CHAPTER 1 - FIRST MEETING
Annusò l'aria
profondamente, mentre le sue labbra si scoprivano in un sorriso.
Adorava la primavera.
L'aria era fresca e tutto era verde e rigoglioso. O quasi.
Aprì la finestra
sentendosi improvvisamente piena di energie. Si sentiva bene,
completa, piena.
Poi come uno schiaffo in
faccia la realtà. E la consapevolezza.
Non sarebbe mai stata
completa. Non sarebbe mai stata bene.
Mai.
Sentì un urlo isterico
provenire dal piano di sotto, si passò le mani sugli occhi e
respirò
profondamente. Di nuovo, come sempre.
Non poteva sopportarlo.
Un'altra voce, femminea,
che rispondeva a tono. Poi un tonfo e altre urla. Piatti.
Dio come odiava quella
routine ignobile.
Si affrettò a
raggiungere il bagno, ancora dominio di nessuno, e chiuse la porta a
chiave. Respirò profondamente, prima di sentire un tonfo
dall'altra
parte della porta.
-Sophie, esci, devo farmi
la doccia- disse una voce maschile, giovane, in modo brusco.
-Aspetti il tuo turno-
rispose lei, iniziando a spogliarsi in fretta e furia, scaraventando
gli abiti a terra e scalciandoli lontano affinché non
dessero
fastidio -Stamattina aspetti-
-E che cazzo- rispose
lui, dando un pugno alla porta e facendola tremare -Fai alla svelta,
devo andare a lavoro-
-Anche io- rispose lei a
tono, sentendo un altro tonfo e, infine, il silenzio.
La pace.
Durava solo qualche
minuto, ogni mattina, ogni qual volta entrava in bagno. Era la
Svizzera della casa, neutrale e stupenda, ma giusto il tempo di una
doccia.
I dieci minuti più belli
della giornata.
Aprì l'acqua, aspettando
che si scaldasse, si avvicinò al lavandino e si
guardò allo
specchio. Fece una smorfia di disgusto, guardando i suoi capelli
scompigliati, prese la spazzola e cominciò a sistemarli.
Grovigli di
nodi le riempivano il capo, strappandosi al contatto con le setole.
Soffocò un impropero e
finì di spazzolarsi, prendendo poi a lavarsi i denti.
Un sussulto, quando sentì
l'intera casa tremare. Doveva aver di nuovo dato un calcio alla porta
uscendo, quindi una volta scesa avrebbe trovato la “calma
dopo la
tempesta”. Un'altra smorfia e si buttò sotto
l'acqua calda della
doccia, lasciandosi sciogliere completamente. Solo pochi minuti di
serenità e poi avrebbe dovuto affrontare il mondo
lì fuori.
Si trovò talmente
disgustata dalla situazione che trattenne a stento un conato di
vomito.
Aprendo la porta del
bagno scoprì che suo fratello era ancora in camera e quindi,
ancora
nuda, sgattaiolò nella sua camera per vestirsi.
Aveva ancora un minimo di
pudore da non sopportare l'idea di farsi vedere nuda da lui, che a
quasi 30 anni ancora abitava a casa con loro e portava ogni settimana
a casa una donna diversa.
Che schifo.
Chiuse la porta appena
entrata, sentendo il fratello chiudere la porta del bagno dietro di
lui e accendere la musica altissima. Addio pace e
tranquillità,
addio silenzio.
Benvenuto mondo.
Si mise la biancheria più
comoda che aveva, tirando via dalla sedia della scrivania tutti i
vestiti finché non trovò qualcosa abbastanza
comodo e coprente per
affrontare quel maledetto lunedì.
Mentre si vestiva guardò
di sfuggita il suo riflesso allo specchio e si fissò su
quell'immagine.
Lei era sempre stata
particolare e strana. Unica, nel suo genere.
A cominciare da quegli
occhi strani, uno castano e uno verde, che la gente spesso fissava e
catalogava come uno “scherzo della natura”. Tra le
altre cose, le
avevano chiesto se fosse satanista, se portasse delle lenti o se
volesse addirittura e semplicemente attirare l'attenzione.
