L'anima di Yuki

di SarcasticColdDade
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'uomo in Nero ***
Capitolo 3: *** Nel buio della notte ***
Capitolo 4: *** Risvegli, parte I. ***
Capitolo 5: *** Risvegli, parte II ***
Capitolo 6: *** Dure verità ***
Capitolo 7: *** Occhi rosso scarlatto ***
Capitolo 8: *** Akuma ***
Capitolo 9: *** Notti insonni ***
Capitolo 10: *** Pericoli improvvisi ***
Capitolo 11: *** Saremo sempre sorelle ***
Capitolo 12: *** Il Ballo, parte I ***
Capitolo 13: *** Il Ballo, parte II ***
Capitolo 14: *** Di nuovo tu ***
Capitolo 15: *** Spiegazioni e sotterfugi ***
Capitolo 16: *** L'orfanotrofio ***
Capitolo 17: *** E' l'arma a scegliere il demone ***
Capitolo 18: *** Distanze ***
Capitolo 19: *** Gregory Morningstar ***
Capitolo 20: *** Nuovi poteri, nuove responsabilità ***
Capitolo 21: *** Clinofobia ***
Capitolo 22: *** Mondo specchio ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Mi chiamo Yuki. Yuki Yoshimura.
Sono un medico, e opero principalmente a Londra, dove sono nati da genitori Giapponesi; il mio scopo nella vita è sempre stato quello di aiutare il prossimo, di fare del mio meglio per non essere mai un peso, ma la fastidiosa sensazione di non essere come tutti gli altri ha sempre gravato sulle mie spalle.
E' una sensazione strana, sapete? Come se avessi un buco nel petto, non molto distante dal cuore. Quello non mi manca, lo sento battere ogni giorno, lo sento battere di continuo. Ma allora che cos'è? Cosa mi rende diversa?
Forse niente, forse è solo frutto della mia fervida immaginazione; faccio del mio meglio per non pensarci, cerco sempre di tenermi impegnata, ma so che prima o poi qualcosa dentro di me scatterà. Eventi al di là della mia comprensione invaderanno la mia ordinaria vita, me lo sento. 
No.
Non devo pensare a questo, non ora.
Stringo la mia tazza di tè nonostante sia bollente e mi appresto a berne un sorso, anche se già non mi va più.
- Già in giro a quest'ora, signorina Yuki? - la voce di Mary mi prende alla sprovvista, e mi volto immediatamente per affrontarla.
Le sorrido. E' sempre gentile con me. - Le visite di oggi sono molte, ho dovuto trovare il modo di incastrarle tutte nel miglior modo possibile.. - spiego, velocemente, mentre il caffé è ancora mezzo vuoto, - E l'unica soluzione era cominciare presto questa mattina - aggiungo poco dopo, riprendendo a sorseggiare il mio tè.
- Capisco - mormora lei - Immagino che anche oggi salverai molte vite allora - continua, sorridendomi amichevolmente.
- Non è il compito di ogni medico, in fondo? - domando retorica, alzandomi poi dalla mia sedia, decisa ad andare - Salutami tanto la piccola Jane, d'accordo? - le domando, lasciando una genorosa mancia sul tavolo.
Jane è la figlia 12enne di Mary; un anno prima aveva avuto un grave caso di polmonite, ed ero riuscita a curarla quasi per miracolo. Da quel giorno io e Mary avevano stretto amicizia, in quanto aveva promesso di essermi per sempre debitrice.
- Certamente - risponde lei, apprestandosi poi a pulire il tavolo che mi sto lasciando alle spalle.
Si, la mia vita è ordinaria. Ho le mie routine. I miei impegni.
Tutto è perfetto così.
Ma continuerà davvero ad esserlo? 

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Capitolo 2
*** L'uomo in Nero ***


Londra sapeva essere una città davvero caotica, ma questo era un dettaglio al quale ormai avevo fatto l'abitudine.
No, la cosa più fastidiosa dell'aumento delle persone per le strade era di dover subire il doppio - se non addirittura il triplo - delle loro occhiate, ogni volta che mi recavo in un punto diverso della città per una visita.
Una donna che indossa dei pantaloni è una donna che ha completamente messo da parte il bon ton, o almeno è questo quello che la maggior parte della gente pensa. Perché scegliere una gonna se so che mi darà fastidio? 
Scuoto impercettibilmente la testa, scostandomi poi i capelli dagli occhi con un gesto veloce, mentre tengo saldamente la mia valigetta con l'altra mano.
Anche oggi sarà una giornata intensa.
E immagino che nessun paziente baderà ai miei vestiti mentre gli salvo la vita.

***

- Mi dica Signorina Yoshimura, è così grave? - la voce della mia paziente è debole, si vede che le forze l'hanno abbandonata già da qualche giorno.
Cerco di sorriderle il più caldamente possibile, ma le mie non sono buone notizie. - E' grave.. - sono costretta ad ammettere - Ma io sono il suo medico, giusto? Andrà tutto bene - aggiungo poco dopo, stringendole la mano per qualche secondo.
Mi alzo dalla sedia dove ero comodamente appoggiata: ho bisogno di parlare con i genitori della ragazza.
- Vostra figlia lavora in una fabbrica, dico bene? - tiro ad indovinare, non che ci voglia tanto per capire la situazione.
Loro si guardano per un momento, in silenzio, prima che sia la madre a rispondere, con un semplice cenno della testa. 
- Le tasse aumentano, e noi non guadagniamo molto... - comincia a spiegare il padre, mentre punto il mio sguardo di totale disappunto su di lui - Non avevano altra scelta se non trovarle un lavoro - sono le sue ultime parole, mentre sono costretta ad udire i rantolii della giovane ragazza.
- Allora sarò sincera con voi, signori Jenkins - mormoro - Se vostra figlia continuerà a lavorare in quella fabbrica, le sue condizioni non potranno che peggiorare, e i gas dei prodotti chimici hanno già cominciato a rovinarle i polmoni.. - ammetto, ricevendo di tutta risposta un improvviso singhiozzo della madre.
Più tatto, Yuki.
- Signora Jenkins, mi guardi - la esorto, facendole sollevare di nuovo la testa - Non ho detto che sta morendo...dico solo che le sue condizioni non sono buone, e il tutto mi fa pensare ad un difetto congenito nei polmoni, un difetto come l'asma ad esempio - spiego, con parole semplici - Non so per certo che cos'abbia, non ho abbastanza materiale su cui lavorare, ma so che ora come ora quella fabbrica finirà per portarla via all'alba dei suoi giovani 16 anni, è questo che volete? - chiedo, in modo retorico quanto brusco.
Yuki. Calmati.
Loro mi guardano per un momento, ammutoliti, prima di scuotere energicamente la testa.
- Bene - è tutto quello che mormoro - Le mie istruzioni sono semplici allora, fate del vostro meglio per ottenere qualche giorno di permesso, la ragazza ha bisogno di aria pulita, che di certo non troverete a Londra - spiego velocemente, rovistando nel frattempo nella mia valigetta.
- Ma Signorina Yoshimura, non abbiamo i soldi per.. - prova a dire il padre, prima che lo interrompa bruscamente. Di nuovo.
- I soldi non sono un problema - dico in fretta, tornando a guardarli - Appena fuori Londra c'è una locanda gestita da un caro amico che mi deve un favore, andando sempre verso nord troverete una strada sterrata, percorretela fino a raggiungere un vecchio cottage - spiego, scrivendo nel frattempo i miei appunti su un foglio - Dite che vi manda Yuki, il Signor Martin capirà - aggiungo.
- E' sicura che questo basterà? - mi chiede la madre, visibilmente preoccupata.
- Basterà - le assicuro - Qui ci sono inoltre degli ingredienti, sono tutti facilmente reperibili in un qualsiasi mercato: porridge pranzo e cena, eliminerà il muco e permetterà alla ragazza di respirare un po' meglio, almeno finché non partirete e mi raccomando, almeno 4 giorni lontani dalla città, non di meno - suggerisco, sperando che mi diano retta. Morire a 16 anni è una cosa che non accetto.
Dopo un altro breve silenzio, finalmente entrambi annuiscono. - Faremo come dice lei, Signorina Yuki - sussurra alla fine il padre, consolando nel frattempo la moglie.
- Bene - concludo, chiudendo definitivamente la mia valigetta - E quando tornerete, passate al caffé della Signorina Mary Hopkins, sono sicura che sarà più che felice di assumere vostra figlia, e guadagnerà sicuramente più di quello che guadagna in quella lurida fabbrica - aggiungo, preparandomi per andare. 
La ragazza si è addormentata: il respiro è pesante, ma regolare. Per fortuna mi hanno chiamata in tempo.
- Signorina Yoshimura, il suo denaro! - tenta di fermarmi la madre, correndomi quasi dietro con le poche banconote raccimolate.
- Non si preoccupi, è il mio contributo per gli ingredienti del porridge - rispondo, abbottonando gli ultimi bottoni della mia giacca - Prendetevi cura di vostra figlia - aggiungo alla fine.
- Lei dev'essere un angelo - sono le ultime parole della madre, quasi al limite delle lacrime.
- Ho i miei dubbi su questo - mormoro, congedandomi - Buona giornata - li saluto, riservando un'utima occhiata alla ragazza, prima di chiudermi la porta alle spalle.

***

Il mio orologio segna le 14.35, e in tutto questo tempo non mi sono fermata un secondo.
Sono esausta, e affamata, soprattutto, ma non mi conviene tornare a casa per mangiare qualcosa: la mia prossima visita è tra meno di un'ora.
Sospiro pesantemente, continuando a camminare tra la folla. 
Perché tutta questa gente è ancora in giro, mi domando. Che sia successo qualcosa? 
I miei sospetti diventano realtà quando noto dritto davanti a me una grossa folla di persone, tutte ammassate per vedere chissà quale spettacolo.
Prima di accorgermene ho già allungato il passo, raggiungendo il luogo d'interesse in fretta: c'è un corpo riverso per strada, e la polizia è già sul posto, o almeno alcuni dei cani più fidati di Scotland Yard.
Chi mai commetterebbe un omicidio in pieno giorno? E poi perché uccidere un fornaio?
- Cosa sapete dirmi sull'accaduto? - queste parole arrivano immediatamente alle mie orecchie. Anche perché riconoscerei quella voce fastidiosa tra mille.
Mi volto verso l'origine di quel suono e nel giro di poco mi ritrovo a guardare con disappunto Ciel Phantomhive, il giovane rampollo dell'omonima famiglia. Anche conosciuto come il Cane da Guardi della Regina.
Era la prima volta che lo incontravo di persona, se così si poteva dire, ma di certo avevo sentito parlare di lui, anche se ormai non era più il bambino di cui tutti parlavano. No, ormai aveva 16 anni, se non di più.
- L'uomo si chiamava Edward Empshire, fornaio - comincia a spiegare l'ispettore, mentra la folla shockata comincia finalmente a disperdersi - Dobbiamo ancora determinare la causa del decesso - aggiungo poi, chiudendo il suo piccolo block notes.
A me però basta una semplice occhiata al corpo per farlo. - La causa della morte è sicuramente un grossa emorragia interna - come al solito parlo prima di rendermene conto, attirando immediatamente l'attenzione di quei pochi rimasti su di me.
Lo sguardo della gente davanti a me non mi da fastidio, per fortuna non sono il tipo che si imbarazza facilmente. No, loro possono guardarmi pure, ma quell'uomo accanto al giovane rampollo ha qualcosa di diverso. Di strano.
E mi fissa con quella che sembra più che curiosità.
- Lei è? - la voce roca dell'ispettore si rivolge allora a me, squadrandomi da capo a piedi. Immagino sempre per via dei miei comodi pantaloni.
Riesco a distogliere lo sguardo da lui dopo qualche secondo, e neanche io so come mai, e mi rivolgo velocemente all'ispettore. - Sono un medico, mi chiamo Yuki Yoshimura - rispondo, presentandomi e riuscendo finalmente a riacquistare il controllo di me stessa.
- Può dirci di più, Signorina Yoshimura? - domanda retorico l'ispettore, senza preoccuparsi di mostrare il suo disappunto per le mie affermazioni.
- Mi è permesso avvicinarmi? - domando, giusto un filo sarcastica.
- Prego - risponde, quasi a denti stretti.
Senza farmelo ripetere mi faccio largo tra la folla, inginocchiandomi accanto al corpo ormai senza vita. - I reni sono strati trapassati entrambi e con grande precisione, quasi chirurgica... - mormoro, mentre mi infilo un paio di guanti - I colpi però sono secchi, violenti..questo fa pensare che l'assassino covasse decisamente parecchio odio nei confronti della vittima - aggiungo poi, indicando i segni sulla schiena, dove ormai tutto quello che rimane sono dei lividi violacei.
- Abbastanza odio da uccidere qualcuno? - sobbalzo nel sentire quella domanda, perché incredibilmente so a chi appartiene quella voce, pur non avendola mai sentita prima d'ora.
Fisso l'uomo che fino a qualche secondo prima era accanto al giovane Ciel, quasi impietrita, prima di riuscire a spiccicare parola. - Immagino di sì - rispondo - Probabilmente il Signor Empshire doveva dei soldi a qualcuno, oppure si era immischiato in cose dalle quali non c'è modi uscire - aggiungo in fretta, guardando ovunque tranne che nella sua direzioni.
Non mi so spiegare perché, ma quell'uomo mi fa paura, lui e la sua postura quasi innaturale.
- E' tutto - concludo, gettando i guanti usati nella valigetta, tornando poi in piedi.
- Grazie della sua collaborazione, Signorina Yoshimura - è tutto quello che ottengo dall'ispettore, prima che mi volti le spalle senza tanti complimenti.
- Dovere - rispondi, stavolta io a denti stretti. Gli uomini e le loro manie di superiorità, come se noi donne valessimo meno di loro.
Esasperata quasi al limite, mi volto finalmente per andarmene, ma ecco che quell'uomo si materializza davanti a me, facendomi sobbalzare di nuovo.
- Non era mia intenzione spaventarla, Signorina Yoshimura - dice solo, con tono estremamente pacato - Può ripetermi il suo nome? -.
Sono costretta a prendere un respiro profondo prima di riuscire a rispondere. - Yuki - dico a malapena - Ora devo proprio andare - aggiungo poi, quasi scappando. 
Ma che diavolo mi succede?
- Andiamo, Sebastian - ecco di nuovo la voce di Ciel, per fortuna sempre più lontana.
- Si, mio Lord - è l'unica risposta dell'uomo in nero. 
E nonostante io sia ormai di spalle, so perfettamente che lui mi sta ancora fissando. 

***

Il caffé di Mary è l'unico posto dove in questo momento mi va di stare, anche perché la fame non mi ha di certo abbandonato in quel lasso di tempo.
Non so perché, ma sento il bisogno di parlare con qualcuno di quello che è successo su quella scena del crimine, e so perfettamente che lei mi ascolterà senza troppi problemi.
- Ti vedo veramente scossa, Yuki - ammette, preoccupata - Insomma, non sei il tipo che perde il controllo -.
- Non so cosa mi sia preso - sono costretta ad ammettere, anche se la cosa mi infastidisce. Non sapere è la cosa che sopporto di meno. - Ma quell'uomo in nero mi mette i brividi, non so spiegarmelo - farfuglio in fretta, bevendo il mio caffé.
- Uomo in nero? Di chi stai parlando? - domanda confusa.
In effetti non ero ancora arrivata a quella parte, ancora una volta colpa della mia boccaccia.
- Immagino sia il maggiordomo di quel Ciel Phantomhive.. -.
- Sebastian Micaelis? - chiede lei, prima ancora che finisca la mia frase.
Sollevo lo sguardo, confusa. - Davvero sono l'unica che non aveva mai sentito parlare di lui? -.
- Beh, non è che conosca la storia della sua vita - ammette - Ma so che ormai è un fidato membro dello staff della famiglia Phantomhive, o di quello che ne rimane -.
- E in lui non hai notato niente di strano? - le chiedo, incuriosita.
- Ad essere sincera non l'ho mai incontrato, ma più di una persona mi ha confidato che è un tipo parecchio misterioso - è tutto quello che mi sa dire, nel silenzio del caffé mezzo vuoto.
- C'è qualcosa nei suoi occhi, qualcosa di strano, quando mi ha guardato - è tutto quello che mi esce, ancora come un pensiero ad alta voce - E' come se dentro di me sapessi che ha qualcosa che non va, mi spiego? -.
- Un sesto senso magari? - azzarda lei, arrampicandosi sugli specchi.
- Non credo a questo genere di cose - mormoro, scuotendo appena il capo - O non ci credevo fino ad ora - aggiungo comunque, riflettendoci su. Approfittando del momento di silenzio che si è creato, finisco il mio caffé, notando poi con dispiacere che sto facendo tardi.
- Devo andare, la prossima visita è tra poco, dovrò correre - ammetto, lasciando i soldi sul tavolo - Grazie per avermi ascoltato! - urlo senza girarmi di nuovo, ma puntando direttamente all'uscita.
- Quando vuoi - mi pare di udire, ma non posso esserne più di tanto sicura.
Mi incammino così verso la prossima casa, sapendo benissimo che oggi farò veramente tardi. 
Tutti questi sacrifici mi porteranno dove voglio arrivare, però, lo so: uno studio tutto mio, dove poter operare per tutti quelli che non possono permettersi le fatture di un medico qualsiasi. Dove poter dare cosigli in tempi così duri.
Si, è questo che voglio fare.
Dimenticandomi per un momento dell'accaduto di quel giorno, aumento il passo, superando ostacoli e persone, concentrandomi su altro.
La cena; si, stasera preparerò io la cena, un semplice segno di gratitudine per le uniche due persone che hanno sempre creduto in me.
Potrei comprare alcuni ingredienti sulla via del ritorno, e magari ancora qualche pasticcino. Ogni tanto ci si può abbandonare a qualche sfizio, in fondo. E io non me ne concedo ormai da troppo tempo.
In preda a quei pensieri quasi vado contro una giovane ragazza, che per fortuna riesco ad evitare all'ultimo; ormai non manca molto per la casa del mio prossimo paziente, questione di isolati. 
Ormai ci sono, ma con me c'è ancora quella strana sensazione, come se qualcuno mi stesse ancora guardando.
La strada è ancora affollata, probabilmente è solo la mia immaginazione, ma questo non mi impedisce di fermarmi per un momento a controllare. Ovviamente alle mie spalle è tutto apposto, e un senso di stupidità si annida immediatamente dentro di me, facendomi allungare ancora una volta il passo.

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Capitolo 3
*** Nel buio della notte ***


Era passata ormai una settimana dall'omicidio del giovane Edward Empshire, e più di una volta mi ero ritrovata a domandarmi se il colpevole fosse già stato preso. Per le strade nessuno ne parlava, e io non ero così coraggiosa da andare a cercare informazioni per conto mio, forse ancora intimorita dalla possibilità di incontrare di nuovo quell'uomo che tanto mi aveva innervosita.
In ogni caso la reputazione del Cane da Guardia della Regina era famosa in tutta l'Inghilterra -e probabilmente anche oltre-, quindi immaginavo che il colpevole, per quanto scaltro e furbo, sarebbe stato preso a breve. E qualcosa mi diceva che il trattamento riservato a chi osava mettersi contro una conbriccola del genere non era dei più piacevoli.
Durante quella lunga settimana avevo persino smesso di sentirmi costantemente osservata e piano piano il senso di angoscia mi aveva abbandonato del tutto, permettendomi di tornare al 100% nelle mie attività quotidiane.
Avevo avuto un altro caso di polmonite, un paio di semplici raffreddori curati nel peggiore dei modi, e un ultimo caso per il quale non avevo potuto fare assolutamente niente: Olivia, 8 anni, ed un raro caso di cancro allo stomaco. Oltre che dare la notizia ai genitori non avevo potuto fare molto, se non prescrivere alla piccola dei leggeri antidolorifici, soprattutto infusi alle erbe, per accompagnarla nel modo migliore verso l'oscuro sentiero che purtroppo stava per imboccare.
Durante la mia carriera non avevo avuto molti casi del genere, per mia fortuna, ma ogni volta non riuscivo a farmene una ragione. Perché una bambina di 8 anni dovrebbe lottare contro qualcosa di grande come il cancro? C'è davvero un piano più grande dietro ad ingiustizie del genere?
In vita mia non ero mai stata particolarmente religiosa, ma non ero neanche così stupida da pensare che una giustizia divina, per quanto piccola, non esistesse. Anche nei dettagli più piccoli.
Mi risveglio dai miei pensieri quando calpesto per sbaglio una pozzanghera: ultimamente il tempo a Londra è stato anche peggiore del solito, cosa quasi impossibile anche solo da immaginare. La pioggia non mi da fastidio, e per fortuna ho deciso proprio oggi di indossare i miei stivali pesanti.
Sto finalmente per raggiungere la mia meta, quando la mia attenzione viene catturata da qualcos'altro: sono davanti al café di Mary, e noto con piacere che all'interno si trova la giovane Katie, la paziente con la polmonite alla quale avevo prescritto aria fresca e una bella lettera di licenziamento da consegnare alla lurida fabbrica dove aveva lavorato fino a prima della malattia. Sorrido guardando quella scena, decidendo di prendermi qualche secondo di pausa dalla mia camminata, dal momento che oggi non vado certo di fretta. In realtà, è il mio giorno libero: se solo fossi in grado di starmene a casa senza sentirmi claustrofobica.
Entro nel caffé senza catturare l'attenzione di nessuno in particolare, e mi siedo al primo tavolo libero che trovo: sono troppo lontana per udire le loro parole, ma si vede che Mary sta insegnando a Katie i segreti del mestiere.
Quando quest'ultima si volta incontra quasi subito il mio sguardo, illuminandosi. - Signorina Yoshimura! - esclama, vendendo subito nella mia direzione, mentre Mary è impegnata a servire un paio di clienti.
- Ciao Katie - mormoro di tutta risposta, alzandomi dal mio posto per ricambiare il suo abbraccio - Ti vedo molto meglio.. - ammetto, anche se le mie parole sono ovvie.
Lei sorride, sprizzante di vita, come è giusto che sia. - E tutto grazie a lei, quei giorni fuori Londra mi hanno davvero rimesso in sesto - ammette, nel pieno della salute.
- Ne sono felice - mormoro, sorridendole - Ma mi raccomando, continua con il porridge, può fare miracoli - aggiungo poco dopo.
Annuisce, strofindandosi poi le mani sul grembiule bianco. - Lo farò - promette.
- Allora, Mary ti tratta bene? - le chiedo, anche se conosco la risposta, invitandola a sedersi per qualche secondo insieme a me. Il caffé non è ancora eccessivamente pieno, e Mary sembra riuscire a gestire la clientela senza troppi problemi. Un suo semplice sguardo conferma quel mio pensiero.
- Oh si, la signorina Hopkins è fantastica! E questo caffé mi piace molto! - esclama, nel pieno della gioia - Inoltre lo stipendio è ottimo, non da fame come quello che prendevo lavorando in fabbrica.. - è tutto quello che aggiunge, ripensando per qualche secondo alla sua prima, quanto disastrosa, esperienza lavorativa. - Ma ora basta chiacchiere! - esclama poi all'improvviso, alzandosi dal suo posto con altrettanta fretta. In un secondo, tira fuori dalla tasca del grembiule un piccolo taccuino, con tanto di penna - Cosa posso portarti? - mi chiede alla fine.
Alla vista di tutta quella vitalità non posso che sorridere di nuovo, annuendo poi impercettibilmente. - Un croissant al cioccolato e un té con un goccio di latte, grazie - ordino, più affamata di quello che pensavo.
- Perfetto! - esclama alla fine lei, prima di dirigersi verso il bancone dei dolci, consegnando l'ordina ad uno dei tre baristi.
Dopo l'arrivo del mio croissant, anche Mary raggiunge il mio tavolo. - Quindi Katie se la cava bene? - le domando, giusto per essere sicura che vada davvero tutto bene.
- Oh si - risponde lei, mettendo per un momento da parte il vassoio con il quale di solito consegna gli ordini - Ai clienti piace, tutti la adorano già - aggiunge poi, lanciandole una veloce occhiata - Farà carriera nella vita, ne sono sicura -.
- Solo il tempo ce lo dirà - ammetto, quasi tra me e me, mentre comincio finalmente a sorseggiare il mio tè.

***

"Yuki". 
"E' un nome grazioso, sa?".
Una voce mi rimbomba nella testa, ma non riesco a capire a chi possa appartenere. Non la conosco, eppure mi suona famigliare..come se l'avessi sentita solo una volta in tutta la mia vita, senza prestarci particolare attenzione.
Mi guardo intorno, ma non riesco a capire dove sono: è tutto troppo buio. Tutto quello che so è che sono seduta a terra, mentre cerco disperatamente di orientarmi. 
Quando finalmente sto per muovermi, un piccolo fascio di luce si apre davanti ai miei occhi: non è forte, e non fa male. E' qualcosa che mi attira, l'ignoto assoluto che mi chiama. Continuo a guardare in quella direzione senza emettere nessun suono, finché una figura alta e snella non comincia a delinearsi in quell'immensa luce.
E' lui.
L'uomo in nero.
Improvvisamente mi si mozza il fiato, mentre cerco in tutti i modi di alzarmi da terra; una sensazione strana mi attanaglia le viscere, impedendomi quasi completamente di muovermi, anche se io vorrei solamente scappare.
Non ho il coraggio di sollevare lo sguardo, ma so dentro di me che lui è sempre più vicino, ormai posso sentire chiaramente la sua presenza. Sento le lacrime salire velocemente fino ai miei occhi, sgorgando alla fine senza che io me ne accorga.
Perché sono così spaventata? Cosa mi prende? 
I miei occhi sono ancora sbarrati, mentre fisso il pavimento scuro sotto di me. Sono inerme, finché non sento due dita posarsi sotto il mio mento, costringendomi ad alzare lo sguardo: in un secondo sono di nuovo faccia a faccia con lui, mentre non riesco a trovare la forza neanche per deglutire. I suoi occhi sono fissi nei miei, di un arancione brillante e innaturale, come se mi stessero leggendo dentro.
"Che cosa vuole da me?" riesco incredibilmente a chiedere, facendo appello a tutte le mie forze. Odio questa sensazione, devo combatterla, a qualunque costo. Inizio così a sostenere il suo sguardo, anche se una parte di me vuole ancora liberarsi a tutti i costi dalla sua mano guantata.
Da lui non ottengo subito una risposta, tuttavia, sono un semplice sorriso, uno di quelli che si rivolge ad un bambino per tranquillizzarlo. Uno di quelli che si rivolge ad un cervo impaurito prima di sparare.
Questa volta provo a divincolarmi, ma le sue dita sono troppo salde, e prima che possa anche solo pensare di fare qualcos'altro, lui si avvicina al mio orecchio, e so per certo che ora non sorride più.
"L'unica cosa che hai da offrirmi" risponde solamente, chinandosi verso di me fino a posare le sue labbra sulle mie.
Mi sveglio di soprassalto, e ho il fiato corto.
Nella fretta di alzarmi i miei capelli si sono liberati dal misero laccetto con il quale li avevo legati e ora mi cadono davanti al viso, illuminato solamente dalla luce della luna fuori dalla finestra.
Mi passo velocemente la mano sul viso, confusa, mentre gli ultimi momenti del mio sogno svaniscono, lasciandomi una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
"Non di nuovo", penso tra me e me, alzandomi per prendere una boccata d'aria. Prima di lasciare la mia stanza mi getto sulle spalle la mia coperta di lana -la stessa di quando ero bambina- e lancio una veloce occhiata a Eliza, mia sorella: lei dorme beatamente, e nessun incubo sembra disturbarla.
Chiudo la porta della nostra stanza alle mie spalle e faccio meno rumore possibile mentre raggiungo la cucina.
Una settimana. 
Ci avevo impiegato una settimana perché quella sensazione di paura mi abbandonasse, e alla fine era bastato un sogno per far crollare quel castello di carte.
Mi lascio cadere sulla sedia della cucina, prendendomi il viso tra le mani. Ho solo bisogno di calmarmi, ma quella frase si fa facilmente strada nella mia mente, di nuovo.
"L'unica cosa che ha da offrirmi".
Non riuscivo a capire perché, ma quelle parole mi facevano gelare il sangue, facendomi desiderare di non incontrare mai più quell'uomo in nero. O almeno questo era quello che una parte di me desiderava fortemente.
D'altro canto, ero semplicemente stanca. 
Stanca di non capire perché avessi così tanta paura di una persona con la quale avevo scambiato solamente due parole, stanca di sentirmi impotente e soprattutto stanca di guardarmi sempre alle spalle, alla ricerca di qualcuno che non c'era. No, non potevo continuare così.
Come se qualcuno mi avesse appena picchiettato sulla spalla, volto lo sguardo verso la finestra della cucina: fuori è buio, e non si sentono poi molti rumori. Tutto è calmo, tutta Londra dorme.
C'è un singolo lampione che illumina la strada, ed è lì che guardo, senza saperne bene il motivo.
Il mio corpo si muove da solo e in un attimo sono in piedi; cammino e mi avvicino al vetro quasi fino al limite, quando una figura alta comincia ad uscire dall'oscurità. I suoi occhi risplendono nell'oscurità, e un sorriso sghembo illumina il suo viso. So benissimo di chi si tratta.
Non so spiegare come mi sento, ma in qualche modo sono riuscita a percepire la sua presenza. Sapevo che stava arrivando. 
Come per tutta la settimana ho saputo che prima o poi ci saremmo incontrati di nuovo, anche se la parte più razionale del mio cervello cercava in tutti i modi di negare quella soprannaturale verità.
Stringo le labbra, mentre tremo ai limiti del possibile; con un gesto veloce torno al centro della stanza, prendendo dal cassetto uno dei coltelli migliori che possiedo, fiondandomi poi sulla porta, afferrando la maniglia finché ho abbastanza coraggio per farlo: la coperta di lana scivola dalle mie spalle, atterrando sul pavimento e mi rendo conto di essere ormai in strada solamente quando l'aria fredda sferza sul mio viso.
- Che cosa vuole da me?! - esclamo nel silenzio della notte, dando voce alle stesse parole pronunciate nel mio sogno. Sono in piedi, scalza, a qualche metro da lui, mentre tutto quello che fa è fissarmi.
Il suo sorriso sghembo non accenna a spegnersi. - L'unica cosa che ha da offrirmi -. 
Quelle parole bastano a farmi gelare nuovamente il sangue, mentre stringo fortemente il manico del coltello tra le mie dita infreddolite. - Non ho niente da offrirle - metto in chiaro, cercando di riprendere il controllo sul mio corpo - E lei deve lasciarmi in pace - aggiungo in fretta, nonostante il nodo alla gola, sollevando appena il coltello per mettere in chiaro le mie intenzioni. Mi difenderò, se necessario.
Cerco di convincermi che non ho paura, che va tutto bene, mentre lo fisso senza quasi sbattere le palpebre. Lui rimane in silenzio, ma sembra divertito dalle mie parole, e dentro di me so che non mi sta prendendo sul serio. 
Devo rientrare, devo tornare nell'unico posto dove mi sento al sicuro.
Mi prendo il lusso di sbattere finalmente le palpebre, decisa a rientrare nell'abitazione che ho lasciato solamente pochi secondi prima, anche se mi sembra già passata un'eternità. Quello che succede a quel punto è troppo veloce perché il mio cervello possa solo provare a comprenderlo.
Lui è davanti a me, anche se non sembra aver mosso un muscolo: è ancora composto, mentre tiene entrambe le mani dietro la schiena, e mi fissa più intensamente di prima. Mi sento paralizzata, ed è la sensazione più strana ed anormale che abbia mai provato in tutta la mia vita.
- Pensa davvero di potersi proteggere da me con quello? - mi domanda, prendendosi gioco del mio coltello come se fosse un semplice giocattolo. 
Cerco di muovermi, ma il mio corpo non reagisce minimamente; il suo sorriso allora si allarga appena, poco prima che afferri saldamente il mio polso: rabbrividisco a quel contatto, nonostante la sua mano sia guantata, esattamente come nel mio sogno. Non capisco le sue parole finché non si avvicina ulteriormente a me, lasciando che la lama gli perfori la carne, rilasciando immediatamente il sangue che va ad inzuppare il panciotto nero che ha indosso. 
Sgrano gli occhi a quella vista, e balzo immediatamente all'indietro per allontanarmi: sono riuscita finalmente a muovermi, anche se mi sento come se fosse stato lui a permettermelo, invece del contrario.
Sono inorridita a quella vista: la lama non sembra dargli alcun fastidio, nonostante sia all'interno del suo corpo di più di 6 centimetri. Ho la gola secca, ma non so come riesco a spiccicare qualche parole senza senso. - Come...cosa.. - mormoro, sbigottita - Che cosa sei? - è tutto quello che riesco a tirare fuori alla fine, mentre lo fisso sfilare l'arma dallo stomaco senza il minimo sforzo. Grondante di sangue, la lascia semplicemente cadere a terra, sistemandosi i vestiti sgualciti.
- Lo scoprirà presto - risponde solamente, quasi in un sussurro.
Tutto il mio corpo mi grida di scappare, e in un gesto disperato mi volto verso la porta, iniziando a correre per i pochi metri che mi separano dalla porta d'ingresso di casa mia. 
Perché sono uscita in strada? Perché mai ho fatto qualcosa di così stupido?
Non riesco a maledirmi ulteriormente perché lui è più veloce di me, e quando ormai sono solo a pochi centimetri dall'ingresso, lui mi si para davanti, come l'apparizione di un fantasma. 
Sgrano ancora una volta gli occhi, e non posso più nulla quando mi immobilizza del tutto, posando entrambe le mani sul mio collo. 
In quel momento il pensiero di morire mi colpisce violentemente, facendomi rivivere tutti i momenti più felici della mia vita. E' davvero così che tutto finirà?
- Non sentirà niente - sono le ultime parole che riesco ad udire, prima che le sue labbra si posino sulle mie, senza lasciarmi spazio per scegliere. 
Chiudo gli occhi e una sensazione strana invade tutto il mio corpo, prima che il mondo diventi improvvisamente buio.
Sono riversa a terra, confusa. E' così che ci si sente ad essere morti? 
Gli occhi mi bruciano e la testa mi gira; no, sono ancora viva, ma di nuovo non riesco a muovermi.
Cerco di guardarmi intorno, senza ottimi risultati, e sono convinta di essere sola finché non lo sento parlare di nuovo. - No - esclama, sbigottito - Non è possibile - aggiunge poi, perdendo tutta la sua compostezza nel giro di pochi secondi.
Con le poche forze che ho ancora in corpo, poso una mano per terra, tirandomi su a fatica. Il mio corpo è completamente gelato, quasi non sento più i piedi, che noto solo ora sanguinare: devo aver calpestato dei vetri senza rendermene conto. 
- Che diavolo.. - mormoro in modo confuso. La luce del lampione mi da fastidio, ma è l'unico momento che ho per provare di nuovo a scappare. Prendo un respiro profondo e tento ancora una volta di alzarmi, scivolando rovinosamente. 
Prima che possa toccare di nuovo il suolo lui mi afferra, prendendomi alla fine in braccio, senza che io possa impedirglielo in qualsiasi modo. - Ora dorma, Signorina Yuki -, mi ordina e, come per magia, crollo tra le sue braccia, perdendo definitivamente conoscenza.

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Capitolo 4
*** Risvegli, parte I. ***


Non avevo mai apprezzato particolarmente l'alcool in vita mia: mi dava subito alla testa, anche se bevevo una semplice birra. Mi rendeva poco lucida e troppo incline a dare fiato alla bocca prima di aver dato ossigeno al cervello.
Per quanto mi riguardava, queste erano tutte buone ragioni per tenermi alla larga da roba del genere, ma se ce n'era una in particolare a convincermi era il mal di testa della mattina seguente.
Odioso, doloroso e difficile da mandare via.
Erano anni che non ne avevo uno del genere, ma la scia positiva si stava ormai per interrompere.
Ero a pezzi, in ogni senso: la gamba su cui ero caduta mi faceva male, per non parlare delle braccia, e sentivo un peso sullo stomaco, come se dovessi dare di stomaco da un momento all'altro.
Fuori era giorno -la luce del sole dritta sul mio viso me lo ricordava ogni secondo di più- ma non avevo idea di dove fossi, e questo bastò a riportarmi alla realtà.
Con un mugolio di dolore, dovuto ad una forte fitta al ginocchio, mi tiro su di scatto, scoprendo a poco a poco l'immensa stanza in cui mi trovo.
Per un momento penso che i recenti avvenimenti siano stati solo un frutto della mia immaginazione, ma mi rendo conto con la stessa velocità di quanto questa ipotesi sia fragile: questa non è di certo casa mia, e quello in cui mi trovo non è di certo il mio letto.
“Dove diavolo sono”, penso tra me e me, poco prima di provare ad alzarmi, scostando l'enorme piumone bianco.
Sono ancora mezza stordita, ma sento chiaramente la porta aprirsi; non ho tempo di pensare, e con un gesto fulmineo quanto doloroso, mi sporgo ad afferrare il candelabro sul comodino accanto a me, pronta a proteggermi da chiunque stesse per fare il suo ingresso.
Stringendo più che posso l'oggetto e tenendolo teso davanti a me, mi preparo mentalmente, sicura di stare per incontrare di nuovo l'autore delle mie recenti tragedie. Solo allora mi ricordo del coltello della sera prima, e quasi le forze mi abbandonano di nuovo, messa alle strette da quell'innaturale verità.
Trattengo il fiato finché, alla fine, tutto ciò che mi si para davanti è una giovane donna -una domestica, a giudicare dagli abiti-, con dei lucenti capelli fucsia e un paio di enormi occhiali che non mi danno modo di entrare in contatto con i suoi occhi. Sembrano dei fondi di bottiglia, in effetti.
Dopo quella che mi sembra un'eternità, finalmente torno a respirare e per un momento mi rilasso, ma è una sensazione che dura relativamente poco.
- Oh..oh mi dispiace di averla disturbata, madame, avrei dovuto bussare... - la sua voce è bassa e incerta, come se la mettessi in imbarazzo. - Sebastian si arrabbierà molto se scopre che sono stata così maleducata! - aggiunge poco dopo, in preda a quella che sembra una crisi isterica.
Sebastian? Che sia il nome dell'uomo in nero?
- State tranquilla – mormoro, gentilmente, nonostante la situazione inusuale – Scusate se ve lo chiedo..ma voi chi siete? - le domando allora, senza però allentare la presa dal candelabro.
A quella domanda sembra riprendere finalmente un po' di colore. - Io mi chiamo Mey-Rin, madame, al vostro servizio – si presenta, facendo poi un piccolo inchino nella mia direzione.
- Dove mi trovo esattamente, signorina Mey-Rin? - provo di nuovo, guardandomi ancora una volta intorno con aria circospetta.
- Ma nella residenza Phantomhive, ovviamente – risponde velocemente, sistemandosi poi le pieghe della divisa da domestica – Sebastian vi ha trovata svenuta in strada ieri notte, non ricordate? - mi chiede poi, catturando totalmente la mia attenzione.
“Svenuta? E' lui che mi ha fatto svenire! In..qualche modo!”, grido dentro di me, esausta.
Decido di stare al gioco, ma sono nella residenza di quel ragazzino spocchioso e le cose non possono che peggiorare, per come la vedo.
- Ho dei ricordi confusi.. - ammetto quella mezza verità, posando alla fine il candelabro dove lo avevo preso. - Immagino di dove ringraziare il signor Sebastian – aggiungo poi, quasi a denti stretti.
“Anche se vorrei solo cavargli gli occhi”.
Quel pensiero mi lascia per un momento interdetta...è come se improvvisamente non avessi più paura di lui. Prima il solo pensiero mi faceva venire i brividi, ora invece non vedo quasi l'ora di incontrarlo di nuovo, e affrontarlo. Tutto è successo in una frazione di secondo, e del resto è solo l'ennesima cosa strana che mi capita da una settimana a questa parte.
- Sarà di ritorno tra poco – mi comunica poi – Lui e il padroncino Ciel sono fuori su ordine della Regina – ammette poi sottovoce, come se fosse un segreto inconfessabile.
- Posso raggiungerlo io stessa – ammetto, in cerca di una via di fuga dopo essermi finalmente alzata dal morbido letto – E poi devo assolutamente tornare a casa, prima che mia sorella noti la mia assenza così prolungata – aggiungo in fretta. Non darò ulteriori dettagli a questa sconosciuta, voglio solo andarmene.
- Ma signorina.. - prova a fermarmi, mentre mi muovo come un animale in gabbia per la stanza – Non può andare in giro così – aggiunge poco dopo, guardando preoccupata nella mia direzione.
- Mh? - mugugno, tornando a guardarla.
- I suoi vestiti – spiega poi, indicando la mia misera camicia da notte – Lei è praticamente nuda – aggiunge poco dopo, di nuovo praticamente sotto voce.
- Oh non importa, correrò, e nessuno mi noterà – mormoro le prime cose che mi vengono in mente, non rendendomi conto di quanto suonino stupide, anche se la faccia stupita di Mey-Rin mi basta.
Mi dirigo decisa verso la porta, ma questa si apre di nuovo, rivelando la figura slanciata e composta dell'uomo in nero. Sebastian.
Faccio tutto quello che è in mio potere per non saltargli addosso e strangolarlo con tutte le mie forze, o la storiella che ha raccontato cadrebbe come un castello di carte.
- Buongiorno, signorina Yuki – è lui il primo a parlare, e la sua aria è così maledettamente calma che sento di stare quasi per perdere il controllo.
Non rispondo, non riuscirei in alcun modo ad essere gentile.
Ma ho bisogno di spiegazioni, ho bisogno di sapere chi è. O meglio, cosa è. E più di tutto, ho bisogno di sapere cosa mi ha fatto, e in che modo.
Ho troppe domande per tentare di ucciderlo ora su due piedi, anche perché qualcosa mi dice che la domestica dietro di noi, la povera Mey-Rin, non è affatto a conoscenza delle sue doti fuori dal comune. Come quella di non soffrire nonostante un coltello nello stomaco.
Inevitabilmente, questo significa che qualsiasi mio tentativo di vendetta sarebbe vano.
“Smettila di pensare solo alla voglia che hai di accoltellarlo di nuovo!”, grido a me stessa. E' vero, mi devo calmare.
Non so neanche per quanto tempo sono rimasta in silenzio, ma la mia espressione non è di certo cambiata, e in quell'arco di tempo non abbiamo fatto altro che fissarci.
- Oh, Sebastian! Bentornato! - esclama alla fine la domestica, rompendo il fastidioso silenzio.
- Signorina Mey, potrebbe lasciarmi un momento da solo con la signorina Yuki? Come vede è ancora un po' confusa dopo gli avvenimenti della scorsa notte – pronuncia quelle parole con estrema grazia, una bugia dietro l'altra, senza neanche ricambiare il suo saluto.
E pensare che era Mey quella che pensava di essere stata sgarbata nei miei confronti, che dire di lui nei suoi allora.
- Oh, ma certo – annuisce lei, con un altro piccolo inchino che vedo a malapena con la coda dell'occhio – Con permesso – aggiunge poi, incamminandosi verso la porta sorvegliata ancora da Sebastian.
Questi si sposta allora per farla passare, mentre odo chiaramente i passi della donna allontanarsi sempre di più.
Ho modo di notare che sul braccio tiene dei vestiti -nuovi, all'apparenza- solo quando mi si para davanti di nuovo. Ogni traccia dell'ansia che mi incuteva sembra essere magicamente sparita, mi domando perché.
All'improvviso mi fa cenno di entrare di nuovo nella stanza, chiudendosi poi la porta alle spalle quando accetto quella sua richiesta.
Gli do le spalle, camminando a piedi nudi per la stanza. - Ha intenzione di cominciare a spiegare, signor Sebastian? - domando, sprezzante.
Quando mi volto di nuovo per affrontarlo scopro con grande sorpresa che lui è solo a pochi centimetri da me -comparso in silenzio esattamente come la sera prima-, ma questa volta non riesco a trattenermi, e gli tiro un forte schiaffo prima che lui possa anche solo accorgersene. In effetti mi meraviglio di quanto sia stata veloce nei miei movimenti.
- LA SMETTA DI SBUCARMI ALLE SPALLE! - grido senza pensarci due volte, stufa di quei comportamenti senza senso.
Lui è senza parole, lo vedo, e la mia rabbia sta salendo ogni secondo di più.
- Come ha fatto? - sono le sue uniche parole, mentre torna a guardarmi.
- Questa domanda dovrei farla io a lei, in diversi contesti – metto in chiaro, decisa più che mai a scoprire il più possibile su quest'uomo.
Con un gesto fulmineo, afferra allora il mio polso, stringendolo tra le dita con una forza fuori dal normale. - Risponda: come ha fatto a tirarmi quello schiaffo? - mi chiede. Sembra sinceramente sbalordito.
“Cosa? Ma che domanda è?”.
- Se vuole glielo mostro di nuovo come ho fatto – rispondo solo.
- Sono serio, signorina Yuki – mette in chiaro, con tono severo. - Nessuno è in grado di sfiorarmi, a parte ovviamente.. - comincia, bloccandosi poi sul più bello.
E io che pensavo di stare finalmente per ottenere qualche spiegazione.
Divincolo con forza la mano, finché non la libero finalmente dalla sua presa.
- Si vesta ora, poi mi raggiunga nell'atrio – mi ordine, abbandonando i vestiti che avevo ipotizzato essere nuovi sul letto, prima di darmi le spalle per lasciarmi di nuovo sola – Dopodiché parleremo – aggiunge alla fine, uscendo dalla stanza.
Vorrei urlare e scappare per tornare a casa mia, ma ho bisogno di risposte. E sembra che questa volta le otterrò.

***

I vestiti mi stanno a pennello, anche se li ho indossati decisamente controvoglia. Una volta tornata a casa li brucerò, come minimo.
Non voglio niente che mi ricordi quell'uomo, una volta che tutto sarà finito.
Esco dalla stanza con un vestito blu lungo fino al ginocchio, con annessi un bacio di stivali marroni che coprono la poca pelle che era rimasta scoperta.
Abbandono la stanza dopo 10 minuti dall'uscita di scena di Sebastian, e velocemente scendo le scale per raggiungere l'atrio.
Il maggiordomo è lì, come promesso, di fronte ad una finestra.
- Mi segua – ordina poi, mentre la sua voce risuona con un eco in tutta la casa.
Mentre scendo gli ultimi scalini, lui apre la grande porta d'ingresso, facendomi poi cenno di uscire; gli passo accanto con tranquillità, uscendo all'aria fresca, che respiro a pieni polmoni.
Non so neanche che ora sia, ma oggi non avevo neanche una visita, quindi nessuno si farà domande sulla mia assenza. L'unico problema è Eliza, mia sorella: lei lo noterà di sicuro.
Stringo le labbra.
Devo tornare a casa al più presto.
Sento solo allora la porta chiudersi, e in un momento lui è davanti a me, camminando velocemente. - Mi segua – ripete ancora una volta, dirigendosi verso quello che sembra l'immenso giardino della residenza.
- E' consapevole che se non mi darà qualche risposta, la denuncerò agli uomini di Scotland Yard, vero? - gli domando all'improvviso, mettendo in chiaro le mie intenzioni. Non sarebbe niente di che, perché troverebbe il modo di scamparla, ma sarebbe comunque una piccola vendetta.
- Non le crederebbero – risponde solo.
- Perché lei nasconde qualcosa -.
La sua camminata si ferma in quel momento, visto che siamo arrivati nei pressi di un piccolo cancello di ferro battuto, che porta direttamente al giardino. Sembra l'unico punto d'accesso.
- Immagino che questo ormai sia ovvio – mormora con fare tranquillo, invitandomi poi ad entrare.
Ancora una volta lo sorpasso, entrando nell'enorme spazio floreale, venendo investita subito dal profumo delle rose.
Risposte, ho bisogno di risposte, non di un bel giardino di rose.
- Parli – ordino – Che cosa mi ha fatto ieri sera? - chiedo schietta. Sono veramente stanca di stare al suo gioco.
Come avevo pensato, tutto quello che fa per quella che sembra di nuovo un'eternità è fissarmi, con quegli occhi così luminosi da dare quasi fastidio. Sto per avventarmi su di lui, lo sento.
- Niente di quello che avevo pianificato – mormora, continuando a rimanere fastidiosamente sul vago.
- E che cosa aveva pianificato? - sbotto, facendo un passo nella sua direzione.
Solo in quel momento le sua labbra si inarcano, mostrando quello che è a tutti gli effetti un ghigno. - Di ucciderla, ovviamente -.

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Capitolo 5
*** Risvegli, parte II ***


“Di ucciderla, ovviamente”.
Questo è tutto quello che mi dice, in un modo talmente schietto che per qualche secondo non ho idea di come rispondere.
Sono sconvolta, ma incredibilmente non ho paura. Come ho fatto a passare dall'essere completamente terrorizzata alla sua vista all'essere quasi indifferente? E' come se ora sapessi che non ha intenzione di farmi del male. Non più almeno.
- Mi sta dando sempre più ragioni per denunciarla – mormoro alla fine, con il tono più sicuro che riesco a tirare fuori, nonostante il temporaneo groppo alla gola.
- Nessuno le crederebbe – mi ripete, con calma, passeggiando poi davanti a me come se nulla fosse – La parola del fedele maggiordomo del Cane da Guardia della Regina contro quella di un semplice medico, una donna per giunta – aggiunge, per mettere in chiaro il concetto, come se il suo tono non sia già abbastanza fastidioso da solo.
Stringo un'altra volta le labbra, infastidita da quell'ultima affermazione in particolare: “una donna per giunta”, io almeno non vado in giro a cercare di uccidere nessuno. Non ancora almeno.
- Non mi prenderei il lusso di sottovalutarmi, se fossi in lei – lo metto in guardia, anche se contro di lui so di avere davvero poche speranze. Sono motivata solo dal mio spiccato orgoglio di donna, e non mi farò mai mettere i piedi in testa da un uomo.
Di tutta risposta, lo sento ridacchiare appena. - Io non la sottovaluto affatto, signorina Yuki – risponde – No, in effetti sono affascinato da lei – aggiunge poi, fermandosi davanti ad un enorme cespuglio di rose rosse.
- Affascinato, eh? Lei mi da solo sui nervi invece – ammetto, sincera e incrociando le braccia – E il fatto che non mi stia dando nessun chiarimento in merito alle sue ultime azioni nei miei confronti non mi rende più carina nei suoi confronti – aggiungo poco dopo, pronunciando quelle parole tutte d'un fiato e riuscendo così ad attirare di nuovo la sua attenzione.
- Ha ragione – ammette, sollevando una mano come per arrendersi a quella verità – Sa perché sono affascinato da lei? - mi chiedo poi, anche se con fare retorico.
- Sinceramente non mi interessa – ammetto, con un falso sorriso – Vorrei più che altro sapere perché ha tentato di uccidermi la scorsa notte – ammetto poi, scoprendo definitivamente le mie carte.
- Ero affamato – risponde lui, dandomi immediatamente i brividi.
Lo fisso per qualche secondo, sbalordita da quelle parole che, alle mie orecchie, appaiono semplicemente senza senso. - Quindi lei è...cosa? Un cannibale? - chiedo, stringendomi nelle spalle con aria confusa – E il suo “No, non è possibile” si riferiva al fatto che forse la mia carne è andata a male? Mi sto decomponendo senza saperlo e non ero di suo gradimento? - sbotto, inorridita da quelle mie stesse parole. Non so neanche come mi sono venute in mente.
Lui ridacchia di nuovo, facendo solamente salire il mio nervosismo. - Non sono affatto un cannibale, ma merita un punto per la fantasia – dice, prendendomi chiaramente in giro.
- Sto per perdere la pazienza – metto in chiaro – O lei comincia a parlare seria.. - quelle mie parole sono interrotte improvvisamente da un suo veloce movimento.
In qualche modo riesco a catturare ogni dettagli di quello che sta succedendo, e con uno scatto fulmineo afferro praticamente per la punta il coltello che ha appena lanciato all'altezza del mio viso. Scarico la tensione di quel momento con un lungo sospiro, cacciando via tutto il fiato che ho trattenuto.
Come ha fatto? Come ho fatto io ad afferrarlo? Da dove ha tirato fuori un coltello senza che quasi me ne accorgessi?
- Come pensavo – afferma allora, mentre lascio cadere l'oggetto a terra, quasi con noncuranza.
- C-come ho fatto? - balbetto, confusa.
- Il come non è importante – dice subito – Non tanto quanto il perché, almeno – aggiunge poi, riacquistando la sua solita compostezza.
Ancora tremante, decido improvvisamente di scaricare tutta la mia adrenalina nel colpirlo, come desidero fare già da parecchio. Non ho idea di come controllare questi nuovi -quanto strani- riflessi, tutto quello che so è che in una frazione di secondo ho afferrato di nuovo quella misera arma da terra, correndo poi nella sua direzione fino a colpirlo di nuovo, nell'esatto punto della sera prima.
Anche questa volta rimane sbalordito dalla mia velocità, ma ovviamente non come la prima volta. - Mi pare di averle già detto che non può nuocermi in alcun modo – mi ricorda, e questa volta è lui a parlare a denti stretti, come se fosse stanco di questo mio comportamento.
- Mi piace tentare – è tutto quello che replico, girando poi con forza e precisione l'arma nella carne, guardandolo subito storcere la bocca. Magari non può morire, ma di sicuro la sensazione è fastidiosa. – Adesso mi dica che cosa mi ha fatto – gli ordino, sperando che almeno questa volta mi dia retta.
- Io non le ho fatto assolutamente niente – risponde, chinandosi improvvisamente verso di me, senza staccare gli occhi dai miei, quasi letteralmente illuminati dalla rabbia – La sua natura si è mostrata senza che io muovessi un dito – spiega, soppesando ogni parola prima di pronunciarla.
- Si rende conto che quello che dice non ha il minimo senso? - sbotto allora, senza mollare la presa dal manico d'argento e anzi stuzzicando nuovamente la ferita, riuscendo a versare ulteriore sangue.
Un'altra smorfia appare allora sul suo viso, poco prima che si allontani di scatto da me, tentando di colpirmi in quel frangente; immediatamente mi scanso a mia volta, arrivando a mettere diversi centimetri di distanza tra di noi. Ho il fiato corto, e ancora una volta lo osservo sfilarsi il coltello dallo stomaco, per poi sistemarsi i vestiti ormai praticamente da buttare.
Quando i suoi occhi si fissano di nuovo nei miei sono brillanti, innaturali, e non riesco in alcun modo a bloccare il piccolo brivido che mi percorre la schiena. - La povera Yuki – dice allora all'improvviso, e sembra che stia per esplodere da un momento all'altro – Sempre ignorata da tutti e sempre da sola, sempre fuori posto – aggiunge quelle parole continuando a fissarmi, mentre con lentezza si avvicina di nuovo a me. Sembra un leone pronto a colpire la sua preda.
- Si è sempre sentita diversa, ma non ha mai capito perché – aggiunge ancora, facendomi indietreggiare mentre torreggia su di me in tutta la sua altezza – Quel vuoto al centro del petto è fastidioso, non è così? Magari è per questo che è diventata un medico, sperava che aiutando gli altri sarebbe riuscita a riempirlo – continua, con tono sempre più duro.
Come può sapere di quel vuoto, quella fastidiosa sensazione che ho sempre provato fin da bambina? Non ne ho mai parlato con nessuno, semplicemente perché non gli avevo mai dato molto peso.
Eppure lui conosceva quel particolare di me, quel particolare così nascosto da apparire invisibile quasi persino a me. - Lei come fa a saperlo? - chiedo allora, con voce improvvisamente flebile. Mi sento di nuovo indifesa di fronte a lui, come se non avessi nessun modo per proteggermi oltre. - Io che cos'ho che non va?! - grido poi poco dopo, dando libero sfogo alla mia frustrazione mentre afferro il colletto della sua camicia bianca. Se lui ha delle risposte, io devo ottenerle, in un modo o in un altro.
- Che cos'è quel vuoto che sento al centro del petto..? - chiedo, solo dopo qualche secondo, allo stremo delle lacrime. In questo momento vorrei solo correre via, correre a casa, per piangere in santa pace e per sfogare tutta la frustrazione di quell'ultimo periodo.
- E' la sua anima, signorina Yuki – mormora poco dopo, distogliendo per un momento lo sguardo, prima di tornare a guardarmi con aria seria – Ecco cos'è quel vuoto al centro del petto che sente fin da bambina – aggiunge poi.
Sgrano immediatamente gli occhi, senza mollare la presa dal colletto della sua camicia. - La mia..anima? - balbetto, confusa, questa volta facendo un piccolo passo indietro.
Lui annuisce, sistemandosi ancora una volta i vestiti. - E' di questo che noi demoni ci nutriamo – sono poi le sue uniche parole, – E l'unico motivo per cui è ancora viva è perché in lei non c'è niente di cui nutrirsi –.
- Lei non ha un'anima, signorina Yuki, non ce l'ha mai avuta – continua, ma io ho smesso di ascoltare già da un pezzo.
Tutto questo è pazzesco, per non dire impossibile.
Come potevo comprendere qualcosa di impossibile come i demoni e le anime se fino ad un paio di settimane prima tutto quello in cui riponevo fiducia era la medicina? Qualcosa che potevo comprendere senza troppi problemi, qualcosa che avevo studiato per tutta la mia vita.
No, qui si parlava di qualcosa di molto più profondo, che il mio cervello si rifiutava anche solo di metabolizzare. Io neanche ci credevo all'anima! Per me era sempre stata una storiella da raccontare ai bambini, e niente di più! Quello in cui credo sono le ossa, gli organi e i muscoli, tutte cose tangibili che in vita mia avevo visto anche troppo spesso.
Ecco in cosa credevo.
Ma l'anima...no...niente di quello che diceva poteva essere vero.
Non poteva essere vero.
Quando sento la sua mano posarsi sulla mia spalla, istintivamente, mi scanso, mettendo di nuovo una certa distanza tra noi due. - Per favore, non mi tocchi – gli ordino – Voglio tornare a casa mia, è tardi ormai – aggiungo poi a capo chino, dirigendomi nuovamente verso il cancello di ferro battuto, l'unica cosa che al momento mi divide dal mondo esterno.
- Ha sentito quello che le ho detto? - mi chiede allora, ma io non smetto di camminare. Finalmente sono fuori da quel giardino di rose, l'odore mi stava ormai dando alla testa.
Superandomi con estrema facilità, mi si para poi di nuovo davanti. - Mi lasci passare – sbotto – Mi lasci andare o mi metto ad urlare! - sbotto poi di nuovo – Non voglio più sentire queste stupide storie! - grido alla fine, dandogli quella che doveva essere una semplice spinta, ma che quasi lo scaraventa a terra.
“Cosa diavolo è questa forza improvvisa?”, mi domando, guardandomi poi le mani, spaventata ormai da me stessa.
- Non sono storie – mette in chiaro – E io non ho intenzione di farle del male -.
- Ieri notte non la pensava così – gli ricordo in quel momento, digrignando nuovamente i denti nel pronunciare quelle parole.
- Ieri notte non avevo idea di cosa fosse – risponde – E continuo a non saperlo affatto – aggiunge, spazzando via le poche speranze che aveva di farmi restare. Neanche lui ha le risposte che cerco, a quanto pare restare è inutile, una semplice perdita di tempo.
- Se lo scopre, mi faccia pure un fischio – mormoro, e neanche io so se sono seria o se lo sto ancora semplicemente prendendo in giro, continuando a non dare peso a quella situazione così strana.
Questo non è il mio mondo, questa non sono io.
Io sono Yuki Yoshimura, sono nata a Londra da genitori Giapponesi e ho una sorella minore di nome Eliza. Sono un medico e il mio sogno è quello di aprire uno studio tutto mio.
Non ho bisogno di sapere altro.
In preda a quei pensieri continuo la mia camminata lungo l'enorme viale della Residenza Phantomhive, con la stessa vitalità che avrebbe un malato terminale.
Sento gli occhi di Sebastian incollati alla mia schiena, ma non mi volto indietro: voglio andare a casa ed è quello che farò. Mi lascerò questa storia alle spalle, come qualsiasi persona con un minimo di buonsenso farebbe.

***
E' quasi l'ora di pranzo quando rimetto piede a casa, trovando Eliza in cucina, dedita alle sue faccende domestiche.
Quando mi vede, sorride immediatamente. - Bentornata sorellona! - esclama subito, senza smettere di girare qualsiasi cosa sia all'interno della pentola di rame – Come sono andate le visite di oggi? - mi chiede subito dopo.
Non ha nemmeno notato che con me non porto alcuna valigetta, ultimamente ha talmente tanti pensieri per la testa che non fa neanche caso a quello che le sta intorno.
- Tutto bene – mento, rivolgendole un caldo sorriso – Come sempre – aggiungo poi, sistemandomi su una delle due sedie.
Immagino che Sebastian non abbia lasciato tracce prima di rapirmi, ecco perché Eliza non si è accorta di niente. Mi volto immediatamente verso la piccola poltrona in un angolo della stanza, dove la mia coperta di lana è perfettamente piegata.
E' persino entrato in casa mia, come se tutta quell'assurda situazione non mi desse già abbastanza sui nervi.
No, non ci devo pensare. Non ci devo assolutamente pensare.
- Cosa prepari di buono? - le chiedo così poco dopo, appoggiando il viso sul palmo della mano.
- Una zuppa alla zucca, che ne dici? - risponde.
- Dico che sono affamata – mormoro senza problemi, anche perché in fondo è la verità.
- Meglio ancora allora, sarà pronto tra poco – mi aggiorna, voltandosi poi verso di me – Sono abiti nuovi quelli che hai indosso? - mi chiede poi, indicando il mio vestito con il mestolo appena tirato fuori dalla zuppa.
Almeno questo lo ha notato, per lo meno lo stress non l'ha consumata del tutto. - Si, ma non penso che indosserò di nuovo quest'abito, è..scomodo, per così dire – ammetto, dicendo quella mezza verità. Forse non lo brucerò come avevo promesso, ma avrà il posto più in basso nel mio armadio.
- Peccato, è davvero carino – ammette, spegnendo poi il fornello e cominciando poi a tirare fuori piatti e posate per due, come faceva praticamente ogni giorno.
Si, questa era la mia vita.
Tutto il resto non aveva importanza.

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Capitolo 6
*** Dure verità ***


Salve! Finalmente sono riuscita a scrivere un capitolo un po' più lungo rispetto agli altri, e spero tanto che appreziate la cosa! In ogni caso, mi sembrava giusto far sapere ai lettori in che anno è collocata questa storia -e anzi mi scuso per non averlo fatto prima- e soprattutto ci tenevo a sottolineare che è basata sulla seconda stagione di Kuroshitsuji, dove appunto Ciel è un demone (spero di non aver fatto spoiler a nessuno), giusto per evitare possibili dubbi proprio a causa di questo nuovo capitolo. Come sempre, vi auguro buona lettura!

Gennaio, 1889.


