Errare humanum est, autem perseverare diabolicum

di Carme93
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il ritorno dell'incubo ***
Capitolo 2: *** Sacrifici ***
Capitolo 3: *** La famiglia non si sceglie ***
Capitolo 4: *** Sine culpa ***
Capitolo 5: *** Strategie da rivedere ***
Capitolo 6: *** Dura lex, sed lex ***
Capitolo 7: *** Un attimo di tregua ***
Capitolo 8: *** Non sentirsi all'altezza ***
Capitolo 9: *** Si ricomincia ***
Capitolo 10: *** Olimpiadi magiche ***
Capitolo 11: *** Parvenza di normalità ***
Capitolo 12: *** Pozioni, stelle e duelli ***
Capitolo 13: *** Il vaso di Pandora ***
Capitolo 14: *** La fiaccola della pace ***
Capitolo 15: *** Un professore inaspettato ***
Capitolo 16: *** La sfida di Afia ***
Capitolo 17: *** Nascosti dietro una maschera ***
Capitolo 18: *** Mettersi alla prova ***
Capitolo 19: *** La vita è una sfida, affrontala ***
Capitolo 20: *** La vita è la vita, difendila ***
Capitolo 21: *** La musica è una delle magie più grandi ***
Capitolo 22: *** Non esiste il sangue blu ***
Capitolo 23: *** L'amore segue infinite vie ***
Capitolo 24: *** Crucci d'amore ***
Capitolo 25: *** Il potere delle rune ***
Capitolo 26: *** Ritorno agghiacciante ***
Capitolo 27: *** Il diario di Alastor ***
Capitolo 28: *** L'apparenza inganna ***
Capitolo 29: *** Il trionfo di Scorpius ***
Capitolo 30: *** La vita è amore, godine ***
Capitolo 31: *** Nil sub solem novum ***
Capitolo 32: *** Candele e maschere d'argento ***
Capitolo 33: *** Il falò dell'amicizia ***
Capitolo 34: *** In vino veritas ***
Capitolo 35: *** Contro una pace ipocrita ***
Capitolo 36: *** Gli esami non finiscono mai ***
Capitolo 37: *** Alea iacta est ***
Capitolo 38: *** Si vis pacem, para bellum ***
Capitolo 39: *** Tertium non datur ***
Capitolo 40: *** Dulcis in fundo ***



Capitolo 1
*** Il ritorno dell'incubo ***


Capitolo I
Il ritorno dell'incubo
 
Era stata una giornata buia e tempestosa. Le onde si erano abbattute ininterrottamente e violentemente sull’isoletta in mezzo al mar del Nord, alcune più alte continuavano anche a sera inoltrata a superare la scogliera e infrangersi sulla fortezza di pietra scura e massiccia che vi si ergeva al centro. Era stata costruita ben cinque secoli prima, quando l’isola era stata la dimora di un mago oscuro, che si faceva chiamare Ekrizdis, e che l’aveva magicamente occultata alla vista di maghi e babbani. Era un luogo tetro e maledetto, alcuni avrebbero voluto distruggerlo, ma era abitato dai dissennatori, orribili creature che si nutrono della felicità umana, per questo nessuno ebbe il coraggio di farlo. Quando nel 1718 Damocles Rowle divenne Ministro della Magia decise che la fortezza sarebbe diventata la nuova prigione dei maghi e i dissennatori ne sarebbero state le guardie. Già impregnata di magia oscura, da quel momento la fortezza trasudò ancor più disperazione e dolore. Nessuno fu mai capace di evadere per secoli e nessuno ne uscì vivo. I più impazzivano in breve tempo. Eldritch Diggory, Ministro della Magia dal 1733, fu il primo, dopo quindici anni dalla sua apertura, a recarvisi e ne rimase sconvolto. Purtroppo morì prima di trovare una valida alternativa e solo Kingsley Schacklebolt, Ministro dal 1998, la liberò definitivamente dai dissennatori.
Il cielo cupo e lampeggiante non faceva presagire un miglioramento per la notte, ma ormai i guardiamaghi e gli Auror di stanza erano abituati. Era luglio, ma il vento freddo che spirava si insinuava nelle ossa. Manuel si strinse addosso il mantello di lana e sbuffò. Era tutta colpa dei suoi genitori se si trovava in quello schifosissimo posto. Rabbrividì e decise di muoversi o sarebbe congelato. Chissà se qualcuno si sarebbe preso la briga di andare a cercarlo e scongelarlo o sarebbe rimasto per sempre in quel lugubre e squallido corridoio. Per essere precisi non era colpa loro se si trovava in quel postaccio, era stato il Capitano Potter a mandarcelo. Aveva accidentalmente creato un po’ di confusione nello svolgimento del compito che gli era stato assegnato. Perché mandare degli Allievi che avevano appena concluso il primo anno dell’Accademia se non sono abbastanza maturi? Perché gli Auror più esperti avevano ben altre preoccupazioni. Perché gli adulti avevano sempre una risposta a tutto? E perché la davano tanto per scontata? Manuel e alcuni suoi compagni avrebbero dovuto sorvegliare la villa in cui gli Africani, rapiti e sfruttati da Bellatrix Selwyn, erano stati accolti in attesa di capire cosa ne sarebbe stato di loro. In realtà dubitava fortemente che quella folle e i suoi uomini avessero il minimo interesse a riprendersi quella gente, non per niente i turni di ronda erano perennemente noiosi e conseguentemente cercava un modo di passarsi il tempo. E quale modo migliore se non giocare con le palle rimbalzati Tiri Vispi Weasley? Si era sempre vantato di essere un campione, ma anche ai campioni è permesso fare degli errori, no? A quanto pare no. La sua collega era spuntata all’improvviso per riferirgli che i rumori che avevano sentito in precedenza non erano altro che due bambini che litigavano, cosa che aveva già ipotizzato. Che altro avrebbe dovuto essere? Ma era così tanto concentrato sul suo gioco che non l’aveva sentita da sobbalzare violentemente e perdere il controllo della pallina che, a tradimento, era schizzata oltre il basso muretto del giardino e aveva colpito in pieno una babbana che passava di lì. Ed era colpa sua se le palle ribalzanti Weasley quando colpiscono qualcuno si allargano fino ad avvolgere il malcapitato? Mica le aveva inventate lui! Fatto sta che erano dovuti intervenire gli obliviatori e Manuel si era beccato una sfuriata dal Capitano per aver messo in imbarazzo l’intero corpo Auror e sul fatto che se avesse continuato così non sarebbe mai diventato un Auror; una seconda da Simon Scott, il direttore dell’Accademia, per la sua costante indisciplina e sul fatto che lo avrebbe presto cacciato a calci (decisamente zero delicatezza); e infine dai suoi genitori, Auror perfetti e indomiti, per aver gettato vergogna sulla sua famiglia. Un po’ ripetitivi gli adulti, no? E comunque la colpa era solo dei suoi genitori, se fosse stato per lui non sarebbe mai diventato un Auror, invece loro sognavano una famiglia di combattenti di maghi oscuri. Appunto gli adulti erano privi di fantasia. Fino a quel momento aveva tentato di accontentarli per quieto vivere, ma Azkaban era davvero troppo. Entrò nella stanzetta al piano terra dove c’erano gli altri guardiamaghi e alcuni suoi colleghi. Era un luogo spoglio e lugubre, come il resto dell’edificio. Lì, però, c’era un bel caminetto acceso e vi era un piacevole tepore.
«Tutto in ordine, Miller?» lo accolse Williamson, uno degli Auror più anziani del Dipartimento. Aveva una lunga coda di cavallo, ormai completamente grigia.
«Sì, signore» rispose senza entusiasmo. Da quando erano stati tolti i dissennatori in un primo momento il compito di sorvegliare i detenuti era stato affidato agli Auror, ma poi erano stati addestrati appositamente dei guardiamaghi. In un periodo di pace sarebbero stati più che sufficiente e gli Auror sprecati. A maggior ragione ora che la comunità magica era in pericolo. Il più anziano era seduto rigidamente a una piccola scrivania in un angolo e leggeva alcuni documenti, a parte loro due c’era solo un altro Auror poco più grande di Manuel. Non avevano molta confidenza, ma per fortuna Shawn era molto più alla mano di altri colleghi, che al momento lo guardavano come un bambino cattivo. Nonostante in apparenza sembrasse rigido, in realtà aveva uno spirito solare e allegro. Nella stanza erano presenti anche tre guardiamaghi, che si riposavano prima di dare il cambio ai colleghi nella sorveglianza del perimetro esterno della fortezza. Con quel tempaccio la voglia era naturalmente sotto zero. C’era qualcosa che a Manuel non tornava però: i tre non si stavano lamentando. Da quando era arrivato qualche giorno prima le loro lamentale erano state il fastidioso sottofondo delle sue giornate. Incrociò lo sguardo del suo collega, che aveva smesso di guardare attraverso la finestrella sottile, quasi un buco nella parete, con sbarre di ferro. Con un cenno li indicò i tre. Due erano intenti a giocare a carte, apparentemente un innocuo passatempo ma in realtà giocavano d’azzardo (naturalmente di nascosto a Williamson). Il terzo leggeva attentamente una rivista di Quidditch e ogni tanto rendeva gli altri partecipi delle novità del mercato.
«I Cannoni di Chudley hanno cambiato di nuovo allenatore» disse.
«Figurati. Avranno battuto ogni record ormai» replicò uno dei due colleghi mentre distribuiva le carte.
 Parte del tavolo era ingombro di edizioni della Gazzetta del Profeta. Svogliatamente Manuel ne scorse alcuni titoli, che purtroppo già conosceva. D’altronde in casa sua si parlava solo di quello, anche il suo fratellino di soli undici anni stava subendo lo stesso lavaggio del cervello che aveva già subito lui.

DIMITRI VULCHANOVA CONFESSA: BELLATRIX SELWYN VOLEVA JAMES POTTER MORTO.

Sotto seguiva l’articolo e la notizia era ripresa più volte per tutto il giornale. Naturalmente vi era solo una parte della verità. I suoi genitori glielo avevano ripetuto fino alla noia: meglio evitare i giornalisti, non parlare mai senza essersi consultato prima con un superiore e anche in quel caso non rivelare mai troppo. Le tre regole d’oro. Ma che senso aveva? Quello che i giornalisti non sapevano, inventavano. I loro non comment si trasformavano in pagine e pagine di cronaca. Un altro recitava:

CONVOCATA URGENTEMENTE LA CONFEDERAZIONE INTERNAZIONALE DEI MAGHI.
A seguito degli ultimi avvenimenti che hanno coinvolto non solo il nostro paese, ma anche alcune isole africane si è ritenuto opportuno convocare la Confederazione Internazionale dei Maghi. La data precisa non è stata ancora decisa, ma sarà resa nota nei prossimi giorni e si pensa sarà a fine mese. Dopotutto le questioni da trattare sono così urgenti da non poter rimandare ulteriormente…
 
LA CONFEDERAZIONE SI RIUNIRÀ IL 1 AGOSTO IN ITALIA
La decisione è stata resa nota ai giornalisti dal Ministro Weasley in persona solo nella tarda serata di ieri. Per questioni di sicurezza non ha voluto rendere note le modalità secondo le quali si svolgerà il suo trasferimento in Italia, né chi formerà la sua scorta. Anche il Capitano Potter si è rifiutato di darci ulteriori notizie. A questo punto, però, dobbiamo chiederci anche in che posizione la Gran Bretagna parteciperà all’incontro. Le voci circolate negli ultimi mesi sono abbastanza eloquenti: gli altri Ministeri vogliono sapere da noi che cosa sta accadendo. Ancora una volta il nostro paese è motivo di preoccupazione internazionale. Essendo aumentate le aggressioni ai danni dei Babbani, si teme anche un richiamo ufficiale se non addirittura una sanzione. I ripetuti attacchi di Bellatrix Selwyn hanno sconvolto più volte la comunità babbana, tanto che gli Obliviatori e il Comitato Scuse ai Babbani hanno dovuto fare gli straordinari. Ci si chiede quindi come risponderà il Ministro Weasley a queste possibili e prevedibili accusa. A noi ha risposto in modo chiaro e fermo che (cont. Pag. 3 e segg.)

Manuel sbuffò e sfogliò il giornale alla ricerca dell’articolo che più l’aveva turbato, in fondo la Confederazione non era un problema: la facevano tutti tanto lunga, ma voleva proprio vedere gli altri Ministeri al loro posto. Si sarebbero trovati nelle stesse difficoltà, ne era certo. La questione calda in quei giorni riguardava i folletti della Gringott: avevano licenziato uno spezzaincantesimi. Naturalmente ciò che preoccupava non era il licenziamento in sé, ma il fatto che il mago si era presentato ferito al San Mungo e in seguito aveva sporto denunciata presso il Dipartimento di Regolazione e Controllo delle Creature Magiche. I folletti si erano difesi affermando che era stato lui ad attaccarli per primo e anche loro presentavano delle ferite. Dove stesse la verità era difficile stabilirlo.

 
SITUAZIONE IN STALLO ALLA GRINGOTT. ANCORA TENSIONI TRA MAGHI E FOLLETTI.
Dopo l’aggressione di alcuni giorni fa ai danni di Edwin Hambleton, la tensione alla Gringott rimane alta. Alcuni spezzaincantesimi che hanno osato protestare, sono stati licenziati dai folletti. Altri hanno deciso di dare le dimissioni. Chi, invece, è rimasto teme costantemente di poter essere aggredito, come è accaduto al signor Hambleton (che ha gentilmente, nonostante non abbia superato ancora lo shock, di concederci una sua intervista, vedi pag. 11). Richard Parkinson ha proposto agli altri Capi di Dipartimento e al Ministro Weasley un radicale cambiamento: «È arrivato il momento che i maghi prendono in mano le redini della loro economia. Non devono essere più degli esseri inferiori a occuparsene» ha dichiarato questa mattina. Similmente si è pronunciato Blaise Zabini, esperto di legge magica (cont. pag. 6).

I rapporti tra maghi e folletti erano sempre stati tesi, ma in un momento così delicato come quello che stavano attraversando con le forza della Selwyn ogni giorno più forti e numerose, non era certo il caso di provocare una rivolta dei folletti. Chiamarli essere inferiori poi non era stata una bella mossa. Non aveva mai amato Storia della Magia, ma non aveva dimenticato la crudeltà di cui si erano mostrati capaci i folletti durante le loro rivolte. Sarebbero potuti diventare peggio dei Neomangiamorte. Quasi divertente aveva, però, trovato un articolo nell’ultima copia della Gazzetta del Profeta:

 
DISORDINI CAUSATI DA UN GRUPPO DI MAGHINÒ. GLI AUROR: ABBIAMO ALTRI PROBLEMI.
Ancora nuovi atti di vandalismo a Diagon Alley e nella Londra babbana adiacente. E ancora la stessa firma: Squibs. Chi sono? Realmente dei Maghino o qualcuno che si diverte a firmassi così? Intanto questa notte è stata imbrattata la facciata del Ghirigoro e il proprietario furioso, Corbin Hackett (intervista pag. 15), si è recato al Ministero, ma sia gli Auror sia gli agenti della Squadra Speciale Magica hanno liquidato la faccenda, chi affermando che non rientrasse nelle loro responsabilità chi rimandando le indagini. Il signor Hackett, vistosi palesemente ignorato dal Ministero, ha iniziato a sobillare gli altri negozianti di Diagon Alley e le proteste sono diventate sempre più vivaci.

Manuel non riusciva a capacitarsi di quanto le persone fossero stupide: erano sulla soglia di una nuova guerra e loro pensavano a quelli che dovevano essere degli stupidissimi ragazzini, che si divertivano a creare un po’ di scompiglio?
«Usciamo un attimo, signore» disse Shawn. Williamson annuì distrattamente. «Che cosa volevi dirmi?» chiese a bruciapelo, appena si furono allontanati leggermente nel corridoio.
«Non ti sembrano troppo tranquilli i guardiamaghi? Di solito si lamentano sempre».
«Soprattutto quei due. Sì, lo so. Però l’altro giorno si sono beccati una strigliata da Williamson. Magari si trattengono perché è presente».
«Ho uno strano presentimento» borbottò Manuel poco convinto. «Odio questo posto» sbuffò alla fine.
«Non credo che qualcuno lo ami» mormorò serio e triste Shawn. «Domani rientrerò a Londra. Al mio posto verrà Erik Danielson. Vedi di non provocarlo, troverà solo più divertente fare in modo che la tua punizione si allunghi».
Manuel lo fissò imbronciato. «Tu quando torni?».
«Il più tardi possibile spero. Non ti hanno spiegato all’Accademia che qui non ci vuole venire nessuno e quindi si deve fare a rotazione?».
«I miei genitori sono Auror, i miei fratelli sono Auror» sbuffò esasperato. «Sono praticamente cresciuto nel corpo Auror. Per me l’Accademia è solo una formalità».
«Infatti dicono che sei stato ammesso solo perché tuo padre ha fatto pressioni».
Manuel fece una smorfia e annuì. «Mi ero impegnato affinché mi escludessero alle selezioni».
«E ora cerchi di farti espellere?».
«No, solo di sopravvivere».
«Che cosa vorresti fare?».
«Non lo so… Mi piacciono gli animali… La mia vita è sempre stata programmata con l’obiettivo di diventare Auror, quindi non ho mai riflettuto troppo sul mio futuro…».
«Se non vuoi fare l’Auror, vattene. Questo lavoro non fa per te e…».
«Scusa tanto, ma la predica me l’hanno già fatta» sbottò Manuel interrompendolo e spostandosi bruscamente per tornare nella stanzetta. Meglio annoiarsi con i guardiamaghi.
«Non è una predica, ma un consiglio» disse Shawn quando già gli aveva dato le spalle. «Bisogna sapersi sacrificare quando si fa questo lavoro. Non vedo la mia bimba da una settimana».
Manuel non si voltò e non replicò. Imbronciato si appoggiò alla stessa finestra cui era stato il collega fino a poco prima. La pioggia continuava a battere. Quei discorsi li aveva sentiti un milione di volte. La sua attenzione fu attratta dai tre guardiamaghi che si alzarono di scatto.
«Dove andate?» chiese istintivamente.
«A fare il nostro lavoro, moccioso» rispose sgarbatamente il più grosso dei tre.
«Non le sembra presto? Signore?» disse concitatamente a Williamson appena rimasero soli. Il mago alzò lo sguardo su di lui e lo scrutò con severità: «Se finalmente si sono decisi a comportarsi in modo disciplinato, Miller, non vedo quale sia il problema. Mancano solo cinque minuti al cambio di guardia e gli altri ragazzi sono sotto la tempesta da ore, mi sembra il minimo che siano puntuali».
La sua inquietudine aumentò, anche se non sapeva spiegarsi perché. «Vado a fare un giro di ricognizione». Non ne aveva la minima voglia, ma al cenno di assenso dell’altro si affrettò a lasciare la stanza. Vagò per un po’, annoiato sempre di più e stanco. Avrebbe voluto raggiungere al più presto la sua brandina. Non che dormisse bene, ma meglio di niente.
«Manuel!».
Shawn correva verso di lui agitatissimo. «Siamo circondati. Dobbiamo dare l’allarme. Sbrigati dobbiamo andare da Williamson».
«Non così in fretta, Lattes» gracchiò una voce alle sue spalle.
Manuel gelò. Era un Neomangiamorte. Shawn, bacchetta in mano, fronteggiò l’avversario. Passi concitati indicavano che ne stavano arrivando altri. «Avverti Williamson e date l’allarme!» gli urlò Shawn, proprio mentre apparivano altre maschere d’argento. «Muoviti!».
Con il cuore in gola fece marcia indietro e corse verso la stanzetta. Non avrebbero mai fatto in tempo. Azkaban era caduta.
«Signore!» urlò spalancando la porta. Williamson era dove l’aveva lasciato. Sobbalzò quando entrò di corsa nella stanza.
«Miller, sei impazzito…».
«I Neomangiamorte. Shawn li sta trattenendo». Manuel lo vide sbiancare e correre verso il cammino. Gettò una manciata di polvere volante nel camino e urlò «QUARTIER GENERALE DEGLI AUROR».
Non ebbe la possibilità di vedere altro perché i Neomangiamorte invasero la stanza. Erano solo tre. Prima di correre via ne aveva contati almeno cinque. E mancava anche Shawn. Deglutì a vuoto e tentò di allontanare il pensiero che al giovane collega fosse accaduto qualcosa. Ma fu con rabbia che si scagliò contro i nemici. La sua reazione li colse impreparati così ne schiantò uno con forza per poi fronteggiare gli altri due. Non era semplice. Sembravano più esperti. Più di lui sicuramente. Forse avrebbe dovuto applicarsi di più durante le lezioni in Accademia. Ma dopotutto non esisteva un manuale su come sconfiggere folli assassini. Un incantesimo lo prese in pieno petto e fu scagliato contro il muro. Gli si mozzò il fiato. Sentiva l’avversario incombere su di lui. Il dolore però lo teneva in uno stato di semicoscienza e non era abbastanza lucido per difendersi. Non voleva morire a vent’anni. Forse i suoi genitori si sarebbero sentiti in colpa. Mai sai che consolazione…
«Miller, fatti forza».
Williamson lo stava scuotendo con un braccio, poi si sentì mollare. Impiegò ancora qualche secondo a riprendersi. Tutto accadde molto velocemente. Il più anziano stava duellando con un solo Neomangiamorte. L’altro era già stato schiantato. All’improvviso, però, Williamson cadde in ginocchio con un braccio insanguinato.
«No!» si ritrovò a urlare e rapidamente colpì il Neomangiamorte prima che desse il colpo di grazia. «Signore! Come sta?».
«Legali, Miller!» biascicò Williamson, tentando di fermare il sangue.
«Oh, sì certo» mormorò atterrito. Fece come gli era stato detto e poi lo aiutò a rimettersi in piedi.
«I rinforzi stanno arrivando. Dobbiamo muoverci. Dov’è Shawn? E i guardiamaghi?».
«Shawn mi ha coperto le spalle mentre venivo ad avvertirla» mugugnò mentre la veste si macchiava del sangue dell’anziano. Non ne aveva mai sopportato la vista.
Williamson s’incupì e gli allontanò le mani con uno strattone. Per un attimo sembrò ancora più vecchio.
«Sono sicuro che sta bene» mormorò flebilmente.
«Non è che mi svieni davanti al sangue?».
«No». O almeno non gli era mai successo. «Shawn sta bene» ripeté, perché il vecchio si ostinava a non dargli ascolto.
«Se stesse bene, sarebbe qui» rispose rabbioso. «Andiamo!».
Manuel rimase fermo dov’era. «Dove?».
Williamson gli gettò un’occhiataccia e uscì in corridoio. «I rinforzi sono arrivati. Stanno combattendo fuori. Senti questo clamore? Raggiungiamoli. Possiamo prendere i Neomangiamorte alle spalle e dare una mano ai nostri».
«Sta scherzando, vero? Ci uccideranno dopo due secondi!» replicò Manuel, che in realtà non sentiva nulla.
L’Auror neanche gli rispose e Manuel lo seguì. Dopotutto era un ex-Grifondoro, non un fifone. Quando però arrivarono al luogo in cui aveva incontrato Shawn, non ascoltò minimamente i richiami del superiore e si inginocchiò accanto all’amico. Non era mai stato un tipo sentimentale, ma allungò la mano, gli accarezzò il volto e gli chiuse gli occhi. Trattenne a stento un singhiozzo.
«Ragazzo» la voce di Williamson era più dolce e si era incrinata notevolmente, come se anche lui stesse trattenendo le lacrime. «Fa parte del nostro lavoro, purtroppo. Lo sapeva. Sapeva a che cosa andava incontro».
«Io non voglio fare l’Auror. Non voglio. Mi hanno costretto i miei genitori!» sbraitò con le lacrime agli occhi. Quel ragazzo gentile e simpatico non l’avrebbe più incoraggiato, non gli avrebbe dato più consigli. Era rimasto lui indietro, gli aveva detto di andarsene. Avrebbe potuto mandare un patronus a Williamson. Aveva mandato lui e gli aveva coperto le spalle. Gli aveva salvato la vita. Perché era inutile prendersi in giro, con tutti quei nemici neanche in due avrebbero avuto la meglio su di loro.
«Ora non è il momento» tentò Williamson. «Hanno bisogno di noi».
L’ultimo consiglio di Shawn era stato quello di andarsene. Era stato l’unico oltre il professor Paciock, il direttore di Grifondoro, a chiedergli cosa volesse farne lui della sua vita. Si strappò di dosso la veste verde e rimase con la maglietta a maniche corte e i pantaloni stretti della divisa. «Combatterò da civile».
«Non ho mai visto una cosa del genere» borbottò Williamson e si avviò verso l’uscita. Fu subito chiaro che la situazione fosse diversa da quella che aveva immaginato. La tempesta infuriava e Manuel rabbrividì. Auror, Neomangiamorte ed evasi combattevano tra gli scogli, ma non si distinguevano a causa delle raffiche di acqua e vento. Mai in vita sua si era sentito tanto smarrito.
 
«Harry!».
Harry Potter si spostò i capelli bagnati dalla fronte e si voltò verso il suo migliore amico.
«Hai qualche idea? Non si capisce nulla!».
Le parole gli giunsero a stento, ma annuì. «Williams! Dov’è?».
Ron scrollò le spalle, ma urlò la sua richiesta agli uomini più vicini. Ci volle un po’ però che l’Auror lo raggiungesse. Era fradicio e sembrava affaticato. Zoppicava. «Maximillian, bisogna creare una barriera contro pioggia e vento e gettare un incantesimo antismaterializzazione. Prendi i più esperti in incantesimi».
«Si, signore» replicò quello e con un cenno del capo scomparve nella confusione.
Harry schiantò un Neomangiamorte e ne impegnò un altro in duello. Non si vedeva nulla. Avevano scelto bene la notte per evadere. E i suoi uomini erano a malapena sufficienti per affrontarli. Fortunatamente Williamson aveva dato l’allarme repentinamente e le squadre si erano recate lì subito con una serie di passaporte. Un’evasione era l’ultima cosa di cui avevano bisogno, perciò aveva schierato quasi tutti i suoi uomini. Non voleva perderli su quell’isola maledetta, ma vi erano momenti in cui pensava che presto il mare, tanto era impetuoso, li avrebbe risucchiati tutti. Buoni e cattivi. Indistintamente. Pensavano realmente di poter fuggire da lì? I Neomangiamorte avevano portato abbastanza bacchette per tutti gli evasi? Quanti erano fuggiti? Avevano liberato tutti indiscriminatamente o solo i Mangiamorte? Schiantò il suo avversario e lo legò. Era solo un stupidissimo mercemago. Non vedeva se non a pochissimi metri da sé e aveva perso completamente il controllo dei suoi uomini. Magra consolazione era che i Neomangiamorte fossero nelle stesse condizioni. Poi all’improvviso vento, pioggia e onde cessarono di abbattersi su di loro. Le urla roche dei combattenti si levarono nel silenzio degli elementi in modo innaturale. Sfere dorate si levarono in cielo. Maxi era riuscito a erreggere la barriera magica. Certo, questa poteva rivelarsi un’arma a doppio taglio. Ma non potevano continuare a combattere nelle condizioni precedenti. Ma quanto sarebbe durato?  Se gli uomini che l’avevano eretta si fossero stancati, si sarebbe indebolita rapidamente. E Maxi era già provato. L’aveva portato con sé perché era un Auror esperto, ma dalla sua andatura claudicante era evidente che il suo ginocchio malandato gli stesse facendo male.
Valutò celermente la situazione: i suoi uomini era sparsi per l’isola e combattevano con maggiore accanimento ora che le condizioni erano migliori; c’erano corpi disseminati a terra. Non avrebbe saputo dire di chi fossero. Con rabbia colpì un altro mercemago e un altro ancora. Chi guidava quella spedizione?
«Harry, se continuiamo così finiremo per annientarci a vicenda» mormorò Adrian Wilson, uno dei suoi fidati sotto ufficiali.
Ne era consapevole. «Avete individuato chi comanda?» domandò per prendere tempo. Non potevano lasciarli andare come se nulla fosse, meno che mai fargli conquistare Azkaban! Quella fortezza era inespugnabile. «Guadagnate l’ingresso! Se ne prendono possesso, siamo finiti!» ordinò terrorizzato alla sola idea. Continuò a combattere, sentendosi svuotato. Non affrontava uno scontro del genere da quando aveva sconfitto Voldermort. La stanchezza e la tensione iniziavano ad avere la meglio e se era così per lui, lo era anche per i suoi uomini. Individuò nella mischia un Neomangiamorte con l’uroboro appeso al collo. Non ebbe bisogno di vederlo in volto per riconoscerlo.
«Lestrange!» urlò fuori di sé, scagliandogli una maledizione. Quello la parò e reagì con prontezza.
«Sono venuto a riprendermi mio fratello, Potter. Un uomo di cuore come te, dovrebbe comprendere».
Harry non rispose ma tentò di colpirlo ancora una volta, una spallata in piena schiena, però, lo fece cadere sugli scogli. Sentì le pietre strigargli la pelle e strinse i denti per il dolore del colpo.
«Non così facilmente Potter. Mio fratello non la prenderà se gli do una mano. Non vedo l’ora di fare due chiacchere con tua suocera. Vediamo quanto troverà divertente veder morire il marito davanti ai suoi occhi!».
Il disprezzo e l’odio trasudavano dalle parole di Rodolphus Lestrange. Era ancora più brutto di quanto Harry ricordasse. Si era messo seduto in posizione tale da poter subito scattare. Doveva solo trovare il momento giusto. Trascorsero alcuni secondi interminabili in cui si chiese se avrebbero attaccato contemporaneamente e quale fosse il modo migliore per disimpegnarsi e trovarsi in posizione più avvantaggiata rispetto ai due. Quello che non si aspettava era di veder la vita lasciare gli occhi di Rodolphus Lestrange e saltò indietro appena in tempo per non farsi travolgere dal suo corpo. Anche Rabastan lo fissava sconvolto. Un uomo emaciato, il volto scavato e sofferente si ergeva con la bacchetta ancora puntata. Le vesti che indossava, lacere, strappate e in alcuni punti macchiate di sangue, non lasciavano adito a dubbi: era un detenuto. Però aveva un volto famigliare. Harry lesse appena in tempo il furore negli occhi di Rabastan e si frappose tra i due, scagliandogli una maledizione che quello però evitò. In quel momento la barriera crollò e Harry sentì l’urlo sofferto di Ron. Avrebbe riconosciuto la sua voce tra mille, ignorò Rabastan che incitava i suoi uomini a smaterializzarsi e lo raggiunse. Mandò a sbattere contro uno scoglio il Neomangiamorte che lo stava torturando e si chinò su di lui.
«Ci sono» biascicò l’altro, permettendogli di aiutarlo. 
Harry si guardò intorno: era finita. I Neomangiamorte si stavano smaterializzando con alcuni evasi. Il vento e le onde ripresero a sferzare l’isola con rinnovato entusiasmo, ma almeno la pioggia aveva smesso di cadere. Deglutì. Quanti uomini aveva perso? Si voltò a guardare Ron. Era pallido, tremante e sembrava pronto a vomitare, ma non era più un ragazzino: la vita da Auror l’aveva temprato e fissava con durezza il tragico spettacolo che si estendeva di fronte ai loro occhi.
«Rick, raduna gli uomini e occupatevi immediatamente dei feriti» ordinò al vice sotto Capitano che si era accostato in attesa di ordini.
«Signore». Harry serrò la mascella riconoscendo sotto il volto serio di Erik Danielson quasi un ghigno di trionfo. «La barriera è crollata perché Maximillian Williams si è smaterializzato! L’ha fatta crollare apposta».
«Portatelo da me appena si farà vivo» ordinò a denti stretti e gli voltò le spalle. Si fidava ciecamente di Maxi, non per niente l’anno precedente l’aveva spedito a Hogwarts accanto ai suoi figli. Non poteva essere lui la spia. Non era lui, lo sapeva per certo. La spia era lì con loro, in quello stesso momento gli passò vicino abbastanza per poter cogliere il suo sguardo perso. Da quando aveva capito chi fosse la probabile spia, aveva compreso pienamente il comportamento tenuto da Silente nei confronti di Draco Malfoy.
«Signore».
«Adrian» replicò stancamente, mentre l’uomo veniva raggiunto da Rick Lewis, Dora Morgan e Gabriel Fenwick. «Fatemi rapporto». Rispettò il protocollo, nonostante avrebbe preferito non sapere. Non poteva fare altrimenti.
«I miei uomini stanno bene» annunciò inaspettatamente Rick. «Solo qualche ammaccatura».
«Aaron Spencer-Moon, un Allievo, è stato ferito. Non riusciamo a medicarlo. E non è l’unico. La maledizione che l’ha colpito assomiglia molto al sectusempra, ma non sono sicura che non è quello. Lui e gli altri feriti devono essere subito trasferiti al San Mungo» disse, invece, Dora Morgan.
«Abbiamo già chiamato i soccorsi» comunicò Rick.
Similmente si pronunciò Gabriel Fenwick che, però, sembrava cupo e sofferente. Tanto che Harry gli chiese se fosse ferito, alla sua risposta negativa, che poco lo convinse, si rivolse ad Adrian che era nero in volto.
«Ho perso due uomini. Shawn Lattes ed Evelyn Baker». Harry strinse i denti mentre Mark Miller si avvicinava.
«Scusate, signori, ma Capitano credo che lei debba venire. Williamson si rifiuta di andare al San Mungo».
«Me ne occupo io» sospirò.
Non ebbe difficoltà a trovarlo all’ingresso della fortezza dove erano stati portati i feriti e anche i due Auror morti. Williamson sembrava aver perso tutto il suo autocontrollo mentre stringeva a sé il corpo senza vita di Shawn. Sapeva che l’avrebbe trovato in quelle condizioni, ma non era realmente preparato. Sembrava di essere tornati indietro di ventitré anni. Se il suo ruolo e la sua coscienza non gli avessero imposto di continuare, sarebbe scappato. Scappato da quel dolore, mai sopito, che sperava essersi lasciato alle spalle.
«Come glielo dico a Charis? Come?» chiese in preda ai singhiozzi, quando Harry gli scosse la spalla. Non seppe rispondergli, così fissò la sua attenzione sul ragazzo che appoggiato al muro li fissava sconvolto. Gli si strinse il cuore. Era stato lui a mandarlo lì. Eppure pensava che sarebbe stato più al sicuro: attaccare Azkaban in quel modo? Chi avrebbe mai potuto prevederlo? Ma era successo. Era stato letteralmente buttato giù dal letto da Rose e Cassy. Quando Williamson aveva contattato il Quartier Generale erano già pronti a intervenire. Con un moto di pietà e affetto paterno sostenne Manuel per le spalle, mentre si accasciava a vomitare in un angolo. Tremava ed era gelato. Perché indossava una magliettina leggera? Cos’era accaduto dentro la fortezza? Quando i conati si calmarono gli pose il suo mantello sulle spalle, ma con sua sorpresa il ragazzo lo respinse.
«Non voglio essere un Auror. Non voglio» gracchiò.
«Non essere stupido» lo redarguì con più severità di quanto avrebbe voluto e gli calcò il mantello addosso. «Se morirai per ipotermia, non avrà importanza ciò che vuoi».
«Williamson, Shawn Lattes avrà le esequie degne di un Auror. Da eroe. Stai tranquillo».
A quelle parole Harry gelò e si voltò di scatto verso Danielson che le aveva pronunciate. L’anziano Auror, però, le aveva ignorate totalmente. Forse non l’aveva neanche sentite.
«Danielson, cosa vuoi?» ringhiò Harry.
«Abbiamo preso Williams. Ha opposto resistenza mentre lo disarmavamo».
«Occupati dei feriti» ordinò gelido. A grandi falcate si diresse di nuovo fuori. Imprecò: aveva ripreso a piovere, fortunatamente non forte come prima.
«Harry, perché hai dato ordine di fermare Maxi?» gli chiese a bruciapelo Adrian Wilson affiancandolo.
«Avevo chiesto di portarlo da me. Danielson interpreta gli ordini a modo suo».
«Signore!» disse subito Maxi. Era provato anche lui dallo scontro, ma a parte qualche graffio sembrava illeso.
«Restituitegli la bacchetta» ordinò. Gli uomini che lo tenevano in consegna obbedirono all’istante. D’altronde dopo uno scontro del genere non comprendevano la necessità di disarmare un amico e collega.
«La barriera non poteva durare ancora a lungo e comunque non avrebbe avuto senso. In più i Neomangiamorte stavano tentando di abbatterla».
«Avresti comunque dovuto aspettare l’ordine di un superiore» commentò sorpreso Adrian.
Maxi sospirò e annuì. «Lo so. Ho agito di testa mia. Mi dispiace e spero che questo non si sia ripercosso sulla squadra».
«Questo è assurdo! In una situazione del genere agisce di testa tua e dice che gli dispiace? Mi sembra di sentire le mie figlie! Ma loro hanno quindici anni!».
Harry sbuffò. «Danielson, chi ti ha detto di seguirmi?».
«Non vorrà lasciar correre?» ribatté l’Auror.
«Perché?» chiese Harry fissando dritto negli occhi Maxi e ignorando Danielson.
«Gregory è stato colpito da una maledizione. Sanguinava copiosamente e non riuscivo in alcuno modo a rimarginare la ferita. Quando ho spezzato la barriera per materializzarmi con lui, ero consapevole di quello che stavo facendo. Ma preferisco essere messo sotto processo che vedere morire quello che per me è un fratello sotto i miei occhi. I suoi figli hanno già perso la madre, non avrei potuto neanche guardarli negli occhi se non avessi fatto il possibile per salvarlo».
«Come sta?» chiese Adrian incerto.
«Non lo so. L’ho lasciato alle cure dei medimaghi e sono tornato qui».
«Ci sono delle regole…» iniziò Danielson.
«Basta così» disse Harry gelido. «Maxi, va’ pure da Gregory e dai tuoi figliocci. Di questa storia, però, dovremmo riparlarne».
Maxi annuì e si congedò.
Harry si avvicinò a Dora Morgan, una dei quattro sotto vice Capitani e le sussurrò: «Te la senti di andare a parlare tu con la famiglia di Evelyn Baker?».
La donna sospirò e annuì. Aveva gli occhi arrossati. «L’ho vista crescere in Accademia. Mi sento in dovere di farlo. Potresti mandare Rick a casa, però, se non hai bisogno di lui? Abbiamo dovuto svegliare Zac prima di uscire ed era preoccupatissimo. Non voglio che i ragazzi stiano troppo da soli».
«Certo» assentì Harry. In effetti avrebbe dovuto mandare un patronus a Ginny. Hermione sarebbe stata lì in brevissimo tempo. In fondo non potevano tener lontana la Ministra della Magia. Per questo non invidiava Ron, almeno lui poteva tenere Ginny al sicuro il più possibile.
Individuò due occhi scuri che guardavano fissi davanti a sé senza davvero vedere. Occhi vuoti di chi ha perso sé stesso. Non poteva permetterlo, se l’era ripromesso. Si avvicinò al giovane e gli mise una mano sulle spalle. Quello alzò gli occhi e lo guardò come da molto lontano. «È stata una nottata lunga, va’ a riposare. I prossimi giorni saranno un inferno».
Il ragazzo annuì, ma non si mosse. Harry non lo perse d’occhio neanche un secondo, persino mentre Adrian gli mostrava l’elenco dei prigionieri evasi, continuò a fissarlo. Dopo un po’ si smaterializzò. In quel momento avrebbe pagato per essere un legilimens naturale. Ma non lo era. Solo il tempo avrebbe detto se aveva fatto la scelta giusta.

Angolo autrice:

Ciao a tutti!
Sono tornata! Sono felicissima di pubblicare questa nuova storia :-D E spero che vi piacerà. In questo capitolo non appaiono ancora i ragazzi della Nuova Generazione, ma tranquilli già nel prossimo cominceranno a prendersi lo spazio che spetta ai protagonisti ;-) Come vedete la Selwyn sta procedendo quasi indisturbata con i suoi piani, stavolta ha attaccato persino Azkaban!
La maggior parte dei personaggi di questo capitolo sono marginali, con esclusione, naturalmente, di Harry e Ron. Manuel credo proprio che lo rincontreremo più avanti, ma ripeto non avrà un ruolo importante. Al contrario il ragazzo ‘misterioso’ di cui non ho fatto nome alla fine, per quanto la sua apparizione sarà fugace, avrà un ruolo importante.
Fatemi sapere che cosa ne pensate. Le critiche se costruttive, sono sempre ben accette ;-)
Vi auguro una buona serata,
Carme93

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Capitolo 2
*** Sacrifici ***


Disclaimer: i personaggi di questa storia appartengono a J.K. Rowling, come anche tutto il fantastico mondo di Harry Potter. Questa storia non ha scopo di lucro.
 
Capitolo II
Sacrifici
 
È stata una nottata lunga, va’ a riposare. I prossimi giorni saranno un inferno.
Era dalla notte precedente che quelle parole gli rimbombavano in testa. Non riusciva a dimenticarle. Non dormiva da quella maledetta notte. Quando era rientrato alle tre, aveva trovato i suoi genitori ad attenderlo. Non perché fossero preoccupati per lui. Oh, no. Assolutamente no. Aspettavano di sapere quanti dei loro amici erano riusciti a scappare da Azkaban. Aveva borbottato qualcosa sul fatto che ci erano riusciti e che due Auror avevano perso la vita. Prima di chiudersi alle spalle la porta della sua stanza, aveva sentito le loro urla di giubilo e lo stappo di alcune bottiglie. Non era più uscito dalla sua camera e aveva scacciato in malo modo gli elfi domestici che avevano tentato di portargli da mangiare e verificare come stesse. I suoi genitori erano stati troppo occupati per farlo di persona, probabilmente avevano già preso parte a qualche simpatica rimpatriata.
Quella notte aveva capito di non poter continuare a fare il doppiogioco. Erano mesi che pensava che i suoi compagni avessero capito che la spia era lui: lo trattavano freddamente e con distacco. Il Capitano, però, non aveva proferito una sola parola. Era dalla festa di Natale che aspettava con terrore di essere convocato nel suo ufficio, ma non era accaduto. E la sera precedente si era premurato di mandarlo a casa a riposare, probabilmente non era riuscito a nascondere il suo turbamento. Non che ci avesse provato, gli mancavano le forze. Il Capitano credeva nella sua innocenza? Il nodo allo stomaco si strinse ancor di più: come poteva vivere con un simile peso sulla coscienza? Soprattutto con la consapevolezza che quella notte sarebbe dovuto morire e per mano di uno degli amici di suo padre. Invece Gregory Carter l’aveva spinto di lato, beccandosi la sua maledizione. In quel momento ogni sua certezza era andata a farsi strabenedire. Suo padre non aveva fatto altro che ripetergli che considerati i suoi natali e l’attuale situazione l’avrebbero allontanato molto presto. Non l’aveva fatto nessuno, probabilmente per ordine del Capitano; ma salvargli la vita era tutta un’altra cosa. Se gli amici di suo padre avessero solo sospettato che li stava tradendo, non avrebbero esitato un attimo a eliminarlo. In questo caso, però, non correvano alcun rischio: l’avevano costretto a stringere il Voto Infrangibile e se avesse pronunciato una sola parola di troppo, sarebbe morto all’instante.
Si prese la testa tra le mani. Si sentiva perso e impotente come non mai. L’unica volta in cui era riuscito a imporsi sul padre era stata quando si era inscritto all’Accademia Auror, ma solo perché l’aveva fatto di nascosto e se l’avesse costretto ad abbandonare sarebbe potuto scoppiare uno scandalo. I Purosangue e le loro idee non erano ben visti dopo la sconfitta di Colui-Che-Non-Doveva-Essere-Nominato. Suo padre l’aveva odiato in quel momento, ma si era arreso. L’avvento di Bellatrix Selwyn gli aveva dato l’occasione di sfruttare la scelta del figlio. E così aveva rovinato l’unica cosa che si era costruito con le sue mani e grazie alla quale si sentiva finalmente libero dal giogo famigliare.
Ma i suoi compagni e i suoi superiori erano stati una famiglia per lui molto di più di quella vera. E lui li stava tradendo. Le indagini degli Auror era ferme perché mancavano le prove per colpire coloro che facevano parte del Consiglio dei Purosangue dietro al quale ormai si nascondeva la Selwyn.
Non era mai stato felice. Mai. Anche quando era a Scuola i suoi avevano trovato il modo di manipolare le sue amicizie. Nel momento in cui aveva tentato di svicolarsi da Antonin Dolohov, comprendendo che era una pessima compagnia, per avvicinarsi a Teddy Lupin, con cui alla fine in Accademia era riuscito a stringere una sincera amicizia, l’avevano costretto a ritornare su suoi passi. Era stato un fifone per ventitré anni, ma adesso doveva tirare fuori il coraggio.
Se lui non era destinato a essere felice, lo sarebbero stati gli altri. Lo sarebbe stata sua sorella.
Come in preda a una strana frenesia cercò nei cassetti una fialetta di vetro per le pozioni. Dopo aver preso fiato, si puntò la bacchetta alla tempia e ne estrasse dei lunghi fili argentati, che poi depositò nella fiala. Un giorno, quando avrebbe avuto l’età giusta, anche sua sorella avrebbe compreso la sua scelta.
Impiegò più tempo di quanto avrebbe voluto nello scrivere due lettere. Non mancava molto all’alba e lui doveva uscire da quella casa molto prima. Non aveva mai imparato a mentire a suo padre. Per quanto ci avesse provato, il solo suo sguardo riusciva a mandarlo in confusione e terrorizzarlo.
Il maniero era terribilmente tetro e silenzioso a quell’ora. Fortunatamente ne conosceva i corridoi a memoria, cossicchè non impiegò che qualche minuto a raggiungere la camera della sorella. Vi entrò senza fare il minimo rumore. Vedendola rannicchiata sotto un lenzuolo leggero, gli si strinse il cuore. Voleva realmente caricarla di un peso simile? Aveva a malapena dodici anni. Scacciò quei pensieri e la scosse. Sarebbe stata meglio, lo faceva anche per lei. Soprattutto per lei.
«Eddie?» mormorò la ragazzina assonnata.
«Sarah, svegliati. Devo parlarti di una cosa importante» disse il ragazzo scuotendola di nuovo. Alla fine Sarah si sedette sul letto e lo fissò spaventata.
«Che succede?».
«Devo andare».
«Hai una ronda notturna?» chiese poco convinta.
«Non proprio. Ma devo fare una cosa per gli Auror, in effetti. Ho poco tempo, però. Ascoltami bene». Attese che la sorellina annuisse e continuò: «Prendi questa busta. Non farla assolutamente vedere ai nostri genitori. Appena loro usciranno domani mattina, vai al Ministero. Devi consegnare la busta al Capitano Potter e a nessun altro. Al Capitano in persona, capito?».
Sarah era confusa. «No. Perché devo farlo io? Tu dove vai?».
Il fatto che fosse una Corvonero e nient’affatto stupida non rendeva per nulla facile realizzare il suo piano. «Te l’ho detto. Devo fare una cosa. Una cosa fondamentale. Tu fai come ti ho detto o la mia missione sarà vana. Capisci?».
«Sì, ma se nostra madre o…».
«Non devi dire nulla. Tanto lo sappiamo entrambi: non verranno a chiedere nulla a te, non verranno a dirti che stanno uscendo. I nostri non sono mai stati quel tipo di genitori. Vuoi bene a zio Laurence, vero?».
«Non lo so… Non lo vediamo mai… Nostro padre lo odia, non lo sai? Non ti aveva proibito di parlarci?».
«Sì, ma zio Laurence è un Auror più anziano di me e quindi devo rispondere anche ai suoi ordini. Non ha più importanza quello che i nostri genitori ci hanno detto, è chiaro?».
Sarah lo fissò terrorizzata, ma annuì. «Mi stai dicendo di andare dallo zio dopo?».
«Sì, ma probabilmente lo troverai già al Quartier Generale o comunque il Capitano Potter lo farà chiamare. Hai capito tutto ciò che ti ho detto?».
«Sì, ma tu quando torni?».
Eddie non rispose, l’abbracciò stretta e sussurrò: «Ti voglio bene. Te ne vorrò sempre».
*
Dorcas sbadigliò e si sedette al tavolo della cucina. La casa era molto silenziosa. Gettò un’occhiata all’orologio che segnava sì e no le dieci. I suoi fratelli ancora dormivano: ecco perché c’era silenzio. La madre aveva lasciato la tavola apparecchiata per la colazione in modo da non dover accorrere quando si fossero decisi ad alzarsi dal letto. Si riempì la tazza di latte e vi bagnò i biscotti. Scorse rapidamente le lettere arrivate quella mattina e prese l’unica indirizzata a lei. Fece una smorfia: era delle gemelle Danielson, sue compagne di Casa e di classe. La solita festa di compleanno in cui sbandieravano ai quattro venti la loro ricchezza e il lavoro prestigioso dei loro genitori. La sua attenzione ritornò quasi subito ai biscotti al cioccolato. La invitavano solo perché erano compagne di Dormitorio, in caso contrario l’avrebbero esclusa come facevano con molti altri.
«Buongiorno, tesoro».
«Nonna! Mi hai fatto saltare!» borbottò.
«Esagerata».
Dorcas evitò di commentare e la fissò mentre scorreva le lettere, come aveva fatto lei poco prima.
«Sono tutte per papà» l’avvertì, mentre beveva un altro sorso di latte. La donna, però, non la stava ascoltando e fissava con attenzione una delle buste. La intascò.
Dorcas strabuzzò gli occhi chiedendosi se stesse ancora dormendo. Era sicurissima che tutte le lettere fossero indirizzate al padre. Si pizzicò, ma era sveglia. Completamente.
«Nonna, ma quella è di papà!».
Joanne Fenwick si mordicchiò il labbro nervosamente. «Tesoro mio, vuoi che io e tuo padre litighiamo?».
«Certo che no. Ma la lettera è sua! Non gliela puoi prendere di nascosto!».
«Ti assicuro che c’è un buon motivo. Ti devi fidare. Al momento giusto, parlerò con Gabriel».
«Che cosa gli stai nascondendo?» insistette Dorcas.
«Abbi pazienza, tesoro… A te chi ti ha scritto?».
Dorcas fissò l’invito delle gemelle che indicava la nonna e scrollò le spalle: «Le gemelle Danielson mi hanno invitato alla loro festa di compleanno».
«È una bella notizia no?».
Va bene che voleva cambiare argomento, ma seriamente che cosa c’era di bello? «Tanto mamma e papà non mi daranno il permesso. Dai nonna, lo sai come la pensa papà. E poi lui non sopporta il suo collega Erik Danielson. In più sta facendo gli straordinari e ha i nervi a fior di pelle. Non è proprio saggio discutere con lui».
«No, eh?» commentò la nonna, ma per un attimo a Dorcas sembrò che stesse pensando più alla sua situazione che alla festa. Chissà che cosa stava nascondendo a suo figlio. Erano sempre andati abbastanza d’accordo. «Posso provare io a parlargli. Sono sicura di poterlo convincere!».
«Non credo che sia una buona idea, nonna. Comunque grazie» borbottò Dorcas. Insomma stava nascondendo qualcosa di grosso a suo padre e voleva aiutare lei? Non molto saggio e lei era un’ex-Corvonero.
*
«Non così in fretta, ragazzina. Dove credi di andare?».
Sarah si era illusa di poter insinuarsi all’interno del Quartier del Generale degli Auror senza essere vista, ma decisamente era stata troppo ingenua. Non aveva neanche mosso un passo all’interno che l’avevano fermata. Sollevò gli occhi sull’uomo che l’aveva apostrofata e per un attimo rimase immobile incapace di proferir parola.
«Ti sei persa?» insistette l’Auror.
«No. I-io h-ho bisogno di parlare con il Capitano Potter» mormorò timorosa.
«Il Capitano è occupato. Che cosa vuoi da lui?».
Sarah lo fissò. Ricordava perfettamente le istruzioni di suo fratello. «No, grazie signore. Devo parlare con il Capitano. Devo consegnargli una lettera».
«Gliela consegnerò io» ribatté l’uomo inflessibile. Sul suo volto non scorgeva alcun sentimento.
«Devo consegnarla a lui personalmente» ripeté.
«Chi ti manda?».
La ragazzina rifletté e decise di dire la verità: suo fratello non le aveva detto di tener segreto il suo nome. «Mio fratello. Edward Burke».
Finalmente l’Auror ebbe una reazione, si spostò verso uno dei cunicoli e chiamò qualcuno. Pochi secondi dopo un uomo alto, che dimostrava più di cinquanta anni, si palesò e scrutò Sarah, che deglutì a vuoto un paio di volte.
«Hai una lettera per il Capitano da Edward?».
«Sì, signore» mormorò.
«Vieni» disse dopo aver riflettuto. Sarah obbedì. «Signora Matthews, ho bisogno di vedere il Capitano» annunciò l’Auror a una signora china su una pila di pergamene.
«Un attimo solo, signor Lewis». La donna bussò alla porta dell’ufficio, l’unico che non si trovava in un cunicolo, fece capolino all’interno con la testa e solo dopo disse: «Vi aspetta».
Lewis fece un cenno di ringraziamento con la testa.
«Harry».
«Rick, che succede? Novità?» chiese Harry Potter, seduto a una scrivania ingombra di carte. La stanza era piccola e spoglia. In realtà Sarah si aspettava un ambiente più sfarzoso.
Sarah non l’aveva mai visto così da vicino: era normale, una persona normale. Quando questi le sorrise, si accorse che lo stava fissando con la bocca aperta. La richiuse e abbassò lo sguardo imbarazzata.
«Allora signorina, che cosa devi consegnarmi?» le chiese gentilmente.
«Mio fratello ha detto di darla solo a lei» mormorò tirando fuori la lettera da sotto la felpa. Solo a mattina inoltrata la madre era uscita e lei era riuscita a sgattaiolare via.
Harry prese la busta sorpreso e l’aprì. Il messaggio non era molto lungo, ma la pergamena era macchiata di inchiostro come se chi l’aveva scritta non fosse riuscito a trattenere le lacrime.
 
Maniero dei Burke
Wiltshire
Caro Capitano Potter,
è molto difficile per me rivelarle quanto segue, ma non posso più stare a guardare. Sono io la spia. Mi dispiace, per quello che può valere a questo punto. Non potevo fare altrimenti: mio padre mi ha costretto a stringere un Voto Infrangibile con lui. Mi sono stancato di essere la sua marionetta, per questo motivo le consegno i miei ricordi. Sono sicuro che ne fare l’uso migliore.
Ho tradito la fiducia dei miei compagni e la sua, ma le assicuro che non sono un ingrato. Non ho il diritto di chiedere nulla, ma mi appello al suo senso di giustizia e le chiedo di proteggere mia sorella Sarah dalla valanga che inevitabilmente colpirà la mia famiglia. È solo una bambina.
La seconda lettera nella busta è per mio zio Laurence, la prego di consegnargliela.
Grazie. Di tutto.
Edward Burke
 
Harry si tolse gli occhiali e si mise le mani in faccia. Quella era una lettera d’addio. Aveva miseramente fallito.
«Harry?» lo chiamò preoccupato Rick.
«Manda un gruppo di ragazzi a cercare Edward» sussurrò. «Dopo torna qui insieme a Ron, Adrian, Dora, Gabriel e Laurence Burke… ah, forse è meglio che avverti anche la Ministra».
«Perché dovete cercare mio fratello?» mormorò Sarah, mentre l’Auror si affrettava a obbedire all’ordine.
Harry la fissò dritta negli occhi, ma comprese di non essere in grado di farlo a lungo. Distolse lo sguardo e rispose: «È in pericolo». Era una bugia. Sicuramente era troppo tardi.
«Harry!? Che diavolo succede?» sbottò Ron fiondandosi nell’ufficio. Il Capitano non rispose, ma evocò delle sedie. Furono immediatamente occupate dagli Auror convocati. Il più confuso era sicuramente Laurence Burke: «Sarah? Che fai qui?».
La ragazzina lo fissò incerta e poi sussurrò: «Eddie, ha detto che posso stare un po’ con te. Non mi ha detto dove è andato però».
L’Auror incrociò lo sguardo grave di Harry e impallidì. «Certo che puoi stare con me. Perché non dai un’occhiata al mio cunicolo?».
«Posso vedere quello di Eddie?».
«Certo che puoi, Sarah» intervenne Harry. «Laurence, dì alla signora Matthews di farle fare un giro di tutto il Quartier Generale e di farle compagnia».
In attesa del ritorno di Laurence tirò fuori la fiala con i ricordi dalla busta e se la passò nervosamente da una mano all’altra. I suoi uomini lo fissavano tesi e curiosi. Infine, sedutosi Laurence e lanciati alcuni incantesimi sulla porta in modo che nessuno potesse sentire nulla, iniziò: «Laurence, questa lettera è per te. Da parte di Edward. Questa, invece, l’ha mandata a me». La breve missiva passò dalle mani di tutti. Diede loro il tempo di metabolizzare e poi riprese: «I ricordi sono questi» mormorò mostrando la fiala. «Che facciamo? Non conosciamo il giuramento nei minimi dettagli, ma sono convinto che solo quando noi vedremo i ricordi si spezzerà».
Tutti si voltarono verso Laurence Burke, che si era alzato all’improvviso come incapace di star fermo. Quella fiala conteneva risposte a molte loro domande. In caso contrario Edward non gliel’avrebbe inviata.
«No! Non mi chiedete questo. Non so se è ancora vivo o…» deglutì vistosamente. Era fuori di sé. «Capitano…» cominciò quasi volesse pregarlo.
«Vai a casa Laurence. Porta Sarah con te. Appena sapremo qualcosa, te lo faremo sapere».
«Che intenzioni hai, Harry?» chiese Gabriel non appena il collega fu uscito.
«Aspettiamo. O qualcuno di voi ha il coraggio di condannare un ragazzo? Forse possiamo ancora salvarlo da sé stesso».
«Ma potrebbero esserci delle informazioni fondamentali!» obiettò Ron.
«Prego, fai tu» disse Harry porgendogli la fiala senza smettere di fissarlo dritto negli occhi. Ron distolse lo sguardo e non la prese.
*
«Brian?» biascicò Gregory Carter con la voce impastata.
«Papà!» strillò il ragazzino. Brian vedendolo sveglio e vigile si sentì scivolare di dosso un peso enorme, che non si era accorto nemmeno di avere. Maxi, il suo padrino, lo riprese: «Non urlare».
«Mi scoppia la testa, in effetti» borbottò Gregory. «Maxi, io… cos’è successo?».
Brian lo fissò spaventato: non ricordava? Ma l’aveva riconosciuto! E la maledizione non l’aveva colpito alla testa ma all’addome. Com’era possibile? La medimaga non aveva detto che sarebbe potuto accadere. Maxi, però, non sembrava turbato. «Avevi una promessa da mantenere» rispose laconico, accennando a Brian, che ricambiò il suo sguardo senza sapere di che stesse parlando. «Ti ho dato una mano. C’è mancato poco che venissi meno alla parola data. Per un Grifondoro sarebbe stata una tragedia, no?».
Brian vide il padre chiudere gli occhi. Aveva un’espressione amara, ma quando tentò di muoversi mugugnò dal dolore. «Ma che?» farfugliò tastandosi l’addome fasciato.
«Una nuova invenzione dei nostri cari amici. È una maledizione che crea una ferita che non può essere curata con la magia. Almeno i medimaghi non hanno trovato ancora nulla. L’unica cosa che sembra funzionare è il metodo babbano. Per fortuna negli ultimi tempi i nostri medimaghi si sono interessati alla medicina babbana» spiegò Maxi, mentre Brian, rimasto fino a quel momento ai piedi del letto, si avvicinò al padre.
«Vuoi acqua?» mormorò incerto.
«Aspetta che lo aiuto a sollevarsi» disse Maxi, Brian gli fece spazio e lo osservò con attenzione. Gregory mugugnò ancora. «Non ti lamentare» disse Maxi alzando gli occhi al cielo. «Che razza di Auror sei?».
«Che cosa mi hanno fatto?» ribatté l’altro indicando la fasciatura.
«Ti hanno messo parecchi punti», ma di fronte al suo sguardo interrogativo, spiegò: «Ti hanno ricucinato con ago e filo».
«Che cosa?» sbraitò. Brian sobbalzò e gli versò l’acqua addosso. «I Babbani sono matti?».
«Scusa» mormorò Brian terrorizzato fissando la fasciatura bagnarsi.
«Se non hanno la magia, si arrangiano in altro modo, no?» rispose Maxi sbuffando. La discussione fu interrotta da delle grida provenienti dal piano di sotto. «Devo andare. Tua figlia è super viziata. Se ti mette i piedi in testa a sei anni, non voglio sapere che cosa farà a quattordici» borbottò. «E mi raccomando», aggiunse prima di aprire la porta, «Brian deve cambiarti la fasciatura. Non fare i capricci».
Gregory sbuffò: «Non sono un bambino».
Brian dondolava e lo fissava. La sua espressione doveva riflettere il suo stato d’animo, perché il padre lo tirò in un abbraccio. Poggiò la testa sulla sua spalla e scoppiò in lacrime. Eppure credeva di essersi già sfogato a sufficienza, mentre il padre era ancora incosciente e Maxi era impegnato con la sua sorellina.
«Scusa, scusa» mormorò non riuscendo a trattenersi.
«Va tutto bene, Brian. Scusami tu…» biascicò debolmente Gregory.
Brian si costrinse a staccarsi da lui e contenere le lacrime, ma non era bravo per nulla. Si passò una mano sugli occhi e si interessò alle bende bagnate e lievemente sporche di sangue. Si morse la guancia interna e si mise a lavoro. La ferita era arrossata e non era bella da vedere, ma i punti non erano saltati fortunatamente. La disinfettò come gli aveva spiegato la medimaga e la rifasciò il più delicatamente possibile. Per tutto il tempo non proferì parola, quando finalmente alzò gli occhi del padre vide una smorfia sofferente su sul viso. «Ti ho fatto male?» chiese spaventato.
«No. Sei stato bravo» mormorò in risposta. «Potresti diventare un medimago» aggiunse provando a sorridere.
«No» ribatté turbato il ragazzino. L’ultima cosa che voleva era aver ancora a che fare con una persona ferita.
«Perché no? Te la caveresti bene con la testa che hai».
«Ho portato la cena!» annunciò Maxi entrando all’improvviso nella stanza. «Ho interrotto qualcosa?» chiese poi squadrandoli.
«Vado di là» replicò immediatamente Brian filandosela.
«Tra poco ceniamo anche noi» gli gridò dietro Maxi, ma neanche lo ascoltò. Dopo essersi chiuso alle spalle la porta della stanza, tirò un sospirò di sollievo. Come glielo spiegava a suo padre che non dormiva da più di ventiquattro ore? Aveva chiuso gli occhi per pochissimo e solo perché era stato sopraffatto dal sonno, ma si era svegliato in uno stato d’angoscia quasi peggiore di quello con cui si era addormentato. Maxi aveva portato il padre ferito a casa e lì aveva fatto andare una medimaga, per nulla contenta. Gliene era grato, vederlo con i suoi occhi non era la stessa cosa che pensarlo al San Mungo. Ciò non toglieva che fosse tutto troppo difficile. Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva il sangue sulla divisa del padre. Disobbedendo a Maxi e di fronte a una medimaga basita, aveva preteso di sapere come prendersi cura di lui. Ma non l’avrebbe fatto per nessun altro. Non era egoismo. Semplicemente non avrebbe retto il peso di essere responsabile delle vite altrui. E poi non si sentiva veramente all’altezza. Era contento, però, che suo padre fosse orgoglioso dei suoi risultati scolastici. Soprattutto dopo la pessima esperienza alla scuola babbana. Recuperò il cuscino e si buttò sul letto stringendolo al petto. Appoggiò la testa al muro e osservò il cielo terso fuori dalla finestra. Mancavano ancora delle ore al tramonto, ma la sola idea lo turbò: la notte rendeva più vivide le sue paure. Nascose la testa nel cuscino. Rimase in quella posizione per un bel po’ e ignorò il richiamo di Maxi nella vana speranza che non lo costringesse a scendere al piano di sotto, ma lo conosceva abbastanza ormai da non sorprendersi quando irruppe nella sua stanza.
«Brian! Ti ho già detto che quando ti chiamo, voglio che mi rispondi!» lo rimproverò. Il ragazzino strinse più forte il cuscino, ma non alzò gli occhi su di lui. Lo sentì sospirare: «Avanti, scendi. La cena è pronta».
«Non ho fame» tentò debolmente.
«Come ti ho detto ieri sera, non mi interessa. Ti voglio di sotto. Immediatamente».
Brian non reagì subito, ma percepì nuove lacrime scendergli sulle guance. Non poteva lasciarlo in pace? Per un attimo pensò di pregarlo, poi si ricordò la sgridata che si era beccato la sera prima per lo stesso motivo. Maxi poi si era scusato per aver alzato la voce, in fondo l’aveva fatto principalmente perché anche lui era stanco e molto nervoso. Non aveva intenzione però di provocarlo di nuovo. Quando poco dopo scese in cucina trovò sia il suo padrino e sia sua sorella Sophie già seduti a tavola.
«La signora Scott ha preparato il pollo al forno con la patate. Ha detto che è il tuo piatto preferito» lo accolse Maxi.
Brian annuì e tentò di sorridere. In effetti quel piatto era una gradevole sorpresa. «Grazie» mormorò. Mangiò silenziosamente, tentando di ignorare le punzecchiature della sorellina che voleva attirare la sua attenzione. La comprendeva in fondo, per anni erano sempre stati insieme poi improvvisamente lui era partito per Hogwarts ed era sparito per mesi e ora non le stava dedicando tante attenzioni; ma proprio non ne aveva voglia. Fortunatamente Maxi intervenne distraendola. Alla fine della cena fece per sparecchiare, ma Maxi decise di usare la magia e gli fece cenno di lasciare perdere. Non aveva alcuna intenzione di andare a letto, così recuperò il manuale di Incantesimi e si mise a studiare, lasciando che il padrino si sorbisse da solo i soliti capricci della bambina che non voleva andare a letto.
«Ce l’hai fatta?» chiese quando l’uomo si gettò sul divano accanto a lui.
«Sì. Sophie è tutta vostro padre».
«Anche papà dorme?».
«Sì, ci metterà qualche giorno per recuperare le forze. Anche tu dovresti andare a letto però».
Brian lo fissò palesemente turbato. Non voleva comportarsi come una bambina piccola, ma neanche affrontare i suoi incubi.
«Che studi?».
«Sto ripetendo Incantesimi. La professoressa Shafiq ha detto che durante la prima lezione dell’anno ci farà fare una verifica su tutto il programma del primo anno. Drew pensava che lo abbia detto solo per spaventarci. Eleanor, la sorella di Margaret, però dice che secondo lei è vero».
Maxi si strinse nella spalle. «Conoscendo la mia collega ne è capacissima. Comunque non mi sembra che tu abbia testa per studiare in questi giorni».
«Non voglio pensare» ammise.
«Capisco. Però devi credermi, è tutto apposto».
«Sì, ma ho paura lo stesso di dormire».
L’uomo lo fissò con gravità per alcuni secondi. «Sei un ragazzino forte, ma se vuoi per stasera puoi prendere una Pozione Sonno Senza Sogni».
Brian lo fissò incredulo. «Sul serio?».
«Sì, ma solo per stasera. Con queste pozioni non si scherza, è chiaro?».
«Sì» disse Brian e lo abbracciò di slancio, cogliendolo di sorpresa. Era la prima volta che lo abbracciava.
Maxi sbuffò: «Quando stai male, lo devi dire. Quante volte bisogna dirtelo? Secondo te non mi sono accorto che hai trascorso la notte scorsa in bianco? I libri non sono sempre la soluzione».
«Grazie» sussurrò Brian e non si riferiva solo alla sua presenza, ma anche e soprattutto al fatto che aveva riportato suo padre a casa.
*
Harry era stanco, ma non perché non dormiva per bene dalla notte dell’evasione e nemmeno perché, naturalmente, tutta la comunità lo incolpava. No, era stanco di combattere. Aveva creduto che dopo tutto l’orrore e il dolore causati da Voldermort e dai suoi seguaci la gente si fosse stancata. Invece si era clamorosamente sbagliato. E non solo su quello. Sospirò.
«Siamo pronti» disse Gabriel prendendo posto in una delle sedie intorno alla scrivania.
«Prima di procedere, fatemi rapporto».
«Ci sono stati quindici morti. Tutti Babbani. Sono morti a causa dell’esplosione» lo informò Adrian. «Gli Obliaviatori, il Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti Magici e il Comitato Scuse ai Babbani sono al lavoro».
«Non so che se ne possano fare delle nostre scuse» borbottò amaro Harry.
«Non darai le dimissioni, vero?» chiese turbato Ron. Parte della comunità magica quel pomeriggio aveva chiesto a gran voce la testa di Harry Potter.
«No. E non perché mi interessi qualcosa mantenere questo posto, ma sappiamo tutti, che chi sta spingendo non vuole nessuno di voi al mio posto. Devo proteggere la mia famiglia, non lascerei mai questo compito nelle mani di un corrotto o di un incapace. Emmanuel Vance?».
«Non lo sappiamo ancora. Si è consegnato immediatamente, è questo va al suo favore, ma ha commesso un altro omicidio davanti ai tuoi occhi» mormorò Rick.
«Ha ucciso un Mangiamorte» sputò Ron con rabbia. «E ti ha salvato la vita probabilmente. Un buon magiavvocato potrà ancora aiutarlo».
«Forse» concesse Harry versando i ricordi di Edward Burke nel Pensatoio. «Fatto sta che Azkaban ha solo esacerbato il suo desiderio di vendetta. Spero che almeno per il figlio riuscirà a mettere da parte questi sentimenti. Siete pronti?». I cinque compagni annuirono. «Bene, perché ho l’impressione che non sarà piacevole».
Fu il primo a immegersi. Fu catapultato in una stanza, la cui unica fonte di illuminazione era un raggio di luna che penetrava da un’ampia finestra. Ron, Rick, Dora, Adrian e Gabriel apparvero uno alla volta alle sue spalle. E ora non restava che aspettare. I suoi occhi si abituarono rapidamente al buio. Si trovavano in un salotto dall’aspetto austero e antico. E non era vuoto come aveva ritenuto a primo acchito. Seduto su una poltrona vi era un ragazzino, che non dimostrava più di undici anni. I suoi vestiti erano fini ed eleganti. Era Edward. Harry lo riconobbe immediatamente. Era identico al bambino, che un imbronciato Teddy gli aveva indicato alla stazione di King Cross il primo giorno di vacanze natalizie. Le vesti erano leggere, conseguentemente doveva mancare poco al suo ingresso a Hogwarts. Il bambino sembrava in attesa di qualcosa o di qualcuno. La risposta ai loro interrogativi non tardo ad arrivare.
Phineas Burke fece il suo ingresso nel salone.
«Padre!». Edward saltò dalla poltrona così velocemente da far pensare che vi fosse una molla sul cuscino. Harry strinse i pugni, sentendo borbottare e sospirare anche i suoi colleghi. Adorava essere accolto da Jamie, Al e Lily quando rientrava a casa. Ed era sicuro che fosse lo stesso per loro. Burke, invece, fissò il figlio con freddezza. Edward non apparve sorpreso. Doveva essere abituato.
«Mi è arrivata la lettera di Hogwarts» annunciò con una punta d’orgoglio.
«Che cosa ti aspettavi? Sei un Burke! Non avrei mai messo al mondo un Magonò! E se disgraziatamente fosse accaduto, non sarebbe vissuto a mie spese» ribatté brusco.
Il ricordo cambiò e si ritrovarono alla stazione di King Cross. Harry ebbe un tuffo al cuore. Quel primo settembre del 2009, c’era anche lui lì. Aveva accompagnato Teddy, ma non aveva minimamente fatto caso ai Burke. Focalizzò la sua attenzione sul ragazzino che in quel momento aveva un’espressione angosciata.
«Edward» lo chiamò con voce dura il padre. Il ragazzino gli si accostò. Ogni emozione era sparita da sul volto. Aspetta che avrebbe mai insegnato l’Occlumanzia ai suoi figli pensò Harry, già era difficile capire cosa li passasse per la testa! Ma certo a Phineas Burke non interessava. «È ora. Mi raccomando, non frequentare la feccia, finisci a Serpeverde e non mettere in nessun modo in imbarazzo la nostra famiglia. È chiaro?».
«Sì, signore».
La scena si dissolse e si riformò. Questa volta erano a Hogwarts. Edward era ancora piccolo, ma sulla sua divisa scintillava un serpente argentato. Doveva essere trascorso qualche giorno dallo Smistamento. Si trovavano vicino alla serra numero uno. Con una smorfia si rese conto che i ragazzini che attendevano erano Tassorosso e Serpeverde. Non era sicuro di voler vedere, aveva la vaga impressione di conoscere già il finale. Edward era accanto a due coetanei: uno biondino e l’altro moro come lui.
«Antonin, non mi sembra il caso» mormorò Edward rivolgendosi al biondo. Sembrava spaventato. Quello doveva essere Antonin Dolohov. 
«Che cosa ti spaventa? I Tassorosso?» ribatté quello con arroganza.
«No, no figurati. Ma vi ricordo che il professor Paciock è il Direttore di Grifondoro… insomma vorrà solo la scusa per prendersela con noi, no?». Harry era sicurissimo che Neville non l’avrebbe mai fatto.
«È vero» mormorò l’altro ragazzo, guardando verso il castello temendo che l’insegnate apparisse da un momento all’altro.
«Abbiamo tempo» tagliò corto Dolohov muovendosi verso i Tassorosso che chiacchieravano tranquilli. Harry scorse all’istante la chioma colorata del figlioccio. «Ehi sfigati!» li apostrofò il Serpeverde attirando l’attenzione su di sé.
«Sfigati sarete voi» ribatté una ragazzina, palesemente infastidita.
«Silenzio, mezzosangue» sibilò Dolohov.
«Come osi?!» strillò la ragazzina, che per buona misura, nonostante fosse più piccola rispetto a lui, lo spintonò.
«Ferma!» intervenne Teddy. «Stai facendo il loro gioco. Ignoralo».
«Ma cosa gli hai insegnato?» borbottò Ron.
«Sono i geni di Remus, non ho alcuna responsabilità. E dovresti sapere che Andromeda… beh la conosci…».
«Ma loro ci vogliono mettere i piedi in testa!» s’intromise un’altra ragazzina.
«Dai, Charlie!» disse un altro ragazzino tirandola indietro.
«Il prof» sussurrò un’altra Tassorosso.
I Serpeverde si voltarono verso Neville che stava sopraggiungendo.
«Teddy, Enan mollate la vostra compagna. Che sta succedendo qui?».
Charlie fissò in cagnesco Dolohov, che con arroganza scrollò le spalle, ma proprio mentre Neville apriva la bocca per rimproverarlo intervenne Edward: «Nulla di importante, signore». Gettò un’occhiata ai Tassorosso, ma loro non sembravano della stessa opinione.
«Mi hanno chiamata mezzosangue!».
Harry seguì con poco interesse il battibecco che ne seguì. A suo tempo un Teddy irritato gli aveva raccontato ogni cosa. Conservava ancora la lettera.
«Non capisco chi vi credete di essere!» sbottò a un certo punto Teddy con in capelli tra il nero e il rosso. Mai un buon segno per chi lo conosceva abbastanza. E Neville lo sapeva. «Mia nonna è una Black. Io sono l’ultimo erede dei Black. Non ho nulla di meno di voi! Lo dite solo perché non sapete su cosa attaccarci».
Conosceva anche questo sia perché Teddy turbato gliel’aveva raccontato sia perché Neville gli aveva scritto esortandolo a raccontare ogni cosa a Teddy sulla famiglia della nonna. Non era più un bambino piccolo le cui domande potevano essere eluse facilmente. Ciò che non capiva è perché Edward avesse inserito anche quel ricordo. Che importanza aveva? La risposta la trovò poco dopo: l’espressione confusa del ragazzino a seguito della ramanzina di Neville.
«Ma che?» chiese Ron, mentre la scena si dissolveva di nuovo.
«Per la prima volta Edward ha avuto dubbi sugli insegnamenti paterni» rispose semplicemente.
Il ricordo si stabilizzò e si ritrovarono nell’aula di Incantesimi. Edward era più grande, dimostrava tredici-quattordici anni. Sembrava nel panico. Un pergamena con quelle che sembravano le risposte della verifica gli fu passata da dietro. Quando sorpreso si voltò trovò Teddy chino sul suo foglio e concentrato.
La scena cambiò e mostrò il ragazzino intento a spiare Teddy e i suoi amici. Questa volta erano presenti anche Corvonero e Grifondoro. Sembrava volersi avvicinare, ma alla fine non trovò il coraggio. Scribacchiò un grazie su un pezzo di pergamena e lo lanciò in testa al Metamorphomagus. Edward fuggì. La scena cambiò di nuovo. Questa volta erano di nuovo al maniero dei Burke.
«Rispondimi! È vero?» gridò Phineas Burke.
«No, padre. No» ma la sua voce tremò. Era più grande. Doveva avere quasi quindici anni.
«Bugiardo! Ti avevo avvertito che non l’avresti passata liscia se non l’avessi smessa di frequentare Lupin e i suoi amici. Feccia! Come hai potuto?! Crucio!».
Il ricordo lasciò spazio al successivo: erano di nuovo a Scuola.
«Burke, allora che pensi di fare dopo i M.A.G.O.?». Candida Macklin, all’epoca professoressa di Trasfigurazione e Direttrice di Serpeverde, fissava l’allievo con la consueta serietà.
Edward teneva gli occhi fissi sulle mani che teneva strette in grembo. «Entrerò al Ministero» mormorò con voce atona.
«Sai già in quale Dipartimento?».
«Applicazione della Legge sulla Magia».
«È quello che vuoi veramente?».
«Non lo so. Si credo di sì».
La scena cambiò. Edward era ormai grande, doveva avere almeno diciotto anni. Il suo volto era più serio e cupo. Bussò alla porta di un ufficio ed entrò. Era di nuovo quello della Macklin.
«Signor Burke, non mi aspettavo di vederla. Non dovrebbe essere nel parco con i suoi amici a festeggiare la fine della Scuola e il diploma?».
«Non ho amici» rispose lapidario. La donna assunse un’espressione contrita. «Professoressa, come si fa a diventare Auror?».
La scena si riformò.
«Un Auror! Un Auror! Come hai osato mischiarti a quella feccia? Come? Sei una delusione! Crucio!» urlò Phineas Burke.
Harry non fu l’unico a distogliere lo sguardo. Fortunatamente il ricordo fu breve.
Quello successivo, lo riconobbe immediatamente: era presente anche lui. Era molto emozionato quel giorno: Teddy nella sua divisa scarlatta aveva pronunciato il giuramento al Ministero della Magia. Remus e Dora ne sarebbero stati orgogliosissimi. Quella volta erano presenti i coniugi Burke. Solo per mantenere le apparenze, naturalmente.
La scena si dissolse e si riformò. In principio non riconobbero il posto.
«Non siamo in Inghilterra» mormorò Gabriel.
«Siamo in Germania. E scommetto che quello è il castello di Bellatrix Selwyn» replicò Rick.
«E lì ci sono Edward e suo padre. Ci siamo» disse Harry indicando due figure che avanzavano al buio verso l’ampio cancello. Li seguirono dentro il castello. I due Burke furono introdotti in una sala già affollata.
«Questo sì che è interessante» disse Rick.
Harry annuì: Edward li aveva consegnato su un piatto d’argento le teste di noti membri del Ministero della Magia. I ricordi successivi li mostrarono alcune riunioni cui il ragazzo era stato costretto a partecipare. A un certo punto si ritrovarono sul Tower Bridge, su cui più di un anno prima si erano scontrati con i Neomangiamorte, guidati ancora una volta da Rabastan Lestrange.
«Imperius» pronunciò Edward. Gli occhi di Leonard Minchum si svuotarono e poco dopo sciolse l’incantesimo antismaterializzazione che Harry gli aveva ordinato di lanciare. Poco dopo, quando ormai avevano sconfitto i Neomangiamorte, Edward liberò il collega e gli modificò la memoria. Ed ecco come Minchum era finito a farsi due mesi di guardie ad Azkaban. Altre riunioni si susseguirono sotto i loro occhi. Scambiò un’occhiata con i colleghi: avevano un sacco di informazioni.
Quando tornarono al presente nel suo ufficio trovarono Hermione. Ron le si avvicinò subito e la baciò.
«Allora?».
«Firma un mandato d’arresto per Thomas Rosier, gli Olivander, Pansy e Richard Parkinson, gli Avery, i Burke, Lucius Malfoy e Denver Green. Ragazzi preparatevi. Stanotte saremo noi a farci quattro risate» annunciò Harry. Oh, sì si sarebbe tolto qualche bella soddisfazione. E l’avrebbe fatto anche per Edward.
 

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Capitolo 3
*** La famiglia non si sceglie ***


Capitolo terzo

La famiglia non si sceglie
 
Jack sfogliò il giornale per trovare la continuazione dell’articolo sugli arresti avvenuti durante la notte, ma anche le fughe. In prima pagina capeggiava la foto di un infuriato Harry Potter: alcuni pesci grossi gli erano sfuggiti ancora e nemmeno l’ovazione della comunità magica avrebbe potuto sollevargli l’umore. Per quanto lo riguardava il fatto stesso che fossero scappati a gambe levate e fossero costretti alla latitanza dopo aver vissuto a lungo nel lusso e nella bambagia, era un successo!
«Jack? Potresti aiutarmi con il futuro?».
Il ragazzo sollevò gli occhi: una figuretta minuscola era in piedi accanto al suo letto con un’espressione dolce e preoccupata al tempo stesso. Sorrise e le fece spazio. «Nyah, stai tranquilla! Stai migliorando a vista d’occhio!».
«Ho paura» mormorò la ragazzina, appoggiando il libro di grammatica sul letto.
«E di che cosa? Qui sei al sicuro! Te l’ho detto un milione di volte».
«Della Scuola. Prendono me in giro perché non parlo bene».
«Mi prenderanno» la corresse Jack con pacatezza. «Se lo faranno è solo perché sono stupidi e non comprendono quello che hai passato tu. Andrà bene. Gli insegnanti ti aiuteranno. Intanto ci esercitiamo insieme» disse risoluto.
Rimasero sdraiati sul letto uno accanto all’altro per almeno un’oretta. Jack non avrebbe mai immaginato che sarebbe finito a insegnare inglese a una ragazzina di undici e meno che mai che avrebbe mai accettato di trasferirsi in quella struttura di accoglienza per minori.
«Ragazzi». Aveva pensato di poter ignorare l’inserviente, entrata nel dormitorio, ma a quanto pare era lì per loro. «Miss Fleming vuole vedervi». Miss Fleming era la Direttrice della struttura e visto e considerato che neanche due giorni prima le aveva fatto venire una crisi di pianto, Jack non era sicuro che fosse una buona cosa essere convocati da lei.
«Non fare nulla» mormorò preoccupata Nyah.
«Coniuga i verbi» la riprese Jack alzandosi. «Non ti preoccupare. Vorrà parlarci di qualcosa». Era tranquillo: non aveva fatto nulla. Veder piangere la giovane psicomaga, che si era spaventata da morire non vedendolo tornare dalla sua passeggiata non autorizzata, l’aveva scosso. Il punto è che lui era abituato a fare ciò che voleva quando era a casa. E nessuno si era mai preoccupato. Per pura bontà aveva deciso di adeguarsi alle regole di quel posto. Dopotutto doveva starci solo fino all’inizio della Scuola. La ragazzina lo tallonava strettamente e forse solo la mancanza di confidenza le impediva di appiccicarsi a lui direttamente. Avrebbe dovuto parlarle: se faceva così per la Fleming, che era severa ma gentile, come si sarebbe comportata con la loro professoressa di Incantesimi, Elisabeth Shafiq? Scesero a piano terra dove si trovava l’ufficio della donna in pochi minuti. Seduta su un divanetto sedeva ostentatamente un’altra ragazzina africana. Zari Fadiga. Sia Zari sia Nyah avevano perso tutta la famiglia a causa dei Neomangiamorte e di un altro tizio Purosangue che credeva di poter spadroneggiare nella loro terra natia. Le due, però, non potevano essere più diverse. Zari era vissuta in una famiglia ricca e Purosangue, sfortunatamente per lei rivale di quella che comandava, per cui aveva avuto una buona educazione e conosceva quasi perfettamente sia l’inglese sia il francese. Nyah, la cui dolce perspicacia aveva immediatamente colpito Jack, era di origini molto povere.
«Dobbiamo aspettare qui» li avvertì Zari.
«Grazie» replicò Jack appoggiandosi al muro. Nyah rimase accanto a lui. Non le disse nulla, se non si era seduta aveva i suoi motivi. La Fleming non li fece attendere troppo a lungo.
«Bene, siete già qui!» li accolse con un sorriso dopo aver spalancato la porta. «Accomodatevi».
L’ufficio non era molto grande, ma essendo affollato sembrava ancora più piccolo. Con una smorfia riconobbe l’addetta del Ministero che l’aveva trascinato lì. Insieme a lei c’erano due coppie di mezz’età.
«Ragazzi, sono felice di comunicarvi che vi abbiamo trovato una famiglia» annunciò miss Fleming con un enorme sorriso in volto. L’unica che sembrò contenta fu Zari. Nyah cercò lo sguardo di Jack, il quale fece una smorfia. Stava bene lì e da lì a un anno avrebbe compiuto diciassette anni: non aveva bisogno di una nuova famiglia. La Direttrice non si scoraggiò di fronte alla loro reazione.
«I signori Finnigan prenderanno in affidamento Zari».
Jack osservò di malavoglia il Direttore della Gazzetta del Profeta presentarsi alla ragazzina insieme alla moglie. In fondo doveva ammettere che avevano scelto bene: la ragazzina era sempre stata abituata al meglio, i Finnigan erano abbastanza ricchi da poterle garantire una vita per lo meno simile a quella precedente. 
«Invece i signori Edwards», riprese miss Fleming, «sono qui per Nyah».
Jack si turbò a quelle parole. Per un attimo una parte di lui si era illusa che sarebbe andato insieme alla ragazzina. «Perché ci sta separando?» chiese ferito. Nyah stessa fissava lui e non aveva mosso un solo passo verso quelli che da quel momento in poi sarebbero stati i suoi genitori. «Noi vogliamo rimanere insieme» sottolineò. «A settembre andremo a Hogwarts, se non ci vogliono entrambi possiamo anche rimanere qui. Non daremo fastidio. Le giuro che d’ora in avanti rispetterò sempre le sue regole». Si maledì per il suo stramaledetto vizio di affezionarsi alle persone in poco tempo. L’avevano già allontanato dai Vance e quindi dal piccolo Samuel, facendo soffrire entrambi. Ora perché lo allontanavano anche da Nyah?
«Per noi non ci sono problemi» disse con tranquillità il signor Edwards. Jack non sapeva dove, ma aveva già sentito quel nome.
«Abbiamo scoperto chi è tua madre. Tu devi andare da lei» disse sbrigativamente l’addetta del Ministero. La Fleming le lanciò un’occhiataccia.
«Avrei preferito parlartene in privato» disse infastidita.
Il ragazzo era incredulo. Lo stavano prendendo in giro! Non c’era alcun dubbio! «State scherzando!» sbottò con voce rauca. Anche Nyah sobbalzò e gli mollò la mano, che aveva stretto in precedenza.
«No, Jack. Parliamone con calma, però. Saluta Nyah, prima».
«No! Io non voglio conoscere mia madre!». Era una bugia, ma questo non era importante. Non era pronto. Aveva atteso sedici anni, avrebbero potuto cercarla prima! Dov’era il Ministero quando suo padre spariva per giorni per fuggire dalla Squadra Speciale Magica e lui rimaneva a digiuno? Dov’era quando imparava a rubare per poter sopravvivere? Quando veniva trattato come un appestato dagli altri ragazzini di Diagon Alley e dai loro genitori? E quando tentava di sfuggire alla polizia babbana?
«Non hai scelta!» sbottò l’addetta.
«Ti prego, Jack, provaci. È la tua opportunità. Sei grande abbastanza per esprimere la tua opinione. Se non ti troverai bene, la proposta dei signori Edwards sarà ancora valida. Dico bene?» tentò, invece, conciliante miss Fleming.
Jack non voleva cedere facilmente, ma al cenno d’assenso dell’uomo si convinse di poter ancora scegliere. E soprattutto era curioso di vedere in faccia la donna che l’aveva abbondonato. «Come volete, tanto non mi interessa» disse mostrando indifferenza.
«Allora possiamo procedere. Ti accompagneremo io e la mia collega» gli comunicò la Fleming. «I vostri effetti personali sono già stati portati all’ingresso».
Si avviarono tutti insieme verso l’uscita.
«Voglio vedere Nyah comunque» disse con un tono autorevole.
La signora Edwards gli sorrise timidamente, il marito lo squadrò e infine annuì. «Miss Fleming ha il nostro indirizzo».
«Grazie» si forzò a dire Jack.
I saluti furono veloci. Sarebbe andata a trovarla e comunque tutti e tre si sarebbero rivisti a Hogwarts. E soprattutto Jack non sopportava quel genere di saluti. Trascinò il suo baule fuori e porse il braccio alla Fleming per una Materializzazione Congiunta. Pochi secondi dopo riapparvero davanti a un’immensa villa. Jack fissò le sue accompagnatrici a bocca aperta. Stavano scherzando? Non era possibile che sua madre abitasse in un posto simile e l’avesse abbandonato.
«Siamo arrivati» disse, invece, l’addetta del Ministero come a rispondere alla sua muta domanda. «Sei fortunato. Gli Spencer-Moon sono molto ricchi».
Il ragazzo la guardò in cagnesco, ma la donna non se ne accorse e toccò con la mano l’imponente cancello. Non comprese quale fosse il meccanismo, sorprendendosi del fatto che si fosse subito aperto.
«Ma questi sono così sicuri di sé da non mettere alcuna protezione sulla casa?».
La Fleming, l’unica che mostrò di averlo sentito, si strinse nelle spalle.
«Attenti!» urlò una voce infantile.
Jack fece appena in tempo a voltarsi in quella direzione che una pluffa lo colpì in pieno viso. Decisamente doloroso.
«Scusa!» strillò la stessa voce di prima, stavolta più vicina. Strinse i denti e riaprì gli occhi. Era un bambino piccolo, che lo fissava spaventato. Aveva la faccia di uno che mangiava i bambini?
«Comunque ti aveva avvertito» disse un’altra voce, decisamente più arrogante.
Spostò lo sguardo su due bambine: erano identiche. Chi delle due aveva parlato?
«Ti fa molto male?» chiese preoccupata miss Fleming.
«No, non è nulla» borbottò. Si era fatto di peggio. E per far vedere che era tutto ok, si abbassò e recuperò la pluffa. «Sta più attento la prossima volta» disse lanciandola al bambino.
«Voi chi siete?» domandò una delle due gemelle.
«Oh, noi siamo qui per conto del Ministero. Vorremmo parlare con i signori Spencer-Moon» ne approfittò all’istante la signora del Ministero.
«Mio padre è in casa. Robin, accompagna i signori dentro» rispose sempre la stessa gemella gettando un’occhiata eloquente al bambino.
Robin non sembrò felicissimo, ma obbedì. «Prego, seguitemi» mormorò educatamente.
Lo seguirono oltre la porta di quercia e Jack fissò a bocca aperta l’ampio e arioso ingresso. Il bambino li condusse in un salotto, arredato con gusto, ma quasi asettico. Non sembrava molto vissuto. Se quello era l’inizio, a Jack non piacque. Non era abituato a vivere in una casa bomboniera.
«Accomodatevi, vado a chiamare mio padre».
E neanche diventare un damerino.
«Hai visto che bella casa?».
Ma quella non stava mai zitta? Jack la lasciò blaterare senza ascoltarla minimamente.
«Ricordati, nessuno ti sta costringendo a fare nulla» gli sussurrò la Fleming, proprio mentre un uomo entrava nel salone con Robin alle calcagna. Aveva i capelli brizzolati e molto folti e indossava una semplice veste da mago di un azzurrino chiaro con delle bruciature.
«Buongiorno, vi chiedo scusa se vi ho fatto attendere. Sono Sylvester Spencer-Moon. Come posso aiutarvi?».
I tre si alzarono dal divano e gli strinsero la mano. «È un piacere conoscerla signor Spencer-Moon. Mi chiamo May Robins. Io e la mia collega, Fleming, siamo qui per parlarle di una questione molto delicata e personale».
«Ma prima», intervenne la Fleming, «non avrebbe del ghiaccio da mettere sulla guancia di Jack? Gli si sta gonfiando».
«Non l’abbiamo fatto apposta» mormorò Robin crucciato.
«Non c’è bisogno» borbottò Jack, non abituato a tutte quelle attenzioni.
«Tin» chiamò Sylvester. Un elfo domestico, con una specie di tunica colorata addosso, apparve.
«Il padrone ha chiamato?».
«Sì, per favore, porta qualcosa per guarire la guancia del ragazzo». L’elfo s’inchinò e scomparve. «L’avete colpito con la pluffa?» chiese poi al figlio.
«Sì, ma non l’ho fatta apposta» ripeté il bambino.
L’uomo sospirò e gli scompigliò il capelli. «Ti devo delle scuse… Jack, giusto?».
«Vostro figlio si è già scusato» ribatté. I genitori proprio non riusciva a comprenderli. D’altronde non aveva molta pratica. Nessuno sano di mente avrebbe considerato suo padre come tale. E non voleva problemi con i genitori degli altri.
«Cosa posso offrirvi?» chiese allora il padrone di casa, quando l’elfo riapparve e consegnò un involucro contenente ghiaccio a Jack. Il ragazzo cominciava a seccarsi di tutti quei convenevoli. Perché non andavano dritti al punto? Ringraziò di malavoglia quando l’elfo gli portò un bicchiere di succo di zucca ghiacciato.
«Sarebbe meglio se il bambino uscisse» disse la Robins.
Sylvester si accigliò. «Si tratta di qualcosa di grave?».
«No, ma non sono argomenti da affrontare di fronte a un bambino».
L’uomo non ne sembrò convinto, ma decise di non polemizzare. «Robin, per favore, torna a giocare fuori con Ella e Abigail». Appena il bambino ebbe lasciato il salone, Sylvester chiese: «Ditemi tutto».
«Sua moglie Vivienne non è in casa?».
«No, probabilmente rientrerà per cena» rispose Sylvester. «Qualunque cosa potete dire a me. Qualunque guaio abbia combinato con il Ministero tanto toccherà a me risolverlo».
«Ecco vede, questo ragazzo è Jack Fletcher. Il Ministero ha svolto le dovute indagini nel momento in cui il padre è stato arrestato. Si è scoperto che la madre è vostra moglie Vivienne».
Sia Jack sia la Fleming fissarono la donna inorriditi: era questo il modo di comunicare simili notizie? Quella donna non aveva proprio tatto!
Sorprendentemente Sylvester non sembrò né turbato né sorpreso. «Sono al corrente del fatto che mia moglie mi ha tradito sedici anni fa e so anche che rimase incinta. Il nostro è stato un matrimonio combinato. I primi anni ho creduto che avremmo potuto costruire qualcosa di buono. Abbiamo avuto due bambini a distanza di un anno e questo mi rendeva felice e speranzoso. Poi sono iniziati i problemi. Non che la voglia giustificare, lungi da me, ma quando mi ha tradito eravamo proprio alle strette. Visto e considerato che mi ha tradito con Mundungus Fletcher credo che sia stata più che altro ripicca nei miei confronti. Diciamo che avevo sperato di poterla cambiare almeno un po’, renderla meno superficiale. Lei non l’ha presa bene».
Jack si alzò. «Andiamocene» sbottò sprezzante. Lo sapeva che la moglie era incinta. L’avevano abbondonato consapevolmente, avevano rimesso insieme il loro matrimonio e tanti saluti. Non avrebbe elemosinato nulla da nessuno.
«Aspetta!» lo bloccò la Fleming. Lo spinse a sedere con risolutezza. «Perché avete abbandonato Jack, allora? Se ho capito bene, lei non ama sua moglie e viceversa. Che problema avrebbe avuto a crescere un altro bambino?».
«Nessuno» ammise pacato Sylvester. «Non io comunque. Gli avrei dato il mio cognome e via. I pettegolezzi sarebbero durati un po’ e poi la gente avrebbe trovato altro di cui sparlare».
«E allora perché?» insisté la donna.
«Vivienne non era convinta. Decise di trascorrere la gravidanza a casa di sua madre. Quando tornò qui aveva già partorito e non volle dirmi nulla del bambino, se non che l’aveva consegnato al padre. Litigammo. Non mi piaceva come ragionava. Impiegammo qualche anno per trovare un equilibrio o meglio una specie d’accordo, come preferite voi».
«Quindi per lei non è un problema assumere la tutela di Jack?» intervenne la Robins.
«No, nessun problema».
«Ma è magnifico! Sei contento, Jack?».
Come no, contentissimo pensò amaro il ragazzo.
*
«Ciao, papà. Quando sei tornato?» trillò Dorcas e dopo aver posato le buste della spesa sul tavolo gli si avvicinò e gli scoccò un bacio sulla guancia.
«Ciao, tesoro. Come mai ci avete messo tanto? Iniziavo a preoccuparmi».
«Mi dispiace, è colpa mia» mormorò Dorcas. «Ho chiesto a mamma e nonna di fermarci in un internet caffè».
«E che sarebbe?» chiese Gabriel Fenwick aggrottando la fronte.
«Una roba babbana» borbottò la moglie, mentre sistemava la spesa. Nonna Joanne si sedette sul divano accanto al figlio.
«Si possono usare i computer pagando poche sterline» spiegò Dorcas.
«Bel modo di usare la tua paghetta» borbottò l’uomo fissando la figlia severo.
«Avevo bisogno di trovare un’informazione importante e non so se l’avrei trovata su un libro… e poi ti ho chiesto un milione di volte di comprarmi un computer».
«E io un milione di volte ti ho risposto di scordartelo».
«Tentar non nuoce» replicò Dorcas scrollando le spalle.
«Tua figlia ti deve chiedere una cosa» annunciò nonna Joanne, bloccando la mano del figlio che stava recuperando il giornale.
Gabriel sollevò un sopracciglio e fissò Dorcas in attesa.
La ragazzina per un momento esitò non ricordando di che cosa la nonna stesse parlando.
«Suvvia, tesoro. Si tratta solo di una festa di compleanno! Gabriel, la bambina ha bisogno di stare con i suoi coetanei».
«Io non sono una bambina!» disse indignata Dorcas. «E ti ho detto che non voglio andarci!».
«Vedi, dovresti spingere tua figlia a essere più socievole».
«Ma se non vuole andarci» borbottò Gabriel, con la faccia di chi non sa come togliersi dall’impiccio.
Dorcas avrebbe voluto chiudere la questione immediatamente. La sua attenzione fu attratta, però, dal giornale. Il cuore iniziò a batterle in modo anormale e non sentì più la discussione tra il padre e la nonna. Strappò il giornale dalle mani del padre e fissò l’immagine in prima pagina. Non si era sbagliata. Era lui.
«Dorcas?» la chiamò suo padre. «Ma che fai?».
Si era lasciata cadere sul tavolino dietro di lei, facendo cadere alcuni colori di suo fratello Doc.
«Stai male?» chiese allarmata la nonna. Dorcas percepì anche la presenza della mamma, ma si rivolse a suo padre quando ritrovò la voce: «C-che cos’è successo a Jesse?».
«Steeval? Da quand’è che lo chiami per nome? Non state nemmeno in classe insieme. Lui è molto più grande di te». La moglie gli tirò una gomitata. «A quanto pare la Selwyn ha capito che lui non era più convinto di unirsi al suo esercito e non l’ha presa bene. Comunque si riprenderà» si affrettò a dire vedendo la figlia diventare ancora più bianca.
«Tesoro, Jesse è tuo amico?» chiese dolcemente la mamma.
«Sì… Voglio andare a trovarlo al San Mungo».
«Non se ne parla!» ribatté Gabriel con forza e si riprese il giornale.
«Ma papà! Perché?».
«Appena starà un po’ meglio affronterà un processo del Wizengamot e probabilmente sarà condannato».
«Che cosa?! Devi fare qualcosa! E poi suo padre è il Capitano della Squadra Speciale Magica!».
«Che importanza ha? Ha confessato di aver partecipato all’omicidio di Sibilla Cooman!».
Dorcas fu presa in contropiede dalle parole arrabbiate del padre, ma fu un attimo. «Ha cambiato idea e sono sicura che non è stato lui a ucciderla!».
«SMETTILA!» urlò suo padre. «IL FATTO CHE NON L’ABBIA UCCISA DI PERSONA NON GIUSTIFICA LA SUA PRESENZA! NON AVREBBE NEMMENO DOVUTO AVVICINARSI A CERTA GENTE! HA DISTRUTTO LA SUA FAMIGLIA! CHI SIA SUO PADRE NON CONTA NULLA! È CHIARO?».
Dorcas lo fissò scioccata: non le aveva mai urlato contro in quel modo. «Lui si è pentito! Ne sono sicura! Mi ha fatto vedere che ha messo l’anello d’argento, che suo padre gli ha regalato per il diciottesimo compleanno, al dito indice della mano sinistra! L’ho cercato su internet e indica sottomissione! Capisci?».
Gabriel la fissava incredulo. «Non capisco che cosa ti sia preso» borbottò arrabbiato.
In realtà non lo capiva neanche lei, ma non riusciva a dimenticare il fiordaliso che Jesse le aveva donato.
*
«Avada Kedavra» urlò Dumbcenka.
«Fianto duri» pronunciò contemporaneamente James. Tenne duro respingendo la maledizione dell’altro. Per la forza del colpo perse l’equilibrio e cadde in ginocchio. Vide, però, Dumbcenka cadere a terra a sua volta.
James si svegliò di soprassalto. Respirava affannosamente. Si sedette di scatto sul letto, dopo aver allontanato con foga le lenzuola che sembrano essersi appiccicate addosso. Accese la luce, ma a differenza del solito non fu sufficiente a rallentare il battito del suo cuore, che sembrava volergli scoppiare nel petto.  Rivedeva quella scena in sogno da settimane. Non ne poteva più. Decise di alzarsi e scendere in salotto. Magari un po’ di televisione l’avrebbe fatto riaddormentare.
Si gettò sul divano e accese la tv, tenendo il volume molto basso. Ci mancava solo che svegliasse tutta la famiglia. Non che a quell’ora vi fosse molto da vedere.
Sbuffò e tentò di schiarirsi i pensieri. In quelle settimane non aveva fatto altro che ripensare a quella maledetta Terza Prova del Torneo Tremaghi. Aveva riflettuto su ogni particolare dello scontro con Dumbcenka, sia da solo sia con Caspar Shafiq, che sarebbe stato il suo magiavvocato al processo: non avrebbe potuto comportarsi altrimenti. Mors tua, vita mea. Non gli piaceva, ma era così. Quel ragazzo aveva tentato di ucciderlo e lui si era semplicemente difeso. Si coprì il volto con le mani. Era stanco, stanco di quella situazione. Com’era arrivato fino a quel punto? Meno di due anni prima il suo unico interesse era vincere il Campionato di Quidditch e diventare Capitano della squadra di Grifondoro. Ora invece si trovava in un macello assurdo.
«Jamie?».
«Mamma? Ti ho svegliato? Scusa…».
Ginny Potter sospirò: «Diciamo senso sesto materno. Non hai fatto rumore. Ora capisco tua nonna, diceva che sapeva sempre quando stavamo male».
«Non sto male» borbottò James.
Ginny sollevò un sopracciglio scettica. «Sì, e io sono Baba Raba». Lo abbracciò stretto e James non si divincolò come ormai faceva spesso, affermando di essere troppo grande per certe cose. «Hai rifatto quell’incubo?» domandò preoccupata. Il ragazzo aveva chiuso gli occhi e aveva appoggiato la testa sulla sua spalla. Era diventato molto alto negli ultimi mesi e l’aveva completamente superata. Gli accarezzò i capelli.
«Lo faccio ogni notte» sospirò esasperato. «Non ne posso più».
«Mi dispiace, Jamie… quello che ti è successo… è terribile… e non so come aiutarti…».
«Dopo il primo momento di shock… io… io non mi sento più tanto in colpa per averlo ucciso… cioè non volevo morire al posto suo… e lui se l’è cercata… sono un mostro?».
«No, che non lo sei! E vedrai che anche il Wizengamot ti riconoscerà innocente!».
«Papà mi sta evitando…».
«Non farti venire strane idee in testa! Tuo padre è distrutto per non averti protetto da questo dolore ed è assorbito totalmente dal lavoro. Non ti sta evitando, vuole solo darti il tempo di elaborare quello che è successo. Abbiamo chiesto anche a Lily e Al di lasciarti in pace…».
«Grazie» mormorò James, abbracciandola con forza. «Vi voglio bene».
*
Jack non aveva mai partecipato alle esequie di un Auror, ma erano impressionanti. O almeno lo erano per lui. Quasi l’intero corpo Auror era presente con le divise scarlatte perfette. Il Capitano Potter era in prima fila, insieme al vice Capitano Weasley e tre dei suoi sotto vice capitani. Probabilmente il quarto era rimasto al Quartier Generale. Ai coniugi Burke era stato permesso assistere, ma erano circondati da uomini della Squadra Speciale Magica. Una ragazzina di circa dodici anni era sconvolta dal pianto e si stringeva disperatamente a un Auror che lui non conosceva.
Chissà chi era stato veramente Edward Burke. Non erano mancate le fughe di notizie, purtroppo anche anonime, ciò significa da qualche Auror che in realtà era una spia. E allora perché quelle esequie in pompa magna? Ci credeva che Williamson non si fosse presentato come insinuava qualche giornalista pettegolo. Ora il caprio espiatorio era Jesse Steeval. La comunità magica puntava il dito contro di lui, non potendo puntarlo più contro il giovane Burke.
Era andato al funerale sia per curiosità sia per vedere se riusciva a scoprire qualcosa di interessante. Qualcosa che magari sarebbe sfuggita agli Auror, emotivamente troppo coinvolti quel frangente. In realtà il suo piano si era rivelato un buco nell’acqua. E avrebbe dovuto immaginarlo: dopo gli ultimi arresti, nessun possibile sospettato si sarebbe presentato in un luogo pullulante di Auror. Un esperto non avrebbe commesso errori stupidi. Si erano presentati solo i famigliari dei Burke, ma naturalmente nessuno dei latitanti come per esempio i coniugi Avery.
Quando i convenuti iniziarono ad andarsene, decise di fare altrettanto. In fondo non aveva motivo di trovarsi lì, ci mancava solo di attirare l’attenzione degli Auror su di sé. Voltandosi, però, si comprese che era ormai troppo tardi.
«Non dovresti essere qui. È possibile che tu faccia sempre quello che vuoi? Il professor Williams non è stato chiaro?».
«Salve, Capitano».
«La famiglia cui sei stato affidato sa che sei qui?» chiese Harry retoricamente.
«No, non chiedo il permesso a nessuno io».
Harry sbuffò. «Ora ti riporto a casa e poi vediamo se non chiedi il permesso a nessuno finché non compi diciassette anni» borbottò prendendolo per il colletto e smaterializzandosi.
«Ma che fa?» sbottò con ancora addosso la nausea della smaterializzazione.
«Devi smetterla di rischiare la pelle per nulla!».
«Quel posto pullulava di Auror! Quasi l’intero Dipartimento! Un luogo più sicuro? Non certo questo! Qui vive una famiglia di straricchi. E il vecchio non è interessato se le moglie gli ha messo le corna!».
«Io credo che tu stia sottovalutando il vecchio» replicò Harry, mentre procedevano lungo il viale del giardino. Jack lo fissò scettico. «Molti dei nuovi incantesimi difensivi gli dobbiamo a lui».
«Cosa?!».
«Ha sentito» replicò seccamente, mentre l’elfo domestico Tin li faceva strada verso lo stesso salotto asettico del mattino.
«Io non ho bisogno di una famiglia» sbottò Jack.
Harry lo guardò malissimo. «Ne abbiamo bisogno tutti, a maggior ragione alla tua età».
«Capitano Potter! Jack!». Sylvester Spencer-Moon li andò subito incontro.
«Come sta?» chiese Harry stringendogli la mano.
«Non mi lamento. Mi ha riportato Jack, vedo. Ero preoccupato, infatti ho chiamato miss Fleming. Mi ha detto che purtroppo ha questo vizio».
Jack fece una smorfia di fronte a quella che era palesemente un rimprovero. Non aveva bisogno che qualcuno gli facesse la morale!
«Io sono abituato a fare quello che voglio» dichiarò.
«Beh, mi dispiace contraddirti… anzi no… ma adesso hai degli adulti, oltre i tuoi docenti, cui rendere conto. Fattene una ragione» disse serio Harry.
«Ma chi si crede di essere?!» sbottò Jack.
«Un giorno me ne sarai grato» disse Harry, alzandosi. «Io devo andare. Buona fortuna». I due adulti si strinsero di nuovo la mano e Sylvester accompagnò personalmente l’ospite alla porta.
Jack percorse a grandi passi la stanza, senza sapere come comportarsi. Se il tizio adesso aveva intenzione di trattarlo come un figlio disobbediente si sbagliava di grosso. Non era suo padre. E glielo disse appena rimise piede nel salotto. Sylvester aggrottò la fronte e annuì.
«Hai le tue ragioni. Possiamo fare un accordo, però».
«Che tipo di accordo?» chiese sospettoso.
«Avrò diritto di veto sulle tue uscite, ma qui in casa sei libero di fare tutto ciò che vuoi… naturalmente senza trascinare i miei figli…».
«Nel senso che non devo contaminarteli?» chiese sprezzante.
«No» sospirò l’uomo. «Intendevo dire che loro devo continuare a seguire le mie regole. Per il resto puoi instaurare con loro il rapporto che preferisci… personalmente sarei felice se fosse un rapporto amichevole e non conflittuale. E ora vieni, ti stavamo aspettando per cenare».
Il resto della serata fu strano per Jack. La madre non gli rivolse neanche un’occhiata e questo lo ferì profondamente; ma quelli che, a quanto pare erano i suoi fratellastri, si mostrarono fin da subito socievoli e simpatici. Il più grande, Aaron, frequentava l’Accademia Auror e non si era mostrato per nulla infastidito dal terzo grado cui l’aveva sottoposto per tutta la cena. Addirittura aveva partecipato alla difesa di Azkaban ed era anche rimasto ferito: teneva il braccio appeso al collo con una fascia, proprio come i Babbani quando si rompevano un braccio. Gli aveva spiegato che i Neomangiamorte avevano una nuova maledizione, che poteva essere curata solo con metodi babbani. Poi c’era Phoebe, una ragazza un po’ strana ma apparentemente simpatica, studiava lingue come il marinese. Abigail ed Ella le aveva già conosciute insieme al più piccolo della famiglia, Robin. Erano delle vere chiacchierone! L’unico che non aveva proferito parola fino al momento di andare a letto era stato il tredicenne Nathan. A quanto aveva detto una delle gemelle, non riusciva a distinguerle, era un magonò e questo naturalmente non lo rendeva felice.
La sua camera, perché sì ne aveva una tutta sua, era enorme. Doveva solo convincere il vecchio a lasciarlo andare a trovare Nyah. Odiava non mantenere le promesse. E sarebbe stato tutto perfetto.
*
«Ragazze, avrei bisogno di parlarvi di una questione importante» esordì Adrian Wilson fissando le due figlie: Virginia e Lauren.
Virginia sollevò gli occhi dal libro che stava leggendo e si spostò una ciocca dei suoi lunghi capelli neri dietro l’orecchio. Era una Corvonero in tutto e per tutto, come sua sorella Lauren non mancava di sottolineare, e da settembre avrebbe frequentato il quinto anno. L’anno dei G.U.F.O. E lei voleva dimostrare di essere la migliore.
Sua sorella stravaccata sulla poltrona con il suo kneazle in grembo non si era neanche mossa.
«Vedete io…» iniziò Adrian nervosamente.
«Papà» sbottò Lauren. «Sembri me quando ti devo spiegare perché sono rientrata dopo l’orario concordato…».
Adrian tentò di sorridere, ma gli uscì più una smorfia. «Il punto è che…» prese un bel respiro e continuò: «mi sto frequentando con una donna».
Virginia si irrigidì. Per un attimo credette di star avendo un incubo. Non era possibile una cosa del genere! Purtroppo, però, era sveglia.
«Una donna?» disse Lauren. «Meno male, pensa se ti stessi frequentando con un petardo cinese… insomma sarebbe interessante… ma baciarlo…».
Come diamine faceva sua sorella a reagire in quel modo? «Perché non fai la seria una volta tanto!» s’irritò.
«Sì, infatti Lauren. Virginia, ha ragione. È importante per me. Potresti smettere di giocare con il gatto e prestarmi attenzione?» chiese Adrian.
«Mr. Simon non è un gatto, è uno kneazle. Dovresti sapere che non è la stessa cosa! E comunque sono attentissima. Hai appena detto che stai frequentando una donna. Grazie di avercelo detto e non tenuto nascosto».
«Da quanto tempo?» chiese, invece, Virginia.
«Quasi un anno» mormorò Adrian.
«Che cosa?! E meno male che non ce l’avevi nascosto!».
«Non l’hai mai portata a casa, vero?» domandò Lauren seria.
«No, non mi sarei mai permesso senza dirvelo».
«Se ce lo stai dicendo significa che è una cosa seria?» continuò Lauren. Virginia trovava insensata l’intera conversazione: loro padre non poteva frequentare una donna!
«Sì, infatti. Inoltre è stata sfrattata e vorrei invitarla a vivere qui. Naturalmente solo se voi siete d’accordo».
«No» sbottò Virginia con forza.
«Dipende» rispose contemporaneamente Lauren.
Le due ragazze si fissarono.
«Ma sei pazza?» sibilò Virginia.
«Non credo di essere io quella che ha problemi qui dentro» replicò Lauren squadrandola con sospetto.
«Virginia, tesoro, che problema c’è?» chiese Adrian.
«Come che problema c’è?! Tu sei mio padre, non puoi uscire con le donne!».
«No, scusa, non per ripetermi. Ma dovrebbe uscire con un petardo cinese?».
«Non può uscire con una donna! I padri non fanno queste cose!» insisté.
«Ma sei scema? Nostro padre non ha neanche quarant’anni! Ha tutto il diritto!».
Virginia incrociò le braccia al petto e fissò il padre.
«Posso farvela conoscere. Potete almeno provarci?» chiese supplichevole Adrian.
«Sì. Se ci starà simpatica, la potrai portare qui» concesse Lauren.
Virginia rimase in silenzio.
*
Albus accarezzò Smile la sua fenice e si lasciò cullare dal suono lento e lamentoso della chitarra di Alastor.
«Al, il tuo speculum si è illuminato» lo avvertì l’amico, smettendo di suonare.
Il ragazzo si voltò verso la scrivania e si affrettò ad aprire lo speculum. Il volto rosso e lacrimoso di Dorcas Fenwick lo fissava. «Dor, che succede?».
Alastor si avvicinò per ascoltare meglio.
«Jesse è ferito! E mio padre non vuole che io vada a trovarlo!» singhiozzò la ragazza.
«Jesse?» replicò interrogativo Alastor.
«Intendi Steeval?» chiese, invece, Albus.
«Sì! A quanto pare si è ribellato alla Selwyn ed è riuscito a sfuggirle per un pelo! Voglio vederlo! Che devo fare?».
Albus si scambiò un’occhiata con Alastor: a nessuno dei due era mai piaciuto quel ragazzo. «Intanto calmati… Magari tuo padre sa qualcosa che non vuole dirti… Ecco perché non vuole che tu vada a trovarlo…».
«Non l’ho mai visto così irragionevole! Non ne vuole neanche parlare!» si lamentò Dorcas.
«Gli adulti sono bravi a non parlare» borbottò contrariato Alastor. «Per loro le cose stanno sempre e solo come vogliono loro, mai che ascoltino!».
Albus sospirò: non aveva la minima idea di come aiutare i suoi amici.
«Ti prego Al, cerca di scoprire qualcosa in più da tuo padre».
«Ok» acconsentì, sebbene fosse consapevole che suo padre non avrebbe parlato facilmente.
«Grazie» sussurrò Dorcas prima di chiudere la conversazione.
Albus chiuse lo speculum e fissò Alastor, che aveva ripreso in mano la sua chitarra. Quell’estate era iniziata da schifo, ma non stava minimamente migliorando…
*
Roxi rabbrividì. Per essere fine luglio a quell’ora faceva veramente freddo. Era stata una stupida a non prendersi una giacca. Si accucciò un po’ di più dietro il muro per non essere vista e continuò a osservare i ragazzi. Erano davvero bravi. Peccato che stessero sfruttando il loro talento per provocare la gente di Diagon Alley. Non che lei avesse nulla contro la sfida alle autorità, ma in quel modo era fine a sé stessa. Che cosa volevano ottenere? Semplicemente farsi notare?
Dalla sua bocca fuoriuscì un mugolio strozzato quando qualcuno la tirò fuori dal suo nascondiglio premendole una mano sulla bocca. Il battito del suo cuore rallentò lievemente quando si rese conto che era stato uno dei ragazzi ad acchiapparla. Per un attimo aveva pensato ai Neomangiamorte: ormai non si sapeva più di chi fidarsi. I suoi le avevano detto che ventitré anni prima era iniziato tutto così.
«Ragazzi, abbiamo una piccola spiona!» annunciò il ragazzo.
Roxi scalciò per indurlo a mollarla.
Uno dei più grandi, quello che doveva essere il capo, si avvicinò con una bomboletta in mano. Aveva una guancia macchiata di rosso. Era così adorabile! Roxi sgranò gli occhi e si diede della cretina: come poteva pensare una cosa del genere in quel momento?
«È una Weasley, mollala. Ragazzina, non azzardarti a urlare, però».
Roxi, finalmente libera, si ricompose. «Se ti preoccupa il vecchio Hackett, era vicino al Paiolo Magico… Mi è sembrato intenzionato a farsi una bella bevuta…».
«Meglio così… Tu cosa vuoi?».
«Mi piacciono i vostri disegni… siete davvero bravi!».
«Grazie. Io mi chiamo Rod».
«Roxi» disse sorridente la ragazzina. «Mi fareste disegnare con voi?». Gli altri ragazzi risero di lei, che si imbronciò. «Guardate che me la cavo bene. Ho portato alcuni miei disegni se volete vederli».
«Roxi, tornatene a casa. Questo non è posto per te» disse freddamente Rod, con l’approvazione degli amici.
«Noi i maghi non li vogliamo!» sibilò un altro, il cui volto era in penombra. A Roxi, però, non interessava vederlo. Le parole di Rod l’avevano profondamente delusa.
«Se non te ne vai con i tuoi piedi…» minacciò un ragazzo alto e massiccio. Rod le aveva voltato le spalle e aveva ripreso a colorare.
La ragazzina sospirò: «Me ne vado, tranquilli». Strinse al petto lo zaino con i suoi disegni, chiedendosi che cosa ci fosse di sbagliato in tutto quello. Perché non volevano i maghi? Le loro famiglie erano magiche, anche se loro erano maghinò. E se la società tendeva a emarginarli, lei che cosa c’entrava? Non era giusto. Si passò una mano sugli occhi per scacciare le lacrime. No, non era proprio giusto.
 

Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Ecco il nuovo capitolo! Spero che vi piaccia!
Ci sono parecchi riferimenti alla fanfiction precedente, quindi penso di dover qualche chiarimento (per chi non l’ha letto ;-)):
  1. Jack è il figlio di Mundungus Fletcher, che è stato arrestato da qualche mese. Durante le vacanze di Natale era stato ospite di Samuel Vance (qui ancora non apparso), nipote di Bellatrix Selwyn.
  2. Bellatrix ha cercato mercenari e combattenti in Africa, gli Auror stanno indagando. Ormai però devo occuparsi di chi è arrivato in Inghilterra, anche per questo è stata convocata la Confederazione Internazionale dei Maghi, e non tutti possono essere rimpatriati.
  3. Jack, Virginia, Roxi e Albus sono coinvolti in una Profezia pronunciata nell’800 da Cassandra Cooman.
  4. Jesse, come si intuisce dal cognome, è figlio di Terry Steeval.
  5. Gli speculum sono una mia invenzione (marca Tiri Vispi Weasley): sono degli specchietti che servono per comunicare.
 
Il cognome Spencer-Moon non è di mia invenzione. La Rowling ha indicato Leonard Spencer-Moon come uno dei Ministri della Magia del passato.
 
Spero che la storia vi stia interessando almeno un pochino… Se vi va, fatemi sapere che cosa ne pensate ;-) 

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Capitolo 4
*** Sine culpa ***


Capitolo quarto
Sine culpa
 
«Eccovi» li accolse Caspar Shafiq, magiavvocato noto e qualificato.
Harry gli strinse la mano e chiese concitato: «Ci sono problemi?».
«Non proprio. È che il nuovo Stregone Capo del Wizengamot non è Edward Fawley come ci aspettavamo. Mio fratello me l’ha appena comunicato».
«E chi è?» domandò Ginny Potter con la voce incrinata.
James li osservò con attenzione, ma non disse nulla.
«Abel Hawk».
Harry s’incupì, ma Ginny, proprio come James, non comprendeva quale fosse il problema: «Che tipo di persona è?» chiese la donna.
«È un tipo tosto e tendenzialmente crudele… Ama condannare gli imputati» rispose Caspar Shafiq.
«Oh, che meraviglia» borbottò James.
«Sì, ma non è uno stupido» commentò Caspar, prevenendo la risposta di Harry. «Adesso entriamo in aula e comportiamoci come abbiamo già deciso. Mi raccomando James. E voi signori Potter, vi prego non intervenite. Me ne occupo io».
I due coniugi annuirono, ma il viso di Harry era cupo: non aveva dimenticato le sue esperienze nelle aule del Wizengamot e si odiava per non aver impedito che il figlio affrontasse la stessa cosa.
L’aula era cupa e fiocamente illuminata dalla luce delle torce appese lungo tutto il perimetro. Vi erano delle panche per gli ‘spettatori’ e mai come in quel momento capì che cosa significava che i processi erano pubblici. La sala pullulava di gente. Il flash di una macchina fotografica lo accecò per qualche secondo, mentre procedeva verso il centro. Sentì il padre borbottare odio i giornalisti.
«Tesoro, noi ci sediamo in prima fila. Stai tranquillo» mormorò Ginny.
Non si ricordava quante volte gli avessero ripetuto quella frase nelle ultime ore. Annuì con un lieve cenno del capo, accorgendosi di non riuscire a parlare. Il Wizengamot era già schierato negli scranni di fronte a lui, il più alto e centrale era occupato da un uomo dall’aspetto tozzo e corpulento. Il volto era serio, ma a James mise i brividi. I giudici indossavano una veste color prugna con una ‘W’ d’argento ricamata sul lato sinistro del petto. Erano circa una cinquantina.
«Siediti» gli sussurrò Caspar Shafiq.
James fissò per un attimo la sedia al centro della sala. Aveva i braccioli coperti di catene. Obbedì, anche perché non aveva scelta. Le catene, però, non si mossero. Suo padre l’aveva avvertito, ma vedere con i suoi occhi che non avevano intenzione di legarlo, era tutta un’altra cosa.
Lo Stregone Capo fece un cenno a un ragazzo seduto più in basso.
«Bene cominciamo» disse con voce ferma e severa.  Immediatamente calò il silenzio. Questo non aiutò James, che senti l’ansia crescere a dismisura. Non era per nulla divertente. Aveva sempre creduto che non c’era nulla di più spaventoso di sua madre o la McGranitt incavolate, ma in quel momento dovette ricredersi. Avrebbe voluto trovarsi mille miglia lontano da lì. Magari in compagnia di Benedetta. Oh, quanto gli mancava Benedetta. «Processo del 25 luglio 2021» continuò Hawk. Il ragazzo, che doveva essere lo scrivano, iniziò a scrivere. «L’imputato James Sirius Potter, residente al numero quindici di High Street, Godric’s Hollow, Somerset». L’uomo fece una pausa, poi guardando verso la sinistra dell’aula continuò: «L’accusa: i coniugi Boris e Galina Dumbcenka, rappresentati dal magiavvocato Ivan Gorgovich».
James gettò una rapida occhiata ai tre e forse per la suggestione gli sembrarono spaventosi. «Il magiavvocato difensore è Caspar Shafiq».
«James Potter è accusato di aver ucciso Vasilij Dumbcenka durante la Terza Prova del Torneo Tremaghi tenutasi a Hogwarts lo scorso trenta giugno». Un silenzio teso e pesante si diffuse nell’aula a quelle parole. D’altronde nessuno a parte James, Apolline Flamel, la Campionessa di Beauxbatons, e Dumbcenka, il Campione di Durmstrang, potevano sapere che cosa fosse successo realmente. Le teorie che erano nate subito dopo la diffusione della notizia che, ancora una volta durante il Tremaghi, era morto un ragazzo, erano disparate: alcuni credevano che l’accusa fossa un ulteriore tentativo di diffamare Harry Potter e la sua famiglia; altri, invece, che James avesse deciso di prendere una strada diversa da quella della famiglia e che volesse fare il serial killer. Questo solo per citarne alcune. Non per nulla chi ne aveva avuta la possibilità aveva fatto in modo di potersi trovare lì quella mattina. «James Sirius Potter qual è la tua versione dei fatti?» chiese il giudice.
Il ragazzo deglutì, si aspettava la domanda, ma quando ne aveva parlato con il magiavvocato non aveva immaginato che sarebbe stato così difficile parlare di fronte all’intero Wizengamot.
«I-io» iniziò incerto e con voce roca.
«Stai calmo» gli sussurrò Caspar Shafiq.
«La parte centrale del labirinto… dove si trovava la coppa… era protetta da una sfinge… quando l’ho superata mi sono scontrato con Apolline. Anche lei era appena arrivata… era molto scossa… abbiamo scambiato qualche parola, finché non si è intromesso Dumbcenka… lui era già lì. Apolline gli ha chiesto perché non avesse preso la Coppa e lui ha risposto che aveva un compito da portare a termine. Ha evocato i dissennatori, ma io sapevo evocare un patronus ed è rimasto fregato. Pensava che avrebbe potuto far passare la mia morte come un incidente… A quel punto mi attaccato, io ho usato un incantesimo scudo e la maledizione gli è rimbalzata addosso…».
Hawk lo fissava serio e sembrava aver ascoltato ogni sua parola. «Magiavvocato Gorgovich a lei la parola».
«Non ho molto da dire, signor giudice» disse l’uomo con voce melliflua. Parlava un inglese perfetto, quasi non si sentiva l’accento straniero, e si muoveva con fluidità nell’aula. «In quel labirinto c’erano solo tre ragazzi. Vasilij, Apolline Fleur Flamel e James Sirius Potter. Solo loro. Vorrei solo ricordare ai signori della corte che la signorina Flamel è imparentata con il signor Potter…».
«Obiezione!» intervenne Caspar Shafiq facendo sobbalzare James, che doveva ammetterlo era rimasto ammaliato dalla voce suadente dell’uomo.
«Obiezione respinta! Permetta al signor Gorgovich di esporre la sua versione» replicò Hawk.
Gorgovich sorrise maliziosamente. «Come dicevo… la signorina Flamel è imparentata con il signor Potter. Un’altra piccola considerazione: dobbiamo prendere in esame i dati oggettivi. Tre ragazzi da soli. Due vivi e uno morto. Signori, come possiamo sapere realmente che cosa accadde quella sera? James Potter stesso ha ammesso di essere stato lui a colpire Dumbcenka».
Un forte mormorio si levò dai giudici del Wizengamot.
«Io non ho detto questo…» mormorò terrorizzato James.
«Calmati!» lo richiamò Shafiq.
«Magiavvocato Shafiq, ora può replicare» autorizzò il giudice.
«Innanzitutto, la signorina Flamel e James Potter non hanno legami di sangue. Apolinne Flamel è una nipote acquisita di William Arthur Weasley, zio di James. Chiedo il permesso di sentire Apolline Flamel in qualità di testimone».
«Richiesta accolta. Preparate il Veritaserum» ordinò lo Stregone Capo.
James vide Apolline avvicinarsi agli scranni dei giudici, uno degli addetti gli porse un calice ed ella lo bevve. Erano settimane che non la vedeva. Vic gli aveva detto che la ragazza era arrivata in Inghilterra la sera prima. Era bellissima anche con il semplice vestitino azzurro che indossava.
«Lei è Apolline Fleur Flamel, primogenita dei coniugi Emile e Gabrielle Flamel, residente a Parigi in via Nicolas Flamel, nata il quindici febbraio 2003?».
«Sì, sono io» rispose tranquilla la ragazza.
«Prego, signor Shafiq faccia le domande che desidera alla signorina».
«Grazie, signor giudice» disse Caspar Shafiq, rivolgendo poi un lieve sorriso ad Apolline. «Hai già lasciato una dichiarazione su quanto accaduto nel labirinto agli Auror, in questo momento vorrei sapere qual è il tipo di rapporto che, in qualità anche di Campioni, avevevate instaurato tu e il signor Dumbcenka».
«Inizialmente avevamo cominciato a fare amicizia. Camilla Blanchard è stata mia compagna di Scuola per sette anni, conseguentemente ci ha subito presentato il suo fidanzato quando siamo arrivati a Hogwarts. Però presto ha iniziato a infastidirmi. Era quel tipo di ragazzo cresciuto con l’idea che fosse suo diritto comandare sui più deboli e soprattutto sulle donne. Comunque con Camilla non si comportava tanto male, anche se io e altre le abbiamo espresso il nostro parere negativo. Era un ragazzo possessivo e geloso. Nemmeno i nostri compagni potevano starle troppo vicini. Non so come facesse a sopportarlo. Ho iniziato a disprezzarlo durante la seconda prova, quando ha evocato dei troll per uccidere me e James e ha tentato di sabotare la nostra prova. Non eravamo amici. E lui era molto sadico. Durante la seconda prova ha riso mentre delle acromantule mi inseguivano!».
I membri del Wizengamot apparvero colpiti.
«Obiezione!» strillò Gorgovich.
«Obiezione accolta» disse distaccato il giudice.
«Si trattava solo di un ragazzo. Certi comportamenti sono tipici a quell'età! Un bambino che taglia la coda a una lucertola, lo definirebbe sadico? Stanno cercando di presentare il ragazzo come un mostro! Dobbiamo attenerci al problema principale. Sono qui, a nome dei miei assistiti, per assicurare l’assassino del loro unico figlio alla giustizia! Stiamo andando troppo per le lunghe! James Potter ha ucciso Vasilij Dumbcenka».
«Obiezione!» intervenne Caspar Shafiq.
«Obiezione respinta! Accolgo la richiesta implicita del magiavvocato Gorgovich di non indugiare oltre. D’altronde le indagini sono state svolte, sotto la stessa supervisione di alcuni membri del Wizengamot, nelle settimane passate. Ogni possibile interrogatorio è stato effettuato secondo la prassi» disse duramente il giudice Hawk, come a sfidare qualcuno a contraddirlo. «Le bacchette dei ragazzi coinvolti sono state esaminate con attenzione. Quanto è stato dichiarato da Flamel e Potter corrisponde a verità. James Potter ha realmente utilizzato un incantesimo scudo particolarmente potente; inoltre sono state ritrovate ben due bacchette in possesso di Vasilij Dumbcenka. Una pulita, l’altra è stata più volte utilizzata per scagliare Maledizioni Senza Perdono. Chiedo inoltre ai miei colleghi di tenere in considerazione, com’è risultato dalle indagini, che l’ammissione di James Sirius Potter al Torneo è stata voluta con l’apposito intento di causarne la morte. La mandante di Dumbcenka e della signorina Blanchard, che ha confessato agli Auror francesi di aver messo personalmente il nome di Potter nel Calice di Fuoco, è Bellatrix Selwyn. Ora, il nostro compito è stabilire se le azioni del signor Potter siano state legittima difesa o se dev’essere condannato per omicidio. In quest’ultimo caso dovete ricordare che l’imputato è minorenne». Il giudice fece una pausa e riprese: «Chi è per l’assoluzione?».
Il battito del cuore di James accelerò nel momento in cui si rese conto che erano arrivati alla fine. Era stato tutto troppo veloce, ma adesso capiva perfettamente che ogni prova e ogni accusa era stata precedentemente vagliata. Quegli uomini dall’aspetto austero avevano deciso della sua vita ancor prima di entrare in quell’aula. Sollevò gli occhi sui giudici solo quando Shafiq gli strinse la spalla e sussurrò: «Va tutto bene».
La maggior parte dei presenti aveva votato a suo favore.
«Il Wizengamot dichiara James Sirius Potter assolto da ogni accusa e condanna i coniugi Dumbcenka a pagare un risarcimento in denaro alla famiglia Potter per danni morali e fisici che loro figlio ha causato al giovane Potter. Naturalmente ogni accusa nei confronti di Vasilij Dumbcenka cade a causa della sua morte. Le azioni di Camilla Blanchard, all’epoca dei fatti già maggiorenne, saranno giudicate dal Ministero della Magia francese».
James completamente stordito dagli avvenimenti si ritrovò stretto tra le braccia dei genitori. Per la prima volta dopo settimane si sentì leggero. Si era solo difeso, non era un mostro assassino.
*
«Oh, Jamie. Sapevo cha sarebbe andato tutto bene!» strillò sua nonna, stritolandolo tra le sue braccia.
James sorrise a fatica, era ancora troppo scosso dagli ultimi avvenimenti e trovarsi ad affrontare l’intera famiglia Weasley era tutto tranne che rilassante. Sorprendentemente, però, la nonna non lo lasciò andare a farsi salutare e abbracciare dagli altri, ma lo trascinò in cucina. Quella sera, come sempre d’estate quando erano tutti presenti, avrebbero cenato fuori. Conseguentemente la cucina era deserta.
«Che succede nonna?».
La donna sospirò e lo fissò negli occhi accarezzandogli una guancia. «Tua mamma mi ha detto che hai riflettuto molto su quanto è avvenuto… cioè sì, insomma è normale… è orribile togliere la vita a un’altra persona… io ti capisco, Jamie più di quanto tu possa immaginare…».
«Nonna, che stai dicendo?».
Molly Weasley sospirò e i suoi occhi si inumidirono e per un momento il suo sguardo si fece lontano. «Vedi, James, lo sai non vi abbiamo mai raccontato ogni dettaglio della guerra perché erano tempi troppo brutti… noi non vogliamo neanche pensarci e non vorremmo mai rattristarvi con… con certe storie… Tuo padre è distrutto, lo siamo tutti… non vogliamo un’altra guerra… non vogliamo rivivere quell’orrore, non vogliamo che lo viviate voi!».
James deglutì, non riuscendo a seguire perfettamente il discorso della nonna.
«Ascoltami, bene» disse prendendogli il volto tra le mani. Il suo tocco era delicato come sempre, nonostante avesse le mani piene di calli, ma deciso. «Tu non sei un mostro. Non volevi uccidere. Sei come tuo padre, lo so. Non useresti mai una maledizione mortale. Ti sei solo difeso. Io ho ucciso, io so cosa vuol dire desiderare vedere una persona morta».
Il ragazzo sgranò gli occhi. «Tu?» sussurrò incapace di aggiungere altro. Sua nonna, sua nonna non poteva essere un’assassina.
«Fred era stato ucciso… io nella mischia finale… sto parlando della Battaglia di Hogwarts, naturalmente… ho visto tua madre, Luna e tua zia Hermione combattere contro Bellatrix Lestrange… Non ce l’ho fatta… Per un attimo ho visto anche tua madre morta… non potevo sopportare l’idea di perdere anche lei… io mi sono sostituita a loro nel duello e… l’ho uccisa… non ho provato rimorso in quel momento… ogni tanto sento un peso sul cuore al pensiero di aver tolto la vita a un altro essere umano, ma poi mi convinco che se lo meritava… ed è vero… quella donna era crudele e sadica… è stata lei a uccidere la mamma di Teddy e anche Sirius Black… ma non riesco comunque a dimenticare di aver ucciso… tu non volevi uccidere, come tuo padre che nemmeno contro Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato ha usato una maledizione mortale… nemmeno in quel caso…».
James non sapeva che cosa dire, ma poi l’abbracciò stretta. «Ti voglio bene, nonna».
Rimasero abbracciati, finché il nonno non andò a chiamarli.
«Su, Molly cara, tutti vogliamo festeggiare James stasera» disse dolcemente.
La nonna tirò su con il naso e diede le spalle a entrambi asciugandosi gli occhi. Arthur Weasley diede un buffetto al nipote e gli disse: «Raggiungi gli altri fuori, ora veniamo».
Turbato James obbedì. Appena mise piede nel cortile sul retro fu assalito da tutti i suoi cugini e non poté trattenere un sorriso, dimenticandosi per un attimo di tutte le preoccupazioni passate.
Il profumo intenso e dolce di Vic lo avvolse e si sentì bene. Fred e Dominique gli sorridevano e davano pacche sulle spalle. Lily gli si appese letteralmente al collo e tutti gli altri non lo mollarono neanche per un secondo.
La nonna aveva cucinato tutti i suoi piatti preferiti e James mangiò come non faceva da giorni.
Purtroppo, però, nonostante la felicità per la sua assoluzione, gli adulti erano molto tesi e discutevano degli ultimi avvenimenti tentando di non farsi sentire da loro ragazzi.
«I miei temono di perdere il lavoro da un momento all’altro» comunicò Dominique. «Ho origliato una loro conversazione l’altra sera».
«Ma non è questo il problema più grave» replicò Vic, che terminata la cena aveva preferito sedersi con loro nel giardino, mentre i grandi si erano spostati in salotto. Teneva il piccolo Remus tra le braccia. Il bimbo aveva a malapena un mese e mezzo, ma era evidente che non aveva ereditato la capacità di mutare aspetto del padre. Louis si era accucciato vicino alla sorella maggiore e condivideva con lei la stessa coperta. «I folletti potrebbero diventare pericolosi».
«Perché non parliamo di qualcosa di più allegro?» propose James, per quel giorno era saturo di negatività.
«Hai ragione» mormorò Vic, accarezzando la testa del fratellino.
«Beh allora è il momento degli aggiornamenti» propose Lucy, che presto avrebbe compiuto quattordici anni. Fin da quando erano piccoli i cugini Potter-Weasley si raccontavano quasi tutto. Naturalmente c’erano alcuni segreti che solo i più intimi potevano sapere. Per esempio Rose e Albus o Lily e Hugo oppure Roxi e Lucy, per fare qualche esempio.
«Vuoi cominciare tu, visto che l’hai proposto?» chiese Fred con la schiena appoggiata a un albero. James per un attimo fu colto da un senso di nostalgia, che gli strinse lo stomaco: stavano crescendo. E quando sarebbero stati troppo grandi? Avrebbero preso strade diverse e si sarebbero allontanati per sempre? Ci sarebbero state più quelle sere d’estate in cui si raccontavano le cose che non volevano che gli adulti sapessero?
«A differenza vostra, i miei mi hanno scaricato dai nonni fin dai primi giorni di vacanza» iniziò Lucy. «Sono oberati di lavoro, quindi mi hanno lasciato abbastanza in pace… a parte il consueto sclero per i miei voti… comunque ho passato molto tempo con i nonni… soprattutto con la nonna… ho scoperto che mi piace tantissimo aiutarla in cucina… cioè lo facevamo anche da piccoli, no? Ma era un gioco… insomma mi piacerebbe diventare una cuoca da grande e magari avere un ristorante tutto mio…».
Fred e Dominique risero, ma furono gli unici.
«La torta l’hai fatta tu, giusto? L’ha detto nonna» commentò, invece, Albus. «Era molto buona».
«Ne ho parlato con la nonna di questa cosa e lei ne è entusiasta, ma papà e mamma non ne vorranno sapere… Quando la nonna ha detto che ho fatto io la torta, neanche l’hanno ascoltata… erano troppo presi dai loro problemi…» borbottò Lucy.
«Noi ti sosterremo, tranquilla» disse Vic con il suo sorriso più rassicurante. «Anche questi due cretini che ridono! Voi non volete dirci nulla?».
Fred tornò serio di botta e disse: «Ho una paura matta di essere bocciato di nuovo al G.U.F.O. di Erbologia e se non lo supero non potrò mai entrare nell’Accademia per pozionisti».
«I risultati dovrebbero arrivare a breve… ti darò una mano con il programma del sesto anno» promise Dominique.
«Tu non sei preoccupata per i M.A.G.O.?» chiese Albus.
«Un poco» ammise la diciottenne. «Ma credo di aver fatto un buon lavoro agli esami… Però mi mancherà Hogwarts… Sarà strano non prendere il treno con voi il primo settembre».
«Secondo voi Molly tornerà a casa?» chiese Lucy, pensando alla sorella più grande.
«Perché dovrebbe?» replicò Dominique. «A me non dispiacerebbe andare a vivere con Matthew. Lei e Arion hanno una bella villa… Pensavamo di organizzare una festa lì per festeggiare i M.A.G.O.».
«Veniamo anche noi, vero?» domandò Rose.
Anche lei era cresciuta, notò James. Era molto più alta rispetto all’anno precedente e aveva iniziato a truccarsi. Chiedeva addirittura consigli a Dominique.
«Niente bambini!».
«Ho quindici anni!» ribatté Rose, risentita.
«Quando arriva zio Charlie?» chiese Lily.
«Non lo so. Ho sentito i nonni parlarne una sera. Pensavano dormissi… Pare che zia Jane abbia troppo paura di tornare adesso in Inghilterra e vorrebbe spostare Fabi e i gemelli di Scuola» replicò Lucy. La notizia sconvolse tutti i ragazzi. Fabiana, Gideon e Arthur erano i cugini ‘rumeni’, prima che iniziassero a frequentare Hogwarts li vedevano sì e no un paio di volte l’anno, ma alla fine ci si erano affezionati.
«È un gran bel problema… non si può nemmeno dire che zia Jane abbia torto» borbottò Vic. «Parlerò a mio padre… forse lui sa qualcosa in più…».
«Ma voi quest’estate non andrete in Francia?» domandò Albus.
«No, io e Teddy non possiamo muoverci con il bambino. Mamma e papà hanno troppi problemi a lavoro. Apolline è già a Londra e ha deciso di continuare qui gli studi e presto Valentin vorrà tornare per incontrare i suoi compagni di Scuola. Così verranno anche i nonni. Zio Emile non sembrava molto felice della cosa, quindi non so che faranno lui e zia Gabrielle» spiegò Vic.
«Hugo e Roxi, voi non dite nulla?» li provocò Rose.
Roxi aprì la bocca, ma poi la richiuse. Non poteva raccontare dei writers a tutti i suoi cugini. Vic l’avrebbe rimproverata per essere uscita di notte da sola, senza permesso e per aver avvicinato ragazzi più grandi di lei. Quello era il genere di cose che avrebbe confidato solo a Frank, il suo migliore amico.
«Io ho paura per il terzo anno» iniziò Hugo.
«Non iniziare!» lo interruppe Rose.
«Dai Rose, lascia che Hugo ci dica quello che vuole».
«Il punto è che non lo sopporto, fa il leccapiedi con la mamma! Negalo, se ne hai il coraggio!» sbottò Rose.
Hugo chinò il capo e non rispose.
*
«La smettete di fissare quelle buste e le aprite?» sbottò Lily. Sia James sia Fred la guardarono malissimo.
Quella mattina la cucina era quasi deserta, o almeno per i loro standard. A parte i nonni, degli adulti c’erano solo Ginny, che faceva colazione tranquillamente ignorando i battibecchi tra figli e nipoti. C’era troppo abituata. Vic e Teddy erano a casa loro e forse li avrebbero raggiunti per pranzo; Louis era in salotto, sdraiato sul divano a leggere e sgranocchiare biscotti; Hugo, Roxi e Lucy ancora dormivano.
«Dai Lily, lascialo in pace» mormorò Albus in aiuto del fratello maggiore. Alastor, trasferitosi con loro alla Tana, annuì solidale.
«Cretinate, non ha coraggio» sbuffò Lily.
«Ma perché tu non dormi?» ribatté Fred.
Dominique aveva aperto la sua busta con apparente tranquillità, ma si era rifiutata di dire loro alcunché finché non avessero letto i loro risultati.
«Mamma» borbottò James. «Se dovessi essere stato bocciato in tutte le materie… tu…?».
«Ti ucciderei» fu la replica di Ginny Potter, intenta a sorseggiare il suo thè e a leggere La Gazzetta del Profeta.
«Fifone, fifone, fifone…» iniziò a strillare Lily. James la fulminò con lo sguardo. Sua sorella amava dormire fino a tardi d’estate, si era alzata solo perché aveva sentito che erano arrivati i G.U.F.O. e quindi per tormentarlo.
«E dai» li esortò Dominique. «Datevi una mossa!».
«E va bene» sbottò Fred. Stracciò la busta e ne tirò fuori la lettera. Lesse il risultato e poi strillò: «Evvai! Ho preso O. Adesso però devi mantenere la promessa e aiutarmi, così potrò dare il M.A.G.O. in Erbologia a fine anno!». I presenti si complimentarono con lui, che scappò immediatamente al piano superiore per scrivere alla sua ragazza.
«Manchi solo tu».
James ringhiò all’ennesima provocazione della sorellina. «Un’altra parola e ti strappo la lingua».
«Mamma, hai sentito James?» si lamentò Lily. Si vedeva che aveva dormito poco, quel genere di tecniche funzionavano solo con loro padre.
«Non sono ancora diventata sorda, Lily» replicò indifferente Ginny. Questa volta la donna, però, alzò il capo dal giornale e tese la mano verso James. «Vuoi che la leggo io quella lettera?».
«Così mi uccidi direttamente?».
«Così ti uccido direttamente» confermò Ginny, prendendo la busta.
«Senti mamma…» iniziò James.
«Non potresti aspettare che legga i voti prima di giustificarti?».
«Hai detto che mi uccidi direttamente» borbottò il ragazzo.
«Sì, ma l’ultimo desiderio si deve a tutti» ribatté Ginny aprendo finalmente la busta. Per un attimo percepì gli occhi di tutti puntati su di lei, non so quelli dei ragazzi ma anche quelli dei suoi genitori. Nonno apprensivi, chissà se un giorno sarebbe stata anche lei così. Si schiarì la voce e lesse:
«GIUDIZIO UNICO PER FATTUCCHIERI ORDINARI.
James Sirius Potter ha conseguito:
Trasfigurazione           O
Incantesimi     E
Storia della Magia      S
Pozioni            E
Erbologia        O
Astronomia     D
Difesa contro le Arti Oscure  E
Babbanologia  E
Cura delle Creature Magiche O
Divinazione    T
Penso che per questa volta non ti ucciderò. Rimandiamo ai M.A.G.O.» commentò Ginny con un ampio sorriso.
James urlò: «Evviva! Posso ancora entrare all’Accademia Auror! Ce l’ho fatta!».
«Che palle, e io che speravo di vedere mamma torturarti… me ne torno a letto…».
«Non usare certe parole, Lily!» la richiamò Ginny, ma la ragazzina stava già correndo al piano di sopra.
«Ora tocca a te!» disse James a Dominique sorridendo. La ragazza, dopo essersi complimentata, decisamente la compagnia di Matthew aveva fatto miracoli su di lei, gli porse la sua pergamena.
MAGIE AVANZATE GRADO OTTIMALE.
Dominique Gabrielle Weasley ha conseguito:
Trasfigurazione           E
Incantesimi     E
Pozioni            E
Erbologia        O
Astronomia     O
Difesa contro le Arti Oscure  E
Aritmanzia      E
Antiche Rune E
«Cavoli, sei stata bravissima» fischiò ammirato James.
«Grazie, ora vado da Matthew. Ci vediamo stasera».
«Mamma» chiamò James, dopo essersi calmato un poco. «Te la saresti presa davvero tanto se fossi stato bocciato?». Fece gli occhi da cucciolo bastonato, una volta gli venivano molto bene.
«Non stavo scherzando prima».
James alzò gli occhi al cielo e poi le diede un bacio sulla guancia.
*
«Ma tu stai sempre chiuso in camera a leggere?» chiese Jack al suo fratellastro Nathan. Non gli piaceva quella parola: fratellastro; ma non si sentiva pronto a parlare di fratelli. In fondo aveva la paura che anche quella vita gli sarebbe stata strappata via da un momento all’altro, perché qualcun altro l’aveva deciso.
Il ragazzino sollevò gli occhi su di lui, palesemente sorpreso. «Che altro dovrei fare?» chiese incerto.
Jack si strinse nelle spalle. «Boh… i tuoi fratelli stanno tutto il giorno in giardino… perché non giochi con loro? Ti senti troppo grande?».
«No, ma loro fanno giochi da maghi».
«E quindi?».
«Io non sono un mago. Non posso fare giochi da maghi. Ora scusa, devo finire questo romanzo. La professoressa di inglese mi ha segnato una relazione da fare per le vacanze».
Jack si accigliò e lasciò la stanza chiedendosi chi gliel’aveva fatto fare di impicciarsi. Insomma che gli interessava a lui? La verità è che pensava che Sylvester fosse un’ipocrita, cui piaceva mettersi in bella mostra. E quando si fissava con qualcosa, era difficile distrarlo! Quante volte ci aveva provato il suo migliore amico, Andy! Lui, però, era troppo buonista, cercava sempre la parte migliore delle persone. Nell’ultima lettera gli aveva consigliato di non essere prevenuto nei confronti della nuova famiglia, ma se era riuscito a farsi piacere tutti i ragazzi non poteva dire altrettanto di Sylvester e Vivienne, sua madre.
Entrò nello studio dell’uomo senza bussare e gli gettò una pergamena sul foglio su cui stava scrivendo. Anche questa volta non si arrabbiò, infastidendolo. Con chi credeva di avere a che fare: un bambino difficile? Si sbagliava di grosso!
«Buongiorno anche a te, Jack! Cos’è questa?» disse indicando la pergamena. 
Il ragazzo strinse i denti, si sentiva tanto bravo perché riusciva a rimproverarlo indirettamente? «Sì, buongiorno» bofonchiò. «I miei G.U.F.O., ho pensato che volessi vederli. Ora ti devi occupare di me, no? Ma se sei quel tipo di persona che vuole solo la perfezione dai figli, beh ti avverto in principio: lì non ci sono solo E. E comunque la magia non è tutto! Sei un bell’ipocrita a emarginare Nathan solo perché è un magonò».
«Non ti permettere» sbottò Sylvester. Per la prima volta sembrava realmente arrabbiato. «Io voglio bene a Nathan come a tutti i miei figli! Indipendentemente dalla magia! Cerco sempre di dargli il massimo proprio come ai suoi fratelli! Frequenta una delle migliori scuole di Londra!».
«Gran bello sforzo! Solo perché deve rispondere a determinati standard! Vi conosco a voi Purosangue! Ma poi sta da solo e dice di non poter fare cose da maghi!» sputò Jack, non sapeva perché ma era contento di farlo arrabbiare.
Sylvester inspirò. «Non ho intenzione di discutere con te» sibilò, lanciandogli la pergamena. «Non sono affari tuoi come cresco i miei figli. Ti ho accolto qui e sono pronto a trattarti come un figlio, ma se c’è una cosa che non tollero, è la mancanza di rispetto! Non mi interessa quante E tu abbia preso o quante T, se ti fermassi un attimo e provassi a conoscere le persone che hai attorno lo sapresti!». Si risedette e riprese a scrivere, ignorando la sua presenza, così Jack lasciò lo studio. Non capiva perché, ma non si sentiva per nulla felice di averlo fatto arrabbiare.
Si sedette in giardino, nascosto da tutto e da tutti da un albero imponente. Voleva andarsene, era stata una pessima idea. Avrebbe trascorso il resto delle vacanze da Andy. I signori Archer avrebbero trovato un posto anche per lui. Non seppe quanto tempo rimase lì con gli occhi chiusi, tentando di calmarsi. Erano anni che non gli accadeva una cosa del genere. Aveva sbagliato tutto. Perché si era messo con quelli del Ministero? Non avrebbe dovuto lasciarsi prendere!
«Io e te dobbiamo parlare».
Aprì gli occhi di scatto e si ritrovò davanti sua madre. Non si erano mai rivolti la parola da quando era arrivato alla villa. Vivienne Rosier in Spencer-Moon era una bella donna, nonostante l’età e le gravidanze, nessuno avrebbe potuto metterlo in dubbio. Suo padre, dopotutto, aveva buon gusto. Almeno in fatto di donne.
«Sul serio?» replicò sarcastico. Le poche volte che l’aveva incrociata nella villa, perché trascorreva la maggior parte della giornata fuori, non aveva visto in lei nulla di materno. Anche gli altri suoi figli non si rivolgevano quasi mai a lei, ma sempre a Sylvester. Questo gli aveva fatto pensare che alle volte anche quando c’è un genitore, non significa necessariamente che sia presente. Suo padre era quello che era, ma quando era in casa ci parlava con lui. Certo, i perbenisti avrebbe trovato diseducative le loro conversazioni, ma almeno parlavano.
«Se ti ho abbandonato sedici anni fa, l’ho fatto consapevolmente. Io sono una Rosier non posso permettermi un figlio fuori dal matrimonio».
«Ma io ci sono, sono qui, esisto» replicò Jack con cruda ovvietà.
 «Sì, lo so» disse con una smorfia di disgusto Vivienne. «Non grazie a me comunque. È stato Sylvester a dirmi di non abortire… quell’uomo è troppo buono, non volevo perderlo… ho imparato a volergli bene, perché è l’unico che mi abbia dimostrato vero affetto da quando sono nata… non mi avrebbe più rivolto la parola se avesse saputo che avevo abortito, così ho deciso di consegnarti a tuo padre. Gli ho dato anche dei soldi all’inizio, ma credo che lui se li sia giocati tutti… Gli ho fatto giurare di non rivelare mai a nessuno che ero io tua madre, in caso contrario avrebbe dovuto affrontare l’ira dei Rosier e ti assicuro che non sarebbe stato divertente e lui lo sapeva…».
«Hai intenzione di rendermi la vita impossibile… cruciarmi o robe simili? Perché sappi che mi so difendere!».
La donna sbuffò. «Allora sei stupido! Non ti farò un bel niente… La mia famiglia ha ben altri problemi da affrontare… Mio fratello Thomas sta facendo un disastro dietro l’altro… ha dimenticato gli insegnamenti di nostra madre dopo l’uccisione di nostro padre… tenere un profilo basso… E lui che ha fatto? È diventato il braccio destro di Bellatrix Selwyn… Tutto ciò si ripercuoterà sui Rosier. Lui è l’unico maschio e ha coinvolto anche il figlio Evan… anche la nostra famiglia si estinguerà… la mia unica ancora di salvezza ormai è Sylvester… la mia sola famiglia… Non credo che riuscirò mai a trattarti come un figlio, non sono un granché come madre come avrai notato… ma questo posto è abbastanza grande per tutti… quindi puoi stare benissimo qui, al massimo mi sentirò meno in colpa… perché ho anche io una coscienza, anche se sopita…».
Jack era troppo sorpreso per replicare e continuò a fissarla.
«Sylvester può darti tanto, non lo allontanare da te… è un brav’uomo… può aiutarti più di quanto potrei mai fare io…».
«E Nathan?» riuscì a chiedere, incapace di accettare di aver sbagliato così tanto.
«Nathan?» ribatté sorpresa la donna.
«È un magonò. E lo emarginate per questo» accusò.
«Non capisco che cosa ti interessi… comunque noi non emarginiamo nessuno…».
«Da quando sono arrivato, l’ho sempre visto in camera sua a studiare o a leggere. In più non parla quasi mai quando siamo tutti insieme…».
«Voi Tassorosso siete strani… un po’ come i Grifondoro… questa mania di preoccuparvi per gli altri…» borbottò la donna. «Comunque è timido. Uno di quei ragazzi che ascolta più che parlare… anche io faccio fatica a capirlo ti giuro… per fortuna se ne occupa Sylvester… e no, non viene emarginato. Frequenta scuole babbane e se fosse un po’ più socievole avrebbe anche amici babbani, non li impediremmo di portarli qui… anzi non l’abbiamo fatto… un paio di volte Sylvester ha insistito che invitasse i suoi compagni il giorno del suo compleanno… è lui a isolarsi… Li abbiamo comprato un sacco di aggeggi babbani… non mi chiedere quali perché non ci capisco nulla… e ti assicuro che Sylvester è un padre molto presente… sono io quella assente, come avrai capito… Non ci hai perso un granché…».
La donna lo piantò lì veloce com’era venuta. Si sentiva infinitamente stupido e ancora una volta avrebbe dovuto ammettere che Andy aveva avuto ragione e lui torto. Si sollevò da terra e ritornò su suoi passi. Fece a malapena caso alle gemelle che sfrecciavano sulle scale e raggiunse lo studio di Sylvester. Non bussò neanche stavolta, ma attese in silenzio che l’uomo alzasse gli occhi su di lui, poi disse semplicemente: «Mi sono comportato da stronzo, scusa».
Sylvester sospirò e annuì: «Andiamo a recuperare i bambini, è quasi ora di cena. Più tardi se ti va, potrai farmi vedere i tuoi G.U.F.O. Non mi aspetto tutte E, ma sono sicuro che sei stato bravo… sei un ragazzo determinato e per diventare Auror bisogna impegnarsi molto…».
Jack non scostò il braccio con cui l’uomo gli circondò le spalle e fece un lieve sorriso.
*
«La puoi smettere di fare quella faccia?» sibilò Lauren Wilson fissando la sorella minore.
Virginia sbuffò. «Questa è la mia faccia».
«Sei infantile! E poi lo dici a me!».
«Forse perché sei infantile!».
Lauren stava per ribattere malamente, ma quando vide il padre appoggiato allo stipite della porta che le fissava si bloccò. Virginia notando il suo sguardo si voltò.
«Lauren, per favore, ci lasci soli per qualche minuto?».
«Come vuoi… tanto stavo per strozzarla…» borbottò la ragazza, scendendo al piano di sotto.
Virginia evitò gli occhi del padre.
«Perché litigavate?».
«Stavo studiando e lei mi ha disturbato… come sempre…».
«Era venuta a chiamarti… i nostri ospiti stanno per arrivare…».
«Nostri? Sono i tuoi ospiti» replicò Virginia contrariata.
Adrian Wilson sbuffò. «Sul serio, è più facile avere a che fare con gli Allievi dell’Accademia che con voi».
«Mi dispiace, se vuoi mi ci inscrivo così imparo un po’ di disciplina» sbottò sarcastica Virginia.
Adrian la fissò sorpreso e Virginia abbassò lo sguardo: non era da lei parlare in quel modo. «Scusa» mormorò.
«Virginia, ascoltami bene. Tu e Lauren siete le persone più importanti della mia vita. Il fatto che ci sia un’altra donna, non cambierà nulla. Te lo giuro».
Virginia si lasciò abbracciare, ma non era per nulla più tranquilla.
«Ho paura» ammise.
«Di che cosa?».
«Che tutto si ripeta… che questa nuova donna sia come il compagno di mamma e i suoi figli… e poi dovrò fare i salti mortali per fare i modo che tu non voglia più bene a loro…». Virginia scoppiò i lacrime.
«Non succederà. Te lo prometto. Ti fidi di me?».
«Sì» singhiozzò Virginia. Adrian la tenne stretta a sé e le accarezzò la testa. In quel momento sentirono suonare il campanello, seguito da delle voci dopo che Lauren aprì. Suo padre, però, non sciolse l’abbraccio. La ragazza comprese che non l’avrebbe fatto e che toccava a lei. «Vai» sussurrò divincolandosi.
«Sicura?».
«Sì».
«Allora sciacquati il viso e quando te la senti, raggiungici».
«Grazie» sussurrò. Adrian le diede un bacio sulla fronte.
Virginia sedette qualche minuto sul letto e tentò di tranquillizzarsi. Non dovevano per forza essere cattive persone… suo padre non sarebbe mai uscito con una persona antipatica… Inspirò e decise di andare in bagno, qui tentò di far sparire il rossore dagli occhi. Quando finalmente scese in cucina, non era sicura di esserci riuscita, ma non poteva chiudersi tutta la sera in bagno. Doveva farlo per suo padre.
«Ciao» sussurrò. Erano tutti seduti sul divano e le poltrone. Riconobbe immediatamente la ragazza, seduta al fianco della donna. La donna di suo padre.
«Virginia, ti presento Selene» disse suo padre con un caldo sorriso e lei comprese che era rivolto a entrambe.
«Piacere» disse porgendole la mano.
«Credo che tu conosca già mia figlia Martha» disse gentilmente Selene.
«Sì». Si avvicinò alla ragazza e si baciarono sulle guance. Condividevano il Dormitorio da quattro anni, non poteva non conoscerla. La sua presenza, però, riuscì a tranquillizzarla: Martha era una ragazza calma e gentile. Non erano mai state molto amiche, ma principalmente perché entrambe tendevano a isolarsi. Il problema era che non era molto chiaro il perché il Cappello avesse smistato Martha a Corvonero. No, non era stupida, ma sembrava molto più una Tassorosso.
«Lui è Jeremy» aggiunse Selene.
Jeremy era un bimbo che non dimostrava più di otto anni, Virginia gli sorrise sinceramente. Lo stesso sorriso che poi rivolse al padre: forse non sarebbe stato così male.
 

