He fell from heaven like lightning

di Churros25
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


CAPITOLO 1

Davanti ai vetri della pasticceria “Chez Castiel”, una piccola bambina dai lunghi boccoli biondi si stava divertendo a rincorrere con il suo ditino le gocce d’acqua che veloci scivolavano lungo la superficie. I suoi occhioni blu osservavano con meraviglia la città che pian piano si stava svegliando davanti a lei e rimase per un attimo incantata a guardare le macchie di colore che i vari ombrelli creavano.              
“Papà, oggi posso stare a casa dall’asilo?” chiese ad un certo punto la piccola Claire, destandosi dai suoi pensieri e correndo verso il bancone. Si gettò tra le braccia di un uomo non molto alto, con lunghi capelli neri e un naso schiacciato.                        
“Tesoro, sai che io ti lascerei volentieri a casa, ma devo andare in palestra.”              
“Ma posso restare qui con papà!” La piccola sfoderò i suoi occhioni da cucciolo, sorridendo dolcemente e con un pizzico di furbizia all’uomo di fronte a lei.               
“Ok, va bene” acconsentì alla fine il padre, mentre Claire batteva le mani entusiasta.
“Che succede qui?” I due furono interrotti dall’entrata in negozio di un uomo alto, con corti capelli corvini e due occhi blu giganti, coperti da una velo di stanchezza. Portava con sé una cassa di fragole che si affrettò a portare subito in cucina.            
“Papà ha detto che oggi posso stare a casa” ammise la bambina, mostrando i dentini da latte.                                                                   
“Zeke, come ti è venuto in mente?”                                             
“Amore, rilassati, per un giorno cosa vuoi che sia?”                                    
“Dai, papi, sta anche piovendo!” Zeke lasciò andare Claire e si avvicinò al suo compagno, stringendogli un fianco.                                          
“Non ci provare, sai che con me non attacca.”                                   
“Beh, non la pensavi così la scorsa notte.” Castiel si allontanò da lui e si mise il grembiule.                                                       
“Sai che sei molto sexy con quel coso?”                                            
“Quel coso ha un nome e, per favore, non davanti alla bambina.”                                
“Ma non sta neanche ascoltando, e poi è anche figlia mia, quindi posso decidere come educarla!” Castiel alzò gli occhi al cielo.                                “Ancora con questa storia?”                                               
“Verrà sempre fuori questa storia finché tu avrai problemi con l’accettarla!”              
“Sei tu che ti senti inferiore. E ora, per favore, vai che oggi arriva il nuovo aiutante e io devo lavorare e nel mentre controllare tua figlia.” Zeke annuì e lasciò un bacio veloce sulle labbra di Castiel.

Dall’altra parte di quella Londra piovosa, al Saint Marie Hospital il pediatra stava per concludere il suo giro visite dopo un lungo turno di notte.             “Allora campione, come andiamo stamattina?” chiese, mentre metteva piede nella stanza di un bambino con la polmonite. Il piccolo, appena lo vide, fece un gran sorriso e si mise seduto sul letto.                                            
“Hai dormito tutta notte?” chiese il dottore, mentre lo visitava.                        
“Si” rispose convinto. E poi, un po’ titubante, chiese:                                 
“Dottor Winchester, oggi posso andare nella sala comune?” Dean sorrise, aiutandolo a sedersi sulla sedia a rotelle.                                      
“Intendi, se puoi andare a trovare Juliet?” Il bambino arrossì, abbassando la testa.         
“Va bene, puoi andare. Ma mi raccomando Samantha,” disse all’infermiera che lo stava accompagnando nel giro visite, “teneteli d’occhio questi due.” L’infermiera sorrise imbarazzata allo sguardo del dottore e annuì.

Uscì dall’ospedale e aprì l’ombrello, dirigendosi verso casa. Era stanco morto e l’unica cosa che gli permetteva di muoversi e di non collassare su una panchina era il suo letto. Stava proprio pensando di farsi anche una doccia appena arrivato a casa, quando il cellulare squillò, intonando le note di Ramble On.                       
“Benny, cosa c’è?”                                                        
“Buongiorno anche a te, fratello. Brutta notte?”                                
“Non è stata una delle migliori.”                                                
“Perfetto, allora passa da me per un caffè perché ti devo dire una cosa.”               
“Ma non me la puoi dire al telefono?”                                   
“Andrea vuole che te lo diciamo insieme.” Dean annuì, socchiudendo un attimo gli occhi.                                                              
“Va bene, arrivo.” Chiuse la telefonata e una piccola chioma bionda in piedi davanti alla vetrina di una pasticceria attirò la sua attenzione. Le si avvicinò con cautela, per non spaventarla, e si inginocchiò di fianco a lei, mostrandole il suo sorriso migliore.                                                            “Ehi, piccola, che stai facendo?” La bambina lo osservò un momento, indecisa se fidarsi o no. I suoi papà le avevano sempre detto di non parlare con gli sconosciuti, ma questo signore sembrava simpatico e gentile.                                                 
“Sto cercando di afferrare le goccioline d’acqua.”                                             
“E ce la stai facendo?” La bambina annuì, intenta nella sua missione.                    
“Ora che ne dici se mi porti dalla tua mamma? Ho paura che tu possa ammalarti qua fuori.”                                                                   
“Io non ho la mamma. Ho due papà!” disse fiera la piccola, mostrando il due con le dita. Dean rise, prendendole la mano e alzandosi.                                       
“Va bene, allora portami dal tuo papà.”

Quando entrarono nel negozio, Dean fu invaso da un intenso profumo di mele e vaniglia che gli fece venire subito l’acquolina in bocca e si guardò in giro, attratto da tanti dolci e da quell’atmosfera così casalinga.                                                
“Oh mio dio, Claire! Mi sono girato un attimo e non ti ho più visto. Ma dov’eri finita?” La bambina, ancora attaccata alla mano di Dean, alzò con sicurezza lo sguardo verso il padre.                                                  
“Papi, non potevo vincere le goccioline d’acqua da qui dentro!” Castiel la abbracciò, notando poi la presenza di Dean al suo fianco. Gli strinse la mano, ammirando le miriadi di lentiggini che abbellivano quel viso sconosciuto.                       
“La ringrazio per avermela riportata. Claire è una bambina difficile da gestire.” Dean scrollò le spalle.                                                  
“Si figuri, ero preoccupato che si ammalasse stando lì fuori.”                         
“Non sono un cattivo padre” disse Castiel, facendo un passo indietro.                    
“Non l’ho mai pensato.” Il pasticcere abbozzò un sorriso sghembo, abbassando la testa, e si diresse al bancone per riprendere la sua attività. Dean si girò verso Claire e le fece promettere di non uscire più dal negozio senza l’ok del papà. Infine si diresse alla porta, ma con la mano sulla maniglia si voltò un’ultima volta.                             
“Sono Dean” disse, sorridendo. Il pasticcere sollevò lo sguardo, sorpreso.                      
“Castiel.”                            