Ultimamente più che mai avevo bisogno di denaro: per mantenere la casa, per il mio futuro studio medico e per tutte le piccole cose di tutti i giorni. Proprio per questo motivo tendevo sempre a fare molte visite, più che potevo, ma nonostante questo, per la prima volta in vita mia, avevo deciso di prendermi un periodo di pausa.
Dopo il mio faccia a faccia con il signor Sebastian il mio umore era calato a picco, e quasi non riuscivo ad alzarmi dal letto a causa di improvvisa debolezza fisica; non mi spiegavo lo stato in cui ero crollata, sapevo solo che non avevo smesso neanche per un momento di pensare a quello che mi aveva detto, nonostante il mio cervello avesse provato a dimenticare.
Era passata un'altra settimana da quando avevo fatto ritorno a casa, e a quanto pare sapevo essere solamente scontrosa con tutti, persino con Eliza. Il mio comportamento la spaventava, glielo leggevo negli occhi, ma le mie reazioni erano tutte involontarie.
Era come se la mia bocca si muovesse prima che le dessi il comando, come se avesse vita propria; le mie risposte l'avevano spesso ferita, ultimamente, e la cosa mi stava distruggendo.
Per questo alla fine avevo cominciato ad evitarla, sperando che capisse le mie motivazioni.
Solamente dopo un paio di giorni avevo provato a scusarmi, riuscendo a biascicare quelle poche parole sensate.
- Yuki, sta tranquilla – è la sua unica risposta, dopo qualche secondo dalle mie parole – Evidentemente il lavoro ultimamente ti sta stressando troppo, lo capisco.. - aggiunge poi, posandomi una mano sulla spalla. Quel contatto mi da fastidio, ma non ho idea del perché.
E' come se qualsiasi cosa mi irritasse ultimamente, anche la cosa più piccola.
Stringo le labbra: non mi scosterò anche questa volta, il mio corpo non l'avrà vinta.
- Ci vediamo stasera, okay? - mormora alla fine, poco prima di uscire.
- Okay.. - rispondo, rivolgendole il sorriso più sincero che ho, restando poi in piedi a guardare la porta che si chiude. Mi stringo nel frattempo entrambe le braccia al petto, avvolgendomi ulteriormente nella mia lunga vestaglia bianca.
Il mio corpo mi grida di tornare ancora una volta al letto e di infilarmi sotto il piumone pesante, ma un paio di forti colpi alla porta mi impediscono di andare.
“Ci potrà mai essere a quest'ora?”, mi domando tra me e me, cominciando poi ad avvicinarmi all'entrata, quasi strisciando.
Per lo meno so che non c'è Sebastian dall'altro lato della porta, visto che a quanto pare riesco a percepirlo. Come sia possibile, questo è ancora un mistero per me.
E' così che qualche secondo più tardi mi trovo davanti ad un giovane, o per meglio dire un ragazzino, con due grandi occhi azzurri che mi guardano. Indossa una casacca bianca e rossa e i suoi pantaloni sembrano quelli di un classico contadino, con tanto di cappello di paglia legato intorno al collo. Non avrà più di 10 anni.
- Una lettera per lei, Madame – annuncia, porgendomela.
- E' sicuro? - gli chiedo. Non ricevo mai lettere.
- E' lei Yuki Yoshimura? - mi domanda allora, leggendo direttamente il nome sulla busta, per poi tornare a guardarmi.
- Sono io – sono costretta ad ammettere, afferrandola alla fine – Da parte di chi? - gli chiedo, prima di tornarmene dentro casa, dal momento che non riconosco il timbro sull'anonima busta da lettere.
- Residenza Phantomhive – è la sua unica risposta, che mi fa subito storcere la bocca – Con permesso, buona giornata – aggiunge, allontanandosi verso una carrozza dall'altra parte della strada, prima che io chiuda la porta con un tonfo.
Residenza Phantomhive, davvero?
Per un momento penso di gettare la lettere nel camino acceso da poco, ma la curiosità mi sta praticamente uccidendo, sebbene non sappia perché. Di sicuro sono già stanca dei miei recenti comportamenti.
Prendo allora il tagliacarte che tengo nella mia camera e subito taglio di netto il timbro della famosa residenza, aprendo così la lettera: non è molto lunga, e la cosa non mi conforta affatto.
Inizio subito a leggere:

“Cara Signorina Yuki, 

immagino che le mie parole della scorsa settimana l'abbiano turbata, e per questo mi scuso.
Nonostante questo, doveva sapere la verità, perché quello che le sta succedendo non potrà che peggiorare.
Non ho idea di che cosa lei sia, ma sono l'unico che può scoprirlo; immagino che prima o poi la sua curiosità avrà la meglio, a meno che lei non voglia attendere finché i suoi istinti avranno la meglio.
Sa dove trovarmi.

Cordiali saluti,

Sebastian Michaelis.”

Rileggo la frase “non potrà che peggiorare” almeno una decina di volte, ovviamente senza capire. Inutile anche domandarsi come faccia a saperlo: in qualche modo è sempre un passo avanti a me, quel...demone.
E' la prima volta che penso anche solo a quella parola da quando l'ho sentita una settimana prima.
Che il mio cattivo umore sia a causa sua? E nel remoto caso che sia così...come è anche solo possibile?
La curiosità mi sta mangiando viva, e non so ancora per quanto riuscirò a trattenermi.
E se alla fine facessi qualcosa di ben peggiore del rispondere male?
A quel pensiero rabbrividisco e un improvviso pensiero si fa largo nella mia mente: e se facessi del male a qualcuno, alla fine?
Magari ad Eliza stessa.
“No, non potrei mai fare del male a mia sorella, non potrei mai perdere il controllo fino a quel punto”, ripeto a me stessa, mentre stringo i denti.
“Si che potresti”, pensa, involontariamente, un'altra parte del mio cervello, facendomi rabbrividire di nuovo. Non volevo pensare ad una cosa del genere, è come se il mio cervello stesse facendo tutto da solo.
E' così che sarà d'ora in poi? Un diavolo su una spalla e un angelo su un'altra che mi sussurrano cose? Non potrò di certo durare per molto in queste condizioni, per quanto forte io sia...a tutto c'è un limite, e io ci sono quasi arrivata.
Cosa devo fare?
Mi afferro allora le tempie con entrambe le mani, prima di lanciare un grido, esasperata. Mi accascio poi a terra e resto immobile per parecchio, finché quasi non sento più le ginocchia a causa del pavimento ghiacciato.
***
Dopo essermi infilata di nuovo nel letto avevo pensare a lungo alla lettera di quella mattina, senza riuscire tuttavia a prendere una decisione.
Speravo che l'incontro della settimana scorsa col signor Michaelis fosse l'ultimo e nel profondo sapevo di dovere mettere più distanza possibile tra di noi.
Ma lui aveva tutte le risposte, era ovvio che le aveva. E io ne avevo bisogno.
Così come avevo bisogno della mia sanità mentale.
Avevo così deciso di vestirmi, indossando un paio di semplici pantaloni neri, completa di una camicia bianca e di una lunga giacca nera, che copriva perfettamente il mio corpo da sguardo indiscreti.
Avevo bisogno di prendere una boccata d'aria e di schiarirmi un po' le idee, cosa che non sarei mai riuscita a fare restando chiusa in casa, o peggio sotto le coperte.
Prima di uscire mi ero assicurata che la lettera fosse ben nascosta, così che Eliza non la trovasse. Era meglio che non sapesse niente di tutta questa storia: niente demoni, niente anime mancanti, niente di niente doveva entrare anche nella sua vita.
Sto praticamente per uscire, ma la porta di casa si apre circa 10 secondi prima che possa raggiungerla, e improvvisamente mia sorella è di nuovo a casa.
E il lavoro?
- Eliza – mormoro, presa alla sprovvista – Cosa ci fai già a casa? - le chiedo poi.
- Oggi non avevano bisogno di me – risponde, stringendosi poi leggermente nelle spalle e chiudendosi la porta alle spalle. Con tranquillità, si sfila poi il suo cappotto, appendendolo al nostro malridotto attaccapanni.
- Capisco – ammetto – Io invece devo proprio uscire ora, ci vediamo stasera, okay? - aggiungo, cercando letteralmente di scappare da lei.
- Dove vai? - mi chiede ugualmente. La sua spiccata curiosità è uno dei tratti caratteristici del suo essere.
- A fare un giro – rispondo, dandole una volta per tutte le spalle.
- Sicura che i tuoi vestiti siano..appropriati? - domanda lo stesso, anche se ormai sono praticamente davanti alla porta. Perché non mi lascia in pace e basta?
- Me lo chiedi ogni volta che esco di casa – le ricordo, quasi a denti stretti. O no. Di nuovo quell'istinto.
- Lo dico per te, Yuki – continua, nonostante il mio tono, che a quanto pare sembra non aver notato.
“Stammi lontana, Eliza”, penso disperatamente tra me e me.
- La gente potrebbe pensare male di questo tuo abbigliamento...è così poco.. - prova ad aggiungere.
- Femminile? - continuo al posto suo, senza però voltarmi a guardarla – Lo so, me lo dici ogni volta, ma sai benissimo che non mi importa – le ricordo ancora una volta. Per la milionesima volta.
Sta succedendo di nuovo. No, ti prego.
Il peggio arriva quando, senza preavviso, posa una mano sulla mia spalla, pronta ad aggiungere altro. - Lo so, ma... - biascica, ma arresto praticamente subito quelle sue poche parole; mi volto verso di lei con uno scatto involontario, afferrandole così il polso, stringendolo.
Il suo viso è chiaramente sconvolto: vedo la paura in ogni angolo di esso. E non voglio neanche immaginare come appaio ai suoi occhi in questo momento.
- Yuki.. - mormora, cercando di liberarsi – Mi stai facendo male! - aggiunge poi subito dopo, disperata.
Senza riuscire a fermarmi, stringo ulteriormente la presa, e per un momento sono sicura di aver sentito un osso scrocchiare sotto la pressione delle mie dita. Ormai vedo le lacrime nei suoi occhi.- Yuki, lasciami! - grida poi, al limite della sopportazione, facendosi piccola piccola davanti a quel mio improvviso scatto d'ira.
“Yuki, lasciala..LASCIALA ANDARE!”, grido a me stessa e con l'ultima briciola di buonsenso che mi rimane mollo finalmente la presa, allontanandola da me.
Solo in quel momento torno in me, lucida come qualche secondo prima.
E' successo ancora.
- Eliza... - mormoro, guardando le mie stessa mani con orrore – Eliza mi dispiace! - esclamo subito dopo, ma lei è troppo sconvolta da quel mio comportamento per rispondere alle mie parole: tutto quello che fa è fissarmi, ammutolita e spaventata.
Spaventata dalla stessa sorella che l'aveva protetta tante volte.
- Scusami – aggiungo poi in fretta, precipitandomi fuori da casa senza guardarmi indietro.
Comincio a correre e continuo a farlo ininterrottamente, evitando passanti e carretti della frutta. Non so dove sto andando finché finalmente non raggiungo la mia meta, scoprendo con grande sorpresa che sono ai confini della proprietà Phantomhive.
Ho corso talmente tanto che i polmoni mi fanno male e ora come ora penso che potrei tranquillamente svenire.
Con le poche forze che ancora ho, metto per un momento da parte quello che ho fatto ad Eliza, cominciando piuttosto a picchiare sul cancello di ferro battuto che mi separa dal mio incubo personale.
- Dove diavolo sei?! - grido allora al vento, con tutta la forza che ho – Esci fuori dannazione! - aggiungo poco dopo, continuando a tirare pugni finché non sento le nocche graffiarsi, quasi fino a sanguinare.
Mi accascio alla fine al suolo, restando per parecchi secondi in ascolto del vento, che continua a scompigliare i miei capelli castani. Sono talmente stanca di tutto quello che stava succedendo intorno a me che ormai tutto quello che volevo era piangere: da sola e per sempre.
Oppure potevo cercare una soluzione a tutto questo. Mollare o cercare, queste erano le mie uniche opzioni.
Questo pensiero alla fine non basta a farmi desistere, e con mia grande vergogna comincio poco dopo a piangere, tappandomi immediatamente la bocca per non sentire i miei stessi lamenti.
Alla fine lascio persino andare il ferro freddo della cancellata alla quale mi ero aggrappata, posando la mia unica mano libera sulla mia coscia rivestita di nero.
Provo per l'ennesima volta a smettere e i miei sforzi vengono finalmente ripagati quando, con la coda dell'occhio, vedo quello che sembra un candido fazzoletto bianco fare capolino accanto alla mia guancia. Quando mi volto, Sebastian Michaelis è in piedi di fronte a me, porgendomi quel piccolo aiuto per le mie lacrime ormai incontrollabili.
- Come mai questa volta non l'ho sentita arrivare? - domanda prima di tutto, dimenticandomi totalmente delle buone maniere.
- Perché non mi sono fatto sentire – è la sua unica risposta, sempre con quel fare misterioso che fin dall'inizio mi aveva annoiata non poco – Immagino sia qui in merito alla mia lettera di stamani – ipotizza subito dopo, riprendendo la sua impeccabile postura non appena accetto il fazzoletto, che uso immediatamente per asciugarmi il viso.
Annuisco senza fiatare, alzandomi poi da terra, cercando di mantenere intatto quel poco orgoglio che mi rimane. - Che cosa mi sta succedendo? - gli chiedo alla fine, stremata, tornando a guardarlo dritto negli occhi. Devo avere un aspetto patetico, in questo momento.
- Venga con me – ordina qualche secondo più tardi, senza rispondermi – E le dirò tutto quello che so – aggiunge, tirando fuori da una tasca interna una chiave, con la quale apre l'enorme portone della Residenza.
Mi fa cenno di seguirlo, ed è così che, ancora una volta, oltrepasso quel confine, diretta verso chissà quale verità.

***
Nessuno dei due ha detto una parola da quando siamo entrati nella Residenza Phantomhive, stiamo solo camminando, ancora e ancora: questa proprietà è troppo grande persino per orientarsi, e la cosa non mi piace affatto.
Nonostante la giacca, comincio ad avere freddo, finché alla fine non prendo a tremare.
- Non si preoccupi, siamo quasi arrivati – m'informa, come se mi avesse letto nel pensiero. Non mi stupisco della cosa, ma sono felice di notare all'orizzonte l'immensa Residenza del Cane da Guardia della Regina, dalla quale l'ultima volta ero letteralmente scappata.
Quando finalmente raggiungiamo la nostra destinazione, è lui ad aprire la porta principale, invitandomi ad entrare prima di lui. La casa è accogliente -molto di più rispetto alla volta scorsa- e soprattutto è calda, particolare che mi permette di rilassarmi almeno un pochino.
Di fronte a me c'è l'immensa scalinata che porta al piano di sopra, e davanti ad esse se ne stanno immobili quattro individui: una è la signorina Mey-Rin, che ha accanto il ragazzino col cappello di paglia che mi ha consegnato la lettera stamattina. Beh si, era ovvio che facesse parte della servitù, ma mi domando comunque quale ruolo possa avere uno della sua età.
Gli altri due invece non li ho mai visti prima, neanche durante il mio pernottamento della settimana scorsa; uno è un giovane, alto e biondo, con dei vestiti che mi fanno intendere subito che è il cuoco della proprietà e l'altro invece è un anziano signore, con capelli e baffi grigi, vestito di tutto punto esattamente come Sebastian.
Immagino che lui sia un altro maggiordomo, solo molto meno inquietante del primo.
- Signori, questa è la signorina Yuki: è un medico – m'introduce quest'ultimo, facendomi sobbalzare leggermente. Loro, di tutta risposta, fanno un piccolo inchino.
- Signorina Yuki – continua poi – Ha già conosciuto la nostra domestica, la signorina Mey-Rin -.
- Ben ritrovata, Signorina Yuki – mi saluta lei, sfoggiando un sorriso sincero.
- Gli altri sono invece il nostro giardiniere Finny, il nostro cuoco Bard e l'amministratore economico della casa, il signor Tanaka – conclude poco dopo, presentandomi quella che sembra l'intera servitù. Quattro persone per una Residenza così grande, mi domando come facciano a bastare.
- Molto..piacere – mormoro poco dopo, facendo un inchino a mia volta per non apparire scortese.
- Quindi è lei la donna di cui mi parlavi stamani, Sebastian? – questa voce mi è ovviamente famigliare, ma per qualche motivo non mi ero accorta della presenza di Ciel Phantomhive fino a quel momento: eppure è in piedi in cime alla scale, mentre si regge saldamente al corrimano.
Non appena la servitù ode al sua voce, si voltano tutti allo stesso momento, rivolgendogli poi lo stesso inchino che hanno rivolto a me. - Buongiorno, padroncino – mormorano poi tutti all'unisono.
- Si padroncino, le presento la Signorina Yuki Yoshimura – risponde allora – Immagino si ricordi di lei – aggiunge, e sento che è tornato a guardarmi.
- Mi ricordo – ammette lui – Ci ha informati sulla causa della morte del giovane Edward Empshire, dico bene? - domanda poi, in maniera del tutto retorica.
- Esattamente, padroncino – risponde lui, alle mie spalle.
- Andiamo nel mio studio allora, c'è molto di cui parlare – è tutto quello che aggiunge, scendendo gli ultimi gradini della scalinata e sorpassando senza troppe cerimonie Mey-Rin, Finny, Bard e Tanaka. - Non disturbateci per qualsiasi motivo – aggiunge poco dopo, ricevendo un sonoro “si, padroncino” da tutti loro, di nuovo all'unisono.
- Mi segua – ripete ancora una volta Sebastian, superandomi poi per farmi strada, secondo solamente a Ciel.
L'ufficio di cui ha parlato è la seconda stanza del lungo corridoio della Residenza, e non appena entriamo mi rendo conto che è ancora più grande di quello che pensavo.
Non ho idea di quello che mi diranno, o di quello che hanno scoperto in quella lunga settimana: tutto quello a cui riesco a pensare è a quello che ho fatto a Eliza, e di come le cose sarebbero potute peggiorare se solo non fossi riuscita a fermarmi..
Sobbalzo non appena sento la pesante porta chiudersi alle mie spalle, poco prima di guardare Sebastian superarmi ancora una volta, dirigendosi al fianco di Ciel, che si è appena accomodato su una sedia che sembra decisamente comoda.
- Si metta pure comoda – m'invita allora, facendo cenno alla sedia posta esattamente davanti alla sua scrivania. Sembra quasi un interrogatorio.
- Posso prima sapere cosa sta succedendo? - chiedo, gentilmente.
- Pensavo che glielo avessi già spiegato – stavolta è Sebastian a parlare, cosa che sembra subito contrariare Ciel, il quale però rimane in silenzio, abbandonandosi solamente ad un piccolo sospiro.
- “Salve sono un demone e lei non ha l'anima” non è esattamente il modo migliore per spiegare la situazione – gli ricordo, facendo poi una piccola pausa. Non so perché, ma quella mia affermazione lo fa sorridere. - E comunque tutto quello che ha detto non ha il minimo senso – aggiungo.
- Ce l'ha eccome, invece – risponde Ciel, restando comodamente seduto e facendomi nuovamente cenno di raggiungerlo; questa volta, spinta solamente dalle buone maniere, faccio come mi dice, sedendomi così sul quella che si rivela essere un'altra comoda sedia.
- Sebastian mi ha parlato di lei – comincia poi, dopo una piccola pausa in cui tutti e tre eravamo rimasti in silenzio – E mi ha informato della sua...situazione – continua, con una chiara enfasi sul quell'ultima parola.
- Quella senza senso, intende? - domando, inarcando leggermente il sopracciglio.
- Proprio quella – conferma – Ma mi creda, ha più senso di quello che pensa, le basti sapere che è tutto vero -.
- E i suoi recenti comportamenti ne sono la prova – ecco che è di nuovo Sebastian a parlare, ma questa volta la cosa non sembra dare fastidio al giovane rampollo.
- Come fa a sapere dei miei recenti comportamenti? - gli chiedo, in cerca di risposte.
- Perché sono un effetto collaterale – risponde, confondendomi ulteriormente, se possibile, - E temo che siano colpa mia – ammette, abbassando leggermente la voce, come se si sentisse in colpa per la cosa.
- Sarò breve – preannuncia allora Ciel, posando il mento sulle sue stesse mani intrecciate – Sebastian è un demone, il mio demone e io sono il suo padrone; ho stipulato un contratto con lui anni or sono in cambio della mia anima e in cambio dei suoi servigi per vendicarmi di qualche..persona – spiega, facendomi ammutolire ad ogni parola che pronunciava – Da qualche tempo, per quello che possiamo considerare uno sfortunato incidente, anche io sono diventato un demone...e abbiamo ragione di pensare che anche lei lo sia, almeno da parte di uno dei due genitori – conclude qualche secondo più tardi, tornando a sedersi più comodamente sulla sua sedia, appoggiandosi completamente allo schienale.
Sono senza parole, letteralmente..ma qualcosa devo dire, per mandare avanti questa conversazione, quanto meno. - Conosco i miei genitori, e vi assicuro che nessuno dei due è un..un demone – mormoro – Tutto questo non ha il minimo senso e.. - provo a continuare, zittendomi da sola.
Solo allora ci arrivo e quelle poche parole che volevo dire mi muoiono letteralmente in bocca. Certo ho sempre avuto i miei sospetti, ma avevo mai indagato, perché non ne avevo mai avuto bisogno.
Eppure più crescevo e più le incongruenze diventavano visibili, finché alla fine non avevano letteralmente cominciato a illuminarsi davanti a me, mostrandomi la dura verità.
- Immagino che ci sia appena arrivata da sola – dice allora Sebastian, riportandomi alla realtà.
- Mi hanno adottata.. - dico alla fine, dando voce ai miei pensieri, quelli che avevo avuto per tutta la vita.
- Mi dispiace che l'abbia scoperto in questo modo – ammette lui, dopo che Ciel si è improvvisamente ammutolito.
- L'ho sempre sospettato – lo rincuoro allora – Ma non avevo mai davvero preso in considerazione la cosa.. - aggiungo poco dopo.
La situazione sta ora cominciando a prendere decisamente un'altra piega.
- Abbiamo modo di pensare che suo padre fosse un demone, mentre sua madre era umana al 100% - mi spiega Sebastian, mentre sto ancora tentando di riprendermi da quella notizia – Spiegherebbe l'assenza della sua anima -.
- Quindi io non..sono un demone? - chiedo, confusa, corrugando la fronte.
- No, beh..è un umana senza anima, il che vuol dire che non è più normale di quanto lo siamo noi – ammette, rivolgendosi sia a lui che al suo padrone.
- E voi come fate voi a sapere tutte queste cose? - chiedo, rivolta ad entrambi.
- Abbiamo i nostri contatti – risponde Ciel, restando ancora una volta sul vago.
- Può essere un po' più specifico? - gli chiedo – Sono venuta qui in cerca di risposte, quindi la prego di non darmi solamente delle mezze frasi – aggiungo.
- Ha ragione, le domando scusa – ammetto, con mia grande sorpresa – Tutto quello che posso dirle per chiarirle ulteriormente la situazione è che tra le nostre conoscenze ci sono anche un paio di Shinigami -.
Quest'ultimo chiarimento è quello che più mi fa rimanere senza parole; la mia faccia deve essere talmente esilarante che riesco a strappare qualcosa di più simile ad una risata a Sebastian.
- Shi-shinigami.. - ripeto, quasi solo per sentire quanto quella parola suoni strana detta ad alta voce – Cioè gli dei della morte? - aggiungo, chiedendo conferma.
- Esattamente – risponde lui, con il suo solito tono calmo – Le nostre conoscenze ci hanno dato modo di leggere il suo cinematic record, è così che abbiamo scoperto tutto quello che le abbiamo appena detto, compreso il fatto suo padre era un demone -.
- Cosa diavolo è un cinematic record? - chiedo senza pensarci due volte, anche perché non sembrano avere intenzione di spiegarmelo.
- Un libro che riassume la sua vita – spiega Sebastian – Tutti gli umani ne hanno uno, e gli Shinigami li conservano in un enorme biblioteca accessibile solamente a loro – continua.
- O mio dio – mormoro, ormai senza sapere più che altro dire. Ammutolita, mi prendo allora il viso tra le mani.
- Posso immaginare la sua confusione in questo momento – mormora Ciel.
- Davvero? - chiedo sarcastica – La mia intera vita è appena stata stravolta – gli ricordo.
- Anche la mia è stata stravolta, dopo che qualcuno ha dato fuoco alla mia casa, uccidendo i miei genitori – ammette – Da quel tragico incidente molte cose sono cambiate, e ho dovuto adattarmi meglio che potevo -.
- Quindi mi sta consigliando di..adattarmi? - mormoro – E come, se non ho idea di quello che mi sta succedendo? - gli ricordo, tornando di nuovo alla storia dei miei recenti cambi di umore, tutt'altro che normali.
- I suoi recenti comportamenti sono a causa mia – mi ripete allora il giovane maggiordomo – Il suo incontro con me ha risvegliato qualcosa in lei, o per essere più precisi...ha risvegliato quella parte di lei senza anima – le sue parole sono scelte con cura, e so che questa volta non si lascerà sfuggire neanche un dettaglio, cosa di cui gli sono decisamente grata.
- Per questo oggi ho rischiato di rompere il polso a mia..sorella? - domando.
- Esatto -.
- E cosa dovrei fare al riguardo? -. Tra di noi è appena partito un botta e risposta che ha letteralmente lasciato Ciel fuori da questa conversazione, confidandogli lo stesso spessore di un qualsiasi arredo della stanza.
- Non credo che questa soluzione le piacerà, ma le assicuro che è l'unica – preannuncia.
- Sentiamo.. - sono costretta a mormorare, dandogli modo di parlare.
Prima di farlo, lo vedo prendere un piccolo respiro, quasi avesse paura di comunicarmi qualunque cosa stia per dire. - Dovrà trasferirsi qui – ammette alla fine.
- Prego? - domando immediatamente, corrugando nuovamente la fronte.
- L'unico modo per controllare i suoi scatti d'ira è che stia a contatto con altri demoni – mi spiega, e per un momento ho un déjà-vu di quando andavo ancora a scuola. - In questo modo la parte di lei priva di anima non si sentirà...beh, sotto pressione -.
Vedendomi chiaramente confusa, solo dopo pochi secondi arriva un'altra spiegazione più esaustiva. - Se sta troppo a contatto con persone normali, quella parte di lei avrà sempre il sopravvento, e mi creda..quello che ha fatto finora non è niente a confronto di quello che potrebbe fare in futuro, se non mi ascolta -.
- Questo vuol dire che non potrò mai più fare il medico? - chiedo, vedendo i miei sogni svanire nel giro di pochi secondi. Il mio studio privato, i miei paziente, la gioia di trovare cure sempre più nuove e innovative...tutto sparito con delle semplici frasi, che acquistano purtroppo sempre più senso.
- Non per lunghi periodi, un paio di pazienti al giorno, ma niente di più.. - mi comunica.
- Quindi dovrei trasferirmi qui così che voi possiate..tenermi sotto controllo, ho capito bene? -.
Ricevo da entrambi solamente un piccolo cenno di assenso.
- E per quanto riguarda la servitù? Non mi direte che anche loro sono demoni – li prego, inorridita a quel pensiero.
- Loro sono perfettamente umani, mi creda – mette in chiaro Ciel, chiarendomi subito quel particolare – Ma visto che vivrà qui insieme a noi non avrà problemi con loro, non perderà più il controllo – mi promette, rivolgendomi per la prima volta un sorriso. Non pensavo fosse in grado di fare una cosa del genere.
- Inoltre.. - continua Sebastian, dopo essersi scambiato una veloce occhiata col suo padrone – E' già da un po' che stiamo cercando un medico per la Residenza, direi che la cosa calza a pennello – ammette.
- Cosa può fare un semplice medico come me per due demoni come voi? - chiedo, senza trovarne il minimo senso. In quanto..demoni..non dovrebbero essere qualcosa di più simile ad esseri immortali? Dio, non ci capisco niente.
- Beh, scoprirà in fretta che la servitù della Residenza Phantomhive è, come dire...piuttosto sbadata – spiega Ciel – Combinano guai praticamente ogni giorno, e mi sentirei molto più sicuro sapendo che c'è un medico a mia disposizione per qualunque sorta di incidente – ammette poco dopo.
Evito di chiedere cosa intenda per “sbadata” perché ho come l'impressione che scoprirò da sola a cosa si riferisce.
- Come farò con mia sorella? Che cosa potrò mai dirle? - chiedo ad entrambi. Non sono mai stata un'ottima bugiarda, e raccontarle tutta la storia non è di certo tra le mie opzioni.
- Penserà a tutto Sebastian, compresa la parte del suo trasferimento qui – ammette Ciel, alzandosi dal suo posto, mentre anche io faccio la stessa cosa, anche se per un momento ho paura che le gambe mi cederanno.
- Non si preoccupi, potrà continuare ad aiutare economicamente sua sorella – mi assicura.
Lo guardo confusa ancora una volta, senza dire una parola in merito.
- Ovviamente verrà pagata per i suoi servigi, e potrà vederla quando vorrà, ma si ricordi che il vostro tempo insieme ha sempre un limite – mormora, facendo poi il giro della scrivania, diretto verso la porta d'ingresso. - La sua camera è al primo piano, terza porta a sinistra, la signorina Mey-Rin le mostrerà la strada – aggiunge, uscendo poi definitivamente dalla stanza.
Improvvisamente, siamo solamente io e Sebastian.
- Immagino che avrà tanto a cui pensare – ammette, alle mie spalle – Ma non si preoccupi, andrà tutto bene – mi promette, questa volta rivolgendomi lui stesso un sorriso.
- La smetta – lo prego allora, prendendolo alla sprovvista e trasformando quel sorriso appena nato in una linea piatta ed inespressiva – Come potrà mai andare tutto bene? - gli chiedo subito dopo, tornando a guardarlo.
- Si abituerà – risponde solo – Tutti si abituano -.
- Ho bisogno di stare da sola – ammetto, approfittando del fatto che la signorina Mey-Rin è appena comparsa appena fuori dalla stanza, per mostrarmi il percorso fino alla mia camera, immagino.
- Si riposi un po', ma abbiamo ancora molto di cui parlare – ammette, questa volta senza ottenere da me nessuna risposta.
Non voglio pensare a niente in questo momento ed è così che, senza fare un fiato, seguo la domestica della Residenza fino al primo piano, osservano passo per passo quella che sarà la mia nuova casa.

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Capitolo 7
*** Occhi rosso scarlatto ***


Prima di tutto, mi scuso immensamente per questo mio enorme ritardo, ma purtroppo il lavoro non mi ha dato tregua! Ne approfitto però per augurarvi buon Natale, e ovviamente buona lettura!

Nei giorni successivi al mio “trasferimento” avevo avuto modo di scoprire cosa intendesse Ciel per “servitù sbadata”, come lui l'aveva definita solamente qualche giorno prima. In quel poco tempo che avevo passato nella Residenza, ero stata così a contatto con loro che alla fine il “tu” aveva avuto la meglio, lasciando da parte il linguaggio formale che avevamo usato fino a quel momento.
Bard, il “cuoco”, era in grado di cucinare tanto quanto io ero in grado di stare vicino a persone normali in quell'ultimo periodo...per non parlare del fatto che trovava sempre un modo per far andare a fuoco l'intera cucina. Lo conoscevo solamente da poco, eppure gli aveva già medicato più di una bruciatura, alcune addirittura piuttosto gravi, dopo che aveva fatto esplodere quello che doveva essere il “pollo della domenica”.
- Si può sapere come hai fatto? - gli domando immediatamente, piuttosto sconvolta dall'enorme nude di fumo che ancora aleggiava nella cucina, nonostante avessimo aperto tutte le finestre. La bruciatura di quel giorno era esattamente sotto il mento, dove la pelle era più sensibile: infatti persino un uomo grande e grosso come lui continuava a storcere il naso mentre cercavo di pulire la ferita.
- A fare cosa? - domanda lui in un primo momento, prima di guardarsi rapidamente intorno – Aaah, parli del pollo? - chiede poi, con fare retorico – Beh... - aggiunge un secondo più tardi, completamente nel pallone.
Sospiro, rassegnata. - Era un altro dei tuoi esperimenti? - gli chiedo allora. In fondo, è solamente la terza volta in una settimana che per poco non ci fa saltare tutti in aria.
- No no, niente del genere – risponde, storcendo di nuovo la bocca per il dolore, nonostante stia cercando di fare piano – Ma la settimana scorsa il forno si è rotto, così ho provato a ripararlo...ma misà che ho peggiorato la situazione – spiega alla fine con tono innocente, quasi fanciullesco.
Doppiamente rassegnata, scuoto leggermente il capo, procedendo poi per applicare il bendaggio che avrebbe dovuto tenere almeno per una settimana. - Cambia le bende ogni 2 giorni e controlla sempre che siano pulite, o rischierai una grossa infezione – gli consiglio, alzandomi dalla sedia dove era rimasta fino a quel momento – E chiama qualcuno in grado di riparare il forno come si deve – aggiungo, chiudendo alla fine al mia cassetta del pronto soccorso, che Sebastian aveva portato alla Residenza da casa mia.
- Agli ordini! - risponde solamente, alzandosi a sua volta e facendomi il saluto da bravo militare. Mi domando tra me e me se sia mai stato davvero nell'esercito.
Finny, il “giardiniere”, era quello che fino a quel momento mi aveva dato meno problemi di tutti: in linea di massima, l'avevo aiutato solamente con lividi oppure con graffi che rischiavano di infettarsi, mai niente di troppo serio. E neanche quella volta era uscito dagli schemi, non di molto almeno.
- E' tanto grave? - mi chiede qualche secondo più tardi, osservandomi mentre decidevo per il da farsi.
- E' solo un taglio, dovrò pulirlo così che non si infetti – ammetto – Per il resto, guarirà in pochissimo tempo – mormoro poi, prendendo delle bende pulite e qualcosa per pulire al ferita dalla mia borsa. Nel frattempo mi guardo distrattamente intorno, notando solo allora un paio di cesoie a terra. - Stavi provando a potare le rose del giardino, vero? - gli chiedo, anche se so bene che è quello il motivo del suo piccolo incidente.
- Hum? - mugugna, sollevando lo sguardo verso di me in quello stesso momento – Hum, sì..volevo portarne qualcuna dentro, per ravvivare un po' l'ambiente – ammette – E poi hanno un buon odore, pensavo che avrebbe fatto piacere a tutti -.
Non so bene quanti anni abbia Finny, ma non può averne più di 15, o almeno credo. - Penso che sia un ottima idea – ammetto – Magari appena medichiamo questa ferita posso darti una mano, faremo prima in due...e potrò anche controllare che tu non ti faccia male di nuovo – propongo, cominciando in quello stesso momento a bendargli il braccio ferito, lasciando che la benda aderisca bene alla pelle ormai pulita.
- Davvero mi vuoi aiutare? - chiede qualche secondo dopo, non del tutto sicuro.
- Certo, mi farebbe piacere – rispondo senza mezzi termini, annodando l'estremità della benda così che possa reggersi per i successivi due giorni, prima di cambiarla, se necessario.
- Allora è deciso! Potiamo un po' di rose! - esclama, praticamente al settimo cielo, mentre mi appresto a seguirlo dopo aver preso le cesoie che erano cadute a terra.
Durante la nostra assenza eravamo riusciti a potare abbastanza rose da addobbare l'intera residenza, e tutti i presenti sembravano aver apprezzato quel gesto, persino Ciel.
- Spero solamente che il profumo non attiri troppi insetti – aveva commentato ugualmente, solo con tono meno odioso del solito.
Mey-Rin, la “cameriera”, era la più sbadata di tutte, proprio come mi era già stato detto un po' da tutti, in verità. Sembrava quasi che andasse nel panico anche col più minimo degli incarichi e anche se all'inizio sembrava non avere problemi con quello che le si chiedeva, alla fine qualcosa succedeva sempre: cadute dalle scale, interi servizi da pranzo distrutti o addirittura tende in fiamme. In pratica, con lei in giro non stavo mai ferma.
Quella volta in particolare aveva finito per slogarsi una caviglia, dopo essere caduta dalla scala con la quale stava lucidando i vetri dell'immenso soggiorno.
Miracolosamente, nonostante l'altezza, non c'erano segni di rottura. - Sta tranquilla, non è rotta – le comunico immediatamente, inginocchiata a terra esattamente accanto al suo piede – Ma temo che dovrai stare ferma almeno un paio di giorni – aggiungo.
- DUE GIORNI?! - esclama lei all'istante, sempre dietro i suoi spessi occhiali da vista – E come farà il padroncino Ciel senza di me per due giorni? - mi chiede subito dopo, disperata.
- Non preoccuparti – la rassicuro – Sono sicura che Ciel capirà e nel frattempo posso svolgere io le sue mansioni – mi propongo, dal momento che, nonostante gli incidenti quotidiani, spesso me ne stavo per lunghe ore nella mia stanza senza fare niente di concreto, almeno fino alla cena.
- Davvero lo faresti? - è tutto quello che mi chiede, senza parole.
Le rivolgo un sorriso sincero, annuendo subito dopo. - Certo, almeno mi renderò utile – ammetto – E questi due giorni passeranno in un baleno – aggiungo.
- Non so davvero come ringraziarti, Yuki! - esclama poi nuovamente, quasi al limite delle lacrime.
- Promettimi che starai buona al letto per due giorni e non dovrai farlo – mormoro poi.
- Promesso! - risponde poco dopo, restando poi perfettamente immobile nella sua posizione, sul pavimento freddo.
- Bene, dovrò fasciartela purtroppo...e dovrai tenerla sempre sollevata, su un cuscino magari, così che l'edema possa ridursi in poco tempo – le consiglio.
- Capito! - ammette, ma penso comunque tra me e me che ogni tanto andrò a controllarla, giusto per essere sicura che non si scorsi niente.
- Allora mi servono solamente.. - accenno, facendo per alzarmi.
- Bende e un paio di stecche? - domanda una voce esattamente dietro di me, prima che mi volti per affrontare Sebastian e il suo essere sempre pronto ad ogni evenienza. Vederlo in piedi a qualche passo da me con in mano tutto quello che mi occorre mi da stranamente sui nervi.
- E del ghiaccio – aggiungo, felice che si sia dimenticato qualcosa – Per il gonfiore – spiego subito dopo, accettando sia le bende che le stecche, pronta per immobilizzare meglio che posso la povera caviglia.
- Me ne procurerò subito un po' – risponde poi, prima di allontanarsi per lasciarsi di nuovo sole nell'immenso corridoio – Poi lo porterò direttamente nella camera della signorina Mey-Rin – aggiunge poi, quando ormai pensavo che non avrebbe più aperto bocca.
Mentre fascio con cura la caviglia di Mey-Rin, mi rendo conto che da quando mi sono trasferita nell'immensa Residenza, i miei contatti con Sebastian sono stati quasi minimi, senza contare il nostro ultimo incontro, durante il quale mi aveva raccontato ulteriori dettagli sulla mia vita.
Il solo pensiero di quei genitori che non avevo mai conosciuto mi rendeva triste, anche se non conoscevo neanche i loro visi, o i loro modi di fare, o cosa gli piaceva...sapevo solamente che mia madre era stata un'umana e che mio padre era stato un demone, come se questo sarebbe mai potuto bastare alla mia enorme curiosità.
- Non so molto sulla sua madre biologica – aveva ammesso, senza celare quella verità – Ma conoscevo suo padre, per la sua fama almeno... - aveva poi aggiunto, restando immobile al centro della stanza.
Io, dal canto mio, ero rimasta seduta sul davanzale della finestra tutto il tempo, in preda alla foga di sapere. - Come si chiamavano? - gli avevo poi chiesto – I miei genitori..come si chiamavano? -.
- Victoria O'Connell e Tobias Morgenstein – aveva risposto praticamente subito, continuando a tenere entrambe le mani dietro la schiena, così da mantenere la sua postura perfetta – Di suo padre ho sentito parlare spesso, ma non sapevo della parte dove si era dato alla fuga con un'umana -.
- “Dato alla fuga”? - avevo chiesto, confusa – Che vorrebbe dire? -.
- Vuol dire che per noi demone è proibito avere relazioni con degli umani, ci è proibito legarci con chiunque non sia un demone – aveva specificato alla fine – Devono aver avuto una vita decisamente interessante, sempre in fuga per la loro vita -.
- E' per questo che sono morti? Sono stati uccisi perché stavano insieme? - il mio tono era diventato via via più lieve ogni volta che ponevo una domanda diversa. Per qualche motivo, ero triste come non mai per quelle persone che non avevo mai visto...e il dolore sembrava non voler cessare a breve. Anche perché sapevo che la storia era ancora lunga.
La risposta a quella domanda ovviamente era “sì”: un umano e un demone non potevano assolutamente stare insieme, e la pena in un caso del genere era la morte, uguale per tutti anche tra i demoni.
Con mia madre era stato semplice, era una ragazza di 23 anni alta e coraggiosa, ma il demone che l'aveva portata via era più di grande e forte. Con mio padre invece era stata tutta un'altra storia: dopo la morte della sua amata aveva perso completamente il senno, lottando finché le forze non l'avevano abbandonato. Questo era quello che si raccontava tra i demoni, e questo era quello che sapeva Sebastian: se quella era davvero la verità non potevo saperlo, ma avevo come l'impressione che in vita fosse stato un personaggio di spicco, un demone decisamente importante.
- Era praticamente il braccio destro del re – aveva detto Sebastian, chiarendo subito quel mio dubbio – Per questo la notizia del suo tradimento era parsa tanto strana ad ognuno di noi – aveva poi ammesso – Mi domando ancora oggi cosa lo abbia spinto ad un gesto tanto stupido – erano state le sue ultime parole, che avevano immediatamente catturato la mia attenzione, facendomelo odiare in quel momento ancora più del solito.
- L'amore, forse? - avevo sbottato subito, cercando di calmare quell'istinto che mi diceva di alzarmi per schiaffeggiarlo.
- I demoni non provano amore – aveva messo in chiaro, sottolineando con una certa enfasi quell'ultima parola – Non è qualcosa che ci interessa, né penso che ci interesserà mai – aveva aggiunto, con un semplice gesto della mano.
- Come le pare – avevo risposto solamente, tornando a guardare fuori dalla finestra, come se il panorama fosse davvero interessante, invece che semplice e monotono – Se hai finito di raccontare preferirei stare da sola, ho bisogno di riposare – avevo messo in chiaro, senza più rivolgergli il minimo sguardo.
- Come preferisce – erano state le sue ultime parole, prima di aggiungere con il solito tono formale un semplice “Buonanotte, signorina Yuki”.
E così io, Yuki Yoshimura...o meglio, Yuki Morgenstein, ero figlia di un umana e di un demone, che mi avevano concepito durante la loro breve ma intensa relazione, prima di essere scovati dai demoni che gli davano la caccia senza sosta. Il nome lo aveva scelto mio padre però, perché ero nata in una fredda sera d'inverno, durante la prima nevicata dell'anno: “Yuki” come “Neve” era appropriato, in fondo.
Per quanto ne sapevo, entrambi erano morti in quelle circostanze e in quel momento tutto quello che desideravo era una loro foto...per poterli vedere almeno una volta nella vita.
Dentro di me avevo sempre saputo di essere stata adottata, ma ormai quello che era sempre stato un semplice sospetto era diventato una certezza, una cosa con la quale dovevo fare i conti.
Mi desto finalmente dai miei pensieri quando ormai ho finito di fasciare la caviglia con le due stecche che Sebastian mi ha portato, approfittando di un paio di secondi per osservare il mio lavoro. - Perfetto, ti aiuto ad alzarti – mi offro allora, sollevandomi dal pavimento per raggiungerla ed aiutarla. Quei movimenti non sembrano provocarle grandi gemiti di dolore, particolare che mette subito in chiaro quanto la slogatura sia lieve.
- Oh, non fa così male – ammette infatti poco dopo, camminando con il piede sano fino alla sua camera, mentre la sorreggo come posso.
- Te l'ho detto, è una slogatura lieve...se rimani ferma per un paio di giorni non avrai problemi – le ricordo.
Una volta raggiunta la sua camera la aiuto a stendersi, posizionando poi esattamente sotto il suo piede un cuscino decisamente pieno, in modo che resti sollevata.
Il ghiaccio che avevo richiesto, ovviamente, è già nella stanza, posato sul comodino accanto all'enorme letto. - Metti il ghiaccio sopra alla parte gonfia e tienilo finché puoi, così ci metterà ancora di meno a guarire – ripeto ancora una volta, per essere sicura che abbia capito.
- Lo farò! - promette subito.
Le sorrido allora, pronta comunque a passare per la sua camera per dei veloci controlli di tanto in tanto. - Allora riposati, parlerò con Ciel e lo informerò delle tue condizioni – mormoro, prendendo nuovamente la mia borsa per uscire dalla stanza.
- Spero tanto che non si arrabbi.. - sono le sue uniche parole, mentre comincia a rilassarsi nel letto.
- Non lo farà, tranquilla – le prometto, poco prima di lasciarla da sola.
Diretta all'ufficio del giovane rampollo, non posso che pensare a quanto la servitù della Residenza Phantomhive sia strana; insomma, nessuno di loro sembra essere in grado di svolgere i compiti che i loro titoli di cuoco, giardiniere e cameriera richiedono...è come se fossero stati assunti sulla buona parole di qualcun'altro, senza che nessuno si accertasse veramente delle loro capacità. In ogni caso Ciel, anche se ancora decisamente giovane, non sembra affatto stupido, e nonostante la simpatia che ormai provo per ognuno di loro tre, mi domando come mai non abbia mai pensato di assumere qualcuno di un po' più competente.
Decido che glielo domanderò solamente quando ormai sono di fronte all'enorme porta del suo studio, poco prima di bussare per tre volte.
Attendo qualche secondo, finché non lo sento dire “Avanti” con il suo solito tono scocciato. Per un momento penso di non entrare, ma so che non è la cosa migliore da fare.
Apro così in quello stesso momento la porta, abbassando l'enorme maniglia per poi fare il mio ingresso nella stanza. Ovviamente Sebastian è lì, intento a servire il thè e quella che sembra una torta al cioccolato al suo padrone.
- Disturbo? - domando, chiudendo subito dopo la porta alle mie spalle.
Dedito alle sue buone maniere, non ammetterebbe mai che lo sto disturbando, neanche se davvero così fosse. - Nessun disturbo – ammette infatti poco dopo – E' successo qualcosa? A parte i soliti incidenti quotidiani, ovviamente.. - chiede, intrecciando entrambe le mani prima di posarvici il mento sopra, assumendo la sua solita posizione.
- No, è tutto apposto – ammetto, avvicinandomi poi alla scrivania, tenendomi comunque ad una certa distanza – Volevo solamente informarla che la signorina Mey-Rin si è slogata una caviglia e per un paio di giorni sarà costretta a letto – aggiungo, tenendo entrambe le mani dietro alla schiena.
- Un paio di giorni? E' davvero necessario? - mi domanda, con tono distaccato e quasi noncurante.
- Sì, altrimenti peggiorerà e potrebbe impiegare settimane per guarire, invece che giorni – rispondo – Per questo motivo ho pensato di occuparmi io dei suoi compiti, almeno finché non si rimetterà – propongo, sperando che accetti quella mia proposta. In fin dei conti è l'unica possibilità che ha: non penso che arrivi al punto di costringere Mey-Rin a scendere dal letto nonostante le fitte.
- Vuole occuparsi dei compiti di Mey-Rin? - mi chiede poi, come se fossi stata poco chiara con quelle mie parole.
- Se non ci sono problemi, sì – rispondo – Così il gonfiore avrà il tempo di sparire insieme alle fitte – aggiungo poi, restando in attesa.
Mentre aspetto, osservo per un momento Sebastian, che sembra sorpreso da quelle mie parole: pensa forse che non sarò in grado di fare la cameriera per un paio di giorni? Beh, anche se così fosse, si sbaglia di grosso.
- Così sia – risponde dopo qualche secondo di pausa, rivolgendosi nuovamente a me, non prima di essersi rilassato contro lo schienale della sua sedia – Ma la signorina Mey-Rin dovrà tornare alle sue mansioni non appena potrà, chiaro? - chiede.
- Senza dubbio – gli assicuro.
- C'è altro? - domanda, compilando nel frattempo un documento, mentre con la mano libera riesce addirittura a sorseggiare il suo thè. Fa quasi paura.
- In effetti sì – rispondo, prendendo alla sprovvista entrambi.
Da quando sono arrivata ho fatto decisamente poche domande, concentrandomi piuttosto sullo stare lontana ad entrambi il più possibile, cosa che alla fine avevano anche notato.
- E sarebbe? - mi chiede, visibilmente interessato per la prima volta da quando l'ho incontrato. E lo stesso vale per il suo fedele maggiordomo.
- Perché ha assunto gente come Bard, Finny e Mey-Rin? - è la mia domanda, come mi ero già prefissata di chiedere.
Dai loro sguardi capisco che era decisamente l'ultima domanda che si aspettavano da me, sicuramente a causa del mio comportamento schivo. Spero non si facciano cattive idee su una mia possibile e improvvisamente gentilezza nei loro confronti, oltre a quella misera che gli avevo concesso da quando avevo messo piede in quella casa.
- Perché mi fa questa domanda? - è tutto quello che riesce a dire, in un momento di confusione. Quasi non ci credo, Ciel Phantomhive impreparato.
- Perché è chiaro che nessuno di loro è tagliato per il ruolo che dovrebbe ricoprire – rispondo tutto d'un fiato, prima che quella risposta perfetta mi sfugga di mente – Insomma..Bard da fuoco alla cucina almeno 3 volte alla settimana, Finny non fa altro che ferirsi con gli attrezzi che dovrebbe sapere usare anche ad occhi chiusi e Mey-Rin non è in grado di servire la cena senza rompere almeno la metà dei piatti – aggiungo, spiegando meglio il mio punto di vista, alla ricerca di una risposta esaustiva – Non sono esattamente la servitù che ci si aspetterebbe in una Residenza del genere – concludo, restando sempre a debita distanza da loro.
L'unico lato positivo dell'averli sempre intorno è che i miei istinti sembrano spariti del tutto, cosa sulla quale né Ciel né Sebastian hanno mentito, per fortuna.
- Nessuno mi aveva mai fatto una domanda del genere, sa? - mi chiede retoricamente.
- Perché nessuno è mai rimasto abbastanza a lungo da accorgersene, immagino – mormoro, dando voce ad un pensiero che mi aveva tormentato per giorni.
- In effetti sì, è proprio per questo – risponde – In ogni caso, le basti sapere che loro sono una garanzia per me – aggiunge – Non saranno tagliati per i ruoli che svolgono in questa Residenza, ma le assicuro che ognuno di loro ha un talento nascosto che mi fa sempre piuttosto comodo – conclude, restando fastidiosamente sul vago.
- Immagino che non possa essere più specifico al riguardo – azzardo, anche se conosco la risposta.
- Se resterà con noi abbastanza a lungo lo vedrà da sé, prima o poi – è tutto quello che mi concede – Sebastian le farà avere una divisa simile a quella della signorina Mey-Rin il prima possibile – aggiunge poi poco dopo.
- D-divisa? - balbetto, quasi inorridita – Non posso occuparmi delle sue mansioni e tenere i miei vestiti? Quel completo mi sarà solamente d'intralcio – gli faccio notare. Forse è proprio per questo che Mey-Rin inciampa, cadendo di continuo.
- Che razza di cameriera non indossa la sua divisa? - risponde, guardandomi poi con quello che sembra una sguardo di sfida. E' come se si divertisse a farmi arrabbiare, e a darmi noia in generale: e pensare che è stato lui a proporre questo mio trasferimento, per “non fare del male agli altri”.
- Una semplice sostituta? - domando di tutta risposta, quasi a denti stretti. Oh no, conosco fin troppo bene questa sensazione...ma non ha senso, loro sono entrambi demoni, perché la sto provando di nuovo?
- Divisa, oppure la signorina Mey-Rin dovrà alzarsi dal letto nonostante la slogatura – mormora, tornando ad occuparsi solo e solamente dei documenti sotto il suo naso. “Stupido ragazzino”, penso tra me e me, decisamente troppo arrabbiata per la situazione che sto affrontando.
In un secondo, i miei occhi cominciano a bruciare lievemente e faccio un passo in avanti prima di rendermene conto: dentro di me so solamente che è come quanto ho quasi rotto il polso ad Eliza.
Gli occhi continuano a bruciarmi e prima che possa fare qualsiasi cosa di cui potrei pentirmi, Sebastian è alle mie spalle, mentre mi blocca entrambi i polsi, improvvisamente sollevati per aria. Neanche mi sono accorta di averlo fatto: sono praticamente in posizione di combattimento, decisamente più vicina alla scrivania e a Ciel di prima.
- Si calmi, signorina Yuki – mi ordina lui, facendo in modo che non possa muovermi minimamente.
- Mi lasci andare – ordino a mia volta, ancora accecata da quell'improvvisa rabbia che ancora mi ribolle dentro, mentre Ciel non sembra per niente turbato da quello che sta succedendo sotto i suoi occhi, anche se ha abbandonato la sua comoda sedia per alzarsi in piedi.
- Le consiglio di controllare il colore dei suoi occhi, guardi che cosa sta diventando – è il suo successivo ordine, mentre non accenna minimamente a mollare la presa dai miei polsi.
Per fortuna una parte del mio cervello è ancora in grado di prendere decisioni razionali, esattamente come quando avevo lasciato andare Eliza, per poi scappare da casa.
Solo grazie a quel particolare sono in grado di sollevare lo sguardo, accantonando per un momento la mia rabbia per guardarmi riflessa nell'enorme finestra proprio di fronte a me e quello che vedo mi spaventa decisamente: i miei occhi sono rossi, di un rosso scrarlatto e innaturale. Improvvisamente, Sebastian lascia andare i miei polsi e con un scatto all'indietro mi ritrovo a terra, mentre li copro entrambi con le mani, pregando che quell'improvviso bruciore si plachi presto.
- Cos'è questa storia?! - sbotto allora, continuando a tenerli entrambi coperti, arrivando quasi alle lacrime per quel dolore lancinante.
- Un altro effetto collaterale, immagino – risponde Sebastian, chino di fianco a me, anche se non posso vederlo al momento.
- Immagina?! - sbotto di nuovo – Cosa vuol dire “immagina”?! -.
- Voglio dire che non avevo idea che una cosa del genere potesse succedere – risponde, alzando leggermente la voce dopo quel mio piccolo sclero – Imparerà a controllarsi col tempo, come per tutto il resto – aggiunge poi, aiutandomi ad alzarmi da terra.
- Pensavo che con voi non avrei avuto problemi di controllo, aveva detto che quelli si limitavano agli umani! - gli ricordo. Se non ho una crisi di nervi ora probabilmente non ce l'avrò mai più per il resto della vita.
- A quanto pare mi sbagliavo – ammette, e questo si che deve essere stato difficile da dire per lui – Deve capire che non ho mai incontrato qualcuno come lei prima d'ora, è un campo dove sono decisamente inesperto – ammette ancora poco dopo – Può aprire gli occhi, per favore? Il demonio non voglia che abbia perso la vista -.
A quelle parole rabbrividisco: non sopporterei di perdere la vista, è il mio senso migliore.
Lentamente riapro così gli occhi, cercando di abituarmi nuovamente alla luce pomeridiana, ma cominciando da subito a mettere a fuoco i vari oggetti della stanza, Sebastian compreso.
- Ci vede? - mi chiede comunque.
- Sì – rispondo subito – Ci vedo – confermo.
- Bene – conclude, tenendomi il viso sollevato per osservarmi meglio. Per un momento noto qualcosa di diverso nei suoi occhi: sembra quasi preoccupato.
Ma preoccupato lui per me? Prima dovrebbe nevicare all'inferno, come minimo.
Una volta messo in chiaro che è tutto apposto, non posso che voltarmi per scusarmi con Ciel, che in tutto quel tempo è rimasto comunque dietro alla sua scrivania, al sicuro.
In ogni caso, mi interrompe proprio quando stavo per parlare. - Non c'è bisogno che si scusi, in fondo è tutto nuovo anche per lei – mormora, mantenendo il suo tono pacato anche in questa situazione tutto che normale.
Nonostante quelle parole, chino leggermente la testa, mortificata. Certo, i suoi comportamenti mi danno fastidio, ma anche io so quali sono le buone maniere...e in questo caso sono io quella in torto. E' giusto così.
- Torni pure nella sua stanza, Sebastian, accompagnala – mormora poi, liquidandoci entrambi con una semplice frase – Ho del lavoro da finire in ogni caso – ci informa poi, tornando a sedersi.
Senza farmelo ripetere due volte, mi avvio verso la porta, seguita a ruota da Sebastian.
- E per questa volta farò un eccezione per la divisa, ma per la signorina Mey-Rin le cose non cambieranno – aggiunge alla fine, quando ormai sto per uscire.
Con la coda dell'occhio, noto che Sebastian sta sorridendo, decisamente divertito.
- Grazie – riesco a mormorare soltanto, uscendo poi una volta per tutte dalla stanza.
Nel tragitto fino alla mia camera non lascio mai che Sebastian mi superi, né tanto meno che mi affianchi. Quando ormai però siamo arrivati, una parte di me si sente in dovere di ringraziarlo: in fondo è stato l'unico in grado di raccontarmi qualcosa dei miei genitori naturali, dopo aver passato una settimana a chiedere in giro, a detta sua.
D'altro canto, lui è la stessa persona che mi avrebbe volentieri ucciso, se non fosse stato per la storia del “non hai l'anima”.
“Questo è esattamente il motivo per il quale non hai idea di come comportarti”, è il mio primo pensiero, mentre scuoto impercettibilmente la testa.
Alla fine mi volto, scoprendo che è ancora alle mie spalle, come se fosse in attesa. - Posso sapere perché in questi giorni ha fatto di tutto per evitarmi? - mi chiede, prendendomi allora alla sprovvista.
“Cosa? Ma che razza di domanda è?!”, grida il mio cervello, confuso più che mai.
- Non le pare ovvio? - rispondo, trovando le parole senza balbettare a caso.
- E' ancora per quando ho tentato di ucciderla? - chiede allora, assumendo la faccia di qualcuno visibilmente sconvolto da quell'ipotesi.
- Oh beh, forse per lei sarà una cosa facile da lasciar passare, ma io sono più che certa che me la legherò al dito – ammetto, mettendo in chiaro le cose – E comunque ho preferito evitarvi che fare la carina con le persone che mi hanno costretta a trasferire tutta la mia vita in quest'enorme Residenza – sbotto poco più tardi, dando voce alla bocca prima di aver riacceso il cervello.
- Costretta? - esclama allora, mettendo da parte la sua innata compostezza – Nessuno l'ha costretta a fare niente, immaginavo solo che preferisse stare qui piuttosto che uccidere a sangue freddo sua sorella – mi ricorda, anche se per tutto quel tempo ho saputo di essere in torto. Ho parlato troppo presto, prima ancora di rendermi conto di quello che stavo per dire.
- Mi dispiace.. - mormoro allora – Ha ragione lei...nessuno mi ha costretta – aggiungo poi – E' solo che...non riesco a digerire la storia della mia anima assente.. - ammetto, rendendomi conto di quel particolare per la prima volta da quando ho lasciato casa mia. Sono stata talmente impegnata con i vari incidenti domestici che quasi non ho pensato per niente a quella storia tanto assurda.
- Lo so, non oso immaginare quanto sia difficile per lei in questo momento – mormora, posando poi una mano sulla mia spalla. Sollevo così nuovamente lo sguardo, presa alla sprovvista da quel gesto: all'improvviso sono di nuovo divisa in due, con da una parte la voglia di scansarmi e dall'altra la voglia di sapere di più su quello che sono. - Ma le prometto che cercherò di scoprire il più possibile sulla sua condizione – aggiunge poi, rivolgendomi un sorriso dopo aver piegato leggermente la testa di lato.
E' decisamente più amichevole del solito.
Non sapendo come rispondere, rimango in silenzio, finché la sua mano non lascia la mia spalla, tornando nella sua naturale posizione. - Se vuole davvero prendere il posto di Mey-Rin mentre lei si rimette mi raggiunga un'ora e mezza prima della cena nella cucina al piano di sotto, avremo molto da fare per la cena di stasera – mi informa, cominciando poi ad allontanarsi nel corridoio, fino a scomparire dalla mia vista.
Non appena entro nella mia camera mi dirigo verso il camino acceso, contemplando le fiamme per qualche secondo, mentre finalmente mi scaldo; gli occhi non mi bruciano più e quel riflesso rosso è ormai sparito del tutto.
E' già la seconda volta che ho paura di me stessa al punto di tremare.
In ogni caso non posso andare avanti così: se volevo anche solo sperare di avere una vita normale almeno la metà di quanto lo era la mia precedente, dovevo prima di tutto cambiare i miei comportamenti. Persino quel mio piccolo battibecco con Sebastian poteva essere un buon inizio, per lo meno gli rivolgevo la parola.
Da quel momento in poi, dovevo cercare in tutti i modi di scoprire il più possibile su quello che ero e smetterla di allontanare le uniche due persone che potevano aiutarmi con quella grossa incognita della mia vita.

