Keep Calm and Love ♥

di Zomi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Amore che è per sempre ***
Capitolo 2: *** Amore infedele ***
Capitolo 3: *** Amore sentimentale ***
Capitolo 4: *** Amore inaspettato ***
Capitolo 5: *** Amore estivo ***



Capitolo 1
*** Amore che è per sempre ***


Amore: Amore che è per sempre
Coppia: Law x Margaret
Note d’Autore: La FanFiction si ispira al mito della Ragazza Serpente (Cina). Esistono varie versioni ma quella riportata è quella che più ho gradito, nonostante nella storia abbia inserito anche alcuni dati di un’altra versione. Incoerenze quante bastano e tanto romanzamento della trama originale. Buona lettura







 
KEEP CALM AND LOVE







Ci aveva provato.
Di nuovo.
Con il sorriso luminoso e gli occhi di cioccolata pieni di gioia, si era avvicinata a lui porgendogli il volantino dell’annuale festa scolastica organizzata per il Gakuensai, speranzosa in un “Sì”.
Aveva trattenuto il respiro senza accorgersene, liberandolo in un basso gemito di tristezza alla sua risposta.
-Io non partecipo a stupide feste scolastiche-
Il volantino era stato accartocciato con disgusto per poi venir gettato nel cestino della classe, mentre un impassibile e distaccato Trafalgar Law lanciava un fugace sguardo al dolce e solare sorriso di Margaret, tremante sulle sue labbra.
Un tremito, uno solo, e poi il sorriso era tornato a rispendere sul suo bel viso incorniciato dal caschetto biondo.
-Sarà per un’altra volta allora- gli aveva sorriso, voltandosi a guardarlo mentre le dava le spalle allontanandosi.
Un’altra volta.
Ancora.
Margaret non si arrendeva mai, non con lui, non con Trafalgar Law.
Lo aveva invitato a ogni singola festa organizzata dal comitato studentesco nell’ultimo anno scolastico, e con quello nuovo non aveva perso quel suo brutto vizio di avvicinarsi, parlargli, sorridergli e porgergli colorati volantini allegri, non cedendo mai alle sue brusche e taglienti risposte.
Alla festa di primavera del maggio precedente, lui aveva ringhiato un secco “No”, al quale lei aveva risposto con un sorriso dolce, il medesimo che gli aveva rivolto alla Festa di San Valentino o a quella di Natale in replica a ogni suo singolo rifiuto.
Identico a quello che gli aveva rivolto alla precedente Festa di Halloween.
Uguale a quello che ancora ora gli rivolgeva mentre lo fissava percorrere il corridoio ignorandola bellamente.
-Mi chiedo perché ti ostini a farti del male in questo modo- la scosse dai suoi pensieri Nami, scuotendo il capo.
-Sai perfettamente che ti risponderà sempre no a ogni tuo invito-
-Ti sbagli- si era chinata a raccogliere dal cestino il suo volantino –Oggi ha detto no, ma la prossima volta magari dirà sì-
-E se ti dirà di nuovo “No” la prossima volta?- cercò di farle vedere quanto fossero disperate le sue intenzioni, in modo non molto delicato forse, ma di certo nel modo necessario a farle capire che Trafalgar era una causa persa.
-Proverò ancora- oscillò con il caschetto biondo, tornando in classe.
Si, Margaret ci avrebbe provato sempre.
Era nella sua natura, nel suo animo più profondo cercare un contato con quel glaciale ragazzo.
Più lui la respingeva, isolandosi, più lei cercava un varco nelle sue mura, anche piccolo, abbastanza grande da potersi infilare di nascosto in lui e…
Ecco, forse non era tanto la sua testardaggine a voler fare amicizia con Law che la scoraggiava, ma quanto non capire il perché volesse che lui facesse parte del suo mondo.
“Presto saprai” le suggeriva una voce, debole e leggera dentro di sé, ma era difficile ascoltarla e non porsi mille domande.
Perché sentiva dentro di sé il disperato bisogno di un legame con Law?
Perché non si arrendeva mai con lui?
Perché ogni nuovo No era carburante per una speranza futura di un Sì?
Perché sentiva dentro di sé la sua stessa voce implorarla di non cedere, di provare ancora, di non mollare mai e di trovare un unico attimo di vita da condividere con Trafalgar Law?
Perché il suo subconscio agognava così tanto un ricordo felice in cui il moro fosse presente?
Sospirò, il volantino spiegazzato dal ragazzo che veniva accarezzato dalle sue mani, e che sarebbe andato ad aggiungersi a tutti quelli che aveva rifiutato ma che lei continuava a conservare, memori di mille rifiuti.
-Vorrei solo che per una volta accettasse…- parlò tra sé.
-Presto- si sentì rispondere dentro di sé dalla sua stessa voce – Presto: non arrenderti-
 
 
 
