L'avventura dell'ubriaco molestato di Ashura_exarch (/viewuser.php?uid=632781)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Trambusto notturno ***
Capitolo 2: *** Il caso delle sette sterline ***
Capitolo 1 *** Trambusto notturno ***
I.
Trambusto
notturno
Ho già
accennato molte volte a
come il mio amico Holmes odiasse i problemi banali, quelli che alla sua
mente
brillante apparivano solo come frivole facezie. Nel corso degli anni
furono
innumerevoli le occasioni in cui riuscì ad evitare abilmente
di rimanere
coinvolto in affari del genere, ma altrettante quelle in cui volente o
nolente
si ritrovò immischiato a tal punto da non poterne
più uscire. Voglio tuttavia
riportare in queste pagine il più incredibile di questi casi
- e senza dubbio
anche il più ilare - al quale ebbi la considerevole fortuna
di fare da
spettatore.
Accadde circa
un anno dopo il
nostro primo incontro e le incredibili avventure riportate in Uno studio in
rosso
e ne Il
segno dei Quattro. Mi ero sposato da
poco, e nonostante
questo avevo ancora la brutta abitudine di frequentare il numero 221B
di Baker
Street. Nel corso degli anni mia moglie Mary cercò di
dissuadermi in svariate
occasioni dal continuare il mio rapporto d'amicizia con Sherlock
Holmes, ma
questa fu una delle poche cose in cui mi rifiutai categoricamente di
seguire
ogni suo consiglio. Ero troppo legato ad Holmes per smettere di
essergli amico.
Quella sera
era stata per qualche
motivo mortalmente noiosa - almeno per il mio amico - e considerando
che in
quel momento egli non era impegnato in nessun caso la situazione poteva
dirsi
ancora peggiore. E' ormai tristemente noto il vizio a cui Holmes si
lasciava
andare quando il suo cervello non era attivo, e quella sera aveva
deciso di
sperimentare erbe allucinogene a me sconosciute. Tentai di fermarlo, ma
come mi
successe molte altre volte sia prima che dopo quella sera fallii
miseramente
nel mio intento.
L'effetto del
mix di droghe sul
mio amico fu sorprendente. Di solito quel veleno rendeva Holmes
esuberante e
iperattivo, ma in quell'occasione ci fu l'effetto esattamente opposto.
I sensi
e l'intelligenza di Holmes vennero sensibilmente rallentati, e dal
genio che
era divenne un completo ebete nel giro di due minuti. Reagiva in
ritardo e
assai stupidamente agli stimoli esterni, farfugliando parole sconnesse
e
ridendo senza motivo a qualsiasi cosa dicessi. Era davvero penoso
vedere una
grande persona come lui ridotta in uno stato così umiliante.
Stavo provando
a farlo rinsavire
un minimo, quando accadde qualcosa che attirò la nostra
attenzione.
Improvvisamente udimmo un grande strepitio provenire dal fondo di Baker
Street:
grida e rumore di gente che correva risuonarono nitide nell'aria come
fucilate.
Il tutto durò poco, appena qualche istante, tempo tuttavia
sufficiente a creare
una gran confusione sia dentro che fuori l'appartamento di Holmes.
Mi precipitai
subito alla
finestra per vedere cosa stesse succedendo, ma ero arrivato troppo
tardi. Feci appena
in tempo a vedere alcune figure sfuggenti sparire in dei vicoli
laterali che
sentii un gran bussare provenire dal portone del palazzo. Anzi,
più che bussare
era piuttosto un violento picchiare: pareva che stessero cercando di
sfondare
la porta.
- Aiuto! -
urlava qualcuno - Per
l'amor di Dio, aprite! Invoco il diritto d'asilo!
Non potevo
vedere chi stesse
bussando perché il portone del palazzo era sito in una
piccola rientranza del
muro esterno, così che l'ingresso non era direttamente
visibile dalla finestra.
Tuttavia i rumori si sentivano benissimo, ed è per questo
che mi arrivò forte e
chiara la risposta irata della signora Hudson, la nostra padrona di
casa.
- Via di qui,
ubriacone! - urlò
infatti la donna - Non voglio gente come te in casa mia! Già
ho i miei
problemi, e non me ne servono di nuovi!
L'uomo parve
tuttavia non
desistere dal suo proposito di voler entrare, e alla fine parve
riuscirci
poiché sentimmo il rumore della porta che si apriva. Temendo
che fosse riuscito
a sfondarla e che volesse fare del male alla signora Hudson, mi
precipitai
immediatamente di sotto. Qui si potrebbe giustamente far notare che
abbandonai
a sé stesso Holmes in maniera assai imprudente e negligente,
e non posso certo
dire di non averlo fatto. Ma come questa cosa influenzò la
storia corrente il
lettore lo potrà vedere poco più avanti.
Scesi le scale
e in un lampo
arrivai nell'ingresso, quasi all'unisono con Dawson. Dawson era il
portiere
dello stabile, e occasionalmente faceva anche da valletto: era lui
infatti a
portare ad Holmes i biglietti da visita dei clienti illustri quando ne
capitavano.
Se Holmes non c'era oppure voleva essere lasciato solo ogni tanto io e
lui
chiacchieravamo oppure giocavano a carte.
Ad entrambi
bastò un occhiata per
capire ciò che stava succedendo: l'ubriaco stava addosso
alla signora Hudson,
tenendola per un braccio e urlando parole sconnesse. Si trattava di un
ometto
di mezza età, stempiato, con folte basette grigie e due
grandi gote rosse rese
accese dal troppo vino. In quel frangente tuttavia né io
né Dawson stemmo ad
osservare il nuovo arrivato, ma ci avventammo immediatamente contro di
lui per
fermarlo, qualsiasi cosa stesse facendo alla signora.