 

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Capitolo 8
*** Akuma ***


Avevo scoperto con mia grande sorpresa che fare la cameriera non era poi così male, e per quei due giorni in cui avevo sostituito Mey-Rin niente era andato storto.
A parte una cosa, che non sapevo ancora bene come definire.
- Devo davvero arrampicarmi fin lassù? - avevo chiesto senza esitazioni, indicando poi tutto tranne che tranquilla la vetta dell'enorme scala che in quel momento era posta esattamente accanto ad una delle enorme libreria di cui la Residenza Phantomhive sembrava essere praticamente piena.
- C'è qualche problema? - mi aveva allora chiesto Sebastian, nella sua solita -quanto fastidiosa- postura dritta.
- E' alto – avevo risposto semplicemente, sempre più contrariata all'idea di dover salire qualcosa come 30 scalini per poi trovarmi ad una distanza spropositata dal pavimento.
- Il padroncino ha bisogno di quei libri, quindi è nostro dovere prenderglieli – era stata la sua unica risposta.
- E non può farlo lei? -.
- Si rende conto che questa conversazione ci sta solamente facendo perdere tempo? - mi aveva poi chiesto, quasi senza avermi fatto finire la frase, sfoderando poi il suo immancabile orologio da taschino, il quale ticchettava ad ogni secondo, scandendo il tempo.
- Soffro di vertigini – avevo così sbottato, ricevendo di tutta risposta un'occhiata contrariata.
- No, non è vero – aveva messo in chiaro, mettendo anche in luce che stavo chiaramente mentendo.
Non soffrivo di vertigini, ma l'altezza non mi piaceva comunque.
- Tic-tac – aveva così mormorato, distogliendomi dai miei pensieri per tornare immediatamente alla realtà.
- Va bene! - mi ero arresa alla fine, afferrando gli estremi della scala per cominciare a salire, ancora poco convinta – Va bene – avevo ripetuto, questa volta più a me stessa che a lui. Gli scalini sopra di me sembravano infiniti e dentro di me speravo solamente che, una volta lassù, non avrei guardato neanche per un secondo di sotto.
Ma conoscendomi, sarebbe andata esattamente così.
Per lo meno -e per mia fortuna- stavo indossando i miei amati pantaloni, e non quella stupida divisa, per la quale avevo perso la pazienza in quel modo tutto tranne che normale. Da quando era successo persino l'intrepido Ciel mi aveva evitato il più possibile, chiamandomi solamente quando serviva e non una volta di più.
Sebastian, d'altro canto, mi era rimasto incollato, ma sapevo che era solamente per controllarmi 24 ore su 24, per essere sicuro che non perdessi di nuovo il controllo per qualcosa di futile.
In fondo, neanche io mi fidavo più di me stessa...non sapevo mai se avrei perso il controllo, se mi sarei comportata bene o se avrei addirittura ucciso qualcuno. Non pensavo più razionalmente, e forse il fatto di averlo addosso di continuo poteva davvero essere una benedizione. Nonostante tutto.
- Come si chiamano questi dannati volumi? - avevo chiesto, senza perdere la presa dagli infiniti scalini, mentre ormai ero abbastanza in alto per cominciare a cercarli. La scala era stata posizionata dove teoricamente dovevano trovarsi, e speravo vivamente che Sebastian non si fosse sbagliato. O magari avrei potuto perdere il controllo il tempo necessario per fargli cadere un volume di 5kg in testa, sempre che l'avessi preso.
A quel pensiero avevo sorriso immediatamente, immaginando nella mia mente quella situazione, mentre la sua risposta era arrivata poco dopo. - “Magia Nera e Riti Occulti dell'Epoca Vittoriana” di Sir. James Hatkinson e “Ricche Famiglie dell'800: l'enciclopedia” di Sir. Howard Alloy – erano state le sue parole, che mi avevano lasciato decisamente sorpresa.
Magia Nera? Riti Occulti? Ricche Famiglie? Cosa stava combinando esattamente Ciel?
In quel momento, senza ascoltare il mio buonsenso, mi ero sporta dalla zona sicura per guardare Sebastian appena sotto di me, che sembrava tenere in mano un semplice pezzo di carta, sul quale aveva sicuramente appuntato i titoli appena citati. - Cosa diavolo sta combinando Ciel? - avevo domandato, un attimo prima di rientrare all'interno della zona sicura, tremante. Pessima idea, Yuki.
- Non ne sono ancora al corrente, ma immagino che lo sapremo presto – aveva risposto – Allora, i volumi sono lì? - aveva poi aggiunto, lasciandomi il tempo di controllare.
- Ci sono – ero stata in grado di rispondere dopo qualche secondo, trovando entrambi i volumi sullo stesso piano, a poca distanza l'uno dall'altro. Non gli avrei tirato nessun libro da 5kg in testa quel giorno, peccato.
- Se glieli lancio li prende al volo? - gli avevo poi chiesto, sarcastica, mentre posavo il primo volume sull'ultimo gradino della scala, sul quale per mia fortuna non ero dovuta salire.
- Divertente – era stata la sua unica risposta, mentre attendeva con la solita aria stampata in faccia. A volte sembrava letteralmente inespressivo; l'unica volta che gli avevo visto uno sguardo diverso era stato quando mi era parso preoccupato per quello che mi stava succedendo, ma dubitavo che la cosa si sarebbe ripetuta: non era un tipo che si lasciava andare facilmente.
- Bene, scendo – ero stata poi grata di ammettere, dopo aver ormai preso entrambi i volumi. Il peggio sembrava passato, ora dovevo solamente scendere scalino per scalino per toccare di nuovo terra, non sembrava una cosa difficile.
Ma il problema era sorto a quel punto.
Avevo cominciato a scendere da nemmeno un secondo che subito un violento dolore alla testa mi aveva assalito, facendomi quasi perdere la presa sia dai libri che dalla scala, ma era durato un secondo, come se qualcuno mi avesse appena sparato.
Riacquistato l'equilibrio, ero anche stata in grado di udire le parole di Sebastian. - Tutto bene, Signorina Yuki? - mi aveva chiesto, abbandonando per una volta il suo solito tono di voce.
Avevo così preso un respiro profondo, chiudendo per un momento gli occhi. - Si, tutto bene – avevo risposto, scuotendo poi leggermente la testa, per cacciare quel dolore tanto improvviso.
- Cos'è successo? - era stata la sua successiva domanda, come se io stessa conoscessi la risposta.
- Non ho idea – fu infatti tutto quello che fui in grado di dire – Un dolore improvviso alla testa – avevo però aggiunto, mettendolo al corrente dell'unica cosa di cui ero sicura, dal momento che l'avevo provata vividamente.
- E' meglio che scenda subito – mi aveva poi suggerito, come se la cosa non fosse già abbastanza ovvia.
- Sto arrivando – erano così state le mie ultime parole – Arrivo – avevo aggiunto, in modo flebile, un attimo prima che tutto si facesse improvvisamente buio. Anche quella sensazione, però, era durata un secondo, il tempo necessario per perdere completamente la presa dalla scala; il mio cervello era come in dormiveglia, ma la cosa peggiore era che sapevo di stare cadendo, perché sentivo tutto intorno a me: era tutto rallentato, come se stessi raggiungendo il pavimento con la metà della velocità che avrei dovuto avere in quel momento. Era una sensazione terrificante.
Alla fine avevo chiuso gli occhi, perché sapevo che da un momento all'altro avrei raggiunto terra, e allora sarebbe stata la fine.
- Signorina Yuki! - avevo però sentito gridare, parecchio vicino – Yuki, mi senti? - aveva poi aggiunto quella voce, mentre finalmente riaprivo gli occhi, anche se a poco a poco.
Ero stesa per terra, esattamente come avevo immaginato, e Sebastian era riverso sopra di me: ero riuscita di nuovo a fargli cambiare espressione, sembrava preoccupato di nuovo. Doveva essere corso in mio soccorso, altrimenti la caduta mi avrebbe sicuramente uccisa: ma no, ero viva, il dolore alla testa di poco prima continuava a ricordarmelo.
- Che è successo? - avevo poi chiesto, appena ne ero stata in grado almeno, mentre provavo inutilmente ad alzarmi.
- Dovrei chiederlo io a lei – avevo risposto – Faccia piano – mi aveva poi ordinato, mentre mi sedevo a terra, ancora dolorante.
- Il mio cervello si è come spento.. - era stata la mia unica spiegazione, anche perché non avrei saputo che altro dire per spiegare quello che era successo – ..e sono caduta, immagino – avevo aggiunto, guardandomi intorno spaesata. Certo, ero salita per prendere dei libri, che ora erano entrambi sul pavimento, decisamente malconci.
- Perché non mi ha parlato di questa cosa? - era stata la sua unica domanda, mentre mi guardava con quello che sembrava decisamente disappunto. Ora sembrava arrabbiato: due espressioni in meno di un minuto era un record.
- Quale cosa? - avevo sbottato, ancora confusa dagli ultimi avvenimenti.
- Degli svenimenti – aveva risposto, rendendomi se possibile ancora più confusa.
- Sveni-no, no – avevo mormorato – Niente svenimenti, è la prima volta che mi succede – avevo poi ammesso, cercando di ricompormi, per quanto possibile. - Non ci capisco niente di queste cose da demoni, gliel'avrei detto subito se fosse già successo – avevo poi messo in chiaro, rialzandomi da terra a fatica.
Le sue successive parole erano arrivate dopo che avevamo recuperato i libri dal pavimento, assicurandoci che nessuno dei due fosse rotto.
- Questa non è una “cosa da demoni” - aveva ammesso, attirando subito la mia attenzione e facendomi voltare nella sua direzione – In effetti, dubito che sia normale per un demone svenire -.
Ci avevo così riflettuto su per qualche secondo, standomene in silenzio sola con i miei pensieri. - D'accordo, ma io sono per metà umana.. - avevo azzardato, riflettendo ad alta voce.
- Torni in camera sua – mi aveva ordinato alla fine, prendendomi dalle mani il libro che avevo recuperato dal pavimento – Ho bisogno di controllare se è davvero tutto okay – aveva aggiunto – Porterò io i libri al padroncino – erano state le sue ultime parole, prima di uscire dalla stanza senza aspettare che lo seguissi.
Così avevo ascoltato le sue parole, come mi ero ripromessa di fare, e nell'attesa avevo finito di scrivere una lettera per mia sorella, alla quale avevo aggiunto i pochi soldi che potevo permettermi di darle. Le chiedevo se stava bene e che mi dispiaceva dover essere lontana per così tanto tempo, ma che era la cosa migliore per entrambe.
Sarei tornata da lei non appena le cose si fossero sistemate, ma mi domandavo se sarebbe davvero mai successo.
Tutto quello che era stato poi in grado di dirmi Sebastian era che avevo un principio di febbre e che quindi sarei dovuta rimanere al letto almeno fino al giorno seguente. Una spiegazione sul perché fossi svenuta però non ce l'aveva: la sua ipotesi era che la mia parte senza anima a volte cercava di prendere il sopravvento, soprattutto a causa dei miei ultimi scatti d'ira, e che dovevo trovare un modo per bilanciarmi.
- E come dovrei fare? - gli avevo chiesto.
Solo allora mi aveva rivolto un sorriso, prendendomi alla sprovvista. - Troveremo una soluzione – aveva mormorato – Ora si riposi, e domani mattina mi raggiunga al giardino della rose alle 10 in punto – aveva aggiunto, lasciandomi da sola nella mia stanza.
Quello, in fondo, era stato l'unico incidente di quei giorni, che per la mia media non era poi tanto male.
Alla fine avevo dormito tutta la notte e il giorno seguente ero in piedi in tempo per l'appuntamento al giardino delle rose, anche se continuavo a domandarmi cosa avesse in mente.
Una volta raggiunto, l'avevo trovato lì ad aspettarmi, nonostante fossi in anticipo di 5 minuti.
- Da quanto è qui? - gli chiedo allora, chiudendo il piccolo cancello dietro di me. Non sembra esserci niente di diverso nel piccolo giardino, a parte una grossa coperta per terra. - Non molto – risponde allora, mentre io esamino ancora l'ambiente.
Solo in quel momento indico la coperta, con aria sinceramente confusa. - Cosa ha in mente? - gli chiedo allora, tornando poi ad incrociare le braccia.
Per la terza volta da quando l'ho conosciuto, mi rivolge un sorriso, esattamente come la sera prima. - Ipnosi – è allora la sua unica risposta, lasciandomi per qualche secondo in silenzio.
- Ipnosi – ripeto così, con l'aria di chi ha parecchi pregiudizi al riguardo. In fondo sono un medico, credo nella scienza e nelle scoperte, non nel chiudere gli occhi e respirare a tempo.
- Non sia così cinica – mi rimprovera allora, tirando fuori il suo orologio da taschino per controllare l'orario.
- Sono un medico, è impossibile per me non essere cinica davanti all'“ipnosi” - ammetto, sottolineando con una certa enfasi quell'ultima parola.
Con il suo solito fare inquietante -e fastidioso-, appare di nuovo alle mie spalle, facendomi sobbalzare mentre mi allontano con uno scatto. - Dovrà fare comunque un tentativo – ammette, spingendomi poi sempre di più verso la coperta riversa a terra.
- Non servirà a niente – ripeto comunque, finendo poi per sedermi controvoglia a terra.
- La smetta di lamentarsi e si sieda – sbotta, decisamente contrariato dal mio comportamento – Si metta pure comoda, non sarà una cosa veloce – aggiunge, mettendomi in guardia.
- D'accordo – mi arrendo alla fine – D'accordo – ripeto poco dopo, incrociando le gambe, pronta a sentire cosa aveva in mente. Non sapevo neanche come funzionava l'ipnosi speravo solo che non fosse una perdita di tempo.
- Bene, ora indossi questo – mi ordina, allungando verso di me quello che sembra un semplice ciondolo dorato, con una piccola pietra blu al centro – Senza fare domande – aggiunge poi in fretta, prima che possa dire qualsiasi cosa. Ormai anticipa persino le mie mosse, forse non sono più poi così furba.
Sospiro, afferrandolo poi per cominciare ad osservarlo: da vicino è decisamente carino, e a modo suo anche elegante, ma non posso non domandarmi quale sia il suo scopo. - Posso sapere a cosa serve? - chiedo tutto d'un fiato, prima che possa interrompermi.
A quel punto, al contrario di quanto avevo pensato, lo guardo sedersi esattamente davanti a me. - Ci aiuterà a parlare con la parte di lei in grado di commettere un omicidio a sangue freddo – spiega, con un tono praticamente privo di emozioni, finendo poi per incrociare le gambe alla mia stessa maniera.
Quella visione mi fa ridere immediatamente, anche se una parte di me prova a trattenersi: scoppio così quasi subito in una risata, mentre metto da parte solo temporaneamente la storia dell'entrare in contatto con la parte peggiore di me.
- Cosa c'è ora? - mi chiede all'istante, seduto dritto come un tronco di legno.
- E' che questa posizione non le si addice molto – ammetto senza mezzi termini, cercando nel frattempo di darmi un contegno.
- Si, forse ha ragione – ammette alla fine, dando una rapida occhiata alle sue stesse gambe, prima di tornare a rivolgersi a me – Ora indossi la collana, abbiamo molto lavoro da fare – aggiunge subito dopo, tornando professionale nel giro di un secondo. Ecco qual è forse la cosa che più mi inquieta del suo modo di fare.
Dopo aver annuito appena, faccio come mi dice, legando la catenina intorno al mio collo e lasciandola penzolare sopra la mia camicetta bianca: a primo impatto è leggermente più pesante di quello che avevo pensato. - Può spiegarsi meglio? - gli chiedo subito, pronta a qualunque verità avesse in serbo per me.
- Ovviamente – risponde, col solito tono gentile e dedito alle buone maniere – Quel ciondolo ci aiuterà a far uscire quella parte di lei che solo 24 ore fa avrebbe volentieri ucciso il padroncino pur di non indossare una divisa – spiega, sottolineando quella storia apposta. Probabilmente me lo rinfaccerà ogni santa volta.
- E perché dovremmo farla uscire? - domando, leggermente scettica a quel pensiero. Non è che vada molto d'accordo con la parte di me priva di anima.
- Non posso dirglielo, ma può immaginarlo -.
- Perché non può dirmelo? -.
- Perché anche se non è qui, il demone sta ascoltando le nostre parole esattamente come sta facendo lei – mormora – In fondo siete la stessa persona, e se prendesse il sopravvento sarebbe la fine – aggiunge, facendomi poi cenno di stare in silenzio, ponendo il lungo dito guantato davanti alle labbra – Quindi mantenga il segreto, va bene? -.
Dopo qualche secondo annuisco, cercando di liberare la mente per non pensare a quello che ha in mente di fare, cosa che è piuttosto ovvia. Porto così i miei pensieri altrove, a quella vita semplice che avevo prima che tutto questo iniziasse.
- Ora chiuda gli occhi, prego – mi ordina, e l'ultima cosa che vedo prima di ubbidire sono le sue mani che dall'interno della giacca tirano fuori quello che sembra un piccolo metronomo. Comincio a sentirne il ticchettio solamente qualche secondo dopo, mentre cerco di rilassarmi il più possibile. - Respiri normalmente, e cerchi di sgomberare la mente – aggiunge poco dopo, ma le sue parole arrivano a me quasi in un sussurro, come se fosse lontano rispetto a qualche secondo prima.
Comincio così a respirare a fondo, seguendo le sue indicazioni e sperando, dentro di me, che niente vada storto. Non voglio perdere il controllo.
- Può dirmi il suo nome completo? - mi chiede, dopo quella che sembra un'eternità.
- Yuki Yoshimura – rispondo, quasi automaticamente.
- Bene Yuki, sa perché stiamo facendo tutto questo? - domanda.
- Sì, ma non posso dirlo ad alta voce – ammetto, ascoltando solamente quel ticchettio che, in questo momento, è l'unica cosa su cui posso fare affidamento.
- Bene – ripete allora lui, e sono sicura che stia sorridendo di quella mia risposta – Adesso Yuki, mi piacerebbe parlare con l'altra, pensi di potermi aiutare? - mormora.
Solo in quel momento sento una voce nella mia testa, che quasi mi fa sobbalzare, se solo il mio corpo rispondesse ai miei comandi. - Dannato maggiordomo – mormora, con quello che sembra puro astio. Quelle parole mi danno subito i brividi, perché non sono stata io a pensarle.
- Ha detto “dannato maggiordomo” - riferisco, anche perché quelle parole escono dalla mia bocca prima che riesca a rendermene conto – Ma non sono state io a pensarlo.. - ammetto subito dopo, tenendo ancora gli occhi chiusi. Questa storia prenderà una brutta piega, lo so.
Lo sento allora ridacchiare appena. - Beh, io sono più un diavolo di maggiordomo – ammette, anche se non capisco quelle sue parole – Ma si può dire che io sia anche dannato – aggiunge, schiarendosi poi leggermente la voce – Senti la sua voce nella tua testa, vero? - mi chiede allora, tornando a rivolgersi a me.
- Sì – ammetto subito, con un tremolio nella voce.
- Perché non esci fuori, inutile demone – sono poi le sue successive parole – Hai forse paura di me? - gli chiede, perché ormai ha decisamente smesso di rivolgersi a me.
La voce nella testa mi fa rabbrividire di nuovo. - Chi mai potrebbe aver paura di uno come te, maggiordomo? - mormora.
- Chi ma potrebbe aver paura di uno come te, maggiordomo? - riferisco, stringendo i pugni. Non voglio più sentire quella voce, ma so che non è ancora finita.
- Se non hai paura perché allora non esci fuori? - chiede – Perché non mi affronti? - chiede poi subito dopo, con tono se possibile ancora più fermo – O sei in grado di prendertela solamente con persone che sai di poter ferire? - è la sua ultima domanda.
A quelle parole segue un lungo silenzio, durante il quale resto immobile nella mia posizione.
- Come Eliza per esempio – mormora qualche secondo più tardi, e il nome di mia sorella mi fa trattenere il respiro per una frazione di secondo. Per un momento penso che quelle sue ultime parole non avranno il minimo effetto sull'altra me, ma invece la voce torna a farsi sentire chiara e forte nella mia testa, costringendomi a stringere gli occhi per sopportarla.
- Non nominare mia sorella – ringhia quasi all'istante. La testa ora comincia a farmi addirittura male.
- Non nominare mia sorella – mormoro allora ad alta voce, ma all'improvviso non sono più io che parlo: no, ora sono semplicemente una spettatrice, che si può giusto limitare a guardare; lo scambio è appena avvenuto, e in fondo il piano di Sebastian ha funzionato alla perfezione.
- Dov'è Yuki? - le domanda poco dopo, intuendo immediatamente la situazione, ma restando comunque calmo: non è sulla difensiva, vuole solo parlare. Dentro di me, mi domando se lei gliene lascerà l'occasione.
- L'ho chiusa via come lei aveva chiuso via me – risponde – Come se fossi qualcosa di vecchio e logoro che può solo essere buttato – aggiunge, con fare sprezzante.
E' semplicemente odiosa, e pensare che è una parte di me quasi mi disgusta.
- Ti sei domandata perché ti ha chiuso via? - le chiede allora, cercando ovviamente di stuzzicarla. Da qui in poi non ho idea di che cosa voglia fare, né di quale sia la sua strategia...posso solo guardare, e la cosa mi spaventa più di ogni altra.
Una parte di me vorrebbe semplicemente riprendere il controllo, immediatamente, ma so che sarebbe un azzardo...devo solo fidarmi di Sebastian, e magari tutto andrà per il meglio. Bloccata in quello che sembra il corpo di un'estranea, cerco di farmi coraggio da sola, restando calma il più possibile.
Dopo quella sua domanda, le mia labbra si increspano in un sorriso sghembo, quasi cattivo. Decisamente non da me. - Perché ha paura di me – risponde, sicura delle proprie parole – Ha paura perché sa che sono io quella forte, di certo non lei, con quel suo fare da donna indipendente e so tutto io – aggiunge, e quelle parole innescano subito in me un moto di rabbia. Come può anche solo pensare di giudicarmi.
- Almeno lei non ha la voglia costante di uccidere persone – le ricorda lui – Yuki è buona, e il tempo in cui potevi prendere il sopravvento su di lei è finito – aggiunge con tono severo, guardandola dritto negli occhi. Per qualche motivo quelle sue parole mi hanno fanno sentire un improvviso vuoto allo stomaco, al quale tuttavia non do molto peso...voglio solo tornare a poter controllare il mio corpo. Voglio solo che questa storia finisca una volta per tutte.
- Pensa davvero di potermi fermare? - gli chiede, inclinando leggermente il capo di lato per poi scrutarlo per qualche secondo – Usando un medaglione da quattro soldi? - aggiunge, strappandoselo poi dal collo con uno strattone: sento chiaramente la mia -la nostra- pelle graffiarsi, lasciando quella che immagino diventerà una piccola cicatrice. Il viso di Sebastian, invece, cambia espressione improvvisamente, mentre la guarda poco dopo distruggerlo con il semplice ausilio della mano destra: in un secondo, il medaglione è accartocciato su sé stesso, e la piccola pietra blu al centro in frantumi.
- La prossima volta, non me lo faccia indossare prima – aggiunge lei, alzandosi poi da terra con un movimento rapido. - Se non le dispiace, io andrei – conclude, pronta per andarsene, probabilmente il più lontano possibile dall'unica persona in grado di fermarla definitivamente. No, non può davvero finire così, Sebastian non può lasciarla andare.
- AIUTAMI SEBASTIAN! - grido nervosamente, anche se solo nella mia testa: non ho il controllo della mia voce, né di nessuna parte del mio corpo, nemmeno della più piccola.
- Sebastian.. - mormoro un'ultima volta, quando ormai ho abbandonato l'idea che qualcosa di concreto succederà. Ormai lei è di fronte al piccolo cancello del giardino delle rose, e forse tutto è davvero perduto.
Con quello che percepisco come un semplice spostamento d'aria, sento chiaramente la presenza di Sebastian vicino a me, e difatti non passa molto prima che si materializzi davanti a lei: tra le mani stringe un altro ciondolo, esattamente uguale a quello appena distrutto. - Ma se non glielo avessi fatto indossare prima, lei non avrebbe abbassato la guardia – è tutto quello che le dice, prima di abbellire nuovamente il suo collo con quello che spero sarà un mio personale amuleto. Il suo viso è una maschera di stupore e rabbia mischiato insieme, e sento quei stessi sentimenti ribollire per tutto il mio corpo, anche se non partono decisamente da me.
Una volta con le spalle al muro -letteralmente contro una delle colonnine di marmo del piccolo giardino- ho quasi l'impressione che abbia ormai rinunciato a scappare verso la libertà che tanto desidera, ma quella mia impressione si rileva ovviamente sbagliata: con un ghigno, cerca in quello stesso momento di liberarsi dalla sua presa, riuscendoci quasi, letteralmente per un pelo. Con un movimento decisamente più abile del suo, Sebastian la intrappola di nuovo, bloccandole entrambe le braccia mentre lei si dimena come un animale in gabbia.
- LASCIAMI ANDARE! NON PUOI FARMI QUESTO! - grida.
- Se non lo faccio, distruggerai Yuki – risponde lui, senza accennare ad allentare la presa. Quelle parole mi danno la stessa sensazione di vuoto allo stomaco delle precedenti, e me ne resto in silenzio ad osservare la scena.
- IO SONO YUKI! - grida nuovamente, con gli occhi di fuori per la rabbia.
- No, non lo sei – mette poi in chiaro, aumentando ulteriormente la presa – Per fortuna non lo sei – chiarisce poco dopo, puntando il suo sguardo nel mio con ferma decisione – Addio, Akuma – sono le sue ultime parole, guardandolo poi avvicinarsi al mio viso fino a premere le labbra sulle mie; non so perché mi stia baciando, so solamente che la sento dimenarsi, più e più volte, finché alla fine di quella sensazione di impotenza non resta più niente. Quando ormai il suo viso è lontano dal mio tutto si fa di nuovo nero, e perdo i sensi prima di poter porre qualsiasi domanda.

***
Quando riacquisto conoscenza, decisamente non sono più nel giardino di rose e né tanto meno all'aperto. No, a giudicare dal soffitto sono nella sala da te della Residenza, stesa su un divano di cui non avevo notato appieno la comodità fino a quel momento.
Con la testa ancora dolorante, mi porto subito le dita alle tempie, mentre riprendo possesso del mio corpo abbastanza da mettermi seduta da sola.
Il peso del ciondolo è la prima cosa che percepisco, abbassando così immediatamente lo sguardo per osservarlo: è identico a prima, ma ora la piccola pietra blu al centro sempre scintillare, come se qualcosa vi fosse rinchiuso all'interno.
- Si è svegliata finalmente – la voce di Sebastian mi prende alla sprovvista, facendomi sobbalzare all'istante sul divano. Mi volto verso di lui solo per vedere che porta con sé un vassoio con quella che sembra il resto di una merenda pomeridiana – Tè? - mi domanda infatti subito dopo, indicando la tazzina sul piatto d'argento.
Senza dare risposta alcuna, torno nuovamente in piedi per poi avvicinarmi quanto basta a lui, posizionandomi poi a quella che è una distanza perfetta. - Può farmi un favore prima? - gli domando.
- Mi dica – risponde, cordiale.
- Potrebbe posare un momento il vassoio? - chiedo senza giri di parole, rivolgendogli poi un piccolo sorriso fintamente cordiale.
Anche se non del tutto convinto di quella mia richiesta, finisce comunque per esaudirla qualche secondo più tardi, e non appena torna a guardarmi non perdo l'occasione per stampargli le mie cinque dita sulla guancia, con quello che è uno schiaffo veloce e calcolato.
Per qualche secondo mi godo la sua espressione esterrefatta, prima di parlare con tutta la poca rabbia che mi è rimasta. - Questo è per avermi baciato in quel modo senza avermi chiesto il permesso – sbraito, indecisa se essere più arrabbiata o più imbarazzata, anche se al momento l'emozione che prevale è decisamente la seconda.
- Se avessi dovuto chiedere il permesso alla pazza con cui ho parlato forse non staremmo neanche avendo questa conversazione – mi ricorda, con tono stranamente neutrale. Non è arrabbiato per quel mio schiaffo, perché mai?
- E poi non è il nostro primo bacio, o sbaglio? - mi ricorda, mentre cerco in tutti i modi di non arrossire, processo che purtroppo non posso impedire neanche con tutta la volontà del mondo.
- Parla del mio tentato omicidio? - ribatto, cercando di non farmi prendere dall'agitazione.
- Prelievo dell'anima – mi corregge, con la sua aria da so tutto io – Omicidio è una parola così spiacevole – aggiunge, scuotendo poi impercettibilmente il capo, con entrambi gli occhi chiusi. Io, da canto mio, resto in silenzio finché non lo vedo riaprirli, tornando a guadarmi quasi subito – E poi se dovessi rifarlo in questo momento ad una parte di lei non darebbe poi molto fastidio – mormora, facendomi sobbalzare dalla vergogna. Questa volta sento di essere arrossita, come non potrei.
- Non si azzardi mai più – lo metto in guardia, puntando il dito, ma so che ora come ora non sono poi tanto minacciosa. Questo non è decisamente il mio territorio. A corto di idee faccio allora per andarmene, raggiungendo in breve tempo la porta della stanza.
Sulla soglia, tuttavia, non riesco a trattenere i miei pensieri, che quasi subito si tramutano in vere e proprie parole. - Grazie per avermi liberato da lei – mormoro, quasi a denti stretti - Da Akuma - aggiungo velocemente. In fondo "demone" era decisamente l'aggettivo migliore per descrivere quella parte di me che speravo sparita per sempre.
- Dovere – risponde, la sua voce improvvisamente di nuovo vicina. Non ho bisogno di voltarmi per sapere che è di nuovo alle mie spalle, ma con la coda dell'occhio lo noto impegnato in un piccolo inchino. Prima che possa dire qualsiasi altra cosa, apro definitivamente la porta, uscendo poi dalla stanza senza guardarmi indietro. 

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Capitolo 9
*** Notti insonni ***


Ammetto che ultimamente sto postando i nuovi capitoli con troppo ritardo l’uno dall’altro, ma purtroppo il lavoro non mi ha dato tregua, e quando non centrava il lavoro ero io quella col blocco dello scrittore.
Spero comunque che la piccola sorpresa che ho riservato per voi in questo capitolo mi aiuti a farmi perdonare.
Buona lettura!

La Residenza Phantomhive di notte poteva essere davvero affascinante, probabilmente grazie all'assoluto silenzio che regnava in essa. Quella notte non riuscivo a dormire, particolare che aveva cominciato a manifestarsi dopo l'ipnosi di Sebastian, avvenuta solamente qualche giorno prima.
Se da una parte ero ancora leggermente turbata per quello che era successo, dall'altra la sensazione di sollievo per aver finalmente placato l'altra era talmente tanta che avrei anche potuto dimenticare tutto.
La mia mancanza di sonno era comunque fastidiosa, e per questo avevo passato le ultime notti ad esplorare la Residenza, in cerca di qualche dettagli che magari avevo perso: dentro di me avevo sperato in qualche passaggio segreto, ma niente di troppo scabroso era stato scoperto fino a quel momento, particolare che mi rendeva decisamente triste.
Anche quella notte avevo provato a dormire, ma ci ero riuscita solamente per un'oretta scarsa; per quanto il calore del letto mi piacesse, non avevo per niente voglia di rimanere chiusa nella mia stanza a fissare il soffitto, perché sapevo benissimo che il sonno non sarebbe arrivato tanto facilmente.
Mi libero così dal piumone, incontrando immediatamente l'aria fredda della notte: in un secondo mi infilo la mia lunga vestaglia, chiudendola sul davanti per provare quanto meno a non morire di freddo. Completo il tutto con un paio di calze di lana, le più calde che possiedo. L'unica parte fredda del mio corpo è quella dove staziona il ciondolo che mi ha dato Sebastian, ma considerando quanto si è reso utile è esattamente lì che resterà.
Prima di lasciare la stanza prendo i miei due recenti acquisti dal tavolino, decidendo sul momento che li porterò con me; dall’incidente della scala non avevo smesso di pensare neanche per un momento ai titoli dei libri che Ciel aveva richiesto.
Quei nomi continuavano a comparire nella mia mente, e alla fine la curiosità era diventata talmente tanta che avevo deciso di comprarli, almeno per cercare di capire cosa stessero tramando lui e Sebastian. A quanto pareva, infatti, io non potevo essere messa al corrente della faccenda, anche se sembrava qualcosa di grosso, e misterioso.
In fondo, era poco più di una sconosciuta per entrambi, ma il mio desidero di sapere anche quando non potevo era sempre stato un mio enorme difetto. Nonostante questo, non mi ero mai sognata di origliare una loro conversazione, non di proposito almeno...alla fine era semplicemente successo: in fondo avevo avuto solo la fortuna di trovarmi nel posto giusto al momento giusto. Non avevo colpe, no?
In ogni caso, persino in quel momento il mio buonsenso aveva avuto la meglio, ed ero sgattaiolata via dopo essere riuscita a sentire solo un nome: “Norton”.
Persino quel semplice cognome mi era rimasto in testa per giorni, perché ero sicura di conoscerlo, o quantomeno di averlo già sentito da qualche parte. Con le giuste domande qui e là avevo infatti scoperto che la famiglia Norton era una delle più ricche d’Inghilterra, grazie alle loro fiorenti fabbriche tessili. Una famiglia potente e agiata, ma dal passato che sembrava decisamente oscuro.
Per quegli stessi motivi alla fine avevo acquistato gli stessi libri che Ciel ci aveva chiesto di recuperare dalla biblioteca di famiglia, così che non sospettasse minimamente delle mie ricerche clandestine. Un piano ingegnoso che però mi era costato parecchie sterline, per mia sfortuna.
Ecco qual era il mio piano per quella notte -almeno finché il sonno non fosse arrivato-: me ne sarei stata chiusa in una delle stanza più piccole dotate di camino, e lì avrei letto qualcosa per cercare di capire meglio la situazione in cui si stavano andando a cacciare.
Una nottata leggera, in poche parole.

***

Dopo essermi chiusa la porta alle spalle, avevo subito iniziato ad accendere in camino, partendo dalla legna più piccola per creare quello che era un vero e proprio falò in miniatura. Con quel metodo ero riuscita ad accendere un bel fuocherello in circa 15 minuti -un record persino per me-, grazie al quale sarei potuta stare al caldo per il tempo necessario.
Trovata al giusta posizione su una delle enormi poltrone collocate nella stanza, apro finalmente il primo volume, odorando a pieni polmoni l’odore delle pagine nuove di stampa: decido di iniziare da “Ricche Famiglie dell'800: l'enciclopedia” di Sir. Howard Alloy, perché so che leggere di magia nera e riti occulti nel bel mezzo della notte mi farebbe un brutto effetto. Cose di questo genere mi avevano sempre un po’ angosciato, non c’è da stupirsi che tutta la storia di demoni e shinigami mi abbia quasi fatto impazzire.
Scorro le pagine fino a trovare quella dedicata alla famiglia in questione, solo per scoprire che sono solamente un paio, e niente di più. Sospiro a quella vista, ma comincio a leggere ugualmente.
La famiglia Norton, guidata da Roy W. Norton, è famosa in tutta l’Inghilterra -e non solo- per le sue molte fabbriche tessili; oltre ad essere dei pionieri nel loro campo, hanno anche parecchie conoscenze nella politica e nelle grandi industrie, particolare che ha reso ancora più facile la loro scalata al potere. Nonostante la fama del loro nome, il loro passato è oscuro come temevo, ma il libro purtroppo non dice molto al riguardo.
“Strani incidenti marchiano questa famiglia come una maledizione, incidenti che più volte hanno attirato l’attenzione di noi cittadini britannici”, leggo a bassa voce.
- Che tipo di strani incidenti? - mi domando di conseguenza, provando a girare la pagina anche se so di aver letto già tutto quello che potevo leggere. Il libro non mi è stato poi tanto utile, in fondo.
Poso il libro sulle mie gambe e cerco di fare mente locale, provando al tempo stesso a collocare il nome di quella stessa famiglia in qualche mio ricordo nascosto.
- Incidenti che più volte hanno attirato l’attenzione di noi cittadini britannici – ripeto, ancora una volta a bassa voce – Deve essere qualcosa di serio per attirare così tanto l’attenzione.. - azzardo - Andiamo Yuki, pensa.. - aggiungo, tentando di spronare ancora di più la mia memoria.
Mi porto due dita su entrambe le tempie, frustrata e infastidita, finché alla fine qualcosa non riaffiora nei miei ricordi, qualcosa che avevo quasi completamente rimosso.
Riapro gli occhi di scatto e improvvisamente quei sprazzi di conversazione nel bar di Mary mi tornano in mente: allora non ci avevo fatto molto caso, né avevo dato molto peso a quello che la gente stava mormorando in quel momento. Avevo sempre cercato di tenermi lontana dai classici scandali inglesi, anche perché ce n’era sempre uno pronto dietro l’angolo, e quella volta la situazione non era stata diversa.
Era successo 3 anni prima, non di più. - Si! Si ora ricordo! - esclamo felice, ma sempre evitando di urlare: in quel rapido moto di gioia mi sollevo appena dalla poltrona, tornando subito dopo a stringere la copertina di cuoio duro del libro, ancora posato sulle mie gambe.
C’era stata una morte in una delle fabbriche della famiglia: un bambino, un giovane dipendente, era stato ritrovato senza vita nei piani più inferiori dell’edificio. Non ricordavo l’età del bambino, 11 anni, o forse anche di meno, ma ricordavo che chi era stato incolpato di tutto era proprio Roy W. Norton, lo stesso capofamiglia. A seguito c’era stato un grande scandalo, che aveva investito la famiglia con un uragano, ma non sapevo nient’altro a parte questo. In realtà, era già un miracolo che fossi riuscita a ricordare dei dettagli tanto lontani nel tempo.
Anche se ho già imparato quelle due pagine a memoria, rileggo un’altra volta daccapo, cercando di imprimere nella mente ogni singola parola. Ad un certo punto sono talmente assorta della lettura che quasi non sento il brivido di freddo che mi investe, o meglio non gli do poi molto peso.
Sto rileggendo solo per cercare qualche indizio tra le righe, qualcosa che lo scrittore ha omesso, ma non del tutto, qualcosa che potrebbe placare leggermente di più la mia curiosità. Ma non c’è niente, assolutamente niente.
Sono tentata di abbandonare il libro solo qualche secondo più tardi, ma il mio cervello non vuole lasciar andare.
- Posso sapere cosa ci fa in giro a quest’ora della notte? - la voce di Sebastian è ferma e sicura, mentre io sprofondo quasi nel libro dallo spavento. Vorrei nasconderlo, quantomeno per non fargli leggere il titolo ed essere colta in flagrante, ma so che ormai sarebbe inutile.
Mi volto nella sua direzione solo dopo qualche secondo, trovandolo in piedi esattamente dietro la poltrona. - Potrei farle la stessa domanda – mormoro, optando per quella risposta tra le tante che mi passano per la testa in quel momento – Grazie tante per lo spavento, comunque – borbotto subito dopo, chiudendo l’enorme libro e nascondendolo nello spazio tra le mie gambe e il bracciolo della poltrona.
Con dei movimenti che sono al limite dell’umano, abbandona il suo posto per raggiungermi, preferendo piuttosto piazzarsi tra me e il camino. Per qualche secondo rimane in silenzio, prima di allungarsi verso di me per osservarmi meglio nella penombra della stanza.
- Che cosa vuole? - gli chiedo, quando ormai la situazione è decisamente imbarazzante.
- Cosa sta facendo qui nel bel mezzo della notte? - mi domanda di nuovo, questa volta scandendo la frase parola per parola.
Ingollando il groppo che mi si è creato in gola, cerco di schiarire la voce il più possibile, almeno per evitare che mi escano delle parole stridule e senza senso.
Mi succede spesso quando sono in procinto di mentire a qualcuno. - Leggevo – ammetto, dal momento che in fondo è la verità – Non riuscivo a dormire e quindi sono venuta qui per leggere un po’ - aggiungo in fretta, stringendomi leggermente nelle spalle.
- E’ per caso vietato? - chiedo pochi secondi più tardi, approfittando del suo improvviso silenzio.
Nel frattempo, per mia fortuna, si è anche allontanato dal mio viso. La sua vicinanza mi rende sempre nervosa. - No, non lo è – risponde – Ma non era nella sua stanza, quindi mi sono.. - aggiunge, poco prima di bloccarsi, assumendo il solito tono distaccato che sembrava aver momentaneamente abbandonato – Quindi sono venuto a cercarla – è quello che ammette alla fine, prima di schiarirsi ulteriormente la voce.
- Quindi si è..? - gli chiedo comunque, anche se so che non otterrò di certo una risposta.
- Quindi sono venuto a cercarla – ripete infatti, mentre il mio cervello prende solo in quel momento in seria considerazioni le sue precedenti parole.
- Aspetti un momento – sbotto allora – Che cosa ci faceva in camera mia? - gli chiedo subito dopo, puntando il dito.
- La controllavo, che domande – risponde, senza peli sulla lingua – Lei e il ciondolo, mi devo assicurare che funzioni, in fondo – aggiunge, come per giustificare quel suo gesto.
- Quindi la presenza inquietante che sentivo ultimamente era lei?! - sbotto nuovamente, cercando di controllarmi abbastanza per non alzarmi e schiaffeggiarlo.
- Probabilmente – risponde, nuovamente senza peli sulla lingua.
- Lei è incredibile – esclamo allora – Probabilmente è per colpa sua che ultimamente non riesco più a dormire – mi lamento, cominciando a lanciare accuse, non sapendo se effettivamente sono fondate.
- Oh no, quello è colpa del ciondolo – mormora – Glielo posso assicurare -.
- Un altro effetto collaterale? - borbotto, cercando di non pensare alla sfilza di effetti collaterali che mi avevano colpita sin da quando lo conoscevo.
Annuisce senza sentire il bisogno di risponde a parole, aggiungendo comunque poco più tardi: - Solitamente ci mette qualche giorno per sparire, quindi immagino che a breve tornerà a dormire come un ghiro – mi assicura – Così la Residenza potrà godere di nuovo del suo russare – aggiunge, portandosi poi la mano davanti alla bocca per simulare un piccolo colpo di tosse.
Quelle parole mi lasciano per un momento interdetta: non tanto per il fatto che mi ha appena accusato di russare, cosa che non faccio assolutamente, tanto per il fatto che è la prima volta che lo sento fare un commento del genere. Anche se ha mantenuto il suo tono distaccato persino in quel momento.
- Io non russo – metto subito in chiaro, stringendomi entrambe le braccia al petto, appena sotto il seno – E comunque lei sa essere davvero invadente – aggiungo, fulminandolo con lo sguardo.
- E’ per il suo bene – risponde praticamente all’istante. Di nuovo, per l’ennesima volta, sembra sinceramente preoccupato per la mia incolumità.
Per un momento mi domando perché, ma in fondo so che è per il semplice fatto che sono un’anomalia, come una volta mi aveva anche definito.
- E per il suo bene – ripete qualche secondo più tardi – Le assicuro che anche scavare nel passato della famiglia Norton non è una buona idea -.
Anche se sapevo perfettamente di essere stata colta in flagrante, quel nome mi fa comunque sussultare per un momento. Il suo sguardo ora è improvvisamente severo, come se avessi commesso il peggiore dei crimini.
Per un momento mi sento come quando venivo rimproverata a scuola -cosa che, mi duole ammetterlo, succedeva decisamente spesso-, ma allo stesso tempo non posso non domandarmi quale sia il motivo di tanta segretezza. Cos’ha di così malvagio questa famiglia?
Mentre il mio cervello è impegnato in mille pensieri, Sebastian afferra il libro che avevo precedentemente tentato di nascondere, prendendosi qualche secondo per osservarlo nei minimi dettagli.
- Questa non è la copia del Padroncino – conclude infatti dopo poco – E’ praticamente nuovo – aggiunge poi, voltando immediatamente lo sguardo verso di me.
Anche se mi sento ancora sotto accusa, rispondo nel migliore dei modi. - L’ho comprato un paio di giorni fa durante un giro in città – ammetto – L’ho trovato per caso in una libreria del centro – aggiungo, ripercorrendo nella mia mente la passeggiata che avevo avuto quel giorno.
Anche se non capisco subito il perché, quelle parole sembrano meravigliarlo, come se abbia appena detto chissà che. Nello stesso momento in cui mi domando che cos’abbia, però, la sue parole arrivano.
- Quando è andata in città e perché non me ne sono accorto? - chiede, visibilmente sconvolto.
Quella sua espressione mi fa quasi ridere, ma per fortuna riesco a trattenermi. - Probabilmente non se ne accorto perché è troppo impegnato a tenermi all’oscuro di tutto insieme a Ciel – mormoro, mostrando tutta la mia arroganza in una frase sola. Questo è un record persino per me. Approfittando di un suo altro, lungo silenzio, mi riapproprio del mio libro, sfilandolo abilmente dalle sue mani.
- La famiglia Norton non dovrebbe essere affare suo – risponde, facendomi sentire di nuovo piccola piccola – Perché mi creda, c’è molto che lei non sa -.
- Lo sa, vero, che in questo modo non fa altro che aumentare a dismisura la mia curiosità? - gli chiedo retoricamente – Sembra quasi che lei lo faccia apposta -.
- Non lo faccio apposta, cerco solo di metterla al corrente dei pericoli che corre se continua a scavare da sola – mette in chiaro.
- Allora perché non mi lasciate scavare insieme a voi – azzardo – Sono pure sempre un medico, ci sarà un modo in cui posso aiutarvi! - insisto, cercando di far valere prima di tutto le mie ragioni.
- Yuki – mormora con durezza, zittendo me e tutte le mie successive parole – Le ho detto di no, e no rimarrà – aggiunge, quasi ringhiando quello che sembra un vero e proprio ordine.
Istintivamente mi tiro indietro, arrivando a toccare lo schienale della poltrona con la nuca, mentre per un momento provo di nuovo la stessa paura che era stato in grado di incutermi quando aveva tentato di rubare la mia anima: sono senza fiato, e una parte di me vorrebbe scappare.
Lui però sembra rendersi conto quasi subito della mia reazione, ed in un momento la maschera da demone crolla, lasciando spazio al viso di cui avevo imparato a non avere paura.
Lo vedo in quello stesso momento darmi le spalle, allontanandosi di qualche passo da me, come per lasciarmi di nuovo il mio spazio. In quelli che percepisco come secondi infiniti torno finalmente a respirare, staccandomi poi a poco a poco dallo schienale della poltrona.
- Mi dispiace – mormora – Non avrei dovuto spaventarla in questo modo, mi perdoni – aggiunge, stringendo i pugni lungo i fianchi. Non capisco il motivo di quella sua reazione.
Ci metto qualche secondo a decidere che cosa voglio dire, ma alla fine per fortuna le parole mi escono da sole. - Perché non vuole parlarmi della famiglia Norton? - gli chiedo, stringendo nel frattempo i bordi di cuoio del libro, mentre cerco di smettere di tremare.
Quando sollevo di nuovo lo sguardo verso la sua figura, capisco immediatamente che è nervoso, lo noto da come tiene le spalle.
- Perché sapere più di quanto già sa la metterebbe in pericolo – risponde alla fine – E io sono responsabile della sua sicurezza da quando ha messo piede qui la prima volta – conclude, questa volta tornando a guardarmi.
- Non sono una bambina – mormoro – Non ho bisogno di qualcuno che mi protegga – aggiungo subito dopo, scuotendo al contempo leggermente il capo.
Per i secondi successivi ci guardiamo e basta, mentre un brivido corre lungo la mia schiena. - No, non lo è, ma io continuerò a farlo ugualmente – ribadisce, con entrambe le mani dietro la schiena.
- Perché? - sbotto allora, quando finalmente il calore del camino mi raggiunge di nuovo, tornando a scaldarmi in quella stanza gelida.
- E’ meglio che torni a dormire – è tutto quello che dice alla fine, dopo aver fatto passare quella che a me è sembrata un’eternità.
Sospiro, mentre lui passa esattamente accanto alla poltrona, diretto verso la porta della stanza. Se prima non ero in grado di chiudere occhio, ora la situazione poteva solo che essere peggiorata, e di parecchio.
Quando sento la porta aprirsi mi alzo dalla poltrona per avvicinarmi nuovamente al camino, in cerca del calore che sembra stare abbandonando il mio corpo ancora una volta, nonostante mi stia stringendo intorno al corpo la mia vestaglia pesante.
La porta si chiude, e solo in quel momento mi abbandono ad un altro sospiro pesante, inginocchiandomi di fronte al fuoco acceso; il calore è inebriante, ma vorrei che fosse in grado di farmi dimenticare la conversazione appena avuta.
I suoi repentini cambiamenti di umore mi confondono sempre di più e per un momento mi tornano in mente le sue parole: “E poi se dovessi rifarlo in questo momento ad una parte di lei non darebbe poi molto fastidio”. Era stato scortese e maleducato, e si era meritato in tutto e per tutto il mio schiaffo.
Ma la verità è che in parte ha ragione, e questo mi spaventa.
I miei sentimenti sono contrastanti, e non riuscire a capire le sue parole è una cosa che quasi non riesco a sopportare. Lui stesso una volta aveva ammesso che i demoni non provano emozioni, in particolar modo l’amore.
La nostra in fondo non è neanche una relazione molto sana: lui è un demone, io qualcosa del genere e subito dopo avermi incontrata voleva già banchettare con la mia anima. Non è esattamente una storia da raccontare agli amici, ma allora perché mi interessa così tanto di quello che fa e di come si comporta? E perché continuo a domandarmi se davvero si preoccupa per me?
In fondo, perché dovrebbe?
Ho entrambe le mani infilate nei capelli quando un brivido mi colpisce appena dietro il collo, facendomi voltare di scatto: scopro così che è ancora dentro la stanza, fermo accanto alla poltrona. Perché non l’ho sentito avvicinarsi fino a quel momento?
Ma quel pensiero non è l’unico che sfiora la mia mente in quel momento: in un secondo sento le guance infiammarsi al solo ricordo di tutte le paranoie che mi sono appena fatta, come se lui potesse leggermele una ad una solamente guardandomi.
Solo allora sento un piccolo vuoto allo stomaco, ma non riesco a capire se è dettato dal nervosismo che ho nei suoi confronti o ancora dalla paura che avevo provato solamente qualche minuto prima.
- Tornerò in camera mia, ho capito – mormoro in quello stesso momento, tornando a guardare il fuoco dritto davanti a me, soprattutto per evitare il suo sguardo. Non ho voglia di litigare, ma allo stesso tempo non voglio neanche tornare nella mia fredda stanza. - Ora può anche andarsene – aggiungo comunque, incapace di trattenermi, consapevole del groppo alla gola che sento formarsi un secondo dopo aver pronunciato quelle parole.
- Prima mi sono arrabbiato perché se le succedesse qualcosa non lo sopporterei – mormora, scandendo parola per parola quella frase che per un momento mi lascia impietrita – Non mi chieda perché, ma so che è così – aggiunge poi poco dopo, restando a debita distanza da me.
Abbasso il capo, concentrandomi unicamente sulle mie mani tremolanti, mentre la mia schiena si scalda sempre di più. - La smetta di prendermi in giro.. – mormoro allora, con una voce che non sembra quasi la mia. Se non sapessi di stare bene, direi che l’altra sta prendendo il sopravvento. - E’ stato lei stesso a dirlo, “i demoni non provano sentimenti”, o sbaglio? - gli chiedo subito dopo, sollevando lo sguardo per tornare a guardarlo. Che io sia confusa dai suoi comportamenti è un conto, ma non mi farò prendere in giro.
- L’ho detto – ammette infatti, facendo poi una piccola pausa, come se stesse decidendo le parole migliori da pronunciare – Ed è così che dovrebbe essere – spiega subito dopo.
- Allora la smetta di prendermi in giro – ripeto, questa volta alzandomi dal pavimento. Ora voglio tornare nella mia stanza, e in fretta.
Neanche il libro mi interessa più, tutto quello che faccio è stringermi entrambe le braccia intorno alla vita, prendendo poi a camminare dritta verso la porta. Se se ne fosse andato come aveva avuto intenzione di fare sarebbe stato molto meglio.
Faccio il giro più lungo per stare il più lontano possibile da lui, ma la sua velocità mi frega ancora una volta: prima che possa sottrarmi alla sua stretta, infatti, il mio braccio è chiuso nella sua mano. - Yuki, aspetti – mormora, abbandonando totalmente il suo tono formale.
- Voglio andare a dormire – sbotto, cercando di divincolarmi dalla presa, sempre con poco successo.
- Sappiamo entrambi che non è vero – sbotta lui, senza accennare ad allentare la presa – E non la sto prendendo in giro – aggiunge, fissando il suo sguardo nel mio. Sembra sincero, ma posso davvero fidarmi?
Sostengo il suo sguardo per qualche secondo, finché alla fine non sono più in grado di farlo; usando l’unica mano che ho ancora libera, provo allora a colpirlo, ma lui si sposta dopo aver anticipato la mia mossa. In un momento sono libera, e cerco di andarmene prima che l’umiliazione diventi troppa.
“I demoni non provano niente”, continuo a ripetermi ossessivamente.
Sono ormai a pochi centimetri dalla porta, ma lui si materializza di nuovo davanti a me. - Si fermi, Yuki – mi ordina, come se non avessi altra scelta.
- Si levi di torno, Sebastian – ringhio a mia volta, affondando un altro colpo che lui para egregiamente, mio malgrado.
Tento ancora una volta, ma ancora una volta mi blocca, finché alla fine, dopo la lotta più breve del secolo, non mi ritrovo con entrambe le braccia bloccate lungo i fianchi, mentre cerco di riprendere fiato. Nel frattempo abbiamo raggiunto il lato opposto della stanza, ed entrambi abbiamo il fiato corto, mentre ci fissiamo con occhi ardenti.
- Non vuole credermi solamente perché prova esattamente la stessa cosa – sbotta in quel momento, scuotendomi impercettibilmente tramite la stretta che ha ancora sulle mie braccia.
Quelle poche parole sembrano riportarmi improvvisamente alla realtà, e a quello che potrebbe essere davvero il fulcro del problema; d’improvviso, mi sento di nuovo inerme e con la mente svuotata, incapace di formulare una qualsiasi frase che abbia il minimo senso. La resistenza che ho opposto fino a quel momento crolla, e la stretta delle sue mani sulle mie braccia non poi più molta.
- Se avessi avuto un’anima mi avrebbe uccisa – mormoro dopo poco, continuando a sostenere il suo sguardo.
Non so perché, ma quelle parole lo fanno sorridere. - Allora mi lasci rimediare– risponde così, chiarendo tutto quanto. Se il vuoto che avevo sentito allo stomaco qualche minuto prima era stato fastidioso, quello che stavo provando in questo momento lo era il triplo.
Tutta la mia determinazione nello stargli lontano era appena sparita, ora volevo solo che mi stringesse. Come se mi avesse appena letto nel pensiero, la sua stretta si allenta dalle mie braccia, mentre fa un passo in più verso di me.
E’ più alto di qualche centimetro, quindi ho il viso sollevato verso di lui, insieme all’immancabile fiato corto, e le stesse dita che fino a poco prima mi avevano tenuta bloccata ora sono ai lati del mio collo.
Quando alla fine preme le labbra sulle mie capisco immediatamente che questo bacio è diverso dagli altri: i precedenti erano capitati sempre in situazioni che li richiedevano necessari, mentre questa volta era lui a volerlo. Non so come lo so, ma è un pensiero che non abbandona la mia mente neanche per un secondo.
Poco più tardi finisco per aggrapparmi al suo collo, sostenuta dalle sue braccia intorno alla mia vita che mi tengono saldamente incollata al suo petto.
Una parte di me non riesce ancora a credere a quello che sta succedendo, ma non posso fare a meno di accantonare completamente la faccenda, almeno per il momento.
Sono totalmente schiava di quella situazione, al punto che quasi non mi sono neanche accorta dei nostri spostamenti per la stanza: siamo infatti di nuovo davanti al camino, miracolosamente ancora acceso, oserei dire.
Quel bacio mi ha lasciato senza fiato, ma al tempo stesso non voglio assolutamente allontanarmi da lui: per questo motivo per dei secondi lunghissimi ce ne stiamo semplicemente in piedi, davanti al fuoco, con la mia fronte posata sulla sua.
- Non riesco a controllarmi – lo sento ammettere poco dopo, in quello che sembra un vero e proprio conflitto con sé stesso.
- Non ti ho chiesto di farlo – gli faccio notare, portando al tempo stesso le dita fino al nodo della sua cravatta, che comincio lentamente a slegare. Questa volta sono io ad avvicinarmi per baciarlo, sorprendendomi ancora una volta di quanto le sue labbra siano morbide sotto le mie: per molto tempo mi aveva dato l’impressione di essere freddo e spigoloso, invece stavo lentamente scoprendo che era letteralmente il contrario.
Quando finalmente riesco a slegare il nodo, la mia vestaglia è ormai a terra, e tutto quello che ho indosso è la mia camicia da notte, più coprente di quello che ricordavo, ma con delle spalline decisamente ridotte rispetto a quelle che si vedevano abitualmente nei negozi.
Nella foga del momento decido di non curarmi dei suoi vestiti, e anche con il suo aiuto alla fine riesco a sfilarli uno per uno, creando una scia sul pavimento che, sapevo, ci avrebbe probabilmente messo nei guai.
Il punto dove ci troviamo è ormai riscaldato dal fuoco del camino, ma il pavimento è comunque freddo sotto la mia schiena, anche se è ancora coperta. Stringo il suo viso contro il mio, ma il mio corpo continua a muoversi da solo ad ogni suo singolo tocco, finché alla fine non riesce a togliere di mezzo persino la mia camicia da notte bianca.
Non avevo mai pensato concretamente a questo momento, forse perché la mia carriera di medico aveva sempre avuto la precedenza: non avevo mai avuto una vera relazione, né mi ero mai innamorata, né avevo mai..dormito con qualcuno.
Eppure in questo momento so di volerlo, e la cosa ha finalmente smesso di spaventarmi.
Lascio correre le mani giù per la sua schiena, mentre lui si sistema tra le mie gambe, praticamente allacciate ai suoi fianchi.
- Farò del mio meglio per non farti male – mormora, a pochi centimetri dal mio orecchio, facendomi avvampare di nuovo tutto in una volta.
Mi morbo il labbro inferiore, domandandomi come faccia a saperlo, anche se con un pizzico di invidia per quel suo intuito infallibile; di tutta risposta, affondo appena le unghie nella sua carne, facendogli inarcare, anche se di pochissimo, il viso all’indietro.
- Ti odio – borbotto subito dopo, mentre ci scambiamo un veloce sguardo. Quando torna a baciarmi di nuovo mi rilasso automaticamente, appoggiando la schiena sul pavimento freddo e accogliendolo dentro di me solo una manciata di secondi più tardi.
Il dolore che provo è improvviso, ma sopportabile, talmente tanto che dopo poco riesco quasi completamente a scordarmene, cullata dal suo ritmo incessante.

***

Per mia sfortuna, non avevo messo in conto delle piccolo perdite di sangue che avrei avuto; per mia fortuna ero riuscita a non combinare chissà quali disastri, ma questo non mi aveva impedito di fuggire dal nostro letto improvvisato per chiudermi in bagno.
Nonostante il bussare continuo di Sebastian, non ero ancora pronta per uscire. - Pensi davvero che non abbia mai visto del sangue? - mi chiede, quasi prendendomi in giro.
- Puoi averne visto quanto ti pare, non uscirò prima di essermi sistemata.. - ribatto immediatamente – Dio che disastro… - aggiungo sottovoce, iniziando poi a sistemarmi meglio che posso. Dopo poco, per fortuna, quelle fastidiose perdite si arrestano di colpo, dandomi così la possibilità di porre rimedio nel minor tempo possibile.
Una volta sistemata quella stupida faccenda, mi avvolgo di nuovo la vestaglia intorno al corpo, allungandomi verso la maniglia per uscire di nuovo.
- Va meglio? - mi domanda subito, ridendo sotto i baffi.
Lui, al contrario mio, se ne è tornato tranquillamente sdraiato a terra, scoperto questa volta dal petto in su. - Decisamente – rispondo, raggiungendolo poi a piccoli passi.
Una volta che mi sono seduta di nuovo a terra, anche lui si solleva a sedere, tirando giù e lasciando cadere lungo le mie spalle l’unico indumento che avevo indosso, rivolgendomi al contempo un sorriso.
Sono di nuovo nuda, e il poco calore che emana ancora il camino si sta lentamente esaurendo, costringendomi a raggiungerlo nel minor tempo possibile. Una volta di nuovo con lui, torno ad appoggiare il viso sulla sua spalla, mentre il suo braccio mi circonda la vita.
- Sbaglio o hai finalmente smesso di darmi del “lei”? - gli chiedo allora sottovoce, avendo appena realizzato quel particolare.
Sollevo lo sguardo in tempo per vederlo accennare un sorriso, sistemandosi poi sul pavimento scomodo. - Pensavo che ormai non servisse più – risponde – Vuoi che continui? - mi chiede subito dopo, improvvisamente perplesso.
Dal canto mio, scuoto il capo, sorridendogli nello stesso momento. - In realtà è una cosa che odiavo – ammetto.
- Ma davvero? - chiede.
- Già – rispondo subito - “Si fermi”, “si calmi”, “vada”, “le ho detto”.. - comincio poi a mormorare, imitando perfettamente la sua voce.
- Io non faccio quella voce – borbotta immediatamente.
- Ti assicuro di sì – rispondo, annuendo poi per sottolineare meglio il concetto.
A quel punto, ogni parte di me si aspettava una risata da parte sua, o quanto meno un sorriso divertito, invece né uno né l’altro comparvero sul suo viso. In effetti, si stava limitando a fissare il soffitto, in preda a chissà quali pensieri.
- E’ la prima volta che faccio una cosa del genere perché sono io a volerlo.. - ammette in quel momento, riflettendo quelli che erano stati i miei stessi pensieri solamente qualche tempo prima.
Dentro di me so che ha altro da dire, per questo poso il mento sul suo petto, con lo sguardo puntato nella sua direzione. Improvvisamente è immerso in mille pensieri, che vedo passare ad uno ad uno sul suo viso.
- Non mi ero mai fermato a pensare a quello che volevo – ammette ancora – E ora invece lo so – aggiunge.
- E che cosa vuoi? - gli chiedo, anche se ormai penso di conoscere la risposta.
- Proteggerti – ripete infatti, prendendo poi la mia mano fra le sue – Per questo devi promettermi che non scaverai ulteriormente negli affari dei Norton – aggiunge, diventando improvvisamente serio – Promettimelo, Yuki – conclude.
Anche se non sono ancora del tutto convinta di quella sua scelta, mi allungo quanto basta per posare un piccolo bacio sulle sue labbra. - Ad una condizione – mormoro, perché tanto sa perfettamente che non mollerò facilmente la corda.
- Sentiamo – acconsente, anche se è quasi seccato.
- Che mi includerai se mai avrete bisogno di me – ammetto – Non escludermi a prescindere solo per proteggermi – lo prego subito dopo, guardandolo fisso negli occhi.
Ci sta pensando, e anche parecchio, ma sono sicuro che è totalmente divino a metà: da una parte sa che ho ragione, mentre dall’altra vorrebbe semplicemente tenermi il più lontano possibile da qualunque fosse la storia dei Norton.
- D’accordo – acconsente alla fine – Non sei una bambina, dopotutto – aggiunge.
- Grazie per averlo ammesso – mormoro allora, quasi senza parole per quello che ha appena detto. Per quanto provi a trattenermi, dopo una manciata di secondi arriva il mio primo sbadiglio, e poi il secondo, e alla fine anche il terzo.
La cosa, ovviamente, fa immediatamente ridere Sebastian, anche se cerca di non darlo a vedere. - Dormi pure, ti porterò in camera non appena ti sarai addormentata – mormora, cominciando in quello stesso momento ad accarezzarmi i capelli.
Quel suo gesto in particolare è talmente rilassante che nel giro di pochi secondi crollo in un sonno profondo, con il suo profumo ancora nelle narici.