 
Il Gakuensai organizzato dall’Istituto Superiore di Marijoa si svolgeva nella sede principale, con manifestazioni sportive dei vari Club, recite o vendite di piccoli oggetti il cui ricavato andava devoluto a nuove iniziative.
Ma il clou del Festival si teneva l’ultimo giorno dei tre dedicati ai festeggiamenti per il Bunkasai, la giornata della Cultura.
Il tre di Novembre, tutti gli studenti erano invitati a trascorrere la giornata all’aperto nel campo sportivo scolastico, ad ammirare i colori cangianti dell’autunno ormai agli sgoccioli e assaporare l’aria fresca che preannunciava l’arrivo da lì a poche settimane della fine della scuola per la pausa invernale.
Tutti si armavano di bento colmi di ogni ben di Dio, esaltati all’idea di trascorrere una giornata scolastica al parco privi di interrogazioni e libri ma liberi di divertirsi e stare in compagnia sotto una pioggia di foglie rossastre e secche.
Margaret aspirò a pieni polmoni l’aria frizzante e fredda della mattina.
Il campo era illuminato dal sole novembrino e nonostante i primi freddi si facessero sentire, gli studenti del Marijoa erano numerosi e non perdevano occasione di esprimere tutta la loro goliardia con scherzi –non sempre innocenti- ai professori e compagni.
-Se li prendo li scuoio…- tuonava il professor Smoker alla ricerca del ladruncolo che gli aveva rubato i suoi preziosi sigari.
Margaret ridacchiò, avanzando nell’ampio e soleggiato campo, guardando di striscio Satch e Ace nascondersi dietro ogni albero circondante il campetto da calcio dal professor Smoker.
Non riuscì a trattenere le risate quando notò il docente individuarli e marciare verso di loro, tremanti sul posto.
Scosse il caschetto biondo, avanzando a passo lento, gli occhi che zigzagavano tra gli studenti e i saluti che rivolgeva a quelli che conosceva.
Continuava a cercarlo.
Nonostante sapesse che non si sarebbe fatto vivo, continuava a scandagliare il campo in continua ricerca delle sue iridi grigie, del suo capo scuro e di quella pelle olivastra.
Continuava a cercarlo Margaret, cercava ancora Law nonostante la certezza che non si sarebbe presentato al picnic scolastico.
Si passò la mano tra i capelli, un sorriso forzatamente sereno in volto mentre si allentava il cravattino della divisa alla gola, una mano alzata a salutare Nami a braccetto con il povero Rorona che la rossa strattonava in ogni dove senza mai lasciarlo libero di perdersi.
Non sembrava però che gli dispiacesse così tanto la vicinanza della compagna ramata a ben guardarlo.
Sorrise forzatamente, rallentando il passo e respirando ancora.
Sentiva l’aria mancarle per quella nuova assenza.
Non sarebbe venuto.
Di nuovo.
Un No confermato e deciso.
Che sciocca a sperare ancora nel vederlo,  nel poter condividere con lui qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Prese un respiro profondo per calmarsi, posando una mano all’altezza del cuore, che batteva sofferente per l’assenza del giovane Trafalgar.
-La prossima volta- si disse.
-La prossima volta- la sua medesima voce le diede conferma dentro di lei.
Sollevò il capo, pronta a non lasciarsi rovinare l’ultimo giorno di Gakuensai, ruotando il capo e individuando la sua amica Aphelandra, seduta tra Enishida e Ran  che sollevarono le mani nel vederla, invitandola ad unirsi a loro per il pranzo.
Mosse un passo in loro direzione, quando qualcuno la chiamò costringendola a fermarsi.
-MARGARET KOHAI!!!!-
Piegò il capo verso la massa di studenti che si accingevano a stendere coperte e tovaglie sul prato per il pranzo, notando Shachi e Penguin sbracciarsi verso di lei nell’avanzare tra la massa di compagni.
Sembravano appesantiti da qualcosa, che contrastava la loro avanzata opponendosi con tutte le sue forze.
Un qualcosa formato Trafalgar D. Water Law.
Le labbra di Margaret si spalancarono da sole per la gioia nel vederlo, e non si accorse nemmeno di correre verso lo strano trio dimenticandosi delle sue amiche.
-L-law!- sussultò arrestando la sua corsa dinanzi ai tronfi e trionfanti Shachi e Penguin, un braccio ciascuno a trascinare Trafalgar.
-Margaret chan… buongiorno!- si mise ben in posa Shachi, pugni sui fianchi e braccio stretto a incatenare l’amico moro –Un uccellino ci ha detto che eri molto triste oggi!-
Margaret lo fissò confusa, non riscendo a staccare a lungo lo sguardo da Law per concedere la giusta attenzione al compagno.
-Io…- tartagliò incerta, gli occhi di cioccolato su quelli grigi e furenti del moro, che minacciosi la squadravano.
-A-ah ah!- si portò l’indice davanti alla bocca Penguin, incurvandosi verso di lei –Non chiederci chi è stato: segreto professionale!-
Riuscì a strapparle un sorriso e a colorarle le gote di divertimento più che d’emozione nel vedere il tanto agognato compagno, restio a ogni festa.
-Fatto sta…- continuò Shachi lanciando un’occhiata d’intesa al compare ramato nel vedere come la biondina non staccava gli occhi di dosso a Law -… che subito io e Penguin ci siam messi in moto: nessuno dev’essere triste all’ultimo giorno di Gakuensai-
-Abbiam quindi pensato- sghignazzò Pen –Cosa potrebbe ridonare il sorriso a una ragazza tanto carina e gentile come la nostra Margaret kohai?-
-La soluzione era semplice!- impiantò bene i piedi a terra Shachi, imitato dal compare prima di slacciare la presa sul terzo e spingerlo in avanti con forza, contro la ragazza.
-Un bell’esemplare di Trafalgar Law!- urlarono in sincrono, aprendo le braccia a incorniciare il moro, costretto a un faccia a faccia con la compagna.
Margaret non riusciva a smettere di sorridere, le gote le bruciavano e i muscoli dolevano, ma la gioia era troppa e incomprensibile per smettere.
-Ciao!- esalò ammirando Law, le sue labbra sottili e il pizzetto scuro, gli occhi di ghiaccio fissi su di lei a incenerirla, ma che le donavano una lenitiva sensazione di benessere al cuore, che reggeva i battiti forsennati con vigore.
Lo studiò come mai aveva potuto fare, da vicino e con devozione, percependo un sollievo dalla onnipresente voce che la spronava ad avvicinarsi a lui.
Aprì bocca e la richiuse, sopraffatta dalla felicità, provando a pronunciare qualche esile parola.
-Sono felice che tu sia venuto al pranzo scolastico-
-Non di mia volontà- la zittì impassibile e freddo.
Margaret ammutolì, il cuore sprofondato nel petto nel essere trafitto dallo sguardo di ghiaccio del ragazzo
-Ma di certo- continuò a parlare lapidario –Non resterò qui a lungo- decretò, dando le spalle alla bionda e incamminandosi verso la palazzina scolastica.
-Andiamo Law!- tentò di fermarlo Penguin –Non essere maleducato!-
-Non rendere triste Margaret kohai!- lo implorò Shachi posando le mani sulle sue spalle.
Bastò un’occhiata furente di Law a zittire il compagno, che allentò la presa permettendo al moro di riprendere il cammino verso la sua dimora, da cui era stato costretto ad uscire dalla coppia di amici.
Avanzava stoico e distaccato tra la massa urlante e scomposta degli studenti, ignorando i saluti di chi lo conosceva o delle ragazze dei primi anni che lo idolatravano.
Non voleva essere lì, non avrebbe condiviso la sua aria con lei, non un singolo istante della sua vita in quelle condizioni, non voleva trascorrere nemmeno un secondo in compagnia di…
-Ti prego!- la mano forte di Margaret a stringergli la maglia e frenarlo, la voce affannata per il rincorrerlo tra la folla –Ti prego resta Xu Xian!-
Il passo di Law si bloccò di colpo sul ghiaino che circondava il campo sportivo.
Si voltò verso la ragazza, gli occhi taglienti che la squadravano.
-Come mi hai chiamato?- pretese lapidario.
Margaret non si mosse.
Boccheggiava incapace di capire cosa avesse detto e fatto.
Quando l’aveva visto allontanarsi qualcosa era scattato in lei: un misto di dolorosa sofferenza e  sentimento agognato, che si era spezzato causando in lei quei passi veloci che le avevano permesso di raggiungerlo e la forza, disperatamente debole, di aggrapparsi alla sua divisa scolastica chiamandolo.
Ma qualcosa era andato storto.
Perché dalla sua bocca non era uscito il nome di Law ma un altro, più secco e sonante, che l’aveva fatta vibrare mentre, a poco a poco, la soffice voce che da sempre l’aveva spinta verso Trafalgar spariva.
O meglio, si immergeva in lei ritrovando posto nella sua coscienza e, sospirando, chetava la mordente ricerca di un attimo di vita condiviso con il moro.