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


CAPITOLO 2

Percorse con molta fatica gli scalini del portico e suonò il campanello. “Ma non poteva dirmi al telefono quella dannata cosa?” si ritrovò a pensare Dean di fronte alla porta chiusa. Ad accoglierlo giunse una giovane donna, scura di carnagione e molto bella, con lineamenti fini e occhi da cerbiatta.                                 
“Ciao, Dean. Accomodati pure. Benny è in cucina ad aspettarti” lo invitò Andrea, scostandosi di lato. Il biondo entrò in quella casa che ormai conosceva a memoria e raggiunse l’amico, intento a bere del caffè.                                       
“Ecco il tuo, come promesso” gli disse, passandogli una tazza colma di liquido bollente. Dean si attaccò alla tazza e ne bevve un lungo sorso.                              “Wow, è stata veramente una brutta notte!” esclamò Andrea, sedendosi con loro al tavolo della cucina.                                               
“Non immagini quanto. Ma, bando alla ciance, cosa dovete dirmi?” Andrea e Benny si fissarono per qualche istante, un po’ rossi in volto.                                  
“Io e Andrea ci sposiamo!” disse infine l’amico, intrecciando la mano con la sua futura moglie. Per poco a Dean non finì di traverso il caffè, tanto che iniziò a tossire, rosso in volto e a corto di fiato.                                          
“Non pensavo ci saresti rimasto così male, fratello!”                                 
“Coglione, sono felicissimo per voi! Solo che non me lo aspettavo.”                     
“E’ stata una sorpresa un po’ per tutti…” ammise Andrea. Dean osservava i due fidanzati con un flebile sorriso sul volto, pensando a quanto aveva faticato per farli mettere insieme.                                                              
“E tu, invece? Com’è andata con l’infermiera che ti ho fatto conoscere?” Dean guardò imbarazzato Andrea, grattandosi la testa.                                     
“No, non ci posso credere. Pure con lei è andata male?” Il biondo allargò le braccia.          
“Non è colpa mia se ormai cerco qualcosa di più di una semplice bella donna che vuole divertirsi.”                                                          
“Oh, il nostro bambino è cresciuto!” lo schernì Benny, che ricevette subito un pugno sul braccio.                                                                  
“E che cosa cerchi?” chiese Andrea. Dean guardò davanti a sé, assorto nei suoi pensieri, e alzò le spalle.                                                   
“Amore, rispetto, complicità…voglio costruirmi una famiglia. Pensare al futuro insieme a qualcuno.”                                           
“Scusa amico, ma i tuoi pensieri sono un po’ disconnessi!”                          
“Benny, sta zitto!” lo riprese la fidanzata, concentrandosi poi nuovamente su Dean.     
“In tutte le donne che ti ho presentato finora non hai trovato nulla di tutto ciò?” Lui scosse la testa, giocando con la tazza del caffè.                                    
“Magari potresti presentarmi qualche uomo…” buttò poi lì.                          
“Pensavo ti piacesse solo divertirti con loro.”                                 
“Ho accettato ciò che sono molto tempo fa, e se è destino che mi debba innamorare di un uomo così sarà.”

Dire che Castiel fosse stressato è un eufemismo. Aveva appena trascorso un weekend a litigare con Zeke di cose stupide e ora avrebbe dovuto anche occuparsi del nuovo aiutante che, come se non bastasse, era in ritardo. Per non parlare del fatto che doveva tenere d’occhio anche Claire che come una piccola peste si aggirava per il negozio. La stava giusto riprendendo quando qualcuno entrò. Era un uomo alto e grosso, con una giacca blu e piccoli occhi azzurri.                                          “Salve, sono il nuovo aiutante. Mi scusi per il ritardo ma con questa pioggia c’è un traffico pazzesco.” Castiel gli sorrise gentilmente, cercando di nascondere il suo fastidio.                                                        
“Oh, non ti preoccupare. Benny, giusto?” Il ragazzo annuì, prendendo il grembiule che Castiel gli stava offrendo.                                               
“Puoi iniziare a fare un giro per il locale, per ambientarti un po’. Sentiti pure libero di vedere dove sono gli oggetti in cucina e poi torna da me che iniziamo a preparare qualcosa.” Un piccola testa bionda li raggiunse.                              
“Papi, posso accompagnare questo signore alto in giro per il negozio?” chiese Claire, osservando meravigliata Benny, che le sorrise. Castiel disse di no.                           
“Ma il signor Smeraldo ha detto che non devo più uscire senza il tuo permesso. Se devo stare qua dentro, fammi almeno accompagnare lui!” Benny aggrottò le sopracciglia.                                                        
“Chi è il signor Smeraldo?” Castiel sbuffò.                                    
“Un signore con gli occhi verdi che prima ha riportato Claire in negozio. E’ stato molto gentile e non voleva che lei si ammalasse. Ma ora mia figlia pensa che sia una specie di supereroe o cosa.” Benny scoppiò a ridere, iniziando a capire di chi si trattava.                                                                    
“Claire, per caso questo signor Smeraldo è alto, biondo e molto bello?” La bambina guardò il padre, non sapendo dare un giudizio.                                         
“Si, è molto bello” ammise Castiel, mordendosi la lingua.                          
“Allora sai cosa ti dico?” La piccola fece segno di no con la testa, impaziente.                
“Io, il signor Smeraldo, lo conosco. Eccome se lo conosco!”                    
“Davvero?” esclamarono in coro padre e figlia. Benny sorrise, perplesso dalla reazione del pasticcere.                                                   
“E’ il mio migliore amico e vi posso dire che è il pediatra più bravo che io conosca.” Castiel, che con attenzione stava ascoltando le parole del nuovo arrivato, si destò dai suoi pensieri, un po’ troppo occupati da quel tale.                          
“Va bene…ehm…potete andare a fare il giro, basta che vi muovete che c’è molto da fare.”