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Capitolo 10
*** Pericoli improvvisi ***


Dopo la serata trascorsa con Sebastian ero riuscita finalmente a chiudere occhio per la prima volta dopo giorni; a forza di non dormire avevo quasi dimenticato cosa si provasse, e svegliarmi per una volta completamente riposata era una novità più che apprezzabile.
Nonostante questo, apro gli occhi con calma, prendendomi il tempo di abituarmi alla luce mattutina: le tende sono tirate, ovviamente, quindi tutto quello che mi resta da fare è stiracchiarmi per bene sotto il piumone pesante, che è riuscito a tenermi calda fino a quel momento.
Mi metto così a sedere sul letto, portando con me la coperta -dal momento che sono ancora nuda-, pronta per vestirmi e iniziare un’altra giornata. Il mio stomaco brontola in quello stesso momento, ricordandomi in modo poco delicato della cena che avevo saltato la sera prima.
Non sento nessun tipo di rumore nella Residenza, come se ci fossi solamente io, e la cosa decisamente mi puzza; se c’è una cosa che odo sempre di prima mattina è Mey-Rin, che sia perché sta combinando qualche casino o che sia perché è passata a svegliarmi.
Ora invece c’è il silenzio assoluto.
Ed è un particolare decisamente inquietante.
Metto i piedi fuori dal letto, incontrando il freddo classico di Gennaio, e subito mi allungo verso la mia camicia da notte, che infilo con un gesto veloce. Sto per infilarmi anche la mia vestaglia, ma solo allora noto la tazza di thé sul comodino accanto al letto.
E’ ancora fumante, quindi non deve essere lì da molto: che il mio udito stia peggiorando?
“Più che probabile”, penso tra me e me, mentre mi accingo a bere il mio thé caldo, che a poco a poco mi rende consapevole di essere sveglia.
Mangio i due biscotti posti accanto alla tazzina e poi inizio meccanicamente a vestirmi, indossando un paio di pantaloni neri e una semplice camicia beige, il tutto con l’aggiunta di una lunga giacca dello stesso colore dei pantaloni. Ripenso improvvisamente a tutte le volte che Eliza mi ha rimproverato -come tutti- per il mio abbigliamento, e solo in quel momento mi rendo conto di quanto mi manchi.
Sono settimane ormai che non la vedo, e sono successe talmente tante cose che dentro di me non ho avuto neanche il tempo di scriverle una lettera decente, se non quella che le avevo spedito nei miei primi giorni alla Residenza. Nemmeno quando avevo acquistato i libri per le mie ricerche clandestine avevo pensato di raggiungerla a casa, forse perché avevo ancora un po’ paura di me stessa.
Ma in fondo il mio ciondolo funzionava benissimo, e ormai non perdevo il controllo da un po’, anche se le situazioni erano capitate. Certo, avevo sempre quella strana sensazione di vuoto al centro del petto, ma per lo meno adesso sapevo a cosa era dovuta.
Sapere mi aveva resa un’altra persona, una persona che poteva finalmente affrontare le cose.
L’unica situazione di cui continuavo ad essere all’oscuro era quella che riguardava la famiglia Norton, della quale non avevo più fatto domande. Ma sapevo che non avrei continuato su quella strada, perché in fondo il mio bisogno di sapere era sempre stato più grande di qualsiasi altra cosa.
Cerco di scacciare quel pensiero quando mi ricordo della promessa che ho fatto a Sebastian, e di come, conoscendomi, potrei infrangerla. Non avevo mai avuto qualcuno che mi impedisse di fare qualcosa, anche se andava contro il mio bene, se non Eliza.
Ma caratterialmente non era mai stata forte abbastanza da fermarmi del tutto, con Sebastian invece era decisamente un’altra storia.
Dovevo forse rassegnarmi davvero?
Continuo a pensarci sopra addirittura mentre scendo le scale, diretta al piano di sotto per cercare una qualsiasi anima viva in quel luogo enorme, portando nel frattempo con le la tazza ormai sporca.
Arrivo nell’ampio ingresso della Residenza, ma nonostante tutto non odo ancora nessuno tipo di rumore: sembra davvero che la casa sia deserta.
Per un momento mi guardo intorno, spaesata, ma alla fine decido di recarmi fino alla cucina, dove alla fine deposito il vassoio sul quale si trovava la mia colazione.
Per un momento penso che potrei andare a fare una passeggiata, o magari tornare nella biblioteca per leggere un po’...in fondo non so per quanto tempo Sebastian, Ciel e gli altri resteranno via, non sono mai stata da sola in questo posto.
E la cosa da una parte mi fa anche paura.
Se c’è qualcosa che ho sempre odiato del troppo silenzio è quello che cela: quei rumori improvvisi che potresti sentire, e che ti fanno accapponare la pelle.
Scuoto energicamente il capo: non sono un tipo che si fa spaventare per così poco! E poi è pur sempre una residenza, di certo non un ospedale psichiatrico abbandonato.
Fare una passeggiata è la cosa migliore che possa fare in questo momento, e quando gli altri torneranno lo saprò, e me ne tornerò da dove sono venuta. Un piano semplice, no?
Mi reco così a grandi passi verso la porta d’ingresso, pronta a spalancarla per andare fuori, magari al giardino delle rose.
La grande maniglia della porta è quasi completamente abbassata, quando un leggero spostamento di vento mi mette subito in allerta: mi blocco così sul posto, perché solitamente quando ho questa sensazione è proprio Sebastian ad essere vicino.
Mi volto così piena di speranze, sperando di non essere più sola in quell’enorme posto, ma quello che vedo seduto sul corrimano della scale non è di certo Sebastian.
- E tu chi diavolo sei? - mi domanda, con una voce decisamente stridula.
Mi prendo qualche secondo per osservarlo prima di rispondere: indossa un paio di pantaloni neri, una camicia bianca e un panciotto nero, il tutto completato da una lunga giacca rossa decisamente non della sua taglia.
Per non parlare delle scarpe rosse con tanto di tacco.
- Stavo per domandarti la stessa cosa – ammetto allora, dopo aver ormai lasciato andare la maniglia.
Con quello che è un balzo degno di un qualsiasi atleta professionista, atterra improvvisamente sul pavimento, come se non avesse peso. Quella vista mi lascia senza parole, dal momento che una qualsiasi persona normale si sarebbe quanto meno rotta entrambe le caviglie.
Ma evidentemente lui non è una persona normale.
Indietreggio involontariamente, anche se lo spazio a mia disposizione ormai è praticamente inesistente.
- Non ti ho mai vista qui alla residenza Phantomhive – mormora allora, mantenendo quel suo strano tono di voce – Non ti sarai mica imbucata di straforo? - mi domanda poi, senza lasciarmi però il tempo di replicare – No, è impossibile, Sebastian non si sarebbe fatto fregare facilmente – aggiunge infatti, assumendo improvvisamente l’aria di chi è immerso nei pensieri.
Sebastian, quindi lo conosce.
- Non mi sono imbucata – ammetto allora, scuotendo impercettibilmente il capo, mentre cerco di allontanarmi leggermente dalla porta – Sono stati Ciel e Sebastian a farmi trasferire qui, lavoro come medico per la Residenza – aggiungo, anche se una parte di me non capisce perché mi sto giustificando con uno sconosciuto.
Per qualche ragione so di dover stare attenta a questo tizio, anche perché non sembra che abbia esattamente tutte le rotelle apposto.
- Medico? - ripete, come se quella parola gli suonasse strana. Solo un secondo più tardi scoppia in una fragorosa risata, asciugandosi una lacrima appena affiorata dal suo occhio destro. - Come se Ciel e Sebastian avessero bisogno di cure mediche – aggiunge, continuando poi a ridere.
Dopo quell’improvvisa reazione, non posso che guardarlo senza parole: decisamente non ha tutte le rotelle apposto.
- Sebastian in particolare – continua poi, assumendo un’aria sognante tutto insieme, stringendo una mano nell’altra al lato del viso in modo teatrale – Così forte e virile – aggiunge, in quello che è quasi un grido. Immagino sia una persona che ama stare al centro dell’attenzione.
Per qualche motivo quello che ha appena detto su Sebastian mi da però fastidio: sembra quasi un moto di gelosia, che non so come placare. Non ero mai stata gelosa in tutta la mia vita.
Stringo così solamente i pugni lungo i fianchi. - Vedo che anche lei conosce Sebastian, allora – dico, rivolgendogli poi un piccolo sorriso cortese.
- Certo che lo conosco! - risponde allora, come se fosse offeso da quella mia affermazione – Siamo grandi amici – aggiunge poi, ma per qualche ragione non ci credo appieno.
- Quindi..posso sapere chi è lei? - gli chiedo, stanca di parlare con qualcuno senza nome. Avere un’identità sarebbe quantomeno un primo passo.
A quella mia domanda sbuffa, sempre in modo decisamente teatrale, come se dovessi sapere a prescindere chi è, quando invece non l’ho mai visto in vita mia. Per fortuna.
- Certo, ti farò il dono del mio nome – mormora così qualche secondo più tardi, tornando a drizzare la schiena – Io sono Grell lo Shinigami, DEATH! - afferma così a pieni polmoni, aggiungendo a quell’ultima parola un gesto con la mano, chiudendo pollice, medio e anulare.
Quella visione, se possibile, mi lascia ancora di più senza parole.
- Yuki Yoshimura – rispondo allora, ricambiando quel dono – Comunque nessuno è in casa, se non l’ha già notato – aggiungo – Penso torneranno a breve – continuo, anche perché da una parte ci spero. Se stare da sola nella Residenza poteva mettere ansia, stare ancora a contatto con una persona del genere lo faceva ancora di più.
Non era paura quella che stavo provando, semplicemente sentivo di dover stare all’erta.
- Ho notato – ammette allora, con aria triste e leggermente melodrammatica.
“Si comporterà sempre in questo modo con tutti?”, mi domando tra me e me “Gli Shinigami sono tutti così?”, mi domando ancora, improvvisamente chiusa nei miei pensieri.
Quando torno alla realtà lui sta praticamente parlando da solo, continuando a lamentarsi del fatto che Sebastian non è in casa: ormai è ovvio che cerca lui in particolare, ma mi domando per qualche motivo.
Dopo quello che sembra un eterno sproloquio su quanto il suo tempo sia prezioso, finalmente smette di parlare, prendendo piuttosto un lungo respiro.
Quando riapre gli occhi, solo un secondo più tardi, la sua espressione è tuttavia cambiata: di scatto, torna a guardarmi, indicandomi poi col lungo indice inguantato di nero. - Sbaglio.. - mormora, zittendosi di colpo per prendere un altro lungo respiro.
Che diavolo sta facendo ora?
Non faccio in tempo ad indietreggiare di nuovo che, con un balzo in alto, mi si para improvvisamente davanti, esaminandomi centimetro per centimetro. D’istinto tiro indietro il viso, mentre lui prende l’ennesimo respiro a pieni polmoni.
I suoi occhi -incredibilmente verdi- si spalancano poi di nuovo, guardandomi in modo truce. - ..o hai addosso l’odore di Sebastian? - mi chiede alla fine.
Quella domanda, alla quale non mi ero preparata, mi fa subito arrossire. - Può darsi – rispondo – Adesso potrebbe allontanarsi? - gli domando poi cortesemente, anche se alla fine sono io stessa a sottrarmi alla sua invisibile stretta: con un passo di lato, infatti, mi allontano leggermente da lui, anche se i suoi occhi continuano a seguirmi.
A guardarlo bene mi ricorda un gatto, anche se non so bene perché.
Per un momento gli do le spalle, sistemandomi una ciocca ribelle di capelli dietro l’orecchio.
- Risponda – ruggisce poi, accompagnando quelle parole ad uno strano rumore metallico – Perché hai addosso l’odore di Sebastian? - mi domanda ancora.
- Senta – comincio, tornando a guardarlo solo per scoprire che mi sta puntando contro un enorme motosega: e quella da dove diavolo l’ha tirata fuori?
- Quella la teneva in tasca? - gli domando allora, incapace di trattenermi nonostante quella strana situazione.
- Che sciocchezze – mi riprende allora – Risponda – mi ordina subito dopo. Oh, allora in qualcosa somiglia davvero a Sebastian.
- Non sono affari che la riguardano – è la mia unica risposta, mentre scuoto energicamente il capo. Sicuramente ho ancora le gote rosse, ma in quel momento non mi interessa più di tanto.
- Il mio Sebastian mi ha quindi tradito? - sbotta allora.
- Suo? - sbotto allora a mia volta, inarcando il sopracciglio quasi automaticamente. Questo tizio comincia a darmi veramente sui nervi.
- Beh, in questo caso...c’è solo un modo per risolvere questa faccenda – aggiunge poi, ignorando completamente le mie parole per assumere piuttosto di nuovo l’aria di chi è immerso nei suoi pensieri, abbandonando lungo il fianco persino la sua enorme motosega.
Lo fisso allora confusa, cercando di immaginare cosa abbia in mente, dal momento che rimane in quella posizione per quella che sembra un’infinità di tempo.
Quando alla fine si decide, afferra di nuovo saldamente la sua arma, facendola arrivare all’altezza del viso. A quella vista torno di nuovo all’erta, pronta a difendermi se serve.
- Prenderò la sua vita! - grida, scoppiando poi di nuovo in una fragorosa risata, piegandomi quasi in due. “E’ decisamente da ricoverare”, non posso fare a meno di pensare tra e me.
- Buona fortuna – mormoro, guardandolo poi cominciare a correre nella mia direzione, dal momento che nel frattempo ho messo una certa distanza tra di noi.
Spero che i miei riflessi non mi tradiscano proprio ora che ho bisogno di loro.
La motosega nel frattempo è entrata in funzione, e il primo affondo per poco non mi colpisce la spalla. Cavolo, è più veloce di quello che pensavo!
Lui, nel frattempo, continua a ridere di tanto in tanto. - Non potrai sfuggirmi a lungo – mi avverte, indicandomi per poi tornare all’attacco – Io prenderò la sua vita! - aggiunge poi, gridando quelle parole e sottolineandole una per una.
Riesco senza problemi ad evitare tutti i successivi attacchi, anche se sempre di poco: ormai ho capito come attacca, ma sembra comunque che se ne inventi sempre una nuova per tentare di prendermi. Dove diavolo è Sebastian quando serve?
Dove diavolo sono tutti mentre questo fenomeno da baraccone tenta di farmi a fette?
- Per quale motivo vuole farmi fuori? - grido allora, eseguendo un perfetto balzo all’indietro per evitare l’enorme lama, che va a colpire il pavimento, facendovi un grosso buco. La motosega sembra ora incastrata, ma purtroppo ci mette poco a tornarne in possesso, portandosi tuttavia con sé parte del pavimento.
Immagino solo quale sarà la reazione di Ciel a quel disastro.
- Perché ha addosso l’odore di Sebastian, LADRA! – risponde, come se fosse la cosa più normale del mondo. Mi immagino cosa potrebbe fare se sapesse tutta la verità sulla sera precedente.
- Lei è pazzo! - urlo poi, correndo nella sua direzione per assestare un perfetto gancio destro sulla sua guancia, che lo fa immediatamente cadere all’indietro, solo a qualche metro di distanza. Non sapevo neanche di avere tutta questa forza in corpo.
Quando riesce a rialzarsi, anche sul suo viso si è dipinta una maschera di puro stupore. - Un’umana con tutta questa forza? - mormora allora – FANTASTICO! - esclama subito dopo, tornando all’attacco con più foga di prima.
Mi paralizzo per un momento a quella vista, ma per fortuna riesco a scampare dall’ennesimo attacco, anche se a rimetterci questa volta è il corrimano delle scale, ormai in pezzi. Approfittando di quel momento di confusione, attendo che si volti di nuovo nella mia direzione, appioppandogli poi un violento calcio al centro del petto.
Questa volta però lui è più furbo, e con la mano ancora libera mi afferra la caviglia, piantando i piedi a terra per non volare prima come era successo qualche secondo prima.
Provo in tutti i modi a divincolarmi, ma la sua stressa è troppo forte: mi rivolge allora un sorriso, mettendo in risalto una fila di denti appuntiti, quasi come quelli di uno squalo.
Esercitando poi quella che sembra essere solo una misera parte della sua forza, usa quella presa per scaraventarmi contro la parete alla mia destra: il dolore improvviso alla schiena mi mozza il fiato, mentre cado a terra di fianco, inclinandomi un paio di costole a giudicare dall’altezza dalla quale sono appena caduta.
Tento di rialzarmi, ma ho male ovunque, oltre al fatto che non riesco a respirare bene.
Sento allora lo Shinigami ridere di gusto, mentre viene nella mia direzione.
- Ora prenderò la sua vita – ripete un’ultima volta, puntandomi di nuovo contro la motosega.
- Vada al diavolo – mormoro di tutta risposta, mentre una parte di me non vuole arrendersi. Solo in quel momento sento il ciondolo vibrare, improvvisamente caldo sulla mia pelle.
Se adesso l’altra uscisse non sarebbe una cattiva cosa...ma tutto il lavoro per tenerla a bada svanirebbe e tornerei semplicemente al punto di partenza. Ora però ne va della mia vita, non ho tempo di pensarci su.
Sto quasi per strapparmi il ciondolo dal collo, quando una strana sensazione prende il sopravvento su di me: solo un secondo più tardi, quando ormai Grell è in procinto di colpire, la porta della Residenza si spalanca con un tonfo.
Con le poche forze che mi sono rimaste -tutte ormai prosciugate dal forte dolore che sento in tutto il corpo- sollevo il capo, fino ad intravedere Sebastian.
- Yuki! - grida allora, ma sembra quasi che Grell non lo senta, continuando piuttosto con l’attuazione del suo piano.
Vorrei fare qualcosa, ma il mio corpo non risponde più a nessuno stimolo, e tutto quello che riesco a vedere è la lama avvicinarsi con prepotenza; in quello che è solamente un leggero spostamento d’aria, Sebastian compare improvvisamente davanti a me, frapponendosi tra me e la morte.
Con il solo aiuto della mano, infatti, ferma la lama, ancora in funzione. Immagino il suo sguardo guardando quello di Grell, decisamente spaventato.
- Sebastian! - esclama allora quest’ultimo, come se niente fosse, e anzi sollevando entrambe le braccia, come in segno di vittoria.
“Da ricovero”, ripeto tra me e me, anche perché sono sicura che le parole non mi uscirebbero ora come ora.
- Grell – ringhia allora Sebastian, mentre tento ancora di mettermi a sedere. La faccia dello Shinigami è allora sorpresa, come se quello che ha appena tentato di fare fosse normale, del resto.
- Uh? - mugugna, poco prima che il pugno di Sebastian si pianti sul suo viso, sbalzandolo dall’altro lato della stanza con una forza tale da metterlo K.O. Nonostante la sua natura di dio della morte, infatti, non lo vedo rialzarsi.
- Yuki – mi sento chiamare allora, dal momento che ho momentaneamente chiuso gli occhi – Mi senti, Yuki? - mi domanda poi, mentre finalmente torno a guardarlo.
Il suo viso è una maschera di preoccupazione. - Forte e chiaro – rispondo, con un sospiro che mi fa sentire di nuovo il dolore alle costole – Me la sono cavata meglio di quanto sembra contro quel fenomeno da baraccone – aggiungo poi, rivolgendogli un sorriso, mentre mi aiuta a rialzarmi.
Quel tentativo, purtroppo, si rivela vano nel momento che quasi cado nuovamente a terra. Per fortuna c’è lui ad afferrarmi al volo.
- Che cosa è successo? - mi chiede poi, scostando una ciocca di capelli che è improvvisamente caduta davanti ai miei occhi, impedendomi di vederci bene.
- A quanto pare non ha apprezzato il fatto che avessi il tuo odore addosso – rispondo – Parole sue – aggiungo poi, cercando di capire dalle varie parti doloranti quanto male sono messa. Alla fine arrivo alla conclusione che, in fin dei conti, poteva andarmi molto peggio.
Dopo quella spiegazione, vedo i suoi occhi attraversati da qualcosa di simile ad un lampo: ora sembra davvero arrabbiato, quasi mi dispiace per Grell. - Io lo faccio a pezzi – ammette infatti solo un momento più tardi, puntando lo sguardo nella direzione dello Shinigami, ancora riverso a terra.
Di tutta risposta, poso una mano sul suo braccio, richiamando in questo modo la sua attenzione. - Prima potresti darmi una mano? Penso sia meglio se mi stendo – ammetto, anche perché non voglio immaginarmi che razza di livido comparirà sulla mia schiena.
Senza neanche rispondere, mi aiuta ancora una volta a mettermi in piedi, questa volta prendendo in braccio di peso, attento a non farmi male: nonostante la sua premura, sento ugualmente la schiena a pezzi e non riesco a trattenermi dal fare una smorfia.
In questo momento voglio solamente raggiungere il mio letto il più in fretta possibile, anche se prima avrò decisamente bisogno di una fasciatura. Dentro di me, spero di avere da parte abbastanza garze.

***

Dopo avermi portato di nuovo nella mia stanza, Sebastian era uscito praticamente subito per “andare a sistemare la faccenda”, anche se non volevo sapere assolutamente a cosa alludesse. Purtroppo però, il trambusto al piano di sotto non lasciava molto spazio alla fantasia.
A farmi compagnia nel frattempo era invece arrivata al signorina Mey-Rin, che aveva provveduto a visitarmi velocemente.
- Non c’è niente di rotto – mi comunica, chiarendo quel mio dubbio – Ma ha ragione lei, una fasciatura è la cosa migliore per ora – aggiunge, dando retta al mio pensiero.
- Non sapevo di questo suo lato medico – ammetto allora – Ha studiato, forse? - le domando, dal momento che non so praticamente niente della vita della servitù della Residenza Phantomhive.
- Per un breve periodo – ammette – Poi ho capito che non faceva per me, e ho lasciato stare per dedicarmi ad altro – aggiunge, restando sempre piuttosto sul vago.
- Ma lei non è davvero una cameriera, vero? - le domando allora, approfittando di quel momento per porgerle quella domanda che per parecchio tempo mi aveva tormentata. In realtà, mi domandavo la stessa cosa di Bard e Finny, semplicemente non avevo mai avuto occasione di aprire un discorso del genere.
- Si e no – è la sua risposta, mentre rovista nella mia borsa degli attrezzi per prendere le garze, come le avevo chiesto – Diciamo che non è il primo compito – aggiunge.
- Può essere un pochino più specifica? - le chiedo ugualmente – Ormai può fidarsi di me – aggiungo, accettando di buon grado le garze, pronta a medicarmi come meglio posso.
Prima che mi allontani verso il bagno, allora, si guarda velocemente intorno, come per assicurarsi che non ci sia nessuno ad ascoltare: Sebastian in particolare, immagino.
Per la prima volta da quando la conosco, la vedo fare per togliersi gli occhiali, mettendo in risalto due grandi occhi marroni. Senza quegli enormi fondi di bottiglia ha persino uno sguardo minaccioso, sembra letteralmente un’altra persona.
- Diciamo che ognuno di noi è stato assunto perché ha delle doti particolari – ammette, approfittando di quel momento per pulire le lenti, già abbastanza limpide a mio parere – La mia specialità sono le armi, per esempio – ammette poco dopo, inforcando di nuovo gli occhiali come se niente fosse. Con quel gesto, torna poi improvvisamente ad essere la Mey-Rin di sempre. - Ma la prego! Non dica a Sebastian che le ho detto questa cosa, o se la prenderà con me! - esclama, estremamente preoccupata.
Le rivolgo allora un sorriso, grata per quel piccolo mistero appena svelato. - Non si preoccupi, questa conversazione non è mai avvenuta – prometto – Ora vado a fasciarmi – aggiungo.
- E’ sicura che non le serva una mano? - mi chiede comunque, per la seconda volta per giunta.
- Certo, non si preoccupi – rispondo, chiudendomi poi la porta del bagno alle spalle.
Meccanicamente, anche se decisamente a rilento, comincio allora a spogliarmi, sfilando prima di tutto la giacca: proseguo poi sbottonandomi la camicia, lasciandola poi cadere sul pavimento. I lividi sulle costole sono più piccoli di quello che pensavo, magari me la caverò solamente con un fastidioso dolore per qualche giorno.
Srotolando allora le garze, inizio ad applicarle tutto intorno al punto dove ho sbattuto con più forza: tre o quattro giri e posso dire di essere soddisfatta, tanto da fermare l’estremità con un nodo, cominciando così a rivestirmi. Con a giacca indosso non si nota praticamente niente, un lato positivo almeno c’è.
Quando finalmente esco dal bagno, al posto di Mey-Rin in camera trovo Sebastian: è affacciato alla finestra, con la giacca stranamente fuori posto e sgualcita.
Sto per parlare, ma lui mi precede. - Mi dispiace – mormora, continuando a fissare un punto fuori dalla finestra. - Non avevo idea che Grell si presentasse così all’improvviso, era da molto che non lo vedevo in giro – aggiunge, cercando di giustificarsi, anche se per come la vedo non ce n’è bisogno.
- Tu non c’entri con quello che è successo – gli assicuro, scuotendo appena il capo.
- Grell è pericoloso – mormora allora, con tono fermo, tornando a guardarmi – Se non fossi arrivato… - aggiunge, ma lo interrompo prima che posso completare quella frase.
- Se non fossi arrivato ero già pronta a strapparmi il ciondolo con le mie mani – ammetto, visto che ero stata in procinto di farlo, ad un certo punto – L’avrei lasciata uscire, ma di certo non mi sarei lasciata uccidere – aggiungo, mettendo in chiaro quel particolare. Se c’è una cosa che voglio continuare a fare a lungo è vivere, soprattutto ora che c’è lui nella mia vita. Anche con tutte le disgrazie al seguito.
A quelle parole sembra calmarsi, finalmente, anche se la sua espressione continua ad essere preoccupata: immagino si stia ancora concentrando sugli scenari peggiori che potevano accadere.
Sto per parlare di nuovo, ma lui mi sorprende avvicinandosi improvvisamente a me, e prendendomi alla fine tra le braccia, stringendomi a sé. Quel contatto mi fa subito sentire meglio, ma il dolore alla schiena arriva con altrettanta velocità per rovinare quel momento.
- Piano – annaspo, abbandonandomi comunque a quel momento, restando immobile finché la sua presa non si allenta delicatamente, così che non senta più dolore – Sono solo lividi, se ne andranno in poco tempo – aggiungo, cercando di tranquillizzarlo.
- Se solo il tuo corpo fosse meno fragile – mormora in quel momento.
A quelle parole faccio una smorfia, pensando che forse non sarebbe male essere un po’ più resistente. - Purtroppo sono nata così – gli ricordo, costringendolo poi a sollevare il viso – E poi sono già abbastanza strana, ti immagini se fossi anche super resistente? - gli domando, cercando di buttarla sul ridere.
A quanto pare, la mia missione ha successo, e riesco a quantomeno a strappargli un sorriso. - Non hai tutti i torti – ammette allora, posando un piccolo bacio sulla mia fronte – Ce la fai a seguirmi? - mi chiede subito dopo.
- Si – rispondo – Dove dobbiamo andare? - chiedo poi ugualmente.
- Di sotto, ti ho portato una persona – ammette, trascinandomi poi con sé fuori dalla stanza.

***

Non mi da nessun dettaglio in più nemmeno quando ormai siamo al piano di sotto, che in realtà è ridotto peggio di quando lo avevo lasciato. Non voglio neanche pensare a quante ne abbia prese Grell, anche se posso farmi un’idea abbastanza chiara semplicemente guardando la stanza.
Quando usciamo dalla Residenza, mi fa imboccare praticamente subito un vialetto che non avevo mai notato e che in breve tempo ci porta nei pressi di un piccolo cottage immerso nella natura: e quello da quanto è lì?
Sono talmente presa a setacciare l’ambiente che quasi non noto la donna seduta dentro di esso, davanti a quella che sembra una tazzina di the fumante.
- Eliza – mormoro tra me e me, quasi incredula davanti a quella vista. Mi sembra passato un secolo dall’ultima volta che l’ho vista.
- Ho pensato che fosse il momento di rivedere tua sorella – mormora Sebastian – Siete state lontane troppo tempo – aggiunge poco dopo.
Sono così felice che potrei saltargli in braccio in questo momento: ma non è solo il dolore che proverei a fermarmi dal farlo. - E se perdessi il controllo? Se il ciondolo non funzionasse? - comincio a sbraitare, presa da un improvviso moto di angoscia.
Voglio riabbracciarla con tutta me stessa, ma il solo pensiero di farle male di nuovo mi blocca.
- Non perderai il controllo, non ne hai motivo – prova a tranquillizzarmi lui – So che puoi farcela – aggiunge poi, posando entrambe le mani sulle mie spalle.
- E invece non lo sai – gli ricordo, anche perché non lo so nemmeno io. Con la fortuna che ho ultimamente non mi stupirei se il ciondolo facesse cilecca per la più piccola stupidaggine.
- Sarò nei paraggi qualunque cosa succeda – mette poi in chiaro – Ma sono sicuro che non ci sarà bisogno del mio intervento – aggiunge, con tono estremamente calmo, rivolgendomi alla fine un sorriso. Prima che possa ribattere deposita un piccolo bacio sulle mie labbra, mentre arrossisco al solo pensiero che Eliza possa averci visto.
Dopo una veloce sbirciata, scopro che per mia fortuna non è così.
- Promettimi che sarai qui nei paraggi – ripeto comunque, tanto per esserne certa.
- Te lo prometto – risponde subito – Ora va, Eliza ti sta aspettando – aggiunge, facendo poi per allontanarsi.
Guardo di nuovo in direzione del cottage, cercando di farmi coraggio; automaticamente mi trovo a stringere per qualche secondo il ciondolo al mio collo, respirando a pieni polmoni nonostante il dolore alle costole.
“Ha ragione Sebastian, andrà tutto bene”, mi ripeto mentalmente, mentre a piccoli passi mi avvicino a lei.
L’ultimo ricordo che ha di me è di quanto per poco non le rompevo il polso, questa volta non posso di nuovo rovinare tutto. Non voglio che mia sorella abbia paura di me.
Anzi...voglio che sappia tutta la verità, o almeno quella parte di verità che non la metterà in pericolo.
Non ho idea di come aprirò l’argomento, ma è una cosa che devo fare, per rispetto nei suoi confronti.
Quando sono ormai a ridosso dell’entrata, noto che ha indosso il vestito blu che avevo ricevuto da Sebastian durante la mia prima permanenza alla Residenza, quello che le avevo regalato e che altrimenti avrei volentieri bruciato.
Seduta davanti a quella tazza di the ha un’aria così serena: la mia sorellina.
- Eliza – mormoro allora, rompendo in un attimo quel silenzio assordante.

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Capitolo 11
*** Saremo sempre sorelle ***


Non ho più parole per scusarmi dei miei continui ritardi, ma purtroppo una delle parti negative del lavoro è decisamente il poco tempo a disposizione per scrivere! Spero comunque che anche questo capitolo vi piaccia, e spero di migliorare i miei tempi di pubblicazione in futuro (si spera).
Buona lettura!

Avevo pronunciato il nome di mia sorella quasi senza pensarci, nonostante i dubbi che ancora mi attanagliavano.
A quelle mie parole lei aveva subito voltato lo sguardo, rivolgendomi poi una lunga occhiata prima di alzarsi dalla sedia. - Yuki – mormora allora e, in un gesto totalmente inaspettato, si getta tra le mie braccia, stringendosi a me prima che possa anche solo parlare.
Resto per un momento interdetta da quel suo gesto: allora non ha paura di me...ma come? Dopo quello che è successo l’ultima volta dovrebbe averne.
O almeno così pensavo.
Prima che sia troppo tardi, ricambio allora quella stretta, ignorando il dolore improvviso alle costole. - Ciao, sorellina – dico, cercando di mettere da parte quel brutto ricordo – E’ bello rivederti – ammetto poi, dal momento che non ho fatto che pensare a lei fino a quel momento. In fondo, l’ho abbandonata completamente da sola.
- E’ bello rivedere te – risponde allora lei, abbandonando poi quella stretta per tornare a guardarmi – Pensavo che questo tuo trasferimento improvviso sarebbe durato solo qualche giorno, invece sono passate settimane! - aggiunge subito dopo, quasi urlandomi in faccia. Non che non abbia ragione.
- Lo so… - è tutto quello che riesco a dire all’inizio – E’ una situazione complicata – aggiungo subito dopo, cercando di calmare le acque. Prima che cambi idea, le indico il suo posto, invitandola a mettersi comoda. - Sediamoci, ci sono un paio di cose di cui dobbiamo parlare – ammetto, anche se non so nemmeno io da dove partire. Le mie ultime vicende sono state talmente assurde che raccontarle sarebbe come darmi della pazza da sola, almeno alle orecchie di Eliza.
Dopo essersi abbandonata al suo posto, io faccio lo stesso, versandomi un po’ di thè per cercare di calmarmi. - Non so neanche da dove cominciare.. - ammetto istintivamente, portandomi la tazzina alle labbra per prendere un sorso.
- Comincia dall’inizio – suggerisce lei, facendomi sentire stupida per un momento.
Beh certo...dall’inizio.
- Beh, a farla breve.. - mormoro, in un sussurro appena udibile – Ho una malattia – è la prima cosa che mi viene in mente di dire. Devo costruire una bugia che regga, in questo esatto momento però.
Quelle parole ovviamente la fanno ammutolire, poco prima che impallidisca tutto insieme. - M-malattia? - balbetta allora.
L’ho appena turbata, e anche parecchio. - Sta tranquilla – mormoro così, riservandole un piccolo sorriso – Non è nulla di grave – la rincuoro – Ma purtroppo è una condizione che mi rende..pericolosa – aggiungo, sperando di riuscire a convincerla di quelle parole.
- In che senso..pericolosa? - mi chiede lei allora, cominciando visibilmente a tremare.
- Non sono in grado di mantenere il controllo – le rispondo – Immagino ricorderai...il nostro ultimo incontro – mormoro subito dopo, anche se quel ricordo mi fa ancora male.
Ovviamente si ricorda, lo vedo dal suo sguardo, e questo la porta a non rispondere neanche: tutto quello che fa è annuire, chinando poi appena il mento.
- E’ per colpa di questa...di questa malattia che nell’ultimo periodo ti comportavi in modo strano? - chiede quindi, confusa.
Annuisco sommessamente. - E’ esatto – rispondo comunque – Per questo sono dovuta andare via – spiego quindi – Qui possono aiutarmi, qui mi stanno aiutando – aggiungo poco dopo, sorridendole prima di prendere un sorso di thè. La mia gola è talmente secca che fa quasi male.
- E’..è incurabile? - è la sua successiva domanda.
- Sì – mento, perché in fondo la mia non è affatto una malattia. Questo è semplicemente il modo migliore per spiegare la mia situazione senza farle sapere la verità. Non oso neanche immaginare quanto sarebbe pericolo il mondo in cui ultimamente sto vivendo per lei.
- E non è genetica, se lo stai domandando – aggiungo prima che possa dire qualcosa – In realtà...non potresti averla neanche se lo fosse – mormoro, pronta -forse- a dirle l’unica verità in mezzo a quel mare di bugie.
Di nuovo, la prendo alla sprovvista, costringendola a sollevare di scatto lo sguardo. - Cosa vuoi dire? - mi chiede, dandomi così tempo di pensare a come dirle quello che le devo dire.
- Voglio dire.. - mormoro allora, prendendo un profondo respiro prima di parlare di nuovo - ..che noi due non siamo..imparentate – aggiungo, balbettando quelle parole come meglio posso. Una parte di me non riesce a credere che davvero ho avuto il coraggio di dirlo ad alta voce, e nel farlo una stretta allo stomaco si impossessa subito di me.
In realtà mi viene da piangere, ma non posso farlo, perché so che in questo momento devo essere forte per entrambe. Eliza non ce la farebbe mai da sola.
Con coraggio, torno così a guardarla ancora una volta, costretta a sostenere il suo sguardo incredulo, e al limite della lacrime. - Cosa? - sussurra, corrugando immediatamente la fronte – Cosa dici, Yuki? - sbotta subito dopo, incredula.
Di fronte a quella reazione non so bene cosa fare, so solo che le mie sono le ultime parole che si aspettava di udire.
- Dovevi saperlo, Eliza – mormoro allora – I nostri genitori mi hanno adottata prima che nascessi...neanche io ne ero a conoscenza, fino a poco tempo fa – cerco di spiegarle, meglio che posso e nel modo più delicato possibile. Non che essere delicata sia mai stato il mio forte, tuttavia.
A quelle parole segue un suo lungo silenzio, prima che si alzi dal suo posto: per un momento sono convinta che stia per andarsene, ma invece tutto quello che fa è fermarsi esattamente dalla parte opposta alla mia del gazebo, stringendo fortemente l’estremità di legno di quest’ultimo.
- Non...non siamo sorelle? - mi domanda allora, quando ormai anche io ho abbandonato il mio posto. A quelle parole ho di nuovo una stretta allo stomaco, ma di nuovo mi costringo a non piangere. Non posso crollare ora.
- Saremo sempre sorelle… - dico di getto, anche se mi rendo conto da subito che il mio è solo un modo per tentare di addolcire la pillola – Però no..dal punto di vista biologico, non lo siamo.. - decido infatti di ammettere, perché in fondo non è più una bambina. E quella purtroppo è la dura verità.
Decido alla fine di avvicinarmi di nuovo a lei, arrivando alle sue spalle. - Sai che ci sarò sempre per te – aggiungo poi – Sarai sempre la mia sorellina – continuo subito dopo, allo stremo delle lacrime.
Quando finalmente si volta verso di me, noto che siamo nella stessa condizione e l’abbraccio che ne consegue è quasi d’obbligo. Chiudo per un momento gli occhi, godendomi quel momento.
- Me lo prometti? - mi chiede poi – Anche se non dovessi più tornare a casa, mi prometti che ci sarai sempre? - continua poi, quasi in tono di supplica.
- Te lo prometto – mormoro allora, ritrovando un po’ di pace e riaprendo gli occhi. Solo in quel momento noto Sebastian in piedi accanto alla Residenza, intento a godersi quel nostro momento.
Con le labbra mimo un semplice “grazie” -perché avevo bisogno di tutto questo, semplicemente non avevo il coraggio per ammetterlo a me stessa- guardandolo poi rispondere con un semplice cenno della testa.
Quando ormai io e Eliza abbiamo slacciato il nostro abbraccio, lui comincia ad avvicinarsi, raggiungendoci in poco tempo. - Posso disturbarvi un momento? - mormora allora, catturando così subito la nostra attenzione.
- Il pranzo sarà servito a breve, se volete seguirmi – ci comunica, usando il suo solito tono formale. Quello che per fortuna non rivolge più a me.
- Pranzo? - chiede allora Eliza, in un improvviso momento di panico e imbarazzo – Oh no, non vorrei assolutamente disturbare! - esclama infatti il secondo dopo, rivolgendomi una veloce occhiata di scuse.
Le sue buone maniere si fanno sempre sentire, del resto.
- Il padroncino mi ha assicurato che non ci sono problemi, la riaccompagnerò a casa più tardi senza problemi – risponde allora lui, irremovibile.
Riesco solamente ad immaginare la reazione di Ciel a quella situazione: probabilmente è molto scocciato dalla cosa.
- Oh.. - mormora lei – Oh, in questo caso, vi ringrazio per la vostra ospitalità – aggiunge, chinando appena il capo in segno di riconoscenza.
- Il padroncino ne è contento – dice lui, anche se so che è una bugia – E anzi, fa i complimenti per il suo abito, mi ha chiesto di dirle che le sta veramente bene – aggiunge, uscendosene con un’altra bugia. A completare il tutto c’è lo sguardo che mi lanci, breve ma intenso.
La frecciatina però non raggiunge Eliza, la quale probabilmente si sente solo lusingata da quelle parole.
- Ringrazierò molto il suo padroncino allora – è poi la sua risposta, rivolgendo un sorriso di cortesia a Sebastian.
- Su, andiamo dentro – la incito io non appena posso, dandole un colpetto dietro alla schiena per camminare.

***

Subito dopo il pranzo, avevo preso con me Eliza per farle fare un giro della Residenza; dopo averle fatto vedere tutte le principali stanze, eravamo finite di nuovo nel grande giardino, in particolare in quello delle rose. I miei ultimi ricordi in quel luogo non erano dei migliori, ma restava comunque una delle parti più belle dell’intero complesso.
Una volta arrivate ci eravamo sedute entrambe su una panchina, godendoci il venticello che tirava, anche se entrambe eravamo coperte fino al collo.
- Quindi… - comincia lei all’improvviso, dopo un momento di silenzio – Da quanto lo sai? - mi chiede alla fine, andando dritta al punto.
Sospiro, non contenta di dover ritornare su quei dettagli. - Da un po’ - rispondo alla fine – La cosa è uscita fuori quando Sebastian e Ciel hanno cominciato a fare delle ricerche sul mio...passato – mormoro, cercando di far sembrare la cosa il più vera possibile. Beh, un fondo di verità comunque c’è: peccato che implichi demoni, relazioni scomode e nascite fuori dal comune.
- Capisco – è la sua unica risposta, prima che crolli in un altro momento di silenzio.
- E’ stato un shock anche per me – ammetto allora – Non avevo mai pensato ad una cosa del genere, non concretamente almeno – continuo, scuotendo impercettibilmente il capo.
- In effetti...non ci siamo mai somigliate in niente – ammette.
- Ne tanto meno somigliavo a mamma o papà – ammetto a mia volta, questa volta portando entrambe a ridere, come quando eravamo bambine.
- Ma non importa – esordisco alla fine – Perché la famiglia non si ferma necessariamente al sangue – mormoro, pensando concretamente alla cosa solo in quel momento – La famiglia è dove senti di essere a casa, dove c’è gente che ti capisce – aggiungo alla fine, guardando un punto indefinito del giardino. In quello stesso momento mi rendo conto che per me “famiglia” è anche un po’ la Residenza Phantomhive. Dal mio trasferimento molte cose, forse addirittura troppe, sono cambiate...per non parlare della nascita dei miei sentimenti per Sebastian.
La ragazza determinata e indipendente aveva finito per innamorarsi di un demone.
“Innamorarsi? Perché ho pensato una cosa del genere? No, io...”
- Sorellona? - mi chiama allora Eliza, forse addirittura già per la seconda volta – A cosa stai pensando? - mi chiede subito dopo, attirando definitivamente la mia attenzione.
- Cosa? - esclamo, presa alla sprovvista – Ah, niente...niente di importante – riesco ad ammettere, dopo aver fatto finalmente mente locale, agitando le mani in preda all’imbarazzo.
A causa di quella mia reazione, lo sguardo di Eliza non è per niente convinto e anzi, mi guarda con sospetto.
- C’entra per caso quello strano maggiordomo? - mi chiede poi, peggiorando la situazione.
- Che vuoi dire? - le domando di getto, facendo la finta tonta per un momento. Me la sento di parlargliene…o la cosa mi imbarazza ancora troppo?
L’epoca in cui viviamo, del resto, impone alle donne di sposarsi prima di fare certe cose...mentre io ho totalmente saltato la parte burocratica.
- Mi sembrava di aver avvertito una certa sintonia tra di voi – ammette semplicemente, facendo spallucce – Mi sbaglio? - chiede poi, inclinando appena il viso con aria curiosa.
Io faccio la stessa cosa, un po’ per imitarla volutamente, e un po’ per smorzare l’imbarazzo di quella situazione. - Potresti avere ragione.. - biascico alla fine.
La sua reazione è improvvisa quanto divertente. - Quindi hai uno spasimante? - esclama, afferrando entrambe le mie mani – E come si sta comportando? - chiede subito dopo.
- Si, qualcosa del genere.. - mormoro, rispondendo alla prima domanda – E...beh, bene.. - mormoro, indecisa su cosa dirle – E’ molto gentile con me – ammetto alla fine, sorridendo di quelle mie stesse parole.
- Oddio, quindi la mia sorellona potrebbe addirittura sposarsi? - esclama all’improvviso, guardandomi dritta negli occhi, in preda alle più totali fantasie sul mio incerto futuro.
- Calma Eliza, non saltare subito a conclusioni del genere – mormoro, cercando di smorzare quel suo entusiasmo – Ci conosciamo da poco, in fondo.. - le ricordo.
“Allora perché pensi di essere innamorata di lui?”, pensa una parte di me, quella ancora ferme su quel mio precedente pensiero.
- Da cosa nasce cosa – ammette lei, lasciando le mie mani all’improvviso – Non puoi sapere come andrà – aggiunge, ricominciando in quello stesso istante a fantasticare. E’ come se una parte di me riuscisse a leggere i suoi pensieri, ormai la conosco troppo bene.
- In quel caso, sarai la prima a saperlo – le prometto – Ti scriverò più spesso, d’accordo? -.
- Stavo per chiedertelo, infatti – ammette, rivolgendomi poi un sorriso divertito – Ma qualche volta tornerai a casa? - mi chiede comunque, con aria triste.
- Ci proverò, verrò a farti visita di sicuro – ammetto – In ogni caso, tu fammi sapere sempre se hai bisogno di qualcosa: io mi precipiterò – le ricordo – D’accordo? -.
- D’accordo – risponde, annuendo poi subito dopo.
- Bene – mormoro, prima di abbracciarla di nuovo e restare in quella posizione a lungo.
Si fanno le 18:00 prima che la carrozza per riportare Eliza a casa sia pronta e, poco prima della sua partenza, la stringo di nuovo in un forte abbraccio.
Ho deciso di non riaccompagnarla perché il dolore alle costole è tornato a farsi sentire, questa volta più forte di prima: a malapena riesco a tenermi in piedi, anche se cerco di farmi forza, restando sulla porta finché la carrozza non imbocca il vialetto. Sebastian è con lei, e la cosa mi rende tranquilla: so che con lui è decisamente al sicuro.
Riesco ad arrivare in camera mia grazie all’aiuto di Bard, crollando sul letto dopo essermi infilata qualcosa di più comodo: dovrei controllare la situazione del mio corpo, ma davvero non ce la faccio.
In realtà non ho neanche tanta voglia di mangiare, voglio solo dormire: in preda a quel pensiero, decido giusto qualche secondo più tardi, crollo in un profondo sonno privo di sogni, durante il quale riesco a dimenticare il dolore.

***

Sono coperta fino al collo, immersa in un calore in grado di rilassarmi completamente: letteralmente, sono un bozzolo di felicità, anche se ormai mi sono svegliata.
Non vorrei assolutamente abbandonare quella posizione, ma Sebastian non la pensa allo stesso modo.
- Se continui così, stanotte non chiuderai occhio – sono le sue uniche parole, mentre è in piedi davanti al mio letto.
Di tutta risposta, riprendo la coperta che lui stesso ha tirato via, questa volta coprendomici il viso, cadendo di nuovo nell’oscurità.
- Ho visto bambini comportarsi meglio – mi rimprovera allora, facendomi uscire di nuovo dal mio bozzolo improvvisato – E non hai neanche cenato – aggiunge, neanche fossero capi d’accusa.
- Perché avevo sonno – mormoro, guardandolo poi sedersi sul bordo del letto, esattamente accanto a me – E ne ho ancora in realtà -.
- Ti lascerò dormire – ammette allora, con mia grande sorpresa – Ma prima voglio controllare le tue condizioni – aggiunge, lanciando poi un veloce sguardo alla mia camicia, dalla quale si intravedono le bende che ho applicato per le mie povere costole.
- D’accordo – decido di ammettere alla fine, dandogliela vinta: in fondo, volevo fare lo stesso io solo qualche ora prima, prima di crollare a dormire si intende. - Tanto l’avrei fatto io stessa ammetto alla fine, cominciando la mia manovra per tornare seduta soffrendo il meno possibile.
Solo in quel momento si alza dal letto, lasciandomi così spazio per scendere; una volta in piedi, faccio per togliermi la maglia, prima di bloccarmi all’improvviso.
- Potresti girarti? - gli chiedo, prendendolo alla sprovvista. In fondo la mia richiesta non ha molto senso, visto che anche lui dovrà controllare le mie condizioni, ma la cosa mi mette comunque in imbarazzo.
Nonostante questo, non fa domande, voltandosi piuttosto senza tante storie: solo in quel momento faccio per sfilare la mia maglia, posandola poi sul bordo del letto.
Rimango così con indosso solamente il mio reggiseno, e le bende ovviamente.
- Okay, puoi girarti – mormoro, cominciando in quello stesso momento a tentare di sciogliere il nodo che tiene insieme le bende, un po’ anche per evitare il suo sguardo in quel momento.
Prima che possa anche solo lontanamente slacciare il nodo che io stessa ho fatto, la sua mano mi raggiunge, priva del solito guanto bianco. E’ la prima volta che presto davvero attenzione al simbolo che ha sul dorso, quello che lo lega indissolubilmente a Ciel.
Prima ancora che me ne renda conto il nodo è sciolto, e con la stessa semplicità di poco prima comincia a rimuovere le bende, fino a scoprire completamente la parte dolorante del mio corpo.
Come avevo immaginato, i primi lividi non solo sono comparsi, ma hanno anche già raggiunto il classico colore viola. Sono orribili, a dir poco orribili.
- Grell non merita di respirare ancora dopo questo – è il suo primo commento, sfiorando poi uno dei lividi con il dito – L’ho detto ai suoi superiori che è troppo instabile, ma si rifiutano di ascoltare le parole di un demone – aggiunge, mostrando tutto il suo sdegno per quella situazione.
- Nessuno sano di mente ascolterebbe le parole di un demone – gli faccio notare allora.
- Tu mi ascolti, però – risponde.
- Questo non è necessariamente vero – gli faccio notare, e so che capirà subito quelle mie parole.
In fondo, quando si era trattato della famiglia Norton non gli avevo assolutamente dato retta, all’inizio almeno.
- E comunque non penso che la mia mente si possa proprio classificare come “sana” - aggiungo.
- Su questo devo darti retta – ammette, poco prima di allontanarsi – Prendo delle bende nuove – mormora poi, andando dritto verso la mia cassetta.
Nel giro di 5 minuti tutti i lividi sono di nuovo coperti, mentre spero silenziosamente che spariscano presto, insieme al dolore ovviamente.
- Le hai messe addirittura meglio di me – ammetto in quel momento, guardando il mio riflesso nello specchio della camera.
- Detto da qualcuno che lo fa per mestiere, è un enorme complimento – risponde, andando poi a rimettere a posto le bende avanzate.
Sono momentaneamente bloccata davanti allo specchio, intenta a fissare unicamente il mio riflesso, quando Sebastian mi raggiunge: in quello stesso momento lascia scivolare entrambe le braccia intorno alla mia vita, stringendo successivamente le uniche parti poco doloranti.
- Com’è andata con Eliza? - mi domanda allora, dopo un momento di silenzio.
E’ più alto di me, al punto che il suo mento di poco non sfiora la mia testa.
- Bene – rispondo, dopo un piccolo sospiro – Le ho detto che sono stata adottata – aggiungo, prima di perdere il coraggio di pronunciare quelle parole.
- Sono sicuro che la cosa non cambierà il vostro rapporto – mormora lui. Guardo per un momento fuori dalla finestra dopo quelle sue parole, rendendomi conto solo in quel momento che non ho idea di che ora sia.
- Non lo farà – rispondo – Saremo sempre sorelle, nonostante tutto.. - aggiungo, questa volta in un sussurro.
- In effetti mi ha minacciato come solo una sorella sa fare ammette, lasciando in quello stesso momento la presa dalla mia vita. Ne approfitto quindi per voltarmi a guardarlo, cercando il significato di quelle parole nel suo sguardo.
- Eliza non è il tipo da minacce – ammetto, incredula di fronte a quelle parole.
- Deve aver fatto uno strappo alla regola allora – mormora – In poche parole sono morto se mai soffrissi a causa mia – mi spiega velocemente, come se quell’argomento lo mettesse in imbarazzo.
Un demone in imbarazzo.
- Non le rovinerò la festa dicendole che sei duro a morire, allora.. - mormoro di tutta risposta, avvicinandomi poi di nuovo al mio letto.
Nonostante sia stata in piedi per un tempo relativamente breve, desidero solamente tornare comodamente sdraiata, e al caldo soprattutto.
Sono già seduto da qualche secondo sul letto, quando noto che ha iniziato a togliersi la sua divisa, a partire dalla giacca.
- Che cosa fai? - gli chiedo allora d’istinto, sentendo le guance improvvisamente rosse.
Lui solleva quindi lo sguardo verso di me, guardandomi in maniera confusa per qualche secondo. - Pensavo di restare un po’ qui – ammette – Sempre che la cosa non ti imbarazzi troppo – aggiunge, toccando un tasto dolente.
Senza degnarlo di una risposta, torno a coprirmi fino al collo con il piumone, sistemandomi poi sul fianco sano.
Ho gli occhi chiusi quando lo sento raggiungermi, mentre il materasso cede sotto il suo peso. Torno a guardarlo solamente quando sento la sua mano sfiorare il mio fianco, rendendomi improvvisamente conto che si è avvicinato più di quello che avevo immaginato: ha tenuto indosso solamente i pantaloni, decidendo piuttosto di abbandonare giacca e camicia sulla sedia della mia toletta.
E io non posso che apprezzare quella scelta.
- Quindi.. - mormora, destandomi dai miei pensieri, già decisamente alla deriva – Ti sei liberata subito del mio vestito – aggiunge, con aria di rimprovero.
A quelle parole faccio una smorfia: sapevo che quella sua frecciatina non si sarebbe limitata ad un solo momento. - All’inizio volevo bruciarlo – ammetto, dal momento che è la verità – Ho desistito solamente perché piaceva ad Eliza – aggiungo subito dopo, mirando semplicemente ad irritarlo.
- Mi domando da dove nasca questo tuo odio per i vestiti – esordisce allora, dando voce ai pensieri di parecchie delle persone che conoscevo.
- Sono scomodi e nel complesso mi irritano – ammetto, forse per la milionesima volta nella mia vita – E nel mestiere che mi sono scelta sarebbero solamente d’intralcio – gli ricordo.
- D’accordo, e se ti dicessi che a breve dovrai indossarne uno? - mi domanda, ricevendo immediatamente un lungo sospiro come risposta.
- A che scopo? - gli chiedo, nonostante il solo pensiero mi faccia venire i brividi.
Non risponde subito a quella domanda, preferendo piuttosto distogliere lo sguardo dal mio per cominciare a fissare il soffitto: a guardarlo meglio, è come se fosse indeciso se parlare o meno.
- Ci sarà un ballo tra una settimana – ammette alla fine, dopo una lunga pausa – Organizzato dalla famiglia Norton – aggiunge, quasi a forza.
Con quelle semplici parole, torno a sedermi sul letto. - Non eri tu quello che voleva che non avessi niente a che fare con la famiglia Norton? - gli domando prima di tutto, confusa.
- E lo voglio ancora – mette in chiaro, sedendosi a sua volta sul letto – Ma ti avevo promesso che ti avrei inclusa se mai avessimo avuto bisogno di te, e due occhi in più ci faranno comodo – spiega, anche se mormora quelle parole come se avesse una pistola puntata alla nuca – Per non parlare del fatto che non mi fido a lasciarti indietro con Grell costantemente in giro, preferisco scegliere il minore dei mali – conclude alla fine, poco prima di tornare a stendersi sul letto.
- Allora indosserò un vestito – ammetto alla fine, entusiasmata all’idea di vedere dal vivo la famosa famiglia Norton.
A giudicare dalle successive parole di Sebastian, i miei occhi devono stare brillando per la gioia. - Non ho mai conosciuto una persona così vogliosa di cacciarsi nei guai – ammette infatti, guardandomi senza speranza.
- Ti avevo detto che non c’era modo di placare al mia curiosità – gli ricordo, tornando poi a stendermi a mia volta, di nuovo al caldo. Questa volta però mi sistemo più vicina a lui, finendo per posare il viso sulla sua spalla.
Il suo corpo è più caldo di quello che avevo pensato.
- Ma eviterò di cacciarmi nei guai – prometto ugualmente.
- Per qualche motivo ci credo poco – risponde ugualmente, e non so se dargli ragione o meno.
Nel dubbio rimango in silenzio, contemplando per qualche secondo solamente i lineamenti del suo viso. - Farò del mio meglio – ammetto dopo qualche secondo, allungandomi alla fine per posare un bacio sulla sua guancia.
Sono ormai vicinissima al suo viso, quando lui decide di voltarsi: finisco così per posare quel bacio sulle sue labbra, allontanandomi poi di scatto come se la cosa non fosse mai successa prima d’ora.
A quel gesto per niente calcolato, lui sorride, guardandomi subito dopo con aria divertita. - Posso fare qualcosa per te, Yuki? - mi domanda allora.
- Oh, sta zitto – replico, di nuovo rossa in viso, sollevando la mano pronta a dargli un colpetto in pieno viso.
Quella stessa mano, tuttavia, non raggiunge mai la sua destinazione: al contrario, lui l’afferra al volo prima che possa colpire, posizionandola poi al lato della mia testa e sistemandosi repentinamente sopra di me. Non ho idea di come faccia, ma non sta facendo pressione su nessuna delle parti ancora doloranti.
Sto per parlare di nuovo, ma lui mi sorprende iniziando a baciare il mio collo, seguendo la curva di quest’ultimo: in questo momento, persino le sue labbra sono calde, avvolgendomi in quella sensazione che avevo imparato a conoscere da poco.
Usando l’unica mano libera, intreccio in quello stesso momento le dita tra i suoi capelli, spingendolo verso di me e incitandolo a non fermarsi.
Si ferma di colpo quando ormai è arrivato nei pressi della mia clavicola, così che possa sentire il suo respiro caldo sulla mia pelle. - E’ così che si sentiva Tobias quindi? - mormora improvvisamente, restando immobile per qualche altro secondo.
Quelle semplici parole mi danno un brivido per un momento, poco prima che assecondi ogni suo successivo movimento.
Parlava di mio padre ovviamente, del mio vero padre, e di quello che lo aveva portato ad innamorarsi di mia madre.
Che anche a lui stesse succedendo lo stesso?

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Capitolo 12
*** Il Ballo, parte I ***


L’idea di dover indossare un vestito non mi entusiasmava per niente, come tutte le altre volte in cui ero stata costretta, ovviamente; questa volta almeno era per una buona causa, e soprattutto per qualcosa che mi avrebbe permesso di entrare nell’ottica di chi erano veramente i componenti della famiglia Norton.
Fin da quando avevo sentito Sebastian e Ciel parlarne la mia mente aveva cominciato a vagare, cercando una spiegazione a quella mia improvvisa curiosità. La verità era che, dentro di me, sapevo che la loro non era una famiglia normale: c’era qualcosa che tentavano sempre di nascondere, qualcosa che forse era anche peggio di quello che credevamo.
Il ballo sarebbe stato un modo per cercare di andare oltre quell’apparenza, nonostante i continui rimproveri di Sebastian sullo stare attenta.
A maggior ragione non ne avrei fatto parola con lui: era inutile punzecchiarlo, soprattutto quando si trattava della famigerata famiglia. Se ci fosse stato bisogno di indagare, avrei solo trovato il momento migliore per sgattaiolare via.
E fin quando lui era all’oscuro di tutto, potevo anche permettermi di fare delle richieste..
- Vuoi scegliere tu l’abito che indosserai? - mi domanda, facendo eco alle mie parole.
Comodamente sdraiata sul letto a pancia in giù, mi stiracchio appena tra le lenzuola; siamo svegli solamente da poco, o almeno, io lo sono.
Non credo neanche che lui dorma. - E’ la mia unica richiesta – rispondo solo, infilando poi una mano sotto il cuscino – Se dovrò indossare un vestito, voglio almeno che mi stia bene – aggiungo subito dopo, rivolgendogli un sorriso divertito. Non ero mai stata un tipo che teneva particolarmente all’aspetto, ma questa volta ci tenevo a dare nell’occhio il meno possibile: non potevo di certo presentarmi con i miei soliti pantaloni, o nessuno mi avrebbe presa sul serio. Per quanto odiassi la mentalità di certe persone, questa volta dovevo per forza accontentarla.
“E forse vuoi anche essere bella per lui..”, pensa una parte di me, ma scaccio quel pensiero prima che sia troppo tardi.
In effetti, le dita di Sebastian che accarezzano la mia schiena fanno già la loro grande parte, se solo il tutto non fosse rovinato dalle mie bende.
- Beh, non è una richiesta impossibile – mormora di rimando – Allora ci recheremo oggi pomeriggio in città, servono abiti nuovi per tutti – aggiunge, cominciando in quello stesso momento ad accarezzare il mio fianco. Il suo tocco mi da i brividi, ma in un modo piacevole.
- Verranno tutti? - domando allora, stranamente stupita dalla cosa.
Solo dopo aver posto quella domanda mi ricordo delle parole di Mey-Rin, e di come ognuno della servitù fosse stato scelto grazie a delle doti secondarie, che non avevano niente a che fare con quello che davvero facevano alla Residenza. Non c’era da stupirsi che nessuno di loro fosse in grado di svolgere le normali mansioni.
Dal momento che non dovrei saperne niente, però, rimango in silenzio, in attesa di una risposta.
- Si, è bene che vengano anche loro – risponde – Sanno essere molto utili – aggiunge, forse perché ha intuito che in realtà so qualcosa.
Dal canto mio, decido di mantenere la parola data a Mey-Rin, e rimango di conseguenza in silenzio. - Qualche altro dettaglio su questo misterioso ballo? - chiedo comunque, avida di informazioni.
Lui volta di conseguenza lo sguardo, prima di sospirare, ormai rassegnato. - Sarà in maschera – risponde solo, poco prima di alzarsi dal letto – Il dovere mi chiama – aggiunge infatti, cominciando a rivestirsi man mano.
- Almeno tu hai qualcosa di concreto da fare qui alla Residenza – decido allora di lamentarmi, stiracchiandomi ancora una volta tra le lenzuola – Io sono pagata per curare graffi – aggiungo.
Con un movimento fluido lo guardo infilarsi la giacca, mentre le mie parole sembrano non aver avuto il minimo effetto su di lui, come se non avesse ascoltato neanche una parola. - A proposito di questo – mormora all’improvviso, destandomi dai miei pensieri.
Forse è il caso che anche io mi rivesta, o passerò il resto della giornata a poltrire nel letto.
- Mh? - mugugno, dal momento che rimane in silenzio.
Una volta completamente vestito, si volta di nuovo nella mia direzione, sistemandosi al contempo il bavero della camicia. - Ciel vuole parlarti, e credo che riguardi proprio il tuo lavoro – m’informa, cogliendomi di sorpresa.
- Che vuoi dire? - domando, sollevandomi a sedere con una smorfia. Spero vivamente che le bende non servano più una volta arrivato il giorno del ballo.
Contrariamente a quello che avevo pensato, lui fa spallucce, e gli leggo in faccia che non ne sa davvero niente al riguardo. - E’ un segreto anche per me, ma sembrava importante – ammette – Forse ha notato che ultimamente ti annoi parecchio – aggiunge, questa volta tornando a chinarsi verso di me, reggendosi con il solo ausilio di una mano posata sul letto – Nonostante le distrazioni, s’intende -.
- Ti consideri una distrazione? - domando allora, inclinando appena il viso.
- Di certo ti tengo impegnata – risponde unicamente, allontanandosi poi senza il minimo saluto.
Delusa dall’assenza di un bacio che pensavo alle porte, mi porto entrambe le ginocchia al petto, stringendole con le braccia. Proprio allora il forte desiderio di porgli una domanda mi assale, costringendomi a parlare.
- Sebastian – mormoro allora, bloccandolo quando ormai è sulla porta della mia stanza.
In un secondo si volta nuovamente, impeccabile come sempre. - Sì? - domanda.
- Un giorno..mi spiegherai perché proprio io? - è la mia domanda, anche se mi rendo conto solamente dopo averla posta che magari è un po’ confusa – Perché...nonostante la tua natura ti preoccupi per me? - decido di aggiungere, aumentando la stretta sulle mie ginocchia nello stesso momento.
C’è un altro lungo silenzio tra di noi, prima che alla fine sospiri appena, facendo mente locale allo stesso tempo. - Per lo stesso motivo per cui tu, pur non avendo l’anima, hai dedicato la tua vita agli altri – risponde – Perché ti fa stare bene, giusto? - mi domanda poi.
Non devo neanche pensare alla risposta. - Giusto – mormoro unicamente.
- Ecco perché – sussurra, poco prima di darmi nuovamente le spalle – Nonostante la mia natura, sento qualcosa solamente quando sono con te – aggiunge, e quelle semplici parole mi danno una stretta al cuore per un momento.
Quello che è successo a mio padre potrebbe succedere a qualunque demone, quindi?
- Non appena ti sarai vestita, raggiungimi pure nello studio di Ciel – aggiunge – Io sarò lì – continua poi, voltandosi per chiudere la porta.
- Sarò lì tra un momento – rispondo, rivolgendogli un sorriso prima che sparisca nel lungo corridoio.

***

Dopo aver indossato i miei soliti abiti ed essermi quantomeno sistemata un po’, mi avvio verso lo studio di Ciel, incontrando Mey-Rin lungo la strada.
- Buongiorno Yuki, dormito bene? - mi domanda immediatamente, decidendo di scortarmi lei stessa fino alla mia meta.
- Benissimo – rispondo, rammentando alcuni particolari della sera prima – Tu? -.
- Non c’è male – è la sua risposta – Ho sentito che ci sarai anche tu al ballo della famiglia Norton, Sebastian e Ciel hanno finalmente deciso di includerti! - aggiunge, entusiasta di quella notizia quasi quanto me.
- Già, finalmente posso partecipare anche io in prima linea – aggiungo, girando l’angolo.
- Ci sarà da divertirsi – mormora lei – Magari potrai anche vedere di cosa siamo capaci – aggiunge, una volta davanti alla porta dello studio privato di Ciel.
- Non vedo l’ora – è la mia risposta istintiva, poco prima di bussare un paio di colpi sul legno spesso.
- Avanti – la voce di Ciel, ovviamente, è annoiata come al solito.
Faccio il mio ingresso con calma, chiudendomi la porta alle spalle senza fretta. - Voleva vedermi? - gli chiedo quindi, avvicinandomi alla sua scrivania, tenendo come sempre la giusta distanza.
Lui e Sebastian stanno consultando delle carte, parecchie carte.
- Proprio così – risponde, sollevando solamente allora lo sguardo di vari documenti – Ho notato che ultimamente non ha molto da fare qui alla Residenza, nonostante la mia servitù – aggiunge, ripetendo in parte quelle che erano state le parole di Sebastian. Al di sopra della sua spalla, lo vedo infatti ridacchiare silenziosamente.
- Il lavoro scarseggia in effetti – ammetto – Ha qualche idea al riguardo? – decido di domandare, continuando a tenere entrambe le braccia dietro alla schiena.
- Per questo è qui – risponde, con il suo solito fare impertinente – Ho deciso che d’ora in poi le persone potranno venire direttamente qui se avranno bisogno delle sue cure, in altre parole...i suoi pazienti potranno recarsi qui quando lo vorranno – mi spiega meccanicamente, come se avesse preparato quel piccolo discorso.
Davanti a quella proposta rimango interdetta per un momento: uno studio medico alla Residenza? Nella stessa Residenza dove Sebastian e Ciel hanno sempre a che fare con qualcosa di strano o misterioso?
- Perché farebbe una cosa del genere? - gli chiedo automaticamente, senza la minima cortesia – Voglio dire, sarebbe fantastico...ma per qualche motivo ho l’impressione che ci sia un secondo fine – aggiungo, lanciando un veloce sguardo a Sebastian prima di tornare a Ciel.
- Un secondo fine c’è – ammette infatti, non che la cosa mi stupisca – Da qualche tempo a questa parte la gente ha cominciato ad avere una cattiva opinione di me e del lavoro che svolgo per la Regina – comincia, prima di alzarsi dalla sua sedia per cominciare a passeggiare, fino ad arrivare davanti ad una delle finestre della stanza – Alcuni avvenimenti del passato ne sono la causa, niente che debba sapere, e aprire una parte della Residenza come ambulatorio per chi ne ha bisogno è un modo perfetto per far cessare le chiacchiere, non trova? - mi chiede in modo retorico, tornando a voltarsi verso di me.
Per la sua età -anche se in realtà non ho idea di quanti anni abbia effettivamente- è davvero scaltro.
- Tra l’altro, è un accordo vantaggioso per entrambi: la mia reputazione si risolleverà e lei riprenderà a lavorare per conto suo – sottolinea, aggirando la scrivania per poi tendere la mano nella mia direzione: è più basso di me di qualche centimetro, per il resto dimostra 16 o 17 anni. - Accetta? - mi chiede allora, tenendo la mano tesa.
La stringo solamente qualche secondo più tardi, senza esitazioni. - Accetto – rispondo senza esitazione alcuna, entusiasta all’idea di poter ricominciare ad aiutare gli altri.
- Sapevo che avrebbe capito – sono le sue ultime parole, prima che entrambi molliamo la presa. Solo ad allora torna alla sua scrivania, sedendosi per ricominciare a consultare le sue carte. - Può andare, ma si faccia trovare pronta per le 16: andremo in città per prepararci per il ballo di stasera – mi ricorda.
Il ballo, giusto.
- Sarò pronta – rispondo, lasciando la stanza.