Ma perché?
Perché, si chiedeva Margaret, dalle sue labbra era uscito quel nome sconosciuto?
Perché non sentiva più l’incoraggiante suono di una voce a spingerla verso Law?
Perché…
-Muoviti-
La mano di Law si era chiusa sul suo polso, strattonandola lontana dal campo sportivo e lontana dagli occhi confusi di Penguin e Shachi, rimasti metri indietro ad osservare quel strano spettacolo.
A passi lenti e rumorosi sul ghiaino, Trafalgar condusse Margaret nella zona degli spogliatoi costeggiando il profilo scuro dell’istituto.
Non le rivolse parola, solo i suoi passi sicuri sul cortile sterrato producevano rumore, coprendo i piccoli passi incerti della bionda, che incespicava dietro di lui.
Margaret non osava aprire bocca, confusa da mille sensazioni che la stavano travolgendo.
Qualcosa si stava mischiando nel suo stomaco, ondeggiando e schiumando nella sua testa facendogliela girare.
-Io…- annaspò -… non… non mi sento bene!-
Si ritrovò spalle contro la parete degli spogliatoi, dove il sole batteva con più forza, gli occhi grigi di Trafalgar a vivisezionarla.
Sentiva il respiro mancarle e non per la vicinanza improvvisa del ragazzo, ma per qualcosa’altro che spingeva a gran forza in lei per poter emergere da mille ombre pastose.
-Non…- si schiarì la gola ansimando -… non…-
-Chiudi gli occhi-
Fissò il volto di Law studiarla, la voce più calma e roca che le chiedeva di chiudere gli occhi.
Obbedì, posando il capo contro il muro che la reggeva.
-Quel nome- respirò profondamente –Quel nome che ho detto: chi è?-
-Cosa vedi?- lo sentì muoversi, posando un palmo sulle sue palpebre serrate.
Margaret storse le labbra, quasi che il calore della mano del moro la scottasse.
-Nulla!- si agitò –Ho gli occhi chiusi e non vedo nulla!- cercò di sottrarsi dalla mano che l’accecava –Tu sai chi è? Quel nome! Tu sai? Dimmelo, dimmelo io…-
Si zittì nel sentire la presa di Law farsi più intesa su di lei, zittendola e spingendola nuovamente contro il muro.
-Dimmi- le sussurrò sulle labbra –Cosa vedi-
Margaret si morse un labbro, i pugni stretti lungo i fianchi e la mente che vorticava.
Cosa avrebbe dovuto vedere?
Aveva gli occhi chiusi per la miseria!
Soffiò dal naso, non capendo che razza di scherzo fosse: prima la ignorava bellamente per mesi, e ora all’udire di un nome si prendeva cura di lei?
Cercò di calmarsi, concentrando la vista nel buio della cecità e in cui solo il nero vedeva.
Né luci, né colori, nessuna ombra o sfumatura, solamente buio.
-Law…- tremò -… non vedo nulla... io…-
E apparve.
In un attimo il buio prese forma e si ritrasse lasciando spazio a forme e colori, figure in movimento e dettagli sempre più nitidi.
Si vide smagliante e felice come non mai.
Davanti ai suoi occhi, nel buio delle palpebre, vide apparire la sua siluette vestita in un dolce abito color giallo.
Camminava lungo un sentiero su cui pesanti rami colmi di fiori di acacia si piegavano, piovendo petali ai suoi piedi, che lei calpestava avanzando verso due figure non ancora distinte sul fondo del viale.
Camminava lenta, appesantita da qualcosa, ma felice e radiosa.
Non provava timore per il luogo sconosciuto, né agitazione o confusione.
Ogni passo la portava sempre più vicina alle due figure, che pian piano prendevano forma regalandole sempre maggior serenità.
Un uomo e una donna, fermi e sorridenti sotto un arco di acacia rosa, che l‘attendevano.
Scivolò lenta sopra i petali, le mani strette tra loro a reggere dei gigli, che le caddero di mano quando riuscì a riconoscere il volto magro e dalla carnagione olivastra dell’uomo.
-Law- affermò certa riconoscendo il moro, i suoi occhi grigi, il suo sorriso sghembo.
Xu Xian le sussultò in petto il cuore.
Percepì la mano di Law premerle come una carezza sugli occhi, ricordandole che fuori da quella visione lui c’era ancora accanto a lei.
-Cosa vedi?- le chiese nuovamente.
-Noi- affermò sicura –Siamo in un viale di acacie e…- strinse lo sguardo a riconoscere la seconda figura, slanciata e formosa con le labbra serie e una lunga treccia corvina posata sulla spalla -… e c’è mia sorella Kikyo-
-Bai Suzhen: quella serpe- lo sentì parlare sprezzante quando invece nel sogno sembrava sorridere alla mora che lo affiancava, legati da un muto legame di cameratismo e affetto per Margaret.
Avanzò ancora lentamente nella sua visione, i petali di acacia che scivolavano sotto il suo passo lento e allungato, quasi che i piedi si liquefacessero in un arto più lungo appesantendola ma non arrestandola.
Scivolò verso il Law che l’attendeva sotto l’arco di fiori rosati, le mani che tremavano e non riuscivano più a reggere alcun giglio, perduti ormai sotto la mole con sui si spostava.
Deglutì affannata quando si fermò davanti a Law -Xu Xian nella sua visione ora ne era certa- e percepì calde lacrime scivolarle lungo le guance.
-Che succede?- le passò un polpastrello sulle gote bagnate Law, mantenendo la mano ferma ad accecarla nella realtà.
-Nulla- scosse il capo mantenendo lo sguardo fisso sulla scena che vedeva –Solo… sono felice-
Sollevò le mani in cerca di un appiglio, ritrovandosi ad appoggiarle ai fianchi del moro, mai così vicino a lei.
Nella sua visione continuava a bearsi dell’immagine di quell’antico Law dal nome secco e doloroso e quando questi le sorrise, sghembo e fiero di sé come in ogni giorno di scuola in cui l’aveva visto, abbassò gli occhi imbarazzata, colma dell’affetto e attrazione che da sempre provava per lui.
Perché lo amava, lo sapeva Margaret, lei era innamorata di Law, ma c’era anche dell’altro a spingerla verso di lui, qualcosa di più recondito e segreto.
Abbassò gli occhi, piacevolmente sopraffatta dall’amore che provava per il moro, posando lo sguardo ai suoi piedi.
Solo allora si accorse che oltre l’orlo del suo abito cerimoniale non vi erano alcune gambe o piedi, nessun arto inferiori su cui si reggeva, ma solamente…
-Oh mamma!- rise sussultando sotto il palmo di Law –Ho la coda! Law ho una coda di serpente bianca al posto dei piedi!-
Rideva, rideva come se l’essere una ragazza serpente fosse routine per lei, come se lo fosse sempre stata o l’avesse saputo dal giorno della sua nascita.
Come se quella sua versione di chissà che tempo e luogo le scorresse nelle vene come la sua lunga coda candida da rettile.
Abbracciò la vita di Law spingendoselo contro, non smettendo di ridere nell’osservare la sua suadente e splendida coda diafana come neve.
La sentiva sua, si sentiva lei.
Quella era la vera Margaret.
Ne era certa, e forse non era il vedersi con la coda o sotto la pioggia floreale a confermarglielo, forse era semplicemente il sentirsi tra le braccia di Law, con il suo respiro caldo sul viso e la mano a celarle la luce invernale della realtà, regalandole le ombre di un sogno –una vita-  in cui erano stati più che semplici compagni di scuola.
Percepiva soffusa e lontana la voce di Kikyo –Bai? Bai Suzhen l’aveva chiamata Law?- mentre intrecciava le sue mani con quelle di Trafalgar in ambo le realtà che viveva.
Era felice.
Nella sua visione, tra le acacie in fiore, e contro la parete degli spogliatoi, Margaret era felice.
Sentiva che ogni cosa nella sua esistenza aveva finalmente trovato posto.
Che la voce in pena che l’aveva guidata fino al moro dal primo istante in cui l’aveva visto si era chetata, trovando pace e donandogliela totalmente.
E non importava che non capisse perché stesse vivendo con la vista quella strana fantasia, non importava che per una vita intera una voce l’avesse guidata verso il moro che ora aspettava paziente che lei concludesse il suo viaggio tra le acacie e ricordi mai vissuti.
Non importava.
Perché lei ora finalmente era completa.
Sorrise abbandonandosi alla sua visione, stringendo le mani di quel Law che non scappava alla vista della sua coda, che le sorrideva e stringeva le mani con la medesima delicatezza con cui un altro Trafalgar l’accecava con carezze leggere sui suoi occhi.
-Margaret- lo sentì parlare sfilando la mano da suoi occhi –Dove siamo?-
-Sotto le acacie- rispose decise –Ci sei tu, Kikyo…-
-BaiSuzhen- la corresse sempre aspro.
-E…- cercò di concentrarsi sui dettagli che le venivano mostrati sussultando quando un forte vento fece oscillare tutti i rami di acacie che li circondavano.
 -… c’è vento- continuò tremante, fissando le fronte agitarsi violente mentre Xu Xian accorreva a stringerla con le braccia, lo sguardo grigio fisso e preoccupato al cielo.