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Capitolo 5
*** Strategie da rivedere ***


Capitolo quinto

Strategie da rivedere
 
«Buongiorno a tutti!» disse Albus, ma la sua voce non suonò sicura come avrebbe voluto. Non era bravo in quel genere di cose… Suo padre, sua madre, i nonni e la maggior parte degli zii stava facendo colazione prima di recarsi a lavoro.
«Da quand’è che ti alzi così presto?» gli chiese Ginny sospettosa.
«Perché non posso aver voglia di fare colazione con tutti voi?».
«Perché non vieni a darmi una mano in negozio?» gli chiese zio George porgendogli il vassoio con le brioche di zucca.
«Credo che sarebbe più istruttivo se venisse con me al Ministero, potrebbe imparare molte cose e poi ci sono alcuni corsi estivi interessanti» propose, invece, zio Percy.
«E io non credo che sarebbe sicuro» intervenne Harry e Albus avrebbe voluto abbracciarlo: okay la sua fissazione con la sicurezza stava diventando pesante, ma in questo caso andava a suo vantaggio. Non che non apprezzasse la compagnia dello zio George, ma nel suo negozio c’era sempre troppa gente e tenere sotto controllo i bambini in mezzo agli scherzi era impossibile.
«Ma dai, Harry! Il Ministero è sicurissimo!» ribatté prevedibilmente zio Percy.
«Questa favola raccontala a qualcun altro, Percy! Non certo a me, che sono a capo della sicurezza!» sbottò Harry, palesemente contrariato.
Albus, vedendo che lo zio stava per ribattere e sapendo che la discussione sarebbe degenerata, disse: «A proposito della sicurezza, papà, ma si può andare a trovare Jesse Steeval?».
«Dorcas no» replicò Harry dopo un lungo sorso di thè.
«Cosa? I-io ti ho fatto una domanda generale! Cosa c’entra Dorcas?» bofonchiò Albus sconvolto.
Harry sospirò. «Ti prego Al, sono stanco e nervoso. Non mi fare arrabbiare. Gabriel mi ha raccontato che Dorcas vorrebbe andare a trovarlo».
«Almeno spiegami perché non possiamo vederlo» sospirò Albus.
«Vuoi andare a trovare Steeval? Per me non c’è problema. La sua stanza è sorvegliata da due Auror, con la mia autorizzazione potrebbe entrare anche uno schiopodo sparacoda…».
«Ehm quindi io, Alastor e Dorcas possiamo andarlo a trovarlo con il tuo permesso…» tentò Albus.
«No, Albus. Tu, se vuoi, avrai il mio permesso. Se Kingsley dovesse dare il suo permesso ad Alastor, potrà farti compagnia. Dorcas non può venire».
«Scusa, l’autorizzazione la devi dare tu…».
«Al, niente giochi di parole!» lo fermò bruscamente Harry spazientito. «Gabriel non vuole che Dorcas abbia a che fare con Steeval».
«Ma devi dare tu l’autorizzazione! Non lui!».
«È suo padre ed è mio amico! Non andrò contro la sua decisione!» affermò Harry.
«Perché? È una cosa stupida! Dorcas vuole solo parlargli un attimo!».
«Non dipende da me. Ora se vuoi andarci…».
«Sai benissimo che non me ne frega niente di Steeval!» sbottò Al alzandosi.
«Non fai colazione?» lo richiamò la nonna.
«No, non ne ho voglia» borbottò.
«Albus, non rispondere con quel tono alla nonna!» ammonì Harry.
Il ragazzo lo fissò imbronciato e si diresse al piano di sopra.
*
«Adoro la tua piscina!» sospirò Rose, accoccolandosi meglio sul lettino prendisole.
«I miei saranno fuori il prossimo weekend» comunicò con un sorriso furbo Cassandra Cooman, una ragazza dai fluenti capelli biondi sui quindici anni.
«A sì? E dove vanno?».
«Boh… Credo negli Stati Uniti. Papà ha una conferenza… Una cosa noiosa…».
«Immagino…».
«E volevo approfittarne per fare una festa».
«Wow!  Fantastico!».
«Vorrei che fosse indimenticabile! Così tutta la Scuola se la ricorderà!».
«Giusto! Sai già chi potremmo invitare? Io inviterei i ragazzi del settimo anno».
«Certo, ma solo quelli carini. Per esempio gli amici di tuo cugino Fred».
«Verranno sicuramente! E poi Abbott di Tassorosso? Una volta l’ho visto dopo gli allenamenti! Ti ricordi? Te l’avevo detto! Era a petto nudo…».
«Oh, sì. In quel momento avrei voluto entrare a far parte della squadra!».
Rose rise. «È un gran figo!».
«Anche Matthew Parker di Corvonero è carino» disse pensierosa Cassy.
Rose fece una smorfia. «Sì, è passabile, ma non è una gran bellezza, eh».
«Beh, sì sicuramente Abbott è il più bello del settimo anno. E del sesto? Sai che tu cugino è carino?».
«Che schifo! Lo dici solo perché non l’hai visto quando ha preso la varicella! Era pieno di schifosissime pustole e si divertiva a torturarle!».
«Oh, Merlino, che schifo Rose! Ma quanti anni aveva?».
«Boh, sette-otto… chi si ricorda…».
«Era un bambino! Ora non ha nessunissima pustola!».
«È fidanzato… Gabriel Fawley di Serpeverde ha il suo fascino».
«Ci sei andata a Hogsmeade, una volta… anche se non era una cosa seria… Mark Parkinson?».
«I miei cugini lo ucciderebbero se solo lo vedessero vicino a me… E comunque è uno spocchioso Serpeverde! Lo vorresti davvero alla tua festa?».
«No, naturalmente… ma è carino…».
«Già, peccato… Perché non provi a invitare Jonah Pucey, il bel tenebroso di Corvonero?».
«Mmm è carino anche lui… Mi piacerebbe svelare il suo mistero!». Risero entrambe.
«Potresti invitare anche Jack Fletcher di Tassorosso» propose Rose.
«Bella idea» commentò Cassy e poi chiese: «Ma senti, tu alla festa delle Danielson sei andata?».
«No, non te l’avevo detto? Quelle non le voglio vedere… però invitale così moriranno di invidia… le faremo vedere come si organizza una vera festa!».
«Ben detto!».
«Al era strano stamattina… Voleva sapere come faccio a uscire di nascosto dai nonni».
«Al? Stiamo parlando dello stesso Albus che conosco io? Albus Severus Potter? Tuo cugino?».
«Sì, proprio lui».
«E perché mai?».
«Credo che lui e Alastor stiano architettando qualcosa, ma non ha volute parlarmene. Ti rendi conto? Io sono la sua migliore amica da quando siamo nati!».
«Chissà che cos’ha in mente… L’ultima volta che non ti ha detto nulla ha usato una pista da pattinaggio portatile…».
«Non lo so… era agitato… sembrava qualcosa di serio…» borbottò Rose.
*
«Sei sicuro che funzionerà?» chiese Dorcas titubante.
«Ormai siamo qui» borbottò Alastor.
«No, non sono sicuro. Ma non abbiamo molta scelta. Vuoi tornare indietro? Siamo ancora in tempo» replicò Albus.
«Lo so che vi sto mettendo in un guaio assurdo, ma per me è importante» mormorò Dorcas.
«Allora procediamo» concluse Albus dopo aver colto il cenno di assenso di Alastor.
Arrivare al San Mungo non era stato troppo difficile, anche se per tutto il viaggio sul Nottetempo avevano avuto i nervi tesi. Un agente della Squadra Speciale Magica li aveva tenuti d’occhio per tutto il tempo e Al aveva avuto una paura pazzesca che li fermasse. Invece non aveva fatto nulla. Magari non li aveva riconosciuti. La Sala di Accettazione era molto ampia. Albus guardandosi attorno ebbe un tuffo al cuore: molte delle persone che attendevano su lunghe panche di legno era ferite seriamente. Quella notte, infatti, vi era stato un altro attacco dei Neomangiamorte. Non avrebbero dovuto essere lì. Non capiva che cosa passasse per la testa di Dorcas, non era mai stata avventata. Probabilmente la loro influenza le aveva fatto male. Oppure c’era qualcosa che non riusciva a comprendere: quali sentimenti provava Dorcas nei confronti di Jesse Steeval? I medimaghi si affrettavano a soccorrere i feriti. Per un attimo provò a immaginarsi con quelle vesti verde acido, sul petto era ricamata una bacchetta incrociata a un osso. Non ci si vedeva proprio. Sospirò, prima o poi avrebbe dovuto decidere del suo futuro.
Evitarono di chiedere informazioni alla strega addetta e si avvicinarono al un cartello informativo.
«Ci sono Auror e agenti della Squadra Speciale Magica» sussurrò Alastor.
«Credi che gli Auror possano riconoscerci?» chiese Dorcas.
«Spero che decidano che preoccuparsi troppo di tre ragazzi sia inutile. E poi sono solo due e non conosco i loro nomi… quindi probabilmente non possono essere sicuri di chi siamo… per cui non rischieranno di disturbare mio padre per un sospetto…».
«Non capisco perché tu non hai lo stesso problema» disse Dorcas ad Alastor.
«Perché mio padre non ci portava con sé agli eventi pubblici» mormorò contrariato il ragazzo, gli altri due compresero che non era il caso di approfondire.
«Secondo voi che piano è?» domandò Albus incerto indicando il cartello.
 
INCIDENTI DA MANUFATTI      PIANTERRENO
ESPLOSIONI DI CALDERONI, RITORNO DI FIAMMA DI BACCHETTE, SCONTRI TRA SCOPE ECCETERA
 
LESIONI DA CREATURA PRIMO PIANO
MORSI, PUNTURE, SCOTTATURE, SPINE ECCETERA
BATTERI MAGICI  SECONDO PIANO
MALATTIE CONTAGIOSE: VAIOLO DI DRAGO, NAUSEA DA SVANIMENTO, SCROFUNGULUS ECCETERA
 
AVVELENAMENTO DA POZIONI E PIANTE  TERZO PIANO
ERUZIONI, RIGURGITI, RISA INCONTROLLABILI ECCETERA
 
LESIONI DA INCANTESIMO      QUARTO PIANO
FATTURE INELIMINABILI, MALEDIZIONI, APPLICAZIONE ERRATA DI INCANTESIMI ECCETERA
 
SALA DA TÈ PER I VISITATORI/NEGOZIO    QUINTO PIANO
 
SE SIETE INCERTI SU DOVE ANDARE, INCAPACI DI ARTICOLARE DISCORSI INTELLEGIBILI O DI RICORDARE PERCHÉ SIETE QUI, LA NOSTRA STREGACCOGLIENZA SARÀ LIETA DI AIUTARVI                       
«Secondo me dobbiamo andare al quarto piano» disse Alastor.
In fondo alla sala vi era una doppia porta, i ragazzi la superarono e da lì iniziarono a salire le scale. Fortunatamente nessuno gli bloccò, ma una volta raggiunto il secondo piano compresero che non sarebbe stato molto facile. Era affollatissimo.
«Facciamo in fretta» disse Alastor inquieto.
«Non sarà difficile trovare la stanza di Steeval… mio padre ha detto che è sorvegliata da due Auror».
«Al, ma se gli Auror si accorgono che la firma è falsa? O i nostri genitori li hanno avvertiti?» domandò Dorcas, palesemente preoccupata.
Albus preferì non rispondere: le possibilità di fallire erano altissime.
«Mi sa che abbiamo un problema» borbottò Alastor.
«Su questo non ci sono dubbi» sospirò Albus. Avevano percorso quel piano due volte e le stanze sorvegliate dagli Auror erano ben tre!
«E ora? Avete la minima idea di chi sia ricoverato qui oltre Steeval?» domandò Alastor.
Per tutta risposta Dorcas scoppiò a piangere. «Ho fatto un disastro e vi ho trascinato con me» singhiozzò.
I due ragazzi si guardarono senza sapere che cosa fare.
«Ragazzi, posso aiutarvi in qualche modo?». Un ragazzo sui vent’anni si avvicinò loro. Indossava la veste dei medimaghi ma il cartellino che portava al petto affermava chiaramente che era solo uno studente. E per giunta il suo nome non era del tutto sconosciuto ad Albus. Daniel Edwards.
«Per caso sei imparentato con Victoire Weasley?».
Ecco appunto.
«La vostra amica sta male? Che cosa si sente?».
«Nulla, è solo un po’ agitata» rispose subito Albus.
«Per caso sai in quale stanza possiamo trovare Jesse Steeval?» chiese Alastor, sperando che il ragazzo smettesse di indagare sulle loro identità.
«Sì, perché lo volete sapere?» chiese sospettoso.
«Volevo dargli una cosa» borbottò Dorcas, che tentava di controllarsi.
«Capisco, ma ci vuole un permesso particolare».
«Ce l’abbiamo» disse Albus tirando fuori una pergamena e gliela mostrò. Aveva anche il timbro del Ministero. Fortunatamente suo padre era un tipo disordinato quindi l’aveva trovato sulla scrivania del suo studio così come la pergamena con il logo del Ministero.
«Mmm va bene» mormorò il ragazzo. «Vi accompagno».
La stanza di Steeval era in fondo a sinistra. I due Auror sembravano freschi di Accademia.
«Hanno l’autorizzazione» disse Daniel Edwards.
«Voglio vederla» disse fermo uno dei due.
Albus gli porse la pergamena tentando di darsi un tono, ma non dovette risultare molto credibile vista la lunga occhiata che gli lanciò l’altro Auror. Perse un battito e comprese che erano nei guai nel momento in cui il primo Auror estrasse la bacchetta ed eseguì un incantesimo sulla pergamena.
«Sembra che qui qualcuno abbia voglia di scherzare con il fuoco» borbottò il giovane.
«Con che coraggio avete falsificato la firma del Capo del Dipartimento Auror? Lo sapete che è illegale?» domandò l’altro.
E tu lo sai chi è mio padre? Avrebbe voluto ribattere Albus, ma ritenne che il silenzio fosse la scelta migliore. I tre deglutirono non sapendo come tirarsi fuori da guai. Il fatto che non gli avesse riconosciuti non era per forza qualcosa di positivo.
«Quali sono i vostri nomi?» chiese uno dei due Auror.
Erano nei guai fino al collo. In quel momento sentì enormemente la mancanza di Rose e James. Loro non erano bravi a infrangere le regole, come avevano potuto mettersi in un casino del genere?
Dorcas stava piangendo di nuovo, anche se tentava di trattenersi.
«Credo che i ragazzi volessero davvero solo salutare Steeval» intervenne a sorpresa Daniel Edwards.
«Questo non è affar nostro» replicò l’Auror.
«Avanti! Seguitemi!» disse l’altro autoritario prendendo Alastor per un braccio. Il ragazzo provò a liberarsi, ma non era abbastanza forte.
«Vi sembra necessario?» tentò Daniel.
«Sta al tuo posto» gli fu ordinato. «Potremmo anche schiantarli. Ne avremmo tutto il diritto».
«Mollalo, potete risolvere la questione diversamente».
Uno dei due Auror, quello più alto e muscoloso, lo spinse. «Ho detto di starne fuori!».
«Non osare toccarmi» sbottò Daniel, arrabbiandosi. «Non ne hai il diritto!».
«Stronzetto, vuoi vedere come ti faccio passare una notte dentro?» intervenne l’altro spingendolo a sua volta.
«Non credo che il vostro Capitano sarebbe felice di vedervi in questo momento, ma visto che qui comando io e state minacciando uno dei miei studenti, pretendo una spiegazione». Anthony Goldstain li fissava severamente.
«Noi minacciarlo? Si sbaglia di grosso» disse un Auror.
«Ho intenzione di arrestarlo con l’accusa di intralcio al pubblico ufficio e insulti a pubblico ufficiale» disse l’altro con fare pomposo.
Goldstain inarcò un sopracciglio e si rivolse al ragazzo: «Daniel, che cos’è questa storia?».
Il ragazzo gli raccontò ogni cosa, mentre parlava i due Auror intervennero per difendersi e far valere la loro versione dei fatti, tanto che ad Albus per un attimo sembrò di essere a Scuola, Dorcas ne approfittò e si fiondò nella stanza di Steeval. Gli Auror nemmeno se ne accorsero, l’unico che diede segno di vederla fu Goldstain ma non disse nulla.
Dorcas non sapeva che cosa l’aveva spinta ad agire, sicuramente se ci avesse pensato sopra non l’avrebbe mai fatto.
«E tu chi sei? Che sta succedendo là fuori?» la accolse rigido e con bacchetta alla mano Terry Steeval, il padre di Jesse e Capitano della Squadra Speciale Magica.
La ragazza boccheggiò, completamente stordita da quello che stava succedendo.
«Dorcas».
Si voltò verso Jesse che la fissava incredulo dal letto.
«Volevo sapere come stavi» borbottò Dorcas, avvicinandosi. Il ragazzo era pallidissimo e aveva moltissime fasciature. Allungò una mano e le accarezzò il viso. «Che diavolo sta succedendo?».
Dorcas lo abbracciò istintivamente in cerca di conforto e tra le lacrime gli raccontò quello che avevano combinato. Il fatto stesso che avesse eliminato ogni distanza così rapidamente, fece comprendere al ragazzo, anche più delle lacrime, il suo turbamento.
Terry Steeval, dopo aver ascoltato la storia, borbottò qualcosa sul fatto che andava a tranquillizzare gli Auror.
«Non valgo così tanto» mormorò Jesse dopo un po’.
«Ma io ho capito che sei pentito! Ho trovato il significato dell’anello! Ti ho portato questo» disse concitata. «È un amaryllis».
Jesse prese il fiore e per un attimo lo fissò sorpreso, poi disse: «Vattene, non è posto per te. Papà accompagnala dai suoi amici, per favore».
Dorcas si voltò e vide Terry Steeval sulla porta. «Su, vieni» le disse.
«Puoi sistemare le cose?» lo bloccò Jesse. «Voleva solo salutarmi, se quegli stupidi Auror non li avessero minacciati non sarebbe accaduto nulla».
«Stai tranquillo» mormorò Terry.
Fuori non c’era più nessuno. La ragazza seguì l’uomo in silenzio fino all’ufficio di Anthony Goldstain, primario del San Mungo. Quando entrarono nella stanza vi trovarono Alastor, Albus e i due Auror. Terry Steeval si chinò e sussurrò qualcosa a Goldstain, mentre Dorcas affiancava gli amici, che le rivolsero uno sguardo afflitto.
«Ha chiamato i nostri genitori» mormorò Albus.
«Mi dispiace» replicò sinceramente Dorcas. «Il ragazzo che ci ha difeso?».
«Goldstain ha messo a tacere i due Auror e ha mandato Daniel Edwards a lavorare» rispose Alastor.
Non dovettero attendere molto perché Harry, Gabriel Fenwick e Kingsley Schacklebolt facessero il loro ingresso. Anthony li mise al corrente di quanto era accaduto con l’aiuto di Terry Steeval, che subito dopo si congedò. I due Auror provarono a intromettersi, ma furono zittiti dalle occhiatacce del loro Capitano e del medimago.
«È solo colpa mia» mormorò Dorcas. Solo a quelle parole Albus sollevò gli occhi da terra. «Ma volevo solo parlare con Jesse».
Gabriel Fenwick era sicuramente il più furioso dei tre genitori. La sua mascella era rigida e fissava la figlia con malcelata ira. «Andiamo a casa» disse a denti stretti. Dorcas non fiatò e seguì il padre. I due ragazzi avrebbero voluto dire qualcosa, ma sapevano di essere già nei guai.
«Credo che voi dobbiate delle scuse a qualcuno» disse secco Harry.
Albus annuì e disse: «Mi dispiace, signor Goldstain. Non volevamo creare problemi, sappiamo che questo è un ospedale. Le nostre intenzioni erano ben altre».
«A noi niente?» intervenne sfacciato uno dei due Auror.
«Vi chiedo scusa per aver tentato di ingannarvi» aggiunse poco convinto Albus. Non riteneva che si fossero comportati come richiedeva il loro ruolo, ma non era il momento di far polemiche e comunque suo padre doveva averlo intuito dalle parole di Goldstain.
Alastor si scusò a sua volta.
«Scuse accettate. Ora uscite un attimo fuori per piacere» disse Goldstain, ma non trattenne a lungo né Harry né Kingsley.
«Ti accompagno a casa» disse Harry distaccato e Albus comprese di averlo deluso sul serio.
*
Jonathan ripose il manuale di Trasfigurazione nella libreria e riordinò la scrivania.
«Papà è tornato, vieni a mangiare» lo chiamò sua sorella Melissa, che a settembre avrebbe frequentato il settimo anno.
La cena trascorse tranquillamente e fu rallegrata dalle chiacchiere vivaci della madre e di Mel.
«Tutto ok?» gli chiese suo padre, seguendolo al piano di sopra a cena conclusa.
«Sì» mormorò automaticamente.
«Odio le bugie e lo sai. Che hai?».
«Come si diventa saggi?» chiese allora Jonathan rivelando il cruccio che si portava dentro da mesi.
Anthony si accigliò e lo condusse nel suo studio. Era abbastanza grande e molto ordinato. «Sei preoccupato per la Profezia?» domandò a bruciapelo dopo aver chiuso la porta.
«Non dovrei?» sospirò il ragazzo.
«Saresti stupido se non lo fossi» mormorò Anthony. «Comunque è difficile divenire saggi, ci vuole tempo… tantissimo tempo…».
«Allora che senso ha la Profezia? Non possiamo mica aspettare di diventare vecchi!» disse esasperato coprendosi il volto con le mani.
«Vorrei tanto saperlo…» replicò Anthony.
«Fra due giorni ci sarà il primo incontro con gli altri».
«Potter me l’ha detto oggi. Ti accompagnerò io».
«Perché l’hai visto? È successo qualcosa?».
Anthony gli raccontò della bravata dei suoi amici. «Oh» commentò sorpreso. «Non è da Dor comportarsi così. Chissà che cosa doveva dire di così importante a Jesse».
«Non lo so. Non erano affari miei e non ho indagato».
«Avrebbero dovuto dirmelo» disse Jonathan visibilmente deluso.
«Ti saresti unito a loro?» domandò con un tono d’ammonimento Anthony.
Nonostante ciò Jonathan rispose: «Sì, non capisco perché non me l’hanno detto».
«Ti rendi conto di quanto sia grave quello che hanno fatto?» sbottò severamente Anthony.
«Sì, ma se l’hanno fatto dev’esserci un motivo! Tu non li conosci! Al, Dor e Alastor non agiscono di impulso di solito! Se l’hanno fatto dev’esserci una motivazione seria!».
«Sarà come dici tu, ma resta il fatto che avrebbero dovuto affrontare la situazione in modo diverso… mettila così: non sono stati saggi».
Jonathan sospirò: «Dì quello che vuoi, ma tu non sai che significa essere messo da parte…».
*
Dorcas osservò i fratelli mentre saltavano tra le braccia del padre, appena rientrato da lavoro. Sembrava molto più tranquillo rispetto a quando l’aveva accompagnata a casa. Quella mattina non le aveva detto nemmeno una parola e questo l’aveva spaventata ancora di più. Per un attimo i loro occhi si incontrarono e la ragazza ebbe la certezza che il padre non fosse più furioso e che fosse pronto a parlare con calma di quello che era accaduto; ma prima che uno dei due potesse dire qualcosa suonò il campanello.
«Ma chi può essere a quest’ora?» chiese preoccupata sua madre.
Dorcas non comprese la sua reazione, in caso di urgenze suo padre veniva contattato con un patronus o al massimo via camino. E i Neomangiamorte non suonavano alla porta. Più assurda fu, però, la reazione della nonna Joanne che si catapultò ad aprire senza dar loro il tempo di muoversi o di aggiungere altro. E come se non bastasse ella assunse un’aria addirittura quasi delusa quando vide che erano gli altri due figli con le rispettive famiglie. Delusa o sollevata?
«Ciao. Siete puntuali. Bravi!» disse Joanne in modo sbrigativo e li salutò velocemente.
«Allora che cosa devi dirci di così importante?» chiese zia Mary andando subito al sodo, mentre i figli iniziavano a rincorrersi con i nipoti.
Dorcas la osservò: assomigliava molto alla nonna fisicamente, ma aveva un carattere più introverso. Non era anomale che gli zii venissero a cena. Non avevano mai avuto bisogno di un invito formale. E spesso quando avevano impegni di lavoro lasciavano lì i figli.
«Benji, Doc, Jo, Seby e Summer andate a giocare di sopra» ordinò la nonna senza prendersi la briga di rispondere alla figlia. «Quando sarà pronta la cena vi chiameremo… È meglio che vada anche tu di sopra Dorcas».
I più piccoli obbedirono, felici di poter giocare insieme.
«Un attimo, mamma. Che cos’è questa storia?» s’intromise Gabriel. «Io e Dorcas dobbiamo parlare prima di cena».
Dorcas sentì la tensione crescere nella piccola cucina-soggiorno, non riuscendo a comprenderne le motivazioni. La nonna era sempre più strana in quel periodo.
La zia Mary aveva la fronte corrugata e uno sguardo inquisitorio. Lo zio Vince, il fratello più piccolo del padre, era perplesso e stringeva dolcemente la mano della moglie. Dorcas sorrise istintivamente, lo zio era l’unico Tassorosso della famiglia oltre a lei.
«Senti Gabriel…» iniziò la nonna incerta e spaventata. Di che cosa aveva paura? Quando mai sua nonna era stata spaventata da suo padre? Nuovamente, però, il suono del campanello interruppe la conversazione. Questa volta la nonna sbiancò completamente e le mani le tremarono palesemente.
«Ma che diavolo…» sbottò Gabriel e dopo un’occhiata alla madre, andò ad aprire la porta.
 «Ah, signor Fenwick è lei!» disse un uomo in divisa beige. «Abbiamo accompagnato suo fratello, come richiesto nella sua lettera».
«Anche se avrebbe potuto aspettarlo al Ministero…» borbottò una voce maschile, di cui, però, Dorcas non vedeva il volto da dove si trovava. Il problema non era quello: suo padre aveva un altro fratello? E che c’entrava la Squadra Speciale Magica?
«Smith, non era necessario che ti prendessi la briga di venire qui… e non so di che Merlino parli!» quasi urlò Gabriel. Era di nuovo furioso, ma diversamente da quella mattina: sembrava sul punto di perdere il controllo.
La nonna si riscosse dallo stato di trance in cui era caduta e corse alla porta, scansò Gabriel e anche l’agente. Gabriel era ammutolito, ma tremava così forte che la moglie gli si avvicinò. Dorcas era terrorizzata. Che cosa stava succedendo? Guardò gli zii in cerca d’aiuto, ma zia Mary fissava con rabbia la scena, stringendo forte i pugni e ignorando qualunque cosa le stesse sussurrando il marito all’orecchio. Zio Vince, invece, ricambiò teso e perplesso. La nonna rientrò in casa insieme a un uomo, che Dorcas non aveva mai visto, ma si trattenne a stento dallo strillare: era quasi cadaverico! Il volto era un intrigo di rughe ed era scavato. I capelli era brizzolati. Sembrava molto vecchio.
«Fenwick, noi andiamo» mormorò uno degli agenti.
«DOVETE PORTARVELO VIA!» urlò Gabriel fuori di sé. Dorcas tremò. «DEVE MARCIRE AD AZKABAN!».
Non sapeva se avvicinarsi o meno, ma neanche la madre sembrava capace di calmarlo e gli zii non intervenivano.
«FAI SILENZIO» gridò Joanne, lasciandolo a bocca aperta. «RICORDA LA PROMESSA CHE HAI FATTO A TUO PADRE!».
Per un attimo Dorcas temette che sarebbe venuto un collasso al padre tanto era bianco, ma Gabriel, ignorando la madre, si fiondò verso le scale, seguito dalla moglie. Si bloccò al primo gradino e tornò indietro dalla figlia e la prese per un braccio. «Con quello non rimani» disse a denti stretti.
«Che succede?» riuscì a chiedere, mentre salivano le scale, ma non ebbe risposta. Rimase ferma nel bel mezzo del corridoio osservando il padre sbattersi la porta della sua camera da letto alle spalle e la madre affrettarsi a seguirlo. Non sapeva proprio come comportarsi.
«Tranquilla, chiariremo tutto».
Sussultò e si voltò verso lo zio Vince. Dorcas si rifugiò tra le sue braccia e scoppiò a piangere.
 

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Capitolo 6
*** Dura lex, sed lex ***


Capitolo sesto

Dura lex, sed lex
 
«Frank, tesoro, devo cambiare Aurora… continuerete a giocare pomeriggio».
Il ragazzino sorrise e annuì. «Lasciamo le costruzioni qui, però. Stavamo costruendo un castello» disse indicando il tappeto della cucina, su cui fino a qualche momento prima giocava con la sorellina di un anno.
«Come volete» assentì sua madre Hannah prendendo in braccio la sua ultima nata. «Vai a chiamare papà nel frattempo. Tra poco mangiamo e lui ha sempre le mani piene zeppe di terra».
«Sì, ok» disse Frank uscendo fuori in giardino. Suo padre si era costruito una piccola serra o meglio più che altro si trattava di un minuscolo capanno degli attrezzi reso alla meno in meglio adatto a ospitare delle piante. A lui dispiaceva perché sapeva quanto al padre sarebbe piaciuta una vera e propria serra, ma la casa era troppo piccola e ancor di più lo era il giardino. Entrò nella serra e sorrise nel vedere il padre al lavoro. Le sue mani rinvasavano con sicurezza e delicatezza un bulbo.
«Ciao» quasi sussurrò per non disturbarlo.
«Ciao, Frankie. Tutto ok? Il pranzo è pronto?».
«Sì, mamma mi ha chiesto di venire a chiamarti».
Suo padre, Neville, batté le mani per togliersi un po’ di terra e disse: «Allora, sbrighiamoci. Quando Alice ha fame, diventa insopportabile». Frank non sorrise, perché si rese conto di aver finalmente l’opportunità di parlare con lui a quattr’occhi, senza sorelle o cugini. «Che c’è?» gli domandò Neville cogliendo il suo sguardo pensieroso.
«Senti… so che non sono affari miei… ma perché tu e mamma avete litigato qualche settimana fa?».
Il sorriso bonario sparì dal volto di Neville. «Mi dispiace, abbiamo perso un po’ il controllo quella sera… ecco, vedi… abbiamo litigato perché vorrei che mamma rinunciasse alla gestione del Paiolo Magico...».
Il ragazzino ne rimase sorpreso: era l’ultima cosa che si aspettava di sentire. «Perché?».
«Nonostante il Ministero abbia provveduto a mettere delle protezioni… io ho paura… è un luogo frequentato… potrebbe entrare chiunque… potrebbe essere preso di mira dai Neomangiamorte…» rispose Neville affranto e turbato. «Non sarei mai tranquillo… soprattutto durante l’anno scolastico… poi dovrebbe portare con sé anche la bambina e non voglio…».
«E come siete rimasti?» domandò Frank. Di solito quando i genitori litigavano facevano pace abbastanza velocemente, questa volta, però, più che risolvere il problema, causa della discussione, avevano tentato di far finta che non fosse successo nulla. O almeno questa era l’impressione che aveva avuto lui.
«Tocca a lei decidere, non a me. Le ho detto che potrebbe venire anche a Hogwarts con noi, tanto nonna Augusta se la caverebbe benissimo da sola… tua mamma ha anche il diploma da medimaga per cui potrebbe occuparsi dell’infermeria… mi ha promesso che ci penserà…».
«E Peter?».
«Peter aveva un contratto annuale e gli è servito come tirocinio».
«Quindi non litigavate per colpa nostra?» mormorò Frank sollevato.
«Colpa vostra? Perché hai pensato una cosa del genere?».
Augusta sarebbe stata la risposta sincera, ma non era da lui mettere nei guai le sorelle, quindi si limitò a dire: «Beh non eravate molto contenti dei nostri risultati scolastici… soprattutto mamma…».
Neville si accigliò. «Perché parli al plurale? Il discorso valeva per Alice, non per te… Alice ci sta facendo disperare… e comunque, non vedo perché avremmo dovuto litigare per questo motivo… io e la mamma siamo perfettamente d’accordo sulla questione: tua sorella deve iniziare a comportarsi meglio e a studiare di più».
Frank glissò sull’ultimo punto e disse: «Mamma si è arrabbiata anche con me… sono calato in Astronomia… e pensa che non mi sia impegnato abbastanza… ed è vero, no?» borbottò, ripensando al periodo in cui aveva creduto di poter seguire le lezioni di Storia della Magia del settimo anno, trascurando le altre materie.
«Mamma ci tiene molto che abbiate dei buoni risultati scolastici, lei era un’ottima studentessa… comunque no, non lo penso… so che ti sei impegnato al massimo e soprattutto conosco la professoressa Campbell… So, che ha la tendenza a prendere di mira gli studenti, specialmente Grifondoro e Tassorosso…» replicò Neville arruffandogli i capelli.
«Domani ci sarà il primo incontro del gruppo. Mi è arrivato il messaggio» lo informò Frank.
«Sì, Harry mi ha scritto. Ti accompagnerò a Villa Shafiq domani mattina».
«Grazie».
Rientrarono in casa insieme, ma anziché andare in bagno a lavarsi le mani, Frank si fiondò nella cameretta delle sorelle. Come sperava vi trovò Alice intenta a scarabocchiare una pergamena.
«Non credo che quei disegnini rispondano alle domande di Lupin».
«Che diavolo vuoi? Non ho fame, l’ho già detto a mamma» borbottò la tredicenne senza smettere di scarabocchiare.
«Volevo dirti che ho parlato con papà… mi ha detto che lui e la mamma hanno litigato perché non ritiene sicuro che lei torni a lavorare al Paiolo Magico».
«Cosa? Non hanno litigato per colpa mia?» sbottò Alice guardandolo.
«No, gliel’ho chiesto per sicurezza».
«Quindi Augusta ha mentito! Ci aveva detto di aver origliato e che stavano litigando per colpa mia!» quasi strillò Alice.
«Già, ci ha mentito… dovremmo capire perché l’ha fatto…». Ma Alice non lo stava più ascoltando.
«Questa me la paga!» disse a denti stretti correndo fuori dalla stanza.
«Alice, che intenzioni hai?» chiese Frank, ma non ebbe risposta. Rimase fermo per qualche secondo, poi sentì delle urla provenire dal piano di sotto e si affrettò a scendere anche lui. «Oh, cavolo!» mormorò appena giunto in cucina.
La madre teneva tra le braccia Augusta in lacrime e Alice la fissava truce a braccia incrociate.
«Che succede?» chiese Neville, arrivando alle sue spalle e poggiando una mano sulla sua spalla, poiché si era fermato sull’ultimo gradino bloccando il passaggio.
«Alice ha tirato un pugno ad Augusta» replicò furiosa Hannah.


*


Brian asciugò l’ultimo piatto e si buttò sul divano a peso morto. Era distrutto. Per giunta oltre le solite faccende in casa e suo padre ancora convalescente, si era aggiunto il processo a Konrad Ralphs. Era stato costretto a prendervi parte insieme al suo amico Connor Mils, un Grifondoro che abitava nel suo stesso quartiere, in quanto entrambi erano testimoni oculari. Sperava di non dover ripetere mai più un’esperienza del genere. L’ansia e il nervosismo di quella mattina non l’avevano ancora abbondonato.
«Dovresti andare a letto».
La voce del padre lo fece sobbalzare, ma non si mosse dal divano limitandosi ad alzare gli occhi su di lui. «Tra poco vado» rispose.
Gregory Carter portava ancora il braccio appeso al collo, ma ormai la ferita stava guarendo e presto gli avrebbero tolto i punti.
«Adesso. Non ti posso portare in braccio, se ti addormenti» disse accennando al braccio fasciato.
«Potresti sempre usare la magia» borbottò Brian, senza la minima intenzione di muoversi dal divano. Era troppo comodo e le scale troppo faticose. Percepì il divano abbassarsi: il padre si era seduto. Sentiva i sul sguardo addosso, così aprì gli occhi. Conosceva quell’espressione, significava: Pensi davvero di fare di testa tua? Di solito a quel punto obbediva, ma quella sera si sentiva troppo stanco.
«Non posso dormire qui?» mormorò, richiudendo gli occhi: non riusciva a sfidarlo guardandolo.
«Il tuo letto è molto più comodo. Muoviti».
«Ma è molto più lontano…».
«Brian, accidenti! A letto, adesso!» disse Gregory alzando lievemente il tono della voce. «Non mi fare urlare, se si sveglia Sophie è un problema!».
Il ragazzino si alzò senza discutere, avendo colto un certo nervosismo dietro le parole del padre. «Però non è giusto» borbottò mentre si avviava verso le scale. «Sophie ha fatto un macello per non andare a letto e tu non l’hai rimproverata». Una parte di sé sapeva che si stava rendendo stupido, l’altra era realmente irritata perché il padre le passava tutte a sua sorella.
«Non essere ridicolo» borbottò Gregory. «Tua sorella è piccola».
«Ha sei anni» borbottò infastidito.
«Mettiti il pigiama, tra poco vengo a darti la buonanotte» replicò Gregory ignorando le sue parole.
Brian, arrabbiato, fece come gli era stato detto. Dopo aver messo il pigiama si avvicinò alla scrivania sperando che rileggere le domande di Difesa, a cui aveva risposto quella mattina, lo avrebbe distratto da brutti pensieri. La pergamena, però, era stata scarabocchiata tutta con vari colori. Per non parlare del tema di Storia della Magia! Era stato ritagliato tutto sui lati! Prese entrambi e si diresse come un furia nella camera del padre.
«Guarda!» strillò. «Osi dire ancora che è solo una bambina!?».
«Abbassa la voce!» sbottò Gregory, colto dal figlio mentre tentava di indossare una maglietta a maniche corte stinta e larga. «Che problema c’è se ti ha preso qualche vecchia pergamena per giocare?».
Brian dovette trattenersi per non mettersi a urlare e far arrabbiare sul serio il padre, ma qualche lacrima di rabbia gli sfuggì ugualmente. «Non sono delle vecchie pergamene!» sibilò con voce acquosa. «Erano i miei compiti di Difesa e di Storia della Magia!». Tirò su con il naso, mentre il padre prendeva le pergamene per osservarle.
«Penso che Maxi potrebbe capire» cercò di scherzare.
«Non che non capirebbe!» replicò irritato Brian, mal sopportando che il padre scherzasse anche su quello.
«Allora non ti rimane altro che ricopiare entrambi… Anche se domani potresti sempre chiedere a Maxi…». Gregory tentò di sorridere, ma il ragazzino non lo ricambiò.
«Non è giusto che faccia così!» si lamentò.
«La prossima volta stai più attento, invece! Riponile dove lei non arriva…» disse Gregory sempre più esasperato dalla conversazione.
«È la mia stanza!» s’impuntò Brian, ma poi colse l’occhiata del padre e sbuffando se ne ritornò in camera. Gettò i compiti sulla scrivani e poi si buttò sul letto, nascondendo il volto nel cuscino. Non era giusto che vincesse sempre Sophie! Non era più così piccola! A malapena ricambiò la buonanotte del padre; la mattina dopo non avrebbe saputo dire a che ora si fosse addormentato, ma si sarebbe sentito uno straccio.


*


«Grazie per avermi dato il permesso di tenere gli incontri del gruppo qui a casa» disse Emmanuel Shafiq. È un ragazzino di quattordici anni, abbastanza alto per la sua età e alquanto muscoloso grazie al Quidditch. Piaceva molto alle ragazze. Solitamente, però, a Scuola frequentava solo i suoi compagni Serpeverde, così come a casa in quegli anni aveva invitato solo loro. Scoprire di essere coinvolto in una Profezia insieme ad altri undici ragazzi, l’aveva sorpreso molto; ma dopo l’uccisione dei nonni aveva tutta l’intenzione di combattere.
«Sai che i tuoi amici sono sempre i benvenuti» replicò suo padre. Darnell Shafiq era un giudice del Wizengamot ed Emmanuel lo ammirava molto.
«Oggi, però, piove. Per te va bene se ci mettiamo in biblioteca? Penso che il professore possa mettere degli incantesimi di protezione sugli scaffali».
«Mi sembra una buona idea» acconsentì Darnell. «Prima che arrivino i tuoi compagni e il professor Williams, c’è qualcosa che ti preoccupa? Magari c’è qualcosa che non hai detto a me e alla mamma e hai paura che ce lo dica il professore?» domandò con un sorriso bonario.
«Non che io sappia» rispose sinceramente, sostenendo lo sguardo del padre.
«E allora? Ti vedo un po’ pensieroso negli ultimi giorni e non credo sia solo per la Profezia… Sei sempre un po’ distratto…».
«Non riesco a non pensare alla conversazione tra te e lo zio Abraham dell’altra sera» ammise Emmanuel.
Darnell s’incupì. «Capisco. Mi dispiace, non me ne sono reso conto. Ma se ti preoccupa tanto, perché non me ne hai parlato subito?».
Emmanuel si strinse nelle spalle, solitamente i genitori lo rimproveravano se utilizzava quel linguaggio non verbale in quanto non lo trovavano molto fine, ma in questo caso, come spesso quando erano da soli, suo padre lasciò correre. «Non sapevo da dove iniziare».
«Papà, avrei bisogno di parlarti era troppo difficile?» chiese quasi retoricamente Darnell. «Che cos’è che ti ha colpito della conversazione?».
«Quando avete parlato di me… lo zio ha detto che vi aspettate che trovi una ragazza degna del nostro cognome e ti ha detto anche che mi vede come tuo erede nel Wizengamot» mormorò Emmanuel.
«Non vedo quale sia il problema» commentò Darnell.
«Vedi, io… io non credo di voler fare il giudice...» confessò.
«No? Quando eri piccolo dicevi il contrario» replicò suo padre, ma sembrava perfettamente tranquillo. Il che, però, non era particolarmente indicativo in quanto era un abile occlumante.
«Sì, ma ultimamente sto pensando ad altro…».
«Capisco. Però, Emmanuel, vorrei che tu comprendessi che io e lo zio chiacchieravamo e basta… Sei troppo piccolo ancora…».
«Mi piacerebbe fare il medimago» ammise ormai che c’era.
«Io e la mamma ne saremmo molto orgogliosi» disse Darnell sorridendo di nuovo.
«Sul serio? Anche se non seguo le tue orme?».
«Un medimago è molto più utile» assentì suo padre, facendolo rilassare.
«C’è un’altra cosa» mormorò rapidamente, vedendo che il padre stava riponendo le sue carte.
«Sono tutt’orecchi».
«Esiste una legge che vieti ai genitori di cambiare i figli di Scuola se loro non vogliono?».
Darnell si accigliò. «No, se i figli in questione sono minorenni devono sottostare alla volontà dei genitori; se sono maggiorenni, naturalmente, possono decidere per sé. Perché me lo chiedi?».
«Sai, una mia amica abita in Romania, ma viene a Scuola qui perché il padre è inglese. Ora, però, a causa dei Neomangiamorte, la madre vuole far spostare lei e i suoi fratelli in un’altra Scuola… forse Beauxbatons… Loro non vogliono, però».
«Purtroppo l’unica loro possibilità è quella di convincere i genitori. Dopotutto Hogwarts è meno pericolosa di molti altri posti» commentò Darnell, poi notando la sua palese delusione, domandò: «Perché ci tieni tanto? Chi è quest’amica?».
«Fabiana Weasley. Te ne avevo parlato a Natale, perché l’avevo invitata a fare i compiti con me… I suoi, però, non le hanno dato il permesso…».
«Non è che questa ragazzina ti piace?».
Emmanuel arrossì violentemente e scosse la testa istintivamente prima di ammettere la verità: «Sì».
Darnell ridacchiò: «Allora tua mamma aveva ragione! Ne sarà contenta. Ama avere ragione».
«Ragione su cosa?» chiese Emmanuel imbarazzatissimo.
«Che hai la testa fra le nuvole perché sei innamorato».
S’è possibile il ragazzino arrossì ancora di più, mentre il padre continuava a ridacchiare. La madre li trovò così.
«Tutto a posto?» chiese.
«Sì, cara. Poi ti spiego» rispose Darnell dandole un bacio a fior di labbra.
«Il professor Williams è arrivato e anche qualcuno dei tuoi compagni».
«Andiamo» disse Darnell mettendo una mano sulla spalla del figlio.
Emmanuel seguì i genitori in salotto.
La madre aveva già fatto accomodare il suo professore di Difesa contro le Arti Oscure, Maximillian Williams; tra gli altri presenti riconobbe Harry Potter, il Capo del Dipartimento Auror, insieme ai figli James e Albus; Ronald Weasley, il vice Capitano degli Auror, accanto a lui, praticamente stravaccata sul divano, la figlia Rose; Gabriel Fenwick, sotto vice Capitano sempre degli Auror, con la figlia Dorcas.
Salutò il professore dopo il padre e si accorse della presenza di Brian Carter, che in un primo momento non ha aveva visto. D’altronde Brian era il più piccolo del gruppo. Non aveva confidenza con nessuno di loro e sperò che gli altri arrivassero presto. Ascoltò distrattamente i discorsi degli adulti. A quanto pare era stata denunciata la scomparsa di alcune ragazze purosangue.
«Secondo voi dovremmo preoccuparci?» chiese Albus con espressione concentrata. James li stava ignorando e seguiva attentamente il discorso degli adulti.
«Certo che no!» replicò con sicumera Rose. «Peggio per i Purosangue, no?».
Emmanuel tossì per ricordare alla ragazza la sua presenza. Dorcas, Albus e Brian assunsero un’aria imbarazzata, ma Rose non sembrò minimamente toccata. Si sporse in avanti verso il ragazzino e sussurrò: «Sposati una Mezzosangue così sarai più puro».
Naturalmente l’ultima frase era sensata solo per lei, ma per fortuna l’arrivo di Neville e Frank distrasse i ragazzi e sollevò Emmanuel dalla responsabilità di dare una qualunque risposta.
«Buongiorno a tutti! Scusate il ritardo» esordì Neville.
Frank si unì agli altri dopo i consueti convenevoli.
«Hai una faccia!» esclamò Albus.
«Augusta ha fatto uno scherzo ad Alice stanotte e hanno svegliato tutti» borbottò Frank, trattenendo a stento uno sbadiglio.
Albus, Rose e Dorcas risero, ma si bloccarono all’istante quando videro che l’amico non si univa a loro.
«Non stavi scherzando?» chiese Albus.
«Da quando Augusta fa scherzi? Ho sempre pensato che tua madre avesse messo le corna a tuo padre con mio zio Percy» commentò Rose.
«Rose!?» la richiamarono Albus e Dorcas. Emmanuel non riuscì a trattenere delle risatine. Brian li fissava perplesso, come se non sapesse se ridere o meno: insomma Neville era un suo insegnante; mentre Frank sembrava più interessato a trovare un letto su cui coricarsi.
«No, sono serissimo. Ieri prima di pranzo Alice ha tirato un pugno ad Augusta e lei si è vendicata riempiendole il letto di ragni finti. Alice ha avuto un attacco di panico in piena regola… Mamma e papà sono ancora furiosi» raccontò Frank stancamente.
«Ciao!» disse una Roxi sorridente, appena giunta con il padre.
«Allora siete riusciti a svegliare zio George?» chiese divertita Rose.
«Mamma ha usato l’aguamenti» disse Roxi alzando gli occhi al cielo, mentre i cugini, immaginando la zia Angelina all’opera, scoppiavano a ridere. «Frankie, sei con noi?».
Il ragazzino mormorò qualcosa di poco intellegibile, suscitando altre risatine. Al gruppetto poco dopo si aggiunse Virginia Wilson.
«Questa casa è bellissima» disse Rose, guardandosi intorno. «Hai pure una piscina?».
«Sì. Grazie» rispose laconico Emmanuel.
«E perché non mi hai mai invitato?».
La sua domanda suscitò diversi sbuffi. «Mmm noi non siamo mai stati amici» rispose Emmanuel perplesso.
«Vuoi dire che io non sono una bella ragazza?» lo incalzò Rose alzandosi. Erano alti allo stesso modo, ma la ragazza era brava ad assumere un’aria minacciosa.
«S-sì certo. Non mi permetterei mai di dire il contrario» rispose il ragazzo visibilmente a disagio.
«Allora perché non mi hai mai invitata? Voi maschi non guardate sempre a quelle più grandi? E non ci provate in ogni modo?».
«Suvvia, Rosie. Le buone maniere!».
«Oh, Malfoy sei tu… per un attimo ho pensato a mia madre…» replicò Rose, ma subito dopo lo abbracciò. «Mi sei mancato, scemo».
«Sei scorpdipendente. Ammettilo…».
«Mi correggo: sei superscemo» disse Rose sciogliendo l’abbraccio.
«Sei mancata anche a me» concesse Scorpius con un sorriso.
Albus toccò con delicatezza il braccio a Dorcas e le fece cenno di allontanarsi dagli altri.
«Hai una brutta cera. Come ti senti?» le domandò gentilmente.
«Ieri hanno condannato Jesse. A cinque anni di carcere».
Albus non sapeva che cosa dire, così le accarezzò la mano.
«Vorrei dirti che si sistemerà tutto, ma non ne ho idea…».
«Sono arrivati Jack e Jonathan. Dobbiamo iniziare» li chiamò Roxi.
«Senti». Dorcas trattenne Albus. «I tuoi si sono arrabbiati molto?».
«Abbastanza» ammise il ragazzo, mentre si avvicinavano agli altri. I genitori si stavano congedando. «Non ho mai deluso così tanto mio padre».
«Io devo andare al Ministero» disse Darnell Shafiq. «Mi raccomando, Emmanuel».
«Certo, papà. Ci vediamo più tardi» replicò Emmanuel, poi si rivolse a Williams. «Professore, visto che piove, potremmo metterci in biblioteca se per lei va bene».
«Naturalmente» rispose Williams tranquillo.
Emmanuel li guidò lungo i corridoi della villa. Era enorme.
«Ecco, accomodatevi» disse spostandosi di lato per farli passare avanti.
«Grazie» disse Frank, mentre Roxi quasi lo trascinava dentro.
«È davvero bella!» commentò ammirato Albus, guardandosi intorno. Gli scaffali erano di legno, molto probabilmente pregiato anche se non era in grado di riconoscerlo, lucidi e stracolmi di libri che sembravano molto antichi. In fondo alla biblioteca, dove Emmanuel li condusse, vi era un ampio caminetto spento, dopotutto quell’anno l’estate si stava rivelando abbastanza calda per i loro standard; di fronte ad esso vi erano due poltrone e un tavolino, di un legno lievemente più scuro rispetto agli scaffali. Sotto i loro piedi un ampio tappeto copriva quasi tutta quella zona.
«Sedetevi sul tappeto» disse Williams.
I ragazzi obbedirono, mentre l’uomo si appoggiò al bracciolo della poltrona.
«Ho un déjà-vu» ridacchiò a bassa voce Roxi. Frank mugugnò, sapendo perfettamente che si stava riferendo alla lezione sui mollicci dell’anno precedente, ma lui preferiva di gran lunga non ricordare.
«Il damerino non si siede sull’altra poltrona?» chiese ironico Jack Fletcher.
Ecco Frank aveva sperato per un attimo che almeno in quel caso nessuno avrebbe fatto battute stupide riguardo al fatto che il professore stava seduto comodo e loro a terra. Insomma, come non detto.
Emmanuel non sembrò apprezzare il commento, ma d’altronde apparteneva a Serpeverde e non a Grifondoro, che di solito reagivano in modo impulsivo. Fortunatamente, almeno in questo caso, il ragazzino ignorò la provocazione.
«Jack, mi mancava il tuo sarcasmo fuori luogo» disse Williams accigliato.
«Davvero professore?».
«No» rispose secco l’insegnante. «Se avete terminato con le considerazioni stupide, procediamo. Sapete perché siete qui: dovete allenarvi perché siete i Prescelti della Profezia e quindi un bersaglio dei Neomangiamorte».
«Potrebbe usare un termine che non sia prescelto?» chiese James. «Sa, la gente cerca già troppo somiglianze con nostro padre» aggiunse indicando se e il fratello.
«E come vorresti che vi chiamassi?» domandò perplesso Williams.
«Non ci chiami… noi siamo un gruppo per forza…» borbottò Jack.
«Sempre il solito asociale» ribatté James.
«Per essere sociale, dovrei stare con gente come te?».
«Dateci un taglio» li redarguì Williams. «Siamo qui per lavorare, non per assistere ai vostri battibecchi!».
Virginia alzò la mano per attirare l’attenzione su di sé, qualcuno ridacchiò in sottofondo borbottando Ma non siamo in classe, ma Williams li ignorò e le fece cenno di parlare.
«Ho riflettuto molto e credo che le rune devono avere qualche potere particolare che ci sarà utile».
«E quale sarebbe?» chiese Jack sempre con tono ironico.
«Pensi, che questo potere sia legato alla virtù?» domandò, invece, Jonathan.
«Può darsi. Professore, sa se esiste qualche libro di magia celtica?».
«Sicuramente. A Hogwarts deve essercene qualcuno antico» rispose Williams pensieroso.
«Anche qui, ma dovrei cercare con calma» intervenne Emmanuel. «Dopo possiamo dare un’occhiata, se vuoi».
«Sì, grazie» disse Virginia.
«Bene, credo sia il caso di riepilogare rune e virtù. A te l’onore, Albus».
«Allora James ha sol che rappresenta la giustizia; io, invece, reid cioè la prudenza; Rose ha wird, simbolo, in questo caso, del coraggio; Brian ha bjarka, che rappresenta la temperanza; Frank tyr, cioè la mansuetudine; Scorpius ha perth, la magnificenza; Dorcas gyfu, la liberalità; Jonathan jera, la saggezza; Roxi ken, l’arte; Jack ur, la fortezza; Emmanuel laguz, la magnanimità; infine Virginia ha madr, cioè la sapienza».
«Molto bene» disse Williams. «Se non avete altro da aggiungere, credo che sia ora di iniziare». I ragazzi annuirono. «Conosco il livello di ognuno di voi, ma voglio cominciare dalle basi ugualmente. Per qualcuno di voi è indispensabile, altri magari si annoieranno ma non ho intenzione di ascoltare polemiche. Ora vi dividerò in coppie». Si alzò e li scrutò uno a uno. «James e Jack». I due ragazzi si rivolsero uno sguardo di sfida e si misero in posizione. «Rose ed Emmanuel».
«Perché devo stare con uno più piccolo?».
Williams la ignorò e continuò: «Scorpius e Virginia. Roxi e Jonathan. Albus e Dorcas. Frank e Brian».
I ragazzi, man mano che venivano chiamati, si erano alzati e posti uno di fronte all’altro. Williams continuò a osservarli: James e Jack erano sicuramente i più determinati; Rose era imbronciata ed Emmanuel era palesemente contrariato dalla reazione della ragazza; Scorpius appariva divertito e desideroso di iniziare, mentre Virginia era seria e tranquilla come sempre; Jonathan aveva lo sguardo distante e malinconico, al contrario di Roxi che saltellava sul posto impaziente di cominciare; Albus aveva la faccia di chi avrebbe voluto essere ben lontano da lì, mentre Dorcas teneva gli occhi bassi e aveva un’espressione tristissima; infine Frank e Brian erano visibilmente a disagio.
«Inizieremo dall’Incantesimo di Disarmo e quello Scudo. Una volta per ciascuno. Pronti?».
«Sta scherzando, vero?» esclamò Jack. «Questa è roba per bambini».
Il professore si accigliò. «Ho detto che non accetto proteste».
«Ma noi siamo del sesto anno!» intervenne James.
«Ed entrambi abbiamo preso E ai G.U.F.O., non può metterci a livello di questi bambini!» s’infervorò Jack.
«Dove li vedi i bambini, scusa?» sbottò Rose indignata. «Ho solo un anno in meno di voi!».
«Vi sentite così bravi? Bene» disse con un ghigno preoccupante l’insegnante. «James mettiti in coppia con Brian e Jack, tu mettiti con Frank».
«No!» strillò Jack. «Non ho intenzione di fare da baby sitter a nessuno!».
James sbuffò annoiato, ma neanche Brian e Frank erano particolarmente entusiasti.
«O fate come dico io o potete andarvene a casa. A voi la scelta» disse irritato Williams.
James fece spallucce e raggiunse Brian, Jack, invece, lanciò un’occhiataccia al professore e per un attimo pensò di andarsene sul serio; alla fine decise di obbedire.
«Professore, potrebbe lanciare un incantesimo di protezione sui libri?» chiese Emmanuel.
«Certamente». Williams agitò la bacchetta e mormorò qualche parola. «Ora, però, iniziate!».
 «Scusi, professore» intervenne Frank, per nulla desideroso di cominciare. «Ma fuori dalla Scuola non dovremmo usare la magia, no?».
Albus, Dorcas, Jonathan e Brian si accigliarono non avendoci pensato, Virginia fissò l’insegnante in attesa; gli altri sbuffarono poco interessati al problema.
«Evidentemente, ho l’autorizzazione per farvelo fare, non credi Frank?» replicò Williams. «Cominciate ad allenarvi, per favore» disse lievemente esasperato.


*

«Al! Al!» strillò Lily.
Albus, che si stava assopendo, sobbalzò e si voltò proprio mentre la sorellina spalancava la porta della stanza come un piccolo tornado.
«Ma che hai?» borbottò. Williams quella mattina li aveva fatti sfiancare ben bene. Ora poteva dire di saper usare perfettamente l’incantesimo di Disarmo e quello Scudo. Sai che allegria… Almeno era stato fortunato a essere messo in coppia con Dorcas. Probabilmente Frank in quel momento stava odiando di cuore Jack Fletcher, che l’aveva praticamente fatto a pezzi. E dovevano ancora iniziare con gli schiantesimi!
«Marcellus! I Neomangiamorte sono entrati in casa sua! Dobbiamo salvarlo!».
Albus scattò a sedere accorgendosi che Lily stava piangendo.
«Cosa?».
«Fa qualcosa, ti predo Al. Dice che la casa va a fuoco e non sa come uscirne. Con lui ci sono sua mamma e sua sorella! E sua mamma è una babbana».
Un basso suono melodioso si levò all’improvviso e i due fratelli si girarono verso Smile, la fenice di Albus, che svolazzò intorno alla testa di Lily.
«Ma certo! Smile, tu puoi salvare Marcellus!» esclamò Albus, saltando già dal letto.
«Marce abita poco fuori Londra» disse Lily concitata.
La fenice cantò brevemente, come a volerli incoraggiare, e sparì.
«Andrà tutto bene» sussurrò Albus abbracciando la sorellina. «Andiamo a chiamare papà via camino».
Il padre, purtroppo, non era in ufficio, ma fecero in modo che la segretaria chiamasse Adrian Wilson e l’uomo assicurò loro che sarebbe intervenuto immediatamente. Comunque non dovettero attendere molto per avere notizie. Poco dopo, infatti, Smile riapparve: aveva portato con sé Marcellus e i suoi famigliari. Accorsero anche i nonni, ma i tre, a parte lo shock plausibile e qualche bruciatura, sembravano star bene.
La mamma di Marcellus sembrava la più stravolta e singhiozzava completamente fuori di sé. La bambina, che Marcellus poi presentò come Claire, era altrettanto terrorizzata. Il ragazzino, invece, raccontò concitatamente quanto era accaduto.
«È stato mio nonno» mormorò affranto. «Se non avessi avuto lo speculum io…».
«Va tutto bene, adesso. Stai tranquillo» disse nonna Molly con un sorriso dolce. Aveva preparato immediatamente del tè caldo per tutti. Aveva sempre pensato che fosse la scelta migliore per sollevare il morale.
Quando Harry arrivò alla Tana in compagnia di Theodore Nott, erano tutti lievemente più tranquilli. Claire giocava con Felpato, il labrador nero che i tre fratelli Potter avevano ricevuto in regalo dai genitori l’anno prima, e la madre si era leggermente assopita su una poltrona. Marcellus non si era mosso minimamente dal divano per non perdere di vista nessuna delle due. Era molto turbato.
«Benedetto Merlino, state tutti bene!» esclamò palesemente sollevato Theodore Nott. Claire e la madre si gettarono tra le sue braccia, solo quando lo liberarono Marcellus fece altrettanto. «Sei stato bravo» gli sussurrò suo padre.
«L’importante è questo» mormorò Harry, che a sua volta aveva abbracciato i figli. «Se volete rimanere qui stanotte, per noi non è un problema».
«No, ti ringrazio Potter. I tuoi figli hanno salvato la mia famiglia e ve ne sono profondamente grato, ma preferisco chiedere ospitalità a Draco. Mi sentirò più a mio agio. E poi la situazione durerà un po’».
«La casa non si può sistemare con la magia?» chiese perplessa e preoccupata sua moglie.
«No, il fuoco non era normale, era maledetto».
«L’Ardemonio?» domandò Albus al padre, che annuì lievemente.
«Mi dispiace» sussurrò Theodore Nott, passandosi una mano sul volto.
Albus distolse lo sguardo dall’uomo: era assurdo che evitare tutte quelle sofferenze, evitare una guerra dipendesse da dodici ragazzini. Era assurdo e crudele.
 
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Sono tornata con un nuovo capitolo! Spero che vi piaccia, come potete vedere sono accadute un po’ di cose.
Chi ha letto anche La maledizione del Torneo Tremaghi, forse si sarà accorto che ho scambiato le rune e le virtù di Emmanuel e Jack, ma mi sono accorta che non andava bene l’associazione: la fortezza è la ferma e costante ricerca del bene anche nelle difficoltà. Emmanuel, come ho accennato in questo capitolo, appartiene a una famiglia ricca e purosangue, ma anche molto presente e ha vissuto un’infanzia, e ora sta vivendo un’adolescenza, serena e tranquilla; al contrario Jack, come ho spiegato anche nei capitoli precedenti, ha dovuto lottare fin da piccolo.
Sto cercando di approfondire un po’ tutti i Dodici della Profezia, ma non sempre riesco a dedicarli lo stesso spazio.
Se vi va fatemi sapere che cosa ne pensate ;-) Anche le critiche, purché costruttive, sono ben accette ;-)
Vi auguro una buona serata,
Carme93
 

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Capitolo 7
*** Un attimo di tregua ***


Capitolo settimo

Un attimo di tregua
 
«Dovresti evocare uno scudo» disse Jack con sufficienza.
Frank si sollevò da terra e lo fissò truce. Non rispose e si rimise in posizione.
«Vuoi provare tu ad attaccarmi?» domandò Jack con condiscendenza. Si stava proprio annoiando con quel ragazzino. Se avessero dovuto combattere contro i Neomangiamorte, sarebbe stata una disfatta totale.
«Stupeficium!» pronunciò Frank, ma senza molta convinzione. Odiava Difesa contro le Arti Oscure quasi quanto Pozioni e avrebbe fatto volentieri a meno di quelle lezioni extra.
Jack, con una smorfia annoiata, respinse l’incantesimo e rapidamente colpì di nuovo. Frank finì nuovamente sull’erba umida. Ormai aveva perso il conto di quante volte era accaduto nelle ultime due ore. Due ore che sembravano un’eternità! Quando li avrebbe fatti smettere, Williams? Osservò, per un attimo gli altri, soffermandosi più a lungo su James e Brian. Ecco, la sfiga: perché il professore l’aveva messo in coppia con Jack e non con James? O meglio ancora con Brian? James aveva trascorso gli ultimi incontri ad aiutare il piccolo Corvonero con tutti gli incantesimi, e se il ragazzino non avrebbe mai potuto schiantare James, sicuramente eseguiva perfettamente gli incanti base. Invece Jack non aveva fatto altro che umiliarlo!
«Ti sei fatto male?» chiese con un sopracciglio inarcato il Tassorosso.
«No» rispose scontroso Frank. Quegli allenamenti erano insopportabili! Era costantemente nervoso.
«Ti sei stancato?».
«Sì» ammise a malincuore.
«Tutto ok?» chiese loro Albus. Era in coppia con Dorcas anche questa volta.
«Noi sì. Voi? Non vi siete impegnati per nulla» disse Jack.
Albus gli gettò un’occhiataccia. «Non sono affari tuoi, Fletcher!».
Frank si stupì perché di solito l’amico non era così aggressivo, ma poi il suo sguardo cadde su Dorcas. Era molto pallida e sembrava sciupata.
«Che cos’ha Dorcas?» domandò istintivamente.
«È un brutto periodo» borbottò Albus palesemente preoccupato.
«Va bene, basta così per oggi!» annunciò Williams.
«Meno male» sospirò Frank.
Albus gli diede una pacca sulla spalla per confortarlo.
«Stai diventando bravissimo!» strillò James facendo arrossire Brian.
«Noi non siamo stanchi!» si lamentò Rose, guadagnandosi parecchie occhiatacce. Specialmente Jonathan non sembrava del suo stesso parere.
«Non possiamo cambiare le coppie?» chiese Jack al professore. «Mi sto annoiando con Paciock».
«Neanche a me piace stare con lui» ne approfittò Frank.
«Dovete imparare a collaborare» replicò Williams.
Frank non era il tipo di ragazzo che polemizzava con gli insegnanti, così si limitò a fissare l’uomo imbronciato.
«Aspetta, un attimo» lo trattenne quest’ultimo, mentre gli altri entravano nella villa per darsi una sistemata e fare merenda tutti insieme. Infatti la signora Shafiq si premurava sempre di fargli stare a loro agio. «Ho deciso di metterti in coppia con Jack che, insieme a James, è uno dei più bravi del vostro gruppo nella mia materia perché ho pensato che avrebbe potuto aiutarti, proprio come James sta facendo con Brian».
Frank non si meravigliò del fatto che lui e Brian, un ragazzino del secondo anno, fossero i peggiori del gruppo, ma cercò le parole più adatte per spiegare al professore che il suo piano non stava funzionando. «Ho capito, ma Jack ha un carattere diverso da quello di James» mormorò.
Williams lo soppesò per qualche secondo, poi disse: «La prossima volta troveremo un’altra soluzione. Raggiungi i tuoi compagni adesso».
«Grazie, signore» replicò Frank sollevato.
Sedettero tutti insieme nel salotto della villa e iniziarono a chiacchierare degli argomenti più svariati. Il preferito della maggior parte era senz’altro il Quidditch, erano tutti in trepidante attesa dell’inizio del Campionato. In quei momenti sembravano degli adolescenti normali.

*

Le cene alla Tana erano sempre molto caotiche. Quel giorno in più era arrivato anche Charlie con la sua famiglia.
Nel cortile era stato apparecchiato un lungo tavolo, dove tutta la numerosa famiglia avrebbe potuto trovare posto.
«Praticamente la nonna ci ha schiavizzato!» si lamentò Rose.
Albus sorrise bonariamente e si lasciò cadere sul dondolo accanto alla cugina.
«Osi anche lamentarti?» sbuffò Hugo, il fratello tredicenne di Rose. «Hai semplicemente apparecchiato la tavola! E sei stata fuori quasi tutta la giornata. Noi siamo stati schiavizzati!».
«Benedetta verrà alla festa di mamma con la sua famiglia» annunciò eccitato James sventolando una lettera davanti ai loro occhi.
«Oh, Merlino. Questa casa imploderà prima o poi» si lagnò.
«Tu non hai invitato Cassy, scusa?».
«Cassy è una sola» replicò la ragazza.
«Scorpius come sta?» chiese Lily, sedendo sull’erba di fronte a loro.
«Dice bene» borbottò Rose.
«Ma odia mostrarsi debole» commentò Albus. «Suo nonno è finito di nuovo dentro e stavolta vi rimarrà per tutto il tempo che gli rimane. Sua nonna è ancora agli arresti domiciliari. Draco Malfoy è riuscita a salvarla per ora».
«Qualcuno ci dovrebbe delle scuse, però» mormorò accigliata Rose accennando a loro cugino Fred, che quel pomeriggio aveva sostenuto l’esame per la Materializzazione. Purtroppo l’aveva superato: erano ore che non faceva altro che materializzarsi e smaterializzarsi da una stanza all’altra. Alla fine la nonna era scoppiata in lacrime, anche se loro erano rimasti scioccati da una simile reazione. Tutti gli zii presenti si erano arrabbiati parecchio.
Arthur gli raggiunse sorridente.
«Ehilà, di che parlate?» chiese il ragazzino.
Lily gli raccontò l’ultima bravata di Fred e anche lui si sorprese per la reazione della nonna.
«Ragazzi, è pronto. Venite a tavola» li chiamo Ron Weasley avvicinandosi.
«Papà, perché nonna ha reagito in quel modo pomeriggio?» chiese Rose a bruciapelo.
Né Ron né Harry erano presenti quando era accaduto, ma i ragazzi sapevano che la zia Ginny aveva raccontato loro ogni cosa.
Ron assunse un’aria stranamente seria. «Quando zio George e zio Fred hanno superato l’esame di Materializzazione per giorni si sono comportati allo stesso modo di vostro cugino… Andiamo a cenare su».
Nessuno di loro commentò, ma James si appuntò di affatturare Fred appena fossero giunti a Hogwarts. Si poteva essere così deficienti? Sapeva benissimo che la nonna era molto emotiva. Ed ecco perché tutti gli adulti si erano arrabbiati così tanto.
«Alastor, sei arrivato!» strillò Lily abbracciandolo di slancio.
Il ragazzo ricambiò il saluto e sedette vicino a Rose e Albus.
«Come mai avete fatto tardi? E tuo padre?» gli domandò Albus.
«Le sue sorelle sono arrivate all’improvviso con tanto di famiglie al seguito e hanno invasato la villa» sospirò Alastor. «Lui è dovuto rimanere lì, ma ha detto che potevo benissimo venire da voi da solo».
«Perché non sei rimasto con loro? Non le vedi mai» commentò Rose prima di riempirsi la bocca di stufato.
«Appunto per questo. Non so come sopravvivrò finché non ripartiranno. La zia Adelaide è la più odiosa di tutti. Appena è arrivata ha iniziato a criticare ogni cosa. A partire dalla mamma» aggiunse a malincuore.
Rose deglutì un grosso boccone e Albus rimase con la forchetta a mezz’aria. Entrambi lo fissarono. Alastor non aveva mai voluto parlare della situazione che aveva trovato a casa appena rientrato da Scuola.
«Non so come faccia a sopportarla suo marito. E i suoi figli! Mia cugina Noelle è uscita con la scusa di fare un giro a Londra e non è ancora rientrata. In più la zia Alma, la terzogenita, è fuori di sé perché a quanto pare suo marito si era unito ai Neomangiamorte ed è stato ucciso in uno scontro con gli Auror francesi».
«Oh, mi dispiace» commentò Albus.
Alastor si strinse nelle spalle. «Non lo conoscevo veramente e poi se si è messo contro gli Auror, se l’è cercata» disse duramente. «Più che altro mi dispiace per i miei cugini. Cristopher è strano. Da quando è arrivato non ha proferito parola. Sembra terrorizzato da tutto ciò che lo circonda. E suo fratello è stato trattenuto dagli Auror tedeschi perché pensano abbia anche lui legami con i Neomangiamorte. Mia zia si aspetta che mio padre faccia qualcosa».
«Quante sorelle ha tuo padre?» chiese James, che aveva ascoltato distrattamente la conversazione.
«Tre. Una più grande e due più piccole».
«La più piccola com’è?» domandò Albus.
«Sicuramente è meglio delle altre due, ma ha più problemi. Ha lasciato il marito, già di per sè scandaloso nel mondo purosangue, e quattro figli a carico. In definitiva l’unica che non è venuta per chiedere qualcosa a mio padre è la zia Adelaide, la quale in compenso pensa di poter spadroneggiare».
«Patate al forno?» chiese loro Lily interrompendoli.
Tutti e quattro si servirono, ponendo attenzione anche alle altre conversazioni che erano iniziate.
«Dominique, ti sei persuasa che per essere ammessi al corso di Magisprudenza è necessario avere il M.A.G.O. in Storia della Magia?».
Se gli sguardi avessero potuto uccidere, sicuramente zio Percy sarebbe già morto. Dominique aveva fatto fuoco e fiamme per giorni quando aveva scoperto che lo zio aveva ragione e che i suoi progetti per il futuro erano andati a farsi strabenedire per una sua stupida distrazione. E l’ultima cosa che voleva era qualcuno che glielo ricordasse. Infatti fece finta di non aver sentito lo zio parlare.
«Perché non entri al Ministero? Dopotutto hai un ottimo curriculum» propose magnanimo lo zio.
Dominique lo fissò malissimo. «Scusa che significa dopotutto? Credo che il mio curriculum sia senz’altro migliore di quello di Molly!».
«Percy, per favore, puoi evitare?» chiese Bill Weasley stancamente.
«Sì, Perce, evita. Vogliamo rilassarci. Credo che tutti noi abbiamo fin troppi problemi» aggiunse Charlie Weasley.
«Io non ho nessun problema» sentenziò palesemente felice Percy. «Anzi, è un periodo perfetto! Molly è tornata a casa e ha deciso di entrare al Ministero» annunciò indicando la figlia maggiore, che sedeva vicino alla madre. In realtà solo lui poteva credere che andasse tutto bene: Molly era sempre pallida e i ragazzi l’avevano sentita vomitare più volte negli ultimi giorni. «Lucy ha deciso di mettere la testa al posto finalmente». La ragazzina, che da lì a un paio di settimane avrebbe compiuto quattordici anni, fece per replicare ma poi colse un impercettibile segno di diniego da parte del nonno. Anche questa volta Percy vedeva solo ciò che voleva e i ragazzi lo sapevano con certezza: Lucy aveva cambiato atteggiamento, era vero, ma non era merito dei suoi genitori. All’inizio dell’estate Lucy aveva per caso aiutato la nonna a cucinare e con il trascorrere del tempo le era piaciuto sempre di più. Infine aveva fatto un accordo con i nonni: lei avrebbe fatto i compiti delle vacanze e recuperato le sue lacune, in cambio la nonna le avrebbe insegnato a cucinare. Inoltre i nonni la supportavano sempre durante lo studio.
«Infine la nostra Ministra», e qui fece una specie di buffo inchino verso Hermione, «ha approvato il mio nuovo progetto!».
I ragazzi si scambiarono sguardi preoccupati: finalmente avrebbero scoperto perché lo zio era tanto felice da giorni.
«Sono stato nominato Capo dell’ufficio che si occupa delle relazioni con Hogwarts».
Rose si affogò e Albus dovette intervenire prima che soffocasse. Mettere Scuola, Percy Weasley e Hermione Granger in Weasley nella stessa frase non era mai un buon segno.
«Ho riflettuto molto su quello che è accaduto a Molly l’anno scorso. Purtroppo uno sbandamento può accadere a tutti. L’attuale sistema di Hogwarts non favorisce una perfetta corrispondenza tra le famiglie e la Scuola. È qui che il mio ufficio ha deciso di intervenire!» annunciò altisonante. «Abbiamo chiesto esplicitamente alla Preside di fare in modo che i genitori siano informati mensilmente del profitto e della condotta dei figli; inoltre un nostro ispettore valuterà la preparazione e le capacità di tutto il personale della Scuola. Hogwarts raggiungerà standard elevatissimi e supererà di gran lunga tutte le altre scuole di magia del mondo».
Un silenzio attonito accolse le sue parole. I ragazzi lo fissavano stravolti.
«Non siete contenti? Avrete la migliore istruzione possibile!».
«Io lo am-» iniziò Rose, mentre Albus e Alastor intervenivano per trattenerla, ma si zittì vedendo Molly scappare via tenendosi una mano premuta sulla bocca.
«Ma che ha?» chiese sorpreso Percy.
«Non lo so. Le ho prenotato una visita al San Mungo per vedere se è intollerante a qualcosa» rispose Audrey preoccupata.
Albus vide sua mamma scambiare uno sguardo scettico con la zia Angelina e la zia Hermione. Fortunatamente prima che Percy chiedesse di nuovo ai ragazzi un parere sulla sua nuova attività, nonno Arthur provò a sviare il discorso. «Allora Charlie, i ragazzi rimarranno a Hogwarts, vero?».
Altro tasto delicato. «Sì» rispose laconico Charlie. La zia Jane fece una smorfia contrariata.
«Cara, sono sicura che i ragazzi non corrono nessun pericolo. Vero, Harry?».
Harry Potter si affogò e solo quando riprese a respirare fissò la suocera: realmente voleva che glielo assicurasse lui? Va bene che era il Capo degli Auror, ma non c’era stato un anno a Hogwarts in cui non aveva rischiato l’osso del collo! E fino a qualche mese prima si erano infiltrati degli uomini della Selwyn.
«Naturalmente la Scuola sarà dotata di ogni protezione possibile. Gli Auror e gli uomini della Squadra Speciale Magica pattuglieranno i confini. Inoltre se sarà necessario saranno sospese anche le gite a Hogsmeade».
«No!» strillò Lily. «Proprio quando tocca a me e Hugo!».
«Non è detto» provò a tranquillizzarla Harry.
«Visto che ci siamo Harry, volevo chiederti: tu approvi l’assunzione di un centauro a docente di Divinazione?» chiese Percy.
«Sì. Fiorenzo è sempre stato dalla nostra parte».
«Ma abbiamo controllato il curriculum del professor Solovyov. Devo dire che era davvero impeccabile. Non comprendo perché mai la McGranitt gli abbia esplicitamente chiesto di lasciare la Scuola».
«Non lo so, Percy. Non ho idea di chi sia quest’uomo. Anche se di una cosa sono sicuro: non ha minimamente aiutato Cassandra Cooman a controllare il suo potere».
«Stiamo considerando un’allieva indisciplinata, per cui non è minimante sufficiente a valutare le capacità di un docente».
«Era un’idiota!» sbottò Rose pronta a difendere a spada tratta la sua migliore amica.
«Lo chiamavano tutti Io-So-L’Ovvio» aggiunse ridacchiando Albus.
«Non si danno i soprannomi ai docenti!» lo rimproverò Percy. «Non dite nulla?» chiese a Ginny e Harry.
«Finché non glielo dicono in faccia» borbottò Ginny, facendo ridacchiare un po’ tutti i presenti.
«Mamma?!» chiamò Percy indignato.
«Suvvia, Percy, Albus scherzava» replicò pacatamente nonna Molly.
«È comunque non sai perché la McGranitt l’ha cacciato?» chiese Dominique.
«No. Non ho ancora affrontato l’aspetto docenti con lei, ma lo farò a breve. Ho già un appuntamento».
«Ha creato un Club dei Duellanti e faceva usare tutte le maledizioni agli studenti!» disse Fred eccitato. «Io c’ero la prima e unica sera».
«Oh, sì è stato magnifico! Uno spettacolo irripetibile! Peccato che quel cretino di Fergusson si sia messo in mezzo!» aggiunse Rose.
«Matthew non è un cretino!» ribatté Dominique punta sul vivo. «Ha fatto il suo dovere di Caposcuola!».
«Non è stato divertente. Solovyov mi ha messo in coppia con uno del settimo anno. Mi voleva fare male sul serio» borbottò Arthur.
«Cosa?!» sbottò zia Jane. «Perché non ce l’hai detto?».
«Perché sapevo che vi sareste arrabbiati» spiegò Arthur come se fosse ovvio, facendosi poi piccolo piccolo di fronte alle occhiatacce dei genitori.
«Comunque Williams gli ha dato una lezione stupenda! Era meraviglioso vederli duellare. Mi hanno detto che alla fine sono intervenuti Mcmillan e zio Neville per fermarli!» raccontò eccitata Rose.
«Già, ma tutti pensavano che la McGranitt avrebbe cacciato Williams non Solovyov» aggiunse Albus.
«Non sapevo che avessero duellato» borbottò Harry meditabondo.
«Ma è vero che hai sospeso Williams?» domandò Rose.
«Chi ve l’ha detto?» replicò sorpreso Harry.
«Le gemelle Danielson» rispose Albus.
«Danielson mi sentirà domani mattina!» sbottò Harry lanciando un’occhiata eloquente a Ron, che si strinse nelle spalle.
«Lo sai che gli piace mettere i suoi colleghi in cattiva luce» disse.
«Quindi è vero?» insisté James.
«Non ho avuto scelta» rispose Harry. «Ma si sistemerà tutto».
«Perché?» domandò James.
«Non sono affari che ti riguardano» replicò Harry.
«Allora, chi mi aiuta a sparecchiare?» chiese nonna Molly. L’unica che si alzò di sua spontanea volontà fu Lucy, poi seguita da Arthur e Louis cui piaceva rendersi utili.
«La torta alla melassa l’ho fatta io» annunciò felice Lucy.
Percy scoppiò a ridere. «Non dire fesserie».
La figlia lo fissò offesa.
«Percy! Tua figlia è molto brava» lo redarguì la madre con un’espressione di avvertimento che tutti i Weasley conoscevano perfettamente.
«Allora non vediamo l’ora di assaggiarla» disse come sempre diplomatico Bill.

*

«Ragazzi, sono arrivate le lettere da Hogwarts» disse nonno Arthur.
Nonna Molly aveva buttato giù dal letto tutto i nipoti perché aiutassero a preparare la festa a sorpresa della figlia Ginny, che quel giorno compiva quarant’anni.
Erano tutti mezzi addormentati e a tentoni recuperarono ciascuno la propria busta.
«Il manuale secondo di Incantesimi l’ho già letto» borbottò Louis scorrendo la sua lista dei libri. Fred fece finta di vomitare, beccandosi un’occhiata di rimprovero dalla nonna. Lily e Hugo iniziarono a parlare di Hogsmeade, non vedendo l’ora di andarci.
«La prima gita di solito è a fine ottobre, giusto?» chiese la prima.
«Sì» le rispose James, divertito e pronto a farsi subissare da una lunga serie di domande sul villaggio. Quel pomeriggio sarebbe arrivata Benedetta: ere troppo felice!
«Che hai Al?» chiese Hugo.
«Io… ehm… niente…» borbottò palesemente a disagio.
«Va tutto bene, tesoro?» chiese premurosa nonna Molly.
«Sì» rispose Albus tirando fuori dalla busta una spilla argentata. «Sono il nuovo Prefetto di Grifondoro».
«Ma è magnifico, tesoro» strillò la nonna abbracciandolo di slancio. «Un altro Prefetto in famiglia! Arthur non è meraviglioso?!».
«Sì, cara, ma lo stai strozzando. Complimenti Albus» commentò nonno Arthur facendogli l’occhiolino.
Fred si mise una mano sul cuore e fece finta di sentirsi male, facendo ridacchiare molti cugini.
«Rosie, perché non apri la busta?» chiese Lily. La ragazza infatti era rimasta bloccata dopo aver preso la sua lettera.
«Pesa troppo» sospirò, visibilmente terrorrizzata.
«Ma dai, la McGranitt non ti nominerebbe mai Prefetto» intervenne Dominique.
«Ha nominato lui» replicò Rose puntando un dito su James.
«In effetti…» borbottò Dominique.
«Non è la stessa cosa» disse Lucy sicura. «Tu sei peggio di Jamie. Se la McGranitt ha nominato te come Prefetto femminile di Grifondoro… beh, allora è pronta per la pensione…».
«…oppure vuole distruggere la Scuola» terminò Roxi.
«Non siate stupidi» li richiamò la nonna.
«Aprila tu» ordinò Rose porgendo la lettera ad Albus. Il ragazzo obbedì e tutti gli puntarono gli occhi addosso. «Allora?!» strillò la cugina istericamente, visto che non si decideva a dire nulla.
«La McGranitt sta bene, tranquilli» disse Albus quasi ridendo. Poi si rivolse a Fred e Jamie. «Inchinatevi di fronte al vostro nuovo Capitano!». Poi lanciò la spilla alla cugina, incredula. Dopo aver superato la sorpresa Rose gridò e cominciò a saltellare per la cucina.
«Preparatevi perché daremo filo da torcere ad Albert Abbott. Grifondoro tornerà a vincere» urlò a pieni polmoni.
La tavolata scoppiò in un applauso, cui si unirono anche Fabi e Louis nonostante fossero dei Corvonero. Arthur si sgolò a urlare sopra il frastuono: «Non ci contare!», mentre Lucy gridava qualcosa di molto simile.
L’unico che non si unì all’euforia generale fu Fred. Solo un cieco non avrebbe potuto capire che aveva preso molto male la sua definitiva destituzione.

*

«Buongiorno» borbottò Frank, trattenendo a stento uno sbadiglio.
«È arrivata la mia lettera» annunciò sua sorella Augusta palesemente felice.
Frank le sorrise. Almeno la lettera di ammissione a Hogwarts le aveva fatto sparire quell’espressione imbronciata che si portava dietro da un bel po’. Diede un bacio alla madre, che stava dando il latte ad Aurora, e poi si sedette. Nonna Augusta stava bevendo il suo solito thè nero, mentre il padre era assediato da Alice. «Firmalo ti prego».
«Che cos’è?» domandò perplesso.
«Il permesso per andare a Hogsmeade» sospirò sua madre. «Io e papà le stavamo spiegando che forse dovrebbe migliorare il suo comportamento prima. Insomma come facciamo a mandarla da sola al villaggio se ci fa già preoccupare quando è a Scuola».
«Frankie, dì qualcosa» lo supplicò sua sorella.
Il ragazzino rimase un po’ perplesso, chiedendosi se davvero i genitori non volessero firmarle il permesso o la stessero solo lasciando crogiolare nel suo brodo per un po’. Di solito non erano così severi.
«Sul serio non volete firmarlo?» chiese al padre. «Dai, papà. Alice, è fatta così. Sarebbe troppo non darle il consenso. Tutti i suoi compagni ci andranno» disse provando a perorare la sua causa.
«Tua sorella ha voti bassissimi e viola sempre le regole. Non conosce limiti!» disse severa la madre. «Ti sei già dimenticato che l’ultima gita a Hogwarts l’hai saltata l’anno scorso? Dubito che ti sia dimenticato il perché».
Frank chinò il capo sulla sua tazza di latte e scosse la testa: no, non l’aveva dimenticato. «Ma era uno solo» mormorò. «Non mi avete tolto il permesso per sempre».
«No, è vero» ammise sua madre. «Ma tua sorella ci fa disperare da due anni».
Frank guardò la sorella dispiaciuto. Che altro avrebbe dovuto dire?
«Ci sono due lettere per te, comunque» disse sua madre. «Una è quella di Hogwarts». Gliela porse, ma tenne l’altra in mano. «Questa è del Ministero» continuò preoccupata. «Tuo padre non ha voluto aprirla senza di te. C’è qualcosa che dovremmo sapere, Frank?».
Il ragazzino guardò prima i genitori e poi la lettera. «Non ho fatto nulla» disse turbato. Mise da parte la lettera di Hogwarts, dopo tre anni conosceva il contenuto a memoria, e aprì quella del Ministero.
Caro signor Paciock,
siamo lieti di comunicarLe che il progetto da lei presentato per il concorso, indetto dal Dipartimento di Cooperazione Magica Internazionale, rivolto a tutte le Scuole di Magia del mondo, è risultato vincente.
Naturalmente, sarà applicata qualche modifica per renderlo realizzabile entro l’inizio del nuovo anno scolastico. Tutti i dettagli le saranno forniti dalla Preside Minerva McGranitt e dalla docente referente Emily Dawson a tempo debito.
Nel frattempo le rinnoviamo i nostri più sentiti complimenti e la invitiamo a ritirare il premio di 500 galeoni, presso il nostro Ufficio.
 
Cordiali saluti,
Draco Lucius Malfoy,
Capo del Dipartimento per la Cooperazione Magica Internazionale.
 
 
«Allora?» chiese sua madre preoccupata.
«Avevo partecipato a un concorso, che ci aveva proposto la professoressa di Storia della Magia… Me n’ero anche dimenticato» rispose.
«Quello sulla cooperazione internazionale?» chiese Neville.
«Sì, quello… A quanto pare ho vinto…» mormorò.
Sua madre gli strappò la pergamena dalle mani e ne lesse il contenuto, prima di passarla al marito.
«Complimenti, tesoro!» disse scoccandogli un bacio sulla guancia.
«Grazie» borbottò imbarazzato.
«Accidenti, 500 galeoni?» commentò Augusta.
La lettera aveva fatto inevitabilmente il giro del tavolo.
«Me ne dai una parte?» chiese Alice.
«Ma neanche per sogno» rispose sua madre al posto suo. «Tuo fratello se li è guadagnati quei soldi… se ti mettessi a studiare…».
 «Sai, che sei noiosa? Dici sempre le stesse cose» sbuffò Alice.
«Non le direi, se tu non mi costringessi!» sbottò la madre palesemente irritata. «Te lo puoi scordare che ti firmiamo quel permesso! La nostra pazienza è finita!».
«Aspetta, Alice». Neville trattenne la ragazzina che stava per scappare al piano di sopra. «Io e la mamma dobbiamo comunicarvi una cosa, vero Hannah?».
«Sì» annuì la donna. «Ho lasciato la gestione del Paiolo Magico».
I ragazzi la fissarono sorpresi. «Quindi alla fine hai fatto come ti ha detto papà! Questo non è giusto, le donne dovrebbero fare di testa propria!» sbottò Augusta.
«Ma che dici!» la richiamò Hannah. «Io ho deciso da sola. Ho scelto di fare la mamma».
«Che idiozia!» commentò la ragazzina.
«Augusta!» la richiamò Neville. «Ma che hai in testa?».
«Sono affari miei» replicò la ragazzina a tono.
«C’è un’altra cosa» disse Hannah, prevenendo la replica del marito. «Dobbiamo lasciare questa casa, perché è concessa automaticamente a chi gestisce il pub».
«Dobbiamo cambiare casa? E dove andiamo?» domandò Frank sorpreso dall’improvviso cambiamento.
«Andiamo a vivere a Godric Hollow, vicino a Lily?» chiese, invece, Alice.
«Andremo a vivere nella casa dei vostri avi. Nella casa in cui è cresciuto vostro padre. Appartiene alla nostra famiglia da generazioni» intervenne per la prima volta nonna Augusta.
«E dov’è?» chiese Frank.
«A Wiswell» rispose Neville.
«Cominciate a raccogliere le vostre cose, ci trasferiremo entro la prossima settimana» ordinò Hannah.
«Il tempo di arieggiare la casa e rimetterla in ordine. Non ci abita nessuno da almeno quindici anni» spiegò nonna Augusta, sicuramente la più felice del trasferimento.
«Un attimo! E il nostro parere non conta nulla?» chiese Augusta.
«Dove vorresti andare ad abitare? Nel centro di Londra come zio Charles?» chiese retoricamente Hannah.
«Sarebbe magnifico!» replicò Augusta.
«Non se ne parla» replicò Hannah. «Vedi, abbiamo ascoltato il tuo parere. Alice, Frank voi che ne pensate?».
«Neanche io sono d’accordo» disse Alice. «Andremo a vivere lontanissimo da Lily! Dove si trova questo posto?».
«Come fai a dire che si trova lontanissimo, se non sai dove si trova?» la redarguì Hannah. «Comunque nel Lancashire».
«Nel nord-ovest! È lontanissimo!» sbottò Augusta.
«Bene, prendiamo atto della vostra posizione. Siamo quattro contro due, quindi la maggioranza vince» si alterò a sua volta Hannah.
«Non puoi contare Aurora. È troppo piccola!» si ribellò Augusta.
«Come vuoi, siamo comunque in maggioranza».
«Se Frank vota contro, saremo pari. E dovremmo discuterne. Questa è democrazia!» disse Augusta.
«Devi smettere di trascorrere tutto questo tempo con nonno Albert! Solo lui può fare certi discorsi a una bambina di undici anni!».
«Nonno Albert ci apre la mente!» ribatté Augusta.
Hannah sbuffò. «Allora Frank?» chiese fissando truce il suo primogenito.
Frank decise che quel giorno la colazione gli sarebbe andata storta e posò il biscotto che aveva appena preso. «Com’è questa casa?» chiese per prendere tempo. Neanche a lui piaceva l’idea di cambiare casa così all’improvviso, ma vedeva che i genitori erano al limite dell’esasperazione.
«Vi assicuro che è molto grande» rispose pazientemente Neville. «Avrete una stanza ciascuno e Alice, potrai volare in giardino, a patto che non ti alzi troppo in alto».
«Sul serio?» chiese la ragazzina sorpresa.
«Ti sta corrompendo! Non cedere!» intervenne Augusta.
«Non mi dispiace essere corrotta» replicò Alice. «Posso avere due letti nella stanza e invitare Lily a dormire con me?».
«Non vedo perché no» concesse Neville.
«Ok, allora io voto a favore».
«Traditrice!» strillò Augusta.
«Tu che cosa vuoi?» le chiese Neville.
«Io non mi vendo! Frank dì qualcosa» disse Augusta.
«Il mio voto non è più importante» borbottò il ragazzino.
«Vigliacco!» urlò Augusta correndo al piano di sopra.
«Io comunque ce l’ho con voi» avvisò Alice, raggiungendo la sorella.
«Sono belli i pasti in famiglia» commentò Hannah ironica, mentre si alzava per sparecchiare.
«Frank? Hai richieste per la tua stanza?» chiese gentilmente Neville, visto che alla fine era l’unico che non si era lamentato.
«No, grazie. Vado di sopra a sistemare qualcosa, visto che pomeriggio dovrò andare di nuovo a villa Shafiq».
«Non so come abbiate fatto» mormorò nonna Augusta nel silenzio che si era creato nella piccola cucina. «Ma avete messo al mondo un maschio tranquillo e due ragazzine che sembrano dei diavoli».
Neville e Hannah si fissarono impotenti.
 
*

«Jonathan, che hai?».
Il Corvonero distolse lo sguardo dal cielo nuvoloso e si voltò verso sua sorella. Non l’aveva neanche sentita entrare in camera.
«Nulla» borbottò tornando a guardare fuori, nella speranza che se ne andasse.
Melissa Goldstain, però, era molto testarda e quando si metteva qualcosa in testa era difficile dissuaderla. Si buttò sul letto accanto a lui e lo fissò, finché Jonathan non fu costretto a voltarsi di nuovo verso di lei.
«Non sei stato nominato Prefetto, vero?» chiese Melissa a bruciapelo.
«Come fai… io… sì…».
«Sì? Non ti conviene mentire su una cosa del genere. Saresti scoperto all’istante…».
«E come? Mica i nostri genitori vengono a Hogwarts con noi» replicò il ragazzo. In realtà anche a lui sembrava una stupidaggine enorme.
«Ma dai… Smettila, di dire stronzate… non ti si addicono…».
«Ma scusa non posso essere io lo scapestrato per una volta? Perché tu sola puoi fare quello che vuoi?».
«Fino a prova contraria, sei stato tu quello convocato in Presidenza, non io» ribatté con un ghigno Melissa.
«Non me lo ricordare» borbottò Jonathan.
«Lo scherzo alla Shafiq comunque è stato epico» commentò ammirata Melissa. «Chi l’avrebbe mai detto che è terrorrizzata dalle rane? Ho riso con le lacrime quando mi hanno raccontato quello che era accaduto».
«Secondo te, mamma e papà come prenderanno il fatto che non sono stato nominato Prefetto?».
«Come una chiara e prevedibile conseguenza di quello che è accaduto l’anno scorso… La Preside avrà avuto senz’altro l’imbarazzo della scelta per scegliere un Prefetto maschile di Corvonero. I tuoi compagni sono tutti bravi, se non lo fossero stati probabilmente ti avrebbe dato una seconda possibilità…».
«Jonathan, scendi!» urlò suo padre dal piano di sotto.
«Come fa a saperlo già?» chiese turbato alla sorella.
Melissa si strinse nelle spalle. «Scendo con te, ti faccio da magiavvocato».
«Ora sì, che sono tranquillo» borbottò Jonathan.
«Ingrato».
Quando arrivarono al piano di sotto, però, i loro genitori non erano da soli. Seduta su un divano completamente zuppa, c’era una ragazza di circa quindici anni.
«Alex!» gridò Jonathan. L’abbracciò, incurante che si stesse bagnando. «Che ti è successo?».
«Sono scappata di casa» mormorò.

*

Scorpius era euforico. Non trovava un aggettivo più appropriato. Scese a rotta di collo le scale della sua villetta di Londra e irruppe nel salone.
«Scorpius!» lo richiamò suo padre. Moana, la loro domestica magonò, per lo spavento gli aveva versato il caffè addosso.
«Scusi, signor Malfoy» mormorò la donna dispiaciuta.
«Lasci stare, me ne occupo» io replicò Astoria puntando la bacchetta sul marito e facendo scomparire la macchia dalla sua veste.
«Ho una grande notizia da darvi!» continuò imperterrito Scorpius ad alta voce.
«Hai deciso di fare il cronista delle partite di Quidditch?» chiese irritato suo padre. «Sai, hanno inventato i magimegafoni».
«No» replicò Scorpius. «Ho altre aspirazioni nella vita».
«E meno male» borbottò Draco Malfoy.
Scorpius non approfondì l’argomento, perché suo padre probabilmente non avrebbe considerato positivamente i suoi propositi per il futuro. Scrutò i presenti: in quel periodo ospitavano sia i Nott, sia suo cugino Orion. Suo zio era stato arrestato dagli Auror, mentre la zia Daphne era latitante.
«Cosa vuoi dirci, tesoro?» lo esortò Astoria.
Scorpius si riscosse dai suoi pensieri e sorrise. Con esasperante lentezza, almeno dal punto di vista di suo padre, tirò fuori dalla tasca due spille e con tutta la calma del mondo se le appuntò alla camicia di seta. «Signori, avete davanti non solo il nuovo Prefetto maschile di Serpeverde, ma anche il nuovo Capitano della squadra di Quidditch».
«Porco Godric! Scorpius sei un mito!» strillò Orion, saltando dalla sedia per vedere le spille da vicino. Anche gli altri si complimentarono con lui.
Scorpius, però, aveva occhi solo per suo padre. «Complimenti, sono molto fiero di te» affermò Draco, sugellando la sua felicità.

*

«Dorcas, è stata nominata Prefetto» strillò Benjamin attirando l’attenzione del padre.
Di solito le cene a casa loro erano molto caotiche, ma da quando era arrivato lo zio Marcus il padre rimaneva in un silenzio ostinato in sua presenza.
Gabriel alzò gli occhi dal piatto sorpreso. «È magnifico, Dor. Brava!».
«Le ho detto che le faremo un bel regalo per premio» s’inserì la moglie.
«Non ho fame, posso salire in camera?» chiese, invece, Dorcas.
Gabriel e la moglie si guardarono. «Non hai toccato quasi nulla» mormorò preoccupato il primo.
«Non ho fame» ripeté la ragazza.
«Allora va’ pure di sopra» concesse sua madre.

*

Virginia odiava dover dividere le sue cose con gli altri, infatti avrebbe voluto che a Hogwarts esistessero le camere singole. Purtroppo era solo un sogno. Nonostante ciò non aveva nulla da lamentarsi per la presenza di Martha nella sua camera. La sua compagna, proprio come a Scuola, non faceva minimamente pesare la sua presenza.
«Complimenti per la spilla!» le disse Martha.
Le sembrò sincera, così le sorrise. Una volta tornata a Scuola avrebbe dovuto affrontare le altre compagne del quinto anno, che probabilmente sarebbero state invidiose e avrebbero tentato di metterla in cattiva luce, specialmente con il professor Williams, il Direttore di Corvonero.
«Grazie» disse, mentre entrambe si sdraiavano.
«Chissà chi dei ragazzi è stato scelto» mormorò Martha. Era la prima volta che si scambiavano più di un saluto, almeno da quando lei si era trasferita lì.
«Non ne ho idea» replicò Virginia. «Spero, però, che per Grifondoro sia stato scelto Albus. Mi sentirei a disagio con Doge».
«In effetti è molto imbarazzante quando è con la sua fidanzata. Sono sempre appiccicati. Magari è lei il Prefetto femminile».
«Su questo non ho dubbi. Chi altri se no? Cassandra Cooman o Rose Weasley? A proposito mi hanno invitato a una festa in piscina. Mi hanno detto di portare chi voglio» disse Virginia.
Martha la fissò sorpresa. «Le ragazze più popolari della Scuola ti invitano a una festa e tu lo dici a me?».
«Non penso di andarci. I genitori della Cooman non ci saranno e prevedo alcool a perdere. Mio padre non ci darebbe mai il permesso… ehm, scusa ho parlato al plurale, ma è normale che a te basta il consenso di tua madre» replicò Virginia.
«Non me lo darebbe e poi immagino che mi sentirei a disagio».
«Infatti… beh, allora buonanotte» mormorò Virginia chiudendo la sua lampadina.
«Buonanotte» replicò Martha, mettendosi a leggere.
 
*
 
«Sono distrutto» borbottò Albus. «Zio Neville, vi saluta. Non è entrato, perché tanto torna fra poco con il resto della famiglia».
Rose, Albus, James e Albus si bloccarono sulla soglia del salotto. I nonni era seduti insieme a Vernon Dursley, cugino tredicenne dei fratelli Potter.
«Che succede?» chiese Albus.
«Io devo tornare in cucina. Lucy non può ancora stare da sola» disse nonna Molly, lanciando al marito un’occhiata eloquente.
«Io a casa non ci torno più» annunciò il ragazzino. «Ho sentito mio nonno parlare con la nonna e i miei genitori. Vuole che molliamo Hogwarts, perché non sopporta più che frequentiamo i maghi. Petunia è pronta ad assecondarlo, ma io non voglio mollare tutto così! Solo perché lo dice mio nonno!».
«Allora vieni a darci una mano a finire di sistemare. Quando torna papà ne parlerai con lui» disse James saggiamente. «No, nonno?».
«Sì, mi sembra un’ottima idea. Cercate di essere veloci, comunque. Gli ospiti arriveranno a breve e vostro padre non può trattenere a lungo Ginny o si insospettirà».
Come aveva previsto il nonno gli invitati arrivarono poco dopo, ma fortunatamente i ragazzi riuscirono a sistemare tutto in tempo grazie all’aiuto dello zio Charlie. Piccole lanterne galleggiavano nell’aria, su di esse era inciso il numero 40.
«È così di cattivo gusto» borbottò zia Fleur. «Non si ricorda l’età di una donna!».
«Non credo che a mamma interessi» replicò Lily. «A me sembrano carine».
«E comunque compie davvero quarant’anni! Che senso ha nasconderli?» disse, invece, Albus perplesso da quella mania delle donne. Ricordava che quando erano piccoli la zia si metteva a strillare perché Fred la importunava chiedendole l’età o urlando a squarciagola che era ultracentenaria.
«E mamma se li porta benissimo» aggiunse James, andando ad abbracciare la zia Luna che era appena arrivata con Rolf e i gemelli.
Zio Neville era già arrivato con tutta la famiglia.
L’attenzione di tutti era fissata, però, sul piccolo Remus e i due neogenitori.
I fratelli Potter accolsero anche alcuni colleghi della madre, che avevano deciso di invitare.
«Ci siamo tutti?» domandò zio Ron avvicinandosi.
«Sì, chiama papà» rispose James.
«Preparatevi» gridò Lily. «Stanno arrivando».
«Zio Charlie, le luci per favore» disse Albus.
Il giardino della Tana piombò al buio e lentamente tutti si zittirono, tanto che sentirono il rumore di una smaterializzazione.
Harry e Ginny Potter entrarono nel giardino ridendo.
«BUON COMPLEANNO!» urlarono tutti in coro e Charlie riaccese le luci.
«Oh, Godric» disse Ginny facendo un passo all’indietro; cadde dritta nelle braccia di Harry che la voltò verso di sé e prima di baciarla sussurrò: «Auguri, amore mio».
 

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Capitolo 8
*** Non sentirsi all'altezza ***


Capitolo ottavo

Non sentirsi all’altezza
 

«Harry, Harry! Svegliati, per le mutande più consunte di Merlino!».
«Ron, se non sparisci, ti affatturo!» minacciò Ginny ancora mezz’addormentata.
Harry mugugnò e a tentoni cercò gli occhiali sul comodino, dopo averli indossati tentò di focalizzare l’amico. «Ma che Merlino vuoi?».
«Ho ricevuto un Patronus dal Quartier Generale, c’è stato un omicidio».
«Perché chiamano noi?».
«Si tratta della moglie di Thomas Rosier».
«Cosa? Pensavo che i Rosier avessero lasciato il paese!».
«A quanto pare non è così» replicò Ron.
«Vi do tre secondi per uscire da questa stanza» sibilò Ginny. «Uno». Harry si alzò dal letto e si mise alla ricerca della divisa.
«Devo andare a vedere, amore».
«Mai che si possa dormire in pace» borbottò Ginny. «Vuoi che ti prepari qualcosa velocemente?».
«Sono ancora le tre del mattino, ma se proprio vuoi un thè non mi dispiacerebbe» rispose Ron. «Ehi ma che fai!?» strillò pochi secondi dopo: la fattura di Ginny l’aveva mancato per un pelo.
«Il thè fattelo preparare da Hermione».
«Sta dormendo» replicò Ron testardamente.
«Allora fattelo da solo!» sbottò Ginny provando a colpirlo di nuovo.
«Pazza! Ti aspetto di sotto, Harry!».
«Ricordami perché siamo rimasti a dormire alla Tana» borbottò Ginny al marito.
Harry si stava legando i lacci delle scarpe e rispose: «Lavoriamo quasi tutto il giorno e siamo più tranquilli a lasciare i ragazzi sotto la sorveglianza dei tuoi genitori».
«Giusto, lo facciamo per i nostri figli. Domani dirò a Lily che questo mese le aumenteremo la paghetta».
«Non sono sicuro di voler sapere il perché» commentò Harry chinandosi su di lei per baciarla.
«Perché odio essere svegliata in piena notte e scambiata per una cameriera».
Harry ridacchiò. «Posso almeno dire a Ron di guardarsi le spalle?».
«Provaci e ti farò dormire sul divano».
«Meglio di una fattura orcovolante».
Ginny lo trattenne per una manica della tunica. «Stai attento. Lo sai benissimo che se non torni sulle tue gambe, una fattura orcovolante sarebbe il minimo».
«Naturalmente».
Harry scese rapidamente le scale soprappensiero e si avviò dritto verso l’uscita, ma si bloccò prima rendendosi conto che il suo migliore amico stava davvero facendo colazione in cucina.
«Ron, per Merlino!» sbuffò.
L’amico si mise una manciata di biscotti in bocca e lo raggiunse di corsa.
Appena fuori dai confini protetti della Tana, Harry chiese: «Dove hanno trovato il corpo della donna?».
«San Mungo» riuscì a rispondere Ron, dopo aver rischiato di strozzarsi con gli ultimi biscotti.
«Come scusa?».
«Non conosco i dettagli, ma Rick è già lì».
Si smaterializzarono nella sala d’aspetto dell’ospedale e immediatamente un Auror li andò incontro. «Capitano, la attendono al quarto piano, nell’ala nursery».
Harry si accigliò e lo seguì.
«Harry» lo accolse Anthony Goldstain. Si vedeva chiaramente che anche lui era stato svegliato all’improvviso. Aveva una brutta cera.
Sentendo il suo nome, anche il suo vice sotto Capitano si avvicinò.
«Anthony, Rick, che è successo?» domandò Harry.
«L’infermiera di turno è entrata nella nursery perché aveva sentito dei bambini piangere. Vi ha trovato due uomini che stavano per soffocare un neonato. La ragazza è sotto shock, ma è stata brava perché è riuscita a prendere i due di sorpresa e ne ha schiantato uno. Si è difesa dall’altro come ha potuto, ma quello è scappato. È stata lei a dare l’allarme. Poco dopo la signora Rosier è stata trovata morta nella sua stanza. Ancora non sappiamo come sia accaduto, ma il neonato che stavano per uccidere è suo figlio conseguentemente non credo sia morta in modo naturale. Vicino al suo letto, a terra, abbiamo trovato il suo cuscino».
«Com’è possibile che non sapessimo che la signora Rosier si trovasse qui?» domandò Harry.
«Non siamo stati avvertiti, Capitano» rispose Rick.
«È stata ricoverata stanotte d’urgenza» comunicò Goldstain e porse una cartella clinica a Harry. «Ho fatto chiamare il medimago che si è occupato di lei».
Harry capiva ben poco di tutti quei termini tecnici. «Perché d’urgenza?».
«Era già in travaglio, ma molto debole. Da quanto ha segnato il mio collega è stato un parto molto difficile».
«Buonasera» salutò un uomo sulla cinquantina. «Che cos’è successo Anthony?».
«Harry, ti presento il medimago Robert Cartwright. È lui che si è preso cura di Arya Rosier» disse Anthony. «Robert, ti presento il Capitano Potter. Purtroppo degli uomini sono entrati nell’ospedale poco dopo le due e hanno ucciso la signora Rosier. Il Capitano vorrebbe farti alcune domande».
«Uccisa?» ripeté il medimago palesemente incredulo.
«Sì, molto probabilmente soffocata» spiegò Harry, notando il suo sincero sconforto.
«Il bambino sta bene però?».
«Un’infermiera l’ha salvato appena in tempo. Signor Cartwright dovrebbe rispondere ad alcune domande».
«Sono a vostra disposizione» replicò l’uomo.
«Innanzitutto perché non siamo stati subito contattati all’arrivo della signora Rosier? Era una ricercata, avevate il preciso dovere di denunciare la sua presenza qui» cominciò Harry.
«Quando è arrivata era già in travaglio e le sue condizioni erano molto critiche. Era molto agitata e con le infermiere ho tentato di calmarla. In quel frangente ci ha detto il suo nome, perché volevamo contattare un famigliare. All’inizio non l’avevo riconosciuta. So, che, secondo il protocollo, avremmo dovuto avvertirvi immediatamente, ma la signora era grave. Per avere la possibilità di salvare sia lei sia il bambino, ho dovuto procedere con un parto cesario. Era molto fragile, mi ha pregato di non chiamare nessuno. Avevo paura che la vostra presenza, l’avrebbe turbata troppo e sinceramente non credevo che avrebbe potuto far male a nessuno. Volevo aspettare fino a domani mattina e lasciarla riposare per tutta la notte. Inoltre, come potete vedere dal referto che ho stilato, la donna è stata più volte sottoposta alla Maledizione Cruciatus e sul suo corpo ho trovato parecchi lividi più o meni vecchi. A me è sembrata più una vittima. Comunque mi ha pregato di chiamare il bambino William e se le fosse accaduto qualcosa di chiamare suo fratello, Constant Bulstrode».
«Indagheremo. Comunque lei ha commesso un grave errore, dovrà renderne conto. Resti a disposizione» disse Harry prima di rivolgersi a Rick. «Bisogna avvertire questo Constant Bulstrode».

*

«Albus, per piacere puoi venire un attimo?».
Il ragazzo fissò stranito la cugina, ma decise di acconsentire. La camera era disordinatissima. «Molly, stai bene?». La ragazza era molto pallida e aveva delle occhiaie particolarmente evidenti.
«No» rispose con voce incrinata. Albus la osservò sedersi sul letto. Non sapeva come comportarsi, lei non gli aveva mai chiesto aiuto.
«Zia Audrey ha detto che ti aveva prenotato una visita al San Mungo. Non sei ancora andata?».
«Al San Mungo con mia madre?».
«Tua madre è una medimaga…» borbottò Albus non trovando il filo logico di quel discorso.
«Ma è come mio padre. Vedono solo quello che vogliono vedere» replicò Molly e gli porse un oggetto che a primo acchito il ragazzo non riconobbe.
Lo osservò con attenzione. Sembrava un termometro di plastica, ma non aveva il mercurio e la scala per misurare la febbre, ma solo un piccolo display. Su di esso vi era una linea rosa.
«Che cos’è?» chiese colto da un dubbio.
«Secondo te? Credo che tu sia il più intelligente della famiglia. Dopo me e Vic naturalmente».
Albus si accigliò per il suo tono saccente, che a quanto pare non aveva perduto.
«Un test di gravidanza babbano?».
«Forse dovrei preoccuparmi se sai queste cose» insinuò Molly.
Il ragazzo la fissò malissimo. Ma che cavolo voleva? Era stata lei a chiamarlo! «Sai benissimo che guardo film babbani!» replicò. «Che cos vuoi che ti dica? Auguri! È positivo, vero?».
«Sì. Non capisci la gravità della situazione?» strillò Molly sul punto di una crisi isterica.
«No. Sei maggiorenne e, per quanto ne so, la tua relazione con Arion va benissimo».
«Non capisci!» gridò Molly prendendolo per la maglietta.
Ok, era completamente fuori di testa. Cercò di liberarsi dalla stretta e fuggire.
«Non sono sposata e ho diciannove anni! E soprattutto ho dei progetti per il futuro!».
«Beh allora tra i tuoi progetti inserisci anche un matrimonio e un bambino!» ribatté Albus.
«No! I miei mi uccideranno! Non mi vorranno più vedere!» sbottò Molly strattonandolo.
«L’anno scorso non ti interessava. Non ti sei fatta vedere per mesi!».
«Avevo bisogno di tempo per riflettere!».
Albus si trattenne dal farle notare che evidentemente non aveva solo meditato. La cugina ebbe un attacco di nausea e corso in bagno, lui ne approfittò all’istante e corse in cucina.
«Al, ma che hai?» chiese sua mamma. «Che cos’hai in mano?» sibilò poi.
Per fortuna c’erano solo lei e la nonna, ma arrossì lo stesso. Quasi lo lanciò alla madre.
«Non è mio!» si difese, prima di rendersi conto dell’idiozia che aveva detto. La nonna lo fissava preoccupata, Ginny inarcò un sopracciglio.
«Su questo non avevo dubbi».
«Ma di chi è? Possibile che Vic sia di nuovo incinta? Perché non ce l’ha detto?» commentò la nonna.
«Non è di Vic» mormorò Albus, che ora non sapeva che cosa fare: tra loro cugini vigevano delle leggi ben chiare, prima fra tutti quella di tenere gli adulti fuori dalle loro questioni. Certo, Molly non si era mai preoccupata troppo di non metterli nei guai, e comunque era palese che non fosse in grado di gestire la situazione.
«È di Molly?» domandò Ginny.
«Come fai a saperlo?» replicò Albus sorpreso.
«Non ci vuole una medimaga per capirlo» sospirò la nonna, in tono di disapprovazione. «Dov’è ora?».
«In bagno a vomitare».
Le due donne si scambiarono un’occhiata e si recarono in aiuto della ragazza.

*

«Eccoci arrivati!» annunciò Neville, mentre i figli si rialzavano da terra: decisamente non erano abituati a usare le passaporte.
Frank era senza parole: era un palazzo enorme!
«Cavoli! Avevamo una villa come quella del nonno e stavamo in quel tugurio!» commentò Augusta.
«Non era un tugurio! Era una casa piccola ma dignitosa!» la redarguì Neville, infastidito dal tono della ragazzina.
«Però non avevi detto che l’avresti sistemata prima che ci trasferissimo?» continuò imperterrita la ragazzina, ignorando il rimprovero, e indicò la pittura scrostata sulla parete.
Frank si disse che non aveva proprio tutti i torti, il giardino era incolto per esempio e il portone di legno massiccio aveva anch’esso la pittura scrostata e sembrava molto vecchio.
«La sistemeremo insieme» replicò Neville suscitando varie proteste dalle figlie. «Abbiamo arieggiato e ordinato l’interno, specialmente la cucina, i bagni e le nostre camere».
Nonna Augusta li precedette all’interno: «Mi mancava questo posto!» sospirò. Frank si accorse che era felice e non era qualcosa di ordinario.
L’ingresso era molto ampio, ma un po’ cupo, infatti Hannah si premurò di aprire immediatamente le imposte delle finestre. E decisamente fu tutta un’altra cosa in quel modo. I mobili erano pochi e semplici: un divanetto dalla foggia antica nell’angolo a destra, un tavolino rettangolare a sinistra e un largo tappeto persiano che, trasversalmente, occupava gran parte del pavimento. Una porta a vetri, a forma di arco, permetteva di entrare effettivamente in casa. Neville la spalancò e con un sorriso incoraggiante li fece segno di precederlo. 
 A destra vi era una larga scala di marmo con venature scure che portava ai piani superiori, mentre a sinistra si apriva un ampio corridoio. Sulle pareti vi erano molti quadri, e Frank, scorgendo dei volti, si chiese se fossero loro avi e in quali altri quadri potessero spostarsi.
«A pianterreno ci sono la sala da pranzo, la cucina, un salottino e un piccolo bagno» spiegò nonna Augusta. «Abbiamo anche una cantina».
«Volete fare un giro completo della casa o prima volete vedere le vostre stanze?» chiese Neville, consapevole di aver ribaltato il mondo ai figli all’improvviso e ben intenzionato ad addolcire la situazione.
«Dalle nostre stanze» risposero insieme Alice e Augusta. In quel periodo sembravano stranamente andare d’accordo.
«Bene, allora saliamo al primo piano» assentì Neville, sperando che la concordia durasse il più a lungo possibile.
Anche le pareti del primo piano erano decorate da molti quadri e Frank avrebbe voluto osservarli uno per uno, ma, notando la lunghezza del corridoio, si disse che era meglio non rimanere indietro senza prima conoscere per bene la casa.
«Al primo piano ci sono le vostre camere da letto e due bagni» continuò a spiegare nonna Augusta. «Al secondo piano c’è un salotto, la mia camera, un piccolo studio, la biblioteca, un bagno e una camera per gli ospiti».
«Questa casa è una reggia» commentò Alice trasecolata. «Ora capisco di cosa si vantano i Purosangue».
«In effetti la nostra famiglia non ha mai sfigurato» commentò orgogliosa la nonna.
«Davvero abbiamo una biblioteca? Come quella di nonno Albert?» chiese, invece, entusiasta Frank.
«Questa cosa del vantarsi, non mi piace» borbottò Neville: va bene l’entusiasmo, ma non voleva che i ragazzi si mettessero strane idee in testa.
«Perché non abbiamo sempre vissuto qui? Posso invitare Emmy?» domandò Augusta.
Ecco appunto. Neville la fissò: «Che importanza ha dove abbiamo vissuto fino a ora?» ribatté un po’ bruscamente.
«Sì, può invitare Emmy» concesse, invece, Hannah.
Neville si voltò a guardarla interrogativo. «Amore, credo che abbiamo un problema» sbottò.
 «Me ne sono accorta, ma affrontiamo una cosa alla volta» replicò Hannah con un sospirò.
«Allora vi mostro le vostre stanza… poi faremo un bel discorsetto, però…».
Frank aveva una più che vaga idea di dove sarebbe andato a parare il discorsetto, ma evitò di lamentarsi. Ormai ci aveva fatto l’abitudine a subirsi le prediche per cose che avevano fatto o detto le sorelle.
«Questa è di Frank…» iniziò Hannah indicando una porta di legno chiaro, si vedeva che era stata riverniciata da poco.
«Io mi ritiro nella mia camera. Ho bisogno di cambiarmi. Oggi fa molto caldo» disse la nonna. «E soprattutto non ho voglia di assistere mentre viziate i vostri figli».
 Hannah e Neville si scambiarono un’occhiata ansiosa, poi la prima continuò: «Accanto a quella di Frank, c’è quella di Alice. Di fronte alle loro, quelle di Augusta e di Aurora… quest’ultima, però, non è ancora pronta… Aurora è ancora un po’ piccola per dormire da sola, ma la sistemeremo con tutti i suoi giochi e vestitini…». Si bloccò accorgendosi che Alice e Augusta si erano fiondate nelle loro camere senza ascoltarla minimamente.
«Ragazze, ma non si fa così!» urlò loro dietro seguendole.
«Beh… perché non vai a vedere la tua camera?». Neville invitò Frank, che annuì.
La nuova camera era più grande di quella che aveva a Diagon Alley, ma arredata in modo simile. Due ampie finestre la illuminavano completamente, nonostante delle tende dal colore tenue. Sotto una delle due era posta una scrivania in legno massiccio. In fondo alla stanza un’enorme libreria, in cui, oltre che scaffali per i libri, c’erano anche una serie di cassetti. Il letto era a una piazza e mezza con delle lenzuola scarlatte, che ricordavano tanto quelle del Dormitorio di Grifondoro; alla sua sinistra, vicino alla porta, vi era un guardaroba di medie dimensioni; ma soprattutto quello che lo colpì di più fu il davanzale ampio sotto la seconda finestra, sistemato a mo’ di divanetto. Sarebbe stato bellissimo leggere lì!
«Ti piace?».
La voce del padre lo fece sobbalzare e si voltò verso di lui.
«Sì, grazie».
«È molto più semplice rispetto a quelle delle tue sorelle, ma ho pensato che l’avresti preferito… Anche se non ti sei lamentato, so che non ti piacciono i cambiamenti repentini…».
Il ragazzino si strinse nelle spalle. «Stai tranquillo. La camera mi piace, c’è molto più spazio» disse avvicinandosi alla finestra con il divanetto per osservare il panorama. «E poi siamo immersi nella campagna! Sembra un bel posto. Com’è il villaggio?».
«Non era male… almeno credo… tua nonna non mi lasciava uscire da solo… Ora, non so come sia cambiato…» rispose Neville.
«Perché non ti faceva andare?» domandò Frank perplesso.
«Vedi una volta molti maghi ritenevano che non fosse un bene mischiarsi con i Babbani e poi tua nonna non riteneva che io fossi capace di cavarmela da solo…» borbottò Neville.
«Perché non mischiarsi con i Babbani? Pensavo che la nonna non credesse in certi pregiudizi».
«Non si tratta semplicemente di pregiudizi. Tua nonna non ha nulla contro i Babbani, ma devi tenere conto che è cresciuta come una ricca Purosangue, circondata da precettori e dai suoi famigliari, non andava certamente in giro a scoprire il mondo… dipende sempre da come uno cresce…».
Frank annuì intuendo quello che il padre voleva dirgli. «Noi possiamo farcelo un giro?».
«Non lo so… Non vorrei fosse pericoloso… i Neomangiamorte appaiono nei luoghi più disparati…».
«Secondo me non lo conoscono neanche questo posto» ribatté Frank.
«Vedremo. Comunque quelli sono per te» disse Neville indicando il letto.
Frank si sedette sul letto e soppesò il sacchetto. «Ci sono soldi?» chiese sorpreso.
«È la vincita del concorso. Mi sono permesso di ritirargli per te al Ministero».
«Grazie» disse con un sorriso, che si ampliò ulteriormente quando notò il libro che era stato coperto dal sacchetto fino a qualche secondo prima. «Compendio dell’istruzione magica nel mondo. Bello! Avevo letto qualcosa a Scuola. Grazie, ma non c’era bisogno…».
Neville gli scompigliò i capelli. «Invece sì. Sistemati con calma. Io vado a vedere se mamma ha bisogno di qualcosa».
Frank annuì, ma quando lo sguardo gli cadde sugli scatoloni, che occupavano il centro della stanza, decise di andare a vedere le camere delle sorelle.
«Hai visto quanto è bella?» strillò Alice, appena mise piede nella stanza.
Il ragazzino sorrise alla vista del letto a castello.
«Uno per me e uno per Lily» disse Alice estasiata. «Non vedo l’ora di raccontarglielo e di invitarla qui! E hai visto i colori della stanza? Rosso e oro! Ho anche i ganci per appendere la scopa! E mamma e papà mi hanno regalato anche una mazza! Una vera mazza da battitrice!».
«Sono contento per te!» disse Frank sinceramente.

*

«Odio trovarmi qui a fare questo discorso, ma ho rimandato fin troppo» esordì George Weasley scrutando i presenti.
Roxi sbadigliò e si appoggiò al bancone del negozio osservandolo. Erano trascorse da poco le otto e lei stava decisamente morendo di sonno, ma, visto che presto sarebbe iniziata la Scuola e tutti si recavano a Diagon Alley per fare spese, era un periodo abbastanza ricco per gli affari; conseguentemente spesso il padre aveva bisogno del loro aiuto. Aveva assunto ben due commessi: Tylor Jordan, Grifondoro del sesto anno e figlio del suo migliore amico, e il signor Wilkinson, un uomo avanti con l’età.
Cambiava spesso i commessi, ma sembrava andare particolarmente d’accordo con quest’ultimo.
«Ieri sera ho notato che mancavano dei soldi dalla cassa. E non è la prima volta. Se qualcuno di voi credeva di fregarmi, si è sbagliato di grosso. Chi è stato?». Gli osservò uno per uno con una serietà, che difficilmente Roxi gli aveva mai visto in volto. Si inquietò perché lei sapeva chi aveva preso quei soldi, ma non faceva la spia di solito.
«Papà, mi dispiace dirtelo, ma è stato il signor Wilkinson» disse Fred.
Roxi lo fissò con tanto d’occhi. Perché si comportava in quel modo? Suo padre, però, credeva sempre ai suoi figli e si voltò verso l’uomo.
«Non è vero! Signor Weasley, mi deve credere non avrei mai fatto una cosa del genere!» si difese immediatamente quest’ultimo.
«L’ho vista anche io» intervenne Tylor.
«Signor Wilkinson, conosco i suoi problemi e ho sempre cercato di venirle incontro, ma non mi piace essere preso in giro. La prego di andarsene».
Roxi sgranò gli occhi e fissò suo fratello e Tylor. Ora capiva perché James aveva deciso di allontanarsi da loro. Il signor Wilkinson scosse la testa impotente e si mosse per recuperare il suo borsello.
«Non puoi licenziarlo sul serio!» non riuscì a trattenersi Roxi. Quell’uomo aveva tre figli da mantenere!
«Roxi, tesoro, mi devo poter fidare di chi lavora con me» replicò sorpreso suo padre.
«Lasciala stare, lei non capisce nulla di affari!» commentò Fred.
La ragazzina strinse i denti e gli rivolse un’occhiata di fuoco. «Cretino!» gli gridò, scagliandogli addosso un pacchetto di Torrone Sanguinolento, che non era stato riposto.
«Ahi, ma sei pazza!?» si lamentò lui.
«Roxi, ma che ti prende?» le chiese George.
«È stato lui a rubare i soldi! L’ho visto con i miei occhi! È più viscido di un Serpeverde!».
Le sue parole pietrificarono tutti i presenti. Fred fu il primo a riprendersi e disse:
«Bugiarda!».
«Il bugiardo sei tu!» ribatté Roxi con rabbia. «Papà, chiedigli come ha comprato l’anello d’oro dei folletti».
«Quale anello d’oro? E soprattutto che c’entrano i folletti?» chiese George confuso.
«L’ha comprato per July Mcmillan! Usa l’incantesimo di appello».
Fred la fulminò con lo sguardo, ma ormai era tardi. George estrasse la bacchetta e appellò l’oggetto. Una scatolina in pelle schizzò fuori dalla tasca dei jeans del ragazzo, che, nonostante ci avesse provato, non riuscì a trattenerla.
Il silenzio divenne ancora più teso, mentre George l’apriva e ne tirava fuori un anello fine e con una pietra preziosa in cima; infine alzò gli occhi sul figlio maggiore e disse: «Sei impazzito per caso?».
«È finto» si difese subito il ragazzo.
«Mi hai preso per uno stupido? Si vede benissimo che oro dei folletti! Chi te l’ha venduto? Non sai che è pericoloso fare affari con i folletti?».
«Ma no, l’ho trovato in quel negozio di gioielli di Nocturn Alley» borbottò Fred. «Non ho contrattato con nessun folletto».
«Non credevo che fossi così scemo!» sbottò George furioso. «Sarà stato sicuramente rubato!».
«Che importanza ha? Io l’ho pagato e m’è costato un occhio!».
«FUORI!» urlò George. «NON TI VOGLIO PIÙ VEDERE DENTRO QUESTO NEGOZIO!».
«Papà» chiamò preoccupata Roxi.
«È il colmo che non possa fidarmi di mio figlio!».
«Quei soldi sono anche miei!» si difese Fred. «Anche Roxi li prende ogni tanto!».
«Per i colori!» replicò indignata la ragazzina. «Ma lo dico sempre a papà quando lo faccio!».
«Fred non ti voglio più dentro il negozio. Esci!» sibilò George.
«Come vuoi! Tanto non m’interessa! Sai benissimo, che a me di questa attività non me ne frega niente! Dammi l’anello però! È mio!».
Roxi si sentì stringere il cuore di fronte all’espressione amara del padre.
«L’hai comprato con i miei soldi. Quindi è mio».
Fred lo fissò con occhi di fuoco prima di voltargli le spalle e uscire.
«Tylor, vattene anche tu».
«Cosa?! Ma Fred mi ha costretto!».
«Ne dubito. Ora vattene. Parlerò con tuo padre».
Tylor tentò di fargli cambiare idea, ma quando si rese conto che era impossibile, se ne andò.
«Signor Wilkinson, sono mortificato. Le chiedo scusa».
«Non fa niente» mormorò l’uomo. «Ma la prego di non licenziarmi».
«Non lo farò… Ora scusate, ho bisogno di prendere un po’ d’aria… Aprite voi…».
Roxi lo fissò allibita uscire passando sotto la serranda alzata a metà.
«Grazie» le disse il signor Wilkinson, riscuotendola dai suoi pensieri.
«Ho solo detto la verità» replicò mestamente. Non era sua intenzione far litigare il padre e il fratello. Con un peso sul cuore e per mettere fine alla discussione disse: «Vado a prendere le merendine marinare nel magazzino. Ieri sono andate a ruba. E dò anche da mangiare alle puffole pigmee. Può sollevare lei la serranda, per piacere? Ho ancora qualche difficoltà a farlo».
Sentì il rumore della serranda che veniva sollevata, mentre si chiudeva alle spalle la porta del magazzino. Aveva paura di aver fatto un guaio enorme e per giunta la mamma sarebbe tornata solo il giorno dopo.
Per il resto della giornata non ebbe molto tempo per rimuginare su quanto accaduto, a causa del troppo lavoro.
«Roxanne, io andrei a casa. È ora di pranzo» disse il signor Wilkinson. «Hai bisogno di qualcosa? Tuo padre non è ancora tornato».
«No, non si preoccupi. Vada pure. Ci vediamo alle tre e mezza».
«Va bene. Buon pranzo».
«Buon pranzo a lei, signor Wilkinson» replicò educatamente Roxi. Rimasta sola sospirò gettandosi sullo sgabello dietro la cassa. Chissà dov’era suo padre. Il suo stomaco brontolò ricordandole che era passato troppo tempo dalla colazione, lei però non aveva la minima voglia di mangiare a casa da sola. Prese un post-it colorato e scrisse al padre dove avrebbe potuto trovarla, se fosse rientrato prima di lei, e poi si prese un galeone dalla cassa.
Fortunatamente il signor Wilkinson aveva abbassato quasi tutta la serranda prima di uscire e lei non ebbe troppa difficoltà a chiuderla totalmente. Diagon Alley era affollato anche a quell’ora. Molta gente proveniva da lontano per comprare tutto il materiale scolastico per i figli e di certo non sarebbe tornata a casa prima di aver concluso tutte le spese. Come le era capitato per tutta la mattina, riconobbe alcuni compagni di Scuola e li salutò senza troppa enfasi. D’altronde solitamente stava in compagnia di Frank e Gretel Finnigan. Era una persona tendenzialmente socievole, ma molto selettiva nella scelta delle persone con cui trascorrere il suo tempo. Svoltò in una stradina secondaria, molto meno caotica della principale, e si avviò verso una piccola bottega. Immediatamente l’odore di pane fresco le invase le narici e non poté trattenere un sorriso.
«Buongiorno!» trillò felice.
Una signora anziana le sorrise, mentre serviva alcuni clienti. La ragazzina attese pazientemente il suo turno, nonostante i morsi della fame si facessero sentire sempre più forti. Soprattutto la vista dei dolci e del pane fresco non aiutava minimamente.
«Roxi, che cosa vuoi?» le domandò finalmente la signora.
«Dei sandwich» rispose ella prontamente. «Le dispiace, se rimango qui?» chiese indicando un vecchio tavolino malconcio. Nessuno si fermava a mangiare lì di solito. Gli abitanti di Diagon Alley vi si recavano a comprare il pane o i dolci; i resto degli avventori che, quotidianamente affollavano il quartiere magico, per lo più non conosceva neanche l’esistenza di quella bottega o la ignorava testardamente perché la signora era una magonò. Roxi non si capacitava della loro stupidità.
«Non devi portare qualcosa a tuo padre in negozio?».
Roxi s’incupì, per un momento aveva dimenticato il litigio della mattina. «No, oggi no» rispose evasiva.
«Vieni a sederti di là con me allora» disse la signora.
Roxi la seguì un po’ titubante. «Non le creo disturbo, signora Willis?».
«Certo che no» rispose la donna.
Era una stanza molto piccola che fungeva sia da sala da pranzo sia da cucina. Tre porte chiuse rappresentavano le uniche altre camere. La signora si mise subito a lavoro e apparecchiò la tavola. «Per te va bene il succo di zucca? È ghiacciato… è un’estate abbastanza calda…».
«Va benissimo, grazie» disse la ragazzina aiutandola a recuperare i bicchieri dalla credenza. «Angel?».
«Al San Mungo. Tornerà per cena. Sai, è molto contento del suo lavoro… non sai quanto sono fiera di lui…».
Roxi sorrise: aveva sempre adorato la signora Willis. Sedettero insieme al piccolo tavolo quadrato.
«Buon appetito» disse la ragazzina affamata.
La donna ricambiò e poi mangiarono in silenzio per qualche minuto.
«Senti, ma tuo padre sa che sei qui?».
«Gli ho lasciato un biglietto. La mamma è in trasferta con la squadra. Oggi aveva un’amichevole» rispose Roxi dopo aver bevuto un lungo sorso di succo.

*

Virginia non riuscì a trattenersi dallo sbuffare, beccandosi un’occhiataccia dalla madre.
«Adrian, ma la vedi tua figlia!? Ho sempre sostenuto che non sei in grado di educare le ragazze! Dov’è quella selvaggia di Lauren?».
Quel pomeriggio di shopping si stava rivelando una vera tortura per Virginia, che cercò Martha con la coda dell’occhio: se ne stava ben distante, quasi appiccicata a sua madre.
Suo padre fino a quel momento aveva ignorato le provocazioni dell’ex moglie, nel tentativo di rilassarsi. Virginia si era ingelosita parecchio per le attenzioni che il padre stava dedicando a Martha, che, per quanto se ne stesse sulle sue, come sempre, non sembrava per nulla dispiaciuta; mentre lei si beccava continui rimproveri dalla madre.
«Ashley» sbottò Adrian, bloccandosi di scatto in mezzo alla strada. «Hai intenzione di litigare di fronte a tutta Diagon Alley?».
«Sei tu che hai preteso di uscire sia con me che con la tua nuova fiamma!».
«Ti sei risposata da anni!» replicò Adrian a denti stretti. «Non osare farmi la morale!».
«Voglio dire che avresti potuto sforzarti di uscire solo con me e tua figlia» sibilò Ashley.
«Questo è vero» borbottò Virginia, che l’avrebbe preferito senz’altro. Per un attimo le sembrò di aver ferito il padre, poi lo sguardo di quest’ultimo s’indurì.
«Lauren non è una selvaggia. E purtroppo per te è maggiorenne, quindi può anche decidere di evitarti» replicò aspro, rispondendo alla precedente domanda dell’ex moglie.
«Sentite, noi finiamo le compere da sole. Non è un problema» intervenne Selene.
«No» ribatté immediatamente Adrian. «Non ne vedo il motivo».
«Allora ce ne andiamo noi» disse acidamente Ashley, agguantando Virginia per un braccio.
Quest’ultima fissò il padre in cerca d’aiuto. «Decidi tu» disse Adrian. «Possiamo continuare a fare spese tutti insieme oppure puoi andare con tua madre».
Virginia sentì una stretta al cuore: suo padre aveva scelto la nuova famiglia.
*
«Brian, dobbiamo parlare».
Il ragazzino sollevò gli occhi sul padre, ma non aprì bocca.
«Mi dispiace per pomeriggio. Non volevo sgridarti in quel modo» iniziò Gregory Carter, ma il figlio lo interruppe.
«No, scusami tu. Non so che cosa mi sia preso. Voglio molto bene a Sophie, te lo giuro. E vorrei che fosse sempre felice, lo sai».
Gregory sorrise e sedette accanto a lui sul letto. «Ti voglio bene, soldatino» disse abbracciandolo. «So che è stato un periodo pesante… e io sono stato pessimo… sono un grandissimo idiota…».
«Anche io ti voglio bene, ma non ti devi scusare!» mormorò Brian nascondendo la testa nel suo petto.
«Certo, che mi devo scusare!» ribatté Gregory. «Come al solito mi sono dimenticato che sei un bambino e ti ho chiesto troppo… perdonami» sussurrò.
Brian si sorprese per quelle parole, perché suo padre era molto orgoglioso e di norma non si perdeva in simili discorsi. Si sollevò e gli buttò le braccia al collo, prima di mormorare: «Non ho nulla da perdonare… tutti vorrebbero un padre come te…». Non lo disse solo per fargli piacere, ma perché lo credeva realmente: era il destino a complicare sempre la loro vita.
*
«Principessa».
Roxi saltò in braccio al padre. «Mi sei mancato!».
«Scusami» replicò George, poi si rivolse al signor Wilkinson. «Può andare, chiuderò io».
George, liberato dalla stretta di Roxi, si mise al lavoro. Roxi lo osservò per un po’ in silenzio.
«Manca questo» disse rompendo il silenzio e porgendogli il galeone, che aveva preso quel pomeriggio. «Volevo mangiare qualcosa fuori, ma la signora Willis non ha voluto che pagassi alla fine».
«Puoi tenerlo» disse George, contando l’incasso della giornata. «La signora Willis è sempre molto gentile. Tu, però, non potevi mangiare a casa? Mamma ci ha lasciato qualcosa in frigo… o forse in forno…».
Roxi ridacchiò vedendolo grattarsi la testa incerto. «Non mi andava di rimanere qui».
«Perdonami, mi sono comportato male. Non sarei dovuto sparire tanto a lungo, ma la lite con tuo fratello mi ha scosso… Ti ringrazio di aver aiutato il signor Wilkinson, da solo non ce l’avrebbe fatta».
La ragazzina sbadigliò. «Andiamo a cenare? Non vedo l’ora di andare a letto».
«Sì, hai ragione. Prenditi questi galeoni, te li sei meritata» disse porgendole circa nove galeoni.
Roxi scosse la testa con forza. «Non voglio essere pagata».
«Ma mi sentirei meno in colpa» borbottò George.
«Andiamo su, dai» disse lei prendendolo per mano.
«In realtà avrei bisogno di un favore» borbottò buttandosi sul divano, mentre il padre armeggiava in cucina.
«Quello che vuoi, principessa… ti va bene lo stufato freddo?».
«Sì, va bene» disse Roxi raggiungendolo a tavola. «Ho detto a mamma che ho finito tutti i compiti delle vacanze, ma le ho mentito… puoi evitare che mi uccida?».
George ridacchiò e annuì. «Tranquilla, me ne occupo io. Adesso mangia».

*

Albus sbuffò. Come cavolo aveva fatto Rose a convincerlo? Come faceva a convincerlo sempre? Qualcuno lo urtò e scivolò sul pavimento bagnato. «Nooo» gridò finendo dritto in piscina tra le risate generali.
«Ora basta!» disse a denti stretti. Non aveva idea di dove si fosse cacciata sua cugina, ma non gli interessava.
«Al, stai bene?» gli chiese Alastor, affiancandolo all’istante appena fu uscito dall’acqua.
«Sì. A parte il fatto che non dovremmo essere qui».
«Te l’avevo detto che non era una buona idea» sospirò l’amico.
«Vado un attimo in bagno e poi cerchiamo un modo per tornare a casa».
«Polvere volante?  Credo che il signor Cooman ne abbia o no?».
«Non lo so» rispose Albus, tentando di strizzare la manica della camicia. «Mi dispiace, ti ho cacciato in un altro guaio».
Alastor si strinse nelle spalle. «Non i tutti i guai vengono per nuocere. La nostra bravata al San Mungo mi ha permesso di chiarirmi finalmente con mio padre. Non sai che liberazione. Non credo che abbiamo mai parlato tanto insieme. E comunque non mi hai mai obbligato, ho sempre scelto di seguirti».
Albus lo fissò riconoscente. «I Potter attirano i guai molto facilmente, ma in compenso trovano anche dei buoni amici».
L’altro ragazzo sorrise e lo bloccò prima che andasse a sbattere con dei ragazzi che ballavano. Ora che erano tornati all’interno della villa, dovevano urlare per sentirsi perché la musica era troppo alta.
«Secondo te gli Auror babbani potrebbero intervenire?».
«La polizia! I Babbani non hanno Auror. Se ti sentisse Finch-Fletchley… Comunque sì, c’è questo rischio… Appunto per questo, andiamocene, prima che i nostri genitori debbano venirci a recuperare in qualche stazione di polizia… penso che quella sarebbe veramente la nostra fine…» replicò Albus.
«Mi pare di aver visto sua figlia Noemi, la Tassorosso… e non era molto sobria… per cui credo che potrebbe benissimo sorvolare sulla mia ignoranza… Che cos’è questo rumore?».
Erano saliti al primo piano della villa, la musica era più attutita. Albus tese l’orecchio. «Sembra che qualcuno stia male».
«Viene da lì» decise Alastor indicando una porta socchiusa.
Albus si accigliò. «È il bagno, se non sbaglio. Andiamo a vedere».
Entrarono insieme e rimasero paralizzati dalla sorpresa. Attaccata alla tazza del water, in preda ai conati, c’era niente meno che Molly Weasley.
«Molly!» disse il ragazzo riscuotendosi e inginocchiandosi accanto a lei. «Che hai?».
«Forse ho esagerato con i drink» biascicò la ragazza, prima di riprendere a rimettere.
Albus si voltò verso l’amico, si rialzò e lo trascinò fuori. «Dobbiamo assolutamente chiamare aiuto!».
«Ma così i nostri genitori sapranno senz’altro che li abbiamo mentito!» ribatté Alastor.
«Lo so, ma non posso lasciare Molly in quel modo!».
«Ha solo bevuto troppo. Le passerà».
«No, non lo sa quasi nessuno, ma Molly è incinta».
«Cosa?! Ma non dicono che non si può bere in certe condizioni?».
«Non si può, infatti! O quanto meno è sconsigliato. Per questo dobbiamo chiamare qualcuno. Potrei chiamare Vic e Teddy, ci aiuterebbero senz’altro, ma non ci coprirebbero con i nostri genitori».
«Non ti preoccupare Al, se tua cugina sta davvero male chiama i tuoi».
Il ragazzo tirò fuori lo speculum dalla tasca, ma non funzionò. «Che ha?».
«Non credo che il bagno in piscina gli abbia fatto bene. È roba costosa e delicata».
«Oh, cavolo. L’avevamo incantato per il gruppo!» sbottò Albus.
«Usiamo il mio» disse pratico Alastor. «Vuoi che chiamo mio padre?».
«No, grazie. Molly ha bisogno come minimo di mia madre».
Dopo aver chiamato aiuto, tornarono in bagno per tentare di aiutare Molly in qualche modo. Suo padre non era stato per nulla felice di essere buttato dal letto dall’incanto sonoro, che aveva applicato al suo speculum, all’una e mezza di notte; ma gli aveva assicurato che sarebbe arrivato subito.
«Eccovi! Tuo padre sta mandando via gli altri ragazzi. Spostatevi. Molly, lascia che ti aiuti ad alzarti» sbraitò Ginny Potter irrompendo nel bagno. «Con voi facciamo i conti dopo».
I due ragazzi uscirono in corridoio, proprio mentre la musica si azzittiva improvvisamente. Si scambiarono uno sguardo per un attimo e poi decisero di affrontare il loro destino.
Harry Potter, con addosso un paio di jeans e una maglietta, stava urlando contro a un gruppo di ragazzi, e nel frattempo erano arrivati anche altri genitori, che probabilmente aveva chiamato lui stesso.
«Aspettiamo qui» sussurrò Albus, riconoscendo tra i tanti Mcmillan, il professore di Pozioni, e Finch-Fletchley, insegnante di Babbanologia. Solo quando se ne furono andati tutti, con l’eccezione di Fred, Rose e Cassy crollati sui divani e di Arion completamente pallido in viso, si palesarono.
«Siete. Impazziti. Per. Caso?» sbottò fissando i tre ragazzi, che in quel momento avrebbero preferito essere incoscienti come gli altri. «Greengrass, bella prova di maturità! Ubriaco fradicio in mezzo a dei minorenni! Dovrei espellerti solo per questo dall’Accademia!».
Arion divenne bianco come un lenzuolo. «Capitano, io…».
«Fai silenzio, per adesso le tue azioni hanno parlato a sufficienza! Sei solo un ragazzino immaturo! Come hai potuto lasciare che Molly bevesse?! È di sopra e sta male! Va’ almeno a vedere come puoi aiutare mia moglie… se ti reggi in piedi…». Mentre il ragazzo obbediva muovendosi un po’ a tentoni, avendo la testa annebbiata dall’alcool, Harry si rivolse al figlio e al suo amico. Senza dire una parola evocò quello che, agli occhi dei ragazzi, apparve come un semplice palloncino bianco. «Soffiateci dentro» ordinò asciutto.
Albus obbedì meccanicamente, odiava quando il padre assumeva il cipiglio da Capitano Auror. Significava che le cose non si mettevano bene. Non aveva idea di perché dovessero fare quella cosa stupida in quel momento, ma non osò obiettare.
«Quanto dobbiamo gonfiarlo?» domandò perplesso, mentre anche Alastor vi soffiava dentro.
«Forse è bucato» borbottò quest’ultimo. «Non gonfia».
Harry alzò gli occhi al cielo e con un gesto brusco si riprese il palloncino e lo fece evanescere. Il suo sguardo, però, si era ammorbidito. «Non deve gonfiare! Serve per verificare quanto alcool avete bevuto. È inspirato a un aggeggio babbano molto simile».
«Ma noi non abbiamo bevuto, te lo giuro!» disse subito Albus e Alastor concordò.
«Sì, l’ho notato. In caso contrario il palloncino si sarebbe gonfiato e avrebbe cambiato colore» spiegò Harry.
«Harry, io mi smaterializzo con Molly alla Tana. Arion mi darà una mano» disse Ginny, attirando l’attenzione su di sé. Arion portava in braccio la fidanzata.
«Bene, ti raggiungerò a breve».
«Signor Potter, potrebbe aspettare fino a domani per parlare con mio padre?» chiese Alastor.
«Sono al corrente che è stato in Germania per verificare personalmente la posizione di tuo cugino Hans, non lo sveglierò a quest’ora. Potrai dormire qui o alla Tana, come preferisci».
«Come qui?» domandò stranito Albus.
«Ci avete detto che volevate fare un pigiama party tra di voi? Bene, accomodatevi» disse aspramente mostrando di essere ancora arrabbiato.
«No, papà ti prego. Voglio tornare a casa».
«Se non avessimo trovato Molly in bagno, avremmo tentato di tornare con la Metropolvere» aggiunse Alastor.
Harry sospirò nel tentativo di calmarsi. «Perché sei completamente bagnato?» chiese al figlio.
«Sono scivolato in piscina» borbottò Albus.
«Incoscienti!» sbottò l’uomo. «Avresti potuto farti male!».
«Il mio elemento è l’acqua dovresti sap-» tentò Albus, ma si zittì all’istante all’occhiataccia del padre. «Hai ragione, scusa. Siamo stati stupidi. Non avremmo dovuto mentirvi».
«Ne riparleremo domani. Ora andiamo a casa».
«E Rose?».
«Qualcuno dovrà pur rimettere in ordine la villa domani mattina» replicò Harry.
 



Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Ecco il nuovo capitolo! Il caso dei Neomangiamorte s’infittisce e Harry ha ancora molto su cui indagare, nonostante le scoperte precedenti. Ritengo che Molly sia parecchio confusa ancora e non si fidi più molto degli adulti, per questo motivo ha chiamato Albus. Lei e Dominique non si possono vedere, mentre al momento preferisce evitare Vic e Teddy.
Ho voluto dedicare un po’ di spazio alla coppia Roxi-George.
La casa dei Paciock non è di mia invenzione. Neville ne parla nel primo libro e cita proprio il salotto al secondo piano. Il fatto che si trova nel Lancashire, l’ho dedotto dalle poche informazione che la Rowling ci ha dato sulla famiglia di Neville. Infatti nella stessa occasione, quest’ultimo racconta che uno dei suoi zii l’ha gettato in acqua dal molo di Blackpool (nella speranza che rivelasse i suoi poteri), che appunto si trova nel Lancashire. Ho immaginato che Neville non dovesse abitare molto lontano da lì, inoltre i maghi, soprattutto di alto lignaggio, non credo che vivano in grandi città metropolitane (tipo i Malfoy che hanno una villa nel Wiltshire) e così ho cercato delle informazioni sui territori vicini a Blackpool; da qui Wiswell, nella Ribble Valley, che si trova appunto nel Lancashire (nord ovest).
Spero tanto che la storia vi stia piacendo, se vi va, lasciatemi un commento ;-)
A presto,
Carme93

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Capitolo 9
*** Si ricomincia ***


Disclaimer: i personaggi di Harry Potter non mi appartegono, ma sono di  J.K. Rowling

Capitolo nono


Si ricomincia
 
Come ogni anno il binario Nove e Tre Quarti era gremito. Genitori, ragazzi e animali domestici vari correvano da una parte all’altra concitatamente, mentre l’orologio della stazione segnava le undici meno venti.
«Perché il treno parte alle undici ogni anno? Perché non scelgono un altro orario?» si lamentò un ragazzino dai folti capelli castani. La sorella sbuffò esasperata dai suoi continui lamenti, ma non ebbe il tempo di replicare che fu travolta dall’abbraccio di un ragazzo. Riconobbe il suo profumo e non ebbe bisogno di guardarlo in volto per riconoscerlo. Cercò la sua bocca, dimenticandosi anche della presenza dei suoi genitori.
«Mi sei mancata» sussurrò James Potter.
«Anche tu».
Il padre della ragazza si schiarì la voce. James arrossì e si voltò verso di lui. «Buongiorno, signor Merinon. Trascorse buone vacanze?».
«Abbastanza» borbottò l’uomo.
Fortunatamente il resto della famiglia Potter li raggiunse, salvando James dall’imbarazzante situazione.
Lily e Albus lo fissavano trattenendo a stento le risate.
«Ciao Benedetta» salutarono i due ragazzi.
«Ciao ragazzi. Vi presento mio fratello Paul. Quest’anno verrà ad Hogwarts anche lui».
Il ragazzino li stava squadrando da capo a piedi e ad Albus non piacque per nulla. Da quello che aveva capito dai racconti sconclusionati di James aveva un carattere diverso da quello della sorella.
Benedetta e Paul indossavano già la divisa e la ragazza consigliò ai fratelli Potter di fare lo stesso.
«Vi aspettiamo più avanti» disse loro Harry. «Ho visto Ron e Hermione».
«Odio essere Prefetto» borbottò James.
«Ma dai, avrai un anno per stare con Benedetta praticamente tutti i giorni!».
«Non consideri le vacanze di Natale e in caso quelle di Pasqua! E poi da quest’anno non seguiremo tutte le materie insieme!».
Albus evitò di replicare e si chiese se anche lui sarebbe diventato in quel modo se si fosse innamorato di una ragazza. Si cambiarono in fretta e raggiunsero i famigliari sul binario.
«Spostati, Al! Devo prendere Artiglio!» urlò Hugo.
Si spostò appena in tempo per non essere travolto da gatto e padrone. «Ma perché scappa?» domandò perplesso.
«Rose, tanto per cambiare, gli ha tirato la coda» gli rispose Roxi. «Ciao, Al. È tanto che non ci vediamo, vero?».
Il ragazzo rise e abbracciò la cugina. «Tantissimo. La notte è lunga».
Ormai erano arrivati un po’ tutti: Dominique era andata solo per salutare Jeremiah, il fratellino del suo ragazzo Matthew; gli zii Bill e Fleur stavano facendo le ultime raccomandazioni a Louis, il più piccolo della famiglia ma anche il più intelligente, e al nipote Valentin Flamel, che, l’anno precedente, aveva preteso e ottenuto di studiare in Gran Bretagna e non a Beauxbatons com’era tradizione della sua famiglia; zio Charlie e zia Jane stavano salutando Fabiana e i gemelli; zia Hermione era immersa in una discussione con zio Percy, probabilmente sarebbero andati per le lunghe; sua mamma chiacchierava con Hannah Paciock e Luna Scamander, mentre i rispettivi mariti tenevano a bada le figlie.
«Dov’è tuo fratello?» chiese a Roxi.
«Da qualche parte con July Mcmillan. Vedi che ce l’ha ancora con te. Non hai fatto pace neanche con Rose?».
Albus s’incupì e fissò la cugina e migliore amica, era appoggiata alla colonna vicina con la sua migliore espressione da ‘me ne frego del mondo’, in compagnia di Cassy Cooman. «No. Ho provato a parlarle in questi giorni, ma mi ha ignorato».
«Dici che una volta a Scuola faranno davvero quella specie di processo che ci hanno promesso per aver fatto la spia?» chiese Roxi tranquilla.
«Che processo?» chiese Frank, che era andato a salutare i signori Finnigan e quindi si era perso parte del discorso.
«Ce l’ha comunicato Fred ieri sera… o meglio, per essere precisi, ha mandato Lou a dircelo… non sia mai che parli con noi due… Tutti i cugini si riuniranno e giudicheranno il nostro comportamento…».
«Mi sembra abbastanza stupido» borbottò Frank. «Che cosa vogliono ottenere?».
«Vogliono che li si dica che hanno ragione. Nient’altro» replicò Albus amareggiato. «Rose e Fred sono terribilmente orgogliosi».
«È quasi ora, comunque» mormorò Roxi. «Vado a salutare i miei».
«Sicuro che non vuoi dirci in cosa consiste il tuo progetto per il concorso?» domandò Albus a Frank.
«Mi hanno fatto promettere di non dire nulla. La McGranitt ne parlerà a tutti stasera».
«Ok, ma stai attento a Rose e gli altri. Li ho sentiti mentre cercavano un modo di farti parlare».
«Oh, Merlino» sospirò Frank.
«Albus, vieni qui!».
Quando Ginny Potter chiamava, era meglio non farla aspettare. «Ci vediamo sul treno» disse Al all’amico. «Mamma, sai perché Alastor non è ancora arrivato?». Era da un po’ che se lo chiedeva ed era preoccupato.
«Stai tranquillo, sono solo in ritardo» rispose Ginny e poi lo guardò dritto negli occhi con fermezza, tanto che il ragazzo dovette abbassarli.
«Senti, mi dispiace se ti ho fatto arrabbiare parecchie volte quest’estate. Farò in modo di stare fuori dai guai a Scuola».
Ginny sbuffò e lo abbracciò. «Non ho dubbi. Infatti volevo solo chiederti di non farmi preoccupare. E non stare troppo in pena per Rose. Anche i migliori amici litigano. Tu hai fatto la cosa giusta alla festa. Molly stava troppo male».
«Ora che le succederà?».
«Non lo so. Il padre di Arion ha parlato con Percy. A questo punto sarebbe giusto che si sposassero, ma il fatto che hanno solo diciannove anni complica la situazione. Loro stessi hanno dimostrato di non essere ancora maturi per costruire una famiglia». Il treno fischiò. «Devi andare. Mi raccomando scrivi, perché potremmo impazzire se aspettassimo notizie da Jamie e Lily. E non ti fare trascinare dagli altri, ragioni molto meglio con la tua testa».
«Sì, mamma».