***

La boutique in cui entriamo è più grandi di quanto pensassi, e Ciel sembra conoscere la proprietaria: quest’ultima, una donna sulla cinquantina, lo tratta come se fosse suo figlio.
- Ciel! Che bello rivederti, e come sei cresciuto! - esclama non appena entriamo, avvicinandosi al diretto interessato per poi farlo sprofondare in un lungo abbraccio tra quello che è un seno decisamente prosperoso.
Al contrario di quello che avevo pensato, Ciel non sembra infastidito da questo comportamento e anzi, ricambia quella stretta. - Buon pomeriggio Miss Katherine – la saluta allora, usando un tono decisamente più formale del suo.
- Miss Katherine? - ripete, prima di sbuffare appena – Sei sempre così formale, quando io sono stata una delle prime persone a tenerti in braccio – aggiunge, incrociando entrambe le braccia al petto – Che ne dici invece di zia Katherine? - gli chiede allora.
Ciel scuote allora il capo, come se ormai fosse rassegnato a quel comportamento. - Zia Katherine sia – risponde, rivolgendole un sorriso.
Con un solenne cenno, Miss Katherine si dimostra soddisfatta. - Allora, come posso esservi utili? - ci chiede quindi, posando poi lo sguardo su ognuno di noi, finendo poi per fermarsi inevitabilmente a me – Oh, e c’è qualcuno che non conosco – ammette qualche secondo dopo.
Un colpetto da parte di Sebastian mi riporta alla realtà, in tempo per allungare la mano nella sua direzione. - Il mio nome è Yuki, sono da poco il medico della Residenza – mi presento, sorridendo.
- Piacere mio, Yuki – risponde lei, poco prima di abbandonare la stretta.
- Abbiamo bisogno di vestiti nuovi, adatti per un ballo – la informa Ciel, senza attendere oltre – Sono sicuro che le signore troveranno quello di cui hanno bisogno al piano superiore, quindi dovrai aiutare solamente noi quattro – aggiunge.
- Bene, allora mettiamoci al lavoro – risponde semplicemente, facendo poi cenno dall’altra parte della stanza, da dove arriva alla fine un’altra donna, decisamente più giovane – Emily, ci pensi tu? - le chiede.
Dentro di me mi domando da dove sia sbucata.
- Nessun problema, Miss Katherine – risponde questa – Se volete seguirmi – aggiunge poi, rivolgendosi unicamente a me e Mey-Rin.
- Volentieri – risponde quest’ultima, afferrandomi la mano prima che possa rispondere a mia volta – Su, andiamo! - aggiunge. Rivolgo allora un veloce sguardo a Sebastian, prima di lasciarmi trascinare via.
Spero solo di trovare un vestito che faccia al caso mio.
Il piano superiore si raggiunge grazie ad un graziosa scala a chiocciola, che porta direttamente su quello che a prima vista sembra un semplice soppalco. Solo qualche passo più un la, tuttavia, si estende quella che è -probabilmente- una delle collezioni di vestiti più grandi che abbia mai visto.
- Wow – è la prima cosa che mi esce dalla bocca, prima che riesca a frenarmi.
- Sono tutte creazioni di Miss Katherine, ha molto tempo libera dal momento che non si è mai sposata – ammette Emily, con fare orgoglioso – Sono sicura che troveremo quello che cercate – aggiunge quindi, superandoci entrambi.
- Per me un qualsiasi vestito blu andrà benissimo, ho dei gusti molto semplici – ammette Mey-Rin, seguendola a ruota – La Signorina Yuki invece potrebbe avere qualche problema.. - aggiunge, dandomi un piccola spallata.
- Già – rispondo quasi istintivamente – Non indosso molti vestiti – ammetto, anche se la cosa appare piuttosto ovvia.
- Il suo stile però è molto innovativo per una donna – risponde Emily, contrariamente a quello che avevo pensato – Non tutte hanno il coraggio di indossare quello che indossa lei – aggiunge, tornando a guardarmi per poi esaminare di nuovi i miei vestiti.
- Spero che un giorno smetterò di essere l’unica – ammetto.
- Chi può saperlo? - domanda lei retorica – Bene, cominciamo a dare un’occhiata? - ci domanda alla fine, prima di mettersi all’opera per cercare di aiutare entrambe.
I vestiti riempivano la stanza a vista d’occhio, motivo per il quale rimanere vicina a Mey-Rin e Emily mi sembrava la scelta migliore; solo dopo qualche minuto, tuttavia, inizio a cercare per conto mio, allontanandomi totalmente dal settore che in quel momento stavano occupando.
Inizio a pensare a quale colore mi stia bene addosso, ma non ho molte idee a parte il nero e il rosso; possibile che neanche io conosca me stessa?
Ogni abito che guardo ha un qualcosa che mi fa passare al successivo, particolare che più di una volta mi porta quasi a gettare la spugna.
Sento che Emily ormai è di nuovo vicina: forse dovrei semplicemente lasciarmi consigliare. Lei ne sa di certo più di me.
Mi allontano ulteriormente, tuttavia, scartando altri due abiti, finché i miei occhi non si posano su un modello che, per lo meno, non mi fa pensare all’inferno: è di un bel verde scuro, con delle sottili spalline dello stesso colore e una scollatura nella norma. A prima vista sembra perfetto.
- Una delle creazioni migliori di Miss Katherine – la voce di Emily mi arriva alle spalle in quel momento, costringendomi a voltarmi – Se è lui il fortunato, ha decisamente un ottimo gusto – aggiunge poi, allungandosi poi per prenderlo.
Una volta uscito dallo spazio stretto dove si trovava ho modo di notare che non è affatto ampio, anzi, il tessuto è dritto ed elegante, senza contare che all’interno ha anche un corsetto.
- Sembra decisamente perfetto – ammetto allora – Posso provarlo? - chiedo quindi.
- Certo, può cambiarsi dietro a quel paravento, c’è anche uno specchio – risponde, indicandomi un angolo della stanza adibito a camerino.
Anche se non ho idea di come farò ad allacciare il corsetto da sola, mi dirigo verso quello stesso punto; lo spazio non è molto ampio, ma abbastanza da permettermi di spogliarmi completamente dei miei vestiti.
Appena la mia giacca ad un gancio, iniziando poi a sbottonare la camicia; sotto indosso solamente uno dei miei pochi reggiseni, capo d’abbigliamento ancora praticamente sconosciuto in Inghilterra.
Mi sono sempre domandata perché: di certo è più comodo di un corsetto, per lo meno con un semplice reggiseno sei libera di respirare.
Sospiro a quel pensiero, abbandonando anche quest’ultimo insieme ai pantaloni, per cominciare così ad infilare il vestito. Lego come meglio posso il corsetto, tirando tutti i lacci mentre mi guardo allo specchio. Il tessuto è morbido sulla mia pelle, e una volta indossato non è affatto ampio, anzi.
Devo ammettere che sembra anche comodo, sento di potermi muovere come meglio voglio.
- Tutto bene? - la voce di Emily arriva forte e chiara da dietro il paravento, immagino sia lì ad aspettare.
- Sì, ho quasi fatto – rispondo immediatamente, legando poi i lacci del corsetto in un fiocco fatto di fretta. Quei stessi lacci sono l’unica cosa che tiene insieme tutto l’abito: la schiena, difatti, è scoperta in più punti. Per fortuna a casa ho una giacca nera e lunga che dovrebbe essere perfetta.
Mi controllo velocemente allo specchio, sistemando una ciocca di capelli ribelli prima di uscire.
Sia Emily che Mey-Rin sono di spalle, anche se quest’ultima ora ha in mano un lungo vestito blu, come del resto aveva richiesto.
Faccio un piccolo colpo di tosse per avvisarle della mia presenza, restando poi immobile sul mio posto finché entrambe non si voltano nella mia direzione.
- E’..comodo – ammetto, come del resto avevo già pensato.
Entrambe sorridono nella mia direzione, prima che Emily mi raggiunga. - Le sta divinamente – ammette, toccando poi il tessuto della gonna per far sparire una piega – E le calza anche a pennello, quindi non ci sarà bisogno di ulteriori modifiche – nota, allontanandosi poi per guardare meglio tutto nell’insieme.
- Sono d’accordo con la signorina Emily, ti sta davvero d’incanto – ammette anche Mey-Rin – Magari così inizierai a guardare i vestiti con un occhio diverso – aggiunge, ammiccando nella mia direzione.
- Ne dubito – ammetto subito con una smorfia – Ma questo sarà la mia eccezione che conferma la regola – mormoro trionfante, stranamente a mio agio in quell’indumento.

***

Una volta tornati alla Residenza, tutti abbiamo un vestito per la serata, persino Sebastian: per una volta, infatti, abbandonerà la solita divisa da maggiordomo, per passare piuttosto ad un completo composto da una camicia bianca, un panciotto, una lunga giacca e un pantalone nero.
- Sembrerò un pinguino – è il suo primo commento, una volta saliti nella mia camera per appendere il vestito.
- Se io indosso un vestito tu puoi indossare un completo – rispondo – Almeno tu hai i pantaloni – aggiunge, con una smorfia.
- Mi domando cos’abbia l’uniforme che non va, non ha mai creato problemi in situazioni come questa – ammette, girovagando per la stanza come un animale in gabbia.
- Situazioni come questa? - ripeto – Ce ne sono state molte altre? - domando poi.
- Più di quante immagini – è la sua risposta – Capita quando sei il maggiordomo del Cane da Guardia della Regina -.
- Già, immagino di sì – rispondo, guardando ancora una volta il vestito, ormai appeso per la stampella ad un gancio.
Quando mi volto nuovamente nella sua direzione, noto che sta ancora camminando su e giù, anche se ora sembra essersi calmato appena.
Il mio sguardo è confuso mentre lo fisso. - Tutto bene? - gli domando subito.
- Ti caccerai in qualche guaio stasera – mormora – Lo so bene – aggiunge, questa volta fermandosi. Non avrei mai pensato che potesse preoccuparsi fino a questo punto.
- Davvero ci stai ancora pensando? - domando infatti, senza più alcuna speranza – Ti ho promesso che non combinerò niente, e poi è solo un ballo – aggiungo, cercando di tranquillizzarlo.
- Ballo o meno, prendi questo.. – dice poi, tirando fuori dall'interno della giacca quello che sembra un pugnale decisamente affilato, che ripone subito dopo in un contenitore in pelle - So che serve ti sai proteggere - aggiunge, affidandomelo.
- Mi dai addirittura un'arma.. - commento, con tono volutamente sarcastico - Allora davvero pensi che non sia più una bambina - aggiungo.
- Non lo penso - conferma - E so che troverai un posto adatto per nasconderlo - aggiunge, senza darmi nessuno spunto. Mi inventerò qualcosa prima delle 19:30.
– Stasera andremo a questo ballo, voi farete le vostre ricerche e io berrò champagne chiacchierando con gli invitati – mormoro, stringendomi poi appena nelle spalle – Poi domani ricomincerò a lavorare, e tutto tornerà alla normalità -.
- Tranne il tuo essere un mezzo demone – mi ricorda, scuotendo appena il capo.
- Tranne quello – rispondo, dandogli un colpetto sul petto – Ma grazie per avermelo ricordato – aggiungo.
Si fa perdonare quelle parole nel momento successivo, quando si avvicina al mio viso prima di baciarmi.


***

Alle 19.30 siamo tutti riuniti davanti alla porta d’ingresso della Residenza, tutti vestiti di tutto punto. Sebastian in particolare è decisamente elegante nel suo completo, così come anche Finny, Bard e Ciel.
Il vestito di Mey-Rin anche è perfetto, oltre a calzarle a pennello è di un blu acceso che risalta il colore dei suoi capelli.
- Dovresti indossare vestiti più spesso – è il primo commento di Sebastian, quando sono abbastanza vicina per udire le sue parole senza che gli altri abbiano lo stesso privilegio.
- Se fossero tutti così, potrei anche pensarci su – rispondo, comunque schiva sull’argomento.
Prima di andare le poche altre persone della servitù -che nella Residenza vedo decisamente di rado- ci porgono le nostre maschere per la serata, ognuna in tinta con il colore degli abiti, rifinita con dell’elegante pizzo. Mi domando quanto sia costata una cosa del genere, per non parlare di tutti gli abiti.
- Possiamo andare – ordina allora Ciel, avviandosi verso la porta d’ingresso, aperta in quello stesso momento dagli stessi due uomini che ci hanno consegnato le nostre maschere.
Mentre andiamo, mi domando silenziosamente se la serata prenderà davvero una piega strana -come ipotizzato da Sebastian- o se il ballo andrà liscio come l'olio.
Comunque vada, il pugnale che Sebastian mi ha dato mi fa sentire più sicura, riposto con cura nel suo contenitore in pelle che ho cucito ad una vecchia giarrettiera.
Sento il suo peso sulla mia gamba mentre salgo sulla carrozza, pronta ad usarlo in caso di necessità.

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Capitolo 13
*** Il Ballo, parte II ***


 “Io e il Padroncino siamo stati spesso coinvolti in faccende come questa, ma stavolta ho come l’impressione che andremo ancora di più alla cieca”. Queste erano state le esatte parole di Sebastian mentre eravamo ancora in carrozza, diretti alla residenza dei Norton.
Potevo vedere chiaramente la preoccupazione nei suoi occhi, e questo mi faceva sentire per qualche motivo preoccupata. In quel momento, avrei voluto stringere la sua mano, ma sapevo che agli occhi di tutti quel gesto sarebbe stato eccessivo.
Soprattutto perché davanti a me avevo Mey-Rin, perfetta nel vestito che avevamo acquistato insieme.
Per evitare di pensare troppo, ad un certo punto avevo semplicemente preso ad esaminare la mia maschera: aveva del verde, che si intonava perfettamente al mio vestito, ma per lo più era bianca, di forma ovale, in modo da coprire tutto il viso.
Sarebbe stato difficile addirittura riconoscersi tra di noi, stasera.
- C’è un motivo se le maschere coprono l’intero viso? - avevo chiesto a Sebastian a bassa voce, confusa dalla forma ovale.
- Immaginavo avresti intuito questo particolare – aveva risposto lui, con un sorriso che sembrava decisamente compiaciuto, prima di rivolgersi a Ciel – Padroncino? - aveva domandato, come per chiedere il permesso.
- Parla pure – era stata la sua unica risposta, col solito tono annoiato.
Con un cenno d’assenso, allora, Sebastian aveva preso a parlare. - I Norton soffrono di una rara malattia, denominata malattia di Lyme – aveva mormorato, con tono deciso – E’ una rara malattia che colpisce la pelle, tra le altre cose, e che porta alla comparsa di eritemi che finiscono per sfigurare il volto – aveva aggiunto – Per questo le maschere – aveva poi concluso.
- La malattia è contagiosa? - aveva chiesto quasi immediatamente Finny, improvvisamente pallido.
- No, non è possibile contrarla tramite chi ne è affetto – aveva risposto Sebastian – Quindi potete stare tranquilli – aveva aggiunto, rivolgendosi questa volta a tutti quanti.
Nel giro di mezz’ora avevamo finalmente raggiunto la Residenza, scendendo dalla scomoda carrozza che ci aveva accompagnato.
La prima cosa che faccio una volta in piedi è stiracchiarmi appena, cercando di dare nell’occhio il meno possibile.
- Che nessuno si allontani troppo dagli altri, e se dovete farlo, fatelo sempre in coppia – mormora subito Ciel, in tono autorevole – E che nessuno agisca di sua spontanea iniziativa – aggiunge, e per un momento mi sento il suo sguardo addosso. Si, decisamente ce l’ha con me – Andiamo – conclude, indossando la sua maschera prima di superarci, chiaramente a capo del gruppo.
Tutti a nostra volta indossiamo la nostra maschera, prima di seguirlo velocemente.
La Residenza dei Norton è immensa -ovviamente- e decisamente gremita di persone. Quando facciamo il nostro ingresso, riceviamo il benvenuto da un cameriere vestito interamente di bianco, maschera compresa: il fatto che anch’essa sia bianca da un tono inquietante a tutto l’ambiente, anche se non mi spiego bene perché.
Tutti i volti che incrocio sono impossibili da scrutare, in quanto quasi interamente coperti.
- Mi domando cosa scopriremo stasera se neanche riusciamo a riconoscere i Norton – mormoro a Sebastian, lasciando andare il lembo del mio vestito che avevo trattenuto per salire il gradino della Residenza.
- Credimi, li riconoscerai – risponde – Fra non molto faranno la loro entrata in scena – aggiunge.
- Teatrali? - gli domando.
- Parecchio – risponde – Nonostante le tante voci su di loro non perdono occasione per mettersi al centro dell’attenzione – aggiunge, afferrando poi due calici traboccanti di champagne, porgendomene uno.
- Probabilmente lo fanno per sembrare il più normali possibili – ammetto – Molte famiglie ricche organizzano balli a livello mondano, avranno colto semplicemente l’occasione – mormoro subito dopo, sorseggiando il mio champagne mentre ci facciamo largo nella folla.
- Immagino che uno dei motivi sia questo – risponde, bevendo a sua volta – Solo che loro hanno decisamente più cose da nascondere rispetto agli altri – aggiunge.
Sto per rispondere a quelle veritiere parole, quando invece un tintinnio di bicchiere mi porta sollevare il capo verso la grande scalinata: è proprio in quel punto che, infatti, stazionano 6 persone, i cui volti sono coperti interamente da maschere decisamente più inquietanti delle nostre.
- Buonasera a tutti – mormora l’uomo al centro, anche se la voce appare ovattata per via delle maschera - ..e benvenuti al ballo annuale della famiglia Norton! Detto questo...bevete, mangiate e godetevi la serata! - grida, letteralmente, sollevando poi il calice che tiene tra le dita.
- Le loro maschere fanno quasi paura - ammetto immediatamente, continuando a guardarle persino una volta che si sono confusi con la folla.
- Sono decisamente più appariscenti delle nostre - ammette a sua volta Sebastian - Te l'avevo detto - aggiunge, stringendosi poi leggermente nelle spalle.
Non ho idea di quanto durerà il ballo, so solo che per parecchio tempo non facciamo altro che girare per le varie sale della Residenza, guardandoci intorno il più possibile, in cerca di "qualsiasi particolare anomalo", come ci aveva ordinato Ciel.
Ad un certo punto le cose sono talmente normali che persino io comincio a dubitare sul fatto che i Norton nascondano qualcosa. Questo ballo sembra un semplice...ballo.
Per certi versi mi sento quasi delusa.
- Ciel Phantomhive - una voce che non conosco interrompe i miei pensieri, costringendomi al contempo a fermarmi al mio posto.
Mentre ero soprappensiero Mey-Rin, Finny e Bard ci hanno abbandonato su ordine di Ciel, allontanandosi per ispezionare a loro volta la Residenza.
Ora, di fronte all’uomo in maschera ci siamo solamente io, Sebastian e Ciel, ovviamente. So che è un Norton a causa della maschera, i cui dettagli sono terribilmente simili a quelli di un volto qualunque, a parte il fatto che sembrano una sorta di caricatura: i zigomi sono alti e il bordo intorno agli occhi eccessivamente incavato. Per non parlare del fatto che sono completi di un paio di baffi bianchi chiaramente finti.
- Mi permetta di presentarmi – aggiunge allora l’uomo, di fronte al silenzio di Ciel – Il mio nome è Roy Norton, al vostro servizio – continua poco dopo, tendendo la mano coperta interamente da un guanto bianco.
- Il piacere è tutto mio – risponde Ciel, allungando la mano a sua volta per poi stringerla con fare deciso – Come vedo, sa già chi sono -.
- Come si fa a non conoscere il Cane da Guardia della Regina, del resto? - risponde il signor Norton con fare decisamente sarcastico.
Ciel fa quello che può per non apparire annoiato com’è: è chiaro che non gli importa di conoscere i Norton, vuole solo sapere cosa nascondono.
- Devo darle retta – risponde infatti qualche secondo dopo, rivolgendo un sorriso cordiale al diretto interessato – A quanto ho capito questo ballo è stato organizzato per beneficenza, dico bene? - gli chiedo poi, rivelando un dettaglio che non conoscevo. E neanche Sebastian, si direbbe.
- Dice bene, ho recentemente comprato un orfanotrofio poco fuori Londra, e desidero riportarlo al suo antico splendore – ammette. A tutti gli effetti sembra un semplice filantropo.
Solo in quel momento ricollego il suo nome alle poche ricerche che ero stata in grado di fare per conto mio: Roy W. Norton era il capofamiglia, accusato in passato della morte di un bambino di 9 anni in una delle loro fabbriche.
Guardarlo negli occhi, all’improvviso, è diventato molto più inquietante.
- Generoso da parte sua – sono le prime parole di Ciel – Se è così che stanno le cose non esiterò a fare una mia offerta – aggiunge, con un cenno del capo.
- Ne saremo felici – risponde l’uomo, bevendo dal calice che aveva tenuto in mano fino a quel momento – Ora, se vuole scusarmi, avrei delle questioni di cui occuparmi...essere al comando non è sempre divertente! - aggiunge, esplodendo poi in una risata che di normale ha ben poco.
Reggendo il suo gioco, Ciel ride a sua volta. - Nessun problema, incantevole Residenza, comunque -.
- Mai come quella dei Phantomhive – risponde, talmente in fretta che persino Ciel è confuso da quelle parole – Buon proseguimento -.
Senza rispondere, Ciel lo segue con lo sguardo, rivolgendosi poi subito dopo a Sebastian. - Pensi che la mia famiglia avesse a che fare con i Norton in passato? - gli chiede, presumendo che possa sapere qualcosa al riguardo.
- Non saprei, padroncino – risponde lui – Ma posso di certo scoprirlo – aggiunge in fretta, per non deludere le sue aspettative. Sappiamo entrambi che troverà qualcosa, se c’è davvero qualcosa da trovare al riguardo.
- Sai vero che Roy Norton è stato accusato non molto tempo fa della morte di un bambino di 9 anni, vero? - domando a Ciel di punto in bianco, incapace di rimanere in silenzio.
Sicuramente sarà a conoscenza di quel dettaglio, ma non si sa mai.
- Abbassi la voce – risponde solo.
- Non ho urlato – rispondo di getto.
- Lo sa – risponde Sebastian per lui – E’ stata una delle prime cose che abbiamo scoperto dei Norton, in fondo la notizia è circolata su tutti i giornali – aggiunge, nello stesso momento in cui tutti e tre ci fermiamo in un angolo della stanza, stufi di passare da una stanza all’altra senza mai trovare niente.
- Quell’uomo è inquietante – ammetto – Si è mai saputo se quella storia aveva un fondo di verità? - domando, ad entrambi.
- No – risponde duramente Ciel, scuotendo poi appena il capo – I Norton sono una famiglia potente, anche se fosse...avranno sicuramente insabbiato tutto – aggiunge.
- Allora cosa cerchiamo di preciso stasera? - chiedo, sul punto di sfilarmi la mia maschera. Comincio a sentirmi un po’ intrappolata.
- Qualunque cosa, ogni movimento particolare – è la sua unica risposta.
- Beh, il signor Norton ha detto che aveva delle faccende da sbrigare, perché non seguirlo? - propongo, pensando che probabilmente quella è la strategia migliore.
- Perché Roy Norton non è di certo il tipo che si sporca le mani – mormora Sebastian, sorridendo nel frattempo agli invitati che ci passano vicino – No, dopo lo scandalo di quel bambino ha cercato di farsi notare il meno possibile, dedicandosi piuttosto alla beneficenza, la facciata perfetta -.
- Facciata? - domando, notando soprattutto il cenno d’assenso di Ciel – Che intendi? -.
- Intendo che di certo non fa quello che fa per fare del bene – risponde – C’è qualcosa sotto -.
- Pensi di poterti recare all’orfanotrofio di cui parlava? Non sarà difficile scoprirne il nome e la posizione – mormora Ciel.
- Lo farò domani stesso – risponde – E no, tu non vieni – aggiunge, bloccando le mie parole prima che possano essere anche solo pronunciate.
Quando fa così a volte mi spaventa: il pensiero di accompagnarlo si era appena fatto largo nella mia mente quando aveva parlato.
- Potrei esserti d’aiuto – sbuffo, sorseggiando poi il mio champagne.
- O potresti dare nell’occhio curiosando in giro come fai sempre – risponde, girandosi a tre quarti verso di me, dando così parzialmente le spalle a Ciel dietro di lui.
- Cosa ci sarà mai da curiosare in un orfanotrofio? - domando, rendendomi conto che in quel momento stiamo bisticciando come una coppia di vecchi sposi.
- Magari niente, ma tu trovi sempre un buon motivo per curiosare – è la sua unica risposta.
- Fate con comodo, voi due – ci riprende Ciel, nello stesso momento in cui sto per rispondergli per le rime ancora una volta.
Di scatto, ci voltiamo entrambi in quell’esatto momento. Mi rendo conto solo allora che fino a quel momento l’abbiamo semplicemente escluso dalla conversazione, come se niente fosse
- Ci scusi, non volevamo – rispondiamo in coro, chinando appena il capo nella sua direzione.
- Che succede tra di voi comunque? - ci chiede, improvvisamente con interesse, e non come fa di solito. Sento le mie guance prendere fuoco subito dopo la sua domanda, e per la prima volta dall’inizio della festa sono felice di indossare una maschera che mi copre quasi completamente il viso.
- Che succede? - sbottiamo entrambi, di nuovo in coro.
Non ho idea di come si senta Sebastian al riguardo, per quanto riguarda me, sono decisamente in imbarazzo: non avevo neanche mai pensato che Ciel potesse sospettare che ci fosse qualcosa tra di noi.
- Potete anche smetterla di fingere – risponde lui, girando ulteriormente il dito nella piaga – Pensate davvero che non avessi i miei sospetti? - ci chiede, rivolgendo una lunga occhiata ad entrambi.
Noi, dal canto nostro, non possiamo far altro se non scambiarci un veloce sguardo, cercando di capire in quella frazione di secondo come comportarci.
Notando il nostro silenzio, è Ciel stesso a riprendere a parlare. - Conosco bene il mio maggiordomo, so quando nasconde qualcosa – ammette, mentre Sebastian torna nella sua solita posizione impeccabilmente dritta – E poi chiunque sarebbe in grado di avvertire la tensione che c’è tra di voi – aggiunge, facendo sobbalzare entrambi con quelle parole, soprattutto per l’enfasi con cui aveva sottolineato la parole “tensione”
Dio, che imbarazzo.
- Padroncino.. - mormora Sebastian, facendo per dire qualcosa.
- Non è un problema, Sebastian – risponde lui – Siete liberi di fare quello che volete con la vostra vita, a patto che entrambi continuate a fare del vostro meglio nel proteggere la mia – aggiunge, rendendo ben chiare le sue idee.
Ancora una volta, ci scambiamo un veloce sguardo, confusi sul fatto che sia stato così semplice andare avanti su quell’argomento.
Stringendoci appena nelle spalle, torniamo a guardarlo. - Come sempre – risponde Sebastian.
- Come ha detto lui – rispondo io, chinando nuovamente il capo nella sua direzione - E ora vado un momento al bagno, se volete scusarmi – aggiungo, incapace di reprimere la voglia di allontanarmi da entrambi per un momento, almeno.
E poi devo davvero andare al bagno.
Quando faccio per allontanarmi nessuno dei due ha da ridere, nemmeno Sebastian, che invece mi ero già immaginata fare una sorta di scenata.
Una volta lontana da entrambi torno finalmente a rilassarmi, prendendo addirittura un altro calice di champagne dal vassoio di uno dei camerieri.
Lo butto tutto giù senza neanche pensarci, continuando poi a farmi largo tra le persone in cerca del bagno più vicino: non ho voglia di chiedere, perché in fondo Sebastian ha ragione sul mio talento naturale per il curiosare. Ne approfitterò per guardarmi ulteriormente in giro, e magari nella folla ritroverò anche Mey-Rin, Bard e Finny.
Tenendo ancora un lembo del vestito sollevato, in maniera da non sporcarlo, esco dalla sala principale della Residenza dei Norton: qui già comincia ad esserci meno gente, e la cosa mi fa sentire decisamente meglio.
Sorrido a tutte le persone che mi passano accanto, e presa dalla ricerca del bagno mi trovo improvvisamente in un lungo corridoio: qui, al contrario del resto della casa, non c’è assolutamente nessuno.
Questa parte della casa è completamente illuminata, e sembra quasi non avere fine: una parte del mio cervello mi grida di tornare indietro, ma ovviamente non è la parte alla quale do retta. Con fare determinato, inizio in quello stesso momento a camminare, continuando a tenere il mio vestito.
“Magari qui c’è un bagno”, penso innocentemente tra me e me, ma la realtà è che muoio dalla voglia di scoprire qualcosa di losco su questa famiglia.
Mi sono rifiutata di indossare scarpe con il tacco, quindi faccio decisamente poco rumore camminando, ma questo non mi impedisce di essere cauta.
Cammino dritta davanti a me finché non sento delle voci, che mi costringono a bloccarmi sul mio posto: mi appoggio così ad un muro che fa angolo, nascondendomi finché non raccolgo abbastanza coraggio per guardare oltre.
- Le prime donazioni sono già arrivate, signore – mormora qualcuno, probabilmente un uomo della servitù.
- Ne sono felice – risponde proprio il signor Roy. Mi sembrava di aver riconosciuto la sua voce, solo che questa volta non indossa alcuna maschera – Chi non farebbe una donazione per un orfanotrofio, in fondo? - domanda lui, con fare retorico, sistemandosi poi la giacca.
Da così lontano non riesco a notare i dettagli del suo viso, ma so per certo che ha qualcosa che non va, in particolare sotto l’occhio destro, dove vedo quelle che sembrano una lunga serie di macchie.
“Eritemi..”, penso tra me e me, come del resto ci aveva detto Sebastian mentre eravamo nella carrozza.
- Ha perfettamente ragione, signore – risponde l’uomo accanto a lui, che per fortuna non mi ha ancora notato.
Questa conversazione è troppo normale, possibile che davvero non ci sia niente di losco sotto questo ballo?
Sto quasi per andarmene, anche un po’ impaurita dal fatto che possano scoprirmi. E anche un po’ perché devo davvero andare in bagno.
Scuoto leggermente il capo, facendo poi per tirarmi indietro.
- Come procede l’altra faccenda, invece? - domanda il signor Roy, abbassando leggermente la voce nel pronunciare quelle parole – Spero bene – aggiunge poco dopo, con tono duro, come di rimprovero.
- Procede bene signore, i bambini sono tutti in piena salute – risponde il cameriere, facendo poi un cenno d’assenso con il capo.
- Bene, ci servono al pieno delle loro forze – sono le sue ultime parole, prima di prendere dalle mani dell’uomo la maschera che aveva indossato per tutto il ballo, calcandola nuovamente sul viso prima di allontanarsi verso la parte opposta del corridoio.
“Bambini? Pieno delle loro forze?”, penso tra me e me, confusa da quelle parole. Forse non significano niente, forse parla semplicemente dei bambini dell’orfanotrofio, preoccupato per le loro condizioni…oppure no. In ogni caso devo dirlo immediatamente a Sebastian.
Facendo un passo indietro, mi assicuro che nessuno mi abbia vista, pronta a tornare nella sala principale come se niente fosse.
Sto ancora camminando all’indietro, tuttavia, quando urto qualcuno: pietrificata, mi blocco immediatamente sul posto, indecisa se voltarmi o meno per affrontare l’ospite inatteso.
Prima di farlo, prego silenziosamente che si tratti di Sebastian: se devo scegliere tra il minore dei mali, preferisco una sua strigliata ad un padrone di casa arrabbiato.
- Mi scusi, cercavo un bagno.. - mormoro, facendo per voltarmi – Devo essermi persa.. - aggiungo, restando poi improvvisamente muta di fronte alla persona che ho davanti.
Tanto per cominciare è privo di maschera, e so che è un Norton perché il suo viso è terribilmente sfigurato, non ai livelli leggeri del signor Roy. Mentre lo fisso senza parole, faccio un passo indietro.
Gran parte del viso è completamente coperta di croste rosse e sporgenti, come di chi si gratta troppo a causa di un prurito eccessivo. In alcune parti del viso la pelle è talmente consumata che ho quasi paura di vedere l’osso al di sotto.
- Ahm.. - mugugno, a corto di parole per la prima volta nella mia vita.
- Cosa c’è? Le faccio per caso paura? - mi domanda, con quella che sembra un’aria innocente. Tuttavia, so bene che, qualunque siano le sue intenzioni, non sono di certo buone.
- No, cercavo solamente.. -.
- Un bagno, certo… - continua lui al posto mio, con tono annoiato – Come se non avessi mai sentito questa scusa – aggiunge un secondo più tardi, cambiando completamente espressione. Prima che possa reagire a quelle sue parole, vengo colpita fortemente alle spalle da qualcuno. Il colpo è così forte che perdo conoscenza quasi immediatamente, riversandomi sul pavimento.

***

Un vento leggero mi sveglia dal mio torpore, ma nonostante quel dettaglio fondamentale, ci metto un po’ a capire che sono all’esterno della Residenza Norton. Sono seduta a terra, con le spalle al muro, con i polsi legati e le gambe piegate.
Lo spazio dove mi trovo è illuminato da una singola luce, e in lontananza sento ancora i rumori della festa: non devo essere molto lontana, penso velocemente, guardandomi allo stesso momento intorno.
- Bentornata tra noi – mormora una voce alla mia sinistra, costringendomi a voltarmi all’istante. E’ lo stesso uomo dal viso sfigurato, solo che stavolta è solo.
- Non ha portato qualcuno per colpirmi stavolta? - domando, irritata. Sento il ciondolo bruciare contro la mia pelle. L’altra è irritata da questa faccenda.
- Qui non è lei a fare le domande – mette subito in chiaro, mentre apro e chiudo gli occhi quasi come un tic, cercando di non pensare al mal di testa atroce che ho in questo momento – Piuttosto, vuole dirmi perché stava spiando mio padre, signorina Yoshimura? - mi chiede.
“Come diavolo fa a conoscere il mio nome?”.
“Ah bene, uno dei figli del signor Roy”.
- Non stavo spiando nessuno, mi sono trovata lì per sbaglio – ammetto, rendendomi conto che in parte è la verità.
- Certo – è la sua unica risposta – E dovrei crederle perché? - mi chiede.
- Perché sono una donna di parola? - domando, esagerando col sarcasmo probabilmente.
Come avevo pensato, infatti, il mio fare spiritoso non gli piace. - Non penso sia nella posizione per scherzare – mi mette in guardia, semplicemente perché non si è accorto che mi sono appena liberata dalle corde che mi trattenevano.
Per di più con me ho il coltello che mi ha dato Sebastian, posso tranquillamente uscire da questa situazione con le mie stesse forze.
Guardandolo meglio, sospetto per un secondo che non sia il tipo che solitamente colpisce alle spalle degli sconosciuti: forse è il più piccolo della famiglia e vuole solo mettersi in mostra col grande capo.
- Mi dispiace – mormoro, solamente per mandare avanti la mia farsa – Ma mi dispiace di più per il fatto che i suoi nodi.. - aggiungo, mostrando le mani slegate - ...erano veramente pessimi – concludo, con una smorfia d’orgoglio sul viso, contro la sua espressione stupita
- Come..? - bofonchia.
- Ah, senza offesa – aggiungo, giusto per non sembrare maleducata. Come avevo pensato, quest’uomo da solo non è in grado di fare male ad una mosca – Adesso gradirei tornare dentro, qui fuori si gela – aggiungo, con tono estremamente pacato.
La sua espressione muta nuovamente nel giro di un secondo, trasformando lo stupore in rabbia come se nulla fosse. - Guardie! - grida allora a pieni polmoni – Guardie! - è costretto a ripetere una seconda volta, mentre mi preparo al peggio.
Faccio per andarmene, ma in quello stesso momento, dall’unica porta che mi garantiva un possibile rientro nella proprietà, escono due uomini: sono entrambi della servitù, dal momento che riconosco la divisa, ma al contrario di quelli che servivano lo champagne, sono armati fino ai denti.
- Cosa vuole che facciamo, signore? - gli domanda uno dei due.
Senza neanche pensarci due volte, l’uomo sfigurato mi indica, tornando a guardarmi con gli occhi fuori dalle orbite. - Uccidetela! - ordina subito dopo, facendomi trasalire per un momento.
Senza attendere oltre, sfilo il pugnale che mi ha consegnato Sebastian dal suo fodero di pelle, pronta a difendermi.
A quella vista, entrambe le guardie scoppiano in una risata lugubre, giusto un secondo prima di sfoderare della spade decisamente più grandi della mia misera arma.
- Fatevi sotto – ringhio, senza darmi per vinta. Sono pronta a battermi, non ho intenzione di morire per mano di dei tirapiedi.
I due uomini, entrambi decisamente più alti di me, sono quasi alla mia portata ormai e per questo motivo mi metto subito in posizione, come mi ha insegnato Sebastian.
Schivo il primo affondo senza problemi, riuscendo addirittura a ferire il braccio di uno dei due con un colpo deciso: la mia lama sarà anche piccola, ma a giudicare dal sangue che sgorga è parecchio affilata.
- 1 a 0 per me – li prendo in giro, mentre sento l’adrenalina salire ad ogni secondo che passa. Non pensavo che sarei mai stata in grado di fare qualcosa del genere.
Un improvviso spostamento d’aria cattura tuttavia la mia attenzione, anche se cerco di non dargli peso. Probabilmente non è niente, e non è di certo il momento migliore per distrarsi.
Facendo un passo all’indietro, schivo infatti un altro affondo, stavolta da parte dell’uomo che non ho -ancora- ferito: ora sembrano decisamente arrabbiati.
- Due uomini contro una donna? - grida qualcuno, una voce sicuramente femminile. Presa alla sprovvista comincio a guardarmi intorno, scovando alla fine la diretta interessata in piedi sul ramo di un albero appena sopra la mia testa. Nella penombra non riesco a definirne i lineamenti, ma è sicuramente qualcuno che non conosco.
Scuotendo il capo, aggiunge: - No, non mi sembra per niente giusto -.
- Chi sei? - grida l’uomo sfigurato – MOSTRATI! - urla subito dopo, con quello che sembra un ordine dettato dal panico.
- Farò di meglio – risponde la donna misteriosa, prima di eseguire una perfetta capriola in aria, atterrando in piedi esattamente di fronte a me.
Guardo la sua schiena con aria confusa per qualche secondo, prima di mormorare: - Si può sapere chi diavolo sei? -.
Finalmente allora, si volta a guardarmi, rivelando un viso ovale incorniciato da dei lunghi capelli neri: le labbra sono rosse e sottili e gli occhi brillano di un arancione quasi spettrale. La somiglianza con Sebastian per un momento mi lascia senza parole.
- Sono i rinforzi – risponde, dandomi le spalle, e prima che possa rispondere si è già messa all’opera con le due guardie, stendendo prima quella che avevo ferito e poi l’altra, mettendo alla fine fuori gioco persino l’uomo sfigurato, il tutto a suon di calci e pugni.
Con i tre uomini a terra, stringere il pugnale tra le dita mi sembra quasi inutile.
“Cosa diavolo è appena successo?”, è la prima cosa che penso, ma i miei pensieri vengono subito interrotti dal suono di una porta che si apre -una porta che fino a quel momento non avevo neanche notato- dalla quale esce Sebastian, nero in volto e decisamente in vene di urlarmi contro.
- Cosa diavolo è appena successo? - sbotta, come se mi avesse appena letto la mente.
A corto di parole, mi limito ad indicare la donna misteriosa dell’albero, la quale in quell’esatto momento è impegnata solamente a sistemarsi il vestito.
Distogliendo lo sguardo da me, Sebastian si concentra per mia fortuna su di lei, restando tuttavia senza parole a sua volta. - Abaddon? - mormora poi solamente.
...eh?
La diretta interessata reagisce positivamente a quel nome, voltandosi nella sua direzione.
- Ciao fratellino – mormora allora, pulendosi un residuo di sangue rimastole sul collo – E’ bello rivederti – aggiunge, mentre non posso che guardarla a bocca aperta.
“Fratellino?”.

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Capitolo 14
*** Di nuovo tu ***


Ad una settimana esatta dal ballo alla Residenza Norton, ancora sapevo poco e niente della misteriosa sorella di Sebastian.
Probabilmente perché lui si ostinava a non parlarmi, se non quando era strettamente necessario.
In quei giorni i miei pensieri erano stati tutti dirottati all’ambulatorio improvvisato che Ciel aveva tirato su nella Residenza stessa, quello presso il quale potevo finalmente lavorare come una volta.
I pazienti erano sempre di più, e tornare a sentirmi utile era la sensazione migliore del mondo.
Allo stesso tempo, però, non potevo non pensare ad Abaddon, e alla sua misteriosa comparsa al ballo; se non fosse stato per lei, probabilmente alla fine le due guardie avrebbero avuto la meglio, nonostante il mio non volermi arrendere...per non parlare del fatto che il suo modo di combattere era decisamente somigliante a quello di Sebastian.
Magari i demoni si allenano tutti alla stessa scuola di autodifesa.
Il solo momento di riposo dall’ambulatorio era intorno all’ora di pranzo, quando mi prendevo un po’ di tempo per rilassarmi, fino alla successiva apertura; quel giorno in particolare, stavo morendo di fame.
Entro così in casa, abbandonando il patio esterno dove ormai visitavo tutti i giorni chiunque ne avesse bisogno, sperando in qualcosa di buono da mangiare.
Sebastian sembrava non comparire mai quando io ero in giro: o era abile a nascondersi, oppure la Residenza si era fatta talmente grande da impedire i nostri incontri. Di ogni genere.
Dirigendomi verso la cucina, non incrocio nessuno, finché alla fine il diretto interessato non esce da una delle stanze.
Vedendomi, ha quasi voglia di cambiare strada, glielo leggo in faccia.
Faccio allora per parlare, ma lui mi supera come se niente fosse, lasciandomi nel mezzo del corridoio con la bocca aperta e nessuna parola da dire.
- Possiamo smetterla con questo comportamento da bambini? - gli domando di botto, prima che sia troppo lontano per sentirmi.
Lui si ferma, ma rimane in silenzio.
- Lo so che mi hai sentito – mormoro allora, cercando di farlo parlare.
- Ti avevo chiesto di fare una sola cosa – sono le sue prime parole, dopo quasi una settimana di silenzio totale.
Prima che l’occasione mi sfugga dalle mani, mi avvicino velocemente a lui, girandogli intorno fino a ritrovarmi davanti al suo viso. - Tecnicamente, stavo cercando il bagno – lo correggo.
Con l’aria di chi non ne può più, mi supera allora nuovamente.
Non contenta, lo seguo. - E’ così che è andata! - ribatto.
- Si, e poi ti sei trovata improvvisamente ad origliare la conversazione di Roy Norton, giusto? - mi domanda, anche se sa benissimo che è così.
- E’ esatto – rispondo – Ma stavo comunque cercando il bagno – ripeto.
- Saresti dovuta venire immediatamente da me, invece di cacciarti nei guai come tuo solito -.
A quelle parole, non riesco a non fare una smorfia contrariata. - Stavo venendo da te, ma poi quel damerino con la faccia deformata non mi ha tramortito – gli ricordo – E poi scusa, non mi sono mai cacciata nei guai! Grell di certo non è stato colpa mia, non posso controllare i tuoi ammiratori – aggiungo in fretta, nella speranza che si fermi di nuovo. Essendo più alto di me, nella metà del tempo copre il doppio dei miei passi.
Quando decide finalmente di darmi tregua, ho praticamente il fiatone.
Vedo dalla curvatura delle spalle che sta facendo di tutto per non cominciare ad urlare nel bel mezzo del corridoio, cosa che tra l’altro non mi merito. Probabilmente il mio aver nominato il piccolo incidente con Grell non ha di certo aiutato la mia situazione, ma solo in quel momento rimpiango le mie parole.
- Sebastian, ti prego.. - mormoro allora, dopo un momento di silenzio da parte di entrambi, allungando una mano verso di lui.
Prima che possa anche solo sfiorare il suo braccio, la sua mano mi afferra il polso, spingendomi al contempo verso la parete dietro di me. In men che non si dica sono con le spalle al muro, con entrambi i polsi bloccati lungo i fianchi, e le sue labbra sono premute con forza contro le mie. Il suo respiro è caldo sulla mia pelle, mentre mi bacia dopo quasi una settimana di assoluto silenzio
Quando alla fine si allontana, torna nuovamente a darmi le spalle.
- Il pranzo è pronto – mormora, cercando di ritrovare la solita compostezza.
Scuotendo il capo, stavolta senza fare un fiato, lo seguo. - E quando mi parlerai di tua sorella? - gli chiedo qualche secondo dopo.
- Più tardi – risponde – Il pranzo si fredda – aggiunge, mentre cammino al suo fianco, riuscendo finalmente a tenere il passo.
Per un po’ decido di rimanere in silenzio, ma alla fine la mia voglia di aggiungere un’ultima cosa ha la meglio. - Lo so che ti sono mancata – mormoro a mezza voce, dandogli un colpetto sul braccio.
- Silenzio – mi mette in guardia, ma il suo tono è tutto tranne che minaccioso, e il piccolo sorriso che compare qualche secondo dopo sulle sue labbra lascia intendere che il peggio è ormai passato.
So per certo che più tardi parleremo.

***

Dopo pranzo, Sebastian aveva dovuto accompagnare Ciel in città per sbrigare alcune faccende, così avevo finito per dedicarmi all’ambulatorio per tutto il pomeriggio.
Alle 20.00 in punto, avevo chiuso definitivamente i battenti, chiudendo a chiave la porta del patio per poi tornarmene nella Residenza. Essendo stata tutto il giorno fuori, non sapevo neanche se fossero rientrati o meno.
Dopo una cena più veloce della luce, mi avvio verso il piano superiore.
Sulla strada verso la mia camera, però, incrocio Mey-Rin. - Giornata faticosa? - mi domanda, col solito tono gentile.
- Sì – ammetto – Ma tornare a lavorare è comunque bellissimo – aggiungo, massaggiandomi da sola un nervo che, molto probabilmente, è ormai accavallato. Qualcosa mi dice che stanotte dormirò decisamente male.
- Sono felice che tu possa fare di nuovo quello che ami – ammette lei – Anche a me mancano molto le mie armi, a volte.. - mormora poco dopo, lasciandosi andare ad un piccolo sospiro, mentre sistema una piega della sua divisa.
- Usa il tempo libero per esercitarti – le propongo – Anche se qualcosa mi dice che non ne hai particolare bisogno – aggiungo quasi subito, mentre lei diventa rossa per quell’improvviso complimento.
- Immagino che esercitarsi faccia sempre bene – ammette allora – Magari potrei darti qualche dritta sulla difesa personale! - aggiunge, entusiasta di quell’idea.
Alzando entrambe le mani come segno di scusa, scuoto leggermente il capo. - Con una pistola in mano creerei solamente tanto scompiglio – ammetto – Non sono proprio fatta per le armi – aggiunge, con una smorfia.
- Forse perché non hai mai avuto me come insegnante – mormora, gonfiando il petto con orgoglio.
- Uhm...stasera siamo molto modesti – mormoro, divertita.
Superandomi per tornare anche lei alle sue stanze, mi fa un piccolo cenno di saluto. - Ogni tanto capita – ammette – Buonanotte Yuki! - aggiunge poi.
- ‘Notte Mey-Rin – rispondo, avviandomi poi nuovamente verso la mia camera.
So che non sono sola persino prima di aprire la porta, per questo quando vedo Sebastian in piedi di fronte alla finestra non me ne stupisco affatto.
- Giornata faticosa? - gli domando, riciclando la domanda di Mey-Rin.
Voltandosi verso di me, si lascia scappare un piccolo sorriso. - Non particolarmente – ammette – Anche se in fondo non ho idea di cosa sia la fatica – aggiunge, vantandosi ancora una volta dell’assoluta capacità di fare qualunque cosa nonostante la mancanza di sonno e cibo.
- C’è per caso la fiera della modestia, questi giorni? - domando, anche se so perfettamente che quelle parole posso capirle solamente io.
Come avevo pensato, infatti, non mi risponde, bensì si china sul mio viso fino a baciarmi di nuovo.
Per sua sfortuna, so dove vuole andare a parare.
- Stavolta non attacca – lo metto in guardia – So cosa stai facendo – aggiungo, mentre mi bacia il collo. E pensare che fino a quella mattina si rifiutava persino di parlarmi.
- Credo sia ovvio – risponde.
- E’ ovvio anche il fatto che non hai intenzione di parlare, e usi tutto questo per cercare di sviarmi – mormoro, cercando al contempo di allontanarlo.
Quando finalmente torna a guardarmi, la sua espressione è rassegnata. - Perché qualche volta non ti arrendi e basta? - mi chiede.
- Perché non sarebbe affatto divertente – rispondo, dandogli un colpetto sul petto – E ora accendo il camino – aggiungo, visto che sto letteralmente congelando.
- Allora vado a preparare del the – risponde, congedandosi momentaneamente dalla stanza.
Mi occupo del camino durante la sua assenza, riuscendo senza troppi problemi ad accendere il fuoco: la stanza è fredda, dal momento che non ci sono stata tutto il giorno, e purtroppo io non ho la stessa resistenza di Sebastian.
Né la sua velocità nel preparare dell’ottimo the, dal momento che, dopo appena cinque minuti, fa il suo ritorno nella stanza.
- Un giorno mi spiegherai come fai ad essere così veloce? - gli domando, sedendomi sul bordo del camino, in modo da attirare il maggior calore possibile.
- Sono i trucchi del mestiere – risponde – Imparerai – aggiunge subito dopo, posando il vassoio con due tazze di the fumanti sul piccolo tavolino posto davanti al divano. - A meno che tu non voglia cacciarti di nuovo nei guai prima – sono le sue ultime parole, poco prima di versare del latte in una delle tazze. La mia, in effetti.
Alzo gli occhi al cielo dopo quelle parole, sollevandomi dal bordo del camino per sedermi piuttosto su una delle due grandi poltrone.
- E’ stato un incidente – gli ricordo, afferrando poi la tazza che mi porge tra le mani. Quelle sue parole, però, mi riportano velocemente al punto della questione ancora non trattata.
- A proposito di questo – aggiungo, guardandolo togliersi la giacca, prima di sedersi accanto a me – Hai una sorella – mormoro, ripercorrendo velocemente il mio primo incontro con la misteriosa Abaddon.
- Ho una sorella – risponde, prendendo poi un sorso dalla sua tazza, senza aggiungere altro.
Stringo le labbra di fronte a quella semplice risposta, inumidendole e parlando poco dopo. - Perché non me l’hai detto? - gli domando.
Lui si stringe nelle spalle: in questo momento più che mai, sembra semplicemente umano, non ha niente del demone che una volta mi faceva paura.
- Non è ovvio? - mi chiede – Mia sorella porta guai, e in verità..non ci vediamo da mesi – aggiunge.
- Mesi? - chiedo, non convinta di quell’ammissione.
- Anni – si corregge allora, come avevo pensato.
Sollevo allora il sopracciglio, ancora poco convinta.
Quel mio sguardo lo convince a parlare. - Secoli – si arrende infatti, bevendo nuovamente dalla sua tazzina il liquido bollente, come se nulla fosse.
- Ecco – mormoro, questa volta bevendo a mia volta. Il the che ha preparato è davvero ottimo, con un retrogusto di frutta...forse fragola.
- Mesi o secoli che siano, mia sorella porta davvero guai – mi ripete, mettendo da parte il suo the per allungarsi verso di me, restando al contempo seduto – Non abbiamo mai avuto un ottimo rapporto, e sinceramente...sei già brava di tuo ad attirare maniaci, figuriamoci con lei vicino – aggiunge, ma quelle sue parole -per quanto serie siano- mi fanno ridere.
- Porterà anche dei guai, ma l’altra sera mi ha salvato – gli ricordo – Non è una cosa da poco -.
- Credimi, l’averti salvato non cancella la moltitudine di cose che ha fatto in vita sua – mette in chiaro, e so in cuor mio che dice la verità. Ormai conosco abbastanza i demoni da sapere come possono comportarsi.
- Siete entrambi demoni, immagino che le cattive azioni non manchino nella vostra vita – ammetto, dando voce ad un pensiero che avevo tenuto per me fino a quel momento.
- No, non mancano – mi conferma lui – Ma c’è comunque un modo giusto di fare le cose, persino per noi – aggiunge.
- Che intendi? - gli domando, confusa.
- Intendo.. - comincia, prima di fare una breve pausa – Che anche noi abbiamo un codice, anche noi ci poniamo dei limiti – comincia a spiegare – Abaddon invece...per la maggior parte della sua vita è sempre andata avanti senza pensare agli altri – continua, e nella sua voce posso sentire parte dell’odio che sembra provare per la sorella appena ritrovata.
- Ha ucciso molte persone, alcune senza che neanche ce ne fosse bisogno – sbotta alla fine, alzandosi dalla sua poltrona senza aggiungere altro. In piedi di fronte al camino, lo guardo posare una mano sulla parete fredda, reggendosi su di essa.
- La scorsa notte non ha ucciso quei due energumeni – gli ricordo però, anche se non so bene perché l’ho detto. Si può dire che mi sia semplicemente scappato.
Di fronte a quella realtà, lui non può che sospirare. - E questo, se possibile, mi rende ancora più preoccupato – ammette, continuando a darmi le spalle – Senza contare il fatto che se è tornata, c’è sicuramente un motivo – aggiunge.
- Lei dov’è adesso? - gli domando, anche se probabilmente lui è il primo a non saperlo. Dopo quella sua improvvisa entrata in scena, se n’era semplicemente andata senza aggiungere altro: come se fosse arrivata solamente per salvarmi da una situazione che stava solamente peggiorando.
- Non ne ho idea – ammette infatti – Come se al momento non avessi già abbastanza preoccupazioni – aggiunge, frustrato.
Dopo quell’ennesima ammissione, lo guardo per qualche secondo prima di posare la mia tazza sul tavolino. Mi alzo così in piedi, raggiungendolo poco dopo, indecisa su cosa fare; alla fine opto per lasciare le cose come stanno, finendo poi per circondargli la vita con entrambe le braccia, stringendomi contro la sua schiena. Sento la tensione in tutto il suo corpo, ma non appena le mie braccia lo sfiorano lo sento rilassarsi, anche se solamente un po’.
- Perché per adesso non pensi semplicemente che ha fatto qualcosa di buono? - gli propongo – Se il peggio dovesse arrivare, so che saremo pronti – aggiungo, sicura delle mie parole.
- Se il peggio dovesse arrivare dovrò proteggerti – risponde, con tono quasi sarcastico. Mi piace di più quando si lascia andare.
- Se il peggio dovesse arrivare, cercherò di non allontanarmi più del dovuto – concludo, felice di sentirlo ridacchiare poco dopo, e seguendolo in modo totalmente spontaneo.
Prendendo la mia mano tra la sua, fa allora in modo che mi allontani, tornando così a guardarmi. - Te ne sarei davvero grato – ammette, baciandomi mentre sto ancora sorridendo quelle sue parole, mormorate quasi come una preghiera.
In men che non si dica, mi solleva da terra, continuando a baciarmi con trasporto: anche se, in fondo, il tragitto dal camino al mio letto non è poi così lungo.

***

La stanza è finalmente più calda, ma in fondo sono anche sommersa dal piumone invernale del letto. Dopo una settimana di attenzioni arretrate da parte di Sebastian, alla fine ero semplicemente crollata, col pensiero che quando mi sarei svegliata lui non sarebbe stato nel letto con me.
Quando alla fine riapro gli occhi, tuttavia, mi rendo conto subito di non essere sola, come mi rendo conto da subito che è ancora notte.
Sebastian è sveglio, ovviamente, e il suo braccio è ancora intorno alla mia vita.
- E’ bello non dover dormire? - gli domando, attirando la sua attenzione.
Quando volta lo sguardo verso di me, per un momento è confuso, come se non si aspettasse il mio risveglio tanto presto. - E’ noioso, per certi versi – risponde – Ma non essere mai stanco ha i suoi vantaggi – aggiunge, rafforzando la sua presa sulla mia vita.
“Non lo metto in dubbio”, penso tra me e me, mentre sistemo il capo sul suo petto, mettendomi comoda. - A cosa pensavi? - gli domando, stendendo le gambe per stiracchiarmi un po’, tornando alla fine ad intrecciarle con le sue.
- Alla conversazione che hai origliato l’altra sera – ammette – Pensavo che all’orfanotrofio avrei trovato qualche risposta, ma tutto nel complesso era solo maledettamente normale – aggiunge, irritato da quel particolare.
L’orfanotrofio, giusto.
Quella era la parte più interessante della conversazione che ero riuscita ad origliare, anche se alla fine si era rivelato un buco nell’acqua. Ma dal momento che ormai era risaputo che genere di persone i Norton fossero, sapevamo tutti perfettamente che c’era molto di più sotto.
Il sopralluogo che aveva effettuato Sebastian però non aveva dato i frutti sperati, anzi, aveva solamente accresciuto i già troppi sospetti che celavamo.
I bambini sembravano tutti stare bene, a detta sua, e la struttura era talmente curata da risultare quasi lussuosa. Probabilmente anche grazie alle donazioni.
Ma quello che all’apparenza sembrava normale, lo era per davvero?
- Sappiamo tutti benissimo che i Norton sono tutto tranne che normali – gli ricordo – E poi..non ci fermeremo mica alle apparenze, vero? - gli domando, anche se so che quella domanda è praticamente retorica.
- No, non lo faremo – mi conferma comunque – Il non sapere cosa stanno combinando però mi manda in bestia, non mi era mai capitato di sapere così poco di qualcosa – ammette, frustrato.
- Perché questa volta è diverso? - gli chiedo, dal momento che è ovvio che c’è sotto qualcosa.
- Perché Ciel non collabora più come una volta – risponde, chiamandolo “Ciel” e non “Padroncino” forse per la prima volta da quando ci conosciamo.
A quelle parole, mi sollevo istintivamente dal letto per guardarlo meglio. - Che vuoi dire? - chiedo di getto, confusa.
La sua risposta, per fortuna, non tarda ad arrivare. - Voglio dire… - mormora, facendo una piccola pausa per sollevarsi a sua volta dal letto – Che da quando è diventato un demone, pensa di poter fare tutto da solo – spiega, e dal suo tono capisco che in parte è preoccupato per lui, come lo sarebbe un padre nei confronti di un figlio – Il problema è che non conosce questo mondo come lo conosco io -.
- Immagino che tu abbia provato a dirglielo – azzardo, e la sua successiva espressione conferma quella mia ipotesi ancora prima che apra bocca.
- Immagino che tu sappia cosa mi ha risposto – sono infatti le sue uniche parole, mentre scuote impercettibilmente il capo. Con un sospiro liberatorio, si appoggia allora alla testiera del letto, pensieroso.
Io, dal canto mio, trascino con me il piumone fino ad arrivare alla sua spalla, dove poso per un momento la fronte. - Lo immagino – rispondo, senza troppi giri di parole.
- Si renderà conto che ha bisogno di te, prima o poi – lo rassicuro – Questa faccenda è troppo grande per lui, è troppo grande per chiunque – aggiungo, provando un’improvvisa fitta allo stomaco dopo quelle mie parole.
E’ come se sapessi a prescindere che quella è la verità, anche se non so bene come.
- Dovrò cominciare a proteggere anche lui da sé stesso ora – mormora, lanciando l’ennesima frecciatina nei miei confronti.
- Sei bravo ad occuparti degli altri – rispondo, sollevando lo sguardo verso di lui, rivolgendogli poi un piccolo sorriso – Sei la classica persona che vedo bene con un bebè in braccio – aggiungo, ripensando per un momento a tutte le volte che avevo visitato donne incinte.
Presa da quel ricordo, mi domando improvvisamente se nella mia condizione potrò mai avere figli…
- Bebè eh? - mormora allora Sebastian, distogliendo la mia attenzione da quel pensiero improvviso. Il suo sguardo, ovviamente, è divertito.
- Perché no – rispondo, dopo aver fatto mente locale per un momento, reggendogli il gioco.
- Beh, non si può mai sapere.. - comincia, costringendomi poi pian piano a tornare stesa sul letto. Una volta capite le sue intenzione, non riesco a trattenere un piccola risatina: assurdo come ogni scusa sia buona, considerando che il mio commento sui bambini era puramente casuale. Questi sono i momenti in cui capisco che non ne ha mai abbastanza, ma sono gli stessi in cui capisco che per me è lo stesso.
Sospiro quando le sue labbra scivolano delicatamente lungo il mio collo fino al seno, mentre il suo ginocchio si fa presto strada fra le mie gambe, incitandomi a divaricarle quanto bastava.
Con un sospiro, gli concedo tutto il mio corpo, ma quella sensazione idilliaca ha vita breve.
- Allora è proprio vero che il mio fratellino si dà da fare! - esclama una voce, chiaramente all’interno della stanza.
La reazione di Sebastian è pronta e veloce, nonostante nessuno dei due si fosse accorto di niente: nel giro di un secondo, infatti, si piazza davanti a me, come a farmi da scudo. So che la voce appartiene ad Abaddon, e questo rende la situazione ancora più imbarazzante, motivo per il quale afferro immediatamente un lembo del piumone per coprirmi.
Per il rossore sulle mie guance non posso molto, quindi decido di non badarci.
- Abaddon – ringhia Sebastian, decisamente contrariato – Come ti viene in mente di sbucare così all’improvviso? - le domanda, probabilmente indeciso tra l’alzarsi per affrontarla e il rimanermi accanto per proteggermi.
- Veramente sono qui già da un po’ - ammette, portandosi poi un dito alle labbra – Eravate talmente impegnati che non vi siete neanche accorti di me – aggiunge, questa volta divertita da quelle parole, ma per certi versi anche offesa.
Sebastian questa volta non trova le parole per risponderle, e tutto quello che mi limito a fare io è posargli una mano sul braccio, cercando di tranquillizzarlo per quanto possibile.
- Avevo intuito che tra di voi ci fosse del tenero già la sera del ballo – ammette allora, camminando per la stanza come se niente fosse – Ma non pensavo ti fossi dato alle relazioni, fratellino – aggiunge, scuotendo poi impercettibilmente il capo.
- Sono cose che possono succedere, sorellina – risponde, senza pensarci troppo.
- Già, magari un giorno me lo spiegherai, ti va? - gli domanda con fare retorico, poco prima di dare le spalle ad entrambi – Ora rivestitevi pure, poi raggiungetemi entrambi – aggiunge, dirigendosi a passo spedito verso la porta.
- Che cosa sei venuta a fare nel mondo degli umani? - le chiede comunque Sebastian, poco prima di vederla aprire la porta.
- Tempo al tempo fratellino – è la sua unica risposta – Vestiti, e poi potremmo parlare – aggiunge, lasciandoci poi soli nella stanza con un tonfo della porta.

 

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Capitolo 15
*** Spiegazioni e sotterfugi ***


Non c’era bisogno di parlare per sapere che la situazione in cui ci trovavamo era imbarazzante. Fosse stato per me, avrei di gran lunga preferito sprofondare sotto terra piuttosto che continuare a rimanere in silenzio nella stessa stanza con Sebastian, Ciel e la misteriosa sorella ritrovata Abaddon.
Che tra l’altro non faceva altro che fissarmi, quasi compiaciuta.
Per quanto fosse possibile, cercavo sempre di distogliere lo sguardo ogni volta che i nostri si incrociavano anche solo per sbaglio.
- Abaddon, smettila – la rimprovera all’improvviso Sebastian, mentre avevo preso a strofinarmi sulle braccia in preda ad un brivido di freddo.
- Di fare cosa? - le chiede lei, con aria innocente, solo per poi stringersi nelle spalle.
- Di fissare Yuki – risponde lui immediatamente – Non è neanche educato – aggiunge in fretta, restando in piedi accanto a me.
Ciel, nonostante ormai siamo nella stessa stanza da parecchio, non ha ancora proferito parola; se ne sta semplicemente alla finestra, con le mani dietro la schiena.
- Dimenticavo che tu sei un fanatico dell’educazione – lo riprende allora Abaddon, puntandolo con il dito per poi sorridere. La situazione sempre divertirla, e per di più è totalmente a suo agio.
Ma del resto non è appena stata beccata con un uomo nel letto.
Riflettendo su quel particolare, mi va accidentalmente di traverso un po’ di saliva, costringendomi a tossire fortemente nel silenzio della stanza.
Inutile dire che attiro immediatamente l’attenzione di tutti, forse anche dei morti.
- Stai bene? - mi chiede subito Sebastian, preoccupato.
- Tutto bene – rispondo in fretta, senza riuscire a smettere di tossire, tuttavia. Devo sembrare un’idiota. Perché proprio ora devo rischiare il soffocamento?
- Insomma perché siamo qui? - chiede allora Sebastian, decisamente spazientito.
Una volta che mi sono ripresa, stringo entrambe le braccia al petto, soprattutto perché la mia vestaglia non è poi molto pesante.
- Già, perché siamo qui? - chiedo a mia volta, mettendo da parte il fatto che fino al secondo prima sembravo il paziente zero di qualche epidemia mortale.
- Siamo qui perché ho preso una decisione – sono le parole di Ciel, che subito catturano la nostra attenzione.
Lo sguardo tra me e Sebastian è quasi d’obbligo, mentre poi entrambi torniamo a guardarlo con aria confusa.
Questa volta lascio che sia lui a parlare.
- Che tipo di decisione? - è la domanda di Sebastian, ma in quel momento sappiamo entrambi dove vuole andare a parare. Come probabilmente c’è solo un motivo se la sorella perduta si è ripresentata proprio in questo momento.
- Ho fatto un patto con Abaddon – risponde infatti Ciel, notizia che non mi lascia per niente di stucco – L’ho evocata io, per questo si trova qui – conclude poco dopo, prima che un lungo silenzio cali nella stanza.
Lo sguardo di Sebastian nei suoi confronti non è arrabbiato, bensì deluso. Si sente tradito, posso leggerlo nei suoi occhi.
- Perché? - gli domanda, stringendo gli occhi – Non è in grado di svolgere il suo lavoro, è troppo impulsiva! - sbotta subito dopo, puntando il dito verso la sorella.
- Oh Sebi...non sai che le persone cambiano? - mormora Abaddon, ricominciando a passeggiare per la stanza come se la situazione non la riguardasse.
- Le persone forse, tu no, Abaddon – la rimprovera ancora.
- Sebastian.. - provo a mormorare, ma so bene che ora non è in vena di ascoltare nemmeno me.
Il suo cenno di rimanere in silenzio è solamente una conferma di cui non avevo neanche bisogno.
- Padroncino, questa non è una buona idea – tenta lui, avvicinandosi alla sua scrivania, la stessa scrivania che era solito affiancare – Perché mai evocarla, poi? - gli chiede, posando entrambe le mani sul bordo di legno spesso.
- Perché i Norton sono una faccenda seria – risponde lui, tornando a guardarci – E mi serve più gente possibile – aggiunge.
Ma Sebastian non è convinto di quelle parole.
Sollevo lo sguardo per osservare meglio la situazione, ma sento nel profondo che questa non è una discussione che finirà bene.
- No – mormora infatti, questa volta stringendo il bordo della scrivania – Tu pensi che io non sia in grado di indagare sui Norton e allo stesso tempo prendermi cura di Yuki, non è così? - gli domanda, e quelle parole per un momento mi lasciano senza fiato.
Non avevo pensato che potesse essere tutto collegato a me, e alla mia relazione con Sebastian. Ciel era sempre stato un tipo calcolatore e cauto, quindi il suo stringere un patto con un altro demone per mandare avanti la faccenda Norton era più che plausibile.
Ma no...da quando aveva scoperto di noi, la sua assoluta fiducia nei confronti di Sebastian si era affievolita, forse fino a sparire.
- Questa è un’assurdità, Ciel! - sbotto, incapace di trattenermi. A grandi passi, mi avvicino a mia volta alla scrivania – Sebastian non ti ha mai deluso da quando sono qui, cos’è cambiato ora? - gli chiedo, incapace di capire, nonostante tutto, cosa l’abbia spinto a comportarsi così.
- Sono corso da te l’altra sera – quella risposta arriva dallo stesso Sebastian, costringendomi a voltare lo sguardo verso di lui, mentre sento ancora quello di Ciel addosso.
In un primo momento non capisco quelle sue parole, ma una volta fatti i giusti collegamenti non mi è difficile arrivare ad un’unica conclusione.
Faccio per parlare, ma dalla mia bocca non esce niente e chino il viso nello stesso momento in cui Sebastian torna a guardarmi.
- Sono corso da te, perché sapevo che eri in pericolo, invece di.. - comincia, finché Ciel non lo interrompe.
- Ha disubbidito ad un mio diretto ordine – mormora molto semplicemente – Ecco il motivo della mia decisione – aggiunge, affiancandosi ad Abaddon. Quel suo ultimo gesto mette fine alla discussione: ormai è chiaro a chi deve la sua lealtà.
- E ora come ora, non posso permettermi di avere al mio fianco qualcuno che non sa stare al suo posto – continua lui, questa volta tornando a sedersi sulla sua poltrona – O che ha troppi pensieri per la testa – aggiunge, guardando nella mia direzione - Senza offesa, signorina Yuki – conclude, pronunciando quelle parole come se dovesse farmi un favore.
- Tutta questa faccenda è semplicemente ridicola – sbotto immediatamente.
- Cosa ti ha chiesto in cambio dei suoi servizi? - domanda di getto Sebastian, contrapponendosi ancora una volta tra me e la scrivania – L’anima che non hai più? - prosegue, rivolgendo una breve occhiata ad Abaddon.
- Non ho chiesto niente in cambio – risponde lei stessa, facendo calare nella stanza un improvviso silenzio.
- Certo – risponde lui, in tono chiaramente sarcastico.
- Le persone cambiano, fratellino – gli ripete ancora una volta, e dallo sguardo nei suoi occhi deduco che è sul punto di urlare alla diretta interessata. Non so in che modo riesce a trattenersi dal farlo.
- Così sia – conclude lui, riacquistando la posizione più composta possibile – Dividerò il mio posto di lavoro con la mia adorata sorellina – aggiunge, lanciando uno sguardo truce alla ragazza.
Ciel si esprime in quel momento con un unico applauso. - Bene, speravo l’avresti presa bene! - esclama, dando per scontato che la faccenda vada davvero bene a Sebastian. Quel suo comportamento mi fa dare di matto ogni volta, e la mia pazienza purtroppo non è infinita come quella di Sebastian.
Faccio infatti ancora una volta per parlare, ma la sua mano mi blocca ancora una volta, intimandomi di rimanere in silenzio.
- Possiamo andare? - domanda alla fine, rivolgendo una breve occhiata ad entrambi.
- Potete andare – ci congeda Ciel, anche se io vengo letteralmente portata via a forza. Solo quando la porta dello studio si chiude smetto di lottare e di lamentarmi a gran voce, mentre Sebastian in tutto ciò rimane in silenzio.
Non oso immaginare la sua delusione nei confronti di Ciel in questo momento.

