Beneath the Black Flag

di Isara_94
(/viewuser.php?uid=897335)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


Giornale di bordo:
29 gennaio
Vento sud-sud ovest
Niente da segnalare, navigazione tranquilla e vento costante. Continuo a stupirmi del mite inverno caraibico, della mancanza di nebbia e del freddo che dovrebbe caratterizzare questa stagione.
Per contro, non mi stupisco affatto che le provviste per la seconda volta siano finite prima di quanto previsto. Il cuoco riferisce oggi di non aver più mele da distribuire e di aver dovuto ridurre la razione d’acqua per poterla conservare fino al porto più vicino. Contro ogni aspettativa, conoscendo la passione generale qui a bordo per rum e birra i cui barili non sono stati toccati, sembrano essere le sole cose mancanti. Nessuno entra o esce dalla stiva senza la chiave del lucchetto che ho imposto dopo il primo episodio, ma i viveri continuano a diminuire. Sospetto del quartiermastro, l’unico oltre al cuoco e al sottoscritto ad avere le chiavi, credo stia spendendo solo parte della somma destinata all’acquisto dei viveri e s’intaschi la differenza. Sorveglierò meglio le operazioni di carico per scoprire se effettivamente ciò di cui abbiamo bisogno manca perché a bordo non è mai arrivato o perché qualcuno fa man bassa nella stiva.
In mezza giornata di navigazione, a Dio piacendo, raggiungeremo Santo Domingo e faremo sosta in porto per la notte. Non c soffermeremo oltre, ultimati i rifornimenti  riprenderemo il largo prima possibile. Concessa la libera uscita all’equipaggio, sperando nella buona creanza di non causare problemi mentre sostiamo in una colonia spagnola. Una buona idea sarebbe dimezzare quel che possono spendere in alcol e donne, ma per ora meglio limitare gli scontenti e suggerire la cautela di non portare niente di troppo riconoscibile.
 
 .:O:.


Era l’ultima volta che dava retta a Mike Stamford e si fidava del suo istinto. Era evidente che avevano due concetti molto diversi di “locanda rispettabile”.
E una nella zona della città bassa nei pressi del porto che aveva tutta l’aria d’esser stata costruita con tavole e assi provenienti da vecchie navi smantellate e i cui avventori potevano essere uditi dalla ragguardevole distanza di circa cinque metri da entrambi gli ingressi della strada, sicuramente non lo era.
John aguzzò la vista, cercando un tavolo libero. Impresa più difficile di quanto poteva sembrare, la locanda era affollata e non era affatto semplice farsi strada nella penombra fumosa appena schiarita dalle lampade e dalle candele sparse un po’ ovunque per far luce. Dappertutto gente che beveva, fumava, giocava a carte, dadi e praticamente qualunque gioco in cui fosse possibile perder soldi. Evidentemente il gioco d’azzardo era ben tollerato lì, a dispetto dei divieti cittadini. Il tintinnio delle monete che gettate sui tavoli e passate di mano in mano però non era l’unica cosa a esser tollerata. Bastava sapere dove guardare per scoprire che c’erano pezzi da otto, ghinee, corone, luigi e altre monete di varia provenienza che finivano discretamente nelle scollature più o meno generose di parecchie donne.
Ci voleva poco per distinguere le cameriere da quelle che esercitavano tutt’altro mestiere. C’erano quelle non più giovanissime che compensavano con l’esperienza, c’erano quelle avvenenti che non erano per le tasche di tutti, quelle più sfacciate che nel sedersi sulle gambe di qualcuno tiravano sapientemente su le gonne facendo intravedere una gamba e magari pure il fiocco della giarrettiera che teneva su le calze appena al di sopra del ginocchio… tutte accomunate dagli abiti colorati con le spalle lasciate volutamente scoperte e i bustini coi lacci allentati appena quel tanto che bastava a far vedere il corsetto e tutto quel che conteneva, le acconciature e il trucco mezzi sfatti dalla foga dei clienti e rifatti di fretta.
Mike sorrise da sopra il suo boccale, con fare complice, suggerendo che potevano ben investire un paio di sterline e fermarsi per la notte.
Essere un modesto capitano di Marina significava che per la maggior parte del tempo John Hamish Watson, le donne, se le poteva unicamente sognare. Non aveva i gradi né i natali altolocati per permettersi di fare come alcuni nobili ufficiali che facevano travestire da uomini le loro amanti per portarsele dietro durante i viaggi all’insaputa di ammiragli e mogli. Loro se la cavavano con una ramanzina, per lui la cosa poteva tradursi facilmente in un congedo con disonore. Non esattamente il modo in cui sperava di finire la sua carriera.
Bevve un sorso di birra, decidendo se valesse la pena di dare ascolto al compare e dare un senso alla serata. Il guaio di esser stato prima medico che soldato, era che bastavano pochi sintomi all’apparenza innocui per fargli passare per sempre la voglia di andare a letto con una donna. Poteva essere la più bella delle ragazze del posto, poteva pure decidere di regalargli una nottata che non si sarebbe mai scordato, ma una volta che il suo occhio clinico trovava qualcosa di sospetto, lui ci tirava su una bella croce e perdeva ogni interesse. Con ovvi risultati quand’era ora di tornare a bordo: mentre tutto l’equipaggio pareva più sereno e meno litigioso, lui spesso e volentieri aveva la luna storta e la pazienza ai minimi storici avendo dovuto arrangiarsi da sé.
Notò una bella donna che portava fra i capelli scuri due rose rosse e sottili labbra ripassate con un rossetto color sangue che avanzava sicura tra tavoli e sedie tenendo ben in alto due boccali per tenerli fuori dalla portata di ubriachi e squattrinati che avrebbero potuto impossessarsene. Aveva una gonna rossa dall’orlo leggermente sbiadito, una camicetta un po’ ingiallita dalle maniche larghe, il corsetto in bella vista alla maniera delle popolane del posto e più gioielli di quanti ne avesse mai visti indosso a una delle sue colleghe: cerchi d’oro ai lobi, braccialetti rigidi che tintinnavano ai polsi e una collana di grani neri il cui pendente spariva nella scollatura. Si vide restituire un sorrisetto e il non aver notato niente che indicasse qualche malattia comune a quelle del mestiere lo tentò parecchio, anche se tutto in lei dichiarava apertamente che la sua compagnia costava più di quanto John poteva permettersi di spendere.
Il bel sogno durò poco, prima che potesse davvero considerare di metter mano a tutti i risparmi che aveva per portarsela in una delle camere del piano superiore, notò che il suo sorriso non era un gesto di complicità… no, decisamente pareva più un dispetto. Gli passò accanto senza più degnarlo di uno sguardo andando a sedersi con un giovane dai ricci ribelli che giocava un paio di tavoli più in là, che non parve gradire molto di averla seduta in grembo ma che nonostante tutto continuò a sopportarla senza scacciarla mentre lei gli sussurrava qualcosa all’orecchio.
John si fece curioso. Non tanto per il due di picche, era evidente che non c’era gara con quel tipo. Era attraente e il non essere zoppi sicuramente veniva in aiuto quando si cercava di conquistare una donna. Piuttosto lo interessò perché pareva una presenza anomala in un posto come quello. Prese a osservarlo con la coda dell’occhio, discretamente e senza voltarsi.
A prima vista non aveva nulla di diverso dagli altri avventori. Abiti scoloriti, abbinati senza un criterio preciso, camicia dai lacci allentati contro il caldo e un cappotto scuro di filato grosso infeltrito dalla pioggia e dalla salsedine dai bottoni di metallo opaco gettato sullo schienale della sedia. I suoi stivali di buona fattura erano consumati, ma risuolati di recente. Un grande cappello dalla tesa larga stava gettato con noncuranza da una parte, ornato da alcune piume infilate nella fibbia del cinturino. E fra i ricci era annodata un’altra nota stonata come gli stivali costosi: una bandana ricavata da una sciarpa in tessuto morbido di un polveroso blu zaffiro.
Un genere di abbigliamento che aveva visto spesso indosso ad alcuni dei “navigatori” della zona. Di quelli che spesso e volentieri finivano coi piedi penzoloni in una botola e un cappio al collo, per intendersi…
Stranamente però questo era bianco come un cencio. Non si era mai sentito di un poco di buono come un pirata con il colorito di quegli annoiati aristocratici che non avevano nulla da fare.
-Vedi quel che vedo io?- domandò accennando al tavolo alla sua destra.
-Se ti riferisci alla signora, come sempre hai buon gusto- considerò Mike, approfittando per rifarsi gli occhi –D’altronde che altro aspettarsi da Three Continents Watson-
John sbuffò irritato dalla menzione del soprannome che gli avevano affibbiato i suoi commilitoni. Aveva avuto la sua buona quota di amanti negli anni, ma ora aveva intenzione di discutere di cose più serie di quante tacche aveva il suo letto.
-Non la donna, quello che sta cercando di spennare- sibilò, resistendo alla voglia di apostrofare malamente il compare.
-Beh direi che se pensa di riuscirci con il rum, le sta andando male…- ridacchiò.
Vero, nonostante lei gli avesse portato da bere cercando di convincerlo, quello pareva non aver toccato il suo boccale preferendo continuare qualunque gioco stesse portando avanti. Doveva essere bravo, dal suo tavolo partiva un andirivieni di gente che arrivava baldanzosa e se ne andava infuriata dopo aver perso quel che aveva scommesso.
-E non noti altro?-
Stamford parve intendere la notevole differenza fra loro, dandosi un’aggiustata agli occhiali. Perfino lui, che non trascorreva troppo tempo al sole, aveva un colorito più roseo. Azzardò che potesse essere affetto da tisi, vedendolo così pallido e magro, e che nel caso fosse meglio evitare ogni contatto.
John invece aveva tutt’altra diagnosi –Sospetto un malanno più grave, amico mio… questo è un evidente caso di nobiltà!- disse, ridacchiando insieme all’amico.
Anche se questo era il primo che aveva la bella idea di mascherarsi a quel modo per non essere troppo appariscente, ne aveva già visti di casi del genere. Ricchi rampolli che fuggivano di casa e dalle scelte che il padre faceva al posto loro senza avere la minima idea di come fosse il mondo, quello vero che non aveva nulla da spartire con quello dorato e pieno di comodità in cui erano nati e cresciuti. Chi scappava da un matrimonio combinato, chi non aveva intenzione di succedere al padre, chi non aveva voglia di farsi monaco o servire nell’esercito in quanto figlio cadetto… finivano tutti col mettersi nei guai prima o dopo. La cosa migliore da fare era prenderli e riportali dritti da dove erano venuti. Il più delle volte solo per guadagnarsi ogni genere di improperi da parte del fuggiasco e nulla più, ma raramente anche vedendosi ricompensare da genitori felici di riavere il poveretto nelle loro grinfie.
Finì la birra in un sorso accordandosi con Mike di rivedersi direttamente alla nave, non volendo assolutamente perdere la possibilità di andarsene con la prima marea. Il compare avrebbe avuto il suo bel daffare a trovare qualcuno disposto a cedere la sua cabina a un inatteso, viziatissimo passeggero.
Restò un po’ interdetto trovandosi davanti non un mazzo di carte, non dadi ma una damiera su cui il giovane stava riordinando i pezzi per cominciare un’altra partita. Con la galanteria di concedere allo sfidante i pezzi neri, necessari per cominciare secondo l’uso inglese.
Dal suo lato, accanto al rum intonso, alcune monete che la sua avvenente compagna riordinava in una piccola pila forse per tenerne il conto.
Per un attimo le sue mani bianche e affusolate, le dita da artista ornate da alcuni anelli, lo distrassero col pensiero di quanto potessero essere morbide. Difficilmente avrebbe creduto che quel tipo avesse mai fatto un qualche lavoro tale da rovinarsele, rendendole ruvide come le sue.
-Ebbene?- volle sapere una voce bassa e profonda, guastata però da una punta d’impazienza.
-Non credevo si potesse scommettere a dama-
-Preferisco scommettere sull’abilità piuttosto che sul caso- rispose tranquillo il moro, invitandolo a prendere posto. Alla vista della piccola somma puntata sogghignò –…anche se voi sembrate avere davvero poca stima della vostra-
John distolse lo sguardo dalle sue pedine, specchiandosi in occhi curiosamente a mandorla e di un colore indefinito che pareva variare dall’azzurro al verde a seconda della luce. Dio doveva essere stato parecchio indeciso a suo tempo se aveva finito col non decidere per uno in particolare. Il sarcasmo della voce era inesistente lì, rimpiazzato solo da un’apparente gran curiosità. Quasi stesse cercando di leggere qualcosa che gli stava sfuggendo.
Si sforzò di pensare a una risposta intelligente, muovendo in avanti.
-E perché perdere subito tutto quando posso avere un secondo tentativo?-
Quello annuì –Ah… dunque solo prudente- concluse. Tolse dai suoi denari due pezzi da otto, usandoli per ricompensare la donna della sua compagnia e salutandola quasi la conoscesse bene.
Diverse mosse più tardi, John comprese di aver quasi sicuramente perso i suoi soldi. Il privilegio di poter cominciare per primo non gli aveva dato alcun vantaggio: l’altro aveva già una sua strategia e sapeva aggiustarla in una manciata di secondi se il caso lo richiedeva. Era al tempo stesso la partita più frustrante e divertente che gli fosse mai capitato di giocare.
-Moschetto o scheggia d’artiglieria?- domandò a un tratto il moro, scostando parte dei ricci che continuavano a scivolargli sugli occhi.
Quel gesto mise involontariamente in mostra i suoi lobi forati. Al sinistro aveva un semplice cerchietto d’oro e una perla nera, al destro invece uno degli orecchini più insoliti che gli fosse capitato di vedere. John si ritrovò dopo a riconoscerlo come un gemello prezioso, di quelli che pochissimi privilegiati usavano per chiudere i polsini delle camicie, in cui era incastonato un piccolo diamante abilmente adattato per il suo nuovo uso. Del pezzo che completava il paio nessuna traccia.
-Che avete…?- John lasciò perdere la risposta.
Non era importante che andava dicendo quello strano tipo, aveva appena visto qualcosa che gli aveva fatto riconsiderare i suoi piani. Sicuramente non ci sarebbe stato bisogno di discutere su chi dovesse privarsi della cabina, quando se lo sarebbe portato a bordo per accompagnarlo fino a Port Royal.
Il polsino liso era scivolato giù, troppo largo per quel polso sottile, rivelando che la sua pelle non era tutta immacolata. Un sacco d’inchiostro, tatuaggi, che strisciavano su lungo il braccio a mo’ di manica particolarmente artistica. Qualcuno in toni di nero, con le linee spesse e soggetti semplici, alcune lettere che dovevano formare una qualche frase, qualcuno elaborato e così colorato da sembrar dipinto da un pittore, di gusto tipicamente orientale. E in mezzo a quel curioso diario di viaggio, qualcosa di molto meno gradevole alla vista: una vecchia ustione. Raggrinzita, dai contorni netti, inflitta deliberatamente per lasciare un segno indelebile e impossibile da nascondere. Una “P”.
John sapeva quanti erano i pirati marchiati a quella maniera, così pochi da potersi contare sulle dita. Perché pochi erano stati in grado di pestare così platealmente i piedi alla Compagnia delle Indie da meritarsi di esser marchiati col fuoco. Una precauzione che veniva adottata alla prima cattura, così da poterli riconoscere nel caso neanche troppo remoto in cui fossero stati in grado di sfuggire alla custodia. Perché sebbene ognuno aveva i suoi metodi e usi, tutti erano accomunati dall’essere maestri della fuga. Cercare di catturare quella congrega era un’impresa fruttuosa quanto provare a pescare anguille a mani nude.
Il pirata, perché quello era, non si scompose. Tutt’altro pareva troppo calmo per esser appena stato riconosciuto.
-Non mi era ancora capitato di giocare con un capitano della Marina di Sua Maestà…- sorrise, muovendo uno dei suoi pezzi forse sperando di poter continuare la partita –Pensavo dessero il benservito a quelli rimasti feriti. Ad ogni modo potete anche smettere di considerare quale promozione potreste avere se mi consegnaste al governatore di Port Royal, finiremo di giocare e ci saluteremo da buoni amici-
-Sembri molto sicuro-
-Lo sono- il pirata fece un cenno alla donna che ora girava fra i tavoli fermandosi ogni tanto per dir qualcosa agli uomini seduti lì, che immediatamente si voltavano nella loro direzione –Vuoi davvero correre il rischio di arrestarmi dichiarandoti un fedele suddito di Sua Maestà d’Inghilterra? Sembri intelligente, fai bene i conti-
John sbirciò alcune facce poco rassicuranti. Sicuramente c’era ben più di un pirata lì, e quelli che avevano le mani su lame e pistole attendendo il momento per capire se sfoderarle o meno non erano animati da chissà quale spirito altruistico: dovevano essere i suoi degni compari.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


