rispose gentilmente Lena. “Dobbiamo sapere dove depositarla, non crede?” la donna sorrise a Harry, poi abbassò lo sguardo sui fogli e li sfilò da sotto le mani del ragazzo con un gesto pulito.
   “Ottimo” cinguettò scorrendo con le dita sottili le varie pergamene. “Direi che ci sia tutto, signor Potter. Quando avremo fatto le selezioni riceverà un gufo dal San Mungo per la visita.”
   “Visita?”
   “E’ la prassi, signor Potter.”
   “E’ bene verificare che sia tutto a posto, prima di cominciare il corso” disse asciutto Leatherman. “Non è una passeggiata di salute. Sarà dura, sia ben chiaro Potter.”
   Harry non riusciva a pensare a nulla che potesse essere più duro dell’ultimo anno che aveva passato, ma tenne la bocca chiusa. Fu con un sospiro di sollievo che si congedò dai due Istruttori; Leatherman prima che il ragazzo uscisse e mentre Lena era di nuovo impegnata con i moduli sulla scrivania, rivolse a Harry il saluto con il pollice. Di tutte le persone che aveva conosciuto quel giorno, lui era sicuramente quella che gli piaceva di più.
 
 
 

Angolo di Gin
Finalmente mettiamo il naso fuori dalla Tana. Il Ministero è cambiato, le mura stesse, oltre alle persone, sembrano portare i segni indelebili di quella che è stata certamente una Guerra molto dura.
Frank Prewett non è proprio il capo Auror integerrimo e serio che ci saremmo aspettati, ma pare proprio che la scelta del buon Kingsley sia caduta su di lui. Abbiamo anche dato una sbirciatina ai personaggi che rivedremo a settembre, gli Istruttori che seguiranno e formeranno i futuri Auror. Sorpresa sorpresa, anche nel mondo magico ci sono i parenti dei parenti! Ma del buon cuore dei Shacklebolt ci possiamo fidare… no?
Insomma, c’è un po’ di carne al fuoco, qualche faccia nuova e una licenza poetica grande come una casa: c’era una Radio Potter, un “saluto segreto” ci stava tutto a mio parere!
Grazie a chi ha letto e leggerà, e soprattutto a chi recensisce!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** 27 maggio 1998 – La Tana ***


Soltanto una donna profondamente buona
può fare una cosa profondamente stupida.
Il ventaglio di Lady Windermere – Oscar Wilde
 

 
27 maggio 1998 – La Tana
 

 
   Il sole tramontava su un’altra giornata di lavoro, oltre le finestre della camera all’ultimo piano. Uno schianto e un rumore di vetri infranti annunciarono che il demone in soffitta aveva rotto qualcosa, ma Ron non aveva proprio voglia di andare a controllare; sospirò e guardò ancora una volta il modulo lilla. Era una scemenza, lo sapeva perfettamente. Era certo che quando sua madre lo avrebbe scoperto sarebbe andata su tutte le furie. Per non parlare di Hermione. Ma il problema non esisteva, dato che era consapevole che non avrebbe mai e poi mai passato le selezioni per il corso da Auror. Non sapeva nemmeno perché diavolo si era fatto convincere da George a prendere quel modulo di richiesta.
   Beh, in realtà lo sapeva. Quando Harry aveva annunciato che sarebbe diventato un Auror, Ron era diventato di pessimo umore. E quando passi ventiquattr’ore al giorno gomito a gomito con tuo fratello, non riesci a nascondere che cosa ti passa per la testa. All’ennesima rispostaccia, George lo aveva attaccato al muro e lo aveva costretto a dirgli che cavolo c’era che non andava. Ron si era sentito l’ultimo degli imbecilli ma aveva ammesso che stava morendo di invidia per Harry.
   “E allora fallo anche tu” gli aveva risposto semplicemente George.
   “Io?”
   “No, zia Muriel! Certo! Non sei da meno, c’eri anche tu, che so, alla Gringott, no?”
   Beh sì, alla Gringott c’era anche lui. E il due maggio. E aveva distrutto un Horcrux. Insomma, così schifo non faceva. E allora si era lasciato convincere a prendere almeno il modulo per fare richiesta di arruolamento. Ma lo avrebbero scartato ancor prima delle selezioni, ne era certo, quindi non ne aveva parlato proprio con nessuno, nemmeno con Hermione o con – figuriamoci – il quasi-Auror-Harry. L’unico che lo sapeva era George; suo fratello sosteneva che il negozio sarebbe andato avanti anche senza Ron, ora che avevano sistemato le cose, e che lui era libero di fare tutto quello che desiderava. Sorrideva mentre gli diceva quelle cose, ma gli occhi erano tristi. Non era più il George di una volta, non aveva più quella scintilla dentro, quel sorriso beffardo, quella gioia di vivere; era come mutilato, spezzato, e annaspava lottando contro se stesso e il dolore tutti i santi giorni.
   Arrivarono delle voci dal pianerottolo; Ron non riusciva a capire chi fosse, ma per precauzione nascose il modulo sotto al suo cuscino e si mise in ascolto. Le voci si fecero più vicine e più concitate.
   “Devi dirglielo!”
   “Perché, Hermione?”
   “Perché in qualunque altro modo lo venga a sapere sarebbe quello sbagliato, Harry! Ti odierebbe a vita!”
   “Forse mi odierà comunque!”
   “Glielo devi dire!”
   Hermione spalancò la porta e trascinò dentro Harry per un braccio. Si bloccarono entrambi davanti a Ron, in un momento di silenzio pesante. La ragazza lasciò la presa.
   “Diglielo” disse con un tono con non ammetteva repliche, poi girò sui tacchi e uscì sbattendo la porta.
   “Dirmi cosa?” chiese Ron. Sentiva che le orecchie stavano diventando calde. Harry esitava a rispondere, quindi si alzò e ripeté più forte – e più arrabbiato: “Cosa devi dirmi?”
   “Ho… ho dato un anello a Ginny” disse Harry tutto d’un fiato.
   “Cosa?!” urlò Ron. “Sei – scemo?”
   Boccheggiò, cercando gli insulti adatti ad esprimere quello che stava pensando.
   “Ha sedici anni!”
   “Quasi diciassette” precisò Harry.
   “Non – replicare! Diciassette non sono più di sedici! Cioè sono pochi!”
   “Lo so…”
   “Deve finire la scuola! Non sa nemmeno cosa farà domani, figuriamoci per il resto della sua vita!”
   “Lo so.”
   “E…” Ron cercò altro da dire, ma gli venne in mente solo la cosa più importante di tutte. “E’ mia sorella!”
   “Ron, lo so!” gridò Harry, rosso in volto. “Lo so, va bene? Non la sto mica portando all’altare adesso!”
   “Ma gliel’hai chiesto!”
   “Beh, non proprio… le ho detto che sarei stato con lei per sempre” borbottò Harry imbarazzato fino alla punta dei capelli. “Vuoi proprio sapere i particolari?!”
   “Un anello! Harry, che cavolo vuol dire secondo te un anello!”
   “Proprio quello che significa!”
   “Quindi la sposerai!”
   “Sì! Sì, è quello che voglio!”
   Si stavano urlando in faccia a pochi centimetri di distanza; Ron si rese conto che era una discussione perfettamente inutile e che la rabbia stava calando, lasciando il suo cervello un po’ più libero di pensare lucidamente.
   “Tu non vuoi sposare Hermione?” gli chiese Harry quasi sussurrando.
   Ron batté le palpebre. Non ci aveva mai pensato in questi termini, ma di certo non si vedeva di fianco a nessun’altro al mondo. Annuì.
   “Siamo così… piccoli…” esalò Ron, passandosi una mano tra i capelli. Non riusciva a credere a quello che diceva.
   “Sul serio tu ti senti ancora un ragazzo?”
   “No… no davvero…”
   Rimasero in silenzio per qualche momento, uno di fronte all’altro.
   “Se la fai stare male, ti spacco la faccia” disse alla fine Ron.
   “Lo so… credo che tu me l’abbia già detto un paio di volte.”
   Risero di cuore, guardandosi come solo i vecchi amici possono fare.
   La porta si aprì di scatto e Ginny entrò come una furia, le labbra ridotte a una fessura; la ragazza fece passare lentamente lo sguardo da Ron a Harry, come se stesse cercando di decidere chi strigliare per primo. Scelse Harry.
   “Gliel’hai detto?” sbottò. Harry annuì e lei sbuffò come se avesse detto una grossa stupidaggine.
   “Perché – diavolo…?”
   “Chiedilo a Hermione!” il ragazzo indicò con gesto stizzito un punto dietro Ginny, che si voltò. Hermione si era appena affacciata sulla porta, paonazza come un’anguria; sbirciava l’amica con lo sguardo basso di chi è stato beccato con le mani in un sacchetto di Cioccorane. Le due ragazze si guardano per qualche momento.
   “Era una confidenza” sibilò Ginny. Hermione provò a replicare, ma l’altra la zittì con una mano e tornò a concentrarsi su Harry.
   “Ha dato di matto?” chiese accennando a Ron con la testa.
   “Un po’…”
   Ginny inchiodò il fratello con lo sguardo.
   “Si può sapere qual è il problema?”
   Ron sentì di nuovo la rabbia montare; sua sorella era sempre sul chi vive, come se dovesse sempre difendersi da qualcosa, accidenti a lei.
   “Ti voglio solo proteggere!”
   Seppe subito di aver detto la cosa sbagliata, ma ormai le parole erano uscite e il volto di Ginny aveva preso una brutta sfumatura fragola.
   “Proteggere?! Proteggere! Punto primo, me la so cavare alla grande anche da sola, ti ringrazio molto, Ronald Weasley! E punto secondo, proteggere da chi? Dal tuo migliore amico? Ma ti senti quando parli?!”
   Ron si sentiva le orecchie talmente calde che era sorprendente che non prendessero fuoco.
   “E’ che… sei la mia sorellina” riuscì a balbettare. “E lo sarai sempre.”
   Tasto giusto. Ginny si lasciò sfuggire un mezzo sorriso.
   “E tu sarai sempre un idiota, questo la sai, vero?”
 
 


Angolo di Gin
Sì, il buon vecchio Oscar Wilde in questo caso si riferisce ad Hermione. Cioè, ovviamente, non proprio lui, ma in questo caso la citazione cascava a fagiolo. Le intenzioni erano le migliori del mondo, ma forse, dico forse, il nostro topo di biblioteca preferito ha agito un po’ troppo di impulso.
Se Harry e Ginny si sono tolti, volenti o nolenti, un peso dalla coscienza, c’è ancora chi ha qualche “segretuccio”: tenete a mente il modulo lilla di Ron, che ritroveremo un po’ più avanti.
Perché il prossimo capitolo si intitola 2 giugno.
Un mese dopo la battaglia. Il primo mese senza Fred, senza Tonks, senza Lupin.
So che questo capitolo è un po’ cortino, ma mi farò perdonare!
Grazie a chi ha letto e leggerà, ma soprattutto un grazie speciale (che avrei già dovuto fare allo scorso aggiornamento, shame on me!) alla coraggiosissima IreDiane99 che mi ha messo tra gli autori preferiti! Grazie di cuore!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** 2 giugno 1998 - La Tana ***


L’eroe vero è sempre eroe per sbaglio,
il suo sogno sarebbe quello di essere un onesto vigliacco come tutti
 
Sette anni di desiderio – Umberto Eco
 
 
 
2 giugno 1998 – La Tana
 
   Un mese. Era già passato un mese. Harry continuava a ripeterselo, senza riuscire a crederci realmente. Un mese. Sollevò un’altra pila di sedie da portare in giardino; era pesante, avrebbe potuto farlo tranquillamente con la magia, ma aveva bisogno di sentire la fatica, di sudare, di allontanare i pensieri. Un mese.
   Non era il solo. George tentò di caricarsi sulle spalle un enorme tavolo, ma Bill lo fece levitare con un gesto preciso della bacchetta; i due fratelli si scambiarono una lunga occhiata, a metà via tra il rancore e l’affetto, poi George andò a cercare qualcosa di meno pesante. Harry sistemò meglio la pila di sedie tra le braccia e si avviò verso il giardino.
   Una grossa quercia al limite della proprietà dei Weasley era stata completamente addobbata con centinaia di barattoli in cui si dimenavano furiose un’infinità di fate; nella luce incerta del tramonto si poteva già vedere l’effetto finale, come se tutti e dodici gli alberi di Natale di Hogwarts fossero stati trasferiti nel giardino della Tana: qualcosa di magico, anche per una casa di maghi. Fleur e Ginny avevano passato giorni e giorni nei boschi lì vicino per catturare fate a sufficienza, versando sudore ed imprecazioni, ma ne era valsa la pena. Sotto l’albero erano stati disposti a cerchio attorno al tronco un’accozzaglia di tavoli e sedie recuperati dalle cantine di parenti ed amici, abbelliti il più possibile da una moltitudine male assortita di tovaglie e cuscini. Molly era accanto alla quercia, la schiena dritta e una lunga pergamena tra mani; controllava che tutto fosse al suo posto, berciando ordini di quando in quando a chiunque le passasse di fianco. Sembrava che stesse di nuovo preparando un matrimonio, tanto era nervosa.
   “Ginny! Forza con quei piatti!” sbraitò puntando la bacchetta verso la pila di stoviglie pericolosamente in bilico tra le braccia di sua figlia; sbagliò la mira e l’incantesimo sfiorò i piatti, che tremarono e si schiantarono su una pietra, mentre una ciocca di capelli di Ginny prese fuoco.
   “Mamma!”
   La ragazza prese a cercare la bacchetta con ansia, ma Harry fu più veloce: mollò in terra le sedie e puntò la sua verso il piccolo incendio.
   “Aguamenti!
   Le fiamme si spensero, lasciando Ginny fradicia e furiosa. Hermione, accorsa anche lei in aiuto, si occupò dei piatti riparandoli in fretta e spedendoli direttamente sulla tavola con gesti veloci della bacchetta.
   “Oh Ginny, scusami!” Molly si era avvicinata e aveva cominciato ad asciugare la figlia con un getto di aria calda proveniente dalla bacchetta. Ginny aveva la faccia scura come un temporale.
   “Sistemeremo anche questa” promise Molly sfiorando i capelli bruciacchiati della ragazza, che si ritrasse con uno scatto nervoso.
   “Lascia perdere!” sbottò Ginny, allontanandosi a grandi passi. Harry la raggiunse e lei si lasciò passare un braccio attorno alle spalle.
   “Sta diventando insopportabile!” sibilò la ragazza. “Credimi, Harry, capisco che abbia bisogno di tenersi impegnata, ne abbiamo tutti… ma questa cena… santo Cielo, sembra che debba venire Merlino in persona!”
   Non era Merlino l’invitato, ma di lì a un’ora sarebbero arrivate più venti persone. Molly aveva dato l’annuncio la settimana prima: lei ed Arthur volevano ricordare il primo mese trascorso dalla battaglia di Hogwarts, il ché voleva dire un mese senza Voldemort ma anche senza Fred. E non volevano farlo da soli: era chiaro, per come la vedeva Harry, che quello fosse un tentativo di anestetizzare il dolore, sia stringendosi alle persone care, sia tentando di occupare la mente.
   Ginny portò davanti agli occhi la ciocca bruciata e sbuffò.
   “Spero che Hermione abbia ancora la sua pozione Riparante, altrimenti dovrò chiedere a George qualcuna delle sue diavolerie.”
   “Oppure ti fai tagliare i capelli in un bel caschetto da tua madre!” disse Harry sghignazzando; Ginny gli scoccò uno sguardo rovente.
   “Ci deve solo provare! Sai quanto ho dovuto lottare perché mi lasciasse tenere i capelli lunghi? A sentire lei avrei dovuto avere lo stesso taglio di Ron!”
 
   Harry si poteva finalmente rilassare, dopo aver aiutato Fleur e Bill a servire l’ultima porzione di dolce ai lamponi. Abbandonato su una sedia di fianco a Ginny, si guardava pigramente intorno, combattendo contro la sonnolenza della digestione.
   Erano venuti tutti coloro che avevano ricevuto un gufo da Molly, ad eccezione del professor Lumacorno che stava ancora smaltendo la fifa blu in una qualche isola del Mediterraneo, dalla quale avrebbe fatto ritorno forse per l’inizio delle lezioni, stava ancora decidendo. Era presente tutta la famiglia Canon, che finalmente aveva ripreso ad accennare qualche sorriso; Hagrid era riuscito a spiegare a Grop di starsene buono almeno per quella sera e in quel momento aveva il viso barbuto affondato in un bicchiere di Burrobirra grande quanto un secchio mentre descriveva ad Aberforth Silente i particolari di una nuova partita di Ippogrifi per la riserva di Hogwarts. Poco distante Arthur faceva del suo meglio per non sbadigliare in faccia a Frank Prewett, impegnato nei suoi soliti blateramenti, e le professoresse McGranitt e Sprite erano immerse in una lunga conversazione con Lena e Kingsley.
   Andromeda chiacchierava con il padre di Lupin, che Harry non aveva mai nemmeno sentito nominare prima di quella sera: somigliava ad un vecchio cane, i capelli lunghi fino alle spalle di un castano molto più brizzolato di quello del figlio, le guance leggermente cadenti e la barba fatta male. Il piccolo Teddy dalle braccia di Andromeda guardava il nonno paterno con quel suo sguardo curioso; Harry si sorprese a pensare che sarebbe diventato un bambino molto intelligente e sentì la bocca dello stomaco pizzicare di orgoglio e tristezza.
   Alicia Spinnet, Lee Jordan, Angelina Johnson, Katie Bell, Oliver Baston e George erano impegnati in quello che doveva essere l’ottavo brindisi alla memoria di Fred. Probabilmente si sarebbero svegliati tutti con un mal di testa epocale la mattina successiva, specialmente il gemello, che sembrava essere deciso a non lasciare il suo bicchiere vuoto per più di qualche minuto.
   Anche buona parte dei membri dell’Esercito di Silente avevano accettato l’invito alla Tana: Neville e suo nonna, Ernie Macmillan, Hannah Habbott e Luna erano stati tra i primi a rispondere ai gufi. C’era stato un momento di forte imbarazzo quando aveva fatto il suo ingresso nel giardino Lavanda Brown: Hermione sembrava essere cresciuta di diversi centimetri, tanto aveva drizzato la schiena, e aveva quasi rischiato di staccare un braccio a Ron mentre annunciava a Lavanda con un tono di voce decisamente troppo alto che adesso loro due facevano coppia fissa. Dean Thomas invece, come Seamus Finningan, aveva riabbracciato senza problemi i compagni di scuola, i vecchi rancori e le gelosie cancellate da un anno di cose ben peggiori.
   “Allora, Harry, tornerai a Hogwarts?” chiese Ernie, in piedi con le mani appoggiate alla sedia di Harry, che sobbalzò; perso ad ascoltare distrattamente la fitta conversazione di Ginny e Luna sulla debole salute di Xenophilius Lovegood, non si era accorto che il ragazzo gli era arrivato alle spalle e la mano era scattata in automatico verso la bacchetta.
   “Tranquillo, amico” Ernie si sedette sulla sedia di fianco a lui, lasciata vuota da Ron che si era unito al nono brindisi per suo fratello. “Ancora nervoso, eh?”
   “Cosa mi chiedevi?”
   “Hogwarts.”
   “Giusto. No, comincerò il corso di addestramento da Auror.”
   “Auror!” cinguettò Hannah Habbott, avvicinandosi ai ragazzi con un grosso pezzo di torta nel piatto. “Anch’io tenterò le selezioni! Ho ricevuto la lettera della McGranitt, sai? Quella che ti esenta dal ripetere il settimo anno, se vuoi.”
   “Congratulazioni!” disse Harry. “E in bocca al lupo per la selezione!”
   “L’ho ricevuta anch’io, la lettera della McGranitt” disse con una punta di risentimento Ernie. “Ma credo sia giusto terminare gli studi, prima” concluse perentorio, con quel suo atteggiamento tronfio che Harry ricordava bene; gli sembrava ancora di veder brillare la spilla da Prefetto sul suo petto, tanto lo aveva gonfiato. Ron, rispuntato con una Burrobirra, si piantò dietro ad Ernie, forse sperando di convincere l’usurpatore della sua sedia a spostarsi con la sola forza del pensiero.
   “Ho già cominciato ad allenarmi, sai?” proseguì Hannah, come se l’amico non l’avesse mai interrotta con il suo commento acido. “Pare che la selezione sia dura.”
   “Allenarti?” chiese Harry. Non aveva mai pensato di doversi allenare. Gli tornarono in mente le parole di Leatherman: non sarà una passeggiata di salute, sia ben chiaro.
   “Sì, beh, corsa e pesi più che altro” rispose lei come se dovesse spiegare perché uno più uno fa due. “E sto ripassando gli incantesimi di Difesa, soprattutto quelli che ci avevi insegnato tu!”
   Harry non fece in tempo a chiedersi se anche lui dovesse cominciare a fare qualcosa in vista del corso: un lontano rumore di esplosione attirò l’attenzione di tutti. Il silenzio calò immediatamente sul giardino, mentre ognuno cercava con gli occhi nel buio oltre la pozza di luce delle Fate. Molti estrassero le bacchette, Harry compreso. Andromeda stringeva a sé Teddy e il signor Lupin aveva proteso un braccio sul bambino in un gesto istintivo. Luna lanciò un gemito e indicò terrorizzata un punto oltre la collina più vicina: il Marchio Nero brillava nel cielo.
   “E’ sopra casa nostra” mormorò Luna senza fiato. “Papà!”
   “State tutti qua!” Kingsley si era alzato e guardava la tavolata serio. “Tutti” ripeté guardando in direzione di Harry, facendo poi scorrere lo sguardo sugli altri. “Frank, Lena, Arthur, con me. Molly, imponi un incantesimo anti-Materializzazione su questa zona e non farli muovere di un centimetro.”
   Gli Auror e Arthur si Smaterializzarono, mentre Molly ubbidiva agli ordini del Ministro della Magia.
   “Ti do una mano” disse piano la professoressa McGranitt, ma nel silenzio sembrava che avesse urlato. Si alzò e le due donne cominciarono a recitare formule descrivendo cerchi attorno alla quercia. Gli sguardi di Harry ed Hermione si incrociarono, carichi di preoccupazione. Ginny aveva circondato con un braccio le spalle di Luna, che non riusciva a distogliere gli occhi dal Marchio Nero, una mano sulla bocca.
   Harry serrò la presa sulla sua bacchetta mentre sentiva il panico salire dallo stomaco e stringere la gola. Quella sembrava la conferma a tutte le sue paure: si era illuso nell’ultimo mese che fosse possibile per lui una vita normale, con una famiglia e tutto il resto. Ma ecco che la sua vera vita tornava a prenderlo. Sapeva che Voldemort era morto, lo aveva ucciso lui stesso, aveva visto il suo cadavere bruciare la notte del tre maggio, eppure il Marchio Nero aveva risvegliato in un attimo tutto il terrore dell’ultimo anno. Che cosa stava succedendo? Le risposte che la mente di Harry, in fibrillazione, stava dando erano tutt’altro che razionali.
   Qualcuno gli prese la mano sinistra. Abbassò lo sguardo e vide che Ginny aveva riposto la sua bacchetta nella tasca dei jeans per poterlo fare, mentre con l’altro braccio ancora abbracciava Luna. La sua ragazza lo guardava dritto negli occhi e gli stringeva forte la mano, come per rassicurarlo. Harry deglutì e si guardò attorno: tutte le persone che più amava al mondo erano sotto quella quercia. Hermione e Ron avevano sfoderato le bacchette, spalla contro spalla, pronti a qualunque cosa. Come sarebbe riuscito a proteggerli questa volta?
   Un fruscio nel buio fece sobbalzare tutto il gruppo e Ginny sciolse la stretta per riprendere la bacchetta.
   “Sono Arthur!” disse il signor Weasley mostrandosi alla luce delle fate, le mani alzate sopra la testa. Poco distante si Materializzò anche Kingsley. Luna corse verso di loro, mentre la professoressa McGranitt apriva un piccolo varco nella cupola di incantesimi difensivi.
   “Tuo padre sta bene, Luna” disse il Ministro. La ragazza scoppiò in lacrime di sollievo, il viso tra le mani. “E’ stato Schiantato, lo stanno portando al San Mungo per accertarsi che sia tutto a posto, ma non dovrebbe essere successo niente di grave. Lena arriverà tra poco per scortarti a Londra da lui.”
   “Chi è stato?” esalò Luna. “Cos’è successo?”
   “Ancora non lo sappiamo di preciso” disse Arthur. “Qualcuno è entrato in casa vostra, probabilmente più di una persona.”
   “Non credo fossero Maghi Oscuri esperti” precisò Kingsley. “Hanno lasciato tracce magiche un po’ dappertutto, forse anche una bacchetta. Sta arrivando una squadra di Auror sul posto.”
   “Qualcuno è evaso da Azkaban?” chiese con apprensione Andromeda.
   “Non credo, ma ho già mandato un Patronus che annuncia il mio arrivo a breve, vado a controllare di persona con una piccola scorta” rispose il Ministro.
   Frank si Materializzò.
   “I miei sono arrivati, Kingsley, due dovrebbero essere qui fuori sul vialetto se volete andare ad Azkaban.”
   L’uomo annuì.
   “Vi farò avere notizie a breve. Molly, era tutto squisito, come sempre, scusami se me ne vado in fretta” aggiunse con un sorriso, poi salutò la compagnia con un gesto del capo e si avviò a piedi lungo il giardino della Tana. Frank si avvicinò a Harry, seguito a breve distanza da Arthur.
   “Potter, finché non capiamo qualcosa di più su quello che è successo dai Lovegood è meglio se ti nascondiamo.”
   “Cosa?” Harry aveva la sensazione di non capire bene quello che gli veniva detto. “Nascondermi?”
   Frank alzò gli occhi al cielo e si avvicinò di più al ragazzo.
   “Se c’è in giro qualcuno che vuole vendicare Tu-Sai-Chi, la prima cosa che fa è venire a cercare te, non credi? Potrebbe anche essere un caso che il Marchio Nero sia comparso così vicino a casa dei Weasley, ma se vuoi il mio parere non credo.”
   A Harry girava la testa.
   “Tutti sanno che abiti qui” aggiunse Prewett.
   “Sono tutti in pericolo” mormorò Harry. “Se stanno cercando me i Weasley sono tutti in pericolo.”
   Arthur scostò Frank e prese il ragazzo per una spalla, stringendo dolcemente.
   “Se stanno cercando te, ti dobbiamo mettere al sicuro, almeno finché non siamo certi che vada tutto bene. Sembra solo una bravata, non ci sono tracce potenti…”
   Harry voleva solo scappare. Voleva cominciare a correre e smettere solo quando fosse stato abbastanza lontano da non essere trovato mai più da nessuno, ma il suo corpo era come inebetito, non rispondeva alla volontà della testa.
   “Papà.”
   Bill si era avvicinato al piccolo gruppo, mano nella mano con Fleur.
   “Casa nostra è ancora sotto l’incanto Fidelius. Harry può venire da noi per qualche giorno.”
   “O finché non si risolve tutto, insomma” aggiunse Fleur.
   “Sarebbe una buona idea” berciò Frank, estraendo un sigaro dalla tasca interna del mantello e infilandoselo tra i denti.
   Harry non riusciva a ragionare, sentiva solo il cuore martellare tra le costole e il sudore colare dalla fronte. La mano di Ginny scivolò di nuovo nella sua.
   “Verrò con te, se Bill e Fleur sono d’accordo.”
   Harry strinse la mano di Ginny, era l’unica cosa reale in quel momento.
   “Potter, se vuoi diventare un Auror devi imparare a pensare in fretta!”
   La testa di Leatherman spuntò all’improvviso di fianco al ragazzo senza il resto del corpo. Harry sobbalzò e si ritrovò a puntare la bacchetta alla fronte dell’Istruttore; si accorse anche di aver spinto Ginny dietro di sé, facendole di fatto da scudo con il proprio corpo. Lungi dallo scomporsi, Leatherman estrasse una mano dal suo Mantello dell’Invisibilità e spostò con un dito la punta della bacchetta di Harry, poi riprese a parlare come se non fosse mai successo nulla.
   “Prepara la tua roba, Potter, si va in gita dal fratello della tua ragazza.”
 
   Villa Conchiglia era silenziosa e buia, immersa nella salsedine e nell’aria umida dell’oceano. Harry si strinse nella felpa, cercando di non guardare l’ombra della tomba di Dobby, ben visibile in un angolo del giardino. Non aveva avuto tempo di pensare, era stato preso come un pacco postale da Leatherman e spedito dall’altra parte dell’Inghilterra di forza. Bill era stato gentile, aveva accettato di eseguire la Materializzazione Congiunta con la scusa di aiutare Harry con lo zaino, in modo che il resto della famiglia Weasley non si accorgesse che il ragazzo in quel momento non era in grado di concentrarsi a sufficienza per Smaterializzarsi. Gli era costato moltissimo lasciare la Tana, più di quanto volesse ammettere a se stesso.
   Leatherman e Bill si avviarono lungo il vialetto di Villa Conchiglia, mentre un leggero pop alle spalle di Harry annunciò l’arrivo di Fleur e Ginny. Lui si voltò e incontrò lo sguardo della ragazza rossa, che gli sorrise; il cuore di Harry si scaldò: era incredibile che lei fosse lì e che sarebbe rimasta con lui. Ginny lo raggiunse e lo prese sottobraccio senza dire nulla, guidandolo verso la casa; Harry la lasciò fare. Fleur li affiancò, le braccia incrociate sotto al seno, la leggera veste azzurra che svolazzava nella brezza dell’oceano.
   “Molly mi ussciderà se lo viene a sapere” disse con il suo ancora forte accento francese. “Ma credo che dovreste dormire nella stessa stonsa. Harrì ne avrà bisogno. E anche tu.”
   Guardò Ginny con un sorriso stanco. Una volta nell’ingresso di casa le due ragazze si avviarono al piano di sopra per sistemare una delle camere, mentre Leatherman preparava il divano a colpi di bacchetta, Evocando coperte e cuscini dal nulla. Harry si appoggiò allo stipite della porta, fissando la stanza senza realmente vederla.
   “E’ nato! E’ un maschietto!”
   “Tonks ha avuto il bambino?”
   “Harry, sarai il suo padrino? Tonks è d’accordo!”
   Era successo lì, non più di due mesi fa. Gli sembrava ancora di sentire il tintinnio dei bicchieri dei brindisi, la risata incredula di Lupin, lo squittio di Hermione quando aveva saputo la notizia…
   “Stai bene?”
   Bill gli appoggiò una mano sulla spalla, salvandolo da quel ricordo. Harry scosse la testa.
   “Non lo so.”
   Aveva bisogno di dormire. Di non pensare, almeno per qualche ora.
   “Avete del Distillato Soporifero in casa?” chiese passandosi una mano sugli occhi stanchi.
   Bill annuì.
   “Fleur lo fa al gusto di mirtilli.”
   “Adoro i mirtilli” disse Harry sorridendo.
 
 
 
 
 

Angolo di Gin
Ahia. Il Marchio Nero, questo sì che brucia.
Data simbolica, vicino alla casa dove – come tutta la comunità magica sa – vive Harry Potter, insieme a una famiglia di noti Traditori del proprio sangue.
Coincidenze? Una bravata? C’è qualcosa di più? O non è proprio come sembra ed è solo l’inizio?
E io la smetterò di fare domande??
Scusate il ritardo, ma sono reduce da un week end mooolto impegnativo: addio al nubilato di un’amica! Si è dormito poco, bevuto troppo e divertito molto!
Nei prossimi capitoli saremo ospiti a Villa Conchiglia, quindi a presto (notti brave permettendo…!) e viva i mirtilli!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** 3 giugno 1998 – Villa Conchiglia ***


Ma se tu mi addomestichi, la mia vita sarà come inondata di luce.
Conoscerò un rumore di passi diverso da tutti gli altri.
Gli altri passi mi fanno fuggire sotto terra.
Il tuo mi chiamerà fuori dalla tana, come una musica.
 
Il piccolo principe – Antoine de Saint-Exupéry
 
 
 
 
3 giugno 1998 – Villa Conchiglia
 
   Ginny aveva seguito Harry per tutto il giorno: lo aveva aiutato per ore quella mattina a ripulire la soffitta di Bill e Fleur; gli aveva medicato il dito che si era tagliato mentre affettava le cipolle per il pranzo; gli aveva poi rifatto la fasciatura con l’essenza di Dittamo pochi minuti dopo perché lui aveva tirato un pugno a una finestra che non voleva aprirsi; aveva ripulito con lui il giardino e la spiaggia dai detriti portati dal vento e dalla marea; e in quel momento stava pazientemente aspettando che il suo ragazzo si decidesse a lasciar perdere il nido di Imp che aveva trovato sotto una roccia a ridosso della scogliera. Ginny era ormai sfinita e si era seduta sul prato, immerso nella luce calda del tardo pomeriggio; guardava distrattamente Harry litigare con una delle bestiole nere che cercava di mordergli una caviglia.
   “Harry, lascia perdere! Ma che fastidio ti danno?” gridò stancamente per sovrastare il rumore delle onde.
   Il ragazzo per tutta risposta tentò di Schiantare il piccolo Imp, con l’unico risultato di appiccare fuoco al suo stesso calzino. Ginny lasciò cadere la testa tra le ginocchia, esasperata. Qualcuno le toccò la spalla e mancò poco che alla ragazza venisse un infarto.
   “Oh scusami” disse Leatherman senza alcuna sorpresa.
   “Roy!”
   Ginny si trattenne dal mandarlo a farsi un giro.
   “Tieni cara, ti serviranno questi” l’uomo estrasse dal mantello blu scuro un rotolo di benda e un piccolo barattolo arancione; un’allegra scritta gialla annunciava che il contenuto era il “Famoso Fiammafast”, unguento contro ogni tipo di scottatura, dalla pozione bollente al fuoco di Drago.
   “Grazie, sì, mi serviranno” sospirò la ragazza prendendo medicamento e bende e alzandosi. Harry aveva spento il piccolo incendio e si stava togliendo la scarpa per controllare il danno, mentre l’Imp si rotolava a terra scosso da minuscole risate. Ginny si era già avviata verso il ragazzo, ma si fermò e si voltò di nuovo verso Leatherman.
   “Niente Mantello dell’Invisibilità, Roy. Se mi accorgo che qua intorno gironzola anche uno solo dei tuoi piedi ti Schianto, sono stata chiara?”
   “Cristallina” disse l’uomo senza scomporsi, un sopracciglio alzato e un angolo della bocca sollevato. Ginny lo fissò per un lungo momento, poi raggiunse Harry rassegnandosi al fatto che Roy sarebbe rimasto in zona. Si inginocchiò di fianco al ragazzo e allungò con dolcezza le mani.
   “Fammi dare un’occhiata.”
   Lui la lasciò fare, trattenendo qualche gemito di dolore quando lei toccava la zona ustionata. Con pazienza e in silenzio Ginny spalmò il Fiammafast sulla caviglia di Harry, poi appoggiò il suo piede sulle ginocchia e si mise cercare il capo del rotolo di benda.
   “Vuoi parlarmi di qualcosa, Harry?” chiese Ginny fingendosi concentrata sul suo lavoro. Il ragazzo aprì la bocca ma la richiuse quasi subito.
   “No? Allora dovrò tentare da sola.”
   Trovò il capo della benda e cominciò a fasciare la caviglia di Harry con calma.
   “Hai paura, come tutti noi, per quello che è successo ieri sera” disse fissando le proprie mani all’opera. “Così ti comporti come un dannato leone in gabbia perché, cito letteralmente, se cercano me, tutti i Weasley sono in pericolo!” Aveva abbassato volutamente il tono della voce, in una pessima imitazione di quella di Harry, che trattenne il respiro rumorosamente. “E l’unica cosa che ti ferma dal fare delle scemenze è la bacchetta di un Auror puntata direttamente in mezzo alle scapole. Come sto andando?”
   Ginny terminò la fasciatura e fermò la benda con un colpo di bacchetta, poi alzò lo sguardo su Harry, che aveva un’espressione indecifrabile, gli occhi fissi sul proprio piede. Rimase in silenzio per un lungo momento, ma la ragazza fu paziente.
   “Voglio… solo proteggervi” mormorò alla fine con voce roca.
   Ginny non poté fare a meno di sorridere.
   “E chi proteggerà te?”
   Fare quella domanda con il suo piede sulle ginocchia lasciava pochi dubbi su quale fosse la risposta sottointesa. Scostò con delicatezza la gamba di Harry e andò a sedersi vicino a lui, appoggiandosi al suo fianco.
   “Harry, non è più la tua guerra personale. E’ finita, Voldemort è morto, e tu non sei più solo.”
   Il ragazzo si agitò al suo fianco, cambiando posizione, il respiro lievemente accelerato.
   “Adesso è cominciata un’altra avventura, la tua vita. Con tutti i Weasley al completo che ti ronzano attorno. Con il corso da Auror. E con me. Non ti piace l’idea, Harry? Non desideri questa vita?”
   Ginny sapeva che stava forzando la mano, stava esagerando, ma doveva almeno provare a far ragionare Harry. Lui la circondò con un braccio e la strinse a sé.
   “Non sai quanto, Gin. Ma il passato torna a prendermi…”
   “Tu meglio di chiunque altro sai che per ottenere ciò che desideri devi lottare. Ma questa volta non puoi fare tutto da solo. Devi fare squadra con me. E devi farmi entrare qui dentro.”
   Ginny puntò l’indice al cuore di Harry. Lui rimase in silenzio ma lei poteva quasi sentire i pensieri rincorrersi e sbattere come Fate in un barattolo dentro la sua testa.
   “Mi dispiace” disse Harry alla fine. “Sono… sono un disastro. E tu hai davvero una pazienza infinita.”
   La abbracciò e Ginny rise, il cuore che accelerava i battiti.
   Un movimento attirò il suo sguardo: era appena percettibile, un filo d’erba smosso, poteva essere tranquillamente un innocente insetto di passaggio. Ma Ginny strinse gli occhi e vide chiaramente che il prato in quel punto sembrava… sbiadito. Capì al volo e afferrò la bacchetta, sciogliendo l’abbraccio con Harry.
   “Stupefecium!
   Il lampo di luce rossa venne deviato, colpendo un povero gabbiano capitato nel posto sbagliato al momento sbagliato. La testa di Leatherman spuntò dal nulla, fluttuando da sola nel vuoto con un bel ghigno stampato sulle labbra.
   “Ti avevo detto che ti avrei Schiantato, Roy!” esclamò Ginny scattando in piedi.
   “Proprio per questo me lo aspettavo.”
   L’uomo si alzò con calma e si tolse il Mantello.
   “Potter, devi insegnare un paio di cose alla tua… signora” calcò l’ultima parola come se fosse una battuta di spirito.
   “Roy?” chiese perplesso Harry ancora seduto per terra senza una scarpa. “Vi conoscete?”
   Leatherman rise e Ginny alzò gli occhi al cielo.
   “Se ci conosciamo? Io ho cambiato i pannolini alla piccola Ginevra!”
   La ragazza si sentì avvampare e distolse lo sguardo da Roy, che si sbellicava.
   “Era un nostro vicino di casa e dava una mano a mamma con noi piccoli, poco dopo essere uscito da Hogwarts. Quando non sapeva ancora cosa fare della sua vita e vendeva lumache essiccate in Diagon Alley!” aggiunse a voce più alta. Roy si asciugò un occhio con un gesto teatrale.
   “Il banchetto di rimedi artigianali Leatherman andava alla grande!”
   “Finché non è stato buttato all’aria da una squadra del Ministero!”
   “Il ché è stata la mia fortuna più grande, visto che l’Ispettore che fece Evanescere le mie lumache adesso è mia moglie. Ancora oggi Isolt mi rinfaccia quel piccolo errore di gioventù!”
   Ginny serrò le braccia, sconfitta. Roy era sempre stato uno sbruffone pieno di sé e quando faceva da babysitter a lei e Ron non perdeva occasione per tormentarli. Crescendo – più che altro sposando Isolt e diventando un Auror – si era dato una bella calmata, ma aveva mantenuto una predilezione per Ginny e ogni volta che si vedevano era un battibecco continuo. Non per colpa di Ginny, chiaramente.
   “Bando ai ricordi di gioventù!” esclamò Roy assumendo tutto d’un tratto il cipiglio scuro da Auror in missione. “Potter, Ginny ha ragione: devi piantarla di fare l’eroe e rilassarti. Quello che è successo ieri sera è poco più di una bravata, lascia che ce ne occupiamo noi.”
   Leatherman si avvicinò e si accovacciò di fronte a Harry, guardandolo dritto negli occhi.
   “Lezione Auror numero uno: prima affronterai le tue paure, meglio è. Continuare a scappare non serve a un bel niente.” L’uomo alzò lo sguardo e indicò con un cenno della testa Ginny. “E’ troppo chiassosa e poco femminile, lo so” disse con un ghigno; la ragazza strinse la bacchetta nel pugno, ma serrò le labbra per evitare di pronunciare incantesimi. “Ma è qui per te. Ed è una Weasley, prima di mollarti si farà Cruciare da tutti i Mangiamorte del Regno Unito, credimi.”
   Roy rivolse a Ginny un sorriso affettuoso e la ragazza si rilassò: lui era dalla sua parte, se lo doveva mettere in testa, nonostante le battutine fastidiose. Leatherman afferrò una spalla e tirò Harry verso di sé, sussurrandogli all’orecchio qualcosa che Ginny non riuscì a sentire; poi si alzò e aggiunse a voce alta: “Quindi rimettiti quella scarpa e smettila di fare l’idiota.”
   Si allontanò verso la casa senza degnare i ragazzi di un altro sguardo. Quando Ginny abbassò gli occhi, Harry stava finendo di sistemare i lacci.
   “Cosa ti ha detto?” chiese la ragazza.
   Lui scrollò le spalle sorridendo.
   “Più o meno quello che mi ripete sempre Ron: che se non ti tratto bene mi strangolerà con le sue mani. Pare proprio che tu abbia un fratello in più.”
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Scusate scusate, sono sparita per un po’, ma rieccomi!
Partiamo da un presupposto: Harry da solo andrebbe fuori di testa. Lo stress accumulato nell’ultimo anno stenderebbe un piccolo elefante, diciamocelo.
E Ginny è una delle ragazze più pazienti della terra, di questo gliene dobbiamo dare atto. Si sta dando anima e corpo per Harry. Ma anche lei ha un limite… e presto se ne accorgerà lei stessa.
Non sono un amante del Piccolo Principe, ma la metafora della volpe addomesticata è semplicemente perfetta per i miei Harry e Ginny; tenetela a mente, perché tornerà. Adesso è facile capire chi è la volpe e chi il principe, ma non sarà sempre così.
Adoro la piega che sta prendendo (in modo quasi autonomo…!) la mia ff, la cui scrittura mi salva dallo stress quotidiano di questa estate rovente!
Grazie a chi ha letto e leggerà, e a chi si sciroppa anche il mio angolo di autrice.
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** 6 giugno 1998 – Villa Conchiglia ***


Si corre il rischio di piangere un po',
quando ci si è lasciati addomesticare...
 
Il piccolo principe – Antoine de Saint-Exupéry
 
 
 
6 giugno 1998 – Villa Conchiglia
 
 
   Un raggio di sole si infiltrò oltre le tende e centrò l’occhio sinistro di Harry, che inevitabilmente si svegliò. Per qualche momento credette di trovarsi nella tenda da campeggio del signor Weasley e il cuore prese a battergli talmente forte da mozzargli il fiato. Si alzò di scatto e Ginny, stesa di fianco a lui, emise un mugolio. La ragazza allungò un braccio nel vuoto, gli occhi chiusi, cercandolo.
   “Harry…”
   Il resto della frase si perse nel cuscino e la mano cadde sulla gamba di lui. Il ragazzo fissò la sagoma sfocata di lei quasi con stupore, mentre la sua mente ritornava alla realtà, a Villa Conchiglia, a guerra finita, accanto a Ginny. Il cuore rallentò. Harry si passò una mano sugli occhi e appoggiò la schiena alla testata del letto. Fleur li aveva sistemati nella camera che qualche mese prima era stata il rifugio di Unci Unci, il ché non lo aveva aiutato per niente, ma si era guardato bene dal protestare: lei e Bill lo avevano accolto in casa loro, di nuovo. Allungò una mano sulla testa di Ginny, che si mosse appena nel sonno. Era bella anche da sfocata.
   Gli sembrava ancora incredibile essere riuscito a raccontarle così tanto in quei pochi giorni. Una volta fatto il primo passo era stato talmente… facile. Ron e Hermione avevano condiviso con lui pesi enormi, ma era sempre stato piuttosto difficile capire cosa dire e come dirlo; con Ginny era tutto naturale, le parole uscivano come se non avessero aspettato altro per tutta la vita. E lei sembrava non stancarsi mai di ascoltarlo, mentre passeggiavano per ore e ore; rideva con lui e lo abbracciava quando le lacrime avevano la meglio.
   Era strano: ora che doveva ripartire con la sua vita, ripensava a come era iniziata, ai lunghi anni vissuti con i Dursley senza sapere di essere un mago, tormentato da Dudley e disprezzato dai suoi zii. E poi scoprire un pezzo alla volta, piano piano negli anni, chi era davvero, chi erano i suoi genitori, come erano morti ma soprattutto come erano vissuti. Erano ferite vecchie, ma che non si erano mai rimarginate. Non ne aveva mai parlato con nessuno, non amava il vittimismo; eppure Ginny, delicata e silenziosa, era riuscita a fargli tirare fuori il dolore che era rimasto nascosto sotto il tappeto per tutti gli anni di Hogwarts. Più di una volta era stato sul punto di chiederle di accompagnarlo a Godric’s Hallow, ma non lo aveva mai fatto; la prima e unica volta in cui era stato lì non era stato esattamente un successo e doveva ammettere a se stesso di avere paura.
   Ginny aprì un occhio e sbirciò Harry.
   “Tutto bene?” chiese con la voce impastata. Il ragazzo sorrise e annuì. Si lasciò scivolare sul materasso e la circondò con le braccia; lei si sistemò sul suo petto e riprese a dormire. Harry appoggiò una guancia alla sua fronte e sospirò. Da quattro giorni ormai erano a Villa Conchiglia e ancora nessuna notizia dagli Auror. Leatherman continuava a dire a gran voce che il Marchio Nero sulla casa dei Lovegood non era niente di cui preoccuparsi, ma cominciava a diventare nervoso per quel silenzio. La sera precedente Harry lo aveva visto nel giardino sul retro mentre mandava un Patronus accompagnato da molte imprecazioni.
   L’ansia pizzicò di nuovo in fondo allo stomaco. Non era mai stato bravo a farsi gli affari suoi, odiava starsene con le mani in mano, specialmente quando sentiva il pericolo così vicino, ma non poteva fare niente in quel momento. Chiuse gli occhi e respirò a fondo il profumo di fiori di Ginny. Il suo posto adesso era con lei.
 
   Molte ore più tardi, circa a metà mattina, Ginny e Harry erano sulla spiaggia per una delle loro passeggiate quando li aveva raggiunti un’elegante volpe argentea che con un pesante accento francese li aveva richiamati a Villa Conchiglia.
   “Anche il suo Patronus è pretenzioso!” aveva commentato Ginny ridendo.
   Quando arrivarono nella cucina trovarono Fleur che serviva una tazza di the a una strega dai folti ricci neri ed evidentemente incinta. Harry la riconobbe come Miranda, una delle Auror che aveva conosciuto qualche settimana prima. Infilata a forza in un improbabile tutina pre maman rosa shocking, che forse doveva essere il suo travestimento babbano, sembrava incredibilmente fuori posto in una casa di maghi e, dal rossore sulle sue guance, sembrava rendersene conto anche lei. Prima che Harry facesse in tempo a salutare, nella stanza arrivò con passo pesante anche Leatherman, il viso congestionato come se stesse cercando di sollevare un elefante.
   “Alla buon’ora!” esplose l’uomo alzando le braccia al cielo. Miranda roteò gli occhi e sorseggiò il proprio the prima di rispondere acida: “Non cominciare, Roy.”
   “Hai ragione, è bastato chiedervi le cose per favore” l’ironia nella voce era ben percepibile. “Dove diavolo è Prewett? Avevo chiesto di lui!”
   “E’ impegnato nelle indagini” rispose Miranda alla propria tazza. “Sta seguendo una pista personalmente.”
   “Oh-ooh, allora sarà dannatamente impegnato! Che spreco di tempo mandare due righe con un pulciosissimo gufo!”
   Miranda sbatté la tazza sul bancone.
   “Piantala Leatherman! Un bambino di quattro anni sarebbe in grado di controllarsi meglio di te! Devo raccontare ai presenti perché sei all’addestramento e non sei più agente operativo?”
   La donna lo fissava con le sopracciglia alzate, le labbra ridotte a una fessura. Roy sembrò sul punto di ribattere, ma alla fine si lasciò cadere su una sedia, Appellò una tazza a caso e annusò il contenuto.
   “Caffè neanche l’ombra, immagino” disse con una smorfia. Fleur inarcò le sopracciglia e dilatò le narici.
   “Abbiamo sgià parlato di questo, monsieur Leatherman. Io e Bill non beviamo quella roba.”
   Il tono della donna non ammetteva repliche; l’Auror tuffò il naso nel the, la faccia livida. Miranda per riempire quel silenzio imbarazzante si alzò e cominciò a colpire porta e finestre con un qualche tipo di incantesimo dalla luce bluastra, probabilmente, pensò Harry, per rendere la stanza Imperturbabile; il ragazzo si accorse di non avere idea di come si facesse, di solito era Hermione che si occupava di quelle cose. Sperò vivamente che il corso da Auror comprendesse un bel ripasso di Incantesimi avanzati, aveva saltato di pacca un intero anno e non era per nulla sicuro di essere all’altezza dei suoi futuri compagni.
   Dopo un lungo sorso, Roy si rivolse di nuovo a Miranda, tornata al suo posto.
   “Quindi?”
   “La bacchetta trovata in casa dei Lovegood appartiene Gregory Goyle, una vostra vecchia conoscenza” disse Miranda lanciando uno sguardo a Harry e Ginny, ancora in piedi nell’angolo vicino alla porta. “E’ stata quella ad evocare il Marchio Nero.”
   “Avete trovato Goyle?” chiese Harry.
   “Era a casa di uno zio a smaltire la più grossa sbornia che abbia mai visto” rispose Miranda con un sorrisetto e una scrollata di spalle. “Adesso è al San Mungo, piantonato da uno dei nostri, in attesa di essere interrogato.”
   “Papà ha detto che probabilmente non era da solo” intervenne Ginny. “Sapete chi c’era con lui?”
   “Su questo sta lavorando Frankie; pare che il padre abbia scelto di farsi un viaggetto all’estero proprio in questi giorni. Il signor Prewett sta cercando di capire in quale Stato sia scappato quel maledetto vigliacco.”
   Miranda sorseggiò un po’ di the con l’evidente intento di calmarsi, le guance lievemente arrossate.
   “Comunque” riprese con tono più pacato. “La casa dei Lovegood è stata setacciata da cima a fondo dalla Squadra Speciale Magica e dichiarata sicura. Luna e suo padre sono già rientrati mentre per voi è stata preparata una Passaporta per oggi a mezzogiorno.”
   Il cuore di Harry fece un balzo: si tornava alla Tana. Si tornava a casa.
   “Roy, queste sono le tue istruzioni” Miranda allungò una busta viola acceso a Leatherman, che la aprì con un colpo di bacchetta e lesse con la fronte corrugata. Quando abbassò il foglio aveva l’espressione più rilassata.
   “Quindi posso dire ad Isolt di preparami la cena per stasera?”
   “Direi proprio di sì, vecchio scarpone scorbutico.”
 
   I piedi di Harry toccarono bruscamente il terreno; il ragazzo aprì gli occhi mentre il pallone da rugby sgonfio cadeva sull’erba del giardino della Tana, la magia della Passaporta svanita. Ginny stringeva un cestino di vimini al petto come se ne andasse della sua vita; scostò lo strofinaccio a quadri rossi e bianchi e controllò che i dolcetti all’interno fossero integri. Fleur le aveva ordinato con molte erre mosce di consegnarlo direttamente tra le braccia di Molly. La ragazza fece una smorfia.
   “Puzzano di… marmellata rancida” disse tra i denti.
   “A me sembrano buoni” commentò Leatherman sporgendosi da sopra la spalla di Ginny.
   Molly arrivò correndo lungo il prato, salutando ad alta voce; quando li raggiunse aveva le guance rosse e il fiatone. Soffocò Ginny e Harry in un abbraccio simultaneo.
   “Oh grazie al Cielo, siete sani e salvi!”
   “Eravamo da Bill, mamma, non nel Sahara” sbottò Ginny, cercando di sottrarsi alla stretta della madre; Harry invece lasciò fare Molly finché non fu lei a staccarsi guardando i due ragazzi con gli occhi lucidi. Nel frattempo anche Ron e Hermione erano arrivati nel giardino e si erano fermati a qualche passo di distanza.
   “Grazie, Roy” disse Molly tendando di accarezzare una guancia di Leatherman, che si sottrasse appena in tempo. “Vai pure a casa, Isolt mi ha riempito la cucina di gufi stamattina!” rise nervosamente; l’Auror si passò una mano sul volto con un gesto stanco, annuendo.
   “Potter, ci vediamo non prima di settembre spero” disse l’Istruttore battendo sulla spalla di Harry. “Non combinare casini o me la paghi. Ginevra, fai a modo.”
   L’uomo si sporse per baciarla su una guancia, ma la ragazza estrasse fulminea la bacchetta con aria minacciosa; Leatherman rise, fece un cenno di saluto a Molly, si voltò e uscì dalla proprietà dei Weasley, Smaterializzandosi poco dopo.
   “Fleur ti manda questi” disse Ginny ficcando in braccio a sua madre il cestino di dolci. “Sono una spescialità fronscese” aggiunse imitando l’accento della cognata.
   “Le diremo che sono buoni, come sempre” commentò Molly con un’alzata di spalle. “Vado a metterli in cucina.”
   Girò i tacchi e si avviò verso la casa; seguendola con lo sguardo, Harry si voltò a fissare la Tana: dipinta male, sgangherata, molte tegole finite chissà dove e la sagoma del demone in soffitta che si agitava all’ultimo piano. Non c’era niente di gradevole all’occhio, eppure per Harry era la visione più bella del mondo. Il pensiero andò istintivamente a Godric’s Hallow e lui non poté fare a meno di torturarsi con altri se e altri ma; per un attimo immaginò Lily Potter corrergli incontro, le guance rosse e il fiatone, l’espressione sollevata della signora Weasley sul viso. Se Ginny avesse potuto vedere quello che gli passava per la testa in quel momento lo avrebbe preso a schiaffi.
   “Ciao Harry!”
   Ron gli diede una manata sulla spalla, sottraendolo bruscamente alle sue fantasie. Harry stava per rispondere quando notò quello che stava succedendo a pochi passi di distanza da loro: Hermione e Ginny erano una di fronte all’altra, in silenzio, l’espressione dura. Fece un cenno con la testa a Ron per attirare la sua attenzione sulla scena.
   “Ma che succede?” chiese sotto voce; per tutta risposta Ron scrollò le spalle.
   La prima a cedere e a parlare fu Hermione.
   “Ginny…”
   L’altra ragazza scosse la testa.
   “Lascia stare” disse in tono appena percepibile e abbracciò l’amica. Hermione scoppiò in lacrime, stringendo Ginny almeno tanto quanto l’altra stringeva lei. Ginny continuava a bisbigliare all’orecchio di Hermione, la consolava per qualcosa di cui Harry non aveva idea. Non piangeva. Lei non piangeva mai.
   Ripensò a tutte le lacrime che aveva versato lui negli ultimi quattro giorni; lei le aveva asciugate tutte e non lo aveva lasciato un attimo. E Harry? Lui cosa aveva fatto per lei? Le aveva mai chiesto come stava? Aveva perso un fratello da un mese e lui si era lagnato per giorni della sua patetica vita. Non sapeva nemmeno cosa stava succedendo tra lei e Hermione, una dei suoi migliori amici.
   “Come stai, Ron?” chiese mentre ancora fissava sbigottito le due ragazze abbracciarsi.
   “Cosa?”
   “Tu come stai?” ripeté, questa volta guardandolo in faccia. Ron gli restituì lo sguardo, le orecchie che cominciavano a diventare rosse.
   “Beh” disse alla punta delle sue scarpe. “Abbastanza bene.”
   “Cosa succede a Hermione?” chiese ancora Harry. Quante cose gli erano passate sotto al naso senza che lui se ne accorgesse? Ron tossicchiò.
   “Credo… si senta in colpa per… sai…” si guardò intorno cauto, poi aggiunse in un sussurro: “Per aver spifferato la storia dell’anello. Pare che Ginny non le abbia parlato per giorni.”
   Harry batté le palpebre, stupito. Quel cavolo di anello stava proprio diventando un affare di Stato.
   “Forse è meglio se le lasciamo sole” disse Ron. “Sembra una cosa lunga.”
   Harry annuì e seguì l’amico lungo il prato e nella cucina della Tana. Un buon profumo di arrosto aleggiava nell’aria, mentre Molly si dava da fare ai fornelli, la bacchetta in una mano e una pentola nell’altra. Un coltello tagliava delle cipolle da solo, mentre una salsa densa sobbolliva in un piccolo paiolo. Il cestino di dolci mandato da Fleur era stato abbandonato in un angolo.
   “Venite ragazzi, tra poco è pronto il pranzo” cinguettò la signora Weasley. “Vi spiace apparecchiare?” aggiunse, agitando la bacchetta nella loro direzione; una pila di piatti e una colonna instabile di bicchieri filarono verso Harry e Ron, che presero le stoviglie per un soffio.
   “Mentre eravate via sono cambiate un po’ di cose” disse Ron buttando sul tavolo a casaccio i piatti. “Andromeda e Teddy sono ancora qua, sai, lei non si sente per niente tranquilla a stare in casa da sola dopo… beh, sì, dopo il due giugno.”
   Harry annuì, non poteva certo biasimarla.
   “Si sono sistemati nella camera di Bill e Charlie” proseguì Ron. “La tua roba è nella mia camera.”
   “Siamo in tre stipati lì?”
   “No, George è tornato nella loro… nella sua camera.”
   Harry incrociò lo sguardo di Ron, che sorrideva debolmente. Un passo avanti per il gemello Weasley.
   “E Percy?”
   “E’ tornato a Londra, nel suo appartamento.” Ron sbirciò in direzione di Molly, poi aggiunse sotto voce: “La mamma ha urlato per giorni, non voleva che lasciasse di nuovo la Tana, ma lui ha insistito, dice che al Ministero si lavora come degli Elfi Domestici. Io però credo che la verità sia un’altra.”
   Si morse un labbro, come se pensasse di aver detto troppo.
   “E cioè?” chiese Harry.
   “Dopo aver abitato un anno da solo, tornare in questo manicomio non penso sia stato proprio un regalo di compleanno. L’ha fatto solo perché si sentiva in colpa perché si è comportato come un Troll demente, ma la Tana è una prova di resistenza!”
   “Cos’ha che non va casa tua, Ronald?” chiese Molly, passando alle sue spalle con un enorme pirofila piena di carne fumante tra le braccia. Ron alzò gli occhi al cielo.
   “Niente, mamma. E’ solo dannatamente piena – di – gente!”
   Madre e figlio presero a bisticciare, le orecchie di un’identica sfumatura di rosso. Harry sistemò l’ultimo bicchiere e sorrise; quella sensazione di essere fuori posto che lo aveva perseguitato nell’ultimo mese in qualche modo era svanita. Si sentiva a casa.
   E sperava, pregava con tutta la sua anima che non gli venisse tolta anche quella famiglia.
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Leatherman è un bravo ragazzo, credetemi. Ha solo un pessimo carattere. Pessimo, davvero. Isolt è una santa donna - e forse daremo un'occhiata anche a loro, più avanti. Vedremo dove mi porta la storia!
A parte Roy, qualche nodo è venuto al pettine: la bacchetta in casa dei Lovegood è un “grande” (si fa per dire) ritorno, il nostro Goyle che lontano dai guai e dal Marchio Nero non sa ancora stare. Ma sarà veramente tutta farina del suo sacco?
Altro nodo: le nostre fanciulle. Ginny non ha un carattere facile, lo sapevamo anche prima. Quel “era una confidenza” non dovrebbe essere sfuggito ai più attenti. Ma il tempo guarisce diverse cose e Ginny ha scelto di perdonare la sua amica, anche se la cosa le rimarrà sullo stomaco ancora per un po’. Piuttosto la nostra cocciuta rossa insiste nel tenersi per sé un sacco di cose. E se n’è finalmente accorto anche Harry.
Povero ragazzo, lasciamolo crogiolarsi nella sensazione di casa ancora per un po’. Almeno fino al prossimo capitolo…
Grazie a chi ha letto e leggerà e soprattutto a chi segue e commenta!
Smack
Gin
 
PS: la scelta della volpe come Patronus di Fleur è precedente alla scelta della metafora della volpe del Piccolo Principe… non c’entrano nulla l’una con l’altra, ma mi rendo conto ora che è una piacevole coincidenza! La mia testa a volte lavora in autonomia...!

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** 6 giugno 1998 – La Tana ***


Il brutto della vita è che non ci sono le istruzioni per l'uso.
Tu le segui, e se il cellulare non funziona c'è la garanzia.
Lo riporti indietro e te ne danno uno nuovo.
Con la vita no, se non funziona non te la danno indietro nuova,
ti devi tenere quella che hai, usata, sporca e mal funzionante.
 
Bianca come il latte, rossa come il sangue – Alessandro D’Avenia
 
 
 
 
6 giugno 1998 – La Tana
 
   Ron non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce, ma era stupendo avere di nuovo come compagno di stanza Harry: solo adesso si rendeva conto di quanto gli era mancato. Per sei anni avevano diviso il dormitorio nella torre di Grifondoro e in altrettante estati avevano dormito fianco a fianco in quella camera. Avevano riso insieme, festeggiato insieme le vittorie di Quidditch, si erano lamentati insieme di tutti gli insegnanti, avevano affrontato fianco a fianco pericoli che nessun ragazzino si sarebbe mai nemmeno immaginato in un incubo e avevano litigato, evitandosi per mesi. In realtà era stato Ron a combinare casini: non aveva creduto a Harry durante il quarto anno e si era lasciato abbindolare da un Horcrux non più di sei mesi fa. Ma il suo migliore amico lo aveva sempre perdonato, sempre.
   Avevano già spento le luci e si erano augurati la buona notte da un pezzo, ma Ron non aveva proprio sonno e sapeva che sarebbe rimasto a guardare il soffitto con le braccia sotto la testa ancora per molto; decise lo stesso di tentare: chiuse gli occhi e cercò di allontanare i pensieri. Le cicale cantavano allegre fuori dalla finestra socchiusa. Il demone apriva e chiudeva i cassetti di un vecchio comò in soffitta, attività che era probabilmente il suo passatempo preferito.
   Teddy cominciò a piangere, qualche piano più sotto; succedeva spesso, la notte, e la povera nonna non era ancora riuscita a farsi più di quattro ore di sonno filate. La madre di Ron teneva il piccolo spesso durante il giorno, mentre Andromeda cercava di riposare in salotto; raramente mangiava con il resto della famiglia Weasley, era diventata cupa e schiva dopo il due giugno e più di una volta Molly aveva espresso preoccupazione.
   Il ragazzo si voltò su un fianco e si accorse che Harry aveva gli occhi aperti.
   “Non sei stanco?” chiese; l’amico voltò la testa verso di lui nel buio.
   “Sì, ma mi ci vorrà un po’…”
   Ron capiva perfettamente. Non c’era stata una notte da quando era finita la Guerra in cui fosse riuscito ad addormentarsi subito e spesso il primo sogno che faceva comprendeva un Horcrux, Voldemort, un serpente o lampi di luce verde. E poi una buona fetta di colpa ce l’aveva anche George, ma questo era un altro paio di maniche.
   “Chi pensi ci fosse insieme a Goyle?” chiese Harry dopo qualche momento di silenzio.
   “Non so.”
   “Io qualche idea ce l’ho.”
   Non avevo dubbi, pensò Ron a metà tra il divertito e il sarcastico. Harry si lanciò in lungo elenco di possibili complici, che andavano da un Elfo Domestico a un paio di Mangiamorte evasi non si sa come da Azkaban. In un qualche modo in queste teorie ci finiva sempre in mezzo anche Malfoy; alla terza volta in cui Harry nominava Draco, Ron ridacchiò.
   “Che c’è?” chiese l’amico irritato.
   “Come fa a c’entrare Malfoy? Probabilmente è ad Azkaban o da qualche altra parte piantonato da una Squadra Speciale Magica, ci scommetto il mio modellino di Krum!”
   “Hai ancora quel modellino? Pensavo lo avessi triturato con le tue mani” ghignò Harry.
   “Ah ah” Ron rise in modo finto. “Non mi sembra che tu abbia pestato Dean!”
   “Ti ricordo che eri tu a volerlo pestare, l’anno scorso!”
   Ron sentì le orecchie diventare calde.
   “Certo che volevo pestarlo, non era per niente adatto a Ginny, per niente!”
   Harry rise.
   “Non ridere!” sbottò. “Scusa, ce lo avresti visto Thomas a tavolo con la mia famiglia? Alle cene di Natale mentre Gin gioca a Sparaschiocco con George? Il naso gli si sarebbe arricciato così tanto da scomparire!”
   L’amico rise ancora di più. L’immaginazione di Ron galoppò verso un ipotetico futuro in cui Harry nel salotto della Tana giocava a Sparaschiocco con sua sorella la sera della Vigilia. Ce lo vedeva. Chissà come l’idea che Harry un giorno sarebbe diventato suo cognato si era accoccolata in modo naturale in un angolino della sua testa e ci stava bene.
   “Non è strano?” chiese Harry.
   “Cosa?”
   “Pensare a cose normali come… il Natale, o la scuola… io ho sempre l’impressione che un Mangiamorte sia nascosto dentro l’armadio o sotto il letto!”
  “Vuoi che controlliamo?” disse Ron tanto per sdrammatizzare, ma sapeva che cosa Harry volesse dire. “Forse questo ti aiuterà, sai… con la faccenda dell’Auror.”
   Buttò lì quella frase con non curanza, quasi per caso. Harry mugugnò.
   “Se divento paranoico come Malocchio per favore picchiami” aggiunse.
   “Non chiedo di meglio!”
  “Sarà strano… non averti con me al corso” disse l’amico. Ron si morse un labbro e le orecchie tornarono a prendere fuoco; si agitò nel letto, mentre decideva se fare finta di nulla o vuotare il sacco, combattuto tra la voce che gli diceva che tanto lo avrebbe scoperto comunque e quella che sosteneva che non avrebbe mai passato la selezione.
   Buttò l’occhio sul comodino, dove l’orologio da polso era illuminato dalla fioca luce della luna quasi piena. L’una meno dieci.
   “Bisogna che io dorma un po’, amico” disse Ron. “Domattina… ho la sveglia presto.”
   “Il negozio?” chiese Harry, con la voce già impastata di sonno.
   “Non proprio.”
   L’altro ragazzo aspettò per qualche momento in silenzio, poi decise di chiedere: “In che senso?”
   Ron cambiò di nuovo posizione, a disagio; avrebbe potuto inventare qualcosa, ma quella che uscì era la verità.
   “Vado a correre.”
   L’altro ragazzo si voltò verso di lui e si puntellò su un gomito per guardarlo nella penombra, d’un tratto perfettamente sveglio.
   “A… correre?”
   “Beh… mi sto allenando.”
   L’aveva detto. Ormai era in ballo, tanto valeva ballare.
   “Ti devo dire una cosa” sussurrò; girò sull’altro fianco, allungò una mano nel comodino e ne estrasse una pergamena lilla con l’intestazione del Ministero della Magia. La allungò a Harry, che si infilò gli occhiali e cercò la bacchetta.
   “Lumos
   Ron rimase sdraiato a pancia in su, gli occhi chiusi, mentre il suo migliore amico scorreva velocemente quelle righe che lui ormai sapeva a memoria.
 
   Caro signor Weasley,

   siamo lieti di accettare la sua domanda di ammissione alle selezioni del Corso Auror.
   La aspettiamo il giorno 15 giugno alle ore nove presso il Quartier Generale degli Auror, Secondo Livello, Ministero della Magia.
 
   Cordiali saluti
   Istruttore Auror Lena Shackelbolt
 
   “Ma… è fantastico” boccheggiò Harry fissando la pergamena. “Non sapevo avessi fatto domanda!”
   “Non lo sa nessuno. A parte George.”
   “Cosa? Nemmeno Hermione?”
   “No.”
   “Sei fuori di testa? Darà di matto quando lo scoprirà! E i tuoi?”
   “Senti, li ho… li ho già delusi abbastanza. Se faccio le selezioni e non mi prendono, cosa più che probabile, dovrò tornarmene al negozio di George. E se nessuno sa che ho tentato di entrare al corso, nessuno potrà rimanerci male. Al momento ufficialmente sono in vacanza.”
   “Ma che dici? Deluderli?”
   Ron sbuffò. Alcune vivide immagini gli scorsero davanti agli occhi, ancora una volta.
   “Hai visto che faccia aveva mia madre quando… la sera che hai raccontato tutta la storia alla McGranitt e a Kingsley?”
   “Sono la tua famiglia! Ti possono perdonare tutto”
   “C’è sempre qualcosa che la mia famiglia o Hermione… o tu… mi dovete perdonare o su cui dovete passare sopra… basta… vorrei davvero non deludere più nessuno. Voglio tornare a casa e dire hey, diventerò un Auror! Ma se così non fosse non voglio dover sostenere ancora una volta lo sguardo di mia madre… o le pacche comprensive di mio padre… o peggio, gli abbracci di Hermione.”
   Harry rimase in silenzio per qualche momento, nella stanza si sentiva solo il respiro irregolare di Ron.
   “Perché lo hai detto a me, allora?”
   “Perché sei il mio migliore amico” disse Ron d’istinto, senza pensarci. “E avevo proprio bisogno di dirlo a qualcuno.”
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Rieccoci, sono di nuovo in ritardo ma al momento sono finalmente in ferie (momento di danza sfrenata in onore dell’estate) quindi dovrei recuperare!
Dunque dunque, so che Ron è un personaggio poco gradito ai più, me ne sono accorta girovagando qua e là per Efp. Beh, io vado in controtendenza: mi è sempre piaciuto molto, con tutte le sue contraddizioni e i suoi sbagli da ragazzino immaturo, le sue insicurezze e la sua normalità, in un contesto pieno di maghi super dotati e/o predestinati a grandi cose. Ron non è particolarmente abile negli incantesimi, non è un giocatore di Quidditch memorabile, è tutt’altro che un secchione, è semplicemente normale, uno fra tanti. E il fatto che la Rowling lo abbia messo nella tripletta protagonista per me è molto significativo: quello che conta davvero non è da dove parti o con cosa parti, ma che cosa decidi di fare con quello che hai.
Quindi sì, Ron avrà la sua bella parte anche nella mia ff, insomma.
Chiusa la parentesi filosofica che ha rotto le scatole anche a me che l’ho scritta, devo lanciarmi in un altro ballo scatenato questa volta in onore del mio nuovo piccolo traguardo: questa settimana abbiamo sfondato i 40 tra seguiti e preferiti! Quindi davvero grazie, grazie di cuore a tutti.
Un grazie speciale però va a FRoperen, ho apprezzato tantissimo le tue parole!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** 7 giugno 1998 – La Tana ***


La volpe tacque e guardò a lungo il piccolo principe.
«Per favore... addomesticami!» disse. 
 
Il piccolo principe – Antoine de Saint-Exupéry
 
 
 
 
7 giugno 1998 – La Tana
 
   Ginny si svegliò con un tremito; forse era stato un sogno, o forse l’aria fresca dell’alba che entrava dalla finestra aperta, non sapeva dirlo. Istintivamente cercò Harry con la mano, ma si rese conto di essere di nuovo nel suo piccolo letto singolo. Con una smorfia si girò su un fianco e si trovò a fissare Hermione che dormiva, la bocca leggermente aperta, un braccio sopra la testa.
   Riappacificarsi con lei era stata una delle cose più difficili dell’ultimo mese. Capiva le sue ragioni: lei meglio di chiunque altro conosceva Harry e Ron e aveva fatto quello che riteneva giusto per evitare un’altra rottura tra di loro. Tuttavia…
   Basta.
   Aveva deciso di perdonarla e non avrebbe più rimuginato su quello che era successo; in fondo Hermione era diventata, di fatto, la sua migliore amica, quasi una sorella.
   Ginny piegò le gambe e si accorse di avere la vescica a rischio di esplosione; non c’erano parole per descrivere quanto le scocciasse lasciare il letto, ma aveva proprio bisogno del bagno. Sbuffando spostò il lenzuolo e si alzò, raggiungendo la porta in silenzio e richiudendosela alle spalle con cautela. Quando si voltò per incamminarsi lungo il corridoio si bloccò, stupita: davanti a lei, con la faccia bianca come uno straccio e le orecchie rosse tipiche di un Weasley preso in castagna, c’era Ron, maglietta, calzoncini e scarpe da ginnastica. I due fratelli si guardarono per qualche momento, uno più sconcertato dell’altra.
   “Cosa diavolo…?” cominciò Ginny. “Ma che ore sono?”
   “Ho… sete” balbettò Ron. La ragazza incrociò le braccia e inarcò le sopracciglia. “E ho voglia di farmi due passi” aggiunse il fratello. Ginny non cambiò espressione.
   “Non la bevo. Neanche un po’. Cosa stai combinando?”
   “Niente.”
   Ron le voltò le spalle e corse giù per le scale senza degnarla di un altro sguardo.
 
   Quella era una domenica mattina pigra, nella Tana. Dovevano essere almeno le otto quando Ginny, accoccolata sul divano con una tazza di latte e l’ultimo numero del Settimanale delle Streghe, sentì il primo dei Weasley scendere le scale e raggiungere la cucina. A dire il vero aveva sentito Ron rientrare, verso le sette, ed attraversare in punta di piedi l’ingresso, ma dopo che quella mattina le aveva praticamente detto di farsi gli affari suoi, Ginny non aveva molta voglia di parlare con il fratello; si era affossata tra i cuscini del divano, in modo da non essere visibile dal corridoio, e aveva aspettato che i passi si spegnessero lungo la tromba delle scale.
   Dalla cucina arrivò il clangore del pentolone che veniva agganciato nel caminetto e lo scoppiettio della fiamma appena accesa; doveva essere sua madre, come sempre la prima in piedi al mattino e l’ultima a coricarsi la sera. Altri passi lungo le scale, poi la voce di suo padre che salutava la moglie in cucina. Ginny adorava quei suoni, sarebbe rimasta sul divano ad ascoltarli per ore; le ricordava quando da piccola teneva la porta della sua camera socchiusa per sentire i suoi genitori parlare lungo le scale e andare a letto. Per anni non era riuscita ad addormentarsi prima di loro, ma non lo avrebbe mai confessato a nessuno.
   “Buongiorno, sorellina!”
   George era entrato in salotto senza che Ginny si accorgesse della sua presenza.
   “Buongiorno” rispose la ragazza cercando di mascherare la sorpresa con una lunga sorsata di latte. Il fratello si fermò davanti allo specchio ovale sopra la credenza e si passò le mani un paio di volte tra i capelli, tirando indietro il ciuffo. Indossava la giacca di pelle di Drago che aveva comprato con Fred; Ginny decise di interpretarlo come un buon segno. George non parlava con lei del fratello; a dire il vero non parlava di lui a nessuno, se non a Ron, quindi il resto della famiglia doveva semplicemente interpretare gli umori del ragazzo e sperare che fosse una buona giornata.
   Trasse un altro sorso di latte, aspettando che l’ormai familiare stretta allo stomaco scivolasse via: chissà per quale motivo, si aspettava sempre che dietro George spuntasse all’improvviso Fred. C’era qualcosa di imperfetto, di incompleto, di irrimediabilmente spezzato nel gemello sopravvissuto, come se in un ritratto di famiglia il cielo fosse improvvisamente diventato di un colore sbagliato: tutti erano ancora lì al loro posto, sorridenti, ma quella luce improbabile rendeva tutto surreale e vagamente inquietante.
   “Lavori anche oggi?” chiese Ginny, scacciando risoluta i suoi pensieri.
   “Lavoro soprattutto oggi! Diagon Alley è così piena la domenica che devi farti spazio a spallate.”
   “Ron viene con te?” chiese Ginny con studiata noncuranza, girando distrattamente una pagina del Settimanale. George si sistemò il bavero e si diede un ultimo colpo ai capelli prima di rispondere.
   “No, lui è in vacanza.”
   “In vacanza? Nel giorno in cui si lavora di più?”
   Ginny allargò gli occhi il più possibile, cercando di assumere un’innocente aria da cerbiatto. George la guardò e sorrise malizioso.
   “Esatto” rispose quasi ridendo. Le prese la tazza dalle mani e bevve un lungo sorso, poi le stampò un bacio umido su una guancia; si voltò, accese il fuoco e sparì nella Metropolvere.
   Ginny rimase sul divano con la tazza praticamente vuota e le labbra stirate in un’espressione quanto mai infastidita. Quei due le stavano nascondendo qualcosa, ma cosa?
   Riconobbe i passi di Harry lungo il corridoio e d’istinto girò la testa verso la porta del salotto; non sbagliava: il suo ragazzo era in piedi, una spalla appoggiata allo stipite, un piatto di biscotti caldi in una mano e una tazza nell’altra. I due fidanzati si sorrisero.
   “Ho pensato che dovessi ancora fare colazione” disse Harry sedendosi sul bracciolo del divano. Ginny scoprì con gioia che lui le aveva portato altro latte caldo; abbandonò il vuoto sul pavimento e inzuppò un biscotto alla cannella e zenzero, uno dei suoi preferiti. Mangiarono insieme in silenzio per qualche minuto, godendosi la pace di quella domenica mattina.
   “Il Settimanale delle Streghe?” chiese Harry ghignando, mentre con un cenno della testa indicava la rivista ai piedi di Ginny. “Non pensavo fosse il tuo genere di lettura!”
   La ragazza rise e riprese in mano il periodico, aprendolo in una pagina a caso. L’oroscopo di Sally Sunset prometteva ai Leone un giugno pieno di sorprese, ma consigliava di non esagerare con le Api Frizzole.
   “Oh beh, è utile per far passare il tempo!”
   Harry appoggiò tazza e piatto sul tavolino poco distante, poi passò un braccio attorno alle spalle di Ginny.
   “Dormi ancora poco?”
   Lei scrollò le spalle con leggerezza.
   “A volte.”
   “Non me ne parli mai…”
   “Perché non c’è nulla da dire.”
   La conversazione cominciava ad agitarla; girò la pagina e fissò con ostentato interesse Melinda Warbeck, la figlia della più famosa Celestina, mostrare in lacrime un enorme anello di fidanzamento.
   “Non mi hai nemmeno detto che avevi litigato con Hermione” insisté Harry.
   “Litigare non è la parola esatta” puntualizzò Ginny. “E poi avevamo altre cose di cui parlare, non trovi?”
   “Gin, sai cosa intendo.”
   “Andiamo Harry, cosa avrei dovuto dire?” la ragazza sbatté la rivista sulle proprie ginocchia e buttò indietro la testa, spazientita. “Mi dispiace molto che tu non abbia avuto amici durante l’infanzia; a proposito, non parlo con Hermione perché si è comportata come uno stupido Troll!
   Girò la pagina del Settimanle così forte da strapparla; Melinda fece un balzò indietro, coprendosi la bocca spalancata con un gesto teatrale.
   “Stiamo davvero facendo questa discussione?” sbottò Ginny; Harry rimase in silenzio per qualche momento, poi parlò con un tono stranamente calmo.
   “Sai che ti stai comportando come me, vero?”
   La ragazza di voltò per fulminarlo con lo sguardo, che lui sostenne senza il minimo imbarazzo.
   “Gin, lo hai detto tu che dobbiamo fare squadra. E hai ragione, al cento per cento. Ma la cosa deve andare a doppio senso. Tu sei magnifica, mi hai dimostrato che per me ci sei sempre; lascia che io faccia lo stesso per te.”
   Ginny sbatté gli occhi, le orecchie che lentamente si scaldavano. Aveva ragione, dannazione. Aveva ragione.
   “E va bene” chiuse la rivista con calma; appoggiò la testa alla gamba di Harry e si lasciò stringere un po’ di più. “Io… le avevo detto dell’anello in un… momento di debolezza” non aveva nessuna voglia di raccontare dei sogni e soprattutto del risveglio in lacrime. “E… beh, l’ho vissuta come una pugnalata. Proprio da lei non me lo aspettavo.”
   “Lo ha fatto per…”
   “So perché lo ha fatto” disse Ginny alzando la testa di scatto. “E al suo posto lo avrei fatto anch’io, davvero. Ma poteva almeno parlarmene, prima di correre da mio fratello. Tutto qui.”
   Si strinse nelle spalle e si ripeté che aveva deciso di perdonarla, quindi non doveva più pensarci. Colse il momento di silenzio per cambiare argomento.
   “A proposito di mio fratello” disse drizzando la schiena e fissando Harry. “Cosa sta combinando Ron?”
   Il ragazzo ricambiò lo sguardo in un evidente tentativo di rimanere impassibile. Anche lui sapeva.
   “Cosa vuoi dire?” chiese Harry.
   “Sai cosa voglio dire! Da quando Ron fa jogging?”
   Il ragazzo deglutì.
   “Per citarti, non voglio pugnalare un amico. Mi ha chiesto di non dire nulla.”
   Ginny arricciò il naso; cavolo, perché le sue stesse parole continuavano a rivoltarsi contro di lei?
   “Ne parlerò con Hermione, in ogni caso” disse lapidaria, a metà tra una minaccia e una semplice constatazione. Harry scrollò le spalle.
   “Mi sembra giusto.”
   Come evocata, Hermione entrò nel salotto, una grossa busta azzurra in mano.
   “Buongiorno piccioncini!” esclamò allegra; i due ricambiarono con un sorriso imbarazzato; Harry si alzò, indirizzando un cenno di intesa a Ginny.
   “Vado a vedere se è rimasto del succo di zucca” buttò lì a mo’ di scusa, e uscì.
   “Questa è per te” disse Hermione allungando all’amica la busta; l’indirizzo era scritto in uno scintillante inchiostro argentato. “L’ha portata in camera uno strano uccello, blu e rosso… non ho idea di che bestia possa essere!”
   Ginny la ringraziò e strappò un lato della lettera.
   “E’ di Luna” disse leggendo la firma alla fine del foglio. Si spostò di lato per consentire ad Hermione di sedersi accanto a lei e leggere la lettera insieme.
 
   Cara Ginevra,
   scrivo a te ma la lettera è per tutti, tutti voi.
   Quando la leggerete io e papà saremo già lontani, siamo partiti ieri sera. Mi dispiace di non avervi salutato di persona, ma non potevamo trattenerci oltre. Papà da quando è tornato dal San Mungo non riesce più a dormire, ha smesso di mangiare e sobbalza a ogni rumore, e non credo che la colpa sia dei Plimpli Ghiottoni del nostro stagno.
   Temo che sia molto traumatizzato dall’attacco del due giugno. Io stessa fatico a rimanere serena, ma qualcuno deve pur rassicurarlo.
   La casa ormai è soffocante, quindi ce ne andiamo. Non so bene ancora dove andremo, ma voglio portare papà nei suoi posti preferiti, con tanto sole e aria fresca. Magari avremo fortuna e troveremo qualche Ricciocorno Schiattoso, questo gli farebbe davvero piacere.
   Tornerò in tempo per Hogwarts, credo.
   Mi mancherai, Ginny. E mi mancheranno anche Harry, Hermione e un po’ anche Ron.
   Vi darò nostre notizie, quando potrò. Dai un abbraccio a tutti da parte mia.
 
   Sinceramente tua
   Luna
 
   Quando alzarono gli occhi dal foglio, le due amiche erano entrambe sconvolte. Hermione aveva le lacrime agli occhi e Ginny dovette rileggere la lettera una seconda volta prima di capire davvero quello che c’era scritto. La piegò con cura e la rimise nella busta, chiedendosi dove diavolo fosse Luna in quel momento.
   “Se la caverà” disse Hermione prendendo una mano di Ginny e stringendola. “Se la caverà, vedrai” ripeté.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Ben trovati a tutti in questo capitolo di fatto di passaggio, ma necessario a quello che si sta preparando dietro le quinte!
Come avevo detto, è tornata la metafora della volpe. E questa volta sì, la volpe, rossa e che tenta a fatica di uscire dalla Tana, è la nostra Ginny. Non è facile cedere e lasciare che qualcun altro si occupi delle nostre paure, specialmente quando pensiamo di essere bravissimi a controllarle tutti da soli.
Piccolo cameo di George, che sto trascurando parecchio me ne rendo conto, ma per due ottimi motivi: uno, non sarei assolutamente in grado di dipingere un dolore del genere; due, se aggiungessi altre lacrime ci sarebbe da dover stare lontani dalla finestra durante la lettura, come direbbe mia madre. Tradotto per tutti quelli che non sono della mia famiglia, sarebbe la tragicità al cubo! Ma almeno una bella comparsata ogni tanto ci sta, dai.
E infine Luna, che non si scoraggia mai, e quindi davanti al padre praticamente sull’orlo del collasso nervoso, lo impacchetta e lo porta in giro per il mondo, a respirare aria fresca sperando che porti via almeno un po’ della paura. 
Come sempre grazie a chi ha letto e leggerà e soprattutto a chi mi lascia un pensiero!
Un grazie speciale questa settimana va a DaniNicDani, a cui con “un sorriso in più” è dedicato di fatto il prossimo aggiornamento, in cui torneremo al Ministero della Magia… il 15 giugno alle ore nove ;)
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** 15 giugno 1998 – Ministero della Magia ***


Essere ciò che siamo,
diventare ciò che siamo capaci di diventare,
questo è il solo fine della vita.
 
Robert Louis Stevenson
 
 
 
 
15 giugno 1998 – Ministero della Magia
 
 
   Clunk.
   La targhetta dorata cadde nell’incavo per le monetine dell’angusta cabina del telefono. Ron la prese con un sospiro.
 
Ronald Weasley – aspirante Auror
 
   Il ragazzo fissò sconfortato la scritta per qualche secondo mentre la cabina scendeva al piano inferiore, poi la assicurò sulla maglietta e la coprì con la giacca leggera che aveva indossato nonostante il caldo della mattina estiva. Quando la cabina si fermò e la voce femminile annunciò l’arrivo nell’Atrium, Ron si calcò il cappellino dei Cannoni di Chudley sulla testa augurandosi con tutto il cuore che fosse sufficiente a proteggerlo dagli sguardi dei dipendenti del Ministero – soprattutto da quello di suo padre.
   Quella mattina era uscito con George, fingendo che il suo periodo di vacanza si fosse concluso, e nessuno della famiglia aveva fatto una piega. Harry lo aveva abbracciato prima di scendere insieme per la colazione, cosa che lo aveva messo in un imbarazzo incredibile ma che gli aveva anche fatto molto piacere. In quel momento si era chiesto per la centesima volta se il suo migliore amico avesse spifferato tutto o fosse riuscito a tenere la bocca chiusa; da quando lo aveva beccato alle sei di mattina sulle scale, Ginny aveva tormentato suo fratello con innumerevoli frecciatine e domande trabocchetto, ma due giorni prima aveva smesso, e Ron dubitava che sua sorella avesse semplicemente rinunciato: se c’era una persona incredibilmente cocciuta e maledettamente risoluta era proprio lei. Hermione, per contro, si era sempre comportata normalmente, ignorando platealmente ogni battutina di Ginny, e proprio questa ostentata, perfetta noncuranza faceva dire a Ron con assoluta certezza che lei avesse qualche sospetto. Ovviamente non gli era passata nemmeno per l’anticamera del cervello di parlarne direttamente con Hermione, non aveva proprio il coraggio di dirle che… beh, a essere onesti non aveva neppure il coraggio di immaginarsi quella scena. Non sapeva nemmeno per che diavolo di motivo aveva detto a Harry di quella stupida selezione. Che non avrebbe passato.
   Attraversò l’Atrium gremito di dipendenti mattinieri a grandi passi, un po’ per la paura di essere riconosciuto un po’ a causa dell’ansia per la prova imminente. Consegnò la bacchetta al mago di turno per farla registrare e mostrò velocemente la targhetta sotto la giacca; l’uomo, ormai molto vicino alla pensione, regalò allo scritta un sorriso sdentato.
   “Che mi venga un colpo!” esclamò con voce tremula. “Un altro piccolo Weasley che si unisce alla famiglia del Ministero!”
   Ron lo fulminò con lo sguardo.
   “Per favore, si sbrighi.”
   L’ometto si voltò contrariato per pesare la bacchetta del ragazzo, che si guardava nervosamente intorno; con un moto di panico, individuò circa a metà dell’Atrium la faccia di suo padre, impegnato in una conversazione con un mago allampanato dall’aria malaticcia. Ron prese con un gesto brusco la bacchetta che l’uomo in divisa gli porgeva e si precipitò verso gli ascensori, ignorando l’acido commento sul fatto che il fratello fosse molto, molto più gentile. Si infilò al volo tra le porte che si stavano chiudendo, finendo praticamente in braccio a una giovane strega. Ron si raddrizzò e borbottò delle scuse, poi alzò lo sguardo e si sentì svenire: la ragazza era Hannah Abbott.
   “Ron!” cinguettò lei stupita; sul suo petto scintillava una targhetta simile a quella di Ron, che imprecò sottovoce.
   “Cosa ci fai qui?” chiese Hannah sbattendo le lunghe ciglia.
   Il ragazzo sospirò e aprì leggermente la giacca in modo che la ragazza potesse vedere la sua placchetta.
   “Non ci credo!” strillò.
   “Non – urlare!” le intimò Ron, guardandosi intorno; per fortuna non conosceva nessuno dei presenti nell’ascensore.
   “Che incantesimi hai ripassato?” chiese a voce più bassa la ragazza, eccitata come se ci fossero gli sconti in Diagon Alley.
   “Un po’ di tutto” mentì il ragazzo; in realtà confidava nell’ultimo, pessimo anno passato a difendersi dai Mangiamorte. Lasciò che Hannah gli elencasse a velocità disumana tutto quello che aveva ripassato in vista della prova d’ammissione; lui più che altro era concentrato sul tenere la colazione al suo posto. Perché diavolo aveva mangiato quel pancake?
   Finalmente raggiunsero il Secondo Livello e si incamminarono insieme verso il Quartier Generale poco distante.
   “E non credo che ci servirà, ma ho perfezionato il mio Patronus. Voglio dire, non ci saranno Dissennatori, no? Però potrebbero chiederci comunque di produrre un Patronus formato, non credi?”
   Ron stava per dire ad Hannah di chiudere quella dannata boccaccia, ma raggiunsero l’open space e la vista che si presentò loro fu sufficiente a strozzare la voce nella gola della ragazza. L’ambiente era grande ma quella mattina sembrava soffocante tanti giovani maghi e streghe vi erano stipati dentro, e il vocio era quasi assordante. File e file di sedie nere erano state disposte in modo da dare le spalle all’entrata e quasi tutte erano occupate. Un gruppo di ragazzi era in piedi in un angolo con le bacchette in mano a ripetere incantesimi; un paio di streghe dall’aria stanca passeggiavano nervosamente lungo i lati della stanza. Solo una ragazza dai boccoli biondi sedeva tranquilla in prima fila, sorridendo come se stesse semplicemente aspettando che fosse servita la cena.
   Ron si sentì sbiancare; quante persone erano ammesse al corso ogni anno? Ricordava che Tonks aveva parlato di circa una decina di compagni. Facendo una stima a occhio quella mattina sarebbe passato forse uno su dieci. Si lasciò cadere su una sedia in fondo alla sala, mentre Hannah rimase in piedi mangiandosi nervosamente le unghie della mano destra.
   Cosa diavolo gli era venuto in mente? Cosa credeva di fare? Voleva dimostrare di essere cosa? E a chi? Ron si teneva la testa tra le mani, lo stomaco che si contorceva come se a colazione avesse inghiottito un Avvincino.
   D’un tratto il chiacchiericcio nella sala si interruppe; il ragazzo alzò la testa e vide che erano entrati Roy e Lena, entrambi con la divisa blu pavone bordata d’oro. Era bastata la loro presenza per imporre il silenzio, per cui la voce della Shacklebolt risuonò chiara senza che lei facesse il minimo sforzo.
   “Buongiorno a tutti” disse sorridendo. “E grazie per le vostre numerose domande di ammissione. Tra poco comincerà la prova di selezione. Avrete al massimo tre minuti a testa, ci saranno sufficienti per capire se avete attitudini al delicato mestiere dell’Auror.”
   Tre minuti?
   In tre minuti Ron era giusto in grado di capire il colore delle pareti di una stanza.
   “Vi chiameremo uno alla volta in ordine alfabetico e vi preghiamo di entrare nella stanza degli Allenamenti qui accanto” Lena indicò una porta alla sua sinistra. “Al termine della prova utilizzerete un’uscita secondaria.”
   “A meno che non abbiate bisogno di un breve soggiorno al San Mungo” aggiunse con un sorriso malizioso Roy. La Shacklebolt gli rivolse una breve occhiata risentita, poi sorrise nuovamente alla piccola folla.
   “Quando sarete dentro ricordate di stare calmi e di mantenere la concentrazione…”
   “… e di respirare” concluse Leatherman, suscitando qualche risata nervosa.
   “Esatto” confermò Lena con il sorriso lievemente incrinato. “Buona fortuna a tutti!”
   I due Istruttori si voltarono ed entrarono nella stanza degli Allenamenti. Poco dopo un Elfo Domestico dalla schiena dritta comparve da un corridoio laterale; teneva tra le braccia un grosso rotolo di pergamena, che aprì a fatica con le corte braccine. Si schiarì la gola e annunciò con voce squillante il primo nome:
   “Abbott! Hannah Abbott!”
   La ragazza venne scossa da un brivido.
   “Incrocia le dita per me!” sussurrò a Ron, che annuì con un sorriso tirato. Hannah scattò verso l’Elfo e sparì oltre la porta.
 