Seguì il suo sguardo spaventata, sentendo le gambe cederle quando vide apparire tra le nuvole una nuova figura, minacciosa e armata, calare rapido su di loro con il vento, brandendo una spada e mirando a lei.
Era un uomo imponente, piegato sulle sue lunghe gambe mentre con ghigno sadico li fissava, i capelli pagliericci mossi dal vento e gli occhi di sangue affamati, le dita, in continuo movimento come stessero suonando un pianoforte dell’aria, che muovevano nuvole e vento contro di loro.
La stretta di Xu si accentuò come la sua sulla divisa scolastica di Law mentre le pupille correvano febbricitanti sotto le palpebre nel seguire i movimenti di quell’essere immenso e violento discendere sul moro e, alzata l’arma, calarla per recidere la testa bionda di Margaret.
Ma c’era Xu tra di loro, c’era il suo braccio alzato, c’erano i suoi occhi tempestosi e forti che combattevano contro quel monaco venuto dal cielo, c’era la sua pelle olivastra contro la lama, c’era sangue, c’era…
-NO LAW NO!-
Spalancò gli occhi, la pelle lucida di sudore freddo nonostante il sole caldo del mezzogiorno su di lei.
Con le mani si aggrappò alla camicia di Law annaspando, non riuscendo a distogliere gli occhi dai suoi grigi e imperturbabili mentre le sue iridi di cioccolato piangevano.
-Ricordi ora?- le accarezzò l’ovale con il dorso dell’indice, asciugandole una lacrima.
Margaret annuì.
-Sono…- singhiozzò mentre la mente si riempiva di parole, immagini, ricordi di un tempo lontano e rimasti troppo a lungo chiusi in un angolo della sua memoria -… sono Xiao Ging- si concentrò –La Dea Serpente Bianco, sorella di Bai Suzhen la Dea Serpente Nero e…-
Corrugò la fronte posandovi una mano per calmare le pulsazioni che le annebbiavano la mente.
C’era dell’altro, lo sentiva.
Qualcosa di importante.
-… e…- si concentrò, le mani di Law ad accerchiarle il volto e sollevarlo riportando i loro sguardi a confrontarsi -…e…- deglutì -… sono la moglie di Xu Xian- deglutì spalancando gli occhi incredula delle sue parole –Tua moglie-
Law ghignò, abbassando il capo su di lei e posando le labbra sulle sue in un casto bacio.
-Si Xian Ging- scivolò con le mani sulla sua schiena, spingendosela contro il petto in un forte abbraccio –Sei mia moglie Margaret-
La bionda si aggrappò a lui, annegando nel suo profumo nel suo calore.
-Non capisco- pianse, le dita artigliate alle spalle del moro –Cosa significa? Cos’era quella visione? E quel monaco…- si staccò da lui guardandolo in viso con le lacrime agli occhi -… assomigliava al professor Doflamingo- tirò su con il naso, mezza risata sulle labbra –Aveva lo stesso ghigno sadico di quando interroga-
Trafalgar sorrise di sbiego scostandole dal viso una ciocca dorata.
-Perché credi lo odi tanto?- parlò sardonico posando la fronte su quella di Margaret.
Prese un respiro profondo cercando le giuste parole con cui spiegare quell’assurda situazione.
Era la prima volta che accadeva, la prima dopo secoli che si ritrovavano senza difficoltà.
-Il nostro non è stato un amore convenzionale- iniziò –In molti non lo accettarono-
-Avevo una coda di serpente Law- rise la biondina –Di convenzionale c’era ben poco-
-Tra questi c’era il monaco Fao Hai- continuò sordo alla sua battuta –Ha provato in ogni modo a dividerci: una Dea non poteva innamorarsi di un semplice uomo senza un doppio fine. Credeva volessi cibarti di me- Margaret sgranò gli occhi.
-Non credeva che fosse un sentimento sincero e privo d’interessi- spiegò il moro, in una strana difesa di quel monaco che minaccioso era calato su di loro –Anche al nostro matrimonio tentò di ucciderti per “salvarmi”- roteò gli occhi al cielo sbuffando –L’hai visto no?-
-Era…- deglutì imbarazzata Margaret -… era il nostro matrimonio?-
Law le accarezzò nuovamente il viso facendola fremere.
Era un contatto che aveva cercato da sempre, e sebbene una parte di lei ricordasse quella sensazione calda e piacevole, per un’altra era totalmente nuova e disarmante.
-Abbiamo provato di tutto per poter stare insieme- corrugò la fronte Trafalgar –Ci siamo persi, ritrovati, allontananti fino a dimenticarci- posò una mano alla parete degli spogliatoi, addossandosi ad essa e piegandosi su di lei soffiandole sulle labbra –Ma mai abbiamo smesso di amarci-
Lo stomaco di Margaret si rovesciò scuotendola dentro per la vicinanza con la bocca di Law, e percepì chiaramente il desiderio di baciarlo arderle nelle vene.
-Cosa ci è successo?- cercò di parlare ignorando l’annebbiamento dei sensi e il sopravvento di quell’unico desiderio su di lei.
-Tua sorella- si staccò brusco dalla bionda, lo sguardo severo puntato sul suo viso –Quella serpe ci ha voluto fare un regalo di nozze prima di morire come punizione per aver divorato quel dannato monaco-
La sua voce era sprezzante, velenosa come cianuro, letale come la morte.
-Dato che in quella vita non siamo stati lasciati in pace nell’amarci- le diede le spalle allontanandosi di pochi  passi e portandosi sotto il sole novembrino –Ha legato le nostre anime in modo indissolubile- piegò il capo all’indietro su di lei ghignate –Una maledizione più che un dono- parlò sprezzante -Così da tremila anni rinasciamo, corpi diversi ma le medesime anime corroborate da nuova vita ma logorate dal desiderio di ritrovarci-
Margaret si scostò dal muro, ascoltandolo.
-Nasciamo e sappiamo chi siamo, sappiamo chi cercare… e lo facciamo- Law rivolse il viso al sole, chiudendo gli occhi –A volte ci siamo trovati nei tempi giusti, altre io avevo ottant’anni e tu solo cinque, altre ancora su due regni in guerra tra loro: tu morta per mano mia-
-Law…- sollevò una mano ad accarezzargli la schiena sentendolo tremare al suo tocco.
-Altre non ci siamo trovati- sussurrò prima di voltarsi -Ma sempre ci ricordavamo! Sempre sapevamo chi eravamo stati- le prese le spalle scuotendola –Ma non questa volta!- quasi urlò –Io sapevo, sapevo chi eri e chi ero ma tu…- abbassò la voce rotta dalla rabbia -.. tu no, non sapevi, non ricordavi- serrò la presa facendole male e strappandole un debole lamento –Sai cosa si prova a non venir riconosciuti dalla propria donna?- la fissò furioso –Sai cosa si prova a morire dentro nel vederti ignorare totalmente cosa ci unisce?-
Si abbassò su di lei, la necessità di baciarla che premeva da diciotto anni e il dolore che voleva solo scomparire.
-Sai cosa si prova a vederti sorridere a me, a soffrire per ogni tuo invito spontaneo ma sapere che non ricordi? Che non ti ricordi di me?-
Margaret gli circondò il viso con le mani, baciandolo sulla bocca, sulle guance, sul volto intero, pronta a scacciare quella rabbia e quel dolore mortale.
-Per questo mi allontanavi?- gli chiese baciandogli le labbra –Perché starmi vicino era troppo doloroso?- si staccò fissandolo in lacrime –Così tanto ti ho fatto soffrire?-
Law l’alzò da terra abbracciandola, la bocca premuta sulla sua con energica disperazione.
-Non so cosa sia successo- si aggrappò a lui –Non lo so, so solo che ora ricordo e non ti lascio più!-
Lo sentì respirare il suo profumo, baciarla su ogni centimetro di pelle del viso e della gola, le mani artigliate alla sua divisa scolastica.
-Non era mai successo- cercò una spiegazione lui –Né che tu non ricordassi, né che ritrovassi la rincarnazione di tua sorella come tua consanguinea o che quella di Fa Hai si ripresentasse nelle nostre vite- scosse il capo –Forse questo ha…-
-Non importa- lo zittì con un bacio –Non importa: sono qui Law. Sono qui, e non ti lascio-
-Ma se riaccadesse!- digrignò i denti –Se la prossima volta non ricordassi io se…-
-È davvero un dono- sorrise Margaret.
Law la fissò confuso.
-Cosa?-
-Il regalo di mia sorella… quella che fu mia sorella… non Kikyo dico! Ma l’altra… oh!- sbuffò ridendo –Ma non capsici? Ci ritroveremo sempre!- sorrise posando la fronte sulla sua –Non importa in quante vite dovrò rincorrerti: sarai sempre mio, e io sempre tua nonostante i ricordi o il tempo- lo baciò piano, le mani di Law strette su di lei -Il nostro amore è un amore che è per sempre-
Law sospirò, annuendo.
-Guai a te se mi dimentichi di nuovo- la minacciò –Vengo a prenderti: sappilo!-
-Guai a te se mi tieni lontana di nuovo- lo baciò prendendolo per mano e riportandolo al campo sportivo –Io non mi arrenderò mai: sappilo!-


