Ashes of time: the birth of Team Chaos

di FreWolfie5
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La scuola salta in aria ***
Capitolo 2: *** Vogliono le mie budella! ***
Capitolo 3: *** Faccio sogni senza senso ***
Capitolo 4: *** Il nuovo arrivato ***
Capitolo 5: *** Burs diventa quasi cibo per mostri ***
Capitolo 6: *** Vengo salvata per la seconda volta ***
Capitolo 7: *** Uso una pistola ***
Capitolo 8: *** Scopro le mie origini ***
Capitolo 9: *** Mio padre si rivela un eroe e non solo... ***
Capitolo 10: *** L'orfanotrofio infernale ***
Capitolo 11: *** Inizia la mia nuova vita ***
Capitolo 12: *** La casa di Ermes? Aiutatemi! ***
Capitolo 13: *** L'arma perfetta e la ragazza ninja ***
Capitolo 14: *** A volte si vince, a volte si perde ***
Capitolo 15: *** Faccio rissa in mensa e scopro chi è mio padre ***
Capitolo 16: *** Mio padre fa schifo, ma non posso farci niente ***
Capitolo 17: *** La mia prima caccia alla bandiera ***
Capitolo 18: *** Testa d'alghe contro Lunatica ***
Capitolo 19: *** I lost everything ***
Capitolo 20: *** Quando un'artista svela profezie ***
Capitolo 21: *** Viaggio verso Mammoth Cave ***
Capitolo 22: *** Tra elefanti e rasoi ***
Capitolo 23: *** The lost city ***
Capitolo 24: *** Gli indigeni ci sbattono al fresco ***



Capitolo 1
*** La scuola salta in aria ***


Era successo di nuovo, non riuscivo a crederci. Avevo promesso a papà che sarei stata attenta, invece mi ero di nuovo lasciata trasportare dalle emozioni negative. Come al solito, i miei compagni di scuola avevano iniziato a fare i bulli prendendosi gioco di me. Il peggiore di tutti era Rody Burs, un ragazzo tozzo quanto stupido, pieno di brufoli enormi sulla faccia con i capelli mori a spazzola che avevano la stessa consistenza delle setole di una scopa. I suoi occhi gli conferivano quell'aria tipica da pesce lesso ed il suo naso da maiale simile ad una collina franata non aiutava certo a migliorare la sua situazione. Per qualche strana ragione Rody si era auto eletto re della scuola, si credeva tanto figo, furbo e tosto, ma in realtà non era altro che un codardo attaccabrighe.

-Guardate chi c'è, Iris Lunatica!-

ridacchiò

-Per l'ultima volta Burs, è Iris Luna, non lunatica!-

lo corressi per la milionesima volta

-Scusa lunatica, ma temo che non me ne freghi proprio niente-

-Allora in questo caso potresti anche andartene, non hai qualcosa di meglio da fare che continuare a ronzarmi intorno come un moscerino fastidioso?-

gli chiesi con indifferenza senza degnarlo di uno sguardo. Ero arrivata ad un momento clou del mio nuovo libro sulla mitologia universale e non avevo intenzione di perdere il filo a causa di quell'idiota.

-Chi hai chiamato moscerino sfigata?!-

saltò su quello sputacchiando su tutto il tavolo solitario che mi ero accuratamente scelta per la mensa

-Tu, ed ora gira a largo se non ti dispiace!-

risposi brusca tentando di perdere le staffe come mi succedeva di solito.

Il brutto ceffo sbatté una mano sul tavolo con violenza per cercare di spaventarmi o per attirare la mia attenzione, ma io rimasi calma e impassibile come se nulla fosse successo, così riattaccò il suo discorso “intimidatorio” e senza senso

-Pensi di potermi dare degli ordini sfigata? Credi di essere diventata all'improvviso una specie di V.I.P.? Non hai nemmeno dei veri genitori! Non hai nessun diritto di dirmi cosa devo fare-

stava per succedere, mi sentivo le mani formicolare, agitavo freneticamente i piedi, non riuscivo a stare ferma. Strinsi i denti così tanto che mi fece male la mascella, non dovevo perdere il controllo, avevo promesso di restare calma e avrei tentato di tutto per riuscirci.

-Ti consiglio di smetterla Burs, torna a giocare con i tuoi amichetti e lasciami in pace-

-E questo dovrebbe spaventarmi? Cos'è? Mi stai minacciando forse lunatica? Sei una perdente, ecco cosa sei! Un'inutile, piccola, sciocca ragazzina saputella mangia-libri-

La rabbia dentro di me stava crescendo sempre di più, in circostanze diverse lo avrei atterrato a suon di pugni in faccia, ma dovevo cercare di resistere per il bene di mio padre. Se fosse accaduto ancora ciò che temevo, saremmo stati di nuovo costretti a cambiare città a causa mia e questo papà non se lo meritava. Glielo dovevo, dopotutto lui, pur non essendo il mio vero padre, mi aveva cresciuta e si era preso cura di me, dovevo essere forte per lui.

-Che c'è? Per caso ti hanno tagliato la lingua? Non sembri più così sicura di te ora, eh lunatica?-

mi istigò Rody.

Nella mia mente continuavo a ripetermi di restare concentrata e di lasciar perdere, che non ne valeva la pena.

Con la voce tremante dallo sforzo ed ogni singolo muscolo del corpo teso ringhiai

-Finiscila, altrimenti...-

-Altrimenti cosa lunatica? Che vuoi farmi? Non hai nessun potere contro di me e qui non c'è il tuo paparino adottivo a proteggerti! Sei sola, completamente sola ed indifesa. Sei così insignificante che nemmeno il tuo vero padre ti ha mai voluta!-

esclamò facendo riecheggiare quelle parole nell'aria. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso, ero furiosa e irrequieta, mi sentivo come nel bel mezzo di una tempesta, il cuore mi tamburellava nel petto a ritmo frenetico e senza nemmeno poter rendermi conto di quello che stavo per fare mollai la presa non opponendo più resistenza. Gli occhi mi divennero come infuocati, non potevo vedermi allo specchio, ma capii che era così perché quando mi voltai a guardare con sguardo truce Rody, lui indietreggiò con un sguardo pieno di terrore.

Avevo perso ogni briciolo di controllo, sbattei i pugni su quel povero malcapitato tavolo della mensa che ne aveva passate di tutte i colori quel pomeriggio e con tutto il fiato che avevo in gola urlai contro a quel bullo ignorante

-Ho detto di finirla hai capito?!-.

Ci fu il panico più totale, nel giro di pochi secondi tutte le lampadine dell'edificio scolastico scoppiarono all'unisono rilasciando delle scintille incandescenti che si sparsero dappertutto, i vetri si ruppero uno dopo l'altro e scattò persino l'allarme antincendio facendo partire gli erogatori dell'acqua. Mentre tutti fuggivano spaventati io rimasi sola, in piedi al centro della mensa e completamente zuppa.

Dopo qualche secondo decisi di prendere le mie cose per tornarmene a casa. Anche fuori pioveva.

Camminai a passo svelto sotto il diluvio (tanto ero già bagnata) con le cuffie del mio iPod infilate nelle orecchie a massimo volume.

L'avevo fatto di nuovo, perché l'avevo fatto di nuovo? E soprattutto, cos'è che facevo esattamente? Papà diceva che tutto ciò che vedevo in quei momenti erano solo allucinazioni da stanchezza, ma io stentavo a crederci. Di certo non ero la persona più normale di questo mondo data la mia dislessia e la mia iperattività, ma sapevo distinguere chiaramente la realtà dalla fantasia...o almeno lo speravo!

Nel peggiore dei casi ero una pazza furiosa che si sognava strane cose e che spaventava a morte la gente, non che la cosa fosse una novità per me, anzi, sarebbe stato strano il contrario. Forse era per quello che ogni volta che succedevano episodi di questo genere mio padre decideva di cambiare cittadina, forse lo imbarazzavo. Ancora non capivo come mai aveva scelto me fra tutte le ragazzine normali che avrebbe potuto comodamente avere all'orfanotrofio femminile. Le parole di Burs mi ritornarono in mente...

 

“Sei così insignificante che nemmeno il tuo vero padre ti ha mai voluta!”

 

Aveva ragione, aveva tremendamente ragione. Il mio padre biologico mi aveva abbandonata e aveva fatto lo stesso con mia madre per quanto ne sapevo. Anche se non lo avevo mai conosciuto, non potevo fare a meno di odiarlo per tutto questo. Come aveva fatto mia madre ad innamorarsi di un tipo del genere? Me lo chiedevo spesso.

Ispezionai le piccole stradine cupe e spoglie del Michigan, perché doveva fare sempre così freddo in quel dannato posto?! Mai una sola giornata di sole! Riconobbi la biblioteca che si trovava a pochi passi da casa mia, ormai ero quasi arrivata.

 

Iniziai già ad inventarmi un discorso convincente da poter rifilare a mio padre riguardo alle vicende appena successe, quando una donna sulla settantina attirò la mia attenzione dandomi un colpetto sulla spalla che mi fece sobbalzare per la sorpresa. Era una vecchietta davvero bizzarra, aveva unghie lunghissime e laccate di un viola opaco, una bandana di un rosso accecante che le teneva in ordine i lunghi capelli scompigliati con un colore fra l'ambrato ed il grigio spento ed era vestita con una lunga veste colorata simile a quella di un hippie. Istintivamente mi tolsi le cuffie e rimasi in attesa aspettando di sentire cosa aveva da dirmi.

-Salve mia cara, ti vedo turbata-

disse gentilmente ritraendo la mano ossuta dalla mia spalla

-Posso fare qualcosa per aiutarti?-

aggiunse in seguito mostrandomi attraverso un sorriso i suoi denti giallastri e storti, alcuni erano pure marci o mancanti.

-No, sto bene, la ringrazio-

tagliai corto cercando di filarmela, quella mi dava i brividi!

Purtroppo, come temevo, l'anziana signora non si arrese così facilmente e sbarrandomi la strada con un braccio rispose

-Lo sai, se desideri posso predirti il futuro-

a quelle parole mi si aprì un mondo davanti agli occhi

-Quindi...lei è una specie di cartomante?-

ipotizzai

-Oh dolcezza non essere sciocca, io posso fare molto, MOLTO di più! I miei sono veri e proprio poteri magici-

ok, la faccenda cominciava a diventare assurda! Davvero questa donna credeva di avere qualche sorta di mistico potere divinatorio? Dovevo decisamente trovare un modo per scrollarmela di dosso alla svelta.

-Mi piacerebbe davvero, ma...io, ecco...io n-non ho soldi con me. Non posso pagarla-

m'inventai su due piedi, cosa che fra parentesi era anche vera

-Non ti preoccupare, per te farò un'eccezione-

mi rassicurò prendendomi la mano e racchiudendola fra le sue dita lasciandomi percepire la sua pelle secca e ruvida come carta vetrata.

A quel punto non avevo alcuna via di scampo, così decisi che l'avrei accontentata e poi me la sarei data a gambe più velocemente di un levriero

-D'accordo, mi ha convinta-

sbuffai con tono arrendevole.

Quello fu il mio primo grosso errore.  

Angolo Autrice
Salve gente! Spero che il primo capitolo di questa storia vi abbia incuriosito, perché siamo solo all'inizio.
Prima di andare avanti vi informo che il nome della protagonista si legge con pronuncia inglese, quindi non Iris com'è scritto, ma bensì Iris (Airis).
In secondo luogo ci tengo a dire anche che questa storia non segue i fatti accaduti all'interno della saga, ma va letta come storia a sè, quindi potrebbero esserci alcune variazioni di età dei personaggi o cose del genere che non corrispondo al racconto originale.
Se volete sapere cosa succederà in seguito continuate a leggere, prometto di aggiornare presto!
Bacioni a tutti!
Fre<3 

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Capitolo 2
*** Vogliono le mie budella! ***


L'anziana “magica” chiuse gli occhi sporgenti che la facevano somigliare ad una rana ed iniziò a farneticare qualcosa in una strana lingua a me sconosciuta tenendomi la mano ben stretta, sembrava quasi in trance o qualcosa del genere. Dopo poco tempo si riprese e tornò con lo sguardo fisso sul mio viso rivelandomi la sua profezia

-Tu mia cara hai un potere immenso, sei capace di grandi cose e discendi da una prestigiosa stirpe-

-Impossibile-

replicai più che convinta

-Credimi, è così. Scoprirai presto il luogo a cui davvero appartieni e alcune delle tue domande troveranno finalmente una risposta, ma...oh-

mormorò la vecchietta con aria preoccupata fissandomi il palmo della mano

-Ma cosa?-

le domandai invitandola a terminare la propria frase

-Vedo una forza oscura lungo il tuo cammino! Ti scontrerai con il regno delle tenebre e della morte superando ostacoli pericolosi. Fa attenzione però e ricorda queste mie parole: non sempre l'oscurità è sinonimo di malvagità, ti accorgerai anche tu della duplice faccia che essa può avere-

terminò.

E io avrei davvero dovuto crederle? Insomma! Un potere immenso? Io?! Prestigiosa stirpe eh? Ma se nemmeno li conoscevo i miei veri genitori! E poi tutta quella roba sulle tenebre, la morte, le forze oscure...era troppo assurdo per essere anche lontanamente vero! Di solito non si predicono cose tipo “troverai l'uomo della tua vita” o “vincerai alla lotteria un sacco di soldi e diventerai schifosamente ricco”? Quella donna aveva dei problemi seri.

-E lei mi sta dicendo che accadrà tutto questo?-

cercai di farla ragionare ritraendo la mano dalla sua presa a tutta velocità

-Dipende-

chiarì sistemandosi la veste multicolore

-Da cosa?-

questa faccenda iniziava ad incuriosirmi e allo stesso tempo mi metteva i brividi, ma avevo come la sensazione che quella vecchia mi stesse nascondendo qualcosa...ed era una gran brutta sensazione

-Dalle scelte che farai ovviamente! Se fossi in te piuttosto mi porrei questa domanda: arriverai viva per vedersi compiere la mia profezia?-

In quell'istante il sangue mi si raggelò nelle vene, sentii un brivido di paura allo stato puro percorrermi tutto il corpo. Cosa intendeva dire con questo? Che sarei morta presto? Non mi andava di scoprirlo.

-Bene, si è fatto tardi. Grazie di tutto, ma io devo tornare a casa-

farfugliai impacciata indietreggiando lentamente verso la strada principale

-Dove pensi di scappare semidea?-

sibilò fra i denti la pazzoide alzandosi dallo sgabello sulla quale si stava riposando un momento prima

-Semi...che?-

ero parecchio confusa e disorientata, ma sapevo per certo che non sarei dovuta essere lì.

-Non mi lascerò scappare così facilmente il mio bottino!-

gridò con voce stridula rovesciando il tavolino da picnic davanti a sé usato in precedenza per reggere una sfera di cristallo che cadde in frantumi spargendo pezzi di vetro in ogni dove.

La signora si contorse come in preda a delle convulsioni fino a quando non mutò in una creatura simile ad un gufo, ma parecchio più grossa. Il suo corpo tondeggiante era ricoperto da piume grigie, gli artigli sulle sue zampe sembravano taglienti come rasoi, il becco invece era piccolo e appuntito, ma sentivo che sarebbe stato pronto a perforarmi la carne in qualsiasi momento. Sopra gli occhi sporgenti color marrone scuro vi erano due creste che terminavano sopra al capo delineando le orecchie appuntite del mostro.

La mia prima reazione fu di panico totale, non sapevo assolutamente cosa diavolo stava succedendo né tanto meno avevo idea di come riuscire a tirarmi fuori dal pasticcio nella quale mi ero cacciata.

Sfortunatamente per me, la vecchia volatile non sembrava aver voglia di starsene lì con le mani in mano in attesa, infatti fece un minuscolo voletto per poi tornare a terra avanzando a passo deciso verso di me.

-Mmh...pregusto già il sapore di mezzosangue scendermi giù per la gola, che delizia! Tu tesorino caro sarai un ottimo spuntino, non vedo l'ora di poter ingoiare le tue viscere-

ghignò librandosi in volo per poi scendere in picchiata dritta dritta verso di me.

A quel punto ritrovai la forza di agire e corsi a tutta velocità lungo la fine del viale mantenendo la testa bassa per paura che quell'uccellaccio me la potesse dividere a metà con quelle lame taglienti che erano i suoi artigli. L'anziana si gettò su di me, ma io riuscii a schivarla buttandomi a terra e facendo una capriola per poi proseguire senza avere nemmeno il coraggio di voltarmi indietro.

Il pennuto non si arrese e caricò nuovamente con più decisione di prima ed io per tutta risposta mi piegai a terra per afferrare un sasso e glielo tirai dritto in testa. Quello che accadde dopo fu davvero disgustoso ed inquietante. Il mostro rimase un po' scosso, poi come se niente fosse successo ruotò la testa di trecentosessanta gradi e proseguì l'inseguimento. Mi sembrava di aver appena assistito alla scena di un film horror.

Che cos'era quella roba? Un'altra delle mie allucinazioni? Mi stavo immaginando tutto a causa dello stress? Oppure era reale? Non avevo alcun interesse a scoprirlo per il momento. Ero certa di una sola cosa: quell'affare voleva papparmi per pranzo ed io non facevo proprio i salti di gioia all'idea di essere sventrata da un gufo gigante sovrappeso.

Ripensai a tutto quello che avevo letto sui libri riguardo a donne di settant'anni che si tramutavano in uccelli e ricordai vagamente l'esistenza di alcune leggende a riguardo, ma ciò non mi aiutò a trovare un modo per salvarmi la pelle...e le budella.

-Corri quanto vuoi ragazzina, prima o poi ti prenderò!-

mi urlò contro il mostro emettendo un verso stridulo e fastidioso come pochi

-Ma che cosa ho fatto di male per meritarmi questo?!-

gridai disperata col fiato corto sfrecciando verso casa.

Riuscivo già a scorgere il palazzo dove si trovava il mio appartamento, ormai mancavano pochi metri, accelerando il passo forse sarei riuscita a trarmi in salvo. La creatura mi balzò addosso facendomi schiantare contro l'asfalto umido e duro di città, i miei vestiti si erano sporcati di fango e la presa micidiale del volatile sul mio petto aveva lacerato leggermente la mia camicia rossa e nera a quadri. Il becco di quell'essere era a pochi centimetri dal mio sterno, i suoi occhi tondi erano fissi su di me con uno sguardo assassino e compiaciuto ed i suoi artigli continuavano a provocarmi tagli sulle braccia e sui fianchi

-La tua ora è giunta semidea! Dì le tue ultime preghiere agli dei!-

esclamò trionfante.

Mi diedi automaticamente per spacciata e chiusi gli occhi in attesa di percepire il suo becco squarciarmi la gola, invece non accade nulla. In quell'istante uscì di casa a tutta velocità il mio fidato cane-lupo, Fenrir, che senza pensarci su due volte spiccò un balzo contro l'uccello sbranandolo e riducendolo in polvere.

-Grazie amico mio, sei stato bravo-

lo elogiai grattandogli affettuosamente il mento.

Fenrir, chiamato così in onore del leggendario lupo della mitologia norrena, era un regalo di mio padre. Quando ancora era un cucciolo avevano minacciato di abbatterlo poiché era stato considerato troppo selvaggio ed irrequieto, ogni volta che qualcuno cercava di avvicinarsi a lui riceveva un bel morso oppure un graffio profondo sulla mano. A Fenrir non piaceva stare al guinzaglio, fare stupidi percorsi ad ostacoli, riportare indietro la pallina o, ancora peggio, ricevere ordini. Papà riuscì a salvarlo e lo portò a casa da me, ricordo che avevo più o meno cinque anni ed ero parecchio incuriosita da quella massa di pelo nero come la notte ed occhi gialli scintillanti, di quelli che ti scrutano nell'animo. Fra me ed il cucciolo era stata subito amicizia immediata, in qualche modo riuscivo a percepire le sue emozioni, sapevo esattamente come comportarmi con lui e da allora mi era rimasto sempre accanto.

Ero davvero fortunata ad avere un legame così forte con il mio animale domestico, se ero ancora viva lo dovevo a lui.

Ancora tremante mi alzai da terra, mi diedi una veloce ripulita ed entrai in casa salendo le scale fino al sesto piano con il mio fidato compagno a quattro zampe al seguito.

Angolo Autrice

Salve gente! Oggi è il mio compleanno! Sono felicissima e dato che è un giorno speciale ho deciso di fare un regalino anche a voi con questo nuovo capitolo, spero vi piaccia :) Bacioni! Fre<3

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Capitolo 3
*** Faccio sogni senza senso ***


Decisi di non dire niente a papà. In primo luogo non mi avrebbe creduta e come seconda cosa non mi pareva il caso di spaventarlo a morte per nulla, ormai il peggio era passato e, a parte qualche graffio qui e là, stavo benone.

Aprii la porta con un colpo deciso e dissi tutta contenta

-Ciao papà!-

saltandogli al collo per dargli un bacio sulla guancia come facevo sempre quando tornavo da scuola.

Mio padre, sebbene non lo fosse veramente, era la persona che amavo più di tutte sulla faccia del pianeta terra. In realtà era l'unica persona che avessi mai amato in tutta la mia vita e che a sua volta stravedeva per me nonostante il mio caratteraccio o i miei continui casini. Difficilmente perdeva la pazienza, non lo avevo mai sentito alzare la voce nemmeno una volta, era sempre calmo e perfettamente padrone della situazione. Non si lasciava prendere da improvvisi scatti d'ira, era costantemente gentile, affettuoso e soprattutto era un autentico spasso! Quando in giro c'era lui tutti i miei problemi si dissolvevano nell'aria magicamente senza lasciare traccia, non potevo fare a meno di essere felice come una Pasqua. Sapevo di poter fare qualsiasi cosa con mio padre accanto, perché mi sentivo protetta ed apprezzata. Conoscevo gli enormi sacrifici che aveva fatto appositamente per me, per garantirmi un'infanzia serena senza alcuna privazione. Non che mi avesse viziata, siamo chiari, anzi! L'unica cosa di cui avevo veramente bisogno da parte sua era solamente la sua costante presenza. I suoi occhi color grigio chiaro avevano sempre avuto il potere di riuscire a calmarmi e quando mi scompigliava i capelli, cosa che odiavo, non ero in grado di arrabbiarmi sul serio con lui per questo, ma mi vendicavo arruffando a mia volta i suoi folti capelli corvini. Il modo in cui trovava la frase giusta al momento giusto ogni singola volta mi affascinava e mi sbalordiva allo stesso tempo.

Era una vera e propria forza della natura.

Praticamente l'opposto di me...

Da quando mi aveva tirato fuori da quell'orfanotrofio infernale, lo ammiravo come un modello di vita da seguire e avevo giurato a me stessa che chiunque avesse provato a toccarlo sarebbe finito gran male!

I bulli (come Rody) mi chiamavano cocca di papà per questo, ma a me non importava, quell'uomo si meritava ogni singolo briciolo del mio rispetto e amore più assoluto. Lui era l'unica famiglia che avessi mai avuto e non lo avrei dato per scontato mai e poi mai. Ero certa che il mio eroe, Oliver Luna, non mi avrebbe abbandonata come il mio vero padre per nulla al mondo. Per me mio padre era lui.

Come da programma, papà cercò di far scorrere una mano fra i miei capelli fradici e disastrosi, ma io mi ritrassi in tempo, così mi guardò sorridendo e si limitò a dire

-Ciao tesoro, com'è andata a scuola?-

Oh-oh, cosa avrei dovuto rispondere? “Bene! Sai? Ho fatto quasi esplodere l'edificio e l'intero corpo docenti insieme a studenti, bidelli e quant'altro se l'è data a gambe in preda al terrore, non è magnifico?”.

-Ehm...è andata benino-

risposi tentando di fare la vaga

-Cioè? Cosa vorrebbe dire quel “benino”?-.

Papà non era affatto facile da ingannare, mi conosceva troppo bene per cadere in simili trucchetti

-Beh, diciamo solo che su una scala da uno a venti a questa giornata darei un bel...due-.

Sapevo che si sarebbe preoccupato, ma sentivo il bisogno di dirgli almeno un briciolo di verità prima di mentire spudoratamente come mio solito.

-Di nuovo quel bullo eh?-

ipotizzò con lo sguardo di chi la sa lunga su questo tema, anche se non riuscivo proprio ad immaginare mio padre come lo sfigato di turno, magari con tanto di acne, occhialoni e apparecchio per i denti come vogliono certi stereotipi, che veniva deriso da qualcuno.

Era troppo fico perché certe cose fossero successe a lui, anzi, sarei stata pronta a scommettere che alla mia età era probabilmente lo studente più brillante di tutti e ambito da qualsiasi ragazza.

-Sì, hai azzeccato in pieno! A volte mi chiedo come fai-

risposi colpita.

Mi diressi verso il tagliere da cucina dove il mio vecchio stava tagliuzzando degli ottimi würstel e senza pensarci su due volte ne agguantai qualche pezzetto iniziando a masticarne un paio.

-Hey, quella è anche la mia cena signorina!-

si lamentò papà con uno sguardo di finta disapprovazione

-Scumsha-

cercai di dire con la bocca ancora piena, non ero mai stata una campionessa di etichetta.

-Allora, che cosa è successo questa volta?-

sospirò poi tornando all'argomento precedente.

Io mi misi a raccontare la storia dal principio omettendo ovviamente la parte dove facevo saltare tutto in aria.

Lui mi scrutò a fondo prima di dare la sua opinione, come se sapesse che c'era dell'altro. Se l'aveva notato, fece finta di nulla, perché tornò ad occuparsi della cena.

-Sai Iris, non dovresti farci troppo caso. Non sentirti inferiore solo perché sei diversa dagli altri, tu sei speciale-

-Si, lo dici sempre-

osservai ruotando gli occhi con un sorrisetto poco convinto. Insomma, se tuo padre ti dice che sei “speciale” è quasi automatico non crederci, in un certo senso ha l'obbligo genitoriale di dirlo.

-Dico sul serio piccola, probabilmente questo Rody è solo invidioso delle tue innate capacità artistiche-

mi fece notare come se fosse la cosa più ovvia del mondo.

In effetti la lettura non era l'unica cosa che mi appassionava, me la cavavo in parecchi campi come per esempio la danza, il disegno, la scrittura di poesie, le lingue straniere, il tiro con l'arco e la mia ragione di vita...il canto. Ero praticamente una tuttofare. Non sapevo come, ma avevo sempre avuto questa propensione per impieghi in cui la fantasia, le emozioni, la musica o comunque la precisione la facevano da padroni.

-Io credo piuttosto che sia geloso perché ho il papà più straordinario del mondo-

replicai con sincero affetto abbracciando il mio eroe

-In questo caso io ho la figlia più meravigliosa della galassia. Lo dicevo io che eri un affarone-

rispose dandomi un bacio sulla fronte.

Partì subito una di quelle sfide di ore intere per stabilire chi voleva più bene a chi per poi decidere di comune accordo che noi eravamo la coppia padre-figlia vincente.

Dopo cena sparecchiai la tavola e lavai accuratamente i piatti, successivamente feci uno sbadiglio enorme e mi avviai verso la mia camera.

Papà era davanti alla televisione e guardava un documentario sulla pesca. Prima di andarmene a dormire mi sentii in dovere di in informarlo su qualcos'altro

-Hey papà, penso che le mie allucinazioni stiano peggiorando di recente. Sono sempre più frequenti-.

Bastò quell'unica frase per farlo diventare nervoso e rigido, ma solo per pochi secondi. Quando riprese il controllo finse una tranquillità assoluta.

-Un motivo in più per filare subito a letto. Vedrai che dopo un po' di riposo ti sentirai meglio piccola mia-

tagliò corto senza tante spiegazioni. Avrei voluto chiedergli di più, avrei voluto avere delle risposte per le stranezze che mi stavano succedendo, ma decisi di lasciar perdere.

Quando ormai ero fuori dal suo campo visivo, papà mi richiamò dicendo

-Iris?-

-Sì?-

-A proposito...che hai fatto ai vestiti e alle braccia?-

Oh mamma, avevo dimenticato il mio aspetto tremendo! Forse lo aveva già notato prima, ma aveva atteso che fossi io a dirglielo. Probabilmente aveva capito che non avrei fornito alcuna spiegazione di mia iniziativa e così era partito all'attacco.

-Ehm...beh...in realtà sono scivolata dentro una pozzanghera e ho grattato le braccia sull'asfalto-

inventai. La scusa più stupida del mondo.

-Capisco, la prossima volta fa più attenzione tesoro-

rispose lui di rimando.

Tirai un sospiro di sollievo, me l'ero cavata.

Non appena entrai in camera mi gettai sul letto, presi un quadernino in cuoio che tenevo sempre sotto al cuscino, agguantai la mia matita preferita intagliata con il legno ed iniziai a disegnare ciò che avevo visto oggi. Lo facevo sempre, anche con i sogni indecifrabili che facevo. Ogni volta che si verificavano questi avvenimenti fuori dal normale, io li documentavo. Riprodussi il mostro-vecchietta che mi aveva aggredita poche ore prima e aggiunsi nella pagina seguente la scuola devastata dalla mia furia. Completai la mia opera numerando i disegni...erano i numeri 730 e 731.

Mi stupii di quante cose incredibili mi accadessero ogni giorno. Ci doveva per forza essere qualcosa sotto. Non avevo mai creduto fino in fondo alla storia delle allucinazioni da stanchezza, ciò che vedevo era più che reale e poteva uccidermi da un momento all'altro.

Richiusi il quaderno rimettendolo al suo posto e mi misi il pigiama estivo. Le vacanze erano alle porte ed io desiderai improvvisamente che il tempo accelerasse. Mentre mi infilavo sotto le coperte, arrivò Fenrir spingendo la porta con il muso. Mi guardò con i suoi occhioni giallo intenso per qualche secondo, poi saltò sul letto scodinzolando e si rannicchiò vicino alle mie gambe pronto per il pisolino.

-Buonanotte Fenrir, mio super eroe. Grazie di avermi salvata-

lo ringraziai accarezzandolo e dandogli un bacio sul muso umido.

Quando finalmente chiusi gli occhi feci un sogno stranissimo. Sognai un posto enorme, pieno di edifici in stile greco. Non vi era anima viva in giro, se era abitato da qualcuno, al momento stava probabilmente dormendo. Vi era però una sorta di  grande villa di colore blu al centro del luogo illuminata da fiaccole lucenti che splendevano nella notte. Al suo interno si potevano udire delle voci in lontananza, ma non riuscivo a distinguere bene le parole che stavano pronunciando.

-Ci ha chiamati di nuovo qualche attimo fa, è la quinta volta questa settimana. Le cose stanno diventando pericolose, dobbiamo inviare qualcuno a sorvegliarla per proteggerla-

disse una voce maschile simpatica e rassicurante, di quelle che emanano calore solo a sentirle.

-Oh andiamo, è ridicolo! Ha un valente eroe al suo fianco, vuoi farmi credere che lui non è in grado di gestire un'adolescente?-

ribatté una seconda voce sempre maschile, ma più seccata ed indifferente.

-Non è questo il punto signore, anche un eroe come lui in quella realtà ha i suoi limiti. Non può di certo starle vicino anche durante la mattinata a scuola!-

-E sentiamo, chi vorresti inviare? Non di certo quel satiro buono a nulla di Grover, vero? Da quando è diventato un satiro del Consiglio grazie a me è diventato super indaffarato. Anche gli altri satiri sono già occupati a recuperare i nuovi arrivi-.

-Che mi dice di Percy?-

propose la prima voce in tono speranzoso

-Chi?-

domandò l'altro, come se fosse duro d'orecchi

-Il figlio di Poseidone-

spiegò pazientemente la voce simpatica

-Ah Johnson! Si è concesso una piccola vacanza con sua madre e Paul, il mortale,  per “rafforzare il legame famigliare” e sciocchezze simili. Per mia sfortuna, tornerà giusto in tempo per l'inizio del campo quest'estate- .

L'altro uomo prese un respiro profondo pronto a dire dell'altro, ma quello più seccato lo interruppe prima che potesse prendere parola

-E non sprecarti a chiedermi della signorina Chase! Al momento è impegnata con la ricostruzione dell'Olimpo-.

Ci fu un silenzio incredibile, quasi inquietante, finché la prima persona non aggiunse

-Sa che le dico? Penso di avere la persona giusta per questo lavoro. Ora, se vuole scusarmi, devo mandare un importante messaggio-Iride-.

Sentito ciò, il mio sogno cominciò a dissolversi e l'ambientazione cambiò. Non ero in grado di capire in che razza di posto fossi finita, ma era dannatamente cupo e buio. L'unica cosa che vedevo chiaramente era una sorta di strano fiume dove sulla riva stava seduto un ragazzo. Aveva i capelli folti, neri e scompigliati, gli occhi scuri ed indossava una specie di bizzarra giacca da aviatore con pantaloni neri ed un paio di Converse.

Ad un tratto si formò davanti a lui un piccolo arcobaleno da cui uscì una voce che disse

-Chiamata via messaggio-Iride in attesa di risposta. Prego gettare una dracma all'interno-.

All'inizio il ragazzo non sembrò farci molto caso, poi si alzò silenziosamente, frugò fra le tasche e gettò una moneta all'interno del piccolo arcobaleno che accompagnò con una sorta di preghiera

-Oh Iride, dea dell'arcobaleno, accetta la mia offerta e mostrami pure il messaggio-.

Non appena sembrò comparire un'immagine dal minuscolo fascio di colori, mi svegliai di soprassalto con il fiatone.

Questo sogno in particolare, rispetto a quelli precedenti, mi era sembrato molto più dettagliato e realistico. Sebbene non avessi visto i volti dei due uomini all'inizio o non fossi riuscita a distinguere con maggiore precisione i luoghi in cui le varie azioni si erano svolte, ricordavo ancora il viso di quello sconosciuto che mi era apparso sulla riva del fiume. Avrà avuto più o meno la mia stessa età. Non sapevo chi fosse, ma ebbi una strana sensazione quando mi venne mostrato all'interno del sogno.

Senza nemmeno aspettare che spuntassero le prime luci dell'alba, ripresi in mano il mio fidato quaderno e lo disegnai. Sentivo che dovevo tenermelo bene a mente, dopotutto anche quello faceva parte delle cose folli all'interno della mia vita.

Quando terminai, guardai attentamente il risultato finché non crollai dalla stanchezza ancora con il disegno sotto mano.

Angolo Autrice 
Ecco qui un altro bel capitolo tutto per voi! Spero che sia di vostro gradimento.
Non ho molto da dire questa volta, quindi per vostra fortuna la smetterò subito con le chiacchiere!
Fatemi sapere se la storia vi sta piacendo con qualche commentino, grazie.
Ciau
Fre<3 

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Capitolo 4
*** Il nuovo arrivato ***


Quando mi risvegliai la prima cosa che vidi fu il disegno del ragazzo del mio sogno. Avevo dimenticato che lo avevo ancora in mano. Lo riguardai con un miliardo di punti interrogativi nella mia mente per poi chiudere il quaderno in cui era racchiuso mettendolo di nuovo sotto al cuscino.

Con una lentezza che avrebbe fatto invidia ad un bradipo mi alzai dal letto ed iniziai a prepararmi per la scuola. Non sapevo che cosa mi avrebbe atteso una volta arrivata lì, forse mi avrebbero espulsa o sarei finita in punizione, ma se non fossi andata a scoprirlo papà avrebbe potuto insospettirsi. Mi sembrava molto strano che ancora non lo avessero chiamato per dirgli qualcosa del tipo “Ah, buongiorno signor Luna. Sa, ieri sua figlia ha fatto esplodere l'edificio scolastico, che ragazza incredibile!”.

Mi guardai attentamente allo specchio per decidere se ero abbastanza presentabile. I miei lunghi capelli castano chiaro erano tirati su e raccolti in una coda alta che mi arrivava fino alla schiena fatta eccezione per il mio ciuffo color acqua marina sul lato sinistro che avevo voluto valorizzare con una piccola treccia. Mi ero sempre chiesta da dove spuntasse quella ciocca così insolita, era uno dei tanti misteri sul mio conto. La maggior parte della gente non ci credeva quando confessavo loro che non ero stata io a tingerla, l'avevo sempre avuta così, naturalmente, fin dalla nascita.

Mi diedi una passata di eyeliner sugli occhi eterocromatici. Il mio occhio sinistro era verde, l'altro invece era azzurro.

Come se non bastasse, a rendere il mio aspetto ancora più strano, ci si metteva anche una lunga cicatrice verticale che mi attraversava la guancia destra. Mio padre mi aveva raccontato che me l'ero fatta quando ero piccola cadendo dalla bicicletta, anche se io non lo ricordavo. Ipotizzai che la botta fosse stata tale da avermi fatto perdere qualche frammento della mia memoria, ma nulla di grave per fortuna.

Mi infilai una canotta bianca con su scritto “Boys in books are better”, poi ci aggiunsi una giacca di jeans aperta e terminai il tutto con un paio di pantaloni neri e degli stivaletti marrone chiaro.

Finalmente soddisfatta del mio look, acciuffai la cartella, rubai una brioches dal vassoio sul bancone della cucina e gridai

-Ciao papà! Ci vediamo dopo!-

dirigendomi fuori dal palazzo condominiale.

Quel giorno stranamente si poteva scorgere un po' di sole all'orizzonte e, nonostante l'aria fosse ancora pungente, ci si poteva godere qualche accenno di calore.

Non potei fare a meno di continuare a guardarmi intorno con aria ansiosa, avevo il terrore che da un momento all'altro potesse spuntare un altro orribile mostro come la donna-gufo, ma ringraziando il cielo non successe nulla. Mi ripromisi ugualmente di stare all'erta.

Quando entrai in classe raggiunsi il mio banco a velocità cosmica e mi piazzai dietro al mio libro di mitologia. Non sapevo perché mi stessi nascondendo in quel modo, ma continuai a farlo fino all'inizio della lezione. Forse nel mio profondo non volevo essere cacciata via a calci, ci tenevo alla mia istruzione anche se odiavo ogni singolo essere umano in quell'incubo chiamato scuola, oppure semplicemente non mi andava di vedere Burs che mi avrebbe sicuramente punzecchiata come suo solito facendomi andare di nuovo in bestia e questo non doveva succedere!

Il professore di filosofia entrò in classe con molta calma, poi richiamò l'attenzione sbattendo il libro di testo sulla cattedra ripetutamente, cosa che non sopportavo e che mi causava un mal di testa allucinante. La classe calò in un silenzio quasi mortale, poi il prof si decise a rompere il ghiaccio dicendo

-Bene classe, oggi parleremo di Zenone, un grande filosofo allievo di Parmenide, ma prima devo avvisarvi che da questo momento in poi avrete un nuovo compagno-.

Subito iniziarono i mormorii ed i pettegolezzi su chi fosse questo strano individuo, da dove venisse, che aspetto avesse e altre cose così. A me non interessava molto, certo ero curiosa, ma pensavo solamente che sarebbe stata l'ennesima persona che avrei odiato a morte da aggiungere alla mia lista.

-Prego, venga avanti e si presenti giovanotto-

lo invitò il professore.

In quel momento non riuscii a resistere e alzai per un attimo gli occhi dal mio amato libro. Volevo soltanto vedere se si poteva considerare la mia teoria dell'odio confermata.

Non appena il ragazzo si fece strada verso il centro dell'aula mi venne quasi un colpo, era identico allo straniero del mio sogno! Non riuscivo a crederci, ero diventata una specie di veggente o cosa?

Il tutto era interessante, inquietante e folle allo stesso tempo. Dopo averlo guardato attentamente gli ultimi dubbi che avevo sul fatto che forse mi ero sbagliata svanirono nel nulla, ero sicura che fosse lui. La storia del sogno tuttavia doveva per forza essere una sorta di scherzo del destino oppure una pura coincidenza.

Il ragazzo misterioso ci scrutò uno ad uno, poi si presentò dicendo

-Salve, io mi chiamo Nico Di Angelo. Ho sedici anni e mi sono appena trasferito-

-Molto bene signor Di Angelo, prego prenda posto in quel banco laggiù in fondo-

rispose il prof.

Solo dopo qualche secondo realizzai che parlava di quel banco laggiù in fondo proprio accanto al mio!

Il nuovo compagno si sedette e posò la sua cartella a terra. Io finsi di continuare a leggere, mentre con la coda dell'occhio lo osservavo da più vicino. Era esattamente come nel mio sogno: i capelli neri e mossi, gli occhi scuri con degli strani aloni neri intorno ad essi che non avevo mai notato prima e la stessa giacca da aviatore tenuta aperta per mostrare una maglia con dei teschi sopra.

La lezione iniziò senza che me ne fossi resa conto, ero ancora persa nei miei vari ragionamenti con il libro che impediva la visione completa del mio volto. Come da programma il professore fece delle domande a salto e quasi nessuno rispose. Pregai che non arrivasse il mio turno, non avrei di certo avuto problemi a dire la mia, ma per qualche strana ragione mi sentivo gli occhi del nuovo arrivato puntati addosso, anche se non avevo il coraggio di voltarmi verso di lui per vedere se era solo frutto della mia immaginazione oppure no.

-Ora, chi vuole parlarmi di...signorina Luna!-

mi richiamò l'insegnante

-Sì prof?-

-Ancora con quel libro in mano? Le ho detto mille volte di non leggere durante la mia lezione!-.

Che problemi aveva quel tizio? Sapeva benissimo che ero in grado di fare più cose contemporaneamente tra cui leggere ed ascoltare! Faceva parte della mia mente creativa e artistica, ma a quanto pare questo ai docenti non andava giù, così cercavano ogni volta di dimostrare che ero una studentessa disattenta. Ovviamente io ero sempre preparata, col cavolo che gliela davo vinta!

-Oh, sa com'è prof. Non si smette mai d'imparare no?-

risposi posando con calma l'oggetto della discussione

-Dato che è così abile in filosofia da potersi permettere di non prestare attenzione a ciò che dico, perché non viene alla lavagna ad illustrare ai suoi compagni il paradosso dell'arciere di Zenone?-.

Feci un bel respiro profondo per non gettarmi su di lui e strozzarlo, poi risposi gentilmente

-Certo signore-.

Mentre mi avviavo verso il “patibolo” come lo chiamavo io, sentii dietro di me Rody Burs che sussurrava alla sua gang

-Adesso ci sarà da divertirsi! Farà sicuramente una figuraccia-.

Ignorandolo presi un gessetto ed iniziai a disegnare uno schema mentre con tono sicuro spiegavo

-Zenone come ben sapete era allievo di Parmenide. Il suo maestro aveva analizzato con attenzione l'essere ed il non essere, così Zenone per appoggiarlo creò un esempio in grado di dimostrare l'inesistenza del movimento. Uno di questi era il famoso paradosso dell'arciere. Se prendiamo una freccia lunga un metro che viene scagliata da un arciere ad una distanza di cento metri divisa in sezioni da un metro, si può notare che ovviamente la freccia si muove, ma occupando ogni volta uno spazio pari alla sua lunghezza. Si può affermare che la freccia in realtà è ferma all'interno del proprio spazio. La freccia dunque si muove e non si muove, ma ciò secondo Parmenide è impossibile, poiché una cosa non può essere e non essere allo stesso tempo. In conclusione quindi è possibile dire che il movimento non esiste-.

Quando terminai, tutti mi fissarono a bocca aperta...letteralmente! E lo stesso professore non faceva altro che fissare incredulo la lavagna con il mio schema sopra.

-Posso andare ora?-

chiesi

-C-cosa? Oh! Sì...certo, torni pure al suo posto signorina Luna-

-Grazie-

risposi tornandomene al mio banco

-Ma mi raccomando, stia attenta d'accordo?-

mi avvisò l'insegnante

-Sempre prof-

lo rassicurai facendo un piccolo saluto militare.

La lezione terminò ed in poco tempo giunse l'ora di pranzo. Iniziai a riordinare le mie cose nello zaino senza dare molto peso a ciò che mi succedeva intorno quando una voce estranea mi parlò

-Gran bella rivincita quella del paradosso, gliel'hai proprio fatta vedere a quello scocciatore di prof eh?-.

Qualcuno che mi parlava? E mi faceva un complimento? A scuola?! Alzai lentamente il capo per ritrovarmi davanti due occhi scuri e profondi.

-Oh, grazie ehm...Nico giusto?-

-Esatto, non credevo che lo ricordassi-

-La memoria fa parte delle mie maggiori abilità-

spiegai al nuovo arrivato.

-Io sono Iris, Iris Luna-

dissi porgendogli la mano

-Nico Di Angelo-

rispose lui stringendola. La sua pelle al tatto era fredda come il ghiaccio e notai che aveva anche un colorito parecchio pallido.

