Komorebi

di JEH1929
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassettesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciottessimo - Komorebi ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannovesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo ventesimo ***
Capitolo 21: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Capitolo primo ***


 
Probabilmente all’inizio mi era sembrata una buona idea, quella di prendere un appartamento insieme ai miei amici. Con la fine del liceo, la paura di perderci l’un l’altro era stata talmente grande che avevamo finito per stabilire che, se non avessimo potuto stare insieme a scuola, allora saremmo andati a vivere insieme. L’idea era saltata fuori così, proposta da Aya in una di quelle serate tutti insieme, riuniti sul divano di casa di qualcuno, in quell’estate soffocante. E poi lentamente aveva preso sempre più campo nel cervello di ognuno di noi. E così era stato deciso: avremmo abitato insieme.
Io mi ero gettata a capofitto nella novità senza pensare veramente cosa essa potesse veramente comportare, come mi succedeva sempre. Come al solito avevo riflettuto assai poco e così avevamo iniziato a visitare un appartamento dietro l’altro, quanto più vicini possibile all’università.
E adesso avevamo trovato l’appartamento perfetto. Vicino al punto giusto all’università e ai posti di lavoro di coloro che non l’avrebbero frequentata e anche sufficientemente vicina a casa mia, in modo che potessi andare a trovare mia madre quando più mi faceva voglia.
Era stato quando avevamo firmato il contratto che i primi dubbi mi avevano assalito. Non che non fossi entusiasta di condividere la mia quotidianità con coloro che erano miei amici da una vita, ossia Tsuyoshi e la sua Aya, Hisae e Gomi, che dopo anni di tira e molla erano finalmente riusciti a mettersi insieme, e infine … Akito Hayama.
Ed ovviamente era stata questa l’unica fonte dei miei dubbi. Andare a vivere con il proprio ex, per quanto la vostra storia possa essere ormai morta e sepolta, non è l’idea migliore che possa venirvi in mente. Però io ci avevo pensato soltanto all’ultimo minuto, ovviamente. Crescendo, la mia arguzia non era molto migliorata, anche se non l’avrei ammesso neanche sotto tortura.
Avevo cercato una scusa per tirarmi indietro, parlandone prima con Rei, che si era dichiarato disponibile a sostenermi qualunque cosa avessi deciso, come era sempre stato, poi con mia madre, la cui espressione, sotto l’elaborata acconciatura, mi aveva convinto che non era la cosa giusta da fare: ormai avevo dato la mia parola e non potevo tirarmi indietro, avrei lasciato i miei migliori amici nei casini e senza casa, visto che senza il mio contributo non sarebbe stato possibile prenderla.
E, nuovamente, mi ero resa conto del problema camere soltanto quando era troppo tardi, ossia quando avevo depositato l’ultimo scatolone al centro del soggiorno dell’appartamento. Le camere erano tre e certamente né Hisae, né Aya avrebbero mai accettato di dormire con me, lasciando il proprio fidanzato con Hayama. Eravamo ad un punto morto.
- Andiamo, Kurata, qual è il tuo problema? Hai paura di non riuscire a trattenerti? - il commento sarcastico di Hayama.
Era stato a quel punto che, sbuffando sonoramente di fronte all’espressione divertita di Hisae e Gomi, a quella preoccupata di Tsuyoshi e Aya e infine a quella sarcastica di Hayama, mi ero sbattuta la porta alle spalle, rifugiandomi nel giardinetto pubblico vicino alla casa. Quando avevamo scelto la casa era stato anche quel giardinetto a convincermi che fosse il posto giusto.
Sbuffo irritata, sedendomi su una panchina e prendendomi la testa tra le mani. Perché non rifletto mai e non valuto mai le conseguenze quando devo decidere qualcosa? Chi può essere tanto stupida da non valutare di dover vivere nella stessa casa del proprio ex senza che ci siano complicazioni? Una risposta ovvia: Sana Kurata, ossia io stessa.
Perché, nonostante tutto quello che ho passato, le difficoltà che ho superato, l’autostima notevolmente aumentata, la maturità fisica che dimostrano le mie forme sviluppate di donna quasi diciannovenne, sono sempre la stupida ragazzina di un tempo, che ama cantare, danza come un ciclone e non capisce mai niente.
Eppure sono anche cresciuta, ormai non credo più nelle favole, nel lieto fine, nell’anima gemella. Insomma, io avevo tutto questo con il ragazzo più bello che avessi mai potuto sperare di incontrare, eravamo così innamorati, così uniti, eppure non era bastato neanche questo, quindi, perché dovrei ancora crederci?
Sospirando, appoggio i piedi sulla panchina, rannicchiandomi e appoggiando la fronte sulle ginocchia scoperte, visto il caldo della giornata settembrina. Non voglio pensarci, ma la mia mente continua ostinata a tornare lì, a quel pomeriggio lontano di un anno, nella stessa rassicurante calura di settembre, eppure in un altro momento, quasi in un’altra vita.
- Sana-chan?
La voce della mia migliore amica interrompe i miei pensieri. Alzo gli occhi e vedi Aya venirmi incontro. Negli occhioni color nocciola riconosco una velata preoccupazione. Le sorrido rassicurante, invitandola con un cenno a sedersi al mio fianco sulla panchina.
- Come ti senti?
Sospiro e vedo un’ombra attraversarle il volto.
Ovvio che abbiano mandato Aya, nessuno meglio di lei è in grado di calmarmi, di rassicurarmi e di farmi ragionare e poi sanno che non urlerei mai contro di lei, infatti mi raddolcisco immediatamente.
- So che questa situazione non ti rende molto felice, ma pensavo che l’avessi deciso con cognizione di causa… quando abbiamo visitato l’appartamento c’eri anche tu…
- Hai ragione, sono un’idiota. - scuoto la testa, cercando di assumere un’espressione divertita, ma con Aya non funziona, mi conosce troppo bene.
- Avrei dovuto pensare che non te ne eri accorta.
- Senti, Aya-chan, non ti preoccupare, davvero. Troveremo una soluzione, Hayama e io, in fondo, non siamo più due bambini.
- Già. - risponde, ma nei suoi occhi mi sembra di leggere il continuo della frase… “purtroppo.”
Rimaniamo in silenzio per qualche momento, ad osservare il parco circostante: le aiuole fiorite, gli alberi ancora verdeggianti prima dell’arrivo dell’autunno e la fontana che zampilla acqua trasparente al centro, nello spiazzo centrale, dove due bambini giocano a rincorrersi.
- È proprio bello questo posto. - osservo.
- Già
- Abbiamo scelto la casa migliore. Si sistemerà tutto! – esclamo, alzandomi in piedi e sorridendole con calore.
Mi sorride, fiduciosa, vedendo che sono tornata ad essere la solita Sana. Mi prende per mano e insieme rientriamo.
 
Alla fine abbiamo trovato la sistemazione “perfetta”. Ovviamente per me non lo è affatto, ma quell’idiota di Hayama non ha ceduto in proposito. Ed infatti adesso sta trascinando il mio letto fuori da quella che sarà la sua camera e lo sta incastrando nel minuscolo sgabuzzino situato a fianco.
- Perfetto. - esclama, ghignando, quando lo ha sistemato lì dentro, dopo che ho impiegato più o meno mezz’ora per pulirlo dalla polvere residua.
- Non pensi che dovresti essere tu a cedere la camera a Sana-chan? - propone timidamente Tsuyoshi, avvicinandosi lentamente all’amico. Un solo sguardo è sufficiente a zittirlo, mentre Gomi ride a crepapelle, osservando la scena stravaccato sul divano rosso che abbiamo trasportato fino a lì.
- Potresti anche evitare di appoggiarlo! - gli dice piccata Hisae. Ovviamente, in quanto mia amica e in quanto favorevole a dire sempre tutto il contrario rispetto al suo ragazzo, sostiene che sia Hayama a dovermi cedere la stanza.
- Non cedo la camera neanche morto. È lei che si fa problemi nel condividere la stanza con me e quindi è lei ad andarsene.
E guardandolo in volto non dubito che neanche per un secondo che cederà alle pressioni della mia amica, mentre mi congela con un suo sguardo dorato. E pensare che fino ad un anno fa tutto quello che leggevo in quegli occhi era calore. Rabbrividisco leggermente, distogliendo lo sguardo.
Hisae e Gomi continuano a guardarsi in cagnesco, mentre Aya e Tsuyoshi guardano apprensivi me e Hayama, sicuri che scoppierà un altro dei nostri litigi. Ma questa volta non ho voglia di discutere, in fondo sono io ad essere stata un’idiota.
- Non vi preoccupate, ragazzi. Mi prendo lo sgabuzzino. - dico.
E immediatamente gli occhi di tutti schizzano nella mia direzione, perché ovviamente non è tanto frequente che ceda così facilmente.
- Ma almeno mi devi concedere tre quarti dell’armadio. - punto un dito inquisitore nella direzione di Hayama, alzando la voce e facendo scoppiare a ridere tutti gli altri.
- Affare fatto. - si volta ed entra nella sua camera.

**
Salve! Questa è la prima ff in assoluto che pubblico, spero che possa piacervi!
Ho deciso di aumentare d'importanza i personaggi di Hisae e di Gomi rispetto al manga perchè avevo bisogno di loro. Inizialmente avevo pensato di mettere Fuka e il suo ragazzo al loro posto, ma poi mi sono resa conto che era impossibile, perchè nonostante tutto, non riesco proprio a sopportare il personaggio di Fuka. Quindi ho preferito mettere Hisae e Gomi. Fuka sarà comunque presente, anche se non abita nello stesso posto degli altri.
Sarà molto contenta di qualunque tipo di critica, sia positiva che negativa!

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


 
Mi giro e mi rigiro nel letto, ma ogni volta che apro gli occhi quello che vedo è soltanto un muro bianco. Abituata a dormire nel letto a baldacchino a casa Kurata, trascorrere la notte in uno sgabuzzino soffocante è l’ultima cosa che avrei mai voluto. Non ho mai sofferto di claustrofobia, ma le pareti bianche appiccicate al letto mi danno un senso di soffocamento. Mi giro nuovamente, chiudendo gli occhi e cercando di distrarmi e magari anche di addormentarmi. Non che domattina abbia qualcosa di particolare da fare, visto che l’università inizierà tra due giorni, ma ormai sono le 4 del mattino e comincio a sentire la stanchezza, considerando anche che abbiamo trascorso la giornata a spostare scatoloni e a sistemare mobili con l’aiuto di Rei. Ovviamente non gli ho fatto cenno del fatto che dormirò nello sgabuzzino, penso che avrebbe dato di matto e mi avrebbe trascinato via di lì di peso e anche mia madre si sarebbe preoccupata e non è ciò che voglio. Provo a contare le pecorelle, metodo dichiarato infallibile per addormentarsi, ma tutto quello che finisco per fare è soltanto chiedermi chi sia stato tanto idiota da ideare un sistema così stupido per addormentarsi. Alla fine ci rinuncio e mi alzo. Scendo dalla base del letto e apro la porta. La casa e silenziosa e probabilmente gli altri stanno tutti dormendo. Tanto meglio, non ho voglia di parlare con nessuno. Non appena esco mi rendo conto di quanto fosse caldo lì dentro e tiro un sospiro di sollievo, passandomi un braccio sulla fronte sudata. Mi siedo sul divano accanto a uno degli ultimi scatoloni rimasti da sistemare, chiudendo gli occhi per un istante, ma non riesco a darmi pace e quindi decido di dare un’occhiata alle ultime cose. Apro lo scatolone vicino a me. Contiene delle maglie e dei libri e con un tuffo al cuore mi accorgo che appartengono ad Akito. Cerco una traccia del suo odore su quelle maglie larghe che adora indossare, ma tutto ciò che riesco a sentire è profumo di bucato. Sospiro per quanto sono patetica e passo ad osservare i libri. Ovviamente la maggior parte sono sul karate e sulla fisioterapia, ma infine gli occhi mi cadono su una copertina rosso scuro, con sopra un semplice titolo nero: “Poesie d’amore, Pablo Neruda” e il mio cuore salta un battito e, prima che abbia il tempo di trattenere i ricordi o che possa anche solo scrollarmeli di dosso, vengo catapultata nel passato.

- Ciao. - si era seduto accanto a me, nel nostro gazebo, il luogo in cui tutto era cominciato, così si poteva dire.
Le guance mi erano andate in fiamme e mi ero leggermente scostata quando mi si era avvicinato. Mi aveva lanciato un’occhiata stupita e leggermente addolorata. Una tacita domanda. Aveva abbassato il braccio che mi stava per mettere intorno alle spalle.
- Che cosa è successo? - aveva chiesto.
Mi ero limitata a fissare il vuoto, stringendomi nella mia divisa da liceale e nella mia insicurezza di sedicenne. Avevo avuto paura. Non mentre facevamo l’amore per la prima volta. No, lì neanche un minimo dubbio mi aveva assalita. Ero stata felice, la ragazza più felice del mondo. Come mi aveva guardata, come mi aveva stretta, come mi aveva toccata. Eravamo arrivati ad unirci per davvero, dopo tanti anni di vicinanza adesso eravamo definitivamente l’uno l’universo dell’altro. Eppure, dopo una prima volta così bella, ero stata presa dai dubbi. Non dubbi sul mio amore nei suoi confronti, non su di lui, ma sul fatto di non essere abbastanza, di non riuscire ad essere sufficientemente adeguata per lui, sia come ragazza che sessualmente, in fondo lui avrebbe potuto avere qualsiasi ragazza e c’era più di una che avrebbe fatto carte false per avere Akito al suo fianco.
- Non provarci neanche.
Lo avevo guardato stupita, senza capire la sua affermazione.
- Non provare nemmeno a pensare quello che stai pensando! - aveva esclamato con quella sua aria così da Akito, fissandomi dritta negli occhi e inchiodandomi sul posto con quel suo magnetico sguardo dorato.
Involontariamente mi era scappato un sorriso e avevo sentito i muscoli rilassarsi.
- Che cosa stavo pensando? - avevo chiesto.
Ormai aveva visto che mi ero calmata.
- Che non sei abbastanza bella, abbastanza brava e tutti i tuoi soliti stupidi pensieri. Pensi sempre a queste stupidaggini, mi attribuisci pensieri che io non ho la minima intenzione di riconoscere e ti inventi ogni traccia di scenario apocalittico possibile. - aveva detto, fissandomi insistentemente.
Avevo preso fiato per rispondere.
- E non negarlo! - aveva ripreso - Ormai ti conosco bene, Kurata!
Nonostante stessimo insieme da così tanti anni, ancora non gli era passato il vizio di chiamarmi per cognome quando era irritato o quando mi prendeva in giro e in quel momento stava facendo entrambe le cose.
- Hai ragione. - avevo bisbigliato.
- Oh, non sai quanto mi piace quando mi dai ragione.
Gli avevo lanciato un’occhiataccia, per poi tornare a fissare il pavimento in legno del gazebo e a sospirare.
- Sana… - tono spazientito.
Mi ostinavo a guardare per terra.
- Guardami.
Di malavoglia avevo alzato gli occhi, fissandoli nei suoi.
- Ascoltami, questa è stata la prima volta anche per me e se non ti è piaciuto, non preoccuparti, abbiamo tutto il tempo di questo mondo.
Cosa? Pensava che non mi fosse piaciuto.
- Non hai capito niente, Hayama. - avevo risposto, scoppiando a ridere e facendolo irritare nuovamente.
- Cosa non avrei capito?
- Se pensi che non mi sia piaciuto, non hai capito proprio un bel niente. È stata la notte più bella della mia vita. - risposi, abbassando gli occhi e arrossendo, non prima di vedere un lampo di soddisfazione nei suoi occhi.
- E allora?
- E allora… ho paura che possa non essere piaciuto a te. - sputai fuori, finalmente.
Mi guardò con l’espressione più sconvolta che gli avessi mai visto in volto, come se avessi detto la cosa più stupida della terra e di cose stupide, nella vita e da quando ci conoscevamo, ne avevo dette tante.
- Insomma, tu potresti avere qualunque ragazza, anche una ragazza più bella di me e…
- Kurata, io penso di non aver mai visto una persona più stupida di te.
- Cosa? - gonfiai le guance indispettita, guardandolo di traverso.
- Fin da quando ci siamo conosciuti non ho mai guardato nessun’altra ragazza come ho guardato te, possibile che ancora tu non te ne sia fatta una ragione. - le sue parole e il suo tono erano talmente seri che mi rivolsi un attimo preoccupata a guardarlo.
- Non ho mai voluto nessuno a parte te, non ho mai desiderato nessuno a parte la tua mente, il tuo cuore e anche il tuo corpo. Se pensi che la notte scorsa non mi sia piaciuta e che non possa essere rimasto soddisfatto, vuol dire che sei tu a non conoscermi affatto.
I suoi occhi erano così cupi e scuri da sembrare famelici e mentre mi guardava in quel modo, nello stesso modo in cui mi guardava mentre facevamo l’amore, ebbi la certezza che stesse dicendo la verità e che fossi davvero io tutto ciò che desiderava. Mi avvicinai a lui e appoggiai le labbra sulle sue. Sussultò, per il mio gesto improvviso, ma velocemente ricambiò il mio bacio, sempre più appassionatamente, trascinandomi sopra le sue gambe, per poi scendere a baciarmi il collo, mentre io stringevo fra le mani la sua chioma color miele, con gli occhi chiusi.
Improvvisamente si bloccò, costringendomi ad aprire gli occhi e ricercare il suo contatto.
- Che fai?
- Vuoi davvero farlo qui? - chiese, un leggero sorriso sulle labbra.
Annuii.
Un ghigno gli comparve sulle labbra.
- Cara la mia Kurata, non ti facevo così famelica. Ma qui non è un posto adatto, potrebbe vederci qualche bambino. Vieni, andiamo a casa mia, mio padre rientra tardi da lavoro e Natsumi è fuori a fare compere.
Mi prese per mano, aiutandomi a scendere dalle sue ginocchia, mentre cercavo ancora di riprendere il controllo.
- Come fai ad essere così controllato? - chiesi.
- Non lo sono, fidati. Non so cosa mi trattenga dal baciarti in goni singola parte del tuo meraviglioso corpo seduta stante. È solo che mi sono ricordato di quando da bambini venivamo qui e non vorrei che qualche bambino ci trovasse, ecco, in quella determinata situazione.
Mentre mi trascinava quasi correndo verso casa mia, lo sentivo borbottare qualche parola, senza riuscire a capire cosa stesse dicendo.
- Che cosa dici?
- Niente, è una poesia. Non riesco a togliermela dalla testa. È imbarazzante.
Scossi la testa, lanciandogli un’occhiataccia, che però non colse, visto che continuava a correre verso casa sua.
- Recitamela.
- Ne ricordo solo una parte. È imbarazzante…
- Andiamo, muoviti!
- Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,
tu canti e sei canto.
Il mondo è oggi la mia anima
canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché sì,
perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice. (*)
Lo avevo fermato e, guardandolo dritto negli occhi, avevo detto le parole che adesso mi risuonano e rimbombano nella mente.
- Guardami, Akito Hayama, io sarò la tua sabbia, la tua erba, il tuo cielo, la tua felicità. Sarò tutto ciò che tu vorrai che io sia. Per sempre. Io sarò sempre con te.
Poi mi aveva baciato ed era stato uno dei baci più belli della mia vita.


Avevo impiegato settimane per riuscire a rintracciare quale fosse la poesia che lui mi aveva citato. Finalmente avevo scoperto che si trattava di “Ode al giorno felice” di Pablo Neruda. E l’avevo comprato, una piccola edizione di poesie d’amore, in una copertina rosso scuro con la scritta nera. Nella costola c’erano ancora scritte le parole che gli avevo detto un tempo.
“Sarò la tua sabbia, la tua erba, il tuo cielo, la tua felicità. Ti amo. Tua per sempre, Sana”
E mentre stringo fra le mani il libretto e non riesco a trattenere una piccola lacrima, che mi brucia gli occhi, penso a quanto la sorte possa essere ironica e a quanto sia facile che tutto ciò che pensavi avresti posseduto per sempre possa essere perso in un millisecondo.


(*)Estratto della poesia “Ode al giorno felice” di Pablo Neruda.

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***



Qualcuno mi scuote nel sonno. Sono sicura che non sia tarda mattinata, perché sento di non aver dormito abbastanza e quindi, mugolando, mi volto dall’altra parte, senza aprire gli occhi. Sento qualcuno sbuffare, poi vengo allontanata dalla morbidezza del cuscino e trascinata fuori dal letto. Mugolo di nuovo, anche se continuo a tenere gli occhi chiusi. Poi la luce mi acceca dolorosamente e mi rendo conto che qualcuno ha appena aperto la finestra, facendo entrare tutta la luce possibile e inondandomi la faccia. Dovrebbero sapere quanto detesto essere svegliata bruscamente con la luce. Cerco di nascondere il viso contro la persona che mi ha fatto questo ma poi sento il suo odore. O meglio, lo riconosco e comincio a scalciare per liberarmi dalla presa, fino a quando non mi trovo con i piedi per terra, gli occhi arrossati e annebbiati per la troppa luce improvvisa e il ghigno di Hayama a pochi centimetri di distanza.
- Sai che odio essere svegliata con la luce! - urlo con la voce impastata.
- Certo che lo so! Ma dovevo farti alzare in fretta e non avevo voglia di stare a fare stupidi giochetti con te. Mi sembrava il metodo migliore. - sbuffa.
Un brivido mi attraversa ricordando quando era solito svegliarmi con il solletico, quando stavamo assieme, ma scuoto il ricordo, tornando ad attaccarlo.
- E per quale assurdo motivo dovevi svegliarmi, razza di idiota?
E soprattutto, dove sono tutti gli altri?
Lui sembra leggermi nella mente, perché senza rispondere alla mia domanda, prosegue: - Hisae è andata a lavoro stamattina presto, Gomi doveva andare a prendere accordi per l’apertura del suo locale, Aya e Tsu sono usciti a fare la spesa.
- Ma tu non lavori mai? - borbotto.
- Ho preso una settimana di ferie per sistemare l’appartamento.
Perfetto, adesso dovrò averlo intorno per i prossimi giorni, poi finalmente inizieremo l’università e potrò uscire da questo posto.
- E per quale cavolo di motivo mi hai svegliata? Non ho dormito bene stanotte in quel maledetto sgabuzzino!
- Dalla reggia Kurata deve essere proprio un bel cambiamento.
Chiaramente mi sta stuzzicando e sa che non è facile trattenermi, specialmente quando sono assonnata.
- Idiota.
- Deve essere proprio bello offendermi, non hai fatto altro da quando ti ho tirata giù dal letto.
- Non sai quanto sia bello. E comunque ancora non hai risposto alla mia domanda, perché mi hai svegliata?
- Ordini di Tsuyoshi.
Mi fa un cenno, indicandomi un biglietto lasciato da Tsu e da Aya, prima di uscire.
“Hisae e Gomi sono fuori a lavoro e io e Aya siamo a fare la spesa. Vedete di rendervi utili anche voi e finite di sistemare l’appartamento.”
- E da quando esegui gli ordini di Tsuyoshi? – ribatto, piccata
- Da quando i suoi ordini prevedono il disturbarti, svegliandoti nel modo che detesti di più.
Ovviamente continua a stuzzicarmi, attendendo con ansia il momento in cui esploderò e vorrei non dargli questa soddisfazione, ma è più forte di me, riesce a farmi arrabbiare in ogni situazione.
- Stupido.
Scoppia a ridere, mentre io mi sbatto la porta del bagno alle spalle.
 
Dopo ore passate a litigare ferocemente su dove sistemare cosa, finalmente veniamo interrotti a metà di una diatriba su dove sistemare un tavolino basso da Aya e Tsu, che entrano in casa pieni di sacchetti. Vedendoci in tali condizioni Aya alza gli occhi al cielo, chiamandomi per aiutarla a sistemare gli acquisti nel frigorifero, mentre Tsuyoshi sistema il tavolo esattamente al centro rispetto ai due punti per i quali io e Hayama stavamo litigando.
- Pensate di andare avanti così per sempre? – chiede dopo un po’, mentre mi passa una confezione di sushi, che ovviamente sarà interamente divorata da Hayama.
- Eh?
- Litigando continuamente.
- Oggi mi ha trascinata fuori dallo sgabuzzino e mi ha aperto la finestra in faccia. Sa quanto lo odio.
Aya alza nuovamente gli occhi al cielo.
- Siete sempre uguali. I soliti immaturi.
- Lui è immaturo.
Continuiamo per un po’ a passarci la roba dalle borse al frigorifero e alle mensole. Poi Aya interrompe nuovamente il silenzio.
- Io e Tsu sapevamo che non sarebbe stato facile per voi vivere insieme. Nonostante tutto nessuno dei due si è rifiutato di farlo e questo, sai, ci ha fatto pensare che magari non volevate stare così lontani…
Ecco ci siamo. Mi sono aspettata questo discorso fin dalla prima volta in cui abbiamo pensato di prendere casa tutti insieme e adesso è giunto il momento. So che tutti i nostri amici, anche se noi continuiamo a negare e a dire che è tutto finito, sono sicuri che io e Akito siamo ancora innamorati persi l’uno dell’altra e che finiremo per metterci insieme di nuovo alla fine. Specialmente da quando siamo diventati “amici” sembra essere una convinzione radicata in ognuno di loro.
- Aya-chan, è finita. È finita un anno fa e non potremo mai tornare insieme. Quello che è fatto è fatto: abbiamo deciso di comune accordo di non stare più insieme e abbiamo capito che non eravamo compatibili. E poi io non sono più innamorata di lui, né lui di me.
Sguardo scettico di Aya.
- È vero! Non siamo assolutamente compatibili.
- E allora dimmi con quanti sei uscita, chi hai baciato e con quanti sei stata a letto dopo esserti lasciata da Akito-kun?
Sa benissimo la risposta e sta soltanto cercando di dimostrarmi che ha ragione, ma non ho intenzione di dargliela vinta.
- Questo non significa niente. Non è capitato, non c’è stata l’occasione…
- Di occasioni ne hai avute fin troppe. Sana-chan, tu sei una bella ragazza, un’attrice popolare, nonostante adesso ti sia presa una pausa. Tutti ti adorano.
- Ti assicuro che io e Hayama non staremo mai più assieme.
- Non so se stai cercando di convincere più me oppure te stessa.
Sbuffo, mollandola lì e andando a prendere dei vestiti. Hayama è sdraiato sul letto, con le braccia dietro la testa e ascolta la musica dalle cuffie, gli occhi chiusi. Cercando di non farmi notare apro l’armadio e prendo un vestito fine rosso scuro e un paio di sandali bianchi.
- Dove vai?
Sobbalzo e mi giro nella sua direzione, ma ha gli occhi ancora chiusi. Come ha fatto a sentirmi?
- Non penso che siano affari tuoi.
- Eh?
- Non sono affari tuoi! – alzo la voce per farmi sentire meglio.
- Ehi, la nostra Kurata fa la misteriosa…
Esco, senza neanche rispondergli, chiudendomi la porta alle spalle.
- Vado da Fuka – comunico ad Aya e Tsuyoshi, dopo essermi vestita nel mio sgabuzzino.
- Pensi di tornare per pranzo?
Fisso la porta della camera di Hayama.
- Non credo. A stasera.
 
La risata di Fuka risuona per tutto l’appartamento che la mia amica condivide con il suo ragazzo, Takaishi, facendomi innervosire.
- Che c’è da ridere?
- Sana, non puoi non esserti accorta che le stanze erano soltanto tre. – esclama, continuando a ridere a crepapelle.
La guardo male.
- E invece non l’ho fatto.
- Sei sempre la stessa. – ormai ha quasi le lacrime agli occhi dal tanto ridere.
Fuka ha deciso di lasciare l’università, nonostante fosse molto più brava di me a scuola, e di dedicarsi completamente alla sua grande passione, la ginnastica artistica. Con l’aiuto di sua madre, che l’ha sempre sostenuta in questo senso, ha iniziato a fare gare importanti fin da quando eravamo al liceo e adesso si sta preparando per le Olimpiadi. Si è trasferita in un appartamento con il suo ragazzo vicino alla palestra dove si allena e casa sua è per gran parte occupato da una piccola palestra privata. Ed infatti l’ho trovata intenta a fare capriole e verticali in quel suo corpo perfetto e muscoloso.
Dopo averle raccontato tutto quello che era successo dall’ultima volta che ci eravamo viste, ossia poco prima di terminare il trasloco, è scoppiata a ridere e ha cominciato a mitragliarmi di domande, senza stare zitta neanche un secondo, come è solita fare. Quando ci si mette riesce a parlare anche più di me e con il crescere questa sua caratteristica non è affatto cambiata.
- Vogliamo andare a pranzo insieme? – le chiedo, quando ha finito con il suo interrogatorio.
- D’accordo. Ma prima fammi fare una doccia.
Mentre Fuka fa la doccia, mi metto ad osservare il suo appartamento. È piccolo e confortevole, pitturato con tinteggi giallo chiaro, allegri come è sempre allegra la mia amica, e i mobili chiari sono proprio di buon gusto, anche se piuttosto economici. Takaishi lavora in una radio di Tokyo, sono stata io a trovargli questo lavoro, visto che ormai, grazie al mio programma di sostegno, sono piuttosto in confidenza con i principali canali radio della città. Inoltre studia per diventare avvocato. Mi capita spesso di incontrarlo e perciò in questi anni siamo diventati piuttosto amici, anche se lui non è mai riuscito a entrare a pieno nel nostro gruppo. Ci sono cose che soltanto io, Aya, Tsuyoshi, Hisae, Gomi e ovviamente Hayama possiamo condividere. Perfino Fuka spesso ne rimane esclusa, nonostante sia nostra amica da ormai così tanti anni.
Finalmente Fuka esce dal bagno, con un abitino azzurro e i capelli ancora umidi e mi rivolge un gran sorriso. L’ho sempre trovata una bella ragazza, ma da quando ha iniziato a dedicarsi veramente alla ginnastica artistica sembra fiorita in tutta la sua bellezza.
- Andiamo.
Prendo la borsa e mi affretto a seguirla.
- A parte la questione “sgabuzzino” come va la vita? – chiede mentre ci incamminiamo per le vie della città.
Sospiro. Ci siamo di nuovo, pensavo di essere riuscita a sfuggire almeno ai sospetti di Fuka, ma ovviamente era un’illusione.
- Fuka, come ti ho ripetuto infinite volte non succederà mai.
- Ma a cosa ti stai riferendo? Io non intendevo niente del genere. – sorride, facendo la finta tonta.
Alzo gli occhi al cielo.
- Dovresti proprio trovarti un fidanzato, sai?
- Eh? – le chiedo, alzando di qualche tacca di troppo il volume.
- Calmati, non devi agitarti tanto. È una cosa normale a questa età. – scoppia di nuovo a ridere.
- Non c’è nessuno che mi piaccia.
- Oppur non c’è nessuno che sia alla sua altezza?
La guardo malissimo, mentre lei mi sorride e aumenta il passo.
- Siete due idioti, l’ho pensato dalla prima volta in cui vi ho visti. – conclude, prima di fermarsi al ristorante di sushi di suo zio, dove abbiamo deciso di mangiare.
 
Dopo aver salutato Fuka raggiungo Hisae al suo negozio, una piccola boutique di abbigliamento. Cose semplici e carine, ma che spesso realizza con le sue mani.
La trovo intenta a far provare un abito ad una signora di mezza età leggermente sovrappeso. Le consiglia ciò che indossare in una maniera così delicata che quasi mi sembra di non riconoscere la mia amica. Alla fine riesce a convincerla a comprare un delicato vestito nero che le sta davvero bene e vedo la signora uscire con l’aria soddisfatta come probabilmente non lo era da tempo.
Saluto Hisae e mi avvicino.
- Come ci riesci? – le chiedo.
- Semplice, mi piace quello che faccio. Adoro aiutare le persone a trovare il vestito perfetto. Un po’ come te con la recitazione…
- È una cosa diversa.
- No, in realtà tu con la tua gioia e spensieratezza riesci a fare così tanto per le persone che ti guardano, anche se non te ne rendi conto.
Le sorrido e mi guardo intorno.
- Hai veramente fatto un bel lavoro qui dentro.
- Grazie.
Vedo che vuole dire qualcos’altro ma esita.
- Che c’è Hisae? Qualcosa non va?
- Veramente volevo chiederti un favore…
- Dimmi pure. – le sorrido incoraggiante.
- Lo so che ti sei presa una pausa adesso dal mondo dello spettacolo, ma… mi chiedevo…
Le faccio segno di continuare.
- Se potessi posare per me, con i miei vestiti insomma…
- Ma certo che sì!
- No è che sai, essendoti presa una pausa, non volevo sembrare invadente.
- Hisae, tu sei mia amica e per un’amica questo e altro!
- Grazie, Sana-chan, sei la migliore.
- Anzi, potrei fare anche qualcosa in più! Che ne dici se, oltre ad avere un’attrice non troppo famosa come me, avessi anche uno degli attori più famosi del Giappone?
Mi guarda confusa.
- Sono sicura che Naozumi non mi negherà un favore del genere.
La vedo arrossire leggermente, ancora, dopo tutti questi anni, il mio migliore amico continua a fare questo effetto alle mie amiche.
- Pensi davvero che Naozumi Kamura poserebbe con i miei vestiti?
- Non lo penso, ne sono sicura!
 
Quando rientriamo a casa, Hisae inizia ad urlare ai quattro venti la notizia, al settimo cielo per il mio consenso. La reazione alla notizia è varia. Aya era sicura che avrei acconsentito alla richiesta di Hisae, Tsuyoshi sembra sinceramente stupito per il fatto che la mia pausa sia durata tanto poco. La reazione di Hayama era prevedibile.
- La tua pausa è durava davvero tanto…
- In realtà non è che interrompa la pausa, lo faccio soltanto per aiutare Hisae.
- Oppure non puoi fare a meno di stare sempre sotto i riflettori.
Ci guardiamo in cagnesco.
- Sei rientrata da cinque minuti e non potete già fare a meno di litigare… - la voce di Tsuyoshi sembra leggermente alterata, perciò sia io che Hayama ci limitiamo a lanciarci un’ultima occhiataccia e a ignorarci, prima che Tsu perda il controllo.
Gomi propone di andare a festeggiare nel fine settimana al suo locale, quando finalmente sarà sistemato e per un secondo sembra che tutto sia perfetto, finché Hisae nomina Naozumi.
Una calma piatta scende nella stanza, mentre tutti voltano gli occhi verso Hayama. Nonostante tutti questi anni di fedele e disinteressata amicizia nei miei confronti, Akito non ha mai potuto sopportare Naozumi e tutt’ora sembra detestarlo con tutto sé stesso.
- Ah, ti pareva non ci fosse di mezzo anche Kamura…
Mi limito ad ignorare la sua affermazione, mentre tutti gli occhi si spostano nella mia direzione.
- Anzi, lo chiamo subito. – rispondo, prendendo il telefono e componendo il numero, davanti alle facce sconvolte dei miei amici.
Hayama sbuffa e si chiude la porta di camera alle spalle.
Il telefono squilla a vuoto un paio di volte, poi sento la voce di Naozumi.
- Pronto?
- Ciao Nao, sono Sana!
- Sana-chan! Che bello sentirti, come stai?
- Tutto bene. Tu?
- Bene. Adesso sono a Osaka, stiamo ancora registrando il film.
- Che bello Nao, sei sempre così impegnato.
- Che cosa volevi sapere, Sana?
- In realtà volevo chiederti un favore.
Sento che Naozumi scoppia a ridere, come se si fosse aspettato la mia reazione.
- Non mi chiami mai se non vuoi qualcosa. – continua, facendomi sentire in colpa.
- In realtà ti ho anche chiamato perché ho voglia di vederti. Sono mesi che non ci vediamo.
- Già, hai ragione… da quella notte…
- Già.
- Senti, quando pensi di tornare a Tokyo?
- Abbiamo quasi finito le riprese, quindi tra qualche giorno dovrei tornare a Tokyo.
- Dobbiamo vederci assolutamente. Così potrò parlarti di questo piccolo favore.
- Perfetto.
- Allora alla prossima settimana.
- Sana? – mi richiama prima che possa chiudere la chiamata.
- Sì?
- Come va la convivenza?
So esattamente a cosa, o meglio a chi, si sta riferendo.
- Tutto bene a parte il fatto che devo dormire in uno sgabuzzino.
- Cosa?
- Dormo nello sgabuzzino, visto che la casa ha soltanto tre camere.
- Sei sicura che…?
Lo interrompo, sapendo già dove vuole andare a parare.
- No, Nao, non succederà mai.
- Sì, certo… - il tono con cui lo dice mi fa sbuffare e immagino il suo sorriso dall’altra parte.
- È la verità.
- A presto, Sana-chan.
- A presto.
Riattacco, sotto lo sguardo di tutti i miei amici.
- Te lo ha chiesto anche Kamura eh? – finalmente Gomi trova il coraggio di dire quello che nessuno aveva il coraggio.
Mi acciglio.
- Vi assicuro…
- Che non succederà mai. – terminano in coro al mio posto.
Perché tutti non possono fare a meno di farmi questa domanda? Mi lascio andare sul divano sbuffando, in attesa che la cena sia pronta. ** Ringrazio per le recensioni!