-È la prima volta che finisco in parità da quando sono qui, immagino di dovervi un grazie- il pirata offrì la mano, magari aspettandosi pure di vedersi ricambiare in modo altrettanto amichevole la stretta di mano –Capitan Sherlock Holmes, della Baker. È stato un piacere-
John considerò freddamente sia la mano sia le monete che gli venivano rese –Vorrei poter dire altrettanto- rispose a denti stretti.
Sherlock parve non averla presa a male ma da qualche parte sulla sua destra qualcuno fece scattare la sicura della pistola, armando il colpo e lasciando intendere che non tutti prendevano la mancanza di rispetto con quella stessa filosofia.
John era rimasto al suo posto osservando il giovane capitano pirata rivestirsi con calma e lasciare la locanda senza fretta, fumante di umiliazione mentre veniva tenuto sotto tiro. Avrebbe dovuto dare un’occhiata in giro invece di studiare solo chi gli interessava di più. E invece si era fatto mettere nel sacco da uno che per quel che poteva saperne era possibile fosse diventato capitano l’altro ieri.
Dopo alcuni minuti le armi tornarono al loro giusto posto in cinture, foderi, bandoliere e fusciacche, lasciandolo libero di andare dove preferiva. Il più lontano possibile da loro e dal loro capitano, se aveva interpretato correttamente il sottinteso negli sguardi dei vari pirati. Fu allora che se ne accorse: con un rapido colpo d’occhio contò i presenti capendo che erano tutti ancora lì.
Stavolta il moro era davvero solo. Se l’avesse raggiunto alla svelta, e si fosse ricordato di non commettere un’altra volta lo stesso errore, capitan Holmes avrebbe potuto dire addio alle scorrerie in alto mare.
L’aveva ritrovato dopo una breve ricerca nei pressi di una porta altrimenti indistinguibile da quella delle case vicine da cui veniva un odore che ogni medico avrebbe saputo identificare con quello dell’oppio messo a scaldare vicino a una fiamma, ma che da quelle parti doveva servire a scopi che c’entravano poco con la medicina. John si attardò a voltare l’angolo osservando le falcate eleganti e sicure per niente simili a quelle di un marinaio che finalmente rimette i piedi sulla terraferma dopo settimane di navigazione, era davvero una vista insolita da contemplare, pensò, tutto in quel tipo gridava “aristocratico” eppure eccolo lì in mezzo a un branco di furfanti e delinquenti della peggior specie con un agio allarmante.
Sbuffò fra sé, accorgendosi di essersi perso nuovamente fra i suoi pensieri. Prima il dovere, poi il piacere. Una volta averlo messo saldamente dietro le sbarre poteva dilettarsi quanto voleva ad elencare ogni stranezza di quel pirata. Ma appunto, le cose andavan fatte con ordine. E diventava sorprendentemente più agevole avere a che fare con quella gente quando aveva le mani trattenute dietro la schiena da qualche giro di corda e buoni nodi. Meno stratagemmi potevano provare e meglio era.
Quando fu a pochi passi, sguainò la spada, aspettandosi qualunque scorrettezza da Holmes.
-Bada non fa differenza come ti consegno, fintanto che respiri- avvertì, con la sua voce più autoritaria. Sperava di far leva sulla paura dello scontro aperto, i pirati difficilmente giocavano pulito quando si sentivano minacciati.
Sherlock invece non prese nemmeno in considerazione l’idea di sfoderare la sua arma, un po’ datata ma ancora magnifica. A giudicare dall’elsa a cesto di gusto italiano, l’armaiolo che l’aveva forgiata aveva pensato a creare non solo una buona difesa per la mano ma anche qualcosa di piacevole alla vista. E soprattutto doveva essersi curato di far corrispondere tutto all’altezza non esattamente nella norma del suo committente, dedicando tutto il suo impegno per consegnare un’arma ben bilanciata. Decisamente tutto un altro paio di maniche se comparata alla sciabola che aveva in dotazione ogni ufficiale di Marina. Erano più rifinite delle semplici lame da abbordaggio a disposizione delle giubbe rosse ma comunque erano fatte per essere prima di tutto armi di servizio, senza fronzoli puramente decorativi che potessero intralciare in combattimento.
Il pirata semplicemente si voltò, sereno come lo era stato mentre finiva il gioco alla locanda, spostando appena la punta della spada del biondo ufficiale con un gesto più canzonatorio che sdegnato.
-Sappiamo entrambi che non attaccherai fintanto che sono disarmato-
-Una così bella spada, almeno due pistole… difficile poterti definire disarmato- ribattè John, deciso a non lasciarsi distrarre da quella voce calma dall’accento tipicamente inglese e signorile. Quella da sola trovava facesse distrarre anche più del resto. Profonda, piacevole, a tratti persino musicale.
-Oh, ora capisco-
-Cosa avresti capito? Che essendo un pirata dovresti almeno provare a difenderti invece di stare a parlare quando un ufficiale intende catturarti?-
Quello alzò gli occhi al cielo –È noioso, è uno spreco di tempo e a voler essere brutalmente onesto avrei altro da fare per questa notte che duellare con un ex-medico di bordo che pensa di poter avere qualche tipo di compensazione per la zoppia rimediata grazie a un attacco pirata in mare aperto con il mio arresto- elencò rapidamente. Forse un po’ troppo rapidamente, considerato che quasi non aveva preso fiato fra una parola e l’altra e che chiunque non fosse pratico con quella lingua avrebbe finito col non comprendere buona parte del discorso.
John ammutolì, ragionando su cosa fosse meglio fare. Da una parte quell’irritante giovane aveva ragione: il suo onore gli impediva di torcere un capello a chi era disarmato o seriamente intenzionato a non opporre resistenza. Dall’altra però un pirata certi diritti come quello a cui si stava appellando li perdeva nel preciso istante in cui decideva di unirsi a una ciurma che navigava sotto la bandiera nera, per cui tecnicamente disarmato o meno era nel suo pieno diritto fare quel che preferiva di lui.
E quando decise di parlare, quel che gli uscì di bocca sconvolse pure lui.
-Meraviglioso!-
Davvero? L’unica cosa sensata che gli era venuta in mente era che quel delinquente aveva indovinato per la seconda volta per filo e per segno qualcosa che non andava a raccontare troppo in giro nemmeno sulla sua nave? O forse non aveva pensato proprio, da qui il complimento che aveva preso di prepotenza il posto della formale dichiarazione con cui effettuava gli arresti. Sì, decisamente trovava che quella seconda ipotesi avesse molto più senso…
Il pirata, Sherlock, dal canto suo era ancora più allibito. Aveva l’espressione esterrefatta di chi invece di un complimento aveva ricevuto un ceffone. Se ne stava lì, pietrificato nel mezzo della strada a guardarlo in tralice. Poi, molto lentamente, parve tornare in sè.
-Non… non me lo dice mai nessuno- mormorò in un momento di profonda sincerità, ringraziando la luce fioca delle lanterne che non bastava a mostrare anche l’altro effetto collaterale di quel complimento insaspettato: una delicata sfumatura rosata che gli aveva imporporato le guance altrimenti nivee. In momenti del genere odiava il suo pallore con ogni fibra del suo essere.
Fu a quel punto che John capì che la situazione non poteva essere più strana di così. Non si supponeva che si mettesse a far conversazione, figurarsi mostrarsi meravigliato. Ma la frittata l’aveva fatta, tanto valeva togliersi la curiosità già che poteva –Che ti dicono di solito…?-
-Beh dipende, quelli come te tendono ad augurarmi di ritrovarmi con un metro di canapa inglese al collo. Tutti gli altri il più delle volte dicono solo…-
-¡Brujo!- esclamò un soldato che portava l’uniforme coi colori della guardia spagnola, una giovanissima recluta che oltre a essere nel posto sbagliato al momento giusto doveva avere anche qualche conoscenza dell’inglese. Il ragazzo puntava il suo moschetto contro il pirata con la faccia di qualcuno che ha visto un fantasma. Non che avesse davvero intenzione di sparare, per come tremava era più facile che colpisse chiunque altro tranne lui.
Sherlock sospirò con fare eccessivamente esasperato accompagnando il tutto con un gesto plateale come per dire “che avevo detto?”.
Era bastata una manciata di secondi perché risuonassero i passi marziali di tanti, troppi piedi che marciavano all’unisono, attirati dal grido del ragazzo. John non ebbe bisogno di guardarsi intorno per sapere che erano circondati. Fece un cenno all’elsa decorata che ancora spuntava dal fodero di pelle scura al fianco del pirata. Al diavolo marchi e quant’altro, anche se non dei più virtuosi quello era sempre un suddito di Sua Maestà. E non era il caso di fare gli schizzinosi contro almeno venti lame spagnole.
-Questo potrebbe essere un ottimo momento per riconsiderare le tue posizioni circa la non violenza, sai?-
 
.:O:.
 
-Ora io vorrei sapere perché…- cominciò John con la voce che tremava di irritazione mal repressa in un tentativo di restar calmo che sapeva esser fallimentare già dal principio –… perché di tutti quanti, dovevo restare bloccato qui proprio con te!-
-Lungi da me rinfacciare qualcosa ma hai fatto tutto da solo a cominciare dall’incredibile scemenza che hai tentato alla locanda, compare…-
Sherlock indietreggiò appena vedendolo voltarsi di scatto, intuendo che forse non era proprio il momento di provocarlo ulteriormente. Da quando l’aveva visto combattere si era fatto un punto d’onore di non voler provare in prima persona quello che era toccato ad almeno cinque degli spagnoli. Essere medico rendeva John Watson paradossalmente un avversario ancor più pericoloso: aver studiato come salvare vite significava pure che sapeva bene cosa fare nel caso gli andasse di spegnerle.
-Non sono compare tuo, chiaro? Sono John Watson, capitano della HMS Northumberland, e tu sei tenuto a rivolgerti a me come tale- ringhiò minacciosamente il biondo.
Un sorrisetto sghembo comparve sulle labbra piene del più giovane, che parlò ben prima di potersi mordere la lingua. Aveva perso il conto di quanta gente gli aveva fatto notare che un giorno quel suo vizio un giorno gli sarebbe costato caro –Tecnicamente la nave è del Re e tu sei solo quello incaricato di comandarla, per quanto mi riguarda non sei più alto in comando del mio primo ufficiale-
-Tu non puoi considerarti il legittimo capitano di una nave rubata, tanto per cominciare!- fu il turno di John di scoprire d’aver toccato un tasto dolente scatenando una viva protesta da parte del pirata. A quanto pareva, tanto per ribadire quanto fuori dall’ordinario era Sherlock Holmes, la nave se l’era procurata con mezzi a suo dire del tutto leciti.
Essendo chiaro però che quei due avrebbero continuato a scornarsi ancora per un bel pezzo, a metter fine alla discussione ci aveva pensato il carceriere del forte che si alzò con fare minaccioso dal tavolo, dove giocava a carte con alcuni colleghi esasperati quanto lui di sentir bisticciare in una lingua che non comprendevano, dopo che già altre due volte aveva sbraitato un avvertimento al loro indirizzo. Abbaiò loro di starsene zitti una volta per tutte insieme a qualche minaccia riguardante cosa avrebbe fatto se avessero continuato a fare di testa loro che però capì unicamente Sherlock, il quale disponeva di uno spagnolo più fluente di quello conosciuto dal suo improbabile compagno di cella.
John brontolò qualcosa, zoppicando stancamente verso la panca scricchiolante addossata alla parete di fondo e lasciandocisi cadere con un tonfo esausto. Diede un’occhiata al miserevole posto in cui era capitato, massaggiando la gamba dolorante mentre borbottava maledizioni rivolte a quello che gli aveva sequestrato il bastone.
Non si poteva certo dire che il comandante della fortezza tenesse in gran conto il benessere di chi veniva rinchiuso lì sotto. I muri in alcuni punti trasudavano acqua e il pavimento di rozzi blocchi di pietra era sconnesso e quasi più infido dei gradini consunti e scivolosi delle ripidissime scale a chiocciola che dalla corte interna scendevano lì. Qualcuno aveva gettato in ogni cella una bracciata di paglia e giunchi così da tenere l’umidità del pavimento lontana dalle ossa, ma l’aveva fatto di evidente malavoglia. Non ce n’era a sufficienza né per rendere quel posto un minimo più salubre nè per farsi un giaciglio decente su cui riposare. C’erano solo un tavolo traballante, quella panca che a giudicare dagli scricchiolii sinistri che mandava a ogni minimo spostamento di peso sembrava sempre in pericolo di spezzarsi e mandarlo a gambe all’aria da un momento all’altro e alcuni anelli di ferro infissi nel muro. Nemmeno una finestrella, una feritoia che facesse entrare un po’ di aria fresca o luce… niente. Una nicchia nella parete, sulla sinistra, ospitava ancora un piattino di terracotta scheggiata dove era stata accesa una candela esaurita da tempo e che nessuno si era preoccupato di sostituire. La loro unica luce veniva dai supporti di ferro nero fissati a intervalli regolari nel corridoio su cui bruciavano candele e lampade da cui si levavano fili di fumo untuoso che finivano con l’annerire ancor meglio le basse volte già coperte da ampie striature di fuliggine.
John suppose che magari ritenevano in qualche modo un rischio mettere a disposizione di Sherlock una candela accesa; aveva presto scoperto che sebbene nessuno lo chiamasse per nome e per tutti era semplicemente “El Brujo”, davano a intendere di averci già avuto a che fare. Trovò di non essere affatto sorpreso dalla cosa, con ogni probabilità Holmes non dava noie solo alla Compagnia delle Indie ma depredava carichi preziosi a prescindere da chi li trasportava. Gente così era ricercata praticamente da ogni nazione che si definisse civile.
Oppure era possibilissimo che considerassero uno spreco di denaro dare un po’ di luce a qualcuno di cui avevano tutta l’intenzione di sbarazzarsi magari già l’indomani. Se c’era una cosa che accomunava Inglesi e Spagnoli, era proprio che entrambi i pirati li preferivano appesi. Anche se Sherlock avrebbe dovuto preoccuparsi di più fra loro due, si accorse che essendo in quella situazione nemmeno lui era certo di potersi definire al sicuro. Era pur sempre in territorio dei nemici giurati dell’Impero Britannico.
Pensare al pirata gli fece tornare in mente che era da quando erano stati bruscamente invitati al silenzio quello non aveva smesso per un solo istante di fare avanti e indietro da una parte all’altra della cella, lo sguardo trasognato di chi è immerso nei propri pensieri e le mani giunte appena sotto il mento come in preghiera. Strana posa, non sembrava esserci una motivazione religiosa dietro, John ne era abbastanza convinto. Il vero problema però non era tanto che Sherlock stava pensando, ma che la cella era troppo piccola per uno con il suo passo svelto. Con quelle sue gambe lunghe per arrivare dal muro alle sbarre e ritorno non gli occorrevano più di sei passi. Il risultato era un calpestio costante che cominciava a dargli veramente sui nervi.
-Ottimo lavoro, davvero- fece a un tratto, la voce grondante sarcasmo –Vedo che sta procedendo bene…-
Sherlock non smise di passeggiare, ma gli sfuggì un mugugno irritato a mo’ d’avvertimento.
John finse di non sentirlo, proseguendo con maggior convinzione –Vuoi una mano per caso?-
A quel punto anche il pirata arrivò al limite della sua scorta di pazienza. Una scorta che il biondo ufficiale non poteva sapere essere già minima.
-Di che diavolo vai blaterando?!-
Per la prima volta in quella serata, John sorrise sinceramente –Del tunnel per fuggire di qui. Se continui così entro una decina d’anni riuscirai a farci un gran bel buco in quel pavimento!-
Il capitano pirata sbottò su quanto fosse stupido quel che aveva appena detto, prendendo a brontolare che quando si ritirava nel suo palazzo mentale esigeva assoluto silenzio e quando pensava qualcosa lo doveva pur fare perché stare fermo troppo a lungo non lo aiutava e altre simili stranezze.
-Senti, tu forse riuscirai a ragionare ma tutto questo sta facendo impazzire me- chiarì l’ex medico, provando a usare un tono più gentile. Aveva bisogno che si fermasse, almeno per qualche minuto.
Notando lo scarso effetto che avevano avuto le sue parole, fu svelto a sporgersi in avanti ed afferrare un lembo della manica del suo soprabito per impedirgli di ricominciare daccapo. Lo costrinse ad arretrare con fermezza fino a spingerlo nell’angolo dov’era ammassato il piccolo covone di paglia, lasciandogli solo due scelte: sedersi di sua spontanea volontà, o farlo per scelta d’altri.
Holmes decise per la prima opzione, fortunatamente, sistemandosi giù con le ginocchia strette al petto e un’espressione imbronciata che per poco non fece ridere di gusto il militare. Quando mai si era sentito di un pirata, uno che pareva essere la spina nel fianco di chiunque fra l’altro, mettere il broncio come fosse un bambino rimproverato per i suoi capricci?
Non era davvero compito suo cercare di esser comprensivo nei suoi confronti, eppure si ritrovò ad aggiungere –Qualunque sia il piano che stai architettando non funzionerà mai se ti stanchi già ora. Ad ogni modo, se volessi includermi nel progetto ti sarei particolarmente grato-
Il moro lo gelò con uno sguardo, scattando sulla difensiva –È davvero confortante che ti preoccupi per la mia condizione fisica, dopo che mi hai puntato contro una spada…-
John era affascinato da suoi occhi mutevoli ed espressivi, avrebbe giurato che ora avevano la stessa sfumatura color ardesia delle nubi che annunciano tempesta. C’era qualcosa in quelle iridi cangianti che lo metteva a disagio. Non era come essere semplicemente osservato, si sentiva come un libro che viene lentamente, inesorabilmente, sfogliato una pagina alla volta. Qualcuno più superstizioso di lui avrebbe detto che c’era un che di davvero poco umano in quegli occhi, che se gli spagnoli da quelle parti lo chiamavano stregone forse c’era una buona ragione. Represse un brivido, facendo appello a ogni briciolo di razionalità. Dannazione, era un medico, un uomo di scienza, non poteva farsi turbare a quel punto da una innocua eterocromia come il più ignorante dei marinai!
Lasciò perdere la mezza intenzione di ricordargli che per primo era stato lui a farlo tenere sotto tiro da non meno di dieci dei suoi uomini quando ancora erano alla locanda, per cui potevano considerarsi pari. Si appoggiò contro il muro provando la spiacevole sensazione di non avere indosso abbastanza abiti per proteggersi dal tocco umido della pietra.
-Va bene- fece, alzando le mani in segno di resa –Padrone di startene lì imbronciato quanto vuoi, Holmes-
-Sherlock- corresse quello, con meno veemenza –Holmes è come si fa chiamare qualcun altro-
John scelse saggiamente di non indagare oltre, non sarebbe uscito di lì ficcando il naso in affari che non lo riguardavano –Quando pensi di aver qualcosa di cui dovrei essere messo a conoscenza, fammi un fischio-
Il grigio che aveva rannuvolato le iridi troppo chiare era già svanito, veloce come un temporale estivo, lasciando il posto al consueto colore acquoso che le caratterizzava quando il giovane era di umore più ciarliero. Trovava immensamente frustrante aver studiato anni, chino su ogni libro su cui riusciva a mettere le mani, e non sapere ugualmente dare un nome a quanto stava vedendo.
Sherlock lo prese in parola, letteralmente. Dopo un’ultima rapida osservazione se ne uscì con assoluta noncuranza, che aveva il sospetto sempre più fondato che quella zoppia era di natura puramente psicosomatica.
-Cosa hai detto?-
-Sei un medico, uno di quelli competenti se l’ammiraglio ha preferito darti una promozione invece di una lettera di congedo, hai capito perfettamente di cosa sto parlando. Il dolore che senti in questo preciso istante non viene dalla gamba, è solo nella tua testa- lo zittì impaziente, riprendendo a spiegare come era arrivato a quella conclusione –È la spalla a essere rimasta ferita, l’ho notato vedendo che hai sempre evitato di farci peso mentre giocavamo. Qualcosa di piccolo, probabilmente un colpo di arma da fuoco, ma un buon tiratore non avrebbe mancato il cuore su una distanza così ridotta, se sei ancora fra noi significa che il proiettile ti ha colpito mentre davi le spalle al tuo aggressore. Guarda caso, ci sono solo due tipi di uomini che in un momento simile stanno in ginocchio voltando le spalle al combattimento: i codardi e i medici. Dal momento che in questa situazione ci siamo finiti soprattutto grazie al fatto che il tuo coraggio tende a sostituirsi alla tua ragione più spesso di quanto tu sia disposto ad ammettere, l’unica spiegazione logica resta la seconda-
John sgranò gli occhi, sorvolando perfino sul vago insulto. A volte aveva bisogno del bastone anche solo per alzarsi dal letto ma spesso passava anche intere ore sul ponte di comando senza sentire alcun bisogno di riposare nonostante gli venisse spesso offerta una sedia, proprio come se si dimenticasse del dolore. Volle vederci chiaro, chiedendo come faceva a esser sicuro di quanto affermava.
Gli occhi azzurri dell’altro luccicarono vittoriosi –Sono sicuro perché quando ti hanno catturato nessuno ti ha sequestrato il bastone… l’hai dimenticato alla locanda nella tua fretta indiavolata di seguirmi-
Dunque era così che funzionava, nessuna stregoneria. Solo… osservazione. Tanta, acuta, minuziosa osservazione. John sentì l’impellente bisogno di reprimere una risata. Il temibile stregone che faceva tremare come foglie i soldati di Santo Domingo, era solo un trentenne con l’occhio di falco per i dettagli!
-Stupendo, assolutamente stupendo!- esclamò, divertito da quella scoperta.
Di nuovo il pirata lo squadrò poco convinto. Beh, se la maggioranza delle persone erano ignoranti a sufficienza da scambiare le sue deduzioni troppo accurate per magia nera John poteva capire come mai era così poco avvezzo a veder apprezzate le proprie capacità.
-Lo pensi su serio?- domandò cautamente, come se avesse preferito sentirsi dire qualcosa di poco lusinghiero come sempre. Gli insulti aveva imparato a gestirli, i complimenti invece… doveva lavorarci ancora un po’.
-Certo! È… straordinario. Dove hai imparato a fare tutto questo?-
-Era l’unico gioco divertente che si poteva fare in una casa come quella dove sono cresciuto. Stare ad ascoltare quel vecchio incartapecorito del nostro precettore che parlava solo di date, battaglie e gente morta da secoli era una noia mortale, così stavo alla finestra con mio fratello e ci sfidavamo a dedurre a turno tutto quel che potevamo sulle persone che passavano in strada- raccontò Sherlock, sancendo di fatto il paradosso che un pirata avesse avuto un precettore –Vinceva sempre lui, il guastafeste-
 