-Di Angelo...non è un cognome americano o sbaglio?-

-Hai indovinato. Mia madre veniva dall'Italia-

-Sul serio? Anche la mia! O almeno così mi hanno detto-.

Davanti a quella risposta il ragazzo rimase un po' confuso

-Che vuoi dire?-

-Beh, vedi...io sono adottata-

confessai. Era incredibile poter parlare con qualcuno che non fosse un completo idiota per una volta, ma per qualche motivo random quando parlavo della mia famiglia, dei miei singolari interessi oppure la gente notava la stranezza del mio aspetto tendevano ad allontanarsi tutti ed io restavo sola...di nuovo.

-Sei stata abbandonata dai tuoi veri genitori?-

chiese Nico con fare quasi dispiaciuto

-Veramente no, o almeno non del tutto. Non ho mai conosciuto mio padre, dopo che mamma disse che era incinta di me ci ha abbandonate credo, mentre mia madre aveva una tremenda malattia ed è morta pochi giorni dopo la mia nascita-.

Mi faceva uno strano effetto parlare di loro, per me i miei veri genitori erano quasi come estranei senza volto, senza identità, eppure talmente diversi nel mio immaginario. Uno di loro era una persona che non desideravo conoscere e che disprezzavo per la sua codardia, l'altro era qualcuno che mi mancava terribilmente pur non sapendo quasi nulla sul suo conto ed ero certa fosse qualcuno che mi amava.

-Oh, io non ne avevo idea, scusa. Se non ti va di parlarne non fa niente-

disse Nico risvegliandomi dai miei pensieri

-Non preoccuparti, ormai fa parte del passato. Mi piace vivere con il mio nuovo padre, per me è lui la mia vera famiglia. Mi ha presa quando avevo solo cinque anni e mi ha cresciuta come se fossi figlia sua, gli voglio molto bene-.

Ci fu un minuto di silenzio imbarazzante dove nessuno di noi due ebbe il coraggio di parlare, poi ripresi la conversazione.

-Lo sai? Si vede che sei nuovo qui-

-Sul serio?-

domandò lui

-Certo! Voglio dire, stai parlando con me!-.

Nico mi guardò cercando di capire cosa volessi dire, ma apparentemente senza riuscirci perché poco dopo aggiunse

-E con questo?-

-Devo avvertirti, se vuoi avere un briciolo di attenzione o anche solo considerazione chiudiamo qui la conversazione. Anche solo farti vedere con me in pubblico ti vieta ogni possibilità di essere accettato dagli altri studenti, credimi-

-Questo è ridicolo! Lo dici come se fosse una specie di legge suprema-

-Beh...in effetti credo che lo sia, voglio dire, almeno in un certo senso è così-.

Passò un altro minuto privo di parole prima che Di Angelo tornasse all'attacco con il suo interrogatorio

-Come mai tutti dovrebbero escluderti? Ci ho pensato su, ma ancora non riesco a capire-.

Alzai lo sguardo dal mio libro e lo guardai dritto negli occhi per qualche secondo

-Per essere uno appena arrivato in città fai un sacco di domande. Strano, guardandoti non sembreresti un tipo di molte parole-

lui ridacchiò abbassando lo sguardo

-Già, solitamente è così, ma dato che ogni cosa è nuova per me in questo posto penso sia naturale aver bisogno di una guida, qualcuno in grado di darmi delle risposte-.

Risposte...quanto avrei desiderato anche io qualche straccio di risposta decente e soprattutto sincera.

-E cosa ti fa credere che io abbia le risposte che cerchi?-.

A quel punto fu lui a scrutarmi attentamente, poi si limitò a dire

-Non ne ho idea, ma sai cosa percepisco da te? Sento che hai parecchie cose da comunicare, ma non hai mai trovato nessuno che sia disposto ad ascoltarti-

-Forse perché a nessuno importa di me tranne che a mio padre-

spiegai giusto per ribadire il concetto “sono un'emarginata sociale”.

-Come fai a dirlo?-

-Andiamo, è così evidente! Noti per caso qualcun altro qui oltre a te che abbia anche solo l'intenzione di rivolgermi la parola? Ti rispondo io. No. E basta guardarmi per capire il perché-

-E ancora una volta non so di cosa tu stia parlando-

commentò il ragazzo.

Santo cielo! Come faceva a non rendersene conto? Era talmente ovvio! Il fatto che non riuscisse a recepire il messaggio stava diventando leggermente irritante.

Decisi di tentare una specie di esperimento per rendere le cose più facili

-Ok, ricominciamo da capo. Ora guardami con attenzione e dimmi che cosa vedi-.

All'inizio Di Angelo si limitò a fissarmi perplesso, poi notai un lieve cambiamento nei suoi occhi, mi stava studiando. Tentò di non farsi sfuggire nemmeno il più piccolo dei dettagli prima di rispondermi

-Vedo una ragazza a cui piace leggere, studiosa, probabilmente con la passione dei capelli colorati, una faccia poco comune, ma interessante e, se posso dirlo, buon gusto nell'abbigliamento. Ma non solo questo, vedo anche una ragazza che si crede inutile, non capita e probabilmente anche un po' abbandonata a sé stessa...mi sbaglio?-

Accidenti, che analisi. Non sapevo come, ma aveva centrato il concetto su tutti i fronti.

-Ciò che vedi tu non è quello che vedono gli altri. Il resto della gente vede solo una secchiona, sfigata, adottata con occhi e capelli strani ed una cicatrice assurda. Praticamente una perdente che vale meno di zero.-

spiegai cercando di trattenere le lacrime. Non era una novità, di solito non ci davo molto peso, eppure dirlo a voce alta forte e chiaro mi rendeva immensamente triste.

-Non devi permettere che gli altri decidano per te che cosa sei. Tu sei Iris e se la gente pensa questo di te allora di sicuro non ti conosce affatto-

-Beh, nemmeno tu mi conosci poi così bene-

sottolineai

-Hai ragione, ma so cosa vuol dire essere giudicati per qualcosa che non dipende da noi, solo per le apparenze, in modo superficiale-.

Nico sembrò chiudersi in sé stesso dopo quella frase, mi bastò una manciata di secondi per capire che anche lui nel suo profondo si sentiva ferito, non sapevo ancora per cosa, ma di certo quel qualcosa gli faceva male e tanto.

-Fammi indovinare, sei stato etichettato dall'élite della società?-

-Qualcosa del genere-.

Non riuscivo a starmene lì seduta a guardare una persona soffrire senza poter fare nulla, era una delle mie caratteristiche. Finché ero io a starci male potevo anche accettarlo, sapevo cavarmela, ma quando si trattava di qualcun altro mi sentivo irrimediabilmente impotente e arrabbiata. Distolsi lo sguardo da lui e scossi leggermente la testa guardando il resto degli studenti da lontano

-Ma guardali. A volte penso che sarebbe stato molto meglio essere come loro. Gli adulti continuano a ripeterti “mi raccomando, sii te stesso” come se fosse facile, ma non è affatto così. Io ho deciso di essere me stessa ed ecco che cos'è successo, mi sono ritrovata sola. Le persone hanno paura di restare sole, è una cosa del tutto naturale, non mi sorprende che il resto del mondo decida di indossare una maschera pur di essere accettato-.

Desideravo tirare fuori dalla mia mente quelle parole mai pronunciate da un sacco di anni, ma non ne avevo mai avuto l'occasione. In quel momento uscirono dalla mia bocca come getto d'acqua, sentirle ancora vibrare nell'aria mi convinse ancora di più della loro triste eppure incontestabile verità.

-Deve essere veramente orrendo, vivere continuamente ogni giorno come se fosse una battaglia, con il terrore di dire o fare la cosa sbagliata, senza potersi permettere nessunissimo errore, senza poter deludere alcuna aspettativa. L'unica cosa che puoi fare se vuoi rimanere sulla cresta dell'onda è recitare alla perfezione la tua parte e comportarti come la gente si aspetta che tu faccia-.

Improvvisamente mi sentivo più matura dei miei soli sedici anni, ma anche stranamente più saggia, come se avessi appreso già diverse lezioni di vita superando alcuni tra i peggiori ostacoli che ti si possano presentare davanti.

-Hai visto?-

si rifece vivo Nico che fino ad allora era rimasto zitto a fissare nel vuoto

-Visto cosa?-

chiesi come appena risvegliata da una specie di trans

-Avevo ragione. Hai molte cose da dire, serve solo una persona che sia disposta ad ascoltarle-

-E...tu sei quella persona?-

ipotizzai

-Direi di sì, mi piace ascoltarti. C'è una rara poesia nelle tue parole e ti esprimi con così tanta sincerità e naturalezza che sembra quasi tu stia raccontando una favola-

-Ora stai esagerando!-

lo rimproverai imbarazzata

-Ti giuro che è così. Mi sembra impossibile che tu non te ne accorga. Ritieniti fortunata piuttosto, solitamente io detesto le persone-

-Allora siamo in due, ma non credo faccia poi tanta differenza dato che per il 99% delle persone sono invisibile, mentre l'altro 1% crede che io abbia una strana malattia, tipo la lebbra-

spiegai per sdrammatizzare. Con quel piccolo commento ironico riuscii a strappare un lieve sorriso a Nico e ne fui felice.

-Allora, considerato che sono la tua nuova oratrice preferita, possiamo definirci...ecco, si, insomma...conoscenti?-

azzardai tendendo la mano insicura, non avevo mai avuto un “conoscente” prima d'ora e non sapevo bene come si facesse a socializzare

-Vada per conoscenti-

rispose Di Angelo stringendo la mia mano.

Avevo un conoscente. Era lo sbocciare di una nuova vita.

 

Angolo Autrice

Ma salve a tutti quanti! Spero che questo capitolo vi piaccia e vi invito nuovamente a recensire per sapere cosa pensate della storia :) Dato che era un po' che non aggiornavo vi ho voluto regalare un capitolo abbastanza lunghetto ;)
Bene per ora è tutto! 
Baci
Fre<3

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Capitolo 5
*** Burs diventa quasi cibo per mostri ***


Le ultime lezioni pomeridiane passarono velocemente e la giornata scolastica si concluse. Come sempre raccattai i miei effetti personali e me la svignai ansiosa di tornarmene a casa. La mia nuova regola era “non ci si ferma durante il tragitto per nessun motivo al mondo”, peccato che stava per essere appena infranta dal più grande esempio di stupidità umana.

-Hey lunatica, che ci fai ancora qui? Pensavo che dopo ieri ti avessero espulsa-

attaccò Rody piazzandosi davanti a me con aria di scherno

-Senti Burs, non ho tempo per i tuoi giochetti va bene? Magari un'altra volta-

lo liquidai cercando di aggirarlo, ma lui mi si parò davanti di nuovo

-Quanta fretta lunatica, dove corri? Guarda che non ho mica finito-

-Beh, io sì. Non ho altro da aggiungere. Ora se potessi farmi la cortesia di spostarti dovrei passare-

ritentai senza successo.

-Prima perché non mi dici esattamente che cosa hai combinato ieri?-

quell'essere mi stava davvero facendo saltare i nervi

-Cosa ho combinato io? Pensa a cosa hai fatto tu piuttosto!-

-Nulla in confronto a ciò che è successo a causa tua-

ringhiò facendosi avanti con fare minaccioso.

-Io non ho fatto proprio niente e tu lo sai!-

sbottai di rimando. Lo dissi indietreggiando, ma mantenendo un tono fermo ed uno sguardo deciso.

-Bugiarda!-

mi urlò contro

-Se non riesci ad accettare la realtà non è un mio problema! Ieri è stata colpa di una stupida piccola tromba d'aria se le finestre sono esplose, l'impianto antincendio si è semplicemente guastato ed è partito, mentre probabilmente le lampadine sono esplose per un sovraccarico, contento?!-.

Rody non la smetteva di avanzare ed il suo atteggiamento era di piena sfida

-E tutto questo è accaduto proprio quando hai sclerato, sfigata? Non ti credo! So che hai fatto qualcosa, dimmelo! Oppure ti farò cacciare dalla scuola-

-Non hai nessun diritto di farmi cacciare idiota-

ribattei

-Mio padre è una persona importante e potrebbe farti espellere a calci in culo in qualsiasi momento!-.

Volevo davvero assestargli un bel calcio dritto nelle gengive, ma mi trattenni. Incrociai le braccia e riguadagnai terreno

-Oh certo, sempre nascosto dietro papino vero?E poi sarei io la cocca di papà! Sai che ti dico? Fa pure! Non ci tengo affatto a stare qui e comunque non ci starei per molto ugualmente per mia fortuna-

la mia ultima frase sembrò divertirlo, mise le mani in tasca e si concesse una sonora risata

-Giusto, la figlia di Oliver Luna! L'uomo che non riesce mai a tenersi un lavoro dico bene? Di un po', è vero che continuate a cambiare città perché tuo padre viene sempre licenziato?-.

Rimasi letteralmente di sasso. Se solo avesse saputo che la causa dei nostri innumerevoli trasferimenti ero io...ma di certo non glielo avrei mai rivelato, nemmeno sotto tortura!

-Che cosa?! Questa è una menzogna enorme! Mio padre fa l'astrofisico! Per lui è del tutto normale doversi spostare per le sue ricerche ogni tanto!-.

Stavo per perdere la pazienza. Finché insultava me era ok, ma non si doveva permettere di parlare male di mio padre in mia presenza.

-Questo è quello che pensi tu. La verità è che tuo padre è un fallito, esattamente come te!-

Quello era davvero troppo

-Ah sì? Beh allora in questo caso non vorrei essere tuo padre, perché sono certa che è un perfetto cretino proprio come lo sei tu!-.

Avevo decisamente esagerato, ma me ne resi conto troppo tardi.

Da lì in poi successe tutto in un attimo. Gli occhi di Burs si riempirono di un fuoco spaventoso, gli tremavano le mani e contraeva la mascella furiosamente. Gli ci vollero pochi secondi per prendermi di peso e sbattermi contro il muro di un vicolo con il pugno ben chiuso sulla mia canotta a tenermi leggermente sollevata da terra. Si preparò a sferrarmi un pugno in piena faccia mentre io cercavo disperatamente di liberarmi dalla sua presa senza alcun risultato. Alla fine mi misi le braccia davanti al viso pronta ad incassare il colpo, quando tutto ad un tratto comparì lui che si mise fra noi due e bloccando il suo braccio lo buttò a terra ridandomi la possibilità di respirare.

Ero ancora sconvolta e avevo il fiatone, non riuscivo a crederci. Rimasi sdraiata sull'asfalto senza dire una sola parola mentre davanti a me c'era Nico Di Angelo che stava fissando Burs con sguardo assassino.

-E tu da dove diavolo spunti fuori?!-

esclamò Rody rimettendosi in piedi.

Nico lo ignorò, invece si rivolse a me dicendo

-Ma è possibile che non possa lasciarti da sola un minuto che subito ti cacci nei guai? Sei proprio impossibile!-

Mi lasciò stranita il fatto che mi parlasse davanti agli altri, pensavo che si sarebbe dimenticato della mia esistenza come facevano tutti.

-Ti avverto novellino, se non vuoi rogne ti conviene alzare i tacchi-

lo minacciò il bullo

-Grazie, ma non credo che lo farò. Adesso lascia che sia io a darti un consiglio capelli a spazzola: ti conviene lasciare in pace Iris se non vuoi finire male-.

Stop! A qualcuno...importava di me?! Di me?! Una persona al mondo aveva a cuore la sorte della perdente Iris Luna? Non ero per niente certa di essere sveglia o cosciente, forse avevo battuto la testa.

-Perciò è così, la nostra lunatica si è fatta un amichetto-

ridacchiò Rody guardandomi compiaciuto. Riuscivo a leggere una sola cosa nel suo sguardo: “ti toglierò ogni persona cara che possiedi”. Ero preoccupata per Nico, non era giusto che subisse le mie stesse cattiverie.

-Senti sottospecie di cadavere, non mi importa se ti va di fare l'eroe della situazione, nessuno deve avere la faccia tosta di dirmi cosa devo fare chiaro?-.

Sentivo la tensione crescere nell'aria, ancora poco e Burs avrebbe aggredito anche Di Angelo.

Non riuscivo proprio a capire cosa passasse per la testa del nuovo arrivato, insomma, chi glielo faceva fare di rischiare di finire in una rissa per colpa mia? Ci doveva pur essere una spiegazione a riguardo.

In quel momento raccolsi il mio coraggio e mi intromisi nella conversazione

-Nico, ti ringrazio, ma penso che tu ora debba proprio andare-.

I due si girarono verso di me meravigliati del fatto che avessi parlato, come se si fossero accorti di nuovo della mia presenza solo dopo quella frase.

-Ben detto lunatica-

finse di elogiarmi naso da maiale

-Spiacente, ma non posso, ormai mi hai trascinato in questo guaio. Inoltre questo imbecille se l'è presa anche con me-

rispose indicando Rody

-Direi che merita una bella lezione-.

Non lo avrei mai detto, invece, come se la giornata non fosse stata già abbastanza particolare, successe una cosa inaspettata. Il mio conoscente sorrise. Non era un vero e proprio sorriso di quelli allegri e sereni, era più un sorrisetto deciso e sfacciato come se avesse voluto farmi capire che era pronto a combattere e, molto probabilmente, aveva una gran voglia di suonarle al bullo.

-Hey! Dimmelo in faccia se...-

saltò su Burs, ma non fece in tempo a finire la frase.

Si avvicinò a noi un poliziotto in divisa con aria seria e autoritaria e guardandoci severo chiese

-Che succede qui? Non starete pensando di dare il via ad una rissa vero ragazzini?-.

Aveva entrambe le mani sulla cintura, una pronta ad afferrare il walkie talkie ed una posata sulla custodia della pistola, penso, per farci paura.

-No signore, qui va tutto bene. In realtà io e la ragazza ce ne stavamo giusto andando vero Iris?-

disse Nico tutto ad un fiato aspettando la mia approvazione

-Ehm...certo! Sì, è così. Anzi, sarà meglio sbrigarsi-

lo appoggiai muovendo i primi passi verso la strada.

Il poliziotto ci bloccò con un gesto della mano

-Spiacente ragazzi, ma non posso proprio lasciarvi andare-.

Ci guardammo tutti con aria a dir poco confusa, poi l'uomo spiegò

-Ho del lavoro da sbrigare prima-

e detto questo indovinate? Si trasformò in un altro di quei mostri orrendi che mi perseguitavano.

Questa volta però mi sentii in vantaggio perché grazie a ciò che avevo letto sapevo esattamente di che cosa si trattasse

-Viverna!-

urlai quando vidi la creatura. Era alata e molto simile ad un lucertolone con il corpo ricoperto da dure scaglie verdi e marroni. La lunga coda si muoveva irrequieta mostrando un pungiglione velenoso mentre degli spunzoni sottili e lunghi che partivano dalla spina dorsale si protendevano verso l'esterno. Non aveva le zampe anteriori, solo le posteriori, eppure sembravano così possenti da poterti spiaccicare come un insetto. La testa era schiacciata, con un corno al centro del muso ed occhi rossastri che ci scrutavano minacciosi.

Non appena quel coso iniziò ad avanzare verso di noi Rody rimase come impietrito. A quanto pare anche lui, per qualche strana ragione, riusciva a vedere chiaramente quell'essere e la cosa mi meravigliò molto dato che pensavo fosse solo nella mia testa o roba del genere.

Mi accorsi ancora di più che mi sbagliavo quando Nico mi tirò per un braccio urlando

-Corri!-.

Mentre noi ci gettavamo verso la strada trafficata, Burs rimase dov'era come se avesse avuto le gambe incollate all'asfalto. Mi guardai indietro e vidi il mostro pronto ad afferrarlo per divorarselo in un sol boccone, così mi fermai opponendo resistenza a Nico che cercava di trascinarmi via.

-Aspetta! E che facciamo con Rody? Non possiamo lasciarlo lì!-

contestai

-Cosa? Vorresti aiutare quell'idiota dopo tutto quello che ti ha fatto?!-

esclamò lui incredulo

-Beh, sì! Per quanto odioso e rozzo possa essere, nessuno merita di morire divorato da una Viverna!-

-Io là non ci torno! Specie per...un momento, hai detto Viverna?-.

La velocità con la quale aveva cambiato discorso Di Angelo mi disorientò talmente tanto che ci misi un po' prima di rispondere

-Sì, esatto-

-Come fai a sapere che quella cosa è una Viverna?-

-Libri! Ora per favore possiamo sbrigarci? Burs rischia di diventare una polpetta!-

tagliai corto liberandomi dalla sua presa e correndo di nuovo nel vicolo.

-Sei pazza? Non appena quella creatura ti vedrà ti farà fuori!-

mi gridò Nico da dietro, io non mi fermai, ma ribattei

-Non è vero! Le Viverne sono meno agguerrite con le vergini!-.

Era stato piuttosto imbarazzante dirlo ad alta voce, ma corrispondeva pienamente a verità. Sperai che le informazioni che avevo raccolto fossero vere e non dei miti o dicerie.

Quando ritornai sul posto ritrovai Burs nascosto dentro ad un tubo di cemento abbandonato che piagnucolava tappandosi le orecchie con le dita. Il mostro stava giocando ad una specie di “acchiappa la talpa” infilzando il suo pungiglione nei punti in cui era più probabile che arrivasse a trafiggere il povero Rody.

A quel punto feci una delle cose che mi riuscivano meglio, fare qualcosa di impulsivo e del tutto folle.

-Hey tu! Sono qui davanti a te! Vieni a prendermi se ci riesci!-

gridai alla Viverna iniziando a correre il più lontano possibile cercando di dare così a naso da maiale l'opportunità di riuscire a scappare e mettersi in salvo.

La creatura non se lo fece ripetere due volte e partì al mio inseguimento. Mentalmente ripassai tutto ciò che avevo letto dai libri che parlavano di mostri mitologici.

La Viverna: una creatura intelligente che ama torturare le proprie vittime e ammazzarle con il suo pungiglione intriso di veleno mortale. Prevalentemente di natura crudele e distruttiva, non teme nulla tranne...i miei pensieri furono interrotti dalla coda del mostro che si conficcò nel terreno a pochissimi centimetri da me.

Con la coda dell'occhio vidi Rody darsela a gambe come una femminuccia senza alcuna esitazione mentre io ancora rischiavo di diventare uno spiedino con quel pungiglione sempre in agguato a darmi la caccia.

Pensavo che me la sarei cavata alla grande seguendo il mio piano, ma solo allora mi resi conto che...io non lo avevo un piano!

Finché mi adoperavo a ricordare almeno il punto debole delle Viverne, quest'ultima mi puntò con la sua coda e mi spinse grazie ad essa contro il muro.

 

Angolo Autrice

Salve gente! Ecco qui un nuovo capitolo che spero vi piaccia :) 

Alla prossima

Fre<3

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Capitolo 6
*** Vengo salvata per la seconda volta ***


Ero completamente sfinita e dolorante, ma tentai comunque di rialzarmi il più in fretta possibile.

La creatura avanzò lesta e fece per gettarsi contro di me, quando accadde una cosa davvero imprevedibile, una spada con la lama completamente nera le si infilzò dritta nel petto.

A brandirla c'era sempre lui...Nico Di Angelo.

Quel ragazzo mi stava confondendo le idee in una maniera assurda, era impossibile ormai pensare che fosse un semplice adolescente appena trasferitosi in città.

Chi era veramente? Perché era comparso nel mio sogno? Che cosa ci faceva qui? E soprattutto che cosa voleva da me?

Una cosa era certa, potevo fidarmi. Era già la seconda volta in poche ore che mi salvava la vita, gli dovevo parecchi favori sfortunatamente. Odiavo essere in debito.

Il mostro in un primo momento si contorse in preda al dolore ed io ne approfittai per dire due parole al mio salvatore.

-Pensavo avessi detto che non saresti tornato indietro-

-Un semplice grazie è troppo difficile?-

domandò ironicamente tenendomi dietro di lui con un braccio.

-Bene, così adesso se moriamo, moriremo in due-

osservai

-Quando sei partita a razzo fin qui per salvare capelli a spazzola pensavo avessi un piano!-

esclamò con un tono leggermente irritato

-Lo pensavo anche io...ma, sorpresa, ci sbagliavamo entrambi-.

Comprendevo il fatto che fosse complicato per qualcuno che mi conosceva da nemmeno un giorno abituarsi al mio carattere testardo e determinato. Mio padre mi diceva spesso prendendomi in giro affettuosamente che ero una vera testa dura e sapevo che era la pura verità.

-Lo sai che potevi essere trafitta in pieno da quel coso vero? Non riesco a credere che tu non mi abbai dato ascolto! Avrei dovuto lasciarti qui a crepare e tanti saluti!-

continuò a rimproverarmi Di Angelo

-Che io sappia non è nulla di nuovo, è anni che la gente tenta di uccidermi! Anche se ultimamente succede molto più spesso-

-Questo perché più cresci e più il tuo sangue li attira verso di te-

spiegò lui, poi aggiunse

-Devo ammetterlo, sono sorpreso dal fatto che tu sia ancora viva-

-Ehm...grazie, credo. Ma cosa c'entra il mio sangue?-

-Oh già, ancora non lo sai-

si limitò a rispondere restando sul vago.

Quante altre cose dovevo sapere che mi erano state tenute nascoste? Perché non ero mai consapevole di quello che mi succedeva intorno? Ci doveva essere per forza una spiegazione a tutto ciò e sentivo che Nico poteva illuminarmi su innumerevoli misteri. Stavo per chiedere altro, quando la Viverna si riprese senza più neppure un graffio e tornò all'attacco cercando di colpirci di nuovo. Per fortuna riuscimmo a gettarci da un lato prima di ritrovarci spiaccicati.

-Questa volta si fa a modo mio, quindi ascoltami bene e fa come ti dico. Pensi di riuscirci?-

domandò il mio conoscente guardandomi come se si stesse sforzando di non saltarmi addosso per strangolarmi. Sembrava del tutto un'altra persona rispetto a quella mattina e la cosa mi confondeva e mi faceva arrabbiare allo stesso tempo per qualche motivo.

-Non sono brava ad eseguire gli ordini, ma ci proverò-

promisi

-Perfetto. Ecco il piano: mentre io tengo a bada il bestione, tu corri più velocemente che puoi e raggiungi una zona sicura, poi non devi fare altro che aspettarmi lì, chiaro?-

-No!-

urlai furiosa.

-Fallo e basta. Non rendere le cose ancora più difficili di quello che già sono-

tentò di convincermi

-Non mi importa di come sono le cose! Io non ti mollo qui da solo in pericolo mortale a combattere contro un mostro che tra l'altro è arrivato fin qui a causa mia!-

-Il mio compito, purtroppo per me, è quello di proteggerti! Lo capisci?-

ribatté mettendosi ad urlare pure lui malgrado non fosse il momento più adatto per litigare

-Perché? Perché dovrebbe importarti di me o di cosa mi succede? Mi conosci da appena una manciata di ore!-

sbraitai esasperata.

Nico stava per rispondere, ma la creatura non gli diede il tempo per farlo. A grandi passi si stava dirigendo verso di lui che era davanti a me girato nel senso opposto e quindi incapace di percepire l'essere in arrivo pronto ad afferrarlo con i suoi artigli come Fenrin con i suoi giocattoli di gomma.

-Nico attento!-

gridai spingendolo via dalla traiettoria e seguendolo a ruota con una capriola. Come previsto, grazie alla mia manovra di salvataggio davvero fortuita, la Viverna fece un buco nell'acqua ritrovandosi ad acciuffare l'aria.

Io mi diressi verso Di Angelo che se ne stava ancora sdraiato a terra ed iniziai a scuoterlo leggermente dicendo

-Nico? Nico! Rispondi! Stai bene?-.

Per qualche secondo ebbi paura che fosse svenuto o che avesse battuto la testa, poi invece lo vidi riaprire gli occhi e alzare lo sguardo verso di me.

-Per fortuna, mi hai fatto quasi prendere un colpo scemo!-

lo ripresi tirando un sospiro di sollievo

-Grazie-

mormorò rimettendosi in piedi senza guardarmi in faccia, io lo imitai.

-Figurati, roba da nulla. L'ho fatto solo perché te lo dovevo-

mentii.

Pensai che era strano il fatto che mi avesse ringraziata senza invece andarmi contro. Mi dovetti ricredere molto presto.

-Ma la prossima volta cerca di ascoltare ciò che ti viene detto!-

mi rimproverò

-Non ricominciamo! Questo mio gesto dimostra soltanto che, volente o nolente, hai bisogno del mio aiuto per sconfiggere la Viverna! Quindi basta con le polemiche e risolviamo la questione insieme d'accordo? E se anche solo ci stai pensando, non accetto un no come risposta Di Angelo!-

precisai con sguardo deciso e tono fermo

-Va bene, hai vinto. Ma cerca di non farti ammazzare! Altrimenti tuo padre mi scuoia vivo-

-Ricevuto! Aspetta...conosci mio padre? E dove lo avresti incontrato? Te ne ho parlato appena stamattina-

-Le domande a più tardi, ora risolviamo una questione alla volta se non ti dispiace-

tagliò corto lui.

-Lo sai? Per una volta sono d'accordo con te-

ammisi correndo verso il punto cieco della creatura.

 

Angolo Autrice

Ciaooooo! Spero che questo capitolo vi piaccia, lo so è un po' più corto del solito, ma i prossimi capitoli non vi deluderanno! Promesso! 

Mi raccomando, recensite! 

Baci 

Fre<3  

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Capitolo 7
*** Uso una pistola ***


Non ero una grande esperta di combattimenti e battaglie, ma mio padre mi aveva insegnato qualche cosina utile in caso di emergenze e questa lo era eccome! Inoltre potevo sempre andare nella “banca dati” all'interno della mia mente a recuperare due o tre mosse viste nei film e nei videogiochi.

Il mostro tentò di colpire Nico, ma il mio conoscente riuscì ad evitare il suo pungiglione velenoso e si lanciò contro la belva riuscendo a ferirla con la sua spada. Sfortunatamente il taglio sulla zampa destra della creatura non durò poi molto, infatti poco dopo come per magia si rimarginò da solo scomparendo nel nulla.

-Cosa? È assurdo! Che razza di scherzo è questo?-

si lamentò il ragazzo dai capelli scuri indietreggiando con uno sguardo tra il sorpreso e l'irritato.

-La sua pelle a quanto pare, oltre ad essere durissima e colma di aculei mortali, si rigenera. Vuol dire che probabilmente le armi comuni non riescono a perforarla-

ipotizzai

-Accidenti, come sei perspicace Luna-

disse ironicamente Nico con una punta di sfida

-Hey! Cerco soltanto di essere utile come posso signor spadaccino professionista!-

ribattei scocciata.

Non capivo quale fosse il suo problema, era tanto difficile per lui almeno fingere o tentare di essere gentile? Pareva di sì! Anche io, per certi versi, ero del tutto intrattabile, ma di certo i miei problemi preferivo risolvermeli da sola. Era tipico di me, tenermi tutto dentro, fare i conti con la rabbia ed il dolore con le mie sole forze senza mai mostrare le mie fragilità a nessuno.

Mentre non facevamo altro che sfrecciare di qua e di là per non essere divorati, chiusi gli occhi per un momento e cercai di visualizzare nella mia mente la pagina del libro che parlava di questi mostri. Quando non riuscivo a ricordare una cosa in particolare di solito con questo metodo ero in grado di rammentarla velocemente. Un turbinio di parole mi vorticò attorno finché non trovai ciò che cercavo. Riaprii gli occhi leggermente disorientata a causa del flash improvviso e gridai la parola che ora rimaneva al centro della mia memoria a caratteri cubitali

-L'argento!-

-Come?-

Nico mi lanciò uno sguardo interrogatorio

-L'argento è il suo punto debole! Solo quello può annientare la Viverna-

spiegai.

Il problema era...trovarlo l'argento! Non credo che qualcuno avesse per sbaglio lasciato qualcosa come una lancia argentata a terra nel bel mezzo del nulla in un vicolo abbandonato.

Prima che la creatura tornasse all'attacco, istintivamente presi la prima cosa a portata di mano, un barattolo di pepe scaduto, e aprendo il coperchio glielo scagliai contro. Il contenuto le si riversò addosso e le bruciò gli occhi facendola stridere e lamentare. Per fortuna la mira non mi mancava!

Approfittai di quel momento per trascinare Di Angelo dietro ad un cassonetto della spazzatura e ragionare sul da farsi. Il mostro si riprese in fretta e si mise a cercarci aggirandosi per il vicolo.

-Spero che stavolta tu ce l'abbia un piano-

si lamentò Nico

-Certo che ho un piano idiota! Ma mi servirà...si insomma, il tuo aiuto-

borbottai a bassa voce

-Ti scoccia ammetterlo eh?-

tirò ad indovinare lui con uno sguardo divertito ed orgoglioso

-Oh, zitto e ascolta!-

lo ammonii.

Feci un altro breve viaggetto nella mia mente finché non ricordai di aver visto un film su Abramo Lincoln che uccideva vampiri con l'argento una volta. In una scena l'attrice che impersonava sua moglie inseriva una collanina all'interno di un fucile e con quel colpo ammazzava una succhia sangue. Mi sembrò un buono spunto, dovevo solamente cercare di ricreare la scena con i mezzi a nostra disposizione. In quell'istante ebbi un colpo di genio.

-La Beretta-

mormorai

-Ma insomma, puoi cercare di non parlare a spezzoni? La cosa è parecchio fastidiosa!-

saltò su il mio collega

-Prima di diventare quella roba schifosa, la Viverna era camuffata da agente di polizia e teneva una mano sulla custodia della sua pistola. Tutti i poliziotti americani hanno in dotazione una Beretta calibro 9 come minimo. Se riuscissi a recuperarla sarei già a buon punto. Ora però dobbiamo cercare qualcosa di argenteo. Io non ho nulla e tu?-

domandai speranzosa

-Beh...io avrei questo-

disse incerto il ragazzo mostrandomi un anello a forma di teschio che aveva al dito.

Sentii un enorme peso grosso come un macigno andarsene dal mio corpo, avevamo finalmente una concreta possibilità di successo.

-Perfetto! Forza, dai qua-

esclamai con entusiasmo. Lui esitò e ritrasse leggermente la mano.

-Ecco è che...ci tengo molto e non l'ho mai tolto prima-

non riuscivo a credere alle mie orecchie

-Stai scherzando vero?! Ti pare il momento di fare il sentimentalista? Io non ho alcuna intenzione di tirare le cuoia solo perché tu non hai voluto darmi una mano!-

gridai, dimenticandomi del mostro e attirando la sua attenzione.

-Bel lavoro-

commentò Di Angelo

-Sarebbe andato tutto a meraviglia se tu mi avessi consegnato quello stupido anello senza tante storie!-

-Per me non è soltanto uno stupido anello ok?-

ricordò

-D'accordo, ma pensavo che fossi qui per proteggermi!-

ribattei io di rimando.

In quel momento avrei voluto dargli uno schiaffo. Lo odiavo da matti.

Le mie parole lo fecero riflettere e dopo che ebbe roteato gli occhi sbuffando si tolse l'accessorio e me lo diede avvertendomi

-Sarà meglio per te che me lo riporti indietro senza nemmeno un graffio-

-Certo certo brontolone, ricordati di ringraziarmi dopo che ti avrò salvato intanto-

lo sfidai. Il mio temperamento impertinente imponeva che fossi sempre io ad avere l'ultima parola in una discussione.

-Se non ti dispiace gradirei che facessi da esca mentre io vado a cercare le pistola, almeno farai qualcosa di utile una volta tanto-.

Gli occhi di Nico lampeggiarono irrequieti ed io ebbi un piccolo sussulto a quella vista. Sembrava che fosse pronto a sbaragliare qualsiasi cosa davanti al suo cammino senza alcuna pietà e non capivo ancora se ciò era un bene o meno. Impugnò di nuovo la sua arma oscura e, prima di gettarsi nella mischia mormorò

-Fingerò che tu non l'abbia detto-.

Con l'essere occupato e distratto, utilizzai la mia memoria fotografica per visualizzare il luogo in cui la custodia con la pistola era caduta dopo la trasformazione di quest'ultimo. Il luogo dove ricordai di averla vista era un angolino accanto a vetri rotti e pile ormai scariche. Mi sporsi oltre al bidone e con lo sguardo fissai il mio obbiettivo. Stavo per saltare fuori quando notai la Viverna che sbatteva a terra Nico e si preparava a dargli il bel servito. Nel giro di cinque secondi presa da un'ondata di agitazione agguantai il coperchio di un bidone della spazzatura e urlando

-Prendi! E cerca di restare vivo imbecille!-

glielo lanciai così che lui potesse utilizzarlo come scudo di fortuna.

Dopo aver risolto anche quel problema mi buttai a gran velocità verso l'arma da fuoco abbandonata sul terreno. La presi in mano e al volo recuperai l'anello dalla tasca dei miei pantaloni. La canna della pistola non sembrava molto larga, ma l'anello doveva entrare a tutti i costi, era l'unica possibilità che avevamo. Feci un movimento rapido e tirai un sospiro di sollievo vedendo l'oggetto argentato entrare senza problemi.

-Ok, ce l'ho. Ti consiglio di toglierti dalla linea di tiro se non vuoi perdere un braccio-

avvisai

-Hai mai sparato in vita tua prima d'ora?-

chiese il mio compagno di avventure scansandosi e lasciandomi la visuale completamente libera sul mostro. Di tutta risposta io mi imposi di non tremare, caricai il colpo e con lo sguardo dritto verso la creatura che ormai mi aveva stancata risposi un secco

-No-

e sparai.

 

Angolo Autrice

Salve gente! Lo so, nella vita reale un anello non potrebbe MAI entrare in una canna di una pistola, ma...dettagli secondari! Qui tutto è possibile! Se avete mai visto il film "La leggenda del cacciatore di vampiri" avrete sicuramente compreso la scena che cito in questo capitolo, se non è così vi consiglio di vederlo! Io lo trovo un film molto bello :) Comunque spero come al solito che il capitolo vi piaccia e...mi raccomando, recensite!

Baci 

Fre<3   

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Capitolo 8
*** Scopro le mie origini ***


Il colpo provocò un foro proprio al centro dell'enorme testa verdastra del mostro che cadde all'indietro e si dissolse riducendosi in polvere prima di toccare l'asfalto.

I cinque secondi successivi furono un turbinio di emozioni e scariche di adrenalina.

-Si! Headshot bitch! Dico hai visto? Ho sparato con una pistola e ho ucciso un mostro! Wow, mi sento come se avessi bevuto trenta tazze di tè in un sorso solo-

-Caffè vorrai dire-

cercò di correggermi Di Angelo

-No, quella roba mi fa schifo. Intendo proprio tè. Comunque ora sei libero di esprimere la tua immensa gratitudine verso di me-

mi pavoneggiai. Mi sentivo una forza dentro del tutto nuova, ma piacevole. Come se fosse stata lì da sempre, ma non l'avessi mai tirata fuori prima.

-Lo farò solo quando riavrò il mio anello-

-Certo che sei fissato! Ricordati che mi devi un favore-

cantilenai raccogliendo l'anello da terra e restituendoglielo

-E perché mai? Sentiamo-

-Beh, tu mi hai salvata due volte: con Rody e infilzando il mostro con la tua spada. Ma io ti ho salvato la vita tre volte: scansandoti dagli artigli della Viverna, dandoti il coperchio del cassonetto come scudo e con il mio brillante piano. Quindi sei in debito-

spiegai fiera.

-Evviva, proprio quello che mi serviva. Essere il debitore di una stramba-

-Se non fosse per questa stramba, saresti già nella tomba, mio caro zombie!-

replicai

-Senza di me, il tuo folle piano non sarebbe servito proprio ad un bel niente-

mi fece osservare

-Dettagli-

brontolai.

Diedi una veloce ripulita ai miei abiti, poi assunsi un'espressione seria e domandai

-Pensi che ora possa sapere qualcosa di più riguardo tutta questa storia?-

-Certo, sono qui apposta-

rispose

-Ma prima dobbiamo raggiungere tuo padre-

-Ottima idea-

concordai. Non vedevo l'ora di riabbracciarlo e ritrovare un po' di serenità.

Camminammo a passo lento l'uno accanto all'altra silenziosamente fino al mio palazzo. Ancora non riuscivo a capire come Nico sapesse dove abitavo o come conoscesse mio padre, ma sentivo che varcata la porta del mio modesto appartamento avrei avuto le idee più chiare.

Non appena fummo all'ingresso, papà mi arrivò addosso come un uragano stritolandomi e parlando a raffica, come succedeva quando era nervoso.

-Iris tesoro, tutto bene? Sei ferita? Ti gira la testa? Come mai hai tardato tanto? Cos'è successo?-

-Papà calma! Sono ancora viva, tranquillo. E poi c'era questo ragazzo con me, ci ha pensato lui a proteggermi-

lo rassicurai facendo un cenno verso il mio conoscente che guardò il mio genitore adottivo come se fosse una specie di idolo o roba del genere.

-Salve signore, io mi chiamo Nico. Voglio dirle soltanto che è davvero un onore poter conoscere un eroe come lei-

dichiarò Di Angelo agitato.

Non avevo la più pallida idea di che cosa intendeva dire con quella fase esattamente.

-Tu devi essere il custode di Iris. Al campo mi avevano avvisato che avrebbero mandato qualcuno per tenerla al sicuro. Sinceramente mi aspettavo un satiro-

-E invece la scocciatura è toccata a me. Le hanno mai detto che ha una figlia estremamente irritante? Lei deve essere un santo per riuscire a sopportarla ogni giorno della sua vita-

ammise il ragazzo.

Mio padre si mise a ridacchiare.

-Lo so, non ascolta mai nessuno ed è parecchio testarda-

-Hey! Io sono qui sapete!-

li rimproverai incrociando le braccia offesa

-Scusaci piccola mia. Probabilmente ora sarai confusa vero?-

-Più che confusa. Non ci sto capendo nulla-

precisai.

Papà mi accarezzò una guancia teneramente, poi guardandomi negli occhi con un dolce sorriso mi disse

-Allora lascia che ti spieghi. Quando ti ripeto in continuazione che sei speciale è la verità-

-Che vuoi dire?-

chiesi

-Iris, tu non sei una mortale. Sei una mezzosangue-

-E che significa? È una nuova malattia? Sono una specie di aliena o cose del genere?-

-Significa-

proseguì Nico

-Che uno dei tuoi genitori è un dio greco-.

Per una manciata di secondi restai con lo sguardo perso a fissare il pavimento, poi guardai Di Angelo come se fosse pazzo, cosa che sospettavo fortemente.

-Ma questa cosa non ha senso! Io nemmeno li ho i genitori, voglio dire, dei genitori naturali-

feci notare

-Ti sbagli. Uno ce l'hai-

confessò mio padre

-Sentite, questa storia è troppo assurda perfino per me. Non riesco più a capire se sto semplicemente diventando matta oppure se i matti qui siete voi!-

sbottai gesticolando.

Nico mi guardò serio

-So che sembra folle, ma ti assicuro che è tutto vero-

-Quindi io avrei un genitore divino? E sarei una specie di incrocio fra un essere umano ed un dio?-

-Proprio così-

confermò.

A quel punto mi colpì un dubbio tremendo.

-Tu lo sapevi vero papà? Lo hai sempre saputo-

tirai ad indovinare voltandomi verso di lui. Evitava di incrociare il mio sguardo e teneva la testa bassa.

-Sì, bambina-

-Perché non mi hai mai detto la verità?-

sbraitai furiosa tutto ad un tratto

-Per anni ho creduto di avere delle strane visioni, di essere una specie di psicopatica e invece tutto ciò che vedevo era reale. Tutti quei mostri e quei sogni senza alcun significato erano veri?-.

Stavo per mettermi a piangere. Mi ero sempre sentita in colpa per i continui traslochi e per le mie stranezze. Cominciavo a pensare che mio padre si vergognasse di me, invece era a conoscenza di tutto e mi aveva sempre tenuta all'oscuro facendomi credere di avere qualche strano disturbo mentale. Mi sentivo tradita, l'unica persona di cui mi fidavo al mondo mi aveva mentito per tantissimi anni. Troppi.

-Ti prego amore mio non piangere. Se ho aspettato fino ad ora per raccontarti tutto è stato solo per il tuo bene. Quando ti ho preso con me eri così piccola, non potevo permettermi di lasciarti un peso talmente grande sulle spalle. Ora sei cresciuta e sono sicuro che riuscirai a comprendere quello che ti stiamo dicendo-

spiegò prendendomi il mento per tirarmi su il viso.

-Tuo padre, il tuo vero padre, è un dio dell'Olimpo, Iris. Lo dovevi sapere prima o poi-.

