Sweet and dangerous obsession

di Napee
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Di occhi grigi e rose cerulee ***
Capitolo 2: *** 2. Di melodie conosciute e lacrime di gioia ***
Capitolo 3: *** 3. Di corone di fiori e regine di amore e bellezza ***
Capitolo 4: *** 4. Di litigi dolorosi e messaggi d’amore ***
Capitolo 5: *** 5. Di incursioni notturne e romantiche verità ***
Capitolo 6: *** 6. Di amori sbocciati nel deserto e funeste premonizioni ***
Capitolo 7: *** 7. Di struggenti addii e amori eterni ***



Capitolo 1
*** 1. Di occhi grigi e rose cerulee ***


1.    Di occhi grigi e rose cerulee

 

Con passo elegante, entrò nella lussuosa sala d’estate ricolma di nobili cortigiani.
Alcuni di loro, era convinto, di averli già visti, magari facevano parte proprio della sua corte, ma non vi aveva posto troppa attenzione per cercare di capire quale volto si celasse dietro le maschere variopinte.
Il ciambellano chiamò il suo nome con enfasi e subito milioni di sguardi femminili vennero calamitati sulla sua figura.
Alcuni maliziosi, altri ammirati, altri stupiti, ma non gli interessavano granché.
Si sistemò la maschera sul volto e scese i gradini ammirando l’enorme salone addobbato a festa: le immense colonne erano state decorate con rami d’alloro rigogliosi, che riempivano l’aria con il loro leggiadro profumo.
Le volte delle finestre invece erano state riempite di rose selvatiche dai colori più variopinti.
L’illuminazione, volutamente mantenuta tenue, era dovuta alle poche candele poggiate sui rami d’alloro che colavano cera calda per tutta la lunghezza delle colonne, mentre, in cima alla piccola scalinata, si ergeva il trono di spade, imperioso ed austero, illuminato a giorno da un imponente lampadario dorato.
Alle spalle del trono, lunghi drappi pesanti addobbavano le pareti con lo stemma della casata reale, ed il tocco di sua madre si poteva notare chiaramente dalle pietre preziose incastonate dentro gli occhi del drago a tre teste.
Tutta quella sfarzosità, quando il popolo bruciava bramando diritti e giustizia... scosse il capo scacciando quei pensieri, facendo ondeggiare i lunghi capelli fluenti.
Avanzò nel salone fino a raggiungere suo padre e gli rivolse un lieve cenno del capo, ricevendo in risposta un’occhiataccia di biasimo per l’orario irrispettoso al quale si era presentato.
Il ragazzo sorrise beffardo prendendo posizione al fianco del genitore.
“Dopo le danze, ti sarà presentata la tua futura consorte.
Non farmi pentire di non averti ancora dato alle fiamme.” Bisbigliò l’uomo tagliente, ma il ragazzo rise divertito stavolta.
Quella minaccia era divenuta meno aspra e pericolosa anno dopo anno.
La musica cambiò e decine di dame iniziarono a volteggiare sulla pista da ballo, accompagnate dai loro rispettivi cavalieri.
Il ragazzo si appoggiò pigramente con la schiena al muro, rilassando la sua posizione ed assumendo una posa ben poco elegante, ma nessuno osò fiatare a riguardo.
Vedeva milioni di volti semicelati sfilargli davanti senza davvero vederli, solo gli occhi restavano impressi. Quegli occhi che cadevano sempre sulla sua figura senza che lui lo volesse davvero.
Per un momento, si pentì di essersi presentato alla festa.
Gli accordi erano già stati presi senza il suo consenso, la sua presenza non era affatto richiesta, tuttavia gradita.
Presto gli si sarebbe parata davanti una giovane nobildonna, magari accompagnata dal padre, che avrebbe mostrato un fittizio interesse sulla sua vita sentimentale.
Sospirò frustrato di non avere l’opportunità di isolarsi da quel covo brulicante di serpi e potersi ritirare suonando la sua lira magari.
Altra coppia che slittava leggiadra davanti ai suoi occhi, altra dama che lo guardava sorridendo maliziosamente.
Sospirò ancora, stanco di quella pantomima.
Tutte nobildonne interessate solamente alla corona, nient’altro che serpi insidiose, inutili formiche che cercavano di arrampicarsi più in alto delle altre.
Il ragazzo storse la bocca disgustato. Per quanto ancora avrebbe dovuto subire quel supplizio infernale?!
L’ennesima coppia danzante si avvicinò alla scalinata ondeggiando goffamente rispetto alle altre ed il ragazzo, incuriosito, decise di osservarli con più attenzione.
Ad un tratto, un paio di occhi grigi dalle lunghe e folte ciglia, non incrociarono il suo sguardo come si sarebbe aspettato e come era successo fino a quel momento.
“Che strano...” bisbigliò fra sé e sé, cercando di non perdere di vista la ragazza dai capelli scuri ornati di rose blu, che non aveva posato la sua attenzione sull’ospite d’onore.
Scrutò attentamente i movimenti frettolosi della donna, il modo con cui il vestito ceruleo si alzava e si ripiegava su sé stesso e quei passi goffi che costringevano il suo cavaliere a dissimulare l’evidente imbarazzo.
“Chi è tanto audace da presentarsi ad un ballo senza saper ballare?!” Si chiese divertito, totalmente rapito dal sorriso divertito e sincero che stava sbocciando sulla bocca della giovane, ma che, ovviamente, non era rivolto a lui.
Seguì quelle movenze impacciate con lo sguardo attento, deridendola mentalmente ogni qual volta calpestasse lo sventurato piede del suo cavaliere, e rise incredibilmente divertito quando, nel tentativo di non cadere, la vide aggrapparsi alla tenda e rischiare di strapparla.
“Non è educato ridere delle sventure di una dama.” Lo rimproverò sua madre, affiancandosi al giovane nel tentativo di farlo ricomporre.
“Lo so... avete ragione madre. Scusatemi.” Si finse pentito mantenendo lo sguardo fisso sull’oggetto del suo intrattenimento.
Un'altra giravolta e stavolta urtò un’altra dama che sgarbatamente le rivolse un’occhiata piena di furia, ma alla bruna non sembrava importare poi molto.
Quella chioma scura continuava a muoversi in lontananza, sparendo e riapparendo di continuo, ed ogni volta un sorriso più bello addobbava quelle labbra perfette.
“Tuttavia, concordo con te.” Esordì sua madre dopo qualche minuto di silenzio in cui entrambi osservarono quella danzatrice decisamente inusuale.
“Quella Stark non sa proprio danzare.” Commentò sprezzante prima di allontanarsi con aria stizzita e raggiungere nuovamente il fianco del consorte.
“Una Stark…” bisbigliò fra sé e sé, nascondendo un sorriso dietro la mano.
Finalmente quella giovane e goffa danzatrice aveva un nome.

Alla fine del maestoso ricevimento, quando i cortigiani già si apprestavano a tornare nei loro castelli, una timida ragazza venne condotta dinnanzi al trono, scortata da un nobiluomo molto più anziano di lei.
Il ragazzo non la degnò neppure di uno sguardo tant’era rapito dall’insolita danzatrice in blu.
La vide sistemarsi una ciocca ribelle dietro l’orecchio ed abbassare garbatamente lo sguardo dinnanzi ad un uomo panciuto dai modi ben poco eleganti che evidentemente la stava corteggiando spudorato.
Per un istante, provò un moto di gelosia e la voglia di andare laggiù e mettere fine a quella pantomima fu pressoché impossibile da frenare.
Udì qualche saluto fin troppo amichevole fra suo padre ed il vecchio e qualche parola di circostanza a mala pena udibile pronunciata dalla giovane, ma non vi prestò troppa attenzione.
Il cuore batteva furioso nel suo petto, cozzando contro la cassa toracica con violenza inaudita, animato da un sentimento chiaro e preciso che, tuttavia, non aveva ragioni di provare.
Chi fosse quel corpulento nobile, nemmeno lo sospettava, anche se, dallo stemma che svettava sul suo mantello, poteva intuire che fosse uno dei Baratheon.
E fu quando quell’uomo allungò la sua mano osando sfiorare l’epidermide chiara del viso della giovane, che il cuore del principe si fermò del tutto ed il suo animo venne scosso dalla furia più nera.
Mille pensieri attraversarono la mente del giovane, mille scenari si dipinsero dinnanzi agli occhi della sua mente, ma uno in particolare dominava sugli altri: il viso di Lei adornato con un’espressione di disagio, mentre quell’uomo allungava le sue dita sulla pelle chiara del suo volto.
No, non era accettabile.
Sapeva che non aveva alcun diritto o alcun senso di sentirsi così furioso, così emotivo, eppure quella cocente ira non smetteva di ardergli l’anima.
Si staccò dal muro, fece per compiere un passo, ma una mano si artigliò al suo braccio destro costringendolo fermo.
Si voltò per prestare attenzione a chi lo stava trattenendo e gli occhi viola di sua madre dardeggiarono furenti nei suoi, tacendo una minaccia ben chiara ma che non permetteva di essere espressa a parole.
“Voglio presentarti Elia Martell.” Disse sua madre cercando di assumere un tono quanto più cortese possibile.
La regina si voltò verso la giovane dorniana sfoggiando un sorriso smagliante e, quest’ultima, abbassò il capo con reverenziale garbo.

Quella sera, dinnanzi agli ospiti provenienti da tutto il regno, fu annunciato il fidanzamento e l’imminente matrimonio del principe Rhaegar Targaryen con la principessa dorniana Elia Martell.
Il principe, inconsciamente, nella confusione dovuta ai festeggiamenti, cercò quegli occhi grigi che tanto lo avevano ammaliato, ma non li trovò.