.:O:.
 
-John… John!-
Il medico si stiracchiò, in un osceno scrocchio di articolazioni anchilosate a causa della scomoda posizione in cui aveva dormito. Quando si era addormentato? E perché lo chiamava qualcuno che aveva quel buffo modo di pronunciare il suo nome? Gli ci volle qualche attimo perché gli eventi della serata riaffiorassero dai meandri della sua mente ancora impastata di sonno.
-Che c’è?- biascicò fra uno sbadiglio e l’altro.
Il pallido viso del pirata era guastato da un bel paio d’occhiaie violacee, nuove di zecca -È l’alba-
-Non hai dormito?-
-Oh ma sicuro, perché pensare a un piano per salvarci il collo quando posso riposarmi tutta la notte e fare una bella impressione quando ci trascineranno in pubblica piazza per farci fuori?- lo rimbeccò beffardo Sherlock –Avanti, mi serve che tu sia sveglio quando arriveranno con la nostra colazione-

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Le campane di una chiesa vicina avevano battuto i primi rintocchi per chiamare i fedeli alla messa del mattino, e ancora nessuno si era fatto vedere. Oltraggioso, almeno secondo Sherlock quando l’eco delle campane e dei soldati già al lavoro era arrivato fino al piano interrato. A che serviva esser uno degli uomini più ricercati dalle Marine di mezzo mondo, sosteneva spazientito, se poi si veniva comunque ignorati per ore come l’ultimo dei borseggiatori di strada?
John decise fosse meglio tenere ogni tipo di commento in merito per sé. Come poteva quel giovane lamentarsi a quel modo della scarsa puntualità dei soldati, lagnandosene sì scherzosamente, ma anche con la stessa aria di superiorità di un gran signore che si vede ricevere malamente? Era un dannato pirata, avrebbe dovuto ringraziare di non esser sorvegliato ogni minuto!
Certamente, riflettè divertito, le sue rimostranze non avevano nulla da spartire con l’appetito. Anche se lo sapeva il cielo quanto gli avrebbe fatto bene mangiare qualcosa. Il medico si era stupito di come la sua magrezza non corrispondesse alla quantità di energia che aveva da spendere: non era affatto ossuto, ma era comunque molto lontano da quello che i suoi studi gli facevano considerare un peso accettabile.
Nell’attesa snervante di dover restar sveglio e vigile, pena l’immediato rimprovero da parte dell’altro, senza sapere che ci si aspettava da lui si rassegnò al silenzio. Non aveva voglia di battibeccare e apparentemente quello era l’unico tipo di conversazione che riusciva a sostenere con quel bastian contrario. E per quanto riguardava i complimenti si era ripromesso di mordersi la lingua non appena il cervello suggeriva esternazioni simili alle due che avevano debitamente imbarazzato entrambi.
-In un certo senso mi hai risolto un problema- cominciò, inaspettatamente –Se solo ti avessi incontrato prima avrei risparmiato…-
-Ah sì?-
-Cosa credevi che stessi facendo con quella donna, ieri?- ridacchiò il pirata, sicuramente annoiato se di punto in bianco accettava di rivelare i fatti suoi pur di passare il tempo. A suo dire, non valeva la pena di perdersi in donne se non per questioni importanti. Come informazioni dettagliate essendo buona parte dei clienti abituali di quella prostituta di stanza nella fortezza. –Onestamente, avrei preferito trovare un metodo per entrare che non comprendesse un pernottamento in cella, dover recuperare i miei effetti e tutti gli altri inconvenienti del caso, ma a questo punto è un piano buono come un altro…-
L’ufficiale lo fissò poco convinto. Aveva sempre quella sensazione che il pirata si prendesse gioco di lui, eppure ora pareva serio come quando aveva spiegato accuratamente com’era arrivato alla sua diagnosi la sera prima. Annuì, mormorando appena un qualcosa del tipo “non c’è di che”.
Neanche si era accorto che Sherlock aveva continuato a parlare come se niente fosse.
-… ovviamente, tutto quel che è successo stanotte resterà strettamente confidenziale…- richiamò l’attenzione del militare con uno schiocco di dita -… dicevo, nessuno dovrà sapere di quanto è successo-
John alzò un sopracciglio in un’espressione poco convinta invitandolo a elaborare, proprio non capiva da dove veniva questa improvvisa riservatezza.
Sherlock non si scompose minimamente a spiegargli con un ragionamento tutto suo, il perché di quella necessità –Passi finire nei guai per colpa di un capitano così zelante da lavorare anche in libera uscita. Ma se si venisse a sapere che in questa situazione ci sono finito per colpa di un ragazzino tremante appena arruolato che passava al momento giusto per origliare, quelli della Baker riderebbero fino alla fine dei tempi!-
Il biondo capitano cercò di far mente locale, tanto per provare a determinare perché dopo una vita vissuta in una relativa normalità gli eventi stessero prendendo quella piega decisamente surreale. Secondo la sua bislacca linea di pensiero quindi, Sherlock riteneva più accettabile essere arrestato da un ufficiale incontrato per caso che da una qualunque recluta?
Beh, come si soleva dire… attento a quel che desideri. Non esisteva da nessuna parte che dopo essere usciti da quel pasticcio gli permettesse di andarsene per la sua strada, nascondere un pirata o consentirgli la fuga era il modo più facile per farsi processare per tradimento. Holmes aveva ancora un bel po’ di conti in sospeso con la legge e John doveva assicurarsi che si prendesse le sue responsabilità. Il massimo che poteva fare per attenuare un po’ le accuse era far presente l’aiuto che gli stava dando al momento, ma nulla di più.
-Ti rendi conto che tutto questo non ha alcun senso?-
-Ha senso per me, si tratta di reputazione: una vita per costruirla, un attimo per giocarsela!- esclamò il pirata –E parola mia, nessuno è più pettegolo di un branco di pirati appena sbarcati. Nessuno. Da’ loro materiale per una storia e loro si inventeranno di tutto-
-Va bene, va bene, ho capito- si arrese l’ufficiale, non volendo imbarcarsi su quell’argomento. Prima di tutto perché non concepiva proprio che un pirata potesse avere una reputazione di cui poter andar fiero. Rubavano, depredavano, causavano distruzione ovunque andassero… di che reputazione dovevano preoccuparsi?! E poi perché se era così importante non dare materiale da raccontare al suo equipaggio, non voleva assolutamente immaginare le storie che già circolavano sul suo conto.
Sospirò, ricordando troppo tardi di non poter dare un’occhiata al suo orologio da tasca. Nella confusione della sera prima aveva incassato un colpo che aveva smosso i delicati ingranaggi, ed ora sotto il cristallo incrinato le lancette erano ferme alle otto in punto. Non del tutto inutile, come ci tenne a ricordargli il pirata, anche se solo per due volte al giorno faceva ancora il suo dovere.
Lo ripose nel taschino, accigliandosi nel sorprendere l’altro distogliere lo sguardo in fretta e furia. La bocca aveva preso una piega amara dopo aver letto l’incisione sul retro della cassa dorata, commissionata dalla sua fidanzata insieme al piccolo ritratto all’interno.
Non potè fare la domanda che gli bruciava sulla lingua, Sherlock si era portato un dito alle labbra suggerendo di far silenzio sporgendosi appena nella direzione delle scale. Restò in ascolto, meravigliandosi del suo udito fine: aveva riconosciuto l’eco della porta aperta e i passi praticamente all’istante. Quali altre peculiari capacità aveva quel mistero ambulante, era una curiosità che purtroppo doveva aspettare.
-Finalmente…-
John non potè far niente per reprimere il brivido sceso lungo la schiena in una cascata gelida a quel sussurro. La stessa sensazione che aveva provato tante volte da bambino quando sua sorella per scherzo gli gettava a tradimento una piccola manciata di neve sotto la camicia direttamente sulla schiena, solo per il gusto di vederlo muoversi tutto a disagio per il freddo.
Non era rimasto nulla di rassicurante nel viso niveo del pirata. Un viso sempre così assurdamente bello, ma di una bellezza pericolosa e spietata. Ecco, quello era il termine esatto: lo trovava attraente allo stesso modo in cui poteva trovare attraente un felino che attende il momento giusto per catturare la sua preda.
Dall’altra parte delle sbarre stavano due soldati. Uno era tra i tre o quattro innominati che la sera prima s’erano lamentati del loro bisticcio, un uomo nella media e a cui qualcuno aveva disgraziatamente dato una divisa e un fucile carico. Si vedeva da chilometri il motivo per cui si era arruolato, c’era una vena di insofferenza malcelata in ogni suo movimento che tradiva la sua fedeltà alla paga piuttosto che al suo sovrano.
E l’altro… oh, ora sì che capiva come mai Holmes era così tanto divertito. Accanto al suo svogliato collega c’era nientemeno che lo stesso ragazzino che la sera prima era stato lasciato indietro dal resto della pattuglia e li aveva scoperti. Si poteva ben vedere come il suo disturbo non gli fosse valso granchè: aveva un grembiule macchiato sopra l’uniforme, uno straccio altrettanto bisognoso di una lavata gettato sulla spalla, una brocca d’acqua in una mano, due scodelle in bilico nell’altra e sotto quel peso le sue braccia ondeggiavano pericolosamente mentre mandava occhiatacce e forse anche qualche accidenti al suo collega che ancora armeggiava pigramente col mazzo di chiavi, non vedendo l’ora di posar tutto sul tavolo. Dopo il turno di guardia notturno, ora gli toccava pure la corvée nelle cucine. John percepì un certo senso di soddisfazione crescergli dentro, eguagliando la sottile occhiata derisoria del suo compagno di cella. Entrambi avevano passato da un pezzo quel periodo, ricordandoselo però a sufficienza da ritenere quella una giusta rivincita.
Intimarono loro di arretrare schiena al muro e di tenere le mani dove potevano vederle. Lui obbedì, Sherlock parve rifiutarsi in un primo momento. Se si fosse trattato di chiunque altro l’avrebbe spiegato come un gesto di sfida, John aveva cominciato a capire che quel pirata ragionava in modo del tutto differente. Come durante la dama: aveva provato una mossa che non era andata a buon fine.
-el desayuno- annunciò il ragazzino con un tono piatto che voleva mascherare l’inquietudine che gli procurava dover stare così vicino a quello che la sua inesistente cultura continuava a fargli ritenere uno stregone –cometelo rápido…-
Nell’esatto istante in cui aveva dato le spalle a Sherlock, John capì qual era il piano. Quello che capiva la loro lingua era utile, l’altro decisamente no.
La professione medica era spaventosamente più utile in combattimento di quanto non lo fosse in un ospedale, aveva scoperto durante i suoi anni di servizio. Se da una parte non sempre era riuscito a salvare i suoi pazienti, dall’altra era invece sempre sopravvissuto ai suoi nemici.
Bastarono due colpi ben assestati per ridurre in ginocchio il soldato più anziano. Il primo era stato un pugno proprio nel mezzo del diaframma, che l’aveva colto impreparato togliendogli il respiro e lasciandolo completamente incapace di armare il moschetto. Fu facile sfilarglielo di mano e usarne il calcio per finirlo con un colpo alla nuca. Era sicuro di aver dosato bene la forza: si sarebbe svegliato con un mal di testa atroce, un possibile trauma cranico e un bernoccolo assicurato… ma meglio così che morto.
Il ragazzino invece, completamente indifeso già dal principio, era ora alle cure del pirata. Che prima gli aveva impedito di gridare per chiamare aiuto, e dopo s’era fatto carico del’interrogatorio per sapere dove stava esattamente l’ufficio del comandante, l’unica cosa che la sua avvenente informatrice non aveva saputo riferire. Per qualche motivo, aveva più premura di passar lì che d’infilare il portone.
E vedere come ottenne quelle informazioni fu un certo sollievo per il capitano inglese. Aveva temuto qualche spargimento di sangue quando fu chiaro che l’immensa paura nei confronti di quel moro dagli occhi cangianti non era abbastanza da spingere il piccoletto a tradire il suo comandante, ma Sherlock non era tipo da usar violenza se non c’era costretto. Non potendo alzare un dito su quello che era pur sempre un quattordicenne e non potendo rischiare di avere indicazioni sbagliate, aveva deciso per qualcosa di altrettanto efficace e del tutto indolore. Il giovanissimo soldato aveva vuotato il sacco poco dopo, fra risate disperate e tante, tante richieste di pietà perché la smettessero con quella tortura insopportabile. Era bastata una penna tolta dal cappello e un po’ d’aiuto a tenerlo fermo, essendo che al solletico proprio non riusciva a resistere, per farsi dire la pura verità.
-Non ci avrei mai pensato- ammise John.
-Non hai conosciuto chi mi ha insegnato il mestiere, i suoi due scassinatori di fiducia e lo squinternato che si ritrova per figlio erano gli unici a bordo che non si azzardava a colpire. Ma se trovava ci servisse una lezione diventava tremendamente inventivo- Sherlock aveva spogliato il soldato privo di sensi in fretta, facendosi poi aiutare a legarlo insieme alla recluta che non aveva opposto alcuna resistenza, ancora troppo impegnata a riprender fiato dopo aver riso abbastanza da farsi venire il mal di pancia. L’uniforme ottenuta era della misura perfetta per John.
Si vide porgere la corda che avevano tenuto da parte, insieme ai polsi del pirata. Sotto i tatuaggi la pelle era così chiara che le vene erano completamente visibili.
-Saprai farci un paio di manette- lo invitò Sherlock, quando gli fu chiaro che forse c’era bisogno di un invito esplicito –Basta non stringere troppo l’ultimo nodo, se le cose non vanno come previsto potrebbero farti comodo due mani in più-

.:O:.