   Il tempo passava molto lentamente, specialmente per uno che di cognome faceva Weasley e quindi sarebbe stato praticamente l’ultimo ad essere chiamato. A volte tra un cognome e l’altro passava veramente poco tempo, altre volte trascorrevano più di tre minuti, Ron ne era certo. Un paio di ragazzi vennero portati veramente al San Mungo: una tremante strega dal viso rotondo venne accompagnata da Lena in persona avvolta in una coperta, mentre un altro uscì su una barella che fluttuò in autonomia verso gli ascensori, tra lo sgomento generale.
   Una ragazza dai capelli castani e le guance piene di lentiggini, alta e bella come una Veela, aveva riso sonoramente al passaggio del povero infortunato; non faceva altro che criticare ad alta voce il gruppo di maghi che continuava ad esercitarsi negli incantesimi, dando loro consigli non richiesti su come fronteggiare un Vampiro o sulla corretta composizione della Pozione Polisucco. Quando finalmente l’Elfo chiamò “Fletcher! Ella Fletcher” la strega percorse la sala a passi eleganti come se fosse su una passerella e salutò i ragazzi con un “Ci vediamo, perdenti.”
   La ragazza dai riccioli biondi che Ron aveva già notato per l’espressione rilassata leggeva tranquillamente un libro, le gambe incrociate e il piede che dondolava mollemente; rimase sorridente anche quando fu il suo turno e si alzò poco prima che l’Elfo chiamasse “Major, Sybil Kirstine!”
   C’era anche qualche volto noto: Roger Davies aveva avuto abbastanza faccia tosta da presentarsi alle selezioni; Ron non ne era stupito, ricordava bene quanta spocchia aveva dimostrato durante le partite di Quidditch a Hogwarts. Ma la vera sorpresa fu sentir pronunciare il nome di Theodore Nott: molto più magro di quanto non fosse stato al sesto anno, i capelli cortissimi e la pelle pallida, si era affrettato a testa bassa verso la porta della stanza degli Allenamenti, gli occhi rivolti con insistenza sul pavimento per non incrociare nessuno dei numerosi sguardi puntati su di lui. 
   Cosa ci faceva un maledetto Serpeverde alle selezioni per il corso da Auror? Tutti sapevano che suo padre era stato uno dei Mangiamorte più fedeli; Ron si sforzò di ricordare che fine avesse fatto, forse era uno dei morti.
   Il ragazzo si passò una mano sugli occhi: quell’attesa era una vera tortura. Trascorse un’altra lunga, estenuante ora durante la quale lo stomaco di Ron si era definitivamente ribellato: nel water dell’Ufficio Auror era finito non solo il pancake di quella mattina ma probabilmente anche il pranzo del matrimonio di Bill e Fleur. Ormai nell’open space erano rimasti solo tre o quattro ragazzi, che si lanciavano occhiate tese come condannati a morte.
   “Weasley, Ronald Weasley!”
   Il ragazzo scattò in piedi, la mano serrata sulla bacchetta; percorse la distanza che lo separava dalla porta senza quasi accorgersene. Mise la mano libera sul pomello, trasse un grosso respiro ed entrò.
   Fffssst.
   Ron cominciò a tossire, gli occhi chiusi, qualcosa di polveroso gli aveva invaso naso e gola.
   “Ron? Sei tu?”
   La voce di sua madre. Si trovava sulla porta della cucina della Tana, il pentolone bolliva come sempre sul fuoco, ma un odore acre impregnava l’aria.
   “Non sei ancora vestito?” esclamò sua madre, le mani sui fianchi e l’aria di rimprovero. Indossava una veste chiara piena di strass e un cappello in tinta da cui spuntava un ricciolo rosso.
   “Vestito per cosa?” chiese Ron confuso.
   “Ronald, oggi si sposa tua sorella! Perché diavolo sei ancora in mutande?”
   Il ragazzo si guardò: era quasi nudo, ma aveva ancora la bacchetta in mano. Quando si era svestito? Per qualche strano motivo però la cosa non lo preoccupava più di tanto.
   “Ginny e Harry si sposano oggi?” chiese sbalordito. Alzò lo sguardo e sua madre era improvvisamente molto vicina.
   “Harry? Cosa diavolo c’entra Harry?”
   Ron non seppe cosa rispondere, si sentiva molto confuso e l’odore stava diventando pungente. Si strofinò il naso con forza mentre sua madre cominciò a sbraitare.
   “Dopo tutto quello che gli hai fatto hai proprio un bel coraggio a tirare fuori Harry!”
   “Di cosa… di cosa stai parlando? Stamattina mi ha abbracciato in camera…”
   “Non essere sciocco, adesso nella tua camera sai che dorme Aragog.”
   La donna stese il braccio e Ron si voltò: il gigantesco ragno dagli occhi lattiginosi spalancò le fauci e allungò le zampe verso il ragazzo, che urlò a pieni polmoni. D’istinto cercò di afferrare il braccio di sua madre per allontanarla dal mostro, ma la sua mano si chiuse nel vuoto; Molly non era altro che una figura di fumo.
   Non è reale. Non è reale.
   Ron si aggrappò a quel pensiero e chiuse gli occhi per impedire a sé stesso di guardare Aragog o sua madre, cercando di pensare; si concentrò e d’improvviso il vero motivo per cui era in quella stanza tornò chiaro nella mente di Ron. L’odore acre pizzicò di nuovo le narici del ragazzo.
   E’ qualcosa che c’è nell’aria.
   Ricordò di aver sentito un soffio, appena aveva varcato la porta. Aveva bisogno di respirare aria pulita. Puntò la bacchetta verso la propria guancia, sperando che quell’incantesimo provato solo durante le lezioni funzionasse a dovere.
   “Bulla afflato!”
   Capì che c’era riuscito quando il pizzicore al naso svanì; aprì gli occhi e vide la stanza deformata dalla bolla che gli circondava la testa. Non c’era più traccia di sua madre o del gigantesco ragno. Si voltò verso la porta da cui era entrato e vide aggrappato allo stipite di destra un grosso fungo nero, avvolto in una nuvola di spore rossastre, mentre alcune spire scure fluttuavano nell’aria; somigliava ad un fiore marcescente.
   “Reducto!”
   Il fungo esplose e parte della porta saltò, spargendo molte schegge di legno sul pavimento. Un forte colpo di vento investì Ron.
   “Molto bene!”
   Roy comparse da un angolo sulla sinistra del ragazzo, ridendo come un matto e applaudendo. Lena aveva la bacchetta tesa e stava racchiudendo in una grossa sfera arancione le spore del fungo.
   “Non avrei fatto saltare la porta, ma per il resto questo esame è impeccabile” commentò Leatherman aggiustando lo stipite con un colpo di bacchetta.
   “Per fortuna abbiamo una scorta di questo” disse Lena osservando il punto dove c’era stato il fungo. “Altrimenti avremmo chiuso qui le selezioni.”
   “Bulla deafflato” Ron pronunciò il contro incantesimo e la bolla svanì. Non credeva alle proprie orecchie: aveva davvero passato l’esame?
   “Cosa diavolo era quello?” chiese invece.
   “Carino, eh?” gongolò Roy.
   “E’ un fungo peruviano” spiegò con pazienza Lena. “Lo chiamano Mollicciato, le sue spore hanno poteri allucinogeni in grado di dare forma alle tue paure più profonde.”
   “Ed è un vero spasso!” aggiunse Leatherman, guadagnandosi un’occhiataccia della collega.
   “Ottimo, signor Weasley” disse Lena allungando una mano e stringendo con forza quella del ragazzo. “Riceverà a breve un gufo dal San Mungo per la visita medica, poi ci occuperemo dei moduli di ammissione. E per inciso: se lo avesse semplicemente chiesto, lei sarebbe stato ammesso in automatico al corso da Auror.”
   Ron la guardò con gli occhi spalancati e la donna sorrise.
   “Ma visto che aveva fatto domanda ufficiale, Roy ha pensato che sarebbe stato… interessante vedere come lei se la sarebbe cavata.”
   Roy gli indicò una porta dall’altro lato della piccola sala spoglia.
   “C’è qualcuno che ti aspetta. E’ lì da stamattina presto.”
   Ron attraversò la seconda porta, più confuso che mai ma felice come se avesse di nuovo vinto la Coppa di Quidditch. Anche la nuova stanza era di dimensioni ridotte ed era rivestita di un legno scuro che la rendeva ancora più angusta; poche persone erano ancora sedute sulle panche in attesa dei loro figli, amici o fratelli. Hermione si alzò in piedi, un sacchetto colorato tra le braccia, e salutò Ron con la mano.
   “Cosa diavolo…? Harry ha spifferato tutto, vero?”
   Lei gli si avvicinò e scosse la testa.
   “No, è stata Lena. Un paio di giorni fa l’ha detto per sbaglio a tuo padre, ovviamente non sapeva che fosse un segreto. Harry ci ha solo spiegato perché non avevi detto un accidente a nessuno.”
   Ron sentì le orecchie avvampare e abbassò lo sguardo.
   “Allora?” chiese Hermione con un sorriso incerto. “Diventerai un Auror?”
   Lui annuì imbarazzato.
   “Ne ero sicura.”
   Lei gli consegnò il sacchetto colorato. Dentro c’era un orsacchiotto sulla cui pancia era ricamata una scritta rossa: “CONGRATULAZIONI STUPIDO IDIOTA”
   “Ho fatto un buon lavoro” disse Hermione con un ghigno. “Prima c’era scritto Buon San Valentino.”
   I due ragazzi risero insieme.
   “Hermione, io…” cominciò Ron, ma lei lo zittì mettendogli un dito sulle labbra.
   “Discuteremo più tardi. E credimi, discuteremo. Ho un paio di cosette che desidero dirti da un po’ di giorni.”
   Hermione accompagnò l’affermazione con un’occhiata che fece rizzare i peli sulla nuca di Ron.
   “Ma adesso dobbiamo andare nell’ufficio di tuo padre” proseguì lei concedendogli un sorriso. “Ci aspettano.”
   “Ci aspettano? Chi?”
   Hermione scrollò le spalle.
   “I tuoi genitori, i tuoi fratelli, Harry… insomma, un po’ tutti.”
   “Tutti?”
   “Tutti. Sapevamo che saresti andato alla grande.”
   Hermione lo tirò verso di sé e lo baciò a lungo. Ron non capiva se lei era arrabbiata o contenta per lui. Forse tutte e due le cose. E forse lui era davvero uno stupido idiota.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Sì Ron, ti confermo che ti sei comportato da stupido idiota. Non assisteremo alla discussione tra lui e Hermione, ma fidatevi che il “paio di cosette” che lei voleva dirgli da qualche giorno sarebbero sufficienti ad intimorire tre o quattro Mangiamorte.
E’ chiaro come la luce del sole che la mia storia si occupa soprattutto di Harry e Ginny, quindi non aggiungo carne al fuoco e non approfondisco più di tanto gli altri rapporti, ma spero comunque vi sia piaciuto il capitolo dedicato interamente a Ron. La prova di selezione è un’allucinazione assolutamente delirante che riassume più o meno tutte le sue paranoie, mi sono divertita a infierire ;)
Ron, avendo fatto parte del trio che di fatto ha salvato il Mondo Magico, avrebbe avuto diritto al canale preferenziale, né più né meno di Harry; ma la sua autostima a raso terra ha fatto sì che la cosa non gli passasse nemmeno per l’anticamera del cervello.
Come ho già detto, Leatherman è un buon ragazzo, ma a volte sfiora il sadismo: pensate le risate che si è fatto guardando questi poveri ragazzi in preda alle allucinazioni mentre brancolavano per la stanza sbraitando. Non oso immaginare cosa combinerà come Istruttore…
Come sempre grazie a chi ha letto e chi leggerà, e soprattutto a chi segue e commenta! Un grazie speciale a Thalassa_, un ritorno davvero gradito!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** 17 giugno 1998 – La Tana ***


La vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti.
Beautiful Boy – John Lennon

 
 


 
17 giugno 1998 – La Tana
 
   I gufi del San Mungo non si erano fatti aspettare: due pennuti erano atterrati sulla tavola della cucina quella mattina consegnando a Harry e Ron due buste verde acido con il marchio dell’ospedale dei maghi, un osso e una bacchetta incrociati. La convocazione per la visita di idoneità era per quel pomeriggio.
   Il fatto che uno dei gufi avesse centrato in pieno la teiera inzuppando metà della tovaglia non aveva bendisposto Molly; il contenuto delle lettere non fece che peggiorare il suo umore e la gioia con cui Ron lesse la propria convocazione scatenò la quarta discussione in due giorni tra lei e il figlio. Harry non ci pensò due volte e sgattaiolò fuori dalla cucina con un bicchiere di succo di zucca mentre la signora Weasley sbraitava per l’ennesima volta quanto fosse importante la condivisione in famiglia. Alle prime due liti si erano uniti anche Ginny e Arthur, ma ormai appena i toni si alzavano si assisteva al fuggi fuggi generale.
   Harry si fermò nel pianerottolo, in ascolto: dalla tromba delle scale veniva il pianto di Teddy. Sentì Hermione bussare alla porta di Andromeda.
   “Signora Tonks, tutto bene? Ha bisogno di qualcosa?”
   Nuovi colpi discreti.
   “Signora Tonks? Posso entrare?”
   Ancora nessuna risposta. Harry salì le scale e raggiunse Hermione, che lo guardò con aria preoccupata; sembrava si fosse alzata in quel momento, i capelli spettinati e la camicia da notte rosa stropicciata.
   “Teddy piange ormai da dieci minuti buoni” spiegò sottovoce; poi aggiunse con un tono più alto: “Signora Tonks, sto entrando.”
   Hermione abbassò la maniglia e spinse la porta. Teddy era nella sua culla gialla, rosso in volto; Andromeda era seduta sul letto, gli occhi spalancati e l’espressione vuota. Si voltò appena quando i due ragazzi entrarono.
   “Signora Tonks, va… va tutto bene?” chiese Hermione avvicinandosi con cautela; la donna non rispose, ma guardò la ragazza come se non capisse che cosa le avesse chiesto. Harry appoggiò il suo bicchiere sulla scrivania poco distante e si diresse verso il bambino; lo prese in braccio come gli aveva insegnato Ginny, una mano sotto la testa e il resto del corpicino sopra un braccio. Ancora gli dava i brividi tenere stretto a sé una creaturina così piccola. Il bambino si calmò quasi subito, come se avesse riconosciuto il tocco del suo padrino; continuò a gemere ma non urlava più.
   “Non sentiva Teddy piangere?” chiese ancora Hermione gentilmente.
   “Oh sì” sussurrò Andromeda. “Anch’io piangerei se potessi… perché lui non dovrebbe piangere?”
   Harry e Hermione si scambiarono un’occhiata preoccupata. La donna indossava gli stessi vestiti del giorno precedente e aveva profonde ombre scure sotto gli occhi, come se non avesse dormito affatto, e il letto intatto suggeriva che probabilmente era così.
   “Porto Teddy di sotto” disse Harry rivolto a entrambe; Hermione annuì seria.
   Il ragazzo scese praticamente di corsa le scale, raggiunse la cucina in pochi passi e interruppe senza tante cerimonie la lite ancora in corso tra Molly e Ron.
   “Andromeda ha qualcosa che non va” disse senza fiato. “Teddy piangeva e lei era seduta sul letto senza fare nulla. Adesso c’è Hermione con lei.”
   La signora Weasley lo guardò per un lungo momento, una spessa ruga di preoccupazione che le tagliava la fronte a metà.
   “C’è del latte nella credenza” disse poi in tono pratico. “Per favore Ron, scaldalo e dallo a Teddy, avrà fame.”
   Senza aggiungere altro uscì dalla cucina diretta al piano superiore.
 
   “Stai tranquillo, Harry, qui ci pensiamo noi” ripeté per l’ennesima volta Molly, ma il ragazzo esitava ancora a gettare nel caminetto la manciata di Polvere Volante che aveva in mano da cinque minuti buoni.
   La signora Weasley aveva passato la mattina a calmare Andromeda, i cui nervi erano ormai ridotti a un ammasso di corde sfilacciate; alla fine l’aveva convinta a prendere la Pozione Soporifera, sperando che qualche ora di buon sonno la aiutasse a rimettersi in sesto.
   “Se ci sono novità fammi chiamare subito” si raccomandò ancora una volta Harry. Ginny sbuffò, prese a sua volta una manciata di Polvere Volante e la gettò nel fuoco, poi diede una bella spinta al suo ragazzo.
   “Ci vediamo, Harry!” esclamò con un sorriso tirato. Harry tossì e disse a gran voce: “San Mungo!”
   Chiuse gli occhi e cercò di allontanare il pensiero di Teddy; non riusciva a togliersi dalla mente il bambino rosso in viso che piangeva disperato e Andromeda con lo sguardo fisso, inebetita. I piedi di Harry toccarono terra e lui tossì di nuovo; davvero non capiva perché si ostinasse a prendere la Metropolvere.
   L’atrio del San Mungo era esattamente come se lo ricordava, bianco e asettico; al centro della stanza c’era ancora una scrivania dietro alla quale sedeva una donna dall’aria annoiata che smistava maghi e streghe ai reparti di competenza. La sala era poco affollata quel pomeriggio e solo alcuni Guaritori si aggiravano per le file di sedie malmesse, ma per il resto era come se il tempo si fosse fermato al Natale di due anni prima.
   Ron lo aspettava paziente di fianco all’uscita della Metropolvere.
   “Stai bene?” gli chiese con aria preoccupata; Harry scrollò le spalle.
   “Prima facciamo questa visita, prima torniamo a casa.”
   Voleva dire Tana, ma aveva detto casa. La cosa lo fece sentire vagamente in imbarazzo e lanciò una veloce occhiata a Ron, che tuttavia non sembrava aver notato nulla di strano. Si incamminarono insieme verso la porta che dava ai reparti.
   “Qui dice di presentarsi alla stanza tredici, nel corridoio a piano terra” disse Ron consultando per l’ennesima volta la lettera. Trovarono facilmente il posto giusto: la stanza tredici era a pochi passi dall’ingresso, sulla sinistra del corridoio, mentre sulla destra c’era una piccola sala d’attesa dalle pareti ricoperte di cartelloni sulle pozioni di fertilità e sui controlli raccomandati in gravidanza. I loro futuri compagni di corso erano già seduti ad aspettare; Hannah Abbott li salutò calorosamente con la mano, invitandoli a sedersi di fianco a lei.
   “Ragazzi, ancora non ci credo! Siamo passati!” squittì fuori di sé per la gioia. Harry abbozzò un sorriso stiracchiato, la sua voglia di chiacchierare era veramente al minimo in quel momento; voleva solo fare quella stupida visita e tornare alla Tana, assicurarsi che Teddy stesse bene e che Andromeda si fosse ripresa. Si sentiva in qualche modo direttamente responsabile per quel crollo nervoso. Si domandò per la centesima volta se ci fossero sviluppi nelle indagini su quanto accaduto il due di giugno: la sbronza di Goyle era sicuramente bella che passata e gli Auror lo dovevano già aver interrogato; forse il signor Prewett aveva anche trovato Goyle Senior, ma nessuno che si fosse preso il disturbo di dire qualcosa ad Harry. Il grosso vantaggio di entrare a far parte del corpo speciale del Ministero era che di questi misteri non ce ne sarebbero più stati.
   Ascoltando distrattamente Hannah che dava un resoconto completo della sua prova, si guardò intorno per capire chi sarebbero stati i suoi compagni per i prossimi due anni. Accanto a loro, due ragazze che Harry non conosceva chiacchieravano sorridenti, entrambe molto belle: una castana e alta, l’altra minuta e dai riccioli biondi; dall’altro lato della sala d’aspetto Rogier Davies gli mandò un cenno di saluto con la testa, prima di riprendere la conversazione con un ragazzo pieno di lentiggini. In un angolo, seduto da solo fissando il pavimento come se desiderasse solo essere scambiato per un pezzo di intonaco, c’era Theodore Nott. Indossava una scura veste da mago, le maniche lunghe nonostante il caldo.
   Non fece in tempo a chiedersi come avesse fatto il figlio di un Mangiamorte a passare le selezioni per il corso da Auror che la porta della stanza tredici si aprì e ne uscì un uomo allampanato e dall’aria malaticcia; la divisa verde acido del San Mungo non faceva che accentuare il pallore. Il cartellino lo identificava come il “Guaritore Hugo Ziemsenn”; leggeva qualcosa da una tavoletta che reggeva in mano.
   “Quel tipo parlava con papà al Ministero, l’altro giorno” bisbigliò Ron. “Credo… credo sia un Vampiro.”
   Harry si voltò di scatto, fissando sgomento l’amico. Solo lui pensava che un Guaritore Vampiro fosse una pessima idea?
   “Papà dice che è molto ben controllato” si affrettò ad aggiungere Ron. “Fa il Guaritore da sempre, da prima… beh, da qualche centinaio di anni sicuramente.”
   “Signorina Abbott, si accomodi” disse il Guaritore con una voce molto nasale; Hannah scattò in piedi e salutò i due amici con un sorriso.
   “Non ce la staccheremo mai di dosso” sospirò Ron, sconsolato.
   “Ci vorrebbe Ernie MacMillan” disse Harry con un mezzo sorriso sulle labbra.
 
   Ci volle quasi un’ora perché chiamassero Harry, dopo Micheal O’Leary, il ragazzo con le lentiggini che parlava con Davies; erano rimasti solo lui e Ron nella saletta. Harry entrò praticamente a passo di carica nella stanza, spazientito fino alla punta dei capelli per la lunga attesa. Il Guaritore lo fece sedere su un lettino freddo e duro, mentre l’uomo si appollaiò dietro una piccola scrivania sbilenca; prese una piuma e un modulo da una pila di pergamene e cominciò a compilarlo.
   “Harry James Potter, nato il 31 luglio 1980, mi conferma?”
   “Certo” rispose il ragazzo sentendosi vagamente preso in giro.
   “Ha mai avuto malattie infettive?”
   “Beh, morbillo, orecchioni e…”
   Il Guaritore emise un verso spazientito.
   “Intendo quelle vere, signor Potter: Vaiolo di Drago, Porfiria Goblin…”
   Harry scosse la testa.
   “Fratture?”
   “Più di quante riesca a ricordarne. Giocavo a Quidditch” aggiunse in risposta allo sguardo bieco di Ziemsenn. Il Quidditch, come molte altre cose, sembrava appartenere a un’altra vita.
   “Ferite da incantesimo, direi proprio di sì” borbottò l’uomo proseguendo con la compilazione del modulo. “E visione corretta da lenti. Bene, vediamo un po’ come vanno i suoi organi interni, signor Potter. Si tolga la maglietta e si sdrai.”
   Harry obbedì; il Guaritore si avvicinò e gli mise una mano sull’addome. Il ragazzo fu scosso da un brivido, l’uomo era davvero gelido; il mago continuò la visita come se nulla fosse, schiacciando con pochi riguardi ogni centimetro della pancia nuda.
   “Si metta seduto con le gambe giù dal lettino” ordinò e Harry di nuovo seguì le istruzioni, dando la schiena a Ziemsenn. Ancora una volta sentì il tocco ghiacciato, inaspettatamente sulle braccia.
   Che strano, pensò Harry.
   L’ultima cosa che il ragazzo sentì fu un dolore lancinante al lato sinistro del collo; provò ad urlare, ma non fu sicuro che la voce fosse effettivamente uscita, aveva la sensazione che gola e testa avessero preso fuoco.
   Poi tutto diventò buio.
 
 
 
 
 
 
 

Angolo di Gin
La vita è quello che ti accade mentre sei occupato a fare altri progetti.
E direi che come commento al capitolo basti e avanzi… ora aspetto i vostri!
Alcune precisazioni: ovviamente (almeno nella mia testa) le due ragazze che hanno passato la selezione sono quelle che Ron aveva notato prima della prova, quella insopportabile che snocciolava consigli indesiderati (Ella Fletcher) e la biondina tranquilla come se fosse alla fermata del bus (Sybil Major).
E una piccola curiosità: Hugo Wilhelm von Ziemssen è stato un medico tedesco, uno dei primi che ha trasfuso sangue senza uccidere i propri pazienti alla fine dell’Ottocento grazie alle prime siringhe.
Sono psicolabile, lo so.
Grazie a chi ha letto e leggerà!
Per l’angolo degli special thanks devo rinnovare i miei grazie più calorosi a Francy e Jess che non hanno mai mancato un capitolo! E uno anche a lunarossa, ho apprezzato particolarmente i tuoi complimenti :)
Smack
Gin
 

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** 19 giugno 1998 – San Mungo ***


E’ sorprendente come ciò che siamo possa dipendere
dal letto in cui ci risvegliamo al mattino,
ed è sorprendente quanto tutto ciò possa rivelarsi fragile.
 
Coraline – Neil Gaiman

 
 
19 giugno 1998 – San Mungo
 
   Harry aprì gli occhi e li sbatté più volte, infastidito dalla luce. Si riparò con una mano e si sforzò di mettere a fuoco qualcosa.
   “Harry!”
   La voce di una ragazza alla sua destra era appena un sussurro. Provò a rispondere, ma tutto quello che uscì dalla bocca impastata fu un mugolio indistinto.
   “Ecco, metti gli occhiali.”
   Due mani gentili gli misero le lenti sul naso; Harry provò ad afferrare gli occhiali per sistemarseli e in quel momento si accorse che non riusciva a muovere il braccio sinistro.
   “Ma che diavolo…” biascicò tastandosi l’arto con la mano destra: la sua pelle era incredibilmente fredda, come… morta. Un moto di panico lo fece scattare in avanti.
   “Calmo, Harry, stai calmo.”
   Le mani della ragazza lo presero dolcemente per le spalle e lo riaccompagnarono sul cuscino. Era sdraiato su un letto. Si impose di mettere a fuoco la persona che aveva accanto.
   “Hermione!” esclamò con tutta la poca voce che riuscì a mettere insieme.
   “Shhh! Fai piano, la sveglierai” sussurrò l’amica, indicando la parete alle sue spalle. Raggomitolata su una poltrona scura c’era Ginny, la testa appoggiata su un braccio ripiegato, addormentata; indossava una felpa a righe rosse e nere troppo grande per lei. Harry la riconobbe come una delle sue.
   “Erano più di ventiquattr’ore che non dormiva” spiegò Hermione. “Sono riuscita a convincerla a riposare un po’ solo promettendole che non ti avrei staccato gli occhi di dosso.”
   Harry si sentiva più che mai confuso. Si guardò intorno in cerca di qualcosa che gli schiarisse le idee, ma la luce fioca che entrava da un’unica finestra illuminava solo pareti bianche.
   “Ventiquattr’ore? Ma che giorno è oggi?”
   “Il diciannove giugno. Almeno, da qualche ora. E’ l’alba.”
   Diciannove? E dove diavolo era finito il diciotto? Il ragazzo si passò la mano destra sul volto, incredulo. Cercò di richiamare alla memoria l’ultimo ricordo lucido: il dolore al collo. Istintivamente portò la mano in quel punto e vi trovò una grossa medicazione.
   “Hermione… cosa cavolo è successo?”
   L’amica lo guardò stringendo le labbra e prese un respiro prima di rispondere.
   “Hugo Ziemsenn, il Guaritore che vi doveva visitare, è un Vampiro.”
   Harry aggrottò la fronte, era certo che Ron avesse accennato qualcosa del genere.
   “Tuttavia era talmente ben inserito nella società magica che non solo praticava al San Mungo, ma aveva addirittura la fiducia del signor Prewett per le visite agli Auror. Arthur lo conosce personalmente, figurati. Ma l’altro giorno, senza una ragione apparente, ti ha attaccato, stanno ancora cercando di capire il perché. Ieri gli Auror lo hanno interrogato, forse Arthur ci saprà dire qualcosa di più.”
   Harry fissava Hermione sbigottito, riusciva a mala pena a capire quello che gli stava dicendo.
   “Per fortuna Ron ti ha sentito urlare ed è entrato nella stanza; è riuscito a Schiantare Ziemsenn e a chiamare subito soccorsi. La tua fortuna è stata essere già al San Mungo, dicono… dicono che non saresti sopravvissuto a un trasporto.”
   Sfuggito alla morte, ancora una volta.
   “Ti stanno imbottendo di Pozione Rimpolpante e ti medicano tutti i giorni il… morso” spiegò Hermione, forse più per evitare il silenzio che per reale necessità. “E il Guaritore Smethwyck dice che il braccio dovrebbe tornarti normale tra un paio di settimane.”
   “Come sta Ron?” chiese Harry.
   “Ha passato una notte qui anche lui, era sotto shock. Ma sta bene. E’ tornato a casa e riposa.”
   “Dovresti essere con lui.”
   “Qualcuno doveva pur far dormire Ginny.”
   Harry accennò un mezzo sorriso; quella era decisamente la più cocciuta delle ragazze sulla faccia della Terra.
   “Andromeda si è ripresa?”
   Hermione abbassò lo sguardo e si morse un labbro: cattive notizie in arrivo.
   “La signora Tonks… quando ha saputo che ti avevano attaccato… Harry, non c’è un modo semplice per dirlo. Ha dato completamente di matto. Ha cercato… ha cercato di uccidere Teddy.”
   Il sangue si gelò nelle vene di Harry. Non poteva essere vero, la sua mente si rifiutava di accettare un pensiero tanto assurdo. Hermione proseguì il racconto senza guardare l’amico, la voce rotta.
   “Diceva che sarebbe stata solo questione di tempo, sarebbero venuti a cercare anche lui, e che quindi era meglio che lo uccidesse lei stessa.”
   La ragazza si portò una mano alla bocca.
   “Oh Harry, è stato orribile. Ginny è riuscita a prendere Teddy, mentre Molly… lei ha dovuto immobilizzare Andromeda. Adesso è qui al San Mungo, al Janus Thickey.”
   Il reparto chiuso, pensò Harry, insieme ai Paciock. E forse non ne sarebbe più uscita. Chiuse gli occhi e abbandonò la testa sul cuscino; come aveva potuto permettere una cosa del genere? Aveva promesso ad Andromeda che ci sarebbe stato per Teddy, che lo avrebbe protetto.
   “Harry, non è colpa tua” disse Hermione come se gli avesse letto nel pensiero. “Non…”
   “Lascia perdere, Hermione” Ginny aveva alzato la testa e fissava Harry con occhi stanchi. “Non è colpa tua non è nel vocabolario di Potter!”
   Il cuore di Harry accelerò, in un misto di emozione e senso di colpa, mentre la ragazza si alzava e si avvicinava al suo letto.
   “Vado a mandare un Patronus alla Tana” disse Hermione scattando in piedi e filando fuori dalla stanza. Ginny si sedette di fianco a Harry e lo fissò per un lungo momento, le labbra strette e gli occhi che riflettevano un dolore forse inconsolabile. Lei si appoggiò sul suo petto e lui la circondò con l’unico braccio che era in grado di controllare, stringendola a sé come se non ci fosse nulla di più importante al mondo. In effetti per lui non esisteva nulla di più importante.
   Ginny tremava come una foglia e Harry sapeva esattamente il perché: aveva quasi rotto la sua promessa, aveva rischiato di lasciarla di nuovo.
   “Mi dispiace” mormorò. “Gin, mi dispiace. Ti prego, perdonami.”
 
   Arthur arrivò poco prima di mezzogiorno, trafelato, stanco e con un pacchetto di dolcetti da parte di Molly.
   “Non fa altro che cucinare, quando è stressata” disse appoggiando i dolci sul comodino di Harry. “Quindi per favore fai la tua parte e mangiali.”
   Ginny allungò la mano dalla sedia sulla quale era appollaiata e ne prese subito uno, per la gioia di Harry che non l’aveva vista mangiare in tutta la mattina.
   “Sono molto contento di vederti finalmente sveglio” esclamò Arthur. “Eravamo… beh, sì, ci siamo preoccupati.”
   Harry avrebbe voluto chiedere come stava la famiglia Weasley, ma ebbe il buon senso di autocensurarsi una domanda così stupida. Dopo un breve momento di silenzio fu Arthur a parlare.
   “Ho novità, non buone temo.”
   “Hanno interrogato Ziemsenn?” chiese Harry.
   “Ci hanno provato” rispose il signor Weasley. “Frankie e uno dei suoi migliori uomini, Socrates Spade, sono stati Schiantati e Confusi pochi minuti dopo aver cominciato l’interrogatorio.”
   “Ziemsenn è riuscito a sopraffare due Auror?”
   “No, Hugo è… morto. Lo hanno trovato nella sala interrogatori con un paletto di frassino nel petto. Né Frankie né Socrates sono stati in grado di dire chi sia stato, l’ultimo ricordo che hanno è di essere entrati nella stanza.”
   Arthur si passò una mano sugli occhi con un gesto stanco.
   “Le cose certe a questo punto sono due. Uno, c’è ancora una talpa all’interno del Ministero, nessuno entra nella sala interrogatori degli Auror se non è autorizzato e passato al setaccio con un Sensore Segreto.”
   Quel pensiero era sufficiente a far rabbrividire Harry; ma temeva che la seconda cosa certa fosse ancor più terrificante della prima.
   “Due” proseguì Arthur. “Qualcuno sta cercando davvero di vendicare Voldemort. Qualcuno sta cercando di ucciderti, Harry.”
 
   Ginny non aveva aperto bocca per ore. Non aveva voluto andare via con il padre, ma si rifiutava categoricamente di parlare. Non che Harry avesse chissà quali argomenti di conversazione da offrirle, si sentiva talmente esausto che il solo atto di respirare risultava faticoso. Verso le tre si addormentò, incapace di tenere ancora gli occhi aperti.
   Quando il ragazzo si svegliò la luce rossa del tramonto inondava la stanza; Ginny era ancora appollaiata sulla stessa sedia, le braccia strette attorno alle ginocchia e lo sguardo perso sul profilo grigio di Londra, fuori dalla finestra.
   “Gin?” la chiamò piano. Lei sobbalzò e con un gesto velocissimo si asciugò una guancia. Stava piangendo.
   “Harry, io non so se ce la faccio.”
   Non lo guardava, forse non ci riusciva, ma lui avrebbe tanto voluto che lei lo facesse.
   “Io… non so se riesco a sopportare tutto questo. E non migliorerà. Tu sei Harry Potter, qualunque Mangiamorte potrebbe svegliarsi un giorno e decidere che vuole la tua testa. Come faccio a vivere con questo… peso?”
   Harry non aveva una risposta. Ginny aveva ragione e lui lo sapeva. Una mano invisibile sembrò stringere la gola del ragazzo, che non riusciva a dire una sola parola, inchiodato dall’orribile realtà di quello che stava succedendo.
   “Tu mi hai fatto una promessa” riprese la ragazza; finalmente guardò Harry negli occhi, e questo sembrò infondere un po’ di coraggio nel ragazzo.
   “E farò del mio meglio per mantenerla” riuscì a dire.
   “Non so se il tuo meglio mi basta.”
   Harry chiuse gli occhi e deglutì le lacrime.
   “Gin, ti prego…”
   “Devo pensare. Ho bisogno di un po’ di tempo per riflettere.”
   Ginny uscì in fretta dalla stanza senza guardarlo una seconda volta.
   “Gin, io ho bisogno di te” disse Harry alla sedia ormai vuota.
 
 
 
 
 
 
 

 
Angolo di Gin
E direi che tra il capitolo precedente e questo mi sono guadagnata diverse ingiurie…!
Ebbene sì, lo aveva annunciato già dai primi aggiornamenti, il rapporto tra Harry e Ginny non è tutto rose e fiori. Manco per niente. Perché sì, lui è Harry Potter, potrebbe esserci sempre qualcuno che si sveglia e decide di vendicare il Signore Oscuro. Harry sa perfettamente che la sua non potrà mai essere una vita normale, come tutte le altre – qualcuno forse ricorderà una conclusione di capitolo (il quarto, se vogliamo fare i pignoli): Harry la voleva, la voleva tutta per sé. Ma qual era il prezzo che Ginny avrebbe dovuto pagare?
Ci siamo. Ginny si è resa conto di cosa vuol dire davvero stare con lui – per la serie, finché non ci sbatti contro non te ne accorgi. E’ vero amore, su questo non ci piove, una cosa rara che trovi forse solo una volta nella vita, e lei, come abbiamo letto, ha sempre saputo di essere destinata a Harry. Ma è anche un peso, e mica piccolo. L’ansia costante di vivere sul filo del rasoio. Ginny, da brava sedicenne ottimista, si aspettava il lieto fine con tanto di cavallo bianco, ma la vita reale è… un po’ diversa.
E poi ci sono ancora tutte le cose non dette in sospeso, quelle paure e quegli incubi che lei si è tenuta per sé e che si sono concretizzati in un giorno solo.
Questi ragazzi devono crescere a ferro e fuoco. Non bastava tutto quello che ha fatto passare loro la Rowling, adesso mi ci metto anch’io.
Diamine.
Grazie a chi ha letto e leggerà, chi segue e chi mi lascia un suo pensiero! Siete linfa per la mia autostima.
 
Special thanks to
Miione, di cui mi impegno a leggere la one shot più lunga che mi sia capitata tra le mani per ora, ma che mi ispira parecchio – solo avrò bisogno di un po’ di tempo :)
Mary Evans, la prima a recensire lo scorso aggiornamento con il panico nella voce XD grazie di cuore!
 
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** 20 giugno 1998 – ancora San Mungo ***


Prova a immaginare la tua vita tra trent’anni, fra quarant’anni. Come sarà? […]
Non pensare a quello che voglio io […] o a quello che vogliono i tuoi.
Tu che cosa vuoi? Tu che cosa vuoi?
 
Dal film Le pagine della nostra vita – Nick Cassavetes
 
 

 
20 giugno 1998 – ancora San Mungo
 
   Arthur allungò la mano per aiutare sua figlia ad uscire dalla Metropolvere, nell’atrio del San Mungo; come il giorno precedente Ginny indossava una felpa troppo grande per lei, questa volta di colore verde scuro. E come il giorno precedente aveva l’aria sfinita di chi non aveva chiuso occhio se non per qualche ora al massimo. Nessuno dormiva molto negli ultimi giorni alla Tana.
   Le passò un braccio attorno le spalle e lei si lasciò guidare attraverso il salone spoglio e su per le scale, ma all’imbocco del reparto Ferite da Creature Magiche si bloccò.
   “Ti aspetto al quinto” disse Ginny stringendosi nella felpa. “Ho… ho bisogno di una tazza di tè.”
   Quando l’uomo fece un cenno di assenso con la testa la figlia era già sparita su per le scale. Decise che le avrebbe parlato più tardi; curiosamente, l’unica femmina della famiglia era quella che tra i suoi figli assomigliava di più ad Arthur e quella con la quale lui riusciva a parlare meglio. Molly buona parte delle volte riusciva solo a litigare con Ginny quindi spesso era Arthur il titolare dei rapporti con la piccola di casa. Chiuse le sue preoccupazioni di padre in un angolo e andò verso il suo dovere.
   Spinner, un vecchio Auror che aveva passato una Guerra Magica Internazionale e due nazionali, era di guardia fuori dalla porta della stanza di Harry.
   “Ciao Jake” lo salutò Arthur.
   “ ‘Giorno signor Weasley” biascicò l’agente; alzò la bacchetta e si scusò: “E’ la prassi.”
   “Fai il tuo dovere” rispose Arthur con un sorriso incoraggiante; allargò le braccia e lasciò che Spinner lanciasse su di lui l’incantesimo Specialis Revelio. Un brivido freddo percorse il signor Weasley dalla testa fino alla punta dei piedi, accompagnato da qualche piccola scossa qua e là. Jake annuì con aria burbera.
   “Tutto tranquillo?” chiese Arthur. L’Auror grugnì.
   “La notte è andata, ora deve solo spicciarsi questo dannato cambio. Quando arriva Greg mi sente, oh se mi sente.”
   Il signor Weasley batté una mano sulla spalla di Spinner ed entrò. Un altro Auror era seduto sulla poltrona scura di fronte alla porta, appisolato; Harry invece era sveglio, sdraiato sul letto con gli occhi puntati verso la finestra.
   “Buongiorno Harry!” salutò con tutta l’allegria che riuscì a mettere insieme. “Come ti senti oggi?”
   Il ragazzo annuì con un debole sorriso.
   “Comincio a sentire le punte di due dita” disse Harry accennando al proprio braccio sinistro.
   Arthur prese con cautela una sedia e la appoggiò piano di fianco al letto, per non svegliare il ragazzo biondo sulla poltrona.
   “Come stanno a ca… alla Tana?” chiese Harry.
   “Ci stiamo riprendendo” rispose Arthur con un sorriso tirato. “Teddy ci dà da fare!”
   Il signor Weasley aveva detto quella frase come una battuta, ma si accorse subito che era stata un’idea poco felice: il viso del ragazzo si contrasse in una smorfia di dolore e senso di colpa.
   “Siamo… siamo molto contenti che sia con noi, davvero, è un bambino dolcissimo!” aggiunse in fretta, ma Harry non lo stava già più ascoltando.
   “A proposito di Teddy” si schiarì la gola, cercando il modo giusto per arrivare al reale motivo della visita. “Tu sei al momento il suo tutore legale, non essendo Andromeda in grado di prendersi cura di lui.”
   Harry annuì.
   “Appena esco di qui lo prenderò con me, andremo… non so, da qualche parte, forse in Grimmauld Place…”
   “Harry, non era questo che intendevo. Molly non vi lascerà andare proprio da nessuna parte, e nemmeno io, lo sai. Quando tornerai a casa avremo tutto il tempo per pensare a come organizzarci, ma nel frattempo ci siamo noi e finché non ti dimettono abbiamo bisogno della tua delega scritta per accudire Teddy.”
   Estrasse una pergamena e una piuma da una tasca interna della veste.
   “Certo, non c’è problema.”
   Harry firmò il modulo, scorrendolo appena con gli occhi; Arthur lo ripiegò e lo ripose nel mantello.
   “Ormai avete per casa più figli altrui che vostri” disse il ragazzo sorridendo appena.
   “Puoi dirlo forte! Ma se e quando la Tana si svuoterà non sarà più la stessa.”
   Harry rimase in silenzio per qualche momento.
   “Hai… parlato con Ginny?” chiese fissando la parete opposta ad Arthur.
   “Cosa avrebbe dovuto dirmi?”
   “Non lo so” il sorriso di Harry era amaro. “Temo… di non renderla più serena, Arthur. Non credo di essere una fortuna, almeno non per lei.”
   Doveva proprio parlare con Ginny, sua figlia stava per fare una scemenza grande come una casa. Sospirò e strinse la spalla destra di Harry.
   “Torno più tardi con i ragazzi, volevano venire a trovarti anche loro.”
   Harry annuì con aria assente. Arthur lanciò un ultimo sguardo all’Auror addormentato sulla poltrona, cosa della quale Frankie sarebbe stato informato, poco ma sicuro.
   Percorse il corridoio del primo piano, incrociando una delle Assistenti di corsia con il carrello pieno di bende e unguenti; salì le scale con calma fino al quarto piano, dove bussò alle porte del reparto Janus Thickey. Andromeda era ancora sotto Distillato Calmante e dormiva rannicchiata in un letto in fondo alla corsia. Il Guaritore Felix Plater, responsabile del reparto, non aveva grandi novità e il colloquio con lui fu breve.
   Arthur si avviò quindi verso la Sala da Tè del quinto piano, dove lo aspettava la conversazione più difficile.
   Trovò Ginny in un tavolino vicino a una delle grandi vetrate che davano sui tetti di Londra, ancora avvolti nella foschia del mattino.
   “Sei stato anche da Andromeda?” chiese sua figlia prima che lui potesse aprire bocca. Arthur annuì.
   “Pensi che si riprenderà?” domandò ancora.
   “Non lo so, è presto per dirlo. Ma temo che le ferite siano troppe e mal curate.”
   Arthur approfittò del passaggio di una graziosa cameriera dai riccioli castani per ordinare del tè nero e lasciare a sua figlia un po’ di tempo per trovare le parole giuste, ma lei non sembrava intenzionata a parlare di nulla.
   “Ginny, cosa ti sta succedendo?”
   Era inutile girarci attorno. Sua figlia continuava a guardare insistentemente fuori dalla vetrata, ma gli occhi erano fissi su qualcosa di più lontano.
   “Sono… sono terrorizzata” disse in un soffio. “Guardo Andromeda e temo di ritrovarmi al suo posto, presto o tardi.”
   “Hai paura per Harry?”
   Ginny annuì con forza, le labbra serrate nello sforzo di trattenere le lacrime.
   “Io… gli ho detto cose che pensavo, papà, davvero. Ma adesso sono… non so più se sono in grado di… sopportare tutto questo” spiegò con fatica la ragazza.
   La cameriera mise il tè davanti ad Arthur con un gesto elegante e lui la ringraziò con un sorriso gentile; si concesse un lungo sorso caldo prima di riprendere il filo del discorso.
   “Che tipo di cose gli hai detto?”
   “L’ho convinto a… fare squadra con me” cominciò Ginny richiamando alla memoria gli episodi con gli occhi chiusi. “Ho forzato la mano finché non si è aperto con me, finché non mi ha raccontato cose… santo Cielo, penso non le abbia mai dette a nessuno. Gli ho detto che lui non era la parte sbagliata della storia, ma Voldemort, l’ho praticamente costretto a promettermi di non lasciarmi mai più e ieri… ieri gli ho detto che non sono sicura che il suo meglio sia abbastanza per me.”
   La ragazza si portò una mano alla bocca, come se fosse sconvolta dalle sue stesse parole; aveva le guance arrossate e l’imbarazzo di aver detto tutte quelle cose così intime a suo padre era quasi palpabile. Arthur sorseggiò ancora il suo tè, non meno a disagio di sua figlia.
   “Sai, il giorno dopo il nostro matrimonio io e Molly eravamo in Notturn Alley, in missione per l’Ordine della Fenice. Secondo una soffiata era in arrivo un carico di Pozioni Corrodenti destinato alle torture dei Babbani e io e tua madre siamo riusciti a sventare la consegna. Un Anatema che Uccide mi sfiorò un braccio e rimasi ricoverato qui per una settimana. Abbiamo consumato una parte del viaggio di nozze nella camera ventidue del quarto piano.”
   Ginny batté le palpebre, evidentemente stupita.
   “Per anni e anni ci salutavamo la mattina e non sapevamo se ci saremmo rivisti la sera. Una delle prime cose che comprò tua madre per la casa fu l’orologio che tiene in cucina, voleva sapere in tempo reale la notizia nel caso in cui…”
   Prese un altro sorso di tè, proprio non se la sentiva di finire la frase.
   “Per fartela breve: non ti sto dicendo che una vita del genere sia desiderabile, ti sto dicendo che è possibile. In tanti si sono persi nelle Guerre Magiche, tanti sono morti, ma altri sono rimasti. E’ un rischio, che ciascuno di noi è stato libero di assumersi o meno.
   “La decisione è tua, piccola. Sai chi è Harry e sai che non potrà mai stare del tutto tranquillo. Puoi scegliere di fuggire dal dolore, di arrenderti alla paura e di tentare una nuova vita lontano da lui. Oppure puoi scegliere di tirare i dadi e rischiare. Può succedere domani, come non succedere fino ai vostri centovent’anni, ma sai che lui potrebbe morire. E sai anche che cosa vuol dire stare con lui, sai qual è la gioia che ti dà” Arthur si fermò un attimo, poi aggiunse: “E lo so anch’io, la vedo nei tuoi occhi.”
   Distolse lo sguardo mentre Ginny si asciugava con rabbia una lacrima che era sfuggita sulla guancia, sapeva quanto lei odiasse farsi vedere debole.
   “Nessuno ti giudicherà, qualunque cosa sceglierai” disse Arthur terminando l’ultimo sorso di the. “Ma nessuno può scegliere per te.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Lo so, capitolo cortino. Credetemi, l'ho riscritto non meno di tre volte. Le prime due la voce era quella di Ginny – mi sembrava la scelta più logica; ma la logica non sempre c’entra con la piega che prende una storia, e in questo caso questa conversazione ha chiesto, ha voluto, ha preteso che la voce fosse quella di Arhtur.
Mi sono presa una licenza poetica grande come una casa: so che facendo fede al Pottermore i coniugi Weasley si sono uniti all’Ordine della Fenice solo durante la Seconda Guerra Magica. Ma personalmente non ce li vedo con le mani in mano nella Prima Guerra Magica, figli o non figli, non si sono mai risparmiati. Quindi spero perdonerete questa deviazione (al miele, lo so) dalle versioni ufficiali!
Adesso direi di lasciare un po’ di tempo a Ginny per riflettere e capire… che cosa vuole.
Grazie a chi ha letto e leggerà! Grazie di cuore perché stiamo arrivando a grandi passi ai sessanta tra seguiti e preferiti – e non sapete che soddisfazione!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** 21 giugno 1998 – ancora San Mungo ***


Spero che quando spiccherai quel salto tu non abbia paura della caduta […]
Spero che ti innamorerai e che faccia un male cane
L’unico modo in cui puoi sapere di aver dato tutto quello che avevi
 
Lived – One Republic
 
 
 
21 giugno 1998 – ancora San Mungo
 
   Harry aveva perso il conto delle volte che era finito in Infermeria, a Hogwarts. Gli avevano fatto ricrescere le ossa di un braccio in una notte, aveva subito trauma cranici, più di un volo dalla scopa, e, nell’ultimo anno una serie di ustioni che avrebbero fatto impallidire Charlie.
   Ma il morso di Vampiro mancava nella lunga lista di accidenti magici occorsi ad Harry, che in tutta sincerità ne avrebbe fatto volentieri a meno. Il Vampiro, gli aveva spiegato il Guaritore Smethwyck, oltre a succhiare il sangue della propria vittima, inietta nel circolo venoso un veleno molto pericoloso e molto veloce, letale in pochi minuti. Il morso di Zeismann era stato breve e quindi l’unica parte di Harry che aveva risentito dell’effetto del veleno era stato il suo braccio sinistro.
   Ogni mattina un’Assistente di corsia in divisa verde acido si occupava di rimuovere la vecchia medicazione, aspirare con la bacchetta più siero possibile dalla ferita ancora aperta e rifare una medicazione nuova con un unguento giallastro dall’odore indescrivibile. Durante la giornata un paio di Tirocinanti facevano fare a Harry esercizi lunghi e dolorosi per far riprendere la circolazione nel braccio colpito. Le dita avevano già recuperato un po’ di sensibilità, il ché però comportava fitte e formicolii a tutte le ore del giorno e della notte. L’unica cosa che aiutava Harry a sopportare il dolore era il succo di Papavero che le Assistenti gli portavano a orari regolari insieme alla Pozione Rimpolpante.
   Quella mattina l’Assistente di corsia era Gracie, piccola e rossa come un folletto, di chiare origini irlandesi e dalle mani molto delicate, cosa per cui Harry non era mai abbastanza grato. Gracie chiacchierava con Melany, la bionda Auror di guardia nella stanza e che aspettava sbadigliando il cambio del turno diurno; la voce acuta dell’Assistente trillava a proposito di un matrimonio imminente di una qualche celebrità.
   Il ragazzo cercava di ascoltare con attenzione nonostante l’argomento non fosse proprio il suo preferito, ma qualsiasi cosa era meglio dei suoi pensieri. Ogni momento di silenzio veniva immediatamente riempito dalla voce delusa di Ginny che se ne andava dalla stanza.
   “E pare che l’anello sia stato fatto dai Folletti, proprio così! Oh scusa Harry caro” cinguettò Gracie accorgendosi di aver premuto un po’ troppo una garza nella ferita.
   Qualcosa si schiantò come un proiettile contro la finestra della camera, mandando in frantumi il vetro. Gracie scattò indietro, Harry cercò affannosamente la bacchetta nel comodino, ma Melany fu più veloce e isolò immediatamente la zona con un incantesimo Scudo particolarmente denso. I pezzi di vetro rimasero sospesi a mezz’aria e al centro, ruotando su sé stesso e tubando come un pazzo, c’era il piccolo gufo dei Weasley, Leotordo.
   “Che cavolo…?” l’Auror si avvicinò al pennuto e gli puntò la bacchetta contro: “Specialis Revelio
   Leotordo stridette più forte e tentò di sbattere le ali, puntando Harry.
   “E’ a posto, Mel. Credo sia posta per me” disse il ragazzo, rimasto con il braccio a penzoloni giù dal letto.
   “La posta dopo, caro” ordinò Grazie tirandolo verso di sé con forza sorprendente per una donna così piccola. “Dobbiamo mettere una bella pezza qui sopra, umh?”
   Riprese a lavorare sul morso come se nulla fosse successo, spargendo con cura l’unguento sulla ferita; bruciava da morire e Harry strinse i denti per non gemere. Non riusciva a staccare gli occhi dalla zampa del gufetto, dove era legato un rotolo di pergamena: sperava davvero che quella lettera fosse di Ginny.
   Fu una medicazione lunghissima, durante la quale Melany aveva riparato la finestra, slegato la pergamena e fatto ripartire a colpi di bacchetta Leotordo, che continuava a girare attorno al lampadario tubando e facendo cadere candele. Greg, che era di guardia fuori dalla porta, era venuto a controllare cosa avesse provocato tutto quel trambusto e si era fatto due risate.
   Finalmente Gracie terminò il suo lavoro e aiutò Harry a passare il braccio in un fazzolettone appeso al collo; il ragazzo allungò la mano destra e riuscì a strappare dalle mani di Melany la pergamena, srotolandola con impazienza e non senza qualche difficoltà. Riconobbe la scrittura poco femminile di Ginny e si bloccò per un attimo: in quella lettera poteva esserci scritto di tutto. Ansia, paura e un briciolo di speranza si mescolarono violentemente nello stomaco di Harry, che si impose di iniziare a leggere.
 
   Harry,
   ti scrivo perché sono sicura che non riuscirei a dirti queste cose guardandoti in faccia, preferisco scrivere che parlare. E poi sono le tre del mattino e il San Mungo apre al pubblico tra altre cinque ore e io non posso proprio aspettare così tanto.
   La prima parola da scrivere è scusa. Ti ho ferito, il tuo sguardo quando me ne sono andata dalla tua camera è una cosa che non dimenticherò facilmente.
   Ho ceduto alla paura, Harry. Mi sono lasciata prendere dal panico. Ingenuamente ero convinta che ci fossimo lasciati il pericolo alle spalle, ma vederti in un letto, bianco come un cadavere mi ha riportato bruscamente alla realtà.
   La paura è un’arma potente, ti porta a confondere le vie, a dubitare delle tue convinzioni, a perderti tra verità e menzogne. E allora è necessario che io riparta da quello che so.
   So chi sei. So che cosa rappresenti. So che la tua vita non è mai stata e non sarà mai semplice.
   E so cosa sei per me. Sole, gioia e casa.
   Ti ho detto che non so se posso reggere accanto a te e che non so se il tuo meglio mi basta. Ed è così, non lo so e non lo posso sapere.
   E non mi interessa.
   Tiro i dadi e rischio.
   Anche un giorno solo al tuo fianco varrà la pena del dolore che dovrò forse sopportare. Ho pensato tanto, davvero tanto, e sono convinta che sia diecimila volte meglio tentare e fallire piuttosto che rinunciare e vivere con il dubbio che avremmo potuto farcela.
   Coraggio significa essere spaventati a morte ma buttarsi lo stesso nella mischia, e io sono una Grifondoro, il Cappello Parlante non sbagliava. Una stupida, ingenua, folle, innamorata Grifondoro.
   Probabilmente quando Leotordo ti consegnerà questa lettera l’orario di visite sarà già iniziato da un pezzo. Sappi che io sarò davanti alla tua camera e ti aspetterò finché non vorrai uscire e perdonarmi per la mia debolezza. A costo di diventare vecchia davanti a quella dannata porta.
   Gin
 
   Harry lesse le ultime righe due volte, poi scaraventò di lato le coperte e si alzò; era la prima volta che si metteva in piedi dopo diversi giorni e le gambe cedettero immediatamente, ma il ragazzo si aggrappò al comodino ed evitò di cadere a terra come un sacco di patate.
   “Harry, che cavolo fai?” Melany era scattata verso di lui e lo aveva preso sotto le ascelle. “Torna a letto subito!”
   Harry la ignorò e costrinse le sue gambe e drizzarsi e obbedirgli.
   “Stai zitta e aiutami ad uscire” ordinò il ragazzo. “Per favore” aggiunse, subito pentito del tono che aveva usato. Mel diventò rossa di rabbia e fu solo perché Harry cominciò a implorarla che si lasciò passare il braccio attorno alle spalle e lo aiutò ad uscire dalla stanza zoppicando.
   Ginny era accovacciata con la schiena appoggiata alla parete opposta alla porta, jeans e una semplice maglietta bianca, finalmente della sua misura. I capelli raccolti alla bell’e meglio le ricadevano sugli occhi stanchi. Si alzò e si sistemò una ciocca dietro l’orecchio, le guance arrossate; guardava Harry negli occhi e aspettava un suo cenno.
   Bastò pronunciare il suo nome: “Gin…”
   L’ultima cosa che le aveva detto. Riprendevano da dove si erano lasciati.
   Lei precorse a passi veloci la distanza che li separava e si fermò davanti a lui, mordendosi un labbro imbarazzata. Harry voleva abbracciarla, baciarla, stringerla a sé, ma sapeva che se avesse lasciato la presa su Mel sarebbe caduto come un burattino.
   “Harry, non ti terrò su ancora per molto” disse l’Auror; il ragazzo si riscosse.
   “Scusami, io…” lo sguardo di Harry tornò su Ginny, come ipnotizzato.
   “Torniamo dentro, vuoi?” disse la ragazza sorridendo appena. “Andiamo.”
   Andiamo. Io e te. Noi. Grazie. Oh Cielo, grazie. Cosa avrei fatto senza di te?
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Una stupida, ingenua, folle, innamorata Grifondoro.
E con questo direi di aver riassunto tutte le caratteristiche della “mia” Ginny!
Altro capitolo corto, lo so, ma la conclusione di questa parentesi di separazione tra i due non voleva essere l’ennesimo fiume di miele (che detto da me vuol dire tanto XD ). Perché in fondo questi due sono così: imbranati e impacciati, che non sanno mai trovare le parole giuste, ma che si amano in modo semplice e puro. E’ bastato poco per riconciliarsi: scusa, Gin e andiamo.
Lo ripeto ancora, non sarà tutta rose e fiori – per loro non lo sarà mai, per quanto quel “Diaciannove anni dopo” suoni molto come un “E vissero per sempre felici e contenti” – ma questo era un ostacolo bello grosso e più o meno ce lo siamo lasciati alle spalle.
La canzone che apre il capitolo – credo la conosciate tutti e se non la conoscete… omg, dove siete stati nel 2013? Le radio non passavano altro! – è una delle mie preferite. Ryan Tedder e compagni mi perdoneranno, ma la traduzione è mia, tuttavia il senso dovrebbe essere conservato :)
Mooolto bene, dal prossimo aggiornamento cambiamo un po’ argomento dai! O quanto meno non sarà più monotema ;)
Grazie a chi ha letto e leggerà e soprattutto a chi dedica un po’ del suo tempo a lasciarmi il suo pensiero!
 
Special thaks to
Ovviamente Daeny394! La prima che è riuscita a farmi arrossire davanti a una recensione XD
 
Smack
Gin
 
PS: cara Sphynx, Melany ha i capelli biondi per causa tua!

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** 23 giugno 1998 – ancora San Mungo ***


E tu, adesso che mi hai visto come sono veramente,
 riesci ancora a guardarmi?
 
1984 – George Orwell
 
 

 
23 giugno 1998 – ancora San Mungo
 

 
   Era da poco passato mezzogiorno quando Hermione e Ron entrarono nella stanza di Harry rabbrividendo.
   “Non mi abituerò mai a quell’incantesimo” disse la ragazza sfregandosi le braccia. “Sembra di passare sotto una doccia gelata!”
   “Tieni, Greg” Ron allungò all’Auror di guardia nella stanza di Harry una copia della Gazzetta del Profeta e un bicchiere d’asporto di caffè forte.
   “Grazie! Te ne ricordi sempre!”
   “Fra colleghi…” disse Ron sogghignando; Hermione alzò gli occhi al cielo.
   “Piantala di darti così tante arie, Weasley! Non sei ancora un Auror!”
   Il ragazzo la ignorò e salutò Harry con un cenno del capo.
   “Come stai?”
   Harry sorrise e si strinse nelle spalle.
   “Non c’è male. Faccio progressi!”
   Alzò ogni dito della mano sinistra a dimostrazione della sua affermazione; lo sforzo fu notevole e dal mignolo partì una fitta che arrivò fino al gomito, ma Harry riuscì a mantenere l’espressione quasi neutra. Per tutto il pomeriggio precedente uno dei Tirocinanti lo aveva fatto allenare con una pallina morbida che Harry doveva stringere per un’infinità di volte; il risultato era stato, dal punto di vista medico, ottimo, visto che il ragazzo aveva ripreso la sensibilità e il movimento a tutte le dita, ma l’effetto collaterale era stata una notte da incubo costellata da crampi di fronte ai quali Harry aveva dovuto arrendersi e chiedere una dose supplementare di Succo di Papavero.
   “Ginny non è venuta?” chiese.
   “Oh, è giù con Arthur che si sta liberando di un paio di giornalisti” rispose Hermione scrollando le spalle.
   “Giornalisti?”
   Ron sistemò di fianco al letto di Harry due sedie poi allungò all’amico un’altra copia della Gazzetta del Profeta, la cui prima pagina era completamente occupata da una foto di Kinglesy e del signor Prewett che parlavano seri da dietro un bancone.
   “Ieri sera hanno indetto una conferenza stampa in cui hanno tirato fuori tutto quello che avevano messo sotto il tappeto: il due giugno e l’attacco a te” disse mentre lui e Hermione si sedevano; lei lasciò cadere ai propri piedi una tracolla di stoffa dai colori accesi.
   “Perché solo ieri?”
   “Hanno arrestato Garth Goyle” disse la ragazza, aprendo il giornale alla pagina due. “Gregory ha finalmente parlato e ha detto che il padre si nascondeva in Romania, dai parenti della moglie.”
   “Ma…?” Harry incoraggiò Hermione, che aveva le labbra strette e un sopracciglio alzato; lei scrollò le spalle.
   “Penso che lo sapessero da una vita. Credi davvero che Goyle sia in grado di resistere più di cinque minuti a un interrogatorio degli Auror? E’ un gregario, senza Malfoy che gli dice cosa fare non sa nemmeno cosa mangiare a colazione.” Si voltò verso Greg, che sorseggiava distrattamente il suo caffè. “Quindi perché diavolo ci avete messo così tanto ad andare a prendere Garth?”
   L’Auror non distolse gli occhi dal giornale, sfogliandone pigramente una pagina.
   “Ha seguito le indagini il capo in persona, non dubito che abbia fatto tutto il possibile per la sicurezza della Comunità Magica.”
   Hermione si girò dando nuovamente le spalle a Greg, le braccia strette al petto, sibilando qualcosa che somigliava molto a Dannato branco di pecore.
   “Hanno scoperto qualcosa su Ziemsenn?” chiese Harry scorrendo gli articoli.
   “Ancora nulla, ma sperano di ottenere informazioni da Goyle padre e figlio” rispose Ron. Hermione sbuffò sonoramente.
   “Non credo che ci siano loro dietro a quell’attacco. Voglio dire, per arrivare a controllare un Vampiro bisogna padroneggiare la Magia Oscura a livelli molto alti, tanto più che Ziemsenn era molto ben controllato, da anni. Il mandante ha avuto poco tempo per suggestionare il Guaritore, per addestrarlo ad attaccare te e nessun altro e solo nel momento in cui tu fossi stato isolato, e nel frattempo a condurre la sua normale vita di tutti i giorni.”
   “Ragazzi, perché parlate di queste cose davanti a uno sconosciuto?” ringhiò Greg da dietro il Profeta. “Se c’è una talpa all’interno del Ministero, potrei essere tranquillamente io.”
   “Stiamo parlando di acqua calda, Greg!” sbottò Hermione. “E se fossi tu la talpa avresti già seccato Harry, non ti pare? Passi più tempo con lui che con la tua fidanzata, avresti potuto ucciderlo in qualsiasi momento!”
   L’Auror abbassò un angolo del giornale e inarcò le sopracciglia sotto i folti capelli ricci.
   “Mi sembra incredibile che qui dentro tu sia l’unica che non farà il corso da Auror” commentò prima di tornare alla sua lettura. Le orecchie di Ron si colorarono di rosso mentre Hermione sistemava spazientita una ciocca di capelli castani ribelli.
   “Ne ho avuto abbastanza anche per le prossime vite, grazie” sibilò la ragazza.
   Ginny e Arthur entrarono nella stanza, le facce scure.
   “Sono veramente odiosi!” sbottò la ragazza sedendosi di peso sul letto al fianco sinistro di Harry. Lui si rammaricò di quella scelta: avrebbe tanto voluto almeno prenderle la mano, ma il braccio da quel lato era ancora assolutamente inutilizzabile.
“Oh, in fondo basta solo sorridere e salutare” disse con un risolino bonario Arthur, Evocando una sedia per sé e accomodandosi. “A proposito di sorrisi, ieri abbiamo scattato questa e abbiamo pensato che ti avrebbe fatto piacere averla, Harry.”
   L’uomo estrasse dalla borsa di pelle una semplice cornice di legno e la passò a Harry. La foto ritraeva una Molly dal un sorriso stanco seduta sulla poltrona del salotto della Tana; teneva in braccio Teddy dall’aria perplessa, il ciuffetto di capelli stranamente grigiastro, mentre appollaiata sul bracciolo Ginny salutava con la mano.
   “E’ bellissima, grazie” sussurrò Harry, sbattendo le palpebre per ricacciare indietro l’emozione. Lo sguardo si soffermò sul colore spento del ciuffo del bambino e ancora una volta, inevitabilmente, il pensiero andò a Tonks.
   “Come sta?” chiese passando il pollice sull’immagine del piccolo.
   “E’ un po’ disorientato” disse Arthur. “Come tutti noi, del resto!” aggiunse ridendo stancamente. Harry guardò Molly, che aveva l’aria esausta; di certo non si aspettava di doversi prendere cura di un altro neonato, dopo tutti quegli anni.
   “Piantala” disse secca Ginny.
   “Cosa?”
   “So che cosa stai facendo, ti stai dando tutte le colpe dell’universo, te lo si legge chiaramente in faccia. Quindi piantala!”
   Harry fece un mezzo sorriso e represse la voglia pazzesca che aveva di baciarla; appoggiò la foto sul comodino e la fissò un altro po’, finché Hermione non tirò fuori dalla propria capientissima borsa una quantità di panini sufficiente a sfamare un piccolo esercito.
   “Abbiamo pensato che non ti sarebbe dispiaciuto un pasto decente!” disse. “Ho visto la brodaglia che ti hanno propinato l’altra sera, come ci si aspetta che la gente guarisca se mangia quella roba?”
   Condivisero i panini con Greg e Spinner, di guardia fuori dalla porta, cosa di cui gli Auror furono molto grati. Gracie, di nuovo di turno quel giorno, storse il naso davanti al pasto portato da casa, ma decise di fare un’eccezione grazie al sorriso supplichevole di Harry.
   Tra un boccone e l’altro, Ginny lesse agli altri una nuova lettera arrivata da Luna; lei e il padre erano in Francia, stavano visitando i castelli della Loira e avevano fatto amicizia con il Fantasma di un vecchio ricercatore francese, che non spiccicava una parola di inglese ma che annuiva entusiasticamente a ogni parola di Xeno.
   Arthur tornò al lavoro molto presto, mentre Ron e Hermione si congedarono poco dopo le due.
   “Hai letto la mia ultima lettera?” chiese Ginny una volta che furono rimasti soli con l’Auror, verso il quale Harry buttò l’occhio.
   “Greg, questa è una conversazione privata, uso il Muffliato se non ti spiace.”
   “Fai pure, amico” borbottò l’Auror, impegnato nelle parole crociate del Profeta con una piuma in mano e l’espressione concentrata. Harry sapeva che era solo una copertura: Greg era giovane, doveva essere poco più di una recluta, ma era incredibilmente attento a tutto quello che gli accadeva intorno. Il ragazzo aveva preso l’abitudine di osservare come si comportavano gli Auror assegnati alla sua scorta, giusto per mettersi avanti coi compiti e imparare qualche trucchetto in più prima che cominciasse il corso.
   Harry recuperò la bacchetta dal comodino e lanciò l’incantesimo sotto voce, poi estrasse dallo stesso cassetto una busta ancora chiusa, rigirandola tra le dita della mano destra. Ginny gliel’aveva lasciata sul letto la sera precedente, senz’altra spiegazione se non un semplice: “Leggi”. Uno dei pochi vantaggi di essere confinato in una stanza del San Mungo era che Harry aveva tutto il tempo per pensare: era rimasto parecchio a fissare la lettera, indeciso se aprirla o meno, chiedendosi che bisogno ci fosse di scrivere ancora.
   “Non l’ho letta, no” disse asciutto. Ginny si agitò appena sulla sedia e si sistemò in modo da dare completamente le spalle a Greg.
   “Perché un’altra lettera?” chiese Harry.
   “Perché no?” Ginny si strinse nelle spalle, fissando le proprie dita stringere le ginocchia. “Preferisco scrivere che parlare.”
   Harry appoggiò la busta sul letto e guardò la sua ragazza: le orecchie erano diventate rosso fuoco, mentre la bocca si era accartocciata in una smorfia. Era così bella da non sembrare vera, anche con i capelli scompigliati e l’aria di chi avrebbe voluto volentieri sprofondare attraverso il pavimento.
   “Io penso che tu ti stia nascondendo dietro tutta questa carta” disse Harry. “La domanda è: da cosa ti nascondi?”
   Ginny chiuse gli occhi e si abbandonò sullo schienale; trasse un lungo respiro, come se stesse mettendo insieme tutto il coraggio che riusciva a trovare. Quando alla fine tornò a guardare Harry aveva l’aria di chi si era ripetuto quel discorso mille volte.
   “Qual è la cosa che ti piace di più di me?”
   “Cosa?” Harry era stato preso in contropiede.
   “Senza pensarci, qual è l’aspetto del mio carattere che ti piace di più?” ripeté Ginny, la fronte leggermente aggrottata. Il ragazzo sbatté un paio di volte le palpebre, disorientato.
   “Beh… la tua forza” disse alla fine. Ginny chiuse di nuovo gli occhi con una smorfia, come se qualcuno le avesse dato un forte pizzicotto da qualche parte.
   “Esatto” disse lei come se fosse un’ammissione di colpa. “La mia forza.”
   Con uno sforzo evidente, alzò lo sguardo e fissò Harry con gli occhi lucidi.
   “Cosa faresti se scoprissi che non è altro che un bel muro? Che dietro ci sono paura e angoscia? Come faccio a dirti che ogni dannata notte sogno la tua morte, o quella di Fred, o…”
   Ginny si fermò e deglutì con forza, abbassando lo sguardo. Harry le prese la mano e la strinse con dolcezza.
   “Beh, adesso me l’hai detto e cos’è successo? Niente.”
   Una lacrima cadde sulle loro mani unite; Ginny stringeva quella di Harry con forza.
   “Gin, io vorrei davvero essere diverso… per te. Vorrei poter esser qualcun altro per poterti dare la serenità che meriti.”
   “E io vorrei poter essere più forte, per te.”
   Un lungo momento di silenzio si dilatò tra di loro, riecheggiando delle colpe che i due ragazzi davano a loro stessi, sulle debolezze che non riuscivano a guarire. Harry sciolse la stretta delle loro mani e sfiorò la guancia di Ginny con delicatezza, facendole alzare di nuovo gli occhi.
   “C’è di bello” disse lui con un sorriso. “Che non siamo soli. Se siamo una squadra, dove non arrivo io, ci sei tu… e viceversa.”
   “Vuoi dire che posso trasformarti in Micheal Corner quando voglio?” ghignò Ginny; Harry fece una smorfia.
   “Ahah, che divertente” il ragazzo finse una risata. “Intendo che tu hai la capacità di farmi sentire… normale.”
   “E tu riesci a farmi sentire come se potessi fare tutto, vicino a te” borbottò Ginny alle sue ginocchia, le parole che uscivano a fatica. Harry sorrise, pensando che probabilmente era proprio quello il contenuto della lettera. Riprese la sua mano e giocando con le sue dita di lei le parole uscirono quasi da sole, senza che Harry avesse realmente deciso di pronunciarle.
   “Gin, io ti amo, questo lo sai, vero?”
   Certo che lo sapeva, entrambi sapevano cosa provavano l’uno per l’altra; ma dirlo era tutta un’altra faccenda.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Angolo di Gin
Come promesso, abbiamo abbandonato il monotema degli ultimi tre aggiornamenti, anche se mi è “scappato” un po’ di miele finale. Sì, è il loro primo “ti amo”. Hanno fatto di tutto insieme – a Villa Conchiglia dormivano nella stessa stanza e vi garantisco che non hanno giocato a scacchi magici – ma ancora quelle due paroline lì non erano uscite. E Ginny se le sta sudando tutte: incredibilmente è lei quella che ha un serio problema ad aprirsi con Harry, ma un pezzetto di qua, uno di là, pare che ci stia saltando fuori con i piedi.
Gli Auror hanno finalmente arrestato Garth Goyle (il nome me lo sono inventata, visto che non era specificato), con un ritardo sospetto, come ci fa notare Hermione, che ci mette anche una serie di altre pulci nell’orecchio.
Capitolo di passaggio, ma tenetelo a mente!
Grazie a chi ha letto e chi leggerà e un sereno Ferragosto a tutti!
 
Special thanks to
_Qwerty_, che tra l’altro sta scrivendo una bella FF su Andromeda Black ai tempi della scuola, “Nulla è per sempre”. Consigliata!
Thalassa_, che sta scrivendo cose stupende, quindi visitate la sua pagina!
 
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** 29 giugno 1998 – ancora San Mungo ***


Voi pensate: i tempi sono cattivi, i tempi sono pesanti, i tempi sono difficili.
Vivete bene e muterete i tempi.

Sant’Agostino
 
 


 
29 giugno 1998 – ancora San Mungo

 
   Devo tornare alla Tana.
   Harry, seduto sulla poltrona scura nella sua camera del San Mungo, sollevò ancora una volta il pesetto con uno sforzo; i muscoli del braccio gli obbedivano di nuovo, ma erano deboli e stropicciati dalla lunga immobilità.
   Teddy mi aspetta, ho promesso di prendermi cura di lui.
   Strinse le dita un po’ di più sul pesetto e flesse di nuovo il braccio, cercando di portarlo il più vicino possibile alla spalla. Sentì le consuete fitte, l’avambraccio cominciava a bruciare.
   Molly è così stanca, così stanca.
   Ancora uno sforzo. Il braccio tremò impercettibilmente, ma l’occhio attento del Guaritore Smethwyck colse comunque quel piccolo segnale.
   “Harry, non sforzarti.”
   Ginny tutte le notti sogna…
   Il tremore divenne più forte, le vene sembrarono riempirsi di fuoco; il veleno del Vampiro ancora in circolo era molto debole, ma durante gli esercizi Harry lo sentiva pulsare e bruciare.
   “Harry, basta. Ho detto basta!”
   Il Guaritore Smethwyck fece Levitare con un colpo di bacchetta il pesetto. Il braccio sinistro di Harry ricadde sul ginocchio, scosso da tremiti, e lui si portò istintivamente la mano destra ai muscoli indolenziti dell’avambraccio, massaggiandoli con cautela.
   “Non devi esagerare” il Guaritore allontanò la mano di Harry con un gesto brusco e prese a ispezionare il braccio con movimenti esperti. “Rischi di peggiorare la situazione.”
   Harry non rispose, si limitò a fissare la foto di Molly, Teddy e Ginny, che aspettavano pazienti sul comodino. Greg, seduto dall’altra parte del letto, fissava la scena inespressivo, le braccia incrociate sul petto.
   “Per oggi basta” decretò il Guaritore.
   “Posso provare a…” tentò il ragazzo, ma Smethwyck gli scoccò la peggiore delle sue occhiate, il ché significava che la discussione era chiusa. Anzi, non era nemmeno cominciata.
   “E’ ora di cena!” cinguettò un’Assistente di Corsia entrando nella stanza con un vassoio; era troppo bionda e troppo sorridente per i gusti di Harry, sembrava uscita da una pubblicità degli Zuccotti di Zucca – fatti a mano per rendere la vostra giornata splendente!
   Greg evidentemente non la pensava così, perché scattò in piedi, si scostò un paio di ricci da davanti agli occhi con un gesto studiato e raggiunse la bella Assistente in due falcate.
   “Joy, faccio io! Dev’essere pesante!”
   Joy trillò come un cardellino, mostrando tutti e trentasei i denti bianchissimi e mollando senza tanti complimenti il vassoio tra le braccia di Greg. Smethwyck si assicurò che il braccio di Harry fosse sistemato correttamente nel fazzolettone, poi si congedò portando con sé l’Assistente.
   Seduti ai due lati del tavolino, Harry e Greg fissavano le ciotole piene di zuppa di una qualche verdura dagli effetti benefici ma dal sapore di sterco di Ippogrifo.
   “I tuoi amici non portano più i panini?” chiese Greg giocherellando pigramente con il cucchiaio nella minestra. Harry gettò un’altra occhiata sconsolata al proprio piatto, chiedendosi cosa stesse preparando Molly in quel momento.
   La porta si aprì una seconda volta e Kingsley fece il suo ingresso a grandi passi, la schiena dritta e lo sguardo duro. Greg scattò subito in piedi.
   “Buona sera, signor Ministro!” scandì a pieni polmoni.
   “Ciao Kingsley” si limitò dire Harry, perplesso da quella visita e soprattutto dalla reazione dell’Auror. “Perdonami se non mi alzo, ma le gambe ancora non collaborano del tutto.”
   “Ciao Harry” rispose Shacklebolt con un sorriso tirato. “Williams, aspetti fuori per favore.”
   Greg obbedì e lasciò la stanza.
   “Allora, come stai?” chiese Kingsley con un’espressione falsamente incoraggiante. Harry si strinse nelle spalle.
   “Miglioro. Perché sei qui? Non credo sia una visita di cortesia, mi sbaglio?”
   Il Ministro sorrise imbarazzato e si sedette sulla sedia lasciata libera da Greg, scostando di diversi centimetri la ciotola di zuppa con la mano.
   “Mi dispiace non essere venuto prima, ma il mio nuovo lavoro non è tra i più rilassanti.”
   “Lo capisco. Perché sei qui?” ripeté Harry.
   Kingsley si passò una mano sul viso in un gesto stanco prima di rispondere.
   “I motivi sono due. Il primo, ieri sono stati ritrovati i resti di Severus Piton.”
   Quel nome sprofondò nello stomaco di Harry come un macigno, facendo scomparire del tutto il già scarso appetito. Il ragazzo fece un grosso sforzo per allontanare le immagini ancora nitidissime dei ricordi che il suo ex professore gli aveva voluto mostrare in punto di morte, immagini che bruciavano anche più del veleno di Vampiro.
   “Vorrei che riposasse con gli altri Caduti del Due Maggio, che ne pensi?” chiese Kingsley. Harry annuì con calore. “Ma dovremo dare delle spiegazioni” proseguì il Ministro. “Tutti là fuori sono convinti che Severus fosse il braccio destro di Voldemort. Quindi ti chiedo: cosa possiamo divulgare e cosa no? Dove arriverà la versione ufficiale?”
   Harry provò un moto di gratitudine nei confronti di Kingsley per quel gesto pieno di rispetto.
   “Dovrebbero sapere che ha sempre fatto il doppiogioco, lavorando dalla nostra parte” disse il ragazzo dopo un momento di silenzio. “Che mi ha aiutato nascondendo da Voldemort la spada di Grifondoro e facendomela avere.”
   “E l’omicidio di Silente?”
   “La verità andrà bene.”
   “Coinvolgeremo Draco Malfoy.”
   “Malfoy ha fatto la sua scelta. E Piton ha fatto la sua, evitando a un ragazzo il peso di un omicidio.” Harry respirò a fondo, poi proseguì: “Niente Horcrux e niente… su mia madre.”
   Kingsley annuì.
   “La seconda cosa?” chiese il ragazzo.
   “E’… diciamo un favore personale che ti chiedo.”
   La gratitudine sparì come la fiamma di una candela su cui qualcuno avesse appena soffiato: ogni volta che un Ministro della Magia aveva chiesto a Harry un favore personale non si era mai trattato di qualcosa di piacevole e improvvisamente la premura dimostrata nei suoi confronti prendeva un sapore diverso.
   “La Comunità Magica è preoccupata, inquieta” proseguì Kingsley. “Il fatto che tu sia stato aggredito non è proprio un buon segnale. Se tu… se facessi, diciamo, una conferenza stampa, tranquillizzeresti molte persone. Farti vedere in salute e…”
   Harry lo fermò con un gesto della mano; le sue sensazioni erano esatte: Shacklebolt si stava trasformando in un politico a tutti gli effetti, preoccupato più di quello che la gente pensa piuttosto che della verità.
   “No, non farò nessuna conferenza stampa. Non sono un animale del circo.”
   “Un animale di cosa?”
   “Lascia perdere, roba Babbana.”
   “Harry, capisci che il momento è delicato e…”
   “Kingsley, credi di essere il primo Ministro a tentare di usarmi come un burattino? Per quanto sono convinto che tu sia in gamba e per quanto io ti sostenga, non sarò il tuo ragazzo immagine. Trova un altro modo per tranquillizzare la Comunità Magica. Dì loro che sei venuto a trovarmi e che sto bene, che comincerò il corso da Auror e tutto il resto. Ma non voglio nessuno stupido giornalista attorno, sono stato chiaro?”
   Harry sentiva le guance bruciare, la rabbia ribolliva nello stomaco. Kingsley rimase in silenzio per alcuni lunghi minuti.
   “Va bene, come vuoi. Un tentativo lo dovevo fare” disse sorridendo. “Arthur me l’aveva detto che avresti rifiutato, ma ho voluto provare lo stesso.”
   “Arthur sapeva che saresti venuto stasera?”
   “Veramente no” rispose Kingsley vagamente imbarazzato. “Credo che mi avrebbe Pietrificato piuttosto che lasciarmi parlare con te di una conferenza stampa.”
   Harry lasciò passare qualche momento di silenzio pesante, cercando di sbollire il moto di rabbia.
   “Dimmi che avete novità sul due giugno o su questo” disse indicando la medicazione sulla parte sinistra del collo. Il Ministro abbassò lo sguardo e prese a parlare stancamente, come se fosse un discorso che aveva ripetuto più e più volte.
   “I Goyle hanno ammesso di essere stati loro ad attaccare Xenophilius Lovegood. Erano riusciti a fuggire dopo la Battaglia di Hogwarts e si erano dati alla macchia; la sera del due giugno pare che Gregory si sia ubriacato e abbia preso di mira il primo mago che gli è venuto in mente. Sperava di trovare Luna, a dire il vero, Minerva mi ha detto che durante l’ultimo anno il ragazzo l’ha presa particolarmente di mira a scuola. Quando Garth l’ha trovato, il figlio aveva già evocato il Marchio Nero e messo a soqquadro la casa dei Lovegood; Goyle senior ha fatto giusto in tempo a Schiantare Xeno. Quando ci ha sentiti arrivare si è Smaterializzato a casa del fratello, dove ha lasciato Gregory a smaltire la sbornia, mentre Garth è scappato in Romania dai parenti della moglie, dove Frank lo ha recuperato.”
   “Sono ad Azkaban, adesso?”
   Kingsely scosse la testa.
   “Azkaban è piena come un uovo, Harry. Il Ministero ha sequestrato alcune proprietà dei Mangiamorte e Villa Malfoy è stata trasformata in una piccola succursale di Azkaban; i Goyle sono lì.”
   “Villa Malfoy?” chiese Harry, sbigottito.
   “Penso che tu abbia un ricordo dei sotterranei” rispose il Ministro con un sopracciglio alzato; il ragazzo lasciò passare qualche attimo di silenzio, poi chiese di nuovo:
   “I Goyle hanno detto qualcosa su Ziemsenn?”
   “Non so quanto c’entrino con questa storia” ammise Kingsley stringendosi nelle spalle. “Ma Frankie è convinto che sappiano qualcosa e li sta torchiando personalmente.”
   Harry attese ancora qualche momento prima di fargli la domanda che aveva sulla punta della lingua.
   “E tu ti fidi di Prewett?”
   Kingsley gli riservò un sguardo tra lo stupito e il risentito.
   “Frank ha tutta la mia fiducia e stima. Altrimenti non lo avrei messo al mio posto a capo dell’Ufficio Auror, no?”
   Certo, che domanda sciocca. Eppure Harry non riusciva a togliersi dalla testa che qualcosa in questo nuovo Ufficio Auror non tornasse. Da qualche parte in quella nave c’era una falla, una falla che puzzava di Magia Oscura. E lui a settembre sarebbe salito su quella nave, anche se come mozzo, certo, ma ci sarebbe salito.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Ehilà, ben tornato tra noi Kinglesy! Capisco che il tuo lavoro ti prende non poco, ma una capatina a vedere come sta il salvatore del Mondo Magico la potevi fare, magari prima di avere un favore da chiedergli! Comunque almeno ci sei stato utile con gli aggiornamenti sul due giugno, che a questo punto pare sia ufficialmente solo una bravata, come ci aveva già assicurato Leatherman a suo tempo.
Altra cosa, che probabilmente condividerete con Harry, è la sensazione che ci sia questa “falla che puzza di Magia Oscura” all’interno del nuovo Ufficio Auror. Staremo un po’ a vedere cosa succede.
Come forse qualcuno avrà notato, sono estremamente puntuale con gli aggiornamenti, e questo a causa di una steccatura al ginocchio che mi sta facendo passare agosto sul divano, volente o nolente, e che mi rende anche un’assidua frequentatrice di Efp. Ed è a cagion di ciò che anche per questo aggiornamento vi beccate un piccolo spazio pubblicità!
 
Consigli di lettura (mentre aspettate il prossimo aggiornamento di A passi incerti, chiaro!)
blackjessamine – Ogni giorno, ogni respiro => per gli amanti dei Malandrini e dei missing moments
inzaghina – Promesse da mantenere => se siete tra i disneyani più accaniti e avete sempre desiderato un’infanzia migliore per Harry
Miione – Il Molliccio => one shot consigliatissima ai fan di Ron, che mi sono già “ingraziata” con la mia apologia al personaggio negli aggiornamenti del mese scorso ;)
 
Bon, spero di rimettermi in piedi presto se no continuo a spammarvi di roba da leggere e forse anche basta, dai Gin.
Grazie a chi ha letto e leggerà, a chi segue e a chi mi lascia i suoi graditissimi commenti! Mi state tenendo molta compagnia – oltre che ad alimentare la mia autostima, come ho ripetuto un milione di volte.
Un grazie spciale a Sphynx, che mi pone sempre le peggio domande e alla quale dobbiamo la citazione di Piton in questo capitolo!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** 7 luglio 1998 – La Tana ***


Ma ci sono cose che non si possono capire con la riflessione, bisogna viverle.
 
La storia infinita – Micheal Ende
 

 
 
 
7 luglio 1998 – La Tana
 

 
   Nella penombra della camera dei signori Weasley, Teddy diede un lamento. Era flebile, quasi poco convinto, come se il bambino non fosse sicuro che qualcuno fosse in ascolto. Ma per sua fortuna, qualcuno in ascolto c’era eccome.
   Arthur sentì la moglie muoversi accanto a lui, scostare il lenzuolo ed alzarsi.
   “Buongiorno, cucciolo” sussurrò Molly. Arthur riconobbe la frase che per anni e anni le aveva sentito dire ad ognuno dei loro figli, quando li prendeva in braccio per la prima poppata della giornata, indipendentemente dall’ora del mattino o della notte in cui il bambino di turno avesse deciso di svegliarsi. Molly uscì in punta di piedi, chiudendosi la porta alle spalle cercando di non fare rumore, ma Arthur era già sveglio e si girò su un fianco per sbirciare l’orologio sul comodino: le sei e trenta.
   Neanche male, pensò l’uomo, è praticamente ora di alzarsi.
   Stirò braccia e gambe, poi si mise lentamente a sedere sul letto; fu solo il pensiero di preparare del caffè caldo per Molly a spingerlo lungo il corridoio, giù per le scale e fino in cucina. Sua moglie era seduta vicino alla porta, aveva gli occhi chiusi e la testa appoggiata allo stipite; fra le sue braccia Teddy succhiava placidamente da una tettarella piena di latte tiepido, che Molly reggeva in un gesto automatico.
   “Buongiorno a tutti e due” disse Arthur con un sorriso. La donna sobbalzò, la mano scattò in avanti e parte del latte finì sulla tutina di Teddy, che cominciò a brontolare contrariato.
   “Su, su, non piangere tesoro” bisbigliò Molly rimettendo la tettarella in bocca al bambino, poi salutò il marito con un veloce bacio sulle labbra. Arthur preparò la colazione per sé e la moglie in silenzio mentre Teddy terminava la propria.
   Fu con un sospiro di sollievo che Molly mise con delicatezza il bambino, di nuovo addormentato, nella culla che tenevano in cucina e si sedette di fronte al caffè bollente e al bacon croccante.
   “Grazie Arthur, sei una benedizione” disse assaporando una lunga sorsata dalla propria tazza. Il marito le sorrise stancamente, sedendosi di fronte a lei; l’uomo cercò di concentrarsi sul bacon, ma era difficile scacciare i pensieri e ben presto si trovò a fissare inebetito il piatto davanti a lui.
   “Sei preoccupato?” chiese Molly, che lo conosceva meglio di quanto lui non conoscesse sé stesso.
   “Oggi accompagno Harry da Andromeda” rispose Arthur stringendosi nelle spalle. Molly annuì seria.
   Da quando il ragazzo era tornato abbastanza in forze da stare in piedi senza aiuti, non aveva fatto altro che chiedere di andare a trovare la signora Tonks; voleva vedere personalmente come stava e non c’era stato verso di convincerlo che sarebbe stato meglio lasciar perdere. Arthur sapeva che cosa avrebbe visto Harry nel reparto Janus Thickey e avrebbe tanto voluto risparmiargli almeno quello spettacolo; non ne aveva già viste abbastanza?
   Molly prese la mano del marito e la strinse con dolcezza.
   “Non possiamo proteggerli da tutto, Arthur. A volte i ragazzi fanno le loro scelte e noi possiamo solo star loro accanto… finché possiamo.”
   Era inutile aggiungere che Harry fosse per loro come un figlio. E che il riferimento implicito nell’ultima frase di Molly fosse a Fred. Arthur non aveva bisogno di guardare sua moglie negli occhi per sapere che erano umidi come i suoi. Marito e moglie si concessero qualche momento di silenzio.
   “Sai” disse l’uomo alzando appena lo sguardo su Molly. “Qualche settimana fa Harry mi ha detto che in casa abbiamo più figli degli altri che nostri.”
   “E’ proprio vero!”
   Il viso di sua moglie si aprì in un sorriso sincero, mentre lei si asciugava con gesti lenti le guance umide.
   “Ma sai una cosa, Arthur? Quando guardo questo piccolo” disse accennando a Teddy. “Penso che questo sia il nostro posto nel mondo. Io e te siamo riusciti a costruire un luogo luminoso. La nostra Tana è la tana di qualunque cucciolo abbia bisogno di aiuto: Harry, Hermione e Teddy sarebbero stati soli, ma ci siamo noi. E questo mi ripaga di tutta la fatica, le lacrime e il sonno arretrato. Anche se per Fred non possiamo più fare nulla, per loro e per il resto dei nostri figli possiamo fare tutto, tutto. Possiamo fare la differenza tra…”
   Molly si guardò intorno con gli occhi di nuovo lucidi, come se cercasse le parole giuste sugli scaffali della cucina.
   “Tra un posto dove si abita e una casa; tra una convivenza e una famiglia. Capisci quello che voglio dire, Arthur?”
   L’uomo annuì.
   “Perfettamente, tesoro.”
   Ed era proprio quello che aveva bisogno di sentirsi dire.
 
   “Buongiorno, Greg.”
   Arthur si fermò davanti alla porta della stanza di Harry e lasciò che il giovane Auror lanciasse come di consueto lo Specialis Revelio. L’uomo si concesse poi un altro profondo respiro prima di girare il pomello della porta ed entrare.
   Harry era in compagnia del Guaritore Smethwyck, che stava ispezionando ancora una volta il morso, ridotto ormai a una semplice cicatrice sottile e biancastra. Melany, un’altra giovane Auror assegnata alla sorveglianza della camera, era seduta sul letto, il capo leggermente inclinato mentre studiava la scena.
   “Buongiorno, signor Weasley” lo salutò il Guaritore senza distogliere l’attenzione dal suo lavoro. “Stavo giusto dicendo ad Harry che il braccio è ormai in piena forma; quando non lo usa è meglio che lo tenga ancora nel fazzolettone, diciamo per le prossime due o tre settimane. Quindi direi proprio che per me è dimissibile.”
   Smethwyck passò un’ultima volta il pollice sulla cicatrice, poi si voltò verso Arthur rivolgendogli uno dei suoi rari sorrisi professionali e composti.
   “Davvero? E’ una notizia fantastica!” esclamò il signor Weasley passandosi una mano tra i capelli radi. “Quando può tornare a casa?”
   “Domani le carte saranno pronte. Diciamo nelle undici?”
   “Prenderò un permesso anche per domani” disse con sicurezza Arhtur; Harry gli sorrideva incerto oltre la spalla del Guaritore. Smethwyck aiutò il ragazzo a sistemare il braccio nel fazzolettone poi si congedò con un gesto brusco del capo, mentre Melany uscì per mandare un Patronus al suo Capo; il signor Weasley si avvicinò al ragazzo, che si alzò lentamente dalla poltrona scura. La maglietta e i jeans gli stavano un po’ larghi, era evidentemente dimagrito di qualche chilo durante il ricovero.
   “Quando lo dirò a casa impazziranno di gioia!” Arthur era entusiasta, non riusciva a smettere di sorridere. “Dirò a Molly di prepararti una montagna di costolette e…”
   “La torta ai mirtilli?” chiese quasi sottovoce Harry.
   “Ci sarà tutta la torta ai mirtilli che riuscirai a mangiare!”
   Il ragazzo allargò un po’ di più il sorriso stentato. Melany infilò la testa bionda nella camera.
   “Siete pronti?” chiese con una certa impazienza. “Il corridoio di Materializzazione con il quarto piano ha una durata limitata.”
   Come nella maggior parte degli edifici magici, anche al San Mungo erano attivi incantesimi Anti Materializzazione, per cui era necessario spostarsi a piedi al suo interno. Tuttavia, per evitare di far attraversare a Harry metà dell’ospedale esponendosi a rischi inutili, la Squadra Speciale Magica e l’Ufficio Trasporti Magici avevano creato un vero e proprio canale di Materializzazione univoca tra il secondo e il quarto piano, più precisamente tra la camera di Harry e quella di Andromeda, dove era stato messo di guardia Jake Spinner finché il corridoio fosse stato attivo.
   Alla domanda di Melany, il sorriso di Arthur svanì; l’uomo guardò Harry, sperando per l’ultima volta che avesse cambiato idea, ma lui annuì. L’Auror si avvicinò a loro.
   A volte i ragazzi fanno le loro scelte e noi possiamo solo star loro accanto.
   Le parole di Molly rimbalzarono nella mente di Arthur; l’uomo prese la spalla destra di Harry e la strinse con delicatezza.
   “Harry, quello che vedrai…”
   “Lo so” lo interruppe il ragazzo. “Me lo hai detto. Mi hai preparato. Voglio vederla, Arthur.”
   L’uomo annuì; strinse più forte la spalla di Harry e si concentrò sulla stanza di Andromeda Tonks, girando su sé stesso.
 