*


«Virginia, aspetta un attimo».
«Ho la riunione dei Prefetti. Non posso fare tardi il primo giorno, papà» ribatté Virginia con una punta di acidità nella voce.
«Non me ne frega niente» sbottò Adrian Wilson. «Ora tu mi ascolti, è chiaro?».
La ragazza incrociò le braccia al petto e lo fissò. Voleva sfidarlo come tante volte aveva visto fare Lauren con la madre, ma in realtà stava per scoppiare a piangere.
«Mi dispiace per quello che è successo a Diagon Alley. Non era quello che volevo. Ho capito che ti sei sentita ferita, ma come ho già tentato di spiegarti: non voglio tenere te e Lauren separate da, come la chiami tu, la mia nuova famiglia. Io non voglio due famiglie, ma una sola!».
«Ce l’avevi già! E non ho mai capito perché hai lasciato mamma» sibilò Virginia. «E ora scusa, devo andare». Saltò sul treno senza neanche salutarlo e si avviò di corsa verso i vagoni alla testa del treno. Percepì le lacrime bagnarle le guance, mentre la locomotiva scarlatta fischiava un’ultima volta e iniziava lentamente a muoversi. Urtò qualcuno e scivolò a terra. In effetti correre su un treno in movimento, trascinandosi un baule pesante, era stata una pessima idea.
«Tutto ok?».
Accettò la mano che il ragazzo le aveva offerto e si sollevò. A parte il polso con cui teneva il baule che le doleva leggermente, era tutta intera.
«Abbastanza, grazie» mormorò imbarazzatissima. Si passò una mano sugli occhi per asciugarli. Tra tutti i ragazzi della Scuola doveva andare a sbattere proprio con il Caposcuola di Corvonero?! Che gran figura del cavolo che aveva fatto! Ed era solo il primo giorno.
«Non dovresti correre sul treno» disse lui, ma senza severità. «Mi chiamo Laurence. Laurence Roberts. Tu sei uno dei nuovi Prefetti del quinto anno?».
«Sì» sussurrò Virginia. «Virginia Wilson. Scusami, so bene che non avrei dovuto correre, ma…». E come glielo spiegava, se non sapeva neanche lei perché avesse continuato a correre anche se il treno era partito?
«Tranquilla. Sei sicura di stare bene? Forse è il caso che ti sciacqui il viso prima della riunione. Ti porto il baule nel nostro vagone».
Virginia annuì. «Grazie mille». Si prese qualche minuto per sé e solo dopo raggiunse i compagni.
«Alla buon ora» borbottò una ragazza scura di pelle. Hannah Zabini. A quanto pare era la nuova Caposcuola di Serpeverde.
Com’era quel proverbio babbano? Se il buongiorno si vede dal mattino…? Beh quell’anno scolastico stava iniziando davvero male.
«Ti stavamo aspettando» le disse, invece, gentilmente Laurence lanciando un’occhiataccia alla collega.
Virginia scivolò il più velocemente possibile accanto a Dexter Fortebraccio, il Prefetto maschile di Corvonero. Aveva già attirato a sufficienza l’attenzione per i suoi gusti.
«Credevo che gli sdolcinati fossero i Tassorosso» sibilò la Serpeverde.
«Evidentemente ti sbagliavi» replicò con un finto sorriso Rimen Mcmillan, che a quanto pare aveva meritato la spilla di Caposcuola.
A Virginia era sempre piaciuto quel ragazzo: carino, ma discreto; non andava a pavoneggiarsi per la Scuola come facevano molti.
«Forse dovremmo procedere» disse il Caposcuola di Grifondoro, di cui Virginia non conosceva il nome. Si guardò intorno e vide Albus Potter seduto con Isobel McGranitt, proprio dietro il fratello e Benedetta Merinon. Albus le sorrise. Ricambiò e decise di ascoltare i Caposcuola.
«Bene, buongiorno a tutti» esordì il Grifondoro. «Spero che questo sarà un buon anno scolastico per tutti. Per chi non lo sapesse, il mio nome è Conrad Avens».
Uno alla volta si presentarono anche gli altri ragazzi.
«Credo sia il caso di fare un piccolo riepilogo dei Prefetti, soprattutto a favore dei nuovi» disse Rimen Mcmillan, suscitando l’approvazione dei colleghi. «I nuovi Prefetti di Tassorosso sono Dorcas Fenwick e Noah Hunter. I Prefetti del sesto anno sono Jack Fletcher e Camilla Smith. Del settimo anno c’è mia sorella July».
«Per Grifondoro abbiamo Albus Potter e Isobel McGranitt» continuò Avens. «James Potter e Benedetta Merinon del sesto anno e Mary Anne Parker del settimo».
«I Prefetti di Corvonero sono Virginia Wilson, Dexter Fortebraccio, Elladora Flint, Gabriel Corner e Beatrix Calliance» elencò rapidamente Laurence Roberts.
«Per Serpeverde ci sono: Malfoy, Wilkinson, Granbell, Fawley e Roockwood» disse senza molto entusiasmo la Zabini.
«Perfetto. Spero che i presenti siano consapevoli dell’onore che hanno ricevuto dalla Preside, ma anche delle responsabilità che comporta il nostro ruolo» iniziò Avens.
«Merlino, ecco che parte la predica» sospirò James, a voce non troppo bassa.
Avens gli gettò un’occhiataccia e proseguì: «Dobbiamo essere d’esempio agli altri studenti: quindi dobbiamo studiare e rispettare le regole. Inoltre è anche nostro dovere verificare che i nostri compagni facciano altrettanto e soprattutto non facciano nulla che possa mettere in pericolo loro stessi e chi li sta vicino».
«Vorrei focalizzare l’attenzione anche sugli avvenimenti che stanno sconvolgendo il nostro paese» disse Rimen Mcmillan. Virginia, e non fu l’unica, capì che quel discorso veniva direttamente dal padre del ragazzo. A nessuno sfuggì la reazione della Caposcuola di Serpeverde, che s’incupì terribilmente. «Purtroppo stiamo attraversando un periodo turbolento, per questo dobbiamo essere uniti nell’aiutare i nostri compagni e specialmente gli studenti più piccoli. I professori hanno paura che il pericolo dentro il castello potremmo portarlo noi stessi con il nostro comportamento, magari lasciandoci influenzare da idee sbagliate. Comunque la Preside stessa ne parlerà questa sera. Naturalmente, vi invito a fare attenzione alle sue parole, ma ancor di più a quello che ci succederà dal momento in cui arriveremo al castello. Se notate comportamenti sospetti, informate un insegnante o anche solo uno di noi Caposcuola».
«Abbiamo pensato di fare la prima riunione ufficiale domani sera per definire almeno un piano provvisorio per le ronde e discutere insieme dei vari compiti che ci spettano» aggiunse Laurence Roberts.
«Chi si occuperà dei ragazzini del primo anno dopo cena?» chiese Conrad.
«Oh, ti prego fallo fare a me!» saltò su James. «È troppo divertente!».
«Se ci tieni tanto…» borbottò Conrad. «Ma Benedetta ti farà compagnia».
«Ehi! Non ti fidi?» ribatté James indignato.
«No» rispose semplicemente il ragazzo più grande.
«Per Serpeverde voglio farlo io» disse Scorpius.
«Perfetto, grazie» commentò Hannah Zabini.
«Per Tassorosso e Corvonero non si offre nessuno?» chiese incerto Laurence.
I Prefetti delle due Case nicchiarono e cominciarono a guardare in tutte le direzioni tranne verso i loro Caposcuola.
«Ammazza, i vostri discorsi sul dovere sono andati proprio a buon fine» ghignò la Zabini.
«Non c’è problema» intervenne Rimen Mcmillan. «Mi occuperò io dei ragazzini del primo anno, ma Smith e Fletcher avranno l’onore della prima ronda».
«Che cosa?! Ma perché? Pare che siamo stati gli unici a rifiutarci!» si lamentò Jack.
«Decido io» replicò con fermezza Rimen, che aveva intenzione di fare un buon lavoro come Caposcuola.
«Con i piccoli Corvonero me la vedrò io» disse infine Gabriel Corner.
«Magnifico, ci siamo messi d’accordo» sospirò Laurence. «Mi pare che abbiamo detto le cose più importanti. Possiamo sciogliere la riunione?» chiese poi ai suoi colleghi, che non ebbero nulla in contrario.
«Mi raccomando, pattugliate i corridoi del treno ogni tanto! E riferite ogni comportamento sbagliato» concluse Avens, prima che scappassero tutti dal vagone. Di solito la maggior parte raggiungeva i propri amici dopo la riunione.
«Arya, vuoi venire con noi?» chiese Scorpius, mentre Albus e Dorcas lo aspettavano fuori dallo scompartimento.
La ragazza lo fissò. «Parli con me?».
Scorpius sorrise. Fin dal primo anno aveva avuto un pessimo rapporto con i Serpeverde del suo anno, ma alcune ragazze si salvavano, tra cui proprio Arya. «Sì. Non vorrai rimanere qui?» replicò, poi abbassò la voce e le sussurrò: «Avens potrebbe farti morire di noia. È molto pericoloso».
Arya arrossì. «Ma tu sei con i tuoi amici» mormorò. «Io no…».
«Su dai, che ti costa?» disse Scorpius interrompendola. «I miei amici sono anche tuoi compagni. Vieni». Raggiunsero gli altri. «Guardate chi si unisce a noi?».
Dorcas assunse un’aria vagamente sorpresa e sorrise mestamente.
«Fantastico! Ciao Arya» disse, invece, Albus. Scorpius gli aveva parlato molte volte della Serpeverde e lui stesso non aveva potuto non notarla durante le lezioni, visto che stava sempre sulle sue. «Alastor ci ha tenuto i posti».
«Meno male. Non mi andava proprio di elemosinare un posto. È una mia impressione o quest’anno ci sono molti più studenti?».
«Mio zio Percy ha detto che sono tanti i ragazzini del primo anno e poi ci sono anche dei nuovi ragazzi più grandi».
«Oh, forte! Speriamo che qualcuno sia del quinto anno! Mi piace conoscere gente nuova» disse felice Scorpius.
«Eccoci» annunciò Albus dopo un po’.
«Oh, i nostri Prefetti! Allora siete ancora vivi?» li accolse Alex Dolohov con un ghigno divertito.
«Abbiamo preso qualcosa da mangiare anche per voi» disse, invece, Alastor.
«Grande!» strillò Scorpius lanciandosi su un pacco di cioccorane.
«Malfoy, la tua delicatezza mi fa pensare che tuo padre ti abbia avuto con un troll» commentò Alex.
«Da come sei magra, si potrebbe pensare che tua madre sia stata con Inferius» ribatté a tono il Serpeverde, dopo aver ingoiato la cioccolata. «Oh, no. Di nuovo Merlino! Ho perso il conto di quanti ne ho! Vi serve?».
«Merlino, ancora fai la collezione? Moccioso» lo provocò Alex. «Ehi, Arya, siediti. Che fai lì? Lo so che siamo mezzi matti, ma non devi avere paura di noi!».
Gli altri risero. «Infatti, non mordiamo» aggiunse Annie Ferons, anche lei Serpeverde.
«Ti facciamo spazio» aggiunse Jonathan.
«Rosie?» domandò Albus a nessuno in particolare, ma fu Jonathan a rispondere.
«In giro con Cassy. Se ho capito bene sono interessate a Jonah Pucey».
«Chi?» chiese Scorpius assottigliando lo sguardo e dimenticandosi per un attimo delle figurine.
«Uno della mia Casa. È al sesto anno» spiegò Jonathan.
«Il suo cognome non mi è nuovo. Se non sbaglio suo padre giocava nella squadra di Serpeverde con il mio» borbottò Scorpius. «Non mi piace».
«Ma se nemmeno lo conosci!» lo redarguì Annie.
«Perché dovrei conoscerlo?» ribatté l’altro. «Rose, però, non dovrebbe frequentare quelli più grandi!».
«Ha un solo anno più di noi, testa di troll» disse Alex.
«Comunque, è molto arrabbiata ancora» intervenne Alastor. «Per poco non mi ha affatturato prima».
«Oh, sì. Se non fossimo intervenute, avresti trovato il tuo amico a pezzettini» commentò Alex.
«Magnifico» sospirò Albus, sedendosi e chiudendo gli occhi; ma dovette riaprirli subito. «Ahi, ma che cavolo…» borbottò prendendo la cioccorana che li avevano tirato addosso.
«Fa bene, mangiala. O sarò costretto a imboccarti».
«Che schifo. Non ci pensare neanche Scorpius» replicò.
«Oh, che carini! Ora vi imboccate pure!» sussurrò con voce falsamente mielosa Alex.
Anche Dorcas rise, come non faceva da tempo.
«Ma si può sapere che cos’hai?» le chiese Scorpius, mentre le porgeva un zuccotto di zucca.
La Tassorosso lo accettò, ma rispose: «Non mi va di parlarne».
«Allora da uno a dieci quanto si sono arrabbiati i vostri genitori?» chiese Scorpius ad Albus e Alastor.
«Arrabbiati credo intorno al nove» replicò il primo.
«Boh… sette?» rispose, invece, Alastor.
«Tuo padre è assurdo» sentenziò Scorpius. «Giuro, è quello che fa più paura di tutti e mette soggezione… e poi…».
«Guarda che mi fa lo stesso effetto» borbottò Alastor.
«Comunque ve la siete cavata a buon mercato, no? Eravate gli unici sobri… E poi Scorp, perché non ci dici come ha reagito il caro Draco?» disse Alex.
«Lui non era arrabbiato, soprattutto dopo che gli ho raccontato di Carole Parker di Corvonero…» rispose con un ghigno Scorpius.
«Che cos’hai fatto con la Parker?» chiese sorpreso Jonathan.
«Alex, forse dovresti spiegarglielo tu» insinuò malizioso Scorpius, beccandosi un calcio nello stinco dalla ragazza. «Mia madre mi ha fatto il macello invece… E se l’è presa anche con mio padre perché non la sosteneva…».
«Che palle…» sbottò Alex. «Avrei voluto esserci!».
«Tu sei pazza! Mio padre avrebbe superato il dieci, se avessi fatto una cosa del genere!» replicò Jonathan comprendendo che la frecciatina era stata per lui.
«Oh, Merlino, ma si muove?» strillò Arya indicando una mantello sul pavimento vicino alla finestra.
«Certo, che si muove! Il mio piccolino!» trillò Scorpius, chinandosi sul mantello. «Ti sei svegliato, piccolo? Ti presento un po’ di amici, allora». Il ragazzo si voltò verso gli altri e trionfante li mostrò un cagnolino minuscolo.
«Ho paura che passi troppo tempo con Hagrid» mormorò Albus incerto.
«No, è troppo poco!» ribatté Scorpius. «Non vedo l’ora di fare i G.U.F.O. così elimino un paio di materie inutili! E poi vi immaginate come dev’essere bello il programma di Cura delle Creature Magiche del sesto anno?».
«Non voglio saperlo» replicò Alastor e Albus annuì convinto al suo fianco.
«Lui è Batuffolo! È un crup! Non volevo che gli tagliassero la coda. Secondo me è da barbari! Ma purtroppo il mostro da cui l’ho comprato l’aveva già fatto e non potevo abbondare questo piccolino in mani simili!».
«Tagliare la coda ai crup è previsto dalla legge, perché si possano confondere con i cani e non insospettire i Babbani» disse Arya sorpresa.
«Lascia stare, questo qui le regole non le conosce» borbottò Annie.
«Come pensi di fare? I crup sono vietati a Scuola» commentò Jonathan.
«No, scusate, per voi il problema sarebbe questo? Non avete sentito che questo demente ha chiamato un crup Batuffolo?» strillò Alex.
«Ma è dolcissimo!» si difese Scorpius.
«Scorp, non sono mai stato così felice che non sei un Grifondoro» mormorò Albus.
«Sei peggio di mia madre» replicò il Serpeverde. «Ma ci credete che stava per avere una crisi isterica perché questo povero piccolo ha fatto la pipì sul tappeto del salotto? Insomma, tutti i cuccioli hanno bisogno di tempo per imparare!».
«Non voglio neanche sapere quanto costa il tappeto che hai in salotto» sbottò Annie, che pur essendo una Nata Babbana ormai si era fatta un’idea di come spendessero i soldi i Purosangue.
«Comunque finché non lo saprà nessuno, gli insegnanti non mi faranno problemi».
«Oh, che bello si prospetta un inizio anno divertente» disse Alex entusiasta. «Ti prego, insegnagli a fare i suoi bisogni nell’aula di Incantesimi!».
Scorpius la fissò inorridito. «Ma io e Batuffolo non vogliamo morire giovani!».


*


«Com’è andata la riunione?» lo accolse Samuel Vance.
«La solita noia» rispose Jack.
«Abbiamo un Prefetto Perfetto non c’è che dire» commentò un ragazzo seduto vicino al finestrino.
«Attento, Archer, sai benissimo che ti metterei in punizione anche se sei il mio migliore amico».
Nyah lo fissava in attesa e lui le sedette accanto. «Tutto bene?». Prima di partire le aveva presentato Andy Archer, Mary Cattermole, Samuel Vance, Arthur Weasley e Amber Steeval.
«Sì, grazie».
«Abbiamo fatto amicizia» disse un sorridente Arthur.
«Come sono andate le tue vacanze?» gli chiese Samuel.
«Mmm diciamo che sono state movimentate… le tue?».
«Oh, i nonni mi hanno portato al mare. A Dover. Certo, gli Auror non ci hanno mollato un istante…» rispose il ragazzino con gli occhi che gli brillavano.
«E tu Andy? Come va con i pannolini?».
«Non rompere le pluffe, idiota. E soprattutto non dire quella parola!».
«Mi sono persa qualcosa?» chiese Mary Cattermole.
«Niente di che… mia mamma ha avuto un altro bambino…».
«Ma è bellissimo! Auguri!» trillò la ragazza.
«Grazie» replicò con un sorriso Andy.
Jack gli diede una gomitata e gli indicò le Gelatine Tutti I Gusti+1. Conosceva abbastanza il suo amico per sapere che era felicissimo di avere tanti fratelli minori, anche se spesso si lamentava perché, essendo il maggiore, tutti si rivolgevano a lui per ogni cosa.
L’unica silenziosa nello scompartimento era Amber, il che era strano perché di solito era una gran chiacchierona. Jack le tirò addosso una gelatina e la ragazzina lo fulminò con lo sguardo, ma tornò subito a osservare il paesaggio che sfilava fuori dal finestrino. Decise di non insistere per il momento. Tanto sapeva che cosa la faceva soffrire.
«Come sono andati i G.U.F.O.?» gli chiese Mary.
«Non mi lamento. Sono stato promosso in dieci materie. Quattro E, quattro O e due A. Quindi in teoria posso seguire solo otto materie».
«E in pratica quanti ne seguirai?» domandò Andy.
«Cinque. Quelle che mi servono per diventare Auror. Voi?».
«Otto. Spero di farcela. Il problema è che ancora non sono sicuro di cosa voglio fare dopo il Diploma» rispose Andy.
«Io sette. Non sono riuscita a prendere più di A in Difesa nonostante il tuo aiuto» disse Mary.
«Mi dispiace» commentò sincero Jack. La ragazza si strinse nelle spalle, probabilmente aveva ormai superato la delusione.
«Ehi, Jack. Qualche volta possiamo andarci insieme a Hogsmeade? I nonni mi hanno firmato il permesso» disse Samuel entusiasta.
«Vero! Non vedo l’ora!» rincarò Arthur.
«Cos’è Hogsmeade?» chiese Nyah, pronunciando il nome sconosciuto lentamente.
«È un villaggio vicino alla Scuola! Solo gli studenti del terzo anno, però, hanno il permesso di visitarlo!» rispose Samuel, palesemente felice di essere finalmente abbastanza grande.
*
James e Benedetta, dopo essersi baciati per un po’ nel corridoio, raggiunsero i loro amici nello scompartimento che avevano occupato,
«Ehilà gente, vi siamo mancati?» gridò James entrando.
«No» replicò Robert con un ghigno. «Abbiamo persino condiviso la stanza negli ultimi due giorni, quindi direi che un paio di ore senza di te non mi hanno fatto che bene».
«Sempre antipatico» disse James facendogli la linguaccia.
«Ehi, Benedetta, lei è Isabella. Anche lei è del primo anno» disse Paul indicando una ragazzina accanto a Robert.
«Lei è tua cugina?» chiese James sedendosi insieme a Benedetta.
«Già. Belle, loro sono James e Benedetta».
«Piacere» disse la ragazzina con un ampio sorriso.
Demetra Norris, loro compagna di Casa e di anno, fece un rapido gesto della mano in segno di saluto prima di tornare alla lettura del Settimanale delle Streghe.
«E tu chi sei?» domandò James a un ragazzo di colore, l’unica persona che non aveva la minima idea di chi fosse.
«Io sono Adisa» rispose il ragazzo con un timido sorriso.
«È nuovo» spiegò Robert. «Non te ne avevo parlato? Mia zia me l’aveva detto».
«Non mi ricordo» disse James, facendogli alzare gli occhi al cielo. «Ma che importanza ha? Benvenuto! Spero che sarai un Grifondoro! Ti hanno parlato delle Case, vero?» strillò contento.
«Oh, sì. Abbiamo già affrontato l’argomento» sbuffò Robert. Evidentemente con due ragazzini del primo anno presenti doveva essere stato pesante, o almeno lo era stato per gli amici. Lui si divertiva da morire.
«Li avete detto del troll da sconfiggere?» disse esaltato.
«Idiota» sbottò la ragazzina. «La mia prozia è la Preside. So benissimo come funziona lo Smistamento. Non puoi credere che chi viene da una famiglia di maghi caschi nelle tue invenzioni».
«Oh, Merlino. Che cos’è questo il sangue dei McGranitt?».
Robert scoppiò a ridere e annuì. «Ti conviene non provocarla. Morde… E dico letteralmente…».
«Scherzi?!».
«Se l’è cercata… Voleva rubarmi l’ultimo muffin al cioccolato» commentò la ragazzina.
Adisa sembrava più tranquillo e James gli sorrise ancora. Doveva essere uno di quei ragazzi che erano stati portati di forza in Gran Bretagna dalla pazza di Bellatrix Selwyn e non meritava altro che un po’ di felicità.
James addentò una brioche di zucca.
«Voi avete notizie interessanti?» domandò Robert.
«La Zabini è la Caposcuola di Serpeverde. Ci renderà la vita un inferno!» sbuffò James.
«Non credo. Sua madre è latitante, ha ben altri problemi» commentò Robert.
«Meglio lei di Roockwood» asserì Benedetta.
«La Preside non gli avrebbe mai dato tanto potere, secondo me si è anche pentita di averlo scelto come Prefetto» disse James.
«Sicuramente» concordò Robert.
«Sapete che Katie Bell e Gregory Mullet stanno divorziando?» intervenne Demetra.
«No, e non ci interessa» replicò Robert. «Ma perché leggi quella robaccia?».
«Per tenermi informata, naturalmente! C’è anche un articolo sulla Jones, la Grifondoro che si è diplomata l’anno scorso, si è fidanzata ufficialmente con Nikolai Krum! Ma vi rendete conto? Questa qui si è sistemata per tutta la vita!».
«Chissenefrega di Krum? Anche io ho un sacco di soldi alla Gringott» disse James.
«In realtà i soldi sono dei tuoi genitori e dovrai anche dividerli con i tuoi fratelli» commentò divertito Robert.
«Tranquillo, Jamie. Mica, mi interessa» replicò Benedetta, stringendosi al suo braccio.
«Vi prego, non iniziate a baciarvi!» intervenne Paul.
«Allora Adisa, perché non ci racconti qualcosa di te?» chiese James, sperando di coinvolgere il nuovo arrivato.
«Oh, io non so che dire» borbottò il ragazzo.
«Per esempio quali sono le tue materie preferite?» chiese Benedetta.
«La tua squadra di Quidditch del cuore?» domandò Paul.
«La tua band preferita?» chiese Demetra.
«Forse gli abbiamo fatto troppe domande» considerò James cogliendo la confusione sul volto di Adisa.
«Giusto. Una alla volta allora. Quali sono le tue materie preferite? Tra quelle che studiamo a Scuola s’intende» disse Robert.
«Io non essere mai andato a Scuola. Mia mamma ha insegnato me».
«Oh, beh meglio, no? Niente compiti o voti!» commentò James.
«Io sarò disastro» mormorò Adisa affranto.
«Ma no, ti aiutiamo noi!» disse sicuro James.
«Infatti, non ti devi preoccupare» aggiunse Benedetta.
«Io non conoscere squadre di Quidditch. E cosa essere band?».
Demetra e James decisero di indottrinarlo ben bene, così trascorsero il resto del viaggio la prima a parlare di tutte le band, magiche e non magiche, del momento; il secondo a raccontare nascita, vincite e sconfitte di tutte le squadre della lega britannica, non omettendo dei precisi e puntuali accenni anche alle squadre estere.
L’unico che si mostrò entusiasta della lezione improvvisata fu Paul, anche se Robert s’inserì volentieri nel monologo di James più di una volta.
*
«E allora questa Gara Annuale di Scope?» chiese Lucy eccitata.
Emmanuel sorrise: i suoi compagni gli erano mancati. Vide Tobias sbuffare.
«È una cosa barbarica».
«Rompipluffe, non sai quanto ti invidio!» replicò Lucy.
«Non sai quello che dici» mormorò Tobias. «Per me possiamo fare cambio quando vuoi… Mio fratello ne sarebbe felice… povero ingenuo… come se fosse facile essere il primogenito nella nostra famiglia!».
«Davvero vorresti sopportare mio padre? E la noia fatta persona!» lo contraddisse Lucy.
«Te l’ho spiegato un milione di volte! I Purosangue hanno tutti un sacco di rituali e regole da rispettare!» s’inserì Arianna Greengrass, un po’ infastidita dall’argomento.
Emmanuel la capiva perfettamente, anche lui avrebbe preferito parlare d’altro. Alexis Finch-Fletchley e Amy Mitchell, proprio come Lucy, non potevano capire ed erano sempre curiose di scoprire qualcosa di nuovo sul loro mondo; però la curiosità era reciproca.
«Quest’estate mio nonno ha voluto il mio debutto ufficiale in società» buttò lì Tobias.
«Che significa?» chiese Alexis.
«Non è presto? Mio padre mi ha promesso che avrebbe rimandato il più possibile» commentò Emmanuel sorpreso.
«Ma tu non sei l’erede della famiglia. Appartieni a un ramo cadetto. La tua è pura formalità, dovresti saperlo» ribatté l’amico.
«E com’è andata?» chiese Emmanuel con circospezione. In sé e per sé si trattava di una semplice serata di gala, a cui venivano invitate tutte le famiglie Purosangue, ma in realtà i genitori ne approfittavano per stringere alleanze e magari iniziare a progettare un matrimonio. Non era una festa divertente, su questo non c’erano dubbi. O quanto meno difficilmente poteva soddisfare il concetto di divertimento di un quattordicenne.
«Pensavo peggio» ammise Tobias. «Ho conosciuto una ragazza simpatica… della nostra età… poi io ho partecipato al suo debutto…».
«Oh, e ce lo dici così!» urlò Arianna.
«Dirvi cosa?».
Emmanuel rise, beccandosi un’occhiataccia dall’altro ragazzo che avrebbe preferito essere supportato visto come lo fissavano le ragazze. Smise di ridere rendendosi conto che le matte delle loro compagne avevano lo stesso sguardo di un crup di fronte a un grosso pezzo di carne.
«Ho bisogno di aiuto. Vieni con me!» saltò su, tirando Tobias per la manica. L’altro non se lo fece ripetere due volte e lo seguì.
«Non così in fretta» li bloccò Arianna.
«Sì, infatti. Vogliamo i dettagli» rincarò Amy.
«Quali dettagli?» arrossì violentemente Tobias.
«Almeno il suo nome» disse pacatamente Alexis.
«Oh, si chiama Adriel Nilsson».
«Ci vediamo dopo» disse frettolosamente Emmanuel.
«Dove vuoi andare?».
«A salutare Fabiana» rispose, mentre le guance si tingeva di rosso. «Questa Adriel quando la rivedrai?».
«Non lo so. Forse a Natale, se andiamo in Svezia. Però è probabile che saranno i miei nonni a venire in Inghilterra».
«Continuate a scrivervi?».
«Per ora sì. Le ho detto che sarei tornato a Scuola e quindi d’ora in avanti dovrà mandarmi le lettere a Hogwarts. Comunque anche da lei inizieranno in questi giorni. L’ultima lettera me l’ha inviata la settimana scorsa. I gufi ci mettono parecchi giorni a compiere tutto il tragitto».
«Lei va a Durmstrang o a Beauxbatons?» chiese Emmanuel.
«Durmstrang» rispose Tobias con una smorfia. «Quest’anno hanno un nuovo Preside, ma mi ha raccontato che Vulchanova e la Selwyn insieme facevano cose orribili… per fortuna Adriel per lo più è riuscita a cavarsela grazie al suo cognome. I Nilsson sono secondi solo a noi come importanza in Svezia, conseguentemente a Durmstrang vengono tenuti in grande considerazione».
«Sei preoccupato, vero?». La sua domanda era retorica, perché conosceva Tobias da anni.
«Sì, Durmstrang ha una pessima fama e Adriel era preoccupata per il nuovo Preside».
«Stai tranquillo. Se l’è cavata per tre anni; e come hai detto tu, la sua famiglia è potente… Oh, ecco le Corvonero» disse Emmanuel iniziando a lisciarsi la divisa, poi si passò una mano tra i capelli. Si era vestito con molta attenzione, ma adesso temeva di avere qualcosa in disordine. «Non ti pare che la cravatta sia un po’ storta?» chiese all’amico, tentando di guardarsi.
«Sei perfettamente in ordine. Va avanti tu, perché io mi vergogno».
Emmanuel prese un bel respiro e poi entrò nello scompartimento. «Ciao ragazze» esordì.
Lei sei Corvonero lo scrutarono sorpreso.
«Ciao. Tu sei Shafiq, vero?» chiese una di loro.
Il ragazzo la riconobbe come Iris Tylor, anche se aveva fatto qualcosa di strano ai capelli; comunque non gli interessava, i suoi occhi si fissarono in quegli azzurri che tanto aveva desiderato vedere in quei mesi.
«Ciao» disse Fabiana timidamente.
«Sì, ma preferirei che mi chiamassi Emmanuel. Come sono andate le vacanze?» chiese gentilmente.
«Sedetevi» li invitò Eleanor Davies. «Probabilmente da domani non potremo più farlo».
«Perché?» domandò sorpreso Tobias, dopo aver ringraziato e aver preso posto.
«Non sei tu il problema, Anderson. Sai Shafiq, sono il nuovo Capitano della squadra di Corvonero. Potrebbe esserci un conflitto di interessi».
Emmanuel rise. «Complimenti! Ma non credo che ci saranno problemi, basta non toccare l’argomento Quidditch, quando siamo insieme. E poi anche noi abbiamo un nuovo Capitano, magari troverà qualcuno più bravo di me».
«Sei bravo» gli concesse la Davies con mezzo sorriso. «Comunque abbiamo trascorso vacanze nella norma. Io sono andata in Grecia con la mia famiglia. C’è un mare stupendo».
Il Serpeverde annuì educatamente, nonostante non gliene fregasse un bel niente.
Chiacchierarono del più e del meno per un po’. «Perché tu e Fabiana non vi fate un giro sul treno?» buttò lì Sarah Wright. «Non mi verrai a dire, che sei venuto davvero a discorrere allegramente con noi? I convenevoli li abbiamo espletati, ora te la puoi portare via senza passare per maleducato».
«Ma avremmo capito anche se l’avessi fatto subito» mormorò una timida Amelia Yaxley.
Il ragazzo non si fece pregare, ma quando furono fuori dal corridoio si accorse che entrambi erano arrossiti.
«Non ti dispiace, vero?».
«Assolutamente no!» rispose Fabiana, poi rendendosi conto di essere stata troppo precipitosa, aggiunse: «Voglio dire non sono male… O almeno Julia, Eleanor e Amelia non sono male… Iris e Sara non le sopporto molto. Ma Julia sta sempre sulle sue, con quello sguardo cupo, che sembra pronta a saltare addosso a chiunque; Eleanor ha il pallino del Quidditch e Amelia parla pochissimo».
«Beh allora, potremmo stare insieme fino all’arrivo. Non manca molto».
«Mi farebbe piacere» sussurrò Fabiana.


*


«Secondo voi è meglio che vada a cercarla?» chiese Frank non riuscendo a trattenersi. Evitò per un pelo le cioccorane che le amiche gli tirarono addosso.
«È la milionesima volta che lo chiedi!» sbuffò Roxi.
«Due anni fa, avrei pagato per non avere mia sorella Luna tra i piedi. Ho cercato anche di seminarla!» disse, invece, Gretel Finnigan.
«Sì, ma sono preoccupato».
«Ma sul treno non ci sono pericoli, no?» domandò la ragazzina del primo anno, che si era seduta con loro: Cecilia Bulstrode.
«Le persone possono essere pericolose. I miei mi avevano chiesto di tenerla d’occhio! E io l’ho persa di vista appena il treno è partito!» disse esasperato Frank. «Che cosa dico a mio padre!?».
«Ma non è colpa tua» sospirò Roxi. «Tua sorella non è scomparsa nel nulla. Ha fatto in modo di allontanarsi da te. È evidente».
«Ma devo almeno vedere dov’è».
«Lo sappiamo dov’è! È con vostra cugina Emmy!».
«I miei volevano evitare proprio che passasse troppo tempo con lei! Le sue compagne hanno una cattiva influenza su di lei e Augusta si sta facendo contagiare!».
«Frankie» disse Roxi con tutta la calma possibile. «Sta a lei scegliere. E se ai tuoi non va bene, interverranno personalmente. Tu non puoi impazzire per lei! Chiaro?».
«No, vado a cercarla. Aspettatemi pure qui» disse Frank alzandosi.
Roxi e Gretel si scambiarono un’occhiata. «Fai compagnia a Cecilia, io mi assicuro che non lo facciano a pezzi dalla prima sera».
«Se dici così non mi aiuti» borbottò Frank. «Mia sorella non dovrebbe stare con gente pericolosa!».
Roxi sbuffò. «Muoviamoci, non voglio passare l’ultimo pezzo di viaggio in giro per il treno».
Procedettero in silenzio per un po’, guardando in tutti gli scompartimenti.
«Eccola» lo richiamò Roxi.
«Ciao» disse, ritrovandosi fissato da un gruppetto di Serpeverde, tra cui Emmy; unica intrusa era proprio Augusta.
«Che Merlino vuoi?» lo accolse lei all’istante.
Frank s’infastidì per quel tono, ma si limitò a dire: «Nulla. Volevo vedere se va tutto bene. È il tuo primo viaggio per Hogwarts».
Roxi si pentì di non avergli fatto un discorsetto prima: non avrebbe dovuto dire quelle parole alla ragazzina. Augusta si gonfiò. «Me la cavo benissimo. Come vedi Emmy mi ha presentato le sue amiche».
Il ragazzo fraintese la sua reazione. «Anche io ti avrei presentato i miei amici».
«Frank, per favore, vattene» s’inserì Emmy. «Sai, non gradiamo molto i Grifondoro».
«Ci vediamo a Hogwarts» lo salutò Augusta.
«Vieni via, su» gli sussurrò Roxi.
Frank strinse i pugni e, dopo aver lanciato un’ultima occhiata alla sorella, seguì l’amica.
«È andata meno peggio di quanto mi aspettassi» mormorò Roxi dopo un po’, quanto meno per spezzare il silenzio in cui Frank si era chiuso.
«Hai visto come mi ha trattato?».
Roxi sospirò, non sapendo che dire: aveva già capito che l’amico era rimasto ferito dal comportamento di Augusta. Prendendolo di sorpresa lo abbracciò, Frank ricambiò la stretta un po’ sollevato.
«Mi ha trattato come se fossi l’ultimo sfigato della Scuola. Sono abituato ad essere trattato così, ma non me l’aspetto dalla mia famiglia…» sussurrò con voce incrinata.
«È solo una mocciosetta. Vedrai che appena avrà bisogno di aiuto, correrà da te».


*


«Virginia, potresti almeno sforzarti di partecipare alla conversazione?».
La Corvonero alzò lo sguardo su Carole Parker.
«Evidentemente non mi interessa» sibilò.
«Ma si può sapere che avete? Tu e Martha siete peggiorate!» intervenne Artemisia Belby.
«Quest’anno abbiamo i G.U.F.O.» disse Virginia, come se questo bastasse.
«Sì, ma nessuna persona normale studia sul treno e prima ancora che inizi la Scuola» intervenne Chantal White.
«Scusa tu che stai facendo?» ribatté Virginia.
La compagna infatti non aveva fatto altro che scribacchiare per tutto il tempo.
«Che c’entra, io non ho fatto i compiti delle vacanze».
«Sei la vergogna di Corvonero! Non dovresti nemmeno osare dire certe cose! Lo sai che io sono un Prefetto, vero?». Sapeva che si stava rendendo più antipatica di quanto non fosse ai loro occhi, ma si sentiva meglio sfogandosi.
«E cosa vorresti fare? Rapporto a Williams?» chiese ironica la White.
«Esattamente» replicò asciutta. «E se mi dici da chi li stai copiando, mi eviti di scoprirlo da sola».
Le sue parole fecero scoppiare le altre ragazze.
«Ma sei pazza?» sbottò Annie Yaxley.
«Chi ti credi di essere?» sibilò Carole Parker. «Perché non te ne sei rimasta con i tuoi amici Prefetti? Non avremmo sentito la tua mancanza».
Virginia fu colpita dalla sincerità che sentiva in quelle parole. Si alzò tutta impettita. Era troppo arrabbiata per lasciar correre. Gettò un’occhiata alle pergamene della compagna e un senso di trionfo, di cui una parte di lei si vergognò, la fece sorridere. «Martha». Si voltò verso la ragazza, che la scrutava palesemente turbata dal suo posto. «Vi auguro un buon proseguimento di viaggio. Ci vediamo a Scuola».
«Virginia, ti prego» la richiamò Martha, ma lei non l’ascoltò neanche.
*
«È davvero carino. Allora gli chiediamo se viene a Hogsmeade con una di noi due?» chiese impaziente Cassy Cooman.
«Sì, va bene. Tiriamo fuori il coraggio Grifondoro ed entriamo» rispose Rose. «Ciao» trillò felice, entrando nello scompartimento, che avevano tenuto d’occhio per ore.
«È voi chi siete?» chiese un ragazzo che nemmeno dimostrava i suoi sedici anni.
«Rose Weasley» rispose senza degnarlo di uno sguardo. La sua attenzione era tutta per Jonah Pucey, probabilmente il ragazzo più bello della Scuola. «Ciao Jonah» disse felice, sedendosi di fronte a lui.
«Oh, Merlino» sbottò contrariata una ragazza. «Le tue ammiratrici hanno iniziato a rompere le pluffe. Ti dispiace, se le affatturo?».
Rose strinse la bacchetta, ma non si mosse. La ragazza stava aspettando una risposta da Pucey, che si decise ad abbassare il libro che stava leggendo e affrontare la situazione.
«Come sai il mio nome?».
I suoi compagni sbuffarono sonoramente.
«Merlino, e tu sei quello con il quoziente intellettivo più alto tra noi» borbottò la ragazza.
«Tutti sanno il tuo nome!» replicò Cassy. «Io ti ho invitato alla mia festa in piscina qualche settimana fa. Come mai non sei venuto?».
La ragazza scoppiò a ridere. «Jonah non va alle feste, vero?».
«In effetti, non le apprezzo molto; specialmente se c’è molta gente. Cosa posso fare per voi?» disse Jonah.
«Beh, noi volevamo chiederti se ti va di fare un giro a Hogsmeade con una di noi» disse Rose.
«O anche una passeggiata vicino al Lago Nero».
Jonah le fissò sorpreso.
«Scusatelo, ma quando si tratta di relazioni interpersonali è lento di comprendonio. Io sono Phoebe Moore. Vi posso fare da interprete, se volete» disse la ragazza, che si stava divertendo un mondo.
«Ehm va bene» disse Jonah. «E comunque non ho bisogno dell’interprete. Ero solo sorpreso…».
«Sorpreso da cosa? Ti viene dietro mezza Scuola, non te ne sei accorto?» ribatté sconvolta Rose.
«E poi non hai detto con chi delle due» disse Cassy.
«Sì, ma mai nessuna ha avuto il coraggio di parlargli seriamente. Se l’avessero fatto, si sarebbero accorte che non è un ragazzo così difficile da avvicinare» spiegò Phoebe.
«Quindi le ragazze ragionano così» commentò stranito il ragazzo stupido.
«Non lo guardate in quel modo» sospirò Phoebe. «Lui è Sebastien Kent; nonostante l’apparenza è molto intelligente, ma vive nel suo mondo immaginario».
«Ma scusa, so che delle ragazze hanno provato ad avvicinare anche gli amici di Jonah. Perché non li hai aperto gli occhi?» domandò Cassy.
«Fossi matta… Non avremmo più pace…».
«Comunque una passeggiata posso farla con entrambe» disse Jonah stringendosi nelle spalle.




*

«Brian! Brian! Su svegliati! Siamo quasi arrivati!».
Inizialmente ebbe difficoltà ad aprire gli occhi, perché una luce inaspettata lo abbagliò; appena riuscì a focalizzare meglio, si rese conto che erano le luci dello scompartimento. «Quanto ho dormito?» chiese, mettendosi a sedere.
«Fai conto che siamo quasi arrivati» rispose Annika Robertson.
«Devi mettere la divisa» lo richiamò Niki Olivander.
Le sorrise. «Grazie di avermi svegliato».
«Suvvia, ragazze uscite. Lasciategli un po’ di privacy» disse Drew Jordan.
«Certo, che ne avevi di sonno arretrato» commentò Louis Weasley con un sorriso gentile.
«È stato un periodo difficile» mormorò, mentre cercava la divisa.
«Avremmo voluto svegliarti per mangiare qualcosa, ma dormivi così bene che non ce la siamo sentita» disse Drew.
«In effetti sono affamato» replicò, mentre il suo stomaco brontolava facendoli ridere.
«Oh, beh c’è sempre il banchetto» disse Louis.
«Ti abbiamo conservato qualche cioccorana. Ce le ha Niki, però» continuò Drew. «Aspetta, ti aiuto con la cravatta».
«Grazie, non la sopporto proprio. Dov’è Miki?» chiese non vedendo l’altro amico ed era certo che all’inizio del viaggio si fosse seduto con loro.
«Lysander l’ha requisito nel pomeriggio. Ha detto che si trattava di affari top secret dei Tassorosso» rispose Drew imitando la voce del compagno, suscitando nuove risate.
Il treno in quel momento rallentò.
«Allora vi muovete?» li chiamò Annika da fuori.
«Arriviamo» rispose Louis.
«Siete pronti per un nuovo anno?» chiese eccitata la ragazzina, appena raggiunsero lei e Niki in corridoio.
«Certo!» rispose Drew per tutti.
 

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Capitolo 10
*** Olimpiadi magiche ***


Capitolo decimo
 
Olimpiadi magiche
 
James fece un balzo indietro vedendo il cavallo, o almeno sembrava un cavallo, che trainava la carrozza della Scuola. Era nero, alato, con un corpo scheletrico e dotato di una lunga coda.
«Che c’è Jamie?» gli chiese Benedetta.
«Da quando dei cavalli neri trainano le carrozze della Scuola?» replicò.
«Quali cavalli neri?» domandò Robert accigliandosi.
James fissò uno alla volta anche gli altri compagni, che risposero con un’espressione perplessa. «Non li vedete? Sono attaccati alle stanghe».
«Io vedo» disse Adisa tranquillamente.
«Ma non c’è nulla» soggiunse Robert sconcertato.
James si avvicinò lentamente e allungò la mano. Il cavallo puntò gli occhi lucenti su di lui, ma non gli impedì di accarezzarlo. «Perché non lo vedete?» chiese a voce bassa, «Lo sto toccando. È reale!».
«Non vediamo nulla» sussurrò Demetra, che lo fissava come se avesse perso improvvisamente qualche rotella.
«Forse è meglio andare» intervenne Benedetta.
Robert annuì. «Dai andiamo, Jamie».
Il ragazzo accarezzò lo strano cavallo un’ ultima volta e li seguì. Per tutto il tragitto, nonostante le chiacchiere di Demetra, non smise di pensare all’animale.
«Benvenuto a Hogwarts, Adisa!» disse Robert dandogli una pacca sulla spalla.
«Grazie».
Il portone di quercia era spalancato e gli studenti a fiumana si muovevano verso la Sala Grande.
«Da questa parte» disse Robert guidandoli. «La Sala Grande è il luogo dove si svolgono i pasti principali» spiegò, mentre entravano.
«Oh, ma il tetto?» disse strabiliato Adisa, con la testa rovesciata all’indietro per poter vedere il cielo scuro trapuntato di stelle, che dava il bentornato a tutti gli studenti.
«C’è» rispose Benedetta. «È un incantesimo. Riflette il cielo esterno».
«È una bella serata» commentò Robert compiaciuto.
«Buonasera, ragazzi» disse Neville fermandosi vicino a loro. I ragazzi risposero educatamente. «Spero che abbiate trascorso buone vacanze» aggiunse Neville bonariamente. «Il signor Gamal dovrebbe venire con me però».
«Ci vediamo dopo» lo salutò Benedetta.
Demetra si limitò a un cenno della mano.
«Speriamo che tu finisca a Grifondoro» disse James.
«Sì infatti. Oppure ci beccheremo in giro» aggiunse Robert.


*


«Oh, guardate Fenwick. Che hai?» l’accolse Norris Avery, Serpeverde del settimo anno.
Dorcas sospirò e sentì il cuore accelerare. Non volevano darle fastidio davanti a tutti gli altri studenti, no?
«Sei sola? Ti manca Jesse, vero?» sibilò Augustus Roockwood, anche lui del settimo anno.
Sentì una fitta al petto e per un attimo le mancò il respiro. Come sapevano? Come avevano compreso?
«Non è sola» disse una voce ferma e nota alle sue spalle. Scorpius la raggiunse e percepì un fiotto di calore quando il ragazzo le sfiorò la mano. «Vi conviene girare al largo. Adesso sono un Prefetto».
«Ma non puoi togliere punti agli altri Prefetti» ghignò Roockwood, indicando la propria spilla.
«Sarò soddisfatto quando sarai destituito» ribatté Scorpius con uguale cattiveria. «Questo non è un problema. Prefetto o non Prefetto, ti prendo a pugni se non te ne vai» ringhiò.
«C’è Mcmillan» sussurrò Avery al compagno.
«Non finisce qui, Malfoy. Riprenderemo la nostra chiacchierata, Fenwick» sibilò minacciosamente Roockwood, poi lui e l’amico si diressero verso la Sala Grande.
«Grazie» mormorò Dorcas con voce incrinata.
«Dovere. Ora vieni» replicò Scorpius asciutto.
«Che intenzioni hai?» chiese la ragazzina con voce tremante, appena si accorse che l’amico non puntava verso la Sala Grande.
«Farla pagare a quei due, naturalmente». Dorcas avrebbe voluto fermarlo, ma non ne ebbe il tempo. «Buonasera, professore».
«Buonasera» replicò pacatamente Ernie Mcmillan, dopo aver congedato il Frate Grasso con cui stava conversando. «C’è qualcosa che posso fare per voi?».
«In effetti sì. Augustus Roockwood e Norris Avery hanno importunato Dorcas pochi secondi fa».
«Che cosa ti hanno detto?» chiese Mcmillan alla ragazzina.
Dorcas, con gli occhi pieni di lacrime, scosse la testa e chinò il capo.
«Malfoy?».
«Non lo so, signore. Sono arrivato in tempo solo per sentire che Roockwood le chiedeva se era da sola e poi ha fatto un commento su Jesse Steeval» rispose Scorpius, cui prudevano le mani. Fare rapporto non era minimamente appagante quanto prendere a pugni quegli idioti. Meglio per loro se avessero iniziato a girargli al largo.
«Va bene, grazie, Malfoy. Per favore, lasciami un attimo da solo con la signorina Fenwick».
«Ci vediamo dopo» sussurrò Scorpius prima di allontanarsi.
Dorcas continuò a tenere gli occhi fissi a terra nella speranza, che Mcmillan la lasciasse andare.
«Non ti va di dirmi che cosa quei ragazzi volevano da te, Dorcas?». La ragazzina scosse la testa, consapevole che se avesse aperto bocca sarebbe scoppiata in lacrime e si vergognava da morire davanti a Mcmillan. «Ascolta, tuo padre mi ha scritto. Mi ha detto che ultimamente non sei, diciamo, molto in forma. I tuoi genitori sono preoccupati, comunque sperano che, ora che sei qui, con i tuoi amici, ti riprenderai. Se hai bisogno di qualcosa, però, io sono a tua disposizione. Se qualche studente ti dà fastidio, puoi venire tu stessa a dirmelo. Va bene, Dorcas?».
«Sì, signore. Grazie» si sforzò di dire per non risultare maleducata.
«Va’ pure, allora».
Dorcas sperò di riuscire a mantenere la voce ferma e prima che l’uomo si allontanasse chiese: «Professore, posso andare direttamente in Dormitorio?».
Mcmillan si accigliò. «No. È il banchetto d’inizio anno, tutti devono essere presenti. E poi mi sembra che tu abbia bisogno di una cena sostanziosa». La ragazza si disse di essere stata stupida a chiederglielo. Era logico che non gliel’avrebbe permesso! Se fosse stata zitta magari avrebbe potuto benissimo saltare la cena e nessuno se ne sarebbe accorto. «Dorcas, non pensare neanche di disubbidirmi. Avanti, vieni».
Non avendo altra scelta, lo seguì senza protestare.
*
Lo Smistamento quell’anno sembrava non voler finire mai.
«Dite che quel Gamal sia fratello di Adisa?» chiese Benedetta. Probabilmente l’unica che ancora seguiva la cerimonia.
«Quale Gamal?» replicò James, smettendo di giocare con una gobbiglia, che fortunatamente aveva in tasca.
«Faraji Gamal. È stato appena smistato nella nostra Casa» rispose Benedetta, ormai abituata alla bassa soglia d’attenzione del suo ragazzo.
«Mi passi la gobbiglia?» chiese quasi supplicante Robert.
James rise e fece rotolare la pallina fino all’amico, che contento, come un bimbo di cinque anni pensò Benedetta, gliela lanciò indietro.
«Spero che non vi veda nessun insegnante» sospirò la ragazza, non riuscendo a trattenere, però, un sorriso.
Quando una ragazzina, Kiley Lewis, fu smistata a Grifondoro applaudirono insieme agli altri.
«Sei preoccupata per Paul?» domandò James, mentre concentrato bloccava la gobbiglia e la rispediva al compagno.
«Un poco».
«Suvvia, è una peste» commentò Robert. «Sarà sicuro uno di noi».
«Merinon Paul» chiamò il quel momento il professor Paciock.
«Oh, tocca a lui!» sussurrò Benedetta, stringendo automaticamente il braccio di James, che sbagliò il tiro e la gobbiglia partì a razzo verso il tavolo di Tassorosso.
Robert si mise una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere; Demetra fissò a occhi sbarrati, Rimen Mcmillan voltarsi incerto verso di loro, ma alla fine non resistette e nascose la testa fra le braccia per tenere a freno le risa. Il tutto nel silenzio che precedeva il verdetto del Cappello Parlante. Tutto il tavolo si voltò verso di loro, compresa Benedetta che si era persa la scena. Purtroppo per loro anche Neville si voltò verso di loro interrogativo.
Fortunatamente in quel momento il Cappello gridò: «Grifondoro». Tutti i loro compagni decisero di festeggiare il nuovo arrivato e ignorare loro.
«Beh, Mcmillan non ha visto cosa l’ha colpito» borbottò a stento James, non riuscendo a placare pienamente le risate.
«Ma che avete fatto?» chiese Benedetta.
Neville li gettò un’occhiata di monito prima di chiamare: «Miller Samuel».
Complice il fatto che anche quest’ultimo fu smistato a Grifondoro, ebbero il tempo di placare le risate.
«Merlino, mi fa male lo stomaco per quanto ho riso» sospirò Robert.
«Tua zia ti sta fissando» sussurrò Demetra.
Robert tornò completamente serio di botta e alzò lo sguardo verso Minerva McGranitt, le fece un leggero sorriso di scuse beccandosi un’occhiataccia in cambio.
«Si può sapere che avete fatto?» replicò Benedetta.
«In questo momento assomigli tanto a mia zia Hermione» sussurrò preoccupato James.
Benedetta si accigliò. «Rispondi alla domanda».
«Abbiamo perso il nostro giochino» disse Robert affranto.
«Sì, ed è mancato poco che se ne accorgessero tutti» aggiunse Demetra scossa da nuove risatine.
«A proposito, dobbiamo recuperarla. La vedete?» disse James cercando la gobbiglia con gli occhi tra i piedi dei Tassorosso.
«Sei scemo?» ribatté Robert.
«No. È di Al! Poi si mette a frignare che gli perdo sempre le cose!».
«Chissà perché… Poverino… È proprio un visionario» commentò ironicamente Robert.
«Traditore» ribatté James. «Dopo il discorso della Preside chiederemo aiuto ai Tassorosso».
Robert roteò gli occhi rassegnato.
Trascorse troppo tempo per i gusti di James prima che Jennifer Zeiden venisse smistata a Serpeverde. Non gli era mai mancata tanto una gobbiglia!
«Anche quest’anno abbiamo dei nuovi studenti che non sono del primo anno» annunciò Neville.
«Speriamo che si sbrighino» sussurrò James.
«Sono cinque. Non ci metteranno molto» replicò Robert. «A meno che non sono tutti Testurbanti».
«Ti odi quando profetizzi certe tragedie» soffiò James.
«Ashton Christopher. Frequenterà il terzo anno» continuò Neville.
Un ragazzino, che non dimostrava neanche i suoi tredici anni, raggiunse lo sgabello con un’andatura un tantino claudicante.
 Il Cappello, nonostante James lo stesse supplicando mentalmente, si prese più di tre minuti prima di sentenziare: «Grifondoro».
«Ashton Meredith. Quinto anno» chiamò Neville.
«Solo altri quattro, solo altri quattro» continuava a ripetersi James a bassa voce, mentre il suo stomaco brontolava ininterrottamente. «Ho fame» si lagnò, proprio mentre il Cappello gridava: «Serpeverde».
«Gamal Adisa. Sesto anno».
«Finalmente! Dai Jamie, stai attento almeno a lui!» lo sollecitò Benedetta.
Appena il Cappello lo smistò a Grifondoro, Jamie e compagni iniziarono a fargli cenno con il braccio perché li raggiungesse.
«Grande, amico! Ce l’hai fatta!» lo accolse James.
«Sono contento» disse semplicemente Adisa palesemente emozionato.
«Gamal Afia. Quarto anno».
«Mia sorella» disse Adisa.
Il Cappello, con sorpresa di tutti, a malapena sfiorò il capo della ragazzina prima di mandarla nella stessa Casa del fratello maggiore.
James non aveva bisogno di Albus, che tentava di attirare in ogni modo la sua attenzione, per capire che era la stessa ragazzina che pochi mesi prima era riuscita a entrare nei sogni di Virginia Wilson e chiederle aiuto, compiere incantesimi complessi senza bacchetta e, come se ciò non bastasse, era anche un’Animagus.
«Ma tua sorella andava a Scuola a Uogaudou?!» chiese sorpreso James ricordando il racconto di Williams.
«Sì».
«Perché tu no?» gli domandò Demetra.
«Non avere abbastanza soldi per tutti» rispose Adisa stringendosi nelle spalle. «Afia avere grande potere, così il signor Enoka ha detto a mamma di mandarla a Scuola».
Benedetta, Demetra e James non ebbero il tempo di commentare, che uno stralunato Robert attirò la loro attenzione sull’ultima ragazza da smistare.
«Che c’è? È così carina da farti perdere la parola?» chiese maliziosa Demetra.
«Si chiama Eva Lestrange».
James puntò gli occhi sulla ragazzina minuta seduta sullo sgabello, con metà volto coperto dal Cappello. «Non può essere».
«Invece sì. Anche i professori sono tesi» replicò Robert, intento a decifrare lo sguardo della zia.
«Corvonero» sentenziò il Cappello Parlante. In questo caso non applaudì quasi nessuno. James colse il flebile battito di mani del Caposcuola Roberts, ma nessun altro lo seguì se non alcuni professori.
La ragazzina non sembrava troppo sorpresa dalla reazione e si sedette nel primo posto che trovò a capo chino.
Neville portò via lo sgabello e il Cappello; la Preside si alzò per il consueto discorso di benvenuto.
«Cercherò di essere breve, perché credo che siate abbastanza stanchi dal viaggio e quest’anno lo Smistamento è stato più lungo del solito» esordì la Preside con la consueta fermezza e il brusio, che si era sollevato al nome della Lestrange, tacque di colpo. «Sono costretta, come sempre, a ricordarvi che è severamente vietato l’accesso alla Foresta Proibita, come anche l’uso dei prodotti Tiri Vispi Weasley sono vietati. La lista completa degli oggetti vietati, comunque, la potrete trovare affissa alla porta dell’ufficio del custode». Fece una pausa. «Com’è ormai tradizione, premierò i migliori studenti del quinto e settimo anno dello scorso anno scolastico. Gabriel Corner per il quinto anno e Matthew Fergusson per il settimo. Conseguentemente cento meritatissimi punti vengono assegnati a Corvonero».
Il tavolo dei Corvonero festeggiò rumorosamente per qualche minuto.
«E ti pareva? Sempre loro» sbottò Demetra.
«Spero che Al, li stracci quest’anno» sospirò James.
«Potresti provarci anche tu» sussurrò Benedetta.
«Non è mia intenzione mettermi a sfidare i Corvonero. Poi nel nostro anno c’è Gabriel Corner. Quel ragazzo non è normale» replicò James.
«Complimenti!» riprese la Preside. «Spero che tutti voi vi impegnerete per dare il massimo quest’anno. Vi sono stati degli avvicendamenti nel corpo docenti. Permettetevi di presentarvi i vostri nuovi professori».
«Credo, che non ne possa più di cercare insegnanti ogni anno» commentò Robert.
«La nuova professoressa di Volo è Edith Yaxley» annunciò la professoressa McGranitt.
Un leggero brusio si levò dalle quattro tavolate, mentre una ragazza giovanissima si alzava dal Tavolo degli insegnanti per farsi vedere meglio dagli studenti.
«Yaxley?!» borbottò James.
«Non sembra cattiva. Non dovremmo avere pregiudizi» lo redarguì Benedetta.
«Alle volte è difficile» sospirò il ragazzo.
«Il nuovo docente di Astronomia è Constant Bulstrode». Anche in questo caso l’applauso fu abbastanza tiepido. «Infine, ritorna nuovamente tra noi il centauro Fiorenzo, che insegnerà Divinazione. Naturalmente questa sera non è presente, in quanto preferisce dimorare nella Foresta Proibita». Questo nuovo annuncio fece aumentare a dismisura l’agitazione tra i ragazzi e la Preside dovette chiedere il silenzio, lanciando un’occhiataccia all’intero corpo studentesco. «Peter Lux, che ci ha accompagnati nel precedente anno scolastico, terminerà il suo tirocinio al San Mungo. Da quest’anno si occuperà dell’infermieria Charis Williamson, anche lei al secondo anno di tirocinio».
Un applauso un po’ più forte si levò al nome della ragazza. Molti infatti sapevano che era la nipote di uno degli Auror più anziani del Ministero.
«Prima dare il via al Banchetto, ho un ultimo annuncio da fare» riprese la McGranitt. «Da ottobre Hogwarts prenderà parte alle prime Olimpiadi Magiche della storia». Un chiacchiericcio eccitato si sollevò rapidamente. «Vedo di aver finalmente attirato la vostra attenzione» sibilò la donna in tono di rimprovero. «Parteciperanno tutte le Scuole di Magia del mondo. Questa prima edizione è stata organizzata abbastanza rapidamente perché si è percepito un profondo bisogno di trovare appoggio e alleanza tra maghi di tutte le nazioni. Le Scuole si sfideranno in cinque prove: Quidditch, Duello, Scacchi Magici, Gobbiglie e la Cultura Magica. Quest’ultima prevede cinque materie: Astronomia, Erbologia, Storia della Magia, Pozioni e Trasfigurazione. Per quanto riguarda il Quidditch ho deciso che verrà creata una squadra unica, che rappresenti la nostra Scuola, perché si possa raggiungere anche l’armonia tra le Case. Il Capitano sarà Albert Abbott». Dovette fermarsi perché il tavolo di Tassorosso era letteralmente esploso e tutti saltavano da una parte all’altra per poter stringere la mano al ragazzo. La professoressa impiegò diversi minuti per riportare l’ordine nella Sala Grande. «Abbott sarà affiancato dalla professoressa Yaxley, che verificherà personalmente la correttezza delle selezioni, cui potranno prendere parte tutti gli studenti a partire dal secondo anno I Duellanti per ogni Scuola, invece, saranno cinque. Il compito della scelta spetta al professor Williams, il quale vi comunicherà, nei prossimi giorni, le modalità di selezione. In questo caso saranno ammessi solo gli studenti dal quarto anno in su». Qualche protesta si levò dai più piccoli ma fu immediatamente tacitata dalla Preside. «Per quanto riguarda gli Scacchi Magici, è stato organizzato un Torneo, diviso per anni, cui tutti voi potrete partecipare. Già da domani nelle bacheche dei dormitori appariranno i fogli per l'iscrizione. Avete tempo fino a venerdì. Di Gobbiglie abbiamo già una squadra; il Capitano Harry Cattermole, avrà piena libertà nella scelta degli altri tre studenti che parteciperanno insieme a lui. Infine la prova di Cultura Magica, come potrete immaginare la scelta spetta ai vostri professori. Ogni docente delle materie coinvolte sceglierà lo studente che rappresenterà la Scuola e si preoccuperà di guidarlo in questo percorso. Man mano vi daremo tutti i dettagli. Ogni Scuola ha il suo alfiere o rappresentate. Tenendo presente che il progetto, da cui la manifestazione è nata, è di Frank Paciock, sarà lui il nostro alfiere. In proposito ritengo che Grifondoro meriti 150 punti». Questa volta fu il tavolo rosso-oro a scoppiare e la professoressa ebbe molte più difficoltà a riportare l’ordine. «Bene, non mi resta che augurarvi buon anno scolastico e buon appetito!». Appena finì di parlare i tavoli si riempirono di succulenti portate.
«Era ora!» sospirò James gettandosi su un piatto di costolette.
La cena trascorse tranquillamente tra le chiacchiere allegre dei ragazzi, che si scambiavano i racconti delle vacanze estive o iniziavano a fare supposizioni sulle novità appena ascoltate. Ad un certo punto Robert attirò l’attenzione di James.
«L’ho vista!».
«A chi?» chiese James, intento a risolvere un grave dilemma: budino al cioccolato bianco o fondente?
«La gobbiglia!» rispose esasperato l’amico.
«Dov’è?» replicò James dopo aver preso quello fondente.
«Lì, vicino ai piedi di Alan Avery. Dal lato opposto di Mcmillan, qualche posto più in là, verso sinistra» disse Robert, indicandogli con il dito.
«Che vista che hai!» disse felice James, ma il suo sorriso scomparve poco dopo: un Tassorosso aveva urtato la gobbiglia con il piede e quella, fedifraga, era rotolata via. «Nooo» si lagnò. Robert si batté una mano in faccia, mentre Demetra e Benedetta ridacchiavano. «Passatemi la crema bianca, per favore».
«Che cosa vuoi farci?» chiese Demetra, mentre Benedetta gli porgeva la ciotola.
«Affogarmi insieme al budino» rispose James, passando subito ai fatti. «Buono!» dichiarò dopo averne ingoiato un grosso boccone.
«Che pensi di fare con la gobbiglia?» domandò Demetra.
James si strinse nelle spalle. «Appena finisce la cena, vado a cercarla. Qual è il problema?».
«Devi occuparti dei ragazzini del primo anno» gli ricordò Benedetta.
«Oh, accidenti. Mi ero dimenticato!» sbuffò, poi si voltò verso Robert con un ampio sorriso in volto. «Per favore».
«Lo sapevo che sarebbe finita così. Ti avverto, però, non perderò più di cinque minuti per una gobbiglia. Se la trovo bene, se no ti arrangi!».
«Crudele! E cosa dirò ad Albus?».
«Che ha ragione e magari gliene compri un set nuovo. Con tutte le cose che gli hai perso in quindici anni, penso se lo meriti» replicò Robert.
«Sono al verde. E poi si tratta dell’unica gobbiglia rimasta del suo primo set. Ed era un regalo di zio Neville. Sapete è il suo padrino. Al ci tiene troppo a certe cose. Infatti con questa non ci gioca di solito».
«Jamie, Al lo sa che ce l’hai tu?» chiese a quel punto Benedetta.
«Potrei avergliela presa dallo zaino, mentre eravamo in macchina, perché mi annoiavo» bofonchiò il ragazzo, prima di tuffarsi sul budino per evitare lo sguardo di rimprovero della ragazza.
«James!».
«Tipico» borbottò Robert.
Appena i tavoli si svuotarono la McGranitt li congedò. James saltò su e iniziò a radunare i ragazzini del primo anno.
«Primo anno! Primo anno! Seguitemi! Vi mostrerò la nostra Sala Comune» strillò tentando di superare il rumore delle panche spostate e il vociare degli altri studenti. Vuoi perché saltellava sul posto agitando le mani, e quell’estate era cresciuto parecchio, vuoi perché Paul lo conosceva e trascinò con sé alcuni compagni con cui aveva iniziato a fare amicizia, non ebbe troppe difficoltà a radunarli tutti. «Come faccio a sapere che non manca nessuno?» sussurrò a Benedetta, colto dal dubbio.
«Mentre giocavi con la gobbiglia, li ho contanti. Ci sono diciotto nuovi Grifondoro».
«Ah, però» commentò James. Li contò. «Perfetto. In più ci sono Adisa e gli altri due ragazzi nuovi».
«Allora procediamo».
«Seguitemi, vi mostrerò la via più breve per arrivare alla Sala Comune dei Grifondoro. Anche se tanto non ve la ricorderete e per almeno una settimana continuerete a perdervi!».
«James!» lo richiamò Benedetta, mentre qualche ragazzino rideva; altri invece erano visibilmente preoccupati.
«Che c’è? È la verità!».
«Andiamo. O rimarremo solo noi» ribatté Benedetta.
«Eh, certo, mister Perfezione Corner è stato velocissimo» sibilò James, vedendo con la coda dell’occhio i Corvonero sfilare ordinatamente fuori dalla Sala Grande. «Andiamo!» disse rivolto ai ragazzini.
«Non dovremmo metterli in fila?» borbottò Benedetta.
«Vale la pena? Basta che si seguano» si strinse nelle spalle James.
I ragazzini effettivamente li seguirono, anche se ogni tanto si fermavano a fissare i quadri.
«Si può sapere che problema hai con questi quadri?» sbuffò James rivolto a un ragazzino moro, abbastanza alto per la sua età, che si era fermato un’infinità di volte nonostante i richiami suoi e di Benedetta.
«Si muovono!» replicò palesemente strabiliato. «Fantasmi, quadri parlanti, che altro c’è?» domandò eccitato.
«Il Quidditch» rispose un suo compagno.
«Il che?» chiese il primo.
«È lo sport dei maghi» disse rapidamente James, evitando accuratamente di dire che si giocava su manici di scopa volanti. Aveva la netta impressione che il ragazzino sarebbe collassato. Lesse l’etichetta con il nome, che obbligatoriamente, almeno gli studenti del primo anno, dovevano cucire sulla divisa. «Senti Friedrich, ci sono moltissime cose fantastiche, ma è meglio che la Preside non ci becchi a fare salotto in corridoio. Avrai tempo per scoprire tutte le meraviglie di Hogwarts. Ti prego, non ti fermare più o non arriveremo mai a destinazione». Il ragazzino annuì. Evitando altre fermate inutili, non impiegarono molto a raggiungere la meta. «Vi presento la Signora Grassa. Il suo ritratto custodisce l’entrata della nostra Sala Comune. Vi farà entrare se pronuncerete la giusta parola d’ordine. Non potete dire la parola d’ordine a quelli delle altre Case, ne farli entrare da noi? Chiaro? O la McGranitt vi ucciderà».
«Arditi» disse Benedetta al ritratto, che si spostò per lasciarli passare.
«La Signora Grassa di solito è molto chiacchierona, stasera ci è andata bene; ricordate che è anche molto permalosa, quindi se non volete che vi spacchi i timpani con i suoi acuti, cercate di non contrariarla» spiegò James. «Ecco, benvenuti a Grifondoro!» aggiunse allargando le braccia per comprendere l’intera sala circolare.
«A sinistra c’è il Dormitorio femminile, a destra quello maschile» disse Benedetta.
«Avete domande?» domandò James.
Una ragazzina alzò timidamente la mano e il ragazzo le fece cenno di parlare. «Gli orari delle lezioni quando li sapremo?».
«Vi verranno consegnati durante la colazione dal nostro Direttore, il professor Paciock. Le lezioni iniziano alle nove e la colazione viene servita a partire dalle otto».
«Ma il cibo apparirà sempre dal nulla?» chiese Friedrich.
«Il cibo non può apparire dal nulla» lo corresse Benedetta. «Viene dalle cucine. Eh, sì appare sempre nella stessa modalità».
«Io dove dormo?» chiese Afia Gamal.
«Con le ragazze del quarto anno. Comunque se per voi va bene, saliamo insieme e vi mostro le vostre stanze» disse Benedetta, facendo rilassare anche alcune ragazzine.
James le diede un bacio. «Allora, se volete, possiamo andare anche noi». I dieci ragazzini lo seguirono obbedienti sbadigliando. Benedetto sonno! In caso contrario, probabilmente l’avrebbero fatto disperare. Adisa e Christopher Ashton, invece, continuavano a guardarsi intorno troppo stupiti.


*


«Ciao. Il mio nome è Roxi. Piacere» disse sorridendo alla nuova compagna di stanza.
Afia Gamal la scrutò per un attimo. «Il mio nome lo conosci già».
«Che simpatia! Guarda che nessuno ti obbliga a stare qui. Puoi tornartene a casa tua» sbottò Lorein Calliance.
«In realtà sì, mi obbligano. Hanno deciso che sono più a sicuro qui, come se non avessi dimostrato di sapermela cavare da sola!» ribatté.
«Parli un inglese perfetto» commentò sorpresa Gretel Finnigan.
«L’ho studiato» replicò laconicamente Afia. «Non vi sforzate di fare amicizia, però. Non sono qui per questo, ma per essere addestrata a usare e controllare i miei poteri. Spero che Hogwarts sia all’altezza della sua fama».
Roxi e le altre la fissarono a bocca aperta mentre finiva di indossare la maglia del pigiama e si sdraiava. «Che avete da guardare? Andatevene a letto o tornate alle vostre chiacchiere senza senso».
Gretel e Lorein le lanciarono un’occhiataccia e tornarono a sistemare i loro bauli; Roxi si sedette sul letto e, dopo aver augurato la buona notte alle compagne, si mise a disegnare. Non capiva minimamente l’atteggiamento di Afia. Virginia Wilson aveva raccontato loro tutti i dettagli del sogno, ma dalle sue parole sembrava si trattasse di un’altra persona. Avrebbe voluto raggiungere Frank e parlargli o semplicemente stare un po’ con lui, però conosceva perfettamente i compagni di stanza dell’amico per sapere che sarebbe stata una pessima idea.


*


«Sei un Prefetto, fa’ qualcosa» l’accolse con astio Carole Parker.
«Che succede?» quasi sbuffò Virginia. Era stata trattenuta in Sala Comune da Gabriel Corner. Merlino, quanto era fastidioso quel ragazzo! Pretendeva dal loro Caposcuola che facesse rapporto sul fatto che i Grifondoro si erano spostati per la Scuola come una mandria di bufali e non come ordinati studenti. Partendo dal presupposto che lei, dopo quattro anni di Scuola, difficilmente avrebbe definito i Grifondoro ordinati, rimaneva il fatto che a loro non fregava nulla! A chi avrebbero dovuto fare rapporto? Williams li avrebbe mandati a farsi una lunga passeggiata, tanto per non essere volgari, e Paciock avrebbe ringraziato gentilmente, probabilmente pensando dentro di sé che fossero solo degli scocciatori, e si sarebbe limitato a far notare il tutto a Potter e Merinon. A quanto pare però il cervello geniale di Corner non riusciva a fare queste semplici deduzioni. E ora, finalmente raggiunta la sua agognata stanza, trovava le sue compagne alle prese con quello che poteva essere un interrogatorio degno di un Auror.
Eva Lestrange era seduta su una sedia al centro della camera e le altre le si erano messe intorno.
«Che ti sei bevuta il cervello?» ribatté la Parker. «È una Lestrange! Com’è possibile?! È figlia di Rabastan Lestrange o è nata in carcere dal fratello e da qualche altra sgualdrina? È figlia del demonio!» quasi urlò.
La novità non piaceva neanche a lei, ma chiunque avesse osservato la ragazza in quel momento si sarebbe detto che, se fosse stata realmente sua figlia, il demonio aveva fatto un pessimo lavoro: stava praticamente singhiozzando. Chissà che altro le avevano detto fino a quel momento! Stupido Corner! Quello sì che era un problema, non certo la mancanza di disciplina dei Grifondoro! Fissò le altre compagne, a parte Agnes Ant e Martha, tutte erano furiose come Carole.
«Gliel’ avete chiesto?» chiese infine.
«Cosa?» replicò Carole spiazzata.
«Le avete chiesto di chi è figlia? Perché è qui?». In realtà non erano affari loro, ma visto che non si erano trattenute dall’aggredirla verbalmente quelle domande sarebbero state il minimo.
«Tanto non ci risponderebbe» rispose Carole dopo un attimo di titubanza, ponendosi in posizione di difesa.
«Proviamoci, no?» replicò Virginia avvicinandosi alla nuova arrivata. Non sapeva neanche da dove le venisse tutta quella sicurezza. «Devi capire che per noi è difficile. Il tuo cognome è legato a cose molto brutte. Ci dici chi sei? Nessuno sapeva che i Lestrange avessero eredi».
«Mia madre era una Purosangue belga, proveniva da una delle migliori famiglia. Rabastan era in fuga in quel periodo, senza una metà precisa, ma con la consapevolezza di voler dare continuità al suo cognome» iniziò a raccontare con voce lacrimosa. «Mia madre era giovane e ingenua. Si è lasciata ingannare e sedurre. Rabastan era felice di avere un erede e ottenne la benedizione di mio nonno, inventandosi una nuova identità. Però quando nacqui io, andò su tutte le furie. L’erede avrebbe dovuto essere un maschio, non una bambina. Così tentò di uccidere me e mia madre, sperando di farlo passare per un tragico incidente e poter poi scappare e riprovare in un altro posto. Mio nonno, però, intervenne in tempo per salvarmi. Rabastan scappò, ma mio nonno mi mise comunque il suo cognome. Non ho mai capito se per punire lui o me per essere nata. D’altronde è stato lui a scegliere il nome Eva. Nonostante ciò mi ha tenuto con sé; qualche mese fa però Rabastan, forte dei suoi nuovi amici, ha tentato di attaccarci di nuovo. Il suo obiettivo sono io, quindi mio nonno mi ha spedito qui per proteggere il resto della sua famiglia».
«I professori lo sanno?» chiese ancora Virginia, ma si sentiva davvero una schifezza. Se era vera quella storia, chi erano loro per trattarla come una criminale?
«Sì, mio nonno ha raccontato tutto alla Preside».
«E lei ti ha accettato comunque?» sbottò Chantal White.
«Non state esagerando?» pigolò Martha.
«No, io non dormo con lei!» sbottò Artemisia Belby.
«Virginia, fa’ qualcosa!» ripeté Carole.
Non ci capiva più nulla. Non sapeva se fidarsi o meno di quella ragazza, ma se fosse stata un pericolo la McGranitt e Williams avrebbero mai permesso che entrasse a Scuola? Doveva prendere tempo. «Credo sia ora di andare a letto» disse con tono sostenuto e fermo. «La prima che protesta o si lamenta può star certa che domani mattina farò rapporto a Williams. Se non vi va bene la sistemazione della camera, ne parlerete con lui. A meno che non vogliate andare a cercarlo a quest’ora, ma dubito che ne sarebbe felice».
«Sai che sei diventata davvero stronza? Hai fatto un corso quest’estate? O la spilla ti ha già dato alla testa? Non ti riconosco più» sbottò Carole, voltandole le spalle e raggiungendo il suo letto. Le altre ragazze si sbrigarono a seguire il suo esempio.
«Virginia?».
Tutte tranne Martha, ovviamente.
«Credo che tu sia già abbastanza nei guai per conto tuo, non dovresti peggiorare la situazione» sibilò. Non vide la sua faccia perché si premurò di chiudere le tende blu del letto a baldacchino.
 

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Capitolo 11
*** Parvenza di normalità ***


Capitolo undicesimo
 
Parvenza di normalità
 
«Jonathan, muoviti! Non vorrai fare tardi il primo giorno?».
Il ragazzo mugugnò tenendo la faccia premuta sul cuscino. Perché la notte durava così poco?
«Dex? Non posso stare a letto altri cinque minuti?».
«No, se vuoi fare colazione e prenderti l’orario» rispose il suo compagno divertito.
«Williams sta facendo il giro delle camere per vedere se siamo tutti svegli. Io non mi farei beccare ancora a letto» disse solennemente Raj Kumar.
Jonathan si alzò di scatto, comprendendo solo qualche secondo dopo, grazie anche alle risatine dei due, che quello che aveva detto Raj non aveva senso. Williams non si sarebbe mai preso la briga di fare una cosa del genere. Sbuffò.
«Siete pessimi!» borbottò.
«Ehi, perché parli al plurale? È stato Raj» si difese Dexter Fortebraccio.
«Non sono riuscito a resistere» disse ridendo l’altro.
«Dove sono gli altri?» chiese Jonathan, mentre cercava le scarpe sotto il letto.
«Sai come sono fatti Lycoris e Thomas, stanno sempre per conto loro» replicò vago Dexter.
Jonathan comprese che c’era dell’altro e si sentì stringere lo stomaco. La sera prima aveva raccontato il suo segreto anche ai compagni di stanza. Non ne avevano discusso molto, perché erano stanchi. In realtà lui aveva faticato a prendere sonno, e probabilmente anche gli altri si erano nascosti dietro la scusa della stanchezza, pur di concludere la spinosa conversazione. Indossò la veste della divisa, ma rimase con la cravatta in mano incapace di continuare.
I suoi amici se ne accorsero. «Ehi» lo chiamò Dexter. «A che pensi?».
«Lo sai. Ora che sanno la mia vera natura, non vogliono stare in stanza con me più del dovuto. Forse avrei dovuto tacere» sospirò.
«Ammetto di non aver mai conosciuto un lupo mannaro e io ho viaggiato a lungo con la mia famiglia» intervenne Raj. «Ma ti conosco da quattro anni e so che sei un tipo a posto».
«E poi era logico che nascondessi qualcosa. Stai male una volta al mese e con la luna piena. Alla lunga uno se ne accorge, no?» aggiunse Dexter.
Jonathan sentiva un nodo alla bocca dello stomaco, si sistemò la cravatta anche per evitare di rispondere.
«Sei stato molto coraggioso a parlarcene. Devi continuare a essere forte, mi raccomando» disse Dexter seriamente.
«Che vuoi dire?».
Il compagno sospirò. «Sinceramente io non mi fido di Lycoris e Thomas. Tu non ci hai nemmeno chiesto di non dire nulla a nessuno».
«Lo diranno a tutti?» soffiò Jonathan sconvolto. Non poteva essere! Era vero che non avrebbe voluto più nascondersi, ma era accaduto tutto troppo in fretta. Non era pronto.
«Andrà tutto bene» disse Raj.
«Se gli altri avranno qualche problema, vorrà dire che sono degli stupidi» soggiunse Dexter.
Jonathan li seguì in silenzio fino alla Sala Grande già gremita di studenti. Tenne la testa bassa, non volendo incrociare lo sguardo dei compagni. Lycoris e Thomas l’avevano raccontato a tutti?
Sì, l’avevano fatto. Lo leggeva sul volto delle sue compagne del quinto anno e su quello degli studenti vicini che dovevano aver ascoltato la conversazione.
Tutto il coraggio che l’aveva letteralmente posseduto la sera prima, s’era andato a farsi strabenedire.
«Ciao» sussurrò incerto.
«È vero quello che ci hanno detto Diderot e Moore?» gli domandò a bruciapelo Carole Parker.
«Cosa vi hanno detto?» ribatté Dexter, al posto di Jonathan che aveva perso la parola.
«Che lui è un lupo mannaro» disse con astio Chantal White.
Jonathan percepì su di sé gli occhi di Raj e Dexter, prese un bel respiro e rispose: «Sì, è vero. Sono stato morso quando avevo sette anni».
Dicono che dire la verità renda più liberi, più leggeri, ma lui aveva un enorme peso sul cuore in attesa del loro giudizio.
«Questo è un incubo» sbottò Carole Parker. «Prima una Lestrange, adesso un lupo mannaro!».
«Io ho già scritto a mio padre» intervenne Lycoris. «Non posso essere ammessi tutti a Scuola. È già troppo che sia permesso ai Nati Babbani di essere qui!».
«Ma sei impazzito!» reagì Dexter prima che Jonathan riuscisse a fronteggiarlo.
«Accettano gli idioti come te» sbuffò, invece, Raj.
«Io non sto a tavola con te» sibilò Chantal alzandosi, ma andò a sbattere contro Williams che si era avvicinato in quel momento.
«Perché tutta questa fretta? Vi ho portato gli orari» disse l’uomo. «Che avete?» domandò dopo aver distribuito i fogli.
Jonathan si alzò e sibilò. «Sa una cosa? Non tutti meritano di conoscere la verità. Non vi facevo così schifo quando copiavate i compiti da me! Andate a cercarvi qualche altro cretino adesso!» aggiunse rivolto ai suoi compagni.
«Non guardate noi» sibilò Dexter prima di seguirlo insieme a Raj. «Arrangiatevi da soli, visto che siete tanto bravi».

*

«Ciao! Dormito bene?» chiese Frank alla sorellina. Il suo sorriso non fu ricambiato. Augusta era in compagnia di una ragazzina.
«Benissimo, grazie» replicò seccata Augusta.
Roxi strinse il braccio all’amico, suggerendogli silenziosamente di lasciar perdere, ma lui non l’ascoltò.
«Ieri sera non abbiamo potuto parlare. Volevo sapere se va tutto bene» mormorò Frank. Non voleva desistere. Non riusciva a comprendere tutto quell’astio di Agusta verso di lui e Alice. Ok, forse verso quest’ultima era spiegabile a causa di tutti i dispetti che si erano fatte durante l’estate, anche se negli ultimi giorni erano andate molto più d’accordo.
«Perché non dovrebbe? Perché non sono stata smistata a Grifondoro come voi?» sibilò la ragazzina.
«Lo stai dicendo tu» s’irritò Frank. «Io volevo essere solo gentile!».
«Non è necessario. Me la cavo benissimo da sola. Come vedi ho già iniziato a fare amicizia. Allora ciao».
«Ciao» sussurrò Frank osservandola mentre prendeva posto al tavolo dei Corvonero.
«Pensa positivo. Sarebbe potuta finire a Serpeverde» commentò Roxi.
«Non ha importanza. Vorrei solo sapere che cosa le ho fatto» sospirò Frank.
«Magari si è sentita trascurata. Quando si ha una nuova sorellina può capitare» commentò Gretel.
«Non credo di averlo fatto» replicò Frank.
«Non ci pensare. Facciamo colazione» disse Roxi.

*

«Si può sapere che cavolo state facendo?» sbottò Scorpius. Aveva un diavolo per capello. C’era mancato poco che quei trogloditi dei suoi compagni scoprissero Batuffolo. Doveva assolutamente portarlo ad Albus o a Hagrid. Non poteva lasciarlo da solo tutto il giorno o quanto meno non nel suo Dormitorio. Certo se avesse convinto Albus a tenerlo in camera sua, sarebbe stato meglio. Stava proprio valutando i pro e i contro di affidarlo a uno dei due, quando quei bimbetti avevano osato distrarlo con i loro litigi. Ma quali mocciosetti litigano il primo giorno? Non si conoscevano neanche!
«Mia madre dice che i clandestini sono sporchi e portatori di malattie» rispose una ragazzina.
Oh, Merlino. Dove stava la Wilkinson quando aveva bisogno di aiuto? E gli altri Prefetti? Possibile che fossero tutti in Sala Grande? «E tua madre non sa che in una scuola non vengono ammessi studenti con malattie infettive?» sibilò alla fine.
«Ma a me non piace dividere la stanza con lei… è diversa…» ribatté la ragazzina testardamente. Le sue compagne palesarono all’istante il loro accordo. I ragazzini, invece, apparivano più incerti.
«Capisco, ma io non ho questo potere. Vi consiglio di recarvi a colazione e di rivolgervi alla professoressa Shafiq, la nostra Direttrice. Vi ascolterà senz’altro».
Soddisfatto di essersele tolte dai piedi, sorrise felice.
«Sai che mi zia le ucciderà?» lo riscosse dai suoi pensieri Emmanuel, che aveva assistito alla scena.
«È quello che spero» ghignò Scorpius. «Scusa, ma devo risolvere un problema al più presto. Ci vediamo» aggiunse prima di correre via.

*

«Ma è mai possibile, che devi sempre toccare le mie cose?!» sbuffò Albus.
James fu salvato dall’arrivo dei gufi con la posta del mattino. Nonostante fosse solo il primo giorno, molti ricevettero qualcosa.
Albus prese la rivista che un gufo gli aveva portato. Sorrise, ma non fece in tempo ad aprirla che una voce lo gelò.
«Proprio non capirò mai che hanno in testa zia Ginny e zio Harry! Dopo tutti i casini che hai fatto quest’estate, ti hanno anche fatto l’abbonamento a Trasfigurazione Oggi! Che cos’ho fatto di male per meritarmi Hermione Granger per madre!?» sibilò Rose, che si era fermata alle spalle di James in compagnia di Cassy.
Albus sbuffò seccato dall’atteggiamento della cugina. «Mi hanno costretto ad aiutare nonna Molly» borbottò.
«Oh, poverino! Io sono stata chiusa in camera a studiare tutta l’estate!» sbottò con rabbia Rose.
Era evidente che si teneva quelle cose dentro da un po’, ma Albus non era in vena di consolarla. A quel punto era arrabbiato anche lui. «Che Merlino vuoi?» ribatté.
«Come minimo mi devi chiedere scusa!».
«Non lo farò» rispose Albus, sorprendendo tutti i presenti.
«Prego?» disse Rose assottigliando lo sguardo.
«Hai sentito. Sono stanco di farmi mettere i piedi in testa da te» sibilò Albus. Si alzò per andarsene dalla Sala Grande, ma Neville, che sopraggiunse in quel momento, lo fermò.
«Il tuo piatto è ancora pieno» gli disse semplicemente.
«Fa come i bambini, quando non gli va bene qualcosa scappa via frignando» cantilenò Rose e Cassy ridacchiò.
Albus strinse i denti, ma si trovava in trappola: o faceva veramente la figura del bambino oppure rimaneva lì. Così non si oppose quando Neville lo spinse, gentilmente ma con fermezza, a sedere sulla panca. Rose, dopo un’ultima occhiataccia, andò a sedersi lontano da loro in compagnia di Cassy.
«Cerca di non farti provocare. Qui non siete a casa e se le vostre liti degenerano, sarò costretto a prendere provvedimenti» disse Neville. Albus annuì rigidamente: era ancora troppo arrabbiato. «Allora James, con quali materie vuoi continuare? Qui mi risulta Trasfigurazione, Erbologia, Difesa contro le Arti Oscure, Pozioni, Incantesimi, Babbanologia e Cura delle Creature Magiche?».
«Perfetto!» gli sorrise James.
«Pensavo ti volessi concentrare sulle materie che ti servono per diventare Auror» commentò Neville.
«È così, ma non posso rinunciare alle lezioni di Hagrid e Finch-Fletchley».
«Il professor Finch-Fletchley, James».
James gli regalò un sorrisetto, prima di riempirsi la bocca di porridge.
Quando Neville si allontanò per distribuire gli altri orari, Robert attirò l’attenzione dei compagni.
«Non ci sono buone notizie» annunciò indicando la Gazzetta del Profeta, vicino al suo piatto. «Gli Squibs hanno deciso di allagarsi. Stanotte hanno colpito dei negozi babbani» continuò.
«Per un po’ di vandalismo…» si strinse nelle spalle James. «Mica i Babbani si sconvolgono per così poco».
«Guarda un po’ che scritte hanno fatto» disse girando il giornale e mostrando a tutti la prima pagina.
«La magia esiste!, Guardatevi dai maghi!, Le streghe sono in mezzo a voi!... Ma sono pazzi?» lesse ad alta voce Albus.
«E dire che vostra zia si è impegnata un sacco a rassicurare la Confederazione Internazionale» sbuffò Robert. «E non è solo questo il problema».
«Che altro c’è?» lo esortò Alastor.
«I folletti hanno licenziato altri maghi dalla Gringott e al Ministero continuano a spingere perché il monopolio dell’economia passi nelle mani di noi maghi» spiegò Robert.
«Bel casino» riassunse James. «Altro da aggiungere?».
«Hanno trovato una certa Mara Dolohov morta assassinata. A quanto pare Anthony Goldstain sta vivendo i suoi cinque minuti di gloria, perché è riuscito a salvare in tempo la bimba che portava in grembo».
«È una bella cosa» commentò Benedetta.
«Sì, infatti. Però chi era quella donna? Perché sono intervenuti gli Auror?» domandò James, che aveva preso il giornale per sfogliarlo.
«Non ci è dato saperlo» sospirò in modo melodrammatico Robert.
«Ciao» trillò Scorpius, facendo saltare Albus e Alastor, che, essendo di spalle, non l’avevano visto avvicinarsi. «Al, amico mio. Ho un favore da chiederti» esordì con un ampio sorriso, che fece deglutire vistosamente Albus.

*

«Come fa a non piacerti il porridge?».
Brian bevve un lungo sorso di cioccolata calda, quando posò la tazza si strinse nelle spalle. «Non mi piace che la frutta sia mescolata con l’avena… e poi è così molliccio…». Sorrise sinceramente a Drew che continuava a fissarlo.
Louis e Annika risero divertiti dalla scenetta abbastanza consueta.
«Quante volte te lo deve ripetere?» domandò la ragazzina divertita.
Drew fece spallucce e tornò alla sua colazione.
«Avrei preferito cominciare con Pozioni» si lamentò Louis leggendo con attenzione il loro orario.
«Invece, per fortuna, la prima ora abbiamo Erbologia» disse Brian felice. Era la sua materia preferita e adorava il professor Paciock, per cui per lui non c’era modo migliore per cominciare l’anno scolastico. In più quella notte aveva dormito benissimo, come non faceva da settimane. Certamente gli mancava casa sua, ma a Hogwarts era tutto più facile.
Louis fece una smorfia. «Almeno quest’anno non abbiamo Volo».
«Ci presentiamo alle selezioni per la squadra di Quidditch?» domandò Drew.
«Sì» strillò Annika.
«Sei pazzo?» replicarono in coro Louis e Brian.
«Siete un caso perso» sospirò Drew.
Per il resto della colazione Drew e Annika parlarono di Quidditch, mentre Louis nascose la testa dietro a un libro di Pozioni. Brian finì di bere la sua cioccolata e poi ripose l’orario dentro il diario, ordinatamente ripiegato.
«Andiamo?» chiese Louis, alzandosi.
«Sì, non voglio arrivare in ritardo» concordò all’istante Brian.
«Si ricomincia» sospirò Annika. «Dovremo arrivare sempre in orario anche quest’anno?».
«L’idea è quella» rispose serio Louis, facendo ridacchiare la ragazzina e sorridere i due compagni.
Brian si godette a pieno l’aria ancora tiepida di settembre. Il parco era magnifico e luminoso, peccato che molto presto sarebbe arrivato l’inverno portando colori più malinconici. Si avviarono verso le serre, ma non si unì alle chiacchiere degli amici, troppo impegnato a guardarsi intorno.
«Ehi, Brian!» lo chiamò un sorridente Miki Fawley.
«Ciao» rispose il ragazzino avvicinandosi.
«Mi dispiace di essere sparito ieri sul treno, ma quando Lys si mette qualcosa in testa è difficile fermarlo».
«Tranquillo. Che voleva?».
«Secondo lui dovevamo arrivare tutti insieme. Ha ripetuto un milione di volte cameratismo. Elisabeth Conter stava per affatturarlo».
Brian ridacchiò, poi disse: «È bello fare lezione con voi. Sarebbe terribile fare Erbologia con i Serpeverde».
«Non me lo dire. Stamattina abbiamo incontrato Zender. Mi ha dato uno spintone così forte che sono caduto a terra».
«Non capisco cosa ci trovi nel dare fastidio agli altri» sospirò Brian.
«Buongiorno a tutti! Su avvicinatevi!» disse il professor Paciock, che nel frattempo li aveva raggiunti. Brian rispose al saluto insieme agli altri e si avvicinò. «Bene, sicuramente per tutto questo quadrimestre lavoreremo nella serra numero due. Seguitemi».
Brian entrò nella serra aspirando l’odore di terriccio fresco. Sorrise felice, nonostante lo sguardo già annoiato di Louis.
«Quattro per ogni postazione. E non toccate nulla!» li istruì Paciock.
Automaticamente i quattro Corvonero si misero insieme nella prima postazione, scelta appositamente da Brian.
«Spero che le vacanze siano andate bene per tutti» esordì sorridendo Paciock. Vi fu un mormorio generale di risposta. «Mi fa piacere. Quindi siete pronti per ricominciare». Un dissenso quasi generale, fece sorridere ulteriormente l’insegnante. «Chissà perché non ne sono sorpreso. Quindi i compiti delle vacanze ve li chiedo alla prossima lezione?».
Alle sue parole si levò un mormorio sorpreso, finché Lysander non prese la parola: «Noi Tassorosso li abbiamo fatti. Non so i Corvonero».
Miki sussurrò a Brian: «È colpa di Zender. Stamattina gli ha detto che non avrebbe il coraggio di sfidarlo. Così ha questa fissazione adesso: noi Tassorosso dobbiamo superare gli altri. Ho paura che Zender lo porti a fare qualcosa di sciocco».
Brian s’impensierì per un attimo: era molto probabile.
«Li abbiamo fatti anche noi!» ribatté nel frattempo Anastasia Johnson, sua compagna di Casa.
«Siete stati bravissimi, allora. Vi chiedo scusa per averlo messo in dubbio» disse Neville contento. «Che ne dite di consegnarmeli?». I ragazzi obbedirono e, solo dopo che ognuno posò il proprio lavoro sul bancone improvvisato su due cavalletti, l’insegnante riprese: «Oggi ci occuperemo delle mandragole. Qualcuno di voi sa che cosa sono?»
Brian alzò la mano, ma fu l’unico. Neville gli fece cenno di parlare. «È una pianta dai tratti umani, che ha tantissime proprietà magiche. Per esempio serve come ricostituente oppure per riportare alla condizione originale chi è stato pietrificato o incantato».
«Molto bene. Sai dirci anche perché è una pianta pericolosa?».
«Il pianto delle mandragole adulte uccide chiunque l’ascolti. Quando sono ancora piccole causano degli svenimenti più o meno lunghi. Se si sentono minacciate possono anche mordere».
«Esattamente. Venti punti per Corvonero. Proprio perché sono pericolose indosserete i guanti protettivi e i paraorecchie. Prendetene un paio ciascuno» disse indicando uno scatolone sul bancone.
Lysander saltò su: «Basta che li prenda uno di noi e poi li distribuisca. Uno per Casa magari».
«Finché si limita a questo» mormorò Brian a Miki, mentre Annika recuperava i paraorecchie per loro.
«Molto bene. Le mandragole con cui lavorerete adesso sono molto piccole, quindi meno pericolose. Il vostro compito è quello di rinvasarle. Accanto a ogni postazione ci sono dei vasi e vicino alla parete ci sono i sacchi di concime. Ora vi darò una dimostrazione di quello che dovete fare, per cui mettetevi i paraorecchie. E mi raccomando copritevi per bene».
I ragazzi eseguirono; dopo aver verificato che tutti avessero le orecchie ben coperte, Neville procedette e afferrò saldamente una piantina cespugliosa. Quando tirò ne venne fuori quello che sembrava un piccolo neonato fangoso e orribile a vedersi. Le foglie erano praticamente i suoi capelli, la pelle era verdastra e chiazzata. Inoltre aveva la bocca spalancata tanto che non era difficile immaginarsi che stesse piangendo. Brian la fissò affascinato finché l’insegnante non mise la piccola mandragola dentro un vaso più grande e la ricoprì di concime. Nuovamente rimasero visibili solo le foglie-capelli.
 Neville si tolse i paraorecchie e fece loro segno di fare altrettanto. «Avete fatto attenzione?».
«È orribile» sussurrò Margaret Davies. Brian la ignorò, ma alcuni Tassorosso vicino a lei ridacchiarono.
«In effetti le mandragole di solito non vengono utilizzate come piante decorative» celiò Neville, cui non era sfuggito il commento. «Ora, tocca a voi rinvasare le vostre mandragole. E mi raccomando, mettete per bene i paraorecchie e non vi distraete».
Brian ricoprì le orecchie e tirò su le maniche della divisa, sia perché non si sporcassero sia perché non lo intralciassero. Fu difficile estrarre la pianta dalla terra e dovette metterci molta energia. Quando finalmente vi riuscì, la mandragola aveva la bocca spalancata, quindi anche se non la sentiva sicuramente stava piangendo, e mostrava dei dentini niente male. Stupidamente non aveva preso prima il nuovo vaso, ma, per fortuna, Drew gli venne in aiuto. Solo dopo aver ricoperto ben bene la pianta con il concime nerissimo, tirò un sospirò di sollievo. Il resto della lezione trascorse tranquillamente.
«Finalmente» sbuffò a bassa voce Louis, quando Neville fece loro segno di togliere le cuffie.
«Siete stati molto bravi, complimenti! Vi siete meritati cinque punti ciascuno. E visto che siete stati puntuali nella consegna dei compiti delle vacanze, per questa lezione non ve ne assegnerò. Potete andare. Vi auguro una buona giornata».
I ragazzi ricambiarono felici e cominciarono a riversarsi fuori dalla serra.
«Evvai!» strillò Annika. «Speriamo che anche gli altri professori siano così clementi!».
«Abbiamo Incantesimi» le ricordò Brian, smorzando un poco il suo entusiasmo.

*

James era eccitatissimo. «Vi rendete conto? Faremo lezione nella Sala di Duello!».
Benedetta, a differenza di Robert, non condivideva il suo entusiasmo.
L’attesa non durò molto; infatti nemmeno cinque minuti dopo Maximillian Williams apparve alle loro spalle.
«Buongiorno, ragazzi». Ricambiarono tutti il saluto. «Prego, potete entrare» soggiunse, mettendosi di lato per farli passare avanti.
La Sala era molto vasta e un po’ cupa, d’altronde si trovavano nei sotterranei. Sembrava un’arena antica, solo che al posto della sabbia, c’erano una serie di pedane; e al posto degli spalti, banchi di legno massiccio e scuro.
«Sedetevi» ordinò pacatamente il professore indicando la gradinata di fronte a lui.
Ogni fila presentava sei posti. James, Robert e Benedetta si sedettero nella prima. A loro si aggiunsero una Corvonero di nome Phoebe Moore, Jonah Pucey e, con orrore di James, Gabriel Corner.
James non si era ancora abituato al fatto che non seguivano più le lezioni con una Casa precisa. Erano circa una quindicina i ragazzi che avrebbero seguito quel corso: solo due Tassorosso, ben sei Corvonero, due Serpeverde e cinque Grifondoro. In effetti i G.U.F.O. li avevano falcidiati.
Jack Fletcher, come sua abitudine, prese posto nell’ultima fila non occupata dai compagni. Andy non era felice della sua scelta, ma non lo lasciò solo.
Williams fece l’appello e poi li guardò uno a uno. «Benvenuti alla prima lezione del corso M.A.G.O. di Difesa contro le Arti Oscure. Se siete qui, significa che avete superato egregiamente i G.U.F.O. per cui vi faccio i miei complimenti».
James sorrise radioso e gonfiò il petto orgoglioso. Una reazione simile l’ebbe Jack.
«Vorrei, però, chiarire fin da principio che il percorso che vi porterà a conseguire i M.A.G.O. sarà ben diverso da quello affrontato fino a questo momento. Mi aspetto il massimo impegno da parte vostra. Niente giustificazioni, scuse balorde o distrazioni. Le lezioni da questo momento in poi saranno più complesse e anche pericolose, qualora avremo a che fare con creature oscure. In questa prima settimana di lezioni vi darò un assaggio di quello che saranno i prossimi due anni. Se deciderete che non è nelle vostre corde prendere il M.A.G.O. in questa disciplina, sarete più che liberi di toglierla dal vostro piano di studio. Nessuno ve ne farà una colpa. Chiaro?».
Un mormorio sorpreso si levò dalla classe, ma nessuno osò esprimere il proprio parere ad alta voce, così il professore continuò: «Come avrete sentito ieri sera, è mia responsabilità creare il gruppo di duello. Per selezionare gli studenti ho deciso di organizzare un Torneo. Nella prima fase sarete divisi per anno. Alla fase successiva passeranno gli studenti che si sono posizionati al primo e secondo posto delle rispettive categorie. Come la Preside stessa ha detto, potranno partecipare esclusivamente gli studenti dal quarto anno in su. I ragazzi del quarto e quinto anno saranno liberi di decidere se partecipare o meno, mentre mi aspetto che sia voi che i vostri compagni del settimo anno partecipiate tutti. Questo fine settimana gareggeranno gli studenti del quarto anno, così voi avrete tempo di decidere fino a lunedì». Fece un attimo di pausa e poi riprese. «D’ora in avanti le nostre lezioni si terranno in questa Sala, come avrete letto sul vostro orario. Il primo argomento che affronteremo quest’anno sono gli Incantesimi Non Verbali. Chi sa di che cosa sto parlando?».
James alzò la mano, ma non fu l’unico. Robert, Gabriel Fawley, Gabriel Corner, Jonah Pucey e Phoebe Moore fecero altrettanto.
«Fawley» disse Williams, facendo cenno al Serpeverde.
«Come dice il nome stesso, si eseguono gli incantesimi senza pronunciare la formula ad alta voce. Naturalmente è necessaria un grande concentrazione e potere mentale. Se li utilizziamo, il nostro avversario non può sapere cosa stiamo per fare, per cui abbiamo un piccolissimo vantaggio».
«Molto esauriente. Cinque punti a Serpeverde. Ora, per favore, raggiungete le pedane e dividetevi in coppie. Dopodiché iniziate a esercitarvi».
James balzò dalla panca e cercò lo sguardo di Jack. Adoravano sfidarsi, infatti il secondo colse all’istante la sua sfida silenziosa. Però nel momento in cui stavano per salire sulla stessa pedana, il Tassorosso fu spinto via malamente.
Jack digrignò i denti, notando che Williams non aveva visto. «Parkinson, cosa credi di fare? Sto io in coppia con Potter!».
«Oh, che carini! Però lasciate le vostre effusioni fuori dall’aula. Non sarebbe consono al vostro ruolo di Prefetti».
James e Jack lo fulminarono con gli occhi e gli puntarono contro la bacchetta.
«Beh, che state facendo qui? Avanti Jack, prendi posto con Gabriel Corner» intervenne immediatamente Williams.
Il Tassorosso contrariato non ebbe altra scelta che obbedire, ma si sarebbe vendicato di Parkinson. Su questo non c’erano dubbi.
James, invece, fissò apprensivo il suo avversario. Che cosa voleva da lui?
«Gli unici incantesimi che dovrete usare sono quello di Disarmo e quello Scudo. Il primo che usa un incantesimo diverso, specialmente se col chiaro intendo di colpire il compagno, potrà considerare questa come la sua ultima lezione di Difesa. Spero di essere stato chiaro. Questo non è un duello, ma solo un esercitazione. Iniziate».
James ebbe difficoltà in principio a concentrarsi sia a causa di Parkinson sia perché odiava non riuscire al primo colpo in Difesa. Il Serpeverde lo disarmò all’istante, tanto che, anziché recuperare la bacchetta, rimase a fissarlo a bocca aperta.
«Sorpreso Potter?» sibilò.
«Ottimo, Marcus. Trenta punti per Serpeverde» commentò Williams, che non li perdeva di vista un secondo.
Quella era stata la peggiore lezione di Difesa della sua vita pensò affranto James, mentre recuperava la borsa. Non era riuscito una sola volta a compiere un incantesimo non verbale.
«Continueremo a esercitarci, state tranquilli» disse Williams congedandoli.
A parte Parkinson, solo Jonah Pucey era riuscito a portare a termine il compito, meritandosi ben trenta punti per la sua Casa. Ciò, però, a James non interessava. Doveva farcela, non avrebbe tollerato essere secondo a nessuno in quella materia. Se doveva concentrassi, si sarebbe concentrato!

*

«Spero per te che quel coso, non ci distrugga la stanza» sibilò Albus.
Scorpius alzò gli occhi al cielo. «Suvvia, di che ti preoccupi? Tanto ci pensano gli elfi domestici a rimettere tutto in ordine».
«Scorpius Hyperion Malfoy…» iniziò Albus fuori di sé, ma il Serpeverde fu salvato in contropiede dal professor Mcmillan che li invitò a entrare in classe. A quel punto si andò a sedere molto lontano dall’amico.
«Ciao» disse sorridente alla nuova compagna, Meredith Ashton.
Lei sembrò contenta dalla sua compagnia e si presentò a sua volta.
«Spero che vi siate riposati quest’estate, perché sarà un anno difficile. A giugno affronterete i G.U.F.O. e se vorrete continuare a studiare questa materia anche ai M.A.G.O. dovrete impegnarvi molto, perché non ammetto nessuno studente con un voto inferiore a Oltre Ogni Previsione. Avete domande?».
Deborah Kendall di Serpeverde alzò la mano: «Come sceglierà chi rappresenterà la Scuola alle Olimpiadi?».
Albus riteneva la questione poco importante soprattutto non comprendeva perché la Kendall fosse così interessata: era un disastro in Pozioni.
«Ormai credo di conoscervi tutti, conseguentemente non avrò problemi a scegliere. Comunque, signorina Kendall, ti puoi mettere il cuore in pace. Non sarà nessuno del quinto anno. Sia perché non ritengo che siate pronti per una simile competizione sia perché dovete concentrarvi sugli esami. Altre domande?». Tutti rimasero in silenzio, così il professore proseguì. «Oggi inizierete a distillare la Pozione Corroborante. Sapete quali siano i suoi effetti? Sì, signorina Ashton?».
«Serve a rinvigorire le energie del mago che ne fa uso» rispose con sicurezza la Serpeverde.
«Molto bene. Cinque punti a Serpeverde».
Albus sentì Rose fare il verso alla nuova, suscitando le risatine di Cassy, Alex e Annie, con cui condivideva il tavolo.
Mcmillan gettò loro un’occhiataccia. «Questa pozione potrebbe capitarvi agli esami e vi varrà anche il primo giudizio di quest’anno. Conseguentemente anziché ridacchiare sarebbe il caso che vi impegnaste. Cinque punti in meno ciascuno» disse tagliente. «Trovate la ricetta sul vostro manuale. Mettetevi a lavoro».
Albus aprì il libro febbrilmente. Era ben deciso a cominciare l’anno con il piede giusto e soprattutto superare il G.U.F.O. in quella materia. Lesse con attenzione gli ingredienti, prima di disporli tutto sul tavolo a portata di mano. Decisamente era una pozione complessa e lunga, visto che avrebbero dovuto lasciarla fermentare per diversi giorni.
Scorpius, dal canto suo, non era minimamente preoccupato, anzi ne approfittò per conoscere meglio Meredith. «Allora, dove hai studiato fino a ora?».
«Per i primi due anni ho studiato a Beauxbatons, poi mia madre ha deciso che sarebbe stato meglio un insegnante privato».
«Credo sia una noia studiare da soli. Io ho avuto un precettore prima di essere ammesso a Hogwarts. Tua madre ha cambiato idea?».
«No. I miei sono divorziati. Mio padre ha ottenuto la custodia mia e di mio fratello. Mio nonno è morto e lui è dovuto tornare in Inghilterra per occuparsi degli affari di famiglia. Mio padre ha deciso che devo frequentare la Scuola» spiegò Meredith pesando alcuni ingredienti. «Eh, sì: studiare da soli è noiosissimo. Infatti non mi lamento».
«Tuo fratello è il ragazzino che è stato smistato a Grifondoro?».
«No. Quello è mio cugino. Mio fratello è piccolo. Come te la cavi in Pozioni?».
«Me la cavo» replicò Scorpius con un sorriso, che per un attimo si spense nel cogliere l’occhiata furiosa che gli rivolse Rose. Che aveva fatto?
La Grifondoro, tutto tranne che interessata alla pozione, non aveva perso di vista l’amico dal momento in cui si era seduto vicino a quella Ashton, che le stava sempre meno simpatica. Ma chi si credeva di essere?
«Rose, non fare cose a muzzo. Mcmillan ti guarda e abbiamo già perso cinque punti ciascuno» disse Annie Ferons, bloccandole il braccio.
La ragazza si accorse che stava per buttare della polvere, non meglio identificata, dentro il calderone.
«Gli aculei tritati non ci vanno» sospirò ancora Annie, che ebbe un bel da fare anche con Cassy e Alex. «Merlino, almeno provateci!» sbuffò, dopo aver evitato per un pelo di essere beccata dal professore mentre le aiutava.
Alla fine della lezione erano tutti distrutti, a parte Elphias Doge, Isobel McGranitt e Arya Wilkinson, sicuramente i più bravi della classe.
Albus era sudatissimo e colse con sollievo il suono della campanella. «Andiamo a pranzo» disse ad Alastor con voce supplichevole.

*

Dorcas si appoggiò al banco, ascoltando il solito discorso iniziale del professor Lupin. Era dalla mattina che tutti gli insegnanti li esortavano a studiare in vista dei G.U.F.O. di giugno. Se avessero continuato così a lungo, sarebbe stato allucinante. Un persistente stato d’ansia si era aggiunto alla tristezza che si portava dietro dall’estate. Guardandosi intorno, però, si rese conto di non essere l’unica con una brutta cera.
Jonathan sembrava avere molta difficoltà ad ascoltare Lupin e di solito lui era un ottimo studente, ma la cosa più strana era che i suoi compagni di Casa si erano seduti vicino a lui quasi a proteggerlo.
Allora era vero quello che dicevano in giro: aveva trovato il coraggio di raccontare a tutti il suo segreto. E a quanto pare non tutti gli studenti erano sufficientemente maturi per accettare la diversità del ragazzo.
«Da oggi comincerete a esercitarvi» sugli incantesimi Evanescenti, sicuramente i più complessi che studierete quest’anno. White, per favore, distribuisci una lumaca ciascuno ai tuoi compagni?».
Dorcas non riuscì a trattenere un sorriso di fronte alla smorfia disgustata di Chantal White. Molti risero.
«No, che schifo! Mi rifiuto!» strillò la Corvonero.
Lupin sbuffò.
«Lo faccio io» disse Kumar Raj collaborativo.
«Grazie» replicò Lupin, porgendogli una cassettina trasparente.
Dorcas fissò la sua lumaca con attenzione, poi si costrinse a seguire la spiegazione e a prendere appunti. Il resto della lezione la trascorsero a esercitarsi.
Virginia Wilson fu la prima a fare sparire la lumaca, seguita subito dopo da Jonathan Goldstain.
Dorcas, invece, ebbe difficoltà. Non riusciva a concentrarsi come avrebbe dovuto e alla fine della lezione aveva fatto sparire solo il guscio della sua lumaca. Lupin, tanto per renderli felici, assegnò una valanga di compiti.

*

I Grifondoro e i Serpeverde del quarto anno fissavano inquieti la professoressa di Incantesimi, Elisabeth Shafiq.
«Che cosa sono quelle facce? Non vi aspettavate che avrei verificato il vostro livello? Eppure mi sembrava di essere stata chiara a giugno: ripetete i programmi del primo, secondo e terzo anno. In che lingua devo parlarvi?» disse la professoressa rigida e severa.
«Pensavamo che stesse scherzando» buttò lì Charles Calliance di Grifondoro, sotto gli occhi scioccati dei compagni.
«Signor Calliance, le sue parole la dicono molto sulla sua maturità. E temo che i suoi compagni non siano da meno. Cinque punti in meno a Grifondoro per l’intervento non richiesto. Avete mezz’ora per rispondere alle domande scritte di teoria. La successiva mezz’ora sarà impiegata per una prova pratica. S’intende che terminerò durante la prossima lezione, visto che mezz’ora è poca per tutti voi. Potete iniziare».
I fogli di pergamena si girarono da soli e ai ragazzi non restò che mettersi a lavoro.
Frank non aveva preso sottogamba il suggerimento dell’insegnante, per cui, fortunatamente, non ebbe difficoltà a rispondere. Fu uno dei pochi a non chiedere altro tempo allo scadere dei trenta minuti.
«Perfetto. Vi chiamerò uno alla volta, in ordine alfabetico» disse la professoressa.
«Per fortuna noi siamo tra gli ultimi» sussurrò Roxi.
«Com’è andata la parte teorica?» le chiese Frank.
«Insomma» borbottò lei.
Anche i Serpeverde erano abbastanza inquieti. Emmanuel augurò buona fortuna a Tobias, rammaricandosi di non aver il tempo per tranquillizzarlo. Era bravo, ma si agitava troppo.
«Anderson».
La Shafiq lo torchiò per più di cinque minuti, prima di mostrarsi più o meno soddisfatta.
«Sei stato bravo» sussurrò Emmanuel, quando l’amico tornò a sedersi accanto a lui.
«Tua zia è un mostro» biascicò semplicemente.
«Calliance Charles».
«Non ce la farà mai a chiamarci oggi» sospirò Roxi.
«Meglio così» ribatté Frank, mentre Charles faceva una figura a dir poco pessima e perdeva dieci punti.
«Oh, Merlino. Andremo sotto zero» commentò angosciata Gretel, quando la Shafiq chiamò Lorein, gemella di Charles.
«Questa è vera crudeltà» sbuffò Roxi, mentre Lorein tornava al posto e in quello stesso istante altri rubini volavano via dalla loro clessidra.
«Finch-Fletchley».
Decisamente i Serpeverde del loro anno se la cavavano molto meglio, non poté fare a meno di pensare Frank. Gretel, dietro di lui, stava per scoppiare in lacrime, ma la campanella fece tirare un sospiro di sollievo a tutti.
«Finnigan, la prossima volta riprendiamo da te» disse la Shafiq, facendo sbiancare ulteriormente la Grifondoro.
«Tanto per cominciare l’anno» borbottò Lucy Weasley affrettandosi verso la Sala Grande per cenare.
«Tua zia ha raggiunto livelli di crudeltà assurdi» commentò Roxi, accostandosi a Emmanuel.
«Non so e non voglio sapere dove può arrivare» replicò il Serpeverde.
«Quando avremo la prossima lezione?» chiese Amy Mitchell, Serpeverde e cugina di Frank.
«Mercoledì» rispose Emmanuel.
«Merlino, sia lodato. Quella donna è un incubo» mormorò Roxi sollevata.
«Allora buona cena!» disse Emmanuel rivolto ai Grifondoro.
«Anche a voi» risposero in coro Roxi e Frank. Gretel non aveva ancora riacquistato l’uso della parola.
Frank, prima di sedersi al suo tavolo, non riuscì a non gettare uno sguardo a quello dei Corvonero: Augusta era seduta in compagnia di altre ragazzine e chiacchierava allegramente. Meglio così.

*

Virginia aveva trascorso diverse ore in biblioteca a studiare, quando rientrò in camera vi trovò solo quattro compagne.
«Complimenti! Ora sei contenta! Ci hai fatto perdere un sacco di punti!» l’aggredì Carole Parker con rabbia.
«Vuoi giocare al Prefetto-Perfetto? Bene, ma non aspettare che noi saremo mai tue amiche» gridò a sua volta Chantal White.
«I-io h-ho fatto solo il mio dovere» mormorò incerta Virginia.
«Ma fammi il piacere!» ribatté Carole. «Stammi alla larga per un bel po’!» aggiunse prima di lasciare la stanza.
«Grazie per la settimana di punizione» sibilò, invece, Chantal.
Virginia la fissò mentre usciva dalla stanza, poi si voltò verso Eva e Martha. La prima era seduta sul suo letto, un libro e una pergamena poggiate sulle sue ginocchia e sul letto, ricambiava il suo sguardo con occhi enormi; la seconda era sdraiata con la faccia sul cuscino. Si sentì una schifezza, come mai nella sua vita. Si avvicinò al letto di Martha, senza sapere esattamente cosa fare.
«Martha» provò a chiamare.
L’altra si sollevò e si voltò verso di lei. Aveva gli occhi rossi.
«Non voglio litigare con te» sospirò Martha, sorprendendo Virginia.
«Non mi odi?».
Martha si strinse nelle spalle. «Sono in torto e tu sei un Prefetto. Ti sei comportata in modo molto corretto».
Virginia era spiazzata dalla sua reazione e non seppe come replicare.
«Vorrei solo che tu… ecco… so che odi il fatto che io e la mia famiglia siamo piombati nella tua vita… ma ti prego, pensaci… mia madre mi ha fatto capire che se continuerai a stare male per noi, lei rinuncerà all’unione con tuo padre… ti prego, non ti daremo fastidio… ti giuro, che non trascorrevo un’estate tranquilla come questa da anni…».
Le lacrime colavano di nuovo sul volto della ragazza. Virginia sedette sul letto accanto a lei. Fino a quel momento aveva creduto che l’amica fosse triste perché aveva fatto rapporto a Williams, ma a quanto pare la situazione era più grave di quanto avesse ritenuto.
«Va bene» disse semplicemente non sopportando di vederla piangere.
«Grazie. Nemmeno ti immagini quanto sia importante per noi» sussurrò Martha affranta. «Farò qualunque cosa vuoi, pur ti compiacerti».
Virginia si chiese come fosse arrivata a quel punto. Costretta a rifletterci, non ricordava che Martha, il piccolo Jem o Selene avessero fatto nulla per ferirla; anzi al contrario erano sempre stati molto gentili.
«Senti, non devi fare un bel nulla. Ok? È solo colpa mia. Ho bisogno di tempo» ammise, rendendosene conto per la prima volta. «Mi dispiace per aver litigato con mio padre ieri. Mi sa che ti devo delle scuse e ne devo anche a lui».
«Tuo padre ci tiene molto alla Scuola?» chiese Martha, lasciandole più spazio.
Virginia si tolse le scarpe e fece spallucce. «In che senso?».
«Williams ha detto che scriverà a casa».
«Ah, mi dispiace per la settimana di punizione. Sinceramente, non mi aspettavo che Williams fosse così severo. Comunque non ti preoccupare per mio padre e poi la lettera sarà per tua madre».
«No. Una settimana solo per Chantal. Williams non è cattivo, ma sa essere severo. Dovrà scontare una punizione con tutti i professori di cui ha copiato i compiti. Io un giorno solo e se ne occuperà lui. Non credo sia la fine del mondo. Il problema è che non voglio che tuo padre pensi che sono una che dà grattacapi» replicò Martha.
«Non dire fesserie. Per una cosa così stupida» ribatté con forza Virginia. «Al momento l’unica che gli dà problemi sono io» aggiunse.
«Lo so che hai già una sorella e Lauren è fantastica, ma proviamo almeno a essere amiche?».
«Sì» acconsentì Virginia abbracciandola e si disse che era tutto più facile senza la presenza opprimente della madre, forse avrebbe dovuto riflettere a lungo anche su questo.
 

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Capitolo 12
*** Pozioni, stelle e duelli ***


Capitolo dodicesimo
 
Pozioni, stelle e duelli
 
«Avere come un insegnante un centauro è una cosa figa» esclamò Rose.
«Non so se sarà peggio o meglio di quando c’era la mia prozia» replicò Cassy preoccupata. Lo era sempre quando avevano lezione di Divinazione.
«Meglio di Solo-Io-So-L ’Ovvio sicuramente» disse Rose con sicumera.
Solo-Io-So-L ’Ovvio era il soprannome che l’anno prima gli studenti avevano dato al professor Solovyov, che aveva sostituito Sibilla Cooman.
«Forza, entriamo. In teoria siamo in ritardo» si limitò a ribattere Cassy.
«In pratica non ci interessa» sussurrò Rose, che, comunque, rimase senza parole quando vide com’era stata sistemata la classe. Se classe poteva essere definita.
Come c’era da aspettarsi tutti i loro compagni si voltarono a guardarle. Stupidi.
Rose li ignorò e scrutò il centauro, che in realtà aveva già avuto modo di conoscere. Unico problema era che tale conoscenza era avvenuta quando lei e i suoi amici si stavano facendo un giro, non autorizzato, nella Foresta Proibita e lei aveva insultato anche uno dei suoi compagni.
«Scusi il ritardo» mormorò Cassy, che chissà perché scrutava preoccupata l’insegnante.
Fiorenzo non commentò il loro ritardo, ma, dopo aver fissato entrambe con attenzione, tornò, come se nulla fosse, a quello che stava facendo prima che lo interompessero.
Quello che una volta era stato un normale pavimento, era ora un manto erboso e vi erano anche degli alberi, che ricordavano quelli della Foresta Proibita.
Le due Grifondoro presero posto ciascuna su un ceppo di legno, proprio come i compagni. 
«Adesso che ci siamo tutti possiamo iniziare» esordì Fiorenzo con semplicità.
«Che ci ha aspettate a fare?» sussurrò sorpresa Cassy. Rose fece spallucce.
Rose eseguì le istruzioni dell’insegnante senza grande entusiasmo. Bruciarono salvia e malva sul pavimento dell’aula.
«Vedete simboli o forme particolari nei vapori?» domandò Fiorenzo.
Le gemelle Danielson di Tassorosso intervennero eccitate, ma Rose era del parere che si stessero solo mettendo in mostra. Si voltò per commentare con Cassy, ma questa fissava il vapore immobile.
«Che c’hai?».
«Non mi piace» replicò lentamente l’amica.
«Cosa?» insisté Rose.
«Mi sembra di vedere delle figure… scure…».
«Neomangiamorte?».
«No… non credo… sembrano piccole… ma non le distinguo…».
«Come facciamo a predire il futuro?» chiese Destiny Danielson.
«Predire il futuro è una presunzione degli uomini. Noi vogliamo individuare l’insorgere di periodi di malvagità o di grandi mutamenti. Per interpretare con sicurezza ciò che vediamo alle volte ci vogliono anni» replicò pacatamente Fiorenzo.
«Quindi noi trascorreremo tutto l’anno a osservare il fuoco?» sbottò Cassy.
«La divinazione è un’arte che richiede pazienza» fu la risposta.
«Allora non serve a nulla» ribatté Cassy.
«Quindi non faremo nient’altro?» chiese perplessa Virginia. Odiava quella materia con tutto il cuore, ma sua madre si aspettava che prendesse dodici G.U.F.O. «Il programma per gli esami è molto vasto».
«Ma chissenefrega degli esami?» s’infervorò Cassy. «Nessuno di voi è dotato della Vista, che ve ne frega? Siete qui solo perché pensavate che questa materia sarebbe stata semplice e trovavate comica la mia prozia!».
Rose la fissò trasecolata: ma che le prendeva?
«Io voglio condividere con voi la saggezza dei centauri» rispose Fiorenze.
«Una saggezza che noi non sappiamo comprendere. Siamo solo presuntuosi, l’ha detto lei» replicò Cassy.
Virginia si morse il labbro per non intervenire nuovamente, non era da lei esporsi troppo con un docente pressoché sconosciuto.
«Che cos’hai visto?» domandò Fiorenzo a sorpresa.
Cassy, per un attimo, rimase senza parole, poi si alzò e disse: «Sono affari miei. Le consiglio di tornare dai suoi amici centauri, visto che noi non siamo alla sua altezza».
Rose, imbambolata, la fissò lasciare l’aula a grandi falcate. Si riscosse e la seguì.
«Buona giornata!» disse prima di seguirla.
La classe totalmente in silenzio attendeva la reazione di Fiorenzo, il quale riportò la sua attenzione sul fuoco.
Virginia per conto suo riteneva inutile continuare con le polemiche: decisamente quello non era un insegnante ordinario. Ma perché la Preside l’aveva assunto?
 
«Wilson, che intenzioni hai?» l’apostrofò una delle gemelle Danielson, mentre, dopo la lezione, si dirigevano verso la Sala Grande.
«Riguardo cosa?».
«Il ronzino» replicò una di loro.
«Sarà anche carino, ma è un centauro» disse un’altra.
«Suvvia, non passerai neanche tu gli esami in questo modo» la punzecchiò quella che aveva parlato per prima.
«Penso che andrò a parlare con il professor Williams questa sera» ammise infine Virginia.
«Ottimo! Allora tienici informate!».
Virginia rispose al loro saluto entusiasta con un gesto della mano e sedette al tavolo dei Corvonero con un sospiro. La Sala Grande era già abbastanza caotica.
«Eccoti!» disse Martha raggiungendola. «Tutto ok?».
«Sì, diciamo solo che ho avuto una lezione un po’ strana» rispose Virginia per poi raccontarle che cos’era accaduto. «Quindi secondo te, faccio bene ad andare da Williams?» le chiese, mentre, terminato il pranzo, si recavano alla prima lezione del pomeriggio.
«Sì, ma non fare riferimenti al fatto che è un centauro. Non penso che ne sarebbe felice».
«Però le Danielson non hanno tanto torto. Se mia madre sapesse che abbiamo un professore del genere, farebbe un macello!».
«E tu non glielo dire» replicò semplicemente Martha.
«Ma non posso mentirle! Non sono capace!».
«Non vedrai tua madre prima di Natale. Non si tratta di mentirle, ma solo di omettere un insignificante dettaglio» precisò Martha.
Entrarono in aula e furono sorprese nello scoprire di non essere le prime. Jonathan Goldstain fissava il paesaggio fuori dalla finestra con sguardo vacuo; Dexter Fortebraccio e Kumar Raj fecero loro un segno di saluto mesto.
Martha si avvicinò subito ai compagni e Virginia fu costretta a seguirla. Il fatto che un compagno fosse un lupo mannaro, era un altro grande dettaglio che avrebbe dovuto nascondere alla madre. Martha aveva avvolto le spalle del ragazzo con le sue braccia, costringendolo a prestar loro attenzione.
«Ciao» sussurrò Jonathan sorpreso.
«Ciao, pronto per la prima lezione di Babbanologia dell’anno?» chiese Martha liberandolo dalla sua stretta.
Virginia si domandò perché il Cappello Parlante non l’avesse smistata a Tassorosso, sarebbe stata perfetta per quella Casa.
«Mmm» fu l’unica risposta di Jonathan, confuso ma anche contento di quelle attenzioni. «Quindi a voi non interessa… se… insomma…».
«A me no. Mi dispiace non avertelo detto ieri, ma hai evitato tutti» rispose Martha.
«Non mi hai mai fatto nulla. Quindi non interessa neanche a me. Piuttosto forse siete voi a non volermi parlare. So che Chantal e Carole vi hanno raccontato che ho fatto la spia con Williams».
«L’hanno detto a tutti quelli del nostro anno» sottolineò Kumar Raj.
«Oh, Merlino come ti è saltato in mente?» domandò Dexter.
«Siamo Prefetti» replicò Virginia sostenendo il suo sguardo.
«Sì, ma…» iniziò il ragazzo passandosi una mano tra i capelli a disagio. «Insomma essere Prefetti non significa mettersi contro i nostri compagni. Chantal non ha fatto del male a nessuno copiando i compiti. Tu avresti potuto semplicemente ignorarla».
Virginia gonfiò il petto irritata. «Quindi le regole valgono a convenienza?».
«Non ho detto questo» replicò Dexter.
«Sì, invece».
«Chantal copia i compiti in continuazione… fin dal primo anno… Non perché non sia intelligente, ma per pigrizia. La punizione di Williams le farà bene» commentò, invece, Jonathan.
Virginia annuì soddisfatta delle sue parole, ma Dexter non lo fu altrettanto. «Se lo potrà anche meritare, ma adesso le ragazze non si fidano più di te e non sono le uniche».
«Forse devi farti un esame di coscienza ora che sei Prefetto» ribatté acida Virginia.
Dexter non ebbe la possibilità di ribattere a causa dell’arrivo del professore.
«Buongiorno a tutti!».
Non avevamo neanche fatto caso al fatto che l’aula si fosse riempita.
«Come sono andate le vacanze?» chiese allegro Finch-Fletchley. «Per caso avete fatto qualche vacanza alla babbana?».
«L’unico che ha potuto fare qualcosa di babbano è Hunter» rispose Annabelle Dawlish.
«Non vedo perché» ribatté il professore, nascondendo la sua irritazione.
«Grazie ai Neomangiamorte non abbiamo trascorso un’estate molto movimentate» intervenne Scorpius con serietà.
L’insegnante sospirò: «Su questo hai perfettamente ragione, purtroppo». Dopodiché prese il registro e chiamò l’appello. «Dove sono Cassy e Rose?» domandò ad Albus.
Il ragazzo arrossì e borbottò: «Saranno in ritardo». Non ne era pienamente convinto.
Finch-Fletchley roteò gli occhi fin troppo abituato al comportamento delle due. «Sentite» esordì sedendosi sulla cattedra. «Questo per voi è l’anno dei G.U.F.O., una tappa fondamentale della vostra istruzione. Immagino che in questi due giorni i miei colleghi ve l’abbiamo ripetuto fino alla noia. Lungi da me ripetervi le stesse identiche cose. Sono, però, consapevole che la disciplina che insegno, per certi versi, è meno utile di molte altre. Almeno apparentemente. Secondo me viene sottovalutata. Per esempio gli Auror a volte si ritrovano a indagare o fare appostamenti in luoghi prettamente babbani. Non avrebbero meno difficoltà a confondersi nella folla se fossero in grado di comportarsi proprio come un babbano? Secondo me sì, ma il mio parere non è importante. Sono sicuro che ognuno di voi sia in grado di ottenere un buon voto in questa materia agli esami. Cosa ne farete, sarà poi una scelta vostra».
«Professore» chiamò Noah Hunter di Tassorosso. «I maghinò che cosa vogliono dai Babbani? Il loro comportamento non è strano?».
«Sono dei traditori» sibilò la Dawlish.
L’insegnante rifletté sulla domanda di Noah. «No, non è tanto strano. Noi maghi abbiamo sempre avuto un comportamento ambiguo nei confronti dei maghinò. Non hanno garantiti molti diritti e spesso vengono emarginati dalla società. Certo è che la strada che hanno intrapreso per farsi valere è un’arma a doppio taglio».
«I Babbani non li appoggeranno mai, vero?» domandò Albus pensieroso.
«Ne dubito» ammise Finch-Fletchley.
«Quindi cosa accadrà?» chiese Virginia.
«Non lo so» ammise il professore. «Ma se non si fermano, ho paura che la situazione possa degenerare». Dopo un attimo di pausa, probabilmente in attesa di qualche altro commento da parte dei ragazzi, riprese a parlare: «Allora, avete qualche argomento da proporre per iniziare?».
«Potremmo tornare a parlare di vacanze» propose Scorpius con un grosso sorriso.
«Sai che alle prossime mancano ancora quattro mesi?» replicò divertito il professore.
«Oh, sì. Stiamo già facendo il conto alla rovescia però. Ma è crudele ricordarci che manca ancora molto» rispose altrettanto divertito il Serpeverde.
 
*
 
«Allora ti sfido, Scamander. Anzi, vi sfido tutti. Vi dimostrerò che noi Serpeverde siamo i migliori!» esclamò Mike Zender.
Brian alzò gli occhi dal libro che stava leggendo. Possibile che non si potesse stare un po’ in pace?
«Accetto. E ti dimostrerò il contrario» ribatté Lysander Scamander. E poi diceva che la testa calda era il fratello Grifondoro.
«Perfetto. Corvonero e Grifondoro non avete il coraggio?» sobillò Zender.
I Grifondoro insorsero all’istante.
«Ti sfido io» disse Valentin Flamel, dopo aver fatto al tocco con alcuni compagni.
Zender si voltò verso i Corvonero a quel punto.
Brian evitò i suoi occhi. Mai e poi mai avrebbe accettato una sfida con lui al buio.
«Ti sgonfierò, pallone gonfiato» intervenne Annika Robertson.
Louis tentò di dissuaderla, ma perse solo tempo.
«Allora qual è questa sfida?» chiese Valentin Flamel.
«Vediamo chi riesce a bere più acqua» rispose malizioso Zender. Al suo cenno il suo tirapiedi Edison Andersen tirò fuori dallo zaino quattro brocche di vetro vuote.
«Le hai rubate dal vostro tavolo?» chiese perplesso Louis.
«Non è un furto, è un prestito» rispose Zender. «Pronti?».
I suoi tre sfidanti annuirono e presero ciascuno una brocca.
«Aguamenti lo sapete usare, vero?» chiese Emmy Abbott che assisteva insieme ai compagni.
«Certo» sbuffò Valentin.
«Bene, allora la Parker può tenere il punteggio. Vediamo quante brocche riusciamo a svuotare prima di arrenderci. Chi ne beve di più vince, naturalmente» spiegò Zender.
«Che cosa ci giochiamo?» domandò Valentin.
Un ghigno sadico si aprì sul volto del Serpeverde. «Chi ne beve di meno sconterà una penitenza scelta dal vincitore».
Hellies Parker di Grifondoro prese piuma e pergamena e si disse pronta ad arbitrare la gara. «Pronti?».
I quattro ragazzini annuirono determinati e allora Andersen riempì le brocche d’acqua.
«Via!» esclamò Hellies Parker.
Brian trovava il tutto alquanto stupido, ma almeno non era pericoloso, così decise di godersi lo spettacolo.
Annika se la cavava molto bene e svuotò rapidamente la prima brocca, seguita da un agguerrito Valentin Flamel. Comunque neanche Lysander e Mike ebbero difficoltà.
La seconda brocca d’acqua fu affrontata più lentamente e i quattro mostrarono i primi tentennamenti.
Annika sembrava la più tranquilla. Beveva lunghi sorsi e poi faceva una pausa. Valentin fu il primo a mostrare segni di resa, ma non l’unico. Se Lysander, con l’impegno tipico della sua Casa si incaponiva a bere, Zender iniziava a esser molto più lento.
«Forse è meglio che smettiate» intervenne Louis pensieroso. «La pausa pranzo sta per terminare».
Ma non vollero ascoltarlo. Annika con caparbietà riempì la brocca per la quarta volta e iniziò a bere, proprio mentre suonava la campanella. Tutti si mossero a disagio, essendo in ritardo.
«La sfida finisce qui, direi» decretò Hellies Parker. «E la vincitrice è Annika Robertson».
«Va bene, ma vediamo chi ha perso» disse Zender.
Le brocche dei tre ragazzi furono avvicinate e dopo qualche polemica venne stabilita la classifica finale: Annika, Valentin, Mike e Lysander.
«Robertson devi scegliere la penitenza di Scamander» disse la Parker.
«Ci penserò» rispose la ragazzina con un ghignò. «Tieniti pronto, Scamander».
«Adesso dobbiamo andare a lezione! Abbiamo Pozioni! E siamo in ritardo!» disse Brian molto preoccupato.
«Vi propongo un’altra sfida» li fermò Zender. «Chi resiste di più senza andare in bagno».
Gli altri tre, troppo orgogliosi per rifiutare, accettarono.
Corvonero e Grifondoro si recarono a Pozioni il più velocemente possibile, ma ciò non li salvò dalla ramanzina di Mcmillan, che, per punizione, li assegnò compiti extra.
Brian, mogio per il pensiero di dover studiare Pozioni durante il week-end, si mise subito a lavorare alla sua Pozione Dilatante, sperando di non combinare pasticci e peggiorare la situazione.
«Non ce la faccio più» sussurrò Annika, circa a metà lezione.
Louis le rivolse un’occhiata severa. «Avevo detto che sarebbe stato meglio smettere».
La ragazzina gli rivolse uno sguardo di fuoco, ma non ebbe la forza di replicare.
A sorpresa, però, fu Valentin Flamel a sbloccare la situazione. «Professore, posso andare in bagno?».
«Sai benissimo che non si esce durante le lezioni» replicò Mcmillan esaminando la pozione di Sarah Burke.
«La prego, non resisto» lo supplicò Valentin Flamel, suscitando diverse risatine.
«Vai» rispose scocciato l’insegnante.
Sotto gli occhi stupefatti e divertiti dei compagni il ragazzino corse via.
«Professore, posso andare anche io?» intervenne Annika.
«Mi prendi in giro, Robertson?» ribatté Mcmillan.
«No. Me la sto facendo addosso» rispose lei candidamente. La classe scoppiò a ridere.
«Allora vai! E voi smettetela di ridere e rimettetevi a lavorare, se non volete altri compiti!» sbottò il professore.
Alla minaccia tutti ammutolirono.
 
 
«Ha vinto Lysander» comunicò Annika ai compagni con aria afflitta.
«Avete fatto incazzare Mcmillan!» sbottò Brian, ora più che convinto che nulla con i suoi compagni fosse privo di pericolo.
«Suvvia, la tua pozione non faceva così schifo» replicò incurante Annika.
«Grazie tante» sospirò Brian.
«Ma non sapete la parte migliore. Zender è stato il primo a cedere! E come! I Tassorosso mi hanno raccontato che praticamente si è messo a piangere supplicando la Shafiq di lasciarlo andare al bagno, perché lei all’inizio pensava che fosse solo una scusa! Porca miseria, avrei voluto vederlo!».
«Zender si è messo a piangere?!» disse fuori di sé dalla gioia Drew.
«Era prevedibile che sarebbe finita così. Lysander è quello che ha bevuto di meno. Sei stata fortunata che Mcmillan non sia cattivo. In caso contrario penso che anche tu ti saresti messa a piangere» commentò Louis severamente.
«Secondo voi ci saranno ripercussioni?» chiese Brian.
«In che senso?» replicò Annika.
«Nel senso che i professori parlano tra loro! E troveranno strano che ben quattro studenti abbiano avuto lo stesso problema! Faranno due più due, no?» rispose Louis.
«Non lo so… non hanno prove comunque. E comunque tre studenti. Lys è stato bravo e ha resistito fino alla fine dell’ora. Certo poi è schizzato via lasciando tutte le sue cose, ma la sostanza non cambia…».
Né Brian né Louis si presero la briga di replicare, così raggiunsero la Torre di Astronomia con, in sottofondo, il chiacchiericcio eccitato di Annika e Drew.
Brian non fece in tempo a entrare in aula, che cadde in avanti sbattendo contro qualcosa di duro. Si ritrovò seduto a terra, mentre i suoi compagni scoppiavano a ridere.
«Ti sei fatto male?».
Il ragazzino arrossì visibilmente nel comprendere che era andato a sbattere proprio contro il nuovo professore di Astronomia. E in effetti non capiva come avesse fatto a perdere l’equilibrio. Si alzò immediatamente, tentando di scusarsi ma barcollò di nuovo in avanti rendendosi conto di avere i lacci della scarpa destra e della sinistra legati tra loro. Ma come?!
«Attento» lo sorresse l’insegnante, ma non sembrava arrabbiato. «Dovresti scioglierli».
Brian, completamente rosso in volto, si chinò e tentò di sciogliere il nodo, ma per l’imbarazzo gli tremavano le mani e non vi riuscì suscitando lo scherno dei compagni.
«Non sai neanche legarti le scarpe, Carter» strillò ridendo Mike Zender.
«Sei stato tu!» sbottò invece Annika. «Sei un vile! Non hai il coraggio di vedertela direttamente con me!».
«Ora basta» li fermò con voce ferma ma pacata il professore. «Sedetevi» aggiunse rivolto a Drew, Louis e Annika rimasti vicini a Brian incerti su come aiutarlo.
«Ti aiuto io. Come ti chiami?».
«B-Brian» borbottò il ragazzino fissando l’insegnante chinarsi e industriarsi per scioglierli i lacci. Impiegò diversi minuti.
«Bene, Brian. Legale per bene e prendi posto» disse sollevandosi.
Il ragazzino biascicò un ringraziamento e obbedì il più velocemente possibile.
Solo quando egli ebbe preso posto, il professore riprese a parlare. «Sono una persona che apprezza l’umorismo, ma spero vi rendiate conto che questo è stato uno scherzo stupido e pericoloso». Nessuno proferì parola, perciò egli continuò. «Il vostro compagno avrebbe potuto farsi male seriamente e non credo che l’avreste trovato ancora divertente. Comunque per questa volta chiuderò un occhio, ma spero che in futuro ci penserete due volte prima di tirare certi scherzi. Allora io mi chiamo Constant Bulstrode e sono il vostro nuovo insegnante di Astronomia. Vorrei dedicare questa prima lezione a conoscervi». Si fermò e frugò in una borsa di pelle, appoggiata sulla cattedra. Tirò fuori quello che a tutti sembrò un peluche a forma di stella. «Voglio che vi presentiate dicendo il vostro nome, cognome, il modo in cui preferite essere chiamati, la vostra materia preferita, la vostra squadra del cuore di Quidditch o di qualunque sport babbano, e, per concludere la costellazione, la stella, pianeta o simili, a voi la scelta, che preferite. Comincio io e una volta terminato lancerò la stellina a uno di voi». I ragazzi lo fissarono stupiti: non avevano mai conosciuto un insegnante simile da quando avevano messo piedi a Hogwarts. «Il mio nome ve l’ho già detto. Temo che debbiate chiamarmi professore. Naturalmente la mia materia preferita è Astronomia. Fin da piccolo sono sempre stato affascinato dalla volta celeste e ancora oggi penso che sia piena di misteri, la maggior parte dei quali non scopriremo mai. Non amo lo sport, per cui non ho una squadra preferita. Infine adoro osservare il sistema doppio Sirio A e B. A te» concluse lanciando la stellina ad Annika.
«Mi chiamo Annika Robertson. Non sopporto il diminuitivi, perché il mio nome mi piace molto. I miei l’hanno scelto da un romanzo che adoro. La mia materia preferita è Difesa contro le Arti Oscure. A parte Corvonero, non tifo nessuna squadra di Quidditch; ma adoro il Chelsea, una squadra di calcio di Londra… e ehm la stella non so… forse la luna?».
«Va bene, lancia la stellina» disse Bulstrode sorridendo.
Annika, abbastanza colpita dalla stranezza dell’uomo, lanciò la stellina a una Serpeverde.
«Mi chiamo Selene Shafiq. La mia materia preferita è Difesa contro le Arti Oscure. Stravedo per le Holyhead Harpies. Mi ha sempre attirato molto la luna, per via del mio nome» disse rapidamente la ragazzina passando poi la stellina a un’altra compagna.
Brian ascoltò distrattamente, poco desideroso di presentarsi davanti a tutti, specialmente dopo la brutta figura fatta.
«Mi chiamo Mike Zender» esordì con sicurezza il Serpeverde appena Drew gli tirò la stellina con aria di sfida. «La mia materia preferita è Volo. Tifo per i Falmouth Falcons. Il mio pianeta preferito è Marte. A te Carter» terminò malevolo lanciandogli con forza la stellina.
Brian l’acchiappò per un pelo. «M-mi c-chiamo Brian Carter». Ma doveva proprio balbettare? «La mia materia preferita è Erbologia. Non tifo nessuna squadra in particolare, se non al massimo gli Appleby Arrows. Non ho una costellazione o una stella preferita».
Quella fu decisamente la lezione più strana, cui avevano mai partecipato.
«Per questa sera abbiamo finito. Dalla prossima settimana porterete il vostro telescopio. Tenteremo di dividere la lezione tra osservazione e teoria. Buona notte!».

*

Quel giovedì mattina James si sentiva molto assonnato. L’unico aspetto positivo è che avevano Cura delle Creature Magiche. L’aria era ancora piacevole e il freddo sembrava lontano, per quanto il ragazzo fosse consapevole che l’autunno non si sarebbe fatto attendere ancora molto.
Salutò allegramente Hagrid. A seguire il corso M.A.G.O. erano solo una decina.
«Benvenuti!» esclamò felice Hagrid. «Quest’oggi studieremo gli ippogrifi! Seguitemi!».
«Evvai, qualcosa di eccitante» sussurrò James agli amici.
Hagrid li guidò fino al limitare della Foresta Proibita, qui aveva costruito un recinto e all’interno si muovano quattro magnifici esemplari di ippogrifo.
«Qualcuno sa dirmi qualcosa sugli ippogrifi?» chiese felice Hagrid.
Com’era consueto i primi ad alzare la mano furono Corner di Corvonero e Fawley di Serpeverde. Quei due facevano costantemente a gara tra di loro.
«Fawley» disse Hagrid concedendogli la parola.
«L’ippogrifo è un animale di origine europea, ma oggi si può trovare in tutto il mondo. Ha la testa di un’aquila gigante e il corpo di un cavallo alato. Sono creature molto permalose. Non bisogna mai annullare il contatto visivo e inchinarsi in segno di saluto, se e solo se l’ippogrifo ricambia ci si può avvicinare; in caso contrario è meglio starne lontani perché sono molto pericolosi. Solitamente questa creatura si nutre di insetti, uccelli e piccoli mammiferi. Nel periodo della riproduzione depone un solo uovo, che si schiude dopo ventiquattr’ore. Solo dopo una settimana il piccolo sarà capace di volare, ma ci vorranno mesi perché possa compiere viaggi più impegnativi».
«Ottimo, quindici punti a Serpeverde. Chi si offre volontario per conoscere uno dei nostri amici?».
La maggior parte dei presenti aveva molto da ridire sul fatto che fossero amici, cosicché nessuno si fece avanti almeno in un primo momento. Poi Corner, probabilmente per rifarsi sul rivale, decise di provare per primo.
James si gustò la scena ridacchiando.
«Jamie!» lo richiamò Benedetta. «Potrebbe farsi male! Non è divertente!».
«Ma no, che vuoi che si faccia» replicò Robert. «Non è così imbranato».
Intanto il Corvonero si era inchinato a uno degli ippogrifo e tutti attendevano con il fiato sospeso la risposta della creatura. Dopo qualche minuto essa s’inchinò. I ragazzi esultarono, ma Hagrid li richiamò: non era il caso di far innervosire gli ippogrifi presenti.
«Oh, sì. Molto bene. Sembra che tu stia simpatico ad Alibianche!» commentò contento Hagrid. «Ora puoi accarezzarlo, ma sempre lentamente».
Gabriel Corner seguì le istruzioni, ma non sembrava molto entusiasta.
«E bravo Corner. Alibianche non gli ha staccato neanche un dito».
«James!» sbottò Benedetta. «Non sei divertente!».
«Scusa» sospirò James.
«Avanti, ora provateci anche voi» disse Hagrid, indicando gli altri tre ippogrifi.
«Jamie» lo chiamò Hagrid, avvicinandosi. «Vedi quello grosso, lì? Tutto bianco e con un po’ di piume grigie?».
«Sì, perché?».
«È il figlio di Alisecco! Tuo padre gli ha salvato la vita» spiegò eccitato. «Perché non provi con lui?».
«Magari dopo» borbottò il ragazzo. Non sopportava quando esageravano nell’associarlo al padre. Lui non era Harry James Potter, ma solo Jamie. Per questo non si era fatto avanti prima, sarebbe stato scontato. Quante volte suo padre gli aveva raccontato della sua primissima lezione di Cura delle Creature Magiche? Infinite. Quelle storie erano sempre piaciute a lui e ai suoi fratelli, ma una volta giunti a Hogwarts avevano toccato con mano la realtà e il peso della fama del padre si era sentito pienamente.
La lezione trascorse senza alcun incidente, perché nessuno dei ragazzi del sesto anno era abbastanza stupido da far infuriare un ippogrifo. Alla fine della lezione James si fermò per chiacchierare con Hagrid.
«Stai bene?».
«Sì. Volevo chiederti una cosa».
«Tutto quello che vuoi, Jamie!» rispose Hagrid tirandogli una manata affettuosa sulla spalla.
James dovette riprendere fiato prima di chiedere: «Le carrozze della Scuola da cosa sono trainate? Io ho visto dei cavalli alati neri, ma solo Adisa, il ragazzo nuovo, mi ha detto di vederli. Gli altri no. Com’è possibile?».
Hagrid s’incupì. «Harry non ti ha detto nulla? Sono Thestral».
«Non ricordo che me ne abbia mai parlato. Che cosa sono?».
«Cavalli alati. Neri. La gente ne ha paura, ma sono tutte scemenze».
«Sono pericolosi?».
«No. Superstizioni, tutte baggianate, naturalmente. Li possono vedere solo coloro che hanno visto morire qualcuno».
Un pugno in pieno stomaco probabilmente gli avrebbe fatto meno male. Avrebbe voluto Benedetta lì con lui o almeno Robert, invece tutti e due avevano deciso di seguire Storia della Magia.
Hagrid aveva un’espressione contrita. «Ti faccio una tazza di thè». James annuì meccanicamente.
«Com’è possibile?» chiese dopo aver bevuto dei lunghi sorsi di thè caldo. «Insomma come funzionano?».
«Non si sa» ammise Hagrid.
«Quindi alla gente non piacciono?».
«No, ma è stupidità».
«Di quella ce n’è fin troppa in giro» sospirò James, bevendo un altro sorso. «Tu che hai? Mi sei sembrato preoccupato stamattina a colazione».
«Ah, niente» borbottò incupendosi.
«E dai, a me puoi dirlo».
«I genitori si sono lamentati. Dicono che non sono qualificato come docente».
«Ma la Preside non può dare retta a certi deficienti!».
«No, no» rispose Hagrid scuotendo il testone. «Però ha detto che mi cerca un ragazzo che possa darmi una mano» spiegò torturandosi una ciocca di capelli ingrigita.
«Stai tranquillo, se non si comporterà bene lo faremo scappare a gambe levate» promise James.

*

«Per fortuna è venerdì» sospirò Roxi.
«Per sfortuna abbiamo Trasfigurazione» ribatté Gretel.
«Veramente molto meglio Trasfigurazione di altro» borbottò Frank, tirando le cinghie dello zaino nervosamente. «Siamo in ritardo. Ed è solo il terzo giorno di lezione con Teddy».
«Mi dispiace, non trovavo i miei orecchini a forma di cuore» disse Gretel.
«Non potevi cercarli dopo?» sbuffò Frank.
«Scherzi? Sono d’oro dei folletti! Se li avessi persi, mia mamma mi avrebbe uccisa!».
«Grande consolazione, visto che ci ucciderà Teddy».
«Entro io per prima» intervenne Roxi per mettere fine alla discussione. Aprì la porta e disse: «Buongiorno, professore. Scusi il ritardo».
L’occhiataccia che le rivolse Teddy, però, superò di gran lunga le loro aspettative. «Quindici minuti di ritardo» sibilò. «Complimenti! Fanno quindici punti in meno ciascuno. E vi conviene prendere posto velocemente».
Frank e Roxi si scambiarono uno sguardo rapido: Teddy aveva le occhiaie ed era molto nervoso.
«Non ripeterò quello che ho già spiegato» disse severo. E riprese a spiegare. Infine distribuì un porcospino ciascuno. «I vostri risultati li valuterò, così imparerete ad arrivare in ritardo».
Roxi lo fissò scioccata e con un enorme desiderio di prenderlo a pugni. Se aveva problemi, non doveva sfogarli su di loro!  Si morse il labbro per non replicare e si mise a lavoro, senza sapere realmente che cosa fare. Si voltò verso Frank, di solito era lui il migliore in quella materia.
«Ottimo, Gamal. Trenta punti a Grifondoro» esclamò poco dopo Teddy osservando la perfetta trasfigurazione di Afia.
Frank era in difficoltà, non solo perché si era perso gran parte della spiegazione ma anche perché si era si era lasciato prendere dal panico e non riusciva a concentrarsi.
«Allora, Paciock, Weasley, Finnigan, dimostrate che potete fare a meno della mia spiegazione» li redarguì avvicinandosi.
«Non l’abbiamo mai detto» sbottò Roxi. «Abbiamo fatto tardi».
«A meno che uno di voi non stesse male, il che non mi sembra, non esiste alcuna valida scusa per non arrivare in tempo a lezione» ribatté rigidamente Teddy. «Oppure avete una valida giustificazione?».
«È colpa mia» ammise Gretel. «Avevo perso una cosa».
«Pessima motivazione. Avresti potuto cercarla dopo le lezioni. E soprattutto i tuoi compagni non sarebbero dovuti rimanere con te. Adesso lavorate».
Frank tentò di immaginare il suo porcospino trasformarsi in un puntaspilli, ma il massimo che ottenne fu eliminare gli aculei. Poco prima che suonasse la campanella Teddy si avvicinò di nuovo a loro. «Ebbene? Questo è il massimo che siete riusciti a fare?».
Il porcospino di Gretel si era addormentato e quello di Roxi aveva assunto un colore rosaceo.
«Credo che vi siate meritati un’insufficienza tutti e tre» decretò.
Suonata la campanella, Frank uscì a testa bassa per evitare lo sguardo, sicuramente deluso, di Teddy.
«Frankie» lo fermò Gretel tirandolo per un braccio. «Perdonami».
«Non ce l’ho con te. Solo con me stesso. Andiamo? Non voglio arrivare in ritardo a Storia della Magia».
«Comunque Teddy si è comportato da stronzo» sbottò Roxi.
«Siamo noi in torto» replicò mesto Frank. «Ma avevi ragione prima: meno male che oggi è venerdì».

*

«Buongiorno a tutti» esordì il professor Williams scrutando i ragazzi del quarto anno. «Benvenuti a questo primo Torneo di Duello. Spero vivamente che ricordiate le regole che vi ho spiegato a lezione, perché vi assicuro che non mi farò scrupoli a squalificarvi in caso contrario. Vi invitò a comportarvi in maniera leale. Siete diciotto per cui nella prima fase si affronteranno nove coppie. Io valuterò il miglior combattente, che potrà riposare in modo che anche nella seconda fase sarete in numero pari. Emmanuel, viene a sorteggiare le coppie».
Emmanuel si avvicinò all’insegnante, sotto gli occhi attenti dei compagni.
«In questo calice ci sono i bigliettini con i vostri nomi. A te l’onore» aggiunse Williams, indicando il calice d’oro poggiato sul banco di legno.
Il Serpeverde era eccitato come tutti gli altri: quella non sarebbe stata un’esercitazione, ma un duello vero e proprio. E non vedeva l’ora. Inserì la mano nel calice e tirò fuori il primo bigliettino. Continuò così finché le nove coppie non furono tutte stabilite. Williams man mano aveva segnato tutti i nomi su un ampio foglio di pergamena.

Casella di testo: Jacob Lynch – Halley Hans
Lucy Weasley – Zacharias Lewis
Alcyone Granbell - Alexander Parker
Amy Mitchell – Roxanne Weasley
Lorein Calliance – Scott Bobbin
Saturno Pratzel – Urano Pratzel
Charles Calliance – Fabian Weasley
Edgar Calliance – Arianna Greengrass
Emmanuel Shafiq – Iris Tyler




 
 
 «Molto bene, Emmanuel, grazie. Si affronteranno quattro coppie alla volta. Gli arbitri saremo io, Gabriel Corner, Gabriel Fawley e Jack Fletcher. Vincerà chi riuscirà a disarmare l’avversario; inoltre chi esce della pedana di duello è automaticamente sconfitto. Il miglior duellante, che potrà riposare, lo sceglierò insieme ai vostri compagni. Tutto chiaro?».
I ragazzi assentirono sempre più eccitati e desiderosi di iniziare. Roxi gettò un’occhiata veloce a Frank, seduto in uno dei banchi in fondo. Aveva portato con sé il libro di Trasfigurazione per studiare, ma non aveva mancato di andare a fare il tifo per lei. Si sorrisero e poi si avvicinò a una delle pedane, sui cui era già salita la sua sfidante.
«Preparatevi» disse solennemente Corner, che a quanto pare avrebbe arbitrato il loro incontro.
Roxi fronteggio Amy Mitchell con determinazione.
«Inchinatevi» disse Corner.
Entrambe le ragazze eseguirono, senza, però, staccare gli occhi l’una dall’altra. Amy era arrivata a Hogwarts l’anno precedente e aveva subito fatto amicizia con Roxi, nonostante appartenessero alle due Case rivali per eccellenza. Un punto, però, le divideva: Frank. Infatti quest’ultimo era il cugino di Amy, che, anche se non l’avrebbe mai ammesso, era gelosa della sua amicizia con Roxi.
«Bacchette in posizione» continuò Corner. «Al mio tre. Uno… due…». Roxi strinse forte la bacchetta. «Tre!».
«Rictusempra!» gridò la Serpeverde.
«Protego!» si difese contemporaneamente Roxi. «Aguamenti» aggiunse subito dopo, inzuppando la Serpeverde dalla testa ai piedi.
«Idiota, non era necessario» si lamentò Amy. «Aqua eructo».
Roxi fu presa in contropiede dalla forza dell’incantesimo e scivolò fuori dalla pedana, sentendosi infinitamente stupida.
«La vincitrice è Amy Mitchell» decretò Corner.
«Chi di acqua ferisce, di acqua perisce» ridacchiò Amy, mentre Roxi si rimetteva in piedi. La fissò con sguardo cupo, ma non ribatté: si era fatta sconfiggere in modo stupidissimo.
Si guardò intorno e vide che anche Lynch e Hans avevano finito, e dalla faccia di quest’ultimo comprese chi dei due fosse il vincitore. A loro posto stavano già duellando Edgar Calliance e Arianna Greengrass.
«Forza, liberate la pedana per Shafiq e Tyler» le esortò Corner.
Roxi sbuffò e non si prese la briga di fargli notare che lei era già fuori dalla pedana.
Emmanuel prese il suo posto e fissò lievemente preoccupato la sua avversaria. Inizialmente si pose sulla difensiva, perché era pur sempre una ragazza e non voleva esagerare. Questa scelta gli permise di studiare le sue mosse e rendersi conto che non era molto brava.
«Glisseo» disse semplicemente, dopo aver parato l’ennesimo schiantesimo. La pedana dal lato della Corvonero si trasformò in uno scivolo e la ragazza finì a terra, tra le risatine degli studenti che avevano deciso di assistere al Torneo.
«Il vincitore è Emmanuel Shafiq» disse Corner, palesemente dispiaciuto per il fatto che la sua compagna di Casa non fosse stata in grado di imporsi.
Appena tutti i duelli terminarono, il professor Williams chiamò gli altri tre arbitri in disparte per decidere chi avesse duellato meglio.
«Molto bene» esordì infine Williams. «Il migliore fino a ora è stato sicuramente Zacharias Lewis. Ora sorteggeremo le coppie che si sfideranno nella seconda fase».
Roxi fissò la pergamena corretta, un po’ imbronciata.
«Dai, non è la fine del mondo» le sussurrò Frank.
«No, ma tua cugina me lo rinfaccerà in eterno» sbuffò lei in risposta.
Sicuramente molto più soddisfatto era Emmanuel, che tentava invano di concentrarsi per il duello successivo. Era troppo eccitato!

Casella di testo: Halley Hans – Emmanuel Shafiq
Amy Mitchell – Arianna Greengrass
Alexander Parker – Urano Pratzel
Scott Bobbin – Fabiana Weasley
 
 
 
 
 
Roxi decise di tifare per la cugina, mentre Frank tifò per Amy.
Emmanuel rimase deluso da quel secondo duello: Hans era stato un avversario più agguerrito della Tyler, ma comunque era riuscito a fregarlo facilmente. I suoi compagni di Casa lo acclamavano felici. Si sedette e osservò gli altri duelli, tifando silenziosamente per Fabi. Alla fine del duello, però, non riuscì a trattenersi e abbracciò felice l’amica.
«Abbiamo passato entrambi la seconda fase! Evviva!».
Anche Fabiana era molto felice, essendo riuscita a dimostrare che, a differenza di quanto credevano Roxi e Lucy, dare troppa attenzione alla teoria non rendeva necessariamente inabili a combattere un duello vero e proprio. Anzi, proprio la sua maggiore conoscenza degli incantesimi le aveva permesso di sconfiggere Calliance durante la prima fase.
L’ultimo duello a concludersi fu quello di Amy e Arianna Greengrass. Fu quest’ultima a vincere, con grande rabbia della prima.
«Siete state molto brave!» le elogiò Williams, che, conoscendo il loro carattere focoso, aveva deciso di arbitrare personalmente il duello. «Dieci punti a Serpeverde ciascuno». In gara erano ormai rimasti solo cinque ragazzi: Emmanuel, Fabiana, Arianna Greengrass, Alexander Parker e Zacharias Lewis. «Direi che è il caso di andare tutti a pranzare. Riprenderemo alle due con la terza fase. Questa volta riposerà Arianna. Prima di andare, però, sorteggeremo le coppie».
Casella di testo: Fabiana Weasley – Zacharias Lewis
Emmanuel Shafiq – Alexander Parker
 
 
Alle due meno cinque Emmanuel raggiunse la Sala Duelli. Non aveva mangiato troppo, ritenendo che non sarebbe stata una buona idea visto che avrebbe dovuto duellare. Voleva e poteva farcela contro Parker; ma il duello successivo sarebbe stato sicuramente più difficile. Naturalmente anche in questo caso tifava per Fabiana, ma aveva paura che avrebbero dovuto scontrarsi e non l’avrebbe sopportato.
Gli spettatori erano notevolmente aumentati, soprattutto quelli verde-argento. A pranzo, infatti, i Serpeverde avevano scoperto che i loro compagni si erano fatti valere. I più divertiti ed entusiasti erano sicuramente i ragazzi dal primo al terzo anno, che, non avendo l’età per partecipare, non potevano far altro che assistere.
Come aveva previsto, Emmanuel non ebbe difficoltà a sconfiggere Alexander Parker, perfetta immagine del Grifondoro borioso.
Il duello tra Fabiana e Zacharias fu, invece, molto emozionante e tenne la Sala con il fiato sospeso a lungo. Alla fine, con gran dispiacere di Emmanuel, il Corvonero disarmò la compagna di Casa.
«Ottimo, ragazzi. Siete stati molto bravi» esclamò Williams, mentre i due ragazzi si stringevano la mano. Anzi non solo, Lewis abbracciò Fabiana! Emmanuel avrebbe voluto schiantarlo. Cos’era tutta quella confidenza?!  I due Corvonero ottennero ben quindici punti ciascuno. «I finalisti, quindi, sono Zacharias Lewis, Arianna Greengrass ed Emmanuel Shafiq». I Serpeverde festeggiarono rumorosamente, ma Williams non li richiamò. «Adesso duelleranno uno contro l’altro. Chi vince due volte sarà il vincitore. I primi ad affrontarsi saranno Arianna ed Emmanuel».
Il ragazzo prese posto sulla pedana e sorrise all’amica, che ricambiò. Avrebbero giocato pulito e avrebbero dato il meglio di loro. In questo caso non aveva alcuna paura di esagerare con Arianna: lei lo avrebbe fatto sicuramente.
«Stupeficium!» esordì infatti la ragazzina.
«Protego! Petrificus Totalus!».
«Protego! Everte statim!».
Duellarono alla pari per quello che a Emmanuel parve un’eternità, stava lentamente perdendo la concentrazione.
«Senza rancore, Emma» disse a un certo punto Arianna. «Chiudiamola qui. Serpensotia!».
Il pubblico trattenne il fiato, mentre un serpente spuntava dalla bacchetta della Serpeverde. Emmanuel dapprima rimase senza parole, poi la rabbia s’impadronì di lui. Alla faccia dell’amica! Sapeva benissimo che era ofidiofobico! Fissò il serpente, che si avvicinava, con rabbia. Non voleva dargliela vinta così. Se avesse posto la sua attenzione su Arianna il serpente l’avrebbe raggiunto; in caso contrario, si vergognava anche solo a pensarlo, avrebbe dovuto, e voluto, scappare e avrebbe perso. Decise in fretta.
«Stupeficium!».
Arianna colta di sorpresa fu scaraventata con violenza fuori dalla pedana. Aveva scelto di superare la sua paura, la quale stava per assaggiargli una caviglia. Fortunatamente Williams la fece sparire.
«Emma, va tutto bene?» gli sussurrò Fabiana.
«No! L’ha fatto di proposito! È stata sleale! Ora tutta la Scuola saprà che un Serpeverde ha paura dei serpenti!» disse Emmanuel fuori di sé dalla rabbia.
«Emmanuel, dovresti combattere tu con Zac. Arianna ha bisogno di un attimo di pausa» lo chiamò Williams.
Il ragazzo strinse i denti, non del tutto sicuro che quella di Arianna non fosse semplicemente una tattica. Comunque la rabbia aveva prevalso sulla concentrazione e sul suo buon senso. Il Corvonero vinse facilmente. Dall’occhiata che Williams gli lanciò, comprese che all’insegnante non era sfuggito il suo stato d’animo.
«Molto bene. Ultimo duello. Zac contro Arianna».
Il duello fu abbastanza breve. A quanto pare Arianna era nervosa per quello che era accaduto prima e compì alcuni errori grossolani, regalando la vittoria al Corvonero.
Gli spettatori verde-argento furono molto delusi per la sconfitta dei loro compagni. Emmanuel sapeva che gliel’avrebbero fatta pesare a lungo.
«Molto bene. Grazie a tutti per aver partecipato e per il vostro impegno» esordì Williams. «Il vincitore è Zac, che conquista i cinquanta punti promessi e l’ammissione al duello finale in cui si scontrerà con i vincitori delle altre classi. Emmanuel, in quanto secondo classificato, ha anche diritto a partecipare. Lunedì pomeriggio si svolgerà il Torneo del quinto anno, se siete interessati ad assistere. Vi auguro un buon sabato pomeriggio».
Emmanuel era molto seccato, strinse la mano a Zac per congratularsi con lui, ma poi si lasciò condurre via da Fabiana. Pensandoci doveva recarsi al campo da Quidditch dove si stavano svolgendo le selezioni per la squadra della sua Casa.