Quella notte, disteso sull’imponente letto a baldacchino, il principe non riusciva ad abbandonarsi al sonno.
Le immagini di quella Stark mentre danzava, si sovrapponevano l’una all’altra velocemente, come una dolce tortura per il suo animo.
Sospirò frustrato.
Era costretto in un matrimonio non voluto e non poteva opporsi al volere del sovrano per assecondare un sentimento sconosciuto che gli faceva battere così furiosamente il cuore.
Si alzò dal letto, afferrò la sua lira abbandonata sul kline ed uscì dalle sue stanze pigramente.
I corridoi erano scuri e freddi, solo la tiepida luce lunare illuminava il suo cammino, mentre i suoi passi echeggiavano fra quelle mura di pietra.
Giunse nella sala d’estate e si accomodò sulle scale che portavano al trono di spade.
Piegò la gamba destra in modo da poterci appoggiare il braccio con il quale teneva lo strumento, mentre con l’altra mano pizzicava delicatamente le corde.
Un suono soave riempì l’immenso salone, avvolgendolo con una melodia melanconica che rispecchiava alla perfezione le emozioni che lo stavano tenendo in ostaggio.
Tristezza, impotenza, frustrazione, tutti sentimenti che non lasciavano scampo al suo animo.
Un principe in catene, ecco come si sentiva.
Un drago al quale avevano tagliato le ali, che non poteva assaporare il sapore della libertà fra le nuvole.
Poteva vantare il più possente regno, l’esercito più temuto, una bestia alata che avrebbe potuto decimare intere città soltanto per un suo capriccio...ma quanto poteva valere se non poteva nemmeno decidere del suo futuro?
Un potere immenso che non gli apparteneva davvero. Irraggiungibile. Effimero.
Poi, all’improvviso, quegli occhi grigi tornarono prepotentemente ad affacciarsi nella sua mente e neppure si accorse del cambiamento repentino che aveva avuto la sua melodia.
Da un tono triste ed angosciante, era mutata in una canzone serena, giocosa, divertente, caratterizzata da alte note che sembravano quasi risate.
Dei passi alla sua destra lo distrassero dal suo strumento, facendogli alzare lo sguardo.
La giovane Stark che aveva monopolizzato i suoi pensieri, se ne stava al limitare della sala, seminascosta da una delle tante colonne.
Non appena i loro sguardi s’incrociarono, la giovane nobildonna arrossì vistosamente ed abbassò il capo garbata in un impacciato inchino.
“M-mi spiace. Non volevo disturbarvi, ma questa musica era c-così bella che...”
“Nessun disturbo.” Le sorrise garbato alzandosi ed eseguendo un lieve inchino anche lui.
“V-vi prego... non serve. Siete voi il principe!” Replicò lei a disagio per quel gesto.
“Ma voi siete comunque una dama e l’educazione mi impone di inchinarmi dinanzi a voi.”
“Sì, ma vi prego di astenervi lo stesso. Non ho mai sopportato tali formalità.”
Il principe annuì in un muto cenno di scuse e mosse qualche passo verso la giovane.
Più si avvicinava e più riusciva a vedere chiaramente la bellezza di quella ragazza.
La nivea pelle veniva baciata dai tenui raggi lunari sembrando quasi lattea, i capelli scuri si riversavano sulle spalle dritte come una cascata informe di riccioli di cioccolato.
Sorrise ammaliato. Tanta bellezza non sarebbe dovuta essere mostrata con così incosciente  facilità.
Sorrise anche lei, vantando una perfetta collezione di perle bianche che andavano così in contrasto con le labbra rosee.
La voglia di mordere quella bocca fino a renderla rossa di baci fu difficile da sopprimere.
Abbassò lo sguardo verso il suo fisico asciutto,  celato dalla vestaglia notturna.
I seni svettavano baldanzosi tirando la stoffa del vestito ed inconsciamente di chiese come sarebbe stato stringerli con le sue mani.
Si morse il labbro inferiore come punizione per quei pensieri.
Giunse infine dinnanzi a lei e si prese tutto il tempo che desiderava per studiare attentamente ogni dettaglio della ragazza, cercando di scolpirsi nella mente quegli occhi grigi e tremendamente intriganti.
La vide arrossire e distogliere lo sguardo a disagio. La stava imbarazzando.
“Cosa ti piaceva della mia musica?” Chiese cercando di instaurare una conversazione, lasciando da parte ogni formalità.
“E-era davvero... intensa.” Gracchiò senza guardarlo negli occhi.
L’imbarazzo che stava provando nel dialogare con lui, non passò certo inosservato.
“Davvero?”
“S-sì. Trasmetteva emozioni profonde. Non avevo mai udito note così coinvolgenti.”
“Stavo pensando a te mentre suonavo.” Confessò lui sorridendo.
Forse uno dei suoi rari sorrisi sinceri, come quelli che rivolgeva a suo fratello.
“A me?!” Chiese lei visibilmente stupita, con le guance ancor più rosse e gli occhi leggermente sgranati.
Il principe annuì divertito da quella reazione così spontanea.
Ecco, “spontanea” era la parola perfetta per descriverla.
Ogni sua reazione, ogni suo gesto, ogni suo sorriso e persino quel tiepido colorito delle gote.
“N-non dovreste!” Protestò lei tornando a guardare qualcosa d’indefinito in un’altra direzione, lontano dagli occhi del principe.
“E perché no?”
“Perché non è educato pensare ad un’altra donna quando siete fidanzato.”
Il principe ghignò soddisfatto di quella risposta e, mellifluo, si avvicinò ancora alla giovane Stark.
Adesso, solo qualche centimetro li separava.
Il profumo di rose di lei lo investì in pieno volto stordendolo, ammaliandolo, ipnotizzandolo.
“Non ho mai detto di essere una persona educata.” Replicò.
Un insopportabile formicolio gli attanagliò i palmi delle mani, e nella sua mente iniziò a prendere forma l’assurda idea di saggiare la morbidezza di quell’epidermide perlacea.
La ragazza, avvertendo la presenza del principe più vicina, arrossì incredibilmente e sussultò sorpresa da cotanta audacia.
“D-dovreste...” cercò di rimproverarlo con un sussurro a mala pena udibile, mentre i suoi occhi schizzarono  in ogni dove, sempre più lontani dal volto a poco distanza dal suo.
Il principe storse le labbra contrariato. La giovane continuava a mantenere un tono formale fra loro.
Forse non era stato abbastanza audace da convincerla ad abbandonare tutte quelle formalità...
Delicatamente, le afferrò il mento e la costrinse a rivolgergli tutta la sua attenzione.
E poi eccoli. Quegli occhi così brillanti che potevano far sembrare l’argento più prezioso come semplice ciarpame.
Avrebbe tanto voluto avere quegli occhi solo per lui...
“V-vi prego... n-non approfittate della situazione...” bisbigliò lei con voce strozzata.
Chissà se per imbarazzo...
“Allora guardami quando mi parli.” Ordinò lui cercando di mantenere un tono quanto più piatto possibile, ma era davvero difficile sapendo che solo pochi centimetri separavano le loro labbra.
La giovane Stark deglutì e prese un respiro profondo.
Portò una mano su quella del principe che le teneva il viso e lo costrinse a mollare la presa, addolcendo il gesto con un tenue sorriso.
I loro occhi non si separarono nemmeno per un istante.
“Ti prego, Rhaegar. Non approfittare dei miei sentimenti.”
Il principe sgranò gli occhi stupito da quelle parole, ma prima che potesse chiedere chiarimenti, la giovane si era già allontanata da lui, inoltrandosi nei bui corridoi del castello.







Buongiorno :D e buona festa della mamma!
È la prima ff che pubblico su questo fandom… e spero davvero che il mio esordio non sia uno schifo totale ^^”
Che dire? Adoro questi due personaggi e l'idea di fantasticarci sopra una trama è nata subito dopo la 10x6. Ho temporeggiato fino ad ora per mille mila motivi, primo tra tutti il “ma chi vuoi che se la legga?!” ^^”
Ho chiesto il parere della mia fantastica beta Miyu87 (a cui vola un sentito ringraziamento per aver corretto i miei orrori grammaticali) e mi sono decisa a pubblicare :D
E niente… spero che vi sia piaciuto questo primo capitolo :D fatemelo sapere nei commenti, è se vi ha fatto schifo… fatemelo sapere uguale xD
Recentemente, giusto ieri, ho aperto una pagina autore su Facebook, dove pubblicherò piccole anteprime, flashfic ed altro. Se avete voglia di chiacchierare, passate a trovarmi :D
Link: https://m.facebook.com/Napeeefp/?fref=ts
Alla prossima! Un bacio <3

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Capitolo 2
*** 2. Di melodie conosciute e lacrime di gioia ***


2.    Di melodie conosciute e lacrime di gioia

 

La notizia del matrimonio del principe ereditario e della principessa dorniana, fecero il giro del mondo, narrando dello sfarzo della cerimonia e decantando le prelibatezze servite ai nobili ospiti.
All’apparenza, i due sposi parevano raggianti.
Esternamente e caratterialmente, erano l’uno l’opposto dell’altra, ma parevano completarsi alla perfezione.
Laddove l’impulsività di lui ardeva, la ponderata pacatezza di lei dominava.
Laddove la timidezza di lei nasceva, la sfrontatezza di lui deviava gli sguardi curiosi.
Tuttavia, il sogno di un amore perfetto è un’illusione troppo dolce per non rimanervi incantati.
Il principe si alzò dal suo talamo nuziale con lentezza, spossato dall’ennesima notte di passione consumata con la sua consorte.
Raggiunse l’angolo adibito alla toeletta e si asciugò la fronte imperlata di sudore con un panno.
Distrattamente, osservò il suo riflesso nello specchio.
Il luccichio di spensieratezza nei suoi occhi viola era ormai svanito da tempo e la pesantezza di un matrimonio non desiderato iniziava a consumarlo internamente.
Troppo tempo era ormai passato da quel ballo e troppo tempo era passato da quando l’aveva vista.
Solo il ricordo di quella splendida fanciulla dagli occhi grigi gli dava la forza di vivere ogni giorno, solo la speranza di rincontrarla lo convinceva a respirare ancora.
Improvvisamente, un movimento alle sue spalle attirò la sua attenzione.
Osservò nello specchio il corpo nudo di sua moglie Elia, girarsi nel sonno.
Una principessa dorniana bellissima, educata fin dalla nascita per divenire regina al suo fianco.
Tuttavia, quella pelle bronzea discostava dolorosamente da quella nivea della donna che gli aveva rubato il cuore.
Elia aveva il suo corpo, ma il suo animo era stato affidato alla giovane Stark fin troppi mesi 
addietro.
Sospirando per quei pensieri tristi, coprì le sue nudità indossando dei pantaloni abbandonati a terra molte ore prima ed afferrò la sua lira, scoprendosi sorpreso della piacevole sensazione del degno finemente decorato sotto le sue dita.
“Custode dei miei sentimenti, per quanto tempo ti ho trascurata?” Chiese in un sussurro al suo fedele strumento, ma già sapeva la risposta.
Insieme alla giovane lupa, era svanita anche la sua voglia di suonare oltre a quella di affrontare la vita giorno per giorno.
Uscì sul balcone, dove l’aria fresca del mattino gli pizzicò l’addome nudo.
Si sedette sul parapetto, lasciando che una gamba ciondolasse nel vuoto ed iniziò a pizzicare le corde del suo strumento, suonando la stessa canzone di quella notte.
Mille e più note riempirono l’aria, narrando una storia che prendeva vita solamente nei ricordi del giovane principe.
S’immaginò un finale differente per loro due, magari un tenero bacio quella sera al posto di quella fredda e fugace fuga.
Un sfarfallio di labbra, simbolo incrollabile del sentimento che teneva dolorosamente in ostaggio il suo cuore.
Poggiò la lira al suo fianco, esausto.
Neppure quella notte il sonno era venuto a cullarlo, ma, beffardo, si burlava di lui riempiendogli la mente con le immagini di quella sera lontana, come ogni singolo giorno.
Immaginarla, pensarla, bramarla ogni ora che viveva e non poterla avere, non potersi deliziare della sua voce cristallina, della sua risata adorabile o del suo profumo floreale.
Sospirò poggiando la testa contro il ruvido muro.
Forse il suo tormento avrebbe trovato pace con la sua morte.

Il cavallo galoppava sul sentiero, seguendo la via indicata dalle guardie della sua scorta personale.
Le terre di Harrenhal non dovevano distare ancora molto, forse qualche altra ora a cavallo e per il calar del giorno sarebbero giunti a destinazione.
In verità, non aveva nessun interesse nel partecipare ad un torneo indetto da un qualche nobile per festeggiare l’ennesima primavera della figlia.
Prima o poi, anche quella donna avrebbe schiuso le cosce e non v’era motivo alcuno per festeggiare l’ennesimo anno in cui ciò non era ancora avvenuto.
Ma quella adorabile distrazione era giunta portando con sé una ben più lieta notizia, sputata come un ignobile pettegolezzo alle orecchie del principe.

“Tutti i giovani lupi parteciperanno al torneo”

“Si dice che porteranno anche la lupa selvaggia, la donna che cavalca come un uomo e maneggia la spada come un cavaliere”

“La gente del nord è davvero strana… invece che insegnar alle donne a scaldare il letto, quelli mettono delle spade nelle loro mani!”

Quella conversazione aveva scatenato prepotentemente il suo interesse e, d’improvviso, partecipare a quella ricorrenza era divenuta una sua priorità.
L’idea che potesse trattarsi di un pettegolezzo infondato, gli aveva carezzato la mente diverse volte.
Tuttavia, la voglia di rivederla aveva preso il sopravvento con violenza, appianando ogni dubbio o supposizione e lasciandolo sognante in attesa di incrociare nuovamente quelle iridi d’argento.
“Rhaegar, non preferiresti viaggiare in carrozza?” La voce della sua  consorte attirò la sua attenzione, distogliendolo dai suoi pensieri.
Era dolce e premurosa Elia, e non si meritava quello squallido destino, in un matrimonio senza amore, al quale era stata costretta.
“No, grazie. L’aria fresca è un piacevole lenitivo a questa calura.”
Menzogne.
In verità, temeva che in un abitacolo ristretto e chiuso, il suo batticuore potesse divenire assordante.
Tanta era la voglia di riempirsi gli occhi con la sua leggiadra bellezza, che ad ogni metro in meno che li separava, l’animo del principe si faceva sempre più leggero.
Il cuore colmo d’aspettativa cozzava contro la cassa toracica, lo stomaco pareva contorto in mille e più giravolte, mentre le mani tremavano e sudavano intorno alle redini del destriero.
Ancora qualche ora e l’avrebbe rivista.