Era stato incredibilmente semplice gironzolare per tutto il forte indisturbati. Avevano lasciato i due spagnoli in cella al loro posto, ed erano partiti in cerca dell’armeria dove avevano trovato tutta la loro roba. Quel che si poteva nascondere come le pistole, finì sotto il lungo soprabito, il coltello tornò al suo posto in uno stivale e le due spade John si risolse a portarle con la mano con cui non stringeva il braccio del pirata. A chiunque lo fermasse chiedendo perché non era sotto chiave, rispondeva che il comandante lo voleva nel suo ufficio. Si era perfino dovuto esercitare un paio di volte prima che la sua pronuncia fosse ritenuta accettabile.
A sapere dove andare era Sherlock, che, attenendosi alla sua parte con la maestria dell’attore consumato, si mostrava poco collaborativo e bendisposto come ci si aspettava che fosse un qualunque fuorilegge in una situazione simile. Puntava i piedi o strattonava per suggerire quando John stava per prendere la direzione sbagliata o per segnalare da che parte girare, non potendo parlare per il bene della recita.
Per il biondo invece, l’unico vero sforzo attoriale era fingere di non esser disgustato dalla divisa straniera che portava. La sua pesante giacca blu da capitano coi bottoni lucidi e orlata di passamaneria in filo d’oro mai gli era mancata come in quel momento. Il mezzo commento di scherno su quanto se la stesse prendendo per aver messo dei panni che di diverso dai suoi non avevano niente tranne il colore non gli piacque troppo. A un fuorilegge ogni uniforme pare uguale forse, ma lui sentiva la differenza e proprio non riusciva a dargli ragione.
Esattamente come indicato, l’ufficio era al primo piano vicino al bastione. Il proprietario era convenientemente assente, cosa che risparmiò loro il disturbo di mandarlo al tappeto come i suoi due sottoposti.
I muri di pietra qui erano stati coperti da una passata d’intonaco ingiallito dal sole che si riversava nella stanza dall’ampia vetrata composta della finestra aperta sulla città. Era possibile vedere buona parte di Santo Domingo, dalla cittadella nelle immediate vicinanze, punteggiata di giardini e terrazze fiorite delle ricche case di alta borghesia e nobiltà fin giù, dove la città con le botteghe e le strade affollate diventava sempre meno rispettabile e lasciava il posto al grande porto sempre brulicante di merci, pescatori, marinai e navi che andavano e venivano come formiche indaffarate sotto l’impietoso sole tropicale.
Bene, nonostante il tipico livello di ordine che ci si poteva aspettare da qualunque militare, quel posto era pieno di oggetti. Sarebbe stato come cercare un ago in un pagliaio. Sherlock nel liberarsi da solo del nodo che gli bloccava le mani, aveva menzionato una mappa che doveva assolutamente recuperare per conto di qualcuno che la voleva a tutti i costi ma non poteva prenderla di persona.
Come se non bastasse rendersi complice di furto: c’erano mappe ovunque! Arrotolati e riposti su file di scaffali, impilati in ogni angolo libero, rilegati in raffinate copertine di pelle stampigliata, spiegati sul grande tavolo al centro della stanza,appesi al muro stavano portolani, carte nautiche e geografiche, atlanti, taccuini, almanacchi nautici, perfino un paio di mappe stellari… che se ne faceva di una descrizione così?
-Quella che serve a me è antica. E sbagliata, per qualche motivo…-
-E tu invece di uscire subito stai perdendo tempo per una mappa che non serve a niente?!-
Sherlock continuò a frugare tra rotoli e cassetti, sempre più spazientito nei confronti del suo anonimo ma sicuramente detestato committente mormorando fra sé che la prossima volta “avrebbe dovuto alzare il suo regal sedere” di persona invece di spedir altri a fare il lavoro –Perché no? Una volta fuori di qua ci sarai tu pronto a farmi perdere altro tempo portandomi dove non voglio andare-
D’accordo, Holmes aveva un punto… ma esisteva modo e modo di spiegare la faccenda. Sapere che stava correndo un rischio attardandosi per rovistare in cerca di una carta che per di più era inesatta lo mandava in bestia. Aveva senso rubare qualcosa di esatto e inaccessibile ai più, come la mappa che ogni Regia Marina dava in dotazione ai propri velieri e su cui erano segnati luoghi che dovevano restare un segreto di Stato. Avrebbe tanto voluto vedere di persona chi era quel personaggio disposto a pagare per commissionare un furto simile.
Bene, cercavano una carta particolarmente vecchia, no? Quelle di solito stavano sulle pergamene…
Sfilò una scatola cilindrica, di quelle che si usavano per conservare rotoli e documenti importanti. Aveva un’etichetta dove era riportato in inchiostro scolorito “Piri Reis 1513”. Ruppe il sigillo di ceralacca, scoprendo che all’interno era conservata la copia di una carta nautica dell’intera Europa con le linee di rotta già tracciate, i porti segnati con dovizia di informazioni e una legenda a lato per dare una rapida spiegazione al significato dei vari simboli. Soltanto, era completamente illeggibile. Al posto delle complicate abbreviazioni latine, o un più moderno stile in lingua spagnola, c’erano svolazzi che per lui erano di fatto senza senso.
Poteva esser quella la mappa “sbagliata” che al pirata sembrava interessare tanto?
Seppe chi si era avvicinato nel preciso istante in cui il naso prese a pizzicargli a causa dell’odore di tabacco forte rimasto sugli abiti. Ricci di un profondo color cioccolato gli solleticavano la guancia mentre Sherlock continuava a studiare la carta da sopra la sua spalla. John si sentì avvampare d’imbarazzo per quella posizione poco decorosa, gli ricordava odiosamente la differenza d’altezza che passava fra loro due.
-Oh, eccola qui. Il tuo turco com’è?- domandò casualmente, come stesse commentando il tempo, rivelando che la miriade di scarabocchi in realtà era più leggibile di quanto si poteva credere.
-Inesistente, credo- ribattè seccamente il biondo, scrollandoselo di dosso. Tenne in alto la mappa, eludendo il tentativo del pirata di sottrargliela di mano –Tanto trambusto… per questa? Cos’ha di tanto speciale questa mappa?-
-“Capitano”, non mi sembra affatto il momento opportuno per discutere…- d’un tratto Holmes era allarmato, gettava occhiate nervose oltre la soglia quasi stesse cercando di capire meglio cos’aveva visto.
Non ci sarebbe cascato, nossignore. Se era capace di metter su tutta la messinscena con cui erano arrivati fin lì sicuramente era capace di mentire su qualunque cosa. Pestò un piede, ribadendo la sua posizione -Lo decido io quando è il momento buono, visto che mi hai costretto a farti da complice!-
-E considerato che non hai deciso di fare il palo, ora ti costringerò anche a seguirmi…-
John riconobbe il familiare scatto che risuonò nel silenzio del corridoio. Qualcuno aveva appena caricato un’arma da fuoco, e c’era una buona possibilità che avesse intenzione di sparare. Che s’era aspettato, tutti i trucchi prima o dopo vengono scoperti. E se venivano scoperti prima del dovuto, l’unica cosa sensata da fare era correre. Per un attimo sentì una sensazione di euforia invaderlo da capo a piedi, invece d’esser spaventato, e quando se ne accorse percepì distintamente il cuore perdere un battito: la gamba non doleva più.
 
.:O:.

Saltò goffamente un muricciolo, tentando di star dietro al giovane pirata che invece l’aveva saltato senza alcuna difficoltà. Si sarebbe stupito del contrario, era forse l’unica cosa buona che veniva da quel chilometro di gambe.
Era agile, Sherlock, cominciava a capire perché il pirata che l’aveva iniziato all’illegalità l’avesse considerato una risorsa preziosa a bordo. Era furbo, con l’udito acuto e le dita svelte doveva avere una certa maestria nello scassinare, e con quella velocità aveva ottime chance di seminare possibili inseguitori che volessero riprendersi il maltolto.
Correva sempre due passi davanti a lui, zigzagando per non rendersi un bersaglio facile, completamente ignaro di che spettacolo offriva dando prova della sua agilità felina. Era un’arte anche quella, a modo suo, ogni svolta nel percorso, ogni ostacolo superato… nulla era lasciato al caso. Sapeva dove andare, quali salti evitare perchè troppo ampi, e come raggiungere la destinazione che si era prefissato in modo sicuro, semplice e veloce. Il trovare passaggi alternativi aveva il piacevole effetto collaterale di aiutarli a mantenere un vantaggio prezioso sui soldati che li inseguivano, rallentati dalla folla e dall’armamentario pesante.
Da quanto non correva a quel modo, aveva creduto di non poterlo fare mai più da quando era rimasto ferito ed era stato fatto sbarcare al primo porto inglese che disponesse di un ospedale. Sotto i ferri c’era andato con una spalla lesa e ne era uscito con una mano tremante e una gamba che non lo reggeva. Non aveva mai capito esattamente quando era cominciato, se già prima dell’intervento o dopo, sapeva solo d’essersi svegliato dal sonno profondo del laudano con un malessere che era andato peggiorando ogni giorno di più. Durante la lunga convalescenza costretto a letto a sopportare il dolore a denti stretti rifiutando testardamente le droghe per lenirlo, memore della dipendenza che causavano, aveva temuto di doversi cercare un altro impiego; un chirurgo che non aveva più le mani salde non andava lontano e un soldato che zoppica ancor meno. Si era quasi commosso quando si era visto restituire la sua uniforme, insieme a un bastone e una lettera in cui gli veniva annunciata la promozione al grado di capitano come ricompensa per i suoi meriti, non potendo più operare né combattere come prima.
Invece ora correva a perdifiato come se nulla fosse accaduto. Dunque era quello ciò di cui aveva bisogno? Davvero gli servivano tutti quei guai per star bene?
Per poco non finì steso addosso al pirata, che aveva rallentato senza una ragione apparente. Lo tirò su appena in tempo prima che perdesse l’equilibrio. Ansimava. Pur tenendo a mente che fumava, il suo respiro era troppo irregolare. Avevano ancora qualche minuto di vantaggio, potevano fermarsi a riprendere fiato.
Sherlock si era appoggiato contro il muro lasciandosi scivolare giù restando seduto sui talloni, una mano sotto il cappotto a stringersi il fianco. John non capì subito. Dopo una corsa così sentir dolore non era raro, ma la parte più suscettibile a quella reazione era la sinistra e non la destra. Nell’abbassare la testa, pure lui col fiato corto per lo sforzo, notò una scia di grandi gocce rosse che girava l’angolo dietro cui si stavano riparando e finiva sotto di loro.
Si era fatto qualche graffio, l’indomani si sarebbe ritrovato qualche livido forse, nulla di serio. E poi l’illuminazione: era Sherlock che sanguinava. Uno dei soldati doveva essere riuscito a mandare a segno un colpo, impossibile dire a chi di loro avesse mirato in particolare. Doveva essere accaduto nei pressi della fortezza dove non c’era troppa gente che poteva esser colpita per sbaglio, e il pirata non se n’era reso conto subito, l’adrenalina in circolo aveva coperto il dolore.
-Sto bene- soffiò quest’ultimo, i denti stretti mentre rifiutava di lasciarlo guardare.
-Sicuro, stai solo morendo dissanguato!- sbottò esasperato, con la poca pazienza che lo contraddistingueva quando gli veniva impedito di tener fede al giuramento solenne che aveva fatto all’inizio della sua carriera medica –Forza, fammi controllare-
Le macchie rosse sbocciate sulla camicia non erano molto rassicuranti. Una rosa di schegge, senza dubbio una pallottola andata in pezzi, prendeva per metà il fianco destro insieme ad altre piccole ferite di striscio lasciate da quelle che gli erano solo passate accanto. La tipica qualità spagnola, pensò seccato, risparmiavano sulle munizioni e questo era il bel risultato. Il classico lavoraccio che ogni chirurgo detestava: dimenticarsi di estrarre qualche pezzo, nella fretta di far smettere al più presto il tormento per il paziente, capitava spesso e volentieri. A preoccuparlo maggiormente però era il foro d’entrata appena sotto il pettorale. Lì il proiettile era arrivato integro. Era da lì che partiva l’emorragia che stava indebolendo il pirata. Per ora doveva lasciar tutto dove stava, ma serviva un posto tranquillo dove estrarlo e fermare il sangue, in fretta.
Non potevano passare in strada, il battere di piedi avvertiva che gli spagnoli erano troppo vicini. Li avrebbero ripresi in un attimo.
-C’è una farmacia da queste parti- rivelò Sherlock, quasi inciampando nei suoi stessi piedi cercando di alzarsi –ci vado spesso-
John prese una decisione drastica. Se Holmes non poteva correre, doveva portarlo in braccio pure se l’idea non lo attirava in modo particolare. Memore però del poco decoro da quest’ultimo dimostrato quando si trattava di spazio personale e simili convenzioni sociali, l’avvertì di tener le mani a posto o l’avrebbe lasciato lì al suo destino.
Per almeno una decina di metri gli parve d’esser stato chiaro, poi lo sentì imprecare a mezza voce. Doveva fidarsi di lui, non potendosi più voltare senza andare in terra entrambi.
Una mano affusolata scivolò velocemente giù verso la sua cintura, cercando qualcosa che non stava effettivamente trovando.
-T… tira via quella mano da lì o giuro che ti lascio andare!- minacciò, in preda all’imbarazzo più totale.
Sherlock si voltò a guardarlo in faccia, un cruccio di fredda sufficienza stampato in viso –Per l’amor del cielo, stavo solo cercando la tua pistola!-
-Stessa storia, che ci devi fare con…-
Prima che finisse la frase, il pirata si volse nuovamente appoggiandosi sulle sue spalle per stabilizzarsi e non sbagliare mira. In appena due secondi aveva fatto fuoco e qualche metro più indietro un soldato ululò di dolore. John si voltò il tempo necessario a vederlo saltellare sulla gamba rimasta sana, stringendosi il ginocchio colpito e gridando ogni genere d’insulto rivolto al pirata, sua madre e qualcosa circa la professione più antica del mondo.
-Bel tiro- si congratulò riprendendo a correre con tutta la velocità di cui era capace dovendo portare oltre a se stesso anche il peso del moro.
Sherlock si lasciò andare, fidandosi del medico e del fatto che non l’avrebbe lasciato cadere -… stavo mirando alla testa- bofonchiò.
 
.:O:.

