Malec- scene di vita quotidiana

di Scarlett Morgenstern
(/viewuser.php?uid=1019814)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una festa a sorpresa particolare ***
Capitolo 2: *** La paura di essere amati ***
Capitolo 3: *** Papà e papino, sono uno stregone! ***
Capitolo 4: *** Mai fidarsi di uno shadowhunter ***



Capitolo 1
*** Una festa a sorpresa particolare ***


Magnus aprì gli occhi e notò la luce fioca che attraversava gli spiragli lasciati dalle tende. La confusione che lo prendeva appena sveglio durava sempre qualche minuto, quindi rimase a fissare il soffitto con sguardo assente. Istintivamente poggiò una mano sul cuscino che stava sull’altro lato del letto, dove dormiva Alec. La mano ricadde a vuoto sulla federa e lo stregone iniziò a tastare convulsivamente le lenzuola in cerca del suo ragazzo. Non trovò, come di consueto, il corpo duro e muscoloso di Alec, né i suoi capelli corvini sempre arruffati, soprattutto di prima mattina (dettaglio che Magnus tra l’altro adorava di lui, gli toglieva l’aria sempre perfetta e composta tipica degli shadowhunters). Ancora stordito si girò e le sue dita indugiarono su un foglietto stropicciato lasciato sul materasso: si tirò su ancora confuso e disorientato, perché era raro che Alec riuscisse a sgattaiolare fuori dal letto senza che Magnus se ne accorgesse: il ragazzo era davvero agile e silenzioso, quando si trattava di uccidere demoni, ma quando si doveva alzare dal letto la mattina, il rumore che emetteva era paragonabile a quello di una mandria impazzita di bufali. Magnus si guardò intorno nella stanza e notò che anche la divisa, insieme agli anfibi di Alec, erano spariti. Cercò di concentrarsi e aprì il biglietto trovato sul letto: la scrittura era inconfondibilmente quella di Alec e Magnus tirò un sospiro di sollievo, perché se Alec aveva trovato il tempo di scrivere un biglietto, non era certamente in pericolo di vita. Il messaggio era stato scritto di fretta, ma tra i vari scarabocchi si riusciva a leggere:

 

Emergenza con un demone mutaforma, torno più tardi. Ti amo, Alec.

 

Magnus aprì il cassetto del comodino e vi mise dentro il biglietto: Alec gli chiedeva sempre perché conservava in quel cassetto tutte le piccole cose che riguardavano loro due, ad esempio scontrini di ristoranti o biglietti del cinema, e Magnus si era sempre nascosto dietro l’ironia e un sorriso sfacciato come risposta.

Lo stregone si alzò con molta calma, reduce di una notte complicata, ancora intorpidito e confuso. Aveva passato quasi tutta la notte a pensare, perché quel giorno non era un giorno qualunque, era il compleanno di Alec. Il primo compleanno di Alec che i due ragazzi avevano passato insieme era stato un po’ complicato, perché non si frequentavano da molto  e come se non bastasse Alec non aveva ancora rivelato la sua relazione con lo stregone né agli amici, che comunque già lo avevano intuito, né tantomeno ai genitori. Magnus sapeva che per Alec la famiglia era tutto e il rapporto di Magnus con gli shadowhunters, ma in particolare coi Lightwood, non era mai stato particolarmente idilliaco nel tempo. Nella sua lunga vita non si era mai sentito così agitato per un compleanno, ma era desideroso di creare per Alec una giornata speciale, che includesse tutta la sua famiglia e i suoi amici, quindi attraversò la stanza con lunghi passi e si diresse verso l’armadio: optò per un look sobrio e tirò fuori dei pantaloni grigi e una maglia porpora con gli strass che ricadevano seguendo linee verticali, il tutto completato da un favoloso foulard lilla che faceva una perfetta accoppiata con la maglia. Prese i vestiti e si infilò in bagno, fece una doccia veloce, si sistemò i capelli con una buona dose di gel e magia, si vestì e si recò in cucina. La cucina di Magnus era molto spaziosa, perché era in quel luogo che preparava anche la maggior parte delle sue pozioni. La stanza era su un gradino che la separava dal salotto, dove troneggiava un grande divano in stile vittoriano e due poltrone una di fronte all’altra con le imbottiture rosse.  La parete dietro al divano, che dava sul centro di New York, era completamente vetrata e di conseguenza nel salotto veniva sprigionata luce praticamente per tutta la giornata. Magnus adorava l’arredamento ottocentesco, ma sapeva che Alec avrebbe preferito qualcosa di più semplice, quindi aveva deciso di cambiare tutto nei giorni successivi. Sedutosi sulla poltrona, Magnus prese il cellulare e scrisse un messaggio a Jace, il parabatai di Alec, con cui il suo ragazzo si trovava sicuramente in quel momento. Sullo schermo del telefono apparve il messaggio scritto da Magnus;

 

Allora lo tieni impegnato fino a stasera? Devo prendere qualche decorazione.

 

Mentre aspettava la risposta, Magnus si alzò e si occupò del piccolo Presidente Miao, che già fremeva per ottenere cibo e attenzione dal suo padrone, facendo fusa e miagolando disperatamente. Il messaggio di Jace non si fece attendere, perché dopo qualche minuto il telefono di Magnus squillò, quindi lo stregone lo prese in mano e lesse;

 

Va bene, ma mi raccomando, Magnus: sii sobrio”

 

Magnus sbuffò spazientito e alzò gli occhi al cielo: perché tutti pensavano che non fosse in grado di regolarsi? D’accordo, negli anni aveva combinato qualche guaio, ma da quando stava con Alec era migliorato e in ottocento anni di vita si può concedere qualche sregolatezza. Decise, però, di non pensarci ed accontentare la banalità altrui, quindi si mise le scarpe, semplici mocassini neri, e uscì.

Tornò qualche ora più tardi con due buste piene fino all’orlo di festoni, palloncini e coriandoli, opportunamente modificati con un pizzico di magia perché cambiassero colore all’occasione.

“Forse mi sono lasciato un po’ trasportare” riflettè Magnus, ma il secondo dopo decise che non gli importava; voleva rendere quell’appartamento il più gioioso possibile.

Sicuramente arredare la casa per la festa era molto più semplice per uno stregone, perché con un solo schiocco di dita le decorazioni scivolarono fuori dalle buste e si disposero ordinatamente sui muri, sulle poltrone e sulle mensole della casa, regalando un divertente contrasto tra lo stile antico dell’arredamento e i colori festaioli. Un festone andò a posarsi ignominiosamente sul tiragraffi del Presidente Miao e il gatto, molto contrariato dalla cosa, decise di scacciare l’intruso a suon di zampate. Magnus sentiva che mancava qualcosa, ma non riusciva ad inquadrare cosa: con uno svolazzo della mano dotò tutte le decorazioni di un’apparenza scintillante grazie ad una buona dose di glitter e lo stregone si ritenne soddisfatto del lavoro compiuto.

<< Molto meglio non trovi? >> disse Magnus, rivolto al gattino, che per tutta risposta si accasciò a terra con la pancia in su, in attesa di coccole.

<< Ruffiano! >> rispose Magnus.

Un’occhiata all’orologio: le quattro.

Aveva ancora qualche ora prima dell’arrivo di Clary, di Simon, di Isabelle e dei genitori di Alec, che più di tutti intimorivano lo stregone. Si sentiva ancora molto a disagio coi Lightwood; i loro trascorsi non erano dei più piacevoli, perché quando si incontrarono la prima volta i due, ancora ragazzi, facevano parte del circolo di Valentine che diede il via alla rivolta. Nonostante ciò, Magnus iniziava ad abituarsi alla loro presenza, provava a spogliarli delle vesti di shadowhunters vanagloriosi e pieni di sé e provava a vederli solo come i genitori di Alec. Tuttavia, da quando i signori Lightwood si erano separati, la loro boria era diminuita notevolmente, ed inoltre da quando il piccolo Max era stato assassinato erano diventati decisamente più protettivi: da un lato era comprensibile e lo sopportava con garbo per amore di Alec, dall’altro la fraternizzazione con gli shadowhunters non era proprio il suo forte, se poi ci si aggiunge che erano i suoi- quasi- suoceri, la faccenda diventava a dir poco imbarazzante.

Magnus era davvero molto assorto nei suoi pensieri e un tonfo lo ridestò: il Presidente Miao aveva fatto cadere il tiragraffi, nella speranza di acchiappare la sua preda, ma era rimasto schiacciato nell’impatto e ora miagolava disperato.

Chinatosi per risistemare il disastro causato dal gatto, Magnus sentì la chiave rigirarsi nella toppa della porta d’ingresso.

<< Non può essere Alec, è ancora troppo presto >> pensò Magnus terrorizzato ed iniziò a sperare che fosse Clary con la sua irritante abitudine di arrivare prima. Purtroppo lo stregone riconobbe perfettamente il passo del suo fidanzato e corse verso l’ingresso, cercando di pararsi di fronte a lui prima che potesse entrare.

<< Che ci fai qui così presto? >> chiese Magnus in modo tutt’altro che disinvolto.

<< Abbiamo staccato prima- rispose Alec- i demoni mutaforma non sono dei geni, lo sai. Qualche colpo e crollano. Jace voleva andare ad allenarsi all’Istituto, è stato parecchio insistente, ma ho preferito tornare a casa >>.

Magnus doveva pensare a qualche stratagemma, in fretta e senza insospettire Alec, che aveva la pessima caratteristica dei Lightwood di essere terribilmente sospettosi. Se lo shadowhunter avesse attraversato il corridoio e fosse entrato in salotto, avrebbe notato subito i festoni e fare un incantesimo d’invisibilità così su due piedi era escluso. Quindi che fare?

Alec doveva aver letto qualcosa negli occhi di Magnus, perché disse sogghignando << Non dirmi che hai un appuntamento segreto e ti ho rovinato i piani >>

<< Beccato!- rispose Magnus con un sorriso e un cenno della mano- sai com’è, sono molto richiesto, tesoro, ho il fascino dell’età. >>

Alec rise di gusto allo stuzzicamento del fidanzato e fece per dirigersi verso il salotto.

<< Dove vai? >> disse Magnus, parandosi davanti ad Alec come un fulmine.

<< In cucina, amore, ho fame. Perché sei così strano oggi? I demoni mutaforma non saranno dei geni, ma sanno essere piuttosto fastidiosi e mi hanno fatto venire un certo appetito >>

<< Ma oggi è il tuo compleanno, lascia che mi occupi io di te, d’accordo? >> propose Magnus, avvicinandosi con fare suadente e baciando Alec.

<< Se me lo proponi così, non posso certo rifiutare. Ti aspetto in camera allora >>. Alec molto probabilmente aveva notato che Magnus nascondeva qualcosa, ma decise di non farci caso e diede la colpa al comportamento sempre un po’ strampalato di Magnus, che era una delle cose che Alec adorava di lui.

Magnus ringraziò la sua buona stella che la loro camera fosse nella direzione opposta rispetto al salotto, così Alec non avrebbe visto le decorazioni fino all’ultimo.

Guardò il fidanzato allontanarsi e quando la porta della camera si richiuse, Magnus si avviò in cucina, aprì il frigo e cercò l’occorrente per fare un sandwich. Si ricordò tuttavia di non essere uno chef esperto, quindi, approfittando della temporanea assenza di Alec, che lo avrebbe altrimenti sgridato, fece un gesto con la mano, dalla quale sprizzarono scintille blu, e fece apparire un panino dal chiosco di fronte al palazzo. Quel chiosco era uno dei posti preferiti di Alec, ci andava spesso col suo parabatai dopo una missione per riprendere le energie.

Un miao di disapprovazione arrivò dal Presidente Miao, che era stato addestrato da Alec perché rimproverasse il padrone al posto suo, ma Magnus lo ignorò e si avviò verso la camera da letto.

Trovò Alec sdraiato e mezzo svestito sul letto a baldacchino rosso che troneggiava in mezzo alla stanza, adornata come il salotto in perfetto stile vittoriano: le tende di broccato cadevano pesanti e l’armadio di legno accompagnava una splendida toeletta, che veniva usata prevalentemente dallo stregone.

<< L’hai preparato davvero tu o l’hai fatto apparire con la magia? >> chiese Alec, ovviamente sospettoso.

<< Non ti fidi di me?- rispose Magnus con tono vagamente offeso- tipico di voi Lightwood! Dovresti avere più fiducia nel genere umano… o sovrumano in questo caso: la mia bellezza non è un dono comune. >>

<< In questo caso la mia fiducia è pari a zero >> disse Alec con un grande sorriso. Prese il piatto e addentò il panino voracemente. Dopo qualche minuto aveva già terminato il pasto, quindi guardò Magnus e disse:

<< Mi sei mancato oggi, sai? Dovresti venire in missione con noi ogni tanto. Che hai fatto tutto il giorno? >>

<< Oh, sai solite cose. Il sommo stregone di Brooklin sa tenersi molto impegnato, se vuole >> rispose l’altro, dando un buffetto sulla guancia di Alec.

<< Davvero? Allora perché non tieni impegnato me ora? >> lo incalzò Alec ed iniziò a baciarlo.

Un bacio inizialmente dolce e subito dopo appassionato, come se Alec stesse morendo di sete e Magnus fosse l’ultimo bicchiere d’acqua. Non si staccarono nemmeno per respirare e a Magnus tornò alla mente il primo periodo della loro relazione, quando tutti quei baci e quelle tenerezze dovevano essere nascosti, perché il mondo non ne fosse a conoscenza. Si ricordò di tutti quegli sguardi lanciati da lontano, sempre preoccupati che qualcuno vedesse e capisse ciò che c’era tra loro.

Da quando Alec aveva accettato ciò che era e aveva capito quanto valeva, era diventato una persona completamente nuova e diversa: più forte, più sicura, più felice.

Magnus rispose al bacio di Alec e se ne lasciò trasportare prima lentamente, poi con desiderio cieco e inarrestabile, come le onde del mare che si infrangono sugli scogli durante una tempesta. Trascinò Alec sul letto e lo fece sdraiare posandosi sopra di lui, sbottonando i pantaloni, l’unica cosa che lo shadowhunter aveva ancora addosso, e abbracciandolo forte; sentì i muscoli tesi di Alec e la sua bocca fremente, capì in quel momento che tutto ciò che gli serviva per essere felice era davanti ai suoi occhi e ricambiava il suo sguardo d’amore.

Magnus pensò che aveva involontariamente trovato un modo per distrarre Alec ancora un po’, prima dell’arrivo degli invitati, pensiero che lo fece sorridere per quanto era fuori luogo. Alec si accorse di quel mezzo sorriso, ma lo interpretò in tutt’altro modo, quindi spense la luce e si lasciarono entrambi abbandonare da quella sensazione meravigliosa.

 

 

Magnus aprì gli occhi, si mise a sedere sul bordo del gigantesco letto a baldacchino rosso e diede uno sguardo alla sveglia che stava sul comodino a fianco al letto: era passata circa un’ora da quando era entrato in camera.

Questa volta, giratosi, lo stregone trovò il suo ragazzo sdraiato accanto a lui, completamente assorto nei suoi sogni e con quei capelli arruffati sul cuscino che Magnus amava tanto. Il piano per distrarre Alec era riuscito alla perfezione, forse anche troppo, dato che perfino Magnus per un momento aveva dimenticato cosa sarebbe accaduto di lì a pochi minuti. Lo stregone venne ridestato da questi pensieri, quando Alec gli poggiò una mano sulla spalla e con il desiderio negli occhi sussurrò all’orecchio del fidanzato:

<< Dove credi di andare? >>

<< Non ne hai avuto abbastanza? >> rispose Magnus, cercando di non mostrare l’apprensione che aveva iniziato a coglierlo all’improvviso.

Per tutta risposta Alec ricominciò a baciarlo in maniera brusca e bramosa, ma in maniera altrettanto brusca si fermò.

<< C’è qualcuno in casa >> disse con voce bassa, ma ferma e afferrò una spada che teneva sempre a portata di mano.

<< Vado a controllare, forse sono gli amichetti del demone di stamattina >>

Magnus pensò “sicuramente sono gli altri, avranno trovato la chiave sotto lo zerbino”, ma disse:

<< E pensi di accoglierli così? Almeno indossa i pantaloni! >>

<< Giusto. >> Alec prese i pantaloni che giacevano ormai sotto al letto e si avviò fuori dalla camera con passo silenzioso.

 Magnus dimenticava sempre che la runa sull’avambraccio di Alec gli dava la possibilità di sentire ogni minimo rumore, ma già si pregustava il momento in cui si sarebbe trovato davanti, al posto di un nemico o di un demone, Clary, Jace, Izzy, Simon … e i suoi genitori! Magnus capì perfettamente che vedere il proprio figlio mezzo nudo uscire da una camera da letto poteva risultare assai imbarazzante per tutti, quindi cercò di fermare Alec.