 

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Capitolo 2
*** Amore infedele ***


Amore: Amore infedele
Coppia: Crocodile x Doflamingo
Note d’Autore: La FanFiction si ambienta sulla nave della Marina che trasporta Doflamingo dopo la sua sconfitta a Dressrosa, prima della tentata evasione provata da Jack.
Entrambi i personaggi annegano nell’OOC, ma ammetto di essermi divertita fin troppo nei panni di Doflamingo.
 




 
Il rollio della nave lo irritava.
Se avesse potuto avrebbe raso al suolo ogni singola asse di legno che componeva la chiglia della corazzata militare, facendola affondare e volando sulle spine dorsali dei marinai che avrebbe lui stesso messo in fila fino a tornare a Dressrosa e colorare di cremisi le sue spiagge scogliose.
Si, Doflamingo lo avrebbe fatto volentieri ghignando sadico per ogni morte che avrebbe causato.
Lo avrebbe fatto e ci avrebbe goduto, se solo fosse stato in grado di compiere tale gesto.
Strusciò e spalle contro la parete di legno umida, graffiandosi la schiena nel sfregare le catene di algamatolite contro il legno e la esile blusa da carcerato che gli avevano infilato.
Altro che la sua camicia di seta proveniente dalle migliori lande ridotte in schiavitù di chissà che regno in guerra del Nuovo Mondo: una divisa a righe.
Una nuova motivazione da aggiungere alla lista per la quale qualche marine sarebbe morto per mano sua.
Batté il capo biondo contro la parete buia della sua cella, il ghigno sadico voglioso solo di dar suono alla sua rabbia, rabbia che aumentava se solo si concentrava a focalizzare il mondo che lo circondava con le sue reali tinte.
Non le bastava avergli tolto ogni indumento, ogni veste da re: anche gli occhiali.
-Fu fu fu, Tsuru chan spezzerò ogni tuo vecchio osso con le mie mani- si leccò le labbra, meditando vendetta, affondando il capo nel cono buio che la piccola cella gli regalava e che subito aveva fatto suo nel meditare.
Meditare vendetta.
Una vendetta sanguinosa, assaporò ad occhi chiusi, beandosi della lieve brezza che entrava dall’oblò della cella, rotta a tratti dal grido dei gabbiani e da qualche granello di polvere che cantava nel toccare suolo.
Una vendetta lenta, affilata come fili di vetro con cui avrebbe imbrigliato ogni singolo soldato di quella nave, portandolo protagonista nel suo teatro dei burattini, luogo di giustizia privata e sangue, sangue, sangue…
Poteva sentirne l’odore, se si concentrava, e le labbra gli si allargavano in volto con sadismo nel percepire il lento e silente gocciolare di ogni singola goccia cremisi che avrebbe versato.
Una, due, tre…
Come granelli di sabbia in una clessidra, avrebbe centellinato uno ad uno lo sgorgare della vita tra le sue dita.
Come sabbia tra le dita, secca, arsa, amara e ruvida la sua vendetta si sarebbe calata su quella nave.
Oh se solo avesse potuto, se solo avesse potuto liberare le mani e prendere tra le dita le giugulari di quei teneri soldatini.
Sabbia, sabbia che vola nel vento e atterrà fin sul ponte della nave militare inutilmente: nemmeno tutto il deserto di Alabastra avrebbe asciugato il sangue che avrebbe versato.
Sabbia che correva davanti a lui oltre le sbarre della cella, a numerare i suoi sogni di sanguinosa rivalsa.
Sabbia calda, a dividere i cadaveri freddi da chi presto lo sarebbe stato.
Sabbia su cui avrebbe mosso i piedi e danzato tra i morti.
Sabbia…
Sollevò appena le palpebre, stupito di non averlo scorto prima.
Eppure il suo subconscio si era subito attivato, addolcendogli la mente con quel piccolo particolare di terra silicea che ornava perfettamente il suo desiderio di vendetta.
La lingua tornò a solleticargli le labbra nel buio della prigione, inumidendole mentre la brezza del mare cessava la sua presenza nella cella.
-Fu fu fu- strinse i polsi dietro la schiena, bramando di averli liberi –Non sapevo mi sarebbero state cocesse le visite coniugali- mosse le dita dei piedi a suonare una sinfonia romantica, invogliato –Ho uno strano dejavù di questa scena- ricordò una sua prima visita a Impel Down dopo una primavera politica mal riuscita in un deserto lontano –Tu no… Croco chan?-
Crocodile non accennò alcun movimento sulla sedia che occupava proprio dinanzi la cella di Donquixote, il sigaro fumante che intossicava l’aria e impregnava con il suo intenso odore la stanza mentre gli ultimi granelli di sabbia andavano a comporre il suo cappotto nero.
Doflamingo sghignazzò: era certo che un ricercato come lui, su cui SenGoku aveva giurato il proprio onore nel riacciuffarlo, si sarebbe tenuto ben lontano da una nave della Marina, seppur rinunciando a ripagargli la sua visita in cella quando l’altro era stato arrestato.
Ma era ovvio che l’orgoglio dell’ex capo della Baroque Work non aveva limiti.
E l’ex re di Dressrosa non sapeva quanto.
-Questo dev’essere un sogno che si avvera per te Croco chan- divaricò le gambe, offrendogli molto di più –Incatenato e incapace di difendermi- si leccò le labbra –Quanto impiegherai ad approfittarti di me?-
Crocodile non replicò.
Pizzicò la cenere dal sigaro e riprese a fumarlo. Gli occhi gialli fissi sul drago celeste.
-Prometto che non urlerò troppo- lo tentò ancora sottovoce, il ghigno sadico in viso –Se vuoi posso anche mettermi carponi a ter…-
-Hai letto il giornale di oggi?- lo interruppe brusco il moro.
Il biondo lo guardò severo, assottigliando gli occhi, nascosti dalla penombra della cella, per la rabbia di venir bellamente ignorato.
-No mi spiace- accavallò le gambe –Non ho avuto tempo: troppi impegni. Vuoi informarmi tu? Oh scusa se non ti offro del thè ma l’ho finito proprio oggi-
Con gesto fluido Mr Zero estrasse dal cappotto una copia del quotidiano, aprendolo tra le prime pagine e mostrando la facciata iniziale al biondo incatenato.
Un ringhio basso e funesto vibrò tra le grate della cella, emergendo dal buio che celava il prigioniero ma non la rabbia che lo scuoteva nel vedersi in prima pagina sconfitto e sanguinate sullo sfondo di una Dressrosa in festa.
-Il ritorno al trono di Re Ryku ha fatto in fretta il giro del mondo- commentò Crocodile, lo sguardo sottile perso tra e righe d’inchiostro –Come anche la riabilitazione della principessa Rebecca- soffiò una nuvola di fumo, le dita strette ad assorbire l’umidità del giornale –E della principessa Violet-
Le pagine volarono nell’aria tersa della cella, secche e aride di ogni parola e liquido, il cappotto cadde sulla sedia e una mano assetata di vendetta si chiuse sulla gola di un vendicatore che mai avrebbe avuto la sua rivalsa.
-O Viola- picchiettò la cima cenerina del sigaro con l’artiglio Crocodile, stringendo le dita sulla carotide di Doflamingo e spingendolo sempre più vicino alle sbarre, fino a incrociare il suo sguardo dorato con il finalmente nudo del biondo -È così che ti piaceva chiamarla, giusto?-
-Fu- esalò una sola rauca risata –Sembri quasi geloso Croco ch.. cough!-
-Sai- parlò lentamente, il tono della voce ovattato e tagliente che ben si abbinava alla pelle tesa e in via di disidratazione del diafano collo taurino di Donquixote –Due sole cose non ho mai accettato nella nostra divergente relazione: i tuoi occhiali…- ghignò beffardo nel fissarlo nei bulbi nudi, a ricordargli che ora erano privi di alcuna protezione -… e…-
-Stare sotto?- azzardò l’altro, zittendosi quando la gola gli si riempì di sabbia tentando di soffocarlo.
-… l’infedeltà- aggrottò la fronte inarcando il naso.
Doflamingo si lappò le labbra, non per mera esibizione ma per sete, desiderando come non mai un bicchiere d’acqua per la sua gola arida di aria e parole.
Una sola gli echeggiava nella testa: Viola.
Di amanti ne aveva avute da perderne il numero.
Ma con lei non era stato il lascivo desiderio di dissetare la carne, ma vera e propria bramosia di incidere maggiormente nella natura umana altrui la perdita totale di ogni cosa: senza più famiglia, senza più padre, senza più sorella, senza più nipote, senza più regno, senza più nome, senza più corpo segnato dai suoi mille fili con cui la giostrava come brava ballerina tra le sue dita di ammaliante assassino.
Solo un gioco, divertente, sadico, appassionate gioco.
Questo era stato per lui Viola, l’ennesimo colpo la Re e a quel mondo di governanti e governati che gli avevano strappato dalle mani tutto ciò a cui teneva, costringendolo a uccidere lui stesso l’ultimo tassello della sua famiglia.
Solo un gioco, una vendetta.
-Non ti… ho…. ma…- strascicò le parole, ma l’altro lo zittì nuovamente serrando la presa sulla gola.
-L’infedeltà è la mancanza di fede nell’altro- spiegò lapidario, gli occhi rettili fissi sulla sua preda agonizzante –La perfidia nel confutare qualcosa-
Spostò con le labbra il sigaro su un lato della bocca, l’artiglio alzato a brillare contro il riverbero del sole che scivolava nella prigione.
-Non ho mai dubitato della tua indole da carogna- chinò la mano armata fino a posarla sul petto del biondo –Sulla tua sete di sangue e potere- abbassò gli occhi al sorriso assente del drago celeste, inclinando il capo e permettendo a una ciocca d’ossidiana di calare sulla sua fronte –Ho avuto fede nell’uguaglianza dei nostri animi da criminali- ammise.
-Cro…co…-
-Non ho mai avuto dubbi che tu mi nascondessi e negassi qualcosa- storse il ghigno, affondando la punta acuminata nel tessuto a righe del biondo, stracciandolo all’altezza del cuore -È ovvio che non mi sbagliavo-
-Cro…co… di…le…-
-Avere una principessa come amante- lo sbeffeggiò, la mano sempre più chiusa su di lui, le dita che quasi riuscivano a sfiorare il polso per quanto al resa era serrata –Dev’essere stata una tentazione unica e che hai voluto ripetere in ogni singola occasione-
-… gio… cat…-
-Come?- rilassò la fronte Mr Zero, il tono vendicativo che sfociava nell’ironico –Hai detto qualcosa?-
Doflamingo tentò di deglutire, inumidendo con la sua ultima saliva la sabbia che lo soffocava.
-Gioca… lei… giocat-tolo…- ansò.
Crocodile sorrise etereo, il sigaro penzoloni dalle labbra.
-Certo- annuì con il capo –Era un giocattolo- rise –Come ho fatto a non capirlo! Sarà stato forse, quel nomignolo che hai dato, quel dettaglio che solo a pochi mi hai confessato concedevi? Che sia stato…- avvicinò il volto cupo alle sbarre, arrivando a posare la fronte su quella del compare -… quel “Viola”?-
Geloso, geloso di un giocattolo.
Geloso di un infedeltà ricolma di vendetta e non piacere.
Ferito da un’infedeltà taciuta, che infedeltà non era, ma che lo aveva comunque ferito sotto le scaglie di un animale pericoloso.
-… stupi-do… Croco… chan…- rise Doflamingo riuscendo a far ribollire il sangue freddo dell’altro, che si distanziò.
-Forse- gettò il sigaro consumato oltre le sbarre, a rotolare con le sue ultime braci nel cono buio della cella –O forse no: l’infedeltà mi ha sempre reso furioso… te ne sei accorto?-
La sabbia aumentò nella trachea del drago celeste, che spalancò la bocca in cerca d’aria annaspando.
Era certo che avrebbe tirato le cuoia lì dentro, in una piccola insignificante cella di una nave della Marina, vestito di stracci e senza occhiali, per mano dell’uomo che aveva amato e tradito per vendetta sul mondo.
Che fine ignobile.
Peggiore di quella che aveva riservato al suo stesso padre nei suoi peggior incubi, peggiore di quella che aveva regalato a Rocinante, forse ugualmente pessima a quella di sua madr…
-Piru piru! Piru piru! ♪-
Crocodile allontanò lo sguardo dalla sua vittima, spostandolo al cappotto dimenticato sulla sedia.
Una piccola onda di sabbia si creò a recuperare il Lumacofano che suonava in una delle tasche, estraendolo.
-Che succede?- parlò seccato dall’interruzione.
-Scusi l’intrusione Mr Zero, ma abbiamo ospiti- informò la bassa e roca voce di Mr One al superiore.
-Ho subito finito- riportò le iridi dorate a Doflamingo.
-Capo- lo richiamò il Lumacofano dalle labbra pronunciate –Non sono della Marina: sventolano il vessillo di Kaido-
Crocodile storse le labbra in un ringhio, la lunga cicatrice che solcava il suo volto si spezzò per la rabbia.
-Preparati a venirmi a recuperare- ordinò mettendo fine alla comunicazione.
Riluttante abbandonò la presa sulla gola dell’ex Shichibukai, rivestendosi.
-Sei un bastardo fortunato- decretò dandogli le spalle –Nemmeno oggi morirai-
Si voltò a fissare il corpo rantolante di Doflamingo, le spalle tese contro il pavimento e costrette dalle catene, che lo bloccavano a terra con le gambe incrociate tra loro a reggere il peso della caduta.
Il desiderio di vederlo morto, rantolante nel suo stesso sangue, lo assalì nuovamente come quella mattina stessa quando alla lettura del giornale e dei dettagli in esso racchiusi, aveva ordinato a Das Bornes di preparare una barca. Direzione: mari di Dressrosa.
Il desiderio di vendetta sull’affronto di essere stato tradito, di aver subito la più alta infedeltà possibile, gli ribolliva ancora nelle vene, agitando l’animale più cruento che lo abitava.
Ma il destino gli era nemico, è la nave in avvicinamento battente bandiera imperiale gli imponeva la ritirata.
Si accese un secondo sigaro, aspirandone una generosa boccata prima di esalare una densa nuvola di fumo, incurante dei rantolii della sua quasi vittima.
La degnò di un singolo sguardo, incarognendolo quando sentì l’ansimante respiro divergere in una roca risata.
-Stupido…- sputacchiò Doflamingo -… stupido Croco chan- sollevò gli occhi a mostrargli le iridi chiare –Ferito da un giocattolo-
Crocodile ringhiò grutturale, concedendogli  solamente le spalle mentre spiegava alcuni lembi del cappotto.
Il drago celeste respirò a fondo, la gola che si liberava dagli ultimi granelli di sabbia, la rabbia che cresceva per essersi fatto sottomettere dal moro a causa delle catene.
Facendo leva sulle gambe si riportò seduto, la schiena abbandonata alla parete della cella, la bocca spalancata ad ansimare.
-… non hai capito nulla, stupido coccodrillo…- ansò recuperando l’oscurità sul suo viso -… Viola non…-
-Devo andare-
L’ennesima interruzione, l’ennesimo zittire l’altro pur di non sentire.
Ruotò piano la mano sana, che lentamente iniziò a consumarsi in polvere che pigramente prese la via dell’oblò, uscendone.
-Verrò al tuo funerale- si dissolveva non concedendogli sguardo –Spero sia divertente-
-Non osare andartene!- ordinò furioso Doflamingo –Non abbiamo finito! Io non…-
-Non sopporti l’essere ignorato?- azzardò correttamente il rettile.
Piegò sadico il capo all’indietro, mostrando i primi granelli dissolversi del suo volto ma che non intaccavano il ghigno crudele che gli rivolgeva.
-Lo so- rise sardonico, scomparendo in un turbino di sabbia mentre il biondo ringhiava e si dimenava contro le catene invocandolo.
-Croco! Croco!- striò la gola invocando gli ultimi granelli di sabbia, che volteggiarono indefessi contro di lui sparendo oltre l’oblò –Crocodile!-
Come era arrivato, l’ex membro dei Shichibukai svanì abbandonandolo con la sua rabbia repressa e vendicativa.
Doflamingo aprì bocca, la gola ancora tesa e pronta a urlare di rabbia, ma alcun grido scivolò fuori dal suo palato.
Con le braccia ancora incatenate e le gambe abbandonate al suolo, il flottaro addossò la schiena alla parete della cella, piegando il capo verso il cono di buio su cui poteva contare.
-Stupido Croco chan- esalò piano, i primi rumori di un abbordaggio violento ignorati bellamente –Non era infedeltà- chiuse gli occhi, la vista appannata da lenti umide di occhiali tristi –Era vendetta-
Il suono di sabbia portata vai dalle onde gli assordava ancora la mente.