La farmacia la raggiunsero passando per cortili, lontano da occhi indiscreti.
John ci mise poco a capire d’esser nel posto giusto. Oltre al pozzo e ai fili di panni stesi ad asciugare al sole che aveva visto altrove, c’era un giardino dove insieme ai fiori erano state piantate quelle che a prima vista parevano erbacce. Nelle aiuole ordinate crescevano timo, salvia, valeriana, angelica, lavanda, digitale, camomilla, elleboro, belladonna, erba ruta e tante altre piante officinali ordinate con criterio. Le aromatiche ben divise da quelle che notoriamente le guastavano, le più tossiche in un angolo lontano, quelle delicate in vasi protetti da teli che smorzavano la luce solare, le rose e il gelsomino lasciati liberi di arrampicarsi attorno a una pergola così da spandere sulla veranda una piacevole ombra profumata sia di giorno che di notte.
Sotto quel rigoglioso baldacchino verde, una donna seduta accanto a una porta approfittava della frescura per pulire del pesce. La pelle aveva la sfumatura color caffelatte dei creoli e i lineamenti esotici confermavano che uno dei suoi genitori non era un bianco. Aveva un abito modesto, di cui aveva rimboccato le maniche, un grembiule e portava i suoi scuri ricci crespi avvolti in un voluminoso turbante dai colori vivaci come era costume per le donne di Antille e Caraibi da quando erano arrivate le prime schiave africane che usavano quel sistema sia per togliersi d’attorno i capelli sia per star più fresche durante il lavoro.
John si abbassò, permettendo a Sherlock di tornare coi piedi per terra ma continuando a sostenerlo per sicurezza. Lei aveva continuato il suo lavoro senza degnarli di uno sguardo.
Inaspettatamente, per primo le si rivolse il pirata rivolse chiamandola anche per nome –Credevo detestassi questo impiego, Sally-
-Dal momento che il mio datore di lavoro ieri notte ha pensato bene di sparire nel nulla…- replicò la donna, mettendo da parte le ceste e sempre senza alzare lo sguardo, sporgendosi oltre la tenda che impediva di vedere oltre la porta aperta chiamando a gran voce una certa “Molly”.
Solo dopo si degnò di voltarsi dalla loro parte –Perché non sono sorpresa di vederti mezzo morto e con un perfetto estraneo?- domandò, l’accento delle isole ben riconoscibile nella voce insieme una generale sfacciataggine nei loro confronti che colpì John, che era abituato a tutt’altro contegno femminile quando occorreva rivolgersi a un uomo. Non era abituato a sentirsi trattare da pari, al contrario del pirata.
La conversazione finì lì. Da dietro la tenda era arrivato un ticchettare frettoloso di scarpette col tacco e un fruscio di stoffe. Era una giovane dama dai tratti tipicamente britannici, le guance arrossate dall’agitazione e i capelli castani raccolti in un’acconciatura elegante. Il suo abito rosa e azzurro tutto fiocchi e merletti era molto più ricercato di quello della creola, che John a quel punto supponeva fosse la cameriera, sottolineando la sua appartenenza a una classe sociale più elevata.
Restò pietrificata sulla soglia, incapace di muovere un muscolo. John lesse in lei diversi stati d’animo in rapida successione: paura, sollievo e rabbia. Oh, non semplice rabbia, vera e propria furia. E dal sospiro appena percettibile che sfuggì a Holmes, il destinatario di tanto risentimento era proprio lui.
Stavano solo perdendo tempo prezioso, la signora avrebbe avuto tutto il tempo del mondo per risolvere qualunque fosse il suo problema con lui a patto di poterlo operare prima.
-Quest’uomo ha urgente bisogno di cure mediche e sostiene di conoscere il proprietario di questa farmacia. Se vorrete farmi la grazia di chiamare vostro marito…-
Fu il suo turno di sopportare un’occhiata che rendeva bene il concetto “se gli sguardi potessero uccidere”. Il pirata tossì, avendo scoperto che pessima idea era ridere con del piombo in corpo, facendo presente che era lei la proprietaria di quella bottega e che con quel commento l’aveva appena offesa mortalmente.
-Non occorre che lo chiami, signore- ribattè lei, piccata –è proprio lì accanto a voi-

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


Quel posto era più piccolo di quanto potesse sembrare a una prima vista. Il laboratorio era un angusto retrobottega dal cui soffitto pendevano mazzi d’erbe secche o ancora da essiccare coi banconi stipati di bilance di precisione, mortai, vetreria, fiale e perfino un microscopio di provenienza olandese, mensole e armadietti pieni di composti chimici e vasi che non avevano trovato posto nel lato aperto al pubblico. Si era risolto a spostarsi nella stanza accanto, la cucina che serviva l’appartamento dove conduceva la stretta rampa di scale che saliva al piano superiore, dove Sally aveva frettolosamente sgomberato il tavolo. La fermò prima che potesse coprirlo con un lenzuolo, così da evitare macchie di sangue che potessero mettere nei guai la padrona di casa nel dubbio ma sempre possibile caso le autorità decidessero di fare un’ispezione: aveva notato come non si fosse ancora lavata le mani dopo aver finito con il pesce. Molly fu più veloce di lui a spedirla fuori intimandole di non toccare niente e nessuno finchè non avesse fatto pace col sapone.
L’ufficiale non si curò delle proteste della creola così come non si curava di quanti colleghi medici consideravano la sua ossessione per la pulizia come una stramba convinzione priva di fondamento.
La scarica di adrenalina non aveva fatto miracoli solo alla gamba, notò recuperando da un piattino un pezzo di sapone scivoloso senza alcun problema, la sua mano non tremava e la presa era salda. Nemmeno il minimo tremore.
Si fece dire dove trovare gli strumenti chirurgici, immergendoli in acqua calda e alcol. Durante gli anni di servizio come medico di bordo aveva escogitato quel sistema, scoprendo che anche con del semplice rum strofinato sugli attrezzi oltre che sulla parte lesa il rischio di infezione calava sensibilmente. Aveva potuto constatare la differenza coi metodi di altri, come Stamford. Per una buona parte dei suoi pazienti sopravvivere all’intervento significava poi morire di setticemia. Da quando gli aveva imposto di disinfettare tutto prima di cominciare, da se stesso ai ferri passando per il paziente, i morti erano calati della metà.
Finì di allestire il vassoio che coprì con alcuni tovaglioli trovati in un cassetto. Per quanto magari un pirata non si meritasse troppe cerimonie, lui si considerava una persona civile quanto bastava da usargli la cortesia di non presentarsi con tutta la sfilza di roba che intendeva usare in bella mostra.
Dal tavolo alle sue spalle provenivano secche risposte, proteste, le esclamazioni soffocate di chi non vuol dar spettacolo e accuse di vario genere. Le liti coniugali erano e sarebbero sempre rimaste le stesse, poco importava chi erano gli sposi in questione o quanto poco sembrassero effettivamente due sposi. Già il solo fatto che Holmes le permettesse di dir la sua senza zittirla e basta come faceva gran parte dei mariti era indice di che relazione singolare si trattava.
John li ascoltò discutere, indeciso se fosse il caso di intromettersi o lasciare che risolvessero fra loro. Avevano divergenze riguardo l’anestesia, uno pretendeva “il solito” e l’altra non voleva accontentarlo perché “c’erano già passati”. Ricordò l’incontro della sera precedente, nei pressi della fumeria clandestina. Il tabacco non doveva essere l’unico vizio del pirata.
Affrontare un’operazione simile del tutto cosciente però non era neanche da prendersi in considerazione, per cui alla fine l’ebbe vinta lei riuscendo a fargli bere la modesta quantità di laudano che gli aveva diluito in un bicchiere d’acqua. Sufficiente a distrarlo dal peggio, ma meno di quanto sarebbe servito a stordirlo del tutto.
-Sally, acqua, bende nuove e stracci per favore- ordinò la farmacista, aiutando Sherlock a togliere la camicia zuppa di sangue e cominciando a pulire le ferite con dell’alcol che doveva bruciare parecchio se la smorfia sul volto del pirata era di qualche indicazione, per poi lavarsi ancora una volta le mani allo stesso modo del medico che non mancò di notare quel dettaglio. L’aveva già fatto altre volte e si vedeva dalla sicurezza dei suoi gesti, anche se non capiva come avesse potuto una donna studiare medicina se non veniva concesso loro di iscriversi in nessuna università. Osservò la quantità di lavoro che aveva davanti e la sentì aggiungere –Anche una candela, un ago e filo, avremo un bel po’ di ricamo da fare qui-
Estrarre la pallottola era stato semplice, un paio di mani in più e qualcuno che sapeva cosa farci tornava sempre utile quando bisognava fare lavori delicati. Soltanto non aveva preventivato che quella minuscola pallina di metallo era arrivata così in profondità da ledere il polmone. Tolta quella, il sangue si era riversato lì silenzioso e indisturbato mentre si concentravano sulle altre schegge sparpagliate tutt’intorno. Se ne accorsero solo quando il pirata aveva preso a sudar freddo, i respiri affaticati caratterizzati da un suono bagnato che non faceva ben sperare.
-Bisogna drenare il sangue, o è tutto inutile- decretò John, e scoprendo che non c’era mai stato bisogno di simili interventi la farmacista non aveva alcuno strumento adatto dovette ingegnarsi –Se avete una fialetta di vetro sottile posso improvvisare-
Molly era nervosa –L’avete già fatto altre volte?-
John annuì –Una soltanto- disse, decidendo d’esser onesto.
All’epoca il suo paziente non era sopravvissuto. Era una ferita troppo grave ed erano ancora nel mezzo della battaglia, non aveva avuto né il tempo né gli strumenti per salvarlo. Stavolta aveva fatto tutto con calma e a mente lucida, in condizioni ottimali, doveva necessariamente andar meglio.
La giovane però era restia a dargli il consenso.
-Lascialo provare…- aveva mormorato flebilmente Holmes. Molly non aveva osato contraddirlo a quel punto.
Avevano inciso il vetro con un bisturi, usando la fiamma della candela per romperlo mantenendo bordi netti e taglienti. Il medico trovò il punto migliore dove inserire la cannula improvvisata in pochi attimi –Farà male- avvertì, non volendo infilzarlo a tradimento e magari sentendosi dare pure del macellaio.
Prese un respiro, sforzandosi di parlare –E finora faceva bene…?-
John sentì un mezzo sorriso farsi strada sulle sue labbra e scosse la testa fra sé. Chissà perché aveva sospettato che fosse il tipo capace di fare dello spirito pure se stava lì in equilibrio sull’orlo della fossa. Quello fu il punto in cui il dolore e l’emorragia avevano vinto sulla resistenza. Holmes aveva perso i sensi, permettendo loro di finire di medicarlo senza ulteriori complicazioni.
 
.:O:.
 
L’abitazione era più che soltanto decorosa. Mancava lo sfarzo e l’ostentazione tipici dell’alta borghesia di città, eppure non era difficile immaginare che chi abitava lì se la passasse bene. Il mercato dei medicinali non conosceva crisi e permetteva ottimi guadagni. Nonostante gli ambienti ristretti era accogliente, con le tende raccolte in ampi drappeggi abbinate alla tappezzeria di divani e poltrone e i fiori alle finestre. Non mancavano nemmeno oggetti di provenienza meno lecita frutto dei saccheggi di Sherlock, un paio di quadri, un arazzo francese, ninnoli sparsi un po’ dappertutto, tappeti orientali e un pianoforte trafugato da chissà quale ricca dimora, coi tasti in avorio ed ebano e gli intarsi di madreperla.
Dopo aver steso Sherlock sul letto della camera padronale, Molly gli aveva lasciato una brocca accanto al catino per lavarsi, un rasoio se avesse voluto darsi una sistemata e una camicia pulita con cui cambiarsi, posata sul baule ai piedi del letto accanto a cui stavano gli stivali del pirata e la sua sacca da viaggio. Per quanto fosse tentato di curiosare, e vedere perché la borsa dava l’idea di esser pesante, resistette. Si era reso presentabile con i pochi gesti spicci di un militare che ha sempre il tempo contato per far tutto, esitando appena quando fu il momento di rivestirsi. Era un indumento ampio di cotone nero, confezionato per esser prima di tutto comodo, fresco di bucato e della lavanda con cui era stato riposto per tener lontane le tarme. Gli faceva un certo effetto indossare gli abiti di un altro, sentirseli estranei sapendo che erano stati confezionati per adattarsi a un corpo diverso dal suo.
Rimboccò gli orli nei pantaloni, lo sguardo perso nel riflesso dello specchio. Il pirata era immobile, privo di sensi. Ed era quanto di più meraviglioso gli fosse capitato di vedere nella sua vita. Senza alcuna stoffa a coprirlo poteva osservare l’estesa collezione di disegni incisi nella carne, che occupava entrambe le braccia, dai polsi alle spalle. Strinse i pugni, desideroso di toccare e percorrere ogni centimetro di quella pelle trasformata in tela da svariati, per non dir fortunati, artisti. Voleva quello stesso diritto, poter saggiare con mano se davvero era setosa come sembrava. C’era sempre stato qualcosa a impedirgli di toccarlo direttamente, gli abiti prima e il metallo degli strumenti poi.
Aveva visto molti portare tatuaggi, donne e uomini, marinai e soldati, criminali e onesti cittadini. Ognuno di loro aveva avuto i suoi motivi per prendere la decisione di segnarsi a vita, anche se non tutti erano disposti a raccontare quale. Si domandava che motivo avesse il pirata di farsene così tanti. Avrebbe risposto se mai glielo avesse domandato? Ognuno aveva un significato preciso? Qualche tipo di prova di coraggio o una dimostrazione di quanta sopportazione aveva del dolore? Alcuni erano così complessi da aver sicuramente richiesto diverse sessioni per essere completati, occorreva forza di volontà per sottoporsi al continuo tocco invasivo dell’ago e al bruciore dell’inchiostro nella ferita aperta nei giorni a seguire.
A differenza di molti marinai e pirati però, Holmes si asteneva totalmente dai soggetti religiosi preferendone di più decorativi. Molti fiori, un paio di frasi latine e probabilmente un esempio di calligrafia orientale, un dragone dall’aspetto serpentino, alcuni motivi geometrici, un teschio circondato da rose, un motivo esagonale che ricordava un alveare che prendeva parte della spalla su cui spiccava un’ape, curiosamente anche una rappresentazione perfetta della costellazione dell’Orsa Minore, della quale il tatuatore aveva riportato il nome delle stelle principali marcando per bene ogni lettera ed evidenziando la Stella Polare, che doveva avere davvero un ottimo motivo per essere segnata proprio sull’avambraccio ad altezza occhi.
Di tutti però furono altri due disegni ad attrarre maggiormente la sua attenzione. Uno era semplice, una specie di bislacco asterisco decorato da glifi geometrici simile ad alcune delle incomprensibili rune dei temibili invasori vichinghi che ancora si potevano osservare in giro per l’Europa, sul braccio destro, di poco più in alto rispetto alla cicatrice rilevata lasciata dal ferro rovente. Aveva un colore bluastro, a indicare che inizialmente per ottenere il nero era stata usata cenere o fuliggine al posto della normale china e che era vecchio di anni. Nessuno degli altri tatuaggi aveva la stessa usura, il che lo portò a immaginare che fosse stato il primo in assoluto. L’altro era forse il più recente, guarito da poco, una piccola opera d’arte. Seguiva perfettamente la linea snella del fianco sinistro dalla vita fino alla coscia, alcuni dettagli celati sopra dalle bende e sotto dai pantaloni. Era insolito perfino per lo stile nipponico: una sinuosa lontra vestita con i succinti panni delle pescatrici di perle locali raffigurata a testa in giù impegnata nella stessa attività.
-Se disturbo ripasso dopo…-
John trasalì di spavento. Ferma sulla soglia c’era Sally, braccia conserte e un’espressione amichevole tanto quanto il suo commento impudente. Spiegò d’esser salita ad avvertire che potevano offrirgli il pranzo, se voleva fermarsi fino a sera aspettando di far calmare le acque.
Non poteva crederci, aveva continuato ad avvicinarsi al moro senza minimamente rendersene conto. Come l’ago di una bussola, inesorabilmente attratto verso il nord senza potersi opporre. Se non fosse arrivata la scostante cameriera di casa che avrebbe fatto, avrebbe proseguito fino a ritrovarsi sul letto a sua volta? Mise subito un po’ di distanza tra lui e la figura ancora profondamente addormentata, fingendo di non aver appena fatto una ben magra figura.
-Datemi retta- disse seccamente la donna, tornando bruscamente sui suoi passi come si avesse appena ricordato qualcosa –State lontano da Sherlock Holmes-
-È una minaccia?- volle sapere, gelido, raddrizzando la schiena quasi inconsciamente per mostrarsi in tutta la sua statura, lasciando parlare John Watson il soldato. Se fosse stato a bordo della sua nave, una tale palese mancanza di rispetto sarebbe costata almeno una notte al fresco al marinaio di turno.
-Un consiglio- chiarì lei, per nulla intimorita dal cambio d’atteggiamento del biondo –State prendendo una rotta pericolosa, signore, ci sono mostri lì-
-Considerami avvertito- replicò, congedandola altrettanto duramente –Immagino tu abbia da fare, non ti farò perdere altro tempo-
 
.:O:.
 