   La camera singola nel reparto Janus Thickey era piccola, ma le pareti chiare e le tendine colorate che qualche anima buona aveva messo all’unica finestra rendevano l’ambiente arioso e vagamente accogliente. A sinistra della porta si trovava un letto, mentre sul lato opposto erano stati sistemati una cassettiera e un piccolo tavolo, sul quale erano sparsi diversi completini da bambino dai colori vivaci. Andromeda era in piedi, i capelli scuri di nuovo raccolti in una crocchia ordinata, e canticchiava sommessamente mentre piegava con cura una tutina azzurra a pois bianchi.
   A braccia conserte e appoggiato allo stipite, Spinner fissava la donna masticando lentamente una corta radice di liquerizia; fece appena un cenno di saluto ad Arthur ed Harry quando si Materializzarono nella stanza, come se per nessuna ragione al mondo dovesse perdere di vista la signora Tonks. Lei per contro non sembrava nemmeno essersi accorta dei nuovi arrivati.
   Arthur si voltò verso Harry e si accorse che anche lui fissava Andromeda.
   “Non sembra stare male” sussurrò il ragazzo speranzoso. Lo stomaco del signor Weasley si contrasse, colpito dall’innocente speranza in quella frase; l’uomo avrebbe tanto voluto avere la risposta giusta, e invece chiamò la signora Tonks.
   “Buongiorno, Andromeda.”
   Lei si voltò, lo sguardo limpido.
   “Oh ciao Arthur! Hai portato con te Harry, hai fatto bene! Venite, venite avanti, non state sulla porta!”
   La signora Tonks lisciò con un ultimo, amorevole tocco la tutina, la ripose in un cassetto e si avvicinò ai due ospiti.
   “Come stai, Harry caro? E’ un piacere rivederti!”
   “B-bene” balbettò il ragazzo, un po’ confuso.
   “Gli hai già detto la bella notizia, Arthur?” chiese la donna con un sorriso smagliante; lo stomaco dell’uomo si contrasse ancora di più e lui allungò una mano sulla spalla di Harry: se le cose si fossero messe male lo avrebbe Smaterializzato all’istante nella sua camera al secondo piano.
   “Quale notizia?” chiese Harry prima che Arthur potesse aprire bocca.
   “Dora aspetta un bambino!” esclamò Andromeda estasiata; il signor Weasley vide il ragazzo sbiancare visibilmente.
   “Oh” mormorò Harry. “Una bella notizia davvero, congratulazioni.”
   Arthur strinse la presa sulla spalla del ragazzo, che però si ritrasse, come se avesse capito le sue intenzioni.
   “Sai, quella matta di mia figlia si è sposata in segreto, senza dire nulla a nessuno!” sbuffò Andromeda tornando verso i vestitini sul tavolo. “E’ proprio tipico di lei, mi farà impazzire. Non sono stata molto contenta, conosco a malapena questo… Remus.” La donna dedicò qualche momento di silenzio a piegare una minuscola maglietta gialla, poi riprese: “Dora mi ha detto che ha insegnato a Hogwarts. Hai seguito qualcuna delle sue lezioni per caso?”
   “Oh sì, signora” rispose il ragazzo, sempre più pallido. “E’ stato mio insegnante di Difesa contro le Arti Oscure al terzo anno.”
   “E come ti è parso? E’ un brav’uomo?” chiese Andromeda in tono pratico. Harry deglutì.
   “Sì” la voce del ragazzo era ridotta ad un sussurro. “E’… una persona meravigliosa.”
   Harry barcollò impercettibilmente, ma Arthur lo notò e gli passò un braccio attorno alle spalle; questa volta il ragazzo non si sottrasse al contatto fisico.
   “Avete visto Ted entrando?” la signora Tonks proseguì con il filo dei suoi pensieri, completamente persa nel suo mondo inesistente. “Ormai è ora di preparare la cena, Dora mangia come un lupo e io non so davvero stare dietro al suo appetito!”
   La risata cristallina della donna risuonò macabra sulle pareti chiare di quella finta casa. Harry si appoggiò completamente ad Arthur, che capì che il ragazzo aveva raggiunto il limite di sopportazione.
   Possiamo solo star loro accanto.
   “Dobbiamo andare, Andromeda” disse con il sorriso migliore che riuscì a trovare.
   “Che peccato” la donna li guardò con uno sguardo sinceramente dispiaciuto. “Tornerete presto?”
   Gli occhi di lei si riempierono improvvisamente di una strana consapevolezza, come se un angolo di quella mente sconvolta percepisse in pieno la solitudine e il dolore.
   “Certo, tornerò presto” rispose Arthur; poi strinse a sé Harry, salutò con un cenno del capo Spinner e si Smaterializzò.
   Ad aspettarli nella camera al secondo piano c’era ancora Melany, che notò subito il colorito cereo del ragazzo.
   “Vuoi che chiami il Guaritore?” chiese brusca guardando Arthur da sotto in su. L’uomo scosse la testa.
   “Ci puoi lasciare soli un attimo?”
   L’Auror scrutò con attenzione sia lui che Harry, poi annuì ed uscì dalla stanza. Il ragazzo si sedette sul letto e si tolse gli occhiali, appoggiandoli di fianco a sé, poi si pizzicò la radice del naso con una smorfia.
   Arthur sapeva che sarebbe successo. E sapeva anche, da padre di sette figli, di che cosa aveva bisogno Harry. Si sedette di fianco a lui e lo circondò nuovamente con un braccio, in silenzio; il ragazzo non solo lo lasciò fare, ma appoggiò la testa alla sua spalla. Arthur lo strinse di più e gli mise la mano sinistra sulla nuca, mentre Harry si aggrappava con tutte le forze alla sua veste.
   Possiamo fare la differenza tra un posto dove si abita e una casa; tra una convivenza e una famiglia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Eccoci qua! Come promesso, abbiamo fatto una capatina nel reparto chiuso del San Mungo, non proprio piacevole, ma ci tenevo a fare un salutino ad Andromeda.
E alzi la mano chi non si è innamorato di Arthur dopo questo capitolo! Harry di fatto ha perso per strada tutti coloro che potevano rappresentare per lui una figura paterna e il signor Weasley sembra del tutto intenzionato a candidarsi come degno sostituto.
La buona notizia è che nel prossimo capitolo si torna alla Tana! Sarà un aggiornamento bello denso, quindi via quei fazzoletti e preparate una bella ciotola di pop corn.
 
E già che ci siete, mentre aspettate il prossimo capitolo, passate dalla pagina di Daeny394 (sì, sono ancora inchiodata al divano).
 
Detto ciò, grazie come sempre a chi ha letto e a chi leggerà, a chi segue la storia e soprattutto a chi recensisce!
 
Special thaks to:
Circe e Gulminar, grazie davvero delle vostre recensioni, ho apprezzato davvero molto le vostre parole!
 
Smack
Gin
 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** 8 luglio 1998 – San Mungo ***


Conosci il tuo nemico? […]
Non farti accecare dalle bugie
Nei tuoi occhi […]
Il silenzio è il tuo nemico

Know your enemy – Green Day
 
 
 

 
 
8 luglio 1998 – San Mungo
 

 
   Le prime luci dell’alba trovarono Harry sveglio, seduto sul letto: si era girato e rigirato tra le lenzuola per tutta la notte, incapace di prendere sonno, e guadagnandosi anche qualche occhiataccia di Spinner, che tentava almeno di dormire qualche ora visto il doppio turno che si era beccato quel giorno. Ma Harry davvero non ci poteva fare niente: un’assurda accozzaglia di emozioni diverse si agitava nel suo petto e lui non aveva proprio idea di come fare a calmarle.
   La voce di Andromeda continuava a tormentarlo: tutte le volte che chiudeva gli occhi sentiva la signora Tonks che annunciava entusiasta la gravidanza della figlia o, peggio, che gli chiedeva se Remus era un brav’uomo. Quella domanda, più di tutto il resto, aveva ferito Harry. Inevitabilmente l’immagine dei cadaveri di Tonks e Lupin, mano nella mano, riaffiorava con forza nella memoria del ragazzo, portandosi dietro i sensi di colpa che lo avevano divorato nelle prime settimane dopo la Battaglia di Hogwarts.
   Quando riusciva a scacciare quei pensieri, era solo per far spazio alla vergogna bruciante: aveva pianto davanti ad Arthur. E non qualche lacrima: i suoi nervi avevano proprio ceduto e il padre della sua ragazza lo aveva dovuto consolare.
   La schiena di Spinner scricchiolò rumorosamente, mentre l’Auror si raddrizzava sulla poltrona scura e muoveva il collo legnosamente. I capelli grigi stavano ormai battendo ritirata sulle tempie, ma l’uomo insisteva nel portarli lunghi fino alle spalle, legati in un codino liscio che lo faceva assomigliare a un grosso topo imbolsito.
   “Vuoi del caffè, Potter?” chiese con la voce impastata. Il ragazzo annuì con un sospiro e si decise a recuperare gli occhiali dal comodino; Jake si sporse oltre il bracciolo della poltrona, verso il proprio mantello, dal quale estrasse un thermos e due assurde tazze di ceramica, riempiendole di caffè e scaldandole con un colpo di bacchetta. Ne allungò a Harry una a righe gialle e nere, sulla quale una grossa scritta inneggiava alle Vespe di Wilburne; tenne per sé quella rosa shocking, che recitava a caratteri glitterati: “Sono sicura al 99.9% di essere una principessa”.
   “Non è mia” grugnì Spinner sorseggiando rumorosamente il caffè. “E’ di mia figlia. Di quale anno fa, insomma.” Fissò con sguardo assente la scritta scintillante. “Mi ricordo ancora quando ci inzuppava i biscotti di sua madre. Era maldestra come pochi, riusciva a sporcare di latte anche le pareti! Ma si sentiva proprio una principessa con questa tazza.” Bevve di nuovo e aggiunse: “Adesso… ha sposato un insipido commesso di Madama McClan e sorpresa! Sono diventato nonno. Peccato che abbia avuto un maschio, altrimenti avremmo potuto riciclarla.”
   Harry si lasciò strappare un sorriso e ingoiò un lungo sorso di caffè bollente; era proprio quello che ci voleva.
 
   Spinner aiutò Harry con i bagagli, anche se le operazioni di sgombero richiesero poco tempo: nell’armadio c’erano giusto un paio di tute e il comodino era pieno di vecchi numeri della Gazzetta del Profeta che il ragazzo decise di Evanescere in blocco. L’unica cosa veramente preziosa era la foto di Molly, Teddy e Ginny, che venne riposta con cura nel borsone.
   Joy, la bionda Assistente che piaceva tanto a Greg, arrivò con la solita colazione a base di the e biscotti così insapori da far sospettare che fossero fatti di cartone; Harry per una volta li mangiò volentieri, pensando che quella era l’ultima colazione così terribile, e si concesse di immaginare il sapore della favolosa torta di mirtilli di Molly che lo aspettava alla Tana.
   Verso le dieci e mezza il Guaritore Smethwyck portò in camera un grosso rotolo di pergamena, che consegnò a Harry.
   “Mi raccomando” disse per l’ennesima volta. “Niente sforzi con quel braccio, continua a fare i tuoi esercizi. E per almeno due settimane…”
   “Quando non uso il braccio lo devo tenere nel fazzolettone” completò il ragazzo senza esitazioni. Le labbra di Smethwyck si incresparono in un veloce sorriso.
   “Ci vediamo al controllo, a metà agosto” ordinò il Guaritore, poi si portò il pollice destro alla fronte ed eseguì quella specie di saluto che ormai Harry conosceva bene. “Riguardati, Harry.”
 
   Quando la porta della camera si aprì, Harry si aspettava di veder entrare Arthur, ma quella testa rossa non apparteneva al signor Weasley.
   “Ciao Harry!”
   Ron, mano nella mano di una sorridente Hermione, salutò l’amico con un cenno della testa.
   “Papà si è preso, emh, un po’ troppi permessi ultimamente” spiegò in risposta allo sguardo interrogativo dell’amico. “Oggi è dovuto andare in ufficio per forza. Così siamo venuti noi!”
   Harry sorrise di cuore, per la prima volta da giorni e giorni: era decisamente un sollievo per lui poter rimandare, anche solo di qualche ora, il momento in cui avrebbe dovuto guardare in faccia Arthur dopo aver frignato sulla sua spalla come un perfetto deficiente.
   “Sei pronto?” chiese allegramente Hermione. “Molly ha sfornato così tanta torta ai mirtilli che fino a Natale non vorrai più sentirne nemmeno parlare!”
   Ron si caricò il borsone su una spalla e Spinner si alzò dalla poltrona scura, una mano alla base della schiena per sorreggere il peso delle lunghe ore di veglia.
   “Abbiamo un corridoio di Materializzazione anche oggi?” chiese Harry; Jake scosse la testa.
   “La Tana è troppo distante da Londra per creare un corridoio diretto; oggi andiamo con la Metropolvere. Ti Disilluderò in modo che i giornalisti – o altro – non ci diano noie e attraverseremo l’Atrio il più velocemente possibile.”
   Harry si alzò a sua volta, pronto per la Disillusione, quando la porta della stanza si aprì di nuovo: Frank Prewett entrò a lunghi passi, i pugni piantati sui fianchi e il sigaro spento infilato tra i denti. A poca distanza lo seguiva Greg, l’aria distratta di chi sembrava capitato lì per caso.
   “Potter! Finalmente in piedi, eh?” sbraitò il Capo degli Auror con un sorriso. Harry inarcò le sopracciglia: in più di venti giorni di ricovero il signor Prewett non aveva mai chiesto notizie di lui, né tanto meno si era fatto vedere.
   “Buongiorno” Harry scelse una risposta vaga ed educata. “Mi sento meglio, sì.”
   Il ragazzo sentì irrigidirsi Hermione al suo fianco, mentre Frank annuiva soddisfatto.
   “Potter, volevo che lo sapessi prima da me” esclamò estraendo un foglio di pergamena dalla veste blu di ordinanza. “Prima che lo pubblichi il Profeta domani, insomma.”
   Prewett allungò la pergamena a Harry, che la spiegò davanti a sé in modo che anche i suoi amici potessero leggere.
 
 
ARRESTATO RESPONSABILE DELL’ATTACCO AD HARRY POTTER
NARCISSA MALFOY TRAMAVA VENDETTA
 
   Ieri mattina l’Ufficio Auror ha rilasciato il comunicato ufficiale: Narcissa Malfoy, nata Black, è stata arrestata per l’aggressione a Harry Potter, avvenuta il 17 giugno scorso.
   Dopo ore di interrogatorio, la donna ha confessato di aver Suggestionato il Guaritore e Vampiro Hugo Ziemsenn tramite Magia Oscura, probabilmente utilizzando una Pietra di Sangue e un particolare tipo di Maledizione Imperius. Le dinamiche e i tempi sono ancora al vaglio degli Auror.
   Narcissa Malfoy, come i più sapranno, è la moglie del noto Mangiamorte Lucius e madre di Draco, al momento sotto processo con l’accusa di aver fatto parte a sua volta dei seguaci di Colui-che-non-deve-essere-nominato. Secondo le prime dichiarazioni dell’Ufficio Auror, la donna avrebbe covato intenti di vendetta sin dall’arresto dei suoi familiari, all’indomani della Battaglia di Hogwarts, ideando ed attuando il progetto di uccidere Harry Potter grazie alle sue doti di abile Strega.
   Sulle tracce di Narcissa Malfoy si era messo il Capo stesso dell’Ufficio Auror, Frank Prewett, che ha dichiarato di aver seguito la pista ottenuta da altri due recenti arresti, Garth e Gregory Goyle, autori dell’effrazione a casa di Xenophilius Lovegood all’inizio di giugno.
   “Harry può ritenersi al sicuro, adesso” ha affermato Prewett. “Quei fottuti bastardi sono al fresco!”
 
   L’articolo proseguiva con un mucchio di fesserie giornalistiche sul sospiro di sollievo che la Comunità Magica poteva tirare. Harry abbassò la pergamena e scambiò un velocissimo sguardo con Hermione, che stringeva le labbra nella sua peggior espressione perplessa.
   Narcissa Malfoy? La stessa che aveva mentito a Voldemort salvando la vita di Harry solo per poter entrare nel castello di Hogwarts e recuperare il figlio? C’era qualcosa che non andava in quella versione, qualcosa che a Harry sfuggiva.
   “Allora, Potter! Non è una bella notizia?” berciò il Capo degli Auror, le guance rosse. “Caso risolto! I cattivi sono in prigione!”
   Il ragazzo mostrò l’espressione più convinta e felice che riuscì a trovare.
   “E’ davvero una notizia splendida, signor Prewett.”
   “E dovrebbero essere contenti anche i nostri amici, qui” esclamò Frank indicando Greg e Spinner. “La scorta non è più necessaria.”
   Harry vide Jake stirare le labbra in un sorriso stanco, ma l’Auror più giovane non mosse un muscolo, come se il suo Capo avesse semplicemente detto loro che domani ci sarebbe stato il sole. Hermione inspirò rumorosamente.
   “C’è qualche problema, signorina Granger?” chiese Prewett in un tono formale che non gli apparteneva.
   “Mi chiedevo solo… ha interrogato lei personalmente Narcissa Malfoy?” disse la ragazza scegliendo accuratamente le parole; Harry la conosceva troppo bene per non capire che aveva in mente qualcosa.
   “Certo” rispose Frank con una lieve incertezza.
   “Ho assistito anch’io” intervenne in un moto di orgoglio Greg. “Oserei dire da manuale, signore!”
   Frank gli dedicò un sorriso compiaciuto.
   “Proprio ieri” proseguì Hermione. “Ron mi diceva quanto desiderasse vedere un interrogatorio fatto da lei, signor Prewett. Sarebbe… sarebbe possibile avere il suo Ricordo? Sarebbe veramente interessante.”
   Un’ombra fugace passò sul volto di Frank, il sorriso da pub irlandese congelato per un momento.
   “Ha un Pensatoio, signorina Granger?” chiese asciutto.
   “Ci possiamo organizzare” ribatté Hermione, ostentando innocenza.
   “Posso darvi il mio Ricordo” si offrì Greg con l’evidente intento di uscire da quel momento di impasse; estrasse la bacchetta, poi sbirciò il proprio capo. “Se sei d’accordo, capo.”
   Prewett fissò Hermione ancora per qualche istante, poi il consueto sorriso eccessivo si aprì nuovamente sul suo volto.
   “Ma certo che sono d’accordo! Mi fa sempre piacere aiutare le nostre giovani leve!”
   Prewett rise chiassosamente; Hermione tirò una gomitata nelle costole di Ron, che balbettò un “Grazie, Frank” appena udibile.
   Il Capo degli Auror si congedò senza troppe cerimonie, lasciando che Greg Evocasse una fialetta di vetro e vi spingesse con delicatezza un Ricordo estratto dalla sua tempia coperta di ricci scuri. L’uomo tappò la fialetta e fissò con attenzione Hermione per qualche lungo momento.
   “Spero che tu non abbia dubbi su Prewett” disse sottovoce. “E se ne hai, questo ti farà cambiare idea.” Prese una mano della ragazza, vi mise il Ricordo e la chiuse con entrambe le sue, regalandole poi uno dei suoi sorrisi da consumato play boy. “Penso ancora che sia incredibile che tu non faccia il corso da Auror.”
   Harry poteva quasi sentire il calore emanato dalle orecchie di Ron che viravano al rosso fuoco, mentre Greg voltava loro le spalle e li incitava ad uscire dalla stanza con un ampio gesto della mano.
   “Datevi una mossa, ragazzi, abbiamo tutti degli impegni per pranzo!”
 
   “Cosa diavolo ti è saltato in mente?”
   Ron bisbigliava furioso nelle orecchie di Hermione mentre scendevano le scale. Harry, a pochi passi di distanza dai due, era stato Disilluso da Spinner, che lo teneva per il braccio buono, mentre dall’altro lato Greg teneva con noncuranza la mano sulla bacchetta nella tasca interna della veste blu.
   “Stai zitto!” era l’unica risposta che la ragazza continuava a sibilare, la schiena dritta e le spalle rigide come un soldato mentre marciava gradino dopo gradino. Ron e Hermione si fermarono all’imbocco del corridoio, a un passo dall’Atrio del San Mungo, uno di fronte all’altra; per poco Harry e Jake non rovinarono loro addosso.
   “Tu sei fuori di testa!” sibilò ancora Ron; Hermione strinse le labbra in modo preoccupante, estrasse la bacchetta e la puntò sulle labbra del ragazzo.
   “Silencio” sussurrò in tono incredibilmente risentito; lo sguardo di lui avrebbe potuto incendiare un intero campo da Quidditch. Un gruppetto di giornalisti si affrettò rumorosamente verso di loro; alcuni avevano una Penna Prendiappunti in bilico sui taccuini.
   “Signor Weasley, come sta Harry?”
   “Signorina Granger, una domanda!”
   Spinner afferrò una spalla di Hermione, la scostò bruscamente e puntò la bacchetta con decisione verso quella piccola folla.
   “Impedimenta! Fuori dai piedi, oggi niente dichiarazioni!”
   Ron e Hermione ne approfittarono per sgattaiolare verso la Metropolvere, seguiti a ruota dall’Auror più anziano e da un Harry visibile solo da occhi molto attenti. Greg invece rimase all’imbocco delle scale, con un sorriso rilassato stampato sulle labbra.
   “Signori, perdonate il mio collega! E’ in partenza per una missione piuttosto delicata. Sarò felice di aggiornarvi sullo stato di salute di Harry.”
   Con queste poche frasi Greg si guadagnò tutta l’attenzione dei giornalisti, distogliendola completamente dal camino che ospitava fiamme verdi e apparentemente inutilizzate.
   “Vai dritto alla Tana, Potter” sussurrò Spinner all’orecchio Disilluso del ragazzo. “E aspettami in salotto. Non fare scherzi. Ti voglio consegnare direttamente tra le braccia di Molly Weasley.”
   Harry esitò un attimo prima di entrare nella Metropolvere: aveva lavorato duramente perché quel giorno arrivasse il più in fretta possibile, per tornare alla Tana e prendersi cura di Teddy e Ginny. Ma non era del tutto sicuro che ci sarebbe riuscito. A dire il vero non era più sicuro di niente, da parecchio tempo ormai, se non di poche cose; e il desiderio di tornare alla Tana era decisamente una di queste certezze. Trasse un bel respiro e si infilò tra le fiamme.
 
   Fu come entrare nel Ricordo di qualcun altro: il vecchio divano era al suo posto, davanti al camino, con i suoi cuscini di pizzo sgualcito; la poltrona di Molly aspettava placida in un angolo, di fianco alla grossa radio; dalle pareti decine di bambini e ragazzi dai capelli rossi salutavano con la mano e si rincorrevano fuori e dentro dalle cornici scolorite dal sole. Era tutto al suo posto, ma stranamente lontano, come se Harry non fosse realmente nella stanza.
   “Ginny, metti a posto quelle sedie, non farmelo ripetere!”
   La voce di Molly entrò dalla finestra aperta e riscosse Harry come uno schiaffo in pieno volto. Il cuore fece un balzo nel petto: era davvero tornato alla Tana.
   Le fiamme del camino diventarono di nuovo verdi e Hermione atterrò sul tappeto del salotto con un saltello; alzò lo sguardo su Harry e spostò la testa di lato, come se qualcosa la avesse incuriosita.
   “Tutto bene?” chiese con tono un po’ apprensivo; il ragazzo annuì sfoggiando il sorriso più convincente che riuscì a trovare. Ron uscì in quel momento dal fuoco, rovinando addosso ad Hermione che era ancora ferma nello stesso punto; il ragazzo si rizzò in tutta la sua altezza, puntò un indice minaccioso verso la propria ragazza e cominciò a vomitare parole concitate.
   “Se provi di nuovo a fare una cosa del genere…”
   Hermione non si scompose, ma anzi lo zittì con un gesto secco della mano.
   “Discuteremo dopo! Abbiamo poco tempo prima che arrivi anche Spinner. Stasera, alle nove, in camera mia e di Ginny. Riunione di emergenza.”
   Le fiamme del camino virarono ancora una volta sul verde; i tre ragazzi si allinearono davanti al tappeto, aspettando l’arrivo di Jake in un silenzio vagamente teso. Il vecchio Auror uscì dal fuoco tossendo e spegnendo con la mano un angolo della tunica al quale alcune scintille avevano attecchito; alzò gli occhi e scrutò il terzetto come se cercasse di capire se erano le persone giuste.
   “Molly è in giardino con gli altri” trillò Hermione in tono spensierato; Spinner annuì e le fece cenno di fargli strada. Harry si unì alla piccola processione, gli occhi bassi, il cervello che lavorava freneticamente: in mezzo all’emozione di tornare alla Tana, aveva quasi dimenticato che Hermione aveva chiesto senza alcun pudore il Ricordo dell’interrogatorio di Narcissa Malfoy. Non fece nemmeno in tempo a farsi un’idea propria su quanto era appena accaduto: come mise piede nel giardino dei Weasley fu accolto da esclamazioni e applausi. Un lungo tavolo era stato disposto poco distante la porta d’ingresso della Tana e riempito fino all’inverosimile di costine di maiale, pasticcio di pollo e torta ai mirtilli. Molly e Fleur sorridevano e applaudivano, mentre Ginny ululava allegra con in braccio Teddy, che la guardava con gli occhi spalancati, il ciuffetto di capelli ancora grigiastro. Sopra il tavolo c’era, sospeso a mezz’aria da un Incantesimo, uno striscione che recitava a lettere scarlatte: Bentornato a casa, Harry!
   Harry sbatté più volte le palpebre, ricacciando indietro le lacrime di commozione. Non poteva piangere in continuazione, proprio no. Ma non poteva fare a meno di pensare che aveva quasi perso tutto quello che si trovava davanti.
   Era sopravvissuto per un soffio all’attacco del Vampiro, salvato da Ron, ancora una volta.
   Ginny l’aveva quasi lasciato, a causa di quello che lui era, della serenità che non poteva darle.
   Aveva quasi rischiato di non poter più rimettere piede alla Tana – con che faccia avrebbe potuto rimanere lì, se Ginny avesse deciso di lasciarlo? Ron lo avrebbe preso a calci personalmente fino alla Manica.
   Quasi, quasi, quasi. Sempre per il rotto della cuffia, salvo solo fino al prossimo guaio. Chi poteva condividere con lui quel peso?
   Si guardò intorno e la risposta arrivò da sola. Una parte di lui desiderava poter risparmiare a tutte quelle persone dal cuore grande la sua croce personale, ma anche se davvero avesse voluto, era ormai troppo tardi: Ron e Hermione erano diventati i suoi fratelli, uniti da anni di condivisione e sacrificio; Molly e Arthur lo avevano praticamente adottato, da molto prima che Harry stesso se ne accorgesse; e poi c’era Ginny, che nonostante le incertezze e la paura, aveva comunque scelto lui, aveva scelto loro.
   D’un tratto si sentì incredibilmente egoista – ed incredibilmente fragile.
   “Grazie” riuscì a bisbigliare. “Grazie a tutti quanti.”
   Hermione lo prese sotto braccio e lo condusse con un sorriso verso una sedia. Molly si parò davanti a lui con aria seria.
   “Santo Cielo, quanto sei dimagrito Harry. Cosa diavolo ti davano da mangiare al San Mungo?”
   “Schifezze, credimi” sentenziò Ginny, poco distante. Harry la fissò ipnotizzato e lei sorrise, avanzando verso di lui con Teddy in braccio. Solo in quel momento il ragazzo notò con sorpresa quanto il bambino fosse cresciuto; liberò il braccio sinistro dal fazzolettone e si allungò istintivamente verso di lui. Ginny gli passò il fagottino, ridendo intenerita; Teddy fissò Harry per qualche momento, poi il suo ciuffetto di capelli virò dal grigio al fucsia: lo aveva riconosciuto.
 
   Fu solo dopo una mezzora abbondante, quando ormai il braccio sinistro di Harry cominciava a tremare debolmente, che il ragazzo permise a Molly di prendere Teddy dalle sue braccia.
   “Ha bisogno di mangiare, Harry” disse paziente la signora Weasley. “E anche tu!” aggiunse con un tono che non ammetteva repliche. Fece per voltarsi, ma il ragazzo appoggiò la mano destra sull’avambraccio di lei; non strinse la presa, ma il gesto fu sufficiente a farla fermare.
   “Molly, io…” Harry deglutì e ripensò al viso stanco nella foto che teneva sul suo comodino al San Mungo. “Mi prenderò cura di Teddy. Non sei sola.”
   Molly sorrise, quasi compassionevole, mentre cullava il bambino che cominciava a lamentarsi; qualcosa nello stomaco di Harry si contrasse bruscamente.
   “Tesoro, grazie, lo so. Ma non devi fare nulla, non hai nemmeno diciott’anni! Devi pensare a studiare e a diventare un Auror. Poi un giorno, magari, quanto tu e Ginny…” lasciò la frase in sospeso, lanciando uno sguardo veloce alla figlia impegnata con un piatto di pasticcio di pollo. “Io… io sono una mamma. E’ questo che faccio nella vita.”
   Molly gli rivolse un ultimo sorriso, stanco e tenero allo stesso tempo.
   “Mangia qualcosa, Harry, o incaricherò Ginny di imboccarti personalmente!”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Come promesso, capitolo bello denso!
Da una parte Harry si tormenta per qualsiasi cosa (ma che strano, eh?), quindi abbiamo tutto il subbuglio emotivo che gli ha provocato un po’ l’incontro con Andromeda il giorno prima e un po’ il ritorno alla Tana.
Dall’altra, la notiziona dell’arresto di Narcissa Malfoy! Per fortuna c’è Hermione che non si è fatta scappare l’occasione d’oro di saperne di più. Per il momento non commento oltre, tra qualche capitolo avremo modo di vedere in prima persona il Ricordo di Greg e… beh, mi direte cosa ne pensate. 
Ah, PS, le citazioni a inizio capitolo non sono mai casuali, ovviamente.

Io mi sto davvero divertendo come una matta a scrivere, spero di riuscire a tenere stretti tutti i fili che ho in mente in maniera decente.
Grazie come sempre a chi ha letto e leggerà, chi segue e chi commenta, puntualmente o saltuariamente, mi fa sempre un piacere enorme.
Devo dire che i signori Weasley dello scorso aggiornamento hanno fatto quasi più “successo” di Ron che affronta la prova da Auror e questo mi rende molto felice. Come credo di aver scritto a quasi tutti, in quel capitolo c’è un bel pezzettone di me e vedere che è piaciuto così tanto mi fa sciogliere come una principessa Disney davanti a un enorme abito rosa <3 <3 <3
 
Special thaks to:
kappolina – tra le prime ad esprimere un parere positivo per i miei Arthur e Molly, grazie!
Circe – di nuovo, sì. Si è divorata la storia a tempo record, quindi davvero grazie di cuore!
 
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** 8 luglio 1998 – La Tana ***


Dovevo dire cose
Cose che sai
Che ti dovevo, che ti dovrei […]
E vorrei che ti bastasse solo quello che ho […]
Le mie parole non servon più.
 
Ho perso le parole – Luciano Ligabue
 
 


 
8 luglio 1998 – La Tana
 

 
   L’orologio da polso di Ginny segnava le nove meno venti. La ragazza si pulì un’ultima volta le mani nel vecchio strofinaccio a fiori e sospirò: aveva faticato non poco, ma finalmente la cucina era in ordine. Sua madre si era concessa un po’ di riposo insieme a suo padre; li sentiva chiacchierare sommessamente, in salotto, la culla di Teddy probabilmente davanti al divano come facevano quando i loro figli erano piccoli.
   Ginny chiuse gli occhi e si appoggiò per un momento alla parete della cucina, chiedendosi per l’ennesima volta se lei e Harry sarebbero mai riusciti a raggiungere quel tipo di equilibrio, quello che ti tiene in piedi anche se sei sulla lama di un coltello. Le parole di suo padre si rincorrevano incessantemente nella sua testa: non ti sto dicendo che una vita del genere sia desiderabile, ti sto dicendo che è possibile.
   Aveva preso la sua decisione e non sarebbe tornata indietro, ma il suo coraggio – quel coraggio che le aveva ottenuto lo Smistamento a Grifondoro, quello che l’aveva sostenuta negli anni dell’Esercito di Silente e che aveva sbandierato con tanta fierezza nella lettera a Harry – ecco, quel coraggio sembrava essere salito su un’altalena il diciassette di giugno. C’erano giorni in cui Ginny sorrideva come una bambina davanti a Mielandia, in cui tutto sembrava facile e perfetto, perché lei era la ragazza di Harry Potter e nulla sarebbe andato storto; poi c’erano momenti in cui l’anello che portava ancora appeso al collo sembrava pesare una tonnellata, in cui si chiedeva se ci fosse un futuro per lei e Harry o se avessero firmato la loro condanna a un’eterna fuga.
   Non aveva più pensato di lasciarlo. Anzi, si vergognava tremendamente per quello che aveva fatto; Harry l’aveva perdonata – lei lo capiva da come la guardava, da come le parlava. Ma Ginny dubitava che sarebbe riuscita a perdonare sé stessa; si rimproverava continuamente quella debolezza, così meschina e terribile ai suoi occhi. Hermione le aveva ripetuto molte volte – senza che peraltro le venisse chiesto – che la sua reazione era stata comprensibile, del tutto normale e che doveva piantarla di tormentarsi. Balle. Era stata spregevole: aveva costretto Harry a prometterle di stare con lei e poi lei stessa gli aveva voltato le spalle; aveva convinto Harry ad essere sincero con lei, a parlarle di tutto, e poi lei gli aveva rifilato una Ginny edulcorata e perfezionata, una bella maschera che era crollata al primo soffio di vento.
   Negli anni Ginny aveva imparato che le proprie emozioni andavano nascoste: non puoi mai sapere cosa ne faranno quelli a cui le affidi. L’ultima volta che aveva pianto davanti a uno dei suoi fratelli aveva cinque anni: era caduta correndo in giardino, giocando con Fred e George. I due gemelli l’avevano presa in giro fino al giorno dopo; Ginny ricordava quello come il momento in cui aveva promesso a sé stessa che non avrebbe mai più pianto davanti a nessuno. L’esperienza con il diario di Tom Riddle aveva radicato ancora di più quelle idee, convincendola che l’unico modo per sopravvivere era costruire un bel muro oltre il quale non sarebbe mai andato nessuno.
   Poi Harry si era accorto di lei; era entrato nella sua vita senza chiedere permesso e aveva sconvolto tutte le sue certezze, l’aveva trascinata ad affrontare tutte le sue paure più grandi: l’abbandono e la condivisione. Lui si era seduto con calma davanti al muro che Ginny aveva faticosamente costruito negli anni e con poche parole l’aveva abbattuto: se siamo una squadra, dove non arrivo io ci sei tu e viceversa. Aveva la sgradevole sensazione di essere completamente nuda davanti a lui: Harry sapeva tutto, vedeva tutto, i pregi ma soprattutto i difetti, e comunque la voleva accanto.
   Ginny aveva atteso il giorno del rientro di Harry a casa con impazienza e terrore allo stesso tempo: una parte di lei lo desiderava, disperatamente e da sempre, come gli aveva detto qualche mese prima; ma un’altra parte si sentiva sull’orlo di un precipizio di cui non vedeva il fondo. Prima o poi si sarebbero di nuovo trovati da soli, lei e Harry, e cosa dici a una persona che prima hai cercato di lasciare, e alla quale hai poi detto il tuo primo “ti amo”?
   Il brontolio di un tuono riscosse Ginny dalle sue riflessioni cariche di ansia; la ragazza si staccò dal muro e si avvicinò alla finestra: il cielo si stava riempiendo di grosse nuvole nere, che promettevano presto pioggia. Chiuse i vetri e guardò di nuovo il suo orologio da polso: nove meno dieci. Era meglio sbrigarsi, Hermione aveva indetto una riunione di emergenza o roba del genere nella loro camera, quindi Ginny non aveva proprio modo di schivarsela e tanto valeva essere puntuali, o Hermione avrebbe dato di matto. Era tornata dal San Mungo tesa come una corda di violino e l’ultima cosa che Ginny voleva fare era contrariarla.
   Percorse il corridoio, salì pigramente le scale e aprì con una leggera spinta la porta della sua stanza; trattenne il fiato rumorosamente e per poco non estrasse la bacchetta dalla tasca dei jeans quando vide una sagoma appollaiata sul davanzale della finestra spalancata, da cui entrava già l’aria carica di pioggia.
   “Harry!” esclamò. “Che diavolo…?”
   Il ragazzo, che stava fissando un punto imprecisato fuori dalla finestra, si girò e la guardò con tenerezza, un mezzo sorriso sulle labbra.
   “Ciao Gin. Ron e Hermione stanno ancora discutendo in camera nostra, così sono venuto… qui.”
   Ginny notò con una stretta al cuore che Harry sembrava un mucchietto di stracci buttato sul davanzale; il lungo ricovero lo aveva proprio ridotto pelle e ossa, pallido e magro come lo aveva visto poche volte.
   “Hai fatto bene” disse banalmente la ragazza; si rese conto di aver attraversato la stanza quando ormai era a pochi passi dalla finestra – a pochi passi da Harry. Era molto più facile di quanto non avesse immaginato.
   “Hermione ha usato il Silencio su Ron oggi al San Mungo” spiegò Harry trattenendo a stento una risata. “Credevo che tuo fratello sarebbe esploso, tanto è diventato rosso!”
   Ginny rise, gli occhi spalancati di stupore, immaginando la scena. Ancora una volta, si avvicinò a Harry senza realmente rendersene conto se non nel momento in cui le sue mani erano già scivolate attorno ai fianchi di lui. Il ragazzo liberò il braccio sinistro dal fazzolettone e abbracciò Ginny, che senza la minima esitazione portò le labbra sulle sue, trovandosi al centro di un lungo bacio appassionato, il primo dopo settimane e settimane. Era tutto estremamente facile, naturale… e perfetto. Tutti i timori di poco prima sembravano adesso sciocche paure di una ragazzina. Ma lei non era più una ragazzina, non tra le sue braccia…
   La pioggia cominciò a cadere improvvisamente, come se qualcuno avesse aperto una doccia e una folata di vento scaraventò qualche litro di acqua direttamente su Harry e Ginny. A malincuore interruppero il bacio e si allontanarono di tutta fretta dalla finestra, ridendo come bambini; lui le teneva un braccio attorno alle spalle, protettivo. Era tutto così speciale…
   “Gin, perché piangi?”
   La ragazza sbatté gli occhi, imbarazzata.
   “Non sto piangendo” mentì.
   “Allora ti è caduta della pioggia sulla faccia.”
   Harry sorrise e le passò il pollice sulla guancia, asciugandola.
   Lui sa tutto, vede tutto, i miei pregi e i miei difetti… e mi vuole accanto lo stesso.
   Ginny si alzò sulle punte dei piedi per riprendere il bacio e magari andare anche più avanti, ma la porta della camera si aprì ed Hermione entrò di gran carriera, seguita da Ron più imbronciato che mai.
   “Ragazzi, sta piovendo dentro!” ululò Hermione, chiudendo la finestra con un colpo di bacchetta. “Ma che… per piacere, non adesso!”
   Hermione aveva proprio un bel coraggio a riprenderli, con tutte le effusioni che si erano scambiati lei e Ron senza alcun ritegno negli ultimi due mesi. Ginny si abbassò di nuovo, riservando all’amica la peggiore delle sue occhiate.
   “Lo stavo aiutando” disse in tono piatto, afferrando il braccio di Harry con una mano e il fazzolettone con l’altra; doveva essere stata un po’ troppo brusca, perché il ragazzo si lamentò sotto voce ma la lasciò comunque fare.
   Le due ragazze si sedettero sui rispettivi letti, Harry si accomodò di fianco a Ginny, la schiena appoggiata al muro, mentre Ron si appollaiò sulla sedia della scrivania, le braccia incrociate e l’aria torva. Senza aggiungere una parola, Hermione allungò all’amica una pergamena ripiegata; aspettarono tutti in silenzio che Ginny terminasse la lettura.
   “Narcissa Malfoy?” chiese la ragazza perplessa, più a sé stessa che a qualcuno in particolare. “E’ plausibile, ma… sono l’unica che pensa che ci sia qualcosa che non torna?”
   Hermione scosse la testa.
   “Per esempio, non si fa alcun accenno a chi l’avrebbe aiutata dall’interno. Non credo che i Malfoy abbiano degli agganci all’interno del Ministero adesso che la metà è reclusa ad Azkaban.”
   “Kingsley mi ha detto che Villa Malfoy è stata espropriata e adesso è usata come prigione” intervenne Harry. “Credete sia una coincidenza?”
   “Dipende da chi ha la gestione di Villa Malfoy” Ron ragionava ad alta voce, la fronte aggrottata. “So che Azkaban adesso è sotto il controllo della Squadra Speciale Magica.”
   Hermione lo guardò con le sopracciglia inarcate.
   “Che c’è? Me l’ha detto il tuo amico Greg” Ron sottolineò le parole come se fossero una grave offesa.
   “Oh, intendi il tuo collega?” ribatté Hermione, le guance arrossate ma lo sguardo duro.
   Ron aprì la bocca per replicare ma Ginny fu più veloce e cambiò argomento con il chiaro intento di evitare la lite che si profilava all’orizzonte.
   “Mamma e papà cosa ne pensano?”
   Un silenzio imbarazzato calò nella stanza, riempito dallo scrosciare della pioggia torrenziale contro i vetri. Ron guardò la sorella come se avesse appena proposto di adottare uno Schiopodo Sparacoda come animaletto domestico.
   “Non hanno letto questa?” chiese Ginny stupita alzando la pergamena che aveva ancora in mano. Hermione sbatté le palpebre a disagio, come se all’improvviso avesse dimenticato tutte e tre le leggi di Golpalott.
   “Non so cosa ne pensate, ma a me sembra un’ottima idea mettere al corrente anche loro, membri dell’Ordine della Fenice da prima che noi venissimo al mondo” proseguì Ginny, ancora stupita. “O avete altri segreti da nascondere? Silente è tornato indietro per affidarvi un’altra missione riservata?”
   Come al solito, si era lasciata prendere la mano. Evitò di incrociare lo sguardo di Harry mentre Hermione balbettava finalmente una risposta.
   “Sì, dovremmo dirlo anche a loro” ammise la ragazza. “Ma non so se dovremmo informarli anche di questo.”
   La ragazza tirò fuori da una tasca una fialetta contenente una sostanza argentea, né liquida né solida, che vorticava placida.
   “E’ il Ricordo di Greg” Ron sbuffò mentre la sua ragazza pronunciava quel nome. “Dell’interrogatorio che il signor Prewett ha fatto a Narcissa Malfoy.”
   I quattro ragazzi rimasero per qualche momento a fissare la fiala in silenzio.
   “Pensavo di scrivere alla professoressa McGranitt, nel suo ufficio dovrebbe esserci ancora il Pensatoio, no?” disse Hermione.
   Harry annuì, poi aggiunse: “Io direi tutto a Molly e Arthur. Loro… beh, non vedo motivo di farli preoccupare più di quanto non lo siano già.”
 
   “Penso anch’io che ci sia dell’altro” disse serio Arthur appoggiando la pergamena sul tavolino del salotto. Molly cullava Teddy senza che ci fosse un motivo apparente, forse più per abitudine che per reale necessità.
   “So che Kingsley ha avviato un’inchiesta interna, soprattutto perché quello che è successo durante il tentato interrogatorio di Zeismann è grave” proseguì il signor Weasley. “C’è una falla evidente nei sistemi di sicurezza, ma stanno cercando di tenere tutto all’interno dell’Ufficio Auror. E di certo non ne vanno a parlare alla Gazzetta del Profeta.”
   Harry cambiò posizione sul divano, a disagio; le parole di Arthur non facevano che accentuare la sgradevole sensazione che aveva avuto la sera in cui Kingsley era venuto a trovarlo al San Mungo: l’ex Auror assomigliava sempre più a un politico.
   Hermione, seduta sul bracciolo di fianco ad Harry, estrasse la fialetta del Ricordo di Greg e spiegò brevemente ai signori Weasley le sue intenzioni. Molly si morse un labbro, ma non disse nulla; Arthur annuì senza cambiare l’espressione grave.
   “Se vi può far stare tranquilli, date un’occhiata” disse il signor Weasley.
   “Ma state lontano dai guai” sbottò all’improvviso la signora Weasley, le orecchie rosse. “Voglio – vogliamo sapere tutto. Tutto.”
   Molly guardò i quattro ragazzi negli occhi, uno ad uno. Arthur le appoggiò una mano sul braccio.
   “L’unico consiglio che possiamo darvi è di fare attenzione” disse. “Qui siete al sicuro, a Hogwarts lo sarete. Al Ministero tenete gli occhi aperti.”
   Lo sguardo del signor Weasley scivolò su Harry e Ron.
   “E per qualsiasi cosa vi capiti di strano, fate affidamento a noi” aggiunse serio.
   “Beh, Frankie è il Capo dell’Ufficio Auror” disse Ron stringendosi nelle spalle. “E’ di famiglia, no? Possiamo contare anche su di lui.”
   Molly annuì distrattamente, continuando a cullare Teddy meccanicamente, e Arthur tenne lo sguardo basso.
   “C’è… qualcosa che non va?” chiese Harry.
   “No, no tesoro” rispose Molly con un sorriso. “Frankie è mio cugino” aggiunse come se questo bastasse a chiudere la questione.
   “Arthur?” incalzò il ragazzo.
   “Credo sia evidente che Frank non sia il mio migliore amico” disse il signor Wealey inarcando le sopracciglia. “E’ sempre stato molto chiassoso e uno sbruffone di prima classe! E a dirla tutta non è mai stato nemmeno un mago così bravo. Nella media, certo, ma nessuno si sarebbe mai aspettato che diventasse Auror né tanto meno il Capo dell’Ufficio.”
   “Kingsley ci ha lavorato insieme anni” aggiunse Molly irritata. “E lo ha scelto come suo sostituto. O all’Ufficio Intercettazioni e Confisca di Incantesimi Difensivi e Oggetti Protettivi Contraffatti avete un’opinione diversa in merito? Vista la competenza in materia…!”
   Molly aveva pronunciato il nome dell’ufficio in cui lavorava il marito tutto d’un fiato, le orecchie arrossate come se qualcuno avesse appiccato loro fuoco. Arthur scosse le spalle, per nulla intimidito dal rimprovero nella voce della moglie.
   “E’ di famiglia” concluse il signor Weasley. “E ha la fiducia di Kingsley, questo mi basta.”
 
 
 
9 luglio 1998 – Diagon Alley
 
   Per la strada non si parlava d’altro: Narcissa Malfoy era stata arrestata per l’attacco a Harry Potter. La gente commentava la notizia a gran voce, sbraitando che sì, l’avevano sempre sospettato, se non era lei era di sicuro qualcuno del loro entourage.
   Avrebbe voluto tirarsi su il cappuccio del mantello, nonostante il caldo, per tenere fuori dalla visuale tutte quelle facce piene di boria, con la verità in tasca; ma dopo la fine della Guerra quella non era decisamente una buona idea. Scrollò le spalle e attraversò il muro, diretto al Paiolo Magico, dove si lasciò cadere su uno sgabello.
   “Il solito, Tom.”
   Il barista annuì e sorridendo allungò sul bancone un bicchiere di Whisky Incendiario nonostante l’ora del mattino.
   Ingollò una sorsata del liquido ambrato, rimuginando sulle ultime settimane: era andato tutto storto. Eppure aveva pianificato la cosa con attenzione, o almeno così era stato a suo parere. Non era stato semplice convincere Narcissa Malfoy a collaborare, ma premendo i tasti giusti lei era diventata mansueta come un agnellino. Garth Goyle aveva avuto ragione, Narcissa era brava con la Magia Oscura, più di chiunque altro: la Pietra di Sangue si era rivelata estremamente efficace nelle sue mani, amplificando la Maledizione Imperius altrimenti poco attiva sui Vampiri.
   Ma per colpa di quel maledetto, piccolo Weasley, Potter non solo non era morto, ma adesso era idolatrato se possibile ancora di più. Gli articoli del Profeta per settimane erano stati illeggibili, pieni di scemenze su ogni minimo particolare che trapelasse dal San Mungo.
   Pazienza, si ripeté per l’ennesima volta, per il suo piano ci voleva pazienza. Ingurgitò un altro lungo sorso di Whisky e lasciò che la mente andasse ad Azkaban, sperando scioccamente che in qualche modo quel pensiero arrivasse a quella cella di sicurezza. Chissà come stava? Pensava a loro due qualche volta?
   Ti tirerò fuori di lì, si promise per l’ennesima volta, ti tirerò fuori di lì e insieme riporteremo un po’ di ordine.
   Lasciò le solite tre falci e due zellini sul bancone e uscì senza salutare il pulcioso barista Sanguesporco.
   Si incamminò a passi svelti lungo le vie di Londra e arrivò all’ingresso del bagno pubblico più pulito e più affollato di tutta la città. Salutò con cenni del capo alcune persone, trovò un cubicolo libero e lanciò una manciata di Polvere Volante nel camino. Era ora di cominciare un’altra giornata di lavoro al Ministero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Sì, il Ricordo lo vedremo nel prossimo aggiornamento. Capitolo di passaggio, mi serviva un po’ di respiro – e una bella boccata di miele. Ma spero di essermi fatta “perdonare” con il cammeo finale: esatto, la voce narrante è quella della persona che sta dietro all’attacco a Harry. Voce che torneremo a sentire, qua e là.
Una precisazione da perfettina rompiballe: ho usato il termine Sanguesporco, al posto del classico Mezzosangue, nonostante il resto della storia mantenga fede linguisticamente alla prima traduzione; è uno dei pochi termini che "approvo" della nuova traduzione, dove finalmente hanno introdotto la differenza tra gli originali Half Blood e Mudblood - differenza rilevante e chissà per quale motivo ignorata nella prima versione! 
Il miele della prima parte è, diciamo così, la parte conclusiva dello scossone emotivo che c’è stato tra Harry e Ginny, durante il quale non ho mai usato la voce di lei, se non nella lettera, quindi ci tenevo a darle spazio!
Nel prossimo aggiornamento si torna ad Hogwarts, ci vediamo davanti alla scala di marmo!
Grazie come sempre a chi ha letto e leggerà, a chi segue e soprattutto a chi commenta!
 
Special thanks to
Gulminar, preziosa voce fuori dal coro!
 
Grazie a tutti anche per la vicinanza morale nei giorni di fermo obbligato sul divano, mi siete stati di compagnia! Questa settimana finalmente dovrei riuscire a tornare a lavoro!
 
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** 13 luglio 1998 – Hogwarts ***


"Ma allora," ardii commentare, "siete ancora lontano dalla soluzione..."
"Ci sono vicinissimo," disse Guglielmo, "ma non so a quale."
"Quindi non avete una sola risposta alle vostre domande?"
"Adso, se l'avessi insegnerei teologia a Parigi."
"A Parigi hanno sempre la risposta vera?"
"Mai," disse Guglielmo, "ma sono molto sicuri dei loro errori."


Il nome della rosa – Umberto Eco
 
 
 
 
 
13 luglio 1998 – Hogwarts
 
   I polmoni di Harry accolsero con gioia l’aria fresca del mattino, distendendosi dopo la compressione della Smaterializzazione; la testa prese a girare. A malincuore – e assolutamente in silenzio – il ragazzo dovette dare ragione a Hermione, che aveva insistito perché Ron eseguisse la Materializzazione Congiunta, giudicando Harry ancora troppo debole per Smaterializzarsi da solo. Harry aveva protestato con tutte le sue forze, ma alla fine l’amico gli aveva passato un braccio attorno al fianco senza tanti complimenti.
   E per fortuna, pensò Harry; Ron si era accorto di quel giramento di testa e aveva stretto appena la presa.
   “Tutto ok?” chiese guardandolo con la coda dell’occhio. Harry annuì e raddrizzò la schiena, convincendo Ron ad allontanare il braccio. Hermione e Ginny apparvero con un sonoro pop a pochi passi da loro.
   “Non vedo l’ora di potermi Smaterializzare da sola!” esclamò Ginny liberandosi dalla presa dell’amica. Non era un segreto per nessuno che durante la Guerra la ragazza avesse imparato a farlo, ma ora che il Ministero funzionava di nuovo a pieno regime avrebbe dovuto sostenere l’esame prima di potersi Smaterializzare senza essere trascinata di peso davanti al Wizengamot.
   Harry alzò lo sguardo e respirò a fondo, lasciando che la vista gli riempisse la mente: il cancello sormontato dai cinghiali alati era aperto e incorniciava la sagoma del castello di Hogwarts, che sonnecchiava nella luce del mattino. Sembrava impossibile che qualcosa potesse turbare la quiete di quel posto incantato – e invece se Harry chiudeva gli occhi poteva ancora sentire i boati della Battaglia, la marcia dei Mangiamorte su quell’erba delicata, la fredda risata di Voldemort nella Foresta Proibita…
   La mano di Ginny scivolò sotto il braccio destro di Harry e strinse con delicatezza.
   “Andiamo” disse lei con un sorriso incoraggiante. “La McGranitt ci aspetta.”
 
   Fu incredibilmente strano vedere Minerva McGranitt in tenuta estiva: infilata in un leggero abito verde chiaro, smanicato e con la gonna ricamata a piccoli fiori, la Preside di Hogwarts li aspettava davanti al portone di quercia aperto con i capelli raccolti in una morbida treccia invece che nel consueto chignon stretto; era come vedere un Ippogrifo riportare scodinzolando un bastoncino a Draco Malfoy.
   “Benvenuti!” disse la McGranitt aprendosi in un sorriso e stringendo una ad una le mani dei ragazzi. “Che piacere vedervi!”
   Non chiese loro come stavano, si limitò ad osservarli con attenzione da capo a piedi da dietro le lenti squadrate, soffermandosi su Harry e sul suo braccio ancora infilato nel fazzolettone appeso al collo; poi senza aggiungere una parola si girò e fece loro strada lungo l’atrio e le scale.
   “Hagrid vi manda i suoi saluti. Al momento è in viaggio con la professoressa Caporal per reperire alcune nuove Creature che vogliono trattare con gli studenti, il prossimo anno.”
   “Insegneranno insieme?” si informò Hermione.
   “Sì, hanno optato per una collaborazione stretta, piuttosto che dividersi le classi. E devo dire che la cosa mi rincuora.”
   Rincuorava molto anche Hermione, a giudicare dal sospiro di sollievo che Harry le vide fare.
   “Mi dispiace che Harry e Ronald non saranno tra i miei studenti il prossimo anno, ma è comprensibile” decretò la professoressa continuando a camminare a schiena dritta. Hermione e Ron si scambiarono un’occhiata di fuoco, poi cominciarono a parlare simultaneamente, accavallando frasi e parole, chiaramente proseguendo una discussione che andava avanti in privato da almeno un mese.
   “Io ho provato a spiegare che è importante finire gli studi, ma…”
   “Ma mi hanno preso al corso da Auror, cosa c’è da aggiungere?”
   “Il diploma…”
   “Il diploma me lo daranno honoris causa, Hermione, in che diavolo di lingua devo dirtelo?”
   “Come se fosse la stessa cosa!”
   “Ma cosa cambia, per le mutande di Merlino!”
   “AH! Voglio proprio vederti al tuo corso da Auror senza un minimo di basi di Incantesimi Avanzati!”
   “Siamo sopravvissuti a…”
   “Come cavolo fai a pensare che sia sufficiente!”
   “Fanno un corso, qualcosa mi insegneranno!”
   “Basta così” la McGranitt si bloccò in mezzo al corridoio. “Mi state facendo venire mal di testa, a questo punto preferisco di gran lunga che Ronald non termini il settimo anno. Zenzerotti.”
   L’ultima parola era rivolta al Gargoyle che custodiva lo studio del Preside di Hogwarts; la creatura di pietra balzò elegantemente di lato, lasciando passare la piccola comitiva.
   Chissà perché, Harry si era aspettato di trovare la solita stanza, con i delicati strumenti a sbuffare al loro posto sui tavolini; invece l’ufficio di Silente era semplicemente diventato quello della McGranitt: i dipinti dei vecchi Presidi erano stati risistemati in file ordinate in modo da fare spazio a due alte librerie stracariche di tomi dall’aria noiosa e antica, che, nemmeno a dirlo, attirarono subito l’attenzione di Hermione. I tavolini e – Harry lo notò con una stretta al cuore – il trespolo di Fanny erano spariti. Al centro della stanza la scrivania era occupata da pile di pergamene ordinate all’interno di alcuni schedari di legno laccati in diversi colori; in un angolo c’era una scatola dal decoro scozzese dentro alla quale, non c’erano dubbi, era conservata una buona scorta di biscotti. Qualche basso mobiletto dallo stile essenziale occupava i pochi spazi liberi delle pareti. A destra e a sinistra della porta di ingresso erano stati appesi due stendardi: il blasone di Hogwarts e la bandiera della Scozia.
   Harry si sentiva vagamente a disagio in quell’ufficio, come se tutto avesse l’aspetto sbagliato; ovviamente la voce del buon senso nella sua testa gli dava dello sciocco: era normale che le cose cambiassero, che la vita andasse avanti. Silente non era più il Preside di Hogwarts, era solo un dipinto alle spalle della scrivania della McGranitt. Un dipinto che, a differenza dei suoi colleghi, non fingeva di dormire, ma guardava il ragazzo con quel suo sguardo curioso e penetrante.
   Di nuovo Ginny gli passò una mano sotto al braccio destro, stringendo appena, come se riuscisse a percepire in qualche modo il disagio di Harry.
   “Perdonate la confusione” disse la Preside; il ragazzo alzò un sopracciglio: quella non era proprio la sua idea di disordine, la McGranitt avrebbe dovuto vedere la camera che lui e Ron dividevano. “Ma siamo in piena riorganizzazione. Il primo settembre è terribilmente vicino. E la cerimonia dei Diplomati lo è ancora di più, per fortuna Pomona – la professoressa Sprite, insomma – mi sta aiutando molto.”
   “Ho sentito dire che l’ha nominata Vicepreside, giusto?” chiese Hermione.
   La McGranitt annuì.
   “Sto facendo anche i colloqui per sostituire gli insegnanti di Trasfigurazione, Difesa contro le Arti Oscure e Babbanologia. Il professor Lumacorno mi ha confermato che tornerà entro l’inizio dell’anno scolastico e riprenderà la cattedra di Pozioni.”
   Ripeteva tutto come se fosse un discorso imparato a memoria, fatto a sé stessa e agli altri un’infinità di volte. La professoressa alzò lo sguardo come se all’improvviso si fosse ricordata che c’erano anche altre persone nella stanza con lei.
   “Ma non siete qui per ascoltare le mie preoccupazioni di Preside! Hermione mi ha scritto per chiedermi di utilizzare il Pensatoio. Poi Molly mi ha scritto per spiegarmi il perché.”
   Hermione arrossì come se fosse stata beccata a chiedere cibo agli Elfi Domestici delle cucine.
   “Cercate solo di stare lontani dai guai” disse la McGranitt massaggiandosi una tempia con due dita. Estrasse la bacchetta, Appellò con un gesto elegante il Pensatoio da uno dei mobiletti e lo fece atterrare al centro della propria scrivania. I ricordi si agitarono dolorosamente nel petto di Harry: l’ultima volta che aveva usato il Pensatoio era per… si impose di scacciare quei pensieri in blocco. Prese la mano di Ginny e la strinse con forza; lei restituì la stretta, senza dire nulla, senza guardarlo, non ce n’era alcun bisogno.
   “Quando avete finito cercatemi nella Sala Grande, sarò lì con gli altri Insegnanti” disse la Preside; lanciò ai quattro ragazzi un’ultima severa occhiata in tipico stile McGranitt e lasciò l’ufficio a grandi passi. Hermione si avvicinò al Pensatoio con aria titubante ed estrasse il Ricordo dalla propria borsa.
   “Pensi ancora che sia una buona idea?” chiese Ron alla sua ragazza; lei lo guardò dritto negli occhi e annuì.
   “Bene, allora” disse lui. “Di te mi fido. Facciamolo.”
   Fu strano sentire Ron dare ragione e fiducia a Hermione, dopo anni e anni di battibecchi; ma ora stavano insieme, pensò Harry, era naturale, anzi, era necessario che lui lo facesse.
   Hermione stappò la fiala e ne versò il contenuto nel Pensatoio; la superficie si agitò per qualche momento, né gassosa né liquida, vorticando in delicate spire, poi tornò liscia e calma, grigia come il mare d’inverno. I quattro ragazzi allungarono contemporaneamente le teste sopra il bacile: sul fondo li aspettava una stanza di pietra, senza finestre, molto simile al tribunale del Wizengamot ma più piccola, all’apparenza, con solo due file di gradoni da un lato. Harry scambiò sguardi vagamente tesi con Ginny, Hermione e Ron, poi annuì e tuffò il volto nella superficie del Pensatoio.
 
   Atterrarono nella stanza di pietra, che era davvero molto piccola e aveva un’unica porta, sulla loro destra; Greg era seduto al centro della prima fila di gradoni e con un mezzo sorriso sulle labbra guardava dritto davanti a sé, fissando un tavolaccio di legno consunto al centro del quale erano saldate due grosse catene. Due sedie poste ai lati del tavolo completavano lo scarno arredamento. Harry, Ginny e Ron si sedettero di fianco all’Auror, in attesa, mentre Hermione cominciò a misurare la stanza a grandi passi, osservando tutto con estrema attenzione.
   La porta si aprì lasciando entrare Narcissa Malfoy, i polsi legati strettamente da una corda. A pochi passi di distanza la seguiva un uomo sulla cinquantina, dai capelli che una volta dovevano essere stati biondi ma ora tendevano più che altro al bianco; teneva la bacchetta tesa davanti a sé, puntandola dritta alla nuca della donna. Chiudeva la piccola fila il signor Prewett, un sigaro spento infilato tra i denti e le mani dietro la schiena, l’aria compiaciuta di un gatto che ha appena catturato un grosso topo. L’uomo biondo spintonò senza tanti complimenti Narcissa su una delle sedie e agitò la bacchetta in direzione delle catene, che strisciarono verso i polsi della donna e vi si avvilupparono strettamente – forse un po’ troppo a giudicare dalla smorfia di lei.
   L’uomo si sedette di fianco a Greg e scambiò con lui un cenno di saluto.
   “Williams.”
   “Spade.”
   Ron diede di gomito a Harry.
   “E’ l’Auror che doveva interrogare Zeismann insieme a Frankie!”
   Harry annuì.
   Prewett nel frattempo si era seduto con estrema calma davanti a Narcissa Malfoy; la donna era quasi irriconoscibile: Harry era sempre stato abituato a vederla con un aspetto impeccabile, curata e pulita. Adesso i capelli erano sciolti sulle spalle, sporchi e spettinati, grosse ombre scure le cerchiavano gli occhi spenti e aveva diverse unghie spezzate; portava una lunga veste grigia e consunta, gli orli sfatti in diversi punti.
   “Allora Narcissa” esordì Prewett estraendo la bacchetta dalla veste e accendendosi il sigaro. “Hai avuto modo di riposare dal nostro scorso… incontro? L’ultima volta non avevi proprio voglia di parlare con me. Forse eri stanca. Ti sei ripresa?”
   La donna alzò gli occhi su Frank e contrasse le labbra.
   “Sono passate solo poche ore” sibilò.
   “Hai trovato un Difensore?” continuò lui come se non avesse nemmeno sentito la risposta alla precedente domanda.
   “Mi prendi in giro?” ghignò Narcissa. “Sai bene che nessun Difensore lavorerebbe per i Malfoy oggi. Né per i Carrow, o i Rockwood o… devo continuare?”
   Prewett soffiò lentamente una boccata di fumo.
   “Tutti ad Azkaban” disse con un ampio sorriso. “Come tuo figlio, giusto?”
   Le mani di Narcissa si contrassero involontariamente contro le catene; lei annuì.
   “Anche Draco è un Mangiamorte, no?”
   “E’ stato accusato di…” cominciò Narcissa.
   “Ha il Marchio Nero sull’avambraccio sinistro, questo basta” la interruppe Frank; l’uomo si alzò e andò dietro di lei, quasi per sussurrarle all’orecchio. “Ha servito Voldemort. Doveva uccidere Albus Silente…”
   “Ma non l’ha fatto!” esclamò Narcissa.
   “Non l’ha fatto” scandì Prewett; prese un’altra boccata di fumo, si portò davanti a lei e proseguì: “Ha partecipato alla Battaglia di Hogwarts?”
   La donna esitò.
   “Ti ho fatto una domanda” disse brusco Frank. Narcissa annuì e l’Auror chiese di nuovo: “E dov’era durante la Battaglia?”
   Il respiro della donna accelerò e lei alzò gli occhi verso l’uomo prima di rispondere.
   “Nel castello.”
   “Nel castello” ripeté annuendo Prewett, come per dare conferma che quella fosse la risposta giusta. Proseguì camminando di nuovo verso la propria sedia. “E cosa dici che pensino i suoi amici ad Azkaban? Cosa credi che ne pensi che so, Rockwood, o Mulciber, o Dolohov di un ragazzino che non è riuscito a portare a termine un solo compito affidatogli dal Signore Oscuro e che per di più durante la Battaglia si era rintanato dentro al castello di Hogwarts come un ratto?”
   La voce era cresciuta man mano di intensità, così come la frequenza del respiro di Narcissa.
   “Cosa pensi che siano in grado di fare i Carrow oppure… Lestrange” Prewett calcò su quest’ultimo nome e la donna fu scossa da un brivido. “A questo ragazzino codardo e viziato?”
   “Sono sorvegliati” boccheggiò Narcissa.
   “Mangiano insieme, lo sapevi? Ora che i Dissennatori non sono più i guardiani qualche regola è cambiata ad Azkaban… è più umana. I detenuti hanno più… contatti.”
   Prewett non aveva detto niente, non aveva specificato nulla, ma aveva riempito la testa di Narcissa di insinuazioni, di dubbi. Lasciò passare qualche momento di silenzio, durante il quale la donna ebbe il tempo di rispondere con i propri peggiori incubi alle domande provocatorie dell’Auror. Frank si sedette sulla propria sedia, aspirò un’altra bocca di fumo e incrociò le gambe.
   “Cosa sei disposta a fare per tuo figlio?” chiese osservandola con attenzione. Narcissa si limitò a guardarlo con gli occhi sgranati. “Sappiamo che hai fatto molto per lui: lo hai cresciuto, lo hai protetto…”
   “Hai mentito per lui” intervenne all’improvviso Greg. Harry, Ginny, Ron e Hermione si voltarono di scatto a guardarlo. Frank rivolse all’Auror un’occhiata penetrante, poi riportò lo sguardo su Narcissa.
   “Un… uccellino mi ha raccontato una storia interessante” continuò Prewett. “Per poter tornare nel castello di Hogwarts a riprendere il tuo piccolo figlio ratto avresti mentito a Colui che…”
   “Cosa vuoi?” lo interruppe Narcissa gelida.
   “Lo sai cosa voglio: la verità.”
   La donna gli scoccò un’occhiata carica di odio.
   “Ho una proposta da farti” proseguì Prewett; si infilò una mano nella veste e ne estrasse una pergamena. “Ma siccome non hai un Difensore dovrai valutarla da sola. Questo” disse srotolando la pergamena lentamente. “E’ un decreto ad effetto immediato firmato dal Ministro in persona che consente di spostare tuo figlio da Azkaban al centro di detenzione ex Villa Malfoy. Con te.” Frank sorrise, il sigaro stretto in bocca. “Manca solo la mia firma. E tu sai bene quali sono le condizioni che porteranno questo decreto firmato sulla scrivania del Direttore di Azkaban. Ora te lo chiedo un’ultima volta: cos’è successo il diciassette giugno?”
   Narcissa chiuse gli occhi e si abbandonò contro lo schienale della sedia.
   “D’accordo” sussurrò la donna. Il sorriso di Prewett si allargò ancora di più; schioccò due dita e Greg scattò in piedi, portando di corsa una pergamena pulita e una Penna Prendiappunti sul tavolo.
   “Sapevo che Zeismann avrebbe fatto le visite agli aspiranti Auror, come tutti gli anni” cominciò Narcissa; la Penna scattò e cominciò a grattare il foglio. “E il Profeta aveva detto che Potter era tra questi aspiranti. Avevo da tempo una Pietra di Sangue, me l’aveva venduta Sinister durante la Prima Guerra Magica, ma non l’avevo mai utilizzata.”
   “Come hai usato questa pietra?” chiese Prewett.
   “E’ sufficiente staccarne un frammento e applicarlo sulla pelle di un Vampiro. E’ bastato aspettare Zeismann fuori dal San Mungo e usare un incantesimo di Adesione Permanente; non si è accorto quasi di nulla…”
   “Perché ti era necessaria la Pietra di Sangue?”
   “Le Maledizioni che funzionano sugli umani raramente hanno effetto sui Vampiri, sono creature magiche molto potenti, circondati da un’aura oscura forte; ma la Pietra di Sangue è in grado di aprire una… breccia nella magia protettiva dei Vampiri, diciamo così.”
   Narcissa parlava guardando le proprie mani, senza nessuna esitazione.
   “Una volta messo il frammento della Pietra di Sangue è stato facile: sono molto brava nella Maledizione Imperius.”
   “Perché volevi uccidere Harry Potter?” chiese ancora Prewett.
   La donna alzò gli occhi verso l’Auror e lo guardò a lungo.
   “Tutti i buoni servitori del Signore Oscuro odiano Potter” rispose con un filo di voce; Frank la fissò per qualche momento, un sopracciglio alzato, aspettando che proseguisse. La Penna Prendiappunti vibrava lievemente, in attesa.
   “Tutto qui?” chiese alla fine. “Perché sei un buon servitore del Signore Oscuro? Quello stesso Signore Oscuro a cui hai mentito?”
   Narcissa scattò in piedi, il volto deformato dall’ira.
   “Che cosa vuoi ancora, dannato figlio di puttana?” urlò a pieni polmoni, strattonando con forza le catene che le legavano i polsi; un rivolo di sangue le corse lungo l’avambraccio di destra. “Cosa vuoi ancora? Ti ho detto quello che volevi sentirti dire! Dammi mio figlio!”
   Prewett estrasse la bacchetta e Pietrificò Narcissa, sorridendo malignamente. Harry pensò con un brivido che si stesse divertendo.
   “Non sei tu a dettare le regole del gioco” disse Frank. “Firma la confessione.” Con un gesto lento scacciò la Penna Prendiappunti e portò la pergamena davanti alla donna. “Io firmerò il decreto. Poi avremo modo di parlare anche di chi ha ucciso Zeismann.”
   Prewett pronunciò il contro incantesimo e Narcissa cadde sulla sedia come un sacco vuoto, pallida come un fantasma.
   Harry si sentì trascinare verso l’alto, la stanza stava rimpicciolendo davanti ai suoi occhi e ben presto i suoi piedi toccarono il pavimento dello studio della Preside di Hogwarts. Attorno a lui Ginny, Ron e Hermione avevano tre identiche espressioni provate.
   “E’ una pedina” affermò Hermione con sicurezza. “Se Prewett pensa veramente che sia finita con lei si sbaglia di grosso!”
   “Se ha ritirato la scorta di Harry vuol dire che il pericolo imminente è passato” disse Ron. “Penso che stiano continuando a indagare. Non l’hai sentito quando le ha chiesto il motivo e lei ha buttato lì quella scemenza del tutti odiamo Potter?”
   “La cosa più inquietante è un’altra” Harry interruppe il battibecco di Ron e Hermione con voce ferma. “Come diavolo facevano a sapere che Narcissa ha mentito a Voldemort?”
   Ron e Hermione lo guardarono con aria interrogativa.
   “Pensi che si riferissero… a te?” chiese lei in un soffio.
   “A cos’altro si potrebbero riferire?” chiese Harry stringendosi nelle spalle; per lui era così ovvio. “Solo qualcuno che era nella Foresta Proibita quando…” non sapeva che parole usare, quindi optò per la via più facile. “Quando… insomma, la notte del due maggio, poteva sapere che Narcissa ha mentito a Voldemort.”
   Un silenzio carico di tensione scese nella stanza.
   “Gli Auror e Kingsley stanno indagando” disse alla fine Ron, probabilmente mettendo insieme tutto il coraggio che era riuscito a trovare. “La McGranitt ci ha detto di tenerci fuori dai guai. La mamma ci ha detto di lasciar fare a loro. Papà ha detto che di Frankie si fida.”
   “Noi dobbiamo solo tenere gli occhi aperti” concordò Harry. Non era sicuro che sarebbe riuscito a tenere fede a quell’ottimo proposito, ma almeno ci avrebbe provato.
 
   Harry scendeva la scalinata di marmo stringendo la mano di Ginny, cercando di trasmetterle almeno un po’ di sicurezza; da quando avevano lasciato il Pensatoio la ragazza non aveva spicciato una parola e per esperienza Harry sapeva che quello non era un buon segno. All’ingresso della Sala Grande lei si fermò; Ron e Hermione si voltarono con aria interrogativa.
   “Andate avanti” disse Ginny. “Noi… vi raggiungiamo subito.”
   Il cuore di Harry prese a battere troppo veloce e il cervello smise di funzionare: la paura di un nuovo tentennamento di Ginny aveva decisamente preso il sopravvento su qualsiasi tipo di pensiero razionale. La ragazza aspettò che gli altri si allontanassero a sufficienza, poi si voltò verso Harry.
   “Grazie per avermi portata con voi” disse Ginny con un timido sorriso. “Vuol dire molto per me.”
   Il ragazzo emise un rumoroso sospiro di sollievo, senza preoccuparsi di quello che avrebbe pensato lei.
   “Stai bene?” le chiese Harry, portandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Lei annuì, poi spostò lo sguardo sulla Sala Grande: Ron e Hermione avevano raggiunto la McGranitt, che al tavolo degli Insegnanti sommerso da pergamene era impegnata in una fitta conversazione con la Sprite e Vitious.
   “Harry, voglio parlarti di una cosa” disse Ginny respirando quasi a fatica; alzò il viso e guardò Harry dritto negli occhi. “Voglio raccontarti cosa sogno. Voglio raccontarti l’incubo che mi sveglia la notte. Voglio che tu conosca le mie paure.”
   Harry non era mai stato bravo con le parole, decisamente no. Per questo quando Ginny gli raccontò con la voce incredibilmente ferma e gli occhi asciutti il suo incubo, quel sogno che la perseguitava da molto prima della Battaglia di Hogwarts e che ancora non la lasciava in pace, tutto quello che Harry riuscì a dire fu: “Grazie”.
   Avrebbe voluto chiederle “Perché non me lo hai detto prima?”, oppure esclamare: “Finalmente!” o ancora dirle quanto la ammirava per quella forza così meravigliosamente tenera; ma tutto quello che uscì fu solo un misero “Grazie” sussurrato a mezza voce mentre le spostava ancora una volta quella ciocca ribelle dietro all’orecchio. Ginny sorrise, perplessa.
   “Grazie?” chiese quasi ridendo; Harry annuì e si sentì un’idiota integrale. La abbracciò e posò la guancia nell’incavo del suo collo, giusto per spezzare l’imbarazzo.
   “Grazie per essere tornata. Per essere qui con me.”
   Ginny ricambiò la stretta con calore – lei che preferiva scrivere lettere piuttosto che parlare. Harry capiva perché aveva scelto proprio quel momento per raccontargli quel sogno, ambientato proprio lì, nella Sala Grande – dove Voldemort era morto. I due si staccarono, ma lui tenne una mano sulla guancia di lei.
   “Sei pronta?”
   Ginny annuì sorridendo.
 
   “Pomona, ti prego, non ho nessuna intenzione di assumere una squilibrata!” stava sbraitando la professoressa McGranitt quando Harry e Ginny arrivarono al tavolo degli Insegnanti. “E non mi interessa se ha fatto un corso sui Licantropi…”
   “Ha passato due anni in una comunità di Lupi Mannari a Bucarest” specificò la professoressa Sprite a labbra strette.
   “E si vede! Ha cercato di annusarmi, Pomona! E’… inquietante! E poi non assumerò una donna che vuole insegnare Difesa Contro le Arti Oscure direttamente nella Foresta Proibita!”
   “Perché no?” intervenne Harry; la McGranitt si voltò di scatto, il suo sguardo avrebbe incenerito il Platano Picchiatore all’istante. Il ragazzo deglutì ma non abbassò gli occhi.
   “Il modo migliore per imparare a difendersi dalla Magia Oscura è affrontarla” proseguì. “Il nostro miglior professore aveva portato un Molliccio in classe… ed era un Licantropo.”
   Gli era costato uno sforzo immenso dire quelle parole – e pensare a Lupin. Non sapeva nemmeno perché lo aveva fatto, la Preside stava parlando di una perfetta sconosciuta.
   “Va bene” le labbra della McGranitt erano così serrate da essersi ridotte ad una fessura. “Ci penserò.”
   Chiuse di scatto il fascicolo che aveva davanti a sé e lo mise da parte con decisione.
   Un gruppetto di Elfi Domestici percorse trotterellando la Sala Grande; divisi in coppie portavano tre vassoi carichi di cibo e bevande, che caricarono faticosamente sul tavolo davanti ai tre professori.
   “Ecco il pranzo, signora Preside” disse con una vocetta squillante un’Elfa.
   “Grazie, Haeley, è tutto perfetto come sempre” rispose con un sorriso la McGranitt. Tutti gli Elfi si voltarono e si incamminarono di nuovo verso l’uscita, ma uno rimase indietro, stropicciandosi il bordo del proprio strofinaccio con le manine rugose. Fu solo in quel momento che Harry lo riconobbe.
   “Kreacher!” esclamò raggiungendolo ed inginocchiandosi per essere all’altezza dei suoi occhi.
   “Padron Harry! Kreacher non vuole disturbare il padrone mentre è con i suoi amici, ma Kreacher voleva salutarla, signore.”
   “Non disturbi affatto” rispose il ragazzo. “Come stai?”
   “Kreacher sta bene…” il vecchio Elfo continuava a tormentare il suo straccio immacolato.
   “C’è qualcosa che vuoi chiedermi, Kreacher?”
   L’Elfo alzò gli occhi acquosi sul ragazzo.
   “Kreacher… Kreacher si chiedeva cosa ne sarà della casa della padrona, signore.”
   Aveva detto quelle parole quasi sussurrando, come se si vergognasse di quella domanda che lui riteneva così indiscreta.
   “Vuoi dire la casa di Grimmauld Place?”
   L’Elfo annuì scuotendo la testa su e giù con foga, poi tornò a fissare Harry con aria contrita. Il ragazzo non sapeva cosa rispondere: l’ultima volta che era stato in quell’edificio lui, Ron e Hermione stavano scappando dai Mangiamorte; probabilmente la casa era sotto sopra e abbandonata da quasi un anno. In tutta onestà non aveva mai pensato seriamente di ritornare ad abitare in quel posto, anche se l’idea lo aveva sfiorato quando Ginny… beh, quando non sapeva se sarebbe potuto tornare alla Tana. Ma adesso che aveva una casa, il pensiero di tornare in quell’edificio buio e pieno di ricordi terribili gli faceva accapponare la pelle.
   Harry aprì la bocca in imbarazzo, ma Hermione si inginocchiò di fianco a lui e venne in suo soccorso.
   “Se Kreacher è d’accordo, io avrei un’idea” disse sorridendo. L’Elfo le scoccò un’occhiata terribile, ma non disse nulla, cosa che la ragazza prese come un invito a parlare. “E’ un po’ che ci penso… sarebbe bello trasformare Grimmauld Place in un museo.”
   “Un museo?” chiese Harry sorpreso.
   “Kreacher non ha idea di che cosa la Nata Babbana con i capelli brutti stia dicendo” borbottò l’Elfo fissando i propri piedi; Hermione ignorò la serie di insulti con un sorriso tirato.
   “Si tratta di un posto dove conservare i ricordi della famiglia Black in modo che le persone possano sapere chi erano e cosa hanno fatto” la ragazza si voltò verso Harry. “Specialmente Regulus e Sirius.”
   Kreacher alzò gli occhi verso Hermione, dubbioso, le labbra strette.
   “Le persone potrebbero entrare nella casa della signora?” chiese con una nota scandalizzata nella vocetta gracchiante.
   “Naturalmente tu saresti il Custode: dovrai controllare che tutto sia a posto e in ordine e che nessuno tocchi niente” disse Hermione. “Ma ti verrà affiancato un… un Direttore umano.”
   L’Elfo strusciò i piedini per terra ancora una volta.
   “Kreacher ci penserà, ma… Kreacher forse è d’accordo.”
   Scoccò un’altra occhiata torva a Hermione, rivolse un inchino profondo a Harry poi si avviò lungo la Sala Grande. I due ragazzi si rialzarono.
   “Tu che ne pensi?” chiese Hermione.
   “E’… un’idea meravigliosa” rispose Harry; la mente era sfrecciata in automatico verso la stele al centro dell’Atrium del Ministero: Il Mondo Magico non dimentica. Era importante. “Dovremmo parlarne con Kingsley.”
   “Gli manderemo un gufo” l’amica gli passò una mano sul braccio sano e sorrise; ancora una volta Hermione si comportava come una sorella maggiore previdente. Il quindicenne inquieto che Harry era stato tre anni prima le avrebbe detto di farsi gli affari suoi e lasciarlo in pace; ma il ragazzo spossato che era in piedi davanti al tavolo degli Insegnanti in quel momento aveva un disperato bisogno di famiglia. Harry sorrise a Hermione e allungò una mano verso Ginny.
 
   “Ragazzi, basta! Ho detto basta!”
   Molly fece atterrare sulla tavola una pirofila di stufato in modo che passasse dritta tra Hermione e Ron, impegnati in una fitta discussione sulla scorta ritirata di Harry.
   “Penso che Ron abbia ragione” borbottò Arthur masticando un pezzo di pane. “Se Frakie ha ritirato la scorta vuol dire che ritiene Harry al sicuro.”
   “Finalmente!” esclamò Ron.
   “Chi credete che sia… l’uccellino di cui parlava il signor Prewett?” chiese Harry a nessuno in particolare. “Quello che sapeva che Narcissa ha mentito a Voldemort.”
   “Scommetterei su Williams” disse Ron digrignando i denti; Hermione sbuffò alzando gli occhi al cielo.
   “Per favore” sbottò la ragazza. “Fino all’altro giorno era il tuo adorato collega Greg e adesso pensi che sia un Mangiamorte?”
   “Però è stato lui a dire per primo che Narcissa aveva mentito per suo figlio” intervenne Ginny. “Non era lui a guidare l’interrogatorio, perché è intervenuto?”
   “E’ strano, certo” dovette ammettere Hermione. “Ma non è detto che sia lui… l’uccellino” sentenziò poi attaccando con decisione il suo stufato. Ron si rabbuiò ma ebbe il buon senso di tenere la bocca chiusa.
   “Vi saluta Angelina” intervenne George all’improvviso e senza un motivo apparente. Il silenzio piombò nella cucina della Tana, persino Teddy dalla sua culla non osò fiatare.
   “Angelina?” chiese Molly con la forchetta sospesa a mezz’aria.
   “Sì, è passata oggi in negozio. Vi saluta” disse George con noncuranza.
   “Angelina è passata in negozio da te” ripeté la signora Weasley quasi sotto shock. Suo figlio buttò le posate nel piatto in uno scatto nervoso.
   “Mamma, non ho detto che il Ministero vuole una fornitura ventennale di Caccabombe! Ho solo detto che Angelina vi saluta, c’è qualcosa di strano in questa frase?”
   Molly guardò George ancora per qualche secondo come se volesse cercare di lanciargli uno Specialis Revelio non verbale, poi riprese a mangiare come se nulla fosse.
 
   “Ci crederesti? Mio fratello con… Angelina Johnson?”
   Harry e Ron erano già a letto, le luci spente, ma come al solito continuavano a chiacchierare.
   “Molly esagera” disse con sicurezza Harry. “Angelina è solo… passata dal suo negozio!”
   “Credimi, George non ha mai, mai nominato una ragazza ai nostri genitori” Ron si fermò un attimo, poi aggiunse: “Beh, a dire il vero nessuno di noi ha mai nominato ragazze ai nostri genitori… a parte Fleur.”
   Cose serie, quindi.
   “E Hermione” aggiunse Harry.
   “Lei è una cosa diversa!”
   “Lei è passata dalla Tana ogni estate negli ultimi sei anni, non è mai stato necessario nominarla, giusto?”
   Harry non aveva bisogno di guardare il suo amico per sapere che le sue orecchie erano rosso fuoco. Colse al volo il momento di silenzio e cambiò argomento.
   “E’ stato… strano assistere all’interrogatorio, no?”
   “Strano in che senso?”
   “Beh, io non lo conosco bene come te, ma vedere il signor Prewett in quelle vesti mi… mi ha fatto venire i brividi. Sembrava… sembrava che si divertisse.”
   “No, non direi. E’ il suo lavoro e miseriaccia se lo fa bene!” esclamò Ron, le braccia incrociate sotto la testa e lo sguardo verso il soffitto. “Potremmo esserci noi in quella stanza tra qualche anno… senza catene ai polsi, si capisce!”
   Harry si agitò a disagio nel letto: era stato troppe volte dalla parte delle catene ai polsi per pensare di sentirsi a suo agio dall’altro lato di quel tavolo. Decise di confidare i propri timori al suo amico.
   “Non so, Ron… proprio non mi ci vedo.”
   “Vorrà dire che saremo una buona squadra” disse Ron sbadigliando. “Tu li prendi e io li interrogo, che dici amico?”
   “Ci sto” Harry si accorse di sorridere al buio; non ci aveva mai pensato seriamente prima: lui e Ron con la divisa blu pavone, nell’open space al secondo livello del Ministero, alle prese con Maghi Oscuri e rapporti da compilare…
   Per la prima volta da molto, molto tempo, Harry scivolò in un sonno tranquillo, popolato da sogni meravigliosamente normali.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Eccolo finalmente, questo benedetto Ricordo! Anche se ci ha lasciato più dubbi che altro. Se non altro, vedere quella specie di dublinese chiassoso all’opera nello strappare una confessione alla granitica Narcissa Malfoy credo non abbia fatto venire i brividi solo a Harry…
Mi sono divertita ad immaginare una McGranitt in versione estiva, deve essere uno spasso vederla con il vestitino ricamato e la treccia Rapunzel style!
Breve cammeo del nostro Kreacher, che ci permette di sistemare anche Grimmauld Place. Onestamente credo che un posto così non sia abitabile mai più, intriso di Magia Oscura con Incantesimi di Adesione Permanente in ogni centimetro di carta da parati. E allora tanto vale lasciar fare alla saggia Hermione, la sorella maggiore di tutti noi!

 E dai diciamocelo: finalmente, dopo una marea di capitoli angoscianti, almeno questo finisce con “sogni meravigliosamente normali”.
Godiamoceli, ce ne servirà una scorta.
 
La settimana prossima ritorno “in trincea” a lavoro, quindi non ho idea di quando sarà la prossima volta in cui riuscirò ad aggiornare, ma spero di essermi fatta perdonare in anticipo con questo capitolo (per i miei brevi standard) chilometrico!
 
Come sempre grazie a chi ha letto e leggerà, a chi segue e chi dedica un po’ del suo tempo a lasciarmi il proprio pensiero.
 
A presto!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** 11 agosto 1998 – La Tana ***


Ho guardato così a lungo quelle foto di te
Che sono quasi convinto che siano reali
Ho vissuto così a lungo con le mie foto di te
Che sono quasi convinto che le foto siano tutto quello che riesco a sentire
Pictures of you – The Cure
 
 
 


 
11 agosto 1998 – La Tana
 

 
   Il giardino della Tana era un’esplosione di Fate, chiuse in barattoli di tutte le dimensioni e sparsi in ogni angolo, dentro ogni cespuglio e sopra ogni singolo ramo. Molly e Fleur avevano dato il meglio di loro stesse e in quel momento rimiravano soddisfatte l’espressione raggiante di Ginny, che, con un improbabile cappello di pelo fucsia gentile omaggio dei Tiri Vispi Weasley, era seduta al posto d’onore alla sgangherata tavola imbandita a festa. Rideva, la piccola Ginny, sfogliando le pagine di un enorme album di fotografie che la ritraevano in ogni anno della sua vita: il suo primo compleanno, il vestitino argentato per le grandi occasioni, i giochi con Ron, Fred e George, in braccio al papà mentre saluta i fratelli più grandi che vanno a Hogwarts, i suoi primi tentativi di stare su una scopa.
   Harry le sedeva accanto e ascoltava i racconti che lei o qualcun altro dei Weasley aveva per ogni foto, sorridendo affascinato.
   “Oh no!” si lamentò Ginny. “Questa speravo proprio che fosse andata persa!”
   La ragazza scoppiò in una risata mentre Molly faceva capolino da dietro le sue spalle e sbirciava la pagina dell’album. Una Ginny poco più che bambina, rossa come un peperone e con gli occhi bassi, stringeva nervosamente il carrello con il proprio baule davanti all’arco dorato del Binario Nove e Tre quarti, la divisa di Hogwarts nuova fiammante.
   “Il tuo primo giorno di scuola!” trillò Molly prima di sciogliersi in lacrime per la decima volta dall’inizio della cena. “Oh tesoro, eri così carinaaaaa!”
   Fleur le allungò un fazzoletto con aria rassegnata, poi rivolse uno sguardo supplichevole al marito poco distante.
   “Ma fa così a ogni compleanno?” chiese.
   “No cara, solo quando i suoi figli diventano maggiorenni” rispose Bill con un sorriso comprensivo.
   “Grassie al Scielo Sginny è l’ultima…”
   Harry sarebbe rimasto a guardare quelle foto per ore: gli scaldava il cuore vedere quegli attimi di vita vissuta, quei piccoli gesti di affetto sparsi qua e là nella quotidianità di quella famiglia numerosa. Era meraviglioso vedere la sua Ginny ancora bambina cadere in quella foto che la imbarazzava così tanto, e vederla poi essere presa in braccio con tenerezza da Molly, che le asciugava le lacrime ridendo; o ancora osservare la Ginny di qualche anno più grande segnare un punto al fratello maggiore a cavallo di una delle vecchie scope. C’erano anche immagini di Ginny ad Hogwarts, che chissà come Hermione era riuscita a reperire: foto di classe e di squadra, foto scattate agli allenamenti e nei dormitori, c’erano addirittura foto di lei e Neville al Ballo del Ceppo e una rarissima immagine di Ginny abbracciata ad Harry in riva al Lago.
   “Ti piace, piccola?” chiese Arthur portando altri due piatti di torta al cioccolato, a cui i due ragazzi non dissero di no. Ginny chiuse l’album e guardò suo padre raggiante.
   “Papà, è stupendo. Grazie!”
   Harry provò una piccola fitta al cuore, ma decise di mangiarci su la seconda fetta di dolce; fu alzando lo sguardo per caso che trovò gli occhi di Hermione, che lo fissavano vuoti, come se stessero in realtà guardando qualcos’altro. Ron stava parlando dall’altra parte del tavolo con George, quindi Harry decise di alzarsi e andare dalla sua amica.
   “Tutto bene, Hermione?”
   La ragazza gli regalò un sorriso triste.
   “Ti va di fare due passi?” gli chiese.
   Harry annuì; si allontanarono insieme dal tavolo, dalle voci festanti e dalle luci delle Fate, in silenzio, verso un angolo più tranquillo del giardino.
   “E’ una bella festa, eh?” chiese Hermione guardando le sagome dei Weasley; Harry annuì di nuovo. “Sono… sono una così bella famiglia…” mormorò lei.
   La voce della ragazza si ruppe; non era mai stata brava a dissimulare le emozioni – e forse in quel momento non ce n’era davvero bisogno. Harry sapeva perfettamente cosa la tormentasse.
   “Tornerai in Australia a prendere i tuoi?” le chiese tenendo lo sguardo sul tavolo della festa.
   “No” disse con decisione Hermione scuotendo la testa. “L’Incantesimo di Memoria che ho fatto loro è molto… è molto potente” si asciugò le guance con il dorso della mano e drizzò la testa. “Si potrà indebolire con il tempo e forse dovrò… dovrò rinnovarlo. Ma non si può tornare indietro, Harry.”
   Il ragazzo rimase qualche momento in silenzio.
   “Mi dispiace, Hermione. Mi dispiace davvero che tu abbia dovuto fare tutto questo… per me.”
   “Non l’ho fatto per te, Harry, l’ho fatto per loro, per tenerli al sicuro. E non me ne sono pentita” aggiunse con decisione.
   “Ma non per questo fa meno male” completò Harry.
   La guardò negli occhi e seppe di aver centrato il bersaglio; per una volta era lui a dover prendere la parte del fratello maggiore: la abbracciò e strinse forte. La famiglia Weasley era meravigliosa, piena di amore e accogliente; ma se da una parte riempiva la voragine presente in Harry e Hermione, dall’altra non faceva che ricordare ai due ragazzi che cosa avevano perso per sempre.
 