 

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Capitolo 3
*** Amore sentimentale ***


Amore: Amore sentimentale
 
Coppia: Niji x Cosette
 
Note d’Autore: La Ship Bad Wrong che mi ha rubato il cuore. Ammetto che mi ricorda parecchio la Gajeel x Levy del fandom di Fairy Tail, ma dubito avranno lo stesso lieto fine.
AU, partecipante ancora alla Challange This Would Be Love (?) ma anche al Crack&Sfiga Ship’s Day entrambi indetti dal Fairy Piece Forum. Scusate la quantità abnorme di glucosio.
 


                                 
 



un grazie speciale a Mari, sempre decisa e forte
 


 
Cosette credeva nell’amore.
Credeva che ognuno appartenesse a qualcuno di speciale, che lo cercava e attendeva, e che era pronto a prendersi cura di lui con tutto l’affetto e la devozione che si merita una persona amata.
Sì, Cosette ci credeva.
Era un’idilliaca idea di altri tempi, lo sapeva, e non da giovane donna moderna che non poteva permettersi di perdersi in pensieri così romantici e utopici.
Ma cosette ci crevea.
Credeva che l’amore fosse caldo, splendente e forte come il sole d’estate.
Si, ci aveva sempre creduto, nelle giornate fredde d’inverno, in cui il sole era una pallida carezza che la sosteneva nel suo vivere, o in quelle di pioggia in cui si sentiva sola proprio come in quel momento.
Ci aveva creduto a ogni rifiuto, a ogni crepa che andava a segnare il suo cuore palpitante di sentimenti, trovando sempre la forza di crederci un po’ di più.
Sempre un po’ di più.
Credeva nell’amore a prima vista, nelle carezze mal celate che esprimevano meglio i sentimenti, negli sguardi carichi di passione e nell’attesa furente e dolce di un bacio.
Credeva nel romanticismo, e da inguaribile romantica vedeva intorno a lei mille e più significati e sfumature anche nei più semplici gesti.
Credeva nei sentimenti.
Nel dolore della malinconia, nella limpidezza della felicità e nel calore dell’amore.
Ci credeva con tutta se stessa.
Era il suo motto, il suo stile di vita e lo riversava in ogni gesto che compieva.
Metteva anima e sentimenti nel suo lavoro di cuoca nelle cucine private della villa della famiglia Vinsmoke, influente e potente famiglia a capo delle più ricche industri del paese.
Si impegnava al massimo per rendere ogni pasto degno di interesse, prelibato per il palato ed energico per le attività dei componenti della famiglia.
Rognone con salsa piccante e verdure grigliate per il capo famiglia Judge.
Tiramisù al cioccolato, ricercato e sfizioso, per la golosità del signorino Yonji.
Riso Basmati con spezzatino al curry per Mr. Ichiji.
Aligot caldo, fumante, saporito e ricolmo del suo intenso sentimento per il serioso ma amabile Niji.
Oh Niji.
Sentiva le gote scottarle il viso nel pensare a lui, e ritemprarla dal freddo pungente della pioggia che bagnava quel venerdì pomeriggio in cui attendeva il bus che l’avrebbe riaccompagnata a casa.
Il suo cuore palpitò due vote, solo due, prima di spegnersi pian piano con il sentimento che l’aveva fatto galoppare in quegli ultimi mesi.
Le guance da cremisi si annacquarono, raffreddando la pelle rossastra d’emozione con gocce salate di pioggia che non cadevano dal cielo, ma dai scuri occhi della ragazza.
Era una fortuna che quel pomeriggio fosse sola alla fermata del bus: nessuno le avrebbe chiesto il motivo delle sue lacrime.
Un singhiozzo, un altro trattenuto a mani strette sul petto scosso dal pianto e sotto il cappottino color ocra, fingendo che fosse il vento a farla tramare, per il freddo ovvio, e non che la causa di quel dolore lancinante al petto fosse una nuova ferita allo scrigno dei suoi sentimenti.
Che sciocca era stata a crederci.
Che ingenua sognatrice che era, nuovamente caduta vittima del trabocchetto dei sentimenti e del loro inganno più crudele.
Tirò su con il naso, una manica del cappotto a tamponare le lacrime mentre lo sferzare del vento la investiva sotto la piccola tettoia della fermata del tram, che cantava malinconica al ritmo della pioggia.
Eppure Cosette doveva saperlo.
Se si sforzava di essere sincera e schietta con se stessa, poteva ammettere di averlo saputo fin dal primo sguardo posato su di lui che stava osando troppo.
Era iniziato tutto con timidi sorrisi, di circostanza dal principio, ma che venivano sempre più cercati e compiuti con intenzione quando si incrociavano.
Arrivava nelle cucine anche con un’ora di anticipo, pur di sorridere e dare il buongiorno a Niji, che aveva l’abitudine di rilassarsi  spegnendo lo smartphone e posandolo sul tavolo, dedicandosi alla lettura dei quotidiani del mattino nella silenziosa calma delle cucine della villa, lontano dagli schiamazzi mattutini dei suoi gemelli o dalle telefonate d’affari, moleste e noiose, del padre.
Muta e leggiadra in ogni movimento, lo lasciava leggere senza proferire parola, fino a quando non chiudeva il grigio giornale e, con calcolata timidezza affinché il vassoio non tremasse troppo per l’emozione, gli offriva una tazza di caffè nero.
Senza zucchero.
Mai zucchero.
La dolcezza non era per lui.
Un debole sorriso mentre gli spingeva contro il vassoio, e uno di contraccambio da parte del ragazzo che annuiva e consumava la colazione con lei.
Le bastava quello.
Un leggero, confidenziale, semplice sorrido di Niji, e Cosette si sentiva pervasa da mille sentimenti energici, che la spronavano a dare il massimo durante la giornata.
Quel breve rituale era diventato la molla delle sue giornate: lunghi minuti di atteso desiderio solo per un suo sorriso, senza parole o gesti.
E sarebbe finito tutto lì, in quel breve piegarsi di labbra verso l’alto ricambiato e privo di parole, se non fesse stato per Germa.
Cosette si sarebbe accontentata di quei brevi attimi e avrebbe custodito gelosamente i sentimenti che provava per il suo superiore, senza cercarne altri, senza desiderarne di più grandi e intensi.
Ma non era stato così.
Occupandosi delle cucine aveva il compito di gettare gli avanzi negli appositi contenitori posti lungo il confine delle stalle dei purosangue della villa, ed aveva preso la strana abitudine di soffermarsi a volte a contemplare le maestose cavalle degli Vinsmoke, osando a volte accarezzarne qualcuna sul muso.
Era lì che Niji l’aveva sorpresa la prima volta, nella pausa pomeridiana post pranzo, facendola sussultare quando le aveva detto che la cavalla che stava coccolando si chiamava Germa.
Né era conseguito un urletto spaventato della cuoca, una serie infinite di scuse per la sua scellerata perdita di tempo, tanti, troppi inchini verso il giovane e un ordine da parte di Niji: tornare nelle stalle il giorno successivo con delle mele.
Iniziò così.
Mentre sfamavano la golosa puledra, con mele rosse e succose, parlavano, si scambiavano tutte le parole che al mattino non pronunciavano nel silenzio delle  cucine, chiacchierando senza status sociali e avvicinandosi pian piano.
Cosette aveva scoperto che gli occhi di Niji non erano semplicemente azzurri, alcune volte se il cielo era nuvoloso tendevano al grigio, altri se il sole brillava tra le nuvole verdi, che amava parlare di sé ma anche ascoltarla, intervenendo con enfasi e scaldandosi velocemente sugli argomenti che aveva più a cuore.
Spesso taceva se qualcosa lo preoccupava, inveiva contro i colleghi di lavoro e a volte i fratelli, per cui però aveva sempre una parola goliardica, odiava il proprio cellulare e spesso lo dimenticava in giro e preferiva la compagnia dei cavalli che a quella delle persone.
Aveva capito ben presto Cosette, che sotto la dura armatura di futuro uomo d’affari degno dell’impero di famiglia e dal carattere dispotico, c’era un ragazzo come tutti gli altri bisognoso di provare sentimenti veri come tutti.
Se n’era innamorata con una semplicità disarmante, e ogni giorno un pochino sempre di più.
Ma non si permetteva di aver illusioni: lei era una cuoca, lui invece il rampollo Vinsmoke.
Teneva a briglia corta i suoi sentimenti, li zittiva e ammoniva quando osavano scaldarsi troppo nel pensare a lui.
No, Cosette non sperava che Niji la ricambiasse.
Almeno fino a quel pomeriggio, nuvoloso e uggioso, nelle stalle mentre Germa nitriva felice per le nuove mele, il ragazzo le aveva scostato una ciocca di capelli dal viso e ignorando la suoneria del telefono che gracchiava cocciuta, le aveva rubato un bacio.
Piccolo, innocente ma caldo bacio.
E per Cosette fu la fine.
A ogni parola, a ogni caffè mattutino, a ogni mela sgranocchiata in sottofondo alle loro chiacchierate, il sentimento che le scaldava il petto cresceva senza freni, senza darle via di fuga, alimentato dalla speranza scaturita da quel fugace bacio.
Aveva iniziato a sperare.
Aveva sperato, da sciocca romantica, che anche Niji la ricambiasse.
Perché se no spendere tutto quel tempo con lei?
Perché parlarle e donarle il suo tempo se non per sfamare lo stesso sentimento che logorava Cosette?
Perché dare così tanta considerazione a una domestica, se non perché spinto da qualche sentimento?
Perché baciarla?
-… dei fallatio meravigliosi-
Il vassoio del thé le era quasi caduto di mano, rischiando di colorare di acqua calda il tappeto che ornava il corridoio fuori dalla sala principale della villa.
-Quell’inetta di Cosette: tartaglia sempre o blatera scuse senza senso- si era appiattita contro la parete, tremando alle parole sghignazzate da Yonji all’interno della stanza –Per fortuna hai trovato il modo di farle usare quella boccuccia in modo creativo, eh Niji?-
Non aveva osato respirare, ascoltando tesa come una corda di violino le risate che echeggiavano lungo il corridoio.
-Ora capisco perché passi tutte quelle ore in sua compagnia nelle stalle- la voce di Yonji le bruciava nella testa e nel petto -È decisamente il luogo adatto per montare certe puledre-
Le lacrime avevano iniziato a pizzicarle gli occhi.
Era quindi questo il motivo per cui passava così tanto tempo con lei?
Per portarsela a letto?
-Spero tu abbia preso le dovute precauzioni- parlò lapidario Ichiji, il c acceso su cui ticchettava veloce per lavoro –Sarebbe una bella scocciatura se avessi un marmocchio da una nostra dipendente-
La mano andò a premersi da sola sulla sua bocca, a zittire ogni singulto che scivolava dalle labbra morse con disperato dolore.
Era stato tutto un gioco per lui, uno svago per poter raggiungere le sue grazie e approfittarne.
Era una bambola, un balocco, una marionetta pronta a ballare per il capriccioso desiderio di Niji e che sarebbe stata gettata in un angolo non appena l’interesse sarebbe scemato.
Come? Come aveva potuto sperare che fosse tutto vero? Che fosse possibile che lui l’amasse?
-Non dici nulla?- sghignazzò Yonji –Non ci racconti alcun particolare? Come ti fai chiamare: Mr. Niji o signorino?-
Altre risate, altre lacrime.
-Scommetto che Cosette si crede speciale: la prediletta, quando invece è solo un piacevole passatempo per te-
Non riusciva a smettere di piangere, di provare dolore per quei sentimenti che mai avrebbero visto il sole, assaporandolo e vivendo in esso, ma sarebbero sempre rimasti sepolti sotto una coltre impenetrabile di sofferenza e cuore spezzato.
-Magari si è pure presa una cotta per te… povera sciocca!-
No, non era una cotta.
Era amore, vero amore, che bruciava come fuoco quando veniva tradito e denigrato a quel modo, ridotto a mero sesso egoista.
Non sapeva con che forza era riuscita a posare il vassoio del thé su un mobiletto vicino a dove piangeva, zittendosi con entrambe le mani e non riscendo a vedere oltre le lacrime che l’accecavano.
Sciocca, che sciocca era stata.
-Ah Niji, Niji: mai che tu riesca a tenerti i pantaloni addosso- la voce di Yonji era stata spezzata da una sedia strisciata contro il pavimento con forza che aveva fatto sussultare anche Cosette.
-Se hai finito con le tue pagliacciate Yonji- aveva sbottato Niji –Ho del lavoro da fare-
I passi pesanti e cadenzati avanzavano nella stanza, e sapeva, Cosetta sapeva che avrebbe dovuto andarsene, allontanarsi e non farsi trovare lì, ma quando la porta si aprì riversando un lieve fascio di luce su di lei, era già troppo tardi.
-Buona lavoro Niji- augurò Ichiji, mentre le cerulee iridi del gemello studiavano spalancate la figura scossa da singhiozzi della cuoca –Se vedi Cosette chiedile che fine ha fatto il nostro thé pomeridiano-
Quel giorno il caldo infuso di erbe non raggiunse mai il salottino della villa.
 