Il prestigioso banchetto organizzato per i nobili partecipanti al torneo, pareva non avere un termine ultimo.
Un centinaio di ubriachi gentiluomini brindavano e cantavano e mangiavano alla salute della giovane figlia degli Whent.
Solo il principe se ne stava discretamente in disparte, con la sua consorte ed il suo seguito di guardie, osservando un punto ben preciso della grande sala.
Il vociare dei nobili, i canti ubriachi o le molestie alle cameriere, circondavano tutto intorno al più bel fiore che le terre di Westross avessero mai visto.
Lyanna Stark, bellissima come il sole al mattino, sedeva al fianco del lupo mansueto e del cucciolo.
Il suo sorriso felice rischiarava quella sala, donando prestigio anche a quelle squallide mura di pietra.
La sua risata cristallina suonava come una dolce melodia, incantatrice ed infantile al tempo stesso.
La osservava da lontano, come il più sincero degli adulatori, riempiendosi gli occhi con quella bellezza sfoggiata con così naturale semplicità.
Non si era accorta di lui, della sua presenza o del suo sguardo che non osava levarsi da lei.
“Sua altezza è un abile sonatore! Vi prego, deliziateci con una melodia come regalo per la mia adorata figlia!”
Il vocione del padrone di casa echeggiò per la stanza, risuonando come il frastuono dei corni da battaglia.
Neanche volse lo sguardo verso di lui, perché in quel preciso momento, quando gli occhi di tutti i presenti furono su di sé, anche la lupa selvaggia osò incrociare il suo sguardo.
Il candido rossore delle sue guance scemò velocemente, lasciando spazio ad un pallore pressoché mortale.
Le labbra adornate con un sorriso, mutarono in una linea dritta e severa, mentre gli occhi, brillanti ed arzilli, si sgranavano.
Il principe corrugò le sopracciglia sorpreso e contrariato da quella reazione inattesa.
Il momento magico tanto sognato, tanto agognato, era mutato in un incubo ad occhi aperti.
“Rhaegar…” lo richiamò sua moglie, poggiandogli una mano sul braccio per riportare la sua attenzione al presente.
Il principe si alzò dal suo posto, prese la sua lira ed andò a sedersi sul tavolo dei padroni di casa con irriverente sfacciataggine.
Garbato e ammaliatore, baciò il dorso della mano della festeggiata, poi si accomodò meglio sul legno scomodo.
Un sorriso sghembo disegnato sulle labbra ed iniziò a pizzicare le corde del suo strumento.
Neppure pensò a cosa suonare, le sue dita si mossero da sole, creando una combinazione di note melanconiche fin troppo chiare al suo cuore innamorato.
La musica si diffuse leggiadra nella stanza, stregando i presenti e suscitando sentimenti nei cuori degli spettatori.
Il principe alzò lo sguardo verso il pubblico, verso la donna che gli aveva rubato il cuore e la mente.
Incontrare quelle iridi argentee di nuovo, puntate su di lui, ebbe il potere di mozzargli il respiro in un attimo.
Le sorrise debolmente, sincero e garbato, mentre la melodia mutava divenendo sempre più allegra.
Lei ricambiò quel sorriso, ampliandolo, mostrandogli anche quelle perle bianche che erano i suoi denti e portandosi una mano sulla guancia, a coprirne il rossore dettato dall’imbarazzo.
Aveva riconosciuto la sua melodia.
La canzone proseguì, le sue mani componevano esorcizzando l’amore che provava per quella donna, creando suoni talmente soavi ed avvolgenti che potevano far struggere anche il cuore più freddo.
La vide chiudere gli occhi estasiata da cotanta maestria e godersi a pieno quella dichiarazione d’amore urlata con le note di un umile strumento.
Quale modo migliore per confessare un amore senza usare parole?
Il labbro inferiore della donna ebbe un tremito e, d’improvviso, calde lacrime presero a rigarle le guance nivee.
La melodia struggente che cantava l’amore era infine giunta fino al suo cuore.
Con un abile movimenti della mano, Rhaegar intonò le ultime note e terminò la canzone, rivolgendo un fugace cenno del capo al nobile pubblico come ringraziamento.
Un applauso fragoroso assordò il giovane principe, mentre con garbata modestia tornava al suo posto con il sorriso sulle labbra, consapevole del fatto che, quella sera, due cuori si erano incontrati.

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Capitolo 3
*** 3. Di corone di fiori e regine di amore e bellezza ***


3.    Di corone di fiori e regine d’amore e bellezza
 

Quella stessa sera, la notte prima del torneo di Harrenhal, Elia gli confessò di star aspettando il loro terzogenito.
Il principe non ne rimase sorpreso, aveva appreso del cambiamento nel corpo della moglie molto prima.
Un sorriso felice andò ad adornargli le labbra, mentre con la mano, tentava di percepire ogni minimo movimento del suo erede nel ventre della consorte.
Era bello veder crescere delle creature frutto del suo corpo, nelle quali scorreva il suo stesso sangue.
Tuttavia, non era con Elia che voleva creare la sua discendenza ed una mite fantasia gli invase la mente, immaginando un bambino dai capelli scuri, la pelle nivea e gli occhi viola.
Ed una la domanda meschina si affacciò nei suoi pensieri: se era felice per un erede da Elia, quanto avrebbe gioito per uno di Lyanna?
L’ombra scura della  tristezza oscurò il suo sorriso, tramutandolo ben presto in un ghigno tirato non appena concretizzò che quella fantasia poteva soltanto restare tale.
La lupa, così bella eppure così irraggiungibile…
Causa del suo batticuore, fonte d’ispirazione, destinata ad essere ammirata soltanto da lontano.
Inavvicinabile. Inarrivabile. Irraggiungibile.
“Qualcosa ti affligge?” Indagò la moglie, sempre attenta e premurosa.
“Riflettevo…” Rispose senza alzare gli occhi sul suo viso, incapace di guardarla a causa del senso di colpa che gli opprimeva il petto.
Era triste, meschino, pensare alla lupa anche in un momento come quello, mentre la sua consorte gli confessava la sua ennesima gravidanza.
“Lo so. Quando pensi troppo, ti si forma una lieve fossetta fra le sopracciglia.” Rise lei, toccandogli con l’indice scarlatto il punto indicato.
Sbuffò un sorriso di cortesia, celando il disagio che in verità gli attanagliava lo stomaco dinanzi ad una scomoda verità.
Lei lo conosceva così bene, lei sapeva tutto di lui, ma il principe non poteva vantare lo stesso.
In quegli anni che avevano condiviso, a stento conosceva le suo abitudini quotidiane, mentre lei pareva sapere ogni minimo dettaglio della sua vita, dal più insignificante, al più importante.
“Non sei felice di questo figlio?” Osò chiedere lei, a testa bassa, quasi come se temesse di udire una risposta sgradita.
“Certo che lo sono, Elia.” Si affrettò a rispondere con enfasi, tornando a carezzare quella lieve rotondità sul ventre della consorte.
“Ma…?”
“Temo per la vostra salute. Domani al torneo ci saranno delle armi e se tu dovessi…” mentì vigliaccamente. Codardo. Ingannevole. Finto.
Elia si meritava un vero uomo al suo fianco, non uno che recita la parte del marito premuroso mentre, al contempo, immagina una famiglia con l’unica donna che ama.
“Non ci accadrà niente, Rhaegar.” Sorrise amorevole, carezzandogli il viso e quei capelli argentei con il tocco di una donna innamorata.
Il principe le sorrise sereno, non avrebbe potuto concederle di più in quel momento.
Il suo cuore e la sua mente erano con la giovane Stark in quel momento, rapiti dalla dolce fantasia con cui si stava tormentando.
Ma non per questo, sua moglie, doveva soffrire e rovinarsi un così bel momento.
Non lo meritava affatto, e lui le aveva già tolto troppe cose.
Si coricarono insieme, in quella stanza afosa a causa della calura estiva, e dormirono sereni senza mai sfiorarsi.

Il mattino seguente, il grande torneo di Harrenhal iniziò ed un via vai continuo di cavalli e cavalieri consumava la terra battuta dell’arena.
Molti avevano giostrato, molti erano stati sconfitti e ben pochi vantavano l’abile maestria che possedevano solo i veri vincitori.
Uno dei cavalieri non ancora battuti, era il principe che, tuttavia, pareva non prestare particolare attenzione al torneo.
Agli spalti era donato il suo sguardo, su una dama ben precisa esattamente come la sera precedente al banchetto.
Quello splendido sorriso era donato caritatevolmente al mondo, illuminandolo con una luce troppo preziosa per essere elargita con così tanta semplicità.
I capelli leggeri mossi dal vento che ondeggiavano sulle sue spalle, carezzandole il corpo dolcemente, come avrebbe desiderato fare lui.
D’un tratto, la vide irrigidirsi, mentre un nerboruto nobile le sfiorava la mano.
Il principe strinse gli occhi inquadrando la figura al fianco della donna amata.
Il lupo selvaggio sedeva alla sua destra, mentre, a sinistra, un cervo troppo temerario aveva osato fin troppo.
Lo osservò meglio, sperando d’incenerirlo con lo sguardo.
Quel cervo… se lo ricordava fin troppo bene.
Quello stesso Baratheon che la stava importunando al ballo.
Tirò le redini del suo destriero, pronto a correre sugli spalti e mozzare quella vile mano che aveva osato sfiorarla.
Ma poi, d’improvviso, i loro occhi s’incontrarono.
Non era mai avvenuto durante il torneo, neppure dopo che aveva conquistato l’ennesima giostra.
Il principe percepì chiaramente il suo cuore fermarsi, mentre il suo respiro si faceva inudibile.
Intorno a lui regnava solo silenzio, i suoni erano stati soppressi, le distrazioni annullate, tutto era stato reso irrilevante mentre il grigio ed il viola si fondevano assieme.
Poi un sorriso.
Un dolce sorriso, discreto, imbarazzato, le aveva adornato le labbra prima che un sussurro venisse rilasciato furtivamente, senza che occhi indiscreti osassero impossessarsi di un messaggio tanto speciale.

Buona fortuna

Un sospiro fugace, condotto alle sue orecchie grazie ad un vento amico, gli riempì il cuore di coraggio.
Armò la sua mano.
Spronò le redini della cavalcatura.
La giostra era iniziata e lui avrebbe trionfato in onore di quel sentimento che gli gonfiava il petto.

Con la conclusione dell’ultima giostra, il principe venne decretato vincitore del torneo di Harrenhal.
I sonatori intonarono inni gioiosi durante la sua premiazione, le dame lanciarono fiori dinnanzi ai suoi piedi e grida esultanti acclamavano il vincitore.
Lo sguardo del principe corse sugli spalti, verso quelle iridi grigie che non fu difficile incontrare.
Un sorriso sincero adornava quelle labbra perfette ed il cuore di Rhaegar aumentò pericolosamente i battiti.

“Questa è la corona della regina di amore e bellezza, ecco a voi altezza.
Incoronate la vostra signora”

La voce del Signore degli Whent arrivò ovattata alle sue orecchie, come se l’uomo fosse a mille e più metri di distanza anziché al suo fianco.
Il sorriso di Lyanna lo aveva stregato ancora una volta, catturando la sua mente ed il suo cuore in un effimero istante.

“Altezza… potete incoronare la vostra signora adesso…”

Con voce titubante, il padrone di casa aveva tentato di risvegliare il principe da quella sorta di incantesimo.
Rhaegar abbassò lo sguardo sulla corolla di fiori cerulei che teneva fra le mani.
Ne sfiorò uno con le dita, scrutandolo attentamente e sorrise riconoscendoli. Rose blu.
Riportò lo sguardo dinnanzi a sé, sulla donna che custodiva il suo cuore. 
La vostra signora…
Quelle parole rimbombarono nella sua mente con forza.
La sua signora, la sovrana del suo cuore, colei che sola era riuscita a farlo innamorare perdutamente.
Spronò il cavallo ed avanzò verso gli spalti.
Mille e più spettatori gridarono fomentati, inneggiando e gioendo per la sua vittoria. Non li considerò minimamente.
Gli occhi del principe scrutavano la sua signora con bramosia, insistenti e famelici, come quelli di un leone che punta la sua preda.
Lyanna arrossì.
Vide chiaramente quell’epidermide chiara, colorarsi di un rosso vivo, ma lei non abbasso lo sguardo neppure per un secondo.
Lo sostenne strenuamente, sfacciata come soltanto la lupa selvaggia poteva essere.
Un ghigno sprezzante si formò sulle labbra del principe.
L’aria era carica di elettricità intorno a loro e quella peculiare alchimia pareva averli coinvolti in un gioco pericoloso.
Il destriero del principe avanzò ancora, consumando la terra battuta e, quando sorpassò la consorte dorniana, un silenzio irreale scese su di loro.

Il volto di Elia si fece scuro, mentre il suo consorte depositava la corona in grembo alla giovane Stark.
L’espressione innamorata che Rhaegar indossava, le fece dolere il petto. Un fastidio intenso, localizzato sul suo cuore che, era sicura, per un attimo aveva smesso di battere.
Senza indugiare oltre, si alzò dal suo posto e si ritirò nelle sue stanze, seguita subito dalle dame di compagnia.

Lyanna sorrise felice, ricevendo quella corona blu, sotto lo sguardo attonito e stupito di suo fratello e del suo promesso sposo.
“a voi, mia signora, regina d’amore e bellezza”
Le parole di Rhaegar le gonfiarono il petto ed un piacevole sfarfallio le attanagliò lo stomaco.
Il principe chinò leggermente il capo senza mai staccare gli occhi dai suoi.
Sfacciato. Esattamente come quella notte di anni prima.
“Vi ringrazio, mio principe” carezzò le ultime due parole con malizia e lascivia.
Sfacciata almeno quanto lui.
Prese la corona di fiori e se la depositò sul capo, sui capelli scuri.
L’incanto si spezzò quando il lupo selvaggio la strattonò per un braccio, portandola via da quella situazione scomoda, dissolvendo la particolare magia che avevano creato unicamente fra loro.