Verso sera era tornato alla Northumberland, aggiornando i registri e controllando lo stato dei rifornimenti. Fu sollevato di notare come la sua assenza non avesse influito poi molto sulla disciplina, nulla era fuori posto e i turni di lavoro erano stati rispettati come sempre. La notizia della sua bravata però aveva già fatto il giro di tutto l’equipaggio. Dal primo ufficiale fino all’ultimo mozzo, tutti avevano saputo della scaramuccia in cui era rimasto coinvolto e parevano fieri di come il loro capitano fosse riuscito a tener testa alle truppe del cattolicissimo Re Ferdinando.
E l’umore a bordo migliorò ancora quando venne annunciato che aveva fermato un noto fuggitivo dalla giustizia. Meglio così, si disse, nessuno aveva avuto da ridire alla notizia di doversi muovere di primo mattino fino alla farmacia che aveva indicato. Tutt’altro, aveva dovuto intervenire per riportare l’ordine e scegliere di sua iniziativa chi doveva far parte del drappello che avrebbe preso in custodia Holmes perchè erano talmente tanti quelli desiderosi di partecipare che la discussione era presto degenerata.
I casi erano due: o tutti quanti avevano dei conti in sospeso da regolare, cosa di cui dubitava, oppure Holmes era davvero conosciuto ed esser presenti il giorno del suo arresto era qualcosa di cui potersi vantare nei mesi a venire, un uso comune quando si trattava di briganti o pirati celebri. Propendeva più per la seconda ipotesi, da quando aveva dato l’annuncio era cominciato un susseguirsi di storie raccontate in rapida successione invece delle chiacchiere che accompagnavano la cena, ognuno giurando su quello che aveva di più caro di star raccontando il vero. Dunque si spiegava come mai il pirata voleva ridurre al minimo il materiale utile per imbastire ulteriori dicerie sul suo conto: quelle che già circolavano trovava che fossero sufficienti.
John si ritrovò ad ascoltare con oziosa curiosità non avendo mai sentita alcuna di quelle storie, forse perché preferiva astenersi dal frequentare il tipo di locali in cui si era soliti narrarle. E trovava che fossero per buona parte inverosimili, per tacere di quelle davvero assurde . C’era chi raccontava avesse origini nobili inventandosi addirittura parentele reali e che con le sue belle maniere non avesse mai avuto bisogno della violenza per conquistare i suoi bottini, chi invece era decisamente più fantasioso e attribuiva la sua avvenenza al fatto che fosse figlio di una creatura marina innamoratasi di un essere umano al punto da seguirlo sulla terraferma. Esistevano diverse versioni a riguardo, una per ogni povera creatura dalle fattezze femminili avesse la sfortuna di vivere nell’oceano.
Era intenzionato a restare a bordo appena il tempo necessario, non volendo rischiare di tornare indietro solo per scoprire di essersi fatto sfuggire Holmes da sotto il naso. Anche nel suo stato debilitato avrebbe ugualmente tentato di far perdere le proprie tracce, i suoi uomini certo non sarebbero stati con le mani in mano e Molly Hooper avrebbe fatto quanto era in suo potere per coprirgli la fuga.
Prese a scartabellare fra i vari avvisi di taglia che conservava nello schedario della sua cabina, sapendo che da qualche parte doveva esserci anche quello del capitano appena catturato. Ne aveva ben due, uno stampato privatamente per conto della Compagnia delle Indie. John restò lì con quei due fogli in mano e una mezza intenzione di andare a farsi prestare un paio di occhiali, sicuro di averne bisogno perchè cominciava a leggere una cifra per un’altra. La Corona non si esponeva più di tanto promettendo non più di centocinquanta sterline per la cattura di William Sherlock Scott Holmes più noto come Sherlock o “Lock il Nero”, il soprannome che gli aveva guadagnato la sua dimestichezza con i grimaldelli. Una cifra tutto sommato onesta, nella media delle taglie adatte a quelli che venivano considerati dei pezzi grossi della pirateria caraibica. Dal canto suo la Compagnia era disposta a sborsare una somma che sconfinava ampiamente nell’osceno, trecento pezzi d’oro solo per la sua testa e cinquecento per chi fosse stato capace di consegnarlo ancora in vita. Aveva quasi timore di scoprire per quale crimine avessero deciso per quella somma, considerato che neanche il Re aveva il dente così tanto avvelenato nei suoi confronti. Con una cattura così poteva già cominciare a pensare che “Commodoro Watson” suonava decisamente bene.
Sedeva allo scrittoio, la penna in mano e davanti un foglio bianco che non riusciva a riempire. Immerse il pennino nel calamaio, stringendosi stancamente le tempie: l’immagine di quel corpo esanime e indifeso ancora vivida nella sua memoria era una fastidiosa stilettata al cuore. Il trentenne ferito che aveva lasciato in quella casa somigliava a malapena a quello che si era ripromesso di catturare nei bassifondi.
Durante la sua silenziosa ammirazione non aveva potuto fare a meno di ricordare una bambola che era appartenuta a sua sorella. I lineamenti fini, il viso innocente… il parallelo con una cosa eterea che poteva andare in mille pezzi se maneggiata senza le giuste precauzioni calzava spaventosamente a pennello.
Scosse la testa: innocente lo era stato magari da bambino, indifeso forse non lo era neanche quando dormiva e lui doveva smetterla di farsi distrarre in modo così poco professionale. La sua pelle poteva anche essere porcellana, si disse cominciando risolutamente a scrivere le prime righe del mandato, ma sotto si nascondeva insidioso acciaio.
 
.:O:.
 
La casa di Molly era silenziosa, le scale scricchiolavano quiete mentre si orientava nella semioscurità rotta dal chiaro di luna che illuminava parti dei mobili in una delicata luce argentea ottima per evitare di inciamparci. Aveva potuto usare la porta principale perlomeno, risparmiandosi di dover fare il giro dai locali di servizio perennemente stipati di roba e pessima scelta di percorso se non vedeva dove andava.
Aveva dovuto farsi strada da sé, nonostante l’ora non fosse ancora così tarda della cameriera non v’era traccia da nessuna parte. Ci arrivò dopo, ragionando su come la facciata sopra al cosiddetto piano nobile con tanto di poggiolo fiorito affacciato sulla via, non aveva né un secondo piano nè alcun abbaino che facesse pensare a una stanza nel sottotetto. La cameriera dunque non era la cameriera, anche se aveva familiarità con quella peculiare casa e i relativi abitanti.
Dalla porta accostata della camera da letto veniva la fioca luce dorata di una lampada a olio e le voci dei due sposi. Restò nell’ombra accanto allo stipite, origliando e vergognandosi come un ladro. Non aveva alcun diritto di impicciarsi nella loro vita privata, specialmente dopo l’increscioso episodio di poche ore prima in cui aveva seriamente corso il rischio di mancare di rispetto alla padrona di casa seguendo la sua egoistica attrazione, ma doveva attenersi alla legge e assicurarsi che non stessero tramando qualcosa.
Un lamento a mezza voce indicò che Sherlock era sveglio, il telaio di ferro battuto tutto ghirigori del letto gemeva di disappunto mentre si spostava faticosamente. I passi affrettati di Molly e un morbido scricchiolio di piume sprimacciate. Doveva aver aggiunto dei guanciali per permettergli di stare comodamente seduto.
Si azzardò a sbirciare. Lui era come l’aveva lasciato, ancora leggermente intorpidito dalla droga ma tutto sommato lucido per sostenere una conversazione, con l’unica differenza delle bende macchiate. Quel movimento non previsto doveva aver tirato qualche punto, lasciando fluire il sangue. Affondò fra i suoi cuscini, restando per pochi attimi a occhi chiusi e con la testa rovesciata all’indietro nella tipica posa di chi ha appena avuto un capogiro.
Molly aveva aspettato gli passasse, sedendosi sull’altra piazza del materasso nella sua svolazzante camicia da notte di pregiato batista immacolato. Recuperò una ciotola di coccio dal comodino, simile a quelle in cui aveva consumato quell’ottima zuppa di pesce a pranzo, insistendo che mangiasse per nulla toccata dai commenti seccati che riceveva in cambio della sua preoccupazione come se ci avesse fatto l’abitudine da tempo.
Sherlock da parte sua non era felice del gatto che aveva preso a strofinarsi intorno alle sue cose -Fa’ spostare quella palla di pelo molesta…-
-Toby!- corresse lei, evidentemente affezionata all’animale.
-… il suddetto felino dai miei stivali- rielaborò il pirata, più gentilmente, vedendosi piazzare in mano la scodella avendo appena fornito alla farmacista un’ottima scusa per rifilargliela a tradimento.
John l’aveva ascoltata ridacchiare sottovoce, sporgendosi a sollevare il gatto per metterselo in grembo prendendo a coccolarlo. Era più seria ora –Non sono nata ieri, Sherlock-
-Non mi permetterei mai neanche di pensarlo-
-Allora perché non dirmi che quello era un capitano di Marina?!- scattò lei, quasi gridando –Ti ho sentito quando hai disposto gli ordini per domani, il tuo nostromo ha diritto di sapere le cose e io no?-
Sherlock diede uno sbuffo annoiato -Conoscendo la tua facilità alle ansie inutili, pensavo di fare i tuoi interessi sorvolando sui dettagli-
-Oh, bene, ospito uno di quelli che ti vuole morto ma mi preoccupo per niente…-
-Esattamente- confermò il pirata –L’ultima cosa che mi serve adesso è tu gli vada incontro a spada tratta. Non siamo più all’università, dove potevi farmi da secondo quando gli idioti come Wilkers mi sfidavano un giorno sì e l’altro pure per una deduzione di troppo-
Lei restò in silenzio, le dita affondate nella soffice pelliccia del gatto. Non seppe restar seria –Era divertente però, ricordo ancora la faccia di Sebastian quando mi ha fatto saltare un bottone-
Il biondo si allontanò dallo stipite, temendo di esser stato sorpreso a ficcanasare. Dalla stanza però venivano risolini soffocati mentre ricordavano quell’episodio in cui lo sfidante si era accorto di esser stato sconfitto da una donna indignandosi oltremodo. John sentì un’istintiva simpatia per il povero ragazzo che pensando di difendere il proprio onore si era visto prendere in giro due volte… dunque Holmes aveva aiutato quella che era attualmente sua moglie a travestirsi da uomo per poter frequentare le lezioni, e non considerandosi soddisfatto per meglio sfregiare la morale pubblica aveva pure accettato di insegnarle a tirar di spada arrivando a permetterle di duellare al posto suo se riteneva di esser stato sfidato da qualcuno che non meritava la sua considerazione.
Finita la sua cena, il pirata aveva preso a studiare un pendente raccolto dal portagioie sul comodino –Hai un nuovo corteggiatore, è evidente anche se nascondi i suoi regali- dedusse osservando il piccolo pegno d’amore, ma senza alcuna gelosia -Lo conosco?-
-Cielo, spero di no!- scherzò la giovane, ridendo di gusto mentre scostava i capelli -Quando un uomo ti conosce, per la mia vita sentimentale sono sempre cattive notizie-
Sherlock aveva sorriso a sua volta, tenendole il gioco –Non è detto, anche oggi si trattava di qualcuno che mi conosce e a dispetto di tutto è sulla buona strada del matrimonio- le allacciò la collana –Il tuo buonumore è notoriamente difficile da guastare, mi sento di poterti informare che non ha intenzioni così serie-
Molly aveva incrociato le braccia al petto, come a volerlo sfidare –Ah, no, stavolta è davvero impossibile. È nella Marina mercantile. Dovresti leggere cosa mi scrive, mi porta regali da posti esotici… e non fa esperimenti sul gatto!-
L’altro aveva sorriso –Bene, allora spiegami per quale motivo impegnarsi per camuffare della comune tormalina blu facendola tagliare e incastonare così da poterla spacciare per zaffiro se è un capitano che ha buoni profitti. Peccato, sarebbe stata la volta buona per firmare il benedetto divorzio-
La pungente deduzione gli era costata un buffetto, anche se con tutti i riguardi del caso. Ci fu un commento su come non sarebbe riuscito a liberarsi facilmente dal vincolo coniugale, al che rispose in modo piuttosto colorito su come alla fine l’avrebbe comunque vinta lui, perché dati gli ultimi avvenimenti poteva sempre riservarsi di lasciarla vedova.
-E tu allora? Sally aveva voglia di spettegolare prima di tornare alla Baker- fece la farmacista, preferendo non pensare alla situazione corrente e cambiando quindi argomento, in un tentativo di scherzare –Capitan Watson non riusciva proprio a toglierti gli occhi di dosso oggi-
-Vorrei ben vedere, dopo tutta la fatica che ha fatto per prendermi!- si schermì lui –Sarebbe antipatico se gli morissi prima-
-Intendevo dire, dopo Victor…- nel pronunciare quel nome mimò un paio di virgolette.
-La tua fantasia diventa più fervida di anno in anno. Conosci perfettamente che tipo di rapporto c’è tra lui e il sottoscritto- la fermò Sherlock, facendo intendere di non gradire la piega della discussione –Per quanto riguarda il caro Watson l’unica cosa di me che potrebbe interessargli è la mia taglia così da mettersi da parte una buona pensione per ritirarsi nell’agognata monotonia della vita domestica con una certa Mary. Come vedi, se anche fossi solito darmi alle sciocchezze sentimentali è chiaro che siamo su sponde diametralmente opposte, e tutto fa pensare che sulla sua ci si trovi più che bene-
L’ufficiale uscì sulla veranda nella placida notte tropicale profumata di gelsomino in fiore, in preda a sentimenti contrastanti. Si poteva provare avversione e ammirazione per la stessa persona? E poi quell’animosità nel parlare di lui, lo sguardo di sottecchi e la smorfia sprezzante del tutto inconscia nel solo pronunciare il nome della sua promessa sposa…
Gironzolò fra i vasi e le aiuole, ancora piacevolmente inebriato dalle ritrovate capacità motorie, provando a trovare una risposta logica. Se avesse udito un simile discorso da una donna, avrebbe pensato a un impeto di gelosia. Ma appunto, trattandosi di un uomo non capiva il motivo del suo scatto infastidito. Aveva già un anello al dito in senso figurato, fra i tanti veri e propri neanche uno che somigliasse a una fede, e non vedeva l’ora di sfilarselo… che senso aveva che s’andasse a crucciare per i matrimoni che volevano contrarre gli altri?
La finestra della camera da letto, quella affacciata sull’orto, era un baratro nero pece. Avevano spento il lume. John se li immaginò a condividere il talamo, ma nella sua mente andava formandosi un’immagine ben poco romantica dopo la discussione appena ascoltata. Non un abbraccio, un minimo cercarsi nell’oscurità. Era chiaro che erano solo buoni amici, incappati nella pratica piuttosto odiosa del matrimonio combinato tanto cara alle famiglie ricche per salvaguardare gli interessi, che s’erano decisi a vivere la propria vita e lasciarla vivere all’altro senza stare a farsi la guerra inutilmente. Anche doveva ammettere era la prima volta che vedeva i ruoli invertirsi. Le mogli erano quelle che pativano di più in quel tipo di unioni, Molly al contrario pareva non essere infelice ai livelli di Sherlock.
Ritenendo scongiurato il pericolo di una fuga, si ritagliò un buon paio d’ore di meritato riposo. Era stata una giornata pesante eppure se ne rendeva conto solo adesso. Si appisolò nella sua cabina, senza disturbarsi a infilarsi sotto le coperte. I sogni insanguinati che lo perseguitavano nel sonno dissolti, diradati come nebbia al primo sole. Dormì serenamente, rimembrando una caletta sassosa circondata da rocce scoscese non troppo lontano dal villaggio in cui era cresciuto e dove andava a rifugiarsi quando gli serviva un posto che fosse solo suo. Nel sogno non era solo ad ascoltare lo sciabordare delle onde che s’infrangevano a riva, sul basso fondale una lontra era tutta presa a raccogliere ostriche e infilarle nella sua borsina fatta di rete. Era a caccia di perle.
 
.:O:.
 