Gli fummo
addosso in un attimo, e
non gli demmo il tempo di reagire. Essendo poi ubriaco i suoi movimenti
erano
insicuri e malfermi, e bastò appena qualche spintone da
parte di Dawson per
mandarlo col fondoschiena per terra. Fortunatamente io e il valletto
eravamo
arrivati subito, e a parte un grosso spavento la signora Hudson non
aveva avuto
altre conseguenze da quello spiacevole incontro.
L'intruso,
rintronato dalla
"batosta" appena presa, se ne restò intontito a sedere per
terra e
parve non reagire alla nostra presenza. Visto che l'uomo era innocuo io
e
Dawson, più tranquilli, ci mettemmo a parlare.
- E' stata
proprio una fortuna
che lei fosse qui, Dawson - dissi io - Da solo non so proprio come
avrei fatto.
- Non
è stata fortuna, dottor
Watson - replicò l'altro - Ho sentito tutto quel frastuono
da casa mia e,
conoscendo il tipo di affari che tratta il signor Holmes, ho pensato
che qui ci
fossero dei guai e così sono corso subito in aiuto.
Dawson era un
lavoratore solerte,
e anche per questo lo apprezzavo. Abitava al 229 di Baker Street, e
così poteva
andare e venire da casa sua indisturbato. In questo caso la cosa era
stata un
vantaggio: senza il suo tempestivo intervento chissà cosa
sarebbe potuto
accadere...
Io e Dawson
restammo ad assistere
la signora Hudson per qualche minuto, giusto il tempo per farla
riprendere.
L'ubriacò continuò a rimanere fermo per terra,
perso nei propri borbottii senza
senso, e almeno per quel momento non costituì più
un pericolo.
La cosa che
tuttavia ci dette più
problemi fu l'imprevisto arrivo del mio amico Holmes. Ancora sotto gli
effetti
delle droghe assunte poco prima, l'uomo era riuscito in qualche modo a
scendere
le scale indenne ed era giunto nell'ingresso reggendosi faticosamente
alla
ringhiera. Appena mi scorse mi rivolse un sorriso ebete. Deciso a non
farlo
vedere in quelle condizioni dagli altri mi diressi verso di lui con
l'intento
di riportarlo in camera, ma accadde qualcosa di inaspettato.
Improvvisamente
l'ubriaco, visto che ebbe il mio amico, si rizzò in piedi e
si mise a fare
salti di gioia, strillando con una fastidiosa voce acuta e stridula.
- Sherlock
Holmes! - urlò quello
con tono impastato e confuso - Sherlock Holmes! Lo riconosco! Ecco la
persona
che mi potrà aiutare!
Tutti
rimanemmo attoniti a quelle
improvvise esclamazioni, guardandolo stupiti mentre saltellava dalla
gioia. Io
e Dawson fummo però costretti a saltargli nuovamente addosso
quando l'uomo si
lanciò contro il mio amico, sempre ripetendo il suo nome.
Probabilmente non
aveva alcun intento ostile, ma non si sa mai cosa c'è da
aspettarsi da un
ubriaco.
Io e Dawson
prendemmo l'uomo per
le braccia, fermandolo quand'era giunto a pochi pollici da Holmes. Egli
provò a
divincolarsi come una furia, ma contro due uomini robusti e forti come
me e il
portiere c'erano ben poche speranze di successo per lui.
- Lasciatemi!
Lasciatemi! - urlò
- Signor Holmes, mi aiuti lei! Mi stanno aggredendo di nuovo! Qualcuno
vada a
chiamare la polizia!
Se c'era
qualcuno in diritto di
farlo quelli saremmo stati noi. Comunque non perdemmo tempo con simili
inezie
e, sollevandolo di peso, portammo l'uomo via dall'ingresso preparandoci
a
sbatterlo definitivamente fuori.
- Torni
presto! - esclamò Holmes
rivolgendosi all'ubriaco, accompagnando la sua frase con una serie di
sciocche
e vacue risate.
Portammo
l'uomo fuori di casa e
lo buttammo giù dalla cima della breve scalinata che
conduceva alla nostra
porta. L'ubriaco si fece un gran bel volo prima di atterrate
pesantemente col
fondoschiena sul lastricato. Con un'esclamazione di soddisfazione io e
Dawson
ci sfregammo le mani e rientrammo in casa, chiudendoci ben bene dietro
la porta
a chiave. Lasciai il portiere con la signora Hudson e me ne tornai di
sopra con
Holmes, chiudendomi con lui nella nostra stanza per evitare che se ne
andasse
ancora libero al giro in quello stato indecoroso.
Gli effetti
della droga ci misero
un bel po' a passare, e per tutto il resto di quel giorno il mio amico
rimase un
completo idiota. Una buona nottata di sonno fu ristoratrice per
entrambi e il
mattino successivo, mentre io mi ero ripreso dalla prova di forza del
giorno
prima, il mio amico era finalmente ritornato in possesso delle proprie
facoltà
mentali. Era molto seccato per quel che gli era accaduto, e quando gli
raccontai per filo e per segno che cosa era successo mentre non era
capace di
intendere e di volere il suo umore non fece altro che peggiorare.
- Questo, mio
caro Watson - mi
disse - E' stato proprio un increscioso incidente. Non credevo che la
miscela
che stavo sperimentando mi avrebbe procurato un così
sgradevole effetto. Giuro
su tutto ciò che ho di più caro, dottore, che mai
più oserò anche solo pensare
a queste mortifere sostanze!
E, devo dire,
questa fu una
promessa che mantenne. Quello spiacevole episodio ebbe almeno una buona
conseguenza: Holmes da quel giorno smise effettivamente di drogarsi.