*

Scorpius finì di stringere la protezione sul gomito sinistro e si avviò fuori dagli spogliatoi. In campo lo aspettava il resto della squadra di Serpeverde e coloro che aspiravano a entrarvi. Doveva scegliere tre cacciatori, visto che quelli dell’anno precedente si erano diplomati.
Sugli spalti vide la professoressa Shafiq. Figuriamoci se sarebbe mancata. La presenza della donna e la sua ingerenza, non qualificata e non richiesta negli affari della squadra della sua Casa, avevano portato Katie Baston, l’ex- Capitano, sull’orlo di una crisi nervosa. Per quanto lo riguardava Scorpius non gliel’avrebbe permesso. Era intenzionato a riportare Serpeverde alla vittoria e non sarebbe stata quella vecchiaccia acida a fermarlo. Senza contare che non poteva rischiare di perdere la prima partita contro Rose. In quel caso forse avrebbe fatto meglio a emigrare in qualche paese sperduto.
«Ciao!» iniziò fissando in modo critico i candidati. Erano poco meno di una trentina. I membri della squadra lo avevano raggiunto e affiancato: Augustus Roockwood, battitore, era insopportabile e se avesse potuto l’avrebbe sbattuto fuori senza troppi scrupoli; Annie Ferons, portiere, l’avrebbe sicuramente fermato se avesse tentato di affatturare qualcuno. Mancava solo Emmanuel Shafiq, l’altro battitore, che in quel momento stava partecipando al Torneo di Duello del suo anno.
«Bene, iniziamo o no?» disse Roockwood.
Scorpius lo fulminò con lo sguardo. Non poteva schiantarlo perché la Shafiq gli avrebbe strappato la spilla dal petto.
«Sì, fatemi vedere come volate» disse autoritario indicando il cielo.
Tutto sommato non volavano male, ma così era anche semplice: stavano passeggiando nell’aria.
«Roockwood, prendi un po’ la mazza. Vediamo un po’ se sanno schivare i bolidi. Annie liberane uno».
«Così mi piaci Malfoy» commentò Roockwood sollevandosi in aria.
L’arrivo improvviso del bolide fece urlare parecchi per la paura, altri imprecarono e maledirono Scorpius.
«E se si fanno male?» chiese incerta Annie.
«Li porteremo in infermieria» rispose asciutto. «Ne vedo alcuni veloci e con ottimi riflessi. Tu che ne dici?».
«Hai ragione. Ma quello lì secondo te di che anno è?» replicò ella indicando un ragazzino.
«Primo.  E non è l’unico».
«Te ne sei accorto?! E perché mai non li hai cacciati prima?».
«La Shafiq è mezza cieca. Insomma vecchia com’è non può distinguere perfettamente i volti di tutti i presenti dagli spalti e quei ragazzini avevano bisogno di una lezione». Attese ancora dieci minuti prima di far segno ai candidati di scendere. «Spero che abbiate capito che fare il Cacciatore non è semplice» iniziò. «In questa squadra saranno ammessi solo i migliori, perché aspiriamo a vincere. Inoltre, benché facciate finta di non saperlo, i bambini del primo anno non sono ammessi, quindi sparite prima che la Shafiq se ne accorga!».
«Bambino sarai tu!» reagì uno di loro.
Scorpius si avvicinò a grandi falcate e con il suo miglior sguardo minaccioso. E di certo la sua altezza, notevolmente aumentata durante l’estate, andava senz’altro a suo favore. «Obbedisci! O chiamo la professoressa» sibilò.
Il ragazzino s’intimidì e, con un cenno ai suoi degni compari, si avviò imbronciato verso l’uscita dello stadio.
«Bene. Torniamo a noi. Andersen, Granbell, Orion, Goyle, Mcnair, Collins, Roockwood, Warrington, Belby, siete fuori. Un cacciatore deve schivare, non farsi inseguire dai bolidi urlando in cerca di aiuto». Gli esclusi protestarono e Scorpius si sgolò per farli tacere. «Adesso, vediamo chi segna più goals al nostro portiere. Annie, tocca a te».
La ragazza raggiunse gli anelli e Scorpius, dopo essersi messo d’accordo con Roockwood per tenere lontani gli eliminati, si alzò in volo per assistere più da vicino. Alcuni non presero neanche un anello e li cacciò all’istante.
Terminata questa parte della selezione, Scorpius ridiscese e si confrontò con Annie e Roockwood. «Adesso faremo una specie di partitella. Voglio vedere come ve la cavate tra voi. I sei cacciatori selezionati sono Amy Mitchell, Lucy Weasley, Alex Dolohov, Selene Shafiq, Mark Parkinson e Mike Zender».
«Eccomi» disse Emmanuel correndo in campo e richiamando l’attenzione su di lui.
«Ehilà, com’è finito il Torneo?» chiese Scorpius.
«Secondo» replicò conciso Emmanuel. «Che cosa posso fare?».
«Il battitore, no?» replicò Scorpius.
Emmanuel non fece commenti e si sollevò in volo.
«Tu, stai con Alex, Selene e Mike. Roockwood con gli altri tre» ordinò Scorpius e poi raggiunse gli anelli opposti a quelli protetti da Annie. Giocarono così per una decina di minuti, in seguito scambiò i posti degli aspiranti cacciatori per valutare le varie combinazioni.
«Basta Scorpius, il sole sta tramontando e siamo stanchi!» lo chiamò Annie.
«Ok, ok». Lui, però, si stava divertendo un mondo. Pazienza.
«Zender è una piaga» disse subito Annie quando si riunirono. «Non ha fatto altro che criticare tutti per ogni cosa! Perché non l’hai zittito?».
«Perché devo vedere le persone come sono realmente per quello che è possibile. Se l’avessi rimproverato probabilmente lui avrebbe mostrato un volto più amabile. Siamo Serpeverde, Annie, non Tassorosso a ogni costo».
«Malfoy, mi meravigli sempre di più» ghignò Roockwood.
«E tu mi stai sulle pluffe» replicò con vocetta falsamente dolce Scorpius.
Discussero per almeno cinque minuti prima di prendere una decisione definitiva.
«Allora signori,» disse Scorpius attirando l’attenzione dei presenti. La Shafiq era già al suo fianco. Avrebbe dovuto cercare un modo per togliersela dai piedi in futuro. «abbiamo scelto. I tre cacciatori sono: Lucy Weasley, Mark Parkinson e Amy Mitchell. Lei è d’accordo, professoressa?».
«Ho i miei dubbi su Mitchell e Weasley, Malfoy. In realtà se fosse stato per me, non saresti tu il Capitano. Forse dovresti riprendere in considerare mia nipote Selene e Zender».
Scorpius dovette mordersi la lingua pur di non risponderle male e rivolse un’occhiata supplichevole a Emmanuel e Annie.
Il primo, però, non aveva la minima intenzione di far ragionare la prozia e teneva gli occhi fissi a terra.
La ragazza, invece, decise di intervenire: «Professoressa, non crede che magari il privilegio di far parte della squadra possa spronarle a migliorare e a impegnarsi di più nello studio?».
«Potrebbe» disse la donna stringendo le labbra.
«Quindi darà loro un’opportunità?» non demorse Annie.
«E sia, ma non dovranno avere nemmeno un’insufficienza o non giocheranno contro Grifondoro» sentenziò la professoressa. «E lo stesso vale per tutti voi. Mi aspetto che quest’anno Serpeverde vinca la Coppa delle Case, ma soprattutto che i miei allievi siano i migliori della Scuola! Buona serata!».
Scorpius sentì a malapena in sottofondo le imprecazioni dei compagni. «Stronza» sibilò infine.
«Scorp, che si fa?» lo riscosse Annie.
«Allenamento lunedì sera alle sei. Ho già prenotato il campo. Vedete di studiare» replicò, avviandosi verso il castello.
«Non ti cambi?» lo richiamò l’amica.
«Devo scrivere a Katie Baston» quasi ringhiò Scorpius.

*

«Non  posso credere che domani sia lunedì» si lamentò Gretel.
«Ed è passata solo una settimana!» soggiunse Roxi.
«Mi passi il budino al cioccolato?» le chiese Frank.
Roxi glielo porse, osservandolo con attenzione. «Saresti dovuto venire nel parco con noi. Avresti una cera migliore».
«Dovevo ripetere delle cose per domani».
«Perché non hai partecipato al Torneo di Scacchi?» gli domandò Gretel.
«Perché io faccio già parte della squadra olimpica. E per questo devo studiare anche cose extra di Storia della Magia».
«Hai detto a tuo padre di quello che è successo con Teddy?».
«Roxi, mio padre sa tutto quello che avviene qui dentro. Non posso non raccontargli le cose» replicò stancamente.
«Sì, ma Lupin è stato stronzo» borbottò irritata Gretel.
«Che ti ha detto?» domandò, invece, Roxi.
Frank fece spallucce. «Di stare più attento. Chi ha vinto a scacchi?».
«Hanno giocato solo i ragazzi dal primo al quarto anno. So che Louis è il vincitore del secondo anno, Hugo del terzo. Me l’hanno detto loro, poco prima che arrivassi. Sono felicissimi. Guarda Hugo» rispose Roxi indicando il ragazzo che chiacchierava allegramente con i suoi compagni. «Del nostro anno Arianna Greengrass. Louis mi ha detto che per il primo anno hanno vinto una Corvonero e un Serpeverde».
«Alcuni Corvonero hanno chiesto a Mcmillan di fondare un Club degli Scacchi. Che noia…» aggiunse Gretel.
«A me piacerebbe» commentò Frank. «Mcmillan che ha risposto?».
«Che chiederà il parere degli altri prof e della Preside» rispose Roxi. «In effetti sarebbe bello fare anche altre attività. È ingiusto che non possa disegnare in pace in questo posto».
«Certo che non fate altro che lamentarvi. Siete tutti dei viziati».
I tre fissarono Afia Gamal che ricambiò con espressione superba.
«Prego?» chiese Roxi con una punta di minaccia nella voce.
«Siete viziati» ripeté Afia con ovvietà. «Guardate» continuò indicando il tavolo imbandito. «Tutto questo cibo sprecato! E vi ho sentito lamentarvi se non avete trovato ciò che vi piace di più! Voi non sapete che cos’è la povertà, cos’è la sofferenza. Ci avete accolti nella vostra Scuola mettendo in mostra tutta la vostra ricchezza e ci fate l’elemosina. Ma non siete un granché».
«Ma come ti permetti!? Sei un’ingrata!» sbottò Gretel. «Ma che cavolo vuoi? Ti è stato concesso di avere tutto quello che non avresti potuto avere nel tuo paese!».
«Non mi mancava nulla» ringhiò Afia.
«Idiozie! Ti mancava tutto!».
«Chi credi di essere?».
«Smettetela, state attirando l’attenzione di tutti» le richiamò Frank preoccupato dai toni che si stavano alzando.
«Giusto, a voi interessano di più le apparenze» sibilò Afia.
«Non ha detto questo!» ribatté Roxi. «E comunque non siamo viziati come pensi. Ognuno ha i suoi problemi» aggiunse in tono conciliante.
«Problemi da smidollati» la provocò Afia.
«Sarò anche viziata, ma non smidollata» sbottò Roxi.
Afia sbuffò divertita. «Dimostramelo».
«Quando vuoi».
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Sono tornata! Chiedo scusa per l’attesa lunga, ma proprio non sono riuscita a terminare prima questo capitolo, che in compenso è lunghetto.
Spero che la lettura sia di vostro gradimento ;-)
Come vedete i ragazzi sono pienamente immersi nella vita di tutti i giorni, ma la realtà esterna non viene dimenticata. Che ne di te della questione che Virginia ha sollevato con Dexter? Che ne pensate di Bulstrode? Brian sicuramente n’è rimasto sorpreso, come tutti i suoi compagni. Insomma ditemi un po’ voi cosa ne pensate ;-)
La descrizione dell’ippogrifo naturalmente viene un po’ da Animali fantastici e un po’ da Il prigioniero di Azkaban.
Ringrazio chi si è preso la briga di recensire (spero vivamente di sentire ancora il vostro parere ;-)), ma anche chi legge silenziosamente.

P.S. Vi chiedo scusa, ma nelle parti dove sono inseriti i nomi dei partecipanti al Torneo l'html mi ha dato qualche problema.

A presto,
Carme93

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Capitolo 13
*** Il vaso di Pandora ***


Capitolo tredicesimo
 
Il vaso di Pandora
 
Rose era soddisfatta di aver superato la prima fase del Torneo senza la minima difficoltà. Avrebbe mentito se avesse detto che le dispiaceva di aver umiliato Fulton Collins davanti a tutti. Adesso era proprio curiosa di sapere con chi si sarebbe dovuta sfidare. Non stava proprio nella pelle. Albus, naturalmente, non si era neanche presentato. Visto che avevano litigato e lei era troppo orgogliosa per fare il primo passo, non sapeva bene quale fosse la sua scusa e non aveva neanche provato a convincerlo. Ma era terribilmente curiosa di conoscere i piani del cugino. Erano sempre stati molto uniti ed essere tagliata fuori dalla sua vita, per quanto fosse stata primariamente una sua scelta, le faceva male.
«Scorp». Decise di approfittarne e bloccò il Serpeverde che aveva appena finito di duellare con Agnes Ant di Corvonero.
«Ehi, Rosie. Sei stata grande con Collins. L’hai umiliato ben bene».
«Ne avevi dubbi? Tu piuttosto hai impiegato un po’ troppo tempo con la Ant. Non ti sarai rammollito?».
«Spera solo che non dovremmo scontrarci» ghignò Scorpius.
«Senti, Scorp», iniziò Rose con circospezione, «per caso sai perché quel testone di Al non si è presentato?».
Il Serpeverde sospirò. Dal momento in cui aveva saputo del loro litigio, si era rifiutato di schierarsi. Senza contare che pensava che entrambi avessero la loro parte di torto e di ragione, per cui la cosa più saggia sarebbe stata far pace. Invece i Grifondoro erano sempre troppo testardi. «Ti aspettavi davvero di vederlo qui? Sai benissimo che non sopporta i duelli. Quest’estate è stata un tormento per lui».
«Sì, beh… che fa?» chiese infine Rose.
«Allora ti manca! Lo vuoi ammettere almeno per una volta?».
Rose gli tirò un pugno sulla spalla, lasciandolo senza fiato per un momento. «Se non fossi mia amica, toglierei una valanga di punti a Grifondoro» bofonchiò irritato, massaggiandosi la parte lesa.
«Al, non mi manca! Sto meglio senza di lui! Che me ne faccio di un rompipluffe che mi dice in continuazione come mi devo o non mi devo comportare?!»
«Certo, come vuoi tu Rose. Comunque Paciock ha scelto Albus per le gare di Erbologia, per cui tuo cugino sta studiando del materiale in più».
«Il solito secchione» commentò Rose, facendo alzare gli occhi al cielo a Scorpius.
«Intanto lui parteciperà sicuramente» disse dopo un po’ il Serpeverde.
Rose si voltò verso di lui. «Tu ci tieni a essere scelto?».
«Sì e anche tu. Inutile che lo nascondi. Tutte le persone normali di questa Scuola vorrebbero essere scelte. E dai, chi farà parte della squadra avrà la possibilità di conoscere un sacco di posti e persone nuove!».
«Già sarebbe bello. Infatti voglio vincere a ogni costo».
«Allora avviciniamoci e vediamo chi dovremmo affrontare nella seconda fase» la esortò Scorpius, indicando la pergamena appena corretta da Williams.

Casella di testo: Meredith Ashton – Annabelle Dawlish
Virginia Wilson – Kumar Raj
Carole Parker – Dexter Fortebraccio
Edward Zabini – Alexandra Dolohov
Artemisia Belby – Scorpius Malfoy
Elphias Doge – Rose Weasley
 
 
 
 
 
 
«Adesso sì, che mi divertirò» commentò Rose. «A te è capitata un’avversaria facile».
«Mica tanto, i Corvonero sono più pericolosi di quanto sembrino a prima vista» replicò Scorpius.
Il livello non era molto alto e i primi duelli si risolsero abbastanza velocemente.
Scorpius non poteva fare a meno di pensare quanto per certi aspetti Meredith Ashton assomigliasse a Rose. Naturalmente avrebbe espresso a voce alta un simile pensiero solo se avesse voluto suicidarsi. La sua compagna di Casa aveva messo fuori gioco la Dawlish in pochissime mosse. E anche con una certa cattiveria.
Virginia si dovette impegnare per avere la meglio su Kumar, ragazzo calmo e riflessivo, difficilmente prevedibile. Si asciugò il sudore dalla fronte, lasciandosi cadere su una panca di legno. Non era sicura del perché avesse scelto di partecipare a quel Torneo. Si era già annoiata dopo due duelli, non era un’attività che faceva per lei. Eppure il dettame materno di essere la migliore in tutto era difficile da dimenticare. E su una cosa era certa: se non fosse stata ammessa nella squadra olimpica, sua mamma non l’avrebbe perdonata facilmente.
«Ehi, Wilson» la chiamò una delle gemelle Danielson.
Virginia sbuffò: erano le ultime persone con cui aveva voglia di parlare in quel momento. «Che c’è?».
«Hai parlato con Williams del ronzino?».
«Shhh» saltò su all’istante e per poco non tappò la bocca della pettegola con la mano. Gettò un’occhiata all’insegnante, ma questi stava arbitrando l’incontro tra Carole e Dexter, per cui aveva ben altro da pensare che alle loro chiacchiere. «Sì, gli ho parlato. Ve l’avevo detto che l’avrei fatto, no?».
«Sì, ma avevi detto anche che ci avresti tenute informate. E non l’hai fatto» notò un’altra gemella.
In realtà non l’aveva detto. «Non c’è molto da dire. Il professore ha detto che noi non abbiamo nessun diritto di mettere in dubbio le decisioni della Preside».
Le gemelle iniziarono a lamentarsi e a spostarsi da una parte all’altra della Sala per informare tutta la Scuola alla velocità della luce.
La verità è che Williams le aveva fatto una vera e propria ramanzina quando era andata da lui, per cui avrebbe preferito non toccare più l’argomento.
«Vittoria!» urlò Dexter facendola saltare. Nel frattempo si erano avvicinati anche Martha, Jonathan, Kumar e Eva Lestrange.
«Sono distrutta» commentò Virginia. «Non è giusto farci duellare dopo le lezioni».
«I tempi sono stretti» replicò Dexter.
«Guardate la Weasley e Doge come duellano» attirò la loro attenzione Kumar.
Erano rimasti l’unica coppia che ancora duellava.
Rose fin da quando aveva visto il nome dell’amico, era stata consapevole che sarebbe stata dura spuntarla, ma come aveva detto Scorpius, era un’occasione imperdibile. E lei non l’avrebbe persa.
«Frastunom» gridò cogliendo tutti di sorpresa. I presenti e lo stesso Elphias furono costretti a tapparsi l’orecchio per il rumore assordante. Rose ne approfittò per schiantarlo e buttarlo fuori dalla pedana. «Che faticaccia» sospirò, mentre Scorpius si complimentava con lei per il fantastico duello.
«Speriamo che il mio prossimo avversario sia altrettanto bravo! Avevi ragione la Belby non era chissà cosa» commentò eccitato il Serpeverde.

Casella di testo: Dexter Fortebraccio – Meredith Ashton
Scorpius Malfoy – Alexandra Dolohov
Virginia Wilson – Rose Weasley
Vista l’ora Williams non si fece attendere e formò velocemente le coppie che si sarebbe dovute
affrontare nella terza fase.
 
 
 
 
«Ora sì, che si ragiona» disse felice Rose.
A Scorpius non piacque il suo entusiasmo e sperò che Williams decidesse di arbitrare personalmente il duello delle due ragazze.
«Che vinca il migliore» disse stringendo la mano ad Alex con un enorme sorriso.
«Buona fortuna, Scorp».
Il loro duello fu abbastanza tranquillo, da buoni Serpeverde puntavano le loro strategie sulla furbizia, ma rendendosi conto di non andare da nessuna parte in quel modo, il ragazzo decise di attaccare con forza e rapidità. Il cambio improvviso di tattica prese di sorpresa Alex.
«Maledizione, me l’hai fatta!» sbuffò la ragazza, mentre Scorpius le porgeva la bacchetta con un ghigno divertito stampato in volto. «Mi devi la rivincita».
«Quando vuoi» concesse il ragazzo.
«Gli altri?» chiese Alex guardandosi intorno. Il duello tra Dexter e Meredith si era già concluso.
«Dallo sguardo superbo di Meredith, direi che ha vinto lei» replicò Scorpius, stravaccandosi sulla panca. «Non hai qualcosa che posso mettere sotto la testa?». Alex gli tirò il suo mantello. «Grazie mille. Rose come se la sta cavando?».
«Mmm mi sembra che la tecnica di Virginia la stia mettendo in difficoltà» commentò Alex.
Scorpius aprì un occhio e lo puntò sulle due ragazze.
Fu uno dei duelli più lunghi, ma alla fine un’esausta Rose ebbe la meglio.
«Qualcuno mi dovrà portare in braccio in camera» sospirò buttandosi accanto a Scorpius.
«Non guardare me» replicò il Serpeverde. «Io stavo per chiederlo ad Alex».
«Te lo puoi scordare» ribatté subito Alex.
«Bene, siamo arrivati alla fase finale. Sono rimasti in gara Scorpius, Rose e Meredith. Direi che possono cominciare Scorpius e Meredith».
Scorpius rimase sconvolto dalla forza e dall’abilità della Serpeverde. In quella prima settimana di Scuola aveva avuto difficoltà a comprendere il suo carattere: in classe sembrava una secchiona ma anche un’esibizionista e una lecchina; fuori dalla classe mostrava tutta la sua superbia, ma anche una gran voglia di divertirsi e di trasgredire le regole. Dopo quel duello avrebbe dovuto aggiungere un altro elemento a quel frastagliato profilo: un’incredibile energia magica, ma soprattutto una certa bravura nel duellare. Lei era abituata a farlo, non come loro che, alla fin fine, lo stavano facendo per la prima volta.
«Dove cavolo hai imparato?» chiese tenendosi il petto. Quello schiantesimo era stato fortissimo.
«Ho avuto un insegnante di duello. Mi è sempre piaciuto duellare e mia madre mi ha assecondato».
«Non è il genere di cose che una madre Purosangue ritiene giusto insegnare alla figlia da queste parti» borbottò Scorpius sempre più stupito.
«Ma mia madre ritiene che le donne devono saper dominare e superare gli uomini in tutti i campi» replicò tranquillamente Meredith. «Ora scusami, ma la tua amica aspetta ansiosamente di essere sconfitta».
«Scorpius, ho bisogno di parlarti» lo chiamò Elphias Doge. In verità Scorpius avrebbe voluto rintanarsi nella sua stanza, ma annuì. «Al è troppo buono per dirtelo, ma il tuo mostriciattolo non fa che rosicchiarci i calzini e stamattina ha osato anche bucare le mie scarpe migliori».
«Lo educherò meglio» provò Scorpius.
«Non me ne frega niente!» sbottò Elphias. «Tu domani ti riprenderai il mostriciattolo e mi risarcirai anche le scarpe!».
«Ok, ok» sospirò Scorpius. «Quanto ti devo?».
«Venti galeoni».
«Non ho tutti questi soldi a Hogwarts. Dovrai aspettare qualche giorno». Suo padre l’avrebbe ucciso. Sicuro. Ma forse avrebbe potuto chiederli direttamente alla madre.
«Bene» assentì il Grifondoro, prima di accomodarsi per assistere al duello tra le due ragazze.
Scorpius non ci mise molto a capire come sarebbe finito lo scontro: Rose si faceva trascinare dalle emozioni come sempre e così si scopriva troppo. Quando venne schiantata e volò fuori dalla pedana, corse da lei. Stavolta Meredith era andata ancora più pesante, ma visto che le due ragazze non si sopportavano nessuno se ne sorprese.
«Rosie» chiamò preoccupato. Aveva addirittura perso i sensi.
Il professor Williams si avvicinò e la controllò velocemente. Dopo aver verificato che fosse tutto nella norma, la fece rinvenire. «Come ti senti?».
«Come se un erumpet mi avesse schiacciato» borbottò la ragazza.
Scorpius, sentendola fare sarcasmo, tirò un sospiro di sollievo.
«In teoria tu e Scorpius dovreste scontrarvi, te la senti?».
«Non possiamo rimandare a domani? Sarebbe più corretto» propose Scorpius.
«No! Ce la faccio» disse Rose testardamente e si alzò.
Scorpius sapeva che era inutile insistere e, poco felice, prese posto sulla pedana. Entrambi erano provati dal duello con Meredith e se in un primo momento aveva temuto di vincere troppo facilmente con l’amica, si dovette ricredere. Lo schiantesimo gli aveva fatto più male di quanto avesse creduto, dopo pochi minuti aveva già il fiato mozzo. Naturalmente anche Rose era in difficoltà. Il dolore al petto lo rallentò parecchio e non evitò l’ennesimo incantesimo. Si ritrovò pietrificato a terra e si lasciò disarmare, senza neanche pensare a una possibile difesa.
Aveva perso la sua occasione di partire probabilmente. Non riuscì a sorridere quando Williams assegnò cinquanta punti a Serpeverde per la vittoria di Meredith.

*

«È un vero peccato che noi non possiamo partecipare ai Tornei di duello» si lamentò Drew Jordan.
«Hai sentito mio cugino Fred, ieri sera quelli del quinto anno sono stati fantastici!» commentò Louis.
«Già! Tua cugina e Scorpius Malfoy sono finiti persino in infermieria» aggiunse Drew.
«Io non ci trovo nulla di divertente» borbottò Brian.
«Perché a te non piace Difesa» ribatté Drew.
«Guarda, guarda chi c’è qui. Dei piccoli secchioni» disse una voce fin troppo nota.
«Oh, no Zender. Ma non credi di renderti noioso?» chiese Drew.
«No» disse il Serpeverde acciuffandolo per un braccio.
Drew gli pestò un piede facendolo urlare. «Corriamo» incitò poi i due compagni.
Brian e Louis non se lo fecero ripetere. Corsero a perdifiato lunghi i corridoi, urtando gli altri ragazzi. Loro non vi prestarono attenzione.
«Lì dentro» disse Drew, tirandoli per la tunica.
«Alohomora» pronunciò Louis. La serratura scattò e i ragazzi si nascosero dentro la stanza. Si appoggiarono alla porta con il cuore in gola sia per lo spavento sia per la corsa.
«Comunque se era chiusa a chiave, non saremmo dovuti entrare» mormorò Brian, una volta ripreso fiato. Il cuore cominciava a battere normalmente.
«Avresti preferito prenderle da Zender e Andersen?» ribatté Drew.
«In questo caso siamo in torto anche noi, però».
«Non credo sia un problema. In fondo ci stiamo solo nascondendo» intervenne Louis. «Piuttosto che posto è?».
«Sicuramente non è un’aula» replicò Drew guardandosi intorno.
Era uno spazio circolare molto piccolo a causa dei molti oggetti che vi erano stipati.
Drew starnutì. «Oh, Merlino è pieno di polvere. Mi sentirò male».
«Allora usciamo» propose Louis, ma poi tutti e tre sentirono chiaramente la voce dei due Serpeverde.
«Cavoli, sono duri» sospirò Brian.
«A questo punto approfittiamone e vediamo dove portano quelle scale a chiocciola» disse Drew indicando le suddette con un dito.
«E la tua allergia?» domandò Louis.
«Non mi sembra una buona idea» disse preoccupato Brian.
«Fazzoletto» replicò Drew, tirandone uno fuori dalla tasca e coprendosi il naso.
«Non mi sembra una grande soluzione» sospirò Louis. «Gratta e netta» formulò contro il pavimento. Ripeté l’incantesimo diverse volte finché l’ambiente non fu più pulito.
«In effetti così va meglio» ammise Drew.
Louis alzò gli occhi al cielo e ridacchiò. «Secondo voi non c’è nulla di male a indagare un po’? Non può esserci nulla di pericoloso, no?» soggiunse tornando serio. Non aveva dimenticato quanti guai aveva combinato l’anno precedente trascinato dalla sua curiosità, il pericolo che aveva corso era ancora vivido nella sua mente proprio come la sofferenza e la rabbia dei suoi genitori.
«Certo che no!» rispose immediatamente Drew. «Che vuoi che ci sia? A parte la polvere?».
«A me non sembra una buona idea. Non dovremmo trovarci qui» disse, invece, Brian per nulla desideroso di mettersi nei guai.
«Tecnicamente non c’è nessun divieto e il coprifuoco non è ancora scattato» replicò Drew.
«Era chiusa a chiave questa stanza!» ribatté Brian esasperato.
«Solo cinque minuti» supplicò Drew.
Louis e Brian capitolarono; il primo molto più tranquillo e sicuro del secondo.
«Wingardium Leviosa» disse Louis spostando un banco che impediva di salire al piano superiore.
Brian sospirò e li seguì. Aiutò Louis a pulire le scale, per evitare che Drew si sentisse male. I gradini erano pochi tutto sommato e quasi subito si ritrovarono di fronte a una nuova porta chiusa.
Drew la spinse e questa si aprì all’istante cigolando.
«Questa non era chiusa» commentò Louis felice.
Brian alzò gli occhi al cielo e pregò che nessun insegnante li beccasse. Non aveva proprio voglia di sentire una delle prediche di Maxi. Certo suo padre ne sarebbe stato contento. Per la prima volta da quando erano entrati in quel posto sorrise. Nella prossima lettera avrebbe raccontato ogni cosa a suo padre.
«Deludente» sbuffò Drew, riscuotendo Brian dai suoi pensieri.
Era anch’essa una stanzetta circolare, ma a differenza della precedente completamente spoglia a parte uno specchio dall’aria antica e posto al centro.
Louis si era avvicinato a una finestrina con il vetro tutto sporco, l’aveva pulito e osservava fuori. «Siamo semplicemente in una delle tante torrette del castello. Niente di eccezionale» annunciò.
«Questo specchio…» esordì Drew, che continuava a fissare la sua immagine da quando erano entrati. «Insomma secondo voi mostra il futuro?».
«Il futuro?» replicò incerto Louis, scostandosi dalla finestra e avvicinandosi.
«Non riflette il mio volto… cioè sono io quello nello specchio… ne sono sicuro… ma sono più grande… Guardate! Tengo in mano una fialetta e tutti mi osannano! Ho trovato il modo di eliminare il vaiolo di drago!».
«Ma che stai dicendo?».
Louis e Brian lo affiancarono, lo specchio restituì solo il loro riflesso: erano un po’ arruffati e stanchi dopo una lunga giornata, ma erano sempre loro.
«Vi giuro che mi sono visto davvero più grande!» insisté Drew. «Provate a guardare uno alla volta».
Brian fu il primo a provare. Appena i due amici si spostarono, successe qualcosa di assurdo che gli fece accelerare il battito del cuore. Si voltò di scatto per vedere se ci fosse qualcuno dietro di lui.
«Che ti prende?» chiese Louis.
Brian non rispose e tornò a fissare lo specchio. Non era lui quello, non poteva essere lui. Suo padre gli teneva un braccio intorno al collo e lui dava la mano alla madre, che sorridente teneva la sorellina in braccio. Erano tutti felici! «No… no… no…» cominciò a urlare fuori di sé.
Louis lo allontanò dallo specchio. «Che hai? Stai tremando!» disse spaventato.
Brian scoppiò a piangere. Louis non sapendo come comportarsi si avvicinò allo specchio e tento di specchiarsi, ma anche lui non vide semplicemente se stesso.
«Andiamocene» disse preoccupato. «Questo specchio non mi piace» borbottò.
«Ma mostra il futuro?» insisté Drew.
«NON PUÒ MOSTRARE IL FUTURO!» urlò Brian. Corse via, lasciando gli amici a bocca aperta, rischiò di scivolare più di una volta dalle scale e non verificò neanche se ci fosse qualcuno fuori dalla porta quando uscì. Purtroppo la sua fuga fu bloccata dal corvaccio, non l’aveva mai odiato tanto. Non comprese una sola parola dell’indovinello. Fortunatamente Virginia sopraggiunse in quel momento e rispose lei.
«Stai bene, Brian?».
Non le rispose e si fiondò nella sua camera.

*

«James sei in ritardo!» lo accolse Rose furiosa.
«Quando mi lamentavo io, nessuno mi dava ascolto» bofonchiò Fred.
Rose lo incenerì con lo sguardo, prima di rivolgersi a James.  «Come ti giustifichi?».
«È successo un casino» replicò rapidamente James. «Edizione straordinaria della gazzetta. Robert è abbonato così gli è arrivata».
«Che è successo?» chiese Elphias Doge.
«Le indagini della Squadra Speciale Magica hanno appurato che quell’ordigno rudimentale è stato realizzato e posto nella metropolitana babbana dagli Squibs».
«E quindi? Ci sono stati solo feriti» commentò Rose, impaziente di continuare l’allenamento.
«Susan Bones, con il benestare di tua madre, ha autorizzato la Squadra Speciale Magica a intervenire con la magia sia sui maghinò sia sui sospettati» spiegò James.
«E lascia che se ne occupino loro, no? Noi dobbiamo vincere la Coppa del Quidditch» sbuffò Rose, rimontando sulla sua scopa. «Forza tutti in aria. Tu no, James».
«Perché no?» chiese il ragazzo confuso.
«Perché quando dico massima puntualità dev’essere massima puntualità».
«Parla quella che arriva sempre in ritardo a lezione!» s’innervosì James.
«Il Quidditch è sacro. Oggi non ti allenerai con la scopa. Mi aspetto che tu ti faccia un bel po’ di giri di campo».
«Quanti?» domandò James a denti stretti.
«Inizia pure, te lo dico io quando fermarti» ghignò Rose. James imprecò. «Ti sei guadagnato una serie in più di addominali».
Il ragazzo la guardò malissimo, ma si trattenne dal replicare e si mise a correre. Non riusciva a capire perché zio Neville avesse scelto lei e non lui come Capitano della squadra. Un po’ ci aveva sperato in quella spilla.

*

James era contento di come si erano messe le cose. Come Williams aveva promesso quell’anno avrebbero fatto sul serio. Una sola del gruppo iniziale aveva deciso di mollare il corso avanzato di Difesa contro le Arti Oscure. Il Torneo di Duello si stava rivelando molto interessante. Aveva superato la prima fase, riuscendo a battere Archer di Tassorosso, ma adesso sarebbe venuta la parte difficile. Sperava ardentemente di poter combattere prima della fine dell’ora, anche se probabilmente la finale si sarebbe disputata solo la lezione successiva. Williams sembrava soddisfatto delle loro prestazioni.
«Ecco chi si sfiderà oggi» annunciò Williams. «Gabriel Fawley non duellerà   in questa fase, ma solo nella successiva in modo da poter avere una semifinale con due coppie. Questo perché Gabriel sarà il pozionista della Scuola».

Casella di testo: Phoebe Moore – Marcus Parkinson
Robert Cooper – James S. Potter
Jack Fletcher – Gabriel Corner
 
 
 
«Avrei preferito scontrarmi con qualcun altro» si lamentò James.
«Hai paura?» lo provocò Robert.
«Certo che no» ribatté all’istante. «Tanto vincerò io, lo sai».
«Lo vedremo».
«Prendete posizione» disse Conrad Avens, che arbitrava l’incontro.
James e Robert obbedirono. Fu quest’ultimo a lanciare il primo incantesimo dopo il via dato da Avens.
James lo schivò e colpì a sua volta, ma l’amico fu rapido nell’attivare un incantesimo scudo. Continuarono così per un po’, finché il primo non si stancò e formulò Levicorpus senza proferir parola.
L’incantesimo non verbale prese di sorpresa Robert, che si ritrovò appeso a testa in giù. Sempre senza parlare James lo disarmò.
«Cavoli, non me l’avevi detto che eri riuscito a usare gli incantesimi non verbali» commentò Robert.
«Ci sono riuscito ieri sera per la prima volta» spiegò James dandogli una mano ad alzarsi da terra.
Attesero, riprendendo le energie, che si concludesse anche il duello tra Phoebe e Parkinson. E l’attesa fu lunga, perché i due ragazzi si diedero letteralmente battaglia.
Alla fine, con enorme dispiacere dei due Grifondoro, vinse il Serpeverde.
«Ragazzi, continueremo la prossima lezione. Abbiamo fatto tardissimo. Dite ai miei colleghi che è colpa mia».
«Chi si sfiderà nella semifinale?» chiese Parkinson.
Casella di testo: Gabriel Fawley – Jack Fletcher
James S. Potter – Marcus Parkinson
«Facciamo una cosa veloce» borbottò Williams, per nulla desideroso di litigare con i suoi colleghi. «Ecco qua. E ora andate».
 
 
 
*
«Sapete cosa sono questi?» chiese Hagrid.
Albus si passò una mano tra i capelli: non aveva idea di cosa fosse quel coso di legno. E gli dispiaceva perché Hagrid guardava proprio verso di loro. Per fortuna c’era Scorpius.
«Sono asticelli» rispose eccitato. «Posso prenderne uno in mano?».
Hagrid s’illuminò, contento per l’interesse del Serpeverde. Non c’è che dire si accontentava di poco: Scorpius era l’unico veramente interessato. Anche il loro grande amico considerava poco divertenti creature come gli asticelli, ma naturalmente la McGranitt non avrebbe mai autorizzato l’acquisizione di un drago.
«Non ci voleva certo un genio a riconoscere un asticello».
Il sorriso di Scorpius venne gelato da quelle parole. Si voltò furioso verso la sua compagna. Non erano trascorsi che pochi giorni da quando aveva spedito lui e Rose in infermieria e per quanto, in un certo senso, era un rischio che avrebbero dovuto calcolare fin da principio vedeva in lei una durezza eccessiva per il contesto e nemmeno la minima preoccupazione per aver fatto loro del male.
«Se sei così brava perché non ti prendi direttamente i M.A.G.O. e te ne vai a…».
«Rose! Per favore…» la richiamò Hagrid, perplesso dalla discussione, ma conoscendo la lingua della ragazza.
«Non è che abbia tanto torto» borbottò Scorpius, incenerendo Meredith Ashton con lo sguardo.
«Allora, su, Scorp, che cosa sono gli asticelli?» tentò di riprendere il controllo Hagrid.
«Gli asticelli sono guardiani degli alberi e di solito vivono sugli alberi da bacchetta. Si nutrono di onischi principalmente».
Scorpius che aveva aperto la bocca per rispondere alla domanda, la richiuse sentendosi stupido per un attimo; poi la rabbia prese il sopravvento. «Ti chiami Scorpius?» strillò. Adesso stava esagerando.
«Scusa ti ho tolto la parola di bocca, piccolino. Non è che piangi, vero?». Scorpius avvampò ed estrasse la bacchetta.
«Ti rimando in infermeria» costatò semplicemente Meredith senza mostrare la minima preoccupazione.
«Mettila via» borbottò Hagrid a Scorpius. Il ragazzo s’incupì, ma obbedì. «Perché non ne prendete uno e l’osservate da vicino?» propose incerto.
Svogliati gli studenti obbedirono.
L’ora sembrò trascorrere serenamente, ma Rose e Cassy meditavano vendetta. «Scorp, ci aiuti?».
«No. Devo fermarmi dopo la lezione. Ho lasciato in custodia Batuffolo a Hagrid e devo salutarlo, sennò pensa che l’ho abbandonato! E poi devo parlare a Hagrid di una cosa» replicò il Serpeverde, intento a fare amicizia con l’asticello. In effetti il suo fu l’unico a non attaccare uno studente.
«Cavolo, mi ha fatto male» mormorò Albus contrariato.
«Femminuccia» sibilò Rose.
«Non ti permettere» ribatté Albus.
«Lasciala stare». Alastor lo tirò per la manica della tunica. «Hai sentito cosa ti ha detto Paciock ieri. Non le dare retta».
Albus annuì e fece del suo meglio per ignorare la cugina. Ieri avevano battibeccato durante Erbologia, trascendendo parecchio e lo zio Neville li aveva severamente rimproverati.
Rose, comunque, aveva ben altro a cui pensare: Meredith Ashton. Alla fine della lezione fece in modo di urtarla.
«Oltre che ignorante, sei anche imbranata Weasley» la spinse via la Serpeverde, ma fu questione di un attimo. «Ma che accidenti… Weasley!». Iniziò a grattarsi, dimenticando i suoi soliti modi eleganti.
La classe scoppiò a ridere.
 
«Stai tranquillo, Hagrid» disse dopo un po’ Scorpius. «Mica è colpa tua! Sai com’è fatta Rose. Specialmente dopo il duello… insomma mi sembrava strano che ancora non avesse tirato qualche brutto tiro all’Ashton».
«Sì, ma lei…».
«Se l’è presa anche con te, ma è scema» completò Scorpius. «Sarebbe potuto accadere durante qualunque altra lezione. Due ragazze che litigano in una scuola sono semplicemente normali».
«Sì, ma molti genitori pensano che non so tenere una classe… e anche tuo padre…».
Scorpius sbuffò. «Mio padre ha da ridire su molte persone. Ma non oserebbe mettere bocca contro di te… non più almeno… sa che sei uno dei miei insegnanti preferiti… Quando dicono che sono viziato è vero».
Hagrid ridacchiò. «Detto da te, suona parecchio strano».
Il Serpeverde sorrise, continuando ad accarezzare Batuffolo. «Secondo te la Preside mi darebbe il permesso di tenerlo, se glielo chiedessi?».
«Mi sembra difficile» borbottò Hagrid.
«James ha detto che la Preside ti sta cercando un assistente. Non si sa ancora nulla?».
«Nulla» replicò il mezzogigante.
«Mi vorresti come tuo assistente?» domandò il ragazzo a un certo punto.
«Sei uno studente. Non credo che la Preside sarebbe mai d’accordo».
«Non è giusto» borbottò Scorpius.

*
«Ho fatto una ricerca e chiesto a mio zio» esordì Louis preoccupato e palesemente giù di corda. «Quello specchio è pericoloso. È lo Specchio delle Brame. La scritta che non comprendevamo, non è un’altra lingua. Si deve leggere da destra a sinistra. Non rifletto il volto ma il cuore. Mostra i desideri più profondi di ognuno di noi».
«E dove sarebbe il pericolo?» domandò interessato Drew.
«A furia di guardarlo e perdersi nei propri desideri, si dimentica la realtà. Molti maghi hanno perso il senno» rispose sconsolato Louis.
«Oh». Drew era rimasto senza parole. «Brian, non andarci più».
Il ragazzino alzò gli occhi dal manuale di Trasfigurazione. Si sentiva lievemente stralunato: aveva perso la cognizione del tempo. Da quanto tempo stavano studiando?
«Sei ancora alla seconda pagina?» commentò sorpreso Louis.
«Io… ehm pensavo… non riesco a concentrarmi» borbottò Brian, chiudendo il libro.
«A che pensavi?» chiese Louis.
«Allo Specchio» ammise il ragazzino dopo un attimo di titubanza.
Louis e Drew si scambiarono un’occhiata preoccupata. «Brian sono giorni che fai così» disse Louis.
«Dove vai?» domandò di scatto Drew vedendo Brian alzarsi.
«Voi non potete capire. Io… io devo vederlo… Ci vediamo dopo…» disse Brian.
«Non hai finito i compiti!» lo richiamò Louis.
«Quando torno» rispose Brian.
«Che facciamo?» chiese Drew, quando Brian uscì dalla biblioteca.
«Aveva ragione lui! Abbiamo sbagliato fin dall’inizio!» si lamentò Louis con gli occhi lucidi. «Mi ero ripromesso di non fare più danni».
«Andrà tutto bene» tentò Drew.
«Sì. Perché se non riusciremo a farlo ragionare, andremo a parlarne con Williams».
Drew deglutì, comprendendo il guaio in cui si erano ficcati.

*

Albus sedette a braccia incrociate sotto il faggio. Non poteva fare a meno di pensare che quella fosse la farsa peggiore a cui avesse mai partecipato. O forse quella sensazione di fastidio all’atteggiamento dei cugini faceva parte della crescita. Sua madre quell’estate gli aveva detto che Rose trascorreva più tempo con Cassy che con lui proprio perché stava crescendo e cercava compagnie femminili. Zia Angelina aveva detto qualcosa di simile a Roxi per spiegare l’atteggiamento di Fred. A questo punto allora crescere era una grandissima fregatura. Fino a qualche anno prima Rose non avrebbe mai trovato divertente andare a ballare e a bere, invece ora sì e si truccava anche!
«Ci siamo tutti?» domandò serio Fred. Adesso, a parte Teddy s’intende, era il più grande dei cugini a Scuola ed era felicissimo che non ci fosse più Dominique a controllarlo. O peggio ancora Victoire.
Albus, per conto suo, durante il suo primo anno aveva trovato confortante la presenza della cugina più grande ma gli altri non erano del suo stesso parere.
«Vuoi fare l’appello?» replicò James divertito.
«Certe cose le lascio a Teddy. Vuoi farlo tu Teddy?» disse, invece, Fred.
Era raro che Teddy prendesse parte alle loro riunioni durante il periodo scolastico. Quel giorno, però, aveva deciso di raggiungerli nel parco. Il perché non l’avevano ancora capito, visto che sembrava stanco e poco incline a scherzare. «Se toccasse a me fare l’appello, non potresti chiamarmi Teddy» replicò piatto.
«La tua felicità è così contagiosa che sarebbe meglio iniziare» disse a quel punto Fred. «I punti all’ordine del giorno sono i seguenti: processo ad Albus e Roxi per aver fatto la spia e tradito uno dei nostri principi più sacri». Albus si morse la lingua per non dare subito il via alle polemiche. «Altro da proporre?».
«Io dovrei fare un annuncio» disse Teddy.
«Perfetto, se non c’è altro inizierei con il processo di Albus. Pronti?» chiese Fred. Tutti annuirono. «Bene. Imputato: Albus Severus Potter, nato il 30 gennaio 2006 a Londra. Dico bene?».
«Mi conosci da quando sono nato! Questa cosa è ridicola!» sbottò Albus al limite della sopportazione.
Fred lo ignorò e proseguì. «L’accusatrice: Rose Weasley».
«Eccomi» disse Rose con un sorriso determinato.
«Albus Severus Potter sei accusato di aver rivelato agli adulti la nostra presenza, senza alcuna autorizzazione, a una festa in cui girava alcool e senza la supervisione di un adulto responsabile… come se fossimo ancora dei bambini… Hai messo nei guai tutti i presenti. Come ti giustifichi?».
«Molly stava male, per Merlino! Aveva bevuto come una spugna ed era già incinta! Avrebbe potuto perdere il bambino!» s’infervorò Albus.
«Quindi tu stai dicendo che in caso di estrema necessità la nostra regola più sacra può essere violata?» insisté Fred.
«Sei tu il primo che mi ha sempre insegnato che le regole sono fatte per essere trasgredite» ribatté a tono Albus.
«Simile accusa nei confronti di Roxanne Weasley, nata a Londra il 31 agosto 2007. Dico bene?».
«Affogati» rispose freddamente Roxi.
«L’accusatore sono io in persona, Fred Weasley».
«Personalmente tu, in tutta la tua magnificenza» celiò Roxi.
«Attenta, potrei farti arrestare per oltraggio alla corte» la minacciò lui con un dito.
«Tecnicamente non dovresti essere giudice di una contesa in cui sei principale parte in causa» intervenne scettico Albus.
«Tu zitto, vale lo stesso discorso per te» replicò Fred. «Roxi come ti giustifichi?».
«Sei uno ladro schifoso e bugiardo! Ti rigiro l’accusa. Come fai a guardarti allo specchio dopo aver rubato dei soldi a nostro padre, che, per Merlino, non ci nega mai nulla. E ciliegina sulla torta, accusi un povero sventurato che a malapena riesce ad arrivare fino alla fine del mese? Signori della giuria, ditemi voi, questo essere è un Grifondoro?». Roxi si era alzata e adesso teneva le braccia allargate in modo eloquente.
Alle sue parole calò un silenzio teso: accusare un Weasley di non essere un buon Grifondoro, era peggio di fare la spia. Fred era furioso, così Teddy decise di prendere la parola. «Ad alzata di mano, chi ritiene che Albus sia colpevole?».
Con soddisfazione di Albus solo quattro mani su dodici si levarono. «Direi che Albus è assolto da ogni accusa. Allo stesso modo, chi ritiene che Roxi sia colpevole?» continuò Teddy. Anche questa volta il voto fu favorevole all’ imputato. «Roxi è assolta da ogni accusa. Infine chi ritiene che Fred sia colpevole?».
«Che cosa?» sbottò il diretto interessato. «Il processo era contro Al e Roxi!».
«Sì, ma ti è stata rivolta un’accusa e ti tocca risponderne» replicò Teddy. «Allora?».
Undici mani si alzarono senza alcuna pietà.
«Sono già stato punito» sbottò allora Fred sempre più furioso dal ribaltamento della situazione.
«Perché io no?» ne approfittò Albus.
«È stata Rose a volere un processo!» replicò Fred.
«E non solo gliel’avete accordato, ma mi avete trattato come un traditore con il vaiolo di drago per settimane!».
«Tu ci hai tradito!» ribatté Fred.
«Ci avrebbero scoperto comunque!» esclamò stancamente Albus.
«Posso dire la mia?» chiese Teddy, quando tutti annuirono continuò: «Albus e Fred avete sbagliato entrambi. Al non saresti dovuto nemmeno andare a quella festa, Fred quello che hai fatto è vergognoso. Entrambi siete già stati puniti dai vostri genitori, che io sappia. E se non ricordo male, un’altra regola importante dei cugini Weasley-Potter è quella di sostenersi a vicenda. Negli ultimi tempi non fate altro che scontrarvi, quindi tutti voi dovreste vergognarvi e mettervi sotto processo. Credo che la regola più importante sia questa, e dopotutto Albus chiedendo aiuto l’ha rispettata. E Fred, se tu non avessi dato la colpa al vostro commesso, dubito che Roxi avrebbe fatto la spia. Dovreste tornare ad aiutarvi a vicenda e non ad attaccarvi. Che ne pensate?».
James non rispose e lasciò vagare lo sguardo verso il Lago Nero. Fino a poco tempo prima era attaccatissimo a Fred, ora, invece, dopo aver a lungo litigato, si ignoravano vicendevolmente. Lily e Hugo litigavano con Gideon per esempio e nessuno di loro era intervenuto. In un continuo clima di tensione e scontri, che replicava nel loro piccolo quello della Scuola e, con maggior estensione, dell’intera comunità magica.
In definitiva Teddy aveva perfettamente ragione a rimproverarli.
«Cercheremo di tornare quelli di prima» mormorò Fabiana, molto toccata da quelle parole. Lei, per esempio, non riusciva più ad andare d’accordo con il fratello Gideon.
Albus era ancora più arrabbiato di prima e non era l’unico.
«Immagino che avrete bisogno di tempo» sospirò Teddy. «E mi dispiace perché non potrò darvi una mano».
«In che senso?» domandò James, tornando a guardarlo.
«Nel senso che ho chiesto un congedo» rispose asciutto Teddy.
«Perché?» intervenne Al dimenticandosi dei suoi crucci per un momento.
«Ogni sera sto tornando a casa dopo le lezioni per aiutare Vic con il bambino. Il problema, però, non è la stanchezza. Con quella ci si può fare il callo. Il punto è che Vic vuole concludere gli studi di medimagia e secondo me ne ha tutto il diritto. Per cui io torno a casa, così lei potrà seguire le lezioni e studiare senza preoccuparsi della casa e del bambino. Abbiamo anche bisogno di dimostrare agli adulti che non abbiamo sbagliato a sposarci così giovani. E spero che ci aiuterete».
«Posso fare da babysitter a Rem. Non vi chiederò soldi» propose Lily.
«Grazie, Lily. Nel frattempo, però, dovrò occuparmi io di Rem. Capite?».
Tutti annuirono.
«Però, senza offesa Teddy, è meglio così. Cioè meglio avere un estraneo come prof e non un ragazzo con cui fino a poco tempo prima giocavi» commentò Fred.
Teddy annuì consapevole che la pensassero tutti così. «Io comunque sono contento di quest’esperienza e vi ringrazio di avermi dato la possibilità di viverla e di avermi sopportato. Durante le vacanze sarò a vostra disposizione per qualunque cosa abbiate bisogno come sempre. Sarei dovuto partire già ieri sera, ma ho rimandato per potervi parlare».
Uno alla volta lo abbracciarono tutti, a parte i fratelli Potter che volevano un po’ di privacy per parlare e salutare quello che per loro era un fratello maggiore.
«Direi che la riunione è conclusa» decretò Fred.
«Roxi, aspetti un attimo?» chiese Teddy.
La ragazzina lo fissò in attesa. A quel punto aveva capito, per quanto non potesse giustificarlo, perché era stato così nervoso in quelle due settimane. «Che c’è?».
«Volevo chiederti scusa. Prima di venire qui ho cercato anche Frank e Gretel. Un insegnante dovrebbe evitare di mischiare vita privata e professionale».
«Frank è rimasto molto male. Ha studiato il doppio dopo quel votaccio che gli hai messo e non era necessario che lo facessi! Conosci Frank da anni e anche me! Avresti dovuto sapere che non c’era malizia nel suo comportamento!». Roxi non si era trattenuta: nessuno poteva far star male Frank impunemente.
«Gli ho chiesto scusa. E all’insufficienza ha perfettamente rimediato: il suo puntaspilli è perfetto».
«Ti voglio bene. Sono contenta che tu sia solo Teddy adesso» commentò Roxi abbracciandolo.
«Fai la brava» le sussurrò Teddy, prima di lasciarla andare.
«Ci proverò».
«Ora sei tutto nostro» disse James con un lieve sorriso, mentre la cugina si allontanava verso il castello.
«Anche voi siete contenti?».
«Tu sei contento?» replicò Albus preoccupato. Nonna Molly aveva sempre detto che in famiglia bisogna stare attenti ai sentimenti di tutti e ogni tanto per essere tutti almeno un po’ felici, bisognava sacrificare una parte della propria felicità.
«Sono confuso» ammise Teddy. «Troppe cose in una volta. Comunque la McGranitt mi ha messo in contatto con la redazione di Trasfigurazione Oggi e spero di scrivere qualche articolo prossimamente. Tanto per fare qualcosa e poi si vedrà».
«Sei grande, Teddy. Però Freddie ha ragione: meglio come fratello maggiore che come professore».
Lily si aggrappò a lui e sussurrò: «Non vedo l’ora che arrivino le vacanze di Natale».
«Ci mancherai» soggiunse James.
Albus si limitò ad abbracciarlo, si conoscevano abbastanza per non dover aggiungere altro.
«Grazie per avermi sempre supportato nonostante sia stato pesante e noioso come professore» disse Teddy con un lieve sorriso.
«Tu hai sempre sopportato i nostri scherzi» replicò James, indicando se stesso e Lily.
«E un sacco di volte ci hai tolto dai guai» aggiunse Albus.
«Siamo fratelli, no?» concluse Lily.
Teddy dovette farsi forza per non commuoversi. I tre lo abbracciarono con forza.

*

«Frank, ti devo parlare» disse con solennità un ragazzino che Frank riconobbe come Marcellus Nott, uno degli amici di sua sorella Alice.
«Dimmi» disse perplesso, dopo aver ingoiato un boccone di patate.
«Si tratta di tua sorella» comunicò Marcellus.
«Non m’intrometto negli affari di Alice» disse preoccupato.
«Non ho problemi a parlare con Alice. Mi riferisco ad Augusta».
«Che problema c’è?» domandò sorpreso. Augusta lo evitava sempre nei corridoi. Il suo atteggiamento un po’ snob l’aveva resa una vittima prediletta delle Malandrine.
«Lei e le sue amichette danno fastidio a mia sorella Claire. È a Corvonero con loro. Ora se tua sorella fosse un maschio, risolverei la questione da solo, ma siccome non lo è… Non posso parlarne neanche ad Alice, perché farebbe un macello. Spero che tu riesca a darle una calmata senza che Grifondoro ci rimetta. Lo farai?».
«Le parlerò» sospirò Frank.
«Perché?» domandò subito Roxi, che aveva ascoltato.
«Come perché?».
«Non ti parla e non fa che insultarti! Che cosa speri di ottenere?».
«Intanto sentire il suo punto di vista. E nel caso farle notare che il suo è un comportamento inaccettabile».
Roxi sbuffò. «Belle parole, lei si commuoverà e ti prometterà che chiederà scusa… ah, e naturalmente lei e la Nott diventeranno amiche per la pelle…». Gretel ridacchiò. «Sveglia, Frankie! Questa è la realtà!».
«Lo so!» ribatté il ragazzino seccato. «Se non funzionerà, lo dirò a mio padre o a Williams».
Roxi e Gretel lo fissarono a bocca aperta per la sorpresa.
Ogni ulteriore discussione, però, fu impedita dalla Preside che, alzatasi in piedi, attirò la loro attenzione.
«Ho un annuncio da farvi» esordì. «Un simbolo tipico delle Olimpiadi babbane è l’accensione di una serie di fiaccole. Ne verrà accesa una in ogni Scuola in giorni diversi. La nostra sarà la prima, il primo ottobre. L’ultima, con l’apertura ufficiale della competizione, verrà accesa in Grecia, patria delle Olimpiadi, il giorno di Halloween. Il primo ottobre le lezioni pomeridiane saranno sospese in modo che tutta la Scuola possa prendere parte alla cerimonia. Continuate pure a cenare» concluse.

*

«Volevi vedermi, Anthony?».
«Ciao Harry. Grazie di essere venuto di persona».
«Tranquillo, mi dispiace solo per l’ora, ma non sono riuscito a liberarmi prima».
«Meglio così, c’è meno gente in giro a quest’ora».
«Che volevi dirmi?» chiese Harry desideroso di andare dritto al punto.
«Vedi quella bambina nella culla vicino alla parete?».
«Sì, è la figlia di Mara Dolohov?».
«Sì. Il Ministero, come forse saprai, mi ha concesso, in quanto suo salvatore e tutte quelle altre esagerazioni che hanno riempito i giornali per settimane e, fra parentesi, Rita Sketeer ancora mi perseguita, di darle il nome. Ho scelto Pandora. Conosci il mito di Pandora?».
«No» ammise Harry, per nulla intenzionato ad assecondare i ragionamenti di un Corvonero.
«Te la faccio breve. Pandora aveva ottenuto in dono da Zeus, il re degli dei per gli antichi Greci, un vaso chiuso. L’ordine di Zeus era di non aprirlo mai. Lei, però, vinta dalla curiosità, disubbidì. Il vaso conteneva quelli che poi divennero i mali del mondo: la vecchiaia, la gelosia, la malattia, la pazzia e il vizio. Sul fondo del vaso rimase la speranza e vi fu rinchiusa da Pandora. Il mondo piombò nel caos e nella disperazione finché la donna non riaprì il vaso e fece uscire anche la speranza».
«Non ti sembra un nome pesante per una bambina?» commentò Harry sempre più confuso.
«Io non ho chiamato mio figlio Albus» ribatté sarcastico Anthony Goldstain.
«Non è la stessa cosa» si difesa Harry. «Silente è stato…».
Anthony lo fermò con un gesto impaziente della mano. «Non è mia intenzione discutere di questo. Volevo solo farti notare che anche tu non hai scelto un nome facile, ma ne hai avuto un motivo valido. Lungi da me giudicare. Voglio solo farti capire che Pandora è il nome perfetto per questa bambina».
«Non capisco» sbuffò Harry.
«Mi riferisco ai risultati dell’autopsia, che non ti ho ancora dato perché avevo bisogno di verificare alcune cose».
«Le hai verificate?».
«Sul corpo della donna ho trovato dello sperma. Sono riuscito, basandomi sui dati a mia disposizione, a identificare il possibile assassino. Però non è questo il punto».
«Aspetta, aspetta» lo bloccò Harry. «Come non è questo il punto? E poi non avevi l’autorizzazione del Ministero per effettuare certi test. Non puoi violare così la privacy della comunità magica».
«Solo la privacy dei delinquenti più o meno comuni. Vuoi denunciarmi?».
«Dovrei. Vai al sodo» replicò infastidito Harry.
«Rabastan Lestrange».
«Cosa?! Ma che va a fare figli a destra e manca? La McGranitt quest’estate mi ha convocato per annunciarmi l’esistenza di Eva Lestrange!».
«Secondo te perché?».
Harry si fermò a riflettere. Non ci volle molto perché i tasselli andassero al giusto posto. E quel puzzle era macabro. «Vuole un erede. Il nonno di Eva mi ha detto che ha dato di matto quando ha visto che era una femmina, tanto da uccidere la moglie. Eva si è salvata solo perché è intervenuto suo nonno».
«Esattamente. Probabilmente ha scoperto che anche stavolta sarebbe nata una bambina e quindi ha tentato di eliminare il problema in anticipo. Non credo che gli faccia piacere che una ragazzina vada in giro con il suo cognome».
«Infatti i Neomangiamorte hanno già minacciato la famiglia materna di Eva» disse Harry.
«E mi sa che non è l’unico».
«Prego?».
«Le giovani purosangue che stanno scomparendo da settimane. Pensaci, proprio da quando i Mangiamorte sono evasi da Azkaban».
Harry imprecò: il ragionamento filava alla perfezione. «Maledetti!» sbottò. «Ma perché ha lasciato trascorrere quindici anni prima di riprovarci? Lestrange, intendo».
«Non sono un indovino. Mi attengo ai fatti. Tu, però, metti dentro quei bastardi!».
«Contaci» replicò Harry con la solita determinazione.
«Il Ministero mi ha chiesto di prendermi cura di Pandora e penso che lo farò» concluse Anthony Goldstain.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Ecco un nuovo capitolo, spero vi faccia piacere ;-)
Vorrei fare delle precisazioni:
  1. La fonte degli incantesimi è Potterpedia.
  2. Per quello che ho letto in Guida poco pratica a Hogwarts pubblicato in formato ebook dalla Rowling, la scrittrice afferma che molto probabilmente lo specchio si trovava nella Stanza delle Necessità quando Tiger ha usato l’Ardemonio dando fuoco a tutto quello che c’era nella stanza. In questo caso mi sono presa, diciamo, una licenza poetica. Voi non vi immaginate Piton recuperare di nascosto lo Specchio, nasconderlo in una torretta inutilizzata e ogni tanto rivedere la sua Lily (durante il suo anno da Preside intendo)?
  3. Per quanto riguarda il colloquio tra Harry e Anthony: io sono molto ignorante in scienze (specialmente in biologia), quindi ho chiesto a mio fratello (senz’altro di gran lunga più bravo di me) e mi ha detto che un medico potrebbe risalire alla paternità di un bambino anche come dice Anthony. Se qualcosa non vi torna, vi chiedo scusa in anticipo.
 
Spero che il capitolo sia di vostro gradimento, fatemi sapere se vi va ;-)
Un grazie speciale a chi recensisce, ma anche a chi legge silenziosamente ;-)
 
A presto,
Carme93
 

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Capitolo 14
*** La fiaccola della pace ***


Capitolo quattordicesimo
 
La fiaccola della pace
 
«I primi giochi olimpici si svolsero in Grecia a partire circa dall’VIII secolo a.C. Durante i giochi ogni guerra veniva sospesa. Per i Greci erano tanto significativi da usarli anche per le datazioni. Le origini dei giochi sono difficili da stabilire ed esistono molte leggende. Nel realizzare il mio progetto per il concorso mi sono soffermato ampiamente su questa parte, principalmente per avere un retroterra storico di riferimento. Le mie proposte, però, si basano su quelle note come Olimpiadi moderne. Nel XIX secolo il barone Pierre de Coubertin ebbe l’idea di organizzare dei giochi simili a quelli che si svolgevano in Grecia molti secoli prima. Purtroppo queste Olimpiadi non coincidono con la cessazione delle guerre in corso, ma lo spirito di fondo è quello della lealtà e dell’incontro tra culture e popolazioni diverse. Il motto ufficiale delle Olimpiadi è una frase latina: “Citius, Altius, Fortius” cioè “Più veloce, più alto, più forte”. Tale motto fu utilizzato per la prima volta nell’edizione dei Giochi del 1924 a Parigi. Comunque esiste un secondo motto, ufficioso ma sicuramente più famoso, almeno tra i Babbani: “L’importante non è vincere ma partecipare”. Sono parole pronunciate dallo stesso De Coubertin. Gli atleti che partecipano alle Olimpiadi si confrontano in diverse competizioni sportive. Ammetto che nel mio progetto questa parte risultava alquanto lacunosa, poiché a parte il Quidditch, la corsa con le scope, duelli e gli scacchi non avevo idea di quali potessero essere delle gare accettabili. Il Ministero e la Preside, approvando il mio lavoro, hanno apportato delle modifiche. Le competizioni saranno cinque: Quidditch, Scacchi dei Maghi, Duello, Cultura magica e Gobbiglie. Almeno questo varrà per questa prima edizione. Se ce ne saranno altre probabilmente si definiranno meglio le regole e la struttura. I Babbani accendono la fiamma olimpica a Olimpia, la città in cui in antichità si svolgevano le Olimpiadi in Grecia, da lì poi i tedofori la portano nella città in cui si svolgono in quel determinato anno. Alla fine delle Olimpiadi la fiamma viene spenta. Nel nostro piccolo imiteremo tale cerimonia. La prima fiaccola verrà accesa qui, il primo ottobre, nelle settimane successive allo stesso modo verranno accese in tutte le Scuole del mondo. Infine il trentuno ottobre verrà accesa quella più simbolica in Grecia. Qui arderà quella che è definita come ‘grande torcia’ nel braciere olimpico o tripode. La fiamma, quindi, è uno dei simboli dei Giochi Olimpici. Per i Greci aveva una connotazione divina» concluse Frank. Ormai aveva imparato quella breve relazione a memoria. Non era che un minima parte della ricerca con cui aveva partecipato al Concorso, ma la Dawson aveva ritenuto che nessuno avrebbe mai seguito l’originale dall’inizio alla fine. Perciò si era focalizzato sugli aspetti più importanti e possibilmente più interessanti.
«Molto bene, grazie Frank. Qualcuno ha delle domande?» chiese la professoressa Dawson.
Come c’era da aspettarsi nessuno dei ragazzi del settimo anno alzò la mano. Nessuno sembrava particolarmente interessato.
«Allora la lezione per oggi si conclude qui, ricordatevi il tema che vi ho assegnato per la prossima settimana» concluse la Dawson rivolta alla classe. Frank tirò un sospirò di sollievo e recuperò il suo zaino da terra. Fortunatamente quella era l’ultima volta in cui avrebbe dovuto relazionare. Era stato imbarazzantissimo ripetere le stesse cose a classi diverse. Odiava essere al centro dell’attenzione e parlare in presenza di molte persone. Naturalmente non aveva potuto rifiutare la richiesta della professoressa. Era, però, un periodo molto intenso, da una parte perché doveva studiare materiale extra di Storia della Magia, dall’altra, non avendo trovato ancora un sostituto per Teddy, la Preside teneva personalmente le lezioni di Trasfigurazione. E la McGranitt lo metteva terribilmente in soggezione. Di conseguenza dedicava moltissimo tempo anche alla sua materia. A detta di Roxi e Gretel stava diventando insopportabile. Non era del tutto vero: le stava solo costringendo a essere puntuali e a studiare più di quanto facessero di solito. Certo qualche giorno prima, visto che Roxi se la prendeva comoda ritraendo il paesaggio mattutino che si vedeva dalla Torre di Grifondoro, secondo lei la luce in quel momento era perfetta, aveva avuto l’ardire di strapparle l’album di mano per costringerla a seguirlo in classe. Erano arrivati con ben cinque minuti di anticipo. Roxi era furiosa. In quel momento era così simile a Rose, che si era spaventato da morire. Aveva visto la sua migliore amica arrabbiarsi e azzuffarsi con i cugini, per cui sapeva, nonostante l’aspetto fragile, quanto potessero far male i suoi pugni. Roxi, però, si era limitata a fissarlo con occhi di fuoco finché la McGranitt non era entrata in classe. Infine si era seduta accanto a lui come sempre e gli aveva sussurrato semplicemente: «Tu sei tutto matto. Spero per la tua salute mentale che la gita a Hogsmeade arrivi presto». Poi l’aveva lasciato in pace per tutta la lezione.
Fece per salutare, ma la Dawson lo fermò. «Frank, dovresti iniziare a preparare una relazione sulla storia della Scuola».
«Perché?» chiese stupito.
«Perché durante l’inaugurazione dei Giochi ogni alfiere dovrà parlare della propria Scuola».
Frank spalancò la bocca sorpreso.
«Non te l’avevamo detto?» domandò la Dawson perplessa dalla sua reazione.
«No… professoressa».
«Ci dev’essere sfuggito. Stiamo organizzando tutto molto in fretta e qualcosa sfugge».
«Perché gli alfieri? Non posso farlo i professori?».
«Direi di no, abbiamo deciso così. Le Olimpiadi servono a far conoscere gli studenti tra loro».
Frank era sempre più convinto che partecipare a quel concorso fosse stata una delle sue peggiori idee. Insomma aveva una Profezia, dalla dubbia interpretazione, che gli pendeva sul capo, perché aveva dovuto complicarsi ulteriormente la vita? «Ma ci saranno un sacco di persone!» esclamò, non riuscendo a rassegnarsi troppo facilmente.
«Ne abbiamo già parlato, Frank. Se fosse stato per te non avresti relazionato neanche di fronte ai tuoi compagni di Scuola. Invece sei andato benissimo e sono sicura che farai un’ottima figura anche a Halloween» replicò pacatamente la Dawson.
«Non è la stessa cosa» borbottò, non riuscendo a trovare una via di fuga.
«Frank prepara la relazione al più presto, così potrò correggerla e potrai esercitarti nell’esposizione».
«Sì, professoressa» acconsentì a malincuore.

*

«Mollami, Scorpius! Lo fai solo perché sei più grande! Lo dirò alla Shafiq!».
«Non hai le pluffe» ribatté il ragazzo. «E soprattutto lo faccio perché sono più muscoloso, in caso contrario non sarei mai riuscito a trascinarti di peso fino alla mia stanza, no?». Chiuse la porta dietro di sé con un piede e ignorò i suoi compagni di stanza che parlottavano tra loro. Appena lo videro, tacquero. Era dall’inizio dell’anno che si comportavano in quel modo e la situazione stava diventando sempre più irritante per lui.
«Noi andiamo» disse risoluto Daniel Warrington.
Scorpius avrebbe voluto rispondergli che non gliene fregava nulla, anzi avrebbe avuto la stanza a sua disposizione, ma uscivano troppo spesso la sera. «Che cos’è, vi siete fatti la ragazza?».
«Invidioso, Malfoy?» replicò Thomas Roockwood, che in effetti prometteva di diventare carino quanto il fratello maggiore.
«Uh, tantissimo» replicò sarcastico. Attese che i tre compagni di stanza uscissero e si rivolse al cugino. «Allora, Orion, andiamo al dunque. Mi tieni il broncio per non averti preso in squadra?».
Il ragazzino lo fissò con rabbia, ma Scorpius sapeva che era solo facciata e non avrebbe resistito molto.
«Sì» strillò infatti pochissimi secondi dopo.
«Non sei bravo a Quidditch. Volevi che ti mentissi? O che ti prendessi in squadra, rendendoti responsabile delle nostre sconfitte? Hai una vaga idea di come ti lincerebbero gli altri Serpeverde? Ho solo fatto la cosa giusta per entrambi».
«Non è vero» si lamentò Orion. «Va bene solo per te!».
«Ma perché? L’anno scorso non ti sei neanche presentato alle selezioni! Si può sapere perché all’improvviso ci tieni tanto?» sbottò Scorpius.
«Mio padre» sussurrò Orion.
Scorpius sbuffò: avrebbe dovuto capirlo subito. Il suo caro zietto sapeva essere davvero crudele con Orion. Era il tipo di persona che pretendeva che il figlio primeggiasse in tutto ciò che faceva, un po’ come nonno Lucius insomma. Inoltre suo zio aveva anche fatto parte della squadra di Quidditch ai suoi tempi. Il punto è che Orion era un ragazzino ben diverso da come l’avrebbe voluto il padre: fin troppo loquace, discreto a Scuola e perso in un mondo di fantasticherie tutto suo. E lo zio era veramente crudele nei suoi tentativi di trasformare Orion nel figlio desiderato. Scorpius odiava di cuore quel genere di persone.
«Puoi dare sempre la colpa a me. Non ti volevo in squadra».
«Ma tu pensi che io non so giocare».
«No. Io penso che ci siano ragazzi più forti di te e che dovevano avere la precedenza. Comunque tuo padre non sa quello che penso io. Inventati che l’ho fatto di proposito per far entrare in squadra la cugina di Rose e Al. La Mitchell è la cugina di Paciock, per cui il ragionamento è abbastanza simile… E Parkinson è più grande, quindi aveva la precedenza».
«Si arrabbierà con te, però. E lo dirà a zio Draco» replicò perplesso Orion.
«Qual è il problema? Ti assicuro che in simili circostanze mi preoccupo più di mia madre! Oh, sì lei potrebbe essere un problema, in effetti. Specialmente se zia Daphne si dovesse lamentare con lei. Ma non ti devi preoccupare, mio padre sa della mia spiccata, e immagino, per lui, deprecabile, lealtà troppo Grifondoro per preoccuparsi realmente del mio comportamento. E poi potrei sempre dir loro la verità. Lo sai che mia mamma ti difende sempre».
«Grazie, Scorp» disse Orion abbracciandolo di scatto.
Scorpius sorrise e ricambiò la stretta per un attimo, poi disse: «Suvvia, Orion, queste sono cose da femminucce».
«Hai ragione scusa. Sono fortunato ad avere un cugino più grande che sa sempre tutto».
«Infatti» assentì Scorpius ghignando. «Quindi non mi denuncerai alla Shafiq?».
«Certo che no. Cambio strada quando la vedo in corridoio, figuriamoci se andrei mai a cercarla di persona» borbottò il ragazzino.
«Non perché sono tuo cugino, eh? Grazie mille!» commentò sarcastico.
«Farei qualunque cosa per te, Scorp! Lo sai!» ribatté immediatamente Orion.
Oh, sì che lo sapeva. Ne avevano fatti di guai da bambini e di solito la mente era lui non il cuginetto. «Va bene, va bene» concesse. «La prossima volta che ce l’hai con me vieni a darmi un pugno. Non tenermi il broncio per giorni. È fastidioso, ok?».
Orion annuì, diventando serio improvvisamente. «Va bene, anche perché avevo bisogno di parlarti di una cosa importante e non l’ho fatto perché non volevo parlarti. Ma non so più che fare!».
«Ancora Lily? Ti ho detto di darle tregua. Starle appiccicato ti farà diventare solo un assiduo frequentatore dell’infermieria!».
«Non si tratta di Lily. O almeno non direttamente. Abbiamo firmato una sorta di tregua. Io non le dichiaro i miei sentimenti e lei mi permette di sedermi con lei quando abbiamo lezione insieme».
«Ottimo, è un passo avanti! Allora qual è il problema?».
«Non dovrei dirtelo. Mio padre mi ucciderà. Warrington e Roockwood non sono con delle ragazze».
Il sorriso di Scorpius scomparve. Quella storia cominciava a non piacergli. Sarebbe stato meglio sentire le lamentele del cugino sul suo amore non corrisposto. Che cosa c’entrava Orion con i suoi compagni? E soprattutto suo zio?
«Dove sono andati?» chiese.
Orion abbassò il tono della voce e si chinò verso di lui. «Non so di preciso dove si incontrino, ma i loro padri li hanno dato un compito. Mio padre pretende che io partecipi. Quando, però, ho chiesto a Goyle se ci saresti stato anche tu all’incontro mi ha risposto che sei uno schifoso traditore del tuo sangue. Zio Draco si arrabbierebbe da morire a sentirlo, no? Io non ci sono andato. Ho trovato un sacco di scuse in queste settimane. Avevo paura che tu non avresti approvato».
«Se è per questo anche mio nonno affatturerebbe la lingua a Goyle. Nessuno dovrebbe osare dire una cosa del genere di un Malfoy!» sbottò Scorpius. Era saltato giù dal letto a quelle parole e ora percorreva a rapidi passi tutta la stanza. Era furioso. Lo Stato di Sangue non era importante, ma un mocciosetto stupido non poteva permettersi di parlare male della sua famiglia. E soprattutto quella storia gli piaceva sempre meno.
«Di che compito si tratta?».
«Non lo so» rispose Orion. «Non mi hanno detto nulla. Vuoi che vada e scopra qualcosa?».
«No» quasi urlò Scorpius. Non gliel’avrebbe mai permesso. Suo cugino era buono di cuore e ancora troppo ingenuo. Lo stava fissando spaventato a causa della sua brusca reazione, perciò aggiunse: «Lily non ti parlerebbe più, se ti vedesse con certe persone. Se tu avessi fatto come ti ha detto tuo padre, mi sarei arrabbiato molto. Sei stato bravo a dirmelo». Si stupì della calma con cui aveva parlato. Avrebbe voluto spaccare qualcosa, invece. Che cosa volevano a Hogwarts? Il Torneo Tremaghi non aveva funzionato, quindi questa era la nuova strategia?
«Allora che faccio?» chiese fissandolo in attesa.
«Non dire a nessuno che me l’hai detto. Impegnati a conquistare Lily. Però mi raccomando non essere pressante».
«E mio padre?».
Scorpius avrebbe voluto rispondergli di mandarlo all’inferno, ma poi lo zio non avrebbe dovuto affrontarlo lui. Si scervellò, infine rispose: «Non fare nulla. Scriverò a nonno. Quando ha saputo del mandato di cattura spiccato dagli Auror ai danni dei tuoi genitori, è andato su tutte le furie. Solo grazie al suo intervento tuo padre è stato rilasciato e posto agli arresti domiciliari, e tua madre sarebbe ancora latitante. I Greengrass non sono mai stati associati ai Mangiamorte, anche se noi sappiamo che il nonno non ha mai trascurato di far girare dell’oro nelle mani giuste. Però schierarsi è tutta un’altra cosa. Il nonno è l’unico che frena tuo padre, perché, diciamocelo, spera di ottenere una buona fetta di eredità. Povero illuso».
«Perché illuso?» domandò Orion.
Povero, piccolo ingenuo. Non aveva la minima idea di che interessi si annidassero nella loro famiglia. «Nonno non lo sopporta. Conosce perfettamente le leggi magiche, farà in modo che solo tua madre possa ereditare ciò che le spetta. E successivamente che ne possa usufruire anche tu. Senza offesa, ma tuo padre è uno spiantato».
«Allora perché nonno gli ha permesso di sposare la mamma?».
Scorpius non voleva disilluderlo fino a questo punto. «Avrà avuto i suoi motivi, no?» replicò vago. La verità è che in quanto sorella maggiore sarebbe toccato a Daphne sposare l’erede dei Malfoy. Però da una parte era nato un certo interesse tra i suoi genitori, cosa che considerava ogni giorno come una benedizione, dall’altra correva voce che Daphne non fosse vergine. S’intende che Lucius Malfoy, anche se rinchiuso ad Azkaban, non avrebbe mai approvato un’unione simile. Almeno in questo caso avrebbe dovuto ringraziare suo nonno.
«Noi non piacciamo al nonno, comunque» commentò dopo un po’ Orion.
«No, non tanto. Se fossero maschi nomirebbe come sue eredi Arianna ed Echo. Le adora, ma posso anche capire perché: Arianna è la sua fotocopia al femminile; Echo è così dolce che riesce a sciogliere persino il suo cuore duro».
«Mi sa che si deve accontentare di Arion» celiò Orion.
«Oh, sì. Sarà lui a portare avanti il nome dei Greengrass» ridacchiò Scorpius, pensando al cugino più grande con affetto. «Hai fatto bene a parlarmene. Mi raccomando non ci pensare troppo e ignora certa gente. Se non mi devi dire altro, io vado».
«Dove vai?» indagò il ragazzino sorpreso. «È scattato il coprifuoco».
«Devo controllare una cosa» replicò rapidamente Scorpius. Se avesse saputo prima quella storia, avrebbe immediatamente seguito Roockwood e Warrington. Al momento gli veniva in mente un unico posto dove un gruppo di ragazzi potesse riunirsi a quell’ora: la Stanza delle Necessità. Si sarebbe appostato lì fuori in attesa che uscisse qualcuno.
 
La fortuna evidentemente girava dalla sua parte, si accucciò meglio dietro un’armatura e strinse la bacchetta in caso di necessità. La mezzanotte era trascorsa da un pezzo quando un gruppo abbastanza numeroso di ragazzi uscì dalla stanza.
Scorpius strinse i denti. Erano più intelligenti di quanto avesse previsto. E questo era un male. Tutti avevano il volto coperto da un cappuccio e nonostante gli sforzi non riuscì a riconoscerli. In più avevano coperto anche gli stemmi delle Case e nascosto la cravatta sotto il mantello. Allontanandosi presero strade diverse e Scorpius era sicuro che non fosse semplicemente perché appartenevano a Case diverse. Doveva partecipare a una di quelle riunioni e capire come funzionavano. Ma come?

*

«Ma a voi Serpeverde non servono il cibo?» chiese ironico Elphias Doge.
«Il vostro è più buono… sai la Preside…» replicò Scorpius con un lieve ghigno, prendendo posto al tavolo dei Gifondoro. Aveva valutato se fosse il caso di costringere Albus e Rose a parlare tutti insieme, poi aveva desistito. Continuavano a tenersi il broncio a vicenda. «Rose, ti devo parlare di una cosa seria» mormorò.
«Mentre mangio?».
Scorpius roteò gli occhi e le raccontò quanto aveva saputo da Orion e visto con i suoi occhi.
«Come facciamo a entrare?» domandò infine.
«Il mantello dell’invisibilità?».
«Non vorrei che finisse come nella Sala dei Fondatori. Presi come topi in trappola» replicò Scorpius. «Ci vuole qualcosa di più sicuro».
«Pozione Polisucco?» chiese Rose illuminandosi e abbassando ulteriormente la voce.
«Che roba è?».
«Ti permette di assumere l’aspetto di un’altra persona per qualche ora. Mia mamma l’ha fatta a dodici anni».
«Ma tua mamma è Hermione Granger! Dicono che sia la strega più intelligente della sua generazione. Quindi non conta per sapere quanto è difficile. Dove troviamo la ricetta? Manuale di Pozioni Avanzate?».
«Nel Reparto Proibito».
«Cosa?! Ma sei matta?».
«Sei diventato un fifone come Al?».
«Non potete fare pace?» ribatté Scorpius.
«Dev’essere lui a chiedermi scusa» replicò Rose.
«Lasciamo perdere. Come prendiamo il libro? Quale professore ci firmerebbe il permesso? Tua mamma come l’ha avuto?».
«Un certo Allock, all’epoca era professore di Difesa. Un vero idiota. Ancora mio padre e mio zio Harry ridono per quella storia».
Scorpius rifletté per qualche secondo, poi concluse: «Nemmeno Bulstrode, che fa tanto l’alternativo, ci darebbe quel permesso».
«Potrei provare a falsificare la firma di zio Neville, con una delle piume Tiri Vispi Weasley».
«Mio padre mi spedisce a Durmstrang se mi espellono» sbuffò Scorpius.
«Ok, allora entriamo di notte con il mantello dell’invisibilità».
«Incantesimo Antifurto».
«Copiamo le informazioni» ribatté testardamente Rose. «O hai altre idee?».
«James ci presterà il mantello? Vorrà sapere a che cosa ci serve? E approverà?».
«No. Fred, ha ragione. L’abbiamo perso. Ma lo minaccerò di metterlo fuori squadra».
«È un bluff pericoloso».
«Non ti preoccupare. Lascia fare a me».

*

«Questo cos’è Brian?».
Maxi l’aveva trattenuto alla fine della lezione e ora teneva tra le dita una pergamena. Aveva mal di testa e molto sonno, per cui non riusciva proprio a intuire che cosa volesse da lui. Tranne il fatto che il suo padrino fosse arrabbiato. Questo era fin troppo evidente. Avrebbe voluto rispondergli un foglio di pergamena, ma si trattenne. Non era da lui rispondere in modo sarcastico a un insegnante, anche se in realtà era l’unica cosa che gli veniva in mente in quell’istante.
Maxi, di fronte al suo silenzio, appoggiò la pergamena sulla cattedra e gliela indicò nuovamente. Brian impallidì: era il suo ultimo tema.
«Riformulo la domanda» disse lentamente Maxi. «Che cos’è questa porcheria?».
Ancora una volta Brian tacque. Sapeva di non essersi impegnato molto, ma non credeva di aver fatto così schifo.
«Il gatto ti ha mangiato la lingua?» sbottò Maxi.
Perché doveva essere sempre così severo? E soprattutto con lui? Era più che contento che non facesse favoritismi e lo trattasse come ogni altro studente, ma non era giusto che quando sbagliava si ricordava di essere anche il suo padrino. Il punto era questo e lo sapevano entrambi. Insomma il suo compito non era peggio di quello di Andersen, sicuramente. O se lo era, non poteva perdonarlo per una volta?
«Sei stato distratto per tutta la lezione. Guarda che ho visto quante gomitate ti ha tirato Louis per tenerti sveglio. Che hai per la testa, Brian? Devo venire alla Torre ogni sera e verificare che vai a letto a un orario decente? E non mi venire a dire che devi studiare, perché non ci credo» disse Maxi aspramente.
La sola idea di essere controllato ogni sera era umiliante e imbarazzante, ma non trovava nulla da dire.
«Mi vuoi rispondere?!» insisté Maxi alzando il tono della voce.
«Scusa» borbottò semplicemente.
Si sentì perforare dallo sguardo dell’uomo e tenne gli occhi fissi sulla pergamena, senza vederla veramente.
«Voglio che tu riscriva questo tema e che tu faccia il reassunto scritto degli ultimi due capitoli del manuale che vi ho assegnato. Più i compiti che ho segnato oggi naturalmente. Mi dovrai consegnare tutto alla prossima lezione».
Era tantissimo, ma ancora una volta non ribatté. «Sì, signore» mormorò semplicemente.
Finalmente congedato, raggiunse i compagni in cortile. Cercò un angolo tranquillo e si sedette.
«Perché piangi?» sussurrò Miki Fawley, sedendosi accanto a lui.
Brian sospirò e gli raccontò quello che era successo. Miki aprì la bocca per consolarlo, ma la loro attenzione fu attirata da Lysander, che aveva alzato la voce. «Ma che ha per la testa?» sbottò Miki. «Gli avevo detto di smetterla con quella benedetta sciarpa».
«Che ha quella sciarpa?».
Lys stringeva in mano una sciarpa rosso-oro e urlava contro uno dei suoi compagni di Casa: Kyle Dennis.
«È di Grifondoro, non la vedi?» replicò Miki. «Lys si è fissato che Kyle offenda la nostra Casa indossandola e che dovrebbe essere abbastanza maturo da accettare la decisione del Cappello Parlante».
Brian osservò Kyle: era palesemente angosciato. Sì, quello era il termine più adatto.

*

«Oggi distillerete la Pozione Singhiozzante, alla fine della lezione mi consegnerete una fiala per la valutazione» disse il professor Mcmillan.
«Dov’è Alastor?» sussurrò Elphias Doge.
«Convocato dalla Preside» replicò Albus sempre a bassa voce.
«Scherzi?! Perché mai?».
«Non lo so. Sono sicuro che non abbia fatto nulla di male».
«Ho valutato le vostre Pozioni Corroboranti e non sono pienamente soddisfatto. La rifaremo più avanti. Se siete interessati alla fine della lezione vi dirò quanto avete preso e che cosa avete sbagliato. Adesso iniziate pure a lavorare» aggiunse Mcmillan.
Albus si mise al lavoro, un po’ preoccupato. Nel tema sulla Pozione Corroborante aveva preso O, come anche nella ricerca di approfondimento. Si era impegnato molto, quindi ne era abbastanza orgoglioso, ma distillare pozioni era tutta un’altra cosa. E poi, a quanto pareva, avrebbe dovuto affrontare il professore faccia a faccia.
La prima parte della lezione procedette tranquillamente, almeno così apparve ad Albus finché Elphias non attirò la sua attenzione.
«Rose che ha?».
Si voltò verso la cugina di scatto. La ragazza fissava con astio Meredith Ashton.
«Non è che ha qualche strana idea in testa? La storia della polvere pruriginosa è costata ben quindici punti a Grifondoro» sospirò Isobel.
Albus non sapeva come rispondere. Meredith per conto suo ricambiava lo sguardo ostile.
Rose percepì il suo sguardo e si voltò verso di lui, facendogli una smorfia infastidita. Quasi a ricordargli che ce l’aveva anche con lui. Dopodiché con nonchalance si alzò e raggiunse l’armadio delle scorte. Albus scambiò un’occhiata preoccupata con Elphias: aveva un brutto presentimento.
Rose tornò indietro lentamente. I Grifondoro stavano per tirare un sospiro di sollievo quando ella superò Meredith, limitandosi a toccarle la schiena. Rimasero, però, a bocca aperta appena la Serpeverde gridò toccandosi i capelli.
«COME HAI OSATO METTERMI UNA GOMMA NEI CAPELLI?!» urlò fuori di sé.
«Chi io?» replicò innocentemente Rose.
Meredith prese del muco di vermicoli e lo tirò addosso a Rose, che si scansò appena in tempo per evitarlo. Il tutto si spiaccicò sulla faccia di Alex Dolohov, che schifata e arrabbiata, ne prese una manciata dal suo tavolo e la lanciò alla compagna di Casa. In pochi minuti scoppiò il delirio. Albus fu preso in pieno da quello che sembrava fegato di drago, o almeno lo era stato prima di essere spappolato. Lui, Elphias e Isobel tentarono di tenersi fuori dalla battaglia che ne seguì, nonostante i tentativi di Mcmillan di riportare la calma. Il professore stesso si ritrovò la veste macchiata di bava di streeler.
Albus nauseato tentò di proteggersi la testa e la faccia.
«Che schifo le lumache!» strillò Isobel.
La situazione degenerò nel momento in cui, per uno o più ingredienti di troppo, il calderone di Deborah Kendall esplose, ricoprendo tutti i presenti di una sostanza posticcia e dall’odore nauseante.
Mcmillan, naturalmente, era furioso ma al momento Albus aveva ben altri problemi: se non si fossero puliti in qualche modo avrebbe dato di stomaco. E probabilmente non sarebbe stato l’unico.
«Siete impazziti?» sibilò il professore.
I ragazzi lo fissarono in silenzio, redendosi conto di quello che avevano combinato.
«È stata la Weasley» intervenne immediatamente Meredith Ashton. «Mi ha attaccato una gomma da masticare tra i capelli».
Albus la contemplò per un attimo come se fosse uno strano essere: credeva veramente di mantenere la sua reputazione impeccabile dopo aver dato inizio, sotto gli occhi del professore, a una battaglia di ingredienti? No, sul serio era così piena di sé?
 «Zitta!» sbottò Mcmillan. Decisamente furioso non era il termine adatto. Troppo riduttivo. «Vieni con me e anche tu Weasley. Voi altri, non vi muovete da qui o vi giuro che potrete andare a preparare i bagagli!».
Non aveva urlato, ma la rabbia più che percepibile dietro le sue parole fu sufficiente ai ragazzi per non dubitare delle sue parole.
Albus prese il fazzoletto dalla tasca e tentò di pulirsi almeno il viso, mentre un brusio si levò appena l’insegnante lasciò l’aula.
«Che succederà secondo voi?» sussurrò Isobel scioccata.
«Non lo so» borbottò Elphias in risposta.
Albus non aprì bocca e controllò la sua pozione con attenzione: anche lì era caduto qualcosa e il colore era cambiato notevolmente. Era da buttare.
Nessuno osò muoversi anche dopo il suono della campanella. Mcmillan li fece attendere un bel po’ e quando rientrò era completamente ripulito. Purtroppo la sua rabbia non era diminuita per nulla.
«Quello che è accaduto è gravissimo. Sedetevi» ordinò. I ragazzi obbedirono prontamente. Albus notò che Elphias si stava mordendo il labbro, probabilmente per non polemizzare. Non aveva tanto torto: loro non avevano fatto assolutamente nulla. «Una alla volta verrete alla cattedra e mi consegnerete la fiala con dentro la vostra Pozione Singhiozzante e io la valuterò» continuò freddamente.
«Ma professore, non abbiamo potuto finirle e si sono anche rovinate con gli ingredienti di troppo che vi sono caduti dentro» si lamentò Deborah Kendall.
«Chi è causa del suo mal, pianga se stesso» ribatté bruscamente Mcmillan. «La tua pozione ha meritato una T, visto com’è esplosa. E visto che quella corroborante aveva meritato un D, se fossi in te mi farei due domande su che cosa dovrai aspettarti dai G.U.F.O. se continui a non studiare».
Albus deglutì: non aveva mai sentito parlare in quel modo Mcmillan in quattro anni. Assomigliava troppo alla Shafiq in quel momento.
«Collins» chiamò il professore.
«Ehm la mia pozione si è rovesciata per sbaglio» borbottò il Serpeverde indicando un’enorme chiazza sula pavimento.
«Ma professore, non può!» si lamentò la Kendall riacquistando l’uso della parola.
«Non credo che sia tu a dirmi cosa posso o non posso fare nella mia classe» replicò Mcmillan. «E Collins, la macchia non si pulirà da sola». Mosse la bacchetta e apparvero un secchio e uno straccio. «Continua a divertirti, ma poi agli esami dubito che riderai. Hai T con media, complimenti. Cooman, anche la tua pozione, come quella delle tue degne compari si è accidentalmente versata sul pavimento, o sbaglio?» continuò con la stessa fredda ironia. «No, direi di no. Così anche tu, Dolohov e Ferons vi siete appena meritate una T. E dire che tu e Dolohov avevate preso un S nella pozione Corroborante e Ferons un A. Peccato, davvero. Ora, dovreste proprio dare una mano a Collins». Fece apparire altri stracci e secchi. «Doge?».
Albus fissò trasecolato l’amico mentre riempiva una fiala con la sua pozione, una volta perfetta ma ora modificata da chissà cosa.
«È sbagliata» disse consegnandola. Le sue parole sorpresero Mcmillan, che probabilmente non si aspettava una reazione da parte loro. «Dentro vi è caduto del fegato di drago, che non c’entra assolutamente nulla».
«Vedo» commentò lentamente Mcmillan osservando il liquido giallastro. «S» sentenziò infine. «L’altra era perfetta, hai preso E. Malfoy, mi fai vedere la tua?».
Elphias, però, non si mosse.
«Che cosa c’è Doge?». Nella voce del professore c’era più sorpresa che rabbia.
«Non è corretto».
«Credi di meritare di più?» domandò il professore inarcando un sopracciglio.
«No. Ho detto io stesso che la pozione è sbagliata».
«Quindi, qual è il problema?».
«A mio parere non sono corrette le punizioni collettive. Ognuno di noi dovrebbe rispondere di ciò che ha fatto e non di quanto fatto da altri. Io non ho lanciato un bel nulla. E non sono stato il solo. Se fosse possibile, vorrei sapere che senso ha punire anche chi si è semplicemente trovato in mezzo, perché da solo non ci riesco. Vi assicuro che poi non mi lamenterò più».
Tutti fissarono l’insegnante in attesa di una reazione. Mcmillan sembrava particolarmente spiazzato dalle parole del Grifondoro: Elphias Doge aveva parlato con calma, proprio come se non avesse compreso qualcosa durante una spiegazione. Per parecchi minuti si sentirono solo i rumori causati dai ragazzi che stavano ripulendo il pavimento.
Alla fine il professore rispose: «Come faccio a sapere con certezza chi ha partecipato e chi non l’ha fatto?».
«Lei era presente» disse Elphias.
«Ma nella confusione potrebbe essermi sfuggito qualcosa. Posso dire con certezza di non aver visto la signorina Wilkinson lanciare qualcosa, ma davo le spalle a te e ai tuoi compagni».
Albus pensò che il ragionamento non facesse una piega e il suo cuore sprofondò: il tentativo di Elphias non era valso a nulla.
«Capisco. Però Arya non dovrebbe essere punita se è sicuro che non abbia fatto nulla» commentò Elphias.
«Ma in questo modo non adotterei lo stesso metro di giudizio per tutti» replicò Mcmillan.
«Il metro di giudizio è uno solo secondo me» ribatté Elphias. «Le opzioni sono tre: colpevole, non colpevole e impossibile da definire. Il grado di responsabilità è diverso».
Collins, Alex, Cassy e Annie avevano smesso di lavorare per fissare il compagno e il professore a bocca aperta come il resto della classe. Albus ebbe paura che l’amico avesse esagerato questa volta, nonostante si fosse posto in maniera educata, aveva praticamente fatto la morale a un insegnante.
«Mi sembra sensato» sentenziò Mcmillan dopo averci riflettuto a lungo. «Tu, però, appartieni al terzo caso e al momento non posso che valutare così la tua pozione».
«Va bene. Grazie di avermi ascoltato» disse Elphias, tornando a sedersi sotto gli occhi dei compagni annichiliti.
«Malfoy?» chiamò il professore.
«Mi sa che devo dare una mano a pulire, perché anche la mia pozione è sul pavimento al momento» sospirò Scorpius, fissando poi con aria scettica lo straccio. D’altronde non era abituato a certi lavori. Albus era sicuro che al momento la sua massima preoccupazione fosse proprio l’utilizzo dello straccio e non la sua media in Pozioni, nonostante si fosse appena guadagnato una T, in netto contrasto con la O della Pozione Corroborante.
Isobel era sul punto di scoppiare a piangere quando anche lei si beccò una S, proprio come Elphias.
Albus si limitò a sospirare di fronte alla sua D, datagli probabilmente perché aveva consegnato e per l’incertezza che vi era sulla sua partecipazione alla battaglia. L’unica che si salvò fu proprio Arya, il cui lavoro non fu valutato. Mcmillan era una persona essenzialmente giusta, che non si faceva problemi ad ammettere i propri errori.
«I vostri Direttori sono già stati avvertiti, a loro lascio gli ulteriori provvedimenti. Vi assicuro che se mai dovesse riaccadere una cosa del genere, richiederò espressamente l’espulsione dei colpevoli. Non si gioca in un laboratorio di pozioni! Mi avete terribilmente deluso. Ora andate tutti, tranne voi tre» concluse Mcmillan indicando i tre Grifondoro. Riprese a parlare appena rimasero da soli: «Dirò a Neville che vi proclamate innocenti. Come hai detto tu, Elphias, non ho prove contro di voi né in bene né in male. E di questo dev’essere preso atto. Anche perché voi di solito siete ottimi studenti e mi viene difficile pensare che mi stiate mentendo spudoratamente. Naturalmente lo stesso vale per la signorina Wilkinson, che non deve temere alcuna ripercussione dalla professoressa Shafiq. Andate pure, adesso».
Fuori dall’aula trovarono Arya ad attenderli. «Grazie» disse semplicemente la Serpeverde.
«È giusto così» replicò semplicemente Elphias.

*

«Bene, ragazzi oggi inizieremo a lavorare sui patroni. Si tratta di magia molto avanzata, quindi non mi aspetto che ci riusciate tutti subito…».
«Ma signore, i Patroni non fanno parte del programma del quinto anno» lo interruppe Annabelle Dawlish.
«Gradirei non essere interrotto» sbuffò Williams. «Per essere precisi molti anni fa, rientravano a malapena nel programma del settimo anno. Dopo la guerra il professor McBridge non li ha presi neanche in considerazione; dopotutto i dissennatori erano stati cacciati da Azkaban e allontanati dalla comunità magica. Al momento, la situazione purtroppo è totalmente cambiata. Eravate tutti presenti a giugno quando i dissennatori sono stati evocati. E la maggior parte di voi non era in grado di difendersi. Per questo motivo la Preside ha approvato la mia decisione di affrontare l’argomento già al quinto anno. Qualcuno di voi è in grado di definire quest’incantesimo?».
Dorcas sospirò nel vedere le mani di quasi tutti i Corvonero scattare in aria. La alzò anche lei, non tanto perché le interessasse mettersi in mostra quanto per la sua Casa. «Dorcas» la indicò il professore.
La Tassorosso si rese conto di essere stata l’unica della sua Casa ad alzare la mano, per ciò Williams, che non voleva mai fare il minimo favoritismo, aveva ignorato i suoi Corvonero.
«L’Incanto Patronus serve a difendersi da creature come i dissennatori e i lethifold. Solitamente, specialmente all’inizio, i patronus si presentano sotto forma di una semplice nebbiolina. Un patronus ben fatto, invece, assume una forma zoomorfa, in questo caso si parla di Patronus Corporeo. Per evocarlo bisogna pensare intensamente a un ricordo felice e pronunciare la formula Expecto Patronum» rispose Dorcas.
«Molto bene. Quindici punti a Tassorosso» assentì Williams.
«Solo perché suo padre è un Auror» mormorò infastidita Artemisia Belby.
Dorcas ignorò le sue parole e si limitò a prendere appunti. Era vero che quelle cose gliele aveva spiegate il padre dopo l’attacco dei dissennatori.
«Vi ho portato nella Sala Duelli in modo che possiate esercitarvi in un luogo ampio e spazioso» continuò Williams. «Mettetevi qui al centro della Sala e iniziate a provare, forza».
Dorcas sospirò e tentò di concentrarsi su un ricordo felice, ma gli avvenimenti dell’estate la soffocarono. I suoi compagni, però, non sembravano cavarsela meglio.
«Su concentratevi» gli esortò l’insegnante.
Dorcas rinunciò a provarci e non fu l’unica.
«Troppi pensieri tristi anche tu?» chiese Jonathan in un sussurro.
«Già».
«C’entra Jesse Steeval?».
La ragazza sgranò gli occhi per la sorpresa: non si aspettava che tirasse fuori quell’argomento. «Non mi va di parlarne».
«Scusa, sono stato indelicato. Ma sai qual è la verità? Sono settimane che mi chiedo che cosa vi ha spinto a entrare nella stanza di Steeval di nascosto».
«Ma scusa», sbottò Dorcas infastidita, «prima dici di essere stato indelicato e poi insisti!».
Jonathan chinò il capo. «Hai ragione, scusa. Non so che cosa mi sia preso».
«Voi due, avete intenzione di chiacchierare per tutta la lezione?» li richiamò Williams.
Bofonchiarono delle scuse e tentarono ancora, ma senza il minimo entusiasmo.
Dorcas desiderava che gli altri la smettessero di impicciarsi negli affari suoi ed era sorpresa dall’atteggiamento del Corvonero.
A volte, però, si è così presi da se stessi che non ci si rende conto di che cosa provino realmente gli altri. Infatti Jonathan era rimasto terribilmente ferito da quella conversazione.
«Signore, non mi sento bene, posso sedermi?» domandò a Williams.
Il professore lo fissò per qualche secondo prima di annuire.

*

«Alastor! Sei sparito tutto il giorno! Che è successo?» chiese subito Albus, ma quando vide il volto rigato dalla lacrime e gli occhi rossi dell’amico, tacque e sedette a terra accanto a lui.
«Dicono che si è suicidata» mormorò Alastor, pulendosi gli occhi con la manica della divisa.
«Chi?» domandò Albus turbato.
«Mia madre» sussurrò Alastor. Albus boccheggiò, incapace di dire alcunché. L’amico non aveva mai voluto parlare della situazione che aveva trovato a casa nel momento in cui era tornato per le vacanza a giugno. L’unica cosa chiara era che la madre se n’era andata di casa. «Ci aveva mentito. Non era chi diceva di essere» riprese Alastor e Albus comprese che finalmente si sarebbe confidato. «Il suo vero nome era Faith Rowle. Verso la fine della guerra si è avvicinata a mio padre per ordine della sua famiglia. Speravano di colpirlo in qualche modo, perché sapevano che faceva parte dell’Ordine della Fenice. La vittoria di tuo padre ha ribaltato completamente la situazione. Per convenienza mia madre si è allontanata dalla sua famiglia e ha iniziato a frequentare seriamente mio padre. Lui era stanco dalla guerra e sulle sue spalle pesavano le nuove responsabilità da Ministro, per cui trovava in lei e nella sua compagnia un certo sollievo. Credo sia plausibile, anche se sinceramente lo vedo sempre perfetto».
«Non sono perfetti. Mio padre me lo ripete sempre. Solo che è troppo difficile vederlo per noi. Tutti cercano qualcosa di loro in noi, specialmente il loro stesso talento» sospirò Albus, comprendendo pienamente lo stato d’animo dell’amico.
«L’ascesa di Bellatrix Selwyn ha portato nuovo potere e rinvigorito l’antica superbia dei Rowle. Naturalmente mia madre è stata la prima pedina da muovere. Il caso, però, ha voluto che, essendo lei una magonò, non è mai stata trattata bene dalla sua famiglia d’origine. Mio padre, invece, l’ha sempre rispettata e voluta bene nonostante pensasse che lei fosse una babbana. Non sono sicuro si possa parlare di amore vero e proprio, ma si volevano bene. Non so cosa abbia fatto scattare mia madre, ma ha raccontato la verità a mio padre e se n’è andata di casa. Lui voleva perdonarla, aveva provato anche a parlarle. Io ero sicuro che l’avrebbe convinta a tornare… Gli Auror hanno trovato il suo corpo, sembra che si sia suicidata».
«In che senso sembra?».
«Mio padre dice che lei non l’avrebbe mai fatto. Non era il tipo. Secondo lui hanno voluto farlo sembrare un suicidio». Albus gli strinse la spalla: erano amici fin da piccolissimi, non avrebbe mai detto frasi di circostanza tanto per il dovere di farlo. «I tuoi hanno firmato il permesso e la Preside non ha avuto nulla da ridire, per favore vieni con me».
Albus non chiese a che cosa si riferisse, annuì e basta. Aveva un peso sul cuore: le rune e la Profezia erano la risposta ai loro problemi, ma, presi dai loro litigi e impegni, le avevano trascurate.

*

«Brian».
Il ragazzino sobbalzò e fece per alzarsi. Il professor Paciock, però, lo trattenne e si sedette accanto a lui.
Brian era terrorizzato: non avrebbe dovuto trovarsi lì. Come l’aveva trovato?
«Lo Specchio delle Brame» sospirò il professore. «Ne avevo sentito parlare, ma non l’avevo mai visto».
«La prego, non mi rimproveri davanti a lei» mormorò Brian a voce bassissima, quasi non volesse farsi sentire da qualcuno.
Sorprendendo il ragazzino, Neville gli circondò le spalle con un braccio. «Ci siamo solo noi nello specchio» sussurrò a voce altrettanto bassa, per non turbarlo.
«Lei è lì, si mostra solo a me».
Neville sospirò e con pacatezza disse: «Pensavo che Louis ti avesse spiegato come funziona lo Specchio».
«È stato lui a dirle che mi avrebbe trovato qui?» domandò Brian sorpreso.
«No» rispose il professore. «Ma lei non è nello Specchio, è qui dentro» aggiunse poggiando una mano sul suo cuore, costringendolo così a sollevare gli occhi su di lui. Erano lucidi. «Andiamo?» chiese infine.
Brian non rispose, ma si lasciò condurre fuori dalla torretta e lungo le scale fino al corridoio del settimo piano. Nessuno dei due proferì parola per tutto il percorso. Il corridoio era deserto. «È scattato il coprifuoco?» domandò basito, rompendo il silenzio. Possibile che fosse trascorso così tanto tempo? Non aveva fatto alcun compito per il giorno dopo! E si sentiva stanco e stordito.
«No, manca ancora qualche minuto» rispose sempre pacatamente Neville. «Come ti senti?».
«Mi fa male la testa e sento freddo». Le parole gli erano sfuggite dalla bocca, senza che se ne accorgesse.
«La torretta è fredda. La testa ti fa molto male?».
«No grazie, signore» mormorò Brian.
Neville non fece commenti e lo condusse nel suo ufficio. Una volta all’interno gli indicò il divano, invitandolo a sedersi. «Sposta quelle pergamene, scusa sono parecchio disordinato».
Brian obbedì meccanicamente, mentre Neville faceva apparire una vassoio di sandwich e un bicchiere di latte dal nulla. Il ragazzino lo fissò stranito. «Il cibo non può apparire dal nulla».
«Infatti viene direttamente dalla cucina» replicò Neville con un mezzo sorriso. «Forza, mangia. Hai saltato la cena».
«Grazie, signore». Brian prese un sandwich, scoprendo di avere molta fame.
Neville lo lasciò mangiare tranquillamente e rimise in ordine i temi che aveva disseminato per la stanza. Il tutto per non metterlo a disagio. Quando Brian finì di mangiare, si sedette accanto a lui.
«Meglio?».
«Sì grazie, signore» replicò fiocamente il ragazzino.
«Lo so che preferiresti andare immediatamente a letto, ma vorrei scambiare due parole con te prima».
Brian annuì, fissandosi le ginocchia.
«Non ti voglio rimproverare» disse Neville gentilmente.
«No?» ripeté sorpreso il ragazzino e gli piantò addosso gli occhi nuovamente lucidi.
«No» confermò Neville. «Sai, ti capisco più di quanto tu possa credere. Anche a me è sempre mancata la mia mamma». Brian avrebbe voluto chiedere di più, ma non osò. «Vederla nello Specchio era come averla più vicina?».
«Sì. Sorrideva e mi abbracciava. Nello Specchio siamo tutti e quattro insieme. Intendo io, mia mamma, mio padre e mia sorella» gli confidò Brian. «Vorrei che fosse così».
Neville gli avvolse nuovamente le spalle con un braccio. «Ascoltami, ti prego. Purtroppo lo Specchio non mostra la realtà. Come ti senti dopo che trascorri molte ore a osservarlo?».
«Male» ammise Brian. Non aggiunse altro, ma la verità era che dormiva male da giorni e, come Maxi non aveva mancato di ricordargli più volte, tutto ciò incideva sullo studio. «Non riesco a non pensarci. Penso solo al momento in cui potrò tornare nella stanza dello Specchio».
«Non andarci più Brian» sussurrò Neville con delicatezza, ma anche con fermezza.
«Ma lei…» iniziò Brian, senza sapere come continuare.
«Ti piace vederla?» lo aiutò Neville. Il ragazzino annuì, mentre una lacrima scivolava a tradimento lungo una guancia. «Perché non ti fai mandare una foto? Non hai foto magiche? Potrai sempre portarla con te».
«N-non ci ho pensato, ma non so se… se insomma mio padre voglia mandarmela».
«Sono sicuro di sì. Gli scriverai?». Brian annuì, passandosi una mano sulla guancia per asciugarsi la lacrima. «Domani parlerò con la Preside e lo Specchio sarà spostato in luogo sicuro, promettimi di non cercarlo più».
«Ma…» provò il ragazzino.
Neville scosse la testa. «Ascoltami, Brian, quello Specchio è pericoloso. Sei il mio miglior studente, non mi fare preoccupare, ti prego». Brian arrossì per il complimento. «Allora me lo prometti? Non cercherai più lo Specchio?».
«Sì, lo prometto» disse Brian sinceramente. Se non fosse stato un professore, l’avrebbe abbracciato.
«Grazie, adesso sono più tranquillo. Vuoi parlarmi di qualcos’altro?».
«No grazie, signore» rispose rapidamente il ragazzino.
«Va bene, ma mi raccomando: qui a Scuola, lontano dalle vostre famiglie, siete sotto la nostra responsabilità. Se avete qualche preoccupazione, venite a parlarne con noi professori. Non è una debolezza chiedere aiuto. Noi non possiamo sempre vedere e sapere tutto. Ho paura Brian di quello che sarebbe potuto succederti, se non avessi saputo dello Specchio».
«Mi dispiace» sussurrò sincero.
«Non ti scusare. Te l’ho detto, ti capisco perfettamente. Ti accompagno alla Torre di Corvonero, vieni».
Brian lo seguì in silenzio, ma fu contento che l’insegnante mantenne una mano sulla sua spalla. Si sentiva protetto.
«Mi raccomando, vai subito a letto. Hai bisogno di una buona dormita, va bene?» gli disse Neville con un lieve sorriso.
Il ragazzino, che non voleva più mentirgli, fece una smorfia e chinò il capo: «Devo fare i compiti per domani» mormorò.
«Per questa volta non fa niente. Sei giustificato. Va’ a letto».
«Ma…» iniziò incerto Brian, sorpreso dalle sue parole.
«Sono il Vicepreside. Ne ho il potere» disse, invece, Neville con un sorriso più ampio.
«Grazie mille» sussurrò il ragazzino, scoppiando in lacrime. A parte suo padre e la signora Scott erano anni che qualcuno non era così buono con lui.
«Brian! Va tutto bene!» disse Neville, tentando di calmarlo; ma ce ne volle, era molto tempo che il ragazzino non si sfogava in quel modo.

*

«Avanti, mettetevi in fila. Che ci vuole?» sbuffò Jack rivolto ad alcuni ragazzini del primo anno, che obbedirono all’istante.
«Li hai terrorizzati» sospirò Andy divertito.
«Non è colpa mia se è troppo semplice farlo. L’importante è che si stiano fermi, sennò poi Mcmillan me lo devo sorbire io».
«Poverino».
«Tutto questo sarcasmo all’improvviso?».
«Sono contento che abbiamo saltato Trasfigurazione. La McGranitt mi mette più ansia di Lupin» borbottò Andy.
Jack scosse la testa. «Solo perché è la Preside oppure perché è più anziana. Lupin non si è mai fatto mettere i piedi in testa e sapeva il fatto suo».
«Jack, la Sketeer sta infastidendo Jonathan. Dobbiamo intervenire noi?».
Dorcas lo costrinse a voltarsi verso sinistra, dov’erano i Corvonero insieme ai Serpeverde.
Si erano recati tutti in cortile per assistere all’accensione della fiaccola, posta quasi al centro. Naturalmente erano state invitate le varie autorità: Hermione Granger, Ministro della Magia; Draco Malfoy, Capo del Dipartimento per Cooperazione Magica Internazionale e uno degli organizzatori delle Olimpiadi Magiche; Susan Bones, Capo del Dipartimento Applicazione della Legge sulla Magia; Harry Potter e Terry Steeval, rispettivamente Capitano Auror e Capitano della Squadra Speciale Magica; Marcus Flint, Capo dell’Ufficio per i Giochi e gli Sport Magici; Michael Corner, Capo dell’Ufficio del Trasporto Magico.
S’intende che i giornalisti non si sarebbero mai persi un’occasione così importante e ghiotta; infatti Rita Sketeer ne stava già approfittando come suo solito. Jack non aveva la minima voglia di avere a che fare con lei, ma a quanto pare Prefetti e Caposcuola di Corvonero non erano a portata di mano quando servivano. E non avrebbe mai lasciato Dorcas nelle mani di quella donna.
«Me ne occupo io» disse a malincuore. Si avvicinò a Goldstain e alla Sketeer.
«Le ho detto che non voglio rispondere alle sue domande!» si lamentò, probabilmente per la milionesima volta, il ragazzo.
«Nessun insegnante, men che meno la Preside, ha autorizzato qualsivoglia intervista agli studenti. È stata invitata qui solo per assistere alla Cerimonia, perciò è pregata di raggiungere i suoi colleghi» disse Jack con fermezza, trattenendo a stento il suo disprezzo.
«E tu chi sei? Vuoi lasciarmi una piccola dichiarazione? Ti senti tranquillo ad avere per compagno un lupo mannaro?» insisté la donna, ignorando palesemente la sua richiesta.
Jonathan impallidì ancor di più e Jack serrò la mascella. «La prego di raggiungere i suoi colleghi o sarò costretto ad avvertire un insegnante» ripeté irritato.
«Suvvia, non essere spaventato. Hai paura che il tuo compagno ti attacchi? Gli insegnanti dovrebbero esserne messi al corrente».
«Io non ho paura di niente!» sbottò Jack. E addio autocontrollo.
«Miss Sketeer, se non smette di infastidire i ragazzi, sarò costretto a scortarla fuori».
«Oh, il Capitano Steeval. Vuole finalmente dirci come si sente dopo la condanna di suo figlio?».
Dorcas, che aveva seguito Jack, sbiancò.
Terry fece un cenno all’uomo che lo accompagnava. «Andrews, accompagna miss Sketeer dai suoi colleghi e assicurati che non vada in giro per la Scuola».
«Grazie» disse Jack, fissando con una smorfia la donna che si allontanava.
«Dovere. Vi conviene tornare ai vostri posti. La cerimonia sta per iniziare» replicò Terry Steeval.
«Grazie, Terry» mormorò Jonathan.
«Di niente. Sei pur sempre il mio figlioccio. I tuoi sono preoccupati. Mi hanno chiesto di fare due chiacchiere con te, ma non abbiamo molto tempo purtroppo».
«Mi dispiace che siano preoccupati, temo che la situazione mi sia sfuggita di mano».
«Devi dare tempo al tempo. Si abitueranno e non ti daranno più fastidio. Ascoltami, però. Qualunque cosa scriverà la Sketeer, tu stai tranquillo, ok?».
«Non ho risposto a nessuna delle sue domande!» disse Jonathan strabuzzando gli occhi.
Terry sorrise lievemente di fronte alla sua ingenuità. «La Sketeer è molto brava a riempire di parole i silenzi. Su, vai dai tuoi compagni. Io devo tornare dai miei colleghi».
 
Ormai il sole era tramontato quasi del tutto e la Cerimonia sarebbe iniziata a breve. Frank era molto teso e non desiderava altro che finisse velocemente. Odiava essere al centro dell’attenzione.
«Paciock, vieni qua» lo chiamò Mcmillan. Frank si avvicinò. «Nel braciere c’è una pozione fatta apposta perché il fuoco non si spenga fino a giugno. Mi raccomando, limitati ad avvicinare la fiaccola al braciere e non avvicinarti troppo con il corpo. Capito?».
«Sì, signore» sospirò Frank.
«Mcmillan, vieni. Abbiamo un problema con la torcia» lo chiamò con voce allarmata Draco Malfoy.
In quel momento Frank si accorse che gli adulti avevano tutti un’espressione preoccupata, quasi angosciata. Fece per avvicinarsi, ma il professore di Pozioni lo fermò: «Aspetta, quando è ora ti chiamiamo».
Frank si rassegnò a osservarli da lontano. Draco Malfoy sembrò irritarsi con Hermione e si staccò dal gruppo, per poi ritornare poco dopo trascinando lo zio Harry, che a sua volta aveva un’espressione turbata. La torcia fu presa in consegna dai suoi Auror. La discussione tra Malfoy e Hermione riprese, finché la Preside non vi mise fine con poche parole.
Infine la McGranitt si puntò la bacchetta alla gola per amplificare la sua voce e attirò l’attenzione di tutti i presenti. «Buonasera a tutti. Ringrazio le autorità presenti per essere intervenute a questo storico momento. Come tutti voi ormai sapete, per la prima volta si terranno le Olimpiadi Magiche e Hogwarts vi prenderà parte. Ogni Scuola accenderà nel proprio territorio una piccola riproduzione del braciere olimpico, per ricordare i valori che si celano dietro tale competizione: amicizia e lealtà. Hogwarts ha l’onore di accendere il primo braciere, grazie a Frank Paciock, studente del quarto anno, vincitore del concorso indetto dell’Ufficio per la Cooperazione Magica Internazionale durante lo scorso anno scolastico in collaborazione con la Confederazione Internazionale dei Maghi».
A un cenno della Preside, Frank si pose al suo fianco.
Mcmillan si avvicinò silenziosamente e porse una torcia alla McGranitt. Con un sospiro Frank prese a sua volta la torcia e attese che Mcmillan l’accendesse. Sotto gli occhi di tutti, non vedeva l’ora di rintanarsi nella sua stanza, si avviò verso il braciere. Il cortile era nel più completo silenzio. Rammentò le raccomandazioni del professore e si fermò a distanza sufficiente da poter allungare la torcia. La fiammata fu rapida e improvvisa. Fece qualche passo indietro a causa del calore, mentre un applauso si levava dagli spettatori.
Tornò accanto alla Preside, come precedentemente gli era stato detto di fare, dopo aver riconsegnato la torcia a Mcmillan. «Bene, prima di concludere non mi resta che annunciare i nomi di coloro che prenderanno parte alla competizione» riprese la parola la McGranitt. «La squadra di Quidditch, capitanata dal Albert Abbott di Tassorosso, è formata da: Arthur Weasley, Cercatore; Melissa Goldstain e Amy Mitchell Cacciatrici insieme ad Abbott; Karl e Kevin Baston, Battitori; infine Daniel Mcnoss, Portiere. I Duellanti, scelti dal professor Williams, sono: James Sirius Potter, Meredith Ashton, Jack Fletcher, Tania Benson ed Emmanuel Shafiq. La squadra di scacchi è formata da: Louis Weasley, Phoebe Moore, Hugo Weasley e Nathan Wilkinson.  La squadra di gobbiglie, capitanata da Harry Cattermole, da: Altair Travers, Scott Bobbin e Mirko Allien. Infine coloro che affronteranno le prove di Cultura Magiche sono: Frank Paciock, Storia della Magia; Marcus Parkinson, Trasfigurazione; Albus Severus Potter, Erbologia; Rimen Mcmillan, Astronomia e infine Gabriel Fawley, Pozioni. La loro presenza nella squadra di Hogwarts sarà confermata nel momento in cui i genitori, naturalmente mi riferisco ai minorenni, firmeranno loro il permesso. Detto ciò, vi invito a recarvi in Sala Grande per la cena».
Frank tirò un sospirò di sollievo, ma proprio mentre cercava Roxi e Gretel con lo sguardo, fu agguantato per la spalla e fu costretto a voltarsi.
«Che c’è papà?» chiese sorpreso dalla sua espressione angosciata. Neville non rispose ma lo condusse dallo zio Harry.
«Neville, mi devi spiegare che ti è saltato in mente!» sbottò Harry.
«Di che parli?».
«Albus! Per la miseria, lo sai che è nel mirino della Selwyn e tu lo scegli per questo stupido gioco!».
Neville sospirò. «Mi dispiace, Harry. Speravo non sarebbe stato pericoloso».
Harry sbuffò frustrato. «Invece sì! Non vedi come agiscono! Sono subdoli!».
«Ne scelgo un altro allora, ma rimane il fatto che tutti i ragazzi sono in pericolo».
«E come glielo spiego ad Albus?» sbuffò Harry. «Vorrà partecipare. Proprio come James, non sai quanto è entusiasta di aver vinto il Torneo di Duello e di poter partecipare alla competizione!».
Frank seguiva la discussione senza comprendere cosa c’entrasse lui.
«Non so che fare, Harry» disse stancamente Neville. «Mi sono spaventato da morire prima. Se potessi, non farei partire Frankie».
«Ma che cosa è successo?» domandò finalmente Frank.
«Qualcuno ha gettato il malocchio sulla torcia, che il Ministero aveva realizzato appositamente per l’occasione» rispose Harry.
«Ma io l’ho usata!» commentò Frank sconvolto.
«Era solo un sasso trasfigurato, Frankie. Non te l’avremmo mai fatta toccare» replicò Harry.
Neville lo abbracciò stretto. «Mi sono spaventato da morire» sospirò.
Frank non seppe come tranquillizzarlo.
 

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Capitolo 15
*** Un professore inaspettato ***


Capitolo quindicesimo
 
Un professore inaspettato
 
L’ennesimo tuono scosse il castello con rinnovata potenza. Rose strinse i denti e con le dita cercò la runa legata al polso: mai e poi mai si sarebbe mostrata spaventata davanti a Meredith Ashton. Purtroppo, però, ella era realmente terrorizzata dai temporali; quando ci rifletteva non riusciva a ricordare da quanto, tanto che alla fine desisteva accettando di esserci proprio nata con quella paura. A parte i suoi genitori, l’unico ha conoscere questa sua debolezza era Albus. Il cielo tuonò ancora e Rose si ripromise che avrebbe fatto pace con il cugino appena uscita da lì. Senza di lui avrebbe sicuramente trascorso la notte in bianco.
«Non mi dire che hai paura dei tuoni, Weasley» l’apostrofò la Serpeverde.
«Io non ho paura di nulla» ribatté con rabbia, voltandosi verso di lei.
«Come no. Hai smesso di pulire il calderone, sei rimasta immobile, stai stringendo il bordo del tavolo così forte che le nocche sono diventate bianche e sei impallidita. È ovvio che hai paura. Merlino, ho scoperto il punto debole di Rose Weasley! I nostri compagni ne saranno felici».
«IO NON HO PAURA» urlò Rose e riprese a strofinare il calderone con foga, quasi non percependo un tuono un po’ più forte degli altri. La runa le bruciò il polso come mai aveva fatto, trattenne a malapena un gemito, ma non poté scoprire il braccio senza farsi beccare dalla Serpeverde.
«Guarda che se dovessi avere un attacco di panico, non ti aiuterei».
«Preferirei morire piuttosto che accettare il tuo aiuto» ribatté Rose.
«Non vedo l’ora di raccontare a tutti che hai paura dei temporali» gongolò Meredith Ashton.
Rose abbandonò il calderone e le si appressò di scatto. «Non osare» sibilò.
«Sennò? Che mi fai? Oh, che paura!» replicò l’altra, non spostandosi di un millimetro.
La Grifondoro maledì il professore di Pozioni che le aveva sequestrato la bacchetta. «Non sai di cosa sono capace. Dovresti sapere che ho tutti i prodotti Tiri Vispi Weasley a disposizione».
«Tiri in ballo la tua famiglia perché non sei in grado di difenderti da sola?» la provocò Meredith.
«Almeno io non ho problemi a parlare della mia famiglia. Tu sei una deficiente, poi c’è il cugino zoppo, che altri fenomeni umani ci sono nella tua famiglia?» replicò Rose.
Meredith la fulminò con lo sguardo. «Mio padre è uno degli uomini più ricchi del paese! Ed è un esperto di economia magica internazionale! Mio cugino è un caso a parte. Per quanto riguarda me, la tua è solo invidia. Ho E in quasi tutte le materie. Mi piange il cuore per tua madre, una donna tanto colta e intelligente, ha messo al mondo un’idiota come te. Forse è colpa di tuo padre» sibilò.
«Non ti permettere di parlare male di mio padre!» strillò Rose spingendola. «È un grande Auror».
«Solo perché è il migliore amico di Harry Potter» ribatté la Serpeverde ricambiando la spinta.
«Non dirlo mai più!» gridò Rose tirandole i capelli.
Meredith la spinse indietro e le tirò un calcio. Nel giro di pochi secondi le due si stavano azzuffando sul pavimento.
«Ma che Merlino state facendo?» sbottò Mcmillan entrando in aula. Le separò proprio mentre Rose tentava di mordere Meredith. «Ma siete impazzite? Sapevo che Weasley fosse un’attaccabrighe, ma devo ammettere Ashton che sei un’enorme delusione».
La Serpeverde schiumava di rabbia e non si prese neanche la briga di replicare.
Il professor Mcmillan fece decisamente fatica a tenerle separate, mentre le accompagnava nell’ufficio della Preside. La professoressa McGranitt non fu per nulla felice di vederle e le fissò con un’espressione furibonda.
Rose, imbronciata e ancora furiosa, a malapena ascoltò il professore narrare le loro gesta e in verità lo trovò anche ridicolo nel suo atteggiamento melodrammatico, specialmente quando concluse affermando Non ce la faccio più.  La Preside, però, non era del suo stesso parere e pensò bene non solo di chiamare i loro Direttori ma anche i loro genitori.
La Grifondoro sbuffò nell’ascoltare le iterate lamentele di Mcmillan, di cui lei, s’intende, era protagonista indiscussa. Fortunatamente qualcuno bussò, mettendo fine a quel supplizio. Con sorpresa di tutti, non furono Neville e la Shafiq ad entrare, ma Dorcas Fenwick.
«Buonasera» mormorò palesemente turbata dagli occhi puntati su di lei.
«Buonasera, signorina Fenwick. Posso sapere che cosa la porta qui?» replicò la McGranitt.
«Cercavo il professore Mcmillan e sir Nicholas mi ha detto che l’avrei trovato qui, professoressa» rispose un po’ tremante Dorcas.
«E non potevi aspettare?» sbuffò Mcmillan, che aveva consumato la sua pazienza fino all’ultima briciola.
«No, signore. Michael Fawley ha avuto un incidente e miss Williamson mi ha chiesto di venirla subito a chiamare. È preoccupata».
Mcmillan s’incupì e pensieroso annuì. «Preside, se la mia presenza non è necessaria, andrei a verificare l’accaduto e le condizioni di Fawley».
«Naturalmente, va’ pure» rispose la McGranitt.
«Sono sicura che sono stati i Serpeverde!» strillò Rose attirando l’attenzione della Preside e di Neville e della professoressa Shafiq, che nel frattempo erano sopraggiunti.
«I Serpeverde?!» sbottò Meredith punta sul vivo. «Io sono una Serpeverde e sono qui accanto a te! Non credo di essere invisibile! E purtroppo, tra le mie innumerevoli qualità, non c’è quella dell’ubiquità!».
«Sentitela, la modesta!» ribatté Rose a tono.
«Fate silenzio!» sbottò la Preside alzando la voce. Immediatamente informò i due docenti di quanto era accaduto. Risultato? Ora erano in tre a guardarle male! Evvai pensò Rose ironicamente. Nel frattempo fuori continuava a piovere copiosamente. I loro genitori si fecero attendere. Il primo ad arrivare fu il padre di Meredith che si limitò a lanciare un’occhiata seccata alla figlia, prima di salutare i docenti e la Preside.
Brutta viziata pensò Rose, consapevole che sua madre avrebbe dato di matto. Quando, però, fu suo padre, scapigliato, come sempre dopo una giornata di lavoro, ad uscire dal caminetto, da solo, comprese che la sorte finalmente stava girando dalla sua parte e non riuscì a trattenere un sorrisetto.
«Buonasera, scusate. Mia moglie è in riunione con il Primo Ministro Babbano. Speravo si potesse liberare, ma non è stato possibile» esordì Ron stringendo la mano agli altri adulti.
«Non si preoccupi, signor Weasley. Si accomodi» replicò la Preside. «Sono dolente di avervi dovuto disturbare, ma purtroppo le vostre figlie non ci hanno lasciato scelta». Seguì, per l’ennesima volta, l’elenco delle loro ‘malefatte’. Rose iniziò a convincersi che nemmeno il Wizengamot girasse tanto intorno alle accuse dei suoi imputati.
Il signor Ashton s’incupì, mentre Ron si mantenne tranquillo. Non si stupiva per così poco, ormai.
«Vorrei sapere il motivo di quest’ennesimo litigio» sospirò infine la Preside.
«Signora Preside» iniziò Meredith. «È colpa di Rose. Ha insultato la mia famiglia e poi mi è saltata addosso come una selvaggia».
«Lecchina!» gridò Rose, scattando verso la Serpeverde. Ron la trattenne immediatamente. «Ha cominciato lei! Ha osato minacciarmi di raccontare a tutta la Scuola che ho paura dei temporali e le sono saltata addosso solo quando ha insultato mio padre!».
«Stai mentendo!» urlò Meredith fronteggiandola.
«La subdola serpe qui, sei solo tu» ribatté Rose.
«Basta così, signorine. Credo che abbiate dato spettacolo a sufficienza» intervenne la Preside. «Da quanto mi ha riferito il professor Mcmillan, nemmeno tu, Ashton, ti sei trattenuta dal colpire Weasley. Per cui, per quanto mi riguarda, siete egualmente colpevoli. Senza contare che stavate scontando una punizione per aver dato inizio a una battaglia durante la lezione di Pozioni!».
«È stata lei a lanciare il primo ingrediente!» accusò all’istante Rose.
«Mi ha attaccato una gomma nei capelli! Ho dovuto tagliarli!» reagì Meredith Ashton.
«HO DETTO BASTA!» urlò la Preside. «È evidente che non vi sappiate controllare! E avete quindici anni, per Merlino! Cinquanta punti vi verranno tolti per la vostra grave indisciplina. Ritengo che la punizione debba essere decisa dai vostri Direttori» concluse la McGranitt voltandosi verso i colleghi.
«Preside, personalmente ritengo che una provvedimento esemplare sia d’uopo» intervenne la professoressa Shafiq.
D’uopo? Ma come parla questa? Pensò Rose scioccata.
«Condivido pienamente, Elisabeth» sospirò la McGranitt.
«Ritengo che una sospensione sia stata pienamente meritata dalle due signorine. Lei è d’accordo, professor Paciock?».
Rose la fissò con tanto d’occhi: in quel modo non sarebbe sfuggita all’ira della madre.
«No, professoressa Shafiq» rispose Neville con fermezza.
«Lei è troppo buonista, gliel’ho sempre detto. Non mi verrà a dire che non considera grave il comportamento delle due ragazze?».
«Non sto sottovalutando la gravità del loro comportamento» replicò Neville infastidito. «Piuttosto ritengo che mandandole a case, regaleremmo loro solo una vacanza immeritata».
«Quindi lei preferisce una sospensione con obbligo di frequenza?».
«A casa non farebbero nulla» replicò Neville.
«Sta forse insinuando che i signori qui presenti, non siano in grado di educare i figli?» chiese la Shafiq.
Neville arrossì. «Non mi permetterei mai. Semplicemente ritengo che i genitori, impegnati con il lavoro, non possono sorvegliare i figli a tutte le ore; conseguentemente loro ne potrebbero approfittare».
«Mi ha convinto» assentì infine la Shafiq dopo averci riflettuto. «Sospensione con obbligo di frequenza della durata di una settimana?».
«Sì. Per quanto riguarda Rose, per tutto il tempo sarà sospesa dal suo ruolo di Capitano. Se vorrà il resto della squadra potrà allenarsi da solo, ma per lei il campo di Quidditch sarà off limits. Chiaro, Rose?». La Grifondoro fissò Neville come se fosse impazzito. «Credo che tu abbia detto e fatto abbastanza» disse tacitando in anticipo le probabili polemiche.
«Ritengo anche che dovranno svolgere i loro compiti separati dai loro compagni e rientrare in Sala Comune solo la sera. E, una volta conclusi i compiti, potranno svolgere dei lavori a nostro scelta» continuò la Shafiq.
Rose aveva ormai perso l’uso della parola, ma fulminò ugualmente Neville con lo sguardo quando lo vide annuire alle parole della collega.
«Molto bene, concordo con voi su tutta la linea. Spero che non ci troveremo più in questa situazione, vero signorine?» domandò la McGranitt.
«No, professoressa, non si preoccupi» sibilò Meredith a denti stretti.
Stupidi, falsi e ipocriti Serpeverde pensò Rose. Lei rimase in ostinato silenzio.
«Temo, signorina Ashton, di doverla escludere dalle Olimpiadi Magiche; visto il suo comportamento, farla partire sarebbe un premio immeritato».
E Rose sorrise.

*

«Allora come va?» esordì Jack, sedendosi accanto a Nyah.
«So fare un sacco di incantesimi» rispose sorridendo la ragazzina.
«Sei una che impara in fretta, l’ho capito dal primo momento in cui ti ho visto! Non per nulla il Cappello Parlante ti ha smistato a Corvonero. Come ti trovi con i tuoi compagni?».
Nyah fece una smorfia che non sfuggì a Jack.
«Problemi?» insisté il ragazzo.
«Alcuni sono simpatici» rispose infine Nyah.
«E gli altri? Qualcuno ti dà fastidio?».
«Lascia stare» mormorò.
«Perché? Sono un Prefetto! Sai in quanto li rimetto al loro posto? Un secondo!».
«Ma c’è chi ha più potere dei Prefetti» sussurrò Nyah, nonostante fossero da soli.
Jack si accigliò. «Solo i Caposcuola, i professori e la Preside. Neanche i Prefetti possono intralciarsi tra loro».
«Appunto» commentò la ragazzina.
«Appunto, cosa?» insisté Jack. «Qualche Caposcuola ti dà fastidio?». In realtà gli sembrava abbastanza difficile che il problema fosse questo: Laurence Roberts, Rimen Mcmillan e Conrad Avens non erano i tipi che insultavano i ragazzi più piccoli; al massimo avrebbe potuto nutrire qualche sospetto su Hannah Zabini, però ella al momento era molto giù di tono, probabilmente a causa della latitanza della madre e da buona Serpeverde non andava a cercarsi altri guai. «Qualche professore?». E se alla domanda precedente Nyah aveva scosso la testa, in questo caso cambiò espressione. Jack se ne sorprese. «Chi?».
«Non è proprio un professore. Almeno non come pensi tu».
«Se non ti spieghi, non posso capire» sbuffò.
«Augusta Paciock, insieme alle sue amiche Celeno Granbell e Zari».
«Fammi capire. Loro ti danno fastidio? E i professori che c’entrano?» chiese Jack.
«Augusta è la figlia di un professore. Non possiamo fare niente contro di lei».
«Ma chi te l’ha detta questa cosa? E poi perché ora parli al plurale?».
«Danno fastidio anche a Claire e May. Loro sono mie amiche e anche i ragazzi. Ce l’hanno detto loro: se ci lamentiamo, sarà peggio».
«Cazzate» sbottò Jack. «Le cose non stanno così».
«Ma Augusta è davvero figlia del professore di Erbologia!».
«E allora? Senti non so che ti abbiano detto quelle piccole vipere, ma ti assicuro che il professor Paciock non ha mai fatto favoritismi né verso i Grifondoro né verso i suoi figli più grandi. E appena saprà che sua figlia fa la bulletta con i suoi compagni, non se la prenderà certo con voi!».
«Sicuro?».
«Al cento per cento» ribatté Jack. «Con gli Edwards come va? Non abbiamo avuto molto tempo per parlare».
«Bene. Sono persone simpatiche».
«E i figli? Ti trattano bene?».
«Julia è una Corvonero come me. Parla poco, ma non sembra male. Un paio di volte mi ha difesa da Augusta».
«Questo va a suo favore» approvò Jack. «Altri?».
«C’è Daniel. Lui è grande, ha finito la Scuola. Studia psicomagia. Poi ci sono Sarah di nove anni, Jillian di sei ed Elliot di quattro. Sono tutti gentili e divertenti. Jill combina sempre guai, Sarah è molto dolce ed Elliot non sa chi ascoltare prima tra i fratelli più grandi. Ti giuro è molto adorabile».
Jack sorrise. «Sono contento che ti vogliano bene».
Nyah sorrise a sua volta. «E tu?».
«Non mi lamento» replicò Jack, che odiava parlare troppo della sua famiglia. Sicuramente era passato, come si suol dire, dalle stalle alle stelle. «Mi spieghi perché sei voluta venire qui? Fa davvero freddo. Si prospetta un inverno rigido».
«Mi piace vedere la pioggia cadere. A casa mia non pioveva quasi mai» rispose Nyah con la voce sognante velata di tristezza.
«Ti verrà a nausea» borbottò Jack, ma lei nemmeno lo sentì.

*

Si passò una mano sugli occhi, le bruciavano terribilmente.
«Abbiamo quasi finito» sussurrò il suo compagno.
Dorcas si voltò verso di lui e si sforzò di sorridergli.
Procedettero in silenzio, illuminando i corridoi bui e silenziosi. La pioggia batteva forte sul vetro delle finestre. Man mano che il tempo trascorreva quel rumore diveniva sempre più inquietante. All’improvviso un tonfo fece sobbalzare entrambi.
«Che cos’era, Noah?» domandò spaventata Dorcas, stringendo forte la mano intorno alla bacchetta.
Noah Hunter sospirò: «Temo che dovremmo scoprirlo».
Si tennero vicini e avanzarono verso la fine del corridoio, da cui li era parso che provenisse il rumore. Entrambi erano tesi, non erano passate che poche ore dal ritrovamento di Michael Fawley. Fortunatamente il ragazzino stava meglio, ma tutti si erano spaventati perché la maledizione che era stata usata su di lui, era la stessa con cui i Neomangiamorte avevano sorpreso gli Auror in estate. Il panico si era diffuso per tutta la Scuola e i professori avevano fatto una gran fatica a riportare l’ordine. Lei stessa aveva visto Ronald Weasley nell’ufficio della Preside. Naturalmente la sospensione di Rose e di Meredith Ashton era sulla bocca di tutti, ma la presenza del signor Weasley aveva permesso di avvertire gli Auror immediatamente e lui stesso aveva iniziato le indagini. Però non avevano scoperto ancora nulla. Erano state ore concitate e per nulla piacevoli; Dorcas avrebbe voluto evitare la ronda notturna, ma purtroppo non aveva una valida giustificazione per chiedere di essere sostituita e non voleva nemmeno lasciare solo Noah.
Svoltarono appena in tempo per vedere un’ombra scura allontanarsi rapidamente.
«Fermati!» urlò Noah, sorprendendo se stesso e Dorcas per quella fiammata di coraggio. Corse dietro l'ombra, ma Dorcas non lo seguì. Aveva notato una seconda figura a terra e si inginocchiò accanto ad essa. Era ferita. Il cuore cominciò a batterle all’impazzata. Che stava succedendo? Non conosceva il ragazzino, ma alla luce della bacchetta vide un serpente argentato rilucere. Gemeva, così Dorcas, muovendosi quasi meccanicamente, spostò le sue mani che teneva strette sul fianco sinistro. Le mani di Dorcas si macchiarono di sangue e lei urlò terrorizzata. Che cosa stava succedendo? Doveva essere un incubo. Non seppe che cosa glielo fece fare, forse la paura di restare ancora da sola nel corridoio buio; forse la paura che un ragazzino morisse davanti ai suoi occhi. Oh, no, non doveva neanche pensarla una cosa del genere. Pensò a suo padre, alle parole affettuose che le scriveva nelle lettere nonostante si fossero lasciati senza risolvere le incomprensioni nate a causa di Jesse e di quello strano zio uscito fuori dal nulla.
«Exspecto Patronum!». La sua voce risuonò nel corridoio deserto e sotto i suoi occhi un cigno bellissimo fuoriuscì dalla sua bacchetta. Era meraviglioso. Non era sorpresa, era una parte di sé e aveva sentito che questa volta ce l’avrebbe fatta. «Chiedi aiuto, ti prego». Il cigno volò via, lasciandola al buio completo. Riaccese la bacchetta e si rivolse al ragazzino, che gemeva sempre più piano. «Stai tranquillo, andrà tutto bene» sussurrò.
Lo strillo della professoressa Dawson la fece sobbalzare per la seconda volta quella sera. Per fortuna con lei c’era anche il professor Williams, che si chinò subito sul Serpeverde. Dopo averne valutate rapidamente le condizioni, fece apparire una barella e ve lo appoggiò con delicatezza.
Dorcas apprezzò le attenzioni della Dawson, che si premurò di pulirle le mani. Proprio mentre si avviavano anche loro verso l’infermieria, sopraggiunse Noah. «Dorcas!» disse senza fiato e zoppicando leggermente. «Tutto ok?».
Dorcas annuì, incapace di proferir parola.
«Noah, vieni con noi» disse semplicemente la Dawson.
Dovettero attendere un bel po’, prima che miss Williamson permettesse loro di entrare. «Come sta?» chiese accorata la Dawson.
«Si riprenderà» rispose stancamente la giovane donna.
Dorcas non trattenne più le lacrime e si spostò leggermente per non essere sotto gli occhi di tutti.
«Hunter» sbottò Williams, tenendo a stento la voce bassa, nonostante la rabbia. Il Tassorosso lo fissò turbato e spaventato. «Vi è stato detto chiaramente di fare la ronda in due! Dove diavolo eri?».
«S-signore, avevamo visto un ragazzo e l’ho inseguito per fermarlo. Non mi sono accorto che Dorcas non era con me» si difese Noah.
«Stolto! Da quando in qua si inseguono le persone a muzzo, senza verificare di avere le spalle coperte!? Dovevi preoccuparti della tua compagna! Se venite messi in coppia, c’è un motivo!» lo rimproverò ancora Williams.
«Maxi» lo chiamò la Dawson. «Non essere così severo. Noah ha solo agito d’istinto. Non è un Auror, non lo dimenticare».
Williams sbuffò, ma annuì.
«Mi dispiace» sussurrò Noah sinceramente.
«Non è colpa vostra quello che sta succedendo, ma d’ora in avanti state più attenti. C’è qualcuno che fa il doppiogioco qua dentro» disse Williams.
Dorcas ebbe la tentazione di raccontargli quanto aveva visto Scorpius vicino alla Stanza delle Necessità, ma si trattenne. Ne avevano parlato e deciso di non coinvolgere gli adulti nelle loro indagini. Probabilmente anche gli insegnanti avevano la loro pista da seguire e li avrebbero detto di tacere e limitarsi a studiare senza impicciarsi di questioni più grandi di loro. Accettò di buon grado la pozione calmante offertale dalla medimaga, ma si rifiutò di rimanere in infermieria per la notte. Voleva solo la sicurezza e il calore della propria Sala Comune.

*

«Ma che hanno le ragazze oggi? Non fanno che ridacchiare» chiese sospettoso Elphias.
«Non sarai geloso di Isobel fino a questo punto?» ribatté Albus senza alzare gli occhi dal manuale di Trasfigurazione, strappando un leggero sorriso ad Alastor.
«Non sono geloso delle altre ragazze!» replicò Elphias punto sul vivo. «Non è da lei comportarsi così. E continuano a lanciare sguardi verso di noi. Anche Rose è strana».
Albus si decise ad alzare lo sguardo e rivolgerlo al gruppetto strillante vicino alla porta. «Se arriva la McGranitt le uccide».
Elphias alzò gli occhi al cielo. «Al, proprio non riesci a non saltare la colazione?».
«È stato un caso. Dovevo rivedere l’ultimo capitolo di Incantesimi. Perché?».
«La Preside ha annunciato che da oggi avremo un nuovo insegnante di Trasfigurazione» spiegò Elphias, senza perdere di vista le ragazza.
«Buongiorno a tutti!» trillò felice Scorpius. «Come va?».
«Perché sei così felice?» indagò Elphias.
«Perché il nuovo insegnante non potrà essere più severo della McGranitt. Oggi inizia una nuova vita».
«Hai fumato?» lo rimbeccò Elphias.
«Sei tu che sei troppo acido di mattina, dovresti prendere esempio da me» ribatté Scorpius.
«Ehi, ragazzi» disse a mo’ di saluto Annie Ferons. «Ora la Rogers farà circolare una pergamena. Non ve la prendete a cuore. È stata un’idea delle Danielson, quindi è una cretinata».
«Di che si tratta?» chiese Scorpius.
«Buongiorno a tutti». Una voce calma e profonda attirò l’attenzione di tutti. Persino le ragazze tacquero all’istante. «Se prendeste posto, mi fareste un favore».
Albus sgranò gli occhi per la sorpresa. «Smetti di fissarlo in quel modo» lo richiamò Elphias, seduto dietro di lui. Non riuscì a non voltarsi verso Alastor, che disse semplicemente: «Mi avevano detto di non dire nulla» sussurrò.
Appena tutti furono seduti, l’uomo riprese a parlare. «Il mio nome è Kingsley Schacklebolt. La professoressa McGranitt è una mia cara amica, per cui non ho potuto negarle il mio aiuto quando mi ha chiesto di ricoprire la cattedra di Trasfigurazione. Sinceramente spero che insieme riusciremo a fare un buon lavoro. Sono consapevole che quest’anno per voi è decisivo, visto che a fine anno dovrete affrontare i G.U.F.O. La professoressa McGranitt mi ha messo personalmente al corrente del livello di tutte le classi, ma anche il professor Lupin si è premurato di inviarmi i suoi appunti. Qualcuno di voi ha ancora difficoltà con l’incantesimo Evanescente, per cui penso che per oggi potremmo esercitarci ancora». Con un gesto della bacchetta fece apparire un grosso rospo su ogni banco. «Potete iniziare».
Albus era già riuscito a far sparire una lumaca e insetti di varia misura. In effetti quel rospo era bello grosso. Era sempre stato un asso in Trasfigurazione, ma la presenza di Kingsley e specialmente di Meredith, che sembrava saper fare sempre tutto, lo metteva sotto pressione.
Ci riuscì al secondo tentativo, con sua enorme soddisfazione. Secondo solo a Meredith. Ottenne comunque quindici punti per Grifondoro. Alastor aveva maggiori difficoltà, invece.
«Deficienti» sbuffò a un certo punto Elphias. «Ecco, guardate un po’ quanto sono intelligenti le nostre compagne. Questa Isobel me la deve spiegare».
Albus vide che Kingsley stava spiegando il giusto movimento da compiere con la bacchetta a Deborah Kendall, dall’altra parte della classe. Prese la pergamena e la mostrò anche ad Alastor.
In cima c’era scritto con inchiostro rosa: I più belli del quinto anno. Seguiva un elenco di tre persone: 1) Scorpius Malfoy 2) Elphias Doge 3) Thomas Roockwood.
Gettò un’occhiata a Scorpius e vide che aveva un sorriso smagliante dipinto in volto. Rose, invece, aveva un’espressione omicida. Albus pregò Merlino perché la cugina non scoppiasse. Alastor attirò la sua attenzione sul secondo elenco: I più sfigati del quinto anno: 1) Albus Potter 2) Alastor Schacklebolt 3) Daniel Warrington.
In quel momento le parole di Annie furono chiarissime ad Albus, ma a quella votazione aveva partecipato anche lei!
«Ragazzi, avete bisogno di aiuto?».
Kingsley li fece saltare. Elphias si era sporto in avanti per leggere con loro. Sia Albus sia Alastor mollarono la pergamena, probabilmente credendo che sarebbe stato l’altro a nasconderla.
«No, grazie, signore» mormorò Albus, mentre Alastor imbarazzatissimo raccoglieva la pergamena da terra. Molti ridacchiarono.
«Perché non ci rendete partecipi dei vostri discorsi?» domandò maliziosa Phoenix Travers ad alta voce.
Elphias la incenerì con lo sguardo. Alastor rimase interdetto fissando il padre, che li guardava senza capire. Albus strappò letteralmente la pergamena dalle mani dell’amico e la stracciò, dopodiché si alzò e appoggiò i vari pezzi sul banco della Travers. «Non essere apprezzato da quelle come te, per me è motivo di orgoglio».

*

«Non mi sembra una buona idea» mormorò Brian rigirandosi il medaglione che gli aveva inviato il padre quella mattina.
«Nemmeno a me. Ma non possono punire tutti quelli del secondo anno» replicò Louis.
«Ho i miei dubbi in merito» borbottò Brian. «Non credo che esista qualche legge che glielo impedisca».
«Ma non è una cosa così grave. Insomma durante l’intervallo dovremmo stare in cortile, ma nessuno ci impedisce di andare a prendere qualcosa in Sala Comune. E poi piove» intervenne Drew Jordan.
«Infatti ci avevano detto di stare dentro un’aula al piano terra» sospirò Louis.
Brian si estraniò dalla conversazione e iniziò a giochicchiare con il medaglione; proprio come aveva detto Paciock, suo padre aveva risposto affermativamente alla sua richiesta di avere una foto della madre. Il medaglione aveva la classica forma circolare ed era argentato; inoltre appesi alla catenella vi erano anche tre ciondolini: un’ancora, un cuoricino e una croce. Suo padre nella lettera gli aveva spiegato che simboleggiavano rispettivamente la speranza, la carità e la fede.
«Chi mi fa da spalla?» chiese a bruciapelo Annika, riscuotendolo dai suoi pensieri.
«Cosa?» chiese stranito.
«L’ultima idea geniale di Valentin Flamel. Ha deciso che non può essere sempre Zender a scegliere la sfida» spiegò Drew.
«Praticamente uno per Casa deve far levitare un compagno seduto sua una sedia fino alla fine del corridoio. Il primo che arriva vince» riassunse Louis.
«Allora?! Vi decidete? Chi mi farà da spalla?» insisté Annika, che si era già procurata una sedia in classe.
«È pericoloso!» sbuffò Louis. «Se cadi, ti rompi sicuro qualcosa!».
«Non sarà la paura a fermarmi! E io mi fido di voi! Allora?».
Brian chinò il capo. «Ti prego, non voglio problemi».
«Se Williams scrive a mia madre, sono morto» rispose Drew.
«Rimani solo tu, Lou» costatò Annika.
«E sia, se proprio vuoi romperti qualcosa» sospirò il ragazzino.
«Non mi romperò nulla. Sei troppo bravo. Mi fido di te».
«Ma io no» sussurrò Louis.
Anche le altre coppie si erano formate: Lorcan Scamander-Valentin Flamel, Lysander Scamander-Miki Fawley e Mike Zender-Edison Andersen.
«Miki!» chiamò Brian sorpreso. Il Tassorosso era stato dimesso dall’infermieria proprio quella mattina e miss Williamson gli aveva raccomandato di non stancarsi.
L’amico gli rivolse uno sguardo stanco e rassegnato. «Echo si rifiuta. Kyle non so dove sia. Se dovesse farlo uno degli altri, probabilmente potremmo portare subito Lys in infermieria».
«Che stupidità!» sbuffò allora Brian. «Annika, non lo fare».
«Non farò la figura della fifona» ribatté ella. «Avanti, Lou, mettiamoci in posizione».
Brian sospirò e si appiattì alla parete, come avevano fatto gli altri, per lasciare spazio ai concorrenti. Gli spettatori si fecero prendere immediatamente dall’entusiasmo e iniziarono a incitare a voce alta i propri compagni.
Louis e Miki erano quelli che se la cavavano meglio, le sedie di Annika e Lys non subivano scossoni troppo violenti e procedevano lentamente. Saggiamente i due ragazzi stavano immobili, fidandosi esclusivamente dei propri compagni di squadra; Mike non faceva che urlare contro Edison e ciò innervosiva quest’ultimo. Più di una volta la sedia del Serpeverde strisciò in modo preoccupante contro il pavimento. I due Grifondoro erano molto caotici e poco precisi: Lorcan aveva urtato più di una volta il muro.
Ad un certo punto, poco prima del traguardo, Edison fece accelerare Mike; il Serpeverde si posizionò accanto ad Annika e allungò la gamba per farla cadere. Risultato: caddero entrambi. Molti strillarono, alcuni si coprirono il volto con le mani. Louis fissò l’amica terrorizzato, ma il tutto era stato così veloce che né lui né Drew e Brian ebbero il tempo di reagire. A pochi centimetri da terra i due si fermarono e rimasero a galleggiare in aria.
Tra la sorpresa e il sollievo generale un uomo di colore si fece largo tra di loro e con un gesto fluido della bacchetta permise ai due ragazzi di toccare il pavimento delicatamente.
«Ma lei è il Ministro della Magia» disse stupita una Tassorosso.
«In realtà non lo sono più da un anno» replicò pacatamente Kingsley Schacklebolt. «State bene voi due?» domandò ad Annika e Mike.
I ragazzini annuirono. «Grazie, signore» disse Annika.
«Non avrei mai pensato di assistere a una scena del genere qui a Hogwarts. Devo ammettere che voi due siete davvero bravi con quest’incantesimo» disse indicando Miki e Louis. Quest’ultimo non riuscì a trattenere un sorriso e ringraziò sommessamente; Miki, invece, fece solo una smorfia.
«Stai bene?» chiese allora Kingsley.
«È solo stanco, signore. È uscito stamattina dall’infermieria» intervenne Brian e Miki lo ringraziò con gli occhi.
Kingsley scrutò Miki con attenzione, soffermandosi specialmente sul braccio sinistro appeso al collo. Annuì lentamente, poi tornò a rivolgersi a tutti. «Non dovreste essere qui, dico bene? Se non ricordo male, ci vuole il permesso dell’insegnante per usare le aule fuori dalle lezioni. Io sono sicuro di non avervi dato alcun permesso, senza contare che decisamente questo è un uso improprio del materiale scolastico» disse indicando le sedie.
«Era un passatempo» tentò Lorcan, fulminato all’instante dai Corvonero e dai Serpeverde.
«Sì, ho notato il vostro entusiasmo. Capisco, ma ritengo che sia pericoloso e inadatto all’ambiente in cui vi trovate; per cui vi invito a trascorrere il tempo in modo diverso d’ora in avanti». Attese che i ragazzini annuissero e continuò: «Grifondoro e Corvonero, per favore, entrate in classe e portate le sedie con voi. Tassorosso e Serpeverde, vi consiglio di avviarvi alla vostra prossima lezione. Tra non molto suonerà la campanella».
«Quindi ci perdona?» chiese titubante Echo Greengrass.
«Sì, signorina, ma vi prego di non rimettermi in questa posizione».
Grifondoro e Corvonero del secondo anno presero posto silenziosamente, in fondo erano già stati molto fortunati.
«Ci siete tutti?» chiese Kingsley, prendendo il registro per chiamare l’appello. «Burke… Carter… Davies… Fenwick… Flamel… Johnson… Jordan… Mckenzie… Mcmillan… Mills… Olivander… Parker… Robertson… Scamander e Weasley». I ragazzini avevano risposto tutti man mano che l’uomo chiamava i loro nomi. «Bene, non siete molti. Potremo lavorare bene insieme».
«Ma lei non fa l’Auror?» domandò stupito Lorcan Scamander.
«Sì, ma da quando sono stato nominato Ministro non ho più fatto parte della squadra. La vostra Preside mi ha chiesto di venire a Hogwarts e io ho accettato» rispose Kingsley pazientemente e anche un po’ divertito.
«Però lei un esperto di Difesa contro le Arti Oscure» insisté Valentin Flamel.
Kingsley si alzò e fece il giro della cattedra, appoggio le mani sul primo banco, dove erano seduti Louis e Drew. Era sempre più divertito. «Vi faccio una domanda. Secondo voi un Auror è bravo solo in Difesa contro le Arti Oscure?».
«Beh, è la Difesa che importa, no?» replicò sorpreso Benji Fenwick.
«Sicuro?» insisté Kingsley. «Tuo padre è bravo solo in Difesa contro le Arti Oscure?».
«Ma che c’entra? Mio padre sa fare un sacco di cose, ma non perché è un Auror» rispose Benji.
«No, è vero. È bravo perché è un ottimo mago». Qui Benji sorrise soddisfatto. «Ma se non lo fosse, non sarebbe un Auror».
«Non ho capito» intervenne Valentin. «A che serve trasfigurare gli oggetti?».
«Ma la Trasfigurazione non è solo trasfigurare gli oggetti» rispose Kingsley. «Per esempio, avete mai sentito parlare di Trasfigurazione Umana?». Com’era prevedibile la maggior parte dei Corvonero alzò la mano. Egli, però, si rivolse ai curiosi Grifondoro. «Allora?».
«Boh… sì… Si trasforma il corpo…» borbottò Valentin.
«E secondo voi non è utile a un Auror? Per esempio durante un pedinamento?».
«Ce la insegna?» domandò Lorcan entusiasta.
«Fa parte del programma M.A.G.O. In ogni cosa si deve procedere per gradi, non dimenticatelo».
I Grifondoro rimasero delusi dalla sua risposta. «Ci può fare vedere qualcosa?» chiese, invece, Louis interessato.
Kingsley annuì e sotto gli occhi esterrefatti dei ragazzi si fece crescere un grosso paio di baffi; trasfigurò la sua veste in abiti perfettamente babbani; infine tornò normale.
I ragazzini pendevano dalle sue labbra e lui sorrise. «Vi piace? Purtroppo dovrete fare cose un po’ più noiose prima di arrivare a questo livello. Ma ci sono alcuni incantesimi base che ho sempre trovato divertenti. Conoscete il Chartanimus?».
«C’è sul libro» rispose prontamente Anastasia Johnson. «Ma non l’abbiamo studiato».
«Guardate» disse Kingsley. Recuperò una pergamena di riserva e vi puntò contro la bacchetta: «Chartanimus» recitò. Il foglio prese la forma di un leone e sembrò ruggire sotto gli occhi estasiati dei ragazzi.
«È bellissimo» sussurrò Niki Olivander.
«Vero? Perché non ci provate anche voi?».
Brian si divertì un mondo, come non faceva da tempo. Alla fine della lezione lui e Niki avevano riempito il loro banco di animaletti di carta.
«Il leone lo voglio io» disse lei divertita.
«Ok, ma io prendo l’elefante» replicò Brian.
«La fenice che hai fatto, è bellissima» commentò Niki fissandola.
Brian gliela porse. «Puoi tenerla, tanto appena racconterò a mia sorella di quest’incantesimo, vorrà un intero zoo».
Niki rise e lo ringraziò.
«Ragazzi, ascoltatemi un attimo» li richiamò Kingsley. «Mi raccomando, ripassate quello che avete fatto con il professor Lupin. La prossima volta vi spiegherò un nuovo incantesimo».
Brian sorrise. Non aveva mai avuto problemi con Lupin, ma quell’uomo aveva la capacità sorprendente di metterlo a proprio agio.