Lo shadowhunter era troppo veloce e prima che Magnus potesse raggiungerlo si sentì un SORPRESA dalla stanza in fondo al corridoio: le risate che seguirono rivelarono a Magnus il successo dell’impresa, quindi si rivestì con calma e raggiunse gli altri in salotto.

Quando entrò , sentì la voce squillante di Izzy dire:

<< Addirittura la spada, fratellone? Non credi di esagerare? In fondo ti ho solo salvato la vita oggi !>>

Alec non rispose, l’abbracciò e la baciò sulla fronte, un gesto che i due fratelli Lightwood adoravano e che facevano spesso.

Nell’euforia generale Magnus prese con calma i suoi vestiti, se li infilò, ascoltando divertito il fidanzato che balbettava per la sorpresa nella stanza accanto, ed uscì dalla camera anche lui, raggiungendo gli ospiti in salotto. Fece molta attenzione a non farsi vedere uscire da quella stanza, poiché i genitori di Alec ancora non si sentivano a proprio agio con la sessualità del figlio- cosa che Magnus trovava ridicolmente assurda, ma che sopportava per amore di lui. Non riusciva a comprendere perché fosse tanto difficile per i Nephilim accettare che un uomo amasse un altro uomo: Magnus aveva avuto nella sua lunga esistenza delle relazioni con degli shadowhunters, ma erano sempre state clandestine e il più delle volte erano finite con un “è stato solo per provare”, una frase che lo stregone aveva sempre inteso come “non ho il coraggio di confessare chi sono”. Certo, le cose dopo la battaglia oscura erano cambiate, non solo per i Lightwood, che avevano già perso un figlio e non intendevano perderne un altro, ma per tutto il Mondo Invisibile. Tuttavia era sempre meglio sottacere certe implicazioni, se non altro per non creare inutile imbarazzo.

Appena entrato, vide che tutti gli invitati erano già ai loro posti (dannati Nephilim e la loro puntualità): Isabelle e Simon, che ormai facevano coppia fissa, Clary e Jace, ovviamente, e Maryse e Robert, appositamente venuti da Idris per il compleanno del figlio. Nonostante vivessero ormai vite separate da tempo, i due avevano deciso di rimanere in buoni rapporti per amore dei figli, e, Magnus sospettava, anche per salvare un minimo le apparenze. La solita sensazione di disagio invase lo stregone per qualche istante, non si trovava bene con se stesso a stare attento a cosa diceva, era più forte di lui. Ricacciò immediatamente quella sensazione dentro di lui e assunse un’espressione allegra in viso: quel giorno era solo per Alec.

Magnus venne risvegliato dai suoi pensieri dalla voce di Jace che, con un braccio attorno alle spalle di Alec diceva al suo parabatai:

<< Non te lo aspettavi, vero? >>

<< No, davvero. >> rispose l’altro, tra l’imbarazzato e il felice.

<< Pensavi ci saremmo dimenticati del tuo compleanno? >> intervenne Robert, fingendo di essere offeso << Quanta fiducia, figliolo! >>

<< Beh, i Nephilim non sono noti per essere molto festaioli >> rispose Alec, ridendo dal nervosismo, poi si rivolse al suo fidanzato e disse:

 << Tu c’entri qualcosa, immagino. Per questo non volevi farmi entrare in cucina >>

<< Forse, e sia chiaro che in caso di processo negherò ogni coinvolgimento, potrei averci messo lo zampino, anche se devo ammettere che l’operazione “Distrarre Alec” potrebbe essermi leggermente sfuggita di mano … >>

Magnus si rese conto solo dopo del sottinteso che quella frase poteva avere e si maledisse per la sua linguaccia, perché aveva completamente dimenticato chi stava ascoltando quella conversazione.

Con Alec era sempre così semplice: la stanza poteva essere enorme e contenere tutti gli abitanti di Idris, dell’intero Mondo Invisibile e di New York messi assieme e Magnus avrebbe visto solo lui. In un altro momento tutto ciò sarebbe stato molto romantico, ma lo stregone si rese conto che doveva smorzare quel momento glaciale che aveva paralizzato il discorso- dote che lui aveva affinato negli anni e di cui era diventato un maestro- quindi aggiunse, un po’ maldestramente:
<< … niente di sconveniente in ogni caso … >>.

Il silenzio si non si placò, ma venne interrotto da una sonora risata di Jace, alla quale seguirono tutte le altre. E in quel momento Magnus ringraziò silenziosamente il parabatai di Alec per aver risolto la situazione.

Magnus andò in cucina per tirare fuori la torta dal frigo, o almeno così disse lui: si appoggiò al lavandino e tirò un profondo respiro. Sperava in cuor suo che Alec si stesse divertendo, ma fare il fidanzato serio davanti ai suoceri non era una cosa che gli riusciva bene.

Era talmente concentrato nei suoi pensieri che non si accorse dell’arrivo di Simon, che gli mise una mano sulla spalla e lo fece sobbalzare per lo spavento.

<< Ehi, hai i nervi a fior di pelle!- tipico di Simon cominciare con una battuta del genere- tutto bene? >>

Magnus rispose con un mezzo sorriso, tentando di non fingere imbarazzo per la situazione, ma con poco successo, infatti Simon se ne rese immediatamente conto.

<< Se può consolarti, non sei l’unico che deve fare bella figura coi suoceri. E pra che la mia mente è un colabrodo è anche più difficile del previsto. Per loro non sarò mai all’altezza di Izzy e forse non hanno tutti i torti. Insomma, guardala: lei è una bellissima e incredibile guerriera, mentre io sono un nerd di Brooklin che non ricorda le cose! >>

Simon aveva perso i ricordi del periodo precedente poco dopo la morte di Sebastian durante la guerra oscura: nel regno di Edom in cambio della sua memoria, Asmodeo, il terribile padre di Magnus, li aveva fatti ritornare sulla Terra, ma questo aveva comportato molta sofferenza per tutti, soprattutto per Izzy e Clary, che volevano in ogni modo riportare Simon com’era prima. Grazie ad alcune sedute magiche con Magnus, il ragazzo stava pian piano recuperando i ricordi, ma era un processo lento e nel frattempo lui cercava di rielaborare il tutto.

<< Hai ragione, però tu sei etero almeno >> rispose Magnus, senza pensare.

<< Vuoi fare una gara? Ok, a quanto pare io sono stato prima un mondano, per qualche minuto un topo, ancora dovete spiegarmi questa storia, poi SONO MORTO e mi sono trasformato in un vampiro. Come se non bastasse ho perso la memoria e ora forse diventerò uno shadowhunter. Ah, ho qualche vago ricordo di un certo Lord Montgomery, ma mi racconterete anche questo prima o poi. Pensi che io possa competere? >> dopo aver snocciolato questo discorso folle, Magnus e Simon si fecero una risata e il primo disse:
<< Che spirito competitivo! Va bene, hai vinto tu, contento? >>

<< Un po’ in effetti >> rispose Simon con un sorriso soddisfatto.

<< Forse sei l’unico qui dentro che può davvero capire come mi sento >> rispose Magnus raddrizzandosi.

I due si scambiarono un cenno e ritornarono in salotto con la torta.

Gli shadowhunters non avevano l’abitudine di cantare “tanti auguri a te” al festeggiato- ovviamente- perché era considerata una frivola tradizione mondana. Tuttavia non disdegnavano la consegna dei regali e il bottino di Alec fu piuttosto ricco: un arco nuovo e laccato d’oro da Isabelle, una giacca di pelle, rigorosamente nera, da parte di Clary e di Simon e una faretra da Maryse e da Robert.

Poi tutti si girarono verso Jace, aspettandosi da lui qualcosa di sorprendente, visto il suo legame con Alec. Negli anni i due si erano fatti regali sempre molto affettuosi e carichi di simbolismi, anche se non amavano mostrare ogni secondo il bene che si volevano.

<< Questo è da parte mia >> disse Jace, che tirò fuori dalla tasca un piccolo pacchetto incartato con una rustica carta marrone e avvolto da uno spago.

<< Non sarà un anello, vero? >> scherzò Alec, come faceva sempre quando si trovava in imbarazzo, ovvero molto spesso, << per l’Angelo, amico, lo sai, ora sono impegnato ed è una relazione piuttosto seria. Pensavo avessimo già chiarito la questione >>

Era alquanto divertente e liberatorio per Alec poter scherzare sull’infantile cotta che aveva preso per Jace tempo addietro. La cosa era scemata pian piano dopo l’incontro con Magnus, ma Alec non era riuscito subito a riderci sopra, mentre ora questo Alec non aveva alcun problema.

<< AH AH AH, aprilo e basta >> rispose Jace, tirandogli una gomitata.

Il festeggiato scartò il regalo e si ritrovò in mano una scatola bianca, la aprì e vide una catenina di adamas con un ciondolo appeso: quel ciondolo raffigurava un simbolo allungato con sporgenze ai lati, quello che per gli shadowhunters rappresentava il legame parabatai.

<< L’ha fatto per me una sorella di ferro- disse Jace- sai, mi doveva un favore >>

Alec inizialmente non capì il significato di quel gesto: i due avevano già inciso sulla pelle la runa parabatai ed era già un grosso legame, quindi perché il ciondolo?

<< Non hai capito, vero- disse Jace, sorridendo- mi piace fare cose balorde! >>

<< Dai, spiegami e non fare il saputello >> rispose Alec

Jace allungò leggermente lo scollo della maglia e tirò fuori una catenina identica che portava già al collo.

<< Io ne ho una uguale- e la mostrò. Il ciondolo scintillava alla luce delle lampade, che davano all’oggetto una colorazione argentata, tipica dell’adamas- se sarò in pericolo, il che prevedo accadrà molto spesso conoscendomi- e non saremo insieme, il ciondolo si illuminerà: ti basterà stringerlo e ti trasporterà immediatamente da me. La stessa cosa vale per quello che indosso io >>

Lo sguardo fra i due si fece più intenso.

<< Considerata la quantità di guai in cui vai ad infilarti, in effetti mi sarà più che utile >> rispose Alec tra il serio e il commosso.

<< Esatto- scherzò Jace- so che abbiamo già la runa, ma volevo essere sicuro di poterti proteggere in ogni momento e questa mi è sembrata una buona soluzione >>

I due sorrisero e si abbracciarono: gli shadowhunters potevano essere forti singolarmente, ma due parabatai insieme erano quasi invincibili.

Essere parabatai significava più che essere compagni in combattimento: i due guerrieri legavano parte della propria anima a quella dell’altro, erano come gemelli, e se uno dei due soffriva, l’altro lo poteva sentire.

La runa che avevano sulla pelle era già simbolo del loro legame, ma era imposto dalla cerimonia cui si erano sottoposti anni prima, quando avevano fatto il giuramento davanti ai Fratelli Silenti e alla famiglia: questo ciondolo, nella testa di Jace, avrebbe rappresentato un rafforzamento della loro unione.

<< Va bene, piccioncini, ora tocca a me! >> proruppe Magnus, facendo il finto geloso e strizzando l’occhio ad Alec. Ritenne di essere stato in disparte fin troppo a lungo e aveva riflettuto molto sul regalo da fare al fidanzato. Ovviamente doveva essere qualcosa d’effetto, ma anche significativo.

Magnus si guardò intorno, attese un momento per aumentare la suspense e iniziò a gesticolare con le dita, dalle quali sprizzarono scintille blu. I suoi occhi da gatto si illuminarono diventando ancora più gialli, la pupilla era diventata solo una sottile fessura nera e i suoi capelli corvini coperti di glitter vennero scossi da una folata di venticello leggero. Gli astanti iniziarono a fissarsi a vicenda con aria interrogativa, il Presidente Miao, invece, si nascose sotto il divano osservando curiosamente il padrone da sotto i cuscini. Improvvisamente Clary notò che i suoi piedi, prima saldamente attaccati al pavimento, non avevano più un punto d’appoggio. Come lei anche le altre persone nella stanza si sollevarono leggermente, mentre Magnus borbottava qualche parola in una lingua apparentemente sconosciuta. Le scintille si fecero più intense e avvolsero i mobili della stanza che pian piano svanirono: erano tutti a bocca aperta tranne Alec.

In seguito Magnus girò i palmi delle mani all’insù e dalle dita si formarono due sfere blu che lo stregone, ad occhi sbarrati, lanciò in aria. In quel momento la stanza svanì del tutto, avvolta in un bagliore pallido; quando la vista tornò, il loft di Magnus aveva lasciato spazio ad un’ampia radura, prima si vedevano solo i contorni di alberi e colline, poi anche le forme e infine qualche colore più nitido.

I Lightwood furono i primi a capire dove si trovassero e si sorrisero vicendevolmente con affetto; Alec invece guardò stupefatto Magnus e con un sospiro e gli occhi sbarrati disse:

<< Magnus … no, non ci credo >>

<< Credici amore >> rispose il fidanzato con aria fiera e un sorrisetto scaltro stampato sul viso.

 

 

Alec non potè dire nulla per qualche momento, rimase solo ammutolito fissando il vuoto, poi corse incontro a Magnus e lo abbracciò forte, mettendogli le braccia attorno al collo.

Clary invece era frastornata, non capiva quale luogo fosse e non riusciva a ricordare di averlo mai visto, quindi si rivolse a Izzy che si trovava accanto a lei e chiede:

<< Dove siamo? >>

La sorella di Alec era ancora in preda allo shock e con la voce flebile rispose:

<< è il luogo preferito di Alec, Clary >>.

Davanti a loro si estendeva un prato verde che sembrava infinito, quasi non si riusciva a scorgere l’orizzonte oltre le grandi colline che sembravano essere un tutt’uno con il cielo; quest’ultimo era blu cristallino- “il colore dei suoi occhi” pensò Magnus- che era ancora nella stretta di Alec. Gli alberi sembravano lunghi chilometri e si rispecchiavano in maniera perfetta nella grande pozza d’acqua che stava al centro della radura. Campi di fiori appena sbocciati inondavano le colline e coloravano il paesaggio di rosso, di giallo e di viola, rendendo il tutto, agli occhi da artista di Clary, bello quanto un dipinto.

L’aria era fredda- pensò Magnus-, ma un freddo piacevole, quel tipo di freddo che ti fa sentire leggero ad ogni respiro, quel freddo che penetra nei vestiti e nelle ossa senza essere gelido o rigido.

In fondo alla collina, proprio sotto un enorme albero il cui tronco si piegava curvando, c’era una casetta, coperta dall’ombra delle fronde: una casa semplice e modesta, con un tetto di tegole rosse, le pareti di pietra e le finestre ovali- sembrava il classico disegno di una casetta di un bambino piccolo.

 Era circondata da un piccolo giardino delimitato da una staccionata di legno e un ramo dell’albero accanto scendeva tanto in basso, che era stata costruita sopra un’altalena col sedile giallo legata con delle spesse cordicelle di fili di paglia intrecciati.

Clary, che stava studiando molto attentamente gli accostamenti cromatici e i contorni degli elementi di quella campagna, chiese a nessuno in particolare:

<< Come si chiama questo posto? >>

<< Valis >> rispose Magnus, guardandosi intorno con aria serena e soddisfatta.

Valis era una cittadina poco fuori Alicante, sulla pianura di Brocelind, dove ancora i Nascosti potevano andare senza particolari problemi o restrizioni del Conclave. Oltre la pianura, strizzando un po’ gli occhi, si poteva intravedere l’inizio di una foresta magica fitta di alberi alti e possenti; un esperto della geografia di Idris sapeva che oltre quella foresta si trovava il grande e cristallino Lago Lyn.

I Lightwood erano soliti passare le estati in questo luogo, quando gli impegni politici dei genitori e quelli scolastici dei figli diventavano troppo gravosi: Magnus aveva sentito decine di racconti di Alec riguardo questo posto, la maggior parte dei suoi ricordi più felici avevano come sfondo la casa di Valis. Per esempio, la prima volta che Alec aveva teso un arco da solo era stato in quel giardino e aveva lanciato la freccia proprio contro il tronco dell’enorme albero che stava accanto alla casetta; tanti ricordi con Jace provenivano da quel luogo, era lì che i due ragazzi avevano condiviso i loro segreti e le loro paure più importanti, convinti che invece nell’Istituto i muri avessero le orecchie; e poi tutti i pomeriggi passati a rincorrersi e a giocare ad uccidere i demoni, e la piccola altalena con il seggiolino giallo era stata costruita proprio da Alec per i suoi fratellini più piccoli, anche se ora giaceva inutilizzata ed immobile da molto, forse troppo, tempo.