Per i primi
tempi lo sorvegliai discretamente, ma vedendo che teneva fede alla sua
promessa
alla fine smisi di preoccuparmene. Non potevo essere che contento se il
mio
amico aveva smesso di usare quella robaccia! In compenso il suo consumo
di
tabacco compressato in tutte le forme aumentò
esponenzialmente. La pipa era il
suo piacere preferito, anche se non disdegnava i sigari e le sigarette.
Qualche
volta lo vidi anche masticare direttamente le foglie del tabacco, ma
ciò
avveniva molto raramente.
Non siamo
comunque qui per
parlare dei gusti del signor Sherlock Holmes, che i miei lettori
conosceranno
già ampiamente. Questo discorso sui suoi vizi mi ha fatto
perdere il filo del
discorso e finire fuori strada, ed è meglio che torni alla
nostra attuale
storia prima di divagare ulteriormente.
Se io e Holmes
pensammo mai che
quell'affare fosse terminato lì allora ci eravamo sbagliati
di grosso, poiché
quella stessa mattina i guai vennero a cercarci. Avevo da poco concluso
il mio
racconto riguardo la sera precedente e stavo facendo colazione assieme
al mio
amico quando improvvisamente sentimmo del trambusto provenire dal piano
di
sotto. Già allora ebbi un presentimento, ma vinto dalla
curiosità mi alzai
assieme ad Holmes ed entrambi andammo a vedere cosa stava succedendo.
Ma non facemmo
in tempo a
scendere di qualche gradino che subito fummo investiti dalle urla della
signora
Hudson. Temendo che fosse successo qualcosa ci affrettammo allora ad
andare al
piano di sotto, e la scena che vedemmo a quel punto fu davvero
sorprendente. La
porta d'ingresso era spalancata, e Dawson sembrava star trattenendo
qualcuno
dall'entrare; la nostra padrona di casa era seminascosta dietro un
mobile e
urlava infuriata contro l'intruso. Il mio sguardo si
soffermò allora su di
esso, e fu con immenso stupore che riconobbi l'ubriaco della sera prima.
- Lasciatemi
passare! - stava
gridando - Devo urgentemente parlare col signor Sherlock Holmes, e non
ho tempo
da perdere!
Il mio amico,
che senza dubbio
possedeva un sangue più freddo del mio, decise allora di
porre fine a quella
ridicola scena. Mi scansò e scese definitivamente le scale -
ci eravamo fermato
a metà della rampa - andando incontro al nostro "ospite".
- Eccomi, sono
qui! - disse -
Posso sapere chi è che mi desidera così tanto?
A quel punto
l'attenzione di
tutti si rivolse verso Holmes. La signora Hudson e Dawson lo guardarono
sollevati, grati per il suo tempestivo arrivo. L'altro uomo invece,
constatando
la presenza di colui che stava cercando, si fece scappare
un'esclamazione di
soddisfazione e aggirò Dawson sfoderando una
velocità assolutamente
insospettata.
- Finalmente!
- eruppe, quasi avventandosi
sul mio amico - E' da mezzora che cerco di parlare con lei, ma questa
donna e
questo bestione non mi hanno voluto lasciar passare!
Già
la sera prima quell'uomo
aveva avuto un aspetto ilare mentre era ubriaco, ma posso giurare che
da sobrio
faceva divertire ancor di più. Alterato com'era le sue gote
purpuree erano
diventate di un rosso acceso, che creava uno strano contrasto con le
sue
basette grigio topo. Sembrava quasi uno di quei pagliacci
rintracciabili nei
circhi itineranti, e se non fossi riuscito a trattenermi probabilmente
mi
sarebbe scappato da ridere. Io tuttavia sembravo l'unico a starsi
divertendo in
quella situazione, poiché tutti parevano terribilmente seri.
- Noi due ci
conosciamo già -
fece l'uomo ad Holmes - Per cui credo che si possano saltare i
convenevoli.
- Veramente -
ribatté Holmes - A
parte il fatto che lei è un rigattiere, non credo di sapere
nient'altro sul suo
conto.
- Ecco, vede!
- disse l'altro
sorridendo compiaciuto - Come può dire che sono un
rigattiere se poi afferma di
non conoscermi? Questa è la prova che lei già sa
chi sono io!
- Mi dispiace
signore, ma si
sbaglia - rispose Holmes - Basta osservare come lei è
vestito per capire che
lavoro svolga. E, perdoni la mia franchezza, ma abiti di pregio usati
come
questi li poteva indossare solamente un rigattiere pieno di
sé.
Osservando
l'abbigliamento
dell'uomo non potei fare a meno di essere d'accordo con Holmes. Vestiva
un
completo grigio, che tuttavia ad una seconda occhiata si capiva
benissimo
essere stato un tempo nero e soprattutto non mezzo mangiato dalle
tarme. Un
buco era ben visibile in cima alla tuba del visitatore, così
come le scuciture
sugli orli delle maniche della giacca e dei pantaloni. Come aveva detto
Holmes,
solamente un rigattiere orgoglioso avrebbe potuto indossare abiti
così eleganti
ma allo stesso tempo così scadenti; del resto era un modo
come un altro per
ostentare il fatto che egli conducesse affari "importanti".
L'uomo parve
accigliarsi per
l'osservazione di Holmes e gli avrebbe sicuramente ribattuto se il mio
amico,
che aveva assunto un'aria quanto mai seccata, non lo avesse interrotto
prima.
- Signore -
gli disse - Ha
intenzione di stare qui a recriminare cosa devo o non devo sapere per
tutto il
giorno oppure vuole spiegarmi perché è tornato?
La sua intrusione di ieri sera
è stata piuttosto insolente e sgarbata, e da come vi state
comportando dubito
che siate qui per porgere le vostre scuse alla signora Hudson qui
presente.
- Non voglio
niente da quel
demonio! - urlò allora la nostra padrona di casa, ancora
nascosta dietro il
mobile - Mi basta che se ne vada!
