Un amore immortale

di KendraVale
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Lista capitoli:
Capitolo 2: *** Una storia di flashback ***
Capitolo 5: *** Il patto del Cavaliere ***



Capitolo 2
*** Una storia di flashback ***


PROLOGO Re Albertino discuteva di economia con alcuni membri del consiglio nella sala principale del Castello. La questione non era di grande rilevanza, ma ogni mese dovevano rivedere alcuni aspetti della parsimonia del Reame. Il consigliere Admir era più irrequieto del solito e polemizzava sulle continue spese che il Regno continuava a sostenere con i paesi vicini. Non era d'accordo Alyon che sbattendo il pugno sul tavolo massiccio rispose per le rime a tutti i presenti, sostenendo che le spese fatte erano necessarie. Albertino ascoltava diligentemente la discussione pensando tra sé e sé di fare qualche piccola rinuncia, come le feste settimanali a Palazzo che portavano via una grande quantità di soldi. Dopo un lungo dibattito finalmente arrivarono ad una conclusione, ovvero quella di diminuire le eventuali passività del bisogno. Al termine della riunione la grande aula si svuotò velocemente lasciando da solo il Re. Egli si avvicinò lentamente alla finestra centrale che si affacciava sull'intero villaggio. Mentre osservava il paesello dall'alto, nel bel mezzo di un silenzio assordante, si manifestò nella sua mente un flashback. Le immagini erano nitide quasi da sembrare reali. Albertino si rivide nella sua infanzia quando cercò di placare il dissenso nato tra suo padre e il re degli elfi, conosciuti come gli Immortali. Il sovrano di quest'ultimi era il re Ghilijan nemico da molti anni del padre di Albertino, il re Diamo. Nonostante tutto dopo alcuni anni i sovrani non riuscirono a mantenere lo stato di pace che regnava da secoli e finirono col dichiararsi guerra. Lo scontro terminò con la morte di Diamo che rimase ferito gravemente all'arteria femorale che ne provocò il dissanguamento. Il flashback fece un altro salto temporale, riportando la sua memoria nel giorno della sua incoronazione. Era un venerdì mattina, le campane della Chiesa di San Fiorenzo suonavano il mezzodì e il Vescovo con le mani congiunte al Signore proclamò Albertino re di Vinandir. La gente all'inizio pensava che il ragazzo novello non fosse in grado di governare un regno tutto da solo, ma la realtà fu diversa. Egli creò un Regno abitato da razze diverse, in modo tale da poter condividere le materie prime, le culture e il rispetto. Il popolo di Vinandir rimase affascinato dalla saggezza di questo fanciullo e per questo motivo lo nominò Cavaliere del Forte. Il cuore di Albertino palpitava di mille emozioni, la gola diventò arida e pungente tanto da fargli venire le lacrime agli occhi. Mentre era assorto nei suoi pensieri, entrò un soldato che con garbatezza parlò al Re: " Sire avete un ospite, domanda di voi il Principe Zaffiro delle Terre dei Cristalli". Con un semplice cenno del capo rispose affermativamente e si incamminò nel Salone Regale. I pensieri del Re erano molti e scorrevano a velocità impetuosa nella sua coscienza, tanto da renderlo confuso e agitato. Respirò profondamente come se volesse liberarsi dalle emozioni provate un attimo prima. Arrivò sorridendo e vide il ragazzo inginocchiato in attesa del suo arrivo. "Mi domandavo quando avreste avuto intenzione di venirmi a trovare!"; esclamò Albertino con un ghigno sul volto. Il giovane con un sorriso rispose: "Avete ragione Sire, mio zio mi manda a darvi un invito speciale per le sue seconde nozze". Dopo un'allegra risata il re rispose:" Il vecchio Zeffiro non si smentisce mai! A quando i festeggiamenti?". "Tra un mese Sire, saremmo molto grati della vostra partecipazione", disse serio il giovane. Dopo il loro incontro il Re rimase entusiasta dell'invito, aspettando con ansia l'arrivo delle nozze. Il mese passò velocissimo e giunse il giorno del matrimonio del suo caro amico Zeffiro. Nel bel mezzo della cerimonia, Albertino si discostò nuovamente dalla realtà, imbattendosi in ricordi ormai lontani. Il flashback lo riportò a quando compì 23 anni. In quell'anno si sposò con la Principessa del regno di Argento. Ella era molto graziosa e bella. I suoi capelli erano lunghi, dal color argento e gli occhi azzurri come il mare. La principessa incontrò Albertino all'età di 15 anni. Negli anni successivi, passarono ogni fine settimana insieme, con l'augurio da parte delle loro famiglie di instaurare un rapporto amoroso. Albertino era follemente innamorato di lei, adorava il profumo del suo sapone al miele quando lei lo utilizzava per lavarsi i capelli; impazziva per il suo sorriso dolce e spontaneo e cosa più importante amava il suo modo di essere, dolce e avventuroso. Albertino si ricordò che nel giorno delle sue nozze, la Principessa non volle salire sul suo destriero per paura di cadere. Per lui era un'adorabile fifona, ma il suo cuore l'amava profondamente. In suo onore Albertino fece costruire una loggia nella quale le dame potevano assaporare del thè caldo e degustare dolci tipici del posto. Rimanendo incantate dalla soave musica dei cantori e dal fresco paesaggio montano. Il luogo così raffinato, prese il nome della principessa, Revelin. La rievocazione fu fugace. Gli occhi del sovrano erano inumiditi da lacrime di nostalgia. Al termine dei festeggiamenti tutti gli invitati rientrarono nel proprio Regno contenti di aver trascorso una giornata piacevole e allegra. Da quella volta, passarono venti lunghissimi anni e tutto era limpido e surreale fino a quando arrivò a Vinandir un mendicante straniero. Egli bussò al portone del Palazzo Reale ed entrò lentamente dirigendosi in camera da letto del Re. L'uomo era barbuto con occhi arguti, ma segnati dal tempo e possedeva un bastone lungo e spigoloso che lo aiutava a sostenersi mentre camminava. Il suo abbigliamento era strano e molto inquietante: un cappuccio nero copriva la fronte bianca e raggrinzita e le maniche dell'abito erano più lunghe delle braccia, nascondendo le mani rugose dell'anziano. Albertino ormai vecchio, lo accolse nella sua fortezza. L'uomo incappucciato, avvolse nel suo manto nero il Cavaliere del forte e lo portò oltre la soglia dell'anima. Fu così che egli saldò il suo debito lasciando la sua amata terra.