Le giornata di Castiel trascorse senza altri imprevisti e giunse finalmente il magico momento di chiudere il negozio e tornare a casa. Ad accogliere lui e Claire trovarono Zeke, preso a seguire una partita del Chelsea.                             
“Siamo tornati!” urlò Claire, togliendosi l’impermeabile rosso e correndo sul divano dal papà. Zeke non le rispose, limitandosi a stringerla a sé.                         
“Ciao anche a te…” borbottò Castiel, entrando in cucina. Si mise a preparare la cena, bistecca di carne con zucchine, e cercò di rilassarsi. Ultimamente non ci riusciva spesso, troppo preso a riprendere Zeke o a dirigere qualcuno in negozio. Solo in quei piccoli momenti in cui era solo, oppure con Claire, ritagliati dalla frenesia della quotidianità, sentiva di poter essere veramente in pace con se stesso. Si doleva per il fatto che Zeke non rientrasse in quei momenti, ma non poteva di certo farsene una colpa. Ormai il suo compagno non faceva altro che discutere sulla paternità di Claire e di come Castiel si sentisse superiore, essendo il padre biologico. Il pasticcere sapeva che sotto c’era altro, insicurezza forse o paura di perdere tutto, ma era stanco di quella situazione che oramai andava avanti da mesi.                     “A che pensi?” chiese Zeke, abbracciandolo da dietro. Castiel sospirò, provando a godersi quel momento.                                                                     
“A noi.”                                                                 
“Mi manchi.”                                                        
“Anche tu.” Zeke fece un profondo respiro.                                              
“Pensi che riusciremo mai ad aggiustare tutto?” Castiel si girò, incatenando il suo sguardo a quello del compagno.                                        
“Sai che non dipende da me” azzardò.                                              
“Che cosa intendi dire?” Zeke si stava alterando.                                  
“Devi smetterla di crederti inferiore rispetto a me e con meno diritti su Claire solo perché non sei il padre biologico.” Zeke sciolse l’abbraccio, dando le spalle a Castiel.  “Tu mi vedi cosi!”                                                                            
“Zeke, ti sbagli. Sei tu che hai paura di perderci e scarichi i tuoi timori su di me. Non è colpa mia se ti senti inferiore.” Zeke tirò un pugno al muro e guardò il compagno, che non riusciva più a riconoscere l’uomo che amava.                         
“Io non mi sento inferiore, io mi sento escluso da te e Claire.” Castiel lo guardò confuso.                                                        
“Si vede che avete un rapporto più profondo, che lei ti cerca, vuole la tua approvazione. Viene da me solo quando tu le dici di no e, credimi, non è carino per un padre essere messo da parte dalla sua unica figlia.”                        
“Beh, prova a chiederti perché ti senti escluso!” urlò Castiel. Zeke stava per ribattere ma Claire comparve in cucina, rossa in volto e con le guance bagnate dalle lacrime.                                                     
“Papà, mi fa tanto male la testa” sussurrò. Castiel si precipitò da lei, prendendola in braccio giusto in tempo prima che lei svenisse.                              
“Cazzo, ma dovevi proprio farla uscire con questo tempo?” urlò Zeke nella sala d’aspetto del pronto soccorso.                                                                  
“Chi ha avuto la brillante idea di non mandarla all’asilo oggi?” ribattè Castiel, stufo, alzandosi in piedi. Erano lì ormai da tre ore e non avevano ancora ricevuto alcuna notizia su Claire. Dopo che era svenuta, Zeke aveva chiamato l’ambulanza e tutti e tre erano andati in ospedale. Sapevano solo che aveva la febbre alta, ma nulla di più e Castiel non riusciva più a stare fermo.                                   
“I signori Novak?” Zeke e Castiel si precipitarono dall’infermiera che li aveva chiamati. Vennero condotti in uno stanzino con una scrivania, delle sedie e un letto per le visite.                                                             
“Aspettate qui, ora arriverà il dottore che sta seguendo il caso di vostra figlia.” I due si sedettero, ansiosi.                                                        
“Pensi che stia meglio?” chiese Zeke, in cerca di sicurezze. Castiel alzò le spalle, con lo sguardo puntato davanti a sé.                                            
“Scusate se vi ho fatto aspettare ma non ero di turno e mi sono precipitato non appena ho ricevuto la chiamata” fece irruzione il dottore, “Voi dovreste essere i papà di Claire, giusto?” La figura che si presentò davanti agli occhi di Castiel era tutt’altro che sconosciuta. Quegli occhi verdi gli avrebbe riconosciuti ovunque.         
“Esatto” disse Zeke, alzandosi e stringendo la mano al dottore che gli sorrise gentilmente. Castiel, con molta più calma e un filo di imbarazzo, fece lo stesso ma non appena i suoi occhi incontrarono quelli del dottore, quest’ultimo mostrò un sorriso di tutt’altro genere.                                                           
“Castiel, vedo che ci rincontriamo.”

Nota dell'autrice:
Ciao a tutti! Vorrei per prima cosa ringraziare tutti coloro che hanno letto il primo capitolo e che continueranno a leggere questa storia anche in futuro. Non so dove ci porterà, lo ammetto, ma sono entusiasta di scoprirlo.
Questo capitolo è un po' noioso, lo so, ma mi serviva per far conoscere tutti i personaggi e per entrare nel vivo della storia. Quindi resistete che il bello sta per arrivare. 
Mi raccomando recensite! Non vedo l'ora di sapere la vostra opionione.
Baci