***

Il giorno successivo all’improvvisa decisione di Ciel, avevo aperto l’ambulatorio come sempre, ma il pensiero di quello che era successo aveva continuato a tormentarmi.
Avevo provato a parlare con Sebastian, ma lui aveva abilmente evitato il discorso fino all’ultimo, solo per poi sparire dalla mia camera come se niente fosse. Avevo provato ad aspettare che tornasse, ma verso le 3 di notte avevo dovuto lasciar perdere, stremata dal sonno.
Oggi si erano presentate meno persone del solito all’ambulatorio, per questo avevo avuto molto più tempo per pensare.
Ritenevo la scelta di Ciel semplicemente ridicola, dal momento che Sebastian gli era stato sempre fedele. L’errore di una volta non giustificava di certo quella sua scelta così improvvisa...senza contare il fatto che era stata proprio Abaddon ad intervenire per salvarmi.
- Mi ha messo alla prova – mi volto di scatto non appena odo la voce di Sebastian, che in quello stesso momento sta facendo la sua entrata nella stanza.
Come ogni volta che sono sovrappensiero, non l’ho assolutamente sentito arrivare.
- Cosa hai detto? - domando infatti, scuotendo appena il capo, come per riacquistare un minimo di lucidità in tutta quella situazione.
- Ciel – risponde solo – Mi ha messo alla prova, al ballo dei Norton – aggiunge, continuando a rimanere sul vago.
Notando il mio silenzio, continua senza che io dica niente.
- Ha invocato l’aiuto di Abaddon prima del ballo – comincia a spiegare, sedendosi su una delle sedie libere dell’ambulatorio – Sapeva che lei si trovava lì, e che ci avrebbe pensato lei a salvarti, se ce ne fosse stato bisogno – aggiunge, e non appena odo quelle parole la rabbia dentro di me rimonta all’improvviso.
- Te lo ha detto lui? - chiedo immediatamente, bloccando per un momento il suo racconto.
Il modo in cui sta esponendo i fatti è anche troppo calmo, sembra quasi rassegnato: non mi era ancora capitato di vederlo in uno stato del genere.
Annuendo, risponde a quella mia semplice domanda, sospirando. - Preferiva farlo in privato.. - comincia, ma la mia alzata di occhi lo costringe ancora una volta a fermarsi.
- Aveva paura che gli tirassi qualcosa dietro? - domando, incrociando entrambe le braccia al petto.
- L’avresti fatto? - mi chiede, guardandomi con gli occhi stretti per un momento.
- Probabile – ammetto, visto che in fondo è la verità. Non ero mai andata matta per il modo in cui si comportava Ciel, ma questa volta aveva davvero superato il limite. Soprattutto perché mi sentivo responsabile per quello che in quel momento stava passando Sebastian.
- Quindi… - mormoro, incapace di trovare per un momento le parole giuste - ..era tutto un piano diabolicamente studiato per vedere la tua reazione? - gli domando, anche se non credo neanche io a quelle parole. Chi è tanto subdolo da fare qualcosa del genere?
- Esattamente – risponde, con un successivo sospiro.
Ciel Phantomhive, ecco chi.
- Ma in fondo ha semplicemente confermato la sua teoria - aggiunge Sebastian, appoggiandosi allo schienale della sedia in quella che sembra una posizione decisamente comoda.
- Che vuoi dire? - gli chiedo, sedendomi al contempo sulla piccola scrivania dell'ambulatorio. Mi meraviglio anzi che regga il mio peso.
- Che avrei disubbidito a quell'ordine in qualunque scenario - risponde - Quindi aveva ragione lui - aggiunge, con un tono eccessivamente calmo - L'essere stato punito è stata solamente la conseguenza - conclude, tornando in piedi.
- E perché sembra che a te vada bene? - sbotto all'improvviso, seguendolo con lo sguardo mentre passeggia per la stanza - Perché devi pagare tu per qualcosa che io ho scatenato? - gli domando subito dopo, mentre i sensi di colpa tornano a galla ancora una volta.
Per qualche secondo fisso solamente la sua schiena, mentre a prima vista sembra starsi sistemando la giaccia.
- Perché se potessi tornare indietro, correrei comunque a salvarti – risponde, mentre sono ancora dietro di lui con entrambe le mani strette al petto. Non sapendo come rispondere a quelle parole, sono felice di guardarlo voltarsi nuovamente nella mia direzione, mentre accenna quello che posso definire a tutti gli effetti un sorriso.
- Non sorridere – lo rimbecco – Sei inquietante quando provi ad essere umano – aggiungo, mentre lo guardo avvicinarsi nella mia direzione.
Nel fare un passo indietro torno di nuovo a toccare la scrivania su cui fino ad un momento prima ero seduta. Senza rispondere a quelle mie parole, si china semplicemente verso di me fino a baciarmi.
Nonostante continui a non essere d’accordo con la decisione di Ciel, né tanto meno con quel suo improvviso comportamento, ricambio quel bacio, posando entrambe le mani sui suoi fianchi.
- Sappi che odio Ciel per questo – mormoro, non appena si allontana dal mio viso.
Mi guarda per un momento, prima di sospirare appena. - Lavoro ancora per lui – mi ricorda – Solo che ora è a mia sorella che si rivolge per le faccende più importanti – aggiunge, stringendosi nelle spalle con fare indifferente. Mi domando come faccia.
- E questo ti va bene? - gli chiedo.
Nuovamente, annuisce. - C’è un lato positivo in tutta questa faccenda, non ci hai ancora pensato? - mi chiede.
Aggrotto immediatamente le sopracciglia, non riuscendo a capire quelle sue parole. - Che vuoi dire? - domando allora, guardandolo a lungo per cercare di carpire qualche informazione in più dal suo silenzio, senza riuscirci.
- Ora sono più libero – risponde solo – Se Ciel vuole fidarsi di mia sorella per la faccenda dei Norton, così sia...non mi ha di certo vietato di indagare per conto mio – aggiunge, continuando a guardarmi negli occhi. Con quelle parole, mi sconvolge definitivamente.
- Che ne hai fatto di Sebastian? - domando di getto – Dov’è il maggiordomo guastafeste che conosco? - continuo, riuscendo addirittura a farlo ridere.
- In pensione, a quanto pare – risponde, allontanandosi da me quanto basta per permettermi di scendere dalla scrivania, così che possa sgranchirmi le gambe.
- Tu, proprio tu, che mi hai ripreso più volte quanto volevo indagare per conto mio, ora sei pronto a farlo alle spalle dello stesso Ciel? - gli chiedo, semplicemente perché quelle parole mi suonano troppo strane. Soprattutto pronunciate da lui.
- Sapevo che avresti reagito così – ammette allora.
- Beh, come altro avrei potuto reagire? - gli domando retorica, seguendolo con lo sguardo finché finalmente non si ferma di nuovo.
Visto il suo successivo silenzio, decido di essere di nuovo io a parlare. - Cosa hai intenzione di fare? - gli chiedo, entusiasta di quel suo nuovo ed intrigante comportamento.
Sistemandosi ancora una volta la giacca, pronto probabilmente per tornare nella Residenza, mi rivolge questa volta uno sguardo serio. - Andremo di nuovo in quell’orfanotrofio – mi mette al corrente, accennando al rifugio per orfani del signor Norton – Domani – decide poi lì sul momento.
- Ma avevi detto di non aver riscontrato niente di strano – gli ricordo – Perché tornarci? - domando.
- Perché qualcosa mi è sfuggito la prima volta – ammette – E sono sicuro che qualunque cosa sia, tu la noterai – aggiunge, voltandomi poi le spalle per lasciarmi di nuovo solo nell’ambulatorio.

***

Nel pomeriggio la gente aveva cominciato a presentarsi di nuovo nell’ambulatorio, dandomi modo di lavorare, ma allo stesso tempo di pensare alla recente offerta di Sebastian.
Proprio lui, che più di una volta mi aveva proibito di fare ricerche per conto mio, ora era pronto a muoversi proprio in quella direzione. Probabilmente il recente comportamento di Ciel gli aveva dato semplicemente la spinta che gli mancava.
Se ormai quell’arrogante ragazzino aveva perso totalmente la fiducia in lui, tanto valeva comportarsi di conseguenza. Era proprio questo lato di Sebastian che ora mi intrigava più che mai.
Dopo cena, ne avrei approfittato subito per un bel bagno, per poi mettermi direttamente a dormire: volevo riposare il più possibile prima della nostra incursione al misterioso orfanotrofio. Che tra l’altro volevo vedere a tutti i costi anche la prima volta che Ciel lo spedì lì.
Mentre sistemavo le carte sparse sulla mia scrivania, uno spostamento d’aria improvviso mi avvisa della presenza di qualcuno.
E so che questo qualcuno non è Sebastian.
- Abaddon – mormoro, senza pensarci due volte. Quando mi volto, lei è ovviamente nella stanza, in piedi accanto alla porta ormai aperta.
- Yuki – mormora a sua volta, avanzando questa volta nella mia direzione.
- Che cosa vuoi? - domando subito, senza smettere di sistemare le carte alle quali mi ero dedicata fino a quel momento.
- E’ questo il modo di rivolgersi a chi ha salvato la vita? - è tutto quello che mormoro allora, guardandomi dall’alto in basso.
- Ti ho già ringraziato per quello – le ricordo, riferendomi alla sera del ballo dei Norton – E qualcosa mi dice che non posso fidarmi molto di te – aggiungo, mettendo in chiaro le cose. Se prima la cosa non era chiara, le parole di Sebastian mi avevano decisamente schiarito le idee.
Per non parlare del fatto che aveva accettato il suo nuovo incarico presso la Residenza senza battere ciglio.
- Qualcosa.. - mormora nuovamente – O qualcuno? - aggiunge, subito dopo.
- Non penso che abbia importanza – rispondo – Il che mi riporta alla precedente domanda: che cosa vuoi? - le domando ancora una volta, afferrando la mia giacca per infilarmela. Fuori fa freddo, anche se ormai è quasi Marzo.
- Voglio..solo fare due chiacchiere – risponde, con una stretta di spalle – Non ho cattive intenzione – aggiunge.
Con un sospiro, sistemo la pila di documenti su una parte della scrivania, tornando così a guardarla. - D’accordo – rispondo – Parla pure – aggiungo.
- E’ stato più semplice di quello che pensassi – ammette allora, apparentemente divertita dalla situazione – Comunque… - aggiunge subito dopo, passeggiando per qualche secondo nella stanza prima di fermarsi nuovamente. Tale e quale a suo fratello, del resto.
Quando all’improvviso torna a guardarmi, ho un brivido lungo la schiena per un momento, che decido ovviamente di ignorare. Il suo silenzio è quasi assordante.
- Mio fratello non è assolutamente come lo ricordavo – ammette alla fine – E’ diverso – aggiunge poco dopo.
- E ne parli con me..perché? - le chiedo, stringendomi appena nelle spalle.
- Perché immagino che tu abbia qualcosa a che fare con questo cambiamento – risponde, facendo un passo nella mia direzione.
Il mio primo istinto è quello di allontanarmi, ma per qualche motivo riesco a rimanere al mio posto senza fare un fiato. - E la cosa ti infastidisce? - domando, quasi in un sussurro. La mia voce mi ha abbandonato all’improvviso.
Il fatto che anche lei sia in grado di incutere la giusta dose di paura con un semplice sguardo la rende ancora più uguale al fratello. Che per giunta non ho idea di dove sia.
- Mi incuriosisce, più che altro – mi corregge, tornando a parlare con un tono di voce normale – Non si era mai aperto con nessuno in vita sua – aggiunge, non nascondendo il suo stupore.
- Se può farti sentire meglio, ci siamo conosciuti perché voleva uccidermi – le confido, anche perché non penso che Sebastian l’abbia messa al corrente di quel piccolo particolare. Il modo in cui mi guarda conferma quel mio pensiero – Lo svantaggio di mangiare anime per colazione – aggiungo, senza distogliere lo sguardo dal suo.
Nonostante la stia tenendo letteralmente d’occhio, il modo in cui improvvisamente si para davanti al mio viso è tutto tranne che normale: non l’ho vista neanche muoversi, è semplicemente comparsa, costringendomi a fare letteralmente un balzo all’indietro per allontanarmi.
- Già, la faccenda della tua anima – è la prima cosa che dice, lasciando scivolare lo sguardo sul mio medaglione, che ogni giorno porto con me. - O meglio, dell’anima che non hai – aggiunge, questa volta allungando le dita verso la superficie metallica della mia collana.
D’istinto, mi tiro indietro: non voglio che la tocchi, anche se non so bene il perché. - E’ solo un medaglione – sbotto senza pensarci, risultando se possibile ancora meno convincente.
- Con dentro la parte di te che ti renderebbe divertente – sottolinea – Mi domando come abbia fatto Sebastian – aggiunge, riflettendoci per qualche secondo.
- Lunga storia – rispondo – Era di questo che volevi parlarmi? - le chiedo dopo qualche secondo, ansiosa di tornare alla Residenza.
- Non proprio – ammette, tornando finalmente a me. Ha definitivamente lasciato stare il mio medaglione, la cui superficie ha anche iniziato a scaldarsi, in realtà.
“Stai buona lì dentro tu”, penso immediatamente tra me e me, senza ottenere per fortuna nessuna risposta. I tempi in cui quella voce fastidiosa mi riempiva il cervello erano passati, già da qualche tempo ormai.
- E allora di cosa? - domando, stufa di quel suo continuo silenzio.
- Volevo solo mettere in chiaro che.. - comincia, facendo una pausa. Sembra che stia per ammettere qualcosa contro la sua volontà. - ..è stato Ciel ad invocarmi, non pensavo lo stesse facendo per fare un torto a Sebastian – aggiunge, lasciandomi senza parole.
Si sta..scusando? Il suo comportamento fino a quel momento era stato ostile, schivo...e ora si stava scusando?
- Non sarei mai venuta altrimenti – aggiunge – Ma non si può rifiutare la chiamata quando arriva: il nostro è un centralino a senso unico – ammette subito dopo.
- Perché mi stai dicendo questo? - le chiedo, confusa da quel suo improvviso comportamento. Immagino sia un’altra caratteristica di famiglia.
- Perché so che mio fratello mi odia in questo momento – risponde.
- Non hai fatto molto per non farti odiare da lui – le ricordo.
- Non posso neanche disubbidire a Ciel – mi ricorda a sua volta – Mi ha ordinato di avere il rapporto più minimo con lui, per evitare che anche io venga coinvolta troppo – ammette, e per qualche motivo so che è sincera.
- Ciel ha superato ogni limite – ammetto poco dopo, scuotendo il capo. Non posso credere che sia arrivato a comportarsi in maniera simile, ma il suo lato calcolatore a quanto pare ha avuto la meglio su di lui.
- Non è di certo uno stupido – concorda Abaddon – Nella sua testa pensa di avere ragione – aggiunge.
- Immagino che sia così – mormoro alla fine – Vuoi che riferisca qualcosa a Sebastian, da parte tua? - le chiedo solo dopo qualche secondo, anche se l’idea di mettermi in mezzo tra loro due non mi entusiasma poi molto.
- No – risponde alla fine – No, riuscirò a parlare io stessa con lui – aggiunge.
- Immagino sia la cosa migliore – ammetto, annuendo subito dopo.
Dopo quelle mie parole, la guardo chinare appena il capo nella mia direzione, restando in silenzio per qualche secondo. - Perdona il mio disturbo – sussurra poi all’improvviso, prendendomi alla sprovvista.
- Nessuno disturbo – rispondo dopo qualche secondo, facendo poi per uscire dall’ambulatorio. Lei mi segue, e una volta fuori recupero le mie chiavi dalla tasca della giacca, chiudendo la porta con le solite due mandate.
Quando comincio ad allontanarmi, noto che lei non sta facendo lo stesso. - Sappi che non mi fido ancora di te – decido di ammette in quello stesso momento – Non dopo quello che Sebastian mi ha raccontato – aggiungo.
- Non me ne stupisco – la sua risposta mi arriva lontana, quasi come un eco – Ma proverò ad entrambi che non sono più la persona di una volta – aggiunge, mentre quello strano eco aumenta.
Quando mi volto per controllare, lei è già sparita.

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Capitolo 16
*** L'orfanotrofio ***


Dalla mia conversazione con Abaddon non avevo più avuto molte notizie di lei; essendo ora il demone incaricato della protezione di Ciel, era sempre impegnata in qualche strana missione segreta.
Missioni di cui io e Sebastian eravamo messi al corrente a stento.
I suoi atteggiamenti nei confronti di quest’ultimo, inoltre, sottolineavano ancora di più il fatto che ormai il loro rapporto di assoluta fedeltà era acqua passata: il fatto che il marchio che Sebastian aveva sempre avuto inciso sulla dorso della mano stesse svanendo a poco a poco ne era la prova tangibile.
La sua risposta emotiva a quei recenti eventi, invece, lo era decisamente di meno. Era come se avesse già superato tutto, come se quegli anni al fianco di Ciel non fossero poi molto importanti.
A detta sua, avrebbe preferito in ogni caso correre in mio soccorso, piuttosto che ascoltare gli ordini di Ciel.
Quelle parole, ovviamente, mi avevano fatto venire una stretta allo stomaco non indifferente.
Presa da quei pensieri, per poco non avevo dimenticato della visita all’orfanotrofio che io e Sebastian avevamo concordato.
- Stai bene? - mi chiede all’improvviso, riportandomi alla realtà – Ti vedo più pensierosa del solito – aggiunge dopo poco, sistemando in una borsa l’occorrente per partire, tutte cose utili solo a me, come acqua e qualcosa da mangiare. Non sapevamo ancora fino a che ora ci saremmo trattenuti fuori dalla Residenza. Visto quanto ultimamente Ciel badava a noi, saremmo potuti stare fuori anche per un mese, e a lui non avrebbe fatto alcuna differenza.
- Sto bene – rispondo d’istinto, perché in fondo è vero – Riflettevo su alcune cose – aggiungo poco dopo, chiudendo lo zaino colmo di provviste che mi ha appena passato.
Oggi, per la prima volta da quando lo conosco, lo vedo con indosso qualcosa che non sia la solita divisa gessata da maggiordomo: ha scelto una camicia bianca indossata con sopra una giacca nera medio-lunga, il tutto completato da un paio di pantaloni neri e da un paio di stivali all’apparenza decisamente comodi.
- Spero che tu non stia pensando ancora alle ultime scelte di Ciel – mormora, guardandomi prima di scuotere il capo.
- Si e no – rispondo solo, stringendomi poco dopo nelle spalle – Sia a quello che alla parole di Abaddon – aggiungo.
Nel sentir nominare il nome della sorella, si irrigidisce di colpo. - Non devi credere alle sue parole – mi ricorda, forse per la milionesima volta.
- Lo so, me l’hai già detto – gli ricordo – Ma sembrava davvero sincera l’altra sera.. - ritento, anche se so già che avrò poca fortuna.
- Sembrava sincera anche quando giurò di non aver sterminato una famiglia per un debito di 10 sterline – sbotto, con tono duro.
- Le era stato ordinato o fu una sua scelta? - gli chiedo, probabilmente mettendolo in difficoltà. Fin dalla prima apparizione di Abaddon, il suo unico scopo era stato quello di metterla in cattiva luce con me.
C’era anche da dire che ero sempre stata un tipo che dava troppa fiducia a tutti, e che quindi le sue parole arrivavano solamente per fare del bene. Del resto, era lui a conoscerla meglio...e se mi diceva di non fidarmi, chi ero io per giudicare?
Probabilmente avremmo scoperto solamente per tempo al verità sul suo modo di fare: sapevo che se davvero era cambiata, Sebastian gliene avrebbe dato conto.
- Ordine o scelta, ucciderli le piacque parecchio – risponde dopo qualche secondo – Non crederò al fatto che è cambiata finché non me darà una prova concreta – aggiunge, sistemandosi la giacca, pronto a partire.
E’ da poco passata l’ora di cena, e il prossimo passo è quello di rubare un paio di cavalli dalla scuderia della Residenza.
Dal mio primo incontro con Sebastian molte cose in me erano cambiate, ma quella che preferivo più di tutti era l’agilità che avevo acquisito: riuscivo a muovermi molto più velocemente rispetto a prima, e i miei passi erano quasi impossibili da udire. Arrivare furtivamente alle scuderie era stato un gioco da ragazzi per entrambi.
- Io prendo Tempesta – mormoro, non appena facciamo il nostro ingresso. Tempesta era un’enorme puledra purosangue di un nero talmente scuro da fare quasi male agli occhi. Era l’unico cavallo della scuderia con cui andavo d’accordo, considerando che come animali non erano proprio al primo posto nella mia scala di gradimento.
- Chissà perché non avevo dubbi – risponde lui, optando alla fine per Dorian, un altro purosangue ugualmente nero, in modo da evitare di essere avvistati da occhi indiscreti.
Nessuno doveva sapere di quella nostra visita all’orfanotrofio Norton.
E nessuno lo avrebbe saputo.

***

Il viaggio che avevamo davanti doveva essere al massimo di un paio d’ore, ma a causa di un paio di imprevisti ce ne avevamo impiegate quasi il doppio, e la mia schiena cominciava a lamentarsi.
- Manca ancora molto? - domando sottovoce, sorpassando l’ennesimo boschetto. Davanti a noi non sembra esserci ancora niente, per non parlare di quanto è spettrale questo posto di notte.
L’idea di trovarci lo stesso Norton che mi aveva aggredito mi metteva i brividi, anche se mi sentivo più che pronta a reagire in maniera adeguata, questa volta. Di certo non mi sarei fatta prendere alle spalle.
- Non molto – risponde Sebastian – Ormai siamo ai limiti della proprietà, resta dietro di me – aggiunge, continuando a camminare.
Annuisco a quelle sue parole, e per un momento sto per parlare: l’unico particolare che mi impedisce di farlo è il rumore improvviso che sento, appena dietro di noi.
Sebastian, per fortuna, lo ode come me, costringendo immediatamente il suo cavallo a voltarsi: solo allora mi fa cenno di rimanere in silenzio.
Faccio come mi dice, ma non appena aguzzo la vista riconosco chi è l’autore di quel rumore improvviso, e per qualche motivo la cosa non mi sorprende.
- Abaddon – mormoro subito, mentre suo fratello mi raggiunge, sistemandosi al mio fianco.
Con passo leggero -questa volta-, Abaddon fa la sua entrata, uscendo alla luce della luna piena alta nel cielo. - I tuoi sensi sono davvero sopraffini – commenta, cominciando ad avvicinarsi ad entrambi.
- Merito dell’incontro con tuo fratello – rispondo, lasciando andare di poco le briglie del cavallo.
- Il tentato omicidio? - domanda allora, guardando di sfuggita il diretto interessato. Non vedo cavalli nelle vicinanze, il che vuol dire che è venuta a piedi.
Sebastian, nell’udire quelle parole, rotea gli occhi. - E’ una cosa di dominio pubblico ormai? - domanda retorico, tornando serio all’improvviso – Che ci fai qui? - le domanda poi, e in quello stesso momento capisco che ormai sono fuori dalla conversazioni.
Mi domando se l’aria intorno a noi fosse già così gelida da prima.
- Sapevo che avevate qualcosa in mente, così sono venuta a darvi una mano – ammette, mentre la luce lunare mette in risalto l’elsa d’argento della sua spada, quella che porta sempre con sé.
- Che mi dici di Ciel? - domando io d’istinto. In teoria, dovrebbe stare sempre al suo fianco, o comunque per la maggior parte del tempo.
- A casa a dormire come un bambino – risponde, tirando fuori da una tasca interna della giacca quella che sembra una piccola palla di vetro; dopo averle dato un colpetto, la tira direttamente a Sebastian, che l’afferra al volo un secondo più tardi. - Guarda tu stesso – aggiunge, mentre un immagine comincia a farsi chiara sulla superficie incurvata.
Mi sporgo subito a vedere, curiosa, finché non riconosco la figura addormentata del ragazzo, tranquillo nel suo stesso letto.
Lo sguardo di Sebastian è severo. - Cosa gli hai dato? - le chiede.
Guardo immediatamente Abaddon a mia volta: sembra una partita di tennis.
- Sonnifero a prova di demone – risponde, con un sorriso compiaciuto – Totalmente innocuo, domattina si sveglierà come tutti i giorni, se non più riposato del solito – specifica, con un tono decisamente compiaciuto. Sembra perennemente divertita per ogni cosa che fa, persino quando non dovrebbe.
Lo sguardo di Sebastian è contrariato, ma per certi versi sembra anche sollevato: così non corriamo il rischio di essere beccati dallo stesso Ciel. Probabilmente non avrebbe apprezzato quella nostra incursione notturna.
- Non farò la spia, se è questo che ti stai domandando – mormora Abaddon, rompendo il silenzio che era improvvisamente calato tra di noi.
- Perché salti a certe conclusioni? - le domanda Sebastian, stringendo poco dopo le briglie del suo cavallo, che ora sembra starsi agitando. Non credo che la presenza di Abaddon gli vada a genio, come sembra non andare a genio a Tempesta.
Forse è per quel motivo che Abaddon ci ha raggiunto a piedi, anche se mi domando come abbia fatto.
- Perché so che non ti fidi di me – è la sua risposta secca, anche se dal suo tono si capisce che sa bene che quella è la verità, e che la cosa le va bene – Se posso aiutare stasera, vorrei farlo – aggiunge.
Un silenzio improvviso cala nuovamente tra di noi, mentre Sebastian non fa altro che sostenere il suo sguardo. Alla fine, per la seconda volta in poco tempo, è di nuovo lei a tornare a parlare per prima.
- Ti prego – mormora alla fine, chinando appena il capo nella direzione del fratello.
Non oso proferire parola, è meglio che non mi immischi nella loro attuale situazioni, anche se dal canto mio penso che le parole di Abaddon siano sincere.
“O forse sei tu che ti fidi troppo in fretta di tutti”, mi ricorda la parte razionale del mio cervello, la stessa che ogni volta mi riporta alla realtà, evitando che il mio cervello naufraghi.
La risposta di Sebastian arriva, alla fine, dopo essersi fatta attendere: con un gesto elegante e veloce, gira di nuovo il suo cavallo, dando le spalle alla sorella.
Lo guardo confusa finché finalmente non parla. - Seguici – mormora, intimando il suo cavallo a camminare – E tieni il passo – ordina alla fine, mentre faccio per seguirlo.
Lei non risponde, in fondo non ce n’è bisogno, ma sento chiaramente i suoi passi sul terreno ricoperto di foglie.
Man mano che ci allontaniamo da lei i cavalli si tranquillizzano: mi domando il perché di questa loro reazione.
Dopo solamente qualche secondo, la mia curiosità ha la meglio, e decido di domandarlo a Sebastian.
- Cos’hanno i cavalli contro di lei? - gli domando, cercando di non farmi sentire dalla diretta interessata.
- Gli animali non amano particolarmente i demoni, sentono il nostro odore e ne stanno alla larga – mi spiega subito, senza giri di parole – Per far si che un qualsiasi animale si affezioni a noi, devi conquistare la sua fiducia...ma ci vuole molto più tempo del normale – aggiunge.
- Mettici pure che a me gli animali non piacciono – mormora con decisione Abaddon alle nostre spalle, segno inconfutabile che i miei tentativi di non essere udita non sono andati a buon fine.
- Capisco – rispondo solo, in parte in imbarazzo per quello che è appena successo. Decido prontamente di rimanere in silenzio per il resto del cammino.
Finalmente dopo un paio di kilometri raggiungiamo quella che sembra l’entrata dell’orfanotrofio Norton: l’edificio sembra solido, a prima vista, ed è di un rosso impossibile da non notare, persino di notte.
Sul grande cancello in ferro battuto erge la scritta “Orfanotrofio Norton” a lettere giganti, anch’esse impossibili da non notare.
Dalla proprietà non arriva neanche un rumore, e tutte le luci sono ormai spente.
- Ci siamo, lasciamo qui i cavalli – propone Sebastian, smontando poi dal suo e conducendolo per le briglie fino all’albero più vicino, dopo successivamente lo lega.
Faccio lo stesso pochi secondi dopo, riuscendo a smontare senza problemi nonostante la grande stazza di Tempesta. Dopo averla fatta avvicinare ad un albero parallelo, lego a mia volta la briglia gli intorno, accarezzandole la testa prima di raggiungere di nuovo Sebastian.
- Seguitemi, e fate meno rumore possibile – aggiunge, prima di cominciare a camminare dritto davanti a sé. Lui è l’unico di noi ad essere già stato in questo posto, di sicuro ricorda ancora la via migliore per entrare.
“Spero solamente che questa volta ci sia qualcosa di interessante da usare contro i Norton”, penso all’improvviso, anche se mi rendo conto quasi subito che una parte di me vuole ardentemente che quel posto non abbia nulla di sbagliato.
Cosa avrebbero mai potuto volere i Norton da dei semplici bambini? Lavoro minorile, forse?
Ma in fondo, perché? Potevano permettersi di pagare qualsiasi operaio adulto, con il doppio della forza. Puntare su dei semplici bambini sembrava la scelta più sconveniente.
- Sei già stato qui, vero? - gli domanda qualche secondo dopo Abaddon, mentre ad uno ad uno scavalchiamo la recinzione della proprietà, decisi ad entrare da una delle porte sul retro.
Deve averlo sicuramente immaginato da come si muove su quel preciso perimetro.
- Ciel mi ha mandato non troppo tempo fa – risponde, allungando la mano nella mia direzione poco prima che tocchi terra – Ma non trovai niente – le confida, anche se a malincuore – Tutto era nella norma, i bambini sembravano felici...quindi sono tornato a casa mani vuote – conclude, ripercorrendo gli eventi non troppo lontani.
- Ma i Norton hanno sicuramente qualcosa da nascondere – intervengo io – Da quello che sono riuscita a sentire la sera del ballo, Roy sembrava molto interessato alla salute dei bambini...e considerando che il Ballo è stato organizzato proprio per questo orfanotrofio – aggiungo, parlando sottovoce.
- Esatto – conferma Sebastian.
- Cosa vi fa pensare che ci sia davvero qualcosa sotto? - è la domanda successiva di Abaddon, alla quale rispondo io prontamente.
- Che senso aveva aggredirmi in quel modo se non hanno nulla da nascondere? - le chiedo, rivolgendole una breve occhiata prima di tornare a guardare la schiena di Sebastian, che cammina davanti a me – Non avrei dovuto sentire quella conversazione, quindi l’intenzione di quell’uomo era di prendere provvedimenti – aggiungo, ripensando agli eventi di quella sera. Mi domando per un momento se me la sarei cavata ugualmente senza l’arrivo di Abaddon.
So che Sebastian sta per parlare, così lo faccio prima di lui. - Tu non fare commenti – lo ammonisco, e dal piccolo sorriso che gli sfugge capisco che la mia intuizione era giusta.
- Sembrate una vecchia coppia di sposi – commenta allora lei, oltrepassando senza problemi una pila di giochi ammassati per terra, probabilmente lasciati lì da alcuni dei bambini.
A quel commento, mi irrigidisco per un momento dall’imbarazzo, non riuscendo a trovare qualcosa di adatto per rispondere a quella sua osservazione.
- Lo prendo come un complimento – risponde invece Sebastian, prima di mettersi silenziosamente al lavoro sulla porta posteriore della proprietà. Non so se fosse chiusa a chiave o meno, in ogni caso riesce ad aprirla senza problemi in pochi secondi.
E’ così che facciamo il nostro ingresso in quella che è a tutti gli effetti una cucina attrezzata per qualsiasi situazione: per poco è persino più grande di quella della Residenza Phantomhive.
- A giudicare da questa cucina, devono aver investito parecchie sterline in questo posto – commento, guardandomi intorno per qualche secondo.
Un’ombra che attraversa il corridoio ci mette improvvisamente all’erta, costringendoci a rifugiarci in una parte buia della stanza. Dopo qualche secondo udiamo dei passi salire su per le scale, segno che chiunque fosse in giro stava ormai tornando nella sua camera.
O così speravamo.
- Cos’hai intenzione di fare? - domanda poi Abaddon, mentre l’oscurità cala ancora una volta nel corridoio – Come procediamo? - domanda poi nuovamente, solo qualche secondo dopo la sua prima domanda.
- So per certo che Roy Norton si trova qui stasera – ci informa, restando però ancora sul vago – Se c’è qualcuno qui dentro che sappia qualcosa, di certo quello è lui – aggiunge.
- Quindi ci appostiamo fuori dal suo ufficio? - gli chiedo, dal momento che nella mia testa avevo immaginato un piano su una scala decisamente più grande.
- Sì, ma prima facciamo un giro veloce – propone – Magari noterete qualcosa che a me è sfuggito – aggiunge, rivolgendosi questa volta ad entrambe.

***

E’ già passata quasi un’ora da quando siamo arrivati nella proprietà dei Norton, e ancora niente è saltato al nostro occhio.
Come avevo immaginato, mi sentivo sollevata che non avessimo trovato ancora niente, perché nel profondo continuavo a sperare che quello fosse un semplice rifugio per orfani senza una casa.
Durante il nostro giro avevamo raggiunto anche le camere al piano superiore, trovando dei semplici bambini addormentati profondamente nei loro letti, alcuni di loro stretti a teneri peluches di tutte le dimensioni. Sembravano davvero degli angioletti, e ogni volta che ne guardavo uno mi convincevo sempre di più che non c’era assolutamente niente di sbagliato in tutto quello.
Ma no, una parte del mio cervello continuava a rifiutarsi di crederlo, aggrappandosi con forza alle parole udite la sera del ballo.
Senza rendermene conto, ero rimasta imbambolata a guardare all’interno di una delle grandi stanze dove si trovavano i bambini: me ne stavo appoggiata alla stipite della porta, spostando lo sguardo su ognuno di loro, a rotazione.
Sebastian aveva già preso ad allontanarsi nuovamente, e stavolta a riportarmi alla realtà c’era solamente Abaddon.
- Sei qui con noi? - mi domanda, sottovoce, attenta a non rischiare di svegliare i bambini.
- Ci sono – rispondo dopo qualche secondo, tornando al presente – Mi capita spesso di incantarmi di fronte ai bambini – aggiungo d’istinto, confessando quello che per me era un piccolo segreto.
- Quindi...ti piacciono i marmocchi? - mi chiede, mentre chiudo nuovamente la porta, immergendo la stanza nella più completa oscurità. Tutto quello con cui ci stiamo facendo luce da quando siamo arrivati sono delle misere candele.
- Non mi sono indifferenti – rispondo, restando vaga sull’argomento, mentre percorriamo il corridoio dirette alla rampa di scale più vicina. Sebastian è al piano di sotto già da un po’. - Ma non ho neanche mai pensato concretamente di mettere su famiglia – le confesso, avanzando silenziosamente nel corridoio.
- E ormai le cose sono forse troppo complicate per ricominciare a pensarci – concludo poco dopo, anticipando qualunque sua parola.
Un rumore improvviso ci mette all’erta, costringendo entrambe ad entrare in quello che sembra a prima vista uno stanzino; una volta chiusa la porta finiamo entrambe in penombra, anche se sento chiaramente la presenza di una scopa dietro di me.
Solo dopo qualche secondo, una figura ingobbita passa davanti alla porta, superandoci lentamente.
- Pensi che il tuo essere un demone sia un problema? - mi domanda, sottovoce. Quando parliamo così tranquillamente, i miei dubbi su di lei svaniscono: mi domando per l’ennesima volta se Sebastian abbia davvero ragione su di lei.
- Davo per scontato che i demoni non amassero i bambini – rispondo solamente – In realtà..davo per scontato che voi nasceste tramite qualche strano rituale, invece che tramite il concepimento.. - aggiungo, dando voce ad un pensiero che aveva fatto parte di me per molto tempo.
Forse era una cosa stupida da pensare, ma allo stesso tempo ne sapevo talmente poco sui demoni che tutto era possibile.
Presa da quelle riflessioni, mi accorgo solamente dopo qualche secondo che Abaddon sta ridendo, nel modo più pacato possibile.
- Che c’è? - le domando, scrutandola in volto – Che ho detto? - continuo, mentre lei continua a ridere.
- “Qualche strano rituale” - ripete, sottolineando con una certa enfasi ogni parola di quella frase – Beh, se il sesso è un rituale, allora sì, è così che nasciamo – aggiunge.
Quelle parole mi fanno diventare rossa nel giro di un secondo, senza contare che solamente un paio di giorni prima era entrata di soppiatto in camera nostra mentre non eravamo proprio presentabili.
Incapace di formulare una risposta concreta, sono felice di sentire che alla fine è lei a parlare di nuovo. - Oh Yuki – mormora, asciugandosi una lacrima – Sappi che non sia poi così diversi dagli umani! - aggiunge, dandomi un colpetto sulla spalla che per poco non mi fa perdere l’equilibrio – A parte che...noi mangiamo le anime – conclude, rivolgendomi una veloce occhiata.
Restituisco lo sguardo. - Un dettaglio da poco – commento.
- Già – concorda – Andiamo, abbiamo il via libera – aggiunge, aprendo poi nuovamente la porta dello stanzino. Senza attendere oltre ci dirigiamo verso le scale, raggiungendo alla fine il piano di sotto.
Dopo aver vagato per un altro po’, finalmente troviamo di nuovo Sebastian, intento a scassinare una porta, a quanto pare.
- Dove ci eravate cacciate? - ci domanda subito, riuscendo il secondo dopo ad aprire finalmente la porta.
- Evitavamo i padroni di casa – ammetto – Cos’è questa stanza? - gli chiedo.
- Non lo so, ma la prima volta non l’ho notata – risponde – Mi domando come – aggiunge poi, perché in fondo me lo domando anche io.
- E a quanto pare, è l’unica porta chiusa a chiave dell’intera proprietà – ci mette al corrente, aprendo poi definitivamente la porta per farci passare per prime – Immagino che qualcosa troveremo – conclude.
Senza attendere oltre, ci precipitiamo lungo gli scalini, scendendo in modo cauto fino a raggiungere quella che sembra una semplice cantina.
Purtroppo abbiamo solamente una candela a testa per farci luce, particolare che renderà quella ricerca decisamente più difficile.
Nonostante ciò, ognuno di noi comincia ad ispezionare una parte a nostro piacimento: il problema è che le uniche cose interessanti che ci sono qui sotto sono dei vecchi scatoloni. Con niente dentro, per giunta.
- Trovato niente? - domando con un filo di voce, voltandomi nella loro direzione.
- Niente – rispondo all’unisono, non smettendo comunque di cercare.
Anche io continuo a fare lo stesso, ma ad un certo punto sto quasi per gettare la spugna: in questa cantina sembra proprio non esserci niente, che senso ha continuare a cercare?
Scuoto leggermente il capo, pronta a ripartire, quando uno strano calore all’altezza del petto mi blocca: so di cosa si tratta, ma una volta che chino il capo mi stupisco subito nel vedere il mio medaglione avvolto da una piccola luce, come se si stesse scaldando dall’interno. In un secondo, quella stessa luce inizia a pulsare.
- Che diavolo.. - mormoro, confusa. Non era mai successa una cosa del genere: poteva capire che bruciasse quando venivo minacciata, era il segno che l’altra strepitava per uscire...ma illuminarsi in quel modo era una cosa nuova.
- Sebastian – lo chiamo, forse con voce troppo bassa, senza staccare gli occhi dall’oggetto luminoso – Sebastian! - sbotto nuovamente, attirando finalmente la sua attenzione.
In un secondo, è al mio fianco.
Non c’è neanche bisogno che gli indichi il medaglione, dal momento che quel bagliore si vedrebbe a kilometri di distanza: tutto quello che fa è stringerlo per qualche secondo tra le dita, prima di lasciarlo andare nuovamente.
- Questa è nuova – commenta.
Lo guardo sbalordita. - Vuoi dire che non sai cosa vuol dire? - gli chiedo subito.
- Chi mi ha dato questo medaglione non l’ha fatto includendo delle istruzioni all’uso – risponde.
- Non sembra essere qualcosa di pericoloso – commenta Abaddon, avvicinandosi maggiormente per guardarlo meglio – No, sembra più...che ci stia indicando una strada – aggiunge, afferrandomi poi per le spalle.
- Che vuoi fare? - gli domanda Sebastian, con un filo di preoccupazione nella sua voce.
- Confermare una teoria – risponde solo, cominciando poi a muoversi per la stanza insieme a me, guidandomi tramite la stretta sulle spalle.
In un primo momento non ho idea di quello che stia facendo, ma tutto diventa più chiaro non appena il medaglione comincia a rispondere agli stimoli: in alcuni punti della stanza, smette quasi di brillare, in altri invece...la sua luce è quasi accecante.
Ho capito.
- Acqua e fuoco – mormoro – Ci sta indicando dove cercare – aggiungo, in risposta allo sguardo confuso di Sebastian.
Io e Abaddon cominciamo così a muoverci di conseguenza, e dopo non molto troviamo finalmente il punto in cui la luce è più forte che mai: siamo di fronte ad uno scaffale, anch’essa ornato solo di vecchi scatoloni.
- Qui – confermo alla fine – Cerchiamo qui – aggiungo, chinandomi poco dopo verso quelle che sembrano semplici scatole. Anche se non sappiamo bene cosa troveremo, nessuno di noi sembra volersi arrendere.
Non abbiamo ancora finito di esaminare tutte le scatole, ma all’improvviso qualcosa attira la mia attenzione più del contenuto di esse: sposto così due degli scatoloni più ingombranti, imbattendomi alla fine in una pila di libri coperti da quello che sembra un vecchio panno.
A giudicare dalla polvere che disperdo una volta tolto, si trovano lì da parecchio. Solo grazie ad un miracolo riesco a non starnutire rumorosamente: dannata allergia.
- Qui c’è qualcosa – annuncio, voltandomi a guardare sia Sebastian che Abaddon, che in un secondo abbandonano le loro ricerche per affiancarmi.
- Libri? - domanda subito lei.
- Fammi dare un’occhiata – mormora invece lui, prendendo dalle mie mani quello che gli stavo passando. I libri sono 2, entrambi pesanti e decisamente vecchi: a giudicare dalle rilegature in cuoio, potrebbero avere anche un centinaio di anni.
Una volta aperto, sembra un libro come un altro, finché alcune lettere non cominciano a comparire dal nulla sulla pagina bianca, cominciando a formare frasi di senso compiuto.
- Forse è addirittura peggio di quello che pensavamo – commenta allora lui, attirando subito la mia attenzione.
- Che vuoi dire? - gli chiedo – Che significa? - insisto, quando lo vedo non molto propenso a rispondere.
- E’ un libro sui sacrifici umani – risponde alla fine, riuscendo a farmi rabbrividire.
- E quello non è il problema più grande – commenta Abaddon, allungandosi per scrutare meglio il libro, scuotendo poi il capo come per sottolineare i suoi sospetti.
- Cioè? - mormoro, cercando di spronarli.
- Cioè.. - ripete lui – Questo libro può essere letto solamente da un demone, alle persone normali appare come un semplice volume di cucina, probabilmente – spiega, chiudendolo poi di nuovo, quasi disgustato.
Nonostante quella misera spiegazione, arrivo non troppo difficilmente all’evidente conclusione. - Oh no – è tutto quello che alla fine riesco a mormorare, sperando di sbagliarmi.
- Esatto – conclude tuttavia Abaddon, prima di scuotere appena il capo – Anche i Norton hanno dalla loro parte un demone – aggiunge, rivelando la verità una volta per tutte.

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Capitolo 17
*** E' l'arma a scegliere il demone ***


Avevamo deciso di tenere per noi quello che avevamo scoperto durante la nostra visita all’orfanotrofio, anche se da allora non avevo smesso neanche per un momento di pensare a quella piccola verità.
Se anche i Norton avevano dalla loro un demone la situazione era decisamente peggiore di quello che avevamo pensato, e il nostro piano per affrontarli andava assolutamente rivisto. Sempre che ci fosse qualcosa da affrontare.
Nonostante quella recente scoperta, infatti, non potevamo fare molto se non erano loro i primi a muoversi in modo sospetto. Che avessero in mente, però, rimaneva ancora un mistero.
Quel non sapere mi metteva a disagio, e sapevo che la cosa mi stava tormentando perché ormai mi capitava persino di sognare i Norton, in particolar modo l’uomo che mi aveva aggredita al ballo. I sogni non erano mai ben definiti, tutto quello che riuscivo a vedere erano dei bambini, oltre a delle figure incappucciate.
Tutto quello scenario mi metteva i brividi, e ogni singola volta finivo per svegliarmi completamente madida di sudore.
Oltre ai Norton, tra l’altro, a darmi da pensare c’era stato anche il nuovo e inquietante -quanto utile- potere del mio ciondolo: nemmeno Sebastian aveva ancora ben capito cosa fosse successo in quella cantina, e io, dal canto mio, non ero arrivata a nessuna conclusione particolarmente brillante.
Possibile che in qualche modo l’altra fosse riuscita a parlarmi attraverso il ciondolo? E se sì, in che modo aveva fatto quello che aveva fatto?
Ormai non avevo più segni da lei da mesi, non dopo averla chiusa in quella gabbia di metallo, quindi che senso aveva che ora poteva manifestarsi così a suo piacimento?
E poi a che scopo aiutarmi?
Troppe domande per troppe poche risposte.
Due colpi alla porta mi fanno sobbalzare, mentre da sola sono ancora intenta a finire il mio pranzo nella sala omonima. In casa non c’è nessuno da quello che so, per questo rimango stupita per un momento nel vedere la testa di Abaddon fare capolino.
- Abaddon? - la apostrofo, facendo per alzarmi – Che ci fai qui? - le domando, afferrando allo stesso tempo il mio piatto per portarlo in cucina.
- Ciel aveva Sebastian, così mi ha ordinato di tornare qui – risponde – Dopo quello che è successo al ballo ha deciso che non lascerà mai più la Residenza senza qualcuno a sorvegliarla – aggiunge poco dopo, affiancandomi mentre faccio per uscire dalla stanza.
A quelle sue parole faccio immediatamente una smorfia: Ciel che improvvisamente preferisce Sebastian ad Abaddon?
- Come mai ha scelto Sebastian e non te? - le domando, anche se non mi aspetto questa grande risposta da parte sua.
- Magari si è accorto di essersi comportato da stronzo? - replica, stringendosi tranquillamente nelle spalle.
Okay, forse mi sbagliavo. - Dai dello stronzo al tuo padrone con così tanta tranquillità? - le domando allora, guardandola per un momento con quello che è un sguardo tra l’ammirazione e lo sconcerto.
- Beh, lo è, no? - mormora di tutta risposta, quasi come se fosse una domanda nei miei confronti.
- Solo a volte – rispondo solamente, quando finalmente raggiungiamo la cucina.
Dal momento che la servitù della Residenza si limita a Finny, Mey-Rin e Bard -non comprendendo i domestici occasionali che ogni tanto intravedo lungo i corridoi-, quando sono sola in casa tendo a fare tutto per conto mio, per questo non appena entro in cucina la prima cosa che faccio è avvicinarmi al lavandino, dove comincio a pulire il mio piatto.
- E dimmi, come mai tu sei rimasta a casa? Non hai paura in questa enorme Residenza? - mi domanda, poggiandosi sul bordo del tavolo dove solitamente si prepara la cena, con entrambe le braccia incrociate al petto.
- Non è poi così male – rispondo – E poi sono stata già aggredita anche qui dentro, ed ha fatto più male degli scagnozzi dei Norton – aggiungo in fretta, rammentando improvvisamente il mio incidente con Grell lo Shinigami.
- Deduco che con la difesa personale non te la cavi molto bene – mormoro allora, poco prima che io riponga la pezza bagnata nei suo cestino.
Asciugandomi le mani, mi volto a guardarla. - Non ne ho mai avuto bisogno prima – rispondo, dal momento che è la verità. Peccato che della vita tranquilla che vivevo solamente qualche mese prima ormai non rimaneva poi molto.
L’unico lato positivo era Sebastian.
- La vita che facevo prima di tutto questo era molto più tranquilla – aggiungo, appendendo il canavaccio al suo gancio.
- Sei un medico, giusto? - mi domanda allora, continuando a tenere le braccia incrociate al petto.
- Sì, e visto il lavoro che mi sono scelta la difesa personale non mi è mai servita – rispondo – Ma ora le cose sono cambiate, devo migliorare se voglio sopravvivere a tutte le stranezze che vivo quotidianamente – aggiungo, pronunciando ad alta voce quel pensiero che per la prima volta mi attraversava la mente.
Non potevo fare la damigella in pericolo per sempre, in fondo.
- Già, devo migliorare – ripeto allora, in preda ai pensieri. Di scatto, sollevo allora lo sguardo, puntandolo immediatamente nel suo – Insegnami – aggiungo, senza pensarci due volte.
- Come? - domanda lei, presa completamente alla sprovvista: la sua espressione confusa mi fa quasi ridere.
- Tu sei un asso nella difesa personale – le rammento, come se già non lo sapesse di suo – Quindi potresti insegnarmi, no? - aggiungo, scoprendo definitivamente le mie carte.
- Beh sì, potrei.. - mormora in un primo momento, staccandosi dal bordo del tavolo per tornare ad assumere una posizione dritta. Sembra dubbiosa al riguardo.
- Hai detto che volevi dimostrare a Sebastian che eri cambiata, no? - le rammento ancora, pronunciando quelle stesse parole che lei aveva detto a me – Questo potrebbe essere un ottimo modo per farlo – aggiungo, cercando in tutti i modi di convincerla.
Perché non ho mai pensato prima che avevo bisogno di aiuto per qualcosa di fondamentale come la difesa personale?
- Non credo che a mio fratello questa cosa andrebbe proprio a genio – dice su due piedi, inclinando leggermente il capo di lato.
- Se la farà andare a genio allora – è tutto quello che rispondo. Ormai erano mesi che continuava a cercare di farmi cambiare idea su qualunque argomento, i Norton tanto per cominciare, e aveva sempre fallito. In qualche modo ero sempre riuscita ad ottenere quello che volevo, nonostante il suo continuo brontolare su ogni cosa.
Questa volta non sarebbe stato diverso.
In quello stesso momento, guardo l’espressione di Abaddon cambiare, trasformando il dubbio in un ghigno quasi vittorioso. - Penso di capire perché a mio fratello piaci tanto – mormora, questa volta prendendo me alla sprovvista.
Aggrottando leggermente le sopracciglia, la guardo allora senza capire. - Che vuoi dire? - le domando, incuriosita da quelle sue parole.
- Gli tieni testa, non lasci che sia lui a decidere – risponde – Per un tipo calcolatore come lui lasciarti fare le cose di testa tua deve essere davvero un sacrificio enorme – spiega, continuando a guardarmi con l’aria di chi è pienamente fiero di qualcuno – Potrebbe addirittura essersi innamorato di te – conclude, mentre quel suo ultimo commento mi fa arrossire di colpo.
- Ma n-no, che dici! - esclamo subito, cominciando a gesticolare come se fossi posseduta, agitando le mani in aria.
Quella mia reazione, ovviamente, la fa scoppiare a ridere. - Sei davvero esilarante – commenta allora, asciugandosi subito dopo una lacrime dalla guancia – E ora andiamo forza, troviamoti un’arma – aggiunge, dirigendosi a grandi passi verso la porta della cucina.
- Arma? - ripeto, restando per un momento al mio posto senza capire. Mi sveglio dai mie pensieri solo quando sento i suoi passi allontanarsi nel corridoio – Hey aspetta! - esclamo poi, correndo verso l’uscita per raggiungerla.
 

***

Nel giro di mezz’ora avevano già provato gran parte dell’enorme arsenale di Abaddon: la quantità di armi che possedeva era impressionante, e nonostante ciò non ero stata in grado di usarne neanche una in maniera “naturale”, come diceva lei.

- La tua arma deve essere come un prolungamento della tua mano – mi spiega, riflettendo nel frattempo su cosa farmi provare da lì a poco – Devi usarla in modo naturale, come se facesse parte di te – aggiunge, passandomi questa volta quello che sembra un kunai decisamente pesante.
- Ecco, prova a lanciare questo – mi ordina.
Afferro il manico metallico tra le dita nel momento in cui me lo passa, stringendolo poi fortemente nel palmo della mano. - Dove dovrei lanciarlo? - le domando, guardandomi intorno nella sua camera.
- Oh, hai ragione – mormora, allontanandosi in quello stesso momento per raggiungere poi la parete di fronte a noi, segnando sul muro una grossa “x” rossa – Bene, lancialo qui, cercando di prendere la “x” - aggiunge, togliendosi poi dalla traiettoria di tiro per tornare al mio fianco.
- D’accordo – rispondo, mettendomi nella posizione che reputo più giusta.
“Ce la puoi fare, in fondo...non puoi mica essere negata per tutti i tipi di armi!” penso tra me e me, cercando di farmi coraggio da sola.
Piantando bene i piedi per terra, mi preparo a lanciare, tirando indietro il braccio più che posso: non appena lascio andare il kunai, per un momento penso davvero che colpirà il bersaglio, ma le mie speranze vanno sfumandosi quando lo guardo raggiungere i pavimento dopo aver toccato appena la parete. Il muro, ovviamente, non ha il benché minimo graffio.
- Eliminiamo anche i kunai – è il primo commento di Abaddon, improvvisamente demoralizzata.
- Perché elimini tutto così a priori? - le domando allora, guardandola allontanarsi per raggiungere il suo letto, dove ha poggiato la maggior parte del suo arsenale – Insomma, non c’è possibilità che io migliori? - le chiedo, confusa dal quel comportamento
- Per noi demoni è diverso – introduce allora, e già da allora capisco che sta per rivelarmi qualche altro piccolo segreto riguardante la nostra specie – Ognuno di noi ha un’arma che usa quasi sempre, un’arma alla quale è legato – continua, mentre il suo sguardo si posa per qualche secondo su quello che sembra un fucile decisamente pericoloso. In particolar modo tra le mie mani.
- Che intendi con legato? - le chiedo, stringendomi nelle spalle.
- Intendo che nel momento in cui afferri la tua arma, sai benissimo che sarà lei che userai per il resto dei tuoi giorni – risponde – Lei sarà il prolungamento della tua mano – aggiunge.
- Quindi.. - mormoro, abbassando poi lo sguardo sul fodero che ha appeso alla cintura – Il prolungamento della tua mano è la tua spada? - le chiedo, rivivendo nella mia testa il suo veloce combattimento con i tirapiedi dei Norton. La sua abilità, in effetti, mi aveva lasciato decisamente stupita.
Mentre attendo la sua risposta, questa volta sono io ad avvicinarmi al suo letto, posando lo sguardo sulle lame taglienti e sulle pistole cariche. Possibile che qui in mezzo non ci si davvero niente che faccia al caso mio?
- Esatto – risponde, quando ormai sono assorta nei miei pensieri – La mia spada – aggiunge, come se fosse sovrappensiero.
Decido di prendermi ancora qualche secondo per guardare singolarmente ogni oggetto posato sul letto, cercando di percepire un qualcosa da quelle armi di cui nella vita non avevo mai avuto bisogno. Per un momento mi sento stupida, ma so che le parole di Abaddon sono vere.
Semplicemente, forse per me che sono per metà umana questa cosa non funziona.
Sospirando, non mi accorgo minimamente dei movimenti di Abaddon alle mie spalle, non prima che sia lei a chiamarmi. - Hey, Yuki! - esclama allora, costringendomi a voltarmi.
Dal momento in cui mi volto, ho giusto un paio di secondi per adocchiare la spada che ha appena lanciato nella mia direzione. Continua a roteare nell’aria come se fosse senza peso, e per un momento il mio primo istinto è quello di allontanarmi per evitarla.
Ma non è questo quello che fa il mio corpo: prima che me ne renda conto, infatti, ho eseguito un perfetto balzo verso l’alto, afferrando l’elsa tra le mie dita come se fosse un giocattolo.
Quando tocco di nuovo terra, faccio roteare la lama sulla mia testa, finendo poi per assumere una perfetta posizione da combattimento, il tutto senza aver minimamente pensato a mezzo movimento.
Ho il fiato corto, e il peso della spada si fa sentire improvvisamente quando mi risveglio da quel piccolo trans. - C-cosa è.. - provo a mormorare, senza trovare le parole giuste.
La risposta di Abaddon si riassume in un gridolino di vittoria, con tanto di braccia alzate al cielo. - Lo sapevo che eri fatta della mia stessa pasta! - esclama allora, puntandomi il dito – La tua arma non poteva che essere una spada – aggiunge in un secondo momento, quando finalmente riesce a calmare i bollenti spiriti.
- Quindi è così che succede? - le domando – Il mio corpo si muove senza che io me ne renda conto? - le chiedo, ripensando a quello che è appena successo, cercando di metabolizzare il tutto. Ormai ho perso il conto delle stranezze che ho vissuto fino a questo momento.
- In pratica, sì – risponde – E anche in teoria, in realtà – aggiunge, raggiungendomi di nuovo, questa volta per togliermi la spada dalle mani – Questa però la riprendo io – conclude poco dopo, riponendola in quello stesso momento nel suo fodero in pelle.
- Quindi so maneggiare le spade – commento, ancora sovrappensiero.
- Già – risponde lei – E penso di avere quella adatta a te – aggiunge, spostandosi velocemente verso un armadio a due ante. Una volta aperto, al suo interno non vedo né vestiti né altro, bensì ulteriori armi.
E di che mi stupisco?
Allungo subito il collo per vedere meglio, ma non serve a molto visto che dopo poco mi mostra -col solito sguardo trionfante- una spada a prima vista decisamente pesante. L’elsa è d’argento, mentre la lama è più larga rispetto a quello che avevo immaginato, e rispetto comunque a tutte le spade che avevo visto in vita mia.
Mi domando per un momento se sarò in grado di maneggiarla.
- Provala – mi consiglia lei, prima che possa anche solo spiccicare parola. Anche questa volta me la tira letteralmente addosso, ma essendo già pronto a quella eventualità non ho problemi ad afferrarla al volo.
Le mie dita stringono l’elsa come se fosse fatta su misura per me e riesco a farla roteare in aria proprio come avevo fatto con quella di Abaddon, senza tagliarmi accidentalmente come avrei fatto solo qualche tempo prima.
- Come spada è molto ben bilanciata, sono sicura che ti ci troverai benissimo – commenta lei, guardandomi all’opera con entrambe le mani sui fianchi.
Provo un affondo giusto per vedere se ne sono in grado, mentre la lama finisce per infilare da parte a parte il legno del letto a baldacchino della camera.
- Ops.. - mormoro subito, guardando il danno con rammarico, ma anche con un pizzico di fierezza.
In vita mi avevo sempre evitato le armi perché non facevano assolutamente per me: l’ultima volta che ne avevo presa in mano una mi ero procurata una bruciatura sul palmo della mano, della quale portavo ancora la cicatrice. Questo succede quando a 16 anni vuoi dimostrare agli altri che non hai paura di sparare con una pistola di dubbia provenienza.
Ora invece sentivo una vera e propria connessione con quello che solo poco tempo prima avrei definito dell’inutile metallo. Sentivo di poterla usare come meglio credevo, e che e sarei sempre stata in grado.
Quella spada ora era la mia arma, e sapevo che mi avrebbe difeso.
- Non preoccuparti per il letto, non credo che a Ciel manchino i soldi – commenta lei, allungandomi poi un fodero completo di cintura, tutta interamente nera – Prendi anche questo, scoprirai col tempo che è la cosa più comoda del mondo – aggiunge poco dopo.
- Lo immagino – commento, sentendomi tuttavia improvvisamente strana.
Faccio una smorfia, mentre cerco di capire cosa c’è che non va, finché alla fine non mi sento come se dovessi dare di stomaco da un momento all’altro.
- Tutto bene? - mi domanda subito Abaddon, posandomi una mano sulla spalla.
Ora come ora, potrei anche perdere l’equilibrio e cadere a terra come un sacco di patate. - Non lo so, è una sensazione strana – mormoro, barcollando finché non riesco a sedermi sul letto.
- Di che tipo? - mi domanda, restando in piedi di fronte a me, guardandomi con curiosità.
- Sembra nausea, come se dovessi dare di stomaco – rispondo.
A quelle parole, lei fa subito un passo di fianco. - Di stomaco tipo...ora? - domanda, probabilmente calcolando quanto ci vorrebbe per farmi arrivare in bagno, se servisse.
- No, è passato – la rassicuro, posandomi ugualmente una mano sullo stomaco – Ma è stato davvero strano – aggiungo, scuotendo impercettibilmente il capo, cercando di mandare via quella sensazione.
- Ti era già capitato? - chiede, posandomi una mano sulla fronte per controllare la temperatura.
- No – rispondo subito – E’ la prima volta – aggiungo, cercando comunque di ricordare qualche precedente episodio. Fin da quando ero nata, avevo sempre avuto una salute di ferro: la mia influenza media durava massimo una settimana, e non avevo mai sofferto di qualcosa di più grave della febbre.
Eppure quel giramento di testa faceva supporre che qualcosa che non andava in fondo ci fosse.
- Credo che possa centrare con l’aver trovato la tua arma – mormora all’improvviso Abaddon, riflettendoci su allo stesso tempo – Si, se non ricordo male è una cosa che accade, e dal momento che tu sei solamente per metà un demone può darsi che per te sia più fastidioso – aggiunge.
- Lo credi? - le chiedo, visto che da questo punto di vista è decisamente lei l’esperta, insieme a suo fratello ovviamente.
L’unica possibilità che ho è crederle sulla parola.
- Lo credo – risponde poco dopo – Vedrai, non è niente di grave – aggiunge – Appena ti sentirai meglio faremo qualche allenamento, forse sei addirittura in grado di tenermi testa! - conclude, facendomi per un momento rimuginare su quell’eventualità.
Certo, tenere testa ad Abaddon non sembrava una cosa semplice, ma forse non era poi così complicato come mi era parso la prima volta che l’avevo vista combattere. - Vedremo, in fondo ho comunque bisogno di allentamento – commento.
Con quelle parole, mi congedo dalla sua camera, ancora pensierosa su quanto appena successo. Quella sensazione era durata sola un momento, eppure mi aveva scosso parecchio, soprattutto non conoscendone la causa.
Da quando avevo scoperto di essere in parte un demone, però, me ne erano successe di cose, e questa non era decisamente quella più strana; decido lì su due piedi di dar retta ad Abaddon, continuando a ripetermi che è stato tutto dovuto al possesso della mia nuova arma.
Ripetendomi quelle parole nella mente come un mantra, mi dirigo verso la mia camera, desiderosa di riposarmi anche solo per cinque minuti.