Attendeva nell’angolo, rigidamente impettito nella sua impeccabile uniforme blu da capitano, una mano che riposava sull’impugnatura dorata della spada appesa al fianco pronto a sfoderarla a ogni movimento sospetto.
Di nuovo uno strappo alle regole, pensò amaramente ricordandosi del poco polso che aveva saputo dimostrare. Da quando in qua ai pirati si permetteva un colloquio privato? Anzi, da quando ai pirati si accordavano certi favori per pura bontà di cuore e basta.
E invece eccolo lì a mordersi l’interno delle guance, ad aspettare i comodi di Holmes che se n’era uscito con la bella idea di domandargli la cortesia di far aspettare gli altri fuori dalla stanza per fargli sistemare certi affari con i suoi consociati. Testuali parole, voleva sistemare i suoi affari prima di andare. Neanche fosse un mercante che vuol dare le ultime indicazioni su quanto investire in cosa prima di uscire e andare al club. Oh, e come dimenticare l’adorabile faccia da cucciolo bastonato che aveva messo su intuendo di stare per ricevere un sonoro, giustificatissimo “no”… chi l’avrebbe detto che sarebbe finito a farsi muovere a compassione da un simile manipolatore che riusciva a fargli fare sempre ciò che voleva.
-Dobbiamo proprio parlare con lui qua dentro?- aveva domandato un uomo dai capelli argentei di cui il moro tendeva sistematicamente a sbagliare il nome, che pareva una persona onesta e rispettabile. Doppiamente più anomalo del suo capitano, in pratica.
Accanto a lui, una Sally ora irriconoscibile dall’esotica indigena del giorno precedente con quel miscuglio di frusti abiti maschili indosso, si unì alle rimostranze. Se dovevano discutere dovevano farlo fra loro senza mettere di mezzo la Marina.
John sentì montare il nervoso –E la grazia che vi faccio a lasciarvi parlare, un altro avrebbe già rinchiuso tutti e tre- scoccò un’occhiataccia al giovane che ancora si gustava la sua tazza di tè al latte senza troppa fretta –Se tu e il resto della tua associazione a delinquere avete finito…-
-Ovviamente non abbiamo finito- rimarcò sardonicamente Sherlock –Voi due piantatela di distrarvi e pensate al vostro lavoro piuttosto. Ho lasciato un appunto sulla scrivania, è la baia dove aspetta il mio contrabbandiere. Se sbagliate rotta stavolta siete pregati di prendetevela con la vostra incapacità e non con la mia calligrafia. Andate, gli consegnate la mappa, gli dite che deve passarla a mio fratello e Donovan per l’amor del cielo evita di far aprire bocca ad Anderson o non posso garantire la sua integrità fisica. Quello sarà già abbastanza seccato di essersi dovuto spostare così a sud senza aggiungerci l’idiozia endemica del tuo compagno-
Dovendosi trovare qualcosa da fare nell’attesa, John aveva preso a studiare il suo nuovo aspetto. Non era il solo ad essersi messo in ghingheri quella mattina. Avendo trovato Sherlock trasandato nel vestire, non si era soffermato a considerare che forse era solamente sbarcato da poco quando l’aveva incontrato e quelli che gli aveva visto erano gli abiti che metteva per tutti i giorni, quando aveva bisogno di star comodo e lavorare senza doversi preoccupare di poter rovinare quel che indossava.
Si era rasato, i ricci che sfuggivano alla bandana da ogni parte erano vaporosi non più rigidi di sale e s’era cambiato d’abito. Così conciato aveva davvero l’aspetto di un vero capitano pirata, con una certa aria di studiata trascuratezza. Aveva attillati pantaloni neri infilati nei suoi soliti stivali e una camicia di fresco lino color avorio talmente leggero da rivelarsi semitrasparente se si metteva controluce, dal profondo scollo a v con una fila di minuscoli bottoni di madreperla che non aveva allacciato fino in fondo lasciando intravedere parte delle fasciature che gli costringevano il torace e alcune collane: un semplice laccetto nero di cotone cerato con un dente di squalo, che John non voleva assolutamente sapere in quali circostanze aveva rimediato, una collanina sottile con un ciondolo sferico minuziosamente filigranato solitamente usato dalle donne come porta essenze e una massiccia catena d’oro il cui pendente restava nascosto dalle pieghe del tessuto. I fianchi avvolti da una lunga fusciacca viola proveniente dall’India facilmente riconoscibile per l’elaborata decorazione tradizionale e ornata di frange che era stata annodata sul fianco destro per forza dell’abitudine a tenere la sinistra libera essendo il lato dove doveva trovar spazio il fodero, e aveva diverse cinture lasciate volutamente più o meno lasche in cui aveva infilato tutte le sue armi. Il cappotto non l’aveva ancora indossato solo perché Molly stava finendo di rammendarglielo, seduta lì accanto in uno dei suoi soliti graziosi abiti di mussola dalle tinte pastello.
-Sbagliato signorino, la mappa è in buone mani e verrà dal governatore con noi- gli ricordò John, sicuro di essersela messa in tasca quando erano fuggiti dal forte. Sospirò frustrato a scoprire che invece il pirata se n’era impossessato nuovamente -… dimmi che mi è caduta e l’hai solo raccolta, ti prego dimmi che non hai fatto quello che penso- gli suggerì, sperando di non sentirsi dire altro.
-Mi sembra ovvio, ti ho borseggiato mentre eri impegnato a guardare l’idiota a cui ho sparato e non te ne sei minimamente accorto- confermò imperterrito Sherlock, in tono piatto e monocorde –Sarai senz’altro la gioia dei borsaioli quando sei per strada…-
Respira John, resta calmo, pensa alle cinquecento sterline… se lo ripeteva come un mantra, l’unico modo per calmarsi dopo quella frecciata e non pensare che senza dubbio stava per sentirne molte altre lungo la traversata per arrivare in Giamaica. Se ci fosse arrivato senza strangolarlo durante il viaggio avrebbero dovuto farlo santo subito.
Intanto che sbolliva la stizza chiedendosi per intercessione di quale santo in particolare la sua ciurma non gli si fosse ancora ammutinata contro essendo chiaro che il suo atteggiamento con loro non era tanto diverso, Sherlock aveva continuato a tener banco.
-Fate uno striscio alla mia nave e vi mando dai pesci uno per uno. E Gavin- all’ennesima correzione da parte del diretto interessato rispose con un gesto noncurante –Quello che è, se pescate Wiggins con le mani nella mia scorta segreta, di nuovo, sei autorizzato a tagliargliele-
-E come facciamo a sapere che ha messo le mani nella tua scorta se è segreta?!- s’infervorò Donovan.
-Barcamenatevi- la liquidò lui senza mezzi termini –Domande?- nessuno fiatò –Dando per scontato che abbiate capito come al solito, ovvero niente, un’ultima cosa…-
Si sfilò dal collo la catena preziosa, e John potè finalmente risolversi la curiosità di sapere quale pendente necessitasse di una collana tanto massiccia per sostenerlo. Era un cristallo di rocca purissimo, pressoché indistinguibile dal vetro, piatto e di forma circolare con una montatura d’oro. Quell’oggetto lo impressionò, lasciandolo a domandarsi che uso avesse. Troppo pesante per avere un fine unicamente estetico. Ipotizzò fosse una lente di qualche tipo, anche se il proprietario non dava l’idea di doverla usare vedendoci già piuttosto bene.
L’aveva lanciata all’uomo di nome Lestrade che l’afferrò impacciato e sembrò non capire subito che doveva farci. Interrogativo che risolse in due secondi –Mi hai appena nominato capitano?!- prese a insistere, dicendo che gli stava bene d’esser primo ufficiale e che doveva riprendersi il suo “pezzo da otto”.
John lo squadrò confuso. E chi aveva toccato soldi lì? Che fosse un qualche gergo piratesco?
-Alla Baker serve un capitano che non sia invalido, il viaggio richiederà una certa velocità e a bordo sarei più d’impiccio che d’aiuto- dichiarò Sherlock col tono inflessibile di chi non ammetteva repliche, ammorbidendosi poco dopo –Non fate quella faccia, so benissimo quanto vi piace l’idea di non avermi attorno per un po’. Andrà bene-
Greg annuì, riluttante –E che dobbiamo fare se non va bene…?-
-Rispettate il Codice- lo congedò Sherlock, sibillino, indossando il cappello e gettandosi il soprabito sulle spalle a mo’ di mantella. Gli bastò uno sguardo per comunicare al militare di aver concluso.
John attese appena il tempo necessario per permettere ai due pirati di allontanarsi, come previsto dal patto, prima di richiamare i suoi uomini. Nonostante l’ora mattutina il caldo era già eccessivo, tuttavia in quel salotto non si percepì altro che gelo quando le giubbe rosse fecero irruzione.
Sherlock si era fatto trovare sulla sua sedia, nella posa che assumeva quando rifletteva. Restò impassibile e distaccato alla lettura della chilometrica lista di accuse per le quali stava venendo condotto davanti alle autorità e non parlò se non per correggere il numero delle navi da lui abbordate, avendo la faccia tosta di segnalare come la stima fosse stata fatta per difetto. Al momento di alzarsi faticò non poco a causa del dolore al petto, restando però testardamente deciso a farcela da solo rifiutando ogni tipo di aiuto.
Per un attimo John considerò di ordinare che non fosse messo ai ferri, in riguardo alla sua salute. Si ritrovò davanti un cipiglio talmente fiero e altezzoso che si fermò immediatamente, ben prima che aprire bocca. Colse il sottinteso e lasciò che si seguissero le normali procedure, accordandogli la dignità che riservava agli avversari. Sherlock si lasciò condurre via di buon grado a quel punto, a differenza di quanto aveva fatto con gli spagnoli.
Aveva ragione, pensò John, erano ognuno dal proprio lato della barricata in quella guerra, la pietà era fuori luogo.






Angolino dell'autrice (evviva la fantasia)
Per quanto riguarda i tatuaggi di cui ho parlato in maniera approfondita:
Uno fa parte dei simboli magici tradizionali islandesi, che si chiama col semplicissimo nome di Vegvisir (non sono riuscita a mettere un'immagine ma su internet si trova tranquillamente) che secondo le credenze popolari servirebbe a far sì che chi lo porta sia sempre capace di orientarsi anche col maltempo. Mi è parsa un'aggiunta diversa dai soliti tatuaggi riconducibili ai marinai, ma ugualmente in tema.

La lontra (s)vestita da ama (le pescatrici di perle giapponesi) invece un po' deriva dalla mia leggera ossessione per le fanart cosiddette "Otter!lock" (amo le lontre, c'è poco da fare!) ma non solo. Le lontre nella cultura giapponese sono spesso umanizzate come le kitsune e i tanuki (volpi e procioni rispettivamente) e come loro sono ritenute animali mutaforma che si divertono a ingannare gli esseri umani e a dare risposte criptiche se interrogati. Come vedete, similitudini con il nostro bel detective ce ne sono poche... ^_^
Colgo l'occasione per ringraziare tutti quelli che mi stanno leggendo e mi hanno lasciato una recensione, grazie di cuore ^_^

 

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Edit: il testo è stato rimaneggiato aggiungendo un ulteriore paragrafo. Mi scuso profondamente, mi sono accorta in corso d'opera che si sarebbe trattato di un'errore di continuità con ciò che intendevo inserire nel prossimo capitolo.

Giornale di bordo:
9 febbraio
Vento nord-nord est
La navigazione procede a rilento, tempo bizzoso con frequenti bonacce da dieci giorni a questa parte. I più superstiziosi fra l’equipaggio sostengono sia grazie alla presenza a bordo del già noto W. S. S. Holmes, attualmente in mia custodia fino al nostro arrivo in Giamaica dove sarà consegnato alle autorità, ipotesi affatto sensata ma incredibilmente popolare data la quantità di leggende e racconti sul suo conto. Aggiungo che il prigioniero non fa assolutamente nulla per smentire o confermare alcunchè, al contrario mostra un certo diletto nel crogiolarsi in questo suo alone di mistero in quanto una discreta percentuale degli uomini vedendolo passare s’affretta a fare tre o quattro passi indietro e per buona misura si segna pure con una devozione mai riscontrata prima d’ora.
Per quanto concerne la sua salute, il dottor Stamford al quale ho affidato le cure riporta con soddisfazione che le sue condizioni migliorano ogni giorno di più nonostante la gravità delle ferite riportate e il suo rifiuto di mostrare il minimo buonsenso rinunciando almeno temporaneamente alle sue discutibili abitudini. Fuma non appena ne ha l’occasione indipendentemente da dove si trovi con sprezzo dei regolamenti, cito la sua idea di provarci nelle immediate vicinanze del deposito munizioni adducendo in sua difesa scuse poco probabili; e ha il detestabile vezzo di masticare foglie di coca alla maniera degli Indios così da non sentire fatica o fame. Debbo notare gli effetti analgesici di tale pratica; di fatto però noto soprattutto quanto gli sia deleteria essendo di personalità melanconica e dunque propenso al digiuno, e riporto come con una singola assunzione non abbia toccato cibo nei giorni immediatamente successivi al suo imbarco né chiuso occhio se non per brevi periodi. “Rimedio” prontamente sequestrato e gettato in mare. Conservarlo avrebbe, temo, costituito una tentazione tale da indurre Holmes a qualche irruzione notturna nei miei alloggi.
Detto pirata dimostra inoltre un generale malanimo nei confronti dell’autorità: manca di rispetto al medico, agli ufficiali, al sottoscritto e quando vuol star zitto lo fa senza preavviso. In silenzio poi ci resta così a lungo da far credere abbia fatto fioretto.
Aggiungo inoltre come non sembri concepire lo scopo di una porta chiusa e cosa ci si aspetta da lui quando si trova dal lato serrato della medesima. Apparentemente, considera il concetto di reclusione equivalente a quello di sfida per passare il tempo. Alle volte ho perfino motivo di credere che la sua presenza a bordo sia da ricondurre a una scelta personale piuttosto che
 
.:O:.
 
Tirò una riga decisa sulla frase incompleta.
-Cosa stai scrivendo?-
Ignorò la domanda, arricciando il naso non appena arrivò una zaffata di fumo acre.
-Un po’ presto per aggiornare già i registri…-
-Tengo un diario personale- rispose laconico, volendo chiudere il discorso sul nascere –Ci scrivo quello che mi capita nel privato-
-Quindi stai scrivendo di me-
-Non hai del tabacco con cui tornare a causarti del danno fisico, Holmes?- sbottò infine il biondo, snervato dal costante sarcasmo del pirata correntemente appollaiato sulla fila di armadi che correva sotto alle grandi finestre che inondavano la cabina di luce. Aveva dovuto concedergli il privilegio di restare nei suoi alloggi privati per assicurarsi che gli uomini decidessero di farsi passare il prurito alle mani dopo aver ricevuto non meno di due o tre caustici insulti ciascuno per tutta la mezz’ora appena trascorsa. Aveva ovviamente dovuto acconsentire e concedere anche l’implicito permesso di spalancare per bene almeno un’anta per non appestare la cabina essendo chiaro che, senza fornirgli qualcosa per passare il tempo, il pirata si sarebbe messo a ficcanasare ovunque essendo evidente che non riusciva affatto ad astenersi dal dedurre finanche il più insignificante dettaglio di chiunque destasse la sua curiosità. Ma se il vento tirava nella direzione giusta per far andare avanti la nave sicuramente non giovava a lui che con sommo scorno si ritrovava puntualmente affumicato.
Pur non volendo voltarsi, aveva ormai una certa immagine mentale del trentenne alle sue spalle. Ci aveva convissuto abbastanza da poter interpretare correttamente i suoi silenzi. Ad esempio, nulla l’avrebbe indotto a credere che su quelle labbra così assurdamente ben disegnate non ci fosse stampato quell’accenno di sorrisetto divertito che Holmes aveva più o meno tutte le volte in cui riusciva nell’impresa di fargli perder la pazienza in qualche modo.
Non che si sforzasse poi molto per rendersi più amabile. Eppure John lo lasciava fare, sempre.
Avrebbe potuto chiuderlo sottocoperta e assicurarsi che non ne uscisse più, per quanti trucchi potesse conoscere in qualità di scassinatore sarebbe difficilmente andato lontano una volta che gli fossero stati sottratto fino all’ultimo attrezzo, e invece lo tollerava a gironzolare per il ponte a contemplare l’oceano. Poteva sedere nella sua cabina a godere della cena in santa pace e finiva invece con l’interessarsi, o con l’insistere, che il pirata non avesse saltato il pasto come tendeva a fare quando aveva qualche pensiero per la testa. Cosa che accadeva più frequentemente di quanto John s’era aspettato.
Con suo sommo stupore si era quasi assuefatto all’idea di Holmes a bordo come ci si abitua alla presenza di una creatura esotica da tenere per compagnia, pure se mordace. Quando non faceva del suo peggio per rendersi insopportabile, era l’unico lì in grado di offrirgli un valido aiuto contro la noia delle giornate sempre uguali. Magari involontariamente, con qualche deduzione che contribuiva ad attirargli le antipatie dell’equipaggio ma che guadagnava invece il suo puntuale e sincero apprezzamento. Altre volte con quei suoi modi sempre così elegantemente noncuranti che stonavano con il suo trovarsi lì, accusato di un crimine che così poco si addiceva all’evidente passato di promettente rampollo di buona famiglia.
Scosse la testa, riponendo il diario nel cassetto e rinunciando a scrivere avendo non proprio serenamente accettato che qualunque sciocca ipotesi personale doveva restare ben lontana da pennino e calamaio. E poi… se quello che voleva era la conversazione, l’avrebbe avuta, ma certamente non godendo dell’imbarazzo in cui amava mettere gli altri.
-Illuminami, perché avrei spedito nella stiva tre dei miei uomini da te accuratamente selezionati?- domandò mentre armato di straccio puliva il pennino dall’inchiostro.
Della boccata di pipa avvertì unicamente lo sbuffare quieto –Mi sono sembrati i meno ottusi di tutta la compagnia, non che ci fosse poi una gran scelta- il mobile scricchiolò sotto il peso del giovane, sportosi fuori per qualche motivo fuori dalla finestra, a scrutare il mare con un piglio inspiegabilmente perplesso –E sono quelli che hanno un buon orecchio-
-Buona questa- ribattè John, comodamente sprofondato nello schienale alto della sedia senza far caso all’orizzonte nuvoloso che invece pareva interessare l’altro a tal punto da rischiare un serio volo giù di sotto nella bianca spuma della scia che la nave si stava lasciando dietro, se solo si fosse sporto appena più in là –Ero convinto servisse la vista sana per trovare un clandestino. E perché dovrebbe essere diverso dalle altre volte? Abbiamo già cercato, senza risultati-
-L’altra volta non avete fatto cercare me-
John ridacchiò sardonico –Oh, ora abbiamo anche il dono dell’ubiquità?-
Ebbe la soddisfazione di vederlo esibirsi in un gesto impaziente –Non sono ancora così annoiato da scomodarmi per un problema banale come questo-
Doveva essere onesto, non si aspettava affatto che Sherlock riuscisse a cavare un ragno dal buco: non poteva fisicamente essere in grado di trovare un clandestino, e per giunta senza muoversi da dov’era, quando un intero equipaggio non era riuscito ad acciuffarlo. Provare però non costava nulla. Per male che fosse andata avrebbero potuto escludere quell’ipotesi una volta per tutte e cercare il vero responsabile altrove.
Si era esposto, e parecchio. Alla sola idea di esser comandati e giudicati consoni o meno da un pirata ben più di uno dei presenti aveva espresso il proprio disprezzo malcelato da dissenso, almeno finchè non era intervenuto in ruolo di capitano zittendo tutti quanti e ordinando di lasciargli fare un tentativo, e aveva preso a scrivere più per avere qualcosa da fare mentre pensava a come riconquistare il favore dei suoi uomini più che per dovere di cronaca.
Ormai erano in troppi a sostenere che si stesse lasciando stregare da Holmes, voci e pettegolezzi mezzi mormorati durante il lavoro quando gli ufficiali e il nostromo erano troppo lontani per ascoltare. Baggianate di marinai ignoranti, ovviamente, non c’era stregoneria in quel giovane che non fosse la logica acuta e tagliente quanto lo era la sua lingua. Ma nondimeno, baggianate estremamente pericolose quando condivise da una maggioranza malcontenta stipata in pochi metri quadrati in mezzo al mare senza alcuna terra in vista da giorni.
La conversazione, come i pensieri di John, s’interruppe dal brusco bussare alla porta.
-Avanti- fece, senza dare il tempo a chiunque fosse dall’altra parte di battere sul legno una seconda volta. La vista che gli si presentò lo lasciò lì, derubato fin dell’ultima parola.
In braccio a uno dei sottufficiali, c’era un fagotto di stracci che solo dopo una lunga occhiata si rivelava essere il famigerato clandestino: un ragazzino dai riccioli arruffati che dava l’idea di non aver visto il sole da un bel pezzo, scalzo e tremante.
Scottava di febbre che dopo un esame veloce si rivelò la prevedibile conseguenza di un morso di ratto, John ordinò subito che fosse portato in infermeria senza perdere altro tempo. Prima Stamford gli avesse somministrato le giuste cure, più possibilità c’erano che il piccolo superasse la nottata.
-Ma signore…-
-Non sono stato abbastanza chiaro, tenente?- domandò con tutta l’autorità di cui disponeva, interrompendolo. Ebbe la strana, per nulla spiacevole, sensazione di essere osservato da un inaspettato paio d’occhi cangianti che tornarono a posarsi veloci altrove prima che potesse voltarsi. Un’altra stranezza, che sarebbe stata perfettamente spiegata se solo avesse voluto ammettere che era un qualcosa che accadeva ogni volta in cui ricorreva in modo piuttosto spiccio ai suoi gradi per farsi rispettare.
Cosa fare dei clandestini inoltre era a totale discrezione del capitano, e poco importava quello che la maggior parte dei suoi pari grado avrebbe fatto se fossero stati lì al posto suo. Era pericoloso imbarcarsi di nascosto su una nave, peggio ancora se la nave apparteneva alla Marina di Sua Maestà, solo un disperato si sarebbe preso un simile rischio. E quanto poteva esserlo un ragazzino che non poteva avere più di dieci anni?
-Cristallino, signore- mormorò a denti stretti quello, scoccando un’occhiata velenosa al pirata ancora intento a fumare, per poi girare i tacchi portando il febbricitante fardello sottocoperta.
 