 
Il vento sferzò con forza, strappando Cosette ai suoi pensieri.
Erano passate settimana da quel pomeriggio, e i silenziosi sorrisi mattutini e le chiacchierate nelle stalle erano spariti come acqua nel deserto.
Aveva evitato Niji ad ogni occasione, avvicinandosi a lui solo quando necessario e sottraendosi a ogni singola richiesta del ragazzo.
Nessuna mela era stata più donata alla povera Germa.
Nessun caffè amaro offerto nel sentimentale silenzio della cucina nel chiarore del mattino.
Non voleva più vederlo, sentirlo.
Le era impossibile toglierselo dal cuore, ma dalla vita di ogni giorno alla villa si era impegnata al massimo per eliminarlo.
Ci aveva creduto davvero in quel sentimento che aveva visto nascere e crescere tra di loro.
Che sciocca.
Sciocca.
Era stata una sciocca sentimentale.
Come aveva potuto sperare che un alto esponente come Niji, di una famiglia di tutto rispetto e altolocata come la sua, potesse degnare di un solo sguardo una cuoca, sempre sporca di condimenti e fetida di odori salati e dolci mischiati assieme, come lei?
Nuove lacrime le invasero gli occhi, mischiandosi alla pioggia battente.
Per mesi aveva considerato Niji il suo principe azzurro, dalla corazza scintillante che proteggeva l’animo umano che celava al suo interno, ma si era resa conto che l’armatura non celava l’animo nobile e cavalleresco di un reale ma imprigionava lo spirito meschino e lascivo di un uomo qualsiasi.
-Non pensarci- si ammonì asciugandosi una guancia –Lo dimenticherai. Si lo dimenticherai, prima o poi-
Si, lo avrebbe dimenticato.
Avrebbe dimenticato come non l’aveva mai sfiorata con un sol dito, come invece avevano vaneggiato i suoi gemelli.
Avrebbe dimenticato le chiacchierate intime e pudiche, prive di ogni malizia.
Avrebbe dimenticato le mele regalate per sfamare un amore sincero, e non un capriccio carnale e passeggero.
Si, avrebbe dimenticato tutti i suoi sentimenti: l’affetto per quel ragazzo dal sorriso raro, la malinconia nei suoi occhi, l’amore per il suo animo superbo con tutti ma non con lei.
Lo avrebbe dimenticato… forse.
Un rumore lontano la destò.
Si sporse dalla tettoia della fermata vicino alla villa, cercando di distinguere il profilo in avvicinamento del bus.
La pioggia fitta rendeva confusi i contorni, ma anche senza gli occhi appannati di lacrime Cosette avrebbe comunque riconosciuto la figura in avvicinamento, e non era un tram.
I quattro zoccoli possenti trottavano contro l’asfalto umido, e la cadenza dondolante dell’animale era accompagnata dal dondolio elegante di una lunga coda fibrosa.
Germa avanzava fiera e sicura di sé sotto la pioggia torrenziale, nitrendo felice quando la vide dando un sonoro colpo di zoccoli al suolo scuotendo la figura che la cavalcava.
Cosette sgranò gli occhi, uscendo totalmente dalla tettoia e fissando senza parole il cavaliere che si stava avvicinando.
Stretto in un lungo cappotto scuro, la pioggia che colava dal suo ciuffo blu e gli occhi fissi su di lei, Niji si fermò con il suo destriero davanti alla ramata reggendo il suo sguardo confuso.
-N-nij!- balbettò piano –C-cosa…?-
La mano ferrea e forte del ragazzo sgusciò rapida da sotto il cappotto, offrendosi a lei e colorandole le guance d’imbarazzo.
-Vieni- un ordine più che un invito, che fece incupire Cosette -… per favore-
Scosse il capo in diniego. Il cuore le faceva ancora troppo male.
Lo sentì temporeggiare, borbottare qualcosa e tacere sotto lo scrosciare della pioggia finché Germa non scalpitò, nitrendo e facendo ballonzolare il suo destriero.
Che si muovesse per Diana: non voleva prendersi un raffreddore da cavalli!
-Io…- provò, la mano ancora tesa -… io… io non sono un principe azzurro!- sbottò –Se voglio qualcosa me la prendo: che sia un oggetto o una donna!
Cosette si morse un labbro, rabbuiandosi.
E lei, per lui, era un oggetto o una donna?
-Ma per te…- lo sentì continuare -… per te potrei diventarlo- si sporse appena sfiorandole la frangetta con le dita bagnate –Potrei rinunciare a tutto pur di ricevere un tuo sorriso al mattino e di ingozzare questa cavalla di mele-
Cosette sollevò gli occhi, timida e imbarazzata.
-Per te- rimarcò –Per te posso sopportare quegli idioti dei miei fratelli e le loro perversioni- si abbassò appena, specchiandosi negli occhi nocciola di Cosette –Perché mi basta anche vederti sorridere e tutto va bene, perché…- le guance gli si tinsero di rosso -… perché… perc… bhè lo sai no!?-
Cosette ridacchiò, una mano a coprire le labbra arricciate e l’altra tesa ad afferrare quella di Niji.
-Si- montò a cavallo, venendo sistemata con forza sulle proprie gambe dal ragazzo –Credo di saperlo-
Si accoccolò al suo petto, fradicio di pioggia e freddo, mentre Germa trottava lungo la via ignorando la pioggia.
Cosette ci aveva sempre creduto nei sentimenti.
Nel loro calore immisurabile e nel loro peso intangibile.
Credeva nell’amore a prima vista, nelle carezze celate dalla pioggia che esprimevano meglio i sentimenti, negli sguardi carichi di passione e nell’attesa furente e dolce di un bacio bagnato.
Credeva nel romanticismo, e da inguaribile romantica vedeva intorno a lei mille e più significati e sfumature anche nei più semplici gesti, come cavalcare sotto un acquazzone.
Credeva nei sentimenti.
Credeva che non ci fosse nulla di più bello che baciare Niji sotto la pioggia.