Continuai a guardarlo sconvolta e scioccata per una manciata di minuti con gli occhi lucidi.

-Oh vorrei tanto poterti credere, ma non ci riesco più-

ammisi allontanandomi da lui e voltandomi dall'altro lato

-Non so più chi sono, da dove vengo, cosa sono. Non sono più nemmeno certa che il mio vero nome sia Iris-

-Su questo puoi stare tranquilla, il tuo nome è Iris. È stata tua madre in persona a dartelo, in onore del suo fiore preferito-.

A quelle parole mi voltai di scatto

-Come fai a sapere che è stata la mamma a darmelo?-

chiesi sbigottita

-Perché io ero presente in quel momento-

-Vuoi dire che...-

-Esatto. Io conoscevo tua madre-

rivelò.

Dopo quella notizia non riuscii più a trattenermi e lacrime amare mi rigarono le guance. Ero letteralmente senza fiato.

-Non è possibile. Dopo tutti questi anni, dopo le continue ricerche sul suo conto tu sapevi ogni cosa?-

-Vedi tesoro, tua madre era un'eroina. Per l'esattezza era la discendente di Latona, madre di Artemide e Apollo. Anche io sono un eroe. Discendo da Admeto, antico re di Fere. Noi cosiddetti “eroi genealogici” non siamo molto diffusi e ovviamente non abbiamo le capacità o i poteri dei semidei. Alcuni di noi possono al massimo avere il dono della divinazione, anche se limitato, ma questo non è il mio caso. Siamo solamente mortali imparentati con figure conosciute della mitologia greca, in grado di vedere attraverso la Foschia e combattere discretamente-

disse, come se io sapessi cosa diamine fosse la Foschia!

-Discretamente?!-

ripeté incredulo Nico

-Non scherzi signor Ryx! Le sue imprese sono ancora molto famose fra i mezzosangue. Pur essendo un comune mortale, senza offesa ovviamente, non esita a scendere sul campo di battaglia. La sua abilità ed il suo coraggio sono straordinari! Degni di un vero eroe-.

Papà si mise una mano dietro la nuca facendo una risatina imbarazzata

-Ti ringrazio per i complimenti ragazzo, ma ormai non sono più quello di una volta. Sto diventando troppo vecchio per queste faccende. Al momento, più che in battaglia, preferisco andare a svolgere le mie ricerche scientifiche-

-Nico, perché hai chiamato mio padre signor Ryx?-

chiesi dubbiosa

-Ecco...-

mormorò lui con l'aria di chi ha appena fatto un gran casino.

Angolo autrice 

Eccomi qua! Ritorno alla grande con questo nuovo capitolo, Stiamo entrando sempre di più nel vivo della storia, ma le sorprese non sono certo finite qui. Ben presto altri misteri verranno svelati e altre cose abbastanza stare succederanno ad Iris. Se volete scoprire di cosa sto parlando, non vi resta che continuare a seguire <3 

Ringrazio tantissimo tutte le persone che recensiscono e leggono la mia storia, vi adoro :3

Nell'angolo autrice del prossimo capitolo potrebbe uscire un piccolo bonus, ma non voglio spoilerare nulla, quindi alla prossima!

Baci 

Fre<3 

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Capitolo 9
*** Mio padre si rivela un eroe e non solo... ***


-Quando venisti al mondo, tua madre ti amò fin dal primo istante. Eri la bambina più bella che avessi mai visto-

cominciò a raccontare mio padre.

-Io e lei siamo stati grandi amici fin dall'adolescenza. Eravamo colleghi, compagni d'armi e andavamo sempre in missione insieme. Dopo il tuo arrivo, la sua vita fu invasa da un'ondata di gioia indescrivibile, ma purtroppo non durò a lungo-

-Ti riferisci alla morte della mamma, vero?-

domandai

-Esatto, ma di questo non sarò io a parlarti-

rispose amareggiato e triste

-Lei mi fece promettere che avrei avuto cura di te. Accettai di crescerti come figlia mia. Sembrava andasse tutto bene, poi però successero molte cose e per un periodo di tempo riuscirono a strapparti a me facendomi perdere le tue tracce e portandoti via addirittura dall'Italia. Ci misi la bellezza di cinque anni a ritrovarti come già sai. Dopo che ti adottai legalmente a tutti gli effetti tenni fede alla mia promessa e feci tutto ciò che era in mio potere per farti crescere felice e in salute. Sapevo che questo giorno sarebbe arrivato, per questo ti ho preparata ad affrontarlo nel migliore dei modi. Tu sei forte Iris, più di quanto pensi-

mi incitò prendendomi le mani

-Ho pensato che sarebbe stato più facile per te se io avessi preso il cognome di tua madre. Lei si chiamava Delia, Delia Luna ed era una donna magnifica sotto ogni punto di vista-

terminò.

-Quindi ecco la verità, io non sono altro che una stupida promessa per te, non è così? Chissà quanti guai indesiderati devo averti procurato-

dissi con la voce rotta dal pianto

-Ma che stai dicendo piccola? Tu non sei mai stata una stupida promessa né un peso per me. Tu sei mia figlia ed io ti amo come nessun altro al mondo, ti ho sempre voluto bene e te ne vorrò sempre-

mi contraddisse lui

-Come faccio a credere alle tue parole? Conoscevi mia madre e non me lo hai mai detto, sapevi che non ero mortale e non mi hai detto nemmeno quello. Sei mai stato sincero con me almeno una sola volta durante gli anni che abbiamo passato insieme?-

lo accusai

-Ascolta, tutto quello che ho fatto, ogni singola scelta presa, era per te. Temevo di perderti raccontandoti tutto troppo presto. Pensavo che non mi avresti più voluto come padre, che saresti scappata di casa, sola, in balia di mille pericoli...pensavo che mi avresti odiato-

mormorò affranto

-Non potrei mai odiarti-

confessai

-Lo so-.

Ero sollevata, finalmente i tasselli del puzzle trovavano il loro legittimo posto, ma mi sentivo ugualmente ingannata e ferita per le bugie che mi erano state dette.

-Ascoltami lupacchiotta, non devi per forza accettare tutto questo immediatamente, prenditi il tempo che ti serve per rifletterci su. Mi hai chiesto se ti abbia mai detto la verità. Ecco l'unica verità che resterà eterna e alla quale potrai sempre credere: io ti voglio bene, Iris. Da quando sei entrata nella mia vita mi hai insegnato tantissime cose, la tua allegria e la tua grinta mi hanno reso un uomo migliore. Sei la cosa più bella che mi sia mai successa, un vero e proprio dono che mi è stato concesso dagli dei-.

Adoravo quando mi chiamava “lupacchiotta” e quel discorso mi aveva fatto tornare la fiducia in lui annullando qualsiasi menzogna. Una cosa era certa, lui era sempre mio padre ed io lo adoravo.

-Anche io ti voglio bene papà!-

dissi singhiozzando e saltandogli al collo per abbracciarlo forte

-Su su piccola, è tutto a posto-

mi sussurrò lui accarezzandomi i capelli.

-D'ora in poi ti prometto solo risposte sincere-

-Davvero?-

chiesi ancora scossa dal pianto

-Hey, la mia parola-

disse mio padre portandosi un dito sulle labbra

-La mia fiducia-

continuai incrociando le braccia come per un abbraccio

-Il mio cuore-

proseguì lui portandosi la mano sul cuore

-I miei pensieri-

terminai puntandomi un dito sulla fronte, poi arrivò il finale.

-Io-

cominciò mio padre con una mano sul petto

-Credo-

dissi io con la mano a pugno

-In te-

mormorammo insieme indicandoci a vicenda.

Era la nostra promessa, la facevamo sempre quando eravamo costretti a separarci per ricordarci a vicenda che ci saremmo sempre stati l'uno per l'altra.

Velocemente mi asciugai le lacrime e senza perdere tempo domandai

-Allora sei una specie di star, eh papà?-

-Beh, io non mi definirei proprio una star-

rispose lui, le sue guance diventarono rossicce.

-La smetta di fare il modesto signor Ryx, lei è davvero forte, mi creda-

ribadì per la terza volta Nico. Era strano pensare a papà come ad uno di quei divi che si vedono spesso in televisione circondato da fan adoranti, tappeti rossi e paparazzi. Non ce lo vedevo proprio, specie perché a lui non era mai piaciuto mettersi in mostra e la popolarità non gli interessava affatto.

-Quindi il tuo vero nome è...?-

continuai io in attesa di scoprirlo

-Oliverius, Oliverius Ryx bambina-

si annunciò facendomi l'occhiolino

-Oliverius Ryx l'eroe...alla faccia di Oliver Luna l'astrofisico!-

scherzai con un sorriso incoraggiante che regalò una particolare luce agli occhi di mio padre.

-E tu zombie? Anche tu sei un eroe?-

chiesi rivolta a Di Angelo

-Quasi. Io sono un semidio, come te-

spiegò

-Sul serio? Tu saresti divino? Siamo messi bene-

lo stuzzicai

-Simpatica come al solito-

ribatté lui sbuffando

-Sono curiosa, di chi sei il figlio?-

-Ecco...io preferirei non dirlo-

rispose

-Di solito la gente mi guarda con occhi molto diversi dopo averlo scoperto-

continuò.

Immaginai che forse non gli andava molto a genio il suo genitore divino, ma iniziai anche a comprendere che doveva essere una cosa comune fra i semidei. Dopotutto non era facile riuscire a voler bene a quelle stesse persone che se ne stavano comode a guardare abbandonando i loro figli e lasciandoli soli a combattere. Io stessa, pur non conoscendo ancora l'identità di mio padre, già lo odiavo.

-Andiamo! Prometto che non ti giudicherò-

cercai di convincerlo

-Mio padre...-

iniziò a dire, poi si bloccò

-Sì?-

lo invitai a continuare

-Mio padre è Ade. Io sono figlio del dio dei morti-

rivelò alla fine.

Avrei dovuto capirlo. Aveva tutti quegli oggetti a tema scheletro e i quei “felicissimi indumenti pieni di colori vivi” come il nero, il marrone scuro e il grigio. Per non parlare poi del suo innato senso dell'umorismo e dei suoi modi così amabili pari a quelli di un cactus spinoso.

Non riuscivo ancora a comprendere cosa ci fosse di tanto tremendo nell'essere figlio del dio degli Inferi.

Papà s'irrigidì un poco dopo quella notizia, ma non ci feci molto caso.

-Non mi sorprende-

commentai infine dopo averlo squadrato per bene scoprendo particolari sul suo conto che mi erano sfuggiti in precedenza.

-Tu invece potresti essere benissimo figlia di Ares. Sei talmente cocciuta ed impulsiva! Senza contare le tue “raffinatissime maniere”-

-Abbiamo finito con i complimenti?-

lo ripresi alzando un sopracciglio

-Il tuo custode qui ti darà del filo da torcere-

mi avvertì mio padre. Non capivo se stesse scherzando o meno, il suo tono in realtà sembrava parecchio serio.

“Nemmeno fra un milione di anni” pensai io alzando gli occhi al cielo.

-Ora, mi pare abbiate parlato di un certo campo o sbaglio?-

ripresi

-Il Campo Mezzosangue. Quello è l'unico luogo dove quelli come noi possono essere addestrati a difendersi e restare al sicuro dai mostri-

precisò Nico

-Sembra carino-

commentai. Francamente ero stufa dei mostri, ne avevo incontrati troppi in così pochi giorni.

-Dobbiamo andarci subito, prima di diventare lo spuntino di qual...-.

Il figlio di Ade non riuscì a finire la frase, perché proprio in quel momento piombò giù dal cielo frantumando la finestra della cucina l'ennesimo uccellaccio assassino.

Somigliava ad una gru gigantesca. I suoi artigli, le piume ed il becco erano di bronzo e non sembrava proprio voler stringere amicizia.

-Ma scherziamo? Adesso non si può stare tranquilli nemmeno a casa propria a quanto pare!-

esclamai adirata, non ne potevo più di correre da tutte le parti per salvarmi la pelle.

Nico riprese in mano la sua arma preparandosi a combattere di nuovo, ma mio padre lo tirò indietro dicendo

-Lascia fare a me questa volta, ragazzo-.

Si sfilò un anello che portava sempre al dito, un comune anello d'acciaio, simile quasi ad una fede nuziale, con delle incisioni astratte in bronzo sopra. L'eroe Oliverius fece ruotare la parte superiore congiungendola a quella inferiore formando così da quei simboli insensati delle scritte in greco che sbloccarono un meccanismo nascosto facendo diventare quell'anello una spada d'acciaio con la lama affilatissima che presentava delle onde bronzee su tutta la superficie. Non riuscivo a spiegarmi come, ma ero stata perfettamente in grado di leggere le parole comparse qualche attimo prima sull'accessorio: “δικαιοσύνη, την πίστη και το θάρρος”. Giustizia, lealtà e coraggio.

-Ok, questa non me l'aspettavo-

ammisi ancora incredula.

Immaginatevi vostro padre che da un anello tira fuori una spada d'acciaio, non capita di certo tutti i giorni.

-E ora a noi due, uccello del lago Stinfalo-

-Cosa? Quel coso è uno di quei volatili sconfitti da Eracle?-

domandai ricordando un mito a riguardo

-Proprio quello, tesoro-

rispose lui avanzando e facendo roteare la spada.

Il mostro si rimise in piedi dopo la picchiata e ci scrutò con i suoi occhietti maligni avanzando.

-Papà, non mi sembra una buona idea sai?-

-Oh, sciocchezze piccola, il tuo papà sa quello che fa-

mi rassicurò tentando direttamente un affondo che però non andò a segno e fece arrabbiare la gru gigante che raddrizzò le sue piume e le scagliò contro di noi come dardi.

-Giù!-

urlò Nico gettandomi a terra.

Passata la raffica fui felice di vedere che mio padre ci aveva imitati rimanendo incolume all'attacco.

-Sarà più difficile del previsto temo-

osservò ripartendo all'attacco.

In quel momento mi sentivo del tutto inutile, non potevo fare altro che restarmene a guardare la battaglia urlando consigli a mio padre di tanto in tanto.

Il volatile si stancò presto del suo avversario e con un movimento d'ali improvviso riuscì a disarmare papà che indietreggiò lentamente cercando una via d'uscita.

L'essere tentò di trapassare il suo stomaco con l'aguzzo becco di bronzo, ma prima che potesse riuscirci successe una cosa ancora più folle della spada-anello: Fenrir, il mio cane lupo, diventò alto più meno due metri e grosso quanto un furgoncino dei gelati. Con un balzo azzannò il collo della creatura costringendola a ritrarsi.

Dopo quella novità sapevo che nient'altro mi avrebbe mai stupita a tal punto.

-Che è successo a Fenrir?!-

sbraitai scioccata

-Beh, ora sai perché mangia così tanto-

cercò di sdrammatizzare mio padre mentre si alzava dal pavimento dopo essere caduto durante la lotta fra il mio animale domestico e quell'uccello malvagio.

Fenrir se la cavò alla grande e sperai vivamente che vincesse quella sfida.

-Non avevo mai visto un esemplare del genere prima. Credo che sia l'unico esistente-

pensò ad alta voce Di Angelo

-Ti dispiacerebbe spiegarlo anche a me-.

Frasi come quella erano all'ordine del giorno ormai.

-Il tuo caro Fenrir è l'unico incrocio esistente fra un lupo grigio dei boschi ed un segugio infernale-

Quella notizia vinceva il premio come la più assurda di tutte.

 

Angolo Autrice

Ciao a tutti! Spero che questo capitolo vi piaccia, stiamo entrando sempre di più nel vivo della storia! Come promesso ecco qui la sorpresina: uno schizzo di Iris realizzato da me :) Fatemi sapere che ne pensate! Io nella mia mente me la sono immaginata così

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Devo ammettere che è forse il mio personaggio inventato alla quale mi sono affezionata di più. Per certi aspetti mi somiglia molto, mentre per altri mi sono ispirata ad un tipo di carattere che ho sempre desiderato avere. Cambiando discorso domani è il compleanno di mio papà...YEEEEEE! XD 

Potrei anche decidere di pubblicare un capitolo molto presto, in caso datemi un consiglio su quale giorno della settimana preferite che io pubblichi e cercherò di accontentarvi ;) 

Ora vado che vi ho annoiato anche troppo, baci!

Fre<3 

 

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Capitolo 10
*** L'orfanotrofio infernale ***


Andava tutto per il meglio, il mio cucciolo ringhiava e ci sapeva fare con gli artigli. Ero fiera di averlo addestrato io stessa pur non conoscendo la sua vera natura. La bestiaccia però si vendicò dei suoi morsi colpendolo ad una zampa con una delle sue piume-dardo, poi lo afferrò bruscamente con gli artigli e lo fece andare a sbattere contro il muro del salotto che per poco non venne giù insieme al tetto.

-Fenrir!-

gridai preoccupata, il mio cucciolo mi guardò uggiolando

-Adesso basta, è il mio turno!-

decisi avanzando a passo svelto

-Uo uo! Frena stramba. Al campo si aspettano di vederti arrivare tutta intera, non come mangime per uccelli giganti-

cercò di dissuadermi Nico

-Nessuno ha detto che perderò, ma non lo sapremo mai finché non proviamo giusto?-

-Tu sei pazza-

-Senti, sono una semidea giusto? E i semidei combattono! Quindi perché non ora? E non cercare di convincermi a mollare, non è nel mio stile-

-Tanto faresti di testa tua comunque-

osservò lui

-Esatto. Allora vuoi darmi una mano oppure vuoi startene lì impalato ancora per molto?-

-Vada per la mano-

sbuffò

-Ma solo perché non voglio dover trascinare il tuo cadavere fino al campo-.

Cercai di accedere alla mia “banca dati” e trovai un'informazione utile a distrarre il mostro

-Gli uccelli del lago Stinfalo non sopportano i suoni forti! Ne sono spaventati-

-Ricevuto-

rispose il mio compagno afferrando una pentola dal lavello della cucina e cominciando a sbatterla contro la sua spada. Non appena la creatura udì il fracasso assordante stridette stordita e disorientata, io ne approfittai per prendere la rincorsa e scivolare sotto le sue zampacce indisturbata. Mi fiondai in camera ed afferrai il mio arco per poi tornarmene dritta in salotto ritrovandomi proprio alle spalle della bestia. Incoccai una freccia e mi preparai a tirare cercando di mantenere un certo controllo per limitare al minimo il mio margine d'errore. Riuscii a colpire la creatura al collo, ma questo non bastò a fermarla.

L'uccellaccio si voltò verso di me e, dopo aver emesso il suo verso stridulo, infuriato cercò di colpirmi con una delle sue piume taglienti dritta allo stomaco. Compreso il suo intento, tentai di scansarmi il più velocemente possibile gettandomi da un lato, ma fui comunque ferita al fianco. All'inizio non sentii nulla, poi il dolore mi investì come un tir ai cento all'ora in autostrada. Sembrava che la mia pelle stesse andando a fuoco e la mia vista si era appannata.

Sul volto orrendo del mostro comparve un lampo maligno simile ad uno sguardo trionfante e compiaciuto. Il sapore di vittoria, e di mezzosangue, erano molto vicini ai suoi occhi.

Tentai di ricompormi come meglio potevo e liberai la mente concentrandomi sullo spazio che mi circondava. La fortuna stava cominciando a girare anche a mio favore. A pochi passi da me vidi la spada di mio padre ancora abbandonata a terra. Se fossi riuscita a recuperarla in tempo, sarei stata in grado di battere quel pennuto.

L'essere, che mi si era parato davanti senza lasciarmi alcuna via di fuga, si gettò verso di me con il becco aperto in attesa di divorarmi. Io, vincendo la sofferenza che provavo a causa della mia ferita, rotolai verso sinistra, impugnai la spada di papà e con un rapido scatto trapassai la gola dell'uccello che si polverizzò come aveva fatto la Viverna prima di lui.

Dopo aver ripreso fiato, feci scivolare via dalla mia mano l'arma e caddi mentre tutto attorno a me divenne buio pesto.

Cominciai a sognare. Vidi me da piccola, all'età di due anni. Mi si presentò davanti la scena del primo giorno in cui arrivai in quel dannato posto. I servizi sociali mi abbandonarono sulla soglia di un enorme cancello in ferro battuto, dove sulla parte superiore era possibile leggere “Orfanotrofio Femminile Calligan”. Non capivo bene cosa stesse succedendo, dopotutto ero ancora piccola, ma mi sembrava di essere finita in un film horror e ricordai di aver avuto l'irrefrenabile desiderio di darmela a gambe e correre verso la più vicina traccia di civiltà. Anche se l'avessi fatto, ci sarebbero voluti come minimo dieci giorni per scorgere almeno un casolare o qualcosa di simile, dato che l'edificio era sperduto nel bel mezzo del deserto in New Mexico. Presi un respiro profondo e mi imposi di avanzare, ignorando il gracchiare dei corvi alle mie spalle appollaiati sui rami secchi di qualche albero ormai morto nel giardino spettrale della tenuta. Con una mano reggevo la mia valigia quasi vuota. Non possedevo molte cose, solo qualche vestito, della biancheria e due paia di calzini. Nell'altra mano stringevo la zampa del mio orsacchiotto, Yubi. A detta dei servizi sociali, quel peluche era l'unica cosa che erano riusciti a recuperare dagli averi di mia madre. Sul suo piede vi era ricamata una I, quindi mi piaceva pensare che quell'orsetto lo avesse comprato lei stessa per me. Era molto importante, la sola cosa che mi restava di lei, di noi. Non so perché, forse fu il mio sesto senso, ma decisi di infilare il mio amico peloso in valigia con il resto. Certe cose tanto preziose era meglio tenerle nascoste.

Quando giunsi davanti al portone di legno, posai la mia valigia a terra e bussai con colpi decisi in attesa di una risposta. L'entrata si aprì lentamente creando una corrente d'aria che spazzò via una nube scura di polvere e ragnatele. In piedi sull'uscio c'era una donna dall'aria severa, i capelli rigorosamente tirati all'indietro in uno chignon, un tailleur color grigio topo ed un enorme neo proprio sulla punta del naso aquilino. Quest'ultima mi guardò dall'alto in basso con uno sguardo carico di odio e disgusto, poi si limitò a dirmi schietta

-Beh? Vogliamo stare sulla porta tutto il giorno ragazzina?! Presentati invece di rimanere lì muta come un pesce!-

-Io sono Iris-

balbettai spaventata porgendole una lettera che mi aveva dato il tribunale per lei. La donna me la strappò bruscamente dalle mani, aprì la busta e si mise a leggere con un volto inespressivo. Terminata la sua rapida lettura, mi guardò di nuovo e si presentò

-Io sono Miss Calligan, puoi chiamarmi Madame, se la cosa ti aggrada maggiormente-.

Miss Calligan mi fece fare un rapido giro dell'orfanotrofio lasciando per ultimo il mio letto nel dormitorio.

-Questa sarà la tua sistemazione. Ti avverto piccola peste, qui non tolleriamo i ladruncoli, i fuggitivi, i petulanti e soprattutto i combina guai! Quindi vedi di rigare dritto signorina, altrimenti sarà quello il tuo nuovo posto!-

mi minacciò indicando una stanza in fondo al corridoio proprio di fronte al dormitorio: la stanza dell'isolamento.

Avrei ricordato quella stanza per il resto della mia vita.

Dopo l'avvertimento, la Calligan si volatilizzò sbattendo la porta alle sue spalle.

Guardai rassegnata il vecchio materasso a molle con sopra una di quelle coperte che facevano venire l'orticaria e, dopo aver sospirato, misi la mia valigia sotto al letto.

Attorno a me c'erano un sacco di altre bambine. Erano quasi tutte più grandi di me, ma avevano la mia stessa espressione sconsolata, persa ed impaurita. Una di loro mi si avvicinò e chiese curiosa

-Tu sei quella nuova? Sei così piccola! Da dove vieni?-.

Avrà avuto più o meno quattro anni. Aveva lunghi capelli biondi, occhi azzurri come il cielo ed un sorriso caloroso e rassicurante. Dato che ormai era scesa la notte, indossava una camicia da notte bianca con tante macchie blu simili a quelle di un leopardo stampate sopra.

-Italia, credo-

mormorai. Non avevo molta voglia di fare amicizia, ma non risponderle sarebbe stato maleducato.

-Io non so neanche dove sia quel posto. Per caso è quello dove fanno la pizza?-

-Non so-

tagliai corto. Malgrado la mia dislessia, riuscivo a parlare piuttosto bene anche se le mie frasi non erano quasi mai più lunghe di due o tre parole. Diciamo solo che non ero proprio quel che si dice una gran chiacchierona. La mia mente era così piena di pensieri, che mi risultava difficile esprimermi a voce.

-Io mi chiamo Mindy-

si presentò la bambina tendendo la mano

-Iris-

risposi stringendogliela

-Bel nome Iris! Mi piace!-

si complimentò.

-Senti, vorrei dirti che qui ti troverai bene, ma ti direi una grossa bugia. Hai già incontrato Miss Calligan?-

annuii ripensando a quella strega. Non mi piaceva per niente.

-Fai molta attenzione con lei, è una donna cattiva. Ci tratta come schiave e ci fa mangiare solo gli avanzi delle sue cene per gente raffinata-

mi avvertì Mindy.

Mi immaginai la Calligan intenta a mescolare una brodaglia verde dentro ad un enorme pentolone pronta a cucinare qualcuna delle sue vittime. Scacciai quel pensiero al più presto e controllai di avere tutto ancora in valigia, specie Yubi. Quando Mindy lo vide sbarrò gli occhi incredula

-Quello è davvero un orsacchiotto?-

annuii di nuovo

-Wow! Non ne vedevo uno da un sacco di tempo! Però ti conviene tenerlo nascosto, se la Diavolessa lo scopre di sicuro te lo poterà via. I giocattoli qui sono proibiti-

-Diavolessa?-

ripetei confusa

-Sì, è così che tutte noi chiamiamo la Calligan quando lei non c'è. È un nome che la rappresenta, non pensi anche tu?-

per la terza volta annuii chiudendo il più velocemente possibile il mio bagaglio. Non avrei permesso a nessuno di portarmi via il mio Yubi, mai.

-Ma tu sai solo annuire e basta?-

chiese la piccola con un sorriso divertito. Ovviamente io, non sapendo cosa dire, feci un cenno di assenso.

-Beh, ora sarà meglio andare a letto. Il coprifuoco scade fra poco e domani ci aspetta una giornata mooolto lunga-

disse la biondina dirigendosi verso il suo materasso. Io non avevo alcuna voglia di dormire, ma mi sorpresi a sbadigliare. Il lungo viaggio probabilmente mi aveva stancata. Mi arrampicai sul mio letto e, controvoglia, mi coprii con quella coperta orrenda ai piedi di quest'ultimo.

-Buonanotte-

mi salutò Mindy girandosi dall'altra parte.

Prima di provare a riposare guardai il cielo stellato, almeno quello era rimasto ancora straordinario come sempre. Quei piccoli luccichii mi facevano tornare un briciolo di speranza nel domani. Mi chiedevo se dall'altra parte del mondo qualcuno stesse guardando la luna e gli astri come me. Io, che non avevo nessuno e non possedevo quasi nulla, forse in quel momento condividevo un segreto notturno con un altro essere umano. Con questa speranza chiusi lentamente gli occhi e mi addormentai.

Quando mi risvegliai non ero all'orfanotrofio. Mi trovavo in una specie di strana casa piena di brandine e amache. Le pareti dorate erano quasi abbaglianti e dalle finestre penetravano caldi raggi solari accompagnati da una leggera brezza. Tentai di alzarmi, ma mi bloccai avvertendo una fitta al fianco. Mi tirai su il lembo della canotta e scoprii che la ferita causata dall'uccellaccio malefico era stata curata e disinfettata. Dove prima si poteva vedere il taglio profondo fatto dalla piuma dardo, ora vi erano delle candide bende. Rinunciai all'idea di saltare giù dalla brandina e mi rimisi apposto i vestiti come meglio potevo. Le avventurose battaglie contro i mostri avevano ridotto i miei indumenti a degli stracci logori e sporchi, ma non avevo alcun cambio con me, perciò mi dovevo accontentare. Con molta delicatezza riuscii per lo meno a mettermi seduta per guardarmi meglio intorno. Dove diamine ero finita? Prima che potessi tagliare la corda, cosa che non sarei stata in grado di fare comunque conciata com'ero, un ragazzo fece il suo ingresso dalla porta e mi guardò con un sorriso. Aveva dei folti capelli color biondo cenere che formavano una specie di onda laterale. I suoi occhi erano di un blu notte intenso e, guarda un po' te che coincidenza, aveva una piccola cicatrice sotto l'occhio destro. Niente a che vedere con la mia più marcata e lunga, ma comunque visibile. Mi chiesi come se l'era fatta, poi ricordai che avevo dubbi persino sul mio di sfregio personale, così ricordai a me stessa di chiedere spiegazioni più tardi a mio padre riguardo l'argomento.

-Finalmente ti sei svegliata, cominciavo a preoccuparmi. Sono passati già tre giorni ormai-

disse illuminando ancora di più la stanza con la sua dentatura perfetta e sfavillante. Stavo per scendere in modo da poterlo raggiungere, quando mi fece segno di fermarmi alzando le braccia

-Io ci andrei piano se fossi in te, hai preso una bella batosta-

-Chi sei tu? Dove mi trovo? Come sono arrivata qui?-

iniziai a chiedere senza nemmeno riprendere fiato tra una domanda e l'altra. Ero talmente confusa che mi venne il mal di testa. Tre giorni? Davvero ero rimasta lì immobile per tre giorni? Troppe emozioni per me, la mia mente non arrivava a sopportare tutto quello stress.

-Sta calma. Risponderò alle tue domande, ma prima è meglio se ti rimetti giù-

mi consigliò. Io mi sdraiai nuovamente senza discutere.

-Bene, io mi chiamo Sam, Sam Firejewel e sono figlio di Apollo. E...sì, lo so, il mio cognome è ridicolo, ma passiamo oltre ti prego-

-Anche tu sei un semidio quindi?-

-Sì-

confermò lui

-Io sono Iris Luna...Ryx, figlia di, beh, non lo so ancora-

risposi imbarazzata. Presentandomi mi sentii in dovere di aggiungere il vero cognome di papà per qualche ragione ignota pure a me. Decisi che da quel momento lo avrei fatto sempre.

-Quel Ryx? Stai dicendo che...-

-Il mio papà adottivo è Oliverius Ryx-

terminai al posto suo. Cavolo, allora era davvero un eroe famoso!

-Che fico!-

esclamò Sam

-Sì, si può dire di sì-

commentai senza sapere bene come comportarmi.

-Comunque è un piacere Iris, figlia di non lo so ancora-

scherzò lui stringendomi la mano con delicatezza. Persino la sua pelle al tatto emanava calore.

-Ho il piacere di informarla che in questo momento si trova al Campo Mezzosangue, più precisamente nella casa numero sette. Qui abitano tutti i figli del dio del sole-

disse con la voce da guida turistica.

-Perché casa numero sette? Ce ne sono altre sei in giro?-

-Veramente ce ne sono molte di più, una per ogni divinità dell'Olimpo. Inoltre da un po' di tempo si sono aggiunte altre case dedicate ai figli degli dei minori-

-Capisco-

in realtà non capivo un tubo, ma sarei sembrata stupida ad ammetterlo.

-Per quanto riguarda il tuo arrivo invece è stato Nico a portarti qui dopo l'incidente a casa tua con l'uccello del lago Stinfalo-

-Lui dov'è ora? Sta bene?-

non riuscivo a credere di averlo chiesto sul serio. Io che mi preoccupavo di quello? Dovevo aver sbattuto la testa da qualche parte, ma per un attimo mi sentii seriamente preoccupata. Insomma, era pur sempre un conoscente anche se odioso e mi aveva portata in salvo.

-Tranquilla, sta bene. Lo rivedrai presto, sempre che non se la sia già svignata come suo solito-

cercò di rassicurarmi

-Per ora è meglio che riposi un altro po'-

concluse dirigendosi verso la porta

-A proposito Iris-

aggiunse voltandosi verso di me

-Benvenuta al campo-

-Grazie-

risposi con un mormorio mettendomi a fissare il soffitto. Stavolta niente cielo stellato a darmi certezze o speranza nel domani. 

 

Angolo Autrice 

Salve gente! Finalmente siamo giunti al campo! Cosa succederà ora? Beh, non vi resta che aspettare per scoprirlo! A proposito, dato che d'ora in poi saranno presenti un bel po' di personaggi nuovi, tanto per darvi un'idea vi mostrerò più o meno come me li immagino. Sam per esempio io lo vedo così, ma senza il piercing e con la cicatrice sotto l'occhio (scusa Luke XD) 

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Cosa ne dite? 

Baci

Fre<3

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Capitolo 11
*** Inizia la mia nuova vita ***


Malgrado il consiglio di Sam non ero riuscita a chiudere occhio nemmeno per un secondo. Ero troppo nervosa e agitata per dormire.

Continuavo a guardarmi attorno cercando di studiare ogni cosa nel minimo dettaglio: ogni rumore, ogni colore, ogni oggetto, tutto. Era strano, ma a parte quell'oro e quella luce insistente sparsi in giro, non si stava poi così male in quella casa. Pensai che magari era Apollo il mio genitore divino, ma poi dopo una seconda riflessione scartai subito l'idea sperando di sbagliarmi. Insomma, se davvero fosse stato così, il dio avrebbe avuto una storia con la discendente della sua stessa madre, una sua lontana parente e la cosa mi provocava un senso di nausea rivoltante. Forse l'unica ragione per cui stavo bene lì dentro era proprio perché in un certo senso Apollo era il mio fratellastro, come lo era anche Artemide. Chissà se esistevano i figli della dea Artemide. Era sempre stata la mia preferita, però da ciò che sapevo sul suo conto aveva fatto voto di castità, quindi era improbabile che avesse una progenie. Doveva essere triste la sua casa, vuota e disabitata. Nonostante ciò, mi sarebbe piaciuto vederla.

Si potevano udire schiamazzi, risate, urla, suoni metallici e passi rapidi fra l'erba alta provenire da fuori. La mia immaginazione viaggiava come un treno. Cosa avrei trovato oltre quella porta? Pensarci mi dava un senso di agitazione, ma non era sufficiente a placare la mia curiosità. Essendo iperattiva, restarmene sdraiata per ore su una branda a fissare le pareti non era esattamente il mio forte. Avevo bisogno di uscire ad esplorare e soprattutto dovevo assolutamente sgranchirmi le gambe, mi si erano addormentati entrambi i piedi a furia di star ferma! Tenendomi una mano ben stretta sul fianco ferito cercai di sgattaiolare via, ma non appena spalancai l'uscio mi ritrovai davanti una ragazza con le mani sui fianchi che mi guardava con disapprovazione. Aveva occhi ambrati e lunghi capelli raccolti in una treccia disordinata. Portava degli shorts neri con una maglietta arancione. Ero certa che avesse la mia stessa età.

-Farai meglio a tornare dentro signorina-

mi suggerì

-Oh, ti prego lasciami andare! Sono stanca di starmene qui a non far niente-

la supplicai

-Facciamo così, prima ti cambio le bende, poi ti trovo qualcosa di pulito da metterti e vediamo-.

Finché la ragazza curava con la massima concentrazione il mio bendaggio, notai che la sua capigliatura era dello stesso identico biondo cenere di quella di Sam, così mi buttai azzardando

-Tu per caso sei la sorella di Sam Firejewel, il ragazzo che è venuto qui prima?-

-Indovinato. Mi chiamo Solaris, ma puoi chiamarmi Soly-

-Sai, somigli molto a tuo fratello-

-Me lo dicono in tanti-

rispose con una piccola smorfia. Non sembrava che la cosa le facesse molto piacere, ma evitai di approfondire la questione.

-Allora, Solaris Firejewel...-

-Per carità, non chiamarmi con quel cognome assurdo! Lo detesto-

si lamentò

-Va bene, Soly-

mi corressi

-Sei anche tu una figlia di Apollo quindi?-

-Sì, anche se a volte vorrei poter essere figlia di Ares. Non fraintendermi, adoro stare nella casa sette e tutto il resto, ma ho sempre ammirato le tecniche di combattimento tipiche dei figli del dio della guerra. Tu invece sei Iris giusto?-

annuii con un sorriso timido. Suo fratello le aveva parlato di me oppure il mio arrivo al campo era una specie di nuovo gossip che girava fra i mezzosangue? Sperai nella prima, non mi piaceva stare sotto i riflettori.

-Non hai ancora scoperto chi è il tuo genitore divino?-

-No, ma devo ammettere che la cosa comincia ad interessarmi. Prima non mi importava nulla di conoscere mio padre, io lo odio. Ha abbandonato me e la mamma-

-Credimi, tutti noi semidei condividiamo questo tuo pensiero nel nostro profondo, ma in fin dei conti che ci vuoi fare? Non abbiamo scelto noi di essere semi divini. Non avere i nostri genitori accanto ci provoca un enorme senso di rabbia, ma posso assicurarti che con il tempo passa. So che gli dei possono sembrare menefreghisti, superficiali ed egoisti, ma io sono convinta che vogliano veramente bene ai loro figli. Prendi mio padre per esempio. Quando avevo sette anni, stavo scappando da un Troll che mi inseguiva. Il mio custode, un ragazzo della casa di Ares, fu ferito gravemente. Ero disperata, non sapevo come aiutarlo, poi l'ho visto: all'interno di un tronco vuoto c'era l'arco più bello che avessi mai potuto immaginare. Era persino dorato. Solo grazie a quello sono riuscita a sconfiggere il mostro restando viva. Chi credi che me l'abbia mandato?-

-Tuo padre Apollo ti ha fatto dono di un arco d'oro?-

domandai esterrefatta

-Proprio così-

-E che n'è stato del tuo custode?-

la ragazza si irrigidì e per qualche secondo fissò il vuoto, come se stesse vivendo un flashback

-Non ce l'ha fatta-

-Mi dispiace-

mormorai tristemente mordendomi la lingua. La mia boccaccia!

-Almeno sono riuscita a riportare il suo corpo al campo dai suoi fratelli. Ha ricevuto i giusti onori e mi ha protetta fino all'ultimo respiro-

-Scommetto che è per questo che ammiri tanto i figli di Ares, giusto?-

-Sì-

confessò con un piccolo sorriso.

Per qualche minuto restammo in silenzio, come se stessimo aspettando che accadesse qualcosa. Non successe nulla di straordinario. Quando Solaris terminò di curarmi, mi mise fra le mani degli indumenti puliti e mi diede una leggera spinta verso il bagno in modo che potessi cambiarmi. Mi sfilai la canotta ed i jeans neri fatti a brandelli per sostituirli con un paio di shorts jeans decorati con piccoli strappi e borchie e la famosa maglia arancione che avevo visto non solo indosso a Soly, ma anche a Sam. La figlia di Apollo mi aveva spiegato che quella era la maglia del campo e che tutti lì la indossavano. Pensai subito fosse una cosa fortissima. C'era perfino scritta sopra la sigla CHB, che intuii stesse per Camp Half-Blood, geniale! Dato che i miei stivaletti non sarebbero serviti ad un granché, riuscii a farmi rimediare da Soly un paio di Converse alte rosse...le mie Converse alte rosse. Com'erano arrivate al campo per me restava ancora un mistero, ma avevo altro per la testa. Finalmente era giunto il momento di andare fuori!

-Sono pronta!-

esclamai avvicinandomi a Soly con una piroetta

-Niente male, sei favolosa-

mi assicurò

-Ora posso uscire?-

chiesi facendo gli occhioni da cucciola. A papà li facevo sempre, quindi ero allentata.

-Certo! Dato che non sappiamo ancora chi sia tuo padre, sarò io a farti da guida. Più tardi passeremo da Chirone, è il nostro istruttore. Infine ti presenterò al Signor D., il responsabile del campo-

-E mio padre? Non sai dove sia? Volevo tanto salutarlo-

-Mi spiace, ma non ne ho idea. Ti va bene se andiamo a cercarlo finito il giro?-

-Ok-

accettai.

Una vocina nella mia testa continuava a ripetermi insistentemente “E Nico? Non chiedi di lui? Non vuoi fargli sapere che stai bene?”, ma decisi che non lo avrei fatto. Anche il figlio di Ade poteva aspettare, visitare il campo era la sola cosa che mi interessava. E poi non ce lo vedevo proprio morto dalla preoccupazione di scoprire in che stato ero, anzi, probabilmente saltava dalla gioia senza di me fra i piedi. Solaris spalancò la porta così velocemente che quando la luce del sole mi investì dovetti coprirmi gli occhi con le mani per farli riabituare a quella illuminazione naturale.

Ciò che mi si presentò davanti era molto meglio di qualsiasi mia fantasia. Il campo era colmo di ragazzi di qualsiasi età che erano impegnati ognuno in varie discipline o allenamenti. Solaris mi mostrò un sacco di cose fantastiche come una parete da arrampicata perennemente sormontata dalla lava, un immenso campo di fragole con un profumo irresistibile, un laghetto con delle canoe, un poligono per il giavellotto, un campo di pallavolo e molto altro. I miei posti preferiti furono senza dubbio le stalle dove vi erano dei pegasi dolcissimi che non esitai ad accarezzare dopo un primo momento di incredulità e l'arena dove i mezzosangue si addestravano a combattere che mi ricordò la mia città natale, Verona. Il bosco mi attirò da subito, ma Soly mi avvisò di andarci sempre armata poiché quel posto brulicava di mostri. Inutile dire che quando scoprii del poligono di tiro con l'arco quasi svenni

-Va bene, io mi trasferisco qui! Voglio scagliare frecce per tutto il giorno!-

esultai saltellando e agitando le mani su e giù. Mio padre mi prendeva sempre in giro quando lo facevo e diceva che gli ricordavo un povero pollo impazzito che non riesce a rassegnarsi di non saper volare.

-Anche tu amante dell'arco?-

domandò la bionda accanto a me

-Stai scherzando?! L'arco è la mia vita! Devo ammettere che sono anche piuttosto brava-

-Allora un giorno dovrai sfidarmi-

propose

-Sono pronta quando ti pare-

-Hai altri interessi oltre all'arco, Iris?-

-In realtà adoro tutto ciò che è artistico e creativo, ma se dovessi scegliere, direi che la musica è la mia stessa essenza. Cantare per me è tutto e so anche suonare qualche strumento-

-Sei sicura di non essere figlia di Apollo anche tu?-

chiese inarcando un sopracciglio con un sorrisetto complice

-Oh, sì! O almeno spero di non esserlo. Mi piacerebbe molto averti come nuova sorella, ma vedi, mia madre era...-

-Come era?-

mi interruppe confusa

-Sì...io sono adottata. Mia madre è morta pochi giorni dopo la mia nascita e non ricordo quasi nulla di lei-

-Scusami Iris, io...-

prese a dire nervosa

-Tranquilla, ci ho fatto l'abitudine ormai. Comunque lei era un'eroina genealogica discendente da Latona, quindi sarebbe strano avere Apollo sia come fratellastro che come padre per me-

-Tu sei la sorellastra di Apollo?-

-Proprio così. Sono praticamente tua zia Soly-

osservai ridacchiando. Subito dopo rise anche lei. Era un'idea del tutto ridicola, ma buffissima.

-Va bene zietta-

disse la ragazza dopo aver ripreso fiato

-Se ti piace cantare, adorerai di certo questo-

terminò sfrecciando a tutta velocità verso un altro luogo. Dopo pochi metri mi ritrovai al centro di uno spettacolare anfiteatro che mi fece venire quasi i brividi.

-Wow-

fu l'unica cosa che mi uscì dalla bocca in quel momento

-Già-

concordò Soly. Dopo aver ispezionato tutte le aree, e dopo che fui tentata di non uscire mai più dalla stupefacente armeria del campo, ci dirigemmo verso quella che veniva chiamata la Casa Grande, dove i semidei si riunivano per le riunioni più importanti. Osservando quell'edificio più da vicino realizzai che era identico a quello comparso nello stesso sogno dove avevo visto Nico per la prima volta. La figlia di Apollo si accorse del mio stupore e cominciò ad agitarmi una mano davanti alla faccia facendomi tornare con i piedi per terra.

-Tutto ok, Iris? Sembravi incantata-

-Scusa, è che io in realtà, beh, non so come sia possibile, ma credo di aver già visto questo posto. Una volta è apparso nei miei sogni. Non credevo che esistesse veramente-

-Non preoccuparti, è del tutto normale. I sogni dei mezzosangue non sono mai solo semplici sogni, sono sempre cose come visioni o roba simile. In poche parole vedi cose che stanno accadendo o che sono accadute realmente oppure puoi ricevere dei messaggi tramite essi-

-Quindi quello che quel giorno ho sognato stava davvero succedendo?-

-Sì, è molto probabile-

confermò. Accidenti, quante cose che dovevo imparare sulla mia nuova vita.