I discorsi di
Holmes e della
signora Hudson fecero vistosamente imporporare le gote già
rosse dell'uomo, il
quale inizialmente fu sul punto di rispondere qualcosa di assai poco
educato.
Egli parve però controllarsi e, dopo essersi schiarito la
voce, cominciò a
narrarci una storia quanto mai bizzarra.
- Signor
Holmes, anche se a
malincuore, devo ammettere che lei ha ragione. Il comportamento da me
tenuto la
scorsa notte è stato increscioso, e me ne vergogno. Mi lasci
però illustrare
gli eventi che mi hanno condotto ad irrompere qui come una furia.
- Mi chiamo
Nicholas Neareby e,
come lei ha giustamente intuito, faccio il rigattiere. Ho il mio
negozio in
mezzo a Marylebone, e ci sto praticamente tutto il giorno. Ieri
è stata una
giornata particolarmente proficua, anzi, potrei dire la più
remunerativa che mi
sia mai capitata. Alla sera, quando ho chiuso il negozio, ero molto
contento.
Forse anche troppo. Diciamo che ero in vena di festeggiare, e
così ho fatto un
salto all'Old Champions Club, che sta proprio a due passi dal mio
negozio.
Credo di aver alzato un po' troppo il gomito, e non essendo molto
abituato
all'alcol devo essermi perso nei suoi fumi.
- Dopo qualche
ora di bagordi
decisi di tornarmene verso casa. Abito in Boston Street, proprio qui
dietro,
quindi si può intuire come fossi obbligato a passare per
Baker Street per poter
tornare a casa mia. Lo feci, e fu allora che venni aggredito.
- Erano in
due, questo lo ricordo
bene. Mi assalirono all'improvviso, senza darmi un attimo di tregua:
uno mi
colpì subito da dietro sulla nuca e mi urlò
qualcosa, mentre l'altro mi venne
incontro e si abbassò, probabilmente per vedere se portavo
con me qualcosa di
valore. Era così, perché in una tasca interna
della giacca avevo tutto
l'incasso di quel giorno. Per fortuna quel balordo non lo sapeva, e si
limitò a
controllare la parte bassa del vestito e il sopra dei pantaloni.
- E qui,
signor Holmes, successe
una cosa strana. Nonostante fossi ubriaco e fuori di me, l'alcol aveva
rimosso
i miei freni inibitori e così, dopo alcuni attimi di
smarrimento, reagii. Con
un urlo e uno strattone mi liberai dalla stretta del bandito di dietro
e tirai
un pugno a quello che mi stava davanti. Ma, con mia immensa sorpresa,
il mio
braccio trapassò il brutto ceffo e non gli fece niente. Mi
voltai e provai
allora a colpire l'uomo dietro di me, ma anche quello venne trapassato
dal mio
pugno senza che gli accadesse niente.
- Voi tutti
potete benissimo
capire il turbamento da me provato allora. Spaventato, credetti di star
combattendo dei fantasmi o chissà quali altre diavolerie, e
così fuggii e mi
rifugiai al portone più vicino, che per accidente era
proprio il vostro. Il
resto penso lo sappiate. Signor Holmes, mi rivolgo a lei per venire a
capo di
questo mistero, e anche di un altro.
- E sarebbe? -
chiese il mio
amico.
- Svegliatomi
sul tardi, questa
mattina mi sono accorto di aver perso il portafoglio. Mi aiuti a
ritrovarlo, la
prego!
- Quello con
l'incasso del
giorno?
- No, il mio
personale! Dentro
c'erano ben sette sterline, e per di più era di pelle di
scoiattolo nero
americano, una vera rarità! Uno di quei delinquenti deve
avermelo sfilato dai
pantaloni, e io lo voglio riavere a tutti i costi!
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Capitolo 2 *** Il caso delle sette sterline ***
II.
Il caso delle
sette sterline
-
Sette... sterline? - fece
stupito Holmes.
- E quattro penny, per essere
precisi - puntualizzò Neareby.
Quello che seguì fu in assoluto
una delle scene più strane (e divertenti) che siano mai
accadute al 221B di
Baker Street in mia presenza. Non potrò mai scordare la
repentina
trasformazione di Holmes: la sua pazienza, già messa a dura
prova da
quell'uomo, raggiunse infine il proprio limite e nemmeno la sua mente
fredda e
analitica poté porre un freno alla sua reazione furibonda.
Sherlock Holmes
pareva infine essersi stancato di quello scocciatore, e per la prima e
unica
volta in tanti anni di collaborazione lo vidi avvampare dall'ira: il
suo viso,
di norma pallido e rilassato, assunse in pochi attimi un colore rosso
vivo,
mentre i muscoli del suo collo si irrigidirono lasciando scoperta e
bene in
evidenza una vena che pulsava. E fu così che Sherlock Holmes
si ritrovò sul
punto di dare di matto.
Nonostante quello fosse
oggettivamente uno spettacolo spaventoso, riuscii a trattenere a stento
le
risate. Quel tale forse non se n'era reso conto, ma stava arrecando al
mio
amico la più terribile delle offese: gli stava chiedendo,
anche con
inappropriata insistenza, di risolvere un problema assolutamente banale
e
ordinario, per di più dopo essere venuto a disturbare la
quiete di Baker Street
non una ma ben due volte e aver inoltre dato sfoggio di un'arroganza
che
avrebbe fatto invidia al più spocchioso dei giovani nobili
della mia
generazione.
In quel momento Holmes sembrava
una tigre pronta a saltare addosso alla sua preda, che in questo caso
non era
un criminale incallito ma semplicemente un borghesuccio taccagno e
pieno di sé.
Senza volerlo mi ritrovai a sogghignare, mentre Dawson e la signora
Hudson
osservavano stupiti Holmes: probabilmente era la prima volta che lo
vedevano
così, e per questo ne erano rimasti molto impressionati.