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Capitolo 4
*** 4. Di litigi dolorosi e messaggi d’amore ***




4. Di litigi dolorosi e messaggi d’amore


 

Il principe raggiunse le sue stanze lentamente, con un sorriso innamorato ad adornargli le labbra, entrò nella camera afosa a causa della calura e solo un fastidioso silenzio lo accolse.
Elia, dinnanzi alla finestra, con la schiena dritta ed impettita da nobildonna orgogliosa, scrutava gli ubriachi signori che se la spassavano al banchetto di quella sera.
Neppure si volse ad accoglierlo, sebbene lui sapesse benissimo che l’aveva udito entrare.
Rhaegar osservò la moglie, stupito e sorpreso da quel suo comportamento singolare.
Poteva immaginarne il motivo, ma Elia non gli si era mai mostrata tanto indifferente nonostante la sua costante sfacciataggine nei confronti delle dame.
Non si era mai spinto oltre ad un sorriso ammaliante o un baciamano garbato, tuttavia, al torneo, aveva compiuto un gesto così eclatante che solamente uno stolto non avrebbe compreso che si trattasse di una dichiarazione d’amore.
Decise di ignorarla anche lui.
Forse aveva bisogno di tempo, forse aveva bisogno dei suoi spazi, ma sicuramente la sua presenza non era gradita e parlarle sarebbe risultato un errore madornale che l’avrebbe innervosita ulteriormente. Rispettare il suo silenzio, i suoi sentimenti feriti e la volontà d’ignorarlo, era la decisione migliore.
Si avvicinò al letto e prese a sganciarsi l’armatura corvina sulla quale svettava lo stemma scarlatto della casa reale.
Slegò i laccetti in cuoio dalle spalle, dalla vita, e la protezione ricadde a terra con un tonfo sordo.
Sfilò gli stivali e li abbandonò accanto all’armatura.
La mente ed il cuore ancora invasi da quel piacevole tepore che gli aveva lasciato l’incantesimo della sua Lyanna.
Poco prima, dopo il torneo, era certo che il mondo si fosse fermato soltanto per permettere a loro due di scambiarsi quel fugace attimo di complicità. Quel peculiare sortilegio che li aveva stregati entrambi, pareva aumentare d’intensità ogni qualvolta che i loro occhi s’incontravano.
Un piacevole sfarfallio allo stomaco lo sorprese al sol ricordo del suo sorriso sincero sulle labbra quando, indossando la corolla, l’aveva incoronata come sua regina: Sovrana indiscussa del suo cuore e della sua anima.
Quel blu delle rose che componevano la corona, discostava piacevolmente dal castano cioccolato dei suoi capelli, creando una visione di eterea bellezza che lo avrebbe accompagnato nei suoi sogni per anni ed anni.
“Stai pensando a lei?” la voce di Elia gli parve dura e fredda come il ghiaccio e, per un attimo, stentò a riconoscerla come quella della consorte.
Esitò qualche secondo prima di rispondere, voltandosi per guardare la schiena fieramente  eretta della moglie.
“Sì.” Era inutile mentire. Non aveva alcun senso e non vi vedeva alcuna ragione per farlo.
Elia si voltò nella sua direzione, fronteggiandolo con i suoi occhi scuri dardeggianti di nera rabbia, ma tuttavia arrossati da un pianto che era evidentemente stato soppresso dal suo orgoglio dorniano.
“Perché.” Non era neppure una domanda. Ma Elia meritava una risposta.
“L’ho sempre amata.” Confessò semplicemente. Non v’era esitazione o vergogna nelle sue parole, solo la semplice verità e la consapevolezza che, nell’ammetterlo ad alta voce, era davvero felice.
“Non sono stata una brava moglie? Ti ho forse fatto qualche torto? Non ho mai avuto alcun uomo a scaldarmi il letto che non fossi tu.”
“Sei stata una moglie esemplare, Elia. Sarai una regina degna ed una saggia consorte, ma il mio cuore no t’è mai appartenuto.” Si avvicinò a lei, tentando di consolarla non appena scorse quelle lacrime abbandonare i suoi occhi.
“Non osare, Rhaegar!” tuonò irata, alzando una mano nella sua direzione come tacito monito.
“Non osare avvicinarti un passo di più a me. Rispetta almeno questo mio volere.”
“Ti ho sempre rispettata, Elia.” Parole sincere, ma inutili e futili menzogne dovevano parere alle orecchie della donna.
“Non ho mai avuto altra donna che te a scaldarmi il letto. Non ho mai generato bastardi, solo i nostri figli sono il frutto dei miei lombi…”
“Ma a chi sei rimasto fedele? A me o al pensiero di lei?” lo interruppe con un grido disperato, strozzato dai singhiozzi.
Il dubbio che nacque nella sua mente, fu un colpo troppo duro da sopportare per Elia.
Silente, uscì dalla stanza.
Quello era il loro addio. La loro storia, il loro matrimonio, era finito in quel momento.
Rhaegar si sdraiò pesantemente sul letto e, stremato, si coprì gli occhi con l’avambraccio.
La domanda di Elia ancora per la testa e l’illusione beffarda di non conoscere la risposta con cui ingannarsi, a torturargli la mente.
In verità, il suo cuore sapeva che il corpo era rimasto fedele a quel sogno d’amore mai realizzato.

Quella mattina, al sorgere de sole, il principe, sua moglie e la loro scorta di guardie,  tornarono ad Approdo del Re.
Un silenzio assordante infestava il loro cammino, solo il calpestio degli zoccoli dei destrieri sul terreno ed alcuni singhiozzi sommessi provenienti dalla carrozza a scandire il tempo.
La mente dell’erede al trono ancora invasa dall’immagine della lupa, immaginando un finale differente per il giorno precedente, fantasticando su un incontro di labbra con il cuore leggero e non attanagliato dal senso di colpa.
Quel pianto nascosto gli bruciava il petto come avrebbero fatto un milione di lame infuocate.
Sospirò sconfitto.
Il suo amore sconfinato aveva appena avuto un cenno di realtà, ma le lacrime di Elia erano fin troppo vere e poteva figurarsele benissimo, mentre scorrevano sulle guance bronzee della sua consorte.
In quel momento, il  solo pensare alla bellissima Lyanna, lo faceva sentire ancora più in colpa.
Spronò il cavallo facendogli aumentare il passo, finché non giunse accanto alla carrozza.
“Elia.” La chiamò, ma il freddo rumore metallico della chiusura della finestrella, fu la sua unica risposta.
Non voleva parlargli. Non aveva torto.
Sospirò ancora. Cosa poteva fare di più?
Non l’aveva mai amata ed illuderla ancora con un’unione effimera e non desiderata sarebbe stato oltremodo crudele.
Lui non la possedeva, non poteva… non era un oggetto.
Con che diritto avrebbe mai potuto legarla a sé a doppio filo in un matrimonio non voluto?
Perché continuare quella recita insensata?
Mille domande, mille dubbi, ma nessuna risposta ad indicargli la via corretta per non ferirla ulteriormente.
Dopotutto, non l’amava, ma la rispettava.
Elia era sempre stata una donna forte, seppur eccessivamente succube di una società maschilista, e vedere quella pallida immagine sbiadita della donna orgogliosa che era, lo stava distruggendo.
“Elia, so che non vorresti ascoltarmi, ma parlerò lo stesso.”
Udì un leggero fruscio di stoffe e la carrozza ondeggiò lievemente. Probabilmente Elia si era spostata.
“Non ho intenzione di mentirti ancora, le mie parole saranno una promessa che intendo mantenere.”
Nessuna risposta, ma se lo aspettava dopotutto.
Lei non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di una risposta anche sgarbata.
“Quando giungeremo ad Approdo del re, voglio redigere un documento ufficiale con cui sarà annullato il nostro matrimonio.
I nostri figli resteranno comunque gli eredi al trono dopo di me. Non perderanno né titoli né privilegi… e nemmeno tu, se vorrai.”
Un altro movimento all’interno della carrozza. Aveva attirato la sua attenzione.
“Potrai vivere ancora nella fortezza rossa o tornare a Dorne… la scelta spetta a te.
Sarai di nuovo una donna libera, potrai sposarti ancora ed avere nuovi compagni. Sarà come se il nostro matrimonio non fosse mai stato celebrato.”
Il rumore della finestrella che si apriva, fu il suono più soave che avesse mai udito.
Un leggero sorriso gli sfuggì dalle labbra, ma si apprestò a celarlo velocemente.
Si voltò verso la carrozza ed il cuore perse un battito nel vedere le condizioni deplorevoli in cui versava il viso della moglie.
Le lacrime rigavano le guance ed inondavano gli occhi, cerchi scuri circondavano le cavità oculari ed un colorito pallido le scavava il volto.
“Perché fai tutto questo? Cosa te ne torna di comodo?” Chiese con tono duro.
“Niente.” Rispose il principe con onestà, mentre riportava lo sguardo dinnanzi a sé.
Vederla in quello stato e sapere di esserne la causa, era una tortura atroce con la quale non voleva trattenersi un minuto di più.
“Non voglio qualcosa, non pretendo niente. Non sono nella condizione di poterlo fare.”
Lo sguardo sospettoso ed ostile della donna gli bruciava l’epidermide e poteva quasi affermare con certezza che stesse tentando di incenerirlo.
“Cerco solo di rimediare… non ti meriti una vita triste, Elia.” Aggiunse infine, stringendo le briglie del destriero fino a far scricchiolare i guanti di pelle.
La sensazione di disagio che gli attorcigliava lo stomaco non pareva volergli lasciare tregua e parlare della felicità di Elia, quando lui stesso l’aveva disintegrata, pareva un paradosso troppo crudele da sostenere.

Il resto del viaggio fu caratterizzato da un’assordante silenzio pregno di rancore e dissapori.
L’aria era densa di tensione e persino i cavalieri della scorta si guardavano bene dal ciarlare per paura delle conseguenze.
Mai un sospiro volò fino ad Approdo de Re, mai una parola ruppe quella bolla di cristallo che pareva averli inghiottiti.

Dopo pochi giorni, Elia ed i loro figli si spostarono in un’altra ala del castello.
La più lontana, rispetto a quella dov’era collocata la camera che divideva con il principe.
Anche in questo caso, mai una parola volò fra i due coniugi.
Tutto ciò che doveva essere espresso, era stato detto.
Inutili e futili parole sarebbero state solo uno scherzo crudele con cui si sarebbero illusi e feriti.
Rhaegar osservò la mascella contratta di Elia mentre firmavano il documento di annullamento.
Saette fiammeggianti volavano dai suoi occhi sprizzanti odio ed ostilità.
Il principe accennò un sorriso diretto al ventre rotondeggiante della principessa dorniana.
In quel grembo appena accennato, vi era l’ultimo dei suoi eredi.
“Vorrei essere presente al parto, quando sarà il momento.” Osò lui, rompendo quel muro ostile di silenzio.
“No.” Secca, aspra concisa. Come il morso di una serpe.
“È mio figlio, Elia. Non puoi impedirmi di comportarmi da padre.”
“Su questo, Vostra Grazia ha ragione…” intervenne il Gran Maestro Paycelle, divenendo l’oggetto di sguardi ostili e minacciosi da parte della dorniana.
“Potreste lasciarci da soli, Gran Maestro?”
La richiesta di Elia lo sorprese, ma non lo diede a vedere.
In verità, un confronto verbale fra loro serviva da molto tempo.
Il documento calibrava alla perfezione i diritti ed i doveri dei due, ma soltanto politicamente.
Gli eredi non erano mai menzionati se non per la linea di successione della corona.
Il Gran Maestro uscì dalla sala con passo lento e strascicato, incespicando sui suoi passi goffamente.
I due nobili attesero pazientemente in silenzio finché la porta non venne richiusa con un sordo cigolio.
“Hai scelto di uscire dalle nostre vite, Rhaegar. Non puoi restare in bilico.” Esordì lei freddamente, riservandogli uno sguardo di silenzioso rimprovero.
“No, Elia. Non sono uscito dalle vostre vite, sono uscito soltanto dal tuo letto.”
“E che differenza vuoi che faccia?!”
“C’è differenza!” Sbottò il principe stringendo i pugni fino a conficcarsi le unghie nei palmi.
Elia era vendicativa e fin troppo sleale. Le aveva concesso tutto quello che poteva, non sarebbe mutato niente per lei o per i loro figli, ciononostante lei persisteva rancorosa, continuando una silenziosa guerra che lui non voleva neppure intraprendere.
“Amo i nostri figli e tu non li porterai via da me solo per uno stupido capriccio!” Tuonò infine, scrutandola severo e glaciale.
Non l’avrebbe impietosito, non sarebbe riuscita a farlo desistere.
I suoi figli avrebbero avuto un padre, nonostante le rimostranze della madre.
“Stai distruggendo una famiglia per uno stupido capriccio!” Gridò lei in risposta, cercando di trattenere le lacrime che già le inumidivano gli occhi.
“Non è così, Elia… i miei sentimenti sono sinceri e so che ci lega qualcos-…”
“Vi lega qualcosa?!” Lo interruppe lei con aria inorridita.
“È tutta una tua fantasia, Rhaegar! Lei non ti ama, nemmeno ti conosce!”
“Nemmeno tu mi conosci davvero! Abbiamo passato così tanto tempo assieme e tu non ti sei mai accorta che il mio cuore batteva per un’altra!” Rispose lui esasperato, lasciandosi cadere pesantemente su una delle lussuose sedie che circondavano l’ampio tavolo ricolmo di carte e documenti.
Il silenzio cadde pesante, teso e denso come sempre fra loro.
La mascella del principe era contratta, le sopracciglia minacciosamente arcuate, mentre gli occhi fissavano un punto indefinito del tavolo. Una perfetta espressione irata ed offesa.
Ancora stentava a credere che sua moglie, l’amorevole madre dei suoi eredi, avesse pronunciato simili parole crudeli.
“Quindi adesso è colpa mia? Dovevo accorgermi che mio marito fantasticava su un’altra donna?” Chiese lei in un sussurro flebile, senza osare guardare nella sua direzione.
“No, Elia, tu non hai colpe. Sono io che non sono mai stato sincero con te.” Rispose lui stremato, massaggiandosi le tempie con movimenti circolari delle dita.
“Ma almeno lasciami rimediare con i miei figli. Lasciami essere padre, loro non devono pagare per le mie colpe.”
La donna abbassò lo sguardo accennando un leggero segno d’assenso con la testa.
Quelle parole erano giuste, i loro figli non dovevano soffrire a causa loro o per i loro litigi.
La dorniana si avviò verso l’imponente portone in legno scuro, mentre il ticchettio dei tacchi si espandeva nella stanza silenziosa.
Toccò la maniglia fredda, ornata con preziosi ricami dorati, e la strinse nel pugno fino a che non le sbiancarono le nocche.
“Non assisterai al parto, ma puoi stare fuori dalla stanza.
I bambini puoi vederli quando vuoi…”
Fece quasi violenza su sé stessa per costringersi a pronunciare quelle parole.
“Loro chiedono spesso di te.”
E così dicendo, spalancò l’uscio e se ne andò silenziosamente, soffocando i singhiozzi che le scuotevano il petto con una mano premuta saldamente contro le sue labbra.