Magnus osservò il suo ragazzo correre verso la casetta assieme al suo parabatai e, per qualche momento, rivide in lui il bambino di dieci anni spensierato, anche se confuso, che non aveva ancora acquisito la sicurezza di quell’uomo che ora gli stava di fronte.

Anche Maryse e Robert si erano fatti prendere dal momento, con grande stupore dello stregone: sperava che avrebbero messo da parte i loro contrasti almeno per quel giorno, ma soprattutto sperava di non scatenare ricordi dolorosi portando tutti in quel luogo.

La comitiva si mosse verso la casa con passo tranquillo, tranne Izzy, Alec e Jace che erano corsi subito verso quel luogo per loro così carico di ricordi d’infanzia; quando arrivarono tutti, la grossa porta di legno era già spalancata e nella casa si sentivano risuonare i passi frettolosi dei tre ragazzi che ripercorrevano quelle stanze con febbrile eccitazione.

<< è tutto come prima? >> chiede Alec col fiatone

<< Certo che sì! Ho voluto mantenere esattamente la descrizione che mi avevi fatto: ho cambiato solo il colore delle tende, che francamente era davvero sciatto >> rispose Magnus, dimentico del fatto che quelle tende erano state scelte da Maryse che in quel momento aveva sentito ogni parola. Fortunatamente la suocera, come tutti gli altri, era troppo impegnata a godersi il momento per far caso a certi dettagli, era già sparita in salotto per rivedere le vecchie foto di famiglia, posta sopra alla mensola del caminetto, quando ancora sembrava che ci fosse una grande armonia tra loro. Magnus scorse un velo di tristezza nel viso di Maryse, quando la vide passare di fronte ad una foto che raffigurava Alec sull’altalena con in braccio Izzy, poco più piccola di lui, e un minuscolo fagotto, che doveva essere Max appena nato. Magnus le si avvicinò per la prima volta senza rancore e senza imbarazzo e le mise una maso sulla spalla: lei si girò e lo fissò negli occhi, nonostante le lacrime fossero vicine. Lei gli rivolse un sorriso, tenendo ancora la foto in mano, e con un sussurro quasi impercettibile disse:

<< … Grazie >>

<< è stato un piacere >> rispose lo stregone, senza un velo di sarcasmo e vedendo Maryse non come la shadowhunter del Circolo che aveva più volte tentato di ucciderlo, per quello che era: una madre che aveva perso uno dei suoi figli.

Nel frattempo Izzy si stava dondolando sull’altalena spinta da Simon e ridevano come due bambini; Jace invece aveva portato Clary a fare un tour della casa, raccontando aneddoti divertenti per ogni stanza in cui entrava; Robert aveva raggiunto Maryse e Magnus in salotto e, quando anche lui iniziò a rimirare i ricordi gelosamente custoditi nelle foto, Magnus decise di togliere il disturbo ed avviarsi in giardino.

Lo stregone venne bloccato all’ingresso da Alec, che gli prese il braccio da dietro e lo tirò con fare insistente, dicendo:
<< Vieni, devo farti vedere una cosa >>

Magnus non se lo fece ripetere due volte e si fece trascinare su per la scalinata che portava al piano di sopra, dove stavano le camere da letto: era un piano leggermente meno luminoso di quello di sotto, ma altrettanto rustico e profumava di fiori e di sapone. Alec si fermò di fronte ad un muro e tirò fuori lo stilo che teneva in tasca; quando lo trovò, si avvicinò alla parete e vi impresse dei segni sopra, che sembravano quasi prendere fuoco a contatto con il muro. Dopo aver finito lo shadowhunter si allontanò leggermente e senza dire una parola spinse Magnus a fare lo stesso: la parete si trasformò, creando tante piccole pieghe, che si ingrandirono sempre di più e divennero poi chiaramente dei gradini.

<< Nessuno sa di questo posto >>  disse Alec, voltandosi verso il fidanzato << nemmeno Jace >>.

<< Davvero? Come mai? >> chiese Magnus curioso

<< Adesso lo vedrai >>

I due salirono i ripidi gradini tenendosi per mano fino ad arrivare in una piccola soffitta: la luce entrava appena dagli spiragli delle tegole del tetto e la stanza era polverosa e disordinata: i mobili erano tutti ricoperti da uno strato leggero di polvere, ma si riconoscevano un piccolo divano antico, un set di scaffali attaccati alle pareti, sui quali, presumeva Magnus, si potevano appoggiare delle armi, una libreria piccola ma funzionale e proprio lì accanto un grosso e pesante baule chiuso da un lucchetto di ferro.

Magnus si guardò intorno e decise che l’ambiente aveva bisogno di una rinfrescata, quindi schioccò le dita e una folata di vento portò via la polvere che ricopriva tutto e risistemò i libri e gli oggetti sparsi sul pavimento.

<< Meglio così, non trovi?- chiese lo stregone- almeno non rischiamo di inciampare nei nostri stessi piedi >>

Alec sorrise e disse:
<< Beh, non sono mai stato particolarmente ordinato, da piccolo poi anche meno >>

Magnus immaginava un piccolo Alexander coi vestiti sempre bucati, la camera in perenne disordine e i giochi sparsi per tutta la casa. Provava un’immensa tenerezza quando pensava ad Alec da bambino, forse perché vedeva in lui quella innocenza e quella fragilità che a Magnus erano mancate.

Magnus si ridestò dai suoi pensieri e chiese:

<< Come mai mi hai portato qui? >>

<< Questa soffitta era il mio rifugio: l’ho costruita nel tempo, di nascosto, e ci venivo quando i miei genitori mi sgridavano o quando volevo semplicemente essere me stesso … e non quello che gli altri volevano che fossi >>

<< Un ottimo guerriero, un bravo fratello maggiore e ora scopro che sei anche un eccellente architetto: non smetti mai di stupirmi, Alexander. Anche se sull’arredamento avrei da questionare, ma posso perdonarti perché eri piccolo >> scherzò Magnus, dando un colpetto sulla spalla di Alec. Cercava di alleggerire la tensione, aveva capito che per Alec era difficile spiegare il motivo di quella visita alla soffitta e di solito con una battuta si scioglieva sempre un po’.

Alec rise di rimando, poi prese la mano di Magnus e lo portò di fronte al baule che lo stregone aveva adocchiato per prima cosa appena entrato: lo shadowhunter si chinò, tracciò una runa di apertura sul metallo del lucchetto e aprì il coperchio che sbattè sul pavimento con un grande tonfo.

All’interno del baule c’erano tanti fogli, alcune erano lettere, altri disegni: Alec ne prese una in particolare, la dispiegò e la guardò con occhi tristi e profondi.

<< Questa la scrissi in un momento molto particolare: volevo confessare alla mia famiglia chi ero, anche se ero consapevole che non mi avrebbero mai accettato. Non volevo più nascondermi, ma non potevo rivelare la verità. Perciò decisi di scappare >>

<< Scappare? E dove? >> chiese Magnus, sorpreso di quello che stava sentendo

<< Non lo sapevo. Ovunque. L’unica cosa a cui penavo, l’unica che volevo davvero era non nascondermi più. All’Istituto mi sentivo perso e solo: sapevo di essere sbagliato e che non avrei mai potuto avere ciò che desideravo davvero. Sentivo che se avessi detto la verità su di me, su quello che provavo, nessuno mi avrebbe più amato o guardato come prima. “Perché tu sei un Lightwood” mi ripetevo “e sei il maggiore. Hai una responsabilità nei confronti della famiglia. È una questione di onore”. Non potevo sbagliare, dovevo mantenere alto il nome della famiglia e occuparmi dei miei fratelli. Ma avevo capito che non c’era onore nel vivere una menzogna, anche se mi vergognavo della verità >>

<< ”Pesante è la testa di chi porta la corona”- sussurrò Magnus- posso? >> e Alec gli porse la lettera.

La calligrafia del piccolo Alec era grande e precisa, rientrava perfettamente nei quadrati del foglio ed era dritta e regolare. Magnus iniziò a leggere:

 

“Madre, padre, sono Alec. Non posso più nascondere quello che sono e vivere serenamente. So che sto disonorando la famiglia, non vorrei mai deludervi e speravo infatti di poter seppellire questo terrificante sentimento dentro di me. Ho cercato di farlo. Non voglio crearvi ulteriore vergogna, perciò ho deciso di scappare.

Mi dispiace,

Alec”

 

<< Dovevi soffrire molto, è un grosso peso per le spalle di un ragazzo >> disse Magnus e ripiegò la lettera con le lacrime agli occhi, pensando ad un piccolo Alec così confuso e triste.

<< Già. È stato difficile >> rispose Alec, fissando il vuoto e giocherellando con le proprie mani.

<< Cosa … o chi … ti ha fatto cambiare idea? >> chiese Magnus, a quel punto curioso di sapere la fine della storia.

<< Inizialmente Jace.- rispose Alec con un mezzo sorriso- ero già pronto per partire, avevo rubato qualche provvista e l’avevo messa nel mio zainetto, avevo preso l’arco e le frecce e mi stavo preparando ad andare. Poi lui venne da me, quasi come se avesse sentito in qualche modo che avevo intenzione di lasciarlo. Mi guardò e mi chiese cosa stavo facendo. Gli dissi che volevo andarmene. Lui non me ne chiese il motivo, mi rispose solamente che non aveva mai avuto un fratello, o un amico, prima di incontrare me. Che era grazie a me se sentiva di avere una famiglia e di essere amato da qualcuno. Questo mi fece in parte capire che forse ci sarebbe stata almeno una persona che mi avrebbe voluto bene comunque >>

<< Capisco. Eravate destinati a diventare parabatai- rispose Magnus- hai detto “inizialmente Jace”. E poi chi altro? >>

<< E poi Izzy. E Max. erano piccoli, correvano nel prato e ad un certo punto si scontrarono. Caddero entrambi all’indietro: Izzy si sbucciò un ginocchio e Max si mise a piangere. Arrivarono i miei per curarli, ma … >>

<< … Ma? >> lo incalzò Magnus, sempre più curioso.

<< Ma loro volevano solo me. Mi chiamavano e non volevano nessun’altro. Avevano bisogno di me >>

<< Sei stato bravo con loro >> lo rassicurò Magnus

<< Sentivo che loro due più di tutti avevano bisogno che io li proteggessi, non potevo abbandonarli. Non potevo per due ginocchia sbucciate, tantomeno per cose più gravi. Non avrei potuto vivere in pace con me stesso, sapendo di averli abbandonati- rispose Alec con un mezzo sorriso e continuò- ti ho fatto vedere questa soffitta perché volevo darti un’altra parte di me, una parte insicura e che è rimasta sepolta in questo baule per anni insieme a tutta quella polvere. Quella parte che solo tu sei riuscito a sbloccare. Tu per la prima volta mi hai dato la sicurezza e il coraggio di fare qualcosa per me stesso e per la mia vita e non potrò mai ringraziarti abbastanza per questo. Mi hai salvato la vita, Magnus >> confessò Alec tutto d’un fiato.

Magnus era commosso oltre l’esprimibile e disse solo:

<< Ne sono onorato, tesoro >> poi prese tra le mani il viso di Alec, lo guardò fisso negli occhi e avvicinò la propria bocca alla sua. Fu un bacio dolce e tenero e in quel momento Magnus sentì Alec più vicino che mai.

Staccatosi da lui, Alec disse:

<< Pensi che potremmo tornare qui qualche volta? Magari solo noi due >>

<< Ogni volta che vorrai >>  rispose Magnus

<< Grazie. Allora adesso torniamo giù dagli altri. Avremo molto tempo per stare da soli la prossima volta >> rispose Alec, tentando di sembrare suadente, ma invano. Magnus rise sotto i baffi e iniziò a scendere con lui.

 

 

 

Uscendo dalla scala nascosta, Alec si girò e tracciò altri segni sul muro con lo stilo: la parete si contorse su se stessa e rientrò esattamente come era prima dell’arrivo dei due ragazzi.

Improvvisamente dietro di loro si sentirono dei passi e apparve Jace che teneva per mano Clary; il ragazzo, insospettito, chiese:

<< Ehi, dove eravate finiti, voi due? >>

Non si erano minimamente accorti di Jace e non pensavano di trovarlo lì, quindi non avevano una scusa pronta e plausibile per trovarsi in quel punto, apparentemente a fissare il muro.

Sembrava non aver visto nulla di ciò che era avvenuto, ma per sicurezza Magnus tentò di svicolare con una battuta:

<< Un vero gentiluomo non fa queste domande, Jace. E poi una casa così piccola e così tanta gente … sai … poca privacy >>

E con fare disinteressato, abbracciò Alec da dietro, appoggiando il mento sulla sua spalla, come se no avesse niente da nascondere.

Jace inizialmente non sembrava convinto, ma poi disse:

<< Va bene, ho capito- con un sorriso eloquente- quando avete finito, raggiungeteci al piano di sotto, ok? >>

<< Sarà fatto >> promise Magnus e Alec annuì

Jace e Clary quindi corsero giù per la scale ridacchiando e quando non li sentirono più, lo sguardo si Alec si fece più rilassato.

<< Meno male che esisti >> disse Alec con sollievo

<< Non sei l’unico a pensarlo effettivamente >> rispose Magnus, lanciandosi indietro il foulard che aveva al collo.

Scesero lentamente le scale e videro che la festa si era spostata in giardino: il sole iniziava a calare e il cielo si era colorato di un intenso arancio, che faceva un bellissimo contrasto col verde dell’erba.

Magnus schioccò le dita e dalle solite scintille blu comparvero un tavolo di legno e delle sedie che si posarono sul prato, poi una tovaglia a quadri bianchi e rossi si adagiò delicatamente sul tavolo e improvvisamente si materializzò un banchetto vero e proprio: carne, paste e dolci e qualche bottiglia di vino.

Magnus fece materializzare in mano ad ogni ospite un bicchiere, poi afferrò una delle bottiglie, la stappò e fece il giro, versando il contenuto nei calici. Poi si fermò, alzò il suo bicchiere e disse:

<< Al mio Alec. Al nostro Alec >> con un sorriso e tutti gli fecero eco alzando a loro volta i calici in onore del festeggiato.

Il resto del pomeriggio e della sera andò avanti a cibo e chiacchiere e Magnus sperò dentro di sé che per Alec fosse un altro bel ricordo da aggiungere alla lista di Valis. Ad un certo punto disse:

<< Credo sia ora di tornare a New York >>

Tutti furono d’accordo: Maryse e Robert salutarono tutti e si incamminarono verso Idris, che non distava molto da lì, mentre gli altri si prepararono ad essere trasportati a casa da Magnus.

La magia fece effetto velocemente, la pianura di Valis svanì in un bagliore bianco e i ragazzi si ritrovarono di nuovo nel loft di Magnus, mezzi accecati dal lampo magico che lo stregone aveva fatto scaturire.

Appena arrivati, il Presidente Miao, che nel frattempo era andato in cucina, andò incontro al suo padrone e ad Alec, facendo le fusa e miagolando in maniera eccitata.

Alec salutò e ringraziò gli amici: prima Izzy e Simon, poi Jace e Clary.

Si incamminarono tutti, tranne Jace che, quando si trovò sulla soglia fece dietro front, andò da Alec e gli sussurrò all’orecchio:

<< Hai bisogno di una runa della resistenza per stanotte? >> facendo l’occhiolino al suo parabatai.

<< … Penso di sì >> rispose Alec, arrossendo leggermente, e scoprì il braccio per farsi fare velocemente la runa dal suo amico. Finito il lavoro, Jace gli diede una pacca sulla spalla e raggiunse gli altri.

Quando in casa rimasero solo Magnus e Alec, lo shadowhunter propose di riordinare domani e andare direttamente a dormire. Lo stregone non fece obiezioni e gli prese la mano, portandolo in camera da letto.

<< Ti sei divertito oggi? >> chiese, mentre si sedeva alla scrivania per togliere i numerosi anelli.

<< Moltissimo- rispose Alec- nessuno aveva mai fatto una cosa simile per me >>

<< Alexander, quando capirai che non sei una persona qualunque per me?- rispose Magnus alzandosi dalla sedia e avvicinandosi al fidanzato- prima di te ho amato, ma mai ho sentito la complicità che abbiamo noi due. Non ho mai pensato … di poter costruire una vita con qualcuno. C’era sempre un grande ostacolo che mi frenava >>

<< … perché saresti rimasto solo, alla fine, giusto? >>

<< Già. Con te, però, questo ostacolo non conta. Non conta, Alec, perché tu sei il mio Alec e niente, nemmeno la morte, potrà mai portarmi via questo >> rispose Magnus, fissando Alec nei suoi bellissimi occhi blu, profondi e dolci.