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***



Mentre aiuto Aya a sistemare i piatti in lavastoviglie, il campanello suona. Ovviamente nessuno si muove dal suo posto. Gomi stravaccato sul divano sul divano di fronte allo schermo della televisione, Hisae in camera a riordinare, urlando al suo ragazzo di andare ad aprire, Hayama in bagno a fare una doccia e Tsuyoshi impegnato a guardare gli ultimi documenti per l’iscrizione all’università. Il campanello suona nuovamente, una lunga suonata insistente. Aya sospira, esasperata.
- Vado io. – le dico e lei mi sorride grata.
Il campanello suona di nuovo.
- Aspettate! – esclamo impaziente.
Apro la porta e mi trovo davanti una ragazza che definire bella è dire poco. Appoggiata allo stipite della porta, mi guarda scocciata. Una maglia bianca risalta sulla pelle leggermente abbronzata, i jeans stretti e strappati, i tacchi vertiginosi, le labbra carnose e tinte con un leggero rossetto nude, ma soprattutto non posso fare a meno di notare i capelli evidentemente colorati di rosso che le ricadono in onde perfette fino a metà schiena. È bellissima.
- Era ora. – esclama.
- Scu… scusa, - esclamo imbarazzata – Penso che tu abbia sbagliato indirizzo.
- Come? Non abita qui Akito Hayama?
Ed è in quel momento che mi rendo conto della verità. Penso di essere rimasta per diversi minuti immobile a bocca aperta perché la ragazza mi guarda piuttosto sconvolta, mentre vedo le labbra muoversi, anche se non capisco cosa mi stia dicendo. Soltanto quando mi appoggia una mano su una spalla, mi riprendo, scuotendomi poco gentilmente la mano di dosso.
- Ti senti bene? – chiede.
Annuisco, facendole spazio per passare. Lei mi lancia un’altra strana occhiata, prima di entrare nell’appartamento.
- Sana-chan, chi è? – sento la voce di Tsuyoshi, ma non posso rispondere, perché non so esattamente chi abbia davanti.
Ma non c’è bisogno che dica nulla perché gli sguardi sulla nostra visitatrice sono migliori di ogni parola. Tsuyoshi lascia cadere la penna che tiene fra le mani, Aya smette di riordinare la cucina e perfino Gomi si distrae dal suo programma preferito per rivolgere un’occhiata famelica alla nuova arrivata. Certo che agli uomini basta davvero poco per mandare in tilt il cervello.
- Che succede? – Hisae, sentendo improvvisamente il silenzio calato nella stanza, esce dalla camera e nota prima la sconosciuta e poi lo sguardo che le sta rivolgendo Gomi, che, vedendo la sua ragazza, si affretta a distoglierlo.
Penso che la tensione nella stanza abbia raggiunto livelli mai visti prima, quando finalmente Aya riesce a rompere il silenzio imbarazzante, rivolgendosi alla nuova arrivata.
- Ciao, sei qui per Akito-kun. Adesso è a fare la doccia.
La ragazza le sorride, grata, anche se continua ad avere tutti gli occhi addosso.
- Io sono Tsuyoshi, il migliore amico di Akito-kun. – scosso dall’intervento della sua ragazza, finalmente anche Tsu interviene.
- Hisae.
- Gomi.
- E io sono Sana. – riesco a balbettare alla fine.
- E tu sei?
- Nori. – si presenta lei.
Fortunatamente il silenzio calato viene interrotto dalla porta del bagno che si apre e da Akito che esce con un asciugamano intorno alla vita. Alzando gli occhi si accorge del silenzio imbarazzante e poi nota Nori.
- Ciao. – le dice.
- Ciao. – lei sembra molto sollevata dal suo intervento e si affretta a seguirlo, senza che nessuno aggiunga niente.
Ed è soltanto in quel momento, quando la porta si chiude dietro quella ragazza bellissima, che mi accorgo di aver trattenuto il fiato per tutto il tempo e mi lascio andare ad un sospiro lunghissimo. Vedo Hisae avvicinarsi a me e dirmi qualcosa e nuovamente vedo le sue labbra muoversi e non sento alcun suono. E soltanto quando mi tocca riesco a capire che mi sta chiedendo se mi sento bene.
- Si, certo che va bene. – mi sforzo di apparire normale – ci siamo lasciati da un anno, è libero di andare avanti con la sua vita.
Nel momento in cui cerco di sorridere nel modo più convincente possibile, la porta della camera si apre e Akito e Nori escono.
- Quando hai intenzione di tornare?
L’occhiata che Akito lancia a Tsuyoshi è eloquente abbastanza e i due escono senza dire una parola in più di saluto.
Non che non sapessi dell’attiva vita sessuale del mio ex ragazzo. Ero più che preparata all’eventualità e nessuno me lo aveva mai nascosto. E non è neanche che sia gelosa, certo che no. O meglio, forse un po’ gelosa sì, ma soltanto perché mi sconvolge vederlo con qualcun altro. Una cosa è saperlo, un’altra è vederlo. E non posso dire che non mi abbia leggermente sconvolto, ma tutto questo sicuramente non per la motivazione che leggo sulle facce di tutti i miei amici. Non torneremo mai insieme. Punto e fine
 
Uscendo dal bagno non credevo che avrei mai assistito ad una scena così impagabile. La ragazza, che avevo conosciuto un paio di giorni prima in un pub, piazzata nel centro del soggiorno dell’appartamento che condivido con i miei migliori amici e con la mia ex ragazza con una maglia quasi trasparente, un paio di jeans striminziti e un paio di tacchi così alti che Kurata non si è mai sognata neanche di guardare da lontano. Ovviamente la prima cosa su cui mi è caduto l’occhio è stata l’espressione di Kurata, sembrava che qualcuno le avesse mozzato il respiro a metà o che le avessero dato da mangiare un boccone troppo grosso che non riusciva a buttare giù. In realtà avrei potuto decidere di vedermi con Nori anche da qualche altra parte, magari in un pub o anche a casa sua, tanto è lì che finiremo in ogni caso e sicuramente lei lo avrebbe preferito, visto l’occhiata di gratitudine che mi ha rivolto quando l’ho tolta da sotto gli occhi indagatori dei miei amici. Ma all’ultimo secondo non avevo potuto fare a meno di chiederle di passare da casa mia. E non me ne spiegavo il motivo. Cioè, in realtà me lo spiegavo, solo che non lo avrei ammesso per nulla al mondo. Volevo che la vedessero, che vedessero che razza di ragazza riuscivo ad ottenere, o meglio che vedesse che razza di ragazza potevo avere. Non che fosse più bella di Kurata, affatto. Nori aveva quella bellezza vistosa e quasi volgare, mentre la bellezza di Sana era così fine ed elegante… Insomma, lei non ne era affatto consapevole e sapevo, perché la conoscevo da così tanti anni, perché l’avevo vista crescere, perché era diventata una donna fra le mie mani, sapevo che avrebbe sicuramente fatto il confronto con sé stessa e questo mi dava una certa perversa soddisfazione. Non che l’amassi ancora, ormai era una storia passata, mi aveva spezzato il cuore troppe volte perché potessi anche solo pensare di poter tornare con lei, nonostante le domande e le insinuazioni di Tsuyoshi e addirittura di Gomi, che, per quanto possa essere mio amico, devo riconoscere che non è propriamente una cima. E il fatto che la trovi bella non significa niente. Lo è oggettivamente, come potranno testimoniare altri miliardi di suoi fan in giro per il mondo. E eccoci ad un altro punto dolente: il suo lavoro. Adesso dice di essersi presa una pausa, ma non ci crede neanche lei, non fino in fondo. E il fatto che abbia accettato la richiesta di Hisae ne è la testimonianza, così come il fatto che senta Kamura un giorno sì e l’altro pure. È ovvio che lui riuscirà a riportarla sul grande schermo. Non che sia geloso di Kamura, ma non l’ho mai potuto sopportare, dalla prima volta che l’ho visto, con quei suoi occhi azzurri e il viso gentile, è totalmente la mia nemesi.
- Mi stai ascoltando?
- Eh?
Alza gli occhi al cielo. Odio quando le donne non smettono mai di parlare. O meglio, odio quando le altre donne non smettono mai di parlare.
- Dimmi.
- Dove vuoi andare?
- Che ne dici del tuo appartamento?
La vedo scurirsi in volto e mi trattengo a malapena dallo sbuffare. Davvero credeva che volessi fare qualcos’altro con lei?
Continuo a guidare un po’, senza che lei apra bocca.
- Senti… non che tu non sia una bella ragazza. Ma le relazioni non fanno per me.
Terza volta che usciamo e già mi tocca fare questi discorsi. Detta da uno che si è messo insieme alla sua ragazza a dodici anni.
- Sei uscito da una relazione difficile? – chiede Nori.
La guardo stupito, non è poi così stupida.
- No. – mento.
Mi guarda per un secondo e sento i suoi begli occhi addosso.
- Andiamo a casa mia. – dice infine.
Anche se finalmente ho ottenuto quello che volevo, non mi sento così soddisfatto. Ma forse è perché non mi sento più soddisfatto di niente da un anno a questa parte. Ma devo smettere di pensarci: non torneremo mai più insieme.
 
 
**
Capitolo piccolino che introduce il punto di vista di Akito!
Volevo ringraziarvi per le recensioni, siete davvero carini! E così anche chi mi segue!

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***



Mi giro e mi rigiro nel letto, senza riuscire a dormire. Nonostante non abbia dormito neanche ieri notte, il caldo e l’aria soffocante dello stanzino mi tengono sveglia.
Alla fine ci rinuncio e mi alzo. La casa è fresca, Hayama non è ancora rientrato. Tsu voleva aspettarlo in piedi, ma alla fine Aya è riuscita a convincerlo ad andare a dormire, visto che domattina ha il primo giorno di università. E dopo che sono andata a letto anche io, non essendo riuscita a dormire, non ho potuto fare a meno di tendere l’orecchio ogni tanto. Forse più che ogni tanto, ma questi sono dettagli. Apro la porta della camera di Hayama, diretta all’armadio per prendere qualcosa da indossare domani ed evitare così di dover subire altre occhiatacce.
Mi siedo sul letto, mentre la freschezza delle lenzuola rilassa i miei muscoli intorpiditi.
Ripensare al passato, nonostante davanti a tutti gli altri faccia finta di niente, mi causa ancora un notevole dolore.
Sana e Akito, Kurata e Hayama, la ragazza “S” e il ragazzo “A”. Nessuno al mondo, sicuramente neanche noi due, avrebbe mai potuto anche solo pensare che un giorno ci saremmo lasciati. Erano stati anni fantastici, i più belli della mia vita, fino a un anno e mezzo fa, quando la situazione aveva rapidamente preso a precipitare. La mia carriera, essendo io diventata una donna, aveva subito una brusca impennata e mi ero ritrovata sommersa di lavori, film, pubblicità, programmi televisivi, serie tv. Potevo fare tutto quello che volevo. Akito era felice di vedermi contenta, anche se non faceva parte di quel mondo e non ne avrebbe mai fatto parte. Ero spesso impegnata e trascorrevo molto tempo fuori da Tokyo, collezionando un’assenza dopo l’altra, ma ogni volta che tornavo lo trovavo ad aspettarmi ed era sempre così felice di rivedermi, anche se non lo avrebbe ammesso neanche sotto tortura. Aveva perfino finito per accettare le scene romantiche e i baci che ero costretta a scambiare con altri attori. Era soltanto lavoro, per me non significavano assolutamente nulla e lui sembrava davvero che lo avesse capito, anche se la maggior parte delle volte evitava di guardare le mie scene d’amore sul set e io non lo incoraggiavo affatto a farlo, non piaceva neanche a me riguardarmi in televisione. Io amavo il mio lavoro, come ho sempre fatto e come sempre farò, ma amavo di più Akito, quindi decisi di darmi una regolata e di trascorrere più tempo con lui. Ma, quando gliene avevo parlato, lui subito mi aveva detto che non dovevo rinunciare alla carriera per lui e che ciò che voleva era soltanto vedermi felice. Una strana ombra gli aveva attraversato il volto, ma non ci avevo prestato molta attenzione, riprendendo a lavorare più duramente di prima. Il disastro era venuto quando mi avevano proposto di girare una miniserie nel ruolo di protagonista. Il co-protagonista era Naozumi. Il giorno prima della nostra rottura era il primo giorno delle riprese. Akito era venuto a prendermi agli studi. Dopo aver salutato tutti, compreso Naozumi, mi ero gettata fra le braccia del mio ragazzo e insieme eravamo usciti per un giro in centro a Tokyo. Akito non amava particolarmente accompagnarmi a fare compere, ma quella volta, miracolosamente, aveva ceduto. Probabilmente se non avessi insistito adesso saremmo ancora una coppia felice. Ma ne dubito fortemente.
Appena entrata nel centro commerciale, ero subito stata sommersa da fan in cerca di un autografo o di una foto con la famosa attrice. Adoravo l’affetto dei fan e non mi dispiaceva affatto firmare qualche autografo, ma alla fine Akito, a cui capitava spesso di dover ricoprire il ruolo di guardia del corpo, mi aveva trascinato fuori di lì e io avevo di nuovo colto un’ombra attraversare il suo volto. Gli avevo chiesto se ci fosse qualcosa che non andava, ma lui si era limitato a scuotere la testa, nel suo solito modo poco loquace, senza comunicarmi cosa gli stesse passando per la testa. Io avevo sospirato, ma non avevo chiesto nulla. Avevamo proseguito un altro po’, fino a che non avevo più resistito alla pesantezza della situazione e gli avevo chiesto di fermarsi in un bar. Ci eravamo seduti.
“Aki, parlami.”
Lo avevo guardato dritto negli occhi e il suo sguardo scuro si era allentato per un secondo. Aveva fatto per aprire bocca quando un ragazzo si era avvicinato al nostro tavolo, chiedendomi un autografo. Avevo guardato Akito, scusandomi con lo sguardo, e lui aveva annuito, tornando a scurirsi. Dopo aver firmato l’autografo, mi ero alzata per andare a prendere qualcosa da bere, per riempire quel silenzio incontrollabile. Al bancone ero stata raggiunta dallo stesso ragazzo di prima, che, insistentemente, si era messo a parlare con me, chiedendomi dettagli della mia vita privata e interrogandomi se quello con me fosse un mio amico o il mio ragazzo. Solo in quel momento mi ero accorta che era leggermente brillo. Mi si avvicinava sempre più, continuando a chiedermi se fossi libera e a dirmi quanto mi adorava e quanto era innamorato di me da sempre. Ed era stato quando mi aveva appoggiato una mano sulla schiena che Akito era schizzato su dalla sedia e aveva strappato bruscamente la mano dalla mia schiena e aveva iniziato a pestare il ragazzo. Avevo cercato di fermarlo, ma la sua furia era tanto incontrollabile che c’erano volute cinque persone per riuscire anche solo ad allontanarlo da quel ragazzo, che giaceva immobile per terra, con il setto nasale spaccato. Fortunatamente il ragazzo non aveva sporto denuncia, visto che Rei, una volta saputo dell’accaduto, lo aveva pregato di non farlo per non sollevare uno scandalo e lui aveva gentilmente accettato, in quanto mio innamoratissimo fan.
Ciò che Akito aveva fatto era stato senza alcun dubbio eccessivo, ma non era stato neanche quello il motivo per cui ci eravamo lasciati, era stata solo la goccia che aveva fatto traboccare il vaso, che poi aveva finito per rovesciare definitivamente tutto il suo contenuto.
Il giorno dopo avevo provato a parlarci, ma la sua reazione nei miei confronti era stata la peggiore possibile. Non aveva urlato, non mi aveva rimproverato, non aveva fatto niente, era semplicemente rimasto immobile, senza aprire bocca, mentre io continuavo a dirgli che così non potevamo andare avanti. E neanche quando gli avevo chiesto se ero troppo poco per lui, se non riuscivo più neanche a renderlo felice, si era limitato a sbuffare, senza aprire bocca. Allora avevo capito che non ci poteva essere più niente fra noi, perché lui non poteva capire il mio mondo e io non riuscivo più a renderlo felice. Avevo sempre pensato di non essere abbastanza, ma, quando avevo avuto qualche dubbio, lui si era sempre affrettato a confermarmi che non c’era nessun’altra al mondo a parte me e che non avrebbe mai potuto amare un’altra donna, ma questa volta non aveva detto niente, aveva solo sbuffato. Allora ero esplosa e gli avevo detto che era finita, che eravamo cambiati e che non eravamo più gli stessi ragazzi di una volta e che non avrebbe più dovuto cercarmi. Nuovamente non aveva aperto bocca, allora avevo preso la mia roba e mi ero chiusa la porta alle spalle.
Non mi avevo chiamato, né il giorno successivo, né il mese successivo. Avevo trascorso i primi tempi malissimo. Avevo rischiato di ricadere nella mia malattia, ma Naozumi mi era stato vicino per tutto il tempo. Alla fine ero riuscita ad andare avanti, il lavoro mi aveva aiutato e per sei mesi non avevo fatto altro che lavorare e lavorare. Perfino mia madre si era preoccupata più del solito, ma alla fine ero riuscita a fingere così bene che li avevo ingannati tutti. Avevo fatto finta di essere felice e normale, quando per sei mesi ero stata soltanto morta dentro. Ovviamente avevo lasciato il liceo, preferendo studiare privatamente, non era certo la prima volta che mi succedeva.
Sei mesi: il tempo più lungo che io e Akito avevamo mai passato senza vederci, senza parlare, senza comunicare in alcun modo. Ovviamente c’erano stati gli anni di Akito in America, ma lì ci mandavamo spesso mail e fax, parlavamo per ore al telefono, era diverso. Adesso eravamo due perfetti estranei, due ragazzi che non si erano mai incontrati. Da Tsuyoshi avevo saputo che Akito continuava a frequentare regolarmente le lezioni, che stava bene e che era solamente diventato più silenzioso, ma per il resto sembrava uguale. Questa mi era sembrata l’ennesima riprova della sua ormai indifferenza nei miei confronti. Lentamente avevo smesso di incontrare anche i miei amici, non volevo sentir parlare di lui e certamente non avevo la minima intenzione di incontrarlo. Avrei solamente sofferto ancora di più e avrei finito per rendermi ridicola. Aya, Fuka e Hisae erano state molto addolorate dal mio comportamento, ma alla fine mi avevano lasciata in pace, nel mio mondo di star e impegni mondani. Ovviamente la mia amicizia con Nao era aumentata in quel periodo ed eravamo diventati amici inseparabili, soprattutto grazie alle riprese della miniserie in cui eravamo protagonisti.
Poi era successo l’incidente. Durate le riprese in esterno ero caduta, causandomi una ferita alla gamba destra, ero stata ricoverata in ospedale per qualche giorno. Mi avevano detto che non era nulla di grave, ma che probabilmente mi sarebbe rimasta la cicatrice per tutta la vita. Avevo rifiutato qualunque tipo di chirurgia plastica, preferendo mantenere ben visibile la mia cicatrice. Per non danneggiare la troupe della miniserie e per richiesta di Rei e mia, la notizia era stata fatta passare sotto silenzio e soltanto una rivista minore aveva scoperto del mio incidente, che fortunatamente non era stato notato da nessun altro. In breve il dolore era diminuito ed ero uscita dall’ospedale. A casa avevo trovato ad attendermi i miei amici, informati da mia madre. Mi avevano chiesto preoccupati le mie condizioni e soltanto dopo aver risposto a tutte le loro domande ero riuscita a porre il quesito fondamentale: Akito lo sapeva? Avevano risposto che avevano preferito parlare prima con me e poi con lui, a quel punto avevo estorto loro la promessa che non gli avrebbero detto niente. La sua preoccupazione disinteressata non poteva portarmi niente di buono.
Tutto era tornato alla normalità, fino a quella notte, sei mesi fa. Mi trovavo a presenziare un evento insieme a Naozumi per promuovere la serie, di cui alla fine avevamo terminato le riprese, ritardate anche dal periodo che avevo trascorso ferma all’ospedale. Era stato allora, per la mia solita sbadataggine, in mezzo al silenzio assordante e di fronte ai giornalisti, che il mio cellulare aveva iniziato a squillare insistentemente. Mi ero scusata, chiudendo la chiamata in arrivo. Solo che pochi secondi dopo il telefono aveva squillato di nuovo. Imbarazzata avevo preso il telefono per metterlo silenzioso e avevo letto il nome di Tsuyoshi. L’avevo guardato stupita: Tsu mi chiamava raramente, la maggior parte delle volte comunicava con me tramite Aya ed era raro che entrambi fossero così insistenti. Avevo riposto il telefono, che aveva continuato a vibrare incessantemente fino alla fine dell’evento. Soltanto quando mi ero liberata dei giornalisti, salita in limousine con Naozumi, avevo deciso di richiamare Tsuyoshi. E il passato era bruscamente ripiombato nella mia vita.

**
Ringrazio nuovamente tutti quanti!

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***



- Sana, finalmente. – il tono isterico di Tsuyoshi mi fece sobbalzare sul sedile della limousine. Naozumi mi guardò preoccupato, ma io gli feci cenno di non preoccuparsi.
- Tsu, cosa è successo?
- Si tratta di Akito-kun.
Ovviamente.
- Non vedo cosa questo abbia a che fare…
Mi interruppe.
- Sana, ieri sono stato contattato dal suo ex insegnante di karate. Mi ha detto che ieri mattina Akito ha dato in escandescenza a lavoro e ha urlato contro alcuni bambini che stava allenando, per poi distruggere delle panche e degli armadietti. Non sono riusciti a fermarlo che è subito scappato, iniziando a correre velocemente.
Sospirai.
- E allora? Che cosa lo ha provocato? – cercai di mantenere un tono neutro, ma il cuore mi batteva a mille e sentivo ogni nervo del corpo stendersi per la preoccupazione. Non era mai un buon segno quando Akito reagiva così.
Naozumi non era stato ingannato dal mio tono e adesso mi guardava preoccupato. Ormai mi conosceva troppo bene.
- Il bello è proprio questo. È scoppiato dal nulla. Un secondo prima era perfettamente normale, un secondo dopo stava distruggendo tutto e attaccando le persone.
- Non è possibile.
Ormai non riuscivo più a trattenere il tono allarmato.
- Perché mi hai chiamato soltanto adesso? – chiesi.
- Ecco, diciamo che sei la nostra ultima speranza. Ieri sera Akito-kun non è tornato a casa. Il signor Hayama e Natsumi sono preoccupatissimi. E non si è fatto sentire da nessuno di noi. Nessuno l’ha più visto dopo che ieri mattina ha distrutto mezza palestra di karate.
Sentii il cuore salirmi in gola e le lacrime scendermi lungo le guance. La preoccupazione mi aveva attanagliata, rischiando di soffocarmi. Lasciai andare il cellulare, non prima che Nao mi si fosse avvicinato, preoccupato per la mia reazione. Lo vidi parlare a telefono con Tsu per qualche secondo, poi chiuse la chiamata e iniziò a parlarmi, ma io non sentivo niente di quello che stava dicendo. L’unica cosa che vedevo davanti a me erano gli occhi dorati di Akito, ma non gli occhi di quando eravamo fidanzati, ma quelli di quando eravamo piccoli, a undici anni, quando mi chiese di ucciderlo.
- …è proprio un irresponsabile. Far preoccupare così la sua famiglia. Sana-chan mi stai ascoltando?
- Devo andare a cercarlo!
- Cosa?
- Devo trovare Akito.
- Ma che stai dicendo, Sana? Lui ti ha lasciato, ti ha spezzato il cuore…
- Devo trovarlo. – ripetei a macchinetta.
- Adesso ti porto a casa tua.
- Aiutami a cercare Akito.
- Sana, per quanto ancora vuoi continuare a essere completamente soggetta agli umori di quel ragazzo, per quanto ancora vuoi continuare a corrergli dietro, a salvare i suoi disastri, a impedire che ne faccia di nuovi, per quanto ancora vuoi continuare a farti spezzare il cuore?
- Tu non capisci.
Avevo fatto fermare la limousine ed ero scesa, sparendo fra le persone, prima che Naozumi avesse il tempo di corrermi dietro. In quel momento lo odiavo, lui non poteva capire cosa significasse Akito per me, cosa avrebbe sempre significato, nonostante tutto il dolore che mi aveva causato negli ultimi sei mesi.
Avevo vagato a caso per le vie di Tokyo, sperando di incontrarlo, percorrendo le strade che lui era solito fare a corsa, durante le sue sfrenate maratone, quando era di cattivo umore. Ma niente, non lo avevo trovato. Alla fine, a pezzi e disperata, mi ero indirizzata verso casa. Ed era stato lì che, dall’altra parte della strada, in un angolo nascosto alle finestre di casa mia, avevo visto una figura per terra, immobile. Mi ero avvicinata e lo avevo riconosciuto. Se ne stava lì, immobile, seduto per terra, a fissare il vuoto. Vedendomi avvicinare, aveva alzato gli occhi, incontrando i miei e ciò che avevo visto mi aveva spaventato: gli occhi che mi ero appena figurata mentre ero in macchina con Naozumi, quegli stessi occhi che avevano tormentato i miei incubi nei sei mesi trascorsi.
- Akito, da quanto tempo sei qui?
- È la “ragazzina egoista”. – aveva detto, facendomi sobbalzare e ripetendo le stesse parole di tanti anni prima, quando ci eravamo rincontrati per caso e lui stava ancora con Fuka.
Mi ero avvicinata e, come rivivendo un flashback, mi ero accucciata davanti a lui, stringendo la sua testa al seno e dopo poco anche lui mi aveva stretta a sé, ma questa volta non avevamo litigato, non avevamo parlato.
Dopo alcuni minuti lo avevo fatto alzare, aveva visibilmente la febbre e quindi lo avevo fatto entrare in casa, avevo chiamato mia madre, Rei e Shimura, mentre io mi affrettavo a telefonare agli Hayama e ai miei amici, rassicurandoli che Akito avrebbe dormito a casa mia.
Da quel giorno eravamo diventati “amici”, nonostante trascorressimo la maggior parte del tempo a litigare. Tutti, compresa la mia e la sua famiglia, avevano creduto che saremmo tornati insieme, perché non eravamo riusciti a resistere distanti per più di sei mesi. Era impossibile, non eravamo noi stessi senza vedere l’altro. Però non ci eravamo rimessi insieme e sono tutt’ora convinta che non succederà mai, perché come non possiamo stare separati, non possiamo neanche stare insieme.
 
Quando mi chiudo la porta della casa di Nori alle spalle, tiro un sospiro di sollievo. Mi sento leggermente svuotato, ma cerco di allontanare la sensazione scuotendo la testa. Mi avvicino all’auto, ma tutto ciò che vorrei fare è correre, invece con un sospiro apro lo sportello o mi siedo. Mi irrita il fatto di sentirmi in questo modo, odio essere così insicuro. E non so neanche il motivo. O meglio, forse lo so, ma non credo di volerlo accettare più di tanto. Mi sento quasi come la prima volta in cui ero stato con un’altra ragazza dopo aver lasciato Sana. Il fatto è che era successo mesi fa.
Forse era colpa delle domande che Nori mi aveva rivolto mentre mi vestivo per andarmene, se soffrivo così tanto per la mia ex, che razza di ragazza fosse per lasciare uno come me, o anche se ci saremmo rivisti (ero rimasto sul vago, ma la mia risposta le era stata chiara, visto che non aveva insistito), ma più probabilmente mi sentivo così irritato per colpa degli sguardi che i miei amici avevano lanciato a me a Nori quando lei era arrivata. O forse in realtà era stato il suo sguardo. L’avevo fatto di proposito di far venire Nori a casa, certo. Però vedere i suoi occhi e il suo dolore mi aveva fatto male. Non la amavo più, o almeno era quello di cui cercavo di convincermi, ma era comunque una parte importante della mia vita e lo sarebbe stato per sempre. Questo non sarebbe mai cambiato e lo avevo imparato a mie spese nei sei mesi che avevamo trascorso lontani. Erano stati perfino peggiori degli anni in America, mi erano quasi sembrati più lunghi. Forse perché quando ero in America avevo la certezza che mi avrebbe aspettato, che alla fine ci saremmo riuniti nonostante tutto e tutti e poi ci sentivamo. Invece quei pochi mesi mi avevano prosciugato di ogni voglia di vivere. Avevo provato ad avere esperienze con altre donne, in fondo ce n’erano molte che mi cercavano senza che dovessi fare alcuno sforzo, ma alla fine non ero riuscito mai a concludere niente, per me erano state il nulla, ricordavo a malapena i contorni sbiaditi dei loro volti, le loro parole. Non ricordavo niente, eppure riuscivo a ricordare distintamente ogni singolo momento del tempo trascorso con Sana, da quando avevamo undici anni e lei mi aveva salvato. Poi lo aveva fatto di nuovo, quando mi aveva trovato davanti alla porta di casa sua. Ed eravamo diventati amici, quando non litigavamo, il che succedeva praticamente sempre. Ma non mi amava più e me lo aveva fatto chiaramente capire quando mi aveva lasciato e poi non cercandomi più in seguito, non le ero indispensabile come lei era per me, perciò avevo rinunciato a pensare a lei come a Sana-Kurata-fidanzata e la vedevo come Sana-Kurata-migliore amica, o almeno ci provavo. Anche se lei continuava a parlare di Kamura come suo migliore amico. Dopo che eravamo diventati amici, ero uscito con qualche ragazza, giusto per distrarmi un po’, ma non ne ricordavo neanche una, come non avrei probabilmente ricordato neanche Nori.
È solo che penso semplicemente di non essere adatto alle relazioni, visto che l’unica che ho avuto è stata un tale disastro e visto che ho avuto un’unica donna dall’età di undici anni, se si esclude la breve parentesi con Fuka, non mi sembra proprio il caso di infilarmi di nuovo in questa situazione. Considerando poi che non riesco a ricordare né i tratti né le parole delle ragazze con cui esco, non mi sembra il caso di iniziare una relazione con una persona di cui non mi importa niente e per ora non mi importa niente di nessuna. Ed è per questo che tutti sono convinti che io sia diventato un donnaiolo incallito, senza alcun rispetto per il sesso femminile, come rimarca sempre Tsu e come Kurata non finisce mai di farmi notare. Anche se in realtà non è del tutto vero.
Finalmente parcheggio davanti a casa. L’orologio segna le 3 di notte. Fortunatamente domani mattina posso dormire un po’, visto che l’università comincerà soltanto dopodomani e il lavoro riprenderà la prossima settimana. Apro la porta e con sollievo mi accorgo che tutti sono già addormentati, la luce spenta, tutto tranquillo. Non avrei potuto sopportare di nuovo i loro sguardi. Non credo che chiederò mai più ad una ragazza di raggiungermi a casa.
Vado in bagno, per una doccia veloce e per levarmi di dosso l’odore di Nori, che adesso mi sembra solo nauseante. Mi ritrovo a pensare che il profumo di Sana non mi è mai sembrato nauseante, ma scaccio il pensiero in fretta. La porta della mia camera è aperta anche se pensavo di averla chiusa uscendo. Probabilmente quella sbadata di Kurata c’è entrata per prendere qualche vestito e si è dimenticata di chiudere.
Entrando, però, vedo qualcuno sdraiato sul mio letto, con un braccio appoggiato sul volto, immobile. Poi la riconosco, i capelli ramati che le scendono sulle spalle lasciate scoperte dalla fine canottiera che indossa come pigiama. Noto un seno che fuoriesce in parte dalla maglietta, la pelle bianca e candida, mentre le gambe affusolate scendono verso il lato del letto. È illuminata appena dalla luce della luna che filtra da dietro la tenda della finestra eppure la vedo in tutta la sua fragilità e in tutta la sua bellezza. Uno strano calore mi avvolge il petto e improvvisamente mi sento meglio. Mi avvicino ed è freddissima, per un attimo mi preoccupo, ma poi noto il respiro regolare del sonno. La sua posizione è strana, come se si fosse addormentata all’improvviso senza volerlo. Sorrido di fronte alla sua bocca leggermente aperta e al respiro leggero. Mi avvicino e la sollevo per portarla nel suo letto e la sua testa si appoggia delicatamente sul mio petto, adattandosi perfettamente, come se non fosse passato così tanto tempo dall’ultima volta in cui l’ho tenuta fra le braccia. Mugola leggermente, ma non si sveglia. Apro la porta dello sgabuzzino e una soffocante aria calda mi invade e mi chiedo come faccia a dormire in quella specie di forno. Poi la vedo socchiudere gli occhi e mi irrigidisco. Sono sicuro che adesso inizierà a urlarmi contro e a picchiarmi come al solito e sono altrettanto sicuro che inizierò a urlare a mia volta. È l’unica che riesce davvero a farmi perdere il controllo. Invece, sorprendentemente, mi sorride. Un sorriso caldo, rassicurante, un sorriso che non mi rivolgeva da un anno, il mio sorriso. Apre bocca e mormora qualcosa che non riesco a capire. Avvicino l’orecchio alla sua bocca e lei si stringe più a me.
- Akito. - mormora, chiudendo subito gli occhi e ripiombando nel sonno.
Ormai nel calore della stanza la sua pelle non è più così fredda e io sto iniziando a sudare. Non so davvero come faccia a dormire lì, probabilmente la repulsione che prova nei miei confronti è così grande che preferisce morire di caldo che dormire nella mia stessa camera. Eppure…lo sguardo che mi ha appena rivolto, il modo in cui si stringe a me e la parola che ha appena pronunciato… il mio nome, ma lo ha pronunciato nell’unico modo capace di attraversarmi da un lato all’altro.
- Al diavolo…
Senza neanche riflettere mi volto e mi chiudo la porta dello sgabuzzino alle spalle. Deposito Sana fra le mie lenzuola, indosso il mio pigiama e mi sdraio accanto a lei, stringendola a me, mentre lei, inconsciamente, mi riceve fra le sue braccia e mi stringe forte. E finalmente il peso a livello del petto, che mi tortura da quando sono uscito da qui insieme a Nori, si allenta, permettendomi di dormire.

**
Ringrazio tutti coloro che seguono la mia storia!

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


Stanotte ho fatto un sogno meraviglioso. Ero tra le braccia di Akito e lui mi stringeva forte, come se non avesse mai smesso di amarmi, come prima. Io aprivo gli occhi e un meraviglioso sguardo dorato mi avvolgeva. Sapevo che questa volta non mi avrebbe respinta, perché era solo un sogno, potevo fare quello che volevo, no? Quindi mi ero stretta di più a lui e avevo sussurrato il suo nome, appoggiando le labbra sul suo orecchio. Lui mi aveva fatto sdraiare sul letto e nel momento in cui si era allontanato mi ero sentita persa, ma poi si era sdraiato al mio fianco e le sue braccia mi avevano avvolto di nuovo. Questo sogno mi ha lasciato una sensazione di tranquillità tale che penso di poter dire che sarà una bellissima giornata, neanche gli insulti e i litigi con Hayama potranno scalfire il mio buonumore. Apro gli occhi nel mio soffocante sgabuzzino, ma per la prima volta sento di aver dormito davvero.
- Buongiorno! – esclamo entrando in soggiorno.
Gomi è sdraiato sul divano, come al solito, gli occhi socchiusi e una tazza di caffè nella mano destra. Aya è seduta al tavolo di cucina e mi rivolge una strana occhiata non appena mi vede, ma io faccio finta di nulla.
- Dove sono gli altri? – chiedo allegramente.
- Hisae è al negozio, Tsu all’università. – risponde Gomi.
- Akito-kun è in bagno. – dice Aya, guardandomi di sottecchi.
La guardo interrogativa, cercando di decifrare il suo sguardo, ma lei distoglie gli occhi dai miei. Ma oggi neanche questo potrà scalfire il mio buonumore.
Prendo un biscotto dal sacchetto e mi siedo sul divano, Gomi ritrae appena le gambe per farmi sedere, mi metto a mordicchiare il biscotto, accendendo la televisione.
Il volto di Naozumi appena subito in primo piano. Sta pubblicizzando il suo film e questa è un’intervista. Nonostante tutto, mi sorprendo ancora un po’ di vedere che il mio migliore amico è diventato una vera e propria star. Certo, era famoso anche prima che ci conoscessimo, ma negli ultimi anni la sua popolarità ha raggiunto tutto il mondo, dovuta anche al suo aspetto particolare, con quei suoi meravigliosi occhi celesti. Mentre seguo con attenzione l’intervista, la porta del bagno si apre e Akito esce indossando la sua tuta da ginnastica. Lo sento immobilizzarsi alle mie spalle, ma non ci faccio molto caso.
- Buongiorno. – mi rivolgo nella sua direzione, sorridendo.
Riesco a cogliere un barlume di sorpresa nei suoi occhi, prima che assumano il loro solito aspetto impassibile.
- ‘Giorno. Vedo che Kamura ha finito di girare il suo film.
- Sì, tra pochi giorni tornerà a Tokyo e allora potremo vederci! – dichiaro in preda all’entusiasmo, prima di ricordarmi con chi sto parlando.
La mascella di Akito si contrae leggermente, prima che si avvicini al tavolo per versarsi una tazza di caffè.
- Anch’io… - Gomi tende la tazza verso Hayama, che si limita ad ignorarlo, lo sguardo puntato sul volto di Naozumi in televisione.
- Oggi sei allegra. – dice Aya.
- Già, non vedo perché non dovrei esserlo. Oggi è una bella giornata e domani inizierò l’università. Chissà quante persone nuove potrò conoscere e quanti nuovi amici potrò farmi. – dico, saltando su dal divano e stringendo un pugno verso l’alto.
Hayama sbuffa, ma io lo ignoro.
- Ah, allora è perché domani inizia l’università che sei così felice? – chiede di nuovo Aya.
La guardo interrogativa, senza capire dove vuole andare a parare. Ricordo il sogno di questa notte e inconsciamente sorrido, ma non ho alcuna intenzione di raccontarlo ai miei amici, in particolare non in presenza di una certa persona. E poi raccontarlo non farebbe altro che confermare la loro ipotesi che sono ancora innamorata di Hayama. Ipotesi del tutto falsa, fra l’altro.
- Certo che sì.
- Cerca solo di non dimenticarti dei tuoi vecchi amici. – balbetta Gomi, ancora mezzo addormentato.
- Anche volendo, come sarebbe possibile? Viviamo insieme!
Hayama si alza. Sembra irritato, ma non ne sono sicura al 100%, quando fa così diventa sempre incomprensibile.
- Vado a correre. – dice ed esce, sbattendosi la porta alle spalle.
- Sana-chan?
- Che c’è Aya-chan? Hai un’aria strana stamattina.
- Non è che potrei parlarti?
- Certo.
- Da sole.
- Ok, ho capito, mi levo di torno. – Gomi si alza pesantemente dal divano, si versa un’altra tazza di caffè e poi si chiude in camera. Sono sicura che ha intenzione di rimettersi a dormire.
- Dimmi tutto. – guardo Aya.
- Ecco…- non sa da dove iniziare.
- Sei sicura che vada tutto bene? Tsu sta bene?
- Sìsì, non è per questo. Io sto bene e anche Tsu. È per te…
La guardo stupita, senza minimamente capire cosa sia successo.
- Sana-chan… Tsuyoshi vi ha visti.
- Eh?
- Stamattina presto, Tsuyoshi era convinto che iniziassi anche tu l’università, quindi, prima che potessi fermarlo, ha aperto la porta del tuo sgabuzzino per svegliarti ed evitarti di fare tardi…
- Non l’ho sentito…
- No, perché tu non c’eri.
- Cosa stai dicendo? – ormai sono sicura di avere uno sguardo sconvolto. Adesso sono diventata anche sonnambula?
L’occhiata che Aya mi rivolge è altrettanto allucinata.
- Ti abbiamo cercata in bagno, pensando che fossi lì… - continua. – Ma non c’eri. Allora Tsuyoshi ha deciso di chiedere ad Akito-kun, ha aperto la porta della sua camera. Si è immobilizzato e io l’ho raggiunto. E vi abbiamo visti. Dormivate abbracciati.
- COSA?
Il mio urlo è così alto che Aya si scansa e Gomi si affaccia sullo stipite della porta.
- Che succede? – chiede.
- Niente, Gomi-kun. Torna a dormire. – gli risponde Aya.
Io e Aya continuiamo a guardarci piuttosto sconvolte.
- Non ricordi quando è rientrato ieri sera?
Scuoto la testa. Improvvisamente mi si accende una lampadina.
- Però ieri sera volevo prendere dei vestiti e sono andata in camera di Hayama. Forse mi sono addormentata…
- Ti sei addormentata mentre prendevi dei vestiti?
- Ok, mi sono seduta sul letto e mi sono messa a pensare.
Scuote la testa, sicuramente per la mia solita sbadataggine.
- E adesso cosa pensi di fare?
Già, cosa penso di fare. Quindi quello che pensavo fosse un sogno in realtà non lo era? Solo la sua espressione dolce devo essermela sognata. Hayama non ha mai espressioni dolci. Mi chiedo perché non mi abbia svegliata con una delle sue solite sfuriate. Forse perché la sua bellissima Nori l’ha scacciato dal suo letto e lui non ha trovato niente di meglio che consolarsi con me. Aveva bisogno di calore umano e mi ha trovata lì. E questo mi fa arrabbiare. Questo è riuscito decisamente a rovinare il mio umore.
- Me la pagherà, senza alcun dubbio!
Aya mi guarda stupita, come se si aspettasse una risposta totalmente contraria.
- Eh?
- È chiaro che me la pagherà! – urlo di nuovo, mentre Aya tenta di tapparmi la bocca per evitare di svegliare nuovamente Gomi.
 