Rhaegar osservò il cielo tingersi con i colori del fuoco, mentre i raggi solari intraprendevano una danza abbagliante contro le scure tenebre che li avrebbero inghiottiti di lì a poco.
Il profilo del regno, la vastità dei suoi domini, si espandevano fin oltre l’orizzonte visibile ai suoi occhi.
L’immensità ai suoi piedi, il mondo sotto di sé, ma a cosa poteva servirgli se non poteva avere colei che davvero il suo cuore agognava?
Le parole di Elia gli rimbombarono in testa come un mormorio lontano.
Che fosse la sua coscienza a parlare?
Stava davvero gettando tutto alle ortiche per una mera fantasia?
Sospirò esausto poggiando la nuca contro la solida colonna alle sue spalle, mentre una gamba gli ciondolava pigramente al di fuori del balcone.
“Lyanna…” bisbigliò il suo nome con solennità, accarezzandolo dolcemente con la lingua e godendo del suono soave che gli giungeva alle orecchie.
Un nome così bello, per una fanciulla altrettanto splendida.
Riesumò, per l’ennesima volta nella sua mente, il ricordo di lei con la corolla turchina ad incorniciarle il capo.
Il forte contrasto del castano dei capelli con il roseo pallore dell’incarnato, la deliziosa sfumatura cerulea che schiariva le sue iridi argentee e il timido rossore delle sue guance.
Sarebbe stata una regina bellissima.
La più bella che il regno avesse mai conosciuto, persino i Sette Dei sarebbero rimasti incantati dalla bellezza di quel fiore d’inverno.
Un sorriso malinconico si aprì sulle labbra del principe.
Chissà se si era davvero figurato tutto e basta…
Chissà se la sua mente si era presa gioco di lui...
Amare una donna che nemmeno conosce, poteva esistere condanna peggiore?
Vivere nel costante ricordo dei suoi sguardi fugaci, della sua voce melodica o dei suoi sorrisi dedicati ad altri.
“Davvero il mio amore è solo mera immaginazione?” Chiese con lo sguardo rivolto verso gli ultimi raggi morenti.
Quasi come se lo avesse udito, un gracchiare stridente gli giunse alle orecchie come in risposta a quella sua domanda.
Rhaegar osservò attentamente il corvo messaggero che andava volando stancamente verso di lui, esattamente sul balcone della sua camera.
“Un messaggio?” Chiese fra sé e sé scrutando il piccolo pennuto scuro che approdava proprio dinnanzi a lui.
Pigramente, l’animaletto sporse la zampetta nella sua direzione in un chiaro invito per il principe.
Con delicatezza, Rhaegar prese il piccolo rotolino di carta fra le mani e lo distese con le dita per riuscire a scorgere il messaggio segreto.
Gli occhi s’ingrandirono sconcertati e stupiti, mentre il suo animo gioiva segretamente leggendo quel nome assai caro al suo cuore.
Scorse le parole avidamente, divorandole una dopo l’altra come se ne andasse della sua vita e, quando infine raggiunse la parola “matrimonio” il suo cuore arrestò l’euforica corsa che stava compiendo.
Finì di leggere il messaggio, sconcertato e distrutto da quei miseri segni d’inchiostro.
No… non poteva finire così…
Perché mandare a lui il messaggio?
Cosa poteva fare?
Come poteva impedirlo?
Scese dal balcone e rientrò nella sua stanza. Mille domande gli aleggiavano nella mente e la consapevolezza di non poter fare nulla iniziava a stargli davvero stretta.
Prese qualche biscotto ed un bicchiere con dell’acqua.
Come poteva giungere fino a Grande Inverno senza destare sospetti?
Ed una volta lì?
Tornò sul balcone e sbriciolò i biscotti dinnanzi al piccolo corvo esausto, ponendogli accanto anche il bicchiere con l’acqua.
Si passò una mano fra i capelli indomabili, ripensando alle parole accorate e supplichevoli che aveva letto.
Quindi, non si era immaginato tutto!
Qualcosa li legava davvero… altrimenti perché chiedere il suo aiuto?
Un ruggito animalesco squarciò l’aria della sera appena calata.
Un drago imponente troneggiava su una delle torri del castello, squadrandolo come se volesse chiamarlo.
I suoi occhi gialli dardeggiavano nel rosso cielo del tramonto, andando tremendamente in contrasto con  la sua coriacea pelle color pece.
Rhaegar studiò quell’animale come se lo vedesse per la prima volta.
Draghi così mastodontici erano assai rari negli ultimi anni, ricordava di averli visti così grandi solo nella sua prima infanzia, e quello, molto probabilmente, era uno dei più vecchi ancora esistenti in circolazione.
Si avvicinò al parapetto, affascinato ed incantato dalla bestia pericolosa. Sentiva come una sorta di richiamo verso di essa, qualcosa lo attraeva inesorabilmente, una strana forza mistica che gli suggeriva di avvicinarsi ancora, ancora ed ancora.
Senza neppure rendersene conto, si ritrovò in bilico sul parapetto con il braccio steso verso l’animale.
Gli occhi della bestia lo squadravano insistentemente come se volessero comunicare in una lingua a lui sconosciuta.
Il drago abbassò il muso con reverenziale lentezza, quasi come se stesse compiendo un inchino.
Che volesse mostrarsi mansueto dinnanzi a lui?
Che gli stesse dimostrando di non essere un pericolo?
L’animale si avvicinò lentamente al suo balcone,  gattonando sulle guglie fino a raggiungere il tetto della camera del principe.
Il corvo volò via terrorizzato in un fruscio gracchiante di piume e crepitii.
Rhaegar avanzò sull’ampio parapetto, tendendosi verso l’alto per avvicinarsi all’animale.
Allungò una mano verso di lui, verso il suo muso, senza mai interrompere il contatto mistico che ancorava i loro occhi assieme.
Cos’era quello strano incantesimo?
Perché sentiva di potersi fidare di quella bestia?
Il drago allungò il collo verso il basso, avvicinando il muso squamoso verso quella mano tesa innocuamente verso di lui.
Un gesto innaturale per un animale praticamente selvatico, ma Rhaegar intuì che quello altro non era che un modo per comunicare con lui il suo volere.
Che volesse essere cavalcato da lui?
D’un tratto, l’essere imponente si voltò di schiena, allungando la lunga coda verso il principe, fino a farla sfiorare sul pavimento del balcone.
Spine aguzze spiccavano dalla pelle coriacea in due file distinte, espandendosi per tutta la schiena ordinatamente.
La coda si mosse leggermente verso di lui, facendosi sfiorare dalla mano del principe per poi essere leggermente ritratta verso l’alto.
Salire…  Rhaegar doveva salire sul suo dorso e cavalcarlo.
Il drago gli stava deliberatamente chiedendo di salirgli in groppa e cavalcarlo.
Un sorriso stupito abbellì le sue labbra, esternando il suo stupore per quella situazione pressoché surreale.
Stregato, incantato, si aggrappò alla lunga coda dell’animale ed iniziò ad arrampicarsi su di essa, issandosi e scalando la bestia fino a raggiungerne il dorso squamoso.
Prese posto fra le file aguzze di spine e si ancorò ad esse mantenendo una presa salda e sicura.
Carezzò la pelle coriacea dell’animale con delicatezza, udendo in risposta un gorgogliante ringhio d’apprezzamento.
Ancora stentava a crederci.
Un drago imponente e selvatico si lasciava cavalcare da uno sconosciuto, anzi glielo stava proprio chiedendo…
“Spero davvero che tutto questo non sia frutto della mia immaginazione…” bisbigliò fra sé e sé, ricevendo in risposta un ruggito roco e gutturale, quasi come se avesse capito le sue parole e gli stesse rispondendo.
“Portami a Grande Inverno.” Esordì infine, solenne ed autoritario, afferrando saldamente le spine che spuntavano dalla carne della bestia.
Il drago compì qualche passo sul tetto, concitato ed esuberante, poi spiccò il volo verso il nero cielo stellato che li sovrastava.




Vi lascio il link alla mia pagina autore: https://www.facebook.com/Napeeefp/

Vi annuncio anche che ho organizzato mensilmente le pubblicazioni di os inedite e nuovi capitoli delle long in corso. Nella pagina troverete il calendario :)
A presto! <3

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Capitolo 5
*** 5. Di incursioni notturne e romantiche verità ***


5.    Di incursioni notturne e romantiche verità




Il vento freddo gli sferzava la pelle del viso con rabbia, mordendo e pizzicando finché le guance non gli divennero rosse.
L’aria fredda del nord congelò le sue membra stanche e provate dal viaggio sul dorso del drago, ma il fuoco inestinguibile che bruciava dentro di lui continuava a farlo avanzare ancora, imperterrito, nonostante la neve gli rivasse ormai al ginocchio.
Il drago era stato una bestia saggia, nonostante fosse un’animale, aveva pensato bene di terminare il suo volo in una foresta abbastanza lontana da Grande Inverno e farlo proseguire a piedi.
Progettare un’incursione in un palazzo per rapire una fanciulla a cavallo di un grosso rettile, non era un piano poi così tanto geniale. Ma nemmeno farlo arrancare nella gelida neve per ore era una prospettiva tanto più nobile.
Le porte del castello si stagliavano dinanzi a lui a soltanto un’ora di cammino.
La tenue luce delle fiaccole poste sulle vedette gli fece intuire che tutti I servitori stessero riposando, tranne le guardie che erano di turno quella notte.
Un sorrisetto distese le labbra del principe, mentre un piano efficace quanto pazzo, si andava delineando sempre più nella sua mente.