.:O:.
 
Quella sera diede ordine che il pirata fosse portato nuovamente nei suoi alloggi.
Notò come nessuno si sognò di mettere in discussione alcunchè, anzi, ebbe quasi la certezza di aver sentito certi sghignazzi da parte delle due giubbe rosse che aveva convocato e qualche commento su quanto pure loro avrebbero trovato piacevole della compagnia in una nottata fredda come quella, così insolita per la latitudine in cui si trovavano.
L’orologio posato sullo scrittoio aveva appena battuto le nove quando i due soldati si annunciarono, solo per mostrare di esser tornati a mani vuote. A detta loro “non era dove l’avevano visto l’ultima volta”. Li congedò sbuffando, incredulo di come fosse possibile perdersi quella pertica d’uomo con la stessa facile casualità con cui ci si perde un bottone. Non fosse stata sufficiente l’altezza era ben difficile non notare l’unico che se ne andava bardato con vesti così scenograficamente appariscenti in mezzo a decine di uniformi tutte uguali, aggiunse mentre andava formandosi un’esilarante ma quanto mai azzeccata immagine mentale di un pavone che tenta inutilmente di mescolarsi a uno stormo di corvi.
Nel suo girovagare infruttuoso, capitò nell’infermeria che s’era inventato insieme a Stamford una volta compreso che la Corona non aveva poi veramente a cuore di riservar spazio per i feriti. Sacrificando quel già minimo spazio che i marinai avevano a disposizione per stendere le amache e consumare i pasti, con un paio di paratie commissionate al carpentiere di bordo con quel che c’era disponibile, lui e l’amico avevano improvvisato quella stanzetta piccola, stretta e comunque inservibile quando c’era più di un paziente a cui dover badare.
Mike era intento a riordinare, ripulendo il tavolo che serviva quando c’era da operare e affaccendandosi qua e là per riporre strumenti e medicinali al loro giusto posto. Era sempre qualcosa di a dir poco comico per John, le forme paffute del vecchio compagno di studi proprio non si addicevano all’esiguo spazio di quel ristretto spazio lavorativo.
Scambiò appena un saluto non senza notare come il compare fosse di ottimo umore, rivolgendo poi la sua attenzione alla branda nell’angolo più scuro dove era stato sistemato il loro giovane ospite. Il ragazzino era ancora preda della febbre, e dei sogni che essa procura. Sarebbe stata una nottata d’inferno per quel piccoletto, pensò scostandogli i riccioli madidi di sudore per posargli sulla fronte una pezza imbevuta d’acqua fredda in un tentativo di abbassargli la temperatura.
-Certo non una cosa che si vede tutti i giorni…-
John voltò sui tacchi, improvvisamente interessato -Come?-
-Holmes. Certamente è uno dei pirati meno convenzionali che si siano mai visti, ne convieni?-
Il biondo diede un’alzata di spalle. Come se si fossero visti poi tutti quei pirati a bordo con cui fare un degno confronto, rispose, per lo più si era trattato di pesci piccoli. Sprovveduti con più alcol in corpo che cognizione, come li avrebbe probabilmente definiti il loro ben più accorto collega, convinti di potersi arricchire in poco tempo mettendosi al servizio di capitani che erano quel poco più istruiti da riuscire a indovinare da che parte puntava una bussola e poca o inesistente lungimiranza che li spingeva a mosse azzardate come darsi ai festeggiamenti appena dopo una razzia bevendo fino all’incoscienza e rendendosi una facile preda per la Marina.
-Troppo di buon umore per aver appena messo a letto un ragazzino mezzo morto- considerò osservandone l’atteggiamento serafico –Sputa il rospo, voglio sapere che ha combinato ancora- non si degnò nemmeno di trovare un soggetto nella frase, il sottinteso che si riferisse proprio a Sherlock era dolorosamente evidente.
Cominciava a notare un certo schema ricorrente negli ultimi avvenimenti. Si partiva con problemi, strani al limite dell’assurdo, a cui il moro decideva spontaneamente di applicarvisi una volta raggiunto un livello di intrattabile irritabilità inaccettabile perfino per i suoi stessi gusti. Che poi ci riuscisse pure, a sbrogliare quei grattacapi, era un piacevole effetto collaterale a beneficio di chi gli stava attorno perché lui dal canto suo perdeva immediatamente ogni interesse una volta trovata la soluzione.
E Stamford non potè che cantare le lodi di quel giovane che con poche occhiate aveva suggerito una possibile cura per quella che altrimenti sarebbe stata trattata come una comune febbre a seguito di un morso infetto.
-Dice di aver visto sintomi identici durante uno dei suoi viaggi in Estremo Oriente- riferì il corpulento medico, sbuffando una risatina –Alcuni medici sembra siano in grado di contrastare l’infezione con certe misture, come sia riuscito a farselo rivelare e come si sia procurato poi quell’intruglio temo lo sappiano solo lui stesso e il demonio!-
-Ma non mi dire…- commentò John, a sua volta spiazzato. Non tanto dalla prevedibile nuova, sospettava che l’inchiostro sotto la pelle alabastrina non fosse l’unica cosa che il giovane aveva riportato dalle sue frequentazioni asiatiche, quanto dall’apparente infinita sete di conoscenza che doveva averlo portato non solo a interessarsi della medicina locale ma pure della lingua e delle maniere di quella gente se quel che intendeva era ottenere spiegazioni: quel che meno ci si sarebbe aspettati da qualcuno che traeva il proprio sostentamento da quel che toglieva con la forza ad altri.
C’era un solo modo per risolvere la sua, di curiosità insaziabile: scoprire dove diamine s’era andato a cacciare quel maledetto pirata.
 
.:O:.
 
Per il tempo che gli occorse a perlustrare il resto dei ponti sottocoperta arrendendosi all’evidenza che Holmes non si trovasse da nessuna parte, il freddo era andato peggiorando considerevolmente. Infide raffiche gelide spazzavano il ponte infilandosi in fessure e colletti, le vele schioccavano a ogni nuova folata facendo vibrare scotte, cime e sartie ad una maniera che, a un marinaio con più immaginazione, sarebbero sicuramente parse dotate di volontà propria. Il canto, poi, non faceva che rendere ancor più lugubre l’atmosfera.
Non tanto che chiunque fosse proprio non vi fosse portato, tutt’altro era sorprendentemente… e il pensiero gli si fermò lì. Gli risultò complicato trovare al primo colpo un aggettivo che fosse adeguato. Certamente non era la canzone migliore che gli fosse capitato di ascoltare, chi stava cantando era evidente che lo faceva per piacer suo. Doveva aver accettato di non avere l’estensione vocale né la tecnica che si richiedevano a uno che cantasse per mestiere.
Eppure, notò il capitano, era ammaliante. Ecco, probabilmente era quello il termine che stava cercando: ammaliante. Perché nonostante il testo della canzone, una ballata conosciuta per essere stata scritta in risposta a una attribuita a suo tempo a uno degli innominati poveri diavoli che avevano avuto il dubbio onore di soggiornare fra le famigerate mura di Bedlam o che così sostenevano; contenesse rime prive di senso che evocavano spesso in chi le ascoltava sensazioni di inquietudine il ritmo cantilenante dei versi, un costante su e giù che seguiva il beccheggio della nave sulle onde lo rendeva qualcosa di difficile da ignorare. Una melodia che penetrava nella testa e che vi restava distogliendo l’attenzione da qualunque altro pensiero.
Realizzò di aver passato alcuni minuti lì, fermo nel mezzo del ponte con lo sguardo perso nel vuoto senza aver fatto altro che ascoltare. Si riebbe scuotendo la testa, non trovando però lo stesso sollievo che il gesto gli avrebbe fornito in una situazione diversa. Nel suo caso, fu utile appena quel tanto che bastava da permettergli di capire quale direzione prendere per trovare il responsabile e ricordargli l’originario motivo per cui un marinaio, di notte, avrebbe dovuto far silenzio.
La superstizione voleva che come l’atto del fischiare equivalesse a sfidare il vento, e che dunque fosse raccomandabile farlo unicamente quando le circostanze richiedevano qualche nodo in più, nominare in una volta sola spiriti, demoni, fate e chissà che altre creature della medesima sorta a quell’ora della notte era praticamente come chiedere di incappare in qualche disgrazia.
Ma lui amava ritenersi un uomo di scienza, e aveva imparato in gioventù che intrattenersi a quella maniera di giorno poteva rendere difficile capire ordini e comandi durante la navigazione e a notte fonda era perfettamente utile ad attirare non tanto l’attenzione di malasorte e spiriti maligni quanto piuttosto di chiunque navigasse nelle vicinanze e avesse intenzioni meno che onorevoli. Il vento era capace di portar con sé i suoni allo stesso modo in cui spostava le nubi e la polvere dalla terraferma, a beneficio di chiunque si trovasse nella direzione giusta per ascoltare. Inoltre era quasi impossibile avere la certezza di dove fosse una certa imbarcazione, se a bordo venivano spente le luci, e tantomeno identificarne le bandiere e capire se chi si stava per incrociare era un amico oppure no.
Nel salire i gradini che portavano al ponte di comando sul cassero di poppa notò il timoniere di turno con lo stesso sguardo trasognato che sicuramente doveva aver avuto lui stesso poco prima, e se ne sarebbe stupito se non avesse finalmente riconosciuto la voce come quella dell’uomo per cui aveva dovuto letteralmente setacciare tutta la nave da prua a poppa.
-Davvero un personaggio dai mille talenti, prima medico e ora pure cantore- ironizzò seccamente, lasciando trasparire un po’ della sua irritazione. La risposta non fece altro che alterarlo maggiormente.
-Dubito sinceramente di poter impressionare un impresario teatrale- rispose pacatamente Holmes appoggiato alla murata di babordo ad osservare il mare com’era sua consuetudine –O di poter operare con la stessa precisione che avete mostrato a Santo Domingo- aggiunse infine, quasi intendesse sinceramente schermirsi.
-Non voleva essere un apprezzamento-
Gli occhi del giovane si sgranarono per un secondo, un chiaro segno di comprensione insieme al “oh” appena mormorato. E per un istante, un singolo istante, John si detestò nel vedere con che espressione era tornato ad interessarsi delle onde. Considerò pure di non far cenno al fatto che salire lì dove a parte gli ufficiali e il timoniere nessun altro poteva stare avrebbe avuto conseguenze sul privilegio che aveva di potersi muovere a suo piacimento, perché pareva che negare di aver apprezzato quel suo sfoggio di conoscenze fosse già stata una punizione sufficiente.
Ma appunto, fu solo per un istante: quello aveva già ripreso con un’altra nenia forse pure meno indicata della precedente, decise dopo una veloce analisi del testo.
-E allora?!- sbottò senza curarsi delle maniere, avvertendo ancora una volta la testa farsi curiosamente più leggera.
Ottenne di fargli chiudere la bocca, e la considerò comunque una vittoria. Poteva vantarsi di conoscerlo quanto bastava da sapere che avere l’ultima parola con lui era un’impresa estremamente difficile.
-Non poterà sfortuna, ma è una di quelle cose che fa comunque male alla salute quando si è ancora così vicini a un dominio spagnolo-
-I galeoni sono lenti. Più di un man-o-war come questo. Piuttosto, a preoccupare dovrebbe essere questo freddo dal momento che se non vado errato siamo ancora in una zona tropicale- rispose tranquillo l’altro, dando però spettacolo di non curarsi eccessivamente nemmeno delle folate gelide –E trovo che se cominciaste a considerare di spegnere tutte le luci per non dare nell’occhio e di spiegare un altro paio di vele per sfruttare la situazione sarebbe una splendida idea…-
-Oh ma davvero? E sentiamo perché-
Sherlock aveva volto le spalle all’oceano, concedendogli la sua piena attenzione. Pareva alquanto divertito -È ovvio- cominciò con quella sua voce che sapeva essere snervante e al tempo stesso piacevole –Chiaro come il sole che ora non c’è, oserei dire-
John sbuffò –Non è ovvio per me-
Il mezzo sorriso si allargò mostrando una fila di denti bianchi come perle –Allora vedrò di spiegarmi in termini semplici- e nel farlo tolse di mezzo un po’ della distanza che c’era fra loro –Perché mio caro John, questo tempo indica che qualcuno non mi ha dato ascolto. Siamo seguiti, e chi sta per arrivare mi pare alquanto infuriato-
Ecco che tutti quei dettagli apparentemente insignificanti assunsero tutto un altro senso nella mente del militare. Il continuo osservare l’orizzonte ma mai da prua, come se si stesse guardando le spalle da qualcuno, quella reazione davvero curiosa accaduta proprio nel pomeriggio quando aveva osservato le prime nubi scure addensarsi dietro di loro…
Sapeva chi li stava seguendo dalla distanza. Gli venne una sola domanda intelligente da porre prima di dare l’allarme e svegliare l’equipaggio.
-Quello che sta arrivando, è un altro come te?-
Sherlock parve apprezzare. Ovviamente chi lo seguiva era un suo degno complice, l’unica cosa di cui aveva senso preoccuparsi era quanto pericoloso potesse essere quello con cui avrebbe avuto poi a che fare.
-Secondo Lestrade, a confronto mi si potrebbe quasi considerare un santo- ridacchiò dirigendosi a passi svelti verso le scale –Secondo Sally invece non potremmo essere più simili-
John annuì, nonostante con quella risposta avesse in mano meno di prima sul loro inseguitore –Così per curiosità, chi è dei due che ha ragione?-
Nello scendere sottocoperta ebbe il lieve presentimento di catastrofe imminente al vedere che il pirata invece di domandare prevedibilmente di tornare in possesso perlomeno della spada, prendeva la via della cambusa rovistando dappertutto in cerca di sale. “O sabbia, fa lo stesso” come aveva sbrigativamente aggiunto per poi accontentarsi del primo in quanto più facile da trovare.
-Non saprei, preferisco lasciare che tirino a indovinare- assaggiò un paio dei grossi cristalli bianchi raccolti da uno dei barili di carne salata, e dovette ritenersi soddisfatto dal momento che ne riempì due pentole per poi passargliene una –Veloce, va’ su e comincia a spargerlo sul ponte-
Che il sale di tanto in tanto fosse utile, John lo sapeva bene, quante volte era servito per riuscire a non scivolare malamente in inverno quand’erano costretti in porto in attesa di ordini… ciò che veramente lo preoccupò, era il motivo per cui Sherlock pareva così sicuro che sarebbe stata una mossa intelligente premunirsi contro il ghiaccio mentre navigavano in acque caraibiche.
 

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=3670540