Mi piace correre, mi aiuta a rilassare i pensieri e adesso ne ho veramente bisogno. Mi chiedo perché sono stato così stupido da cercare Kurata. Lei adesso non sembra avere occhi che per Kamura. Non sono geloso, ma non può che darmi fastidio, quel damerino così perfetto, così bello, l’uomo ideale. Stamattina mi sono svegliato più tranquillo del solito. Ok, non mi ero più svegliato in questo modo da quando Kurata mi ha lasciato. Appena l’ho vista dormire beatamente, ho deciso che non volevo rovinare quel momento sentendo le sue urla e i suoi improperi nella mia direzione, quindi l’ho sollevata e riportata nel suo letto. Così almeno non scoprirà mai cosa è successo e non ci sarà bisogno di nessuna spiegazione. Spiegazione che fra l’altro non saprei fornire, visto che non riesco a spiegare neanche a me stesso cosa ieri sera mi abbia indotto a lasciarla nel mio letto. Forse il vuoto che sentivo nel petto quando sono uscito da casa di Nori, oppure il modo in cui ha sussurrato il mio nome… Fatto sta che non devo pensarci e devo solamente dimenticare questa notte. Eppure avrei soltanto voglia di prendere a calci qualcosa, pensando a come Kurata sembra felice di rivedere Kamura dopo questi ultimi mesi. So che non l’ha più rivisto da quella notte in cui mi ha trovato sotto casa sua. Hanno litigato, a quanto mi ha detto Tsuyoshi, io ovviamente non le ho chiesto nulla. E sempre da Tsuyoshi ho saputo che non si sono mai frequentati come qualcosa di più che migliori amici, nel periodo in cui ci siamo ignorati, ma che si sono avvicinati moltissimo. Poi Kamura è partito per quel suo film e hanno cominciato a sentirsi sempre a telefono, a volte anche quando Kurata usciva con noi altri. Irritante. Adesso, averla sotto gli occhi ogni volta che parla di lui è una tortura lenta e dolorosa. Anche se non posso più pretendere che lei non frequenti nessuno, vorrei che non fosse proprio Kamura, nonostante sappia che lui è davvero un bravo ragazzo e nonostante tutto quello che ha fatto per lei in questi anni. Forse proprio per questo. È così difficile reggere il confronto con lui: così dolce, così gentile, così profondo. Il mio opposto.
Passando, noto un cartellone pubblicitario, dove spicca una Kurata appena sorridente, che cammina sensualmente nel suo abitino stretto in vita. È la pubblicità di un paio di scarpe qualsiasi, ma io non riesco neanche a notare quelle scarpe, il mio sguardo è attirato dalle gambe bianche e tornite, dagli occhi brillanti color cioccolato e da quel sorriso enigmatico. E improvvisamente ho di nuovo voglia di colpire qualcosa. Con un sospiro mi avvio nuovamente verso casa.
Non appena mi chiudo la porta alle spalle, avverto un paio di occhi che mi bruciano la nuca e capisco che c’è aria di guerra e che sicuramente io sarò il diretto e inconsapevole interessato. Infatti, non appena mi volto, Kurata incatena gli occhi cioccolato ai miei. È rossa in viso e l’irritazione la scuote da capo a piedi, mentre tiene le braccia sui fianchi, pronta a fare la sua prima mossa. E prima che possa anche solo capire il motivo della sua rabbia, lascio che la mia solita espressione neutra e impenetrabile mi avvolga, mettendomi sulla difensiva.
- Come ti sei permesso?
- Cosa avrei fatto, sentiamo.
Riesco a leggere le sue emozioni e a prevedere le sue reazioni e infatti fa un passo avanti, portando il busto leggermente in avanti e aggrottando la fronte.
- Cosa pensi che sia? Un giocattolo con cui puoi divertirti quando più preferisci?
- Eh?
Adesso sono sinceramente confuso.
- Non è che perché Nori, o come cavolo si chiama, ti butta fuori dal suo letto che tu allora puoi venire qui e approfittarti del fatto che in una momentanea distrazione io mi sia addormentata sul tuo letto!
Adesso tutto è chiaro, ha saputo di stanotte. Eppure quando sono uscito ero certo che non si fosse accorta di nulla…
- Non sono una bambola che puoi utilizzare a tuo piacimento quando ti pare e piace, chiaro? Sicuramente non dopo essere stato a letto con quella specie di… - balbetta, esitando e riprendendo fiato. L’accenno alla parola “bambola” mi fa sussultare leggermente, ma riacquisto ben presto il controllo e lei non se ne accorge.
- Quella specie di… non so cosa, soltanto perché ti senti solo e hai bisogno di compagnia, chiaro? - conclude.
La sua voce è salita di un po’ troppe ottave, arrivando a diventare quasi stridula. E ovviamente, come al solito, non ha capito niente. Il problema è che le poche parole che mi escono dalla bocca non fanno che farla arrabbiare ancora di più.
- Non essere ottusa, Kurata.
- Ottusa? Io sarei ottusa?
- Certo e non sai quanto.
Scuote la testa nervosamente, cercando di controllarsi, ma lei non è mai stata brava a controllare la rabbia e lo sappiamo entrambi.
- E anche così infantile. – ribadisco.
- Ah io sono infantile?
Sta per esplodere e io non riesco a trattenere un sorrisetto sarcastico, che sembra definitivamente mandarla in bestia.
- Se io sono infantile, tu sei un egocentrico megalomane, un teppista immaturo e donnaiolo!
Nello stesso momento in cui dice quelle parole la vedo spalancare gli occhi e portarsi una mano alla bocca ed entrambi siamo sbalzati nel passato.
 
L’erba morbida mi accarezza le gambe lasciate scoperte dalla gonna della divisa. Siamo in primavera e la brezza si sta facendo tiepida. I ciliegi sono in fiore e l’aria è cosparsa del loro aroma dolce e rassicurante. Hayama, sdraiato accanto a me sul prato del liceo Jimbo, ha gli occhi chiusi e respira piano. Mi soffermo a osservarlo, la linea dura della mascella, il naso dritto e perfetto, le labbra scolpite, un accenno della prima barba che stamattina non si è rasato, il ciuffo color miele troppo lungo della frangia che gli accarezza le guance, vorrei vedere i suoi occhi dorati e poi la mia gioia sarebbe al culmine. Sorrido, respirando l’aria profumata di fiori, mi sento bene. Mi sento a casa. Poi un ghigno compare sulle labbra di Akito, senza che apra gli occhi.
- Vuoi continuare a fissarmi?
- Non ti stavo fissando. – borbotto.
Apre gli occhi e girandosi di lato li incatena nei miei.
- Stavi forse ammirando la mia bellezza divina?
- Che razza di egocentrico megalomane!
Ridacchia.
- E non sei neanche l’unica a fissarmi.
Lo guardo interrogativamente e lui con un cenno mi indica un paio di ragazze di qualche anno più piccole che lo fissano e ridacchiano. Ovviamente non me ne ero resa conto e subito mi infiammo. Anche se non lo ammetto, sono gelosa di Akito.
Distolgo lo sguardo, concentrandolo sull’erba.
- Sei gelosa. – non è una domanda, è un’affermazione, detta con quel suo tono un po’ strafottente.
- Certo che no! – esclamo.
- E invece sei proprio gelosa. – si sdraia nuovamente sulla schiena, con un’espressione soddisfatta sul volto e io vorrei soltanto colpirlo con il mio martello.
- Oh per me puoi farti guardare da chiunque e guardare tutte le ragazze che vuoi.
Akito si alza, scuotendosi i pantaloni e incamminandosi verso la scuola. Guardo l’orologio, il mio vecchio orologio fedele, lo stesso che avevo prestato ad Akito tanti anni prima, e non è ancora l’ora di rientrare.
- Dove vai? – gli chiedo.
- A parlare con quelle ragazze, hai detto che per te va bene…
Balzo in piedi, affrettandomi a raggiungerlo.
- Akito Hayama, sei un egocentrico megalomane, un teppista immaturo e … un donnaiolo! – sputo fuori, senza riuscire a trattenermi, sbraitandogli intorno.
Lui scoppia a ridere, in una di quelle risate così rare, e io gonfio le guance, irritata. E solo in quel momento mi rendo conto che si è incamminato nella direzione opposta a quella in cui erano le ragazze e che si sta sedendo sotto un ciliegio in fiore.
- Ah. – riesco a dire, soltanto.
Con la mano mi fa cenno di sedersi accanto a lui e io mi siedo. Si avvicina al mio orecchio con le labbra e io penso che voglia baciarmi.
- Sei indubbiamente gelosa. – sussurra.
E io lo colpisco in testa.
- Perché ti sei spostato?
- Ne avevo abbastanza di quelle ochette e non volevo che quei ragazzi vedessero le tue gambe.
Arrossisco inconsciamente per il modo in cui fissa le mie gambe nel momento in cui pronuncia la parola. Riesco a riconnettere il cervello, accorgendomi di non aver notato nessun ragazzo.
- Quali ragazzi?
- Kurata, sei proprio senza speranza…
- Non è vero. – dico con aria fintamente offesa.
- Lo sai che non amo che qualcun altro ti guardi.
- D’accordo, però tu stai lontano da quelle due. – gli pianto un dito davanti alla faccia.
- E tu lontana da quei ragazzi.
- Affare fatto.

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***



Ovviamente neanche stasera riesco ad addormentarmi. Devo trovare una soluzione per riuscire a dormire almeno un po’ in questo buco. Il problema è che domani sarà il primo giorno di università e non ci tengo molto a presentarmi con gli occhi gonfi e lo sguardo annebbiato. Ho impostato due sveglie a breve distanza l’una dall’altra per evitare di fare tardi, però se non riesco neanche ad addormentarmi non ce ne sarà bisogno. Ripenso a come ho dormito bene ieri notte, tutto per colpa di Hayama… o grazie ad Hayama, è tutta una questione di punti di vista. Mi chiedo se, in camera sua, riuscirei a dormire di nuovo a sufficienza, in vista di domani. Prima che abbia il tempo di pensare, mi alzo ed apro la porta. Gomi non è rientrato dal suo locale, le sue pantofole ancora all’ingresso sistemate da Hisae in un moto di insolita dolcezza. Aya e Tsuyoshi, invece, dormono già, visto che domani avranno l’università. Mi avvicino alla porta di Hayama e la apro lentamente, attenta a non fare rumore. Lui dorme tranquillo. Dopo la sfuriata del pomeriggio e la mia triste uscita non ci siano più rivolti la parola, eppure soltanto adesso posso calmare il battito impazzito del mio cuore in ansia per ciò che mi riserverà la giornata di domani. Mi avvicino alla finestra, notando come le persiane e le tende siano perfettamente sigillante, visto che Akito ama dormire al buio più completo. Scosto leggermente la tenda e un raggio di luna penetra nella stanza.
Akito si muove e io mi irrigidisco, preoccupata di quale sarà la sua reazione nel trovarmi qui. Ma lui continua a dormire tranquillamente. Mi avvicino al letto e mi siedo sul bordo, attenta a non sfiorarlo, osservo i suoi tratti tranquilli alla luce della luna, privi del suo solito autocontrollo e della sua impassibilità. Sembra quasi un bambino indifeso a guardarlo così, mentre dorme. Allungo un dito, per togliergli un ciuffo dorato che gli ricade sugli occhi, ma rimango improvvisamente bloccata, quando i suoi occhi si spalancano e uno sguardo color ambra e tuttavia così freddo mi immobilizza al mio posto, seduta sul bordo del suo letto e con il braccio teso verso il suo volto.
- Cosa ci fai qui? – sibila freddamente.
- Non riuscivo a dormire. – balbetto, ritirando il braccio e arrossendo inconsciamente.
- Quindi, visto che nessun altro è disposto a condividere il letto con te, pensavi di venire dal buon vecchio Akito-kun e sfruttarlo? – il tono mi ferisce, finché non mi accorgo che sta dicendo le stesse cose di cui l’ho accusato io.
- Scusa. – mi alzo, diretta alla porta, cercando di uscire il prima possibile da questa situazione imbarazzante.
- Kurata?
Mi volto. Ha scostato le coperte e mi indica lo spazio vuoto accanto a lui. Sgrano gli occhi.
- Non riesco a dormire neanche io. – ammette alla fine e io so quanto questa ammissione gli stia costando.
Mi avvicino senza dire una parola a mi sdraio accanto a lui. Passa qualche secondo imbarazzante, prima che il silenzio venga interrotto, stranamente di nuovo da lui.
- In fondo siamo amici, no?
Annuisco, impercettibilmente, ma non so se lui se ne è accorto. Alla fine mi circonda la vita con un braccio, esitando leggermente. Quando si accorge che non gli dico niente e che anzi avvicino la testa alla sua sul cuscino, si rilassa e dopo qualche minuto lo sento respirare tranquillamente, come se si fosse addormentato. Mi stringo ancora più a lui e finalmente scivolo nel sonno a mia volta.
 
- Scusa, sei Sana Kurata?
Questa è stata la domanda che ha caratterizzato il mio primo giorno di università. Speravo davvero che nessuno mi avrebbe notata? Mi sono aggirata per le aule come un animale in gabbia, cercando di sfuggire alle occhiate fameliche di tutti gli universitari, lieti di avere come matricola la famosa star della televisione e del cinema. Sono sempre stata felice di firmare autografi e di fare fotografie con i miei fan, ma spero davvero che non saranno tutti così i miei giorni di università. Non sono riuscita a vedere Tsuyoshi e Aya, legge e scienze dell’educazione sono dall’altra parte del campus. Medicina, invece, non è molto lontana da dove mi trovo io, ma preferisco evitare di incontrare Hayama, specialmente dopo l’imbarazzante risveglio di stamattina, dove ci siamo ritrovati completamente abbracciati, i visi a pochi centimetri e le gambe intrecciate. Per fortuna almeno ci siamo svegliati prima di tutti gli altri, evitandoci scene spiecevoli davanti ai nostri amici con me che uscivo dalla sua camera. Non ho detto niente ad Aya e per adesso non intenzione di farlo. Magari dirò qualcosa a Fuka, visto che stasera vorrei chiamarla, anche se so quale sarà la sua reazione.
L’università di arte di Tokyo era una delle più antiche e famose della mia città e io, non avendo particolari capacità in nessuna materia, avevo deciso di iscrivermi a ciò che più si avvicinava alla mia visione della vita: l’arte e la musica. Essendo stata un’attrice fin da bambina, avevo una visione della vita prettamente artistica, inoltre probabilmente mi avrebbe anche aiutato nella mia professione, visto che non avevo alcuna intenzione di lasciare il mondo dello spettacolo. Mi ero presa una pausa, quanto lunga non aveva importanza, nonostante le proteste incessanti di Rei, che cercava in ogni modo di farmi tornare a lavorare e di rinunciare a frequentare l’università. Per fortuna avevo il sostegno di mia madre, che come al solito, mi incoraggiava qualunque fosse la mia scelta, ammesso che ci avessi prima attentamente riflettuto. E io lo avevo fatto, senza buttarmi sulla prima cosa che mi capitava, come a volte ero solita fare.
Dopo la presentazione della mattina, in cui ho cercato di tenere un profilo basso, riesco a conquistare un tavolo piuttosto riparato, all’ombra di un albero, fuori dalla mensa, nel cortile. Aya e Tsuyoshi hanno deciso di andare a trovare Hisae e Gomi durante la pausa pranzo, ma io volevo vedere che aria si respira qui, quindi magari andrò a mangiare con loro un altro giorno.
L’aria si è lievemente raffrescata, ma si sta ancora bene, dei lievi raggi di sole penetrano le foglie e raggiungono le mie spalle, lasciate scoperte dalla maglia leggermente troppo scollata che ho indossato questa mattina. Per evitare ulteriore imbarazzo ho acchiappato nell’armadio i primi vestiti che ho trovato e son fuggita nel mio sgabuzzino, per fortuna ho preso un paio di sobri jeans e non una gonna corta, quindi, nonostante la maglia non sarebbe quella che avrei indossato in condizioni normali il primo giorno di università, posso dichiararmi soddisfatta.
Mi concentro sulla mia porzione di riso, l’aspetto non è molto invitante, ma mi è sembrata la cosa migliore di tutta la mensa. Mentre assaggio il primo boccone, qualcuno mi si avvicina alle spalle e io sospiro, sfoderando un sorriso, pronta all’ennesimo autografo o all’ennesima foto.
- Scusa…
Mi volto e mi ritrovo davanti un ragazzo. È il ragazzo più alto che abbia mai visto. I capelli neri gli ricadono in un ciuffo sulla fronte che arriva a toccare gli occhi, altrettanto neri. È un bel ragazzo, anche se la sua bellezza è completamente opposta a quella di Hayama ed è diversa anche da quella di Naozumi.
- Sì, sono Sana Kurata e posso farti un autografo. – concludo al posto suo.
Il ragazzo mi guarda perplesso, come se non avesse capito quello che gli ho appena detto.
- Veramente volevo soltanto chiederti se i posti accanto a te sono liberi, visto che non riusciamo a trovare un posto…
- Oh.
- Però non c’è problema… - fa per allontanarsi.
- No, scusa… Fermo! Sono liberi i posti. – mi alzo e lo rincorro, afferrandolo per un braccio.
Lui si volta e mi sorride.
- Grazie, allora vado a chiamare mia sorella.
Gli lascio il braccio, imbarazzata e annuisco.
Probabilmente si sarà spaventato per la mia reazione e adesso porterà sua sorella il più lontano possibile da qui. Ma qualche minuto dopo lo vedo tornare insieme ad una ragazza. È così identica a lui da farmi sospettare che in realtà siano gemelli.
Quando si siedono il ragazzo mi sorride, mentre la ragazza spalanca la bocca non appena mi vede.
- Tu non credo abbia esattamente capito accanto a chi ci siamo seduti. – esclama, rivolgendosi al fratello.
Le sorrido.
- Ciao! – esclamo, tendendo la mano, - sono…
- … Sana Kurata! – esclama lei, entusiasta, - sono tua fan fin da quando giravi Kodomo no Omocha!
Il ragazzo ha ancora un’espressione confusa.
- Dai, la ragazzina di Kodocha! Ha recitato nel film di Ono “La villa dell’acqua” quando aveva dodici anni. – insiste lei.
Finalmente una scintilla di comprensione illumina gli occhi del ragazzo.
- Scusa – mi dice, - non ti avevo riconosciuta.
- Non ti preoccupare. – dico, scuotendo la mano.
- Non fare caso a mio fratello, non è uno a cui piace molto guardarsi intorno ed ha sempre la testa fra le nuvole. Comunque io sono Rumi, Rumi Ogino.
- Piacere.
- Hiroto Ogino. – si presenta il ragazzo.
- Te sei amica di Naozumi Kamura? – sempre la stessa reazione di ogni ragazza.
Mi trattengo dall’alzare gli occhi al cielo.
- Sì, io e Nao siamo amici da tanti anni adesso.
- Non è che…?
- No, non stiamo insieme. – mi affretto a smentirla.
Iniziamo a mangiare e lentamente Rumi si fa sempre più espansiva, al contrario di suo fratello, che si limita a rimanere in silenzio e a rispondere soltanto quando viene interpellato. Mi ricorda qualcun altro. Rumi mi racconta che lei e suo fratello vivevano fuori Tokyo, anche se non molto distanti e che si sono trasferiti qui per frequentare l’università. Rumi frequenta economia, mentre Hiroto, come me, frequenta arte e suona il pianoforte fin dall’età di cinque anni. Hanno sempre desiderato vivere a Tokyo e adesso condividono un appartamento, non è molto vicino all’università, ma in due non si sono potuti permettere niente di più.
Racconto che vivo in un appartamento con quattro miei amici che conosco da quando frequentavamo le elementari e con il mio ex ragazzo con cui mi sono lasciata da un anno e con cui sono diventata “amica”. Mimo le virgolette in aria e poi mi accorgo delle loro espressioni. Perfino Hiroto ha spalancato gli occhi stupefatto.
- Vivi con il tuo ex? – non può fare a meno di chiedere Rumi. Occhiataccia di Hiroto alla sorella.
Annuisco.
- La nostra relazione è sempre stata complicata. Ci siamo innamorati quando avevamo undici anni; quando poi ci siamo messi insieme, lui è dovuto partire per Los Angeles e quando è tornato stavamo ancora insieme. E siamo sempre stati insieme fino a un anno fa.
Espressione ancora più stupita. Non so perché stia dicendo così tante cose a degli sconosciuti, ma con loro mi sento così tranquilla, come se li conoscessi da sempre.
- E perché non state insieme anche adesso?
Hiroto guarda male Rumi per l’indiscrezione della domanda e finalmente lei sembra capire.
- Oh, scusa, non volevo essere invadente.
- No, non ti preoccupare. Comunque era semplicemente finita. Adesso siamo amici, quando non litighiamo, il che accade praticamente sempre.
- Non so come tu faccia. Se dovessi vivere con il mio ex, finirei per staccargli la testa.
Nel resto della pausa scopro anche che Hiroto ha una ragazza nel paese da cui provengono, ma che la relazione a distanza è complicata e che invece Rumi è totalmente “libera e spensierata, con tutta l’intenzione di divertirsi il più possibile”. Alla fine rientriamo per le prime lezioni pomeridiane, io e Hiroto ci sediamo accanto, non è un ragazzo molto espansivo, ma sembra simpatico e mi trovo a mio agio in sua compagnia. Inoltre i suoi sorrisi sono davvero molto dolci.
 
- Ciao a tutti! – mi precipito in casa come un vulcano in piena.
- Deduco che il tuo primo giorno sia andato bene. – Fuka, seduta sul divano, vicino a Aya e Hisae e con un sopracciglio alzato, mi rivolge un sorriso, facendo scoppiare a ridere le altre due con le sue parole.
- Ciao, Fuka! Che bello vederti, volevo proprio chiamarti!
Mi siedo accanto a loro.
- Allora a cosa dobbiamo la visita? – chiedo.
- Domani è il compleanno di Takaishi e pensavo di festeggiare anche con voi sabato prossimo.
- Dovevamo andare a festeggiare il nostro nuovo appartamento al locale di Gomi, perché non uniamo le due feste? – propongo.
- Buona idea! – esclama Hisae.
- Sapete quanto adoro combinare le feste!
Tutte e tre scoppiano a ridere.
- E tu, a cosa dobbiamo questa gioia inaspettata? – chiede Aya, facendomi l’occhiolino.
Arrossisco inconsciamente, se sapesse che anche stanotte ho dormito con Akito…
- Mi sono fatta due nuovi amici. Gemelli, una ragazza, Rumi, che è anche mia fan…
Fanno delle facce, come se fosse ovvio che sarebbe stata mia fan.
- … e suo fratello, Hiroto. Lei frequenta economia, lui invece fa arte come me.
- Mmmh, interessante. – Fuka si fa più vicina. – È carino almeno?
- Sì, bellezza classica: moro, occhi neri, sorriso dolce. Ma, prima che vi possano venire strane idee in mente, è fidanzato da ben due lunghi anni con una ragazza del suo paese.
- Pff, sappiamo quanto è poco probabile che duri una relazione a distanza…
Aya si schiarisce la gola, cercando di far notare a Fuka la sua gaffe, perché la mia relazione a distanza è durata per anni, senza che potessimo mai vederci, mentre Hiroto e la sua ragazza sono solo a poche ore di distanza. Alla fine Fuka si rende conto della mia espressione stranita.
- Oh, quello è diverso, voi due siete soltanto due testardi…
Come se quello che ha appena detto avesse un minimo di significato. Le lancio un’occhiataccia.
Rimaniamo ancora un po’ a parlare e a programmare l’uscita di sabato, poi Fuka decide di rimanere a cena visto che oggi Takaishi è tornato a Osaka dai suoi, per salutarli in vista del suo compleanno.
Quando ci sediamo a cena, l’atmosfera mi sembra più rilassata del solito, ma forse è perché io sono più rilassata del solito.
- Di’, Akito-kun, ti sei fatto qualche amico? – gli chiede Gomi.
Ci mette qualche secondo a rispondere.
- Forse.
Tradotto: no. Come del resto era prevedibile.
- Non ci hai neanche provato eh? – l’occhiataccia che Hayama lancia a Tsuyoshi è piuttosto significativa.
- Io ho conosciuto un paio di persone. – continua Tsu.
- Anche Sana si è fatta dei nuovi amici. – dice Fuka.
Prima che possa incenerirla con lo sguardo, sento un altro sguardo che mi incenerisce il lato sinistro del viso, ma quando mi volto nella sua direzione, Hayama ha già distolto lo sguardo.
- Una ragazza e un ragazzo. – continua Hisae, non so cosa abbiano in mente, ma non mi piace per nulla.
- Fratelli. – conclude Aya. Le lancio uno sguardo infuocato, anche lei è d’accordo con le altre? Lei mi lancia uno sguardo di scuse, come se l’avessero costretta. Non è una buona scusa.
- E Sana ha detto che lui ha un sorriso dolce. – insinua Fuka.
Adesso le labbra di Hayama sono visibilmente stirate in una specie di smorfia, anche se lui continua a mangiare imperterrito, ignorandole.
- Sì, ma è fidanzato. – intervengo.
- Perché non inviti anche Hiroto sabato? – chiede Fuka.
Al sentire quel nome Hayama sobbalza, senza riuscire a controllarsi. Non avevo pensato che era lo stesso nome di Naozumi nel film “La villa dell’acqua”.
- Non mi sembra il caso, ragazze. Lo conosco da un giorno e poi è fidanzato. – marco bene l’ultima parola.
Hayama si alza bruscamente dalla sedia.
- Dove vai? – chiede Tsuoyoshi.
- Esco.
Senza dire una parola di più prende una giacca leggera e si chiude la porta alle spalle.
- Che cosa gli avrà dato così tanta noia? – chiedo.
Tutti mi guardano con gli occhi spalancati, come se non capissero se sto dicendo sul serio oppure sto facendo la finta tonta, ma quando si accorgono che sono seria, iniziano a scuotere la testa.
- Non cambierai mai, Sana-chan. – dice Aya, mentre Gomi scoppia a ridere.

**
Grazie per le recensioni e per chi mi segue! E scusate l'attesa più lunga del solito!

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***



Sono immobile davanti all’armadio da almeno mezz’ora, intenta a fissarne il contenuto senza sapere cosa indossare. Ho appena ricevuto un messaggio da Naozumi che mi comunica che è rientrato a Tokyo e che lunedì possiamo vederci, visto che domani è impegnato con un’intervista. Adesso lavora perfino la domenica.
La mia prima settimana da universitaria è finita, senza notevoli scossoni. Ho approfondito la mia amicizia con gli Ogino e finalmente anche Hiroto si è aperto un po’. Rumi mi ha detto che non lo aveva mai visto parlare tanto con una sconosciuta. Quando le ho detto che facevo un po’ questo effetto a tutti, è scoppiata a ridere.
Sono riuscita ad evitarmi qualsiasi incontro con Hayama all’interno della università, visto che a casa sembra più scontroso e irritabile del solito. Esce a fare grandi maratone, da cui ritorna più imbronciato di prima. Adesso che la temperatura si è un po’ abbassata riesco abbastanza a dormire nello sgabuzzino, anche se la situazione è comunque un po’ soffocante, ma non ho più dormito in camera con Hayama. Non penso di poter reggere nuovamente un risveglio come quello del primo giorno di università e poi lui mi tratta così freddamente in questi giorni che non avrei il coraggio neanche di affacciarmi alla sua porta.
Improvvisamente sento la porta aprirsi alle mie spalle.
- Sei ancora qui?
- Non riesco a decidere cosa mettermi.
- Una cosa vale l’altra.
Mi giro, lanciandogli un’occhiataccia. Si tampona i capelli bagnati per la doccia e indossa soltanto un asciugamano intorno alla vita. Per un attimo rimango imbambolata a guardare il suo fisico atletico.
- Ti sei incantata?
- Stupido. – borbotto, voltandomi di nuovo verso l’armadio.
Poi lo vedo, è un vestito verde, semplice, con un grande scollo sulla schiena, di quelli da indossare senza reggiseno, non che io ne abbia particolarmente bisogno. È sempre stato il vestito preferito di Akito, adorava quando me lo mettevo. Anzi no, in realtà adorava togliermelo. Arrossisco al solo ricordo, quando lo trovo a pochi centimetri dalle mie spalle.
- Che fai? – scatto, allontanandomi.
- Volevo solo prendere un paio di boxer dall’armadio che stai occupando da mezz’ora.
- Ah.
Per un secondo mi sembra che anche il suo sguardo cada sul vestito verde, lasciato lì in bella mostra, ma, prima che abbia il tempo di notare la sua espressione, lui distoglie lo sguardo, prendendo un paio di boxer a caso.
Mi riposiziono davanti all’armadio e sento che inizia a vestirsi alle mie spalle.
- È proprio necessario?
- Eh?
- È proprio necessario che ti vesta adesso?
- Andiamo, Kurata, non fare la pudica, non mi sembra che ti dispiacesse molto vedermi così fino a poco tempo fa.
Arrossisco nuovamente, ma rimango ostinatamente voltata verso l’armadio.
- Anzi, non ti dispiaceva affatto quando me li toglievo, i vestiti.
- Bene, adesso mi dispiace. – esclamo, afferrando una minigonna di jeans e un top rosso scuro e filandomela, prima che lui possa aprire nuovamente bocca.
 
Aspettavo Sana da circa mezz’ora, seduto sul divano di casa sua. Lo sguardo che Sagami mi stava lanciando rischiava di incenerirmi da un momento all’altro. Sapevo di non essere mai stato particolarmente simpatico a Sagami, ma che dopo tutti quegli anni ancora non si fosse abituato alla mia presenza non riuscivo a spiegarmelo. Ma non arrivava proprio a comprendere che la sua Sana non era più una bambina.
Sospirai. Possibile che dovesse sempre essere in ritardo?
- Dove hai intenzione di portarla? – la domanda di Sagami suonava così agguerrita che non riuscii a trattenere uno sguardo irritato nella sua direzione.
- Andiamo ad un luna-park. – risposi, cercando di mantenermi paziente.
Sagami fece per dire qualcos’altro, ma la comparsa della signora Kurata sulla soglia mi risparmiò dal dover subire ancora interrogatori.
- Akito-kun! – mi salutò cordialmente lei, mentre lo scoiattolo le saltellava dalla sua strampalata capigliatura fin sulla spalla.
La salutai a mia volta. Avevo sempre trovato la signora Kurata una persona interessante, forse era lei il motivo per cui Sana era Sana. E le ero sempre andato a genio, nonostante l’opinione negativa di Sagami.
- Sana sta arrivando. – disse.
Ed infatti qualche secondo dopo sentii qualcuno scendere le scale di corsa e Sana comparve sulla porta.
Non appena la vidi mi immobilizzai, rimanendo imbambolato di fronte a lei. Indossava un vestito verde, semplice, che le esaltava le curve dei fianchi, lasciando scoperte le sue bellissime gambe bianche e affusolate. Non si era truccata molto, ma per me era perfetta così: l’espressione radiosa e i capelli sciolti sulle spalle bastavano a renderla splendida. Quando poi si era voltata, avevo notato che la scollatura del vestito era molto bassa e le lasciava scoperta quasi tutta la schiena. Non indossava il reggiseno. Avevo faticato a trattenermi e avevo inghiottito faticosamente, continuando a fissarla.
- Ehi, Hayama, che ti prende? Andiamo? – mi aveva chiesto.
Avevo annuito a fatica, seguendola fuori dalla casa e continuando a fissare la sua pelle levigata, mentre Sagami borbottava qualcosa sull’inappropriatezza di un tale vestito.
Camminando per strada non avevo parlato. Alla fine lei si era voltata nella mia direzione e mi aveva chiesto se qualcosa non andasse, il viso a pochi centimetri dal mio. Involontariamente ero arrossito, come un ragazzino alle prime armi.
- Quel vestito…non mi dispiace…
Lei aveva sorriso, radiosa. Ormai aveva imparato a decifrare il mio vocabolario. Poi aveva fatto una giravolta su sé stessa, mostrandosi in tutta la sua bellezza.
- Davvero ti piace? Rei-kun non era convinto che andasse molto bene. Sosteneva che fosse troppo scollato.
Finalmente eravamo arrivati al luna-park e mi ero accorto che tutti gli sguardi, sia maschili, che femminili, erano calamitati dalla bellezza di Sana. Aggrottai le sopracciglia, fissando ferocemente coloro che ci circondano, sfidandoli ad avvicinarsi a lei.
- Effettivamente Sagami non aveva tutti i torti. – borbottai.
Lei scoppiò a ridere.
- Non sarai geloso?
- Semplicemente non mi va che tu abbia tutti gli occhi addosso.
Lei rise di nuovo, dandomi le spalle e mostrandomi nuovamente la sua schiena perfetta.
Mi avvicinai e le misi un braccio intorno alle spalle.
- Su, non essere possessivo.
Mi prendeva evidentemente in giro.
- Perché non ce ne andiamo di qui? – le avevo sussurrato all’orecchio.
- Ma siamo appena arrivati…
Le passai una mano sulla schiena.
- Credo proprio che non sia il caso di rimanere qui, non so quanto ancora sarei in grado di trattenermi.
Era scoppiata a ridere, colpendomi in testa e dicendomi che ero un pervertito, ma alla fine aveva deciso di seguirmi e io l’avevo portata a casa mia, visto che mio padre era in viaggio a Los Angeles e Natsumi era fuori con delle sue amiche.
Una volta in camera mia, non ero riuscito più davvero a trattenermi e le avevo tolto di dosso quel vestito il prima possibile, sussurrandole quando fosse bella.
Sì, quello era senza alcun dubbio il mio vestito preferito. Amavo quando se lo metteva, considerando poi quello che inevitabilmente seguiva. Quando lo indossava non riuscivo mai a rimanere concentrato più di tanto e finivo sempre per toglierglielo. Sì, adoravo proprio quel vestito.
 
Ho sempre odiato i tacchi alti, perciò ho optato per un paio di sandali neri bassi e semplici, al contrario di Hisae che, fasciata nel suo abito rosa, svetta su dei tacchi troppo alti per i miei gusti. Per fortuna anche Aya sembra detestare i tacchi alti almeno quanto me. Tsuyoshi indossa una camicia celeste, mentre Hayama ha stranamente deciso di indossare una camicia nera, ha sempre odiato essere formale. Gomi è andato qualche ora prima di noi per gli ultimi preparativi.
Ci incontriamo con Fuka e Takaishi davanti a casa nostra. Fuka indossa un vestito bianco con delle stampe a fiori azzurri, le sta divinamente e il suo sorriso risplende quando ci vede scendere.
- Miracolosamente non siete in ritardo. – grida, lanciandomi un’occhiatina.
- No, stranamente Sana è stata puntuale. - risponde Tsuyoshi.
- Dopo aver trascorso due ore davanti all’armadio. – sento Hayama borbottare alle mie spalle.
- Direi che dobbiamo prendere due macchine. – sentenzia Hisae.
- Macchine? Non andiamo a piedi? – Tsuyoshi ci guarda stupito.
- Non penserai mica che io cammini per tutta questa strada con i tacchi, vero? – Hisae lo fulmina.
- E poi dopo sarà troppo tardi per tornare a piedi. – si intromette Aya.
Tsuyoshi, come al solito, cede di fronte alle richieste di Aya e sospira.
- Vada per due macchine.
- Io e Takaishi abbiamo la macchina, tre persone possono venire con noi. Il resto andrà con Hayama. – dice Fuka.
Soltanto all’ultimo secondo, quando Hisae, Aya e Tsuyoshi si sistemano nell’auto di Takaishi, mi rendo conto del loro giochetto.
Gonfio le guance, indispettita, pronta a far sentire le mie proteste, ma Hayama si sta già incamminando verso la sua auto.
- Muoviti. – mi apostrofa.
E allora io lo seguo, borbottando qualcosa, me la pagheranno per questo.
 