Avanzò ancora, a testa bassa, nascondendo il viso sotto al mantello che aveva trovato fra le capanne dei contadini.
Muoversi nella notte silenziosamente non fu un problema. Passò inosservato agli occhi delle sentinelle sulle guglie del muro senza troppi problemi, finché non raggiunse il portone principale con il possente cancello e due guardie per lato a sorvegliare.
Si fermò improvviso senza saper come continuare.
Gli serviva un diversivo al più presto, o il suo sogno d’amore sarebbe finito ancor prima di iniziare.
E mentre escogitava un modo per distrarre le guardie di vedetta, ne accorse un’altra trafelata, correndo verso le sentinelle ed informandole della fuga della lupa.
Rhaegar si fece attento all’istante, avvicinandosi quanto bastava per udire la loro conversazione, ma non abbastanza affinché le torce lo illuminassero rivelando così la sua presenza.
“È sparita ed è stato emanato l’ordine di perlustrare il castello e trovarla al più presto!” Aveva annunciato la guardia e le sentinelle si erano subito organizzate di conseguenza.
Uno dei due seguì la guardia fin dentro al castello per cercare la donzella, l’altro invece rimase di vedetta nel caso in cui fosse fuggita dalla porta principale del castello.
Un sorriso birichino si dipinse sulle sue labbra.
Quello era esattamente il diversivo che stava cercando: con tutte le guardie alla ricerca della lupa, lui sarebbe certamente passato inosservato.
E, con una sentinella in meno, avrebbe potuto facilmente aggredirlo senza che venisse dato l’allarme.
Attese il momento propizio con estrema calma, come un predatore che segue solerte la sua preda.
Ma quando stava per balzargli al collo e neutralizzarlo, una figura scura gli piombò alle spalle spingendolo verso il muro in pietra.
La sentinella sbatté la testa rumorosamente, ma dalla sua bocca non emise un solo lamento mentre la coscienza fluiva via e l’oblio prendeva posto nei suoi occhi smarriti.
“L-Lyanna…?” Pronunciò a fatica, sincopando, prima di svenire nella gelida neve.
Rhaegar aggrottò le sopracciglia confuso.
Lyanna? Aveva capito bene?
La figura incappucciata pareva ancora non essersi accorta della sua presenza, così il principe ne approfittò per celarsi nuovamente nel buio.
E non appena I boccoli scuri fuoriuscirono dal cappuccio del mantello, Rhaegar si avvicinò senza indugio e le scoprì la chioma ribelle.
La lupa gli restituì uno sguardo argenteo colmo di stupore nel ritrovarselo lì davvero, in carne ed ossa.
La sua pelle nivea schiarì ulteriormente divenendo pallida come la neve. Le labbra rimasero leggermente rosee, segno che qualche goccia di sangue circolasse ancora nel suo organismo.
Vestiva abiti maschili e comodi, per nulla pregiati, anzi, estremamente spartani e logori. Probabilmente rubati a qualche guardia o qualche contadino.
“Tu?” La sua voce tremò nel silenzio della notte, così come il suo labbro inferiore prima di venire punito dai suoi denti.
“Ho ricevuto il corvo, sono qui per portarti via.” Spiegò velocemente, prima di allungare la mano verso di lei in un chiaro invito sussurrato dai suoi occhi.
Vieni con me, amore mio.
La lupa lo guardò esitante, dubitando forse che fosse realmente davanti a lei e che non fosse soltanto un’inganno della mente.
“C-come hai fatto a venire a nord così velocemente?” Chiese dubbiosa, arretrando di qualche passo.
Non si fidava. E come poteva mai? Era una fuggiasca che avrebbe dovuto credere che un principe del sud fosse giunto fin da lei a cavallo di un drago.
Rhaegar si levò il cappuccio e lasciò che la luce della torcia illuminasse il suo volto. 
“È una storia lunga, amore mio, ti prego, fidati di me e vieni via, non abbiamo tempo!”
“Eccola là!” Una voce si frappose fra loro, forte e allarmata, prima che un rumore di passi concitati si facesse più intenso. Più vicino.
“Ti prego, Lyanna.” Sussurrò il principe piano e la lupa allungò infine la sua mano afferrando la sua rimasta in sospeso per tutto quel tempo.
Corsero insieme nella neve, fino a che non furono fuori dalle mura di Grande Inverno, finché le loro membra non parvero congelate e continuarono a correre ancora, nonostante il fiato corto, nonostante i muscoli delle cosce che cedevano metro dopo metro nella fredda ed oscura notte.
Il castello era in allarme e sentivano sempre più forti le urla concitate dei soldati. Sempre più fiaccole si accesero alle loro spalle ed il rumore dei cavalli lanciati al galoppo non lasciava buon presagire.
“Non voltarti, corri ancora!” Urlò la lupa senza fiato, stringendo maggiormente la presa salda sulla sua mano.
Rhaegar eseguì l’ordine e s’impose di correre ancora, finché quel sogno d’amore non si sarebbe realizzato. 
E corsero a lungo, corsero finché le mura del castello non furono soltanto un puntino lontano dietro di loro, finché solo il rumore dei loro passi nella neve e dei loro respiri non fu l’unico suono.
Finché non intravidero la buia foresta fra le quali fronde innevate brillavano due occhi gialli incandescenti sinonimo di salvezza e libertà.

Volarono sulle lande desolate ricoperte di candida neve, volarono sul mare immenso, agitato e mai tranquillo.
Rhaegar non sapeva dove la bestia li avrebbe condotti, ma in ogni luogo andava bene, purché la sua amata fosse stata ancora al suo fianco.
Di sottecchi, voltò lo sguardo alle sue spalle, come già aveva fatto un’infinità di volte, alla ricerca della lupa.
Lo sguardo pieno di meraviglia ammirando il paesaggio che cambiava velocemente sotto di loro. Le pallide guance sferzate dal vento salmastro ed i capelli liberi ed indomabili che si agitavano continuamente sulle sue spalle.
Un palpitare incontrollato gli sfarfallò nel petto.
Non gli era mai capitato di averla così vicina e poterla ammirare liberamente in tutta la sua superba bellezza.
L’euforia e l’adrenalina gli scorrevano nelle vene lo rendevano estremamente impacciato e agitato.
Non era mai stato un grande eccelso nell’arte oratoria. Anzi, preferiva di gran lunga tacere e osservare le bislacche persone intorno a lui piuttosto che intrattenersi conversando con loro.
Ma in quel momento iniziava a sentire la pesantezza del silenzio calato fra loro fin da quando avevano lasciato Grande Inverno. Lyanna non aveva proferito verbo che non fosse stato per spronarlo a correre più veloce che potesse. Non aveva proferito parola neppure quando si era trovata davanti il drago che, con i suoi occhi incandescenti, la squadrava con diffidenza prima che Rhaegar le porgesse la mano per farla avvicinare ed aiutarla a salire sul dorso della bestia.
Erano trascorse diverse ore, ormai il sole iniziava ad affacciarsi nella volta celeste per sostituire la buia notte, ma ancora non v’era stata parola fra loro.
Rhaegar iniziava a non sapere più come comportarsi. Spiarla di nascosto e sviare lo sguardo quando gli occhi grigi di lei lo sorprendevano, iniziava ad essere ridicolo.
Strinse fra le mani le spine del dorso del drago e si mosse sul suo posto cercando una posizione più comoda.
“Sei stanco?” Chiese lei, con una vocina leggera e titubante che smascherava completamente anche il suo imbarazzo per quella situazione.
“Non molto, tu invece?”
“No… a dire il vero per niente.” Rispose lei ridendo sommessamente, attirando così l’attenzione del principe.
Rhaegar si voltò nella sua direzione, beandosi di quel sorriso splendido che le distendeva le labbra in una morbida curva.
“Davvero?” Chiese sorpreso, restituendole un sorriso divertito a sua volta.
“Il sonno è ben lontano da me” rispose lei, abbassando lo sguardo sul dorso della bestia per carezzarne con le punte delle dita la pelle squamosa e ruvida.
“Non avevo mai cavalcato un drago.” Aggiunse emozionata senza staccare gli occhi dalla pelle dell’animale.
“Tu?”
“Nemmeno io.” Confessò sorridendo in imbarazzo.
“Ormai i draghi grandi come questo non esistono più o sono chiusi sottochiave. Non so come questo potesse essere libero ancora… credevo che la mia famiglia li avesse imprigionati tutti.”
“Che peccato…” Confessò spontaneamente Lyanna sospirando.
“Creature così maestose non dovrebbero vivere chiuse.”
“Lo penso anche io…” concordò il principe volgendosi completamente con il busto verso di lei.
Ci fu un momento di silenzio in cui i loro occhi si specchiarono gli uni negli altri.
Grigio e viola che si fondevano assieme intensamente, indissolubilmente, in un dialogo silenzioso e sconosciuto.
Rhaegar sentì il cuore galoppargli nel petto. Quello sguardo valeva più di mille parole.
Allungò una mano verso di lei, in una muta richiesta di avvicinamento, e Lyanna, senza esitazione alcuna, l’afferrò saldamente avvicinandosi al principe.
Strisciò con il bacino sul dorso dell’animale, facendo attenzione alle creste ed alle spine coriacee che spuntavano fra le scaglie.
Raggiunse la schiena del principe e audacemente si aggrappò ai suoi vestiti per non cadere.
Rhaegar trattenne il respiro per l’emozione, ma sentiva le mani tremargli.
“Ho creato problemi con il corvo?” Chiese lei in un sussurro. Stavolta la sua voce si era fatta flebile ed affranta.
“L’ho letto soltanto io, nessuno sa che mi è arrivato il tuo messaggio.” Chiarì Rhaegar fattosi curioso.
Perché quella domanda?
“Nemmeno Elia?” Chiese ancora lei, facendosi ancora più piccola alle sue spalle.
Rhaegar sospirò abbassando lo sguardo.
Elia… perché come udiva il suo nome, il senso di colpa pareva soffocarlo?
“No. Solo io.” Dichiarò infine serio, stringendo le spine del drago con forza finché le nocche non gli sbiancarono.
“Scusami.”
“Per cosa?”
“Sento che ti da fastidio parlare di lei…” Confessò lei abbattuta, affondando la faccia fra le scapole del principe.
Rhaegar sorrise tristemente come unico commento a quelle parole.
Sì, non si sentiva sereno a parlare di Elia e non c’era alcun motivo per nasconderlo.
Lyanna se n’era accorta sicuramente dall’asprezza delle sue parole e dalla schiettezza delle sue risposte. Un po’ si sentiva rammaricato nei suoi confronti, dopotutto non voleva ferirla, ma nascondere il suo nervosismo nel parlare di Elia sarebbe stato soltanto l’ennesima menzogna.
Fingere era stato essenziale nella sua vita. Ma da quando era partito alla volta di Grande Inverno, sapeva di essersela lasciata completamente alle spalle.
E continuare a fingere, non aveva senso. Non ne aveva nessuna intenzione.
Con Lyanna voleva essere soltanto Rhaegar e niente più.
Soltanto lui. Quello vero e autentico.
“Mi dispiace tanto, non volevo creare problemi.” Confessò lei ancora, stavolta la sua voce si mostrò incerta e tremolante, segno di un pianto imminente.
“Non hai fatto niente, Lyanna. Non ho mai amato davvero Elia e lei ormai lo ha capito.” Spiegò il principe addolcendo la voce quanto possibile per rincuorare la fanciulla stretta alle sue spalle.
“Ho sempre pensato a te, fin da quando c’incontrammo ad Approdo del Re.” Aggiunse infine sorridendo con le guance in fiamme, felice che Lyanna non potesse vederlo in quel momento.
Sentì l’animo più leggero, mentre il cuore correva nel suo petto e lo stomaco si annodava in un dolce nodo di emozioni.
Lyanna si mosse leggermente alle sue spalle e le sue braccia esili gli circondavano la vita timide ed esitanti.
“Anche io, Rhaegar…” Confessò lei a sua volta, mentre il sole nascente andava ad illuminare loro l’orizzonte e dei piccoli cordoni di terra iniziavano ad intravedersi in lontananza.
Solo il mare ed il cielo come unici testimoni di quelle parole pregne d’amore e del suono dei loro cuori che battevano all’unisono.

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Capitolo 6
*** 6. Di amori sbocciati nel deserto e funeste premonizioni ***


Piccola precisazione: Questa fanfiction non tiene conto né della deludente ottava stagione, né di quello che narrano i libri. Ho preso degli  indizi, quel poco che era stato raccontato dei protagonisti da “Zio Giorgione” sia nei libri che nella serie tv, ma ho arrangiato la trama tralasciando alcune cose in favore di altre.