- Allora, signor Holmes? Mi
aiuterà? - lo incalzò Neareby, non rendendosi
conto del guaio in cui si era appena
cacciato.
Qualcuno, leggendo queste righe,
potrebbe pensare che la reazione del mio amico sia stata esagerata se
non
addirittura spropositata, ma posso assicurare che non fu affatto
così. Dal suo
punto di vista infatti era un affronto imperdonabile quello di
sottoporgli dei
problemi così semplici da essere solo delle perdite di
tempo; inoltre il signor
Neareby non aveva usato né le migliori argomentazioni e
nemmeno delle belle
maniere al fine di ottenere l'aiuto di Holmes, e ciò
dimostra che quell'uomo
non era del tutto esente da colpe.
A proposito di quel tipo... Dopo
aver parlato, Nicholas Neareby se ne restò immobile ad
osservare
impazientemente Holmes, in attesa di qualche sua reazione. Reazione che
non
avrebbe tardato ad arrivare se io e Dawson non avessimo trattenuto
Holmes dai
suoi improvvisi istinti omicidi. Mi ero sì divertito ad
osservarlo offendersi,
ma subito dopo mi ero reso conto che il mio amico non avrebbe esitato
ad usare
le maniere forti contro quel povero sciocco per vendicare il torto da
lui
subito. Io e il valletto ci affrettammo quindi ad avvicinarci a lui e,
pur
dolcemente e in modo discreto, lo trattenemmo dall'avanzare per dare
sfogo alla
sua rabbia.
Il nostro intervento fu quanto
mai provvidenziale. Al nostro tocco infatti Holmes parve accorgersi di
ciò che
stava per fare, e dopo pochi attimi riuscì a tornare in
sé. Si fermò, fece un
profondo respiro ad occhi chiusi per tranquillizzarsi e poi,
schiarendosi la
voce, si rivolse al suo interlocutore. I suoi occhi tuttavia ancora
fiammeggiavano per l'ira e l'unico a non accorgersene pareva essere
proprio
Nicholas Neareby, il quale probabilmente non si era nemmeno reso conto
delle precedenti
intenzioni del mio amico.
- Molto bene - si schiarì la voce
Holmes, guardando assai male il suo nuovo cliente - Ho ascoltato la sua
storia
e ho deciso di occuparmi del suo caso.
- Bé, mi sembra anche il minimo
dopo che sono stato trattato così sgarbatamente da quella
donna! - replicò
Neareby alludendo alla signora Hudson.
Holmes necessitò di tutto il suo
sangue freddo - e della presenza mia e di Dawson - per non ricadere
nella
tentazione di arrecare del male fisico a quell'arrogante. Anche se, lo
confesso, a quel punto l'uomo mi era venuto in antipatia e sarei stato
ben
contento se il mio amico gli avesse dato una lezione. Era sconcertante
come quel
tipo non si fosse ancora reso conto di star offendendo terribilmente
Holmes, ed
ero sicuro che in ogni caso il mio amico non si sarebbe affatto
dimenticato di
quest'affronto.
- Mi lasci farle qualche domanda,
signor Neareby. - disse Holmes con una vena che gli pulsava (stavolta
nella
tempia) per la frustrazione.
- Va bene, sentiamo. - fece
l'altro, scocciato.
Holmes ebbe bisogno di un altro
respiro calmifico per potersi definire in condizione di lavorare, e un
momento
dopo cominciò con le domande.
- Dov'è avvenuta esattamente
l'aggressione? - chiese.
- Non ricordo bene - rispose
Neareby seccato - Forse mi trovavo davanti al 225, più o
meno. Non sono sicuro.
- Che aspetto avevano i due che
l'hanno aggredita?
- Purtroppo l'alcool non mi
faceva vedere con chiarezza, e ricordo poco più che due
indistinte sagome nere.
- Con cosa l'hanno colpita alla
testa?
- Non lo so proprio! - sbottò a
quel punto l'uomo - Ma doveva essere un oggetto assai grosso
perché stamattina,
quando mi sono specchiato, ho visto il mio capo tutto tumefatto.
Per dimostrare che ciò che diceva
era vero si tolse il cappello e ci mostrò la testa. Nella
punta, dove i capelli
erano più radi o del tutto assenti, c'era un enorme livido
tondo e blu scuro
con un paio di piccoli bernoccoli a contornarlo.
- E' tornato a casa sua ieri sera
dopo l'agguato? - chiese a quel punto Holmes.
- Ma che c'entra? - replicò
Neareby irritato mentre si rimetteva il cappello.
- E' tornato a casa sua oppure
no? - chiese ancora Holmes quasi gridando, seccato per il comportamento
del suo
cliente.
- No - rispose quello infine -
Avevo paura che mi aggredissero di nuovo e così sono andato
a dormire da un
amico che abita qui vicino.
- Quindi lei non ha ancora
rivisto sua moglie?
- Si può sapere cosa ci incastra
mia moglie con questa storia?!? - esclamò scandalizzato
Neareby - Che razza di
domande mi sta facendo?
Un'occhiataccia di Holmes lo
spinse tuttavia a lasciar perdere con le sue rimostranze, e piuttosto
decise di
rispondere a ciò che gli veniva chiesto.
- No. - ammise - Questa mattina,
dopo essermi dato una sistemata, sono venuto direttamente qui da lei.
E' da
ieri mattina che non metto più piede in casa mia.
- Molto bene - disse Holmes -
Torni questa sera e vedrò cosa posso fare per lei.
Nicholas Neareby parve
esterrefatto.
- Ma... - balbettò - Perché
stasera?
Holmes non rispose e lo ignorò.
- Perché non si mette al lavoro
subito? - lo incalzò Neareby - Questo è un affare
della massima importanza!