Quando Sana si siede sul sedile del passeggero al mio fianco, la sento tesa come una corda di violino. Eppure siamo stati soli così tante volte negli ultimi tempi, abbiamo perfino dormito insieme. Non capisco perché debba farla tanto lunga.
Quando metto in moto e parto, seguendo la macchina di Takaishi, rimane in silenzio. Un silenzio imbarazzante, visto che lei parla quasi sempre. È così strano quando rimane lì, assorta e in tensione.
Non sarà per la scenetta di prima, quando mi sono spogliato in camera? Non vedo dove sia il problema. Poi però rifletto che se fosse stata lei a farlo davanti a me, non so quale sarebbe stata la mia reazione, se sarei riuscito a trattenermi. Perché, nonostante tutto e nonostante non sia più innamorato di lei, è impossibile negare che sono ancora fisicamente attratto da lei, ma solo questo, fisicamente attratto. Fine. In fondo siamo stati intimi per così tanto tempo che adesso mi sembra strano che non lo siamo più. Scuoto via questi pensieri e decido di interrompere il silenzio.
- Allora, come è andata la tua prima settimana da universitaria?
Si volta nella mia direzione e mi sembra di cogliere un lampo di sorpresa nel suo sguardo, anche se posso guardarla solo con la coda dell’occhio, come se fosse strano che io mi interessi alla sua vita.
- Bene. E tu?
È davvero molto poco comunicativa.
Non rispondo alla domanda.
- Ti sei fatta nuovi amici. – non è una domanda e noto con orrore che il tono mi è uscito leggermente troppo irritato.
- Già, Rumi e Hiroto sono davvero simpatici. Mi trovo bene con loro. – finalmente si rianima un po’, anche se il motivo mi dà leggermente fastidio.
- Quindi sono impegnati? – pongo la domanda come se non me ne importasse nulla, ma dentro ardo dalla voglia di conoscere la risposta.
Sana scoppia a ridere, anche se la sua risata è un po’ tirata.
- Sei sempre il solito, Hayama. E la risposta è no, Rumi non è impegnata. Ed ha tutta l’intenzione di divertirsi il più possibile, parole sue.
Eh? Ma che sta dicendo? Finalmente capisco… Ah, la sorella… come al solito non ha capito un tubo. Quanto potrà essere ottusa…Ma questa volta mi trattengo dal farglielo notare.
- E il fratello?
- Fidanzato.
La risposta mi fa provare un sollievo che non dovrei affatto provare.
- Hayama?
- Mm?
- È stata così difficile la nostra relazione a distanza?
Mi volto stupefatto a guardarla, per la sua strana domanda, prima di rivolgere nuovamente gli occhi verso la strada.
- Perché?
- Hiroto e la sua ragazza vivono a un paio di ore di distanza l’uno dall’altra eppure la loro relazione si sta facendo sempre più complicata…
Mi rabbuio, ovviamente.
- Per me non è stata complicata. Certo, è stato doloroso stare lontani e tutto, ma non ho mai trovato complicazioni. – aggiunge lei dopo un po’.
Sento i suoi occhi color cioccolato sulla nuca e vorrei rispondere che per me lo è stata, complicata. Anche dolorosa, certo, soprattutto dolorosa. Ma anche complicata e non nel modo che intende lei o nel modo che intendono quell’Hiroto e la sua ragazza, ma lo è stata perché avere Sana così lontana era complicato. Può sembrare un discorso contorto, ma era così. Per me, che mi ero abituato ad averla sempre vicino e a poterla sempre cercare, qualsiasi cosa succedesse, era stato davvero molto complicato vivere lontano da lei. Mi era mancato il mio punto di riferimento, l’unico punto fermo nella vita dalla mia nascita. Ma ovviamente non mi sogno neanche di dirle una cosa del genere, quindi mi limito a mugugnare qualcosa.
- Ma forse noi siamo un caso a parte. E forse eravamo soltanto dei bambini. Adesso forse sarebbe diverso.
Mi agito sul sedile. Ma cosa sta dicendo? Sarebbe diverso? Eravamo solo dei bambini? Che significa? Che adesso non riusciremo ad aspettarci come abbiamo fatto allora? Mi innervosisco inconsciamente e maledico Tsuyoshi e gli altri per il loro ridicolo trucchetto per farmi stare solo con Kurata.
Rimango in silenzio e anche Sana si limita a fissare il vuoto fuori dal finestrino, assorta di nuovo nei suoi pensieri.
Ad un tratto salta su sul sedile e si sporge nella mia direzione. Il suo profumo di gelsomino e cocco mi assale all’improvviso, mentre il suo viso, a pochi centimetri dal mio, si sporge per vedere qualcosa dal mio lato. La pelle candida delle sue spalle, lasciata scoperta dal top striminzito, attira i miei occhi, che si distraggono per un secondo dalla strada.
- Guarda, Hayama! Quello è il locale di Gomi! – esclama entusiasta, mentre ci passiamo davanti, diretti a un parcheggio.
Mi sforzo di mantenere il controllo sul volante, mentre le mani iniziano a sudarmi, senza neanche sapere perché. Inghiotto la saliva e cerco di spostare il viso dal suo, ma il profumo di cocco continua a invadermi le narici. Fino a quando superiamo il locale e allora Sana si ritira al suo posto, privandomi del suo profumo e, per un secondo, mi sento svuotato di ogni energia e vorrei soltanto poterlo sentire di nuovo così vicino. Ma poi mi scuoto. La serata sarà molto lunga e difficile, se questo è l’inizio. E questo inizio non è stato buono.
 
Davanti al locale di Gomi, svetta un festone con su scritto: “Inaugurazione”.
Gomi appare sulla porta, euforico, e ci invita ad entrare.
La conversazione con Hayama mi ha un po’ scosso, ma cerco di non pensarci, mentre varco il locale del mio amico. Adesso voglio solo lasciarmi il passato alle spalle.
All’interno risuona la musica, a volume troppo alto per i miei gusti. I tavoli sono disposti ai lati della sala, piccoli tavolini di legno chiaro circondati da poltroncine rosse. Appesi alle pareti ci sono immagini di cantanti occidentali e numerosi kanji disegnati spiccano in rosso sulle pareti color crema. Al centro c’è una pista da ballo, occupata già da un gran numero di persone. Rimango piacevolmente stupita dall’atmosfera, non credevo che Gomi potesse creare un locale così di classe. Poi lanciando un’occhiata nella loro direzione, mi rendo conto che probabilmente è stata Hisae a disporre tutti gli arredamenti.
Gomi ci conduce a un tavolo, dicendoci che ha riservato il migliore apposta per noi e ci offre da bere. Prima che abbia il tempo di bere anche un solo sorso del mio drink, Hisae si alza, trascinandomi sulla pista da ballo, insieme a una Fuka divertita e a una recalcitrante Aya. La pista è piuttosto spaziosa e per adesso, non essendo ancora molto tardi, riusciamo a ballare bene senza scontrarci con gli altri ballerini. Alla fine anche Takaishi si alza e viene a ballare con la sua ragazza. Aya si sforza di muoversi un po’, non ha mai amato ballare, mentre io e Hisae ci agitiamo intorno a lei. Alla fine Aya si defila, andando a sedersi accanto a Tsuyoshi, rimasto solo con il suo drink. Hayama è sparito, mi guardo intorno per rintracciarlo e finalmente lo vedo seduto al bancone, sta parlando con una ragazza. Distolgo gli occhi e mi metto a ballare freneticamente, adesso non devo assolutamente pensare al passato. Chiudo gli occhi e seguo il ritmo trascinante della musica, lasciandomi andare completamente. Peccato che, quando riapro gli occhi, la pista sia notevolmente più piena di prima e io non riesca a scorgere Hisae, Fuka e Takaishi da nessuna parte. Incurante, continuo a ballare, fino a quando sento due mani poggiarsi sui miei fianchi. Per un attimo penso che sia Hayama, ma poi mi rendo conto che non si tratta affatto di lui. Mi allontano dal mio assalitore, sposandomi da un altro lato della pista. Ma qualche secondo dopo le stesse mani si fanno largo fino alla mia vita. Mi volto, corrucciata e mi ritrovo davanti un ragazzo enorme, che mi sovrasta di una buona testa, anche se non è alto come Hiroto, con due spalle gigantesche. Mi sorride invitante. Gli urlo di lasciarmi andare, ma lui non sembra afferrare quello che gli dico. Allora mi avvicino al suo orecchio per dirgli di mollarmi, ma lui fraintende il mio gesto e si tende nella mia direzione per baciarmi. Nel momento in cui le sue labbra si posano sulle mie, senza che abbia la possibilità di spostarmi, vista la grandezza delle sue braccia, vengo bruscamente strappata via.
- Ehi, ma cosa...? – ha il tempo di dire il gigante, prima che un pugno lo stenda a terra.
Mi volto in direzione del suo assalitore e riconosco Hayama, i tratti alterati dalla rabbia. Sta per gettarsi nuovamente contro il ragazzo, ma io, cogliendo lo sguardo preoccupato di Gomi vicino al bancone e vedendo che le persone intorno stanno smettendo di ballare, mi frappongo, afferrando Akito per un braccio. Lui si ferma immediatamente, giusto prima di colpirmi. Il mio “assalitore” si alza e con una strana occhiata si allontana.
- Il tuo ragazzo è pazzo. – mi urla dietro. Hayama sta per tornare a colpirlo, ma io lo prendo per un braccio e lo trascino fuori dalla pista e poi dal locale.
Soltanto quando l’aria fresca della sera ci investe, mi rendo conto di quanto caldo ci fosse all’interno e, stordita, mollo il suo braccio.
- Che cazzo avevi intenzione di fare? – la voce troppo alta di almeno un’ottava di Hayama mi riscuote.
Lo guardo sbigottita, dovrei essere io a fargli quella domanda.
- Sei diventata matta oppure sei solo diventata completamente scema?
Finalmente mi riscuoto.
- No, la domanda è che cazzo avevi intenzione di fare tu!? – adesso urlo anche io.
Lui si blocca, non aspettandosi questa reazione.
- Cosa ti dà diritto di picchiare le persone che mi baciano? Non sei più il mio ragazzo!
Il fatto che non desiderassi quel bacio e che gli sia grata di avermi tolto da quella situazione è solo un piccolo fatto irrilevante.
- Cosa?
- Non c’è niente che ti dia il diritto di essere geloso!
- Geloso? Ma tu sei ubriaca, Kurata, se pensi che io sia geloso!
- Certo e allora hai quasi fatto a pezzi un ragazzo soltanto perché respirava la tua stessa aria e guarda caso era proprio quello che mi stava baciando.
- Mi era sembrato di capire che le sue intenzioni non ti fossero gradite.
Infatti non lo erano.
- E che fai? Mi tieni anche d’occhio? Mi sorvegli?
- Pensavo davvero che fossi meno stupida e meno ottusa, invece non finisci mai di stupirmi.
- Ma come ti permetti? Non ti devi intromettere nella mia vita, chiaro? Non più! Tu non hai alcun diritto di criticare me dopo tutto quello che hai fatto. Ti voglio fuori dalla mia vita! Non mi importa più nulla di te!
Non so perché sto urlando queste parole, è ovvio che non le penso, anche se mi ha fatto davvero arrabbiare, e sicuramente anche lui capirà che non è la verità…
Prima che abbia il tempo di aggiungere qualcos’altro, lui si volta e rientra nel locale. Faccio un paio di respiri profondi e rientro a mia volta, andando a sedermi accanto ai miei amici, prima che qualcuno possa notarmi nuovamente.
- Sana-chan, eri sparita, non riuscivamo più a trovarti. Tutto bene? – mi chiede Hisae.
Annuisco poco convinta. Aya e Fuka se ne accorgono e mi vengono vicine.
- Che è successo? – mi chiede Aya.
- Ho litigato con Hayama.
- Tanto per cambiare…
- Abbiamo visto Akito-kun saltare su dal suo posto vicino al bancone e buttarsi nella mischia, poi c’è stato scompiglio ed eravate scomparsi. – dice Aya.
- Ha quasi picchiato un ragazzo che mi stava baciando con la forza.
- E allora per quale diavolo di motivo avete litigato se ti stava difendendo?
- Perché lui non sa che mi stava baciando contro la mia volontà. Si è soltanto intromesso…
Vedo Fuka scuotere la testa.
- Ma quando ci arriverete?
- Dove?
- A capire che siete ancora innamorati l’uno dell’altra.
- Ma noi non siamo affatto innamorati. Io lo detesto e lui fa così soltanto perché odia che si tocchi qualcosa che è suo o, nel mio caso, è stato suo. Sapete quanto sa essere possessivo qualche volta.
- Certo e allora la tua faccia quando hai visto Nori l’altra sera? – interviene Aya.
- Era ovvio che sarei rimasta sconvolta, portarla a casa in quel modo, dove vivo anche io. Non è questione di gelosia, ma di rispetto. E Hayama non ha alcun rispetto nei miei confronti. – rispondo, scolando tutto d’un fiato il mio drink. Non ho mai retto troppo bene l’alcol, ma adesso ne ho proprio bisogno.
- Senza speranza…

**
Ringrazio tutti coloro che hanno recensito, coloro che mi seguono, coloro che hanno messo la mia storia fra le preferite (mi sento onorata) e anche i lettori silenziosi!

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***



Ordino il quarto drink di fila. Gomi me lo serve senza dire nulla, sa che non è il caso di protestare quando sono in questo stato. Le parole di Kurata mi hanno fatto male, anche se non lo ammetterei neanche sotto tortura. “Ti voglio fuori dalla mia vita!”, esattamente le stesse parole che mi ha rivolto un anno fa, quando ci siamo lasciati. Per un attimo vengo preso dal panico che possa succedere di nuovo, che non ci vedremo di nuovo per così tanto tempo, ma poi mi tranquillizzo, questa volta non lo permetterei. Anche se tutto ciò che provo nei suoi confronti adesso è solo rabbia e frustrazione, non posso davvero vivere senza quella ragazza. Ormai non posso più. Eppure non riesco a non ribollire per le sue parole così dure, davvero mi vuole del tutto fuori dalla sua vita? Vorrei tanto prendere a calci qualcosa, come facevo da bambino, ma non credo che Gomi ne sarebbe entusiasta. Mi limito a sbattere il pugno sul tavolo, ordinando un altro drink.
- Ehi, Hayama-kun, che cosa ti è saltato in mente prima? Volevi far venire la polizia il giorno dell’inaugurazione?
Sembra piuttosto irritato e coscientemente non mi sento di dargli torto, ma la rabbia è superiore a qualsiasi altra cosa in questo momento e lo incenerisco con lo sguardo, sicuro che non continuerà a stressarmi. Smentisce immediatamente la mia certezza.
- No, sul serio. Sei un idiota.
Questo è tanto anche per lui, l’unica volta che ha osato sfidarmi così non è finita bene per lui, l’ho steso con un unico pugno, nonostante fosse riuscito a darmene un bel po’ prima, ovviamente per colpa di Kurata, sempre per colpa di Kurata.
- Lasciami in pace.
- Hayama-kun, perché ti comporti così?
- Non credo che siano affari tuoi.
- Perché non vai da lei e le dici quello che provi?
Alzo lo sguardo stupito, tutto mi sarei aspettato tranne che consigli sentimentali proprio da Gomi, devo proprio essere ridotto male…
- Non ti immischiare.
- Se continuerete così finirete per non avere più occasioni e ne avete già sprecate un bel po’.
- Non provo niente per lei! – urlo, ma per fortuna il frastuono della musica copre le mie parole, che giungono soltanto a Gomi.
- E allora perché non mi hai chiesto neanche di chi stavo parlando?
Mi alzo bruscamente.
- Lasciami in pace. Voi… non sapete niente di me, voi non sapete niente di noi!
Esco dal locale e soltanto in quel momento mi rendo conto di quanto l’aria fosse irrespirabile all’interno. Le vie di Tokyo sono silenziose, ormai deve essere piuttosto tardi. Il locale, infatti, inizia a svuotarsi velocemente. Le persone passano davanti a me, alcune ubriache, altre allegre, altre depresse, alcuni in gruppo, altri da soli, altri in coppia, litigando, tenendosi per mano, baciandosi. Rimango lì immobile fino a quando anche l’ultima persona è uscita, forse per dei minuti, forse per delle ore, non lo so. Qualche ragazza prova ad avvicinarmisi e ad abbordarmi, ma non vedendo alcuna reazione da parte mia, si allontanano velocemente. Alla fine anche l’ultima persona esce, eccettuati i miei amici, probabilmente rimasti ad aiutare Gomi.
- Oh.
Sento la voce di qualcuno alle mie spalle.
- Pensavamo che fossi tornato a casa o che te ne fossi andato con qualche ragazza. – Tsuyoshi mi si avvicina lentamente.
Io non apro bocca.
- Sei rimasto qui per tutto questo tempo?
Rimango nuovamente in silenzio.
- Andiamo, vieni dentro. Abbiamo deciso di fare un gioco.
Si volta e rientra.
Mi giro stupefatto. Cosa? Niente prediche, niente discorsi alla Tsuyoshi? Mi sembra quasi che il mondo si sia ribaltato, Gomi che mi fa la predica e Tsuyoshi che non dice niente. Forse non ha saputo quello che è successo, ma mi sembra improbabile, visto che sia Gomi che Sana lo avranno sicuramente sparato ai quattro venti. Decido di rientrare, non serve a niente stare ancora qui.
Li trovo seduti allo stesso tavolo di prima. Bevono e ridono. Anche Sana ride a crepapelle, nella sua bellissima risata. Non sembra affatto essere preoccupata per la conversazione che abbiamo avuto prima, come se davvero non le importasse niente. Però è sempre stata un’ottima attrice… Scuoto via questo pensiero e mi vado a sedere accanto a Tsuyoshi, davanti a Fuka e Takaishi. Kurata sembra leggermente brilla, probabilmente ha bevuto soltanto un drink ed è già fuori di testa, non regge affatto bene l’alcol.
- Oh, finalmente, adesso gioca anche tu! – Fuka mi punta contro un dito, sembra leggermente brilla anche lei, Takaishi le lancia uno sguardo lievemente preoccupato. Mi sono sempre chiesto come potessero stare insieme loro due, sono così diversi.
Anche io e Sana siamo diversi. Certo, eravamo diversi, ma in fondo eravamo più simili di quanto sembrasse. E poi la nostra storia non poteva essere presa d’esempio. Era finita.
- Che gioco? – mi limito a chiedere.
- È un gioco che ho inventato io. – e già qui mi preoccupo.
- Praticamente è obbligo e verità un po’ modificato. Bisogna rispondere la verità, ma si hanno due possibilità in cui si può ricorrere agli obblighi ed evitare la verità, in quel caso la domanda deve essere dirottata a un altro giocatore da colui che non ha risposto, ma quest’ultima persona deve rispondere per forza. Nel caso in cui la prima persona risponda subito, allora tutti gli altri dovranno rispondere alla stessa domanda. Tutto chiaro?
- Non ho alcuna intenzione di giocare. –faccio per alzarmi, ma uno sguardo inceneritore di Tsuyoshi mi intima di rimanere seduto.
- Bene, allora giochiamo tutti. Perfetto. – continua Fuka. – Inizio io.
Fa una pausa, scrutandoci in volto uno a uno.
- Tsuyoshi. – dice infine, - hai mai pensato a qualcun altro mentre facevi l’amore con una donna?
Tsuyoshi arrossisce velocemente, ma la sua risposta suona sicura.
- No.
- Ha risposto subito, quindi ora dobbiamo rispondere tutti.
- No. – Aya.
- No. – Takaishi.
- No. – Sana. Inconsapevolmente mi sembra di rilassare tutti i muscoli. Perché temevo tanto la sua risposta?
- S…sì. – Hisae arrossisce leggermente. Gomi si volta a guardarla, un’espressione leggermente sconvolta.
- Non con te. – si affretta ad affermare lei.
- Sì. – risponde Gomi, - Ma vale lo stesso per ciò che hai detto tu. – specifica.
È il mio turno. Se dicessi di no sarebbe una bugia. Per tutto il dannato tempo del sesso con Nori e con tutte le altre non ho fatto altro che pensare ad un’unica persona.
- Sì. – rispondo. Lo sguardo di Sana si oscura un attimo, ma forse è stata solo una mia impressione.
- Bene, mi è sembrato che siate stati tutti sinceri. Adesso è il tuo turno, Tsu.
Tsuyoshi comincia a guardarsi intorno, imbarazzato.
- Aya. Qual è la cosa che più conta per te? – sempre profondo il nostro Tsuyoshi.
- Tu. – risponde Aya senza esitare, lanciandogli uno sguardo innamorato, che lui ricambia prontamente. Giuro di stare per vomitare e probabilmente non sono l’unico.
- La fiducia. – Takaishi.
- L’onestà di ammettere i propri sentimenti. – Fuka. Senza sapere perché mi sento chiamato in causa.
- Il rispetto. – Kurata sibila la parola quasi fosse un coltello appuntito, che mi attraversa da parte a parte, sento il suo sguardo addosso. Ah, quindi vorrebbe dirmi che io non ho rispetto per lei? La vista mi si annebbia un po’, forse sono più ubriaco di quanto pensassi.
- La passione. – Hisae.
- Divertirsi? – Gomi. L’occhiata che gli lancia Hisae potrebbe incenerire l’acqua.
Adesso è il mio turno. Bene, Kurata, vuoi giocare. Perfetto.
- Non trascurare le persone. – e punto lo sguardo direttamente su di lei e vedo che le si abbassano leggermente le spalle. Adesso non hai più voglia di sfidare la mia pazienza eh? La tensione si fa palpabile.
- Bene, Aya, sta’ a te.
- Gomi. Dove e con chi è stato il tuo primo bacio?
- A stampo o bacio vero? – chiede Gomi.
- Entrambi.
- Ecco… - ci pensa un po’, - Primo bacio a stampo in prima media, con Hisae. Primo bacio vero in prima liceo, con la mia ragazza di allora, non ricordo neanche il nome… - si gratta la testa e tutti scoppiano a ridere, io sono solo nervoso.
È subito il mio turno.
- Primo bacio a stampo alla materna, con Fuka…
- Sì, questa storia la sappiamo tutti. – scoppia a ridere Takaishi.
- Primo bacio vero in sesta elementare, Kurata.
- Aya entrambi i casi, uno in prima media, uno in prima liceo. – Tsu.
- Quanto siete noiosi! – esclama Fuka.
- Primo bacio a stampo la mia ragazza in prima media, primo bacio vero Fuka in seconda media. – Takaishi.
- Akito e Takaishi. – dice Fuka.
È il turno di Kurata.
- Hayama, ed eravate tutti più o meno presenti… Hayama, la sera della festa di metà compleanno. Entrambi in sesta elementare e contro la mia volontà. – sussurra a stento Sana, puntando gli occhi in un’altra direzione. Io ho un ricordo diverso del nostro secondo bacio, ma non ho intenzione di rivolgerle la parola adesso o potrei non controllare le parole. Incrociamo lo sguardo per un attimo, ma lei lo distoglie in fretta.
- Gomi tocca a te.
- Hayama, con quante ragazze hai fatto sesso?
Eh? Lo incenerisco con lo sguardo. Kurata si agita sulla sedia.
- Ehm… - la verità è che non ne ho la più pallida idea, non ricordo niente di loro, sicuramente non quante erano numericamente.
- Se non vuoi rispondere, puoi girare la domanda a qualcun altro e fare un obbligo. – interviene Fuka.
- La verità è che non ne ho idea… - sputo fuori.
La sorpresa attraversa i volti dei miei amici. Pensavano che volessi andare in giro a vantarmi delle mie conquiste da perfetto donnaiolo? Certo, dopo la scena di Nori, non hanno neanche tutti i torti. Kurata sta fissando un punto nel vuoto, con sguardo vacuo, non sembra affatto sollevata come invece avrei pensato.
- Sincero. – sentenzia Fuka.
- Una. – Tsuyoshi, ovviamente.
- Uno. – Aya, altrettanto ovviamente.
- Due. – Takaishi ci sorprende, anche se Fuka non ne sembra affatto turbata.
- Due. – risponde lei, imperturbabile.
- Uno. – la risposta di Kurata è talmente bassa che per un attimo non sono sicuro di aver capito bene, ma quando la risposta raggiunge il mio cervello, sobbalzo impercettibilmente. Ero sicuro che, prima che tornassimo a rivolgerci la parola, avesse frequentato qualcun altro. La fisso in silenzio, ma lei non alza gli occhi, continuando a fissare il punto nel vuoto.
- Tre. – conclude Hisae.
Adesso è il mio turno di chiedere. Non posso fare a meno di rivolgere la mia domanda.
- Kurata.
Finalmente lei alza gli occhi. Mi sembra che tutti si sporgano in avanti, nella nostra direzione.
- Hai avuto qualcuno nel periodo in cui nonci siamo visti?
La mia domanda mi brucia sulle labbra mentre la pronuncio e non appena noto la sua espressione mi pento subito di averla posta.
- Puoi non rispondere. – Fuka mi fulmina.
- Sì… voglio dire, voglio rispondere… - balbetta lei, - La mia risposta è no, non ho avuto nessun altro. – dice, fissandomi per qualche secondo negli occhi, prima di distogliere lo sguardo. Questa non è una domanda a cui tutti possono rispondere, quindi decidono di andare avanti.
Sento Kurata porre una domanda che non ascolto nemmeno a Fuka, che rifiuta di rispondere e come obbligo viene costretta a bere tutto d’un sorso un bicchiere di vodka. La risposta di Sana continua a sbattermi in testa freneticamente, “no”. Sicuramente ha avuto un sacco di occasioni, tutti la adorano. E allora per quale motivo ha detto che mi vuole fuori dalla sua vita? Lo sguardo mi si annebbia di nuovo. Sono ubriaco e sul punto di perdere il controllo.
- Sana. – Fuka mi guarda con uno sguardo omicida negli occhi e poi pone la sua domanda.
- Quante volte ti sei innamorata?
Sana sobbalza, è una mia idea oppure si sono messi tutti d’accordo contro me e Kurata?
- N…non voglio rispondere. – il fatto che abbia rifiutato di rispondere mi fa arrabbiare ancora di più in qualche modo, senza che sappia neanche perché.
- Bene, a chi passi la tua domanda?
Lei ci guarda uno a uno, lentamente.
- Hayama. – dice infine e distoglie di nuovo lo sguardo.
Adesso tutti gli occhi, tranne i suoi, sono puntati nella mia direzione. Sono costretto a rispondere.
- Una volta sola ed è stato il mio salvagente, ma adesso è solo la mia rovina. – il silenzio cala sulle mie parole aspre, più aspre di quanto avessi immaginato e di quanto volessi.
L’espressione sul volto di tutti mi appare allucinata e probabilmente è la stessa che si rispecchia anche nel mio, poi Sana si alza bruscamente e corre verso l’uscita.
 
Finalmente raggiungo la mia destinazione. I miei occhi sono stranamente aridi, non riesco a piangere. So che è tardi. Probabilmente sarà già andato a dormire o forse è in compagnia. La mia mano si blocca sul campanello. Mi sto comportando da egoista a venire in questo modo alla sua porta, di notte. Ma adesso è come se mi sentissi sull’orlo di un baratro, sul punto di cadere. I miei passi risuonano nel corridoio, mentre mi allontano dalla porta. Mi ricordo la sua espressione l’ultima volta che ci siamo visti, sei mesi fa, quando mi ha urlato contro quanto ero stupida a tornare da Hayama, sempre e comunque, e non posso che dargli ragione. E poi la memoria va ancora indietro, a quella volta, durante la mia malattia, in cui lo avevo fatto soffrire così tanto. Non me lo potrò mai perdonare ed è per questo che adesso non busserò alla sua porta. Mi allontano lentamente, senza realmente vedere quello che ho davanti. Poi sento una porta che si apre alle mie spalle.
- Sana-chan? – la voce di Naozumi mi arriva chiaramente alle spalle.
Mi fermo, ma sono ancora dell’idea che sia meglio andarsene.
- Che cosa ci fai qui?
Naozumi si avvicina e mi afferra per le spalle, voltandomi nella sua direzione.
- Sana-chan, che cosa è successo?
Non rispondo, ma finalmente sento delle lacrime calde scendere lungo le guance e cadere disordinatamente sulle sue mani, sulle mie scapole lasciate scoperte dal top, fino a raggiungere la terra. Sono lacrime così enormi.
- Hayama?
Annuisco.
Mi sembra che alzi gli occhi al cielo, ma la mia vista è così annebbiata che ormai non distinguo più nulla.
- Vieni, stanotte puoi stare qui, se vuoi.

**
Ringrazio tutti coloro che leggono la mia storia!

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


Quando mi sveglio ho un mal di testa tremendo. Non ricordo neanche come sono tornato a casa. L’ultima cosa che ricordo è la scenata di Kurata dopo che l’avevo staccata da quel tizio, poi tutto si fa leggermente confuso. Forse abbiamo fatto un gioco. Forse Tsuyoshi mi urlato contro qualcosa, ma non riesco a ricordare bene cosa.
Mi alzo a fatica, tenendomi la testa fra le mani e apro la porta, diretto al bagno. Magari una doccia riuscirà a rimettermi in sesto.
Ma qualcosa mi blocca a metà strada. Tutti gli sguardi dei miei amici sono puntati nella mia direzione e soprattutto non sono affatto amichevoli.
Tsuyoshi, in piedi accanto al divano, sembra che stia per scoppiare in uno dei suoi attacchi da un momento all’altro. Aya seduta sul divano, con l’espressione più severa che abbia mai visto sul suo viso. Hisae con le mani sui fianchi e la bocca piegata in una smorfia. Perfino Gomi mi guarda con disapprovazione.
- Che c’è? – chiedo alla fine.
Solo in quel momento mi rendo conto di una grande assenza. Kurata non c’è. Volto la testa, che continua a pulsare, verso il suo sgabuzzino, ma la porta è aperta e lei non c’è e non è neanche in bagno. Eppure dovrebbe quasi essere l’ora di pranzo, non salterebbe un pasto per nulla al mondo.
- Dov’è Kurata?
- Speravamo che potessi dircelo tu.
- Eh?
- Hayama, non dirmi che non ti ricordi quello che è successo ieri sera. – mi assale Hisae, chiamandomi per cognome e senza alcun onorifico.
Continuiamo a fissarci per qualche secondo, una brutta sensazione che si fa strada dentro di me, fino a quando finalmente capiscono che non ricordo niente.
- Dov’è? – chiedo di nuovo, con voce leggermente alterata.
- Stanotte non è tornata a casa e ieri sera, quando è fuggita, non siamo riusciti a tenerle dietro. Nessuno ci riesce…
Tranne me, concludo la frase nella mia testa. Un’angoscia incontrollabile inizia a farsi strada dentro di me.
- Dov’è?
- Non risponde ai messaggi e neanche alle chiamate, il suo telefono è spento…
- Dov’è?
So di sembrare un disco rotto, ma è l’unica cosa che sono in grado di dire.
- Abbiamo chiamato sua madre e non è andata lì. Sagami era disperato, penso che volesse mobilitare l’intera squadra di ricerca di Tokyo, ma la signora Kurata l’ha tranquillizzato, dicendo che Sana-chan non farebbe mai qualcosa di stupido.
- Io…che… - ho la lingua impastata e non riesco bene a parlare, - che ho fatto?
- Le hai detto che è la tua rovina. – la voce di Tsuyoshi cade come un’ascia sopra la mia testa.
Il panico mi paralizza per qualche secondo, subito dopo perdo il controllo.
 
Apro gli occhi e non riesco a capire dove mi trovo. Sicuramente non è il mio sgabuzzino, l’aria è troppo fresca e luminosa, ma non si tratta neanche della casa di mia madre. Finalmente realizzo di essere a casa di Naozumi e ricordo quello che è successo ieri sera. Alzo la testa, sono sdraiata sul suo letto, ma so con certezza che lui ha dormito sul divano. Mi alzo, indosso un pigiama di Naozumi e mi fa male la testa. Apro la porta, ma non riesco a scorgere il mio amico da nessuna parte. Alla fine, sul tavolo della cucina trovo un suo biglietto.
“Buongiorno, ti ho lasciato la colazione. Ti ho lasciato anche un cambio di vestiti in camera che mi ha procurato Maeda. Io sono andato all’intervista e penso che non rientrerò prima di stasera. Se hai bisogno di qualcosa chiamami. Puoi rimanere quanto vuoi. Nao.”
Sorrido, è così gentile. Ma poi una nuova fitta di senso di colpa mi assale. Mangio la colazione che mi ha lasciato e vado in camera a vedere il ricambio di vestiti. Un sobrio paio di pantaloni grigio scuro e una camicia bianca, perfetto. Improvvisamente mi ricordo dell’appuntamento che avevo fissato oggi con Rumi. Probabilmente sono in ritardo. Guardo il cellulare, ma la batteria è morta e adesso non posso proprio ricaricarlo.
Afferro la gonna e il top che avevo ieri sera, indosso i vestiti di Naozumi e i sandali e mi avvio verso l’uscita. Poi mi fermo e scrivo un biglietto per Naozumi.
“Grazie per la colazione, per i vestiti (fammi sapere quanto devo ridarti) e per ieri sera. Ti chiamo stasera per fissare quando vederci. Grazie ancora. Sana”
Ficco tutto in borsa ed esco di corsa diretta all’appuntamento.
 
- Ciao! – mi saluta Rumi con la mano.
Al suo fianco vedo Hiroto. Non credevo che sarebbe venuto. Ha un’espressione piuttosto cupa.
- Scusate il ritardo! – esclamo. – Ho avuto un imprevisto.
- Non preoccuparti, siamo appena arrivati.
Sorrido e ci incamminiamo per i negozi.
- Non credevo che tuo fratello andasse pazzo per lo shopping. – sussurro a Rumi, mentre Hiroto, qualche passo davanti a noi cammina con la testa bassa e le mani in tasca.
- Ieri sera ha avuto un brutto litigio con la sua ragazza. Non so cosa sia successo e Hiroto non ha voluto parlarne, ma penso che si siano lasciati.
- Ah. Mi dispiace.
- Era talmente giù che gli ho proposto di venire con me al nostro appuntamento e stranamente ha accettato.
- Bene, allora la nostra missione di oggi sarà rallegrare Hiroto! – esclamo, sollevando un pugno verso l’alto.
- Sei veramente una forza della natura, Sana-chan! – ride Rumi.
Un mezzo sorrido mi appare sulle labbra, se mi avesse vista ieri sera non la penserebbe allo stesso modo.
- Andiamo! – esclamo, prendendo Rumi sotto braccio da un lato e Hiroto dall’altro, che mi guarda con una faccia un po’ sconvolta.
Trascorriamo il resto della mattinata visitando una mostra fotografica, che scopro essere la grande passione di Hiroto, oltre alla musica. Non che io sia molto appassionata di fotografia, ma la mostra è davvero molto bella e il lieve sorriso sul volto del mio amico quando usciamo mi fa sentire veramente euforica. Ci sediamo a mangiare in un ristorante specializzato in ramen, il cibo preferito di Hiroto, nonostante io abbia sempre preferito mangiare sushi. Questo pensiero mi causa una fitta al petto, ma cerco di non pensarci. Improvvisamente mi suona il telefono, ma non è il mio cellulare personale, che aveva la batteria completamente scarica, quanto piuttosto il telefono delle chiamate di emergenza del programma radiofonico. Ultimamente ricevo meno chiamate, sia in radio che a casa, dal momento che con l’aumentare dei miei programmi televisivi era sempre più difficile stare dietro a tutto, ma tutt’ora alcune delle persone che ho aiutato in passato, mi chiamano se si trovano ad avere necessità, quindi continuo a portare questo telefono con me.
- Scusatemi. – dico a Rumi e Hiroto, accettando la chiamata.
- Pronto?
- Sana! – la voce di Fuka mi urla nelle orecchie. Lei ha continuato a lavorare al programma più frequentemente di me ed è una delle poche a conoscere questo numero.
- Come stai? Tutto bene? Che ti è successo? – continua a urlarmi contro, con voce preoccupata.
Mi rendo improvvisamente conto che ieri sera sono fuggita senza avvertire nessuno sulla mia destinazione e che, essendo il mio cellulare morto, non potevano rintracciarmi.
- Fuka! – grido, sovrastando le sue domande. – Va tutto bene! Sto bene.
- Davvero? Dove sei?
- In realtà sono a pranzo fuori con Rumi e Hiroto.
- Cosa? Noi eravamo qui preoccupati per te e tu sei a divertirti. – adesso è arrabbiata.
- Scusa, mi ero dimenticata di avvertire gli altri del mio impegno.
- Sana, sei un’idiota. Chiama tua madre e soprattutto Sagami, era così in pena per te che ha quasi mobilitato tutto Tokyo per cercarti.
Mi mordo un labbro, imbarazzata.
- E chiama anche casa tua, erano tutti preoccupati. Soprattutto Akito, avresti dovuto vederlo, sembrava impazzito.
Mi irrigidisco, sentendo il suo nome.
- Doveva pensarci prima di dirmi quello che ha detto.
- Hai ragione, ma sai com’è fatto…
- Non mi importa com’è fatto.
Sento Fuka sospirare.
- Comunque chiama tutti. – dice.
- Ok, scusa se vi ho fatti preoccupare. – riattacco.
Rumi e Hiroto mi guardano con una faccia strana.
- Tutto bene?
Annuisco.
- Scusate un attimo, devo fare un paio di chiamate e poi vi spiego tutto.
Dopo aver rassicurato mia madre e soprattutto Rei, che si è quasi messo a piangere come un bambino, decido di chiamare Aya. La voce con cui risponde al telefono è preoccupata e tesa. Ma la rassicuro in ogni modo possibile e le chiedo scusa per averla fatta preoccupare. Infine rientro nel ristorante.
- Tutto bene? – chiedono di nuovo i miei amici.
- Sì. Ieri sera ho litigato con Hayama, il mio…
- Il tuo ex, quello che vive in casa con te. – conclude Rumi.
- Sì, e sono scappata come una bambina. Mi sono rifugiata a casa del mio migliore amico, che, guarda caso, è innamorato di me dall’età di circa tre anni. Soltanto che non avevo avvertito nessuno e si sono tutti preoccupati.
- Sana Kurata, la tua vita è veramente molto incasinata. – dice Hiroto, rivolgendomi uno dei suoi sorrisi dolci.
- Già. Vi dispiace se vi lascio un po’ prima di quanto avessimo programmato?
- Non preoccuparti, ci vediamo domani all’università.
- Grazie, siete degli amici.
 