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


CAPITOLO 3 La piccola Claire era distesa sul letto dell’ospedale, coperta fino al mento, con i lunghi boccoli che le ricadevano lungo le spalle e Castiel la guardava, mentre pensava a quanto fosse fortunato ad averla. Certo, Zeke aveva dovuto pregarlo in tutti modi possibili per convincerlo ad avere figli e molto spesso si chiedeva come sarebbe stata la sua vita se non si fosse lasciato trasportare dall’entusiasmo del compagno, ma amava Claire, più di ogni altra cosa, e si emozionava sempre quando riscontrava in lei delle caratteristiche affini alle sue. “Disturbo?” Castiel si girò di scatto verso la porta, dove un Dean in camice bianco si stava affacciando alla stanza. Il moro scosse la testa, alzandosi dalla sedia posta di fianco alla figlia, e si avvicinò al dottore. “Ho i risultati degli esami di Claire, vuole che aspettiamo anche suo marito per parlarne?” “Non è mio marito, e possiamo parlarne subito.” Dean annuì, portando l’altro fuori dalla camera per lasciar riposare Claire con tranquillità. “Dagli esiti posso affermare con sicurezza che la piccola ha preso una bella polmonite.” Castiel strabuzzò gli occhi. “Oh mio dio, è grave?” Dean sorrise, trovando adorabile la preoccupazione di quell’uomo. “No, stia tranquillo. La tengo qui qualche giorno e poi dovrà sorbirsi due settimane di antibiotico, ma si riprenderà. La piccola è forte.” Castiel non riuscì a trattenere un sorriso, sentendosi un po’ più leggero. “E mi raccomando: niente fughe sotto la pioggia!” “Non so se lei ha figli, ma non è molto semplice gestirli.” “Non ho figli…” disse Dean, guardandosi la punta dei piedi. Castiel prese al balzo quel momento di distrazione del dottore per guardarlo meglio. “E’ proprio bello” pensò, non sentendosi neanche un attimo in imbarazzo per averlo pensato. Chiunque avrebbe detto che quell’esemplare di uomo fosse esteticamente perfetto. Migliaia di piccole lentiggini decoravano un viso dai lineamenti duri e precisi, caratterizzato da una mandibola tagliente e un filo di barba. Dean rialzò lo sguardo, posandolo sugli occhi blu di Castiel. Quelli di lui, invece, erano verdi, smeraldo come gli avrebbe definiti Claire, e le labbra piccole ma carnose. “Non volevo metterla a disagio” si scusò il moro. “Non si preoccupi, non tutti possono avere ciò che desiderano.” Castiel alzò un sopracciglio. “La sua compagna non vuole avere figli?” Dean scoppiò a ridere, non spostando lo sguardo dal pasticcere. “Mi piace come lei cerchi di capire la mia vita. Ma no, non ho la compagna. Come mai ha escluso che io potessi avere una moglie?” Castiel alzò le spalle. “Non porta la fede e non credo che lei sia un traditore.” “Non pensa che io potrei avere un compagno?” Il moro scoppiò in una fragorosa risata, ricevendo un’occhiata turbata da parte del dottore. “Mi scusi ma il suo aspetto da tutt’altri indizi.” “Io non ne sarei così sicuro” disse Dean, ammiccandogli e riprendendo il giro visite. Claire aprì lentamente i suoi piccoli occhi blu e si guardò in giro, incontrando la figura del padre. “Papà!” squittì, sporgendo le braccia verso di lui. Zeke si alzò dalla sedia e si sedette sul materasso, prendendole le mani. “Come ti senti, tesoro?” “Benino.” Il padre le diede un bacio sulla fronte, accarezzandole i capelli. “Papà mi ha detto che sei uscita sotto la pioggia ieri” iniziò poi, “Sai che non devi farlo più, vero? Potresti ammalarti ancora.” “Si, papà, lo so. Me lo ha detto anche il signor Smeraldo.” “Chi?” “L’amico di papà che ieri mi ha riportato in negozio” ammise, “E’ molto bello!” Zeke la guardò confuso. “E’ molto bello, eh?!” La bambina annuì, decisa. “Si, lo ha detto papà!” Il padre contrasse la mandibola, dopo aver fatto un respiro profondo. “Eccolo il signor Smeraldo!” urlò Claire, mettendosi seduta sul letto. Zeke si girò e si ritrovò di fronte la figura del pediatra, perfetta fino all’ultima piega del camice. “Ah, è lui l’amico di papà” borbottò con una punta di fastidio. “Chi è il signor smeraldo?” chiese Dean, avvicinandosi al letto. Claire lo indicò. “Che onore! E io come dovrei chiamarti?” chiese poi, rivolgendosi alla bambina. “Credo che principessa Claire vada bene.” “Allora come stiamo oggi, principessa Claire?” Lei rise divertita, rispondendo. Dean allora iniziò la visita di routine e constatò che si sarebbe ripresa nel giro di poco, con il gran sollievo del padre. Castiel era stremato, seduto su una sedia fuori dalla camera di Claire. Non tornava a casa dalla sera precedente e sarebbe toccato a lui fare il turno quella notte in ospedale. Si stava appisolando quando iniziò a squillare il suo cellulare. “Pronto?” “Ciao, sono Benny.” Castiel annuì, appoggiando la testa sul muro dietro di lui. “Ehm, c’è stato un piccolo problemino con il forno…credo di aver bruciato qualche torta.” Castiel si rizzò sul posto. “Sono arrivati i pompieri?” chiese, preoccupato. “Cosa? No, ma va. E’ tutto risolto. C’è solo un po’ di puzza e qualche torta in meno…” “Ok, allora chiudi pure il negozio. Domani apro io nel pomeriggio se riesco. Tu stai pure a casa; ti chiamo io se ho bisogno.” “Ok, salutami Claire!” Castiel chiuse la chiamata e si alzò, sbuffando, diretto alla macchinetta del caffè. “Problemi in paradiso?” chiese Dean, intento a compilare delle cartelle seduto al bancone. “Solo il mio aiutante che ha bruciato qualche torta. Si chiama Benny, dice di conoscerla” rispose Castiel, appoggiandosi al bancone di fronte al dottore. “Ah quindi è lei il nuovo capo di Benny!” scoppiò a ridere il biondo, “Vedo che ha già combinato disastri.” Castiel sorrise, passandosi una mano sul viso con aria stanca. “Vuole prendere un caffè?” gli chiese allora Dean, guardandolo con aria preoccupata. Il moro ci pensò un attimo, giusto in tempo per l’arrivo di Zeke che lo avvolse in un abbraccio. Dean abbassò lo sguardo, trovando molto interessante la compilazione di quelle cartelle. “Ti va di andare a prendere un caffè?” gli chiese Zeke, stampandogli un bacio sul collo, non curante della presenza del dottore. Castiel annuì, guardando rammaricato Dean che, alla domanda dell’altro, aveva riagganciato il suo sguardo a quello del moro. Davanti alla macchinetta del caffè Castiel rimase in un silenzio di tomba, rannicchiato su una sedia, tra le mani un bicchiere di caffè al ginseng. “Claire mi ha detto che il dottore è un tuo amico” disse Zeke, rimanendo in piedi di fronte a lui. “L’ho visto solo una volta. Ha riportato Claire in negozio quando è uscita sotto la pioggia.” Castiel aveva un tono piatto, stanco e frustato. Non aveva voglia di parlare con Zeke, né di affrontare una qualsiasi stupida discussione che sapeva stava per avere inizio. “Sicuro?” “Assolutamente. E se hai intenzione di fare una scenata di gelosia o iniziare una discussione ti blocco subito dicendoti che sono stanco e che non mi va di litigare in questo momento.” “Non avevo intenzione di fare nessuna sceneggiata!” sbottò Zeke. “Ah, no? Allora cos’era quel bacio sul collo prima, davanti al dottore? Sai che non mi piacciono le dimostrazione d’affetto in pubblico.” Zeke iniziò a parlare come se non ci fosse un domani, cercando di trovare delle scuse plausibili e tentando di convincere sia Castiel che se stesso che non era geloso e che andava tutto bene. Il compagno, a metà del lungo discorso, si era alzato e se ne era andato, dicendogli di tornarsene a casa e di dormirci su, mentre lui, finendo il suo caffè, era ritornato nella camera di Claire. Ormai la bambina dormiva da qualche ora e Castiel si era strategicamente sistemato sulla poltrona, con le gambe distese e un libro sulle gambe. Non aveva letto molto, aveva preferito di gran lunga osservare la figlia dormire, rannicchiata su un lato, come era solito dormire anche lui, e con una mano sotto la guancia. Non poté fare a meno di sorridere, mentre la piccola farfugliava qualcosa nel sonno. “Tocca a lei stanotte?” gli chiese Dean, sbucando dalla porta. Castiel annuì, sorridendo un poco. “Allora la passeremo insieme” disse il biondo, sorridendo. “Le va ancora quel caffè?” Castiel guardò la figlia, che beata stava dormendo. “Magari un’altra volta.” “Ci conto” rispose Dean, chiudendosi la porta alle spalle.