<< E tu sei il mio Magnus. Non pensavo che sarei mai stato felice come oggi. Ti amo. Davvero >>

Lo sguardo tra i due rimase così, sospeso, per qualche momento. Il resto del mondo era sparito, l’unica cosa che contava erano loro due in quel momento. E mentre fuori il caos e i rumori della notturna New York preannunciavano una vita di lotte e sfide continue, i due ragazzi sapevano che tutto ciò non li avrebbe spaventati, se avessero affrontato tutto insieme.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** La paura di essere amati ***


Era una soleggiata domenica pomeriggio e Magnus e Alec stavano portando le ultime cose al loro appartamento: si trovava in centro città, un punto strategico, vicino all’Istituto per Alec e vicino ai negozi più chic per Magnus.

Erano passati quasi tre mesi da quando Alec aveva chiesto in modo decisamente impacciato a Magnus di andare a vivere insieme, ma era stata posta una condizione: una nuova casa, un posto totalmente nuovo che potesse significare per entrambi un nuovo inizio.

Da principio Magnus era dubbioso e allo stesso tempo emozionato: Alec era un ragazzo così metodico, lo stregone al contrario amava “vivere alla giornata”, non curandosi molto dell’avvenire; sicuramente questo atteggiamento verso la vita era dovuto al fatto che la sua vita non sarebbe effettivamente mai finita.

L’amore per Alec tuttavia aveva cancellato ogni dubbio, dunque l’idea della convivenza era stata accolta con molto entusiasmo: Magnus aveva deciso che sarebbero serviti dei mobili nuovi e quindi passò le settimane successive ad arredare e ammodernare il loft che avevano acquistato.

Alec da canto suo aveva più o meno convissuto con lo stregone fin dagli inizi della loro relazione, quindi era convinto che questo passo non avrebbe fatto altro che rafforzare la loro relazione. Inoltre era decisamente scomodo dover andare e venire dall’Istituto ogni volta che doveva prendersi un cambio di vestiti.

Insomma la cosa sarebbe stata vantaggiosa per tutti. O almeno così sembrava nella sua testa.

Tuttavia Alec aveva insistito che il trasloco avvenisse senza uso della magia, per “godersi il momento”, così sosteneva lui, con grande disappunto di Magnus, che al contrario odiava sudare nei suoi bellissimi abiti pieni di pizzo che gli prudevano ovunque.

Il piano era che i due avrebbero trasportato gli ultimi mobili con l’ausilio del furgone di Luke, ma non possedendo una patente mondana, si fecero accompagnare da Sheldon, Sonny, insomma il fidanzato nerd di Isabelle che, seppur affetto da una temporanea amnesia, non aveva dimenticato come si guidava.

Seduti sui sedili posteriori con gli scatoloni sulle ginocchia, Magnus guardò il viso contratto dall’emozione del suo fidanzato e gli poggiò una mano sulla spalla. Alec si girò e, vedendo lo sguardo fiducioso di Magnus, si rilassò visibilmente.

<< Sei emozionato? >> chiese Alec, prendendogli la mano.

<< Moltissimo, tu? >> rispose Magnus.

<< Pure io, non ho mai convissuto con qualcuno, spero di non sfigurare >> disse Alec con una risata nervosa.

Arrivati davanti alla nuova casa, Simon disse:

<< Eccoci. Avete bisogno di aiuto per scaricare? >>

<< No, grazie Simon. Ce la caviamo >> rispose Alec, che ci teneva ad occuparsi personalmente del delicato compito di maneggiare mobili, i suoi primi mobili- sicuramente non li avrebbe lasciati nelle maldestre mani di quel mondano senza addestramento fisico.

Magnus ed Alec scesero dal furgone e tolsero i mobili dal bagagliaio, quindi Simon ripartì, salutandoli con un cenno della mano.

Visto il divieto dell’uso della magia, l’operazione di trasporto di mobili dalla strada all’interno della casa prese quasi tutto il pomeriggio.

Stremati, i due si gettarono sul divano, dunque Magnus commentò:

<< Almeno per arredare lasciami usare la magia >> guardando Alec in maniera implorante. Lo stregone non era abituato a sudare, come invece Alec faceva quotidianamente durante i suoi allenamenti, quindi era nuovo all’esperienza e non particolarmente incline a continuarla.

Tuttavia perfino Alec doveva ammettere con se stesso di aver bisogno di riposo, quindi rispose con un cenno di consenso del capo.

Dalle dita di Magnus scaturirono scintillanti onde blu e, con fare soddisfatto, osservò i mobili che uno ad uno si disponevano ordinatamente nell’appartamento. Un’operazione che avrebbe richiesto l’intera serata occupò solo due minuti e lo stregone, lanciando un’occhiata al suo fidanzato disse:

<< Non era meglio così? Niente sudore, niente fatica >>

<< Ma niente soddisfazione >> rispose Alec, allungandosi per baciare Magnus

 << sono felice, davvero >> aggiunse.

<< Anch’io >> rispose Magnus.

La serata proseguì tranquillamente: i due ragazzi erano decisamente esausti per qualsiasi attività, anche per le più piacevoli, quindi crollarono sul divano abbracciati.

 

 

Alec aprì gli occhi e vide la luce fuori dalla finestra: dovevano essere circa le dieci del mattino. Il Presidente Miao stava protestando vivacemente per avere attenzioni e si arrampicò sul divano. Alec si godette lo spettacolo: il gatto stava “affettuosamente” graffiando il viso di Magnus per svegliarlo, incurante del fatto che lo stregone fosse ancora esausto dalla giornata di trasloco.

Magnus, ancora assopito, aprì gli occhi e mugugnò qualcosa di vagamente incomprensibile, ma che suonava come un “gattaccio”, e giratosi dall’altra parte riprese a dormire. Alec decise che toccava a lui occuparsi del piccolo, quindi andò in cucina e preparò la colazione per tutti; dopo una ventina di minuti fece irruzione Magnus con indosso una vestaglia viola e oro che gli arrivava alle caviglie.

<< Sempre sobrio, noto. Mi piace. >> constatò Alec.

<< Lo stile non dorme mai, tesoro. Tranne il tuo, che ovviamente è caduto in coma ai tempi del Paleolitico. >>

<< Buongiorno anche a te, amore >> rispose Alec.

Magnus gli stampò un bacio sulla guancia per tutta risposta e aggiunse:

<< Dormito bene? >>

<< Sì, ma devo scappare all’Istituto, abbiamo una faccenda da risolvere con un demone che si nasconde tra le anatre di Central Park >> disse Alec, addentando una fetta di pane tostato e passando una tazza di caffè a Magnus.

<< Oh, e Jace? Non ha quella strana ed irrazionale fobia per quelle … come le chiama? “Bestie assetate di sangue”? >>

<< Non è una fobia, è solo … ok, ne è terrorizzato. Anche per questo mi vuole con lui ad ogni costo- rispose Alec ridendo sotto i baffi- ci vediamo tra qualche ora, d’accordo? >> e con un bacio frettoloso, Alec prese la porta e uscì.

 

 

Arrivò all’Istituto in breve tempo e trovò Jace ancora in pigiama, non particolarmente ansioso di uscire, con Clary che disegnava e Isabelle che decideva cosa indossare.

<< com’è andata la prima notte, fratellone? >> esordì Isabelle

<< Non era la prima volta che dormivamo insieme, Izzy >> rispose Alec

<< Sì, ma prima uscivate solo insieme- intervenì Clary- ora CONVIVETE! Dai, racconta! >> aggiunse curiosa, chiudendo frettolosamente l’album degli schizzi, cosa che faceva solo quando l’argomento era davvero interessante.

<< Non ho alcuna intenzione di raccontarvi della mia intimità con Magnus >> rispose Alec, le cui guance si colorarono di un brillante porpora.

<< E fai bene, amico! >> esordì Jace, con una smorfia che voleva sembrare una difesa dell’orgoglio maschile dalle sorelle impiccione.

<< Dovremmo andare, abbiamo una missione. Le anatre del lago non scoveranno il demone al posto nostro >> disse Alec con fare da leader e sperando di chiudere l’argomento “Malec”.

Di fronte a questa dichiarazione Jace si tirò su improvvisamente, sbarrando gli occhi, e mal celando un terrore paralizzante che tutti ben conoscevano, disse:

<< Sì, ma tutto sommato anche a me interesserebbe sapere di ieri >> sperando così di evitare missioni nelle quali erano coinvolte le anatre- piccole bestie assetate di sangue!

<< Ah, adesso vuoi saperlo? Non starai per caso cercando di evitare qualche animaletto con le piume e che fa… QUACK. Dico bene? >> rispose Clary, ridacchiando e stuzzicando il fidanzato.

<< Assolutamente no! E per dimostrarlo, ora vado a prendere le armi! >> disse Jace, alzandosi con un’impressionante lentezza.

Jace uscendo si diresse verso il corridoio di sinistra e Clary gli urlò dietro:

<< Guarda che l’armeria è dalla parte opposta! >>

<< Lo so, bene - rispose Jace cercando di fare lo spavaldo- volevo solo fare una passeggiata >>

Isabelle seguì Jace con lo sguardo finché non lo vide scomparire, poi si girò di scatto verso il fratello maggiore e disse:

<< Ok, ora puoi dircelo: com’è stato? >>

<< Sì, dai, a noi puoi dirlo! >> disse Clary, infilando la matita tra i suoi rossi capelli.

<< Scusate? Non era per Jace, non intendo raccontare nulla >> rispose Alec, categorico, e vedendo un sorriso furbo apparire sulle labbra della sorella, aggiunse:
<< e tu non provare a chiedere qualcosa a Magnus, intesi? >>

<< Guastafeste! >> rispose Izzy, sbuffando.

<< Forza, raggiungiamo Jace in armeria, dobbiamo muoverci in fretta >> disse Alec, spingendo le due ragazze fuori dalla stanza.

Clary riprese l’album e lanciò un’occhiata di accordo con Izzy che ricambiò con un occhiolino. Ovviamente avrebbero chiesto a Magnus, una volta che Alec si fosse distratto.

Quando i tre arrivarono in armeria, trovarono Jace armato fino ai denti e già con la divisa indosso. Sembrava più preparato per una guerra, che per una semplice missione.

Clary agguantò uno spadone, Isabelle un pugnale e la frusta, sua compagna di avventure da sempre, e Alec ovviamente optò per l’arco e iniziò a marchiare le frecce con delle rune.

<< Forza, prima partiamo, prima finiamo >> disse Jace, visibilmente agitato.

<< Non preoccuparti, ti proteggo io >> rispose Clary, ammiccando al fidanzato.

Una volta pronti, i quattro uscirono dall’Istituto alla volta di Central Park.

 

 

Il parco aveva il profumo e l’aspetto di tutti i giorni: la primavera era arrivata da un po’ e i fiori erano quasi tutti sbocciati. I bambini mondani si rincorrevano, ignari del pericolo che si nascondeva nel laghetto delle anatre, e le mamme chiacchieravano allegramente le une con le altre.

<< Allora il piano è questo- disse Alec- Clary e Izzy faranno da esca al demone e si posizioneranno proprio davanti alle anatre >> mentre parlava, rivolse uno sguardo alle ragazze che fecero cenno di assenso, quindi continuò:

<< Nel frattempo io e Jace lo coglieremo alle spalle >> e qui si girò invece verso il suo parabatai.

<< Va bene tutto, basta che mi teniate lontani quegli esseri ambigui >> rispose Jace, riferendosi ovviamente a quei terribili anatroccoli del laghetto.

<< Non preoccuparti, principessa. Ci penso io >> rispose Clary, punzecchiandolo.

Le due ragazze eseguirono il loro compito: si sedettero su una panchina di fronte al laghetto, fingendo di parlare tra loro, ma con una mano sempre sulla fodera delle spade. Alec e Jace si nascosero tra i cespugli nella parte opposta alle ragazze, in attesa che il demone cercasse di uscire allo scoperto per carpire l’anima di Izzy e di Clary.

Dopo circa venti minuti si vide una scia verde sulla superficie dell’acqua: inizialmente era solo una macchia, poteva sembrare muschio a prima vista, ma dopo poco la macchia si avvicinò alla riva dove erano posizionate Izzy e Clary.

Clary diede un’occhiata al lago e subito dopo fece un cenno a Izzy. Nel frattempo i due ragazzi cominciarono a spuntare fuori dai cespugli e si avvicinarono di soppiatto alle spalle del demone, che intanto era uscito dall’acqua in un’inquietante nube verde.

Si riconoscevano delle braccia da cui spuntavano degli artigli e due puntini rossi che dovevano essere i suoi occhi.

Il piano stava procedendo alla perfezione, finché un anatroccolo improvvisamente uscì dall’acqua e si avvicinò a Jace: il ragazzo emise un urletto appena percettibile, ma abbastanza perché il demone se ne accorgesse. Questi rivolse i suoi occhi rossi verso Jace e fece per attaccarlo, ma la frusta di Izzy partì veloce e gli immobilizzò le braccia. Dall’altra parte Clary ed Alec attaccarono con un salto e staccarono al volo la testa del demone con due colpi di spada. Jace, ripresosi dallo shock per l’incontro con l’anatroccolo, corse in avanti e lo trafisse, dandogli il colpo di grazia.

<< Tutto ok? >> chiese Alec con il respiro affannoso

<< Sì, ma vi avevo detto di tenermi lontane quelle creature maledette >> borbottò Jace.

Per un attimo ci fu un imbarazzante silenzio, poi il quartetto scoppiò in una sonora risata.

 

 

Quando i quattro si separarono, Alec prese la strada per tornare a casa. Salite le scale, sentì uno strano odore dolciastro e, riflettendoci, arrivò alla conclusione che l’anziana vicina mondana stesse preparando dei biscotti.

Tirò fuori le chiavi dalla tasca e le infilò nella serratura della porta: una zaffata di polvere gialla invase Alec.

Il ragazzo, tossendo, uscì con difficoltà dalla nuvola che si era creata e urlò:
<< MAGNUS! >>

<< Ciao amore >> disse Magnus, arrivando con estrema calma

<< si può sapere cosa succede? >> chiese Alec, ancora un po’ stordito

<< beh, una vampira mi ha chiesto una pozione per cambiare colore ai capelli in base al suo umore e ho fatto … qualche esperimento >>

Un forte MIAO invase la stanza e apparve il Presidente Miao col pelo colorato di biondo platino coi pallini rosa.

“La faccia sbigottita di Alec è uno spettacolo”, pensò Magnus, che però si affrettò a dire:
<< Ovviamente lo farò ritornare normale, ma non trovi che sia molto più alla moda così? >> e con un sorriso tentò di sdrammatizzare la situazione.

Alec accennò un sorriso e salvò il povero gatto dalle grinfie di Magnus, che spesso lo usava come cavia per i propri esperimenti.

Col piccolo in braccio Alec si sdraiò sul divano, appoggiando arco e spada sporchi di terra sulla poltrona lì accanto.

Magnus tirò un urlo e disse con aria sconvolta:

<< Tesoro, questa è stoffa italiana, credi sia il caso di appoggiarci sopra le armi sporche?! >>

<< è solo una poltrona, Magnus- rispose Alec, che non era molto in vena di subìre una predica- preoccupati di come hai conciato il gatto piuttosto >> aggiunse irritato.

<< è diverso, io stavo lavorando, caro. >> replicò Magnus

<< Questo lo chiami lavorare?! >> rispose Alec, alzando davanti agli occhi di Magnus il povero gattino. Ora lo shadowhunter era visibilmente scocciato.

<< cosa vorresti dire con questo? >> disse Magnus, che cominciava ad irritarsi a sua volta.

<< Niente, lascia stare >>

<< No, ora lo dici >>

<< E va bene, vuoi che lo dica?!- urlò l’altro- io ho passato la giornata a combattere contro un demone che per poco non ci mangiava per cena, arrivo a casa e l’unica cosa che vorrei è riposare e stare con te. E invece cosa trovo? Il gatto con un discutibile pelo, la casa inondata di polvere magica che odora di biscotti e … e poi cosa diavolo hai fatto al nostro appartamento? >>

Solo in quel momento, infatti, Alec si rese conto che i mobili non erano gli stessi della mattina: la casa ora aveva uno stile molto vittoriano, con il divano e le poltrone foderate di velluto e il tavolo di legno intarsiato di decorazioni floreali. Le tende, anziché essere di stoffa grigia e blu, erano di pesante broccato rosso. Alec non osava immaginare in quali condizioni fosse la camera da letto, ma considerato il resto della casa, si aspettava come minimo un letto a baldacchino rivestito di esuberanti lenzuola: tipico di Magnus.