Come se a lei piacesse,
l'attenzione.
Era piccola e minuta, uno
scricciolo, i capelli nerissimi e mossi le arrivavano fino a
metà
schiena. La pelle chiara, quasi vampirica, che la faceva somigliare a
qualcuno perennemente malato, lo strano vizio di parlare da sola
quando pensava e quello di avere sempre la stessa espressione la
rendevano molto “scomoda”. La chiamavano
“gargoyle” o più
semplicemente “la pazza”.
Non che fosse brutta, ma
non era neanche particolarmente bella. Adorava stare da sola, leggere
e ascoltare musica. Non le piaceva la compagnia, o i posti troppo
rumorosi. Quando non c'era nessuno in casa ed era da sola, magari
fuori pioveva...ecco, quello per lei era il paradiso.
Ma era un'illusione di
breve durata. L'inferno era sempre dietro l'angolo e pronto a
palesarsi in ogni momento e sotto ogni forma.
Spesso in forma di
violenza, da parte di quello che una volta lei chiamava
“papà”.
Scosse la testa tornando
in sé, si vestì di fretta e furia,
afferrò la borsa sulla
scrivania e, nel farlo, fece cadere due polsiere per terra.
Rimase ferma un secondo a
guardarle. Si irrigidì per un istante.
Le afferrò febbrile e
uscì, con il desiderio che quel giorno potesse portarle una
buona
notizia.
Le strade erano umide.
Forse la notte aveva piovuto, ma lei non aveva sentito.
Peccato...le piaceva
tenere la finestra aperta durante le notti uggiose. La rilassavano.
Ma ormai era andata.
Arrivò alla fermata
della linea 23, un po' in anticipo rispetto al solito. Si
guardò
attorno e vide gli stessi volti di tutti i giorni, la monotonia. Fece
spallucce e si infilò le cuffiette del lettore mp3 nelle
orecchie,
lasciando che le maniche della lunga felpa verde acido che indossava
si alzassero un attimo.
Una ragazza, accanto a
lei, la fissò. Sophie rese lo sguardo, pensando che forse la
conosceva, ma vide la ragazza arrossire e voltare lo sguardo, non
prima di aver di nuovo posato gli occhi sulle polsiere nere che,
prima di arrivare alla fermata, si era ricordata di mettere.
Sophie si sentì a
disagio e, con imbarazzo, si sistemò meglio le maniche.
Tossì
disinvolta e incrociò le braccia, guardando davanti a
sé con occhi
spenti e stanchi.
Quelle polsiere non
avrebbero potuto nascondere quel segreto per sempre.
Sotto di esse svariate
cicatrici che pulsavano, come furiose, per un gesto che prima o poi
l'avrebbe portata a giacere a terra, in un lago di sangue, priva di
sensi.
Un giorno non si sarebbe
fermata e avrebbe perso tutto. Temeva e aspettava quel giorno.
Tuttavia, non ne aveva il coraggio. Dentro di lei c'era ancora una
fiammella di speranza per un domani migliore. In cui lei giaceva tra
le braccia della persona che amava e che, finalmente, l'avrebbe resa
completa.
Un tocco. Leggero, quasi
amichevole. Imbarazzato anche.
Sophie si sentì
irrigidire, la musica ancora nelle orecchie. Un respiro soffocato in
gola, un urlo morto ancor prima di nascere.
Si voltò piano verso la
fonte di quel tocco e, prima di poter fare qualsiasi cosa, si
bloccò.
Bellissimo.
Era lì, davanti a lei,
nei suoi quasi due metri di altezza. Gli occhi azzurrissimi, il
fisico asciutto e slanciato, le mani grandi e curate, le dita
più
affusolate che avesse mai visto.