   Qualche ora più tardi, mentre Fleur liberava con un colpo di bacchetta le Fate che se ne andarono ronzando insulti, Harry e Ginny avevano ricevuto il via libera da Molly: almeno nel giorno del suo compleanno, la “sua principessa” poteva essere esonerata dai compiti di casa. I due ragazzi fecero un giro del giardino, ma quando si accorsero che in un angolo Hermione stava piangendo tra le braccia di Ron, optarono per la camera che Harry divideva con l’amico.
   “Che cos’ha?” chiese Ginny mentre percorrevano il corridoio d’ingresso; Harry si strinse nelle spalle.
   “Le mancano i suoi genitori.”
   La ragazza annuì seria; ma almeno per quella sera, si disse Harry, Ginny non doveva preoccuparsi di tutti gli altri.
   “Allora, ti sei divertita?” si affrettò a chiedere mentre passava un braccio attorno alle spalle della ragazza.
   “E’ stata una serata… magnifica! Davvero!”
   Gli occhi di Ginny brillavano mentre lei stringeva ancora tra le braccia il suo regalo, quell’album che tutti alla Tana avevano contribuito a realizzare; di nuovo Harry sentì il cuore accelerare i battiti: era stupendo vederla così felice.
   Mentre passavano davanti alla camera della ragazza al secondo piano, Harry si ritrovò a pensare che poco più di un anno prima, proprio in quella stanza, lei gli aveva dato il “suo regalo di compleanno”, quell’ultimo bacio prima che lui partisse alla caccia degli Horcrux, quel bacio che lui aveva conservato come una luce durante i mesi bui che erano venuti dopo. Sembrava tutto così lontano, così diverso da quell’estate che invece stava passando tranquilla nella Tana – anche se di certo non c’era da starsene con le mani in mano.
   Era venuto fuori che Herimione aveva già nel cassetto un milione di progetti per il “Museo di Grimmauld Place” – nome assolutamente provvisorio in attesa che le venisse qualche altra idea brillante in merito. Kingsley si era mostrato entusiasta e Kreacher aveva finito con l’accettare, anche se controvoglia, la collaborazione con la signorina Butler, esile bibliotecaria di mezz’età strappata a forza dagli scaffali polverosi dell’archivio del Ministero. Le premesse non erano le migliori, tra l’Elfo Domestico e la burbera signorina che lo squadrava arcigna da dietro le spesse lenti, ma l’entusiasmo di Hermione era tale che lo stesso Harry aveva cominciato a darle man forte durante le lunghe ispezioni alla dimora dei Black. Erano giornate alla ricerca del continuo compromesso, quelle: da una parte la signorina Butler pretendeva di catalogare ed etichettare tutto, dall’altra Kreacher insisteva per chiudere un’intera ala della casa e ricoprire qualsiasi cosa con potenti Incantesimi anti Ladro che prevedevano nei casi migliori mutilazioni istantanee; in mezzo Harry cercava di smorzare i toni e trovare delle soluzioni quantomeno fattibili.
   Hermione dal canto suo aveva un’idea tutta particolare per quel museo, con pannelli incantati praticamente ovunque che ricordassero episodi delle due Guerre e le attività clandestine contro Voldemort intraprese dai due fratelli Black, le cui camere sarebbero state il punto culminante della visita guidata. La cosa non piaceva per niente a Kreacher, che era evidentemente – e fisicamente – combattuto tra la disapprovazione di tutto quello che usciva dalla bocca di Hermione, il tentativo disperato di ignorarla e l’ordine esplicito che Harry gli aveva dato di non insultare nessuno per nessun motivo, tanto meno la sua amica.
   Non avevano ancora una data precisa di apertura, ma una volta imbastita la struttura generale e messi d’accordo cane e gatto, Hermione riteneva che i lavori sarebbero potuti andare avanti anche senza la loro presenza costante.
   Alla Tana, invece, Harry si era buttato anima e corpo nell’imparare a prendersi cura di Teddy: sotto la guida esperta di Molly, il ragazzo aveva preso confidenza con tettarelle, pannolini, riposini, giochi e anche le prime pappe. Ormai la signora Weasley era tranquilla a lasciare il bambino con Harry e Ginny quando usciva o semplicemente quando aveva bisogno di un po’ di riposo.
   Andromeda non era migliorata, anche se aveva avuto qualche momento di inquietante lucidità in cui chiedeva con insistenza ad Arthur perché l’avessero portata in quel luogo. Aveva perso completamente l’interesse nei vestitini da bambino e non parlava più della gravidanza della figlia, ma si aggirava per il reparto chiuso con gli occhi attenti, osservando tutto con molta attenzione e spesso in silenzio. Aveva riconosciuto Frank ed Alice Paciock e ogni tanto li avvicinava in corridoio cercando di parlare con loro, ma senza grandi risultati. Harry non era più tornato a trovarla; aveva provato un paio di volte, ma si era sempre bloccato sulla soglia del reparto chiuso.
   Chi invece sembrava migliorare di giorno in giorno, almeno a detta della figlia, era Xenophilius Lovegood: Luna mandava lettere regolarmente ed erano man mano più entusiastiche sulla ritrovata serenità del padre. A fine luglio la notizia dell’attacco a Harry era arrivata anche a loro, che in quel momento si trovavano nella Foresta Nera nel cuore della Germania; la conseguenza era stata un enorme gufo nero dallo sguardo cattivo che aveva consegnato a Ginny una lettera carica di ansia e che si era rifiutato di ripartire senza una risposta esaustiva.
   L’ultima pergamena era stata invece recapitata da una graziosa civetta arruffata e conteneva anche un piccolo pettegolezzo sul quale Ginny e Hermione avevano fantasticato per diversi giorni: Luna raccontava del loro viaggio attraverso le Alpi Svizzere, durante il quale avevano incontrato un giovane mago in viaggio studio come Magizoologo. La ragazza si era dilungata in una descrizione dei suoi morbidi capelli color sabbia e aveva usato toni entusiastici per annunciare loro che aveva scoperto che il ragazzo era niente meno che il nipote di Newt Scamander, l’autore del loro libro di testo di Cura delle Creature Magiche. Nell’eccitazione del racconto Luna aveva completamente dimenticato di scrivere il nome di questo affascinante mago – assolutamente tipico di lei, come aveva decretato Ginny leggendo per la terza volta la lettera.
   Altri due gufi avevano portato a metà luglio le lettere di Hogwarts, con due belle spille nuove e luccicanti: prevedibilmente, Hermione era stata nominata Capo Scuola, mentre Ginny si sorprese non poco quando dalla sua busta scivolò la spilla di Capitano della squadra di Quidditch di Grifondoro.
   Nessuno aveva più cercato di uccidere Harry – ed era già un gran successo, come gli aveva fatto notare Ginny un paio di volte – e il suo braccio aveva ripreso completamente a funzionare, dando al massimo una fitta o due ogni tanto.
   Qualche volta a cena si parlava ancora di chi potesse essere l’uccellino, come avevano cominciato a chiamare scherzosamente la possibile talpa all’interno del Ministero, ma il pensiero era ormai in secondo piano; Harry non si illudeva che non ci sarebbero stati altri problemi, ma sapeva che con tutta probabilità il pericolo vero sarebbe arrivato una volta che lui e Ron avessero cominciato il corso da Auror, il sette di settembre. Fino ad allora Harry aveva deciso di godersi in pieno ogni giorno con Ginny; il trenta agosto e la Cerimonia dei Diplomati si stavano avvicinando a grandi passi, dopo di ché lei avrebbe dovuto riprendere le lezioni a Hogwarts, lontano da lui, ancora una volta.
 
   Entrarono nella camera all’ultimo piano della Tana e si sedettero sulla brandina di Harry; lo sguardo di Ginny, chissà come, capitò su un vecchio e spesso libro rilegato di cuoio, sullo scaffale nell’angolo.
   “Che cos’è?” chiese la ragazza, alzandosi e allungando il braccio verso il volume senza aspettare una risposta.
   “No, Gin, quello…”
   Harry non fece in tempo a finire la frase che la ragazza aveva già preso il libro e lo aveva aperto, rimanendo a bocca aperta: era l’album che Hagrid aveva confezionato per Harry, alla fine del suo primo anno a Hogwarts, con tutte le foto di Lily e James Potter che era riuscito a trovare. Chissà come quel volume era riuscito a salvarsi dall’ultimo, allucinante anno e quando Harry se l’era ritrovato per le mani aveva pensato di utilizzarlo per conservare anche altri ricordi, come la Mappa del Malandrino e la lettera scritta da sua madre che lui aveva trovato in camera di Sirius.
   Ginny continuava a sfogliare le pagine, avida di altre immagini, avida di sapere; si sedette di fianco a Harry quasi senza accorgersene.
   “Non mi avevi mai parlato di… questo” mormorò stupita.
   “Io…” il ragazzo non sapeva proprio cosa dire.
   “Tua madre era bellissima” sussurrò Ginny passando un dito su un’immagine di Lily che scriveva qualcosa su una pergamena e rideva nel momento in cui si accorgeva di essere osservata. “E tuo padre… cavolo, sei la sua copia perfetta! A parte…”
   “Gli occhi” completò Harry, per l’ennesima volta nella sua vita. Passò un braccio attorno al fianco di Ginny, a disagio; non era pronto per tutto questo – ma raramente si è pronti nel momento giusto per certe cose. Lui apriva veramente poche volte quell’album e in nessun caso in presenza di altre persone; e adesso Ginny lo sfogliava con noncuranza, commentando le foto, guardando dappertutto. Harry si sentiva quasi violato: quelle immagini che erano state solo ed esclusivamente sue, ora erano in piazza, davanti ad occhi estranei.
   La mano di Ginny tremò appena quando trovò la lettera di Lily e la prese con delicatezza, come se fosse un reperto raro; la ragazza la scorse con gli occhi, poi si voltò verso Harry per dire qualcosa ma si bloccò, vedendo l’espressione dura di lui.
   “Va… tutto bene?” gli chiese.
   Harry provò l’impulso di strapparle l’album e la lettera dalle mani, di urlarle di andarsene e di non permettersi mai più di fare una cosa del genere. Ma la voce del buon senso gli disse che era una reazione assurda: dopo tutti i discorsi sul fare squadra e condividere ogni cosa, proprio non aveva senso una risposta del genere. Harry sospirò e prese dalla mano di Ginny la lettera di sua madre.
   “Io… non ero pronto a farti vedere queste cose” sussurrò fissando la calligrafia di Lily, cercando tutte le g, così simili alle sue, come se quelle lettere potessero in qualche modo calmarlo.
   “Harry, mi dispiace” disse subito Ginny. “Davvero, io non pensavo… non volevo farti male.”
   La voce di lei era praticamente un sussurro; il ragazzo alzò lo sguardo e le sorrise.
   “Prima o poi sarebbe successo comunque. Ma avrei preferito essere io a scegliere quando.”
   Ripose la lettera con cura tra le pagine di pergamena ingiallita, richiuse l’album e lo rimise sullo scaffale nell’angolo con estrema calma, in modo da dare le spalle a Ginny e avere il tempo di calmarsi.
   “Hermione mi ha detto che siete stati a Godric’s Hallow, a Natale.”
   La voce di Ginny lo raggiunse mentre era ancora voltato verso lo scaffale.
   “Davvero?” chiese Harry senza girarsi.
   “Mi chiedevo… mi chiedevo se prima o poi tu avessi piacere di tornarci… con me.”
   Per quanto conosceva Ginny, quella richiesta doveva esserle costata molto. Prima di quella sera, lei non era mai stata invadente, aveva rispettato quasi con timore quello che Harry desiderava dirle e quello che voleva tenere per sé. Lei non chiedeva, lei aspettava.
   E si è anche stancata di aspettare, disse la voce del buon senso.
   Harry attese qualche altro momento, poi si decise a voltarsi: la ragazza, la sua ragazza, lo guardava seria, senza accenni di pietà o lacrime, semplicemente in attesa della sua risposta. Lui allungò le mani e la fece alzare, senza riuscire a staccare gli occhi dai suoi.
   Devi farlo, devi farlo adesso, gli diceva la voce del buon senso. Se non lo fai adesso, non troverai mai più il coraggio per tornare là, lo sai bene.
   Sì, lo sapeva perfettamente. Strinse la presa sulle mani di Ginny, si concentrò su quel cimitero ignorando le fitte allo stomaco e girò su sé stesso.
   “Harry, no!”
   Fu come sbattere l’intera parte destra del corpo contro un muro di solidi mattoni. Sia lui che Ginny caddero a terra.
   “Ma che fai?” Ginny rideva, massaggiandosi la guancia sinistra arrossata. “Ti sei dimenticato che ci sono gli Incantesimi Anti Smaterializzazione?”
   Sì, dannazione, era proprio così. Harry lasciò cadere anche la testa sul pavimento, sconsolato, spostando gli occhiali e coprendosi il viso con le mani. La risata di Ginny lo contagiò, più per nervosismo che altro.
   “Tutto bene?” chiese lei. Era a gattoni di fianco a Harry, che la sbirciò aprendo due dita.
   “Sono un idiota vero?”
   Ginny rise ancora, poi si sedette per terra, prese le mani di Harry e le allontanò dal viso.
   “Andremo quando ti sentirai pronto. Non adesso, non voglio che tu lo faccia perché io ho pestato i piedi come una bambina capricciosa che ficca il naso dappertutto. Mi dirai tu quando. E io ci sarò” disse sorridendo.
   Harry la tirò a sé e cominciò a baciarla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Yeah, ce l’ho fatta! Il rientro a lavoro, come da previtions, è stato abbastanza terrificante, ma dopo l’ennesima giornata di poop ho deciso che era assolutamente ora di rimettere mano a Efp.
Allora allora, vi premetto che per diversi aggiornamenti metterò in pausa la parte più di azione, diciamo così, torniamo un po’ agli sbrodolamenti che mi son così cari – cerco sempre di trattenermi, ormai lo sapete – ma vogliamo forse negare un po’ di falso senso di sicurezza si nostri eroi? Giammai.
Quindi per chi predilige l’azione, portate pazienza un pochino, torneranno anche gli scaravoltamenti, ma per il momento ci godiamo un po’ di sana tragedia spirituale.
Dunque, mega riassuntone di un mese estivo alla Tana! Spero di essere stata sufficientemente chiara, la terza volta che ho riletto il capitolo volevo cestinarlo in blocco, poi ho respirato in un sacchetto, ho dato un’aggiustata qua e là e spero che il risultato finale sia decente.
Aggiornamento dedicato alle foto, grazie alle quali Ginny ha rischiato di farsi urlare in faccia da Harry, ma ejoy, se l’è cavata comunque!
Breve excursus anche sull’emotività di Hermione, che sta finalmente cercando di elaborare il lutto dei genitori dopo un anno in cui aveva altro per la testa e i suoi sentimenti sono dovuti passare per forza in secondo piano; la Rowling ci dice che lei tornerà una sola volta in Australia a rinnovare l’incantesimo di memoria e io ho deciso di dare per buona questa versione, con tutte le conseguenze che questa scelta comporta. Ma ne riparleremo meglio con il ritorno a Hogwarts!
Bon, cari, chiedo di nuovo scusa per gli aggiornamenti non celeri.
 
…….. e soprattutto vi chiedo scusa in ginocchio fin da adesso per il prossimo capitolo. Ci ho pensato e ripensato, giuro, ma proprio per la piega che aveva preso quella parte di storia, ecco, non poteva finire diversamente. Mi dispiace davvero.
 
Grazie di cuore a tutti coloro che leggono, seguono e soprattutto recensiscono! Con l’aggiornamento scorso siamo arrivati alle 100 recensioni, grazie davvero, è una grande soddisfazione!
Smack!
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** 17 agosto 1998 – San Mungo, reparto Janus Thickey ***


Chi ti cullerà quando il sole non ti lascerà dormire?
Chi si sveglierà per portarti a casa quando sarai ubriaco e solo?
Chi ti guiderà attraverso il lato oscuro del mattino?
Non sarò io
 
It ain’t me – Selena Gomez
 
 
 
 
 
 
17 agosto 1998 – San Mungo, reparto Janus Thickey
 
 
   Ted, Dora, Remus.
   Andromeda soppesò ancora una volta la sfera di vetro nascosta nella tasca della sua veste e ancora una volta pensò che avrebbe dovuto dosare bene la forza, la palla di per sé era troppo leggera.
   “Signora Tonks, si sbrighi, stanno già servendo il pranzo!”
   “Grazie Amalia, tesoro” disse Andromeda con un sorriso amabile. Lasciò la presa sulla sfera e si incamminò tranquilla verso la sala comune in cui mangiavano tutti i reclusi; le avevano dato il permesso da poco e lei si era ben guardata dal dare loro motivi per revocarglielo. Doveva stare tranquilla, doveva pazientare, dove aggrapparsi a quello che sapeva essere vero.
   Ted, Dora, Remus.
   Si ripeté ancora una volta quei nomi, come una litania, come una preghiera incessante. C’era stato un momento, forse giorni, forse mesi, non sapeva dire, in cui aveva dimenticato il suono di quei nomi, aveva dimenticato che cosa era successo a quelle persone. Sapeva solo che un giorno si era ritrovata in piedi davanti ad un tavolo a piegare vestiti per neonati; in testa aveva una strana storia che riguardava sua figlia: per qualche assurdo motivo era convinta che Dora fosse incinta.
   Ted, Dora, Remus.
   Andromeda si sedette al lungo tavolo insieme agli altri reclusi e mentre le veniva messo davanti un piatto di carne e verdure rimuginava sul suo piano. In un piccolo tavolo rotondo, in un angolo del salone immacolato, Frank ed Alice Paciock fissavano le loro pietanze con sguardo vuoto.
   E’ così che mi vogliono ridurre, è così che ridurranno tutti quanti!
   Andromeda non capiva proprio come tutti i reclusi, dal primo all’ultimo potessero essere così ciechi da non vedere la semplice realtà delle cose: erano stati presi, alla fine Voldemort aveva vinto e i Mangiamorte avevano preso tutti loro. Erano stati deportati e rinchiusi in quella specie di gabbia dorata in cui tutti si fingevano estremamente gentili, comprensivi, desiderosi di aiutarti. Ma lo scopo finale era un altro, e Andromeda l’aveva capito perfettamente quando aveva rivisto Frank ed Alice: li avrebbero portati alla follia, uno per uno, subdolamente, con le buone o con le cattive. Avrebbero rimosso i ricordi di ognuno di loro sostituendoli con meravigliose storie inventate da chissà chi.
   Dora incinta, ma che assurdità. Dora non avrebbe mai rischiato di far nascere un bambino in un mondo del genere, figlio di un Licantropo, poi. Remus, Remus aveva del buon senso, non voleva un figlio e lei lo sapeva.
   Ted, Dora, Remus.
   Doveva concentrarsi su ciò che le era rimasto di reale. E fingere, fingere cortesia ed obbedienza, come tutti loro, ancora per un poco, finché non si fosse presentata l’occasione giusta.
   “Signora Tonks, il Guaritore Paracles ha anticipato il suo appuntamento all’una e mezza” Amalia si era chinata su Andromeda e sorrideva con gentilezza. “Il Guaritore si scusa e spera che per lei non sia un problema.”
   Stupida serpe, pensò Andromeda, ma quello che uscì dalla sua bocca fu un cordiale: “Va bene comunque, Amalia cara.”
   Finse di concentrarsi nuovamente sulle sue verdure cotte, mettendosi un boccone in bocca con un gesto automatico. Forse quella era l’occasione giusta. Il Guaritore Paracles era giovane, sembrava inesperto e ingenuo abbastanza da fidarsi di lei. Era stato proprio nel suo studio che Andromeda era riuscita a rubare quella sfera di cristallo che in quel momento nascondeva nella tasca della veste; doveva essere qualche sciocchezza babbana che Paracles teneva come trofeo: che cos’altro avrebbe potuto farci un Mangiamorte con una sfera piena di acqua e di piccoli pallini bianchi che si muovevano solo se si scuoteva la palla con insistenza? La base di legno era abbastanza pesante, si ripeté ancora una volta, quella mi aiuterà.
   Ted, Dora, Remus.
   Avevano preso anche loro, ne era certa come era sicura del fatto che il cielo fosse azzurro. Chissà dove erano in quel momento, chissà che cosa stavano facendo loro. Era solo questione di tempo, lo aveva detto tante volte a Ted, mentre lo supplicava di scappare da qualche parte, qualunque parte che non fosse l’Inghilterra. Fin quando non era stato troppo tardi e le leggi contro i Nati Babbani erano state emanate.
   Andromeda finì di mangiare con calma, non doveva trasparire alcuna fretta dai suoi movimenti, nessun gesto brusco che avrebbe potuto insospettire le guardie in divisa verde acido.
 
   “Prego signora Tonks, si accomodi.”
   Il Guaritore Paracles aveva l’aria di essere davvero molto giovane, con quella barba castana che cresceva qua e là e gli occhi chiari; probabilmente non aveva più di venticinque anni, forse era fresco del corso quadriennale del San Mungo. Andromeda comprendeva perfettamente perché i Mangiamorte si servissero di Guaritori: chi meglio di loro poteva raggirare la mente umana fino a portarla sul baratro? Ma lei aveva capito, lei sapeva, lei avrebbe resistito.
   Ted, Dora, Remus.
   Strinse un’ultima volta la sfera di vetro nella tasca, poi si alzò ed entrò nello studio del Guaritore, dove, come al solito, erano preparate due ampie poltrone una di fronte all’altra. Paracles si accomodò su quella di sinistra e fece cenno ad Andromeda di sedersi sull’altra.
   “Allora, come si sente oggi?” chiese il Guaritore aprendo un taccuino e intingendo una penna nella boccetta di inchiostro poggiata su un tavolino.
   “Direi bene” rispose Andromeda evasiva.
   “E come stanno i suoi familiari? Suo marito, sua figlia?”
   Un moto di rabbia salì dallo stomaco di Andromeda.
   Tu sai, figlio di puttana, tu sai dove sono.
   “Oh, è un po’ che non li vedo a dire il vero.”
   Era il momento di cambiare il copione, di scoprire qualche carta.
   “Davvero?” Paracles inarcò le sopracciglia e prese appunti concitati sul piccolo quaderno. Andromeda approfittò della distrazione per cominciare a cercare.
   “Inizio a preoccuparmi” proseguì la donna. “Ted non torna a pranzo da diversi giorni. Lei sa dirmi qualcosa?”
   Vediamo come te la cavi.
   “Potrei avere qualche informazione. Ma mi parli prima di Dora. Come sta? Mi diceva che era incinta.”
   “Oh no, non credo lo sia più.”
   “Ha avuto il bambino?”
   Gli occhi di Andromeda percorrevano febbrilmente la divisa verde acido del Guaritore, in cerca di una tasca.
   “Io… non lo so.”
   “Le dice niente il nome Ted Remus Lupin?”
   Ted, Dora, Remus.
   Andromeda interruppe per un attimo la sua ricerca e fissò Paracles negli occhi.
   “Dovrebbe?”
   “Mi dica solo se le ricorda qualcosa.”
   Doveva dirgli qualcosa che lo accontentasse o lei non avrebbe mai trovato quello che cercava.
   “Remus Lupin è mio genero” scandì quelle parole con calma misurata; il Guaritore ricominciò a scrivere sul suo taccuino e Andromeda riprese a scrutare quella maledetta divisa. Paracles incrociò le gambe, la veste si piegò ed eccola, finalmente: da una tasca sul fianco spuntò l’impugnatura di una bacchetta.
   La prima cosa che le avevano tolto quando era arrivata in quel posto – Andromeda lo ricordava bene – era la sua bacchetta: frassino e corda di cuore di drago, l’unica e sola che avesse mai posseduto in tutta la sua vita, una parte di lei, la sua amica – la sua arma. Privata della sua sola difesa, era poi stata costretta a bere pozioni e a dormire, dormire finché il giorno e la notte non erano diventati un’unica cosa e realtà e menzogne si erano fusi in un groviglio inestricabile.
   Ma da quando si era risvegliata, da quando aveva riaperto gli occhi davvero e aveva capito che cosa le stavano facendo, il suo unico obiettivo era stato quello di mettere le mani su una bacchetta, una qualsiasi.
   “Signora Tonks?”
   Andromeda distolse gli occhi dalla tasca del Guaritore, che la guardava perplesso.
   “Mi scusi, cosa mi ha chiesto?”
   “Le ho chiesto cos’altro mi sa dire di suo genero, di Remus.”
   Ted, Dora, Remus.
   Maledetto, maledetto bastardo.
   “E’ un Licantropo” disse Andromeda senza tanti tentennamenti; Paracles annuì e prese un altro appunto.
   “Guaritore, posso farle io una domanda?”
   Paracles sembrò incerto, poi annuì di nuovo.
   “Perché sta facendo tutto questo?”
   L’uomo si strinse nelle spalle.
   “Aiuto le persone a stare meglio, signora Tonks. Fare il Guaritore dà molte soddisfazioni. I pazienti mi danno molto più di quello che io riesco a dare loro.”
   Era così giovane – e così ingenuo. Andromeda infilò una mano in tasca con movimenti lenti e misurati.
   “Lei è un ragazzo buono, Paracles.”
   “La ringrazio” il Guaritore le sorrise.
   Andromeda afferrò la sfera di vetro, la estrasse dalla veste e la usò per colpire con decisone la tempia del Guaritore, che non fece nemmeno in tempo a capire cosa stesse succedendo. Il colpo non riuscì a stordirlo, ma fu sufficiente a farlo cadere dalla poltrona e a far scivolare la bacchetta dalla sua tasca quel tanto che bastava per consentire ad Andromeda di afferrarla.
   “Petrificus Totalus!
   Fu estremamente difficile scagliare quell’Incantesimo, la bacchetta si ribellava alle dita estranee, ma i muscoli di Paracles rimasero comunque contratti e meravigliosamente pietrificati. Gli occhi del Guaritore guardavano Andromeda disperati e pieni di panico; la donna si accovacciò di fianco a lui e gli puntò la sua stessa bacchetta alla tempia.
   “Voglio delle risposte” sibilò. “Sbatti le palpebre una volta per il sì, due per il no. Sono stata chiara?”
   Paracles sbatté le palpebre una volta.
   “Sai dove sono Ted, Dora e Remus?”
   Gli occhi del Guaritore si riempirono di lacrime.
   Stupido ragazzino.
   “Ti ho chiesto se sai dove sono!” Andromeda affondò la punta della bacchetta nella tempia del legittimo proprietario, che sbatté le palpebre una volta.
   “Stanno bene?”
   Le palpebre si chiusero due volte. No. Andromeda socchiuse gli occhi e soppesò le proprie parole; sapeva che la risposta sarebbe stata quella, era preparata – ma fino a che punto lo era davvero?
   “Sono feriti?”
   Nessuna risposta. La donna trattenne il fiato.
   “Sono… morti?”
   Sì.
   La mano di Andromeda tremò così forte che quasi la bacchetta le cadde. Lo aveva detto a Ted, lo aveva detto che era solo questione di tempo. Li avrebbero trovati e li avrebbero uccisi, tutti, dal primo all’ultimo. Probabilmente a lei era stato riservato quel “trattamento speciale” solo a causa del nome della sua famiglia di origine, l’antica e nobile casata dei Black – la voce pomposa di sua madre sembrava quasi rimbombarle nelle orecchie in quel momento. Ma un Nato Babbano, una Mezzosangue e un Lupo Mannaro non avevano alcuna speranza, assolutamente nessuna.
   Era solo questione di tempo.
   Andromeda lasciò cadere la testa sul proprio petto; aveva sempre creduto che avrebbe pianto, una volta ricevute quelle notizie, ma i suoi occhi erano asciutti. La sua anima era asciutta, prosciugata, essiccata dall’interno, soffocata dall’assenza di speranza.
   Speranza.
   Una cosa che le aveva insegnato Ted. Lui ne aveva sempre avuta in abbondanza, anche per gli altri, anche per lei che non sapeva vedere il lato buono della vita. Ted aveva sempre una parola gentile per tutti e non credeva che le cose potessero mettersi male; e anche quando si erano messe male davvero, lui aveva messo al sicuro Andromeda e Dora e aveva preso la via dei boschi, come uno spirito libero. Aveva detto che sarebbe tornato, che era solo questione di tempo, che tutto si sarebbe calmato, che Harry Potter avrebbe vinto quella guerra.
   E invece tutto era perduto. Lui non sarebbe tornato.
   Ma su una cosa Ted aveva avuto ragione: era solo questione di tempo. E Andromeda aveva ancora un po’ di tempo a sua disposizione. Non sarebbero stati loro a decidere come lei avrebbe speso quel tempo.
   Andromeda si alzò con calma, una calma che non avrebbe mai pensato di riuscire a mantenere in un momento del genere. Pensò a Dora, la sua piccola, la loro unica, meravigliosa, preziosa figlia; cercò di ricordare ogni particolare del suo viso, ogni espressione, ogni giorno passato a vederla crescere, ridere, correre, studiare, combattere e infine tornare a casa mano nella mano con Remus, annunciando che si era sposata da qualche parte in Scozia.
   Scozia? Era la Scozia?
   Scosse la testa, cercando di riordinare i ricordi, ma l’ultimo anno era così confuso da non sembrare nemmeno reale. Andromeda si rese conto di non essere più in grado di distinguere cosa era accaduto veramente da quello che le avevano instillato nella mente quei bastardi.
   Abbassò lo sguardo su Paracles: sembrava più giovane che mai, gli occhi sbarrati dal terrore, le lacrime che rigavano le guance. Piangeva come un bambino.
   “Mi dispiace” disse in ultimo moto di umanità. “Mi dispiace che tu debba vedere queste cose. Ma dimmi, cosa ci faccio io in un mondo dove non ci sono più le persone che ho amato molto più di me stessa?”
   Per un momento ad Andromeda sembrò che il Guaritore volesse dirle qualcosa, qualcosa di importante, e fu quasi tentata di revocare l’Incantesimo. Ma cosa le poteva dire quel piccolo, ingenuo Guaritore al servizio dei Mangiamorte? Bugie, nient’altro che bugie.
   Ted, Dora, Remus.
   Le cose veramente importanti, le uniche reali, erano quelle tre parole – perché ormai non erano altro che tre semplici, vuote parole. Respirò a fondo e alzò la bacchetta.
   E la puntò contro la propria tempia.
   Gli occhi di Paracles sembrarono spalancarsi ancora di più, ma la formula magica aveva già lasciato le labbra di Andromeda.
   “Avada Kedavra.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Mi dispiace.
Mi dispiace mi dispiace mi dispiace e ancora mi dispiace.
Mi dispiace così tanto che ho cominciato a chiedervi scusa dal capitolo scorso!
 
Prima di passare al 27 però voglio fare una precisazione sul capitolo scorso: come ho scritto a diversi di voi che hanno recensito, quando finii di leggere “I doni della morte” come credo tutti avevo cercato la storia dei protagonisti nel “dopo guerra” e da qualche parte avevo letto che Hermione tornava in Australia solo per rinnovare l’incantesimo di memoria dei suoi genitori. Ne ero talmente sicura che non ho nemmeno fatto la consueta ricerca febbrile di conferma.
Alla quarta recensione in cui il lettore di turno shockato mi confidava di aver sempre creduto che Hermione riportasse indietro i propri genitori, mi sono fatta due domande e ho fatto la ricerchina... ed in effetti nei fandom la versione è questa, anche se sul Pottermore non ho trovato nulla che si sbilanci in un senso o nell’altro. Quindi chiedo scusa a tutti per la solenne fandonia e vi prego a questo punto di considerare questa versione come la mia privata visione dei fatti, seguendo la quale proseguirà la linea narrativa di Hermione.
 
Detto ciò, arriviamo ad Andromeda: ci ho pensato e ripensato, ma questo era l’unico modo in cui la mia Andromeda poteva finire. Troppi lutti, troppe ferite, troppo tutto insomma. Si è completamente sciroccata il cervello - detto in termini puramente tecnici. E allora ho attinto a piene mani dalla mia esperienza professionale e vi ho portato un caso da manuale di psicosi con manie di persecuzione e negazione della realtà! Con tanto di “canto del cigno” prima del gesto estremo.
Una piccola curiosità: Paracles vuole essere un micro omaggio a Paracelso, uno dei pochi illuminati che, all’epoca della Santa Inquisizione e della caccia alle streghe, cominciò a parlare di disturbi psichiatrici e non di stregoneria – aveva altri problemi, ma questo è un altro discorso! ;-P
 
Ok, chiudo qui perché ho scritto veramente tanto e sarete morti di noia.
Giuro nei prossimi capitoli mi faccio perdonare.
Grazie, grazie e ancora grazie a chi ha letto e leggerà, a chi segue e grazie di cuore a chi recensisce!
 
Special thanks to:
_il colore del vento_ : grazie anche in pubblico della tua bellissima recensione!
DANI1993: che ha recensito da poco i capitolo 1 e 2, quindi arriverà qui tra un po’ di tempo, ma ci tengo a ringraziarlo già da ora!
 
A presto!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** Prima e dopo l’Espresso di Hogwarts ***


Keating:
«Cogli l'attimo. Cogli la rosa quando è il momento.» Perché il poeta usa questi versi?

Charlie:
Perché va di fretta!

Keating:
No! Ding! Grazie per aver partecipato al nostro gioco. […]
 Adesso avvicinatevi tutti, e guardate questi visi del passato: li avrete visti mille volte, ma non credo che li abbiate mai guardati. Non sono molto diversi da voi, vero? […]
Pensano di essere destinati a grandi cose, come molti di voi, i loro occhi sono pieni di speranza, proprio come i vostri. Avranno atteso finché non è stato troppo tardi per realizzare almeno un briciolo del loro potenziale? Perché vedete, questi ragazzi ora, sono concime per i fiori.
Ma se ascoltate con attenzione, li sentirete bisbigliare il loro monito.
Coraggio, accostatevi. Ascoltateli. Sentite?
Carpe... Sentito? Carpe... Carpe diem...
Cogliete l'attimo, ragazzi... rendete straordinaria la vostra vita...
 
Dal film L’attimo fuggente – Peter Weir
 
 
 

 
Prima e dopo l’Espresso di Hogwarts

 
 
29 agosto 1998 – La Tana
 
“Com’è successo? Come diavolo è successo?”
“Signor Weasley, non potevamo prevederlo.”
“L’avete lasciata da sola con… quanti anni ha, questo idiota? Tredici?”
“La prego, si calmi. Il San Mungo…”
“Harry, non guardare. Vieni con me.”
Harry si lasciò condurre da Molly in un’altra stanza, ma tutto era confuso: le persone, gli oggetti non avevano contorni definiti e presto le pareti della camera tremarono, trasformandosi nelle composte file di colonne di un porticato. Harry sapeva di trovarsi al cimitero di Kensal Green, dove la famiglia Black aveva la cappella di famiglia, una delle più antiche; così come sapeva che in braccio aveva Teddy, sentiva già la sua testolina sulla spalla. Ormai visitava quel posto tutte le notti e tutte le notti risentiva le parole indistinte del celebrante, mentre la lastra di marmo veniva fissata a colpi di bacchetta da Athur e Molly.
“Posso prendere Teddy con me” disse la voce di Lyall Lupin, all’orecchio destro di Harry.
“No” disse con decisione il ragazzo per l’ennesima notte di fila, ripetendo le stesse parole che aveva realmente pronunciato il giorno del funerale di Andromeda. “Teddy starà con me.”
D’istinto Harry avvolse il bambino con entrambe le braccia, portandolo lontano dal nonno paterno, che forse avrebbe avuto più diritti di lui su Teddy. Ma Harry era il padrino, Harry si sarebbe preso cura di lui personalmente, doveva assicurarsi che lui stesse bene, tutti i giorni.
“Io posso…”
“No!”
“Harry, piantala di urlare.”
Ron gli rifilò un calcio senza nemmeno alzarsi dal proprio letto, tanto era vicina la brandina in cui Harry dormiva.
“Scusa” bofonchiò Harry stroppiciandosi gli occhi con una mano.
“E’ mai possibile che ci sia sempre qualcosa che ti fa urlare nel sonno? Prima Voldemort, poi questo…”
Sapeva che Ron cercava solo di sdrammatizzare, ma proprio Harry non riuscì a sorridere. Si mise a sedere, cercò gli occhiali sul comodino e se li premette sul naso, sospirando. Aveva decisamente bisogno di una doccia. E di Ginny. Il pensiero che quello sarebbe stato l’ultimo giorno con lei alla Tana faceva deprimere Harry ancora più di quanto già non lo fosse.
“Ehi, ho detto quella roba per ridere…” disse Ron voltandosi su un fianco per guardare l’amico in faccia. “Non volevo, beh… lo sai…”
“Lo so, stai tranquilllo” Harry si sforzò e stiracchiò le labbra nel miglior sorriso che riuscì a fare. “E’ tutto a posto, Ron.”
 
La luce rossa del tramonto inondava il giardino della Tana; la giornata era trascorsa in fretta, davvero troppo in fretta. Harry strinse ancora una volta a sé Ginny, respirando a pieni polmoni il suo profumo di fiori.
“E’ davvero strano quando mi annusi” disse lei ridendo nervosamente. “Sembra sempre che tu voglia… mangiarmi!”
Harry finse di morderle il collo e lei si ritrasse di scatto, ridendo ancora più forte.
“Mi mancherai” mormorò lui nascondensosi tra i capelli di lei; la risposta di Ginny tardava ad arrivare, così Harry alzò la testa e la guardò. “E io no?”
Ginny inarcò le sopracciglia e alzò gli occhi al cielo.
“Più di quanto sia disposta ad ammettere ad alta voce, Potter!” dichiarò con convinzione. “Quindi rimandiamo i sentimentalismi a domani, va bene?”
“Ho solo… paura” ammise Harry a mezza voce.
“Di cosa?”
“Di sentirmi solo.”
Stupido bambino di quattro anni. E tu dovresti prenderti cura di Teddy?
“E’ normale, Harry” Ginny sorrideva. “Ma io sarò a portata di gufo, ricordatelo. E poi c’è Ron, e i miei genitori e… non sei mica nel deserto del Sahara!” aggiunse ridendo ancora una volta.
Certo, ma nessuno di loro è te.
“E’ l’ultimo anno” Ginny lo abbracciò e cominciò a parlargli all’orecchio. “Dobbiamo avere un po’ di pazienza. Prendo il Diploma poi saremo liberi di pensare al resto della nostra vita. Ci credi, Harry? Ancora pochi mesi e poi non staremo mai più separati.”
“Sempre che nessuno tenti ancora di uccidermi.”
Ginny lo strinse di più, mentre Harry si dava dell’idiota per aver detto quella frase così stupida.
“Affronteremo tutto.”
La ragazza si staccò e lo guardò dritto negli occhi.
“Ma tu devi collaborare. E devi piantarla di pensare continuamente alle cose brutte… e alle persone che non ci sono più.”
Harry deglutì, quella frase aveva avuto lo stesso effetto di uno schiaffo.
“Vuoi essere utile agli altri? Tieni la testa nel presente, qui e adesso. Sul passato non possiamo più fare nulla, le persone che se ne sono andate non torneranno. E il futuro può riservarci di tutto, quindi è inutile spaccarsi la testa adesso. Quello che conta è questo momento, io e te qui ora, Teddy da crescere, Ron e Hermione che ti vogliono bene e che soffrono almeno quanto te.”
Ginny prese fiato un attimo, poi concluse la sua arringa: “Sei con me, Harry? Sei nella mia squadra?”
“Sempre.”
Era l’unica cosa sensata da dire.
 
 
 
 
30 agosto 1998 – La Tana
 
Come ogni anno, il giorno della partenza per Hogwarts la Tana cadeva nel caos più assoluto. Nessuno trovava più nulla e le divise che si era sicuri di aver lasciato nel secondo scaffale dell’armadio erano misteriosamente sparite, sostituite chissà come da una serie di vecchi volumi di Incantesimi ormai inutili. Ginny, in piedi davanti al proprio baule aperto sul letto, tentava disperatamente di ricordare dove diavolo aveva visto l’ultima volta quelle dannate divise.
“Cosa metti stasera?” chiese Hemione dall’altro lato della stanza – cioè, viste le dimensioni ridotte di quella camera, a pochi passi da Ginny; stava soppesando quelli che sembravano due ammassi di tulle e strass, uno rosa cipria e uno azzurro cielo.
“Stasera?”
“Sì, per il ballo. Sai, quello dopo la Cermonia dei Diplomati.”
Ginny si sentì sbiancare. Il ballo. Si era completamente dimenticata di quello stupido ballo. Tentò il bluff.
“Credo… l’abito rosso.”
Hermione alzò gli occhi al cielo.
“Ginny, te l’ho detto un milione di volte, rosso su rosso non è decisamente una buona idea! Ti sta malissimo.”
“Allora sentiamo, cosa suggerisce la nostra esperta di moda?”
Ginny era conscia di avere parecchi difetti e quello di essere dannatamente permalosa era pericolosamente in alto nella classifica di quelli peggiori.
Hermione buttò i due grovigli luccicanti nel proprio baule, in cui cominciò poi a rovistare; poco dopo estrasse un morbido vestito nero dalla linea semplice.
“Che ne dici di questo?”
Era bello, molto bello. Accidenti.
“Potrebbe andare.”
“Provalo.”
Hermione lanciò il vestito a Ginny, che lo prese e lo osservò per qualche momento prima di decidersi ad indossarlo. Era un po’ largo sul petto – l’amica aveva una taglia in più di reggiseno rispetto a lei – ma per il resto sembrava che le fosse stato cucito addosso.
“E’ perfetto!” trillò Hermione e Ginny dovette annuire suo malgrado: stava già immaginando la faccia di Harry quando l’avrebbe vista con quello addosso.
“Che scarpe metterai sotto?” chiese Hermione.
Ci risiamo.
“Ci vuole un tacco alto” affermò con decisione l’amica.
“Io non ho tacchi” disse asciutta Ginny.
“Cosa?”
“Sono scomodi. Inciampo nove volte su dieci e sembro una giraffa che non ha idea di dove siano le proprie gambe.”
“Sciocchezze, devi solo prenderci la mano.”
Senza poter protestare, nel giro di pochi minuti Ginny si ritrovò a percorrere la piccola stanza aggrappata al braccio di Hermione, ai piedi un paio di sandali neri pieni di strass e con un tacco decisamente fuori dalla sua portata.
“Ragazze, siete pronte?” Molly stava bussando alla porta. “Tra dieci minuti dobbiamo essere fuori di casa!”
“Arriviamo!” rispose Hermione.
Ginny scaraventò in un angolo le assurde scarpe che Hermione l’aveva convinta a provare e in un baleno si rimise i suoi comodi jeans e maglietta. Le ragazze si affrettarono a terminare i propri bauli – o meglio, Hermione si limitò a chiuderlo, visto che il suo era già pronto da giorni, mentre Ginny correva ancora per la stanza scaraventando libri e calamai alla rinfusa nel proprio.
“Queste credo siano tue” disse Hermione facendo Levitare tre divise dal proprio armadio al buale di Ginny; come diavolo fossero finite lì, per la proprietaria era proprio un mistero.




30 agosto 1998 – Hogwarts

 Ginny scaraventò la propria borsa sul letto, mancando di poco le tende tirate solo a metà. Era stato il viaggio per Hogwarts più improbabile della storia: la professoressa McGranitt aveva pensato che fosse una grande idea organizzare una corsa supplementare dell’Espresso, quindi Ginny aveva passato sette ore in uno scompartimento con sua madre che trillava eccitata e che continuava a ripetere che erano almento trent’anni che non saliva su quel treno. Si lasciò cadere sul letto e cominciò a massaggiarsi le tempie, sperando che il mal di testa si alleviasse.
“Ginny, ma che fai? Dobbiamo prepararci! La Cerimonia comincia tra un’ora!” esclamò Hermione. “Alzati da lì!” aggiunse tirandole un cuscino, visto che Ginny non accennava minimanete a schiodarsi dal letto. La ragazza mugolò sonoramente, ma si arrese e si costrinse ad alzarsi.
Il dormitorio femminile del settimo anno di Grifondoro era particolarmente grande, visto che avrebbe ospitato non solo le sue compagne dell’anno precedente, ma anche un buon numero di ragazze che avrebbero già dovuto avere il Diploma in mano, se non fosse stato per quel piccolo particolare della Guerra Magica. Hermione si era già espressa molto chiaramente su quanto fosse felice di avere finalmente delle compagne di dormitorio diverse dall’accoppiata Lavanda Brown – Calì Patil, che negli ultimi sei anni non avevano fatto altro che cinguettare di smalti, pettegolezzi e Divinazione. Per quei due giorni tuttavia le uniche occupanti di quella stanza sarebbero state Ginny e Hermione, visto che tutte le altre sarebbero arrivate regolarmente il primo di settembre.
Per i genitori e gli altri parenti dei Diplomandi erano state preparate delle camere al piano terra; Molly e Arthur avrebbero dormito a Hogwarts con Teddy, mentre Percy e George si sarebbero Smaterializzati giusto in tempo per la Cerimonia. Bill, Fleur e Charlie, arrivato dalla Romania e ospite a casa del fratello maggiore, sarebbero arrivati con la Metropolvere da un momento all’altro. Con tutta la banda Weasley l’appuntamento era per le otto all’ingresso della Sala Grande.
Dopo tre mesi passati gomito a gomito in una camera che era grande quanto uno sgabuzzino, a entrambe le ragazze sembrava un sogno avere così tanto spazio a disposizione: Hermione aveva già occopuato tre dei sei letti con una buona quantità di vestiti e scarpe solo per il gusto di poterli guardare tutti in contemporanea.
“Proprio non so decidermi” borbottò Hermione osservando imbronciata il letto numero due, sul quale erano stesi gli ammassi di tulle e strass che aveva soppesato anche quella mattina. Ginny le passò di fianco mentre cominciava a spogliarsi, aveva decisamente bisogno di rinfrescarsi prima di infilarsi in un abito elegante.
“Hermione, sono entrambi… terribilmente scintollosi!” esclamò fingendo un conato di vomito. “Potevano andare bene per far ingelosire Ron al Ballo del Ceppo” proseguì, ignorando le guance di Hermione che prendevano fuoco. “Ma stasera forse ci vuole qualcosa di più… misurato?”
Hermione fissò ancora per qualche momento gli abiti davanti a lei, poi alzò la testa, illuminata da un’idea.
“Il tuo vestito rosso!” esclamò. “A te sta malissimo, ma a me il rosso dona! Me lo presti?”
Ginny inarcò un sopracciglio, indecisa se risponderle picche solo per il gusto di vendicarsi.
“Serviti pure” disse alla fine con un gesto stizzito della mano. “E’ da qualche parte nel mio baule. Buona fortuna.”
Scivolò verso il bagno e si chiuse la porta alle spalle; aprì il rubinetto e si incantò a guardare l’acqua che scivolava via, correndo sulla ceramica perfettamente bianca. Con una mano afferrò l’anello, che appeso al suo collo dondolava nel vuoto, e lo strinse. Non riuscì a non pensare che quella sembrava tutta una commedia, un copione brillante recitato giusto per coprire in qualche modo la sofferenza e il dolore; ma erano tante le cose sbagliate che stonavano in quel quadretto così grazioso: Fred non ci sarebbe stato a vedere Ron diplomarsi, come non ci sarebbe stata la madre di Hannah Abbott, né i genitori di Neville, o di Harry. Ne era sicura, Harry ci stava pensando in quel momento. Ma era stata proprio lei, non meno di ventiquattr’ore prima, a sostenere che sul passato non si può più fare nulla, l’unica cosa che conta è il presente. Qui e ora. Si sciacquò la faccia più volte, come a voler scacciare i pensieri. Sì, quella sarebbe stata una serata speciale e non sarebbe stata lei a rovinarla.
 
Harry si ritrovò davanti allo specchio del dormitorio maschile, occupato solo per quella sera da lui, Ron e Neville, a fissare la propria figura intera: ancora magro come un chiodo nonostante la cura intensiva di costolette e torta di mirtilli di Molly, sembrava un manichino con addosso una veste da cerimonia verde. Si raddrizzò gli occhiali e si passò una mano tra i capelli nel vano tentativo di dar loro una forma; si chiese se anche suo padre si fosse sentito così a disagio la sera del suo Diploma, se anche lui, in quella stanza, avesse avuto i suoi stessi pensieri, gli stessi timori sul suo futuro con la donna che amava, se anche lui si fosse chiesto quanto sarebbe duranta quella tranquillità così fragile e traballante.
Harry si stava sforzando, davvero, ci stava provando con tutte le sue forze a stare nel presente con la testa, come aveva promesso a Ginny, ma non era per niente facile.
“Siete pronti?”
Ron si stava stava allacciando l’ultimo bottone del polsino della propria veste blu scuro, nuovo acquisto di cui andava particolarmente fiero perché – testuali parole – era finalmente un vestito nuovo. Harry annuì e Neville uscì dal bagno sistemandosi ancora una volta i fini capelli con il pettine.
“Sei uno schianto, Neville. Lascia stare i tuoi capelli per l’amor del Cielo” sospirò Ron.
“E’ che voglio fare bella figura, stasera” disse l’altro ragazzo gonfiando il petto. “Ci saranno la nonna e tutti gli zii che è riuscita a mettere insieme. E quando la McGranitt annuncerà che diventerò l’aiutante della professoressa Sprite, voglio guardarli dritti negli occhi. Dovranno rimangiarsi tutte quelle insinuazioni: Neville è un Magonò, ci scommetterei le mutande di Merlino, non riuscirebbe a far funzionare una bacchetta nemmeno se gliela tenessi io!” il ragazzo scimmiottava uno degli innumerevoli parenti incartapecoriti che avevano tormentato la sua infanzia – e la sua autostima. Quello era il gran giorno, per lui, il giorno del riscatto ufficiale agli occhi della famiglia.
Harry diede una pacca sulla spalla all’amico, e insieme a Ron scesero nella Sala Comune di Grifondoro, dove avevano appuntamento con Ginny e Hermione. Le ragazze arrivarono poco dopo di loro e Harry trattenne a stento una risata: la sua fidanzata era aggrappata al braccio dell’amica, cercando di stare in piedi su un paio di tacchi alti almeno una decina di centimetri.
“Se ti metti a ridere…” Ginny estrasse la bacchetta in un gesto eloquente. Harry cammuffò la risata in un sorriso e le porse il proprio braccio, lasciando scivolare lo sguardo sul suo corpo avvolto in un abito nero che faceva risaltare le curve nei punti gisuti.
“Sei splendida” le sussurrò e la ragazza arrossì, sorridendo imbarazzata. Di fianco a loro Ron e Hermione erano già impegnati a soffocarsi a vicenda in un lungo bacio.
“Datevi una mossa!” sbraitò Neville in un tono che nessuno si sarebbe mai aspettato da lui un paio di anni prima; il ragazzo era già con un piede nel buco dietro al ritratto della Signora Grassa e aspettava gli amici con un’espressione degna della McGranitt stessa. Stava già facendo pratica come insegnante, insomma.
Fuori dalla Sala Comune di Grifondoro c’erano ad aspettarli Micheal Corner, che aveva deciso di accettare il Diploma honoris causa per iscriversi al corso di Specializzazione del San Mungo, e Luna Lovegood, avvolta in uno scintillante abito azzurro chiaro lungo fino ai piedi.
“Luna!” esclamò Ginny precipitandosi ad abbracciare l’amica, rischiando di rotolare giù per le vicine scale. “Ce l’hai fatta! Sei tornata prima!”
“Non mi sarei mai persa la Cerimonia di Diploma dei miei migliori amici” disse Luna stringendo Ginny come una gemella da cui fosse stata separata alla nascita; abbracciò con calore anche il resto della compagnia e strinse la mano a Ron, sorridendo. Era già più di quanto il ragazzo potesse sperare.
“E poi vi devo presentare una persona” proseguì in tono stranamente acuto, sgranando gli occhi già enormi. “Un amico che abbiamo conosciuto in Svizzera era curioso di ritornare a Hogwarts, così mi sono permessa di invitarlo alla Cerimonia, stasera.”
Ginny e Hermione si scambiarono uno sguardo di intesa.
“Uh, eccolo!” squittì Luna indicando le scale che portavano al piano superiore da cui stava scendendo un ragazzo alto, dal portamento elegante, con i capelli color sabbia legati in un corto codino. Indossava una specie di frac di un assurdo viola, con due lunghe code che lo facevano sembrare un pinguino troppo cresciuto e del colore sbagliato; Harry non potè fare a meno di pensare che il ragazzo potesse risultare tranquillamente fuori posto sia in un ambiente babbano che in uno magico – cosa che per altro lo rendeva perfetto per Luna.
“Ragazzi” disse Luna schiarendosi la voce e drizzando la schiena. “Vi presento Rolf Scamander.”
Rolf strinse le mani dei ragazzi e si esibì in un elegante baciamano con le ragazze; Hermione ne rimase evidentemente impressionata, ma il volto di Ginny diventò scarlatto.
“E’ un’usanza babbana” spiegò Rolf con la sua voce dal timbro caldo, continuando a tenere la mano di Ginny, che chiaramente avrebbe preferito essere centrata da un Bolide in quell’esatto momento. “Salutano così le signore nelle occasioni formali. L’ho imparato in Francia, l’anno scorso e…”
Forse il racconto aveva una prosecuzione, ma Luna cominciò a ridere sguaiatamente, di gola, le guance arrossate.
“In Francia!” riuscì a dire tra le lacrime, piegata in due dalle risate. “Oh, non è fantastico?” chiese a nessuno in particolare. Rolf, lungi dal mostrarsi offeso o stranito come qualunque altra persona avrebbe fatto, lasciò la mano di Ginny e sorridendo offrì il braccio a Luna, che si stava asciugando l’angolo di un occhio con le dita.
“Non è bellissima, quando ride?” chiese il ragazzo al resto della compagnia con un sorriso ammaliante, scatenando altre risate scomposte di Luna. Fu la volta di Harry e Ron di scambiarsi uno sguardo eloquente. Decisamente, quei due erano fatti l’uno per l’altra.
 
Sembrava che la Sala Grande scintillasse di luce propria: al posto delle consuete candele sospese a mezz’aria, centinaia e centinaia di ghirlande di alloro levitavano placidamente a tre metri dal pavimento; tra le foglie erano state sistemate piccole sfere luminescenti, o forse erano le bacche ad essere state incantante per risplendere di morbida luce. I tavoli delle Case erano stati sostituiti da una quattro ampi tavoli ovali, sistemati quasi a ridosso della pedana degli Insegnanti in modo da lasciare la maggior parte della Sala vuota; sopra ciascuno di essi erano state poste altre ghirlande simili a quelle sospese. A destra dell’entrata era già pronto un piccolo palco e una serie di strumenti musicali decisamente poco babbani. Il soffitto incantato come sempre rifletteva il cielo all’esterno e una luna particolarmente vivida contribuiva all’illuminazione e all’atmosfera della Sala.
Dietro al tavolo degli Insegnanti erano appesi gli stendardi di tutte le Case e, al centro, proprio sopra la testa della McGranitt, lo stemma di Hogwarts. Hagrid era seduto come al solito all’estremità destra, infilato a forza nel suo terribile completo di pelo marrone; aveva visto Harry e lo stava salutando con l’enorme mano, gli occhi lucidi e sorridenti. Harry riconobbe molti dei suoi vecchi insegnanti, mentre qua e là spuntava qualche faccia nuova; aiutando Ginny a sedersi al tavolo con gli altri Weasley, si chiese se alla fine la Preside avesse assunto o no quell’aspirante professoressa che aveva passato due anni con i Lupi Mannari. C’era una donna dai folti capelli castani informi e con un semplice vestito di tela scura che aveva tutta l’aria di aver passato un po’ di tempo fuori dalla civiltà, ma non era detto che fosse la persona di cui aveva parlato la McGranitt.
Harry prese posto di fianco a Ginny, accettò il bicchiere di punch che George gli stava offrendo e si diede un’occhiata attorno: a fare concorrenza alla rumorosa e affollata tavolata dei Weasley a cui si erano aggiunti Rolf e Luna (che non aveva ancora smesso di ridere), c’era la famiglia di Neville, formata più che altro da anziani zii dagli stravaganti gusti in fatto di vestiti in mezzo ai quali il cappello di Augusta risultava perfettamente normale. In quel momento una minuscola donna anziana stava cercando di colpire con quella che sembrava una volpe impagliata (e che forse era la sua borsa) il suo vicino di sedia, un uomo corpulento dai radi capelli neri e completamente avvolto in una pelliccia blu.
“Io te l’ho sempre detto!” stava squittendo la vecchietta. “Stupido di un Crouch, te l’ho sempre detto che questo ragazzo valeva!”
Harry incrociò lo sguardo compiaciuto di Neville, che sorrideva come un Drago davanti a una succulenta bistecca.
Al di là dei Paciock, una raggiante Hannah e suo padre dividevano un tavolo con i vecchi compagni di Casa della ragazza, arrivati in blocco a Hogwarts due giorni prima per vedere la loro amica diplomarsi, e, poco distanti, Micheal Corner, i suoi genitori e qualche ragazzo Corvonero che Harry conosceva solo di vista costituivano l’ultima tavolata.
“Buona sera a tutti!” disse con voce chiara la professoressa McGranitt, in piedi sotto lo stendardo di Hogwarts. “E benvenuti alla Cerimonia dei Diplomati della classe 1998!”
Partì automaticamente un applauso e Molly cominciò a piangere; gli occhi di Fleur scattarono subito al cielo, mentre Bill le sorrideva paziente.
“E’ inutile che lo dica, è stato un anno molto difficile per tutti, ma forse per alcune persone è stato più duro che per altre. Mi perdoneranno coloro che saranno tra i miei studenti anche quest’anno, perché sentiranno più o meno lo stesso discorso anche tra due giorni, ma come ben sapete è il mio primo anno da Preside” disse la professoressa McGranitt allargando le braccia in una posa inusuale per quella donna burbera. “E sui discorsi devo ancora migliorare.”
Ci fu un altro breve applauso, al termine del quale la Preside riprese a parlare con le labbra increspate in un vago sorriso.
“Come stavo dicendo, per alcuni è stato un anno più duro che per altri. Consentitemi di ringraziare tutti coloro che hanno fatto parte dell’Esercito di Silente e che non hanno mai piegato la testa di fronte a niente. Siete l’orgoglio di Hogwarts, ragazzi!”
Un altro applauso, lungo e sentito; tutti gli insegnanti si alzarono in piedi e batterono le mani, la Sprite aveva addirittura le lacrime agli occhi e Hagrid si stava soffiando il naso in quella che sembrava una tovaglia rosa a fiori rossi.
La McGranitt alzò le braccia e chiese nuovamente il silenzio, i professori ripresero posto.
“Molti hanno partecipato alla battaglia qui nel castello e altri hanno fatto molto, molto di più” gli occhi della professoressa indugiarono su Harry, Ron e Hermione per un lungo momento. “Ed è per questo che Hogwarts vi ha voluti ringraziare” riprese distogliendo lo sguardo dai tre ragazzi. “Non tutti coloro ai quali abbiamo offerto il Diploma honoris causa lo hanno accettato, ma se così fosse il settimo anno sarebbe stato davvero risicato.”
Il commento provocò qualche risatina nervosa tra gli insegnanti, specialmente tra le facce nuove.
“Ora, se i diplomandi vogliono seguire la professoressa Sprite, ci prepariamo alla Cerimonia. Abbiamo tutti fame, svelti ragazzi!”
Fu con uno strano peso sullo stomaco che Harry si alzò e, a giudicare dal pallore di Ron, non era l’unico ad essere agitato. Era una sensazione davvero stupida, si disse, dopo tutto quello che avevano passato, avevano davvero paura di una Cerimonia di Diploma?
La Sprite li condusse nella piccola stanza di fianco al tavolo degli insegnanti in cui Harry era stato al quarto anno, dopo che il suo nome era uscito dal Calice di Fuoco. La professoressa era decisamente più emozionata dei suoi – ormai ex – studenti; con le mani tremanti passò a ciascuno di loro una sottile stola blu con centinaia di piccole stelle ricamate in filo dorato e osservò i ragazzi mentre la indossavano sopra gli abiti eleganti.
“Sono orgogoliosa di voi” riuscì ad esalare la professoressa. “Andiamo.”
Uscirono in fila, in silenzio; Harry aveva lo stomaco chiuso come se stesse per affrontare un nuovo Smistamento. Percorse pochi metri sulla pedana e si fermò di fianco a Ron, le spalle rivolte al tavolo degli Insegnanti; lanciò uno sguardo veloce alla famiglia Weasley e vide Molly che piangeva di gioia tra le braccia del marito. Incrociò lo sguardo di Ginny, che stava cullando Teddy, ma riuscì comunque ad alzare un pollice in segno di incoraggiamento; Harry cercò di sorriderle, ma quella che si dipinse sulla sua faccia probabilmente fu una smorfia grottesca.
La professoressa McGranitt era in piedi di fronte ai diplomandi e alle sue spalle Hagrid reggeva cinque pergamene dorate, chiuse con nastri di raso di colori diversi: tre erano rossi, uno giallo e uno blu. Harry intuì che ogni colore corrispondesse a una Casa diversa.
Nessun nastro verde, registrò la sua mente. Il pensiero andò a Theodore Nott: se era stato ammesso al corso da Auror, probabilmente doveva aver avuto anche lui il Diploma honoris causa, ma non c’era traccia di lui nella Sala Grande.
La McGranitt si voltò, prese la pergamena stretta dal nastro blu e chiamò a voce chiara:
“Micheal Corner.”
Il ragazzo si avvicinò alla Preside, raggiante.
“Per il coraggio dimostrato nell’affrontare i Mangiamorte non solo durante l’ultimo anno scolastico, ma anche nella battaglia finale, è con onore e stima che a nome della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts ti conferisco il Diploma a Mago, con i migliori auguri per la tua carriera da Guaritore.”
Micheal prese la pergamena dalle mani della McGranitt e sorrise al tavolo dove i suoi genitori e amici applaudivano, poi si portò in fondo alla fila, vicino a Harry. La scena si ripetè per Hannah e Neville, con un ruggito di soddisfazione da parte del tavolo della famiglia Paciock quando venne annunciato che il loro rampollo sarebbe diventato l’assistente della professoressa di Erbologia.
“Ronald Weasley.”
Harry era quasi sicuro di aver percepito una nota tremante nella voce della McGranitt mentre pronunciava quel nome. Ron si mise davanti alla Preside, le labbra strette e lo sguardo che insistentemente evitava il tavolo Weasley.
“La Comunità Magica ti deve molto, Ronald” disse la McGranitt guardandolo negli occhi. “Qualcuno più saggio di me una volta ha detto che ci vuole molto più coraggio ad ammettere i propri errori che ad affrontare le nostre paure. Tu hai fatto entrambe le cose e lo hai fatto per tutti noi.” La professoressa si schiarì la voce, prese una pergamena dalle braccia di Hagrid e la porse a Ron. “E’ con onore e stima che a nome della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts ti conferisco il Diploma a Mago.”
Il tavolo Weasley esplose in una serie di ovazioni che probabilmente si sarebbero potute sentire anche dalla torre di Corvonero, mentre George fischiava con due dita infilate in bocca come il peggiore dei contadini. Ron si voltò verso la sua famiglia e alzò il Diploma, entusiasta.
“Harry Potter.”
Nella Sala Grande calò di nuovo il silenzio. Era arrivato il momento, si disse Harry; si costrinse a mettere un piede davanti all’altro, continuando a non capire perché quella semplice cerimonia fosse così difficile. Arrivò davanti alla McGranitt e con fatica alzò lo sguardo; per chissà quale motivo, gli venne in mente la prima volta che l’aveva vista, quando aveva raccolto il piccolo gruppo di studenti appena arrivati a Hogwarts quasi otto anni prima. Gli era sembrata così burbera e alta, quella sera; ora, notò Harry, lui la superava in altezza. La professoressa aveva già in mano il Diploma e sembrava a disagio quanto lui.
“Non… non ci sono parole sufficienti a ringraziare una persona come te, Harry” disse la McGranitt con la voce più bassa rispetto al resto dei discorsi che aveva fatto fino a quel momento. “Una persona che è arrivata… che sarebbe arrivata a dare la vita” si corresse subito; si fermò e abbassò lo sguardo per un lungo momento. “Avevo preparato un bel discorso per questo momento, Harry. Ma adesso mi sembra solo… sciocco e banale.”
La Preside gli regalò uno dei suoi rari sorrisi; la Guerra l’aveva davvero cambiata, per sempre.
“E’ quindi con onore e stima” proclamò a voce ora chiara. “Che a nome della della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts ti conferisco il Diploma a Mago.”
Di nuovo, la Sala Grande rimbombò di applausi e grida di gioia; tutti si erano alzati in piedi e battevano le mani, in segno di rispetto. Il padre di Hannah fece addirittura il saluto con il pollice in direzione di Harry.
“Signori e signorina” disse la McGranitt chiedendo un’ultima volta il silenzio. “Ho avuto il grande privilegio di essere stata una vostra insegnante e posso dirvi che sono orgogliosa di voi, degli uomini e della donna che siete diventati. I migliori auguri ad ognuno di voi per le vostre vite, che possano essere lunghe, serene e luminose.”
E fu in quel momento, mentre veniva scattata la rituale foto di gruppo con i Diplomati e la Preside, mentre ancora genitori e amici applaudivano e Fleur finalmente si era commossa, ecco, fu in quel momento che Harry capì che cosa lo aveva spaventato tanto: quella non era solo una Cerimonia di Diploma, era un addio. Un addio a Hogwarts, al primo luogo che aveva sentito come casa, ai corridoi familiari, alle facce conosciute degli insegnanti e dei compagni di Casa. Dopo quella sera sarebbe cominciata la sua vita da mago adulto, e soprattutto la sua vita senza Voldemort. Niente più profezie, niente più scemenze come il Bambino che è Sopravvisuto o il Prescelto; solo Harry, al massimo Harry la Recluta Auror o Harry il fidanzato di Ginny o ancora Harry il padrino di Teddy. Certo, ci sarebbe stato sempre da tenere gli occhi aperti – la voce di Malocchio berciò nella testa di Harry: Vigilanza costante! – ma sarebbe stata solo una parte, non lo scopo della sua vita. Era come vedere per la prima volta l’Oceano e rendersi conto di quanta acqua si abbia effettivamente davanti.
Lasciò correre lo sguardo sulla Sala Grande, sui Fantasmi che osservavano la Cerimonia in un angolo, sulle vetrate colorate e sul soffitto incantato, oltre le ghirlande luminescenti. La luna splendeva in cielo, indisturbata; il pensiero sfiorò Lupin, l’intera famiglia Tonks e tutte le persone che non c’erano più, scivolando inevitabilmente verso i suoi genitori. Poi abbassò gli occhi sul tavolo della famiglia Weasley, dove Molly e Arhtur lo guardavano sorridenti, Hermione si asciugava gli occhi e Ginny tentava di alzarsi in piedi per raggiungerlo, cercando di avere la meglio su quei tacchi deciamente troppo alti per lei. Harry scese dalla pedana con Ron e le andò incontro: ora, lo sapeva con certezza, era pronto per la sua nuova vita.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Se fossimo in un film questo sarebbe il “fine primo tempo”!
Questo è il capitolo che, nella mia testa almeno, segna il confine tra un prima e un dopo. Chi di noi ha preso lauree, diplomi e quant’altro sa di cosa parlo: per quanto mi riguarda, la laurea in particolare ha segnato proprio una riga tra la “ragazzina” e la giovane lavoratrice e quindi ho immaginato che il Diploma di Hogwarts facesse lo stesso effetto ai nostri protagonisti. Da qui in poi si cambia prospettiva e Harry ha capito e interiorizzato questa sensazione.
Di Teddy ne parleremo e riparleremo più avanti mi sa, quindi per il momento sorvolo.
Ginny è un maschiaccio, c’è poco da fare. Per fortuna che c’è Hermione che le fa da personal stylist!
Mi sono anche concessa un’apparizione di Rolf e di dipingere una Luna innamorata che è ancora più pazzesca del solito, spero vi siate divertiti nel leggere almeno quanto mi sono divertita io nell’immaginarla!
 
Scusate, sono sparita per un po’, ma ho finalmente dato alle stampe la tesi di master e quindi posso tornare a dedicarmi alle cose importanti  ;-P
Scherzi a parte, mi è mancato un sacco scrivere. Questo capitolo era pronto da un po’, ma non mi decidevo a pubblicarlo, un po’ perché non ho avuto il tempo materiale di revisionarlo, un po’ perché sono rimasta indietro con il resto della storia e avevo timore di far casino… oggi pomeriggio ho pensato che me ne frego, sistemerò il resto della storia se ci sarà qualcosa che non torna. Quindi mi sono lanciata e ho pubblicato!
Proprio perché sono indietro come la coda dell’asino, vi dico già da subito che vi farò aspettare un pochino per il prossimo aggiornamento, ma vorrei che le cose filassero. Ho tutta una serie di idee ma, appunto, vanno messe in fila e scritte in modo decente!
 
Grazie come sempre a chi ha letto e leggerà, a chi segue e chi mi lascia una recensione! Spero di essermi fatta perdonare almeno un pochino per il suicidio di Andromenda…!
 
Smack
Gin

PS: se non avete visto l'"Attimo fuggente" fatelo! Adesso! Cosa state aspettando?!
 

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** 2 settembre 1998 – Hogwarts ***


Nessuna guerra degna di questo nome è mai stata combattuta
da qualcuno che non si credesse dalla parte giusta.
La gente davvero pericolosa crede di fare quello che fa, qualsiasi cosa sia,
solo ed esclusivamente perché al di là di ogni dubbio è la cosa giusta da fare.

 È questo che li rende davvero pericolosi.
 
American gods – Neil Gaiman
 
 
 


 
2 settembre 1998 – Hogwarts
 
   “Avevo scelto di mettere il nastro rosa per il primo giorno, ma adesso non ne sono più tanto sicura” si lamentò per l’ennesima volta Lavanda Brown. “Quello blu fa risaltare i miei occhi in maniera… adorabile!”
   “Oh, sì, hai ragione!” cinguettò Calì Patil.
   “Ma il rosa è il colore di questo autunno!” intervenne Elan Doherthy.
   “E’ un bel problema” concordò seria Calì senza distogliere gli occhi dalle fascette di raso che Lavanda teneva in mano.
   Ginny non potè fare a meno di alzare gli occhi al cielo; quello non era un problema, era la cosa più stupida che avesse mai sentito in vita sua. Era un quarto d’ora buono che quelle tre andavano avanti così e lei non era per nulla sicura di poter trattenere oltre la Fattura Orcovolante che aveva sulla punta della lingua. Demelza Robins era già scesa a colazione da un pezzo, mentre Elan si era unita alla difficile scelta del nastro. A Ginny era sempre piaciuta quella ragazza irlandese, chiassosa e amichevole, certo un po’ civetta, ma nei sei anni durante i quali avevano condiviso il dormitorio non si era mai messa a fare discorsi cretini, forse perché sapeva che né Ginny né Demelza l’avrebbero mai ascoltata se avesse chiesto loro se lo smalto cipria è meglio di quello color carne. Con due come Lavanda e Calì avrebbe certo potuto sfogare tutta la civettaggine repressa.
   Hermione si decise finalmente ad uscire dal bagno, afferrò la borsa dei libri con la mano sinistra e il braccio di Ginny con la destra e si precipitò lungo le scale che portavano in Sala Comune.
   “Non so come tu abbia fatto” esalò Ginny mentre uscivano dal buco dietro al ritratto della Signora Grassa. “Sei anni con questi discorsi?”
   “Adesso capisci perché passavo il mio tempo con Harry e Ron, no?”
   Le due amiche ridacchiarono, poi fecero buona parte del percorso in silenzio; ancora una volta, Ginny pensò che se lei si sentiva a disagio senza Harry a portata di mano, non osava immaginare com’era per Hermione essere a Hogwarts senza il suo ragazzo e senza il suo migliore amico – le persone con le quali, tra l’altro, aveva condiviso non solo gli anni di scuola, ma anche una cosetta come la Seconda Guerra Magica. Lanciò un’occhiata furtiva all’amica, ma prima di trovare qualcosa di decente da dire si accorse che di aver già messo piede in Sala Grande; presero posto di fianco a Demelza, impegnata a studiare un foglio di pergamena.
   “Hanno già distribuito l’orario?” chiese Ginny cercando di afferrare il foglio, ma Demelza fu più veloce e ritrasse la mano.
   “Sta passando la Sprite” rispose secca la ragazza.
   “Fammi dare un’occhiata” insistette Ginny allungandosi di nuovo; seguì una breve colluttazione durante la quale Ginny dichiarò a gran voce di essere il Capitano della squadra di Quidditch, mentre Demelza affermò a voce altrettanto alta che se ne fregava e che il Capitano doveva aspettare di avere il suo orario come tutti gli altri. La Sprite finalmente arrivò e divise le due ragazze con un gesto paziente della mano, allungando poi un orario a Ginny.
   “Facciamo lezione tutti insieme” notò Hermione scorrendo con gli occhi la propria pergamena.
   “Con i Serpeverde ridotti a un terzo, per riempire la classe servono tutte le Case” disse Demelza masticando lentamente una salsiccia. “Al sesto sono ancora meno, ci sono praticamente solo i ragazzi che l’anno scorso erano stati esclusi perché, beh…”
   “Perché sono Sanguesporco” completò Hermione con una freddezza che colpì Ginny; Demelza non si scompose, ma si limitò ad annuire con un sopracciglio alzato.
   Lo sguardo di Ginny andò direttamente verso il tavolo dei Serpeverde: come aveva già notato la sera prima, erano veramente pochi gli studenti seduti là. Del settimo anno in particolare era rimasta una manciata di studenti: molti Serpeverde maggiorenni erano noti Mangiamorte e si erano uniti alla Battaglia di Hogwarts, dalla quale erano usciti in manette, latitanti o morti. Il primo di settembre si erano presentati solo Pansy Parkinson, Blaise Zabini e le sorelle Greengrass, Daphne, coetanea di Hermione, e Astoria, dello stesso anno di Ginny.
   L’atmosfera al tavolo dei Serpeverde non sembrava delle migliori: una decina di ragazzi mangiavano in silenzio, raggruppati nell’angolo più lontano dalla tavolata degli insegnanti; i compagni delle altre Case che passavano loro accanto nella maggior parte dei casi li ignoravano, ma non mancavano occhiatacce e commenti sussurrati all’orecchio del vicino, e un ragazzo di Corvonero aveva addirittura sputato nel piatto di una ragazzina castana che Ginny non conosceva. La professoressa Sprite, che era al tavolo dei Tassorosso, era corsa ad allontanare il ragazzo e aveva tolto venti punti alla sua Casa, assegnando la prima punizione dell’anno in un tempo che avrebbe impressionato anche Fred e George.
   “Però!” commentò Ginny. “Quel tizio è davvero arrabbiato.”
   “E’ il fratello di Mandy Brocklehurst” spiegò Hermione. “Lei e la madre Babbana sono state catturate dai Ghermidori questa primavera e… hanno trovato i corpi solo quando il Ministero ha sequestrato Villa Malfoy.”
   Hermione rabbrividì ma cercò di nasconderlo bevendo un lungo sorso di caffè e fingendo di concentrarsi sul proprio orario.
   “Non mi sorprende che nessuno voglia andare a Serpeverde” sentenziò Demelza trangugiando l’ultimo sorso di succo d’arancia. Effettivamente lo Smistamento della sera precedente era stato quasi imbarazzante: il Cappello Parlante aveva assegnato due ragazzini e una ragazzina a Serpeverde, ma nessuno di loro aveva la minima intenzione di sedersi a quel tavolo; la bambina era addirittura scoppiata in lacrime e il professor Lumacorno aveva impiegato un quarto d’ora buono a convincerli che non sarebbero diventati automaticamente Maghi Oscuri.
   “Vado in bagno prima della lezione” disse Demelza alzandosi e caricandosi la borsa di libri sulla spalla. “Ci vediamo nell’aula di Trasfiguarzione.”
   La ragazza si piegò per abbracciare Ginny, poi salutò Hermione con una mano e si avviò verso l’uscita.
   “Ma non avete appena discusso?” chiese Hermione perplessa; l’amica scrollò le spalle.
   “Noi bisticciamo sempre.”
   “Sembrate due ragazzi!”
   “Mai detto di essere femminile” dichiarò Ginny infilandosi una forchettata di uova strapazzate in bocca.
   Dal tavolo degli Insegnanti Neville le salutò con un sorriso da orecchio a orecchio; le due ragazze ricambiarono, scambiandosi poi uno sguardo divertito: faceva un certo effetto vedere il loro amico seduto lì. Neville sembrava al settimo cielo, quello era il suo primo giorno di lezione come assistente della Sprite, che di fatto lo avrebbe formato per diventare il suo successore: non era un segreto per nessuno che la professoressa volesse ritirarsi a vita privata quanto prima.
   “Sei pronta?” chiese Hermione infilando l’orario nella propria borsa. “Non vorrei fare tardi alla prima lezione con la nuova professoressa di Trasfigurazione!”
   Ginny annuì, bevve l’ultimo sorso di caffè e si alzò con la borsa dei libri. Il fatto che ora la McGranitt fosse la Preside aveva comportato non pochi mutamenti, specialmente per i Grifondoro: oltre all’insegnante di Trasfigurazione, era cambiato il Direttore della loro Casa, affidata alla professoressa Caporal. Entrambe avrebbero dovuto passare la prova del confronto che gli studenti avrebbero inevitabilmente fatto con la McGranitt – e a dirla tutta da un confronto come quello si poteva uscire solo con lo scudo o sopra lo scudo.
   Quando Ginny e Hermione entrarono nell’aula, quasi tutti i loro compagni erano già arrivati; Luna le salutò con una mano ed indicò due sedie libere di fianco a lei. Alla cattedra era seduta la donna alta, dai lunghi capelli neri sciolti sulle spalle e i vivaci occhi azzurri che la sera prima la McGranitt aveva presentato alla scuola come l’insegnante che l’avrebbe sostituita.
   “Buongiorno a tutti” disse la professoressa osservando la classe con la schiena dritta, le mani congiunte davanti a sé. “Come sapete, io sono Melody Marchbanks e… sì, signorina…?”
   “Greengrass, Daphne Greengrass” disse la ragazza bionda abbassando la mano, che era scattata in aria praticamente nel momento stesso in cui la Marchbanks aveva aperto bocca. “Posso chiederle se è parente di Griselda Marchbanks, l’esaminatrice dei G.U.F.O.?”
   “E’ la mia prozia, sì” rispose con calma. “Ed è molto orgogliosa che io abbia seguito le sue orme nel campo della Trasfugarazione.”
   “Ho letto qualcuno dei suoi articoli su Trasfigurazione oggi” bisbigliò Hermione a Ginny mentre la Marchbanks continuava la sua presentazione. “Sembra molto brava.”
   “E confido che con voi instaureremo un rapporto proficuo. Siete nell’anno dei M.A.G.O. e dovremo lavorare sodo.”
   La mano di Daphne si alzò di nuovo; per un lungo attimo la professoressa la guardò con le sopracciglia inarcate.
   “Sì, signorina Greengrass?”
   “In che Casa era quando studiava a Hogwarts?”
   “Perché mi fai questa domanda? E’ in qualche modo… importante?”
   “Per me sì” disse a fatica Daphne. “E’ vero che lei era a Serpreverde? Mi sembra di aver letto il suo nome nei nostri annuari.”
   La Marchbanks sospirò, poi rispose con calma forzata.
   “Sì, ero a Serpeverde.”
   “E non ha mai fatto parte dei seguaci della Magia Oscura, giusto?”
   “Signorina Greengrass, stai davvero…”
   “Per favore, mi risponda. Mi risponda davanti a tutta la classe. Lei è una ex Serpeverde che non ha mai praticato Magia Oscura, vero?”
   Nell’aula il silenzio sembrò solidificarsi; Dean Thomas, seduto di fronte a Luna, si agitava sulla sedia come se il legno scottasse. Astoria cercava disperatamente di attirare l’attenzione di sua sorella, tirandola per una manica, ma Daphne ritrasse il braccio senza staccare gli occhi dall’insegnante. Per un attimo Ginny fu sicura che la Marchbanks avrebbe dato in escandescenze, tolto cinquanta punti a Serpeverde ed espulso dalla sua classe la Greengrass a calci; invece la professoressa trasse un altro profondo respiro e rispose:
   “No, non ho mai praticato Magia Oscura. Ora possiamo andare avanti con la lezione o hai altre domande urgenti da pormi?”
   Daphne scosse la testa e si voltò con un sorriso compiaciuto verso la classe, negli occhi una luce di maligna soddisfazione; poi si rivolse di nuovo verso la Marchbancks, la piuma tra le dita con l’aria di chi non chiedeva altro se non prendere appunti.
 
   “Che razza di… che cosa pensava di dimostrare?”
   Dean Thomas stava urlando contro il proprio piatto di pasticcio di manzo, infilzando con cattiveria la carne con la forchetta; Ginny e Hermione, sedute di fronte al ragazzo, si scambiarono uno sguardo preoccupato.
   “Datti una calmata, amico” borbottò Seamus Finningan senza togliere gli occhi dalle carote di cui si stava servendo. Dean lanciò la posata nel piatto: decisamente non si voleva dare una calmata.
   “Oh, è tutto molto semplice per te. Tu non ti sei dovuto dare alla clandestinità, sei sempre rimasto al calduccio a casa o a Hogwarts! Nei boschi a mangiare radici c’ero io!”
   Si alzò di scatto e se ne andò senza aggiungere una parola; Seamus, l’espressione sconcertata, si precipitò a seguirlo.
   “Qui stiamo davvero dando di matto” commentò Ginny rivolta più al suo pasticcio che a qualcuno in particolare.
   “Faccio fatica a dargli torto” ribatté Hermione, la fronte leggermente aggrottata; Ginny la guardò sbigottita. “E’ che… tutte quelle domande della Greengrass!” proseguì Hermione quasi in tono di scusa. “Senti, hanno messo i brividi anche a me. Che cos’era, un pallido tentativo di riabilitare i Serpeverde? Non hanno già fatto abbastanza?”
   “E allora cosa facciamo? Chiudiamo la Casa e arrestiamo tutti quelli che ne hanno fatto parte negli ultimi cinquant’anni?” chiese Ginny sarcastica. “Non è la Casa che fa la persona e lo sai anche tu!”
   “Sì, sì lo so” borbottò Hermione, vagamente in imbarazzo. “Dico solo che ci vorrà un po’ di tempo.”
   La ragazza si portò una mano alla gola e la massaggiò, come se volesse far passare un crampo improvviso; alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Ginny.
   “Qui” disse indicando una minuscola cicatrice a lato del collo, tanto piccola che Ginny non l’aveva mai notata. “Bellatrix ha spinto il suo pugnale. Ha minacciato di uccidermi per indurre Ron e Harry a lasciare le bacchette, quando… quando eravamo a Villa Malfoy.”
   Ginny le prese una mano e la strinse, sperando di passarle un po’ di calore.
   “Ci vorrà un po’ di tempo” ripeté Hermione con poca convinzione e un sorriso triste. Strinse la mano dell’amica nella sua, poi la lasciò, lo sguardo fisso sui propri piedi; sembrò volersi alzare, ma si risedette immediatamente e abbracciò Ginny.
   Dì qualcosa! Dille qualcosa, dannazione! Dille che andrà tutto bene e che passerà, giurale che passerà e…
   Ginny strinse a sé Hermione. Non avrebbe detto nessuna di quelle stupidaggini.
 
   La professoressa Ellis arrivò con cinque minuti buoni di ritardo alla sua prima lezione di Difesa Contro le Arti Oscure del settimo anno, trafelata e con i capelli scompigliati; indossava quello che sembrava un sacco di iuta con le maniche, cosa che fece subito arricciare il naso di Lavanda Brown. L’insegnante scaraventò una pesante borsa sulla propria cattedra e si voltò verso la classe, cercando di sistemarsi nervosamente i capelli con le mani. Lasciò passare diversi momenti di imbarazzante silenzio in cui si limitò a fissare i ragazzi, facendo sfrecciare gli occhi di uno strano colore dorato da uno all’altro, quasi a disagio.
   “Buongiorno settimo anno!” esclamò alla fine, ritrovando fiato e coraggio. “Facciamo un breve giro di presentazione?”
   Con un saltello si appollaiò sulla cattedra, spostando bruscamente la borsa che si aprì e lasciò intravvedere una pila di libri in precario equilibrio.
   “Comincio io! Sono Gwendolin Ellis, beh sì, la professoressa Ellis a quanto pare” diede un risolino nervoso, si schiarì la voce e proseguì. “Mi sono diplomata sette anni fa e sono stata una Corvonero” alzò una mano e salutò con un sorrisetto in direzione di Luna e dei suoi compagni di Casa, che risposero con calore. Il resto della classe rimase impassibile; Hermione contemplava la sua piuma come se non ci fosse niente di più interessante al mondo.
   “Ho lavorato con diversi esperti di Creature Magiche Oscure, e ho studiato da vicino Vampiri, Troll, Megere e – prima che qualcuno me lo chieda – sì, ho trascorso gli ultimi due anni in una comunità di Lupi Mannari a Bucarest. E ho imparato un paio di cosette.”
   Ginny increspò le labbra: doveva ricordarsi di scrivere a Harry che la sua intercessione aveva fatto effettivamente guadagnare il posto alla professoressa. Anche questo annuncio tuttavia cadde nel vuoto; la Ellis evidentemente aveva avuto reazioni diverse nelle altre classi, perché il suo sorriso si spense in un’espressione delusa.
   “Bene, ditemi di voi” proseguì con più entusiasmo di quanto probabilmente sentisse lei stessa. Uno alla volta, i ragazzi si presentarono, nome e cognome e Casa di appartenenza. Ernie Macmillan non resistette alla tentazione e dichiarò a gran voce di essere stato membro militante dell’Esercito di Silente l’anno precedente e di aver partecipato alla Battaglia di Hogwarts. Ginny alzò gli occhi al cielo e Hermione scosse la testa infastidita.
   “I miei complimenti signor… Ernie Macqualcosa”
   “Macmillan” precisò il ragazzo, rosso come un peperone.
   “Esatto” disse soddisfatta la professoressa Ellis. “Tu sei stato l’unico ad aver raccontato la tua esperienza dell’anno scorso, ma so che tra di voi ce ne sono parecchi che hanno…” la professoressa evidentemente non sapeva come continuare e lasciò la frase a metà. “Per esempio, credo che tutti conosciamo la signorina Granger, in terza fila.”
   Hermione sprofondò nella sedia, per la prima volta a disagio nell’essere nominata da un professore.
   “O la signorina Weasley… e la signorina Lovegood” proseguì la professoressa indugiando brevemente su ognuna di loro con lo sguardo, forse per evitare altri imbarazzi. “E tanti altri di voi che hanno lottato e vissuto cose…”
   Di nuovo, la professoressa Ellis si interruppe; abbassò gli occhi per un attimo, poi li rialzò e sembrò che abbracciasse l’intera classe.
   “Che cosa posso insegnare io a voi, settimo anno?” chiese di punto in bianco; non si stava lamentando, era una sincera riflessione che stava condividendo ad alta voce con i suoi studenti. “Gli altri ragazzi sono più piccoli, tutti minorenni, e sono stati tenuti al sicuro, giustamente. Ma voi… voi c’eravate. Che cosa ho da insegnarvi io?”
   I ragazzi non risposero, pochi guardavano la professoressa, quasi tutti erano immersi nei propri pensieri. Ginny d’impulso allungò la mano sotto il banco e di nuovo strinse quella di Hermione, che probabilmente non chiedeva niente di meglio, perché ricambiò la stretta con forza, gli occhi lucidi.
   “Faremo così” la professoressa scese con un salto dalla cattedra e batté le mani. “Almeno per le prime… quindici lezioni gli insegnanti sarete voi. Voglio che ognuno di voi mi prepari una relazione su un argomento a scelta, qualunque. Qualcosa che avete vissuto e volete trasmettere agli altri. Che volete trasmettere a me per prima.”
   Cominciò a girare tra i banchi, guardando i suoi studenti, lo sguardo curioso di chi cerca qualcosa in più. “Faremo una scaletta, così saprete per che giorno la vostra lezione deve essere pronta.”
   Si bloccò davanti al banco di Ernie e puntò un dito contro il ragazzo.
   “La prima sarà la tua” disse con sicurezza. “Mi sembri un tipo sveglio.”
   Lo sguardo cadde sulla spilla che scintillava sul petto di Ernie: una H di Head Boy, Capo Scuola.
   “Perfetto! Sei anche decorato dalla Preside McGranitt! Niente di meglio allora.”
   Gli voltò le spalle senza lasciargli possibilità di replicare, mentre di nuovo le guance di Ernie si coloravano di una preoccupante sfumatura rossastra.
 
   “La Ellis è… wow! E’ mitica!”
   Luna era veramente su di giri e non faceva altro che sperticarsi in lodi per la nuova insegnante di Difesa contro le Arti Oscure mentre con Ginny e Hermione percorreva il corridoio di pietra fuori dall’aula.
   “Lezioni fatte da noi! Incredibile!” continuava ad esclamare un passo sì ed uno no. Ginny doveva ancora decidere se la professoressa le piaceva o meno, ma di sicuro era d’accordo con la McGranitt: quella donna aveva un ché di inquietante. O forse era solo inappropriata, in qualsiasi contesto la si mettesse sarebbe comunque risultata fuori posto – ma questo non era necessariamente una cosa negativa.
   “Avete visto che occhi?” domandò con voce ancora eccitata Luna; Ernie sorpassò il piccolo gruppo correndo, forse in direzione della Biblioteca per cercare disperatamente un argomento per la lezione di venerdì.
   “Che cos’hanno i suoi occhi?” chiese Hermione in tono piatto.
   “Sono dorati! Credete che siano di quel colore perché ha vissuto con i Lupi Mannari? Come la sua pelle così bianca. Papà dice che se stai troppo sotto i raggi della luna completamente piena ti si può sbiadire, così come ti abbronzi al sole.”
   Ginny e Hermione si scambiarono una veloce occhiata eloquente.
   “Abbiamo conosciuto un vero Lupo Mannaro” le ricordò Hermione. “E i suoi occhi erano banalmente grigi.”
   “E di certo non era bianco come la Ellis” aggiunse Ginny, ponendo fine a quella folle discussione. Luna si strinse nelle spalle e come al solito non parve turbata dalle obiezioni alle sue teorie fantasiose.
   “Vado alla Guferia” annunciò Hermione.
   “Sei già riuscita a scrivere una lettera?” chiese Ginny sinceramente stupita.
   “L’ho scritta ieri sera. Aggiungo qualcosa e la mando. Metto i saluti anche da parte tua?”
   “Sì, io scriverò domani. Stasera sono esausta.”
   Hermione prese un corridoio sulla destra, mentre le altre due ragazze salirono una stretta scalinata che portava ai piani superiori. Luna cominciò a ragionare ad alta voce su quale argomento costruire la propria lezione e la cosa la prese a tal punto che si dimenticò di saltare il solito scalino e rimase incastrata con una gamba, gli occhi azzurri sgranati in un’espressione di sincera sorpresa.
   “Luna!” esclamò Ginny; lasciò cadere in terra la borsa dei libri ed afferrò l’amica con entrambe le mani. “Cavolo, sembri una del primo anno!”
   Ginny tirò, Luna spinse con il piede libero ed entrambe finirono bocconi sui gradini.
   “Ti sei fatta male?”
   “Solo qualche graffio” rispose Luna esaminandosi le calze strappate.
   Dal corridoio in fondo alle scale arrivarono delle voci; un ragazzo urlava, non si capivano le parole ma il tono era molto arrabbiato. Una ragazza rispose altrettanto alterata, poi il rumore sordo di uno scoppio. Ginny e Luna si guardarono allarmate, si alzarono e si precipitarono nella direzione dalla quale veniva tutto quel trambusto. A metà del corridoio c’era uno studente che dava loro le spalle, la bacchetta puntata dritta contro Daphne Greengrass; la ragazza era stesa supina, ma si reggeva con i gomiti e aveva tutta l’aria di essere appena stata travolta da una piccola esplosione. Dietro di lei c’era la sorella minore, in ginocchio con le guance rigate di lacrime.
   “Dillo ancora!” ringhiò il ragazzo. A Ginny parve di riconoscere la voce, ma non ne era del tutto sicura; estrasse la bacchetta e cominciò a correre.
   “Sei solo un vigliacco!” urlò Daphne, il volto stravolto dall’ira. Astoria si coprì il volto con le mani tremanti.
   “Cru…” cominciò il ragazzo, ma Ginny lo Disarmò con un Incantesimo non verbale e la bacchetta le volò direttamente in mano – con sua stessa sorpresa. Lui si voltò e lei seppe di non essersi sbagliata.
   “Non ti impicciare!” sbraitò Dean.
   “E tu non fare stupidaggini!”
   Dean si allungò per riprendere la bacchetta, ma Ginny si ritrasse.
   “Allontanati” disse brusca.
   “Ma da che parte stai?”
   “Non c’è nessuna parte, Dean! La Guerra è finita!”
   Ci vorrà un po’ di tempo, disse la voce di Hermione da qualche parte nella sua testa.
   “Allontanati da lei e ti ridò la bacchetta” ordinò di nuovo Ginny. Dean parve indeciso se strozzarla con le sue stesse mani o obbedirle; alla fine scelse l’opzione numero due: si allontanò di una decina di passi sotto lo sguardo severo di Ginny, che gli restituì la bacchetta lanciandogliela. Tenne comunque la propria alzata, pronta a scagliare un Sortilegio Scudo, ma Dean si limitò a scoccarle un’ultima occhiata risentita, poi imboccò le scale. Ginny si voltò verso le sorelle Greengrass.
   “State bene?”
   Luna si era inginocchiata di fianco a Daphne, che aveva respinto con rabbia la mano della ragazza e si stava alzando da sola.
   “Certo, Weasley. Non avevamo nessun bisogno di una paladina!”
   Astoria aveva recuperato la bacchetta della sorella da un angolo sperduto del corridoio e gliela stava restituendo, la mano scossa da un fremito.
   “Dean stava per…”
   “So cosa stava per fare, grazie Weasley! E so che non avevo nessun bisogno del tuo aiuto!”
   Daphne diede loro le spalle e si allontanò a grandi passi.
   “Grazie” bisbigliò Astoria; quella ragazza tremante dai lunghi capelli castani più che una strega ad un anno dal Diploma sembrava un uccellino appena caduto dal nido. “Non badate ai suoi modi, vi è grata per… per quello che avete fatto.”
   “Davvero?” commentò Ginny con un sopracciglio alzato.
   “E’ sarcasmo?” chiese Luna con gli occhi spalancati. “Io non capisco mai quando la gente scherza.”
   Astoria scosse la testa.
   “E’ solo sconvolta. Da quando è finita la Guerra noi… hanno sequestrato la nostra casa e noi viviamo in una struttura ministeriale. Sapete, quelle specie di… formicai in cui hanno radunato i ragazzi che… che non hanno più genitori.”
   Gli occhi azzurri della ragazza si riempirono di lacrime.
   “Sono morti?” chiese Luna senza il minimo tatto.
   “Azkaban” sussurrò Astoria. “Credetemi, non è facile.”
   “Non lo è per nessuno” disse Ginny; la piccola Greengrass la guardò per un lungo momento, poi, senza aggiungere una parola, anche lei si voltò e seguì le orme della sorella.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Ebbene sì, non sono passata a miglior vita!
Chiedo scusa in ginocchio per la lunga latitanza, ma la laurea ha richiesto più impegno del previsto – festeggiamenti compresi fortunatamente! Ma è andata! Finita per davvero!
Quindi rieccomi, con il capitolo che covavo da un po’, finalmente sono riuscita a revisionarlo con un po’ di calma e mi sono decisa a pubblicarlo.
 
Dunque, siamo tornati ad Hogwarts, e il primo giorno di scuola è tutt’altro che facile: chi pensava di tornare ai vecchi ritmi è rimasto deluso. Ragazzi, la Guerra è passata anche qui – soprattutto qui! E sono in pochi disposti a perdonare tutto e subito. C’è chi fa finta di nulla – cof cof Demelza cof! – c’è chi cerca di essere quanto meno ragionevole – la nostra saggia Ginny – e chi proprio non si fa andare giù che alcuni Serpeverde siano a piede libero. E sono quelli che hanno sofferto di più, questo è certo, ma ci sono modi e modi di affrontare la cosa. Ecco, diciamo che Dean non lo sta facendo al meglio! Chiedo scusa fin da subito a Gulminar, che mi rimprovererà sicuramente l’ennesima occasione sprecata per una tortura come si deve. Dai, è solo il primo giorno! Mi sembrava eccessivo.
 
La cicatrice di Hermione è una delle mie licenze poetiche grandi come case, ma almeno è più fedele al libro della scritta stile Auschwitz che le hanno rifilato nel film.
Nuova sfaccettatura per la mia Ginny, invece: l’ho immaginata con una punta di prepotenza – perché diciamocelo, i Grifondoro hanno la tendenza a fare i galletti, dai.
 