Quando giro la chiave nella toppa e mi chiudo la porta alle spalle, il silenzio cala nella stanza.
- Oh, Sana-chan, eravamo così preoccupati. -  Hisae mi corre incontro e mi abbraccia.
Non credevo davvero di averli fatti preoccupare così tanto.
- Mi dispiace, ma davvero… non avreste dovuto preoccuparvi. Io sto benissimo.
Sorrido, fino a quando i miei occhi incontrano i suoi. Ha la solita espressione imperturbabile, ma io lo conosco troppo bene. Dietro a tutta quella sicurezza riesco a leggere tutta la sua preoccupazione, dietro alle mani strette a pugno la sua rabbia. Però anche lui capisce che io sono riuscita a leggere le sue emozioni e distoglie lo sguardo, entrando nella sua stanza, senza aprire bocca.
Tsuyoshi lo segue con lo sguardo.
- Non fare caso a quello che fa adesso, ma fino a quando non hai chiamato, era veramente in pensiero per te. Sembrava davvero impazzito. È corso a casa di tua madre e poi è andato da Fuka. Sembrava una furia.
- Non importa. – dico, quasi con foga.
- Ha detto di non ricordarsi niente di ieri sera. Era ubriaco.
- Sapete come si dice, no? Gli ubriachi dicono sempre la verità. – cerco di sorridere, ma probabilmente mi esce una smorfia.

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***



Ormai sto correndo da non so quanto, freneticamente. Il sudore mi bagna la fronte e le gambe iniziano a dare segni di cedimento. Ma non ho alcuna intenzione di smettere.
Perché ho detto quella cosa? Era ovvio che non la pensassi sul serio, come ha fatto Kurata a prenderla sul serio? Mi conosce così bene, mi comprende meglio di chiunque altro ed è l’unica a leggere le mie emozioni anche dietro il muro che mi sono creato intorno, eppure non ha capito che non stavo parlando sul serio, che non potevo parlare sul serio. Andiamo, lei mi ha salvato la vita, come potrei mai pensare che sia la mia rovina? Soltanto un idiota potrebbe pensare che dicessi sul serio. Sbuffo. A volte sa essere così ottusa quella ragazza.
Ed anche così egoista, come ha fatto a non rendersi conto che saremmo morti per la preoccupazione, che sarei morto per la preoccupazione? Accidenti. Me la vedo davanti, con l’aria dispiaciuta, scusandosi con tutti, ma come se non fosse successo niente di che in realtà. Ma io tutta quella sicurezza non me la bevo, la conosco troppo bene per non capire che c’è qualcosa che la sta tormentando. Si sente in colpa, ma per cosa? Che cosa avrà fatto per tutta la notte? E poi, piccolo dettaglio, di cui nessuno si è accorto eccettuato me, non indossava i vestiti di ieri sera. E se non è stata a casa sua, e la reazione di Sagami fa pensare che non ci sia affatto andata, allora dov’è stata per tutta la notte? E dove ha trovato quei ricambi?
Guardo l’orologio e mi rendo conto che è tardi. Se non sarò a casa per l’ora di cena, probabilmente Tsuyoshi darà di matto, visto che dobbiamo mangiare tutti insieme a meno che non avvertiamo in anticipo e stasera non mi sembra il caso di non presentarsi.
Faccio marcia indietro e inizio a correre verso casa.
Appena entro li trovo già tutti a tavola, lo sguardo teso di Tsu mi avverte che ho quasi superato il limite. Mi siedo pesantemente al mio posto, con un sospiro, e poi iniziamo a mangiare.
Il telefono di Kurata suona per l’arrivo di un messaggio. Non si è ancora cambiata e indossa quegli abiti che non si sa dove abbia pescato. Lei guarda il telefono e sorride, ma io riesco a leggere nei suoi occhi lo stesso pizzico di senso di colpa di prima. La sto fissando in modo talmente intenso che alla fine anche lei alza gli occhi e mi guarda, ma io vigliaccamente distolgo i miei.
- Qualche messaggio importante? – insinua Hisae, con una risatina.
Tutti sembrano allungare il collo verso Kurata.
- No, è soltanto Naozumi.
Hisae le dà una gomitata, ammiccante, e Sana arrossisce di nuovo. Il senso di colpa ricompare nei suoi occhi color cioccolata.
- Gli chiederai del mio negozio?
- Certo, te l’ho promesso.
Dopo cena Tsuyoshi mi intima di aiutarlo a riordinare la cucina e sono costretto a seguirlo.
- Dovresti farlo. – inizia.
- Cosa?
- Chiederle scusa.
Era ovvio che non mi avesse chiamato in cucina soltanto per aiutarlo.
- Sai che odio scusarmi. E lei lo sa.
- Sì, lo sappiamo tutti, lo sa lei, ed è proprio per questo che devi farlo. Altrimenti non la riconquisterai mai.
- Ma io non voglio…
- Andiamo, Akito-kun, smettila di fare scene con me. So che ti manca ogni singolo secondo di ogni singolo minuto di ogni singola ora di ogni singolo…
- Sì, ho afferrato l’antifona. – lo interrompo.
- E allora perché non glielo dici.
- Non sono mai stato molto bravo a parlare di quello che provo.
- Dovresti farlo, prima di perderla definitivamente.
- Non la perderò.
- No, per adesso no, ma se continui così, non credo che impiegherà molto a trovare qualcun altro. Tutti la amano. È una bellissima ragazza, con un carattere splendido, è impossibile non amarla. Io non so dove e con chi abbia trascorso la notte, ma questo qualcuno l’ha evidentemente molto calmata. Se tu continui a farla piangere e qualcun altro continua a consolarla, alla fine si stancherà.
Le parole di Tsuyoshi mi cadono addosso come dei macigni.
- E se io non fossi più innamorato di lei?
- Non ci credi neanche tu. Soltanto lei potrebbe pensare una cosa del genere.
- E se lei non fosse più innamorata di me? – riesco a formulare la domanda.
- Io di questo non posso dirti niente, devi vedertela da solo. Siete ancora due bambini, in fondo. Dopo tutti questi anni non siete cambiati affatto.
Finalmente riesco a liberarmi di Tsuyoshi e a rifugiarmi in camera mia. Mi siedo sul letto, le spalle contro il muro e inizio a fissare il vuoto.
Poi la porta si apre e lei entra. La vedo esitare.
- Sc…scusa, pensavo non ci fossi. – arretra, con l’intenzione di chiudersi la porta alle spalle.
- Sana?
Lei si volta e mi guarda.
Passa un minuto interminabile, in cui ci fissiamo negli occhi.
- Scusa. – riesco finalmente ad articolare.
Vedo i suoi occhi cioccolata spalancarsi per la sorpresa, come se non fosse abituata a sentire le mie scuse ed effettivamente non è una cosa che faccio spesso.
- Non pensavo davvero quello che ho detto. – continuo.
Dopo qualche altro secondo interminabile, finalmente il suo volto si rilassa in un sorriso. Il suo bellissimo sorriso, quel sorriso che dedica soltanto a me o almeno è quello che penso io.
- Ok. – dice semplicemente ed esce.
 
Le scuse di Hayama mi risuonano ancora in mente. Mi ha sorpreso molto il fatto che mi abbia chiesto scusa, non è affatto da lui. E sembravano delle scuse così sincere che alla fine non ho potuto fare a me di sfoderare il mio sorriso, quel sorriso che riservo soltanto a lui, nonostante fossi così arrabbiata soltanto fino a qualche secondo prima.
Mi siedo sul mio letto, poi mi sdraio, le gambe penzoloni dalla sponda inferiore e chiudo gli occhi, oggi è stato difficile, ma ho mantenuto il mio sorriso per tutta la giornata, nessuno si è accorto che ancora non mi ero ripresa del tutto, ma va bene così, era proprio quello il mio intento.
Sento la porta aprirsi e penso che possa essere Aya, anche se è strano che non abbia bussato. La persona entrata esita sulla soglia.
- Vieni! – dico, con la voce più entusiasta possibile, senza aprire gli occhi.
Quando si siede accanto a me sul letto, mi rendo conto che non si tratta affatto di Aya, ma il suo profumo, il suo contatto, tutto mi dice che si tratta di Hayama. Scatto su a sedere, aprendo gli occhi.
- Pensavo fossi Aya. – mi giustifico.
- Mi sembrava strana un’accoglienza così cordiale… - ironizza lui.
Rimaniamo in silenzio, io continuo a guardare il pavimento e lui guarda il muro bianco.
- Sei…
- Quindi…
Cominciamo a parlare contemporaneamente. Da quando la situazione fra noi è così tesa? Forse da quando mi ha detto che sono la sua rovina. Il ricordo mi causa una stretta al cuore.
- Prima tu. – mi affretto a dire.
- No, prima tu.
Sospiro, è cocciuto come al solito.
- Sei venuto per dirmi qualcosa?
Non sembra trovare le parole. Guarda nel vuoto, stringendo un pugno e nascondendo gli occhi sotto la zazzera troppo lunga.
- Dovresti tagliarti la zazzera. – dico e inconsciamente allungo la mano, per spostargli i capelli dagli occhi.
Lui sobbalza per il mio contatto e io ritraggo la mano, confusa.
- Scusa. – dico.
- Non sei tu che dovresti scusarti. Le cose che ho detto…
- Hayama, ho già accettato le tue scuse.
- Ma le hai davvero accettate?
- Sì.
- Quindi tutto come prima?
Come prima quando? Quando eravamo due bambini che si odiavano? Quando eravamo migliori amici e peggiori amici? Quando eravamo innamorati senza il coraggio di stare insieme? Quando finalmente siamo riusciti a stare insieme per poi dover essere brutalmente separati? Come durante la mia malattia? Come eravamo negli anni di Los Angeles? O quando finalmente siamo diventati una coppia quasi perfetta? Come quando non ci siamo rivolti la parola per sei mesi? Oppure come eravamo fino a ieri mattina? Ma cosa eravamo esattamente? Sospiro.
- Certo. – sfodero l’ennesimo sorriso della giornata.
Rimaniamo in silenzio per qualche altro minuto, solo che stranamente la situazione non si fa imbarazzante o tesa.
- Va tutto bene? – chiede all’improvviso.
- Eh? Certo che va tutto bene!
- Ho come l’impressione che tu a volte reciti anche nella vita privata. – sobbalzo, queste parole mi rigettano nel passato, ai piedi di un burrone, quando mi disse che se avevo voglia di piangere potevo andare da lui. Eravamo due bambini, così diversi da adesso. Tutto era più semplice. Ma era davvero tutto più semplice? E siamo davvero così cambiati?
- Siamo davvero così cambiati? – prima che possa trattenermi, le parole mi escono di bocca.
- Non lo so. Forse. – Akito mi risponde, serissimo.
- Sana, lo sai che per qualunque cosa puoi venire da me. Come allora. – evidentemente anche lui ha pensato le stesse cose.
Una conversazione quasi normale con Akito Hayama dopo più di un anno è più di quanto possa mai sperare di ottenere. Adesso sono rilassata, ho incrociato le gambe sul letto, mentre lui si è appoggiato sul muro ed è rivolto verso di me. Era da tanto tempo che non stavamo così insieme.
- Dove sei stata stanotte? – la domanda penetra il silenzio, rompendo quel momento di tregua che si era creato fra noi.
Mi guarda negli occhi, la bocca una linea dritta, impassibile, gli occhi ambrati mi incatenano, senza via d’uscita. Mi metto sulla difensiva senza neanche volerlo, ma è la mia unica salvezza.
- Non credo siano affari tuoi.
- Dove hai trovato quei vestiti?
- Non credo siano affari tuoi. – ripeto.
- Ti stai ripetendo, Kurata. – niente più Sana.
Senza un motivo ben preciso sento che gli occhi mi stanno bruciando e che non riesco quasi più a trattenere le lacrime. Sono decisamente arrivata allo stremo delle forze per oggi.
- Sana? – il suo tono si addolcisce di nuovo.
- Non è nulla. – cerco di sfoderare un nuovo sorriso, ma è proprio questo a farmi scoppiare definitivamente in lacrime.
- Sana? Cosa è successo? Che ti hanno fatto? Dimmelo…dimmelo e io…
- Akito, nessuno mi ha fatto nulla. – rispondo con voce più ferma possibile.
Faccio una pausa, mentre le lacrime mi offuscano la vista.
- Sono andata da Naozumi, ieri sera. – confesso infine.
Vedo i suoi occhi incupirsi, ma stranamente non esplode, come mi sarei aspettata. Questo, non so perché, fa esplodere me. Comincio a lacrimare ancora di più.
- Io…continuo a fargli del male. C…continuo a farlo soffrire. Ma io…io non voglio farlo soffrire. È il mio migliore amico. Non voglio…che soffra a causa mia. – singhiozzo, mentre cerco di asciugarmi le lacrime senza molto successo.
Improvvisamente mi ritrovo fra le braccia di Hayama. Lui mi stringe forte, la faccia nei miei capelli. Io rinuncio ad ogni tentativo di asciugarmi le lacrime e comincio a singhiozzare più forte contro la sua spalla.
- Sana, non è colpa tua. Non puoi addossarti la colpa di tutto…- sussurra, a pochi centimetri dal mio orecchio.
Mi scappa una risatina.
- Che fai? Adesso ridi?
- Rido perché proprio tu che mi dici di non addossarmi tutte le colpe, sei quello che se le addossa sempre tutte.
- Io ho tutti i motivi di addossarmi le colpe, tu no.
- Io non sono così innocente…
Non so perché, ma le mie parole sembrano avere un secondo significato, riferito non soltanto a Naozumi. Rimaniamo in silenzio, abbracciati, non so per quanto. Potrebbero essere ore, come minuti. Lentamente mi tranquillizzo e i miei occhi smettono di lacrimare, il mio respiro si calma. Lui continua a respirare piano fra i miei capelli. Alla fine decido di staccarmi e lui non oppone resistenza.
- Scusa, ti ho sporcato tutti i vestiti.
- Non importa.
Un’altra pausa.
- Sai, Sana? In realtà Kamura è probabilmente più forte di noi due. Forse lo è sempre stato.
- Lo spero tanto. Io gli voglio bene, è il mio migliore amico, ma non riuscirò mai a contraccambiare i suoi sentimenti. – esito, è strano parlare con lui di questo, ma stasera sembra un Akito diverso da quello degli ultimi tempi.
Guardo l’orologio, sono già le 2 di notte. Sgrano gli occhi, non mi ero accorta che fosse così tardi, non so proprio come farò domani ad alzarmi per l’università. Però ho appuntamento con Rumi e Hiroto e dopo con Naozumi.
- Sarà meglio che io vada. – dice Akito e si alza.
- ‘Notte.
- ‘Notte.
Indosso il pigiama, ma non riesco a prendere sonno, gli occhi ancora bagnati dalle lacrime. Domattina probabilmente sarò un mostro.
Dopo qualche minuto la porta si apre e io alzo la testa. Hayama si affaccia sullo stipite.
- Ti va di dormire con me? – chiede.
Annuisco vigorosamente e mi alzo.
Ci sdraiamo uno accanto all’altro e lentamente le sue braccia mi avvolgono. Finalmente riesco ad addormentarmi. Un’ultima piccola lacrima che scende lungo la guancia per depositarsi sulla sua spalla.

**
Ciao! Grazie a tutte per le recensioni, siete così carine! E grazie anche a tutti coloro che leggono questa storia!
In realtà all'inizio volevo cancellare la storia dopo i primi due capitoli, perchè non mi convinceva molto e adesso sono arrivata al dodicesimo capitolo, incredibile!

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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo ***



Mi sveglio. Mi pulsa leggermente la testa e mi sembra di avere due biglie al posto degli occhi. Una presenza calda al mio fianco. Apro gli occhi e improvvisamente mi ricordo delle mie lacrime di ieri sera e del fatto che sto dormendo con Hayama. Stranamente mi sono svegliata prima di lui. Un record rispetto ai miei ritardi.
Il respiro di Akito è regolare, quindi sta ancora dormendo. Una leggera luce penetra dalle persiane. Ciò significa che è già mattina e che tra poco dovremo alzarci. Sospiro, sto così bene adesso, che non ho affatto voglia di muovermi. Avvicino ancora di più il viso al suo. Ha un braccio attorno alla mia vita e l’altro ripiegato vicino ai miei capelli, come se ne avesse retto in mano una ciocca. Probabilmente è così, ha sempre amato toccare i miei capelli. Le sue gambe sono intrecciate alle mie.
Guardo il suo profilo, così perfetto, lo è sempre stato. Le ciglia lunghe che vibrano leggermente sulle guance, probabilmente sta ancora sognando. Le labbra piene, leggermente aperte. E la zazzera troppo lunga che gli ricade sugli occhi. Alzo una mano e gli sfioro una guancia, poi la alzo fino a un sopracciglio e le sue ciglia vibrano di nuovo. Allontano la mano, temendo di averlo svegliato, ma lui rimane immobile, allora continuo la mia esplorazione, fino alla fronte, da cui sposto i ciuffi dorati, poi scendo dall’altra parte, depositando una lieve carezza sull’altra guancia. Infine arrivo alle labbra e ne traccio lentamente il profilo, lui le stringe leggermente, quasi a voler intrappolare il mio dito, ma non si sveglia ancora. Gli infilo nuovamente la mano fra i capelli e mi avvicino ancora di più. Adesso siamo a meno di un respiro di distanza. Lentamente la sua mano si muove e sale lungo la mia schiena, poi Hayama mi avvicina ancora di più, continuando a respirare regolarmente. Tiro un sospiro di sollievo, mentre ritraggo la mano, sarebbe stato imbarazzante. Chiudo gli occhi, respirando il suo profumo, l’inconfondibile profumo dell’unico uomo che abbia mai amato in vita mia e senza neanche volerlo sprofondo nuovamente nel sonno.
 
Quando aprii gli occhi, non riconobbi il luogo in cui mi trovato. La stanza era buia, il letto più piccolo del normale. Allungando una mano non riuscivo a trovare niente di familiare. Eppure non ero agitata. Inconsciamente avvertivo la sua presenza vicino a me, avvertivo il suo profumo, il suo respiro regolare, il suo contatto. Per questo ero tranquilla. Non potevo essere in pericolo fino a quando Akito continuava a stringermi a sé in questo modo.
Finalmente realizzai che ci trovavamo in un albergo di Shirahama, una località balneare. Era la prima vacanza che facevamo da soli. Insomma, con noi c’erano Aya e Tsuyoshi, ma avevamo una stanza da soli, tutta per noi. All’inizio non era stato facile convincere i nostri genitori a lasciarci andare. In realtà, mia madre aveva opposto poca resistenza. Si fidava di me, Akito le piaceva e diceva che ormai eravamo abbastanza grandi per cavarcela da soli. Ovviamente Rei non era stato d’accordo e aveva tentato, senza molto successo, di convincere prima mia madre e poi me di quando questa vacanza fosse inopportuna. Quando poi, per caso, dal momento che avevo fatto di tutto per tenerglielo nascosto, aveva saputo che io e Akito avremmo condiviso la stessa stanza, aveva quasi avuto un attacco isterico. Ancora non aveva accettato il fatto che fossi cresciuta e che non fossi più la stessa indifesa Sana-bambina che aveva bisogno della sua protezione, inoltre Akito non gli era mai piaciuto, fin dal primo momento, anche se la sua assoluta priorità era vedermi felice. Anche il signor Hayama aveva protestato un po’, come se per lui fosse strano che due ragazzi condividessero la stessa vacanza, la stessa stanza e soprattutto lo stesso letto. Ma alla fine Natsumi lo aveva fatto ragionare e anche lui ci aveva concesso il suo benestare.
Così eravamo partiti. Felici, liberi, spensierati. E adesso eravamo al secondo giorno di vacanza. Era la prima volta che io e Akito dormivamo insieme. Certo, non era la prima, né la seconda volta che facevamo l’amore, ma non avevamo mai dormito per davvero insieme per tutta la notte. E io avevo scoperto che mi piaceva, che mi rilassava. Mi sentivo terribilmente sicura mentre le sue braccia mi avvolgevano i fianchi e il suo respiro mi scaldava l’orecchio. Pensavo di non aver mai dormito meglio in vita mia prima di quella notte.
Mi voltai nella sua direzione. Mi circondava completamente con un braccio, quasi possessivo, ma io mi sentivo così libera. L’altro era piegato vicino al suo busto e stringeva qualcosa fra le dita. Con un sorriso mi accorsi che si trattava di una ciocca dei miei capelli. Li teneva così saldamente, che mi sorpresi di non essermi svegliata sentendomi tirare i capelli. Ma per certe cose sapeva essere anche molto delicato. Mi avvicinai al suo viso, depositandogli un leggero bacio sul naso. In quel momento aprì gli occhi e mi ritrovai immersa nell’ambra delle sue iridi.
Sognavo o quello che mi era sembrato di vedere sul suo viso era un sorriso di pura e semplice gioia? Era così raro vedere Akito sorridere così.
- Buongiorno! – dissi.
- Sono bello eh? – bofonchiò.
Scoppiai a ridere, per la strana uscita, tirandogli un pugno sul braccio.
- Sei un egocentrico!
- Però ti piace tanto fissarmi mentre dormo.
Arrossii.
- Idiota!
- Non urlarmi nelle orecchie, Kurata! – ma si vedeva che non era arrabbiato.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo, continuando a fissarci negli occhi. Non era imbarazzante.
- Hai dormito bene? – chiesi.
- Non male. – rispose.
Non potei evitarmi di alzare gli occhi al cielo. A volte le sue risposte mi irritavano proprio, ma questa volta ero troppo felice.
- Io benissimo, invece.
- Non l’avrei mai detto… - rispose, ironicamente, mentre io gli facevo la linguaccia.
- A proposito, hai dormito con una mia ciocca di capelli fra le mani.
- Eh? Penso che te lo sia sognato, Kurata.
- Andiamo, ti ho visto.
- Non farei mai una cosa così sdolcinata e smielata.
- Sei un bugiardo patentato, Hayama.
- E tu sei bellissima, Kurata. – rispose, sporgendosi per baciarmi, ma io mi scansai.
- E questo non sarebbe sdolcinato e smielato? Non va bene, Akito… – risposi, scoppiando a ridere.
Mi guardò contrariato, interrompendomi.
- Non va bene invece che tu parli sempre tanto.
Questa volta lo lasciai fare mentre mi baciava e ben presto mi ritrovai completamente persa nel suo profumo, nel suo sapore, nelle sue labbra. Cominciò a togliermi lentamente i vestiti, continuando a baciarmi con lentezza, ma allo stesso tempo con passione. Io rimasi totalmente immobile, inebetita dallo strano potere che ha sempre esercitato su di me, continuando soltanto a rispondere ai suoi baci, con il corpo sempre più desideroso di lui. Lentamente mi ripresi e cominciai a togliergli i vestiti a mia volta e a baciarlo voracemente. Ma lui continuava il suo gioco, un lento ed estenuante percorrere il mio corpo, con le mani e con la bocca.
- Akito… - ansimai, mentre mi baciava la base del collo.
Sentii le labbra incurvarsi in un sorriso.
- Adesso stai zitta. – disse, avvicinando di nuovo la bocca alla mia e lasciandomi un bacio dolce, mentre con le mani esplorava il mio corpo.
- Comunque ho sempre adorato i tuoi capelli rossi. – mi sussurrò in un orecchio, mentre continuava a baciarmi come se fossi la cosa più bella che gli fosse mai capitata.
 
Il respiro di Sana, a pochi centimetri dal mio viso, si fa finalmente regolare. Allora posso aprire gli occhi. Sento la pelle sensibile dove lei mi ha accarezzato. Dorme tranquilla, si è addormentata con un sorriso. Non mi è mai sembrata così bella, nonostante i capelli in disordine, le occhiaie chiaramente visibili sotto le lunghe ciglia e le tracce delle lacrime di ieri sera. La stringo più forte e lei si accoccola sul mio petto, insinuando il volto nell’incavo del mio collo. Inspiro il profumo dei suoi capelli, gelsomino, cocco e semplicemente Sana. Non pensavo che una persona potesse mai mancarti tanto. Eppure ce l’avevo sotto gli occhi praticamente tutti i giorni. Ma un conto era vederla, un conto era stringerla. Anche se vederla era già un passo avanti rispetto al periodo in cui eravamo stati lontano. Ricordo le interminabili corse a notte fonda, per poi presentarmi a lavoro completamente intontito, quasi fuori di testa.
Le conversazioni con Tsuyoshi, ovviamente tutte a senso unico. Lui che cercava di convincermi a superare la situazione, come se io avessi mai potuto superare la mia storia con Kurata. Non c’ero riuscito a undici anni a dimenticarla, figuriamoci adesso, dopo aver trascorso con lei gli anni più belli della mia vita. Da quando l’avevo conosciuta, aveva rivoluzionato la mia vita in tutti i modi possibili, sicuramente in meglio. Perfino l’ultimo anno prima della nostra separazione, sebbene la vedessi raramente e si dedicasse così tanto al lavoro, occupava insistentemente tutti i miei pensieri.
E poi in quei sei mesi… La vedevo ovunque, ogni volta che accendevo la televisione, quando ne parlavano Tsuyoshi, Aya, Fuka e gli altri, sui cartelloni pubblicitari in giro per Tokyo. Ovunque. Anche se avessi voluto davvero liberarmi del suo pensiero sarebbe stato difficile, figuriamoci considerando il fatto che io non potevo proprio liberarmene.
Poi era sparita per un paio di mesi. Niente apparizioni in tv, meno pubblicità, nessuna promozione della miniserie con Kamura. Niente. Neanche i nostri amici ne parlavano più, come se fosse diventato un argomento tabù. Prima ne parlavano, fregandosene di quello che ascoltavo, ma poi cercavano di non farsi sentire da me quando parlavano di lei, mentre io ero soltanto avido di informazioni, troppo orgoglioso per chiederlo. Alla fine la preoccupazione aveva superato l’orgoglio e mi ero fatto avanti, chiedendo prima a Tsuyoshi. Era stato irremovibile, niente di ciò che avevo tentato aveva sortito alcun effetto, né minacce né lusinghe. Allora mi ero diretto senza sperare più di tanto verso Fuka, che ovviamente era stata testarda come al solito, rifiutando di dirmi alcunché su Sana. Infine mi ero visto costretto a chiedere a Gomi, mettendo da parte anche l’ultima traccia di orgoglio. Era facile metterlo sotto pressione e quando finalmente stava per sputare il rospo, era arrivata Hisae, che lo aveva incenerito con uno dei suoi sguardi micidiali, impedendomi di scoprire la verità.
Mi ero tormentato per mesi, cominciando a comprare stupide riviste di gossip, per scoprire cosa fosse successo a Sana. Tutte parlavano del fatto che si fosse presa una pausa, ma nessuna sembrava dire con chiarezza quale fosse il motivo. Alcuni proponevano illazioni su una sua fuga d’amore con Kamura, ma mi sembrava poco probabile e non c’erano prove, inoltre non mi importava in quel momento, volevo soltanto sapere se stava bene oppure no e qualcosa mi diceva che non era così. Era stato alla fine, scaduti i sei mesi di tempo lontani, che, in una rivista secondaria, mentre ero a lavoro, avevo letto delle indiscrezioni che ponevano Sana Kurata nel reparto di chirurgia di uno dei più prestigiosi ospedali di Tokyo, per un grave incidente avvenuto sul set. Diceva che fosse ricoverata da diversi mesi e che le sue condizioni fossero critiche. Non ero più riuscito a controllarmi, l’ansia, la paura e la preoccupazione accumulata in quei mesi erano improvvisamente esplose. Non so esattamente cosa fosse successo a quel punto. Mi ricordo solo che ero esploso a lavoro, urlando cose incomprensibili alle persone intorno a me, e mi ero ritrovato a correre e avevo corso così tanto da non sentire più le gambe, i polmoni, niente, ad esclusione del dolore al livello del petto. Non ero riuscito ad entrare nell’ospedale dove Sana doveva essere ricoverata, non me l’avevano permesso. Avevano addirittura tentato di fermarmi, per farmi qualche esame, ma ero riuscito a fuggire prima che mi iniettassero qualcosa. Alla fine mi ero ritrovato seduto davanti alle finestre di casa sua, immobile ma non visto. E lì ero rimasto per ore, forse per giorni, senza più la cognizione del tempo. Soltanto quando l’avevo vista, in quel suo vestito perfetto, con quel sorriso perfetto, che stava perfettamente bene. Soltanto allora mi ero calmato, il sollievo era stato palpabile. Il mio cuore aveva smesso di battere come impazzito, avevo ripreso a respirare normalmente, avevo smesso di ansimare e avevo sentito il dolore in tutti i muscoli. Allo stesso tempo avevo provato rabbia, perché nessuno mi aveva detto dell’incidente, perché lei non mi aveva detto niente dell’incidente e perché adesso era di fronte a me, radiosa come al solito e perfettamente in salute.
- È la “ragazzina egoista”. – mi erano sfuggite quelle stesse parole.
E lei di nuovo si era abbassata e mi aveva stretto a sé. E finalmente, dopo sei mesi di sofferenza, avevo capito di essere a casa.
Come adesso, sono finalmente a casa.
 
-Kurata.
Qualcuno mi scuote, mugolo contrariata, non ho nessuna voglia di svegliarmi.
- Kurata, farai tardi all’università.
Mugolo di nuovo.
- Sono le 8,25. Ti conviene alzarti prima di fare una delle tue entrate trionfali in aula.
Spalanco gli occhi e guardo la sveglia di Hayama sul comodino e segna veramente le 8,25 e io che avevo appuntamento con Hiroto e Rumi alle 8,45. Balzo in piedi, Hayama è già vestito e sistemato per andare a lezione, perfettamente in ordine e mi fissa, le mani in tasca. Arrossisco leggermente, ripensando a quello che stavo facendo qualche ora fa.
- So che vorresti stare ad ammirarmi per tutta la mattina, ma il tempo stringe. – riprende lui, ma lo fa con un tono insolitamente scherzoso.
Gli faccio la linguaccia, correndo verso il bagno.
- Gli altri?
- Sono già partiti.
Meno male, almeno non avrò domande indiscrete per un bel po’.
- Potevi anche svegliarmi prima! – urlo dal bagno.
- Non mi sarei divertito tanto, altrimenti. – risponde lui, mentre io esco dal bagno e gli lancio un’occhiataccia.
Mi vesto afferrando le prime cose che mi capitano a tiro, applico un po’ di correttore sugli occhi arrossati e gonfi, ma non ho tempo di truccarmi ulteriormente. In realtà mi trucco raramente.
Akito è appoggiato al tavolo della cucina.
- Devi proprio stare lì a fissarmi? – chiedo, irritata, mentre afferro un paio di biscotti da mangiare durante il tragitto da qui all’università.
- Pensavo di accompagnarti in macchina, ma se preferisci camminare per me va bene. – dice, incamminandosi verso la porta.
- In macchina? – mi blocco, stupita da un gesto così gentile da parte sua.
- Allora vieni o no?
Annuisco, mettendo un biscotto in bocca e seguendolo.
Parcheggia vicino alla mensa universitaria, dove mi devo incontrare con Hiroto e Rumi. Stranamente continua a seguirmi, invece di andare verso la sua università.
- Che fai? – gli chiedo.
- Non posso conoscere i tuoi amici?
- Oh, pensavo che non ti interessasse.
- Mi interessa.
Alla fine riesco a vedere Rumi, che si sbraccia allegra in mezzo alla folla e che si immobilizza all’istante vedendo che non sono sola. Hiroto sembra stare meglio di ieri e fissa Akito in modo strano.
- Ciao. – li saluto, - Lui è Akito Hayama…
- Il famoso Hayama… - esclama Rumi e io le lancio un’occhiataccia, ma la situazione sembra divertire Hayama.
- Loro sono Rumi e Hiroto Ogino. – concludo le presentazioni.
Si salutano, un saluto molto allegro e solare da parte di Rumi, un saluto tranquillo e freddo da parte di Hayama e Hiroto. Ovviamente non sono tipi che fanno amicizia alla prima.
- Dobbiamo andare, le lezioni stanno per iniziare. – mi dice Hiroto, iniziando a incamminarsi verso l’università.
- È proprio un gran fico. – mi sussurra in un orecchio Rumi, prima di sparire, diretta verso economia.
Hiroto mi guarda, impaziente. Gli faccio cenno di aspettare un attimo e mi rivolgo verso Hayama.
- Piaci alla mia amica. – gli dico per rompere il ghiaccio.
Lui spalanca leggermente gli occhi.
- Non mi dispiace. – dice.
Lo guardo male, sapendo che se dice che non gli dispiace, allora Rumi gli ha fatto una bella impressione.
- Qualcuno è geloso? – chiede.
- Nient’affatto! – rispondo.
Mi guarda, quasi maliziosamente.
- Però trovi che io sia bello. – dice.
Gli do un pugno sul braccio e arrossisco.
- Non dire stupidaggini! – grido, alzando il mento in segno di sfida.
- Allora non capisco proprio perché ti piaccia tanto fissarmi mentre dormo.
Cosa? Allora era sveglio! Vorrei sprofondare sottoterra il prima possibile. Abbasso lo sguardo, sconfitta, mentre un leggero sorriso gli increspa le labbra.
- Devo andare, - riprende.
- Ci vediamo stasera? – chiedo, cercando di darmi un contegno.
Annuisce.
- A dopo, Kurata.
- A dopo, Hayama.
 
Cammino lentamente verso Medicina, ho ancora qualche minuto prima dell’inizio del corso di fisioterapia. Ficco le mani in tasca ed alzo gli occhi verso l’alto. Nonostante ottobre si stia avvicinando è ancora piuttosto caldo e il sole splende alto nel cielo azzurrissimo. Scuoto la testa, un commento del genere avrebbe potuto farlo Sana! Ma quando mi capita di trascorrere più tempo con lei può capitare che anche io mi metta a fare commenti tanto sdolcinati.
Inspiro l’aria fresca della mattina e mi arriva alle narici anche il lieve profumo di gelsomino e cocco che mi è rimasto addosso da stanotte.
Ed in questo momento decido che non voglio aspettare stasera per rivederla. So quale è il suo tavolo perché l’ho vista diverse volte sedersi lì con gli Ogino nella scorsa settimana. Non che l’abbia spiata, ma, sbadata com’è, a volte è necessario che qualcuno la tenga d’occhio. E non eravamo così in buoni rapporti da potermi avvicinare al suo tavolo.
Mi sento stranamente euforico e vorrei quasi sorridere, sensazione davvero molto difficile per uno come me. Un camioncino pubblicitario passa lentamente nella strada accanto all’università. Il volto sorridente e vagamente ammiccante di Sana mi sorride. È la pubblicità di uno shampoo e lei è seduta con i capelli al vento. I suoi bellissimi capelli rossi. E allora decido di farle una sorpresa e di andare a trovarla all’ora di pranzo. Da quello che mi è sembrato di vedere stamattina, non è più così ostile nei miei confronti. Mentre lo penso mi stupisco del mio stesso pensiero, sto forse pensando di tornare a essere qualcosa di più che un semplice amico, come hanno sempre detto gli altri? Sono davvero sempre innamorato di lei? La risposta mi viene immediatamente spontanea: non ho mai smesso di amarla e non siamo mai stati amici. Non veramente. E finalmente questa risposta, che mi sono dato, mi libera di un peso opprimente che non mi ero accorto di avere sul petto. Inspiro ed espiro. Ha ragione Tsuyoshi, per quanto mi dolga ammetterlo: se non mi muovo non riuscirò mai a riaverla.

**
Grazie a tutti voi! Soltanto grazie al vostro incoraggiamento sono riuscita ad andare avanti fino ad ora e ad aggiornare così velocemente. Un saluto e un abbraccio a tutti coloro che commentano, che seguono o semplicemente leggono questa storia!