 

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Capitolo 4
*** Amore inaspettato ***


Amore: Amore inaspettato

Coppia: Doflamingo x Monet

Note d’Autore: FanFiction richiesta a suo tempo da Jules Kennedy D, e basato sul capitolo 694 del manga. Non mi soddisfa a pieno ma la coppia mi è inusuale per non dire sconosciuta. Spero ricalchi almeno lontanamente l’amore inaspettato richiesto. Flashfic. Ormai so scrivere solo quelle.
Storia partecipante ancora alla Challange This Would Be Love (?) e al Crack&Sfiga Ship’s Day2k19 entrambi indetti dal Fairy Piece Forum.

 











 
 

La Lumacocamera sorrideva.

Sorrideva di quel sorriso sottile e freddo che aveva imparato a tradurre con non poca difficoltà.

Era felice.

Nonostante la situazione, il dolore, la delusione.

Le sottili labbra erano appena arcuate in una linea affusolata, che sottolineava gli occhi d’ambra.

-Monet- la chiamò più per celare il respiro spezzato che per vero bisogno di conferma che lei fosse lì.

Il sorriso si accentuò.

Doveva essere un onore per lei, arpia dei ghiacci, venir chiamata per nome dal suo padrone.

Sentiva il cuore scaldarsi e sciogliere quella perenne neve che lo abbracciava.

Era una carezza dolce e amara allo stesso tempo, calda e fredda, prima e ultima.

-Non te lo chiederei se non fosse necessario-

Parole dolci, di apprensione, affetto.

Amore, sperava ancora l’arpia.

Parole solo per lei.

-Il tuo sacrificio- rise zittendolo.

Oh padroncino, sacrificio?

Era un onore, un doveroso obbligo per sanare le sue mancanze ciò che si apprestava a fare.

Un pegno d’amore, se mai l’avesse capito.

-Addio giovane padroncino, questo lo faccio per te- parlo senza dolore la lumacocamera, mantenendo gli occhi sui suoi, celati dai perenni occhiali.

-L’uomo che diverrà il Re dei Pirati- le parole di Monet scivolavano da Punk Hazard al suo palazzo a Dressrosa, come neve sul ghiaccio, come le onde sul mare.

-Il Re- continuò la dolce voce dell’arpia -Del mio Cuore-

La confessione inaspettata cadde nel vuoto della sala, mentre candide piume della rapitrice si macchiavano di cremisi nel cadere sul ghiaccio di Punk Hazard.

Doflamingo attese il fragore dell’esplosione ma non lo riconobbe: nessuna bomba era esplosa.

Non a Punk Hazard.

Inaspettatamente, nel suo cuore sì.

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Capitolo 5
*** Amore estivo ***


Amore: Amore estivo
Coppia: Monet x Baby
Note d’Autore: FanFiction richiesta da __Page.


 
 


Baby odiava viaggiare.
Odiava lasciare la sua confortevole casetta, il suo bisognoso Joker e le comodità di Dressrosa, per viaggiare a cavallo di Buffalo, sempre pronto a rinfacciargli i suoi insuccessi amorosi e quanti poveri uomini bisognosi abbandonava nella capitale, per dirigersi verso la lontana Punk Hazard per ritirare le ultime scoperte del professore Ceaser Clown.
Certo, anche lui aveva bisogno di lei, della sua attenzione e dei suoi servizi, e non poteva di certo abbandonarlo senza cure!
Ma lasciare le caldi e soleggiate terre di Dressrosa, per giungere alle fredde, innevate e oscure lande di Punk Hazard, spegnevano ogni fiammella di entusiasmo in Baby, assopendo il suo costante desiderio di essere utile e di aiutare il prossimo.
La verità era che Baby non odiava viaggiare: lei odiava semplicemente l’invero.
Di Punk Hazard.
La fredda, bianca, buia, inospitale Punk Hazard.
Dove mai l’estate arrivava, dove mai il sole sorgeva, dove mai, mai, mai Baby si sentiva a casa.
-Stupida isola!- gettò il mozzicone a terra, pestandola con la punta della ballerina, stringendosi nel striminzito abito a tinte vinacce.
Perché non c’era l’estate a Punk Hazard?
Perché sempre quella neve, con quel freddo e quell’infinita vastità di bianco che non sembrava avere mai fine?
-Qualcosa ti turba?-
Un turbinio di fiocchi candidi e alcune penne d’arpia al seguito fecero sussultare Baby, che si ritrovò accerchiata dalle possenti ali dell’assistente dello scienziato pupillo del suo padroncino.
-Monet!- strillò presa alla sprovvista –Quante volte devo dirtelo di non comparirmi dietro le spalle!!!-
-Ih Ih Ih Ih- rise acuta, sporgendosi col volto alla sua nuca libera -Ti ho rubato qualche brivido?-
Baby sbuffò, le guance rosse di freddo, e assolutamente non per la bella e fin troppo vicina presenza dell'arpia… sperava.
-Non disturbarmi- borbottò attirando maggiormente le attenzioni della spia di Dressrosa.
-Disturbarti in cosa?- tubò accostandosi alla collega e premendosi col petto sulla sua schiena.
Baby sussultò nuovamente.
Per il freddo, ovvio!
E per quell'estate che così tanto le mancava.
-Sto odiando Punk Hazard- affermò volgendo gli occhi alla vasta landa bianca che si apriva sotto i locali del laboratorio.
-Oh non ti piace?- ghignò Monet -Cosa non gradisci?-
-Manca l'estate!- sbottò insofferente -È così freddo qui, così bianco e così… nevoso!-
-Le neve è bella!- stridò la verde, punta sul vivo.
-Ma non è estate!- ribattè decisa -Non c'è il sole, non c'è il caldo, non ci sono gli amori estivi!- si abbatè contro le ali che l'accerchiavano.
Oh quanto le mancava i battiti accelerati del cuore, le gambe che tremano, i baci sperati e rubati!
-Voglio l'estate!- pigolò in un sospiro.
Monet la studiò con le iridi ambrate, esaminando il suo fisico asciutto e curviforme, soffermandosi sulle labbra gonfie e tristi e le gote rossiccie ma solo dal freddo.
E gli occhi bui, vuoti di sole e calore, vuoti d'amore.
Decisamente non estivi.
-Se ti manca il calore dell'estate- strinse l'abbraccio e le parlò all'orecchio -Ti scalderò io- sfarfallò le candide penne -Se ti manca il sole, guardami negli occhi- sorrise civettuola attirando le iridi brune di Baby.
-E- piegò il capo -Se vuoi amore- soffiò sulle sue labbra rubandole un bacio -Sarò felice di dartene quanto ne vuoi-
Baby boccheggiò, le labbra che sapevano di neve e ironia.
Mantenne gli occhi su Monet fino a perdere lo sguardo stesso nelle iridi d’ambra dell’alata, cadendo come neve sul suo petto e tra le sue labbra.
A Baby l’inverno non piaceva.
L’inverno di Punk Hazard non piaceva.
Lei amava l’estate.
E tra le braccia di Monet e con i suoi baci leggeri e al sapor di nevischio, ne sentiva una esploderle nel cuore.
Calda e piena d’amori.

 

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