Spero vi sia piaciuto lo stormo di OC che ho introdotto – ma soprattutto spero di continuare a svilupparli in maniera decente! Il rinnovo del parco insegnanti di Hogwarts mi ha fatto scattare l’immaginazione e il prodotto sono la Marchbanks e la Ellis, le due più improbabili figure che si potessero ritrovare in quelle cattedre: una Serpeverde nell’aula di Trasfigurazione è un colpo per tutti i Grifondoro affezionati (alzo la mano per prima!) e l’altra, beh, tutto sembra fuorché un’insegnante! E ovviamente a Luna piace da impazzire.
Una piccola curiosità: come ormai avrete capito, raramente scelgo i nomi dei personaggi con le letterine dello Scarabeo e anche in questo caso ho una storia da raccontarvi. La professoressa Ellis prende il nome da Shaun Ellis, un ricercatore che ha vissuto per due anni con una comunità di lupi in Idaho. Avete letto bene, ha vissuto con una comunità di lupi – più precisamente è stato “assunto” dal branco come wolf sitter per i lupacchiotti visto che non era in grado di cacciare. Googolatelo, è una storia pazzesca, e se è vera anche solo per metà tanto di cappello. In ogni caso il mio OC è ispirato e dedicato a lui.
 
Infine due parole due sulle sorelle Greengrass, le grandi assenti dalla saga originale e che invece mi hanno dato lo spunto per una trama secondaria (lo so, l’ennesima, ma è più forte di me!) che sto covando come una chioccia.
 
Spero di essermi fatta perdonare per la latitanza pregressa e la futura – perché sto ancora scrivendo i capitoli successivi: ne ho iniziati tre e finiti nessuno, tante sono le cose che voglio scrivere! Ma spero ne valga la pena.
 
Grazie come sempre a chi ha letto e leggerà e soprattutto a chi segue e recensisce!
 
A presto (spero!)
Smack
 
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** 3 settembre 1998 ***


Nulla infonde più coraggio al pauroso della paura altrui.
 
Il nome della rosa – Umberto Eco
 
 
 
 
 
3 settembre 1998
 
 
Hogwarts – Sala Grande
 
   La testa di Ginny pulsava dolorosamente e presto la ragazza scoprì che non serviva assolutamente a nulla continuare a premere le sopracciglia con le dita, il fastidioso martellare non faceva che peggiorare.
   “E credo proprio che Coote e Peakes si ripresenteranno” Demelza parlava con tono concitato, la bocca piena di uova strapazzate e le dita della mano sinistra che scorrevano velocemente un plico di fogli consunti. Demelza sembrava essersi autoeletta vice capitano della squadra di Quidditch e Ginny di certo non avrebbe fatto una scelta diversa; tuttavia quella ragazza era dannatamente organizzata – troppo organizzata; diciamo pure organizzata a livelli preoccupanti. Aveva passato la sera precedente a stilare tre liste differenti: la prima raggruppava le persone che secondo lei si sarebbero presentate alle selezioni, la seconda quelle che avrebbero dovuto farlo ma che sarebbero state da convincere e l’ultima quelle che si sarebbero presentate ma che erano da scartare a propri. Insomma, Demelza si era rivelata essere una specie di Hermione in versione ossessivo-compulsiva e priva di qualsiasi grazia femminile; non che Ginny ne avesse da vendere, ma accidenti, Demelza poteva almeno evitare di parlare e masticare insieme.
   “Insomma, hai deciso quando fare le selezioni?” sbraitò la ragazza puntandole contro una forchettata di uova; era almeno la quarta volta che Ginny le sentiva dire quelle parole nelle ultime dodici ore.
   “Dem” biascicò ancora una volta. “Siamo a Hogwarts da due giorni, so a mala pena ritrovare il mio letto senza inciampare su Calì Patil. Quando avrò deciso una data sarai la prima ad essere informata, ma adesso per favore lasciami finire il mio caffè in pace.”
   Demelza allargò le narici, contrariata, ma dopo un lungo momento di silenzio decise di concedere una tregua al proprio Capitano.
   “D’accordo, Ginny, ma sbrigati. Tra poco usciranno le date delle partite e abbiamo bisogno di cominciare ad allenarci.”
   Trangugiò l’ultimo boccone della propria colazione, diede un abbraccio veloce all’amica e si dileguò in mezzo alla piccola folla di studenti che stava già lasciando la Sala Grande. Ginny si accasciò sul tavolo, la fronte a diretto contatto con il legno e le dita saldamente serrate sulla propria tazza di caffè.
   “Quanto manca alla fine della scuola?” chiese mangiandosi metà delle parole. Hermione, seduta con la schiena dritta dall’altro lato del tavolo, abbassò un angolo della Gazzetta del Profeta per poter guardare l’amica.
   “Ancora qualche brevissimo mese” rispose con una punta di ironia; anche se Ginny non poteva vederla, avrebbe giurato che un angolo della bocca di Hermione era piegato in un’espressione divertita. Alzò la testa e si massaggiò di nuovo – e inutilmente – la tempia sinistra, prendendo un altro sorso di caffè.
   “Tutto bene?” le chiese Hermione.
   “Non ho dormito molto bene” biascicò Ginny; non era riuscita a prendere sonno se non molto tardi, continuava a rigirarsi nel letto: non riusciva a togliersi dalla testa l’immagine di Dean sul punto di Cruciare Daphne. Quella era una Maledizione Senza Perdono, un incantesimo pericoloso e crudele. Quella era una cosa da Mangiamorte. Da Mangiamorte. Ginny conosceva bene Dean, erano stati insieme per parecchi mesi – o almeno, era convinta di conoscerlo bene. E lui era un Grifondoro, protettivo e buono, generoso e leale… Di nuovo l’immagine della bacchetta puntata verso Daphne Greengrass le passò davanti agli occhi e Ginny fu percorsa da un brivido.
   “Dovresti andare da Madama Chips” le suggerì Hermione studiandola con la testa lievemente inclinata di lato. “Non mi sembri molto in forma.”
   Ginny scrollò le spalle e ingollò un’altra lunga sorsata di caffè. A Hermione non aveva raccontato nulla della sera precedente, voleva evitare di turbarla più di quanto già non lo fosse.
   “Qualche buona notizia?” chiese indicando con un cenno della testa la Gazzetta del Profeta.
   “Non so se sia una notizia buona o cattiva, ma ieri sono cominciati i processi ai Mangiamorte catturati.”
   “Davvero?” chiese Ginny sinceramente interessata.
   “L’Ufficio sull’Applicazione della Legge Magica ha assegnato dei Difensori d’ufficio agli imputati e ha dato il via alle danze.”
   Hermione fissava qualcosa sulla pagina che Ginny non poteva vedere, le sopracciglia leggermente aggrottate.
   “Cosa non ti convince?”
   “Spero solo che non cominci il solito balletto della Maledizione Imperio” sospirò Hermione; stese il giornale sul tavolo in modo che anche l’amica vedesse l’articolo. “Sono partiti dai pesci piccoli: i primi processi sono contro i nostri ex compagni di scuola.”
   L’indice di Hermione tamburellò sulla guancia scavata di un ragazzo biondo che fissava ostinatamente il lato della foto con quegli occhi freddi che Ginny conosceva bene.
   “Malfoy” sussurrò increspando le labbra. “Spero che buttino via la chiave” berciò dando fondo al proprio caffè.
   “Ne dubito” disse con molto buon senso Hermione. “A parte il Marchio Nero, gli Auror non hanno uno straccio di prova contro di lui. E cos’ha fatto alla fine dei conti? Prewett ha ragione, non è mai riuscito a portare a termine uno solo dei compiti che gli erano stati affidati.”
   Ginny strinse le labbra e sentì la testa pulsare ancora più intensamente; forse andare da Madama Chips non era poi un’idea così assurda.
 
 

Hogwarts – aula di Pozioni
 
   L’aria nell’aula di Pozioni era umida e addensata dal fumo proveniente da un piccolo calderone posto sulla cattedra, in cui sobbolliva la prima pozione del settimo anno. Un aroma pungente colpì le narici di Hermione, nella cui testa scattò qualcosa, un ricordo, anzi, la sensazione di un ricordo; conosceva quell’odore, ma lì per lì non avrebbe saputo dire cosa fosse. Hermione esitò appena, il piede goffamente sospeso a mezz’aria sulla soglia della segreta, incapace di dire se il pizzicore allo stomaco fosse dovuto al fumo o all’emozione; scosse la testa e costrinse le proprie gambe a raggiungere un banco libero in fondo all’aula. Appoggiò con cura la propria borsa sulla panca e il calderone sul fornelletto, in una serie di gesti automatici. Alzò appena lo sguardo, lanciando un’occhiata velocissima all’espressione leggermente delusa del professor Lumacorno, che con le mani sul ventre prominente osservava in silenzio i propri studenti prendere posto. Forse si aspettava di vedere Hermione nei primi banchi, come sempre?
   Come sempre.
   Hermione capì a che cosa era dovuto quel pizzicore allo stomaco: la strana ma semplice verità era che si sentiva sorpresa. Sorpresa di essere di nuovo in quell’aula senza Harry che cercasse di fare il furbo con ogni dannata pozione, senza Piton che togliesse punti a Grifondoro con criteri assolutamente discutibili… e senza Ron.
   Ron.
   Avrebbe quasi voluto pronunciare ad alta voce il suo nome, solo per il gusto di averlo sulle labbra, di sentirne il suono. Si sedette sulla panca, incapace di comprendere come tutto questo potesse influire su una cosa così semplice e naturale per lei come seguire una lezione.
   Ginny appoggiò pesantemente le sue cose nel posto di fianco a quello di Hermione, sbatacchiando il proprio calderone di qua e di là senza alcuna accortezza. Era ancora più bianca che a colazione.
   “Sicura di non voler andare da Madama Chips?” le chiese di nuovo Hermione, ma Ginny scosse la testa.
   “Dopo Pozioni abbiamo un’ora vuota, pensavo di approfittarne per fare un salto in infermeria.”
   Hermione guardò con un sopracciglio alzato l’amica, che però si limitò a scrollare le spalle e ad aggiungere: “Posso farcela, stai tranquilla.”
   “Bene!” esordì Lumacorno con un sorriso incerto. “Mi fa molto piacere ritrovarvi qui, ragazzi!” Lo sguardo del professore indugiò su Zabini in prima fila, poi volò dritto verso Hermione. “Molto piacere!” ribadì con un cenno della testa rivolto senza alcun dubbio alla ragazza. Lei cercò di stirare le labbra; qualche anno prima l’avrebbe riempita d’orgoglio essere salutata in modo così diretto da un professore, ma in quel momento… beh, sinceramente in quel momento aveva solo voglia di essere ignorata.
   “Questo sarà un anno impegnativo a livello di studio” proseguì Lumacorno passeggiando attorno alla cattedra e raggiungendo il piccolo calderone. “Per cui mi aspetto da voi grandi risultati e vi chiederò molto. Vi chiederò di preparare pozioni difficili, di livello avanzato, e vi chiederò di farlo alla perfezione. Non voglio qualcosa che assomiglia alla pozione, non voglio un preparato che ci si avvicini o faccia qualcosa di simile. Voglio una pozione perfetta, completa e funzionante, come se la andassi ad acquistare in farmacia. Tutto chiaro?”
   Un mormorio di agitazione percorse la classe. Erano in pochi, notò Hermione; Luna non era nella classe dei M.A.G.O. di Pozioni, lei preferiva studiare Cura delle Creature Magiche e altre materie che le concedessero spazio per le sue teorie sui Nargilli e sui complotti ministeriali. Delle sorelle Greengrass c’era solo la più grande in aula, mentre l’unico rappresentante di Tassorosso era Ernie; Padma Patil e Terry Stival invece tenevano alto l’onore di Corvonero. Sembrava quasi una riunione del Lumaclub, tanto che per un attimo Hermione pensò che se si fosse girata avrebbe visto Cormac McLaggen pavoneggiarsi in un angolo della segreta. Sorrise al ricordo di quella stupidaggine, di quell’invito fatto solo per far morire di gelosia Ron, come il vestito pieno di lustrini del Ballo del Ceppo… Ron, ancora una volta.
   “Qualcuno di voi riconosce questa pozione?” la voce del professore strappò Hermione dai ricordi come un brusco strattone. “Avvicinatevi!” esclamò Lumacorno incoraggiando gli studenti con un ampio gesto della mano.
   Zabini scattò in avanti, seguito da Daphne; Ginny e Hermione lasciarono che gli altri ragazzi sciamassero verso la cattedra prima di incamminarsi a loro volta.
   “Usate tutti i sensi a vostra disposizione” stava dicendo Lumacorno, in piedi davanti al piccolo calderone. “Osservatela, annusatela bene, ascoltate il rumore che fa sobbollendo!”
   Hermione lanciò un’occhiata veloce alla pozione, che continuava a produrre pigre bolle color fango e un denso fumo acre; di nuovo la sensazione di aver già sentito quell’odore le pizzicò narici e meningi. Sapeva che se solo si fosse sforzata un po’ di più sarebbe riuscita a ricordare…
   “Qualcuno vuole tentare?”
   … ma la verità era che non aveva nessuna voglia di sforzarsi. Nessuna voglia di impegnarsi. Che diavolo le stava capitando?
   “Pozione Confondente?” tentò Ernie, con il naso allungato ben oltre il limite di sicurezza che Piton aveva insegnato loro a rispettare. Hermione poteva sentire ancora la voce del professore sibilare: Se il tuo scopo è lasciare che gli schizzi ti arrivino direttamente in un occhio, Granger, avvicinati pure ancora un po’.
   “Pozione base, ragazzo mio” disse Lumacorno stirando le labbra in un’espressione vagamente contrariata. “Come ho detto, è la classe dei M.A.G.O. questa. Vogliamo puntare un po’ più in alto?”
   “Pozione Antilupo?” l’eccitazione nella voce di Zabini era percepibile.
   “Idiota” sussurrò Hermione a Ginny.
   “Non così in alto, mio caro” commentò compiaciuto il professore. “Per preparare quel tipo di pozione serve un’autorizzazione speciale del Ministero.”
   Hermione alzò le sopracciglia come a dire: “Appunto.”
   La classe si concesse qualche momento di silenzio.
   “Potrebbe essere… Pozione Rigenerante?” tentò Terry Stival, ma ottenne solo una nuova espressione contratta di Lumacorno.
   “Osserva il colore, Terry” lo invitò il professore. “Se fosse Pozione Rigenerante sarebbe…”
   “Verde pisello” intervenne Hermione senza pensarci; la risposta era uscita in automatico e la ragazza aveva già sentito le guance avvampare.
   “Precisamente” disse Lumacorno con un sorriso incoraggiante. “Che cos’è color fango invece?”
   Hermione tenne gli occhi bassi sulla pozione, respirando lentamente e a pieni polmoni; conosceva quell’odore – lo conosceva alla perfezione.
   Erba fondente, corno di bicorno, mosche crisopa…
   La sua mente prese subito ad elencare gli ingredienti, come una filastrocca di infanzia, di quelle che canti battendo le mani con un’amichetta sul marciapiede davanti a casa per anni.
   … Centinodia, sanguisughe, pelle di Girilacco…
   E quando sei già grande e non pensi più alla filastrocca da tanto tempo, ti basta una parola, una nota, e la tua mente si mette a canticchiarla senza nemmeno chiederti il permesso.
   … e un capello della persona nella quale ci si vuole trasformare.
   Era talmente semplice che Hermione si chiese perché non avesse riconosciuto subito quella pozione.
   “E’ Pozione Polisucco” disse con sicurezza, alzando gli occhi sul professore. Lumacorno sorrideva compiaciuto, accarezzandosi uno dei baffi come se stesse osservando una scatola di ananas candito particolarmente pregiato.
 
 

Hogwarts – Infermeria
 
   Ginny allontanò bruscamente la mano di Madama Chips dalla fronte; era in infermeria da cinque minuti e ne aveva già abbastanza di gente che le tastava il polso o che tentava di sentire la sua temperatura. Era già molto che stesse seduta composta sulla sedia, stretta in una coperta a quadri rossi e verdi che sembrava venire direttamente dallo studio della McGranitt; fosse stato per lei avrebbe preso la via del corridoio. E il fatto che la testa, oltre che a pulsare come se uno Gnomo ci stesse facendo la tana dentro, avesse preso anche a girare non c’entrava assolutamente nulla con la sua decisione di collaborare.
   “Bevi questo” disse bruscamente Madama Chips, allungandole un bicchiere colmo di una pozione densa e dall’odore dolciastro. “Ho detto bevi!” esclamò di nuovo l’infermiera quando Ginny esitò.
   “D’accordo, d’accordo!” rispose la ragazza afferrando l’intruglio. “Posso almeno sapere che roba è?”
   “Roba per farti passare il mal di testa” berciò Madama Chips. “Ne vedo moltissimi così i primi giorni dell’anno scolastico” aggiunse fissando arcigna la ragazza. “Più che altro del primo anno. Lo stress può giocare brutti scherzi: crampi, vomito, ma anche febbre molto alta.”
   “Non è il mio caso” ribatté Ginny fissando con un sopracciglio alzato la pozione. “Ho solo dormito male.”
   “Certo” disse atona Madama Chips, le braccia conserte.
   “E devo aver preso freddo nei corridoi” aggiunse la ragazza senza nessun motivo apparente.
   “Non ne dubito. Bevi.”
   Stress. Bah. Ginny prese un sorso di pozione e quasi diede di stomaco: era dannatamente amara. Decise di proseguire e buttarla giù tutta d’un fiato, era l’unico modo per andare via di lì il prima possibile. Scaraventò il bicchiere vuoto sul comodino poco distante e lanciò un’occhiata carica di rancore all’infermiera.
   “Posso andare, adesso?”
   “No, deve fare effetto la pozione. Aspetta qui seduta almeno un quarto d’ora, poi ti riprovo la febbre e possiamo riparlarne.”
   Madama Chips girò sui tacchi e si allontanò verso il proprio ufficio, lasciando la ragazza a dondolarsi nervosamente sulla sedia. La verità era che Ginny non si beccava un raffreddore dall’età di dieci anni; non si era ammalata nemmeno quando Angelina faceva fare alla squadra gli allenamenti sotto la pioggia. Ma l’ultima volta che aveva avuto quel dannato mal di testa da febbre Harry era in un letto al San Mungo e lei indossava una delle sue felpe. Il buon senso di Ginny suggeriva a gran voce che la febbre era strettamente legata al simpatico episodio della sera precedente.
   La ragazza si strinse nella coperta che sapeva di umidità; avvertì il solletico sul collo e sulla schiena di alcune gocce di sudore, segno che la pozione stava cominciando a fare il suo dovere abbassandole la temperatura corporea.
   “Badaba Chips?”
   Una voce estremamente nasale risuonò ovattata nella camerata dell’infermeria; Madama Chips si precipitò sulla porta del proprio ufficio, mentre Seamus Finningan percorreva barcollando il corridoio tra le due file di letti. Si teneva un fazzoletto premuto sul naso e aveva mani e viso completamente imbrattati di sangue. Ginny seguì con un sopracciglio alzato la difficoltosa avanzata del ragazzo fino ad una sedia di fronte a lei, dove Madama Chips lo fece sedere senza tanti complimenti. Ginny sentì due grosse gocce di sudore correrle lungo la schiena, ma non era sicura che fossero del tutto dovute alla febbre che si abbassava.
   “Ma che… cosa diavolo hai combinato?” esclamò l’infermiera estraendo la bacchetta.
   “Dulla… sodo solo caduto.”
   Madama Chips alzò un sopracciglio scettica e allontanò con una mano il fazzoletto dal naso di Seamus.
   “E di chi era il pugno sul quale sei caduto?” chiese acida. Il ragazzo chiuse gli occhi e scosse la testa.
   “Buò sistebarbelo?”
   “Certo che posso sistemartelo, che razza di domande. Epismendo!
   Una serie di piccoli crack annunciarono che il naso di Seamus era tornato dritto e ricomposto; il ragazzo se ne pizzicò la radice con una smorfia, come a controllare che fosse davvero tutto in ordine, poi estrasse la propria bacchetta, se la puntò sul viso e si ripulì dal sangue sparso un po’ dappertutto.
   “Grazie” esalò alla fine, guardando con riconoscenza Madama Chips. L’infermiera si limitò a scoccargli un’occhiata indecifrabile, poi si voltò e tornò nel suo ufficio senza aggiungere altro. Seamus alzò gli occhi e fissò Ginny per un lungo momento.
   “Il tuo naso…” mormorò lei.
   “Sto bene.”
   Il ragazzo si alzò e si incamminò verso l’uscita dell’infermeria.
   “E’ successo quello che penso?” chiese Ginny quasi urlando; Seamus si fermò e si voltò appena, guardandola con la coda dell’occhio.
   “Non so cosa stai pensando.”
   “E’ stato lui?”
   Seamus aprì la bocca, poi la richiuse e percorse il resto del corridoio, uscendo in silenzio.
 
 

La Tana
 
   Teddy Lupin erano indubbiamente un bimbo molto tranquillo: non piangeva, non rideva, nessun urletto, nessun lamento; ogni tanto giusto qualche gemito per ricordare ai membri della famiglia Weasley la sua presenza. Molly si era addirittura rivolta al Guaritore che aveva seguito il resto dei suoi figli, ma anche lui non aveva riscontrato nulla che non andasse; la semplice verità era che Teddy era solo un bambino silenzioso.
   Il piccolo aveva comunque trovato un modo per farsi capire molto bene: sembrava infatti aver associato ad alcune sensazioni selezionate un colore. Quando era affamato, invece di piangere come qualsiasi altro bambino, Teddy faceva virare i propri capelli al biondo miele; il mal di pancia o qualche altro dolorino erano grigio topo; i giochi e il solletico erano di un arancione brillante. Anche alcune persone sembravano essersi guadagnate il privilegio di un colore tutto loro: Molly e Arthur erano di due azzurri leggermente diversi, mentre a Ginny era stato associato un curioso color prugna di cui la ragazza non perdeva occasione di lamentarsi. Poi c’era Harry: Harry era rosa shocking, un rosa a cui il ragazzo non si era ancora abituato, un rosa terribilmente simile a quello che Tonks portava la prima sera in cui l’aveva vista. E anche l’ultima.
   Harry strizzò gli occhi, scacciando con forza l’immagine di Tonks e Lupin mano nella mano sul pavimento della Sala Grande, e infilò l’ultima cucchiaiata di passato di piselli nella bocca di Teddy. Molly e Arthur si erano finalmente concessi una serata solo per loro in un ristorantino romantico e a Harry era stata affidata la responsabilità della cena del bambino, che aveva da poco cominciato lo svezzamento con molto entusiasmo.
   “Ecco fatto, campione.”
   Harry spedì il piatto nel lavello con un colpo di bacchetta e con un altro ripulì il visetto di Teddy. Ron si era prontamente dileguato a inizio serata, portandosi una razione abbondante di polpettone in camera; probabilmente in quel momento era impegnato nella stesura della terza lettera troppo lunga indirizzata a Hermione. Per qualche strano motivo Ron sembrava essere convinto che raccontarle nei minimi dettagli le proprie giornate sarebbe servito a lenire la lontananza. Harry non aveva ancora scritto una riga e la prima lettera di Ginny era arrivata quel pomeriggio; lettera che, a dirla tutta, era ancora chiusa sul tavolo della cucina, a poca distanza dal piatto di polpettone appena riscaldato. Harry aveva deciso di mangiare con calma prima di aprirla – perché una volta fatto l’assenza di Ginny sarebbe diventata reale. Dannatamente reale.
   Harry masticò in silenzio, mentre Teddy, i capelli virati improvvisamente all’arancione, sbatteva ritmicamente sul tavolo il cucchiaio incautamente lasciato vicino alle sue manine curiose. Il ragazzo pazientò fino alla metà del proprio piatto, poi puntò la bacchetta verso la posata.
   “Wingardium Leviosa” sussurrò, provocando un’espressione confusa e contrariata sul viso di Teddy. “Scusa” aggiunse Harry mentre lasciava cadere il cucchiaio nel lavello. “Ma lo zio ha già mal di testa per gli affari suoi.”
   Odiava chiamarsi zio, ma Molly aveva cominciato a dargli quel nome davanti a Teddy e onestamente non gli era ancora venuto in mente nulla di meglio. Padrino era lungo e difficile, papà era un nome che non si sarebbe arrogato nemmeno se Lupin in persona fosse entrato dalla porta e gli avesse ordinato di usarlo. Quindi aveva accettato controvoglia zio.
   Teddy fissò Harry con un broncio particolarmente espressivo per un bambino di sei mesi.
   “Credimi, un giorno capirai” ribatté il ragazzo puntandogli contro una forchettata di polpettone.
   Qualcosa si mosse fuori dalla finestra della cucina: era appena un fruscio, forse erba calpestata da un piede; Harry era certo che non lo avrebbe nemmeno sentito se Teddy fosse stato ancora impegnato con il cucchiaio. Si alzò di scatto, la bacchetta stretta nella mano, e prese in braccio Teddy con una velocità di cui non si credeva capace. I capelli del bambino virarono immediatamente al nero corvino, forse il colore della paura.
   Magari è solo uno Gnomo, pensò Harry stringendo ancora di più la presa sulla bacchetta; si mise in ascolto, una strana sensazione di pericolo imminente che gli faceva prudere la nuca. Di nuovo quel fruscio, poi un leggero colpo metallico. Doveva chiedere aiuto e doveva farlo in fretta. Si rese conto all’improvviso di non essere in grado di far parlare il proprio Patronus, ma decise comunque di produrne uno da spedire fino alla camera di Ron, sperando che l’amico capisse.
   Lo stratagemma funzionò: dopo qualche momento Ron comparve in cucina trafelato, la bacchetta già in mano.
   “Che succede?” chiese boccheggiando. Harry si premette l’indice sulle labbra, silenzio; poi indicò con un cenno della testa la porta che dava sul retro e gli passò Teddy.
   Incantesimo Scudo, scandì con le labbra mentre indicava Ron con la bacchetta, che poi rivolse verso sé stesso e la porta per fargli capire che sarebbe andato a dare un’occhiata fuori. L’amico tentò di protestare, ma Harry gli intimò silenziosamente di evocare un Incantesimo Scudo senza discutere; gli voltò le spalle e aprì la porta con estrema cautela, sporgendosi quel tanto che bastava per vedere la porzione di giardino che la luce proveniente dalla cucina rischiarava. L’erba frusciava apparentemente indisturbata attorno a casa Weasley, beandosi nella brezza frizzante della sera autunnale; Harry decise di rischiare un po’ di più e accese la punta della propria bacchetta, facendo scivolare con lentezza il fascio di luce sulla zona circostante i pochi gradini che conducevano al giardino completamente deserto.
   Pop.
   Il rumore fu estremamente flebile e leggero, ma indusse Harry a voltarsi a destra e a studiare con attenzione il prato buio; la luce prodotta dalla bacchetta era tutt’altro che sufficiente, ma al ragazzo non occorse molto tempo per accorgersi che lì fuori non c’era proprio nessuno.
   “Nox” sussurrò abbandonando la mano lungo un fianco. Quel pop avrebbe potuto tranquillamente essere il rumore di una Smaterializzazione, se non fosse stato per gli Incantesimi attivi sulla Tana – e molto ben funzionanti, a quanto ricordavano la sua spalla destra. Tornò nella cucina con gli occhi bassi e una smorfia risentita, chiudendosi la porta alle spalle con calma forzata; Ron abbassò la bacchetta e un leggero spostamento d’aria segnalò che l’Incantesimo Scudo era stato revocato.
   “Tutto tranquillo?” chiese il ragazzo mentre tentava di tenere stretto Teddy, impegnato a protendersi il più possibile verso il suo padrino. Harry annuì.
   “Non c’era nessuno.”
   Ron inarcò le sopracciglia e decise di cedere all’insistenza del bambino, lasciando che Harry lo riprendesse in braccio.
   “Avevi sentito dei rumori?” chiese incerto.
   “Sì, ma temo che sia solo la mia iper vigilanza che gioca dei brutti scherzi” Harry stirò le labbra in un sorriso triste mentre Teddy appoggiava la testolina rosa acceso sulla sua spalla. “Forse erano solo Gnomi.”
   “Sì, è pieno qua fuori.”
   Le parole rassicuranti evidentemente non convinsero nessuno dei due ragazzi, che rimasero in piedi davanti alla porta sul retro, gli occhi bassi e la fronte corrugata.
   “Vuoi mandare un Patronus ai miei?” chiese Ron, ma Harry scrollò le spalle ridendo di sé stesso.
   “Per degli Gnomi che passeggiano in giardino?”
   “Già…” Ron tentò un sorriso stiracchiato. “Ma quando tornano dovresti dirglielo.”
   Da quando era diventato così simile a Hermione? Tuttavia Harry si ritrovò comunque ad annuire, appoggiando una mano sulla testa di Teddy in un gesto istintivo.
   “Ti va una partita a Scacchi Magici?” propose Ron.
   “Perché no?”
   Era un modo come un altro per passare la serata insieme, nella stessa stanza, con Teddy vicino e le bacchette a portata di mano finché Molly e Arthur non fossero rincasati.
   In fondo erano solo Gnomi… no?
 
 

Da qualche parte – un vicolo buio
 
   Era tutta colpa di quel maledetto Gnomo. Era spuntato da dietro un secchio abbandonato vicino alla finestra della cucina, sotto alla quale forse c’era l’ingresso della sua tana. Era comparso dal nulla e gli aveva tagliato la strada, correndo a perdifiato con una patata stretta al petto. Era quasi caduto su quello stramaledetto Gnomo.
   Orribile creatura, ripeteva fra sé e sé mentre riprendeva fiato in un vicolo buio, orribile, sporca, schifosa creatura. Potter l’aveva quasi visto, il fascio di luce della sua bacchetta era arrivato a pochi centimetri dal suo piede. Aveva rischiato troppo, e per cosa poi? Anche se fosse entrato nella cucina, cosa avrebbe fatto?
   Stava diventando incauto, avventato. Si costrinse a fare un lungo respiro. Aveva bisogno di un piano, un nuovo piano che funzionasse davvero. Aveva bisogno di cambiare prospettiva, di prendere un po’ le distanze; si stava facendo trascinare dal dolore e dalla sete di vendetta. Ma non doveva commettere altri passi falsi. Doveva solo continuare ad aspettare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Angolo di Gin
Evvai che ce l’ho fatta!
E’ stato un capitolo “parto” questo, ve lo giuro. Riscritto non so quante volte. E con la carenza cronica di tempo che ho avuto nelle ultime due settimane è stato ancora più difficile!
Comunque, è un capitolo denso seppur di passaggio. Non c’è nulla che non prepari un pezzetto importante della storia a venire: lo fa ovviamente il pezzo finale, lo fa la scena Harry-Teddy, lo fa Ginny quando chiede a Seamus “E’ stato lui?” (e direi che il riferimento sia chiaro), lo fa persino la scena iniziale con le chiacchiere sul Quidditch ma soprattutto l’articolo della Gazzetta del Profeta.
Ci tenevo anche a dare un po’ di spazio a Hermione, che sta affrontando, come ci siamo detti in conclusione dello scorso capitolo, un periodo davvero molto molto impegnativo emotivamente parlando; è la cosa che lo dimostra huber alles è il fatto che non riconosca la Pozione Polisucco nel momento stesso in cui ha messo piede nell’aula – molti di voi ricorderanno con quale prontezza riconosceva le pozioni durante la prima lezione di Lumacorno all’inizio del sesto anno. E poi ormai la Pozione Polisucco la so riconoscere anch’io, tanto ce l’hanno propinata in tutte le salse. Eppure Hermione non si sforza nemmeno un po’ ed è solo il ricordo, la parte inconscia di lei che richiama alla memoria gli ingredienti, come una filastrocca dell’infanzia (mi piaceva molto il paragone…!)
 
Se tutto procede secondo i piani il prossimo capitolo sarà interamente dedicato al primo giorno in Accademia Auror – ma non prometto nulla, eh?
 
Grazie a chi ha letto e chi leggerà e come sempre a chi recensisce!
 
Special thanks to
Mirwen, che si è divorata la mia storia in due giorni! Grazie davvero!
 
A presto – emh, lo spero!
 
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 31
*** 7 settembre 1998 – Ministero della Magia ***


Per prima cosa […]
Sono consumato e stanco per il modo in cui le cose sono andate […]
Seconda cosa,
Non mi dici cosa pensi che io possa essere?
Sono il timoniere, sono il capitano nel mio mare […]
 
Dolore
Tu mi hai distrutto, mi hai ricostruito […]
La mia vita, il mio amore, la mia guida sono venuti dal dolore
Tu mi hai reso un credente
 
Believer – Imagine Dragons
 
 
 
 

 
7 settembre 1998 – Ministero della Magia
 

 
   Il piccolo gruppo di Reclute Auror si guardava intorno nervosamente sotto la Stele al centro dell’Atrium, dove l’Istruttrice Shacklebolt aveva dato loro appuntamento per le otto e trenta. Hannah era eccitata come una bambina davanti ad un Unicorno, ma per fortuna aveva deciso di provare a fare amicizia con la ragazza dai ricci biondi, che la ascoltava con educato interesse. Harry cercava di guardare dappertutto fuorché verso la lista di nomi scolpiti nella pietra grigia, ma era difficile riuscire a concentrarsi su altro; aprì la bocca ma Ron lo bloccò subito con un’occhiataccia.
   “Sono le otto e venticinque, esattamente come un secondo fa.”
   Harry abbassò lo sguardo, contrariato; ficcò una mano in tasca e strinse ancora una volta la lettera che era arrivata il giorno prima da Hogwarts, dove Ginny e Hermione facevano a lui e Ron gli auguri per il primo giorno di corso e ripetevano fino alla nausea la raccomandazione di tenere gli occhi aperti.
   “Chiedere in continuazione l’orario non farà accelerare le lancette.”
   L’acido commento veniva dalla bocca della ragazza alta e castana, di cui Harry aveva dimenticato il nome; fissava gli ascensori oltre il cancello dorato come se cercasse di non guardare qualcosa di estremamente sgradevole.
   “Grazie per averci regalato questa perla di saggezza, Fletcher.”
   Ci pensò Theodore Nott, scuro in volto e le braccia incrociate, a risponderle per le rime; la ragazza si voltò verso di lui e inarcò le sopracciglia, ma qualunque cosa volesse dire fu censurata dall’arrivo dell’Istruttrice, che portava con sé una cartelletta dorata.
   “Se volete un consiglio” disse Lena sorridendo candidamente. “E’ meglio non cominciare il primo giorno di addestramento litigando. Buongiorno a tutti!”
   Gli otto ragazzi raddrizzarono contemporaneamente le schiene e risposero all’unisono: “Buongiorno!”
   La Shacklebolt li contò velocemente con gli occhi e fece un breve appello, leggendo dalla tavoletta dorata; Harry ne approfittò per cercare di imparare i nomi dei suoi compagni di corso: la ragazza castana si chiamava Ella Fletcher, quella dai ricci biondi era Sybil Major, mentre l’amico di Roger Davies, Micheal O’Leary, doveva essere irlandese, visti il cognome, le lentiggini e i capelli rosso scuro.
   “Bene, ci siete tutti. Seguitemi, registreremo le vostre bacchette con un permesso temporaneo da Reclute, dopo di ché andremo al Secondo Livello.”
   Si voltò con eleganza, facendo frusciare la propria veste blu pavone, e si allontanò a passi svelti seguita dal gruppetto. Le operazioni di registrazione furono abbastanza veloci: l’addetto aveva già le schede dei ragazzi pronte e si limitò a pesare le loro bacchette e annotare le caratteristiche sulla pergamena relativa al proprietario; ogni bacchetta registrata veniva poi sigillata dall’impiegato con un Incantesimo, che, pensò Harry, probabilmente era il permesso vero e proprio.
   Istruttrice e Reclute si stiparono a forza in un unico ascensore e attesero in un silenzio imbarazzato; quando la fredda voce femminile annunciò il Secondo Livello il sospiro di sollievo collettivo fu ben udibile. L’open space era in pieno fermento, a differenza dell’ultima volta in cui Harry era stato lì: parecchi cubicoli erano occupati da Auror che dettavano rapporti o che sfogliavano fascicoli, piccoli messaggi viola chiaro sfrecciavano ad altezza delle spalle in ogni direzione e diversi Elfi Domestici con la divisa ministeriale erano impegnati a trasportare pesanti vassoi carichi di caffè e ciambelle. Sopra le finestre c’era ancora l’inquietante scritta a caratteri cubitali LA MAGIA E’ POTERE, coperta ora con una lastra di vetro.
   La Shacklebolt fece cenno alle Reclute di aspettare e si diresse verso la porta alla sinistra dell’ingresso, dove una targhetta dorata recitava: F. Prewett – Capo dell’Ufficio Auror. Bussò e il vocione di Frank urlò: “Avanti!”
   “Signore, sono arrivate le Reclute” disse con voce delicata Lena, infilando solo la testa nell’ufficio del suo capo. “Se vuole…”
   Non riuscì a terminare la frase: Prewett era già nell’open space che raggiungeva con un sorriso da orecchio a orecchio i ragazzi in attesa, il solito sigaro spento stretto tra i denti.
   “Benvenuti!” esclamò a pieni polmoni e sfregandosi le mani. “Carne fresca, eh?” ghignò dando di gomito alla Shacklebolt, che emise un risolino. Frank sembrò comunque convinto di essere risultato simpatico e si voltò verso il resto dell’ufficio.
   “Un attimo di attenzione, gente!” berciò alzando le braccia. “Vi presento la nuova classe di Reclute, che comincia oggi il suo addestramento.”
   Quasi tutti gli Auror si alzarono, incuriositi, le sedie che grattavano sul pavimento chiaro; molti cercarono ed individuarono Harry con gli occhi e gli rivolsero il saluto con il pollice. Il ragazzo tentò di sorridere con aria disinvolta e soprattutto di non arrossire, mentre scorreva i volti dei suoi futuri colleghi; riconobbe Miranda e Linda, pericolosamente vicine al parto a giudicare dalle loro pance, e Greg, che sorseggiava caffè e li salutò con la mano. C’erano anche Jake e la sua tazza con la scintillante scritta glitter, che strappò un sorriso sincero ad Harry.
   Chissà se è qui, si chiese la voce del buon senso dentro la testa del ragazzo; uno chiunque di loro poteva essere il famoso uccellino. Spostò il peso del proprio corpo da un piede all’altro, a disagio, e si voltò appena verso Ron; anche lui forse si stava facendo la stessa domanda e ricambiò il veloce sguardo teso che Harry gli stava rivolgendo.
   “Vi auguriamo buon lavoro” trillò la Shacklebolt.
   “E voi augurate alle nostre Reclute buona fortuna!” esclamò Prewett.
   “Con Lena ne avranno bisogno!” disse Greg con il suo ghigno beffardo. Diversi Auror risero, compresa la Shacklebolt, ma le risate sguaiate di Frank coprirono le altre; qualcuno applaudì, qualcun altro fece loro gli auguri, poi tutti tornarono alla propria occupazione. Prewett diede loro un ultimo sonoro in bocca al lupo, poi l’Istruttrice condusse il piccolo gruppo attraverso l’open space; attraversarono la porta sul fondo e si trovarono nello stretto corridoio al termine del quale c’era l’Ufficio Reclutamento.
    “Ogni mattina verrete qui, nel nostro ufficio” scandì con voce chiara la Shacklebolt, continuando a camminare. “Le lezioni cominciano alle otto, non voglio ritardi, ed è meglio che non saltiate nessun giorno di addestramento senza una giustificazione valida, della quale devo essere messa a conoscenza il prima possibile via gufo.”
   “Cosa succede se arriviamo in ritardo o saltiamo un giorno?” chiese Roger Davies; l’Istruttrice si fermò davanti alla porta del proprio ufficio e posò una mano sulla maniglia, poi si voltò e guardo il ragazzo con un sorriso ambiguo.
   “E’ meglio per voi non scoprirlo mai.”
   La Shacklebolt aprì la porta e fece entrare tutti i ragazzi, che di nuovo si trovarono gomito a gomito; l’ufficio aveva ancora quel bizzarro aspetto, con la caotica parte di Leatherman che faceva a pugni con la zona ordinata di Lena. La finestra però quel giorno splendeva di un bel sole caldo. Micheal O’Leary si appoggiò alla scrivania di Roy, urtando una pila di documenti che scivolò di lato e ricoprì il piano di foglio sparsi; il ragazzo sbiancò e si beccò un’occhiataccia dalla Shacklebolt.
   “Di quello l’Istruttore Leatherman non sarà contento” sibilò. “Fate attenzione, ragazzi” disse poi a voce più chiara; si avvicinò a uno degli schedari dietro la propria scrivania, alzò la bacchetta e colpì il secondo cassetto dall’alto.
   “Elleboro!” esclamò con decisione.
   Il cassetto tremò appena, poi lo schedario prese a ruotare su sé stesso, mostrando un piccolo camino immacolato, quasi non avesse mai visto nemmeno un fiammifero in vita sua.
   “Tutto chiaro?” chiese Lena guardando il gruppo di Reclute, che annuirono. La donna estrasse dalla veste una grossa busta, la aprì e distribuì ad ognuno di loro un foglio di pergamena ripiegato in quattro parti.
   “Mandate a memoria le istruzioni scritte” disse una volta consegnato l’ultimo foglio a Ron. “In pochi minuti la pergamena si sbriciolerà.”
   Harry si affrettò a spiegare il proprio foglio, sul quale una calligrafia poco ordinata che avrebbe sicuramente indispettito la McGranitt aveva scritto:
 
L’Accademia Auror Camulus’ Stronghold è raggiungibile con la Metropolvere
dal camino dell’Ufficio di Reclutamento.
 
   Quando Harry alzò di nuovo lo sguardo, la Shacklebolt aveva già acceso il fuoco nel camino e stava spingendo Hannah Abbott tra le fiamme.
   “Entrate uno alla volta e pronunciate il nome dell’Accademia!”
   Harry rilesse con più attenzione la pergamena, i cui angoli si stavano già disfacendo, e cercò di mandare a memoria il nome; con la affinità che aveva con la Metropolvere, una vocale sbagliata e si sarebbe ritrovato nel salotto di un’ignara famiglia di Boston, come minimo. Il camino era talmente piccolo che tutti si dovettero inginocchiare per potervi entrare, persino Sybil, che era poco più alta di uno studente del primo anno. Harry si accucciò evidentemente nel modo sbagliato, perché venne risucchiato per un braccio e atterrò nel camino di arrivo come un sacco di patate. Ron gli tese la mano e lo aiutò a rialzarsi, giusto in tempo per evitare di essere investito da Roger Davies.
   Si trovavano in un’ampia sala completamente rivestita di mogano scuro; davanti all’immenso camino da cui erano appena usciti era steso un tappetto cremisi al centro del quale spiccava il simbolo bianco della Divisione Auror: una bacchetta che reggeva i bracci di una bilancia a piatti, sopra ognuno dei quali era raffigurata una stella stilizzata. Addossata alla parete a sinistra del camino c’era un’ampia scala di legno, mentre su quella a destra spiccava un robusto portone rinforzato con bande di acciaio. Ai lati del portone si aprivano larghe finestre dai vetri divisi in decine di quadrati uguali da una sottile intelaiatura bianca; a destra e a sinistra del camino si trovavano invece due archi, oltre i quali si intravvedevano altre stanze. Alle pareti una decina di dipinti osservavano con cipiglio severo i nuovi arrivati; Harry notò che le cornici di pesante legno dorato riportavano i nomi dei rispettivi occupanti.
   “Altre donne” sibilò Ebenezer Dawlish, da sotto il suo cappello a cilindro. “Ai miei tempi non ammettevamo femminucce nei ranghi degli Auror.”
   Per un attimo Ella sembrò indecisa se Schiantare il quadro, ma Sybil le fermò la mano con un gesto delicato. Nel dipinto di fianco Venusia Crickerly, una donna corpulenta e che portava un curioso monocolo, si agitò come se qualcuno le avesse dato fuoco alla cornice.
   “Hai qualche problema con le nuove Reclute, Ebe? Ti ricordo che io sono stata un Comandante molto migliore di te!”
   “A me preoccupano più gli uomini” mormorò con un’espressione vagamente schifata Hesphaestus Gore, un uomo dalle spalle larghe con una parrucca a boccoli bianchi e un cappello tricorno scuro. “Sono mingherlini! Lasciatevelo dire da uno che è stato anche…”
   “Ministro della Magia, lo sappiamo!” sbuffò che a Harry suonò familiare. Il ritratto di Rufus Scrimegeour sospirava annoiato, appoggiato con un gomito alla propria cornice. “Ti ricordo che non sei l’unico, Hesp.”
   Gore divenne paonazzo e attraversò a passo di carica un paio di dipinti, spostando di malagrazia Ebenezer Dawlish e Venusia Crickerly. Arrivò nella cornice di Scrimegeour e lo schiaffeggiò con un guanto; la scena non doveva essere inusuale, perché Rufus si limitò ad alzare gli occhi al cielo mentre Gore dava in escandescenze.
   “Ehi, Potter! Weasley!”
   Un altro dipinto richiamò l’attenzione dei due ragazzi: l’ultimo quadro a destra, praticamente a ridosso di una delle finestre, ritraeva un volto completamente ricoperto di cicatrici, con un occhio normale e uno blu elettrico.
   “Moody!” esclamarono Harry e Ron avvicinandosi al ritratto.
   “Speravo proprio di vedervi qui, prima o poi” abbaiò con un sorriso soddisfatto della bocca sghemba.
   “Reclute!” chiamò la voce severa della Shacklebolt, uscita per ultima da camino.
   “Andate” Moody li incitò con un gesto della mano. “Quella è terribile. E ricordate, Vigilanza…”
   “Costante!” completarono in coro Harry e Ron.
   “Questi sono i miei ragazzi!”
   “Vedo che Potter e Weasley hanno già fatto amicizia” osservò con una punta di acidità Lena mentre i due si riunivano al resto del gruppo. “L’Istruttore Leatherman dovrebbe già essere qui” aggiunse poi guardandosi intorno; come Evocato, Roy avanzò lentamente nella sala dall’arco a sinistra del camino, una tazza di caffè in una mano e un biscotto nell’altra.
   “Benvenuti a Camulus’ Stronghold, Reclute!” esclamò con un sorriso soddisfatto. “Clobhair ha insistito per preparare un piccolo banchetto per il vostro arrivo. E’ più una seconda colazione, ma con quell’Elfo non si può discutere in nessuna maniera.”
   “Clobhair ha sentito!” esclamò una vocetta stridula proveniente dalle spalle di Leatherman, che si limitò ad allargare ancora di più il proprio sorriso.
   “Come ha detto l’Istruttore Leatherman, benvenuti a Camulus’ Stronghold” Lena riprese il filo del discorso. “L’Accademia dove sono stati addestrati tutti gli Auror fin dalla fondazione della Divisione nel 1735. Avrete già riconosciuto alle pareti i ritratti dei Capi dell’Ufficio Auror che si sono maggiormente distinti durante i trecento anni di storia della nostra Divisione. Per i prossimi due anni questa sarà per voi una seconda casa: ogni giorno sarete gomito a gomito con i vostri compagni di addestramento, studierete con loro, suderete con loro, combattere con e contro di loro.”
   “Signora” la vocetta stridula richiamò l’attenzione della Shacklebolt e del gruppo di Reclute verso l’arco a sinistra del camino: di fianco a Leatherman, con i pugnetti piantati sui fianchi e lo sguardo torvo, stava ritto il più grasso Elfo Domestco che Harry avesse mai visto; sembrava una grossa zucca acerba, tanto era rotondeggiante. Era vestito di uno strofinaccio dorato allacciato su entrambe le spalle, il simbolo degli Auror ricamato in nero sul petto; il naso a patata quasi nascondeva due enormi occhi verdi che fissavano corrucciati l’Istruttrice.
   “La signora” ripeté puntandole contro un cucchiaio di legno. “Deve finire questo discorso in Refettorio o tutto il lavoro che hanno fatto Clobhair e i suoi aiutanti si raffredderà.”
   L’Elfo si voltò senza aspettare una risposta e marciò a passo di carica verso la stanza dietro l’arco, ma dopo qualche momento il viso tondo e severo fece di nuovo capolino nel salone.
   “Per favore” aggiunse sbuffando, come se si fosse ricordato solo all’ultimo momento della necessità di aggiungere quelle due parole per lui assolutamente inutili. La Shacklebolt era livida.
   “Direi di cominciare il tour introduttivo dal Refettorio!” esclamò con calore Leatherman, facendo cenno ai ragazzi di attraversare l’arco. Lena quasi spinse il piccolo gruppo di Reclute, che si ritrovò in una grande stanza di mattoni rossicci; al centro del pavimento in cotto campeggiava un lungo tavolo di legno scuro, al momento completamente occupato da vassoi di biscotti, una serie di torte, caraffe di succo di zucca, una teiera laccata di bianco e un bricco di caffè fumante. Sul fondo del Refettorio, esattamente sopra il camino, uno striscione scritto frettolosamente dava il benvenuto alle Reclute; Clobhair si era sistemato su uno sgabello di fianco al camino e supervisionava con le braccia conserte e l’aria torva tre minuti Elfi Domestici che correvano avanti ed indietro da una piccola porta poco distante. Leatherman era già seduto a capotavola e la Shacklebolt lo raggiunse; i ragazzi li imitarono e presero posto lungo il resto della tavolata.
   “Come vedete questo posto è stato progettato per addestrare molto più di otto reclute” disse Roy con un sorriso amaro. “Ma per quest’anno ci accontenteremo! Servitevi, ragazzi! Credetemi, vi conviene” aggiunse in un sussurro accennando con la testa a Clobhair; Harry sbirciò velocemente il grasso Elfo, che guardava il gruppo di Reclute con gli occhi ridotti ad una fessura: decisamente sembrava tutt’altro che cordiale.
 
   La prima tappa del tour introduttivo, come lo aveva chiamato Leatherman, era esattamente di fronte al Refettorio: sotto i ritratti dei più meritevoli Capo Auror c’erano alcune porte che conducevano ad una piccola palestra per gli allenamenti invernali e agli spogliatoi maschile e femminile. Mentre la Shacklebolt si occupava delle tre ragazze, Leatherman assegnò ad ognuno dei ragazzi un armadietto e quattro divise: due tute grigie da usare per gli allenamenti in Accademia e due vesti azzurro cupo da indossare sia durante le lezioni teoriche, che, in un futuro prossimo, durante i turni di pattuglia con gli Auror più esperti. Roger e Micheal ulularono estasiati al pensiero di poter fare dei turni con gli Auror e cominciarono a fare domande, o meglio a urlare come bambini davanti al negozio di Florian Fortebraccio.
   “Quando cominceremo?”
   “Chi ci accompagnerà? Io voglio fare almeno un turno con Williams, lui è uno tosto!”
   “Dove andremo?”
   “Possiamo andare ad Azkaban?”
   “Nessuno andrà ad Azkaban!” tagliò corto Leatherman. “E se non la pianti subito O’Leary sarai fortunato se ti farò sorvegliare il Ghirigoro!”
   Roger si lasciò sfuggire una risatina, attirando lo sguardo tagliente dell’Istruttore.
   “Lo trovi divertente, Davies?” le parole erano acide come il limone.
   “No… no, signore” rispose il ragazzo, deglutendo d’istinto.
   “Ti sei appena guadagnato le tue prime dieci flessioni” Leatherman incrociò le braccia e aspettò che Roger eseguisse gli ordini.
   “Ma… ho appena mangiato, signore” osservò debolmente il ragazzo.
   “Oh, scusami, hai ragione!” esclamò Roy battendosi la fronte con il palmo della mano in un gesto plateale. “Ti ho visto ingozzarti dei pasticcini al pistacchio del vecchio Clobahir! Sai che ti dico, Pasticcino? Le flessioni sono appena diventate venti! Per terra, Recluta!”
   Roger si lanciò praticamente sul pavimento e cominciò a contare le flessioni ad alta voce, chiaramente temendo che se anche solo ne avesse saltata una per sbaglio, i piegamenti sarebbero aumentati ancora.
   Non sarà una passeggiata, aveva detto Leatherman a Harry la prima volta che si erano incontrati. Decisamente no, non sarebbe stata una passeggiata. Soprattutto perché il loro Istruttore aveva la stabilità emotiva di una bussola impazzita: un momento prendeva in giro Lena e faceva battute, il minuto dopo sembrava un Ippogrifo a cui stava antipatico tutto il genere umano senza eccezioni.
 
   Dopo aver rianimato il corpo esanime di Roger Davies ed essersi cambiati con la tuta grigia, i cinque ragazzi si riunirono al resto del gruppo di Reclute nell’atrio e seguirono gli Istruttori lungo le scale di legno scuro.
   Il primo piano dell’Accademia era costituito da un corridoio dal semplice intonaco bianco su cui si aprivano molte porte.
   “Queste sono le aule in cui si svolgerà la parte teorica del vostro addestramento” spiegò la Shacklebolt. “La maggior parte delle lezioni sarà tenuta da me, ma seguirete anche diversi seminari a cura di altri colleghi, Auror e non. Quella” disse indicando la porta in fondo al corridoio. “E’ la Stanza degli Allenamenti, molto simile a quella in cui avete sostenuto l’esame di ammissione.”
   “Lì ci divertiremo, ragazzi” commentò Leatherman con un sorriso poco rassicurante. Harry vide Ron alzare gli occhi al cielo: nessuno meglio di lui in quel gruppo conosceva il senso dell’umorismo tutto particolare di Roy.
   “Cos’ha di diverso dalle aule normali?” chiese Kiky, la testa piegata leggermente di lato.
   “E’ imbottita di Incantesimi anti-esplosione, insonorizzanti, stabilizzanti…” elencò Leatherman. “Insomma, è pensata per assorbire tutto ciò che può succedere lì dentro, dal rumore alla magia più distruttiva.”
   “Questa invece” proseguì la Shacklebolt, indicando una porta di fronte alla scalinata, come se nessuno l’avesse mai interrotta. “E’ la stanza della Riunioni...”
   “Eravamo d’accordo!” sibilò irritato Leatherman; Lena lanciò un’occhiata veloce in direzione dei ragazzi, prima di ribattere piccata.
   “No che non lo eravamo!”
   “Anche Malocchio la chiamava così, Lena!”
   “Non discutiamo davanti a loro!”
   La Shacklebolt rivolse uno sguardo rassicurante alle Reclute, un sorriso falsamente rilassato e incoraggiante stampato sulle labbra. L’impressione che ebbe Harry era quella di trovarsi davanti ad una coppia sposata da parecchi anni che cerca di far vedere ai figli che mamma e papà non stanno litigando, anzi, si vogliono bene.
   “Ragazzi, questa è la Stanza del Buongiorno!” tagliò corto Leatherman con un tono allegro che non prometteva nulla di buono. La Shacklebolt alzò gli occhi al cielo, senza preoccuparsi di mascherare la cosa, poi prese la parola.
   “Ogni mattina dopo esservi cambiati dovrete venire qui, dove vi aspetteremo io e l’Istruttore Leatherman. Insieme faremo il punto della situazione su quello che è successo nei giorni precedenti e su quello che è in programma per la giornata. Discuteremo di ciò che è andato bene e di quello che non ha funzionato.”
   “Ma non solo!” intervenne Leatherman. “Qui assegneremo…”
   “… o toglieremo” aggiunse la Shacklebolt.
   “Le punizioni!”
   “Per i comportamenti che lo richiederanno. Ma sono sicura che non sarà necessario arrivare a tanto.”
   “Oh, ma dai, è un gruppo di Reclute! Tutti ci siamo beccati delle punizioni. Tu li vuoi punire se arrivano in ritardo di cinque minuti!”
   “Serve per la disciplina” precisò sospirando la Shacklebolt. La scena era ai limiti della comicità, ma dopo che la risatina di Davies gli aveva fatto guadagnare venti flessioni nessuno aveva il coraggio nemmeno di tirare il fiato.
 
   “Chi di voi sa dirmi dove ci troviamo?”
   La Shacklebolt stava con la schiena dritta di fronte all’ingresso dell’Accademia e fissava il gruppo di Reclute, l’orlo della veste blu pavone che si muoveva leggiadro sull’erba.
   “Leggere la mente è assolutamente vietato” aggiunse Leatherman lanciando uno sguardo divertito a Kiky, che accennò ad un sorriso. Harry, come i suoi compagni, cominciò a guardarsi intorno: Camulus’ Stronghold era un classico edificio della campagna inglese, due piani di mattoni chiari sormontati da un tetto spiovente di tegole scure dal quale faceva capolino anche il basso piano mansardato che ospitava una piccola biblioteca. L’Accademia era circondata da un’ampia distesa verdeggiante, immersa quella mattina in un’aria umida che prometteva presto pioggia e che rendeva sfocati i contorni della campagna vicina. Non molto distante Harry riusciva a scorgere una bassa recinzione di legno che probabilmente delimitava i confini della zona protetta da Incantesimi di Difesa e Respingi Babbani. Oltre la staccionata, a destra, si potevano distinguere alcune case in lontananza; la più vicina era di dimensioni notevoli, a occhio e croce più alta dell’Accademia, e di una curiosa forma rotondeggiante, completamente bianca e dalle ampie finestre ovali dai vetri colorati.
   Quasi di fronte all’ingresso principale di Camulus’ Stronghold, a diverse decine di metri di distanza dalle Reclute, era chiaramente visibile una spiaggetta su cui si infrangevano timide onde di acqua chiara.
   “Quello è un lago?” chiese Ron.
   “Secondo te?” chiese di rimando la Shacklebolt; Ron inclinò la testa e parve studiare la riva fin dove lo sguardo riusciva a seguirla.
   “Sì, credo sia un lago” decretò alla fine.
   “Quasi” concesse l’Istruttrice, mentre con gli occhi socchiusi aspettava altre ipotesi.
   Ella fissava con le braccia conserte e l’aria assorta le case che si intravvedevano nella foschia.
   “Credo di sapere dove siamo” disse dopo qualche momento di silenzio. “Quella è Malting Green. Riconoscerei casa della prozia Christabel anche bendata!” aggiunse indicando l’edificio bianco con le vetrate ovali. “Ho trascorso qui credo tutti i Natali della mia vita.”
   Leatherman scoppiò in una risata.
   “Avvantaggiata dalla parentela!” esclamò. “Vuoi illuminare anche i tuoi compagni?”
   “Siamo nell’Essex, vicino a Colchester. Malting Green è un piccolo villaggio di maghi, quattro o cinque case al massimo. Mia madre è cresciuta lì e sua zia abita ancora nella grande casa bianca di fianco alla carreggiata. E quello” disse infine indicando la spiaggetta. “E’ Abberton Reservoir. E’ un bacino artificiale, quindi, tecnicamente, non è un lago, ma… una grossa pozza d’acqua che i Babbani usano come riserva.”
   “Davvero molto bene!” la Shacklebolt annuì con un sorriso di approvazione.
   “Non avevo idea che così vicino ci fosse l’Accademia Auror” constatò Ella con una punta di risentimento nella voce. “A dire il vero non ricordo nemmeno che tra casa di zia Christabel e il Resevoir ci fosse qualcosa…”
   “E’ importante che la posizione di Camulus’ Stronghold rimanga riservata” disse in tono pratico la Shacklebolt. “L’Accademia non è solo il luogo dove vengono addestrati i futuri Auror, ma è anche utilizzata come base di emergenza in caso di violazione del Quartier Generale principale. Vi sarete già resi conto che l’Accademia è sotto Incanto Fidelius, quindi Indisegnabile e, ovviamente, invisibile ed introvabile per chiunque non sia stato informato dal Custode Segreto.”
   “Il Custode Segreto è il Ministro della Magia?” chiese Hannah.
   “E’ il Capo Auror in carica” rispose Leatherman. “Quando la carica passa di mano viene smantellato il precedente Incanto e ripristinato uno nuovo e vi assicuro che non è una passeggiata!”
   “Quindi per esempio Kin… il Ministro Shacklebolt” si corresse subito Harry. “Non è più in grado di vedere l’Accademia?”
   “Esatto” confermò Lena, sorridendo di nuovo.
   “Ma avrete modo di parlare di cavilli magici da domani, nelle lezioni della vostra Istruttrice preferita!” esclamò Leatherman, controllando un orologio da taschino, che ripose subito nella veste; dalla stessa tasca estrasse poi un fischietto argentato che si passò attorno al collo. Il pensiero di Harry sfrecciò subito a Madama Bumb e alle partite di Quidditch; il ragazzo si concesse un sorriso velocissimo che per fortuna passò inosservato.
   “Oggi comincia il vostro allenamento!” sbraitò a pieni polmoni l’Istruttore. “Un Auror non può avere il fisico di una bambina di dieci anni!”
   Harry non poteva giurarci, ma gli sembrò che lo sguardo dell’uomo balenasse sulle sue spalle tutt’altro che sviluppate.
 
   Quando finalmente Leatherman soffiò a lungo nel fischietto annunciando così la fine dell’allenamento di quella mattina, Harry si trattenne solo per poco dal buttarsi a terra di peso. Si piegò in due, le mani serrate sulle ginocchia e i capelli che grondavano sudore sulle lenti degli occhiali, cercando di riprendere fiato; Ron si teneva il fianco sinistro con una smorfia, mentre poco distante, dietro ad un cespuglio rinsecchito, Micheal O’Leary stava vomitando anche il pranzo del suo Diploma. Le ragazze erano tutte incredibilmente allenate: erano stanche, certo, ma nessuna di loro era nelle condizioni pietose in cui si sentiva Harry. Leatherman aveva fatto fare loro un numero infinito di giri di campo, di flessioni, piegamenti e pesi, senza concedere pause o tentennamenti.
   “Andate a farvi una doccia, puzzate da far schifo” berciò Leatherman. “Avete un’ora per lavarvi e pranzare, alle due vi aspetto nella Stanza degli Allenamenti.”
   L’acqua calda fu un vero tocca sana per i muscoli di Harry, ma il ragazzo non si faceva illusioni: il giorno dopo l’acido lattico avrebbe fatto bruciare ogni centimetro del suo corpo. Mentre si asciugava e si vestiva, quasi senza pensarci apriva e chiudeva ritmicamente il pugno sinistro, cercando di lenire i formicolii come gli avevano insegnato i Guaritori del San Mungo: poteva far finta di nulla, ma la verità è che ancora risentiva del veleno del Vampiro.
   Le tute sudate vennero raccolte e sostituite da divise pulite da un Elfo Domestico dal naso sottile, che si assicurò che le Reclute rimanessero il minor tempo possibile negli spogliatoi, squittendo ad intervalli regolari quanto fosse tardi.
   Dopo sei anni di Hogwarts, il pranzo preparato da Clobhair e dagli altri Elfi sembrava quasi uno spuntino, ma c’era tutt’altro che da lamentarsi: pasticcio di montone, verdure lessate e, per la gioia di Harry, torta alla melassa costituivano le portate del pasto, che sparirono in fretta negli stomaci delle Reclute resi famelici dall’allenamento di Leatherman.
   “Allora” esordì Micheal all’improvviso, guardando con la coda dell’occhio la ragazza dai ricci biondi. “Sybil, eh? Hai doti divinatorie?”
   La ragazza fece scattare un sopracciglio verso l’alto: se quello di O’Leary era un tentativo di abbordaggio, quell’espressione non era sicuramente un buon segno.
   “Per favore, chiamami Kiky. Solo Kiky.”
   “Kiky?”
   “E’ il diminutivo di Kirstine, il mio secondo nome. Nonché quello della mia nonna paterna.”
   Sulla tavolata era sceso un silenzio carico di curiosità e l’attenzione dei ragazzi era ormai tutta su di lei; Kiky appoggiò la forchetta, sospirò leggermente irritata, poi si decise a dare una spiegazione.
   “Tutte le donne della famiglia di mia madre hanno qualche tipo di… Dono: chi fa sogni premonitori, chi legge le stelle, chi è in grado di dirti esattamente chi sposerai o come morirai solo guardando il palmo della tua mano. Per sette anni mia madre mi ha mandato gufi una settimana prima del compito in classe che sapeva avrei sbagliato” Kiky inarcò le sopracciglia dimostrando tutto il suo fastidio. “Si chiamano tutte Cassandra, Frigia e cose del genere. Tutti si aspettavano che anch’io avessi il Dono, quindi mi è toccato Sybil, ma onestamente non sono mai riuscita a prevedere nemmeno che cosa avrei mangiato il giorno dopo a colazione, per quanto mia madre abbia tentato in tutti i modi di far esacerbare la mia Vista.” Si prese una piccola pausa, deglutendo insieme al succo di zucca il sapore amaro di quella parola, poi proseguì con un sorriso che le fece brillare gli occhi. “Così preferisco il mio secondo nome. Mia nonna paterna mi ha insegnato a sfruttare il mio vero dono.” Lasciò che il silenzio si dilatasse in una soffice suspance. “Mi ha insegnato le basi della Legillimanzia.”
   “Vuoi dire che sei una Legillimens naturale?” chiese Ron in tono ammirato, ma Kiky scosse la testa.
   “Sono solo molto brava” disse con semplicità. “Con il tempo ho imparato a leggere la mente senza puntare la bacchetta, che però deve comunque essere a contatto con me. Senza non saprei neppure dirti qual è il tuo colore preferito.”
   I piatti sparirono improvvisamente dalla tavola con un sonoro pop, con grande rammarico di Harry che non aveva terminato la sua seconda fetta di torta. Clobhair era salito in piedi sul suo sgabello e fissava i ragazzi con odio.
   “Smammate” berciò con la sua vocetta acuta da Elfo, in netto contrasto con il tono scontroso. “Il Signore ha detto che alle due le Reclute devono essere al primo piano e Clobhair si assicura che le Reclute eseguano gli ordini.”
   I ragazzi si scambiarono sguardi sbigottiti, ma un secondo ordine deciso di Clobhair li fece scattare in piedi e filare dritti fuori dal Refettorio.
   Gli Istruttori erano già in attesa nella Stanza degli Allenamenti, lui in piedi con l’aria di un gatto davanti ad un topo particolarmente grasso, lei seduta su uno sgabello con tavoletta e penna in mano.
   “Avete ringraziato Clobahir per il pranzo?” chiese per prima cosa Leatherman; un silenzio perplesso e dubbioso fu l’unica risposta, mentre l’Istruttore stirava le labbra in un’espressione di disappunto. “Uuh, errore da primo giorno. Domani non aspettatevi un gran ché. Anzi, vi consiglio di controllare bene cosa c’è nel vostro piatto!”
   Harry vide il sopracciglio di Ron scattare verso la fronte e per un attimo credette che l’amico avrebbe risposto a Leatherman senza risparmiargli qualche parolaccia, ma scelse di mordersi un labbro e tenere la bocca chiusa. La Shacklebolt si limitava a scarabocchiare sulla propria tavoletta, lo sguardo basso e vagamente imbarazzato.
   “Ma veniamo a noi!” trillò allegramente Leatherman. “Una delle tradizioni legate al primo giorno di addestramento è quella dei Duelli di prova. Abbiamo formato quattro coppie, che si sfideranno in un piccolo duello, cosa che ci consentirà di capire a che punto siete e come ve la cavate con la bacchetta. Il Duello termina nel momento in cui uno dei due riesce a prendere la bacchetta all’altro e io decreterò la fine con un fischio. Finché non fischio il Duello è ancora in corso. Tutto chiaro?”
   La classe annuì.
   “Sappiate però” aggiunse Leatherman con un sorriso. “Che chi perde dovrà pagare da bere al vincitore stasera al Paiolo Magico!”
   “Al Paiolo Magico?” chiese perplessa Hannah.
   “Esatto! La tradizione esige una bella bevuta tutti insieme dopo il primo giorno! Ne avremo tutti bisogno quando questa giornata sarà finita!”
   Il gruppo di Reclute mormorò divertito e addirittura la Shacklebolt stirò le labbra in una risatina.
   I primi a fronteggiarsi furono Roger e Hannah, mentre la Shacklebolt prendeva qualche appunto saltuario; Harry riconobbe con una punta di orgoglio lo stile che aveva insegnato ai suoi compagni durante le riunioni dell’ES, ma questo non fu sufficiente alla ragazza per avere la meglio: resistette per una decina di minuti, al termine dei quali Davies era riuscito a Pietrificarla senza grosse difficoltà, sfilandole la bacchetta direttamente dalla mano. Ron deglutì a disagio di fianco a Harry, forse anche lui stava pensando alle pedanti parole di Hermione: voglio proprio vederti al tuo corso da Auror senza un minimo di basi di Incantesimi Avanzati!
   Il Duello fra Micheal e Theodore fu invece decisamente più combattuto: i due ragazzi si lanciavano Incantesimi ad una velocità impressionante, tutti completamente non verbali e alcuni dei quali Harry non riuscì ad identificare. Insomma, agli occhi inesperti del ragazzo, i due combattevano già come due Auror e lui non si sentiva minimamente alla loro altezza; spostò il peso da un piede all’altro, a disagio, mentre un lampo rosso schivava l’orecchio di Nott di pochi centimetri. O’Leary dopo diversi tentativi riuscì a trovare una falla nello schema difensivo del suo avversario e un Incantesimo di una particolare luce viola colpì Theodore sulla mano sinistra, quella della bacchetta: una formazione rocciosa crebbe in pochi secondi, bloccando dita e polso e costringendo il ragazzo a piegarsi sotto il peso della pietra. Micheal avanzò di pochi passi e posò il piede sulla bacchetta dell’avversario, sfilandola con un movimento leggero. Leatherman fischiò e si lasciò scappare un’imprecazione, che gli fece guadagnare un’occhiataccia dalla Shacklebolt.
   “Cosa diavolo era quello?” chiese l’Istruttore sinceramente ammirato; Micheal sorrise, diviso tra l’imbarazzo e l’orgoglio.
   “E’… una combinazione tra un Incantesimo di Evocazione e uno di Disarmo. Io… beh, l’ho chiamato Lapisarma, da…”
   “Pietra, lapis, e arma” completò la Shacklebolt da dietro la sua tavoletta; aveva un sopracciglio alzato e un angolo della bocca rivolto verso l’alto, quasi divertita.
   “Vuoi dire che l’hai ideato tu?” chiese Kiky sbattendo le lunghe ciglia; O’Leary annuì, le guance decisamente rosse.
   “Sì, siamo tutti molto colpiti” disse acidamente Nott, ancora con la mano bloccata e ben adesa al pavimento. “Adesso ti spiacerebbe… liberarmi? Se non ho la mano libera non posso pagarti da bere.”
   Dopo Micheal e Theodore, Ron venne chiamato a fronteggiare Ella, che, a differenza del ragazzo, sfoggiava un sorriso sicuro, come se fosse completamente certa di poter portare a casa una brillante vittoria come quella di O’Leary. I due si studiarono per qualche momento, poi fu la Fletcher ad attaccare per prima, scagliando qualche Fattura minore verso le braccia e le gambe di Ron; il ragazzo le respinse tutte, con qualche istante di esitazione forse, si muoveva impacciato come Harry non lo vedeva da diverso tempo. Sapeva che per Ron controllare le emozioni era sempre stata un problema, ma questo non giustificava del tutto l’atteggiamento quasi remissivo che stava adottando: si limitava a indietreggiare di qualche centimetro di tanto in tanto, senza mai attacchi diretti. Non usò l’Incantesimo Scudo neppure quando Ella cominciò ad andare più sul pesante, tentando di Pietrificarlo e Schiantarlo a più riprese, ma continuò a deviare e indietreggiare ancora, l’espressione contratta. Alla fine tentò un maldestro Schiantesimo, che gli scoprì completamente la guardia e lo espose al potente Incantesimo Scudo dell’avversaria, il cui spostamento d’aria lo mandò in ginocchio in un angolo della sala. Harry trattenne il fiato: ma cosa stava succedendo a Ron?
   L’amico ansimava guardando il pavimento, i capelli che gli coprivano gli occhi, ma la bacchetta ancora stretta nella mano.
   “Basta” esalò Ron; Ella incrociò le braccia, divertita e con un’espressione di trionfo già stampata sulle labbra.
   “Ne hai abbastanza, Weasley?”
   “Basta scherzare.”
   Ron si alzò di scatto e nel tempo di un battito di ciglia aveva lanciato tre Incantesimi: Ella si ritrovò sospesa a testa in giù, legata e Disarmata, il sorriso completamente cancellato e rimpiazzato dalla più cieca rabbia. Leatherman fischiò e si lasciò andare ad una risata.
   “Te l’ha fatta, Fletcher!” esclamò mentre la ragazza cercava di divincolarsi, paonazza.
   “Ron ha capito il tuo punto debole e l’ha sfruttato” spiegò con calma la Shacklebolt. “Ha usato la tua sicurezza per farti abbassare le difese e…”
   “Stracciarti!” aggiunse Leatherman ridendo ancora come un pazzo. Ella aveva smesso di agitarsi e stava aspettando con impazienza che qualcuno si decidesse a liberarla, cosa a cui provvide Ron stesso senza però concederle un atterraggio morbido.
   “Non credere che non me ne sia accorto” berciò Leatherman. “Hai sussurrato gli Incantesimi, non erano non verbali. Occhio, Ron, può fare la differenza.”
   Harry si sentì sprofondare un altro po’ nel terreno: sugli Incantesimi non verbali lui faceva ancora schifo, avrebbe dovuto allenarsi a casa, visto che sembrava che tutti li padroneggiassero a meraviglia.
   “Kiky, Harry, tocca a voi” disse la Shacklebolt invitandoli a raggiungere il centro della Stanza con un cenno della piuma.
   Fantastico, pensò Harry, tra tutti quelli che potevano capitarmi, la Legillimens. Il destino ha la sua ironia. Il ragazzo si mosse con calma, sforzandosi di controllare il respiro e ripassando le poche regole che ricordava della Occlumanzia. Chiudi la mente, Harry, continuava a ripetersi, chiudi la mente. Sarebbe stato tutto molto più semplice se solo avesse saputo come diavolo fare, a chiudere la mente.
   Kiky lo aspettava già in posizione, un sorriso sicuro e rilassato, gli occhi azzurri che lo fissavano curiosi.
   Il contatto visivo è fondamentale nella Legillimanzia, disse un lontano ricordo in fondo alla mente di Harry, se non la guarderai negli occhi sarà più facile. Il ragazzo tenne lo sguardo basso, decidendo di concentrarsi sulle scarpe da ginnastica di Kiky. Non era facile però capire che cosa stava facendo lei, tanto che quando alzò la bacchetta la prima volta lui fece appena in tempo a lanciare un Incantesimo Scudo. Alzò gli occhi d’istinto e Kiky approfittò subito del contatto visivo: Harry la sentì insinuarsi nei suoi pensieri: una presenza, poco più di un’ombra, ma poteva dire che lei era nella sua testa con la stessa certezza con cui sapeva il suo nome. Pensò di Disarmarla, e per poco evitò che lei facesse lo stesso; anche lo Schiantesimo venne deviato senza alcuno sforzo dalla ragazza. Harry fu tentato di chiudere del tutto gli occhi; si concentrò nuovamente sulle scarpe da ginnastica di lei, che colse l’occasione per lanciare una Fattura Urticante dritta sulla spalla di Harry. Il ragazzo indietreggiò, sbilanciandosi, e ancora una volta alzò gli occhi d’istinto, incrociando quelli di Kiky.
   Mostrami, sussurrò una voce femminile nella testa di Harry.
   Vattene, pensò il ragazzo intensamente; cercò di immaginare una porta socchiusa e cominciò a spingerla, ma qualcosa gli impediva di farla girare sui cardini.
   Mostrami! – la voce si faceva più incalzante. Harry cercò disperatamente nella propria memoria qualche consiglio di Piton – e si accorse troppo tardi che era la cosa sbagliata da fare. Sentì Kiky afferrare il ricordo di Piton e tirare, tirare con tutte le forze.
   No! gridò Harry mentalmente, ma Kiky aveva completamente spalancato la porta: il ragazzo vide scorrere davanti ai propri occhi, impotente, le immagini degli ultimi istanti di Piton, i ricordi che gli aveva lasciato, la consapevolezza di doversi sacrificare, e ancora una volta si ritrovò nella Foresta Proibita, con il Boccino sulle labbra e la voce fredda che sussurrava l’Incantesimo dalla luce verde…
   Fu Kiky a staccare il collegamento mentale, emettendo un lamento flebile e ondeggiando sulle gambe incerte. Harry ansimava, si sentiva di nuovo completamente zuppo di sudore, ma finalmente era solo nella sua testa. Puntò la propria bacchetta contro Kiky.
   “Expelliarmus!” disse con tutta la voce che gli era rimasta; la ragazza non fece il minimo sforzo per trattenere la bacchetta, che saltò a diversi metri di distanza da lei. Kiky barcollò, pallida, e fissò Harry con gli occhi sgranati; il ragazzo scattò in avanti appena in tempo per sorreggerla.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

Angolo di Gin
Ehilà, ben trovati!
Il capitolo era già pronto ieri, ma mi ci voleva giusto un pomeriggio di neve per trovare la citazione inziale…! Ci ho messo una vita e non sono soddisfatta lo stesso, comunque pazienza, mi rifarò, dai.
 
Dunque capitolo di presentazione, di fatto il primo dove ci sono più miei OC che personaggi originali, quindi incrocio le dita e spero che piaccia. Ho messo tanta ciccia sul fuoco, ma credo che al momento la storia abbia bisogno di aria fresca! Non mi soffermo tanto sui singoli personaggi perché mi piacerebbe sentire le vostre impressioni :)
 
Sappiate che ho cominciato a scrivere questo capitolo quasi un mese e mezzo fa e ho studiato un po’ per poter fare qualcosa che reggesse e spero di esserci riuscita: inventarsi un luogo di sana pianta è stato più difficile di quanto pensassi.
 
Sull’origine del nome di Camulus’ Stronghold ho in progetto uno spiegone di Lena Shacklebolt in uno dei prossimi capitoli, quindi per oggi ve lo schivate ;-P
 
Malting Green è davvero un piccolissimo paese a ridosso di Abberton Reservoir e vicino a Colchester, nell’Essex; il viaggione che mi sono fatta parte tutto da un’immagine di google maps che ritrae due casuali passanti su questa stradina sperduta nel nulla dell’Essex, stradina che ho poi scoperto essere la principale (beh, in realtà l’unica) di Malting Green, appunto. Nella mia testa malata quelle sono Ella e sua madre.
Sì, devo avere qualcosa che non va, ma finché qualcuno non mi infila in una camera insonorizzata senza accesso ad internet continuerò a pubblicare…!
 
Clobhair deriva da una leggenda irlandese (cito da un sito di folklore irlandese): Clobhair-cean è un folletto godereccio dall’aspetto grassoccio, la faccia rubiconda, con una vistosa pancia e il naso forucoloso. Detentore del segreto della fabbricazione del whisky, che rivelò agli uomini in cambio dell’ospitalità ricevuta in una bufera nel 1620 sulle coste della Scozia. L’habitat per incontrarlo è la cantina di un pub irlandese. E’ molto permaloso ed armato di un appuntito coltellaccio.
 
Bon, aspetto le vostre opinioni!
Grazie di cuore come a sempre a chi ha letto e chi leggerà, ma soprattutto a chi mi scrive una recensione!
 
Special thanks to
Ire_Unicorn05 che ho scioccamente dimenticato di ringraziare nel capitolo scorso!
 
A presto!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 32
*** Ancora il lungo 7 settembre 1998 ***


Nessun posto è lontano.
Se desiderate essere accanto a qualcuno che amate forse non ci siete già?
 
Jack Frusciante è uscito dal gruppo – Enrico Brizzi
 
 
 
 
 
Ancora il lungo 7 settembre 1998
 
 
 
Sopra a Hogwarts
 
   Ginny chiuse gli occhi, lasciando che l’aria fredda le accarezzasse il viso e i capelli, insinuandosi sotto il maglione pesante. Si reggeva al manico della sua Scopalinda con la mano destra, mentre i piedi allacciati l’uno all’altro galleggiavano nel vuoto; sotto di lei il campo da Quidditch della scuola era una pozza di erba scura. L’aria era pulita e tagliente a quell’altezza e Ginny se ne riempì i polmoni fino a farsi pizzicare la gola. Fluttuava pigramente tra il lago e lo stadio, lo sguardo che cadeva ancora e ancora verso sud, cercando inutilmente il profilo di Londra, lontana più di ottocento chilometri.
   Aveva approfittato di un’ora vuota prima di pranzo, durante la quale Hermione frequentava Aritmanzia – Dio solo sa per quale motivo, visto che era la materia più terribilmente e inutilmente complicata a cui Ginny riuscisse a pensare. Luna era andata in Biblioteca, così Ginny si era cambiata al volo, sostituendo la divisa scolastica con pantaloni robusti e un maglione spesso, aveva inforcato il suo manico di scopa ormai consunto e si era concessa un’ora tutta per sé nel cielo sopra Hogwarts.
   L’aria era il suo elemento, lo aveva sempre pensato. Non aveva mai sofferto di vertigini, al contrario, aveva sempre trovato estremamente liberatorio galleggiare a metri da terra, dove i problemi e i pensieri sembravano rimanere ancorati al terreno. Lassù c’erano solo pace e silenzio, un mondo in cui il tempo stesso pareva rimanere con il fiato sospeso per non disturbare.
   E poi l’aria – ma soprattutto quel manico di scopa – erano strettamente legati ad una serie di ricordi favolosi, la maggior parte dei quali aveva come protagonista Harry. Ginny si era concessa di riviverne un paio ad occhi aperti quella mattina, lassù sopra Hogwarts, qualcuno nello stadio, qualcun altro in riva al lago. Non faceva che pensare a Harry, da quando lei e Hermione avevano scritto quella lettera chilometrica per il primo giorno di addestramento. L’amica era a un passo dalla paranoia: abituata com’era ad avere sempre Harry e Ron sotto mano – e sotto controllo – il pensiero di averli lontani centinaia di chilometri e probabilmente a tiro dell’uccellino la agitava come un esame di fine anno. A dire il vero, per come erano andate le cose in quella prima settimana di scuola, gli esami non sembravano più essere in cima alla lista delle priorità di Hermione: durante le lezioni si distraeva con una facilità impensabile per lei e molte delle pergamene che riempiva nel tempo libero erano per Ron, a fronte delle poche dedicate ai compiti – che pure non mancavano. Ginny non poteva in tutta onestà darle torto: qualunque cosa facesse, anche la sua mente non riusciva a stare lontana da Harry per più di qualche ora, ma sapeva perfettamente che struggersi e immaginare tutti gli scenari apocalittici possibili non sarebbe servito né a lui né tanto meno a lei.
   Ginny si sistemò una ciocca di capelli che il vento le aveva portato davanti agli occhi e si chiese per l’ennesima volta come stesse andando il primo giorno di addestramento; la risposta tuttavia non sarebbe arrivata prima della mattina successiva, con la posta della colazione. Hermione aveva minacciato di mandare una Strillettera direttamente all’Ufficio Auror se martedì mattina non avesse ricevuto un resoconto esauriente della giornata; Ginny si era limitata a chiedere due righe, giusto per tranquillizzare quella specie di pentola ribollente che aveva in fondo allo stomaco.
   Afferrò di nuovo il manico di scopa con entrambe le mani e lo fece virare dolcemente verso lo Stadio; notò che diversi gruppi di studenti si stavano avviando verso l’entrata del castello, il che significava che l’ora del pranzo doveva essere vicina. Inclinò la scopa verso il basso, preparandosi all’atterraggio, e buttò l’occhio verso le serre: Neville stava salutando gli studenti del secondo anno, Corvonero e Grifondoro, che, con l’aria sconvolta e completamente coperti di una specie di muco verdastro, stavano trotterellando su per il prato inondato di sole. Tutte le volte che lo vedeva con una classe, Ginny non poteva fare a meno di sorridere: per qualche motivo la riempiva di orgoglio vedere quello che Neville era diventato. Quando lei era al terzo anno, loro due e Luna formavano un terzetto improbabile di totali sfigati: Ginny aveva ancora addosso la timidezza e la paura che avevano segnato la sua preadolescenza, Luna era considerata da tutti una svitata completa, e Neville… beh, era il Grifondoro meno Girfondoro che Hogwarts avesse mai conosciuto. Così, soli e scansati un po’ da tutti nei corridoi, avevano cominciato a studiare insieme in biblioteca, il giorno in cui Neville si era offerto di dare una mano alle due ragazze con quel compito particolarmente difficile della McGranitt: lui l’aveva già fatto l’anno precedente e poteva dar loro qualche dritta. Alle sere di studio erano poi seguiti i pranzi sul prato e le uscite ad Hogsmeade, durante una delle quali Neville aveva chiesto a Ginny di accompagnarlo al Ballo del Ceppo. Ginny rise tra sé e sé mentre atterrava sull’erba soffice del campo da Quidditch: aveva desiderato così tanto l’invito di Harry e nascondere la delusione quando aveva dovuto accettare quello di Neville era stato particolarmente difficile. Ripensando adesso quei momenti, sapendo cosa sarebbe successo di lì a qualche anno, non poteva proprio fare a meno di ridere: la timidona, la svitata e lo smidollato avevano ricostruito l’Esercito di Silente, tenuto testa ai Carrow e combattuto nella Battaglia di Hogwarts. Erano stati rapiti, Cruciati, tormentati, ma nessuno di loro si era mai piegato.
   Ginny si caricò il manico di scopa su una spalla e si avviò verso l’entrata del castello, il sorriso sulle labbra, ma nel momento in cui mise piede fuori dal campo di Quidditch la voglia di sorridere le passò velocemente com’era arrivata: Luna stava salendo le scale chiacchierando amabilmente con Astoria Greengrass, che rideva forse per qualcosa che aveva detto l’altra. Cosa diavolo di faceva Luna con una Serpeverde? Accelerò il passo, risentendo sé stessa mentre diceva ad Hermione che non è la Casa che fa la persona, ma ora che una delle sue migliori amiche fraternizzava con la figlia di probabili Mangiamorte – probabili? Chi vogliamo prendere in giro! – la bocca dello stomaco le si era chiusa. Salì quasi di corsa le scale e stava per raggiungere Luna all’ingresso della Sala Grande quando rischiò di travolgere la professoressa Caporal.
   “Mi scusi” borbottò mantenendo gli occhi fissi sull’amica; non si era accorta che la Caporal la guardava con un sopracciglio alzato e le braccia conserte.
   “Vieni dal campo di Quidditch?” chiese.
   “Cosa?” Ginny finalmente si decise a guardare la professoressa, che occhieggiò velocemente la scopa ancora caricata su una spalla della ragazza. “Oh, sì, vengo dal…”
   “Dimmi che hai prenotato il campo per le selezioni.”
   La bocca di Ginny si seccò. Demelza l’aveva lasciata in pace durante il week end con la faccenda delle selezioni; aveva pensato ad un atto di umanità, ma aveva scoperto domenica sera che la felice coincidenza era dovuta ad un Tassorosso del sesto anno, al quale era avvinghiata strettamente dietro un arazzo del settimo piano.
   “Certo” mentì Ginny sperando di risultare credibile. “Venerdì sera” aggiunse sparando la prima data che le venne in mente.
   “Venerdì, eh?” il sopracciglio della Caporal si inarcò al punto da sparire quasi sotto il cappello. “Weasley, sono quasi tentata di togliere punti alla mia stessa Casa per farti passare la voglia di dire sciocchezze.”
   La professoressa tirò fuori un foglio dalla tasca della propria veste e lo ficcò in mano a Ginny, le cui guance dovevano aver preso fuoco tanto erano calde.
   “Venerdì ci sono le selezioni di Corvonero” disse asciutta la Caporal. “Vogliamo ricominciare questa conversazione?”
Ginny sospirò.
   “Non ho ancora prenotato il campo per le selezioni. Mi dispiace.”
   “C’è un buco giovedì sera” la professoressa indicò uno spazio vuoto nella griglia di prenotazioni del campo di Quidditch. “Ora filerai dritta da Madama Bumb e prenoterai questo dannato campo. Sono stata chiara?”
   “Sì, professoressa.”
   “Non sei in punizione solo perché è la seconda settimana di scuola e siamo tutti sotto pressione. Ma non voglio doverti inseguire ancora, mi sono spiegata? Sei il Capitano della Squadra e devi fare il tuo dovere.”
La Caporal non aspettò nessun tipo di risposta e voltò le spalle a Ginny, dirigendosi a lunghi passi rabbiosi verso il tavolo degli Insegnanti. Luna si era già confusa in mezzo agli studenti al tavolo di Corvonero e Ginny non ebbe alternative se non andare da Madama Bumb con la coda tra le gambe.
 
 
Hogwarts – davanti all’ufficio della professoressa Caporal
 
   Era stato un disastro. Un vero disastro.
   Dean fissava con insistenza la porta dell’ufficio della Caporal, le spalle ricurve e la bacchetta ancora stretta in una mano. Tutta colpa di quella dannata esercitazione. E di quell’idiota della Ellis: che razza di idea è, far fare lezione agli studenti? E’ un disastro annunciato.
   Peccato che ad essere nei guai fino al collo al momento fosse lui, e non la professoressa. Dean spostò il peso da un piede all’altro e sentì la pergamena frusciare nella tasca della sua divisa, dove aveva infilato malamente il messaggio che la Ellis aveva scritto alla Caporal; non lo aveva letto ovviamente – era sigillato – ma poteva benissimo immaginare cosa ci fosse scritto: qualcosa come il signor Thomas ha tenuto un comportamento assolutamente non idoneo.
   Stronzate. Fino a due mesi fa gli avrebbero dato una medaglia, ma adesso no, la feccia Purosangue era diventata intoccabile, dovevano convivere tutti come amichetti del cuore come se nulla fosse mai successo. Come se quei bastarsi non avessero dato la caccia a quelli come Dean come fossero i conigli, come se si potesse dimenticare il dolore che ti corrode ogni centimetro del corpo.
   La professoressa Caporal passò davanti a Dean a passo spedito e gli rivolse un’occhiata veloce prima di aprire con un colpo di bacchetta la porta del proprio ufficio.
   “Buongiorno Thomas” disse in tono neutro. “A cosa devo il piacere?”
   Dean non rispose, ma afferrò la pergamena sigillata nella tasca e la allungò alla professoressa; lei strinse appena le labbra mentre prendeva il messaggio, poi fece cenno al ragazzo di entrare. L’ufficio era piccolo e reso ancora più angusto dalle alte pile di libri impilati su ogni superficie disponibile; alle pareti erano appese tavole anatomiche di diverse Creature Magiche che il ragazzo non riconobbe – non aveva mai amato quella materia – e un’enorme chiave dicotomica presumibilmente per classificare Draghi. La Caporal liberò una sedia facendo Levitare un paio di pesanti volumi rilegati in pelle, poi prese posto dietro alla scrivania; aveva già aperto il sigillo della Ellis e stava leggendo con la fronte corrugata. Dean si sedette e attese, fissando intensamente una scanalatura del legno della scrivania di fronte a lui. Dopo diversi minuti, la Caporal appoggiò la pergamena, si tolse il cappello e lo ripose con calma di fianco a lei, poi si passò una mano sugli occhi; sembrava molto stanca.
   “Dean” il fatto che lo chiamasse per nome era già di per sé preoccupante. “Che diavolo ti è saltato in mente?”
   Ho fatto solo quello che dovrebbero fare tutti, pensò il ragazzo, ma ebbe il buon senso di non dirlo ad alta voce.
   “Ho sbagliato mira” tentò una misera bugia, sperando che la Caporal se la bevesse.
   “Tre volte?”
   Dean si strinse nelle spalle. Era colpa della Ellis. Lei lo sapeva, tutti sapevano che cosa stava passando Dean in quel momento.
   Ernie Macmillan, dopo essere arrivano il venerdì precedente senza uno straccio di lezione preparata, aveva tentato di recuperare credibilità agli occhi della Ellis con una lezione sugli Schaintesimi e gli Incantesimi Scudo – l’argomento più banale del mondo, per chi aveva frequentato l’ES. Alla professoressa era poi venuta la brillante idea di mettere in pratica quello che Ernie aveva spiegato, dividendo la classe in due squadre che avrebbero dovuto fronteggiarsi a suon di Schiantesimi e Incantesimi Scudo; con il senno del poi, la Ellis avrebbe dovuto pensare meglio a come fare quelle dannate squadre. Invece aveva semplicemente indicato i ragazzi: uno nella squadra A, uno nella B, uno nella A, uno nella B. E così Dean si era ritrovato gomito a gomito con Zabini e le sorelle Greengrass. Solo Schiantesimi e Incantesimi Scudo, aveva ripetuto la Ellis mentre i ragazzi si schieravano al limitare della Foresta Proibita; la squadra che sarebbe riuscita a Schiantare tutti i componenti di quella avversaria avrebbe vinto. Quando la Ellis aveva dato il via e Dean si era ritrovato a fissare i suoi avversari, aveva capito che non sarebbe mai riuscito a Schiantare Hermione o Luna: se chiudeva gli occhi poteva ancora vedere la ragazza bionda nel seminterrato dei Malfoy, magra e tremante, e c’erano ancora notti in cui si svegliava con le grida di Hermione nelle orecchie. Poi aveva guardato i suoi compagni di squadra: Zabini aveva la bacchetta alzata e un ghigno stampato sulla faccia; Daphne Greengrass aveva già Schiantato Seamus e stava cercando riparo dietro a un albero. Era stato quello il momento in cui Dean aveva deciso. Ginny, l’unica persona decente in squadra con lui, si era accorta troppo tardi di cosa stava succedendo e aveva tentato di correre ai ripari. Prima che si accorgesse realmente di ciò che stava facendo, Dean aveva già mandato in pezzi l’albero dietro il quale si era nascosta quella puttana della Greengrass, che era svenuta; Astoria era poco lontana, ma lo Schiantesimo del ragazzo era rimbalzato sull’Incantesimo Scudo di Ginny, che urlava qualcosa a cui Dean non prestò attenzione. Zabini si era avvicinato correndo, il ghigno trasformato in un’espressione di cupa preoccupazione; Dean lo aveva colpito con l’Incantesimo Tagliacarne – lo stesso che le figure incappucciate a Villa Malfoy usavano su di lui. La rabbia bruciante gli aveva impedito di prendere bene la mira, per cui aveva colpito solo la gamba di Zabini, ma se non fosse intervenuta la professoressa Ellis Disarmandolo, Dean avrebbe proseguito fino a ridurlo in pezzi.
   “Thomas, è grave” il tono cupo della Caporal riportò il ragazzo al presente. “Posso sapere cosa diavolo ti sta succedendo?”
   Dean strinse le labbra così forte che pensava avrebbero cominciato a sanguinare. Cosa gli stava succedendo? La vera domanda è cosa stava succedendo al resto del mondo! Non riusciva proprio a capire perché diavolo tutti fossero così tranquilli mentre Mangiamorte e aguzzini erano tornati a scuola come se nulla fosse.
   La Caporal sospirò, forse intuendo che non sarebbe arrivata nessuna risposta.
   “Toglierò cinquanta punti a Grifondoro. E sarai in punizione fino a Natale, tre sere a settimana. E’ pur sempre l’anno dei M.A.G.O., devi avere tempo per studiare.”
   La professoressa fece un gesto brusco con la mano e Dean si ritenne congedato; era già sulla porta quando la Caporal lo richiamò.
   “Thomas, trova un dannato modo per sfogarti. Non voglio altri… errori di mira.”
   Dean non si voltò nemmeno e si chiuse la porta alle spalle.
 