 

Angolo Autrice

Ciao a tutti! Eccomi con un nuovo capitolo, spero non sia troppo lungo. Qui incontriamo Solaris, la sorellina di Sam. Questo personaggio mi è stato donato dalla cara Neko_chan14 che io ringrazio e abbraccio <3 Lei se la immagina così:

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Che ve ne pare? Vi piace? A me molto!

Alla prossima con un nuovo capitolo.

Baci 

Fre<3 

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Capitolo 12
*** La casa di Ermes? Aiutatemi! ***


Mi sembrava tutto completamente incasinato. A quel punto ero pronta a qualsiasi cosa, persino a vedere un rinoceronte verde a tre corna che ballava il tip tap. Mi chiesi se prima o poi mi sarei davvero abituata a quelle stranezze. Mi sembrava di essere in un bizzarro sogno e non ero per niente certa di volermi svegliare. Sentivo che c'era molto altro da sapere. 

-Iris, forza muoviti! Dobbiamo andare da Chirone adesso!-

mi chiamò Soly incamminandosi lungo la verdeggiante collina che ospitava il campo. Dopo aver contato fino a tre per riprendermi, come facevo di solito, le corsi dietro.

-Salve Chirone, come va?-

salutò la bionda. Di fronte a lei c'era un uomo con la barba ed i capelli castani. Ero un po' lontana dai due, così cercai di seguire la conversazione a distanza mentre riprendevo fiato. In salita il fianco faceva un male tremendo! 

-Buon pomeriggio Solaris, ti serve qualcosa?-

Quando parlò rimasi di sasso. La sua era la voce calda e gentile che avevo udito nel famoso sogno. Quindi era stato lui a mandarmi Nico? Non sapevo se ringraziarlo oppure dargli del pazzo. Avevo sentimenti contrastanti a riguardo. 

-In realtà sono venuta a presentarle una persona-

-Soly! Non correre così veloce, per favore. Ti ricordo che hai una ragazza ferita qui!-

La rimproverai indicandomi dopo averli raggiunti. Non avevo uno specchio, ma non mi serviva per sapere che sicuramente ero rossa come un pomodoro dallo sforzo. Lei mi ignorò e cingendomi le spalle con un braccio mi spinse in avanti dicendo

-Eccola qui! Chirone, le presento Iris-

-Sal...- 

inziai a dire, poi lo notai. Altro che rinoceronte verde! Quell'uomo era per metà un cavallo! Dalla vita in giù si presentava come uno stallone bianco. Ed io che da distante pensavo che fosse solo più alto della media. 

-Benvenuta. Scommetto che non te lo aspettavi, vero?-

-Lei è un centauro?-

-Esatto. Il mio nome è Chirone ed il mio compito è quello di addestrare gli eroi. Tu devi essere la figlia adottiva di Oliverius-

ipotizzò 

-Anche lei conosce mio padre?-

Ed era già la terza persona! Niente male, papà. 

-Tutti qui conoscono tuo padre, ma pochi possono dichiarare di conoscerlo personalmente. Io sono uno di quelli. Inoltre lui parla spesso di te, sapevo che un giorno saresti giunta qui da noi-

-Iris, ma è super! Perché non mi hai detto subito che sei stata adottata da Oliverius Ryx? Devi farmi fare un autografo assolutamente!-

saltò su Solaris. Un aggettivo: imbarazzante. Molto, molto imbarazzante.

-Sa dov'è mio padre adesso?-

Chiesi speranzosa di potergli parlare

-Purtroppo è dovuto partire subito per una missione importante- 

-Cosa? Senza nemmeno salutarmi? E dove sarebbe andato?-

mi sentivo un po' offesa. Capivo che erano passati tre giorni, ma di solito papà non se ne andava mai così, di punto in bianco! Almeno prima mi dava un abbraccio e mi diceva di fare la brava. 

-Sono spiacente, ma temo di non poterlo rivelare. Non stare troppo in pensiero per lui, sa il fatto suo. Se tutto va bene, sarà di ritorno fra qualche giorno-

rispose Chirone

-Oh, va bene-

mormorai delusa. Cominciarono a formarsi molte domande nella mia mente, per esempio "quando papà mi diceva che andava a svolgere ricerche in posti lontani oppure che andava a trovare dei colleghi di lavoro, ci andava veramente o era solo una copertura per andarsene in giro ad uccidere mostri e cose così?". Altre bugie, altre cose che non potevo sapere, altri dubbi. Non mi piaceva questa situazione. Pregai di poter rivedere mio padre il prima possibile.

-Iris, stai bene?-

chiese Solaris preoccupata. Ero contenta che fosse con me, speravo di diventare presto sua amica. All'esterno poteva sembrare un po' distaccata, ma in realtà aveva un cuore d'oro.

-Certo-

risposi con un sorriso. Non volevo che stesse in pena per me.

-Allora...per capire chi sia il mio genitore divino cosa si fa? Un quiz, un test o...-

Chirone rise. 

-No, nulla di tutto questo. Tuo padre ti riconoscerà mandandoti un segno-

-Che tipo di segno?-

chiesi. Immaginavo gli dei dell'Olimpo, ognuno con il suo personale timbrino provvisto del marchio di autenticazione pronto ad essere stampato sulla fronte del proprio figlio semidivino. 

-Sulla tua testa apparirà un simbolo che ci farà capire di chi sei la figlia. Strano però...-

-Strano cosa?-

"Parlate chiaro gente!" avrei voluto urlare, ma mi trattenni.

-Gli dei dovrebbero riconoscere i propri figli entro i loro tredici anni, ma tu ormai li hai sicuramente passati da un pezzo-

l'uomo-cavallo mi stava forse dando della vecchia?

-Forse si sono dimenticati di me. Dopotutto un di quelli lassù mi ha abbandonata quando ancora ero bambina, quindi non devo valere poi così tanto-

commentai con un velo di rabbia 

-Al contrario! Penso che ci sia in ballo qualcosa di più ampio ed elaborato. Ricorda, gli dei hanno sempre un piano-

disse.

-Ad ogni modo, finché non scoprirai chi è tuo padre, potrai sistemarti nella casa undici. Solaris, vuoi avere tu l'onore di scortare la nostra ospite a destinazione?-

-Con molto piacere-

esclamò Soly prendendomi a braccetto e conducendomi di nuovo in discesa.

-Casa undici...chi abita nella casa undici?-

-I figli del dio Ermes-

-Il messaggero degli dei?-

-Bingo!-

Non sembrava poi tanto male, eppure non mi convinceva molto. Ermes era anche il dio dei ladri dopotutto, chissà che razza di gente avrei trovato lì. Avrei dovuto sicuramente tenermi ben stretta la mia roba. 

-Ti avverto. I figli di Ermes sono dei ladruncoli cretini che si divertono a fare scherzi e ad infastidire la gente-

-Wow, grazie. Ora sì che mi sento molto meglio, Soly-

commentai ironicamente.

La casa in questione non aveva un bell'aspetto. Era vecchia, fatiscente ed era dipinta di un marrone orrendo che era già venuto via per metà dalle pareti. Sopra la porta vi era un caduceo, simbolo del dio alla quale era dedicata. Mentre attraversavo l'ingresso, notai subito che all'interno le cose erano ben peggiori. Il pavimento pullulava di sacchi a pelo e c'era un via vai di gente impressionante da tutte le parti. Non proprio il massimo per una che soffre di claustrofobia ed è abituata a stare sola come me. L'atmosfera in generale era a dir poco caotica, come se da un momento all'altro dovesse scoppiare una bomba dal nulla. 

-Che ti dicevo? Sono come i bambini dell'asilo-

ribadì Solaris

-Hey! Guarda che così mi offendi, mio Sole-

esclamò un ragazzo alle nostre spalle. Sembrava comparso dal nulla, come un fantasma, e la cosa mi inquietava parecchio. Aveva capelli neri con riflessi verdognoli, spettinati e folti come la criniera di un leone. Sul suo volto era dipinto un sorriso malizioso e furbo che si sposava alla perfezione con i suoi vispi occhi azzurri come il ghiaccio. Aveva due strane cicatrici a forma di croce che sembravano impresse a fuoco e gli attraversavano entrambi gli occhi e parte delle guance. Portava una sciarpa color panna, nonostante fosse quasi estate, una maglia arancione, un paio di jeans comodi e delle scarpe da ginnastica. Non appena Soly si voltò a guardarlo roteò gli occhi sbuffando. Sembrava che si fosse ritrovata in quella medesima situazione centinaia di altre volte e, a giudicare dal gelo nei suoi occhi ambrati, non era delle migliori per lei.

-Che cosa vuoi Yuya? Non vedi che ho delle faccende importanti da sbrigare? Non ho tempo per i tuoi giochetti-

sbottò.

Quello non se la prese nemmeno un po' e con un ghigno divertito rispose

-Eccola qua la mia ragazza! Tosta e decisa come al solito-

-Non sono la tua ragazza!-

urlò la bionda imbarazzata. Non ne ero molto sicura, ma sentivo una certa tensione nell'aria. Forse quei due erano seriamente più che amici dopotutto. Se ciò era vero però, Solaris pareva non avere la minima intenzione di darlo a vedere, specie in un luogo affollato come la casa undici.

-Suvvia piccoletta, non scaldarti tanto-

-Piccoletta a chi? Solo perché sei più alto di me di qualche centimetro non vuol dire che non possa darti un pugno in faccia, Shadowgear!-

-Aww che carina, usi perfino il mio cognome-

la stuzzicò 

-Mi lasci in pace? Piuttosto, sai dove sono finiti Travis e Connor? Qui c'è una fanciulla che ha bisogno di loro-

spiegò indicandomi. 

-Ma certo! Sarà un piacere per me guidare la nuova arrivata dai capi cabina. A proposito, io sono Yuya-

si presentò porgendomi la mano. Non riuscivo a capire se era sincero o se aspettava solo il momento propizio per fregarmi il portafogli. Decisi di non pensarci troppo su e gli strinsi la mano dicendo 

-Piacere, io sono Iris-

-Beh, Iris, benvenuta nella casa di Ermes! Qui ti troverai bene. Non devi credere a tutte le scemenze che dicono sul nostro conto-

mi suggerì invitandomi a camminare mettendomi un braccio attorno alle spalle. Non ero abituata a tutto quel contatto fisico, e poi il tizio mi dava l'idea di essere un Don Giovanni, quindi preferii cavarmi la sua mano di dosso con un gesto il più delicato possibile per non offenderlo. Mi ricordava un po' la volpe della fiaba di Pinocchio: abile con le parole, ladro provetto, persuasivo quando voleva e sveglio al punto giusto. Combinazioni pericolose. 

-Un consiglio. Tieniti stretto il portafogli o qualsiasi altra cosa che abbia un minimo di valore. Persino le mentine. Ah e...occhio agli scherzi! Qui nella undici siamo dei burloni, è normale essere vittima di qualche bravata, specie per i novellini. Per il resto, dormi pure sonni tranquilli-.

Mi veniva un po' difficile credere di poter dormire tranquilla circondata da furfanti in arancione all'interno di un vecchio sacco a pelo puzzolente. Ma quanto ci metteva mio padre a riconoscermi? Ok, era passato un po' di tempo, ma quante persone c'erano con un occhio verde ed uno azzurro lì dentro?! 

-Eccoci arrivati! Iris, ti presento Travis e Connor Stoll-

annunciò Yuya fermandosi davanti a due ragazzi praticamente identici. Indossavano entrambi la maglia del campo, un paio di pantaloncini e delle Vans alte. Avevano un certo non so che di elfico, con quei capelli castani e ricci che finivano quasi sopra i loro occhi azzurri. Il sorriso era lo stesso ghigno furbo di Yuya, una caratteristica comune dei figli di Ermes, pensai. Le sopracciglia erano leggermente all'insù. Notai un luccichio nelle loro iridi alquanto preoccupante che interpretai come un messaggio del tipo "Questi due portano solo guai". L'unica differenza fra i due era l'altezza. Uno infatti era leggermente più alto dell'altro.

-Ciao, io sono Travis. E così sei tu quella di cui si parla tanto. Dicono che sei stata attaccata dai mostri per un bel po', è vero?-

chiese il più alto dei due 

-Parlano di me? Cioè, insomma, sì è vero. Sono fortunata ad essere ancora viva, o almeno è quello che continuano a ripetermi tutti-

-Tranquilla, qui al campo sarai al sicuro. Abbiamo una barriera magica apposta per tenere lontani quegli esseri. Ora sei una di noi, Iris.-

prese parola l'altro

-Grazie...Connor, giusto?-

-Azzeccato-

confermò sorridendo. Ricominciai a riconsiderare quei ragazzi. Ok, erano scalmanati e non ti potevi fidare più di tanto, ma sembravano simpatici e gentili. Per la prima volta cominciai a sentirmi veramente accettata da qualcuno. Il campo stava diventando una casa per me, la casa che non avevo mai avuto. Avrei potuto farmi degli amici lì. L'idea mi rasserenava. 

-Ok eroina, che ne dici se ce ne andiamo tutti alla mensa per il pranzo?-.

Non appena udii la parola pranzo il mio stomaco brontolò come un pazzo. Avevo una fame allucinante. 

-Ci sto!-

accettai. 

 

Angolo Autrice

Hey gente! Come va? Volevo ringraziare di nuovo la mia Neko_chan14 che, oltre a Solaris, ha voluto cedermi anche Yuya, un suo OC. A suo parere è fortemente ispirato a Kyoya di Beyblade Metal Fusion. Io questa settimana sarò via per le vacanze, ma non preoccupatevi, tornerò presto per continuare la storia con un nuovo capitolo! 

Baci

Fre<3 

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Capitolo 13
*** L'arma perfetta e la ragazza ninja ***


La mensa era davvero fantastica. L'edificio si presentava come un padiglione senza tetto, contornato da candide colonne greche. Era situato su una collina affacciata sul mare, con una dozzina di tavoli da picnic di pietra. Ogni casa, ovviamente, aveva il proprio tavolo. Io mi diressi in silenzio verso il tavolo undici, senza dubbio il più affollato di tutti, in compagnia dei figli di Ermes. Senza dire una parola mi adagiai in un angolino e mi misi ad osservare distrattamente ciò che mi circondava. Da ogni parte vi erano ninfe dei boschi che trasportavano vassoi colmi di cibo: formaggi, frutta fresca, verdura, salumi di ogni tipo. 

Con mia grande gioia captai perfino il profumo inconfondibile di carne appena grigliata, la specialità di papà. Essendo sempre stato lui il cuoco ufficiale di casa, si divertiva un sacco ad inventare nuove ricette, come io mi divertivo un sacco ad assaggiarle. Le carni bianche godevano di un posto d'onore tra i suoi ingredienti preferiti. Quel pensiero mi fece quasi sorridere. Un dolce ricordo di quando la nostra vita era semplice, senza troppe pretese. Che ci importava di tutto il resto? Non avevo amici e tutti mi consideravano stramba, perfino un po' matta. Ci restavo male, sicuramente, ma non mi abbattevo per così poco. Tenevo duro davanti agli insulti, digrignavo i denti e stringevo i pungi talmente forte da farmi diventare le nocche bianche. Tutti quei bulli senza cervello che avrei potuto sistemare in qualsiasi momento, quelle smorfiose reginette che non perdevano occasione di scrutarmi dall'alto in basso disgustate, quei professori cocciuti e senza cuore che cercavano di farmi passare per una ragazza problematica e instabile. Sopportavo, continuavo a sopportare per settimane, perché sapevo che cosa mi attendeva a casa. Papà. Lui rappresentava la mia piccola isola felice, dove il mio naufragare per mari burrascosi, avvolta da mille preoccupazioni e sentimenti negativi, si placava improvvisamente. Il suo sorriso comprensivo, i suoi occhi luminosi, il suo abbraccio sincero, la sua voce rassicurante, la sua risata allegra...ammiravo tutto di lui. Non dovevo preoccuparmi di nulla quando mi trovavo vicino a lui. Eravamo una bella squadra: Iris e papà Oliver contro il mondo. Inarrestabili e uniti da un legame profondo. Io avevo lui e lui aveva me. Cosa ci poteva essere di più perfetto di così? 

Purtroppo in quei dannati ultimi giorni tutto era andato in frantumi. Avevo perso il controllo, di nuovo, scatenando il panico. Avevo fallito. Ero quasi stata uccisa da ben tre mostri diversi rimanendo fuori gioco per tre giorni. Avevo scoperto di essere una semidea e che il mio vero padre era un dio dell'Olimpo. Mio padre era partito per una missione segreta ed io non avevo idea di dove fosse o se stesse bene. Il ricordo di noi seduti sul divano con davanti un bel piatto fumante di alette di pollo fatte in casa sbiadì come una vecchia fotografia, lasciando dietro di sé un'amarezza ed un vuoto doloroso nel mio cuore. Volevo rivederlo, volevo riabbracciarlo. Dovevo averlo vicino. Il mio mare interiore era in burrasca più che mai, le onde cariche di stress e paura mi spingevano sempre più al largo. Il mio unico porto sicuro, la mia isola felice, non era affatto all'orizzonte. 

Mi risvegliai dai miei pensieri quando una ninfa mi mise davanti un piatto caldo e carico di cibarie. La ringraziai con un piccolo cenno della testa e decisi di impegnarmi per essere più partecipe durante il pranzo. Il passato faceva troppo male. 

-Allora...abbiamo da mangiare, ma non c'è nulla da bere-

osservai rivolgendomi ai fratelli Stoll seduti di fronte a me. 

-Questo è quello che credi tu. Prova a nominare una qualsiasi bevanda al tuo bicchiere e vedrai-

mi rispose Connor

-Qualsiasi bevanda tranne quelle alcoliche. Ci abbiamo già provato. Sfortunatamente, con quelle non funziona-

precisò Travis

-Cioè io dovrei parlare ad un bicchiere? Che assurdità-

pensai ad alta voce

-Hey, vuoi dissetarti...-

iniziò a dire Travis

-...Oppure vuoi morire disidratata?-

terminò Connor. 

Al diavolo! Tanto lì dentro niente aveva senso. Mi sentivo incredibilmente stupida, ma feci un tentativo. 

-Ehm...tè al limone?-

subito il mio bicchiere si riempì di un liquido color marroncino. Rimasi letteralmente a bocca aperta. Funzionava! Sul serio! Tentai di nuovo la fortuna precisando

-Un tè al limone zuccherato con ghiaccio-

e...puff! Accontentata. Dovetti ammettere che era davvero fico. 

-Che ti dicevamo? Bisogna sempre fidarsi degli Stoll-

aggiunse Travis dopo che mi fui ripresa. Non ero del tutto sicura della sua affermazione, dal sorriso che aveva, sembrava che non ci credesse nemmeno lui. Finii il mio tè a tempo di record e ne richiesi subito un secondo bicchiere. 

-Accidenti! Stavi veramente morendo di sete!-

ridacchiò Connor

-No, in realtà sono tè dipendente- 

spiegai. Se non bevevo almeno un tè al giorno, rigorosamente al limone, diventavo intrattabile e scontrosa. A mio padre non piaceva molto questa mia abitudine. Iperattività e zuccheri? Non andavano molto d'accordo. Ero incapace di stare ferma, dovevo sempre avere qualcosa da fare, tenermi impegnata in qualche modo. Starmi dietro poteva diventare una vera e propria missione impossibile, ma dato che senza la mia adorata teina la situazione peggiorava e basta, papà non aveva mai osato negarmela. 

Dopo un altro sorsetto di tè mi preparai ad addentare la mia carne, ma mi bloccai non appena alzai lo sguardo verso il resto dei ragazzi. Tutti si stavano alzando con i loro piatti in mano. Per qualche strano motivo a me ignoto, gettavano parte del loro cibo all'interno di un enorme braciere situato al centro della stanza. Io mi alzai e li raggiunsi, poi diedi un colpetto sulla spalla di Connor e sussurrando chiesi 

-Che diamine sta succedendo qui? La carne di qualcuno per caso non è ben cotta?-

-Non si tratta di questo. Dobbiamo bruciare delle offerte per gli dei in modo da dimostrare loro che siamo dei bravi figlioletti. Apprezzano parecchio l'odore di queste golosità-

-E in cambio non ci uccideranno o fulmineranno o qualsiasi altra cosa, giusto?-

-In teoria sì-

mormorò, poi si avviò verso il braciere e gettando qualche fetta di ottimo prosciutto crudo disse 

-Per Ermes-.

Quando toccò a me sacrificai parte della mia deliziosa carne. Non sapevo assolutamente quale nome avrei dovuto dire, così mi limitai a pensare mentalmente "Padre, se sei in ascolto, ti prego, riconoscimi. Non voglio rimanere indeterminata per sempre. Non ci sei mai stato, ora è l'occasione buona per riscattarti, se davvero ci tieni a me". Terminata la mia preghiera tornai al mio posto e, finalmente, riuscì a dare un bel morso al mio squisito pranzo. 

Diedi uno sguardo al tavolo numero sette e scorsi i fratelli Firejewel. Non appena Solaris si accorse di me, agitò una mano in segno di saluto e mi sorrise. Ricambiai quel gesto timidamente per poi tornare a concentrarmi sul mio piatto. Mentre terminavo la mia insalata, non potei fare a meno di notare che alcuni tavoli erano vuoti. 

-Che significano quelli? Perché non ci mangia nessuno?-

domandai indicando questi ultimi

-Quelli sono i tavoli delle case di Artemide, Zeus e Ade. Il tavolo di Artemide viene utilizzato solo dalle Cacciatrici, le ancelle della dea. Non capita molto spesso che si fermino qui al campo, di solito girano per il mondo uccidendo mostri a suon di frecce argentate e se ne vanno a zonzo cercando nuove reclute-

disse Connor

-E per fortuna! Dopo il nostro ultimo guaio, non credo di volerle avere davanti agli occhi. Temo che non ci trovino affatto simpatici- 

osservò Travis con uno sguardo spaventato ed inquieto, come se si fosse appena ricordato di un evento parecchio spiacevole. Continuava a guardarsi intorno con un certo nervosismo.

-Perché? Che avete combinato di così tanto grave?-

-Ehm...lasciamo perdere, ok?-

tagliò corto Travis

-Ok, continuate pure- 

concordai. 

-Il tavolo di Zeus al momento è vuoto perché gli unici due figli conosciuti del dio, Jason e Talia Grace, sono entrambi in altri luoghi. Talia qualche anno fa si è fatta Cacciatrice rinunciando così alla vita del Campo, ora è addirittura la lungotenente del gruppo. Jason invece, beh, diciamo che lui in realtà non è esattamente figlio di Zeus, ma piuttosto di Giove, la sua controparte romana. Ora si trova al campo romano, il Campo Giove, insieme alla sua ragazza. Penso che debba sistemare qualche affare irrisolto, dopotutto, prima che arrivasse qui da noi, il signorino era pretore. Non che la cosa mi sorprenda più di tanto, sempre leader nati i figli del dio del cielo-

-Pretore? Campo romano? Scomparso? Non ci sto capendo più nulla!-

ammisi dandomi un colpetto sulla fronte in preda alla disperazione

-Tranquilla, tutto a suo tempo-

mi rassicurò Connor.

-E che mi dite dell'ultimo tavolo? Quello di Ade...non dovrebbe esserci Nico Di Angelo seduto lì?-

i due ragazzi mi fissarono sorpresi 

-Che c'è?-

sbraitai scocciata, odiavo non sapere cosa stesse passando per la testa di qualcuno.

-Allora le voci erano vere. Nico è davvero il tuo custode? Da non credere!-

commentò Travis con un sorrisetto divertito 

-Beh, sì. Che ci volete fare, non l'ho di certo voluto io-

borbottai. Chissà dove si era cacciato quell'idiota. Bel modo di farmi da custode, abbandonarmi così quando avevo più bisogno di aiuto! 

-Sai, di solito Nico non è quel che si dice una persona socievole. Per la maggior parte del tempo preferisce starsene per conto proprio nella foresta, oppure si rifugia negli Inferi dal padre. Per noi è del tutto normale non vederlo, anche ai pasti-

-Quel ragazzo ha dei problemi secondo me. A volte è veramente inquietante-

aggiunse Connor.

Avrei dovuto aspettarmelo. Nico in mezzo a quella miriade di gente? Impossibile! L'unica volta che si era dimostrato disposto a scambiare qualche parola era stato durante il nostro primo incontro e lo aveva fatto solo per convincermi a fidarmi di lui. Di certo non pensavo che avesse qualche disturbo da emo depresso o roba del genere, ma se davvero preferiva stare negli Inferi anziché al Campo Mezzosangue, doveva esserci per forza una buona spiegazione. Per un attimo mi fece quasi pena. 

Terminai il pranzo in silenzio ripensando alle mille informazioni raccolte fino a quel momento. 

Una volta uscita dalla mensa, osservai gli altri disperdersi lungo vari luoghi del campo per dedicarsi alle attività pomeridiane. Trassi un respiro profondo e mi guardai intorno con sguardo perso, finché un braccio non mi cinse le spalle

-Ed ecco qui la nostra cara novellina! Piaciuto il pranzo?-

-Yuya, che ci fai qui?-

chiesi con indifferenza cavandomi quel suo maledettisimo braccio dalle spalle e rimettendolo al suo posto

-Semplice, sono giunto in tuo soccorso. Se vuoi iniziare ad allenarti come noi, avrai prima bisogno di una buona arma, non ti pare?-

mi bastò come spiegazione. In effetti, sprovvista del mio amato arco, non avevo nulla di simile, perciò senza discutere mi lasciai condurre all'armeria dove rimasi nuovamente senza fiato. C'erano un mucchio di meraviglie al suo interno. Non sapevo più da che parte guardare.

-Vediamo un po'...direi che per il momento una spada sarebbe la cosa migliore-

disse Yuya studiando ogni lama presente nella stanza 

-Sei sicuro? Io non so niente di spade. Cioè, sì, ho visto qualche film, ma non ho mai praticato scherma o robe simili-

-Non preoccuparti. Una volta impugnata la lama giusta, il suo utilizzo ti verrà naturale ed automatico-

spiegò con un ghigno che non mi fece affatto sentire più sollevata. Gironzolai per i fatti miei ispezionando qualche arma dall'aria particolarmente pericolosa, quando notai uno strano scintillio proveniente da una grossa cassa di legno appoggiata al muro. Sollevai con cura il telo impolverato che celava il contenuto di quest'ultima e delicatamente scostai un paio di lance per scoprire sul fondo una fantastica spada in stile medioevale. Quando la tirai fuori scoprì che era incredibilmente leggera. La lama era sottile ed affilata al punto giusto, impreziosita da scintillii di luce dorata. L'elsa si presentava leggermente ricurva ai lati e il manico sembrava fatto apposta per le mie dita lunghe e sinuose. L'impugnatura emanava dei riflessi azzurrini e vi erano attorno al manico spirali argentate. Era incredibile. Sembrava dotata di una propria aura di potere.

-Ottima scelta-

esclamò Yuya richiamando la mia attenzione e facendomi distogliere lo sguardo dall'arma

-Una bellissima spada di pregiato bronzo celeste combinato con l'oro imperiale. Davvero notevole. Strano che non l'abbia mai notata prima d'ora-

-Questa è quella giusta, me lo sento-

mormorai rapita dalla lucentezza della lama 

-In effetti ti calza a pennello-

-Posso prenderla veramente?-

domandai incredula

-Certo!-

confermò il ragazzo.

-Bene, ora non ci resta che testarla sul campo di battaglia-

sospirò allegro dirigendosi a passo svelto fuori dall'armeria. Con la mia nuova arma in mano, gli andai dietro.

-Testarla? Vuoi dire che dovrò combattere di nuovo contro i mostri?-

-Oh no. Non possono oltrepassare la barriera protettiva, ricordi?-

-E quindi cosa dovrei fare?-

-Beh, si da il caso che conosca qualcuno che fa al caso nostro. Qualcuno che non vede l'ora di prendere a calci una novellina come te-

ridacchiò divertito il figlio di Ermes

-Rassicurante-

sbottai. 

In pochi minuti, senza che me fossi resa conto, eravamo giunti all'arena. Non appena entrai con Yuya al seguito, feci un salto per lo spavento. Mi volò a pochissimi centimetri dalla faccia un povero malcapitato che si andò a schiantare contro gli spalti circostanti. Al centro del campo sabbioso e circolare vi era una ragazza che brandiva la spada come una guerriera nata. I suoi capelli, neri come carboni ardenti, erano rasati sul lato destro e si riversavano in un ciuffo irregolare su quello sinistro. Aveva la pelle olivastra ed un piercing alla narice sinistra. I suoi occhi erano fuoco puro, di un giallo abbagliante con uno sguardo colmo di trionfo. La sua maglia del campo aveva le maniche strappate ed era coperta da una giacchetta di jeans aperta sul davanti. Portava pantaloni neri strappati sulle ginocchia e stivali borchiati. Si batteva divinamente, tanto che mi ricordò la protagonista della serie TV "Xena-la principessa guerriera" che ero solita guardare da piccola. Capii che il tizio appena volato sopra di noi era solo un piccolo assaggio delle sue capacità. Era accerchiata da altri tre individui armati di spada, ma sembrava completamente rilassata. Al contrario di loro, l'arma della ragazza era una katana con l'impugnatura nera e argentata. In pochi secondi la guerriera ninja riuscì a far cadere uno dei suoi avversari lungo disteso con la faccia nella sabbia stile struzzo. Gli altri due tentarono un attacco combinato che però andò a finire male. La ragazza era decisamente troppo veloce per loro, i suoi riflessi erano a dir poco eccezionali. Dopo pochi minuti uno dei due si beccò un bel colpo d'elsa in testa che di sicuro avrebbe lasciato un bel bernoccolo per qualche giorno, mentre l'altro fu disarmato e messo alle strette con la lama della katana puntata alla gola. La guerriera riprese fiato e per un secondo i nostri sguardi s'incrociarono. Emanava sicurezza, forza e determinazione, tutte cose che avrei desiderato emanare anche io, ma che in realtà temevo mi mancassero. Era come stare davanti ad una roccia indistruttibile o un un muro difensivo inespugnabile. La corvina si asciugò il sudore dalla fronte con una mano e cercò di togliersi di dosso la polvere dalla faccia. 

Yuya mi spinse verso di lei e quando me la trovai a pochi centimetri da me, percepii ancora di più la sua potenza, come se si fosse misteriosamente moltiplicata nel giro di pochi secondi. 

-Iris, ti presento Ginger Parks, figlia di Ares-

Angolo Autrice
Ciao! Eccomi appena tornata dal campeggio estivo! Ci tenevo a precisare che Ginger è una mia OC e che, per quanto riguarda la spada di Iris, in realtà non so cosa si ottenga fondendo bronzo celeste e oro imperiale insieme dato che uno è principalmente greco e l'altro romano, ma mi piaceva l'idea, quindi...FACCIAMOLO! Un salutone!
Baci Fre<3 

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Capitolo 14
*** A volte si vince, a volte si perde ***


Rimasi per un quarto d'ora imbambolata a fissare la ragazza ninja senza dire una sola parola, poi, quando ritornai sulla Terra, mi voltai verso Yuya gridando

-Sei pazzo?! Ed io dovrei battermi con lei? Hai visto come ha messo al tappeto quei poveri ragazzi? Mi farà a pezzi!-

-Suvvia, non fare la gallinella spaventata, Iris-

mi stuzzicò

-Chi hai chiamato gallinella, piccolo furfante?-

ribattei furiosa, odiavo essere presa in giro.

-Visto? Di grinta ne hai da vendere, quindi non preoccuparti troppo. Fatti guidare dal tuo istinto-

in quel momento il mio istinto mi stava implorando di darmela a gambe il più velocemente possibile.

-E va bene, ho capito...-

mormorai rassegnata

-Brava-

-Morirò il mio primo giorno di campo-

-Ancora?!-

rispose incredulo il figlio di Ermes.

In effetti non aveva tutti i torti. Come avrei fatto a sconfiggere le bestiacce che volevano cucinarmi per cena e le orde di nemici in attesa là fuori se non avevo nemmeno il coraggio di battermi con una compagna del campo?

"Una compagna di campo figlia del dio della guerra con una katana affilatissima tra le mani"

mi sussurrò una vocina nella mia testa.

Chiusi gli occhi e presi un bel respiro profondo. Non potevo arrendermi ancora prima di averci provato. Ero scappata per anni dai mostri saltando di città in città, pur non sapendolo. Ero stufa di quella situazione, non sarei mai più scappata. Finalmente avevo l'occasione di dimostrare a mio padre che potevo essere all'altezza della sua fama. Immaginai che fosse lì con me, pronto a combattere al mio fianco, come con gli uccelli del lago Stinfalo. Che lui fosse o no il mio vero padre non importava, non avrei mai desiderato nessun altro più di lui accanto a me.

Riaprii gli occhi e strinsi con decisione l'impugnatura della mia nuova spada. Non sarei fuggita, avrei combattuto.

-Sono pronta-

esclamai fissando negli occhi la mia avversaria e cercando di intuire qualcosa in più sul suo conto attraverso un veloce studio visivo. Era agile, forte e veloce, questo sicuramente. I suoi colpi venivano sferrati quasi sempre uno dietro l'altro e gliene bastavano pochi per mettere l'avversario fuori gioco. Sembrava quasi che seguisse uno schema mentale, il che era del tutto comprensibile.

-Non aspettarti tecniche di combattimento di origine greca-

mi avvertì Yuya

-Certo che no. La sua arma è una katana giapponese, la spada dei samurai per eccellenza. Viene considerata la più nobile delle lame ed il suo studio richiede anni di pratica. Composta da una lama curva e sottile e a taglio singolo di lunghezza superiore ai 60 centimetri circa. Solitamente viene usata per colpire con dei fendenti e deve essere impugnata con entrambe le mani, anche se la tecnica del maestro Musashi Miyamoto ne richiedeva spesso due di katane, perciò ogni lama veniva impugnata con una mano sola. Probabilmente utilizzerà l'antica arte del Kenjutsu in combattimento, sempre che non preferisca iniziare con lo Iaido, ma credo che rallenterebbe il tutto e basta-.

Non mi resi conto di parlare a vanvera sugli stili di combattimento giapponesi finché non mi voltai verso il ragazzo e notai che mi stava guardando come se avesse avuto davanti agli occhi una specie di enciclopedia parlante. Mi zittii di colpo maledicendo la mia linguaccia. Nonostante la mia dislessia, ero sempre stata affascinata dalla lettura, così, insieme a mio padre, avevo imparato a sconfiggere questo mio problema ed ero stata in grado di leggere discretamente fin da piccola. Adoravo imparare più cose possibili, su qualsiasi argomento. Il mio cervello aveva ampliato la sua "banca dati" sempre di più negli ultimi anni ed io ne ero più che felice. Purtroppo ciò non migliorò la mia situazione a scuola, dove tutti mi etichettarono come la secchiona di turno. La cosa era resa ancora più irritante se si considerava il fatto che, proprio per queste mie capacità, non piacevo nemmeno alla maggior parte dei professori, che si sentivano in qualche modo minacciati dalle valanghe di informazioni che sparavo durante le lezioni. Sembrava che cercassero un modo di fregarmi, ma senza alcun successo, così si lamentavano con mio padre dandomi dell'impertinente o dell'arrogante ingiustamente.

Al campo mi ero promessa che sarebbe stato diverso, doveva essere diverso. Sperai con tutto il cuore che Yuya non iniziasse a trattarmi da sapientona o altro. Per circa cinque secondi trattenni il fiato, poi riuscii ad espirare quando lo sentii ridere dicendo

-Ma è grandioso! E tu hai paura di scontrarti con lei? Praticamente conosci ogni singola mossa che potrebbe fare e sono più che certo che conosci anche il modo di contrattaccare, giusto? -

-Beh, più o meno-

mentii. In realtà non sapevo nemmeno se esistesse un modo per superare una katana utilizzando una spada medioevale come la mia. Sarei stata certamente più lenta, ma forse avrei avuto maggiori possibilità di difesa con una mano libera a disposizione. Dovevo mantenere la concentrazione.

-Allora, ti sei finalmente decisa a duellare, novellina?-

domandò Ginger estraendo la sua arma dal fodero che teneva sul fianco con una cintura

-Accetto la sfida! Vedremo chi avrà la meglio-

risposi con una falsa sicurezza, non mi sarei mostrata debole davanti ad una figlia di Ares. Un mio minimo cedimento avrebbe di sicuro determinato la sconfitta. Cominciai addirittura a pensare che quella ragazza fosse in grado di fiutare la paura come un animale selvatico.

-Molto bene, ti farò vedere di che cosa sono capaci i figli del dio della guerra!-

esclamò menando un fendente con la katana. Io mi scansai e tentai un affondo, ma la corvina era dannatamente rapida. In men che non si dica tornò all'attacco e dovetti deviare la sua lama con un colpo secco prima di essere tagliata in due. Qualsiasi cosa tentassi, non riuscivo nemmeno a sfiorarla. Si muoveva in modo del tutto naturale e sinuoso, come un ghepardo. Gli occhi dorati riaccesero il fuoco che avevo scorto nelle sue iridi durante lo scontro precedente. Non era affatto un buon segno. Dopo pochi minuti ero già sfinita, Ginger non mi dava un attimo di tregua! Neanche mi avesse letto nel pensiero, mi procurò un taglio sulla spalla con un dritto e cercò di farmi perdere l'equilibro in modo che potesse finirmi. Ignorai la nuova ferita malgrado il bruciore e con una capriola riuscii ad arrivarle alle spalle e la allontanai con un calcio. Senza perdere tempo osai una stoccata, che però venne parata. Le lame delle nostre spade si incontrarono ed iniziò una dura lotta, ognuna voleva assolutamente prevalere sull'altra. Con mio grande stupore, la spada dorata sembrava avere la meglio. Mi meravigliai di riuscire ad utilizzare quell'arma con così tanta naturalezza, sebbene all'inizio mi fossi sentita del tutto indifesa, impacciata e nervosa. Mi illusi troppo presti di poter avere qualche possibilità contro la mia avversaria. Nel giro di pochi secondi la corvina rovesciò la situazione eseguendo una cavazione e mettendo la sua lama in vantaggio, poi spinse con forza in modo da farmi finire con il sedere a terra e mi puntò la punta della lama dritta alla gola.

Era finita, avevo perso. La figlia di Ares riprese fiato e mi cavò la katana da sotto il mento. Malgrado il fiatone, disse a gran voce

-Questo era solo un assaggio delle mie capacità. Noi figli di Ares siamo invincibili sul campo di battaglia, ricordatelo bene. Ci vorrà molto di più di quattro mossette imparate sui libri per sconfiggermi-.

Abbassai lo sguardo scoraggiata. Forse aveva ragione lei, forse non ero abbastanza brava. Avrei dovuto impegnarmi molto più duramente, se davvero volevo arrivare ai livelli di papà.

Dopo aver rinfoderato la sua arma, Ginger si voltò nuovamente verso di me tendendomi la mano. Fui sorpresa da quel gesto così sportivo, le faceva sicuramente onore. Quando fui in piedi, mi mise una mano sulla spalla che aveva colpito con la sua lama

-Ti conviene farti dare un po' di ambrosia per questa, vedrai che ti sentirai subito come nuova-

-Grazie-

risposi timidamente. Stentavo a credere che una talmente spietata e dura in battaglia fosse tanto gentile e nobile d'animo.

-Devo ammetterlo Iris, mi hai dato del filo da torcere con quel tuo attrezzo del Medioevo. Hai del potenziale, mi piacerebbe battermi di nuovo con te un giorno. Chissà, magari potresti anche riuscire a restare in piedi per più di un quarto d'ora-

-Credimi, dovrà passare un bel po' di tempo prima che accada. Mi faccio fregare una volta, ma la seconda proprio no-

ribattei.

-Accidenti Iris, niente male per essere il tuo primo duello-

commentò Yuya

-Ti ringrazio-

-Ho qualcosina per te-

disse frugandosi in tasca e facendone uscire un piccolo cubetto dorato

-Tadaaa!-

-Che cos'è?-

domandai curiosa

-Questa, mia cara amica, è ambrosia. Noi semidei ce ne nutriamo per far guarire le ferite più velocemente. Insieme al nettare, è la cosa più buona che tu possa mai immaginare. Attenta però, non bisogna mangiarne troppa, altrimenti...beh, si, ecco...più o meno prenderai fuoco-

-Che?!-

-Oh, sta tranquilla, non succede quasi mai! Basta essere cauti e andarci piano con le dosi, tutto qui. Ora prendine un po', su-

mi invitò avvicinandomi il cubetto alle mani. Con esitazione ne presi un po' ed iniziai a masticare. Il figlio di Ermes avevo senz'altro ragione, non avevo mai assaggiato nulla di così buono in vita mia. Sapeva di ciabelle al cioccolato ripiene, una vera delizia per il mio palato! In un lampo il taglio sulla mia spalla si rimarginò da solo fino a scomparire del tutto.

-Wow, ma è incredibile-

mormorai colpita

-Fico, eh? Meglio che te ne procuri una scorta, ti servirà più di quanto pensi. A volte potrebbe persino salvarti la vita-

mi avvisò.

Quando tornammo al campo incrociammo per strada Soly e Sam e Yuya raccontò loro del mio scontro con Ginger all'arena.

-Hai combattuto contro Ginger?-

chiese la bionda entusiasta

-Già-

confermai

-Che fortuna! Io adoro quella ragazza. Lei e gli altri della casa cinque mi hanno regalato questa quando ho battuto uno di loro a braccio di ferro la settimana scorsa-

rivelò Solaris sfilandosi una frusta che usava come una cintura per i pantaloncini. Era davvero impressionante.

-Beh, almeno non hai dovuto vedertela con Clarisse, lei sì che è un osso duro! Ha già cercato di ficcarti la testa nel gabinetto?-

chiese Sam preoccupato

-Ehm, no, direi di no. Chi sarebbe questa Clarisse?-

-Clarisse La Rue è la figlia di Ares più tosta che esista al mondo. Sarebbe in grado di polverizzarti solo con lo sguardo, quindi prega di non averla contro. La sua arma è una lancia elettrica e come se non bastasse la ragazza è pure la capo cabina della cinque-

-Sembra proprio una simpaticona-

dissi ironicamente. Dalla descrizione che mi avevano dato, sembrava che la casa di Ares fosse capeggiata da un misto tra Godzilla ed Hulk! Cercai di non pensarci troppo, solo l'idea mi faceva venire i brividi.

Dopo cena ci ritrovammo tutti al falò che, a quanto pare, veniva fatto ogni sera al campo. L'atmosfera, in effetti, era molto più da campeggio in quell'occasione. Si cantava, si stava insieme, si chiacchierava. Era piuttosto rilassante e divertente, l'ideale dopo una lunga giornata. Ero contenta di avere dei nuovi amici accanto. Soly, Sam, Yuya, Ginger...mi stavano tutti vicino ridendo e facendo battute. Per una volta le cose sembravano quasi normali.

Mi stavo concentrando sulle fiamme davanti a me, quando vidi qualcosa nell'ombra. Aguzzando la vista notai che c'era qualcuno appoggiato ad un albero sul limitare della foresta. Quel qualcuno era niente di meno che Nico Di Angelo. I suoi occhi scuri ed intensi erano fissi su di me. Non sapevo come reagire, ero furiosa con lui. Come mai era sparito così? Avevo intenzione di scoprirlo.

Mi inventai una scusa per allontanarmi dagli altri e senza farmi vedere strisciai fra i cespugli. Era buio pesto e non si vedeva quasi nulla. Mi guardai intorno per cercare di ritrovare quell'idiota, finché non mi comparve davanti all'improvviso facendomi prendere un colpo.

-Non fare mai più una cosa del genere! Ho rischiato un infarto-

gridai

-Va bene, scusami. Ma cerca di non urlare, non vorrai mica disturbare i tuoi nuovi amichetti giù al falò-

-Almeno loro c'erano quando ne avevo bisogno. Che razza di fine hai fatto tu? Bel custode che sei! Abbandonare così la propria protetta dopo cinque minuti!-

-Beh, mi pare che tu sia ancora viva-

replicò

-Sì e di certo non grazie a te!-

-Stai scherzando vero?-

-No, affatto! Sam mi ha medicata, Solaris mi ha fatto vedere il campo e mi ha procurato dei vestiti, Yuya, Travis e Connor mi hanno aiutata ad ambientarmi nella casa undici e Ginger Parks mi ha sfidata duello-

a quel punto della conversazione sembrò sorpreso.