<< Ho pensato di cambiare un po’, l’arredamento di prima era così … lugubre >> rispose Magnus.

<< Ma … lo abbiamo scelto insieme! E perché non mi hai consultato prima di cambiare ogni cosa? >> replicò Alec, che, se fosse stato un fumetto, avrebbe avuto il fumo che usciva dalle orecchie.

<< Perché sono fatto così, Alexander, io vivo alla giornata e seguo il mio istinto, non programmo tutto al secondo come fai tu. Prova ad essere spontaneo ogni tanto, è divertente >>

<< Le decisioni vanno prese insieme, Magnus. Se siamo una coppia, e non solo due coinquilini, allora devi chiedermelo, prima di “seguire il tuo istinto” >> Alec sputò fuori le ultime quattro parole con grandissimo disprezzo.

<< Chiedertelo? Caro, ho ottocento anni e molta più esperienza di te su qualunque cosa, non devo chiederti assolutamente nulla >>

<< Adesso mi rinfacci che sei immortale? Potresti anche essere l’Angelo Raziel in persona, ma se stai con me, prendi in considerazione anche il mio parere. Se avessi voluto questo, sarei rimasto a vivere all’Istituto. >> rispose Alec, furibondo.

<< E allora perché non ci torni? >> Magnus si pentì nell’istante stesso in cui pronunciò quelle parole e, vedendo gli occhi di Alec perdere quella luce che dava loro allegria, si sentì la persona peggiore del mondo.

Alec non sapeva cosa dire e continuò a fissare Magnus incredulo.

Dopo qualche secondo disse:
<< se è questo quello che vuoi … -e iniziò a recuperare le armi che avevano dato il via all’intera discussione- prenderò il resto delle mie cose domani >>, quindi prese la porta e uscì.

Magnus voleva chiedergli subito di perdonarlo e di rimanere, ma l’orgoglio di uno stregone di ottocento anni era duro da piegare.

Quando finalmente si rese conto di ciò che stava succedendo, disse “scus …” , ma Alec aveva già sbattuto la porta d’ingresso.

Magnus si lasciò cadere sul divano, in preda allo sconforto e al rammarico: la verità, e finalmente lo ammise con se stesso, era che aveva paura, e aveva lasciato che quella paura si riversasse su Alec come un fiume in piena.

Ma non avrebbe permesso che la paura lo soffocasse, quindi alzò la cornetta del telefono e iniziò a comporre un numero.

Dopo un paio di squilli si sentì dall’altro capo:
<< Pronto? >>

<< Izzy? Sono Magnus. Mi serve aiuto >>

 

 

La pioggia cadeva leggermente sulle punte dei capelli di Alec, l’aria era fredda, quel freddo che penetra nelle ossa, o forse era solo una sensazione di Alec. Camminava col passo pesante, rimuginando sulla discussione che era appena avvenuta: non voleva essere così duro con Magnus, ma era convinto che le cose avrebbero dovuto essere messe in chiaro fin da subito. E poi lui riusciva a fargli perdere le staffe come nessun’altro. Ma, per l’Angelo, quanto lo amava … forse semplicemente non erano pronti per un passo del genere.

Arrivato di fronte all’Istituto, che ai mondani appariva solo come una chiesa abbandonata, Alec tirò un sospiro: non voleva spiegare a nessuno il motivo del suo ritorno, ma era tardi, quindi forse non avrebbe trovato né Jace né Clary né Izzy ancora svegli.

Salì i gradini dal portone d’ingresso ed entrò: il silenzio avvallava l’ipotesi che fossero già tutti andati a dormire e Alec non poteva che esserne sollevato.

Percorse la rampa di scale che portavano al secondo piano e si avviò verso la sua vecchia camera. I mobili erano ancora quelli di un tempo e, varcata la soglia, Alec si sentì di nuovo il ragazzo di prima: questa sensazione non gli piaceva.

Si sedette sul letto con le mani tra i capelli e ripensò ai momenti con Magnus e a quanto valessero in confronto ad una lite così banale.

Da un lato, la sua mano avrebbe voluto scattare verso il telefono e comporre il numero di Magnus per scusarsi, dall’altra,combatteva contro questo impulso: perché Magnus non chiamava? Perché non poteva abbandonare l’orgoglio, per una volta, e fare un passo verso di lui? Queste domande laceravano il cuore di Alec come mille spade, perché con Magnus si era sentito per la prima volta sicuro e amato e non voleva perdere tutto questo. L’amarezza e la rabbia si contendevano l’animo di Alec che, senza rendersene conto, iniziò a sentire le lacrime punzecchiargli gli occhi.

All’improvviso un pensiero attraversò la mente dello shadowhunter come un fulmine: ricordò il momento in cui, alla sua festa di compleanno, Alec aveva mostrato a Magnus i ricordi più privati e nascosti della sua vita; in quel momento il ragazzo si era sentito più che mai vicino ad una persona che amava e dalla quale veniva ricambiato, e non aveva intenzione di perdere quella sensazione.

Alec fece per alzarsi, quando improvvisamente udì una musica provenire dalla biblioteca: una musica che Alec conosceva molto bene, perché era una canzone che Magnus gli aveva dedicato dopo essere sopravvissuti alla Guerra Oscura. Le note echeggiavano profonde nel silenzio dell’Istituto e Alec ne seguì il suono: si accorse che non proveniva dalla biblioteca, o almeno non esattamente.

Alec si avvicinò alla scrivania e poggiò l’orecchio sul muro che stava dietro: la musica si fece più forte ed improvvisamente si formò un piccolo vortice blu, che si ingrandì pian piano, fino a ricoprire l’intera parete.

Alec strizzò gli occhi a causa del forte bagliore che quel vortice emanava, ma notò che stavano iniziando a formarsi delle immagini.

Inizialmente vide una stanza e un letto al centro: Alec riconobbe subito il luogo, perché era la stanza dove Magnus lo aveva curato, la loro prima interazione.

 

 

 

“Resisti, Alec” disse il riflesso di Magnus, il viso contorto per la concentrazione.

“Magnus … “ il riflesso di Alec aveva la voce flebile, debole.

“Non parlare, ci sono io” rispose Magnus.

 

Da lì la visione cambiò, Alec era impietrito dallo spettacolo che aveva di fronte.

Si formò l’immagine del vecchio ingresso di casa di Magnus e Alec di spalle di fronte alla porta: Magnus la aprì.

 

“Cosa ci fai qui?” disse Magnus

“Volevo ringraziarti per l’altro giorno”

 

La visione cambiò di nuovo e questa volta c’era un divano e i due ragazzi avvinghiati uno sopra l’altro che si baciavano appassionatamente.

 

“Aspetta un attimo- disse Magnus - forse prima dovresti riflettere su quello che stai per fare”

“Perché? C’è qualcosa che ho fatto di male?” rispose Alec

 

I due ripresero a baciarsi, la visione era confusa e già stava cambiando: Magnus stava dormendo e Alec era entrato furtivamente nella camera da letto e si era infilato sotto le coperte, svegliando sia il gatto sia Magnus.

 

“Che sta succedendo?”disse Magnus

“Niente, non riuscivo a dormire” rispose Alec

“E quindi sei uscito?”

“Ho camminato qui attorno”

“Mi sa che sei stato nel paese dei matti, altro che. Non mi hai portato niente?”

Alec si chinò e lo baciò, rispondendo:
“Solo questo”

E Magnus tirando Alec sopra di sé disse:

“Beh, visto che mi hai svegliato, facciamo in modo che ne sia valsa la pena”

 

Mentre il vortice si colorò nuovamente di blu, si sentivano delle parole sussurrate

 

Aku cinta kamu … io non voglio il mondo, io voglio te …

 

La musica nel frattempo faceva da sottofondo e Alec era senza parole: su quello schermo, scena dopo scena, parola dopo parola, si stava materializzando la storia dei due ragazzi attraverso ricordi e momenti proiettati su quel muro.

<< Scusami >>

Alec si voltò a quella parola: Magnus era proprio alle sue spalle, forse si era nascosto dietro la scala per tutto quel tempo.

<< Sei stato tu? >>chiese Alec. E poi pensò “che domanda stupida. Chi vuoi che si stato?”

<< Con un aiutino di Izzy. Ha fatto in modo che fossimo soli, così da non spiegare alcunché. >>

Le emozioni di Alec si mescolarono in maniera confusa.

<< Alec, ascoltami. Io ho vissuto per secoli, ho visto le peggiori disgrazie e le gioie più immense. Ho visto compagni di una vita e persone che amavo nascere e morire e non pensavo onestamente che avrei mi avuto nulla di più: una fugace e pallida visione di ciò che vuol dire vivere. Poi tutto è cambiato: da quando ti ho incontrato il mio cuore ha cominciato a battere davvero, forse per la prima volta.

Il tuo modo di essere, come pronunci le frasi più semplici e sincere con una leggerezza e un’onestà che raramente ho scorto in altre persone.

E i tuoi occhi.

Oh, Alec, mi perdo nei tuoi occhi: vi annego dentro e mi lascio trasportare.

Tutto ciò per farti capire che io non sono abituato a … questo. Costruirmi una vita con una persona, una vera vita, forse anche una famiglia un giorno. Ecco, tutto ciò … credevo semplicemente che mi fosse precluso. Tu mi hai dato la vita ed io non voglio perdere questo per nulla al mondo.

Tu a Valis hai voluto darmi un altro pezzo di te. Oggi voglio dartene uno io: quella parte che aveva e ha tutt’ora paura di fallire e di perdere, e questa volta, no, non mi basterebbe qualche decennio per riprendermi.

Ti amo, Alec, più di qualunque altra cosa al mondo. Ti prego, perdona la mia paura e il mio orgoglio e torna a casa … a casa nostra. >>

Alec era completamente senza parole: tutto ciò che avrebbe voluto sentire dire da Magnus era stato appena detto. Tutte le ansie e le paure, tutta la rabbia e la malinconia sparirono in un attimo.

Alec si lanciò verso Magnus, tenendolo stretto tra le sue braccia, i loro corpi vicini l’uno accanto all’altro e senza più barriere in mezzo.

<< Sarebbe un “sì”? >> chiese Magnus

<< Sempre >> rispose semplicemente Alec, stringendolo come se avesse paura di vederlo volare via.

 

 

Tornati a casa, Alec si rese conto che l’arredamento, che era stato precedentemente cambiato, era tornato come prima. Tutto tranne l’enorme letto a baldacchino rosso in camera.

<< Su due cose devo darti ragione >> disse improvvisamente Alec

<< Quali? >>

<< La prima è che l’arredamento così è decisamente deprimente- disse Alec - e la seconda … >>

<< … e la seconda? >> chiese Magnus, ridacchiando per l’ammissione del fidanzato

<< E la seconda è che questo letto è perfetto >> rispose Alec

<< è un letto vergine, sai? - disse Magnus con un sorrisetto malizioso – non ci ha fatto sesso ancora nessuno. >>

<< Allora bisognerà rimediare, non credi? >> disse Alec alzando un sopracciglio.

<< Non potrei essere più d’accordo >>

Alec prese il viso di Magnus tra le mani e lo baciò con ardore e passione, la bocca che aveva sapore di sale e whisky. Le mani di Alec arrivarono fino alla camicia di Magnus, strappandone i bottoni, e gettando lo stregone sul letto.

 

I problemi tra i due ragazzi non sarebbero di certo finiti quel giorno, tante liti e colpi di scena erano ancora dietro la porta, ma i due erano in grado di affrontarli. Ora sì.

L’amore che li univa era più forte di qualunque cosa e grazie ad esso avrebbero affrontato a breve una delle sfide più grandi della vita, una sfida per la quale perfino Magnus, potente ed immortale Sommo Stregone, ed Alec, forte e fiero shadowhunter, erano impreparati: un figlio.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Papà e papino, sono uno stregone! ***


Era passato già un mese da quando Magnus e Alec avevano portato a casa il piccolo Max e si vedeva: il salotto era invaso da scatole di pannolini e biberon, i vestitini da neonato erano sparsi ovunque e, come se non bastasse, c’era una macchia rimasta sul piano da cucina in marmo di Carrara, tanto grossa, che nemmeno la magia più potente era riuscita ad eliminarla.

Alec aveva rinunciato quasi subito all’abitudine di tenere l’arco e la spada in casa, visto che il bambino mostrava già un particolare interesse per quegli oggetti: inizialmente il ragazzo aveva provato a nasconderli, ma, inspiegabilmente, questi finivano sempre tra le paffute mani di Max. Alle continue richieste di Magnus di tenere le armi fuori dalla portata del bambino, Alec cedette e le lasciò in custodia a Jace perché le portasse nell’armeria dell’Istituto.

Era qualche tempo ormai che succedevano cose strane in casa, piccole stranezze, come il cambio di colore del divano o le tende tagliuzzate: Alec attribuì questi eventi agli esperimenti magici mal riusciti del suo fidanzato, mentre Magnus li considerava allucinazioni dovute alla mancanza di sonno.

Alla fine entrambi erano troppo stanchi per indagare oltre.

Una mattina Alec si svegliò sul divano a causa delle urla di Max e, come spesso ormai capitava, vide Magnus di spalle in cucina che preparava un biberon per il piccolo stregone.

Per un momento Alec cercò di capire cosa ci facesse nel mezzo del soggiorno, poi si ricordò improvvisamente che da quando era arrivato il bambino, lui e Magnus crollavano quasi sempre sfiniti sul divano una sera sì e una no.

Il ragazzo strizzò gli occhi e sbadigliò rumorosamente , poi, ancora intontito, si alzò e raggiunse Magnus in cucina.

<< Buongiorno >> disse Alec, baciando prima la guancia sinistra di Magnus e poi la piccola fronte blu di Max, che in quel momento era in braccio al suo papà e si godeva il suo enorme biberon.

<< Buongiorno. Hai dormito stanotte? >> rispose Magnus con gli occhi ancora semi-chiusi.

<< Un pochino. Stasera lo guardo io, così ti riposi. >>

Magnus rispose con un sorriso, poi abbassò lo sguardo e fissò amorevolmente il figlio, che succhiava il latte con fare vorace.

“Sembra quasi un velociraptor - pensò Magnus- un adorabile velociraptor. Fatta eccezione per le … zanne.”

Alec si avvicinò alla macchinetta del caffè e ne preparò una quantità decisamente esorbitante, ma necessaria, ormai senza non riusciva ad accendere il cervello la mattina- presume che uno shadowhunter debba avere la mente sveglia.

I due si stavano abituando alle sveglie notturne, dolci e con vago sentore di pannolino sporco, tipiche del neogenitore, ma anche il piccolo Max cominciava ad avere orari più stabili: per il momento il bambino non aveva dato ancora segni di avere poteri magici, anche se Magnus era consapevole che fosse solo una questione di tempo.

I due erano talmente insonnoliti per la maggior parte del tempo, che quegli strani eventi non li avevano minimamente preoccupati.

In quel momento Alec notò l’orologio e si accorse di essere in un notevole ritardo, quindi corse in bagno per una doccia veloce, si vestì, salutò Magnus e Max con un bacio cadauno e uscì.

L’Istituto era vicino a casa loro, quindi Alec optò per una passeggiata, approfittando per respirare aria fresca, o almeno con un odore diverso da quello dei pannolini pieni di pipì di Max. Arrivato di fronte al cancello della chiesa, oltrepassò il giardino ed entrò dal pesante portone d’ingresso. Si avviò verso l’armeria, dove, ne era sicuro, avrebbe trovato Jace.

 

 

Alec aveva ragione: trovò Jace in armeria, intento a dare pugni al sacco per gli allenamenti, ed era tanto concentrato, da non rendersi conto dell’entrata del suo parabatai. La stanza dell’armeria era particolarmente grande, gli scaffali con le armi riempivano i muri e c’erano tavoli sui quali si dovevano pulire le armi usate nelle battaglie, spesso sporche di icore demoniaco e che quindi non potevano essere subito riposte. Le pareti avevano lo stile gotico della chiesa con delle colonne che sorreggevano il soffitto e una zona centrale dove era stato posto il tappeto per fare allenamenti: lì di solito si facevano esercitazioni di corpo a corpo, ma c’erano anche strumenti per gli allenamenti individuali come il sacco che stava usando jace in quel momento.

<< Ehi, non si saluta? >> scherzò Alec.

Jace si voltò e un sorriso gli attraversò il volto alla vista dell’amico. Da quando era arrivato Max, Alec si faceva vivo meno spesso del solito.

<< Ehi, finalmente! È una settimana che non ti vedo, pensavo di organizzare una squadra di salvataggio! >>

I due si avvicinarono e si abbracciarono.