Buona lettura ^^



6.    Di amori sbocciati nel deserto e funeste premonizioni




Il caldo secco del deserto di Dorn torturava le loro membra stanche e affaticate. Solo la notte, con il suo tiepido abbraccio, donava un po’ di tregua e ristoro.
Era con il favore delle tenebre che Rhaegar osava allungare la sua mano e sfiorare quella della sua amata.
Sentire la sua pelle liscia che si disseminava di brividi con le sue carezze audaci, sentire il suo corpo fremente che si muoveva in sincronia perfetta con il suo, sentire il piacere di Lyanna crescere e vedere nei suoi occhi la luce della lussuria illuminarsi solo per lui.
Il cuore del principe non era mai stato più felice e gioioso.
La Lupa, la sua amata dama dal vestito blu che non sapeva ballare, l’unica donna che aveva rubato il suo cuore, lo amava esattamente come lui amava lei.
Non c’era un modo semplice per spiegarselo. La sensazione che provava non pareva terrena.
Era come se un miracolo fosse appena avvenuto. Forse vittima di un sogno o una stregoneria, perché ad un misero uomo non può essere concessa tanta felicità senza chiedere niente in cambio.
La felicità che vedeva riflessa negli occhi della sua amata ogni giorno, la gioia che leggeva nei suoi sorrisi e la tenue  voce arrochita con cui chiamava il suo nome vittima del piacere più totalizzante.
E la mattina, quando il sole tornava a carezzare la pelle diafana della sua amata distesa al suo fianco, Rhaegar non riusciva ad immaginare panorama più sublime.
La curva morbida del fianco, i capelli color cioccolato schiariti dal sole caldo, le labbra rosee con il quale lo salutava ogni giorno e quegli occhi splendidi che parevano forgiati dal ghiaccio.
Non credeva di poter essere più felice di così. Finalmente aveva tutto quello che aveva da sempre sognato.
Finalmente la sua amata trascorreva al suo fianco ogni giorno e anche quello seguente ancora.
E, quando Lyanna gli confessò di attendere suo figlio, Rhaegar a stento riuscì a credere alle sue parole.
Il suo cuore aumentò i battiti forsennatamente. Le orecchie presero a fischiargli forte e gli occhi gli si riempirono di lacrime.
Davvero?
Davvero gli Dei avevano voluto graziarlo anche con quel dono?
Quanto mai poteva ancora essere felice e completo?
Le gambe non lo ressero oltre e cadde in ginocchio dinanzi alla sua amata.
Le strinse i fianchi nudi e avvicinò il  ventre di lei a sé per poter baciare quella vita appena sbocciata dall’amore più bello che avesse mai sfiorato il principe.
Lo vide crescere velocemente, Rhaegar. Lyanna era snella e asciutta, lo era sempre stata fin dalla prima volta che l’aveva svestita con una cura e una premura pressoché reverenziale.
Quel piccolo accenno di rotondità si era affacciato fin dai primi mesi, con la tenera arroganza di un bimbo che si vuol far notare subito.
E non passava giorno o notte che la mano del principe non corresse a carezzare quel figlio frutto d’amore.
Non passava dì che le sue labbra non baciassero l’addome di Lyanna o che la sua voce non intonasse dolci parole di trepidante attesa per l’arrivo di suo figlio.
Immaginavano spesso il suo viso. Talvolta con gli occhi grigi di lei, talvolta con le labbra sottili di lui.
Il temperamento ed il carattere burrascoso lo aveva preso dalla Lupa. Già lo sapevano grazie ai piccoli, ma ben assestati, calcetti che il piccolo elargiva con generosità.
Fu per via di uno un po’ più forte che Lyanna si svegliò nel cuore della notte.
Il sudore attaccato al corpo come una seconda pelle fatta di nervosismo e paura.
Strinse a sé la coperta leggera e carezzò il ventre tondeggiante intonando ninna nanna piano a labbra socchiuse.
Lo sguardo vispo e allerta correva da una parte all’altra della stanza, guizzando svelto ad ogni sospiro assonnato che il suo amato faceva.
Cercò di tirare indietro i capelli appiccicati al collo, cercò conforto nel silenzio della notte, ma il suo cuore martellava impetuoso per lo scherzo onirico a cui la sua mente l’aveva sottoposta.

Pioveva.
L’acqua scrosciava dal cielo come le lacrime di una vedova. La fanghiglia si riversava in quel che fu un fiumiciattolo sull’orlo di estinguersi.
L’incedere funesto dei pesanti stivali cozzava con il terreno sdrucciolevole producendo un rumore umido e osceno.
I cavalieri faticavano a tenere il passo.
I corpi affaticati si trascinavano per la via. Passo dopo passo, esausti respiravano gli ultimi momenti di quella vita terrena.
I loro visi trasudavano rassegnazione, ma ostinati, seguivano il cavaliere nero che apriva loro il cammino. Corna di cervo dorate agghindavano l’armatura scura schizzata di sangue.
L’uomo, grande e possente, indossava una maschera di dolore e rabbia. Lampi rossi come il sangue dardeggiavano nei suoi occhi feriti.
Inspirava rabbia ed espirava dolore.
Dall’altra sponda del fiume, un piccolo contingente già l’attendeva.
Il condottiero si ergeva sulle gambe snelle sfidando l’avversario con la sua lunga lancia.
I suoi occhi sereni raccontavano di una rassegnazione consapevole. Il suo destino era stato deciso e lui era pronto ad accettarlo con coraggio e fierezza.
Uno scontro sul fiumiciattolo imperversava.
Il fragore delle spade contro gli scudi riempiva la radura insieme ai rombanti tuoni che scuotevano il petto e stringevano il cuore.
Un martello, possente e funesto, si agitava e si accaniva sui nemici come la falce della Morte.
Mieteva vittime, il cavaliere nero, e piangeva lacrime di sangue con viso sofferente.
Abbatteva i nemici, frantumava le loro armature come fossero fatte di carta e il rumore sordo delle ossa che si spezzavano riempiva la radura silenziosa.
Le grida dei feriti imploravano una pietà che mai gli sarebbe stata concessa.
Il cavaliere nero si scagliò sull’ultimo nemico.
Il martello nero si levò per fracassare l’ultima armatura e la pioggia divenne sangue.
Rubini scarlatti piovvero dal cielo mentre il grido di vittoria del cervo assumeva le sfumature di un lamento di dolore.

Lyanna si trascinava stancamente giorno dopo giorno. Con il sole alto e la calura le era impossibile riposare di giorno, mentre di notte gli incubi sul cavaliere nero tornavano a tormentarla.
Rhaegar le stava accanto, fornendole tutto l’aiuto di cui la sua amata avesse bisogno.
Ma il suo viso sfioriva per la stanchezza giorno dopo giorno e lui iniziava a sentire l’inutilità del suo ruolo come mero spettatore.
La sera stava calando lentamente, tingendo il cielo con sfumature blu e viola.
Rhaegar salutò la sua amata con un lungo e tenero bacio prima di avviarsi verso la porta della camera da letto.
“Dove vai?” Chiese lei apprensiva stringendo la coperta fra le mani.
La sua voce non nascondeva la paura e il nervosismo che l’assenza dell’amato le provocava.
“Un maestro mi attende. Ho intenzione di chiedergli un infuso per farti riposare meglio.”
“Non ne ho bisogno!” Ribatté lei subito guardandosi intorno spaventata.
Rhaegar le fu subito al fianco e le carezzò dolcemente la guancia pallida segnata dalle profonde occhiaie.
“Tornerò prima che il sole sia tramontato del tutto, amore mio.” Le sorrise rassicurandola. Unirono frettolosamente le labbra in un saluto fugace e infine Rhaegar si congedò.
Uscì dalla Torre della Gioia con passo svelto. Non aveva intenzione di far attendere la sua amata un secondo di più di quanto gli aveva promesso.
Camminò a lungo, raggiungendo il limitare di un villaggio scarno e affamato.
Aveva sentito voci riguardanti un grande e abile Maestro specializzato in infusi e pozioni.
Si diceva che molti potenti avessero provato ad avvalersi dei suoi servigi corrompendolo o minacciandolo, ma lui si era sempre rifiutato di servire chiunque avesse già servitori in grado di soddisfarli.
Aiutava i meno fortunati, al contrario. Regalava loro l’aiuto di cui avevano bisogno e alleviava le sofferenze di quella vita mortale fatta di fatiche.
Raggiunse una capanna fatiscente, isolata dalle altre.
Accostò l’orecchio, ma non udì alcun suono provenire dall’interno.
Decise di tentare comunque e non appena alzò la mano per bussare, una voce tremolante e roca lo redarguì.
“Non servo principi!” Brontolò un vecchio alle sue spalle.
Rhaegar si voltò e lo trovò esattamente dietro di sé.
L’uomo era avvolto in una tunica vecchia e logora, celato da un cappuccio che oscurava le fattezze del suo viso.
Era molto più basso di lui e magro. La vecchiaia aveva appassito le sue membra facendolo ripiegare su sé stesso come un giunco e un bastone lo aiutava nei movimenti ormai faticosi.
Il principe si inginocchiò dinanzi allo sconosciuto e toccò il terreno con la fronte senza pensarci due volte.
“Non sono più un principe, non mi importa dei titoli o del potere. Sono qui come un uomo comune, a chiedere aiuto per la donna che amo.”
L’anziano tacque qualche istante. Rhaegar riusciva a sentire la pesantezza dei suoi occhi che lo giudicavano.
Dopotutto era un principe e lui non serviva alcun reale.
“Immagino che sia davvero grave se una donna forte come la Lupa ha bisogno d’aiuto.”
Rhaegar sgranò gli occhi ed alzò il capo per guardare in faccia il Maestro.
Come faceva a sapere di Lyanna?
“V-voi…” iniziò il principe, ma le sue parole morirono nell’esatto momento in cui incontrò gli occhi lattei del vecchio.
“Rhaegar, mio caro, abbiamo molto di cui parlare…” rispose enigmatico interrompendolo e facendogli segno con la mano di alzarsi.
Rhaegar ubbidì continuando a guardarlo con sospetto.
Chi era quell’uomo?
Come faceva a sapere che lui era un principe?
E di Lyanna? Non aveva mai detto il suo nome…
“Entra, qui anche i granelli di sabbia hanno occhi, orecchie e bocca per riferire.” Gli disse bonariamente avviandosi malfermo sulle gambe verso la soglia della sua capanna.
“Vorrai perdonare la mancanza di sontuosità, immagino che tua madre ed il sul gusto sopraffino ti abbiano abituato allo sfarzo più sfrenato.”Ironizzò su riuscendo a strappare un mezzo sorriso dalle labbra severe del principe.
Aprì la porta e fece segno a Rhaegar di entrare. Ancora non sapeva se poteva fidarsi di lui o meno.
Era un individuo decisamente sospetto, questo era innegabile.
Ma Lyanna necessitava di aiuto e avrebbe fatto qualsiasi cosa per lei. Anche fidarsi di un vecchio così strano.
Entrò nella capanna e si guardò intorno curioso.
Mille ampolle lo circondavano contenenti liquidi colorati e fumanti. L’odore non era dei migliori, predominava quello delle erbe mediche disposte sul tavolo sbilenco in legno, unico arredo di quello scarno luogo oltre ad un piccolo panchetto.
Attese di udire la porta chiudersi e infine Rhaegar si voltò a guardare il Maestro.
“Come sai di Lyanna?”
L’uomo fece un sorriso triste. Sospirò stancamente e andò a sedersi sul panchetto.
“I miei occhi vedono molto più di quanto sembri, principe Rhaegar.”
“Non sei cieco dunque.”
“Al contrario!” Rise sommessamente il vecchio, poi la sua risata si trasformò in un violento colpo di tosse.
“I miei occhi non vedono da ormai molto tempo, ma la mia mente è libera di viaggiare nello spazio e nel tempo.”
Rhaegar corrugò le sopracciglia confuso e, intimorito, fece un passo indietro.
“Oh non dovete temere di me!” Si affrettò ad aggiungere l’uomo.
“Guardatemi, con il minimo sforzo potreste uccidermi. Capite bene che non sono dunque una minaccia.”
Rhaegar soppesò le sue parole trovandole indubbiamente corrette.
L’uomo non era una minaccia fisicamente, ma le sue parole lo avevano comunque messo in allarme.
Potevano trattarsi dei deliri di un vecchio malato, ma se così non fosse stato?
Come poteva aver visto Lyanna se i suoi occhi erano ormai vitree palle vuote?
“Non pratico arti oscure o magia nera, se è quello che state pensando.” Aggiunse all’improvviso il vecchio dopo diversi secondi di silenzio.
“Come posso fidarmi di te?” Chiese allora Rhaegar, guardandosi intorno con sospetto, come se attendesse un’imboscata imminente.
“Dovrete avere fede, immagino.” Rispose semplicemente alzando le spalle con noncuranza.
“Necessito di una pozione per dormire.” Espose Rhaegar, quasi ordinandolo.
Il tratto del principe autoritario che odiava tanto, stava uscendo fuori in quel momento.
“Sono io che ho fatto avere quei sogni a Lyanna.”
“Cosa? Come?” Trasalì il principe sgranando gli occhi.
La mano corse lesta all’elsa della spada. Ora più che mai temeva un’imboscata che avrebbe raso al suolo quella fatiscente capanna.
“Avevo bisogno che tu venissi qui a parlare con me e ho pensato bene di mostrare alla Lupa un pezzo del futuro che vi attende.” Spiegò semplicemente il Maestro, sorridendogli sereno senza vederlo davvero. Una ragnatela di rughe si dipinse sulla pelle bronzea del suo viso.
“Ha degli incubi terribili…”
“Perché terribile è il futuro che vi attende.”
“Come possiamo cambiarlo?” Chiese il principe di getto, avanzando verso il Maestro con il cuore in gola palpitante.
“Non potete, il futuro è già scritto per tutti noi.” Rispose severo, sbattendo la punta del bastone a terra come fosse un monito.
“Ma sciagure ben peggiori della morte ci attendono e soltanto il frutto del ghiaccio e del fuoco potrà impedire l’estinzione dell’umanità.” Aggiunse infine, il Maestro, stringendo il bastone con più forza fino a sbiancarsi le nocche. La nodosità del legno si confondeva con le rughe che costellavano le braccia del vecchio.
“Cosa intendi…”
“Hai mai sentito parlare di Azor Ahai?”