*

«Ehi, Dor, ho bisogno di un favore». Dorcas, seduta su un gradino delle scale del secondo piano, non sollevò il capo dalla pergamena. Aveva riconosciuto la voce e sicuramente Noemi Finch-Fletchley non aspettava il suo invito per parlare. «Hai fatto i compiti di Trasfigurazione per domani? Sai, mi devo vedere con Tylor Jordan di Grifondoro dopo le lezioni e non avrò tempo di studiare».
«Sì, ma il tema l’ho lasciato in camera» rispose Dorcas guardando finalmente la compagna.
«Non c’è problema, faccio un salto in Sala Comune, tanto lo devo copiare. Ci vediamo più tardi».
«Aspetta» la bloccò Dorcas. «Dopodomani avremo compito di Pozioni, possiamo ripetere insieme? Ci sono un paio di cose che non riesco a capire».
«Tanto prenderai comunque un buon voto, come sempre» la tacciò immediatamente l’altra. «Io ho da fare. Tanto siamo con i Corvonero quest’anno. Thomas Moore mi sbava dietro da anni. Mi farà lui stesso il compito. Tu non sei amica di Goldstain? Chiediglielo. Ora devo andare. Ciao».
Dorcas sospirò: perché la facevano tutti così facile? Forse avevano ragione le sue compagne a dire che era troppo fissata con la Scuola e si faceva troppi problemi. Si passò una mano sugli occhi stanchi. Non ebbe il tempo di riappoggiare la piuma sulla pergamena, che fu interrotta nuovamente.
«Fenwick! Devi parlare con le Danielson!».
La ragazzina sbuffò: «Non ci puoi parlare tu, Annabelle? E poi perché ti ostini a chiamarmi per cognome? Dividiamo la stanza da quattro anni e mezzo quasi!».
«Non mi interessa chiamarti per nome. Sei il Prefetto? Assumiti le tue responsabilità! La McGranitt avrebbe dovuto nominare me. L’ho sempre pensato che sei raccomandata perché tuo padre è un ufficiale degli Auror. D’altronde io sono più brava di te in ogni materia! Tocca a te mantenere l’ordine, quindi ci parli tu!».
Dorcas si sentì ferita da quelle parole, ma fu costretta a chiedere spiegazioni: «Che cosa avrebbero fatto le Danielson per incorrere nella tua ira?».
«Piano con l’ironia» la redarguì l’altra. «Hanno preso le mie ballerine! Quelle azzurre, quelle blu e quelle rosa. E se le sono messe senza il mio permesso! Io non sapevo che cosa indossare stamattina! E non è la prima volta che accade!».
Dorcas la fissò scioccata: la stava prendendo in giro? «E io che dovrei fare?».
«Fare in modo che la smettano! O dirò a Mcmillan che non sei capace di ottemperare ai tuoi doveri di Prefetto!» sbraitò Annabelle Dawlish, le voltò le spalle e la lasciò da sola.
«Non dovresti dire sempre sì. Prima o poi questa cosa si ritorcerà contro di te».
Dorcas sobbalzò e si alzò di scatto.
Il professor Finch-Fletchley le sorrise e le fece cenno di sedersi di nuovo. Egli prese posto accanto a lei. La ragazzina non sapeva come replicare e quindi rimase in silenzio.
«Sinceramente, non credo che sia un’impresa facile far capire alle gemelle Danielson qualunque cosa riguardi scarpe e vestiti. Se non ci riuscirai, nessuno te ne farà una colpa».
«Nessuno, a parte Annabelle» sospirò Dorcas.
«Sì, a parte lei» concordò il professore. «Comunque non dovresti farti trattare così. Sei stata nominata Prefetto per merito, non certo per il tuo cognome».
«Ha sentito tutta la conversazione?» chiese arrossendo Dorcas.
«Temo di sì» confermò Finch-Fletchley.
«È vero che Annabelle ha voti più alti dei miei. In quasi tutte le materie» sospirò allora la ragazzina, sperando di levarsi quel pensiero che la turbava da settimane. Ad eccezione di Noah Hunter e di Edward Zabini, tutti i suoi compagni pensavano che lei non meritasse la spilla di Prefetto.
«Un Prefetto non viene scelto esclusivamente per il buon rendimento scolastico, ma anche secondo altri criteri. Per esempio la condotta» replicò seriamente il professore.
«Io sono entrata nella Foresta Proibita» mormorò Dorcas senza guardarlo negli occhi.
Sorprendentemente il professore ridacchiò. «Due anni fa e che io sappia ne sei rimasta terrorizzata. Sbaglio?».
Dorcas scosse la testa istintivamente. «Non ci entrerò mai più. Non di mia iniziativa comunque».
«Meglio così. È molto pericolosa. Comunque non è l’errore di una volta che pregiudica una carriera. Non a Scuola almeno. A meno che non si tratti di qualcosa di molto grave».
«Rimane il fatto che Annabelle ha ragione» mormorò Dorcas affranta.
«Nei sei veramente convinta? Senti, io non ho idea di quali motivazioni siano alla base della scelta della Preside, posso immaginare che abbia chiesto consiglio anche a Ernie, ma sono certo che dipenda dalle tue qualità e non da tuo padre. Conosco fin troppo bene Minerva McGranitt». La Tassorosso non sembrava molto convinta, così il professore continuò: «Ascolta, hai molte qualità. Prima fra tutte la tua modestia: non ti rendi neanche conto di quanto tu valga».
Dorcas arrossì ancora di più. «Grazie, signore» borbottò imbarazzata.
«Una qualità di cui eccedi, direi», e qui prese in mano la pergamena che la Tassorosso stava scrivendo prima di essere ripetutamente interrotta, «è la generosità».
La ragazzina lo fissò preoccupata. La runa, intorno al polso, bruciava costantemente. Il perché ancora non l’avevano compreso. Non parlò.
«Questo tema di chi è? E non mi dire che è tuo. Mi preoccuperei se tu, improvvisamente, svolgessi i compiti un quarto d’ora prima dell’inizio della lezione. Scommetto che se perquisissi il tuo zaino, troverei un altro tema. Evitami di farlo, sarebbe spiacevole per entrambi».
Dorcas chinò il capo e annuì. «Le assicuro che non volevo prenderla in giro».
«Volevi aiutare qualcuno. Sono stato studente anche io, sai? Non mi sono dimenticato come funziona» replicò pacatamente il professore. «Questo è di una delle gemelle Danielson, dico bene?».
«Come…?» iniziò Dorcas, ma lasciò la domanda incompleta.
«Perché hai fatto loro anche gli ultimi temi, giusto? Si vede lontano un miglio che non è farina del loro sacco; specialmente se poi le interrogò e rimangono a fissarmi come se parlassi un’altra lingua».
«Mi dispiace» sussurrò la ragazzina.
«La generosità è una virtù che non tutti hanno, quanto meno quella disinteressata. Cerca di non dire sempre e comunque sì. La gente poi si aspetterà da te qualunque favore. Ho sentito quello che ti ha detto mia figlia… Sei troppo buona, Dorcas» aggiunse il professore. «Non permettere che gli altri si approfittino di te. Sai, molti chiedevano aiuto al professor Mcmillan quando eravamo a Scuola, lui era uno dei più bravi, almeno tra i Tassorosso s’intende, perché nessuno poteva battere Hermione Granger; Ernie è sempre stato disponibile, ma non si faceva schiavizzare».
«Cosa non avrei fatto io?».
Sia Dorcas sia Finch-Fletchley alzarono gli occhi sul professore di Pozioni, che li fissava accigliato.
«Un sacco di cose. Prima fra tutti, farti gli affari tuoi» rispose sarcastico Finch-Fletchley. Dorcas arrossì, desiderosa di battere in ritirata. Non che avesse nulla contro il suo Direttore, ma era molto più severo e sicuramente minimamente giocherellone come Finch-Fletchley.
«Molto gentile. C’è qualche problema?» ribatté, per nulla toccato dalle parole dell’altro, il professore di Pozioni.
«Perché non spieghi a Dorcas per quale motivo la Preside ha scelto lei e non Annabelle Dawlish. Tanto tu sei il suo cocco, te l’avrà senz’altro detto» replicò sorridente Finch-Fletchley.
Mcmillan lo fulminò con lo sguardo, ma si rivolse a Dorcas senza commentare le parole dell’amico: «Sussiste davvero questo problema?».
La ragazzina non replicò, non avrebbe mai avuto il coraggio di parlargliene. Che cosa l’era saltato in mente di confidarsi con Finch-Fletchley?
«Ernie, non rompere» sbottò quest’ultimo. «Se te lo sto dicendo, significa che è così. Non scherzerei su questa cosa, non vedi com’è turbata?».
Mcmillan annuì. «Vieni, Dorcas, facciamo due chiacchiere da soli».
La ragazzina obbedì, ma quando fece per raccogliere la piuma e le pergamene di riserve Finch-Fletchley la fermò.
«La piuma la tengo io e anche questa pergamena» affermò sventolando il tema non concluso.
«Sì, signore» replicò lei, non avendo molta altra scelta.
«Perché?» chiese Mcmillan.
«Affari miei» ribatté Finch-Fletchley con un ampio sorriso. «Mi raccomando, tra meno di dieci minuti ha lezione con me. Se arriva in ritardo, ti riterrò direttamente responsabile».
«Sopravvivrò al tuo biasimo» replicò ironicamente Mcmillan.
Dorcas rivolse uno sguardo grato al professore di Babbanologia. Di fatto non solo non aveva preso alcun provvedimento perché aveva fatto i compiti delle sue compagne, ma aveva le aveva evitato di affrontare l’ira di Mcmillan, che sicuramente non gliel’avrebbe fatta passare liscia.
«Allora» esordì il professore appena furono soli, «non pensi di meritare la spilla di Prefetto? Perché alla fine è questo il punto, a mio parere. Le polemiche non mancano mai tra gli studenti, vuoi per invidia, per presunzione o per non so cosa».
«Ci sono persone migliori di me» sussurrò Dorcas.
Mcmillan sospirò, ma non era arrabbiato. «Capisco, immagino che in questo elenco vi sia anche la signorina Dawlish. Dimmi, conosci perfettamente tutti i voti della tua compagna? Lei per caso ve ne rende sempre partecipi?».
«No, signore» dovette ammettere.
«E allora come fai a essere sicura che lei sia realmente migliore di te?».
«Me l’ha detto lei».
Mcmillan si accigliò e si fermò di colpo in mezzo al corridoio. Si affacciò dalla finestra più vicina e fissò il Lago Nero per qualche secondo. «Dorcas, non devi sempre credere a quello che ti dicono gli altri. Non starò qui a discutere e a confrontare i voti tuoi con quelli di Dawlish. Non è mio interesse e non deve interessare neanche te». Si voltò verso di lei e la fissò dritto negli occhi, tanto che lei abbassò i suoi. «Prefetti e Caposcuola vengono scelti anche per la loro affidabilità. E io mi fido di te». Dorcas sollevò il capo sorpresa. «Cerca di avere più fiducia in te. E ora vai a lezione. Non voglio più affrontare quest’argomento».

*

«Frank, io non ho parole» sussurrò Roxi.
«Non infierire» replicò il ragazzino, tentando di concentrarsi sulla mappa celeste, che avrebbero dovuto disegnare.
«Ti ha fatto un occhio nero» continuò esasperata Roxi. «Per quanto vuoi sottostare al suo comportamento?».
«È mia sorella» sbottò Frank, abbandonando la mappa. «Che cosa dovrei fare? Abbandonarla?».
«No» concesse Roxi. D’altronde non si può essere una Weasley senza avere un senso alto della famiglia. «Ma Augusta ha esagerato. Non può fare così, ma che l’è preso? Nemmeno un anno fa sembrava la fotocopia di mio zio Percy!».
«Non lo so» sospirò Frank. «Forse la gelosia nei confronti di Aurora o la compagnia di Emmy».
«Che farai?».
«Ne parlerò con mio padre» ammise il ragazzino. «So che cosa vuol dire essere bullizzato. Non posso permettere che lei ferisca le sue compagne».
«Ragazzi, avete difficoltà?» li interruppe il professor Bulstrode con una lieve nota di rimprovero nella voce.
«No, scusi, signore» si affrettò a rispondere Roxi, tornando alla sua mappa.
«Sicuri? Frank, la tua mi sembra un po’ pasticciata» commentò l’uomo.
«Mi dispiace, signore» mormorò il ragazzino. Astronomia non era proprio la sua materia preferita, anzi.
«Prendi una pergamena pulita, ti aiuto io» disse il professore gentilmente.
«Grazie, signore» mormorò sorpreso Frank.
«Ma, signore, non è corretto!» saltò su Lorein Calliance. «Se lo aiuta lei, prenderà senz’altro un buon voto!».
«Se è questo che ti preoccupa, non metterò voti» replicò pacatamente Bulstrode.
«Ma è l’unico insegnante che non ha messo neanche un voto finora!» commentò stupita Mabel Minchum di Tassorosso.
«Perché a me non interessano i voti, continuerò a non metterli per tutto l’anno. Il mio interesse è che arriviate tutti preparati all’esame».
Grifondoro e Tassorosso lo fissarono trasecolati. Bulstrode non solo si stava dimostrando un insegnante suis generis, ma anche come mago era strano: era un Purosangue, ma non l’avevano mai visto usare la magia.

*

«Per favore, ascoltatemi» tentò Hagrid, ma nessuno gli diede ascolto.
Scorpius tirò per i capelli Alex e Annie.
«Vuoi morire, Malfoy?» sbottò la prima afferrandogli il polso repentinamente e con forza.
«Smettetela di chiacchierare!» sibilò Scorpius, ignorando la minaccia.
Annie assunse un’aria colpevole, mentre Alex sbuffò: «Non rompere, nessuno è interessato».
«Allora, cambiate materia» replicò furioso Scorpius. Si spostò per raggiungere Albus. Lo strattonò per una spalla e sibilò: «Sei un Prefetto, porco Merlino! Dammi una mano!».
Il Grifondoro sgranò gli occhi per la violenza delle sue parole e del suo sguardo, ma annuì.
«Ti aiuto» sussurrò Alastor.
«Per favore smettetela» ripeté Hagrid stancamente.
Albus richiamò Isobel ed Elphias completamente presi in uno scambio di effusioni e i due, arrossendo, si rimisero seduti in ordine. Naturalmente non ebbe la stessa fortuna con Rose e Cassy. E si ritrovò a litigare con loro. Rose gli dava sui nervi più che mai.
«Sonorus» mormorò Scorpius puntandosi la bacchetta alla gola. «STATE ZITTI!» urlò e grazie alla voce amplificata tutti si zittirono e si voltarono a fissarlo. Fece tornare la voce normale prima di riprendere a parlare. «Vi sembra il modo di comportarvi a lezione?! Dieci punti in meno ciascuno!» sibilò. Varie proteste si levarono dai compagni. «Altri cinque! E continuerò a toglierne, se non tacete».
Presero la minaccia sul serio e tacquero. Finalmente Hagrid poté fare lezione.
Scorpius ignorò ostinatamente le occhiatacce dei compagni per tutto il giorno. Nel pomeriggio si recò nuovamente alla capanna di Hagrid.
«Ciao, Scorp» borbottò l’uomo. Era visibilmente avvilito.
«Che c’è?» domandò il Serpeverde.
«C’è che non dovrei fare l’insegnante».
«Ma dai! Sei professore da anni! Siamo noi che non sappiamo cosa sia la disciplina».
Hagrid scosse il testone.
«Facciamo un thè?» propose con falso entusiasmo Scorpius, sperando di tirare l’amico su di morale.
«No, non posso, scusa».
Il ragazzo lo fissò sorpreso. «Perché?».
«Devo andare nella foresta. Una cosa importante» borbottò Hagrid.
«Ma pioviggina! Che devi fare?».
«Un Thestral ha bisogno di aiuto».
«Posso venire anche io?».
«No, no».
«Perché? Dai, ti prego! Farò solo quello che dirai!».
«Ok, ma non ti allontanare da me» borbottò Hagrid.
Scorpius annuì con forza. Ora sì che era veramente entusiasta. Anche ad Hagrid scappò un piccolo sorriso, quando lo vide caricarsi un grosso sacco che aveva preparato in precedenza.
«Questa è meglio che lo porto io» disse prendendoglielo come se fosse una piuma.
Scorpius, invece, dovette riprendere fiato. «Ma che c’è là dentro?!».
«Carne cruda, no? Tu li puoi vedere?».
«No» rispose Scorpius.
Quando si addentrarono nella foresta, cadeva una leggera pioggerellina. Si percepiva solo il rumore dei loro passi sulla terra umida e ogni tanto lo scricchiolio di qualche legnetto che spezzavano. Scorpius era eccitato: l’unica volta in cui si erano inoltrato nella foresta, non aveva potuto godersi la passeggiata e soprattutto la compagnia di Hagrid era molto rassicurante. Aveva mille domande che gli affollavano la mente, ma non voleva rovinare quel silenzio.
«Eccoci» borbottò a un certo punto Hagrid. Scorpius per poco non gli cadde addosso, distratto com’era a guardarsi intorno. Hagrid tirò fuori dal sacco grossi pezzi di carne e li appoggiò a terra. Sotto gli occhi esterrefatti di Scorpius, ben presto qualcosa cominciò a mangiarli. I Thestral! Era davvero eccitato. «Vieni qui» lo chiamò Hagrid. Scorpius lo seguì all’istante. Era vicino a un piccolo anfratto tra gli alberi. Il ragazzo si lasciò prendere la mano dal mezzogigante, che gliela guidò su qualcosa che risultò al tatto caldo e morbido. Ebbe un brivido. «È un Thestral?» chiese un po’ stupidamente, prendendo ad accarezzarlo.
«Una femmina» specificò Hagrid. «Coccolala un po’. È incinta. Dobbiamo aiutarla a far nascere il piccolino».
«Ma credevo che non avessero bisogno degli umani» sussurrò Scorpius, non volendo disturbare la creatura.
Hagrid s’incupì, mentre le si inginocchiava vicino. «Sì, ma lei è un caso particolare. È rimasta ferita in uno scontro. Devo aiutarla o morirà».
Scorpius turbato riprese ad accarezzarla vigorosamente. La pioggia cadeva sempre più forte. «Ce la fai?» domandò preoccupato.
Hagrid grugnì in assenso.
«Tienila» gli disse dopo un po’.
Scorpius avrebbe voluto urlare. Come faceva se non la vedeva? «Su, stai tranquilla. Andrà tutto bene. Andrà tutto bene…» iniziò a sussurrare, forse più a sé stesso che alla creatura. Ormai era totalmente zuppo e aveva perso la cognizione del tempo.
«Evvai! Ce l’abbiamo fatta! Bravo, Scorpius».
Il ragazzo non aveva la minima idea di che cosa avesse fatto, ma la manata di Hagrid lo mandò con la faccia nel fango.
«Oh, scusa. Sono troppo felice…».
«Che c’è?» chiese Scorpius allarmato. Non gli era sfuggito il cambiamento di umore improvviso dell’amico.
«Mmm ha la zampa un po’ piegata» sospirò.
«Non puoi fare nulla?».
«Non lo so… Ora no… Passami un po’ di carne…».
Scorpius obbedì all’istante. «Posso toccarlo?».
Hagrid glielo mise direttamente in braccio. «Sii delicato».
A Scorpius dispiaceva per il piccolo, ma era felicissimo di sentire il suo calore. Un calore che si portò dietro per tutto il tragitto di ritorno. Non sentiva nemmeno più la pioggia. Era completamente euforico.
«Ora fila dentro a cambiarti, prima che ti venga qualche cosa» borbottò Hagrid.
«Tranquillo» lo rassicurò, ma quando arrivarono al castello il sorriso sparì sul volto di entrambi.
«Non è scattato il coprifuoco?» domandò una figura longilinea accanto alla Preside.
«Percy, stava con me» borbottò Hagrid.
Ecco perché gli pareva di conoscerlo! Era Percy Weasley! Scorpius salutò con educazione e mettendo su l’espressione più innocente del suo repertorio.
«Dove eravate?» insisté l’uomo.
«Fino a prova contraria la Preside sono io, Weasley» sibilò irritata la McGranitt.
«Ma è appunto questo che intendevo prima, professoressa» riprese Percy, ma la donna lo zittì all’istante.
«So, benissimo cosa intendevi» sbottò la Preside. «Sono troppo vecchia per gestire una Scuola e non ho più il controllo di Hogwarts!».
Scorpius li fissò a bocca aperta. La conversazione stava diventando pericolosa.
«Non ho detto questo» replicò Percy, arrossendo fino alla punta delle orecchie.
«Avrei preferito che lo avessi fatto! Almeno ti saresti comportato da Grifondoro, anziché nasconderti dietro mille parole inutili e ridicole! Io sono perfettamente in grado di gestire questa Scuola! Forse, Weasley, dovresti fermarti a riflettere. Questo atteggiamento non ti porterà da nessuna parte. Ti devo ricordare che il Ministero ha già provato in passato a immischiarsi negli affari di Hogwarts? Ricordi com’è finita? Cornelius Caramell è stato costretto alle dimissioni, Dolores Umbridge ha avuto sorte ben peggiore. Ho sempre pensato fossi un ragazzo maturo, ma a quanto pare il potere ti ha dato alla testa appena ti sei diplomato. Nonostante tutto quello che è accaduto, continui a commettere sempre gli stessi errori».
«Ho l’appoggio del Ministro» tentò Percy.
«Avrò presto il piacere di scambiare due parole anche con la signorina Granger in merito».
«Non può trattarci come se fossimo ancora degli studenti!» s’infervorò Percy.
«E tu dimentichi che stai parlando con una persona molto più vecchia di te. In più io sono la Preside di Hogwarts, non sono a capo di un ufficio da strapazzo».
«Posso essere d’aiuto?». Un Neville, serio e a braccia conserte, si era silenziosamente affiancato alla McGranitt.
«Sì, Neville. Accompagna il signor Weasley. Il nostro incontro termina qui».
«Neville, almeno tu ascoltami» provò Percy.
L’uomo si accigliò: «Non hai sentito? La tua presenza qui, non è più gradita».
«Tu non capisci» sbottò Percy.
«No, sei tu che non capisci» si arrabbiò anche Neville. «Tu non eri qui, quando la Umbridge faceva le sue schifezze. Non eri qui, quando il Ministero era in mano a Voldermort. Eri al Ministero a fare il galoppino di O’Touse e dei suoi amici per salvarti la pelle. Quindi non venire a dire che non capisco! So io a chi devo la mia fedeltà e il Ministero è all’ultimo posto».
«Te ne pentirai» ringhiò Percy.
«Ti ci accompagno io fuori, se non la smetti» intervenne Hagrid, muovendo le braccia in modo minaccioso.
Scorpius sconvolto fissò Neville e Hagrid scortare Percy Weasley fuori dai confini della Scuola.
«Malfoy, dov’eri?».
Oh, cavolo! Si era dimenticato della Preside! «Ho aiutato Hagrid con i Thestral» disse sinceramente. «È stato magnifico» aggiunse con gli occhi che gli brillavano.
«Capisco, ritengo che tu debba andare ad asciugarti. Inoltre è scattato il coprifuoco, per cui vedi di rimanerci il Sala Comune».
«Sì, professoressa» rispose prontamente. «Buonanotte» trillò prima di defilarsi. Non vedeva l’ora che arrivasse la mattina per raccontare ogni cosa agli altri. Avrebbe sempre potuto iniziare a sfogarsi con le sue amiche. Oh, sì. Si mise quasi a saltellare per tutto il sotterraneo. La McGranitt era davvero una donna con le pluffe, come aveva sempre creduto!

*

«Dove vai?» gli chiese Louis.
«Da Kyle Dennis. Non hai visto che stava per mettersi a piangere?» replicò Brian.
«Lascia che se ne occupino i suoi compagni. Tu che c’entri? Mica siete amici» intervenne Drew.
«Ci vediamo in Sala Grande» ribadì Brian. Era vero: non erano amici. Kyle era un ragazzo molto solitario. Comunque sentiva di doverlo aiutare. Non se la sentiva di spiegarlo a Louis e Drew, ma percepiva un legame particolare con il Tassorosso. Probabilmente perché aveva assistito all’omicidio del padre.
Il parco era pieno di pozzanghere, tanto che rinunciò quasi subito a non bagnarsi le scarpe. Il cielo era cupo e prometteva tempesta. Erano giorni che non faceva altro che piovere. Cominciava a mancargli il sole. Odiava terribilmente quell’aspetto della Gran Bretagna.
Trovò quasi subito il Tassorosso. Era seduto su una pietra vicino al Lago Nero. Brian notò subito che non portava più la sciarpa.
«Ciao» sussurrò per non spaventarlo, ma l’altro sobbalzò ugualmente. «Aspetta, non te ne andare» lo bloccò vedendo che si guardava intorno come in cerca di una via di fuga. «Ho sentito che gli altri ragazzi ti prendevano in giro per la sciarpa. Posso chiederti perché la tieni sempre con te?» domandò andando al sodo. Perché poi? Perché era stato così diretto? Il Tassorosso lo fissò sorpreso. «Scusa, non sono affari miei».
Kyle continuò a fissarlo, in modo sempre più inquietante, alla fine disse: «Era di mio padre. Lui e mio fratello erano Grifondoro».
«Ti sembra di averlo accanto, vero?» chiese mestamente Brian. Forse non era solo il processo che lo legava al coetaneo.
«Ha il suo odore».
«Dove l’hai messa?».
«Nello zaino. Volevo seppellirla nella Foresta Proibita, ma poi ho pensato che in quel modo non avrebbe mantenuto il suo odore. Mi sono seduto qui a ragionare su quello che devo fare».
«Continua a indossarla» disse di getto Brian.
«Non posso. Sono un Tassorosso. Gli altri pensano che io non rispetto la mia Casa e che avrei voluto essere un Grifondoro».
«È vero? Intendo che avresti voluto essere smistato a Grifondoro?».
«All’inizio sì, ma poi ci ho riflettuto… dev’esserci un motivo e prima o poi lo capirò… Vorrei che gli altri mi accettassero così come sono. Tu perché sei qui e non a pranzare?».
«Ho pensato che avessi bisogno di compagnia» ammise Brian.
«Non siamo amici» disse Kyle, fissandolo stranito.
«Potremmo esserlo».
«Va bene» rispose Kyle allungando la mano destra. Brian la strinse all’istante.
«È ghiacciata! Dovremmo rientrare. Il cielo è sempre più cupo. Tra poco ricomincerà a piovere» lo esortò Brian.
«E la sciarpa? Dove la nascondo?».
«Non la nascondere. Se per te è importante, continua a indossarla».
«Gli altri non possono capire».
«Miki può capire» replicò intristendosi Brian. «Anche io. Questo era della mia mamma» sussurrò mostrandogli il medaglione. «Guardalo con attenzione. C’è un piccolo tasso inciso».
«La sciarpa è molto più appariscente. La notano sempre tutti. Lys, mi ha promesso che se me la rivede al collo, lo dirà a Mcmillan» sospirò Kyle.
«Ti propongo una cosa: parla tu stesso con Mcmillan e chiedigli il permesso di tenerla. In questo modo nessuno potrà dirti più nulla».
«Ma dai! Non dirà mai di sì. È il direttore di Tassorosso!».
«Appunto, Mcmillan non è come la Shafiq. È severo, ma è anche buono. Te lo dico io, che sono il peggior pozionista di Corvonero della storia».
Kyle ridacchiò. «E io sono il miglior pozionista di Tassorosso della storia».
«A maggior ragione» sorrise anche Brian.
Scoppiò a piovere all’improvviso e i due ragazzini si ritrovarono a ridere e correre verso il castello.

*

Emmanuel si lasciò cadere sul divano scuro di pelle e si coprì il volto con le mani. Percepì le lacrime spingere per uscire e sinceramente non aveva la forza di trattenerle. Perché i Neomangiamorte si stavano accanendo contro la sua famiglia? Suo nonno Alton non aveva mai preso una netta posizione neanche ai tempi di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato; certo suo padre e lo zio Caspar avevano più volte ribadito che mai si sarebbero uniti a loro. Gli Shafiq avevano abbandonato chiaramente la loro posizione neutrale, mantenuta per secoli. E Caroline… Caroline non aveva mai perso occasione per parlare male dei Neomangiamorte. Quanto l’aveva ammirata? Quanto? Ogni volta che aveva visto la sua foto sulle riviste di Quidditch, fiera nella sua divisa verde con l’artiglio dorato.
«Emma, è forte. Ce la farà. Tornerà da noi. Vedrai, che li farà pentire di averla rapita. Suvvia, lo sappiamo tutti che non è una di quelle signorine purosangue ben educate. È un maschiaccio» sussurrò Selene, sedendosi accanto a lui.
«Mi spiegate che avete da frignare?».
Emmanuel scattò senza nemmeno rendersene conto, ma si ritrovò appeso a testa sotto.
«Incredibilmente stupido attaccare una strega più abile di te alla babbana» sibilò sua cugina Violett.
«Fallo scendere, immediatamente» ringhiò Selene, estraendo la sua bacchetta.
«Zitta, tu. Allora Emma, dimmi, qual è il problema? Magari in questa posizione rinsavisci un poco».
Emmanuel non si era mai sentito così tanto furioso in vita sua. «Fai schifo!» urlò, fregandosene di buttare giù dal letto tutti gli altri Serpeverde. «Sei spregevole! Proprio come tuo padre!».
«Violett, per favore smettila» pigolò Aura, la sorella minore di Violett.
Selene litigava alla babbana con Cadric Rowle, uno dei più piccoli della famiglia.
La scena s’immobilizzò all’improvviso aprirsi della parete di pietra. Per un attimo pensarono che fosse la loro prozia, Elisabeth Shafiq. A fissarli, però, c’erano Hannah Zabini e Augustus Roockwood, probabilmente di ritorno dalla ronda notturna.
«Questioni di famiglia. Girate alla larga» ringhiò Violett.
«Vuoi una mano?» domandò August Roockwood. «Non impiegherei che pochi secondi a piegarlo».
«Te lo puoi scordare» sbottò Emmanuel, lievemente affannato.
«Sappiamo che te la fai con i Grifondoro, ma non pensavamo che i loro vizi potessero attecchire tanto velocemente in un figlio di Salazar. Dovremmo starci più attenti. Permetti, Violett?».
«Prego, Augustus».
«No!» strillò Selene, ancora alle prese con Cadric.
Emmanuel chiuse gli occhi e strinse i denti. Non aveva dubbi su quale maledizione stesse per usare Roockwood, ma non gli avrebbe dato soddisfazioni.
«Fermo» la voce ferma e rigida di Hannah Zabini riscosse tutti.
«Che c’è Hannah? Dovresti saperlo che certa gente merita questo e altro» disse stupito Roockwood.
«In realtà credevo che avessimo già chiarito la mia posizione. Sono la Caposcuola di Serpeverde. Molto probabilmente l’anno prossimo mi inscriverò al corso di Magisprudenza, per cui il mio curriculum dev’essere perfetto. Uno studente torturato sotto i miei occhi, mi aprirebbe la via più rapida per le celle del Ministero non per gli spalti del Wizengamot».
«E io ti ho detto che dici solo fesserie!» sbottò Roockwood. «Non puoi tradire i valori della tua famiglia! Sai da che parte devi stare!».
«Non hai capito nulla, Roockwood. Mio padre non ha nulla a che vedere con i Neomangiamorte. Ha già diseredato mio fratello Dain, me l’ha detto qualche giorno fa, ma non ha la forza di ripudiare mia madre. Lui crede fermamente nei valori purosangue e ci credo anche io. Preserverò il sangue puro, ma non mi farò trascinare da dei folli che presto saranno sbattuti ad Azkaban. Bellatrix Selwyn non ha nemmeno metà del potere del Signore Oscuro. Le sue truppe sono formate da vecchi, delusi dalla vittoria di Harry Potter e bramosi di ritornare al potere degli anni della guerra, e da giovani innamorati dei loro ideali che non si rendono conto che stanno buttando la loro vita, perché se non moriranno combattendo con gli Auror, trascorreranno il resto dei loro anni in una cella in mezzo al mare!».
Nel frattempo Selene aveva messo al tappeto Cadric e si era buttata su Violett. Emmanuel precipitò sul pavimento di pietra della Sala Comune, strillando per il dolore.
«Oh, Merlino, scusa» disse Selene a occhi sgranati notando che il braccio di Emmanuel aveva assunto una posizione innaturale.
Hannah si avvicinò furiosa, spintonò Roockwood e sibilò: «Andatevene nelle vostre stanze o vi giuro che farò rapporto. La Preside vi espellerebbe senza pensarci due volte. Non vi permetterò di macchiare il mio curriculum». La Caposcuola sembrava sul punto di avere un esaurimento nervoso. Violett, Cadric e Roockwood batterono in ritirata senza aggiungere nulla.
«Dobbiamo portarlo in infermieria» sussurrò spaventata Selene.
Emmanuel tentò di alzarsi, ma una fitta di dolore gli percorse il braccio.
«Sta giù» sbottò Hannah. «Se lo portiamo in infermieria, la Williamson vorrà sapere come si è fatto male. Chiamerà vostra zia che indagherà e la Preside lo verrà a sapere. Quei due verranno espulsi e Serpeverde perderà un sacco di punti. Senza contare che ci andrei di mezzo io…».
«Ma chi cavolo se ne frega? Se li espellessero, saremmo tutti più felici!» sbottò Selene.
«No, Sele» mormorò Emmanuel. «Lo sai come ragione zia Elisabeth, ci andremmo di mezzo anche noi». In realtà la pensava come lei, ma che cosa avrebbero detto i loro genitori se avessero saputo a che punto erano arrivati? Non avevano già fin troppo problemi?
«Hai sbattuto anche la testa!» replicò Selene.
Hannah aiutò il ragazzo a sollevarsi e a sedersi sul divano.
«Ricordati cosa ci ha insegnato il nonno» mormorò. «La famiglia prima di tutto. E Violett e Cadric sono la nostra famiglia».
«Io non li voglio più vedere. Ha fatto bene mio padre a non volergli in casa».
Emmanuel colse lo sguardo di Aura e si rese conto per la prima volta del significato delle parole del nonno e del suo comportamento; ma soprattutto del perché suo padre avesse accolto in casa Aura quell’estate. Scelta che lo zio Caspar aveva biasimato. La discussione che ne era seguita l’aveva profondamente turbato: a sua memoria era la prima volta che suo padre e lo zio si trovassero in disaccordo. Zio Abraham in quanto capofamiglia aveva dovuto ospitare i nipoti e la sorella Adelaide, ma l’aveva fatto forzatamente. Aveva sfogato la sua rabbia e il suo dolore sui nipoti, finché non volendo più vederli aveva pregato i fratelli di trovare una soluzione. Violett si era rifiutata di trasferirsi; Cadric aveva fatto disperare sia zia Charis sia zia Callie; infine Aura aveva pregato suo padre di ospitarla. E lui aveva accettato. Emmanuel aveva appoggiato lo zio Caspar, non voleva dividere la sua casa con Aura. Suo padre era stato irremovibile.
«Te lo curo io il braccio» disse Hannah. Emmanuel annuì e mise a tacere le proteste di Selene. La Caposcuola pronunciò l’incantesimo con sicurezza e con sollievo Emmanuel si accorse di poter di nuovo muovere il braccio. «Grazie».
«Questa notte non è accaduto nulla» replicò Hannah Zabini, dirigendosi verso il dormitorio femminile.
«Sele» chiamò la cuginetta.
La ragazzina, però, scosse la testa e strillò: «Siete tutti pazzi! Io me ne torno a casa! Scrivo a papà e gli dico di venirmi a prendere!».
«Selene, ti prego, non fare così».
Selene non lo ascoltò e scappò nella sua stanza, dove Emmanuel non poteva seguirla.
«Mi dispiace» sussurrò Aura in lacrime.
«Ognuno fa le sue scelte. Tu devi pensare a te, adesso. Proprio come ha detto mio padre. Le tue sorelle sono più grandi e faranno le loro scelte. Andiamo a letto».
«E se ti attaccano durante la notte?» replicò Aura preoccupata.
«Non lo faranno. Hai sentito la Zabini? Hanno troppo da perdere».
 

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Capitolo 16
*** La sfida di Afia ***


Capitolo sedicesimo
 
La sfida di Afia
 
«Come hai fatto a liberarti di Bennett?» chiese sorpresa Virginia vedendo Rose entrare nella Stanza delle Necessità. La Corvonero sedeva compostamente su un divano blu notte.  Scorpius aveva chiesto alla Stanza di trasformarsi in un posto dove avrebbero potuto parlare comodamente e progettare le prossime mosse; così erano apparsi quattro divani del colore proprio di ciascuna Casa, e al centro un tavolino. Si erano dati appuntamento alla fine delle lezioni, perciò Roxi aveva provveduto a recuperare dei panini dalle cucine, dolci vari e una caraffa di succo di zucca.
«Gli ho detto che Williams voleva vedermi nel suo ufficio» rispose la Grifondoro gettandosi sul vassoio di panini, affamata.
«Sei impazzita?!» commentò Virginia trasecolata.
«Dai, Bennett non andrà a chiedergli conferma. Non è il tipo» s’intromise James, stravaccato sul bracciolo del divano scarlatto.
«Ma la Shafiq o zio Neville vorranno sapere dov’è, quando andranno a prendere lei e Meredith per accompagnarle nelle loro Sale Comuni!» intervenne Albus preoccupato. «Rose, rischi di essere espulsa, per Merlino!».
«Al, mi vuoi spiegare che problema hai?» sbottò Rose fissandolo intensamente e abbandonando il panino. «La Scuola non è tutto. Prendi zio George, non ha mai preso i M.A.G.O., eppure è straricco! Devi smettere di pensare che la Scuola sia importante! Io credo di essere una strega capace e tutte le T che mi mettono i professori non cambiano la mia opinione. Credi di essere meno intelligente o meno bravo di persone come Annabelle Dawlish che imparano tutto a memoria? Avrà tutte E e O, ma in duello le spezzo le gambe».
«Su questo sono d’accordissimo» bofonchiò Scorpius, mentre James annuì silenziosamente.
«Sì, ma Rose se sgarri ancora la McGranitt ti espelle!» ripeté Albus disperato che la cugina non comprendesse.
«Me ne farò una ragione» ribatté lei.
«Rose, però, zio George quando ha lasciato la Scuola era maggiorenne, per cui i nonni si sono dovuti rassegnare di fronte alla sua scelta» intervenne James.
«E poi mio padre aveva già acquistato i locali a Diagon Alley e aveva già avviato la vendita dei suoi prodotti» aggiunse Roxi.
«E questo che vorrebbe dire?» s’innervosì Rose.
«Forse sarebbe il caso che affrontaste i vostri problemi familiari in separate sede» s’intromise Jack Fletcher, che ne aveva abbastanza di ascoltare i loro piagnistei.
«Vorrebbe dire» replicò James, ignorando bellamente il Tassorosso, «che finché non sarai maggiorenne dovrai sottostare alle decisioni dei tuoi genitori. E sinceramente non ce la vedo zia Hermione a rinunciare così facilmente a farti prendere il diploma. Troverà un modo per farti studiare».
«Che ci provi!» sbuffò Rose. «Farò vedere i sorci verdi a tutte le istitutrici che sceglierà!».
«E se ti manda in un’altra Scuola?» domandò Jonathan.
«Mi farò espellere anche da lì. Crediate che ci voglia molto?».
«Scusate», disse Emmanuel attirando l’attenzione di tutti su di lui, «ma se ci sbrigassimo? Se Rose torna in biblioteca prima dell’arrivo dei nostri Direttori, è molto probabile che Bennett non dirà che lei si è assentata».
Gli altri annuirono più o meno convinti. Jack era irritatissimo perché avrebbe preferito allenarsi piuttosto che ascoltare i loro problemi; Albus era paonazzo, ma si morse la lingua e non insisté.
«Bene, allora affrontiamo il primo punto. La Pozione Polisucco. A meno che i Corvonero non abbiano trovato una soluzione migliore per indagare sugli incontri notturni di alcuni nostri compagni» esordì Scorpius, lanciando un’occhiata eloquente a Virginia, la quale si era fermamente opposta all’idea in quanto illegale. La ragazza, imbronciata, non fiatò e ricambiò lo sguardo a braccia conserte. «Adesso, dobbiamo decidere chi andrà a prendere il libro nel Reparto Proibito».
«Come chi?» sbottò Rose. «Ci andrò io!».
«Neanche per sogno. Ci andremo io, Scorpius e Jonathan» disse Virginia con fermezza.
Jonathan si affogò con il succo che stava bevendo. «Che cosa?» boccheggiò basito.
«Rose è sul filo dell’espulsione; James, Albus, Jack, Emmanuel e Frank devono partecipare alle Olimpiadi Magiche. Per una cosa del genere la Preside li butterebbe fuori dalla squadra, proprio come ha fatto con Meredith Ashton. Per di più Frank è il rappresentate della Scuola, lo metteremmo in un guaio enorme».
«Va bene, ma perché non hai preso in considerazione me, Brian e Dorcas?» chiese Roxi.
«Perché Brian è il più piccolo, non è proprio il caso che entri nel Reparto Proibito. E questo vale anche per te, è meglio che se ne occupino i grandi» spiegò Virginia.
Gli occhi di Roxi lampeggiarono. «Ma che dici! Hai solo un anno più di me! E, comunque, sono molto più esperta di te quando si tratta di andare in giro di notte!».
«Perché hai escluso anche me? Abbiamo la stessa età» domandò perplessa Dorcas; non che le dispiacesse tenersi fuori da guai, ma faceva anche lei parte del gruppo e le toccava dare il suo contribuito: non si sarebbe tirata indietro per paura.
«Credo che tocchi a noi Corvonero occuparci della Pozione…» iniziò Virginia, ma nuove proteste si levarono dai compagni esclusi.
James mise fine alla discussione. «Vi ricordo che il capo sono io, per cui spetta a me la decisione». Molti lo guardarono male, ma nessuno fiatò. «Nel Reparto Proibito entreranno Scorpius, Jonathan e Virginia. Se non erro, però, il migliore in Pozioni fra noi è Emmanuel».
Il Serpeverde gonfiò il petto con orgoglio, mentre Albus assentiva alle parole del fratello prima di dire: «Avete un’idea di dove metterci a distillare la pozione?».
«Qui?» replicò Emmanuel.
«Non mi sembra il caso, anche perché pensiamo che sia proprio qui che quelli si riuniscono, no?» rispose Scorpius.
«Mio padre e i miei zii l’hanno realizzata nel bagno di Mirtilla Malcontenta» disse Albus.
Virginia impallidì e Rose scosse vigorosamente la testa: «Quella mi odia».
«È una pessima idea fidarci di un fantasma isterico» commentò Jack.
«Parlerò io con Mirtilla» mormorò Frank, sorprendendo tutti.
«Cosa direbbe tuo padre se sapesse che entri nel bagno delle femmine?» chiese provocatoria Rose.
Frank arrossì. «Io non rischio l’espulsione» replicò con la voce lievemente tremante. Roxi sorrise e gli diede una pacca sulle spalle approvando le sue parole.
«Ok, quindi abbiamo trovato il luogo. Chi aiuterà Emmanuel con la Pozione? Virginia, Jonathan ve la sentite?» continuò Albus.
«Ormai ci siamo dentro» replicò la ragazza, mentre Jonathan si limitò a fare un cenno d’assenso.
«E gli ingredienti? Mio padre mi ha detto che molti non erano nella dispensa degli studenti».
«Al, una cosa alla volta» commentò James.
«Bene, allora riaffronteremo la questione appena avremo il libro» concluse Albus.
«Prima di andare via, che pensate degli ultimi avvenimenti?» chiese Virginia.
«Quali avvenimenti?» replicò Brian perplesso.
«Che razza di Corvonero sei? Devi leggere il giornale!» lo rimproverò Jack. Il ragazzino lo guardò male.
«Piccolo riassunto», intervenne James, «l’economia inglese è in crisi. I folletti stanno impedendo l’accesso alle camere blindate della Gringott e Zabini sta andando avanti con la sua campagna a favore di un controllo dell’economia da parte dei maghi stessi. Ha addirittura creato un corso di studio post M.A.G.O. per formare coloro che dovranno sostituire i folletti. Mia cugina Dominique si è inscritta, me l’ha detto Teddy. Qualcuno ipotizza che presto scoppierà una guerra con i folletti. Una famiglia di Goblin è stata assassinata e non si è capito se siano stati i Neomangiamorte o fanatici sostenitori di Zabini».
«Secondo me ha ragione Zabini» disse Jack.
«Non mi interessa discuterne al momento. Il punto è che vista la situazione con i Neomangiamorte, non avevamo bisogno di altri nemici. Zabini ha scelto il momento sbagliato» replicò James.
«La storia dei vampiri secondo voi è vera?» domandò Virginia mordicchiandosi il labbro.
«Fandonie» sbuffò Jack.
«Concordo» soffiò Scorpius.
«Vampiri? Che storia è questa?» chiese allarmata Roxi.
«Dicono che fuori Londra alcuni babbani sono stati attaccati dai Vampiri» sospirò James.
«Dicono?» insisté Roxi.
«Non si sa se è una balla» replicò Scorpius con un’alzata di spalle.
«Ma se i Babbani sono stati attaccati… insomma che fine hanno fatto?».
«Qualcuno dice al San Mungo» rispose Jack.
«Tuo padre lavora al San Mungo» quasi strillò Roxi a Jonathan.
«Pare che mi rende partecipe di quello che fa» replicò il Corvonero con una punta di derisione nella voce.
«Scrivigli» ordinò allora la ragazzina.
«Se ci tieni tanto, ma dubito che mi darà retta».
«Comunque, Rose, permettimi di dirti che sei senza pietà» buttò lì Jack.
«Siamo in vena di complimenti, Fletcher?» replicò la Grifondoro a tono.
«Tua madre è sottopressione al massimo. La Confederazione Internazionale le sta col fiato sul collo».
«È stata una sua scelta fare il Ministro della Magia» replicò irritata. «Possiamo andarcene?».
«Un ultima cosa» intervenne Scorpius. «Che cos’ha in testa vostro zio Percy?». Aveva loro raccontato della discussione, cui aveva assistito già la mattina successiva.
«Mamma mi ha detto di stare tranquillo» rispose Albus. «A quanto pare zia Hermione gli ha dato il consenso di verificare il livello di Hogwarts per accontentare lui e i suoi sostenitori, ma non potrà prendere alcuna decisione senza la sua autorizzazione».
«Meglio così» borbottò Scorpius. «Beh, io andrei. Ho una ronda che mi aspetta».
Mentre tutti si appropinquavano all’uscita, Albus trattenne Rose: «È stato difficile tenerti il broncio per settimane, ti prego non ti fare espellere. Non puoi lasciarmi qui da solo».
La ragazza lo abbracciò e sussurrò: «Hai ragione, non sopravvivresti senza di me. Mi tratterò per te».

*

«Mi hai pestato il piede» sibilò Virginia.
«Principessa, stai zitta e arrangiati. Non è facile stare tutti e tre sotto il mantello» ribatté Scorpius.
«Abbassate la voce» sussurrò Jonathan, poi preoccupato li spinse in un corridoio alla loro destra.
«Che fai?» sbottò Virginia.
«Sawyer sta venendo da quel lato. Cambiamo strada» replicò il compagno.
«Muoviamoci, allora» li esortò Scorpius.
Procedettero molto, ma molto lentamente perché i due Corvonero non erano abituati a camminare con il mantello dell’invisibilità e alla luce fioca della bacchetta.
«Se ci beccano ci espellono?» domandò a un certo punto Virginia.
Jonathan scrutava attentamente la Mappa del Malandrino e la ignorò; invece Scorpius sbuffò particolarmente teso a causa della missione. «Sei la migliore studentessa del nostro anno, non ti espelleranno per un giretto notturno».
«E se ci beccano nel Reparto Proibito con un libro proibito in mano?» insisté la ragazza.
Scorpius si fermò di scatto, rischiando di far cadere gli altri due. «La smetti? Così attiri l’attenzione molto più facilmente. Non credo che ci espelleranno, ok? In nessun caso. La McGranitt non butta fuori le persone con uno schiocco di dita. Passeremmo un brutto quarto d’ora, questo sì».
«Perché sei così teso, allora?» ribatté a tono Virginia. Jonathan inutilmente fece loro segno di abbassare la voce.
Era difficile vedere Scorpius Malfoy arrabbiato, ma quando accadeva il suo volto s’induriva e le sue guance si arrossavano rapidamente. «La McGranitt mi tratta come ogni altro studente. Lei sa che io non sono mio padre. Sa che non farò mai i suoi stessi errori. Gli altri no, però. Che cosa pensi che direbbero tutti se un Malfoy venisse trovato nel Reparto Proibito in piena notte? Offrirei alle malelingue una scusa per attaccare la mia famiglia» sibilò.
Virginia stava per replicare, ma Jonathan glielo impedì. «Andiamo, forza. La Spinnet sta pattugliando questo piano».
Raggiunsero la biblioteca senza più parlare.
«Uno di noi deve fare il palo» sussurrò Scorpius, dopo che tutti e tre furono scivolati all’interno.
Virginia si guardò intorno affascinata: non era mai stata lì a notte fonda. La sala non era completamente buia, perché penetrava un lieve raggio di luce lunare; ma era stranamente silenziosa: mancavano i bisbigli, il rumore delle pagine sfogliate, il tonfo di un libro scivolato dalle mani, il chiasso che proveniva dal corridoio.
«Lo fai tu?» chiese Jonathan al Serpeverde. «Io e Virginia ci occupiamo della ricetta».
«Va bene. Lasciami la Mappa e il mantello. Se c’è pericolo, fischio. Voi non uscite e trovate un nascondiglio» istruì Scorpius.
Virginia si diresse allo schedario cartaceo e cercò la collocazione del libro che li serviva.
«Sbrigati» sussurrò Jonathan.
«Zitto, non mettermi ansia». La Corvonero scorse velocemente le schede finché non trovò quella di cui aveva bisogno. «Segnati la collocazione» disse al compagno che tirò fuori la sua piuma autoinchiostrante e un rotolo di pergamena.
Infine si diressero verso il cordone, in fondo alla biblioteca, che delimitava l’area della Sezione Proibita; lo scavalcarono e si misero alla ricerca del volume senza perdere altro tempo.
«Ricordati di non toccare nessun altro libro» le sussurrò Jonathan, memore dei gli aneddoti paterni loro raccontati da Albus in merito.
Virginia annuì distrattamente. «Non ti sembra che sussurrino?».
Il ragazzo fu scosso da un brivido e fece un cenno di assenso con la testa. Era tutto incredibilmente inquietante. Sembrava che quei libri emanassero malvagità dalle pagine stesse. Alcune copertine era molto vecchie tanto da essere quasi ammuffite; altre sembravano appena comprate.
«Eccolo» disse Virginia, rompendo il silenzio, dopo un po’. «De Potentissimis Potionibus».
Toccò a Jonathan sollevarsi sulla punta dei piedi per recuperarlo dal settimo scaffale. La copertina sembrava addirittura ammuffita. Il ragazzo storse la bocca nauseato. «Avanti, copiamo la ricetta e andiamocene» disse concitato tornando a guardare l’amica. «Che fai? Non mi sembra il caso» soggiunse alzando lievemente la voce. Virginia fissava con occhi vacui un volume rossastro. Non gli prestò ascolto, forse non l’aveva nemmeno sentito, e prese il libro. Jonathan si avvicinò, ma fu bloccato da uno strillo acuto e lacerante. Rimasero bloccati a fissarsi. La Corvonero si era riscossa a causa dell’urlo, che proveniva dal libro aperto nelle sue mani. Lo fece cadere a terra con un tonfo, ma non cambiò nulla.
«Siete impazziti?» quasi urlò Scorpius raggiungendoli. Li coprì con il mantello e li trascinò fuori dal Reparto Proibito fino alla scrivania di Bennett. Qui dovettero fermarsi, perché l’urlo aveva attirato sia la Spinett sia Sawyer. Corsero entrambi nella Sezione Proibita, senza vederli. Scorpius controllò la Mappa del Malandrino e spinse i due Corvonero fuori dalla biblioteca. «Correte» li esortò. Si fermarono solo vicino all’infermieria, che sembrava perfettamente tranquilla. L’urlo che per un tempo, che era loro sembrato infinito, aveva continuato a turbare la quiete del castello si era zittito. Ancora però riecheggiava nelle loro teste.
«Che era?» chiese spaventata Virginia.
«La maledizione Cruciatus» sussurrò Jonathan. Gli amici lo fissarono sorpresi. «Urlavi così quando Douglas l’ha usata su di te due anni fa» spiegò, rivolto specialmente a Scorpius.
Il Serpeverde s’incupì nel riportare alla memoria quei ricordi. «Beh, abbiamo portato a termine la missione con successo, o sbaglio?» disse tentando di riacquistare il suo consueto spirito.
«Abbiamo un problema» disse Jonathan ancora tremante e mostrò loro il libro.
«Merda» sbottò Scorpius scioccato.

*

Frank entrò quasi di corsa nel bagno di Mirtilla Malcontenta, rischiando di scivolare sul pavimento bagnato. Comprese all’istante di essere arrivato appena in tempo: Albus e Jonathan tentavano di separare Rose da Mirtilla. Era proprio vero che Rose sarebbe stata capace di attaccar briga con un sasso. Emmanuel e Virginia assistevano scioccati. Scorpius era divertito.
«Ciao, Mirtilla» esordì il ragazzino. «Come va?».
«Riflettevo sulla morte, quando sono entrati questi qui a disturbarmi» strillò il fantasma.
«Capisco, mi dispiace, Mirtilla» replicò Frank. «Sai, loro sono miei amici. Hanno bisogno di fare una cosa… in un posto discreto, diciamo… Non è che potresti aiutarci? È molto importante».
«Lei non la voglio!» ribatté Mirtilla, stringendo le braccia al petto e indicando teatralmente Rose con un dito.
Frank si voltò verso Albus, che ricambiò l’occhiata impotente: e chi aveva il coraggio di chiedere a Rose di andar via?
«Weasley, rischi l’espulsione, ricordi?» intervenne Virginia. «Per cui non puoi esserci d’aiuto. Accontenta Mirtilla».
La Grifondoro la incenerì con lo sguardo. «Voi non sarete d’accordo, spero» sibilò rivolta ad Albus, Scorpius e Frank.
«Rosie, è meglio così» tentò il Serpeverde.
«Siete dei traditori! Vi credete tanto bravi? Bene, allora arrangiatevi!» sbottò Rose, avviandosi alla porta. Ignorò il flebile richiamo del cugino. Sapeva che le avrebbe detto qualche parola gentile, ma non voleva sentire idiozie. Si premurò di sbattersi la porta alle spalle.
«Potete fare quello che volete» concesse a quel punto Mirtilla.
«Grazie» disse Frank.
«Adesso posso sapere che cos’è successo ieri notte? Avete messo in allarme tutto il castello. E stamattina i professori erano scioccati perché un libro del Reparto Proibito è stato ritrovato nell’infermieria».
«Un piccolo incidente di percorso» sospirò Scorpius. Raccontò gli eventi della notte prima. «Così abbiamo copiato velocemente il testo e abbiamo buttato il libro in infermieria. Difficilmente sarebbe potuto cadere in mani sbagliate in quel modo. Di certo non potevamo tornare indietro. Ci avrebbero beccato».
«Mi dispiace» sussurrò Virginia, le cui occhiaie dimostravano quanto poco avesse dormito quella notte. Ancora era scossa dai brividi se ripensava a quell’urlo agghiacciante, ma ciò che la spaventava di più era che quel libro l’aveva attirata. Aveva agito quasi in trance. E per tutto quel tempo la sua runa aveva bruciato tanto da scottarle il polso. Non era mai accaduto a nessuno dei suoi compagni.
«Forse è meglio che ci mettiamo a lavoro» disse Emmanuel rompendo il silenzio.
«La ricetta è molto complicata» iniziò Jonathan. «Come dicevi tu, Al, molti ingredienti non si trovano nella dispensa degli studenti».
«Me ne occupo io» assicurò Scorpius.
«Come? Mica Mcmillan lascia aperta la sua scorta personale» ribatté Albus.
«Ho qualche idea» replicò il Serpeverde con sicumera. «Però prestatemi mantello e Mappa. Così sono più sicuro».
«Certo, stai tranquillo. Avrai equipaggiamento completo. Ma chi vuoi che ti accompagni?».
«Meglio solo, Al».
«L’erba fondente deve essere raccolta con la luna piena. Idee?» chiese Emmanuel.
«Questo non sarà difficile» borbottò Scorpius. «Piuttosto, quanto tempo ci vorrà?».
«Circa un mese» rispose Virginia, che aveva preso la pergamena dalle mani di Emmanuel.
«Un’infinita di tempo!» si lamentò Scorpius.
«Mi pare che non ci sia altro da dire, no?» chiese Albus.
«Direi di no» sospirò Jonathan, alquanto preoccupato per quello che stavano facendo. Gli altri assentirono.
«Allora andiamo» concluse Virginia.
«Oh, sì. Ho gli allenamenti tra poco. Non posso arrivare in ritardo. Al prova a parlare con Rose. Cenerò al vostro tavolo, così vediamo di tranquillizzarla» disse Scorpius.
Frank lasciò che gli altri andassero via e si trattenne un po’ con Mirtilla. Dall’inizio dell’anno era andato a trovarla solo una volta. Non più di una ventina di minuti dopo uscì anche lui, completamente perso nei suoi pensieri. Non è che la compagnia di Mirtilla fosse molto divertente.
«Eri nel bagno delle ragazze!» strillò una voce, a lui ben nota, riscuotendolo.
Augusta lo fissava trionfante, in compagnia di alcune sue amiche.
«Che bello, abbiamo trovato un modo di far perdere punti a Grifondoro!» trillò felice una di queste.
«Non stavo facendo nulla di male» si difese Frank fissando nervoso la sorellina. Non avrebbe fatto realmente la spia, no?
«Eri nel bagno delle ragazze» insisté Augusta, come se fosse una cosa ovvia.
«I Grifondoro sono proprio tonti» intervenne una delle sue amiche. «Tu sei un maschio. Ai maschi è vietato entrare nel bagno delle ragazze. Tu hai violato le regole».
«È in disuso» sbuffò Frank, arrossendo inevitabilmente all’occhiata maliziosa di una delle ragazzine.
«Peggio! Un motivo in più per non doverci andare» ribatté Augusta.
In quel momento passò il professor Mcmillan, che si limitò a lanciar loro un’occhiata interrogativa. Frank tirò un sospiro di sollievo quando il professore passò avanti senza fermarsi, ma Augusta lo fece rimanere di sasso.
«Professore, può aspettare un attimo?».
«Che cosa c’è, Paciock?» domandò pazientemente Mcmillan tornando sui suoi passi.
«Credo che mio fratello abbia qualche problema a capire che un bagno in disuso non può essere usato» disse Augusta con aria angelica.
Frank avvampò, ma più che arrabbiato si sentì ferito. Perché faceva così? Non aveva raccontato al padre come si comportava lei con le sue compagne, ma in accordo con Jack Fletcher di Tassorosso e Marcellus Nott, aveva consigliato alle Corvonero di renderle pan per focaccia.
«In realtà credo che abbia problemi anche con la propria identità sessuale. Insomma ritiene sia lecito usare il bagno delle ragazze» aggiunse un’altra Corvonero.
«Non è vero!» sbottò Frank.
«Signorina Granbell, eviti certe considerazioni» disse Mcmillan. «Paciock, che cos’è questa storia?».
Frank sospirò e abbassò lo sguardo. «Mirtilla» mormorò.
«Mirtilla cosa?» insisté perplesso il professore.
«Sono andato a trovarla» ammise il ragazzino.
Le Corvonero scoppiarono a ridere. «Oh, Merlino, Augusta, tuo fratello ha davvero qualche problema mentale» ululò la Granbell.
Frank le fissò sconcertato, iniziando a innervosirsi sul serio: se anche avesse avuto dei problemi sua sorella non avrebbe dovuto ridere! Guardò Mcmillan che era sempre più stranito. Magnifico, lo credeva pazzo anche lui!?
«Basta, smettetela di ridere» ordinò infine il professore.
Le Corvonero tentarono di ricomporsi, ma con una certa fatica.
«Non sono pazzo» sbottò Frank. «Mirtilla è sola, ma è morta a soli sedici anni. Non è diversa da noi! Se persone stupide come voi non l’avessero presa in giro, probabilmente non sarebbe neanche morta!». Ora sì che si stava innervosendo. Non era lui che aveva problemi, erano gli altri! Perché gli uomini devono per forza farsi male a vicenda?
«Paciock, Zari, Granbell smettetela di sghignazzare!» sbuffò il professore alzando la voce, sorprendendo le tre ragazzine.
«Ma professore, l’ha sentito? Ha detto che noi siamo stupide! Noi! Delle Corvonero!» disse Granbell.
«Ci sento benissimo, signorina Granbell. Signor Paciock, cinque punti in meno a Grifondoro. Per quanto siano nobili i tuoi scopi, non puoi entrare nel bagno delle ragazze».
Le Corvonero assunsero un’aria soddisfatta, al contrario Frank si arrabbiò sul serio. Era una regola stupida: nessuna ragazza andava nel bagno di Mirtilla! «Allora voi insegnanti dovreste stare attenti» sbottò prima di rendersi conto di quello che diceva. «Che Mirtilla stesse male, all’epoca non è interessato a nessuno. E ci sono molte persone oggi che soffrono per gli stessi motivi, ma a voi interessano solo i voti, i compiti e il rispetto di stupide regole!».
«Paciock! Ricordati con chi stai parlando!» lo riprese Mcmillan. Frank si morse il labbro per non peggiorare la situazione, percepiva gli occhi del professore fissi su di lui. «Altri dieci punti in meno per Grifondoro e non entrare più nei bagni delle ragazze».
«Ma è un bagno in disuso!» si lamentò Frank non riuscendo proprio a trattenersi.
«Non ha importanza. E vedi di chiamarmi professore o signore. Non essere maleducato. E adesso ritornate tutti nei vostri Dormitori se avete già cenato, oppure recatevi in Sala Grande. Capito?» tagliò corto Mcmillan.
«Sì, signore» replicò a malincuore Frank. Le Corvonero assentirono a loro volta.
Frank sapeva di aver esagerato. Era più che convinto di aver ragione e che Mcmillan si stesse impuntando su un mero cavillo; nonostante ciò gli aveva risposto male. Fece alcuni passi e si fermò. Si voltò ritrovandosi faccia a faccia con l’insegnante, che si fermò a sua volta inarcando un sopracciglio.
«Le chiedo scusa, signore» sospirò a capo chino.
Mcmillan lo soppesò per qualche secondo, infine sospirò a sua volta: «Scuse accettate, Frank».

*

«Ragazzi, prima che andiate, ho corretto la versione che avete fatto la settimana scorsa. Pensavo fosse superfluo ricordavi che quest’anno avete i G.U.F.O., ma a quanto pare mi sbagliavo. La mia materia l'avete scelta, nessuno vi ha costretto a seguirla; altrettanto liberi siete di non continuarla ai M.A.G.O., ma se le vostre intenzioni fossero ben diverse, vi faccio presente che al momento ben pochi di voi sono nelle condizioni di superare l’esame» disse la professoressa Spinett prima di distribuire le pergamene corrette.
Albus prese la sua e non poté trattenere un sorriso soddisfatto.
«Mi sembrava strano che si riferisse a te» gli sussurrò Alastor, accennando alla E rossa sul suo compito.
«A te com’è andata?» replicò Albus.
«A. Poteva andare peggio in fondo».
Il suono della campanella risuonò nel castello.
«Ehi, Al» lo chiamò Scorpius, mentre raccoglievano i libri. «Non è che mi dai una mano prima della prossima verifica? Ho preso D».
«Certo» rispose il ragazzo. «Cominciate ad andare, però, devo parlare con la Spinett di voi sapete cosa e se rimaniamo tutti potremmo attirare l’attenzione».
«Voi sapete cosa» gli fece il verso Scorpius, alzando gli occhi al cielo. «Ci vediamo dopo, allora».
Albus fu costretto ad attendere che un’Annabelle molto polemica si convincesse di non meritare più di S, il che fu difficile.
«Potter, dubito che tu abbia qualcosa di cui lamentarti» sospirò la professoressa, quando si avvicinò alla cattedra.
Il Grifondoro sorrise imbarazzato. «Volevo chiederle qualcosa sulle rune magiche».
«Dimmi» assentì palesemente incuriosita la Spinett.
«Non riesco a capire perché brucino intensamente in determinate occasioni e soprattutto quale sia il loro effettivo potere».
«Non lo so, però, farò qualche ricerca approfondita».
«Ho controllato tutti i libri della biblioteca» replicò affranto Albus.
«Non quelli del Reparto Proibito, o sbaglio?» insinuò con una punta di severità la Spinett.
«No, ma che c’entra? Non credo ci sia nulla di oscuro in queste rune».
«Nel Reparto Proibito non ci sono solo libri oscuri, ma anche testi su magie antiche e potenti» spiegò la professoressa Spinett. «A proposito di Reparto Proibito, sai nulla su chi possa essere entrato in biblioteca l’altra notte?». Albus fu preso in contropiede da quelle domanda e boccheggiò. «Capisco» sospirò la donna. «Ipoteticamente è possibile che tu sappia chi entrato, perché è stato uno di voi?».
«In linea ipotetica?» replicò Albus, tentando di comprendere quale fosse lo scopo della professoressa.
«Sì, ipoteticamente. D’altronde mancano le prove».
«Ipoteticamente è possibile che sia opera nostra» concesse Albus.
«Meglio così, perché se ipoteticamente fosse così, potremmo mettere fine alle ricerche e tentare di non allarmarci inutilmente. Abbiamo fin troppi problemi» sospirò la professoressa. Albus annuì. «Sempre ipoteticamente non è che state facendo qualcosa di pericoloso? Perché non ci mettete al corrente delle vostre scoperte? Potremmo aiutarvi».
«Non abbiamo scoperto nulla» confessò Albus.

*

«Non chiamiamo Frank?» sussurrò Gretel Finnigan.
«No. In questo periodo ha un sacco di cose da fare per via delle Olimpiadi Magiche ed è preoccupato per Augusta. Non è proprio il caso che si ficchi nei guai» replicò Roxi.
«Non è detto che ci becchino» borbottò Gretel.
«Ho i miei dubbi. La sorveglianza è aumentata notevolmente dopo gli attacchi a Fawley e Canon».
«E comunque si tratta di una cosa solo per le ragazze» intervenne Lorein Calliance.
«Avete intenzione di fare salotto?» le chiamò Afia Gamal, vicino al buco del ritratto. «Che cos’è? Avete fifa?».
«Scordatelo» sbottò Roxi raggiungendola a grandi falcate.
Gretel e Lorein le seguirono immediatamente.
«Eppure mi era parso che fossi sicura di essere beccata» insisté sarcastica Afia.
«La mia era solo una costatazione» ribatté Roxi.
Procedettero in silenzio per diverso tempo, poiché più volte furono costrette a nascondersi dietro un’armatura o un arazzo. Era da poco scoccata la mezzanotte, ma nonostante ciò fantasmi e professori pattugliavano i corridoi.
«Comunque, a parte andare in giro di notte, non stiamo infrangendo alcuna regola. Ho controllato» sussurrò a un certo punto Lorein.
Roxi alzò gli occhi al cielo e scosse la testa: quanto poteva essere scema? «Oh, Merlino, gli adulti la considereranno come una di quelle regole non scritte, ma che dovrebbero essere dettate dal buon senso». Già immaginava la ramanzina di Neville, la strillettera di sua madre e la lettera accorata di suo padre. Almeno lui avrebbe capito che buon senso o no, non poteva passare per vigliacca. Non l’avrebbe tollerato.
«Come hai fatto?» chiese stupita Lorein Calliance.
Roxi si riscosse dai suoi pensieri e si rense conto che non solo erano giunte nella Sala d’Ingresso, ma Afia aveva anche aperto il massiccio portone di quercia. Stavolta non poté biasimare lo stupore della compagna.
«A me hanno insegnato incantesimi utili» replicò Afia con la solita sicumera.
Roxi ignorò l’ammirazione della Calliance e di Gretel, ma nemmeno commentò: non si trattava di utilità in quel caso, ma di legalità. Insomma un incantesimo che ti permette di aprire porte chiuse magicamente è parecchio discutibile. Si strinse il mantello addosso. Ormai la temperatura era calata e le tiepide giornate di inizio settembre erano solo un bel ricordo. Forse Frank aveva ragione: la sua fissazione di dimostrare sempre e comunque il suo coraggio, l’avrebbe fatta passare per stupida prima o poi. Si fermarono vicino al Lago Nero. Roxi, Lorein e Gretel probabilmente, anche se non l’avrebbero ammesso, per un attimo avevano sperato che il freddo dissuadesse Afia dal suo intento. Purtroppo la ragazza si stava già spogliando.
«Non dovresti sentirlo più di noi il freddo? Vieni da un posto dove fa sempre caldo!» sbuffò Lorein, iniziando a spogliarsi a sua volta.
«Sono l’unica speranza per il mio popolo, non è il freddo che mi spaventa» ribatté Afia.
Roxi stava già tremando e non si prese la briga di aprire bocca. Non aveva mai fatto una cosa così stupida in vita sua. Sarebbe stato tanto umiliante rinunciare? Lei d’inverno non si sarebbe mossa dal caminetto o dal letto sotto tre o quattro coperte.
«Forza, fifone, dimostratemi la vostra tempra» le provocò Afia.
Gretel e Lorein entrambe in mutande e reggiseno si fecero coraggio e misero un piede in acqua, tremando sempre più forte. Per un attimo Afia si bloccò con l’acqua che le arrivava alle ginocchia. Roxi in pigiama non riuscì a togliersi altro. Non era più questione di coraggio. Tremava così forte da non riuscire neanche a togliersi la maglia.
«H-hai f-f-freddo anche tu» biascicò Lorein.
«E-esci» le fece eco Gretel.
«Col cavolo. Vi dimostrerò di che pasta sono fatta» replicò Afia tuffandosi sotto i loro occhi increduli e schizzandole.
Roxi avrebbe voluto urlare, ma non aveva il fiato. I secondi che la ragazza impiegò a riemergere sembrarono enormi. Per un momento pensarono anche che fosse affogata o congelata sott’acqua. Quando Afia tornò sulla riva tremava ancora più delle compagne. Si riprese i vestiti e infine disse controllando la voce: «Avete visto? Siete solo delle fifone».
Lorein e Gretel si rivestirono in fretta. Roxi aveva già recuperato il cardigan pesante, regalatole qualche Natale prima dalla nonna, e il mantello. Il ritorno apparve loro più breve, ma furono senz’altro più incaute. Roxi, buttandosi sotto il suo caldo piumone scarlatto, si disse che tutto il freddo che avevano preso aveva avuto lo stesso effetto della Felix Felicis.
«La pagherà» sibilò tra i denti Lorein Calliance, fissando con astio le tende del letto al baldacchino dietro le quali Afia si era rifugiata.
 

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Capitolo 17
*** Nascosti dietro una maschera ***


Capitolo diciassettesimo
 
Nascosti dietro una maschera
 
Erano quasi le sei e fuori era buio pesto. Frank sbadigliò e si avvicinò a Roxi e Gretel per salutarle. Entrambe avevano un cera terribile.
«Si può sapere che avete combinato stanotte?» sussurrò per non farsi sentire dai professori presenti nella Sala d’Ingresso.
«Storia lunga. Quando torni, te la raccontiamo» bofonchiò Roxi.
Frank le diede un bacio sulla guancia e si preoccupò maggiormente. «Ma sei caldissima!».
«Esagerato! Comunque abbiamo preso un po’ di freddo stanotte. Ora me ne torno a dormire».
«Dovresti andare da madama Williamson» ribatté Frank.
«Se non mi sentirò bene fra qualche ora, ci andrò. Promesso. Non mi perderei la possibilità di saltare impunemente le lezioni».
Il ragazzino non rispose al sorriso un po’ forzato dell’amica. «Una settimana passa in fretta» disse per nulla convinto.
«La tua sicuramente. Ci lasci in mano alla Shafiq, ti ricordo» borbottò Roxi con un mezzo sorriso. «Vedrai, che come niente ti ritroverai a controllare che faccia tutti i compiti e rimpiangerai che le prove durino solo una settimana».
Non si erano mai separati veramente. Naturalmente non sempre durante le vacanze potevano incontrarsi, ma rimanevano costantemente in contatto. Per la prima volta non avrebbero potuto farlo. La Grecia era lontana e non potevano usare gli Specula; sarebbe stato ridicolo chiedere di usare un camino solo per parlarle e un gufo ci avrebbe messo troppo. Non era giusto che nei luoghi ad alta concentrazione magica i mezzi di comunicazione babbani non funzionassero. Era in quei momenti che Frank non poteva non pensare, che, dopotutto, i Babbani erano più avanti di loro in alcuni settori. Ricordò il discorso che aveva pronunciato la professoressa Dawson durante la prima lezione l’anno prima, adesso non capiva proprio in che cosa i Purosangue fossero migliori.
«Frank, è ora». Suo padre gli pose una mano sulla spalla.
Frank annuì, rendendosi conto che gli altri aspettavano lui. Arrossì, ma comunque si dispiacque di non poterlo abbracciare. Ma prima di raggiungere gli altri, gli sussurrò: «Credo che Roxi abbia la febbre, assicurati che vada da madama Williamson. Con la testa dura che ha…».
Neville sorrise e promise che se ne sarebbe occupato lui.
Frank raggiunse Albus, che ridendo sotto i baffi gli indicò la clessidra di Grifondoro in ombra: James stava baciando Benedetta. Ridacchiò a sua volta, mentre suo padre andava a chiamare anche loro, prima che se ne accorgesse la Preside, che, fortunatamente, stava dando le ultime istruzioni a Finch-Fletchley, Hagrid, la Shafiq e Williams.
Il professor Mcmillan chiamò l’appello, leggendo i nomi da un rotolo di pergamena, che poi depose in una delle tasche del mantello.
Il professor Williams diede le ultime istruzioni ai suoi duellanti, prima che potessero uscire dal castello. A tutti era parso strano in un primo momento che non sarebbe stato il professore di Difesa ad accompagnare la squadra olimpica, ma alla fine si era capito chiaramente che la Preside aveva lasciato la Scuola in mano a un Auror esperto.
«Non vedo l’ora» disse entusiasta James, avvolgendoli tra le sue braccia muscolose grazie al Quidditch.
«Così mi strozzi» bofonchiò Frank, poco incline a festeggiare. In effetti si era pentito da un pezzo di quel progetto che aveva realizzato.
«Nervosetto stamattina?» commentò James, che sembrava sprizzare energia da tutti i pori, nonostante l’ora.
Frank non rispose e James dopo avergli lanciato un’occhiata interrogativa raggiunse Arthur, che era eccitatissimo come lui.
Il parco di notte era veramente inquietante. All’alba non mancava ormai molto e il cielo iniziava a rischiararsi, nonostante ciò gli alberi creavano giochi di ombre ingannevoli e il fruscio delle foglie nel silenzio faceva pensare a qualcuno che camminasse vicino a loro. Frank si chiese se anche gli altri la pensassero come lui, ma non sembrava. Non comprendeva proprio come potessero mostrarsi così tranquilli.
«Preoccupato?» gli chiese Albus, osservandolo con attenzione.
«Tu no?».
«Un po’ forse… insomma è un’esperienza nuova, poi tuo padre si fida di me e non voglio deluderlo…» replicò Albus soprappensiero.
Nel frattempo la McGranitt aveva momentaneamente abbassato le difese del castello per permetterli di uscire dal cancello, per poi riattivarle immediatamente.
Louis si affiancò a loro, taciturno.
«In Grecia si va in treno? Credevo che fosse lontana e che avremmo usato una passaporta» commentò perplesso Emmanuel, quando giunsero alla stazione di Hogsmeade.
«È consuetudine che le Scuole di Magia utilizzino i loro mezzi di trasporto tradizionali» rispose Frank automaticamente. La Dawson gliel’aveva spiegato durante una delle loro ultime lezioni extra. Molti si voltarono verso di lui e comprese che Emmanuel si era rivolto principalmente agli insegnanti. «Scusate» borbottò imbarazzato.
«Perché usiamo il treno? Non è un mezzo babbano?» domandò Marcus Parkinson, che era stato scelto per la gara di Trasfigurazione.
«Ancora mi chiedo che cos’ho fatto di male per doverlo sopportare anche in questo viaggio» mormorò James ad Albus.
«Vedi di non azzuffarti» ribatté Albus.
«Paciock, spiegalo tu ai tuoi compagni».
Frank sbiancò alle parole della McGranitt. Ma sul serio, chi gliel’aveva fatto fare? Non era capace di stare zitto! Molti dei suoi compagni ridacchiavano. Voleva scomparire. Non poteva neanche dire di non saperlo, perché la Dawson gliel’aveva raccontato.
«Era difficile far arrivare a Scuola tutti gli studenti, soprattutto senza farsi notare dai Babbani. Si tentò con le passaporte, ma molti ragazzi stavano male. Alla fine nel diciannovesimo secolo il Ministro della Magia Ottaline Gambol, affascinata dalle invenzioni babbane, decise di usare un treno. Da allora è stata costruita una rete ferroviaria molto articolata che congiunge tutte le città magiche più importanti d’Europa» borbottò infine senza guardare nessuno in volto.
«Esaustivo. Ci terrei ad aggiungere che quando prenderemo il treno per l’Europa, pretendo che vi comportiate in modo impeccabile, in quanto vi saranno anche altri passeggeri» concluse la McGranitt in tono palesemente minaccioso.
«E ti pareva?» sbuffò James.
«Salite sull’Espresso» ordinò il professor Mcmillan.
«È stranissimo» strillò Hugo guardandosi intorno sul treno,  vuoto senza tutta la scolaresca.
James, per conto suo, prese a dirigersi verso la coda del treno, il più lontano possibile dai professori.
«Non così in fretta» lo fermò Mcmillan, trattenendolo per il colletto della divisa.
«Che ho fatto ora?» si lamentò.
«Ancora nulla, ma nel dubbio, tu, Steeval, Mitchell, Abbott e Parkinson farete compagnia a me e alla professoressa McGranitt».
James gemette: quello era un incubo. «Non farò nulla di male» tentò.
«Ne sono sicuro. Accomodatevi, prego» replicò Mcmillan ignorando le proteste degli altri ragazzi e indicando uno scompartimento alla sua destra. L’unico che non disse nulla, ma era visibilmente contrariato, fu Parkinson.
Il viaggio verso Londra fu tranquillo. I ragazzi trascorsero il tempo, dormicchiando, giocando a scacchi o a sparaschiocco. Albus fu l’unico a non lasciarsi coinvolgere dal clima giocoso.
«Che pensi?» gli chiese Frank.
«Lo sai» sospirò il ragazzo pensieroso. «Non è il caso di parlarne qui».
Frank annuì e non insisté.
Albus non riusciva a non arrovellarsi sulle mosse che i Dodici avrebbero dovuto compiere per sconfiggere i Neomangiamorte e riportare la tranquillità in Inghilterra e non solo. Era sicuro che il calore, che le rune sprigionava in determinati momenti, avesse un significato ben preciso. Doveva capirlo e imparare a usarle. La Profezia non vaticinava una guerra come quella contro Lord Voldermort, ma chiedeva che loro riportassero la giustizia; una giustizia che a quanto pareva era stata solo creduta tale dopo l’ultima guerra.
«Ragazzi, preparatevi, siamo a Londra. Indossate gli abiti babbani che vi abbiamo raccomandato di portare con voi» annunciò Mcmillan entrando nel loro scompartimento.
Albus si alzò e recuperò il borsone dalla rastrelliera e con l’aiuto di Harry Cartemole, molto più alto di lui, passò i bagagli agli altri ragazzi. Si cambiarono rapidamente proprio mentre il treno si fermava.
«Che figata, prendere l’Espresso a ottobre» strillò per la millesima volta Mirko Allen di Tassorosso, mentre scendevano.
«Abbiamo compagnia» annunciò James, mentre si avvicinavano a lui. Albus e Frank notarono delle figure scarlatte sul binario.
«Avremmo dovuto aspettarcelo» commentò Emmanuel affiancandoli. «Non vedo vostro padre, però».
«E come se ci fosse» replicò James. «Vedi quello con la barbetta un po’ brizzolata?» chiese indicando un uomo sulla cinquantina, che scrutava intorno a sé con grande attenzione.
«Chi è?».
«Rick Lewis. Uno dei sotto-ufficiali. Di questo gruppo solo la McGranitt potrebbe tenergli testa».
«Neanche Mcmillan?» replicò Emmanuel perplesso.
«Mcmillan è un buon pozionista, non è un guerriero».
«Ma è un eroe di guerra».
«Credo che la guerra sia così: o ti rintani come un topo o combatti. E lui ha combattuto».
Emmanuel si accigliò, sicuro che vi fosse un velato riferimento al comportamento dei Serpeverde durante la battaglia finale. Strinse i pugni: avrebbe dimostrato che i Serpeverde erano coraggiosi.
Frank s’incupì, perché non gli piaceva sentir parlare di guerre e di cose tristi.
«Voi quattro, venite» li chiamò Mcmillan.
«Andiamo» disse Albus, l’unico che non aveva commentato le parole del fratello. A lui non piaceva combattere. Suo fratello, però, parlava da vero Grifondoro. Non avrebbe mai avuto il suo coraggio.
«Ora dovremo andare nella King Cross babbana per poter raggiungere il binario 7 e mezzo e prendere l’Orient Express. Comportatevi bene, specialmente quando sarete sul treno. Non sarete da soli, ma vi saranno altri maghi» li avvertì nuovamente la Preside, dopo averli istruiti sulle prossime mosse.
«Professoressa McGranitt, i miei uomini sono pronti» annunciò Lewis. «E la via è libera. Potete passare».
«Andiamo» ordinò allora la Preside.
I ragazzi la seguirono oltre il passaggio del binario nove e tre quarti. Nel lato babbano furono accolti dal via vai dei pendolari, che si spostavano sempre con velocità e completamente indifferenti. Albus si disse che anche se fossero andati in giro con la divisa di Hogwarts nessuno avrebbe fatto caso a loro o comunque li avrebbero presi per teppisti o gente strana. Ormai i babbani non si illudevano dell’esistenza della magia, per questo non comprendeva che cosa si aspettassero gli Squibs con le loro azioni. I Babbani gli avevano presi di mira come se fossero terroristi o dei pazzi.
«State vicini» ordinò seccamente Mcmillan, mettendoli in fila. Gli Auror, che li seguivano, si erano trasfigurate le vesti. James glie fece notare alcune persone che li seguivano che sembravano perfettamente babbane, ma molto probabilmente erano altri Auror. Cosa temeva loro padre? Un attacco a King Cross?
Era già buio, ma la stazione era perfettamente illuminata. Fu un po’ difficile sgusciare in mezzo alla folla, ma fortunatamente molti, vendendoli in fila, li scambiavano per una normale scolaresca e si spostavano per farli passare.
Lewis fece cenno ai suoi uomini appena furono tra il binario sei e il sette. Tre Auror dopo essersi guardati intorno attraversarono il passaggio, altri due si posero ai lati del pilastro.
«Vuole andare avanti lei, professoressa?» domandò Lewis.
La McGranitt annuì e si scambiò uno sguardo d’intesa con Mcmillan.
Gli Auror e il professore di Pozioni li fecero passare uno alla volta, perciò l’operazione richiese un po’ di tempo.
James rimase a bocca aperta. La banchina non era diversa da quella dell’Espresso di Hogwarts, ma il treno sul binario era grigio metallizzato. E c’era un bel po’ di gente. Erano tutti diversi tra loro, indossavano vesti e cappelli colorati ed eccentrici. Era strano non vedere una folla di adolescenti, intenti a non dimenticare qualcosa e a far finta di ascoltare le ultime raccomandazioni dei genitori. Vi erano alcuni stranieri, che si distinguevano per i lineamenti o per il modo diverso di vestire.
«Non pensavo che tanti maghi usassero il treno» commentò perplesso, pensando che il fratello l’avesse raggiunto. Fu, però, Jack Fletcher a rispondere: «Ci venivo ogni tanto da piccolo, quando… quando non avevo che fare…». In realtà avrebbe voluto dire quando tentavo di borseggiare incauti viaggiatori.
«E dove sei andato?» domandò curioso James.
«Da nessuna parte. Sveglia, Potter. Nemmeno ti immagini quanto costa un biglietto» sbuffò Jack roteando gli occhi.
«Ma noi abbiamo pagato un biglietto?» replicò perplesso il Grifondoro.
«L’avrà fatto il Ministero, dopotutto è la Gran Bretagna che rappresentiamo no?».
«Quindi verranno anche i membri del Ministero?» s’inserì nel discorso Albus, che nel frattempo li aveva raggiunti.
«Probabile. Ma scommetto quello che volete, che useranno una comodissima passaporta» ribatté Jack.
Si radunarono tutti intorno ai due professori, cui si erano aggiunti tre Auror.
«Bene, ragazzi. Il treno partirà tra breve. Il professor Mcmillan vi distribuirà i biglietti, qualora dovesse passare il controllore, potrete farglieli vedere. Vi sono quattro posti per ogni cabina e abbiamo già deciso come vi dividerete».
Un mormorio di protesta fece per sollevarsi ma fu tacitato sul nascere da una severa occhiata della McGranitt.
«Paciock, Albus Potter, Arthur Weasley e Mirko Allen» iniziò il professore di Pozioni, consegnando loro un biglietto ciascuno. «James Potter, Louis e Hugo Weasley, Nathan Wilkinson. Moore, Travers, Steeval e Bobbin. Benson, Parkinson e i gemelli Baston. Fawley, Abbott, Mcnoss e Mitchell. Mcmillan, Goldstain, Shafiq e Cartemole. Infine con me e la professoressa dormiranno Fletcher e gli Auror. Vi prego di raggiungere le vostre cabine e di indossare la divisa nuovamente. Per questa sera sarete liberi di trascorrere il tempo come desiderate, purché non facciate chiasso e disturbiate gli altri viaggiatori. Domani faremo lezione insieme».
«Che cosa?» chiese sorpreso James.
«Potter, credevi di essere in vacanza?».
«Una cosa simile» bofonchiò il ragazzo contrariato.
«E invece no. Impiegherete il tempo in modo proficuo, ripetendo le materie in cui siete indietro. Io, la professoressa McGranitt e uno degli Auror vi daremo una mano. La cena vi sarà servita nel vostro scompartimento, perciò non andate in giro».
«E se dobbiamo andare in bagno?» domandò ironico Albert Abbott. «Viene qualcuno?». I compagni scoppiarono a ridere.
«Gli Auror saranno fuori dai vostri scompartimenti. Vi dovranno accompagnare» replicò Mcmillan guardandolo malissimo. «Se non avete altre domande, è ora di salire sul treno».
Frank e Albus erano contenti di essere stati messi insieme. E Arthur e Mirko non erano dei cattivi compagni, certo un po’ troppo entusiasti. Non si poteva pretender tutto in fondo. Sistemarono i bagagli nella rastrelliera con l’aiuto della magia, perché era troppo alta per loro.
«Non sembra male» commentò Frank buttandosi sul sedile di pelle. «Ancora più comodo dell’Espresso di Hogwarts».
«Per forza, chissà che gente viaggia qua sopra» replicò Albus.
«Magari in questo stesso posto si è seduto qualche grande Cercatore» disse eccitato Arthur, suscitando varie risatine.
«Ma quando arriveremo in Grecia?» domandò Mirko.
«Non hai letto il foglio che hanno firmato i nostri genitori?» gli chiese Albus.
«No» ammise il ragazzino.
«Domani sera sul tardi saremo ad Atene».
«Wow, sarà un viaggio lunghissimo. Con l’aereo ci avremmo messo di meno però» commentò Mirko.
«Cos’è?» chiese Arthur.
«Ma come, il nonno ne parla sempre!» rispose Albus. «È un mezzo babbano. Il sogno del nonno è capire come faccia a volare».
«Sul serio? Il mio papà è un ingegnere aerospaziale, quando ero piccolo mi ha regalato un libro che lo spiega» disse Mirko.
«Potreste regalarlo al signor Weasley per Natale» commentò Frank ridacchiando insieme ad Albus.
«Ingecosa?» domandò, invece, Arthur.
«Ma non segui babbanologia?» gli chiese a quel punto Albus.
«Sono un po’ indietro» borbottò il ragazzino evitando lo sguardo del cugino più grande.
«Nel senso che passi più tempo a giocare a Quidditch che a studiare» lo redarguì infatti Albus. «Gli zii non saranno felici a Natale, se continui così. Ti devo ricordare che tua mamma voleva mandarti a Durmstrang?».
Arthur s’incupì. «Ma a me non piace studiare. Mi annoio. Però ci provo, ti giuro, ma non riesco a concentrarmi. Non mi puoi aiutare?».
Albus annuì paziente. Anche Vic faceva così quando era a Scuola.
«Comunque si tratta di un mestiere babbano. Gli ingegneri progettano macchine o cose simili» spiegò Mirko.
Dopodiché i due ragazzini si misero a discutere di Quidditch e a leggere una rivista che Arthur aveva portato con sé. Frank e Albus si misero a ripetere rispettivamente Storia della Magia ed Erbologia.
Negli altri scompartimenti la situazione non era altrettanto tranquilla, a causa di alcuni elementi più turbolenti ma Mcmillan non aveva scelto a caso Moore, Benson e Fawley che riuscivano perfettamente a farsi rispettare dai compagni.
Emmanuel trovava divertente le continue polemiche di Melissa Goldstain, che avrebbe voluto fare un giro per il treno. Rimen Mcmillan, però, non ne voleva sapere di farla uscire. Personalmente non amava minimamente quel modo di viaggiare, una passaporta sarebbe stata molto meglio. Se loro non facevano chiasso, ci pensavano gli altri passeggeri e come la Preside si aspettasse che studiassero proprio non lo sapeva.
James non poteva lamentarsi della sua compagnia. Insomma non avrebbe mai dormito con Parkinson. Il problema è che si stava annoiando terribilmente. Louis, Hugo e Nathan Wilkinson non facevano che giocare a scacchi. Aveva anche provato a giocare con loro, ma era davvero forti e gli era passata subito la voglia.
La prima fermata era stata in Francia, una città chiamata Calais, che più volte aveva sentito nominare dagli zii e dai cugini. Louis non si era mostrato molto interessato al fatto di essere in un’altra nazione e aveva mangiato un povero pedone di Hugo come se nulla fosse. Nathan Wilkinson si era attaccato al finestrino sperando di vedere qualcosa, ma ormai era notte.
«Ehi Lou, sai qual è la prossima fermata francese?».
Il cuginetto seguiva attentamente la partita tra Hugo e Nathan. L’ennesima. «Mmm che io sappia l’Orient Express tocca solo le città magiche più importanti, perciò la prossima tappa è Parigi. Impiegheremo più di due ore e mezza» disse senza staccare gli occhi dalla scacchiera. «Poi si fermerà a Digione, ultima tappa francese».
«E dopo?» domandò Nathan.
«Ma scusa solo queste sono le città magiche francese?» chiese, invece, James.
«Una città totalmente magica è Locronan in Bretagna, ma si raggiunge con altri mezzi. È bellissima. Ce ne sono anche altre, ma l’Orient Express non le può certo collegare tutte. In alcuni casi il Ministero francese ha creato delle linee locali apposite. Dopo Digione entreremo in territorio svizzero, Ǟuli, la capitale magica. I Babbani pensano che sia un sito militare, ma non è vero. Ai loro occhi appare come una città abbandonata. Dopo non lo so, forse in Germania o in Italia».
«Come fai a saperlo?» esclamò sorpreso Nathan Wilkinson.
James ormai non si sorprendeva più.
«Mio nonno mi ha portato a vederla. È molto bella. Abbiamo preso l’Orient Express a Parigi».
«Che figata!» trillò il ragazzino.
«Scacco matto» sentenziò soddisfatto Hugo.
«Non è giusto! Ero distratto!» protestò all’istante Nathan. «Voglio la rivincita».
«No, ora tocca a me» si lamentò Louis.
James sbuffò e si alzò. Non sarebbe sopravvissuto a quel viaggio, se fosse rimasto a guardarli giocare.
«Dove vai?» lo bloccò Louis.
«Do un’occhiata in giro».
«Non puoi. Il professore ha detto che non dobbiamo farlo» ribatté il ragazzino.
«Non lo saprà» replicò sbrigativamente James. Gettò un’occhiata fuori dallo scompartimento e vide due Auror che andavano avanti e indietro lungo il corridoio. Anche loro probabilmente si stavano annoiando da morire. Si voltò verso i suoi compagni di viaggio e si accertò che Nathan non lo stesse guardando, infine tirò fuori il mantello dell’invisibilità e si coprì. Fortunatamente Hugo, abituato alle imprese di Lily, fu rapido a spalleggiarlo quando aprì la porta. James riuscì a sgusciare fuori, mentre un Auror si avvicinava per verificare che stessero facendo. Hugo impallidì lievemente e disse: «Volevo andare da mio cugino nell’altro scompartimento».
«Meglio di no» borbottò l’Auror.
«Suvvia», intervenne il suo compagno, «l’importante è che non si allontanino. Va’ pure».
«Grazie, signore» disse frettolosamente Hugo, che, a quel punto, andò a trovare Albus per la felicità di Nathan che poté giocare nuovamente.
James sorrise alla buona riuscita del piano e si allontanò. Per un po’ giro a vuoto, sbirciando negli scompartimenti. In effetti vi era gente strana: in uno vide un gruppo di goblin, che discutevano animatamente. Non gli parve un buon segno che avessero una copia della Gazzetta del Profeta in mano. Dove andavano? Erano saliti a Londra con loro? Gli sarebbe piaciuto scoprirlo, ma decise che la scelta più saggia sarebbe stata quella di allontanarsi. In un altro vide un mago con un enorme naso bitorzoluto, che stava dettando un discorso alla sua piuma magica, che scorreva velocemente su una pergamena che galleggiava di fronte a lui. Parlava una lingua strana, che James non riuscì a comprendere. Si accorse che più si inoltrava verso il fondo del treno, più il caos aumentava. Addirittura sentì della musica. Incuriosito si avviò proprio verso il punto in cui il chiasso sembrava più intenso. Entrò in una sala, alquanto affollata. Vi erano una serie di tavolini, in qualche modo fissati al pavimento, un bancone da bar, le luci erano soffuse e una vera e propria orchestrina suonava. Non era musica moderna, ma nemmeno preistorica come quella che piaceva alla McGranitt. Dovette fare molta attenzione per non urtare qualcuno e farsi scoprire. Quella sì che era una scoperta meravigliosa. Era una specie di ristorante. Per quale motivo li avevano fatti mangiare da reclusi nei loro scompartimenti? Euforico scorse dei tavoli più appartati in una zona meno affollata. Si avvicinò per vedere da vicino e vide che vi erano dei maghi che giocavano a carte, altri a dadi. In un angolo vi era persino una strega, di notevole fascino, che leggeva i tarocchi ai viaggiatori.
Ma dov’era finito? Gli balenò in mente il volto contrariato di nonna Molly. Era una specie di paradiso del proibito. L’aria era poco respirabile a causa del fumo delle sigarette di molti avventori. Ebbe la tentazione di chiedere se potesse fare una partita, chissà quanto avrebbe potuto vincere! Il treno rallentò in quel momento. Dovevano essere arrivati a Parigi.
Uno dei giocatori imprecò, perché la fermata improvvisa aveva rovesciato il bicchiere di whisky incendiario sul tavolino. Non fu questo a sorprendere James, ma che l’uomo lo avesse fatto in inglese.
«Ti ho detto di parlare in francese» si spazientì un altro.
James li guardò con attenzione e fece qualche passo indietro. Uno di loro l’aveva già visto!
«Ma chi vuoi che si interessi a noi?» si lagnò il primo mago.
«Dovresti stare più tranquillo» disse in un inglese fortemente marcato il terzo giocatore. «Nessuno si aspetterebbe di trovarti su questo treno».
Il cuore di James batteva all’impazzata. Che doveva fare? Correre a chiamare gli Auror? In un primo istante aveva pensato di attaccarlo, fortunatamente una doppia voce, quelle di suo padre e di Williams, gli aveva urlato in testa di non fare cavolate. Non solo si sarebbe consegnato, ma avrebbe messo a repentaglio l’incolumità degli altri passeggeri. Inoltre gli Auror fungevano da scorta, ma non aveva autorità in territorio francese. Quanto sarebbe rimasto fermo il treno a Parigi? A Calais erano stati almeno una decina di minuti. Sufficiente per far accorrere gli Auror francesi?
«Fate come volete. Basta con queste carte però. Il nostro amico sarà qui a momenti».
James osservò attentamente l’uomo: ne era certo, si trattava di Thomas Rosier. A voglia che suo padre lo cercasse in Gran Bretagna, quello se ne andava felicemente in giro per l’Europa. Se c’era un informatore o un altro alleato, era importante scoprire chi fosse. Il treno riprese a muoversi, ma non prima di una decina di minuti, un uomo grassoccio e basso si avvicinò ai quattro maghi, che si alzarono a salutarlo. James si mise in un angolo il più distante possibile, ma non troppo da non poter sentire la conversazione. Il nuovo arrivato era accompagnato da due energumeni. Doveva essere una persona importante o comunque ricca. Indossava una veste molto elegante, ma anche pesante conseguentemente doveva venire da un paese molto freddo. I cinque uomini si misero a parlare in tedesco. James era sicuro che fosse tedesco, l’anno scorso aveva sentito un sacco di volte i ragazzi di Durmstrang parlare. Non capì una sola parola. All’improvviso i tono si alzarono notevolmente. Qualcosa che aveva detto il nuovo arrivato, non era andato giù a Rosier. Le bacchette furono estratte senza troppi ripensamenti, i due energumeni intervennero. Quelli che giocavano a dadi urlarono, come molti altri viaggiatori e il panico si diffuse rapidamente. James ebbe solo il tempo di chiedersi come diamine faceva a finire sempre in mezzo a simili situazioni, che una mano lo tirò via. Per un terribile attimo fu certo che l’avessero beccato, tento di divincolarsi ma la stretta era forte. In pochi secondi si accorse di essere fuori dalla sala. E la stretta si allentò.
«Sei proprio un bambino. Che pensavi di fare lì?».
Era la giovane donna che leggeva i tarocchi. «No, no… io… io sono un Auror sotto copertura» biascicò James.
La donna scoppiò a ridere. «Sei inglese. Uno dei ragazzi che parteciperà alle Olimpiadi Magiche».
«Come lo sa?» chiese James stringendo la bacchetta nella mano.
«Tieni la bacchetta a posto, pulcino. Io sono un Auror sotto copertura. Conosco nome e cognome di chi si trova su questo treno. Fila via, eh. Non credo che i tuoi insegnanti sappiano che sei qui, no?».
«No e preferirei che non lo sapessero. Ma quello là dentro è un delinquente, è inglese…».
«…e lo so» lo interruppe la donna. «Ci sono i miei colleghi là dentro. Tu sparisci».
«Come hai fatto a vedermi sotto il mantello?».
«Trucchi da Auror».
«Posso conoscere il tuo nome?».
«Forse, se ci incontreremo ancora, te lo dirò. Vattene prima che ti fermi come testimone».
James capì l’antifona, si ricoprì con il mantello e si dileguò. Il suo cuore batteva ancora forte. Riuscì a superare la guardia degli Auror e rientrare nel suo scompartimento. Si tolse il mantello e tirò un sospiro di sollievo, ignorando lo sguardo scioccato di Nathan Wilkinson che l’aveva visto spuntare fuori dal nulla.
Per il resto del viaggio rimase in attesa di notizie ed ebbe poco tempo per confrontarsi con Jack Fletcher, il quale, saggiamente gli disse che non avrebbero coinvolto i passeggeri. Purtroppo non potevano neanche chiedere ai loro Auror qualche chiarimento, perché avrebbe dovuto ammettere di essersi allontanato di nascosto e avrebbe passato un guaio bruttissimo.
«Tu sei un pazzo» gli aveva semplicemente detto Albus, la mattina dopo. In seguito non avevano avuto modo di parlare, perché i professori gli avevano messi sul serio sui libri.
Quando finalmente giunsero ad Atene erano le undici di sera. James dovette scuotere Lou, Hugo e Nathan che si erano addormentati. Era inquieto quando scese nella stazione. Si guardò intorno.
«Non ci sono pericoli» gli sussurrò Jack. «Qualunque cosa si accaduta ieri sera, se ne sono occupati i Francesi prima di passare il confine».
«Quelli chi sono?» attirò la loro attenzione Louis.
Un gruppo di ragazzi era sceso insieme a loro. Indossavano una divisa. Da lontano e al buio non si vedeva se avevano qualche segno distintivo. La McGranitt, però, si avvicinò all’uomo in testa al gruppo. Scambiarono qualche parola e poi si avvicinarono a loro.
«Di che Scuola sono, signore?» chiese Emmanuel a Mcmillan.
«Koldovstoretz» rispose il professore.
«Si trova nella Russia orientale» disse Frank, quando l’insegnante si allontanò per salutare.
«Buonasera» disse una ragazza, che fino a quel momento nessuno aveva notato. Parlò in un inglese quasi perfetto. «Mi chiamo Amalia Stankov. Io e il mio compagno, Achaicos Martakis, vi faremo da guida». Un ragazzo alto, accanto a lei, si limitò a sorridere cortesemente.
«Ma siamo gli unici che sanno solo una lingua?» sussurrò Albus a nessuno in particolare.
«Veramente io conosco anche il francese» replicò Louis.
«E anche io, Potter. Si vede che non hai avuto un istruzione purosangue» disse sprezzante Marcus Parkinson.
James lo fulminò con lo sguardo, ma non reagì.
«Comunque non conoscete altre lingue» bofonchiò Phoebe Moore. «Io ho studiato anche lo spagnolo, da autodidatta».
«Corvonero» sbuffò Alex Steeval.
«Andiamo, ragazzi» li chiamò Mcmillan.
Camminarono per un po’ per le strade di Atene, ma percorsero solo strade secondarie perciò non poterono farsi un’idea della città.
«Quello è il porto della città, il Pireo. Per i Babbani è fondamentale. Noi abbiamo un porticciolo più discreto» spiegò Amalia Stankov.
Non ebbero il tempo di osservare per bene la zona illuminata e le grandi barche, che i due Greci li condussero in una zona isolata. Alla fine della quale apparve davanti i loro occhi il mare. Molti strilli e bocche aperte mostrarono il piacere dei ragazzi. I più sorpresi sembravano i ragazzi della Scuola russa. La banchina del porto era di pietra e vi era ancorata un enorme barca in legno con tantissimi remi che sporgevano dai lati.
«Accidenti, non ne avevo mai vista una così» sospirò estasiato Emmanuel, ma i suoi compagni non erano da meno.
«Questa è la nostra triremi. Da tempi immemori è stata usata dalla nostra Accademia di Magia» spiegò Amalia.
«Secondo me il suo amico non conosce l’inglese» sussurrò Jack a James, che sorrise lievemente in quanto non gliene fregava niente del ragazzo di fronte a uno spettacolo tanto inusitato.
«Prego, potete salire. Sottocoperta troverete delle cabine. Achaicos, vi farà strada. Salperemo immediatamente» continuò Amalia Stankov indicando una passerella di legno.
«Che vuol dire che troveremo delle cabine?» sbottò James rivolto a Mcmillan, sostenuto da un Jack altrettanto sconvolto.
«La scuola è su un’isola, impiegheremo qualche ora a raggiungerla. Vi consiglio di riposare» rispose il professore, che appariva altrettanto stanco.
«È assurdo» sbuffò a quel punto Marcus Parkinson. «Ci avete costretti a un viaggio infinito per che cosa?».
Frank sospirò. James e Jack protestarono a loro volta. «Dovremmo segnare questa data: per la prima volta in cinque anni e mezzo Jamie e Parkinson sono d’accordo su qualcosa» celiò Albus, prima di sbadigliare.
Naturalmente le proteste non servirono a nulla e i ragazzi decisero che i letti nelle cabine non erano così male. Albus tornò sul ponte. Adorava il solletico del vento sul viso. L’odore di salsedine lo colmava e il mare era limpido e riluceva alle lampade poste sulla nave. Era meraviglioso.
«Ti piace?» chiese Achaicos.
«Tantissimo. Vorrei tanto vivere vicino al mare».
Il ragazzo, però, lo fissò lievemente confuso. Albus si sentì a disagio: che aveva detto?
«Scusa», disse impacciato Achaicos, «potresti parlare lentamente. Io non parlo inglese bene».
«Oh, scusami tu» replicò immediatamente Albus, che proprio non ci aveva pensato. «Mi piace il mare» disse piano, indicando la distesa scura. «Vorrei abitare vicino al mare».
Achaicos sorrise, ma non aggiunse altro nonostante ad Albus era parso volesse farlo. Probabilmente non sapeva come esprimersi, ma non poteva aiutarlo. Infine, infreddolito, si risolse ad andare a letto. Scese le scalette di legno con attenzione e raggiunse la sua cabina. Questa volta i professore gli avevano lasciati scegliere. Per ammansirli? Perché si sentivano in colpa? O semplicemente perché ritenevano che fossero troppo stanchi per fare chiasso?
Gli Auror come sempre era svegli e vigili. Li sorrise e loro ricambiarono un po’ annoiati.
Nella cabina tutti dormivano, tranne Hugo. Albus lo trovò nel bagno, verde in volto. «Oh, Merlino. Soffri di mal di mare?».
Hugo annuì debolmente. «Non ero mai salito su una nave. Non credo che la barca a vela dello zio Bill conti».
«Non sono un esperto… Comunque dovresti prendere una pozione contro la nausea».
«E dove la prendo?» borbottò il ragazzino, prima di dar nuovamente di stomaco.
Albus sospirò e si diresse nella cabina, che i Greci avevano allestito per i docenti delle due Scuole. A quanto pare tutti e quattro avevano il sonno leggero, d’altronde avevano la responsabilità degli allievi, tra cui diversi minorenni. Quando fu invitato a entrare e fece la sua richiesta a Mcmillan, si accorse che i due insegnanti di Koldovstoretz lo fissavano straniti. Che aveva chiesto di così strano? Il mal di mare non era una rarità! Comunque non era un problema suo, fortunatamente il professore era stato previdente e poté tornare dal cugino in pochi minuti. Finalmente poterono riposare entrambi. Ed essere cullati dalle onde, è molto rilassante.
 
«È bellissimo» sussurrò Frank. Albus e gli altri erano senza parole, persino James e Albert Abbott che riuscivano sempre a dire qualcosa. Nel fulgore del sole appena sorto un’isola ricca di vegetazione dai colori rossastri apparve ai loro occhi.
«Tutto sommato ne è valsa la pena» commentò Albus felice.
«Parla per te» borbottò Hugo.
«Che ha?» domandò James preoccupato.
«Ha scoperto di soffrire di mal di mare» replicò Albus non riuscendo a trattenere una risatina.
«Benvenuti a Polyaigos» esclamò sorridente Amalia Stankov. «Vi prego di seguirmi».
La ragazza li condusse lungo una stradina. Fortunatamente non impiegarono molto a raggiungere la scuola. I ragazzi rimasero ancora una volta senza parole. Era un edificio antichissimo e circondato di colonne. L’ingresso si raggiungeva attraverso una sfilza di gradini, sui quali attendeva un ragazzo, che, appena li vide, li raggiunse.
«Benvenuti alla nostra Accademia di Magia. Mi chiamo Niki Charisteas e sono il rappresentate della mia Scuola».
«Quante scale sono?» chiese Emmanuel, che non aveva dormito molto quella notte.
«Risparmia il fiato» borbottò Amy Mitchell. «Dopo questo, Scorpius dovrà esimerci dal prossimo allenamento».
Emmanuel in quel momento lo riteneva l’ultimo dei suoi problemi. Sperò ardentemente che non ci fossero altre scale all’interno. Una volta in cima e dopo aver ripreso fiato, notò che si trovavano in un portico che portava all’ingresso vero e proprio.
«Immagino che siate stanchi per il viaggio. Amalia farà vedere la camerata alle ragazze; Achaicos ai ragazzi. Nel frattempo sarà servita la colazione nella Sala dei Banchetti. E se avete fame, vi consiglio di raggiungerci. Professori, se volete seguirmi, vi presenterò il polý sofós» disse Niki Charisteas.
Albus si sedette sul letto, appena raggiunse la stanza. Era sfinito, ma quella sistemazione non lo invitava a riposare. Era una camerata enorme, tanto che vi era spazio per almeno una cinquantina di letti. James e Jack erano già corsi a mangiare, dopo aver gettato i borsoni vicino ai loro letti. Emmanuel e Frank apparivano altrettanto scontenti.
«Sarà una lunga settimana» sospirò Emmanuel.
*
Avevano trascorso gran parte della giornata a riposare.
«Pronto, Frank?» chiese James con un ampio sorriso.
«No» ribatté laconico il ragazzino, poi raggiunse Mcmillan e la McGranitt per avere le ultime istruzioni.
«La nostra festa di Halloween l’anno scorso è stata molto divertente» sospirò Jack.
«Già, oggi invece dobbiamo indossare questi stupidi vestiti eleganti» concordò il Grifondoro tirandosi il colletto della veste.
«Se lo rovini, mamma ti ammazza» intervenne Albus.
«Almeno metterebbe fine a questo supplizio».
«Non siete abituati a indossare vesti eleganti?» commentò sorpreso Emmanuel.
«Non siamo dei piccoli purosangue perfettini come te» ribatté aspramente Jack.
Emmanuel strinse i denti, chiedendosi se fosse il caso di replicare in modo offensivo; alla fine desistette non era il luogo adatto per litigare e Fletcher era decisamente più forte di lui.
«Ma perché dobbiamo indossare delle maschere?» borbottò Albus. Erano tutte finemente decorate, ma la prospettiva di doverle indossare per tutta la serata non era allentante.
«Vallo a chiedere ai Greci» replicò James.
In quel momento Mcmillan li chiamò e furono costretti a indossare la maschera. Frank era a capo della fila e portava uno stendardo con lo stemma di Hogwarts.
«Pesa più di lui» ghignò Jack con la voce lievemente distorta dalla maschera.
Mcmillan con un’occhiataccia gli intimò di tacere.
Entrarono in una vasta sala e la percorsero tutta diagonalmente prima di fermarsi davanti al palco d’onore, dove Presidi e membri dei vari Ministeri avevano già preso posto. Un brivido di emozione percorse i ragazzi. Erano la prima scuola a entrare, probabilmente in onore del fatto che l’idea delle Olimpiadi Magiche era stata di Frank.
Questo diede l’opportunità ai ragazzi di osservare le altre Scuole. Tutti indossavano vesti eleganti quella sera e tradizionali, per cui se non fosse stato per il cronista non sempre avrebbero potuto riconoscere chi entrava. Subito dopo di loro fu il turno dei ragazzi di Beauxbatons, il loro stemma con le due bacchette incrociate e tre stelline, ormai i ragazzi di Hogwarts avevano imparato a riconoscerlo; così come quello di Durmstrang. Avevano dato la precedenza alle tre Scuole europee più importanti, cui seguirono i ragazzi di Koldovstoretz con cui avevano viaggiato, ma durante la giornata non si erano minimamente calcolati. Poi un gruppo di ragazzi, il cui stemma presentava una farfalla stilizzata e che il cronista annunciò come la Scuola di Magia e Stregoneria Fata Morgana. A essi seguirono la Scuola australiana Dreamtime, Móshú, Ilvermorny, Castelobruxo, Mahoutokoro, per ultimi i ragazzi Greci. La Sala, e probabilmente l’intero edificio, pullulava di Auror, come avevano avuto modo di scoprire durante la giornata.
Babajide Akingbade, il Supremo Pezzo Grosso della Confederazione dei Maghi, si levò dal suo scranno e sorrise: «È un vero piacere per me essere qui questa sera, insieme a tanti giovani maghi promettenti. L’intento è quello di inaugurare una nuova tradizione che possa legare tutte le Scuole del mondo e tramite esse giovani e pronte menti. Per la prima volta tutte le Scuole sono riunite in unico luogo e voi dovete esserne felici. Non vi ruberò troppo tempo, non siamo qui per fare i discorsi. Ho sempre creduto che le parole servano a poco, se non si mettono in pratica; perciò sarà l’impegno e la lealtà che metterete in questa competizione amichevole a dare un’importante risposta agli sconvolgimenti e i disordini che stanno interessando l’Europa e purtroppo anche parte dell’Africa in questo momento. Tutti voi sapete di che cosa sto parlando, pertanto non desidero rattristarvi ulteriormente. Alla fine della serata Niki Charisteas, alfiere dell’Accademia greca, accenderà l’ultima fiaccola e le Olimpiadi inizieranno ufficialmente. Credo che si possa dare il via al banchetto e alla danze, ma prima lascio la parola ai rappresentati delle Scuole».
Un forte applauso si levò da tutti i presenti. Il primo a parlare fu Frank. Il ragazzino era emozionato, la voce gli tremava, ma se la cavò ugualmente abbastanza bene. Albus e gli altri ascoltarono più o meno attentamente le storie delle altre Scuole, ma quello che colpì un po’ tutti furono le parole di Niki Charisteas.
«L’Accademia di Magia greca è molto antica, così come l’arte magica nel nostro paese. Non è di questo, però, che vi voglio parlare questa sera, ma del suo abbandono» esordì il giovane, suscitando la curiosità e molti mormorii nella Sala. Qualcuno credette di non aver compreso perfettamente il suo inglese. Persino il tavolo delle Autorità si agitò. Babajide Akingbade rimase impassibile.
«Ufficialmente per la Confederazione Internazionale dei Maghi la nostra Accademia non esiste fin dall’inizio del ‘900, per questo motivo la maggior parte di voi, se non la totalità, non aveva mai sentito parlare di noi. Intorno al 1912, in concomitanza con scontri tra Babbani nei Balcani, scoppiò una guerra anche tra i maghi greci. I Purosangue decisero di dover affermare definitivamente il loro potere, anche a costo di eliminare tutti i Mezzosangue e i Nati Babbani. Questi ultimi si coalizzarono. E il nostro paese fu teatro di una sanguinosa guerra civile. Non mi chiedete chi ha vinto, perché ancora gli storici ne discutono. I più sono convinti che abbiano vinto Mezzosangue e Nati Babbani, per il semplice fatto che molti rampolli purosangue perirono e con loro si perse il cognome della loro famiglia tanto difeso. I pochissimi purosangue rimasti, hanno perso quasi tutte le ricchezze. Alla fine, però, ci ha rimesso l’intero paese. L’Accademia, che non si è sottratta agli scontri, ha seguito una sorte simile. Da allora la comunità magica greca ha tentato di riprendersi e trovare un nuovo equilibrio con il sostegno del Ministero della Magia Italiano e di quello Serbo principalmente. L’Accademia, però, è rimasta chiusa per anni. Solo all’inizio del 2000 si è deciso di riaprire i corsi. Se non l’avete notato, siamo molto pochi, questo perché molti, specialmente i purosangue rimasti, preferiscono mandare i figli a Durmstrang, Beauxbatons o alla Fata Morgana. La Confederazione ci ha dato l’opportunità di ospitare la prima prova delle Olimpiadi e questa per noi è un’occasione fondamentale per mostrare quanto siamo cresciuti in questi anni e dimostrare la validità della nostra istruzione. Aspiriamo a un riconoscimento ufficiale e gareggeremo con questo intento. Che vinca il migliore».
Quello che doveva essere il Preside dell’Accademia, sorrise e prese la parola solo per dare il suo benvenuto ufficiale e dare il via alla festa di Halloween.
La serata era tranquilla, sicuramente la festa in maschera che avevano fatto loro l’anno prima, per accogliere gli studenti stranieri, era stata più movimentata. Innanzitutto erano molti di più e appartenenti a realtà completamente diverse, ma a complicare la situazione, soprattutto quando le candele furono spente a favore di una luce più tenue quasi spettrale, fu il disorientamento causato dalle maschere. Era davvero difficile riconoscersi.
Albus tentò di non perdere di vista gli amici, ben sapendo che sarebbe stato difficile ritrovarli tra tutte le maschere, ma fu inutile. Ben presto non capì più nulla.
«Potter, secondo te gli Auror internazionali risponderanno alle nostre domande? Non sapevo che esistessero!».
Albus sbuffò: «Jack, non sono James».
«Ah, ecco perché mi sembravi basso».
Il Grifondoro fissò a bocca aperta l’altro ragazzo che si allontanava, se a cercare James o ad avvicinare da solo gli Auror, non gli interessava. Decise di lasciarsi andare e abbassare un po’ la guardia, tutti stavano ballando dopo l’iniziale smarrimento e nessuno sapeva realmente con chi.
Jack comprese immediatamente che non era il caso di insistere con gli Auror stranieri, sembravano tanto le guardie babbane che proteggevano Buckingham Palace. Da piccolo si divertiva un mondo a tentare di farle parlare o muovere. Una volta ci era riuscito, lanciando un grosso topo, che aveva trovato a Nocturn Alley, addosso a un povero malcapitato. Era scappato per un pelo e per un po’ aveva evitato la zona per non farsi riconoscere. A parte il fatto che non avrebbe saputo dove procurarsi un topo in quel momento, ma anche se avesse preso di sorpresa uno degli Auror sicuramente quello l’avrebbe maledetto due secondi dopo. I vantaggi di essere un bambino… Sospirò e decise di ballare, nella speranza di trovare qualche bella ragazza. Che pessima idea quella delle maschere!
Frank e Albus si ritrovarono vicino al buffet. Il più piccolo si sentiva a disagio a ballare in mezzo a tutta quella gente sconosciuta e Al non era molto più felice, più che altro perché non riusciva a togliersi dalla testa le parole di Charisteas. Una guerra civile. Persino all’interno dell’Accademia. Sarebbe mai potuto accadere a Hogwarts? Non riusciva proprio a immaginarsi una cosa così terribile.
«Le maschere sono un’idiozia» sbottò Frank contrariato. La sua voce risuonava più dura attraverso la maschera.
«Oh, ma un senso c’è» sospirò Albus, dopo aver riflettuto fissando la folla in movimento. «Non vedi? Stanno ballando senza chiedere quale sia lo Stato di Sangue o il conto alla Gringott. Solo dei ragazzi. Quando si toglieranno la maschera, smetteranno di essere amichevoli? Può darsi, ma non tutti».
«Da noi non potrebbe esserci una guerra civile, vero? La guerra contro Voldermort è ancora indelebile nelle mente di tutti» disse Frank.
«Non abbastanza. Forza, mangiamo qualcosa e poi proviamo a fare amicizia».
«E come?».
«Guarda, quei ragazzi sono a bordo pista. Proprio come noi. Avviciniamoci».
Frank seguì l’amico riluttante. Albus non si pentì della sua decisione e la serata trascorse più rapidamente di quanto avrebbe creduto.
Poco prima della mezzanotte, la musica smise di suonare.
«È il momento di accendere la fiaccola e inaugurare le prime Olimpiadi Magiche della storia. Prego, signor Charisteas».
Niki Charisteas senza togliersi la maschera, ma la sua figura corpulenta e muscolosa non passava inosservata, si avvicinò con lenta solennità al braciere olimpico e con la sua torcia accese il braciere. Un forte applauso risuonò nella Sala.
«Bene, signori, vi invito a togliervi la maschera e guardare in viso i compagni con cui avete ballato e vi siete divertiti questa sera» disse Babajide Akingbade.
Albus e Frank sorrisero a una ragazza che si presentò come Arianna D’Abrosca della Scuola italiana e un’altra di Castelobruxo di nome Zaira Alvarez.
Jack fu molto felice di vedere finalmente in volto le ragazze, poiché molte erano particolarmente carine. Emmanuel e James si mostrano cordiali con tutti quelli che avevano vicino, specialmente il primo. Alla fine gli insegnanti li mandarono a letto.
Il giorno dopo sarebbero iniziate le gare e tutti erano molto emozionati.
 

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Capitolo 18
*** Mettersi alla prova ***


Capitolo diciottesimo
 
Mettersi alla prova
 
«Frankie, datti una mossa» disse Albus, intento a fare il nodo alla cravatta.
Il ragazzino mugugnò.
«Come potete non essere ancora pronti?» trillò felice James. «Siamo in un paese che non conosciamo e siamo in vacanza!».
«Ho la vaga impressione che questa non sia proprio una vacanza» bofonchiò Emmanuel, perfettamente vestito.
Jack si avvicinò in silenzio, fissandoli.
«Di cattivo umore, Fletcher?» lo punzecchiò James, che aveva deciso di ignorare le parole di Emmanuel.
Il Tassorosso lo fulminò con lo sguardo. «Dobbiamo allenarci» disse semplicemente.
«Prima mangiamo. Ho fame» replicò James.
Intanto Frank si era alzato; non aveva dormito bene, perciò era molto assonnato e poco ben disposto alla scoperta di un nuovo paese, come a quanto pare voleva fare James, né a fare nuove conoscenze.
«Tutto ok?» chiese Albus a Frank, mentre James andava a controllare che Hugo e Louis avessero dormito bene e non avessero problemi. Il bello di avere una famiglia tanto numerosa.
Frank scrollò le spalle. Non aveva mai avuto problemi a confidarsi con l’amico, ma in quel momento non né aveva voglia. Albus lo comprese e non insisté. «Dove sono tutti?» domandò Frank sorpreso. La camerata era piena di ragazzi la sera prima, ora, a parte loro, era deserta.
«Ti abbiamo lasciato dormire un po’ di più» spiegò Albus.
«Che ore sono?».
«Le otto e mezza passate».
«Grazie. Non ho dormito molto stanotte» ammise, appena si accorse che Emmanuel, James e Jack si erano allontanati.
«Lo immaginavo. Io ho avuto difficoltà a prendere sonno. Stai tranquillo, è normale» replicò Albus comprensivo. «I Greci iniziano le lezioni alle otto e un quarto, se ho ben capito. Comunque alcuni degli stranieri si sono alzati prestissimo. Io mi sono svegliato verso le sei e non sono riuscito a riprendere sonno. I Cinesi ci guardavano strano, perché continuavamo a dormire».
«Sul serio?» commentò Frank allacciandosi le scarpe.
«Già, loro sono usciti prima delle sette. Non so a fare che. Comunque non è un problema nostro, Mcmillan si è raccomandato di essere pronti per le nove».
«Riusciamo a mangiare qualcosa, quindi».
«Direi di sì, se ci sbrighiamo».
I due Grifondoro si avviarono lungo un vasto corridoio che il giorno prima, a causa della stanchezza, non avevano osservato con attenzione. Lungo le pareti vi erano dei fregi scolpiti.
«Devo essere dei miti» commentò Frank affascinato.
«Chissà di che parlano… questo sembra molto triste…» disse Albus seguendo con le mani il profilo di una donna, il cui sguardo angosciato l’aveva colpito all’istante. «Sta soffrendo tantissimo. Chissà perché?».
«Sembra che abbia perso qualcuno» commentò Frank. «Non vedi? Tiene un corpo tra le braccia e c’è ne sono altri intorno».
«Dici che si tratta di una guerra?» domandò Albus perplesso.
«No, non racconta una guerra» rispose una voce maschile alle loro spalle, costringendoli a voltarsi. «Mi chiamo Tobia» disse il ragazzo porgendo gentilmente la mano. Entrambi la strinsero e si presentarono a loro volta.
«Conosci la storia?» chiese Frank curioso e anche perché il silenzio era sempre troppo imbarazzante in quei casi.
«È un mito» precisò il ragazzo. «La donna si chiama Niobe, ha peccato di iubris, credendosi migliore della dea Latona. Ella è la madre di Artemide e Apollo. Niobe aveva avuto sette figli e sette figlie di cui andava molto fiera. Un giorno, però, ha commesso l’errore di vantarsi e dichiarare di essere migliore di Latona, che di figli ne aveva avuti solo due. La dea chiese ad Apollo e Artemide di vendicarla e loro uccisero prima i ragazzi, poi, visto che Niobe non parve pentita delle sue parole, anche le ragazze. Il marito di Niobe si suicidò per la disperazione. Vedete, quest’immagine qui. Niobe si trasformò in una rupe a causa dell’enorme dolore. Ecco, questa è la conclusione del mito» disse, indicando un altro bassorilievo.
«Tu sei Greco?» chiese Albus.
Frank, invece, era più interessato al mito: era una storia così triste. La vendetta era realmente necessaria? «Che cosa significa iubris?» domandò dopo una breve riflessione. Nel frattempo Tobia aveva detto ad Albus di essere italiano. «Tracotanza» replicò Tobia semplicemente. «Per gli Antichi Greci era un grave peccato nei confronti degli dei».
«Stavamo andando a fare colazione. Ti unisci a noi?» chiese gentilmente Albus.
«Sì, grazie. Potreste aspettarmi un attimo? Ho dimenticato una cosa in camera».
Albus e Frank annuirono. Tobia non impiegò che pochi secondi, prima di raggiungerli nuovamente.
«Sai dove andare?» chiese Albus, che era sicuro che non sarebbero dovuti andare nella Sala della sera precedente.
«Sì, tranquilli. Questo posto è enorme» disse Tobia.
Circa cinque minuti dopo avevano raggiunto una Sala, abbastanza ampia, dove vi erano quattro lunghi tavoli di pietra.
«Volete sedervi con me e i miei compagni?» domandò Tobia cortesemente, indicando un gruppetto poco distante.
«No, ti ringrazio. Raggiungiamo mio fratello e gli altri nostri compagni» replicò Albus.
«Allora a dopo».
«A dopo» disse Albus.
«Eccovi finalmente» li accolse James. «Che fine avevate fatto?».
«Abbiamo conosciuto un ragazzo italiano» spiegò Albus sedendosi vicino al fratello.
«Avete visto che sono vestiti da Babbani?» domandò perplesso Emmanuel. Il ragazzino aveva passato il tempo a fissare lo strano gruppo di ragazzi, che ora sapeva essere italiani, per tutta la colazione. I maghi tendevano a vestire in modo eccentrico, quindi non avrebbe dovuto sorprendersi così tanto; inoltre ormai in Inghilterra indossare vestiti babbani era diventato di moda. Nonostante ciò ad Hogwarts non si era mai, nemmeno lontanamente, pensato di modificare la divisa e la maggior parte di chi lavorava al Ministero indossava eleganti vesti. Comunque tutti gli altri studenti indossavano vestiti particolari, tranne i ragazzi della Fata Morgana. Indossavano completi eleganti, ma pur sempre molto babbani. E comunque non sembravano abituati: quella mattina aveva visto parecchi di loro in difficoltà con le cravatte, come se non fossero abituati a indossarle.
«Sì, ma non mi sembrava il caso di fare domande» replicò Albus.
«Quelli sono più strani» commentò, invece, Frank, accennando a un gruppo di ragazzi dai tratti orientali. «Credo che siano Giapponesi. La professoressa Dawson mi ha detto che indossano kimoni, il cui colore cambia a seconda del loro livello».
«Continuo a pensare che quelli più strani siano gli Italiani» borbottò Emmanuel. «Avevo già visto i kimono. I miei una volta hanno invitato a cena una coppia giapponese. L’uomo era un collega di mio padre».
«Secondo me è tutto strano» disse Albus. «Insomma, non siamo abituati a tanti colori diversi. Il massimo per noi, sono i colori delle nostre Case».
Emmanuel si estraniò, mentre i due Grifondoro fissavano curiosi gli altri studenti. Da quando erano arrivati nella Sala, James e Jack si erano seduti vicini e per tutto il tempo non avevano fatto altro che discutere degli imminenti duelli insieme ad Alex Steeval e Tania Benson. Non era riuscito in nessun modo a inserirsi nella conversazione. Questo gli aveva dato un fastidio enorme: lo ignoravano perché era più piccolo di loro. Però si era meritato il posto nella squadra e non se la cavava affatto male. Mangiucchiò qualche fetta di pane tostato più per dovere che per vera fame: Williams li aveva detto un milione di volte che dovevano essere in forze quando duellavano.
«Buongiorno, ragazzi» esclamò la McGranitt avvicinandosi a loro.
Emmanuel si riscosse dai suoi pensieri e si rese conto che nella Sala si stavano alzando un po’ tutti.
«Mettetevi in fila e seguitemi» ordinò la Preside.
Il Serpeverde obbedì senza entusiasmo. Mcmillan verificò che si mettessero in fila per due e lui finì in compagnia di Nathan Wilkinson. Il ragazzino era terribilmente eccitato.
Furono condotti lungo una serie di corridoi. Sembrava si stessero inoltrando nel cuore dell’edificio. Sicuramente in quella zona dell’Accademia, non vi era stato ancora nessuno di loro. Ad un certo punto uscirono in un chiostro colonnato, che si apriva su un’ampia piazza.
«Buongiorno» esordì il polý sophos, che per quello che avevano capito non era altro che il Preside dell’Accademia. Ancora una volta al suo fianco vi erano i vari Presidi, cui si aggiunse anche la McGranitt, e quelli che sembravano esponenti del Ministero. «Immagino che siate tutti emozionati e non vediate l’ora di iniziare. Vi prego di attendere ancora qualche secondo, adesso procederemo a sorteggiare le squadre che si affronteranno in questa prima fase delle Olimpiadi Magiche». Fece un cenno ai suoi colleghi, che lo circondarono.
«A quanto pare, non ci è dato partecipare» sbuffò infastidito Jack Fletcher. Un ragazzo lo fissò stranito per un attimo, poi distolse lo sguardo. Fortunatamente il Tassorosso si limitò ad accigliarsi, probabilmente neanche lui aveva compreso.
«Ma sì tanto, che ti frega?» ribatté James.
«Una questione di principio. Dicono che fanno le cose per noi e poi ci coinvolgono quando vogliono loro».
James sospirò concorde, ma non aggiunse altro, anche perché gli insegnanti, grazie all’ausilio della magia, avevano già concluso i sorteggi.
«Bene, ragazzi, ci saranno tre duelli la mattina e tre il pomeriggio ogni giorno. Nella bacheca sarà affisso l’elenco integro, per ora vi dirò solo quelli di oggi: Cai Chang di Móshú contro Jarrod Brewer della Dreamtime; Niki Charisteas, il nostro rappresentante, contro Rohan Barrett della Dreamtime; Estella Cohen, Castelobruxo, contro Federico De Luca, Fata Morgana; Tao Zhou di Móshú contro Anthia Mastaki, della nostra Accademia; Wisol Hood, Uagadou contro Pascal Atkins, Dreamtime; Ace Arslani della Grecia contro Epiphan Lebedev. A Quidditch si affronteranno Beauxbatons e Móshú. Per le gobbiglie Koldovstoretz e Hogwarts. E cinque partite di scacchi: Zaira Alvares (Castelobruxo)-Kinya Monyika (Uagadou); Riko Ogawa (Mahoutokoro)-Noelia Smet (Beauxbatons); Faith Akpan (Uagadou)- Juana Grisoles (Castelobruxo); Xiang Liang (Móshú)- Ulan Ekwensi (Uagadou); Edwin Van Der Barto (Durmstrang)-Hugo Weasley (Hogwarts). Infine ogni giorno ci sarà una prova di cultura: oggi quella di Trasfigurazione. Invito i duellanti e chi vuole assistere a recarsi nella Sala Duelli insieme al professor Machitís» disse mettendo una mano sulla spalla di un uomo di mezza età.
«Possiamo assistere, vero, signore?» domandò Jack a Mcmillan.
«Il professor Williams ha detto che se ne avreste avuto la possibilità, avreste dovuto studiare i vostri avversari».
James e Jack si scambiarono uno sguardo, ma evitarono di commentare. «Quindi possiamo andare, signore?» insisté James indicando i duellanti che già si stavano muovendo verso l’interno dell’edificio.
«Andate» concesse l’insegnante. «Non tutti» aggiunse fermando Nathan Wilkinson.
«Perché?» s’impuntò il ragazzino. «Signore» aggiunse cogliendone l’occhiataccia.
«Credo che tu possa impiegare meglio il tuo tempo» replicò con fermezza Mcmillan.
Nel frattempo il polý sophos continuava a dare istruzioni. «Bene, i ragazzi che devono fare la prova di Trasfigurazione seguano il signor Dellis, la professoressa McGranitt e il professor Nasiha Johnson. Non sono ammessi osservatori. La prova valuterà la vostra preparazione generale e sarà esclusivamente teorica».
Albus osservò Marcus Parkinson staccarsi dal loro gruppo e raggiungere gli ‘avversari’.
«Gli scacchisti seguano i professori Ponirós e Algibert Fontaine e il signor Smitherson. A questa competizione si può assistere».
Albus e Frank augurarono buona fortuna a un Hugo emozionatissimo.
«Le squadre di Quidditch di Beauxbatons e Móshú possono seguire il professor Paíchtis e il signor Dukas al campo di Quidditch. Naturalmente siete tutti invitati ad assistervi».
«Dove stai andando?» sibilò Mcmillan in direzione di Albert Abbott.
«Ad assistere alla partita, naturalmente! Potremmo doverli affrontare! Ed è meglio se siamo preparati!» rispose il ragazzo con enfasi.
«Comprensibile» ammise l’insegnante. «Ma non è necessario che ci andiate tutti e sette. Andate tu e la signorina Goldstain. Gli altri rimangono qui».
Albus fece fatica a sentire il resto del discorso del Preside dell’Accademia, a causa delle proteste suscitate dalle parole del professore.
«Infine le due squadre di gobbiglie possono seguire il professor Valdemar Fernandes e la signora Éxypnos. Può assistere chi lo desidera. Per quanto riguarda gli altri studenti sono i benvenuti se desiderano seguire le lezioni insieme ai miei studenti, in caso contrario saranno messe a loro disposizioni delle aule per loro qualora decidessero di allenarsi o studiare per conto proprio. Similmente potrete utilizzare la nostra biblioteca. Vi auguro una buona giornata».
Alla fine Mcmillan era stato irremovibile e solo due giocatori erano andati ad assistere alla partita.
«Bene, ragazzi» esordì il professore, attirando la loro attenzione. «Chi vuole andare ad assistere alla partita di gobbiglie?».
La domanda li prese di sorpresa, ma dopotutto, si disse Albus era la loro squadra a giocare e non sarebbe stato giusto non fare il tifo.
Arthur, i gemelli Baston e Amy Mitchell alzarono la mano.
«Chissà perché non mi sorprende» commentò il professore severamente.
«Professore», lo chiamò Louis, «possiamo assistere alla partita di Hugo, noi?».
«Sì, va bene, andate. Mi raccomando signorina Moore, controlla i suoi compagni».
«Perché i problemi li crea solo a noi?» sbottò Amy Mitchell.
Frank alzò gli occhi al cielo: sua cugina non sapeva tenere la lingua a freno.
«Mi dispiace fare il guastafeste, ma l’anno scolastico è appena iniziato, ed è mio parere, oltre che quello della Preside, che questa competizione non deve incidere sulla vostra istruzione. E ritengo che tu e i signori Baston non vi impegniate abbastanza da perdere tempo».
Nuove polemiche si scatenarono. Albus sospirò e si chiese che progetti avesse per loro. Non era sicuro di voler seguire le lezioni dei Greci, per il semplice fatto che le tenevano in greco, no? D’altra parte non aveva voglia di ripetere ancora Erbologia, a meno che la sua prova non sarebbe stata il giorno successivo.
«Basta così» si spazientì Mcmillan. «La professoressa McGranitt ha deciso che dovete studiare se la nostra Scuola non è coinvolta in una competizione. State tranquilli, che domani Abbott e Goldstain non andranno in giro. Adesso ascoltatemi bene e non voglio sentire polemiche. Mitchell e i gemelli Baston seguiranno le lezioni con i Greci e gli altri studenti stranieri del proprio anno. Potter, Paciock, Fawley e Rimen voi potete scegliere se studiare da soli in biblioteca, e se avete bisogno sarò a vostra disposizione, in vista delle prove. Oppure seguire le lezioni del vostro anno».
Frank e Albus optarono per lo studio individuale, mentre Rimen Mcmillan e Gabriel Fawley decisero di fare conoscenza con i coetanei degli altri paesi. I due Grifondoro trascorsero la mattinata in un’aula ripetendo le loro materie. Mcmillan andava avanti e indietro per controllarli tutti. Solo a pranzo si ricongiunsero con i compagni.
Frank prese posto accanto alla cugina, che gli era parsa parecchio scontenta quella mattina. «Non è stato male. Ci sono dei ragazzi simpatici. E poi non siamo nella nostra Scuola, perciò, non ci possono costringere a studiare» raccontò ella soddisfatta.
«Secondo te questo cos’è?». Il ragazzino osservava stranito un vassoio di fronte a loro.
«Aspetta» disse Amy, iniziando a sbracciarsi allegramente verso un ragazzino. Indossava una specie di tunica colorata, la divisa dell’Accademia.
«Frankie, ti presento Ertemios. Fa parte della squadra di Quidditch. Ertemios, ti presento mio cugino Frank, è nella squadra di Cultura Magica. Ti siedi con noi?». Il ragazzino annuì sorridendole. «Ci chiedevamo cosa fosse questo piatto» continuò Amy indicando eloquentemente il vassoio. Ertemios non sembrava ferratissimo in inglese e la ragazzina aveva parlato molto lentamente.
«È buono. Si chiama pitákia» rispose scegliendo con cura delle parole semplici.
«Com’è fatto?» insisté Amy. Ertemios impiegò qualche secondo per comprendere la domanda, ma ebbe difficoltà a spiegarsi tanto da dover chiamare in aiuto un compagno, che li presentò come Gorgi Emini.
«Sono sfogliatine ripiene principalmente di pollo, formaggio, carne tritata e verdura».
«Stiamo andando bene» comunicò felice James, sedendosi vicino al fratello e a Frank. «Cartemole e la sua squadra hanno battuto i Russi. Pomeriggio tocca a Hugo. Mi secca assistere alle partite di scacchi, ma per lui farò un’eccezione» continuò allegro riempiendosi il piatto di tutto quello che trovava sulla tavola, senza neanche preoccuparsi di sapere di che cosa si trattasse.
«A Quidditch chi ha vinto?» s’informò Albus.
James ingoiò un grosso boccone e rispose: «Oh, ho parlato con Abbott prima di venire qui. Ora sta discutendo con la McGranitt e Mcmillan perché vuole allenarsi nel pomeriggio. Ha vinto Móshú, ha praticamente surclassato Beauxbatons per 600 a 100. A quanto pare quelli di Beauxbatons sono ancora più scarsi dell’anno scorso».
«E i duellanti?» s’intromise curiosa Amy.
«Dipende. Alcuni sono davvero bravi. Quello di Móshú ci hanno inquietato particolarmente. Sembra che non abbiano minimamente pietà… nel senso che il loro unico interesse è quello di vincere, non di mostrare la propria forza… non so se mi spiego… Domani io ed Emmanuel scenderemo in campo. Non vedo l’ora! A voi quando tocca?».
«Domani» sospirò Frank, terrorizzato più che mai.
«Io avrò la prova giovedì» rispose Albus.
«Giovedì pomeriggio giocheremo noi. Albert è in fibrillazione» disse, invece, Amy.
«Immagino» ghignò James. «Non vedo l’ora di vederli in campo».
«Per voi sarà una specie di derby, vero?» s’intromise Gorgi Emini.
«Perché giocheremo con gli Americani?» ribatté James. «Sai, che cambia» commentò con un’alzata di spalle.
«Giocherai con i tuoi ex compagni di Scuola» sussurrò, invece, Frank alla cugina. «Come la vedi?».
«In nessun modo» replicò Amy. «Gioco con voi e con voi vincerò. I miei amici lo sanno. A proposito, te li ho presentati?».
Frank scosse la testa, sentendosi in colpa per non aver pensato prima alla delicata posizione della cugina; fortunatamente ella era molto forte. Amy lo prese per mano e nel giro di pochi secondi l’aveva trascinato dove erano seduti i ragazzi di Ilvermorny.
«Allora, ti presento Xavier il Cercatore di Ilvermorny; Queeny si occupa di Erbologia e Cecily Astronomia. Non erano nella mia stessa Casa, ma siamo sempre stati abbastanza amici» disse Amy tutto d’un fiato come suo solito. «Ragazzi, vi presento mio cugino Frank».
Il ragazzino sorrise imbarazzato: entro la fine della settimana sua cugina avrebbe fatto amicizia con tutti gli studenti presenti.
Quel pomeriggio Albus, Frank e James assistettero alla partita di Hugo, che, con loro grande orgoglio, vinse.

*

«Che cosa sai del tuo avversario?» chiese Jack a Emmanuel.
Il Serpeverde s’irrigidì cogliendo una punta di derisione nel tono del compagno. Dovevano smettere di pensare che fosse troppo piccolo, avrebbe vinto e avrebbe dimostrato i proprio talento.
«Perché voi che sapete dei vostri avversari?» ribatté sulla difensiva.
«Il mio è di Castelobruxo. L’ho visto allenarsi ieri pomeriggio: vincerò senza problemi» dichiarò con sicumera Jack.
«Come fai a essere sicuro che non stava bluffando e non ha evitato di mostrare tutto il suo potenziale?» domandò Emmanuel provocatorio.
«Ho occhio per certe cose» affermò tranquillo il Tassorosso.
«E tu?» chiese allora Emmanuel rivolgendosi a James, che stava seguendo il primo duello della giornata.
«Miku Murakami. Mahoutokoro. Sesto anno. Kimono giallo. Veloce e abile. Un’avversaria temibile» sciorinò rapidamente James.
«Ma si può sapere dove hai preso queste informazioni?» sbuffò Emmanuel. Aveva aspettato che Jack si allontanasse prima di rivolgersi a James: il Tassorosso era troppo critico.
«Sono andato da lei e mi sono presentato. Quanto alle sue capacità, si tratta solo dell’impressione che mi ha dato durante gli allenamenti» replicò James.
«Che importanza ha il suo kimono?».
«A quanto pare in Giappone non hanno Case, ma gli studenti si distinguono in base al colore del loro Kimono. Avrai notato anche tu che non tutti indossano lo stesso. Così ho fatto un po’ di domande in giro. Ogni colore indica un livello magico diverso. Il più alto di tutti è il dorato, perciò il fatto che Miki ce l’abbia giallo mi preoccupa».
«Quindi secondo te avrei dovuto andare da Georgi Vazov e presentarmi?».
James sbuffò. «Quelli di Durmstrang non sono molto amichevoli di solito. Vuoi un consiglio? Stai molto attento e poniti sulla difensiva per studiare le sue mosse come ci ha detto Williams più volte. Per quello che ho capito solo le Maledizioni Senza Perdono sono vietate, per cui potrebbero benissimo usare degli incantesimi oscuri. È una cosa assurda, secondo me».
Emmanuel storse la bocca, ma accettò il consiglio.
James si staccò di scatto dal muro a cui era appoggiato appena vide Annely Peeters scagliata fuori dalla pedana da Alexander MacDuff.
«Si accomodino i prossimi duellanti: Miku Murakami e James Sirius Potter» invitò uno dei professori che assisteva alle gare.
«Buona fortuna» sussurrò Emmanuel.
James sorrise per un secondo e lo ringraziò. Si avviò con passo sostenuto verso la pedana. Era molto agitato, in quanto teneva particolarmente a fare bella figura.  Miki era una ragazza abbastanza carina; il giorno prima avevano trascorso un po’ di tempo insieme a cena e l’aveva trovata anche simpatica, nonostante il suo inglese fosse stentato e la comunicazione difficile.
«Inchinatevi» disse l’arbitro.
James eseguì e nel farlo sorrise a Miku, che ricambiò sebbene non con lo stesso entusiasmo.
«Al mio tre, potrete cominciare» continuò l’arbitro. James era tesissimo, si rendeva conto di star stringendo troppo la bacchetta e se Williams l’avesse visto, l’avrebbe senz’altro rimproverato. Non poteva farci nulla, però. «Uno… Due… Tre…».
James e Miku iniziarono a studiarsi a vicenda; il primo fece una fatica enorme a trattenersi: era uno che agiva d’istinto e con forza. Williams era stato chiaro: niente mosse avventate.
Non sapeva se Miku stesse usando la stessa tattica o preferisse non iniziare per prima, comunque sarebbe stato sufficiente attendere per scoprirlo: giocare a chi ha i nervi più saldi.
James comprese all’istante di aver a che fare con un osso duro, quando la vide muovere la bacchetta senza pronunciare alcuna formula ad alta voce: un incantesimo non verbale. Avrebbe dovuto aspettarselo! La maggior parte dei duelli del giorno prima si era svolto senza l’uso di Incantesimi Verbali.
Istintivamente evocò uno scudo, giusto in tempo per respingere l’attacco della ragazza. Decise di replicare subito con uno schiantesimo, ma fu inutile: Miku era pronta. Continuarono così per un po’, ma James era sempre più in difficoltà. Non si era allenato a sufficienza, Jack aveva ragione. Non aveva voglia di farsi buttare fuori al primo turno. Al diavolo quello che gli aveva detto Williams, avrebbe fatto di testa sua. Come sempre d’altronde.
«Expecto Patronum» gridò prendendo di sorpresa tutti. Il suo airone planò sulla testa di Miku che strillò e perse la concentrazione. «Experlliamus». Sentendosi infinitamente più leggero, prese al volo la bacchetta della sua avversaria.
Un applauso si levò dai compagni che assistevano al duello e da qualche altro studente. I Giapponesi, come la stessa Miku, non erano altrettanto felici. La ragazza gli stava urlando qualcosa in giapponese, che non riusciva minimamente a comprendere per quanto avesse la vaga idea che non fossero belle parole.
«Potter, tu sei un pazzo» sbottò Jack.
L’arbitro, nonostante le proteste giapponesi, aveva dichiarato James come vincitori.
«Ma che ho fatto?» sbuffò il Grifondoro.
«Un trucco scemo! Non è così che si duella seriamente! Insomma dov’eri quando Williams ce lo spiegava?».
«Certo che siete fissati» sbottò James. «A me basta vincere lealmente». Sospirò: una volta a Hogwarts, avrebbe dovuto sorbirsi la predica dell’insegnante. Quasi quasi se ne rimaneva lì, insomma l’isola sembrava bella e vi era un clima mite.
Emmanuel, dopo aver visto il duello di James, era ancora più agitato. Salì sulla pedana quasi senza rendersene conto. Georgi Vazov era decisamente molto più alto di lui e anche più muscoloso. Si impose di stare calmo: in un duello non contava la stazza. A differenza degli altri compagni, non aveva la minima idea di come funzionassero gli Incantesimi Non Verbali, ma ebbe la prontezza di creare una barriera quando comprese che Georgi stesse per attaccare.
L’incantesimo era molto forte. La barriera si spezzò ed Emmanuel fu spinto all’indietro fino al bordo della pedana. Ma che razza di incantesimo aveva utilizzato? Si spostò di nuovo verso il centro della pedana. Georgi gli diede il tempo di tornare in posizione. Ghignava. Anche lui, proprio come i suoi compagni, lo stava valutando per la sua corporatura ancora minuta e per la sua età.
Quel ghigno doveva sparire. Avrebbe mostrato a tutti, che dovevano temerlo.
«Reducto» esclamò con forza. La pedana ai piedi di Georgi si frantumò, costringendolo a indietreggiare. «Stupeficium» concluse, mentre ancora la polvere creava una cortina tra lui e l’avversario. Vazov fu scagliato a terra.
La Sala era nel silenzio più totale, mentre il Preside di Durmstrang e un altro insegnante si avvicinavano per valutare le condizioni di Vazov. «È svenuto» costatò sorpreso il primo, ma nella sua voce non c’era rabbia, anzi sembrava colpito. Emmanuel si voltò verso i suoi compagni di squadra: lo fissavano tutti a bocca aperta.
«Il vincitore è Emmanuel Shafiq» annunciò l’arbitro, scuotendo il ragazzino dai suoi pensieri.
«Non ho esagerato, vero?» non riuscì a trattenersi dal chiedere, quando si ricongiunse ai compagni.
«Scherzi? Sono impressionato» ammise controvoglia Jack.
«Cavoli l’hai messo k.o. rapidamente» strillò James.
Anche Tania Benson e Alex Steeval si complimentarono con lui.
Emmanuel s’imbarazzò per tutti i loro complimenti, ma non riusciva a non pensare che aveva colpito con rabbia e non era convinto che fosse giusto.

*

«Com’è andata?» chiese Albus a Frank, sedendosi accanto a lui a tavola.
«Spero bene» sospirò il ragazzino. «Alcune domande erano su cose che non ho mai studiato, ma ho comunque risposto a tutto come mi ha detto la Dawson».
«Bravo, ora puoi rilassarti. Io devo ancora aspettare».
«Come sono le lezioni greche?».
«Normali lezioni. La nostra presenza crea molta confusione: gli altri studenti sono incuriositi da noi e poi abbiamo programmi diversi».
«Sono indeciso se seguirne qualcuna da domani o chiedere a Mcmillan di ripetere Pozioni con lui».
Albus si servì generosamente di dolmádes, degli involtini di riso, prima di rispondere: «Mmm secondo me dovresti approfittarne e farti aiutare dal professore, così potrai alzare la tua media quando torneremo a casa».
Frank sospirò: avrebbe preferito che l’amico gli dicesse tutt’altro, ma aveva ragione e lo sapeva.

*

Jack salì tranquillamente sulla pedana: avrebbe vinto, ne era certo. Avrebbe mostrato a Potter, come si comporta un vero duellante. Il suo avversario attaccò subito. Ingenuo. Parò il colpo e attaccò a sua volta, senza lasciare all’altro il tempo di rimettersi in posizione. Usò l’impedimenta per farlo cadere e infine lo disarmò con un lieve gesto della bacchetta. Era stato rapido. Fissò con soddisfazione il suo avversario e s’inorgoglì ancora di più a sentire il suo nome proclamato dall’arbitro. Avrebbe festeggiato con una ragazza americana, che aveva dovuto consolare due giorni prima in quanto riteneva di aver fatto un disastro nella sua prova di Trasfigurazione.
Emily Foster gli andò immediatamente incontro. Era un Campione, non c’erano dubbi.

*

La prova di Erbologia era andata bene e Albus ne era molto contento.
«Pronto Albus?» strillò James.
«Si» replicò.
Quel pomeriggio la loro squadra di Quidditch avrebbe affrontato Ilvermorny. Lo stadio dell’Accademia era abbastanza semplice, nulla in confronto al loro. Più che altro appariva alquanto trascurato, ma vista la storia greca era plausibile.
«Ehi, Al, com’è andata? Vi ho tenuto i posti» li accolse Louis sorridendo.
«Bene, grazie» rispose Albus, prendendo posto. Non avevano dovuto indossare neanche i mantelli, poiché il clima era molto mite.
«Buon pomeriggio a tutti!» trillò un ragazzo, posto negli spalti degli insegnanti. «Mi chiamo Artenus Kalinaris e quest’oggi sarò il vostro cronista. Tra poco scenderanno in campo le squadre di Hogwarts e Ilvermorny».
«Speriamo bene, Arthur era agitatissimo» commentò Albus.
«Se la caverà, appena sarà in volo si dimenticherà della tensione» disse sicuro James.
«Ecco le squadre. Per Ilvermorny giocano: il capitano Aidan Peterson, Ethan James, Xavier Ross, Spencer Davis, Cameron Kolvasky, Emma Tremblay e Jacob Pellentier. Per Hogwarts abbiamo il capitano Albert Abbott, Arthur Weasley, Melissa Goldstain, Karl e Kevin Baston, Daniel Mcnoss e Amy Mitchell».
Seguendo i rispettivi capitani, i giocatori fecero il loro ingresso volando e si posizionarono ciascuno da un lato del campo. L’arbitro si pose in mezzo con la pluffa in mano.
«Ed ecco che la partita inizia! La pluffa viene subito presa da James, che passa a Davis…».
James urlava più forte che poteva pur di incitare la squadra. Avevano creato persino degli striscioni. Era strano veder giocare i compagni con una divisa nera e non la solita colorata delle loro Case.
«…ora la pluffa è nelle mani di Goldstain…» continuava entusiasta il cronista.
Gli Americani erano vestiti in rosso e verde, anche se frecciavano così veloce che non si distingueva neanche il colore. I gemelli Baston, però, erano molto bravi a rallentare le loro fughe verso gli anelli difesi da Mcnoss. Il Cercatore americano era poco più grande di Arthur e perlustrava altrettanto attentamente il campo.
«Abbott segna! Dieci a zero per Hogwarts!».
«La velocità non è tutto» disse James.
«No?» replicò basito Albus.
«No. I gemelli Baston sono troppo forti, molto più dei loro battitori».
«Davis perde la pluffa a causa di un bolide di Baston».
«Secondo me non li distingue» ridacchiò Frank.
Albus rise a sua volta, ma James era troppo attento per dare loro ascolto.
«Goldstain segna il 20 a 0» strillò Kalinaris.
La squadra messa su da Albert Abbott era formidabile; anche se Mcnoss non erra all’altezza degli altri, si era allenato molto e stava dando il meglio di sé. E comunque i gemelli Baston, degni del loro cognome, non facevano avvicinare nessuno agli anelli. Unica nota dolente era che il boccino non si vedeva da nessuna parte. Dopo una ventina di minuti Hogwarts conduceva per 100 a 30 e i ragazzi sugli spalti erano eccitatissimi.
All’improvviso Xavier Ross, il Cercatore di Ilvermorny, si lanciò in picchiata. Arthur gli fu immediatamente dietro, ma non riusciva a recuperare lo svantaggio.
James e gli altri trattennero il fiato, certi che il loro sogno si stesse spezzando nel modo più inaspettato. Se Ross avesse preso il boccino, non sarebbe stato sufficiente il loro attuale vantaggio per vincere.
«…oh Merlino, la coda della scopa di Ross viene colpita da un bolide… Ross ha perso il controllo della scopa e… il boccino non si vede più…».
I ragazzi di Hogwarts si lanciarono in urla di giubilo e iniziarono ad acclamare Kevin Baston, che aveva compiuto il miracolo.
«Un grande!» gridò James fuori di sé. «Peccato che il Cappello Parlante lo abbia smistato a Corvonero. Ma io dico, con due genitori Grifondoro, com’è possibile?».
La partita proseguì un’altra buona mezz’ora prima che i due Cercatori avvistassero nuovamente il boccino. Il punteggio era di 150 a 130. Gli Americani si stavano riprendendo alla grande.
«Un magnifico testa a testa!» gridò il cronista. «E questa volta i battitori americani sono prontissimi a difendere il loro Cercatore».
Sugli spalti erano tutti in piedi e con la testa rivolta verso l’alto per seguire l’azione.
«Vai, vai accidenti…» biascicava James, stringendo i pugni.
«E Weasley prende il boccino! Hogwarts vince 300 a 130!».
L’esclamazione del cronista fu sommessa dalle grida di esultanza dei ragazzi.
«Abbiamo vinto! Abbiamo vinto!» strillò James, abbracciando chiunque gli venisse a tiro.
«Ma lo sa che è solo la prima partita?» sussurrò Frank ad Albus.
«Lo sai che esagera sempre» sospirò quest’ultimo, prima di scoppiare a ridere. In fondo era felice anche lui.
 
*

«Non è pericoloso?» domandò Frank guardando il sentiero roccioso con perplessità.
«Se non sei abituato sì, ma andare sugli scogli lo è molto di più» rispose Tobia, precedendo Albus, che, comunque, sembrava a corto di fiato.
«Sono io che ho la vaga impressione che non dovremmo trovarci qui?» chiese ancora Frank.
L’Italiano fece spallucce, mentre il suo compagno disse qualcosa che i due Grifondoro non compresero.
«Dubito che qualcuno abbia avvertito gli insegnanti di questa ‘gita’» disse, invece, Al. «Comunque loro non ce l’hanno vietato, per cui non possono dire che siamo in torto noi».
«Questa è un’ottima teoria» approvò Tobia, per poi tradurre in italiano a beneficio del compagno, Lorenzo, che a quanto pareva non aveva particolare dimestichezza con l’inglese.
«Oh, la spiaggia» esclamò meravigliato Frank, dimenticandosi del resto. Albus, Tobia e Lorenzo gli corsero dietro altrettanto esaltati. Nella piccola baia c’erano già molti altri ragazzi, tanto che sembrava più piccola di quello che era realmente. Tobia si tolse rapidamente le scarpe da tennis e i calzini; Albus e Frank decisero di imitarlo. Lorenzo non sembrava entusiasta all’idea di bagnarsi.
«Il tuo amico abita vicino al mare?» domandò Albus, trasfigurando abilmente i boxer in un costume da bagno.
«Sei veramente bravo con Trasfigurazione» commentò ammirato Tobia. «Comunque abitiamo entrambi vicino al mare, ma Lori è freddoloso e non ama fare il bagno in autunno».
Albus annuì e aiutò Frank, che, nonostante fosse bravo in Trasfigurazione, non se la sentiva di tentare un nuovo incantesimo su qualcosa che indossava. I ragazzi di Hogwarts, come molti altri, non abituati al mite clima mediterraneo non comprendevano le felpe e le giacche dei ragazzi della zona: per loro una temperatura così alta, alle volte era un sogno anche in estate!
«Sbrigati Albus!» gridò James, sbracciandosi verso di loro.
Il mare era uno specchio quel pomeriggio, non vi era neanche una bava di vento a incresparlo: quella sì che era fortuna!
Albus fu quello che ebbe minor remore a tuffarsi: l’acqua era fredda, ma nemmeno lontanamente quanto quella del Lago Nero in quella stagione. Non ricordava da quanto tempo non nuotasse così liberamente. Si estraniò dagli altri a lungo, beandosi dell’acqua che gli scivolava addosso. Era tanto limpida che a tratti scorgeva persino dei pesci. Quando si decise a uscire, ormai completamente intirizzito, stava iniziando a tramontare il sole. Gli altri ragazzi giocavano a gruppetti sulla spiaggia, chi con una pluffa, chi con palloni babbani. Naturalmente non erano che una minima parte delle delegazioni presenti, ma era così bello che si sentiva ugualmente elettrizzato; almeno finché non iniziò a tremare dal freddo. Avrebbe dovuto portarsi un asciugamano.
«Serve aiuto?».
Albus si voltò di scatto trovandosi faccia a faccia con una ragazza. La riconobbe all’istante: era Daila Morales. Avevano affrontato insieme la prova di Erbologia. Aveva diciassette anni e frequentava Castelobruxo. Gli stava porgendo un telo colorato.
«Grazie mille» rispose, affrettandosi ad avvolgersi il telo addosso.
«Di nulla. Ti piace nuotare, sei stato tantissimo in acqua».
«Sì, molto» replicò Albus, senza comprendere per quale assurdo motivo stesse arrossendo! Anche se, bisognava ammetterlo, Daila era davvero carina: la pelle lievemente scura, grandi ed espressivi occhi azzurri, quel sorriso dai denti bianchissimi e i capelli lunghi e disordinati sulle spalle. Sembrava quasi un’amazzone.
«Ehi, ci sei?» lo riscosse Daila sventolandogli una mano davanti al viso.
Albus credette che il suo viso sarebbe andato in autocombustione a momenti.
«I Greci dicono che è meglio rientrare per cena o i professori potrebbero insospettirsi» sopraggiunse James. «Ah, ciao, io sono James. Suo fratello».
«Daila Morales, piacere» replicò la ragazza con gentilezza.
Per un attimo Albus, che aveva accolto con sollievo la sua intromissione, pensò di cacciarlo in malo modo: Daila lo stava osservando e mostrava particolare attenzione ai suoi addominali. Si trattenne per non fare la figura del pazzo.
«Lo sapevo che avevano mentito» sbuffò Daila, divertita.
«Su cosa?» domandò Albus perplesso, chiedendosi se si fosse perso qualcosa.
«Sul fatto di avere il permesso di allontanarsi tanto da Scuola» replicò la ragazza.
«Comunque noi non siamo come i Cinesi che hanno paura» disse tronfio James.
Albus lo fulminò. Lui e le sue manie da Grifondoro!
Daila si strinse nelle spalle. «Credo che abbiano dei modi di comportarsi molto diversi dai nostri. Oppure i loro docenti sono molto più severi dei nostri».
Albus pensò per un attimo alla McGranitt e scosse la testa: «Tu non conosci la nostra Preside».
James rise, mentre si avviavano lungo il sentiero tra le rupi.
«Non è che il mio sarebbe felicissimo, ma non credo che sia questo il punto. È una questione di mentalità secondo me» ribatté Daila pensierosa.
«Oltre il fatto che non sono solo Cinesi, ma la Scuola di Móshú accoglie studenti da tutto il continente asiatico» ci tenne a puntualizzare Albus, senza nemmeno sapere il perché. James, prevedibilmente, gli fece il verso facendo ridere Daila. Albus lo fulminò nuovamente con lo sguardo e il fratello maggiore lo fissò sorpreso.
«Sono euforico!» gridò Frank, raggiungendoli di corsa. Per poco non cadde inciampando in uno spuntone. James lo prese al volo e tra le risate disse:
«Sei sempre il solito imbranato, ma, te lo giuro, farò di tutto per convincere i nostri genitori a portarci al mare la prossima estate!».

*

La settimana era trascorsa molto più velocemente di quanto i ragazzi si sarebbero mai aspettati. In men che non si dica erano stati costretti a prepararsi per il ritorno. Dopo un iniziale tentennamento, si erano divertiti molto facendo conoscenza con gli altri partecipanti.
«Bene, ragazzi, ci aspettano nell’agorà per annunciare i punteggi di questa prima fase dell’Olimpiade» annunciò Mcmillan, tentando di metterli in fila. Impresa non facile perché continuavano a chiacchierare con i nuovi amici, cercando di non sprecare gli ultimi minuti.
La Preside non c’era, James immaginò che fosse già insieme agli altri Presidi. Ormai conoscevano la strada che portava all’agorà, perciò impiegarono molto meno tempo del primo giorno.  Come previsto i giudici erano già tutti schierati.
«Buongiorno a tutti!» esordì il polý sofós, chiedendo contemporaneamente il silenzio. «Spero che il vostro soggiorno nella nostra Accademia sia stato piacevole e che abbiate stretto nuove amicizie. Lascio la parola al signor Babajide Akingbade».
L’uomo si alzò dal suo scranno centrale e sorrise agli studenti. «Mi è dispiaciuto non poter assistere a tutte le prove, ma purtroppo la mia posizione mi ha reclamato altrove. Cercherò di essere breve, perciò non elencherò i nomi di tutti i vincitori dei duelli e delle partite di scacchi. Ognuno di loro riceverà una pergamena con gli incontri della seconda fase. Per quanto riguarda, invece, il torneo di Quidditch hanno passato la prima fase le seguenti Scuole: Móshú, Durmstrang, Dreamtime, Mahoutokoro, Hogwarts e la Fata Morgana. Ai Capitani sarà consegnato il calendario delle prossime partite. Le squadre di gobbiglie sono: Hogwarts, Dreamtime, Móshú, Fata Morgana, Beauxbatons e Uagadou. Infine per quanto riguarda la prova generale che avevate sostenuto di Trasfigurazione, Storia della Magia, Pozioni, Erbologia e Astronomia, mi limiterò a citare i migliori di ogni categoria. Gli ultimi due, ahimè, sono stati eliminati. Il migliori sono i seguenti: in Trasfigurazione Ashagar Adeleke di Uagadou; in Storia della Magia Axel Nilsson di Durmstrang; in Pozioni a pari merito abbiamo Juan Moreno di Beauxbatons e Gabriel Fawley di Hogwarts; in Erbologia, anche qui a pari merito, Daila Morales di Castelobruxo e Albus Severus Potter di Hogwarts; infine il migliore in Astronomia è stato Rimen Mcmillan sempre di Hogwarts».
Albus approfittò di un attimo di confusione per andare a salutare Daila. «Sei stata brava» le disse per prima cosa.
La ragazza sorrise. «Grazie, anche tu».
«Potremmo rimanere in contatto… sai, tipo amici di piuma…».
«Sì, certo, perché no?».
Albus le sorrise estasiato.
«Potter, per Merlino, vieni qui!».
«Ehm, mi sa che il tuo insegnante ti sta chiamando. Tanto ci vedremo il mese prossimo da voi, no?».
Il Grifondoro annuì e tornò dai suoi compagni, prima che Mcmillan si arrabbiasse sul serio.
«Sono arrivato quarto» gli annunciò Frank.
«Bene, bravo» commentò Albus sincero.
«Indovinate quanto è arrivato Parkinson?» s’intromise Jack.
«Ti prego, ripetilo, adoro sentirlo dire» disse James.
«Settimo» disse Jack.
«Ragazzi, per favore, state vicini. A breve un gruppo di voi prenderà la passaporta per Hogsmeade con me e un altro gruppo partirà con la professoressa McGranitt» istruì Mcmillan.
Decisamente era stata una bella esperienza e non c’era che da sperare che anche i successivi incontri andassero altrettanto bene.