-Tu hai sfidato a duello una figlia di Ares? E con cosa? Non hai armi-

-Ora sì. Ho trovato questa spada dorata in armeria, Yuya mi ha detto che posso tenerla-

spiegai mostrando la nuova lama che avevo assicurato nel proprio fodero sul fianco destro. I luccichii dorati illuminarono debolmente l'ambiente circostante.

-Bene, tienila stretta. Non si sa mai quando potrebbe capitarti il prossimo incontro con altri mostri-

mi suggerì

-Non cercare di cambiare argomento Di Angelo, tu mi hai scaricata. Hai preso e senza uno straccio di spiegazione te ne sei andato a zonzo per i boschi come se niente fosse. Come pensi che dovrei sentirmi? Non sei nemmeno venuto a vedere come stavo dopo tre giorno che ero svenuta-.

Dissi l'ultima parte con meno rabbia. Sotto quel punto di vista mi sentivo più delusa e abbandonata che altro.

-Senti, ti ricordo che sono stato io a portarti fino a qui. Se ti avessi voluto morta, ti avrei lasciata dov'eri. Inoltre ho parlato con tuo padre prima che partisse-

confessò. A quelle parole mi bloccai di colpo

-Hai parlato con papà? E cosa ti ha detto? Ha parlato di me?-

chiesi ansiosamente senza nemmeno riprendere fiato fra una domanda e l'altra

-Che domande, certo che ha parlato di te. Mi ha detto che non devi preoccuparti, tornerà il prima possibile. Mi ha anche dato due cose da consegnarti-

disse estraendo una collana munita di ciondolo portafoto dalla tasca del suo giubbotto. Era la collana che mio padre mi aveva regalato per il mio compleanno dell'anno scorso.

-La prima è questa-.

Non appena il figlio di Ade mi porse l'accessorio, aprii il ciondolo e tirai un sospiro di sollievo quando scoprii che la foto di me quando avevo ancora cinque anni con papà era sempre lì al suo posto. Ce l'avevo messa per sentire meno la sua mancanza e a quanto pare funzionava ancora bene. Con gli occhi lucidi me la misi al collo e domandai

-E la seconda?-

-Ecco la seconda cosa-

rispose Nico estraendo una seconda collana, ma del tutto diversa dal regalo di papà. Il ciondolo stavolta rappresentava una freccia posta sopra un arco ed un piccolo bersaglio. Non ne capivo il senso e non avevo idea di che cosa avrei dovuto farmene.

-A che cosa mi serve?-

chiesi dubbiosa

-Gira il ciondolo, dietro il bersaglio c'è un piccolo bottone-

mi spiegò il ragazzo. Feci come aveva detto e trovai il pulsantino sul retro del bersaglio. Lo sfiorai con le dita, ma non osai fare di più.

-Che stai aspettando? Premilo-

mi invitò il mio custode. Che sarebbe successo? L'intero campo sarebbe saltato in aria? C'era solo un modo per scoprirlo. Premetti il pulsante con decisione ed in men che non si dica il ciondolo si staccò dalla collana prendendo la forma di un magnifico arco con decorazioni argentate. Rimasi senza fiato quando me lo ritrovai in mano

-Piuttosto notevole, no? Trovi un pulsante identico a quello di prima nascosto appena sopra l'impugnatura. Se lo premi, l'arco tornerà come prima-.

Provai a pigiare di nuovo quel magico tasto e a velocità supersonica l'arma tornò ad essere un comune ciondolo che riagganciai con cura alla catenina che componeva la collana

-Ho sempre sognato un arco così!-

-Mi fa piacere sentirtelo dire. Tuo padre sarà contento, pensava che ti saresti trovata più a tuo agio con qualcosa del genere piuttosto che altro, ma vedo che te la cavi anche con la spada. Sarò sincero, non so se sia un bene lasciare che una come te circoli liberamente con oggetti taglienti-

-Che vorresti dire con "una come me"?-

ringhiai

-Niente-

rispose Nico volgendo lo sguardo verso le stelle. Giurai di averlo visto fare un sorrisetto divertito alle mi spalle, ma mi convinsi di essermi sbagliata. Dopotutto si trattava di Mister Simpatia!

-Allora, zombie, posso sperare di vederti per più di cinque minuti domani? E magari fuori da questa boscaglia, fra noi esseri semidivini?-

-Direi proprio di no, il campo non fa per me. Diciamo soltanto che non sono esattamente il benvenuto. La maggior parte della gente non si fida dei figli di Ade, mi pare di avertelo già detto. Veniamo visti parecchio in negativo-

-Che stupidaggine! Scommetto che non tutti la pensano così-

insistetti

-Ah sì? Non credo che tu possa capire, sei qui solo da pochi giorni-

-E con questo? Io non penso che tu sia malvagio o inquietante. Sei solamente odioso-

-Ma che gentile. Vedo che il senso dell'umorismo non ti ha lasciata nemmeno un po' in questi giorni-

ribatté serio inarcando un sopracciglio

-Dovrai farci l'abitudine-

lo avvisai.

-Sarà meglio che torni dagli altri adesso, probabilmente si staranno chiedendo che fine hai fatto-

mi fece notare

-Giusto, ma ad una condizione-

-Quale?-

- Dovrai promettermi che domani ti farai vivo. Non importa quando, basta che vieni-

-Perché? Senti già la mia mancanza principessina?-

chiese con aria di sfida

-Credimi, se potessi mi libererei di te subito. Sfortunatamente sei il mio custode e, se non ricordo male, qualcuno è ancora in debito con me-

-E invece no. Ti ho portata fin qui, siamo pari-

-Però poi mi hai lasciata da sola. Non sei molto bravo nel tuo lavoro, quindi me lo devi-

cantilenai tentando di convincerlo.

-Mi risparmio una discussione inutile. Tanto non cambieresti idea comunque, vero?-

-Wow, inizi a conoscermi! Congratulazioni-

mi complimentai. Ci fu un momento di silenzio fra di noi, l'unico rumore udibile divenne il vento che soffiava fra gli alberi ed un allegro coro di voci in lontananza.

-Allora? Affare fatto?-

domandai riprendendo il discorso

-Lo scoprirai domani. Ci vediamo stramba-

Rispose il ragazzo lasciandomi il dubbio

-Nico!-

tentai di protestare, ma non appena sbattei le palpebre il figlio di Ade era già scomparso

- Questo sì che è davvero inquietante-

Mormorai. Rimasi a fissare il cielo stellato ancora per qualche secondo, poi uscii dalla foresta e me ne tornai al falò.

 

Angolo Autrice

Ecco qua un nuovo capitolo! Spero che vi piaccia, cercherò di pubblicare il prossimo a breve ;)

Baci

Fre<3

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Capitolo 15
*** Faccio rissa in mensa e scopro chi è mio padre ***


La serata al falò fu la cosa migliore del mio primo vero giorno al campo. Ascoltai storie di incredibili imprese ed arrostii i marshmallow come se non ci fosse un domani, cosa del tutto possibile nel mio caso. Ancora non riuscivo a credere di appartenere a quel mondo, era così diverso da ciò che avevo sempre vissuto. Sembrava una specie di realtà parallela fuori dal normale. 
 

Faticai un sacco ad addormentarmi nella undici. Dovunque mi girassi ero circondata da gente che russava, scalciava o si lamentava nel sonno. L'aria divenne irrespirabile e rischiai di andare in iper ventilazione a causa della claustrofobia. Solo papà sapeva di questo mio problema e un po' me ne vergognavo, perché mi limitava. Odiavo mostrare le mie debolezze.

Mi alzai e uscii a fare due passi cercando di non svegliare gli altri. 
Le stelle scintillavano come diamanti e illuminavano il cielo notturno di un bianco quasi abbagliante. Non appena volsi lo sguardo verso l'alto, inspirai l'aria fresca che mi scompigliava gentilmente i capelli e ritrovai la calma necessaria per non crollare. 
Continuai a girovagare ancora per qualche metro pensando a mio padre. 
Mi mancava terribilmente e non sapevo nemmeno se stava bene. Cercai di non pensare subito in negativo e mi convinsi che sarebbe tornato presto. Avremmo bevuto insieme tè al limone e lui mi avrebbe chiamata con soprannomi dolci e imbarazzanti come "cucciolotta" o "micetta".  Con questo pensiero rassicurante fisso nella mente tornai al mio sacco a pelo e crollai come un sasso. 
 

Sognai di essere sottoterra, in una specie di caverna buia e umida. Non riuscivo a vedere niente, ma avevo una brutta sensazione, come se fossi entrata in un territorio proibito. Mi sentivo quasi soffocare e desiderai andarmene in qualsiasi altro posto, ma il mio sogno rimase immutato. Ad un tratto comparve da dietro una roccia papà, vestito di una maglia grigia coperta da una scintillante armatura greca. Teneva ben stretta nella mano destra la sua spada-anello e si guardava intorno procedendo a passi lenti e cauti. Sperai con tutta me stessa che quello fosse il presente. Tentai di chiamarlo, ma la voce mi morì in gola. Udii uno strano fruscio, rapido e minaccioso. Era provocato sicuramente da un essere parecchio grosso e tozzo. Non riuscivo a scorgerne l'intera figura, ma distinguevo abbastanza chiaramente una massa scura che si spostava lungo le pareti rocciose, come in attesa di tendere un agguato alla sua preda. Poi accadde tutto in una manciata di secondi. La figura misteriosa si lanciò in avanti investendo mio padre e trascinandolo in profondità attraverso una specie di tunnel. Tornò il buio totale nella caverna. 

Una voce inquietante si propagò nell'aria amplificata dall'eco. 

"Cos'hai intenzione di fare, semidea? Porterai a termine la missione che lo stesso Oliverius non è riuscito a compiere? Oppure segnerai inevitabilmente il tuo destino con un tragico avvenire? Qualsiasi sarà la tua scelta, mi troverai qui ad attenderti".
 

Mi svegliai di soprassalto con il rimbombo di una risata gelida nelle orecchie. Ciò che avevo visto...era reale? Non ebbi il tempo di chiedermelo. Senza che me ne fossi resa conto era già ora di colazione, così mi preparai velocemente sciacquandomi per bene la faccia per riprendermi da quell'incubo. Tuttavia, non riuscivo in nessun modo ad allontanare quella sensazione di pericolo che mi percorreva la spina dorsale come un brivido. Decisi che ne avrei parlato più tardi con Soly, lei avrebbe saputo consigliarmi. Era al campo da molto più tempo di me ed il nostro legame si stava rafforzando sempre di più. Eravamo molto simili e la pensavamo allo stesso modo su un sacco di cose.

La mattinata passò abbastanza in fretta. Imparai un sacco di cose utili sui mostri e riuscii perfino a riconoscerne alcuni che avevano cercato di farmi la festa negli ultimi anni. Era un sollievo sapere che non ero una squilibrata che si immaginava le cose, ma essere consapevole che quei cosi erano veramente là fuori, in attesa di trasformami in un tramezzino di semidea, non mi faceva affatto sentire meglio. 
Dopo la lezione educativa sui mostri, provai per la prima volta la parete d'arrampicata con tanto di lava in dotazione e per poco non mi fusi una mano con il liquido letale. Inoltre, come se non fosse stato già abbastanza, caddi a terra di sedere un bel po' di volte dimostrando la mia totale impreparazione in materia di scalate. 
Cercai un attimo per parlare in privato con Soly per tutto il giorno, ma non mi sembrava mai il momento adatto. 
 

All'ora di pranzo quasi non toccai cibo, non ero per niente affamata. Mi si era serrato lo stomaco dopo aver visto quella gigantesca creatura portare via mio padre verso un luogo del tutto ignoto. Mentre giocherellavo con la forchetta facendola roteare nel piatto, ricevetti u un colpetto alla spalla da Yuya.

-Hey Iris, tutto ok?- 

-Io...certo, non ti preoccupare- 

mentii. Mi dispiaceva farlo, ma non volevo allarmare troppe persone a causa di un mio problema. 

-Hai notato che tutti parlano di te ultimamente?- 

domandò il figlio di Ermes

-Sul serio? E perché?- 

non ero abituata a stare al centro dell'attenzione

-Beh, sei quella nuova. Oltretutto non sei ancora stata riconosciuta, quindi è normale che tu faccia gossip-.
Ed io che pensavo di attirare abbastanza l'attenzione con la storia della mia adozione da parte di Oliverius Ryx. 
Sentii varie chiacchiere e mormorii sul mio conto lungo ogni singola tavolata della mensa. Mi sentivo a dir poco osservata. 
-È lei, la nuova arrivata- 

-Dicono che il suo padre adottivo sia l'eroe genealogico Oliverius Ryx- 

-Quel Oliverius Ryx?- 

-Chissà chi è il suo genitore divino- 

-Io ho sentito che ha ucciso una Viverna senza alcuna arma- 

-A me hanno raccontato che ha fatto fuori un uccello del lago Stinfalo- 

-Di sicuro deve essere molto coraggiosa. Ha persino sfidato a duello Ginger Parks- 

-La ragazza promette bene- 

-È un vero peccato. Se solo le fosse capitato un altro custode...-

A quelle parole mi bloccai di colpo. Cosa intendevano dire? 

-Hai ragione, che sfortuna. Doveva proprio essere il figlio di Ade- 

-Chi? Nico Di Angelo?- 

-Proprio lui, quel ragazzo è parecchio inquietante non trovate?- 

-A chi lo dici-. 
Mi salii un senso di rabbia improvviso ed incontrollabile. Perché dovevano parlare male di lui? Che cosa aveva fatto di sbagliato? 
Nella vecchia scuola tendevo a lasciar perdere le malelingue, non mi interessava cosa pensasse la gente di me. Però quando si toccavano ingiustamente le persone a cui volevo bene, allora non riuscivo più a tenermi a freno. 
Senza pensare neanche a ciò che stavo facendo, mi alzai da tavola e mi diressi verso il gruppetto di pettegoli. Quando me li trovai davanti cercai di mantenere la calma e di mostrarmi più matura di loro, anche se non fui in grado di cancellare l'espressione adirata che avevo sulla faccia. 

-Che problema avete con Nico?- 

chiesi schiettamente. 

Prese la parola un ragazzo della casa di Afrodite 

-Oltre al modo in cui si veste?- 

-Questo non è un buon motivo per parlare male di lui alle sue spalle- 

lo rimproverai. 

Un'altra voce si levò da più in fondo

-Devi ammettere che quel ragazzo è strano. Se poi ci aggiungiamo il fatto che fa accapponare la pelle...- 

-Lui non è strano! È solo che non gli piace avere gente intorno, tutto qui. Ed io non lo trovo affatto spaventoso, e credetemi, ne ho viste di cose davvero spaventose nella mia vita-

intervenne una ragazza dalla casa di Ecate

-Vogliamo parlare allora della sua parentela? Insomma, è un figlio di Ade! Possiamo veramente fidarci di lui?-. 
Non sapevo se mettermi a ridere per quanto ridicolo stesse diventando il discorso o strozzare uno dopo l'altro quegli sputasentenze. Mi formicolavano le mani. Stava per succedere di nuovo. 

-Quindi voi ve la prendereste con lui soltanto per via di suo padre? Non ha scelto lui di essere figlio di Ade! Nessuno di noi qui ha una scelta- 

presi un respiro profondo 

-Sentite, io non conosco Nico da molto tempo, ma so per certo che lui non oserebbe mai tradire il Campo Mezzosangue. Lui mi ha aiutata, a modo suo, e mi ha permesso di essere qui con voi oggi. Se questa non è un'azione degna di nota, allora non so che altro potrebbe esserlo- 

-Non sembra che svolga il suo lavoro di custode così bene come affermi- 

Saltò su una figlia di Ares vendendo verso di me. Probabilmente era il suo modo di dimostrarmi che non le facevo affatto paura, peccato che nemmeno lei mi intimidisse. Era quasi il doppio di me e aveva la faccia piena di lividi di chi era abituato a suonarle di santa ragione a chiunque. Con la coda dell'occhio vidi Ginger mimare con le labbra un sincero "mi dispiace". Ero sollevata dalla sua reazione, fortunatamente c'era gente intelligente che non la pensava come quegli ignoranti. 

-E tu come fai ad esserne così certa?- 

la sfidai, facendo un passo in avanti

- Da quel che dicono, hai dovuto uccidere tutti i mostri che avete incontrato da sola-. 
Affondai le unghie nel palmo della mano

-Questa è una bugia. Magari ho dato loro il colpo di grazia, ma non sarei riuscita a fare nemmeno due passi senza l'aiuto di Nico. Ha rischiato la sua vita per me- 

-Eppure non è qui. Che strano, dovrebbe sorvegliarti se davvero ci tiene tanto alla tua incolumità- 

ribatté quella sottospecie di orchessa con sguardo assassino. Attorno a noi udii alcuni ragazzi che avevano iniziato a gridare a gran voce "Rissa! Rissa! Rissa!". Non avevo intenzione di attaccare briga con una tipa del genere, non ne valeva la pena. E poi non avevo mai fatto a botte in vita mia. 

- Mmh, vediamo...se io ora per caso ti attaccassi, cosa succederebbe? Pensi che lui verrebbe in tuo soccorso?- 

bella domanda, non ci avevo mai pensato. In fin dei conti, perché avrebbe dovuto farlo? Nico era il mio custode, sì, ma era stato costretto ad esserlo. In teoria non aveva nessun obbligo di proteggermi, giusto? Poco importava. Non avrei lasciato circolare quelle voci false su di lui. Per me era una questione di lealtà, volevo essere gentile con lui come lui lo era stato con me, anche se solo per circa trenta secondi. Era odioso? Certo! Era pericoloso? Ma fatemi il piacere. 

-Perché non facciamo un piccolo esperimento, eh, indeterminata?- 

grugnì l'orchessa gettandosi contro di me. Io mi abbassai, giusto in tempo per non essere investita. Non sapevo quasi nulla di lotta, tranne qualche tecnica di autodifesa che mio padre aveva voluto insegnarmi. La figlia di Ares cercò di darmi un calcio ed io saltai per poi andare alle sue spalle. Forse se restavo nel suo punto cieco potevo riuscire a sorprenderla e magari nel frattempo restare anche tutta intera già che c'ero. 
Mi gettai su di lei e le saltai alle spalle. La ragazza si voltò scrollandomi di dosso e mi buttò a terra con uno spintone.
Un cerchio di semidei urlanti si era formato attorno a noi. Ai margini scorsi Soly, Sam, Yuya e Ginger che cercavano di farsi avanti per darmi una mano ed esortavano gli altri a sospendere l'incontro. L'orchessa tornò all'attacco con un gancio destro, che per fortuna schivai rotolando di lato 
-Sei lenta, ragazzina! Dovrai darti una mossa, se vuoi salvarti la pelle- 
Mi schernì dandomi una pedata sulla gamba destra che, ne ero sicura, mi avrebbe fatto uscire un bel livido. 
Finché miss muscoli senza cervello si vantava con la folla circostante, io la aggirai e la buttai a terra mettendomi sopra di lei. Rotolammo per la stanza finché non mi immobilizzò al pavimento con il suo peso da elefante indiano. 

-Così tanto disturbo per un figlio di Ade? Andiamo, non ha alcun senso, lo sai anche tu!- 

Ancora una volta cercai di frenare la mia ira

-Forse non lo avrà per te, ma per me invece ha senso eccome!- 

le urlai contro guardandola dritto negli occhi 

-Peggio per te. Hai appena guadagnato un biglietto di solo andata per l'infermeria! Salutami Di Angelo quando ha finito di risvegliare i morti-. 

Mi piacerebbe dire che finì tutto normalmente: con un occhio nero e qualche settimana di bistecche gelate sulla botta, come nei cartoni. Non fu affatto così. In quell'istante sentii una strana forza dentro di me. Il mio intero corpo fu percorso da scariche elettriche e le mie mani, strette a pugno, cominciarono ad emanare scintille. Sentivo di dover levarmi di torno tutta la rabbia repressa che mi portavo dentro. Era come se stessi raccogliendo la negatività che trattenevo da anni interi e ne stessi facendo un'unica ondata. Mi bastò toccare l'avversaria con le mie mani frementi e cariche di una luce dorata innaturale. In pochi attimi, la ragazza si ritrovò dall'altra parte della mensa, con i vestiti bruciacchiati ed un'espressione sconcertata in volto. Non sapevo che cosa fosse successo. Ignorando lo strano fenomeno, ancora presa dalla collera, marciai verso la figlia di Ares emanando scintille e splendendo come un lampione in piena notte. Mi accovacciai per fissarla in volto.

-Lascia che ti dica una cosa, razza di montagna parlante. A me non serve qualcuno che venga a salvarmi, so benissimo badare a me stessa da sola, come puoi vedere. Quindi, la prossima volta che te la prendi con qualcuno, tienilo bene a mente-. 

Dopo aver finito il mio discorso mi rialzai in piedi e venni acclamata da tutta la folla. Non mi piaceva ricorrere alla violenza, se si poteva evitare, ma la miss muscoli se l'era proprio cercata. Non sopportavo i bulli come lei. Vidi i miei amici che mi applaudivano ed annuivano con la testa in segno di approvazione. Poi, all'improvviso, rimasero tutti in silenzio. Gli incitamenti cessarono e i ragazzi si ammutolirono. Avevo gli occhi di ogni semidio puntati addosso. Mi guardai intorno, in attesa di spiegazioni e, non ottenendole, domandai semplicemente 

-Che c'è?-. 

Alla fine lo notai. Non appena guardai in alto vidi uno strano simbolo fluttuare sulla mia testa: una folgore dall'aria solenne. Non ci voleva di certo un genio per capire chi mi fosse toccato come genitore divino. Ero appena diventata Iris Luna Ryx, figlia di Zeus, il signore dei cieli.

Angolo Autrice 
Hey, salve gente! Scusate se ci ho messo un po' a pubblicare questo nuovo capitolo, ma sono appena tornata dalle vacanze. Sorry! A parte questo spero che vi piaccia :) alla prossima <3 
Fre

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Capitolo 16
*** Mio padre fa schifo, ma non posso farci niente ***


Non riuscivo a crederci. Fra tutti gli dei che esistevano, dovevo essere imparentata proprio con LUI? Mi chiedevo come avesse fatto mia madre ad innamorarsi di un tipo del genere. Avevo letto parecchi miti su Zeus e nessuno di questi era minimamente degno di nota. Ok, aveva salvato i suoi fratelli da Crono ed era una figura fondamentale per l'Olimpo, ma era anche vero che aveva passato quasi tutta la sua immortale vita ad inseguire donne a destra e a manca! Le aveva rapite, si era trasformato in animali strani o, comunque, le aveva ingannate. Avrei dovuto aggiungere a quella lista chilometrica anche il nome di mia madre? No! Non poteva essere vero, non doveva esserlo. Forse c'era stato un errore, anche gli dei possono sbagliare, no? Mi chiesi se avrei potuto essere fulminata sul posto anche per aver osato solo pensare una cosa del genere. Non era una buona idea mettere alla prova il caro vecchio "orgoglio divino". Prima regola da imparare: mai e poi mai credersi migliori delle divinità e, per carità, mai evidenziare un loro errore! 

-Iris...m-ma tu...-

balbettò Solaris facendosi largo fra la folla senza mai staccarmi gli occhi di dosso. Il simbolo della folgore scomparve poco dopo in una leggera nuvola azzurrina. Purtroppo, questo non bastò a togliermi di dosso tutti quegli sguardi increduli e scioccati. Odiavo ritrovarmi in situazioni del genere. 

-Non ci posso credere! Per la barba di Efesto...Iris, tu sei una figlia di Zeus! Lo capisci che significa questo?-

mi chiese la bionda andando fuori di testa 

-Ehm...veramente no. Non ne ho la più pallida idea- 

ammisi imbarazzata. 

-Significa che sei dotata di un grande potere. Tuo padre è uno dei Tre Pezzi Grossi sull'Olimpo, è raro avere gente come te qui al campo-

continuò Sam raggiungendoci 

-Tre Pezzi Grossi? Cosa vorrebbe dire?-

-Così vengono chiamati Zeus, Poseidone e Ade. Sono gli dei più forti e temibili, per questo è così straordinario il fatto che uno di loro sia il tuo genitore divino-

spiegò Ginger 

-La progenie del dio del cielo. Leader naturali, molto coraggiosi, con capacità incredibili-

-Ed io dovrei essere tutto questo?-

chiesi impaurita e sconcertata

-Certo! Dico, hai visto cos'hai appena fatto? Hai letteralmente emesso elettricità!-

esclamò Yuya 

-Già, è stato strano...-

-Strano? Ma che dici? Io direi che è stato grandioso invece!- 

 il figlio di Ermes si avvicinò al mio orecchio e bisbigliò con un sorrisetto divertito

-Avresti dovuto vedere la faccia di quella della casa di Ares. Uno spettacolo impagabile-.

La cerchia di semidei attorno a me si fece più chiassosa e stretta fino a circondarmi da ogni lato. Ogni singola persona nella stanza si stava congratulando con me, come se avessi fatto chissà che cosa. In pochi secondi ero diventata la ragazza più interessante del mondo. Non riuscivo a sopportarlo, sentivo che stavo per esplodere. Mi feci largo fra la folla e scappai fuori dalla stanza ignorando i miei amici che cercarono di fermarmi. Era decisamente troppo. Avevo mille pensieri in testa e nessuno di essi mi aiutò a sentirmi meglio. Mi sentivo persa e disorientata. Avevo bisogno di starmene un po' da sola, lontano da quelle assurde attenzioni e da quegli elogi che non meritavo affatto. 

Continuai a correre senza sosta, fino ad inoltrarmi nel cuore della foresta. Decisi di sedermi sull'erba per riprendere fiato e riflettere più chiaramente su ciò che era appena successo. Io ero figlia di Zeus, quel lancia saette capriccioso e donnaiolo che occupava il trono dell'Olimpo, ed ora tutti si aspettavano da me una sorta di trasformazione da ragazza qualunque ad una specie di Terminator indistruttibile. Mi credevano potente e capace di comandare. Io non volevo affatto essere una leader! Desideravo solamente sentirmi accettata, ma ormai non aveva più importanza. Sarei stata di nuovo etichettata come quella diversa, la pargoletta di Mr. Nuvola D'oro. Alcuni semidei mi avrebbero sicuramente temuto, avrebbero avuto paura di me, altri invece mi avrebbero trattata con riguardo solo a causa di mio padre. Proprio quando cercavo di farmi una nuova vita ed ero pronta a lasciarmi alle spalle quella vecchia, andava tutto a rotoli! Perché non potevo essere normale una buona volta? Perché dovevo sempre essere quella strana? Se prima odiavo mio padre, pur non sapendo praticamente nulla su di lui, ora lo detestavo. Non solo mi aveva impedito di voltare pagina, ma non c'era mai stato per me. Avrei potuto incrociarlo per strada senza riconoscerlo, era un completo sconosciuto. 

Trattenni le lacrime e mi misi a fissare il cielo che quel pomeriggio si era colorato di un azzurro intenso. Ad un tratto sentii dei rumori sospetti. Qualcosa stava avanzando a gran velocità verso di me calpestando foglie secche e ramoscelli. Mi alzai velocemente da terra e feci scattare il mio ciondolo-arco. Fortunatamente, avevo avuto il tempo di prendere qualche freccia d'emergenza dall'armeria. Promemoria per me: ricordarsi di procurarsi una faretra. Sfilai una freccia dalla cintura che portavo per trasportare la mia spada e la incoccai attendendo un segnale. Il rumore si fece più insistente e veloce. Oltre ai problemi famigliari mi toccavano pure i mostri! Tesi l'arco e mi preparai ad abbattere la creatura a vista, ma quest'ultima fu più rapida e mi saltò addosso facendomi cadere a terra. Non appena riaprii gli occhi rimasi senza parole. Il mio cane-lupo, Fenrir, se ne stava lì a fissarmi contento con il suo dolcissimo muso peloso. Grazie al cielo, era ancora alle sue dimensioni normali, altrimenti mi avrebbe ridotto ad una sottiletta. 

-Hey Fenrir! Dove ti eri cacciato, si può sapere?- 

lo salutai felice accarezzandolo. Lui rispose leccandomi la faccia e scodinzolando come un pazzo. Notai che le sue ferite, procurate dallo scontro con l'uccello del lago Stinfalo, erano guarite. 

-Ok bello, anche io sono contenta di vederti, ma vorrei avere un attimo di respiro-

dissi, spingendolo delicatamente accanto a me e mettendomi seduta. Diedi una spolverata ai miei vestiti ricoperti di terra e mi asciugai le guance umide di bava. Fenrir  si sdraiò e mise il muso sulle mie gambe, fissandomi con quei suoi occhioni scintillanti. Almeno avevo qualcuno con cui poter confidarmi.  

-Sapessi cos'è successo mentre eri via, piccolo! Ho scoperto che mio padre, quello vero, è Zeus! Sì, proprio lui! Roba da non crederci, vero? E come se non bastasse ora tutti si aspettano che io sia all'altezza del suo nome! Cosa dovrei fare? Forse potrei semplicemente restare qui e vivere nei boschi. Potrei procurarmi dell'acqua facilmente grazie ai fiumi vicini e riuscirei a cavarmela con il cibo cacciando qualche piccolo animale, sebbene vada contro le mie convinzioni morali-

rimasi per un po' in silenzio, continuando ad accarezzare il morbido pelo del mio amico a quattro zampe 

-Ma che sto dicendo?! Non posso starmene qui! Deluderei i miei amici, Chirone e mio padre Oliverius! Però...non voglio nemmeno essere trattata di nuovo come un fenomeno da baraccone-.

I miei pensieri furono interrotti da uno scatto improvviso di Fenrir. Il mio cucciolo annusò dubbioso l'aria, rizzò le orecchie e si mise a ringhiare nervosamente fissando un punto preciso alla nostra destra. Di nuovo scattai sull'attenti e ripresi in mano l'arco che avevo appoggiato ai miei piedi mentre Fenrir cambiò forma diventando enorme, come nella battaglia a casa mia. Si mise accanto a me, pronto ad attaccare. Dopo qualche secondo, udii dei passi lenti, ma decisi provenire da dietro un albero. Mi accasciai con la schiena sul lato sicuro della corteccia, preparai la mia arma e con un movimento rapido la puntai contro la nuova minaccia. Sentii un urlo spaventato seguito dalle parole 

-Ti prego, non ammazzarmi! Vengo in pace, lo giuro!- 

Non appena mi resi conto di ciò che avevo appena sentito, inclinai leggermente la testa. Ero a dir poco confusa. 

-Come scusa?- 

domandai credendo di aver capito male, poi me ne accorsi. Ciò che avevo davanti non era affatto una belva assassina, ma un semplice ragazzo, probabilmente del campo. Aveva i capelli ricci e scuri, gli occhi marroni e delle strane orecchie, simili a quelle degli elfi sui libri di fiabe. Indossava una camicia con le maniche fino ai gomiti. Era leggermente aperta sul davanti per mostrare la maglia arancione del campo. Il suo strambo look veniva completato da un paio di bretelle, dei pantaloni scuri, una cintura degli attrezzi e degli scarponcini. Teneva le mani in alto e pareva parecchio agitato, cosa che mi fece quasi ridere. Rimasi a fissarlo per qualche secondo, studiandolo, come facevo sempre con gli estranei. 

-Chi sei tu?-

domandai 

-Io sono Leo, Leo Valdez, e sono il fichissimo e fantastico capo cabina della casa di Efesto. Sai, ti sarei davvero grato se potessi togliermi la punta di questa freccia dalla faccia- 

 disse. Abbassai l'arco mettendomelo a spalle e riposi la freccia nella cintura. Il figlio di Efesto si rilassò e tirò giù le mani sospirando. Fenrir si calmò e tornò alla normalità. 

-Scusa se te lo chiedo, ma di solito ti aggiri per la foresta cercando di trasformare in uno spiedino il primo che passa?- 

-Certo che no! Per chi mi hai preso? Ho reagito in questo modo solo perché pensavo che fossi un mostro-

spiegai 

-Oh, ti ringrazio- 

rispose sarcasticamente il ragazzo

-Non in quel senso! Facevi un sacco di rumore camminando. E poi sei comparso all'improvviso da chissà dove- 

precisai. 

-Beh, si da il caso che sia appena tornato dal Bunker Nove. Ho fatto qualche piccolo lavoretto-

-Che cos'è il Bunker Nove?-

a quella domanda, Leo rimase leggermente stupito 

-Davvero non ne hai idea?-

-No. Sono nuova al campo, non conosco quasi niente, a dire il vero- 

rivelai 

-Allora devo assolutamente fartelo vedere. Credimi, è da non perdere! Forza, andiamo- 

esclamò prendendomi per mano e trascinandomi in discesa, fra le sterpaglie, mentre Fenrir ci trotterellava affianco. Aveva un sorriso amichevole e rassicurante. Dava l'impressione di essere una di quelle persone che amano la vita e a cui piace divertirsi. La sua mano era sorprendentemente calda, come se l'avesse appena tirata fuori dal microonde. 

-A proposito, come hai detto che ti chiami?-

chiese ad un tratto risvegliandomi dai miei pensieri 

-Veramente non l'ho mai detto. Comunque mi chiamo Iris, Iris Luna Ryx. Ah e il cucciolotto che ci sta dietro è Fenrir- 

-Iris, mi piace! E mi piaci anche tu, Fenrir-.

Il mio cane-lupo fece un latrato di ringraziamento, segno che la cosa era reciproca.  

Dopo una lunga camminata, durante la quale avevo perso la cognizione del tempo, arrivammo davanti ad una specie di rupe. Leo si fermò davanti ad essa e si avviò verso la roccia massiccia. 

-Tutto qui? Un paio di rocce? Mi deludi Valdez-

commentai 

-Quanto siamo impazienti. Non ti hanno mai detto che non si giudica un libro dalla copertina? Niente è mai come appare- 

rispose, poi le sue dita presero letteralmente fuoco. Al ragazzo bastò avvicinare la mano in fiamme alla roccia per fare comparire un'enorme porta dai profili rosso acceso, che si spalancò subito dopo davanti al mio sguardo incredulo. 

-Tu hai...ma come hai fatto? Insomma, ti sei carbonizzato una mano!- 

sbraitai 

-Forte, eh? Un piccolo trucchetto ereditato da mio padre. Sono l'unico figlio di Efesto in grado di farlo attualmente. Sono un'edizione speciale, ragazza-

ridacchiò

-Tu controlli il fuoco? Ora sì che mi hai veramente stupita-.

Leo si mise da parte e fece un inchino regale tendendo una mano alzata in direzione della porta

-Prego, dopo di te-. 

Entrai, presa dalla curiosità di scoprire che cosa mi avrebbe atteso dall'altra parte di quel passaggio segreto. Il figlio di Efesto, insieme a Fenrir, mi seguì a ruota, mettendosi di fianco a me. Quel posto era gigantesco! Rimasi incantata dagli strani macchinari che lo occupavano quasi totalmente, la maggior parte dei quali non riuscivo a comprenderne nemmeno lo scopo. Il resto dell'area era circondata di banconi da loro colmi di attrezzi, schemi, disegni, mappe e quant'altro. 

-Accidenti! Non posso credere che esista davvero un posto del genere-

mormorai 

-Benvenuta nel mio mondo, Iris. Che ne pensi? Piuttosto strabiliante, non ti pare?-

domandò Leo con fierezza, sempre accompagnato da quel suo sorriso al quale mi stavo già abituando

-Che ne penso? Mi sembra un sogno! Voglio dire, guarda questi progetti! Non sono certo un'esperta di meccanica, ma sono talmente precisi e curati nei dettagli. E i disegni? Fantastici! Altro che quelli del mio...-

mi interruppi, ripensando a quello che stavo per dire, ma era troppo tardi

-Del tuo cosa?-

-Beh...diciamo che potrei avere un quaderno dei disegni dove illustro tutto ciò che mi passa per la testa-

risposi vaga

-Sul serio?-

-Sì, ma non è niente di che, davvero. Non l'ho mai mostrato a nessuno...-.

Guardai il ragazzo, tenendo la testa bassa. Era un tipo simpatico, mi aveva trattata gentilmente e mi piaceva parlare con lui. Malgrado le mie insicurezze, una vocina nella mia testa mi consigliò di fidarmi. Forse non era troppo tardi per farmi un nuovo amico e dimenticarmi della mia orrenda parentela con il dio del cielo. 

-Sai che c'è? Penso che per te potrei anche fare un'eccezione-

terminai 

-Oh, mi sento onorato-

disse lui ridendo. 

-Ancora non capisco una cosa però-

ammise

-Spara- 

-Che ci facevi nel bel mezzo della foresta?-

-Preferirei non parlarne-

ammisi

-Qualcosa non va?-

chiese con aria preoccupata 

-Oh, no figurati. Ho solo scoperto che il mio odiatissimo e stupido padre naturale è un megalomane arrogante che se ne sta sul suo trono dorato a dare ordini tutto il giorno! Cosa può esserci di meglio?-

mi lamentai 

-Vuoi dire che tuo padre è...-

-Zeus-

dissi, mettendo in quel nome la rabbia, l'angoscia e lo smarrimento che provavo. 

-Oh miei dei!-

urlò Leo sbigottito

-Già. E quel che è peggio, per colpa sua ora gli altri semidei si aspettano che io sia Wonder Woman in versione greca. IO! Non sono un'eroina! E non voglio assolutamente dare qualsivoglia ordine a nessuno. Semplicemente non fa per me...desidero solamente essere normale una buona volta. Ti sembra che chieda troppo?-

mi sfogai

-Mi sembra di sentir parlare Jason-

disse il riccio mettendosi ad armeggiare con quello che pareva essere uno strano prototipo di qualcosa

-Chi è Jason?-

-Il mio migliore amico. Guarda caso, anche lui è un figlio di Zeus. Beh, in realtà sarebbe figlio di Giove, dato che proviene dal campo romano- 

precisò. Avevo già sentito qualcosa del genere. Scavai nella mia memoria, fino a ricordarmi una conversazione avuta in mensa al tavolo di Ermes

-Quel Jason. Travis e Connor mi hanno accennato qualcosa su di lui. Se non sbaglio ha una sorella, una cacciatrice di Artemide-

-Talia. Lei viene da questo campo ed è una bomba-.

Ignorai l'ultima parte del commento di Leo e continuai, pensando ad alta voce

-Quindi...ho un fratello e una sorella. Grandioso-.

Mi chiesi che cosa avrei dovuto aspettarmi da loro. Sarebbero stati altri famigliari che avrei voluto cancellare volentieri dalla mia lista di parentele? Mi avrebbero accettata? Oppure mi avrebbero completamente ignorata, continuando le loro vite? 

-Vedrai, ti piaceranno. Talia non passa molto spesso da qui, ma quando tornerà Jason, avrai modo di conoscerlo meglio-

-La sua ragazza è con lui, vero?-

-Piper-

disse Leo

-Un'altra tua amica?-

-Proprio così.  Sua madre è Afrodite e, che tu ci creda o no, suo padre è una stella del cinema-.

Non appena udii quelle parole, sentii un groppo salirmi in gola. Avevo voglia di piangere e sorridere allo stesso tempo.

-Ne so qualcosa di padri famosi. Il mio padre adottivo è Oliverius Ryx-

sussurrai con un filo di voce

-Il noto eroe genealogico? Ho sentito molte storie sul suo conto. Dicono che sia magnifico-

-E lo è-

confermai

-Lui è il migliore del mondo-.

Una lacrima mi rigò la guancia contro la mia volontà. Mi imposi di non singhiozzare. Fenrir si accasciò ai miei piedi con aria triste. Leo sistemò il prototipo su uno dei banconi e si avvicinò a me, mettendomi una mano sulla spalla

-Hey, che ti prende?-

-Scusami. Sono una sciocca, lo so, è solo che...ho paura che mio padre non ritorni mai più dalla sua ultima missione-

confessai asciugandomi il viso con il dorso della mano 

-Non sei affatto una sciocca, Iris. E' normale essere in pensiero per le persone a cui vogliamo bene-

-Ti ringrazio-

dissi con il massimo della sincerità. Non mi piaceva fare pena agli altri, così presi un respiro profondo e saltai giù dal tavolo sul quale mi ero seduta durante la nostra chiacchierata. Quando mi sentii meglio, mi voltai di nuovo verso il figlio di Efesto

-Ti dispiacerebbe accompagnarmi di nuovo al campo? Non me la sento di affrontare di nuovo la spaventosa e rivoltante popolarità da sola. Un amico mi farebbe comodo-.

Il viso di Leo s'illuminò, facendo rispuntare la sua espressione allegra 

-Conta pure su di me-

mi rassicurò uscendo con me e Fenrir dal Bunker e chiudendosi la porta alle spalle. 

 

Angolo Autrice

So che cosa state pensando:

1-Ma pubblicare ad orari normali mai, eh? (gno! :P) 

2-Ma sei pazza? Un capitolo così lungo?

Lasciate che vi spieghi.  Allora, domani partirò alla volta della Spagna, più precisamente Valencia. Ci resterò circa una settimana a fare un viaggio studio, quindi fra le lezioni da seguire, le visite guidate, lo shopping, gli spot pubblicitari spagnoli e il pieno di cibi strani che farò laggiù, temo che non riuscirò a pubblicare nulla, perciò godetevi questo capitolo! Ma non temete, quando tornerò si ripartirà alla grande, promesso! Hasta la vista, amigos! 

Baci 

Fre<3

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Capitolo 17
*** La mia prima caccia alla bandiera ***


Lungo la strada io e Leo chiacchierammo del più e del meno. Raccontammo aneddoti del nostro passato e ci scambiammo opinioni riguardo alle nostre passioni. Quel ragazzo era davvero brillante, sembrava quasi uno di quegli inventori pazzi che si vedono sempre nei film di fantascienza. Mi piaceva il fatto che non prendesse le cose troppo seriamente e scherzare in sua compagnia mi aiutò a dimenticare i miei problemi, almeno per qualche minuto. Una volta raggiunta la Collina Mezzosangue, ci dirigemmo automaticamente alla Sala Comune. Come previsto, non appena varcammo l'entrata, tutto tacque e mi ritrovai gli occhi di più di una trentina di semidei puntati addosso. Ringraziai che non fosse presente l'intero campo, altrimenti la situazione sarebbe stata ancora più insostenibile. Dopo aver preso un bel respiro, percorsi la stanza lentamente, ancora avvolta da quell'inquietante silenzio tombale. Riuscivo addirittura a sentire la suola consumata delle mie scarpe toccare il pavimento ad ogni passo. Leo si mise accanto a me seguito da Fenrir, che ormai l'aveva preso in simpatia. Quando arrivai al centro della sala, mi guardai attorno nervosamente. Il figlio di Efesto mi si avvicinò e bisbigliò

-Ma che problemi hanno?-

-A me lo chiedi? Sono stufa di essere osservata! Mi viene da vomitare-

confessai, trattenendo l'impulso di farlo veramente

-Ci penso io-

rispose.

Non avevo idea di come avrebbe fatto a risolvere il problema, ma sembrava determinato a trovare un modo per uscirne. Fece un rapido giro del perimetro con lo sguardo. Sembrava poter leggere i pensieri dei presenti, cosa che, lo sapevo bene, era solo frutto della mia immaginazione fin troppo fervida. All'improvviso disse a gran voce

-Ok ragazzi, lo spettacolo è finito. Perché non tornate alle vostre attività? Così spaventerete la povera Luna Ryx-.

Per circa tre secondi si udì solamente l'eco delle parole di Valdez, poi accadde il miracolo. Incredibile ma vero, la tattica funzionò e finalmente quell'atmosfera cupa da funerale si sciolse. L'ansia si allontanò, ricominciai a respirare regolarmente e tirai leggermente una manica della camicia di Leo per richiamare la sua attenzione. Quando si voltò per guardarmi, tutto ciò che riuscii a dire fu un mormorato e sincero

-Grazie-.

Il figlio di Efesto sorrise

-E di cosa? In fondo è ciò che faccio sempre, aggiustare le cose-

-Se ti piacciono così tanto le riparazioni, troverai la mia vita molto interessante. Ci sono moltissime cose che non funzionano come dovrebbero-

-Beh, vorrà dire che vi porremo rimedio un po' alla volta-

mi rassicurò.

Fui veramente grata alla Parche per avermi dato una piccola gioia facendomi incontrare quel ragazzo nel bosco. Per una volta, le cose non erano poi così terribili. Sì, mi sentivo ancora come un'aliena atterrata sul pianeta Terra direttamente da Marte, ma era diverso rispetto alla mia vecchia vita. Al campo avevo trovato, stranamente, dei veri amici pronti a sostenermi e a guardarmi le spalle. Era una sensazione del tutto nuova, eppure già non riuscivo più a farne a meno. 