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Capitolo 7
*** 7. Di struggenti addii e amori eterni ***




7. Di struggenti adii e amori eterni







Rhaegar tornò verso la Torre della Gioia che il sole stava ormai sorgendo. Lo sguardo perso chissà dove, i capelli sconvolti e i cerchi neri sotto agli occhi di chi non era riuscito a dormire e riposare.
Alzò lo sguardo verso il cielo che andava schiarendosi sempre di più.
Il blu della notte svaniva via piano piano lasciando il posto al sereno azzurro. Il suo primo pensiero fu per la donna amata: non aveva mantenuto la promessa fatta a Lyanna di tornare prima che la notte calasse…
Si passò nervosamente una mano fra i capelli chiari con nervosismo crescente. Non riusciva a togliersi dalla mente le parole che quel maestro gli aveva detto.
Sapevano di profezia funesta e morte, ma le aveva trovate comunque inquietantemente affascinanti.

“Verrà la lunga notte. Forse domani, forse fra un mese o fra cinquant’anni, ma tornerà ancora. La morte scenderà dal nord portando l’inverno con sé e chiunque si troverà sul suo tragitto diverrà parte del suo immenso esercito di cadaveri.”

“Ciò che dici non ha alcun senso…”

“La Lupa sa bene di cosa parlo, persino tuo padre è riuscito a capire. Mi domando perché tu no, Rhaegar.”

“Mio padre ha perso la testa…”

“Tuo padre è l’unico che ha un po’ di buon senso! La morte arriverà con l’avvento dell’inverno e il solo modo per contrastarla sarà il fuoco che incendierà la spada di tuo figlio.”

“Cosa?!”

“Ascolta le mie parole, principe Rhaegar. Il destino ha da compiersi e ciò che è nato dal freddo del nord e dal fuoco del drago deve essere preservato.”

“Cosa intendi?”

“Il cervo sta arrivando per la Lupa e quando la troverà gravida di un bastardo, lo ucciderà per cancellare l’onta.”

“Non è un bastardo, non sono più sposato con Elia… mi sono unito in matrimonio a Lyanna davanti ad un Maestro!”

“Devi proteggere tuo figlio Rhaegar.”

“Come posso fare?”

“Rallenta il cervo. Incontralo a Guado del Tridente con quei pochi uomini delle truppe reali che ancora ti sono fedeli. In questo modo giungerà alla Lupa suo fratello per primo.”

“Ucciderò anche suo fratello per mio figlio, se necessario!”

“No, il Lupo mansueto è buono di cuore e ama sua sorella. Capirà e salverà l’unico che potrà salvarci tutti.”

Suo figlio avrebbe salvato l’umanità. Suo figlio avrebbe salvato il mondo per come era conosciuto scontrandosi con un misterioso Re che governa oltre la Barriera.
Era una benedizione e una maledizione allo stesso tempo. In un certo senso, c’era un qualcosa di filosofico in quella rivelazione: una vita che ancora ha da vivere, destinata a uccidere la morte stessa.
Come potrebbe mai il loro bambino riuscire in una tale impresa?
E se avesse fallito?
Le mani gli tremavano per l’angoscia mentre saliva le scale della Torre della Gioia.
Loro figlio… il loro piccolo Aegon portatore di pace.
Al sol pensiero sentiva il cuore riempirsi d’orgoglio. Ma a quale prezzo?
Il Maestro era stato portatore di funeste predizioni: il Cervo incombeva su di loro e, presto o tardi, li avrebbe raggiunti e scovati per reclamare Lyanna come sua.
E chissà cosa avrebbe fatto del bambino che portava in grembo…
Aegon non sarebbe sopravvissuto abbastanza per esprimere il suo primo vagito.
Fin troppi nel regno volevano che il frutto del loro amore venisse estirpato ancora prima di conoscerne l’esistenza. 
Era solo questione di tempo prima che una guerra sanguinosa e violenta sconvolgesse il regno e Rhaegar temeva che il Cervo stesse soltanto cavalcando l’odio che la famiglia reale aveva attirato su di sé.
La casata Targaryen, la famiglia reale stessa, si avviava verso le vie del tramonto ormai. Era inutile negarlo ancora.
La pazzia improvvisa – o forse folle lungimiranza – di suo padre aveva attirato nemici da ogni parte del regno. Quella sua ossessione macabra nel voler bruciare il popolo stava degenerando sempre di più e sempre più velocemente. Le false congiure che vedeva ovunque, i nemici inesistenti che era certo lo spiassero, presto o tardi sarebbero divenuti i fautori del suo stesso destino.
D’altronde, era solo questione di tempo prima che iniziasse a bruciare i nobili cortigiani e non più la povera gente che non aveva modo di difendersi.
E dopo ciò, sarebbe stata solo questione di tempo prima che una rivota scoppiasse per le vie di Approdo del Re. O che una congiura uccidesse suo padre.
Era questione di poco tempo, forse giorni, e, prima o poi, sarebbero venire a cercare anche il principe erede al trono pretendendo la sua testa da esibire su una picca.
Insieme al suo nuovo erede. Non si sarebbe stupito se i perseguitori che suo padre vedeva ovunque, avrebbero estirpato la casata Targaryen dal mondo.
Arrestò i suoi passi proprio dinanzi alla porta che lo avrebbe condotto nella stanza dove Lyanna stava dormendo.
Riusciva a sentire il suo respiro lento e regolare e fu silenziosamente grato al Maestro per averla fatta assopire senza i soliti incubi.
La mano ferma a mezz’aria che indugiava se poggiarsi o meno sulla maniglia.
Quel pensiero lo aveva congelato sul momento. E per quanto folle e crudele, un certo Cervo iniziava a delinearsi nella sua mente capace di una simile atrocità.
Robert amava Lyanna. L’aveva sempre amata, forse anche più di lui stesso.
Ne era ossessionato, completamente invaghito e ciò che più preoccupava il principe, erano le gesta che quel folle innamorato avrebbe compiuto pur di averla.
Forse con la forza… strappandole loro figlio dal grembo e trucidandolo a sangue freddo per estirpare anche l’ultimo Targaryen rimasto.
Indugiò sulla soglia.
Se fosse entrato in quella stanza, Rhaegar si sarebbe avvicinato al letto, avrebbe svegliato la sua amata Lyanna e l’avrebbe baciata con ardore raccontandole le parole del Maestro.
Avrebbero deciso insieme cosa fare. Avrebbero trovato un modo per stare insieme ancora e non doversi separare mai…
Ma avrebbe funzionato?
Aprì la porta piano, attento a non fare rumore, e sbirciò all’interno.
Si riempì lo sguardo del bel viso della sua Lyanna che riposava.
La pelle abbronzata del suo viso, i seni gonfi e voluttuosi che il lenzuolo non riusciva più a coprire e il suo ventre. Tondo, gonfio di vita.
Era così bella, Lyanna.
La donna più bella che i suoi occhi viola avessero mai visto.
Richiuse la porta. La mano tremante stretta intorno all’elsa della spada e il cuore colmo di sentimenti contrastanti.
Paura.
Amore.
Sacrificio.
Non sapeva se le parole del Maestro fossero vere o meno. Non sapeva se ciò che stava per fare fosse o meno una follia annunciata…
Non sapeva niente, razionalmente non sarebbe dovuto salire sul suo cavallo e radunare ciò che restava delle guardie reali.
Non vi era alcun senso nei suoi gesti, soprattutto se dettati dai vaneggiamenti di un vecchio pazzo.
Ma il cuore sussurrava altro. Una strana consapevolezza gli sussurrava all’orecchio che doveva andare a incontrare il Cervo e che lì, in quel putrido fondale di fiume, avrebbe trovato il freddo abbraccio della morte che già lo attendeva con le scheletriche braccia aperte.
Era una pazzia… credere a quel Maestro era una pazzia…
Ma se non l’avesse fatto?
Se fosse rimasto alla Torre della Gioia con la sua amata Lyanna e fosse giunto il Cervo a reclamarla?
Li avrebbe sorpresi disarmati, impreparati, senza un esercito a difenderli e rinchiusi in una guglia che sarebbe stata la loro tomba.
Non poteva permetterlo…
Non poteva permettere che ciò avvenisse.
Lui sarebbe morto comunque, in ognuna delle possibilità, ma Lyanna no.
Lyanna e suo figlio avevano una possibilità solo e soltanto se fosse andato incontro al Cervo.
Un sorriso mesto gli disegnò le labbra.
L’aveva bramata per anni e dopo aver gioito del suo amore ad illuminargli le giornate, ecco che il destino crudele li divideva.
Non avrebbe mai visto suo figlio… quel frutto prezioso del vero amore, sofferto e sospirato.
Solo il tenero ricordo dei suoi calci dispettosi contro la pancia della madre avrebbe rammentato di lui.
Una sorte amara, la sua.
Avversa e crudele, ma ne era valsa la pena per aver goduto della bellezza della Lupa in quella manciata di mesi che avevano condiviso insieme.
Avrebbe serbato nel cuore il ricordo del suo sorriso innamorato mentre si sposavano, sotto alle fronde di quell’imponente arbusto e al fianco di quel fiume gorgogliante. Mentre la luce che filtrava dalle fronde disegnava giochi di luce fra i suoi capelli di cioccolato risaltando il suo sguardo d’argento.


La tua mano scorre sulla mia carezzandola dolcemente.
Stringi la presa ed un timido sorriso ti disegna le labbra mentre i tuoi occhi, timide stelle argentee, sfuggono ai miei.
Una risata, cristallina e soave, ti nasce dalla gola e si disperde nell’aria come un vortice leggiadro di petali nel vento.
Sei emozionata. Non è così, Lupa?
Il nastro della cerimonia ci sfiora la pelle ed un turbinio di brividi ti solleticano il braccio. Il maestro lega sapientemente le due estremità e solo quando le nostre mani sono unite, torni a puntare i tuoi occhi nei miei.
C’è una luce aulica nel tuo sguardo. Sei così seria in questo momento nonostante quel timido sorriso emozionato che ti illumina il viso.
Ed io mi sento privilegiato, fortunato, ad essere qui ora con te, in riva a questo gorgogliante fiume, nascosti dalle sontuose fronde verdeggianti di questo imponente faggio.
La promessa nasce spontanea dai nostri cuori e le labbra la pronunciano all’unisono con naturalezza.
Io sono tuo e tu sei mia. E solo gli Dei sanno quanto siano solenni le nostre parole.


Il suo nome avrebbe riempito la sua bocca per tutti i giorni a venire, il ricordo di lei e del loro amore avrebbe colorato la sua memoria per sempre.

***

Il martello perforò la sua armatura come se fosse burro ed impattò crudele contro il suo torace.
Rhaegar sentì ogni singolo osso rompersi sotto alla pressione di quel gelido pezzo di metallo.
Ricadde a terra esanime, con in buco nel petto e la gola piena del suo stesso sangue.
Osservò il cielo terso sopra di sé, mentre la pioggia puliva via la guerra e la morte dal campo di battaglia.
Era finita. Aveva perso.
Il suo pensiero volò alla sua amata e a quel ventre rigonfio che tanto amavano carezzare.
Non avrebbe mai conosciuto suo figlio.
Non l’avrebbe più rivista.
Non l’avrebbe mai più stretta a sé.
“Perdonatemi…” ansimò sospirando prima di spirare.

***

La lupa, madida di sudore, vide per l’ultima volta suo fratello stringere fra le mani il suo bambino e guardarlo con occhi innamorati.
Un debole sorriso si dipinse sul suo volto.
Era riuscita a mettere il piccolo Aegon al sicuro, fra le braccia del lupo mansueto che, era certa, avrebbe dato la vita per quel fagottino di appena poche ore.
Chiuse gli occhi stremata, ma soddisfatta.
Il suo ultimo pensiero fu una muta richiesta di scuse per il suo amato principe.
Non sarebbe riuscita a crescere il loro bambino come si erano promessi, non sarebbe riuscita a vederlo divenire uomo e sovrano giusto e corretto.
Non sarebbe riuscita ad essere una buona madre come lui era certo che sarebbe stata.
Un’ultimo soffio di vento le carezzò la pelle chiara, portandogli la voce del suo amato drago e quell’unica parola che era riuscito a proferire.
“Non c’è niente da perdonare…” rispose fra sé e sé, in un sussurro inudibile, mentre le ultime forze correvano via dal suo corpo trascinandola nell’oblio profondo e oscuro.











Eccoci giunti alla fine di questa piccola avventura 
Spero tanto che la storia vi sia piaciuta nonostante le incongruenze/inesattezze con I libri.
Ad ogni modo, volevo ringraziare tutti coloro che sono arrivati a leggere fino a qui. Grazie infinite! Mi avete riempito il cuore di gioia e mi auguro vivamente che sia stata una lettura quantomeno piacevole.
Ringrazio anche tutti coloro che hanno letto/votato da wattpad. Senza il vostro supporto, la storia non sarebbe mai salita nelle classifiche dei tag <3
Grazie mille per aver letto anche queste insulse note d’autrice.
Alla prossima.
Un bacio <3

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