- Buongiorno signore, a stasera.
- gli rispose cordialmente Holmes, voltandosi poi per salire le scale
che
conducevano al suo appartamento.
- Torni qua! - gridò Neareby
mentre tentava di raggiungerlo.
Ma quando Sherlock Holmes
congedava qualcuno non c'era possibilità alcuna di ottenere
più tempo con lui.
Mentre Dawson si occupava di trattenerlo e di riportarlo fuori, io
seguii
Holmes ed entrambi tornammo nel nostro appartamento. Appena rientrato,
il mio
amico si mise imbronciato sulla sua poltrona e prese a fumare la pipa.
Io mi
sedetti di fronte a lui e stetti in silenzio, preferendo non
disturbarlo: avevo
già potuto constatare quanto fosse pericoloso l'avere contro
Sherlock Holmes, e
avrei cercato per quanto mi era possibile di non farlo alterare. Mi ero
tuttavia ripromesso di non perderlo di vista: era mio dovere di medico
impedire
che Holmes, per il nervosismo causatogli da Neareby, riprendesse a fare
uso di
droghe.
Fu proprio per questo che, quando
poco dopo egli cominciò a ridere sommessamente, mi sorpresi
e mi inquietai
alquanto. Era rarissimo sentire Holmes ridere, e nonostante sapessi del
suo
corrente stato affatto tranquillo mi preoccupai lo stesso per lui. Era
stato
forse abbastanza lesto da assumere qualcosa mentre mi ero distratto per
un
attimo? Non lo sapevo, e la mia curiosità medica mi spinse
immediatamente ad
indagare.
- Che è successo, Holmes? - gli
chiesi.
- Nulla, nulla... - mi rispose
lui, sempre ridacchiando.
Quel suo strano atteggiamento mi
aveva reso nervoso, ma cercai di non darlo a vedere incalzandolo con le
mie
domande.
- Come va il caso? - feci - E'
già arrivato alla soluzione?
- Ovvio. - rispose Holmes, sempre
sorridendo - Sapevo già tutto prima di finire il colloquio
col signor Neareby.
Era un problema molto banale, e anche un dilettante ci sarebbe arrivato
in
breve tempo.
- Quindi sa già chi sono i
colpevoli del furto?
- Sì.
Il sorriso di Holmes si fece
impercettibilmente più largo.
- E allora perché avete detto a
Neareby di tornare stasera? - chiesi allora, confuso - Non sarebbe
stato meglio
dirgli i nomi dei colpevoli così che potesse andare dalla
polizia a sporgere
denuncia? Almeno ci saremmo definitivamente tolti dai piedi quello
scocciatore!
- Non ha tutti i torti, mio caro
Watson - mi rispose Holmes - Ma ho i miei motivi per non aver agito
come ha
detto lei. E poi, anche se gli avessi detto i nomi dei colpevoli,
quell'uomo
avrebbe solamente avuto ancora più guai.
- In che senso? - chiesi,
incuriosito.
- Non c'è fretta, Watson, non c'è
fretta. - fece pacatamente Holmes - Tutto a suo tempo.
A quel punto aveva finito di
fumare la pipa, e così si alzò.
- Vede - continuò - Visto il
comportamento così sgarbato del mio illustre
cliente, ho deciso di
divertirmi un po' con lui.
Si mise gli abiti pesanti e il
cappello per uscire nella fresca aria del mattino, e mentre si avviava
verso la
porta prese con sé il suo frustino.
- Caro Watson, posso assicurarle
che prima di domani lei avrà abbastanza materiale da
scrivere un bel resoconto
e, perché no, anche per farci due risate su.
Detto questo uscì e non tornò se
non dopo un paio d'ore, poco prima di pranzo. Sembrava molto contento e
soddisfatto del suo operato a giudicare dal sorrisetto che ancora non
gli aveva
abbandonato la faccia.
- Vuole sapere com'è andata,
Watson? - mi fece - Bene, molto bene. Mi perdoni se non l'ho portata
con me, ma
volevo essere io il solo a godermi un certo spettacolo. Non si
preoccupi però,
presto anche lei riderà insieme a me: le dico già
che oggi ci aspettano alcune
visite. Nel frattempo perché non mangiamo? Sento
già il profumo dello stufato
della signora Hudson.
Pranzammo e trascorremmo alcune
ore a discutere serenamente di musica, e come aveva predetto il mio
amico
ricevemmo alcuni ospiti nel nostro appartamento. Erano più o
meno le cinque
quando sia io che Holmes udimmo distintamente dei rumori provenire dal
piano di
sotto: si trattava di un rapido scalpiccio di piedi, come se qualcuno
avesse
salito di corsa le scale, e così ci interrompemmo per vedere
cosa sarebbe
accaduto di lì a poco.
Detto fatto: dopo alcuni istanti
la nostra porta si spalancò e ricevemmo la prima visita. E,
a dire il vero, il
nostro visitatore era piuttosto singolare: più che vestiti
portava addosso
degli stracci sgualciti, era minuscolo di statura - poco più
alto del pigmeo
che una volta aveva quasi ucciso me ed Holmes - e aveva una faccetta
glabra ma
vispa e dall'espressione furbetta. In altre parole si trattava di uno
dei
cosiddetti "Irregolari" di Baker Street, un bambino che tuttavia non
avevo mai visto o a cui comunque non avevo mai fatto caso.
- Eccolo, signor Holmes! - gridò
appena fu entrato - L'ho ritrovato!
Detto questo si piegò in due, e
tutto sudato cominciò ad ansimare e a tirare lunghi respiri.
Sembrava essere
appena rientrato da una lunga ed estenuante corsa, e da com'era
imbrattato di
polvere non faticai a crederlo possibile. In mano teneva un oggetto che
a prima
vista non riconobbi. Sembrava piccolo e peloso; forse era un animale
morto o
un'altra cosa sgradevole che io non avrei mai toccato per nulla al
mondo.