 
 
Sala Comune di Grifondoro
 
   La pioggia aveva da poco cominciato a picchiettare sui vetri della Sala Comune di Grifondoro; Hermione mordicchiava nervosamente la punta della sua piuma di corvo, mentre fissava la tabella dei turni di pattugliamento dei Prefetti. La prima riunione di venerdì era stata un vero incubo: lei e Ernie si erano ritrovati davanti ad una massa di quindicenni urlanti che accampavano le pretese più diverse, parlando uno sopra all’altro. Il martedì i Tassorosso avevano gli allenamenti di Quidditch, il Prefetto di Corvonero era ancora in punizione, nessuno voleva stare in turno con i Serpeverde, che dal canto loro non facevano nulla per ingraziarsi i compagni, ma si limitavano a stare seduti in un angolo con l’espressione di chi sta respirando un odore molto sgradevole. Hermione aveva sopportato per una ventina di minuti i goffi tentativi di Ernie di accontentare tutti, poi si era alzata di scatto e aveva cacciato due urli, ottenendo l’attenzione immediata di tutti i marmocchi; aveva sbraitato che avrebbe fatto lei i turni e non ci sarebbero stati né favoritismi né eccezioni e se ciò avrebbe significato saltare qualche allenamento o stare due ore con una persona antipatica, beh, quelli erano problemi loro. Chi si fosse azzardato anche solo a pensare di saltare un turno di guardia avrebbe dovuto fare i conti con il proprio Direttore di Casa e Hermione stessa si sarebbe occupata della punizione. Nessuno aveva avuto nulla da obiettare e lei aveva sciolto la riunione senza troppi complimenti.
   La minaccia era stata credibile ed efficace, ma fare i turni era risultato essere particolarmente noioso. Senza contare che proprio non riusciva a distogliere il pensiero da Ron. Sospirò e buttò un’altra occhiata veloce alla tabella che aveva preparato: arrivava solo fino a metà di ottobre, ma per il momento sarebbe andata bene quella.
   La Sala Comune cominciava a svuotarsi, mentre gli studenti più piccoli si avviavano verso i loro Dormitori; nel tavolo di fianco a Hermione si erano sedute da poco più di dieci minuti Lavanda Brown, Calì Patil e Elan Doherthy, impegnate in un cinguettante compito di Divinazione. Hermione fece del suo meglio per ignorare le risatine e il forte profumo di vaniglia e si decise a tirare fuori la sua copia di Trasfiguarzione avanzata: la Marchbanks aveva assegnato loro un tema sulla trasmutazione umana e non aveva l’aria di essere una che accetta ritardi o lavori fatti male.
   Ginny entrò in quel momento dal buco dietro al ritratto della Signora Grassa, la cravatta allentata e la borsa dei libri pericolosamente in bilico su una spalla; si sedette pesantemente sulla poltrona di fianco a Hermione, che la salutò con un sorriso.
   “Sono stata in Infermeria” annunciò con un sospiro.
   “Ti preoccupi per i Serpeverde?”
   “Luna voleva andare a trovare Astoria Greengrass.”
   Hermione si voltò di scatto, l’espressione stupita; Ginny alzò le sopracciglia e si strinse nelle spalle.
   “Pare che siano… amiche” spiegò con incredulità.
   “Da quando?” chiese Hermione.
   “Oh, a Babbanologia sono inseparabili!” trillò Lavanda Brown dal tavolo vicino; Hermione si trattenne appena dal sospirare rumorosamente.
   “Davvero?” Ginny si sporse dalla propria poltrona.
   “Hanno cominciato a parlare un sacco” proseguì Elan sbattendo le lunghe ciglia. “E oggi le ho viste in riva al lago insieme.”
   “Fermi tutti, una Serpeverde Purosangue eccetera eccetera che frequenta… Babbanologia?” Ginny si era quasi alzata in piedi.
   “E da quando la frequenti tu?” si lasciò sfuggire Hermione, fissando perplessa Lavanda; in sei anni non l’aveva mai sentita parlare una volta di Babbani.
   “Oh sai” cinguettò lei. “La Guerra ha cambiato molte cose.”
   “E soprattutto è cambiato l’insegnante di Babbanologia!” esclamò Calì e le tre ragazze scoppiarono in una risatina complice.
   “Il signor Beaverbrook è un vero schianto” sospirò Elan.
   “Ed è molto gentile e premuroso” aggiunse Calì.
   “Dovresti venire anche tu, Hermy” suggerì Lavanda; Hermione represse un brivido provocato da quello stupido soprannome. “Magari potresti migliorare i tuoi gusti in fatto di uomini.”
   Hermione non credeva alle proprie orecchie.
   “Proprio tu mi dai consigli, Lav Lav?”
   Lavanda aveva ridotto gli occhi a due fessure.
   “Ti sei solo presa le mie briciole” sibilò. Hermione non ci vide più: si alzò di scatto con la bacchetta in pungo, ma Ginny fu più veloce e la circondò con un braccio.
   “Fatti un giro, Brown” esclamò Ginny con gesto brusco della testa. Lavanda era impallidita ma cercò di recuperare un certo contegno.
   “Ce ne andiamo” annunciò alzandosi e raccattando alla rinfusa tre o quattro libri sparsi sul tavolo. “Ma solo perché dobbiamo andare in Biblioteca!”
   Girò sui tacchi e attraversò la Sala Comune un po’ troppo velocemente, mentre Elan e Calì non si diedero la pena di mascherare la propria ritirata con un minimo di dignità, praticamente correndo sulla scia di Lavanda.
   “Allora?” Ginny fissava Hermione con gli occhi sbarrati e i pugni piantati sui fianchi, in una perfetta copia di una giovane Molly Weasley.
   “Allora cosa?” sibilò Hermione, risiedendosi di peso e sfogliando Trasfigurazione avanzata in modo assolutamente casuale. “L’hai sentita, no? Ti sei presa le mie briciole!”
   Le passarono per la testa una serie di epiteti che trattenne serrando le labbra.
   “E’ un’idiota, ma per oggi non abbiamo già avuto abbastanza duelli non programmati?” sbottò Ginny, riprendendo il proprio posto sulla poltrona. “A me è bastato Dean, ci manca solo che anche tu dia di matto. E poi tu sei Caposcuola!”
   Hermione smise di sfogliare il libro e si fermò su un paragrafo a metà della pagina.
 
   La concentrazione deve essere particolarmente focalizzata sulla punta del naso, dal quale la Trasfigurazione del volto dovrà sempre partire: la cartilagine infatti è facilmente riparabile e se il procedimento risulta essere sbagliato il mago o la strega se ne potranno accorgere in tempi molto brevi e correre velocemente ai ripari. La Trasfigurazione può partire anche da un orecchio, ma è fortemente sconsigliato scegliere come punto di partenza un occhio o la fronte. I testi dei Guaritori riportano il famoso caso di Joren Yorksen, che nel 1624 tentò la prima trasmutazione temporanea e parziale in animale e non fu più in grado di rimuovere il corno che gli usciva dalla tempia destra.
 
   La ragazza sospirò: doveva riprendere il controllo; in quel modo non sarebbe andata da nessuna parte e forse si sarebbe ritrovata a Schiantare Lavanda Brown solo per il suo irritante profumo alla vaniglia.
   “Scriviamo ai ragazzi?” chiese al paragrafo su Joren Yorksen. La mano di Ginny passò sul suo braccio e strinse piano; l’amica sapeva che era troppo presto e probabilmente lei non aveva nulla da dire a Harry, ma avrebbe comunque scritto quella lettera insieme a Hermione.
 
 
 
Camulus’ Stronghold
 
   Harry chiuse il rubinetto e si passò l’asciugamano sul volto, tamponandosi le guance con lentezza; era morbido, ma sapeva di umidità, come se fosse rimasto a lungo in un cassetto. Il ragazzo era rimasto solo nello spogliatoio, gli altri probabilmente erano già tutti sulla via del Paiolo Magico, mentre lui doveva ancora finire di rimettersi gli abiti borghesi: a torso nudo stava terminando di sciacquarsi via la giornata di dosso; gli occhiali e la felpa a righe rosse e nere aspettavano nell’armadietto.
   Dopo la fine del Duello di prova con Kiky, Leatherman aveva spedito tutti a cambiarsi e aveva preso da parte Harry; avevano parlato a lungo – o meglio, Roy lo aveva praticamente interrogato per capire cosa fosse successo. Da fuori quel duello era stato invisibile: Harry e Kiky sembravano essersi scambiati solo qualche Incantesimo goffo, mentre la vera battaglia era stata ingaggiata nella testa di lui. Il ragazzo si sentiva spossato e aveva faticato non poco nel rispondere alle domande di Leatherman; l’Istruttore aveva modi bruschi e frettolosi, ma si era rifiutato di lasciar andare Harry negli spogliatoi finché non era stato certo che fosse tutto a posto.
   Harry si sedette sulla panca malmessa di fronte al suo armadietto e per la prima volta in quella lunga giornata si concesse di pensare a Ginny. Come sempre da una settimana a quella parte la sua assenza si dilatò nel petto come una bolla pesante; si sentiva incredibilmente sciocco ed era certo che lei non soffrisse così tanto la mancanza di lui. Ginny, la sua meravigliosa Ginny, ne aveva passate ben di peggio – la maggior parte per colpa di Harry, a dire il vero. Avrebbe dovuto aver voglia di scriverle, ma la verità era che aveva solo bisogno di stringerla e sentire il suo profumo.
   Un tocco leggero sulla porta richiamò l’attenzione del ragazzo: le nocche di qualcuno batterono sul legno laccato di verde scuro un paio di volte.
   “Harry?”
   Kiky, che aveva di nuovo indossato il vestito blu di quella mattina, fece qualche passo verso di lui; il ragazzo lasciò cadere l’asciugamano sulle spalle nude, le lanciò un’occhiata inespressiva e si diresse al proprio armadietto in silenzio.
   “Harry, io…” la ragazza non riusciva a trovare le parole; era parsa così sicura di sé a pranzo, mentre sbandierava davanti a tutto il corso quanto fosse brava in Legillimanzia. “Mi dispiace” esalò alla fine. “Non avrei dovuto farlo.”
   “No, non avresti dovuto” Harry risultò più freddo di quanto non avesse voluto, ma non se ne pentì. Lanciò l’asciugamano in un angolo e si infilò felpa e occhiali.
   “Io ho sentito…” la ragazza aveva di nuovo il respiro accelerato. “E’ pazzesco, lo so, ma… credo di aver sentito la tua morte.”
   Harry chiuse l’armadietto di scatto e l’improvviso clangore di metallo contro metallo fece sobbalzare Kiky.
   “Quello che hai visto… dimenticalo. Non ti riguarda.”
   Non voleva scusarsi, voleva delle risposte. Insolente. Insolente e arrogante.
   “Se solo potessi capire…”
   Harry si voltò e fissò la ragazza dritta negli occhi; sembrava sovrastarla.
   “No, io non ti devo nulla” Harry non stava gridando, ma sembrava che lo stesso facendo. “Io non so chi sei, non ti conosco. Sei una Legillimens e pensi che questo ti dia il diritto di fare quello che ti pare? Te lo ripeto, quello che hai visto non ti riguarda.”
   Le passò di fianco evitando di toccarla in qualsiasi modo, come se anche il solo contatto rischiasse di fargli ritrovare di nuovo la ragazza a frugare tra i suoi ricordi. Aveva lo stomaco contratto e un cerchio che premeva sulla testa; in un gesto istintivo si portò il palmo della mano sulla cicatrice, prima di rendersi conto che non era quella a fargli male. Forse stava dando di matto, ma gli venne da sorridere.
 
 
 
Il marciapiede davanti al Paiolo Magico
 
   Il Paiolo Magico sembrava essere stipato fino all’orlo, con dieci persone sedute a un tavolo infilato a forza lungo la parete. La tavolata del corso Auror scoppiò a ridere per qualcosa che da lì non poteva sentire: era giusto in grado di intuire le figure sedute che facevano cozzare i bicchieri di quando in quando. Conosceva talmente bene quel pub da riuscire comunque ad immaginare l’atmosfera al suo interno: poteva quasi percepire l’aria soffocante e umida che sapeva di Whisky Incendiario scadente e fumo stantio.
   Ricordava perfettamente la prima sera del corso da Auror: le chiacchiere, le risate, i brindisi che non erano mai abbastanza; lui aveva vinto il suo Duello di prova contro Alice Paciock, più giovane di lui e dannatamente piena di sé. Ricordava il senso di speranza e di freschezza di quella sera, quella consapevolezza di qualcosa di nuovo che comincia.
   Erano bastate poche settimane per scacciare quell’illusione e farlo tornare con i piedi per terra. Alice Paciock non aveva perso occasione per umiliarlo e lui era tornato uno fra tanti – anche in quel corpo scelto di maghi.
   Si concentrò sulle figure nel pub, cercò la testa rossa di Weasley e intuì che quella nera di fianco a lui fosse Potter. Vederlo quella mattina in ufficio gli aveva fatto un certo effetto: una piccola vittoria, un minuscolo passo verso il disegno finale, come quando si trova il pezzo giusto del puzzle e si comincia ad intravvedere la figura completa. Quegli sciocchi pensavano di camminare in campo aperto e invece stavano seguendo il sentiero che lui aveva segnato per loro. Il Prescelto, colui che aveva salvato il mondo magico, veniva pian piano avvolto nei lacci della rete di un mago qualsiasi, uno fra tanti. O quasi.
   La pioggia cominciò a tamburellare leggera sull’asfalto e sulle falde del suo cappello. Tirò su il bavero del mantello per ripararsi dal freddo precoce della sera di settembre e si avviò lungo la strada affollata di Babbani, lasciandosi alle spalle le figure allegre dietro la vetrata appannata del Paiolo Magico.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Eccomi, ce l’ho fatta a pubblicare prima dell’anno!
Sono in ritardo con tutto, la pubblicazione, la lettura… insomma un disastro. Spero capirete!
 
Capitolo di passaggio che forse non vale l’attesa (mi farò perdonare, promesso), ma un po’ di dietro le quinte passeggiando tra varie voci narranti era necessario. Stanno dando un po’ tutti di sclero; l’unica che sembra essere contenta è la vocetta misteriosa immancabilmente a fine capitolo. Damn.
E la risposta a Enrico Brizzi, citazione iniziale, è chiaramente no. Tutti in questo capitolo hanno qualcuno – o qualcosa, nel caso di Dean, che vive una frattura mica da poco – di amato lontano, e nessuno di loro è particolarmente convinto che il solo fatto di amarlo lo faccia sentire vicino. Sigh.
 
Capitolo dedicato in particolare a Ire_Unicorn, credo di non aver disatteso nessuna delle tue “richieste” a parte Teddy, credo! Per il nostro piccolo ci sarà tempo <3
 
Carissimi tutti che leggete e alcuni (non pochi per i miei standard!) che commentate, colgo l’occasione per farvi i miei più sinceri auguri di un sereno anno nuovo!
Vi avrei fatto anche quelli di buon Natale, ma sono in ritardo anche con quelli! Enjoy
 
Grazie di cuore come sempre a tutti
Ci si risente l’anno prossimo – spero in tempi umani!
 
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 33
*** Una lunga settimana ***


La ballerina del carillon innamorata della musica rock,
il girasole della luna,
 il cavalluccio marino delle montagne.
Non siamo tutti uguali, per fortuna.

Fabrizio Caramagna
 
 
 
 
 
Una lunga settimana
 
 
 
8 settembre 1998 – La Tana
 
   Quando Harry mise piede in cucina, Teddy distolse immediatamente l’attenzione dal cucchiaio di crema di riso che Molly stava cercando di mettergli in bocca ed emise un versetto acuto, cosa assolutamente insolita, attirando l’attenzione del suo padrino. Harry provò la consueta fitta al petto mentre il ciuffetto di capelli del bimbo virava al rosa brillante; raggiunse il seggiolone in pochi passi, prese in braccio Teddy e lo strinse delicatamente a sé.
   “Harry, prova tu ti prego” sospirò Molly abbandonando il cucchiaio nel piatto. “Stamattina sembra nervoso, sputa tutto. E Ron non mi vuole dare una mano” aggiunse lanciando un’occhiata di fuoco a suo figlio. Ron era seduto all’altro lato del tavolo, una tazza di caffè nella mano sinistra e la piuma nella destra; scriveva febbrilmente su una pergamena ormai completamente ricoperta di inchiostro.
   “Sai che sto finendo la lettera, mamma!”
   Harry aveva spedito quella per Ginny la sera precedente; doveva ammettere che era stato liberatorio scriverle, anche se avrebbe preferito raccontarle di persona quella pessima prima giornata di addestramento. Aveva quasi pensato di usare la Polvere Volante, prima di ricordarsi che la Sala Comune di Grifondoro non era proprio il massimo dell’intimità. Ron era caduto in un sonno profondo nello stesso istante in cui lui e Harry avevano messo piede in camera e in quel momento si stava arrabattando per spedire la lettera prima che fosse troppo tardi e Hermione desse di matto.
   Harry rimise Teddy nel seggiolone e prese il piatto di crema di riso dalle mani di Molly, sedendosi in bilico sul tavolo.
   “Allora campione, cosa combini?” chiese scherzosamente al bambino. “Cosa ti avevo detto sullo sputare la pappa?”
   Teddy allargò la bocca sdentata in un sorriso e lasciò che Harry lo imboccasse, sbattendo soddisfatto una manina su quella di Molly, abbandonata vicino a lui. La signora Weasley guardava lo spettacolo con l’aria sognante di una ragazzina alla sua prima cotta.
   “Sarai un ottimo padre per i miei nipoti” si lasciò sfuggire in un sussurrò; Harry si sentì arrossire fino alla punta dei capelli, ma venne salvato dall’imbarazzo di rispondere da Arthur che entrava in cucina con una grossa busta color carta da zucchero in mano.
   “Buongiorno ragazzi” borbottò con lo sguardo fisso sulla lettera. “Ieri Kingsley mi ha dato questa per te, Harry.”
   Appoggiò la busta vicino al ragazzo, che era ancora impegnato con Teddy e diede appena un’occhiata.
   “Che roba è?” chiese Ron alzando la testa dalla pergamena.
   “Temo sia una convocazione del Wizengamot” disse Molly osservando la busta a poca distanza da lei.
   “Wizengamot?” Harry fece quasi cadere il cucchiaio: ricordava perfettamente l’ultima volta che era stato chiamato a comparire davanti al Tribunale Magico e non aveva nessuna voglia di ripetere l’esperienza. “Cosa diavolo avrei fatto?”
   “Non sei imputato!” disse Arthur con una risata sincera, mentre si sedeva accanto a Molly con un piatto di uova strapazzate fumanti. “E’ una convocazione come Testimone.”
   “Testimone?” ripeté Harry sentendosi uno stupido pappagallo.
   “Sono cominciati i processi ai Mangiamorte, credo che molti di noi verranno chiamati a testimoniare, presto o tardi” sospirò Molly. Harry infilò nella bocca di Teddy un altro cucchiaio di crema; aveva letto sul Profeta dei primi processi, ma il pensiero di essere chiamato al banco dei Testimoni non lo aveva mai nemmeno sfiorato. Scambiò uno sguardo perplesso con Ron, che si strinse nelle spalle e tornò a concentrarsi sulla lunga lettera per Hermione.
   Una ventina di minuti più tardi un instancabile Leotordo era di nuovo in viaggio verso Hogwarts, Teddy aveva diligentemente finito la sua colazione, Arthur era andato a lavoro e Molly aveva cominciato la sua intensa routine di madre di famiglia dalle camere da letto; Harry si sedette su una sedia e rimase a fissare la busta color carta da zucchero con aria assente, mentre Ron si ingozzava di uova fritte nel minor tempo possibile per non tardare all’Addestramento.
   “Chi pensi che sia?” chiese Harry distrattamente. “Contro chi dovrei testimoniare?”
   Ron si strinse nuovamente nelle spalle.
   “C’è solo l’imbarazzo della scelta” rispose sputacchiando pezzetti di colazione un po’ ovunque.
   Harry sospirò e si decise ad aprire la busta con un movimento deciso; il messaggio era breve, quasi brusco: il Wizengamot lo convocava come Testimone per l’Accusa in un’udienza di lunedì quattordici settembre. Leggere il nome dell’accusato fece contrarre lo stomaco di Harry; il ragazzo allungò la pergamena davanti a Ron senza dire una parola.
   “Miseriaccia!” esclamò; rideva, il viso contratto in un ghigno di macabra felicità. “Cos’è quella faccia, amico? Dovresti fare i salti di gioia mentre vai a testimoniare contro quell’idiota.”
   Harry annuì, ma non sapeva davvero cosa provare: certo era un’occasione unica, eppure qualcosa stringeva la bocca del suo stomaco e lui sapeva che non se ne sarebbe liberato così in fretta.
 
   Ci pensò Leatherman a scuotere di dosso a Harry le sensazioni negative: le due ore di allenamento mattutino, aggiunte all’acido lattico che, come da previsioni, martoriava i muscoli del ragazzo, annullarono completamente qualunque capacità di pensare.
   Il Briefing di quel mattino era stato breve ed impacciato, visto che l’argomento principale della sera precedente al Paiolo Magico riguardava proprio i Duelli di prova. E tutti, compresa la rigidissima Shacklebolt, avevano bevuto un po’ troppo; Ella e Theodore aveva anche finito con il litigare su chi avesse perso nella maniera peggiore il proprio Duello ed era dovuto intervenire Leatherman mettendo a tacere entrambi con due colpi di bacchetta. Nessuno aveva voglia di rimuginare ancora sulla prima giornata di addestramento.
   La pausa pranzo fu accolta dalla maggior parte delle Reclute con un sospiro di sollievo; Harry si era seduto pesantemente sulla panca e aveva appoggiato la testa sul braccio, a serio rischio di addormentarsi. Lo sguardo gli cadde su Nott, che, come il giorno precedente, stava prendendo posto in disparte, in un angolo solitario del tavolo; il ragazzo tirò entrambi i polsini della veste scura con la punta delle dita fino a coprirsi i palmi delle mani, poi prese la forchetta e cominciò a giocherellare distrattamente con i cavoli poco cotti che Clobhair aveva servito quel giorno.
   “Non so davvero come fai a stare con quella palandrana addosso” esclamò Roger Davies fissando Nott senza la minima educazione. “Io sto scoppiando di caldo, dopo quel dannato allenamento!”
   “Questo è perché non riesci a correre più di venti metri senza vomitare!” rise Hannah.
   “Hey, quello che vomita è O’Leary!” rispose Roger dando una manata sulla schiena dell’interessato.
   “Oh, grazie tante amico!” le guance di Micheal, già congestionate dall’esercizio fisico, sembrarono diventare ancor più rosse mentre Kiky e Hannah ridacchiavano tra loro come anatre davanti alla mollica di pane.
   “Ci sono cose peggiori da sopportare del caldo” la voce di Ella risultò tagliente e particolarmente sgradevole. “Vero, Nott?”
   “Non so nemmeno di cosa parli, Fletcher” rispose Theodore senza staccare lo sguardo dai propri cavoli. Harry percepì il temporale in avvicinamento e drizzò la schiena, improvvisamente sveglio e attento a quello che stava succedendo.
   “No?” chiese falsamente dubbiosa Ella con un tono se possibile ancor più freddo. “Vediamo, cosa può nascondere sotto a lunghe maniche scure un ex Serpeverde proveniente da una nobile famiglia Purosangue?”
   Nott lasciò cadere la forchetta nel piatto sbuffando rumorosamente, poi si alzò di scatto.
   “Lasciamo perdere” borbottò più a sé stesso che a qualcuno dei suoi compagni; si avviò verso la porta a lunghi passi rabbiosi, poi si voltò giusto sulla soglia.
   “Clobhair, un pranzo ottimo. Grazie.”
   L’Elfo, appollaiato sul suo sgabello vicino al camino, annuì con aria burbera. Nott uscì sbattendo la porta del Refettorio e tutte le Reclute si voltarono a fissare Ella.
   “Che c’è? Lo pensiamo tutti” la ragazza si stava accanendo sui propri cavoli, infilzandoli con una rabbia non giustificata dalla particolare sciattezza del piatto.
   “C’era proprio bisogno di tirare fuori questa storia, Ella?” Kiky la guardava con le braccia conserte e l’aria di una madre che rimprovera la più sciocca delle proprie figlie. “E’ comunque un nostro compagno di corso e ci vuole un po’ di diplomazia! Non hai sentito la Shacklebolt? Potremmo dover combattere fianco a fianco un giorno!”
   “Oh Dio, la diplomazia!” esclamò Ella alzando gli occhi al cielo. “Quante belle parole! Bla bla bla, voi Corvonero non sapete fare altro che parlare!”
   “Che cos’hanno che non va i Corvonero?” si lamentò di nuovo Micheal. “Che c’è, non siamo abbastanza… tosti in confronto ai Grifondoro? Dobbiamo forse giocare a chi ce l’ha più lungo?”
   “Micheal!” Hannah non riuscì a trattenere l’esclamazione, mentre Roger ridacchiava maliziosamente.
   “In ogni caso contro di te vincerei io” rispose tagliente la Fletcher.
   “Ella, ti prego” sospirò Hannah, imbarazzata fino alla punta dei capelli.
   “Fuori dai piedi” Clobhair batté le mani e un paio di Elfi Domestici spuntati dalla porta della cucina cominciarono ad afferrare le sedie dei ragazzi e a tentare di ribaltarle. I piatti sparirono, quasi tutti ancora pieni di cavolo.
   “No, hey, io stavo mangiando!” protestò Ron, tentando di afferrare il proprio piatto, ma la sua mano frustò l’aria. “La pausa pranzo non è finita!”
   “Lo è” berciò Clobhair. “Siete irritanti. Forse le Reclute più irritanti che Clobhair abbia mai visto. Fuori dai piedi.”
 
   Lo stomaco di Harry protestò vivamente mentre prendeva posto in fondo ad un’aula del primo piano, per ascoltare la sua prima lezione teorica del corso. I cavoli erano decisamente poco cotti e mancavano di qualunque condimento, ma erano comunque un pasto – di cui Harry non era riuscito a mangiare più di una forchettata. Ron, sulla sedia di fianco a lui, si teneva la pancia con una mano, ma il brontolio era comunque ben udibile; i due ragazzi si scambiarono uno sguardo mortificato.
   Kiky si sedette dall’altro lato di Harry, rivolgendogli un sorriso timido, che lui ricambiò con cenno della testa; si finse poi estremamente impegnato nel tirare fuori pergamena e piuma dalla propria borsa, operazioni che fece con molta lentezza e cura. Il suo stomaco brontolò di nuovo; un tocco leggero sulla spalla fece tendere e ritrarre Harry.
   “Calderotto?” Kiky gli stava rivolgendo un altro timido sorriso mentre gli mostrava un sacchetto sul cui fondo erano visibili alcuni succulenti e profumatissimi dolcetti. Il braccio di Ron passò sotto al naso di Harry, rischiando di far cadere gli occhiali all’amico.
   “Posso?” chiese Ron in tono quasi implorante.
   “Certo” il sorriso di Kiky si fece più largo e la ragazza si sporse ancora un po’ in avanti per avvicinare i Calderotti a Ron, poi li offrì nuovamente a Harry. Il ragazzo non riuscì a rifiutare.
   “Li ha fatti mia madre” spiegò Kiky mentre Harry sentiva il cioccolato fuso e scaldato magicamente che si scioglieva in bocca. “Stamattina mi ha praticamente obbligato a prenderli, continuava a dire che mi sarebbero serviti.” Sorrise scuotendo la testa e chiudendo con cura il sacchetto. “Mai dubitare del consiglio di una Veggente!”
   La Shacklebolt entrò in classe con l’aria sfinita di chi non prendeva una balla come si deve dai tempi di Hogwarts, ma aveva comunque mantenuto le proprie movenze leggere.
   “Via il cibo” disse senza nemmeno guardare in direzione dei tre ragazzi.
   “Istruttrice, a pranzo…” tentò Ron.
   “Per la barba di…” la Shacklebolt si massaggiò le tempie con due dita, poi lanciò uno sguardo di fuoco al ragazzo. “Non mi interessa cosa diavolo avete combinato per infastidire Clobhair. Non si mangia durante le mie lezioni. E se sento un altro fiato di protesta farò Evanescere quei Calderotti.”
   Harry e Ron si rassegnarono a rimandare ancora il loro pranzo ed Evocarono due tovaglioli dove riposero con cura i dolcetti.
   “Dunque” sospirò la Shacklebolt. “Tirate fuori i vostri Manuali, apriteli a pagina dieci e… sì, Abbott?”
   “Mi scusi Istruttrice, quali Manuali?”
   “Quali Manuali? Volete prendermi in giro? Oh cavolo…” la Shacklebolt affondò il volto in una mano, sopraffatta dall’improvvisa consapevolezza di qualcosa di molto sgradevole. “Ditemi che Leatherman ha dato ad ognuno di voi una copia del Manuale dell’Aspirante Auror e ve lo siete tutti dimenticato a casa…”
   La frase morì in un sussurro, così come la speranza della Shacklebolt che quella fosse la verità; le Reclute la guardarono contriti, ma nessuno di loro aveva ricevuto il libro, non potevano davvero farci nulla. Lena si premette di nuovo le dita sulle tempie e sospirò profondamente.
   “Volete scusarmi un attimo?”
   La donna uscì in fretta, probabilmente a caccia del proprio collega; Harry e Ron non aspettarono neanche un secondo: i Calderotti sparirono nelle loro bocche così velocemente che sembrava davvero fossero stati fatti Evanescere.
 
 
 
 
10 settembre 1998 – Hogwarts
 
   La luce calda della fine del pomeriggio inondava il campo di Quidditch, avvolgendo gli spalti semi vuoti e rendendo l’erba soffice di un intenso verde scuro. Ginny respirò a fondo l’aria che si stava raffreddando e un brivido di eccitazione e commozione le fece stringere appena lo stomaco: era incredibile ritrovarsi in quel luogo con l’unica preoccupazione di mettere insieme una buona squadra. Si portò senza pensarci una mano al distintivo da Capitano, che Demelza aveva insistito per appuntarle personalmente sul petto della divisa nuova fiammante negli spogliatoi; diceva che quello era il suo preciso compito di vice, Dio solo sapeva chi l’aveva convinta di quella cosa.
   Ginny fece correre lo sguardo sugli spalti più vicini, dove avevano già preso posto gli aspiranti giocatori: c’erano parecchi ragazzi del quarto e quinto anno, un paio del sesto, una manciata di tremanti ragazzine del secondo e qualche volto conosciuto, come Jimmy Peakes, le cui spalle si erano ingrossate ancora durante l’estate. Ginny cercò il volto di Dean, ma non lo trovò; incrociò gli occhi di Demelza, che strinse le labbra come se la cosa fosse colpa sua: negli ultimi giorni avevano parlato a lungo di Thomas, il cui nome era sulla lista dei “Probabilmente non si presenteranno, ma dovremmo convincerli”. Dean aveva accuratamente evitato di trovarsi anche solo nei paraggi di Ginny dopo quello che era successo a Difesa contro le Arti Oscure, ma Demelza era riuscita ad avvicinarlo e a parlargli diverse volte; il risultato tuttavia non era stato quello sperato.
   Demelza fu distratta dall’arrivo del suo spasimante Tassorosso, che la salutò con la mano e prese posto vicino al campo; la ragazza ricambiò con un sorriso malizioso.
   “Non è uno schianto?” bisbigliò a Ginny, che annuì convinta.
   Hermione stava prendendo posto in terza fila, con l’aria decisamente contrariata; Ginny non ne capì il motivo finché non notò che era accompagnata da Luna e… Astoria Greengrass. Ginny batté le palpebre un paio di volte per essere sicura di non avere le traveggole, ma quando rimise a fuoco le ragazze Astoria Greengrass era ancora lì, con l’aria imbarazzata e intimidita, seduta di fianco ad una Luna decisamente su di giri che gesticolava con le guance arrossate. Hermione si limitava a mantenere il sopracciglio sinistro inarcato e le labbra serrate, ma i ragazzi del sesto anno in attesa della selezione avevano cominciato a lanciare occhiate in direzione della Greengrass – occhiate che nessuno avrebbe definito amichevoli. D’istino Ginny cercò con lo sguardo il lato opposto delle tribune, dove la professoressa Sprite e la professoressa Caporal erano sedute apparentemente impegnate in un’amichevole chiacchierata. Era una misura che la Preside McGranitt aveva disposto dopo il grazioso siparietto offerto da Thomas: c’erano professori di guardia in tutte le occasioni di aggregazione di studenti di Case diverse, come gruppi di studio o le riunioni del club di Gobbiglie. La Biblioteca era letteralmente pattugliata a turni serrati, così come il parco durante l’ora di pranzo, dove alcuni studenti si trovavano a mangiare visto che le giornate erano ancora calde.
   Il Quidditch chiaramente non aveva fatto eccezione e la Preside aveva ritenuto importante comunicare la presenza di professori durante le selezioni direttamente ai Capitani, in una breve riunione indetta in urgenza nel suo studio martedì sera. Ginny si era ritrovata in piedi davanti alla scrivania scura, insieme a Edward Cadwallader di Tassorosso, Graham Pritchard di Serpeverde e Orla Quirke di Corvonero. A parte Edward, coetaneo di Ginny, tutti i Capitani non avevano più di quindici anni e tremavano dalla testa ai piedi davanti alla Preside, specialmente quello sbruffone di Pritchard che l’anno precedente andava in giro a dieci centimetri da terra vantando il suo purissimo sangue giovane.
   “Sapete perfettamente quanto sia delicato questo momento” aveva detto la McGranitt con le sopracciglia aggrottate. “E penso che voi più di chiunque altro dobbiate rendervi conto di quanto le selezioni delle vostre squadre e il loro allenamento siano cruciali per il ritorno alla normalità. Il Quidditch a Hogwarts non è solo uno sport, ma un modo per riportare la convivenza tra le diverse Case sui binari giusti, quelli di una competizione sana e leale. Conto fermamente su voi quattro per questo compito importante.”
   Ginny si sentiva ancora addosso gli occhi della McGranitt solo ripensando alle sue parole.
   La professoressa Caporal incrociò lo sguardo della ragazza, poi guardò in direzione degli spalti di fronte a lei, infine riportò gli occhi su Ginny e annuì con un sorriso rassicurante, che venne ricambiato.
   Riportare la convivenza tra le diverse Case sui binari giusti, di una competizione sana e leale.
   Ginny mise una mano sul braccio di Demelza e la attirò a sé.
   “Comincia tu” le bisbigliò all’orecchio. “Fai fare qualche giro di campo ed elimina i più lenti. Poi se vuoi parti dal… Portiere. Io torno subito.”
   Demelza annuì; Ginny non era sicura al cento per cento che avesse capito le sue intenzioni, ma la ragazza seguì comunque le sue istruzioni: Ginny la sentì gridare e battere le mani mentre lei correva fuori dallo stadio verso il castello.
   “Coraggio, ragazzi, fuori le scope! Tre giri di campo per tutti, fatemi vedere cosa sapete fare!”
 
   Era diventato abbastanza semplice per Ginny tenere a bada i brutti ricordi che si nascondevano dietro ogni angolo di Hogwarts: l’aula del terzo piano dove Goyle l’aveva torturata la prima volta aveva davanti una finestra che dava sulla Foresta Proibita e la vista era mozzafiato, mentre l’ufficio di Alecto Carrow, al quale Ginny preferiva davvero non pensare, era in una segreta remota poco accessibile anche dal dormitorio Serpeverde. Ma c’erano momenti in cui la consapevolezza di quello che aveva passato – che tutti avevano passato – diventava solida come un muro. Le era capitato la sera della consegna dei Diplomi, quando aveva visto Harry raggiante e c’era mancato poco che le venissero le lacrime agli occhi; o la sera successiva, durante lo Smistamento, quando le era risuonata nelle orecchie la voce di Voldemort che voleva smantellare tutte le Case tranne Serpeverde e si era resa conto di quanto quella diversità fosse importante, di quanto quella cerimonia in particolare fosse cruciale per la ripresa della normalità.
   Le selezioni erano un altro di quei momenti importanti, la McGranitt aveva ragione. Specialmente per una persona.
   Ginny smise di correre solo quando fu davanti alla porta del Dormitorio maschile di Grifondoro; si concesse qualche momento per riprendere fiato, le mani piantate sui fianchi, poi salì le scale due gradini alla volta. Dean era seduto sul letto, stava fissando con aria assente un manico di scopa appoggiato sulle proprie ginocchia. I passi di Ginny erano leggeri, ma lui li sentì comunque e alzò lo sguardo sulla ragazza; non era la prima volta che lei entrava lì dentro, ma non si sera mai sentita così in imbarazzo.
   “Cosa ci fai qui?” chiese Dean più con curiosità che con rabbia.
   “Cosa ci fai tu, qui” ribatté con ostentata tranquillità Ginny, avvicinandosi. “Dovresti essere alle selezioni della mia squadra.”
   Il ragazzo abbassò di nuovo lo sguardo e sembrò ripiegarsi sulla propria scopa, mentre ne stringeva il manico; Ginny si sedette per terra a gambe incrociate davanti a lui in modo da poterlo guardare negli occhi.
   “Come… come faccio?” esalò Dean. “Io… non riconosco più nulla! Non riconosco più nemmeno… me stesso” ammise allentando la presa sul manico di scopa; sembrava davvero sul punto di scoppiare in lacrime. Alzò lo sguardo su Ginny, le labbra strette. “Sai che ho picchiato Seamus?”
   Ginny annuì.
   “Stava solo cercando di aiutarmi e io… gli ho spaccato il naso. Non so davvero perché mi rivolga ancora la parola.”
   “Perché ti vuole bene” rispose con semplicità Ginny. “Ti ho sentito rinfacciargli di essere stato qui al calduccio mentre tu scappavi dai Ghermidori. Credimi, Hogwarts l’anno scorso era tutt’altro che un luogo sicuro. Lui è rimasto qui fino alla Battaglia finale, nascosto nella Stanza delle Necessità e braccato come te.”
   Dean sembrò di nuovo ripiegarsi su sé stesso e Ginny si affrettò a concludere il discorso.
   “Quello che voglio dirti è che tutti abbiamo visto e vissuto cose terribili. Tutti. Quello che devi ficcarti in quella testa cocciuta è che non sei solo. E che da qualche parte devi ripartire.”
   Le spalle di Dean si rilassarono un po’.
   “E tu sei venuta dirmi che il Qudditch è un ottimo punto dal quale ripartire?”
   “Che vuoi farci? Farei di tutto per un Battitore decente.”
   “Battitore?” Dean alzò di nuovo lo sguardo incuriosito.
   “Ti ci vedo bene, sai?” Ginny impugnò un’immaginaria mazza e tirò un paio di colpi all’aria. “Sai, tutto quel lavoro di braccia… magari arrivi abbastanza stanco la sera da dormire, ecco. E poi puoi mirare alla testa dei Serpeverde senza farti togliere altre migliaia di punti.”
   Dean si lasciò scappare un sorrisetto. Ginny si alzò in piedi e lui la imitò, caricandosi la scopa su una spalla.
   “Grazie, Ginny” disse lui ai propri piedi; lei si voltò e si avviò verso la porta.
   “Per te è Capitano, Thomas.”
 
   Ginny scorse per un’ultima volta la lista dei nomi dei presenti, molti dei quali erano stati cancellati con un tratto di inchiostro, e ne indicò uno non depennato; Demelza annuì ed entrambe le ragazze si alzarono, raggiungendo il gruppo in attesa al centro del campo.
   “Ok, ragazzi, la squadra definitiva è questa, chi viene chiamato faccia un passo avanti. Cacciatori io, Demelza e Nigel McDonald.”
   Un ragazzo allampanato con i capelli neri del quarto anno fece un passo avanti, raggiante; non era certo un giocatore brillante, ma sapeva stare su una scopa e fare passaggi precisi, al resto avrebbero pensato Ginny e Demelza.
   “Battitori Jimmy Peakes e Dean Thomas. Cercatore Euan Abercrombie.”
   Arrivato al suo quinto anno e dopo essere sopravvissuto egregiamente al regno di terrore dei Carrow, Euan e le sue orecchie oblunghe erano ancora grandi sostenitori di Harry Potter, motivo per il quale il ragazzo aveva deciso di tentare le selezioni proprio per il ruolo ricoperto per anni dal suo eroe. Per un attimo Ginny credette che Euan se la sarebbe fatta sotto per l’emozione di essere stato preso, ma il ragazzo aveva ripreso subito il controllo. Ginny sospirò, pensando a quanto lavoro avrebbe dovuto fare con lui: sicuramente staccava di spanne tutti gli imbranati che si erano presentati per quel ruolo, ma di certo non aveva nulla a che fare con lo stile pulito e preciso di Harry.
   “E infine Portiere la nostra piccola rivelazione, Julliet Thompson.”
   Una ragazzina piccola anche per essere al secondo anno fece qualche saltello in avanti, sorridendo sicura; aveva un caschetto di sottili capelli castano chiaro e un paio di grandi occhiali. Ginny vedendola sugli spalti con le sue compagne non le avrebbe dato uno Zellino; era rimasta quindi notevolmente impressionata quando, una volta rimesso piede in campo con Dean, aveva trovato quella ragazzina che dava filo da torcere a Demelza, che non era riuscita a far passare nessuna Pluffa attraverso gli anelli difesi da lei.
   “Grazie a tutti gli altri per essersi presentati” concluse Ginny cercando di sorridere in modo incoraggiante a tutti gli scartati. “Squadra, noi ci vediamo lunedì prossimo per il primo allenamento. Buona serata.”
   Il gruppo di ragazzi si avviò verso l’uscita del campo, chi chiacchierando allegramente, chi facendo commenti tristi; Ginny vide Seamus vicino agli spalti che aspettava a braccia incrociate, probabilmente era arrivato il momento di una seria chiacchierata con Dean. Demelza si precipitò verso il suo Tassorosso e Ginny si ripromise di chiederle il nome del suo bel nuovo ragazzo: non avevano decisamente avuto tempo di parlare di quello negli ultimi giorni. Hermione e Luna stavano raggiungendo Ginny al centro del campo.
   “Bel lavoro” si complimentò Hermione con un sorriso stanco; Luna abbracciò Ginny a lungo, tanto che la cosa cominciò a diventare imbarazzante.
   “E’ così bello!” esclamò Luna quando finalmente Ginny riuscì a divincolarsi da lei. “E’ tutto meravigliosamente normale!”
   La ragazza girò su sé stessa, le guance arrossate; Ginny e Hermione si scambiarono un’occhiata perplessa che si trasformò quasi subito in un sorrisetto complice: Luna era sempre la stessa, piena di entusiasmo e di vita, anche dopo la Guerra.
   “Ho invitato Astoria a studiare con noi” disse Luna con noncuranza; Ginny sbatté le palpebre un paio di volte, mentre Hermione sembrò gelarsi sul posto.
   “Lo so che non ti piace” proseguì Luna in tono leggero guardando Hermione. “Ma dovresti almeno provare a parlarle, oggi non hai detto nemmeno una parola.”
   Hermione inarcò di nuovo il sopracciglio e aprì bocca per replicare, ma Luna la fermò alzando un dito sottile.
   “Lei non è solo una Purosangue figlia di Mangiamorte, esattamente come tu non sei solo una Nata Babbana figlia di dentieri.”
   “Dentisti.”
   “Quel che è.”
   Luna girò sui tacchi e si avviò verso l’uscita del campo a balzelli, canticchiando tra sé e sé la filastrocca del calderone salterino. Ginny e Hermione rimasero per alcuni lunghi momenti in silenzio, fissando l’amica finché la sua figura bionda non scomparve dalla vista.
   “Sai cosa penso?” disse Ginny appoggiandosi con due mani al manico di scopa che teneva ancora stretto. “Astoria Greengrass studia Babbanologia. E’ venuta alle selezioni di Quidditch di Grifondoro. E’ amica di Luna” sottolineò l’ultima parola indicando il punto nel quale fino a poco tempo prima l’amica canticchiava e saltellava. “O è completamente matta, o ha davvero qualcosa di fuori dal comune. Io dico che merita una possibilità.”
   Hermione inarcò entrambe le sopracciglia e si strinse nelle spalle.
   “Ok” sussurrò. “Facciamolo” aggiunse ridendo nervosamente.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
 
La ballerina del carillon innamorata della musica rock… e una Purosangue che studia Babbanologia! Questo aforisma mi ha ricordato molto la mia Astoria (o meglio, quello che sta diventando praticamente spontaneamente questo personaggio nella mia storia…!), quindi mi sembrava perfetta per introdurre il primo capitolo del 2018!
 
Ma partiamo dall’inizio! Intanto, cara Ire_unicorn, abbiamo recuperato il pezzo su Teddy   ;)
Chi sia l’imputato del processo probabilmente è ampiamente intuibile, ma non scopro le carte fino al prossimo aggiornamento. Nell’idea iniziale dovevamo vedere il processo già oggi, ma il pezzo di Hogwarts ha avuto la precedenza ed è diventato lunghino, quindi dai alla prossima!
Nel frattempo all’Accademia Auror assistiamo a scene deliranti: Ella attaccata ai pregiudizi sulle Case ha dato sui nervi anche a me che ho scritto la scena. E’ tutto da vedere poi se ha ragione su quello che c’è sotto le lunghe maniche di Nott o meno.
Dei problemi della Shacklebolt e di Leatherman come Istruttori avremo modo di parlare (e ridere) anche più avanti…!
 
Il clima non è certo più disteso a Hogwarts… ho aggiunto un tassello alla storia di Dean e uno a quello di Astoria – a forza di sotto trame prima o poi perderò il filo, ma stanno nascendo personaggi così belli che non so trattenermi!
Piccola nota a margine, il personaggio di Julliet Thompson è liberamente ispirato (e dedicato) ad un’altra ragazza che è stata Portiere in una partita di Quidditch “babbano” (per la serie quando la realtà supera la fantasia…). Penso che tu ti sia riconosciuta!
 
Ma adesso è il momento di un po’ di ringraziamenti!
 
Special thanks – and welcome! – to:
LilyScorpius e lucysu23, che si sono letteralmente divorate la mia storia! Grazie!!
Mika o_o , che ha appena cominciato a leggere la mia ff ma mi ha già lasciato commenti molto carini, quindi grazie fin da ora!
 
Grazie di cuore come sempre ha chi ha letto e chi leggerà, e soprattutto a chi mi lascia il proprio commento!
 
Smack
 
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 34
*** Verde e Argento ***


Verde e Argento
 
 
 
Liberi com'eravamo ieri,
dei centimetri di libri sotto i piedi 
per tirare la maniglia della porta e andare fuori […]

Leggera leggera si bagna la fiamma 
rimane la cera e non ci sei più...

 
Giudizi universali – Samuele Bersani
 
 
12 settembre 1998 – Hogwarts
 
   “Tieni dritta quella schiena, sembri un Troll.”
   Astoria sospirò e drizzò le scapole all’unico scopo di far tacere Daphne – per i successivi dieci minuti, quanto meno, giusto il tempo di finire le uova e il succo di arancia. Blaise si sedette di fronte a loro, sfoggiando il suo consueto sorriso perfetto e misurato.
   “Buongiorno Astoria. E buongiorno Daphne. Sei incantevole questa mattina” aggiunse abbassando di un tono la voce già profonda. Daphne ricambiò con un sorriso appena accennato ma che trasudava malizia, sistemandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio. Astoria si trattenne appena dall’alzare gli occhi al cielo: sua sorella flirtava con Blaise dall’inizio della scuola e forse c’era già anche andata a letto; una sera aveva provato ad affrontare l’argomento, ma Daphne aveva elegantemente svicolato in pieno stile Greengrass: buone maniere e sorrisi freddi. Non che fossero affari di Astoria, o che ci fosse qualcosa di male, ma Daphne non diceva più nulla di sé alla sorella: dalla caduta del Signore Oscuro la ignorava con velata insistenza, salvo quando si sentiva in obbligo di darle consigli – o degli ordini. Astoria si ritrovò ancora una volta a scrollare le spalle e a pensare che in fondo la vita privata di Daphne non era affar suo e che presto sarebbe tornata a raccontarle di quel ragazzo che le piaceva o di quella ragazza di Corvonero che le dava ai nervi.
   Al tavolo di Serpeverde si mangiava in rigoroso e perfetto silenzio; era sufficiente il chiacchiericcio di fondo che producevano i ragazzi delle altre Case a riempire le orecchie dei pochi commensali. I bambini del primo anno avevano imparato in fretta a non tentare di fare conversazione – e altrettanto in fretta avevano trovato amici nelle altre Case, i pochi che erano disposti a passare sopra al fatto che fossero stati smistati a Serpeverde. Il silenzio impediva di affrontare argomenti inappropriati, come per esempio il fatto che non arrivasse posta a quel tavolo, almeno non ai ragazzi del settimo anno. Astoria aveva smesso fin dai primi giorni di alzare lo sguardo quando arrivavano i gufi durante la colazione, ma a volte sbirciava in direzione di Luna giusto per vedere quel curioso uccello che le consegnava grosse buste verdi almeno un paio di volte a settimana. La ragazza le aveva detto che Rolf – che lei insisteva ad etichettare come semplice amico – usava un falco al posto dei gufi, per via di una qualche ricerca sulla magia e gli animali comuni di cui Astoria non aveva capito quasi nulla.
   Astoria accelerò di poco il ritmo del suo pasto, quel tanto che bastava a finire più in fretta la propria colazione senza che Daphne la riprendesse per il modo in cui mangiava, anche se era abbastanza sicura che la sorella fosse troppo impegnata nella gara di sorrisi silenziosi con Blaise per prestare attenzione a lei. Quando però Astoria si alzò, Daphne la imitò subito, piegando e riponendo il tovagliolo che aveva sulle gambe con un unico gesto elegante.
   “Buona giornata a tutti” disse Daphne in tono caldo a nessuno in particolare; Astoria si limitò a stirare le labbra nella maniera più delicata possibile, poi si avviò con la sorella verso l’uscita della Sala Grande. Incrociarono Pansy, spettinata e di corsa, che scendeva a colazione con il solito ritardo del sabato mattina; non si sapeva come ma dall’inizio dell’anno la Parkinson il venerdì sera trovava sempre qualcosa da fare… e con un ragazzo diverso, a quanto dicevano le voci in Sala Comune.
   Poco male, pensò Astoria, lei e Daphne avrebbero avuto il Dormitorio tutto per loro per almeno una ventina di minuti, giusto il tempo di preparare con calma la borsa con i libri per una mattinata di studio in Biblioteca. Doveva ancora dire a Daphne che non sarebbe andata con lei ma da sola; o almeno quella era la versione che avrebbe dato a sua sorella, contando sul fatto che Daphne non sarebbe rimasta in Biblioteca più di un quarto d’ora. Daphne non si era mai realmente applicata nello studio, data la sua intelligenza e la sua memoria spiccatamente oltre la media che le consentivano di imparare quasi tutto prendendo appunti a lezione e rileggendoli appena; senza contare il fatto che loro madre le aveva cresciute con l’idea che sarebbe stato sufficiente contrarre un buon matrimonio per vivere il resto delle loro esistenze senza un pensiero al mondo e che Hogwarts non rappresentasse altro che una buona occasione per stringere importanti amicizie con altri Purosangue. Quindi perché ammazzarsi di studio?
   A dirla tutta Astoria non era mai stata convinta che il matrimonio sarebbe stata la soluzione a tutti i suoi problemi, anzi, aveva sempre desiderato scrivere e viaggiare e… qualcos’altro, insomma, qualcos’altro che non fosse sorridere compostamente e sostenere una conversazione adeguata. Ma si era sempre ben guardata dall’esprimere ad alta voce quei pensieri, suo padre avrebbe dato letteralmente di matto sentendo quelle sciocchezze. Astoria strinse il piccolo orologio a cipolla che aveva in una tasca, poi decise di controllare l’ora anche se sapeva perfettamente che erano da poco passate le otto e trenta; era ormai diventato un gesto automatico, qualcosa che le ricordava chi era senza ferirla troppo: quello era l’orologio di papà, l’unica cosa che gli Auror non erano riusciti a sequestrare perché Astoria era riuscita a trovarlo prima che lo prendessero loro.
   Ripose l’orologio nella tasca con cura ed alzò lo sguardo, incrociando quello di Ginevra Weasley che entrava in quel momento in Sala Grande, seguita dall’immancabile Hermione Granger. Le ragazze si fermarono a pochi passi le une dalle altre, tutte con l’aria vagamente imbarazzata a parte Daphne, che non capiva che cosa avesse fatto fermare la sorella.
   “Ciao” salutò a mezza voce la Weasley; la Granger si limitò a fissare Astoria con gli occhi sgranati, come si guarda un animale particolarmente pericoloso che si incrocia per caso lungo un sentiero sperando che questi decida di andare per la sua strada senza toccarti.
   “Ciao” risposte Astoria con tutta la tranquillità che riuscì a racimolare.
   “Luna ha detto che l’appuntamento è per le dieci, in Biblioteca, giusto?” chiese la Weasley tentando un sorriso; Astoria annuì. “Allora… a più tardi.”
   “A dopo” anche Astoria accennò ad un sorriso; percepiva già le ondate di rabbia provenire da Daphne mentre le due ragazze Grifondoro si allontanavano verso il loro tavolo. Sapeva che la sorella non avrebbe aperto bocca fino al Dormitorio – non si facevano mai scenate in luogo pubblico, per nessun motivo, sono disdicevoli e volgari. Ma una volta arrivati in Dormitorio, Astoria sapeva che avrebbe passato un pessimo quarto d’ora.
 
   “Ginevra Weasley?!”
   Come da previsioni, Daphne aveva aspettato di chiudere la porta del Dormitorio prima di cominciare ad urlare; era così simile a loro padre, così sanguigna, bastava poco per farle perdere la calma. Astoria afferrò la propria borsa e cominciò a selezionare i libri da portare con una certa fretta, aveva l’intenzione di uscire da lì nel minor tempo possibile.
   “In un momento come questo per la nostra famiglia tu cominci a frequentare Traditori del loro Sangue?”
   Gli occhi di Astoria scattarono verso il cielo e lei aumentò la velocità dei movimenti, infilando nella borsa libri a caso.
   “Dovremmo stare unite! Siamo le ultime Greengrass e dobbiamo mantenere alta la dignità della nostra fam…”
   Astoria si voltò di scatto e fissò Daphne negli occhi.
   “La dignità della nostra famiglia? Pensi davvero che abbiamo ancora una dignità? E’ già molto se una volta uscite da Hogwarts non ci sputeranno in faccia in piena Diagon Alley!”
   “E’ proprio per questo che dobbiamo stare unite!”
   “Ma fammi il piacere, se nemmeno mi parli!”
   “Ti sto solo proteggendo, Astoria, tu hai bisogno di una guida! Vaghi come un’anima in pena per la Sala Comune, studi Babbanologia!” esclamò Daphne esasperata. “E adesso ti metti a frequentare questa… questa feccia! Qualcuno ti deve aiutare!”
   Astoria sbatté le palpebre, stupita di sé stessa: finalmente aveva colto qualcosa che le era sfuggito fino a quel momento.
   “Tu ti sei sostituita a lei” disse in un sussurro; Daphne si limitò a fissarla, lo stesso sguardo duro che aveva visto per anni sul volto di sua madre. Sua madre che non approvava, sua madre che le insegnava cosa era giusto e cosa sbagliato, chi doveva frequentare e chi no – per il suo bene, s’intende. “E Blaise…” aggiunse Astoria in un soffio.
   “Blaise ha un’ottima famiglia, che è uscita indenne dalla Caduta del…”
   Astoria alzò una mano, le labbra serrate, non voleva sentire un’altra parola.
   “Ci hanno cresciuto in una campana di vetro, Daphne” scandì le parole una ad una, con una certa difficoltà. “In una meravigliosa campana di vetro dove tutto era dorato, dove noi eravamo speciali e… superiori. Ma quella campana si frantumata. Non è rimasto nulla. Quelle idee… insomma, credo che ci sia altro là fuori. E io voglio andare a vedere cosa ci siamo perse.”
   Astoria si caricò in spalla la borsa piena di libri che probabilmente non le sarebbero serviti, percorse in fretta il Dormitorio e afferrò la maniglia della porta.
   “Astoria, non osare…!” sibilò Daphne a denti stretti.
   Non osare. Non aveva detto “Vorrei che tu non lo facessi” o “Rimani con me”. Non osare.
   Beh sai che c’è, sorella? Io oso, oso eccome.
   Astoria abbassò la maniglia ed uscì nella Sala Comune, sbattendosi la porta alle spalle.
 
 

 
Allora lascia che la pietà venga
E lavi via ciò che ho fatto
Affronterò me stesso
Per annullare quello che sono diventato
Cancellare me stesso
E lasciar andare quello che ho fatto
 
What I’ve done – Linkin Park
 
 
14 settembre 1998 – Ministero della Magia
 
   Harry attendeva con impazienza fuori dall’aula numero nove, nel corridoio di pietra scura illuminato fiocamente dalle rare fiaccole. C’era parecchio movimento: diversi maghi e streghe avvolti in vesti scure e carichi di pergamene andavano avanti e indietro con l’aria indaffarata; di quando in quando passavano Auror in uniforme e maghi della Squadra Speciale Magica con la mascella serrata. Diverse persone con il cartellino da visitatore attendevano di essere chiamati in un’aula, appiattiti contro le pareti per non intralciare il via vai, come Harry.
   La porta di legno scuro si aprì: una strega dai capelli neri raccolti sulla nuca e occhiali leggeri si allungò nel corridoio con una tavoletta in mano.
   “Signor Potter” non era una domanda, aveva riconosciuto il ragazzo – chiunque ormai conosceva il suo volto; allungò una mano sottile e fece un gesto incoraggiante. “Venga, da questa parte.”
   L’aula sembrava la copia esatta della numero dieci, dove anni prima Harry aveva rischiato di essere buttato fuori da Hogwarts; il freddo e la luce tremolante di altre torce lo misero a disagio più di quanto non si aspettasse. Una ventina di maghi e streghe in veste color prugna e con una W dorata appuntata sul petto erano seduti sulle gradinate a sinistra della porta, tutti impegnati a sfogliare carte o a scrivere appunti sulle pergamene sospese in Levitazione; qualcuno lanciò brevi occhiate furtive in direzione di Harry, ma nessuno gli rivolse gesti di saluto. In seconda fila, con gli occhiali squadrati e il cappello leggermente sulle ventitré, sedeva la professoressa McGranitt, che fissava Harry con aria preoccupata e severa allo stesso tempo; quando lo sguardo del ragazzo incrociò il suo, la Preside stese le labbra in un sorriso. Al centro della prima fila c’era Kingsley, la schiena dritta e l’espressione dura, che osservò Harry entrare e piegò appena il capo in un cenno di saluto prima di rivolgersi a Percy, seduto al suo posto di Segretario, bisbigliandogli qualcosa all’orecchio.
   Dal lato opposto dell’aula c’era un basso tavolino sul quale erano allineate una serie di ampolle piene di un liquido trasparente, sorvegliate da una strega dai boccoli biondi e la veste del Wizengamot.
   La strega dai capelli neri fece accomodare Harry di fianco al palco dell’accusa, su un’ampia sedia di legno scuro la cui seduta aveva una morbida imbottitura scarlatta. C’era una seconda sedia di fianco alla sua, dove stava prendendo posto una persona che Harry non si sarebbe mai aspettato di vedere in quel luogo.
   “Madama Chips!” sussurrò sporgendosi verso l’Infermiera di Hogwarts.
   “Buongiorno, Potter” rispose la donna nel consueto tono asciutto. “Fa uno strano effetto vederti tutto intero, una volta tanto.”
   Madama Chips si concentrò sullo spesso fascicolo di pergamene che teneva tra le braccia, controllando forse che l’ordine delle pagine fosse quello corretto.
   Harry si costrinse a spostare lo sguardo al centro della stanza, dove, come al solito, c’era la sedia con le catene sui braccioli, che in quel momento stringevano saldamente le braccia di Draco Malfoy. Come era successo a sua madre, la prigionia aveva cancellato qualunque traccia del portamento altezzoso: Malfoy sedeva come un sacco di patate, i sottili capelli biondi spettinati e lo sguardo spento fisso su un punto del pavimento. La manica sinistra della veste grigia e logora era stata strappata all’altezza della spalla e il braccio era stato girato a forza verso l’alto, in modo che il Marchio Nero fosse ben visibile sotto le catene.
   Harry sentì un nodo stringere leggermente la propria gola mentre fissava il suo vecchio compagno di scuola, il suo vecchio nemico; fin dai primi giorni ad Hogwarts loro due si erano odiati e qualche anno prima Harry avrebbe fatto carte false per vedere Malfoy davanti al Wizengamot, ma ora che si trovava davvero in quella situazione le cose non erano così semplici. Ricordava perfettamente l’espressione spaventata che Draco aveva a Villa Malfoy – o quella dannata sera, sulla Torre di Astronomia: un ragazzino terrorizzato che si era ritrovato in un gioco immensamente più grande di lui. Non molto diversa dalla posizione di Harry, a dire il vero; ma loro due avevano fatto scelte diverse, molto diverse.
   Di fianco alla sedia con le catene c’era un uomo, i capelli scuri e radi tirati all’indietro verso la nuca; indossava una veste nera come i maghi e le streghe che Harry aveva notato nei corridoi e stava leggendo una pergamena piuttosto lunga con l’aria corrucciata e un monocolo incastrato davanti all’occhio destro.
   “Draco Lucius Malfoy” la voce di Kingsley risuonò particolarmente profonda contro le pareti dell’aula tetra. “Compari per la seconda volta davanti al Wizengamot per ascoltare i Testimoni che l’Accusa ha portato contro di te.”
   Malfoy non diede alcun segno di aver sentito quello che aveva detto Kingsley, continuò semplicemente a fissare il pavimento in un punto imprecisato; fu l’uomo in veste nera a rispondere per lui, arrotolando velocemente la pergamena che aveva in mano e riponendo il monocolo in una tasca.
   “Lawson Morgan Moore come Difensore, signor Ministro.”
   “Tsk” sibilò Madama Chips. “Sono andati a raccattare un Difensore da New York.”
   “Così lontano?” chiese Harry.
   “Perché, chi pensi che vorrebbe difendere un moccioso Mangiamorte da queste parti?”
   Nella testa di Harry risuonarono le parole di Narcissa Malfoy, nel Ricordo del Pensatoio: Sai bene che nessun Difensore lavorerebbe per i Malfoy oggi. Né per i Goyle, o i Rockwood…
   Kingsley fissò per un lungo momento Malfoy, forse nella speranza che rispondesse, poi si voltò e fece un veloce cenno di assenso con la testa verso Percy. Il ragazzo si alzò e srotolò una breve pergamena, gonfiò il petto e lesse ad alta voce: “Il Wizengamot chiama a testimoniare Harry James Potter.”
   Una penna scarlatta davanti a Percy scriveva furiosamente su un foglio e rimase in vibrante attesa mentre Harry si alzava. La strega dai ricci biondi si portò davanti a Harry e gli fece cenno di sedersi; teneva tra le mani una delle ampolle con il liquido trasparente, in modo che fosse ben visibile a tutti.
   “Signor Potter, il Wizengamot le chiede di bere una dose di Veritaserum prima di cominciare la deposizione. L’effetto durerà circa un’ora.”
   Le sopracciglia di Harry scattarono verso la fronte, in una reazione istintiva: davvero stavano chiedendo proprio a lui una cosa del genere? Harry lanciò uno sguardo verso Kingsley, che lo osservava con le dita intrecciate sotto al mento.
   “Sono le nuove disposizioni del Ministero, signor Potter” continuò la donna. “Nessuno la costringe, ma se si dovesse rifiutare la cosa verrà messa agli atti e potrebbe inficiare la deposizione.”
   “Non ho problemi con il Veritaserum” rispose asciutto Harry; afferrò l’ampolla e ne trangugiò il contenuto. Il liquido scorse caldo lungo la gola e formò una pozza bollente nello stomaco del ragazzo, che si mosse a disagio sulla sedia mentre restituiva la fiala alla strega bionda.
   “Sia messo agli atti che il Testimone ha assunto il Veritaserum.”
   La piuma scarlatta sfrecciò sulla sua pergamena, annotando diligentemente quanto le era stato dettato. Harry sentì il calore risalire dallo stomaco verso le labbra e per un momento pensò che avrebbe vomitato davanti all’intero Wizengamot, ma la nausea scomparve velocemente come era arrivata. Le labbra continuarono però a bruciare, come se qualcuno vi avesse strofinato un peperoncino sopra. La strega bionda ripose la fiala vuota in una tasca della veste e prese a fissare Harry con una certa curiosità, come se si aspettasse che il ragazzo all’improvviso sarebbe diventato verde.
   “Signor Potter, era a conoscenza del fatto che il qui presente Imputato è un Mangiamorte?”
   Il calore sulle labbra aumentò di poco, mentre Harry rispondeva: “Sì.”
   “Da quanto lo sapeva?”
   “Ho avuto i primi sospetti all’inizio del mio sesto anno a Hogwarts” rispose Harry reprimendo il bisogno di grattarsi furiosamente le labbra. “Ma ne ho avuto la certezza solo al termine dello stesso anno.”
   “In che modo?”
   Le immagini di quanto accaduto sulla Torre di Astronomia scorsero vivide e particolarmente dolorose nella mente di Harry.
   “Ho sentito Malfoy… l’Imputato dichiarare di aver fatto entrare i Mangiamorte a Hogwarts, riparando una coppia di Armadi Svanitori.” Le labbra di Harry bruciarono come se stessero per prendere fuoco e il ragazzo seppe che doveva continuare, anche se davvero non avrebbe voluto. “E disse anche di aver ricevuto l’ordine di uccidere il professor Silente… da Voldemort in persona.”
   Con la coda dell’occhio Harry percepì qualche persona tremare: anche dopo molti mesi quel nome pronunciato ad alta voce faceva effetto. La bocca della strega bionda si piegò in un leggero sorriso compiaciuto.
   “Ha più rivisto l’Imputato dopo aver lasciato Hogwarts?”
   “Sì. Quando i Ghermidori catturarono me e i miei amici ci portarono a Villa Malfoy. L’Imputato si trovava lì con i suoi genitori.”
   Il sorriso della donna si allargò di poco.
   “Sia messo agli atti che l’Imputato è stato collocato nel Quartier Generale dei Mangiamorte” la voce della strega era di un tono più acuto mentre dettava alla piuma scarlatta.
   “Signor Ministro, mi permetto di sottolineare che Villa Malfoy era la residenza di famiglia del mio cliente” intervenne compostamente il Difensore Moore. “Era perfettamente normale che lui si trovasse lì, considerato anche che, a quanto mi risulta, il periodo fosse quello delle vacanze pasquali.”
   Kingsley scorse con gli occhi alcune pergamene che aveva davanti, poi annuì.
   “E’ così, Difensore.”
   Il sorriso della strega bionda si spense del tutto, poi la donna si rivolse di nuovo a Harry.
   “Ci può raccontare cosa è successo a Villa Malfoy, signor Potter?”
   Una sgradevole sensazione di calore risalì la gola del ragazzo e le sue labbra si schiusero quasi a forza.
   “Quando i Ghermidori hanno capito di aver catturato me e i miei compagni ci hanno presentati a Narcissa Malfoy. La chiamavano signora, con deferenza. Poi è arrivato anche Lucius Malfoy. Io avevo il volto deformato da una Fattura, quindi Narcissa ha chiesto all’Imputato se mi riconosceva.”
   “E lo ha fatto? L’ha riconosciuta davanti ai Ghermidori? Davanti ad altri Mangiamorte?” la strega bionda era ansiosa di risposte, affamata.
   “No” ammise Harry, le labbra che pungevano e bruciavano. “Ha detto che non era sicuro che fossi io.”
   “Non ho altre domande, grazie signor Potter.”
   La donna tornò al proprio posto dietro al tavolo con il suo Veritaserum; prese in mano un grosso rotolo di pergamene e cominciò a scartabellarle, forse alla ricerca di qualche informazione che le era sfuggita, l’espressione contrariata. Harry lanciò un breve sguardo a Malfoy, che non si era mosso di un millimetro: continuava a fissare il pavimento, la testa voltata con ostinazione in modo da non vedere il Marchio Nero sul proprio braccio – o quanto meno quella era l’impressione che aveva Harry. Il Difensore di Malfoy avanzò di qualche passo e si mise davanti a Harry, proprio come aveva fatto la strega bionda.
   “Signor Potter, che piacere incontrarla di persona!” esclamò Moore con le braccia dietro la schiena. “Pare che lei qui sia molto famoso.”
   Harry si strinse nelle spalle; il Difensore fece passare qualche momento carico di imbarazzo prima di proseguire con la sua prima domanda.
   “Dunque il mio cliente ha ricevuto l’ordine di uccidere Albus Silente da Voldemort in persona, giusto?”
   “Sì.”
   “Ma l’ha fatto?”
   Le labbra di Harry presero a bruciare in maniera insopportabile e il ragazzo non riuscì a trattenersi dal passarsi la mano sulla bocca per un attimo.
   “No” la sillaba uscì a forza.
   “E chi lo ha fatto?” Moore fece un altro passo verso Harry.
   “Severus Piton.”
   Tornò la nausea, la gola di Harry bruciava; aveva bevuto il Veritaserum a cuor leggero, convinto di non aver nulla da nascondere, ma non aveva fatto i conti con le verità dolorose di cui avrebbe preferito non parlare. Il Difensore sorrise soddisfatto.
   “E per quale motivo? Ce lo sa dire, signor Potter?”
   Harry trasse un profondo respiro, nel tentativo di placare la nausea.
   “Malfoy ha esitato. Non… io credo che non riuscisse a farlo. Così lo ha fatto il professor Piton.”
   Moore aveva la stessa espressione di un gatto che si crogiola al sole.
   “Che cosa ci può dire invece di Villa Malfoy?”
   “Che cosa vuole sapere?”
   La nausea finalmente allentò la presa sullo stomaco di Harry, lasciando solo un forte bruciore alla base della gola.
   “Come le sembrava il mio cliente? Tranquillo? Preoccupato?” si avvicinò di un altro passo e aggiunse: “Spaventato?”
   Il bruciore aumentò e Harry fu costretto a dire la verità.
   “Spaventato. Continuava a distogliere lo sguardo da me e dai miei amici. Ci dava le spalle, se poteva. Non ha mai detto di essere sicuro delle nostre identità, anche se Ron e Hermione erano perfettamente riconoscibili.”
   “E da cosa era spaventato, secondo lei?”
   “Non lo so” ammise Harry. “Suo padre ha detto qualcosa come… come se saremo noi a consegnare Potter, sarà tutto perdonato. Ma non sono sicuro che fossero queste le parole.”
   “Grazie, signor Potter. Non ho altre domande.”
   Mentre Moore tornava al suo posto vicino a Malfoy, lo stomaco di Harry finalmente si rilassò e il bruciore si ritirò di nuovo solo sulle labbra; il ragazzo si sentiva svuotato, sfinito e sperò di tutto cuore che le domande fossero davvero terminate, ma la strega bionda si alzò di nuovo. Stringeva in mano un foglio e si rivolse a Kinglesy con tono compassato.
   “Signor Ministro, permette un’altra domanda al signor Potter?”
   “Che sia breve. La giornata è ancora molto lunga.”
   La strega bionda avanzò velocemente verso Harry.
   “L’Imputato era presente anche durante la Battaglia di Hogwarts, è corretto signor Potter?”
   Harry sospirò.
   “Sì. E prima che me lo chieda, era tornato nel castello per prendermi e consegnarmi a Voldemort.”
   Il sorriso della donna era talmente largo che sembrava occuparle tutta la faccia; la strega lo ringraziò e tornò al proprio posto, come se quell’ultima affermazione mettesse un punto fermo a tutto il suo impianto accusatorio. Percy si alzò e annunciò il turno di testimoniare di Madama Chips; Harry si rilassò sulla propria sedia, cercando di ignorare le labbra che pulsavano, mentre l’infermiera trangugiava con sicurezza la propria dose di Veritaserum.
   “Vorrei sottoporre all’attenzione del Wizengamot questi documenti” disse Madama Chips senza aspettare che la strega bionda le rivolgesse una domanda. Estrasse la bacchetta e la puntò verso la pila di pergamene che teneva appoggiate sulle ginocchia: le moltiplicò con un semplice incantesimo di Geminazione e spedì una copia ad ognuno dei membri del Wizegamot nonché al Difensore di Malfoy. I plichi di fogli fluttuarono placidamente verso i rispettivi destinatari, che cominciarono ad esaminarli con attenzione.
   “Per chi non lo sapesse, io presto servizio come Infermiera a Hogwarts da circa vent’anni ed è mio obbligo tenere traccia di tutto quello che passa sotto le mie mani. Quello che avete in mano è il registro degli accessi all’Infermeria dell’anno scolastico 1997 – 1998; mi sono permessa di sottolineare quello che interessa in questo Processo.”
   “Vuole darcene lettura, Madama Chips? A beneficio dell’Imputato” aggiunse con un sorriso falso la strega bionda.
   “Con vero piacere.”
   Madama Chips si alzò; aveva un’espressione stranamente feroce, che Harry non le aveva mai visto.
   “Venerdì 12 settembre 1997: Neville Paciock – ferita da taglio al braccio. Afferma di essere stato colpito con un coltello da Draco Malfoy durante una lezione di Pozioni per non aver riso ad una battuta sulla purezza del sangue fatta da Malfoy stesso.
   “Lunedì 29 settembre 1997: Seamus Finningan – perdita di conoscenza. Viene portato in Infermeria da Neville Paciock, che riferisce di averlo trovato fuori dalla Sala Comune di Grifondoro. Finningan presenta sintomi di tortura prolungata a mezzo di Maledizione Cruciatus. Al risveglio ricorda che il primo a lanciare l’incantesimo in questione sia stato Draco Malfoy, ma non è in grado di dire se sia stato lui a portarlo a perdita di conoscenza.
   “Mercoledì 22 ottobre 1997: Ginevra Weasley”
   Il cuore di Harry si fermò per un attimo. Sentire i nomi dei suoi amici non era stato piacevole, anche se sapeva che era stato un anno difficile; ma il nome di Ginny chissà per quale motivo gli faceva tutto un altro effetto: lei non gli aveva parlato molto di quello che aveva passato a Hogwarts e lui non gli aveva mai fatto molte domande. Una parte di lui si chiese come mai, ma Harry sapeva perfettamente la risposta: non voleva sapere, aveva paura della risposta.
   “Ferite multiple da Incantesimo Tagliacarne. Afferma che le sono state inflitte da Vincent Tiger e Gregory Goyle su ordine e supervisione di Draco Malfoy.”
   Incantesimo Tagliacarne. Harry si sentì sbiancare, mentre la sua mente immaginava con chiarezza ferite profonde sulle braccia e le gambe di Ginny. E io non ero lì a proteggerla.
   Madama Chips proseguì nel suo elenco, spietata. Ogni volta che pronunciava il nome di Ginny, Harry si sentiva sprofondare sempre di più nella propria sedia; tutte le remore che si era fatto nei confronti di Malfoy, la pietà per un ragazzo spaventato e minacciato da Voldemort, tutti quei sentimenti stavano svanendo uno a uno, man mano che Harry sentiva cosa Draco aveva fatto, cosa aveva scelto di fare.
   A Harry parve che Madama Chips leggesse da ore quando finalmente quel terribile elencò terminò; Malfoy era ancora immobile. La strega bionda si voltò verso il Wizegamot.
   “Non ci sono domande da fare, in questo caso.”
   Non sorrideva, non sembrava soddisfatta come durante la testimonianza di Harry, piuttosto trapelava una certa angoscia dall’espressione leggermente tirata. Il Difensore di Malfoy fissava i fogli di Madama Chips come se dovessero prendere fuoco da un momento all’altro.
   “Se il signor Ministro permette, salterei il controinterrogatorio alla signora Chips. Vorrei invece che il Wizegamot ascoltasse direttamente il mio cliente.”
   Finalmente Malfoy alzò gli occhi verso il suo Difensore, occhi grigi e vuoti; Harry provò l’impulso di alzarsi e prenderlo a pugni: non riusciva a togliersi dalla mente l’immagine di Ginny coperta di sangue e di tagli. Ordinati da lui, fatti mentre lui guardava, lurido bastardo.
   Kingsley annuì cupamente.
   “Il Veritaserum” disse freddamente la strega bionda, avvicinandosi con una fiala. Il Difensore guardò Malfoy, che alzò la mano destra quel tanto che le catene gli permettevano e fece un gesto, incoraggiando Moore ad avvicinarsi. Il Difensore prese l’ampolla e l’avvicinò alle labbra di Draco, che bevve con calma; il senso di nausea doveva essere particolarmente forte, considerata l’espressione del ragazzo quando terminò il Veritaserum, ma Harry desiderò che fosse ancora di più, sperò che fosse un dolore fisico talmente intenso da farlo vomitare e tremare dalla testa ai piedi.
   Moore appoggiò una mano sulla spalla di Malfoy e gli sussurrò qualcosa, lui annuì e il Difensore si allontanò.
   “Signor Malfoy, lei è un Mangiamorte?”
   Draco alzò gli occhi verso il Difensore, poi li abbassò finalmente verso il Marchio Nero e ne rimase come incantato, come se fosse sorpreso lui stesso di trovare quel tatuaggio sul proprio braccio.
   “Sì. Sì, lo sono stato.”
   Aveva la voce roca, notò Harry, come di chi non parla da molto tempo.
   “Perché è diventato un Mangiamorte?”
   “Perché lo era mio padre. E perché ero convinto che il Signore Oscuro ci avrebbe portato un mondo migliore, in cui la mia famiglia sarebbe tornata ad essere rispettata e onorata come un tempo. Come mi aveva raccontato mio padre. All’inizio è stato… divertente. Il potere di fare ciò che volevo alle altre persone è stato inebriante. Mi rispettavano. Mi temevano.”
   Un brivido percorse Harry, come una scossa elettrica.
   “Ma mi sono accorto presto che non era un gioco. La faccenda non si concludeva a Hogwarts, dove era facile fare il buono e il cattivo tempo. Il Signore Oscuro pretendeva servigi e se non si era in grado di soddisfarlo… le punizioni erano terribili. Il fallimento non era tollerato.”
   “E’ stato torturato?”
   “Come tutti.”
   “Riconobbe il signor Potter, il giorno in cui i Ghermidori lo portarono a casa sua?”
   “Sì.”
   “E per quale motivo rifiutò di identificarlo?”
   Malfoy si voltò verso Harry e lo guardò negli occhi per un lungo istante; Harry sostenne il suo sguardo senza battere ciglio.
   “Sarebbero stati uccisi. Lui e gli altri due. E sarebbero stati uccisi per colpa mia.” Malfoy abbassò di nuovo gli occhi. “Non sono capace di uccidere. Sono debole e incapace di uccidere. Il Signore Oscuro lo sapeva.”
   “Per questo ha tentato di catturare il signor Potter durante la Battaglia di Hogwarts? Per riscattarsi agli occhi di Voldemort?”
   “E’ stato un ultimo disperato tentativo. Il Signore Oscuro avrebbe ucciso me e i miei genitori, una volta vinta la battaglia finale e ucciso Potter. A meno che non fossi stato io a consegnarglielo.”
   “Potter sarebbe stato ucciso per causa sua. Questo non le provocava problemi?”
   “Sì, ma non tanti quanti me ne provocava lo sterminio della mia famiglia.”
   Moore si voltò verso il Wizengamot.
   “Draco Malfoy è un Mangiamorte? Sì. Ha fatto cose terribili, ha seguito idee sbagliate, per sua stessa ammissione. E’ meritevole di punizione? Certamente. Ma è anche un ragazzo solo e spaventato, la cui famiglia è stata pesantemente minacciata e che ha ammesso di essere incapace di uccidere. Ricordino queste parole mentre decidono della sorte del signor Malfoy.”
 
   “Stai bene, Potter?”
   Madama Chips toccò il gomito di Harry con gentilezza, mentre uscivano dall’aula nove.
   “Sì, sto bene, grazie” mentì Harry stirando le labbra in un sorriso poco convincente. L’effetto del Veritaserum si era esaurito in fretta, prima dell’ora promessa dalla strega bionda e aveva lasciato Harry decisamente provato: si sentiva rivoltato come un calzino e non sapeva più cosa pensare. Odiava Malfoy molto più di quanto avesse fatto in vita sua e allo stesso tempo capiva il suo senso di solitudine e provava una certa pietà per lui; se Ron avesse saputo quello che gli passava per la testa, avrebbe preso a schiaffi Harry.
   Madama Chips si congedò consigliandogli una pozione contro gli effetti collaterali del Veritaserum, pozione che Harry dimenticò subito maledicendo la propria pessima memoria. Il ragazzo si avviò lungo il corridoio affollato del Ministero, rimuginando di prendersi anche il resto della giornata: aveva avvisato la Shacklebolt dell’udienza, ma le aveva anche detto che sarebbe stato presente alle lezioni del pomeriggio. In quel momento però aveva solo voglia di tornare a casa e scrivere a Ginny; non sapeva bene cosa le avrebbe detto, ma di sicuro le doveva delle scuse per non averle chiesto di più, per non averla ascoltata quando magari avrebbe voluto sfogarsi, per non essere stato lì a proteggerla, dannazione!
   Preso com’era nel trovare un sacco di colpe da addossarsi, si accorse solo all’ultimo momento che alla parete del corridoio era addossata una panca e inciampò nei piedi dell’occupante.
   “M-mi scusi” balbettò, prima di accorgersi che i piedi erano quelli di Theodore Nott. La tunica nera che indossava praticamente sempre lo faceva quasi confondere con le ombre incerte del corridoio.
   “Nott!” esclamò Harry vagamente imbarazzato.
   “Potter” rispose Theodore alzandosi di scatto; fissò il suo compagno di corso con aria stupita, era chiaro che l’ultima cosa che si aspettava era di vedere qualcuno che conosceva in quel posto. Spostò il suo peso da un piede all’altro, a disagio.
   “Strano posto per incontrarsi” disse evasivo.
   “Mi hanno convocato al processo contro Malfoy” spiegò Harry con un sospiro. “Draco, chiaramente” aggiunse subito.
   “Oh. Capisco.”
   Il disagio di Theodore sembrò aumentare ulteriormente: aveva di nuovo abbassato gli occhi e si umettava le labbra in continuazione, come se stesse decidendo se aggiungere qualcosa o meno.
   “Io sono qui per un’udienza preliminare” dichiarò infine al pavimento di pietra. “Di mio padre” aggiunse dopo un attimo, con uno sforzo evidente.
   “Per la Difesa, immagino” disse Harry con il tono più neutro che riuscì a trovare.
   “No” Theodore finalmente alzò gli occhi. “Per l’Accusa.”
   Tra i due ragazzi calò un breve momento di silenzio teso. E’ qui per l’Accusa, ripeté Harry mentalmente, contro suo padre. Era difficile anche solo pensarlo. Ricordava molto bene Theodore ai tempi in cui frequentavano Hogwarts: posato, mai arrogante, ma con l’atteggiamento di chi era convinto di essere migliore di molte persone e quel modo di guardare tutti dall’alto in basso tipico del Purosangue orgoglioso di essere tale. In quel momento, nel corridoio scuro del Ministero, non c’era più traccia di quel sentimento di superiorità; c’era solo un ragazzo spezzato e abbandonato in un angolo.
   “Senti, io stavo pensando di saltare anche la lezione del pomeriggio” disse Harry senza nemmeno sapere il perché. “Se vuoi ti aspetto e andiamo a berci qualcosa al Paiolo Magico. E a mangiare. Sto morendo di fame.”
   Theodore fissò Harry come se gli avesse appena dato il numero della sua camera blindata alla Gringott permettendogli prelievi illimitati.
   “Sì” mormorò. “Sì, mi farebbe piacere.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Angolo di Gin
Uff.
Ho messo un sacco di carne al fuoco.
Ho completamente stravolto i punti di vista.
E ho fatto una roba che non faccio mai: mi sono messa nei panni dei Serpeverde. Mi sono resa conto che nel mio calderone di tragedie post belliche non potevano mancare. Spero di essere risultata credibile e che la cosa stia in piedi, ho scritto quasi tutto di getto e nonostante l’abbia riletto quel consueto milione di volte prima di pubblicare non sono tranquilla lo stesso…!
Mi sono incasinata talmente tanto con i Serpeverde che mi sono voluta sprecare e di citazioni ne ho messe due, perché le storie sono completamente diverse!
Tutto è partito da uno scritto della Rowling su Draco Malfoy, che mi ha affascinata da morire perché ripercorreva tutta la saga dal suo punto di vista, con l’evoluzione del personaggio fino alla svolta finale. C’erano anche due righe su Astoria – mi raccomando non di più, eh? Fatto sta che mi sono sparata sto viaggione. Questo capitolo è un cammeo dedicato a tutti i miei Serpeverde, anche se qualcuno lo rivedremo più chiaramente. Dal prossimo aggiornamento prometto che torno sulla carreggiata della storia principale!
Alcune specifiche (che forse si capiscono lo stesso ma nel mio delirio ho bisogno di fare un micro spiegone lo stesso):
  • il processo a Malfoy chiaramente non è per stabilire se sia stato un Mangiamorte o meno, ma ha la finalità di “quantificare” un’equa pena in base a quello che ha realmente commesso;
  • Astoria ha un rapporto di amore-odio con la propria famiglia di origine: si è sentita sì amata dai suoi genitori, ma nel modo freddo che immagino essere tipico delle famiglie Purosangue. Spero di non essere miseramente inciampata nella banalità.
Attendo pareri…!
 
Smack
Gin
 
PS: tra pochi giorni festeggio il mio primo anno su Efp! Tanti auguri ai miei deliri letterari <3 e grazie di cuore a tutti per aver reso quest’anno così speciale!

Ritorna all'indice


Capitolo 35
*** Leoni con un cuore ***


Hai torto nel volere un cuore.
Rende infelice la maggior parte delle persone.
Se lo sapessi, ti convinceresti di essere fortunato a non averlo.
 
Il meraviglioso mago di Oz – Lyman Frank Baum
 
 
 
 
Leoni con un cuore
 
 
 
 
16 settembre 1998 – Ministero della Magia
 
   La sala in cui si riuniva il Wizengamot era troppo piccola per cinquanta persone, ma nessun Ministro della Magia era mai sfuggito al fascino delle pareti ricoperte di listelli di abete rosso finemente intagliato e al soffitto affrescato a motivi dorati ed incantato in modo da emanare luce propria. La moquette scarlatta, ravvivata a colpi di bacchetta da generazioni di maghi e streghe, dava alla sala un ulteriore tocco pomposo che proprio non le serviva. Con un sommesso brusio, i cinquanta membri del Wizengamot al completo si stavano stipando attorno ad un lungo tavolo ovale, schiacciati l’uno contro l’altro come sardine in un vasetto. Minerva McGranitt prese posto alla sua sedia, non molto distante dal Ministro, e il suo piede urtò una delle enormi zampe lavorate in avorio che sostenevano il piano di legno scuro; trattenne un’imprecazione e l’istinto di incenerire con la bacchetta quel dannato tavolo.
   Odiava trovarsi lì; come Preside di Hogwarts aveva diritto ad un posto nel Wizengamot e Minerva non era certo tipo da sottrarsi alle proprie responsabilità, ma decisamente non le piaceva quel ruolo. Avrebbe preferito mille volte rimanere a scuola a risolvere scaramucce tra studenti piuttosto che passare ore ed ore ad ascoltare tutte le nefandezze compiute dai Mangiamorte. E pensare che quelli erano solo i primi processi, a carico dei “pesci piccoli”, come li chiamava il Profeta; il peggio decisamente doveva ancora venire.
   “Buongiorno Minerva” Henriett Bishop e i suoi voluminosi boccoli biondi presero posto di fianco a lei, cercando di evitare il più possibile il contatto fisico, ma con scarso successo visto gli spazi risicati.
   “Buongiorno.”
   Henriett sbatté energicamente un plico di pergamene sul tavolo e prese a dividerle in fascicoli più piccoli; Minerva si concesse qualche momento per ricordare la signorina Bishop di quindici anni prima, quando era sua studentessa a Hogwarts: il Cappello Parlante non aveva avuto nessuna esitazione ad assegnare a Corvonero il brillante cervello di quella vivace Nata Babbana, che dimostrava una spensieratezza e una gioia di vivere che raramente Minerva aveva trovato in uno dei suoi allievi; anche il signor Gazza la ricordava molto bene, considerato il considerevole tempo che avevano trascorso insieme. Molto prima che si sentisse nuovamente parlare di Voldemort e con un certo stupore del signor Gazza, Henriett aveva studiato Legge Magica e Applicata, conquistandosi a pieno titolo un posto tra gli Accusatori del Ministero.
   Ma la Guerra aveva cambiato molte cose: Henriett era stata una delle prime persone a cui avevano tolto bacchetta e posto di lavoro e per quasi un anno di lei si erano perse le tracce. A giugno si era ripresentata da Kingsley, in condizioni pessime ma ancora in piedi, e adesso si era buttata anima e corpo nei processi a suoi vecchi persecutori. Della vivacità e voglia di vivere di un tempo più nessuna traccia, constatò ancora una volta Minerva, solo un’ostinata sete di vendetta.
   Percival Weasley, che occupava il posto da Segretario al fianco destro del Ministro, si alzò e declamò a gran voce l’apertura della seduta del Wizengamot. Tutti i membri tacquero e rivolsero l’attenzione a capo tavola.
   “Buongiorno a tutti” disse Kingsley con la sua voce profonda. “Prima di procedere con la suddivisione per i Processi del giorno, vorrei discutere il verdetto del signor Draco Lucius Malfoy, in modo da poterlo emanare questo pomeriggio. Una parte di noi hanno assistito al processo direttamente, i restanti come da protocollo hanno letto gli atti, quindi direi che il Wizengamot possiede tutti gli elementi per poter decidere.”
   Minerva sospirò il più piano possibile: un altro suo allievo a Hogwarts. Non che da lui non se lo fosse aspettato: fin dal primo anno Draco non aveva fatto altro che sbandierare il suo sangue puro e ciarlare di Magia Oscura. Tuttavia non era così semplice fare i conti con quello che il suo studente era diventato, specialmente per Minerva, che aveva la pericolosa tendenza a considerare le brutte pieghe prese dai propri allievi come fallimenti personali.
   “E’ un Mangiamorte” prese la parola per prima Henriett. “Merita la reclusione come tutti gli altri.”
   “Non si è certo macchiato di crimini particolari” obiettò Elphias Dodge dall’altra parte del tavolo, consultando alcune carte davanti a sé. “Non ha ucciso, non ha utilizzato Maledizioni Senza Perdono…”
   “Ha ordinato ed assistito a torture sui suoi stessi compagni!” Henriett era molto vicina ad urlare; Minerva drizzò la schiena chiedendosi se non fosse il caso di intervenire. Dodge si limitò a lanciare una lunga occhiata alla Bishop da sopra gli occhiali da vista: come la maggior parte dei veterani, era sopravvissuto a due Guerre Magiche nazionali e una internazionale, aveva visto cose di gran lunga peggiori e non si sarebbe scomposto davanti a una ragazzina che faceva la voce grossa.
   “Da quanto tempo è detenuto il ragazzo?” chiese infine.
   “Il Mangiamorte” Henriett sottolineò la parola con foga. “è stato catturato durante la Battaglia di Hogwarts.”
   “Direi che un anno o due ad Azkaban possano bastare” concluse con un colpo di tosse Dodge; un brusio di assenso si sparse a macchia d’olio tra i presenti.
   “Non è ad Azkaban, è stato spostato a Villa Malfoy, non è così Ministro?” chiese acidamente Henriett voltandosi verso Kingsley.
   “E’ così, signorina Bishop. Villa Malfoy non è certo un luogo piacevole in cui soggiornare, se è questo che sta insinuando, ma vi risiede in pianta stabile una divisione di Auror che gestiscono anche il carcere nei sotterranei. E il suo nome ora Meadowes Fort, come sapete.”
   Minerva chiuse gli occhi per un attimo. Un’altra studentessa, una compagna dell’Ordine della Fenice, Auror reclutata personalmente da Kingsley, uccisa personalmente da Voldemort. I suoi colleghi avevano insistito molto perché fosse intitolato qualcosa a Dorcas Meadowes, anche se non erano particolarmente soddisfatti che fosse toccato a Villa Malfoy.
   “E’ molto giovane” gracchiò la voce di Griselda Marchbancks, diversi posti a destra di Minerva, che si dovette sporgere di poco in avanti per vedere chi aveva preso la parola. “Si potrebbe pensare ad un percorso riabilitativo, diciamo così.”
   “Cosa proponi?” chiese Kingsley.
   “Una libertà vigilata a Hogwarts.”
   Gli occhi grigi e acuti di Griselda si appoggiarono su Minerva, le cui orecchie cominciarono a pulsare.
   “Con una scorta di un paio di Auror che lo tengano d’occhio, in modo che non possa andare da nessuna parte” aggiunse incoraggiante la Marchbancks.
   Minerva si accorse di aver inarcato un sopracciglio e che il suo silenzio stava durando un po’ troppo a lungo, quindi distolse lo sguardo da Griselda e finse di riordinare le carte davanti a sé.
   “Temo non sia possibile” tagliò corto. “Ho già problemi a tenere al sicuro gli studenti che hanno come unica colpa quella di essere stati Smistati a Serpeverde, figuriamoci cosa succederebbe con un…”
   “In questo modo non farai che alimentare il clima di pregiudizio, Minerva” intervenne Tiberius Odgen, accarezzandosi i baffi con le dita. “Questo ragazzo può essere ancora recuperato. Ho letto le carte, come ha risposto sotto Veritaserum...”
   “Non ammetterò Mangiamorte nella mia scuola!”
   Minerva aveva alzato la voce. La cosa sconvolse lei per prima; represse l’istinto di portarsi le mani alle guance per raffreddarle, aveva la sensazione che fossero rosse oltre ogni contegno.
   “Mi risulta però che tu abbia dato un Diploma Honoris Causa a…” la voce di Henriett risultò mielosa e suadente, come quando poneva domande scomode in aula. Minerva la fulminò con lo sguardo, ottenendo un silenzio istantaneo come se fossero ancora nell’aula di Trasfigurazione.
   “Signorina Bishop, non parlare di cose che non conosci minimamente.”
   “D’accordo, niente Hogwarts” intervenne Kingsley alzando una mano per calmare le acque. “La pena è fissata ad un anno di reclusione più un altro di servizi alla Comunità Magica sotto sorveglianza. Chiederemo la collaborazione al San Mungo, sono certo che ci sarà qualche impiego adeguato al recupero del signor Malfoy. Passiamo ad altro. Signor Weasley?”
   Percival cominciò a distribuire la programmazione dei processi del giorno e a spiegare per sommi capi a che punto era ognuno di essi. Minerva prese le pergamene che le Levitavano con gentilezza davanti, ma non stava minimamente ascoltando quello che veniva detto, aveva ancora il respiro accelerato. Griselda pensava che la presenza della nipote nel corpo insegnanti le permettesse di fare qualunque proposta le passasse per la testa che comprendesse Hogwarts; doveva fare al più presto due chiacchiere con lei. E con la signorina Bishop.
 