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo ***



Con un abile slalom riesco a liberarmi di tutte le persone che si fermano a parlare in aula alla fine della lezione o che vorrebbero provare a rivolgermi la parola, senza molto successo ovviamente.
Finalmente raggiungo il cortile e tiro un sospiro di sollievo, dirigendomi verso la mensa, per raggiungere Sana. La lezione è finita più tardi del previsto, quindi lei sarà già lì. Mi pregusto la sua espressione sorpresa e magari la comparsa di quel sorriso che dedica soltanto a me. Magari lascerà perdere anche quell'Hiroto Ogino per parlare con me. Sembrano in buoni rapporti, più di quanto potessi sperare, ma è probabile che siano soltanto amici, considerando che lui è anche fidanzato. Non devo proprio preoccuparmi. Per una volta nella mia vita sono tranquillo. Specialmente dopo ciò che mi ha detto su Kamura ieri sera: non penso che avrò alcun tipo di problema con lui, nonostante sembri ancora così innamorato di lei. Sana ha detto chiaramente che lo vede soltanto come un amico e che le fa male ferirlo ogni volta, rifiutandolo. Ciò significa che non lo ama.
Qualcuno mi scuote una mano davanti al viso, ma ci metto un po’ di tempo per mettere a fuoco il volto della persona che mi sta salutando.
- Ciao. – dice.
La osservo per un attimo, incerto, e alla fine riconosco Rumi. È una bella ragazza, un tipo sveglio e interessante.
Le faccio un cenno di saluto con la testa.
- Stai andando da Sana? – chiede ammiccante.
Non rispondo alla domanda.
- Pensavo fosse con te. – dico.
- Io me ne vado a casa per oggi. Ho mal di testa e le mie lezioni sono finite. Sana è rimasta con Hiroto.
- Ah.
- Quando li ho visti per l’ultima volta erano seduti al nostro solito tavolo. È quello…
- Lo so qual è. – rispondo più bruscamente di quanto vorrei.
Lei mi lancia uno sguardo stupito, ma non commenta, poi riprende a parlare.
- Lo stava ancora consolando.
- Eh?
- Hiroto si è lasciato con la sua ragazza e Sana se ne sta prendendo cura come di un cucciolo abbandonato. – Rumi scoppia a ridere, senza rendersi conto del dolore che le sue parole mi causano.
Sono sbalzato nel passato, a quella sera, la festa di metà compleanno. Quando avevo detto a Tsuyoshi che Sana adorava salvare i cuccioli abbandonati e che probabilmente io ero soltanto un altro di loro, Tsuyoshi poi mi aveva suggerito di rivelare i miei sentimenti a Sana, visto che lei non li avrebbe mai compresi. Lei si è sempre presa cura dei cuccioli abbandonati e quelli hanno sempre finito per innamorarsi di lei. Esattamente come è successo a me. E Sana non si è mai resa conto di quanto tutti la trovassero dolce, allegra, bellissima, assolutamente perfetta. Improvvisamente mi ritrovo in ansia e teso. Rumi sembra notare il cambiamento.
- C’è qualcosa che non va? – chiede.
- Devo andare. – le dico bruscamente, una brutta sensazione che si fa strada dentro di me.
La supero velocemente, avvicinandomi al tavolo da dietro l’albero, senza che loro possano vedermi. Appena li vedo, mi blocco.
Sana sta ridendo di qualcosa, con la sua risata contagiosa ed esplosiva e Hiroto la guarda, completamente assuefatto e con la faccia da pesce lesso. Improvvisamente lui le prende una mano e l’attira più vicino a sé, quasi a volerle sussurrare qualcosa. Lei si china per ascoltare, ma dopo aver ascoltato le parole del ragazzo, si allontana leggermente. A questo punto vorrei avvicinarmi, vorrei prendere quel tizio per le spalle e gettarlo il più lontano possibile da lei, ma qualcosa me lo impedisce, sono come immobilizzato al mio posto. Vedo Sana riflettere qualche secondo e poi sorridergli. E quel sorriso mi colpisce dritto al petto. Poi lei dice qualcosa, continuando a sorridere. Si scambiano qualche altra battuta, lui sembra imbarazzato e anche lei, poi Sana si avvicina a lui, per baciarlo.
Prima di vedere oltre, mi volto e mi allontano di corsa. Quanto posso mai essere stupido? Come potevo mai sperare che avremmo avuto un’altra possibilità? Ne abbiamo avute così tante e le abbiamo buttate tutte. Adesso basta. E mentre corro con tutta la forza che ho in corpo, capisco che adesso è veramente finita.
 
Nonostante ieri sera sia andata a dormire tardi e stamattina mi sia svegliata bruscamente, sento energia sprizzare da tutti i pori. Vorrei mettermi a danzare e a cantare qui davanti a tutti, come facevo quando ero una bambina, ma cerco di trattenermi, limitandomi a rivolgere sorrisi calorosi e strette di mano a tutti i possibili fan che ancora non mi avevano individuata la settimana scorsa. Hiroto mi cammina a fianco, sospirando ogni volta che dobbiamo fermarci per parlare con qualcuno, ma la sua espressione è fintamente esasperata, visto che sembra molto più tranquillo di ieri.
Oggi è la giornata più bella di settembre, il sole brilla alto, non si vede neanche una nuvola. L’aria è un po’ più fresca, ma si sta ancora bene.
Finalmente arriviamo al nostro tavolo e troviamo Rumi ad aspettarci. Ancora non ha preso niente. Faccio l’ultimo tratto a corsa per raggiungerla e la stringo in un abbraccio strangolatore.
- Che ti è preso? – scoppia a ridere lei.
- Niente, sono soltanto felice! Oggi è una bellissima giornata! – esclamo, facendo una piroette su me stessa.
- Invece per me non è tanto una bella giornata. Ho mal di testa e me ne vado a casa.
- Ma non hai lezione dopo? – chiede Hiroto.
Rumi scuote la testa e si alza.
- Sono venuta qui a salutarvi. Ci sentiamo.
- Rimettiti! – le urlo dietro, mentre si avvia verso l’uscita del cortile della mensa.
Io e Hiroto ci sediamo, con i nostri vassoi. Lui rimane in silenzio e io chiudo gli occhi, guardando verso l’alto, godendomi l’aria fresca sotto l’albero. Quando li riapro lo trovo a fissarmi.
- Sai, - inizia, - ieri sera la mia ragazza mi ha telefonato, implorandomi di rimettermi con lei.
- Davvero? E tu che le hai risposto? – esclamo felice. Mi immagino una risposta affermativa, visto l’allegria di Hiroto di oggi.
- Le ho risposto di no.
Sgrano gli occhi, stupita.
- La nostra storia era finita già da tempo e io penso che non sia mai una buona idea vivere nel passato. Capisci cosa intendo dire?
Abbasso lo sguardo. In realtà da un lato lo capisco molto bene. Era esattamente ciò che pensavo fino a… Forse fino a ieri sera o a stamattina. Arrossisco leggermente.
- Non lo so. – rispondo.
- Insomma, ho capito che non la amavo più, che non mi importava più niente di lei. Ormai appartiene al passato.
Ma per me, quel qualcuno può davvero appartenere soltanto al passato? Ed è nello stesso identico istante in cui mi pongo questa domanda che mi arriva la risposta. Certo che no. Lui non sarà mai solo e soltanto il passato.
- Per questo ti sono grato per quello che hai fatto ieri per me. Ti sei dedicata a fare quello che più piaceva a me, trascurando ciò che volevi veramente fare tu. E soprattutto, nonostante quello che ti era successo, ti sei preoccupata per me, tralasciando i tuoi problemi. Nessuno aveva mai fatto una cosa del genere per me. Grazie.
Scoppio a ridere, anche se mi sento piuttosto imbarazzata.
- Non ti preoccupare, davvero. Io sono fatta così.
Improvvisamente Hiroto mi afferra un polso e mi attira più vicino a sé. Io mi irrigidisco un attimo.
- Già, tu sei una ragazza veramente speciale, Sana Kurata. E non perché sei un’attrice o qualcosa del genere. Ma perché sei una ragazza capace di aiutare chiunque gli stia intorno, con la tua allegria, il tuo coraggio, la tua forza. Non avevo mai incontrato qualcuno come te.
Le sue parole sono così gentili, così dolci, così sincere eppure non posso fare a meno di sentirmi a disagio. Io non mi sento affatto in questo modo, io sono una ragazza qualsiasi. Mi scosto leggermente e cerco di sorridere.
- Mi chiedevo… ecco, - si interrompe, - se ti andasse di uscire con me?
Sgrano gli occhi, sorpresa, non credevo che volesse arrivare a questo. Resto lì imbambolata per quelli che mi sembrano secoli. Hiroto è un ragazzo carino, gentile, dolce, sincero, chiunque sarebbe felice di ricevere le sue attenzioni. È anche un bel ragazzo. E sembra che io gli interessi davvero, come Sana Kurata-ragazza e non come Sana Kurata-attrice, come invece è sempre successo fino ad ora. Però, c’è un però… Hiroto non è lui. Hiroto non potrà mai essere lui, nessuno potrà mai esserlo. In quel momento me ne rendo conto alla perfezione, come non me ne ero resa conto fino a ora. Anche se probabilmente ero l’unica a non essermene accorta.
- Scusami, Hiroto. Ma non posso.
Arrossisce.
- No, scusami tu. Sono stato troppo brusco.
- No, davvero. Sei dolce…
Fa un sorriso amaro.
- Ma tu sei ancora innamorata del tuo ex. – conclude per me.
Annuisco debolmente.
- Mi dispiace. – continuo.
- Non preoccuparti. Possiamo sempre essere amici.
Gli sorrido con calore e lui ricambia con il suo sorriso dolce.
Poi, impulsivamente, mi avvicino a lui e gli stampo un bacio sulla guancia.
- Grazie. – gli dico, - non capita spesso che qualcuno mi guardi come la vera Sana e non come la Sana attrice.
Lui arrossisce leggermente, ma poi mi sorride di nuovo. E io finalmente realizzo e capisco quello che ho voluto negare fino ad ora. Non posso stare con nessun altro perché non voglio stare con nessun altro. E non ho mai smesso di amarlo. L’unica persona per me è Akito. Nessuno potrà mai neanche vagamente sostituirlo.

**
Come avevo promesso ad alcune di voi, ecco il nuovo capitolo. Spero che vi piaccia! E grazie di nuovo a tutti!

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Capitolo 15
*** Capitolo quindicesimo ***



Naozumi mi aspetta nel bar dove avevamo concordato di incontrarci. Indossa occhiali scuri e un buffo cappello gli copre i capelli. Così almeno sarà meno riconoscibile. Essendo molto più famoso di me, è più spesso soggetto agli attacchi dei suoi fan.
Non appena mi vede un sorriso gli compare sulle labbra. Io lo ricambio, anche se con un attimo di incertezza. Poi ricordo le parole di Hayama e allora mi tranquillizzo.
- Ciao! – lo saluto.
Ci baciamo sulle guance e ci sediamo a uno dei tavolini.
Comincio chiedendogli del film, visto che ieri mattina non ci siamo visti e non c’è stata occasione di parlarne. Lui mi racconta vari aneddoti del film, facendomi ridere, ma in realtà capisco che è molto stanco e che non è un buon periodo per lui.
- Nao, sei sicuro che vada davvero tutto bene? – chiedo, interrompendolo a metà di un altro aneddoto divertente.
Lui si incupisce un attimo.
- Certo, Sana-chan. Va tutto bene, è solo che sono un po’ stanco di questa vita. Sai, perennemente sotto i riflettori. Tu meglio di chiunque altro puoi capirmi.
Annuisco.
- La recitazione sarà sempre parte di me ed è parte integrante della mia vita, ma non può essere tutto. – rispondo.
Non posso vedere i suoi occhi azzurri attraverso le lenti scure, ma sono sicura che si sia incupito di nuovo.
- Perché non ti prendi una pausa? Come me. – chiedo.
Naozumi sospira.
- Vorrei tanto, ma ho un sacco di impegni per i prossimi mesi, ormai tutti confermati.
- E allora portali a termine e poi fermati. Hai bisogno di un po’ di tempo per te stesso! – esclamo, alzando un pugno.
Troppo tardi mi accorgo di aver quasi urlato, attirando l’attenzione di tutti, che iniziano a chiedersi chi sia il misterioso personaggio in compagnia di Sana Kurata. Naozumi scoppia a ridere, ma poi si alza e mi trascina fuori di lì.
Camminiamo un po’ in silenzio, Naozumi sembra riflettere sulle mie parole e io mi zittisco per non disturbarlo.
- Sana-chan…
Alzo lo sguardo verso di lui.
- Adesso stai bene. – non è una domanda, ma un’affermazione.
Annuisco.
- L’ho visto dai tuoi occhi, sono così brillanti, sprizzano gioia.
Gli sorrido.
- Non eri così da un anno. Non sei mai così quando sei con me…
Il sorriso mi muore sulle labbra e un nuovo senso di colpa mi invade.
- Ma va bene, sai. Va bene davvero. Se è lui a farti sorridere in questo modo, ne sono contento…
Un sorriso mesto compare sul suo volto e vorrei che si togliesse gli occhiali per guardarlo negli occhi.
- È solo che non sopporto quando ti fa piangere… - stringe un pugno, mentre pronuncia quelle parole.
- Naozumi… - sento che le lacrime stanno per spuntarmi dagli occhi e stendo una mano verso la sua, per afferrarla, ma lui si allontana appena e mi sorride.
- A proposito, cosa volevi chiedermi? – mi domanda come se avessimo parlato degli argomenti più indifferenti fino ad ora.
Ricaccio indietro le lacrime.
- La mia amica, Hisae-chan, te la ricordi?
Naozumi ci pensa un po’ e poi annuisce.
- Ha aperto un negozio di vestiti, che confeziona lei stessa. Mi ha chiesto se potrei posare con alcuni dei suoi capi per avere maggiore visibilità. Ti piacerebbe posare insieme a me?
Naozumi non esita un attimo ad accettare di farmi questo favore e quindi ci dirigiamo verso il negozio di Hisae. Lei, non appena vede Naozumi, lancia un gridolino e corre nella mia direzione, abbracciandomi.
- Non ci posso credere! Siete venuti davvero!
- Certo, te l’avevo promesso. – le rispondo, mentre mi sta ancora stritolando, Naozumi ride della scena.
Hisae chiude immediatamente il negozio e ci fa andare nel retro, in breve tempo organizza un piccolo set fotografico e ci invita ad indossare alcuni vestiti che ha preparato per noi.
Poi ci scatta delle foto mentre noi posiamo, insieme e separatamente. È così bello lavorare con Naozumi, riusciamo così bene a comprenderci sul lavoro, che ben presto dimentico le mie preoccupazioni e perfino le parole che ci siamo scambiati poco tempo fa e mi immergo totalmente nella mia parte. Alla fine Hisae sprizza gioia da tutti i pori. Sembra al settimo cielo e io non posso fare a meno di essere contagiata dalla sua felicità.
Infine Hisae ci chiede di indossare dei vestiti da sera. Il mio è rosso, con un ampio scollo su tutta la schiena, e scende perfettamente fino alle caviglie, quasi fosse stato fatto apposta per me. Non ho mai indossato un vestito che mi stesse meglio in vita mia. Quando esco dal camerino Naozumi indossa uno smoking blu scuro, con una cravatta dello stesso colore dei suoi occhi. È bellissimo. Lui sembra pensare la stessa cosa di me, perché rimane a bocca aperta, fissandomi.
Hisae ci scatta qualche altra foto. Adesso mi sento lievemente imbarazzata, ma riesco lo stesso ad essere professionale e a sorridere a Naozumi come se fosse ciò che di più bello c’è al mondo. Ed effettivamente Naozumi è veramente molto bello. Ma tutto quello che riesco a pensare, con una piccola fitta, è che vorrei che non fossero i due occhi azzurri di Naozumi a fissarmi in questo modo, ma due occhi color ambra, circondati da ciuffi del colore del miele. Per questo, mentre recito il ruolo di ragazza innamorata per gli scatti della mia amica, quello che vedo davanti a me non è Naozumi e non è Naozumi a stringermi la vita e a spostarmi i capelli dalla spalla e non è Naozumi che si china per mettere a posto la mia scarpa mentre Hisae continua a scattare foto.
Alla fine questa specie di tortura termina e ci togliamo questi bellissimi vestiti. Quando andiamo da Hisae per restituirglieli, lei afferma che li possiamo tenere, visto che li ha fatti appositamente per noi, sperando che veramente andassimo a posare per lei, come ringraziamento. La abbraccio e anche Naozumi la ringrazia.
Mi accorgo, stupita, che è quasi l’ora di cena, perciò usciamo dal negozio che sta quasi facendo buio.
- Nao, che ne diresti di rimanere a cena da noi?
Lui fa qualche complimento, ma alla fine anche Hisae si unisce alle mie suppliche e lui finisce per accettare. Chiamo Aya per avvertirla della presenza di Naozumi.
- Ah. – il suo commento mi sembra strano.
- C’è qualche problema? – chiedo, allontanandomi un pochino dai miei due compagni.
- No, forse è un bene che venga.
Che cosa vuol dire?
- Perché? – le chiedo.
- Abbiamo qualcun altro a cena, stasera.
- Chi?
- Adesso devo andare a finire di preparare… A dopo, Sana-chan. – Aya mi riattacca in faccia.
Chiedo a Hisae se sa chi c’è a cena con noi stasera, ma lei scuote la testa, sorpresa quasi quanto me.
- Stamattina sono uscita prima di te e non sono più rientrata.
- Magari sono Fuka e Takaishi. – ipotizzo, ma qualcosa mi dice che la mia ipotesi è sbagliata, considerando la strana reazione di Aya.
Decido di non pensarci e mi reimmergo nella conversazione con Naozumi e Hisae.
 
La mano di Naozumi si allunga sotto al tavolo e afferra la mia. Gli lancio un’occhiata di gratitudine, mentre cerco di buttare giù qualche altro boccone.
L’aria della stanza è tesa, gli unici che continuano a parlare e a parlare sono Hisae, Gomi e Tsuyoshi. La prima, intenta a decantare le lodi mie e di Naozumi, ha promesso che dopo cena mostrerà le foto a tutti. Gomi che cerca di coinvolgere tutti nei preparativi della prossima festa al suo locale e infine Tsuyoshi, che cerca nervosamente di allentare la tensione. Perfino Aya non sa cosa dire.
Io non credo di aver più aperto bocca da quando, entrata tutta trionfante e al settimo cielo nell’appartamento, ho trovato apparecchiato per sette persone e ho visto Hayama seduto sul divano, con una ragazza a fianco. E non è la stessa ragazza dell’ultima volta.
Si è presentata, dicendo di chiamarsi Sakura e di frequentare medicina con Hayama, e io ovviamente non sono rimasta affatto sorpresa della sua bellezza. Un corpo perfetto, un sorriso perfetto, dei perfetti occhi neri e dei perfetti ricci rosso scuro. Un mix tutto perfetto.
Da quando sono rientrata in casa Hayama non mi ha guardata in faccia neanche una volta e ha perfino ignorato il saluto di Naozumi, da perfetto maleducato. Da allora se ne sta immobile e in silenzio al suo posto davanti a me, come se fosse solo in una stanza e non circondato da persone. Vorrei prenderlo a schiaffi. Perfino Sakura sembra imbarazzata da questo suo comportamento e cerca di rispondere alle domande che Tsuyoshi le pone, anche se probabilmente vorrebbe soltanto sprofondare sotto terra. Bene, in tal caso le darei una mano. Mi stupisco della violenza del mio pensiero e stringo più forte la mano di Naozumi, fino a fargli male. Tanto che lui si lascia andare un piccolo gemito di dolore. Hayama se ne accorge e sbuffa vistosamente, mentre Sakura cerca di attirare la sua attenzione, senza molto successo.
Naozumi si china nella mia direzione e mi chiede in un orecchio se mi sento bene e se me ne voglio andare di lì. Facendolo, mi sfiora l’orecchio con le labbra. Hayama si irrigidisce e sbuffa di nuovo, questa volta più rumorosamente. A quel punto esplodo. Mollo la mano di Naozumi e mi alzo.
- Si può sapere cosa hai da sbuffare? – gli grido contro.
Sakura mi guarda, con quei suoi occhioni neri da bambola, sorpresa dalla mia reazione.
Tsuyoshi interrompe il suo monologo, mentre Aya assume un’espressione preoccupata. Anche Hisae e Gomi si zittiscono.
- Ma che vuoi? – il tono di Hayama è privo di qualsiasi intonazione, così indifferente, che mi arrabbio ancora di più.
- Da quando sono tornata non mi hai salutato, non hai salutato Naozumi e non fai altro che sbuffare qualsiasi cosa faccia. Si può sapere cosa cavolo vuoi da me? – sto urlando veramente troppo.
Naozumi si alza e cerca di calmarmi, ma io lo respingo.
- Non sono affari tuoi. – gli dico.
- Guarda Kurata, a me di quello che fai non me ne può fregare di meno. – risponde Hayama, alzandosi da sedere.
Prima che possa rispondere, anche Aya si alza. Stringe i pugni e sembra sul punto di perdere il controllo. L’ho vista in questo modo soltanto in un’altra occasione in tutta la mia vita: quando ha difeso Tsuyoshi davanti a tutta la classe, dichiarandosi a lui.
- Adesso basta. – esclama, sbattendo il pugno sul tavolo.
Sia io che Hayama la guardiamo, stupefatti. Ma senza protestare ci rimettiamo a sedere.
La cena procede in silenzio e con l’aria tesa più di prima, ma nessuno osa alzarsi da tavola prima del tempo. Alla fine Hisae comincia a far passare le foto che ha fatto e che ha stampato mentre tornavamo a casa. Tutti sono incantati da me e Naozumi e si complimentano per il bel lavoro di Hisae. Infine lei mostra le nostre foto con l’abito da sera.
Hayama, che non ha fatto neanche il minimo commento sui vestiti e su ciò che ha visto, prende in mano una delle foto, in cui Naozumi mi stringe una mano sul fianco e mi guarda negli occhi. Quello che ricambio io sembra uno sguardo innamorato, ma se soltanto Hayama sapesse che cosa stavo pensando mentre guardavo il mio migliore amico in quel modo…
La sua mascella è irrigidita, ma non riesco a leggere la sua espressione sotto la zazzera. Si alza, continuando a stringere convulsamente la foto nella mano destra, che gli trema leggermente. Poi alza gli occhi e mi guarda. E io mi sento gelare di nuovo. Quello sguardo.
- Sai, Kurata, penso proprio che dovresti deciderti, non penso che sia un bel modo di comportarti quello di mantenere in bilico due così bravi ragazzi. – dice, impassibile, indicando con un cenno verso Naozumi, che sussulta leggermente.
Poi Hayama si volta e, continuando a stringere la foto tra le mani, esce di casa, sbattendosi la porta alle spalle e lasciandoci lì basiti. Sakura si alza, a disagio, indecisa se seguirlo o meno, e alla fine si risiede, con uno sguardo irritato nella mia direzione.
- Che cosa stava dicendo? – mi chiede Hisae, confusa.
Scuoto la testa. Evidentemente non si stava riferendo a sé stesso, come secondo bravo ragazzo. E allora a chi si stava riferendo?
- Non l’ho capito.
 
Finalmente raggiungo il posto e mi siedo all’interno del gazebo. Soltanto in quel momento mi rendo conto di stare ancora stringendo convulsamente la foto di Kurata e di Kamura. La guardo di nuovo, con attenzione, nella luce soffusa del parco. Il vestito realizzato da Hisae per Sana è veramente bellissimo, è perfetto per lei. E anche Kamura è notevole nel suo completo. Se lo indossassi io sembrerei un pagliaccio, questo è poco ma sicuro, eppure lui sembra così…perfetto. E rivolge a Sana lo sguardo più innamorato che io abbia mai visto in vita mia. La ama così tanto, fin da quando era un bambino, ancora prima di conoscerla. E lui non l’ha mai fatta soffrire, neanche una volta. È sempre stato il ragazzo dolce, carino e sensibile. Il ragazzo che tutte vorrebbero. Inoltre è un attore famoso, conosce il suo mondo ed è in grado di comprenderla. Eppure lei ha sempre preferito me. Almeno fino a questo momento… Vedendo come lo guarda in questa foto sembrerebbe aver cambiato idea. Eppure soltanto ieri mi aveva assicurato che per lui non può sentire altro che amicizia. Certo, Sana forse stava recitando quando Hisae ha scattato le foto, ma la conosco troppo bene e questo sguardo sembra così sincero. E poi se penso a quello che ho visto stamattina con Hiroto. Non capisco. Kurata non sembra proprio il tipo da divertirsi così con due ragazzi, a cui fra l’altro vuole bene. Ma forse sono io a non conoscerla più, forse ormai siamo così distanti l’uno dall’altra che mi rimane incomprensibile ogni suo comportamento. Forse è davvero finita.
Questo è quello che ho pensato stamattina, dopo averla vista baciare Hiroto, mentre mi affrettavo in direzione di medicina, mentre Sakura si accostava a me per parlarmi e io per la prima volta non la respingevo. Alla fine avevo soltanto voluto vendicarmi e portarla a casa. Di nuovo. Avevo fatto una stronzata e avevo fatto un’altra volta quello che mi ero ripromesso di non fare mai più dopo Nori. Avevo fatto soffrire un’altra ragazza innocente, solo per farla pagare a Kurata. E per farle pagare cosa? Il fatto che non mi amasse più? Quello era solo un problema mio. Dovevo smettere di riversare il mio odio sugli altri e reprimerlo soltanto dentro di me. In fondo era quello che mi meritavo per aver fatto il coglione da tutta la vita. Era ovvio che alla fine persino Sana avrebbe smesso di amarmi. E che avrebbe finito per amare qualche ragazzo per bene, come Naozumi o come Hiroto, e non un caso perso come me. Non avevo mai meritato il suo amore e mai lo avrei potuto meritare.
Mentre mi rendo conto di questo sento ogni traccia di energia abbandonarmi definitivamente. Mi prendo la testa fra le mani, mentre la foto cade per terra. Dopo quelle che mi sembrano ore, riesco ad alzarmi e incamminarmi verso casa, anche se decido di non andare nell’appartamento, non me la sento di vedere nessuno adesso.
Quando busso alla porta di casa Hayama, nessuno risponde. Busso di nuovo, questa volta più forte e questa volta sento dei passi avvicinarsi.
Lo stupore compare negli occhi di Natsumi non appena mi vede. È tutta spettinata, come se l’avessi fatta alzare da letto, mentre stava dormendo. Probabilmente è più tardi di quello che pensassi.
- Akito? Che ci fai qui? – mi domanda, la faccia allucinata.
In quel momento anche mio padre scende le scale e arriva davanti alla porta.
- Che succede Natsumi?
- C’è Akito… non sembra stare troppo bene.
Prima che possa rendermi conto di quello che sta succedendo, mi ritrovo sul letto di camera mia, trasportato dalle braccia di mio padre.
- Ha la febbre… - sento Natsumi agitarsi intorno al mio letto.
- Che gli è successo?
- Non lo so… non ha detto niente.
Mio padre mi costringe a ingoiare una pasticca con un po’ d’acqua. Tutto si fa sempre più confuso intorno a me e lentamente non riesco a vedere più niente, mentre il buio cala su di me. Prima di sprofondare nell’incoscienza riesco a sussurrare un’unica parola:
- Sana…


**
Ciao! Questa volta ci ho messo un po' di più del solito ad aggiornare, mi dispiace! Comunque posso annunciarvi che non manca tantissimo alla fine di questa storia. Penso che possano mancare al massimo 5-6 capitoli.
Ringrazio di nuovo chi commentae segue la mia storia! A presto.

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Capitolo 16
*** Capitolo sedicesimo ***



Tutto sommato non è poi così difficile evitare qualcuno anche vivendo nella stessa casa. Trascorro le mie giornate all’università con Rumi e Hiroto. La situazione con Hiroto è tornata abbastanza normale, nessuno dei due ha più parlato di quello che è successo e non so se Rumi ne è al corrente. A volte mi sento leggermente imbarazzata in sua presenza, ma il suo sorriso dolce è sufficiente a farmi rilassare e l’atmosfera ritorna ad essere quella di un tempo. Quando esco dall’università vado spesso al negozio di Hisae o da Fuka, con cui ho iniziato a trascorrere sempre più tempo. A volte mi vedo con Naozumi. Tutto, pur di non stare in casa.
Dopo aver trascorso una settimana con la febbre alta a casa di suo padre, è tornato all’appartamento, ne sono stata colpevolmente felice, anche se non avrei dovuto. Nonostante tutto, non posso stare lontano da lui, per quanto stargli vicino mi possa causare dolore.
Per fortuna anche Hayama è fuori per la maggior parte del tempo. Adesso che ha ripreso anche a lavorare ci incontriamo così raramente che la situazione è abbastanza sopportabile. I momenti peggiori sono i pasti, quando siamo costretti a stare tutti insieme. Io vorrei evitare di pranzare e cenare tutti insieme, ma Aya e Tsuyoshi sembrano ritenere necessario questo rituale. Per questo, almeno una volta al giorno, sono costretta a rimanere nella sua stessa stanza. Non che litighiamo o cose così. No, assolutamente. Non siamo mai andati d’accordo come adesso. Ognuno è freddamente gentile con l’altro. Ma mi sento talmente rigida che ogni volta finisce per passarmi la fame. Da quando mi sono resa conto di essere ancora innamorata di lui e ho capito che invece lui non lo è più affatto, mi sembra di essere ripiombata indietro, quando, tornata dalle riprese de “La villa dell’acqua”, dovevo affrontare per la prima volta i miei sentimenti delusi e la relazione di Akito e Fuka. Con la piccola differenza che questa volta sono totalmente certa dell’assenza di un qualsiasi sentimento di Hayama nei miei confronti.
Anche gli weekend non sono semplici: niente università e niente lavoro. Per questo qualche volta siamo costretti a stare insieme, quando usciamo con gli altri, quando andiamo al locale di Gomi. Io cerco di mantenere un profilo basso, non ballo più, non bevo più. Aya sta iniziando a preoccuparsi per me, ma io le ho assicurato che sto benissimo. Ed effettivamente è quello di cui cerco di convincere anche me stessa. Senza troppo successo, aggiungerei. Ma questi sono dettagli irrilevanti.
Per fortuna Hayama sembra volermi evitare con tutto sé stesso, quindi spesso la sera esce. Non so con chi e non lo voglio sapere. E non riesco neanche a capire se il fatto che esca mi dia una qualche forma di sollievo perché non sono costretta ad affrontare i suoi occhi dorati, o se, nel momento stesso in cui esce di casa, io non veda l’ora che torni. Ovviamente mi dico che devo dimenticarlo, che devo smettere di amarlo. Ma dopo tutti questi anni non ho ancora capito che non è possibile?
Spesso vado a visitare Naozumi sul set di qualche pubblicità che sta registrando in questo periodo o lo incontro dopo che ha diretto un qualche programma in diretta. Ovviamente sono sempre la benvenuta in questi luoghi, tutti sono contenti di rivedermi dopo tanto tempo. Rei, cercando di cogliere la palla al balzo, mi tampina ogni giorno, proponendomi nuovi ruoli e nuove prospettive che mi sono state offerte. Ma ogni volta rifiuto, persistendo nella mia idea di prendermi una pausa dal lavoro. Anche Naozumi a volte prova a chiedermi quando ho intenzione di tornare sugli schermi, ma io gli rispondo la verità, ossia che non ne ho assolutamente idea e che ora come ora non me la sento. Lui non commenta, ma vedo che è preoccupato per me. L’altro giorno ha provato a parlarmi della mia situazione con Hayama, ma io ho tergiversato, cambiando argomento, e lui non ha insistito. Perfino Aya e Fuka hanno smesso di insinuare che prima o poi torneremo insieme, forse anche loro hanno capito che lui non è più innamorato di me.
Ormai che sono sicura che non potrò mai dimenticare il mio amore per lui, l’unica cosa che posso fare è cercare di andare avanti, imparando a conviverci.
 
Tutto sommato non è poi così difficile evitare qualcuno anche vivendo nella stessa casa. Trascorro le mie giornate all’università da solo. Se prima evitavo di parlare con le persone, adesso evito proprio le persone. L’altro giorno Sakura ha provato ad attirare la mia attenzione, ho sentito qualcosa di simile all’imbarazzo per quello che era successo l’ultima volta che ci eravamo visti, ma poi lei ha capito che non era aria e mi ha lasciato in pace. Mi sono sentito uno stronzo.
Quando esco dall’università vado a lavoro. Lavorare mi fa bene, mi rilassa, il karate ormai è una parte così essenziale della mia vita che non posso più farne a meno.
Dopo aver trascorso una settimana con la febbre alta a casa di mio padre, sono tornato all’appartamento. Nonostante tutto, non posso stare lontano da lei, per quanto starle vicino mi possa causare dolore.
In realtà non ci incontriamo spesso. Adesso che ho ripreso anche a lavorare ci incontriamo così raramente che la situazione è abbastanza sopportabile. I momenti peggiori sono i pasti, quando siamo costretti a stare tutti insieme. Io vorrei evitare di pranzare e cenare tutti insieme, ma Aya e Tsuyoshi sembrano ritenere necessario questo rituale. Per questo, almeno una volta al giorno, sono costretto a rimanere nella sua stessa stanza. Non che litighiamo o cose così. No, assolutamente. Non siamo mai andati d’accordo come adesso. Ognuno è freddamente gentile con l’altro. Ma mi sento talmente irritato e frustrato che ogni volta finisce per passarmi la fame. Da quando mi sono reso conto di essere ancora innamorato di lei e ho capito che invece lei non lo è più affatto, mi sembra di essere ripiombato indietro, quando eravamo due bambini e lei non riusciva mai a capire cosa provassi e io ero troppo stupido, troppo orgoglioso per dirle realmente quali fossero i miei sentimenti. Con la piccola differenza che adesso sono assolutamente convinto che lei non mi ami più. Differenza non irrilevante.
Anche gli weekend non sono semplici: niente università e niente lavoro. Per questo qualche volta siamo costretti a stare insieme, quando usciamo con gli altri, quando andiamo al locale di Gomi. Io mi allontano il prima possibile e bevo qualche drink, ovviamente senza mai strafare, non voglio che succeda la stessa cosa dell’ultima volta. Ma lei non si muove mai dal suo posto, immobile, senza rendersi mai conto che io la sto fissando. A volte Gomi mi chiede se va tutto bene ma io gli dico di non impicciarsi e che sto bene. Ed effettivamente è quello di cui cerco di convincere anche me stesso. Senza troppo successo, aggiungerei. Ma questi sono dettagli irrilevanti.
Per fortuna Sana sembra volermi evitare con tutta sé stessa allo stesso modo in cui lo faccio io. Spesso la sera esco. Gli altri pensano che vada in giro con qualcuno e che ogni sera esca con una ragazza diversa. La verità è che passo la serata e a volte anche parte della notte a camminare per la città, in silenzio, da solo. A volte corro, ma a volte mi sembra mi manchi addirittura la forza per quello. Ovviamente mi dico che devo dimenticarla, che devo smettere di amarla. Ma dopo tutti questi anni non ho ancora capito che non è possibile?
A volte Tsuyoshi prova a parlarmi e chiedermi cosa ho intenzione di fare e se voglio continuare ad andare avanti così, ma, quando vede che i suoi discorsi sono più buttati al vento del solito, non commenta, anche se vedo che è preoccupato per me. Natsumi ha provato a chiedermi qualcosa durante la mia malattia, quando iniziavo a rimettermi, ma, come al solito, non è riuscita a farmi dire niente.  Anche mio padre ha provato a parlarmi alla fine, ottenendo lo stesso risultato di mia sorella. Perfino Aya e Fuka hanno smesso di insinuare che prima o poi torneremo insieme, forse anche loro hanno capito che lei non è più innamorata di me.
Ormai che sono sicuro che non potrò mai dimenticare il mio amore per lei, l’unica cosa che posso fare è cercare di andare avanti, imparando a conviverci.