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Capitolo 5
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4



Durante quella notte, che a Dean parve interminabile, tra ricoveri e urgenze, il dottore si sorprese a passare molto spesso davanti alla camera del pasticcere, sperando di trovare la porta aperta e poter scorgere cosa stesse facendo il moro. Desiderava poter scambiare due parole con lui, scavando in quei occhi blu, per poter scoprire quale parte della vita e dell’essenza di lui lo stesse attraendo così tanto. Perché Dean aveva dovuto ammetterlo a se stesso durante quella notte: si sentiva incuriosito da quel pasticcere così rigido e austero, che però celava, dietro a un trench beige e dei capelli quasi sempre spettinati, il sorriso di chi avrebbe dato tutto per le persone che amava. Forse è per questo che quella mattina, in piedi davanti alla macchinetta del caffè e con due tazze bollenti in mano, Dean si era sentito molto stupido. Ma non ricoperto di quella stupidaggine goffa e adorabile, propria degli adolescenti alle prese con i loro primi amori; no, la sua era patetica e pervasa di doppi fini, che il dottore cercò di evitare accuratamente. Eppure aveva percorso quel corridoio, accompagnato soltanto dalla pioggia che orgogliosa si abbatteva sulle strade londinesi, con passo sicuro e il mento alzato, fiero, e aveva bussato con accortezza alla camera numero 401, facendo sbucare la sua testa dentro la stanza.                                                        “Buongiorno” sussurrò, sorridendo a Castiel, il quale però, posto in piedi di fianco a alla figlia, non parve dare molta attenzione al dottore,.                       “Signor Smeraldo, ciao” squittì Claire, mettendosi seduta.                                   “Come andiamo oggi, principessa Claire?”                                             “Molto bene, grazie.” Dean rivolse il suo sguardo al moro, troppo preso a fare qualcosa di inutile.                                                      “E il papà come sta?” Castiel alzò la testa di scatto, sorpreso, ma anche lusingato. Doveva ammettere che quel dottore non era poi così male.                      “Un po’ dolorante, ma bene, grazie.” Dean trovò adorabile quella punta di timidezza che traspariva dalle parole del moro e si fece coraggio, porgendogli il caffè.           “Per farla sentire un po’ meglio.” Castiel arrossì, abbassando lo sguardo, e prese la tazza, stringendosela al petto con fare protettivo.                          “Se posso fare qualcos’altro per farla stare meglio non esiti a farmelo sapere” aggiunse Dean, mostrando il suo sorriso conquistatore, sicuro di riuscire a fare colpo. Ma il moro, anche se aveva avuto un attimo di incertezza, sapeva fin troppo bene dove il dottore voleva arrivare, così decise di giocare anche lui.                    “Avrei tanto bisogno di un massaggio. Vuole concedermi l’onore di provare le sue mani?” chiese Castiel, avvicinandosi e mostrando il viso più innocente che avesse, sollevando un sopracciglio. Dean lo guardò a lungo con un sorriso malizioso sulle labbra, stupito e allo stesso tempo fiero della risposta dell’altro. Gli piacevano le persone che erano in grado di stupirlo e sapeva che non erano molte.                “Papà!” urlò Claire, riportando sulla terra il dottore e il padre, annegati l’uno negli occhi dell’altro. I due si voltarono verso la porta, imbarazzati, dove uno Zeke alquanto infastidito stava facendo la sua entrata.                            “Oh, ciao…non ti aspettavamo così presto” disse Castiel, avvicinandosi al compagno.      “Volevo farti una sorpresa” sussurrò Zeke, per poi dare un bacio tutt’altro che casto all’altro. Dean abbassò lo sguardo, non volendo invadere quel loro momento intimo. “Come se già non ti stessi prendendo troppi spazi” gli sussurrò la sua coscienza. Il dottore sbuffò, cercando di allontanare quei pensieri molesti e rialzò il capo, cercando gli occhi di blu del pasticcere.                                   “Dato che sei qui tu, io posso andare ad aprire il negozio” disse Castiel, prendendo il suo trench. Si avvicinò al letto di Claire e per un attimo Dean credette che volesse salutarlo, ma lo vide baciare la figlia sulla fronte e dirigersi verso la porta e si ritrovò deluso. Sconfitto, rialzò lo sguardo da terra e fu allora che lo vide: Castiel si era bloccato alle spalle di Zeke, per non poter essere visto da questi, e lo stava osservando, con un sorriso stampato sulle labbra. Il dottore ricambiò lo sguardo, cercando di non arrossire, e si mosse verso la porta, ma Zeke lo bloccò, incominciando a tempestarlo di domande:                                      “Ha dormito tutta notte mia figlia? Ha ancora la febbre? Quando potrà tornare a casa?” Dean rispose con calma a tutte le domande e quando si volse nuovamente verso la porta non vi era più nessuno a sorridere per lui.