Ero così avvolta dai miei pensieri che non vidi nemmeno arrivare Soly. La figlia di Apollo corse a velocità supersonica nella nostra direzione e mi scaraventò a terra saltandomi addosso all'improvviso per abbracciarmi. 

-Iris! Stai bene! Meno male, eravamo così preoccupati per te. Dove diavolo eri finita? Non riprovare mai più a scappare in quel modo!-

-Anche io sono felice di rivederti Soly, ma mi stai soffocando-

-Dettagli. Rispondi alle mie domanda piuttosto! Che ti è successo? Come mai sei corsa via senza dire niente a nessuno?-

domandò alzandosi e porgendomi la mano. Io l'afferrai e mi rimisi in piedi, spolverandomi i vestiti colmi di sabbia e terra

-Tu che cosa avresti fatto al mio posto? Voi ragazzi eravate lì a fissarmi e a sparare complimenti a destra e a manca come se ad un tratto mi fossi magicamente trasformata in Terminator!-

spiegai ancora inorridita al solo pensiero 

-Mi pare ovvio! Hai delle doti speciali, Iris. Il tuo è un potere incredibile, questo non puoi negarlo-

-Io non sono speciale! Voglio solo essere come gli altri, chiedo troppo?-

-Hai visto quello che hai fatto in mensa durante la rissa con la figlia di Ares! Non è stato 

stupefacente?-

-Più che altro è stato bizzarro-

ammisi. 

La bionda mi guardò preoccupata, poi mi diede un altro abbraccio 

-Mi dispiace, Iris. Non volevamo che ti sentissi diversa. Il fatto è che anche per noi è stata una sorpresa la scoperta della tua parentela con Zeus. Posso solo immaginare come l'abbia presa tu-

-Tranquilla, adesso sto bene-

la rassicurai ricambiando l'abbraccio. 

Fummo interrotte da un colpetto di tosse intenzionale alle nostre spalle. Non appena ci voltammo notai che Leo e Fenrir avevano entrambi la stessa espressione da cucciolo bisognoso di attenzioni, così feci loro cenno di avvicinarsi a noi.

-Soly, questo è  Fenrir-

dissi indicando il mio compare peloso. La ragazza si chinò subito con entusiasmo per accarezzarlo 

-Ciao bel cucciolotto! Ma come sei grande! Tu sì che sei un bravo cane, vero?-.

Fenrir agitò la coda come un pazzo e leccò la faccia di Solaris. Sorrisi alla visione di quella scena così affettuosa 

-Di che razza è?-

-Beh, in realtà è un incrocio tra un mastino infernale ed un lupo grigio dei boschi-

-Davvero? Wow!-

esclamò colpita.

Dopo qualche altro elogio all'animale, spostò gli occhi ambrati in direzione di Leo 

-Vedo che hai conosciuto Valdez. Sta molto attenta con lui nei paraggi, potrebbe incendiare qualsiasi cosa gli capiti a tiro, sempre che non la faccia esplodere prima-

mi avvertì 

-E' sempre un piacere, signorina Firejewel-

rispose il figlio di Efesto con un sorriso. Finita la breve rimpatriata, ci incamminammo alla Collina Mezzosangue per le restanti attività pomeridiane. 

Una volta arrivati, rimasi sorpresa di vedere i ragazzi del campo disposti in cerchio, intenti ad ascoltare attentamente una persona che si trovava al centro. Mi avvicinai per vedere meglio il volto dell'individuo misterioso creandomi un varco fra la folla. Quando finalmente raggiunsi le prime file, incrociai lo sguardo di un uomo grassoccio, con i capelli ricci e un discutibile senso della moda. Portava una camicia leopardata, un paio di calzoncini da passeggio e, cosa che mi fece quasi dare di stomaco, i sandali sopra i calzini! Era senz'altro una delle cose che detestavo di più al mondo e che facevo fatica a sopportare. Avrei tanto voluto placcarlo imitando un giocatore di rugby e strappargli quella schifezza dai piedi, ma mi trattenni. Teneva in mano un bicchiere pieno di un liquido marroncino che, ipotizzai, doveva essere Coca Cola.

-Bene, guarda un po' chi ha deciso di unirsi a noi. Ivy Laguna Finn, giusto?-

-Veramente è Iris Luna Ryx-

-Fa lo stesso. Sei la nuova arrivata...la figlia di Zeus. Praticamente siamo fratelli-.

A quelle parole per poco non mi misi a ridere. L'idea di avere uno strambo con l'aria da festaiolo e la dannata combinazione mortale calzini-sandali mi divertiva e allo stesso tempo mi disgustava. Una cosa del genere mi risultava del tutto inconcepibile, perfino in un mondo folle come quello di una semidea. 

-Ehm...mi scusi, ma chi è lei esattamente?-

-Oh! Sono contento che ti abbiano parlato così tanto di me, Heidi!-

questa volta non provai nemmeno a correggerlo

-Si da il caso che io sia il direttore di questo campo. Ma non certo per mia scelta, capito? No, è stato il nostro caro paparino, Zeus, a mandarmi qui! Prima mi ha premiato facendomi diventare un dio e poi mi ha sbattuto in questa topaia, abbandonato in mezzo a voi teppistelli per i prossimi cinquant'anni senza poter nemmeno toccare una goccia di vino! Mi tocca bere una misera Diet Coke, roba da matti-

si lamentò bevendo un sorso della bevanda. 

Dalle sue parole, capii finalmente chi mi trovavo davanti 

-Lei è Dioniso?!-

-In tutto il mio divino splendore, ragazza! Ma qui mi conoscono come il Signor D.-

precisò, io annuii leggermente.

-Molto bene, ora torniamo a noi. D'accordo mocciosi, è giunta l'ora di dimostrare di cosa siete capaci-

-Di che cosa sta parlando?-

chiesi voltandomi verso Soly

-Questo ti piacerà, credimi-

mi assicurò con un sorriso quasi inquietante. 

-Cercate di non ammazzarvi, buona fortuna e bla, bla, bla. Che abbia inizio la caccia alla bandiera!-

annunciò il signor D. alzando il bicchiere di Diet Coke verso il cielo e facendone cadere alcune gocce a terra.

-Che cosa sarebbe questa caccia alla bandiera?-

-Semplice-

rispose Leo

-Le case vengono divise equamente in due squadre. A entrambe viene data una bandiera da dover collocare in un posto sicuro, poi si decide lo schema d'attacco che si vuole adottare durante il gioco. Lo scopo è rubare la bandiera degli avversari-

-Wow, sembra divertente-

ammisi impaziente di cominciare. Avrei potuto finalmente menare forte qualcuno senza preoccuparmi di finire nei guai. Uno spasso assurdo, il modo perfetto per scaricare un po' di rabbia repressa e darmi da fare. 

-D'accordo, procedete con i preparativi-

ordinò Dioniso mettendosi a sedere su una comoda sedia, pronto a godersi lo spettacolo. 

I semidei si armarono di tutto punto impugnando le proprie armi e sistemandosi le armature greche. Anche io ne ricevetti una. Aveva un fantastico colore argentato con decorazioni dorate che formavano spirali lungo tutto il torace e faceva davvero un bell'effetto accostata alla mia spada che tenevo accuratamente nel fodero legato al fianco con una cintura in pelle. Decisi che era l'occasione perfetta per testare il mio nuovo arco, così staccai il ciondolo e premetti il bottone. Andai a procurarmi una faretra e mi munii di frecce. Come ultima cosa mi misi l'elmo in testa. Era dei medesimi colori dell'armatura, ma sembrava più...potente. Una volta indossato sul capo, mi accorsi che pareva quasi una tiara regale. Non mi faceva impazzire l'idea di apparire importante, anzi, la detestavo! Ma, a differenza delle altre volte, pensare a me stessa come ad una principessa guerriera non mi dispiaceva più di tanto. Sentivo l'adrenalina salire a mille, ero carica e pronta più che mai. 

Mi voltai verso i miei amici e rimasi a bocca aperta quando vidi Solaris.

Aveva una splendida armatura dorata che scintillava come il sole ed una spada pronta all'uso nella mano destra. La frusta che usava come cintura era ancora al suo posto e, ne ero certa, Soly non ci avrebbe pensato su due volte prima di aizzarla contro i propri nemici, era solo questione di tempo. 

-Sei nervosa?-

chiese mettendosi l'elmo 

-Più emozionata-

risposi 

-Sarà fortissimo, vedrai-

ribadì. 

Stavo per dirigermi verso il resto del gruppo, quando all'improvviso sentii una voce dietro di me dire

-Vedo che sei già pronta a fare strage, stramba-.

Feci un salto incredibile dalla sorpresa e mi girai di scatto con sguardo assassino verso Nico Di Angelo. Quel ragazzo doveva assolutamente migliorare le sue entrate.

-Dannazione, Nico! Mi hai fatto prendere un colpo! Arrivi sempre così di soppiatto?-

il figlio di Ade non rispose.

-Non mi aspettavo di vederti. Finalmente lo zombie è uscito dalla tomba-

lo stuzzicai

-Ho semplicemente deciso di concedermi un'innocua partita a caccia alla bandiera-

-Allora sarà meglio che ti sbrighi a prepararti. Fra poco si comincia-.

Nico andò a procurarsi l'occorrente per il gioco ed io mi unii a Soly e Yuya che, come al solito, stavano battibeccando.

-D'accordo, ecco qui le squadre-

annunciò Chirone mettendosi al centro della collina

-la prima squadra è composta dalle case di Efesto, Ares, Afrodite, Iride, Demetra, Nike, Nemesi, Poseidone e Apollo-

-Beh, sembra che collaborerò con Leo e Ginger-

osservò Solaris

-Speriamo che Jackson faccia il suo dovere-

-Jackson?-

domandai. Quel nome mi diceva qualcosa

-Percy Jackson, di sicuro ne hai sentito parlare. Percy è figlio di Poseidone-.

Riavvolsi il nastro della mia memoria e ricordai alcune storie sul suo conto raccolte la sera del falò. Si diceva che fosse  un semidio molto forte e leale. 

Chirone dissolse il chiacchiericcio che si era creato rivelando la seconda squadra

-La squadra avversaria sarà composta dalle case di Atena, Ermes, Ecate, Nyx, Dioniso, Tyche, Ebe e Ade-

di nuovo si venne a creare una gran confusione. Mi accorsi solo qualche istante dopo di non essere stata assegnata a nessuna squadra. Stavo giusto per renderlo noto, quando il centauro mi invitò a raggiungerlo. Mi guardò con il suo solito sorriso amichevole e rassicurante, poi disse

-Lei è Iris Luna Ryx, figlia di Zeus. Essendo l'ultima arrivata al campo, è tradizione che siano i compagni di una delle due squadre a decidere di accettarla fra di loro.  Allora, chi desidera combattere al fianco di Iris?-. 

Mi immaginai già nella testa il "cri-cri" dei grilli, con tanto di balla di fieno in stile western che attraversa la strada. A scuola ero sempre stata abituata ad essere l'ultima scelta di chiunque. Nessuno mi voleva con sé per svolgere progetti o lavori di gruppo. Ero scartata anche nei giochi e quando bisognava scegliere un compagno di laboratorio. Da piccola pensavo addirittura di sembrare una lebbrosa, visto che gli altri si tenevano sempre a debita distanza. Col tempo era diventata una cosa normale, faceva parte della mia quotidianità e la mia solitudine iniziava quasi a piacermi, o almeno così credevo. 

Rimasi senza parole quando vidi una moltitudine di mani alzate. Veramente volevano me? Ero tentata di ripetere la domanda, pensando che non avessero capito bene. 

-Sarebbe davvero bene accetta nella nostra squadra-

commentò un ragazzo facendosi avanti. Aveva i capelli scuri e gli occhi del colore del mare. Era piuttosto alto e, a vederlo, era più grande di me di circa tre anni. Impugnava una spada con disegnato un tridente sul forte. Da quel piccolo particolare capii di avere davanti il famoso Percy Jackson di cui tutti parlavano. In totale sincerità, mi aspettavo che fosse un tantino più affascinante, come una specie di supereroe o principe azzurro. Appariva un ragazzo normale, dall'aria socievole, ma riuscivo quasi a percepire il potere che irradiava. 

-Ti ringrazio-

mormorai, ancora in parte confusa e pensierosa. Lui mi sorrise, ricordandomi uno di quei cagnolini dal muso tenero che si vedono spesso su internet. 

-Frena un momento, Jackson-

protestò Nico intromettendosi nella conversazione. Si era messo un'armatura nera simile alle ali spiegate di un corvo ed il suo elmo era impreziosito con una maschera a forma di teschio. Teneva ben stretta la sua spada fatta di ferro dello Stige. Conciato in quel modo, la morte sembrava avvolgerlo come un'oscuro mantello. La maggior parte delle persone avrebbe potuto trovarla una cosa inquietante. Io cercavo di vedere oltre l'apparenza. Vestito da guerriero scheletro o meno, quello era sempre Nico, l'irritante e asociale figlio di Ade che mi faceva sempre saltare i nervi. 

-Nico? Che ci fai qui?-

chiese Percy con aria sorpresa. Evidentemente non si aspettava che il ragazzo fosse presente, specie durante le attività del campo. A pensarci bene, sembrava una cosa più che improbabile, eppure era successo. 

-Non farci l'abitudine. Sono venuto solo per evitare che questa scema si ammazzi già alla sua prima partita-

rispose facendo un cenno verso di me 

-Chi sarebbe la scema, scusa?!-

protestai. Odiavo quando faceva così! 

-Capisco. Mi pareva di aver sentito in giro delle voci riguardo ad una ragazza alla quale facevi da custode. Devo ammetterlo, non ci avrei mai creduto se non lo avessi visto con i miei occhi-

continuò il figlio di Poseidone 

-Beh, non ho avuto molta scelta-

si giustificò Nico

-Perché? Io invece sì?-

-Tanto a te che importa? Alla fine sono io quello che deve farti da baby-sitter-

-Nessuno te l'ha chiesto!-

-Certo. Dimentichi soltanto che se non fossi arrivato io, a quest'ora saresti già un fantasma-

-Ancora con questa storia! Non mi pareva che fossi così preoccupato quando ti sei dileguato senza dire niente...di nuovo!-.

Io e Nico non ci rendemmo conto della confusione che stavamo creando, finché Percy non simulò un colpo di tosse per richiamare la nostra attenzione

-Allora, se ho capito bene, vorresti che Iris restasse in squadra con te. Giusto, Nico?-

-Detto così è un po' esagerato, però in sostanza sì. Se le succedesse qualcosa, Oliverius mi farebbe a pezzi-

-Oh, puoi contarci. Papà è il migliore-

dissi sperando di non lasciar trasparire la sofferenza e la preoccupazione che cercavo di nascondere. Dovevo essere forte di fronte agli altri, o al massimo dovevo sembrarlo.  

Ci fu un momento di silenzio nel quale Percy e Nico si scambiarono uno sguardo che, a mio parere, nascondeva una certa tensione fra di loro. Mi accorsi di quante cose pensavo di sapere e di quante, in realtà, non conoscevo affatto. 

-D'accordo-

acconsentì alla fine il figlio di Poseidone 

-Per questa volta te la concedo-

-Che onore-

replicò sarcasticamente Di Angelo. 

Avevo in mente un solo aggettivo per lui in quel momento, ed era odioso, odioso, odioso! 

-Allora è deciso! Che la sfida cominci- 

esclamò Chirone fra le grida di gioia dei semidei. 

Nico si avvicinò a me e mi sussurrò in un orecchio 

-Non mi avevi detto che eri stata riconosciuta-

il suo respiro gelido mi provocò un brivido lungo tutta la schiena. Non riuscivo a capire se fosse una cosa negativa o meno.

-E come avrei potuto, scusa? Tu non ci sei mai!-

obbiettai 

-Una figlia di Zeus, eh? Non mi stupisce. Sei una cocciuta testa calda, proprio come tuo padre-

-Attento Di Angelo, potresti essere fulminato per questo-

lo avvertii

-E poi, come hai detto tu prima, non è che abbia avuto chissà quale scelta. Semplicemente è così, mi serve solo del tempo per accettarlo, anche se non sono sicura che succederà-

-Zeus è colui che nell'Olimpo detta legge, di sicuro ora ti tratteranno con riguardo. La cosa non ti soddisfa?-

-Affatto! Detesto dover essere vista come una potente arma di distruzione di massa! Io non sono speciale, non sono importante e non sono dotata di poteri micidiali! Sono ancora la sfigata che sedeva da sola al tavolo della mensa scolastica e che non ne fa mai una giusta. Questa sono io! E, francamente, non credo di poter essere qualcos'altro-

confessai. Ero talmente abituata all'idea di non valere niente, che era impossibile per me sentirmi come una vip ed essere trattata come tale. 

-Io non ne sarei così sicuro. Le persone cambiano, specie dopo aver ucciso mostri e duellato con figli di Ares-

-In effetti non mi dispiacerebbe ricevere un po' di umiltà e rispetto da parte tua-

dissi sorridendo con aria malvagia 

-Te lo puoi scordare! Sappi che figlia di spara fulmini o no, per me rimani comunque una scema lagnosa-

-Sempre meglio che essere uno zombie musone-

ribattei. 

Finito il nostro solito botta e risposta, raggiungemmo il resto della squadra per ideare lo schema d'attacco perfetto che ci avrebbe condotto alla vittoria. 

 

Angolo Autrice

Salve gente! Cos'è questo? Un miraggio? Un sogno? No! Sono io che torno dopo decenni con un nuovo capitolo! La scuola è ormai iniziata ed il tempo a disposizione è sempre meno purtroppo. Non sto qui a ripetere sempre le stesse cose e fare promesse del tipo "la prossima volta cercherò di essere più rapida" perché so che farei una fatica immensa a mantenerle. Spero che il capitolo vi piaccia, nel prossimo vedremo un po' di azione finalmente! 

Baci 

Fre<3 

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Capitolo 18
*** Testa d'alghe contro Lunatica ***


La nostra squadra si strinse in cerchio per discutere sul da farsi. La capo cabina della casa di Atena, Annabeth, aveva dato precise istruzioni ad ognuno di noi, suddividendo equamente i vari compiti. Senza alcun dubbio era una ragazza sveglia. Aveva cercato di anticipare le mosse degli avversari, studiato un contrattacco efficace e tenuto conto dei punti di forza e di debolezza, sia nostri che del nemico. Tutti sapevano cosa fare e come muoversi, ora stava a me dimostrare di essere all'altezza. Il mio ruolo era piuttosto importante.

Avrei dovuto correre in prima linea, approfittando della confusione generale, e sgattaiolare dalla parte opposta della collina in cerca della bandiera. Annabeth sosteneva fosse la cosa migliore, dopotutto non potevamo certo trascurare il fatto che nella squadra avversaria c'era niente di meno che il figlio di Poseidone, quindi la mia parentela con Zeus avrebbe potuto rimetterci in vantaggio. L'idea di dovermi scontrare con un semidio più grande, allenato ed esperto di me mi faceva accapponare la pelle. Percy mi era sembrato simpatico durante la chiacchierata pre-partita, ma avevo il sospetto che non si sarebbe di certo risparmiato sul campo di battaglia. Per fortuna, forse, non ero costretta a dover affrontare tutto da sola, infatti in questa corsa verso la vittoria sarei stata spalleggiata da Nico.

Ero contenta di averlo dalla mia parte, restava sempre difficile da sopportare, ma capivo che come nemico sarebbe stato molto più pericoloso. Aveva sempre quello sguardo freddo e distaccato che sembrava in grado di immobilizzarti sul posto e di certo il suo potere non era un segreto di stato. La sua aura di oscurità non lo abbandonava nemmeno per un attimo e a volte addirittura s'intensificava rendendo l'atmosfera difficilmente sostenibile. Nonostante ciò, non potevo fare a meno di essere dispiaciuta per lui. Le persone lo evitavano solamente perché avevano paura di lui e pensavano che fosse strano. Non lo ritenevo affatto giusto. Ancora non riuscivo a credere che qualcuno potesse sentirsi intimorito da Nico. Ero certa che dietro quella sua indifferenza e scontrosità ci fosse semplicemente un ragazzo solo, sofferente e amareggiato. Mi chiesi cosa lo avesse reso così chiuso in se stesso.

Annabeth mi risvegliò dai miei pensieri.

-Allora, tutto chiaro, Iris?-

chiese

-Cosa? Oh! Sì, certo-

-Perfetto! Non vedo l'ora di vedere la faccia di testa d'alghe quando lo stracceremo. Poverino, quasi mi dispiace per lui-

- Ma di che stai parlando?-

domandai confusa

-Sto parlando di Percy, ovviamente. Quando tu e Nico lo sconfiggerete, sono certa che sarà un duro colpo per la sua autostima-

-Beh, in realtà io non credo di poter...-

-Tutti ai vostri posti! Si comincia-

urlò la bionda interrompendomi.

Alzai le spalle rassegnata e sguainai la spada incamminandomi fra le prime linee. Fui raggiunta subito dopo da Nico.

-Sei pronta?-

-Oh, certo! Stai scherzando? Rischio tutti i giorni di ammazzarmi per recuperare un pezzo di tela! Niente di più semplice-

risposi sarcasticamente, ero tesissima. Mi tremavano le mani, ma cercavo comunque di restare calma quanto mi era possibile.

-Riassumendo?-

-Mi viene da vomitare-

-Ti direi di non preoccuparti, ma sarebbe una bugia. Se fossi distratto, impulsivo e sconsiderato come te, mi preoccuperei molto-

disse apertamente senza il minimo tatto

-Ti ringrazio, ora sì che sono carica-

-Quando vuoi-

-Ti detesto-

-Lo stesso vale per me, stramba-

-Fantastico, almeno su questo siamo d'accordo-

Gli feci notare, mettendo fine alla discussione.

Perché non riuscivamo mai ad avere una conversazione da persone normali? Cos'era che gli dava così fastidio di me? Ogni volta era capace di farmi passare la voglia di aiutarlo o solo averlo vicino. Forse quello era un altro motivo per la quale disponeva di poche simpatie, tendeva a respingere tutto e tutti senza nemmeno fare un tentativo o sforzarsi un po', semplicemente mollava. Mi venne in mente il giorno in cui lo incontrai a scuola per la prima volta, allora sembrava così diverso. Dopo averlo conosciuto meglio, non mi aveva più stupito il fatto che avesse finto per obbligo, era abbastanza evidente. Purtroppo per lui, non conosceva ancora bene me! Io non mi sarei arresa così facilmente, avrebbe anche potuto cercare di escludermi, demoralizzarmi e prendermi in giro quanto voleva, ma non si sarebbe liberato di me così facilmente. Lo avrei costretto a sopportarmi in un modo o nell'altro. Non sarei stata io la prima a cedere, questo mai.

-Hey, cerca di non farti ammazzare sul serio, ok?-

Mi raccomandò il figlio di Ade evitando di incrociare il mio sguardo. Aveva un tono più calmo e leggermente meno ostile di prima.

-Ci proverò-

risposi seccata. Ero ancora offesa per come mi aveva trattata in precedenza.

In lontananza qualcuno suonò un corno e la partita cominciò ufficialmente.

La casa di Atena si mise in attacco con le armi pronte, quella di Ecate copriva loro le spalle con l'aiuto di un pizzico di magia e quella di Ermes si posizionò in difesa seguita dal resto della squadra. Non passò molto tempo prima che ci ritrovassimo faccia a faccia con i figli del dio della guerra. Fra le prime linee riconobbi Ginger, sicura, forte, agile e micidiale come sempre. Roteava la sua katana come se non avesse fatto altro nel corso della sua vita, il che era molto probabile. Annabeth e i suoi fratelli non si lasciavano di certo scoraggiare dai loro minacciosi avversari che possedevano resistenza e tenacia, ma non abbastanza strategia e intelligenza da riuscire a sopraffarli senza un arduo e lungo scontro diretto.

Mi diedi appena qualche secondo per guardarmi intorno e rendermi conto che Nico si era già gettato nella mischia. I suoi colpi erano a dir poco incredibili. Non solo era rapido, ma gli erano sufficienti solo poche mosse per mettere fuori gioco i pochi coraggiosi nemici che gli si presentavano davanti. La sua spada di ferro dello Stige emanava una lieve luce violacea, come se il figlio di Ade stesse concentrando tutto il suo potere in essa. Decisi di non perdere altro tempo e corsi nella sua direzione. Riuscii a cavarmela discretamente durante i primi minuti, non intrattenevo battaglie per un tempo troppo prolungato e mi affidavo alla velocità e alla precisione nascoste da qualche parte dentro di me ed emerse all'improvviso subito dopo l'inizio del gioco. Riuscii ad inoltrarmi sempre più in profondità nella foresta, finché una sottospecie di montagna umana non mi sbarrò la strada.

-Dove credi di andare, carina? Questa volta non riuscirai a sfuggirmi!-

-Ancora tu!-

esclamai esasperata dopo essermi ripresa dall'impatto. Mi ritrovai davanti la stessa odiosa ragazza che aveva cercato di fare a botte con me in mensa. La sua espressione era tutt'altro che amichevole e le sue intenzioni, intuii, dovevano esserlo ancora meno.

-Ti farò pentire di avermi umiliata la scorsa volta!-

sbraitò furiosa gettandosi contro di me. Le nostre spade s'incrociarono, emettendo un forte suono metallico. Tentai di puntare alle caviglie, così da riuscire a rallentare la mia avversaria o farla cadere, ma l'operazione si rivelò più complicata del previsto. La rabbia repressa della figlia di Ares nei miei confronti l'aveva resa instancabile e assetata di vendetta. Ce la metteva tutta pur di non darmi nemmeno un attimo di pausa per pensare alla prossima mossa. Ad un tratto la ragazza sollevò la spada nell'apparente tentativo di tagliarmi in due come in quegli spettacoli di magia vecchio stile dove segavano a metà la gente. Io mi scansai appena in tempo facendo una capriola e approfittai della situazione per rialzarmi velocemente e tramortire la mia nemica con un colpo d'elsa ben assestato sull'elmo. La tattica funzionò e la gigantessa cadde all'indietro con la visiera incastrata davanti alla faccia.

-Hey! Torna qui, maledetta!-

urlò cercando di tirarla su e rimettersi in piedi, ma invano. Inciampò rovinosamente e rimase a terra con i pugni alzati gridandomi contro

-Non la passerai liscia! Un giorno ti annienterò!-

-Scusa, ma quel giorno non è oggi, vado di fretta!-

risposi correndo verso il lato avversario. Sfrecciai indisturbata fra gli alberi, sperando di non dover affrontare qualche altro guerriero infuriato, non mi andava proprio di imbattermi in spiacevoli sorprese. Il perimetro era sgombro e privo di trappole, cosa che mi fece nascere immediatamente parecchi sospetti. Procedetti con cautela mantenendo comunque un passo rapido. Mi stavo guardando attorno in cerca di Nico quando andai a sbattere contro qualcuno diretto verso la parte opposta del campo. Caddi a terra con un tonfo tremendo, mi massaggiai la fronte con la mano per alleviare il dolore e mi affrettai a dire

-Mi dispiace, non stavo guardando dove andavo-

-Oh, non preoccuparti, è anche colpa mia. Forse correvo troppo velocemente e mi sono distratto-

rispose a sua volta una voce familiare. Quando riaprii gli occhi vidi Percy Jackson a gattoni sul suolo che stava recuperando la sua spada. Ci fu un breve momento di imbarazzante silenzio assoluto durante il quale restammo a fissarci come due idioti completamente confusi e disorientati.

-Jackson?!-

esclamai incredula. Non ci misi molto a capire di essermi ritrovata in una pessima situazione. Non avevo idea di dove si fosse cacciato quel maledetto di un figlio di Ade, la squadra contava su di me per conquistare la vittoria e, cosa ben più problematica, sicuramente sarei stata obbligata a scontrarmi con Percy e per di più da sola!

-Iris? Non pensavo che ci saremmo incontrati così. Sei riuscita ad arrivare a metà strada durante la tua prima partita, niente male. Chissà quanti figli di Ares hai dovuto superare-

-Ehm...grazie, ma credo che ora dovrò superare anche te-

dissi senza alcuna traccia di determinazione. Mi uscì più come una frase ovvia, logica, un dato di fatto inevitabile. Non importava se volessi o meno, se fossi pronta, se avessi voluto evitarlo, dovevo e basta. Il mio obbiettivo era la bandiera e ciò che mi separava da essa ora era Percy Jackson.

-Speravo che lo dicessi-

ammise il figlio di Poseidone rimettendosi in piedi

-Allora, vogliamo cominciare? Fammi vedere che sai fare, figlia di Zeus-

aggiunse preparandosi allo scontro con la spada pronta all'uso. Mi rialzai ed impugnai la mia arma, riacquisendo il controllo. Non mi sarei tirata indietro, nel bene o nel male avrei lottato. Mi misi in posizione e puntai dritta verso il mio avversario. Avevo trovato finalmente il giusto spirito d'iniziativa, ero carica, pronta a spaccare, ero...ferma? 
Mi accorsi solo dopo qualche secondo che qualcuno dietro di me mi aveva afferrato il braccio, impedendomi di andare all'attacco.

-Non vorrete per caso dare inizio alla festa senza di me, vero?-

-Nico?-

Dissi stupita. Il mio stupore durò ben poco e lasciò presto il posto alla rabbia.

-Sul serio? Te ne esci così?! Dove diavolo sei stato fino ad adesso? Non era questo il piano di Annabeth-

-Spiacente, stramba, non sono bravo nel lavoro di squadra-

-Chissà perché l'avevo notato!-

Protestai.

-Oh, quindi è stata la mia ragazza a mandarmi contro voi due? Bella mossa-

-La tua...che?-

domandai credendo di aver capito male. Non riuscivo a credere che una in gamba come lei potesse stare con...beh, Percy. Di certo il ragazzo non era male fisicamente, ma non sembrava avere un'aria molto intelligente.

-Lo so, la prima volta è sconvolgente per tutti-

mi assicurò Nico

-Ragazzi, guardate che sono qui, vi sento!-

ci ricordò il figlio di Poseidone

-Per questo lo sto dicendo-

ribatté lo zombie.

-Quindi è questa la tattica della tua squadra? Metterti qui al centro a fare da muro difensivo?-

chiesi per calmare le acque

-E anche se fosse?-

-Troppo facile-

commentò Nico

-Questo lo vedremo-

-È il tuo momento, stramba. Nessuna pietà, stendilo. Al resto ci penso io-

-Cosa? Nico!-

sbraitai nella sua direzione, ma il figlio di Ade era già sparito nell'ombra, probabilmente a caccia della bandiera.

Rimasi di nuovo sola con Percy e mi arresi all'idea di combattere contro di lui con le mie sole forze. Cercai di ricordare qualche mossa utile dal mio ultimo scontro con Ginger, la sua abilità da guerriera mi avrebbe fatto comodo.

-Allora, dove eravamo rimasti?-

domandò il ragazzo facendo un passo avanti

-Vediamo di finire in fretta, Jackson. Ho un appuntamento alla quale non posso assolutamente mancare-

ribattei scagliandomi a tutta velocità contro di lui e facendo roteare la spada. Lo colsi così di sorpresa che ebbe appena il tempo di abbassarsi per schivare il mio attacco e salvarsi la pelle. Una volta resosi conto della situazione, cercò di puntare ai miei piedi, ma fortunatamente me ne accorsi ed eseguii un saltello verso l'alto.

Malgrado ciò andasse contro i miei comportamenti abituali, decisi di non trattenermi. Per anni ero andata avanti sostenendo che la violenza non portasse a nulla, se non ad una sofferenza maggiore. Le mie armi erano sempre state le parole oneste, taglienti, incontestabili. Ero convinta che al mondo dovesse sempre trionfare la giustizia, in un modo o nell'altro, e ciò non era possibile attraverso l'utilizzo della forza bruta. Tuttavia, in questa difficile vita, a volte si è tenuti a lottare duramente, in modo da poter raggiungere i propri obbiettivi e difendere ciò in cui si crede. Bisogna avere il coraggio e la forza di non mollare la presa, anche quando sembra tutto perduto o privo di significato, solo in questo modo si può sperare di poter rivedere il sole oltre le nuvole. Pensai ai miei compagni, che in quel momento stavano combattendo per permettermi di guadagnare un po' di tempo. Pensai ad Annabeth, che pur non conoscendomi quasi affatto, mi aveva dimostrato la sua piena fiducia, senza un minimo di esitazione. Pensai a Nico, che si stava sicuramente avvicinando senza problemi alla vittoria. Giurai a me stessa di fare del mio meglio per non deludere nessuno di loro.

Con una gomitata feci retrocedere Percy il necessario per tentare un affondo che finì per far incrociare le nostre lame. Cambiai tattica e azzardai un dritto, che venne parato dal figlio di Poseidone con estrema abilità. Sicuramente era un bravo spadaccino, questo non lo potevo negare. L'unica possibilità che avevo di batterlo era  quella di usare il mio potere naturale: i fulmini. Questo piano avrebbe potuto rivelarsi efficace, ma non potevo fare a meno di ignorare le sue molteplici lacune. Non sapevo se avessi abbastanza energie per sferrare un attacco simile, lo avevo utilizzato una sola volta e nemmeno di proposito. Non ero sicura di riuscire a controllarlo e non avevo avuto il tempo necessario di capire come funzionasse esattamente. Mi vennero in mente tutte le volte in cui in ogni scuola da me frequentata avevo fatto saltare qualche lampadina, rotto un paio di finestre, fatto esplodere congegni delle più svariate tipologie o azionato allarmi. Ricordai la sensazione delle scintille sulle mie mani che si facevano a poco a poco più intense, facendole vibrare. Cercai di richiamare a me quella vitalità che mi dava l'impressione di diventare inarrestabile e capace di tutto. Jackson non mi diede un attimo di tregua, cosa che rese la mia ricerca di concentrazione e calma estremamente complessa, ma sapevo che, con l'acqua lontana dalla sua portata, non avrebbe resistito molto una volta attuato il mio contrattacco. Eliminai le distrazioni esterne, i rumori superficiali, l'affaticamento fisico, fino a rifugiarmi nel mio piccolo mondo. La mia abitudine di isolarmi dalla realtà era sempre stata criticata come una cosa negativa e infantile, ma chiunque la definisse tale non aveva idea dei vantaggi che essa poteva offrire.

La mia spada iniziò a brillare più del solito, rendendo la lama di un dorato intenso, quasi accecante. Scariche elettriche si propagarono lungo il mio corpo, donandomi sollievo e rinvigorimento. Concentrai ogni briciolo di energia che mi scorreva all'interno in un unico fulcro e la rilasciai, provocando una potente onda d'urto elettrica che scaraventò il mio nemico a terra, lasciandolo frastornato. Approfittai di quel momento per correre a controllare come se la stesse cavando Di Angelo. Prima di svignarmela, mi voltai verso Percy.  

-Bello scontro, ora se vuoi scusarmi ho una partita da vincere, ordini di Annabeth-.

Quando arrivai sul posto vidi Nico cercare di aprirsi un varco tra i figli di Apollo destinati alla difesa. A loro si aggiungeva qualche figlio di Efesto, compreso Leo. Nonostante la nostra rivalità temporanea, sperai che se la cavasse senza problemi e desiderai la stessa cosa per Sam e Soly, malgrado non riuscissi a vederli in mezzo alla folla. Ben presto il figlio di Ade si ritrovò accerchiato, ma questo non lo mise poi molto in difficoltà. Il ragazzo aveva tutte le carte in regola per cavarsela. Un tizio della casa di Apollo cercò di attaccarlo da dietro in un momento di distrazione. Io corsi a tutta velocità e riuscii appena in tempo a parare il colpo destinato al mio compagno di squadra. Quando si accorse della mia presenza, si voltò verso di me.

-Serve una mano, zombie?- 

-Alla buon'ora! Ma dov'eri finita?-

-Il duello con Jackson è durato più del previsto, ma vedo che anche tu non te la passi benissimo-

-Ho tutto sotto controllo-

-Sicuramente-

-Hai intenzione di startene lì impalata a guardare o vuoi vincere?-

-D'accordo, prendiamo la bandiera!-

esclamai mettendo la mia schiena contro la sua. Mentre Di Angelo avanzava, io gli coprivo le spalle, in modo che potesse concentrarsi meglio sull'obbiettivo. Dopo poco tempo, raggiungemmo finalmente la meta. 

-Che aspetti? Prendila!-

gridai a Nico ancora impegnata a respingere l'attacco di una figlia di Efesto. Lui si lanciò in avanti e tesa la mano verso la stoffa che avrebbe decretato la nostra vittoria. Il glorioso sogno andò in frantumi quando Percy si mise in mezzo.

-Non così in fretta. Dobbiamo ancora chiudere lo scontro, Iris, scusami-

-Oh, non fa niente, scusami tu-

-Per cosa?-

-Per questo-

risposi avvicinandomi al ragazzo e disarmandolo con una rapida mossa. Successivamente lo immobilizzai con un trucchetto di autodifesa molto semplice, come quelli che utilizzano i poliziotti per arrestare i criminali. Con il campo libero Nico afferrò la bandiera, terminando così la partita. Ogni cosa in quell'istante si fermò.

Avevamo vinto. 

 

Angolo Autrice

Salve! Lo so, come al solito non ho scusanti per la lunga attesa, sono spiacente. La scuola, come ben sapete, succhia via ogni minuto libero della nostra gioventù. Spero comunque che il capitolo vi piaccia e che non sia uno schifo XD.

Baci, Fre<3

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Capitolo 19
*** I lost everything ***


Prima, dopo o durante la lettura, si consiglia l'ascolto della seguente canzone: 

Slipped Away by Avril Lavigne 

 

Finita la partita di caccia alla bandiera ci fu una piccola festa per la vittoria della mia squadra. Gli avversari sembravano non essersela presa troppo per la sconfitta subita, anche se Soly per poco non uccise Yuya dopo l'ennesima provocazione del ragazzo, la casa di Ares restava ancora desiderosa di rivincita e, malgrado non ne fossi del tutto sicura, mi parve di vedere addirittura piagnucolare qualche figlio di Nike. Nonostante ciò, mi godetti il momento chiacchierando con Ginger e Sam e bevendo del buon tè al limone. Era strano poter stare finalmente tranquilla, ma temevo che quella quiete non sarebbe durata a lungo. Ridendo insieme ai miei amici, mi sentivo come se quella fosse l'ultima volta che li avrei visti. Per il momento tentai di accantonare questa impressione, dopotutto poteva anche essere semplice stanchezza dovuta alla battaglia e all'utilizzo dei miei poteri. Dopo qualche minuto, anche Leo si unì a noi. Si complimentò con me per aver battuto Percy, poi iniziò a tirare fuori alcune delle sue solite battute, facendomi quasi sputare il tè dal ridere. In quel momento pensai che adoravo averlo vicino, possedeva il magico potere di allontanare la tristezza e le preoccupazioni. Quando c'era lui, non potevo fare a meno di sorridere e divertirmi un sacco, inoltre, per qualche strano motivo, mi faceva sentire a casa. In fondo sapevo che derivava dal fatto che mi ricordava un po' mio padre. Avevano lo stesso modo di affrontare le difficoltà, lo stesso atteggiamento ottimista e la stessa capacità di rendermi felice. Mi stupii di quanto le cose fossero cambiate rispetto a qualche giorno fa, non riuscivo a credere che la mia vita avesse preso una svolta talmente inaspettata in così poco tempo. 

Ovviamente Nico non prese parte ai festeggiamenti, ma decise comunque di restare nei paraggi, cosa che mi fece molto piacere. Quando mi girai nella sua direzione, lo vidi appoggiato ad una colonna della casa grande. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, ma manteneva un atteggiamento serio e distaccato. Decisi di raggiungerlo, senza uno scopo ben preciso. Non appena si accorse di me, abbandonò i suoi pensieri e si concentrò sul mio viso. 

-Hey zombie, come mai qui nell'angolino in castigo? Troppo divertimento per i tuoi gusti?-

-Certo che uno non può mai stare da solo. Devi necessariamente continuare a ronzarmi attorno?-

-Mmh, fammi pensare...sì-

risposi bevendo un'altra sorsata di tè dal bicchiere ormai quasi vuoto.

-Te l'ho detto, dovrai farci l'abitudine-

aggiunsi in seguito, lui si limitò a roteare gli occhi sospirando rassegnato.

In quel momento mi venne un enorme dubbio, non riuscivo a decidermi. Avrei dovuto raccontargli del sogno? Avrebbe avuto senso, dato che in realtà era l'unico a conoscere mio padre di persona e forse, data la sua esperienza, avrebbe potuto consigliarmi cosa fare a riguardo. Tutti i semidei facevano sogni significativi, a volte premonitori, e questo non mi piaceva affatto. 

-Sono preoccupata per mio padre-

mi sentii dire prima ancora di aver preso una decisione definitiva

-Ormai dovrebbe essere già tornato e poi...ho paura che sia nei guai-

continuai fissando il pavimento. Temevo che se avessi alzato lo sguardo, mi sarei di nuovo messa a piangere. 

-Tuo padre è in gamba ed ha sicuramente partecipato a migliaia di spedizioni, scommetto che questa non è nemmeno la più pericolosa che abbia affrontato fin'ora-

-Spero che tu abbia ragione, ma non posso fare a meno di stare in pensiero. Ho un brutto presentimento-

-Io non mi tormenterei più di tanto. Oltre alle sue grandiose capacità, Oliverius può contare su un'altra cosa-

-E sarebbe?-

-Tu, Iris. Ho visto quanto ti vuole bene, ti ha protetta per tutti questi anni ed è stato lui a chiedere che ti fosse assegnato qualcuno in grado di sorvegliarti anche a scuola. Sa che lo stai aspettando, quindi non ho dubbi che farà qualsiasi cosa pur di tornare qui da te al più presto-.

Quelle parole mi colpirono profondamente. Prima di allora, non avevo mai pensato a come potesse sentirsi mio padre in quel momento, lontano da casa, nel bel mezzo di un importante incarico, pronto a compiere il suo dovere di eroe genealogico. Lui non aveva poteri, ai miei occhi era sempre stato speciale, ma da quando conoscevo l'esistenza del campo, dei semidei e tutto il resto, capivo che, discendenza eroica a parte, rimaneva pur sempre un umano. Non dubitavo della sua intelligenza, credevo nella sua determinazione e sapevo per certo che mi pensava tanto quanto io pensavo a lui. Forse stava davvero cercando di tornare da me, in quello stesso preciso instante.

-Hai ragione. Posso sempre contare sull'affetto di mio padre e so che è un eroe formidabile. Non mi abbandonerebbe mai-.

Lo pensavo davvero, ma una minuscola vocina nella mia testa mi stava avvisando che forse lo dicevo anche per cercare di convincere me stessa che fosse la verità. 

-Ora non dovresti tornare dai tuoi amici? La festa è praticamente in tuo onore-

-Veramente sei stato tu a prendere la bandiera, quindi sarebbe in tuo onore. E poi, guarda che anche tu sei mio amico-

-Ti prego, questa risparmiatela-

ribatté il figlio di Ade con aria innervosita 

-Dico davvero. Hai cercato di rassicurarmi e questo per me è molto importante. Fin da quando ci siamo incontrati, ho sempre pensato che fossi un eccellente ascoltatore, e credimi, non è una dote che possiede chiunque. Certo non sarebbe male se parlassi anche tu ogni tanto-

-Non amo parlare di me-

-Ci si può lavorare-

risposi con fare ottimista. 

Forse Nico avrebbe avuto qualcosa da ridire, ma non ne ebbe l'occasione. Ad un tratto si creò un gran fermento e presto scoprii il perché. 

Leo corse verso di me e si fermò giusto un attimo prima di cadermi addosso, quel ragazzo era decisamente scalmanato e più iperattivo di quanto credessi. 

-Hey, Iris, hai sentito?-

-Sentito cosa?-

domandai confusa

-Sono tornati!-

-Chi è tornato?-

-Gli eroi genealogici! Hanno portato a termine la missione, magari fra di loro c'è anche...-

-Papà!-

gridai una volta appresa la notizia. Mi misi a correre fra la folla facendomi largo. Era tornato! Era davvero tornato! Non vedevo l'ora di riabbracciarlo. Dopo pochi passi riuscii a posizionarmi fra le prime file e scorsi in lontananza un eroe che parlava con Chirone. Aveva più o meno l'età di mio padre e portava i capelli scuri, che gli arrivavano quasi fino alle spalle, leggermente all'indietro. Aveva un'aria seria, stanca e sconsolata. Pregai che fosse solo la spossatezza post-viaggio.