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Capitolo 19
*** La vita è una sfida, affrontala ***


Capitolo diciannovesimo
 
La vita è una sfida, affrontala
 
Per lungo tempo l’unico rumore che si sentiva fu quello della piuma che grattava sul foglio e qualche bisbiglio leggero che ricordava che non erano da soli in biblioteca. Albus e Dorcas nonostante ciò facevano molta fatica a concentrarsi, ognuno perso nei propri pensieri. Era una fredda giornata di metà novembre, i ragazzi della squadra olimpica erano tornati a Hogwarts da meno di una settimana.
«Ma quante cose avete fatto in nostra assenza?» sbuffò Albus.
Dorcas non sollevò neanche gli occhi dal suo tema di Storia della Magia: ormai Albus lo chiedeva una volta al giorno.
«Sei troppo stressato. Rose ha ragione, se continui così sarai esaurito prima di maggio».
Albus sbuffò di nuovo, tentando di trovare la voglia di copiare gli appunti di Incantesimi. «Sai, adesso ho un’amica di piuma» annunciò felice. Erano giorni che pensava a Daila, ma non ne aveva parlato con nessuno per paura di essere preso in giro. Dorcas non l’avrebbe fatto, ne era sicuro.
«Bello. Di che Scuola è?» domandò la ragazza, stringendo la piuma tra le mani.
«Castelobruxo. Sei sicura di stare bene? Neanche tu mi sembri tanto tranquilla».
Dorcas si strinse nelle spalle e distolse lo sguardo.
«Ho pensato molto a Jesse in questi giorni» sussurrò.
«Ah». Albus non sapeva che cosa dire.
«Ho bisogno di parlargli. Quest’estate non ne ho avuto il tempo».
«È ad Azkaban. Non si può entrare lì» sospirò Albus. «E poi tuo padre…» iniziò, lasciando però la frase a metà.
«Su un libro ho letto che ai detenuti si può scrivere».
«Sul serio?» chiese perplesso Albus.
«Sì, ma credo che dipenda dal reato commesso».
«Se non sbaglio Jesse non è stato condannato per omicidio, o no?».
«No, ma per attività oscura» precisò Dorcas.
«Non lo so, Dor. Insomma la tua lettera verrebbe sicuramente intercettata dagli Auror e se la firmi, lo diranno subito a tuo padre; se non la firmi, non so se gliela darebbero. Sempre se gli si può scrivere. Usare la magia oscura è un grave reato» disse Albus, che temeva di veder soffrire di più l’amica se si fosse illusa troppo. Non capiva proprio perché si fosse fissata con Jesse Steeval.
«A chi potrei chiedere secondo te?».
Albus si strinse nelle spalle.
«Williams?» insisté Dorcas.
Il Grifondoro la fissò intensamente con i suoi occhi verdi. «Dorcas devi stare attenta, la situazione potrebbe sfuggirti di mano».
La ragazza colse la serietà negli occhi dell’amico e scoppiò in lacrime.
«Dorcas» chiamò allarmato Albus. «Non piangere io… che cosa vuoi che facciamo?».
La Tassorosso impiegò diversi minuti per calmarsi. «Scusa, tra i compiti da Prefetto, lo studio e il pensiero di Jesse sto impazzendo. Insomma ha solo diciotto anni! Te lo immagini in una cella buia per cinque anni? Da solo o magari con qualche energumeno?».
Ad Albus si strinse lo stomaco: non ci aveva mai pensato. Cinque anni erano tanti. Jesse avrebbe sprecato una parte della sua giovinezza, non avrebbe visto crescere i suoi fratellini, non avrebbe lottato per realizzare i suoi sogni. Che effetto avrebbe avuto Azkaban su di lui?
«Non posso chiedere a Williams, quindi?».
Albus sospirò. «Se vuoi sì, non credo che accadrà nulla».
Ripresero a studiare in silenzio per una mezz’oretta, ma, una volta concluso il tema, Dorcas si alzò sorprendendo il compagno.
«Hai già finito?» chiese Albus sorpreso.
«No, ma non posso più aspettare. Ci vediamo dopo» disse ella con risolutezza. Raccolse i suoi libri rapidamente e si diresse verso l’uscita. Man mano che si avvicinava all’ufficio del professore di Difesa contro le Arti Oscure, però, il suo cuore diveniva più pesante. Stava andando a parlare con un professore di uno strano sentimento che provava e per prima non capiva. E senza parlare di ciò che provava, come avrebbe mai potuto spiegare per quale assurdo motivo voleva contattare un ragazzo più grande di lei, appartenuto a una Casa diversa e che al momento era detenuto per aver partecipato ad alcune azioni dei Neomangiamorte?
Forse più velocemente di quanto avrebbe voluto si ritrovò davanti alla porta di Williams. A quel punto un’ondata di panico la invase: era una scemenza. Non poteva parlare con il professore, l’avrebbe presa per stupida, alla stregua di alcune suo compagne che ancora disegnavano i cuoricini intorno al suo nome. Fece dietro front di scatto, ma quasi si scontrò con Williams stesso che era sopraggiunto insieme alla Dawson.
«Ciao, Dorcas» salutò allegramente quest’ultima.
«Buonasera» sussurrò la ragazzina, mal sopportando lo sguardo indagatore di Williams.
«Allora, signorina, come posso aiutarti?» chiese quest’ultimo.
Dorcas sbiancò, non sapendo più che cosa fare e per poco non scoppiò a piangere di nuovo.
«È successo qualcosa?» le chiese gentilmente la Dawson.
Automaticamente scosse la testa, poi, rendendosi conto che non era una risposta molto educata, disse: «No, professoressa».
«Allora perché sei qui?» domandò Williams andando dritto al sodo come sempre.
Dorcas non sapeva proprio come tirarsi fuori dalla quell’intricata situazione.
«Senti, Dorcas, stai tranquilla. Qualunque sia la tua preoccupazione, noi siamo qui per aiutarti» disse con affetto la Dawson.
«Veramente era venuta a cercare me, non te» borbottò Williams.
La Dawson gli tirò una gomitata prima di continuare: «Viene, Dorcas. Ci sediamo e parliamo con calma».
Dorcas non disse nulla, ma la seguì nell’ufficio di Williams.
«Siediti» le disse la professoressa indicando una delle due sedie di fronte alla scrivania; ella prese posto in quella accanto. La ragazzina non ebbe il coraggio di cercare il professore con gli occhi. Era tutto troppo imbarazzante.
«Che cosa c’è?» sussurrò la Dawson. «Si tratta delle tue compagne? Se ti danno fastidio, non avere paura di diccelo».
«No, io… no…» tentò Dorcas, ma non riusciva ad articolare una frase di senso compiuto. Veramente la Dawson pensava che il suo stato d’animo fosse causato dal comportamento delle sue compagne? Non si comportavano molto bene con lei, era vero; ma la professoressa come lo sapeva? E soprattutto in quel caso avrebbe dovuto rivolgersi a Mcmillan, no? Non era obbligatorio parlare con il proprio Direttore; a suo parere quasi nessun Serpeverde si sarebbe mai rivolto volontariamente alla Shafiq, ma gli altri Direttori erano senz’altro più disponibili.
«Se avesse avuto problemi con i suoi compagni, non sarebbe venuta da me» intervenne Williams a quel punto. La Dawson lo fulminò con gli occhi, ma non commentò. Il professore la ignorò e si rivolse a Dorcas. «Che cosa devi chiedermi, signorina?».
«Si tratta di una cosa che ho letto in un libro» ammise in fine Dorcas, sperando che partendo da quella considerazione il discorso sarebbe parso meno insensato.
«Dimmi» la incoraggiò Williams.
«C’era scritto che si può scrivere ai detenuti di Azkaban… io non… beh pensavo che non fosse possibile…».
«È possibile, ma solo per chi ha commesso reati comuni» replicò lentamente il professore.
«Reati comuni in che senso, signore?».
«Furto per esempio. A chi stai pensando, Dorcas?».
«Jesse Steeval» sussurrò Dorcas. Sentì Williams sospirare, ma si azzardò a sollevare gli occhi solo sulla Dawson che le sorrise dolcemente.
«Non conosco il livello di sorveglianza a cui Steeval è stato sottoposto» disse Williams scegliendo con cura le parole.
«Ma puoi informartene, vero?» gli domandò la Dawson.
Questa volta fu Williams a fulminarla. «Non credo sia il caso» rispose.
«La prego» osò dire Dorcas, fissandolo per la prima volta.
«Ascoltami, Steeval ha commesso dei gravi errori…».
«Quindi io devo lasciarlo a se stesso? È la stessa cosa che mi ha detto più volte mio padre» sbottò Dorcas con voce tremante.
«Tuo padre ha ragione, è meglio per te» replicò Williams.
«Non posso abbandonarlo» insisté. «Voglio semplicemente scrivergli. Starà peggio se viene lasciato a sé stesso».
«La sua famiglia se ne starà preoccupando, non è un problema tuo» ribatté Williams.
«Ma io…».
«Tu niente! Che cosa c’è che non riesci a capire?» sbottò Williams con durezza nella voce.
Dorcas si alzò istintivamente: voleva correre lontano da lì. Lo sapeva che non avrebbero potuto capire. Era vero che gli adulti non capivano nulla. Rose aveva ragione di fare sempre di testa propria.
«Siediti, ti prego» la fermò la Dawson. «Dorcas ha ragione, Maxi. Jesse ha bisogno di sentire vicini i suoi coetanei o non avrà voglia di riscattarsi. È importante che sappia che, fuori da Azkaban, c’è chi lo aspetta e che la sua vita non è finita. E la famiglia non basta in questo caso. Abbiamo la brutta abitudine di chiudere i criminali in carcere, senza pensare di aiutarli a redimersi. Li allontaniamo da noi, come se fosse l’unica soluzione! Noi possiamo aiutare quel ragazzo! Magari spingerlo a studiare! A non buttare cinque anni delle sua vita così. Non basta stare chiusi in una cella per comprendere realmente i propri errori. Qualcuno ha mai tentato di capire perché i Mangiamorte hanno compiuto le infinite efferatezza per cui sono stati condannati? Appena hanno potuto hanno ripreso la vecchia via! E non mi dire che sono pazzi, perché è una soluzione troppo semplice!».
Il tono della voce della Dawson si era alzato gradualmente e Williams stesso era sorpreso.
«Ma che stai dicendo?» domandò incredulo il professore.
«Quello che ho detto» ribatté la Dawson con fermezza. «Informati sul livello di sorveglianza a cui è sottoposto Jesse e vedi di insistere sull’importanza di aiutarlo. Potremo parlare con la sua famiglia e con i nostri colleghi. Se non sbaglio ha avuto dei M.A.G.O. abbastanza buoni. Se staremo a guardare mentre il talento di un giovane mago si spreca, saremmo dei pessimi insegnanti».
«È una pazzia, anche perché io non ho tutto questo potere» borbottò Williams. «E non sicuro che i nostri colleghi ci aiuterebbero».
«Questo dipende dalla loro coscienza professionale» insisté la professoressa.
«Lo aiuteremo sul serio?» chiese speranzosa Dorcas.
«Assolutamente sì» affermò la Dawson fissando Williams come a sfidarlo a contraddirla.
«Parlerò con il Capitano Potter, se lo ritenete così importante. Ma tu», disse indicando con un dito minaccioso la collega, «chiederai il benestare della McGranitt e dopo tenterai di coinvolgere i nostri colleghi. E tu» continuò ora rivolto a Dorcas, «non ti azzardare a fare nulla, senza il nostro permesso. Sono stato chiaro?».
«Sì, signore» risposero in coro la Dawson e Dorcas, con l’unica differenza che il tono della prima era palesemente ironico.
«Bene, mettiamoci a lavoro» disse la Dawson battendo le mani.
«Ti consiglio di tornare a studiare» borbottò Williams.
«Sì, signore. Grazie mille» sussurrò Dorcas.
La Dawson le regalò un enorme sorriso, Williams si limitò a un pensoso cenno del capo.

*

«Brian, ti devo parlare» disse James, trattenendo il ragazzino che, fortunatamente, aveva incrociato nel corridoio.
«Ho Erbologia. Devo andare in classe» replicò Brian.
«Zio Neville non la farà lunga per qualche minuto di ritardo. Senti, tu conosci Fawley e Canon? I due ragazzi che sono stati aggrediti? E Padma Thomas? Ho saputo che è stata aggredita mentre eravamo in Grecia, con la stessa modalità degli altri due».
«Miki Fawley è mio amico» rispose Brian. «Harry Canon è del mio anno, ma non ho mai parlato con lui».
«Sai che tipo di gente frequenta Canon?» domandò ancora James.
«Nessuno».
«In che senso?».
«Studia solamente e non parla mai con nessuno, almeno durante le lezioni. Infatti la Shafiq lo adora, come nessun altro in tutta la Scuola. Se in Sala Comune parla con i suoi compagni, non lo so; ma sinceramente ne dubito. Non lo trattano per niente bene la maggior parte, gli altri lo ignorano».
James si mordicchiò il labbro pensieroso. «E la Thomas?».
«Non la conosco. Dovrei?».
«È una Corvonero come te» disse James come se fosse ovvio.
«Non conosco tutti i Corvonero… comunque lei l’ho notata, perché ho sentito delle voci e ha ancora il braccio appeso al collo. Non so nulla però» replicò Brian.
«Secondo te che cos’hanno Fawley, Canon e Thomas in comune?».
Brian si strinse nelle spalle, abbastanza teso visto che era in ritardo a lezione.
«Allora ti dico quello che penso io» iniziò James, ma il ragazzino lo interruppe.
«Tu non hai lezione adesso?».
«Sì, ma questo è più importante. Finch-Fletchley capirà. Ascoltami», ribatté James tranquillo, «per quello che ne so, il padre di Fawley si è messo contro i Neomangiamorte anni fa o quel che erano al tempo e ancora oggi è palesemente schierato contro di loro; i genitori di Canon e Thomas hanno fatto parte dell’Esercito di Silente».
Brian aggrottò la fronte mentre rifletteva. «Quindi anche gli altri rischiano?».
«Esattamente! Vedo che fai funzionare il cervello da Corvonero! Dobbiamo tenere d’occhio tutti coloro che potrebbero essere attaccati. E dobbiamo anche capire chi li ha colpiti e che cosa facevano in giro a quell’ora di notte».
«Miki non ha voluto dirmi nulla, non so perché. È molto turbato per quello che è successo».
«Devi insistere» disse James.
«Ci proverò con calma» assentì Brian.
«Prova ad avvicinare anche Canon».
«Cosa?».
«Ti ho detto che è importante! Troverò un modo di controllore anche la Thomas, intanto alla prossima riunione stileremo la lista di tutti coloro che rischiano di essere attaccati e tenteremo di proteggerli. D’accordo?».
«Sì, James, il capo sei tu» mormorò Brian.
«Ora è meglio che tu vada a lezione, sei in ritardo di un quarto d’ora. Zio Neville ti ucciderà…» commentò James minimamente preoccupato.
Brian sgranò gli occhi e balbettò: «Cosa… ma tu…». James non comprese se non riuscisse a trovare dei validi insulti o se fosse andato in panico, comunque corse via senza aggiungere altro.
«Gli insegnanti non sanno quali siano le vere priorità, prima o poi lo capirà» sospirò James, scuotendo la testa.

*

«Non è carinissimo?» chiese Roxi grattando le piccole orecchie dello snaso.
Frank le sorrise di rimando. «Sì, molto. Il mio disegno, però, fa schifo rispetto al tuo».
«Penso che tutti i disegni della classe facciano schifo rispetto al suo» commentò Gretel, che non aveva neanche iniziato il suo.
«Ti sei proprio ammazzata di fatica» borbottò Roxi continuando ad accarezzare l’animaletto. «Secondo voi mia madre me lo farebbe tenere?».
Frank e Gretel risero.
«Secondo voi nevicherà nei prossimi giorni?» chiese Gretel.
«Sì, sulla Gazzetta c’era scritto che questo sarà un inverno molto rigido».
«Che bello» bofonchiò ironico Frank.
«Ragazzi, forza, è ora di andare. L’intervallo è quasi finito. Vedete di finire il lavoro che vi ho assegnato. Intesi? Gretel? Roxi?».
«Stai tranquillo, Hagrid» disse Roxi al mezzogigante che si era avvicinato e gli porse lo snaso. «Adesso che è tornato Frank, ci penserà lui a farci fare tutti i compiti».
«Meglio così» borbottò Hagrid, dando una pacca sulle spalle al ragazzino che per poco non andò a sbattere contro il terreno gelato.
Salutarono Hagrid e si avviarono verso il castello.
«Che peccato che l’intervallo sia quasi finito, dovrebbero farlo durare di più» si lamentò Gretel.
«Magari tutta la giornata» replicò Frank alzando gli occhi al cielo e facendo ridere Roxi. Furono sollevati dal calore della Sala d’Ingresso.
«Ciao, ragazzi».
«Ciao, Rose» replicarono i tre scorgendo la Grifondoro ai piedi dell’affollata scalinata di marmo.
«Stasera dopo gli allenamenti dei Serpeverde. Da Mirtilla. Siate puntuali» sussurrò Rose e corse subito via.
«E io che volevo starmene sotto le coperte in santa pace» sospirò Roxi.
«Non ci pensare neanche, dobbiamo fare i compiti prima e ne abbiamo una valanga» la riprese Frank, salendo le scale.
Roxi e Gretel si scambiarono uno sguardo d’intesa e iniziarono a solleticarlo, il ragazzino strillò suscitando le risate di parecchi ragazzi.
«Dateci un taglio» sbottò una voce severa, che i tre riconobbero all’istante. Le ragazze obbedirono immediatamente e Frank tentò ricomporsi.
«Stavamo solo giocando» si giustificò Roxi.
«Cercate di essere seri e andate in classe» li rimproverò il professor Williams, superandoli rapidamente.
«È stato una piaga per tutto il tempo che siete stati in Grecia e non gli è andata per niente giù che abbiano attaccato la Thomas nonostante la sua sorveglianza» disse Roxi, seccata dal rimprovero.
Frank non commentò. Il loro entusiasmo si era smorzato completamente quando, arrivati al castello, avevano scoperto quello che era accaduto, senza contare che nessuno sembrava saper nulla di quello che James aveva visto in treno. L’amico si era spinto fino a raccontare tutto al padre pur di capirci qualcosa e lo zio Harry non era stato per nulla felice di sentire del suo nuovo colpo di testa. James s’era visto togliere il permesso per andare a Hogsmeade, ma aveva ottenuto solo di scoprire che gli Auror inglesi non sapevano niente. Che cos’era accaduto su quel treno? Quella ragazza che aveva aiutato James chi era veramente? E che fine aveva fatto?

*

«Malfoy, sorridi».
Scorpius accecato dal flash di una macchina fotografica per poco non mollò l’asciugamano che aveva avvolto alla vita.
«Ma sei impazzita? Per le mutande di Merlino!» sbottò riconoscendo Amy Mitchell.
«Assolutamente, no! Sono perfettamente sana di mente, anzi guadagnerò un sacco di galeoni!».
«Con una mia foto mentre sono mezzo nudo!?» replicò Scorpius.
«Non sai quanto pagherebbero le ragazze… sono pazze di te. Qualcuna delle mie compagne vorrebbe pagare anche per un appuntamento con te. Se dici di sì, divido con te. Che ne dici?».
«Neanche per idea. Sono tutte pazze! E non sono d’accordo nemmeno per le foto! Non ti azzardare a distribuirle!» sbottò Scorpius, chiudendosi in bagno per vestirsi.
«E che mi fai sennò?» lo provocò Amy.
«Ti butto fuori dalla squadra!». La replica arrivò attutita, ma ben chiara.
«Non ci credo, la partita inaugurale con i Grifondoro è troppo vicina. E poi mi sono persino messa a studiare!» ribatté Amy. «Suvvia, che ti costa? Renderai felici tante belle ragazze. È solo una foto, si vedono semplicemente gli addominali».
«Io devo andare, fa’ un po’ quello che vuoi» borbottò Scorpius, uscendo dal bagno. «Tanto lo faresti ugualmente, dico bene?».
«Sei così intelligente» lo prese in giro Amy.
Scorpius sbuffò e la salutò con una mano. «Ci vediamo in Sala Comune e studia sennò la Shafiq rompe».
L’ultima cosa che sentì prima di chiudersi la porta alle spalle fu la ragazzina fargli il verso. Lasciò perdere, sia perché lo stavano aspettando sia perché c’era un vento così forte e freddo che non aveva voglia di trattenersi ancora all’esterno.
Quando raggiunse gli altri nel bagno di Mirtilla Malcontenta, era ancora infreddolito.
«Dov’è Emmanuel?» chiese di gettò. Il ragazzino non si era presentato agli allenamenti e non lo aveva neanche avvertito. E adesso non era lì.
«Non lo sai?» replicò perplessa Rose.
«È successo poco prima degli allenamenti, come potrebbe saperlo?» replicò Albus.
«Oh, io sono Albus e so sempre tutto» lo sbeffeggiò Rose.
Albus arrossì, ma si morse il labbro e fece per ribattere, ma James si schiarì la gola. «Abbiamo fretta, non iniziate a discutere, grazie. Emmanuel ha litigato con la cugina grande ed è finito in infermieria».
«Che cosa?! Il mio battitore!» si disperò Scorpius.
«Quanto mi dispiace…» ironizzò Rose.
«Rose, ma che dici!» la richiamò Albus.
«Sono sicura che Emmanuel si rimetterà, ora concentriamoci» intervenne Virginia.
«A che punto siamo con la Pozione Polisucco?» domandò allora James.
«La prossima settimana dovrebbe essere pronta» rispose Virginia. «Quando pensate di agire?».
«Dobbiamo pensarci con calma» sospirò James, per nulla sicuro di quali sarebbero state le mosse migliori.

*

Quel sabato mattina era molto freddo e il tenue sole che aveva fatto capolino tra le nuvole non scaldava minimamente i ragazzi che, nonostante tutto, si avviavano coraggiosamente lungo la stradina che portava a Hogsmeade.
Emmanuel, completamente ristabilitosi per la felicità di Scorpius, teneva per mano Fabiana e sorrideva felice. Il suo migliore amico Tobias li faceva compagnia.
«Che ne dite di una cioccolata calda? Fa molto freddo» propose Fabiana.
«Certo» assentì immediatamente Emmanuel prendendole la mano. Lei aveva guanti blu con lo stemma dei Corvonero e lui quelli di Serpeverde. «Il verde e il blu stanno bene insieme» commentò per giustificare la sua presa di iniziativa.
La ragazzina sorrise. «Sì, molto».
Durante l’estate Madama Rosmerta aveva ripreso in mano i Tre Manici di Scopa, che per qualche anno aveva lasciato in gestione ad altri, per motivi non del tutto chiari alla comunità magica che per lungo tempo aveva così avuto qualcosa su cui discutere.
«Nonostante l’età si vede che dev’essere stata una bella donna» disse Tobias, attirando l’attenzione dei compagni sulla barista che scherzava con alcuni ragazzi più grandi.
«I miei mi hanno detto che molti studenti impazzivano per lei ai loro tempi» replicò Emmanuel, notando un tavolo libero in fondo al locale.
«Vicino al bagno» storse la bocca Fabiana.
«Mi dispiace, ma non ce ne sono altri. Vuoi che torniamo dopo?» le chiese Emmanuel preoccupato e realmente dispiaciuto.
«No, dai fa troppo freddo» lo tranquillizzò la Corvonero.
«A quanto pare, freddo o non freddo, nessuno si è voluto perdere l’occasione di venire a Hogsmeade» asserì Tobias.
«Sembra una normale gita, invece il villaggio pullula di Auror e agenti della Squadra Speciale Magica» disse Emmanuel. «Vado a ordinare. Anche tu vuoi una cioccolata calda, Tobias?».
«Sì, grazie» rispose il ragazzino.
Emmanuel si avviò verso il bancone e attese per qualche minuto il proprio turno. Non poté fare a meno di pensare che i ragazzi che urlavano e ridevano da una parte all’altra del pub, sembravano totalmente incuranti degli ultimi avvenimenti.
 
 
Jack aveva convinto Caroline Smithy, ultimo anno Corvonero, a uscire con lui. Quel freddoloso di Andy l’aveva abbandonato, preferendo il camino della Sala Comune, quasi deserta, e un buon libro alla sua compagnia; mentre Mary Cartemole, l’unica ragazza di Tassorosso del suo anno che sopportava, si era arresa a dover uscire con quelle oche delle loro compagne.
«Andiamo da Madama Piediburro?» domandò Caroline.
«Come desideri» acconsentì Jack. Sicuramente non avrebbe mai intrapreso una relazione seria con una ragazza che al primo appuntamento chiedeva di andare in un posto simile. Nonché ci fosse nulla di male, ma di fatto si andava lì per pomiciare in pace di solito e per lui una relazione non doveva basarsi semplicemente su quello. Si sarebbe comunque divertito. Le sorrise e si avviarono verso il romantico pub.
Presero posto in un tavolino decorato con un vasetto di fiori profumati. Jack non avrebbe saputo dire che fiori fossero, ma a quanto pareva neanche Caroline che si limitò ad annusarli e sorridere incantata.
«Cari, che cosa vi porto?».
Decisamente Madama Piediburro era un personaggio. Quanti anni aveva? Ottanta o novanta? Non era facilmente comprensibile, anche perché si vestiva sempre secondo la moda del momento e si truccava pesantemente facendo sparire qualsivoglia ruga. Comunque negli anni aveva accettato la necessità di assumere degli aiutanti, che, però, sceglieva sempre maschi e di una certa bellezza.
Jack, galantemente, si rivolse a Caroline: «Che cosa prendi?». Oh, sì ci sapeva fare con le ragazze.
«Un caffè, grazie» disse la Corvonero.
«Anche io» soggiunse allora Jack.
«Un posto carino, no?» provò a conversare la ragazza.
«Abbastanza» replicò Jack.
«Allora, cosa ti piace?» continuò ella.
Le ragazze e i duelli pensò istintivamente Jack, ma rispose semplicemente: «Duellare. Mi alleno molto e spero di entrare all’Accademia Auror dopo il diploma. Tu che cosa pensi di fare?».
«Oh, ancora non ho deciso».
Se non baciava bene, non ci sarebbe più uscito. Non tollerava le persone insicure, che non avessero chiari piani della loro vita. Sì, perciò, erano tante le persone che non sopportava. Sorrise un po’ forzatamente e accolse con sollievo l’arrivo dei loro caffè insieme a un piattino di biscotti a forma di cuore. Oh, che originalità.
 
 
«Lascia che tiri le somme» iniziò Roxi.
«No ti prego…» tentò di dissuaderla Frank, ma la sua espressione supplichevole non servì a nulla.
L’amica continuò imperterrita, mentre Gretel lo fissava con rimprovero. «Alice ti ha preso tutta la paghetta di questo mese e Augusta ti ha nuovamente mandato a quel paese. Quanto vuoi aspettare ancora prima di dar loro una lezione e iniziare a farti rispettare?».
Frank sbuffò. «Alice mi ha chiesto un prestito. Mi ha detto che le servivano dei soldi per fare una cosa importante».
«Oh, per Merlino, Frank svegliati! Hai appena finanziato uno scherzo delle Malandrine!» sbottò Roxi.
«Da quand’è che ti dispiacciono i loro scherzi?».
Roxi e Gretel sospirarono nello stesso momento.
«Vorrei solo che non ti usassero come uno zerbino. E va bene, mettiamo pure che i tuoi soldi siano stati spesi per una buona causa, ma con Augusta che intenzioni hai?».
Il ragazzino si strinse nelle spalle. «Marcellus Nott ne ha parlato con Alice e, per quello che ne so, n’è informato anche Jack Fletcher… immagino che le renderanno pan per focaccia… Dovrei fare la spia, secondo voi?».
«La spia mai» replicò convinta Gretel.
Roxi si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio e disse: «Lascia che se ne occupino loro. Andiamo a prenderci una burrobirra calda».
«Poi andiamo da Mielandia?» domandò Frank.
«Comunque siete più pigri di me, è già tardi! Se aveste dormito un altro po’ saremmo anche potuti rimanere al castello» si lamentò Gretel.
«Fa freddissimo!» ribatté Roxi.
«Sei esagerata!» la provocò Gretel.
Frank le lasciò andare avanti per non sorbirsi il battibecco che seguì. Erano giorni che aspettavano la neve da un momento all’altro, ma non era arrivata. Aveva, invece, piovuto molto, infatti la stradina che portava a Hogsmeade era piena di fango. Per fortuna aveva messo gli stivaletti di pelle di drago, che gli tenevano i piedi al caldo.
All’improvviso percepì un ulteriore diminuzione della temperatura, istintivamente pensò che stesse finalmente per nevicare. Fu un solo un attimo, perché quel freddo era diverso. Si bloccò, mentre il panico iniziava a salire. Che cos’era quella strana sensazione? Provò a chiamare le amiche, ma troppo prese dalla loro discussione non lo sentirono. Come facevano a non percepire quel cambiamento nell’aria? Mentre l’inquietudine aumentava, corse per raggiungerle e le tirò per le braccia. «Ragazze» chiamò con voce tremante.
«Che ti prende, Frank?!» sbottò Roxi.
«Non sentite un freddo strano?».
Le due ragazze si guardarono per un attimo e Frank vide cambiare la loro espressione da seccata a preoccupata in pochi secondi. In quell’istante delle urla si alzarono dal centro del villaggio. Ed erano voci terrorizzate.
 
Emmanuel reagì il più velocemente possibile, quando vide gli uomini incappucciati, appena entrati, estrarre le bacchette; spinse Fabiana a terra in modo che fosse coperta dal tavolo. Lui e Tobias fecero altrettanto. Per poco un incantesimo non lo prese in testa. Gli altri ragazzi compresero più o meno rapidamente e tentarono di difendersi, specialmente i più grandi.
«Sono in dieci. Bastardi» sbottò. Che cosa volevano fare? Giocare al gatto e al topo con dei ragazzi?
«Che facciamo?» domandò Tobias spaventato.
Emmanuel osservò alcuni ragazzi, che dovevano essere del settimo anno affrontare i Neomangiamorte. Fabiana e Tobias non avevano fatto allenamenti extra con Williams, perciò non poteva lasciarli soli e lì erano dei bersagli troppo facili.
«Nel bagno, veloci» ordinò ai compagni.
«Perché gli Auror non intervengono?» sbottò istericamente Tobias.
«Non lo so, ma non è un buon segno. Usciamo da qui» replicò Emmanuel, prendendo Fabiana per una mano e guidandola verso i gabinetti. Per fortuna in quello in fondo, c’era una finestra. Non era molto grande, ma avrebbero potuto passarci benissimo. L’aprì rapidamente e fece cenno alla Corvonero. «Prima tu» disse. Fabiana tentò di arrampicarsi, ma ebbe bisogno della spinta dei due Serpeverde.
Un incantesimo fece saltare la porta del bagno. Con il cuore in gola Emmanuel spinse Tobias. «Ora vai tu».
«No, tu come fai da solo?».
«Mi tirate da sopra. Muoviti!» replicò in fretta.
Tobias non era molto atletico ed ebbe bisogno di aiuto tanto quanto Fabiana. Appena l’amico fu sgusciato fuori, saltò sulla tazza del bagno e appoggiando il piede su un tubo scoperto iniziò ad arrampicarsi a sua volta. Emmanuel ringraziò gli allenamenti del Quidditch, e si diede una spinta. A quel punto Tobias e Fabiana lo tirarono fuori.
«Che puzza» borbottò.
«Siamo su un enorme bidone della spazzatura» replicò Fabiana con una smorfia.
«Saltiamo giù allora» disse Emmanuel, dando l’esempio. Finì dritto in una pozzanghera e imprecò, per quanto si rendesse conto che fosse l’ultimo dei loro problemi. Infatti si sentivano voci concitate e grida anche nel bagno adesso. Erano usciti appena in tempo.
«Siamo sul retro del locale» costatò Tobias.
«Andiamo a vedere che fine hanno fatto gli Auror. Bacchette alla mano».
«Sembri tanto Williams» sussurrò Fabiana, ma c’era ben poca ironia nelle sue parole e già teneva ben stretta la sua bacchetta.
«Non rimaniamo qua, però» disse Tobias fissando con apprensione il pub.
«Hai ragione».
Per qualche minuto procedettero nei vicoli secondari di Hogsmeade, rischiando seriamente di perdersi non avendoli mai percorsi. Infine, però, grazie a Fabiana che sapeva orientarsi bene, ne trovarono uno che portava all’High Street.
«Come fai a orientarti così?».
«Sono abituata perché la riserva dei draghi, che dirigono i miei genitori, si trova in un bosco» spiegò la Corvonero.
«Merda».
Entrambi furono richiamati dall’espressione inconsueta sulla bocca di Emmanuel; lo videro schiacciato sulla parete di un negozio e con gli occhi fissi sulla via principale, da cui provenivano urla e rumore di incantesimi.
«Che succede?» gli domandò Fabiana.
«Che cosa sapete dei Patronus?».
 
Hogsmeade era sotto attacco. Appena Rose l’aveva realizzato si era buttata a capofitto nella mischia togliendosi il mantello dell’invisibilità. Con sua somma soddisfazione aveva schiantato un Neomangiamorte, anche se poi aveva scoperto che era solo un mercenario. Il problema principale non erano loro, però. Anzi probabilmente erano quasi tutti mercenari malamente addestrati. No, il problema erano i Dissennatori e quelli che sembravano degli zombie usciti dai film babbani. Gli Auror erano prontamente intervenuti insieme alla Squadra Speciale Magica, ma la guarnigione di Hogsmeade si era rivelata in netta minoranza. Evidentemente avevano calcolato anche questo. Ma per quale assurdo motivo dopo ben dieci minuti ancora non erano arrivati in rinforzi?
«Levati dai piedi, nanerottolo» sbottò salvando un ragazzino del terzo anno da quello che difficilmente era un semplice schiantesimo.
 
 
Jack si stava annoiando parecchio. Aveva decisamente sottovalutato Caroline Smithy. Quella lì non sembrava intenzionata a pomiciare con lui, ma era totalmente persa in un mondo di romanticherie che proprio non comprendeva. Faceva finta di ascoltarla, sorridendo e annuendo quando gli sembrava più opportuno, proprio come faceva in classe quando non era interessato alla lezione. Nel locale vi era una musica soffusa, che, naturalmente, la Corvonero non aveva mancato di decantare, ma a lui stava facendo venire il sonno.
All’improvviso Madama Piediburro cacciò un urlo. Tutte le coppiette fecero attenzione per capire che cosa stesse succedendo, mentre Jack scattava con in pugno la bacchetta. Quando capì che cosa avesse colpito la donna, che si teneva il volto nascosto tra le mani, scoppiò a ridere.
Qualcuno l’aveva spruzzata con una pozione urticante e il volto le si stava riempiendo di bolle.
«Tenga, Madama, si pulisca con questa» trillò quella che Jack riconobbe come Lily Potter. Rimase a bocca aperta nel rendersi conto che, nonostante la donna avesse tentato di tamponarsi delicatamente, sull’asciugamano era rimasto tutto il trucco. Quelle ragazzine erano dei veri diavoli! Come avevano fatto? Ormai tutti ridevano senza ritegno, persino i camerieri della donna che, evidentemente, non le perdonavano di far loro indossare assurdi completini.
Il Tassorosso sghignazzava senza ritegno come gli altri, anche perché la donna si era vista riflessa sull’ampio specchio dietro la cassa e aveva iniziato a urlare. I suo volto era un’articolata e straordinaria ragnatela di rughe.
«Davvero ti fa ridere?» domandò indignata Caroline.
Jack si rese conto che lei non stava ridendo. «Perché a te no?» riuscì a replicare prima di scoppiare a ridere di nuovo. Oh, Merlino gli faceva male anche la pancia per quanto stava ridendo.
«Certo che sei uno stronzo! In qualità di Prefetto dovresti intervenire! Lo dirò a Mcmillan!» sbottò dirigendosi a passo di marcia verso l’uscita, incurante della baraonda scoppiata nel locale.
«Che rottura di pluffe» sbuffò Jack. «Aspettami, per Merlino». La seguì di corsa. Chi sa che aveva da farla tanto lunga. Insomma tutti gli uomini invecchiano alla fine, che Madama Piediburro si conciasse in quel modo e recitasse ogni giorno aveva dell’assurdo. Lo scherzo delle Malandrine sarebbe rimasto nella storia, che Mcmillan, o chiunque altro, approvasse o meno. Avrebbe voluto dirle tutte quelle cose, ma quando la raggiunse fece a malapena in tempo a sorreggerla. Fortunatamente non aveva ancora riposto la bacchetta e creò uno scudo magico proteggendo entrambi dalla successiva fattura che il Neomangiamorte gli scagliò. Lontano dalla musichetta del locale, si rese conto che sulla strada principale si stava combattendo. Appoggiò Caroline a terra il più delicatamente possibile e affrontò il suo avversario. Lo mise in difficoltà facilmente. Troppo facilmente. Dopo averlo schiantato si avvicinò e gli scoprì il volto: era un giovane di colore, proprio come aveva immaginato. Lo legò e tornò subito dalla Corvonero. Il terreno era macchiato di sangue ed ella era pallidissima.
«Accidenti!». La prese in braccio e corse nel locale. La situazione lì era degenerata: Madama Piediburro, compreso lo scherzo di cui era stata vittima, inseguiva le Malandrine con una scopa. Era una donna abbastanza in carne, mentre le Grifondoro erano degli scriccioli e continuavano a prendersi gioco di lei. Nessuno si era preso la briga di intervenire. Amplificò la sua voce con la magia e intimò il silenzio. Tutti lo fissarono trasecolati. «I Neomangiamorte hanno attaccato Hogsmeade. Questa ragazza è ferita» disse rapidamente, poi cominciò a mormorare incantesimi di protezione che aveva letto in un libro di Incantesimi in biblioteca. Non li aveva mai usati, ma era sicuro che avrebbero funzionato.
«Non muovetevi da qui» ordinò ai compagni. Corse fuori per dare una mano agli altri studenti. Come aveva immaginato, sulla via principale regnava il caos più totale.
«Jack».
Il suo nome, poco più di un sussurro. Si voltò verso destra e scorse Rose Weasley sovrastata da un dissennatore. La bacchetta chissà dove. Evocò il suo patronus e la tigre allontanò la mostruosa creatura. Ma ne giunsero molte altre. Affiancò la Grifondoro, che si rialzò rapidamente per quanto apparisse dolorante. La sua tigre fortunatamente venne raggiunta da un maestoso leone. I due patroni misero in fuga i dissennatori.
«Merlino, Rose, mi è preso un colpo. Pensavo che ti avrebbe baciato quel coso». Scorpius Malfoy era più pallido che mai, ma a parte il mantello strappato sembrava incolume.
«Ottimo lavoro, ragazzi» gridò loro un giovane Auror. «Quelli erano gli ultimi».
«Dove cavolo sono i rinforzi? O siete stati così deficienti da pensare di potercela fare da soli?». Rose era fuori di sé, ma né Scorpius né Jack mossero un dito quando ella cominciò a prendere a calci il malcapitato Auror.
«Calmati ragazzina, calmati!» strillò quello.
Scorpius alzò gli occhi al cielo: quelle erano le parole da evitare assolutamente quando Rose era furiosa.
Dovettero intervenire due agenti della Squadra Speciale Magica per staccarla dall’Auror.
«Nel locale di Madama Piediburro c’è una ragazza ferita» comunicò Jack al primo medimago che notò nella confusione.
«Chi è ferita, Fletcher?» domandò la professoressa Spinett, che era stata colpita di striscio a una spalla. Il marito la sorreggeva.
«Caroline Smithy di Corvonero».
«Vado a vedere. Voi raggiungete i vostri compagni. Gli Auror vi scorteranno al castello».
«Dovresti farti medicare» sentirono dire a Oliver Baston, mentre la donna incurante andava a verificare le condizioni della ragazza.
I tre raggiunsero gli altri studenti. A parte qualche ferita superficiale, se l’erano cavata tutti. Scoprirono che, mentre infuriava la battaglia, era sopraggiunta persino la Preside. Il cui intervento, coadiuvato da altri docenti, aveva sicuramente evitato il peggio.
«Ma com’ha fatto a saperlo?» chiese Rose.
«Paciock, Weasley e Finnigan sono corsi al castello a dare l’allarme» rispose il professor Williams, che l’aveva sentita. Era leggermente claudicante.
«Sta bene, signore?» chiese Scorpius.
Williams s’incupì, ma annuì. «Si tratta di una vecchia maledizione, ogni volta che combatto il dolore al ginocchio ritorna. È per questo che non faccio più parte della squadra Auror».
«Malfoy, andiamo ad aiutare gli insegnanti. Ti ricordo che siamo Prefetti» disse Jack, mentre Williams si allontanava.
Scorpius annuì e mesto seguì il Tassorosso, ma non perse un attimo di vista Rose finché non furono al sicuro tra le mura del castello.
 
Angolo autrice:
Buongiorno a tutti!
Spero che vi stiate divertendo in queste vacanze ;-)
Questo capitolo è abbastanza movimentato, spero che vi piaccia.
Il titolo è una citazione di Madre Teresa di Calcutta.
Vi auguro un bellissimo 2018, pieno di magia e tantissima fantasia! :-*
Carme93

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Capitolo 20
*** La vita è la vita, difendila ***


Capitolo ventesimo
 
La vita è la vita, difendila
 
Emmanuel si sfiorò per la millesima volta la guancia. Fabiana, prima di andare nella sua Sala Comune, lo aveva baciato. Era euforico e non aveva neanche assaggiato il whisky incendiario. Senza contare che aveva persino evocato un Patronus! Un Patronus corporeo! Il professor Williams gli aveva fatto i complimenti. La McGranitt aveva premiato lui e Scorpius con ben 100 punti ciascuno e i loro compagni di Casa stavano festeggiando, nonostante il clima generale nella Scuola fosse abbastanza mesto. A parte Caroline Smithy, nessuno era stato ferito gravemente, ma il senso del pericolo incombente li faceva sentire fragili e impotenti. Colse il cenno di Scorpius e curioso lo raggiunse.
«Diamoci da fare» disse semplicemente il più grande.
Emmanuel non comprese, ma lo seguì in mezzo alla folla della Sala Comune. Fissò con una certa curiosità il ragazzino seduto su una poltrona di pelle nera che leggeva delle pergamene strappate.
«Ciao» esordì Scorpius.
Il ragazzino alzò lo sguardo su di loro, palesemente intimorito. Si strinse addirittura gli appunti al petto. Dopo qualche secondo, Emmanuel lo riconobbe: era Harry Canon, il ragazzino del secondo anno che era stato ferito poco tempo prima. Salutò a sua volta, in attesa di capire le intenzioni di Scorpius.
«Allora come va?» continuò quest’ultimo, ma lo sguardo di Harry Canon divenne sempre più spaventato. «Mi chiamo Scorpius» si presentò a quel punto porgendogli la mano. Harry non la strinse.
«Io sono Emmanuel» si presentò a sua volta Emmanuel, tentando di aiutare Scorpius.
Sorprendentemente il ragazzino la sua mano la strinse. Scorpius, però, non si fece scoraggiare e incoraggiò Emmanuel con un’occhiata.
«Che leggi di bello?» tentò quest’ultimo.
«Gli appunti di Trasfigurazione» mormorò Harry.
Emmanuel si accigliò. «E che li è successo? Sembra che un topo te li abbia rosicati!» disse buttandola sullo scherzo.
«Non sono stati i topi».
«E chi?» domandò Emmanuel.
«I miei compagni» rispose lui stringendosi nelle spalle.
«Davvero? Anche mia cugina ti dà fastidio?» chiese sorpreso, mentre Scorpius continuava a fargli segno di parlare.
«Chi è tua cugina?» replicò il ragazzino, che ancora stringeva gli appunti al petto, come se si aspettasse un attacco da un momento all’altro.
«Selene Shafiq».
«Lei no. E nemmeno Antares Flint, ma non posso essere amico suo».
«Perché?».
«È un Flint. Mio padre non vuole. E poi devo studiare, non ho tempo per fare amicizia».
A questo punto Emmanuel si rivolse a Scorpius in cerca di aiuto: quel ragazzino aveva dei seri problemi.
«Quindi non puoi toccarmi la mano per questo. Dopotutto sono figlio e nipote di Mangiamorte» si limitò a costatare Scorpius.
«Ma è una stupidaggine!» sbottò Emmanuel.
«Non ti scaldare. Non è colpa sua se gli hanno inculcato certe scemenze» commentò Scorpius.
«Ma scusa, che cosa dice tuo padre del fatto che sei un Serpeverde?» chiese allora Emmanuel.
Harry sgranò gli occhi e si alzò guardandosi intorno freneticamente. Voleva scappare. Scorpius si spostò verso destra, il tanto che bastava per bloccargli la strada. Il ragazzino entrò in panico.
«Vogliamo solo parlarti» insisté Emmanuel. Ormai, però, non li ascoltava nemmeno, perciò Scorpius desistette e lo fece passare. Harry scappò nei Dormitori maschili.
«Accidenti!» sbottò Scorpius.
«Perché hai lasciato perdere?» gli chiese Emmanuel.
«Perché non volevo torturarlo, credo che già lo facciano fin troppo gli altri Serpeverde».
«E che facciamo?».
«Niente per ora» sospirò Scorpius. «James ha parlato con Brian, vediamo che fa lui».
«Scorpy, perché non ci racconti ancora della tua tigre?» lo richiamò una voce alquanto melensa.
Scorpy?! E questo nomignolo da dov’era uscito? pensò infastidito, voltandosi verso Nadine Parkinson. Odiosa ragazzina.
*
Albus ripose la lettera in un libro sorridendo. Aveva temuto che Daila non gli avrebbe scritto, invece l’aveva fatto eccome!
«E chi ti ha scritto?!» strillò trionfante Rose. Albus non fece in tempo a fermarla. Quanto era stato ingenuo! Ella srotolò la pergamena e la lesse ad alta voce.
Alastor lo fissò palesemente solidale, Elphias ridacchiò insieme a Isobel, inutile dire che Cassy e Rose si misero a ridere. Ecco perché non voleva dire nulla a loro!
«Ridammela!» gridò, tentando riprendersela. Si mise a inseguirla per tutta la Sala Comune. «Sei una grandissima impicciona, per Merlino!».
«Dai, Rose, lascialo stare» provò Alastor.
«Noooo» trillò la ragazza. «Suvvia Al, voglio proprio vederti sbaciucchiare una ragazza! Ma sai come si fa?».
«SMETTILA!» urlò Albus fuori di sé dalla vergogna.
«Al, per Merlino! Non urlate o sveglierete tutti!» intervenne Elphias.
«Se non ti fermi immediatamente, lo dirò a zia Hermione» minacciò a quel punto Albus, con il volto completamente rosso.
Rose si bloccò di scattò sul divano. La sua espressione passò rapidamente dallo scioccato all’omicida.
«Tu, traditore dei miei stivali! Come osi minacciarmi così?» disse a denti stretti.
«Restituiscimi la lettera» ripeté Albus altrettanto arrabbiato.
«Rose, per favore, è l’una di notte. Siamo tutti stanchi» disse Isobel ragionevole.
«E va bene, ma non finisce qui» si rassegnò Rose, restituendo la lettera al cugino.
«Pronti per il test di Incantesimi di domani?» sospirò Alastor, tentando di cambiare argomento.
«Spero di sì, la Shafiq ha detto che punirà chi prenderà meno di A» replicò Elphias.
«Che rottura di pluffe. Sto cominciando a odiare tutti in questa Scuola» sbuffò Rose, gettandosi sul divano.
«Stavolta ti è andata fin troppo bene» borbottò Elphias. «Uscire dai confini della Scuola senza permesso equivale a una sospensione».
«Io ho contribuito quanto Emmanuel, Scorpius e Jack! Eppure loro si sono beccati complimenti e un’infinità di punti per le loro Case, mentre io una punizione e una strillettera da mia madre! E che paternale mi ha fatto zio Neville! Ma vi sembra normale? La Preside mi odia!» sbottò Rose.
«Non so se la mia prozia ti odi o meno, ma al momento sono sicura che sia incazzatissima con te» commentò Isobel.
Rose le fece il verso in modo molto infantile.
«Non puoi fare sempre quello che vuoi» intervenne Elphias.
«Vuoi scommettere?» ribatté ella.
«No. Il mio è solo un consiglio» replicò lui serio. «Stai camminando su un filo, rischi di cadere».
«Nessuno di noi vuole che tu sia espulsa, Rose» provò Alastor gentilmente. Albus era ancora troppo arrabbiato e per nulla incline a ragionare con lei.
«E se non vuoi farlo per te, fallo per Grifondoro. Hai perso 100 punti in una volta! E siamo all’ultimo posto in classifica. Sono anni che non vinciamo la Coppa delle Case!» soggiunse Elphias.
«Guardate che la predica me l’hanno già fatta!» sbottò Rose, alzandosi. «Smettetela di rompere, porco Merlino!».
«Stai attenta, Rose» mormorò Isobel.
«Cassy, dille qualcosa tu» sbuffò Elphias spazientito.
«Io? Ti ricordo che ero con lei a Hogsmeade senza permesso. I miei vorrebbero uccidermi e anche io sono sul filo della sospensione, se non dell’espulsione» ribatté la ragazza. «E Rose ha ragione: smettete di rompere le pluffe!».
Si alzò anche lei e raggiunse l’amica che era già ai piedi delle scale che portavano al loro Dormitorio.
«Aspettate, dove andate? Non avete ancora finito di ripetere! Non ricordate le cose basilari» le fermò Elphias.
«Allora non capisci?» chiese Cassy.
«A noi non interessa» concluse Rose.
Sotto gli occhi stupiti di Elphias le due ragazze se ne andarono in camera.
«Non le sopporto più» sbuffò Albus. «Me ne vado a letto, buonanotte ragazzi».
Gli altri tre ricambiarono a mezza voce. Alastor lo seguì in camera, lasciando un po’ di privacy ai due compagni.
*
«Sei in prima pagina» annunciò Annie Ferons.
Scorpius sospirò e si sedette a tavola. Si riempì un tazza di thè in silenzio. «Ho saputo. Le nostre compagne si sono premurate di dirmelo».
«A quanto pare il fatto che tu abbia contribuito ad aiutare una Weasley e tutti gli altri è sorprendente visto il cognome che porti» disse Annie.
Il ragazzo sbuffò, ma non commentò.
«Ciao, posso sedermi qui?».
Scorpius forzò un sorriso e annuì in direzione di Arya Wilkinson. «Certo».
«Ehi, devi vedere questo» disse Alex Dolohov, sbattendo una rivista sul tavolo e facendo così rovesciare un piatto di bacon.
«Sempre danno devi fare» sbuffò Annie.
«Se c’è un articolo su di me in quella rivista, non dirmelo» l’avvertì Scorpius indicando nauseato Il Settimanale delle Streghe.
«No, ancora no. Ti prometto, però, che se la Sketeer dovesse scrivere qualcosa lo leggerò ad alta voce a beneficio di tutta la Scuola» replicò Alex.
Scorpius le rispose con un gestaccio, suscitando le risatine di Annie e un timido sorriso di Arya.
«Comunque tuo nonno e tuo zio hanno annunciato il matrimonio di tuo cugino» disse Alex.
«Mia mamma mi aveva avvertito» replicò Scorpius. «Sono contento per loro. Tutto quest’entusiasmo per Arion?».
«Non sono entusiasta, sono furiosa! Non sai leggere?» ribatté ella indicando un articolo.
Scorpius fece finalmente attenzione all’articolo in questione, imitato da Annie e Arya.
Lupo mannaro a Hogwarts. La McGranitt vuole emulare Silente?
«Mi rifiuto di leggerlo. È della Sketeer?».
«Sì, ed è pieno di fesserie» sibilò Alex.
«Secondo voi Jonathan come l’ha presa?» domandò Annie.
«Come vuoi che l’abbia presa?» sbuffò Alex. «Quella schifosa è arrivata a ipotizzare che l’autore degli attenti a Canon, Fawley e Thomas sia lui».
Scorpius sputò il thè sulla rivista.
«Che schifo, Scorp» disse Annie alzando gli occhi al cielo.
«Tanto l’ho fregata alla Rogers» commentò incurante Alex.
A Scorpius non interessava minimamente di chi fosse il giornale, cercò Jonathan al tavolo dei Corvonero.
 
Lì la situazione era abbastanza tesa. Non tutti leggevano Il Settimanale delle Streghe, ma naturalmente chi lo faceva aveva provveduto a far girare l’articolo. Virginia fissava di sottecchi Jonathan che mangiava di malavoglia, probabilmente erano stati Dexter Fortebraccio e Raj Kumar a trattenerlo.
«Ti ha scritto tuo padre?» chiese Martha indicando la lettera che aveva appena letto.
«No, mia madre» replicò Virginia pensierosa. «A quanto pare ha già saputo di Jonathan. Vorrei sapere come fa da Berlino a essere sempre informata!».
«Basta avere i contatti giusti» commentò ragionevole Martha.
«Secondo lei dovrei smettere di rivolgere la parola a Jonathan e in qualità di Prefetto dovrei anche evitare che gli altri studenti stiano in sua compagnia».
«Non conosce Williams».
Virginia fece una smorfia. «E mio padre si arrabbierebbe se lo sapesse».
«Ignorerai la richiesta?» domandò Martha.
Virginia la guardò per un attimo, poi strappò la lettera. «Sai che ti dico? Mi sono stancata di mia madre, che mi scrive solo per avere il resoconto settimanale dei miei voti. Non le risponderò proprio».
«Non credi di esagerare? Non mi sembra una donna paziente».
«Non lo è mai stata, infatti; ma lei è a Berlino e io sono qui. Non può farmi nulla. Ogni tanto potrebbe anche chiedermi se sto bene».
«Wilson, i miei genitori chiederanno un appuntamento alla Preside per discutere della presenza di Goldstain a Scuola. I tuoi sono disponibili?».
Martha e Virginia si voltarono verso Artemisia Belby, che aveva parlato. «No, mi dispiace. Mio padre non approverebbe. Mia madre ha da fare ed è fuori dall’Inghilterra».
«Peccato. Tuo padre come Auror, però, dovrebbe comprendere la pericolosità della situazione. I genitori di Lycoris, Thomas, Carole e di Chantal verranno senz’altro. C’è sempre il problema di Eva Lestrange, vi ricordo. Quella ragazza è una piaga. Non riesco neanche a dormire sapendo che è nella mia stessa stanza. Naturalmente questo si ripercuote sullo studio e non va affatto bene. Annie Yaxley non mi ha neanche risposto. La solita maleducata. E dire che appartiene a una famiglia purosangue! Ma d’altronde suo nonno era un Mangiamorte…».
«Sai, Belby, io sarò anche maleducata ma tu sei una pettegola di prima categoria» sbottò Annie Yaxley, che evidentemente aveva sentito tutto. Sotto gli occhi di tutti i Corvonero prese una caraffa di succo di zucca dal tavolo e gliela verso in testa. Artemisia strillò e tentò di tirarle i capelli. Annie aveva una corporatura abbastanza fragile e aveva lineamenti delicati, al contrario Artemisia era più in carne anche se sicuramente era più curata con tanto di trucco e capelli ben acconciati.
Annie la fermò, bloccandole le mani per evitare che la graffiasse, ma Artemisia era decisamente più forte e le amiche le diedero manforte.
«Ehi» intervenne Virginia scioccata. «Ma siete impazzite?!».
Dexter le fu subito accanto, tentando di proteggere Annie allontanandola dalla furia della compagna. Ci riuscì con l’aiuto di Laurence Roberts, il loro Caposcuola. Per un attimo, mentre la calma tornava al loro tavolo, Virginia si stupì che Williams non fosse intervenuto, ma, quando si voltò verso il tavolo degli insegnanti, notò che li stava fissando torvamente. Avrebbe affrontato la questione in separata sede.
 
Gli studenti delle altre Case avevano assistito al litigio tagliandosi dalle risate. Insomma era un buon modo per cominciare la settimana, mettendo anche in conto che i Corvonero avrebbero perso un bel po’ di punti per quella sceneggiata e tutti non vedevano l’ora di approfittarne, specialmente i Tassorosso che erano secondi in classifica.
Dorcas, per conto suo, aveva altro da pensare e non si entusiasmò molto quando Edward Zabini e Noah Hunter attirarono la sua attenzione sul tavolo dei Corvonero.
Suo padre le aveva scritto furioso. A quanto pare Williams e la Dawson erano riusciti a fare qualcosa; che cosa dalla lettera non si capiva. Di chiaro c’era solo il divieto paterno di andare avanti sulla strada che aveva intrapreso.
«Ma dai, Dor! Devi vedere la faccia della Belby!» insisté Eddie.
«Edward, credo che Dorcas abbia ben altri problemi per la testa».
Dorcas si voltò di scatto, ritrovandosi davanti la Dawson con il suo consueto sorriso incoraggiante.
«A lezione ti dirò quello che abbiamo organizzato con la professoressa McGranitt e il Ministero. Ci vediamo più tardi».
«Va bene, grazie, professoressa» replicò sorpresa e curiosa Dorcas. Si disse che avrebbe affrontato il padre dopo aver sentito che cosa avevano deciso. Ripose la lettera in borsa e assentì quando i compagni le dissero che sarebbe stato meglio avviarsi.
*
«Preparatevi, ora assisterete alla vendetta del secolo. Afia Gamal si pentirà di essersi messa contro di noi» annunciò Lorein Calliance con aria cospiratoria.
Roxi, Gretel e Frank si fissarono preoccupati.
«Che intenzioni hai? Schacklebolt sarà anche più buono degli altri insegnanti, ma se entra in classe e trova il delirio…» iniziò Roxi.
«Oh, no tranquilla. Il mio piano è perfetto. Guardate voi stessi» tagliò corto Lorein Calliance.
I tre Grifondoro osservarono Halley Hans avvicinarsi ad Afia, seduta al primo banco. Il ragazzino si schiarì la gola e disse a voce alta, in modo da farsi sentire da tutti i compagni: «Afia, sei una ragazza fortissima. Mi piaci tantissimo». E la baciò. Per un attimo scese il silenzio totale sulla classe, poi molti iniziarono a fischiare come forsennati. Quella clima da stadio di Quidditch venne meno solo all’entrata del professore, che non disse nulla ormai conscio dell’irrequietezza dei Grifondoro del quarto anno.
Afia era tutta rossa in volto. Difficile dire a quel punto se per la rabbia o per l’imbarazzo.
«Tutto qua?» sussurrò Gretel.
Roxi si strinse nelle spalle.
«Secondo me Afia ammezzerà Halley» replicò Frank.
«Staremo a vedere. Non ho proprio idea di che cosa abbia in mente Lorein» commentò Roxi.
*
«Ragazzi, prima che andiate, volevo rendervi partecipe del nuovo progetto approvato dalla professoressa McGranitt e realizzato in collaborazione con il Dipartimento di Applicazione della Legge sulla Magia» iniziò la Dawson.
Albus ripose il manuale e gli appunti, chiedendosi se avessero intenzione di complicargli ulteriolmente la vita.
«Ad Azkaban sono detenuti molti giovani maghi, alcuni condannati per gravi crimini, altri per motivi minori. Credo sia importante aiutare questi giovani a recuperare gli studi per chi non ha avuto la possibilità di ultimarli o, in caso contrario per approfondire determinate discipline, ma soprattutto a favorire la loro reintegrazione nella società quando avranno scontato la pena».
Un brusio si sollevò dai Tassorosso e Grifondoro che seguivano insieme Storia della Magia.
«Sta scherzando, professoressa?» domandò basito Elphias. «Sono dei criminali, che cosa dovremmo fare noi?».
«No, sono serissima. Dovete scriver loro. Un amico di piuma, insomma. E in caso spiegarli anche argomenti scolastici. Naturalmente, si terrà conto delle loro necessità e del loro livello di preparazione. Si è deciso di coinvolgere esclusivamente i ragazzi dal quinto anno in su, in quanto riteniamo che siate più maturi» replicò la Dawson.
«Siamo obbligati a partecipare?» chiese una delle gemelle Danielson.
«No, siete liberi di decidere. Chi vuole partecipare mi darà il suo nominativo prima di andare» rispose la professoressa.
«Questo progetto verrà valutato, professoressa?» domandò Noemi Finch-Fletchley.
La Dawson sembrò seccata dalla domanda. «No, non ha nulla a che vedere con la Scuola questo progetto. Al massimo se vorrete, potrete inserirlo nel vostro curriculum».
«Mio zio non è d’accordo con questo progetto. Mi ha detto che, anche se Susan Bones e il Ministro Granger l’hanno approvato, moltissime persone importanti hanno storto il naso al Ministero» disse Annabelle Dawlish in tono saccente.
«Nessuno è obbligato a prendere parte a questo progetto, chiaro?» sospirò l’insegnante. In quel momento per fortuna suonò la campanella. «Potete andare. Mi raccomando pensateci e se qualcuno di voi è già convinto me lo dica, per favore».
«Voi che ne dite?» chiese Noah.
«Non lo so. Se la Preside ha approvato, penso non ci sia nulla di male» replicò Eddie. «Anche se, personalmente, non credo che vogliano essere aiutati».
«Mio padre me l’ha vietato» confessò Dorcas.
«Cosa? Ma non è stata una tua idea?» domandò Albus, sopraggiunto appena in tempo per sentirla.
«Infatti non so che fare».
«Io e Alastor ci siamo» disse Albus.
«Solo voi?» replicò Dorcas.
«Elphias non è d’accordo e Isobel gli dà sempre ragione. Rose e Cassy non vogliono saperne nulla. E poi ieri sera abbiamo discusso, per cui non abbiamo parlato molto oggi» spiegò Alastor.
«Che intenzioni hai?» chiese allora Noah a Dorcas.
«Fregatene di tuo padre» suggerì Eddie. «I genitori rompono sempre le pluffe».
«Ragazzi, allora siete interessati?» li richiamò la Dawson.
Smisero di confabulare e si avvicinarono alla cattedra. Diedero tutti il proprio nome, compresa Dorcas.
«Sei sicura della tua scelta? Sai che lavoro fanno i nostri genitori, lo verranno a sapere» le sussurrò Albus, mentre si recavano alla lezione successiva.
«Glielo scriverò nella prossima lettera. È troppo importante per me. Prima o poi lo capirà».
Albus la fissò mentre si allontanava con gli altri Tassorosso: perché si era fissata con Jesse Steeval? Aveva una paura terribile che rimanesse scottata.
«Al, facciamo tardi!» lo chiamò Alastor.
«Sì scusa, andiamo» sospirò.
*
«Ciao, Harry».
Brian appoggiò le mani sul tavolo, ma non riuscì a sorridere. Era molto nervoso.
Harry Canon lo fissò stranito. Il che era plausibile visto che non si erano mai parlati. Appariva spaventato. Scorpius gli aveva raccontato del tentativo fallito nella loro Sala Comune. Brian sospirò, non aveva che pochi minuti prima dell’arrivo di Mcmillan.
«Posso sedermi qui?» decise infine.
«Direi di no, Carter» rispose per lui Mike Zender spintonandolo.
«Sei un Serpeverde? No? Allora sparisci» rincarò Edison Andersen, spingendolo a sua volta.
«Zender» sibilò minacciosa Annika, che aveva seguito la scena.
«Buongiorno, ragazzi» disse il professor Mcmillan entrando in aula.
Brian sospinse Annika verso il loro solito tavolo, sperando che non volesse attaccare i Serpeverde davanti all’insegnante.
«Perché si siedono con lui? Non l’hanno mai fatto» sussurrò Drew sospettoso.
«Non lo so» sospirò Brian. «Ma non mi piace».
«Quanto siete stupidi» sussurrò Annika. «Naturalmente vogliono qualcosa da lui».
«E cosa?» replicò Drew, aggrottando la fronte.
Louis gli diede una gomitata leggera e un po’ goffa, Annika alzò gli occhi al cielo anche se era ormai abituata.
«La smettete di chiacchierare?» domandò retoricamente il professor Mcmillan accostandosi al loro tavolo.
«Scusi, signore» rispose all’istante Brian, seguito a ruota dai compagni.
«Ho detto che dovete distillare la Pozione Occhiopallato e la valuterò. Questi sono i vostri temi corretti. Mettetevi a lavorare» istruì Mcmillan, prima di riprendere a passeggiare tra i banchi.
«Ecco perché» disse Annika a Drew, che rimase perplesso per alcuni secondi prima di capire a che cosa si riferisse.
Brian fissò Harry Canon chino sul proprio calderone. Non poteva aiutarlo.
«Non cominciate a chiacchierare!» li ammonì Louis, che non voleva essere richiamato ancora.
Brian prese le zanne di serpente e iniziò a pestarle nel mortaio.
«Deve essere una polvere bella fine» gli raccomandò Drew, che era bravo quasi quanto Louis in Pozioni.
Seguì con attenzione le istruzioni, ma ogni tanto lanciava un’occhiata in direzione di Canon.
«Brian! Solo 30 secondi!» lo richiamò Drew. «Aggiungi gli altri ingredienti prima di fare un pasticcio».
«Jordan, guarda il tuo calderone» lo richiamò Mcmillan.
«Ma ha gli occhi dappertutto?!» borbottò Annika a voce bassissima.
«Orario non antiorario» dovette intervenire di nuovo Drew scuotendo la testa. Naturalmente Mcmillan lo sentì e tolse cinque punti a Corvonero.
Brian si demoralizzò. Era mai possibile, che fosse sempre lui in difficoltà? Lasciò riposare la pozione per 41 minuti. Non aveva la stessa tonalità prevista dal manuale, ma non mancava molto. Mcmillan richiamò un paio di volte anche Harry Canon. Come il Serpeverde facesse a concentrarsi con quei due accanto era un bel mistero. Comunque tentò di pensare al proprio lavoro e osservò con attenzione l’orologio e appena il tempo terminò inserì due rametti di aconito e mescolò in senso antiorario.
«Non è male» approvò Drew, che concluse pochi secondi dopo di lui.
Quando finirono tutti, il professore fece il giro della classe per osservare i lavori completi. «Bene, mi sembra che la pozione migliore sia quella di Weasley. Dieci punti a Corvonero. Prima di uscire consegnatemi una provetta, così potrò mettervi il voto».
Brian si diresse alla cattedra desideroso di uscire al più presto da lì; mentre passava accanto a Canon vide chiaramente Andersen fargli cadere la fialetta dalle mani. E quando il ragazzino tentò di riempirne un’altra si accorse che il suo calderone era vuoto. Zender e Andersen felici andarono a consegnare le loro.
«Dillo al professore» intervenne immediatamente Brian.
Harry Canon, però, era nel panico. «Non posso prendere uno zero. Non posso».
Brian si rese conto che non stava parlando con lui, anzi non considerava neanche la sua presenza. «Stai tranquillo» tentò invano. Harry non si prese neanche la briga di raccogliere le proprie cose e corse fuori dall’aula.
«Ma che ha?» gli chiese Annika, scuotendolo.
Brian le raccontò brevemente quello che era accaduto. Louis, che aveva ascoltato in silenzio, si avvicinò ai calderoni dei tre Serpeverde e li esaminò.
«Scommetto che hanno consegnato la pozione di Canon e mischiato quella che rimaneva ai loro calderoni. Sono due deficienti» sentenziò infine.
«Avete intenzione di fare salotto?» li richiamò il professore. In effetti erano rimasti solo loro.
Louis, con la diplomazia che lo contraddistingueva, spiegò all’insegnante quanto avvenuto. Non poteva sopportare che quei due la facessero sempre franca.
«Secondo voi che cosa farà?» chiese Drew, quando furono fuori dall’aula.
«Immagino che parlerà con Canon. Insomma l’unico dato su cui può basarsi è che lui non ha consegnato. Non l’ha mai fatto e in più ha sempre avuto voti alti come i miei» replicò Louis riflessivo.
«Quasi come i tuoi» lo corresse Annika. «Ancora non capisco perché non sei stato nominato miglior allievo del primo anno l’anno scorso. Lo meritavi più di lui».
«Forse per la storia della Pietra Filosofale» ipotizzò Drew.
«Non è per la condotta» disse Louis fermandosi e abbassando la voce. «Ascolta, Brian, non possiamo aiutare Canon. Non più di tanto comunque. Il suo problema non è Zender. I professori lo sanno, ma non possono farci nulla nemmeno loro».
«Di che stai parlando?» domandò sorpreso Brian. «Sai qualcosa? James sta indagando!».
«Il professor Williams mi ha detto di non dirlo a nessuno» replicò Louis.
«Williams? E che c’entra con un Serpeverde?» ribatté Annika.
«È il nostro Direttore e la Preside ha dovuto spiegargli perché non ha premiato me. E lui l’ha detto a me, perché non ci rimanessi troppo male».
«E quando te l’ha detto?» chiese Drew.
Louis arrossì e distolse lo sguardo. Gli amici si fissarono interrogativi. «Quest’estate. C’ero rimasto male sul serio. Insomma ho combinato quel macello con Pauline e avevo sperato di rifarmi almeno con gli esami. Canon è stato scelto come miglior studente e io ho creduto di non aver fatto abbastanza. Così ho tentato di recuperare quest’estate…».
«Recuperare che cosa? Hai preso il massimo in tutte le materie!» lo interruppe Annika scioccata.
Louis si strinse nelle spalle e spiegò: «Mia madre era della stessa opinione, così ha scritto a Williams chiedendogli spiegazioni».
«Tua mamma è una forza!» commentò Annika.
«Anche la mia l’avrebbe fatto» disse convinto Drew.
Brian rimase in silenzio.
«Quindi che ha di speciale Canon?» domandò Annika.
Louis sospirò. «I suoi genitori non gli vogliono più bene da quando è stato smistato a Serpeverde».
Brian, Annika e Drew lo fissarono scioccati.
«Che idiozia!» disse la ragazzina.
«Non puoi dire sul serio! I miei genitori erano Grifondoro e non sai quanto ci tiene mio padre ancora oggi. Ma, a parte battute stupide, non è cambiato nulla tra di noi quando sono diventato un Corvonero» aggiunse Drew.
«Anche mio padre era un orgoglioso Grifondoro e mia madre una Tassorosso. In verità mio padre pensava che sarei stato smistato a Tassorosso. A lui, comunque, non è mai interessato» soggiunse Brian.
«Il problema è più grave» ribatté Louis. «Il padre di Canon è stato un membro dell’Esercito di Silente insieme al fratello maggiore. All’epoca della battaglia finale aveva circa quattordici anni e suo fratello sedici. Se ricordate i nomi della Cerimonia di Commemorazione, Colin Canon è una delle cinquanta vittime. A quanto ho capito Dennis Canon, il padre di Harry, non ha mai superato il dolore della perdita, nel tempo il dolore si è trasformato in rancore verso tutti coloro che hanno anche solo avuto a che fare con i Mangiamorte e Voldermort. E naturalmente la Casa di Serpeverde».
«Sono solo pregiudizi. Ci sono stupidi in tutte le Case, persino nella nostra!» sbottò Annika.
«Non sono pregiudizi. Non capite? Il rancore l’ha logorato, non ragione più. Il mondo per lui è diventato o bianco o nero. E suo figlio ora è nel nero. Harry si è impegnato tantissimo per tutto l’anno scorso, sperando di sopperire alla grave mancanza con voti alti. I professori hanno voluto aiutarlo così. Anche loro hanno le mani legate. Sono sicuro che la McGranitt abbia provato a far ragionare Dennis Canon» spiegò Louis.
«Ecco perché oggi è entrato in panico» sospirò Brian. «Ma perché, quella notte in cui è stato attaccato, non era nel suo dormitorio? E non possiamo proprio aiutarlo?».
«Diventeremo suoi amici» decretò Annika.
I ragazzi assentirono, anche se non pienamente convinti. Specialmente Brian era sempre più confuso: perché Harry, Miki e la Thomas erano usciti dopo il coprifuoco? Non poteva essere una casualità che poi fossero stati attaccati.
*
«Allora, Gamal, quanto hai preso?» domandò derisorio Tylor Jordan.
Adisa non colse la sua ironia e gli mostrò la sua D. James intervenne all’istante: «Alla larga».
«Ma, dai, Gamal è troppo ignorante» ridacchiò Christopher Belson.
«Non vedi che ha fatto anche errori di ortografia! Non sa né leggere né scrivere» rincarò Hermann Mason di Tassorosso, prendendo la pergamena dalle mani di Adisa.
A quel punto il ragazzo comprese che lo stavano deridendo e si corrucciò.
«Professore, Jordan, Belson e Mason ci danno fastidio» risolse immediatamente la questione Benedetta alzando la mano e attirando l’attenzione. Sapeva fin troppo bene che James sarebbe passato alle mani rapidamente.
Justin Finch-Fletchley sospirò e si avvicinò al gruppetto. Solo undici ragazzi avevano deciso di continuare la sua materia ai M.A.G.O. e alcuni l’avevano fatto solo nella speranza di avere un facile voto alto. Personalmente non gli interessava. «Signor Jordan, che cosa ho detto sull’infastidire le tue compagne?».
«Non ho detto nulla a Merinon. È lei che si impiccia in ciò che non la riguarda» si difese Tylor.
«Sono un Prefetto» ribatté Benedetta.
A sedici anni erano ancora peggio che a tredici. «E posso sapere a chi hai dato fastidio?».
«A nessuno» rispose prontamente Tylor. «Piuttosto Potter non stava seguendo».
James lo fulminò. Era vero: aveva trascorso la lezione a elaborare un piano per beccare i ragazzi che si riunivano nella Stanza delle Necessità di notte. Nervosamente nascose la pergamena sotto il manuale di Benedetta. Tylor provò a prendergliela, ma gli diede uno schiaffo sulla mano.
«Ha preso in giro Adisa per le sue difficoltà con l’inglese» riferì Benedetta imperterrita.
«Siete così infantili, che mi chiedo quando maturerete» borbottò il professore. «Smettetela o vi butto fuori».
«Rompipluffe» disse Tylor dando un calcetto a Benedetta sotto il banco. James fece per intervenire, ma l’insegnante lo precedette prima.
 «Jordan, non tirare troppo la corda. Anche se tua madre non gestisce più I Tre Manici di Scopa, mi ha raccomandato di andarla a trovare spesso a Diagon Alley così da tenerla informata su di te».
Tylor strabuzzò gli occhi. Gli altri ragazzi risero divertiti.
Alla fine della lezione James trovò Brian ad aspettarlo nel corridoio.
«Miki si è finalmente confidato» disse concitato.
«E allora?» replicò James.
«Ha detto che qualcuno gli ha mandato un bigliettino durante le lezioni. Era firmato con il nome di suo fratello e la calligrafia era la sua. C’era scritto che voleva incontrarlo per parlargli di una cosa importantissima e non poteva farlo in presenza di altri».
«Che idiozia. Gabriel Fawley è il classico Prefetto-Perfetto. Non avrebbe mai chiesto al fratellino di violare le regole!».
«È anche per questo che Miki è molto turbato. Suo fratello si è arrabbiato dopo quello che è successo e lui non se l'è sentita di raccontargli tutto. Si è sentito troppo stupido».
«Comunque sia, questo come dovrebbe aiutarci?» domandò James.
«Padma Thomas ha ricevuto un bigliettino anche lei e con quello è stata attirata fuori dal Dormitorio dopo il coprifuoco».
James si accigliò. «Come fai a saperlo? Che io sappia neanche lei ha raccontato nulla ai professori».
«Abbiamo giocato un po’ sporco» ammise Brian, temendo palesemente la reazione del Grifondoro. «Ha una cotta per te e Louis le ha detto che avrebbe messo una buona parola».
«Che cosa! Ma io sono fidanzato!» si irritò James, guardando Benedetta. Demetra e Robert ridacchiarono. La ragazza, però, non sembrava turbata dalla confessione del ragazzino.
«Lo so, scusa, ma almeno così ci ha detto tutto. Avevi detto che era importante» si difese Brian.
«Lasciamo perdere» sbuffò James ancora infastidito. «Che vi ha detto?».
«Il suo bigliettino era firmato da tua sorella Lily».
«Che?!» sbottò James, pensando che quella conversazione stesse diventando sempre più assurda.
«C’era scritto che lei aveva scoperto della cotta di Padma e le voleva parlare. Padma ha paura delle Malandrine e sperava di convincerle a non dirti nulla».
«E Canon?» chiese Robert pensieroso.
«Non viene a lezione da ieri» rispose Brian e raccontò loro quello che era accaduto a Pozioni.
«È presumibile che abbiamo usato lo stesso trucchetto del bigliettino per attirarlo» commentò Benedetta.
«È quello che pensiamo anche noi» concordò Brian.
«Bene, sei stato bravo. Se scopri qualcos’altro vieni pure a dirmelo» disse James, decidendo che non avrebbe mai potuto strozzare Louis per la storia della Padma, perciò neanche Brian.
«Veramente c’è dell’altro» disse serio Brian.
«Cosa?» chiese Robert.
«Sarah Burke ha ricevuto un bigliettino oggi. Vogliono vederla sabato dopo mezzanotte».
«La firma?» domandò James.
«Stavolta è anonimo. Il mittente dice di essere in possesso di un importante segreto su suo fratello; in più dice che la sua morte è una finzione degli Auror. Il segreto è proprio dove si trovi».
«E Sarah ve ne ha parlato o l’avete scoperto voi?» chiese Robert.
«Abbiamo parlato ieri sera con la Thomas e oggi con Miki. Appena abbiamo capito come si muovono, abbiamo detto ai nostri compagni di stare attenti e Sarah si è confidata» rispose Brian.
James annuì. «Siete stati bravissimi».
«Andiamo a raccontarlo a Maxi?» domandò Brian.
«No».
«Come no?» ribatté Benedetta allarmata.
«Che vuoi fare, Jamie?» chiese invece Robert.
«È il momento di usare la Pozione Polisucco. Uno di noi prenderà le sembianze di Sarah e…».
«Ma che dici?» sbottò Robert. «La Polisucco serve per scoprire i loro piani. Sarah non è una di loro, vogliono solo colpirla. Dovremmo seguirla e vedere chi incontra».
«Volete usare una ragazzina come esca?» li fermò Benedetta contrariata.
«Le copriremmo le spalle. Se sono in pochi potremmo schiantarli e prendere le loro sembianze!» propose James.
«Per andare dove? Se non sappiamo effettivamente in che cosa si trasformi la Stanza per loro?».
James si passò una mano tra i capelli. «Beh, allora non ci sostituiamo a tutti».
«È sensato» assentì Robert. «Voglio partecipare. Pensaci Jamie, non potete andare solo voi Dodici. Chi andrà, dovrà sapersi difendere».
«Hai ragione, dobbiamo formare una squadra adatta».
«Scusate, perché non parlarne con un insegnante?» chiese Benedetta.
«Perché un bigliettino non è sufficiente come prova e loro non potrebbero infiltrassi» spiegò Robert.
«I bigliettini non ce li abbiamo» comunicò Brian. «A quanto pare vanno in autocombustione dopo essere stati letti».
«Perfetto, abbiamo il nostro piano. Stasera dopo cena ci riuniremo nel bagno di Mirtilla. Porta anche Sarah Burke, Brian».
«Va bene» assentì il ragazzino.
*
«Buonasera ragazze, questa sera sconterete la vostra punizione con me e con Hagrid» disse Neville.
Rose lo fissò con astio. Quella sera era proprio furiosa: James l’aveva esclusa dal piano. Solo perché se li avessero beccati, lei sarebbe stata espulsa. La McGranitt non aveva più occhi da chiudere. E a lei che fregava? Non la capiva nessuno. Prima di raggiungere la capanna di Hagrid aveva scritto allo zio George, nella speranza che almeno lui le desse ragione e la consolasse.
Osservò le sue compagne di sventura e si accigliò ulteriolmente: avevano messo lei e Cassy con delle secchione come Annie Yaxley e Artemisia Belby. Ma che problemi mentali avevano? La Belby aveva la sua consueta espressione da snob, mentre l’altra Corvonero, infreddolita, era molto pallida. Oh, Merlino quella era una novellina nelle punizioni. Sorrise a Cassy. Forse avrebbero potuto divertirsi.
«Seguiteci» ordinò Neville, avviandosi con Hagrid verso la Foresta Proibita.
«Non entreremo, vero?» domandò improvvisamente preoccupata la Belby.
«Paura?» chiesero in coro Rose e Cassy.
«State zitte voi» le redarguì all’istante Neville. «Sì, signorina Belby è proprio quello che stiamo facendo. D’ora in avanti, vi prego di tacere».
«Mi rifiuto» borbottò Artemisia Belby fermandosi.
«Prego, signorina?» chiese Neville minimamente paziente quella sera.
«Io nella Foresta, per di più di notte, non ci entro!».
«Non credo che tu abbia voce in capitolo, non sta a te giudicare le decisioni del tuo Direttore» ribatté Neville, avviandosi nuovamente, ma la Corvonero non lo seguì e fu costretto a fermarsi nuovamente. «Dieci punti in meno a Corvonero, Belby».
«È folle la decisione di Williams! Io e la Yaxley abbiamo solo litigato e ci state punendo come due che sono uscite dai confini della Scuola senza permesso!».
«Il professor Williams, Belby. E se hai qualche problema, ne parlerai domani con lui. Adesso o mi segui o ti guadagni un’altra punizione. Intanto sono altri dieci punti in meno» sbottò Neville.
Artemisia cercò palesemente l’aiuto di Annie, che, però, mantenne gli occhi fissi a terra.
Neville le diede un’occhiataccia prima di avviarsi di nuovo. Questa volta la Belby lo seguì senza lamentarsi. Hagrid li condusse in una piccola radura e qui fece cenno di tacere. Rose si accorse che vi erano delle creature. Avevano il corpo liscio, grigio chiaro, enormi occhi rotondi in cima alla testa e quattro zampe dai piedi piatti. Non era molto belli, ma stavano danzando e le loro movenze la incantarono. Rimasero a osservarli fino a che non si fermarono e scapparono via.
«Sapete che cos’erano, vero? Ne abbiamo parlato a lezione?» domandò Hagrid.
Rose lo fissò stranita. Dopo quel silenzio incantato, la sua voce sembrava provenire da molto lontano.
«Ma che ci ha scambiate per Scorpius o per Albus?» le sussurrò Cassy.
Rose non rispose per evitare polemiche con lo zio Neville, che le fissava severamente.
«Erano mooncalf, signore» mormorò Annie Yaxley timidamente.
Hagrid le sorrise un po’ a disagio. Rose roteò gli occhi: nessuno lo chiamava signore!
«Sì, esatto! E ti ricordi anche qualche caratteristica?» domandò Hagrid.
Annie annuì e rispose: «Sono creature molto schive e si spaventano facilmente, specialmente degli esseri umani; Escono dalla loro tana solo durante la luna piena. La danza che abbiamo appena visto dovrebbe essere un preliminare dell’accoppiamento. Sono loro la causa dei cerchi nei campi di grano che tanto sconvolgono i Babbani…».
«I Babbani si sconvolgono facilmente» commentò Cassy.
«Gli escrementi argentei dei mooncalf se vengono raccolti prima del sorgere del sole sono degli ottimi fertilizzanti» concluse Annie.
«Grazie e ehm… Puoi ricordarmi il tuo nome?» borbottò imbarazzato Hagrid.
Rose per poco non scoppiò a ridere, sentì Cassy trattenersi a stento a sua volta. Zio Neville assunse un’espressione altrettanto imbarazzata ed evitò lo sguardo di Hagrid. Il loro amico non aveva alcun problema di memoria, semplicemente Annie Yaxley era una ragazza invisibile e Rose avrebbe voluto fare qualche battutea, se lo zio non avesse fissato lo sguardo su di lei come se non si aspettasse altro.
«Annie Yaxley, signore» mormorò la Corvonero.
E Rose scoppiò, seguita a ruota dalle altre due ragazze. Insomma aveva resistito fin troppo. Nemmeno Albus era timido quanto Annie.
«Smettetela» tentò di riportare l’ordine Neville, probabilmente per aiutare la Corvonero che era fuori di sé per la vergogna. «Mettetevi a lavoro» aggiunse facendo apparire dei secchi e dei guanti.
«Che cosa dovremmo fare?» chiese la Belby, che a quella vista era passata la voglia di ridere.
«Raccogliere gli escrementi, naturalmente. Quando avrete finito riporremo i secchi nelle serre» spiegò Neville.
E Artemisia Belby diede di matto, sotto gli occhi stralunati della compagna di Casa e quello divertito di Rose e Cassy. La prima tornò di buon umore quando lo zio tolse cinquanta punti a Corvonero, ma ancor più felice fu vedere la snob raccogliere gli escrementi. I Tassorosso erano primi in classifica.
Ma a Rose non bastava, così approfittò di una distrazione di Neville e Hagrid per lanciare una manciata di argentei escrementi alla Belby, che istintivamente si mise le mani in volto per pulirsi peggiorando la situazione. Si mise di nuovo a urlare attirando l’attenzione dei professori.
«Chi è stato?» chiese Neville spazientito.
«Non ho visto» si lagnò la Belby.
Naturalmente né Cassy né Rose né Annie aprirono bocca, anzi continuarono a lavorare come se nulla fosse successo. Allora Artemisia che era un tipo collerico e vendicativo prese una manciata di escrementi e colpì tutte e tre le ragazze, appena fu sicura che i professori erano nuovamente disattenti.
«I miei capelli» sibilò furiosa Cassy.
Annie sembrava solo schifata e palesemente stanca, mentre Rose la prese come una dichiarazione di guerra. Furono capaci di lottare in silenzio e forse sarebbero riuscite a farla franca se per sbaglio non avessero colpito anche Neville.
«Ma che cavolo fate?!» sbottò arrabbiato, voltandosi verso di loro e avvicinandosi. La sua voce risuonò nel silenzio della foresta. «Chi è stato?».
«Annie» rispose prontamente la Belby, lanciando un’occhiata di avvertimento alle Grifondoro. «Per una volta, noi non c’entriamo nulla». Fortunatamente non c’era abbastanza luce per vedere le loro divise sporche e tutte e tre si erano ripulite il volto alla ben in meglio,
Neville si rivolse ad Annie in cerca di una spiegazione. La ragazza si ritrovò a balbettare. Rose sospirò e, benedetto il suo animo Grifondoro, i Serpeverde avevano ragione a dire che non avevano spirito di conservazione, le andò in aiuto: «Stavamo litigando noi tre. Yaxley non ha fatto nulla».
Rose sospirò quando Neville le disse che avrebbe informato sua madre anche di questo e che era veramente stanco del suo atteggiamento. Non poté neanche evitare che togliesse cinquanta punti a Grifondoro e quelli tolti a Corvonero non la rendevano più felice.
*
La Preside non aveva ancora trovato un aiutante per Hagrid e Scorpius era felice di dargli una mano nel frattempo. Il piccolo Thestral che aveva aiutato a nascere era davvero dolcissimo, sebbene non potesse vederlo.
Chiuse la porta della capanna, come gli aveva detto Hagrid che era andato nella foresta con Paciock. Sarebbe andato ad aiutarlo anche il pomeriggio dopo. Per fortuna era arrivato il week end e avrebbe potuto trascorrere più tempo con l’amico. Si strinse il mantello addosso. Non vedeva l’ora di raggiungere la Sala Comune e riscaldarsi. All’improvviso notò un puntino bianco nell’aria. Lo fissò con attenzione, mentre a esso se ne aggiungevano molti altri.
Non era un puntino! Saltellò e sorrise: era arrivata la neve!
Preso da un’improvvisa euforia si mise a correre lungo la sponda del Lago Nero, felice proprio come da bambino. Non vedeva l’ora di sfidare gli altri a una battaglia di palle di neve.
Vicino al Lago rallentò. Poco distante c’era una figura che si muoveva, ma al buio non la vedeva bene. Il coprifuoco era già scattato, ne era sicuro e nessuno avrebbe dovuto trovarsi nel parco a quell’ora. Nemmeno lui in teoria.
Quando vide che cosa stava facendo, sentì il cuore in gola e si mise a correre. Chi cavolo faceva il bagno a quell’ora? E poi il Lago era troppo freddo. La figura si era inoltrata nell’acqua, ma appariva in difficoltà. Alla luce della bacchetta riconobbe Harry Canon. Era perfettamente vestito e non stava a galla. Il vento diventava sempre più forte e la neve gli entrava negli occhi e Scorpius decise impulsivamente.
Si tolse le scarpe e il mantello e si gettò in acqua. Il contatto con la superficie gelata gli tolse il fiato e per un attimo pensò che sarebbe morto in quel modo. Poi più per disperazione che per altro iniziò a dare qualche bracciata e raggiunse Harry, che per fortuna non si era allontanato troppo. Sapeva di dover usare un incantesimo, ma il suo cervello era bloccato e quasi meccanicamente afferrò il ragazzino e tentò di tirarlo verso la riva. Non si erano allontanati molto, ma in quel momento gli appariva a chilometri di distanza.
Sollevò la bacchetta e sussurrò: «Periculum».
Non aveva idea se qualcuno avrebbe visto le scintille rosse e continuò a spingere.
«Scorpius!» l’urlo sorpreso di Rose, che l’aveva subito riconosciuto gli sembrò di sentirlo come in un sogno. Vi erano altre voci concitate. Poi delle mani forti lo tirarono verso la riva.
Si sentiva come un ghiacciolo.
«Ma che cavolo facevi?» gli gridò Rose nell’orecchio circondandolo con il suo mantello e abbracciandolo. Lentamente riprese fiato e tornò a ragionare per bene.
«Canon?» domandò semplicemente sentendosi la bocca gelata.
«Lo porto io in infermieria» disse Hagrid prendendo in braccio il ragazzino e iniziando a correre verso il castello.
Scorpius si lasciò guidare da Neville sulla scia di Hagrid. Una turbata Madama Williamson li accolse e immediatamente diede una pozione che fece uscire fumo dalle orecchie del Serpeverde.
«Scorpius, che vi è saltato in mente?» sbottò a quel punto Neville.
«Hagrid mi aveva detto di dare da mangiare al piccolo Thestral che tiene in casa mentre lui era con voi. Avevo finito e stavo tornando al castello. Sono passato dal Lago e ho visto Canon che si buttava. Ho pensato che non avrei mai fatto in tempo a chiedere aiuto e ho cercato di aiutarlo» rispose tremando. Non aveva mai avuto tanto freddo in vita sua.
Neville si passò una mano sul volto stanco e sospirò.
«Come sta?».
«Starà bene, Scorpius. Ora cerca di stare calmo» rispose la medimaga.
*
«Malfoy».
Scorpius sollevò gli occhi dal libro di Trasfigurazione e incrociò quelli di Gabriel Fawley.
«Ciao, Fawley. Non mi sono dimenticato qualche riunione dei Prefetti, vero?» domandò titubante. Non gli veniva in mente nessun altro motivo per cui l’altro ragazzo dovesse aver bisogno di lui.
«No» sbuffò Fawley. «Il professor Paciock vuole vederti nel suo ufficio».
«Quando e soprattutto perché?» replicò Scorpius sempre più perplesso.
«Ora, direi. E non ho idea del perché» rispose Gabriel Fawley.
«Ok, grazie. Vado subito».
«Di nulla» ribatté Fawley, mentre Scorpius si avviava verso l’uscita della Sala Comune.
I corridoi erano silenziosi a quell’ora, specialmente nei sotterranei. Ai piani superiori incontrò solo un paio di ragazzi del sesto o del settimo anno, che probabilmente si erano attardati a studiare in biblioteca.
Non aveva la minima idea del perché Paciock l’avesse convocato. Non era il suo Direttore, perciò non poteva riguardare la sua condotta o qualcosa di più personale. Certo, doveva mettere in conto anche che Paciock era il Vicepreside; ma Scorpius era sicurissimo di non aver fatto nulla di tanto grave e comunque la Shafiq per certe cose era molto più spaventosa. Unica spiegazione sensata che gli veniva in mente riguardava Erbologia. Magari il suo ultimo compito aveva meritato una T. Ma Paciock convocava per così poco? Insomma anche quando non s’impegnava troppo riusciva ad avere almeno una A e nei casi più gravi una S, per cui se per una volta avesse fatto completamente schifo non era necessario farne un dramma. Questa opzione continuava a non convincerlo: il compito l'aveva corretto Albus ed entrambi erano sicuri che avrebbe preso almeno una O. E quindi?
Per tutto il tragitto continuò a rimuginarci su, ma, quando giunse di fronte alla porta dell’ufficio di Paciock, non aveva ancora una risposta valida.
Bussò e immediatamente gli fu dato il permesso di entrare. Per poco non gli venne un colpo. Che cosa aveva fatto? Forse aveva iniziato a essere sonnambulo e aveva fatto qualcosa senza rendersene conto oppure qualcuno l’aveva incastrato, oppure… Oppure nulla, decise infine sotto lo sguardo dei presenti. Si stava comportando come Albus e non aveva nessunissima intenzione di farsi prendere dal panico. Se doveva difendersi, l’avrebbe fatto a mente lucida.
«Buonasera» disse, ritenendo di aver fatto a sufficienza la figura del cretino rimanendo in silenzio a fissare gli altri. Non riuscì a non lanciare un’occhiata indagatrice ai genitori, che la ricambiarono altrettanto perplessi. Non erano arrabbiati, di questo ne era certo. Che cosa si era perso?
«Buonasera, Scorpius. Ci dispiace averti disturbato a quest’ora, ma, come puoi capire, avevamo bisogno della tua presenza» esordì Neville Paciock con la sua consueta pacatezza. Stava in piedi accanto alla Shafiq seduta alla sua scrivania. Oltre loro nella stanza vi era anche una coppia, che Scorpius non conosceva.
«E soprattutto», intervenne la Shafiq, «avresti dovuto riposare. Spero che tu l’abbia fatto, come ti ha detto Madama Williamson».
«Ehm, sì certo…» borbottò Scorpius. Si era alzato tardi, su questo non c’erano dubbi, ma anziché tornare in Sala Comune come gli aveva detto la medimaga aveva raggiunto gli altri nel bagno di Mirtilla Malcontenta per dare gli ultimi ritocchi al piano, che tra l’altro avrebbero dovuto mettere in pratica quella notte, per cui sperava di cuore che non lo trattenessero troppo a lungo.
«Che cos’è successo, professoressa?» chiese allarmata Astoria Malfoy.
«Niente mamma, non ti preoccupare» replicò all’istante Scorpius, precedendo anche l’insegnante. Ci mancava solo che la madre si preoccupasse per lui. Certe cose le raccontava solo al padre e non sempre.
«In realtà è accaduto qualcosa di abbastanza grave. È per questo che vi abbiamo chiesto di venire. La professoressa McGranitt si scusa per non essere presente, ma la sua presenza è stata richiesta con urgenza al Ministero» asserì Paciock.
«Non ci girare troppo intorno» intervenne, con un’arroganza che diede fastidio a Scorpius, l’uomo di cui non conosceva l’identità. «Malfoy ha tentato di affogare mio figlio. Insomma tale padre, tale figlio».
«Dennis!?» sbottò Neville scioccato.
«Che cosa?» chiese contemporaneamente Draco, irritandosi. Astoria si limito a coprirsi la bocca con le mani.
Scorpius rimase per un attimo interdetta da quell’accusa. Credevano veramente a una cosa del genere?
«Dimenticavo che voi Grifondoro siete sempre impeccabilmente perfetti» commentò in tono tagliente la Shafiq.
Scorpius la fissò allibito. Quel tono non gliel’aveva mai sentito. Era severa e rigida, ma di solito la sua voce traboccava di biasimo, rimprovero, mai di disprezzo.
Neville impallidì, probabilmente conscio della situazione in cui si trovava. Il Serpeverde non lo biasimò: in quanto Vicepreside toccava a lui dirimere la questione.
«Perché è così, professoressa» dichiarò Dennis. «D’altronde lei è una Serpeverde e non può comprendere».
«Dennis, per favore, smettila di dire idiozie» sbottò infine Neville, mentre la Shafiq arrossiva per la rabbia.
«Io non ho tentato di affogare nessuno» s’inserì finalmente Scorpius, ritrovando la parola.
«E non siamo qui per accusarti di questo» colse al volo le sue parole Neville.
«Al contrario, signori Canon, per quanto vi possa dispiacere, adesso dovete la vita di vostro figlio a un Serpeverde e vi ricordo che vostro figlio è un Serpeverde» sibilò la Shafiq, particolarmente soddisfatta delle sue parole.
«Per questo motivo» continuò Neville approfittando del momentaneo silenzio dei genitori, «la Preside ha deciso di insignire Scorpius con il Premio Speciale per i Servigi Resi alla Scuola e naturalmente assegnare 150 punti a Serpeverde».
Ed ecco la bomba.
Scorpius spalancò la bocca. Quello era uno scherzo?
«Non capisco perché hai disturbato noi allora» sbuffò irritato Dennis Canon, rivolgendosi maleducatamente sempre e solo a Neville.
«Come perché?» replicò sorpreso quest’ultimo. «Tuo figlio sta ancora male e non solo fisicamente. Ho pensato che nessuno meglio di voi potesse aiutarlo. Ma è meglio se di questo ne parliamo in privato».
«Non abbiamo niente di cui parlare. Se la vostra infermiera non è in grado di curarlo, trasferitelo al San Mungo» ribatté Dennis Canon.
«Lo sa, che lei è un bell’ipocrita?» sbottò Scorpius, precedendo qualsiasi replica di Neville. «Le sembra normale che un ragazzino di dodici anni cerchi di suicidarsi? Perché è quello che ha fatto, vero?». Quelle ultime parole le rivolse ai due insegnanti e la voce gli tremò. Ci aveva riflettuto per tutta la giornata. I professori erano preoccupati, la Shafiq più di tutti e né lei né la Williamson avevano lasciato solo un attimo Harry per tutto il giorno. Quella conclusione gli faceva paura, ma non vedeva altro motivo per cui un ragazzino dovesse gettarsi nel Lago Nero, a fine novembre, completamente vestito e di notte. Nessun motivo logico. O almeno non gliene venivano.
«Non accetto la predica da te» ribatté, ora furioso, Dennis Canon. La moglie rimase ancora in silenzio, ma la sua espressione diveniva sempre più ostile.
Scorpius colse il tono sprezzante e si incavolò. «Io? Che problema ho, mi scusi? Se vuole posso farmi visitare da un medimago, ma le assicuro che non ho alcuna malattia, meno che mai infettiva. E le dico un’altra cosa. Il Cappello Parlante voleva mandarmi a Grifondoro, ma sinceramente visto che gente come lei ci è stato, sono contento di aver scelto Serpeverde. Ah, e sono contento di essere come mio padre, perché se io mio fossi buttato nel Lago Nero a causa sua non starebbe certo qui a pontificare».
«Piccolo, bastardo» inveì Dennis estraendo la bacchetta.
Scorpius fu veloce a estrarre la propria, ma suo padre e la Shafiq avevano fatto altrettanto.
«Basta così» sbottò Neville. «Dennis, riponi quella bacchetta». Non c’era traccia di gentilezza nella sua voce, ma era ferma e dura.
«Sennò che fai, mi metti in punizione?» ribatté l’uomo. «Mi meraviglio di te, Neville, dovresti preoccuparti di eliminare i Serpeverde dalla Scuola piuttosto».
«No, chiamo i tuoi colleghi in servizio a Hogwarts. Non permetterti mai più di minacciare i miei studenti» sibilò Neville, facendogli nuovamente segno con la mano di abbassare la bacchetta.
Canon era fuori di sé dalla rabbia, ma obbedì, probabilmente consapevole delle conseguenze se Neville l’avesse veramente denunciato. Voltò le spalle, facendo frusciare il mantello scarlatto che indossava, ma Neville lo bloccò con uno scatto che sorprese anche Scorpius.
«Dove stai andando?».
«A casa a riposare, naturalmente. Sono stato tutto il giorno a Quartier Generale oggi» replicò freddamente e con superiorità Dennis.
«E suo figlio?» sibilò la Shafiq.
«Se stesse veramente male, ci avreste chiamato urgentemente ieri notte» parlò per la prima volta la donna.
«E comunque Colin non va in giro di notte. Se Harry è stato smistato a Serpeverde non posso farci nulla. È la sua natura».
Scorpius si accigliò sentendo l’ultima frase e non comprendendola pienamente. «Che ne sa lei che fa Colin la notte? Io sono un Prefetto e le assicuro che lo fa eccome».
«Sporco calunniatore» sbottò Dennis. «Non ho intenzione di ascoltare una sola parola che esce dalla tua bocca». Prese per mano la moglie e uscì dall’ufficio senza salutare.
«Torno subito» sospirò Neville.
La stanza piombò nel silenzio.
«Non c’è tipo una legge che impedisce di abbandonare i figli?» sbottò Scorpius, ancora arrabbiato con l’uomo e con se stesso per non essere bravo con le parole quanto Virginia ed Emmanuel.
I suoi, palesemente turbati, lo fissarono. La Shafiq rispose: «Sì esiste, ma personalmente se la McGranitt deciderà di far intervenire il Ministero spero che gli tolgano direttamente la custodia».
«Mi scusi, ma perché allora non l’avete ancora fatto?» domandò Astoria Malfoy.
«Harry vorrebbe essere accettato» sospirò Scorpius attirando l’attenzione di tutti su di lui. Brian aveva riferito a tutti quanto aveva scoperto, ma avevano sottovalutato la sofferenza del compagno.
«Ha parlato con te?» chiese la Shafiq.
«Con me no. Nonostante tutto cerca ancora di seguire gli insegnamenti del padre. Il mio cognome mi precede. Sabato scorso abbiamo tentato di avvicinarlo e lui ha risposto solo a Emmanuel» spiegò Scorpius.
La professoressa annuì meditabonda. Scorpius guardò l’ora e si accorse che erano quasi le dieci meno venti. L’appuntamento con gli altri era alle undici e trenta. Doveva tornare in Sala Comune per incontrarsi con Emmanuel, non aveva avuto il tempo di avvertirlo di quel cambiamento e stupidamente aveva lasciato lo specchietto nel Dormitorio. Emise un sospiro di sollievo quando alle dieci meno dieci Paciock rientrò nell’ufficio. Aveva il volto acceso come chi ha appena litigato con qualcuno.
«Sono mortificato per quello che è successo» mormorò Neville con sincerità rivolto ai coniugi Malfoy. «Non era mia intenzione farvi assistere a uno spettacolo simile».
«Se ne sono andati senza andare a trovarlo?» domandò la Shafiq, alzandosi. Neville annuì corrucciato.
«Devo andare in infermeria» disse coincisa come sempre. Si scusò con i Malfoy e si congedò.
Scorpius controllò l’orologio nervosamente. Erano meno cinque. «Posso tornare in Sala Comune?» chiese concitatamente.
«Pensavo volessi approfittarne per salutare i tuoi genitori» replicò perplesso Neville.
«Oh, sì certo» biascicò Scorpius, regalando un lieve sorriso alla madre che lo fissava turbata. Che razza di situazione! Sua madre era molto sensibile e se fosse scappato via probabilmente si sarebbe lambiccata il cervello fino a Natale su che cosa avesse potuto fare all’adorato figlio. Non gli piaceva farsi coccolare in pubblico, ma aveva troppa fretta. Avevano preparato con cura il piano e non poteva certo saltare per colpa sua. Fletcher l’avrebbe usato come bersaglio per i bolidi durante gli allenamenti dei Tassorosso. Si avvicinò alla madre e l’abbracciò.
Suo padre che lo conosceva perfettamente, lo fissò sospettoso. Oh, accidenti! Ci mancava solo che lo sgamasse davanti a Paciock.
«Posso lasciarvi un po’ di tempo, se volete» propose Neville avviandosi verso la porta.
«No, la ringrazio professore» disse in fretta Scorpius.
«Ma, tesoro, difficilmente potremo vederci prima di Natale» intervenne Astoria.
«Lo so, mamma, ma devo studiare» mentì Scorpius. Dopotutto quale migliore scusa dello studio con i genitori?
«Ma è sabato sera. Da quando studi il sabato sera?» domandò Draco sospettoso.
Scorpius fulminò il padre con lo sguardo. Ma non poteva star zitto, per le mutande di Merlino? Suo padre, uomo terribilmente perspicace, comprese.
«Ho una verifica lunedì» buttò lì il ragazzo per tranquillizzare la madre.
«Oh, è vero hanno verifica con me» disse Neville con un mezzo sorriso di scuse.
Lo stava supportando? Possibile? Scorpius era rimasto parecchio perplesso a quell’uscita. Poi il dubbio iniziò a farsi strada nella sua mente. Oh, Merlino ma avevano veramente una verifica? Non ricordava neanche dove fosse il suo manuale.
«Se è così, allora vai tesoro» disse condiscendente Astoria abbracciandolo di nuovo. «Siamo molto fieri di te».
«Grazie» disse Scorpius sorridendo di cuore.
«Mi raccomando, non metterti nei guai e, se possibile, studia sul serio» disse, invece, Draco. Scorpius lo abbracciò rapidamente ridacchiando alle sue parole.
 

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Capitolo 21
*** La musica è una delle magie più grandi ***


Capitolo ventunesimo
 
La musica è una delle magie più grandi
 
«Sarah, devi stare tranquilla, ok?» sussurrò James, visto che la ragazzina era molto agitata.
«Ti copriamo le spalle» soggiunse Robert.
Jack inspirò nervosamente, attirando l’attenzione su di lui. I due Grifondoro lo guardarono male.
Il resto della squadra era formato da Scorpius, Emmanuel e Roxi, che aveva preteso di partecipare e a nulla erano valsi i tentativi di James di convincerla a rimanersene in Sala Comune insieme agli altri.
«In posizione» ordinò Jack.
James stava per rispondergli male, ma Robert lo trattenne: non era il momento per stabilire chi fosse più forte tra loro e il Tassorosso. Roxi si nascose sotto il mantello dell’invisibilità insieme a Emmanuel e Scorpius, mentre i ragazzi più grandi si disillusero.
«Ma come fanno?» sussurrò Emmanuel alla ragazza. «Queste cose non sono nel programma del sesto anno! E nemmeno del settimo!».
Roxi percepì una nota di amarezza nella voce del Serpeverde. «Non seguono il programma. Cercano incantesimi di Difesa in biblioteca e si esercitano tra di loro» gli spiegò.
«Ma è pericoloso! Ed è contro le regole!» sbuffò.
«Non li interessa» replicò Roxi. Emmanuel borbottò qualcosa di poco comprensibile. «Sei preoccupato per il duello con Jamie?».
Emmanuel annuì.
«Vi conviene stare zitti o Fletcher vi affattura» sussurrò Scorpius.
Sarah si era appoggiata al muro, accanto a un’armatura e attendeva respirando pesantemente al buio. Le avevano detto di tenere la bacchetta spenta per non attirare l’attenzione dei professori. Aveva paura e non l’aveva nascosto, ma non si era tirata indietro. I compagni avevano capito perché: lo stava facendo per il fratello.
La mezzanotte era scoccata da quasi un quarto d’ora, quando una luce fioca apparve in fondo al corridoio. Qualcuno si stava avvicinando. La Corvonero si raddrizzò e i ragazzi nascosti impugnarono le bacchette. Il piano, almeno nella sua prima fase, era molto semplice: vedere che cosa avevano da dire e schiantarli appena avessero dato segno di voler fare del male a Sarah.
James era tesissimo. La Burke doveva uscirne senza un graffio o non se lo sarebbe perdonato. Suo padre non gliel’avrebbe perdonato. Non doveva assolutamente sapere nulla di quella loro impresa.
Era un gruppetto di ragazzi. Alla luce fioca della bacchetta, ne videro tre, quattro… cinque. Erano in cinque. E li conoscevano. Norris Avery, Bartolomè Calliance, entrambi del settimo anno, Hector Belby del sesto anno, Lycoris Diderot del quinto e infine Mike Zender, quello che faceva il prepotente con Louis e dei suoi amici.
«Oh, ecco la piccola Corvonero» esordì Avery con un ghigno preoccupante in volto. «L’abbiamo fatta aspettare molto, signorina?» domandò mellifluo. I suoi compagni risero.
«Che cosa sapete di mio fratello?» ribatté ella nervosamente.
I nuovi arrivati risero ancora.
«È una tua amica, vero, Zender?» continuò Avery, che evidentemente era il capo del piccolo drappello. «Fa gli onori di casa».
Il ragazzino si avvicinò alla coetanea con un sorriso falsissimo stampato in volto. «Io e te abbiamo cominciato con il piede sbagliato. Mi dispiace, è stato stupido da parte mia. Sei una Purosangue e sei molto intelligente. Non ti mancano i tuoi genitori? Gli Auror vi hanno separato, ma noi possiamo farteli riabbracciare. Diventiamo amici, Sarah. Unisciti a noi e i tuoi genitori ti accoglieranno a braccia aperte».
Un discorso imparato a memoria pensò Jack. Il lavaggio del cervello era in atto, certo il ragazzino non contava visto che doveva essere stato educato così. Ma gli altri studenti?
«I miei genitori non mi vogliono bene. Sono la figlia di troppo, non sarei dovuta nascere e sono una femmina» sbottò Sarah, arrabbiata. «Non dovete nominare mio fratello! Lui è morto per sconfiggervi e io non vi aiuterò mai!».
Le sue parole risuonarono nel corridoio deserto. James non ebbe bisogno di dare alcun segnale, appena Avery sollevò la bacchetta per colpire la ragazzina, lo schiantò. Lo prese dritto al petto. Lo sconcerto sul volto degli altri ragazzi durò solo una manciata di secondi, poi finirono riversi sul pavimento proprio come il loro capo.
«Un lavoretto pulito» sogghignò Jack, disilludendosi.
«Non ci hanno visti, perciò non avremo bisogno di incantesimi di memoria» commentò Robert.
«Meglio così. Sarebbe stato pericoloso provarli su di loro» disse James.
«Sei troppo buono, Potter. La feccia non merita pietà».
«Che dici, Jack?! Sono dei ragazzi e avremmo potuto danneggiarli il cervello per sempre» replicò sorpreso James.
«Non essere stupido. Se non ci fossimo stati noi qui, l’avrebbero maledetta, com’è successo agli altri ragazzi e l’avrebbero lasciata dissanguare» insisté Jack con durezza.
«Così ti abbasseresti a loro livello! Meritano l’espulsione e magari Azkaban, ma non la morte» ribatté James arrabbiandosi.
«Smettetela» li redarguì Robert. «Ne discuterete in un altro momento. Dobbiamo muoverci».
Emmanuel aveva riempito quattro calici, che Roxi aveva portato in uno zainetto.
«Chi beve?» chiese la ragazzina.
«Io, Robert, Jack e Scorpius» rispose James.
Emmanuel deglutì vistosamente, ma non protestò.
«Voi prendete il mantello e riaccompagnate Sarah alla Torre di Corvonero. Dopo, per favore, Emmanuel, accompagna Roxi e…».
«Non può andare in giro senza mantello» lo interruppe la cugina, per niente felice che la missione si concludesse così per lei.
«Terrà il mantello. Capito, Emmanuel? Me lo restituirai domani».
«Certo, grazie» replicò il ragazzino.
«Rimanete, finché non ci saremo trasformati. Così se qualcosa dovesse andare storto, potrete aiutarci».
Gli altri tre ragazzi annuirono. Emmanuel versò la Pozione Polisucco nei calici.
«Io mi prendo Avery» disse subito Jack.
«Scordatelo! Il capo sono io!» ribatté all’istante James.
«Avery lo faccio io, voi due siete troppo impulsivi» sbuffò Robert e senza tante cerimonie tirò un capello dalla testa del Serpeverde.
«Io mi prendo Calliance, allora» borbottò James.
«Io Belby» decise Jack.
«Io Lycoris, non ho intenzione di trasformarmi in un ragazzino di dodici anni» disse Scorpius.
«Mi sembra una buona idea. Zender obbedirà a noi che siamo più grandi e non capirà che c’è qualcosa di strano» ragionò Robert.
«Dovete mettere il capello dentro la pozione» li istruì Emmanuel.
I quattro obbedirono fissando disgustati la pozione.
«Sei sicuro che dobbiamo berla?» domandò Scorpius, con un senso di nausea crescente. La sua pozione era diventata grigiastra.
«Sì» mugugnò James. «La mia ha il colore del whisky. È normale?».
«Credo che prenda un colore diverso a seconda della persona a cui appartiene il pezzo di corpo» replicò Emmanuel.
«Oh, Merlino non usare quell’espressione. Sembra una cosa macabra» storse la bocca Roxi.
Jack, per un una volta, non disse loro di tacere. Anche lui era disgustato. Suo padre era un pessimo cuoco, ma non aveva mai visto qualcosa di più schifoso: era grumosa e assomigliava a escrementi di cavallo.
Robert era quello messo peggio.
«Ce la fai amico?» chiese James, notando che si teneva una mano stretta sulla bocca.
Robert annuì leggermente, chiuse gli occhi e si tappò il naso. Dopo un attimo di esitazione bevve; mentre gli altri lo imitavano, il suo calice cadde sul pavimento rimbombando. Il ragazzo cadde in ginocchio. Roxi lo affiancò, incerta su che cosa fare per aiutarlo. Si contorceva in modo terribile. L’unico altro in quelle condizioni era Scorpius, ma mai quanto Robert. Jack stava dando di stomaco, mentre Jamie era solo piegato in avanti e si stringeva convulsamente lo stomaco. Il tutto durò pochissimi secondi.
Roxi, Sarah ed Emmanuel videro i connotati dei quattro cambiare. La ragazzina fece un passo indietro quando gli occhi di Avery la fissarono confusi.
«Non lo farò mai più» bofonchiò Scorpius, lisciandosi la divisa.
«Per fortuna Calliance è un Corvonero. Non avrei sopportato di indossare i colori di Serpeverde» commentò James, che fu il primo a riprendersi. «Non era tanto brutta la mia. Sapeva tipo di un frullato di broccoli e cavoletti di Bruxelles».
Robert non aprì bocca, ma si rialzò e modificò i colori della cravatta dell’amico e lo stemma della sua divisa, poi fece lo stesso con la sua. Scorpius fece altrettanto e aiutò Jack a legare e imbavagliare i loro avversari.
«Nascondiamoli nel bagno delle femmine» li sollecitò James e con l’aiuto di Emmanuel trascinò Avery.
Impiegarono più di cinque minuti, ma alla fine si radunarono nuovamente nel corridoio.
«Dobbiamo svegliare Zender» disse Jack.
«Voi andate» disse James a Roxi, Emmanuel e Sarah. «Mi raccomando, state attenti a non farvi beccare. Finireste in guai seri».
Robert attese che i tre sparissero dalla loro vista, poi puntò la bacchetta contro Zender e pronunciò: «Reinnerva».
«C-cosa mi è successo?» chiese subito stranito.
«Deficiente, ti sei fatto schiantare dalla Burke!» lo redarguì con rabbia Jack.
«M-ma Belby…» iniziò il ragazzino evidentemente turbato e totalmente confuso.
«Abbiamo perso abbastanza tempo per stasera» sibilò Robert, indurendo la voce per non destare sospetti.
Zender a quelle parole si alzò di scatto all’ in piedi. All’improvviso appariva terrorizzato. «M-ma Roockwood aveva detto di fare in fretta».
«Allora andiamo» replicò Robert.
«Precedici» ordinò, invece, Jack.
Zender obbedì senza neanche pensarci. «Dov’è la Burke?».
«È scappata» disse semplicemente James.
Ci mancò poco che il ragazzino scoppiasse in lacrime. «Non per colpa mia, vero?» domandò con voce tremante.
«E di chi sennò?» sibilò Jack in risposta.
«Muoviti e taci» ordinò Robert.
Scorpius era rimasto in silenzio, troppo teso per parlare.
Come previsto Zender gli condusse di fronte alla Stanza delle Necessità e si fermò. Per un terribile momento i ragazzi pensarono che non sapesse come entrare: la Stanza non si sarebbe aperta per loro che non sapevano in che cosa si trasformasse per quei ragazzi.
«Che aspetti?» lo incitò Jack, comprendendo che era solo spaventato dall’idea di entrare per primo.
James avrebbe voluto rincuorarlo, per quanto potesse essere stupido, aveva solo dodici anni; ma sarebbe parso strano da parte loro probabilmente: non credeva che uno di quei quattro ragazzi avesse un minimo di coraggio e carisma. Non si sarebbero mai sacrificati per aiutare uno di loro.
Zender non ebbe scelta che obbedire, ma tremava visibilmente. Trattennero il respiro, mentre finalmente entravano nel regno dei sostenitori dei Neomangiamorte.
La stanza era illuminata solo dal fuoco che ardeva in un caminetto, il resto era in penombra. Era veramente inquietante. Alcuni ragazzi era seduti intorno a un tavolo di legno scuro rettangolare, altri erano seduti a terra.
«Ce ne avete messo di tempo» li accolse Augustus Roockwood. Era lui il vero capo. «Che cosa vi ha detto la Burke?».
«Ha rifiutato» replicò laconicamente Robert, visto che Roockwood si stava rivolgendo a lui.
James contò le sedie intorno al tavolo: dodici. Deglutì.
«A quanto pare i Burke perderanno anche la figlia, ma dubito che li interessi. Stavolta gli insegnanti non arriveranno in tempo. Avete fatto come vi ho detto?» continuò Roockwood.
Robert stava per replicare, con tutta l’intenzione di mentire. Tanto non avrebbe controllato subito. Quel cretino di Zender, però, lo precedette gettandosi ai piedi del più grande invocando il suo perdono.
Roockwood lo scacciò malamente e chiese spiegazioni a quello che credeva fosse Avery.
«È scappata. Ha schiantato Zender e ha lanciato la polvere buiopesto. A quel punto non abbiamo potuto fare nulla finché non abbiamo raggiunto un altro corridoio, ma ormai l’avevamo persa. Abbiamo provato a cercarla, ma…».
Il resto del discorso gli morì in gola, mentre un dolore mai sentito gli sconquassò il corpo. Non si rese neanche conto di aver urlato, ma probabilmente lo fece e a lungo.
«Avery, sei inutile!» gridò frustrato Roockwood.
James era stato bloccato da Jack.
«Qualche problema, Calliance?» chiese Roockwood, che aveva notato la sua reazione, probabilmente insolita.
A James non fregava nulla del piano dopo aver visto il suo miglior amico soffrire in quel modo e aprì la bocca per cantarle al quel fanatico, ma boccheggiò a vuoto.
«Niente, Roockwood. Cosa vuoi che debba dire uno schifoso Nato Babbano?» disse Jack, spingendo con forza James. Il Grifondoro era furioso: Jack gli aveva lanciato un incantesimo tacitante! Se fossero usciti vivi da lì, l’avrebbe senz’altro riempito di pugni. Se fossero usciti. Era stata decisamente la peggiore delle sue idee. Benedetta aveva ragione, avrebbero dovuto avvertire Williams.
«Prendete posto» ordinò Roockwood.
I ragazzi si smarrirono, vedendo il Serpeverde sedersi a capotavola. A tavola rimanevano solo due posti liberi.
Scorpius prese in mano la situazione e fece un cenno impercettibile a Robert, che comprese. Avery, per quanto inutile potesse essere, era l’erede di un’antica famiglia purosangue, perciò poteva sedere. A sua volta il ragazzo si fece avanti a prese posto nell'’unica sedia rimasta vuota. I Lycoris erano Purosangue e strettamente imparentati ai Burke, per quanto non fossero tra le Sacre Ventotto.
L’onore di sedere era toccato anche a Cornelia De Gentilis, Serpeverde, sesto anno, appartenente a una famiglia purosangue italiana ormai decaduta e legata al patrimonio degli Ashton, Scorpius non l’avrebbe mai ammessa ma probabilmente erano così pochi che non erano troppo pignoli; Elettra Granbell, Serpeverde, sesto anno e Prefetto, era una parvenu, non certo una famiglia antica; Erik Green, sesto anno, Serpeverde, non era Purosangue, perché fosse lì non era chiaro; e naturalmente Marcus Parkinson, Violett Rowle, Vincent Goyle e Thomas Mcnair le cui famiglie erano sempre state immischiate nelle arti oscure; infine Edison Andersen, secondogenito di un’antichissima e potentissima famiglia purosangue svedese, che, per quanto ne sapeva, Scorpius nulla aveva mai avuto a che fare con simili attività.
«Green, domani mattina dovrai occuparti della Burke» esordì Roockwood.
«Che devo fare?» domandò il sedicenne.
«Calliance ti farà entrare nella loro Sala Comune e la ucciderai con una delle bacchette delle sue compagne di stanza. Un lavoro pulito».
James fremette quando vide Green annuire. Quelli non scherzavano veramente.
«Abbiamo perso abbastanza tempo. Con Fawley, Thomas e Canon abbiamo solo giocato, ma ora si farà sul serio».
«Cornelia ed Elettra dovete fare due chiacchiere con Selene Shafiq. Se si rifiuterà di collaborare, torturatela e cancellatele la memoria. Bellatrix Selwyn manderà un messaggio a Caspar Shafiq per vedere se per amore delle figlia, capirà da che parte stare» ordinò Roockwood. «Van Rutter, Belby avete fatto ciò che vi avevo detto?».
Jack simulò la sorpresa di sentirsi interpellare, per fortuna fu Van Rutter a rispondere.
«Certo. Domani ne vedremo delle belle».
«Bene, finalmente i Grifondoro avranno quello che si meritano» commentò Roockwood.
Il cuore di Scorpius iniziò a battere. Che intenzioni avevano? L’indomani ci sarebbe stata la prima partita di Quidditch della stagione.
«E speriamo di sistemare anche Malfoy, così vedremo se la McGranitt non ti darà la spilla di Capitano» buttò lì a sorpresa Robert.
Roockwood fece mezzo sorriso, quasi compiaciuto. «Può darsi, non me ne lamenterei. Però Avery lo sai che eliminare i traditori è più importante di una partita di Quidditch».
«Dovremo fare altro domani?» chiese Jack, sperando di ottenere qualche informazione in più.
«Non sarà necessario, se avete eseguito correttamente i miei ordini» replicò Augustus. «Per stanotte fermiamoci qui. Domani dovrò essere in forma per la partita. Ci sarà da divertirsi».
Tutti si alzarono, solo dopo che anche lui si fu alzato. Roockwood si diresse verso la porta senza aspettare nessuno. I ragazzi iniziarono a commentare.
«Che cosa avete progettato contro i Grifondoro?» chiese entusiasta Zender. Piccolo ipocrita, la fifa gli era passata.
«Abbiamo ordini di non rivelarlo» rispose Van Rutter.
Jack ringraziò la sua buona stella per quello.
I quattro uscirono separatamente e si ricongiunsero solo nel bagno delle femmine dove avevano legato gli altri ragazzi. Fortunatamente erano ancora svenuti. Non si erano allontanati nemmeno per un’ora. Era stata quasi una perdita di tempo.
Attesero in silenzio finché la pozione non terminò il suo effetto e tornarono alle loro consuete fattezze. Liberarono i ragazzi e li lasciarono lì, senza alcun rimorsi.
«Occupiamoci di Green» sibilò James, con voce roca per il troppo silenzio.
Green attendeva nervosamente in cima alla Torre di Corvonero, probabilmente aveva perso la pazienza ad aspettare Calliance e aveva tentato di entrare da solo nella Torre ma, visto come imprecava contro il battente a forma di corvo, non era stato in grado di risolvere l’indovinello.
James lo schiantò con rabbia, mandando a sbatterlo contro il muro alle sue spalle. «Questi sono pazzi» sibilò. «Non possiamo lasciarli a piede libero».
«Che vuoi fare?» chiese Robert.
Il ragazzo si grattò i disordinati capelli neri e sorrise. Fate come vi dico io. Tornarono indietro con Green che galleggiava sulle loro teste e Jack che bofonchiò: «Se mi espellono per le tue idee bislacche, ti ammazzo Potter».
Nel bagno delle femmine rilegarono strettamente gli altri ragazzi e li imposero un incantesimo tacitante, poi, cosa per cui protestò anche Robert, li trascinarono un po’ di peso un po’ con la magia verso l’ufficio di Williams.
«Vuoi svegliarlo in piena notte?» sibilò Jack.
«No, glieli lasciamo qui, però. Avete una pergamena?».
Robert e Jack scossero la testa, ma James non si scoraggiò e dal mantello tirò fuori una piuma autoinchiostrante. «Per fortuna sono disordinato» disse allegro, come se non fossero le due passate di notte, non fossero a zonzo per il castello e non avessero tramortito alcuni compagni di scuola.
James scrisse sulla fronte dei ragazzi le seguenti parola: Se volete una spiegazione, chiedete a Sarah Burke.
«Andiamo, adesso. Scorpius devi raccontare ogni cosa a Emmanuel. Qualunque cosa accadrà domani dovrà essere pronto e deve avvertire la cugina. Io parlo con Rose».
«Chi giocherà al posto tuo domani?» ribatté Scorpius. Rose, infatti, aveva deciso che il cugino non avrebbe giocato visto che sarebbe andato a letto tardi.
«Io e nessun altro. Non manderò nessuno al mio posto» replicò con forza il ragazzo.
*
«James, se perdiamo la partita, io ti uccido. Chiaro?» sibilò Rose.
Il ragazzo sbuffò, passandosi la mano tra i capelli per la millesima volta. Non l’aveva neanche ascoltata. «Mi raccomando tieni gli occhi ben aperti».
Il volto di Rose s’imporporò. «Per Merlino, prendi quel maledetto boccino o mi dimenticherò che sei mio cugino!». Non poteva neanche prendere in considerazione di perdere contro Scorpius. Avevano anche scommesso. Senza contare che era la loro prima partita da Capitani.
James s’infuriò. «Ma che problema hai?! Hai capito che cosa ti ho detto! Vogliono tirarci un brutto tiro!».
Aveva alzato la voce, attirando l’attenzione del resto della squadra.
«James, smetti di preoccuparti» lo richiamò Fred. «Ora scendiamo in campo e combatteremo come abbiamo sempre fatto».
«Tu pensa al boccino. Prima lo prendi, prima finisce la partita. Noi ti copriremo le spalle» aggiunse Agnes Walcott, l’altra battitrice della squadra.
James non replicò: aveva un pessimo presentimento.
«Avanti, usciamo» li esortò Rose.
Gli spalti erano strapieni, d’altronde non era semplicemente la partita inaugurale della stagione, ma soprattutto Grifondoro avrebbe affrontato Serpeverde. Le gradinate rosso-oro iniziarono a strepitare al loro ingresso in campo.
«Ed ecco la squadra di Grifondoro!» strillò una voce eccitata.
James alzò lo sguardo verso la tribuna degli insegnanti e non poté trattenere un lieve sorriso: Orion Montague, teneva strettissimo il megafono magico tra le mani. Cercò Scorpius con lo sguardo. Il ragazzo era già in campo con i suoi compagni. Il suo volto era più pallido del solito e aveva evidenti occhiaie sotto gli occhi, gentili regali della loro nottata. James non si illudeva di avere un aspetto migliore. Comunque Scorpius manteneva una posizione eretta e rigida: era nervoso. Lo capiva, naturalmente, in qualità di Capitano e Cercatore aveva un’enorme responsabilità.
Riuscì a incrociare il suo sguardo solo quando li raggiunsero sul campo. Con il labiale disse: Orion. Scorpius sbuffò e sorrise lievemente in risposta.
La professoressa Yaxley attirò la loro attenzione e disse le parole di rito: «Mi raccomando, un gioco pulito».
Era una donna molto giovane, per quello che James ne sapeva aveva la stessa età di Teddy. Aveva, però, un’espressione fredda e distaccata. Non dovendo più seguire lezioni di Volo, non aveva avuto modo di conoscerla. Rose gli aveva riferito di averne avuto una buona impressione quando aveva parlato con lei dei turni per gli allenamenti.
I ragazzi montarono sulle scope a un segnale dell’insegnante. Quando finalmente decollò, James si sentì molto più leggero, quasi ebbe voglia di urlare. Gli occhi gli bruciavano ancora per il sonno, ma volare era ciò che più lo faceva stare meglio. Fece un rapido giro di campo sia per sfogare la tensione sia, naturalmente, sperando di avvistare il boccino d’oro. Incurante dell’eccitatissima cronaca di Orion, affiancò Scorpius, anche lui visibilmente rinfrancato.
«Com’è che i prof non hanno detto nulla?» gli sussurrò all’improvviso.
James fece spallucce e osservò la tribuna degli insegnanti. La Preside non c’era e neanche Williams, la Shafiq e zio Neville. «Si staranno consultando» replicò accennandogli la strana assenza.
«Scorpius!». L’urlò di Emmanuel, colse entrambi di sorpresa.
Non fecero in tempo a reagire che un bolide colpì in pieno il manico di scopa di Scorpius e il ragazzo urtò James, rischiando di far perdere l’equilibrio anche a lui.
«Ma che cavolo fate?» sbottò Scorpius, arrabbiandosi con i suoi compagni di squadra.
Il bolide, però, stava tornando verso di loro.
«Spostatevi!» gridò Agnes Walcott, mettendosi tra i due e il bolide. Lo colpì con forza, spedendolo lontano.
«Non è colpa di Shafiq» ansimò la ragazza. «I bolidi sono fuori controllo. Fred sta aiutando Vernon» aggiunse indicando il ragazzino che proteggeva gli anelli di Grifondoro, strettamente tallonato da Fred.
«Diamoci una mossa» sbuffò Scorpius, cupo in volto.
La situazione divenne sempre più confusa e pericolosa. I giocatori si preoccupavano più di evitare i bolidi che giocare. Gli spettatori rumoreggiavano sugli spalti. Parkinson segnò, approfittando di un Vernon terrorizzato per un bolide che Roockwood gli aveva spedito contro appositamente.
James tirò fuori dalla manica della divisa la bacchetta e tentò di mirare a uno dei bolidi.
«Non ci pensare nemmeno, Potter» lo fermò la professoressa Yaxley.
«Ma qualcuno potrebbe farsi male!» ribatté James.
«Potresti prendere qualcuno dei tuoi compagni» replicò la professoressa. «Oppure l’avrei fatto io, no?».
Il ragazzo non ebbe modo di ribattere, perché un bolide li separò.
«Troviamo quel benedetto boccino!» gli urlò Scorpius.
James annuì e iniziò a guadarsi intorno freneticamente. Un urlo di dolore attirò la sua attenzione e si voltò appena in tempo per vedere Lucy e Amy Mitchell recuperare al volo Vernon.
A quel punto cercò Rose e quando la trovò vicino agli anelli di Serpeverde, le gridò: «Chiama il time out!».
Sua cugina colse al volo la richiesta e si affrettò a richiamare l’attenzione della Yaxley.
James atterrò frenando con i piedi e mollò la scopa a terra. Si avvicinò subito a Vernon. Il ragazzino era perfettamente cosciente, ma si stringeva il braccio destro al petto.
«Vuole dirmi che dobbiamo continuare a giocare in queste condizioni?!» quasi gridò rivolto alla Yaxley.
«Non posso sospendere la partita» replicò la professoressa. «Conosci le regole».
«Si sposti» sbottò il ragazzo, evitando che la donna venisse colpita. «Così non vale. I bolidi sono stati manomessi!».
Fred e Danny Baston si lanciarono sul bolide che li aveva quasi sfiorati, tentando di bloccarlo; nel frattempo Agnes Walcott ed Emmanuel impedivano all’altro bolide di prenderli.
James e Scorpius non ci videro più e senza pensarci saltarono addosso ad Augustus Roockwood.
«È colpa tua, stronzo!» gridò James.
«Te ne pentirai» rincarò Scorpius, colpendo il compagno di squadra.
In pochi secondi scoppiò il caos totale sugli spalti, dove gli altri studenti non comprendevano che cosa stesse accadendo e tifavano per i rispettivi compagni di Casa. Rose chiedeva insistentemente alla Yaxley di sospendere la partita, impedendole anche di andare a dividere i ragazzi che si azzuffavano.
«Weasley, per la miseria! I tuoi compagni si stanno picchiando! Lasciami andare da loro!» sbottò la professoressa.
«Se la cavano da soli, professoressa. Non si deve preoccupare per Jamie e Scorp, sono un’ottima squadra».
Annie Ferons intervenne per separare i ragazzi insieme a Elphias Doge, ma s’intromise anche Markus Parkinson in aiuto dell’amico ed Elphias fu costretto a difendersi. Intervennero anche Lucy e Amy. E il caos fu completo.
La lite durò pochissimo, però, perché un lampo di luce li separò.
«Ma dico, siete impazziti? Vi sembra un comportamento adatto?» li sgridò Mcmillan.
«Professore» sbuffò la Yaxley liberatasi momentaneamente di Rose. James tenendosi un occhio con una mano, notò la Dawson e la Spinett che aiutavano Vernon.
«È stato Roockwood a incantare i bolidi» dichiarò James all’instante.
«Come osi, Potter?» ribatté il Serpeverde.
«Non puoi accusare le persone senza prove» sbuffò irritato Mcmillan.
«Ce l’ho le prove» replicò a denti stretti James.
«James!» lo richiamò Scorpius, tirandogli la manica della divisa in segno di avvertimento.
James comprese le parole inespresse dell’amico e si sentì in trappola: come avrebbe potuto raccontare quello che avevano visto quella notte?
«Potter, sei un pagliaccio come tuo padre» sibilò Roockwood.
Gli occhi del Grifondoro saettarono e, se Mcmillan non l’avesse trattenuto, l’avrebbe colpito di nuovo.
La Yaxley, che era si era allontanata, ritornò da loro e annunciò: «Abbiamo sostituito i bolidi. La partita riprende, ma senza Potter, Parkinson, Roockwood, Doge e Malfoy».
«Ma si rende conto delle stronzate che dice?» sbottò Rose.
«Weasley! Questo non è il modo di rivolgersi a un insegnante. Dieci punti in meno a Grifondoro!» la sgridò Mcmillan.
«Ma come si fa a giocare senza Cercatori?!» insisté la ragazza imperterrita.
«Professoressa, deve annullare la partita» disse Scorpius, dando manforte all’amica.
«Non si annulla il Quidditch!» si lamentò Roockwood.
«Tu zitto, che ti cambio i connotati!» lo minacciò James.
«Potter, basta. Altri dieci punti in meno a Grifondoro» sbottò Mcmillan.
«Ma professore, non lo sente  Roockwood?» protestò Elphias Doge.
«E poi i bolidi erano davvero incantati. La partita non vale» tentò Lucy.
«La partita è annullata» dichiarò una voce rigida e severa che li fece voltare tutti. La McGranitt torreggiava di fronte a loro. Le sue labbra erano estremamente sottili. Era furiosa. «Si farà la dovuta chiarezza su quanto avvenuto questa mattina. Adesso siete pregati di ritornare alle vostre Sale Comuni».
«Se permette, professoressa», intervenne il professor Mcmillan, «penso che Potter, Roockwood, Doge e Parkinson dovrebbero fare quattro chiacchiere con i loro Direttori. Si sono azzuffati».
La McGranitt sembrò arrabbiarsi ancora di più, s’è possibile. «Occupatene tu. I tuoi colleghi ora non possono».
Mcmillan annuì, palesemente preoccupato per quelle parole.
James non sapeva se dire qualcosa di più riguardo a quello che sapeva, ma gli altri gli avevano detto di tacere e aspettare di capire come si sarebbero svolte le cose.
«Posso sapere perché stavate litigando?» domandò loro Mcmillan, mentre gli altri professori facevano sgombrare lo stadio.
«Perché è tutta colpa di Roockwood» insisté James, mentre Scorpius annuiva al suo fianco.
«Dimostratelo» disse serio Mcmillan.
I due ragazzi si scambiarono un’occhiata, alla fine Scorpius disse: «Abbiamo assistito a una conversazione tra Roockwood, Van Rutter e Belby. A Van Rutter e Belby toccava manomettere i bolidi».
Roockwood non fu bravo a simulare la sorpresa, ma si riprese subito. «E dove mi avreste sentito? Non ho mai parlato con loro».
«Sicuramente, non hai parlato con Belby» sibilò James, facendo aggrottare la fronte a Roockwood.
«Professore» intervenne Scorpius, dopo aver dato una gomitata a James. «Elphias stava cercando di dividerci, ma s’è intromesso Parkinson e se l’è presa con lui. Si stava solo difendendo».
Mcmillan soppesò per qualche secondo il Grifondoro, poi sospirò e disse: «Sparisci, Doge». Il Grifondoro sorpreso per la sua fortuna sfacciata, si dileguò.
«Io sono intervenuto in difesa di Roockwood» protestò Parkinson.
«E questo chi me l’ha fatto?» ribatté Scorpius toccandosi lo zigomo destro, su cui si stava formando un bel livido.
«Basta così. Cinquanta punti in meno ciascuno». I ragazzi iniziarono a lamentarsi, ma Mcmillan li zittì immediatamente. «Se non state zitti, ve ne tolgo di più. E siete in punizione per una settimana».
«Ma ci sono quelli delle altre Scuole, questa settimana» disse Parkinson.
«Non è un problema mio. Adesso tornatevene nelle vostre Sale Comuni, in silenzio» ribatté Mcmillan.
«Scorpius, non ci torna con quelli in Sala Comune» dichiarò rabbioso James.
«Potter…» iniziò Mcmillan minaccioso.
«Lascia stare» soffiò Scorpius.
*
«Oh, è terribilmente emozionante» trillò Artemisia Belby.
«Alcuni sembrano proprio carini» quasi canticchiò Chantal White.
Virginia s’infastidì a quelle chiacchiere frivole e stupide e si strinse il mantello addosso. Aveva ripreso a nevicare, fortunatamente le delegazioni delle altre Scuole erano arrivate prima che il tempo peggiorasse ulteriormente. Alcuni ragazzi erano palesemente infreddoliti, probabilmente non erano abituati al loro clima.
«Sei preoccupata?» sussurrò Martha, mentre entravano in Sala Grande per il Banchetto di Benvenuto.
«Tu che dici? Dopo quello che è successo stamattina allo stadio! E lo strano comportamento dei professori».
«Avete visto Lycoris da qualche parte?» domandò Carole Parker, attirando la loro attenzione.
«No. Noi abbiamo studiato tutto il pomeriggio» replicò un po’ acidamente Virginia.
«Sei un Prefetto! Dovresti preoccupartene!» ribatté Chantal White.
«Wilson, Fortebraccio» chiamò una ragazza dai lunghi capelli chiari. «Dov’è il nostro Caposcuola? Non sopporto più Corner».
Elladora Flint, Prefetto sesto anno, Corvonero, li fissava in attesa di una risposta battendo nervosamente un piede a terra.
«Non l’abbiamo visto» rispose Dexter, seduto di fronte a Virginia.
«Oggi stanno succedendo cose strane» s’intromise Camilla Smith, Prefetto del sesto anno, Tassorosso, e miglior pettegola della Scuola.
«E voi Tassorosso non sapete nulla?» domandò la Flint.
«No. Ho tentato di parlare con July Mcmillan, ma era occupata con Weasley e mi ha risposto male. Comunque anche il nostro Caposcuola è sparito».
«Oh, eccoli. E sono tutti insieme» annunciò loro Raj Kumar indicando la porta.
In effetti i quattro Caposcuola stavano entrando in quel momento in compagnia di Mcmillan, Paciock, della Shafiq e niente meno che Hermione Granger, Draco Malfoy e Gregory Mullet. La Sala Grande era abbastanza caotica e lo divenne ancora di più. La Preside andò subito incontro agli ospiti del Ministero.
«Roberts» chiamò immediatamente la Flint, minimamente toccata dalla presenza dei tre.
Il ragazzo, molto pallido in volto, sospirò ma si avvicinò comunque.
«Che sta succedendo?» gli chiese a bruciapelo Camilla Smith.
«Non sono autorizzato a rispondere» rispose Laurence Roberts.
«Un nostro compagno è sparito. Non lo vedo da stamattina» intervenne Chantal White. «E i Prefetti non si preoccupano».
«Veramente Lycoris non era neanche a letto quando ci siamo alzati» precisò Dexter Fortebraccio. «Ma non ho detto nulla perché non è la prima volta che esce la notte. Mi ha detto che ha una ragazza di un’altra Casa» confessò.
Il Caposcuola s’incupì. «Dexter, che ti è saltato in mente! Non sai nemmeno in che cosa ti sei messo in mezzo. Dovrò fare rapporto».
Dexter impallidì. «Ma io…».
Laurence Roberts scosse la testa. «Prendiamo posto e non creiamo altri problemi».
«E Lycoris?» lo fermò Carole Parker.
«Non sono autorizzato a rispondervi» ripetè atono Laurence Roberts.
*
Al tavolo dei Grifondoro Albus era eccitatissimo per l’arrivo dei ragazzi di Castelobruxo e aveva fatto in modo di invitare Daila e i suoi compagni al loro tavolo per primo. Erano solo sette per cui non ebbero problemi con loro e Robert invitò a sua volta il gruppo di Ivelmorny, ma invano.
«Mi sa che non ti vuole perdonare» sussurrò James all’amico.
Il ragazzo fissava intensamente una ragazza americana, che James era sicuro fosse una dei duellanti.
«Vedremo» ribatté Robert senza distogliere lo sguardo.
«A me sembra stupido il tuo comportamento» sentenziò Demetra.
«Dai!» la richiamò Benedetta.
«Perché sarebbe stupido?» chiese Robert infastidito.
«Perché è passato un anno e mezzo, tipo! In più tu te ne sei andato senza dirle nulla!» spiegò Demetra lentamente come se avesse a che fare con una persona dura d’orecchie.
Robert strinse le labbra.
«Ricordi tua zia» borbottò James accigliandosi.
Robert lo ignorò. «Sono stati i miei genitori a costringermi a tornare qui. Mi hanno preparato le valige e messo in mano una passaporta internazionale! Non ho avuto il tempo! Appena ho potuto, le ho mandato un gufo, ma sai com’è, ci ha messo un po’ ad attraversare l’oceano!».
«Tua zia ti detto di scegliere se continuare a studiare in America o tornare qui. Hai scelto e immagino che tu non l’abbia consultata» ribatté Demetra.
Il ragazzo fece per parlare, poi rinunciò e fece finta di ascoltare la prozia che presentava gli ospiti e dava qualche istruzione sulla settimana entrante.
«Ma Arthur come ha fatto?» chiese Benedetta, tentando di cambiare discorso.
James cercò il ragazzino al tavolo di Tassorosso e lo vide intento a chiacchierare animatamente con una coetanea dal viso familiare.
«Quella non è la Müller?» domandò Demetra.
«Ma gli altri di Durmstrang sono seduti con i Serpeverde» replicò James perplesso.
«Strano, vero?» trillò Lily, facendosi spazio a forza tra il fratello e Benedetta.
James la fissò con un sopracciglio alzato, come a chiederle che intenzioni avesse.
«Risolveremo domani il mistero. Ora dimmi che cavolo sono quelle voci che circolano da oggi. Ne sai qualcosa?» chiese Lily a bruciapelo.
«Quali voci?» ribatté James.
Lily gli rivolse un’occhiata tra lo scettico e il saputo. «Ti sembra normale che Williams esca dal suo ufficio per fare colazione e si ritrovi dei ragazzi legati di fronte alla porta? Dicono che sono stati torturati».
«Io non ho-» iniziò James irritato dal sentire come quei cretini avessero tentato di discolparsi. Robert, però, gli tirò una gomitata facendolo tacere. Gli occhi di Lily saettarono dall’uno all’altro.
«Guardate, che so tenere i segreti» sbuffò spazientita.
«Lo so» assentì James, sorridendole. «Però io non ti chiedo che cosa fai con le Malandrine, perciò tu non chiedere a noi quello che combiniamo la notte».
«Quanto meno sono stati sospesi e hanno perso molti punti» si rassegnò Lily trovando comunque l’aspetto positivo della situazione. «A proposito, Jamie. Questa cosa del ‘io non faccio domande, tu non fai domande. Ognuno si sbriga i suoi affari’ vale sempre, vero?».
«Certo!» rispose immediatamente James.
«Bene, allora quando mamma ti scriverà chiedendo notizie delle mie recenti attività, scolastiche e non, spiegaglielo». Lily gli stampò un bacio rapido sulla guancia e tornò a sedersi vicino alle Malandrine.
James rimase interdetto per qualche secondo, con la consapevolezza che sua sorella l’avesse appena incastrato. In quale guaio ancora non lo sapeva. Si voltò verso i suoi amici e disse: «Mia madre scriverà ad Al per certe informazioni, no?».
«Allora può stare fresca» ribatté Demetra. «Tuo fratello mi sembra abbastanza occupato».
James ghignò nel vedere Albus impegnato ad attirare l’attenzione di Daila Morales. Oh, sì si sarebbe divertito a prenderlo in giro!
 