Con calma quella mattina si trascinò fuori dall’ospedale stanco e confuso, con l’unico desiderio di crollare sul suo letto e non svegliarsi mai più. I suoi piani, però, furono mandati all’aria da Benny che con insistenza aveva iniziato a suonare il campanello del dottore, non appena quest’ultimo aveva varcato la soglia di casa.              “Benny, cristo santo, cosa c’è?” chiese Dean al citofono, esasperato.                        “Sono colpito dalla tua gentilezza, come sempre, fratello” ribattè l’altro, “Non sapevo cosa fare e sono venuto a trovarti.”                                               “Ci siamo visti ieri mattina!”                                                                 “O mi apri o butto giù la porta.” Dean aprì controvoglia, anche se la tentazione di vedere l’amico prendere a spallate l’entrata era tanta. Si sdraiò poi sul divano, nell’attesa dell’amico che non appena entrò in casa scoppiò a ridere.                 “Ma cosa ti sta succedendo in questi giorni? Non ti ho mai visto così dopo un turno di notte.” Dean grugnì qualcosa.                                             “Non sono più così giovane.”                                       “Già, vedo che se ne stanno accorgendo anche le donne; è da una vita che non ti vedo uscire con qualcuno.”                                             “Hey, starò anche invecchiando ma là sotto va ancora tutto a meraviglia!” ribattè Dean, risentito, “E poi te l’ho detto: non è detto che debba stare con una donna.” Benny lo guardò con occhi sospetti.                                            “Hai conosciuto qualcuno?” Il dottore contrasse la mandibola, facendo segno di no con la testa.                                                                   “Comunque, devo parlarti del matrimonio.” Dean si mise a sedere, sapendo quanto fosse importante l’argomento per l’amico, e si mise in ascolto.                          “Abbiamo deciso di sposarci il mese prossimo” disse Benny, mostrando un sorriso tirato.                                                                “Cosa? Ma siete impazziti?” urlò Dean, sorpreso ma non riuscendo ad essere arrabbiato. Benny alzò le spalle, abbassando lo sguardo imbarazzato.                      “Aspetta un attimo…” Dean lo guardò con un sorriso malizioso sulle labbra e riprese:                                                                “Andrea aspetta un bambino?” Benny rialzò il capo, rosso in volto, ma con un sorriso a 32 denti e Dean lanciò un urlo.                                                   “Ma è fantastico, fratello!” disse e si alzò, abbracciando l’amico e sentendosi fiero di lui.                                                                   “Grazie, e ti devo chiedere una cosa per quanto riguarda il matrimonio.”                   “Spara.”                                                                        “Ti va di farmi da testimone?” Dean alzò il mento e sorrise, emozionato.                   “Assolutamente.” Quel loro raro momento sentimentale fu interrotto dalla suoneria del cellulare di Benny.                                               “Ciao Castiel, dimmi tutto.” A Dean si rizzarono le orecchie.                           “Certo, arrivo.” Benny chiuse la telefonata e guardò l’amico, dispiaciuto.                     “Scusa, fratello, ma devo andare a lavorare.”                                       “Non c’è problema, ti accompagno.” Benny lo guardò perplesso.                         “Che c’è?” chiese Dean, indossando la giacca di pelle.                             “Tu non mi accompagni mai da nessuna parte.”                                   “Questo non è vero!” L’amico scoppiò a ridere.                                       “Dici sempre che non fai scomodare Baby per me” disse Benny, aprendo la porta.              “Oggi mi sento in vena di fare eccezioni!”



Dean era nervoso e si dava dello stupido per questo; neanche avesse avuto 15 anni! Aveva le mani sudate e non riuscì ad alzare lo sguardo da terra fino a che non fu dentro al negozio e una voce calda e profonda giunse al suo orecchio.                        “Oh bene, sei arrivato!” urlò Castiel, sporco in viso di farina, spuntando dalla cucina. Benny lo saluto con un cenno della mano, togliendosi la giacca, e si fece di lato, mostrando il dottore in tutto il suo imbarazzo al pasticcere.                             “Dean?” chiese Castiel perplesso, cercando di pulirsi in qualche modo la faccia.                “Hey, come va?” Dean avrebbe voluto sprofondare in quel momento tanto era in imbarazzo. Sentiva le guance colorarsi pian piano di rosso e iniziò a grattarsi il retro della testa.                                                     “Mmm bene. Come mai è qui?” Dean cercò di trovare una scusa plausibile, sotto gli occhi attenti di Benny che si era messo ad osservare la scena con estrema attenzione e che non riuscì a trattenere un sorriso.                                                          “Vuole una fetta di torta alle mele?” chiese Castiel, cercando di rendere la situazione meno tesa. Il biondo lo guardò un attimo a bocca aperta e accennò un piccolo sorriso.                                                    “E’ la mia preferita.”                                                 “Lo prenderò per un si.” Il pasticcere scomparve in cucina, lasciando i due amici da soli.                                                                  “Non dire nulla” disse Dean a Benny, sentendosi soffocato dallo sguardo sospettoso dell’amico.                                                        “State dicendo tutto voi!” rise Benny, sistemando la vetrina. Dean sbuffò sedendosi ad un tavolino e Castiel lo raggiunse con un’abbondante fetta di torta.                     “Non doveva” sussurrò il biondo, incrociando lo sguardo del moro che gli sorrise timidamente.                                                   “Si invece.”




Perché Dean aveva un’inclinazione verso gli uomini già occupati? Se lo domandò spesso quella sera, mentre si dirigeva a piedi verso l’ospedale per l’ennesimo turno di notte. Perché doveva sempre complicarsi la vita? Non poteva farsi semplicemente piacere una delle tante donne che Andrea gli aveva fatto conoscere? Sarebbe stato tutto molto più semplice, eppure la sua mente di rifiutava di nascondere in un angolo quel viso dai giganti occhi blu e dai capelli arruffati, che in un modo strano e ancora inspiegabile lo aveva incuriosito. Castiel non si era imposto, ne aveva cercato in alcun modo di attirare la sua attenzione, eppure lui ci era cascato lo stesso, come mai prima d’ora, e sapeva che se non l’avesse dimenticato subito sarebbe finito in un grosso guaio. E quella notte aveva pregato in un tutte le lingue di non incontrarlo in ospedale ma evidentemente Dio o chi per lui aveva altri piani.                                                          “Dean!” si sentì chiamare il dottore. Castiel. Si voltò lentamente, deglutendo a fatica, e fece un cenno con la mano.                                              “Zeke mi ha appena detto che Claire domani torna a casa.”                            “Non c’è motivo di trattenerla di più.” Castiel lo fissò a lungo, perdendosi in quei occhi verdi, e Dean dovette dare un colpo di tosse per uscire da quella situazione imbarazzante.                                                          “Ecco…volevo ringraziarla per tutto quello che ha fatto per Claire” continuò Castiel.              “Dovere.”                                                           “E volevo inoltre invitarla a pranzo per ripagarla di tutto.” Dean rimase a bocca aperta.                                                           “Ci sarà anche Zeke?” Castiel trattenne un sorriso malizioso e si avvicinò.                   “Preferirei di no” disse infine il moro. Il dottore arrossì, sorridendogli.                    “Ok, ci sto. Ma a patto che iniziamo a darci del tu.”                           “D’accordo, Dean.”  