<< Sì hai ragione, sai il bambino … >> fece Alec, tentando di giustificarsi in maniera impacciata. Non era ancora abituato a vedersi in veste di padre.

<< Non scusarti. Piuttosto, come sta il mio nipotino? >> chiese Jace, che adorava il piccolo Max.

<< Beh, urla, dorme e fa la pipì- rispose Alec – ma è un amore >>

<< Allora sarai lieto di sapere che oggi è una giornata liscia: castighiamo un paio di demoni al ponte di Brooklin e abbiamo finito. Ti alleni con me? >> disse Jace.

<< Vuoi fare del corpo a corpo, dì la verità >> rispose Alec, con fare sornione. Ora riusciva a scherzare molto di più sulla piccola attrazione che aveva avuto per Jace anni orsono e l’amico stava al gioco senza problemi.

<< Ovviamente >> rispose Jace con un sorriso e aprendo le braccia.

Ad Alec piaceva allenarsi di prima mattina, ma le sue nuove responsabilità gli toglievano parecchie energie … e attenzioni. Jace infatti aveva approfittato della guardia abbassata di Alec per riuscire a sferrargli un gancio sul naso; l’altro barcollò all’indietro con la mano sulla faccia e tirando un gemito di dolore.

<< Ti vedo distratto, fratellone >>  disse Jace.

<< D’accordo, vuoi la guerra? >> e Alec si mise in posizione, ma la sua mente era sempre rivolta a Max e a Magnus.

 

 

Nel frattempo …

<< Ecco fatto, ora facciamo il bagnetto, d’accordo Max? >> disse Magnus, dopo aver finito di sfamare il bambino.

Il piccolo sorrise e fece un verso che lo stregone considerò di assenso, quindi lo mise nel box e andò a preparare la vasca. Magnus aveva l’abitudine di infilarsi anch’egli nella vasca insieme al bambino per giocare con la schiuma e le bolle, cosa che a Max faceva ridere più di ogni altra cosa. Gli faceva ancora uno strano effetto occuparsi di un bambino, sebbene ormai la cosa andasse avanti da un po’ e gli piacesse anche molto- aveva “curato” parecchie volte i vampiri e i licantropi appena trasformati e aveva aiutato tanti piccoli stregoni in difficoltà; nessuno di loro però era rimasto a lungo con lui, Magnus alla fine era sempre da solo.

Lo stregone mise un paio di dita nell’acqua per controllare la temperatura: era pronta. Alec era stato categorico su certe cose, in particolare sulle temperature a cui Max veniva esposto: era un padre premuroso, cosa che inspiegabilmente, sebbene lo ammettesse solo con se stesso, faceva eccitare Magnus da morire.

Dopo il controllo si avviò in salotto per recuperare Max.

<< Sei pronto, mio piccolo mirtillo? Andiamo a fare il bagn … >>

Magnus si interruppe bruscamente perché il bambino era sparito: nel box era rimasto solo il suo orsacchiotto e “etta”, la sua copertina azzurra senza la quale non dormiva.

Com’era possibile? Qualcuno era entrato senza che Magnus se ne rendesse conto?

Impossibile. Da quando Max era arrivato, Magnus aveva eretto delle barriere magiche aggiuntive che non potevano essere oltrepassate da persone che avessero cattive intenzioni. Era una magia estremamente potente, impossibile da ingannare, per suo figlio ogni protezione non era sufficiente.

E allora? Magnus si mosse con circospezione, evitando di fare il benché minimo rumore e con le scintille blu che sprizzavano pronte dalle dita.

Passò per la cucina. Tutto normale.

Quindi si avviò verso il corridoio che portava alla camera da letto sua e di Alec e sentì un MIAO forte ed energico provenire dalla stanza.

La porta era stata chiusa la sera prima, mentre ora era spalancata, quindi lo stregone corse dentro e non si capacitò subito di quello che vide.

 

 

Dopo l’allenamento Alec e Jace andarono in cucina per una bella colazione: in realtà l’unica cosa commestibile che trovarono in frigo era una busta con gli avanzi del thailandese della sera prima. I due non si fecero problemi, si prepararono due grossi piatti e due tazze di caffè e si sedettero a tavola.

<< Come va con Magnus? >> chiese Jace

<< Sai, siamo molto impegnati con Max- rispose Alec che faceva ancora un po’ di fatica a rievocare quel nome e il piccolo fratellino a cui un tempo apparteneva- diciamo che non passiamo molto tempo da soli >>

<< Credo sia abbastanza normale. Se vuoi, io e Clary possiamo tenere il bambino una sera, così potete uscire >>

<< Davvero? Sarebbe fantastico, grazie! >> rispose Alec con un sorriso.

<< Forse dovrei chiamare Magnus >> aggiunse borbottando e dando una veloce occhiata al telefonino. Nessun messaggio.

<< Perché? >>

<< Per controllare che vada tutto bene- rispose Alec- di solito a quest’ora mi ha già mandato dieci foto di Max >>

<< Va bene papà, ma non esagerare con l’apprensività >> rispose Jace, dando una gomitata al suo parabatai.

Alec gli rispose con un mezzo sorriso e alzando gli occhi al cielo, ma non si era comunque tolto dalla testa l’idea di chiamare il suo ragazzo. Prese quindi il telefono dalla tasca, di nuovo, digitò il numero di casa e lo portò all’orecchio: il segnale suonò per circa un minuto, poi partì la segreteria telefonica con la voce familiare di Magnus:

 

*BIP* Ciao, siamo Magnus, Alec e Max: in questo momento ci stiamo godendo la vita e non possiamo rispondere, ma se ci lasciate un messaggio, forse vi richiameremo. O anche no. *BIP*

 

 

Nel messaggio si sentiva in sottofondo la risata di Max e ad Alec comparve automaticamente un sorriso ebete stampato sulla faccia, pensando al suo bambino che rideva.

Decise di lasciare un messaggio.

<< Ciao amore, tutto bene? Non ho ancora ricevuto il solito book fotografico delle dieci. Mi richiami quando puoi? Ti amo e dai un bacio a Max da parte mia >>

Alec riappese e poggiò il telefono sul tavolo.

<< Non ha risposto? >> chiese Jace

<< No >> rispose laconico Alec

<< Chi non ha risposto? >>

Era Isabelle: era entrata velocemente e silenziosamente in cucina e si era seduta vicino al fratello.

<< Magnus- disse Alec- voglio solo assicurarmi che Max stia bene >>

<< è con suo padre, fratellone! Un uomo che ha più di quattrocento anni ed è il Sommo Stregone di Brooklin: datti una calmata >> rispose Izzy, toccando affettuosamente il braccio di Alec: sapeva quanto il fratello potesse diventare nevrotico sotto stress.

<< Sì, lo so, è che non li lascio spesso >>

<< Appunto, dovresti invece- intervenne Jace - Clary dorme? >> chiese, rivolto a Izzy.

<< No, è già sveglia >>

<< Allora vado a prendere le spade, tra dieci minuti si esce >>

I fratelli Lightwood fecero un cenno di assenso e Jace sparì dalla stanza. Per quanto Alec si fosse ripromesso di non preoccuparsi, non riusciva a evitare di pensare a cosa stesse accadendo a casa in quel momento.

 

 

Nel frattempo …

<< Max- disse Magnus con un sospiro- smettila di tirare la coda al Presidente Miao! >>

Magnus aveva trovato suo figlio sul lettone, dove il gatto si era appisolato: Max rideva, tirando la coda al gatto, mentre quest’ultimo era decisamente offeso per il mancato rispetto alla sua persona e miagolava disperato.

Magnus si avvicinò a Max e il bambino tese le braccia grassottelle per farsi prendere in braccio dal padre.

<< Sei proprio una peste- disse Magnus, prendendo il bambino- ti lascio nel box per cinque minuti e … un momento … >>. Magnus fissò il bambino, poi ripercorse il corridoio a ritroso e si fermò di fronte al box: le sbarre erano ancora tirate su e non c’era segno che Max si fosse arrampicato. È vero, il bambino stava già accennando qualche passetto, ma non aveva certo la forza, l’agilità e l’equilibrio necessari per uscire dal box da solo.

<< Come sei riuscito ad arrivare fin là? >> chiese Magnus

Il bambino rise e agitò la manina dalla quale uscirono delle scintille blu: improvvisamente Max non era più tra le braccia di Magnus, che si girò freneticamente per cercarlo e lo vide in cima alla libreria.

<< MAX! >> urlò Magnus

Si avviò alla libreria e con una severa occhiata fece volare giù il bambino, facendoselo ricadere tra le braccia.

<< Tale padre, tale figlio. Non ricordo tanto scompiglio in casa da quando il tuo papà mi chiese di uscire la prima volta >> disse Magnus con un sorriso compiaciuto.

<< Aspetta che lo venga a sapere papino … >> e accarezzò i riccioli corvini del figlio, che aveva l’aria molto soddisfatta per i suoi progressi magici.

Improvvisamente l’appartamento iniziò a tremare e le tende, i mobili e le pareti cominciarono a cambiare colore: la risata di Max si disperdeva come un eco lontano per tutta la stanza, mentre le scintille blu sprizzavano come fuochi d’artificio dal suo corpicino.

Magnus era impreparato a tutto questo, posò il bambino nel box e cercò di riflettere sul da farsi. Come se non fosse già abbastanza difficile concentrarsi, il telefono iniziò a squillare: Magnus lo ignorò, cercando di trovare una soluzione al problema che si stava creando, nel frattempo i colori della casa continuavano a cambiare e il pavimento non smetteva di tremare.

Il telefono cessò di squillare e partì la segreteria telefonica:

 

*BIP* Ciao, siamo Magnus, Alec e Max: in questo momento ci stiam…

 

Magnus zittì con un gesto della mano la segreteria e ad un tratto la soluzione arrivò alla sua mente come un lampo.

Corse verso l’armadio delle pozioni e tirò fuori una fiala con un liquido rosa scintillante: dato che all’interno del mobile vi erano pozioni pericolose, le ante erano state sigillate con un lucchetto magico, per evitare che Max si facesse male. Il lucchetto riconosceva solo la traccia magica di Magnus: era stata una delle sue idee più brillanti.

Magnus afferrò un calderone e vi versò all’interno il liquido rosa, dopodiché fece apparire un piccolo braccialetto con un ciondolo a forme di fulmine fatto interamente di rame. Lo stregone fece bollire il contenuto e agitò le dita sopra il calderone, mormorando qualche parola. Poi immerse il ciondolo.

 

 

La vista dal ponte di Brooklin quel giorno sembrava particolarmente affascinante per Alec: c’era una leggera nebbiolina e l’aria era fredda.

I mondani non se ne rendevano conto, ma l’acqua del fiume era verde in conseguenza dell’attività demoniaca che cercava di avvelenarla.

Le autorità avevano comunque notato che l’acqua non era più potabile e cercavano spiegazioni in qualche tubatura rotta o in una fuga di gas, ma ancora non erano riusciti a risolvere il problema.

Certamente le limitazioni di accesso al fiume rendevano più agevole il lavoro degli shadowhunters, che avevano quindi più libertà per elaborare un piano ben congeniato.

Jace stava già tirando fuori dal fodero la spada e Alec aveva già incoccato una freccia.

<< Secondo le nostra informazioni i demoni sono sottoforma di uccelli >> disse Izzy

<< E quindi dobbiamo decimare tutta la popolazione aviaria di New York per scovarli >> rispose Jace con un tono leggermente sprezzante, che tradiva però una gran paura.

<< Ovviamente no- disse Izzy, sbuffando – gli uccelli che cerchiamo dovrebbero avere un terzo occhio. Sono mimetizzati bene però …  >>

<< Ci vuole un occhio da arciere allora >> azzardò Clary con un sorriso, girandosi verso Alec.

Isabelle e Jace imitarono Clary e Alec scrutò tutti e tre con aria interrogativa, perché non aveva sentito una sola parola di tutto il discorso: stava pensando a Magnus e a Max.

<< Cosa? >> disse Alec, appena ridestato dai suoi pensieri.

<< Sveglia amico- disse Jace, sventolando la mano davanti agli occhi di Alec- ci serve la tua vista. Vieni, ti ripasso la runa >>

Alec porse il dorso della mano destra a Jace, che usò lo stilo per ripassare e potenziare così la runa a forma di occhio che aumentava la vista agli shadowhunters. Nel caso di Alec, la sua vista era già portentosa normalmente, grazie a quella runa sarebbe stata incredibile.

<< Pronto? >> chiese Jace

<< Sì. Allora, io salgo in cima a questo palo e vi dico quali uccelli sono da abbattere. State pronti >>

<< Un po’ come il tiro al piattello! >> scherzò Clary

<< Il cosa? >> chiese Alec

Anche se i due ora erano grandi amici, Alec a volte faticava a capire il gergo mondano che spesso Clary si lasciava sfuggire, questo creava momenti di sguardi sospesi e silenzi imbarazzanti.

<< Lascia stare >> rispose Clary

Con un’alzata di spalle Alec si arrampicò senza problemi in cima al palo e si appollaiò, scrutando il cielo. La vista inizialmente era appannata, ma dopo poco gli occhi dello shadowhunter divennero potenti come quelli di un’aquila e riusciva a scorgere anche il più minimo dettaglio.

Si alzò in piedi con l’arco e le frecce pronti a colpire: vedeva tanti uccelli volare in maniera disorientata di fronte a lui, ma riconobbe subito gli intrusi.

<< JACE- urlò Alec- A SINISTRA, QUELLO CON L’ALA GRIGIA, CLARY AL CENTRO BECCO ARCUATO, IZZY QUELLO ACCANTO >>

Non serviva dire altro, in un batter d’occhio i ragazzi spiccarono un salto quasi all’unisono e si lanciarono verso lo stormo.

Alec aveva già adocchiato il suo bersaglio: era un uccello più grosso rispetto agli altri ed era nella parte più interna del gruppo.

Mentre Jace, Clary e Izzy infilzarono con le loro lame gli obiettivi adocchiati, Alec incoccò la freccia e centrò in pieno il bersaglio. Gli animali sparirono in uno scintillìo argentato e gli shadowhunters ricaddero elegantemente a terra senza problemi.

<< Un gioco da ragazzi >> disse Jace

<< Già >> rispose Alec

Istintivamente Alec mise la mano in tasca e prese il cellulare: ancora nessun segno di Magnus.

Il ragazzo compose quindi il numero di casa e, esattamente come successo in precedenza, scattò la segreteria telefonica.

 

*BIP* Ciao, siamo Magnus, Alec e Max: in questo momento ci stiamo godendo la vita e non possiamo rispondere, ma se ci lasciate un messaggio, forse vi richiameremo. O anche no. *BIP*

 

 

La risata del figlio risuonava di nuovo dall’altro capo del telefono e Alec non poteva smettere di preoccuparsi, era più forte di lui.

 

Nel frattempo …

 

Magnus lo sapeva, il ciondolo avrebbe bloccato la magia involontaria di Max, ma non in eterno. Si era trovato impreparato a tutto ciò, molto più di quanto si aspettasse, anche perché la maggior parte degli stregoni iniziava a mostrare i segni della magia molto più avanti, almeno dopo aver imparato a distinguere la saponetta dall’asciugacapelli. In quel caso era facile insegnare ai neofiti a controllare i propri poteri, ma Max era troppo piccolo per capire ciò che il padre gli diceva e le uniche parole che pronunciava erano “no”, “papi e “miao”. E nessuna di queste tre espressioni avrebbe aiutato Magnus in quella situazione. C’era solo una persona che poteva venire in suo soccorso: Catarina.

Catarina era amica di Magnus da secoli ormai, forse la più vecchia che avesse, e insieme al loro ormai defunto compare Ragnor ne avevano davvero fatte di tutti i colori. A volte si sentiva la mancanza del Principe di Smeraldo, così Magnus chiamava Ragnor, nel loro piccolo gruppo, ma a loro piaceva pensare che lui ci fosse lo stesso in spirito. Anche la splendida Tessa si era unita a loro, molto più di recente e dopo aver tentato di superare la morte di Will, suo marito e suo grande amore.

Le due streghe tuttavia erano molto meno scalmanate dei due ragazzi, ed in particolare Catarina aveva una grande attitudine a curare e ad accudire chi ne aveva bisogno. E chi c’era più bisognoso di Magnus in quel momento? Del resto Catarina era sempre stata quella che aveva usato meglio i suoi poteri- ammise Magnus con se stesso.

Magnus si sentiva comunque un po’ restìo  a chiedere aiuto all’amica, non perché non la considerasse degna di fiducia o di affetto, ma per ben altri motivi: principalmente perché temeva di risvegliare in lei il ricordo del bambino che aveva allevato e che aveva in seguito visto morire, e poi perché aveva accolto con talmente tanto stupore la notizia della sua paternità, che era certo gli avrebbe rinfacciato qualsiasi richiesta di aiuto per il resto dell’eternità.