- Sono contento di ciò, Timmy -
rispose Sherlock Holmes, prendendoglielo senza mostrare la mia stessa
ripugnanza.
- Ho dovuto... girare... per
tutta Fulham... per ritrovarlo... - ansimò il bambino - Non
è stato... per
niente... facile...
- Non ne dubito - replicò il mio
amico - Almeno adesso hai imparato a non dar via immediatamente tutto
ciò che ti
passa tra le mani. Vieni qui, giovane Tipps, eccoti uno scellino per il
disturbo.
- Grazie, signor Holmes! -
esclamò il bambino, tornato improvvisamente pimpante mentre
prendeva la
monetina dalle mani di Holmes - Grazie di cuore!
- Ringrazia la tua fortuna
piuttosto. Ora va, e ricordati di questa preziosa esperienza!
E così, esattamente com'era
entrato, il ragazzino se ne corse fuori come una furia lasciandoci
soli. Ero
rimasto molto sorpreso da quell'ingresso e da quell'uscita
così repentini, e
non potei fare a meno di guardare Holmes e l'oggetto che teneva in mano
con
aria interrogativa. Osservandolo più da vicino mi parve di
riconoscerlo: si
trattava di un portafogli di pelle di qualità assai scadente.
- Esatto, è proprio quello che
crede - mi confermò il mio amico - E' il portafoglio perso
da Nicholas Neareby.
E quello che avete appena visto uscire era uno dei colpevoli della
"brutale" aggressione ai suoi danni.
- Cosa? - esclamai stupefatto -
Quel bambino?
- Esatto, proprio quel bambino -
fece Holmes - Sembra difficile da credere, vero? Così
minuto, così mingherlino.
Ma attenzione: anche così agile, così svelto di
mano. Non bisogna mai giudicare
dalle apparenze.
Restai a bocca aperta: l'idea che
un ragazzino così piccolo come Timmy Tipps fosse riuscito a
derubare e anche a
fare del male ad un individuo come Nicholas Neareby, un tipo non grande
e
grosso ma pur sempre un gigante se confrontato a quel bambino, era a
dir poco
sconvolgente. Holmes notò la mia espressione stupefatta e
sorrise.
- Vedo che ancora la dinamica dei
fatti non le è chiara. - constatò - Allora vuol
dire che sarò costretto ad
esporgliela. Lei, Watson, sa bene quanto io odi i problemi banali, e in
circostanze normali avrei rifiutato di occuparmi di questo caso senza
pensarci
due volte. Ma dato il comportamento tenuto dal mio cliente ho preso la
decisione di andare fino in fondo a questa storia unicamente per sfizio
personale, sfizio che credo a breve anche lei sentirà come
suo.
- Come le ho già detto, avevo
capito quanto era capitato al signor Neareby solamente dal colloquio
che ho
avuto con lui giù di sotto. Ho intuito l'identità
dei due delinquenti quasi
immediatamente, ma per non confonderla andrò per gradi.
Suppongo che anche lei,
dottore, abbia notato la particolare forma della tumefazione sulla
testa del
mio cliente.
- Sì - risposi io - Era enorme e,
cosa strana da dire, perfettamente circolare.
- Esatto. Neareby aveva
dichiarato di essere stato colpito alla testa da dietro, ma quale
oggetto
contundente avrebbe mai potuto lasciare un segno del genere?
- Non ne ho la minima idea.
- Avanti, ripensi a quando gli
chiesi di sua moglie.
- Non vedo come le due cose
possano essere collegate.
- Caro Watson, lei deve cercare
di immedesimarsi nei panni della signora Neareby. Se dopo una dura
giornata di
ancor più duro lavoro lei non vedesse rientrare suo marito e
poi venisse a
sapere che egli ha guadagnato una grossa somma che in quel momento sta
sperperando in un pub di dubbio gusto per ubriacarsi, come reagirebbe?
- Bé, indubbiamente male.
- Esatto! Quindi la reazione di
Joanne Neareby è stata perfettamente comprensibile.
- Cosa? - replicai incredulo -
Vuole dire che è stata sua moglie ad aggredirlo?
- Proprio così. Vede Watson,
Boston Street e Marylebone non sono poi zone così lontane
tra loro, e le
notizie dall'una all'altra viaggiano in fretta. Una volta saputo che il
marito
stava facendo allegramente baldoria la signora si è
infuriata e ha deciso di
andare a dare una bella lezione al suo uomo. E per farlo si
è armata dell'unico
strumento da lavoro che aveva a portata di mano in quel momento, ovvero
una
comune padella da cucina.
- Come ha detto?!?
- Ha sentito bene, una padella.
Ci pensi: superficie estesa, metallo sottile e per questo flessibile e
malleabile, facile da maneggiare; cosa c'era di meglio? E ora pensi al
livido
di Neareby: grosso, rotondo, dal colore uniforme. Capisce cosa intendo?
- Neareby è stato colpito da una
padella in testa! - replicai, figurandomi mentalmente la scena e
sorridendo al
pensiero.
- E' andata proprio così - continuò
Holmes - Disgraziatamente per il mio cliente sua moglie l'ha colto qui
in Baker
Street e non ha esitato a dargli addosso. Ed è qui che
è sopraggiunto Timmy
Tipps. Baker Street rientra nella sua zona di caccia, e i poveri
sprovveduti
che non mettono al sicuro il proprio portafoglio si ritroveranno
sicuramente
senza di esso una volta passati di qui.
- Ecco com'è andata: Timmy Tipps,
sempre in agguato per avventarsi sulle sue vittime, ha notato del
trambusto e
ha subito pensato che potesse essere una buona occasione per lui. Si
è così
approssimato al signor Neareby e gli ha sfilato il portafoglio dai
pantaloni,
lo stesso portafoglio che adesso lei vede nella mia mano sinistra.