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Ciao a tutti! Questo capitolo è un tentativo, non sapevo se inserirlo o meno, ma alla fine ho deciso di metterlo lo stesso, anche se non mi convinceva del tutto. Ho pensato che potesse essere il modo migliore per mostrare la sofferenza dei nostri personaggi, in particolar modo visto che soffrono nello stesso identico modo e che continuano a non capire niente. Ditemi se il capitolo ha un senso di esistere oppure no! Aspetto i vostri commenti! E ringrazio di nuovo quelli che leggono e commentano! A presto

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassettesimo ***



Lo scroscio della pioggia mi sveglia bruscamente. È domenica, per cui non ho niente da fare. La mia intenzione era dormire fino all’ora di pranzo. Superare il pasto imbarazzante come ogni giorno e poi filarmela a casa di mia madre, dove posso trascorrere un po’ di tempo in santa pace. Ma la pioggia ha rovinato ogni mio piano.
Ormai l’estate è definitivamente finita e adesso è arrivato un freddo-umido penetrante, nutrito da ingenti acquazzoni, che durano poco, ma sono così bruschi che non si riesce quasi a vedere a un metro di distanza quando ci si cammina in mezzo.
Mi giro e mi rigiro nel letto. Guardando l’ora, mi accorgo che sono appena le 8 di mattina. Cerco disperatamente di riaddormentarmi, ma alla fine cedo e mi alzo, indossando una felpa larga sopra il pigiama. Quando apro la porta dello sgabuzzino mi accorgo di non essere sola. Tsuyoshi è seduto sul divano e ascolta qualcosa con le cuffie, anche se sono sicura che non sta dormendo. Ha preparato il caffè e ne sta lentamente sorbendo il contenuto. Quando mi avvicino per versarmene una tazza, apre gli occhi e mi vede.
- ‘Giorno. – bofonchio.
- Ciao, Sana-chan. Che ci fai sveglia a quest’ora? – chiede sorpreso.
- Mi ha svegliato la pioggia e non sono riuscita a riaddormentarmi.
Faccio segno verso la finestra del soggiorno. Il cielo è talmente coperto che entra pochissima luce. Non so perché, ma questo mi deprime. E pensare che io odio la troppa luce al mattino.
- E tu? – chiedo.
- Insonnia. Non riesco mai a dormire troppo. Per me arrivare alle 8 è già un grande traguardo.
Mi lascio andare ad una risatina, che però mi esce fiacca.
- Non so come tu possa resistere. – rispondo, avvicinandomi al divano.
Mi siedo e accoccolo le gambe, sorseggiando il caffè.
Il silenzio si prolunga. Appoggio la testa sul bordo del divano e chiudo gli occhi. Una grande stanchezza si impossessa di me. Sospiro.
- Sana-chan?
- Mmh? – mugolo, senza aprire gli occhi.
- Tu non stai bene.
Spalanco gli occhi. Non è una domanda, è semplicemente un’affermazione. Detta così semplicemente, così dolcemente, in modo così disinteressato. Tsuyoshi è sempre stato l’amico responsabile, il punto di riferimento per tutti. Una roccia sicura a cui aggrapparsi. E non solo per me. So che anche per Hayama è la stessa cosa. L’ho sempre visto quasi come un fratello maggiore.
Sospiro di nuovo.
- Perché lo dici?
- Non sei la stessa Sana di sempre. Quella che trascina gli altri nelle sue folli idee, che ride sempre, che balla, che danza. La Sana che riesce a trovare sempre la soluzione a tutto. Il punto di riferimento di tutti noi.
Ok, come non detto… Non riesco a comprendere le sue parole. Come posso essere io il punto di riferimento di tutti loro? E pensare che ho appena dedotto che è Tsuyoshi ad esserlo.
- So quello che stai pensando. – dice. – Tu pensi che il punto di riferimento possa essere io, così responsabile, così serio. Oppure Aya-chan, così dolce. Ma la verità è che tu sei il cardine della nostra amicizia. Dell’amicizia fra me, Aya, Akito, Hisae, Gomi e Fuka. È così raro che individui tanto diversi fra loro rimangano amici da quando sono bambini. Spesso si cambia, si cresce, non si riesce più a comprendere e a farsi comprendere da coloro che ti sembravano tutto l’universo fino a qualche anno prima. Lo so, succede. Le amicizie cambiano, quasi sempre.
Fa una pausa, io mi limito ad osservarlo, con gli occhi spalancati.
- In realtà, Sana-chan, è la tua energia, la tua vitalità, la tua forza, a tenerci tutti insieme. Dopo così tanti anni, dopo così tanti cambiamenti. È impossibile fare a meno di te per troppo tempo, fare a meno della tua gioia di vivere. Per questo alla fine non possiamo più fare a meno l’uno dell’altro, perché amiamo la sensazione di stare tutti insieme. Tu sei il cardine di tutta la nostra storia, tu sei senza alcun dubbio la protagonista.
- Tsu… ma che stai dicendo? E tu e Aya? Hisae e Gomi?
- Non sto dicendo che io stia insieme ad Aya grazie a te. Io amo Aya-chan più di qualsiasi altra cosa al mondo, ma chissà come sarebbero andate le cose se non fossimo stati tutti amici. Lo stesso vale per Hisae e Gomi. Se non fossero stati nostri amici avrebbero realizzato alla fine che si amavano? Non lo so, probabilmente sì, ma probabilmente no. Non sto dicendo che sia tutto merito tuo. No… solo che sei tu a renderci tanto vicini gli uni agli altri. E non so spiegarti perché.
Si interrompe di nuovo.
- Per questo adesso tutti sentiamo che qualcosa non va, che l’atmosfera è tesa, che non stai bene. Tutti noi lo sentiamo e siamo come privati del nostro punto di riferimento. Per questo quando ti ho detto che non stai bene, non era una domanda, ma un’affermazione. Noi lo vediamo.
Non riesco a capire molto bene il punto del discorso di Tsuyoshi, anche se mi sembra una cosa totalmente campata in aria. Per cui rimango in silenzio, a riflettere sulle parole. Posso davvero essere così importante? Alla fine è di nuovo lui a rompere il silenzio.
- Si tratta di Akito-kun, non è vero?
Sobbalzo.
- Quando siamo venuti ad abitare qui, tutti quanti abbiamo sperato che finiste per capire la vostra idiozia e che alla fine sareste tornati insieme. Quando vi ho visti dormire nello stesso letto ho sperato che finalmente ci foste arrivati. Ma sfortunatamente non avevate capito proprio nulla. Poi è successa tutta la storia della discoteca. A quel punto pensavamo tutti che ormai il vostro fosse un caso perso. Abbiamo smesso di sperare perfino noi.
Lo ascolto in silenzio, stringendo la tazza con forza tale che le unghie ormai sono sbiancate.
- Poi di nuovo è successo qualcosa ed eravate più vicini di quanto non foste stati fino a quel punto. Non avete detto niente, ma noi lo abbiamo sentito. Cambia tutto, qui dentro, quando le cose vanno meglio fra voi. Piccoli dettagli, ma che noi percepiamo. Ad esempio Akito che canticchia mentre fa la doccia, tu che ricominci a svegliarti troppo tardi per andare in facoltà. Dormi molto, quando sei rilassata. E con questo torniamo a stamattina. Non stai bene.
Mi guarda dritto negli occhi, attraverso le lenti spesse dei suoi occhiali, come a sondarmi a fondo.
- Ed è questo che non riesco a capire. Che cosa è successo di nuovo? Questa volto non ci sono stati litigi, sfuriate, scenate di gelosia. Niente di niente.
Si interrompe, aspettando una mia risposta, ma la verità è che non sono in grado di fornirgliela, dal momento che non la conosco neanche io. La mattina tutto andava bene e la sera tutto andava peggio di prima, inspiegabilmente.
- Non lo so…
- Non ci credo. – la voce di Tsuyoshi è così severa che per un attimo sobbalzo.
Ho capito che Akito non mi ama più. Il suo sguardo, la sua durezza, la sua fuga, quella sera in cui Naozumi era venuto a cena da noi, mi avevano convinta più di qualsiasi parola.
- Akito non mi ama più. – sussurro alla fine.
Tsuyoshi sembra sul punto di arrabbiarsi, ma mantiene il controllo.
- E cosa te lo fa pensare? – dice.
- Quella sera… quando sono arrivata a casa con Naozumi e lui era lì con Sakura. Non mi ha rivolto la parola, mi ha ignorata, come quando ci siamo lasciati. Poi ha visto la foto con Nao, quella dei vestiti da sera, e tutto quello che mi ha detto è stato soltanto che dovevo scegliere fra Naozumi e qualcun altro, non riferendosi chiaramente a sé stesso. Con una tale freddezza, come se non gli importasse niente di me e di quello che facevo. E poi è fuggito… Avrei preferito una scenata, mi sarei arrabbiata, ma avrei saputo che gli importava ancora qualcosa di me. Invece, quella freddezza mi ha rigettata indietro a quando l’ho lasciato e lui non ha fatto nulla, non ha detto nulla. - ho sparato tutto fuori come una macchinetta, senza quasi riprendere fiato.
- Capisco. – si limita a dire Tsuyoshi.
- Che significa?
- Niente, solo che continui a non afferrare il nocciolo della questione. – dice, come se fosse una cosa ovvia.
Sento la rabbia montarmi dentro.
- Non affrontate mai la verità, non vi decidete mai ad affrontarla, a meno che non intervenga qualcuno di esterno alla situazione e vi sproni. Ma adesso siete adulti, e basta, non ho più alcuna intenzione di spronarvi. Potete continuare a rovinarvi la vita a vicenda se volete, ma noi non interverremo più.
Adesso è lui quello arrabbiato. Rimango un attimo interdetta, senza capire quello che sta dicendo. Lui si alza, diretto alla sua camera. Alla fine si volta.
- Sana-chan, ma quanto potrai essere idiota… basterebbe guardare l’aspetto fisico delle ragazze di Akito-kun per capirlo e tu invece continui a non vedere mai niente.
Scuote la testa e poi entra in camera, chiudendosi la porta alle spalle.
Eh? Le ragazze di Akito? E che c’entra il loro aspetto fisico? Le parole di Tsuyoshi sono assolutamente prive di senso per quel che mi riguarda. Mi alzo, arrabbiata, sbatto la tazza sul tavolo e poi mi sbatto la porta dello sgabuzzino alle spalle. Possibile che debbano sempre parlare tutti per enigmi?
 
La porta della stanza di Kurata sbatte, distogliendomi definitivamente dal mondo dei sogni. Ultimamente non riesco a dormire molto bene e passo gran parte della notte con gli occhi spalancati a fissare il soffitto, fino a quando riesco a prendere sonno, nelle prime ore del mattino. A volte vorrei alzarmi e andare a correre, ma adesso me ne manca la forza, non ho più neanche voglia di correre. E questo per me è strano. E poi non voglio che Tsuyoshi mi senta e poi mi faccia una ramanzina su quanto sia antisalutare la vita che faccio. Adesso sono sempre così irritato con il mondo che potrei rispondergli in un modo di cui poi potrei pentirmi.
So che non è molto tardi e sono stupito che Kurata sia già sveglia adesso. Non è da lei. Possibile che neanche lei riesca a dormire? Magari per il mio stesso motivo. Scaccio bruscamente il pensiero quando mi vedo davanti la scena di lei e Hiroto a pochi centimetri di distanza e poi il suo sguardo innamorato verso Kamura nella foto di Hisae. Alla fine mi alzo e decido di fare qualcosa, non ha alcun senso continuare a rimuginare così.
Apro l’ultimo scatolone, che non ho ancora sistemato. L’ho nascosto sotto il letto, in modo che nessuno si accorgesse di nulla. Come lo apro il mio cuore salta un battito. In bella vista la mia piccola collezione di dinosauri, quello regalatomi da mio padre quando ero piccolo e a fianco il dinosauro di Sana. La sciarpa avvolta intorno al collo. Mi rivedo davanti il momento in cui me l’ha dato, il suo sorriso spontaneo, quando mi ha detto che non importava che non le avessi fatto un regalo perché aveva saputo da Tsuyoshi che mi ero impegnato molto nel cercarlo. Poi quel minuscolo pupazzo di neve in giardino. E infine il bacio. Il nostro primo vero bacio. Quando lei non si era spostata. No, aveva deciso di rimanere lì e lasciarsi baciare da me. Nonostante poi non avesse capito quello che provavo e tantomeno quello che lei provava per me, per un secondo io avevo davvero visto tutto il mio futuro, davanti. Futuro che di certo non comprendeva me, intento a guardare un bizzarro ricordo con il cuore infranto. Allontano i due dinosauri dalla mia vista e continuo a esplorare l’interno della scatola.
Più sotto una copertina rosso scuro mi balza alla vista e sobbalzo. Non ricordavo di aver preso il libro di Neruda quando avevo preparato gli scatoloni da trasferire nell’appartamento e non ricordavo neanche di averlo visto mentre sistemavo la mia roba. Lo apro e lo sguardo mi cade sulla dedica scarabocchiata da Sana “Sarò la tua sabbia, la tua erba, il tuo cielo, la tua felicità. Ti amo. Tua per sempre, Sana”. Ricordo quando me l’aveva dato. Si vergognava leggermente. Non era da noi fare gesti tanti romantici. Io lì per lì non avevo capito, ma quando poi avevo aperto il libro, l’avevo trovata. La poesia del giorno felice.
Apro il libro e lo sfoglio, fino a raggiungere la pagina giusta.
“Questa volta lasciate che sia felice,
non è successo nulla a nessuno
non sono da nessuna parte,
succede solo che sono felice
fino all’ultimo profondo angolino del cuore.
Camminando, dormendo o scrivendo,
che posso farci, sono felice.
Sono più sterminato dell’erba nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto, gli uccelli in cima,
il mare come un anello intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l’aria canta come una chitarra.
Tu al mio fianco sulla sabbia, sei sabbia,
tu canti e sei canto.
Il mondo è oggi la mia anima
canto e sabbia, il mondo oggi è la tua bocca,
lasciatemi sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché sì,
perché respiro e perché respiri,
essere felice perché tocco il tuo ginocchio
ed è come se toccassi la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.
Oggi lasciate che sia felice, io e basta,
con o senza tutti, essere felice con l’erba
e la sabbia essere felice con l’aria e la terra,
essere felice con te, con la tua bocca,
essere felice.”
Nel momento esatto in cui avevo sentito o letto quella poesia, non ricordo esattamente come era successo, avevo subito pensato a lei. Non perché fosse la poesia più romantica del mondo. Probabilmente Neruda stesso ne aveva scritte di molto più romantiche e sentimentali. Ma perché era semplicemente così che mi sentivo quando lei era con me. Felice.
Come potevo essere stato tanto idiota da perdere l’unica persona capace di farmi accettare me stesso, di mettermi in pace con me stesso, di rendermi, appunto, felice? Soltanto un idiota poteva riuscirci ed io effettivamente lo ero.
Così, privandomi di sé stessa, del suo amore, di lei, mi aveva privato di ogni felicità. Per sempre.
 
Il telefono suona insistentemente da qualche secondo, ma sono troppo affaticata per potermi alzare e rispondere, quindi rimango sprofondata nel letto, la schiena contro la parete dello sgabuzzino. Ma quello non sembra avere la minima intenzione di smettere. Le parole di Tsuyoshi continuano a rimbalzarmi in testa come particelle impazzite, ma io non riesco ancora a trovare loro un senso compiuto. Maledetto Tsuyoshi.
Alla fine, con un sospiro, mi alzo e afferro il cellulare. Quello smette di suonare nel preciso istante in cui sto per rispondere. Guardo il numero e leggo il nome di Natsumi sopra di esso. Sorpresa, premo il tasto di richiamata, preoccupata che possa essere successo qualcosa. Il mio cuore salta un battito quando penso che possa essere successo qualcosa ad Akito, ma sono quasi sicura che la porta della sua camera non si sia mai aperta, quindi probabilmente si trova ancora lì a dormire beato.
- Pronto?
- Ciao, Sana-chan! Spero di non averti svegliata. – esclama Natsumi, allegra.
- No, non preoccuparti. C’è qualche problema?
- Nient’affatto! Deve sempre esserci un problema per chiamarti? – scoppia a ridere, allora mi raddolcisco.
- Scusa, è che stamattina mi sono svegliata male.
- Capisco, allora mi dispiace averti disturbata…
- No, non preoccuparti, davvero!
- Volevo sapere se ti andava di uscire ad incontrare una vecchia amica. È così tanto che non usciamo insieme.
Sì, sono esattamente tredici mesi che non usciamo insieme. Evito di farglielo notare e rispondo affermativamente. In fondo uscire era tutto quello che volevo e adesso ho una scusa valida.
Indosso un paio di jeans, una camicia nera e mi copro con una giacca, visto che sta continuando a diluviare. Poi esco dalla stanza.
Aya e Hisae sono sedute al tavolo della cucina, intente a bisbigliare qualcosa, ma subito si zittiscono appena mi vedono. Il loro comportamento mi irrita. Gomi probabilmente è ancora a letto e non vedo traccia di Tsuyoshi.
- Esci? – chiede Aya.
Annuisco.
- Natsumi mi ha chiesto di vederci per pranzo, quindi non contatemi a tavola.
- Natsumi Hayama? – chiede sorpresa Hisae.
Annuisco di nuovo e mi avvio verso l’uscita.
- Prendi almeno un ombrello, Sana-chan! – mi urla dietro Aya.
Torno indietro e afferro un ombrello, prima di precipitarmi in strada.
Sono lo stesso completamente bagnata quando raggiungo il luogo dove Natsumi mi ha chiesto di incontrarla.
La saluto baciandola sulle guance. Sembra molto tranquilla e felice, per cui mi rilasso. Adesso sono sicura che non sia successo niente di che.
Per un po’ parliamo del più e del meno. Lei mi racconta di come vanno le cose a lavoro e io le parlo dell’università e di come tutti stiano cercando di farmi tornare a recitare, anche se io ho deciso che non è ancora il momento. Nessuna delle due accenna ad Hayama e quindi l’atmosfera si fa via via più rilassata. Alla fine mi sento come se ci fossimo viste solo un paio di giorni fa e non più di un anno fa. Inoltre mi sento piuttosto rinfrancata, avevo proprio bisogno di parlare del più e del meno con qualcuno che non facesse di tutto per analizzarmi, come mi sembra invece succeda ultimamente quando parlo con la mia famiglia e i miei amici, Naozumi compreso. Nel frattempo ordiniamo da mangiare e per la prima volta da settimane mi ritrovo a strafogarmi sul cibo come mio solito. Alla fine del pranzo ci alziamo e ci accorgiamo che ha smesso di piovere. Decidiamo quindi di fare una passeggiata. Lentamente ci incamminiamo nella direzione del mio appartamento, ma con molta calma e in silenzio. Alla fine è lei a rompere il silenzio.
- Ti chiederai perché ti ho chiesto di incontrarmi?
- Non era perché volevi rivedere una vecchia amica senza alcun fine secondario? – le chiedo, buttandola sul ridere, anche se ho la sensazione che non sarà così semplice.
- Si tratta di Akito…
Ovviamente. Rimango in silenzio aspettando che continui.
- Sai, mi dispiace di non essermi fatta molto sentire in questo ultimo anno, ma la situazione mi imbarazzava abbastanza. Specialmente i primi mesi, era così distrutto. Non usciva mai dalla sua stanza, se non per andare a scuola e per andare a karate.
Uno sbuffo inconsapevole mi sfugge dalle labbra, Natsumi alza gli occhi nella mia direzione, interrogativa.
- Quando ci siamo lasciati non provava più niente per me. – mi spiego.
- Sana-chan… Possibile che tu conosca tanto bene mio fratello eppure riesca così spesso a non capirlo?
- Io… - mi interrompe.
- Sai, prima Akito era diverso, era un bambino così problematico, così chiuso. Ovviamente gran parte della situazione era colpa mia. – un piccolo lampo di senso di colpa le attraversa il volto, sospetto che non si sia ancora del tutto perdonata per quello che è accaduto anni fa.
- Natsumi…
- No, lasciami finire. È stata colpa mia, in gran parte. Però anche io ero una bambina, che non aveva la forza di affrontare quello che era successo. E nostro padre era così assente, così distante… Ma poi sei arrivata tu. Un turbine di gioia di vivere e di vitalità e lo hai cambiato…ci hai cambiati. Tutti quanti. Non sai quanto ti sono grata per questo e quanto hai reso la vita di tutti noi migliore.
Mi sembra di risentire le parole di Tsuyoshi di questa mattina.
- Io non ho fatto niente. – rispondo.
- Invece sì. Hai salvato la vita di mio fratello e indirettamente hai salvato anche la mia. E adesso, a distanza di tutti questi anni, voglio ricambiarti il favore.
La guardo, confusa dalle sue parole. Cosa?
Ormai siamo davanti alla porta del mio appartamento e Natsumi non ha ancora spiegato le sue strane parole. Mi volto per salutarla e lei mi sorride.
- Quando Akito è tornato a casa, la sera che si è ammalato, ha chiamato un nome, che ha continuato a ripetere diverse volte mentre era incosciente per la febbre.
Fa una pausa, io sono impietrita, totalmente incapace di aprire bocca.
- Ha pronunciato il tuo nome, Sana. Come fa ogni volta che si trova in difficoltà, da quando aveva undici anni.
Detto questo Natsumi si volta e si allontana, rivolgendomi un ultimo sorriso.
Io rimango lì imbambolata. Perché mi ha detto questo parole? Cosa significano? Forse che è ancora innamorato di me? Improvvisamente le parole di Tsuyoshi mi balzano alla mente.
“Basterebbe guardare l’aspetto fisico delle ragazze di Akito-kun per capirlo e tu invece continui a non vedere mai niente”
E finalmente capisco a cosa si stava riferendo. Nori e Sakura e probabilmente tutte le ragazze con cui Hayama era uscito dalla nostra rottura avevano qualcosa in comune. E non era soltanto la bellezza mozzafiato. Avevano qualcos’altro in comune: i capelli rossi.
E questo cosa significa? Che Akito mi ama ancora? Che non ho capito niente? Sbuffo irritata. Dannato Hayama! Perché deve sempre essere tutto così complicato?
Inizio a salire le scale come una forsennata, diretta alla stanza di Hayama.

**
Ciao a tutti! Finalmente è successo qualcosa che ha smosso un po' la situazione.
Scusatemi se ho inserito di nuovo il testo della poesia "Ode al giorno felice" di Neruda, ma la trovo così bella che non ho saputo resistere.
Spero che il capitolo vi piaccia! A presto!

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Capitolo 18
*** Capitolo diciottessimo - Komorebi ***



Apro gli occhi, sentendo la porta di ingresso sbattere rumorosamente. Dei passi pesanti avanzano all’interno dell’appartamento. Mi tolgo le cuffie con cui stavo ascoltando la musica e mi metto a sedere sul letto. Sento un leggero scompiglio in soggiorno e riconosco la voce di Sana che spicca su tutte le altre. Sembra piuttosto irritata e impone a tutti il silenzio, prima di avanzare pericolosamente nella mia direzione. Alla fine la porta si apre e me la ritrovo davanti.
Il volto di Sana è arrossato dalla rabbia e i capelli sono disordinati e umidi per la pioggia appena caduta. Mi guarda per un attimo con un’espressione di sfida e si sbatte la porta alle spalle, ponendosi esattamente davanti a me, le mani sui fianchi.
Senza neanche sapere cosa mi attende mi metto sulla difensiva, pronto ad accogliere il suo slancio d’ira.
- Che vuoi, Kurata? – mi esce dalla bocca, con il tono più indifferente che mi riesce di mettere su. Non lo ammetterei neanche sotto tortura, ma in questo momento mi spaventa abbastanza.
Lei spalanca gli occhi e poi si acciglia di nuovo, come se la mia risposta l’avesse ulteriormente irritata, però rimane in silenzio, senza riuscire a trovare le parole. È veramente strano che lei rimanga senza parole, di solito sono io quello che rimane in silenzio senza dire niente.
- Perché? – le esce finalmente di bocca, con voce strozzata.
- Perché cosa? – le chiedo.
- I capelli…
Eh? Per un attimo la sua strana risposta mi disorienta. Non riesco a capire se sia sul punto di scoppiare dalla rabbia o di scoppiare in lacrime, ma non ho alcuna intenzione di abbassare la guardia.
- Tu mi devi una spiegazione. – continua.
La parola spiegazione mi fa sussultare, non mi è mai piaciuto, dare spiegazioni.
- Non so cosa tu stia vaneggiando. – rispondo, tranquillo, freddo, anche se dentro di me continuano a frullare mille congetture diverse.
La vedo esitare ancora, come se dovesse buttare giù un boccone amaro. Apre la bocca diverse volte per poi richiuderla.
- Perché le ragazze con cui esci hanno tutte i capelli rossi? – sputa fuori alla fine.
Sussulto, ma riesco a recuperare velocemente il controllo.
- Eh? Tu stai vaneggiando. Capelli rossi? Non ci avevo neanche fatto caso.
- Ah certo. Ovvio. – adesso è sarcastica.
- Pensi davvero di essere sempre il centro dei miei pensieri? – le dico, con la voce più fredda che riesco a sfoderare.
Lei mi guarda, come se l’avessi ferita profondamente. Poi si volta ed esce, sbattendosi la porta alle spalle.
- Non hai capito niente… - le sento sussurrare, mentre corre via da me.
Cosa? Cosa non ho capito? Ma cosa diavolo sto facendo? Voglio davvero lasciarla andare così senza aver capito cosa significano le sue parole? Mi avrebbe davvero affrontato in questo modo se non le importasse più nulla? In fondo in tutte queste settimane mi ha sempre ignorato, deve pur essere successo qualcosa che l’abbia indotta a venirmi a parlare. Ma cosa? E poi quelle parole… “non hai capito niente”, che significavano?
Prima di poterci pensare ulteriormente, apro la porta, allucinato.
I miei amici sono immobili, con gli occhi spalancati. Poi Aya si riprende e mi indica la porta d’uscita.
- È andata di là, muoviti.
Mentre spalanco la porta, mi appunto mentalmente che dovrò ringraziare Aya. Così inizio a correre, senza sapere bene a cosa sto andando incontro.
 
Mi siedo sulla panchina del giardinetto vicino a casa nostra, dove il giorno del nostro arrivo mi sono rifugiata. La panchina è ancora umida, ma ha smesso di piovere e il cielo si è fatto inaspettatamente azzurro, anche se la temperatura è ancora bassa. Non mi ero neanche accorta del cambiamento.
Ripenso alle parole di Hayama, alla loro freddezza e di nuovo si insinua dentro di me il dubbio che tutto quello che i miei amici hanno notato, quello che Natsumi ha sentito non siano altro che frutto della loro immaginazione. Poi sento dei passi affrettati alle mie spalle e vedo Hayama passare quasi di corsa vicino al punto in cui mi trovo. Non appena mi vede, rallenta il passo, fino a raggiungere la panchina. Allora si siede. Tiro su le ginocchia e ci appoggio la fronte, decisa a non fare la prima mossa.
- Ti ricordi la prima volta che abbiamo litigato, dopo il mio ritorno dall’America? – dice.
Non rispondo, ma è ovvio che me ne ricordi. Era successo un paio di mesi dopo il suo ritorno, per un motivo stupido che neanche riesco a ricordare. Ma non era quello il punto. Non c’eravamo parlati per due giorni e quei due giorni erano stati quasi più lunghi di tutto il tempo in cui non c’eravamo visti. Alla fine il bisogno reciproco era stato così forte che ci eravamo ritrovati l’uno nelle braccia dell’altro prima ancora di essere riusciti ad aprire bocca. Era stato tutto così semplice.
- Perché prima era sempre tutto così semplice e adesso non lo è più? – chiede.
Esattamente la stessa cosa che mi domando anche io, da mesi. Di nuovo non rispondo.
Il silenzio si protrae per un tempo lunghissimo, alla fine mi chiedo se se ne sia andato, lasciandomi qui da sola. Quindi alzo la testa, ma lui si trova ancora lì. Il sole fa strani giochi di luce sul suo volto, mentre lui guarda fisso davanti a sé.
Stranamente è di nuovo lui a parlare.
- Dove sei stata oggi?
Sono stupita che gli altri non gli abbiano detto del mio incontro con Natsumi. Ma non sono sicura che sia il caso di dirgli che l’ho vista. O forse sì? In questo momento non ho alcuna certezza, così tutto quello che riesco a fare è trincerarmi dietro l’aggressività.
- Non penso che ti riguardi.
Sbuffa, irritandosi per il mio rifiuto di una tregua.
- A proposito hai fatto la tua scelta? – chiede.
- Che scelta? – la mia voce è un sussurro.
- Non è affatto una bella cosa tenere due così bravi ragazzi in sospeso.
Di nuovo con questa storia.
- Eh?
- Hiroto e Kamura.
Spalanco gli occhi. Ma che cosa diavolo sta dicendo? Come può davvero pensare che io possa fare una cosa del genere? Specialmente dopo che gli ho rivelato il senso di colpa che provo nei confronti di Naozumi. E poi cosa sa di Hiroto? Non so se la sua sia semplicemente una provocazione o se stia dicendo sul serio, ma per un attimo non riesco a trattenere la rabbia ed esplodo, alzando la voce forse di un’ottava di troppo. Mi alzo in piedi, fissandolo dritto in volto.
- Hayama, ma tu che ne sai!?
- Ah, io non saprei niente? Io ti ho vista! – adesso mi sta urlando contro anche lui, l’ultima traccia della calma che sembrava aver recuperato scompare.
Siamo l’uno davanti all’altro e ci guardiamo in cagnesco. Lui stringe i pugni lungo i fianchi, l’espressione accigliata.
- Non hai capito niente e basta.
- Ah, parla quella che capisce sempre tutto… - la sua voce trasuda sarcasmo, irritandomi ancora di più.
- Adesso basta! Tu non hai nessun diritto di essere geloso, chiaro? O te lo devo ripetere per l’ennesima volta?
- Io non sono affatto geloso.
- E allora, sentiamo, per quale motivo fai queste stupide scenate ogni volta che mi vedi con qualcun altro?
- Io non faccio nessuna scenata.
Sembra un disco rotto.
- Ah no? Vogliamo parlare di quello che è successo da Gomi?
- Stavo solo cercando di aiutarti! – la voce gli trema quasi dalla rabbia.
Alzo gli occhi al cielo.
- Io non capisco più niente!
- Non credo che sia una grande novità. – sibila.
Rimango in silenzio e anche lui si interrompe. Distolgo lo sguardo. Il vento muove leggermente le fronde dell’albero. Stanno già iniziando a cadere le prime foglie, dato il prossimo arrivo dell’autunno. Tuttavia la luce continua a penetrare a tratti, creando strani giochi di luce.
Komorebi. L’effetto particolare della luce solare quando passa attraverso le sottili e leggere foglie degli alberi. La parola mi balza alla mente inaspettatamente.
- Comunque non è vero che non so niente di te. – sussurra le parole talmente piano che mi sembra quasi di essermele immaginate.
Mi volto nella sua direzione. Il vento gli smuove i capelli, delicatamente. Il suo volto è illuminato e in ombra, in alternanza. Rabbrividisco e mi accorgo di non aver preso la giacca, uscendo come una furia. Anche Hayama indossa solo una maglia, ma non sembra far caso alla temperatura esterna.
- Io ti conosco meglio di chiunque altro. – aggiunge.
So che è vero, come lo sa lui. E entrambi sappiamo che in questo mondo non c’è nessun altro che ci comprenda così bene e così profondamente. Nessuno conosce i miei difetti e le mie mancanze in maniera tanto approfondita. Nessuno riesce a leggere e a scorgere così bene le ombre dentro di me. Come io riesco a leggere le ombre e i tormenti nei suoi occhi ambrati. Allo stesso modo non c’è mai stato nessuno che abbia potuto usufruire quanto lui della mia gioia. Io, che sono una ragazza generalmente allegra di carattere, non lo sono mai veramente, mai del tutto, a meno che non sia con lui, che non sia per lui. Mentre lui, che è sempre così scontroso, arrabbiato e in guerra con il mondo, riesce a mostrare la sua luce soltanto a me. Perché in fondo soltanto io sono in grado di vederla del tutto.
Komorebi. Luce e ombra. Ma non separate. No, l’una mescolato all’altra, in continua evoluzione eppure sempre uguali a sé stesse, sempre vicine. Non possono esistere l’una senza l’altra. Nei loro continui giochi di luce fra le fronde degli alberi.
- Lo so. – rispondo semplicemente e lui si volta e mi lancia uno sguardo sorpreso, come se si fosse aspettato tutt’altra reazione da parte mia.
- Eppure nei momenti in cui vorrei riuscire a leggerti e capire cosa pensi, cosa attraversi il tuo strano cervello… non ci riesco.
Sorrido. Anche questo, esattamente la stessa cosa per me. Riusciamo a leggerci alla perfezione, tranne quando il sentimento che stiamo esprimendo riguarda direttamente l’altro. Allora diventiamo ciechi, mentre le nostre emozioni diventano evidenti a tutti gli altri. Siamo due sciocchi, che si rifiutano di vedere, trincerati dietro la testardaggine. Ed è in questi momenti che diventiamo un mistero. Un qualcosa di incomprensibile, di imprevedibile.
Komorebi. Un mistero. Non sai mai cosa aspettarti dal movimento delle foglie causato dal vento e da come la luce si rifletterà sulla terra, sull’acqua, sull’erba, sui volti delle persone, dei bambini, degli innamorati, degli amici, dei solitari. Così imprevedibile. Ma è proprio questo il bello, no? Non sai mai cosa aspettarti dalla luce e dal vento.
- Eppure, nonostante tutto continuiamo ad essere qui.
Annuisco.
Già. Nonostante tutto, nonostante gli ostacoli, le incomprensioni, le difficoltà…continuiamo ad essere sempre qui, l’uno accanto all’altra, fedeli. Anche nei momenti di maggiore odio reciproco è sempre stata la nostra priorità sapere dove era l’altro, cosa faceva. Vederci almeno per un momento. Per questo non eravamo riusciti a rimanere lontani a lungo. Il nostro era un bisogno fisico, mentale, spirituale. Avevamo bisogno l’uno dell’altro in qualsiasi modo possibile. Vederci era rigenerante, come riuscire a raggiungere una fonte dopo aver camminato per ore nel deserto. Il nostro bisogno è una costante.
Komorebi. Trovare l’ombra, il ristoro dopo aver sofferto così a lungo. L’ombra offerta dalle foglie degli alberi. Sedersi e chiudere gli occhi, mentre la luce si diverte sul tuo volto finalmente rilassato. Questo è per noi, il bisogno di vederci.
Il silenzio si prolunga mentre questi pensieri inaspettati si fanno strada nella mia mente confusa. E per la terza, quarta, quinta volta Hayama interrompe il silenzio. Si volta nella mia direzione, l’irritazione chiara nei suoi occhi ambrati.
- Dannazione Sana! Di’ qualcosa!
Apro la bocca, ma le parole mi muoiono in bocca. La richiudo e inghiotto, mentre la frustrazione attraversa il suo volto. Ma nella mia mente un’unica parola continua a ripetersi.
Komorebi. È l’illuminazione di un istante. È il fuoco interiore che arde per tutta la vita.
E finalmente capisco il significato, il perché questa parola non faccia che frullarmi in testa dall’inizio della conversazione. Siamo noi. Noi siamo komorebi, in tutte le sue sfumature: luce e ombra, mistero, riposo, illuminazione di un istante, fuoco interiore che arde per sempre. Questi siamo noi e così è la nostra relazione. Non è la perfezione, affatto. Adesso capisco quanto mi sbagliavo quando pensavo che la nostra relazione fosse perfetta. Ero totalmente fuori strada. Ma è giusto che non lo sia. Una relazione perfetta non è reale, affatto, eppure il nostro amore è la cosa più reale che ci sia mai stata nella mia vita e anche nella sua. E nello stesso istante ho la certezza che anche lui provi la stessa cosa che provo io. Semplicemente, per le parole che ha detto, per i litigi, per le ombre che abbiamo passato, per l’imprevedibile che ci attende. Ma è proprio questo il bello, che sia imprevedibile.
E quindi all’ennesimo gesto di impazienza di Hayama, all’ennesimo cenno di rabbia e nervosismo, all’ennesima occhiataccia, non posso che rispondere in un unico modo.
Mi avvicino lentamente e lo bacio sulle labbra. Per la prima volta, nel corso di tutta la nostra relazione, lui ha parlato e io ho agito.
All’inizio rimane immobile, pietrificato, e si irrigidisce, come se non si fosse aspettato questa mia reazione ed effettivamente non me l’ero aspettata neanche io, nel momento in cui mi ero seduta su questa panchina. Ma io lo stringo più forte, una mano intorno al suo collo, l’altra che si fa strada fra i capelli dorati. Allora anche lui non esita più e inizia a baciarmi, cingendomi i fianchi con le mani. Il bacio si prolunga, mentre ritroviamo quella familiarità, quell’equilibrio non perfetto che ci ha sempre caratterizzato e allo stesso tempo avvertiamo che è tutto nuovo, tutto diverso, tutto migliore. Perché è così che va con noi: tutto è sempre uguale a sé stesso eppure niente lo è realmente. Per questo non ci siamo mai stancati l’uno dell’altro e mai ci stancheremo.
Quando ci fermiamo a riprendere fiato, lo sguardo che leggo nei suoi occhi è strano, stupito. Gli occhi spalancati.
- Mi hai baciato. – dice, come se non riuscisse a credere alle sue parole.
- Questo mi sembra ovvio… - rispondo, assumendo il tono che è solito assumere lui e sorrido.
 
Quando Sana appoggia le labbra sulle mie per un attimo mi chiedo se non stia per caso sognando, ma la loro morbidezza, il profumo di cocco e gelsomino che mi invade le narici, il sapore della sua bocca, la dolcezza della sua lingua e infine le sue mani delicate infilate fra i miei capelli mi scuotono. Allora rispondo al bacio. E mi accorgo di quanto mi fossero mancate, quelle labbra, quella sensazione, quella completezza. Perché sì, è così che finalmente mi rendo conto di essere completo. Di nuovo. E capisco che anche lei mi ama, con la stessa intensità con cui io la amo ancora. E che per tutto questo tempo non siamo stati che due sciocchi, accecati dal nostro orgoglio.
Le mie labbra sono delicate, le mie mani immobili sui suoi fianchi, ho come paura che possa non essere vero, che Sana possa respingermi da un momento all’altro. Oppure che possa svegliarmi nel mezzo di questo sogno meraviglioso. Quando ci stacchiamo tutto quello che riesco a sussurrare è uno stupido:
- Mi hai baciato.
- Questo mi sembra ovvio… - e lo dice in tono ironico, come se lo fosse la cosa più scontata di questo mondo, e con quel sorriso sulle labbra.
Il distacco mi sembra già un dolore fisico, una mancanza. Allora non possa far altro che tornare a prendere l’iniziativa e baciarla, come è sempre stato. Sento le sue labbra incurvarsi in un sorriso, quando la stringo a me, con più forza, con più passione, assaporandone ogni singolo dettaglio, mentre lei assapora me. Mi faccio largo con le mani sulla sua schiena, non indossa una giacca, ma tutto quello che vorrei è toccare la sua pelle. Infilo l’altra mano nei suoi capelli rossi. Finalmente. Nessuno ha i capelli perfetti di Sana, così lisci, così morbidi. I capelli che sogno di stringere ogni notte prima di addormentarmi e che ho cercato di ritrovare in ogni ragazza che mi è passata davanti e di cui ho rimosso ogni minimo dettaglio. Mentre ogni familiare dettaglio di Sana mi riempie e mi inebria i sensi. Totalmente concentrati e totalmente immersi l’uno nell’altra. In questo momento potrebbe crollare il mondo e noi non ce ne accorgeremmo neanche.
Soltanto la forte risata e l’esclamazione di una voce a noi familiare riesce a interromperci. Fuka e Takaishi sono immobili a pochi metri da noi. Fuka sta ridendo talmente forte da stringersi la pancia con le mani e tutti si voltano a guardarla, mentre Takaishi appare imbarazzatissimo, come se preferisse trovarsi in qualsiasi altro posto piuttosto che lì. E non mi stupisco affatto nel constatare che anche io vorrei che si trovassero in un qualsiasi altro posto, il più lontano possibile da noi. Aggrotto le sopracciglia, mentre Sana arrossisce, staccandosi velocemente da me e per un attimo mi si blocca il respiro, come se mi avessero tolto la terra di sotto i piedi. Di nuovo. L’occhiata che lancio a Fuka potrebbe incenerire un pezzo di ghiaccio eppure tutto quello che riesco ad ottenere è farla ridere ancora più forte.