 
 
 
21 settembre 1998 – Hogwarts
 
   Il ricordo più felice.
   Solo Luna poteva fare una lezione del genere, si disse Hermione mentre evocava con semplicità il proprio Patronus. Nonostante l’ultimo agghiacciante anno, quasi non sapeva quale scegliere tra i suoi molti ricordi felici di quell’estate con Ron. Quasi. Il più forte, il più immediato, forse il più felice in assoluto riguardava una fresca sera di fine maggio, nei prati dietro la Tana, nascosti dagli Incantesimi migliori che Hermione sapesse produrre. La ragazza scosse la testa e non senza un certo sforzo riportò la sua concentrazione sulla sua lontra argentea che le danzava attorno snella.
   Anche gli altri ex membri dell’Esercito di Silente non avevano mostrato nessuna difficoltà con quell’Incantesimo e presto l’aula di Difesa contro le Arti Oscure si riempì di figure argentee che sfrecciavano da una parete all’altra, mentre la professoressa Ellis annuiva soddisfatta. Daphne Greengrass e Blaise Zabini impiegarono diversi tentativi, ma alla fine riuscirono a produrre un Patronus formato, scambiandosi un sorrisetto complice che a Hermione non sfuggì; la ragazza voltò loro le spalle, decisa a saperne il meno possibile. Fu così, per un puro caso, che vide Astoria di fianco alla porta dell’aula: si mordeva un labbro, l’espressione concentrata e furiosa allo stesso tempo mentre con movimenti bruschi del polso agitava la propria bacchetta, che si limitava a sputacchiare scintille argentate.
   “Va bene, ragazzi, giù le bacchette” disse la professoressa scacciando un gatto scintillante che stava tentando di leccarle un orecchio. “Adesso che sapete tutti scacciare un Dissennatore, usiamo questi Patroni per qualcosa di più utile.”
   Hermione lanciò un’altra occhiata veloce ad Astoria, che aveva lasciato cadere le braccia lungo i fianchi, le labbra stiracchiate per la frustrazione.
   “Impareremo a farli parlare!” esclamò la Ellis, assolutamente ignara del fatto che non tutta la sua classe fosse allo stesso livello. Hermione sospirò scuotendo leggermente la testa; riportò lo sguardo su Astoria giusto in tempo per vederla uscire dall’aula senza dire una parola. Si morse un labbro e cercò con gli occhi Ginny, che però era impegnata a mostrare a Dean il corretto movimento del polso; cercò di attirare la sua attenzione con la mano.
   Ti prego, Ginny, ti prego, guardami!
   Niente da fare; Dean doveva proprio essere il peggiore zuccone del mondo per non capire quel movimento di polso così semplice. Luna neanche a dirlo stava pendendo dalle labbra della Ellis. Hermione sospirò di nuovo.
   Non ci posso credere.
   S’incamminò verso l’uscita e seguì Astoria.
 
   Hermione trovò Astoria nel bagno più vicino: con le spalle all’entrata, provava e riprovava l’Incanto Patronus, bisbigliando la formula con rabbia e agitando la bacchetta come se dovesse scacciare un branco di Imp particolarmente fastidiosi.
   “E’ il ricordo più felice, non quello più irritante” disse Hermione cercando un modo per sdrammatizzare. Astoria si voltò di scatto e, nel momento in cui si accorse che si trattava di Hermione, abbassò la bacchetta e squadrò la ragazza come se fosse uno Schiopodo Sparacoda pronto ad esplodere.
   “Sì, ho afferrato il concetto di base” replicò asciutta. “Solo non ci riesco!”
   A dimostrazione della propria affermazione pronunciò ancora una volta: “Expecto Patronum!”, ma dalla bacchetta uscì solo uno sbuffo di nebbiolina argentea. Astoria sbuffò al limite dell’esasperazione.
   “Non so neanche perché seguo questo corso” la ragazza prese a misurare a lunghi passi il bagno, le braccia incrociate dalle quali spuntava la bacchetta di legno chiaro. “La professoressa Ellis non ci sta insegnando nulla!”
   “Stiamo ripassando le lezioni dell’Esercito di Silente” le parole uscirono dalla bocca di Hermione prima che lei riuscisse a bloccarle.
   “Grandioso.”
   Astoria sospirò pesantemente e si appoggiò con grazia ad uno dei lavandini; Hermione non poté fare a meno di provare un moto di invidia: la cosa che più elegante che riusciva a lei quando era infuriata era uno stormo di canarini incazzati.
   “Non hai mai la sensazione che…” Astoria misurava le parole una ad una. “Che quello che ci stanno insegnando sia… inutile?”
   La ragazza la guardò negli occhi e Hermione si sentì molto a disagio: quella era esattamente la sensazione che aveva avuto ogni singolo giorno da quando aveva rimesso piede a Hogwarts. Era sempre stata un passo avanti agli altri, aveva sempre letto molto di più rispetto a quello che era richiesto dal programma e per prepararsi alla ricerca degli Horcrux aveva dato fondo alla Biblioteca di Hogwarts, acquisendo capacità che probabilmente erano ben al di sopra del livello dei M.A.G.O. Quindi la risposta era sì, tutto quello che spiegavano loro i professori era storia già sentita per Hermione. Quello che le dava veramente fastidio era che l’unica persona che condividesse il suo disagio fosse Astoria Greengrass.
   Hermione percorse a passi misurati il bagno e si appoggiò vicino ad Astoria, incrociando le braccia a sua volta.
   “Sai che c’è? Dovremmo prenderla un po’ meno sul serio.”
   Si stupì sentendosi pronunciare quelle parole; se l’avesse sentita Ron avrebbe riso fino a farsi esplodere la milza. Astoria la guardò con un sopracciglio alzato ed un’espressione indecifrabile.
   “Sì, dovremmo divertirci un po’ ” proseguì senza pensarci troppo. “E’ il nostro ultimo anno a Hogwarts, abbiamo un sacco di tempo per preoccuparci di cosa faremo dopo o… o di un mucchio di altre cose.”
   “Cosa… stai dicendo, Granger?”
   La ragazza fissò per qualche momento la porta di un bagno davanti a sé prima di rispondere con un’altra domanda.
   “Ti piacciono gli Zuccotti di Zucca, Greengrass?”
   “Cosa?”
   “Gli Elfi delle cucine ne fanno di deliziosi. E a me sta venendo fame.”
   “Stai dicendo che vuoi andare nelle cucine… adesso?”
   Astoria la guardava con gli occhi azzurri spalancati; Hermione le rispose con uno sguardo di sottecchi e un mezzo sorriso.
   “Perché no?” chiese alzando le spalle.
   “La Ellis ci ucciderà!”
   “La Ellis non si è nemmeno accorta che siamo uscite dall’aula.”
   Le due ragazze si guardarono a lungo.
   “Tu sei fuori di testa” disse Astoria trattenendo a stento una risata.
   “Sì, è probabile.”
   Era molto probabile, ripeté a sé stessa Hermione mentre usciva dal bagno con Astoria. Non era nemmeno sicura che quella ragazza le piacesse, ma aveva davvero bisogno di uno Zuccotto di Zucca in quel momento. E di una ventata di fresca incoscienza.
 
 
 
 
12 ottobre 1998
 
La Tana
 
   La tazza rossa e ammaccata in diversi punti sfrecciò senza esitazioni attraverso il tavolo tra le mani di Harry, che alzò gli occhi a scambiare uno sguardo di intesa con Ron; l’amico nascose un sorriso soddisfatto dietro un sorso di tè bollente. Si erano allenati durante il fine settimana, come quasi tutti quelli dall’inizio del corso, e finalmente Harry era in grado di padroneggiare senza problemi gli incantesimi non verbali. Ron non l’avrebbe mai ammesso, ma Harry sapeva che lo aveva riempito di orgoglio vestire per una volta i panni dell’insegnante; probabilmente aveva scritto tutto a Hermione, ma poco importava in fondo.
   “Ragazzi, è tardissimo!” squittì Molly entrando in cucina con Teddy aggrappato al braccio sinistro e un cestone della biancheria sotto a quello destro. “Dovete sbrigarvi, vostro padre ha già preso la Metropolvere un quarto d’ora fa!”
   Harry sorrise, imbarazzato; Molly ormai non distingueva più tra lui, Teddy e i suoi figli: si considerava madre di tutti a pieno titolo. Ron trangugiò l’ultimo fondo di tè e si alzò, dando una pacca sulla spalla dell’amico. Il caffè nella tazza rossa si sparse un po’ dappertutto, ma un Tergeo – rigorosamente non verbale – risolse subito la situazione e Harry si affrettò a raggiungere il salotto.
 
 
 
Camulus’ Stronghold
 
   Harry e Ron arrivarono appena in tempo nella Stanza delle Riunioni, dove tutti i loro compagni e i due Istruttori avevano già preso posto attorno al tavolo ovale; la Shacklebolt si limitò a guardarli con un sopracciglio alzato, ma non disse nulla.
   C’erano due sedie vuote di fianco a Nott, probabilmente conservate per Harry e Ron dal ragazzo stesso; da quando lui e Harry avevano passato il pomeriggio insieme al Paiolo Magico dopo l’udienza di Malfoy, Theodore aveva cominciato ad essere una presenza fissa nelle giornate di addestramento. Non che stesse realmente stringendo amicizia con Harry e Ron, ma a lezione e durante il pranzo si sedeva puntualmente di fianco a loro invece di trovarsi un angolo lontano da tutti. Non parlava molto, a meno che non si trattasse di argomenti di studio, e per il resto si limitava ad annuire e a sorridere alle loro battute. Ron all’inizio sembrava infastidito, ma in un paio di settimane si era abituato alla sua presenza e non aveva mai obiettato nulla.
   “Buongiorno a tutti” sospirò Leatherman, che aveva l’aria particolarmente contrariata quella mattina. “Nott e Fletcher, oggi termina la vostra – quante ne avete già collezionate?”
   “Tre” disse a denti stretti Theodore.
   “La vostra terza punizione! Complimenti ragazzi, una a settimana!” concluse Leatherman tra l’ironico e l’ammirato.
   L’evidente e reciproca antipatia tra Theodore ed Ella era velocemente degenerata, più che altro a causa dei continui commenti acidi della ragazza. Nott aveva sopportato in silenzio per un certo periodo, poi aveva cominciato a rispondere; immancabilmente i battibecchi – che più di una volta erano arrivati alle bacchette – venivano intercettati da uno degli Istruttori. I due ragazzi avevano quindi passato gomito a gomito lunghe serate a pelare patate per un soddisfattissimo Clobhair o a pulire i bagni degli spogliatoi, tutto rigorosamente senza magia. L’ultima punizione era costata loro l’intero week end, speso completamente a riordinare la biblioteca all’ultimo piano dell’Accademia, mettendo da parte i libri che necessitavano di un qualche tipo di manutenzione – e che probabilmente sarebbero stati i compagni della loro prossima punizione.
   “Reclute, avete riflettuto sui vostri comportamenti?” chiese la Shacklebolt in tono formale; Thoedore ed Ella annuirono stancamente. “Avete qualcosa da dirvi?”
   Era una domanda retorica, dovevano scusarsi reciprocamente o la punizione sarebbe stata allungata; i ragazzi lo avevano imparato a proprie spese la prima volta. Nott e la Fletcher si scambiarono un lungo sguardo risentito.
   “Non avrei dovuto tentare di Trasfigurarti in uno scoiattolo” sibilò alla fine Ella. “Mi dispiace” le ultime due parole uscirono come se le avesse vomitate. Theodore aspettò un lungo momento prima di rispondere, tanto che Harry cominciò a pensare che non lo avrebbe fatto.
   “Io mi sono solo difeso” disse piano, stringendo i polsini della propria veste con le dita finché le nocche non sbiancarono. Leatherman tossì eloquentemente e Nott si voltò verso di lui con le labbra strette. “Ma mi scuso comunque per la Fattura Orcovolante.”
   La Shacklebolt si ritenne evidentemente soddisfatta e drizzò la schiena, le mani giunte davanti a sé.
   “Bene” trillò. “Passiamo ad altro. Reclute, io e l’Istruttore Leatherman pensiamo che tra novembre e dicembre sarete pronti per i vostri primi turni di guardia affiancati ad Auror esperti.”
   La Shacklebolt fece una pausa, lasciando che il mormorio eccitato si diffondesse tra i suoi studenti.
   “Ma prima” disse a voce un po’ più alta per zittire i ragazzi. “Abbiamo pensato di rispolverare una tradizione, neanche tanto vecchia a dire il vero.”
   Lena voltò il viso verso Leatherman, che ricambiò il sorriso di lei stirando le labbra a disagio; l’uomo incrociò le braccia e per un attimo guardò Harry.
   “Fino a qualche anno prima della Guerra” proseguì Roy a voce bassa. “Prima che le Reclute cominciassero il proprio addestramento su campo andavano qualche giorno in ritiro, in luoghi sempre diversi ma in qualche modo significativi; abbiamo pensato di riprendere a farlo, è molto utile per unire un po’ il gruppo” aggiunse lanciando una breve occhiata verso Theodore ed Ella; Harry dubitava seriamente che quei due si sarebbero mai anche solo sopportati.
   “Staremo via dal trentuno ottobre al due novembre” riprese la Shacklebolt. “Ma ancora non vi diremo dove. Diciamo che ho in mente una piccola prova per voi, oggi pomeriggio.”
   Di nuovo il mormorio eccitato riempì la stanza; le Reclute vennero congedate bruscamente da Leatherman e i ragazzi uscirono commentando rumorosamente le novità.
   “Oooh spero sia Stone Age!” trillò Hannah stringendo il Manuale delle Reclute Auror al petto. “Ho letto tutto su quel posto e sarebbe favoloso!”
   “Non c’è un gran ché, tre pietre messe in cerchio” commentò acidamente Ella.
   Il resto della conversazione si perse nel corridoio, mentre Harry, Ron e Theodore rallentavano appositamente il passo per mettere un po’ di distanza tra loro e le ragazze.
   “Continuo a pensare che sia una pessima idea.”
   Harry sentì Leatherman bisbigliare non troppo piano e trattenne Ron per un braccio, voleva sentire quella conversazione. Nott si fermò a breve distanza.
   “Sciocchezze” ribatté Lena. “Lo facciamo per lui, no?”
   “Poi mi dirai che faccia farà.”
   “Roy, perché non puoi darmi ragione per una volta?!”
   Qualcosa sbatté sul tavolo.
   “Fa’ come ti pare.”
   Leatherman uscì a grandi passi dalla Stanza delle Riunioni e si ritrovò faccia a faccia con Harry, Ron e Theodore; li guardò per un lungo momento, forse avrebbe voluto anche dire qualcosa, ma alla fine prese Harry per una spalla e lo spinse lungo il corridoio.
   “Andate a cambiarvi, ragazzi, vi voglio in campo tra dieci minuti.”
 
   “La prima forma di contraffazione e in assoluto la più usata è la dissimulazione dei messaggi scritti, a partire dalla semplice comunicazione di ordini fino all’alterazione di intere leggi. Per un Auror saper distinguere un testo contraffatto è assolutamente indispensabile.”
   La voce della Shacklebolt rimbombava lontana, da qualche parte nella testa di Harry che guardava distrattamente le labbra dell’Istruttrice muoversi: il pranzo di quel giorno, spezzatino di maiale in salsa di mirtilli, stava decisamente mettendo alla prova la sua concentrazione.
   “A pagina quarantadue del vostro manuale troverete alcuni esempi degli Incantesimi più comunemente usati, ci eserciteremo prima di tutto su questi, poi passeremo a qualcosa di più interessante.”
   Ron rifilò una gomitata al fianco destro di Harry.
   “Che c’è?”
   “Pagina quarantadue.”
   Harry si accorse di non aver nemmeno tirato fuori il manuale dalla borsa, mentre tutti gli altri stavano già studiando una pagina del proprio. In un moto di pigrizia Appellò il libro con un Incantesimo non verbale; Nott, seduto alla sua sinistra, alzò gli occhi al cielo e stiracchiò le labbra in un mezzo sorriso.
   Harry aprì il manuale, solo per scoprire che la pagina quarantadue era completamente bianca; si voltò verso Ron per fare qualche commento acido, ma l’amico stava picchiettando la bacchetta contro la pergamena: la pagina vibrò leggermente e diverse parole comparvero attorno al punto toccato.
   “Non male come primo tentativo, Weasley” commentò la Shacklebolt, che stava passando tra i banchi. “Ma pensa più in grande. Major, se tenti ancora di leggere la mente di uno dei tuoi compagni ti spedisco da Clobhair, sono sicura che sente la mancanza di una mano in più” aggiunse voltando appena la testa verso la prima fila; Kiky abbassò lo sguardo con le guance arrossate. Harry aveva la curiosa sensazione che ogni tanto la ragazza cercasse ancora di sbirciare nella sua testa, come uno spiffero che entrasse da una finestra lasciata aperta per sbaglio; tuttavia in quel momento non aveva avvertito nulla e forse Kiky stava solo cercando di capire quale incantesimo avesse usato Ron.
   “Aparecium” borbottò Nott; Harry girò appena la testa e vide la pagina davanti al ragazzo riempirsi completamente di parole.
   “Ottimo” la Shacklebolt si portò a passi leggeri davanti a Theodore, poi si rivolse al resto della classe. “Questo è un Incantesimo base che insegnano al primo anno di Hogwarts, sono contenta che almeno uno di voi se lo ricordi.”
   Il tono era tutt’altro che contento.
   “Ed è il primo Incantesimo che dovete usare quando avete il dubbio che il foglio che avete davanti non sia proprio quello che sembra essere” proseguì mentre faceva ritorno alla cattedra. “Tutti gli… stratagemmi babbani sono sensibili ad Aparecium, quindi se la contraffazione resiste a questo significa sicuramente che c’entra la magia.”
   Le due ore successive trascorsero tra pagine bianche e pagine che modificavano il proprio testo ogni due minuti, altre sulle quali sembrava scritta una poesia per bambini e che invece nascondevano un messaggio in codice, altre ancora che apparivano illeggibili o semplicemente disegnate, ma che dissimulavano indicazioni per questa o quell’azione criminosa. Gli Incantesimi di Rivelazione, che andavano ben oltre il semplice Aparecium, dovevano essere usati solo quando si era sicuri che non ci fosse una Trappola, cioè un meccanismo magico che avrebbe distrutto la pergamena nell’istante in cui si fosse tentato di forzarne il codice. In quel caso c’erano una serie di Controincantesimi, uno più complicato dell’altro, che era necessario tentare con cautela e non senza una certa dose di fortuna.
   “Davvero molto bene, classe!”
   La Shacklebolt appariva sinceramente compiaciuta di quello che le Reclute erano riuscite a padroneggiare in poco tempo. Forse era ancora l’effetto euforizzante degli Incantesimi non verbali appresi durante il fine settimana, ma anche Harry si sentiva molto soddisfatto delle sue prestazioni.
   “Trasferiamoci nella Sala degli Allenamenti, vi aspetta la prova finale!”
   L’Istruttrice virgolettò con le dita le ultime due parole, lasciandosi trasportare da un entusiasmo forse eccessivo. Nella grande stanza con il pavimento di legno li aspettava un arazzo che copriva circa la metà di una parete e che rappresentava un piccolo lago montano dall’acqua pura; al centro una ragazza era cristallizzata in una danza, le mani rivolte al cielo e il sorriso sulle labbra. Alla sua destra un giovane vestito di bianco ammirava il proprio riflesso nell’acqua.
   “A prima vista cosa vi sembra?” chiese la Shacklebolt.
   “Un disegno babbano” rispose con semplicità Ron. “Le figure se ne stanno lì impalate!”
   “E’ un arazzo” sentenziò la Fletcher con l’insopportabile tono di chi mette i puntini sulle i.
   “Un arazzo babbano” replicò Ron incrociando le braccia ed evitando di guardare Ella.
   “Quelli sono Eco e Narciso” disse Roger Davies tra lo stupore generale. “Eco era una Ninfa delle montagne, di cui Zeus si servì per distrarre la moglie mentre lui, beh… sì, si divertiva con qualcun'altra. Quando Era se ne accorse le tolse la parola ed Eco fu costretta per sempre a ripetere solo le ultime parole che ascoltava. Non poté mai confessare il suo amore a Narciso e si consumò fino a che di lei non rimase che pura voce tra le montagne.”
   Hannah e Kiky sospirarono come due gatte in calore, mentre Ella finse di vomitare.
   “Amico, dove le hai imparate certe stupidaggini?” chiese Micheal con l’aria schifata.
   “Mia madre è Nata Babbana, stupito idiota, mi ha raccontato i miti classici e…”
   “Basta così, Davies. Grazie” la Shacklebolt interruppe la discussione sul nascere. “Andiamo un pochino oltre la storia della nostra povera Eco?”
   Tutte le Reclute si avvicinarono di un passo all’arazzo, come se la vicinanza potesse fornire loro informazioni che da lontano erano sfuggite. Nott tentò un Aparecium, giusto perché l’Istruttrice aveva detto loro di usare come primo approccio quell’Incantesimo; esattamente come si era aspettato, non successe nulla. Prima Micheal poi Ella sondarono la superficie dell’arazzo per capire se ci fosse qualche sorta di Trappola, ma dopo qualche minuto decretarono che fosse sicuro provare un Incantesimo di livello superiore. Harry fece un passo avanti e tentò davanti a tutti i suoi compagni il movimento che aveva visto fare centinaia di volte durante la degenza al San Mungo.
   Specialis Revelio!
   Si concentrò sul potere che scorreva dalle sue dita alla bacchetta e si liberava come una scarica sull’arazzo davanti a lui; centinaia di piccole stelle fredde aderirono alla figura della Ninfa, di Narciso, del lago e delle montagne attorno e pulsarono una, due, tre volte, con intensità sempre maggiore. Le tinte del disegno cambiarono, si incupirono; l’acqua tramutò in acciottolato, le montagne divennero casette di un piccolo paesino, Narciso fu sostituito dalle vetrate colorate di una chiesa e la sagoma di Eco si rimodellò in quella di un monumento di metallo scuro. Quando le piccole stelle infine si spensero a Harry si mozzò il fiato.
   “Ecco la meta del nostro ritiro!” annunciò entusiasta la Shacklebolt; di nuovo si alzò il brusio eccitato dai suoi compagni, mentre riconoscevano la statua di un uomo spettinato e con gli occhiali, una donna con i capelli lunghi e un viso bello e gentile che teneva in braccio un bambino piccolo.
   Un piccolo bambino, felice e senza cicatrice.
   “Oh mio Dio, andremo a Godric’s Hollow!”
   La voce squillante di Hannah sembrò arrivare da un altro pianeta. Harry non sapeva cosa dire, non riusciva nemmeno a togliere lo sguardo dall’arazzo; si era chiesto se la scelta delle date del ritiro avesse un qualche significato, ora sapeva che ne aveva uno ben preciso. All’improvviso sentì quella sensazione, come di uno spiffero che entrasse da una finestra lasciata aperta; si voltò di scatto, incontrando lo sguardo di Kiky che lo osservava inespressiva dall’altro lato della sala.
   Sta fuori dalla mia testa!
   Chiuse quella finestra con rabbia e per la prima volta fu certo di aver praticato un po’ di Occlumanzia decente. Fece appena in tempo a vedere lo sguardo deluso di Kiky prima di voltarle le spalle.
 
 
 
Di nuovo la Tana
 
   Harry si chiuse la porta alle spalle e vi si appoggiò di peso. Quando lui e Ron erano tornati a casa avevano trovato due lettere, una di Ginny e l’altra di Hermione; scrivevano sempre in coppia, quelle due. Harry aveva messo da parte la propria: non credeva ci fosse scritto niente di ché, ma era sicuro di non volerla leggere davanti ad anima viva, non quella sera almeno. Aveva atteso con pazienza il termine della cena e una bella doccia calda, poi, non sapendo dove altro andare per avere un po’ di intimità, si era infilato in una delle poche camere libere della casa: quella di Ginny.
   Forse, doveva ammetterlo con sé stesso, non era stata la scelta migliore, ma ormai era lì e tanto valeva darsi una mossa. Accese una lampada con un colpo di bacchetta e si sistemò con cautela sul letto di Ginny, aprì la lettera e sorrise alla calligrafia disordinata della sua ragazza.
 
   Ciao Harry,
   come stai?
   Oggi ho tenuto la mia lezione di Difesa, devo dire che è andata bene. Ti avevo scritto su cosa la stavo preparando? Incantesimi, Pozioni e altri piccoli rimedi di automedicazione in casi, beh sì insomma, in battaglia, diciamo così. Sono quasi tutte cose che mi ha insegnato la mamma, le abbiamo usate parecchio nell’ultimo anno. La Ellis è stata molto contenta, mi ha dato addirittura una E!
   Naturalmente Daphne Greengrass ha commentato che era una lezioncina che poteva farci anche Madama Chips. E’ insopportabile, mi ricorda molto Malfoy ai tempi d’oro, sai? Non manca un’occasione per rompere le scatole. Pare sia convinta che noi tre le abbiamo rubato la sorella. Nessuno le ha detto che Astoria ha un cervello pensante? Non l’abbiamo certo portata via di peso dalla Sala Comune di Serpeverde. Una di queste volte mi stufo e le rifilo una Fattura Orcovolante delle mie. L’altro giorno ha incrociato Hermione in bagno e ha fatto letteralmente eruttare il suo gabinetto – Hermione ha dato di matto e per poco non l’ha Schiantata. Poi si è ricordata che è Caposcuola e adesso Daphne è in punizione con Gazza.
   E dire che Hermione non è nemmeno sicura che Astoria le vada a genio, anche se devo dire che ultimamente sembra si sopportino un po’ di più.
   E’ strana, Astoria. Sempre così compassata, tutta un ci mancherebbe e un ti dispiace se. Sembra che abbia una scopa perennemente infilata su per il… beh, ci siamo capiti. Eppure ci prova, sai? Ce la mette tutta per rendersi simpatica. Ieri ha addirittura fatto una battuta; Luna si è quasi soffocata dal ridere.
   A proposito di Luna, continua a ricevere tonnellate di lettere da Rolf, ma insiste a dire che è un amico. Non si parla d’altro che del falco di Rolf, della bella scrittura di Rolf, di quella cosa divertente che è successa a Rolf in un rifiugio nella Foresta Nera… nemmeno io parlavo così tanto di te al terzo anno – quando mi ero completamente bevuta il cervello tanto mi piacevi.
   In mezzo a tutte queste chiacchiere da donna, c’è anche la partita di Quidditch che si avvicina! Sabato giocheremo contro Serpeverde – gli insegnanti si vogliono togliere la partita peggiore per prima, te lo dico io! Di certo non ci perdo il sonno, ma la mia prima partita da Capitano, eh… mi agita! Sto facendo degli allenamenti supplementari ad Abercrombie e a McDonald, ma per il resto direi che ci siamo. Dean sembra rinato: deve aver fatto pace con Seamus, perché adesso li vedo di nuovo sempre insieme a ridere e scherzare. E’ un vero sollievo, credimi.
   Ah, l’ultimo fine settimana di ottobre andiamo a Hogsmeade! Riuscirete a venire, vero? Non vedo l’ora di abbracciarti, Harry.
   Occhi sempre aperti, Potter.
   E pensami!
   Gin
 
   Harry si appoggiò la lettera sullo stomaco e sospirò rumorosamente. Aveva fatto bene ad aprire la lettera da solo. L’ultimo sabato di ottobre era il trentuno. Tempismo perfetto, non c’è che dire.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Santo Cielo, sono in un ritardo imperdonabile.
Teoricamente ero in ferie, praticamente ho preso l’influenza più ostinata che mi sia mai capitata e ho passato l’ultima settimana come uno zombie.
Detto ciò, la storia mi sta richiedendo una certa cautela e un certo studio, confido nella vostra pazienza e comprensione!
 
Ho messo insieme diversi pezzetti di vita quotidiana e diverse voci.
Con la McGranitt abbiamo chiuso il capitolo Draco, almeno per il momento. Con un piccolo riferimento ad un altro personaggio, se l’avete colto ;)
Hermione sta vivendo una fase decisamente sopra le righe per le lei – non che gli Zuccotti di Zucca siano chissà quale trasgressione! Ma sta reagendo in modo decisamente particolare al post guerra e alla vita senza Ron e Harry.
Nel frattempo il povero Harry tranquillo non ci può stare: cento punti alla brillante idea della Shacklebolt sulla meta del ritiro. La cosa porterà un certo scompiglio, e non solo per Harry.
Prima che lo dica qualcun altro, sì, la descrizione della statua dei Potter è una citazione letterale da “I Doni della Morte”, mi sembrava un bell’omaggio e un buon richiamo per gli accaniti fan come la sottoscritta.
 
Giuro sto già lavorando al prossimo capitolo – anzi una parte è già scritta.
 
Grazie di cuore come sempre a chi legge e leggerà e soprattutto a chi mi lascia le sue opinioni!
 
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 36
*** 31 ottobre 1998 – Godric’s Hollow ***


Fu quella sera che scoprii che quasi tutte le creature che consideriamo malvagie o cattive,
sono semplicemente sole.
E magari mancano un po' di buone maniere.
 
Big Fish – Tim Burton
 
 
 
31 ottobre 1998 – Godric’s Hollow
 
 
 
La settimana precedente
 
18 ottobre 1998 – Campo da Quidditch di Hogwarts
 
   Demelza sfogava l’agitazione parlando come un fiume in piena, snocciolando consigli non richiesti a McDonald, che aveva la faccia di chi stava per rigettare la cena della sera precedente, poi ad Abercrombie per passare infine a Julliet, che però aveva abbastanza carattere da mandarla a stendere senza troppi problemi. Ginny non si fece contagiare dal clima teso, ma si impose di vestirsi con calma, un gesto dopo l’altro: i pantaloni, la maglia spessa, la veste rosso e oro, gli stivali e i parastinchi. Stava per appuntarsi la spilla da Capitano sul petto, quando un verso gutturale di Demelza la fermò.
   “Cosa fai?” la rimproverò l’amica con le braccia minacciosamente incrociate sul petto. “Sai che quello è compito mio!”
   Ginny alzò gli occhi al cielo: sospettava fortemente che quella non fosse una tradizione, non aveva mai visto nessun vice appuntare la spilla al Capitano; la lasciò comunque fare, visto che sembrava essere importante per lei.
   “Ragazzi, ci siamo” disse Ginny battendo le mani; tutta la squadra si alzò in piedi, chi sistemandosi un guanto, chi terminando di allacciarsi la veste. “Abbiamo lavorato sodo fino ad oggi, sono orgogliosa di ognuno di voi e so che darete il meglio in campo. Rimanete concentrati e non fatevi distrarre dai Serpeverde.”
   Guardò volutamente Dean, che sostenne il suo sguardo per qualche momento prima di annuire con un sorriso.
   “Bene, si va in scena, forza!”
   Aspettò che tutti i componenti della squadra sfilassero davanti a lei verso l’uscita con la scusa di infilarsi i guanti; Dean era l’ultimo della piccola fila e Ginny si accodò a lui. Erano già sulla soglia quando il ragazzo si fermò e sfiorò con una mano il braccio di lei, che alzò lo sguardo dai guanti con aria interrogativa.
   “Ginny, io…” balbettò guardandola negli occhi. “Sei bellissima” esalò. Ginny si sentì improvvisamente molto a disagio; piazzò una mano al centro della schiena di Dean e diede una bella spinta, prima che lui potesse vedere le sue guance avvampare.
   “Muoviti, Thomas, abbiamo una partita da vincere.”
   Il ragazzo parve recepire il messaggio al volo e corse verso i suoi compagni, già al centro del campo insieme a Madama Bumb e a parte della squadra dei Serpeverde, mentre Ginny se la prese con una certa calma, godendosi lo spettacolo degli spalti già stracarichi di studenti. Sulla curva alla sua destra vide Luna con il suo ridicolo cappello a forma di testa di leone e non potè fare a meno di ridere; Hermione era accanto a lei con l’aria finalmente rilassata, mentre Astoria non c’era: forse avrebbe rischiato il linciaggio in qualunque parte dello stadio si fosse seduta, vista la sua attuale precaria posizione.
   “Ehi, Weasley!”
   Ginny si voltò verso gli spalti di sinistra, per vedere chi la stesse chiamando: Daphne Greengrass aveva alzato un braccio e muoveva giusto la punta delle dita, un ghigno che non prometteva nulla di buono stampato sulla faccia. Di fianco a lei Pansy Parkinson e una ragazzina bionda – forse la stessa nel cui piatto aveva sputato Brocklehurst la prima mattina – avevano la medesima espressione malevola.
   “Ho preparato un pensiero per te, per augurarti buona fortuna!” cinguettò Daphne.
   “Stupida gallina.”
   Ginny strinse il suo manico di scopa e non si preoccupò di abbassare la voce, mentre voltava le spalle alla Greengrass e alla sua dannata combriccola di Serpeverde.
   “Prima che cominci la partita” la viscida voce di Daphne risuonò nello stadio amplificata magicamente, attirando l’attenzione di tutti gli studenti sulle gradinate. “Vorrei leggervi una bella letterina, scritta davvero con il cuore, indirizzata al Capitano della squadra avversaria.”
   Ginny respirò a fondo e si costrinse a non voltarsi, ripetendosi le sue stesse parole: non lasciarti distrarre dai Serpeverde. Stanno solo cercando di provocarti, sii superiore. Proseguì a passo di marcia verso il resto della propria squadra.
   Daphne si schiarì la voce e cominciò a declamare:
   “Gin!”
   Ginny si bloccò in mezzo al campo sentendo quel nome. Nessuno la chiamava così. Nessuno, tranne…
   “Qualche giorno fa ci hanno comunicato che dal trentuno ottobre al due novembre andremo in ritiro a Godric’s Hollow.”
   La ragazza capì immediatamente che il suo sospetto era reale; si voltò di scatto ma finì dritta contro un muro d’aria. Pansy Parkinson teneva la bacchetta alzata, mantenendo attivo il proprio Sortilegio Scudo.
   “Godric’s Hollow, capisci? Proprio il trentuno. Io non posso andarci, Gin. Non ce la faccio.”
   Daphne continuava a leggere la lettera di Harry con un tono volutamente acuto e smielato.
   “Taci!” gridò Ginny prima di riuscire a pensare, scatenando le risate delle tre Serpeverde.
   “Fa troppo male, Gin, non posso andarci. Non senza di te” proseguì la Greengrass scimmiottando un pianto disperato. Ginny non ci vide più: salì sulla propria scopa, scalciò e prese quota, ignorando le urla di Madama Bumb che la diffidava dall’alzarsi in volo.
   Ad una certa altezza questo maledetto Sortilegio Scudo deve pur finire!
   Ginny vide la Parkinson alzare la propria bacchetta per ripetere l’Incantesimo, ma lei fu più veloce e la Disarmò con precisione. Scese in picchiata dritta sulla scalinata dove era seduta Daphne, che cercò di alzarsi in piedi. Ma era troppo tardi: Ginny le era già piombata addosso e le aveva strappato la lettera di Harry dalle mani. Accecata dalla rabbia, caricò il braccio destro e sferrò un pugno dritto sul naso della Greengrass, che urlò a pieni polmoni mentre il sangue si riversava a fiotti su quel bel faccino e sulla divisa immacolata.
 
   “La peggior rissa nel campo da Quidditch di Hogwarts da… da…” la McGranitt era talmente infuriata da non riuscire a trovare le parole adatte, mentre camminava rabbiosamente avanti ed indietro lungo la camerata dell’infermeria. “Da sempre!”
   Ginny si premeva una garza imbevuta di Dittamo sul labbro sanguinante, chiusa in un silenzio tetro; seduti sui letti di fianco, i membri del resto della squadra non sembravano in condizioni migliori: Dean, un ghigno che trasmetteva tutt’altro che pentimento, si teneva una bistecca su un occhio, Demelza e Peaks si reggevano un braccio fasciato, mentre la piccola Julliet aspettava che Madama Chips venisse a sistemarle un paio di denti rotti. Dopo che Ginny aveva tirato il primo pugno alla Greengrass, gli altri Grifondoro si erano lanciati nella mischia a sostenere il proprio Capitano. Inutile aggiungere che la partita era stata sospesa ancor prima di iniziare e Grifondoro aveva perso a tavolino, con una penalità che sarebbe rimasta negli annali.
   “Da te proprio non me lo aspettavo, signorina Weasley! E da nessuno di voi altri!” sbraitò la Preside indicando ognuno di loro. “Avete idea di quanti punti dovrò togliere a Grifondoro per questa… bravata?”
   “Bravata?!” Ginny scattò in piedi. “Professoressa, che cosa avrei dovuto fare? Quelle…” evitò di dire la parola che aveva sulla punta della lingua, le sarebbe costato almeno altri venti punti. “… ragazze hanno rubato la mia corrispondenza personale e hanno sbattuto in piazza…”
   Non riuscì a terminare la frase, ma si limitò ad agitare la mano nel vuoto, impotente. La McGranitt dilatò le narici e strinse le labbra, le mani piantate sui fianchi; sospirò a fondo poi riprese a parlare con più calma.
   “La signorina Greengrass e le sue compagne hanno commesso un fatto grave, davvero grave, e state tutti certi che non la passeranno liscia. Sarà mia premura far desistere ognuna di loro dal farsi venire idee del genere in futuro.”
   E se la McGranitt faceva una promessa del genere, c’era da star certi che l’avrebbe mantenuta.
   “Tuttavia, non c’è nulla che vi dia il diritto di mettere le mani addosso a chi che sia! Siete tutti in punizione, a tempo indeterminato. Presentatevi alla professoressa Caporal, deciderà lei quale sarà il trattamento più idoneo a un branco di adolescenti maneschi.” Fece una piccola pausa, poi aggiunse: “Thomas, tu aspettami nel mio studio. Ti raggiungerò lì con la professoressa Caporal.”
   La Preside congedò la squadra di Quidditch con un gesto brusco della mano; Julliet trotterellò verso l’ufficio di Madama Chips, mentre gli altri presero la via dell’uscita strascicando i piedi. Dean rimase per qualche momento impietrito al centro dell’infermeria, finché Abercrombe gli passò accanto e gli diede una pacca sulla spalla, incoraggiandolo ad uscire con il resto dei loro compagni. Demelza lanciò un ultimo sguardo a Ginny, come per chiederle se fosse davvero certa di fare quello che stava per fare; Ginny annuì e Demelza si voltò verso la porta.
   “Professoressa?”
   Estrasse dalla tasca della divisa la lettera di Harry, strappata in diversi punti e completamente stroppicciata.
   “Cosa c’è ancora, signorina Weasley?”
   “Ho… ho bisogno di un permesso per uscire dalla scuola.”
   La McGranitt alzò le sopracciglia così tanto che scomparvero sotto il cappello a punta.
   “Cosa ti fa credere che io ti accorderò una cosa simile?”
   “Il fatto che lei voglia bene a Harry.”
 
 
 
 
31 ottobre 1998
 
 
Hogwarts
 
   Quando Hermione e Ginny entrarono nell’Ufficio della Preside ad aspettarle c’erano solo Ernie Macmillan e Neville, che teneva tra le braccia quella che sembrava una piccola serra cilindrica dal vetro opaco; parlavano piano tra di loro, come se temessero di svegliare i ritratti dei Presidi che sonnecchiavano nelle loro cornici.
   “Non sono ancora arrivati i Prefetti?” chiese Hermione ad Ernie, saltando i convenevoli a pié pari; il ragazzo scosse la testa e lei sbuffò. “Li ho dovuto minacciare di turni pessimi fino a Natale perché cedessero.”
   “Come si può dar loro torto?” disse bonariamente Ernie. “E’ il primo fine settimana a Hogsmeade e li constringiamo a rientrare prima, certo, per un motivo importante, ma…”
   “E’ solo una cerimonia pomposa” sentenziò Ginny, le braccia strettamente incrociate.
   “E’ un anniversario importante” ribadì Ernie gonfiando il petto. “Ed è un onore per tutti noi essere stati scelti per far parte della delegazione di Hogwarts che vi parteciperà.”
   “Come no.”
   Una ragazza dai ricci rossastri stava facendo il suo ingresso nello Studio con l’espressione contrariata; Ginny non la conosceva, ma il distintivo appuntato sulla divisa la identificava come un Prefetto di Serpeverde.
   “Piantala, Phedra” disse bruscamente Micah Brocklehurst, Prefetto di Corvonero, emergendo dalla scala a chiocciola a poca distanza da lei. “Non sei l’unica a cui è saltato un impegno romantico oggi.”
   Phedra si fermò in mezzo alla stanza e osservò il piccolo gruppo davanti a lei con attenzione, come se stesse cercando di analizzare i ragazzi uno per uno; le sue narici si allargarono di poco prima che lei riprendesse a parlare.
   “Come mai così tanti Grifondoro? Cos’è, una festicciola privata?”
   “No, signorina Fawley” a rispondere fu la professoressa McGranitt, entrando nell’Ufficio da una porta laterale. “Lena Shacklebolt ci ha chiesto una delegazione che rappresentasse tutte le Case di Hogwarts e così è: i due Caposcuola per Tassorosso e Grifondoro, un Prefetto di Corvonero e uno di Serpeverde.”
   La Preside si allacciò il mantello da viaggio sotto al collo e sistemò ombrello e borsa su un braccio, ma Phedra non aveva intenzione di chiudere lì il discorso.
   “Paciock?” chiese con il peggior tono di voce che riuscì a trovare.
   “Il professor Paciock” sottolineò la McGranitt guardando la studentessa dritta negli occhi. “Rimarrà a Hogwarts, è solo venuto a salutare i suoi amici.”
   “E la Weasley?” rincarò la ragazza; Ginny sentì bollire lo stomaco di irritazione, ma leggeva perfettamente in faccia alla McGranitt la tensione che precedeva l’assegnazione di una punizione – insomma, era solo questione di tempo. Phedra non doveva aver colto i segnali di pericolo, perché continuò imperterrita la sua catilinaria: “Lei non è un Prefetto, né tanto meno un insegnante, questo è un bel favoritismo verso Grifondoro! Non credo che il professor Lumacorno ne sarà contento.”
   La McGranitt fece qualche passo verso Phedra e reclinò la testa leggermente verso destra, come se quella conversazione stesse prendendo una piega particolarmente interessante.
   “Non è un favoritismo verso Grifondoro, signorina Fawley, è un favoritismo verso il ragazzo che ha salvato il mondo magico e che in una sera come questa vorebbe avere di fianco una persona importante. Se questo ti dà in qualche modo fastidio, potrai certamente parlarne con il Direttore della tua Casa, sono sicura che saprà come farti riflettere sui tuoi sentimenti. Almeno per una settimana, direi. Signor Macmillan per favore al nostro ritorno ricordami di mandare una lettera al professor Lumacorno in merito.”
   La Preside voltò le spalle a Phedra e si diresse verso il camino, dove il fuoco scoppiettava già da un po’; prese una manciata di Polvere Volante e si rivolse a Hermione.
   “Signorina Granger controlla che tutti partano senza altre discussioni e raggiungici per ultima.”
   La professoressa scambiò un cenno di intesa con Hermione, poi avanzò tra le fiamme divenute verde smeraldo e disse con voce chiara:
   “Il rubino nella spada!”
   Quella era la piccola ma unica locanda di maghi di Godric’s Hollow in cui soggiornavano le Reclute Auror. Il nome richiamava ovviamente Godric Grifondoro e la sua spada, come del resto tutto in quel paese, dalla Farmacia al negozio di vesti; e quello che non era intitolato al fondatore era intitolato ai Potter.
   Ginny trasse un profondo respiro mentre osservava Hermione berciare contro Phedra e convincerla ad entrare nel camino; un giorno, Ginny ne era sicura, la sua amica sarebbe stata a capo di un qualche ufficio e davvero non invidiava i suoi futuri sottoposti.
   Con la coda dell’occhio vide Neville avvicinarsi e si voltò verso di lui, facendo del suo meglio per sorridere; il ragazzo le allungò quella specie di serra che teneva in mano e lei lo guardò perplesso.
   “Per Harry” disse Neville semplicemente. “Sono gigli, li ho incantati… insomma, ho trovato un Incantesimo carino che li farà sopravvivere praticamente a qualsiasi clima.” Si interruppe un attimo, cercando di capire se Ginny avesse colto il senso di quel gesto, e proseguì: “Sai, per i genitori di Harry. Banale?”
   Ginny prese tra le braccia il regalo del ragazzo e scosse la testa, non sapeva davvero come rispondere.
   “Grazie” disse alla serra. “Sono sicura che lo apprezzerà.”
   Si voltò verso il camino e si accorse di essere l’ultima; sorrise ancora una volta a Neville e si affrettò a raggiungere Hermione.
 
 
 
Godric’s Hollow, Il rubino nella spada
 
   La piccola stanza era ricoperta di legno dal pavimento al soffitto ed era illuminata solo dal camino collegato alla Metropolvere; Minerva avanzò con cautela oltre le fiamme verdi sul tappetto consunto e dal colore indefinibile, togliendosi un po’ di fuliggine dal braccio sinistro con un gesto automatico. A dispetto di quanto la sua espressione dura probabilmente trasmetteva, la Preside era piuttosto agitata per ciò che la aspettava quella sera: aveva una serie di cose importanti da fare, una più difficile dell’altra, ma erano tutte necessarie.
   “Benvenuta, professoressa.”
   Roy Leatherman fece qualche passo ed entrò nel cerchio di luce del caminetto, porgendole una mano per aiutarla, mano che Minerva ignorò.
   “Da quanti anni non mi chiami più così, Leatherman?” rispose bruscamente. “Piantala con i convenevoli e torniamo alle vecchie abitudini.”
   Roy esibì un ghigno divertito, dando prova di apprezzare il caratteraccio della sua vecchia insegnante di Trasfigurazione come il primo giorno. Un’altra ombra avanzò nel cerchio di luce e Minerva fu in grado di vedere una sorridente Lena Shacklebolt; come Leatherman, indossava l’alta uniforme da Auror, con il simbolo del dipartimento ricamato a filo d’oro sulla parte sinistra del petto e, appena sotto, le due bacchette, una più piccola che ne incrociava una più grande, che la identificavano come Istruttrice di Reclute.
   “Che piacere averti qui, Minerva” disse Lena con calore. “Credo che sia molto importante la presenza dei ragazzi a questa cerimonia.”
   Minerva strinse le labbra e si limitò ad annuire; Lena cercò di attirarla a sé per un abbraccio, ma ottenne solo una cauta pacca sulla spalla.
   “Kingsley sarà qui a momenti” proseguì la donna come se nulla fosse successo. “Penso che in questo momento Harry abbia bisogno di un segno tangibile del sostengo del Ministero” Lena alzò una mano e cominciò a contare sulla punta delle dita mentre parlava. “Dopo essere stato bollato come pazzo, essere stato usato e poi perseguitato come Indesiderabile numero uno, direi che una cerimonia in onore dei suoi genitori sia il minimo che il Ministero possa offrirgli.”
   Usato, perseguitato… Lena faceva sembrare tutto un gioco leggero, un piccolo incidente che poteva capitare a chiunque – o forse era solo il nervosismo di Minerva a parlare, mescolato ai ricordi della studentessa Serpeverde che era riuscita a non farsi mai togliere nemmeno un punto in sette anni, nonostante non fosse di certo la pacata ragazza che voleva far credere.
   “Spero davvero che la cosa possa aiutare Harry” ribatté atona la professoressa.
   Le fiamme del camino virarono nuovamente al verde e gli studenti fecero il loro ingresso nella stanzetta, uno dopo l’altro, rendendola via via sempre più affollata. Quando Hermione chiuse la piccola processione l’aria sembrò diventare praticamente irrespirabile.
   “Benvenuti” trillò Lena alzandosi sulle punte dei piedi cercando di guardare tutti i ragazzi contemporaneamente. “Se volete seguirmi, sono certa che le Reclute non vedono l’ora di salutare la delegazione di Hogwarts!”
   Gli Istruttori fecero strada fuori dalla stanza lungo un corridoio fino a raggiungere una porta oltre la quale si apriva una sala lunga ed ingombra di tavoli disposti alla bell’e meglio. Nell’angolo più lontano c’era un bancone alto dietro il quale un mago corpulento, probabilmente il proprietario de Il rubino nella spada, puliva pigramente una serie di bicchieri a colpi di bacchetta, intento più che altro a sbirciare platealmente il gruppo di Reclute poco distante da lui. Minerva si soffermò brevemente con lo sguardo su ognuno dei ragazzi: ricordava bene Micheal O’Leary, che già al quarto anno aveva cominciato a sperimentare nuovi incantesimi e che aveva fatto andare in brodo di giuggiole Vitious; così come era impossibile dimenticare Sybill Major, la Legillimens più giovane che Minerva avesse mai visto nelle sue classi e particolarmente ostinata nell’uso delle proprie capacità durante i compiti in classe. Aveva ricordi più vaghi degli altri studenti, così come probabilmente sarebbe successo per Hannah Abbott, se non fosse stata parte attiva della resistenza contro i Mangiamorte a Hogwarts. Quasi dovette costringersi a guardare Harry, impassibile in un angolo vicino a Ronald; Minerva percepì uno spostamento d’aria quando Ginevra le passò di fianco correndo verso il suo ragazzo per stringerlo in un abbraccio silenzioso. Agiva d’istinto, la piccola Weasley, senza pensare a cosa gli altri avrebbero pensato o a cosa fosse più opportuno; adorava quella ragazzina e non poteva nasconderselo.
   Gli altri studenti di Hogwarts si avviarono a salutare i loro vecchi compagni e Hermione raggiunse Ronald con la calma che richiedeva il suo ruolo di Caposcuola; Minerva approfittò di quel momento in cui tutti erano distratti per incrociare uno sguardo che sapeva essere puntato su di lei: come aveva immaginato, Theodore la stava guardando da un angolo della sala, le braccia incrociate. La Preside lo fissò per qualche momento, poi fece un cenno con la testa e lo invitò a raggiungerlo in corridoio.
 
   Minerva si era fermata sotto una delle lampade ad olio appese ad intervalli regolari lungo le pareti, in modo da poter studiare Theodore alla luce diretta: le guance erano più piene di come le ricordava, il colore un po’ più acceso, le braccia, fasciate nella divisa da Recluta invece che nella solita veste nera, sembravano più robuste. Insomma, nel complesso il ragazzo appariva… sano.
   “Come stai?” chiese infine Minerva; solo prima di rispondere Theodore alzò gli occhi dal pavimento per guardarla.
   “Bene.”
   “Il dolore?”
   Theodore tirò i polsini della veste fino a coprire i palmi e si passò velocemente le nocche sull’avambraccio sinistro, prima di incrociare le braccia a disagio.
   “Meglio. La pozione del suo Guaritore mi aiuta. Specialmente di notte.”
   Minerva annuì; la cosa avrebbe dovuto sollevarla, ma per qualche ragione non fu così.
   “Ti sei fatto degli amici?”
   Theodore alzò un sopracciglio e per un attimo sembrò di nuovo lo spocchioso Purosangue che discuteva con Minerva quando lei gli toglieva i punti per le pessime battute che si permetteva di fare nei corridoi, quando pensava che nessuno lo sentisse.
   “Sono un Nott in mezzo a dei fan sfegatati dei Mangiamorte, che tipo di amici vuole che mi sia fatto?”
   “Ti stanno dando problemi?”
   Theodore scrollò le spalle.
   “Niente di importante.”
   “Vuoi che parli con gli Istruttori?”
   “Professoressa, me la cavo da solo!”
   Un silenzio teso di dilatò velocemente tra i due, il ragazzo teneva di nuovo gli occhi su un punto imprecisato del pavimento, ma poi fu lui a parlare di nuovo.
   “In realtà… una specie di amico ce l’ho.”
   “Davvero?”
   Minerva si aspettava una bugia detta solo per rabbonirla, ma una piccola parte di lei sperava che fosse la verità.
   “Potter. E beh, di conseguenza Weasley.”
   La professoressa si lasciò scappare un debole sorriso. Harry. Certo, chi altri se non lui? Harry avrebbe fatto amicizia con Grindenwald in persona se avesse sospettato una storia tormentata dietro alla faccenda del Bene Superiore.
   Leatherman fece capolino dalla porta alle spalle di Theodore, con l’aria perplessa, poi raggiunse i due al centro del corridoio; guardò prima uno, poi l’altra finché Minerva non si decise a congedare Nott.
   “Vorrei parlare un momento con l’Istruttore Leatherman, ti dispiace Theodore?”
   Il ragazzo annuì e si avviò verso la sala; Minerva avrebbe voluto dire qualcosa di più, ma ancora una volta fu lui ad anticiparla: era già con la mano sulla maniglia della porta quando si voltò verso di lei e sillabò un grazie. La professoressa sbatté più volte le palpebre e si costrinse a concentrarsi su Leatherman.
   “Si sta cacciando nei guai?” chiese bruscamente.
   “Almeno una volta a settimana” rispose Roy con il suo ghigno poco rassicurante.
   “Devo preoccuparmi?”
   “Non devi. E’ tutto a posto. Niente che non si possa risolvere con un po’ di lavori domestici senza bacchetta.”
   Minerva strinse le labbra e lo sguardo le ricadde sulla porta nella quale era entrato Theodore pochi momenti prima. Leatherman cambiò posizione e argomento.
   “Il tuo gufo diceva che hai bisogno di aiuto; quindi eccomi, come posso aiutarti, cara professoressa?”
   “C’è stata la prima partita di Quidditch, a Hogwarts. Grifondoro contro Serpeverde.”
   “Dimmi che è finita bene.”
   Lo sguardo che si beccò Leatherman avrebbe tagliato il portone di ingresso di Hogwarts; Minerva riassunse brevemente il disastroso incontro.
   “Ho dovuto mettere tutta la squadra di Grifondoro e metà del Dormitorio femminile di Serpeverde in punizione” concluse. “Ma ho dovuto fare anche un’altra cosa.” Spostò il peso da un piede all’altro e proseguì: “Uno dei miei studenti aveva già aggredito una volta alcuni compagni Serpeverde. Era stato avvisato che se lo avesse rifatto le conseguenze sarebbero state gravi. Ho dovuto sospenderlo per un mese.”
   Leatherman inarcò le sopracciglia, ma non diede altro segno di particolare sconvolgimento e lasciò che la professoressa continuasse.
   “E’ un Nato Babbano, ha vissuto in clandestinità per tutto l’ultimo anno e ha… grossi problemi nel gestire la sua rabbia” disse Minerva tutto d’un fiato, alzando finalmente gli occhi su Roy, che di nuovo sfoggiò quel suo sorriso beffardo.
   “Ed ecco che entro in scena io!” commentò a mezza voce. La professoressa estrasse dal mantello una busta sigillata, indirizzata ai signori Thomas, e la porse all’uomo.
   “Qui c’è scritto chi sei e perché ti mando da loro figlio. Temo seriamente che un mese lontano da Hogwarts, da solo a rimuginare sul suo dolore, lo potrebbe spezzare. Ma se tu gli mostrassi… non lo so, quello che ti pare, che c’è un modo per uscirne, che passerà… allora, forse…”
   Minerva si rese conto che la sua mano tremava e rinsaldò la presa sulla busta. Leatherman prese la lettera, la guardò a lungo, poi la ripose con cura nella veste.
   “Non puoi salvarli tutti” sussurrò Roy; la donna sentì le lacrime riempirle gli occhi, ma le ricacciò indietro a forza.
   “No” ammise. “Ma almeno posso provarci.”
 
 
 
Godric’s Hollow, Casa Potter
 
   La porzione di strada davanti a casa Potter era presidiata strettamente da un piccolo gruppo di Auror, che avevano evocato una sorta di barriera magica con la doppia funzione di celare la cerimonia agli occhi babbani e di evitare l’ingresso di maghi non graditi. Oltre alle Reclute Auror e ai pochi studenti di Hogwarts, alla cerimonia in ricordo di James e Lily Potter erano presenti una cinquantina di maghi e streghe, per lo più dipendenti del Ministero, sospettava Harry, anche se aveva visto spuntare tra le teste l’inconfondibile cappello di Augusta Paciock; forse dopo la cerimonia ci sarebbe stato tempo per salutarla. Sopra un piccolo palco che dava le spalle a casa Potter si susseguirono per quelle che a Harry sembrarono ore tutte le autorità del caso: prima Lena, che aveva dato il via ufficiale al ritiro delle Reclute Auror, poi Frank Prewett e infine Kingsley, che si dilungò in un discorso sulle virtù umane che Harry smise di seguire molto presto.
   I pensieri naufragarono inevitabilmente sui ricordi della sua prima visita a Godric’s Hollow, tanto che riusciva ancora sentire un lieve moto di panico, residuo della paura di quei momenti concitati in cui lui e Hermione avevano scoperto per caso quelle macerie, poco prima di accorgersi di essere seguiti. Harry lasciò che lo sguardo si perdesse su casa Potter, su quella che era stata la sua casa; nella penombra del tramonto si ritrovò ad osservare con attenzione i particolari, tutte quelle piccole cose che non aveva avuto il tempo di vedere la prima volta che era stato lì: il brandello di carta da parati scolorita che si intravvedeva al primo piano, il disegno morbido che ornava il cancello, il semplice decoro di quello che rimaneva della porta di ingresso. Poteva quasi vederla, sua madre, sulla soglia di casa con un bambino in braccio e un gatto rosso che faceva capolino tra le caviglie.
   Capì di aver esagerato e si costrinse a concentrarsi su ciò che in quel momento gli sembrava l’unica cosa reale: la mano di Ginny, stretta nella sua, e vi si aggrappò come ad un salvagente in mare aperto.
   Ginny cambiò posizione di fianco a lui e Harry si riscosse, accorgendosi che stava salendo sul piccolo palco la delegazione di Hogwarts; la professoressa McGranitt si limitò a presentare i quattro studenti, che accesero quattro simboliche candele dei quattro colori rappresentativi delle Case, poi le lasciarono fluttuare davanti a loro in un minuto di raccoglimento.
   Harry lasciò la mano di Ginny e le passò un braccio attorno alle spalle, stringedola a sé: aveva paura di quel silenzio, paura dei pensieri che avrebbero potuto inverstirlo da un momento all’altro e voleva a tutti i costi tenere la mente occupata. Guardò Ron, che con il capo chino si tormentava le mani a poca distanza da loro; come se avesse percepito lo sguardo di Harry, il ragazzo alzò gli occhi su di lui per poi riabbassarli subito.
   Il minuto di silenzio finì in fretta e Kingsley congedò tutti i convenuti con altre parole altisonanti; Harry si staccò da Ginny e lasciò che il brusio della folla che si disperdeva gli riempisse le orecchie, grato di avere qualcosa su cui concentrarsi. Quasi tutte le altre Reclute si erano riunite sotto al palco, stretti come uccellini su un ramo attorno a Lena che parlava sorridente come se fosse appena terminato un ballo di gala particolarmente piacevole. Harry notò Theodore a poca distanza da Ron, le braccia incrociate, chiaramente indeciso se unirsi a loro o no; Hermione gli passò accanto senza nemmeno vederlo e mise una mano sulla spalla di Ron, sospirando.
   “E’ finita” esalò togliendosi lo spillone che le teneva fermi i capelli in una crocchia ordinata; scosse la testa un paio di volte, passandosi le dita tra le ciocche crespe, poi fece scorrere lo sguardo sui propri amici. “Andiamo a mangiare qualcosa? Non so voi, ma io non ho voglia di rimanere qui un minuto di più.”
   Ginny si voltò verso Harry, attendendo la sua risposta; il ragazzo annuì.
   “Andate avanti, noi… ci fermiamo un attimo al…”
   “Sì” si affrettò a rispondere Hermione, come se volesse risparmiargli la fatica di dire cimitero; ma Harry era perfettamente in grado di dirlo. Forse. La ragazza si voltò e si incamminò, ma Ron rimase lì impalato a guardarsi i piedi.
   “Harry, mi dispiace” bisbigliò senza alzare lo sguardo.
   “Ti dispiace?” ripeté Harry senza capire di che cosa l’amico stesse parlando.
   “Siete venuti qui, tu e Hermione, e io non c’ero” borbottò Ron. “Per te era importante. L’hai detto tante di quelle volte, ma non ti ho mai dato retta. Non volevo venirci.”
   “Era un’idea stupida” Harry sentì le proprie parole lontane, come se le stesse pronunciando qualcun altro. “E ci ho quasi lasciato le penne.”
   Lanciò uno sguardo velocissimo a Hermione, che si era fermata a poca distanza da Ron e ascoltava la conversazione con le mani premute sullo stomaco.
   “Senti, è acqua passata, Ron. Io non ci penso più e dovresti farlo anche tu.”
   Il ragazzo teneva ancora lo sguardo basso e non sembrava per nulla convinto di quello che gli stava dicendo Harry.
   “L’unica cosa di cui ho bisogno” proseguì con una punta di impazienza. “E’ di un amico che mi faccia ridere quando torneremo dal…” deglutì e si costrinse a dirlo. “Cimitero.”
   Ron finalmente guardò Harry e annuì; si voltò senza aggiungere altro, prese per mano Hermione e si incamminò verso la locanda; Nott era ancora in indecisa attesa a pochi passi da loro, ma bastò un semplice cenno della testa di Ron per fargli capire che anche lui era il benvenuto.
 
   L’erba umida si piegava senza far rumore sotto i passi dei due ragazzi, che avanzavano tra le lapidi sconosciute mano nella mano, senza dire nulla. Harry si sorprese a pensare che il cimitero di Godric’s Hollow senza neve sembrava quasi un posto diverso, tanto che risultò non facile ritrovare l’esatto punto dove erano sepolti i suoi genitori; ma la loro lapide, bianca e silenziosa, era ancora lì, due file dopo quella di Kendra e Ariana Silente, come se per quasi un anno non avesse fatto altro che aspettarlo.
   Dovrei essere qui anch’io.
   Se tutto fosse andato come si era prefigurato Silente, i nomi sul marmo bianco avrebbero dovuto essere tre quella sera; per un attimo vide il proprio nome inciso sotto quello dei suoi genitori, una cerimonia pomposa in onore di tutta la famiglia Potter al completo, e vide Ginny, da sola davanti a quella stessa lapide, in lacrime.
   Harry scosse bruscamente la testa e di nuovo cinse le spalle di Ginny con un braccio; lei sgusciò delicatamente dalla sua presa e appoggiò con cura il regalo di Neville ai propri piedi, poi gli prese il volto con entrambe le mani e lo fissò dritto negli occhi, seria. Non piangeva – non piangeva mai, la sua Gin – ma era tesa e preoccupata. Harry appoggiò una mano su una delle sue e tentò un sorriso.
   “Non fare finta di stare bene, non con me, Potter” sibilò Ginny aggrottando la fronte. “Sei rimasto impassibile come un pezzo di marmo per tutta la sera, ma io non me la bevo.”
   “Che cosa avrei dovuto fare?”
   A Harry venne da ridere e staccò le mani di lei dalle sue guance, stringendole entrambe.
   “Avrei dovuto piangere e strapparmi i capelli in mezzo alla folla? La Shacklebolt ci sarebbe rimasta troppo male, ha organizzato tutto questo per sostenermi” calcò sull’ultmia parola con marcata ironia e a quel punto anche Ginny rise sommessamente insieme a lui.
   Qualcuno tossì alle spalle di Harry, come per attirare l’attenzione; il ragazzo si voltò di scatto, improvvisamente spaventato, estraendo la bacchetta senza nemmeno accorgersi di averlo fatto.
   “Che diavolo…?”
   Non riuscì a trattenere lo stupore riconoscendo la figura esile di una donna dal collo lungo e dai fini capelli biondi, che avanzava verso di loro nel buio incerto dell’autunno con una scatola stretta al petto.
   “Ciao Harry” disse zia Petunia fissandolo con quel certo disprezzo che gli aveva sempre riservato; lanciò uno sguardo veloce anche a Ginny.
   “Ciao zia.”
   “E’ tua zia? Quella zia?” chiese la ragazza senza preoccuparsi di quanto suonasse male quella frase.
   “Sì, è lei” rispose Harry. “Zia, lei è Ginny, la mia…”
   “E’ una di voi, vero?” Petunia non lasciò nemmeno il tempo a Harry di terminare la frase, il disgusto si era già dipinto con chiarezza sul suo volto. Il ragazzo annuì.
   “Non credere che sia venuta a trovare lei” dichiarò la donna accennando alla lapide bianca. “Ho solo pensato che, se tu fossi stato ancora vivo, oggi avresti potuto essere qui. Sono venuta anche l’anno scorso, ma non c’eri” gli scoccò uno sguardo di rimprovero, come se Harry avesse mancato un appuntamento che avevano fissato da tempo. “Così mi sono concessa un ultimo tentativo quest’anno.”
   Petunia rimase a labbra strette per qualche momento, mentre Harry si limitava ad aspettare.
   “Volevo ridarti questa.”
   La donna gli allungò la scatola e la lasciò nel momento in cui il ragazzo la prese tra le braccia; Harry aprì con cautela il coperchio e inarcò le sopracciglia quando vide il contenuto: una copertina da bambino, azzurra con decori blu e gialli a forma di stelle. Alzò lo sguardo perplesso sulla zia, che lo fissava a narici dilatate.
   “E’ la coperta in cui eri avvolto” spiegò sbrigativamente Petunia.
   Harry provò l’improvviso impulso di portarsi quella copertina al volto e annusarla, come se dopo diciasette anni potesse ancora portare intriso l’odore dei suoi genitori, o della sua casa, o qualche pelo rossiccio del loro gatto. Qualunque cosa.
   “Grazie” sussurrò il ragazzo, colpito, ma Petunia strinse le labbra ancora di più.
   “Non ringraziarmi. Voglio che tu sparisca dalla nostra vita definitivamente. L’ultima cosa che ci era rimasta in casa era quella coperta.”
   Harry sentì Ginny muoversi inquieta al suo fianco e le lanciò uno sguardo eloquente, che lei ricambiò indispettita: avrebbe voluto dire qualcosa, qualcosa di non molto gentile a giudicare dall’espressione, ma Harry sapeva di potersela cavare, non aveva nessun bisogno di essere protetto.
   “Questo è un addio, Harry” Petunia sottolineò il concetto drizzando il lungo collo; si stava già voltando verso l’uscita del cimitero, quando Ginny non riuscì più a trattenersi.
   “Non gli ha nemmeno chiesto cosa è successo nell’ultimo anno!” gridò; Petunia si girò nuovamente e osservò la ragazza con freddezza. “Non sa nemmeno…”
   “Oooh, io ne so abbastanza su di voi!”
   La donna aveva alzato la voce per sovrastare quella di Ginny e le guance le si erano congestionate, due tondi rossi sulla pelle diafana.
  “Tu” sibilò rivolgendosi nuovamente a Harry. “Tu forse credi che io sia cattiva, che abbia odiato te e quelli come te solo per il gusto di farlo. Oh certo, ho sempre saputo che in voi c’è qualcosa che non va, ma ho avuto la certezza che quel qualcosa è malvagio la notte in cui hanno ucciso i miei genitori.”
   Harry sbatté le palpebre, accusando la notizia come un pugno nello stomaco; sapeva che gli unici parenti in vita era i Dursley, ma nessuno si era mai preso la briga di spiegargli che fine avevano fatto i suoi nonni materni, né lui aveva mai osato chiedere qualcosa, visto le risposte che gli venivano date sui genitori. All’improvviso sentì un folle senso di comunanza con sua zia: entrambi erano orfani, ed entrambi lo erano diventati in modo violento. Voleva chiedere di più, ma non fu necessario: Petunia iniziò il suo racconto livida di rabbia, sputando le parole come veleno.
   “I poliziotti che li trovarono, la sera del quindici gennaio 1981, non sapevano spiegarsi come due brave persone in salute potessero essere morte, senza segni di violenza; disposero le autopsie e i medici dissero che era stata una sfortunata coincidenza, un infarto, per entrambi, nella stessa notte. Era una storia quasi romantica!” la voce di Petunia si incrinò sotto il rancore accumulato negli anni. “E io seppellii, da sola, mio padre e mia madre in quella convinzione, senza che lei si degnasse anche solo di mandare un telegramma!”
   Con un gesto lento, quasi impercettibile, Ginny fece scivolare la mano in quella di Harry e strinse disperatamente.
   “Ma si fece viva, qualche giorno dopo il funerale. Mi mandò una lettera, piena di parole tristi e di scuse. Scuse! Come se fosse sufficiente chiedere scusa!”
   Qualcosa brillò sulla guancia di Petunia nella luce dei lampioni lontani e Harry si accorse con una certa sorpresa che era una lacrima; non pensava avrebbe mai visto sua zia piangere.
   “In due paginette di bella grafia mi comunicò che dei maghi cattivi stavano dando la caccia a lei e alla sua famigliola nuova di zecca. E così si doveva nascondere. Ma ahimé! I maghi cattivi erano riusciti a scoprire dove abitavano i suoi genitori ed avevano pensato bene di cominciare la loro ricerca da lì, non si sa mai che Lily si fosse rifugiata da loro!”
   Petunia urlava, completamente in preda alla rabbia.
   “Non era stato un infarto. Sono stati torturati per sapere dove diavoli fosse mia sorella. Ma non potevano saperlo, non potevano! Alla fine, solo alla fine, sono stati uccisi e lasciati a marcire!”
   Harry non sapeva cosa dire, non sapeva nemmeno cosa pensare; si sentiva svuotato e sfibrato, come un calzino vecchio che non serve più a niente.
   “Lei” ripeté ancora una volta Petunia come se stesse parlando di una perfetta sconosciuta e non di sua sorella. “Lei e quello spostato di tuo padre si erano infilati in questa… in questa guerra, che non ci riguardava minimamente. Ma lei doveva fare l’eroina, certo, doveva mettersi in mostra!”
   Petunia si strinse le braccia attorno al corpo e abbassò finalmente lo sguardo, respirando affannosamente; velocemente come si era scaldata, si ricompose e rialzò gli occhi su Harry, allungando di nuovo il collo.
   “Ti ho dato l’ultima cosa che ti apparteneva. Sta lontano dalla mia famiglia, da tutta la mia famiglia, per sempre.”
   Si voltò e raggiunse a passi veloci l’uscita del cimitero.
   “Harry” sussurrò Ginny, ma lui lasciò la sua mano e si chinò verso i fiori che gli aveva mandato Neville.
   “Non importa” bisbigliò scrollando le spalle.
   “Harry, non è colpa tua. Non è colpa di tua madre, lo sai.”
   “Lo so. Ginny, va tutto bene.”
   “No, non va tutto bene!”
   Qualcosa nel tono di voce di Ginny spinse Harry a guardarla: stava piangendo. Lasciò perdere i fiori e si rialzò, mentre lei gesticolava come un Fata intrappolata in un barattolo, trattenendosi a stento dal gridare ogni parola.
   “Non c’è niente che vada bene! Non è giusto! Non c’è un bel niente di giusto. Quella donna non sa nulla, ti ha reso la vita un inferno e invece di scusarsi non fa che riempirti di…”
   Harry la abbracciò, cullandola appena tra le sue braccia.
   “Lo so. Ma è così e basta.”
   Il ragazzo si staccò da lei quel tanto che bastava per guardarla negli occhi.
   “Adesso ho bisogno di te. Ho bisogno che tu mi aiuti con questi gigli. Dobbiamo piantarli davanti alla lapide, voglio che tutti li vedano sempre. Mi aiuterai?”
   “Certo” soffiò Ginny asciugandosi le lacrime con il dorso della mano.
   Harry e Ginny si chinarono davanti alla lapide di James e Lily Potter e con gesti lenti, calmi, misurati trapiantarono i fiori bianchi nel terreno umido, un po’ aiutandosi con la bacchetta, un po’ lavorando con le mani. Harry si impose di concentrarsi con ogni cellula del proprio corpo su quelle operazioni semplici ma importanti: le lacrime sarebbero arrivate, lo sapeva, così come sarebbero arrivati la consapevolezza e il dolore, ma la cosa più importante in quel momento era piantare quei gigli, che sarebbero sopravvissuti, a detta di Neville, a qualunque clima, neve, pioggia o sole battente. Ed era importante farlo con Ginny.
 
 
 
 
 



 
 
 
 
 
 
Angolo di Gin
Eeee che questo capitolo fosse una tragedia annunciata lo sapevamo. Di quei bei drammoni a me tanto cari. Non deludo mai su quelli – sempre che il genere drammone piaccia, s’intende!
 
Dunque, ho un po’ di ansia su questo capitolo per una serie di motivi:
  1. Un giusto consiglio mi ha messo il pepe a scrivere, ma ho il timore di non aver riletto abbastanza, quindi se ci sono errori incongruenze o bestemmie letterarie segnalatemele pls!
  2. La mia versione dell’odio covato negli anni da Petunia me la studio da un po’ – ma non per questo ho un po’ di tremarella per le opinions. A mio modesto parere uno non può essere incattivito così tanto per anni contro un bambino senza un motivo veramente valido, e quella dell’invidia per la sorella + odio verso la diversità è una storia che ho accettato fino ad un certo punto. L’omicidio di entrambi i genitori mi sembrava un motivo molto valido nonché un tassello mancante della saga che mi sono bellamente permessa di aggiungere. C’è chi mi ripete spesso che “nel mondo di Harry Potter i nonni non esistono” (ciao Sphynx) e la cosa mi è entrata nel cervello come un tarlo.
 
Ho recuperato il pezzo sulla partita Grifondoro – Serpeverde, che chiaramente in origine doveva far parte dello scorso aggiornamento, ma è finito come “prologo” di questo che c’entra anche di più, dai. Ho buttato solo qua e là Dean, ma direi che nel prossimo capitolo chiudo il cerchio anche per lui.
 
Mi sono sfogata per bene con l’idea che c’è nella mia testa di Minerva McGranitt, votata completamente ai suoi studenti tanto quanto Silente era votato alle cause giuste, anche a costo di sacrificare persone (ciao Harry).
 
Ultimo appunto: sono caduta anch’io nel solito romanticismo dei gigli, che, per chi non lo sapesse, in inglese si chiamano lily; ed è questo il motivo per cui Neville chiede a Ginny se pensa che il suo pensiero sia banale.
 
Il prossimo giro molto meno drammoni, promesso, solo uno forse, ma ci sarà un po’ più di azione.
 
Ottimo.
Non ho l’ansia.
(E’ una bugia)
Adesso pubblico.
 
Special thanks to:
aventador1, GattiP, Dawx e Ginnwsb, che per la prima volta hanno recensito lo scorso capitolo. Grazie del vostro incoraggiamento, siete preziosi!
 
Grazie come sempre di cuore anche tutti i lettori silenziosi e soprattutto a quelli non silenziosi!
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 37
*** 1° novembre 1998 – Godric’s Hollow ***


E la chiamo magia
E la chiamo verità
[…]
Dopo tutto quello che abbiamo passato
Credi ancora nella magia?
Sì, certo che sì
[…]
Non voglio nessun altro a parte te
 
Magic – Coldpaly
 
 
 
 
1° novembre 1998 – Godric’s Hollow
 
 
   Harry trattenne l’ennesimo sbadiglio e cercò di raddrizzare la schiena: la notte era stata lunga e tormentata da sogni che oscillavano dall’inquietante allo spaventoso, finché verso le cinque lui non si era deciso ad alzarsi e a farsi un giro per Godric’s Hollow in attesa che il vecchio Connolly – così Leatherman chiamava il proprietario de Il rubino nella spada – si decidesse a preparare del caffè. Caffè che per altro non era servito ad un gran ché, pensò Harry passandosi due dita sulle palpebre chiuse, sotto le lenti degli occhiali.
   Tutte le Reclute erano in fila al limitare del bosco che si spandeva a nord del paese, in attesa che gli Istruttori dessero loro istruzioni sulla prima esercitazione. Nessuno di loro era particolarmente sveglio, notò Harry con una punta di sollievo: Micheal e Roger guardavano un punto fisso davanti a loro, Hannah aveva gli occhi gonfi e Nott… beh, Nott aveva lo stesso aspetto malaticcio di sempre. Leatherman sembrava pronto a sbranare il primo che avesse aperto bocca; l’unica ad apparire in forma era la Shacklebolt, con i capelli scuri raccolti nel consueto impeccabile chignon.
   “La prima esercitazione prevede due squadre” trillò l’Istruttrice; Leatherman estrasse da sotto il mantello un sacchettino malconcio e lo passò a Kiky. “Prendete una biglia a testa” biascicò l’uomo. “E datevi una mossa.”
   “Biglia bianca, squadra Bianca, biglia nera, squadra Nera” specificò inutilmente la Shacklebolt con un sorriso mentre i ragazzi si passavano il sacchetto, fino ad arrivare ad Ella, che estrasse con un sorrisetto malizioso l’ultima biglia bianca; si guardò intorno ed osservò le due squadre: Harry, Ron e Hannah erano con lei. Il ghigno di Ella si allargò ancora mentre fissava la biglia nera tra le dita di Nott.
   “Mangiamorte contro Auror” commentò malignamente; Harry notò lo sguardo spazientito che si scambiarono i due Istruttori.
   “E tu che avevi paura che litigassero con i colori delle Case” sibilò Leatherman.
   “Le squadre sono appena diventate Arancione e Viola” disse la Shacklebolt, il sorriso più tirato, mentre con un colpo di bacchetta modificava le biglie in mano alle Reclute.
   “E tu ti scambi con Major, adesso” ringhiò Leatherman puntando un dito minaccioso verso Ella. “Non ho nessuna intenzione di assistere all’ennesima sceneggiata tra te e Nott!”
   La Fletcher aprì la bocca per protestare, ma la sua biglia aveva già preso il volo in direzione della mano di Kiky, che si strinse nelle spalle con un sorrisetto di false scuse.
   “Viola con me, Arancioni con l’Istruttore Leatherman, per favore” scandì stancamente la Shacklebolt; Harry, Ron, Hannah e Kiky si raggrupparono attorno all’uomo, che si era allontanato di alcuni metri dalla collega. Estrasse una mappa e la distese in mezzo a loro con un colpo di bacchetta.
   “Squadra, il vostro compito stamattina è quello di proteggere la vostra base, che si trova qui” indicò con la punta della bacchetta un punto in alto a destra. “E di catturare la base della squadra avversaria.”
   “Non la vedo” commentò Ron scrutando accigliato la cartina.
   “Prima dovrete scoprire dov’è. Sappiate che le caratteristiche del territorio circostante alla loro base sono simili a quelle della vostra, per cui dovreste già avere un’idea indicativa su dove cercare.”
   Harry si concentrò sul puntino colorato in arancio: si trovava in un piccolo avvallamento, protetto dalla vista diretta da una piccola altura, mentre un lato era lambito da un corso d’acqua. Non potevano essere molti i luoghi in quel bosco con caratteristiche simili.
   “La prima cosa da fare però” continuò Leatherman. “E’ trovare la vostra base e difenderla come si deve. La prima squadra che cattura la base avversaria ha vinto. Io e Lena non saremo mai troppo lontani, se vi cacciate in qualche stupido guaio solite scintille rosse e uno dei due arriva. Ma vi conviene non combinare casini alla prima esercitazione. Avete sessanta secondi per pensare a come organizzarvi, tra poco daremo il fischio di inizio.”
   Leatherman aveva già voltato loro le spalle quando Hannah si lamentò: “Solo sessanta secondi?”
   “Pensi che i Maghi Oscuri ti diano più tempo per prepararti, Abbott?” rispose l’Istruttore voltando appena la testa verso di lei. “Dopo sessanta secondi potresti già essere morta.”
   L’uomo s’incamminò verso la Shacklebolt, che aveva già il fischietto tra le labbra e gli occhi fissi su un orologio da taschino dorato.
   “La loro base potrebbe essere qui o qui” disse Harry sotto voce indicando due punti sulla mappa.
   “Oppure qui” aggiunse Ron indicandone un terzo. “Anche se il corso d’acqua è più spostato, ma vale la pena controllare.”
   “Io posso trovarli molto in fretta” disse Kiky con un sorriso pacifico. “Posso trovare le loro tracce mentali, basta ascoltare i loro pensieri.”
   Harry la guardò in tralice, le labbra strette.
   “Non è corretto.”
   “Beh, potremmo avvicinarci alle tre zone e… lasciare che Kiky controlli le loro tracce” suggerì Hannah.
   “Se fossero Mangiamorte non avremmo scrupoli ad usare la mia abilità da Legillimens” sottolineò Kiky incrociando le braccia con aria di sfida.
   “D’accordo” sospirò Harry controvoglia.
   “Io e te potremmo andare alla nostra base e usare gli Incantesimi che usava Hermione” propose Ron, con molto buon senso. “Se ce ne riescono anche solo la metà di quelli che utilizzava lei i Viola non troveranno mai la nostra base.”
   “Ottima idea” concordò Harry, tutto pur di non andare in avanguardia con Kiky e la sua bacchetta da Legillimens. “Dividiamoci: io e Ron verso la nostra base, Kiky e Hannah a controllare i tre posti che abbiamo candidato.” Lanciò un’occhiata alla squadra avversaria: Ella stava gesticolando esagitata, mentre Roger cercava forse di proporle una strategia alternativa alla sua che, conoscendo la ragazza, prevedeva sicuramente l’esplosione di qualcosa. “Incamminiamoci verso la stessa direzione e dividiamoci quando siamo fuori vista.”
   La Shacklebolt fischiò e i due gruppi di Reclute scattarono attraverso il bosco in direzioni diverse; dopo aver superato una piccola collinetta, la squadra Arancione si fermò. Con un movimento veloce della bacchetta Hannah produsse una copia della mappa che consegnò a Harry e Ron, tenendo per lei e Kiky l’originale; ragazzi e ragazze si salutarono con un cenno della testa e si divisero. I due amici camminarono a passo veloce uno accanto all’altro in silenzio per diverso tempo; Harry aveva la sgradevole sensazione di essere tornato indietro nel tempo, a quasi un anno prima, quando da fuggitivi cambiavano posto ogni giorno, e ogni giorno dovevano allestire un nuovo accampamento.
   Trovare la base non fu difficile: si trattava una piccola costruzione, che poteva tranquillamente essere il capanno delle scope dei Weasley ridipinto di arancio, che se ne stava rannicchiata di fianco ad una minuscola cascata, incastrata chiaramente a colpi di bacchetta sotto ad una roccia striminzita che la copriva a mala pena. Ron aprì la porta, che emise un cigolio che probabilmente sentì ogni abitante di Godric’s Hollow.
   “Questa dovremo insonorizzarla” commentò Ron con un sopracciglio alzato. L’interno della base Arancione era angusto e poteva ospitare a mala pena due persone in piedi – se non respiravano troppo profondamente; cosa che per altro era vivamente sconsigliata: il tanfo di acqua stagnante era così forte da far rimpiangere l’odore di pipì di gatto della tenda di Perkins. I due ragazzi si precipitarono fuori dalla baracca al primo respiro.
   “Non è necessario stare dentro la base per difenderla, giusto?” chiese Harry tossendo. “L’importante è che non ci entri nessuno dei Viola.”
   Non ci fu bisogno di convincere Ron; meno facile fu farsi tornare in mente gli Incantesimi che usava Hermione: sembrava incredibile aver dimenticato quella specie di filastrocca che avevano sentito per settimane ogni stramaledetto giorno. Ci vollero diversi minuti e una serie di tentativi – uno dei quali rischiò di far saltare un paio di travi del tetto già traballante – per rendere la base relativamente protetta: Salvio Hexia, Protego totalum e Cave Inimicum avevano difeso la loro tenda in tempi molto più difficili, sarebbero stati più che sufficienti per un’esercitazione del corso Auror. Ma entrambi sapevano che gli Incantesimi non li sollevavano dalla sorveglianza del perimetro, così mentre Ron vigilava sul lato nord di fronte alla baracca, Harry salì sulla piccola altura da cui si gettava la cascatella e si mise a guardia del lato sud.
 
   Era ormai trascorsa una mezz’ora di abbondante niente, quando Harry decise di controllare una zona più ampia attorno alla base della squadra Arancione; i suoi sensi erano tutt’altro che allerta e il ragazzo si lasciava guidare più che altro dalla curiosità di esplorare quei boschi che gli erano sconosciuti e che pure avrebbero potuto essergli familiari come il palmo della sua mano – in un’altra vita, se Voldemort non avesse ucciso i suoi genitori, se lui non fosse stato il Bambino Sopravvissuto ma solo Harry, se se se! Un mucchio di se che non facevano che tormentarlo da tutta una vita. La mancanza di Ginny si agitò da qualche parte nel petto di Harry, che però decise di scacciare in blocco quei pensieri.
   Non aveva prestato alcuna attenzione a dove lo avevano portato i piedi e quando sollevò lo sguardo si ritrovò davanti ad una grossa roccia, coperta di muschio e rampicanti contorti, che sembrava essere caduta lì per sbaglio dalla tasca di un Gigante, dimenticata nel mezzo del bosco ad ammuffire finché non sarebbe scomparsa, inghiottita dal verde. Harry avvertì uno strano pizzicore sulla pelle e batté le palpebre: non sapeva a che distanza si trovasse dalla base, non sentiva più il rumore del fiumiciattolo, ma aveva un’idea della direzione da prendere per tornare indietro. Ma non subito; prima poteva di certo fermarsi un paio di minuti ad osservare quella roccia, distante appena un paio di metri. Si avvicinò curioso e mentre si avvicinava cominciò a notare qualche cambiamento: in un primo momento pensò che fosse la luce incerta del cielo nuvoloso ad ingannare i suoi occhi, che vedevano il muschio ritirarsi di qualche centimetro e scoprire la pietra. Ma quando fu a meno di un metro dal masso percepì distintamente i rampicanti muoversi e frusciare e nel giro di pochi secondi si intrecciarono tra loro come serpenti, prendendo la forma di un arco alto un paio di metri. I peli sulla nuca di Harry si rizzarono mentre il ragazzo si fermava di fronte alla roccia, divenuta ora liscia e perfetta come se qualcuno l’avesse levigata con cura; al centro dello spazio delineato dall’arco di rampicanti era inciso con precisione e perizia il triangolo che racchiudeva un cerchio e che era tagliato da una linea verticale, un disegno che Harry conosceva molto bene.
   “Che diavolo ci fa qui il simbolo dei Doni della Morte?” chiese il ragazzo alla roccia, come se questa potesse rispondergli. Tuttavia una sorta di risposta arrivò: Harry percepì chiaramente un aumento di quella sensazione di pizzicore sulla pelle e si ricordò di una delle prime lezioni della Shacklebolt: il potere magico ad alte concentrazioni può essere percepito a livello fisico da maghi e streghe, così come il naso percepisce gli odori o il palato i sapori. La magia riconosce la magia, è necessario solo saperla ascoltare.
   Il ragazzo si accorse appena della sua mano sinistra che si alzava e si allungava verso il simbolo, attratta come da un magnete; Harry arrivò quasi a sfiorare il cerchio con la punta delle dita, esitò un attimo, poi fece aderire il palmo alla roccia liscia. La superficie fredda tremò appena al suo contatto, come un animale che viene toccato mentre dorme, poi si gonfiò come se stesse traendo un profondo respiro; infine la parete si polverizzò completamente, riempiendo l’aria di minuscole particelle scintillanti. Harry tossì e con un semplice Incantesimo diradò la polvere: dietro l’arco di rampicanti si estendeva un corridoio, scavato anch’esso nella pietra e levigato fino a diventare liscio e lucente; era illuminato in modo uniforme da una fioca luce che sembrava emanare dalle pareti stesse, dato che il ragazzo non riusciva ad individuare né fiaccole né altre fonti luminose.
   La parte razionale di Harry gridò a gran voce di tornare indietro ed avvisare un Istruttore, ma di nuovo i piedi del ragazzo sembrarono agire in autonomia: Harry avanzò di qualche passo nel corridoio, pervaso da una curiosa sensazione di calma e dal fermo desiderio di scoprire cosa ci fosse in fondo a quella galleria. Non provò paura nemmeno quando sentì chiaramente la parete di roccia riformarsi alle sue spalle dopo che aveva percorso alcuni metri, eppure sapeva che avrebbe dovuto.
   Camminò per pochi minuti prima di arrivare in una piccola stanza circolare dalle pareti ricurve e perfettamente lisce; era priva di qualsiasi mobilio od ornamento e al centro vi campeggiava un alto leggio di legno dall’aria pesante ed antica, lavorato in modo semplice. Sopra di esso c’erano un drappo rosso scuro e un voluminoso libro rilegato in pelle consunta e dalle pagine ingiallite dal tempo, tanto che Harry pensò che anche quello si sarebbe dissolto in mille particelle polverose se solo lo avesse toccato. Il ragazzo si avvicinò ad osservarne la copertina, sulla quale era impresso di nuovo il simbolo dei Doni; si concesse solo di sfiorarlo con un dito. Il pizzicore sulla pelle di Harry aumentò fino a diventare fastidioso, quasi doloroso; la copertina del libro si aprì con quello che sembrava essere un vero e proprio sforzo fisico, mentre le pagine si sfogliarono da sole con leggerezza e velocemente, come se fossero incappate in un forte vento. Così come avevano cominciato a muoversi, le pagine di fermarono di colpo in un punto oltre la metà, su un foglio completamente vuoto. Vuoto a parte l’intestazione, che recitava Harry James Potter.
   Harry si avvicinò al libro e sfiorò la pagina con le dita, completamente ipnotizzato da quella visione. A nulla servirono gli sforzi della sua razionalità, che continuava a gridare di tornare indietro, di non toccare quel libro, per nessuna ragione; da qualche parte riaffiorò anche il ricordo di Arthur che rimproverava Ginny tanto tempo prima: Ma allora io non ti ho insegnato proprio niente? Che cosa ti ho sempre detto? Non ti fidare mai di niente che pensi da solo se non riesci a capire dove ha il cervello!
   Eppure Harry non riusciva a provare né paura né diffidenza, sapeva solo che doveva prendere quel libro, era suo, di diritto, senza alcuna ombra di dubbio. Spinto da una soffice curiosità, voltò la pagina da sinistra verso destra, in cerca di ciò che precedeva il suo nome – e quello che lesse finalmente lo allarmò. Si trattava di un altro foglio completamente bianco a parte l’intestazione, come il suo, e il nome che vi era impresso era forse l’ultimo che si sarebbe aspettato di leggere in quel momento: Draco Lucius Malfoy.
   Qualcosa scattò nella mente di Harry, come se avesse fatto una semplice operazione matematica con un ritardo ingiustificato: il simbolo dei Doni della Morte, il suo nome, quello di Malfoy… deglutì e voltò anche quella pagina, aspettandosi di trovare un nome ben preciso. Tuttavia, invece del solito foglio bianco, si trovò davanti a righe ordinate e fitte, scritte a mano in una calligrafia obliqua che Harry conosceva molto bene: quella di Silente.
 