Quando li vidi arrivare verso il piccolo gruppetto che si era creato davanti alla casa grande, mi precipitai da lui per chiedere di papà, pronta ad abbandonare ogni preoccupazione. Non appena lo fermai, lui mi guardò con un sorriso sincero, che mi fece ritrovare il fegato di aprire bocca. Di solito non ero molto incline a parlare con gli sconosciuti, a maggior ragione se adulti. Avevo sempre paura di dire qualcosa di stupido, ma quella era un'emergenza. Inoltre, il modo in cui mi guardava quell'uomo era strano, come se si fosse preparato alla possibilità di dover intrattenere un discorso con me.

-Salve-

salutai educatamente 

-Ma guarda, buongiorno signorina-

disse, mantenendo il suo sorriso amichevole

-Ecco, vede, signore-

-Oh, ti prego, non chiamarmi signore, mi fa sentire vecchio. Chiamami Sean-

-Va bene, Sean. Senta...io volevo, beh in realtà mi piacerebbe sapere...sì, insomma...-

ero così emozionata all'idea di rivedere il mio vecchio, che non riuscivo a trovare le parole, poi tutto d'un fiato, presa dall'eccitazione e la gioia del momento sputai fuori un 

-Dov'è mio padre?-.

Cominciai a guardarmi attorno e ad analizzare le verdeggianti colline alle spalle di Sean, sperando di vederlo arrivare. 

-Oliverius Ryx, lo conosce, vero?-

aggiunsi continuando a tenere d'occhio l'orizzonte. Ad un tratto il sorriso dell'eroe si spense di colpo.

-Capisco, tu sei Iris-

-Esatto, sono proprio io-

confermai distrattamente

-Avrei dovuto capirlo, Oliverius parlava sempre di te-

-Mi fa piace...aspetti, che significa parlava?-

mi bastò guardare negli occhi il signor Sean e, senza dire una parola, capii cosa voleva dirmi. Rivolsi uno sguardo a Chirone, che non osava guardarmi in faccia, poi tornai a concentrarmi sull'uomo dai capelli scuri. Gli erano bastate due o tre parole per mandare in fumo tutto quanto. 

La vista mi si annebbiò a causa delle lacrime che di lì a poco mi avrebbero pervasa, non riuscivo a smettere di tremare, ero come immobilizzata e non capivo più niente. Nella mia testa mille voci urlavano dal dolore all'unisono, sentii il cuore uscirmi letteralmente dal petto, come se avesse smesso di funzionare e non mi servisse più a niente. Non riuscivo a respirare e tanto meno a parlare. L'unica cosa che riuscivo a ripetere era un mormorato e disperato

-No...no, no, no-.

Il signor Sean chinò il capo e sussurrò addolorato

-Sono molto dispiaciuto, Iris. Tuo padre era davvero incredibile, il miglior guerriero che abbia mai avuto il piacere di avere al mio fianco. Non lo dimenticheremo mai, non hai idea di quante vite abbia salvato-

cercò di consolarmi. Trattenermi non servì a niente, piansi, singhiozzai, mi coprii il viso con le mani tentando invano di essere forte e smettere. 

Dietro di me sentii Soly dire flebilmente con voce tremolante 

-Oh, povera Iris-

e la vidi imitare i miei gesti, mettendosi anche lei le mani davanti alla bocca. Aveva addirittura gli occhi lucidi. Il resto dei ragazzi, compresi i miei amici, teneva la testa bassa e manteneva un'aria triste. Persino Nico era visibilmente scosso. 

Stavo per esplodere, dovevo stare da sola, avevo bisogno di riflettere e sfogarmi. Mi sembrava di vivere in un autentico incubo dal quale era impossibile svegliarsi. Tutto taceva, il silenzio che si venne a creare era a dir poco inquietante e veniva interrotto unicamente dall'ulurare sinistro del vento.

Leo si fece avanti e mi chiamò con incertezza

-Iris?-

io non risposi, non ci riuscivo. Ogni mia singola funzione vitale sembrava essersi spenta, il mio corpo non rispondeva ai comandi, faceva di testa sua. Forse, proprio per quel motivo, quando il figlio di Efesto cercò di mettermi una mano sulla spalla per consolarmi, mi ritrovai a scappare ancora una volta, com'era già successo in precedenza. Sentii Leo gridare il mio nome, ma questo non mi fermò. Non mi importava più di niente, volevo solamente andarmene il più lontano possibile da tutto e da tutti. 

Fenrir, vedendomi filare via, si mise a correre al mio fianco. Il mio cucciolo si trasformò, assumendo la sua vera forma. Si abbassò leggermente per permettermi di salirgli in groppa, così mi arrampicai e, tenendomi stretta al suo morbido e caldo pelo, mi lasciai trasportare. Mentre Fenrir sfrecciava attraverso gli alberi con velocità supersonica, io non riuscivo a fare altro che piangere e urlare. Bagnai il collo del mio peloso amico di lacrime, ma a lui sembrava non importare. Continuava ad allontanarsi sempre di più dal campo ed ogni tanto lanciava uno sguardo visibilmente malinconico nella mia direzione, mugolando. Doveva aver capito che era accaduto qualcosa di terribile. Dopo qualche minuto, decise di fermarsi per riprendere fiato. L'animale si girò verso di me e mi strofinò il muso sulla guancia per consolarmi, poi mi leccò la faccia. Con la sua lingua enorme mi ricoprì di bava, ma apprezzai comunque il gesto di affetto e lo accarezzai dietro alle orecchie, era il suo punto preferito per le coccole. Scesi dalla sua groppa, ancora scossa e tremante e mi sedetti a terra. Fenrir si accucciò dietro di me, facendomi appoggiare al suo fianco e utilizzando la sua coda come una coperta. Per un'ora intera non proferii parola e non udii alcun rumore, perfino il leggero venticello, che di solito provocava un continuo fruscio fra gli alberi, era svanito. Avevo mille domande nella mia testa, miliardi di pensieri mi assalivano. Guardavo il cielo, non più di un brillante azzurro come quella mattina, ma di un vuoto bianco, che mi dava l'impressione di essere nel bel mezzo del nulla più assoluto. Non poteva essere vero, non doveva esserlo. Papà non si sarebbe mai dato per vinto in quel modo, lui era la persona migliore del mondo! Doveva aver per forza trovato una via d'uscita, doveva per forza essersi salvato in qualche modo! Sembrava tremendamente ingiusto, non ero nemmeno riuscita a salutarlo un'ultima volta prima che...

Ad un tratto mi ricordai della collana con dentro la foto di noi due che Nico mi aveva consegnato da parte sua. Me la sfilai al collo velocemente e aprii il ciondolo, ritrovandomi davanti una piccola me in groppa a mio padre. Mi tenevo stretta a lui mentre il mio eroe mi sosteneva per non farmi cadere. Entrambi stavamo ridendo come matti. Dietro di noi vi era come sfondo un bellissimo giardino fiorito, il giorno in cui era stata scattata, papà mi aveva portato al giardino botanico per mostrarmi i vari tipi di fiori e raccontarmi qualche curiosità sull'argomento. Per l'occasione, mi ero fatta una piccola treccina sul lato sinistro dei capelli, allora lunghi solo fino alle spalle e a caschetto. Mi ero perfino costretta ad indossare un vestitino bianco e verde a pois e delle scarpette eleganti in vernice nera. Il formidabile scienziato Oliver aveva fatto sfoggio della sua conoscenza delle piante, descrivendomi le loro caratteristiche, i loro nomi ed il loro significato simbolico. Mi vennero in mente le sue parole quando mi mostrò quello che lui definiva "il mio fiore". 

-Lo sai, questo fiore così bello porta il tuo nome, tesoro-

-Davvero, papà? Si chiama Iris?-

-Sì, guarda quanti bei colori possiede. Tra tutti i fiori, l'Iris trasmette i sentimenti più positivi e profondi, come per esempio l'assoluta fiducia, l'affetto dell'amicizia, il trionfo della verità, la saggezza, la speranza...-

-Quella del mito del vaso di Pandora!-

-Proprio quella, piccola. Questa rarità è anche un'icona di fede, coraggio, purezza, ammirazione e conforto. Rappresenta l'incoraggiamento ad affrontare la vita e l'attesa del futuro dopo le difficoltà. In Asia orientale veniva utilizzato come talismano contro i malefici e i soldati se lo dipingevano sull'armatura per essere protetti dai nemici. I cinesi lo denominano anche "farfalla porpora"-

-Wow, non sapevo che fosse così importante come fiore-

-Lo è. Tua madre lo ha scelto appositamente per te. Era convinta che un giorno saresti diventata una ragazza forte, allegra, determinata e gentile. Anche io ne sono convinto, sicuramente rispecchierai a pieno le caratteristiche di questa bellezza e ci renderai molto orgogliosi-

-Ma come fai a sapere che il nome me lo ha dato mamma?-

-Te lo dirò quando sarai cresciuta-

-Papà?-

-Sì, tesoro?-

-Posso essere il tuo Iris?-

-Certo che puoi, fiorellino. Vieni qui-

aveva esclamato ridendo per poi afferrarmi. Mi aveva fatto il solletico fino a farmi piangere dalle risate e infine mi aveva fatto salire sulla sua schiena.

Al ricordo di quella giornata magica passata insieme, ricominciai a piangere silenziosamente fissando la foto e tenendola stretta, come se avessi avuto paura che scomparisse da un momento all'altro. Quell'immagine cominciò a sembrarmi quasi un'illusione e temetti di accorgermi di essermela semplicemente sognata, invece sapevo che era reale e avvicinandomela al cuore, capii che quella fotografia era il più grande tesoro che potessi mai possedere. 

-Papà...-

singhiozzai 

-Torna da me papà! Non puoi abbandonarmi, ti prego! Non voglio stare da sola, ho bisogno di te! Per favore, ti scongiuro. Ti rivoglio qui vicino a me!-

urlai, ritrovandomi nel bel mezzo di una vera e propria crisi di pianto isterico. 

Alla fine mi disperai talmente tanto, che mi addormentai esausta, senza nemmeno rendermene conto.

Nonostante la mia sofferenza, sognai di nuovo del mio passato.

Ciò che mi compariva davanti era confuso e sfocato, ma mi sembrava di essere in una specie di cameretta. Sentivo una voce dolce e melodiosa che chiamava il mio nome. All'improvviso comparve una donna, non riuscivo a vederla bene in volto, ma riuscii a distinguere dei lunghi capelli rossi e dei grandi occhi verdi e scintillanti. Per un attimo, mi sentii nuovamente calma, poi la scena cambiò. 

Mi ritrovai ancora nell'orfanotrofio, all'età di tre anni stavolta. Nel corso dell'anno trascorso in quel postaccio avevo passato i giorni peggiori della mia vita. La diavolessa non faceva altro che farci pulire gabinetti con lo spazzolino, spolverare argenteria, riordinare libri ammuffiti e catalogare in ordine di altezza la sua assurda collezione di gattini di porcellana. Io e Mindy eravamo diventate molto amiche e trascorrevamo notti intere alzate di nascosto dopo il coprifuoco per andare in cucina a rubare cibo extra per noi e le altre, fare scherzi alla Calligan e pianificare fughe. Tentammo un sacco di volte di fuggire da lì, ma senza successo. Quando venivamo beccate, ci sbattevano entrambe in isolamento, ognuna nella propria stanzetta.  Quelle quattro pareti opprimenti ricordavano le celle per i malati di mente. Erano completamente bianche e prive di finestre, inoltre la porta era blindata e chiusa a doppia mandata con una serratura impossibile da scassinare. L'isolamento ti faceva sentire come un criminale in prigione che attende impotente l'ora della sua esecuzione. Ormai mi ero abituata a quella situazione, avevo persino avuto il tempo di nascondere sotto ad una mattonella rimovibile una pallina da lanciare contro il muro come intrattenimento e avevo scoperto un minuscolo foro nel muro che collegava la mia stanza da prigioniera a quella di Mindy e ci permetteva di comunicare. 

Nel mio sogno stavo appunto facendo rimbalzare la pallina contro le pareti della cella con aria annoiata e innervosita. La maggior parte delle volte immaginavo di avere in mano la brutta faccia della diavolessa, in modo da rendere i lanci più divertenti. La piccola me si voltò a guardare la parete alla sua sinistra e lesse i segni che vi erano incisi sopra. A giudicare dal numero di linee disegnate, ero finita in isolamento come minimo altre ventisei volte prima di quel momento. Sentii dei passi avvicinarsi a gran velocità, era l'inconfondibile rumore dei tacchi alti della Calligan. Nascosi la pallina sotto la mattonella e incrociai le braccia, fingendomi disinvolta. La porta della stanza fu sbloccata e si spalancò, permettendo alla malefica donna di entrare. La vecchia strega si avvicinò a me e mi guardò con disapprovazione dicendo

-Allora? Una settimana in isolamento ti è bastata per metter la testa a posto? Quando lo capirai? Non riuscirai mai ad andartene di qui! L'unico modo per uscire è l'adozione, ma nel tuo caso la escluderei immediatamente. Chi vorrebbe mai una piccola ladruncola indisciplinata e selvaggia come te? Di questo passo marcirai qui dentro per il resto della tua insulsa vita- 

-Posso andare adesso?-

chiesi, impaziente di tornare in libertà e riabbracciare le mie compagne

-Prima ritengo di dover scambiare due parole con te in salotto, quindi ti prego di seguirmi senza troppe storie-

rispose la direttrice, avviandosi verso l'uscita. Io mi limitai ad obbedire, essendo troppo stanca per oppormi. Quando arrivammo nel salotto, Miss Calligan si diresse verso il tavolo e prese in mano qualcosa che non riuscii a riconoscere al primo sguardo, coperto dalla figura della donna. 

-Devo ammetterlo, ragazzina, pensavo che avessi molto più sale in zucca, invece non fai altro che causare problemi e organizzare sciocchi sotterfugi-

-Guardi che la colpa è sua! Se solo ci trattasse meglio, forse mi potrebbe anche piacere stare qui. Non fa altro che sgridarci e farci fare lavori ingrati, ci nutre praticamente di solo pane e acqua e ci fa dormire in letti rotti e scomodi, senza nemmeno una coperta per ripararsi dal freddo-

-Il denaro scarseggia, quello è tutto ciò che ci possiamo permettere al momento-

-Lei è una bugiarda! Spende tutti i soldi dell'orfanotrofio per comprare completi orrendi e stupide scarpe con i tacchi. E poi organizza banchetti per gente snob come lei solo per farsi invidiare ed ingraziarsi i ricconi-

-Ciò che faccio io non ti riguarda affatto! Senti un po' che lingua lunga che ti ritrovi. Tu di certo non puoi capire il complicato mondo degli adulti, non sei altro che una mocciosa petulante-

-Non mi importa di cosa pensa di me, io me andrò di qua e anche le altre bambine verranno con me! Poi io e Mindy ce ne andremo a vivere in una casetta nel bosco e diventeremo paladine della giustizia!-

esclamai pestando un piede a terra con forza. Non ero più timida, spaventata ed insicura come il primo giorno, ero diventata più intraprendente e combattiva. 

-Oh, ma davvero? Facciamo così, te lo chiederò un'ultima volta: diventerai una brava bambina ubbidiente? Niente più furti, scherzi di cattivo gusto o tentativi di fuga. Cosa ne dici?-

disse, voltandosi a guardarmi con aria di sfida e tenendo le mai dietro alla schiena

-Io rispondo: prometto di mandarle una cartolina quando sarò fuori di qui. Non rinuncerò mai alla mia libertà-

Ci fu un minuto di silenzio, io e la diavolessa ci scambiavamo sguardi assassini, senza che nessuna delle due cedesse. 

-Molto bene allora, l'hai voluto tu-

ghignò, facendo comparire da dietro la sua schiena il mio amato Yubi, l'orsacchiotto che mia madre mi aveva lasciato. Quando lo vidi, fui colta da un panico improvviso e sbiancai di colpo. Non era permesso possedere giocattoli all'interno dell'orfanotrofio.

-La tua cara amichetta Mindy, dopo una lunga e persuasiva chiacchierata, mi ha raccontato del tuo peloso compagno. Possedere un orsetto di peluche è contro il regolamento! Mi assicurerò personalmente che d'ora in avanti tu segua le mie regole, sono stata chiara?!-

sbraitò, poi, non mostrando la benché minima esitazione, gettò Yubi nel camino ardente. Non appena lo vidi bruciare fra le fiamme, mi misi a piangere e le urlai contro

-Lei è un mostro!-

-Che ti serva da lezione, ragazzina. Qui sono io che comando-

disse con il suo solito tono aspro, scandendo ogni singola lettera.

Mi svegliai di soprassalto, scossa e stordita. Perché tutto ciò a cui tenevo mi veniva portato via? 

"Gli eroi non hanno mai avuto vita facile, ognuno di loro ha dovuto affrontare sfide pericolose e talvolta mortali, molto spesso in solitudine. Compiere il proprio dovere e fare la cosa più giusta per il bene dell'umanità non è semplice, per riuscirci a volte bisogna essere disposti a tutto, anche a costo della vita stessa. La giustizia e la libertà hanno un caro prezzo da pagare."

Non ricordavo da dove fosse uscita quella frase, ma la mia banca dati interiore pensò bene di stamparmela in testa come una sorta di risposta implicita. 

Sono una semidea. Combatto contro i mostri, salvo bulletti con capelli a spazzola da Viverne poliziotte, vengo aggredita da gufi cartomanti, sfido a duello maestre di katana e mi ritrovo a lanciare scariche elettriche per sfuggire ad una rissa. Niente di questo è normale, io non sono normale, la mia intera vita non è mai stata, non è e non sarà mai e poi mai normale. Dovevo imparare a conviverci.

Avrei tanto voluto restare a vivere nella foresta e scappare quando ne avevo avuto l'occasione la prima volta. Non riuscivo ad immaginare un futuro senza mio padre accanto e tanto meno lo desideravo. Mi chiesi se ci fosse un modo per sparire dalla faccia della Terra. Il piccolo fiore Iris era appassito e nemmeno il fertilizzante più potente al mondo o il miglior giardiniere avrebbero potuto salvarlo. La ragazza che vedeva sempre e comunque, anche nelle situazioni peggiori, il bicchiere mezzo pieno, quella che non stava mai ferma un secondo, quella che adorava aver finalmente trovato degli amici, quella che non si lasciava abbattere da professori malvagi e presuntuosi prepotenti, quella che sognava in grande e che desiderava soltanto passare il resto dei suoi giorni in compagnia di suo padre, aveva perso la voglia di vivere. Avevo perso tutto ciò che avevo da perdere. 

Non mi era rimasto più niente. 

 

ANGOLO AUTRICE

E...che dire...salve! Questo capitolo è molto triste, ma serviva, mi dispiace. Probabilmente ora mi maledirete per avervi attaccato la depressione o cose del genere. Lo capisco. Anyway, vi ringrazio per aver letto e spero che non mi abbandonerete proprio ora che il tutto si farà sempre più interessante. A proposito! Vi informo che ci sarà una piccola novità da questo capitolo in poi. L'avete notato anche voi? Sì? No? Vi darò un indizio. Cos'è quella cosa scritta lassù, appena prima della narrazione? Sembra quasi...ma sì! Altro non è che un piccolo consiglio dato personalmente dalla sottoscritta. Dato che amo la musica e non c'è un solo attimo nella mia vita che sia privo di quest'ultima, per lasciarvi calare meglio nell'atmosfera ho deciso che d'ora in poi vi consiglierò una canzone da ascoltare che, a parer mio, riassume al meglio il capitolo esprimendone i sentimenti centrali. Quindi vi invito ad ascoltare le canzoni che vi consiglierò, spero che vi piacciano. Ora la smetto di parlare, promesso! 

STAY TUNED!

Baci,

 

Fre<3 

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Capitolo 20
*** Quando un'artista svela profezie ***


Prima, dopo o durante la lettura si consiglia l'ascolto della seguente canzone: 
Scream by Zac Efron (High School Musical: Senior Year) 



Rimasi per ore seduta nel bel mezzo della foresta in compagnia di Fenrir. La mia vita era cambiata per sempre, nel giro di mezza giornata ero diventata di nuovo orfana. Ancora non riuscivo a pensare che mio padre fosse morto davvero, una parte di me sperava di svegliarsi e scoprire di essersi immaginata tutto, di essere solo stata vittima di un terribile incubo. Più ci pensavo e più continuava a non avere alcun senso. 
Mio padre era morto. E per cosa, poi? Una stupida impresa? No, questo non l'avrei mai accettato. Lui non era di certo uno sconsiderato, se la cavava sempre, riusciva a rendere possibile qualsiasi cosa. Dovevo scoprire cosa ci fosse sotto, dovevo sapere. Non mi sentivo affatto pronta ad ascoltare la storia di come mio padre si fosse coraggiosamente sacrificato per il bene della missione o roba simile, ma restare all'oscuro di tutto mi rendeva ancora più infuriata. Decisi di andare a caccia della verità malgrado le conseguenze della mia decisione. 
Mi alzai da terra e m'incamminai verso il campo con il mio cucciolo al seguito. Quando arrivai al confine che divideva la foresta dalle colline, mi bloccai improvvisamente. Ero davvero pronta ad affrontare ciò che mi aspettava? Condoglianze vuote ed inutili, facce dispiaciute, compassione indesiderata. Odiavo far preoccupare gli altri o coinvolgerli nei miei problemi, era molto più semplice fingere che andasse tutto bene, sdrammatizzare, sorridere e comportarsi da indifferente. In solitudine avrei avuto un sacco di tempo per piangere, crollare, arrabbiarmi o scappare per un po'. Così superavo le difficoltà, in segreto e personalmente, senza la presenza di esterni. Funzionava piuttosto bene. 
Fenrir percepì la mia agitazione ed iniziò a sfregare il muso contro la mia mano, io gli accarezzai la testa affettuosamente. 
-Siamo solo io e te, amico mio- 
lo avvisai sospirando
-Ce la caveremo-. 
Mi tenni vicina alla costa, sperando così di avere meno probabilità di incrociare qualcuno lungo il percorso. Volsi lo sguardo verso l'orizzonte. Mi era sempre piaciuto il mare, aveva un effetto rilassante su di me. Ascoltare le onde infrangersi contro gli scogli mi aiutò ad abbandonare la paura per il futuro. L'acqua era di un verde brillante e luccicava sotto ai raggi del sole, malgrado il tempo fosse ancora incerto. La sabbia mi entrava nelle scarpe ad ogni passo, ma non me ne curai più di tanto. Fenrir saltellava al mio fianco, formando buche profonde sotto alle sue zampe. Continuando ad avanzare, mi accorsi che mancava poco alla Casa Grande. Sapevo bene che se avessi chiesto informazioni dirette agli altri eroi genealogici o al signor Sean non avrei ottenuto alcuna risposta utile, perciò pensai di cercare qualche indizio per conto mio. Stranamente, l'edificio era completamente deserto e ne fui sollevata. Mi aggirai attorno alle colonne, perlustrando il perimetro con attenzione. Di certo gli eroi non erano così stupidi da lasciare documenti o indizi riguardanti l'impresa segreta incustoditi sotto gli occhi di tutti. Stavo ragionando sul da farsi quando all'improvviso sentii una mano appoggiarsi sulla mia spalla. Trasalii e mi voltai di scatto per incrociare un paio di occhi verde smeraldo. Davanti a me c'era una ragazza più o meno della mia età con rossi capelli ricci e abiti macchiati di vernice colorata dovunque. Il suo viso era coperto da adorabili lentiggini. 
-Oh, mi dispiace. Non volevo spaventarti, perdonami-
si scusò 
-Non fa niente, tranquilla-
risposi 
-Tu sei Iris?-
chiese la rossa. Mi stupii della sua domanda, ancora non mi ero abituata al fatto che le persone conoscessero il mio nome o sapessero anche solo della mia esistenza. A scuola girovagavo per i corridoi come un fantasma, perfino per i compagni di classe risultavo una sconosciuta, era già tanto che gli stessi professori si accorgessero della mia presenza in aula. Le cose al campo erano diverse, ma non sapevo se fosse un bene o meno. Quando sei invisibile, non ti devi preoccupare di ciò che la gente penserà di te e puoi agire come più ti piace, un po' come un ninja, silenziosamente nell'ombra. 
-Sì, sono io-
mi costrinsi a rispondere prima di perdermi totalmente nei miei pensieri
-Ho sentito parecchio parlare di te in questi ultimi giorni. Io sono Rachel-
si presentò la ragazza porgendomi la mano. Quando la strinsi, capii subito di trovarmi davanti ad una persona in gamba. Il sorriso che seguì quel gesto era sincero, gentile e amichevole. In confronto alla sua, la mia mano era un blocco di ghiaccio, gelida e irrigidita. Una volta sciolta la stretta, notai di avere le dita leggermente sporche di tempera blu e verde e quasi mi venne da ridere. 
-Vedo che ti piace dipingere-
osservai ad alta voce 
-A dire il vero è il mio passatempo preferito-
confessò lei. Più la analizzavo, con il mio solito vizio di scansionare le persone, più mi sembrava interessante. Notavo una semplicità sconvolgente nel suo modo di fare, ma allo stesso tempo intuivo che Rachel possedeva dei propri schemi, uno stile di vita tutto suo, intricato e originale. Poteva essere considerata lei stessa un'opera d'arte vivente, umile e alla portata di chiunque, ma comprensibile fino in fondo solo a pochi acuti osservatori. 
-Anche a me piace molto disegnare, mi aiuta a non dimenticarmi mai di niente-
-Quindi te la cavi con la memoria visiva-
-Si può dire così-
minimizzai. 
-Allora, non è molto che sei qui al campo. Ti trovi bene?-
-Certo, qui sono tutti molto simpatici e gentili, non avrei potuto chiedere di meglio. Anche tu sei una semidea?-
Rachel fece una piccola risatina 
-Io? Oh, no. Sono l'Oracolo del campo. Ho ricevuto il dono di riuscire ad annunciare profezie, anche se non capisco quasi mai il senso di quel che dico ed è una cosa che accade all'improvviso, non posso controllarla-
-Quindi sei come l'antico Oracolo di Delfi? Wow!-
esclamai ammirata.
-Tu invece?-
-Io sono...figliadiZeus-
dissi tutto d'un fiato 
-Come, scusa? Non ho capito-
-Sono...figlia di Zeus-
ripetei rassegnata 
-Addirittura figlia di uno dei Tre Pezzi Grossi?-
-A quanto pare-.
La ragazza rimase in silenzio a guardarmi per un po', forse anche lei era brava a leggere dentro le persone. Apprezzai il fatto che non mi stesse osservando in modo diverso rispetto a prima e considerai un bonus il fatto che non sapesse nulla di mio padre, quello vero. Una situazione imbarazzante e dolorosa risparmiata.
-Deve essere difficile stare al tuo posto. Di certo la gente si aspetterà grandi cose da te-
-Beh, allora credo che rimarrà delusa. Eccomi qui-
dissi, allargando le braccia 
-Una normalissima semidea qualunque-
-Mi piacciono le persone qualunque-
commentò la rossa sorridendo. Sì, era decisamente in gamba. 
-Allora credo che ci vedremo ancora qui in giro. Mi ha fatto piacere chiacchierare con te-
-Anche a me-.
Salutai la mia nuova conoscenza con un gesto rapido della mano e mi voltai per correre a riprendere la mia missione. Prima che potessi anche solo fare un passo sentii Rachel prendermi per il polso. Mi girai nuovamente dicendo 
-Devi dirmi qualche altra co...-
ma non feci in tempo a finire la frase. La rossa era a dir poco inquietante. I suoi occhi divennero totalmente verdi ed una strana nebbia cominciò a vorticarle attorno, partendo dai suoi piedi fino ad avvolgerla totalmente. La sua stretta divenne ancora più vigorosa, impedendomi ogni possibilità di fuga. Quando parlò, mi venne la pelle d'oca. La sua voce rispecchiava totalmente il suo aspetto: da raggelare il sangue. 

Colui che è perduto gli eroi incontreranno
quando luce e tenebre si uniranno.
Il tempo sfuggito dovranno recuperare
se la rovina del mondo si vorrà evitare,
il frutto del fuoco che è stato rubato 
lungo il cammino verrà ritrovato.
la figlia del cielo ad un bivio sarà posta 
e capirà quanto il futuro costa.

Non appena finì quella che sembrava una filastrocca assurda e senza senso per poco non cadde a terra sul procinto di svenire. Per fortuna riuscii a ritornare in me alla svelta e l'afferrai prima che succedesse. Non riuscivo a capirci più niente! Tentai di chiamare Rachel e farle riaprire gli occhi scuotendola delicatamente. Dopo qualche minuto, con mio immenso sollievo, si riprese. Si mise una mano in fronte, ancora leggermente stordita, poi mi chiese di spiegarle cos'era successo, così le raccontai di quella...cosa. Descrissi la scena meglio che potevo, anche se non sapevo bene nemmeno io come reagire davanti ad una cosa del genere, era tutto troppo strano e confusionario. Era accaduto nel giro di cinque secondi, ma quando ci ripensai su, mi accorsi che, con la mano di Rachel serrata sul mio polso, sembravano ore. 
Terminata la mia spiegazione, la ragazza mi guardò e fece un sospiro rassegnato, poi disse
-Quello che hai appena visto era il dono della profezia. Apollo mi ha dato il compito di rivelare questa particolare profezia a quanto pare-
-Quindi quei versi descrivono il futuro?-
-Penso di sì. A quanto pare succederà qualcosa...qualcosa di bello grosso-
-Che cosa? E che significano tutte quelle frasi in rima?-
Rachel fece spallucce 
-Non lo so. Io annuncio solo la profezia, non la interpreto, né tantomeno so che cosa voglia dire. Te l'ho detto, è una cosa improvvisa e complicata- 
-Beh...a questo penseremo dopo. Ora, se non ci sono altre stranezze, profezie o filastrocche, io vado. Ci vediamo, Rachel-
la salutai correndo attraverso la stanza. Un altro interrogativo da aggiungere alla lista delle mie preoccupazioni...fantastico!
Cosa avrei dovuto fare? Ero talmente disorientata. Avrei mai trovato delle risposte? 
Mi sarebbe piaciuto avere mio padre vicino, lui sicuramente avrebbe saputo cosa fare. Mi avrebbe detto di restare calma, poi mi avrebbe dato dei meravigliosi consigli e i avrebbe sorriso per incoraggiarmi. Perché? Perché nulla sembrava avere un senso? Perché non riuscivo più a capire quale fosse il mio posto? E se non avessi mai trovato le risposte che cercavo? Se non avessi trovato alcun indizio? 
Dopo la scomparsa di papà niente era andato per il verso giusto. Ce l'avrei fatta anche senza di lui? Avrei preso la decisione giusta? 

Angolo Autrice 
Rieccomi qui! Sono riuscita a pubblicare il capitolo malgrado la mancanza di un modem internet con una connessione provvisoria! Forse è un po' più corto del solito, ma spero che lo apprezziate comunque. Buone vacanze!
Baci 
Fre<3

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Capitolo 21
*** Viaggio verso Mammoth Cave ***


Prima, dopo o durante la lettura si consiglia l'ascolto della seguente canzone:
We'll meet again by Vera Lynn

Mentre continuavo a perlustrare le varie aree della Casa Grande, non riuscivo a togliermi dalla testa la profezia rivelata da Rachel. Insomma, luce e tenebre, colui che è perduto, tempo sfuggito, frutto del fuoco, un bivio...cosa mai poteva voler dire? Nulla di buono, immaginai, dato che la predizione in rima comprendeva anche la rovina del mondo da evitare ed il costo di un futuro. Liberai la mente e rimandai i ragionamenti legati a questa storia in un secondo momento. La cosa più importante era scoprire il luogo e lo scopo della missione segreta di papà. 
Rovistai in ogni angolo, ma niente, zero spaccato! Com'era possibile? Rifeci il giro del perimetro per controllare che non mi fosse sfuggito nulla. 
Quando passai distrattamente davanti ad una porta chiusa al termine di un lungo corridoio stretto, udii delle voci provenire dall'interno della stanza. Avrei preferito non interferire con affari che non mi riguardavano, non mi piaceva invadere la privacy della gente, ma per mio padre questo e ben altro. Mi accostai lentamente alla porta e cercai di seguire la conversazione in corso. Le voci appartenevano sicuramente a tre uomini e non ci misi molto a capire di chi si trattasse.

-Sto solo dicendo che avremmo potuto almeno darle qualche informazione in più sulla faccenda-

esclamò una voce calma, ma allo stesso tempo autoritaria e decisa. Il signor Sean.

-Ridicolo! A cosa le sarebbe servito? Avrebbe semplicemente rischiato di finire in un mare di guai! Nessuno dei ragazzi qui al campo deve sapere ciò che cerchiamo-

protestò una seconda voce leggermente irritata, ma comunque non molto interessata alla conversazione, come se sapesse già di uscirne vincente. Senza dubbio il Signor D.

-Sono d'accordo. Questa missione non è adatta a loro, sono troppo giovani ed i rischi sono elevati. Sarà meglio continuare a mantenere il segreto-

concordò infine la terza voce, seria, ma calda e rassicurante. Chirone.

Dopo pochi attimi Sean riprese parola

-Volete dirmi che Oliverius è morto e sua figlia non ha nemmeno il diritto di sapere com'è successo o per cosa? Quella ragazza ne ha passate di tutti i colori in questi ultimi giorni! Lui stesso me lo ha raccontato...quando era ancora in vita-

le ultime parole che pronunciò somigliarono ad un mormorio flebile e triste, come se prima di allora non le avesse nemmeno mai adoperate. Colsi una vena di dolore in quella parte.

-Senti Sean, sappiamo tutti quanto eravate uniti tu e Oliverius. Anche a noi dispiace moltissimo, era un eroe formidabile, uno dei migliori, credimi. Ma ciò non cambia affatto le cose. Se proprio vuoi fargli onore, allora proteggi ciò che aveva di più caro. Prenditi cura di Ivy! Non può venire a conoscenza di niente, potrebbe essere molto pericoloso per lei. Non riesco a credere di averlo detto, ma so che è così-

cercò di farlo ragionare il Signor D. Io stessa mi stupii di ciò che avevo sentito. Davvero si stava preoccupando per la mia incolumità? Quell'uomo? Quello che aveva appena sbagliato il mio nome?

-Conoscendo Iris, se ha ereditato la testardaggine del padre e il coraggio del padre adottivo, nonché l'animo buono e nobile della madre, allora una volta scoperto tutto insisterà per dare una mano nella ricerca. Questa cosa non deve assolutamente accadere, potrebbe mettersi male-

concluse Chirone. Mi fece strano sentir parlare del mio genitore divino come padre, per me quel ruolo spettava ancora ad Oliver. Mi uscii quasi un sospiro quando invece sentii nominare mia madre. Come faceva Chirone a conoscerla? Anche lei un tempo si allenava qui? Lui poteva dirmi qualcosa sul suo conto? L'intreccio s'infittiva sempre di più.

-E va bene, mi avete convinto. Manterrò il segreto sulla missione, ma non eviterò di descrivere con fierezza le magnifiche gesta del mio caro amico caduto. Iris saprà che suo padre è morto da vero eroe- 

disse Sean

-Naturalmente. Ora che ne dite di spostarci all'esterno? Una bella ventata d'aria fresca è ciò che ci serve dopo questa lunga giornata-

propose Chirone. Quando la porta si aprii, io mi nascosi dietro ad essa, rimanendo in completo silenzio in attesa del via libera. Quando i tre se ne furono andati, mi intrufolai nella stanza alla ricerca di altri indizi. Apprezzavo il fatto che volessero tenermi al sicuro, ma ormai era troppo tardi per cambiare idea, avrei portato a termine la spedizione ad ogni costo. Frugai in ogni singolo cassetto, perlustrai la scrivania, controllai gli scaffali e cercai perfino qualcosa come un buco segreto nel muro o una botola nascosta. 
Sapevo che gli eroi genealogici erano partiti alla ricerca di qualcosa, ma cosa? E soprattutto dove? Fin dove si erano spinti? Mi serviva assolutamente un luogo da dove poter partire. 
La ricerca non stava dando poi molti frutti come invece speravo. Ero sfinita, demoralizzata e con i nervi a pezzi. Per di più stavo facendo tutto clandestinamente, senza che nessuno lo sapesse. Se lo avessero scoperto avrei potuto anche dire addio alla mia vita. 
Non vedendo nessuno in arrivo, decisi di prendermi una pausa e mi lasciai cadere su una delle sedie accanto alla scrivania. Nel farlo sollevai un mucchio di polvere ed aria. Feci sparire la nuvola di sporcizia agitando le mani e guardando a terra notai un biglietto che era volato fuori dalla tasca di una giacca appoggiata dietro alla sedia. Lo raccolsi incuriosita per esaminarlo meglio. Il ticket era rovinato sui bordi, con le scritte sbiadite e macchiato di una sostanza rossa mista a terra che identificai come sangue. Sul retro vi era uno strano simbolo con un ingranaggio contenente un serpente che si mordeva la coda e al centro una specie di ariete o vaso antico che non riuscivo a riconoscere.

-Mammoth Cave-

lessi ad alta voce sulla parte alta del biglietto. Avevo già sentito quel nome da qualche parte, papà doveva avermene parlato. Rimisi velocemente tutto in ordine, uscii dalla stanza e misi il biglietto nella tasca dei pantaloni. Ero decisa ad andare fino in fondo. Mentre camminavo per il campo era ormai giunta la sera. Cercai di ripescare dalla mia fedele banca dati informazioni in più su Mammoth Cave. Ricordai che si trattava di un parco nazionale situato nel Kentucky. Racchiudeva al suo interno il sistema di grotte più lungo al mondo. Sarebbe stata una bella occasione per sfidare la mia claustrofobia, perfetto. 
Stavo per incamminarmi verso la mia nuova cabina, quando mi ritrovai davanti la figlia di Apollo.

-Iris! Ecco dove ti eri cacciata! Sono stata così in pensiero. Devi smetterla di dartela a gambe ogni volta, sai?-

esclamò Solaris

-Soly! Ti prego non urlare, non vorrei attirare l'attenzione dell'intero campo se è possibile-

-Come ti senti? So che oggi eri sconvolta per la storia di tuo padre-

-Ecco, io...-

-Preferisci non parlarne? Oh, Iris, mi dispiace tanto! Se vuoi sono qui pronta ad ascoltarti, qualunque cosa tu debba dirmi-

disse tutto d'un fiato la bionda

-Non preoccuparti. Ora sto bene-

-Da adesso in avanti qualsiasi cosa succeda, la supereremo insieme. Niente più fughe-

-Niente più fughe-

promisi. La mia amica mi abbracciò con affetto ed io quasi mi commossi davanti a quel dolce gesto ricambiando l'abbraccio. Quando finì la magia, decisi di mantenere la promessa e raccontai cosa avevo in mente di fare a Solaris. Le dissi del biglietto e della profezia. Almeno una persona doveva saperlo, giusto nel caso in cui non fossi più tornata.

-Sai che sei fuori di testa, vero?-

mi chiese

-Grazie-

-Vuoi veramente andare alla ricerca di un oggetto misterioso, da sola, nel Kentucky?-

-In sintesi sì-

-Potresti morire-

-Questa consapevolezza rende l'impresa più interessante, no?-

-Beh, sai come si dice, i migliori amici non ti permettono mai di fare cose stupide. Non da sola-

-Che vuoi dire?-

domandai cercando di interpretare il sorriso beffardo che le si era dipinto sul viso

-Voglio dire che partirò anche io, non vorrai mica tenere tutto il divertimento per te, vero?-

-Non sia mai-

risposi ironicamente

-Allora andiamo a prepararci-

terminò.

-Sicura di voler venire? Sarà senz'altro pericoloso-

l'avvertii mentre riempivamo i nostri zaini con i beni di prima necessità e altre cose utili

-Per favore! Sono una fan del pericolo, perciò non cercare di farmi desistere. Tu piuttosto, sei convinta di potercela fare, novellina?-

Mi stuzzicò racimolando scorte di ambrosia

-Stai scherzando? Che ti piaccia o no, questa è ancora la mia impresa, quindi resta al tuo posto, Firejewel-

ribattei, calcando di proposito sul suo cognome. Ricordavo ancora il primo giorno al campo, quando aveva dichiarato di odiarlo.

-Oh no, non farlo mai più!-

-Scusa, te la sei voluta-

dissi mettendomi a ridere. Era bello poter condividere questa follia delle ultime ore con qualcuno, specie se quel quel qualcuno riusciva a capirti bene come Solaris. Quando scherzavo con lei, il mio dolore sembrava svanire, anche se per pochi istanti. 
Quando finalmente finimmo di organizzarci, era già calata la notte. Fummo costrette a sgusciare fuori dalle nostre cabine di nascosto, oltre il coprifuoco, con i nostri zaini in spalla, pronte a partire. Ovviamente avevamo anche le nostre armi, pronte all'uso in caso di emergenza. Riuscimmo ad inoltrarci nella foresta senza problemi, con Fenrir al seguito, non me la sentivo di lasciare solo il mio povero cucciolo. Proprio mentre stavamo per oltrepassare i confini del campo, una voce dietro di noi disse

-E voi due che state combinando?-

Quando mi voltai, fui sinceramente felice di vedere che si trattava di Nico

-Noi? Niente. Stiamo solo facendo un'innocua passeggiatina notturna-

-Con gli zaini?-

-Spuntino di mezzanotte-

cercò di spalleggiarmi Soly

-E secondo voi ci dovrei credere?-

-Se ti dicessi cosa abbiamo davvero in mente, di sicuro tenteresti di fermarci-

-Possibile. So per certo che qualsiasi cosa sia, non porterà a nulla di buono-

-Non puoi semplicemente lasciarci andare?-

chiese speranzosa Solaris

-Credimi, vorrei tanto farlo, ma ho dato la mia parola e non sono il tipo di persona che infrange le promesse. Sono ancora responsabile della sicurezza della tua amica, quindi se dovesse morire, probabilmente poi ucciderebbero anche me-

spiegò il figlio di Ade

-Che esagerato. Non è necessario preoccuparsi così tanto, viene Soly con me-

-Esatto, un motivo in più per preoccuparsi. Senza offesa...Solaris, vero?-

-Sì-

rispose lei

-E poi dov'è che vorreste andare di preciso?-

-Non molto lontano, ci vorrà solo qualche ora di viaggio-

minimizzai

-Qualche...ora?!-

-Beh, non vorrai mica andare in Kentucky a piedi!-

sbraitò la figlia di Apollo

-Cosa? Siete pazze? Cosa ci andate a fare nel Kentucky?-

domandò furioso Nico

-Dobbiamo scoprire che cosa stanno cercando gli eroi genealogici...cosa cercava mio padre. Devo riuscire a trovare quell'oggetto, qualunque cosa sia. So di potercela fare, è l'unico modo per ringraziarlo, il minimo dopo tutto quello che ha fatto per me. Cerca di capire, è una cosa che devo fare necessariamente-

lo pregai convinta che fosse la cosa giusta da fare. Lui rimase in silenzio per un po' guardandomi serio negli occhi, poi riprese a parlare

-D'accordo. Se la metti in questo modo, allora non mi lasci altra scelta-

-Oh, grazie! Sapevo che avres...-

-Verrò anche io-

mi interruppe

-Come, scusa? E chi l'ha deciso?-

-Io. Così almeno evito che vi facciate ammazzare dopo due passi-

continuò

-E con questo cosa vorresti dire? Guarda che siamo perfettamente in grado di cavarcela da sole!-

protestò arrabbiata la mia amica

-Più siamo, meglio è. Inoltre, vorrei proprio sapere con che cosa avevate intenzione di arrivare fino in Kentucky. Avrete pur messo in conto un mezzo di trasporto, giusto?-

-In realtà noi...-

mormorò Soly imbarazzata. Non avevamo idea di come arrivare al parco naturale.

-Come pensavo. Va bene, ora risolvo il problema-

sospirò Nico oltrepassando definitivamente la barriera. Noi lo seguimmo in silenzio, curiose di vedere dove ci avrebbe portate. Poco più avanti, a lato della strada, trovammo un'auto color nero metallizzato con un teschio disegnato sul cofano. Sul vetro posteriore vi era addirittura un ridicolo adesivo, come quelli che si usano per segnalare la presenza di neonati agli altri automobilisti, con su scritto "morti a bordo". La vettura non mi sembrava molto sicura, certo non mi intendevo troppo di auto, ma ero certa che quella davanti a noi avesse almeno il doppio dei miei anni e anche di più. 

-E...questa che cos'è?-

domandai preoccupata

-Questa è la mia macchina. Una favolosa Chevrolet Bel Air del '65-

rispose fieramente Nico

-Ed è sicura?-

chiese Soly perplessa

-Certo che lo è! Questo gioiellino ha fatto la storia-

-Sì, è vero...trent'anni fa!- 

replicai. Non lo dissi ad alta voce, ma mi sembrava di aver letto da qualche parte che la Chevrolet non fosse esattamente fra le auto migliori del mondo. Sperai vivamente che quel modello fosse l'eccezione alla regola. 