**
Ciao a tutti! Scusatemi tantissimo per il ritardo, avevo detto a qualcuno di voi che avrei aggiunto il capitolo nei giorni scorsi, ma sono stata veramente impegnatissima e sono rimasta indietro con la storia. Mi dispiace tanto! Ma adesso manca poco alla fine.
Finalmente ho svelato il significato del titolo della mia storia. Komorebi è una parola giapponese realmente esistente e intraducibile in italiano, se non con una parafrasi, ossia "l’effetto particolare della luce solare quando passa attraverso le sottili e leggere foglie degli alberi". Io ho deciso di dargli un significato un po' più personale e un po' più legato alla storia di Sana e Akito.
Spero che il capitolo vi piaccia! A presto!

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannovesimo ***


Sono seduta sul divano dell’appartamento sotto processo da almeno due ore. E tutto quello che vorrei fare è soltanto fuggire e rifugiarmi fra le braccia di mia madre e pregarla di dirmi cosa esattamente devo fare.
Fuka mi ha beccata a baciare Hayama nel giardino vicino a casa nostra e mi ha trascinata su per le scale, lontana da un Akito alquanto irritato e da un Takaishi super imbarazzato, continuando a tenere l’altra mano sulla pancia e a sghignazzare, mentre io avrei voluto soltanto offenderla pesantemente o strattonarla e tutto quello che riuscivo a fare era pensare e ripensare in successione a tutto quello che era successo. Mi ha fatta sedere sul divano, davanti a un’Aya, un’Hisae e uno Tsuyoshi sconvolti e a un altrettanto sconvolto Gomi, uscito dalla sua stanza per tutto lo scompiglio causato da Fuka. E dopo che quest’ultima, tra uno sghignazzo e l’altro, era riuscita a raccontare quello che aveva visto in giardino e Tsuyoshi aveva afferrato Gomi per un braccio, mentre lui protestava debolmente, e lo aveva trascinato fuori dall’appartamento, le domande apprensive (Aya), divertite (Fuka) e sconvolte (Hisae) mi avevano sommerso, al punto che adesso non riesco quasi più a respirare, tanto mi stanno intorno e mi soffocano. Mi hanno fatto raccontare come era andata la situazione e alla fine ho ceduto, ho fatto un resoconto a grandi linee, ovviamente, non avevo certo intenzione di rivelare loro i miei pensieri malati su luci, ombre, misteri e komorebi. Nient’affatto. Non avrebbe certo influito in maniera positiva sulla loro idea di scarsa coerenza e assente sanità mentale, di cui mi stanno accusando al momento, continuando a bombardarmi di consigli, affermazioni e domande.
- Non avete parlato, come al solito, i due soliti idioti. – Fuka.
- Forse sei stata un po’ avventata, Sana-chan. – Aya.
- Finalmente, nessuno si aspettava altro da quando siamo venuti a vivere qui! – Hisae.
Continuano così da quelle che mi sembrano ore eppure tutto quello che mi sembra che abbiano ottenuto è soltanto rendermi ancora più confusa in merito alla mia situazione, alla nostra situazione. Perché ovviamente non posso escludere Hayama dall’elenco. C’è dentro anche lui. Eppure, da quando mi hanno fatta sedere qui e da quando Tsuyoshi è uscito, trascinandosi fuori Gomi, la componente maschile del nostro appartamento, più Takaishi, non si è più fatta viva. E ormai è buio, rifletto, guardando fuori dalla finestra l’ultima luce del sole sparire dietro le cime degli edifici di Tokyo. Ma nessuno sembra preoccuparsene eccetto me, come anche del fatto che è quasi ora di cena e che il mio stomaco sta borbottando, impazzito. Mi alzo in piedi, ignorando le mie amiche che in realtà non sto più ascoltando da tempo.
- Vado a farmi una doccia. – annuncio.
- Cosa? – gridano quasi in coro.
- Ho i capelli che sono un disastro per l’umidità e ho freddo. Ho bisogno di una doccia.
E le mollo lì, chiudendomi in bagno.
Finalmente quando sono sotto la doccia riesco a riflettere sul serio, come non sono riuscita a fare mentre le chiacchiere delle mie amiche mi sommergevano, per quanto apprezzi il loro tentativo di aiutarmi.
La mia storia con Akito è sempre stata la costante della mia vita, dall’età di undici anni, lui ne è stato una componente essenziale, anzi diciamo pure la componente essenziale. Ormai non c’è più modo di liberarsi l’uno dall’altro, l’abbiamo capito a nostre spese, quando abbiamo tentato di stare lontani. Che siamo ancora innamorati ormai è una questione fuori di dubbio e non è necessario che mi interroghi ulteriormente, l’ho capito dalle sue labbra sulle mie, dalla sua lingua che si intrecciava alla mia, dalle sue mani sui miei fianchi, sulla mia schiena, fra i miei capelli. E poi dall’occhiata che mi aveva lanciato quando ci eravamo staccati per qualche istante. Un tale desiderio, quasi un sollievo, lo stesso che sicuramente lui aveva letto nei miei occhi. Perché è anche questo che abbiamo provato quando ci siamo baciati, sollievo. E non per il fatto di scoprirci ancora innamorati, certo, anche per quello, ma soprattutto sollievo dalla lunga fame che avevamo avuto l’uno del contatto dell’altro. Il problema è che tutto andava bene, finché ci baciavamo, finché il nostro contatto era di questo tipo, quando univamo i nostri corpi e i nostri cuori. Ma cosa succedeva quando i nostri cervelli si mettevano in azione? Questo è il grande quesito. E il mio cervello adesso è parecchio attivo. Fin troppo. E non la smette di far risuonare le parole di Aya “Forse sei stata un po’ avventata, Sana-chan”, perché effettivamente lo sono stata. Non abbiamo chiarito niente, come al solito. Ci siamo fiondati l’uno nelle braccia dell’altro o meglio io mi sono fiondata nelle sue. Perché tutto quello che succede quando apriamo bocca ultimamente è litigare.
Già una volta ci siamo lasciati per la nostra scarsa comunicazione e non perché non ci amavamo più, testardi e orgogliosi della nostra posizione, nessuno ha fatto un passo indietro, nessuno ha accettato un compromesso. E ci siamo fatti del male da soli: abbiamo fatto del male a noi stessi e del male all’altro, quando in realtà era l’ultima persona che avremmo voluto far soffrire, fermi nell’idea di non essere più ricambiati. Perché adesso capisco che anche lui ha pensato questo.
Però adesso è tutto così difficile. Abbiamo fallito una volta, cosa potrebbe portarmi a pensare che non succederà una seconda, una terza, una quarta? Perché tanto non riusciremo a stare lontani. Fino al punto di rottura, perché prima o poi ci dovrà pur essere un punto di rottura. Due persone non possono andare avanti in questo modo all’infinito. Ma io non voglio soffrire così tanto e non voglio arrivare al punto di rottura. Perché finirei per rompermi anche io e non sarei più la stessa, definitivamente questa volta. Non riuscirei mai più ad uscire dal mio guscio. E probabilmente anche lui si romperebbe e non riuscirebbe mai più a essere l’Akito che io conosco, che io ho visto meglio di chiunque altro. Allo stesso tempo non possiamo rimanere in questa situazione. Questa continua attesa, aspettativa, giorno dopo giorno, ci corrode lentamente, mentre guardiamo la vita nostra e dell’altro scorrerci davanti agli occhi, inesorabile, ma senza davvero riuscire a viverla. Perché l’uno senza l’altro, l’amore non è amore, la vita non è vita. L’amore, strana parola, chissà com’è che è nato questo termine, una parola tanto semplice, facilmente pronunciabile, che esprime talmente tante emozioni, sensazioni e anche tanti dolori, gioie. Non lo so, forse avrebbero dovuto mettere una parola un po’ più complessa, ma se ciascuna parola dovesse corrispondere alla complessità del suo significato, che parola dovrebbero mettere al posto di vita?
 
Finalmente Tsuyoshi sembra rendersi conto che siamo fuori da ore e che ormai è buio, oltre al fatto che sto morendo dal freddo. Soltanto quando il calore causato dal corpo e dal bacio di Sana ha iniziato ad affievolirsi mi sono reso conto che, uscendo per correrle dietro, mi sono dimenticato di prendere la giacca. E adesso sono qui che rabbrividisco in giro per Tokyo con un Gomi più sconvolto e scontento di me, uno Tsuyoshi più curioso e impiccione del solito e un Takaishi che sembra non sapere che pesci prendere e non ha praticamente aperto bocca da quando Tsu, con gli occhi brillanti e un sorriso a trentadue denti, è uscito di casa trascinandosi dietro Gomi.
Ovviamente Tsuyoshi voleva sapere nei minimi dettagli quello che era successo, ma non l’ha ancora capito che io non sono affatto tipo da minimi dettagli? Evidentemente no, visto che anche adesso continua a perseguitarmi, chiedendomi chi ha baciato chi, come è successo, come mi sento, cosa provo, cosa ho intenzione di fare, ecc. con il tuo insopportabile tono da “te l’avevo detto”.
Ovviamente non rispondo non solo per il mio solito brutto carattere, ma anche perché davvero sono confuso. Certo, quando mi ha baciato ho sentito che mi amava ancora e sono certo che anche lei abbia sentito la stessa identica cosa. E che non avevamo mai smesso di farlo, neanche quando ci siamo lasciati. Ma allora perché ci siamo lasciati? Perché io sono testardo e lei è insicura? O forse è lei a essere testarda e io sono insicuro? Non lo so. L’unica cosa che so è che adesso che finalmente ho capito come stanno le cose e che ho sentito di nuovo quella sensazione, quella pace, non permetterò che finisca. No, non lo permetterò affatto.
Finalmente arriviamo all’appartamento. Takaishi e Gomi entrano per primi, Tsuyoshi mi afferra per un braccio e mi ferma. Alzo gli occhi al cielo, per poi guardarlo.
- Davvero, Akito-kun, cosa hai intenzione di fare?
- Ti ho già risposto… non lo so.
- Sai che adesso Sana-chan è fragile, mi raccomando.
- Lo so. – rispondo.
Un sorriso compare sul volto di Tsuyoshi che finalmente, dall’inizio del suo interrogatorio, sembra finalmente felice della mia risposta.
Non appena varco la porta di casa, cerco il suo sguardo. Ma dopo qualche secondo mi rendo conto che non si trova nella stanza.
- Sana-chan è in bagno, a farsi una doccia. – mi comunica Aya.
Hisae, Aya e Tsuyoshi iniziano a cucinare qualcosa, mentre Fuka mi si avvicina lentamente, come un predatore pronto ad afferrare la propria preda. Cerco una via di fuga, ma mi rendo conto di non avere alcuno scampo.
-Tu! – mi punta un dito contro.
Alzo gli occhi al cielo.
- Che vuoi, Matsui?
- Se farai soffrire Sana un’altra volta giuro che ti faccio fuori con le mie stesse mani e sono sicura che Aya sarà ben lieta di darmi una mano. Tu e il tuo dannato mutismo! – esclama.
La guardo stranito, ma lei sembra aver finito, quindi si volta e va da Takaishi, che finalmente sembra rilassarsi per la prima volta in tutta la serata.
In quel momento la porta del bagno si apre e Sana esce, avvolta in un asciugamano bianco. Il vapore la avvolge ed ha le guance arrosate per il calore all’interno del bagno. Non appena mi vede, esita. Le sue guance si tingono di un rosso ancora più intenso. Ci guardiamo per qualche secondo, poi lei distoglie lo sguardo, stringendosi l’asciugamano intorno al corpo. In quel momento mi sembra così piccola, così delicata, così fragile, che vorrei solo avvicinarmi a lei e abbracciarla, con forza, ma la presenza di tutti gli altri mi imbarazza, quindi rimango immobile, continuando a fissare la chioma rossa, le guance altrettanto arrossate, la curva del seno bianco che si intravede dal bordo dell’asciugamano. E improvvisamente un pensiero mi assale: non voglio che gli altri la vedano così. Stringo i pugni, quasi involontariamente, ma lei se ne accorge e alza brevemente lo sguardo su di me, prima di abbassarlo di nuovo e entrare nel suo sgabuzzino a passo sostenuto.
 
Per tutto il tempo della cena evito il suo sguardo, mentre lui continua a fissarmi insistentemente. Il suo sguardo non è offeso, arrabbiato o irritato, come lo è stato le ultime volte in cui mi fissava. Adesso il suo guardo è interrogativo, riesco a leggere una domanda. "Perché? Perché non ricambi il mio sguardo?" Questo mi dicono i suoi occhi. Il punto è che non ci riesco, non ancora. Non prima di aver chiarito quello che ho intenzione di fare. E neanche la lunga doccia è stata minimamente in grado di chiarirlo. Affatto. Sono soltanto più confusa di prima. Fuka continua a lanciarci occhiatine ammiccanti, mentre Gomi non vede l’ora di uscire e sparire e quasi quasi preferirei andarmene con lui. Mi sembra che la parola “codarda” mi brilli sulla fronte.
All’improvviso sobbalzo, un piede tocca il mio da sotto il tavolo. E mi rendo conto che non è Aya e nemmeno Fuka, troppo lontana per riuscire a toccarmi. Non riuscendo ad attirare la mia attenzione con gli occhi, Akito ha provato un’altra tattica.
- Va tutto bene, Sana-chan? – Aya si sporge nella mia direzione, avendomi vista sobbalzare.
Annuisco, mentre mastico il boccone.
- Sicura?
- Sì.
Ma evidentemente parlare non è una buona idea, perché il boccone decide, improvvisamente, di sua spontanea volontà, di andarmi di traverso. E io inizio a tossire.
- Sei proprio imbranata, Kurata.
A parlare è stato Hayama, con lo stesso tono sarcastico che avrebbe adottato solo qualche giorno fa. Alzo gli occhi, sorpresa, aspettandomi lo sguardo freddo dei suoi occhi, ma è tutto diverso da come me lo ero aspettato. Un sorriso, uno dei suoi rari sorrisi sinceri, gli attraversa il volto e perfino i suoi occhi ambrati sembrano ridere. Allora improvvisamente scoppio a ridere per la sua strana espressione e per il contrasto con il tono con cui ha appena parlato e comincio a ridacchiare a crepapelle, stringendomi la pancia con le mani. Gli altri mi fissano sconvolti di fronte a tanta improvvisa ilarità, mentre fino ad ora sono stata così silenziosa. Tutti tranne Akito, il cui sorriso si sta lentamente espandendo. So che non riuscirà a trattenersi e mentre le lacrime cominciano a calarmi dagli occhi, anche lui scoppia a ridere, più forte di quanto abbia mai sentito. Adesso non so più neanche se stiamo ridendo per quello che Hayama ha detto oppure per le facce sconvolte dei nostri amici, che non hanno capito il motivo delle nostre risate o che forse non hanno mai veramente visto Akito ridere. Ed effettivamente è uno spettacolo raro. E continuiamo così, due idioti che ridono senza un motivo apparente, mentre sei persone sconvolte li fissano male.

**
Siamo alla fine. Escluso questo capitolo, ne manca un altro e poi l'epilogo. Spero vi piaccia.

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Capitolo 20
*** Capitolo ventesimo ***



Finalmente Fuka e Takaishi se ne sono andati, Gomi è andato al locale e con mia immensa gioia Hisae ha deciso di accompagnarlo. Adesso in casa siamo soltanto io, Akito, Aya e Tsuyoshi. Il primo si è ritirato in camera sua, mentre i secondi sono in cucina a rimettere in ordine. Io sono seduta sul divano e sto fissando il vuoto da circa mezz’ora.
- Sana-chan?
Una mano sulla spalla e il tono dolce mi annunciano la vicinanza di Aya. Mi volto nella sua direzione, lei sta sorridendo, nel suo sorriso dolce e quasi materno.
- Sto bene. – le dico di riflesso, prima che possa chiedermelo.
- Non era questo che volevo dirti.
La guardo stupita.
- Senti, io sono assolutamente contenta di quello che è successo fra te e Akito-kun, ma adesso penso che sia arrivato il momento che parliate e che parliate sul serio, questa volta.
Annuisco. Ha ragione. Dobbiamo proprio.
- Io so che vi amate ed è proprio per questo che dovete risolvere la situazione adesso e chiarire tutto quello che non avete chiarito in questo anno.
Annuisco di nuovo, ma rimango immobile.
- Allora vai, Sana-chan!
Mi alzo dal divano come un automa, mentre Aya e Takaishi entrano in camera loro per evitare di disturbarci. Con un sospiro e il cuore che mi batte leggermente troppo veloce mi avvicino alla porta della camera di Akito. Busso alla porta e esito. Ho paura del confronto? Ne avrà anche lui? Lui mi dice di entrare e la sua voce mi sembra a sua volta esitante.
Entro, lo sguardo abbassato. Lui è seduto sul letto, appoggiato alla testiera. Lo sguardo puntato verso la parete ai piedi del letto
- Ciao. – dico.
- Ciao. – risponde.
Poi cala il silenzio.
Ricordo come siamo scoppiati a ridere durante la cena, il suo raro sorriso, gli occhi ambrati illuminati. Sembra che abbia avuto lo stesso pensiero, perché un sorriso gli sale alle labbra. Non so perché ma il suo sorriso appena accennato mi rilassa. Mi avvicino al letto e mi siedo al suo fianco, la spalla destra a contatto con la sua e distendo le gambe.
- Dobbiamo parlare.
- Va bene. – risponde.
Ovviamente non fa niente per aiutarmi, come al solito.
- Dannazione, Hayama, tu non rendi mai le cose semplici! – sbotto, ma lui vede che non sono veramente arrabbiata.
- No, lo sai che è una mia prerogativa.
La mia intenzione sarebbe tirargli un pugno sul naso, ma mi trattengo e mi limito a cercare di colpirlo più lievemente sulla spalla. Lui mi blocca il polso prima che possa raggiungere il mio intento.
- Anche essere più forte di te è una mia prerogativa.
- Non è giusto! – mi lamento.
Adesso il suo viso è a pochi centimetri dal mio, riesco a sentire il suo alito caldo raggiungermi e i suoi occhi ambrati incatenano i miei. Inghiotto la saliva, cercando di ricominciare a respirare, senza troppo successo. Akito se ne accorge.
- E anche questa è sempre stata una mia prerogativa. – sussurra, avvicinandosi ancora di più.
Un altro millimetro e non risponderò più delle mie azioni. Non so come riesco a recuperare un minimo del mio raziocinio.
- Akito?
- Mmmh?
- Dobbiamo parlare.
- Dobbiamo proprio?
Le sue labbra si muovono lentamente, ipnotizzandomi, e tutto quello che vorrei sarebbe sporgermi ed unire le mie alle sue. Inghiotto di nuovo, mentre un mezzo sorriso gli increspa il lato sinistro delle labbra, rendendolo ancora più irresistibile. Per rispondere, faccio uno sforzo sovrumano.
- Sì.
- D’accordo.
Così dicendo si allontana, tornando ad appoggiarsi alla testiera del letto. Rimango senza fiato, come se qualcuno mi avesse dato un pugno nello stomaco.
- Questo non è proprio giusto. – sospiro e l’angolo della sua bocca torna a sollevarsi.
Sto ancora cercando di riprendermi, mentre lui sembra gustarsi con tutto sé stesso l’effetto che sta avendo su di me.
 
Allontanarmi da Sana e dal suo profumo ha richiesto tutto l’autocontrollo in mio possesso e non so veramente come ho fatto, tuttavia notare l’effetto che la mia vicinanza ancora le causa mi dà un tale senso di pace e di tranquillità, nonostante il discorso che stiamo per affrontare non sia affatto semplice.
- Vorrei sapere cosa è successo il giorno in cui Sakura è stata qui. – inizia.
Sospiro, il sorriso svanisce dal mio volto e vorrei con tutta me stesso non avesse aperto bocca. Ma poi capisco che è l’unica cosa giusta.
- All’ora di pranzo sono venuto per farti una sorpresa. Ti ho trovata con Hiroto e ho assistito alla scena, quando alla fine lo hai baciato, me ne sono andato…
Sana si volta bruscamente nella mia direzione. Il ricordo di quello che ho visto mi causa ancora una stretta tale che fatico a controllarmi e rimanere tranquillo. Alla fine fa l’ultima cosa che mi sarei aspettato in questo momento: scoppia a ridere. La guardo sconvolto e mi acciglio, mentre lei continua a ridere.
- Quando hai finito… - le dico, irritato.
Lei cerca di riprendere un contegno, continuando a sghignazzare.
- Akito, sei un idiota… - balbetta, tra le risate.
- Ah, sarei io l’idiota?
Alla fine riesce a calmarsi.
- Tu non puoi aver visto me che baciavo Hiroto…
- No, effettivamente me ne sono andato prima…
- Lasciami finire! Tu non puoi aver visto me cha baciavo Hiroto perché io non ho mai baciato Hiroto.
Sgrano gli occhi, stupito. Cosa?
- Quel giorno lui mi ha chiesto di uscire con lui…
Mi acciglio di nuovo.
- E io gli ho detto di no.
Ah. Adesso mi sento un idiota. Totale e completo.
- Gli ho detto di no perché ero ancora innamorata del mio ex, come mi sono resa conto in quel momento.
Ci metto un po’ a registrare il significato delle sue parole, poi riesco a sussurrare soltanto un misero:
- Eri?
Ma lei mi ignora.
- Gli ho solo dato un bacio su una guancia.
Perfetto. Ed è per questo che ho rovinato tutto? Per un bacio su una guancia, dopo che aveva rifiutato di uscire con lui?
- E la foto con Kamura? – contrattacco.
A quel punto Sana arrossisce e abbassa gli occhi. Mi sento come se un pugnale avesse nuovamente trafitto il mio cuore appena rinato. Allora non era vero che non avrebbe mai potuto amare Kamura… e perché mi ha baciato, in tal caso? Sana alza gli occhi su di me e legge esattamente tutto quello che mi sta passando per la testa.
- Prima che tutti gli scenari possibili ti passino per la mente, non sono affatto innamorata di Nao e pensavo che l’avessi capito, quando ti ho detto quanto mi sentivo in colpa per come mi ero comportata con lui.
Una speranza ricomincia a nascere nel mio cuore frantumato.
- Pensavo di averlo capito, ma poi quella foto… non stavi fingendo.
- No, non stavo fingendo. – dice.
E mi sento precipitare di nuovo.
- Ma quello che avevo davanti in quel momento non era Naozumi, io stavo guardando te in quel modo.
Dicendo questo, si volta nella mia direzione e sorride. Nei suoi occhi color cioccolata capisco che è sincera. Spontaneamente ogni mio muscolo si rilassa, come se soltanto adesso avessi avuto la certezza che lei ama me e soltanto me. Ed è esattamente quello che leggo nei suoi occhi e che probabilmente lei sta leggendo nei miei.
- Sai, quando ci siamo lasciati ero davvero convinta che tu non mi amassi più. Non hai aperto bocca, non hai fatto nulla per fermarmi. Ho pensato di non essere abbastanza per te.
Alzo gli occhi al cielo.
- I primi mesi sono stati orribili. Sono quasi ricaduta nella malattia, ma sono riuscita in qualche modo ad andare avanti. Poi c’è stato l’incidente…
- Perché… - la interrompo, - perché non mi hai detto niente, perché non mi hai chiamato? Sono quasi impazzito quando sei scomparsa dalla televisione, poi gli altri si rifiutavano di dirmi qualunque cosa.
- Sono stata io a chiederglielo.
- Perché?
- Non volevo vedere l’indifferenza nei tuoi occhi quando fossi venuto a trovarmi…
Cosa? Indifferenza?
- Come hai potuto pensare che sarei stato indifferente. Ti ho amata per così tanto tempo. Come hai potuto anche solo pensare che non mi importasse più nulla di te? Io continuavo ad amarti e sono quasi morto di paura quando ho scoperto cosa ti era successo… Io pensavo che tu non mi amassi più. Non mi hai più cercato. – ho alzato leggermente il tono.
- Neanche tu l’hai fatto, se è per questo! – alza la voce anche lei.
- No, ma dopo la mia stupida reazione con quel tizio non mi è neanche passato per il cervello che tu potessi pensare che non mi importava più niente di te. Io pensavo che tu non mi amassi più! – ripeto.
- Non hai detto niente! Avrei voluto una qualsiasi reazione, mi andava bene anche che mi urlassi contro e che mi dicessi che ero una stronza a trascurarti in quel modo. Qualsiasi cosa… ma almeno questo mi avrebbe mostrato che ti importava di quello che facevo. Invece non hai aperto bocca, limitandoti a sbuffare irritato e nient’altro.
Delle minuscole lacrime le compaiono agli angoli dei suoi grandi occhi da bambina e il labbro inferiore inizia a tremarle leggermente. E un fortissimo impulso di stringerla a me e consolarla mi cattura. Prima che abbia il tempo di dire qualsiasi altra cosa, la stringo in un abbraccio strettissimo, infilando il viso nei suoi capelli. Lei infila il suo nell’incavo del mio collo e sento qualche lacrima scendere dai suoi occhi e depositarsi sulla mia clavicola.
- Siamo stati due idioti… - sussurra, scossa da un leggero singhiozzo.
- Sana, non piangere. – inizio a sussurrare, - adesso non permetterò che succeda nessun’altra cosa brutta. Te lo prometto. Adesso basta lottare, adesso basta. Non permetterò che commettiamo lo stesso errore un’altra volta. Perché io non voglio nessun’altra a parte te.
Faccio una pausa, mentre la sento trattenere il respiro.
- Non ho mai voluto nessun’altra. Tu, con tutti i tuoi difetti, con la tua cocciutaggine, il tuo parlare infinito, i tuoi disastri in cucina, la tua insicurezza. Ti voglio così come sei. Perché tu sei l’unica in grado di capirmi davvero, in grado di farmi sentire a casa, felice. E accetti me, con la mia testardaggine, il mio stupido orgoglio, i miei silenzi, la mia irritabilità. Tutto. Tu mi hai salvato la vita una volta e continui a farlo ogni giorno. Per questo ho bisogno di te e non permetterò che niente mai più si metta in mezzo a noi due.
Mi interrompo, quando sento che anche i miei occhi si stanno bagnando, e lei non dice niente per qualche istante, poi si allontana leggermente da me e mi guarda.
- Hai appena sottolineato quando sia testarda, logorroica, imbranata e insicura. Non dovrei prendermela? – il suo tono è irritato, ma sorride, nonostante gli occhi ancora umidi.
- No, perché mi sono a mia volta definito testardo, orgoglioso, muto e irritabile. – rispondo.
- Siamo proprio un disastro…
- Già.
- Siamo komorebi… - sussurra.
- Eh?
Fa una risatina.
- Questa storia te la spiegherò un giorno. – risponde.
 
E non so come ci ritroviamo a baciarmi, mentre penso che non sono stata l’unica a piangere e che questa è la seconda volta in cui vedo Hayama farlo.
Mentre mi bacia riesco ad avvertire il tremore del suo corpo, come probabilmente lui sente il tremore del mio. Poi le sue labbra si fanno ardenti di desiderio, fino a diventare quasi violente. Il suo è un bacio, ma sembra quasi un morso, allora rispondo al bacio con altrettanta intensità, tanto che mi sembra di sentirlo sobbalzare. Le sue mani si fanno febbrili e scorrono lungo la schiena, su e giù, meccanicamente, fino a quando arrivano al limite della maglia e la sollevano, sfiorando la pelle nuda. Un fremito mi attraversa il corpo e, quando lo avverte, lo sento sorridere sulle mie labbra e allora mi sfila la camicetta. Poi scende giù e inizia a baciarmi il collo, fino alle clavicole, piccoli baci fugaci e veloci, quasi sfiorandomi e facendomi fremere ad ogni tocco. Le mie mani si infilano nei suoi capelli dorati, fino a quando gli sfilo la maglia e finalmente posso toccarlo davvero e sentire i suoi muscoli, la sua pelle bollente. Le sue mani adesso sono fra i miei capelli, mentre la sua bocca torna a baciare la mia.
Poi mi prende per i fianchi e mi fa stendere sul letto, con lui che mi sovrasta. Mi sfila i pantaloni lentamente, mentre percorre ogni centimetro del mio corpo con lo sguardo. Per un attimo mi chiedo che tipo di biancheria io stia indossando, ma è il pensiero di un secondo, perché lui non sembra farci minimamente caso, mentre mi sfila velocemente il reggiseno. Io trattengo il respiro per qualche secondo, ma i suoi occhi sono così ardenti che non resisto e mi sollevo per baciarlo di nuovo.
- Come ho fatto a stare lontano da te per tutto questo tempo? – ansima contro la mia bocca.
Scuoto la testa e lo bacio di nuovo.
Mi lascia una scia di baci roventi partendo dalla base del collo, fino alla clavicola e poi sui seni, leggermente, con la lingua e con le mani. Poi le sue mani passano alle mie cosce e si soffermano sulla cicatrice rimasta dall’incidente. Sussulta quando la sente e si ferma per un attimo, incerto, allora io allungo la mano fino alla cicatrice sul suo braccio destro, ancora leggermente visibile dopo tutti questi anni.
- Adesso siamo uguali. – sussurro.
E lui ricomincia a baciarmi il collo e i seni. Trattengo nuovamente il respiro, mentre con le mani mi faccio largo fino ai suoi jeans, con l’intenzione di toglierglieli, ma le mie mani sono così tremanti, che alla fine lui scansa le mie mani e si affretta a toglierli da solo. Adesso ci sono soltanto due lembi di stoffa a separarci, che presto scompaiono, lasciandoci l’uno di fronte all’altro, mentre ci mangiamo a vicenda con gli occhi, con le mani, con la bocca. Ed è quando ci uniamo che capiamo che non poteva essere altrimenti e che mai potrà esserlo. Perché sì, siamo stati lontani, ma l’amore è stato sufficiente. L’amore è più che sufficiente. E adesso che ce ne siamo resi conto niente potrà dividerci.
 
Siamo sdraiati nudi l’uno accanto all’altro sul mio letto. Sana respira piano e penso si sia addormentata. Stringo il suo corpo morbido e fresco a me e la bacio su una spalla. Lei mugola leggermente. Sono rilassato, felice, completo. Il nodo all’altezza del mio cuore di è finalmente sciolto, del tutto. Adesso che siamo uniti di nuovo non permetterò che qualcosa ci separi, mai più. E neanche lei lo permetterà, ne sono altrettanto certo. Penso di non aver mai amato qualcuno su questa terra tanto quanto amo questa donna al mio fianco da così tanti anni.
- Ti amo. – le sussurro fra i capelli.
Non credo che mi abbia sentito e mi sento leggermente a disagio nel dirlo ad alta voce, anche se dentro di me l’ho ammesso anni fa, per questo mi stupisco quando Sana sussurra lentamente, scandendo bene ogni parola:
- Io sarò la tua sabbia, la tua erba, il tuo cielo, la tua felicità. Sarò tutto ciò che tu vorrai che io sia. Per sempre. Io sarò sempre con te.

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Ciao a tutti! Ecco il penultimo capitolo prima dell'epilogo. Spero vi piaccia!

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Capitolo 21
*** Epilogo ***



24 dicembre, Vigilia di Natale

Finisco di indossare il Montgomery invernale e apro la porta della nostra camera. Hayama mi aspetta sulla soglia, impaziente, sta guardando l’orologio che tiene al polso e si appoggia allo stipite della porta. Mi blocco un attimo a guardarlo, senza farmi notare. Ha lo sguardo accigliato, ma adesso i suoi occhi ambrati non sono più coperti dal ciuffo troppo ingombrante di capelli dorati, visto che glieli ho tagliati. Sembra irritato, perché odia aspettare e non sopporta quando ritardo troppo, ma allo stesso tempo emana la stessa calma, la stessa totale serenità che io stessa sono sicura di emanare.
Quando alla fine mi vede un angolo della bocca gli si piega leggermente verso l’alto, anche se fa di tutto per dissimulare, alzando gli occhi al cielo.
- Finalmente, Kurata!
Lo affianco, mentre scendiamo le scale. Hisae e Gomi sono partiti per una piccola vacanza natalizia, mentre Aya e Tsuyoshi sono dai genitori di lei a festeggiare la vigilia, quindi io e Akito siamo gli unici rimasti nell’appartamento.
- Dove andiamo? – gli chiedo.
- È una sorpresa. – dice.
Rimaniamo in silenzio per tutto il tragitto fino alla stazione, camminando l’uno a fianco all’altro, ma non si tratta di un silenzio imbarazzante, si tratta di quel silenzio rilassante, che puoi provare solo con le persone che conosci da così tanto tempo e con cui ti trovi talmente a tuo agio da non avere più bisogno di dire niente. E con Akito adesso è sempre così.
Alla fine raggiungiamo la stazione. Non appena ci sediamo nella carrozza un senso di déjà-vu si impossessa di me prepotentemente. Mi giro nella direzione di Akito, che siede dalla parte del finestrino, una mano intrecciata alla mia, lo sguardo intenso rivolto chissà dove sul paesaggio circostante. Quando si accorge che lo sto fissando si volta nella mia direzione.
Al nostro primo appuntamento, così tanto anni fa, mi aveva portato in un posto non molto usuale per dei bambini di dodici anni, ma io avevo capito quanto fosse importante per lui e quanto fosse importante anche il fatto che avesse deciso di portarmi proprio lì. Così anche adesso, capisco immediatamente dove stiamo andando e mi sento così piena di dolcezza dentro di me che non posso fare a meno di allungarmi e di stampargli un bacio sul naso, mentre il solito lato della sua bocca si inclina leggermente verso l’alto.
 
Siamo in piedi davanti alla tomba di mia madre. Ricordo quando ho portato qui Sana la prima volta, al nostro primo appuntamento. Nel corso degli anni ci siamo tornati, diverse volte, ma non so perché questa volta è diverso, è speciale. È come se fosse di nuovo la prima volta, quando, dopo che le avevo raccontato quella storia assurda, a cui io stesso non avrei mai creduto se non l’avessi vissuta, lei mi aveva creduto, si era fidata ciecamente di me e aveva capito. Non l’avevo raccontato a nessuno, né prima né dopo, e mai l’avrei fatto. Perché chiunque avrebbe riso di me, perfino Tsuyoshi, perfino Natsumi, ma Sana no. Lei non l’aveva fatto.
La vedo, sta sorridendo in direzione della tomba, probabilmente sta chiacchierando con mia madre nella sua testa, gliel’ho visto fare così tante volte in questi anni. Ogni volta le chiedevo cosa le aveva detto, ma lei, imperturbabile, si rifiutava si rispondere. E ogni volta si inchinava, in segno di ringraziamento.
E infatti, puntualmente, anche oggi la vedo sorridere e poi inchinarsi. Allora mi raggiunge, un sorriso di gioia stampato sul volto, un sorriso che riesce sempre a scaldarmi il cuore.
- Perché ogni volta la ringrazi? – le chiedo.
E questa volta, stranamente, lei mi risponde.
- La ringrazio perché ti ha salvato la vita…
Lo dice con una tale semplicità, eppure rimango senza fiato.
- Due volte. – aggiunge.
Avevo deciso di aspettare, ma capisco che quello è il momento giusto, davanti alla tomba di mia madre. Le porgo il regalo di metà compleanno che le ho fatto con anni di ritardo.
 
Akito mi porge un pacchetto e io sgrano gli occhi, stupita.
- Non dovevi…
Ma lui mi interrompe bruscamente.
- Aprilo.
Non replico e comincio ad aprire il pacchetto, lentamente, mentre lui sembra sempre più impaziente e nervoso. Sorrido del suo nervosismo, ma mi affretto un po’ di più nell’aprirlo.
Finalmente riesco a schiudere la scatola e vi guardo all’interno. Quello che vi trovo mi lascia senza fiato. E per un secondo Akito si preoccupa, mi si avvicina.
- Va tutto bene? – chiede.
Quando riesco a riacquistare le mie capacità cognitive, non posso fare altro che saltargli addosso e baciarlo. E mentre le nostre labbra si incrociano e le nostre anime si intrecciano, sentiamo che questa volta niente potrà finire.
Il cestello di Venere. O Euplectella aspergillum. Questo è il regalo che Akito mi ha fatto.
La natura riesce a sorprendere con la sua perfezione anche nelle profondità del mare. Tra i 40 metri e fin oltre i 5.000 metri di profondità, crescono e si sviluppano le spugne di vetro Euplectella. Una specie di spugne marine delle Hyalospongiae, classe dalla quale deriva il nome di spugne di vetro. Lo scheletro di queste spugne è un intreccio di spicole silicee che le rende quasi indistruttibili. Questa resistente fibra di vetro naturale permette alle spugne di sopportare l’enorme pressione esercitata dalla massa d’acqua in profondità. Il maschio e la femmina della specie di gamberetti Spongicola Venusta, quando sono ancora allo stato larvale, attraversano le maglie delle spugne trovando al suo interno rifugio e nutrimento. Contemporaneamente alla crescita dei gamberetti, avviene la crescita delle spugne le cui maglie di fibra di vetro diventano sempre più fitte. Il Cestello di Venere diventa così per la coppia di gamberetti un rifugio naturale. Rimarranno all’interno della spugna per tutta la loro vita, insieme fino alla morte. La storia d’amore dei gamberetti nelle spugne di vetro è sicuramente tra le più romantiche del mondo animale. Sorprendente è il loro “vivere insieme finché morte non ci separi”. Per questo motivo le spugne di vetro, nella cultura di alcuni paesi asiatici ed in particolare del Giappone, rappresentano il dono ideale per i novelli sposi, come simbolo e auspicio di fedeltà coniugale.
Ed è così incredibile, ma così naturale, come noi due, Sana e Akito, Kurata e Hayama, la ragazza “S” e il ragazzo “A”, dopo tutti questi anni siamo ancora insieme, all’interno della nostra spugna. Da quando eravamo bambini, fino a quando moriremo. Per sempre.

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E siamo giunti alla fine di questa storia! Spero davvero che vi sia piaciuta e di non aver totalmente perso il mio tempo.
Ringrazio nuovamente tutti coloro che l'hanno commentata, coloro che l'hanno aggiunta alle preferite, alle seguite e alle ricordate e infine ringrazio tutti coloro che l'hanno letta, lettori silenziosi e non!

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