Magnus notò che la segreteria telefonica stava lampeggiando: c’erano un messaggio e tre chiamate perse di Alec. Azionò il tasto rosso della segreteria, che disse con voce metallica “hai UN nuovo messaggio”:

 

*BIP*  Ciao amore, tutto bene? Non ho ancora ricevuto il solito book fotografico delle dieci. Mi richiami quando puoi? Ti amo e dai un bacio a Max da parte mia

*BIP*

 

Si avviò alla libreria e recuperò il cellulare che era rimasto sullo scaffale: dieci messaggi. Il contenuto era più o meno lo stesso in ogni messaggio: “State bene?”, “Perché non mi rispondi?”, “Quando torno, ti uccido”, cose così.

<< Papino si è fatto prendere dal panico >> sussurrò Magnus al figlioletto, che per tutta risposta rise e disse “Pa-pi”, alzando le braccia con aria felice. Si rallegrava sempre quando sentiva parlare dei suoi papà.

<< Prevedo un uragano in arrivo di nome Alexander - disse fra sé e sé Magnus - faremmo bene a preparare gli impermeabili >>.

Magnus provò a chiamare Alec, ma il telefono era spento. Probabilmente lo aveva scaricato nei vari tentativi di raggiungerlo.

 

 

<< Porca merda >> esclamò Alec

<< Che c’è!? >> rispose Jace con gli occhi sbarrati: non era abituato a sentire il suo parabatai dire parolacce e quando capitava, bisognava stare molto calmi e non disturbare il leone che dormiva.

<< Si è scaricato il cellulare – rispose Alec – dannato aggeggio demoniaco! >>

<< Calmati e dagli tregua, in tutta la giornata non hai fatto altro che tentare di chiamare Magnus, perfino il telefono si è stufato >> intervenne Isabelle

<< Già, Magnus. Che non mi ha risposto. Ancora. >> aggiunse Alec con la sua consueta pignoleria.

<< Devo romperti un altro telefono? >> scherzò Jace

<< AHAH >> fece Alec

<< Vuoi una runa di calma- rabbia? >> si aggiunse Clary

<< Non fai ridere.- rispose Alec – Io … voglio solo sentire mio figlio >>

<< Senti, se proprio non resisti, vai a casa. Non sei utile a nessuno in queste condizioni. È normale avere paura, essere padre è un’esperienza terrificante. Ci farai l’abitudine >> rispose Clary, poggiando una mano sulla spalla di Alec.

Alec fissò prima lei, poi la sorella, infine Jace.

<< Sicuri? >>

<< Certo Alec. È il vostro primo figlio, è normale essere apprensivi e col tempo sarà più facile. Non preoccuparti. Se ci riesci. >> rispose Izzy

<< Va bene … grazie! >> disse Alec visibilmente sollevato, quindi corse verso casa.

L’aria fredda gli scompigliava i capelli e gli pungeva la pelle. Mentre correva, Alec pensava che sicuramente avrebbe trovato tutto a posto. Si convinse di essere solo un genitore alle prime armi, sicuramente Magnus aveva un motivo valido per non avergli risposto. Attraversò il quartiere e girò l’angolo che divideva la strada in cui si trovava l’Istituto dalla via di casa.

Il fiato cominciava a mancargli e il sudore gli gocciolava da una tempia, quando arrivò di fronte al suo palazzo e si fermò bruscamente.

Cercò le chiavi di casa in maniera frenetica, ma accecato dalla fretta non riusciva a trovarle.

Sospirò.

Sfondare la porta era decisamente fuori discussione, quindi Alec si guardò prima a sinistra poi a destra, infine estrasse lo stilo dalla tasca ed iniziò ad incidere righe e ghirigori sulla serratura del portone. Questi si aprì dopo qualche secondo e Alec salì di corsa le scale, sbattendo la porta e infischiandosene del rumore che avrebbe dato fastidio alla padrona di casa- era stata categorica “Non si sbatte il portone”.

Fece i gradini due a due, suonò il campanello e attese col fiatone appoggiato allo stipite della porta. Questa si aprì di scatto e Alec per poco non cadde in avanti, poi vide Magnus che disse:
<< Ciao amore >> con aria completamente rilassata

<< Ti ho … chiamato … e … lasciato mille messaggi >> disse Alec, respirando a fatica

<< Lo so, lo so, ho visto ma … >>

<< Hai visto?!- chiese Alec, che entrò in casa, buttandosi sul divano- e perché accidenti non mi rispondevi?  Mi sono preoccupato, pensavo vi fosse successo qualcosa, pensavo … >>

<< Pensavi cosa? Amore, sii ragionevole, siamo due stregoni con incantesimi di protezione per tutta la casa. Probabilmente siamo più al sicuro qui che all’Istituto >> rispose Magnus, sorridendo.

<< Sì, ma Max non ha ancora i poteri >> ribattè Alec

<< Ecco, a proposito di questo … >>
<< Cosa?! Cosa gli è successo!? >>

<< VUOI DARTI UNA CALMATA? Max sta alla grande, ora sta dormendo >> rispose Magnus, tentando di calmare il suo fidanzato che aveva un’evidente crisi di panico.

<< E allora si può sapere cosa sta succedendo? Parla, Magnus Bane! >> rispose Alec, alzandosi dal divano di scatto.

<< Allora … >> e Magnus raccontò ad Alec l’accaduto, senza tralasciare il minimo dettaglio.

<< Quindi Max … >>

<< Esatto >> rispose Magnus.

Dal box si videro due braccia paffute spuntare in aria ed Alec si avvicinò e prese il suo bambino.

<< Pa-pi >> disse Max, tutto contento. Adorava Alec.

<< Piccolo mio. Scusa amore, sono andato nel panico >> disse, prima rivolto a Max e poi a Magnus.

<< Non preoccuparti, sono esperienze nuove per entrambi >> rispose Magnus, avvicinandosi e dando una carezza al bambino.

Max battè le mani ed improvvisamente Magnus ed Alec si avvicinarono finchè le loro fronti non si toccarono.

<< Credo che Max voglia che i suoi papà facciano pace >> disse Alec, sorridendo.

<< E non solo lui- rispose Magnus – vieni qui >> e gli stampò un bacio sulle labbra, breve ma intenso.

Ad un certo punto Magnus si accorse che con quel battito di mani Max aveva fatto avvicinare ancora di più i suoi papà, quindi disse:
<< Il ciondolo ha smesso di fare effetto >>

<< Allora sai cosa dobbiamo fare, vero? >> chiese Alec

<< Mmmmmhh e va bene >> rispose Magnus, riluttante, e mandò un messaggio a Catarina.

 

 

Dopo un paio d’ore sul muro comparve un vortice blu e viola e nell’aria si sentì il consueto odore di zucchero che indicava l’uso di un portale.

Max iniziò a piagnucolare, ma Alec gli girò la testa verso il suo petto, quindi il bambino si calmò, poggiando le manine sul suo papà.

Una figura attraversò il portale e nella stanza apparve un’affascinante donna dalla carnagione blu e dai capelli bianchi.

<< Catarina è qua, stronzette! -disse lei, alzando le braccia- cosa avete fatto al mio nipotino, voi due degenerati? >> e Catarina prese subito dalle braccia di Alec il piccolo Max che, non appena vide “Zia Tina”, fece un sorriso gigante.

<< NIENTE!- protestò Magnus con sguardo offeso – comincio a credere che sia una pessima idea >> borbottò.

<< Piantala! – disse Alec – Cat, ci serve il tuo aiuto >>

<< Raccontate, sono tutta orecchi >> rispose Catarina, sedendosi sul divano assieme a Max.

I due ragazzi si cimentarono in un racconto lungo e confuso e quando ebbero finito, Catarina scoppiò a ridere.

<< Ahahahah, sulla libreria. Max, sei un amore >> disse, pizzicando la guancia del bambino, che rispose con una risata.

<< Ancora certo che sia una buona idea? Sa l’Angelo se abbiamo detto qualcosa di buffo >> sussurrò Magnus ad Alec.

<< Silenzio e ascolta- rispose Catarina – ci sono una brutta notizia e una bella notizia. Quale volete per prima? >>

<< La cattiva >> dissero in coro i due.

<< Allora, la cattiva notizia è che non c’è un modo per bloccare le magie accidentali di Max. Di solito gli stregoni sviluppano i poteri più avanti, quindi nessuno si è preso il disturbo di pensare a questa eventualità >>

<< E … la buona? >> chiese Alec

<< La buona è che ci sono dei modi per controllare il raggio di espansione della sua magia. Almeno non provocherà un terremoto accidentale in Cina! >>

<< E sarebbero? >> chiese Magnus.

Catarina spiegò allo stregone che esistevano degli incantesimi speciali, che aiutavano gli stregoni alle prime armi come Max.

Fu un pomeriggio molto intenso che vide Magnus e Catarina impegnati con libri e pozioni e alla fine, quando Catarina fece per andarsene, trovò lo stregone ed il figlio addormentati sul divano in ingresso.

<< Penso io a loro- le disse Alec - grazie per l’aiuto >>

<< Sei un bravo papà e un bravo marito, Alexander Lightwood. Entrambi lo siete. >>

Lui rispose con un sorriso, lei si girò e riaprì il portale.

Una volta sparita Catarina, Alec si girò verso il suo fidanzato e suo figlio: li guardò per qualche minuto, chiedendosi se ci fosse una visione più bella di quella.

Prese una coperta e, posandola sopra di loro, sussurrò << Vi amo >>

<< Mmmhhh … vieni >> rispose Magnus semiaddormentato.

Alec si accoccolò lì accanto, abbracciando Max e facendosi a sua volta abbracciare da Magnus. Alec sentiva in quel momento la pace assoluta, sentiva che non doveva preoccuparsi di nulla. Non aveva mai pensato che avrebbe avuto una famiglia tanto speciale, o una famiglia in generale.

Se era un sogno, avrebbe ucciso chiunque avesse tentato di svegliarlo.

 

 

 

 

 

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Mai fidarsi di uno shadowhunter ***


«Non so quanto potrò stare tranquillo. » disse Magnus, con sguardo preoccupato.

«Sai che da quando è arrivato Max sei diventato paranoico e ansioso? Sei un papà, la metamorfosi adesso è completa! » rispose Alec, intento a rasarsi e con una nota di sarcasmo nella voce.

In realtà adorava vedere Magnus preoccupato per il loro bambino, in qualche modo lo rendeva sexy agli occhi dello shadowhunter- non che ce ne fosse particolarmente bisogno comunque.

«Non è che non mi fidi di Jace, lo sai- riprese lo stregone, sempre più agitato- è che Max sta scoprendo solo adesso i suoi poteri, non è facile avere a che fare con un Nascosto neonato e che non si sa controllare. E Jace è... inesperto. » Magnus pronunciò quest’ultima parola con un tono incerto, come se non fosse sicuro che quella fosse la parola giusta: perchè “in effetti la parola giusta è “irresponsabile”” pensò Magnus.

Alec si girò con sguardo inquisitore:

«Stavi per dire irresponsabile... »

«No... sì... forse... » concluse Magnus.

Alec si rivoltò di nuovo verso lo specchio, studiando la propria immagine e cercando di radersi in maniera perfetta, com’era suo solito fare.

«Vedrai che se la caverà. Terrà Max solo per qualche ora, abbiamo bisogno di una serata solo nostra, in uno di quei ristoranti dove non ci sono i menù da colorare o i labirinti per i draghi. Davvero, piuttosto che far uscire di nuovo quel draghetto rosa da quel dannato labirinto, mi disegno una runa dell’agonia. » rispose Alec, in parte scherzando, ma in parte decisamente frustrato da quel piccolo animaletto – anche perchè per quanto ci provasse, non riusciva mai a far uscire il drago dal labirinto.

Magnus sembrava convinto, quindi, in silenzio, si aggiustò i capelli con uno schiocco di dita: i ciuffi rossi, che prima ricadevano stancamente sulla fronte dello stregone, ora si erano disposti perfettamente dritti sulla sua testa e tali sarebbero rimasti fino alla fine della serata.

Era la prima volta che i due uscivano senza il piccolo Max e, sebbene non volesse darlo a vedere, anche Alec era agitato all’idea di lasciare Jace col suo bambino, tanto da aver disposto una serie di rune di protezione per tutta la casa e anche nel raggio di dieci chilometri. Voleva mantenere un’aria calma e sicura per non preoccupare ulteriormente Magnus che, dopo l’ultima esperienza col piccolo, aveva temuto che Max potesse farsi male nello sperimentare i nuovi poteri.

Mentre i due si preparavano per la loro cenetta intima, Max stava giocando col gatto sul pavimento dell’ingresso: l’animale non sembrava gradire sempre la compagnia del bambino, che spesso era irrequieto e a tratti brusco con lui; tuttavia avrebbe graffiato chiunque si fosse avvicinato al piccolo stregone senza il suo consenso, cosa che era capitata negli ultimi tempi, quando Simon osò prendere in braccio Max in un modo che, evidentemente, il gatto non gradiva.

Ad un certo punto si sentì il suono del campanello che suonava, dunque Max, da buon padroncino di casa, si avvicinò gattonando goffamente alla porta e, sedutosi lì davanti come in attesa, emise una risata che spalancò magicamente l’ingresso.

Davanti a lui sull’uscio c’era zio Jace, che il bambino aveva rinominato “eccì”, vestito completamente di nero, i capelli biondi tirati all’indietro con un ciuffo ribelle che ricadeva sugli occhi, e una lunga spada alla cintola.

«Amore dello zio!- disse lui, con un sorriso, prendendo in braccio il suo nipotino- fai anche gli onori di casa adesso? » chiese ancora, e Max per tutta risposta lo abbracciò forte.

Max adorava lo zio Jace, ogni volta che veniva a trovarlo era una festa, giocavano moltissimo e si divertivano ad interpretare i supereroi: tra i vari passatempi che preferivano c’erano ‘bubusettete’, nascondino e la lotta contro i demoni; spesso però questi tre giochi finivano per mischiarsi tra loro.

Magnus e Alec arrivarono in ingresso e videro che lo shadowhunter era già entrato e aveva in braccio il piccolo stregone: Alec salutò l’amico con un abbraccio, schiacciando Max che protestò vivacemente, mentre Magnus, che era attento ad ogni cosa, spalancò gli occhi e urlò:

«Ti sembra il caso di portare un’arma per badare ad un bambino?! »

Jace, sinceramente confuso, rispose:

«E se ci fosse un demone nelle vicinanze? E se qualcuno provasse ad entrare? E se arrivasse... un’anatra?!- rispose lui, ponendo particolare enfasi sull’ultimo esempio- dovremmo poterci difendere, non trovi? »

Magnus avrebbe voluto replicare a tono, ma i due erano in ritardo per la cena, quindi decise di passare al sodo:

«Bando alle ciance, ho una serie di cose da dirti- disse lo stregone, gesticolando in maniera convulsa- niente mascalzonate, DI NESSUN GENERE: se scopro che hai portato mio figlio in missione o che gli hai dato del cioccolato prima di dormire, ti farò un incantesimo talmente potente che rimarrai coi capelli sciatti per il resto della tua vita. Ci siamo capiti, shadowhunter? » e con un tono decisamente inquietante, Magnus fissò Jace con sguardo minaccioso e il dito puntato, dal quale fioccavano piccole scintille blu.

«I capelli sciatti per il resto della vita? Ma questa è... perversione! » rispose Jace, accentuando il sarcasmo nella maniera più drammatica che riuscì a trovare.

Magnus non sembrava divertito, infatti lo sguardo minaccioso non cessò, così Jace rispose:

«VA BENE! »

«Perfetto... e sappi che se succederà qualcosa, lo verrò a sapere. Ho spie ovunque... » a queste parole Alec fece uno sguardo confuso e sinceramente spaventato: quante volte Magnus lo aveva fatto spiare dai suoi adepti?

Per smorzare la tensione Alec trascinò via Magnus con un «Vaaaaa beeeene.... », mentre lo stregone aveva ancora il dito minaccioso puntato verso Jace e lo sguardo da folle.

Alec e Magnus, dopo un’altra serie di coccole e bacini al piccolo, uscirono finalmente di casa: la prima uscita senza Max.

 

Lo shadowhunter e lo stregone camminavano insieme mano nella mano come due fidanzatini per le strade di Brooklin, passi lenti e tranquilli, senza che nessuno dei due tenesse in braccio il piccolo Max.