-Smettetela di preoccuparvi così tanto! Preferite andare a piedi in Kentucky?-

sbraitò esasperato il figlio di Ade

-Ok, d'accordo, daremo al tuo "gioiellino" una possibilità-

si arrese Soly

-Io avrei solo un'ultima domanda da porre-

dissi

-Se il viaggio durerà tutta la notte fino all'indomani, contando anche che ci servirà una pausa per dormire, e tu sei l'unico fra noi con la patente, come farai a guidare così tanto tempo senza morire di sonno sul volante?-

-E chi ha detto che sarò io a guidare?-.

Quel sorrisetto sul volto di Nico non mi piaceva affatto, era il tipico ghigno di chi sta architettando qualcosa ed io lo odiavo. Mi dava un senso di irrequietezza, impotenza. Non sapere cosa sarebbe successo mi spaventava...l'ignoto mi spaventava. 

Il ragazzo si accucciò e premette una mano contro il terreno. Chiuse gli occhi, probabilmente per concentrarsi meglio. Sembrava quasi alla ricerca di qualcosa. Dopo pochi secondi, li riaprì esclamando 

-Hey, Jules-Albert, amico mio, abbiamo un lavoro da svolgere-.

Quello che accadde dopo mi lasciò senza parole. Un autentico non morto si fece strada aggrappandosi all'erba con le mani ossute e sbucò letteralmente dal sottosuolo come se niente fosse. 

-Ragazze, vi presento il mio chauffeur personale, Monsieur Jules-Albert- 

-Ma è...è un...insomma, lui non...è-

balbettò Solaris, cercando di trovare le parole adatte. Decisi di darle una mano 

-Quello è uno zombie! Uno zombie vero! Ed è appena uscito da sotto i nostri piedi come succede nei vecchi film horror a basso costo!-

-Lo so. Forte, vero? E' un regalo di mio padre- 

a Soly scappò quasi una risatina

-Oh, wow, che pensiero carino. Ed io che da mio padre ho ricevuto soltanto un arco dorato che mi ha salvato la vita. Ecco cosa dovevo chiedere, uno zombie autista- 

rispose ironicamente la bionda.

Essendo semidei, ricevere regali da parte dei proprio genitori divini era una cosa normale, o almeno avrebbe dovuto esserlo generalmente, ma io avevo già preso la mia decisione a riguardo. 

-Io da quello che ha abbandonato mia madre non voglio niente, non vorrei nemmeno averci a che fare. Desidero solo rendere onore al mio vero padre e tornarmene alla mia vita-.

Lo dissi più a me stessa che ai miei compagni d'avventura, come se stessi pensando ad alta voce. 

Il mio commento fece calare un silenzio glaciale nel gruppo, finché il figlio di Ade non decise di rompere il ghiaccio 

-Allora, vogliamo andare? Comincia a fare freddo qui fuori-

io e Solaris annuimmo leggermente e montammo in macchina sui sedili posteriori. Nico si sedette accanto al conducente zombie, che accese il motore dell'auto e partì. A rendere l'atmosfera ancora più cupa si aggiungeva la radio, che faceva risuonare la melodia di una canzone piuttosto vecchia cantata da una donna. Sebbene il testo infondesse speranza, su di me aveva un effetto deprimente. 

Io non avrei mai più rivisto Oliverius, non avrei mai rincontrato il mio papà. Con questa dolorosa certezza nel cuore, mi addormentai con una silenziosa lacrima che ancora mi scendeva lungo la guancia. 

 

Angolo Autrice 

Salve! Rieccomi qui! Come al solito ringrazio tutti coloro che leggono la mia storia e che la sostengono. Spero che il capitolo vi sia piaciuto, ora inizia il nostro fantastico viaggio!

Baci,

Fre<3 

 

 

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Capitolo 22
*** Tra elefanti e rasoi ***


Prima, dopo o durante la lettura si consiglia l'ascolto della seguente canzone:

                   In the end by Linkin Park

Non riuscii a stare tranquilla nemmeno nel sonno. Sognai di ritrovarmi di nuovo in quella caverna oscura, ma questa volta il luogo era del tutto deserto. Mi sentivo leggera, come se stessi fluttuando nell'aria. Il mio sguardo percorse velocemente un complicato e tortuoso labirinto di tunnel sotterranei. Ad un certo punto presi un passaggio più largo rispetto a quelli precedenti e, una volta arrivata in fondo, scorsi delle scale di pietra che portavano ad una specie di enorme città nascosta nelle profondità della caverna. Purtroppo mi era concesso di poterla semplicemente scorgere in lontananza. Successivamente l'ambientazione del sogno cambiò, catapultandomi in uno spazio vuoto e buio. Dal nulla comparve una specie di strano orologio da taschino che si mise a ticchettare producendo un rumore sempre più forte. Quando le lancette di quest'ultimo si allinearono, mi svegliai con le idee confuse. Cosa diamine poteva mai significare tutto questo? Mi guardai attorno per riprendere il controllo di me stessa. Stavamo ancora viaggiando, la radio era stata spenta. Soly era raggomitolata accanto a me e dormiva beatamente come un tenero gattino.

-Ma guarda, finalmente ti sei svegliata-

disse Nico voltandosi verso di me

-Tu invece non dormi mai? Sai, non vorrei essere invadente...-

-Troppo tardi, figlia di Zeus-

-Oliverius-

mi affrettai a correggerlo. Odiavo che mi considerassero come una figlia di quell'altro. Il figlio di Ade rimase in silenzio ad attendere il seguito.

-Io sono figlia di Oliverius-

ripetei

-Comunque, stavo solo cercando di dirti che se non ti decidi a riposare almeno un po', finirai per crollare. Non credo che quelle occhiaie che ti ritrovi sotto agli occhi siano normali-

conclusi

-Non si può dire che tu sia più fortunata di me con il sonno, vero?-

-In che senso?-

domandai

-Hai fatto un incubo stanotte, non è così? Non facevi altro che agitarti e rigirarti da tutte le parti-.

A quelle parole abbassai lo sguardo combattuta. Certo, avevo già raccontato il sogno precedente a Nico, ma questa volta non sapevo proprio a che cosa sarebbe servito dato che nemmeno io ne conoscevo il significato. Decisi di fare la vaga

-Non era nulla di che, non serve preoccuparsi-

-E chi si preoccupa? Dopotutto è normale-

-Quindi anche tu fai degli incubi quando dormi. Per questo non vuoi deciderti a prendere sonno? Hai paura di quello che potresti vedere?-

chiesi

-No. Non ne ho alcun motivo. A differenza dei tuoi incubi, ogni volta diversi, il mio è sempre lo stesso. Ormai lo conosco-.

Non volli chiedere di che incubo si trattasse.

-Sei ancora sicura di volerlo fare? Trovare l'oggetto misterioso che cercava tuo padre, intendo-

-Certo che voglio farlo! Non ci penso nemmeno a tirarmi indietro ancora prima di averci provato-

replicai

-Sai che potresti morire?-

-Potrei anche avere successo. Mio padre diceva sempre che a volte la vita è capace di sorprenderti. E poi ormai è troppo tardi per avere ripensamenti. Io completerò la missione, ma se tu vuoi tornartene al campo di certo non te lo impedirò-

-Apprezzo il tuo tentativo di sbarazzarti di me così presto, ma mi dispiace deluderti. Non ho intenzione di andare da nessuna parte-

-E la stessa cosa vale per me, Iris-

si aggiunse una terza voce

-Soly! Non sapevo che fossi sveglia-

esclamai sorpresa

-Se vogliamo veramente portare a termine questa missione, ci conviene sbrigarci. Ho il presentimento che la nostra fuga notturna non rimarrà segreta tanto a lungo. Immaginate cosa succederebbe se si venisse a sapere che tre semidei sono in viaggio da soli verso il Kentucky-

-Che c'è, hai paura di essere messa in castigo all'angolo quando torneremo al campo, Firejewel?-

-Solaris, Solaris! E se proprio vuoi saperlo, Di Angelo, non sono quelli al campo a preoccuparmi. Pensa piuttosto a quanti mostri potremmo trovarci alle calcagna, specie voi due. Il fatto di essere figli di due dei tre pezzi grossi in questo caso gioca a vostro sfavore, non trovi? Sarà praticamente impossibile nascondere la vostra presenza-

-Allora vorrà dire che terremo gli occhi aperti e faremo attenzione-

risposi fiduciosa.

-Quanto manca ancora all'arrivo?-

-Circa quattro ore e mezza-

ci informò Nico

-Quattro ore e mezza? Ma io mi annoio! Non posso restarmene quattro ore e mezza seduta su questo sedile senza fare nulla!-

protestò Solaris

-Oh, non preoccuparti, ti insegno io una cosa divertente per passare il tempo. Questa si chiama la canzone degli elefanti, da piccola io e mio padre la cantavamo di continuo. Inizia così:

Un elefante si dondolava sopra al filo di una ragnatela e ritenendo la cosa interessante andò a chiamare un altro elefante.

Il gioco è molto semplice, basta aggiungere ogni volta un elefante in più alla frase-

-Wow, e come si fa a vincere? Quando finisce?-

-Questo è il bello, il gioco può andare avanti all'infinito e non ci sono vincitori, ma si può cercare di stabilire un record massimo di elefanti-

-Fantastico! Voglio provare!-

gioì la bionda entusiasta ed iniziò a cantare la canzoncina a gran voce insieme a me

-Sarà un viaggio molto lungo-

borbottò Nico, che già non ne poteva più. Noi lo ignorammo e proseguimmo.

Nel frattempo Fenrir sembrava aver fatto amicizia con Jules-Albert. Se ne stava a guardare fuori dal parabrezza con il muso appoggiato alla sua spalla.

La canzone degli elefanti durò ben due ore fino ad arrivare ad una quota totale di 720 elefanti. Durante queste due ore il figlio di Ade minacciò più volte di gettarsi fuori dall'auto in corsa per la disperazione.

Saremmo andate avanti ancora, se Soly non avesse esclamato

-Hey, guardate! C'è un autogrill qui all'angolo. Che ne dite se ci fermiamo per uno spuntino?-

-Per me va bene-

acconsentii

-Oh miei dei, grazie! Jules-Albert, amico, ferma questa macchina, ti supplico!-

implorò Nico ansioso di poter scendere.

Scendemmo dall'auto e ci sgranchimmo le gambe per un po', poi decidemmo di entrare.

-Per carità, basta elefanti! Giuro che la prossima volta mi butto davvero sotto ad un camion, è di sicuro meno doloroso di quella tortura-

continuò a lamentarsi lo zombie mentre apriva la porta d'entrata

-Hey! Solo perché tu non sai divertiti non vuol dire che non possono farlo anche gli altri-

risposi offesa sorpassandolo ed entrando per prima

-Divertirsi? E quello tu lo chiami divertirsi? Quella canzone dovrebbe essere considerata illegale a livello mondiale! Scommetto che provoca danni irreparabili al cervello-

-Allora nel tuo caso non c'è nulla di cui preoccuparsi-

lo stuzzicai

-Fingerò di non aver sentito-

disse Nico lanciandomi uno dei suoi sguardi intimidatori, anche se sapeva benissimo che su di me non avevano alcun effetto.

Ordinammo dei panini da poter consumare velocemente ad uno dei tavoli all'interno dell'autogrill. Scegliemmo di metterci in un angolo sperando di passare inosservati e di non incappare in spiacevoli sorprese. Solaris addentava il suo panino come se non mangiasse da secoli, senza preoccuparsi di contenersi. Adoravo la sua spontaneità, a volte addirittura la invidiavo. Lei era semplicemente se stessa, un libro aperto per chiunque, non fingeva mai e nonostante tutto non si lasciava abbattere da niente e nessuno. Era esattamente come la descriveva il suo nome, solare, energica, luminosa. Al contrario Nico era riservato, freddo e tendeva a mantenere un atteggiamento distaccato. Si vedeva che ne aveva passate tante in vita sua, ma mascherava il suo dolore dietro ad un muro impenetrabile, una facciata. Sembrava che non ci fosse speranza in lui, era privo di fiducia negli altri. Preferiva rifugiarsi nell'oscurità piuttosto di dover affrontare il mondo che, a parer suo, l'aveva ormai respinto da tempo. Come facevo ad essere amica di persone con caratteri così diversi? Conclusi che dipendeva dal fatto che io non ero come nessuno di loro, eppure allo stesso tempo ero uguale ad entrambi. Io non ero sempre sincera, libera e allegra come Soly. Non ero sempre ferita, isolata e sola come Nico. Dentro di me la luce e l'oscurità continuavano a lottare incessantemente, a volte vinceva una, altre prevaleva l'avversaria. Non era importante quale vincesse, perché tutt'e due restavano sempre lì, immobili al loro posto.  Quindi riuscivo bene a comprendere la gioia di vivere e l'esuberanza di Solaris, ma capivo bene anche lo smarrimento e la tristezza di Nico. 

Fu allora che mi ritornarono in mente le prime parole della profezia:

Colui che è perduto gli eroi incontreranno quando luce e tenebre si uniranno 

ciò significava che la figlia di Apollo ed il figlio di Ade avrebbero dovuto collaborare in qualche modo prima o poi. Più facile a dirsi che a farsi, ma ci avrei pensato in seguito, per il momento volevo soltanto godermi il mio cibo. 

-Hey, Iris, che gioco facciamo per le prossime due ore di viaggio? Per caso ne conosci altri?-

chiese Soly impaziente 

-Vuoi dirmi che il discorso che ho fatto appena cinque minuti fa non è servito a niente?-

ribatté Nico prima che potessi rispondere 

-Te l'ho detto, ho bisogno di tenermi impegnata con qualcosa per non morire di noia-

ricordò la bionda 

-Beh, prima che tu possa morire di noia, io mi sarò sicuramente già strappato le orecchie. Se sento anche solo un'altra volta quella lagna interminabile ed infantile...-

-Ragazzi, non litigate. Siamo tutti parecchio stanchi per il viaggio, è vero, ma non dobbiamo perdere la testa, ok? Dobbiamo restare uniti per riuscire nell'impresa-

mi intromisi cercando di far calmare le acque. A quanto pare funzionò, perché i due semidei ammutolirono e si voltarono le spalle a vicenda dopo essersi scambiati degli sguardi truci. Certo, erano ancora arrabbiati, ma almeno non davano più così tanto nell'occhio. 

Tirai un sospiro di sollievo e mi lasciai cadere a peso morto sulla sedia. Quando pensavo di poter finalmente stare tranquilla, un estraneo seduto al tavolo accanto al nostro ci rivolse la parola

-Eh sì, lo stress da viaggio è difficile da sopportare. Credetemi, ne so qualcosa- 

L'uomo in questione era più o meno sui trentacinque anni. Portava un elegante smoking grigio che gli conferiva un'aria da ricco imprenditore. I suoi occhi erano grandi e vispi ed i suoi capelli...beh, non avevo mai visto nulla del genere prima d'ora. Aveva lucenti capelli biondi sul davanti, mentre la parte posteriore della sua testa era completamente rapata a zero! La cosa più assurda del mondo. A terminare il quadro vi era una barba perfettamente curata. Se ne stava tranquillo a sorseggiare il suo cappuccino attendendo la nostra reazione. 

-Ehm, non vorrei sembrare maleducata, ma posso chiederle chi è lei?-

domandai perplessa

-Ma come? Non avete mai visto una delle mie pubblicità in giro?-

-Temo di no, signor...-

-Kai, affascinante uomo immagine di successo e rappresentante orgoglioso della miglior linea di rasoi esistente sul mercato. Ecco il mio biglietto da visita- 

annunciò, porgendomi fieramente il biglietto in questione. Io lo presi fra le mani e lo lessi ad alta voce

-Mr. Kai, uomo immagine, rappresentante ufficiale...della Gillette?! Ma che...?-

-Guarda, c'è anche una citazione alla fine- 

mi avvisò Solaris

-Sono più pungente di...-

-Di qualsiasi bordo pungente!-

terminò il signor Kai mentre reggeva in mano un rasoio e lo agitava avanti e indietro.

-Proprio così. Sai una cosa, ragazzo? A te non farebbe male una bella rasatina. Ti stanno spuntando parecchi peli superflui-

continuò rivolgendosi a Nico. A quelle parole Soly scoppiò a ridere ed io per poco non mi strozzai con l'acqua che stavo bevendo.  

-Come?-

rispose il figlio di Ade 

-Ovviamente il mio era solo un consiglio. Ricordo bene l'orgoglio maschile della prima barba, ma se cambi idea, sai a chi rivolgerti-

disse il signor Kai agitando ancora una volta il suo fidato rasoio. Quell'uomo mi divertiva un sacco! Era completamente pazzo, ma allo stesso tempo sapeva quel che voleva e sapeva anche come ottenerlo. Piuttosto ammirevole. 

-Quindi lei viaggia molto, vero signor Kai?-

chiesi per cambiare argomento, dato che Solaris rischiava di morire soffocata dalle risate e Nico non era più in grado di sostenere una conversazione riguardante i suoi peli. 

-Puoi dirlo forte, dolcezza. Ho praticamente visto ogni singola parte del mondo, ma ogni tanto è bello girovagare senza sapere dove ti porterà il vento, sapete? Andare verso l'ignoto. A proposito, dove vi state dirigendo voi?- 

-Stiamo andando nel Kentucky-

generalizzai. Non volevo scendere troppo nel dettaglio. 

-Sul serio? Beh, allora sarà meglio se vi rimettete in viaggio. Mancano ancora un paio di chilometri da percorrere-

-Non si preoccupi, lo faremo senz'altro- 

lo rassicurai. 

-Sì, è tutto molto bello, ma se non vi dispiace io ora vado a cercare un CD decente da poter ascoltare in macchina al posto degli elefanti assassini-

riuscì a dire Nico dopo il suo silenzio iniziale

-Elefanti assassini? Che idea bizzarra-

commentò il rappresentante pungente 

-La prego, non chieda- 

lo supplicò lo zombie, poi si alzò dirigendosi verso il settore musicale dell'autogrill. 

-Anche io mi congedo. Faccio una fermata veloce al bagno- 

avvertì la bionda 

-Occhio ai troll!-

dissi ridendo

-Molto spiritosa- 

rispose lei. 

-Senti, dolcezza, non ti ho nemmeno chiesto come ti chiami- 

continuò il signor Kai 

-Iris, mi chiamo Iris-

-Iris...ora ascoltami bene, Iris, ciò che sto per dirti ora è di fondamentale importanza. Vedi, nel mondo del successo, come quello di cui faccio parte, ciò che conta veramente è riuscire a cogliere il momento propizio quando ci si presenta davanti. Capisci che intendo? Sta tutto nel prestare la massima attenzione a ciò che ti circonda e capire quando è tempo di agire. Ma devi essere svelta! Le rare occasioni non durano che un istante. Sono mutevoli, come la fortuna. Un attimo prima ci sono e un attimo dopo le hai perse, sei arrivato troppo tardi. Non lasciarti mai sfuggire quello che sai può tornarti utile, va bene? Non avere paura, abbi pazienza e, quando arriverà il momento propizio, coglilo al volo senza esitazione, chiaro?-

-Mi scusi, ma temo di non aver capito- 

-Lo capirai. Tu hai grandi capacità, Iris. Non sprecarle, mi raccomando. Io punto tutto su di te- 

concluse il matto uomo immagine sollevando la sua tazza di cappuccino e finendo di berne il contenuto. Io mi voltai dandogli le spalle per riflettere. Niente di ciò che mi aveva detto sembrava avere un senso. Quando mi rigirai verso di lui per chiedergli ulteriori chiarimenti, era misteriosamente svanito. 

Dopo pochi minuti tornarono Nico e Solaris.

-Bene, possiamo partire allora. Mammoth Cave, stiamo arrivando! - 

esclamò la figlia di Apollo, poi si girò verso di me

-Iris, ci sei?-

-Che? Io...sì, ci sono-

-Ma dov'è finito il signor Kai?-

-Non lo so. Un attimo prima c'era e un attimo dopo puff! Scomparso-

-Magari a tempo perso fa anche il mago-

ipotizzò Soly

-Meglio così. Quel tizio è più suonato di una campana- 

-NO! Lui è più pungente di qualsiasi bordo pungente, ricordi?-

recitò la mia amica mimando il rasoio con la mano.

Tornati in macchina, Nico inserì soddisfatto il CD contenente i migliori successi dei Linkin Park. Solaris si riaddormentò ritornando alla sua modalità da gattina ed io riguardai per l'ultima volta il biglietto da visita del signor Kai prima di rimettermelo in tasca. 

 

Angolo Autrice

Ma salve! Ho avuto problemi di connessione dovute al maltempo, quindi ho potuto pubblicare il capitolo solo ora. Chiedo umilmente perdono, ma ormai ci sarete anche abituati, no? In questo capitolo ho fatto anche pubblicità alla Gillette, dovrei chiedere di essere pagata! In conclusione, prometto di fare il possibile per far uscire il prossimo capitolo il prima possibile e magari lo farò anche un po' più lungo, chi lo sa? Per ora vi saluto e vi ringrazio di essere stati con me! 

Baci 

Fre<3 

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Capitolo 23
*** The lost city ***


Prima, dopo o durante la lettura si consiglia l'ascolto della seguente canzone:
Labyrinth by Elisa

 

Per tutto il resto del viaggio nessuno disse una parola, l'unico suono udibile era la musica.

Quando giungemmo a destinazione, scendemmo dall'auto, ci sgranchimmo un po' le gambe e ci mettemmo ad osservare il cartello appeso alla parte superiore dell'entrata, costituita da un insieme di tronchi rudimentali. Una volta varcato quell'ingresso la nostra avventura sarebbe definitivamente iniziata. Non ci sarebbero più stati dubbi o ripensamenti, quel punto esatto, quella linea sottile che divideva l'area sicura dalla selva oscura era la nostra ultima possibilità di prendere una decisione.

Eravamo ancora allineati, immobili davanti a quel maledetto cartello. Smisi di fissare l'insegna con su scritto in stampatello maiuscolo "Mammoth Cave" e feci un passo avanti, finché non mi trovai esattamente a metà strada fra le due possibili vie percorribili. Fra certezza ed ignoto, fra salvezza e pericolo, feci la mia scelta. Con l'immagine di mio padre impressa nella mente, varcai la soglia senza voltarmi indietro. Dopo pochi secondi fui seguita a ruota dal resto del gruppo, fatta eccezione per Jules-Albert che si congedò.

-Cosa stiamo cercando di preciso?-

domandò il figlio di Ade 

-Un indizio, una traccia, un segno...qualsiasi cosa. C'è un motivo se gli eroi genealogici sono passati di qui e noi scopriremo qual'è- 

-Ok, abbiamo un piano almeno?-

-Mi piace improvvisare-

risposi

-Questo sì che è rassicurante-

-Se hai qualcosa di meglio da offrire ti ascolto, sono aperta a suggerimenti- 

-Perché come prima cosa non pensiamo ad un modo per entrare?- 

propose Soly.

Mi ritornò in mente l'incubo di qualche giorno fa, quello che mi aveva spinta a partire. Ricordavo bene la grotta buia e ostile nella quale mi padre si era avventurato, l'ultimo luogo in cui lo avevo visto. Mammoth Cave era famosa per le sue caverne profonde ed insidiose, la nostra ricerca sarebbe dovuta partire da lì. 

-Dobbiamo riuscire ad arrivare ad una delle caverne- 

dissi ai miei compagni

-Beh, ci servirà una strategia adatta a mantenere un basso profilo. Non mi va di essere arrestata dopo neanche due giorni di viaggio-

dichiarò Soly.

Mentre pensavo a come poter entrare, notai degli strani fogli su un albero vicino. Il cartello accanto ad esso diceva: "Quercia degli innamorati". A quanto pare s trattava di un albero piuttosto antico, il più vecchio dell'intero parco naturale. I foglietti colorati attaccati al tronco altro non erano che post-it su cui le coppiette scrivevano i propri nomi, accompagnati da vari cuori e altre frasi dolci. Di solito si usava farlo con i lucchetti o scriverlo sui muri, perciò quella mi sembrò un'idea piuttosto originale. Un foglietto in particolare catturò la mia attenzione. La maggior parte dei messaggi era incollata sulla parte superiore dell'albero, come simbolo dell'amore da dover coltivare che germoglia e cresce fino a toccare il cielo, analogamente ai lunghi rami che sembravano quasi riuscire nell'intento. Solo quell'unico foglietto se ne stava più in basso, solitario, quasi sottoterra. Mi chinai per leggerlo e vidi che non vi era alcun nome, né tanto meno una frase. A dir la verità non c'era neanche una sola parola! Il linguaggio utilizzato era molto più primitivo, si trattava infatti di rune, rune orlanthi. Mi concentrai per decifrarne il significato. Si vedevano chiaramente il simbolo della bestia e quello dell'oscurità. Vi erano poi il simbolo dell'uomo, dello spirito e della morte. Successivamente compresi la luce, l'armonia, il chaos ed il freddo. Lessi ad alta voce

-La morte della bestia oscura per mano dello spirito umano porta armonia e luce nel freddo chaos-

-Hai detto qualcosa?-

chiese Nico con aria confusa. Io ci capivo meno di lui.

-Ma questa roba non ha alcun sens...-

non feci nemmeno in tempo a finire la frase che mi ritrovai il vuoto sotto ai piedi. Senza alcun preavviso era scattato un meccanismo che aveva aperto una botola nascosta. Quest'ultima ci condusse lungo un tunnel sotterraneo incredibilmente scivoloso e buio. Non appena arrivai in fondo, caddi a peso morto su qualcosa di morbido che si rivelò essere Solaris. 

-Soly, scusami! Stai bene?- 

-Non preoccuparti, nulla di grave-

-Ma prego, fate pure con comodo voi due, tanto non ci siete mica voi qua in basso! E per la cronaca, io starei meglio se vi toglieste, grazie per averlo chiesto!-

si lamentò Nico con tono acido.

Ci rimettemmo in piedi velocemente e ci guardammo attorno. 

-E' buio pesto qui sotto-

feci notare

-Questo non è di certo un problema-

intervenne Soly sprigionando un fascio di luce danzante simile ad una fiammella dalla sua mano destra

-E' il caso di dirlo, sei davvero brillante, amica mia-

la elogiai 

-Lo so, è un dono di natura-.

Proseguimmo inoltrandoci sempre più in profondità alla ricerca di una pista da seguire. Passammo davanti ad un'enorme roccia identica a qualsiasi altra roccia vista in precedenza, tranne che per un particolare. Sulla superficie si notavano chiaramente dei graffi piuttosto profondi e la cosa non mi piaceva affatto. Gli esaminai da vicino e quando li sfiorai con la mano, la mia banca dati mentale recuperò un'informazione fondamentale. 

-Iris, che hai?-

-I-io credo di conoscere questo posto-

-E' quello dell'incubo, vero?-

domandò Nico interpretando il mio sguardo

-Sì- 

risposi lievemente, quasi in un sussurro.

Il luogo era identico a quello del sogno in cui mio padre veniva catturato da quell'essere spaventoso nascosto nell'ombra. Soly era poco più lontana, ancora in cerca di indizi. Averi voluto raggiungerla, ma non riuscivo a muovermi. Per quanto ne sapessi, quello su cui stavo accucciata poteva essere il suolo sulla quale l'uomo più importante della mia esistenza aveva perso la vita. Il solo pensiero della polvere sottostante macchiata di rosso mi faceva letteralmente rabbrividire. Ad un tratto sentii un peso improvviso sulla mia testa. Mi voltai e scoprii che si trattava della mano di Nico fra i miei capelli. Per attimi che sembrarono secoli non si mosse di un millimetro, non disse nulla. Si limitò a starsene lì, in piedi davanti a me, a fissarmi. L'assenza di luce nei suoi occhi mi colpì nuovamente per l'ennesima volta, non riuscivo a farci l'abitudine. Sembrava di stare a guardare dei vetri rotti con la consapevolezza di non poterli rimettere insieme. Non c'era bisogno di alcuna spiegazione da parte sua. Lui lo sapeva. Sapeva sempre cosa mi passava per la testa, capiva a pieno il mio dolore ancora prima che mi rendessi conto di provarne. Era una cosa che non riuscivo a spiegarmi. Tuttavia, non volevo essere trattata come una bambina in lacrime, volevo dimostrare di poter essere forte tanto quanto una vera guerriera, perciò mi rialzai di scatto e finalmente mi diressi verso Solaris interrompendo quella comunicazione indiretta fra me ed il figlio di Ade come se non fosse mai avvenuta. 

-Soly, qualche novità?-

-Dipende da che cosa intendi per novità-

-Spiegati-

la invitai

-Sono riuscita a trovare questa gigantesca pittura rupestre. Sembra quasi che racconti una specie di storia-

rivelò avvicinando la fiammella lucente ai dipinti sulla parete. Questi ultimi rappresentavano quella che a parer mio era solo una macchia scura con un paio di occhi ed un omino stilizzato intento a combattere con una lancia assai singolare fra le mani. Toccai la scena con una mano e in un secondo mi apparve davanti l'immagine di due enormi occhi minacciosi e scintillanti nell'oscurità, così la levai di scatto. 

-In che modo questo potrebbe esserci d'aiuto?-

domandò Nico, che intanto ci era venuto dietro

-Non ne ho idea, ma è pur sempre qualcosa. Tu hai di meglio, cadaverino?-

-NON CHIAMARMI MAI PIU' IN QUEL MODO, FIREJEWEL!-

strillò furioso a Soly

-E va bene, ma tu non azzardarti a tirare fuori il mio cognome, altrimenti giuro che ti strangolo- 

replicò la bionda

-E' così bello andare tutti d'accordo! Vero, ragazzi?-

li richiamai per farli smettere. 

-Non è certo colpa mia se la tua amichetta...-

Nico si bloccò improvvisamente

-Lo avete sentito anche voi?-

chiese 

-Sentito cosa?-

disse la bionda. 

Tesi le orecchie per comprendere cosa stesse andando storto. Non udii nulla di particolare, ma percepii la presenza di una strana energia di tipo elettrico nelle vicinanze. 

Accadde tutto nel giro di pochi secondi. Ci ritrovammo accerchiati senza preavviso da quelli che sembravano i membri di una specie di tribù sotterranea. Avevano la pelle scura, cosparsa di terra e piena di strani simboli tatuati ovunque. Avevano un aspetto parecchio primordiale, a cominciare dalle semplici vesti che indossavano, per la maggiore composte da stracci. Non ero certa che parlassero la nostra lingua. I miei dubbi trovarono conferma quando una donna muscolosa dallo sguardo severo ci rivolse la parola in Shona, una lingua diffusa nell'Africa meridionale mi parve di ricordare. 

-Chi siete voi?-

tradussi mentalmente. Non sapevo molto di questa lingua praticamente sconosciuta, ma provai comunque ad utilizzarla per comunicare.

-Siamo solo dei turisti. Ci siamo persi-

mentii . Gli altri sembrarono sorpresi dalla mia conoscenza linguistica, ma io non ci feci caso. 

-Ora venite con noi-

ci invitò la donna  

-In realtà noi dovremmo...-

tentai di obbiettare, ma non fu una buona idea. I guerrieri sfoderarono ognuno la propria lancia contro di noi. Erano praticamente identiche a quella dell'uomo della raffigurazione sulla parete e per di più erano cariche di elettricità. Non riuscivo a credere che una popolazione a prima vista arretrata rispetto al resto del mondo fosse dotata di armi così moderne e all'avanguardia. Piccole scariche elettriche guizzavano dalle estremità biforcute delle lance. 

-Pare che tu li abbia fatti arrabbiare-

osservò Nico

-Non sono stata io! Vogliono che li seguiamo-

-Che facciamo ora?-

chiese Soly. 

Ritenni poco saggio un tentativo di fuga. Sapevo che quella deviazione ci avrebbe portato via tempo prezioso per la missione, ma non c'era altra soluzione.

-Andiamo-

dissi, invitando gli altri due semidei a venirmi dietro. 

 

Angolo autrice 

ECCOLO QUA! Dopo secoli passati sui libri a crepare dallo studio, ho trovato cinque minuti di libertà per scrivere questo dannato capitolo! Spero vi piaccia.

Baci

Fre<3  

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Capitolo 24
*** Gli indigeni ci sbattono al fresco ***


Prima, dopo o durante la lettura, si consiglia l'ascolto della seguente canzone: 

 

                                                You can't take me- Bryan Adams  


 

Camminammo per ore ed ore nel buio, senza sapere cosa sarebbe sucesso. Gli indigeni ci invitavano a proseguire dandoci dei colpetti decisamente poco amichevoli con le loro lance. Uno di loro mi diede persino la scossa, non che la cosa mi turbasse più di tanto. Tralasciando il fatto che il mio intero corpo era in grado di sprigionare altrettanta elettricità, la mia mente era altrove in quel momento.

Ero consapevole di trovarmi in un bel guaio e sapevo che avrei dovuto rimanere concentrata per il bene dei miei amici, i quali non avevano idea di come comunicare in Shona, ma non potevo fare a meno di pensare a mio padre. Ogni volta che sbattevo le palpebre, mi comparivano nuovamente davanti agli occhi le terribili immagini di quella visione. Lo vedevo correre fra gli stessi interminabili tunnel che stavamo percorrendo anche noi, cercando invano di salvarsi la vita e tornare da me. Mi chiesi se fuori fosse già calata sera...quanto tempo poteva essere passato dal nostro arrivo?

Tempo, questo pensiero mi metteva in ansia. Nell'ultimo periodo sentivo costantemente di non avere mai abbastanza tempo. Avevo esaurito quello da passare con papà e temevo di non aver utilizzato al meglio quello che avevo. Non riuscivo a pensare ad un futuro, non ero nemmeno certa che ce ne fosse uno previsto per me. E questa deviazione forzata? Un totale spreco di tempo nella maniera più assoluta. La nostra missione doveva venire prima di tutto, doveva essere la nostra priorità.

Dopo qualche minuto, la donna in testa al gruppo parlò nuovamente.

-Siamo quasi arrivati-

disse, rivolgendosi a me

-Quasi arrivati dove, esattamente?-

domandai

-All'ingresso di Guta Chaedza, la nostra città sotterranea segreta-

spiegò, come se fosse la cosa più ovvia del mondo

-Non è contradditorio chiamare un luogo sotterraneo e oscuro come questo "Città di luce"? E poi, se volevate mantenere il vostro popolo un segreto come dice, allora perché avete scelto un sistema di grotte così famoso a livello turistico? Non mi pare una grandiosa idea-

-Tu parli troppo, ragazzina-

mi rimproverò l'indigena fulminandomi con lo sguardo. Immaginai la sua reazione se solo avessi potuto dimostrarle che io ero in grado di farlo veramente e non solo in senso figurato.

-Ancora non capisco a cosa serva portarci lì. Insomma, in pratica ci state rivelando la posizione del vostro rifugio. Conoscete almeno il significato di segreto?-

azzardai, infischiandomene dell'invito di poco prima a stare zitta

-Qui non sono graditi i ficcanaso e non tolleriamo intrusioni di nessun genere. Sarà la sovrana Chiwanikwa a decidere del vostro futuro, se ve ne sarà concesso uno-.

Ora avremmo pure dovuto subire un processo? Bene! Di bene in meglio, anzi. Ma sì, tanto che poteva capitare? Al massimo saremmo stati giustiziati sul posto.

-Iris, che succede? Cosa ti ha detto?-

bisbigliò Soly, come se avesse avuto paura di farsi sentire dagli indigeni che, in ogni caso, non l'avrebbero capita comunque

-Pocahontas qui dice che siamo vicini alla loro città sotterranea. Una volta arrivati, dovremo presentarci al cospetto della loro regina, Giglio Tigrato, che deciderà cosa fare con noi-

-Prospettiva allegra-

commentò la bionda

-Non sai quanto-

ironizzai

-Non capisco, come mai non abbiamo ancora preso a calci in culo qualcuno?-

si lamentò Nico seccato, bisbigliando come Soly

-Prima di tutto non sappiamo come uscire da qui. Nemmeno sappiamo come ci siamo finiti qui, a malapena sappiamo dove sia esattamente qui! E poi...sento c'è non abbiamo ancora finito qui, c'è dell'altro che dobbiamo vedere-

spiegai senza scendere troppo nei dettagli.

-Stiamo solo perdendo tempo- 

insistette lui.

Da una parte ero d'accordo, ma dall'altra mi fidavo del mio istinto. Non mi aveva mai tradita.

-Se proprio ci tieni a batterti con Cheeta, fa pure. Almeno ci faremo quattro risate quando ti metterà al tappeto- 

lo provocai

-Non sottovalutarmi così-.

Di nuovo quello sguardo truce che ormai conoscevo fin troppo bene. Non mi sarei mai sognata di commettere un errore simile. 

-E tu non sottovalutare loro-

lo avertii, terminando così la conversazione.

Restammo in silenzio per un po', poi Soly mi chiese 

-Che cosa hai intenzione di dire alla regina in nostra difesa quando arriveremo?-

-Ancora non lo so di preciso, ma cercherò di essere il più diplomatica possibile e farla ragionare-

-E se non funzionasse?-

ipotizzò 

-In quel caso Nico avrà quello che voleva. Non possiamo permetterci di restare troppo a lungo-

dissi.

Finalmente il tunnel iniziò ad ampliarsi, finchè non giungemmo ad una serie lunghissima di scalini rocciosi. Da lì si riusciva a scorgere l'intera città e, nonostante le spiacevoli circostanze, dovetti ammettere che la vista era a dir poco incredibile. 

Guardandomi attorno con più attenzione la riconobbi. Era la città del mio incubo, quello che non avevo raccontato a nessuno. 

-Benvenuti a Guta Chaedza- 

annunciò la donna-generale con il suo solito entusiasmo. Il suo volto rimase impassibile, il suo sguardo sempre severo e indifferente, ma riuscii comunque a cogliere un certo senso di orgoglio nel suo tono. Era palese il fatto che amasse quel luogo e la sua gente e che fosse pronta a tutto pur di difenderli. Osservava scrupolosamente ogni angolo, come se si fosse aspettata di trovare qualcosa fuori posto o diverso da come lo aveva lasciato. 

Scendemmo un paio di gradini per poi ritrovarci bloccati da una specie di strana barriera invisibile. La donna si mise in testa al gruppo e ripetè la frase che avevo letto sul post-it attaccato alla quercia in superficie. Come per magia, il campo di forza scomparve dissolvendosi in piccoli cristalli di luce azzurrina. 

-Potremmo sembrarvi arretrati, ma anche noi abbiamo le nostre risorse per difenderci dai nemici- 

dichiarò fieramente l'indigena

-Questo non lo metto in dubbio-

risposi sinceramente.

Scendemmo in città passando per viali polverosi colmi di persone, soprattutto bambini giocavano per strada e ci guardavano curiosi. Attraversammo anche un mercato parecchio caotico e affollato. Le merci vendute ci erano estranee e gli odori che si percepivano nell'aria erano del tutto nuovi. Mi chiesi come fosse possibile tutta quell'abbondanza di cibo nelle profondità di grotte così buie e inospitali, apparentemente prive di risorse. 

-La fauna e la flora sotterranee sono differenti da quelle in superficie. Molte cose del nostro mondo vi sono ancora sconosciute- 

spiegò la donna, vedendoci perplessi. 

Passato il mercato, giungemmo alla piazza centrale, dove ci fecero fermare. Mi aspettavo qualche statua ornamentale o almeno un paio di piante, invece il centro della città era più spoglio del previsto. Vi era solo una specie di piccolo falò che scoppiettava debolmente. 

Vidi un uomo con un vistoso copricapo fatto di ossa e piume colorate venire nella nostra direzione. Il bizzarro individuò ci squadrò da capo a piedi con aria affascinata, ma diffidente allo stesso tempo. Quando terminò la sua ispezione, si rivolse alla donna 

-Dimmi, Ibwe, chi sono questi stranieri?-

-Intrusi. Li abbiamo trovati mentre ficcavano il naso vicino al sacro murales- 

l'uomo socchiuse gli occhi e si grattò la barba pensoso. Notai che aveva parecchie rughe attorno agli occhi, sebbene non sembrasse affatto vecchio.

-Capisco. Molto bene, suppongo tu voglia indire un'udienza e avvertire la regina- 

-Naturalmente- 

replicò lei seria 

-D'accordo. Penserò io ai preparativi, Ibwa- 

-Te ne sarei grata, Sherekete- 

disse, chinando leggermente il capo. 

Vi era un atteggiamento di rispetto reciproco fra di loro. Dedussi che, probabilmente, si conoscessero bene e avessero lavorato insieme per parecchio tempo. 

-Forza, venite con me- 

aggiunse rivolgendosi a noi

-Un momento. Vuol dire che non saremo processati ora?-

domandai 

-Certo che no! Dovrete attendere che i preparativi siano ultimati a dovere. Ci vorrà tutta la notte, suppongo. Domani all'alba sarete al cospetto della regina-

-E fino a quel momento?-

-Fino all'indomani, sarete trattenuti nelle celle della città-

-Oh, grazie! Che trattamento lusinghiero- 

ribattei istintivamente. Sapevo bene di non essere nella posizione di potermi permettere commenti sarcastici, ma ero piuttosto seccata. Avremo perso un'intera notte! Peggio di così non poteva andare. 

-Tranquilli, starete bene. Oh, a proposito...- 

mormorò con sguardo soddisfatto. 

In pochi attimi ci ritrovammo ammanettati per bene. Le manette sembravano un miracolo della tecnologia, come le lance elettriche. 

-Hey!- 

si lamentò Soly 

-Iris, cosa...-

-In questo modo non vi verrà in mente di svignarvela-

ridacchiò la donna divertita. 

-Iris, che succede?-

chiese Nico spazientito e chiaramente alterato lungo la strada verso il carcere 

-Niente di che, il processo sarà domani anzichè ora. Ci verranno a recuperare all'alba, dato che i preparativi richiederanno una lunga notte. Notte che noi passeremo in prigione- 

riassumei.

I miei compagni erano sconvolti quanto me 

-E ora che facciamo?-

sussurrò Solaris

- Non lo so, ma qualcosa ci inventeremo-.

Quando arrivammo a destinazione, ci sbatterono dentro senza tanti complimenti. 

-Ricordate, in piedi domani all'alba- 

ci raccomandò Ibwa prima di andarsene con il suo seguito. 

-Ok niente panico. Ragioniamo- 

dissi col fiatone 

-Iris, tutto bene?-

chiese preoccupata la figlia di Apollo 

-Sì, è solo un po' di claustrofobia. La città era talmente vasta che sono riuscita a controllarla malgrado fossimo sotto terra, ma ora che sono chiusa qui...-

spiegai, riprendendo a fare respiri profondi. Un attacco del genere era lu'ultima cosa che mi serviva in quel momento. 

-Procediamo per esclusione. Utilizzare i nostri poteri è fuori questione, direi. Attireremmo troppo l'attenzione. Inoltre, credo che queste manette in qualche modo siano in grado di neutralizzarli. Non so voi, ma io non sento nemmeno un filo di elettricità in me al momento- 

-Le armi?-

ipotizzò Nico

-Negativo. Ce le hanno tolte mentre eravamo distratti. Purtroppo me ne sono accorta solo qualche minuto fa-

risposi 

-Allora siamo proprio in trappola. Guardate qua- 

disse Soly dando un calcio alle sbarre. Quest'ultime non si mossero di una virgola, nemmeno vibrarono. 

-Non so che razza di materiale sia questo, ma qualcosa mi dice che buttare giù questi affari non è un'opzione da poter considerare-

-E' tutto inutile-

piagnucolò una vocina proveniente da un angolo buio della stanza. C'era un'altra cella accanto alla nostra. Dentro quest'ultima vi era una figura rannicchiata nell'ombra. 

-Chi sei tu?-

domandai. Silenzio. Dalla voce intuii che si trattava di una bambina. 

-Vieni fuori, dai. Non potremmo farti del male nemmeno se volessimo- 

la, ehm, incoraggiò la figlia di Apollo. 

Stranamente, funzionò davvero. La misteriosa sagoma uscì dal suo cunicolo e si mostrò. 

 

Angolo autore

Salve! Lo so, ormai non ci speravate più eh? Pensavate che questo giorno non sarebbe mai giunto, che la storia non sarebbe mai continuata. Well, guess who's back! Finalmente questa storia tornerà operativa dopo un sacco di tempo. Mi farò perdonare per l'attesa, lo prometto e cercherò di non far passare troppo tempo fra la pubblicazione di un capitolo e l'altro questa volta. Per ora godetevi questo inaspettato e trionfale ritorno. 

Stay tuned, 

Fre 

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