Le fece un sorriso,
indicandosi le orecchie. Sophie si tolse le cuffiette, arrossendo
-Non...non credo di aver capito-
-Si, scusami, non volevo
disturbarti- rise lui, con garbo -Ecco...sai mica se è
già passata
la linea 23? Pensavo passasse prima, e sono in ritardo per lavoro-
Sophie scosse la testa,
dubbiosa -No, dovrebbe passare tra...- guardò il cellulare
un attimo
-...dieci minuti almeno-
-Oh cavolo- disse lui,
grattandosi la testa. Sophie lo trovò adorabile -Oh, beh,
grazie. E
scusa di nuovo il disturbo-
-Oh ma non mi hai
disturba...- disse lei facendo un passo verso di lui, scivolando sul
gradino e cadendogli addosso, quasi portandolo in terra con lui.
Il suo profumo.
Dio si sentiva una
deficiente. Si sentì prendere al volo e rimettere in piedi,
mentre
una risata cristallina le si registrava nelle orecchie -Ehi, attenta.
Non vorrai farti male-
-Io non...scusami-
Un'altra risata, così
armoniosa, che quasi si sentì male -Oddio, oddio, oddio...mi
dispiace tanto...-
-Non ero mai stato
abbordato così, sai?- rise di nuovo, spostandosi un passo
indietro e
guardandola dubbioso -E nonostante tu sia molto carina, mi dispiace
dirti che io non ho interesse nelle minorenni-
Si sentì avvampare.
Capitava spesso che le dessero qualche anno meno...ma addirittura
così tanti, non se ne capacitava.
-Ma veramente io...io ho
quasi 26 anni sai?-
Stavolta fu lui a
rimanere senza parole, guardandola per un attimo senza proferire
parola -Non è possibile. Non ti do più di 17 anni-
E si scoprì a ridere,
come non capitava da tempo -E invece ti sbagli, e di grosso anche...-
Un rumore accanto a loro.
Ecco l'autobus -Volevi la linea 23? Eccola qua- Prese a salire ma poi
si fermò e si voltò verso di lui, ancora
imbambolato a terra -Non
eri in ritardo per lavoro?-
Lui rise di nuovo e,
facendole l'occhiolino, salì insieme a lei.
Insieme trascorsero quasi
15 minuti di viaggio.
Lui scherzò dicendo che
ormai era in ritardo e che quindici minuti non avrebbero certo fatto
la differenza. Lei rise con lui, quasi non si capacitava di sentirsi
così bene con uno sconosciuto.
Scoprì che si chiamava
Maximilian e che, inaspettatamente, era anche più piccolo di
lei.
Quando le confessò di avere appena 24 anni lei
ricambiò il “non
ci credo” con così tanta enfasi che credette lui
sarebbe soffocato
dalle risate. Rise insieme a lui. E lei non rideva mai.
Le disse che lavorava
come magazziniere nella ditta di un suo parente, ma che il suo sogno
era guadagnarsi da vivere con la musica. Suonava il pianoforte.
Sophie pensò che le sue
mani fossero perfette.
E intanto moriva dentro.
Ogni volta che l'autobus
si muoveva troppo qualcuno le finiva addosso e lei,
impercettibilmente, iniziava a tremare.
Odiava la calca
mattutina, ma non poteva fare altrimenti. Non aveva una macchina, e
non le interessava di averne, per il momento. Non finché
viveva in
quella casa.
Anche se i primi momenti
si era persa in quegli occhi azzurri ed in quella bellezza che non
considerava canonica per un semplice magazziniere, si ritrovava
sempre più a disagio vicino a lui.
Era così “normale”,
in confronto a lei.
E se avesse visto
attraverso i suoi occhi? Dentro la sua anima, più a fondo
ancora,
fino al suo centro e si fosse spaventato di ciò che avesse
visto? E
se ne fosse rimasto...disgustato?
Scosse la testa mentre
lui parlava, lasciandolo interdetto un attimo -Ho detto qualcosa di
strano?-
-Eh? No, scusami, io...-
disse lei, guardandolo fisso negli occhi per un attimo e poi
distogliendo lo sguardo, agitata -Scusami stavo pensando anche ad
un'altra cosa, continua-
Lui sorrise un secondo
-Ma lo sai che hai degli occhi stupendi? Non avevo mai visto una
persona affetta da eterocromia-
E da lì, tutto ebbe
inizio.
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