   Scintille rosse! Scintille rosse!
   “L’hanno trovato!” gridò Ron indicando un punto nel cielo a Micheal, poco distante da lui. “Da quella parte!”
   Entrambi i ragazzi si misero a correre attraverso il bosco verso il punto da cui erano partite le scintille; erano ormai ore che tutto il gruppo di Reclute stava cercando Harry, il sole aveva cominciato a calare e l’aria fredda prese a pizzicare dolorosamente lungo la gola di Ron, incapace di respirare a bocca chiusa in quel momento.
   Arrivarono in una piccola radura al centro della quale c’era un grosso masso ricoperto di muschio e rampicanti; Kiky era in piedi davanti a quella roccia e ansimava, mentre la Shacklebolt tentava di calmarla con una mano sulla sua spalla. In quel momento arrivò anche Leatherman dal lato opposto della radura.
   “Dov’è?” chiese l’Istruttore; non aveva il fiato corto, nonostante fosse arrivato correndo, ma anzi aveva la voce dura e ferma. Kiky indicò la roccia, umettandosi le labbra con la lingua, a disagio; Leatherman la guardò perplesso.
   “Qui dentro?”
   “Sì, è lì dento, lo percepisco chiaramente.”
   “Sta bene?” chiese Ron. Kiky annuì.
   “Credo di sì. Mi ha sentito, ha provato a respingermi, ma sono riuscita a mantenere il contatto. Penso… penso che abbia capito che sono in ansia. Che lo siamo tutti.”
   Nella radura arrivarono di corsa anche le altre Reclute, da direzioni diverse; Ella aveva metà dei capelli bruciacchiati fin sotto l’orecchio e qualche spira di fumo stava ancora salendo dalle ciocche più annerite, ma Ron decise di non farsi domande, anche se era quasi certo che nella faccenda centrasse Nott.
   Il pensiero di Harry aveva la precedenza su tutto: era stato proprio Ron a dare l’allarme, quando il suo amico tardava a tornare dal giro d’ispezione che aveva detto di voler fare. Prima l’aveva cercato da solo, chiamando, gridando e correndo come una gallina senza testa; poi aveva fatto l’unica cosa che aveva senso fare: aveva chiamato gli Istruttori, che non l’avevano proprio presa con la calma che ci si sarebbe aspettati da loro. Ron aveva chiaramente sentito Leatherman, poco prima di dare l’ordine di sospensione dell’esercitazione, dire alla Shacklebolt: “Lo spiegherai tu a Prewett che ci siamo persi il Prescelto!”
   Kiky aveva messo in campo la sua abilità di Legillimens, cercando la traccia mentale di Harry che, per sua stessa ammissione, ormai conosceva molto bene.
   “Come diavolo facciamo a entrare?”
   Leatherman fissava la roccia con un certo disgusto; provò a toccarla con la bacchetta, con cautela, e saggiò la superficie con un paio di Incantesimi che Ron non riconobbe.
   “Lui com’è entrato?” chiese Theodore. Kiky si strinse nelle spalle, gli occhi chiari sbarrati; era evidentemente sotto pressione, forse anche affaticata mentre cercava di mantenere il contatto mentale e rispondere alle domande degli altri allo stesso tempo.
   “Prova a chiederglielo” suggerì Micheal.
   “Non sono una Telepate, non riesco a parlare!” gridò Kiky; una goccia di sudore le spuntò dall’attaccatura dei capelli, poco sopra l’orecchio destro.
   “Stai tranquilla, Major” disse dolcemente la Shacklebolt, accarezzandole un braccio. “Sappiamo che stai facendo del tuo meglio e lo stai facendo bene. Prima hai detto che Harry ha percepito la tua ansia; credi di poter trasmettere anche delle immagini? Quello che vedi tu?”
   Kiky la fissò per qualche momento poi annuì.
   “Posso provare” rispose in un sussurro. “Cosa dovrei…?”
   Leatherman nel frattempo era passato alle maniere pesanti.
   “Defodio! Reducto! Incendio!
   Nessuno di quegli Incantesimi sembrava avere altro effetto se non quello di aumentare il nervosismo dell’Istruttore; persino Incendio non riuscì ad attecchire al muschio e ai rampicanti, che si limitarono a frusciare con leggerezza mentre le fiammelle si estinguevano miseramente senza scalfire la vegetazione.
   “Potresti trasmettergli questo” suggerì la Shacklebolt trattenendo un sorrisetto divertito. “Potrebbe capire che stiamo cercando di raggiungerlo senza successo e che siamo preoccupati.”
   Kiky annuì ancora una volta e strinse appena gli occhi azzurri nello sforzo della concentrazione; Ron strinse la propria bacchetta, cercando di tenere a bada l’ansia e la frustrazione: avrebbe voluto fare qualcosa, qualsiasi cosa di utile, ma sapeva che l’unica cosa sensata era mantenere la calma.
   “Mi ha sentito!” esclamò Kiky, sorpresa da sé stessa; si bloccò per qualche momento, gli occhi fissavano qualcosa che gli altri non potevano vedere. “Lui… ha semplicemente toccato la roccia. Dietro c’è un corridoio e lui è lì.”
   “Brava” disse la Shacklebolt con un sorriso incoraggiante. Leatherman guardò il masso con aria di sfida e vi poggiò sopra il palmo della mano sinistra, ma la ritirò subito come se scottasse.
   “Incantesimi Repellenti” affermò con sicurezza. “Probabilmente la galleria si apre solo per Harry, ma non ho idea del perché. O meglio, tutte le idee che mi vengono sono ipotesi inquietanti, quindi digli di muovere il culo e uscire da lì dentro” Leatherman deglutì ed aggiunse abbassando la voce di un tono: “Se può.”
   “Ripeto che non sono una Telepate, non posso dire niente!” sbottò Kiky, il volto ormai solcato da diverse gocce di sudore nonostante l’aria diventasse sempre più fredda. La Shacklebolt le posò di nuovo una mano sulla spalla e la costrinse a guardarla negli occhi.
   “Fagli vedere che siamo tutti qui, che siamo preoccupati. Trasmettigli la tua ansia e vediamo cosa succede.”
   Le Reclute si radunarono accanto agli Istruttori, a distanza di sicurezza dal masso, stretti gli uni agli altri senza che nessuno si toccasse realmente. Kiky fece scorrere lo sguardo su di loro e si concentrò di nuovo; il silenzio si dilatò in modo insopportabile per Ron, che aveva voglia di prendere a calci quella stupida roccia. Cosa avrebbe detto a Ginny? Era lì solo la sera prima e adesso… Chiuse gli occhi e si costrinse alla calma, non doveva fasciarsi la testa prima che si fosse rotta.
   La radura di riempì all’improvviso del rumore dei rampicanti che sfregavano tra loro, mentre velocemente si ritiravano e formavano un arco; Ron fissò sbalordito la roccia, divenuta liscia, gonfiarsi ed esplodere in migliaia di particelle scintillanti nella luce incerta del tramonto. Gli Istruttori puntarono le bacchette verso l’apertura, frapponendosi fra di essa e le Reclute che si scambiavano occhiate cariche di ansia. Una figura avanzò in mezzo alla polvere: sembrava stringersi al petto qualcosa di quadrato e molto ingombrante, come un grosso libro, e sul naso… portava un paio di occhiali rotondi. Ron sospirò di sollievo: stava bene, quello stupido zuccone stava dannatamente bene.
   Leatherman scattò in avanti e prese Harry per un braccio, tirandolo lontano dall’ingresso del tunnel; velocemente come si era aperto, il varco nella roccia si richiuse, la pietra che cresceva e si ricompattava come una ferita sotto le mani di Madama Chips. Nel giro di pochi secondi il masso era di nuovo coperto di muschio e rampicanti ed aveva di nuovo l’aria anonima ed innocua di una semplice roccia nel bosco.
   “Cosa diavolo è successo?” sbraitò Leatherman. “Come sei arrivato lì dentro?”
   “Appoggia subito in terra quello” disse asciutta la Shacklebolt indicando il voluminoso tomo che Harry stringeva ancora a sé; il ragazzo la guardò perplesso, ma le obbedì. L’Istruttrice sigillò immediatamente il libro in una bolla protettiva e lo fece levitare davanti a sé, osservandolo con cautela.
   “Non dovrebbe essere Maledetto, ma ti sottoporremo comunque a un paio di esami più approfonditi” sentenziò la Shacklebolt.
   Harry sembrava sinceramente stupito di tutta quell’ansia e preoccupazione, mentre raccontava di come era arrivato in quella radura, a suo dire solo pochi minuti prima. Leatherman ascoltava con le braccia e le labbra serrate.
   “Poteva essere una trappola” sibilò quando Harry ebbe terminato il suo racconto.
   “Io…” Harry cercò di giustificarsi, ma abbassò lo sguardo quasi subito. “Sì, avrebbe potuto” ammise.
   “Quel libro potrebbe essere Maledetto, o Incantato, o chissà cos’altro. Qual è la procedura nel momento in cui ci si imbatte in qualcosa di magicamente sospetto? Perché non dirmi che questa… cosa non lo è” ringhiò Leatherman indicando la roccia.
   “Ma io…”
   “Dimmi, Potter, qual è la dannata procedura in questi casi?”
   “Isolare la zona e chiamare rinforzi, anche un superiore se si sospetta che la Magia possa essere di tipo superiore.”
   “Anche la più stupida delle Reclute sa a memoria la procedura!” abbaiò l’Istruttore. “E allora perché cavolo non l’hai seguita?”
   “Non lo so, signore. Ho agito d’istinto” disse Harry ai propri piedi. Leatherman si portò due dita alla radice del naso e strinse forte prima di proseguire.
   “Gli animali agiscono di istinto, Potter. Tu vuoi diventare un Auror, e gli Auror devono collegare il cervello alla dannata bacchetta prima di fare – qualunque – cosa! Sei parte di una squadra e come tale devi ragionare. I componenti dipendono gli uni dagli altri, le loro vite dipendono da come agiscono gli altri, e se ognuno va per i cazzi suoi capisci che la cosa può diventare pericolosa!”
   “Sì, signore. Mi dispiace, signore.”
   “Decideremo la tua punizione una volta rientrati da questo maledetto ritiro.”
   Leatherman voltò le spalle a Harry e si incamminò a grandi passi rabbiosi lungo la radura, seguito dalla Shacklebolt e dal libro galleggiante; le Reclute si accodarono agli Istruttori scambiandosi occhiate incerte. Kiky guardava Harry con aria particolarmente contrita e si decise ad abbassare lo sguardo solo quando lui le fece un timido sorriso e un cenno di ringraziamento con la testa. Nel frattempo Ron aveva raggiunto Harry e stava reprimendo il desiderio di abbracciarlo e strangolarlo nello stesso tempo.
   “Harry, che cavolo…”
   “Ti prego, non cominciare anche tu!” rispose l’amico con una smorfia. “Lo so, ho fatto una scemenza, ma ormai l’ho fatta e…”
   Gli occhi di Harry sfrecciarono verso il libro che fluttuava di fianco alla Shacklebolt.
   “Credo di aver trovato qualcosa di molto prezioso. E credo di sapere perché sono riuscito ad entrare là dentro e voi no.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Angolo di Gin
Yeah, rieccomi!
Mi sono presa una lunga pausa davvero, un po’ perché il lavoro e l’extra lavoro mi hanno impegnato quasi ogni momento, un po’ perché mi ero completamente arenata con la storia: blocco completo.
MA la buona notizia è che questa pausa è stata davvero mooolto utile ai fini della storia: ho cestinato completamente una parte della trama, ho cancellato in blocco un personaggio (mi sento quasi in colpa… chissà che un giorno non ci salti fuori uno spin off o roba simile) ed è nato questo capitolo, che è un passaggio importante.
Sembra che stia aggiungendo altra carne al fuoco – ok, in parte è così – ma prometto che tutti i fili sono al loro posto e li tirerò in modo degno, promesso.
La citazione inziale è un po’ una schifezza (pardon) ma devo pubblicare assolutamente entro oggi prima che mi passi per la testa di rimandare ancora.
Via sulle ali dell’ispirazione!
 
Presto su questi schermi ritroveremo anche Hogwarts e Dean – non so in che ordine, ma ci saranno!
 
Grazie a tutti come sempre a chi ha letto e leggerà e chi mi lascia un suo commento!
 
Special thanks to: SilverKiria!
 
Smack
Gin

 

Ritorna all'indice


Capitolo 38
*** 3 novembre 1998 ***


E ora tocca a voi battervi, gioventù del mondo;
siate intransigenti sul dovere di amare.
 
Ridete di coloro che vi parleranno di prudenza, di convenienza,
che vi consiglieranno di mantenere il giusto equilibrio.
 
La più grande disgrazia che vi possa capitare è di non essere utili a nessuno,
e che la vostra vita non serva a niente.
 
E ora tocca a voi battervi – Raoul Follereau
 
 
 
 
3 novembre 1998
 

 
2 novembre 1998 – Ministero della Magia
 
   Alle nove di sera il Ministero della Magia era deserto, ad eccezione di qualche sparuto gruppetto di Guardiani in divisa blu pavone dall’aria annoiata; i collegamenti della Metropolvere erano stati chiusi un paio di ore prima e le Reclute vennero spinte con malagrazia fuori dall’Atrium dall’uscita dei visitatori.
   “Credo che tutti abbiate superato l’esame di Smaterializzazione, no?” biascicò stancamente Leatherman mentre infilava a forza Kiky nella cabina telefonica insieme ad altri quattro suoi compagni. “Dovreste riuscire a ritrovare casa senza incidenti.”
   Harry, Ron e Theodore aspettarono con l’Istruttore che la cabina tornasse vuota al piano dell’Atrium e si stiparono a loro volta nello stretto cubicolo; Harry si chiese come avessero fatto a stare lì dentro in cinque, dato che in tre c’era a mala pena lo spazio per respirare.
   “Potter” abbaiò Leatherman poco prima che le porte della cabina si chiudessero. “Domani mattina presentati al San Mungo, alla Stregaccoglienza sapranno dove mandarti.”
   Harry non fece in tempo a chiedere il motivo, che tuttavia era facilmente intuibile: la Shacklebolt aveva detto che avrebbero dovuto fare altri accertamenti per capire se era stato colpito da una qualche terribile Maledizione quando si era infilato senza pensarci due volte in quella caverna magicamente sospetta, tanto per citare il regolamento. Spostò il peso del proprio corpo da un piede all’altro: sapeva di aver fatto una stupidaggine, ma nessuno si era fatto male e di certo Harry avrebbe preferito che Leatherman avesse evitato quella sfuriata davanti a tutti i suoi compagni il giorno prima.
   “Sono di nuovo in punizione” annunciò Nott rompendo il silenzio; Harry lo guardò sgranando gli occhi, mentre Ron alzava i suoi al cielo.
   “Ci avrei giurato” sospirò l’amico. “Quando ho visto i capelli della Fletcher che fumavano ho capito che vi aspettavano altre sere di piatti da lavare.”
   Theodore sbuffò appena, ma aveva un sorrisetto stampato sulle labbra.
   “Almeno questa volta ci sarai anche tu, Harry.”
   Il ragazzo sospirò: sì, decisamente si era beccato almeno una settimana in compagnia di Clobhair; anche se non era ancora arrivata nessuna comunicazione ufficiale da parte dei due Istruttori, era impensabile che gliel’avrebbero fatta passare liscia.
   La cabina arrivò finalmente al livello e i tre ragazzi si riversarono in strada con un sospiro di sollievo; il vicolo era sufficientemente riparato per Smaterializzarsi in tranquillità, quindi Harry e Ron salutarono Nott e si preparano ad eseguire l’Incantesimo. Theodore non fece altrettanto, ma tentennò prima di salutarli a sua volta ed incamminarsi verso la strada principale.
   “Non ti Smaterializzi?” chiese Ron alla schiena del ragazzo; lui si fermò e girò appena la testa.
   “La Struttura che il Ministero ha assegnato ai figli dei Mangiamorte è ad un paio di isolati. Faccio due passi a piedi.”
 
   L’aria di Londra era umida e carica di pioggia imminente, ma quella poteva essere considerata una mite sera primaverile se paragonata al clima del Devon: quando Harry e Ron si Materializzarono poco distanti dal cancello della Tana vennero investiti da raffiche di pioggia battente; si lanciarono in una corsa lungo il vialetto e Ron aprì la porta con una spallata. I due amici si ritrovarono nell’ingresso, grondanti acqua e tremanti; si guardarono e scoppiarono a ridere, ma le loro risate furono completamente assorbite da un suono che non si sentiva mai in casa Weasley: il pianto di Teddy. A Harry mancò il fiato, la mente che già immaginava tutte le peggiori catastrofi, mentre le gambe erano già scattate verso la cucina, da dove proveniva il pianto. Molly teneva sulla spalla Teddy, che, con i capelli di un brutto color grigio topo, urlava a pieni polmoni; la signora Weasley alzò lo sguardo su Harry e il viso si aprì in un’espressione di sollievo.
   “Oh Harry, siete tornati! Non so veramente come calmarlo!”
   Tenendo il bambino in bilico come solo una mamma esperta sa fare, Molly asciugò il ragazzo con un frettoloso colpo di bacchetta per poi piazzargli il fagotto urlante tra le braccia senza aggiungere una parola. Teddy aveva le guance rigate di lacrime e Harry prese a cullarlo, sperando che si accorgesse di chi lo teneva in braccio; Dio solo sapeva per quale motivo quel bambino si era fissato così tanto con lui: c’erano giorni in cui rifiutava di mangiare se non era Harry ad imboccarlo.
   Il ragazzo si incamminò nel corridoio lasciandosi alle spalle Molly e Ron, e raggiunse il salotto; prese posto con cautela sul divano che tante volte aveva condiviso con Ginny durante l’estate.
   L’ultima cosa di cui ho bisogno sono altri sensi di colpa, pensò disperatamente avvolgendo il bambino con un braccio e accarezzandogli la testa con l’altra mano; ti prego, Teddy, è davvero l’ultima cosa di cui ho bisogno.
   Ci vollero diversi minuti per convincere Teddy a calmarsi, molto di più ad addormentarlo: continuava a guardare Harry con gli occhi seri, grigi e severi, rifiutando anche solo di stringere il dito del ragazzo con una delle manine; alla fine però cedette al dondolio delle braccia di Harry, chiuse gli occhi e una ciocca di capelli assunse un brillante color rosa cicca. Il ragazzo si lasciò scappare un mezzo sorriso e abbandonò la testa sulla seduta del divano; si chiese se anche lui era stato un bambino così nervoso e suscettibile, durante i primi mesi dai Dursley, i primi senza i suoi genitori, attorniato da facce sconosciute e odori di estranei. Di sicuro nessuno si era dato la pena di cullarlo fino a farlo addormentare; forse era stato proprio quello il momento in cui suo zio aveva deciso che il sottoscala poteva avere un ottimo uso.
   Harry si tolse gli occhiali e li appoggiò di fianco a sé, con gesti lenti e stanchi: era sfinito. Lottava da giorni con le emozioni che si agitavano ai lati della sua consapevolezza e non voleva cedere, non voleva essere costretto ad affrontare tutto da solo. Non era più solo – non lo sarebbe stato mai più.
   Scivolò senza quasi accorgersene in un sonno agitato dal quale lo svegliò Molly con una carezza sulla guancia; la donna prese in braccio Teddy con dolcezza, mentre Arthur allungò al ragazzo una tazza contenente un liquido caldo e denso. Harry la accettò con aria perplessa mentre si rimetteva gli occhiali sul naso.
   “Pozione Ricostituente” spiegò Arthur con un sorriso. “Bevila tutta poi fila a letto.”
   Harry prese la tazza con un sorriso stanco e ne sorseggiò il contenuto con gratitudine; i coniugi Weasley uscirono in silenzio dal salotto, sostituiti da Ron, anche lui con la sua dose di Pozione tra le mani.
   “Ci voleva proprio” sospirò il ragazzo abbandonandosi di peso di fianco ad Harry. “Questo dannato Ritiro mi ha lasciato più lividi che spirito di squadra.”
   I due ragazzi si concessero un goffo brindisi, facendo tintinnare le tazze sbeccate.
   “Ti ricordi quando i lividi peggiori ce li facevamo durante le partite di Quidditch?” biascicò Harry dopo un altro lungo sorso di Pozione.
   “Bei tempi” grugnì Ron. “Amico, sembriamo proprio due quarantenni” aggiunse poi con una smorfia.
   Un pensiero attraversò all’improvviso la mente di Harry, che si trattenne a mala pena dal colpirsi la fronte con il palmo della mano.
   “Porca miseria… mi sono completamente dimenticato della prima partita di Ginny!”
   Ron gli lanciò uno sguardo con la coda dell’occhio, un sopracciglio alzato.
   “Davvero non ti ha detto nulla?”
   “Cosa avrebbe dovuto dirmi?”
   Ron alzò una mano e si riempì la bocca di Pozione.
   “Cos’è successo?” incalzò Harry.
   “No! Non sarò io a dirtelo.”
   La risolutezza di Ron crollò con un solo sguardo di Harry.
   “Non è andata bene. E’ in punizione.”
   “Cosa?”
   “Basta. Il resto te lo dirà lei.”
   “Ron!”
   “Buona notte Harry.”
   Ron uscì dal salotto ad una tale velocità che sembrava quasi essersi Smaterializzato; qualcosa diceva a Harry che, una volta salito in camera, avrebbe trovato l’amico profondamente addormentato.
 
 
 

3 novembre – Ministero della Magia
 
   Non era certo la prima volta che Harry si cacciava nei guai, anzi, a pensarci bene il ragazzo era piuttosto convinto che il numero di punizioni e di espulsioni sfiorate negli anni di Hogwarts fosse di poco inferiore a quello di pesi massimi del settore come Fred e George. O come Sirius e suo padre.
   Harry si agitò sulla sedia, facendola scricchiolare rumorosamente nel silenzio dell’ufficio Reclute; Leatherman non si scompose, ma continuò a fissarlo in silenzio con aria torva come stava facendo ormai da diversi minuti, dopo avergli annunciato che avrebbero ricevuto la visita del Capo Prewett in persona – cosa che non prometteva nulla di buono.
   Quella mattina, come gli era stato ordinato, Harry si era presentato al San Mungo: in una stanzetta asettica, un Guaritore con una serie di Apprendisti al seguito aveva tenuto a spese di Harry una lezione sugli Incantesimi Indaganti e le principali Controfatture, lasciando che gli Apprendisti usassero il ragazzo come cavia. Tralasciando un paio di ustioni e qualche doloretto, la lezione era stata utile anche ad Harry, che aveva imparato una serie di cosette interessanti che gli sarebbero sicuramente tornate utili in futuro.
   Leatherman in persona lo aveva poi prelevato dal San Mungo e portato nel suo ufficio, senza però dire una parola ad eccezione del ringhio con cui si era ironicamente congratulato perché Harry non si era beccato nessuna Maledizione mortale.
   I minuti sembravano passare con la lentezza di una lumaca immersa nella gelatina e Harry cominciava a sentirsi veramente a disagio sotto lo sguardo accusatore di Leatherman; stava quasi per chiedergli quale diavolo fosse il problema, quando la porta si spalancò ed entrò con la consueta grazia di un pachiderma Frank Prewett. Harry scattò in piedi, mentre Leatherman appoggiò le mani ai braccioli della propria sedia e si alzò con tutta la calma di questo mondo.
   “Harry!” esclamò Prewett spalancando le braccia.
   “Signore” lo salutò con rispetto il ragazzo.
   “Sapevo che ci avresti riservato delle magnifiche sorprese!” ululò Frank trattenendo per poco il sigaro spento tra le labbra; prese la sedia di Leatherman e la trascinò rumorosamente sul pavimento per portarla di fronte a quella di Harry, poi si sedette pesantemente.
   “Non stare in piedi, ragazzo mio!”
   Harry obbedì, lanciando un’occhiata titubante a Leatherman; l’Istruttore aveva la faccia che sembrava scolpita nel marmo e con molta calma andò a recuperare la sedia dietro alla scrivania della Shacklebolt e la portò dietro alla propria, prendendo posto senza battere ciglio.
   “Signore, mi dispiace molto per…” cominciò Harry mangiandosi un paio di parole; Prewett lo interruppe subito con un gesto della mano, come se scacciasse una mosca che gli ronzava intorno.
   “Le scuse lasciale per quando avrai finito la punizione dei tuoi Istruttori” disse allegramente Frank. “Hai recuperato qualcosa di… incredibile!”
   Leatherman tossicchiò con noncuranza, ma nessuno si girò verso di lui. Per qualche motivo il sorriso ampio del Capo Auror inquietava Harry più che metterlo a suo agio; cambiò di nuovo posizione sulla sedia e lasciò che l’uomo proseguisse.
   “E’ un libro di inestimabile valore, qualcosa di sicuramente antico e perduto da secoli.”
   Prewett fece una brevissima pausa, poi riprese guardando Harry dritto negli occhi.
   “Peccato che nessuno riesca anche solo a toccarlo.”
   Harry deglutì.
   “E ho motivo di credere che tu sappia il perché.”
   Prewett estrasse la bacchetta da una tasca interna della veste e si accese il sigaro; il disagio di Harry aumentò ancora, mentre il ricordo di Narcissa Malfoy nel Pensatoio emergeva con forza nella mente del ragazzo.
   E’ un interrogatorio, pensò Harry con una nota di panico che gli pizzicava lo stomaco.
   “Nessuno dei nostri specialisti e Spezzaincantesimi è riuscito ad avvicinarsi” disse Leatherman con le mani incrociate davanti a sé. “Siamo ad un passo dal chiedere l’aiuto degli Indicibili – e credimi, vorrei tanto non farlo.”
   Prewett annuì con aria seria ed aspirò una boccata di fumo.
   “Roy mi diceva che tu sei uscito da una caverna tenendolo in mano, quindi mi è lecito supporre che tu riesca a toccarlo – e a sfogliarlo. Quindi, cosa ci puoi dire di utile?”
   Harry soppesò con cautela le parole prima di aprire bocca.
   “Ho un’ipotesi” disse alla fine guardando Prewett, che raddrizzò la schiena e socchiuse gli occhi con interesse. “Ma vorrei verificarla, prima di parlarne… con chiunque.”
   I due uomini annuirono riluttanti.
   “E cosa ti servirebbe per verificarla?” chiese Frank.
   “Vorrei andare ad Hogwarts. E mi serve Hermione Granger.”
   Un angolo delle labbra di Prewett si arricciò, mentre lui si lasciava scappare una mezza risata lugubre.
   “Ma certo, la nostra Granger!” Aspirò un’altra boccata di fumo e la soffiò con calma prima di proseguire. “Come poteva mancare?”
   “Potter, non credo tu sia nelle condizioni di trattare” cominciò Leatherman, ma Prewett lo interruppe con un brusco gesto delle dita tra le quali teneva il sigaro.
   “Roy, calmo. E’ una richiesta accettabile.”
   Leatherman guardò a lungo il suo capo, le labbra serrate in una smorfia rigida, ma Prewett mantenne sempre lo sguardo basso, grattandosi appena la fronte con il pollice sinistro, come se stesse riflettendo.
   “La professoressa McGranitt assisterà al colloquio tra te e la Granger” disse infine Frank, gesticolando distrattamente con il sigaro. “E anche Williams, che tu già conosci, no?”
   Leatherman tossì di nuovo, più forte, in modo quasi plateale.
   “E verrà anche il tuo Istruttore, visto che sembra essere particolarmente interessato alla faccenda” concluse Prewett indicandolo senza guardarlo; Harry vide il volto di Leatherman diventare letteralmente grigio.
   “Voglio un rapporto dettagliato entro stasera, firmato da te e Williams” ordinò Prewett alzandosi e spegnendo il sigaro sulla scrivania di Leatherman, senza preoccuparsi di Evocare un posacenere. “Potter” disse poi con un sorriso. “Te l’ho già detto, mi aspetto grandi cose da te. Grandi. Cose. Non mi deludere.”
   Uscì dalla stanza sbattendo la porta. Leatherman sembrava prontò a Cruciare Harry, ma dopo un profondo respiro usò la bacchetta solo per sistemare la bruciatura sul legno e sui fogli.
 
 
 

3 novembre – Hogwarts
 
   Hermione sorrideva. In quell’umida sera autunnale, seduta nello studio della professoressa McGranitt, di fianco alla Preside e di fronte a Harry, si sorprese a pensare che era da un po’ che non le capitava di sentirsi così, con la bocca dello stomaco che pizzicava di curiosità, nell’attesa di scoprire qualcosa di… nuovo. Era esattamente quello che la deliziava: la prospettiva di scoprire qualcosa che già non sapesse.
   Tallonato dal suo Istruttore Leatherman e da – piacevole sorpresa – Greg Williams, Harry si era presentato nell’ufficio della McGranitt con un volume dall’aria molto antica e una storia rocambolesca su come quel libro gli fosse capitato per le mani; aveva una mezza idea sul suo contenuto ma aveva richiesto esplicitamente l’aiuto di Hermione per, citando letteralmente, verificare la sua ipotesi.
   Un libro, un guaio… Harry non cambiava mai, ma Hermione doveva ammettere che tutti i guai in cui lui si era cacciato negli anni erano stati sempre estremamente interessanti. E se c’era una cosa di cui lei aveva bisogno in quel momento era proprio un elemento che stuzzicasse la sua attenzione: ne aveva fin sopra i capelli di tradurre frivoli testi di poetesse celtiche o di agitare la bacchetta per Trasfigurare sedie nelle pretenziose, complicate, inutili statue di pietra che piacevano tanto alla Marchbanks.
   Harry posò il volume davanti a sé e con le dita sfiorò il simbolo sulla copertina, poi guardò a lungo Hermione finché lei non gli fece un cenno di intesa: sì, aveva riconosciuto l’emblema dei Doni della Morte. Harry aprì con cautela solo la copertina per poi allontanare la mano e lasciare che le pagine scivolassero le une sulle altre, fino a fermarsi ad una ben precisa che riportava il nome completo del ragazzo.
   Un Incantesimo di Riconoscimento, prese nota Hermione mentalmente. Harry girò il libro verso di lei e sfogliò a ritroso le pagine, senza staccare mai gli occhi dalla sua amica, attento alle sue reazioni; Hermione inarcò le sopracciglia perplessa quando lesse il nome di Draco Malfoy, ma quando riconobbe la scrittura del professor Silente inspirò rumorosamente.
   “Harry, questi sono…” cominciò, ma si interruppe incrociando lo sguardo di ammonimento dell’amico: solo loro due e Ron sapevano della Bacchetta di Sambuco e c’erano già abbastanza tizi in giro che desideravano la morte di Harry senza che sapessero che era anche il proprietario di una leggendaria bacchetta invincibile.
   “Ti prego, continua” sibilò risentito Leatherman. “Vorremmo sapere anche noi il motivo per cui siamo dovuti venire fino a Hogwarts.”
   Hermione lanciò una veloce occhiata all’Istruttore, poi tanto per prendere tempo afferrò il libro e lo trasse più vicino a sé, sfogliando le pagine e studiando la calligrafia obliqua di Silente: ad una prima occhiata sembravano appunti su Incantesimi, studiati, provati e riprovati, corretti e perfezionati. Hermione sentiva praticamente le farfalle nello stomaco, non vedeva l’ora di impugnare la propria bacchetta e provare qualcuna di quelle formule. Si accorse solo con qualche momento di ritardo che Harry e i due Auror stavano mormorando sorpresi, Leatherman sussurrò addirittura un’imprecazione; Hermione sollevò di nuovo lo sguardo stupita.
   “Che c’è?”
   “Heriomione, tu… riesci a toccare il libro” disse Harry incredulo.
   La ragazza guardò le pagine senza capire cosa ci fosse di speciale in un gesto così semplice, poi alzò lo sguardo dubbioso su Harry, alzando le sopracciglia.
   “Nessuno a parte Harry è riuscito a toccarlo fino ad ora” spiegò Greg; Hermione notò con una punta di fastidio che aveva estratto di qualche centimetro la bacchetta dalla divisa blu pavone. La professoressa McGranitt allungò una mano verso la pagina più vicina a lei e vi posò un indice, che prese ad emettere piccole spire di fumo come se fosse stato buttato su una griglia rovente; la Preside ritirò immediatamente la mano trattenendo un gemito di dolore: sul polpastrello si era formata una vescica gonfia di liquido, la pelle circostante era rossa come il fuoco. Hermione stava ancora guardando sbalordita l’ustione quando la professoressa la guarì con un colpo deciso della bacchetta.
   “Come diavolo è possibile?” chiese la ragazza più a sé stessa che a qualcuno dei presenti.
   “Mi hai Disarmato” rispose Harry.
   “Cosa?! Quando?”
   “Il giorno dopo la battaglia… quando eravamo nella Sala Comune, io mi stavo accanendo contro un cuscino e tu…”
   “E io ti ho Disarmato per farti smettere” ricordò Hermione in un soffio.
   “Questo vuol dire che adesso tu…”
   Hermione guardò per un lungo momento Harry; si scambiarono un nuovo cenno di intesa, non avevano molte possibilità di uscire da quella stanza senza aver rivelato il loro segreto alle persone presenti. Si voltò verso Leatherman e Greg.
   “Significa che io sono attualmente la legittima proprietaria della Bacchetta di Sambuco.”
   Sfogliò di nuovo le pagine, superando quella di Malfoy, poi quella di Harry, trovando infine una nuova pagina completamente bianca intestata con il suo nome: Hermione Jane Granger.
   Scoppiò un piccolo putiferio: gli Auror non facevano che sbraitare che quella della Bacchetta non era altro che una leggenda e ci volle del bello e del buono per convincerli anche solo a stare a sentire un breve riassunto della loro storia. La McGranitt ascoltò in silenzio finché non si alzò in piedi con il volto inespressivo.
   “Credo che dovreste tornare dal Capo Prewett con le informazioni che vi sono state date e ricevere istruzioni su come procedere con questo libro” disse con voce ferma. “Inutile aggiungere che le informazioni in questione sono strettamente riservate.”
   Attese qualche secondo prima di proseguire, come per essere certa che l’ordine fosse passato chiaramente.
   “Il libro rimarrà qui, nel mio studio, finché il Capo Prewett in persona non verrà a concordare con me come gestire la situazione.”
   “Minerva, non credo che…” cominciò Leatherman, ma la Preside lo interruppe bruscamente.
   “Io credo che questo libro possa mettere in pericolo una delle mie studentesse ed è mio preciso compito proteggerla. La Bacchetta di Sambuco a quanto ci è stato detto è un artefatto magico potente e pericoloso, meno persone sono a conoscenza della sua esistenza e soprattutto di chi ne è il proprietario, meglio sarà per tutti. Abbiamo assistito ad omicidi per molto, molto meno.”
   I due Auror annuirono in silenzio, anche se Leatherman avrebbe chiaramente preferito controbattere; si alzarono e Greg prese una manciata di Polvere Volante da un piccolo contenitore in legno sulla mensola del camino.
   “Professoressa, posso…” chiese Harry esitando un attimo. “Posso salutare Ginny? Con il permesso del mio Istruttore” aggiunse lanciando un’occhiata a Leatheman.
   “Sei fuori orario di lezione” grugnì l’Istruttore. “Per me puoi fare tutto quello che ti pare.”
   La McGranitt guardò il ragazzo per un lungo momento, poi sospirò ed annuì.
   “Vai nell’aula di Pozioni, Potter, troverai la signorina Weasley a pulire l’armadio delle scorte senza bacchetta. E’ l’ultimo favore che ti faccio, sia ben chiaro.”
   Harry non se lo fece ripetere due volte ed infilò la porta alla massima velocità consentita senza correre. Greg salutò la Preside e si infilò nel camino, mentre Leatherman venne trattenuto per un momento dalla McGranitt che gli sussurrò qualcosa che Hermione non riuscì a sentire; l’Istruttore annuì contrariato, poi entrò nelle fiamme smeraldine senza aggiungere una parola.
   Hermione nel frattempo era rimasta in piedi vicino alla scrivania dove era ancora appoggiato il libro aperto sul suo nome; lo fissava ipnotizzata, mordicchiandosi un labbro, incapace di pensare ad altro che non fossero gli Incantesimi contenuti in quelle pagine; con ogni probabilità i precedenti proprietari della Bacchetta di Sambuco avevano raccolto come Silente gli Incantesimi che negli anni, nei secoli avevano sperimentato e perfezionato e…
   “Chiudi quel libro per favore” il tono deciso della McGranitt riscosse Hermione, che obbedì e richiuse a malincuore il volume. La Preside la guardò a lungo, troppo a lungo, finché la ragazza non capì che c’erano guai in vista anche per lei.
   “Mi dispiace doverti dire che più di un insegnante mi è venuto a riferire cose preoccupanti su di te, signorina Granger.”
   “Preoccupanti?”
   Era dall’inizio dell’anno scolastico che se ne stava buona nel suo angolo, non disturbava, i suoi voti non erano calati di una virgola; Hermione non capiva davvero che cosa potessero aver riferito i professori di così grave sul suo conto. Era la prima volta che veniva ripresa per il suo comportamento a scuola e con una fitta di dolore pensò a che cosa avrebbe detto sua madre se lo avesse saputo… e se si fosse ancora ricordata di avere una figlia, certo.
   “Sei svogliata, silenziosa, non ti impegni; eri sempre la prima ad alzare la mano in classe e adesso il professor Lumacorno mi dice che ti deve quasi pregare per farti rispondere anche alla più semplice delle domande.”
   “Ma i miei voti…” provò a ribattere Hermione.
   “Non posso dire che la tua media sia calata, ma di certo non mi sarei aspettata di venire a sapere che sgattaioli in cucina durante le lezioni di Difesa contro le Arti Oscure!”
   “Oh” mormorò Hermione.
   “Sì, oh, signorina Granger. Non sono disposta a tollerare questo atteggiamento ancora per molto. Tuttavia” la professoressa McGranitt riprese fiato e il suo viso parve decongestionarsi lentamente, il rossore che scivolava via insieme alla rabbia. “Tuttavia penso di capire cosa ti sta succedendo.”
   Distolse per qualche momento lo sguardo da Hermione e lo fece scivolare sul libro richiuso sulla sua scrivania.
   “Se il Capo Prewett riterrà opportuno studiare il contenuto del libro e lo farà rimanere a Hogwarts… chiederò al professor Vitious di considerarti come sua aiutante.”
   Il che mi sembra l’unica scelta possibile, visto che oltre ad Harry l’unica che riesce a sfogliarlo sono io. Ma Hermione evitò di formulare ad alta voce il proprio pensiero, scegliendo invece di sorridere e ringraziare la professoressa.
   “Mi impegnerò” promise con calore. Le farfalle si agitarono nuovamente nello stomaco di Hermione: con un po’ di fortuna avrebbe potuto lavorare agli Incantesimi nascosti tra la polvere di quelle pagine.
 
 
 

3 novembre – Londra
 
   Fanculo.
   La testa di Roy Leatherman pulsava come se un dannato Troll lo avesse centrato con un destro ben assestato; una volta gli era capitato, all’ultimo anno di addestramento Auror, durante un ritiro in un paesino dal nome impronunciabile a picco sui fiordi norvegesi, quindi sapeva esattamente di cosa stava parlando: la sensazione era più o meno quella.
   Infilò le mani nelle tasche della divisa del Ministero e fissò il camino dal quale era appena uscito con aria assente, finché le fiamme non diventarono verdi e Roy capì che presto gli sarebbe atterrato sui piedi un qualche mago, quindi si affrettò a raggiungere gli spogliatoi al secondo livello; non desiderava altro che cambiarsi e fare due passi, tanto per schiarirsi un po’ le idee. Buttò la divisa nell’armadietto senza appenderla a un bel niente – Isolt lo avrebbe di nuovo rimproverato – e si infilò il completo scuro che utilizzava tra i Babbani; di solito usava la Metropolvere per tornare a casa, ma oggi aveva bisogno di farsi passare quel fottuto mal di testa prima di rientrare o sarebbe partita l’ennesima lite con Isolt per motivi inesistenti: l’asse del water alzata, il letto non rifatto, hai un’espressione strana…
   Roy chiuse l’armadietto e tirò un pugno all’anta di metallo. Le nocche presero a sanguinare, ma lui le guarì con un colpo distratto della bacchetta; lo faceva almeno un paio di volte a settimana, ormai quasi senza più accorgersene. Percorse velocemente gli spogliatoi e prese l’uscita di servizio riservata agli Auror; percepì il consueto brivido passando attraverso la cortina di Incantesimi, salutò con un cenno del capo i due disgraziati a guardia dell’ingresso dei quali non ricordava minimamente il nome e si ritrovò lungo un vicolo angusto e buio, pervaso dal tanfo di spazzatura proveniente dal cassonetto poco lontano. Percorse qualche metro, poi si fermò e decise di accendersi una sigaretta; ormai era diventato piuttosto bravo anche con l’Incantesimo Profumante, piccolo e sciocco, ma decisamente utile per evitare che Isolt si incazzasse anche per una stupida sigaretta – il ché poteva essere strettamente correlato al fatto che sua moglie era convinta che lui avesse smesso di fumare da diversi anni. Cazzo, per una sigaretta non sarebbe morto nessuno, santo Dio, ma quella donna aveva una vera passione per le sfuriate.
   Aspirò con calma una boccata di fumo, la trattenne per qualche momento in bocca e la soffiò dalle labbra socchiuse, godendosi la sensazione dei nervi che si rilassavano un poco. Che giornata assurda. Che cazzo di giornata assurda. Essere Istruttore era tutt’altro che una passeggiata, ma se l’era scelto lui e stringeva i denti ogni giorno per fare al meglio il suo lavoro; quello che davvero non poteva compatire era l’atteggiamento di Prewett, che fino al giorno prima si nascondeva sotto la sottana di Kingsley e adesso si atteggiava a Grande Pezzo Grosso. Le dita di Roy formicolarono, pervase nuovamente dal bisogno di colpire qualcosa, ma l’uomo le tenne occupate con un’altra boccata di fumo.
   Poi c’era Minerva. Come se la gitarella a Hogwarts non fosse stata abbastanza assurda con quella storia della Bacchetta di Sambuco, la Preside gli aveva ricordato con molta insistenza la lettera che gli aveva consegnato appena qualche giorno prima, pregandolo di andare al più presto da questo studente, Thompson, o Therence, non ricordava bene.
   In un gesto automatico di curiosità, la mano di Roy scivolò nella tasca interna del completo ed estrasse la lettera della McGranitt.
 
Ai genitori di Dean Thomas
 
   Thomas, ecco com’era il cognome, Thomas. Sul retro della busta Minerva aveva scritto anche l’indirizzo: era un quartiere residenziale di Londra che Roy conosceva vagamente, ma poteva sempre Materializzarsi a qualche isolato di distanza dove c’era un vicoletto ben riparato.
   Roy aspirò un’altra boccata di fumo, rigirandosi tra le dita la pergamena spessa. Entrando nel camino a Hogwarts si era detto che quella sera era ormai troppo tardi, che era stanco e voleva solo tornare a casa, quindi quel dannato studente avrebbe dovuto aspettare un altro giorno. Ma ora, con la lettera in mano, sentiva di nuovo Minerva sussurrargli all’orecchio: il mio studente, Roy. Sbrigati o si perderà.
   Si perderà. Dio, Minerva sapeva essere così tragica quando si trattava dei suoi studenti, faceva sembrare sempre tutto questione di vita o di morte.
   Sbrigati o si perderà!
   “Che cazzo” sbraitò a voce più alta del dovuto; lanciò la sigaretta per terra e la pestò con forza. “Va bene, ci vado.”
 
   Roy trovò la casa dei Thomas con facilità, nonostante fosse una casetta come tutte la altre lungo la via di quel tranquillo quartiere residenziale; la cosa più rumorosa erano le macchine che di quando in quando passavano borbottando sotto la pioggerella autunnale. Roy si sistemò a disagio la giacca, non amava particolarmente avere a che fare con i Babbani, più che altro perché gli ricordavano i suoi terribili suoceri; allungò la mano e suonò il campanello. Il ragazzo nero dai capelli rasati corti che aprì la porta dopo pochi secondi aveva l’età giusta per essere uno studente di Hogwarts all’ultimo anno; non disse nulla, si limitò a fissare il nuovo arrivato con sospetto.
   “Buonasera” lo salutò Roy con tutta la gentilezza che era riuscito a mettere insieme. “Io sono...”
   Con una velocità inaspettata, il ragazzo estrasse la bacchetta e la puntò sulla gola di Roy, spingendo fino a fargli male.
   “Mago” ringhiò il ragazzo. “Mani dove possa vederle e niente scherzi.”
   “D’accordo” disse incredulo Roy, alzando mani e sopracciglia.
   “Chi sei?”
   “C’è una lettera nella mia tasca interna. E’ della professoressa McGranitt, mi manda lei. E’ per i tuoi genitori, ma viste le circostanze” disse Roy accennando appena alla bacchetta del ragazzo. “Credo sia meglio la legga tu.”
   Il ragazzo rimase visibilmente indeciso sul da farsi per qualche momento, poi allungò con cautela la mano libera ed estrasse la lettera; riconobbe il sigillo di Hogwarts e la scrittura della Preside, per cui con molta riluttanza fece entrare Roy e chiuse la porta. Mentre il ragazzo era alle prese con la lettera di Minerva, l’uomo si guardò intorno con attenzione: si trovava in una sala modesta ma ben curata, con un lungo divano azzurro che campeggiava al centro della stanza; al di sopra di un tavolo di legno chiaro una mensola correva sulla parete opposta a quella di ingresso, mettendo in bella mostra una serie di foto di famiglia, tra le quali Roy notò un matrimonio e una laurea. Una vetrinetta e un televisore molto simile a quello da cui sua suocera sembrava dipendere completavano l’arredamento.
   Senza allontanare la bacchetta dalla gola di Roy, il ragazzo strappò un lato della busta con i denti e ne estrasse la lettera; la lesse con attenzione, per poi appallottolare il foglio e gettarlo in un angolo, ghignando malignamente.
   “E’ preoccupata per me?!” chiese ridendo. “Che dici, Roy” calcò sul nome come se fosse una battuta divertente. “E’ forse perché è preoccupata per me che mi ha sospeso per un intero mese?”
   “Mi è arrivata voce che tu abbia esagerato un po’, Dean” Roy calcò sul nome del ragazzo con lo stesso tono ridicolizzante che aveva usato lui.
   “Esagerato?!” nella foga della risposta indignata Dean scordò completamente di minacciare Roy, alzando entrambe le braccia al cielo e liberando l’uomo dalla pressione della bacchetta; l’Istruttore si passò una mano sulla gola e decise di sedersi senza aspettare un invito, mentre Dean misurava a grandi passi la stanza gesticolando forsennatamente.
   “Vediamo, ricapitoliamo in breve gli eventi: i Mangiamorte hanno terrorizzato la comunità magica per più di un anno, dando la caccia a quelli come me come se fossimo animali. Sono stato braccato, catturato, torturato e come se questo non bastasse quando finalmente torno ad Hogwarts mi ritrovo i loro figli a scorrazzare per la scuola belli come il sole e non ho nemmeno il diritto di essere incazzato! Che dici, Roy, non ho il sacrosanto diritto di essere incazzato?”
   Dean tirò un pugno al muro vicino alla mensola delle foto e una cornice laccata di bianco cadde a faccia in giù; il ragazzo la prese al volo e la fissò con astio. Roy si lasciò guidare dall’istinto da Auror e cercò una breccia.
   “E i tuoi genitori cosa ne pensano?”
   “I miei genitori” sillabò Dean senza distogliere lo sguardo dalla foto. “Sono troppo occupati ad idolatrare mio fratello per occuparsi di me. E’ un medico, sai? Uno dei loro Guaritori.”
   Loro. Dean aveva fatto il salto e non si sentiva più parte del mondo Babbano. Succedeva a tutti i Nati Babbani prima o poi e non era mai un passaggio semplice: era come sradicare una pianta, come Isolt aveva ripetuto a Roy un’infinità di volte.
   “Ha preso una brillante laurea due anni fa e adesso è proprio un medico capace” proseguì Dean quasi ringhiando. “Mentre io finirò gli studi in ritardo e mi sono anche fatto sospendere!”
   Il ragazzo lanciò la cornice in terra con rabbia; Roy si limitò a cambiare posizione sul divano, incrociando le gambe e attendendo paziente il resto della sfuriata: probabilmente Dean stava aspettando di dire quelle cose a qualcuno già da un pezzo, ma nessuno gli aveva mai dato il tempo o l’occasione per tirarle fuori. O forse lui non era mai arrivato al punto di rottura.
   “Si è anche sposato, sai?” il ragazzo prese in mano un’altra cornice e la fissò con lo stesso odio riservato alla prima. “L’anno scorso, mentre io ero da qualche parte nei boschi a cercare di salvarmi la pelle, loro hanno trovato opportuno fare una bella festa tutti insieme! E non mi potevano aspettare, no! Lui si è scusato dicendo che non sapevano se sarei tornato vivo o meno, e quindi perché aspettare?”
   Come da previsioni, anche la foto di famiglia scattata il giorno del matrimonio si schiantò a terra con un gran fracasso di vetri infranti.
   “Lui si è sposato e io non ho altro che stupide fantasie sul mio Capitano di Quidditch.”
   La voce di Dean finalmente si ruppe, facendo supporre a Roy che lo sfogo stesse giungendo al termine; insieme alla voce tuttavia si ruppe anche la vetrinetta alle spalle del ragazzo, esplodendo in una pioggia di schegge di vetro. L’uomo sussultò, non si aspettava della magia involontaria, non a quel punto e non in un ragazzo così grande; si alzò dal divano e raggiunse Dean, attento a non fare mosse brusche e a non toccarlo.
   “D’accordo, sei incazzato e hai ragione” disse conciliante. “E la rabbia può essere una gran bella spinta, sai? Ti aiuta a sopravvivere. Ti fa sentire potente, come se tu potessi dire e fare qualunque cosa ti passi per la testa. Però ha qualche… effetto collaterale, diciamo così.”
   Dean lo guardava come se stesse straparlando – e forse aveva ragione, visto che Roy stava improvvisando e non aveva la minima idea di dove sarebbe andato a parare.
   “Se ti lasci trasportare succede questo” Roy indicò con una mano aperta i vetri sparsi dappertutto. “Distruggi quello che ti circonda. La rabbia ti fa sentire il centro unico di tutto l’universo e non riesce a farti vedere al di là del tuo ombelico. Tutto quello che non ti riguarda diventa all’improvviso poco importante, o ingiusto, o cattivo.”
   Dean aveva cambiato espressione, forse riconoscendosi in quello che Roy gli stava dicendo. L’uomo si azzardò con movimenti lenti ad estrarre la bacchetta dalla giacca e la puntò contro la foto del matrimonio; la riparò e la fece Levitare di nuovo al suo posto.
   “Tu avresti potuto davvero non tornare mai e forse tuo fratello aveva solo paura di non riuscire ad accettarlo, di non riuscire ad andare avanti con la sua vita se tu fossi effettivamente morto.”
   Roy puntò la bacchetta sulla foto di famiglia e riparò anche quella.
   “I tuoi genitori sono Babbani e sono spaventati da morire dal nostro mondo; una laurea in medicina la possono capire, essere braccati da Mangiamorte è una cosa un po’ più complessa da accettare.”
   Roy riparò anche la vetrinetta e sospirò.
   “Sul tuo Capitano non posso proprio promettere nulla, ma… credo fortemente che se la pianterai di piangerti addosso e parlerai con le persone che ti stanno attorno riuscirai a vedere cosa c’è di buono. E la pianterai di distruggere tutto quello che hai costruito. Anche gli altri sono spaventati, arrabbiati e confusi, forse… dico forse potreste provare ad andare avanti tutti insieme.”
   Dio, quel discorso non stava in piedi nemmeno a puntellarlo.
   “Andrà meglio, vedrai” buttò lì alla fine.
   “Come lo sai?” chiese Dean. “Come sai che andrà meglio?”
   Lo so perché io ero come te. E forse lo sono ancora.
   Roy sapeva che Minerva lo aveva scelto per quel motivo, sapeva che avrebbe dovuto raccontare un pezzettino di sé quella sera. Ed era sempre quello il motivo per cui aveva temporeggiato fino all’ultimo prima di andare alla casa dei Thomas. Al diavolo, tanto valeva buttarsi.
   “Sono diventato un Auror per essere utile, per difendere la Comunità Magica dai Maghi Oscuri, per costruire qualcosa di buono. Ma le regole che mi venivano imposte non mi andavano mai bene, raramente rispettavo gli ordini che mi venivano dati, avevo un concetto tutto mio del fare giustizia che ritenevo assolutamente brillante. Chiaramente ho ricevuto una quantità di richiami e sanzioni sufficiente a riempire diversi faldoni dell’Ufficio Personale del Ministero della Magia. Più il mio capo mi rimproverava, più io mi incazzavo perché ero assolutamente convinto di essere nel giusto. Finché…” Roy sospirò di nuovo e si costrinse a continuare. “Avevamo avuto una soffiata su un covo di Mangiamorte a Edimburgo; venimmo spediti in cinque a verificare le informazioni, con il preciso ordine di non intervenire, qualsiasi cosa avessimo visto. Dovevamo solo controllare che il covo fosse effettivamente nel luogo che ci era stato indicato e tornare alla base scozzese per ricevere nuove istruzioni.”
   “Ma tu non ti sei limitato a quello” disse atono Dean; Roy increspò le labbra e annuì.
   “Stavano torturando una coppia di Babbani. Maledizione Cruciatus. La donna svenne e io non ci vidi più: feci irruzione e i miei compagni mi seguirono.”
   Faceva ancora molto male raccontarlo, non riusciva a perdonarsi in nessun modo quello che aveva fatto, per quello che aveva distrutto perché non aveva saputo guardare oltre sé stesso.
   “Tre di loro morirono, un terzo ebbe abbastanza buon senso da tornare alla base e chiamare rinforzi – il ché per inciso è l’unico motivo per cui sono qui a raccontarti questa bella storiella. Al ritorno volevo dare le dimissioni, ma fu Kingsley ad opporsi con forza e a convincermi a rimanere; chiesi di non essere più agente operativo e scelsi di fare l’Istruttore di Reclute.”
   Roy deglutì e cercò di mettere insieme una conclusione.
   “Mi dedico agli altri, solo alle mie Reclute, e spero che loro diventino Auror migliori di me.”
 
   Anni dopo, quando Roy Leatherman avrebbe ripensato a quella sera, avrebbe stentato a ricordare come si era congedato da Dean Thomas e si era ritrovato di nuovo sotto la pioggerella insistente dall’autunno londinese. Sapeva solo che il mal di testa martellante era stato sostituito da un brutto mal di stomaco, come se le sue budella fossero state rivoltate come un guanto; era certo che Dean stesse anche peggio, ma in qualche modo aveva letto in fondo agli occhi di quel ragazzo una scintilla nuova, come se quel ragazzo avesse intravisto in mezzo a tutto lo sproloquio di Roy un sentiero percorribile.
   Minerva McGranitt era la professoressa più terribilmente insistente che Roy avesse mai incrociato e probabilmente la donna più testarda sulla faccia della terra: sapeva, per sua stessa ammissione, di non poter salvare tutti i suoi studenti, ma questo non l’avrebbe fermata dal provarci sempre. Ed era brava, accidenti, era dannatamente brava.
 
 
 
 
 
 
 
 




 
Angolo di Gin
Soffocata dai fiori d’arancio, but still standing here!
Cinque matrimoni – che sono appena diventati sei – stanno letteralmente soffocando il tempo che riesco a dedicare alla scrittura e alla lettura, e vi chiedo scusa, ma eccomiiiii con un capitolo che spero faccia perdonare l’attesa.
Dunque, procediamo con ordine, cercando anche di riprendere alcune cose che forse si sono perse per strada (nomino personaggi di cui avete letto tipo un anno fa…):
  • Harry chiede ed ottiene una gitarella a Hogwarts, rispettando il canon per cui a lui tutti gli strappi alla regola vengono puntualmente concessi – e adesso se lo merita anche, visto che ha salvato il mondo magico etc etc, ma i bonus si stanno per esaurire. Quelli con la McGranitt sono sicuramente finiti;
  • Greg Williams era uno degli Auror assegnati alla scorta di Harry al San Mungo; giovane ed affascinante, aveva fatto ingelosire Ron più di una volta perché Hermione ha dato segno di apprezzare i sorrisi del nostro ricciolino, che oltre che belloccio è pure sveglio;
  • Hermione disarma Harry nel capitolo 2; in pieno stile Rowling (stasera me la tiro) ho ripreso una roba che nessuno si ricordava e che invece diventa fondamentale a questo punto;
  • Del libro parleremo e riparleremo, ma se avete le idee poco chiare ditemelo, nella mia testa è tutto chiaro, ma non so se lo è anche per gli altri…! Menzione speciale a Blackjessamine che ha beccato subitissimo il riferimento alla Bacchetta di Sambuco
  • Vi ho risparmiato la scena in cui Ginny deve ammettere di essere punizione – inutile e ripetitiva, quindi ho saltato a piè pari;
  • Finalmente dopo tre capitoli che dico che rivedremo Dean, abbiamo rivisto Dean! E abbiamo anche scoperto il motivo del pessimo carattere di Leatherman. Storia secondaria, ma sapete che io ho una vera passione per le story line minori <3
  • Penso sia intuibile, ma lo dico lo stesso, Isolt è la moglie di Leatherman, nominata velocemente nei capitoli di Villa Conchiglia
 
Grazi di cuore a chi è ancora con me dopo un anno e mezzo, a chi legge anche solo ogni tanto e soprattutto a chi dedica un po’ del suo tempo a recensire!
 
Smack
Gin

Ritorna all'indice


Capitolo 39
*** La verità ***


La verità ti renderà libero.
Ma solo quando avrà finito con te.
 
Infinite Jest – David Foster Wallace
 
 
 
La verità
 
 
 
6 novembre 1998 – Hogwarts
 
   Ginny girò distrattamente un’altra pagina del libro di Pozioni Avanzate, mentre cercava di distogliere il pensiero dal grattare ritmico della penna di Luna sulla pergamena; non sapeva dire per quale motivo, ma quel rumore la stava facendo impazzire.
 
   Il Phaseolus in cursus, meglio noto come Fagiolo Corridore, è un legume dalle molte proprietà magiche ed è per questo molto ricercato da Pozionisti ed Erbologi. La pianta stessa sembra essere perfettamente consapevole della sua intrinseca preziosità, in quanto…
 
   Astoria cambiò di pochi centimetri la propria posizione, seduta di fianco a Luna; concentrata su un saggio circa gli usi della Pietra di Sangue, aveva su quel volto che pareva troppo giovane un’espressione neutra che incuriosiva Ginny: sembrava calma, quasi indifferente a quello che le succedeva intorno, come la superficie di un lago.
   L’apparenza era quella della serenità, ma Ginny sapeva che la Biblioteca era seconda solo al Dormitorio di Serpeverde per grado di disagio che inculcava in Astoria, dato che a sua sorella era stato assegnato un mese di punizione come assistente di Madama Pince. Per quanto Daphne fosse stata cattiva con Ginny il giorno della partita di Quidditch, quello era solo uno scherzetto innocente se paragonato alle continue vessazioni a cui sottoponeva la sorella: faceva Evanescere i suoi compiti, nascondeva i suoi vestiti (una volta Astoria aveva ritrovato le sue camicie da notte sul fondo della Guferia), aveva fatto in modo che tutta la casa di Serpeverde le rivolgesse a mala pena la parola, Appellava il cibo di cui Astoria si serviva durante i pasti. Insomma, sembrava volerla prenderla per sfinimento, visto che non aveva ottenuto nulla con le discussioni e le ramanzine su quanto fossero importanti la famiglia e la purezza del sangue, soprattutto in quel momento così buio, in cui i loro genitori erano stati reclusi ad Azkaban per la Causa.
 
   … è per questo molto ricercato da Pozionisti ed Erbologi. La pianta stessa sembra essere perfettamente consapevole della sua intrinseca preziosità, in quanto è refrattaria alla raccolta: i baccelli del Fagiolo Corridore sono infatti in grado di…
 
   Luna scriveva davvero in modo fastidioso; come diavolo faceva a fare quello scricchiolio con una dannata piuma? Ginny cercò lo sguardo di Hermione, che però sembrava estremamente impegnata nella lettura del Manuale di Incantesimi Avanzati: aveva preso molto sul serio la ramanzina della McGranitt. O forse era solo assolutamente determinata a mettere le mani sul libro della Bacchetta di Sambuco, come ormai lo avevano soprannominato lei e Harry.
 
   … è refrattaria alla raccolta: i baccelli del Fagiolo Corridore sono infatti in grado di percorrere anche diverse miglia in completa autonomia per sfuggire al mago o alla strega che sta tentando di coglierli.
 
   Una veste frusciò vicino all’orecchio destro di Ginny, che alzò gli occhi d’istinto: la figura snella di Daphne Greengrass scivolò velocemente molto vicino al loro tavolo, trasportando diversi libri tra le braccia; non degnò nemmeno di uno sguardo Astoria, che sembrava ancora molto concentrata sul suo saggio, ma cambiò leggermente posizione sulla sedia.
 
   La pianta stessa sembra essere perfettamente consapevole della sua intrinseca preziosità…
 
   Ginny smise di leggere, contrariata, accorgendosi d’un tratto di aver ricominciato per la terza volta la stessa frase. Il grattare della penna di Luna su quella dannata pergamena sembrava essere ancora più forte.
   “Hermione, per favore, spiegami questa cosa del Fagiolo Corridore” Ginny appoggiò una mano sul braccio dell’amica, buttando alle ortiche qualunque impegno nello studio per quel giorno. “Perché è così difficile da raccogliere?”
   Hermione non si fece pregare e per un quarto d’ora abbondante il tempo sembrò essere tornato indietro a due anni prima, mentre l’amica snocciolava nozioni pedanti e perfette su complicate Pozioni e metodi di coltivazione in serra. Ginny cercò di non farsi sfuggire una parola, appuntando febbrilmente su una pergamena tutto quello che riusciva senza che il polso le si staccasse: i riassunti di Hermione erano semplicemente manna dal cielo nell’anno dei M.A.G.O.
   Di nuovo la figura sottile di Daphne aleggiò di fianco al loro tavolo, ma questa volta la veste centrò in pieno la boccetta di inchiostro, che girò sul proprio asse e rotolò per diversi centimetri sulla pergamena di Ginny.
   “Ehi!” gridò la ragazza, alzando il foglio ormai completamente illeggibile; anche le mani erano zuppe di inchiostro, ma quello la preoccupava decisamente meno. Daphne si voltò con calma, socchiudendo gli occhi chiari e sibilando: “Shhhh. Silenzio, Weasley, siamo in Biblioteca, non sul campo di Quidditch.”
   “Cosa vuoi?” sussurrò Astoria senza alzare gli occhi dal saggio; Daphne le scoccò un’occhiata così carica di rancore che quella che aveva lanciato a Ginny sembrava rivolta ad una vecchia amica. Luna aveva smesso di prendere appunti e guardava la scena con gli occhi sgranati, come se stesse succedendo qualcosa di assurdo.
   “Vorrei che ti comportassi con un po’ di decenza e frequentassi delle persone adeguate, invece di gironzolare con… con loro” disse Daphne freddamente, sottolineando l’ultima parola come se fosse qualcosa di sconcio. Astoria alzò finalmente gli occhi su sua sorella e la fissò per qualche lungo momento, come se stesse decidendo se Schiantarla o meno; Hermione si agitò sulla sedia di fianco a Ginny, poi si alzò e cominciò a raccogliere i suoi libri nella borsa.
   “Ragazze, Ginny farà tardi nell’aula di Pozioni se non ci sbrighiamo” disse sbrigativa. “Gazza ha detto che le aggiungerà un giorno di punizione ogni volta che arriva in ritardo.”
   A Ginny non risultava affatto, ma era buon espediente per guadagnare l’uscita con la stessa velocità di un Fagiolo Corridore; Astoria le seguì con molta più calma. Fu solo una volta che si furono lasciate alle spalle la pesane porta della Biblioteca che Ginny si concesse un sospiro di sollievo.
   “Spero davvero che Gazza non ti abbia sentito, so che l’idea di aggiungere giorni di punizione gli piacerebbe moltissimo.”
   Hermione sorrise nervosa.
   “Tutto pur di evitare di stare nella stessa stanza con… quella vipera! Scusa Astoria” si affrettò ad aggiungere Hermione, ma la Greengrass scrollò le spalle con noncuranza.
   “Non potrei essere più d’accordo.”
   “E’ così, allora?” la voce di Daphne risuonò come un sibilo tagliente alle loro spalle; le quattro ragazze si voltarono simultaneamente. Ginny notò che Astoria era leggermente sbiancata ma manteneva lo sguardo alto su sua sorella.
   “La mia presenza ti è diventata così insopportabile?”
   La voce di Daphne si era incrinata per un momento; era stato un solo attimo, ma Ginny percepì il dolore in quella ragazza normalmente così fredda. Astoria la fissava senza dire una parola.
   “Te lo chiedo per un’ultima volta, sorella: o la tua famiglia, o questa feccia.”
   Un silenzio pesante si dilatò tra le due ragazze e la luce delle torce parve calare agli occhi di Ginny; avrebbe voluto fare qualcosa, qualunque cosa per tirare fuori Astoria da quella situazione così spinosa.
   “Daphne, non…”
   “Scegli, Astoria. Adesso.”
   “Io…” boccheggiò la ragazza. “Non siamo obbligate a ragionare come nostra madre.”
   Daphne ridusse gli occhi ad una fessura.
   “Tu mi costringi.”
   Astoria scosse il capo e sembrò diventare ancora più piccola; Daphne allungò la mano sinistra e l’appoggiò sulla testa della sorella, il pollice premuto sulla sua fronte, mentre con la destra appoggiò la punta bacchetta all’incavo della spalla di Astoria.
   “Per la bacchetta e per il sangue” pronunciò in tono grave.
   “Daphne…” il tono supplichevole di Astoria smosse qualcosa di spiacevole da qualche parte all’altezza dello stomaco di Ginny.
   “Per il nome e per l’anello” proseguì imperterrita Daphne stringendo la presa sulla fronte della sorella. “Tu non sei più parte della famiglia.”
   “Non sei obbligata!” urlò Astoria disperata.
   “Questo lo pensi tu, Reietta.”
   La punta della bacchetta di Daphne affondò nella spalla di Astoria come se questa fosse burro fuso; Astoria gridò e un lampo di luce violacea invase il corridoio. Ginny non fu sicura di essere riuscita a rimanere in piedi finché non riaprì gli occhi e si vide i piedi ben fermi a terra; la testa le girava e non riusciva a capire perché diavolo se ne fosse rimasta lì imbambolata a guardare senza correre in aiuto di Astoria, ma le sembrava fosse successo tutto così in fretta.
   “Astoria!”
   Luna era china sulla ragazza, che era accasciata con la schiena appoggiata alla parete del corridoio, ansimante, gli occhi socchiusi; di Daphne non c’era più traccia.
   “Cosa… cos’è successo?” chiese Hermione boccheggiando.
   “Avete appena assistito ad una cancellazione dall’Albero Genealogico in pieno stile Greengrass” spiegò a fatica Astoria; si premeva una mano sulla spalla sinistra, dove la bacchetta di Daphne era affondata.
   “Ti portiamo in Infermeria” disse Ginny in tono fermo; si sentiva ancora stordita, ma era perfettamente in grado di trascinare anche di peso l’amica da Madama Chips.
   “No” mormorò Astoria.
   “Hai bisogno di aiuto” squittì senza fiato Luna; Astoria annuì.
   “San Mungo” riuscì a dire, mentre la testa le pendeva già di lato; Hermione non se lo fece ripetere due volte ed estrasse la bacchetta: Ginny fece giusto in tempo a riconoscere la forma della lontra argentea mentre il Patronus filava dritto in direzione dell’ufficio della Preside.
 
 
 
13 novembre 1998 – Camulus’ Stronghold
 
   La cucina del Refettorio di Camulus’ Stronghold era, giustamente, a misura di Elfo Domestico: i piani di lavoro arrivavano alle cosce di Harry, i soffitti erano così bassi che era necessario lavorare inginocchiati e per passare dalle porte bisognava accucciarsi e strisciare. Niente a che vedere con le maestose cucine di Hogwarts, in cui generazioni di studenti erano state accolte con montagne di dolcetti e fatti accomodare come ospiti graditi. A Camulus’ Stronghold se uno studente metteva piede nelle cucine era un vero e proprio spettacolo per gli Elfi, che osservavano divertiti le Reclute in punizione strofinare pentole e piatti inginocchiati davanti a banconi troppo piccoli.
   Con un grosso pentolone insaponato tra le mani, Harry cercò di raddrizzare la schiena e spostò il peso da un ginocchio all’altro per cercare di dare un po’ di sollievo alle sue articolazioni, provate da due settimane di punizione; il lato positivo era che, se non avessero combinato altri danni, quella sarebbe stata l’ultima sera.
   Per fortuna Clobhair si era stancato di punzecchiarli con i soliti rimproveri (Ti sembra pulito, questo? Clobhair ci si deve specchiare! E’ così che strofini il grasso? Sei forse una graziosa ballerina?) e si era ritirato con i suoi Elfi, lasciando i ragazzi soli almeno per l’ultima parte della serata.
   “E così ho detto a mio padre che il diploma da Guaritore poteva infilarselo in quel posto!”
   Ella Fletcher arricciò il delizioso naso spruzzato di lentiggini mentre dava un ultimo colpo deciso di spugna alla bistecchiera sulla quale si stava accanendo da una mezzora abbondante.
   “Avevo decisamente le scatole piene di tutti quei boriosi so-tutto-io con la verità in tasca che scorrazzano per il San Mungo.”
   Harry e Theodore si scambiarono un eloquente sguardo di intesa: Ella era decisamente l’ultima che poteva permettersi di criticare il carattere di qualcun altro. Harry sospirò e lanciò l’ennesima occhiata all’orologio appeso alla parete della cucina: nove meno un quarto. Ancora quindici minuti e avrebbero potuto mollare lì pentole e piatti e andare a scolarsi una Burrobirra in santa pace, lontano dalle ciance della Fletcher e dagli squittii nervosi di Clobhair.
   “Ho mollato il corso giusto in tempo, a dire la verità” proseguì Ella riponendo la bistecchiera con cura su un ripiano, attenta a non farle urtare nulla, come le aveva insegnato Clobhair a forza di Incantesimi non propriamente piacevoli. “Un mese dopo sono entrate in vigore le leggi che bandivano i Nati Babbani e mio padre ha evitato che gli spezzassero la bacchetta dandosi malato. Siamo scappati la notte stessa, ci siamo Smaterializzati poco prima che i tuoi amichetti ci venissero a fare visita, Nott.”
   Harry vide le nocche di Theodore sbiancare mentre stringeva il piatto che aveva in mano con troppa forza, quindi sfiorò il braccio dell’amico con il proprio gomito e lui allentò la presa, riprendendo a respirare; già due giorni prima aveva rotto un bicchiere allo stesso modo e Clobhair lo aveva condannato a una settimana di rape scondite per pranzo. Harry davvero non riusciva a capire come Theodore potesse sopportare quelle continue punzecchiature.
   Ella appoggiò i gomiti sul bancone di lavoro e si puntellò, spingendosi in avanti verso Theodore che dall’altra parte cercava di mantenere gli occhi bassi sul proprio lavoro.
   “E’ così dannatamente facile farti arrabbiare” lo canzonò la ragazza. “Eppure dovrai scendere a patti con il tuo passato, prima o poi. Io lo faccio per te!” trillò maliziosamente.
   “Piantala, Fletcher” sibilò Harry.
   “Non so proprio cosa ci trovi in questo qui, Potter. Sembrate così amichetti. Eppure tu dovresti essere dalla nostra parte, cavolo, sei un eroe! Li hai combattuti quelli come lui!”
   “Senti, io non so cosa ci sia sotto le sue maniche” sbottò Harry appoggiando la pentola che stava lustrando scacciando la forte tentazione di lanciarla contro Ella. “E nemmeno mi interessa. Quello che so è che è sta facendo il corso da Auror, quindi deve avere un Diploma honoris causa, cosa che la McGranitt ha concesso solo per meriti di guerra. Mi risulta davvero molto difficile pensare che lo abbia dato ad un Mangiamorte coi fiocchi.”
   Theodore alzò lo sguardo su di lui di scatto, come se fosse esploso qualcosa; sembrò anche diventare più pallido del solito. Ella inarcò le sopracciglia in un’espressione tra lo stupito e il disgustato.
   “Se pensi che un Nott non sia un Mangiamorte, sei davvero un ingenuo. Mi aspettavo molto di più da te, Harry.”
   “Perché diavolo sarebbe qui, allora?”
   “E’ sempre molto facile salire sul carro dei vincitori” sussurrò Ella con mezzo sorriso, come se stesse spiegando ad un bambino che due più due fa quattro. “E poi, se non fosse un Mangiamorte, perché non dircelo dal primo giorno? Io non faccio che ripeterglielo, eppure lui non ha mai negato.”
   La ragazza puntò gli occhi su Theodore con un sorrisetto strafottente, come se lo stesse sfidando a dire il contrario, a battere un’argomentazione così convincente. Harry sentì la fiducia nell’amico traballare: era vero, lui non l’aveva mai negato. Lo guardò negli occhi: azzurri e disperati. Gridavano aiuto. Di certo nascondeva qualcosa, ma Harry si era convinto di così tante cose sbagliate nella sua breve vita, aveva giudicato male persone importanti, che lo avevano protetto – o che al contrario lo avevano solo usato. Non riuscì a dire nulla. Ella emise una risatina compiaciuta, si alzò e portò le mani dietro la schiena, per cominciare a togliersi il grembiule: considerava la partita chiusa.
   Theodore buttò la spugna a terra con forza, le labbra serrate; si mise in piedi e fissò Ella negli occhi, dall’alto in basso, i capelli che sfioravano il soffitto ad arco.
   “Il Marchio Nero” sibilò. “Pensi che qui sotto ci sia il Marchio Nero, Fletcher?” il suo viso si contorse in una smorfia grottesca. “Vuoi sapere cosa nascondo?”
   Si tolse la maglia e gettò per terra anche quella. Harry non poté fare a meno di guardare e il fiato gli si mozzò in gola. Ella sbiancò visibilmente ma non distolse lo sguardo mentre si rendeva conto di cosa in realtà ci fosse sotto la maglietta di Nott: il busto era completamente ricoperto di cicatrici e vecchie bruciature, la schiena era una ragnatela di segni di frustate, mentre sull’avambraccio sinistro una grossa macchia bianca e deforme tirava la pelle in modo disgustoso.
   “Sapevi che per imprimere il Marchio Nero serve il consenso dell’interessato, Fletcher? Devi volerlo.”
   Theodore sputava le parole come se stesse cercando di liberarsi di un cattivo sapore.
   “Per due mesi sono stato chiuso nella cantina dei Malfoy, due mesi, e credimi Fletcher mi hanno fatto di tutto, di tutto, per convincermi” Theodore girò attorno al bancone di lavoro e si portò davanti ad Ella, che sembrava sul punto di svenire ma non accennava ad abbassare lo sguardo. “Il mio stesso padre mi ha Cruciato tutte le sere. Ma quel Marchio io non ce l’ho.”
   Stese il braccio sinistro sotto il naso della ragazza, la pelle lucida ed esangue come quella di un cadavere.
   “Ma questo non basta mai. Sarò sempre un Serpeverde e il figlio di un Mangiamorte.”
   Harry credette di vedere gli occhi di Nott inumidirsi, ma solo per un attimo prima che voltasse spalle alla ragazza e riprendesse la maglia da terra.
   “E mi sta bene. Va bene così, davvero. Ma ho un lavoro da fare, quindi per favore lasciami in pace, devo finire entro sera.”
   Theodore si rivestì, afferrò la spugna e si inginocchiò di nuovo davanti al piano di lavoro, riprendendo ad occuparsi del piatto incrostato di sugo. Ella non disse nulla. Si legò i capelli, si riallacciò il grembiule e prese una spugna, poi cominciò a strofinare un’altra padella della pila che Clobhair aveva preparato appositamente per loro.
 
   Harry buttò giù un lungo sorso di Burrobirra direttamente dal collo della bottiglia, sperando che l’alcol dissipasse almeno un po’ dell’imbarazzo che regnava sul tavolino che divideva con Theodore in un angolo del Paiolo Magico. Durante quelle due settimane di punizione era ormai diventata un’abitudine quella di cenare insieme, sempre allo stesso tavolo, per scaricare la tensione della giornata e distendere i nervi dopo le due ore passate gomito a gomito con la reginetta della simpatia Ella Fletcher; diverse volte li aveva raggiunti anche Ron, con la pancia già piena dello sformato di Molly, decisamente migliore delle striminzite pie troppo burrose che Tom rifilava tutti i giorni agli avventori del proprio locale.
   Quella sera però le solite battute acide e le chiacchiere avevano lasciato il posto ad un silenzio impacciato: dopo aver visto cosa c’era davvero sotto le maniche lunghe di Theodore, Harry non sapeva proprio cosa dire; Nott da parte sua non riusciva nemmeno ad alzare gli occhi dalle proprie mani appoggiate sul tavolo, seduto in punta di sedia. A riscuotere i ragazzi ci pensò il tintinnio dei piatti appoggiati con malagrazia davanti a loro, con un buon appetito biascicato tra i denti; Harry alzò lo sguardo per ringraziare Tom, ma l’uomo era già di nuovo dietro al bancone a servire Whiskey Incendiario. Il ragazzo prese la forchetta e cominciò a saggiare la consistenza molliccia dello sformato al prosciutto e funghi, specialità del giorno, rassegnandosi ad una cena silenziosa.
   “Mi dispiace” sussurrò Theodore al proprio piatto. “Non avrei… non avrei dovuto.”
   Harry sbatté le palpebre incredulo.
   “Di che cosa ti stai scusando?”
   Theodore si strinse nelle spalle.
   “Mi ero ripromesso di tenermi… tutta questa storia per me” faceva una fatica incredibile a parlare, sembrava che ogni parola gli venisse tirata fuori a forza con le pinze. “Ma quando… quando hai detto che non credevi che io fossi un Mangiamorte… beh, ho creduto di poter…”
   Sospirò e sembrò ripiegarsi su sé stesso, le spalle ricurve e la testa china.
   “Theo, davvero non capisco di cosa ti vergogni” disse Harry lasciando la forchetta sospesa a mezz’aria e guardando finalmente l’amico. “Hai resistito alle torture per mesi, non ti sei fatto marchiare! E diventerai un Auror. Accidenti, dovresti andare in giro a dieci centimetri da terra! E invece hai lasciato che la Fletcher ti pestasse i piedi tutti i giorni. E’ lei quella che si deve vergognare!”
   Theodore ascoltava a testa bassa, o forse non stava ascoltando affatto, perché non rispose a Harry, ma sembrò piuttosto riprendere un discorso che stava facendo con qualcun altro.
   “Ho buttato tutto. Tutto quello che ero destinato ad essere, tutto quello che avrei dovuto fare nella mia vita… ho buttato via anche la mia famiglia. Ho testimoniato contro mio padre. E lo farò ancora.”
   “Ti ha Cruciato, Theo. Per mesi.”
   “E ha ucciso mia madre.”
   “Cosa?”
   Harry stava per mettersi un boccone di sformato in bocca, ma rischiò di far cadere la forchetta e decise di rimandare la cena: fredda avrebbe avuto comunque la medesima consistenza di un pasticcio di lumache. Theodore sospirò e proseguì il discorso con il proprio piatto a voce bassa, tanto che Harry dovette avvicinarsi per sentire quello che stava dicendo.
   “E’ cominciato tutto al quinto anno, durante la lezione di Cura delle Creature Magiche, te la ricordi? Quella sui Thestral. Li vedevo. E non capivo come mai. Se avessi visto qualcuno morire di morte violenta me lo sarei ricordato, no? Quella sera scrissi a mio padre, raccontandogli l’accaduto e chiedendogli come potesse essere possibile una cosa del genere. Non mi rispose mai. Feci ricerche, chiesi alla professoressa Caporal, ma la risposta era sempre la stessa: se sei in grado di vedere i Thestral, hai visto qualcuno morire. Quel pensiero ormai mi ossessionava, al punto che quando tornai a casa a Natale costrinsi mio padre a parlarne: volevo risposte.”
   Theordore allungò la mano verso la bottiglia di Burrobirra e ne ingollò un lungo sorso prima di proseguire nel racconto.
   “Le menzogne sono il cancro del mondo, mi disse mio padre quella sera; la famiglia è la cosa più preziosa che abbiamo e in famiglia non si deve nascondere nulla, mai. Mi disse che mia madre era stata una ragazza brillante, bella ed intelligente, si era innamorato quasi subito di lei negli anni di Hogwarts. E veniva anche dalla leggendaria famiglia Selwyn, dal sangue meravigliosamente puro da che mago abbia memoria. Al termine del settimo anno la sposò senza alcun indugio; sapeva che mia madre era stata cresciuta dalla nonna, ma non si tratta di una cosa poco comune nelle famiglie Purosangue, quindi mio padre non si era fatto molte domande.”
   Un nuovo sorso di birra; Harry imitò l’amico, il pasticcio ormai dimenticato a raffreddarsi in un angolo.
   “Io avevo già quattro o cinque anni, quando a mio padre capitò di acquistare una pergamena che riportava con precisione gli alberi genealogici delle Ventotto, con tanto di Incantesimo Rilevatore che la manteneva costantemente aggiornata: matrimoni, nascite e cancellazioni erano riportate con accuratezza e in tempo reale. Fu così che scoprì la grossa bugia di mia madre: era sì una strega, era sì un membro della famiglia Selwyn, ma il padre era un Magonò. Mia madre era stata cresciuta nel mondo magico dalla nonna per darle la possibilità di crescere con persone uguali a lei, così come era stato fatto con suo padre, affidato ad una famiglia babbana poco dopo la nascita.”
   “Tuo nonno non sapeva di essere un Magonò, quindi?” chiese Harry.
   “Oh, lo sapeva perfettamente. Sua madre gli faceva visita regolarmente, di nascosto chiaramente. La vergogna di un Magonò per una famiglia Purosangue è tale da giustificare l’infanticidio.”
   Harry fu scosso da un brivido, mentre Theodore parlava con tono piatto, come se stessero dissertando della coltivazione in serra del Puffagiolo. Nott finì la bottiglia in un ultimo lungo sorso.
   “A distanza di anni mio padre era ancora furibondo per quella scoperta, mentre mi raccontava di quella pergamena l’ho visto fuori di sé come mai prima di allora. Quello che fece a mia madre lo puoi immaginare.”
   Theodore si passò una mano sulla bocca; aveva un’aria stanca, gli occhi spenti.
   “Si accorse troppo tardi che io ero nella stanza. Modificò i miei ricordi e mi convinse che la mamma se n’era andata per una brutta malattia. Con i bambini è sempre molto facile, mi disse. Tutto il mio mondo crollò come un castello di carte: avevo sempre provato un’ammirazione sconfinata per mio padre, che da solo mi aveva cresciuto e non mi aveva mai fatto mancare nulla. Era tutta una bugia. Lui aveva distrutto la nostra famiglia. Mi aveva strappato mia madre e mi aveva costruito attorno un mondo basato sulle apparenze. A dire il vero tutto il teatrino delle famiglie Purosangue lo è. Cominciai a provare disgusto per tutto quello che mi circondava, vedevo tutto con una nuova disillusione, come se fosse caduto all’improvviso un velo che mi copriva gli occhi.”
   “Come sei riuscito a cavartela nell’ultimo anno? Voglio dire, hai rifiutato il Marchio, eri…”
   “Un Traditore del mio Sangue? Sì, certo. E’ per questo che sono stato rinchiuso a Villa Malfoy tutta l’estate tra il sesto e il settimo anno. La mia fortuna è stata quella che mi hanno lasciato tornare a Hogwarts: erano sicuri che non sarei scappato, controllato a vista da tutti i Mangiamorte che giravano per la scuola e che forse mi avrebbero anche convinto a farmi marchiare. Madama Chips mi prestò le prime cure e allertò la professoressa McGranitt; non tornavo mai nella Sala Comune di Serpeverde, ma mi avevano lasciato una camera di fianco agli appartamenti di Madama Chips, a cui davo anche una mano con gli altri ragazzi che finivano in Infermeria.”
   Aveva assistito Ginny, Neville, Seamus, Luna e chissà quanti altri ancora. Si era rivoltato alla sua famiglia e aveva rifiutato di essere uno dei tanti pecoroni che si univano ad una causa sbagliata. E sicuramente aveva combattuto la Battaglia di Hogwarts.
   “Sono patetico, no?” sussurrò ridacchiando Theodore.
   “Sei un eroe” disse con sicurezza Harry. “Su una cosa tua padre aveva ragione: le menzogne sono un cancro. Noi non saremo la tua famiglia, ma saremo i tuoi colleghi, forse arriverai a considerare qualcuno di noi tuo amico. Tu meriti di essere visto come quello che realmente sei, non come il fantasma di qualcosa che non esiste più. Non dovresti tenere per te la tua storia, non con le altre Reclute almeno.”
   Theodore alzò lo sguardo su Harry: quel ragazzo era spezzato in due, dilaniato tra il suo passato, quello che aveva sempre ritenuto di dover essere, e la tensione verso il suo futuro, quel sentiero che aveva imboccato in solitudine, dove lo avevano condotto le sue scelte.
   “Non sarò mai come voi.”
   “Lo sei già. L’unico che non ne è convinto sei tu.”
 
 
 
15 novembre 1998 – Hogwarts
 
   Madama Chips picchiettò con fare materno la propria mano su quella di Astoria, aggrappata all’incavo del suo braccio.
   “Siamo quasi arrivate” sussurrò l’Infermiera con un sorriso. Astoria annuì, grata dell’informazione; si sentiva ancora parecchio instabile, ma il Guaritore Ehrlich aveva detto che poteva tranquillamente proseguire le cure a Hogwarts e riprendere le lezioni, con le dovute cautele. Madama Chips la condusse attraverso il suo ufficio ingombro di medicazioni, pozioni e strani contenitori di vetro, ed arrivarono in un’anticamera sulla quale si affacciavano due porte identiche.
   “Queste sono le mie stanze” disse l’Infermiera indicando quella di sinistra. “Se hai bisogno di qualcosa non hai che da bussare.”
   Madama Chips sorrise, poi abbassò la maniglia dorata della porta di destra e invitò Astoria ad entrare.
   “Benvenuta, signorina Greengrass.”
   La stanza non era molto grande, ma conteneva tutto il necessario: un bel letto dall’aria comoda, una cassettiera, uno specchio a figura intera e una scrivania con una serie di scaffali appesi all’altezza degli occhi. I libri di Astoria erano già stati disposti sulle mensole e la ragazza non dubitava che nei cassetti avrebbe trovato i suoi vestiti. L’unica nota negativa era quell’odore di ospedale che aleggiava nell’aria, ma Astoria confidava che qualche Essenza Elfica riscaldata e, perché no, un po’ di magia avrebbero risolto la situazione.
   Di fianco alla finestra, quasi confusa con le tende scure, la professoressa McGranitt stava aspettando Astoria.
   “Buona sera, Preside McGranitt” disse la ragazza lasciando il braccio di Madama Chips per avvicinarsi. “La voglio ringraziare per avermi concesso questa stanza.”
   “Non potevi certo rimanere nel Dormitorio di Serpeverde, dopo quanto ti ha fatto tua sorella” rispose in tono pratico la professoressa. “Come stai?”
   Astoria si strinse nelle spalle.
   “Il Guaritore dice che se assumo regolarmente la Pozione Purificante e mi presento a controlli a cadenza, posso avere davanti anni.”
   La McGranitt strinse le labbra.
   “Mi dispiace molto, signorina Greengrass.”
   “Me la caverò.”
   “Puoi mangiare in camera anche a tutti i pasti, se non te la senti di stare al tavolo della tua Casa. Se ti dovesse servire qualsiasi altra cosa o se ci fossero altri problemi, non esitare a venire direttamente nel mio Ufficio. Le tue amiche sanno la parola d’ordine.”
   La Preside si concesse un piccolo sorriso; Astoria annuì, cercando di pensare a Luna, Ginny e Hermione come alle amiche sopracitate, ma senza riuscirci: si sentiva svuotata, come se qualcuno le avesse infilato una cannuccia nell’orecchio e ne avesse succhiato via ogni emozione, ogni desiderio e progetto.
   “A proposito delle tue amiche, questa sera ti faranno compagnia per cena” la McGranitt fece un cenno con la testa verso la porta; Astoria si voltò appena in tempo per vedere Luna che le si gettava addosso, stringendole le braccia al collo fino a rischiare di soffocarla. Hermione scacciò con malagrazia la prima ragazza e salutò Astoria con un tenero abbraccio, mentre Ginny le diede una pacca sulla spalla come se fossero vecchi amici di caccia.
   “Ecco i vostri tramezzini” disse Madama Chips appoggiando un vassoio stracarico di panini sulla scrivania.
   “Se ne volete altri sapete come raggiungere le cucine, no?” sogghignò la McGranitt; Hermione e Astoria si scambiarono un sorriso imbarazzato.
 
   Astoria si appoggiò con la spalla destra allo stipite della porta dell’ufficio, osservando le sue amiche allontanarsi lungo la corsia dell’Infermeria, chiacchierando allegramente tra loro; con la coda dell’occhio vide Madama Chips avvicinarsi, le mani ripiegate in grembo come una perfetta Florence Nightingale e il sorriso rivolto alle ragazze.
   “Quando glielo dirai?” chiese in un sussurro appena udibile. Astoria non distolse lo sguardo dal trio: Luna camminava all’indietro, con le mani disegnava grossi cerchi cercando di convincere le altre due di qualcosa, un sorriso brillante che le illuminava gli occhi azzurri. Ginny scuoteva con forza la chioma rossa raccolta alla bell’e meglio, mentre Hermione rideva stringendosi al petto i libri che aveva portato ad Astoria per mostrarle esattamente cosa si era persa durante i giorni di assenza.
   Astoria arricciò un angolo della bocca e si strinse nel golf di lana chiara.
   “Mai” mormorò. Voltò le spalle a Madama Chips e le augurò la buona notte, raggiungendo in fretta la porta della propria camera e chiudendosela alle spalle. Trasse un lungo sospiro, come se avesse corso per chilometri, e una fastidiosa fitta si irradiò dalla spalla sinistra; Astoria si portò una mano alla zona dolente, ma riuscì a resistere all’impulso di massaggiarla: il Guaritore le aveva detto di toccare la zona il meno possibile. Raggiunse la cassettiera e cominciò a spogliarsi, togliendosi prima il golf, poi la maglia con gesti cauti, timorosa di sentire ancora dolore.
   Fu impossibile non far cadere l’occhio sullo specchio che rifletteva la sua spalla nuda. Astoria sfiorò con le dita il punto in cui la bacchetta di Daphne era penetrata nella sua carne, scavando un buco di diversi centimetri, ormai rimarginato; dai bordi si irradiavano cinque piccoli tentacoli scuri, come radici che premevano sotto la pelle, contorcendosi assetati del suo sangue, disegnando una sorta di grottesco fiore.
   Era proprio così che la chiamavano: Maledizione Flora Nigra, la Maledizione dei Fiori Neri. Un fiore nero sull’Albero Genealogico della famiglia Greengrass al posto del suo nome, un fiore nero che cresceva sulla sua spalla e che un giorno gli avrebbe succhiato tutta la linfa vitale, finché di Astoria Greengrass non sarebbe rimasto che un involucro vuoto.
   Non si sfuggiva al sangue puro della famiglia Greengrass, e se non ne eri degno dovevi restituirlo, fino all’ultima goccia. Era questa la logica perversa che stava dietro la cerimonia di Cancellazione, dietro quell’Incantesimo disumano ideato, dicevano i libri di storia della magia, dal fondatore della famiglia e tramandato di generazione in generazione al solo scopo di mantenere pura la linea genealogica. La Maledizione era studiata per ucciderti nel giro di poche settimane, ma il Guaritore Ehrlich le aveva assicurato che quella Pozione dal sapore acido le avrebbe consentito di rallentare per anni ed anni la crescita del Fiore Nero.
   Astoria appoggiò la punta dell’anulare destro ad uno dei sottili petali del suo Fiore e misurò con la spanna la distanza dal cuore: quando le radici sarebbero riuscite ad arrivare lì, non ci sarebbe stata più Pozione in grado di allungare ancora il tempo a sua disposizione. Non c’era cura, il Guaritore era stato molto chiaro, ma non era detto che nel frattempo qualcuno non scoprisse qualcosa di nuovo.
   Una lacrima scese lenta lungo la guancia, indugiò sul bordo del mento e cadde sul dorso della mano di Astoria. Lei aveva solo un po’ di tempo, le sue amiche aveva un lieto fine davanti a loro e non sarebbe stata lei ad inquinare le loro scintillanti favole con la storia breve di un Fiore Nero.
 
 
 
16 novembre 1998 – Camulus’ Stronghold
 
   Nonostante il tono marcatamente ironico, a Harry piaceva il nome della Stanza del Buongiorno; la Shacklebolt continuava a chiamarla Stanza delle Riunioni o, quando era particolarmente di buon umore, dei Briefing, ma era in assoluto l’unica.
   C’era un’aria particolare quella mattina nella Stanza del Buongiorno, e non dipendeva solo dal fatto che dalle finestre filtrava la pallida luce di una giornata finalmente serena dopo un mese intero di pioggia: aleggiava uno strano silenzio, carico di tensione; solo Hannah e Kiky chiacchieravano sommessamente dal lato opposto del tavolo ovale. Ron trattenne uno sbadiglio, mentre Harry lanciò una breve occhiata a Theodore, che fissava le proprie mani giunte davanti a sé sul pianale di legno.
   “Reclute, non vi riconosco” esclamò Leatherman sbalordito mentre entrava seguito dalla Shacklebolt. “Siete troppo silenziosi. Lena dovremmo testare che non ci siano Incantesimi Silenzianti in questa stanza!”
   “Buongiorno a tutti” disse la Shacklebolt ignorando il proprio collega e sedendosi con la consueta eleganza. “Cominciamo la settimana con la risoluzione della punizione dei tre nostri compagni. Potter, cominci tu?”
   Harry si alzò, si schiarì la gola e ripeté il discorsetto diplomatico che si era preparato con l’aiuto di Molly.
   “Non ho rispettato il regolamento e ho messo me stesso e la squadra in una situazione di potenziale pericolo. Me ne rendo conto e mi scuso con voi Istruttori e con tutti i miei compagni per il mio comportamento, non accadrà più.”
   La Shacklebolt annuì soddisfatta, mentre alle sue spalle Leatherman lo guardava accigliato, ma alla fine alzò gli occhi al cielo e fece cenno a Harry di sedersi.
   “Fletcher?”
   Ella, seduta di fronte agli Istruttori, sembrava per la prima volta dall’inizio del corso estremamente a disagio: si rosicchiava le unghie della mano destra con lo sguardo basso, che alzò solo per un momento sulla Shacklebolt prima di mettersi in piedi; si sistemò i capelli dietro un orecchio e incrociò le braccia sulla pancia. Era veramente uno spettacolo incredibile, non sembrava nemmeno la stessa persona che venerdì sera si prendeva gioco di Theodore sporgendosi sul bancone della cucina.
   “Io… mi sono sbagliata. Ho commesso un grosso, grosso errore di valutazione.”
   Fissò gli occhi su Nott e per un momento Harry fu convinto che non sarebbe riuscita a proseguire.
   “Mi sono basata su un pregiudizio e non ho saputo vedere altro. Odio così tanto i Mangiamorte che… ho finito per comportarmi come uno di loro.”
   Gli occhi di Ella si inumidirono platealmente, ma lei si passo una manica della felpa sul viso con forza e proseguì.
   “Mi dispiace. Mi dispiace enormemente. Ma non pretendo che mi perdoni, Nott, io… mi sono comportata come una vera stronza.”
   Theodore ridacchiò e annuì con forza, strappando un sorrisetto anche a Ella; gli Istruttori si scambiarono un’occhiata sorpresa.
   “Ok, non so cosa sia successo” disse la Shacklebolt con le sopracciglia inarcate. “Ma queste sono le prime vere scuse sincere che sento dall’inizio del corso. Non posso che esserne piacevolmente stupita. Siediti pure, Fletcher. Nott, sono decisamente curiosa di sentire cosa hai da dirci tu.”
   Theodore fissò Harry per un lungo momento e Harry annuì; Ron cambiò posizione sulla sua sedia di fianco a lui, a disagio.
   “Anche io ho commesso un errore di valutazione” cominciò Nott sistemandosi l’orlo della felpa grigia da Addestramento. “Non mi sono fidato di voi. Ho cercato di proteggermi dai miei stessi compagni, mi sono nascosto nelle retrovie e ho lasciato che credeste di me quello che… che volevate credere.”
   Si tormentò il polsino della manica sinistra distrattamente.
   “Ma per me siete un po’ la mia nuova famiglia. E la verità… la verità è diversa.”
   Circondò con la mano il polsino e tirò su la manica con decisione, mostrando l’incavo dell’avambraccio sinistro.
   “Vorrei che tutti voi la conosceste.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Angolo di Gin
Uh uh, capitolo decisamente autoconclusivo lo so, ma il lato positivo è: da quanto non aggiornavo così presto dall’ultimo capitolo pubblicato, eh?
Potrei raccontarvi che ho avuto l’ispirazione sulla via di Damasco, ma la vera verità è che quando mi parte il trip scrivo pezzi a casaccio che ci saranno in futuro, li metto da parte e quando è il momento li tiro fuori dal cassetto. Ecco, questo capitolo è un immenso collage di una serie di questi pezzi scritti sotto trip, quindi non dico che ho dovuto revisionarlo e basta, ma il lavoro è stato molto più snello del solito.
Detto ciò, proseguiamo il viaggio nelle story line secondarie, in particolare queste due mi stanno a cuore perché sono due viaggioni che mi sono sparata su due grandi (dai, medi) punti interrogativi della saga:
  1. Perché diavolo Nott vede i Thestral?
  2. Di cosa cavolo muore all’improvviso Astoria Malfoy, nata Greengrass?
Sapete quanto ami raccogliere le maglie sfuggite agli abili ferri di J. K. Rowling, ed ecco qui le risposte alle due sopracitate domande. Attendo pareri sulla loro capacità di convincervi!
Già che c’ero ho cacciato parallelismi a destra e manca tra Nott e Astoria, questa volta è ispirazione del momento ;)
Chicca sulla scelta del nome del Guaritore Ehrlich, medico ebreo tedesco che fu tra i primi sperimentatori della chemioterapia, che quindi si guadagna il posto in questo capitolo in quanto perseguitato e in quanto il richiamo del Fiore Nero che è affamato del tuo sangue è alla leucemia (abbiate pazienza, deformazione professionale, ormai ci siete abituati, no?)
Bon, al prossimo giro riprendiamo il filone principale, anche se ci vorrà un po’ più di tempo per elaborarla (non ho pezzi nel cassetto per quello che ho in serbo per il prossimo aggiornamento…!)
 
Grazie di cuore a chi ha letto e chi leggerà, e soprattutto a quelli che mi dedicano un po’ del loro tempo per recensire!
 
A presto
Smack
Gin
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3666343