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Capitolo 6
*** Capitolo 5 ***


CAPITOLO 5

Castiel quella mattina era di buon umore. “Strano” gli sussurrò la sua coscienza, sospettosa e allerta, ma lui la ignorò, appoggiando sul fornello una pentola, pronto per fare i pancake. Ci mise una noce di burro, aspettò che si sciogliesse e unì ad essa la pastella, formando dei cerchi concentrici degni di un grande chef. Sorrise compiaciuto, saltellando tra il fornello e il lavandino, felice come un bambino che ha appena vinto delle caramelle. Appena pronti, li depose su un bel piatto blu che con estrema attenzione e meticolosità si curò di appoggiare al centro del tavolo e si mise a fare la spremuta. Sentì la porta aprirsi e il suo sorriso divenne ancora più grande, se possibile.                                                
“Papi, dove sei?” Un tenera voce giunse alle suo orecchie e si sporse dalla porta della cucina.                                                                   “Qui!” Claire guardò il padre con un sorriso a 32 denti e gli corse incontro, saltandogli in braccio. Zeke apparve dietro di lei, per niente entusiasta, e si sedette a tavolo, pronto ad addentare i pancake.                                       
“Si aspetta tutti!” gli urlò Claire, ricevendo da Castiel un’occhiata compiaciuta. Era fiero della piccola donna che sua figlia stava giorno dopo giorno diventando ed era ancora più fiero del fatto che fosse lui il padre biologico. “Per fortuna che non è Zeke” pensava a volte, vergognandosene un po’. Ma in fondo, perché nascondere ciò che pensava? Zeke non era più l’uomo con cui aveva deciso di crescere un bambino: era diventato sgarbato, nervoso e non aveva alcun rispetto per ciò che per lui era importante, ovvero la famiglia. Cresciuto in una grande, con tanti fratelli e sorelle, per Castiel era indispensabile avere una bella famiglia felice, in cui poter discutere delle più svariate cose e dove poter trovare sempre un caldo rifugio. Gli doleva dirlo, ma con Zeke ormai non era più così. A malapena riuscivano ad avere una conversazione senza urlarsi addosso, Zeke era sempre al lavoro o seduto sul divano a vedere stupide sit-com, Claire si era allontanata da uno dei suoi due padri e Castiel era sfinito. Quando la figlia non era a casa e lui non doveva andare in negozio, prendeva la macchina e se ne andava in giro per ore pur di non tornare a casa da Zeke. Forse è per questo che aveva deciso di invitare fuori a pranzo il bel dottore: per passare un paio di ore in serenità, senza la paura di dire la cosa sbagliata e iniziare a litigare.                                                  
Accompagnato dalla figlia, si sedette a tavola e iniziarono tutti a mangiare.               
“Il dottor Winchester ha detto che dovrà prendere l’antibiotico ancora per due settimane ma per il resto va tutto bene” disse Zeke, cercando di recuperare. Castiel annuì, distratto.                                                           
“Si chiama signor Smeraldo” ribattè Claire, per nulla in sintonia quel giorno con il padre.                                                            
“Chiamalo come ti pare.” Castiel scoccò al compagno un’occhiata gelida che lo fece alzare dal tavolo.                                                           “Io vado al lavoro” disse Zeke, sporgendosi verso il moro per dargli un bacio sulla guancia, “Ci vediamo stasera.” Claire lo salutò debolmente e continuò a mangiare soddisfatta. Castiel annuì, accompagnandolo alla porta.                              
“A che ora torni?” chiese.                                                        
“Dopo cena.”                                                                            
“Come mai?” Zeke si guardò la punta dei piedi con fare agitato.                          
“Ho la cena con il capo” ammise e se ne andò.                                 
Tornato a tavolo, Castiel venne accolto da un bigliettino appoggiato sul suo piatto.          
“Me lo ha dato il signor Smeraldo per te” disse Claire, per poi scomparire in camera sua. Il padre sorrise, curioso, e lo prese in mano, leggendolo:                       
“Spero ti piaccia la carne. Ci vediamo alle 13,00 alla Road House. Dean”


“Gabriel, mi devi fare un favore” disse Castiel al telefono con il fratello maggiore.            
“Tutto quello che vuoi, dolcezza.”                                                                           
“Oggi a pranzo dovrei uscire con un amico. Mi potresti tenere Claire che è a casa dall’asilo?” Il fratello iniziò a ridere.                                                                                    
“Un amico, eh?”                                                           
“Si, Gabriel, un amico e per favore rimani concentrato.”                                          
“Ok, farò finta di crederti.”                                                           
“Quindi me la tieni tu?”                                                    
“Si, vengo da te alle 12,30 e poi io e la piccola ci diamo alla pazza gioia.” Castiel sollevò gli occhi al cielo.                                         
“Per favore non distruggetemi casa!”