***

Abaddon.

 

Avevo tranquillizzato Yuki su quel suo improvviso giramento di testa, misto a quello che lei aveva descritto come un senso di nausea, dicendole che era tutta colpa dell’affinità con la sua nuova arma. Ma più pensavo a come era successo, e più mi convincevo che forse quello non era il solo motivo.
Per i demoni tutto è più amplificato: la rabbia, il dolore, persino l’amore, quindi magari quel fastidio improvviso non era poi così strano nemmeno per una persona particolare come lei.
- O questo, oppure.. - mormoro, riflettendo per un momento su quella che giudico un’altra ipotesi più che probabile – Oppure.. - ripeto, con due dita sotto il mento, pensierosa.
No, sono io che esagero come al solito, sicuramente è tutto apposto.
Nel caso non lo fosse stato, prima o poi ce ne saremmo accorti tutti.

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Capitolo 18
*** Distanze ***


- Se non mi dici dove andate giuro che mi metto ad urlare – nonostante le mie parole, Sebastian aveva continuato a tirare dritto, scendendo in fretta le scale della Residenza. Il fatto che mi stesse ignorando mi faceva arrabbiare non poco.
- Posso sopportare le tue urla – aveva risposto, lanciandomi poi una veloce occhiata prima mi aggiungere: - Ormai ci convivo quotidianamente – con tono beffardo.
Quelle parole improvvise -e al 100% maliziose- mi avevano fermata, ma solo per un istante: scuotendo la testa, avevo infatti ricominciato a seguirlo, cercando di capire la situazione in cui ci trovavamo.
Tutto quello che mi aveva detto era che “sarebbe partito per una giornata per delle ricerche”, ovviamente senza specificare né dove né perché. Per qualche strano motivo mi stava tenendo all’oscuro di tutto, e la cosa peggiore era che stava facendo lo stesso sia con Ciel che non Abaddon.
Quest’ultima in particolare, era infastidita quanto me da quell’improvviso comportamento, non per niente nelle corde di Sebastian.
Non del Sebastian che entrambe conoscevamo, comunque.
Dopo aver insistito per giorni, Abaddon aveva deciso di lasciar perdere, ammettendo che non c’era molto da fare quando suo fratello non voleva sputare il rospo.
Io, da canto mio, avevo provato fino all’ultimo.
- Tornerò prima che te ne accorga – mi aveva promesso – Non sarà diverso dalle altre volte – aveva poi aggiunto, legando al suo cavallo l’ultima sacca, piena chissà di cosa.
- Le altre volte sapevo dove andavi – gli avevo ricordato – Questa volta no, ed ho una brutta sensazione – gli avevo confidato, ricevendo in quel momento qualcosa di più simile ad un buco nello stomaco. Non capivo se era dovuto alla mia totale ignoranza verso quel viaggio improvviso o se magari era solo frutto della mia immaginazione.
- Le brutte sensazioni non mi feriranno – erano state le sue uniche parole, prima di baciarmi per poi montare sul suo fidato cavallo – Ci vediamo domani – aveva mormorato, congedandosi poi con un’uscita di scena degna di lui. Ero rimasta fuori a guardarlo mentre si allontanava in una nuvola di terra, con entrambe le braccia strette al petto.
Questo, era successo ormai quasi una settimana prima.

***

- Tu sai dov’è andato, non è così? - chiedo a Ciel, quasi al limite della sopportazione. Dopo una settimana di silenzio assoluto da parte di tutti, ormai riuscivo solo a pensare al peggio. E a sfogarmi persino con persone che non centravano assolutamente niente con quell’odiosa situazione.
- Per l’ennesima volta – mormora lui, dall’altro lato della scrivania – Non mi ha detto assolutamente niente – aggiunge, tornando in modo molto sbrigativo ai suoi documenti.
La cosa peggiore era che stava dicendo la verità.
Nervosa e preoccupata come un animale in gabbia, comincio per l’ennesima volta a passeggiare per la stanza. - E’ successo qualcosa, so che è successo qualcosa – ammetto, dando voce ai pensieri che avevo tenuto per me a lungo.
- Sebastian sa badare a sé stesso – mormora in quello stesso momento Abaddon – Puoi credermi quando ti dico che è uno dei demoni più in gamba del mondo – aggiunge, appoggiata alla parete in un angolo della stanza.
- Allora perché non è ancora qui? - le domando – Perché dire che sarebbe tornato nel giro di un giorno e far passare invece una settimana? - continuo, gesticolando mentre cercavo di trovare una spiegazione.
Questa volta però, una risposta non arriva neanche da Abaddon.
- Questo non lo so – mormora alla fine, rompendo il silenzio nella stanza – Però so che sta bene, me lo sento – aggiunge.
Quelle parole, però, non mi sono di nessun conforto. - Io non sento niente invece – ammetto – Niente di niente.. - concludo, prima che un forte giramento di testa mi colpisca.
Questa volta ad afferrarmi al volo sono sia Abaddon che Ciel,
- Sbaglio o avevi detto che i giramenti erano a causa della spada? - chiedo in quello stesso momento ad Abaddon, prima di scuotere impercettibilmente il capo.
- L'ho detto - risponde - Ma qui sei tu il medico - aggiunge, come se quelle parole risolvessero tutto.
- Grande risposta - sbottò, sottraendomi alla stretta di entrambi, ora che finalmente riesco di nuovo a reggermi sulle mie gambe.
Senza aggiungere altro, lascio allora la stanza: ho bisogno di una boccata d'aria.
Lungo il percorso verso l'uscita non incrocio nessuno, è come se la Residenza fosse più vuota del solito, tanto che in giro non si sentono neanche gli schiamazzi soliti di Bard, Finny e Mey-Rin.
In quell'ultima settimana mi ero sentita incredibilmente sola, nonostante il sostegno di Abaddon. Il fatto che di tanto in tanto stessi ancora male per colpa dei giramenti di testa poi non aiutava molto.
Abaddon diceva che stavo bene, e anche io ci avevo creduto, finché non avevo cominciato a dare di stomaco per ogni minima cosa. Gli odori forti in particolare mi davano alquanto fastidio: persino la cannella, che un tempo avrei aggiunto persino nell’insalata, ora mi dava quasi il disgusto.
Raggiunta finalmente l'aria fresca di cui avevo bisogno, vengo colpita improvvisamente in pieno da un pensiero che avevo scartato a priori fino a quel preciso istante.
Impietrita, mi porto entrambe le mani sul ventre.
- Congratulazioni - la voce di Abaddon è chiara alle mie spalle, mentre mi volto di scatto nella sua direzione.
Non so bene cosa dire, ma sono felice che le parole mi escano da sole. - Tu lo sapevi? - le chiedo, cercando di abituarmi a quella nuova realtà.
- Lo sospettavo - risponde - Probabilmente gli ormoni ti stanno giocando brutti scherzi già da un po' - aggiunge, avvicinandosi a me finché non siamo una di fronte all'altra.
- Perché non me l'hai detto? - sbotto, con una stretta al cuore. Come farò se le mie paure per il destino di Sebastian sono fondate? Come farò a crescere un figlio da sola?
- E rovinarti la sorpresa? - domanda, con fare retorico – No, era una cosa che dovevi scoprire da sola, e che avrà modo di scoprire anche mio fratello – aggiunge, sottolineando ancora una volta il suo pensiero visto la situazione di quest’ultimo. Nonostante le sue parole però, non ero riuscita neanche per un secondo a smettere di preoccuparmi, volevo solo che tornasse da me.
In quello stesso momento ho un’ennesima fitta allo stomaco, prima di lasciarmi andare letteralmente a terra, dove mi inginocchio per poi cominciare a piangere senza sosta. Questo decisamente non è un comportamento degno di me: in passato non avrei mai pianto di fronte a nessuno, nemmeno sotto tortura...ora invece non riuscivo a fare altro. Gli ormoni, era sicuramente colpa loro.
- Hai idea di quanto sia temibile mio fratello? - mi domanda allora lei, cercando di distrarmi – Sono sicura che è già sulla via del ritorno – aggiunge, strofinandomi la schiena in un modo che faceva presumere la sua totale ignoranza per quanto riguardava il contatto umano in generale. Questa di certo non era il tipo di situazione che un demone come lei era abituata ad affrontare.
- Ma adesso non è questa la cosa importante – continua poco più tardi, costringendomi ad alzarmi da terra per ricompormi, per quanto possibile, almeno – Hai bisogno di riposare, viste le tue attuali condizioni – conclude, spingendomi nella direzione del grande portone della Residenza.
L’idea di sdraiarmi nel mio letto in effetti è parecchio allettante.
- Non è sicuro che io sia incinta.. - mormoro comunque, continuando però a tenermi il ventre con un mano. Non credo neanche lontanamente a quelle mie stesse parole.
- Giramenti di testa, stanchezza e nausea sono sintomi alquanto evidenti – risponde infatti lei – Puoi credermi, ho visto mia madre in queste condizioni quando era incinta di Sebastian – aggiunge, raccontandomi quel particolare che fino a quel momento non ero stata in grado di immaginare, nonostante avesse chiarito già in passato che anche tra i demoni esisteva il buon vecchio sesso.
- E io che pensavo che i demoni fossero completamente diversi dagli umani – commento, sottolineando ancora una volta quel mio pensiero.
- Lo pensano tutti, finché non ne conoscono almeno uno – ammette, mentre nel frattempo abbiamo raggiunto la mia stanza. E’ qui che Abaddon mi lascia solo qualche secondo più tardi, mentre quasi senza voglia mi spoglio per indossare qualcosa di più comodo per riposare.
Stremata da quasi 3 giorni senza praticamente dormire, crollo in un sonno profondo non appena raggiungo il mio letto: la mia mano, ovviamente, è ancora ferma sulla mia pancia.

***

Non ho idea di che ora sia, ma quando riapro finalmente gli occhi la stanza è immersa nell’oscurità più totale: l’unica luce è quella naturale che proviene dalla grande finestra sul lato della stanza. Con gli occhi ancora semichiusi, mi giro nel letto in cerca di Sebastian, prima di rendermi conto che quell’ultima settimana non era stata affatto un incubo: no, tutto era successo e stava succedendo veramente, e questo mi faceva venir voglia di urlare.
Con le poche forze che una persona sveglia da poco ha, mi metto a sedere sul letto, scendendo poi da quest’ultimo per cominciare a passeggiare per la camera.
Non mi rendo conto di quello che sto per fare finché non mi ritrovo di fronte allo specchio ovale posto in un angolo della camera: non lo avevo mai usato gran che, semplicemente perché non ero mai stata il tipo che si specchia più di tanto. In verità, gli specchi mi avevano sempre messo un po’ di ansia, ma era qualcosa che col tempo ero riuscita a gestire, fino a dimenticarmene quasi.
Ora era diverso: più guardavo il mio riflesso e più mi immaginavo quello che sarebbe successo da lì a pochi mesi; da quanto era successo? Due mesi? O di più? Non c’era un modo preciso di saperlo, sarebbe stata tutta una completa sorpresa...e questo un po’ mi spaventava.
Io, che in vita mia non avevo mai avuto particolarmente paura di niente, ora tremavo come una bambina.
Stringendo la camicia da notte che ho indossato qualche ora prima, delineo quello che sembra a tutti gli effetti un rigonfiamento, per quanto piccolo. Come mai non l’avevo notato fino a quel momento?
Preoccuparmi per Sebastian mi aveva distratto da tutto il resto, persino dalla mia stessa clinica: i miei pazienti l’avevano notato, e in quegli ultimi due giorni le visite erano state meno del solito.
Nel mio attuale stato, non ero in grado di gestire niente, nemmeno la mia stessa colazione...figuriamoci una gravidanza.
A quel pensiero ho un brivido, seguito da quello che è a tutti gli effetti un vuoto allo stomaco: per quanto dura potrà essere, non rinuncerò a questo bambino. Se lo facessi, non sarei più in grado di guardarmi allo specchio.
Stringendo ancora il tessuto tra le dita, vengo messa in allarme da un rumore improvviso in corridoio.
Con un balzo, raggiungo velocemente la mia spada, tirandola fuori dal suo fodero per poi impugnarla saldamente. Il mio primo pensiero è che quella reazione è esagerata, ma quanto vedo la maniglia della porta abbassarsi mi convinco dell’esatto contrario.
Resto in attesa per quello che sembra un tempo infinito, prima che la luce del corridoio delinei i tratti della figura misteriosa, facendomi tremare le ginocchia.
- Sebastian… - mormoro solamente, lasciando cadere a terra la mia spada senza preoccuparmi del rumore assordante del metallo contro il pavimento.
- Scusa il ritardo.. - sono le sue uniche parole, mentre gli corro incontro con la stessa prontezza che avevo avuto nell’afferrare la mia spada.
Stringendogli entrambe le braccia al collo, mi avvinghio alla sua figura senza pensarci due volte, ricominciando a piangere mentre la sua stretta si fa solida intorno alla mia schiena.
Per un momento penso che sia tutto un sogno, e forse per questo motivo comincio a tastargli nervosamente il corpo, a partire dalle spalle.
- Sì, sono io – mi conferma poco dopo, di sicuro con il sorriso tra le labbra – Sono qui – aggiunge poi, allentando la stretta da me per permettermi di tornare a guardarlo.
Tutte le preoccupazioni di un’intera settimana si placano in quell’istante, quando mi rendo conto che lo sto guardando di nuovo negli occhi.
Quel mio tornare a guardarlo però mi permette anche di notare particolari che nella foga del momento mi erano completamente sfuggiti: il sopracciglio destro è spaccato, per esempio, e ancora macchiato di sangue; una veloce occhiata al resto e noto che anche i suoi vestiti sono in pessime condizioni, per non dire da buttare.
Allontanandomi di un passo dalla sua figura, scosto senza pensarci un lembo della sua giaccia, scoprendo un’altra macchia di sangue, anch’essa ormai secca: sotto di essa, staziona un enorme squarcio nella camicia, come se qualcuno l’avesse pugnalato.
- Cosa diavolo è successo? - gli domando subito, tastando il punto in cerca di risposte.
Mi risponde con una smorfia. - Sono un po’ ammaccato – risponde.
- Perché sanguini? - domando, entrando più nello specifico. L’avevo già visto di ritorno da qualche scazzottata con chissà chi, capitava spesso con Ciel nei paraggi, ma non l’avevo mai visto sanguinare nel vero senso della parola.
E in passato l’avevo accoltellato io stessa, senza alcun risultato.
- Questa...è una storia lunga – farfuglia, chiudendo la porta della stanza senza fare alcun rumore.
- Ah ah no – lo blocco subito – Questa volta non attacca, o mi dici quello che è successo o giuro che ti concio anche peggio! - sbotto, pestando i piedi per terra come non avevo mai fatto in vita mia. In questo momento sono furiosa, e non riesco a far altro che puntare il dito nella sua direzione.
Dopo una settimana di preoccupazioni non può di certo cavarsela così.
La sua unica risposta a quel mio improvviso sfogo è un sospiro, prima di provare a superarmi per raggiungere chissà quale parte della stanza.
Prontamente, mi piazzo di nuovo di fronte a lui, con la fronte corrugata in un’espressione di totale ira.
- Non sono in vena di fare giochetti in questo momento – si lamenta, togliendosi di dosso la giacca logora.
- E chi gioca – metto subito in chiaro – Pensi davvero di cavartela così dopo una settimana di silenzio totale? - gli domando. Sento che in questo momento potrei anche prendere fuoco spontaneamente.
- Non ero proprio nella posizione di poter comunicare – risponde, quasi a denti stretti.
- Adesso puoi parlare però – gli ricordo, stringendo gli occhi mentre continuo a sostenere il suo sguardo.
- Smettila, Yuki – ringhia praticamente, provando per l’ennesima volta a superarmi per passare oltre.
Dopo quelle parole scatto per l’ennesima volta, tirando indietro il braccio nel vano tentativo di colpirlo col mio pugno migliore; per poco non raggiungo la mia meta, ma le mie dita finiscono in ogni caso intrappolate nella sua mano.
Provo allora a colpirlo anche con la mano libera, riuscendo questa volta a graffiargli una guancia, poco prima che si tiri indietro d’istinto
- Hai idea di come sia stata questi ultimi giorni?! - sbotto allora, urlandogli in faccia. A giudicare dall’atmosfera saranno le 2 di notte, ma stranamente non mi interessa molto della gente che potrebbe stare dormendo in questo momento – Pensavo fossi morto.. - esclamo poco dopo, incapace di aggiungere altro.
- Sono qui ora – mi ricorda, urlando letteralmente quelle parole. Entrambi abbiamo quasi gli occhi fuori dalle orbite a forza di urlare, ed entrambi siamo quasi senza fiato.
Ci fissiamo, e nessuno dei due sembra intenzionato a volgere lo sguardo altrove: tra i due non so chi è più testardo, soprattutto quando capitano situazioni come questa, in cui entrambi siamo fermamente convinti di aver ragione.
La mia rabbia non si è ancora neanche lontanamente placata, eppure quando mi stringe a sé per baciarmi la mia reazione è totalmente istintiva: il mio corpo si muove da solo, e in un attimo ho di nuovo entrambe le braccia intorno al suo collo. Dopo quelli che erano sembrati giorni interminabili, avevo bisogno più che mai di sentirlo vicino.
Togliendogli di dosso i pochi brandelli che era rimasti della sua giacca -solitamente ordinata in modo quasi maniacale-, lo spingo verso il letto al centro della stanza, tornando a baciarlo dopo aver ripreso velocemente fiato. Non mi curo minimamente neanche della camicia, finendo di strapparla per poi lasciare i resti sul pavimento, abbandonati.
Con la stessa mia foga, anche la mia camicia da notte finisce a pezzi, mentre lo libero abilmente dagli ultimi indumenti che lo intrappolano: una volta sul letto, mi prendo un momento per percorrere tutto il suo corpo con lo sguardo, prima di sistemarmi a cavalcioni su di lui. Sospiro di sollievo quando siamo finalmente pelle contro pelle, cominciando a muovermi finché non è lui a prendere totalmente il controllo della situazione.
Stringendo i suoi capelli corvini tra le dita, sospiro contro il suo orecchio, mentre le sue labbra hanno già preso a disegnare una linea invisibile lungo tutto il mio collo, scendendo poi lungo la clavicola.
Totalmente imprigionata in quel momento, quasi non mi accorgo delle mie unghie conficcate letteralmente nella sua spalla, reazione istintiva all’ansia che mi aveva pervaso fino a solo qualche ora prima.
In questo momento potrei dimenticare ogni cosa, niente è più importante dell’averlo accanto.
In preda a quel pensiero, comincio a muovermi nuovamente nella sua direzione, assecondando i suoi movimenti in modo naturale e deciso; mi muovo, ancora e ancora, fino a lasciarmi andare ad un grido sentito, che a malapena riesco a contenere.
Un rivolo di sudore mi scende lungo la schiena, mentre riprendo a respirare dopo qualche secondo di totale apnea. Il viso di Sebastian è ancora nascosto nel mio collo, ma le entrambe le sue mani sono ben salde sulla mia schiena, all’altezza del cuore.
- Qualche volta potremmo anche non litigare e passare direttamente a questo – mormora in un sospiro, restando immobile nella sua posizione.
Sorrido istintivamente a quelle parole, continuando a tenere entrambi gli occhi chiusi.
Abbandonandomi contro di lui, torno ancora una volta a stringere entrambe le braccia intorno al suo capo, stringendolo contro il mio petto come se fosse un tesoro prezioso da proteggere. - Quando ami qualcuno si litiga – rispondo, senza pensare davvero alle mie parole: il loro significato mi arriva dopo, mentre spaventata penso per un momento di aver rovinato un momento a dir poco perfetto.
Sto per parlare, quando sento le sue dita percorrere la mia schiena fino a finire tra i miei capelli arruffati. Per qualche motivo so che sta sorridendo in questo momento, ma non ne sono certa finché non arriva letteralmente ad un soffio dal mio orecchio.
- Ti amo anch’io – mormora, posando poi un bacio quasi impercettibile sulla mia guancia.


***

Siamo entrambi in silenzio già da un po’: io stesa di fianco con il capo poggiato sulla sua spalla e lui sdraiato accanto a me, con una mano ferma sul mio fianco.
Presa a passare le dita sul suo addome, mi imbatto solo in quel momento in quelli che sembrano i resti di un taglio profondo.
- Sebastian, cos’è successo? - provo ancora una volta, convinta che questa volta parlerà senza fare molte storie. Non ha poi molto motivazioni per tenere segreto quello che gli è successo.
- Ricordi quello che abbiamo scoperto all’orfanotrofio? - mi chiede allora, continuando tuttavia a fissare il soffitto – I libri e tutto il resto? - prosegue poi.
Annuisco, restando tuttavia in silenzio.
- Avevo una pista su chi potesse essere il loro demone – mormora - Pensavo di aver ragione – aggiunge poco dopo, con quello che sembra odio verso sé stesso.
- Ma mi sbagliavo – prosegue, senza che io debba aprire bocca – Mi sbagliavo, ed è per questo che sono sparito per una settimana...anche se mi è sembrato molto di più – sono le sue ultime parole, prima che tra di noi cali di nuovo un silenzio assordante.
- E questo..? - mormoro solamente, passando il dito sulla cucitura perfetta poco sopra il bacino. Si vede che è fatta senza particolare attenzione, di fretta oserei dire.
- Questo – sospira – E’ stato lui a farmelo, con un’arma che non vedevo da secoli – mi spiega, passandoci a sua volta il dito sopra.
Non lo vedo storcere la bocca, ma una parte di me sa che sta soffrendo per quella ferita.
- Un’arma in grado di farmi male – continua – In grado di farci male – aggiunge, ampliando quel discorso a tutti i demoni in generale. E io che pensavo che fossero invulnerabili in tutto e per tutto: le mie convinzioni stanno via via scemando col passare del tempo. - Menomale che ho sempre ago e filo con me – mormora poi poco dopo, accennando un sorriso.
Sollevandomi appena sul letto, esamino meglio la cucitura di fortuna: da vicino è meglio di quello che avevo pensato. - Ha bisogno di essere disinfettata – gli dico subito, mettendo in chiaro le cose e facendo per alzarmi dal letto. So di avere una cassetta del pronto soccorso qui in camera.
Come al solito, le sue dita mi afferrano il braccio prima che possa muovermi.
- Può aspettare – mormora, rivolgendomi un sorriso che, probabilmente solo nella sua testa, basterà a rilassarmi.
- Può infettarsi – mi lamento subito, facendo uscire il medico che è in me.
- E’ una fortuna allora che non possa morire per una semplice infezione – ribatte, senza tanti giri di parole – La Spada Dell’Inferno può ferirmi e uccidermi, ma sono ancora resistente ai germi – aggiunge, tirandomi nuovamente verso di sé finché non sono di nuovo seduta sul letto, ora infreddolita
- Spada dell’Inferno? - ripeto.
- E’ un arma quasi mitologica, ma tutti i demoni sono messi in guarda da essa fin da piccoli – racconta – E’ una specie di uomo nero per i demoni – aggiunge, facendomi scappare un sorriso.
- Dov’è ora il demone che ti ha ferito? - gli chiedo d’istinto, pensando solo in quel momento a quel particolare.
Sospirando, mi rivolge uno sguardo sereno. - L’ho ucciso – annuncia poco dopo – Non potevo fare altro, se volevo tornare qui – aggiunge.
Trascinandomi di nuovo fino a lui, afferro in quello stesso momento la sua mano, stringendola. - Allora sono felice che tu l’abbia ucciso – mormoro, pronunciando parole che fino a qualche tempo prima mi sarebbero parse assurde.
Rivolgendomi un ultimo sorriso, scende poco dopo dal letto, infilandosi nuovamente i pantaloni logori. - Vado a prendere qualcosa da bere – annuncia – Del vino forse – aggiunge, facendo accendere la lampadina nel mio cervello.
Già, lui è qui...ora ho un padre al quale comunicare la notizia.
- O magari del thé – mormoro di getto, prima che possa lasciare la stanza.
Quelle mie parole catturano immediatamente la sua attenzione, mentre sono tornata a stringermi intorno al corpo il lenzuolo candido.
- Tu che rifiuti del vino? - mi domanda infatti, corrugando la fronte.
- Non penso che potrò berlo.. - rispondo – Per un po’ - aggiungo, a corto di parole.
Non pensavo che avrei mai comunicato una cosa del genere a qualcuno.
- Un po’.. - ripete lui, visibilmente confuso.
- Mesi – mi correggo velocemente – Per i prossimi 7-8 mesi..credo – aggiungo in fretta, stringendomi entrambe le ginocchia al petto.
Dopo aver sostenuto il mio sguardo per qualche secondo senza dire niente, finalmente noto un barlume nei suoi occhi: in quel momento so per certo che ha capito le mie parole.
Allontanandosi allora dalla porta, mi indica senza dire niente per un momento. - Tu.. - farfuglia poi, avvicinandosi nel frattempo al letto, inginocchiandosi poi accanto ad esso per guardarmi meglio.
- Sei incinta? - mi chiede solo dopo qualche secondo, durante il quale ha squadrato il mio corpo centimetro per centimetro.
- Sono incinta – rispondo, prima di finire intrappolata in un altro suo lungo abbraccio, al limite della felicità.
- Non riesco più a mangiare la cannella – mormoro, con la voce di chi sta per piangere – La cannella, capisci? - aggiungo, scoppiando in una risatina poco prima che le lacrime comincino a scendermi giù per il viso.
A quelle mie parole si aggiunge una sua improvvisa risata, ed è in questa posizione che restiamo entrambi nei minuti successivi: abbracciati e sorridenti.

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Capitolo 19
*** Gregory Morningstar ***


Dopo aver insistito a lungo, alla fine Sebastian aveva acconsentito a farsi ricucire meglio la ferita sull’addome: non che la sua sutura fosse così malvagia, semplicemente il sangue secco era ancora praticamente ovunque.
- Di quello che ti pare.. - mormoro, tagliando il filo da sutura in più - ...quella sutura era veramente da principianti – commento comunque, rivolgendogli un sorriso divertito prima di riporre i miei attrezzi nella cassetta apposita.
- Ti ho accennato che l’ho fatta al buio? - domanda lui, passandosi poi un dito sulla cucitura nuova di zecca.
- Mh – mi limito a commentare, dandogli le spalle il tempo di riporre la mia cassetta nell’armadio della mia camera.
Non faccio neanche in tempo a chiudere di nuovo l’anta che la sua mano mi afferra il polso, costringendomi a tornare a guardarlo: tirandomi a sé, finisco seduta nuovamente sulle sue gambe, mentre le sue braccia vanno a circondarmi entrambe le ginocchia. Ridacchiando sommessamente, poso con un gesto naturale la fronte sulla sua, continuando a guardarlo negli occhi.
- E’ stata Abaddon a dirti che eri incinta, vero? - mi chiede, carezzando nel frattempo la mia gamba
La nostra posizione non è molto diversa da quella che avevamo mantenuto fino a poco prima, tranne il fatto che ora eravamo entrambi vestiti.
O comunque semivestiti.
- Me l’ha confermato, sì – rispondo – Anche se non avevo pensato minimamente a questa possibilità.. - aggiungo, ripensando ai giorni in cui avevo combattuto contro giramenti di testa e nausea al minimo odore forte. Avevo l’impressione che questo tipo di cose sarebbero solamente peggiorate col passare del tempo.
- Perché noi demoni veniamo dal cielo in bocca alle cicogne, giusto? - mi chiede, mantenendo uno sguardo pensieroso prima di scoppiare inevitabilmente a ridere.
Quella risata contagia anche me, ma non per questo mi freno dal tirargli un piccolo dietro alla schiena.
- Smettila di prendermi in giro! - sbotto subito, cercando di mascherare il mio divertimento – Che ne so io di come...di come funzionate! - esclamo poco dopo, scossa ancora dalle sue risate.
Nel vederlo così divertito non posso che ridere anche io, stringendomi al contempo a lui fino a nascondere il viso tra i suoi capelli, mentre il suo finisce nell’incavo del mio collo.
Dopo che le risate di entrambi finalmente si placano, tra di noi cala un silenzio improvviso, che tuttavia dura solo qualche secondo.
- Grazie – mormora lui alla fine, senza rivolgersi a qualcosa in particolare finché la sua mano non raggiunge il mio ventre, posandosi su di esso con la leggerezza di una piuma – Tutto questo è una novità anche per me, ma insieme possiamo farcela – aggiunge, mormorando quelle parole con un tono che mi scalda subito il cuore.
Un brivido mi percorre poi la schiena, prima che sorrida teneramente. - Tu credi? - gli domando, allontanando il viso dai suoi capelli per tornare a guardarlo.
- Se evito di farmi rapire ancora...perché no? - mi domanda, ridendo su qualcosa che fino a qualche giorno prima mi aveva letteralmente mandato al manicomio.
- Idiota – borbotto infatti, lanciandogli uno sguardo tra il divertito e l’arrabbiato, ricambiando poi il tenero bacio che posa sulle mie labbra.
Quegli ultimi giorni erano stati davvero infernali per me, così come per le persone che mi stavano intorno: la mia preoccupazione aveva raggiunto ogni angolo della Residenza, finendo per far preoccupare anche le persone che non avevano mai avuto niente a che fare con Sebastian. Il mio malessere che aumentava non aveva di certo aiutato, ma almeno adesso anche quel particolare era acqua passata: da quando aveva fatto ritorno a casa i miei giramenti di testa si erano interrotti, così come le nausee passeggere che avevo avuto fino a qualche tempo prima.
Ma di nausee ne avevo sicuramente da affrontare ancora molte, vista la mia recente situazione.
Stringo di nuovo entrambe le braccia intorno al suo collo quando la porta di apre di scatto, con un cigolio sinistro che avrebbe fatto accapponare la pelle a chiunque.
- Ma voi due non fate altro? - l’inconfondibile voce di Abaddon ci risveglia da quel momento di pace che ci eravamo creati, costringendoci al contempo ad interrompere di netto il nostro bacio.
- Non preoccuparti sorellina, sono vivo e sto bene – le risponde Sebastian, continuando nel frattempo a tenermi stretta a sé. Solo dopo qualche secondo torna finalmente a guardarla – Ringrazia che ci hai trovati vestiti – è poi l’unico commento di Sebastian.
Percorsa da un brivido improvviso, chiude per un secondo gli occhi. - Ew – grugnisce, tornando a guardarci con l’aria di chi ormai non sa più che pesci prendere – E poi smettila di fare la prima donna, sapevo perfettamente che saresti tornato sano e salvo a casa – aggiunge, mettendosi una mano sul fianco con l’aria di chi sa di aver ragione.
- Non era esattamente sano quando è arrivato – m’intrometto io – Se consideri che l’ho dovuto ricucire – aggiungo, trattenendo a stento uno sbadiglio.
- Forgerò una medaglia solamente per lui allora – commenta lei, apertamente sarcastica - Comunque...Ciel vuole vedervi entrambi, dice che c’è molto di cui parlare – ci preannuncia, lanciandoci un ultimo sguardo alla “vestitevi e scendete” che non lascia spazio ad altre parole.
- Ma..sono quasi le quattro del mattino – preciso, quando ormai Abaddon sta quasi per chiudersi la porta alle spalle.
Lanciandomi un ultima occhiata, sospira poi leggermente.
- Già, non ha voluto sentir ragioni – ammette, questa volta lasciandoci di nuovo soli.

***

Per parecchio tempo l’unico rumore ad animare la sala dove tutti ci troviamo è il ticchettio dell’orologio a pendolo, un suono che col passare del tempo è diventato solamente più fastidioso.
Per qualche strano motivo mi fanno male le gambe, e per questo me ne sto seduta su una delle poltrone, con accanto a me Sebastian in piedi e in attesa: a guardarlo da sotto sembra quasi una statua.
Al contrario di quello che avevo pensato, sono presenti a questa riunione improvvisata anche Mey-Rin, Finny e Bard, in piedi a loro volta in un angolo della stanza.
Siamo tutti in attesa che sia Ciel a parlare, ma per il momento sembra preferire la vista del giardino della Residenza alle parole.
Io e Sebastian ci scambiamo allora un’occhiata, anche se alla fine nessuno dei due sa bene cosa fare.
- Parla pure, Sebastian – la voce di Ciel, meno convincente del solito, si fa finalmente largo in quel silenzio durato anche troppo – Cos’è successo? - aggiunge poco dopo, abbandonando finalmente la finestra alla quale sembrava quasi incatenato.
Una volta seduto sulla sua poltrona, dietro la solita scrivania, incrocia le mani sul petto, in una perfetta posizione d’attesa.
- I Norton hanno un demone dalla loro parte – annuncia allora.
Fino a quel momento avevamo tenuto per noi quello che avevamo scoperto all’orfanotrofio: nessuno a parte me, Abaddon e Sebastian era a conoscenza dei libri sui sacrifici umani, così come nessuno era a conoscenza dell’esistenza di un altro demone. Per di più sotto il controllo proprio della famosa famiglia Norton.
- Immaginavo che non lavorassero da soli – commenta Ciel, con tono quasi annoiato. Con lui a volte ci vuole proprio la pazienza di un santo. - Ma addirittura un demone, ne sei sicuro? - gli chiede, come se si potesse mai mentire su una cosa del genere.
- Sicurissimo – risponde all’istante – Dal momento che i Norton sono in possesso di libri leggibili solamente ai demoni – aggiunge, limitando i dettagli della nostra seconda incursione all’orfanotrofio, di cui lui in realtà non sapeva nulla.
- Esistono davvero libri del genere? - è la sua unica domanda.
Mi domando se abbia afferrato la parte dei sacrifici umani.
- Esistono, sì – risponde lui, assumendo un tono estremamente pacato – Sono rari, ma purtroppo esistono...e questo in particolare, nelle mani sbagliate, potrebbe causare danni rilevanti – ammette, guardandolo con aria severa.
Il mio sguardo si sposta allora da Sebastian e Ciel e viceversa, quasi stessi assistendo ad una partita di tennis.
Solo a quel punto, il padrone di casa si alza dalla sua sedia di pelle. - Sacrifici umani, hai detto? - gli chiede, cominciando a passeggiare avanti e indietro, in preda a chissà quali pensieri.
“Ah, allora l’ha sentita quella parte..” penso tra me e me, alzando per un momento gli occhi al cielo.
- Esatto – risponde, annuendo nel frattempo – Sono partito una settimana fa perché pensavo di conoscere l’identità del demone dei Norton… - ammette, facendo una piccola pausa, con la quale attira definitivamente l’attenzione di tutti – Il problema è che mi sbagliavo – conclude.
- Quanto ti sbagliavi, esattamente? - domanda Abaddon, mentre noi altri non possiamo che rimanere in silenzio ed aspettare, impazienti di conoscere tutta la verità.
- Parecchio – mormora, mentre ripenso inevitabilmente alla ferita sull’addome, che avevo ricucito non molto tempo prima nella nostra camera – Avevo pensato a tutte le possibili alternative, tranne che a quella che mi si sono trovato ad affrontare alla fine – ammette, posando in quello stesso momento una mano sulla mia spalla.
Istintivamente, vi poso sopra la mano.
- Parla, fratello – mormora Abaddon, mentre l’impazienza le attraversa il volto: impazienza già espressa pienamente dalle sue braccia incrociate al petto.
- Gregory – mormora alla fine lui, senza smettere per un attimo di guardarla. Da fuori, quel momento è quasi inquietante.
Quando torno a mia volta a guardare Abaddon, noto immediatamente che il suo colorito è cambiato drasticamente, passando da un rosa pallido ad un bianco quasi spettrale. In questo momento, ha persino gli occhi sbarrati, giusto un attimo prima che cominci a farfugliare qualcosa.
- No, no, non può essere – è tutto quello che riesco a capire delle sue parole, mentre lo shock la pervade completamente. Non pensavo che avrei mai visto Abaddon spaventata in vita mia, eppure in questo momento sembra terrorizzata.
Ed è bastato un nome per ridurla in questo stato.
- Si può sapere di cosa state parlando? - domanda di getto Bard, interrompendo l’ansia generale che era calata nella stanza. Da tutti mi sarei aspettata una domanda meno che da lui, sinceramente. Del resto, Finny è lì accanto a lui che sbadiglia e Mey-Rin non fa altro che guardarsi intorno, confusa da tutta quella situazione.
Ovviamente anche loro sono a conoscenza della vera natura di Sebastian, così come di quella di Abaddon, Ciel e anche della mia, e ormai se ne sono fatti una ragione. Sanno per chi lavorano, e gli va bene. Anche perché visti da fuori possono sembrare delle normali persone, ma sono proprio le loro capacità a renderli unici.
- Gregory Morningstar – continua allora Sebastian, pronto -a giudicare dal suo tono- per proseguire con i chiarimenti – Secoli fa era uno dei demoni più importanti tra di noi - commenta, pensieroso per un istante – Per lungo tempo è stato il braccio destro dei capi ai pieni alti, ma il potere ha finito per dargli alla testa, finché non ha cominciato ad uccidere solo per il gusto di farlo – continua, senza indugiare.
Ascolto rapita le sue parole: del resto, stiamo parlando del demone che l’ha torturato. Anche se non credo, in cuor mio, che la storia si limiti a questo recente fatto.
Gregory Morningstar era stato per lungo tempo uno dei demoni più importanti dei piani alti. A detta di Sebastian, era infatti stato addirittura il braccio destro del capo assoluto, così lo aveva definito lui.
Abile nel combattimento, si era fatto largo facilmente tra le fila dei demoni, imparando nel frattempo a decifrare libri che per secoli erano stati gettati nel dimenticatoio: libri anche sui sacrifici umani, come quello che avevamo trovato nell’orfanotrofio dei Norton.
A detta di Abaddon, decifrarli era stato impossibile per molti, finché non era arrivato lui, risolvendo ogni problema come se niente fosse.
Per accrescere il suo potere più di una volta si era rivolto a questi libri in particolare, finché non aveva finito per esagerare: dopo aver sacrificato quasi 200 bambini nel giro di una settimana, persino la gente di strada cominciava a guardarlo con orrore. I sospetti crebbero, finché una decisione non fu presa.
Per molto tempo si era dato alla fuga, proteggendo i libri che a lungo l’avevano reso sempre più potente. Fu catturato solo dopo un intero anno, durante il quale non aveva neanche lontanamente placato la sua sete di sangue.
- Nostra madre fu una delle sue vittime – mormora allora Abaddon, dopo che per tutto il tempo aveva parlato unicamente Sebastian, raccontando per filo e per segno una storia che era stata in grado di mettermi i brividi.
A quelle parole torno a guardarla ancora una volta, con una stretta allo stomaco.
- Era stata incaricata di dargli la caccia, era solo uno dei tanti demoni che gli stava alle calcagna...ma finì per essere catturata – racconta – Gli altri l’abbandonarono al suo destino, e morì in circostanze che ancora oggi sono misteriose persino a noi, i suoi stessi figli – aggiunge, passeggiando fino ad una delle finestre della stanza, bloccandosi poi lì sul posto, con lo sguardo rivolto fuori.
Quando finalmente fu catturato fu giustiziato pubblicamente, di fronte ad una folla impassibile che non aspettava altro se non la sua morte. A quella cerimonia parteciparono anche Sebastian e Abaddon, insieme a loro padre, ovviamente, anche se all’epoca erano ancora molto giovani.
Un brivido mi percorre allora la schiena, mentre penso che l’uomo appena descritto è in tutto e per tutto un mostro: aveva seminato a lungo distruzione e morte, tutto pur di diventare sempre più potente.
E ora uno dei suoi libri era tornato in circolazione, così come era tornato in circolazione lui stesso.
Chissà come
- Ma noi l’abbiamo visto morire – sbotta allora Abaddon, tornando a rivolgersi a tutti quanti, con le braccia strette al petto – Ricordo perfettamente il momento della sua morte, e ricordo che ci furono molti controlli circa il suo decesso – aggiunge, convinta di quelle sue parole.
- Tutti pensavamo lo stesso – mormora Sebastian – Eppure è stato lui a ferirmi solo due giorni fa – continua, facendo una piccola pausa - ...con la Spada dell’Inferno – conclude, tornando a posare una mano sulla mia spalla.
Se prima il suo sguardo era terrorizzato, ora è letteralmente senza parole.
- Come si fa ad essere in possesso di un’arma mitologica? - chiede lei, stringendosi ulteriormente le braccia al petto e facendo riferimento a quello che mi aveva detto Sebastian stesso: l’uomo nero da cui ci mettevano solitamente in guardia i genitori, per i demoni era rappresentato da questa fantomatica Spada dell’Inferno, che sembrava essere in grado di ferire i demoni anche in modo permanente.
- Ti assicuro che è tutto tranne che mitologica – sono le sue uniche parole, prima di lasciare la presa dalla mia mano per sollevarsi la maglia, mettendo in bella vista il taglio sull’addome ricucito da poco – Niente sarebbe stato in grado di ferirmi, se non un’arma per uccidere i demoni – aggiunge, mentre Abaddon si avvicina a grandi passi a lui, esaminando poi da vicino quella che ormai è una non insignificante cicatrice.
- Al mondo esiste davvero un’arma in grado di uccidere i demoni? - domanda Ciel, visibilmente confuso da quell’ultimo particolare.
- Esatto, ed è nella mani del peggiore demone che abbia mai avuto la sfortuna di incontrare – mormora Sebastian, continuando a mantenere il suo solito tono calmo – E il fatto che abbia stretto un patto con i Norton non migliora affatto la nostra situazione – aggiunge.
- Dobbiamo entrare in possesso di quella spada – sbotta improvvisamente Abaddon – In ogni modo e a qualsiasi costo – aggiunge, riprendendo a passeggiare per la stanza, inquieta.
- I Norton ormai sanno che gli stiamo alle costole – mormora Ciel con tono fermo – D’ora in poi dovremmo agire con estrema cautela – aggiunge, mettendo in chiaro le cose.
- Non c’è tempo per la cautela se quel mostro ha la Spada dell’Inferno – sbotta Abaddon – Era pericoloso in passato solo con quei suoi maledetti libri, immagina adesso! - aggiunge, seriamente preoccupata per la situazione, e questa volta rivolgendosi direttamente a Sebastian.
Di fronte al silenzio del fratello, la sua reazione è ovvia. - Sebastian andiamo! - esclama allora, con una voce talmente alta che avrebbe risvegliato persino i morti – Ha ucciso nostra madre! - esclama poi subito dopo, in attesa di una risposta che, tuttavia, non arriva.
- Ciel ha ragione – mormora lui, scuotendo impercettibilmente il capo – Non possiamo permetterci di attaccarli senza un piano, o qualcuno di noi resterà ucciso – aggiunge, guardando direttamente ogni persona nella stanza.
- Non ti sei mai interessato alla vita umana in generale e proprio ora te ne fai un problema? - gli domanda lei, guardandolo senza riuscire ad aggiungere altro. In questo momento è più che sconvolta.
- Abaddon, penso che Ciel e Sebastian abbiano ragione.. - mormoro a mia volta, entrando in quell’assurda conversazione per la prima volta da quando abbiamo fatto la nostra entrata nella stanza.
Dopo quelle mie parole, mi rivolge uno sguardo quasi infuocato. - Quell’uomo ha ucciso mia madre! - esclama ancora una volta.
- In questo momento sei sconvolta, e se agiamo troppo in fretta rischiamo davvero che qualcuno si faccia male – ripeto, alzandomi dal mio posto per avvicinarmi a lei, cercando di confortarla per quanto possibile – Sistemeremo questa storia, ma lo faremo insieme – aggiungo, posando una mano sulla sua spalla.
Al contrario di quello che avevo pensato, per qualche secondo accetta quell’improvviso contatto, ma il momento è fugace: senza aggiungere altro, lascia infatti la stanza, chiudendosi la porta alle spalle con un tonfo.
Non pensavo che l’avrei mai vista sconvolta fino a questo punto, ma evidentemente il trauma subito quando era solo una bambina l’aveva segnata in maniera permanente.
Sebastian, in quanto fratello maggiore, non si era potuto permettere un lusso del genere.
Entrambi erano andati avanti a modo loro, e ora riuscivo a capire la maggior parte dei comportamenti di Abaddon: il suo allontanare tutti e stare sempre sulle sue era sicuramente una reazione a tutto quello che avevo vissuto, ma di cui non aveva mai parlato. L’essere un demone poi peggiorava ulteriormente la situazione: di natura erano tutti orgogliosi, e nessuno di loro ammetteva volentieri di stare male.
Quella sua reazione invece era stata aperta, tanto che cominciavo a preoccuparmi che avrebbe potuto davvero agire da sola.
- Non possiamo lasciarla andare così – mormoro d’istinto – E se decidesse di andare da sola a caccia di questo Gregory? - domando direttamente a Sebastian, ancora in piedi accanto alla poltrona che fino a poco prima mi aveva ospitato.
- Non lo farà – risponde lui – Abaddon non è stupida, sa cosa rischia andando da sola… - aggiunge – D’ora in poi, la terrò ulteriormente d’occhio, per quanto possibile – conclude, incrociando entrambe le braccia al petto.
- Posso sempre ordinarle di non fare niente – è la proposta di Ciel – In fondo, l’ho evocata proprio perché rispondesse ai miei ordini – aggiunge.
Quell’ipotesi, per quanto crudele nei confronti di Abaddon, sembra anche quella migliore.
- Già, ma l’hai evocata promettendole qualcosa che non è la tua anima, visto che non ce l’hai più – gli ricorda Sebastian, scuotendo ancora una volta il capo – Quindi tecnicamente non è costretta a seguire i tuoi ordini – aggiunge.
- Si può stipulare un contratto senza promettere la propria anima? - domando, confusa da quella nuova situazione. Non che avessi mai fatto molte domande su quell’argomento in particolare, anche perché sapevo che Ciel era un demone ormai, quindi davo per scontato che la sua anima non fosse più legata al suo corpo.
Allo stesso tempo, però, non mi ero mai domandata in che modo fosse riuscito a convincere un demone come Abaddon ad ubbidire ad ogni suo ordine se non aveva più un’anima da barattare.
Ero stata davvero una stupida a non pensarci prima.
- Se si possiede qualcosa che fa gola al demone in particolare più di un’anima.. - mormora Sebastian, assumendo un tono pensieroso – Si, si può...ma è raro che il demone acconsenta – aggiunge, rivolgendosi poi subito dopo a Ciel – Cosa le hai promesso? - gli chiede allora, stringendo gli occhi e continuando a guardarlo con fare curioso.
Di nuovo, il mio sguardo si sposta dal diretto interessato a Sebastian come se stessi seguendo una partita di tennis.
- Non è importante che tu lo sappia – è la sua unica risposta, che di certo non delude Sebastian. Persino io sapevo bene che non avrebbe mai risposto a quella domanda su due piedi.
- Già – risponde infatti lui, mentre io sorrido sotto i baffi.
Ciel, dal canto suo, sospira leggermente, con entrambe le braccia dietro alla schiena. - Sappiate comunque che ascolterà un mio ordine – ci assicura – Me ne occuperò io stesso – promette, con lo sguardo rivolto alla notte.

 

***

- Abaddon non prenderà bene quello che abbiamo intenzione di fare – mormoro, quando ormai abbiamo fatto ritorno alla nostra stanza.
- No, assolutamente – risponde – Ma non possiamo fare altro, o rischierebbe davvero di farsi uccidere – aggiunge, sinceramente preoccupato per le sorti della sorella.
- Vedo che cominci ad accettare di avere un rapporto civile con lei – commento, stringendomi in una coperta di lana che mi sta tenendo lontana dal freddo ormai da un po’.
- Questo perché mi sbagliavo su di lei – ammette, per la prima volta da quando Abaddon è tornata nella sua vita. Quelle parole sconvolgono anche me, per un momento.
- Quindi pensi davvero che sia cambiata? - gli chiedo.
- Ormai ne sono sicuro – risponde subito dopo, sospirando sommessamente – Dopo la morte di nostra madre, Abaddon si è allontanata da tutti, chiudendosi in sé stessa e smettendo di cercare aiuto dagli altri – racconta, sedendosi sul bordo del letto.
Approfitto della pausa che fa per raggiungerlo e restare in piedi di fronte a lui, pronta ad ascoltare ancora una volta quello che ha da dire.
- Quando eravamo piccoli cercava sempre il mio aiuto, a dirla tutta...eravamo molti uniti – ammette – Ci aiutavamo a vicenda, e nostra madre era molto presente nella nostra vita – racconta, sorridendo per una frazione di secondo al pensiero della donna che li aveva cresciuti, almeno per un po’.
- Quando Gregory la uccise, cambiò tutto: il nostro rapporto finì per rovinarsi sempre di più, finché alla fine smettemmo anche di parlare tra di noi – continua – Andò avanti così per molto tempo, e l’ultima volta che la vidi era in preda ad una furia omicida che per un momento mi ricordò quella della stesso Gregory – ammette, anche se quelle parole mi sembrano assurde: sapevo qualcosa del passato burrascoso di Abaddon, ma non pensavo che avesse toccato addirittura livelli del genere.
- Potevo vedere quanto era cambiata con un semplice sguardo – mormora poco dopo – Ma adesso più la guardo e più sono sicuro che è tornata quella di un tempo, anche se il passato la tormenta ancora -.
- Immagino che ci sia ancora molta strada da fare – mormoro, cercando solo di immaginare tutto quello che aveva passato fino a quel momento – Sia per lei che per te – aggiungo, questa volta avvicinandomi di nuovo a lui.
Torno allora a posare una mano sulla sua spalla, poco prima che riprenda a parlare. - Io non ho mai potuto permettermi il lusso di stare male per la morte di mia madre – ammette, dando voce ai miei stessi pensieri – Ma questo non mi ha impedito di fare cose terribili, quasi al pari di quelle di mia sorella – ammette, continuando a tenere il capo chino.
- E’ stato il vostro modo di processare il dolore – mormoro – Non è qualcosa che mi farà cambiare idea su chi siete in questo momento – aggiungo, restando poi in silenzio.
Mi avvicino ulteriormente a lui solo quando le sue braccia mi circondano la vita, attirandomi a sé: intreccio le dita tra i suoi capelli con un gesto naturale, mentre la sua fronte si posa sul mio petto.
- Ci sono cose che ho fatto...che spero tu non sappia mai – mormora, in un tono talmente sommesso che a stento riesco ad udirlo.
- Basterà non raccontarmele – rispondo, continuando a giocare con i suoi capelli corvini.
Solo dopo qualche secondo quelle mie parole danno i frutti, così che possa tornare a guardarlo negli occhi. - Di te mi piace il tuo rendere sempre tutto semplice – ammette, rivolgendomi poi un sorriso, che ricambio immediatamente.
- La mia vita è già abbastanza complicata, non c’è bisogno che io giri il dito nella piaga – mormoro, questa volta non riuscendo a trattenere uno sbadiglio. Ormai devono essere le 5 del mattino, probabilmente.
Mi sto strofinando gli occhi, quando perdo la presa dal pavimento, ritrovandomi tra le sue braccia.
- Andiamo, è ora di dormire – annuncia, portandomi di peso fino al mio lato del letto, dove poco dopo mi adagia delicatamente – Ti servirà molta energia, ora che siete in due – aggiunge, posando la mano sul mio ventre.
- E siamo solo all’inizio – gli ricordo – E magari quando le acque si saranno calmate, potremmo dirlo anche agli altri...e a mia sorella – aggiungo, ormai al limite delle mie forze.
- Quando le acque si saranno calmate – ripete lui, prima che mi addormenti profondamente. 

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Capitolo 20
*** Nuovi poteri, nuove responsabilità ***


Sono sveglia, ma come ogni mattina non ho voglia di aprire gli occhi.
Il calore invade il mio corpo, tanto che per un momento penso che il piumone del mio letto sia una delle cose migliori della mia stanza
Sorrido a quel pensiero, ed è proprio in quel momento che qualcosa non mi torna.
Qualcosa mi solletica il viso, con la leggerezza di una piuma: per un momento penso che sia Sebastian, magari non ho sentito la sveglia del mattino e sono in ritardo per l’apertura dell’ambulatorio.
Ma no, se fossi in ritardo di certo non mi sveglierebbe così, non per come è fatto lui.
Mentre rifletto senza arrivare a nessuna conclusione, uno spasmo mi colpisce: qualcosa mi ha appena punto, lo sento chiaramente, così come sento un dolore improvviso al braccio.
Solo allora apro gli occhi, di scatto, senza riconoscere per un momento quello che mi circonda.
Ho il sole negli occhi, e questo mi oscura la visuale, ma quando finalmente mi abituo noto che quella dove mi trovo non è la mia stanza, e quello sotto di me non è il materasso.
Puntando le mani sull’erba sotto di me, mi tiro su a sedere, notando solo allora Sebastian seduto accanto alla mia figura -fino a qualche secondo prima- dormiente.
- Ben svegliata – mormora, rivolgendomi un sorriso.
- C-cosa.. - bofonchio in un primo momento, guardandomi intorno. Con me non ho niente, a parte la mia camicia da notte: sono scalza e non ero coperta da niente, nemmeno da un lenzuolo.
Sul braccio, invece, ho l’evidente segno di un morso, probabilmente di un’ape.
- Cosa succede? - chiedo poco dopo, quando riacquisto la capacità di parlare.
- Dovresti dirmelo tu, ti ho trovata qui mezz’ora fa – mi spiega, piegando il viso di lato, guardandomi con aria incuriosita.
- Mezz’ora fa? - chiedo, sbigottita – E non potevi svegliarmi? -.
- Credimi, se ho ragione.. - comincia, alzandosi da terra e sistemandosi il frac – Ho fatto bene a non svegliarti – aggiunge, porgendomi la mano.
Una volta accettato quell’invito, mi alzo a mia volta, rimuginando sulle sue parole, pronunciate sempre con quel fare misterioso. - Puoi spiegarti? - lo incalzo, seguendolo verso la Residenza. - Perché stavo dormendo sul prato? - continuo, senza attendere una sua risposta.
Ora che finalmente sono sveglia ho improvvisamente freddo.
- Non appena saremo dentro, non ci saranno bisogno di spiegazioni – è tutto quello che mi concede, mentre dopo poco facciamo il nostro ingresso in casa.

***

- Quindi...dormivi sul prato? - domanda Abaddon, guardandomi dall’altro capo della stanza con le braccia conserte.
Lo sguardo che le rivolgo è confuso, contro il suo pieno di curiosità. - A quanto pare – rispondo, stringendomi nelle spalle – Sto aspettando una spiegazione da tuo fratello – aggiungo, rivolgendo uno sguardo a quest’ultimo, indaffarato in non so bene cosa – O da te, comunque – concludo, tornando a guardarla.
Con un’alzata di mani, mette in chiaro quello che sta per dire. - Io non ne so niente, davvero – mormora poco dopo, tornando poi ad incrociare le braccia – Se sapessi qualcosa, te lo avrei già detto – aggiunge, con tono sincero.
- Bene – si intromette allora Sebastian, dopo un lungo momento di silenzio.
Catturando immediatamente la mia attenzione, sollevo lo sguardo per guardarlo.
- Yuki, potresti alzarti? - mi domanda.
- Perché? - chiedo, mentre comunque abbandono il mio posto, tornando in piedi. Il lato positivo è che posso finalmente sgranchirmi le gambe.
Ora so che il prato non è il posto migliore per dormire.
- Per confermare la mia teoria – risponde.
Solo allora, anche Abaddon decide di dire la sua. - Non penserai davvero.. - comincia, smettendo poi di parlare dopo uno sguardo del fratello – E’ la cosa più rara del mondo, persino tra noi – aggiunge, scuotendo impercettibilmente il capo.
- Stiamo per scoprirlo – risponde, tornando a rivolgersi a me – Ora è importante che ti concentri su un oggetto all’interno di questa stanza – aggiunge, poco prima di indicare un’estremità di essa, dove si trova un’enorme anfora con dentro una moltitudine di fiori – Per ora quell’anfora andrà bene – mormora poco dopo, sistemandosi poi alle mie spalle.
- Dovrei pensare a quell’anfora? - chiedo.
- Esatto, solo e solamente all’anfora – risponde – Fai spazio solo per quell’oggetto nella tua mente, senza mai distrarti e quando sei pronta chiudi gli occhi – aggiunge – Ci vorrà un secondo in ogni caso -.
Rivolgendogli uno sguardo veloce, sospiro, seguendo poi alla lettera le sue istruzioni.
Anche se ancora confusa da quelle sue parole, chiudo gli occhi, dopo aver fissato nella mente l’immagine dell’anfora posta nella stanza.
A parte una strana sensazione alla bocca dello stomaco, l’unica impressione che ho è che niente stia succedendo. Semplicemente ho gli occhi chiusi, mentre continuo a pensare ad una vecchia anfora.
- Cosa...dovrebbe succedere? - chiedo, confusa, mentre per qualche motivo continuo a tenere gli occhi chiusi.
- Apri gli occhi – mi intima – E non ci sarà bisogno di una risposta – aggiunge.
Aggrottando le sopracciglia, faccio subito dopo come mi dice.
Quando mi guardo intorno, però, non sono più al centro della stanza, come qualche secondo prima.
Sono accanto all’anfora.
- C-cosa.. - è l’unica cosa che esce dalla mia bocca, per la secondo volta.
Girandomi di scatto, trovo una Abaddon confusa, con la bocca aperta e gli occhi quasi fuori dalle orbite.
Sebastian, dal canto suo, ha solo un sorriso soddisfatto sulle labbra. Quello di chi sapeva di avere ragione.
- Non è possibile.. - commenta Abaddon, continuando a tenere gli occhi sbarrati.
- Qualcuno mi spiega cosa è appena successo? - sbotto poco dopo, stufa di essere l’unica all’oscuro di tutto. Quello che è appena successo è qualcosa che non mi spiego, e so perfettamente che ha a che fare col mio essere in parte un demone.
Come il fatto che controllo una spada a mio piacimento, del resto.
- E’ successo che abbiamo appena scoperto che sei un mezzo demone molto dotato – risponde Sebastian.
Quella mezza risposta non mi soddisfa, così decido di usare il mio nuovo talento contro di lui: mi concentro, fisso la sua figura nella mente e in un attimo sono di fronte a lui, più veloce del vento. - Parla la mia lingua – lo intimo.
- Sei in grado di muoverti attraverso lo spazio a tuo piacimento – traduce allora.
- In altre parole, puoi teletrasportarti – aggiunge Abaddon, continuando a fissarmi come se fossi un fenomeno da baraccone.
Beh, in fondo lo sono davvero.
- E’ una dote che solo pochi demoni hanno – m’informa lui – Neanche io ne sono in grado – aggiunge, guardandomi fiero. Lui è decisamente contento di questa scoperta.
- O io – confessa Abaddon a sua volta.
- Ma io non sono neanche un demone, sono in parte demone! - ricordo ad entrambi – Come è possibile che io ne sia in grado e voi no? - chiedo, confusa – Insomma, non è un controsenso? - domando, guardandoli entrambi per parecchi secondi, senza aggiungere altro.
- E’ un controsenso – ammette Sebastian – Ma lo è molto di meno se riflettiamo sugli ultimi avvenimenti – aggiunge, tenendosi sempre sul vago.
Lo odio quando fa così.
Dal canto mio, non capisco quelle sue parole: le sue conoscenze sono troppo più vaste delle mie, soprattutto quando si tratta di demoni. Far finta di capire quello che dice delle volte equivarrebbe a prendermi in giro da sola.
Abaddon invece non è della stessa idea, tanto che proprio in quel momento vedo il colpo di genio attraversarle gli occhi, mentre una lampadina si accende sulla sommità del suo capo.
- Le tue capacità aumentano perché ora hai più sangue demoniaco dentro di te – mormora, indicando poco dopo il mio ventre.
Abbassando immediatamente lo sguardo, poso una mano sulla curvatura appena accennata di esso: il fatto che sono incinta è la causa di questo?
- Il bambino centra con tutto questo? - domando, dando voce al mio pensiero.
- E’ l’unica spiegazione logica – risponde Sebastian – Il sangue demoniaco dentro di te è aumentato da quando.. - comincia, prima di essere interrotto di netto da Abaddon.
- ...da quando il mio fratellino ha fatto centro – conclude al posto suo, guardandoci entrambi con una traccia di orgoglio negli occhi.
- Se vogliamo metterla in questi termini – mormoro lui, scuotendo impercettibilmente il capo.
Guardandolo in questi momenti mi viene da pensare che anche lui provi imbarazzo di tanto in tanto, anche se non lo da a vedere così facilmente.
- Ma il bambino non è ancora neanche formato – ricordo ad entrambi – Insomma, è poco più di un feto – aggiungo.
- La grandezza non conta – risponde Abaddon – Potrebbe anche essere grande come un fagiolo, il sangue demoniaco è comunque aumentato dentro di te – spiega – E credimi, ne basta anche solo una goccia per far crescere i tuoi poteri – conclude.
- Quindi mi sono svegliata sul prato stamattina perché..? - comincio, lasciando la frase a metà di proposito. Sono sicura che loro sapranno darmi una spiegazione, come sempre del resto.
- Sembrerà ridicolo da sentire, ma probabilmente ieri notte è quello che hai sognato – sono le parole di Abaddon. Sempre e comunque confusionarie.
- Ho sognato un prato e quindi mi sono trasportata lì automaticamente? - chiedo, sconvolta.
- E’ così che funziona – risponde lei – Ogni volta che pensi intensamente a qualcosa, eccoti improvvisamente lì – aggiunge, gesticolando con le mani – Se impari a controllarlo è ottimo in battaglia – conclude, rimuginando sui vecchi tempi.
- Quindi devo anche imparare a controllarlo? - chiedo.
- A meno che tu non voglia dormire in un posto diverso ogni notte.. - mormora Sebastian, mettendomi di fronte alla verità – Si, dovrai imparare a controllarlo – aggiunge.
- E come dovrei fare? - chiedo, sfinita. Sono solo le 10 del mattino e ho già scoperto troppe cose per i miei gusti.
A volte mi manca la mia vita normale.
- Usando questo nuovo potere il più possibile – risponde Sebastian – Un paio di giorni e dovresti stabilizzarlo senza problemi – aggiunge.
- In pratica, usalo anche per ogni cosa che ti viene in mente – mette in chiaro Abaddon, parlando la mia lingua come al solito – Andare al tuo ambulatorio, andare in cucina...prendere i vestiti dall’armadio – aggiunge, elencando solo alcuni dei tanti modi per esercitarmi.
- Quindi..ci vorranno un paio di giorni? - chiedo.
- Anche meno – promette Sebastian – Ti basta usarlo davvero per ogni cosa e il tempo di stabilizzazione si ridurrà automaticamente – aggiunge, posando una mano sulla mia spalla.
- Allora comincio subito – annuncio, arrivando in un battito di ciglia accanto al mio armadio. In fondo devo vestirmi.
- Questo è lo spirito giusto – commentano, quasi all’unisono – Vestiti, il tuo ambulatorio ti aspetta – aggiunge poi Sebastian, avviandosi verso l’uscita.
- E Ciel aspetta me – commenta invece Abaddon, uscendo poi a sua volta dalla stanza.
Restando finalmente da sola, mi lascio andare ad un profondo sospiro liberatorio.
Quando penso che tutto stia prendendo una piega normale, ecco che succede sempre qualcosa che mi fa cambiare idea.
Prima c’era stato il problema dell’essere per metà demone: scioccante, pauroso, ma l’avevo superato, e avevo imparato a convivere con la cosa.
Poi era arrivata l’altra, e il mio modo di comportarmi aveva cominciato a mutare lentamente, finché controllare la rabbia era diventato un problema più grande di me. Ma anche quello era stato ormai superato, dal momento che l’amuleto che Sebastian mi aveva donato non aveva mai smesso di fare il suo lavoro.
Tutto era rimasto nei limiti del normale -o del mio nuovo normale- fino ad ora.
Non pensavo che il fatto di essere incinta portasse anche degli effetti collaterali, o comunque non degli effetti collaterali di questo tipo.
Ma del resto, di cosa mi stupivo?
Sono una donna metà demone incinta di un demone che ha più di 1000 anni.
Ho smesso di essere normale tempo fa.
Scelgo velocemente i miei abiti da lavoro per questa nuova, lunga giornata, optando alla fine per una camicia rossa, abbinata ad un paio di pantaloni grigi e ad una giacca nera.
Fra poco questi abiti cominceranno anche ad andarmi stretti, ora che ci penso.
Un pensiero mi colpisce improvvisamente: sono incinta di un demone, io a mia volta lo sono in parte…quindi la mia gravidanza sarà diversa rispetto alle altre?
Non avevo ancora pensato a questa eventualità, in effetti.
Impaziente di sapere, come sempre, penso intensamente ad Abaddon.
Dopo la strana sensazione alla bocca dello stomaco, eccomi improvvisamente nello studio di Ciel, proprio al centro della stanza.
Per fortuna al suo interno ci sono solamente lui e Abaddon.
- Abaddon, posso parlarti un secondo? - le chiedo, mentre Ciel mi guarda senza capire.
- Da dove è sbucata, signorina Yuki? - mi domanda infatti, guardandosi intorno poco dopo.
- Ora può teletrasportarsi – gli comunica Abaddon – Già, i regali della gravidanza – aggiunge, rendendosi conto solamente dopo delle parole che ha appena pronunciato.
- Abaddon! - la rimprovero, guardandola in cagnesco per un secondo.
Lei, dal canto suo, si stringe leggermente nelle spalle. - Scusa – mima con le labbra, prima che Ciel punti il suo sguardo nel mio.
- Questa è una grossa novità – commenta, mostrando il minimo interesse per la faccenda – Le mie congratulazioni – aggiunge, rivolgendomi un sorriso.
- Ti ringrazio – rispondo – Ora posso rubarti Abaddon per un momento? - gli chiedo, rivolgendomi questa volta a lei.
- Cinque minuti – risponde – Poi abbiamo del lavoro da fare – aggiunge, tornando ai suoi documenti come sempre.
Senza attendere ulteriormente, mi avvio verso l’uscita, aspettando poi che lei mi raggiunga, solo qualche secondo dopo.
- Scusa per quello che ho detto, non ci ho proprio pensato – è la prima cosa che mi dice, mentre si chiude la porta dello studio alle spalle.
Il corridoio dove ci troviamo per fortuna è deserto. - Non fa niente – rispondo – Tanto prima o poi l’avrebbe scoperto comunque – aggiungo, stringendomi nelle spalle.
Con un sospiro, si rilassa appena. - Di cosa hai bisogno? - mi domanda subito dopo, sinceramente interessata.
- Si tratta proprio della gravidanza – ammetto, dandole un primo spunto – Stavo pensando..sarà esattamente come una gravidanza normale, o c’è qualcosa che devo sapere? - le chiedo, da un lato anche un po’ spaventata di conoscere i dettagli demoniaci di quella situazione in particolare.
- Beh.. - mormora, facendo una piccola pausa per riflettere su quella mia domanda – E’ normale, come una gravidanza umana...ma sono quasi sicura che non duri 9 mesi – aggiunge poco dopo.
- Quindi..dura di meno rispetto al normale? - chiedo, giusto per conferma.
- Esatto – risponde – Ma è meglio che controlli, ho un libro di testo al riguardo – aggiunge, stupendomi con quelle sue parole.
Aggrottando le sopracciglia, la guardo curiosa. - Cosa ci fai con un libro sulle gravidanze tra i demoni? - le chiedo, incrociando entrambe le braccia al petto.
- Non ti ho accennato che nel nostro mondo ero una levatrice? - mi domanda, con fare retorico.
Se possibile, aggrotto ancora di più le sopracciglia. - Beh, no, non me l’hai mai accennato – rispondo.
- Beh si, ero alle prime armi quando ho lasciato per darmi ai combattimenti – ammette – E’ successo secoli fa, per questo non ricordo tutto nei minimi dettagli – aggiunge.
- Ma..potresti effettivamente aiutarmi durante questa gravidanza? - le domando, sperando con tutta me stessa in un sì. Anche se fino a quel momento non ne avevo fatto parola, questa situazione un po’ mi spaventava.
- Fammi leggere un paio di libri, e sì – risponde – Potrei aiutarti nei prossimi mesi – aggiunge.
Senza pensarci due volte -e quasi con un gesto automatico- mi getto tra le sue braccia, stringendola in un abbraccio quasi soffocante. - Grazie Abaddon! - esclamo – Non hai idea di quanto questo mi faccia sentire meglio! - aggiungo, quasi con le lacrime agli occhi.
- Non c’è di che – risponde, sottraendosi a poco a poco dall’abbraccio. Come suo fratello, non è proprio una fan del contatto umano – Sarà un ottimo modo per non pensare alla faccenda di Gregory, anche se spero che per allora l’avremmo sistemata – aggiunge, pronunciando per la prima volta quel nome dalla riunione con Ciel della notte prima.
- La sistemeremo – le prometto – Insieme possiamo farcela – aggiungo, cercando di confortarla.
- E ora tu puoi anche teletrasportarti – aggiunge, senza dare a vedere il suo
sconforto, che le leggo chiaramente negli occhi – Di bene in meglio davvero! - aggiunge.
- Prometto che vi sarò utile, se mai dovremmo affrontarlo – mormoro.
- Nelle tue condizioni, meglio tenerti lontano dal campo di battaglia – mormora lei, mettendo in chiaro quale sarà il mio ruolo nel prossimo futuro, almeno per quanto riguarda i Norton e questo famigerato Gregory – Senza offesa, ovviamente – aggiunge, notando il mio sguardo.
- Sapete bene tutti che non me ne starò con le mani in mano – le ricordo, cocciuta come sempre.
- Per il suo bene – comincia, posando una mano sul mio ventre – Penso che lo farai, per questa volta – aggiunge.
Sospiro, rassegnata. - Si, hai ragione – ammetto.
- Già, ormai sono troppo abituata all’idea di diventare zia – ammette poco dopo, sorridendomi – Meglio che torni da Ciel ora, prima che cominci ad urlare il mio nome come una prima donna – aggiunge, posando una mano sulla maniglia della porta dello studio di Ciel.
- Sì, meglio – commento, lasciando poi che faccia di nuovo la sua entrata nella stanza.
D’accordo, quindi la mia gravidanza durerà di meno: dovevo immaginare che almeno qualcosa sarebbe stato diverso per me, ma in fondo...non è una cosa così brutta.
Ora dovevo solamente aspettare una conferma da Abaddon, e poi avrei smesso di preoccuparmi per questa situazione.
L’idea di avere qualcuno al mio fianco -oltre a Sebastian, ovviamente- mi confortava non poco, soprattutto se si trattava di qualcuno che ne sapeva qualcosa di baby demoni.
Per un momento, provo ad immaginare Abaddon nei panni di una comune levatrice: facendo un lavoro come il mio ne avevo incontrate diverse, e tutte erano donne amorevoli e dolci. Questa non era esattamente la prima impressione che avevo avuto di Abaddon, ma c’era anche da dire che ormai la vedevo sotto una luce completamente diversa.
Una volta sistemata la faccenda dei Norton, avremmo potuto finalmente avere anche noi un momento di pace.
E la pace era qualcosa che ultimamente aveva cominciato a mancarmi.
- Basta rimuginare troppo – mormoro, scuotendo la testa con fare deciso. Ho bisogno di stabilizzare questo nuovo potere il prima possibile, o continuerò a svegliarmi in un posto diverso ogni mattina.
Concentrandomi sull’entrata del mio ambulatorio, riapro gli occhi spingendo la porta verso l’interno, cominciando poi a sistemare prima che i miei pazienti arrivino.