- Ma le forme evanescenti? - gli
chiesi - Neareby ha detto di aver preso a pugni i suoi aggressori e di
averli
visti essere trapassati dai fendenti senza che subissero il minimo
danno.
- Oh, questo è facilmente
spiegabile - replicò Holmes - I fumi dell'alcol possono
distorcere i sensi e la
percezione di un uomo facendogli vedere cose sì
strabilianti, ma assolutamente
false. Neareby non ha trapassato nessuno con i suoi pugni: Timmy Tipps
era
semplicemente troppo basso per essere colpito, mentre sua moglie
dev'essersi
scansata. Il cervello di Neareby doveva essere tuttavia troppo
stravolto per
percepire distintamente la realtà che lo circondava, ed
è così che è nata
questa storia dei fantasmi.
- Vede, Watson, è strabiliante
ciò che la mente dell'uomo è in grado di
inventarsi pur di giustificare quello
che vede. E' come un immenso dono: senza di esso dove sarebbe la
fantasia? Ma,
come ha potuto constatare anche lei, nelle mani di Nicholas Neareby
questa
grande capacità si è trasformata in un inutile
spreco.
Holmes si interruppe, concludendo
l'ultima frase in tono amareggiato. Potevo ben capire il motivo della
sua
delusione: una mente vivace in una testa ottusa era di certo il
peggiore dei
mali. Prima di riprendere a parlare il mio amico accese la sua pipa e
ne trasse
un paio di profonde boccate, come per rilassarsi.
- E' a questo punto - riprese -
Che sono entrato in scena io. Si sarà sicuramente chiesto
dove me ne fossi
andato oggi; se così è stato ora le sto per
rispondere. Prima di tutto, sicuro
del coinvolgimento di Timmy Tipps, mi sono recato nel tugurio che usa
come tana
e l'ho convinto un po' con le parole e un po' col frustino a ritrovare
il
portafoglio di Neareby. Subito dopo sono corso in Boston Street
perché non mi
volevo perdere la scena che ero certo stesse per accadere.
- Le mie speranze non andarono
deluse. Arrivato che fui in Boston Street scorsi immediatamente una
folla di
sfaccendati radunata di fronte a quella che doveva essere casa Neareby.
Dentro
di essa doveva star accadendo il finimondo, poiché le grida
si sentivano fino
in strada. Non ebbi bisogno di chiedere informazioni perché
esse erano urlate e
ben udibili da tutti: le implorazioni di pietà del nostro
cliente e le
maledizioni e gli improperi lanciatigli da sua moglie parlavano per
loro.
- In strada la gente rideva a
crepapelle, e addirittura alcuni si stavano rotolando per terra dalle
risate.
Perfino il poliziotto che monitorava la situazione non poteva fare a
meno di
sorridere. Mi avvicinai alla folla e interrogai alcune persone, che
scoprii
essere per la maggior parte vicini di casa di coloro che nel frattempo
si stavano
scannando qualche iarda più in là. Dalle risposte
che ottenni emerse che molti
di loro la sera precedente avevano visto uscire di casa la signora
Neareby
furiosa e con una padella in mano giusto pochi minuti prima
dell'aggressione.
- A quel punto non avevo bisogno
di ulteriori dettagli e me ne sono tornato qui, ad aspettare che gli
eventi
facessero il loro corso. E se non sbaglio quello che sento dev'essere
proprio
il signor Neareby che sta salendo.
Mentre Holmes concludeva il suo
discorso c'era infatti stato un bel po' di trambusto al piano di sotto,
e pochi
attimi dopo la porta del nostro appartamento si era aperta per rivelare
un
affranto Nicholas Neareby. Egli aveva l'aria distrutta e i suoi vestiti
apparivano tutti in disordine, il cappello messo di traverso e la
giacca che
pendeva scomposta da una parte. Conoscendo la causa di quella
confusione non
potei fare a meno di ridacchiare, ma Neareby parve non accorgersene.
- Signor Holmes... - ansimò
invece, rivolto al mio amico.
- Signor Neareby! Bentornato! -
esclamò l'interpellato.
- La prego... - continuò Neareby
- Cose terribili... Io...
- Immagino, immagino - disse
Holmes sorridendo - Lei è messo piuttosto male. Sua moglie
deve proprio averla
conciata per le feste!
- C-come fa...? - balbettò
l'altro.
- Ho le mie fonti, signore -
replicò fulmineo Holmes - Vedo che lei ha passato un brutto
quarto d'ora, ma
forse ho qualcosa che sarà in grado di tirarla su di morale.
Il viso di Neareby
improvvisamente si illuminò.
- Il mio portafoglio! - esclamò -
L'ha ritrovato?
- Certamente - fece Holmes
porgendoglielo - Eccolo qua.
Neareby se lo fece quasi scappare
dalle mani per l'emozione. Il suo faccione si imporporò
assai più del normale
mentre si profondeva in inchini e salamelecchi per Holmes, e subito
dopo aprì il
portafoglio con gli occhi che luccicavano. Ciò che al suo
interno vide - anzi,
non vide - bastò per far svanire ogni traccia di gioia in
lui. Le sue guance
rosse acquistarono in breve un livore perlaceo, e cominciò a
spostare
velocemente i suoi occhi sgranati dal portafoglio al mio amico e
viceversa.
- Ma... E' vuoto! - tuonò,
esterrefatto.
- Signor Neareby, lei dovrebbe
essere più preciso quando dà delle direttive! -
lo ammonì Holmes - Stamani lei
mi ha chiesto solamente di ritrovarle il suo portafoglio; doveva
specificare
che desiderava riavere anche ciò che vi era contenuto!
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