*
 
«Ecco la scarpa, Frank. Era sotto il letto» sbuffò Roxi, rialzandosi da terra. Il suo migliore amico stava litigando con la cravatta rosso-oro.
«Sul serio? Non puoi farlo dopo? Siamo in un terribile ritardo!» lo richiamò.
«Oh, sì. Scusa» disse Frank, lasciando perdere la cravatta e prendendo la scarpa che l’amica gli porgeva. «Grazie».
«È possibile che ci costringano a uscire fuori con questo tempo?» si lamentò Roxi.
«Risparmia il fiato per correre» le suggerì Frank.
Al primo piano, una figura si parò davanti a loro e dovettero frenare di scatto per non rovinargli addosso. «Non si corre nei corridoi. Dieci punti in meno a Grifondoro. E direi altri dieci perché sei trasandato Paciock. Oh, Merlino è una vergogna come si siano ridotte le famiglie purosangue. Ah, naturalmente altri dieci punti in meno perché non siete a lezione».
«Scusa» disse Frank, prima che Roxi iniziasse a inveire contro Roockwood, Prefetto di Serpeverde. «Andiamo subito a lezione».
«Se avete lezione di Erbologia o di Cura delle Creature Magiche, per oggi si svolgeranno nel castello».
«Ah, grazie. Puoi dirci in che aula è Hagrid?» chiese Frank gentilmente.
«Certamente» replicò Roockwood con un ghigno che non piacque né a Roxi né a Frank. «Secondo piano. L’aula in fondo al corridoio, di solito in disuso. Buona lezione».
«Ce qualcosa che non mi torna» soffiò Roxi a Frank.
«Non abbiamo scelta» replicò l’altro.
Corsero di nuovo fino alla porta dell’aula indicatagli dal Prefetto. «Entro per prima» disse Roxi, sapendo quanto Frank fosse timido.
Rimasero a bocca aperta. Dalla cattedra li fissò Neville e non Hagrid. Qualcuno ridacchiò e Frank notò sua sorella Augusta fissarlo soddisfatta.
«Abbiamo sbagliato aula, scusate» disse Roxi, ma Frank notò la sua irritazione.
«Se cercate Hagrid è al primo piano» disse Neville pazientemente.
«Grazie. Scusate ancora» disse Frank, senza guardarlo negli occhi.
«Bene. Abbiamo perso trenta punti per Grifondoro. Ho saltato la colazione, cosa più grave di tutte, e ci siamo sparati una fantastica brutta figura davanti a dei ragazzini del primo anno» sbuffò Roxi, una volta fuori dall’aula. «Andiamo da Hagrid».
«Mi dispiace» disse Frank, sentendosi in colpa per quella situazione.
«Roockwood se ne pentirà» replicò Roxi, dandogli una pacca sulla spalla.
Nell’aula di Hagrid, però, gli aspettava un’altra sorpresa: con lui c’era un ragazzo poco più grande di loro, che non avevano mai visto e non indossava neanche la divisa della Scuola.
Si scusarono e presero posto negli unici banchi rimasti liberi.
Hagrid, non potendo portare animali dentro il castello, non quelli che piacevano a lui comunque, aveva deciso di fare un ripasso di quanto spiegato in quei primi mesi di scuola. Evidentemente era stata una pessima idea: nessuno ascoltava o partecipava. Roxi e Frank tentarono di aiutarlo, nonostante non ne avessero voglia. Non ottennero grandi risultati. La situazione cambiò appena il ragazzo affiancò Hagrid, la maggior parte dei ragazzi si zittì per la sorpresa. In effetti sul suo volto vi erano delle cicatrici inquietanti. Frank deglutì, chiedendosi chi fosse. Il ragazzo, però, si limitò a storcere la bocca in un’espressione di fastidio e quasi disgusto. Hagrid riprese a parlare e nessuno fiatò per il resto della lezione.
*
«Mi devi ascoltare» disse Robert supplichevole, incurante che gran parte dei ragazzi del sesto anno lo stesso osservando e stesse ridendo di lui.
«Fuori dai piedi, Cooper» minacciò un ragazzo alto e dai corti capelli biondi.
«MacDuff, sparisci. O ti cambio i connotati» ringhiò Robert, furioso per l’intromissione.
James non sapeva come comportarsi. Quando l’amico gli aveva comunicato che aveva deciso di affrontare quella che per lui era ancora la sua ragazza, l’aveva immediatamente appoggiato. Adesso, però, la tensione si stava alzando notevolmente nel corridoio. Scambiò un’occhiata con Benedetta.
Il ragazzo biondo spinse Robert, che reagì all’istante. Era troppo nervoso.
«Fermati» tentò di tirarlo per una manica James.
Robert non gli diede ascolto e iniziò ad azzuffarsi. Alcune ragazze urlarono, i ragazzi cominciarono a fare il tifo. I colori diversi delle divise rendeva il clima più accesso e frasi stupide volarono da ogni parte. James provò a dividerli, ma erano una furia entrambi.
«Basta così!» gridò Maxi Williams, facendosi largo tra gli studenti. Insieme a lui vi era Norton Sawyer e in due riuscirono a separare i ragazzi; ma dovettero fare una notevole fatica a tenerli separati, perché, specialmente Robert, dava ancora segni di voler attaccare l’altro.
«Robert! Sei impazzito, per caso? Per quale motivo state litigando?» lo sgridò Williams. «E tu chi sei?» abbaiò a MacDuff, visto che Robert taceva.
«Alexander MacDuff, signore. Sono il Capitano dei duellanti di Ilvermorny» rispose pomposamente il ragazzo.
«Perché stavate litigando?» richiese Williams, mentre Sawyer allontanava gli altri studenti.
«Cooper infastidiva la mia compagna» replicò MacDuff indicando una ragazza, rimasta in disparte e che fissava il pavimento ignorando il loro sguardo.
«Signore, Robert stava solo parlando e questo ragazzo si è intromesso» intervenne James in difesa del suo migliore amico.
Williams lo soppesò per un attimo, poi si rivolse alla ragazza: «Signorina, il mio allievo ti stava importunando?».
La ragazza scosse lievemente la testa, ma continuò a non guardare nessuno.
«Rimane il fatto che vi siate azzuffati. Non so se a Ilvermorny è permesso, ma qui a Hogwarts no» riprese il professore di Difesa contro le Arti Oscure.
«Non lo è, signore» intervenne la ragazza, che il compagno fulminò all’istante.
«Allora, sono costretto a riferirlo al professor Fontaine. Robert, vieni con me. Voi andate a lezione. Siete in ritardo» disse Williams.
Automaticamente sia la ragazza sia James seguirono i due, tanto che Williams si voltò verso di loro alzando un sopracciglio in una muta richiesta.
James aprì la bocca per difendere ancora l’amico, ma la ragazza lo precedette.
«È per colpa mia se hanno litigato, professore».
Il sopracciglio di Williams si inarcò ulteriormente e dopo un attimo di sorpresa vi fu un lampo divertito nei suoi occhi.
«Quale sia il motivo, non avrebbero dovuto azzuffarsi» replicò l’insegnante, che a James sembrò minimamente intenzionato a intromettersi nella faccenda.
«Il problema è che i maschi sono stupidi» sentenziò la ragazza. Poi si avvicinò a Robert e gli tirò un sonoro ceffone. «Avresti dovuto tentare di parlarmi lo scorso Natale. Dopo un anno è tardi. Stammi lontano o la prossima volta ti affatturerò».
Robert la fissò a occhi sgranati.
«Signorina…» tentò debolmente Williams.
«Dica anche questo al professor Fontaine. Buona giornata» ribatté ella, voltandosi e lasciando i tre da soli nel mezzo del corridoio.
*
Albus era sicuro di aver fatto un buon lavoro, a parte una piccola imprecisione. D’altronde la prova comprendeva il programma dei primi cinque anni e visto che avrebbe dovuto affrontare i G. U. F. O. non avrebbe potuto certo sbagliarla! Zio Neville sarebbe stato senz’altro contento. Comunque in quel momento, mentre usciva dall’aula, allestita appositamente come se fosse una serra, visto che il tempo era implacabile, pensava solo a Daila. La neve aveva rovinato i suoi progetti di portarla a visitare il parco, ma le avrebbe fatto fare il giro del castello e presentata Smile, la sua fenice, di cui andava molto orgoglioso.
Nel corridoio, però, Daila non era da sola: chiacchierava tranquillamente con Rimen Mcmillan.
«Ehi, come va?» s’intromise nella conversazione con un sorriso, abbastanza forzato. Una strana sensazione si era impossessata di lui.
«Ciao» replicò gentilmente Rimen.
«Ho trovato la prova alquanto semplice. Ma noi a Castelobruxo stiamo sempre a contatto con piante e animali» annunciò subito una sorridente Daila. «E tu Albus?».
«Oh, anche io l’ho trovata semplice. Ho commesso solo un piccolo errore di distrazione» rispose Albus, ma evitò di aggiungere che stesse guardando lei, con il rischio di essere accusato di star tentando di copiare.
«È un’ottima notizia» disse sinceramente felice Rimen. «La nostra squadra di gobbiglie ha vinto contro Dreamtime. Tuo cugino Hugo ha vinto contro Nathan Wilkinson. È un vero peccato che siano stati costretti a scontrarsi. Domani tuo cugino Louis dovrà affrontare Phoebe Moore. Davvero un peccato…» lo informò.
«A te quando toccherà?» chiese Albus, chiedendosi perché il Tassorosso non se ne andasse.
«Venerdì notte. Dovremmo disegnare mappe stellari e cose simili».
«Beh, hai altro tempo per prepararti» commentò Albus.
«Infatti. Beh, Albus, ho promesso a Daila che lei avrei fatto un tour del castello. Ci si vede in giro. Non dimenticarti della riunione dei Prefetti di mercoledì».
«Ciao, Albus» disse Daila, seguendo Rimen.
Albus aveva annuito meccanicamente alle loro parole e li osservò quasi con rabbia, mentre se ne andavano lasciandolo lì come un cretino. Era logico. Perfettamente prevedibile. Perché una ragazza bella e più grande avrebbe dovuto volere lui? Quanto era stato stupido…
*
Brian si svegliò di scatto, non comprendendo perché. Si strofinò gli occhi e si rese conto di essersi addormentato su un tavolo della Sala Comune.
«Scusi, scusi» gracchiò una vocina di fronte a lui.
Due enormi occhi a palla lo fissavano e appartenevano a una specie di pipistrello appollaiato sul tavolo. Si alzò di scatto e buttò la sedia a terra, il fracasso nella torre addormentata risuonò cupamente.
L’essere non diede segno di volerlo attaccare, anzi prese il manuale di Trasfigurazione e iniziò a colpirsi la testa con foga: «Cattivo Tabi! Cattivo Tabi!».
Brian, scioccato dalla scena, comprese che si trattava di un elfo domestico. Per quanto avesse entrambi i genitori maghi, solitamente il possesso di elfi domestici era una prerogativa delle famiglie magiche più antiche e ricche. Si sollevò dal pavimento e tentò di strappargli il libro dalle mani.
«Dai, fermati. Che ti prende?» disse e poi con ultimo sforzo si riappropriò del manuale.
«Tabi si dispiace signore. Tabi non deve farsi vedere dagli studenti. E Tabi ha svegliato il signorino. Tabi cattivo!».
Brian fu più veloce e bloccò, gentilmente ma con forza, le mani dell’elfo che stavano per afferrare un altro libro.
«Non fa nulla. Anzi, mi hai fatto un favore. Non potevo mica dormire qui tutta la notte!» tentò di spiegargli.
«Tabi non dovrebbe farsi vedere dagli studenti» ripeté l’elfo, visibilmente affranto. «Tabi cattivo! Tabi verrà licenziato!».
Fortunatamente non strillava più, ma piagnucolava e a Brian dispiacque parecchio. Gli accarezzò un braccio e disse: «Non credo che la Preside ti licenzierebbe solo per questo, ma se ti preoccupa tanto la cosa, ti assicuro che non dirò a nessuno che ti ho visto».
Tabi tirò su con il naso molto rumorosamente e quasi timidamente chiese: «Davvero?».
«Certo, tranquillo» sorrise Brian.
E l’elfo scoppiò a piangere. Brian tentò in ogni modo di calmarlo, ma ci volle parecchio tempo.  
«Sei molto buono» singhiozzò infine Tabi.
Brian non replicò, ma continuò ad accarezzargli la grossa testa. «Ma gli elfi domestici sono tutti piccoli come te?» chiese curioso. Non ne aveva mai visto uno, se non in qualche illustrazione, ma gli sembrava un po’ troppo piccolo: era poco più alto delle bambole di sua sorella.
«Oh, gli elfi domestici sono più grandi di Tabi, signorino. Tabi è ancora piccolo».
Gli occhi erano grandi come palle da tennis, di un intenso azzurro, lievemente acquosi per il pianto.
«Ma se sei piccolo non dovresti lavorare» disse perplesso. Tabi ispirava molta più dolcezza delle bambole di sua sorella.
«Tabi non è così piccolo. Tabi impara».
Brian annuì, comprendendo di aver detto delle parole stupide. Probabilmente gli elfi non avevano la loro stessa cognizione del tempo. Avrebbe dovuto chiederlo a suo padre o a Maxi.
«Vuoi una mano Tabi?» domandò allora.
L’elfo scosse con forza la testa e Brian si affrettò a scusarsi, sperando che non scoppiasse a piangere di nuovo. Attese, però, che finisse di mettere in ordine, prima di andare a letto.
«Tabi vuoi essere mio amico?» chiese.
L’elfo sgranò gli occhioni azzurri e annuì, abbracciandogli una gamba.
*
Un rumore fece sobbalzare Jack, che si nascose dietro un’armatura. Non poteva farsi beccare in giro a quell’ora della notte. Non aveva bisogno di guai. Tese l’orecchio e si rese conto che non erano passi, ma sembrava quasi un lamento. Ma chi era? Qualcuno che stava male? Prestò attenzione e lentamente seguì il debole suono. Man mano che si avvicinava il suo cuore si appesantiva. Non comprendeva per quale motivo stesse reagendo così. Non era paura. Lui non aveva paura. Era altro. Sembrava quasi angoscia. Ma di cosa? Il lamento era sempre più vicino. Chiunque stesse emettendo un suono così straziante doveva soffrire tantissimo.
Jack ormai aveva capito che la voce proveniva dalla biblioteca, ma, quando vi entrò, il desiderio di strapparsi il cuore dal petto aumentò notevolmente. Solo in quel modo avrebbe smesso di soffrire. Si mise una mano sul petto, affannosamente procedette finché non raggiunse la fonte del lamento, ma a quel punto la sua mente si annebbiò, prese la bacchetta: doveva far finire quel tormento. Doveva… Respirare era sempre più faticoso… Scivolò a terra, con le spalle appoggiate a una scaffale e con le mani sulle orecchie.
Il lamento si fermò all’improvviso e una voce strana, quasi gutturale, lo apostrofò, ma Jack non comprese. Stava tornando a respirare lentamente e dolorosamente. Inspirò l’aria polverosa della biblioteca con difficoltà, ma con gratitudine.
Socchiuse lentamente gli occhi, serrati inconsciamente, e vide un volto chinato su di lui. Non si spostò. Non poteva credere che quell’essere potesse essere responsabile di tanto dolore. Aveva sentito il cuore sul punto di esplodere!
«Dispiace… dispiace…».
La ragazza si stringeva alcune ciocche di capelli e piangeva. Sembrava quasi un elfo domestico pronto a punirsi per qualcosa. Sembrava. Ma per Jack era quasi un angelo. Un angelo nero. Senza muoversi, allungò una mano e le accarezzò una guancia bagnata.
«Tu… tu bene?» domandò ella in un inglese molto stentato.
Jack si raddrizzò lievemente, facendola sobbalzare e allontanare. Ora lo fissava terrorizzata, le braccia strette al petto quasi volesse proteggersi. E piangeva ancora, più forte. Il ragazzo si sollevò e le si avvicinò. Era molto più alto di lei, che gli arrivava sì e no al petto.
«Sto bene» le sussurrò. «Non piangere». Il corpicino della ragazza era scosso dai singhiozzi. «Come ti chiami?» spaventato di compiere qualche gesto sbagliato, ma non sapendo come comportarsi visto che lei non capiva l’inglese. Jack sospirò e, senza saper bene che cosa stesse facendo, l’abbracciò, tentando di calmarla. In un primo momento ella s’irrigidì, ma Jack le accarezzò le spalle delicatamente. Dopo qualche minuto la ragazza smise di singhiozzare e si calmò, ma era ancora molto inquieta e Jack glielo lesse negli occhi quando lei si staccò e lo fissò.  
«Come ti chiami?» le chiese nuovamente. «Tuo nome» insisté, pensando che non capisse.
Ella annuì. «Kymia» rispose lentamente e con voce tremante.
«Mi chiamo Jack» si presentò, invece, il ragazzo, porgendole la mano destra. Kymia la strinse e Jack ne approfittò per riavvicinarla a sé. Accidenti, il suo profumo lo confondeva, ancor più della sua canzone.
«Aiuto, ti prego…» sussurrò Kymia. «Io non potere espulsa…».
«Mica ti espellono solo perché sei fuori dal letto!» disse Jack sorpreso che il problema fosse solo quello.
Kymia non comprese e piagnucolò di nuovo che non voleva essere espulsa.
«Perché?» chiese semplicemente Jack, sperando che si decidesse a spiegargli.
«Io… quasi uccidere te…» rispose ella a occhi sgranati.
«La tua canzone era solo molto triste» replicò Jack non comprendendo come avrebbe potuto attentare alla sua vita. Anche se quella sensazione provata… il suo cuore che sembrava pronto… no, no a esplodere come aveva pensato in primo istante… stava implodendo… Ma come? «Era un incantesimo?».
«No… sì…» balbettò Kymia.
«Che cos’era?» insisté Jack. Nono conosceva incantesimi di quell’entità, ma una ragazzina così indifesa e dolce non poteva conoscere la magia nera! Si rifiutava di accettarlo con tutto se stesso.
«Voi chiamate ‘nenia’… ma magica… Non volevo far male…».
«Ma perché l’hai cantata?» domandò Jack perplesso. Non poteva sapere che si sarebbe trovato nelle vicinanze proprio quella sera e soprattutto che si sarebbe avvicinato tanto.
«Io triste… pensavo non sentire nessuno…».
Jack la fece sedere a terra, spense la lampada che ella doveva essersi portata dietro. La sentì fremere al buio e accese immediatamente la bacchetta. «Con la luce ci beccano prima» spiegò, ma ella non capì. «Perché triste?» chiese allora.
«Io perdere partita…».
«Cosa?».
«Scacchi».
Jack le circondò le spalle con un braccio. «Non fa niente».
Probabilmente non comprese le sue parole, ma non era importante: era più tranquilla. All’improvviso non aveva più alcuna fretta di tornare in Dormitorio.
*
Emmanuel era furioso. Furioso con sé stesso. James Potter l’aveva sconfitto. I suoi compagni di Serpeverde avevano immediatamente iniziato a deriderlo. Era un perdente. E tutto il suo allenamento non era servito a nulla. L’estro fantasioso di James aveva avuto la meglio ancora una volta. Sei prevedibile gli aveva detto.
«Emmanuel».
Si voltò di scatto ed estrasse la bacchetta. «Che vuoi da me, Roockwood?».
Augustus Roockwood alzò le mani, in segno di resa. «Non voglio duellare con te, Emmanuel. Ho visto che ti ha dato parecchio fastidio la vittoria di Potter. Mi dispiace che tu ti sia fatto fare il lavaggio del cervello, ma forse adesso sei più conscio della realtà. Voglio solo aiutarti. Williams è un Auror e favorisce Potter per entrare nelle grazie di suo padre, capisci? Sei bravo, un ottimo mago, Emmanuel! Ma oggi non avresti mai potuto vincere contro il figlio del Salvatore del Mondo Magico! Non volevano che tu vincessi! Williams ti allena perché deve mantenere la facciata!».
Emmanuel deglutì. Non doveva credergli. Non doveva. Conosceva la verità.
«Lasciami in pace, Roockwood» disse con fermezza, trattenendo a stento la rabbia.
«Sono qui per te, Emmanuel. Voglio aiutarti» insisté Roockwood avvicinandosi, ma l’altro lo fermò alzando e stringendo di più la bacchetta. «Va bene, va bene. Come vuoi tu. Non ti fidi più di nessuno?».
«Stai dicendo un mucchio di scemenze» ringhiò Emmanuel. «Vattene!».
«Come vuoi, ma per farti vedere che sono un amico, prendi questo» disse passandogli un sacchettino minuscolo. «Vedrai che starai meglio. Quella roba i tuoi amichetti delle altre Case non potrebbero neanche permettersela. Quando vuoi, ti accoglierò a braccia aperte».
Emmanuel lo fissò finché non fu sparito, poi aprì il sacchetto. C’era della polvere bianca con striature verdi brillanti. Stordito, comprese che cosa avesse tra le mani e si chiese quali fossero le reali intenzioni di Roockwood.
«Emmanuel».
Questa volta sobbalzò e nascose il sacchetto dietro la schiena. La rabbia lasciò spazio alla paura, mentre incrociava gli occhi del professor Williams.
«Sono venuto a vedere come stavi. Dopo il duello sei scappato».
«Sto bene… signore» rispose in fretta, ma la sua voce tremante rischiò di tradirlo.
«Che cosa ti ha dato Roockwood?» domandò a bruciapelo il professore.
Emmanuel boccheggiò e tremando gli passò il sacchetto.
Williams lo prese, lo odorò e poi indicò a Emmanuel la polvere che si era buttato addosso nel nascondere il sacchetto.
«Hai fatto bene a consegnarmelo. Se l’avessi tenuto, avresti dovuto ringraziare Merlino per una sospensione» disse Williams.
«Non l’ho toccata» biascicò Emmanuel.
«Sì, lo so. Polvere di artigli di drago. Roba che ti distrugge lentamente. Dà solo l’illusione di farti stare bene» sospirò l’uomo, con il pensiero lontano da lì. «Non ho mai favorito James. Lui e Jack vogliono sempre fare di più. Si allenano da soli spesso, senza neanche chiedere il mio consenso. E tieni conto che James ha due anni di istruzione più di te. Sei stato bravo a tenergli testa, però. L’hai messo in difficoltà e mostrato il tuo talento. Non piace a nessuno perdere, ma non hai nulla da rimproverarti. Al contrario dovresti essere fiero di te stesso».
«Sì, signore. Grazie» borbottò Emmanuel.
«Non farti trascinare da Roockwood. Come avrai capito, voleva soltanto approfittare della tua delusione».
Emmanuel annuì. L’aveva capito, ma Roockwood sapeva certamente toccare i tasti giusti per colpire le sue vittime.
*
Daila sedeva con Rimen Mcmillan e chiacchieravano tranquillamente. Ogni tanto ridacchiavano. Da quando Mcmillan sapeva fare battute? Non l’avrebbe mai detto! Era sempre così serioso!
«Basta, Albus! Te li stai mangiando con gli occhi!» lo rimproverò Rose.
«Se vuoi una donna, devi andartela a prendere» disse, invece, Cassy.
Albus strinse i pugni e non rispose.
«Si muore di freddo. Torniamo dentro?» chiese Alastor, proprio mentre Rose urlava furiosa all’indirizzo del battitore giapponese che aveva quasi disarcionato Albert Abbott. Hogwarts conduceva la partita per 40 a 30. I Giapponesi si stavano rivelando veramente forti e pericolosi.
«Sapete che siamo stati noi a insegnarli a giocare?» chiese Rose. «Un gruppo di ragazzi di Hogwarts si sono persi e sono finiti nella loro Scuola. I Giapponesi li hanno aiutati e loro in cambio li hanno insegnato il Quidditch».
«La storia del Quidditch la studi, forse dovresti dirlo a zia Hermione» commentò acidamente Albus. «Sì, andiamo» disse poi rivolto ad Alastor.
«Non puoi!» strillò Rose. «Stanno giocando i nostri compagni!».
«Qui si gela! Va a finire che tra poco si rimette a nevicare!».
«Il cervello ce l’hai già gelato» sbottò Rose.
Albus le diede le spalle. Aveva fretta di tornare nel caldo della loro Sala Comune e soprattutto di allontanarsi dalla vista di Mcmillan e Daila.
*
«Ma sei sicuro? Papà e gli zii non hanno mai detto nulla» disse Albus perplesso.
«L’abbiamo letto io e Rose nella sua scheda» replicò Scorpius.
«E chi vi ha detto di ficcare il naso dove non vi riguarda?» sbuffò Albus.
«Ma stai un po’ zitto. Tanto la Morales non la vedrai prima dell’anno nuovo!» lo rimbeccò Rose.
«Sbrighiamoci, ci stanno aspettando» li richiamò Scorpius, scuotendo la testa. Ormai quei due non facevano che litigare.
Corsero per l’ultimo tratto, che li separava dalla casa di Hagrid.
«Eccovi!» li accolse James. «Lily sarà qui a momenti!».
I tre entrarono nella casetta e trovarono un posto in mezzo agli altri. Pochi secondi dopo Lily entrò di corsa e li gettò un’occhiataccia. «Quanto ci avete messo?» sibilò.
«Lily, che cos’è tutta questa fretta?» borbottò Hagrid, entrando dietro di lei.
«Buon compleanno!».
«Sorpresa!».
«Oh, me l’avete fatta» borbottò Hagrid passandosi una mano sugli occhi, divenuti improvvisamente umidi.
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Mi dispiace di essere sparita, ma purtroppo ho avuto molto da fare e non ho potuto dedicarmi, come avrei voluto, alla storia. Spero che il capitolo vi piaccia, devo ammettere che non mi convince pienamente.
Cercherò di pubblicare prima d’ora in avanti ;-)
Vi auguro una buona domenica.
A presto,
Carme93

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Capitolo 22
*** Non esiste il sangue blu ***


Capitolo ventiduesimo
 
Non esiste il sangue blu
 
«Buongiorno a tutti ragazzi. Prima di iniziare vorrei parlarvi del progetto che vi avevo proposto poco tempo fa. Come avrete notato, fino a questo momento a coloro che si sono proposti non sono state fornite ulteriori istruzioni. Questo perché vi sono state molte proteste al Ministero della Magia e il Ministro, che aveva dato il suo consenso, ha dovuto fare un passo indietro».
Dorcas sgranò gli occhi alle parole della professoressa Dawson. Stava scherzando?
«Purtroppo il progetto è stato sostanzialmente modificato. Il Ministero non è contrario, o almeno non lo è in linea di massima, perché vi sono anche le posizioni più conservatrici, al fatto che gli studenti vengano coinvolti maggiormente nella realtà che li circonda, e, naturalmente, non mi riferisco tanto al contesto scolastico quanto a quello extra-scolastico e soprattutto dedicarsi a quello che può essere considerato ‘volontariato’. Ma non dovrete avere nulla a che fare con i detenuti di Azkaban».
«Non possono fare così!» si lamentò Dorcas, attirando l’attenzione di tutti su di sé. Solitamente non parlava durante le lezioni, a meno che non fosse costretta a farlo.
«Mi dispiace, Dorcas…» iniziò la Dawson, ma la ragazza la interruppe bruscamente.
«Avete detto che l’avremmo fatto! Non potete ritrattare così» disse furiosa.
«Non dipende da me. Ho le mani legate, Dorcas. Il Ministero ha ordinato chiaramente alla professoressa McGranitt di non procedere su questa strada».
«E da quand’è che Hogwarts fa quello che vuole il Ministero?» insisté Dorcas.
«Dorcas, non è solo il Ministero. Anche i vostri genitori non vogliono. I consiglieri della Scuola…».
«Lei si nasconde dietro il Ministero e i consiglieri, perché non ha il coraggio di prendere le sue decisioni!» sbottò Dorcas. Un brusio sommesso si levò nella classe, facendole capire che stava esagerando. Quelle parole non avrebbe dovuto dirle.
«Mi dispiace, che tu la pensi così, Dorcas. Ma ti assicuro che se anche insistessi tanto da farmi licenziare, non cambierebbe nulla. Adesso, per favore, prendete il manuale. Noah inizia a leggere il capitolo quattro».
«Dor, hai il libro?» le sussurrò Geoffrey Hitson, suo compagno di Casa.
Arrabbiata com’era, Dorcas fu sul punto di rispondergli malissimo, ma si trattenne. Quel ragazzo riusciva sempre a dimenticare i libri in Dormitorio, ma come faceva? Prese il manuale dallo zaino controvoglia e lo pose sul banco tra lei e Geoffrey. Non aveva alcuna voglia di seguire, sentiva le lacrime premere per uscire, ma non voleva farsi vedere dai suoi compagni. Fissò senza vederla realmente, la pagina che stavano leggendo. Si rese conto di aver davvero esagerato con la professoressa: non avrebbe mai dovuto dire quelle cose. Non le pensava e certamente non avrebbe voluto che la Dawson perdesse il posto per lei. Non era stupida e capiva che, molto probabilmente, anche se non l’aveva detto, l’aveva comunque messa in una posizione scomoda. Si costrinse a seguire, nonostante ebbe difficoltà a trovare il punto in cui erano arrivati nella lettura. Naturalmente Geoffrey non lo sapeva. Quel ragazzo era proprio strano. E quando la Dawson fece delle domande sulle lezioni precedenti si premurò di alzare la mano anche lei. La professoressa mostrò di non essere minimamente infastidita con lei e per fortuna, visto che oltre Noah, nessun altro Tassorosso sembrava aver mai aperto un libro dall’inizio dell’anno, mentre Albus, Isobel, Elphias e Alastor facevano a gare a chi conquistava più punti per Grifondoro.
Albus la preoccupava parecchio da quando le delegazioni olimpiche avevano lasciato la Scuola: era mogio, silenzioso e non faceva altro che studiare, nemmeno avessero dovuto affrontare i G.U.F.O. da lì a una settimana. In più le vacanze di Natale erano ormai vicine, per cui il suo comportamento era ancora più assurdo. Le gemelle Danielson, solo Merlino sapeva come, erano venute a conoscenza del fatto che una ragazza di Castelobruxo aveva preferito Rimen Mcmillan ad Albus. Dorcas, a cui Albus le aveva parlato di Daila, trovava la motivazione plausibile. Ella stessa aveva visto Rimen e Daila insieme. Grazie alle gemelle adesso lo sapeva tutta la Scuola.  
Alla fine della lezione si trattenne in classe, mentre i compagni uscivano. Non che molti facessero caso a lei. Ora che Albus si era chiuso in sé stesso, a parte Noah Hunter ed Edward Zabini, nessuno s’interessava a lei. Alastor era troppo occupato a tirar su il morale del suo migliore amico.
Si avvicinò alla cattedra e a capo chino, bofonchiò: «Le chiedo scusa. Non so che cosa mi sia preso. Non pensavo quello che ho detto».
La Dawson sospirò e annuì pensierosa. «Non sei tu che ti devi scusare» disse infine. Dorcas la fissò sorpresa. «È colpa mia. Il professor Williams aveva detto fin da subito che non era una buona idea, ma io mi sono intestardita e ti ho dato false speranze. Mi dispiace, il mio è stato un comportamento irresponsabile. Purtroppo è un mio difetto, mi faccio trasportare dai sentimenti e agisco impulsivamente senza ragionare. Il professor Paciock me l’ha detto più volte. Tendo a essere immatura proprio come voi, ma un insegnante dovrebbe essere più lungimirante e razionale».
«Mi dispiace, non so che cosa mi stia prendendo» sospirò Dorcas, con voce tremula. E non si riferiva semplicemente alla sua reazione non consona all’inizio della lezione, ma a tutto quello che le stava accadendo.
La Dawson sorrise lievemente, ma dolcemente. «Niente è facile, Dorcas» sussurrò.


*

«Se quel cretino di Moore non la smette, giuro che lo prendo a pugni» sibilò Dexter Fortebraccio a Kumar Raj, Virginia e Martha.
«Perché Diderot? Sembra che abbia trascorso una settimana di vacanza e non che l’abbiano sospeso, visto come si comporta» sbuffò Martha.
«E i Tassorosso? Foster è davvero scemo, dà corda a Moore e Diderot. E le gemelle Danielson raccontano le cose più assurde su Jonathan» soggiunse Kumar, stringendo i pugni.
«Ma non farete un bel niente. Tu, Dexter, ti sei messo abbastanza nei guai per colpa di Diderot. E cedere alle provocazioni di quei cretini, non è la soluzione» dichiarò Virginia, ma il suo tono sostenuto e lo sguardo fisso sui compagni che prendevano in giro Jonathan, dimostravano che non era per nulla indifferente.
«Non possiamo rimanere a guardare!» sbottò Martha. «Ci rendiamo loro complici!». E prima che qualcuno potesse aggiungere qualcosa, si avvicinò al gruppetto che si era allontanato dalla fila in attesa di entrare nell’aula di Pozioni. «Siete ridicoli, smettetela» ordinò. Il suo intervento suscitò altre risate.
Moore, Diderot e Foster ululavano da quando erano arrivati. Anzi per essere precisi, lo facevano ormai da lungo tempo, ogni qualvolta incrociavano Jonathan. Gli altri studenti se la ridevano e poi evitavano Jonathan, come se potesse infettarli. Quella storia durava da troppo tempo. Jonathan era caduto in una sorta di apatia e sembrava che le prese in giro non lo sfiorassero neanche, ma i suoi amici erano consapevoli che fosse solo una forma di difesa.
«Ha ragione, non siete divertenti. Smettetela o toglierò punti a Tassorosso e Corvonero» minacciò Dorcas, affiancando Martha.
Virginia sospirò. Se la via autoritaria fosse servita a qualcosa, l’avrebbe già percorsa. Quei cretini, però, erano ben attenti a non farsi vedere dai professori; in più Jonathan aveva ripetutamente pregato lei e Dexter di non intromettersi. Sapeva di star sbagliando, ma il compagno sembrava fin troppo turbato. Probabilmente, però, Martha e Dorcas avevano ragione. Avevano atteso fin troppo che smettessero volontariamente di infastidire Jonathan. Lasciò la fila e si avvicinò a Martha e Dorcas.
«Lasciate perdere» sussurrò Jonathan senza neanche guardarle.
«Questa storia deve finire» ribatté Dorcas a denti stretti.
«Il vostro amico è un ibrido» disse con cattiveria Moore.
«Un mostro. A Difesa s’insegna come uccidere quelli come lui. Sono pericolosi. È assurdo che vengano istruiti» aggiunse Diderot.
La lite fu evitata dall’arrivo del professor Mcmillan, che li squadrò severamente. «Avete quindici anni! Vi viene così difficile attendere l’arrivo del docente in ordine e in silenzio? Dieci punti in meno per Tassorosso e Corvonero» li rimproverò. «In classe, forza» ordinò, dopo aver aperto la porta. Li fece segno di precederlo e quando furono tutti dentro, richiuse la porta alle sue spalle. «Per quanto riguarda i Tassorosso, penso che dovremo fare presto una conversazione molto seria» continuò, mentre loro prendevano posto. A un gesto della sua bacchetta una pila di pergamene, i loro ultimi temi, si autodistribuì. «Al momento, potrebbero superare i G.U.F.O. a malapena quattro di voi».
Dorcas fissò distrattamente l’A+ meritata, d’altronde se l’aspettava in quanto negli ultimi tempi non si era concentrata molto.
«Fenwick, perché non ti siedi?» la richiamò il professor Mcmillan.
In effetti non aveva preso posto, ben decisa a mettere fine all’idiozia dei suoi compagni. O almeno voleva provarci. Sapeva che cosa significava essere continuamente derisa, ma con Jonathan stavano decisamente esagerando.
«Mi scusi, signore» replicò, ma rimase in piedi. «Le volevo solo far presente quanto accaduto poco fa in corridoio».
Il professor Mcmillan si accigliò, ma annuì invitandola silenziosamente a parlare.
«Moore, Diderot e…».
Jonathan, però, la interruppe con rabbia: «Vuoi farti gli affari tuoi?». Poi si rivolse al professore: «Non è accaduto nulla, signore».
Dorcas, ferita da quella reazione brusca, sedette automaticamente e non aggiunse altro.
Il professore lasciò scorrere lo sguardo dall’ uno all’altro un paio di volte, in attesa che uno dei due aggiunse altro. Alla fine si decise a chiedere: «Non c’è nulla che devo sapere?».
Dorcas mantenne gli occhi fissi sul suo tema. «No, signore» sussurrò flebilmente. «Mi scusi».
Virginia e Martha si scambiarono un’occhiata impotente, mentre Jonathan, seguendo meccanicamente le istruzioni dell’insegnante, prendeva il manuale e cercava la ricetta su cui avrebbero dovuto lavorare quel giorno.
Jonathan, Dexter e Raj avevano preso posto, insieme ad Agnes Ant, dietro Moore, Diderot, Chantal White e Artemisia Belby. In più, sfortunatamente, nel tavolo accanto c’erano le gemelle Danielson e Annabelle Dawlish di Tassorosso. I compagni continuarono a deridere Jonathan per tutta la prima ora di lezione, ma aveva tentato di ignorarli per tutto il tempo, come aveva fatto nelle ultime settimane. Questa volta, però, fu più difficile. Sicuramente era stato l’intervento degli amici a scuoterlo. Gli dispiaceva per aver trattato male Dorcas, di cui conosceva la buona fede.
Nonostante ciò continuò imperterrito a lavorare al suo antidoto. La concentrazione, però, diminuiva progressivamente e gli insulti facevano breccia nel suo cuore.
«Sul serio, Goldstain, se fossi stato al tuo posto mi sarei ucciso» sibilò Diderot.
Dexter e Raj non fecero in tempo a reagire e quando anche le gemelle Danielson si voltarono verso di loro sibilando ibrido, Jonathan perse totalmente il controllo. Quasi senza rendersene conto prese il coltello d’argento, che utilizzava per tagliare gli ingredienti, e passò la lama dal polso fin quasi il gomito. Le ragazze urlarono mentre il sangue fluiva copiosamente.
«Lo vedete?» ringhiò Jonathan. «È rosso, proprio come il vostro. Sono proprio come voi. Il mio sangue non è diverso». Le sue parole erano risuonate come una frustata nell’aula silenziosa.
Il professore Mcmillan, immediatamente intervenuto, gli fasciò il braccio senza proferire parola, poi disse: «Vieni con me. E voi altri continuate a lavorare o vi giuro che ve ne pentirete».
Jonathan era sorpreso dal suo gesto e Mcmillan dovette quasi trascinarlo di peso in infermieria. Confuso e scioccato, permise a Madama Williamson di medicarlo senza quasi rendersene conto. Non aveva neanche la voce per chiedere per quale motivo l’avesse fasciato e non avesse semplicemente rimarginato il taglio.
«Mi senti, Jonathan?» sospirò incerto e preoccupato il professor Mcmillan.
Il ragazzo fissò gli occhi su di lui, ma rimase in silenzio. S’intromise Madama Williamson: «Ti conviene riposare. La sostanza sul coltello era velenosa, non posso rimarginare il taglio con la magia. Fortunatamente, il professore ti ha portato immediatamente qui, perciò non dovrebbero esserci ulteriori conseguenze. La ferita dovrà guarire da sola, ma non dovrebbe rimanere la cicatrice».
Jonathan annuì ancora una volta, non del tutto sicuro di aver compreso pienamente. Si sdraiò automaticamente, obbedendo alla sua richiesta.
«Tieni, questa ti aiuterà a dormire un po’» aggiunse la Williamson.
Bevve e mentre la Pozione Soporifera iniziava a far effetto, velando lentamente i suoi occhi, colse l’occhiata preoccupata che i due adulti si scambiarono e alcuni sussurri, che non comprese.


*


«Grazie mille, Nyah» disse Jack.
«Mi fa piacere esserti utile» replicò la ragazzina, il cui inglese era notevolmente migliorato in quei mesi.
«Non ero a conoscenza di queste vostre nenie» continuò Jack meditabondo.
«Non ne so molto» disse Nyah riflettendo. «Ogni etnia ha le sue tradizioni. Musica e danza più di ogni altra cosa sono fondamentali. Ma non so altro. I miei non sono mai andati a Scuola e se io non fossi stata costretta a venire in Inghilterra, probabilmente non ci sarei andata neanche».
«Ma come fate a imparare a controllare la magia?» domandò Jack decisamente perplesso.
Nyah si strinse nelle spalle. «Di solito sono gli anziani a fare da insegnanti. E comunque si imparano solo gli incantesimi utili per la vita di ogni giorno, non certo come qui».
«Sei contenta di essere qui?» le chiese allora Jack, ma se ne pentì vedendola intristirsi.
«Sì» sussurrò, però, prima che il ragazzo potesse scusarsi. «Jack, sono cattiva?».
Il Tassorosso fu colto di sorpresa da quella domanda. «Certo che no! Come ti viene in mente?».
«Mi mancano i miei genitori, ma sono felice di essere in Inghilterra. Sono contenta di poter studiare. Sono contenta di essere stata accolta da una famiglia come gli Edwards. Afia… Afia Gamal ha detto… a me, ai suoi fratelli, a Zari e ai fratelli Diawara che facciamo schifo… ci hanno presi e sfruttati e noi, siamo comunque felici…».
«Ascoltami, bene, Nyah, non sei cattiva e non permettere a nessuno di farti credere una cosa del genere!» proruppe Jack. «Diventerai un’ottima strega e un giorno potrai fare in modo che nel tuo paese ci sia maggior giustizia e più opportunità per tutti!».
Nyah annuì, ma era ugualmente triste.
«La Paciock ha smesso di darti fastidio?» chiese Jack.
La ragazzina scosse la testa. «Claire, però, ne ha parlato con suo fratello Marcellus. Conosci le Malandrine?».
«Tutti le conoscono» sbuffò Jack.
«Beh, loro hanno detto che dobbiamo render pan per focaccia ad Augusta e alle sue amiche. Tu che ne dici?».
«Che hanno perfettamente ragione. Avete deciso come?».
«Loro stanno preparando un piano. Ma ci hanno assicurato che infrangeremo delle regole» gli confessò Nyah.
«Ne vale la pena» replicò Jack. «Quando lo farete voglio esserci, ok? Dimmelo».
«Va bene».
*
Dorcas sospirò. Era stata una giornata abbastanza lunga e non aveva ancora concluso i compiti per il giorno dopo, ma quando Rimen le aveva comunicato che suo padre le voleva parlare, non aveva avuto altra scelta che abbandonare il caldo della Sala Comune. Non poteva certo dare buca al suo Direttore! Non capiva per quale motivo l’avesse convocata però. Voleva parlarle del suo insoddisfacente rendimento in Pozioni? O era qualcosa che riguardava Jonathan? Era andata a trovarlo, ma la Williamson le aveva chiesto di lasciarlo riposare. Quello che aveva fatto l’aveva scioccata. Quale fosse il suo scopo, non lo sapeva. La maggior parte dei loro compagni era sicura fosse impazzito definitivamente.
Bussò alla porta dell’ufficio di Mcmillan e fu subito invitata a entrare.
«Buonasera signore» disse educatamente.
«Buonasera Dorcas, accomodati ti prego».
Dorcas ringraziò e obbedì. Non sembrava arrabbiato, per fortuna.
Mcmillan la osservò per qualche secondo, alla fine disse: «Tuo padre mi ha scritto». La ragazza lo fissò turbata. «Non è successo nulla, tranquilla. Al contrario i tuoi genitori sono preoccupati per te».
«Per me?» ripeté basita Dorcas. Non aveva fatto nulla di male e i suoi voti, a parte qualche eccezione, erano abbastanza buoni.
«Sì, Dorcas. Li preoccupa la tua ossessione per Jesse Steeval».
«Non è un’ossessione» non riuscì a trattenersi Dorcas.
Mcmillan sospirò e la fissò dritta negli occhi. «Dorcas, parliamoci chiaro. Steeval è più grande di te, apparteneva a una Casa diversa dalla tua. Anche a me sembra assurdo questo tuo interesse. Perché? Eravate amici?».
«No» rispose instivamente Dorcas. E in fondo era vero. Non sapeva neanche lei che cosa le fosse preso. Ma quel fiordaliso, l’anello e quel giorno all’ospedale lui si era preoccupato per lei e aveva accettato il suo fiore. In più lo sognava la notte. No, non era normale. «Non lo so» ritrattò. «Ci siamo parlati per caso l’anno scorso e poi ci siamo incontrarti altre volte. Poche. Una volta mi ha difeso dai suoi compagni Serpeverde. Sua sorella Amber pensa che siamo amici, ma non credo… Non è cattivo, anche se si comporta come se lo fosse…».
Non poteva dire se Mcmillan le credesse, ma sicuramente la stava ascoltando. Suo padre si era rifiutato di farlo dopo averla recuperata al San Mungo quell’estate. In più l’arrivo di quello che doveva essere un altro fratello di suo padre, aveva peggiorato la situazione.
«Dorcas, al momento non puoi fare nulla per lui. Al massimo potresti scrivergli, ma, a quanto mi sembra di capire, tuo padre non vuole. Ma non puoi pensare solo a questo, ti stai facendo del male».
Dorcas non voleva scoprire il lato da psicomago di Mcmillan, era troppo imbarazzante parlare con lui di cose così private, ma non riuscì a trattenersi e chiese: «Ma lei lo darebbe il permesso a sua figlia, signore?».
Mcmillan sospirò. «Non lo so. Forse sì. Ma io ho avuto Steeval come allievo… sinceramente non credo che ci sia nulla di male nel scrivergli».
«E allora perché mio padre si ostina a vietarmelo?».
«Non lo so. Magari sa qualcosa che io non so. Dorcas, io ho detto che probabilmente darei il permesso a mia figlia, ma sono solo ipotesi. Non posso dire come mi comporterei realmente in quel caso. Noi genitori vogliamo solo proteggervi, magari alle volte esageriamo, ma se non la facessimo e vi succedesse qualcosa… Te lo giuro, non ce lo perdoneremmo mai».
Dorcas annuì, non sapendo che altro dire.
«Tuo padre è abbastanza arrabbiato, specialmente per il progetto proposto dalla professoressa Dawson. Mi ha scritto anche per dirmi che forse, visto che hai tanta voglia di aiutare tutti i detenuti di Azkaban, i G.U.F.O. non sono più difficili come ai suoi tempi e che probabilmente noi insegnanti non assegniamo compiti come in passato. Similmente si è espresso circa le responsabilità dei Prefetti. Mi ha perciò invitato a occupare didatticamente il tuo tempo libero, in modo che non ti debba annoiare troppo».
Dorcas era senza parole. Suo padre non poteva aver scritto quelle cose! Era impazzito!? «Professore, le assicuro che non è vero» disse con voce tremante. Non avevano un momento libero! Altro che storie.
«Lo so, Dorcas» sospirò il professore. «Infatti più tardi risponderò a tuo padre e glielo spiegherò. Mi ha chiesto anche un ragguaglio riguardo il tuo profitto e la tua condotta. Lo tranquillizzerò: vai bene in tutte le materie. Unica eccezione Pozioni e Difesa contro le Arti Oscure, in cui dovresti impegnarti molto di più. Hai comunque la sufficienza in entrambe. E la tua condotta è perfetta come sempre».
Dorcas non era pienamente convinta di ciò, specialmente dopo l’atteggiamento che aveva assunto con la Dawson quella mattina. La professoressa, però, l’aveva perdonata.
«So di chiederti molto, ma avrei un incarico per te» continuò Mcmillan. «Il tuo compagno, Geoffrey, mi preoccupa parecchio. Se continuerà così non supererà l’anno. Vorrei che tu tentassi di aiutarlo e capire che cosa gli passa per la testa. Io ho provato a parlargli, ma si è chiuso a riccio. Magari con una sua coetanea si aprirà. Se non te la senti, mi rivolgerò a Noah. Preferirei però che te ne occupassi tu, sono sicuro che tu abbia molte più possibilità».
«Va bene, signore, ci proverò».
«Ti ringrazio. Risponderò alla lettera di tuo padre e tenterò di farlo ragionare. Non credo che vi sia nulla di male se vuoi scrivere a Jesse Steeval».
«Grazie, professore» disse sinceramente Dorcas.
Il professor Mcmillan le sorrise lievemente e la congedò.


*

Jonathan aprì gli occhi faticosamente. Era molto confuso. Impiegò diversi secondi a rendersi conto di essere in infermieria. Troppo velocemente si ricordò di quello che aveva fatto. Automaticamente guardò il braccio e tentò di muoverlo. Era fasciato e gli tirava leggermente la ferita, ma nient’altro. Si rigirò nel letto e si rese conto di non essere solo. I suoi occhi incontrarono quelli scuri dell’altro. Istintivamente tentò di mettersi seduto: la prima volta, stupidamente si appoggiò sul braccio ferito e dovette desistere; la seconda si diede una spinta aiutandosi con il braccio destro, riuscendovi.
«Hai riposato bene?» decise infine di rompere il silenzio il professor Williams.
«Sì, signore, grazie» rispose meccanicamente.
«Tra poco ti sarà servita la cena, prima, però, se te la senti, vorrei scambiare due parole con te».
«La cena?» replicò perplesso Jonathan. «Quanto ho dormito?».
«Parecchio, direi. Sono quasi le otto. Secondo madama Williamson, avevi del sonno arretrato. Non ha voluto svegliarti per questo».
«Ho perso le lezioni, mi dispiace» borbottò Jonathan.
Williams sospirò. «Il problema non è questo, Jonathan. Tu ti rendi conto di quello che hai fatto stamattina?».
Il ragazzo deglutì. Avrebbe voluto evitare la discussione, ma la figura dell’imbecille immaturo l’aveva già fatta e suo padre l’avrebbe ucciso. Sarebbe stato stupido peggiorare la situazione. «Sì, signore. Mi dispiace. La prego non lo dica a mio padre. Sconterò qualunque punizione lei voglia».
Williams lo fissò attentamente e scosse la testa. «No, evidentemente non ti rendi conto dello spavento che ci hai fatto prendere».
Sembrava che stesse parlando con sé stesso più che con lui, ma Jonathan decise di intervenire: «Non ho pensato proprio che il coltello fosse sporco… So che avrei dovuto fare più attenzione…».
«Perché lo hai fatto?» lo interruppe Williams.
«Volevo dimostrare agli altri che sono umano proprio come loro. Il mio sangue è lo stesso che scorre nelle loro vene e se mi taglio esce, proprio come accade a loro. So che è stupido, ma volevo zittirli… volevo che capissero… Non sono stato per nulla saggio».
«Lascia stare la saggezza per ora. Ne avevamo parlato: non si nasce saggi, ma lo si diventa. E così volevi solo dimostrare qualcosa ai tuoi compagni?».
«Sì, signore».
«Quindi non hai intenzione di rifarlo?».
«Certo che no. È stato ridicolo, mi rideranno dietro fino al diploma!» sbottò Jonathan.
«Non è stato ridicolo. Hai spaventato molti, soprattutto i tuoi amici e noi insegnanti. Il professor Mcmillan era molto scosso! Vedi, hai mandato un messaggio molto diverso da quello che era nelle tue intenzioni».
«Un messaggio diverso?» replicò Jonathan perplesso.
Williams si passò una mano sul volto stanco e disse: «Ti sei praticamente tagliato le vene del braccio, anche se evidentemente non te ne sei reso conto. Se non fossi stato in classe, non saresti mai stato in grado di fermare il flusso del sangue da solo. Saresti potuto morire. Il problema non era il coltello sporco».
Jonathan deglutì. «Avete pensato che io volessi… insomma che volessi fare… come Harry Canon?».
«Sì» rispose semplicemente Williams. «Abbiamo immediatamente chiamato i tuoi genitori. Non sono venuti solo perché tuo padre è impegnato al San Mungo. C’è stato un altro attacco ai danni dei Babbani e molti Auror sono rimasti feriti, oltre che i civili presenti naturalmente. Abbiamo assicurato ai tuoi che ti avremmo parlato, per comprendere la gravità della situazione».
Jonathan si coprì il volto con le mani. Stavolta l’aveva fatta davvero grossa. «Mi dispiace» sussurrò. «Non era mia intenzione». Non osava neanche immaginare come si sentisse in quel momento la madre. «Può dire ai miei che sto bene?».
«Certo, lo farò subito. Madama Williamson desidera che tu rimanga qui per stanotte e lo vorrei anch’io».
«Io però preferirei tornare nel mio Dormitorio» disse Jonathan.
«Capisco, ma rimarrai comunque qui fino a domani mattina. I tuoi amici vorrebbero fare due chiacchiere con te. Darò loro il permesso di venire» ribatté il professore alzandosi.
«Professore» lo trattenne il ragazzo. «Ha tolto molti punti a Corvonero per quello che ho fatto?».
«Jonathan, nessuno ti incolpa di nulla».
Appena Williams lasciò l’infermeria, madama Williamson lo raggiunse premurosa. Gli cambiò le bende e gli fece portare la cena.
«Il professor Williams sembra burbero alle volte» disse la donna sorridente. «O almeno a me aveva dato quest’impressione. Però ha trascorso tutto il pomeriggio vicino a te, in attesa che ti svegliassi».
«Sul serio?» chiese sorpreso Jonathan.
«Già».
«Aveva paura che mi svegliassi e facessi… beh finissi quello che ho iniziato…? Ma non ha alcuna responsabilità. Non può sapere che cosa mi passa per la testa».
«Ti sbagli. È il tuo Direttore, in assenza dei vostri genitori ha molta responsabilità. Se ti fosse accaduto qualcosa non se lo sarebbe perdonato, perché pensa di non aver fatto abbastanza per evitare che si arrivasse a questo punto».
«È una psicomaga?» domandò sorpreso Jonathan.
«Sono una medimaga, ma sto studiando anche per quel titolo. Il cervello umano non deve essere mai sottovalutato».
«Sto bene» disse il ragazzo a beneficio della donna, mentre entravano Dexter, Virginia, Martha e Kumar.
«Ne sono consapevole. Adesso, però, sei anche in buona compagnia, perciò vado nel mio ufficio. Vedi di mangiare tutto».
Martha lo abbracciò stretto e il suo profumo lo inondò. Avrebbe voluto mantenere il contatto il più possibile: assurdamente gli ricordava quello della madre.
«Solo nelle fiabe babbane i principi hanno il sangue blu» gli sussurrò Martha prima di sciogliere l’abbraccio.

*

La camera era completamente buia. James accese la lampada illuminando il profilo del suo migliore amico, che, però, non si mosse. Benedetta e Adisa entrarono dietro di lui.
«Hai proprio dato di matto con Demetra prima» disse James sedendosi sul suo letto con Benedetta, per poi invitare Adisa a fare altrettanto.
«Se l’è meritato» sibilò Robert.
«Non ha del tutto torto» tentò James.
«Ah, sì? Quindi tu pensi che uno, che si è appena lasciato, debba consolarsi con la prima che gli passa davanti?» lo aggredì Robert.
«No» rispose tranquillamente James. «Non intendevo questo. Solo che, secondo me, ti sei illuso un po’ troppo pensando che tutto si sarebbe sistemato. E sinceramente non credo che tu l’amassi veramente. Vi volevate bene, ma nient’altro».
«Forse è così» ammise Robert. «Ma Demetra non doveva provarci così spudoratamente con me».
«Gliel’ho detto» intervenne Benedetta. «Lei naturalmente non è d’accordo. È fatta così».
Robert non replicò.
«Ma alla Festa dell’Amicizia dobbiamo andare per forza?» chiese Adisa, che negli ultimi tempi si era impegnato duramente per imparare la lingua.
«No. Io non ci andrò» disse immediatamente Robert.
«Non essere stupido, è una festa per tutti, non per le coppie! Tu ci vieni eccome!» sbottò James.
«Costringimi!» ribatté Robert.
«Ti ci trascinerò in mutande, se sarà necessario» promise James.
«Che farete durante le vacanze?» domandò Benedetta per sviare il discorso.
«Mia cugina Molly si sposa e tu mi farai da accompagnatrice, lo sai. E non osare tirarti indietro. Robert mi ha già dato buca» disse James.
«Non ti ho dato buca» si difese il ragazzo. «Quest’anno il mio prozio Malcom ha deciso di riunire la famiglia e non sono riuscito a svicolare. Figuratevi che anche mia zia ha dovuto accettare. D’altronde pochi studenti rimarranno a Hogwarts».
«A proposito» saltò giù James. «Adisa tu verrai a casa mia per le vacanze. Ho chiesto il permesso ai miei».
Adisa lo fissò sorpreso. «Io? Ma non posso…».
«Oh non ti preoccupare. Verranno anche tua madre e i tuoi fratelli» lo tacitò James. «Sarà divertente, te lo prometto».
«Avrei dovuto avvertirti» commentò Robert. «Se diventi amico di un Potter, non te ne liberi più».
Benedetta ridacchiò, mentre James tirava un cuscino addosso a Robert.

*

«Ciao, Jack».
«Caroline! Come stai? Quando sei tornata?».
«Stamattina» replicò la Corvonero. «I miei avrebbero preferito che aspettassi la fine delle vacanze, ma ho scelto di tornare prima sia per vedere quanto sono rimasta indietro, purtroppo i M.A.G.O. incombono, sia per la Festa dell’Amicizia. So che è stupido, ma ho bisogno di rilassarmi un po’».
«Mi sembra giusto» replicò Jack.
«Volevo ringraziarti. Non ricordo molto dell’attacco dei Neomangiamorte, ma mi hanno raccontato di quanto il tuo aiuto sia stato provvidenziale».
Jack scosse il capo. «Non ho fatto nulla. Ho reagito d’istinto».
«Sei stato bravo» disse semplicemente Caroline Smithy.
«Grazie».
«Mi dispiace che tra noi non sia andata bene. Sei un bravo ragazzo» concluse ella, scoccandogli un bacio sulla guancia. «Vado, ho lezione adesso».
«Buona giornata» replicò Jack.
«Ehi, Jack!».
Si voltò appena in tempo per vedere Nyah corrergli incontro.
«Ehi, signorina, sai che dovrei toglierti punti perché stai correndo in corridoio?».
«Sì, scusa, ma ho lezione tra poco e devo assolutamente dirti una cosa».
«Sono tutt’orecchi».
«Domani pomeriggio ci vendicheremo di Augusta e delle sue amiche. Vicino al Lago Nero, ok?».
«Perfetto, ci sarò. Ora fila a lezione».
Nyah annuì, ma prima di andarsene aggiunse: «Non sei molto credibile nel ruolo di Prefetto severo».
Jack ridacchiò.

*

«Brian, chiediglielo tu» disse Drew.
«Perché io?» replicò il ragazzino.
«Mettila così, Brian, Williams è il tuo padrino. Sicuramente ti risponderà» rispose Amelia Mcmillan.
«Allora perché non l’hai chiesto a tuo padre?» domandò Brian.
«A parte il fatto che mio padre insegna Pozioni, comunque non mi risponderebbe. Direbbe qualcosa tipo “Non è roba per bambini”» ribatté Amelia, imitando la voce severa del padre.
«Ma scusa perché Maxi dovrebbe rispondere a me?» insisté Brian, che non voleva proprio far adirare il padrino.
«Sei un fifone» lo pungolò Lorcan Scamander.
«Che ti costa? Lo vogliamo sapere tutti. Se si dovesse arrabbiare, ti difenderemmo» aggiunse Valentin Flamel.
«E poi è una cosa che riguarda la sua materia» soggiunse Benji Fenwick.
«Secondo me, non devi preoccuparti» gli sussurrò Niki, proprio mentre il professore entrava in classe. «È solo una domanda».
«E dai» lo punzecchiò Connor Mills, sedutosi appositamente dietro di lui.
«Chiediglielo» insisté Lorcan.
«C’è qualche problema?» chiese loro Williams, che aveva notato il chiacchiericcio.
«Brian le voleva fare una domanda» rispose Valentin Flamel.
Brian l’avrebbe strozzato volentieri, ma ormai non aveva molta scelta. «Noi… ehm… volevamo sapere che cos’è un infernus… Dicono che i Neomangiamorte li stanno usando e l’hanno fatto anche durante l’attacco a Hogsmeade…» borbottò incerto.
Il professor si accigliò lievemente e disse: «La creatura di cui parli non si chiama infernus. Penso che tu ti stia riferendo all’Inferius, dico bene?».
«Sì, signore, si riferisce a quello» rispose Lorcan.
Williams scrisse sulla lavagna il nome corretto a grandi lettere. «Inferius» ripetè. «Si tratta un cadavere rianimato dagli incantesimi di un Mago Oscuro. Lord Voldermort e i suoi seguaci se ne servirono e il loro epigoni oggi stanno facendo lo stesso».
«Quindi la magia oscura può far resuscitare i morti?» domandò colpito Brian.
Williams sospirò e si avvicinò a lui. Lo fissò dritto negli occhi. «L’Inferius rimane un corpo morto, è una specie di fantoccio nelle mani del Mago che l’ha incantato». Rimase in silenzio per un attimo, poi riprese: «Non so se esiste un incantesimo oscuro che abbia il potere di resuscitare i morti, ma sono sicuro che se esistesse, sarebbe così terribile da distruggere l’anima di chi osasse compierlo. La magia oscura è male, Brian, non darà mai la felicità di riabbracciare una persona cara. E questo vale per tutti voi».
Brian non riuscì a bloccare le lacrime, ma nessuno se ne accorse o, più probabilmente, nessuno ritenne opportuno farlo notare.
«Ho soddisfatto la vostra curiosità?» chiese Williams alla classe, che assentì. «Bene, allora torniamo alla nostra lezione».
«Io avrei una domanda» lo interruppe Lorcan. «Come si sconfiggono dei cadaveri?».
«È molto difficile» replicò Williams. «Il massimo che potreste fare voi al momento è rallentarli. Essendo già morti, non li si può veramente ferire. Per fermarli definitivamente si dovrebbe colpire il mago che li ha incantati».
«Una specie di soldati indistruttibili» disse Connor Mills.
«Non ho detto che sono indistruttibili» lo corresse Williams. «Queste creature temono la luce, perciò potreste rallentarle con un semplice Incendio o incantesimi di natura simile. Un mago abile e capace sarebbe in grado di distruggerne il corpo, per esempio».
«È orribile» sussurrò Niki, non riuscendo a trattenersi.
«La magia oscura è orribile» assentì Williams.

*

«Perché ci avete chiesto di venire qui? Siete proprio stupide o pensate di poterci battere?» chiese con saccenza Augusta.
Jack fremette nascosto dietro un albero, ma Nyah e le sue amiche, per una volta, non si lasciarono intimidire.
«Jack, non sono più sicuro che sia una buona idea» sussurrò Frank.
«Certo che è buona! È nostra» sibilò Alice, in compagnia come al solito di Lily, Gabriella ed Eli.
«State zitti. A me sembra una buona idea» lo tacitò a sua volta Jack.
Frank sospirò, mentre Nyah, Claire Nott, May Watson ed Ellen Ellis, utilizzavano l’incantesimo che le Malandrine avevano loro insegnato. A sua volta Lily e Alice l’avevano appreso da George Weasley ed era questo che lo preoccupava terribilmente. Nessuno insegnante in teoria avrebbe dovuto accorgersene, ma aveva i suoi bei dubbi in proposito.
Palle di neve avevano iniziato a colpire ripetutamente Augusta e le sue degne amiche, Celeno Granbell e Zari Fadiga. Le ragazzine strillarono e presto furono sopraffatte dalla neve.
«Così rischiano di farsi male» disse agitato, sperando che Jack decidesse di intervenire e di non dover far lui il guastafeste.
«Ancora no. Devono supplicare, così la loro alterigia sarà spezzata» replicò il Tassorosso.
«È mia sorella!» sibilò Frank facendo un passo avanti, con la consapevolezza di aver sbagliato tutto, ma Alice lo trattenne.
«Non ti azzardare. Se lo merita!» sibilò la ragazzina.
Frank tentò di liberarsi dalla sua presa, ma nel frattempo qualcun altro intervenne mettendo fine all’incantesimo.
«Finite Incantatem».
Frank e Alice smisero di litigare, Jack imprecò a bassa voce, Lily ed Eli sbuffarono, mentre Gabriella assunse un’espressione terrorrizzata.
«Cosa credevate di fare?» sbottò Neville fissando severamente Nyah, Claire, May ed Ellen.
Le tre in un primo momento balbettarono, ma Augusta colse subito l’occasione e iniziò a piagnucolare per avere l’attenzione del padre.
«L’hanno adottata» sibilò furiosa Alice. «Non può essere nostra sorella».
Frank non replicò, particolarmente turbato dalla piega che stava prendendo quella storia.
«Signore, è stata una mia idea. Loro non hanno colpa».
Jack era uscito dal suo nascondiglio per difendere Nyah, cogliendo di sorpresa anche i suoi alleati.
«Hai lanciato tu l’incantesimo, Fletcher?» domandò severamente Neville.
«Sì, signore».
«No, non è vero» intervenne Nyah.
«Siamo state noi» soggiunse Claire, mentre May ed Ellen annuivano intimorite.
«Sì, sono state loro» insisté Augusta.
«È colpa nostra» dichiarò Lily, uscendo allo scoperto insieme alle amiche.
Neville si accigliò, ma non ebbe il tempo di commentare che anche Frank si fece vedere.
«No, la colpa è mia» sussurrò Frank.
«Mi state prendendo in giro?» sbottò Neville, sempre più arrabbiato.
Jack e le Malandrine cominciarono a discutere su chi dovesse prendersi la colpa. Frank lanciò uno sguardo colpevole al padre, che si arrese all’evidenza che non avrebbe risolto il problema molto rapidamente.
«Venite nel mio ufficio» ordinò rigidamente. «E state zitti» aggiunse.
Lo seguirono in silenzio dentro il castello, fino al suo ufficio. Qui Neville attizzò il fuoco che si stava spegnendo e si sedette dietro la scrivania. Durante il tragitto aveva avuto modo di calmarsi: in fondo si trattava di una semplice lite tra ragazzi e non doveva arrabbiarsi più del necessario.
«Allora, spiegatevi» sospirò dopo averli guardati in volto uno alla volta.
«Oh, è molto semplice» intervenne all’istante Augusta. «Khaled, Ellis, Watson e Nott ci hanno convinte a seguirle nel parco deserto per attaccarci, perché ce l’hanno con noi dall’inizio dell’anno».
Jack fece per parlare, ma Neville lo fermò. «È vero?» chiese invece rivolto a Nyah e alle sue amiche.
«Più o meno, signore» rispose coraggiosamente Claire. «È vero che le abbiamo convinte a seguirci nel parco, ma sono loro a darci il tormento dall’inizio dell’anno. Volevamo vendicarci. E loro ci hanno seguito solo perché volevano i soldi che ci avevano chiesto».
«Che cosa?!» sbottò Neville e in quel momento ebbe occhi solo per la figlia minore.
«È una bugiarda» si difese subito Augusta.
«No, che non lo è» disse Alice. «L’ho vista io. E da quando è stata smistata a Corvonero che tratta dall’alto in basso anche me e Frank. O meglio, con me l’ha sempre fatto, ma ora si comporta male anche con Frankie».
«Bugiarda!» strillò Augusta.
«Abbassa la voce!» la richiamò Neville.
«Tu le credi vero?» sbottò allora Augusta. «Dovevo immaginarlo, sono i tuoi figli Grifondoro!».
Frank fissò ostinatamente le sue scarpe: suo padre stava per scoppiare.
«Ma come ti vengono in mente certe cose!» alzò la voce Neville.
«Senza contare che quella che si dovrebbe lamentare sono io» s’intromise Alice, altrettanto irritata. «Riesci sempre a convincere mamma e papà con i tuoi capricci del cavolo e quella che ci va di mezzo sono io!».
Augusta e Alice si fissarono in cagnesco e si sarebbero già saltate addosso, se fossero state a casa.
«Questa storia è assurda. Smettetela tutte e due. State dicendo un mucchio di scemenze e non siamo qui per perdere tempo. Voglio sapere se hai fatto davvero la prepotente con le tue compagne, Augusta» disse Neville severamente.
«Mi rifiuto di rispondere» replicò Augusta. «Sei mio padre e il tuo giudizio non sarà mai imparziale».
Frank osservò il padre, che era palesemente scioccato dall’accusa. Non l’avevano mai visto veramente arrabbiato, non avevano mai visto il volto del guerriero che aveva guidato l’Esercito di Silente insieme alla zia Ginny e alla zia Luna. No, era sempre molto paziente e al massimo, se proprio era arrabbiato, alzava la voce. Adesso però sembrava veramente al limite. Neville si alzò di scatto e per un attimo Frank pensò volesse tirare uno schiaffo ad Augusta. Zio Charles l’avrebbe fatto. Da molto tempo. Invece si avvicinò al caminetto e con l’ausilio della polvere volante chiamò sia il professor Mcmillan sia il professor Williams.
«Se il mio giudizio non è ritenuto affidabile, si occuperanno della questione i vostri Direttori».
Jack avrebbe voluto strozzare la ragazzina. Se solo fosse rimasta in silenzio, probabilmente Mcmillan non avrebbe mai messo bocca in quel macello. E invece no, adesso si sarebbe beccato una super ramanzina per aver aiutato delle ragazzine del primo anno a infrangere il regolamento e a risolvere i loro problemi in modo tutt’altro che maturo.
In pochi minuti il professor Williams e il professor Mcmillan li raggiunsero e si mostrarono alquanto sorpresi della situazione che si palesò ai loro occhi.
«Un modo simpatico di trascorrere il sabato pomeriggio» disse ironico Williams.
«Che succede, Neville?» domandò invece Mcmillan perplesso.
Neville raccontò rapidamente quanto avvenuto nel parco, infine concluse: «Augusta ritiene che io non sia in grado di separare il ruolo di Vicepreside da quello di padre, per cui Maxi ho ritenuto opportuno chiamarti. Sono delle Corvonero, per cui nessuno meglio di te può giudicare in modo imparziale il loro comportamento».
Frank comprese quanto l’atteggiamento di Agusta avesse ferito loro padre, ma purtroppo ella non sembrava, o non voleva, capirlo.
«Molto bene» disse Williams, infastidito. «Venite con me» aggiunse rivolto alle ragazzine del primo anno.
«Professore», s’intromise Jack, «se la sono cercata, è tutto l’anno che danno il tormento a Nyah e alle sue amiche. Si credono superiori perché sono Purosangue!».
Frank incrociò lo sguardo di Alice: entrambi sapevano che questa notizia avrebbe recato ancor più dispiacere al padre.
«Jack, darò loro la possibilità di spiegarsi. Non ti devi preoccupare» tagliò corto Williams, prima di lasciare l’ufficio con un lieve gesto di saluto rivolto ai colleghi.
«Fletcher, io e te dobbiamo fare due chiacchiere» dichiarò Mcmillan severamente.
«Sì, signore» replicò il Tassorosso rassegnato.
Infine nell’ufficio rimasero soltanto Frank e le Malandrine.
«Mi dispiace, se te ne avessi parlato subito non saremmo arrivati a questo punto» sussurrò Frank spezzando il silenzio creatosi.
«Sei troppo buono, Frankie. Tu non hai nessuna colpa» lo tacitò Alice. «Non sarebbe cambiato nulla. Augusta è una bugiarda di prima categoria. Avrebbe convinto mamma e papà che ti stavi inventando tutto».
«Lo pensi sul serio, Alice?» le chiese Neville in un sussurro mortificato.
«Tra me e lei credete sempre a lei. Forse, se fosse stato Frank, ci sarebbero state delle possibilità in più, ma nient’altro» replicò Alice.
«Lily, Gabrielle, Elisabeth potete lasciarci soli per favore?» chiese allora Neville.
Le ragazze si scambiarono un’occhiata d’intesa con Alice e obbedirono.
«Io non la penso così» disse Frank. «Se te l’avessi detto, so che mi avresti ascoltato, per questo dico che è colpa mia quello che è successo oggi. Volevo che Augusta la smettesse, ma non volevo fare la spia. Speravo potessimo superare i dissapori degli ultimi tempi. Se avessi fatto la spia, invece si sarebbe arrabbiata di più. Pensavo che se fosse stata umiliata avrebbe compreso quello che provavano le sue compagne e così si sarebbe risolto il problema… E credo che Alice si senta più coinvolta perché Augusta è sempre stata più cattiva con lei. Ha sempre tentato di metterla nei guai, specialmente con la mamma».
«Ali, vieni qui?» chiese Neville, dopo aver ascoltato attentamente le parole del figlio maggiore.
Alice teneva le braccia conserte ed era imbronciata. Scosse la testa. Così Neville si alzò e la raggiunse.
«Lo sai che ti voglio bene, vero?» le sussurrò.
«Non ho detto questo» ribatté Alice, evitando i suoi occhi.
«E meno male, perché non avrei mai potuto darti ragione». Neville l’abbracciò stretta. Frank si tenne in disparte in un primo momento, poi si avvicinò e fu coinvolto nell’abbraccio. Alla fine fu Alice a divincolarsi e iniziò a sfogarsi, raccontando tutti gli insulti che per anni le aveva rivolto Augusta. A tratti suonò parecchio infantile e un tantino ridicola, ma Frank non osò commentare. Anzi se fosse stato per lui, li avrebbe lasciati da soli, ma non era a casa sua, così decise di attendere in silenzio.
Prese una rivista di piante, abbandonata su un divanetto, e iniziò a sfogliarla, per lasciare alla sorella un po’ di privacy. Alice era terribilmente orgogliosa e non si sarebbe mai permessa di crollare in quel modo se ci fosse stato qualcun altro nelle stanza, ma contava sul fatto che lui mai e poi mai l’avrebbe derisa.
Quando finalmente Alice si calmò, Neville chiamò un elfo e gli chiese di portare tre tazze di cioccolata calda.  Frank accolse con un lieve sorriso la sorella accanto a lui e bevve con piacere la bevanda calda. Si sentì un po’ in colpa per l’assenza di Augusta in quel momento di serenità familiare, ma non osò dire nulla per evitare di far arrabbiare Alice di nuovo.
In effetti era anche preoccupato per come l’avrebbe trattata Williams. Sapeva di essere stupido e che lei se lo meritava, ma era pur sempre la sua sorellina.
Finita la cioccolata, Alice baciò entrambi su una guancia e scappò via, affermando che le Malandrine la stavano aspettando. A quel punto Neville sedette sul divano accanto a Frank.
«Tutto bene?» gli chiese il ragazzino.
«Sono stato meglio» replicò Neville in un sospiro.
«So che è stupido, ma sono preoccupato per Augusta» disse Frank.
Neville annuì pensieroso. «Non è stupido. È la tua sorellina, è perfettamente normale. Ma di Maxi mi fido, farà quello che ritiene più giusto e d’altronde lo ha chiesto lei. Tenterò di parlarle nei prossimi giorni, ma, comunque, stanno per iniziare le vacanze di Natale per cui avrò tutto il tempo di parlarne anche con la mamma».
«Non so un granché come fratello maggiore, però».
«Sei un fratello maggiore di quattordici anni e ragioni come si ragiona alla tua età» ribatté Neville. «La prossima volta, però, se c’è qualche problema parlane con me o con la mamma. Non ti far trascinare in certi piani sconclusionati, va bene?».
«Sì, certo, papà» rispose Frank.
«Testa sulle spalle» lo ammonì Neville, arruffandogli i capelli in modo affettuoso.

*

La Festa dell’Amicizia era nata su iniziativa della professoressa McGranitt molti anni prima. Ella aveva notato che dopo la guerra i rapporti tra Serpeverde e le altre Case erano difficoltosi, perciò aveva deciso di organizzare un evento in cui gli studenti avrebbero potuto trascorrere del tempo insieme senza alcuna differenza di Casa.
A distanza di anni ormai, secondo molti ragazzi, la festa aveva perso la spinta iniziale e molti l’avevano scambiata come un semplice momento di svago o peggio ancora, e ciò vale per le ragazze specialmente, un momento per mettere in mostra vesti elegante e costose.
Scorpius era certo che la McGranitt, tutto tranne che scema, l’avesse compreso da molto tempo, ma non poteva biasimarla per non aver ancora trovato una soluzione: gli ultimi tempi erano stati molto turbolenti per la comunità magica e la situazione sembrava peggiorare di giorno in giorno. I Serpeverde, o almeno la maggior parte di loro, se non fossero stati palesemente minacciati dalla loro Direttrice, non si sarebbero presentati quella sera: la sconfitta subita da Grifondoro quella mattina li aveva feriti nell’orgoglio. I Serpeverde in partita non erano mai entrati e i Grifondoro, allenati da una Rose testarda e determinata, aveva trionfato su tutta la linea. La squadra era divisa come l’intera Casa: c’erano coloro che erano ancora legati ai vecchi insegnamenti purosangue e si muovevano più o meno manifestamente sulla scia di Bellatrix Selwyn; coloro che non volevano più avere nulla a che fare con il passato; infine coloro che avevano paura di prendere una posizione, vuoi per incapacità personale vuoi perché le loro stesse famiglie si trovavano nella stessa incertezza. Tutto ciò in campo si era tradotto in un Marcus Parkinson che si rifiutava di passare la pluffa a Lucy Weasley e Amy Mitchell, non ritenute alla sua altezza; le ragazze, terribilmente caparbie, a loro volta avevano fatto di tutto per non fargli toccare la pluffa; Emmanuel Shafiq e Augustus Roockwood avevano discusso per tutto il tempo, arrivando a minacciarsi con le mazze e a tirarsi dei bolidi addosso, il tutto mentre Rose, Elphias Doge e Danny Baston gareggiavano fra loro a chi segnava più punti. Nello spogliatoio la situazione era stata lì per lì per degenerare, ma aveva tentato di evitare almeno l’intervento degli insegnanti o la disfatta sarebbe stata totale. Le due parti, però, si erano trovate d’accordo nell’incolpare lui della disfatta, perché aveva permesso di entrare in squadra persino alla ‘feccia’ della Casa. Da notare che il termine era stato usato indifferentemente da entrambe le parti. L’unica persona che non l’aveva accusato era stata Annie Ferons, la quale a sua volta era stata bersaglio di pesanti critiche.
Sospirò. Per fortuna il giorno dopo sarebbe tornato a casa e avrebbe avuto due settimane per riflettere sul futuro della squadra.
«Scorpius».
«Annie» disse sorpreso di vedere l’amica. «Non mi dire che la Shafiq è venuta a controllare sul serio se qualcuno è rimasto in Sala Comune» aggiunse per sdrammatizzare.
Annie ridacchiò nervosamente e poi tornò seria. «No. Ho riflettuto e ho pensato di venirti a parlare subito, perché domani sicuramente non avremo abbastanza tempo».
Scorpius non era sicuro di voler ascoltare, ma annuì ugualmente.
«Do le dimissioni» annunciò Annie.
Ecco appunto. Scorpius sbuffò. «Le rifiuto» disse all’istante.
«Non essere stupido. Non sono brava quanto gli altri, non pretendo di rimanere in squadra. Devi fare gli interessi di Serpeverde, la nostra amicizia non c’entra nulla» replicò fermamente Annie.
«Quanto è difficile essere un Serpeverde?» sospirò Scorpius.
«Tanto» convenne Annie. «Ma non abbiamo altra scelta».
«Senti, Annie, io non sono riuscito a riflettere. Lasciami il tempo di farlo, dopo le vacanze ti dirò se accetto o meno le tue dimissioni. Non ti nascondo che non sono andato dalla Shafiq a presentare le mie dimissioni solo per orgoglio e per non lasciare la spilla a gente come Roockwood».
«La Shafiq non la darebbe a lui. Magari a Emmanuel…» ribatté Annie. «E tu non hai colpa. Come facevi a concentrarti sul boccino, s’eri occupato a dirimere i nostri litigi?».
«Tu non hai litigato con nessuno. Anche per questo non voglio accettare le tue dimissioni. Sei l’unica che si è comportata in modo consono. E comunque la Shafiq potrebbe benissimo dare la spilla a Parkinson, è troppo bravo a lisciarsi gli insegnanti».
Annie lo abbracciò di slancio e gli diede un bacio sulla guancia. «Buon Natale, Scorpius».
«Buon Natale anche a te, Annie» replicò il Serpeverde. Salutata l’amica si diresse verso Albus. «Hai intenzione di ubriacarti con il succo di zucca? Posso procurartene un po’ corretto, perché con quello non ci riuscirai».
Albus sbuffò. «Siamo Prefetti, Scorpius».
«Oh, è vero. Me l’ero dimenticato» replicò ironico il Serpeverde.
«Come va?».
«Dopo la batosta di stamattina, intendi?».
«Sì. Rose non ha voluto neanche riscuotere il premio della vostra scommessa. Direi, che rende perfettamente l’idea del disastro».
«Sto bene. È solo una partita di Quidditch e, per giunta, non ritengo sia colpa mia se abbiamo perso. La squadra si è praticamente ammutinata».
«Che pensi di fare?».
«Ora? Assolutamente nulla. Quando torneremo a gennaio, non lo so. Magari butto fuori tutti e rifaccio la squadra da zero».
«Penso, che ti ucciderebbero».
«Ci hanno già provato stamattina. Sai quanti bolidi mi hanno mancato per un pelo?».
«Ho notato. Succo di zucca non corretto?».
«Se dobbiamo rimanere sobri, mi accontento» rispose Scorpius prendendo il calice che l’amico gli porgeva. «Tu, piuttosto, è vero quello che si dice?».
Albus arrossì e s’irrigidì. «Che si dice?».
«Vai a fare il finto tonto con qualcun altro. Io sono uno dei tuoi migliori amici e ho molta più esperienza di te con le ragazze. Però non posso darti consigli se non mi racconti come sono andate le cose. La versione delle Danielson è poco credibile. Dicono che hai sfidato a duello Rimen Mcmillan».
«Che scemenza» borbottò Albus.
«Naturalmente. Un Prefetto non potrebbe mai sfidare a duello un Caposcuola» celiò Scorpius.
«Idiota» replicò Albus.
«Allora?» insisté Scorpius.
«Allora niente. Daila è carina, dopo la prima prova ci siamo scritti e io mi sono illuso che potesse esserci qualcosa più di una semplice amicizia tra di noi».
«Quando lei è venuta qui, ha trovato interessanti i ragazzi del suo anno» concluse Scorpius per lui. «Non è la fine del mondo. Anche se la versione delle gemelle è più entusiasmante. Scrivile e falle gli auguri, mi raccomando, o comincerà a pensare che ci sia qualcosa che non va. Le ragazze fiutano certe cose. Non vale la pena perdere un’amicizia per una cotta. E smettila di nasconderti dietro ai libri. Non hai fatto altro che studiare nelle ultime due settimane! Rose è terribilmente preoccupata per te».
«E io per lei. Dice che non c’entra nulla con il fatto che ben due aiutanti di Hagrid hanno dato le dimissioni in meno di due settimane» borbottò Albus.
Scorpius rise. «Ma non è colpa di Rose».
«No?».
«Sono state le Malandrine! Non stavano simpatici neanche a me» rivelò Scorpius.
«Ma ti rendi conto in che guaio potrebbero finire Lily e le sue amiche?!» disse Albus scioccato.
«La Preside non ha prove e non ne avrà mai. Poi quelli sono scappati perché mancavano di sufficiente pazienza per affiancare Hagrid. È meglio così, te lo assicuro».
Albus sospirò e rinunciò a replicare.
«Ci vediamo per Capodanno?» domandò Scorpius dopo qualche minuto di silenzio.
Albus si strinse nelle spalle. «Penso. Non ho idea di che intenzioni abbiano i miei quest’anno. Stanno accadendo troppe cose. Ma comunque ci vedremo al matrimonio, no?».
«Naturale. Avrai una dama?». Albus sputacchiò un po’ di succo di zucca e lo fissò stralunato. «Che ho detto? Ho parlato di ‘dama’ non di ‘futura sposa’! Io pensavo di invitare qualcuna delle nostre compagne… così tanto per… Magari Annie o Arya… la loro compagnia mi fa molto piacere… Tu potresti chiedere a Dorcas».
«Ma non voglio che si faccia strane idee. Non sarebbe corretto» replicò Albus.
Scorpius roteò gli occhi. «Ripeto, non te la devi sposare! In quel caso, non inviterei loro».
«E chi?» chiese Albus con una punta di malizia.
Scorpius si voltò verso di lui e lo fissò dritto negli occhi. «Se te lo dico, lo terrai per te, vero?».
Albus fu sorpreso da quella reazione, visto che stava solo scherzando. «Certo, non lo dirò a nessuno» rispose.
«Rose».
Il Grifondoro rimase a bocca aperta. Dopo un tempo che a entrambi parve infinito, disse: «Mio zio ti ucciderà».
Scorpius annuì, perfettamente consapevole. «Lo so. Però sarà il modo migliore di morire» disse convinto.
 

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Capitolo 23
*** L'amore segue infinite vie ***


Capitolo ventitreesimo
 
L’amore segue infinite vie
 
«Buone vacanze, Jonathan» trillò Martha, abbracciandolo.
«Anche a te» replicò il ragazzo, ricambiando la stretta.
Dexter e Kumar lo abbracciarono subito dopo.
«Cerchiamo di beccarci durante le vacanze!» disse Kumar.
«Certo» ribatté Dexter. «Vero, Jonathan?».
«Ah?». Jonathan aveva intravisto il padre nella folla. «Sì, certo. Io vado, ok?».
Si fece largo tra la calca e raggiunse il padre che nel frattempo l’aveva notato.
«Jonathan!» disse l’uomo prima di abbracciarlo. Il Corvonero fu preso in contropiede da quell’accoglienza calorosa, ma non ne fu dispiaciuto.
«Ciao, papà. Mamma?».
«È rimasta a casa per finire di preparare la cena. Mel?».
«Non lo so. L’ho vista di sfuggita prima di partire. Sarà con Albert e gli altri».
Jonathan osservò il padre mentre con lo sguardo cercava la figlia maggiore nella folla. Sembrava rilassato e per nulla arrabbiato.
«Eccola» disse Anthony Goldstain facendo un lieve segno con la mano verso un gruppetto di ragazzi. Pochi secondi dopo Melissa li raggiunse, saltando tra le braccia del padre.
«Ehi, come va?» trillò la ragazza con il suo consueto entusiasmo.
«Tutto bene» replicò Anthony con un lieve sorriso. «Voi?».
Melissa cominciò a raccontare a somme linee le partite di Quidditch che aveva giocato in quei mesi. Fortunatamente Anthony non impazziva per quello sport, perciò ella non scese nei particolari, ma Jonathan sapeva che avrebbe raccontato tutto nei minimi dettagli alla madre, che non aspettava altro. A casa, però, avrebbe potuto defilarsi.
Il padre aveva parcheggiato vicino alla stazione; come al solito Jonathan lasciò a Melissa il posto davanti, non che avesse scelta, ma in questo caso non gli dispiaceva.
«E per quanto riguarda la scuola?».
Melissa sbuffò. «Cioè io ti dico che abbiamo sconfitto i Giapponesi, sicuramente una delle squadre più temibili del Torneo e tu mi chiedi della Scuola?».
«Siete stati bravi, te l’ho detto» ribatté Anthony.
«E comunque, non fare tanto il finto tonto. So benissimo che Mcmillan ti scrive almeno una volta al mese, perciò sai benissimo come va a Scuola».
«Mcmillan?» ripeté perplesso Jonathan, sicuro di essersi perso qualcosa.
Melissa sbuffò. «Alla faccia del Corvonero. Non avevi capito che papà si fa mandare dei rapporti mensili dai nostri Direttori?».
Jonathan era leggermente scioccato: insomma era il tipo di cosa che poteva fare loro padre, ma no, non l’aveva capito.
«Non fare quella faccia» lo richiamò il padre. «Non è vero che mi fanno rapporti mensili. Per esempio Williams mi ha scritto solo ultimamente. È un tipo molto pratico. Non si mette a scrivere lettere se non strettamente necessarie. E, Melissa, dovresti farti due domande se Mcmillan mi deve scrivere spesso».
La ragazza bofonchiò qualcosa di poco comprensibile, che, secondo Jonathan, era contro la solerzia di Mcmillan. Il Corvonero si mise a fissare la strada che scorreva veloce fuori dal finestrino.
«Ok, allora qual è la mia punizione?» chiese a bruciapelo Melissa.
Jonathan ogni volta si domandava come facesse sua sorella a trattare così tranquillamente con loro padre.
Anthony sbuffò. «Non sai nemmeno che voti hai?».
«Perché sono buoni?» replicò sua sorella.
Il Corvonero spostò lo sguardo sulla sua testa, l’unica cosa che poteva vedere dalla sua posizione. Melissa stava giocando, era evidente. Sapeva con sicurezza che non era così stupida.
Anche Anthony sospirò, mentre svoltava. «Sono decenti. E comunque sei maggiorenne, puoi fare quello che vuoi».
«Sul serio?» chiesero in coro Melissa e Jonathan, entrambi sorpresi.
«Voglio dire che sei abbastanza grande da decidere che cosa fare del tuo futuro. E mi pare che i tuoi sogni vadano al di là del mondo accademico» rispose Anthony.
«Su questo non ci sono dubbi» borbottò Melissa.
«Guarda nel cruscotto» le disse Anthony.
Jonathan si sporse in avanti tra i due sedili per guardare: sua sorella estrasse una busta e fissò il padre con un cipiglio interrogativo.
«Aprila» la esortò Anthony.
Jonathan si sporse di più per leggere insieme a lei e rimase trasecolato.
«È uno scherzo?» domandò Melissa.
«Naturalmente no. Sai benissimo che non faccio di questi scherzi. Phillis Yates si era fatta male durante un allenamento in modo abbastanza serio…».
«Non è vero. Lo saprei. Leggo la rivista delle Holyhead Harpies ogni settimana. Non c’era scritto nulla! La Yates è un’ottima Cacciatrice, una notizia del genere non sarebbe passata inosservata!» lo interruppe Melissa.
«Se l’avessero scritto, i loro avversari ne avrebbero potuto approfittare. La società mi ha chiesto totale riservatezza».
«Ora sta bene, vero?» s’informò preoccupata la ragazza.
«Sì, certo. La società, però, voleva sdebitarsi con un mucchio di galeoni…».
«Figo, siamo ricchi allora! Puoi comprarmi…» iniziò Melissa, ma Anthony la interruppe, mentre entrava nel viale di casa.
«Non credo che abbiamo mai avuto problemi economici» sbuffò. «Comunque ho rifiutato. Dovresti sapere che la nostra legge prevede la totale gratuità del servizio sanitario per tutti i maghi e le streghe; a meno che uno non si rivolga a un pozionista o un medimago privato... Però gli ho detto che sei una loro fan e che ti avrebbe fatto piacere vedere un allenamento» concluse indicando la lettera e scese dalla macchina.
Jonathan scese a sua volta, non vedendo l’ora di riabbracciare la madre.
«Siete arrivati finalmente!» disse una squillante voce di donna. Jonathan le corse incontro e l’abbracciò.
«Hai fatto i biscotti?» mugugnò percependo un intenso odore di cioccolata.
La donna ridacchiò e gli diede un bacio sulla guancia.
«Freya, lascialo, così mi aiuta con i bauli» disse Anthony. «Ho detto a Melissa dell’allenamento, credo che sia rimasta scioccata».
«Aiuta tuo padre» disse Freya divertita a Jonathan. «Recupero tua sorella».
Il ragazzo trascinò il suo baule fino all’ingresso, qui Anthony con un pigro gesto della bacchetta, lontano da possibili sguardi indiscreti, lo spedì al piano di sopra, prima di dirigersi in cucina.
La cucina era separata dalla sala da pranzo solo da un alto e ampio arco di pietra. Jonathan adorava quella parte della casa: in fondo alla sala vi era un caminetto, in quel momento acceso ed emanante un piacevole calore, e sul lato destro un’ampia finestra, che, di giorno, illuminava l’intero ambiente, ma al posto del davanzale interno vi erano dei divanetti. Un piccolo tavolino di legno, su cui di solito erano impilati libri, giornali e, quando erano piccoli, anche giocattoli, completava l’arredamento. Era certamente la stanza più vissuta della casa e perciò solitamente la più disordinata.
Ciò che sorprese Jonathan fu vedere sul tavolino dei sonagli, poi ricordò quanto i genitori gli avevano annunciato via lettera: avevano preso in affido la bambina, che il padre era riuscito miracolosamente a far nascere ed erano ben intenzionati ad adottarla. Automaticamente si guardò intorno e focalizzò la culla rosa.
 «Lei è Pandora» disse suo padre, notando il suo sguardo.
Teneva la bambina in braccio. Certo, Pandora, gli avevano detto anche questo. Si avvicinò curioso.
«Vuoi prenderla in braccio?» gli chiese Anthony.
Jonathan scosse la testa: non era il caso, era troppo piccola. In quel momento entrò Melissa strillando, troppo felice di poter assistere a un allenamento delle Holyhead Harpies.
La cena si svolse tranquillamente e Jonathan fu contento di essere a casa dopo mesi di lontananza, mesi tanto confusi e tormentati. I suoi compagni non gli avevano più rivolto la parola dopo quello che aveva fatto nell’aula di Pozioni. Era sicuro che fossero stati i professori, su tutti Williams, a costringerli a tacere. Dexter e Kumar, dopo molte insistenza da parte sua, avevano ammesso che quella sera, mentre lui era in infermieria, Williams era andato in Sala Comune e aveva fatto a tutti una lavata di capo con i fiocchi.
«Tesoro, tutto bene? Non ti piace la torta al cioccolato?».
Jonathan sorrise alla madre, rendendosi conto che doveva essersi incupito. «È molto buona, grazie» rispose.
Melissa aveva parlato di Quidditch per tutta la sera, sostenuta dalla madre e si offrì addirittura di aiutarla a rassettare pur di continuare a parlare della partita che stavano preparando contro Grifondoro e soprattutto quella contro la Fata Morgana, la scuola italiana, valida per la finale del Torneo olimpico.
Jonathan però era inquieto: i suoi genitori non avevano fatto il minimo accenno a quello che aveva combinato ultimamente. Specialmente era strano che suo padre non avesse detto nulla. Sedette su uno dei divanetti e diede un’occhiata fuori dalla finestra: era buio e aveva ricominciato a nevicare. Sua madre e Melissa chiacchieravano felici ed eccitate, suo padre giocava con la piccola Pandora. Si alzò, ben deciso ad andarsene nella sua camera.
«Vai a letto?» gli domandò la madre.
Il ragazzo sospirò: non lo perdevano d’occhio, era evidente.
«Sì, sono stanco» rispose all’istante. In realtà più che andare a letto, voleva starsene un po’ da solo a riflettere. Le si avvicinò e le baciò la guancia. «Buonanotte».
«Non decoriamo l’albero?» lo fermò perplessa Melissa.
La richiesta lo prese in contropiede. In effetti avevano sempre decorato la casa insieme per Natale; quando lei aveva iniziato ad andare a Hogwarts, Jonathan aveva sempre atteso con trepidazione il suo rientro e nulla era cambiato quando era partito a sua volta.
«Se è stanco, potete benissimo farlo domani» commentò la madre, mentre asciugava un piatto.
«Ma l’abbiamo sempre fatto il 23» ribatté Melissa, guardandolo male. «Come fa a essere stanco se è stato seduto in un treno per ore?».
«Vado un attimo su» replicò Jonathan. «Quando sei pronta, mi chiami». Non era un bene far arrabbiare sua sorella, per quanto fosse una Tassorosso era abbastanza suscettibile e irritabile. E in fondo aveva necessità di fare qualcosa di normale, come decorare l’albero.
Una volta da solo nel corridoio sospirò e si avviò lungo le scale. La villetta aveva tre piani: a piano terra vi erano solo la cucina e il salotto; al primo piano un bagno, la camera degli ospiti e gli studi dei genitori; infine al secondo, le loro stanze e un bagno.
Riconobbe i passi del padre dietro di lui e si fermò sul primo gradino della scala di legno chiaro che conduceva al secondo piano.
Anthony gli rivolse un lieve sorriso, mentre entrava nel suo studio. Jonathan non seppe che cosa gli saltò in testa in quel momento, ma lo seguì, dimentico del suo intento di starsene un po’ per conto proprio. Prima o poi avrebbero dovuto parlare, tanto valeva farlo subito. Quando entrò, suo padre stava riordinando una serie di documenti sulla scrivania. Lo conosceva abbastanza bene da immaginare che vi stesse lavorando prima di uscire per prenderli.
Lo fissò a braccia incrociate: alle volte odiava il suo ordine perfetto, in quella stanza non vi era nulla fuori posto, tutte le pozioni nella vetrinetta erano perfettamente etichettate e i libri riposti in ordine alfabetico. Una perfezione che gli sembrava impossibile imitare, per quanto sua madre dicesse sempre che ne avesse preso da lui. Ma non era vero: il punto era che la madre era una disordinata cronica, nel suo studio bisognava stare attenti a dove si mettevano i piedi, perché c’era sempre qualcosa fuori posto. Un vero caos, in cui non comprendeva come ella potesse orientarsi.
«Che c’è, Jonathan?». Anthony aveva alzato gli occhi dai fogli che stava riponendo accuratamente nella sua borsa. Probabilmente non gli era sfuggita la sua occhiata ostile.
«Che fretta hai di sistemare le cose a quest’ora? Ti fa tanto schifo quello che ho fatto che non riesci neanche a rimproverarmi?» sbottò Jonathan, sentendo la rabbia salire. In quel momento si sentiva incapace di controllare tutti quei sentimenti contrastanti che l’avevano tormentato per mesi. Sapeva che suo padre non aveva alcuna colpa, ma si sarebbe sfogato con lui. I suoi genitori non potevano far finta che tutto andasse bene! Come facevano a sopportare di averlo per figlio? Diderot e gli altri avevano ragione: era un mostro. A Difesa contro le Arti Oscure s’insegnava a uccidere quelli come lui. O almeno solitamente, perché la loro classe aveva saltato quell’argomento e non dubitava che fosse stata una scelta conscia da parte di Williams e della Preside.
Suo padre lo guardò male. «Ho il turno di notte. Tra poco devo andare al San Mungo».
Jonathan lo fissò per qualche secondo mentre continuava a preparare la borsa, riponendo con cura alcune fiale. Voleva provocarlo, voleva che reagisse. E non sapeva neanche perché.
«Certo, te ne vai in ospedale per evitare di parlare! Domani verranno nonno e zio, perciò riuscirai a evitarlo ancora!».
Anthony abbandonò quello che stava facendo e sbottò: «Forse è meglio che tu te ne vada sul serio a letto, stai dicendo un mucchio di scemenze. Vuoi parlare? Parliamo. Non mi sembra che mi sia mai tirato indietro!». Si sedette in una delle due sedie di fronte alla scrivania, aspettando che lui occupasse l’altra.
Jonathan era a corto di parole e probabilmente stava veramente sragionando, come suo padre aveva ipotizzato. Non voleva minimamente affrontare la questione, benché gli avesse detto quelle cose. Per un attimo pensò di fare dietro front e andare a nascondersi nella sua stanza, nella speranza che il padre lasciasse correre e rimandasse il discorso, visto che rischiava di far tardi a lavoro. Ma non si mosse. Suo padre continuava a fissarlo in attesa. Incrociando i suoi occhi si rese conto non solo di non voler parlare di quello che era accaduto, ma che in fondo non ce ne fosse neanche bisogno: Williams aveva parlato con i suoi genitori e sicuramente si erano detti più di quanto lui potesse immaginare. Non c’era nulla da dire, ecco perché suo padre non aveva toccato l’argomento. Avevano rispettato la sua inespressa richiesta di dimenticare. Eliminò in poche falcate la distanza che lo separava dal padre e gli gettò le braccia al collo.
«Ti prego, aiutami, non so più che fare» disse scoppiando a piangere. Non gli interessava di essere troppo ‘grande’: era stanco, stanco degli altri e aveva bisogno di aiuto. Era quello che voleva da suo padre e nient’altro.
Anthony sospirò e lo strinse a sé.
*
Dorcas trovò Benji e Doc intenti a giocare a sparaschiocco nella cameretta di quest’ultimo. Si sedette sul tappeto accanto a loro e li osservò mestamente.
«Litigano?» domandò Doc.
«Chi?» replicò Dorcas perplessa.
«Papà e nonna» rispose Doc come se fosse ovvio. «Ormai litigano tutti i giorni. La mamma mi ha detto che non devo preoccuparmi, perché ogni tanto succede che le persone, che si vogliono bene, non siano d’accordo su qualcosa e litighino. Continuano a volersi bene, però».
Dorcas si strinse le ginocchia al petto. Era turbata e non aveva la minima idea di quello che stava accadendo in casa sua.
«Ho chiesto a papà se ci porta a vedere una partita allo stadio» dichiarò Benji mescolando le carte.
«E che ti ha risposto?» chiese Dorcas.
«Io mi secco di andare allo stadio» sbuffò Doc.
«Vedremo. Ha detto solo questo e quando ho insistito, mi ha detto di smetterla. Si stava innervosendo. Quante possibilità ho secondo te?».
La Tassorosso fece spallucce. «Poche» disse sinceramente.
Benji, deluso, sospirò.
Dorcas non sapeva che cosa dirgli per consolarlo.
«Ragazzi, state ancora giocando?» chiese loro madre entrando nella stanza. «È ora di andare a letto, avanti».
Dorcas si alzò, mentre Benji cominciava a lamentarsi che era troppo presto.
«Presto? Sono le dieci passate. A che ora vai a letto a Hogwarts?» replicò pazientemente la donna.
«Io vado a letto solo se papà viene a raccontarmi una storia» dichiarò Doc.
Benji fissò la madre con un sorriso birichino. «Non fare domande di cui non vuoi veramente conoscere la risposta».
Loro madre scosse la testa a quelle parole e diede loro la buonanotte. «Vado a riferire a vostro padre».
«Finiamo la partita» disse Benji a Doc. Dorcas, invece, non aveva la minima voglia di aspettare il padre. Si erano ignorati per tutta la sera e lei non aveva intenzione di affrontare alcuna conversazione a quell’ora.
Sulla porta incrociò il padre. «Buonanotte» gli augurò rapidamente.
«Aspetta» la trattenne Gabriel Fenwick, mettendole un braccio intorno al collo. «Ascolta anche tu la storia».
«Sono un po’ grande per la storia della buonanotte, no?» replicò con tono sostenuto, ben desiderosa di nascondersi sotto il piumone e finalmente riflettere.
«Non leggerò a Doc una fiaba di Beda».
«Ma io volevo leggere Baba Raba» si lamentò il bambino, a cui non erano sfuggite le loro parole.
«Stasera vi racconterò un’altra storia, va bene Doc?».
«Ma domani leggiamo Baba Raba?» insisté Doc.
«Domani» acconsentì Gabriel. «Forza, sotto le coperte. Benji posa le carte».
Dorcas, di malavoglia, si rannicchiò ai piedi del letto del fratellino. Benji, curioso e per nulla intenzionato ad andare a dormire, prese posto accanto a lei. Gabriel sedette sul bordo del letto, dopo averli passato un plaid ciascuno.
«Dai racconta» lo esortò Doc.
«Questa storia è ambientata molti anni fa» iniziò Gabriel.
«Quanti?» lo interruppe Doc.
«Tanti» rispose Gabriel. «Il protagonista è un mago molto coraggioso, che ha combattuto sempre per il bene» continuò.
«Un Grifondoro» ci tenne a specificare Benji. «Vero?».
«Sì, quando giunse a Hogwarts fu smistato a Grifondoro» assentì Gabriel. «Ma non tutti i Grifondoro sono buoni» soggiunse, ma, a parere di Dorcas, fece quasi uno sforzo ad ammetterlo.
«Quasi tutti i Grifondoro sono buoni e coraggiosi» disse testardamente Benji. «Quasi» ripeté però pensieroso subito dopo.
«A che pensi?» gli chiese allora Gabriel.
«Colin Canon e Gideon Weasley sono del terzo anno e danno fastidio agli altri ragazzi. Sono molto presuntuosi e si credono i migliori» borbottò il ragazzino giocando con il bordo della coperta.
«Danno fastidio anche a te?».
«A me no» rispose Benji e finalmente fissò il padre dritto negli occhi. «Perché sono tuo figlio. Loro se la prendono con gli eredi dei Mangiamorte o con chi è legato ai Neomangiamorte. Per esempio hanno preso di mira Niki, Niki Olivander, perché il padre è stato arrestato. Niki, però, non dà fastidio a nessuno, sta sempre per conto suo. È sempre gentile con tutti, se le chiedi una mano dice sempre di sì».
Gabriel annuì meditabondo. «Fai il bravo tu e se qualcuno dovesse darti fastidio sai cosa fare, vero?».
«Certo» rispose con sicumera Benji. «Lo prendo a pugni».
Dorcas e Doc risero, ma Gabriel non sembrò contento. «Intendevo che devi rivolgerti a un insegnante».
«Mamma dice che bisogna essere sempre generosi con gli altri, a maggior ragione se ti fanno del male: bisogna restituire più di quanto ti danno» replicò Benji con un sorriso.
«Come se non lo sapessi che cosa pensa tua madre. E dire che era una Tassorosso» sbuffò Gabriel, mentre Doc e Dorcas continuavano a ridacchiare. «Comunque, stavo dicendo, è esistito questo mago molto abile, buono e coraggioso. Fu Albus Silente in persona a rivelargli che era un mago. Sapete chi è Silente, vero?».
«Certo!» rispose Benji, mentre Doc annuiva. Dorcas si accigliò: quella non era una fiaba. Che intenzioni aveva suo padre?
«Beh, come potete immaginare, l’undicenne fu molto sorpreso di scoprire il mondo della magia».
«Era un Nato Babbano, quindi?» domandò Doc.
«Sì, lo era» rispose Gabriel.
«E i suoi genitori come la presero? Connor Mills mi ha detto che i suoi non ci hanno creduto veramente finché non sono andanti a Diagon Alley» intervenne Benji.
«Anche i suoi genitori rimasero sorpresi, naturalmente, ma era il loro unico figlio e gli volevano bene, perciò se ne fecero ben presto una ragione. Così il bambino andò a Hogwarts, fu smistato a Grifondoro e crebbe, sia umanamente sia magicamente, sotto la guida di Albus Silente. Così divenne, come vi ho già detto, un mago molto bravo. Un giorno Silente, a cui era rimasto legato dopo il diploma, lo convocò e gli chiese di entrare a far parte dell’Ordine della Fenice».
Ci siamo, pensò Dorcas, stavano arrivando a ciò che più premeva al padre.
«Che figata!» commentò Benji.
«Non usare quella parola» lo rimproverò Gabriel. «Sì, decisamente forte» concordò però.
«E quindi ha combattuto contro Voldermort?» sussurrò Doc ammirato.
«Sì, ve l’ho detto, era davvero abile. Era anche un Auror e quando si sposò comprò un diricawl…».
«Che cos’è un diricawl?» lo interruppe Benji.
«Sei un ignorante» lo pungolò Doc. «È un uccello che si può smaterializzare come i maghi».
«Papà digli di non chiamarmi ignorante» si lamentò Benji.
«Doc, non dire a tuo fratello che è un ignorante. A lui non piacciono i libri che leggi tu» disse Gabriel.
«A lui non piacciono proprio i libri» borbottò Doc, suscitando l’indignazione del fratello maggiore.
«Questo è vero» sbuffò Gabriel fissando severamente Benji.
Il ragazzino non ebbe bisogno della legilmanzia per capire che il padre stesse pensando ai suoi voti, perciò si affrettò a cambiare discorso: «Allora, perché quest’Auror era tanto fissato con un uccello?».
«Perché pensava di poter proteggere la sua famiglia dai Mangiamorte. Sai, aveva dei bambini piccoli che non potevano smaterializzarsi, perciò, in caso di pericolo, il diricawl avrebbe salvato loro la vita. Le altre persone non ci credevano e lo prendevano in giro».
«Ma è una cosa superintelligente!» commentò Doc. «Perché non ce lo compri un diricawl?».
«Oggi sono protetti da leggi severissime e non sono in vendita» spiegò Gabriel, mentre il figlio cercava una posizione più comoda, ormai sul punto di addormentarsi.
«E ci riuscì? A proteggere la sua famiglia, intendo» domandò Benji.
Gabriel rimase in silenzio per un po’ accarezzando la testa di Doc.
«Ce l’ha fatta?» chiese anche il più piccolo mezzo addormentato.
«Sì, ha protetto la sua famiglia» rispose Gabriel. Doc sorrise contento e si addormentò. Gabriel attese qualche minuto e poi fece cenno a Dorcas e Benji di uscire dalla cameretta.
«Io non ho sonno. Non voglio andare a dormire» disse subito Benji.
«Non ho ancora finito la storia» ribatté Gabriel. «Quando la famiglia del nostro protagonista fu attaccata dai Mangiamorte, egli riuscì a far scappare la moglie e tre dei figli. Il secondogenito, però, allora tredicenne ebbe il tempo di riconoscere uno degli uomini incappucciati. Era il fratello maggiore. Il ragazzino non riuscì a perdonarglielo, neanche quando fu arrestato e rinchiuso ad Azkaban».
«Ma il mago non si è salvato?» domandò Benji.
«Per quanto fosse abile, i Mangiamorte erano di più e riuscirono a sopraffarlo».
Il padre fissava la parete dietro di loro, ma era evidente che non la vedesse nemmeno.
«Quel mago, però, si era fatto promettere una cosa dal suo secondogenito. Ma credo che lui se ne sia scordato».
La nonna li fece sobbalzare tutti e tre. «Gabriel, hai dimenticato che cosa promettesti a tuo padre prima di partire per Hogwarts la prima volta?».
Un brivido percorse la schiena di Dorcas: suo padre a modo suo aveva tentato di spiegarle il suo comportamento degli ultimi mesi.
Gabriel era sconcertato e fissava basito la madre.
«Non ricordi?» insisté nonna Joanne.
Gabriel scosse la testa, distogliendo lo sguardo da lei.
«Non ricordi o non vuoi ricordare?» sbottò la donna. «Hai promesso a tuo padre che qualunque cosa fosse accaduta non avresti smesso di voler bene a tuo fratello. E se fosse stato per te avresti buttato Marcus sulla strada! Bel modo di mantenere una promessa!». La sua voce si era alzata notevolmente, tanto che la mamma li raggiunse preoccupata. La nonna scosse la testa, visibilmente delusa, e senza dire una parola si chiuse nella sua stanza.
«Gabriel?» chiamò dolcemente la mamma, prendendo la mano del marito.
Dorcas aveva capito perché suo padre ce l’avesse tanto con Jesse senza averlo mai visto. Non disse nulla e lo abbracciò insieme alla madre. Benji era turbato e non sapeva come comportassi.
«Se volete che vada a letto, ci vado» borbottò incerto.
Le sue parole suscitarono un risolino nervoso di Gabriel, che si liberò delicatamente dal doppio abbraccio e si avvicinò al figlio. «Facciamo un’ultima partita a sparaschiocco, ti va?».
«Sì, certo» trillò Benji più rilassato. «Vieni» soggiunse tirandolo verso la sua cameretta.
Dorcas si voltò verso la madre, basita per quel repentino cambiamento di umore del padre.
La madre, una magipsicologa, sospirò: «Il nostro abbraccio gli ha fatto bene» la rassicurò. «Tuo nonno metteva sempre da parte i propri problemi quando era con i suoi figli. Benji era turbato e tuo padre ha deciso di stare un po’ con lui».
«Anch’io sono turbata» sospirò Dorcas con voce tremante.
La madre annuì comprensiva e le cinse la vita con un braccio. «Se ti accontenti della mia compagnia, possiamo fare due chiacchiere. Io non ho proprio sonno e temo che quei due andranno avanti per un po’. A tuo padre non piace perdere».
Dorcas sorrise lievemente. Sapeva che non era vero, a suo padre non interessava vincere, specialmente se giocava con uno di loro, però aveva compreso che cosa intendesse la madre.
*
«Allora, che cosa vuoi fare?». Jack non riusciva proprio a stare fermo, ma Samuel quella sera non sembrava particolarmente attivo. Infatti il ragazzino fece spallucce e continuò a fissare la neve che cadeva fuori dalla finestra. «Si può sapere che hai?» sbottò allora Jack.
In quel momento la porta si aprì, rivelando Sylvester Spencer-Moon e niente meno che Harry Potter.
«Ciao, ragazzi» disse il secondo con un sorriso. «Mi dispiace disturbarvi a quest’ora, ma volevo fare gli auguri a Samuel e non sono riuscito ad andare da lui ieri».
«Vi lascio soli. Dopo scendete, Jack, la cena è quasi pronta» disse Sylvester, lasciando la stanza.
Jack annuì distrattamente, in quanto era stato attirato dalla reazione di Samuel. Il ragazzino si era letteralmente fiondato tra le braccia di Harry, che aveva dovuto mettere da parte il pacco che portava. Ma che aveva? Da quando era arrivato, poche ore prima, aveva ignorato quasi tutti i suoi tentativi di iniziare una conversazione su qualunque stupidissimo argomento. E comunque non era stato mai così espansivo con nessuno per quello che potesse ricordare, se non con Amber Steeval.
Si avvicinò ai due, mentre Samuel apriva il regalo, e diede la mano al Capitano Potter.
«Un gatto!» esclamò Samuel sorridendo.
Anche questo stupì Jack: non lo vedeva sorridere da mesi. Negli ultimi tempi aveva assunto un atteggiamento scostante verso tutti. Non studiava e rispondeva male ai professori. E non era da lui. Ciò che l’aveva convinto che ci fosse qualcosa che non andasse, però, era averlo visto più piangere dopo un rimprovero particolarmente aspro del loro Direttore. Se non gli piaceva, perché continuava a comportarsi male?
 «Non è un gatto, è un cucciolo di Kneazle» lo corresse Harry. «Sono sicuro che andrete d’accordo».
«Ma a Hogwarts non è vietato portare questo tipo di animali?» domandò Jack.
«C’è una maggiore tolleranza negli ultimi anni» spiegò Harry. «Ti piace?».
«Sì, grazie» sorrise più timidamente Samuel.
«Devo andare, mi aspettano alla Tana» disse Harry arruffando i capelli al ragazzino.
«Di già?» replicò Samuel incupendosi.
Sia Jack sia Harry furono sorpresi da quella reazione.
«Beh sì, te l’ho detto, sono in ritardo».
«Ma si può sapere che hai?» sbottò Jack, appena il Capitano Potter fu uscito.
Samuel lo fissò turbato per la veemenza con cui aveva posto la domanda. «Nulla» borbottò senza guardarlo negli occhi.
Ma Jack si era seccato: voleva una risposta e l’avrebbe avuta. Lo spinse verso il letto. Samuel era molto più piccolo di lui e perse l’equilibrio cadendo di peso sul letto stesso.
«Non è vero che non hai nulla! Che ti è preso ultimamente? Rispondimi!».
«Ma che cosa vuoi?» sbottò il ragazzino con le lacrime agli occhi.
«La verità!» rispose Jack alzando la voce.
«Che te ne frega?» gridò a sua volta Samuel. «L’hai detto tante volte che a te una famiglia non serve! Beh, non la pensano tutti come te!».
«Tu ce l’hai una famiglia!» ribatté Jack.
«I miei nonni non mi vogliono! Sono tornati in Inghilterra perché pensavano che fosse giusto, ma più passa il tempo più si incupiscono perchè non riescono a dimenticare il passato. Io gli ricordo troppo il figlio che in fondo hanno perso per colpa di mia madre» urlò Samuel.
«Tuo padre è vivo!» replicò Jack. «Potter ha appoggiato la sua scarcerazione! Devi solo attendere!».
«Mio padre ha perso il senno ad Azkaban» rivelò Samuel. «Se mai lo scarcerassero, lo farebbero solo per portarlo al San Mungo, non certo per affidargli un figlio, di cui neanche si ricorda!».
«Perché non me l’hai detto?» domandò sorpreso Jack.
In quel momento irruppero nella stanza Sylvester, Harry, che evidentemente si era attardato a salutare, Aaron e i nonni di Samuel.
«Vi abbiamo sentiti urlare» spiegò Sylvester.
Samuel si gettò tra le braccia di Harry. «Ti prego portami con te».
Harry fissò gli anziani signori Vance. Il vecchio sospirò: «Ci abbiamo provato. All’inizio pensavamo di farcela, ma abbiamo commesso un grave errore. Ci stiamo facendo male a vicenda».
L’Auror annuì. «Andiamo Samuel, Ginny sarà molto felice di vederti».
Jack si lasciò cadere sul letto, con sua sorpresa Aaron si sedette vicino a lui.
«L’importante è che sia felice. Sembra che non abbia mai pace. I suoi nonni non lo vogliono e sua zia cerca di ucciderlo» bofonchiò il Tassorosso, avendo compreso che il fratellastro avesse un carattere simile al suo e poco incline ai sentimentalismi.
«Purtroppo nessuno di noi può scegliersi la famiglia» commentò Aaron, passandosi una mano sulla barba non fatta. «Ah, senti. Il tuo regalo l’ho scelto io. Sono sicuro che ti piacerà, ma Phoebe avrebbe voluto prendere qualcos’altro. In caso posso contare sulla tua solidarietà? Phoebe non smetterebbe più di prendermi in giro, è fissatissima con i ‘regali perfetti’».
Jack fu sorpreso da quelle parole e annuì. «Temo che il tuo l’abbia scelto lei, però. Insomma io non sono il massimo con i regali».
«Tranquillo, andiamo a cenare» rispose Aaron porgendogli una mano per farlo alzare. Jack l’accettò, ma per un attimo gli caddero gli occhi su un pacco sulla scrivania.
«Accidenti, non ho dato il regalo a Samuel. Pensavo di averne il tempo!».
«Domani mattina, potrai andare a portarglielo. Se usi la Metropolvere dallo studio di papà, non dovresti metterci molto».
«Perfetto, grazie» replicò Jack.

*

La villa del nonno, come ogni anno, era ricchissima di decorazioni. Frank fissava la stella d’oro in cima all’albero di Natale. Doveva valere un sacco di galeoni, ma suo nonno, Albert Abbott, era l’esempio perfetto della bontà dei Tassorosso: se uno dei suoi nipoti avesse espresso il desiderio di avere quella stella, come qualsiasi altra cosa presente nella casa, non avrebbe esitato ad accontentarlo.  
«Per Capodanno verranno le mie amiche» gli annunciò sua cugina Amy, buttandosi sul divano accanto a lui. «Non vedo l’ora. E poi noi andremo da loro! Non sei contento?».
Frank, in verità, era stanco di andare avanti e indietro. Ok, va bene, la seconda prova si era svolta a Hogwarts, ma comunque le Olimpiadi magiche si stavano rivelando parecchio impegnative. Comprendeva l’ansia di Al che a giugno avrebbe dovuto affrontare i G.U.F.O.
«Cavolo, potresti fare almeno finta di essere contento! Ti ricordo che siamo invidiati da tutta la Scuola!».
«Hai ragione» sospirò Frank. «Solo che stanno accadendo troppe cose in una volta».
«Ma tu non puoi farci nulla. Non dipende da noi se quella pazza della Selwyn ha deciso di seminare il terrore emulando Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato. Sono sicura che gli Auror risolveranno presto il problema».
Amy non sapeva quanto si sbagliasse in questo caso: grazie a Cassandra Cooman era eccome una sua responsabilità. Frank non riuscì a sorriderle.
«È bella Ilvermorny?» chiese per cambiare argomento.
Amy fece spallucce. «A me piace molto. Comunque la conosco. Sono molto più curiosa di andare in Italia e in Australia».
«Le tue amiche quando arrivano?».
«Il 30, di pomeriggio».
«Fa-kie, Fa-kie».
Frank sorrise e si piegò verso Aurora che trotterellava da lui. In quei mesi, in cui non si erano visti, aveva imparato a dire diverse parole, ma con il suo nome aveva ancora difficoltà. Lo chiamava Fakie, con una curiosa pausa tra le due sillabe, ma a lui non interessava: chiamava lui e tanto gli bastava.
L’abbracciò, ripensando a quant’era piccola un anno prima. Non che ora fosse grandissima, s’intende. Era minuscola e aveva solo diciotto mesi, ma stava imparando a parlare e la sera prima si erano divertiti tantissimo a decorare l’albero.  Alice l’aveva avvolta con un nastro colorato e lei non aveva fatto altro che ridere, coinvolgendo tutti.
«Fa-kie, gali. Gali».
«Gali?» ripeté Frank perplesso, mentre Amy scoppiava a ridere. La fecero sedere sul divano tra di loro.
«Intende i regali» continuò a ridacchiare Amy.
La bimba infatti protendeva le braccine chiaramente verso i pacchi colorati e luccicanti sotto l’albero di Natale.
«A mezzanotte» disse allora Frank, accarezzandola, ma la bambina non teneva ancora in conto il passare del tempo; inoltre era stanchissima, perché aveva preteso di rimanere sveglia con i fratelli e i cugini, e perciò era più irritabile. I loro genitori l’avevano accontentata, sicuri che alla fine sarebbe crollata, ma si erano sbagliati di grosso.
«Gali!» insisté Aurora.
«Quanto manca?» domandò Frank ad Amy.
La ragazzina indicò divertita il vecchio pendolo in un angolo del salotto: mancavano pochi minuti. Per fortuna.
«Gali!» insisté ancora Aurora iniziando a piagnucolare.
«Credo che tu abbia bisogno di dormire, se inizi a fare i capricci» borbottò Hannah, fino a quel momento impegnata a conversare con la sorella e la cognata.
Neville sospirò, mentre si avvicinava ai tre. Prese in braccio Aurora, ma lei si divincolò strillando. «Gali!».
«Dai, papà, ormai è mezzanotte» disse Frank. «Ha resistito finora».
«Infatti, vieni da nonno, Aurora» intervenne Albert Abbott. «Andiamo ad aprire i regali insieme».
La bimba allungò immediatamente le braccine verso il più anziano. Neville ridacchiò e lasciò che il suocero la prendesse.
«Andiamo!» disse contenta Amy, tirando Frank per un braccio.
Come tradizione tutti i ragazzi si radunarono intorno all’albero insieme al nonno, ma Frank cominciava a percepire che non sarebbero rimasti ‘piccoli’ per sempre. Suo cugino Albert, nonostante fosse maggiorenne, non si faceva alcun problema a giocare e scherzare con loro e in quel momento faceva a gara con Alice e Amy per avere il suo regalo per primo, ma Martin, suo coetaneo, era stato distaccato tutta la sera e dopo cena si era seduto insieme agli adulti per partecipare alla loro conversazione.
«Ehi».
La voce indignata di Albert lo riscosse dai suoi pensieri. Il ragazzo scrutava criticamente un pacchettino, posto sul palmo della sua mano destra, sotto lo sguardo divertito di Alice e Amy, che stavano scartando dei regali decisamente più voluminosi.
Il nonno, impegnato a scartare un enorme snaso di peluche con la piccola Aurora, sorrise al nipote più grande. «Non devi valutare nulla dalla sua dimensione» lo ammonì divertito.
Frank si concentrò sul suo regalo. Si capiva subito che era un libro, ma era curioso di scoprire quale fosse. Rimase a bocca aperta e trepidante passò le dita sulla scritta dorata: Atlante storico. Non era come quello che la professoressa Dawson aveva fatto comprare a tutti i suoi studenti. Questo era molto antico, il più antico, ma anche il più prezioso: si aggiornava magicamente. Non ne esistevano molte copie al mondo, chissà come aveva fatto il nonno a trovarlo! Lo raggiunse e lo abbracciò: «È fantastico!» disse non trovando altre parole per descrivere la sua contentezza.
Il nonno ridacchiò felice: «Sapevo che ti sarebbe piaciuto».
«Nonno?». La voce di Albert era lievemente stridula, tanto che attirò l’attenzione di tutti su di sé. Fissava scioccato una chiave dall’aspetto antico.
«Che c’è non ti piace?» replicò il nonno con aria furba.
«Che cos’è?» chiese Emmy, la sorellina di Albert e Martin.
«La chiave di una piccola villa nel Wilthshire» rispose il nonno.
Nessuno fece commenti e gli zii non sembrarono sorpresi, così Frank decise che la scelta più saggia fosse quella di concentrarsi sugli altri regali.
Dopo aver bevuto una cioccolata calda, degna conclusione della serata, Frank pensò che fosse ora di andare. Sbadigliò e sorrise alla vista di Aurora rannicchiata sul divano, perfettamente addormentata.
«Per piacere, sedetevi un attimo. Vi dobbiamo parlare» annunciò zio Charles, scambiando un’occhiata d’intesa con il padre. Nonno Albert s’incupì, ma fu il primo a prendere posto.
Frank vide la mamma e la zia Elisabeth guardarsi per un attimo perplesse, ma alla fine Hannah fece segno ai figli e al marito di sedersi.
«Che succede?» sussurrò Amy, che l’aveva raggiunto.
«Non lo so» replicò Frank.
«Io e nostro padre abbiamo avuto modo di parlare seriamente con Albert e Martin prima che partiste per Hogwarts a settembre» esordì zio Charles. «Il comportamento di Albert non è consono all’erede di una famiglia antica come la nostra, inoltre ha chiarito di non volersi sposare al momento, meno che mai con una ragazza purosangue».
Frank si accigliò a quelle parole: quel discorso già non gli piaceva. Il nonno non era felice, si limitava a fissare il fuoco, quasi spento, con occhi vacui e leggermente acquosi, tanto che il ragazzino si chiese quanto quella decisione fosse stata presa di comune accordo.
«Abbiamo dato ad Albert un’ultima possibilità e il tempo di riflettere, ma il comportamento da lui tenuto negli ultimi mesi ha risposto per lui, perciò abbiamo deciso di nominare erede della famiglia Martin. È una pratica in disuso, ma il capofamiglia può farlo. Albert, per favore, consegna l’anello a tuo fratello».
Frank si sporse sul divano per vedere il cugino tirare fuori dal maglione una catenina a cui era appeso un anello d’oro rosso con gemme nere. Albert, con gesti lenti e misurati, liberò l’anello dalla catenina e lo porse a Martin. Il ragazzino lo prese e, dopo aver gettato un’occhiata apprensiva al padre e al nonno, se lo infilò al dito.
«Molto bene» approvò zio Charles, dando una pacca sulla spalla al secondogenito. «Martin vi deve comunicare anche un’altra felice novità».
Martin era pallidissimo, ma annuì.
«Mi sono ufficialmente fidanzato con Nadine Parkinson».
Frank per un attimo riuscì a convincersi di non aver sentito bene, ma Amy sbottò: «Ti sei messo con la Parkinson? Ma sei diventato matto? È una scema!». Magnifico: aveva sentito bene.
«Nadine è una ragazzina educata e intelligente» ribatté lo zio Charles fulminandola con lo sguardo.
«Avrete modo di conoscervi meglio a Capodanno» intervenne zia Clarisse. «Hannah, Neville, non è un problema per voi se Nadine e il fratello Mark vengono alla festa? Sono due così bravi ragazzi».
«D’altronde, Neville, tu lo saprai meglio di noi» soggiunse lo zio Charles.
«No» sbottò Frank, prima ancora che i suoi genitori avessero il tempo di aprire bocca. «In casa mia non ce li voglio».
«Ha ragione» lo sostennero in coro Alice e Amy.
«Non credo che spetti a voi prendere certe decisioni» ribatté zio Charles in tono di rimprovero, lanciando contemporaneamente uno sguardo eloquente alla sorella.
«Se quelli entrano in casa mia, io me ne vado» minacciò Frank, alterandosi.
«Non li conosci nemmeno!» s’irritò zia Clarisse.
«Come no, Nadine sta in classe con noi e, per giunta, nella mia stessa Casa» disse Amy con rabbia.
«Neville, Hannah, dite qualcosa a vostro figlio» sibilò zio Charles.
«Immagino che per una sera possiate mettere da parte le vostre divergenze» tentò Hannah, cercando l’aiuto di Neville.
«Io me ne vado a dormire da zio Harry, allora» insisté Frank. Mai e poi mai sarebbe stato sotto lo stesso tetto di un aspirante Neomangiamorte, ma come poteva farlo sapere alla sua famiglia senza rivelare come n’era venuto a conoscenza?
«Zio Harry verrà da noi» disse atono Neville. Non era felice nemmeno lui.
«James non verrà quando scoprirà che Mark Parkinson è stato invitato» ribatté Frank.
«Voi siete pazzi. Non rimango neanche un secondo di più qui» sbottò Amy, alzandosi e dirigendosi verso il camino. Buttò una manciata di polvere volante e si voltò giusto il tempo per dire ai suoi genitori «Ci vediamo a casa», poi scomparve.
Frank decise di imitarla, ma la voce del padre lo fermò: «Non ti azzardare». Si voltò e incrociò il suo sguardo severo.
«Charles, non ti nasconderò che sono molto delusa delle decisioni che tu hai preso. Tu, perché sono sicura che nostro padre non sia veramente d’accordo. Spero che tu non debba pentirtene e soprattutto che Martin non ne paghi le conseguenze, dopotutto non ha neanche quindici anni. Non ho mai cacciato nessuno da casa mia, perciò i Parkinson saranno i benvenuti» sentenziò Hannah.
«Ma mamma…» iniziò Frank, mentre Alice saltava giù dal divano furiosa.
«Stai zitto, Frank» lo interruppe Hannah. «Ci vediamo domani. Ragazzi, salutate».
Frank e Alice obbedirono controvoglia, ma nessuno dei due disse nulla finché non furono a casa.
«Marcus Parkinson è fatto della stessa pasta di Augustus Roockwood» dichiarò appena mise piede nello studio del padre.
La madre fece per ribattere, ma Neville la bloccò: «Porta Aurora a letto. Me ne occupo io».
Hannah sospirò e annuì.
Frank era furioso e Alice stava a braccia conserte, ben intenzionata ad appoggiarlo per quanto non comprendesse perfettamente la sua ostinazione.
«Non capisco che problemi avete» disse invece Augusta. «Emmy mi aveva detto da tempo che zio Charles è in rotta con Albert. Se l’è cercata. Inoltre i Parkinson sono un’antica famiglia purosangue, perciò Martin non può che essere contento».
Neville sbuffò. «Quindi saresti felice se io scegliessi la persona con cui dovrai sposarti?».
Augusta lo fissò per un attimo, infine rispose: «Sei mio padre, potresti benissimo farlo che mi piaccia o no. Che cosa ci ha guadagnato Albert a ribellarsi alla volontà dello zio?».
«La libertà?» replicò Alice come se fosse ovvio. «Farà quello che vuole della sua vita!».
«Alice ha ragione. Albert non ha perso nulla, se non il titolo di capofamiglia, che avrebbe assunto alla morte del nonno e di zio Charles, ma dubito che gliene freghi qualcosa» commentò Neville.
«Quindi non permetterai allo zio di portare Parkinson a casa nostra?» domandò Frank, rilassandosi.
«Non farò nulla. E voi, per una sera, farete buon viso a cattivo gioco. Nella vita si è costretti a farlo più spesso di quanto possiate credere alla vostra età» rispose fermamente Neville. «Lo dovete fare per la mamma. Adesso Alice e Augusta andate a letto, per cortesia. Frank aspetta un attimo».
«Papà, Mark è agli ordini di Roockwood. Non posso dirti come lo so, però» gli disse subito Frank, una volta rimasti soli.
«Perché James l’ha scoperto violando le regole, vero? Il professor Williams n’è sicuro» ribatté Neville. «Comunque non posso farci nulla. Il padre di Mark e Nadine è ricercato dagli Auror, lo sa tutta la comunità magica e tuo zio lavora nell’Ufficio per l’Applicazione della Legge sulla Magia… Charles è molto testardo, se ora m’imputassi per questa storia, lui si offenderebbe e la mamma ci andrebbe di mezzo, capito? Non ho intenzione di far soffrire tua madre».
Frank annuì, comprendendo le sue parole, ma era così ingiusto.
«Ah, un’altra cosa. Quello che ha fatto Amy stasera è da maleducati. La prossima volta non pensare neanche di imitarla. Chiaro?».
«Sì, papà, scusami».
Neville annuì. «Scusati anche con la mamma, quando vai a darle la buonanotte».
«Papà?» chiamò Frank prima di andarsene. «Buon Natale».

*

Brian aprì gli occhi di scatto, percependo un peso sullo stomaco. Impiegò qualche secondo a focalizzare la sua cameretta e i due volti che lo fissavano ridenti.
«Sophie, scendi» borbottò, comprendendo che il ‘peso’ fosse la sorellina.
«Dobbiamo aprire i regali! È Natale!» trillò la bambina.
«Se non scendi, non si può alzare» intervenne timidamente Niki.
Brian le sorrise grato. Sophie scivolò giù dal letto e iniziò a fargli fretta. Il ragazzino notò che erano entrambe in pigiama e si disse che avrebbe potuto benissimo non vestirsi.
«Buon Natale» disse alle due, dopo aver messo le pantofole ai piedi.
«Buon Natale!» risposero Sophie e Niki abbracciandolo insieme.
«Andiamo ad aprire i regali!» insisté la più piccola.
«Il professor Williams e tuo padre stanno preparando la colazione» gli comunicò Niki.
«Speriamo che non facciano saltare in aria la cucina» borbottò Brian.
Sophie li prese entrambi per mano e iniziò a tirarli lungo le scale. Brian si liberò dalla sua stretta appena giunsero in cucina per andare ad abbracciare il padre e il padrino.
«Sbrigati!» lo chiamò Sophie. «Maxi, ma la tua fidanzata non viene?» domandò con la malizia dei bambini di sei anni.
«Ci vedremo stasera» replicò Maxi, imbarazzato.
Brian e Niki erano arrossiti, perché qualche sera prima avevano scoperto che Maxi aveva iniziato a frequentare Emily Dawson, la loro insegnante di Storia della Magia.
«La fai venire qui?» insisté imperterrita Sophie. Il padre, Gregory, iniziò a ridacchiare alla reazione del suo migliore amico.
«Perché dovrei?» replicò Maxi, desideroso di chiudere la questione.
«Non l’ho ancora conosciuta» rispose con ovvietà la bambina.
«Ha ragione» rise Gregory.
«Non dovevi aprire i regali?» sbottò Maxi, dando uno scappellotto al suo migliore amico.
«Dai vieni» la esortò Brian.
Il resto della mattinata trascorse tranquillamente. Sophie, come al solito, aveva ricevuto tantissimi giocattoli nuovi e passava da uno all’altro, tentando di coinvolgere anche i due ragazzi più grandi. Brian era molto contento dei romanzi babbani che Maxi gli aveva regalato e non vedeva l’ora di poterli leggere con calma; nel frattempo aveva deciso di provare il nuovo set di gobbiglie, regalo del padre, insieme a Niki, che a sua volta ne aveva ricevuto uno. Drew gli aveva inviato una scatola di cioccorane da dividere con Niki; Annika un libro di avventura; Miki uno di Erbologia; infine Louis una piuma colorata. Ciò che però l’aveva sorpreso più di tutto fu il maglione insieme alla piuma: era fatto a mano e vi era ricamato sopra una specie di albero stilizzato.
«L’albero della vita» commentò Maxi, osservandolo.
«Che cos’è?» domandò perplesso Brian, distogliendo lo sguardo dalle biglie per un attimo.
«Dipende dalle culture. Comunque in generale è il simbolo della vita» spiegò Maxi.
«Chi te l’ha regalato?» chiese perplesso Gregory, sedendosi sul tappeto accanto a Sophie, che reclamava la sua attenzione.
«Louis mi ha detto che l’ha fatto sua nonna. Ma immagino che l’idea dell’albero della vita sia sua».
«Non ho dubbi in proposito» sorrise Maxi, ripiegando il maglione sul bracciolo del divano. «Bello, però».
Brian tornò alla partita, ma venne miseramente sconfitto da Niki. «Sono proprio negato per gli sport» sbuffò.
«Colpisci male la biglia» replicò Gregory. «Aspetta, che ti faccio vedere».
Niki gli lasciò il posto vicino a Brian e accettò di fare una partita a scacchi con Maxi. La scacchiera, nuovissima, era un regalo dei vicini di casa di Brian. La signora Scott sapeva che al ragazzino piaceva molto giocarci, ma Sophie aveva perso i pezzi vecchi o li aveva nascosti.
Brian sorrise, mentre si lasciava guidare la mano dal padre: era tanto che non giocavano insieme.
*
«Mi dispiace che Eva non sia voluta venire» sospirò Martha.
Virginia finì di pettinarsi i capelli e si voltò verso di lei e non poté trattenere uno sbuffo divertito. «E quella maglietta? Comunque è meglio così. Mia mamma l’avrebbe fatta sentire a disagio… In effetti sta meglio lei a Hogwarts…».
«L’ho comprata l’anno scorso in un negozio babbano. È carina! Questa è una renna di Babbo Natale!».
Virginia lisciò mestamente il vestito che era stata costretta a indossare.
«Ne ho una rossa se vuoi con un albero di Natale. Non sapevo quale scegliere e mamma le ha prese entrambe» disse Martha e senza darle il tempo di rispondere tirò fuori il maglione in questione dall’armadio. Era davvero buffo, ma a Virginia piacque. «Forza, mettitelo» l’ esortò l’amica. «Vestita in quel modo sembra che tu stia per andare a ballare… In realtà non sembri neanche tu…».
Virginia sospirò: se non avesse messo quel vestito, sua madre l’avrebbe uccisa.
«Siete pronte?» domandò Lauren, entrando nella camera senza neanche bussare. «Wow, bello il maglione Martha!». Lauren, invece, indossava un maglione rosso con sopra ricamato uno snaso con un cappello rosso.
«Ma è carinissima!» strillò Martha.
«Vero? L’ho trovata da Liberty a Hogsmeade» rispose sorridente Lauren. «Vi è piaciuto il mio regalo?».
«Sì, grazie. I jeans sono davvero belli. Li ho indossati, vedi? Sotto il maglione ci stanno benissimo» rispose felice Martha.
«E tu? Che fai? Non ti stai fissando un po’ troppo in quello specchio? Pensavo che non lo volessi nemmeno in camera» disse Lauren alla sorella.
Virginia si girò verso di lei. «Se mi togliessi questo vestito e mi mettessi i jeans che mi hai regalato e il maglione con l’albero di Natale, mamma quanto si arrabbierebbe?».
«Parecchio» rispose con un ghigno Lauren. «Fallo, ti prego, magari se ne va e si porta via quel cretino di Erik e i suoi figli decerebrati». La ragazza colse l’occhiata incerta della sorella minore e sospirò. «A parte gli scherzi, mettiti quello che vuoi, ma cambiati. Se scendi giù conciata in quella maniera, verrà un colpo a papà».
«Forse è meglio» assentì allora Virginia. Si cambiò in fretta, per non fare aspettare troppo le altre due.
«Saremo perfetti. In più il maglione che ho regalato a Jeremy ha sul davanti un ungaro spinato che canta Jingle Bell» ridacchiò Lauren.
Scesero in cucina insieme e furono accolte dal bambino sopreccitato, che le bloccò sulla soglia per osservare con attenzione i loro disegni. Gli adulti erano seduti nel piccolo salotto annesso alla cucina. Dalla tensione presente nella stanza, Virginia comprese che la conversazione stesse ristagnando. Il padre sorrise loro vedendole, mentre Jeremy saltellava tra le sue gambe e quelle della madre Selene.
Virginia incrociò lo sguardo di disapprovazione di sua madre e quello disgustato di Clara, la figlia di Erik. Dicevano che le famiglie allargate potevano essere una risorsa e che l’amore sarebbe aumentato, beh certamente non valeva per la loro famiglia. I suoi genitori non potevano vedersi: Adrian Wilson accettava quella farsa solo perché era troppo corretto e riteneva che i suoi rapporti, quasi inesistenti, con la moglie non dovessero inficiare quelli delle figlie con la madre; Ashley Montgomery odiava il marito, non si parlava con la figlia maggiore e tentava di manipolare la figlia minore. Oh, sì, Virginia n’era ormai pienamente consapevole. Erik aveva due figli: Clara e Balder. La ragazza aveva un anno più di lei, mentre Balder ne aveva quasi venti. Non sopportava nessuno dei due.
«Ci avete messo tutto questo tempo e non vi siete neanche truccate?» chiese Clara con cattiveria.
«Dove credete di andare?» domandò, invece, Ashley. «In un autogrill babbano? Erik ha prenotato in uno dei locali magici più lussuosi di Londra. Vi conviene andare a cambiarvi».
«Un autogrill non sarebbe una cattiva idea» ribatté Lauren, ignorando l’occhiata di avvertimento del padre.
«Signorina, non cominciare a provocarmi!» sbottò Ashley, che paziente non era mai stata. «Andate a cambiarvi, immediatamente».
«Assolutamente no!» ribatté Lauren. «Sono maggiorenne e non mi puoi costringere a fare nulla! Se voglio ordinarmi la pizza e mangiare qui, posso farlo!».
Virginia tenne gli occhi fissi a terra, incapace di dire o fare alcunché. Aveva sperato, o almeno ci aveva provato, che avrebbero trascorso il Natale come una famiglia normale. La sera prima era stata molto bello, ma non c’era la madre con la sua nuova famiglia. Anche l’entusiasmo del piccolo Jeremy sembrava essersi smorzato e le aveva raggiunte, probabilmente aveva percepito la tensione della madre e di Adrian.
«Ashley, le ragazze stanno bene così» intervenne Adrian. «Perché non andiamo?».
«Al Bistrot Magico i clienti devono indossare abiti eleganti e possibilmente da maghi» disse annoiato Erik.
«Capisco, magari possiamo andare in un posto che conosco io. Sono sicuro che ai ragazzi piacerà» provò diplomatico Adrian.
Ashley arricciò le labbra, come se avesse assaggiato qualcosa di particolarmente amaro. «E la prenotazione?».
«Non credo ci voglia molto a disdire» replicò Adrian.
«La gente prenota mesi prima e noi rinunciamo all’ultimo secondo. Non mi sembra il caso» ribatté rigidamente Ashley.
«Senti, Ashley, mi spieghi che cosa vuoi? Se ci tieni tanto, vacci tu al Bistrot. È evidente che i ragazzi non si divertirebbero! Lo conosco quel posto, non è adatto. I ragazzi sarebbero costretti a stare fermi e imbalsamati tutto il giorno! Ti sembra bello?» sbottò Adrian irritandosi.
«Imbalsamati? Per te comportarsi in modo educato e consono significa stare imbalsamati?» ribatté Ashley alzando la voce.
«Il Bistrot Magico non è un locale per bambini!» sibilò Adrian. «Tu e le tue manie mi avete stancato! Dobbiamo mangiare insieme? Bene, allora scegliamo un posto che vada bene per tutti e non solo per te e la tua perfetta famiglia. Se no ognuno mangia per conto suo!».
Lauren sorrise soddisfatta alle parole del padre, mentre Virginia era spaventata dalla piega presa dalla situazione.
«E va bene, andiamo dove vuoi tu, ma solo perché siamo a Roehampton» assentì Ashley a denti stretti.
«La prossima volta ci incontreremo a Berlino» sbuffò Erik.
In pochi minuti erano sulla macchina magica di Adrian, ma gli unici realmente contenti erano i ragazzi. Virginia non riusciva a credere che la madre avesse ceduto.
«Dove andiamo?» chiese Jeremy sporgendosi in avanti.
«Al Rainforest Cafe, a Piccadilly. Che ne dici?» rispose Adrian.
Il bambino sgranò gli occhi. «Sul serio?».
Il viaggio da Roehampton a Piccadilly durò quasi un’ora, ma i ragazzi lo trascorsero chiacchierando e ignorando il silenzio teso degli adulti.
 
Fu il Natale più strano che Virginia avesse mai festeggiato: il locale era una vera e propria foresta, perfino gli sgabelli del bancone centrale era dipinti come se fossero zampe di animali e vi erano statue di animali a grandezza naturale. Jeremy scelse di sedersi nel tavolo vicino a due enormi elefanti. Fu strano, specialmente vedere la madre in un posto simile. Strano ma bello.
*
Emmanuel prese posto nella lunga tavolata accanto alla cugina Selene. Era il primo Natale che festeggiavano senza i nonni, ma lo zio Abraham non si era comportato diversamente dal padre e aveva preteso la presenza di tutta la famiglia. Nonostante la perdita fosse ancora recente, avevano qualcosa da festeggiare: Caroline era tornata a casa. Dopotutto i Neomangiamorte avevano ottenuto il loro scopo e non avevano più bisogno di lei. Almeno non per i successivi nove mesi. Darnell Shafiq l’aveva spiegato al figlio la sera stessa del suo ritorno da Hogwarts ed Emmanuel ancora si sentiva bruciare per quell’ingiustizia. Sua cugina aveva deciso di tenere il bambino, sicura di poter evitare qualunque possibile contatto tra la creatura e il padre, nient’altri che Rabastan Lestrange. Emmanuel e gli altri cugini volevano molto bene a Caroline e le avevano dedicato moltissime attenzioni in quei giorni.
Altro motivo per festeggiare erano i fidanzamenti dei cugini più grandi, Alton e Byron. Al fianco del primo sedeva una dolce Elinor Yaxley, mentre vicino al secondo Phoebe Spencer-Moon, certamente più stravagante e vivace.
In tutto ciò, però, i fratelli Shafiq erano molto preoccupati per le sorti della sorella più piccola, Adelaide, e dei suoi figli: Irina, la più grande, era riuscita a scappare dal controllo dello zio Abraham e, per quello che aveva compreso Emmanuel, si era sposata di nascosto con Dain Zabini, nessuno dei due con la benedizione dei genitori e lo zio, in qualità di capo famiglia, aveva proceduto a diseredarla; Violett, ancora sedicenne, a cui Emmanuel non rivolgeva più la parola dopo gli ultimi litigi avvenuti nella Sala Comune di Serpeverde, era ben intenzionata a seguire le orme della sorella maggiore, ma lo zio Abraham aveva giocato d’anticipo e due giorni prima aveva firmato un contratto prematrimoniale con la famiglia Krueger, non una delle Sacre Ventotto, ma certamente purosangue e ricca. Nolan Krueger aveva quattro anni più di Violett, ma sembrava un bravo ragazzo. Probabilmente lo zio avrebbe fatto in modo che si sposassero appena Violett si fosse diplomata, perciò di lì a un anno e mezzo circa.
Emmanuel guardò Aura, la terzogenita della zia Adelaide, seduta poco distante da lui, che mangiava in silenzio fissando il suo piatto. Ella aveva pregato suo padre di prenderla sotto la sua tutela e Darnell Shafiq aveva accettato. Benché Emmanuel non avesse approvato la scelta paterna in un primo momento, in quei mesi si era dovuto ricredere sulla cugina: Aura non voleva aver nulla a che fare con il tracollo della sua famiglia e la sua scelta lo dimostrava perfettamente. Infine vi era il piccolo Cadric, probabilmente la preoccupazione più grande nonostante fosse ancora un bambino: egli era di fatto il capo famiglia dei Rowle, in quanto il padre era latitante e il nonno morto ad Azkaban. Inutile dire che non solo era troppo piccolo per un compito del genere, ma così impregnato dell’insegnamenti paterni da contribuire alla degenerazione della famiglia. Abraham Shafiq, forte dei suoi appoggi al Ministero, era stato nominato immediatamente tutore di Cadric per sottrarlo all’influenza della famiglia paterna, il cui desiderio reale era quello di metterlo fuori gioco perché il ramo cadetto della famiglia potesse prendere le redini, tenutasi all’ombra di possibili accuse di attività oscura, ma le loro idee purosanguiste erano abbastanza note nella comunità magica.
Insomma lo zio Abraham aveva una bella gatta da pelare e lo zio Caspar e suo padre Darnell dovevano dargli una mano. Emmanuel sospirò chiedendosi che cosa fosse saltato in mente a sua zia Adelaide di sposare Elmer Rowle, nonostante suo padre e tutti i suoi fratelli avessero cercato di persuaderla.
«Caroline, hai deciso come chiamerai il bambino?».
La domanda di suo cugino Travis, che non aveva neanche dieci anni, fece irrigidire tutti gli adulti e la zia Callie lo rimproverò.
«Ci sto pensando» rispose, invece, gentilmente Caroline.
Emmanuel la osservò perplesso: sapeva che era molto forte, ma non pensava fino a quel punto.
«La professoressa Yaxley mi ha detto di salutarti, mi ha raccontato che a Hogwarts eravate amiche» disse sperando di distogliere l’attenzione dei presenti dalla gaffe inconscia di Travis.
Caroline sorrise. «Oh, sì. Eravamo nella stessa Casa e nello stesso anno. Le uniche due persone normali, ti giuro».
«O le uniche matte» borbottò Alton.
«Intanto come cacciatrice guadagno più di te» lo provocò Caroline.
«Al momento sto frequentando l’ultimo anno di Magisprudenza» ribatté il ragazzo.
Emmanuel sorrise vedendo il cugino punto nell’orgoglio, purtroppo a lui non sfuggì.
«E tu Emmanuel hai deciso che cosa farai dopo il diploma? Se non sbaglio l’anno prossimo avrai i G.U.F.O., bisogna pensarci prima».
L’anno prossimo, appunto. Ma perché la gente trovava divertente mettere ansia?
«Mi piacerebbe fare il medimago» annunciò sorprendendo quasi tutti.
«Credevo che avresti seguito le orme di tuo padre» commentò lo zio Abraham scrutandolo attentamente da capotavola.
«Quand’ero piccolo lo pensavo anch’io, ma negli ultimi tempi ho avuto modo di riflettere» si costrinse a rispondere.
«E tu Dexter che vuoi fare?» chiese Byron.
Il Corvonero rischiò di strozzarsi con un pezzo di carne. «Non lo so ancora» ammise a malincuore. Lui i G.U.F.O. li avrebbe affrontati quell’anno ed Emmanuel non lo invidiava proprio a dover ammettere davanti all’intera famiglia di non avere ancora le idee chiare sul suo futuro. Byron, non era soffocante come Alton e si vedeva ch’era pentito di averlo chiesto. «Ho pensato al corso di magisprudenza, ma non sono sicuro» borbottò Dexter sperando di darsi un tono.
«Nel caso peggiore potrai fare il cameriere nel bar di tuo padre» sibilò Cadric.
«Cadric!» lo richiamò zio Abraham. «Ti ho detto di non parlare se non interpellato» lo fulminò con lo sguardo.
Cadric non sembrò particolarmente toccato dal rimprovero e tornò a mangiare come se nulla fosse.
Emmanuel colse il ghigno sulle sue labbra e comprese quanto fosse grave la situazione. Non aveva importanza che non avessero prove, non in quel caso. Doveva avvertire suo padre e i suoi zii del giro in cui Cadric si era ficcato, prima che fosse troppo tardi.
«Emma» lo chiamò gentilmente la madre. «Tutto ok?».
Il Serpeverde si rese conto di essere rimasto con la forchetta a mezz’aria, l’abbassò automaticamente. Si rivolse al padre seduto alla sinistra della madre: «Dopo pranzo ho bisogno di parlare con te, zio Caspar e zio Abraham».
Darnell s’incupì, ma annuì.

*

Scorpius appena mise piede alla Tana, incurante della paralisi che aveva colpito il nonno e gli zii e dei sorrisi stiracchiati sui volti dei genitori, salutò rapidamente gli adulti e corse al piano di sopra, trascinandosi dietro Orion.
«Buon Natale, ragazzi!» trillò divertito entrando nella camera che Albus condivideva con i cugini.
Si scambiarono gli auguri allegramente.
«Ehi, Samuel non pensavo saresti stato dei nostri! Alastor è rimasto a Hogwarts alla fine?».
«Samuel rimarrà con noi per ora» tagliò corto James, lanciando al Serpeverde una cioccorana.
«E Alastor ha preferito rimanere con il padre a Hogwarts» rispose Albus. «Stasera siamo al gran completo, eh?».
«Devi vedere la faccia di mio nonno» sbuffò Scorpius.
«È troppo altolocato per noi» esclamò James. «Non so che cosa sia preso a Molly».
«Mio cugino è un bravo ragazzo» dichiarò Scorpius, stravaccandosi sul letto accanto al Grifondoro. «È l’ultimo numero della Gazzetta del Quidditch? Non l’ho ancora comprata» soggiunse tentando di leggere qualcosa.
«Già» rispose James, mostrandogli il giornale. «A quanto pare i Cannoni di Chudley stanno tentando di fare un buon mercato… ma non nutro speranze… Mio zio Ron è convinto che prenderanno qualche campione…».
«È da quando sono nata che zio Ron n’è convinto» commentò Roxi raggiungendoli.
«Nonna Molly dice che è pronta la cena. Sbrigatevi prima che agli adulti venga un collasso nervoso. Sarà una lunga serata» annunciò Lucy apparendo alle spalle di Roxi.
I ragazzi ritennero che fosse meglio obbedire, visto che tutti avevano i nervi tesi per vari motivi: zia Fleur aveva litigato con la sorella e il cognato, ma Valentin e Apolline avevano comunque deciso di trascorrere il Natale in Inghilterra; zio Charlie sembrava alle strette con la moglie Jane e ciò dispiaceva la nonna più di tutti; lo zio Percy e la zia Audrey ci tenevano a fare bella figura con i consuoceri e in più quella sera ci sarebbe stata tutta la famiglia della zia; suo padre e zio Ron erano totalmente presi dal fermare l’avanzata dei Neomangiamorte e non li avevano visti molto in quei giorni, naturalmente ciò valeva anche per la zia Hermione.
Come l’anno precedente avevano allestito un padiglione riscaldato in giardino, perché in casa non sarebbero mai entrati tutti.
Quando arrivarono videro Molly intenta a chiacchierare con Alfeo Greengrass e la madre Audrey. I nonni parlavano con Arion, mentre Arianna raggiunse immediatamente Lucy, la sua migliore amica.
«Mi hai lasciata sola in questo macello!» sbottò.
«Ti avevo detto di salire con me» replicò Lucy con un’alzata di spalle.
«Non sono mai venuta qui, non ci s’infila nelle camere da letto di una casa che non si conosce» ribatté Arianna con tono sostenuto. «Non sono mica Orion».
Scorpius la ignorò e si avvicinò alla cugina più piccola, particolarmente imbarazzata per quella situazione nuova. «Echo, Louis è un tuo compagno perché non chiacchierate un po’?» le propose spingendola verso il più piccolo dei cugini Weasley.
«Hai visto le sorelle di mia zia Audrey?» attirò la sua attenzione Rose.
«No, mica le conosco» replicò Scorpius.
«Mia zia è una Avery» raccontò Rose. «È la più grande. Poi c’è Courtney, magiavvocato, sposata con Oscar Gould. Hanno un figlio di quasi dieci anni, Corbin. Quella, invece, è Withney, sta in America. Sua marito lavora al MACUSA. Hanno due figli, Richard e Ophelia».
«Ophelia ci sta provando con James» la interruppe Scorpius.
Rose sbuffò. «Ma che rottura di pluffe. Ho chiesto a mia madre di farmi rimanere a casa».
«Ha cominciato a urlare?».
«Credo di averle dato la valvola di sfogo che cercava» sbuffò Rose.
«E quella chi è?» domandò Scorpius.
«L’altra sorella di zia Audrey, Abigail. Ti immagini che stress quattro figlie femmine?».
«Tu vuoi solo figli maschi?» chiese interessato Scorpius.
Rose si strinse nelle spalle. «Che ne so… Non mi piace l’idea di avere figli…».
«No?» replicò deluso Scorpius.
«Oh, Merlino, Scorpius! Abbiamo quindici anni! Io voglio solo divertirmi. Vado a vedere se riesco a prendermi un po’ di whisky incendiario».
Scorpius sospirò.
«Paturnie d’amore?» non riuscì a trattenersi Albus raggiungendolo.
Scorpius gli pestò un piede. «Taci, tuo zio o mio padre potrebbero sentire».
«Andiamo a prendere qualcosa da bere?».
«Aperitivo alcolico?».
«Ci sono i nostri genitori» sbuffò Albus.
«A mio padre non interessa» replicò Scorpius.
«I Nott sono ancora a casa tua?» domandò Albus.
«No. Zio Theo ha comprato una villetta in una zona tranquilla. Lui e la moglie si sono trasferiti già da diverse settimane. Marcellus e Claire erano molto contenti ieri sera, a quanto pare è un bel posto e anche la casa è bella».
«Bene, mi fa piacere» commentò Albus.
«Mi preoccupa Eddie, però» confidò Scorpius.
«Zabini? Come mai?».
«Zio Blaise ha deciso di diseredare Dain, prendendo ufficialmente le distanze dai Neomangiamorte e, di conseguenza, l’erede della famiglia è Eddie adesso».
Albus sapeva che Scorpius e Edward Zabini erano cresciuti insieme, proprio come lui e Alastor, perciò erano molto legati. «Esattamente questo che cosa implica?» chiese totalmente ignorante delle tradizioni purosangue.
«Un sacco di privilegi, ma altrettanti oneri. Lui e lo zio hanno trovato un accordo: Eddie potrà fare quello che vuole dopo il diploma, ma questo non sarà un problema per lo zio perché Eddie pensa di fare magisprudenza o occuparsi di magieconomia, in compenso si dovrà sposare subito e con una ragazza approvata dallo zio».
Albus sospirò. «È molto più comodo non essere Purosangue. Tuo padre vuole che tu sposi una Purosangue?».
«Probabilmente, ma non mi interessa. Io sposerò Rose che a lui piaccia o meno».
Albus lo fissò scettico. «Devi prima convincere mia cugina».
«Dammi tempo» replicò Scorpius.

*

Diagon Alley era bellissima quella sera di Natale: le strade, i tetti e i comignoli delle case erano imbiancate di neve, le luci natalizie rilucevano da ogni lato.
Ormai le strade erano deserte, tutti gli abitanti erano al caldo nelle loro case e nessun avventore si avventurava nella Londra magica, essendo troppo tardi per ulteriori acquisti.
Il silenzio della notte, però, fu squarciato da una serie di urla e scoppi di incantesimi. Gli abitanti rabbrividirono nonostante i caminetti accesi. Qualcuno più coraggioso osò affacciarsi alla finestra e scrutare la strada principale.
I disordini erano concentrati nella zona della Gringott. La gente ebbe ancora più paura quando si rese conto che non era un attacco dei Neomangiamorte, ma l’inizio di una nuova rivolta dei folletti dopo secoli.
Poco dopo gli Auror, allarmati da qualche solerte mago, ben nascosto nella propria abitazione, avrebbero trovato i corpi degli spezzaincantesimi e dei guardiamaghi di turno riversi sulla fredda terra. La neve non più bianca ma rossa.
 
 

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Capitolo 24
*** Crucci d'amore ***


Capitolo ventiquattresimo
 
Crucci d’amore
 
Folletti in rivolta, Inghilterra nel panico
Ieri in tarda serata i folletti della Gringott, la Banca dei Maghi, hanno attaccato e ucciso gli spezzaincantesimi e guardiamaghi di turno.
Una notte di sangue e terrore per gli abitanti di Diagon Alley, che la Squadra Speciale Magica ha provveduto a far evacuare. La zona è ora sotto il controllo degli agenti e degli Auror, ma la Banca è nelle mani dei Folletti, che si sono asserragliati all’interno. Si prevede un tracollo economico mai visto per l’intera comunità magica. In tal senso si è espresso il noto magiavvocato Blaise Zabini esortando la comunità a non affidarsi ulteriormente ai Folletti e gestire da sé i propri beni.

«Jack, posso parlarti un attimo?».
Il Tassorosso abbassò il giornale e fissò sorpreso Nathan, il fratello tredicenne che, incerto, attendeva una sua risposta sulla soglia della porta.
«Certo, vieni» rispose incuriosito. Perché mai si rivolgeva a lui? Magari aveva combinato qualcosa e non voleva dirlo a Sylvester o a uno dei fratelli più grandi. Ciò che turbava Jack era che Sylvester gli aveva esplicitamente chiesto di non intromettersi nell’educazione dei suoi figli e non aveva certo intenzione di litigare con lui. Però poteva benissimo essere qualcosa di stupido, in fondo Nathan gli era sembrato fin dal primo momento un ragazzino tranquillo.
Il fatto, però, che Nathan aveva chiuso la porta alle sue spalle non prometteva nulla di buono.
«Senti, Jack, l’ultimo giorno di scuola è successa una cosa…» esordì titubante il ragazzino.
Quelle parole agitarono Jack, sebbene non ne comprendesse il motivo: magari aveva preso un brutto voto o era finito nei guai. Niente di terribile, insomma.
«Cosa?» lo esortò piegandosi in avanti verso di lui.
Nathan si mordicchiò il labbro e riprese: «Dei ragazzi mi hanno avvicinato all’uscita».
«Hanno fatto i prepotenti con te?» domandò Jack, rilassandosi: i bulli sapeva sistemarli a dovere.
«No. Non erano neanche della scuola, ma mi conoscevano. Sapevano molte cose su di me. Troppe, direi».
«In che senso?».
«Sapevano che sono un magonò e conoscevano tutta la mia famiglia. Sapevano persino di te».
«Che cosa volevano?».
«Il mio aiuto, il mio appoggio. Specialmente economico, visto chi è mio padre».
«Per fare che?».
«Erano degli SQUIBS, Jack» concluse semplicemente Nathan.
Jack si passò una mano tra i capelli. «Che li hai risposto? Li hai detto di lasciarti stare?».
Lo sguardo colpevole che gli rivolse il ragazzino, però, non rincuorò il Tassorosso.
«Jack, sono stati gentili con me. Volevano solo parlarmi. Mi hanno offerto da mangiare nel bar vicino alla scuola. Mi hanno spiegato quali sono i loro obiettivi. Vogliono solo che il Ministero approvi la Carta dei Diritti dei Magonò. Non sono degli sprovveduti. Cioè ci sono i più confusionari che vanno in giro facendo scritte stupide, tentando di provocare il Ministero; alcuni si fanno ammaliare dalle promesse di Bellatrix Selwyn; altri, però, sono preparati e intelligenti e sanno che cosa vogliono».
«Che stai dicendo?» sbottò Jack. «Sono dei criminali! Ricercati dalla Squadra Speciale Magica! Sei stato davvero stupido ad accettare il loro invito!».
«Non sono dei criminali!» ribatté Nathan, alzando il tono di voce. «Non hanno fatto del male a nessuno!».
«Non ancora. E comunque sono accusati di aver violato lo Statuto di Segretezza con le loro frasi provocatorie! Oltre che di disturbo alle quiete pubblica» replicò Jack.
«Nessun babbano ci ha creduto! Li hanno presi per pazzi. E comunque, secondo me, dicono cose giuste. I maghi dovrebbero concedere i giusti diritti ai Magonò e alle altre creature. Invece si sentono troppo superiori! I folletti non si sarebbero ribellati in caso contrario».
«Dici un mucchio di fesserie! Aspetta che lo sappia Sylvester!» sbottò Jack prendendolo per un braccio, ben intenzionato a trascinarlo nell’ufficio di suo padre.
«Pensavo che fossi diverso da Aaron e Phoebe! Pensavo che mi avresti ascoltato!».
«E che avrei di diverso da loro?» quasi gridò Jack.
«La Profezia. Avevo capito che tu e i tuoi amici dovevate far in modo che non ci fosse più ipocrisia nel nostro mondo».
Il Tassorosso fu così scioccato dalle sue parole che allentò la presa.
«Chi te le ha dette queste cose?».
«Ho origliato una conversazione tra papà e il Capitano Potter quest’estate. Anche se ti credi tanto bravo, sei ancora minorenne! E mio padre è il tuo tutore, quindi deve sapere certe cose, proprio come gli altri genitori dei tuoi amici».
«Sono molto deluso da te, Nathan. Sai benissimo che non è corretto origliare le conversazioni altrui. Jack, per favore, mollalo».
Sylvester li fissava contrariato dalla soglia della porta. Jack comprese che dovevano aver urlato più di quanto si fossero resi conti, obbedì all’istante; mentre Nathan chinava il capo al rimprovero paterno.
«Posso sapere che cosa sta succedendo? Perché state litigando?» domandò Sylvester squadrandoli entrambi.
A Jack non piacque quella situazione: a molti la verità non piaceva, anche se si presentavano come paladini dell’onestà. Non aveva scelta, però, quel ragazzino si stava mettendo in un bel guaio. «Nathan si sta facendo fare il lavaggio del cervello dagli SQUIBS» rispose seccamente.
«Non è vero! Ho detto soltanto che hanno ragione!» ebbe il coraggio di ribattere Nathan.
«Ci sei andato a mangiare insieme! E vogliono i tuoi soldi!» sbottò Jack, non intenzionato a mollare.
«Che vuol dire? Hai incontrato gli SQUIBS?» chiese Sylvester, incupendosi. Si avvicinò al figlio. Nathan sbiancò, ma annuì impercettibilmente senza guardarlo negli occhi.
«Nathan… io non ho parole per la tua stupidità!» sbottò Sylvester. «Avrebbero potuto farti del male! Ma dove hai la testa! E poi perché non me l’hai detto? Quando è successo?».
«L’ultimo giorno di scuola» rispose Nathan. «Non era pericoloso! Eravamo in un posto affollatissimo! E loro non volevano farmi del male! Io sono uno di loro, papà!».
Jack vide Sylvester irrigidirsi a quelle parole. Non aveva idea di come comportarsi: non aveva mai fatto una cosa del genere. Persino come Prefetto tentava sempre di non fare rapporto e di sbrigarsela da solo con i suoi compagni.
«Quindi mi hai mentito».
A quella voce il Tassorosso sobbalzò: mai aveva visto Vivienne, sua madre, interessarsi ai problemi di uno di loro. L’altro giorno aveva ignorato persino le gemelle che litigavano e si tiravano i capelli. Nathan non rispose.
«Che vuol dire che ti ha mentito?» chiese Sylvester alla moglie.
La donna si strinse nelle spalle, come se non fosse veramente importante. «Tu non c’eri. È rientrato più tardi del solito e mi ha detto che si era trattenuto con alcuni compagni di scuola».
Jack sospirò: l’espressione di Sylvester era parecchio arrabbiata. Non era sicuro di aver fatto la scelta giusta, sicuramente Nathan non si sarebbe mai più fidato di lui.
«Papà, a te sembra giusto come vengono trattati i magonò nella comunità magica?» trovò il coraggio di chiedere Nathan alzando persino gli occhi sul genitore.
«No, Nathan. Gli SQUIBS però non si stanno comportando bene per ottenere quello che vogliono» rispose paziente Sylvester.
«Non tutti. Quelli che ho conosciuto io sono molto colti, alcuni hanno persino compiuto dei viaggi per studiare le condizioni dei magonò negli altri paesi. Non sono stupidi» spiegò Nathan. «Ti prego, papà, parlarci almeno una volta».
Sylvester scambiò un’occhiata con la moglie.
«Io ho un impegno» disse Vivienne. «Ci vediamo stasera. Non hai bisogno che ti dica io quello che devi fare. Sarebbe assurdo…».
Jack vide la madre dileguarsi, così com’era apparsa. Vivienne Rosier in Spencer-Moon era una persona molto complessa. Sarebbe mai riuscito a comprendere veramente sua madre?
«Va bene, Nathan. Quando?» sospirò Sylvester.
«Oggi pomeriggio».
«Per questo sei venuto a parlarne con Jack?» domandò l’uomo a bruciapelo. «Speravi di poter andarci con lui? E con quale permesso?».
Nathan chinò il capo e non rispose.
«Sono molto deluso dal tuo comportamento, Nathan» dichiarò Sylvester scrutando severamente il figlio.
«Mi dispiace di averti mentito e nascosto queste cose» sussurrò il ragazzino.
«Io non desidero altro che tu sia felice e se vuoi combattere per i tuoi diritti, ti aiuterò. Avresti dovuto saperlo, però».
«Mi dispiace» ripetè singhiozzando Nathan e si gettò tra le braccia del padre.
Sylvester lo accolse e lo abbracciò, rivolgendosi nel frattempo a Jack: «Grazie, sei stato molto responsabile».
Jack storse la bocca, non del tutto convinto delle proprie azioni. «Posso venire con voi?» domandò.
«Se vuoi, sì» rispose Sylvester accarezzando la testa del figlio.

*

Albus spinse la porta, fortunatamente socchiusa, tentando di mantenere in equilibrio il vassoio tra le mani per non far cadere nulla.
«Zia» chiamò trattenendo a stento uno sbuffo vedendola nascondere di scatto le carte che aveva appoggiato sulle coperte davanti a lei.
«Ah, sei tu Al. Per un attimo ho pensato fosse Molly» sospirò Hermione Weasley.
«Non dovresti riposare?» domandò retoricamente il ragazzo.
«Sono il Ministro della Magia! È assurdo che mio marito e mia suocera mi tengano legata a un letto per una semplice influenza quando la comunità magica è nel caos!».
Hermione si passò una mano sul viso stanco. Albus le porse il vassoio, aiutandola a sistemarlo sulle gambe.
«Stanotte sei andata a Diagon Alley, poi hai pronunciato un discorso al Ministero, invitando tutti alla calma, infine sei andata a trovare personalmente i familiari delle vittime» riassunse Albus. «Sei tornata a casa alle otto del mattino e hai la febbre alta. Ora dovresti proprio riposare e mangiare qualcosa. Papà e zio Ron si occuperanno dei folletti».
Hermione sospirò e gli accarezzò distrattamente la mano. «Grazie» disse semplicemente, sorseggiando un po’ di thè caldo.
«Nonna dice che dovresti misurarti di nuovo la febbre» soggiunse Albus tirando fuori dalla tasca un vecchio termometro.
Hermione sbuffò: «Non sono una bambina. L’ho misurata neanche un’ora fa. Appoggialo sul comodino».
«Ti lascio riposare» replicò Albus, evitando di dire che la zia stesse facendo i capricci proprio come una bambina.
«Aspetta» lo trattenne lei. «Siediti un attimo». Albus obbedì automaticamente, chiedendosi che cosa volesse. Zia Hermione non era mai stata pesante come zio Percy, per quanto fosse altrettanto attenta alle regole e alla Scuola. Quando erano piccoli li leggeva sempre le fiabe: era molto bello stare ad ascoltarla. L’avrebbe fatto per ore.  «Sono preoccupata per Rose».
Albus la fissò per un attimo, poi distolse lo sguardo. Decisamente un argomento spinoso. «Dovresti riposare» tentò di svicolare.
«Per favore, Albus. Ho bisogno di capire. Da quando mia figlia ha iniziato a odiarmi?».
Il ragazzo sospirò, ma tentò di non mostrare i suoi reali pensieri. Il che era molto difficile. «Non credo che ti odi. Sei sua mamma» disse semplicemente.
Hermione lo costrinse a guardarla negli occhi e Albus si sentì terribilmente a disagio: le voleva molto bene e non voleva mentirle, ma non poteva neanche tradire Rose. «Che cos’ha?».
«Zia, ti prego» disse Albus, liberandosi dalla sua stretta.
«No, ti prego io. Albus, tua cugina non può continuare così. Se le vuoi bene, devi dirmi che cos’ha» ribatté Hermione con fermezza e trattenendolo per un braccio. Albus fu costretto a risedersi.
Albus sapeva che aveva ragione e prima o poi la situazione sarebbe sfuggita di mano a Rose. La prossima che avrebbe combinato, la McGranitt l’avrebbe espulsa. Al primo anno Rose non era in quel modo. Non amava studiare questo sì, ma era curiosa e le piaceva imparare cose nuove: adorava Incantesimi e Difesa contro le Arti Oscure. Quand’era piccola desiderava diventare un Auror come suo padre, man mano, però, era cambiata.
«Al primo anno alcuni professori ogni tanto la paragonavano a te, all’inizio tentava di ignorarli. Però più passava il tempo, più si spazientiva. La più insopportabile era la Campbell, non faceva che confrontarvi e la Macklin non era da meno. Gli altri solo ogni tanto, alle volte quasi inconsciamente. Però per Rose è diventata una fissazione, praticamente era convinta che la paragonassero a te anche quando non lo facevano esplicitamente. Era arrivata a prendersela persino con zio Neville».
Hermione sospirò affranta. «E poi?» lo esortò.
Albus si strinse nelle spalle. «E poi ha semplicemente deciso di essere il tuo opposto».
«Ci sta riuscendo perfettamente» sbuffò Hermione, mettendo da parte il vassoio. «Grazie. Per piacere, lasciami riposare adesso».
Albus era incerto, ma alla fine non si mosse. «Senti, zia… so che non sono affari miei, ma… insomma non dovresti essere così severa con Rose…».
Hermione lo fissò, seria in volto. «Vuoi che le permetta di fare tutto quello che vuole? Assolutamente no».
«Non ho detto questo, ma mettendola in punizione non ottieni nulla. Mica sta studiando in questo momento» borbottò Albus.
«Sei troppo piccolo per capire» tagliò corto la donna.
«Tra un mese compirò sedici anni. Non sono così piccolo. Prova ad ascoltarmi» ribatté Albus. «Se Rose continua così, si farà espellere. I G.U.F.O. saranno gli ultimi dei suoi problemi».
«Peggio per lei» borbottò Hermione infastidita.
«Sembri zio Percy in questo momento» replicò Albus. «Se abbassi le armi per prima, sono sicuro che Rose ne rimarrà sorpresa!».
«Io non sono così sicura che…».
«Lo sapevo che non riposavi» sbuffò Harry Potter entrando nella stanza in penombra.
«Che novità mi porti?» chiese Hermione, ignorando le sue parole.
«Nessuna. I folletti occupano la Gringott, Diagon Alley pullula di Auror e agenti della Squadra Speciale Magica. Fino ad ora i folletti non hanno fatto alcuna richiesta e hanno rifiutato i tentativi di Susan Bones di parlamentare. Devi guarire al più presto, potremmo aver bisogno di te».
«Io sto bene» ribatté Hermione.
Harry alzò gli occhi al cielo. «Non essere stupida. Almeno per oggi devi rimanere a letto, così la pozione contro la febbre potrà far effetto per bene».
Hermione sbuffò e si raggomitolò sotto le coperte. «Bene. Allora sparisci». Harry scosse la testa rassegnato e fece cenno al figlio di recuperare il vassoio dal letto e seguirlo. «Al» lo chiamò, però, la zia. «È un pessimo periodo. Parlerò con Ron. So che hai ragione, ma non è facile.  Nel frattempo stalle vicino, per favore».
«Sì, tranquilla». L’avrebbe fatto anche se non gliel’avesse chiesto, s’intende, ma era contento di averle parlato: Rose stava diventando ingestibile.
«Di che parlavate?» chiese Harry, mentre scendevano al piano di sotto. Dall’esterno provenivano le voci divertite degli altri ragazzi intenti a giocare con la neve.
«Di Rose» rispose semplicemente Albus.
«Ah, capisco» sospirò Harry. Ron si era più volte sfogato con lui, sperando che potesse aiutarlo a comprendere la figlia. Purtroppo Harry non aveva idea di come aiutare i suoi migliori amici.
«Torni subito a lavoro?» domandò Al.
«Non ho scelta» replicò Harry. «Hai bisogno di qualcosa?».
Albus si mordicchiò il labbro. «Mi puoi dare un anticipo sulla paghetta?».
Harry si accigliò. «Perché?».
«Oh ehm volevo comprare un manuale di Antiche Rune» rispose il ragazzo.
«Mi stai mentendo?».
«No» rispose precipitosamente Albus. E addio credibilità. Fred e gli altri l’avrebbero preso in giro in eterno. Possibile che non sapesse mentire?
«Che cosa devi farci con i soldi?» chiese Harry.
Albus svicolò ed entrò rapido in cucina, sperando che il padre lasciasse cadere il discorso in presenza della nonna.
«Oh, grazie, Albus, caro» disse la nonna prendendogli il vassoio dalle mani. «Harry, ti faccio un thè?».
«No, grazie. Devo scappare».
«Raggiungo gli altri fuori» annunciò Albus, ma pentendosene all’istante: gli avrebbero chiesto se fosse riuscito a farsi dare i soldi. Pessima idea.
«Non così in fretta, accompagnami un attimo» lo fermò, però, Harry. Albus gli rivolse uno sguardo supplichevole, ma venne ignorato. «A che ti servono i soldi?».
Perché non demordeva?, pensò Albus. Doveva essere nella sua natura di Auror. Insomma poteva semplicemente dirgli di no! Comunque non rispose, si fissò i piedi sperando che si stancasse di aspettare.
«Non vuoi dirmelo?».
Suo padre era una persona molto intuitiva, pensò Albus ironico. Scosse la testa.
Harry gli arruffò i capelli, non abbandonando l’espressione seria che aveva assunto quando gli aveva chiesto di seguirlo nell’ingresso. «Allora niente anticipo. Fate i bravi, come ti ha detto zia Hermione, è un brutto momento».
Albus annuì, senza guardarlo negli occhi. Dopo averlo salutato, non pensò minimamente di raggiungere i cugini fuori: avrebbe evitato Fred il più possibile. Lui e i suoi piani sconclusionati.