«Non sembra strano, vero?- esordì Alec – voglio dire...io e te...da soli...senza Mirtillo... »

«é un rischio che temevo, sai? E invece no! » rispose Magnus con un sorriso e apparentemente più calmo di prima.

«Sta crescendo in fretta... » aggiunse Alec con lo sguardo sognante, rivolto verso il fiume che stava loro di fianco.

«Sì... ti ricordi quando lo abbiamo preso? Era così piccolo! » rispose Magnus.

Ci fu un attimo di silenzio, poi improvvisamente Magnus disse:

«Beh, sai cosa? È la nostra serata, basta pensare a Max che starà sicuramente bene con Jace (anche perchè ho aggiunto delle barriere protettive, uscendo) » Magnus aveva sussurrato l’ultima parte della frase, ma Alec aveva sentito perfettamente e con un mezzo sorriso acconsentì al patto.

I due camminarono e scherzarono per tutto il tragitto come avevano sempre fatto: Alec raccontò a Magnus aneddoti dell’ultima missione, dove Clary era scivolata nel fango e Jace, che voleva fare il cavalier servente, aveva tentato di aiutarla, scivolando e cadendo nel fango a sua volta. Magnus, da canto suo, raccontò ad Alec le storie del Pronto Soccorso di Catarina che erano sempre avvincenti, sebbene spesso avesse a che fare con mondani svitati o con Nascosti ubriachi del nettare delle fate.

A forza di chiacchierare, i due arrivarono al ristorante: lo aveva scelto Magnus, ovviamente, ed era un ristorante molto esclusivo nel mondo dei Nascosti, gestito da un licantropo italiano. Data l’eccellenza del locale, Magnus aveva costretto Alec a indossare un vestito nero elegante e una cravatta azzurra che faceva risaltare in maniera evidente gli occhi color ghiaccio di Alec.

Magnus ovviamente non voleva essere da meno e aveva scelto pantaloni stretch neri, una camicia bordeaux con paillettes e una lunga giacca rosso mattone che scendeva fino alle caviglie ricoperta di ricami dorati.

Il mio fidanzato è proprio un gran figo” pensò Magnus.

«A che pensi? » chiese Alec che nel frattempo si era girato verso il suo stregone e aveva notato uno sguardo sornione che di solito voleva dire solo una cosa: fantasie erotiche.

«AH, niente... stavo pensando che tra tutti gli shadowhunters mi sono accaparrato il più sexy! » rispose Magnus, avvicinandosi ad Alec e tirandolo a sé usando la cravatta.

«AH, davvero? » rispose Alec, tentando goffamente di sembrare sexy, una cosa che faceva sempre impazzire Magnus.

Il proprietario del locale, Antonio, accolse i due ospiti all’ingresso: indossava uno smoking relativamente semplice e aveva in mano due menù da lasciare al tavolo.

«Benvenuti “Da Antonio”, dove vi porteremo in Italia senza aver bisogno di un portale – esordì lui, strizzando l’occhio a Magnus e cercando di non sembrare troppo imbarazzato nell’interrompere il tubare dei due clienti- posso farvi accomodare? »

«Certamente » rispose Alec, dandosi arie da dandy e offrendo il braccio a Magnus.

I due si avviarono al tavolo, scimmiottando un atteggiamento da gentiluomini, e una volta arrivati Alec scostò la sedia a Magnus per farlo sedere.

«Quante galanterie... » rispose Magnus, non troppo sorpreso perchè Alec spesso faceva questi piccoli gesti nei suoi confronti: era il suo modo di prendersi cura di lui.

Alec si sedette e in quel momento arrivò un cameriere, probabilmente un altro licantropo, che disse:

«I signori gradiscono il vino, per cominciare? »

«Direi di sì... » rispose Alec, prima che Magnus potesse intervenire.

«Alec tu non bevi molto, forse non è il caso di... »

«Non preoccuparti, amore! » lo interruppe Alec, che sicuro di sé ordinò un Rosso di Cerignola, solo perchè il nome sembrava interessante.

Il cameriere si allontanò per qualche minuto e poi tornò con la bottiglia che stappò e versò nei bicchieri di Alec e Magnus.

«Tesoro, sei sicuro? Ti ricordo che l’ultima volta che hai bevicchiato, ti sei lanciato con Jace dal ponte di Brooklin dicendo che avevi creato la runa del volo. E sappiamo entrambi com’è andata a finire! » disse Magnus, ridendo sotto i baffi mentre Alec assaggiava con aria da intenditore il vino.

«Sono sicurissimo! A noi, amore! »

«A noi! »

i due ragazzi brindarono e iniziarono a sbirciare i menù che Antonio aveva precedentemente lasciato loro sul tavolo.

«Cosa prendi? » chiese Alec.

«Sono tentato sia dalla pasta alla carbonara sia dalla trota in acqua pazza, ma non saprei... »

«PIZZA! » urlò improvvisamente Alec.

«Come dici, scusa? » chiese Magnus, visibilmente stupito.

«Qui sono italiani, giusto? Vediamo se reggono il confronto con la nostra pizza! » disse Alec, che con tono di sfida, e probabilmente già un po’ alticcio, chiuse il menù con decisione.

«Ho l’impressione che siano in grado di farla, amore, è praticamente il loro vanto nazionale! » rispose Magnus ridendo per la scompostezza di Alec, che di solito invece era molto attento al suo comportamento.

I due ordinarono i piatti e nel frattempo si smezzarono la bottiglia di Rosso: quando arrivarono le cibarie, la situazione era già abbastanza degenerata: mentre Magnus era perfettamente abituato e quindi non sentiva l’effetto dell’alcol, Alec iniziava a blaterare di draghi che bevono vodka, di fate ballerine e del Re Leone... non era chiaro come ci fosse arrivato, Magnus aveva perso il filo a un certo punto.

«Insomma, povero Simba!- finì Alec – e comunque avevi ragione, amore: gli italiani sanno come si fa la pizza! »

«Te l’ho detto » rispose Magnus, sorridendo e notando che il fidanzato si era sbranato la pizza in pochi minuti.

«Senti, ma... - iniziò Alec- se saltassimo il dolce e andassimo...lo sai... »

Magnus non riusciva a prenderlo troppo sul serio, ma allo stesso tempo l’idea di una notte d’amore con Alec lo solleticava parecchio, visto che da quando c’era Max i momenti di intimità erano molto diminuiti.

«Andare dove? » chiese Magnus, che sapeva benissimo dove Alec voleva andare, ma voleva sentirglielo dire.

«Adesso te lo dico » barcollando, Alec si avvicinò all’orecchio di Magnus e gli sussurrò qualcosa che fece tingere di rosso le guance dello stregone.

«Andata! » rispose lui.

Magnus aveva pagato il conto ed era uscito con Alec alla velocità del fulmine: i due avevano preso i cappotti ancora prima che Antonio li porgesse loro ed erano usciti quasi senza salutare.

 

 

Magnus sapeva benissimo dove portare Alec per la loro fuga d’amore e non poteva essere troppo lontano perchè lo shadowhunter era visibilmente troppo obnubilato dall’alcol per riuscire a percorrere troppa strada.

Magnus quindi schioccò le dita e improvvisamente apparve un portale blu luminoso di fronte a loro e i due lo attraversarono con decisione.

Alec e Magnus si ritrovarono in una lussuosa camera d’albergo a... Parigi! Il luogo dove era iniziata la loro prima (turbolenta) vacanza insieme, poco dopo la battaglia contro Valentine: per loro era un luogo magico.

L’hotel era lo stesso della loro vacanza e Magnus venne investito dai ricordi: le prime paure di Alec, quella voglia di conoscersi e di stare insieme e allo stesso tempo il terrore di essere feriti.

Alec tuttavia non sembrava tanto desideroso di ricordare, visto che in un impeto di passione saltò addosso al suo fidanzato baciandolo appassionatamente: prese il viso di Magnus tra le mani e lo baciò prima sulle labbra, poi scese verso il collo, mordicchiando la pelle tesa e liscia dello stregone.

Magnus, sorpreso e allo stesso tempo eccitato, ricambiò il bacio trascinando il fidanzato nell’enorme camera da letto, che era stata arredata con un lussoso letto matrimoniale rosso e oro a baldacchino e mobili antichi e specchi alle pareti.

Dalla grande finestra centrale si poteva avere una vista sull’intera città, luminosa, grande e romantica: i due non potevano chiedere una location migliore per la loro serata di passione.

Alec, con la grazia che contraddistingueva gli shadowhunters, si gettò sul letto e si trascinò dietro anche Magnus, non interrompendo il lungo bacio, se non per riprendere brevemente fiato ogni tanto: a un certo punto Alec iniziò a sbadigliare e Magnus, tra il sorpreso e l’offeso disse:

«C’è qualcosa che non va? »

«No, niente, amore – rispose Alec, ancora stordito dal mezzo litro di vino che aveva bevuto – sarà il vino! »

«Allora ammetti che non è stata una buona idea! » incalzò lo stregone, inquisitorio.

«Ne vuoi parlare proprio adesso? » chiese Alec, squadrando il suo fidanzato e ridacchiando per la situazione.

Magnus guardò in alto, fingendo di pensarci su, poi disse:

«No, in effetti non mi interessa... » e riprese a baciare Alec.

I due si contorcevano, le gambe di Alec intrecciate alla vita di Magnus, mentre lo shadowhunter infilava le mani sotto la camicia dello stregone, tentando di spogliarlo il più velocemente possibile.

 

Magnus da canto suo, passava la lingua sul collo lungo e muscoloso di Alec, e con le mani toccava gli splendidi pettorali che si intravedevano nonostante la camicia: Magnus era diventato meno superficiale nella scelta del partner, ma doveva ammettere che il fatto che Alec fosse così ben dotato sul piano fisico era una delle cose che amava di più; “ognuno ha i suoi punti deboli – diceva sempre – e il mio è la tartaruga”.

Alec era riuscito a spogliare completamente Magnus, mentre lo stregone non riusciva a sbottonare la complicata camicia da smoking di Alec, così il ragazzo, agile e svelto, ribaltò la situazione, facendo sdraiare Magnus e mettendosi sopra di lui.

Alec si sbottonò velocemente, continuando a baciare Magnus, ma emettendo un secondo sbadiglio.

«Sicuro di stare bene? » chiese Magnus, ora sinceramente preoccupato per Alec.

«Sì sì, ora ci penso io » rispose Alec, che si alzò tutto nudo e recuperò lo stilo che aveva nella tasca della giacca dello smoking, che era stato gettato sullo schienale di una poltrona nella concitazione del momento.

Lo stilo si illuminò e Alec, girato verso la parete e dando le spalle a Magnus (che nel mentre si godeva lo spettacolo del bel fondoschiena di Alec) si disegnò una runa sulla parte bassa dell’addome, e sebbene un po’ barcollante riuscì apparentemente nell’impresa.

Alec tornò verso il letto dicendo:

«Runa della forza: ora dovrebbe andare bene! »

e senza nemmeno dare a Magnus il tempo di rispondere, ricominciò a baciarlo: la situazione si era fatta decisamente dura per entrambi, i corpi caldi e sudati per l’eccitazione.

Alec poggiò la testa sul cuscino per baciare l’orecchio di Magnus, quando....iniziò a russare!

Magnus era impreparato a quest’evenienza ed era schiacciato dal peso del suo fidanzato che si era improvvisamente e profondamente addormentato.

«Alexander? » disse lui, dandogli qualche leggero scossone nel tentativo di svegliarlo.

Niente. Lo shadowhunter era crollato.

Lo sapevo che aveva bevuto troppo” si disse lo stregone, che non capiva come la runa avesse potuto fare così tanto cilecca...e come avesse potuto far fare cilecca anche ad Alec!

Di solito le rune funzionavano alla perfezione, la cosa non si spiegava: Alec aveva bevuto più del solito, ma non così tanto da cancellare l’effetto delle rune.

A malincuore e consapevole del fatto che non avrebbe concluso la serata nel modo sperato, schioccò le dita e il suo fidanzato si librò in aria per poi poggiarsi delicatamente sul letto a pancia in su.

Per curiosità Magnus diede un’occhiata alla runa che Alec si era disegnato sull’addome (come se avesse bisogno di una scusa per studiare a memoria gli addominali di Alec).

«Ora tutto si spiega » disse Magnus.

 

 

 

Qualche ora dopo...

 

Alec aprì gli occhi, confuso e frastornato e con un gran mal di testa: era nudo sotto un lenzuolo che lo copriva delicatamente e si trovava in una stanza lussuosa di un qualche albergo.

Si girò e vide Magnus accanto a lui, anch’egli nudo: lo stava guardando dormire.

«Cos’è successo? » chiese Alec, con voce roca.

«Beh... - disse Magnus – eravamo in un momento un po’....caldo, per così dire. Ma tu sbadigliavi e così... »

«Non dirmi che è quello che penso... » chiese Alec, che iniziava a ricordare, ma sperava fosse la sua immaginazione.

«Ti sei disegnato una runa. La runa della forza. Solo che non era la runa della forza.... » disse Magnus.

Alec scostò il lenzuolo, si guardò l’addome e, con un sospiro lasciò cadere la testa sul cuscino.

«é la runa del sonno... »

«Già » rispose Magnus, ridendo sotto i baffi e un po’ intenerito dallo sguardo dispiaciuto del suo fidanzato.

«Mi dispiace, amore... volevo che fosse tutto speciale stasera. » disse Alec.

«Non importa, tesoro – rispose l’altro, facendogli un buffetto sulla guancia – è stato divertente ugualmente.

«Devo confessarti una cosa – intervenne Alec – anche per me è stato difficile lasciare Max stasera. Volevo farti vedere che ero tranquillo per farti stare calmo, ma in realtà ho sistemato trappole antidemoni per tutto il perimetro di casa nostra. »

Magnus soffocò una risata e poi disse:

«Devo confessarti una cosa, Alexander: le ho messe pure io! »

I due ragazzi risero, divertiti nel vedere quanto li avesse cambiati avere il piccolo Max in casa e felici di aversi l’un l’altro per sopportare le loro follie da genitori di un bambino che cresceva nel Mondo Invisibile.

«Torniamo da Max? È tardi, Jace sarà preoccupato, saremmo dovuti tornare quattro ore fa. »

«Max starà dormendo come un angioletto... » disse Alec, immaginandosi il loro bambino blu nel box, addormentato col suo pupazzo a forma di ranocchio.

 

 

 

Alec e Magnus arrivarono davanti al portone di casa loro attraverso un portale, varcarono la soglia e salirono le scale per raggiungere il loro pianerottolo.

Il palazzo era silenzioso, tutti dormivano, ma più si avvicinavano alla loro porta, più aumentavano dei rumori, sembravano sedie che cadevano e padelle sbattute.

Alec e Magnus si lanciarono un’occhiata eloquente, dopodichè Alec si mise all’erta e Magnus schioccò le dita, pronto a lanciare incantesimi.

«Con tutte quelle trappole e con Jace di guardia, cosa può essere successo? »

«Adesso lo scopriremo. Pronto? » disse Magnus.

Alec annuì, quindi lo stregone con un gesto della mano aprì la porta di casa e i due si trovarono davanti uno spettacolo inaspettato: la casa era stata messa completamene a soqquadro, i mobili erano stati ribaltati, i quadri erano quasi tutti a terra e c’erano giochi ovunque sul pavimento – anche se quest’ultima cosa era la norma in casa di Alec e Magnus.

A un certo punto si sentì un grido, la voce di Jace, che arrivò correndo dalla camera di Max, con un lenzuolo legato al collo, dicendo:

«é un aereo? È un uccello? È CAPITAN MUTANDAAAAA......e il suo assistente! »

Max, anch’egli con un lenzuolino legato al collo, seguiva lo zio ed entrambi saltarono sul divano col sottofondo delle risatine isteriche del bambino che si divertiva un mondo.

Alec e Magnus si guardarono, ridacchiarono, ma poi tornarono seri e fecero la parte dei genitori.

«L’ora della nanna è passata da un pezzo! » esordì Magnus, guardando seriamente Jace e Max.

«Ops... » disse Jace.

«Oss... » gli fece eco Max.

 

 

Dopo aver scacciato Jace e dopo aver messo il pigiama a Max, Alec e Magnus andarono a letto, si portarono Max e se lo misero in mezzo, aspettando che si addormentasse.

«Beh, la serata tutto sommato si è conclusa bene... » disse Alec, guardando con gli occhi pieni d’amore Magnus e il loro bambino che dormiva con le braccia all’aria.

«Benissimo – rispose Magnus con un sorriso, poi si girò, guardò il soffitto e disse fra sé e sé: «Capitan Mutanda... », ridendo mentre ricordava la scena.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3669159