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Capitolo 5
*** Il patto del Cavaliere ***


Passò molto tempo da quel tragico giorno; oramai si era nell'anno delle Rose. Nella Valle Stindir vi era un Villaggio dall'aspetto incantato le cui case erano costruite con legno, pietre e foglie. Alcune abitazioni avevano come decoro mattoni cotti sui quali erano incisi motivi floreali. Le finestre erano a forma di arco ed erano arricchite nella struttura centrale da stemmi che raffiguravano la genzianella e le stelle alpine. Il paesello era chiamato Neghir Minuial abitato dagli Elfi -esseri chiamati allora immortali- dalle sembianze umane, ma dall'animo divino. La famiglia più antica era quella dei Brillantmoon -fondata in precedenza dal re Ghilijan- a cui a capo vi era la famiglia reale composta dal Re Thorondir e dalla moglie Ringil. Il loro regno era un'isola felice, la popolazione andava d'accordo e nessuno nel casolare provocava dissenso. Questa realtà durò due lunghissimi anni, fino a quando un giorno di primavera, nel bel mezzo di una cerimonia, si udirono gli scocchi delle frecce mirate verso il cielo. Nel giro di pochi secondi si dilagò come una pestilenza, la paura. Gli uomini di Vinandir, attaccarono il villaggio degli elfi. Improvvisamente tra le urla e i lamenti si intravide in lontananza la figura dell'attuale re di Pirovat, - denominato così per la dimora costruita sul versante della montagna più alta di Vinandir- che si stava avvicinando a Thorondìr. Ci fu uno scontro. La povera gente e i poveri schiavi della guerra erano costretti a guardare, quello che sembrava essere un combattimento all'ultimo sangue. Guglielmo, il re di Vinandir, sollevò il suo martello da guerra scagliandolo sulla testa di chiunque gli capitasse a tiro. Gli elmi e gli scudi dei soldati degli elfi si piegavano come fuscelli sotto i possenti colpi del re incrementando così il panico. Il soldato Magor, era un elfo molto abile con la spada e provò ad attaccare Guglielmo cercando di colpirlo alle spalle, ma il re gli afferrò la mano, immobilizzandolo e torcendogli il braccio. Magor provò a liberarsi tra strattoni e urla, ma purtroppo la presa del Sovrano era ben salda. L'elfo poco dopo cadde a terra, senza un braccio. Il sangue caldo zampillava come una fontana e il suo corpo stava diventando sempre più gelido. In quell'istante, il terreno oscillò. Thorondir pensò: -Il terreno è arrabbiato e disgustato da tutto questo!-. Dopo la scossa tutti rimasero in silenzio, chi in piedi seppure esausto e chi a terra per aver perso l'equilibrio dalle forti vibrazioni del terreno. In quel preciso istante davanti a loro si presentò il Cavaliere del forte -ormai sotto-forma di Spirito- che ordinò a loro di cessare immediatamente questa futile battaglia. I due Nemici furono costretti a firmare un'armistizio di pace che doveva durare per tutta la vita. Il patto consisteva nel riguardare anche le dinastie successive, per mantenere una pace duratura. Thorondìr stremato e con il volto sporco dal sangue, si rivolse senza inganno: "Non temete, farò un giuramento su questo armistizio", disse con la gola impastata. Il Re di Pirovat seppure non d'accordo, riconobbe l'errore e disse: "Non è giusto che gli uomini debbano ridursi a questi compromessi, ho deciso di attaccare perchè gli elfi non hanno diritto di vivere accanto a noi, ma se il patto consiste in questo allora rivaluterò il mio pensiero". La battaglia creata da disappunto e manie di grandezza da parte degli uomini cessò all'istante. A quel punto il Cavaliere del Forte aggiunse: " Ho creato questa Valle per vivere insieme e ora che non sono più presente non permetterò che voi distruggerete ciò che io stesso ho creato. Il tradimento è stato portato in questa Terra e per questo vi maledirò per il resto della vostra vita, se non rimedierete all'errore che avete commesso. Il futuro del vostro popolo sarà nelle mani di due giovani". Terminata la frase egli sparì nel Nulla lasciando i due sovrani esterrefatti. Gli animi rimasero scossi da parte di entrambi e cercarono di capire cosa intendesse dire Il Re Albertino con quelle parole.

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