Giunto davanti alla Road House, Castiel si specchiò nelle vetrate: i capelli erano spettinati con cura come sempre e il trench ricadeva con eleganza sulle sue spalle. Era pronto. Entrò nel ristorante con calma e si guardò attorno, in cerca del dottore. Era un posto molto curato, in legno, con luci soffuse rosse e si respirava un pungente profumo di carne alla griglia. Una bionda ragazza, molto carina, gli si avvicinò.                                                                  
“Salve, ha prenotato un tavolo?”                                                
“Dovrei essere con il signor Winchester.” La ragazza sbarrò gli occhi, sorpresa.              
“Sei Castiel?” Il moro annuì, inquietato.                                          
“Io sono Jo, una grande amica di Dean” rispose lei, sorridendogli, “Vieni, il tavolo è di qui.” Castiel seguì la ragazza con impazienza; quella situazione iniziava a non piacergli. Sentiva l’ansia iniziare a diffondersi in tutto il corpo.                                                   
“Eccoci qui.” Jo si fermò davanti a un piccolo tavolo, in un angolo appartato della sala, circondato da grandi finestre e se ne andò, dopo aver fatto l’occhiolino a Dean, che comodamente se ne stava seduto su una delle due sedie. Castiel lo osservò per qualche secondo prima di salutarlo. Inutile dire che fosse bello; avrebbe potuto indossare perfino un sacco dell’immondizia e risultare tale. Ma quella camicia blu, che stringeva leggermente sulle sue braccia, donava al biondo un non so che di divino e Castiel si perse ad osservare quei due occhi verde smeraldo che lo stavano fissando con un po’ di imbarazzo.                                    
“Ehm…ciao Castiel” sussurrò Dean, un po’ rosso in viso, “Qualcosa non va?” Il moro si riscosse dai suoi pensieri e gli si sedette di fronte.                          
“No, scusa…ciao Dean.” Il biondo gli sorrise, prendendo in mano il menù.              
“Allora Cass, cosa vuoi mangiare?” Castiel alzò gli occhi dal tavolo, stupito, e sorrise.                
“Sei tu di casa, quindi scegli tu.”                                                                      
“Già ti fidi di uno scapestrato come me?”                                                         
“Sei un pediatra. Non sarai poi così male.” Dean sorrise appena, abbassando lo sguardo e ordinò delle bistecche ai ferri per entrambi, accompagnate da patatine fritte.                                                      
“Allora, la piccola Claire è arrivata a casa sana e salva?” chiese il dottore, sentendosi un po’ agitato. Non aveva mai avuto problemi con gli appuntamenti: ammagliava con il suo sorriso e faceva stupide battutine per smorzare la tensione. Ma con Castiel sapeva che non sarebbe stato così semplice. Le battutine non le avrebbe apprezzate, anzi, lo avrebbero solo fatto etichettare come “infantile” e diciamo che quello non era proprio il suo intento. Mentre, per quando riguardava il suo sorriso, quello del pasticcere era in grado di farlo sciogliere, quindi non riteneva il suo all’altezza di tale opera d’arte. Così si buttò sulla conversazione, domande di routine, con l’intento di giungere molto più in là e con la speranza che Castiel ricambiasse l’interesse.                                            
“Claire sta benissimo e solo grazie a te” ammise Castiel.                                  
"Vorrei tanto prendermi questo merito ma devo dissentire. Sono stato cresciuto con l’idea che tutto ciò che può aiutare qualcuno non potrà mai essere opera mia. Per questo cedo il merito alla mia equipe.”                                    
“Famiglia severa o infanzia difficile?” Solo dopo aver formulato la domanda Castiel si accorse di aver azzardato troppo.                                     
“Oh, perdonami, non volevo essere invadente.” Ma Dean sorrise, apprezzando il coinvolgimento del moro.                                                “Padre bastardo.” Castiel strinse i pugni, abbassando lo sguardo, preso da vecchi ricordi e ferite non del tutto emarginate. Lo capiva, lo capiva eccome.                     
“Cass, tutto ok?” Dean si accorse subito di quel repentino cambio d’umore e per un secondo si sentì in colpa.                                         “Se ho riportato a galla brutti ricordi mi disp…”                                              
“No, non ci provare nemmeno a scusarti. Non è colpa tua” lo interruppe l’altro. Dean appoggiò i gomiti al tavolo e lo guardò negli occhi, senza mettergli alcuna fretta o pressione, solo perdendosi in quel mare blu, un po’ spento in quel momento ma sempre custode di un mondo che a quel semplice dottore pareva divino.              
“Sono cresciuto in una grande famiglia, con tanti fratelli e sorelle, non ti so dire di preciso quanti…” iniziò Castiel, guardando fuori dalla finestra e riportando Dean alla realtà, “Ma senza una figura paterna a guidarci. Mio padre si faceva vedere solo due volte all’anno, a Natale e a Pasqua, per poi sparire e ricomparire l’anno successivo con qualche altro figlio.”                                            
“Ne hai sofferto molto di questa mancanza.”                                          
“E’ così evidente?” chiese Castiel, alzando il mento e incontrando gli occhi di Dean.       
“Sono solo bravo a riconoscere chi è rotto come me.” Si guardarono per qualche secondo negli occhi ed entrambi si chiesero se la persona che in quel momento avevano di fronte sarebbe stata in grado di riaggiustarli.                      
“Ecco a voi le vostre ordinazioni!” esclamò Jo, rompendo quella connessione di sguardi. Posò i piatti e guardò un secondo i due ragazzi.                              
“Interrompo qualcosa?”                                                      
“No” rispose Dean, dopo qualche secondo, senza togliere lo sguardo dal moro. Jo se ne andò e Castiel fece un lungo sospiro, scervellandosi per cambiare argomento.         
“E’ una tua amica o qualcosa di più?” chiese, riferendosi a Jo. Dean sorrise.                   
“Te l’ho già detto: non ho legami al momento. Lei è come una sorella per me.” Castiel mise in bocca un pezzo di carne alla griglia, con l’intento di lasciarlo continuare.                                                    
“Mio padre e sua madre erano amici di vecchia data e io e mio fratello abbiamo passato la maggior parte della nostra infanzia qui, a causa dei viaggi di lavoro di mio padre e del suo vizio per l’alcol. Ellen, la mamma di Jo, è un po’ come la mamma che non ho mai avuto.”                                         
“Hai un fratello?” Dean gli fu grato per non aver chiesto nulla di sua mamma e sorrise, pensando al fratellino.                                        “Si chiama Sam, è più piccolo di me di qualche anno, e studia a Stanford.”                
“Non lo vedi spesso, quindi.” Dean scosse la testa, dispiaciuto.                        
“Eravamo molto legati da piccoli, poi abbiamo preso strade diverse e le cose sono un po’ cambiate.”                                        
“Cosa studia?”                                                              
“Legge” disse Dean, amplificando la parola con un gesto plateale delle mani. Castiel scoppiò a ridere, abbandonando quella sua aria rigida e tesa che aveva sempre e Dean, come uno stupito, si perse ad ascoltare il suono di quella risata e ad ammirare le piccole rughe che si erano formate agli angoli dei suoi occhi. Sapeva che da quel pranzo non ne sarebbe uscito vivo.                              “Io mi chiedo come tu faccia a non avere legami” ammise Castiel, rilassandosi sulla sedia.                                                               
“Cosa intendi dire?” Il moro sfoderò un sorriso malizioso e divertito.                       
“Dai, lo sai anche tu di essere un buon partito: bello, carismatico e medico. Le donne come fanno a lasciarti libero?”                                      
“Non solo le donne…” sussurrò Dean, mordendosi un labbro.                        
“Mi stai dicendo che…”                                                                  
“Si” ammise il biondo, sorridendo, “Mi piace definirmi di larghe vedute. Perché avere solo una parte dei due mondi, quando puoi avere il meglio di entrambi?”          
“Non fa una piega” sorrise Castiel. Mangiarono in silenzio, ma sereni, fino alla fine del pranzo, quando Castiel si alzò per pagare.                                  
“Non ci pensare neanche” disse Dean, prendendogli una mano per bloccarlo. Castiel trattenne un secondo il fiato, sentendo la pelle del biondo, calda e liscia, a contatto con la sua.                                                                      
“Hai aiutato mia figlia, è il minimo che io possa fare.”                       
“No, il minimo che tu possa fare è invitarmi nella tua pasticceria a prendere una fetta di torta alle mele.” Dean si meravigliò della proposta che uscì dalle sue labbra. Lo aveva proposto veramente? Si diede dello stupito più e più volte prima di sentire la risposta del moro.                                                                  
“Ok, ma quella te la offro io.”
Nota dell'autrice: Scusatemi per il ritardo. Spero che questo capitolo via sia piaciuto e aspetto con ansia le vostre critiche e recensioni. Non siate timidi! Baci

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