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Capitolo 21
*** Clinofobia ***


Avevo chiesto ad Abaddon un parere sulla mia gravidanza non proprio normale perché sapevo che da lei avrei sicuramente ottenuto qualche informazione; quello che non mi immaginavo era che si sarebbe gettata a capofitto nella lettura di non uno, ma ben tre libri diversi.
- La gravidanza media di un demone può variare dai sette agli undici mesi.. - mi recita, seduta su una delle due poltrone della stanza.
- Undici mesi?! - chiedo sbigottita, interrompendola probabilmente sul più bello.
Sollevando lo sguardo per guardarmi, si stringe poi nelle spalle. - Sta tranquilla, penso che la tua durerà non più di sette mesi – mi confessa, dopo una lunga occhiata a tutto il mio corpo.
- In base a cosa si può determinare quanto durerà? - le chiedo, sgranocchiando nel frattempo dei biscotti che Sebastian aveva lasciato nella stanza, insieme a del thè ancora bollente.
- Dalla stazza del corpo della madre, e soprattutto da quanto è in salute – risponde, riprendendo a leggere in quello stesso momento – Il numero dei mesi si riduce a seconda dello stato di salute in cui si trova il corpo della neo mamma: più questo è debole, e più il feto avrà bisogno di tempo per diventare forte – recita nuovamente, chiudendo poi l’enorme volume preso da chissà dove.
- In pratica.. - mormoro, facendo una pausa – Più il mio corpo è in salute e meno dura la gravidanza? - chiedo, giusto per conferma.
Il suo annuire subito dopo mi toglie ogni dubbio. - Il tuo corpo è in piena salute, e per la tua età sei una donna robusta, penso che sette mesi sarà il tuo massimo – ammette, alzandosi poi dal suo posto per sgranchirsi le gambe.
Ormai erano ore che ce ne stavamo chiuse in camera a leggere, mentre Sebastian era impegnato con Ciel in chissà quale interessante attività.
- Sette mesi.. - ripeto, tra me e me. Sono di meno di quello che pensavo, dal momento che solitamente una gravidanza normale ne dura nove...certo, ci sono casi in cui il bambino nasce prematuro anche solamente con sette mesi, ma i casi non sono poi così frequenti.
Due mesi in meno rispetto a qualunque altra gravidanza non sono pochi, ma è una cosa che mi conviene accettare in fretta...prima che l’ansia mi divori, almeno.
- Già, e in questo momento sei già al tuo terzo mese – mormora, condividendo quell’informazione con me per la prima volta – Congratulazioni! - esclama, prima che io stessa possa rispondere.
Mi rendo conto solo dopo qualche secondo che la sto fissando con la bocca quasi spalancata. - T-terzo mese? - chiedo – Quindi ne mancano solo quattro prima del parto? - chiedo, sentendo di nuovo la paura salire improvvisamente. No, non posso farmi prendere dal panico in questo modo, non è da me.
- Non...te lo avevo detto? - domanda, dopo che ho decisamente smorzato il suo entusiasmo.
- No, non l’avevi fatto – ammetto, mentre un buco allo stomaco mi rende difficile pensare razionalmente. Il tempo prima del parto è anche meno di quello che avevo pensato: come avevo fatto in quei mesi a non accorgermi assolutamente di quello che stava succedendo dentro di me?
- Quattro mesi sono parecchi, se ci pensi – mormora, affiancandomi nel vano tentativo di consolarmi – Insomma...hai tutto il tempo del mondo per prepararti, e quando sarà il momento.. - aggiunge, facendo una pausa per posare una mano sulla mia spalla - ...dovrai solamente spingere e...urlare, se vuoi...e spingere e puff! Finirà prima che tu te ne accorga! - esclama, tornando a guardarmi con aria entusiasta.
- A dirlo così sembra una passeggiata – ammetto, pensando a quell’imminente futuro.
- Con me come levatrice lo sarà – mi promette, riuscendo a sollevarmi improvvisamente il morale con quelle semplici parole – Andrà tutto alla grande, vedrai! - aggiunge, dandomi l’ennesima pacca sulla spalla.
Senza sapere esattamente come rispondere, rimango in silenzio per qualche secondo. Quando alla fine scuoto impercettibilmente il capo, mi lascio scappare un piccolo sospiro. - Hai ragione, andrà tutto bene – ripeto, recitando quelle parole quasi come un mantra.
- E io diventerò zia – aggiunge, neanche questa volta riuscendo a trattenere l’entusiasmo – E Sebastian papà! - aggiunge, anche se si vede chiaramente che quel particolare le è ancora quasi difficile da credere.
- E’ così strano? - le chiedo allora, visto che fino a quel momento non avevo mai davvero toccato quell’argomento.
Voltandosi ancora una volta verso di me, torna in un secondo l’Abaddon seria di sempre. - Un po’ lo è, in effetti – ammette – Sono cresciuta al fianco di mio fratello, e per secoli è sempre stato il demone freddo e calcolatore che mio padre voleva che fosse – mi racconta – Non ho mai pensato a lui come qualcuno in grado di costruirsi una famiglia, non in modo normale, almeno.. - aggiunge, riflettendo per qualche secondo su quel particolare.
- La nascita della nostra storia non si può proprio definire normale, però.. - le ricordo, rimuginando sul passato per l’ennesima volta. Chi l’avrebbe mai detto che saremmo finiti così, dopo quella notte in strada.
- Eppure nonostante questo… - mormora – E’ riuscito per la prima volta nella sua lunga vita a mettere da parte morte e distruzione per dedicarsi a qualcosa di migliore – aggiunge – Qualcosa che lo sta rendendo felice per la prima volta – conclude, mentre incrocio le gambe sulla poltrona dove sto comodamente seduta, tornando ancora una volta a posare entrambe le mani sul mio ventre.
Intenta a sorridere per quelle sue parole, non mi rendo conto che sono rimasta in silenzio più a lungo di quello che avevo pensato: ancora una volta, infatti, è lei a parlare.
- Significhi molto per mio fratello, sai? - mi domanda, attirando nuovamente la mia attenzione – E poi sai tenergli testa come in pochi sanno fare – aggiunge, pronunciando quelle parole con un certo orgoglio
- Possiamo dire che ha trovato pane per i suoi denti – mormoro, fiera a mia volta di quelle mie parole.
- Direi che era anche ora – ammette.
Mentre entrambe ridiamo di quella piccola conversazione, finiamo per essere interrotte da un bussare ritmico alla porta.
Quando ad affacciarsi è Sebastian, non me ne stupisco. - Interrompo qualche conversazione delicata tra donne? - chiede, chiudendosi poi la porta alle spalle.
- Parlavamo della gravidanza – ammette Abaddon – Più qualche discorso su di te, come sempre – aggiunge.
- Sparlavate di me, quindi? - ci chiede, avvicinandosi a noi.
Da quando mi ero svegliata quella mattina non avevo accennato neanche una volta a vestirmi: ormai erano quasi le 18 del pomeriggio, e io ero ancora beatamente in pigiama. Avevo deciso di prendermi un giorno dall’ambulatorio, da un lato perché quella mattina mi ero svegliata più stanca del solito.
La notte prima non avevo dormito esattamente bene, e la cosa peggiore era che non sapevo perché.
Forse era stato a causa di un brutto sogno, sta di fatto che mi ero svegliata alle tre di mattina per poi non riuscire a chiudere più occhio. Ormai erano 15 ore che ero in piedi, vigile per metà.
- Non tanto quanto pensi – rispondo io, stropicciandomi il viso con fare assonnato. Forse era finalmente arrivato il momento di chiudere gli occhi e di fare una sana dormita.
Nel vedere quel mio gesto, Abaddon fa per congedarsi. - Vi lascio soli – mormora infatti – Così ti do anche il cambio con Ciel – aggiunge, rivolta questa volta unicamente al fratello.
- Sai...è bello non essere più l’unico demone al servizio di Ciel – ammette, sorprendendo entrambi.
- Non pensavo che avrei mai sentito queste parole uscire dalla tua bocca – ammetto, quasi sconcertata.
- Neanche io, se può consolarti – ammette Abaddon, dando poi una pacca sulla spalla del fratello, prima di allontanarsi verso la porta.
Solo quando ci lascia davvero soli mi alzo per sistemare i libri che mi aveva portato, che scopro essere molto più pesanti di quello che avevo pensato.
- Hai l’aria stanca – ammette Sebastian, dopo che il suo sguardo non mi aveva mollato per neanche mezzo secondo.
Stringendomi intorno al corpo la mia vestaglia, socchiudo gli occhi un attimo prima di tornare a guardarlo. - Non ho dormito benissimo la scorsa notte – ammetto – Non so perché – aggiungo, mentre lo guardo sfilarsi la giacca, abbandonandola poco dopo sullo schienale della poltrona.
Avvicinandosi a piccoli passi, mi posa una mano sulla fronte non appena ne ha la possibilità.
- Niente febbre – mormoro, persino prima che se ne possa rendere conto lui stesso – Sono solo sveglia da troppo tempo – aggiungo, chiarendo la situazione.
- E non sai perché? - mi chiede.
Mi stringo nelle spalle, confusa quanto lui. - Immagino di aver fatto un brutto sogno, ed è per questo che mi sono svegliata – ammetto – Forse è per lo stesso motivo che non mi sono riaddormentata – aggiungo, riflettendo su quel particolare.
- Peccato che non ricordi niente di un possibile sogno – mi lamento subito dopo, poco prima di lasciarmi andare sul letto. E’ sempre stato così morbido e comodo?
- Incubo o meno, stenditi finché non torno – mi ordina, praticamente – Vado a prepararti qualcosa da mangiare – aggiunge.
Prima che possa darmi le spalle, mi trasporto con estrema semplicità a pochi passi da lui. - Stasera ho voglia di cucinare – ammetto, prendendolo alla sprovvista.
- Questa cosa del teletrasporto sta diventando fastidiosa – ammette.
- Ricordi quando tu lo facevi a me? - domando con fare retorico, stringendomi nelle spalle con aria innocente.
Dopo quelle mie parole, non può che lasciarsi andare ad un piccolo sospiro. - Touché – mormora semplicemente.
Sorridendo, allungo una mano nella sua direzione. - Andiamo? - chiedo.
Quando riapre gli occhi, si limita ad afferrare la mia mano, lasciando intrecciare le dita con le mie.
Concentrandomi sulla cucina, e su una cena di cui il mio corpo comincia a sentire il bisogno, lascio che il vuoto allo stomaco prenda il possesso del mio corpo.
In un secondo, siamo entrambi circondati da pentole e padelle: non sappiamo per quanto ancora saremo da soli, quindi ci mettiamo all’opera entrambi senza esitazione alcuna.


***

Se c’era una cosa che adoravo fare, era mangiare in santa pace nella mia stanza: anche se da sola, dal momento che Sebastian non ne aveva bisogno.
- Non capirò mai questa tua passione sfrenata per le uova – mormora, guardandomi seduto sulla sedia opposta alla mia.
Appena ne avevo avuto la possibilità avevo comprato un piccolo tavolo da aggiungere alla mia camera spoglia, anche perché le cene nella sala da pranzo della Residenza erano sempre un mortorio, così come i pranzi ovviamente.
Il più delle volte preferivo mangiare per conto mio, studiando nel frattempo le cartelle mediche dei miei pazienti...era un modo per unire l’utile al dilettevole, del resto.
E fino a quel momento aveva funzionato decisamente bene.
- Perché tu non le mangi – rispondo – Come non mangi il formaggio, i pomodori, il bacon.. - recito, come se stessi stilando una lista immaginaria.
- D’accordo, ho capito – mi interrompe lui ad un certo punto, scuotendo poi impercettibilmente il capo – Ma del resto sai bene che nella mia dieta non c’è posto per cose del genere.. - aggiunge, ricordandomi quel piccolo particolare al quale ormai ero abituata.
Da quando Ciel era diventato un demone, e la sua anima era stata di conseguenza consumata, a Sebastian non erano rimaste molte alternative per rimanere in vita.
L’unica soluzione era uccidere senza pietà, o continuare a stipulare contratti...ma con la seconda opzione l’attesa era lunga, e ultimamente anche a causa del suo rapimento, le forze avevano cominciato ad abbandonarlo.
Da quando lo conoscevo, aveva stipulato almeno una decina di contratti: le anime da riscuotere di certo non gli mancavano, ma allo stesso tempo ogni tanto doveva nutrirsi di qualcuno, e per farlo poteva usare solo la forza.
Niente contratti, niente accordi.
Ma anche a questo avevamo trovato una soluzione, alla fine.
Londra era famosa, tra le tante cose belle, per i suoi serial killer: Jack lo Squartatore era solo uno degli esempi più logici che mi venivano in mente.
Il punto era che i criminali non mancavano mai nella nostra splendida città, e le carceri di Londra potevano anche tendere a riempirsi facilmente.
Alla fine proprio quel luogo era diventato il territorio di caccia di Sebastian: dopo aver corrotto un paio di guardie, trovare delle anime di cui cibarsi era stato un gioco da ragazzi.
Anche quel suo modo di fare univa l’utile al dilettevole, se ci riflettevo: lui aveva modo di riprendere le forze quando non poteva attendere la scadenza dei contratti e allo stesso tempo si assicurava che criminali del calibro di Jack lo Squartatore non vedessero più la luce del sole.
Anche se non stava a noi giudicare, era la soluzione migliore a cui eravamo riusciti a pensare.
E ogni volta ero stata io stessa a studiare la storia criminale dei prescelti, e nessuno di loro era mai stato uno stinco di santo: uno degli ultimi aveva sterminato l’intera famiglia dopo che la moglie gli aveva comunicato che aveva intenzione di lasciarlo.
Jane Fletcher, 45 anni, era stata la prima vittima, a seguire c’erano stati la figlia Lily, 18 anni, il figlio Jon, 6 anni e la più piccola Annie, di 2 anni.
E gli omicidi erano stati compiuti senza esitazione alcuna.
- Pensi di andare a fare un altro giro nel carcere di Londra? - gli chiedo – Non sarebbe una cattiva idea.. - ammetto, guardandolo più nel dettaglio. A prima vista non sta male, eppure so che non si è ancora ripreso dalla ferita all’addome, nonostante ormai sia ben cicatrizzata.
- Mi vedi così messo male? - mi domanda allora, sollevando il sopracciglio.
- No, ma mi preoccupo per te – rispondo, posando la forchetta rubata dall’incursione in cucina accanto al piatto. Dopo due uova e del pane tostato sono piena, considerando che avevo passato la giornata a mangiare cereali.
In un primo momento, lo guardo incrociare entrambe le braccia al petto, con la sua solita aria fiera e orgogliosa, quella di chi non viene mai ferito.
Ma lui era stato ferito, e a giudicare da quanto aveva mangiato ultimamente, la sua forza non era ancora al 100%.
- La ferita ormai si è chiusa, sto bene – ammette, riaprendo questa volta gli occhi che aveva precedentemente socchiuso.
- Sento che c’è un “ma” in questo tue parole – mormoro, riducendo gli occhi a due fessure.
- Ma preferisco essere pronto a qualunque cosa, per questo ho mangiato così tanto ultimamente – ammette – Le acque sono calme ad troppo tempo – aggiunge poco dopo, riflettendo esattamente quelli che erano stati i miei stessi pensieri.
I Norton non avevano fatto nessuna mossa da quando Sebastian era tornato: non ci erano giunte voci e per la prima volta dopo un lungo periodo, i giornali non avevano parlato di loro neanche una singola volta.
Le acque erano davvero troppo calme, e questo forse era il dettaglio che ci faceva insospettire di più.
Gregory era morto, a detta di Sebastian...ma in fondo era morto anche secoli prima, quando lui stesso aveva assistito alla sua esecuzione. Cosa ci assicurava che questa volta era davvero sistemato per sempre?
- Pensi davvero che Gregory sia morto? - gli chiedo infatti – So che mi hai detto di averlo ucciso...ma stiamo comunque parlando di un demone che doveva essere morto già da un pezzo – aggiungo, stringendomi nelle spalle.
- Ho ferito anche lui con la Spada dell’Inferno – ammette, condividendo con me un dettaglio che la prima volta avevi omesso.
- Avevi la Spada dell’Inferno e l’hai lasciata lì? - domando, senza credere io stessa a quelle parole. Perché mai avrebbe dovuto fare una cosa del genere?
- Abaddon lo sa? - gli chiedo, quando ormai sta per rispondermi.
Vedo chiaramente che sta ancora cercando le parole migliori per spiegarsi, l’espressione di quando lo fa è sempre la stessa.
- Non c’è bisogno che lo sappia – risponde – Perché non avevo modo di portarla via – ammette poco dopo, tornando a guardarmi.
Con un sospiro, riprende poco dopo a parlare. - A quanto pare chi è stato ferito da quella maledetta spada perde la capacità di impugnarla senza farsi ulteriormente male a sua volta – mi spiega – Ricordi la bruciatura sulla mano che hai pulito? - mi chiede, chiarendo una faccenda alla quale non ero stata in grado di dare una spiegazione fino a quel momento.
- Te la sei procurata impugnandola? - chiedo, sbigottita. Quando era arrivato il momento di dargli una sistemata, la prima cosa alla quale avevo pensato era la ferita sull’addome: oltre ad essere sporca aveva bisogno di essere ricucita da capo, per evitare anche la più minima infezione.
La ferita alla quale non avevo fatto caso invece era proprio quella alla mano: l’intero palmo era bruciato, e coperto da un pezzo di stoffa di fortuna che aveva recuperato dalla sua stessa giacca.
Avevo avuto modo di pulirlo solo in un secondo momento, anche se non mi aveva chiarito la natura di quella seconda ferita. Avevo deciso di non insistere solo perché non mi sembrava grave quanto lo squarcio all’addome.
- E per breve tempo – aggiunge – Se l’avessi impugnata anche solo qualche secondo di più probabilmente ora non avrei la mano – ammette, facendomi venire i brividi per un momento.
- E questa non è neanche la parte migliore – aggiunge, alzandosi dal suo posto per andare a piazzarsi davanti alla finestra.
- Oh, davvero? - domando, spronandolo a parlare.
- Dopo aver colpito Gregory, ed essere stato costretto a farla cadere a terra, è semplicemente sparita – mormora, con un tono quasi esasperato. Avere a disposizione un’arma così potente e non poterla prendere per nasconderla -o distruggerla magari- era qualcosa che di sicuro non aveva ancora digerito.
- Sparita? - ripeto.
Di tutta risposta lo sento annuire, infilando entrambe le mani in tasca. - E il bello è che non sappiamo niente di come funzioni – mormora – Nei libri non se ne parla, è come se le istruzioni fossero riservate all’elitè dei demoni – aggiunge.
- Quindi…praticamente non abbiamo niente – mormoro, probabilmente girando il dito nella piaga.
- Praticamente – risponde lui, girandosi nuovamente nella mia direzione – E ora le acque sono troppo calme – aggiunge, riflettendo ancora una volta i miei stessi pensieri.
Con l’ennesimo sospiro, lo guardo avvicinarsi alla mia sedia, finché non mi è di nuovo accanto.
- Come sta? - mi domanda, posando poco dopo una mano sul mio ventre. A quando pare, ha voglia di cambiare completamente argomento.
Decido di accontentarlo posando a mia volta la mano sulla sua. - Bene, ma non si è ancora fatto sentire – ammetto – Immagino che comincerà a scalciare il prossimo mese – aggiungo, pensando ancora tuttavia nei termini di una gravidanza normale – Abaddon dice che mi basteranno sette mesi, non di più – concludo, rendendolo partecipe di quella conversazione che avevamo avuto non molto tempo prima.
- Se lo dice lei, io mi fido – ammette – Il che è un grande passo avanti se pensi a come la apostrofavo quando è comparsa per la prima volta al ballo dei Norton – aggiunge, senza perdere l’occasione di sottolineare quel dettaglio.
- E’ davvero un grande passo avanti – concordo, sorridendogli poco prima di alzarmi dalla sedia.
- Adesso che ne dici se recuperi qualche ora di sonno? - mi domanda, cominciando a trascinarmi verso il letto prima ancora che possa rispondere – Ormai sono più di 15 ore che sei in piedi – aggiunge.
- Le hai contate? - gli chiedo, divertita.
- Mi preoccupo per te – risponde unicamente, da una parte anche facendomi il verso.
- Pff – borbotto, raggiungendo tuttavia finalmente il mio letto.
Stringendomi ancora una volta la vestaglia intorno al corpo, comincio a stendermi sul materasso, finendo per posare poco dopo il viso sul cuscino morbido. Mi sembra un sogno essere di nuovo sdraiata, dopo tutto quel tempo sveglia.
Mi domando se riuscirò davvero ad addormentarmi.
La verità è che sono stanca, ma qualcosa mi impedisce di chiudere definitivamente gli occhi.
- A cosa stai pensando? - mi domanda Sebastian, liberandosi della camicia per indossare una maglia decisamente più comoda. Prima che possa rispondere, mi raggiunge anche lui sul letto, stendendosi esattamente al mio fianco.
- Sono stanca, ma qualcosa mi impedisce di addormentarmi – ammetto, finalmente ad alta voce – Credo centri qualcosa con un sogno che ho fatto la scorsa notte...quello che mi ha svegliata – aggiungo, spiegandomi meglio.
- Il sogno che non ricordi? - domanda, sistemando una ciocca dei miei capelli dietro il mio orecchio.
- Esatto – rispondo – Non ricordo assolutamente niente, eppure ho paura a riaddormentarmi – aggiungo, rabbrividendo mentre pronuncio quelle mie stesse parole.
- Di certo è strano – ammette – Neanche io so esattamente cosa dire al riguardo – continua, lasciandomi per un momento senza parole.
- Tu che non sai cosa dire? - ripeto – Allora sono proprio nei guai.. - aggiungo, scuotendo impercettibilmente il capo, tuttavia sorridendo
- Però posso aiutarti a dormire – ammette – Questo posso farlo – aggiunge, continuando ad accarezzare i miei capelli.
- Tra poco – rispondo, lasciando scivolare un braccio dietro la sua schiena, stringendomi a lui – Per ora questo è meglio che dormire – aggiungo, con un sorriso sulle labbra.
- Se proprio non vuoi dormire subito.. - mormora, attirando completamente la mia attenzione quando si solleva a sedere sul letto.
Facendomi forza sul gomito, mi sollevo a mia volta, cercando di scrutare oltre la sua spalla. - Mh? - mugugno, confusa.
Da dove sono io tutto quello che riesco a vedere sono le sue braccia muoversi, mentre a quanto pare sta cercando qualcosa nel cassetto del mio enorme comodino.
Dopo qualche secondo di ricerca, e dopo aver provato ancora una volta a vedere cosa stia combinando, finalmente smette di darmi le spalle.
Quando si volta nella mia direzione, in mano ha una piccola scatola nera, più piccola del suo stesso palmo - Co-cos’è? - domando, balbettando quella semplice parola.
- L’ho trovato ieri in un negozio d’antiquariato, e ho pensato che ti sarebbe piaciuto – risponde – Tra i demoni non esiste il matrimonio, non proprio almeno.. - aggiunge, tenendo gli occhi fissi unicamente sulla piccola scatola sulla sua mano – Ma so bene tra gli umani è solito regalarsi cose del genere per dimostrare il proprio affetto – conclude, questa volta finendo per aprire il piccolo contenitore.
Al suo interno, ovviamente, staziona un piccolo anello: a vederlo sembra davvero una fede nuziale, la sola differenza è che è completamente d’argento invece che essere d’oro.
E’ priva di pietre o altri gingilli, particolare che preferisco di più tra tutti.
- Come mai improvvisamente ti interessa tanto delle usanze umane? - domando, non sapendo bene come reagire a quel regalo inaspettato.
- Perché tu lo sei per metà – risponde, sorridendo con fare innocente.
- Ottima risposta – ammetto, anche se inizialmente con un groppo alla gola. Continuando a mantenere il nostro contatto visivo, allungo la mano con un gesto istintivo, mettendo in bella mostra l’anulare in particolare.
Il suo sguardo è confuso dopo quel mio gesto, tanto che per un momento sembra quasi sul punto di ritrarsi. - Cosa dovrei fare? - mi chiede allora, in un tono talmente innocente che quasi scoppio a ridere lì su due piedi.
- Solitamente chi regala l’anello ha anche il compito di metterlo all’anulare della donna – gli spiego, guardandolo arrivare a quella conclusione tanto semplice in quello stesso momento.
Portandosi una mano dietro la nuca, evita per un momento di guardarmi, mentre io sorrido divertita. - Si, avrei dovuto pensarci da solo – ammette, scuotendo poi appena il capo.
Resto così in attesa, finché non afferra l’anello dal suo contenitore, lasciando quest’ultimo sul letto.
Prendendo la mia mano, segue alla lettera le mie indicazioni: con delicatezza, infila l’anello nuovo di zecca al mio anulare, dove alla fine staziona alla perfezione. La misura è giusta, come se fosse stato creato solo per il mio dito.
- So che odi le pietre sugli anelli, per questo mi sembrava perfetto – mormoro poi, mentre io mi sono incantata a guardare il piccolo oggetto d’argento.
- Lo è – rispondo, abbandonando quella visione per concentrarmi di nuovo su di lui, finendo per raggiungerlo di nuovo poco dopo – Grazie – mormoro, circondandogli il collo con entrambe le braccia per poi baciarlo.
Quando mi allontano dal suo viso, sposta ancora una volta una ciocca di capelli dai miei occhi, costringendomi a stendermi ancora una volta.
- Adesso però è davvero il momento di dormire un po’ - mi ricorda, senza tuttavia mollare la presa dal mio fianco.
- Resti qui? - gli domando.
- Sempre meglio che dare retta a Ciel – risponde, sorridendomi divertito – Dormi ora – aggiunge in un sussurro, riprendendo ad accarezzarmi i capelli.
Quel suo gesto mi rilassa, finché a poco a poco non comincio a perdere le forze.
Sono stanca, ma ho paura di dormire.
Perché?

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Capitolo 22
*** Mondo specchio ***


Scommetto che molti di voi sono andati a cercare cosa fosse la “clinofobia”, perché io sinceramente l’avrei fatto subito!
Scherzi a parte, in questo capitolo non c’è assolutamente un riferimento ad Harry Potter (assolutamente no, giuro) e con questa piccola bugia vi auguro buona lettura, scusandomi allo stesso tempo per il ritardo con la pubblicazione di questo capitolo!

Il cervello umano da sempre è in grado di distinguere tra sogno e realtà.
Siamo talmente abituati a questa verità, che soffermarci a riflettere su di essa sembra quasi inutile; quando ci addormentiamo e sogniamo, dentro di noi sappiamo che niente di quello che vediamo è vero.
Ma che succede quando quello che viviamo in sogno si dimostra più vero del previsto?
Cosa succede...quando siamo in trappola nella nostra stessa mente?
Pensieri di questo genere non erano molto da me, anche perché ero sempre stato un tipo molto semplice: la verità che mi si parava davanti era quella che accettavo e in cui credevo. Questo mio comportamento era cambiato solo dopo aver conosciuto Sebastian, insieme all’enorme verità che me era conseguita.
Da quando ero entrata a far parte di un mondo più grande di me, avevo cominciato ad essere sempre più curiosa di quello che avevo intorno: avevo cominciato ad investigare, e il più delle volte avevo anche rischiato di cadere in delle brutte situazioni.
Ogni volta avevo avuto un aiuto, però: Sebastian, Abaddon, persino Ciel, a dirla tutta.
Questa volta, invece, ero da sola.
Apro gli occhi convinta che sia una mattina come tante: dopo qualche ora di sonno filata mi sento pronta per questa nuova giornata.
Ma mi accorgo quasi subito che c’è qualcosa che non va.
Sono nella mia stanza, ma l’atmosfera intorno a me è tetra, cupa...come se stessi osservando la scena al di la di una macchina da presa, al cui obiettivo hanno aggiunto un filtro di troppo.
È tutto...blu, in realtà..tanto che per un momento mi sembra di essere sott’acqua.
“Sto sognando...è chiaro” è il mio primo pensiero, mentre velocemente scendo dal letto.
Prima che me ne accorga, sto correndo verso la porta, scoprendo con grande stupore che al di la di essa non c’è assolutamente niente, se non un muro bianco.
Mi volto verso le finestre, trovando tuttavia lo stesso spettacolo.
Mi rendo conto allora, che quel pensiero appena avuto, non mi è passato per la testa perché era la cosa più ovvia da pensare, bensì perché frutto del panico improvviso.
Il panico che si prova quando ci si sveglia in un posto che non si conosce.
- Ti consiglio di non agitarti – una volta profonda e chiara giunge alle mie orecchie dall’altra parte della stanza, gelandomi sul mio posto – Ma sappi che non c’è modo di andarsene, a meno che non sia io a volerlo – aggiunge la voce, mentre lentamente mi volto.
Con gli occhi sbarrati dallo stupore, mi accingo a guardare il mio “rapitore”, senza tuttavia riconoscerlo.
- Sono piuttosto sicura che non ci conosciamo – sono le mie prime parole. Quell’uomo non ha niente di famigliare per me.
- No, non di persona almeno – ammette, cominciando ad avvicinarsi a me – Ma il tuo bello è convinto di avermi ucciso, se questo può chiarirti le idee – aggiunge, portando poi entrambe le mani dietro la schiena, sotto quello che sembra un lungo cappotto nero.
Quelle parole mi chiariscono davvero la situazione, tanto che in un momento la verità è più che ovvia.
In questo momento, non riesco a non avevo paura. - Gregory.. - mormoro, sottovoce – Sei Gregory Morningstar – aggiungo, riuscendo a malapena a pronunciare quelle parole.
Istintivamente, solo allora faccio un passo indietro.
- In persona – risponde lui, con un sorriso a trentadue denti sulle labbra.
Visto in questa strana atmosfera è ancora più inquietante di quello che avevo immaginato.
- Dove mi trovo? - chiedo di getto, cominciando a guardarmi intorno come un animale in gabbia – Cos’è questo posto? - continuo solo qualche secondo più tardi, cercando nel frattempo di mettere tra di noi il maggior spazio possibile.
- Questa, mia cara – mormora, indicando poi con un ampio gesto la stanza dove ci troviamo – E’ la tua mente – mette in chiaro, sciogliendo ogni dubbio che poteva avermi attanagliato fino a quel momento – E sei mia prigioniera già da un po’, se te lo stai chiedendo – conclude.
- Un po’..? - ripeto, senza capire.
- Quasi un giorno intero, ormai – risponde, guardando l’orologio sul suo polso sinistro – Mi domando come ti stiano dando da mangiare, dall’altra parte – aggiunge, fingendo interesse per un momento. Immagino che la mia vita non gli importi più di tanto.
In quello stesso istante, capisco cos’era quella mia paura di addormentarmi degli ultimi giorni...possibile che avessi previsto tutto fin dall’inizio? Eppure, nonostante questo..non avevo potuto fare niente per impedirlo.
- Avresti potuto non dormire – mormora lui, rispondendo a quel mio precedente pensiero come se l’avessi pronunciato ad alta voce – Ma per un mezzo demone non è possibile, soprattutto se poi aspetti anche un marmocchio – aggiunge, tornando a riporre entrambe le mani dietro alla schiena.
- Che cosa mi hai fatto? - domando, questa volta cominciando a sentire la rabbia montarmi dentro.
- Diciamo solo che ti sei addormentata un giorno fa nel tuo letto, come ogni sera – comincia – E da allora non ti sei più svegliata, e nessuno sa spiegarsi il perché – aggiunge, passeggiando per la stanza.
- Cosa vuoi ottenere con questo mio rapimento? - domando, seguendo con lo sguardo – Vuoi uccidermi? - chiedo qualche secondo più tardi, cercando di pronunciare quelle parole senza che la mia voce tremi.
- Ucciderti? - chiede, guardandomi esterrefatto – E perché dovrei? - chiede ancora, con fare retorico.
- E perché non dovresti? - continuo, cercando di arrivare ad un risposta, se non addirittura a tutta la verità.
- Perché ti voglio dalla mia parte, ovviamente – risponde – Sei un demone solo per metà, eppure hai delle capacità strabilianti – mormora, con tono estremamente sincero. Questo, forse, è il dettaglio più inquietante di tutta questa faccenda. - Qualunque demone, persino il più idiota, ti vorrebbe dalla sua parte – conclude poco dopo.
- Non verrò mai dalla tua parte – metto in chiaro, pronunciando quelle parole con tutto lo sprezzo possibile – Mai – aggiungo poco dopo – Non dopo quello che hai fatto a Sebastian -.
- Quello che ho fatto a Sebastian è niente a confronto di quello che ho fatto nella mia intera a vita a migliaia di altre persone – mormora, con tono estremamente teatrale – E comunque...puoi scegliere di unirti a me di tua spontanea volontà – aggiunge, indicando quella come l’opzione 1 con il dito della mano – O puoi guardare tutti quelli che conosci morire da qui – aggiunge, facendomi capire che quella invece è l’opzione 2, mentre la parete bianca dietro alle finestre comincia a schiarirsi, fino a mostrare una scena che, dal punto dove mi trovo, non è molto chiara.
Istintivamente mi avvicino, solo per scoprire che quello che sto guardando è uno squarcio sulla realtà, nel quale ci sono io stesa sul letto della mia stanza, con una flebo nel braccio. Sebastian, Ciel, Mey-Rin e tutti gli altri sono lì con me, guardandomi con aria cupa.
- Sarà come essere al cinema, ma senza pagare il biglietto – aggiunge lui poco dopo, quando ormai l’immagine è quasi del tutto svanita – Una volta che li avrai visti morire tutti, vedrai il fatto di unirti a me sotto un’altra prospettiva – aggiunge, mentre lo sento avvicinarsi a me. - Sarà la tua ultima spiaggia per evitare di impazzire – conclude, quando ormai riesco a sentire chiaramente la sua presenza al mio fianco.
Tutta la sua persona emana un’aura nera come la pece, che odora quasi di distruzione e morte.
Affondando le unghie nel mio stesso palmo, mi giro in quello stesso momento per sferrare il mio pugno migliore, che va a centrare il naso dritto e ben definito di lui: il sangue comincia a scendere a fiumi, ma nonostante questo non sembra particolarmente turbato da quel mio comportamento.
- Una reazione del genere è più che comprensibile – mormora, mentre io mi allontano con un balzo indietro.
- Perché collabori con i Norton? - gli domando, quasi urlando. In fondo, nessuno può sentirmi qui – Cosa se ne fa un mostro come te di una famiglia del genere? - urlo ancora, mentre l’eco di quelle mie parole rimbomba per tutta la stanza.
- Abbiamo tante cose in comune, io e quella famiglia – risponde, sedendosi sulla stessa poltrona che avevo occupato durante la mia conversazione con Abaddon a proposito della gravidanza: da quel momento era passato davvero un intero giorno?
- Ma la cosa che di sicuro ci accomuna di più è la nostra sete di potere – risponde finalmente, mettendo da parte i toni vaghi – E loro hanno qualcosa che a me serve parecchio – aggiunge.
- Come cosa, ad esempio? - domando, anche se so bene che quel mio cercare di ottenere informazioni non andrà a buon fine.
Mentre un ghigno si disegna sul suo viso, infatti, mi è chiara subito una cosa: non mi rivelerà assolutamente niente di decisivo...sta solamente giocando con me, mentre il tempo nel mondo reale continua a scorrere.
- Meriti 10 punti per l’impegno, ma non per questo ti rivelerò il mio grande piano malvagio – risponde, abbandonando definitivamente la poltrona per tornare in piedi.
Questa volta si dirige a grandi passi verso di me, passandomi poi accanto come se niente fosse. Non c’è niente di vivo in lui, e quando mi passa vicino tutto quello che percepisco è un freddo glaciale.
- Tu non sei vivo – mormoro, prima ancora di capire io stessa quelle parole. Per un momento penso di aver dato solo fiato alla bocca, ma nel profondo so che quelle parole hanno un significato.
Mi è venuto spontaneo pronunciarle per un motivo.
Mi volto a guardarlo, senza timore questa volta, solo per scoprire che anche lui è tornato a guardarmi.
Quelle mie parole l’hanno preso alla sprovvista.
- Prego? - domanda lui, cercando di ritrovare la giusta compostezza che aveva avuto fino ad un secondo prima.
- Il tuo corpo non è vivo da molto tempo – continuo – L’ho capito nello stesso momento in cui mi sei passato accanto…sei freddo come un cadavere – aggiungo, mentre osservo la sua espressione cambiare. Quelle mie parole l’hanno preso alla sprovvista.
Non male per una che di solito si fa prendere troppo dal panico, no?
- Se pensi di aver capito tutto di me solamente da questo, ti assicuro che ti sbagli – risponde, tornando a rivolgermi un ghigno poco simpatico – E anche se dovessi arrivare a qualche altra ingegnosa conclusione, sei comunque mia prigioniera – aggiunge.
Quelle parole mi scoraggiano, in un primo momento.
Ha detto che sono intrappolata nella mia stessa mente, ma allora perché non posso fuggire di mia iniziativa? Teoricamente dovrei essere io a decidere quando le cose cambiano, manipolando lo spazio intorno a me come desidero...eppure non riesco a farlo.
Ovunque mi trovi, Gregory ha tutto il controllo.
Comincio allora a guardarmi intorno ancora una volta, cercando qualsiasi dettaglio che poteva essermi sfuggito in precedenza: tutto sembra identico alla mia stanza, e non c’è praticamente niente che mi faccia pensare il contrario.
Con i suoi occhi puntati addosso non posso muovermi più di tanto, e sono quasi sicura che per lui intercettare le mie mosse è anche troppo semplice.
E molto più vecchio di me, più esperto e più cattivo..senza considerare che molto probabilmente è una sorta di zombie. Tutto quello che resta di lui è legato ad un qualche contratto, probabilmente stipulato col diavolo in persona.
Immagino che abbia legato la sua vita ad un qualche oggetto...è quello che farei io se volessi vivere per sempre.
E da quello che so, il potere e la vita eterna sono le uniche due cose che questo mostro conosce.
Mentre rifletto su quei dettagli cruciali, finalmente noto qualcosa di anomalo nella stanza.
Sul mobile alla mia destra c’è una bambola di pezza particolarmente rovinata: non può essere mia semplicemente perché odio le bambole di questo genere: mi danno l’impressione di essere l’incarnazione del male, con quei loro piccolo occhi vuoti. Se ho ragione, e Gregory ha davvero commesso uno sbaglio...questo posto non è la mia mente: mi trovo in una sorta di universo specchio, uguale in quasi tutto alla mia stanza.
Tutto quello che devo fare ora è trovare un modo per svegliarmi, e tornare alla realtà.
- Forse hai ragione – mormoro – O forse sei talmente disperato che hai bisogno che io lo creda a tutti i costi – aggiungo, facendo un balzo alla mia sinistra prima ancora che lui possa muoversi.
Colpendo con un pugno deciso il vetro dello specchio accanto al mio letto, mi approprio di un pezzo di vetro che subito va a tagliarmi la mano, facendo sgorgare il sangue di un intenso colore rosso.
- STUPIDA RAGAZZA! - esclama lui, bloccandosi sul suo posto mentre avvicino sempre di più il vetro alla mia gola.
Quella sua reazione mi da la prova definita. - Questo è l’unico modo che ho per fuggire di qui, non è vero? - domando, anche se ormai è quella la verità più ovvia – Se muoio qui mi sveglio dall’altra parte, non è così? - aggiungo, continuando a tenere gli occhi puntati su di lui.
- Ti assicuro che ti ucciderò con le mie mani non appena ne avrò l’occasione, se non acconsenti subito ad unirti a me – ringhia, a denti stretti – Metti via quel vetro, e passa dalla parte dei vincitori...non te ne pentirai – aggiunge, assumendo un tono che sarebbe stato in grado di stregare chiunque. Chiunque, tranne me.
- Ci vediamo dall’altra parte – sono le mie ultime parole, mentre le sue grida invadono la stanza.
Passo il vetro affilato sulla mia gola prima che possa raggiungermi, lasciandomi poi cadere a terra come un peso morto: riesco a vedere il sangue uscire dalla ferita autoinferta, così come riesco a vedere un buio sempre più tetro avvolgermi completamente.
Pensando ormai di stare davvero morendo, chiudo gli occhi rassegnata al mio destino, mentre intorno a me non c’è più neanche una voce.


***

Vari rumori arrivano alle mie orecchie mentre mi rendo conto che il mi cervello si sta lentamente svegliando, ancora una volta. Per un secondo ho paura ad aprire gli occhi, spaventata all’idea che il mio piano di fuga non fosse riuscito come avevo pensato.
In fondo, che cosa mi assicura che non è questo che è davvero successo?
Perché aprire gli occhi, se tanto quello che devo scoprire è che sono ancora prigioniera di Gregory?
Esasperata, cerco di farmi coraggio...ma alla fine l’unica vera cosa che fa in modo che i miei occhi si aprano è la stretta sulla mia mano destra.
Qualcuno accanto a me mi sta tenendo la mano.
Aprendo gli occhi a poco a poco, riesco solo dopo qualche secondo a mettere a fuoco la persona che mi sta accanto.
- Sebastian? - mormoro, con una voce estremamente fioca, come se non parlassi da un po’.
Sentendo la mia voce, il suo sguardo si solleva all’improvviso, incontrando il mio mentre entrambi non sappiamo bene che dire.
Nonostante non sia nella sua natura dormire, ha il viso stanco e provato, come se avesse passato tutto quel tempo a pensare unicamente al peggio.
- Yuki – mormora alla fine, sollevandomi letteralmente dal letto per stringermi a sé. Ancora mezza assonnata, restituisco quell’abbraccio con qualche secondo di ritardo, posando alla fine il viso sulla sua spalla.
- Ciao – mormoro poco dopo, accennando nel frattempo un sorriso.
- Ciao – risponde lui, poco prima che la porta della stanza si apra.
Con il solito tatto di un elefante, Abaddon fa il suo ingresso, guardandomi prima di tirare un sospiro di sollievo. - Ti sei svegliata! - esclama, lasciando poi la porta aperta alle sue spalle nella fretta di raggiungere il mio letto.
- Come ti senti? - mi chiede Sebastian.
- Per niente assonnata – rispondo, cercando di fare dell’ironia – Per quanto sono rimasta fuori gioco? - chiedo, ricordando solo vagamente quello che ho visto dall’altra parte.
- Un giorno e mezzo – risponde Sebastian – Ti sei addormentata...e non ti sei più svegliata – aggiunge, cercando al contempo di trattenere l’entusiasmo nel vedermi di nuovo sveglia.
Prima che possa aggiungere altro, Abaddon si fa largo verso di me fino a posare una mano sul mio ventre, abbandonandosi poi ad un sospiro liberatorio. - Grazie al cielo il bambino sta bene –ammette, risollevando il morale di tutti i presenti nella stanza - Yuki, cos’è successo? - mi chiede poi, senza aspettare ulteriormente. Decisa a sapere tutto nei minimi particolari, si siede accanto a me sul letto.
- Non lo so, ora non ricordo molto… - ammetto, cercando di scavare nei ricordi – Ma qualcosa è successo, di questo sono sicura – aggiungo, senza pensarci due volte.
- Hai sognato qualcosa, magari? - mi chiede Abaddon, insistente.
- Abaddon, lasciala respirare – le ordine Sebastian, senza smettere di stringere la mia mano, quella abbellita dall’anello che mi aveva regalato lui stesso, quella sera che mi ero addormentata come tutte le altre, o almeno così pensavo.
- No, va bene.. - assicuro ad entrambi – So che devo ricordare qualcosa, è che ora è un po’ tutto confuso – ammetto.
Guardando dritto di fronte a me, un primo flash si para davanti ai miei occhi, ma è talmente veloce che non ho quasi il tempo di vedere niente.
Cerco in tutti i modi di tornare a quello che ho vissuto durante quel mio periodo di incoscienza, e proprio quando ormai sono convinta che i miei sforzi siano vani, qualche dettaglio comincia finalmente a prendere forma.
Rivivo in un secondo il mio disperato tentativo di evasione, che alla fine per fortuna aveva avuto successo.
Nonostante quel pensiero vittorioso, mi porto immediatamente la mano libera alla gola, la stessa che avevo tagliato senza pensarci due volte per scappare...ma scappare da chi?
- Mi sono uccisa pur di scappare.. - ammetto, questa volta a voce alta, spostando poi il mio sguardo su Sebastian: ovviamente, mi guarda senza capire davvero quelle mie parole.
- Mentre ero incosciente, mi trovavo in una specie di mondo specchio...ero in questa camera con qualcuno che mi teneva prigioniera – continuo poco dopo, chiudendo gli occhi mentre mi sforzo il più possibile di tornare a quegli istanti che erano sembrati durare una vita.
- E’ possibile una cosa del genere? - questa volta la domanda arrivare da Sebastian, ed è diretta a sua sorella, e non a me.
Abaddon, dal canto suo, sembra perplessa da quelle mie parole: per un momento sono convinta a mia volta che non sappia che pesci prendere, ma per fortuna è qualcosa che dura solo un secondo.
- Ho sentito parlare dei cosiddetti “mondi specchio”, ma tutti sanno che ci vuole un immenso potere anche solo per creare una stanza – risponde – Senza contare che bisogna anche sacrificare qualcosa per dare inizio alla “costruzione” di tale mondo: più è grande il posto dove ti trovi, e più è grande il sacrificio – aggiunge, con la sua solita precisione.
- Sacrificare qualcosa? - ripeto, guardandola senza parole.
- Qualcuno, per essere precisi.. - risponde poco dopo.
- O mio dio – è la prima cosa che mormoro, mentre mi stringo entrambe le ginocchia al petto, scossa da forti brividi.
Un altro flash si fa largo nella mia mente in quello stesso istante: l’uomo che ho di fronte nel mio sogno dice di chiamarsi Gregory...e l’unico Gregory che conosco è il demone che a quanto pare ha stretto un patto con i Norton. L’assassino della madre di Sebastian e Abaddon.
- Era Gregory – mormoro allora – Era lui che mi teneva prigioniera – concludo poco dopo, sicura come non mai di quelle mie parole. Più ripenso a quella stanza così simile alla mia, e più il suo ghigno si stampa nella mia mente.
Ricomincio a parlare prima che uno dei due possa farlo prima di me. - Alto, capelli lunghi fino alla spalle tenuti insieme da un nastro...cicatrice sull’occhio destro e un lungo cappotto nero – mormoro, mormorando ad alta voce tutti i dettagli migliori che mi erano tornati alla mente. Tornando a guardarli entrambi, capisco dal loro sguardo che la sua identità è più che confermata.
- Quel maledetto bastardo – ringhia Sebastian, alzandosi in fretta e furia dal letto, cominciando a passeggiare per la stanza con aria inquieta.
- Non avevi detto di averlo ucciso? - gli chiede Abaddon, decisamente contrariata al pensiero che un essere come lui respiri ancora.
- Era morto quando sono scappato da dove mi teneva rinchiuso – risponde lui – Ma quel figlio di puttana ha sempre qualche asso nella manica, avrei dovuto sapere che non era di certo finita – aggiunge.
- Se nemmeno tu sei riuscito ad ucciderlo allora come ci liberiamo di lui? - domanda lei, sull’orlo di quella che sembra una crisi di nervi. L’ultima volta che avevamo toccato l’argomento Gregory Morningstar con lei presente non era finita benissimo.
- Gregory è morto da un pezzo! - esclamo allora, dopo l’ennesimo flash. Torno a guardarli sicura di aver visto l’ultimo frammento che avevo da ricordare.
Entrambi sono presi alla sprovvista da quelle mie parole, motivo per il quale deciso di riprendere a parlare in fretta. - Mentre ero in quel dannato mondo specchio, c’è stato un momento in cui Gregory mi è passato accanto – racconto – Potevo sentire che il suo corpo era freddo anche senza toccarlo, e quando ho condiviso con lui quell’informazione mi è bastato il suo sguardo per capire che avevo ragione – aggiungo.
Dopo quelle mie parole, entrambi tornano a sedersi sul letto: in fondo, ora come ora sono l’unica fonte di informazioni che abbiamo.
- Continua.. - mi esorta Sebastian, tornando al contempo a stringere la mia mano.
- Quello che ti ha rapito è solamente un cadere ambulante – spiego – Un guscio, a dirla tutta...non è rimasto molto del demone che una volta regnava all’inferno – aggiungo.
- E questo dovrebbe giocare a nostro favore perché..? - domanda Abaddon, decisamente non convinta delle mie informazioni.
- Secondo quello che mi avete raccontato, Gregory ha sempre voluto solo due cose nella vita: il potere e vivere per sempre in modo da poterlo esercitare su tutti, dico bene? - domando.
Entrambi annuiscono, in attesa che arrivi al punto.
- Sono convinta che poco prima di essere giustiziato, abbia trovato un modo per continuare a vivere – mormoro – Lo so che sembrerà un’idiozia..ma sono quasi sicura che quel mostro abbia legato la sua vita a qualche oggetto in particolare, per questo non è morto secoli fa, così come non è morto quando Sebastian afferma di averlo ucciso – aggiungo, sperando di non risultare ai loro occhi come la pazza del villaggio.
I loro sguardi confusi per un momento mi fanno perdere di nuovo ogni speranza: magari sto davvero farneticando, magari quella mia ipotesi è impossibile persino nel mondo dei demoni.
- Non so come tu possa essere arrivata ad una conclusione del genere.. - mormora Sebastian, stringendo ulteriormente le dita attorno alla mia mano – Ma una cosa del genere è davvero possibile, solo che è proibita – aggiunge lui.
- Le cose proibite sono sempre state il pezzo forte di Gregory, del resto – mormoro Abaddon, con un sospiro carico d’odio.
- Potrei scrivere un libro su questa cosa di legare la vita ad un oggetto, o a degli oggetti, comunque.. - ammetto, cercando di smorzare un po’ la tensione nella stanza. Sento che volendo potrei tagliarla con un coltello.
- Quindi è così? Quel mostro si è reso immortale legando la sua vita a qualcosa di materiale? - chiedo, giusto per capire meglio quelle mie stesse parole.
- Questo spiegherebbe perché non muore neanche per sbaglio – risponde Sebastian – Ora bisogna solamente capire a cosa in particolare ha legato la sua misera esistenza, e dobbiamo farlo in fretta...se è arrivato a te una volta può farlo di nuovo – aggiunge – E io non ho intenzione di perdere nessun altro a causa sua – conclude.
- Non arriverà più a Yuki, per questo ho una soluzione – ammette Abaddon – Torno subito – aggiunge poco dopo, sparendo poi in fretta e furia dalla stanza.
- Io dal canto mio sceglierei un oggetto a cui i miei nemici non penserebbero mai – ammetto, riflettendo su quel particolare – Qualcosa messo talmente in bella vista da non destare alcun sospetto – aggiungo.
- Come i libri sui sacrifici umani per i quali è stato condannato a morte? - mi domanda lui, nominando un oggetto che effettivamente corrispondeva in tutto e per tutto alla mia descrizione.
- Gli stessi libri che abbiamo trovato all’orfanotrofio dei Norton – commento io.
- Ma non possiamo saperlo per certo – mi ricorda lui.
- Non abbiamo tempo per pensare a qualcosa di meglio, visto che lui si è già messo in moto per distruggerci – mormoro con tono deciso, alzandomi finalmente dal letto. Essendo stata sdraiata troppo a lungo, le mie gambe cedono per un momento, il tempo necessario perché Sebastian mi prenda al volo.
- Se abbiamo ragione basterà distruggere quei libri per liberarci di lui una volta per tutte – mormoro, per un momento sollevata da quel particolare. Se davvero abbiamo ragione dobbiamo solo entrarne in possesso.
A dirlo è decisamente semplice, ma farlo sarà una cosa ben diversa, lo so bene.
- Yuki – mi interrompe allora Sebastian, aiutandomi a camminare per la stanza finché finalmente non comincio a sentire di nuovo le mie gambe – Hai idea del perché Gregory si sia mosso proprio ora? - mi domanda, guardandomi fisso negli occhi – Cosa voleva da te? - chiede poco dopo, spostando una ciocca di capelli dai miei occhi.
Con un sospiro, mi accingo a rispondere a quella sua domanda. - Voleva che mi unissi a lui – rispondo – Mi ha detto che non mi sarei pentita perché sarai stata dalla parte dei vincitori – aggiungo, pronunciando quasi per filo e per segno le parole che mi avevo rivolto lui stesso.
- Vedremo se la penserà ancora così non appena morirà una volta per tutte – ammette Abaddon, facendo di nuovo la sua entrata nella stanza, questa volta con in mano un’enorme volume chissà su cosa in particolare.
- Pensiamo che abbia legato la sua vita ai libri sui sacrifici umani – l’aggiorna Sebastian, incrociando poi entrambe le braccia al petto – Se li distruggiamo forse riusciremo davvero ad ucciderlo -.
- Spero vivamente che questa vostra intuizione non sia troppo scontata come sembra – ammette lei, posando poi il volume sul letto.
- Cos’hai lì? - le domando, mettendo per un secondo da parte l’argomento Gregory. Dopo essere sfuggita dalla sua prigione dopo quella che mi era parsa un’eternità, lui era l’ultima persona di cui volevo parlare.
Ma ora come ora era lui l’argomento più in voga.
- Un libro con degli incantesimi utili per la vita di tutti i giorni – risponde, continuando a sfogliarlo senza sosta – Sono sicura di aver letto di un incantesimo di protezione contro chiunque provi a fare scherzi con la tua mente – aggiunge.
- E’ questo quello che ha fatto Gregory con me? - domando.
- Diciamo di sì – risponde Sebastian – In pratica ha fatto in modo che il tuo spirito abbandonasse il tuo corpo, così da raggiungere il mondo che lui aveva creato appositamente per te...manipolando la tua mente, ti ha fatto credere di essere effettivamente nella sua stanza, almeno all’inizio – aggiunge.
- Ho pensato che andasse tutto bene solamente per un secondo – ammetto.
- Questo dettaglio ci fa capire che non è al pieno delle sue forze – mormora Abaddon – Se avesse tutto il potere di una volta avrebbe anche potuto tenerti direttamente con sé, con o senza il tuo permesso – spiega, tornando poi di nuovo a sfogliare il grosso libro.
- Siamo fortunati allora non sia forte come una volta – mormoro – In ogni caso, dobbiamo inventarci un piano alla svelta, prima che siano lui e i Norton a colpire – aggiungo, cercando di far capire ad entrambi quanto la velocità era fondamentale in quel momento
Non potevamo perdere assolutamente altro tempo.
- Per l’incantesimo non ci vorrà molto – mi dice Abaddon, tendendo poi una mano verso di me – Dammi la mano – aggiunge poco dopo.
Anche se non all’istante, alla fine faccio come mi dice.
Quando tira fuori un piccolo coltello dalla giacca sono quasi tentata di ritirare la mano, cosa che tuttavia non faccio. - Un taglietto è necessario – mi mette in guardia, prima di incidere sul mio palmo in maniera superficiale.
Il dolore dura il tempo necessario perché lei a sua volta si incida il palmo, tornando ad afferrare la mia mano. - Ora chiudi gli occhi – mi ordina, seguendo passo passo le istruzioni del libro a quanto pare, dal momento che di tanto in tanto getta ancora qualche occhiata alla pagina finalmente trovata.
Dopo aver fatto come mi dice per la seconda volta, resto in silenzio mentre lei invece comincia a mormorare una serie di parole che non comprendo: in effetti, non ho idea di che lingua sia quella che sta usando in questo momento.
Deciso di smetterla di farmi domande inutili nello stesso momento in cui una piccola fitta alla mano mi costringe ad aprire gli occhi. Sul mio palmo ora non c’è più neanche una traccia di sangue, e il taglio è completamente chiuso.
- Ora la tua mente è off-limits per Gregory – m’informa – Questo incantesimo è semplice, ma spezzarlo non è esattamente semplice – aggiunge.
- Vuol dire che ora posso dormire senza la paura di svegliarmi di nuovo in quel posto? - chiedo, ripensando per un momento all’atmosfera cupa della mia stanza dall’altra parte.
- Decisamente sì – risponde – Ora è meglio che vada ad informare Ciel di tutto quello che hai scoperto, sono sicura che ci sarà molto d’aiuto per qualunque cosa decideremo di fare in futuro – aggiunge, riprendendosi l’enorme libro prima di lasciare nuovamente la stanza.
Una volta soli, Sebastian torna ancora una volta ad abbracciarmi, questa volta nascondendo il viso tra i miei capelli. - Ne ho abbastanza di quel rifiuto di Gregory – mormora, con un tono carico di odio e ira – Se proverà ad avvicinarsi di nuovo a te me la pagherà cara – aggiunge.
- Sono più che certa che manterrai questa tua parola – mormoro, allontanandomi appena da quell’abbraccio per tornare a guardarlo – L’importante è che io sia di nuovo qui, no? - domando, con fare retorico.
- E’ tutto quello che mi interessa – risponde, gettandosi sulle mie labbra prima che abbia il tempo di respirare.
Quando alla fine sono in grado di riprendere fiato, lo costringo ad alzarsi per seguirmi. - Andiamo da Ciel, magari mentre siamo di sotto mi viene in mente qualche particolare in più – ammetto, allungandomi fino a prendere la mia coperta di lana.
- Sei sicura di farcela? - mi chiede, provando nel frattempo a trattenermi nella stanza – Ti sei svegliata solamente da poco e già vuoi ributtarti nella mischia come se niente fosse? - mi domanda, esitando.
- Non abbiamo tempo da perdere – gli ricordo – Gregory sta mettendo in atto il suo piano, e lo sta facendo mentre parliamo – aggiungo – Considerando che è totalmente pazzo, ho il sentore che il suo unico obiettivo sia quello di usare ancora una volta quei dannati libri – concludo.
- Pensi che voglia riprendere con i sacrifici? - mi domanda – Non avrebbe molto senso, considerando che quasi sicuramente ha davvero legato la sua vita a quei manoscritti – aggiunge.
- Io ne capisco meno di te quando si tratta di queste cose, ma mi ha dato l’impressione che il suo piano fosse proprio quello – insisto – Fidati di me – aggiungo poco dopo.
Quelle mie ultime parole bastano per convincerlo, mentre mano nella mano lasciamo la stanza per raggiungere Ciel.
Saranno solo le tre del pomeriggio, ma è meglio non perdere un secondo di tempo
Del resto, non sappiamo quanto ancora ne abbiamo a disposizione.

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