*

«Padron Percy» chiamò un piccolo elfo domestico, entrando nell’ordinatissimo ufficio. «Sua nipote vuole vederla».
Percy alzò gli occhi dai documenti su cui stava lavorando e lo fissò sorpreso. «Quale nipote?».
«Io» sbuffò Roxi, facendo il suo ingresso senza tante cerimonie.
«Ma Rotty non ha detto di entrare» strillò l’elfo torcendosi le mani.
«Lascia stare Rotty, lasciaci soli, grazie» disse seccato Percy. «Tu non dovresti essere alla Tana?».
«Buongiorno anche a te, zio. Non essere così contento della mia visita» rispose Roxi con la sua miglior faccia tosta.
«Sei sempre la benvenuta qui» sbuffò Percy.
«Frase fatta. Non ti sforzare troppo. Ho solo bisogno che mi ascolti cinque minuti».
«I tuoi sanno che sei qui?» ribatté Percy.
«Ti ho detto che ho bisogno solo di cinque minuti. Non era necessario avvertirli».
«Roxi» iniziò Percy minaccioso.
La Grifondoro lo precedette prima che desse il via a una delle solite interminabili prediche. «Sono venuta a parlarti di Lucy». Lo zio si accigliò, ma non gli diede il tempo di interromperla. «Se continui così, lei ti odierà. Mi spieghi perché non l’hai lasciata alla Tana con noi? Che cosa credi di ottenere relegandola in camera sua lontana da tutti e tutto? Ti sei accorto quanto è migliorata in questi mesi? Non si è neanche cacciata nei guai!».
«Solo per non fare scoprire a me e a sua madre che è entrata nella squadra di Quidditch!» ribatté Percy all’istante.
«Sai che strano! Gliel’avreste impedito! Ed è proprio grazie al Quidditch che si è impegnata tanto! Dovreste essere contenti!».
«Hai solo quattordici anni! Non ti permetto di venirmi a fare la morale su come si crescono i figli!» sbottò Percy.
«Ah, certo. Infatti è normale che Molly abbia raccontato di essere incinta prima ad Albus» replicò a tono Roxi.
«Come osi?!» strillò Percy, le cui orecchie erano rossissime. «Vattene immediatamente a casa. Non ti farebbe male studiare!».
«Al ritorno dalle vacanze Serpeverde giocherà contro Tassorosso. Tu e zia venite a fare il tifo per Lucy. Le farebbe piacere».
«Fuori! E non ti permettere un’altra volta di uscire senza il permesso dei tuoi!» urlò Percy.
Roxi scosse la testa arrabbiata: quando avrebbe capito, sarebbe stato troppo tardi. Se avesse capito.

*

«L’amplob!».
Virginia si riscosse. E come avrebbe potuto non farlo? Quella pazza, vecchia acida, le aveva urlato in un orecchio.
«Ah?» bofonchiò perplessa, raddrizzandosi.
«Wilson, dove hai la testa? Prendi esempio da tua sorella!».
Per un attimo Virginia non comprese, poi gli occhi le caddero su Clara. «Lei non è mia sorella» sbottò con rabbia.
Miss Brummel la fissò furiosa. Ma quante rughe aveva? «Non mi interessa. Fai quello che fa lei!».
«Non voglio fare quello che fa lei» replicò Virginia, più a se stessa che alla maestra di danza.
La donna si stava arrabbiando sempre di più, ma alla Corvonero non interessava minimamente.
«Vado in bagno» annunciò sotto lo sguardo sorpreso e ammirato delle altre ragazze. Nessuna aveva mai trovato il coraggio di rivolgersi così alla Brummel.
«Se esci da questa stanza senza il mio permesso, ti giuro che non vi entrerai mai più. Neanche se me lo chiedesse la Ministra della Magia in persona» sibilò miss Brummel irata.
Virginia ebbe un attimo di titubanza. Solo un attimo. Suo padre l’avrebbe uccisa, quel corso costava un botto. Sua madre l’avrebbe diseredata direttamente.
Entrò in bagno e solo allora lasciò andare il fiato, che non si era accorta di aver trattenuto. E ora? Si sciacquò il viso. La Brummel non minacciava a vuoto: non sarebbe tornata indietro. Alla fine della lezione, però, sarebbero andati Erik e la madre a prendere lei e Clara. Si fece prendere dal panico: non avrebbe potuto affrontarli. Il suo coraggio si era già esaurito. Tentò di ragionare il più velocemente possibile. Non l’avrebbero mai fatta uscire dall’ingresso, perché era minorenne e scemenze varie. Certo che poi il custode non sarebbe stato incriminato per complicità di omicidio. La vita era ingiusta. Notò la finestra, avrebbe potuto raggiungerla arrampicandosi sul lavandino.
«Non è il bagno dei maschi?» chiese perplessa una voce.
Virginia si voltò di scatto, ritrovandosi di fronte un ragazzino dall’aria vagamente familiare. «Ci conosciamo?» replicò, ignorando il fatto di aver sbagliato bagno. Aveva ben altri problemi.
«Tu sei il Prefetto Wilson?».
Alla faccia della sfortuna! Non solo i suoi genitori l’avrebbero uccisa, ma ne avrebbe risentito il suo ruolo di Prefetto. Tanto ormai il guaio era fatto.
«Ho sbagliato bagno. Tu chi sei?» domandò Virginia arrampicandosi sul lavandino.
«Mirko Allen, Tassorosso, terzo anno. Che stai facendo?».
«Scappo. Problemi?» rispose la Corvonero, aprendo senza fatica la finestra. L’aria fredda del tardo pomeriggio la colpì in pieno. Ma non poteva andare negli spogliatoi a prendere la borsa, avrebbero potuto fermarla.
«Con la calzamaglia?».
Ma i Tassorosso erano tutti così petulanti? Dorcas non faceva domande così stupide. «Io vado. Piacere di averti conosciuto, Mirko. Ci vediamo a Scuola».
Per fortuna era magra e non ebbe problemi a scivolare fuori. Stava gelando. La strada era completamente innevata. La cosa migliore sarebbe stata prendere il Nottetempo. Sì, in quel modo avrebbe avuto tutto il tempo per decidere il da farsi senza trasformarsi in un ghiacciolo. Si spostò a fatica verso il ciglio della strada, per poi ricordarsi di aver lasciato la bacchetta nel borsone. La sua coscienza iniziò a insultarla e, non troppo stranamente, aveva la voce di Williams. Naturalmente non aveva con sé  né lo Speculum né soldi. Si voltò indietro: la scelta più saggia sarebbe stata tornare dentro e affrontare l’ira della madre. Ma no, non se ne parlava nemmeno: aveva troppa paura di lei e del suo compagno.
Stava tremando, ma non avrebbe saputo dire se più per la paura o per il freddo. Si costrinse a ragionare. Era pur sempre una Corvonero! Non doveva farsi prendere dal panico, dopotutto era a Londra, non in un posto sperduto e lontano dalla civiltà. Era a Camden Town. Jonathan abitava a Mayfair. Quanto poteva volerci a piedi? Avrebbe potuto farcela. Tremante si mise in cammino. Quando fu abbastanza lontana dalla scuola, entrò in un negozio e chiese indicazioni. La commessa la fissò perplessa. «A piedi signorina? Vestita in quel modo? È sicura di sentirsi bene?».
«Sì, benissimo. Ero a scuola di danza, ma ho avuto un problema con il mio borsone e devo andare a casa di un amico. Lì potrò cambiarmi». In fondo non aveva mentito. «Vado bene per Mayfair, allora?».
«Sì, sì» rispose perplessa la donna. «Ti converrebbe prendere il treno però».
«Ah, sì, certo grazie.  E quanto ci mette?» replicò Virginia, sebbene non avesse alcuna intenzione di andare alla stazione babbana.
«Una ventina di minuti».
La Corvonero ebbe un tuffo al cuore. Venti minuti? E a piedi? Non osò insistere. Ringraziò e uscì. Aveva combinato un guaio macroscopico. Doveva riflettere, doveva riflettere. Chi altro abitava nelle vicinanze? Dexter stava a Diagon Alley. Quanto era lontana Charing Cross Road da Camden Town? E comunque Dexter in quel momento era a casa di suo zio, visto che Diagon Alley era stata evacuata. Se fosse andata lì, avrebbe peggiorato ancor di più la sua situazione. Kumar stava a Mayfair proprio come Jonathan. E Annie non ne aveva idea, ma certo non avrebbe chiesto aiuto agli Yaxley per quanto la compagna potesse essere buona. Il panico iniziò a farsi nuovamente strada in lei. Si appoggiò al muro di un palazzo, completamente gelata. Che doveva fare? Decise di muoversi verso Mayfair. Dopotutto che scelta aveva? Se fosse rimasta lì sarebbe congelata più velocemente. Camminò per un tempo indefinito, senza avere la piena consapevolezza di dove stesse andando. Voleva suo padre, Lauren, Martha, persino Selene e Jeremy. Voleva tornare a casa.
«Virginia?».
Di scatto si voltò verso la voce che l’aveva chiamata. Ebbe qualche difficoltà a mettere a fuoco il volto del ragazzo. Riconoscendolo sentì quasi un fiotto di calore nel petto. Era l’ultima persona che si sarebbe aspettata di incontrare, ma ne fu comunque contenta.
«Stai bene?».
«Sì, devo andare da Jonathan. Jonathan Goldstain» ripose subito.
L’altro la fissò perplesso. «So chi è Jonathan. Ma come sei vestita? Stai tremando! Dove abita Jonathan?».
«Avevo danza» rispose ancora Virginia, ben sapendo quanto suonassero insensate le sue parole. «Jonathan sta a Mayfair».
«Mayfair?!» ripeté il ragazzo.
«Noah, allora ti sbrighi? Ti sembra il momento di fare conversazione? Muoviti, deficiente».
Noah Hunter era saltato come se qualcuno l’avesse colpito con forza. Sia lui sia Virginia si voltarono verso un uomo corpulento che li scrutava infastidito.
Il ragazzo la fissò incerto e poi domandò all’uomo che si era avvicinato: «Papà, possiamo darle un passaggio? Deve andare a Mayfair».
Virginia sobbalzò quando l’uomo diede un pugno al figlio sulla spalla. «Deficiente, dobbiamo andare dall’altra parte! Non solo non sei normale, ma non sai neanche orientarti! Sbrigati. Ti voglio sul camion entro due secondi».
Noah non la guardò negli occhi, mentre biascicava: «Scusa. Ci vediamo a Scuola». Prima di scappare via, le lasciò il suo giubbotto. Virginia rimase a fissarlo interdetta, mentre saliva a fatica sul camion. Fu evidente che il padre non aveva apprezzato il suo gesto, perché appena era riuscito ad arrampicarsi sul sedile, aveva ricevuto uno schiaffo in pieno viso.
Negli anni precedenti non si erano mai calcolati più del dovuto: lei era un tipo riservato e Noah ancor di più. Ed adesso cominciava a capire di più quel ragazzo con cui negli ultimi mesi, visto che entrambi erano stati nominati Prefetti, aveva stretto amicizia. Fu grata del giubbotto, indossandolo si sentì molto meglio. Un vero Tassorosso.
Si rimise a camminare, sperando in un altro colpo di fortuna. Incontrò un gruppo di ragazzi, che la prese in giro e passò oltre: non era il caso di chiedere aiuto a loro.
Ormai era buio, sebbene le strade fossero illuminate. Probabilmente la stavano già cercando. Aveva chiesto indicazioni più volte e non doveva mancare molto. Sicuramente il signor Goldstain avrebbe avuto una pozione adatta e avrebbe smesso di sentirsi così intorpidita. Era a Maddox Street, ormai era vicina. Anzi vicinissima.
All’improvviso delle mani la bloccarono alle spalle, tappandole la bocca. Uno strano presentimento la colpì. La trascinarono in un vicolo buio. Senti diversi voci. Erano più di uno e parlavano una strana lingua.
«È una strega! Vero, ragazzina?» le si rivolse uno aspro, usando l’inglese.
Virginia deglutì terrorizzata: erano goblin.
«Ti si è gelata la lingua?» sibilò un altro, alitandole addosso.
«Portiamola con noi, potrebbe esserci utile» aggiunse un altro ancora.
La Corvonero toccò la runa, che non toglieva mai dal braccio. Era l’unico legame con i suoi amici. Sentì il polso bruciare, prima di perdere conoscenza. Forse i suoi amici l’avrebbero salvata. Forse quelle rune servivano a qualcosa.

*

Frank sospirò, mentre tentava di aggiungere qualcosa di sensato al tema sul Filtro Doxycida.
«E dai, solo venti galeoni» ripetè per la milionesima volta Augusta.
Il ragazzino sbuffò e alzò lo sguardo sulla sorellina: «Solo venti galeoni? E dove li prendo?».
«Non mi dire che non hai messo da parte la paghetta in questi mesi. Non sei potuto neanche andare a Hogsmeade!» replicò Augusta.
«Ho fatto i regali di Natale» rispose Frank, tornando al suo tema. «A che ti servono? Non puoi chiederli a mamma e papà?».
«Devo comprarmi una trousse. Io ed Emmy abbiamo visto la pubblicità su Il settimanale delle streghe».
«Una che?» domandò distrattamente Frank.
«Una trousse. I trucchi, hai presente? Sei un ignorante» sentenziò Augusta.
«Mamma non ti darà mai i soldi» ribatté Frank, sfogliando febbrilmente il manuale di Pozioni.
«Appunto me li devi dare tu» rispose Augusta come se fosse ovvio.
«Non ce li ho. E comunque mamma e papà mi ucciderebbero» ribatté Frank a tono.
«Se te l’avesse chiesto Alice, avresti fatto di tutto per aiutarla!».
Frank sbuffò spazientito: «Non è vero!».
«Sì, che è vero!».
Il ragazzino avrebbe voluto calmarla e spiegarle che si sbagliava. «Se vuoi posso parlare con mamma e papà» sospirò infine.
«Grazie, grazie, grazie» trillò felice Augusta, saltandogli al collo.
«Augusta, aspetta!» tentò di fermarla Frank mentre l’inchiostro si rovesciava sulla pergamena.
«Scusa, ma mamma lo sistemerà con la magia» disse subito Augusta.
Frank fece per ribattere, innervosito. Ci aveva lavorato per ore su quel tema! Un dolore lancinante al petto, però, lo fece strillare.
«Che hai?» domandò sorpresa Augusta.
Il ragazzino non riuscì a rispondere e si strinse con forza il petto.
«Che succede?» strillò Alice, entrando in camera. «Togli la mano! Augusta, chiama mamma».
Prima che Hannah Paciock entrasse nella camera, Alice era riuscita a tagliare il filo di pelle che legava la runa e togliere la maglia al fratello. «Spostati» disse sua madre.
«La runa l’ha ustionato» spiegò impressionata Alice. Sul petto del fratello vi era uno strano segno: non corrispondeva alla sua runa. Lo ricopiò alla meno in meglio su un foglio di pergamena. «La riconosci?» chiese a un Frank più tranquillo.
«Non è il momento» la rimproverò Hannah, intenta a spalmare una roba posticcia arancione sull’ustione.
Frank focalizzò l’attenzione sulla sorella e sul simbolo che gli indicava. Naud. Fece per alzarsi dalla sedia, ma la madre lo bloccò.
«Dove credi di andare? Riposati un attimo».
«Devo parlare con Al. Non capisci Naud indica il bisogno. Forse qualcuno è in pericolo. La runa non ha mai fatto una cosa del genere!».
«Tu non ti muovi da qui» ribatté Hannah.
«Papà, Al deve essere avvertito!» insisté Frank, sperando che almeno lui gli venisse incontro.
«Ora lo contatto, ma tu stai tranquillo» rispose Neville, che era corso nella stanza del figlio attirato dalle grida delle ragazze.
 
 

«Devi sciacquarli meglio. Il sapone deve andarsene tutto» commentò divertita Ellen Ellis.
«Dai, Elly, non è corretto» la richiamò l’unica altra ragazza presente nella cucina.
«Grazie, Sarah» borbottò Emmanuel, particolarmente seccato.
«Il sapone c’è sul serio, però» insisté Ellen.
Emmanuel seguì il suo consiglio e risciacquò il piatto in questione. Trovava piacevole trascorrere del tempo con Sarah ed Elly quando erano a casa, ma non certo in quel modo. «Che leggi?» domandò a Sarah.
«Un libro di fisica babbano. Lo trovo molto interessante».
Il Serpeverde lanciò un’occhiata veloce al libro e poi tornò alla pila di piatti che ancora attendeva di essere lavata. Si lasciò sfuggire un lamento. Non avrebbe mai finito.
«Ti aiutiamo?» propose Sarah solidale.
«Ma è divertente!» si lagnò Ellen.
Emmanuel la guardò male, prima di rivolgersi a Sarah. «Hai sentito mio padre: niente magia, niente aiuti».
«Non se ne accorgerà» replicò Sarah, mettendo il libro da parte. «Elly controllerà che non venga nessuno. In due faremo prima».
Emmanuel le rivolse uno sguardo grato. Oltre sua cugina Selene, le sue compagne di giochi durante l’infanzia erano state proprio Sarah ed Elly, figlie della governante magonò. Le due sorelle erano streghe, e con suo enorme dispiacere, erano state smistate entrambe a Corvonero: Sarah era al sesto anno, mentre Elly al primo.
«Grazie» disse il Serpeverde, mentre Sarah lo affiancava.
«A me non sembra una buona idea» sospirò Elly, avvicinandosi però alla porta per fare il palo. «Il signor Darnell si arrabbierà».
«Solo se lo saprà» replicò Sarah.
«Se Emma fosse stato zitto, non ci troveremmo in questa situazione. Anzi saremmo fuori a giocare con la neve» si lamentò Elly.
«Non sei costretta a stare qui» le ricordò il ragazzo. Sul fatto che fosse solo colpa sua non ribatté: era vero. Si era fatto trascinare dai cugini in discussioni stupide e suo padre era entrato in salotto in tempo per sentirlo dire di essere troppo ricco e purosangue per fare cose da servi, tipo pulire. Non lo pensava davvero, s’intende. Aveva parlato a sproposito, ma suo padre si era rifiutato di ascoltare le sue scuse e, appena i suoi cugini se n’erano andati, l’aveva spedito a lavare piatti senza magia. Nemmeno la scusa dei compiti era servita a nulla.
All’improvviso percepì una fitta lancinante al polso dove aveva legato la runa, si lamentò attirando l’attenzione delle due ragazze.
«Che hai?» gli chiese Sarah.
«La runa, devo toglierla» gemette Emmanuel.
Sarah lo aiutò e insieme riuscirono a liberare il braccio.
Emmanuel con le lacrime agli occhi fissò la runa che era apparsa sulla sua carne: naud.
«Elly, vai a chiamare mio padre. Veloce!».
La più piccola lo fissò spaventata per un attimo e poi corse fuori dalla cucina.
 
 

«Rose, per Merlino!» sbottò Teddy. «Vieni a fare i compiti!».
Albus, con la coda dell’occhio, vide la cugina sistemarsi più comoda sul divano, incurante delle parole di Teddy. Erano tornati a casa, specialmente perché Molly si era asserragliata alla Tana e ormai vi era un via vai di gente. La ragazza aveva annunciato di non volersi più sposare e tutta la famiglia tentava di farla ragionare. Teddy e Vic si erano offerti di tenerli d’occhio in assenza dei loro genitori, scelta che aveva suscitato le proteste di James e Rose, che si consideravano troppo grandi per avere dei babysitter.
Il piccolo Rem dormiva beatamente nella sua culla, mentre Vic ne approfittava per portarsi avanti con lo studio. Teddy si premurava che loro ragazzi facessero i compiti delle vacanze. Harry e Ginny si erano raccomandati di ubbidire a Teddy e Vic, così persino Lily e James, ben intenzionati a non farli arrabbiare, stavano lavorando anche se senza il minimo entusiasmo. Lily tendeva a distrarsi ogni due secondi, ma Teddy la richiama prontamente. Albus, Hugo e Samuel si erano dedicati al loro lavoro in silenzio. L’unica che non aveva voluto collaborare per tutto il giorno era stata Rose. Vic aveva provato a parlarle più volte, ma lei aveva rifiutato ogni tentativo.
«Lascia stare» sospirò Vic, notando il nervosismo di Teddy. «Se la vedrà con zia Hermione quando torna».
«Oh, che paura» trillò ironica Rose, cambiando canale.
Fu in quel momento che le rune di Albus, James e Rose iniziarono a bruciare. Vic e Teddy intervennero all’istante per aiutarli. Albus riconobbe immediatamente la runa impressa a fuoco sul suo polso. Prese per un braccio Teddy e quasi gli urlò: «Chiama papà. Ho paura che qualcuno dei Dodici sia nei guai».
Teddy lo fissò stranito, come a chiedersi da che cosa l’avesse intuito, ma non fece domande e si precipitò al camino per chiamare il padrino.
 

«Abbiamo finito?» si lamentò Scorpius per la milionesima volta.
«Stai facendo i capricci come un bambino, Scorpius!» sbottò Astoria Malfoy. «Madama McClan è venuta appositamente per te».
Scorpius si trattenne dallo sbuffarle in faccia: se fosse stato per lui, la sarta avrebbe potuto starsene a casa propria. Non era lì per lui, ma per tutta la famiglia. Suo padre si era rifugiato nel suo studio con la scusa di dover leggere degli importanti documenti. Ma per favore! Si sarebbe vendicato, non c’erano dubbi.
«Stia fermo, signorina Malfoy» disse la McClan bloccandogli la gamba. La sua espressione scioccata la fece retrocedere. «Volevo dire signorino, scusi» borbottò imbarazzata.
Aveva ben altro da fare che starsene lì a provarsi la veste per un matrimonio che forse non sarebbe stato celebrato! Arion e Molly avevano litigato. Per quello che aveva capito la ragazza aveva realizzato, alla buon ora!, che cosa significava diventare madre e sposarsi, per giunta con l’erede di un casato importante e antico come i Greengrass. E a quanto pare non riteneva che quelle fossero le sue priorità per il suo futuro prossimo. Saltellò sul posto per sgranchire le gambe.
«Signorino! Così non posso lavorare! Signora Malfoy, la prego» si lagnò la McClan. Ma quant’era vecchia? Non poteva andarsene in pensione?
«Scorpius, per favore. Mi stai mettendo in imbarazzo» sibilò Astoria. «Sembra che non ti abbia insegnato a comportarti».
Scorpius evitò il suo sguardo, ben consapevole che avrebbe dovuto affrontarla una volta rimasti soli. Ma si annoiava a morte! S’imbronciò e iniziò a ignorare le richieste della sarta. Non gli interessava se era un comportamento infantile. Sentiva Orion ridacchiare in sottofondo, forse nella speranza di vedere la zia Astoria perdere la pazienza.
La runa iniziò a bruciare all’improvviso e Scorpius si coprì il polso, ignorando la sarta che aveva iniziato a imprecare contro Merlino, con una finezza esilarante, e i rimproveri di sua madre.
«Scorpius, smettila subito!» strillò Astoria, furiosa.
«Non sto scherzando» biascicò il Serpeverde, seccato, tentando di staccare la runa dal polso.
«Che cos’hai Scorp?» chiese preoccupato Orion.
 
 

«Perché non fate le patatine fritte?» si lagnò Sophie.
«Le hai mangiate a pranzo. Troppo spesso fanno male» replicò Maxi.
«Stiamo facendo la zuppa di pesce. Non ti piace?» domandò Emily Dawson.
Sophie si strinse nelle spalle, concentrandosi sulla partita a sparaschiocco che stava giocando con Maxi.
«Stia tranquilla, professoressa, mia sorella mangia tutto. Ha uno stomaco senza fondo» commentò Brian con un lieve sorriso. La Dawson sorrise a sua volta e Niki ridacchiò.
«Non è vero» si difese Sophie.
Quando la runa bruciò, Brian lasciò andare il piatto che teneva in mano ed esso si frantumò sul pavimento della cucina.
«Sei un pasticcione!» trillò divertita Sophie.
«Che hai?» chiese gentilmente Emily Dawson.
«Brucia. La runa brucia».
Maxi fu subito vicino a loro. «Recido» formulò puntando la bacchetta contro il laccio di pelle. La runa cadde a terra, rivelando il polso ustionato.
«Va tutto bene, Brian. Ora ti medico» disse dolcemente la Dawson tentando di tranquillizzarlo. «Hai riconosciuto la runa?» soffiò a Maxi, che annuì preoccupato.
«Ti occupi tu dei ragazzi? Io vado al Quartier Generale».
«Certo, tranquillo» lo rassicurò la Dawson.
 

 
«Jack, allora ti piace la mia cameretta?» domandò Nyah con un enorme sorriso. Era evidente che fosse molto contenta della nuova sistemazione. Non era molto grande, ma graziosa.
«Carina» rispose gentilmente Jack. Per i suoi gusti era troppo rosa, ma in fondo doveva piacere alla Corvonero non a lui.
«Sono tutti molto gentili con me qui».
«Mi fa piacere» commentò Jack con sincerità. E poi la runa bruciò. Digrignò i denti e si liberò il polso.
Nyah si coprì la bocca con la mano di fronte alla runa incisa a fuoco sulla carne dell’amico.
 
 

Jonathan seguì il padre in una piccola stanzetta dove vi erano ben quattro letti. Uno solo occupato. Una ragazzina si girò di scatto sentendoli entrare, ma la sua espressione era delusa. Evidentemente sperava di vedere qualcun altro.
«Ciao» disse Jonathan leggermente in imbarazzo.
«Ciao. Buongiorno, signor Goldstain» rispose piatta la ragazzina.
«Buon pomeriggio. Sarah, ti presento mio figlio Jonathan. È al quinto anno a Hogwarts» disse Anthony Goldstain gentilmente. «Jonathan, lei è Sarah Jackson. Come ti senti?».
«Meglio, grazie» sospirò Sarah.
Jonathan la scrutò con curiosità. Suo padre gli aveva spiegato che la piccola aveva accettato di collaborare con il San Mungo per le ricerche sulla licantropia. Era uno scricciolo, all’apparenza una folata di vento avrebbe potuto farla volare via, ma una volta al mese si trasformava in un mostro. Proprio come lui. Sembrava indifesa.
«Perché è qui?» chiese Jonathan perplesso. Suo padre non gliel’aveva detto, ma per quello che aveva capito la maggior parte dei test, vista l’età della ragazzina, venivano effettuati fuori dall’ospedale.
«L’ultima luna piena è stata più pesante» rispose laconicamente Anthony Goldstain. «Vi lascio soli, va bene?».
Jonathan sedette nella sedia vicino al letto di Sarah e le sorrise incerto.
«Anche tu sei un lupo mannaro, vero? Me l’ha detto tuo padre. E vai a Hogwarts?».
«Vero. E tu stai aiutando i ricercatori del San Mungo con la licantropia».
«Non mi piace parlare dei test, ma se tu mi parli di Hogwarts allora risponderò a tutte le tue domande. Mio padre pensa di non mandarmici».
Jonathan se ne sorprese: i suoi genitori non avevano mai messo in dubbio che lui avrebbe frequentato la Scuola, proprio come sua sorella Melissa.  Evidentemente non tutti i genitori riuscivano ad affrontare simili situazioni alla stesso modo. Annuì e le disse: «Ti posso raccontare tutto quello che vuoi di Hogwarts, non ho fretta perché devo aspettare che mio padre finisca il turno. Se non vuoi parlare dei test, non devi farlo».
Parlarono a lungo, Sarah era una bambina timida ma si abituò quasi subito al Corvonero, forse percepiva l’odore del lupo. Jonathan le raccontò delle lezioni, dei compagni, del Quidditch e le descrisse il castello, il parco e Hogsmeade. Alla ragazzina luccicavano gli occhi.
«Spero proprio che mio padre si convinca» sospirò infine.
Senza che Jonathan glielo chiedesse, ella gli raccontò i test che doveva fare. Era una ragazzina coraggiosa.
La runa, che teneva legata al polso, come tutti gli altri, prese a bruciare. Gemette, ma solo con l’aiuto di Sarah riuscì a liberarsi. Naud, la runa del bisogno, marcava a fuoco la sua pelle.
 

«Smettetela di litigare» urlò Angelina Weasley dalla cucina. «Non mi fate venire lì» minacciò i due figli.
Roxi era furiosa con Fred e a malapena sentì il richiamo della madre. «Non devi entrare in camera mia! Che ti è saltato in mente di toccare Fuffi?».
«Fuffi? Ascolti troppo i racconti di zio Harry e zio Ron» la derise Fred.
Roxi assottigliò gli occhi e sbuffò, pronta a saltargli addosso. Fuffi era il suo salvadanaio a forma di cane a tre teste. Pochi minuti prima aveva colto il fratello maggiore sul cadavere del suo amato salvadanaio, intento ad arraffarsi più monete possibili.
«Non capisci? È per una buona causa! Sei tirchia! Da chi cavolo ha preso?».
«Me la paghi!» urlò in risposta Roxi. Lo spinse a terra e gli tirò il maglione. «Ripara immediatamente Fuffi e rimetti i soldi al loro posto!» sibilò. Si accapigliarono sul tappetto scarlatto della camera che era stata per anni del padre e dello zio Fred, finché un’Angelina seccata irruppe nella stanza e li divise senza tante cerimonia.
«Mamma, Fred ha ucciso Fuffi» gridò Roxi, furiosa.
«Non l’ho ucciso. L’ho solo rotto. È un salvadanaio, è stato creato per questo».
«Fred, come hai potuto toccare il salvadanaio di tua sorella?» sbottò Angelina.
Roxi gli rivolse uno sguardo di trionfo.
«Lei mi ha aggredito» si difese Fred.
«Povero, bambino» lo derise Roxi.
Angelina sbuffò. «È possibile che più crescete più vi comportate come due bambini!? Fred, perché non vai a studiare un pochino? Sai, non ti ucciderebbe. Cerca di essere maturo per una volta. Non ti rendi conto che non è il momento? Tuo padre ha dovuto chiudere il negozio!».
«Beh, sta lavorando per corrispondenza. Non perde tempo lui» ribatté Fred risentito.
«Se vuoi maggiori attenzioni da tuo padre, non hai che chiederglielo» replicò irritata Angelina.
«Ho bisogno solo di soldi» si lagnò Fred.
«Non vuoi dirci per che cosa. È colpa tua se non ci fidiamo di te. E il fatto che sei stato colto in fragrante a rubare i risparmi di tua sorella, non verte a tuo favore».
Fred imprecò, suscitando altri rimproveri da parte della madre, e se ne andò sbattendo la porta.
«Aspetta, che ti prendo» gli urlò dietro Angelina. «E vediamo se cambi atteggiamento».
«Aspetta» la bloccò Roxi. «Aggiusta Fuffi».
Angelina la fulminò con lo sguardo, ma estrasse la bacchetta e mormorò «Reparo». Il salvadanaio ritornò integro.
«Ah, brucia» si lamentò la ragazzina attirando l’attenzione della madre. La runa l’aveva ustionata.
 

«Maaaamma, Paaapà» urlò Benji. «Dorcas sta male!».
«Non sto male» bofonchiò la ragazza, liberandosi il braccio. Strinse i denti per il bruciore. La runa Naud. La riconobbe immediatamente, ma questo la rese più ansiosa.
«Oh, tesoro» strillò la madre prendendole il braccio e analizzando il polso.
«Va tutto bene» sussurrò Gabriel Fenwick.
«Papà, ho paura che qualcuno sia in pericolo. Questa runa indica il bisogno. Non era mai accaduta una cosa del genere».
Gabriel annuì. «Controllo subito, ma tu fatti medicare dalla mamma».

*

«Adrian, fermati» disse Harry, ma non vedendosi ascoltato aggiunse a malincuore: «È un ordine».
Adrian Wilson lo fissò interdetto. «Ma Harry hai capito? Mia moglie mi ha appena comunicato che non ha trovato Virginia alla scuola di danza. Non è il tipo che scappa, qualcuno deve averla costretta!».
«Devono trascorrere ventiquattro ore prima di denunciarne la scomparsa e quando lo farai, toccherà alla Squadra Speciale Magiche muoversi. Non a noi» replicò Harry con fermezza.
«Ma che dici? E io dovrei starmene fermo per ventiquattro ore!? Che te ne frega del protocollo!? Non mi venire a dire che se al posto di Virginia ci fosse uno dei tuoi figli, non vorresti muoverti subito! E poi non mi fido degli uomini di Terry Steeval» quasi urlò Adrian.
«Non possiamo fregarcene del protocollo e non è il caso di metterci contro la Squadra Speciale Magica» ribatté Harry. «Ma», soggiunse fermando in anticipo la replica di Adrian, «da civili possiamo fare quello che vogliamo. Tu, in qualità di genitore, puoi cercare tua figlia e io sono più che disposto a darti una mano».
Adrian si sgonfiò e annuì. «Va bene, hai ragione. Andiamo subito a cercarla però».
Si cambiarono velocemente e si smaterializzarono alla scuola di musica e danza di Camden Town.
«Miss Brummel è l’insegnante di danza di Virginia» disse Adrian a Harry.
«Secondo te, ha detto tutto alla tua ex?» replicò Harry, scrutando la donna. Era sulla settantina, dal portamento rigido e dal fisico sottile e asciutto. Aveva un’aria austera, che per un attimo a Harry ricordò la McGranitt.
«Non mi piace, ma non vedo perché avrebbe dovuto nasconderle qualcosa» rispose Adrian. «Forza avviciniamoci». Miss Brummel era intenta a parlare con un uomo giovane. «Buonasera» esordì Adrian, ma la donna non gli permise di aggiungere altro: iniziò una lunga tiritera sull’educazione di Virginia. Nessuno dei tre uomini fu in grado di fermarla.
«È espulsa dal mio corso» sentenziò infine miss Brummel.
Harry decise di intervenire. «Se permette, non credo sia questa la priorità in questo momento. Quando ha visto Virginia l’ultima volta?».
Miss Brummel gli gettò un’occhiataccia, ma rispose ugualmente. «Quando è uscita dall’aula senza permesso. Erano quasi le cinque».
«Il custode mi ha detto di non averla vista uscire» continuò Harry. «È possibile che qualche altro ragazzo l’abbia vista?».
«Dalla mia classe non è uscito nessuno prima delle sei» replicò Miss Brummel.
L’altro uomo aveva aggrottato la fronte e ai due Auror non era sfuggito. «Per caso lei ha visto qualcuno?» gli chiese Adrian sempre più teso.
«No, ma ricordo che verso quell’ora il ragazzino con cui faccio lezione di violino mi ha chiesto di andare in bagno».
«E questo come potrebbe aiutarci?» domandò Harry perplesso.
«Quando è rientrato in aula era strano. Dopo una decina di minuti mi ha chiesto di uscire di nuovo. Sinceramente l’ho rimproverato, perché ho pensato che mi prendesse in giro in quanto per giustificarsi mi ha detto che in bagno si è distratto la prima volta e si è dimenticato di andarci. Non inventa strane storie di solito. Non so se può esservi utile».
«Come si chiama il ragazzino?» chiese Adrian.
«Mirko Allen, credo frequenti il terzo anno a Hogwarts».
«Possiamo avere il suo indirizzo?» domandò invece Harry.
«Non posso violare la privacy di uno studente» replicò l’uomo serio.
«Siamo Auror, signor…?» ribatté Harry.
«Damian Daniels».
«Signor Daniels, una ragazzina di quindici anni è in giro per Londra e lei è consapevole di quale sia l’attuale situazione del mondo magico».
Damian Daniel assentì e diede loro l’indirizzo di Mirko Allen. Harry e Adrian fecero altre domande ai docenti rimasti nella scuola e a qualche studente, ma la pista migliore in quel momento sembrava proprio quella del ragazzino. Così si smaterializzarono.
«Senti, Adrian», iniziò Harry circospetto mentre si avviavano verso le villette a schiera del quartiere, «se sei nervoso lascia parlare me, ok? Sono pur sempre Babbani».
Adrian deglutì, ma annuì.
Suonarono alla porta e una donna sulla quarantina andò ad aprirli. «Buonasera» disse perplessa. «Posso esservi utile?».
«Sì, grazie. Vorremmo parlare un attimo con suo figlio Mirko. Io sono Harry Potter e lui è il mio collega, Adrian Wilson. Si tratta di una questione importante».
«Che cosa volete da mio figlio? E chi siete?» insisté la donna, senza dar cenno di volerli far entrare.
«Signora Allen, io sono il padre di una ragazza che frequenta la stessa scuola di musica di Mirko, oltre che Hogwarts. La prego, mia figlia ha quindici anni e non c’era quando mia moglie è andata a prenderla questa sera. E io sono molto preoccupato. Vorrei sapere se Mirko l’ha vista».
«Va bene» assentì la signora Allen. «Accomodatevi» disse indicando un piccolo salottino, che fungeva anche da ingresso. «Vado a chiamare Mirko».
«Grazie» dissero Harry e Adrian.
Il ragazzino li raggiunse poco dopo, perplesso in volto. Strabuzzò gli occhi riconoscendo Harry. «Lei è Harry Potter?» domandò sorpreso.
Harry gli sorrise. Non amava quando la gente lo additava per strada, ma con i bambini era più accondiscendente purché non diventassero troppo invadenti. Mirko gli porse la mano, non smettendo di fissarlo, e Harry gliela strinse. «Piacere di conoscerti, Mirko. Ti presento un mio collega e amico: Adrian Wilson» disse il Capitano degli Auror.
«Piacere» sussurrò educatamente il ragazzino e strinse la mano anche ad Adrian.
«Mirko, conosci mia figlia? Si chiama Virginia. È una Corvonero, non so se avete avuto modo di parlare a Scuola, ma lei frequenta anche il corso di danza di miss Brummel».
Mirko si dondolò sul posto e Harry capì all’istante che sapeva qualcosa. «Virginia è il Prefetto di Corvonero, ma a scuola non ci siamo mai parlati».
«Oggi sì, vero? L’hai incontrata mentre andavi in bagno?» ne approfittò Harry.
«Era con qualcuno? Magari un adulto? Hai visto qualcun altro mentre andavi in bagno?» soggiunse Adrian.
«Mirko, rispondi ai signori» ordinò la signora Allen, notando la titubanza sul volto del figlio.
«Ho visto Virginia in bagno» rispose immediatamente il ragazzino.
«Sei entrato nel bagno delle ragazze?» chiese severamente la signora Allen.
«No, signora!» rispose subito Mirko. «Eravamo nel bagno dei ragazzi. Virginia era agitata, credo che si sia resa conto di essere nel bagno sbagliato solo quando mi ha visto entrare».
«Mentre eravate lì, è entrato qualcuno?» insisté Adrian.
«No, signore. Non è entrato nessuno».
«E Virginia ti ha detto qualcosa? Ha fatto qualcosa di particolare? Per piacere, Mirko, non è ancora tornata a casa e siamo molto preoccupati per lei».
«Ci siamo presentati. Poi… ehm… ha fatto una cosa… strana diciamo…».
«Che ha fatto?» lo esortò Harry.
«Si è arrampicata sul lavandino ed è scivolata fuori dalla finestra. Mi ha detto che stava scappando. Aveva solo la calzamaglia rosa addosso».
«Era confusa? Ti sembrava che fosse stata incantata da qualcuno?» chiese concitato Adrian. Harry rimase in silenzio rimuginando sulle parole di Mirko.
Mirko si strinse nelle spalle. «Non lo so. Non credo, signore».
«Sai qualcos’altro che potrebbe esserci utile?» domandò Harry.
«No, signore. Mi dispiace».
«Grazie, Mirko. Sei stato bravissimo» disse Harry alzandosi. «La ringrazio signora Allen e scusi tanto per l’orario».
«Di nulla. Spero tanto che troviate la ragazza».
Adrian le strinse la mano e ringraziò a sua volta.
Una volta fuori i due Auror s’incamminarono alla ricerca di un posto sicuro dove smaterializzarsi.
«Adrian», sospirò Harry, «credo che Virginia sia scappata dalla scuola di danza di sua volontà. Aveva risposto male a quella donna e aveva lasciato l’aula senza permesso, evidentemente aveva paura della tua reazione e di quella della madre. Immagino che un adolescente in fuga cerchi rifugio da un amico o in un posto conosciuto. Dove pensi che possa essere andata tua figlia?».
«Harry, io sono sicuro che è in pericolo! Quella storia della runa non avrebbe senso in caso contrario!» sbottò Adrian con veemenza.
«Sì, ma dev’essere accaduto dopo che è scappata. Dobbiamo capire in che direzione si è mossa. Non aveva né la bacchetta né lo Speculum con sé. Era a piedi. Sai se qualcuno abita da quelle parti?».
Adrian si passò una mano tra i capelli. «Virginia non ha mai avuto molti amici. Il primo ragazzo a cui si è particolarmente avvicinata è tuo figlio Albus, ma non credo che abbia pensato a lui. Godric Hollow è troppo distante da Camden Town».
«Chi altri a parte Albus? Jonathan Goldstain?».
«Sì, è possibile. Abita a Mayfair» assentì Adrian.
«Anche Scorpius Malfoy abita da quelle parti» ricordò Harry.
Adrian rifletté qualche altro minuto e infine sospirò: «Gli altri abitano più lontano. Virginia avrà pensato a Jonathan o a Scorpius, ultimamente sta legando anche con lui».
«Bene, allora smaterializziamoci di nuovo a Camden Town e facciamo la strada per Mayfair e vediamo cosa scopriamo» decise Harry.
Un paio di ore dopo i due Auror tornarono al Quartier Generale. Non avevano scoperto molto. La commessa di un negozio aveva detto loro di aver visto Virginia. La ragazzina aveva chiesto informazioni sulla strada per Mayfair e la donna le aveva consigliato di prendere il treno. Avevano cercato, senza molta convinzione, anche alla stazione. Avevano contatto anche i Goldstain e i Malfoy: Virginia non era mai arrivata a casa loro, né li aveva mai contattati. Era successo qualcosa durante il tragitto.
«Adrian, parliamo con Terry. Virginia potrebbe essere in grave pericolo. Non possiamo far da soli».
L’altro annuì, assente. Era completamente stravolto, ma Harry non osava invitarlo ad andare a casa a riposarsi: personalmente, se fosse accaduto qualcosa a uno dei suoi figli, non l’avrebbe sopportato.
«Senti, non è colpa tua. Prima stavo solo tentando di ricostruire gli eventi» aggiunse.
Ancora una volta Adrian annuì, facendo pensare a Harry che non l’avesse veramente sentito.
«Denunciamone la scomparsa» decise infine Harry, spingendo l’amico a seguirlo al Quartier Generale della Squadra Speciale Magica.

*

«Alicia, è un piacere vederti».
«Grazie, signora Weasley» rispose Alicia Spinett. «Come sta?».
«Non mi posso lamentare. Vorrei solo che tornasse la tranquillità in questa casa» sospirò Molly Weasley.
«La capisco».
«Buonasera, professoressa» disse Albus entrando nella piccola cucina della Tana.
«Ciao, Albus».
«Mi dispiace averla disturbata» continuò il ragazzo, sedendosi.
«Non mi hai disturbata» lo tranquillizzò la professoressa. «Che mi devi dire di così urgente?».
Albus lanciò un’occhiata incerta alla nonna. «Potresti lasciarci soli, per favore?».
Molly Weasley fulminò con lo sguardo il ragazzo. «Albus, sei sotto la mia responsabilità quando sei qui. Tuo padre sa di quello che dovete parlare?».
«Glielo dirò appena torna» assicurò Albus.
«Va bene, vado a lavorare a maglia».
«Grazie» disse Albus sincero.
«La ringrazio, signora Weasley» disse la Spinett. «Allora Albus? Non è per farti fretta, ma ho lasciato Oliver da solo con i ragazzi e ho paura che facciano guai tutti insieme».
Albus trattenne un sorrisetto e andò al dunque. Le raccontò di quello che era accaduto due giorni prima. Due giorni. Due giorni in cui non avevano alcuna notizia di Virginia. Ci aveva riflettuto a lungo e alla fine era giunto a una conclusione.
«Kyla ha creato le rune e deve aver tenuto un grimorio. Una volta tutti i maghi più grandi lo facevano».
«È possibile. Quindi?» concesse la Spinett.
«Nel grimorio sicuramente sono chiariti i poteri delle rune e il loro funzionamento. Bisogna trovarlo».
«Albus, come dovremmo fare?» chiese la professoressa sconcertata.
«Cerchiamo la baita di Kyla» disse sicuro Albus.
«Non mi sembra una buona idea. Nella leggenda non c’è scritto dove si trova la baita» replicò la professoressa ben intenzionata a togliere strane idee dalla testa del ragazzo, consapevole che si infiammasse troppo facilmente.
«Deve essere vicino al villaggio dei Cornonaci. I ragazzi sono andati a piedi».
«Non puoi esserne sicuro» sospirò la donna.
«Possiamo almeno controllare» ribatté Albus. «Non ci costa nulla»,
«È pericoloso!».
«Cos’è pericoloso?».
«Papà» disse Albus sobbalzando leggermente.
«Harry» salutò, invece, la donna con un cenno del capo.
«Ciao, Alicia» sorrise lievemente Harry.
«Notizie di Virginia?» chiese Alicia Spinett.
Harry scosse la testa sconsolato. «Di che parlavate?». Di sicuro nonna Molly l’aveva informato appena messo piede in casa. La Spinett lanciò un’occhiata eloquente ad Albus, che comprese l’antifona e mise al corrente il padre. «Non mi piace. Albus non sono d’accordo».
Albus non riuscì a trattenersi dallo sbuffare. «Ma dai, papà. Perché non vuoi provare!?».
«È pericoloso, Albus!» sbottò Harry, stanco e per nulla desideroso di discutere.
«È fattibile. Dobbiamo provarci! Dobbiamo capire come funzionano le rune! Non possiamo rimanere nell’ignoranza. Pensa se potessimo contattarci! Potremmo capire dove si trova Virginia».
Harry s’irrigidì, ma addolcì lo sguardo. «Al, ascoltami, le rune sono degli oggetti incredibilmente potenti e antichi. Se qualcuno ha rapito Virginia, avrà subito preso la sua».
Albus fissò il tavolo. Gli sembrava di essere piombato in un incubo.
«Non abbiamo di meglio da fare, perciò proviamoci».
Il ragazzo sollevò gli occhi sul padre, non credendo alle parole che aveva appena sentito.
«Harry?». Anche la professoressa Spinett era perplessa.
«Puoi andare con i ragazzi? Albus e qualcuno dei Dodici a tua preferenza».
«Se credi che sia importante, lo farò» rispose Alicia Spinett. Aveva scelto molti anni prima di fidarsi di Harry Potter e in quegli anni non era cambiato nulla.

*

«Capitano, questo ragazzo vuole parlare solo con lei. Gli ho detto di rivolgersi al sotto vice-capitano Lewis, ma si è rifiutato» gli annunciò la sua segretaria, la signora Matthews.
Harry, sorpreso, squadrò il ragazzo. Doveva avere all’incirca l’età di Albus, ma non lo conosceva.
«Buon pomeriggio, Capitano» disse questi avvicinandosi timoroso.
«Ciao» rispose Harry e, non avendo altri impegni urgenti, lo invitò a seguirlo nel suo ufficio. «Allora chi sei?» domandò a bruciapelo.
«Mi chiamo Noah Hunter, signore». Aveva un tono di voce basso e concitato. Era spaventato.
«Accomodati. Di che cosa mi vuoi parlare di tanto importante?».
Noah prese posto lentamente e continuò a fissarsi le mani, mentre parlava: «Volevo parlarle di Virginia Wilson» sussurrò.
Harry lo considerò più attentamente: era magro, più magro persino di Albus; aveva capelli abbastanza folti ed era abbastanza pallido in viso. L’occhio nero che esibiva, però, gli fece pensare che gli stesse sfuggendo qualcosa.
«Dimmi» lo esortò.
«Ho visto Virginia quella sera. Stava morendo di freddo. Mi ha detto che voleva andare da un nostro compagno di Scuola» raccontò il ragazzo.
Harry annuì: era quello che avevano pensato anche loro, ma a parte la commessa e qualche passante nessuno aveva detto di aver visto Virginia. «Che vi siete detti?» decise di chiedere. Il ragazzo appariva bisogno di qualche spinta per parlare.
«Mio padre non poteva accompagnarla a Mayfair e aveva fretta, perciò le ho dato il mio giubbotto e sono andato via».
Il padre del ragazzo doveva essere una persona intelligente se aveva lasciato una ragazzina in calzamaglia girare da sola per Londra di notte e con la temperatura sotto zero. Harry si trattenne dal fare commenti.
«E dopo non l’hai più vista né sentita?».
«No, signore» rispose Noah.
«Come ti sei fatto quell’occhio nero?» domandò Harry.
Il ragazzo sobbalzò come se gli avessero dato la scossa. «Sono caduto» rispose frettolosamente.
Mentiva. Harry ne era sicuro. «Sei sicuro?». Quante possibilità c’erano che un ragazzo cadesse e si facesse un occhio nero? Quello era stato un pugno. Non aveva dubbi.
«Sì, signore. Posso andare, signore?».
«Sei solo? Come torni a casa?» indagò Harry.
«Mio padre si è fermato in un bar qui vicino. La prego, posso andare? Non so altro su Virginia».
«Sì, vai pure. Grazie di essere venuto».
Noah gli rivolse un’occhiata strana, prima di salutarlo. Harry ne era sicuro, il ragazzo si sentiva in colpa. Ne avrebbe parlato con Neville.

*

Quella mattina pioveva a dirotto, ma almeno non nevicava. Albus era teso: non voleva mettere in pericolo nessuno e neanche fare la figura dell’idiota davanti a tutti. James, Jack e Rose sarebbero andati con lui e la professoressa Spinett. Il padre, per sua grande felicità, aveva deciso di chiedere al professor Williams di unirsi al gruppo. E figuriamoci, quello aveva accettato.
Quel giorno avrebbe dovuto tenersi il matrimonio di Molly, ma la ragazza aveva fatto saltare tutto. Compresi i nervi dei suoi genitori, dei nonni, di quelli che avrebbero dovuto divenire i suoi suoceri e di Arion.
«Siamo pronti, Albus» lo chiamò James.
Si sarebbero recati sul posto con una passaporta e poi lì avrebbero iniziato la ricerca. Era ora di capire come funzionavano quelle benedette rune.
 



Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Come va? Spero bene J Ancora una volta sono in ritardo, ma spero che il capitolo sia di vostro gradimento e che possiate perdonarmi ;-)
Si tratta di un capitolo abbastanza movimentato, perciò credo sia necessario qualche chiarimento:
  1. Credo che Hermione e Percy siano diversi, perciò ho voluto inserire le due scene una di seguito all’altra. Inoltre sono convinta che Hermione sappia farsi volere bene dalla sua famiglia e il comportamento di Rose ha delle cause ben precise.
  2. La reazione di Virginia credo che sia quella di un adolescente, non ‘tipico’ perché non credo che si comportino sempre così, ma ricordate che la sua situazione familiare è abbastanza caotica. Virginia sta scappando dalla madre, se fosse andata a prenderla Adrian quella sera, probabilmente non avrebbe fatto quest’enorme stupidaggine. Camden Town, Mayfair e Maddox Street sono nomi reali, così come le distanze vengono direttamente Maps. Maddox Street è a circa sei minuti a piedi da Mayfair: Virginia aveva quasi raggiunto il suo obiettivo.
  3. Per chi non se la ricordasse, questa è la Leggenda dei Dodici (La maledizione del Torneo Tremaghi, capitolo 28):
«Sì. Ora vi leggo la leggenda» rispose Frank, mentre Virginia li restituiva il libro. «“Una leggenda a lungo tramandata dalle tribù celtiche è senz’altro quella delle rune che proteggevano i Cornonaci. Nota anche come Leggenda dei Dodici. I Cornonaci erano vissuti per secoli in pace e in armonia sia tra loro sia con le altre tribù. L’oscurità, però, iniziò a infiltrarsi tra loro. Dapprima alcune famiglie presero a scontrarsi e nacquero tensioni. Il problema principale è che molti pensavano sarebbe stato più conveniente sfruttare la natura. Il punto di rottura si ebbe quando ebbero motivo di entrare in conflitto con una tribù più vicina. Allora i Cornonaci conobbero la guerra e le armi. Niente fu come prima e la loro stessa sopravvivenza vicino al lago Loch A’an fu messa in dubbio. I saggi della comunità erano preoccupati per la strada che i loro giovani avevano intrapreso. Le guerre si erano moltiplicate e non erano più solo di difesa. Ai giovani piaceva la gloria e nemmeno il sangue che scorreva riusciva a fermarli. Allora gli anziani interrogarono gli spiriti della Natura per trovare un modo di salvare la tribù. Gli spiriti vaticinarono la nascita di una bambina, dai grandi poteri, che avrebbe salvato la comunità permettendole di sopravvivere ancora per molti secoli. Avrebbero distinto l’eletta per una sua capacità fuori dal comune, che si sarebbe mostrata fin dalla nascita. La cercarono per anni, poi finalmente una notte una donna diede alla luce una bambina. Lei e il giovane marito rimasero sgomenti di fronte alla figlioletta. L’allora capo della tribù fu convocato immediatamente nonostante la tarda ora e l’anziano comprese subito che era l’eletta: l’unico ciuffetto che aveva la bambina in testa cambiava colore. Gli anni trascorsero e il vecchio educò personalmente la bambina. Le insegnò a comprendere e ad ascoltare la Natura. La piccola Kyla crebbe e con lei i suoi poteri: imparò a modificare non solo il colore dei suoi capelli, ma anche i tratti del suo viso. L’anziano capo tribù in punto di morte la scelse come suo successore. Kyla, ancora giovane, si ritrovò ad affrontare la crisi sempre più palese. Tentò di allontanare i bambini dalle idee violente e bellicose dei genitori, guidandoli secondo i vecchi principi della comunità. Non sembrò funzionare. Solo pochi di loro la ascoltavano e la seguivano. Un giorno arrivò un viaggiatore, che si era perso, per poco riuscì a salvarlo dal linciaggio ingiusto cui gli uomini del villaggio volevano condannarlo. Nonostante i malumori, era lei che aveva il comando. Fece in modo che l’uomo fosse curato e lo accompagnò personalmente al villaggio più vicino. L’uomo gliene fu grato e le consegnò un libro. Le disse che proveniva dalla Grecia. Kyla lo lesse nei giorni a venire, rimuginando a lungo sulle parole di quel babbano, che il viaggiatore aveva chiamato Aristotele. Decise allora di mettere per inscritto quei valori che la comunità ormai aveva dimenticato: il rispetto per la propria famiglia, i propri simili e la Natura.
‘Kyla, Kyla’ la chiamò un giorno con foga il più giovane dei ragazzi. Gallen, era un ragazzino mansueto e buono. La donna, che ormai iniziava a essere avanti negli anni, gli sorrise benevola. ‘Cosa posso fare per te, ragazzo mio? ’. ‘Mio padre e gli altri uomini sono furiosi. Ormai il lago è quasi asciutto e non accenna a piovere’. ‘C’è poco d’arrabbiarsi’ replicò mesta Kyla. ‘La Natura ci sta punendo’. ‘Vogliono attaccare un villaggio e abbandonare per sempre questi boschi’ ribatté spaventato il ragazzino. Kyla sospirò. Erano anni che ne parlavano, ma dal volto di Gallen capì che stavolta facevano sul serio. ‘Kyla, devi fuggire’ disse, invece, con urgenza nella voce un ragazzo sui sedici anni, appena arrivato. ‘Mils, io non fuggo’. ‘Devi farlo. Gli uomini hanno deciso. Ti uccideranno e prenderanno il potere! ’. Kyla sospirò e guardò i due ragazzi. ‘E sia. Nessuno di voi è costretto a rimanere con questi bruti. Mi troverete ai piedi della montagna stanotte. Avrete il tempo di decidere e chi vorrà, potrà raggiungermi’. Il clamore fuori dalla sua capanna aumentò notevolmente e sul volto dei due ragazzi si dipinse la paura. Kyla sorrise e con un ultimo cenno del capo, ruotò su sé stessa e sparì. Riapparve in una vecchia baita, perfettamente attrezzata. Lo sapeva che sarebbe accaduto prima o poi. Si mise al lavoro. Quella notte lasciò la baita solo con un sacchetto attaccato alla cintura della veste. Non si sorprese nel vedere dodici ragazzi raggiungerla poco prima di mezzanotte. ‘Kyla, nessun altro ha voluto seguirci’. ‘Non avevo dubbi. Aspettavo ognuno di voi. Ho un dono per voi’ replicò ella prendendo il sacchetto. ‘Vi ricordate che vi ho parlato delle virtù? La nostra comunità dovrebbe fondarsi su di esse. Finalmente ho capito quale sia il mio compito e come salvare i Cornonaci. Sopravvivremo grazie a voi. Gli uomini del villaggio hanno molte più armi di quelle che noi conosciamo. Appena domani li attaccheranno, i nostri uomini moriranno. Saremo gli unici superstiti. Ho un dono per ognuno di voi. Arthur, tieni, sol rappresenta la Giustizia. Quando non ci sarò più sarai tu a guidare i tuoi compagni’. Il giovane prese la placchetta di terracotta che la donna gli porgeva, su di essa era incisa proprio la runa sol. Intanto Kyla continuò a distribuire le rune ai ragazzi. ‘Reid. La prudenza non è paura, ma indica buon senso, discrezione. Corin, sarai un ottimo e saggio consigliere per Arthur. Mils, o mio focoso guerriero, in te nessun altra dote risplende più del coraggio. Tieni wird. Mi raccomando si forte, aiuta Arthur a difendere i tuoi compagni e non ti far trascinare troppo della tua impulsività. Gaia, a te la runa che rappresenta la temperanza, il tuo compito è quello di equilibrare i caratteri dei tuoi compagni e mantenere l’armonia. Alderan, il mio sapiente, saprai sempre suggerire ai tuoi compagni come agire secondo ragione. Ecco Madr. Gallen, piccolo mio, a te tocca tyr. La mansuetudine è l’ira buona. Anche tu sarai un’ottima guida morale per la futura comunità’. Così quella notte Kyla distribuì il suo ultimo e più prezioso dono ai suoi pupilli. Quelle virtù, appena citate, insieme alla magnificenza, liberalità saggezza, arte, fortezza e magnanimità avrebbero salvato i Cornonaci per molti altri secoli. Perché Kyla aveva capito che non bastava il volere di un unico capo tribù, ma l’unione di tutte le virtù per vivere armoniosamente. I Dodici quella sera le promisero che avrebbero seguito sempre i suoi insegnamenti e così fecero. Per secoli le rune furono tramandate ai più degni della comunità”».
 
Se vi va, fatemi sapere che cosa ne pensate ;-)

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Capitolo 25
*** Il potere delle rune ***


Capitolo venticinquesimo
 
Il potere delle rune
 
«Oh, l’alba scozzese» disse James con un ghigno divertito.
«Come se non l’avessi mai vista» ribatté Jack infastidito. «Non cominciare a fare il buffone».
«Non cominciare a rompere le pluffe» replicò James.
«Smettetela entrambi» li richiamò la professoressa Spinett. Harry l’avrebbe sentita. Le aveva detto che avrebbe potuto scegliere qualcuno dei Dodici a sua preferenza, peccato che poi li avesse scelti lui, mettendo su una squadra per Williams di piccoli aspiranti Auror impertinenti. James e Jack non avevano mai seguito le sue lezioni; il fatto che Rose l’avesse fatto ma ella stessa l’avesse cacciata, era quanto mai eloquente a suo parere. A quanto pare Harry aveva paura che qualcuno li attaccasse. Di certo Frank, Emmanuel o Dorcas sarebbero stati maggiormente di aiuto.
La passaporta li aveva portati in un’area boschiva completamente innevata e faceva molto freddo. Albus si strinse addosso il mantello di lana, reprimendo dei brividi.
«Dove siamo?» chiese Rose annoiata.
«Siamo nelle Highlands orientali scozzesi, precisamente sull’altipiano di Cairngorms. I Babbani ne hanno fatto un Parco Nazionale, ma il Loch A’an ne costituisce una delle parti più remote, per cui è difficile che i Babbani si spingano fino a qui».
«Che è un Loch?» domandò James.
«Un lago» rispose Albus indicando, come se fosse ovvio, un’ampia distesa ghiacciata poco distante da loro.
«’Loch’ è la forma celtica del nostro ‘lago’» spiegò la professoressa Spinnett. «Andiamo?» aggiunse rivolta a Maxi Williams, rimasto in silenzio fino a quel momento. Il collega annuì e il piccolo gruppo iniziò a muoversi.
«Fate attenzioni a non scivolare» avvertì il professor Williams.
I ragazzi procedettero lentamente, incespicando ogni tanto, ma rimasero tutti a bocca aperta quando raggiunsero la sponda del lago ghiacciato.
«Qui sì che puoi pattinare» sospirò Rose, rivolta ad Albus.
«Quindi questo è il Loch A’an» commentò il professor Williams altrettanto sorpreso.
«Già, noto anche come Loch Avon in quanto fonte del fiume Avon» soggiunse la professoressa Spinnett.
«Siamo molto lontani da Hogwarts?» domandò Jack.
«Molto più a nord» replicò Williams. «Adesso da che parte si va?».
Albus e la professoressa Spinnett ne avevano parlato naturalmente, ma consultando solo ed esclusivamente delle vecchie mappa e uno straordinario atlante storico che aveva loro prestato Frank.
«La baita di Kyla si trova su una montagna. Ipotizziamo che dev’essere vicino al lago, visto che la leggenda racconta che ella incontrò i ragazzi ai piedi proprio di una montagna» disse la Spinnett.
«Sappiamo tantissimo, allora» disse scettico e sarcastico insieme Jack. Albus gli gettò un’occhiataccia.
«Ti conviene cominciare a munirti di una buona dose di pazienza, Jack. Gli Auror hanno bisogno di tempo per le loro indagini, raramente arrivano subito alla soluzione, spesso devono vagliare diverse piste» lo redarguì Williams.
«Non doveva essere troppo vicino al villaggio, però» ragionò James. «Avrebbe rischiato di essere scoperta dagli uomini».
«Non ci resta che andare a tentativi» replicò Williams. «Forza, o faremo notte».
 
Albus non aveva mai fatto escursionismo in tutta la sua vita, ma si ripromise che, se l’avesse rifatto, sarebbe trascorso comunque molto tempo. Non voleva essere il primo a cedere alla stanchezza, ma dopo molte ore trascorse ad arrampicarsi, era distrutto. E non avevano trovato ancora nulla. Il sole era ormai alto nel cielo. Fissò i suoi compagni di viaggio: Williams sembrava più che abituato a certe prove fisiche; James e Jack, li conosceva bene, erano troppo orgogliosi per ammettere la propria stanchezza, ma erano entrambi molto rossi in viso; Rose non era da meno dei due ragazzi. Per fortuna, la professoressa Spinnett non aveva la minima intenzione di dimostrare nulla a nessuno.
«Facciamo una pausa, Maxi» richiamò il collega.
Williams che li precedeva di qualche metro, tornò indietro senza fare commenti. «Dobbiamo anche fare il punto. Avete quelle mappe? Secondo me, dobbiamo rifletterci meglio. O avremo bisogno di mesi per battere tutta la zona».
Albus prontamente tirò fuori le mappe dal suo zaino, mentre i due professori ripulivano una piccola porzione di terreno dalla neve in modo che potessero sedersi. James tirò fuori il pranzo a sacco preparato dalla nonna Molly.
Albus sedette meditabondo. Si sentiva stanco ed erano solo all’inizio.

*

Aprì gli occhi con una certa difficoltà. Le palpebre erano pesanti, ma non come i giorni precedenti. Riuscì persino a focalizzare la stanza in cui era rinchiusa, sebbene i contorni degli oggetti rimanessero sfocati. Era giorno, sicuramente. Nella stanza non vi era alcuna luce artificiale. Tentò di mettersi a sedere. Fu un’impresa: era tutta bloccata a causa della posizione scomoda tenuta sul pavimento per lunghe ore. Ma quante precisamente? Le faceva male tutto. Un tuono la fece sobbalzare e tremare il posto in cui si trovava.
Virginia tentò di alzarsi in piedi, ma la prima volta dovette desistere a causa di un capogiro. Dopo due tentativi vi riuscì. Si avvicinò lentamente alla porta, ma, come aveva previsto, era chiusa a chiave. In caso contrario l’avrebbero legata. Appoggiò l’orecchio alla porta, ma non sentì alcun rumore.
Doveva scappare. Ma come? Fortunatamente vedeva già meglio. Si guardò intorno, analizzando la stanza. L’unica possibile via di fuga, oltre la porta, era una finestrella alta, da cui entrava la luce fioca che illuminava il piccolo ambiente. La osservò con attenzione e si convinse che non vi era altra via.
Ritornò nuovamente alla porta, ma ancora non percepì alcun rumore. Doveva agire il più velocemente possibile. Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma era quasi certa che non avessero mai tentato di svegliarla per portarle del cibo, perciò o era trascorso poco tempo oppure ai goblin non interessava che ella morisse di fame.
La stanza era ingombra di scatoloni e di vecchi mobili. Con difficoltà, sia perché non voleva fare rumore sia per la sua debolezza, Virginia riuscì a creare una specie di scaletta da usare per raggiungere la finestrella.
Con il cuore in gola, vi si arrampicò. Nonostante, però, lunghi sforzi, intervallati da pause in cui tendeva l’orecchio per captare il possibile arrivo dei goblin, dovette ammettere di non riuscire ad aprire la finestra. Vuoi perché gli infissi erano arrugginiti, vuoi perché non aveva forza a sufficienza. La sua unica speranza di fuga sembrò svanire ai suoi occhi.
Per la prima volta da quando si era svegliata, permise alla paura e allo sconforto di dilagare. Non sarebbe mai tornata a casa. Ma non voleva morire così. Dopotutto non aveva ancora compiuto sedici anni.
Tentò di fare appello a tutto il suo raziocinio di Corvonero e tornò a esaminare la finestrella. Il vetro non sembrava spesso, forse avrebbe potuto romperlo. Nella stanza, però, non c’erano pezze per coprirsi la mano né oggetti contundenti da utilizzare.
Infine decise di strappare definitivamente una gamba della calzamaglia. Tanto ormai era rovinata. E se fosse tornata a casa viva, i suoi avrebbero avuto ben altro per cui rimproverarla. Avvolse la mano destra e parte del braccio con la stoffa e, dopo aver chiuso gli occhi, sferrò un pugno alla finestrella. La prima volta non funzionò: per la paura non ci aveva messo la forza necessaria. La seconda il vetro si frantumò. Ignorando il dolore alla mano, continuò a colpirlo in modo da non tagliarsi in altre parti del corpo e avere spazio sufficiente per passare. Solo dopo averlo eliminato quasi totalmente si azzardò a gettare un’occhiata alla mano. Sanguinava. Era prevedibile, perciò deglutì e distolse lo sguardo. Quello era l’ultimo dei suoi problemi. Tese l’orecchio per la milionesima volta, doveva aver fatto molto rumore, ma ancora una volta percepì solo un opprimente silenzio. Il cuore le batteva a mille, mentre con un ultimo sforzo si spingeva fuori dalla finestrella. Fortunatamente era magra e in più, come aveva già verificato, doveva trovarsi in una specie di cantina, per cui si ritrovò direttamente sul terreno innevato. Il freddo era terribile e pungente, ma non nevicava né pioveva. Spirava solo un vento forte e freddo che la fece rabbrividire. I goblin le avevano lasciato il giubbotto di Noah e Virginia alzò la cerniera il più possibile, ma non si calò il cappuccio sulla testa per paura di limitarsi la visuale.
Non aveva idea di dove fosse, ma non aveva la minima intenzione di farsi beccare dai goblin e chiederlo a loro. Sicuramente erano in una zona isolata, ma non sembrava neppure la periferia di Londra.
Si mosse sperando di trovare un qualunque aiuto o di riconoscere la zona.

*

Avevano vagato per ore ed erano completamente congelati. L’idea di Williams di restringere ulteriormente l’area di ricerca era stata ottima, ma non sufficiente per muoversi a colpo sicuro.
«Tra poco dovremo smettere» disse proprio il professore. «Farà buio e sarà troppo pericoloso continuare le ricerche».
Albus non osò ribattere. Sentiva che erano vicini alla soluzione e non voleva mollare così presto, ma avevano tutti freddo, la fame cominciava a farsi sentire e la montagna di notte sarebbe stata ancor più pericolosa.
Su idea di Williams avevano perlustrato rapidamente i piedi delle montagne più vicine al luogo dove, molti secoli prima, era sorto il villaggio dei Cornonaci, la tribù a cui era appartenuta Kyla. Tenendo conto del geomorfismo nel corso dei secoli, avevano cercato sentieri più o meno percorribili che avrebbero potuto portare alla baita di Kyla. Di sentieri percorribili ce n’erano diversi e i ragazzi erano distrutti.
«Questo è l’ultimo sentiero, va bene?» sospirò la professoressa Spinnett stanca.
Gli altri annuirono. Jack e Rose non avevano risparmiato le frecciatine ad Albus. James non aveva proferito parola in merito al possibile fallimento del piano del fratello minore.
S’incespicarono sull’ennesimo sentiero innevato. Il vento era freddo, ma per fortuna non pioveva o nevicava come aveva fatto per giorni.
«Basta» sbottò Rose. «Questa cosa è assurda. Che cavolo stiamo cercando? Al sei un folle! Dovresti stare meno attaccato ai libri, faresti un favore a tutti quanti!». La sua voce era risuonata con forza sulla montagna deserta.
«Non urlare» le sibilò Jack. «È pericoloso! Oltre che attirare l’attenzione su di noi, siamo in montagna e potresti causare una valanga!».
«Idiozie!» ribatté con forza Rose. «Mi sono seccata! Non voglio andare avanti in questa follia!».
«Rose, perché sei voluta venire? Nessuno ti ha costretto, mi sembra» disse il professor Williams fermandosi a osservarla seccato.
«Perché pensavo che sarebbe stato più divertente che rimanere alla Tana o a casa di Al sotto il controllo di Teddy. Avrebbe rotto le pluffe tutto il giorno perché facessi i compiti» rispose la ragazza come se fosse ovvio.
La professoressa Spinnett la fissò severamente e fece per parlare, ma Williams, minimamente toccato dalle sue parole, la precedette: «Pur di non fare i compiti ti butteresti nella gabbia di un nundu? Interessante» commentò, facendo ghignare Jack. Albus era irritato, mentre James continuava a essere stranamente concentrato e silenzioso. «Comunque, non sei una bambina perciò ti metterai in marcia. Non voglio sentire più lamentele, quando sarà ora, tornerai a casa come tutti noi».
Rose lo guardò male, ma non osò replicare.
«Rimettiamoci in marcia» li esortò Williams.
Camminarono un altro poco in silenzio, ma Albus mal sopportava le occhiatacce della cugina.
«Mi spieghi che Merlino hai?» quasi urlò aggredendola ad un certo punto. «Io ti ho seguito nella Foresta Proibita per seguire una tua stupida idea e per poco non siamo finiti in pasto a un acromantula! E rompi le pluffe ad attenerti a un mio piano?!».
«Abbassa la voce» lo richiamò Williams.
 «Stiamo cercando una baita che forse, solo forse, è esistita secoli fa! Albus, rassegnati, non esiste!».
«Invece esiste».
Tutti si voltarono verso James. Era stato lui a parlare e non Albus, che lo fissò ancor sorpreso degli altri: voleva appoggiarlo?
James era abituato ai litigi tra Albus e Rose. Litigi degli ultimi tempi. Albus e Rose non litigavano quasi mai da bambini. Ma non erano più bambini. Non si era preso neanche la briga di ascoltare lo sfogo del fratello ed era andato avanti da solo.
«Smettila di appoggiarlo…» iniziò Rose, furibonda.
James non l’ascoltava, però. «È qui. Dietro quelli alberi».
Williams seguì il suo sguardo e si avviò per primo, immediatamente seguito dal gruppetto.
Il cuore di Albus iniziò a battere per l’emozione. La baita era lì! C’era davvero!
Williams eseguì alcuni incantesimi non verbali. «Non c’è nessuno e non ci sono pericoli» sentenziò.
«Non può essere la baita di qualche Babbano?» domandò Rose.
«No. È questa. La magia, specialmente se potente e antica, lascia traccia» rispose Williams, ignorando volutamente il suo tono astioso.
Entrarono tutti insieme nella piccola baita, realizzata interamente in legno. Williams si guardò intorno interessato, ma rimase vicino alla porta, permettendo alla collega di esaminare l’ambiente.
Albus si mantenne rispettosamente alle spalle della donna, ma ella gli fece cenno di avvicinarsi.
«Che stiamo cercando precisamente?» domandò Jack, cercando di rendersi utile.
«Il grimorio di Kyla. Una specie di libro o di diario personale» rispose la professoressa Spinnett. «O comunque qualsiasi cosa che possa esserci utile».
«Oh, no. Di nuovo» commentò James palesemente disgustato. Tutti si voltarono verso di lui.
«Che problema hai, Potter?» gli chiese provocatorio Jack.
«Le pareti hanno gli occhi» rispose esasperato.
«Le pareti non hanno gli occhi» sbuffò Rose. «Il gelo ti ha dato alla testa?».
Albus iniziò a guardarsi intorno, ignorandolo. La casa era formata da un’unica camera. Era piena di polvere ed era evidente che nessuno vi entrava da secoli. Le ragnatele erano fitte e appiccicose. La Spinnet le fece sparire con un fluido gesto della bacchetta.
«Fermi. Rose, James e Jack, tornate all’entrata» ordinò Williams.
«Perché?» si lamentò Rose.
«Perché questo posto è infestato di bundimun. Il pavimento non reggerà mai al nostro peso. Alicia, tu e Albus dovete stare attenti. Non fate gesti bruschi e sbrigatevi».
«L’avevo detto io, che le pareti hanno gli occhi» commentò James soddisfatto. «Al, stai attento» aggiunse preoccupato.
Nella stanza vi erano pochissimi mobili: un letto, un focolare con tanto di calderone appeso, un tavolo con provette e libri, una libreria e una specie di dispensa.
«Aspetta, Albus. Lascia che ripulisca un po’ la stanza» lo fermò la professoressa Spinnett. In effetti riuscì a togliere molta povere e sporcizia, e fu decisamente meglio. «Ora va meglio. Io controllo i libri sul tavolo, tu quelli nella libreria. Non penso ci metteremo molto. Non toccare il muro».
Albus annuì e si avvicinò alla libreria, mentre la voce di Rose si levava ancora: «Che cosa sono i bundimun?».
«Che io sappia, fanno parte del programma di Cura delle Creature Magiche del terzo, massimo quarto, anno. Se continui così non supererai i G.U.F.O.» replicò Williams.
«Sono affari miei. Se lei non vuole rispondere alla mia domanda, basta che lo dica» soffiò Rose irritata.
«Sappi che se fossimo stati a Scuola, non avrei tollerato il tuo atteggiamento, ma non ne approfittare troppo».
Albus controllò i libri uno per uno, tentando di non rovinarli. Le pagine di alcuni si sbriciolavano al tocco.
«È qui» annunciò la Spinnett. Indossava dei guanti, probabilmente evocati per non rovinare i libri. Albus l’affiancò immediatamente, molto curioso.
«È meglio leggerlo a casa» disse Williams. «Sta facendo buio».
«E gli altri libri antichi?» chiese perplesso Albus, insomma era roba di Kyla, ma dopo secoli non avrebbero potuto essere utili ad altri maghi?
«Non possiamo prenderli» rispose la Spinnet dopo aver riflettuto. «Questi libri appartengono al Ministero, se Kyla, come penso, non ha avuto eredi. Sarebbe un furto prenderli. Dico bene, Maxi?».
«Sì, dovremo riferire alle autorità quanto scoperto. Decideranno il Capitano e la Ministra su come sia meglio muoverci» replicò Williams.
«Allora andiamo» concluse la Spinnett, avvolgendo il grimorio in una fodera di stoffa, preparata appositamente.
«Uscite lentamente» raccomandò Maxi, precedendoli.
Albus, appena fuori, respirò l’aria pura e fredda della montagna. Un toccasana dopo l’aria malsana e putrida della baita.
«Avvicinatevi, la passaporta ci porterà a casa Potter» Maxi Williams istruì i ragazzi.
Rose e Albus si scambiarono un’occhiata accidentale, mentre afferravano una bottiglia di plastica un po’ schiacciata. Perché non riuscivano più ad andare d’accordo? Questo fu l’ultimo angoscioso pensiero del ragazzo, mentre un fastidioso strappo all’ombelico lo avvertiva che la passaporta si era attivata.
James imprecò atterrando sul pavimento di quella, che dopo qualche secondo, riconobbe come la sua cucina.
«Sempre fine» lo riprese la voce di sua madre. Ginny Potter, però, sembrava felice di vederli sani e salvi.
«Tutto ok?» lo accolse Harry Potter, aiutandolo a rialzarsi, mentre Ginny stritolava Albus in un abbraccio.
Erano presenti anche Ron e Hermione, che si affrettarono ad abbracciare la figlia, ma anche il signor Spencer-Moon che sorrise a Jack.
«Missione compiuta» riferì James.
«Abbiamo trovato il grimorio» soggiunse la Spinnett tirando fuori il libro dalla sua borsa. Lo ripose sul tavolino di fronte al caminetto e tutti la circondarono.
«È scritto in rune» gemette James. E non fu l’unico scontento a scoprirlo.
La Spinnett, però, non lo ascoltò e scorse le prime parole. «Kyla l’ha impostato quasi come un diario personale. Inizia da quando è diventata capotribù». Lo sfogliò rapidamente fino alle ultime pagine. «Parla delle rune, ma non riesco a tradurlo adesso. Sono stanca. In alcuni punti il manoscritto è stato roso dagli insetti. Ho bisogno di tempo».
«Quanto?» sospirò Harry deluso, anche se mai quanto Albus.
«Almeno qualche giorno» replicò la donna, stropicciandosi gli occhi.
«Posso aiutarla, professoressa?» domandò Albus.
«Se per i tuoi genitori va bene, per me non c’è problema».
Albus si voltò speranzoso verso Harry e Ginny, che acconsentirono rapidamente.
«Quando cominciamo?».
«Domani pomeriggio, prima della festa a casa di Neville, se vuoi» propose la professoressa.
«Sì, certo. Per me anche subito» rispose Albus.
«Devi riposare anche tu» ribatté la donna. «Ci vediamo domani pomeriggio a casa mia. Puoi usare la Metropolvere».
«Va bene, grazie, professoressa» disse educatamente Albus.
Quando rimasero soli, il ragazzo si lasciò cadere sul divano e fissò le fiamme che danzavano nel camino.
«Avevi ragione, bravo Albus» il padre lo riscosse dai suoi pensieri.
Albus fece una smorfia. «Dobbiamo prima capire cosa c’è scritto. Sembra che non sia possibile trovare delle risposte. Quando mi sembra di esserci vicino, quelle sfuggono».
«Abbi pazienza» sussurrò Ginny, sedendosi accanto a lui e abbracciandolo. Albus si accorse che James non c’era. Probabilmente era già salito al piano superiore. Si lasciò abbracciare dalla madre, beandosi del suo calore dopo tutto il freddo che aveva sopportato quel giorno.
In quel momento una lince argentata entrò all’improvviso attraversando la finestra.
«Harry, vieni in Accademia, per favore. E porta con te Adrian Wilson» disse la lince parlando con una voce chiaramente maschile e anziana.
«Chi era?» chiese Albus con voce roca e spaventata.
«Simon Scott. Il direttore dell’Accademia Auror» rispose Harry, che aveva riconosciuto la voce. Estrasse la bacchetta ed evocò due Patroni, affidando a ciascuno un messaggio diverso. «Non aspettatemi per cenare. Albus mangia e vai a riposare. Ci vediamo dopo» disse baciando prima Al sulla testa e poi Ginny a fior di labbra. Poi uscì nella fredda notte, ma solo fuori dal piccolo giardino si poté smaterializzare all’Accademia Auror.

*

Aveva camminato per ore. A vuoto. Non aveva idea di dove si trovasse. La sua unica speranza era quella di essersi allontanata dalla casa in cui l’avevano rinchiusa e, naturalmente, dai goblin.
Virginia si appoggiò con la schiena al tronco di un albero e riprese fiato. Per un po’ aveva corso alla cieca, proprio per allontanarsi più rapidamente.
Sobbalzò quando percepì un fruscio poco lontano, la mano gli andò automaticamente alla runa, ma non la trovò. Scioccata si rese conto che i goblin dovevano avergliela presa. In quel momento l’autore del fruscio si palesò e per poco a Virginia non venne un colpo. Era una fantasma. Sembrava indossare una divisa militare babbana e marciava nella direzione da cui ella era venuta. Non l’aveva neanche vista. Tentò di calmarsi e decise di allontanarsi da lì.
Aveva freddo, tanto, ma allo stesso tempo sentiva il viso sempre più accaldato. La febbre stava salendo e non era un buon segno.
Per la fretta incespicò in una radice scoperta e scivolò. Sfortunatamente ruzzolò di lato e rotolò per qualche metro. La caduta le aveva mozzato il fiato. Fece per rimettersi in piedi, ma non vi riuscì a causa di una fitta improvvisa alla caviglia. Per un momento si lasciò sopraffare dal pianto e dalla disperazione, almeno finché non percepì un nuovo fruscio e s’irrigidì in attesa. Stavolta non era un fantasma, erano persone. E più di due. E se fossero stati Neomangiamorte o delinquenti? Chi vagava per quei boschi con tutta quella neve?
«C’è qualcuno».
Sentì chiaramente quella voce, che sembrava maschile e giovane. Le speranze di Virginia che passassero oltre, sfumarono immediatamente. La sua prima reazione fu quella di chiudere gli occhi, in attesa. I passi erano sempre più vicini.
«È una ragazzina» disse un’altra voce, sempre maschile e altrettanto giovane.
«Morris, abbiamo una missione da portare al termine» s’intromise un’altra voce.
Virginia si costrinse ad aprire gli occhi. Potevano anche aiutarla, che altre soluzioni aveva? Erano dei ragazzi, sicuramente più grandi di lei, e tutti le puntavano contro la bacchetta. Bene, erano maghi e non Babbani. Peccato, che apparivano ostili.
«Non essere stupido, Brown. I civili hanno la priorità».
Il ragazzo, che aveva appena parlato, si chinò e la osservò. Gli occhi di Virginia bruciavano sempre di più a causa della febbre e tremava per il freddo e la paura.
«Ma tu sei Virginia Wilson» esclamò il ragazzo sorpreso dopo averla scrutata. Allungò le mani verso di lei, ma la ragazza si ritrasse automaticamente. «Lascia che ti aiuti» disse lui gentilmente. Virginia decise di fidarsi, dopotutto non aveva la forza di opporsi ed era disarmata. Il ragazzo la prese in braccio.
«Morris, che cosa credi di fare?» domandò uno degli altri ragazzi. Forse quello che si chiamava Brown. A Virginia sembrò che la voce corrispondesse.
«Portarla in Accademia, naturalmente».
«Non hai il permesso di Scott. Conosci le regole» ribatté Brown.
«E cosa vuoi che faccia? La lascio qui al gelo per andare a chiedere l’autorizzazione? Scott non dirà nulla» replicò il ragazzo tranquillo.
Virginia si rilassò tra le sue braccia. Non sapeva ancora se fosse amico o nemico, ma il calore del suo corpo le conferiva una certa sicurezza.
«Non vogliamo finire nei guai, Morris. Portiamo a termine la missione» disse Brown facendo un cenno agli altri ragazzi.
«Fate come volete. Me ne assumerò la responsabilità» disse seccamente Morris e si avviò con Virginia in braccio.
La ragazza chiuse gli occhi per la stanchezza. Avrebbe voluto fargli delle domande, ma non trovava la forza. Non sembrava cattivo quel ragazzo, ma a quel punto non faceva molta differenza.
«Ehi» la riscosse lui. «Forse è meglio che tieni gli occhi aperti». Con un po’ di fatica le toccò la fronte. «Accidenti, scotti».
Virginia sbatté le palpebre e lo fissò con difficoltà.
«Mi chiamo Daniel» si presentò il ragazzo. «Tieni duro, non siamo molto lontani dall’Accademia. Non hai ferite gravi, vero?» chiese bloccandosi di colpo, incerto. «Avrei dovuto verificarlo subito».
«No, tranquillo» biascicò Virginia faticosamente.
«Bene». Daniel si rimise in cammino. Ogni tanto le parlava per rassicurarla e magari mantenerla sveglia, ma per Virginia era sempre più difficile. «Eccoci, ci siamo» annunciò il ragazzo dopo un po’.
La prima cosa che Virginia percepì fu il cambio di temperatura. Il luogo dove erano entrati era molto più tiepido. Tentò di focalizzare l’ambiente intorno a lei: era illuminato per quanto sembrasse antico. Sapeva che non doveva farsi ingannare dall’apparenze, ma si sentiva al sicuro e sperava di non doversi ricredere.
«Tecnicamente hai bisogno di andare in infermieria, ma prima devo assolutamente avvertire il signor Scott della tua presenza» le disse Daniel. «Abbi pazienza».
Virginia tentò di guardarsi intorno, mentre Daniel percorreva rapidamente i corridoi. Ad un certo punto il ragazzo si fermò e bussò a una porta aperta.
«Signore» disse con deferenza Daniel, entrando nella stanza. La ragazzina percepì all’istante il piacevole tepore di un caminetto accesso.
«Morris, dove sono i tuoi compagni? E chi è quella ragazza?» chiese una voce severa e burbera.
Virginia focalizzò a fatica l’uomo seduto dietro una spessa scrivania, che occupava parte della stanza.
«Signore, abbiamo trovato questa ragazza da sola nel bosco. Credo sia Virginia Wilson» comunicò il ragazzo.
Come facevano a conoscerla? Virginia non era in grado di darsi una risposta, ma ancora una volta sperò volessero aiutarla o avrebbe perso ogni speranza.
All’improvviso il volto dell’uomo apparve chiaramente nella sua visuale e la osservò con attenzione. «È lei» confermò l’uomo sorpreso.
«Posso portarla in infermieria, signore? Ha bisogno almeno una pozione contro la febbre» disse Daniel.
«Vai, ma se ha ferite gravi, dovremo portarla al San Mungo».
«Sì, signore».
Virginia si lasciò portare docilmente da Daniel fino a una stanza buia. In un primo momento ebbe paura, ma il ragazzo accese immediatamente le torce, illuminando un ambiente che le ricordò l’infermieria di Hogwarts. Ma non erano a Scuola, di questo ne era certa. Daniel l’appoggiò con delicatezza su un lettino. La ragazzina lo osservò aprire una piccola dispensa alla ricerca di qualcosa, infine tornò da lei e le porse un calice, stracolmo di una pozione chiara.
«È contro la febbre, bevila» la esortò Daniel.
Virginia obbedì, quasi automaticamente. Daniel attese qualche istante, in modo da dare il tempo alla pozione di iniziare a fare effetto, poi le chiese gentilmente: «Hai dolore da qualche parte? O sei ferita? A parte i graffi sul viso».
«La caviglia e la mano» rispose Virginia con la voce lievemente impastata, ma cominciava già a sentirsi leggermente meglio.
Daniel esaminò sia la caviglia sia la mano con attenzione. Dopo qualche secondo guarì la caviglia: «Epismendo. Era rotta, in effetti» spiegò. La mano la ripulì scrupolosamente. Virginia strinse i denti, mentre la disinfettava ma non si lamentò. Infine il ragazzo fece rimarginare i tagli.
«Come va?» le chiese.
«Meglio, grazie».
«Aspetta ti do dell’acqua» soggiunse Daniel. Evocò una brocca piena e un calice pulito.
Virginia bevve avidamente e si sentì ancora meglio.
«Tornò subito» le disse Daniel.
La ragazzina si servì un altro bicchiere d’acqua in sua assenza e si chiese se le avrebbe portato anche qualcosa da mangiare. Non aveva mai avuto così fame in vita sua. Quando tornò il ragazzo portava con sé dei vestiti puliti. «Sicuramente sono grandi per te, ma sono caldi. Se te la senti di alzarti, puoi indossarli in bagno» disse indicando una porta in fondo all’infermieria.
«Va bene, grazie» assentì Virginia. Si sollevò lentamente, in quanto si sentiva ancora debole. Daniel era rimasta vicino a lei per aiutarla, ma la ragazzina riuscì a raggiungere la porta indicata senza problemi.
Nel bagno ebbe la possibilità di sciacquarsi il viso, decisamente spaventoso, e prendersi un po’ di tempo per lei. Solo dopo si concentrò sui vestiti. Si accorse di aver rovinato il giubbotto di Noah nella caduta. Poco male, il dovergliene comprare un altro era il minore dei mali. La tuta portatagli da Daniel era decisamente grande per lei, ma poté stringerne il laccio abbastanza da non far scivolare i pantaloni. E la felpa e la maglia erano molto calde. Si sentì decisamente meglio. Ora aveva bisogno solo di una buona dormita e del cibo. Non aveva più paura, sapeva di essere al sicuro. Mentre si vestiva aveva riconosciuto lo stemma sulla felpa e ogni tassello era ritornato al suo posto. Era all’Accademia Auror. Daniel era un Allievo, come gli altri ragazzi che aveva intravisto nel bosco, e conosceva il suo nome probabilmente perché la sua scomparsa era stata denunciata. E il nome Scott non le era nuovo perché probabilmente l’aveva sentito nominare da suo padre.
Daniel l’aspettava tranquillamente dove l’aveva lasciato.
«Grazie» gli disse semplicemente, molto imbarazzata ora che era più lucida.
«Figurati. Andiamo?».
Virginia annuì e lo seguì. Probabilmente fecero lo stesso percorso di prima, ma all’inverso. Ancora una volta ella, però, non si concentrò molto sull’ambiente quanto su Daniel, timorosa di perderlo di vista. Non che ce ne fosse realmente il rischio: il ragazzo le stava accanto e più di una volta le chiese se aveva bisogno di aiuto.
Quando arrivarono nei pressi dell’ufficio di Scott, si sentirono delle voci concitate. Virginia ebbe un tuffo al cuore riconoscendole. Una parte di lei avrebbe voluto correre dentro, l’altra era spaventata. Così entrò dietro Daniel. Fu suo padre a raggiungerla all’istante e abbracciarla stretta.
Virginia scoppiò in lacrime, sentendosi veramente al sicuro solo tra le braccia paterne. Avrebbe voluto chiedergli scusa, ma non riusciva nemmeno a spiccicar parola.
Adrian Wilson si decise a liberare la figlia per esaminarla con attenzione. «Stai bene? Sei ferita?» gli chiese concitato e palesemente spaventato dalla possibile risposta.
Virginia era ancora troppo scioccata per rispondere, così Daniel le venne in aiuto.
«Signore, ho dato una Pozione contro la Febbre a sua figlia. Inoltre aveva una ferita sulla mano e la caviglia rotta, ritengo di aver sistemato entrambe».
Adrian guardò il ragazzo e annuì. «Grazie».
«Morris, puoi raccontare al Capitano Potter come hai trovato la signorina Wilson?» domandò Scott.
Virginia aveva riconosciuto la voce di Harry Potter insieme a quella del padre prima di entrare, ma in quel momento non le interessava molto la presenza degli altri Auror, così si rifugiò nuovamente tra le braccia del padre.
«Eravamo nel bosco per l’esercitazione di Occultamento e Inseguimento, all’improvviso abbiamo sentito dei rumori. All’inizio abbiamo pensato fosse la squadra di Fawley, che stavamo inseguendo, poi però abbiamo visto Virginia in una radura. L’ho riconosciuta dalle foto su La Gazzetta del Profeta e l’ho soccorsa».
«Ti ringraziò» disse Adrian Wilson.
«Dovere, signore» rispose serio Daniel. Virginia si rese conto che a lei si era rivolto con voce più gentile e dolce, probabilmente l’aver a che fare con dei superiori significava questo. A lei non piaceva, non sarebbe diventata un Auror.
«Non avresti dovuto abbandonare la tua squadra, però». Le parole severe di Scott, sorpresero Virginia. Che importanza aveva? Era solo un’esercitazione. Si voltò in tempo per cogliere l’esitazione sul volto di Daniel.
«Gli altri ritenevano che l’esercitazione avesse la priorità, ma io ho pensato che Virginia avesse bisogno subito di soccorso, signore» si giustificò infine il ragazzo.
«Non tolgo che sia lodevole il tuo desiderio di aiutare la signorina Wilson, ma se fosse stata una vera missione il tuo comportamento avrebbe potuto metterne a rischio il successo e soprattutto la vita dei tuoi compagni, di cui avevi persino la responsabilità. Ne riparleremo comunque al rientro dalle vacanze. I tuoi compagni sono rientrati e sono stati già congedati. Puoi andare a casa anche tu. Buon anno nuovo, Morris».
Virginia si dispiacque per la piega che aveva preso la situazione, ma non sapeva che cosa dire per paura di metterlo ulteriormente ne guai.
«Sì, signore. Buon anno anche voi» disse semplicemente Daniel prima di salutare. Prima di uscire dall’ufficio si voltò verso di lei e le fece un lieve sorriso.
«Virginia, te la senti di raccontarci che cosa ti è successo?» le domandò con gentilezza Harry Potter.
La risposta sincera sarebbe stata ‘no’, ma si sforzò di dare le spiegazioni necessarie. Iniziò a raccontare fin dalla fuga dalla scuola di danza. «Quanti giorni sono trascorsi?» chiese appena concluse il racconto.
«Oggi è il 30 dicembre» rispose suo padre. Non sembrava arrabbiato, ma solo stanco.
«Perciò sei stata incosciente per quasi due giorni. Immagino che abbiano usato qualcosa per farti addormentare» commentò Harry.
«Dovete trovarli, però» disse all’improvviso. «Mi hanno preso la runa».
«Cosa?» chiese Harry sorpreso.
«Non ce l’avevo più quando sono scappata» spiegò Virginia.
«Hai una mappa della zona, Simon?» domandò Harry con impazienza.
«Certamente».
Pochi minuti dopo i tre Auror erano chini su un’ampia mappa del Kent.
«Noi ci troviamo qui» disse Adrian a Virginia, che annuì. «Siamo nello Screaming Woods. O almeno così è noto tra i Babbani. Ci sono diversi fantasmi, specialmente nella vicina città di Pluckley. Per questo motivo abbiamo dovuto pagare delle severe sanzioni comminateci dalla Confederazione Internazionale dei Maghi, comunque ormai i Babbani ritengono che sia un luogo infestato, così abbiamo lasciato perdere».
«Nel bosco ho visto un fantasma vestito da militare» disse Virginia.
«Ah, quello è il Colonnello. Si è suicidato. Non fa del male a nessuno, sebbene sia inquietante quanto il Barone Sanguinario di Serpeverde» commentò Simon Scott.
«La casa dei goblin non dev’essere lontana. Manderò subito una squadra a controllare» sospirò Harry. «Tu torna pure a casa con Virginia, va bene Adrian?».
«Grazie. Andiamo tesoro» replicò grato Adrian. «Grazie, anche a lei signor Scott».

*

«Vi tratterò solo cinque minuti, d’altronde oggi è un giorno di festa» esordì la professoressa Spinnett. «Per tradurre per bene il grimorio di Kyla, ci vorranno diversi giorni, ma vista la necessità di capire il funzionamento delle rune, ho tentato di leggere rapidamente l’ultima parte. Albus vuoi comunicare tu ai tuoi compagni quanto scoperto?».
«Certo, grazie professoressa» rispose prontamente Albus. Il ragazzo le era veramente grato, mentre lui e gli altri dormivano la professoressa si era messa al lavoro da sola per ottenere delle risposte al più presto. I Dodici erano tutti presenti. Per la felicità di tutti, finalmente Virginia era tornata da loro. L’amica era ancora profondamente turbata per il rapimento, ma era corsa subito da loro quando l’avevano chiamata. Fortunatamente nella notte gli Auror avevano ritrovato la sua runa ed erano riusciti perfino ad arrestare un paio di goblin.
«Allora, come sospettavamo, le rune hanno dei poteri ben precisi. Alle volte ci è capitato di sentirle bruciare all’improvviso, non forte ma senza un motivo ben chiaro. Questo perché stavamo facendo qualcosa di positivo, che metteva in evidenza la nostra virtù. Di norma per questo motivo non dovrebbero bruciare, ma noi non sappiamo usarle ed è come se loro ci incitassero a continuare su quella strada. Al contrario, per quello che ha scritto Kyla, se dovessimo fare qualcosa di moralmente sbagliato la runa ci scotterebbe seriamente».
«Sono animate di vita propria?» chiese perplessa Dorcas.
«Sono oggetti magici incredibilmente potenti. Entrano in contatto con la nostra anima» rispose la Spinnett.
«Sentono le nostre emozioni e possiamo comunicare proprio in questo modo. Come avete visto, quando Virginia è stata rapita era spaventata e molto scossa, da qui l’apparizione della runa naud».
«Ogni volta che comunichiamo, dovremmo essere marchiati a fuoco?» domandò Emmanuel.
«No. Normalmente la runa dovrebbe apparire sulla pietra stessa e noi dovremmo sentire un lieve calore» spiegò Albus. «Virginia era molto spaventata e non sapeva come funzionavano le rune. Noi stessi probabilmente non avremmo mai osservato la nostra abbastanza attentamente da notare l’apparizione di un secondo simbolo».
«Mi dispiace» borbottò Virginia.
«Tranquilla» replicò Jonathan abbracciandola a sorpresa.
«Inoltre» riprese Albus, dopo aver assicurato a sua volta all’amica che non doveva minimamente preoccuparsi per loro, «sembra che si possano fare o potenziare degli incantesimi grazie alle rune, ma questa parte non è molto chiara».
«Ci sto lavorando» soggiunse la professoressa Spinnett.
«Più noi esercitiamo le nostre virtù, più la runa diventa potente. Se facciamo qualcosa di brutto, avviene il contrario. Potrebbe arrivare a spezzarsi nei casi più gravi» aggiunse Albus.
«Questo è quello che abbiamo scoperto finora, ma ritengo siano le informazioni più importanti» concluse la professoressa Spinnett.
I ragazzi, conclusa quella piccola riunione, si divisero. Qualcuno sarebbe rimasto lì, a casa Paciock, per festeggiare il Capodanno, altri sarebbero tornati dalle loro famiglie. Si scambiarono gli auguri e si ripromisero di riaffrontare l’argomento al ritorno a Scuola.
 
Angolo autrice:
 Ciao a tutti!
Spero, come al solito, che questo capitolo sia stato di vostro gradimento.
Vorrei solo sottolineare che la Screaming Woods, così come la città vicina di Pluckley, esiste realmente e si trova proprio nel Kent. Se cercate su Wikipedia, troverete molte più informazioni in merito all’infestazione di fantasmi, addirittura un elenco di quelli più famosi (il colonnello è uno di questi). Anche il Loch A’an esiste e si trova propria nelle Highlands. In questo caso vorrei specificare che quando Alicia Spinnett afferma che ‘loch’ è la forma celtica di ‘lago’, intende naturalmente l’inglese ‘lake’ per quanto io abbia utilizzato l’italiano.
Infine, non so se si è evince chiaramente dalla narrazione, la fuga di Virginia e la ricerca di Albus e compagni avviene nel medesimo tempo (naturalmente in due luoghi diversi, la prima nel sud-est dell’Inghilterra, i secondi in Scozia).
Questo capitolo si è incentrato soprattutto su Albus e Virginia, ma dipende da necessità di trama, spero che non vi dispiaccia troppo. Nel prossimo anche gli altri ragazzi avranno più spazio.
I commenti/suggerimenti costruttivi sono sempre ben accettati, quindi se vi va e avete tempo, fatevi sentire ;-)
A presto,
Carme93

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Capitolo 26
*** Ritorno agghiacciante ***


Capitolo ventiseiesimo
 
Ritorno agghiacciante
 
Albus guardò con attenzione il bigliettino prima di rivolgersi ad Alastor: «Che ne pensi?».
«Non potrebbe essere una trappola?» replicò perplesso l’amico.
«Potrebbe. Ma non sarebbe stupido attaccarmi sul treno?».
«Potrebbe sempre essere vero» disse allora Alastor.
«E chi me lo avrebbe mandato? Ti ricordo che le nostre compagne mi considerano uno dei più sfigati del nostro anno».
«Magari vogliono farti uno scherzo» butto lì Alastor.
«Lo penso anche io» sospirò Albus. «Quindi non ci vado?».
«Dove? Di che state parlando?» quasi gridò Rose.
«Rose, fatti gli affari tuoi» sbottò Albus. Erano usciti dallo scompartimento proprio per non farsi sentire da tutti i loro compagni.
La ragazza gli strappò il bigliettino di mano e scoppiò a ridere leggendone il contenuto.
«Al, devi proprio andarci» disse felice Rose. «Sei un Grifondoro! È la tua occasione! Non essere fifone, come al solito».
Albus guardò Alastor che si strinse nelle spalle. «Sinceramente, non mi sembra una buona idea».
«Zitto, tu. Dai, Albus» insisté Rose.
«Va bene» sospirò Albus. Non era una grande idea, ma poteva avere fifa di una cosa così stupida?
«Vengo con te» propose Alastor.
«Neanche per sogno. Tu non ti muovi di qua» lo fermò Rose. «Non vorrai fare il terzo incomodo?».
Albus le gettò un’occhiataccia. «Non c’è problema. Ci vediamo tra un po’» disse. Si avviò lungo il corridoio del treno diretto al bagno dell’ultimo scompartimento. Il bigliettino era firmato un’ammiratrice. Una parte di sé non poteva non pensare alla farfalla di carta, ricevuta il giorno di San Valentino di due anni prima. Non aveva mai scoperto chi gliel’avesse mandata. Possibile che fosse la stessa persona? Magari aveva finalmente trovato il coraggio di farsi avanti. Ma chi poteva essere?
Trepidante raggiunse il bagno indicato sul bigliettino. Non era un luogo molto romantico, ma certamente su un treno non c’erano molti altri posti ‘intimi’ in cui incontrarsi. Bussò, come da istruzioni.
La delusione s’impossessò di lui, appena la porta si aprì e apparve Destiny Danielson davanti ai suoi occhi. Davvero quella ragazza provava qualcosa per lui? Come glielo avrebbe spiegato che non gli piaceva senza ferire i suoi sentimenti?
«Vieni, Albus» gli sorrise lei.
Albus, dopo un attimo di titubanza, decise che sarebbe stato meglio parlarle in privato e la seguì. Se ne pentì subito: nel bagno c’erano le altre due gemelle. E quando una di loro, non riusciva a distinguerle in quel frangente, si appoggiò alla porta con le spalle, comprese che era stata una pessima idea andare a quell’ ‘appuntamento’.
«Grazie di essere venuto» disse sempre gentilmente Destiny Danielson. Albus era sicuro che fosse lei, ora che si era abituato alla scarsa illuminazione del bagno aveva notato i braccialetto al polso. Ognuna di loro possedeva un bracciale d’oro con il proprio nome. Forse i loro genitori le distinguevano così o almeno quella era la voce circolante a Scuola.
Destiny, però, si stava avvicinando, troppo. Albus si appiattì alla parete alle sue spalle. Cominciava a sentirsi soffocare: era un luogo troppo piccolo per quattro persone.
«Dai non essere timido. Mi piaci molto» disse la ragazza, avvicinandosi ancora.
Albus boccheggiò, non sapendo che cosa dire.
Destiny gli prese le mani nelle sue e si accostò al suo viso. Albus non sapeva da che parte scappare. Era una situazione assolutamente ridicola.
«N-non è il caso» riuscì a bofonchiare.
«Non essere timido. Solo un bacio» sussurrò con voce dolce Destiny. «Avanti chiudi gli occhi» lo istruì, accarezzandogli una guancia con la mano.
Il Grifondoro deglutì e obbedì. Non era brutta, tutto sommato non sarebbe stato male, sebbene la situazione non gli piacesse.
All’improvviso qualcosa di viscido gli toccò le labbra e il flash di una macchina fotografica lo costrinse a riaprire gli occhi.
Destiny teneva in mano un grosso rospo con una specie di parrucca bionda, che stava per scivolare. Sia lei sia le sorelle ridevano come matte. Divina teneva tra le mani una macchina fotografica magica, ultimo modello.
«Ma davvero hai pensato che una di noi potesse uscire con uno come te?» gli chiese Destiny. «Non hai neanche un muscolo. Chi ti credi di essere? Tuo fratello?». Le ragazze iniziarono a ridere più forte.
Albus, ripresosi dallo shock iniziale, spinse via Divina e uscì dal bagno. Era stato un imbecille. Dopo la storia di Daila Morales si era ripromesso di non farsi prendere in giro, invece ci era ricaduto. Si mosse rapidamente verso la testa del treno, così arrabbiato e turbato da non far caso a chi urtava.
«Ehi! Attento! Ma che ti prende?».
Alice, visto che Albus non si era fermato alle sue parole, lo tirò per un braccio e lo costrinse a fermarsi. «Al» disse semplicemente guardandolo negli occhi. «Che hai?».
Albus scosse la testa, non sapendo che cosa rispondere. Alice lo trascinò in un altro bagno. Avrebbe odiato i bagni di quel treno. «Che succede?» ripeté la ragazzina.
«Se te lo dico, prometti che tu e Lily non farete niente di stupido?» chiese il ragazzo con voce tremante.
«Io e Lily non facciamo mai cose stupide» replicò Alice con un sorriso malandrino, ma che non riuscì a contagiare l’amico come aveva sperato.
«Intendo nulla contro le regole. Promettimelo».
Alice sospirò. «E va bene. Te lo prometto».
Albus, vergognandosi da morire, le raccontò quello che era appena accaduto con le gemelle Danielson. La ragazzina sbuffò: «Non avresti dovuto farmi promettere».
Il ragazzo non l’ascoltò neanche, troppo impegnato a deprimersi. Alice lo abbracciò, attirando così la sua attenzione. «Non so chi sia peggio tra te e mio fratello».
Ad Albus quell’abbraccio piacque e lo lasciò durare. Di solito si confidava con Frank o Alastor, al massimo Scorpius o Rose. Alice era sempre stata una specie di seconda sorellina più piccola, per cui di solito si limitava a giocarci non a parlarle dei suoi problemi. Per un attimo percepì uno strano rimescolìo nello stomaco, ma probabilmente aveva mangiato troppi dolci e le labbra viscide di quel rospo non avevano aiutato.
In quel momento il treno rallentò e poi si fermò del tutto.
«Siamo arrivati» sospirò a malincuore Albus. «Dobbiamo scendere».
«Sì, certo» replicò Alice sciogliendo l’abbraccio. «Non ascoltare le tue compagne, però. Sono delle sceme».
«Grazie» replicò Albus, non pienamente convinto.
«Senti» lo richiamò Alice, bloccandolo proprio mentre stava per aprire la porta. Albus colse un attimo di esitazione sul suo volto, ma quando parlò la voce della ragazzina era tranquilla come sempre: «Magari c’è qualcuno che ti vuole bene, ma non ha il coraggio di dirtelo. Non ci sono molti ragazzi come te». Lo baciò sulla guancia e lo precedette.
Albus non ci credeva molto alle sue parole, ma era comunque contento che ella si fosse preoccupato per lui tanto da trascorrere l’ultima parte del viaggio chiusa in un bagno.
L’aria fredda di Hogsmeade lo accolse appena mise piede sulla banchina e ciò gli diede la scusa per alzare il cappuccio e coprirsi almeno in parte il volto.

*

«Hagrid!» trillò Scorpius. «Trascorse buone vacanze?».
«Non mi lamento, tu?» replicò il mezzogigante.
Scorpius si strinse nelle spalle. «Non mi sono annoiato».
«Mi hai riportato Batuffolo?».
«Eh, sì. Purtroppo mio padre si è rifiutato di far pressioni sulla Preside perché mi desse il permesso di tenerlo» replicò Scorpius. «Mi ha detto che aveva cose più importanti da fare. Ti rendi conto?».
Hagrid ridacchiò prendendo in braccio il cucciolo di crup.
«È cresciuto, vero?» chiese felice Scorpius.
«Già. Questo piccoletto diventerà presto grande e grosso».
«Come sta il piccolo Thestral? Quando potrò vederlo?».
«Meglio. Nei prossimi giorni ti ci porto».
«Ottimo. La prendo come la promessa di un Grifondoro». Scorpius sorrise felice. Hogwarts gli era mancata parecchio.
«Hagrid, è ora del Banchetto».
Scorpius osservò sorpreso la donna appena entrata nella capanna: era molto alta, non quanto Hagrid, ma più del normale sicuramente. Ella ricambiò il suo sguardo, probabilmente sorpresa di trovarlo lì.
«Amaryllis, ti presento Scorpius. Scorpius ti presento Amaryllis, la mia nuova aiutante» disse Hagrid.
«Piacere, professoressa» disse Scorpius, tentando di nascondere la sorpresa e fissandola con attenzione. La donna gli strinse la mano.
«Non sono professoressa, non è necessario che mi chiami in quel modo».
«E come dovrei chiamarla?» replicò Scorpius perplesso.
«Non lo so, sinceramente non ci ho ancora pensato» rispose la donna altrettanto incerta.
Il Serpeverde lanciò un’occhiata interrogativa a Hagrid.
«Andiamo? La Preside vorrà sicuramente presentarti, Amaryllis. Non è il caso di fare tardi» disse Hagrid. «Forza, Scorpius, saluta Batuffolo».
Il ragazzo si riscosse e, dopo un’ultima coccola al cucciolo, seguì i due verso il castello. Il parco era ancora innevato, proprio come l’aveva lasciato prima di partire a dicembre, ma il cielo era stellato.
La Sala Grande era già affollata e caotica come al solito, quando vi entrarono. Scorpius fece un ultimo cenno di saluto a Hagrid e si diresse al suo tavolo. Individuò le compagne, intente a chiacchierare, e le raggiunse. Prima di sedersi chiamò suo cugino Orion, che si avvicinò all’istante. Arya, Annie e Alex fecero spazio ai due ragazzi.
«Allora come sono andate le vacanze?» domandò Scorpius. Aveva sperato che la cena fosse già stata servita, visto che era affamato, ma purtroppo i piatti erano inesorabilmente vuoti.
«Uno schifo» replicò Alex, rigirandosi tra le dita i capelli, quella sera tra il nero e il viola.
«Come mai?» chiese Annie con circospezione. Avevano ormai imparato che con la famiglia Dolohov bisognava temere sempre il peggio.
«Mio fratello ha firmato un contratto matrimoniale a mio nome» rispose Alex.
«E non ti ha chiesto cosa ne pensavi?» domandò ingenuamente Arya.
«Non era importante. Scorpius, come diavolo si cancella un contratto matrimoniale magico?».
Scorpius fissò l’amica. «Non si può, no?».
«Deve esserci un modo» tentò Annie. «Non possiamo cercare in biblioteca?».
«Posso chiedere direttamente ai miei, ma ne dubito» sospirò Scorpius. «Questi contratti magici sono strettamente vincolanti. Non so se un magiavvocato molto bravo potrebbe aiutarti».
«E come dovrei pagare un magiavvocato? Non ho soldi» ribatté Alex.
«Chi è il fortunato? Anche mio padre voleva firmare un contratto matrimoniale per me» s’intromise Orion.
Scorpius lo fissò inorridito. «Ma non l’ha fatto, vero?».
«No, nonno non ha voluto. Per fortuna. Insomma mi ci vedete a me con Pauline Rosier? Ve la ricordate, vero?».
«Meno male che nonno ha un cervello» bofonchiò Scorpius.
«Thomas Roockwood» ringhiò Alex.
Scorpius seguì il suo sguardo e notò il compagno avvicinarsi.
«Buonasera a tutti» disse pomposamente il ragazzo. «Alexandra, perché ti sei seduta qui? Ti ho tenuto il posto».
Scorpius non avrebbe saputo dire se Alex sarebbe collassata, cosa palesemente imminente, se per l’impudenza di Thomas o per essere stata chiamata con il suo nome completo.
«Sottospecie di vermicolo, solo perché non voglio essere volgare, vedi di sparire dalla mia vista e non azzardarti mai più a chiamarmi in quel modo» sibilò Alex.
«Sei la mia promessa sposa e devi fare quello che ti dico» replicò duramente Thomas Roockwood.
Scorpius fermò Orion che stava, molto cavallerescamente, intervenendo in aiuto della ragazza. Alex non aveva bisogno di aiuto.
«Non dovremmo… ehm impedirglielo?» mormorò Arya, quando Alex usò il levicorpus su Roockwood e lo minacciò, attirando l’attenzione di tutta la Sala Grande, di mostrare a tutti quanto poco fosse virile.
Scorpius, non avendone alcuna intenzione, passò in rassegna il tavolo dei professori e si accorse che la Preside non era ancora arrivata e nemmeno la loro Direttrice, la professoressa Shafiq. In compenso il professor Paciock e il professore Williams parlavano concitatamente tra loro, probabilmente nel tentativo di convincere l’altro a intervenire per sedare l’ennesimo litigio. Infine fu Paciock ad alzarsi e avvicinarsi.
«Signorina Dolohov sarebbe il caso che mettesse giù il signor Roockwood» disse Neville pazientemente.
«Solo se, gentilmente, lei lo convince a starmi ad almeno un paio di metri di distanza, signore» ribatté Alex.
Neville si accigliò. «Dolohov, mettilo giù. Immediatamente. Sei già nei guai».
Alex sbuffò, ma obbedì. L’insegnante rallentò la caduta di Roockwood.
«Posso sapere perché non siete neanche tornati a Scuola e già litigate?» domandò a quel punto Neville.
«È molto semplice, signore. Alexandra è ufficialmente la mia promessa sposa, appena le ho detto che mi aspetto che si sieda vicino a me e ai miei amici durante i pasti, ha reagito come ha potuto vedere» spiegò con fare arrogante Thomas Roockwood, riassestandosi la divisa.
«Stai ferma» disse Neville, bloccando Alex che stava per colpire nuovamente Roockwood. «Signor Roockwood, non mi sembra che la tua compagna sia d’accordo, perciò sei pregato di tornare al tuo posto».
«Ma, signore, ha capito che è mia?» insisté il ragazzo infastidito.
«Siamo a Scuola, Roockwood, qualunque accordo vi sia stato tra i vostri genitori, qui non ha valore. E se i vostri genitori la pensano diversamente, è bene che vengano a parlarne con la Preside o con il Direttore di Serpeverde» sentenziò Neville, per nulla contento dell’atteggiamento di quel ragazzino. «Nel frattempo, ti prego di non infastidire più la tua compagna».
«Signore, mi ha incantato! Ha sentito che cosa mi ha detto?».
«L’hanno sentito tutti» rispose Neville, facendo sorridere Scorpius e gli altri. «Puoi stare tranquillo che saranno presi gli opportuni provvedimenti».
I Serpeverde notarono l’ingresso della Preside insieme alla Shafiq e a un gruppetto di persone sconosciute o quasi. Infatti una di loro era Percy Weasley ed era così tronfio in quel momento, che Scorpius pensò che la sua presenza, insieme al ritardo del Banchetto, non promettesse nulla di buono.
«Oh, bene. Dolohov farò rapporto a chi di dovere» concluse Neville, prima di tornare a sedersi.
«Roockwood 0 – Dolohov 1» disse Scorpius, facendo sorridere anche Alex.
«Scrivi a tuo padre» disse Alex.
«Naturalmente. Domani mattina stessa» le assicurò Scorpius, sebbene non nutrisse alcuna speranza.
«Buonasera a tutti» esordì la McGranitt. «Vi chiedo scusa se vi ho fatto attendere. Immagino siate stanchi per il viaggio, ma vi prego di pazientare ancora qualche minuto».
«Purché siano pochi» sussurrò Scorpius agli amici, facendoli sorridere.
«Come avrete notato, questa sera abbiamo degli ospiti. Percy Weasley è stato incaricato dal Ministero di valutare l’attuale livello di Hogwarts». La voce della McGranitt aveva la solita inflessione severa, ma Scorpius avrebbe scommesso, le labbra sottili e le rughe più evidenti intorno ad esse, che non fosse per nulla contenta dell’ingerenza ministeriale.
«Il signor Weasley con i suoi colleghi assisterà alle lezioni e valuterà la qualità dell’insegnamento» continuò la Preside. «Siete pregati di comportarvi in modo adeguato nei confronti dei nostri ospiti e favorire il loro compiti».
Ai ragazzi parve che l’avvertimento non fosse solo per loro, ma anche per i docenti, a cui la professoressa gettò un’occhiata eloquente. A parte il professor Paciock, tutti sembravano sorpresi da quella novità e qualcuno palesemente infastidito.
«Colgo l’occasione per comunicarvi che la professoressa Shafiq ha chiesto un congedo e il professor Bertram Delaney la sostituirà in tutte le sue mansioni».
Il corpo studentesco si unì in ritardo all’applauso dei professori, troppo sorpreso per quell’ulteriore novità.
«Speriamo sia più buono della Shafiq» sospirò Annie.
«Ci farò due chiacchiere presto» disse Scorpius fissandolo con attenzione.
«Per quale motivo?» chiese Orion.
«Quidditch, naturalmente».
«Infine, permettetemi di presentarvi Amaryllis Adams, nuova assistente di Hagrid». La donna, che Scorpius aveva già avuto modo di conoscere, si alzò e fu accolta da un tiepido applauso.
«Molto bene, vi auguro buon appetito» concluse la Preside.
Scorpius, come gli altri, fu ben lieto di veder finalmente apparire le varie portate sul tavolo.

*

«Perché tu zia si è messa in congedo?» chiese Scorpius, appena raggiunse Emmanuel in Sala Comune.
«Mio zio Abraham ha bisogno di aiuto e lei vuole stare insieme a mia cugina Caroline. Anche se credo che Caroline non voglia nessuno tra i piedi» replicò Emmanuel.
«Ho deciso di buttare Parkinson e Roockwood fuori squadra e fare delle nuove selezioni prima della partita contro Corvonero» gli comunicò Scorpius.
«Non credo che la prenderanno bene» commentò Emmanuel.
«Non è un problema mio. Non posso giocare con una squadra i cui componimenti si odiano» ribatté Scorpius.
«Avete visto gli annunci in bacheca?» domandò Annie Ferons, sedendosi vicino a loro insieme ad Alex Dolohov e Arya Wilkinson.
«Che annunci?» replicò Scorpius, che non ci aveva neanche fatto caso.
«Bulstrode ha deciso di riformare il coro della Scuola e la Preside ha approvato la fondazione di un club degli scacchi» rispose Annie.
«Ah, carino» commentò Scorpius, non particolarmente interessato a nessuna delle due attività.
«Voi pensate di inscrivervi?» chiese Annie.
«Sì, potrebbe essere piacevole, no?» rispose Arya.
«Sì, ma non fanno per me. Tu vuoi inscriverti a entrambi?» replicò Scorpius.
«Pensavo di provare a entrare nel coro. Mi piace cantare» rispose Arya.
«Io sono stonata» dichiarò Annie. «E poi in teoria ho il Quidditch, in pratica… Scorp, hai accettato le mie dimissioni?».
«No, come ho detto a Emmanuel poco fa, butterò fuori Parkinson e Roockwood e farò nuove selezioni. Tu, Alex, che intenzioni hai?» disse Scorpius.
«A parte uccidere Thomas Roockwood, intendi?» chiese Alex, che fino a quel momento aveva fissato i ragazzi del loro anno con rabbia. «Se cerchi un cacciatore, potrei partecipare alle selezioni, ma canto e scacchi no. Soprattutto il canto è troppo femminile».
«Non credo» borbottò Annie. «Anche i ragazzi hanno belle voci».
«Non mi interessa» tagliò corto Alex.
«Scorp, hai sentito dello scherzo che hanno fatto ad Albus?» domandò Annie, con circospezione: sapeva quanto Scorpius fosse suscettibile quando venivano toccati i suoi amici.
«Chi?» replicò Scorpius aggrottando la fronte.
«Le gemelle Danielson» rispose Annie e gli raccontò quello che a sua volta aveva sentito dire da altre ragazze durante la cena.
Scorpius si arrabbiò e saltò in piedi. «Sono delle sceme!».
In quel momento la Sala Comune si zittì all’improvviso, i cinque non impiegarono molto a capirne il motivo: il professor Delaney era appena entrato.
«Buonasera, ragazzi».
«Ma rompe le pluffe dalla prima sera?» sussurrò Alex, beccandosi un’occhiataccia da Annie.
«Tranquilli, non vi ruberò troppo tempo e vi lascerò liberi in pochi minuti. Ci tenevo a confrontarmi con voi e non incontrarvi direttamente in classe, dopotutto sono il vostro Direttore. E la professoressa McGranitt mi ha detto che ci sono parecchie tensioni ultimamente. La professoressa Shafiq, naturalmente, me l’ha confermato e mi ha spiegato più nei dettagli. Vorrei solo che sapeste che se ci sono dei problemi potrete chiedere direttamente a me».
Scorpius lo scrutò con attenzione: era molto giovane e sembrava leggermente intimidito da loro. Alcune ragazze, le solite lecchine, lo circondarono all’istante.
«Speriamo bene» sussurrò Annie.
«Peggio di mia zia non può essere» replicò Emmanuel, lanciando di sottecchi occhiate al gruppetto al centro della Sala.
«Ragazzi, scusate». I cinque sobbalzarono vedendo avvicinarsi Delaney. A quanto pare l’avevano sottovalutato, si era liberato rapidamente delle ragazze. «Tu sei la signorina Alexandra Dolohov, vero?» chiese rivolto ad Alex.
Scorpius si trattenne dallo scoppiare a ridere e sperò che l’amica non desse di matto per essere stata chiamata nuovamente con il suo nome completo.
«Alex» lo corresse semplicemente a denti stretti la ragazza. «Signore» aggiunse quando Annie la pizzicò leggermente.
«Ok, Alex» accettò Delaney. «Vorrei parlarti un attimo, ti dispiace?».
«Anche se mi dispiacesse, lei vorrebbe parlarmi lo stesso. Per cui…» ribatté la ragazza.
Scorpius scoppiò a ridere e nascose la testa in un cuscino.
«Temo di sì. Andiamo?» replicò Delaney, sorpreso dalla faccia tosta della ragazza, ma non arrabbiato.
I quattro rimasti non dovettero attendere molto, meno di dieci minuti dopo Alex rientrò in Sala Comune e sedette vicino a loro.
«Allora?» le chiese Scorpius.
«È stato meglio di quanto immaginassi. Ha persino detto che parlerà con Roockwood» dichiarò Alex.

*

«Cavoli è un piano geniale» commentò Gretel Finnigan.
Roxi, appena entrata in camera, la fissò: era seduta sul letto di Lorein Calliance e confabulavano tra loro. Non erano mai andate troppo d’accordo e, perciò, si sorprese.
«Di che parlate?» chiese.
«Della vendetta ai danni di Afia Gamal» rispose Lorein Calliance.
Roxi si accigliò e si avvicinò. «Che pensate di fare?».
«Ho già fatto» rispose Lorein orgogliosa. «Non ci resta che assistere alla sua capitolazione».
«Che mi sono persa?» insisté Roxi, a cui non piaceva per nulla l’espressione delle due compagne.
«Non ti ricordi il bacio che Halley le ha dato prima di Natale?» le domandò Lorein.
«Sì, certo» replicò lentamente Roxi, non sapendo dove stesse andando a parare.
«Come immaginavo, Afia è terribilmente ignorante in certi ambiti» rispose Lorein maliziosa. Gretel ridacchiò divertita.
«Continuo a non capire» disse Roxi perplessa.
«Beh, ma è naturale!» strillò Lorein. «Le ho lasciato intendere che basti un bacio per avere un bambino».
Lorein e Gretel risero di nuovo.
Roxi non lo trovò molto divertente. «Credo che sia molto turbata. Sarebbe il caso che metteste fine allo scherzo». Afia aveva trascorso le vacanze alla Tana e Roxi aveva notato che fosse più strana del solito e ora ne comprendeva il motivo.
«Che scherzi? Abbiamo appena iniziato!» replicò Lorein. «Si pentirà di averci trattato dall’alto in basso».
Roxi non replicò e iniziò a indossare il pigiama. A lei non sembrava uno scherzo divertente. Anzi non era proprio uno scherzo. Avere un bambino a quattordici anni e mezzo non era uno scherzo. In quel momento entrò Afia e come sempre neanche le salutò. Lorein e Gretel smisero di chiacchierare e iniziarono a prepararsi per la notte.
«Buonanotte» augurò Roxi alle compagne, nascondendosi dietro le tende del letto a baldacchino. Non aveva intenzione di insistere sull’argomento, per il momento. Non era molto più preparata di Afia in certi argomenti, come li chiamava Lorein, e non voleva rendersi ridicola con le altre. In caso avrebbe chiesto consiglio a Frankie il giorno dopo.

*

Brian si gettò sul letto e prese un romanzo iniziato durante le vacanze. Non gli mancava molto per finirlo e voleva farlo prima che iniziassero a segnare un sacco di compiti.
Anche Louis e Drew erano in camera ed entrambi leggevano, il primo un libro di pozioni, tanto per cambiare, il secondo un fumetto.
Il viaggio in treno era stato tranquillo, così come la cena.
«Le ragazze non facevano che parlare del coro a cena» disse all’improvviso Drew. «Voi che ne dite?».
«Io non canto» disse subito Brian. Non aveva proprio voglia di mettersi in ridicolo davanti ai compagni. «Però mi piacerebbe andare al Club degli scacchi».
«A me piacerebbe provare entrambi» disse a sorpresa Louis. «Non dev’essere male il coro, no?».
«Se ti diverte sì» rispose tranquillamente Drew. «Non mi dispiacerebbe provarci, anche se ho paura che mio fratello mi prenderà in giro» ammise.
«Tuo fratello è scemo» replicò Louis, girando pagina.
«Se vuoi provarci, provaci» aggiunse Brian.
Un CRACK improvviso fece sobbalzare tutti e tre i ragazzi, che scattarono seduti sui loro letti.
Un elfo domestico gemeva sul tappeto blu.
«Tabi!» gridò Brian, saltando giù dal letto e inginocchiandosi accanto all’elfo.
«Padron Brian, padron Brian» mormorò flebilmente l’elfo.
«Sono qui, Tabi. Che cos’hai?» replicò spaventato il ragazzino.
L’elfo si contorceva. «Tabi soffre. Aiuta Tabi. Ti prego».
«L’hanno avvelenato».
Brian si voltò verso Louis che si era avvicinato, senza che lo sentisse.
«Avvelenato?» replicò Drew, da dietro le sue spalle.
«Dal colorito sembrerebbe così» spiegò Louis.
Brian conosceva Louis a sufficienza per sapere che difficilmente si sbagliava, perciò prese in braccio Tabi e si diresse verso la porta.
«Che fai?» gli chiese Drew.
«Lo porto in infermieria, naturalmente» rispose Brian, correndo via.
«Veniamo anche noi» gli urlò dietro Louis.
Ignorò i Corvonero che si era trattenuti in Sala Comune e i richiami dei Prefetti che gli dicevano che era scattato il coprifuoco. Sentiva dietro di lui i passi degli amici e i loro respiri affannosi. Si concentrò su Tabi. Il rantolio che emanava lo terrorizzava, ma allo stesso tempo lo rincuorava: almeno era ancora vivo.
Si catapultò dentro l’infermieria, spaventando madama Williamson. Era senza fiato e non riuscì a spiegarle, ma, fortunatamente, la donna era abbastanza sveglia e prese Tabi dalle sue braccia, appoggiandolo su un letto. Louis e Drew arrivarono proprio in quel momento.
Brian, piegato in due per lo sforzo, non perse d’occhio la medimaga. Madama Williamson esaminò Tabi con l’ausilio della bacchetta e poi appellò una piccola boccetta, il cui contenuto riversò immediatamente nella bocca del piccolo elfo. Tabi chiuse gli occhi, ma il suo petto iniziò ad andare su e giù regolarmente.
«Sta bene?» chiese Brian in sussurro.
La medimaga si voltò verso di lui e annuì. «L’hai portato qui appena in tempo. È stato avvelenato». Per una volta Louis non sembrò molto felice di aver avuto ragione. «Posso sapere che cos’è successo?» domandò la donna.
«Non lo sappiamo» rispose Brian. «Tabi è mio amico e si è smaterializzato in camera nostra per chiedermi aiuto».
La Williamson si accigliò, ma non fece in tempo a parlare che una bambina spuntò dal suo ufficio.
«Mami, perché non vieni a letto?».
Brian sorrise instivamente: gli ricordò tanto Sophie.
«Kim. Ti ho detto che quando sto lavorando, devi rimanere in camera» la rimproverò la donna. Brian, però, si rese conto che non era arrabbiata e la bimba anche, infatti entrò nella stanza guardandoli con curiosità. I suoi occhi brillavano.
«Altri bimbi!» trillò felice. «Come si chiamano?».
La medimaga sospirò e si rivolse ai tre ragazzi: «Devo assolutamente andare a parlare con la Preside di quello che è successo, per favore potete rimanere con Kim per un po’?».
I tre Corvonero annuirono immediatamente e si presentarono alla bambina, che fu felicissima delle loro attenzioni. Nonostante l’ora sembrava che la piccola Kim non sentisse stanchezza, tanto li riempì di chiacchiere. Dopo un bel po’ di tempo, la porta dell’infermieria si riaprì ed entrarono dei professori. Con loro vi erano alcuni elfi domestici che galleggiavano nell’aria e che adagiarono subito, ciascuno su un letto. I ragazzini e Kim si avvicinarono curiosi.
«Tu vieni con me» disse la medimaga prendendo in braccio la figlioletta.
«Ma i bimbi…» si lamentò la piccola.
«Tra poco andranno a letto anche loro» rispose accondiscendente la donna.
Brian, Louis e Drew si affrettarono ad augurarle la buonanotte.
«Che è successo?» chiese loro il professor Williams, osservandoli con attenzione. Brian ripeté quanto aveva detto alla Williamson.
«Che cosa facciamo, professoressa?» chiese alla Preside il professor Paciock. Era pallido, proprio come Mcmillan, Williams, Finch-Fletchley e, il nuovo, Delaney. Tutti pendevano dalle labbra della professoressa McGranitt.
La donna fissò prima i tre ragazzini e poi gli elfi, che dormivano, infine disse: «Maxi, avverti Potter di quello che è successo. Se lo riterrà opportuno, accoglierò i suoi uomini a Hogwarts. Justin, vai da Hagrid e da Amaryllis, raccontali che cosa è successo e chiedi loro di occuparsi degli elfi in cucina». Aspettò che i due lasciassero la sala prima di rivolgersi ai colleghi rimasti. «Procedete a una perquisizione dei dormitori. Chiedete aiuto anche alle professoresse Spinnett, De Mattheis, Yaxley e Dawson».
I tre professori annuirono e si sbrigarono a eseguire quanto richiesto.
«Siete stati bravi» disse allora la professoressa McGranitt, attirando l’attenzione dei tre ragazzi su di sé. «Vi siete meritati cinquanta punti ciascuno».
«Non abbiamo fatto molto, professoressa» sussurrò Brian, sorpreso. «Abbiamo solo portato Tabi qui».
«Gli avete salvato la vita, così come agli altri elfi presenti» replicò la McGranitt. «Adesso, venite, vi riaccompagno alla Torre di Corvonero».
«Ma come io credevo che a Hogwarts ci fossero molti più elfi domestici» commentò Drew perplesso. In infermieria non ce n’erano neanche una decina.
Lo sguardo della Preside si addolcì. «Mi dispiace, signor Jordan, ma non siamo riusciti a salvare gli altri».
I tre furono molto turbati dalla notizia, specialmente Brian che si voltò a guardare Tabi.
«Chi ha voluto farli del male, professoressa?» domandò Louis.
«Non lo sappiamo, signor Weasley, ma ti assicuro che appena lo scoprirò il colpevole si ritroverà espulso» rispose la Preside. «Ora, seguitemi per cortesia».
«Non rimane nessuno con loro, professoressa?» le chiese Brian, senza muoversi.
«Stai tranquillo, ce ne occuperemo noi professori» ribatté la professoressa McGranitt.
A quel punto i tre la seguirono in silenzio fino alla Torre di Corvonero, che era molto più caotica di quando l’avevano lasciata. La professoressa De Mattheis, un’ex-Corvonero, disse loro di andare in camera e aspettare il professor Williams, che si sarebbe occupato di perquisire i Dormitori maschili. Ella si sarebbe occupata di quelli femminili.
Brian, Louis e Drew obbedirono. Passò più di mezz’ora prima che Williams entrasse nella loro stanza. I ragazzini, sul punto di addormentarsi, si ricomposero e lo fissarono in attesa.
«Che cosa sta cercando di preciso, signore?» si azzardò a chiedere Drew, dopo che l’uomo aveva compiuto una serie di incantesimi con la bacchetta.
«La o le fiale che contenevano il veleno o qualunque cosa che possa essere collegata» rispose serio Williams.
«Noi non abbiamo fatto nulla, signore» disse altrettanto serio Louis.
Il professor Williams lo fissò e annuì. «Lo so, ragazzi, ma devo comunque verificare. Non credo che qualcuno di voi possa aver fatto una così crudele, ma il colpevole potrebbe anche aver nascosto ciò che ha usato in un'altra camera».
I tre annuirono e, affiancati, continuarono a osservare ogni mossa dell’uomo.
«Molto bene, non c’è nulla. E siete anche parecchio ordinati. Prima sono entrato nella stanza dei ragazzi del primo anno e non sapevo dove mettere i piedi» sospirò il professore. «Andate a letto, adesso. Credo sia stata una serata sufficientemente lunga. Buonanotte».
«Buonanotte, signore» risposero in coro.
 

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Capitolo 27
*** Il diario di Alastor ***


Note dell’autrice:

Ciao a tutti :-)

Mi è stato suggerito, essendo numerosi i personaggi presenti nella storia, di inserire una scheda riassuntiva quantomeno di quelli principali. Ed ecco qua (spero che la troverete utile):

James Sirius Potter
Nato il 27 marzo 2005.
Sesto anno. Grifondoro.
Runa: Sol. Virtù: Giustizia.
È fidanzato con Benedetta Merinon (padre inglese, madre italiana, da qui il nome italiano) e il suo migliore amico è Robert Cooper (è il pronipote della McGranitt).
Il suo ‘nemico’ è Mark Parkinson (Serpeverde, sesto anno), con cui si scontra spesso. Battibecca spesso e volentieri con Jack Fletcher.
James è Prefetto insieme a Benedetta.
Cercatore.
Possiede un gufo di nome Lione.
Il suo patronus è un airone.
In futuro vorrebbe diventare un Auror.
 
Jack Fletcher.
Nato il 04 aprile 2005.
Sesto anno. Tassorosso.
Runa: Ur. Virtù: Fortezza.
Il suo migliore amico si chiama Andy (Anderson) Archer (Tassorosso, sesto anno, come lui). È molto legato a Samuel Vance (III anno, Tassorosso) e Nyah Khaled (I anno, Corvonero).
Battibecca spesso con James Potter.
È Prefetto.
Battitore dei Tassorosso.
Il suo patronus è una tigre.
È figlio di Mundungus Fletcher e Vivienne Rosier (moglie di Sylvester Spencer-Moon, famoso inventore di Incantesimi Difensivi utilizzati anche dal Ministero).
In futuro vorrebbe diventare Auror.
 
Albus Severus Potter
Nato il 30 gennaio 2006.
Quinto anno. Grifondoro.
Runa: Reid. Virtù: Prudenza.
I suoi migliori amici sono Alastor Schacklebolt (V anno, Grifondoro. Figlio di Kingsley e Faith Rowle) e Frank Paciock. La sua migliore amica e cugina preferita è Rose Weasley.  È molto legato a Scorpius Malfoy, Dorcas Fenwick, Virginia Wilson e Jonathan Goldstain.
Possiede una fenice di nome Smile.
È Prefetto.
 
Rose Weasley
Nata il 27 marzo 2006.
Runa: wird. Virtù: Coraggio.
Quinto anno. Grifondoro.
Capitano e cacciatrice.
La sua paura più grande: i temporali.
Il suo migliore amico e cugino preferito è Albus. La sua migliore amica è Cassy (Cassandra) Cooman. Uno dei suoi più cari amici è Scorpius.
 
Scorpius Hyperion Malfoy
Nato il 07 agosto 2006.
Runa: Perth. Virtù: Magnificenza.
Quinto anno. Serpeverde.
Capitano, Cercatore e Prefetto.
È legatissimo a Rose e Albus. Il suo amico d’infanzia è Eddie (Edward) Zabini (Tassorosso, quinto anno).
Il suo patronus è un leone.
Ha un cucciolo di crup di nome Batuffolo (lo tiene Hagrid).
 
Dorcas Fenwick
Nata il 02 giugno 2006.
Quinto anno. Tassorosso.
Runa: Gyfu. Virtù: Liberalità.
Prefetto.
È molto legata a Rose e Albus. I compagni Tassorosso con cui interagisce più spesso sono: Noah Hunter (Prefetto) ed Eddie Zabini.
Il suo patronus è un cigno.
 
Virginia Wilson
Nata il 16 aprile 2006.
Runa: Madr. Virtù: Sapienza.
Quinto anno. Corvonero.
Prefetto.
Solitamente trascorre il suo tempo con Martha Gabriels, Kumar Raj, Dexter Fortebraccio (Prefetto) e Jonathan Goldstain, tutti suoi compagni di Casa.
 
Jonathan Goldstain
Nato il 03 marzo 2006.
Runa: Jera. Virtù: Saggezza.
Quinto anno. Corvonero.
È un lupo mannaro.
Molto legato ad Albus, Scorpius, Kumar Raj e Dexter Fortebraccio.
 
Frank Paciock
Nato il 16 luglio 2007.
Runa: Tyr. Virtù: Mansuetudine.
Quarto anno. Grifondoro.
La sua migliore amica è Roxi Weasley.
 
Roxi (Roxanne) Weasley
Nata il 31 agosto 2007.
Runa: Ken. Virtù: Arte.
Quarto anno. Grifondoro.
Il suo migliore amico è Frank. La cugina a cui è più legata è Lucy.
Adora disegnare.
 
Emmanuel Roderick Shafiq
Nato il 06 febbraio 2007
Runa: Laguz. Virtù: magnanimità.
Quarto anno. Serpeverde.
Il suo migliore amico è Tobias Andersen.
È un battitore.
Ha una cotta palese per Fabiana Weasley (IV anno, Corvonero)
 
Brian Carter
Nato l’08 luglio 2009.
Runa: bjarka. Virtù: Temperanza.
Secondo anno. Corvonero.
I suoi migliori amici sono: Louis Weasley, Drew (Andrew) Jordan e Annika Robertson.
Eccelle in Erbologia, che è anche la sua materia preferita.
 
 
Capitolo ventisettesimo
 
Il diario di Alastor
 
Dorcas prese un bel respiro e lasciò andare il gufo. Durante le vacanze di Natale finalmente aveva avuto modo di chiarirsi con il padre e aveva ottenuto il permesso di scrivere a Jesse Steeval. Seguì il gufo con lo sguardo finché non si allontanò troppo, dopodiché sospirò e si diresse fuori dalla Guferia. Erano state delle vacanze difficili, anche se per fortuna avevano iniziato a scoprire il funzionamento delle rune.
Mise una mano in tasca per assicurarsi di non aver perso la sua runa. Dopo quello che avevano scoperto, avevano deciso che non era una buona idea tenere le rune troppo vicine al corpo.
Quando raggiunse le serre, Dorcas trovò i compagni già in attesa dell’arrivo di Paciock. Ignorò le gemelle Danielson, che da giorni non facevano altro che distribuire foto di Albus che baciava il rospo con la parrucca. Dorcas aveva la vaga impressione che il Cappello Parlante le avesse smistate a Tassorosso, perché, come diceva una delle sue tante canzoni, e poi Tassorosso i restanti accettava, / sì, Tosca la buona a sé li chiamava. Ed ecco perché la loro Casa veniva derisa da tutti.
«Ciao, ragazzi» disse Dorcas, avvicinandosi ad Albus e agli altri compagni, che ricambiarono più o meno entusiasticamente. Albus era troppo impegnato a fissare con astio le gemelle e i loro amici che ridevano di lui, lanciandogli occhiata ogni due minuti.
«Ragazzi, oggi mi siedo con Geoffrey Hitson» annunciò loro Dorcas, mentre il professor Paciock li invitava a entrare. La Tassorosso, infatti, non si era dimenticata della richiesta fattele dal professor Mcmillan prima di Natale. Prendendo posto sentì Albus mugugnare e Dorcas non lo biasimò: non bastavano le gemelle Danielson, ma doveva mettercisi persino Percy Weasley, che entrò salutando pomposamente l’insegnante. Fino a quel momento i rappresentanti del Ministero, però, si erano limitati ad assistere in silenzio alle lezioni. Se perché non avessero nulla da obiettare o perché stessero attendendo di avere più materiale su cui pronunciarsi, nessuno lo sapeva.
Geoffrey rispose al suo sorriso con uno sguardo interrogativo. «Cerca di seguire» gli suggerì Dorcas, mentre il professore iniziava a spiegare. Il ragazzo, però, si limitò a scarabocchiare il foglio di pergamena, che la ragazza gli aveva messo davanti.
Il cavolo carnivoro cinese non sembrava una pianta particolarmente pacifica e probabilmente nessun mago sano di mente l’avrebbe usata per decorare la propria casa. Dorcas prese appunti tranquillamente, per quanto dubitasse che quella pianta sarebbe mai diventata la sua preferita.
«Come te la cavi nel disegno?» chiese a Geoffrey.
Il compagno la fissò annoiato. «Male».
Dorcas sospirò di fronte a così tanto entusiasmo. Come avrebbe dovuto aiutarlo?
«Va bene, allora io disegno e tu scrivi i nomi delle varie parti della pianta, ok?» propose.
Geoffrey annuì distrattamente. Dorcas si mise a disegnare.
«Che stai facendo?» sbottò a un certo punto. Aveva alzato gli occhi per osservare meglio la pianta e riprodurla sulla pergamena, appena in tempo per vedere Geoffrey stuzzicare la suddetta pianta. Ora, che cosa quel ragazzo non comprendesse nell’aggettivo ‘carnivoro’ era un bel mistero per lei. «Smettila» disse bruscamente scostandogli la mano, che per un attimo aveva già visto tra le fauci del cavolo carnivoro. Però non fu altrettanto veloce da spostare il suo braccio, rimasto troppo vicino alla pianta, che ne approfittò per tentare di assaggiarlo. Gridò per il dolore, mentre i dentini aguzzi del cavolo le penetravano nella pelle.
«Relascio».
L’incantesimo frettoloso di Albus, seduto poco distante da loro, fu sufficiente per liberare il suo braccio, ma abbastanza potente da sradicare quasi la pianta. Dorcas incrociò i suoi occhi e vi vide rabbia, che in quel momento non comprese.
«Noah, accompagna la tua compagna in infermieria, per favore» intervenne Paciock, dopo averle tamponato la ferita con un fazzoletto.
Dorcas, troppo scioccata per quanto avvenuto, si lasciò guidare da Noah che, molto premurosamente, le chiese più volte come stesse. Naturalmente non stava bene, ma, evidentemente, il fazzoletto ormai zuppo di sangue doveva aver inceppato il cervello del ragazzo.
In infermeria Madama Williamson la fece sedere su un letto e, mentre Noah le raccontava che cos’era accaduto, esaminò con attenzione la ferita.
«Direi che sei stata fortunata» commentò la donna.
«Non può fermare il sangue?» domandò Noah, bianco come un cencio.
Madama Williamson si voltò verso di lui e lo fissò attentamente. «Naturalmente» replicò come se fosse ovvio.
Dorcas sperava solo che il dolore cessasse al più presto e chiuse gli occhi, permettendo alla medimaga di lavorare tranquillamente.
«Puoi aprire gli occhi, tesoro» le disse gentilmente la Williamson, dopo un po’.
Dorcas obbedì e azzardò un’occhiata al braccio destro: la manica della divisa era stata tagliata, probabilmente dalla medimaga stessa, e vi erano una serie di puntini rossi.
«Ho fermato il flusso del sangue, ora ti passo una crema sulla ferita e ti bendo» le spiegò gentilmente la Williamson.
«Se sta meglio, torno in classe così lo comunico anche al professore» borbottò Noah.
«Non così in fretta» lo bloccò la medimaga, spostando la sua attenzione da Dorcas al ragazzo. «Come ti sei fatto quel livido sullo zigomo? Non sai che è contro le regole combattere alla babbana?».
Dorcas vide Noah sbiancare ancor più di prima. Adesso avrebbe potuto far concorrenza al Frate Grasso.
«Non l’ho fatto. Devo tornare in classe» biascicò e corse via.
La medimaga si mordicchiò il labbro inferiore. «Temo che dovrò parlarne al professor Mcmillan» sospirò.
«Non è il tipo che infrange le regole» disse Dorcas a favore dell’amico. La donna si limitò ad annuire per poi riprendere a medicarle la ferita.
«Rimani qui per ora. Dopo pranzo, probabilmente ti farò tornare in Sala Comune» le comunicò la medimaga una volta concluso il suo lavoro. «Riposati».
Dorcas sospirò guardandola andare nel suo ufficio. Non le dispiaceva dormire un po’ di più la mattina, ma non in quel modo. Innanzitutto non si sentiva a suo agio in infermieria, dove poteva entrare chiunque e poi non le piaceva saltare le lezioni.
Annoiatasi, probabilmente a un certo punto si addormentò, perché quando una voce maschile un po’ roca le chiese «Dormi?», ella sobbalzò e aprì gli occhi, impiegando qualche secondo a ricordarsi di essere in infermieria.
Geoffrey Hitson la fissava in attesa. Di cosa? Di una risposta? Era evidente che non stesse dormendo, non più comunque.
«No» si costrinse a rispondere, sinceramente curiosa di capire che cosa fosse andato a fare lì.
«Non pensavo che la pianta mordesse» disse Geoffrey.
«Era una pianta carnivora» mormorò Dorcas pazientemente.
«Non lo sapevo» fu la risposta di Geoffrey.
«Il professore l’aveva detto chiaramente. E poi si chiama cavolo carnivoro cinese» sospirò Dorcas.
«Non stavo ascoltando».
«Geoffrey, dovresti ascoltare i professori durante le lezioni» replicò Dorcas.
Il ragazzo si strinse nelle spalle, ma la guardava con interesse. «E a che serve?» le chiese, senza guardarla e giocando con il lenzuolo del letto su cui si era seduto.
Dorcas fu presa in contropiede dalla domanda. «Per te, no? Se segui le lezioni, poi studiare è molto più semplice».
«Questo vale per quelle come te» replicò Geoffrey, alzandosi.
«Quelle come me, cosa?» esclamò indignata Dorcas. Insomma si era quasi fatta mangiare da uno stupido cavolo con i denti e lui osava anche prenderla in giro?
«Sei intelligente e i professori ti apprezzano» rispose Geoffrey. «Beh, vado».
«Aspetta» lo fermò Dorcas, trattenendolo per un braccio e quasi saltando giù dal letto. «Anche tu hai un cervello».
«Ma il mio non funziona come il tuo» replicò il ragazzo.
«Come no? Tutti i cervelli funzionano allo stesso modo».
«Non credo» la contraddisse Geoffrey. «Mia madre è una psichiatra, una via di mezzo tra una medimaga e una psicomaga per i maghi. Non è vero che i cervelli funzionano allo stesso modo. È comunque il mio non funziona in modo normale, per cui non ha senso che io studi. I miei non erano contenti che venissi a Hogwarts perché i maghi non hanno scuole speciali per quelli come me. Io, però, sono contento: i ragazzi normali sono più simpatici».
«Che vuol dire che non sei normale?» insisté Dorcas. Non poteva aiutarlo se non capiva che cosa avesse.
«Ho quattordici anni, ma ho difficoltà a leggere e confondo i numeri» le spiegò. «Ora, devo andare. Ho già preso una punizione da Paciock, non vorrei prendermene un’altra da Finch-Fletchley per essere arrivato in ritardo».
«Paciock si è arrabbiato con noi per la storia della pianta?» chiese sorpresa, lasciandogli andare il braccio.
«Con noi? No, con me. Solo con me. Dopotutto è colpa mia, se sei finita in infermieria» replicò Geoffrey. «Ci vediamo».
Dorcas sospirò e lo guardò uscire con la sua solita aria svagata.
«Dove credi di andare?» le domandò Madama Williamson, facendo capolino dal suo ufficio.
La Tassorosso non si era neanche accorta di essersi messa seduta. «Non posso andare a lezione? Mi sento bene».
«No, stai qui e riposati» ribatté la donna. «E comunque la lezione è già iniziata».
«Ma questo non è un problema, dirò al professor Finch-Fletchley che ero qui e comunque non ho bisogno di riposare» insisté Dorcas.
«No, sdraiati di nuovo, forza» replicò inflessibile madama Williamson.
Dorcas, scontenta, obbedì.

*

«Non siete preoccupati?» chiese Benedetta a James e Robert. Demetra, dopo il litigio con Robert, aveva iniziato a evitarli.
«Preoccupati?» ribatté sorpreso James. «Non vedo l’ora!».
«Sì, infatti» concordò Robert.
«Cosa ti preoccupa?» le chiese gentilmente James.
«Beh… insomma… di perdere qualche pezzo…» bofonchiò Benedetta, arrossendo.
James le diede un bacio sulla guancia con dolcezza. «Stai tranquilla. Ci sono i professori. È loro interesse che rimaniamo integri. Specialmente ci tengono alla nostra testa» tentò di scherzare.
«Secondo me, molti pensano che l’abbiamo già persa» celiò Robert. «Comunque, Benedetta, devi stare tranquilla sul serio oppure rischi di farti male».
«Così non la tranquillizzi» lo redarguì James, lanciandogli un’occhiataccia.
«Avanti, sbrigatevi» li richiamò zio Neville, superandoli.
I tre entrarono in Sala Grande immediatamente dopo di lui e si guardarono intorno per un attimo smarriti: i quattro tavoli erano spariti e sul pavimento della Sala vi erano dei cerchi, di quelli usati dai bambini per giocare, a una certa distanza l’uno dall’altro.
«Per favore, prendete posto ognuno vicino a un cerchio» disse loro Mcmillan, intento a far fare altrettanto ad alcuni Tassorosso.
James, Robert e Benedetta obbedirono e trovarono tre cerchi liberi vicini. James si premurò di lasciare alla ragazza il posto tra lui e Robert.
«Ma ci sono tutti quelli del sesto anno?» chiese James.
«Direi di sì» replicò Robert. «Tutti vogliono imparare a smaterializzarsi».
James fece spallucce. «Mio padre dice che la scopa è molto più comoda».
«Ma tuo zio segue anche questo corso?» sospirò Benedetta.
«Credo di non aver mai provato a capire che cosa gli passa per la testa» rispose James, proprio mentre i quattro Direttori delle Case intimavano il silenzio. Benedetta e Robert gli sorrisero.
«Buongiorno» esordì un uomo alto e magro, il volto leggermente scavato e rugoso. «Mi chiamo Walter Sullivan, per voi signor Sullivan. Sono un Istruttore Ministeriale di Materializzazione. Trascorreremo insieme dodici settimane, durante le quali il mio compito sarà quello di prepararvi all’esame di Materializzazione. Vi ricordo che potrete sostenerlo solo dopo aver compiuto diciassette anni, perciò a inizio aprile potranno presentarsi solo coloro che compiranno gli anni entro il 31 marzo».
James si scambiò uno sguardo rapido con i suoi amici: avrebbe affrontato l’esame per primo, visto che Robert era nato a metà aprile e Benedetta all’inizio di agosto.
«Naturalmente a Hogwarts, come spero saprete, è vietato Materializzarsi o Smaterializzarsi, ma la Preside ha sospeso l’incantesimo solo per la Sala Grande per un’ora. Molto bene, cominciamo?» concluse Sullivan voltandosi versi i quattro professori presenti, che assentirono immediatamente. «Quando si compie una Materializzazione o una Smaterializzazione, è necessario concentrarsi sulle tre D: Destinazione, Determinazione e Decisione. Quando vi Materializzate dovete sempre focalizzare la meta da raggiungere. Nel caso di questa nostra piccola esercitazione, naturalmente, la meta è l’interno del vostro cerchio. Prendetevi qualche secondo per concentrarvi».
James fissò il cerchio e si chiese perché la Materializzazione dovesse essere così difficile da richiedere una patente apposita dal Ministero della Magia, insomma in quell’istante non sembrava un granché o forse lo pensava solo perché si sentiva terribilmente stupido a fissare un cerchio.
«Dovrete essere determinati a entrare dento il vostro cerchio. La vostra volontà dev’essere forte. Infine, al mio segnale, dovrete girare sul posto, tentando di entrare nel nulla, ma i vostri movimenti devono essere decisi! Pronti?» continuò il signor Sullivan.
James guardò di sottecchi i suoi amici: Benedetta era terrorizzata, Robert molto concentrato. Poco distante da loro, Jack Fletcher ricambiò il suo sguardo, palesemente annoiato.
«Avanti, provateci» ordinò il signor Sullivan, cogliendo molti di loro di sorpresa.
James girò sul posto, pensando di essere profondamente ridicolo, e scoppiò a ridere pochi secondi dopo. Benedetta doveva pensarla allo stesso modo, perché si coprì la bocca con una mano, tentando di nascondere una risatina. Robert, invece, ignorò entrambi gli amici, continuando a fissare il cerchio come se lo avesse gravemente offeso, visto che non c’era riuscito neanche lui.
I tentativi successivi furono altrettanto infruttuosi e i ragazzi, un’ora dopo, sciamarono fuori dalla Sala Grande alquanto annoiati e seccati.
«Ho saltato l’allenamento per questo. Non credo che Rose ne sarà felice» sbuffò James.
«Non ti sei concentrato per nulla» replicò Robert, alzando gli occhi al cielo.
«L’importante è che neanche Fletcher ci sia riuscito» dichiarò James, fissando il Tassorosso da lontano e facendo sbuffare i due amici.

*

«Ci vediamo tra poco in biblioteca, va bene?» chiese Virginia a Martha. L’amica, seguendo il suo sguardo, notò Noah Hunter poco lontano da loro e annuì. 
Erano giorni che Virginia voleva parlare con il Tassorosso e consegnargli il giubbotto nuovo, ma il ragazzo trovava ogni scusa per non fermarsi un attimo. Alla fine la Corvonero si era convinta che Noah la stesse evitando.
«Noah, Noah aspetta» lo chiamò accelerando il passo.
«Virginia… ah… ehm… i-io devo… andare in biblioteca e…» tentò Noah.
«Possiamo andarci insieme in biblioteca. Martha mi aspetta lì. Prima però vorrei parlarti. Usciamo un po’ nel parco?» domandò Virginia a bruciapelo. «Dai, ti ruberò solo pochi minuti».
Il Tassorosso si ritrovò ad annuire e la seguì nel cortile, ancora innevato.
«Fa molto freddo anche oggi, speriamo che la primavera arrivi presto» esordì Virginia tentando di rompere il ghiaccio.
«Sì, infatti» mormorò in risposta Noah, stringendosi addosso il mantello di lana.
Virginia non si fece scoraggiare e lo trascinò vicino al Lago Nero. Lì difficilmente qualcuno li avrebbe ascoltati. «Perché mi stai evitando? È da quando siamo tornati dalle vacanze che tento di parlarti».
Noah sgranò gli occhi e la fissò sorpreso, come se non si aspettasse quelle parole. «I-io p-pensavo che tu ce l’avessi con me» rispose come se fosse ovvio.
«Perché dovrei?» replicò Virginia altrettanto sorpresa.
«Perché se ti avessi dato un passaggio, non saresti stata rapita».
Virginia annuì. Era vero, se Noah gli avesse dato un passaggio non sarebbe mai stata beccata dai goblin. «Tu volevi darmelo il passaggio» gli disse gentilmente. Il Tassorosso aveva gli occhi rossi e non la guardava. Virginia allora gli prese le mani nelle sue. «Perché non metti i guanti? Hai le mani tutte rovinate» sussurrò, accarezzandogliele.
«Mi dispiace, Virginia. Ti ho evitato perché pensavo che non mi avresti mai perdonato e mi vergogno tantissimo».
«Noah, guardami!» gli ordinò Virginia. «Non è colpa tua, non è colpa tua se tuo padre non ha voluto aiutarmi». Istintivamente lo attirò in un abbraccio e il Tassorosso nascose il volto sulla sua spalla. Virginia sospirò: era colpa sua, era lei che aveva sbagliato più di tutti quella sera. E adesso ne stavano pagando le conseguenze anche gli altri. L’ultimo giorno di vacanza aveva chiesto al padre di andare a trovare Daniel Morris per restituirgli la tuta e ringraziarlo per bene.  Il ragazzo era stato piacevolmente sorpreso di vederla ed era stato molto gentile con lei. Eppure non avrebbe dovuto esserlo: suo padre le aveva spiegato che Daniel aveva agito troppo impulsivamente quando l’aveva trovata e probabilmente non avrebbe superato l’esercitazione, ma soprattutto avrebbe perso il privilegio di guidare i compagni nelle successive prove pratiche.
Alla fin fine Virginia era consapevole di essere l’unica responsabile di tutto quello che era accaduto, ma l’unica che gliel’aveva detto chiaramente era stata sua sorella Lauren, sinceramente l’ultima persona da cui si sarebbe aspettata una predica una volta tornata a casa. Nessun altro. Neanche suo padre le aveva rivolto una sola parola di rimprovero. Lauren poi le aveva raccontato che i loro genitori avevano litigato aspramente dopo la sua scomparsa e che il padre aveva inoltrato al Wizengamot la richiesta per avere l’esclusiva tutela della figlia minore e una restrizione nei confronti dell’ex-moglie e della sua famiglia finché Virginia non avesse compiuto diciassette anni.
Noah si liberò dall’abbraccio e cominciò a tossire.
«Non hai una bella tosse. Dovresti andare da Madama Williamson» gli disse Virginia preoccupata.
«Tranquilla, sto bene» borbottò il Tassorosso. «Entriamo, qui fa troppo freddo».
«Certo scusa» replicò subito Virginia, maledicendosi per averlo trascinato fuori dal castello. «Andiamo in biblioteca insieme, allora?» gli chiese una volta raggiunta la Sala d’Ingresso.
«Sì, se non ti infastidisco» mormorò Noah.
«No, al contrario io e Martha gradiremo il tuo aiuto in Babbanologia ed Erbologia» gli sorrise Virginia.

*

«Buonasera gente, come va?» chiese sorridente James, stravaccandosi su un divano scarlatto.
Ormai la Stanza delle Necessità assumeva sempre lo stesso aspetto quando si riunivano: metà con divanetti con i colori delle loro Case e un tavolo su cui scrivere, metà con tutto l’occorrente per allenarsi (la parte preferita da Jack e James).
«Non siamo qui per chiacchierare, Potter» sibilò Jack, seduto compostamente su un divanetto giallo.
«No, ma io sono il capo e mi devo preoccupare se i mei uomini stanno bene o male, no?».
«Non siamo i tuoi uomini» sbottò Jack.
Brian, però, apprezzava molto il modo di fare di James Potter: riusciva a metterli al proprio agio e si preoccupava realmente per loro. Qualche giorno prima aveva sgridato Mike Zender perché dava fastidio a lui e Drew. Brian aveva preso l’abitudine di sedersi accanto a James, durante le riunioni, poco interessato alla differenza di Casa e il Grifondoro, sebbene Brian non ne fosse pienamente consapevole, l’aveva preso sotto la sua ala protettiva.
«Abbiamo molto di cui parlare» sospirò Albus, sperando che James e Jack non avessero intenzione di iniziare a discutere.
«Per me non c’è problema, ma ognuno di noi qui ha le sue preoccupazioni» replicò James.
«E le metteremo da parte per il Bene Comune» ribatté Jack aspramente. James si strinse nelle spalle: non era d’accordo al cento per cento, ma non avrebbe insistito.
«Iniziamo?» chiese allora Albus. Tutti assentirono e il ragazzo esordì: «Io e la professoressa Spinett stiamo ancora traducendo il grimorio di Kyla, ma fin ora non è risultato nulla di particolarmente utile per noi. Voi avete riflettuto su quello che ci siamo detti l’ultimo dell’anno?».
«Certo» rispose immediatamente Jack. «Mi sono fatto comprare anche dei libri di Incantesimi legati alle Antiche Rune da Sylvester. È magia molto avanzata e antica. Da quando siamo tornati ci ho provato più volte, ma non è servito a molto. Forse la mia runa non è abbastanza potente».
«Proviamo a vedere come si comunica, intanto?» propose meditabondo Jonathan.
«Beh, da quello che c’è scritto sul grimorio non dovrebbe essere difficile» replicò Albus, tirando fuori la sua runa. La strinse per qualche secondo. La reazione dei compagni non si fece attendere.
«Si è riscaldata davvero!» disse sorpresa Rose, fissando la sua wird.
«Non mi dire che dobbiamo studiare Antiche Rune» borbottò James, poco felice dalla prospettiva, scrutando criticamente il simbolo apparso dietro la sua runa.
«È ass, la runa della comunicazione intelligente. Indica anche il successo a un esame. Che cosa vuoi dirci con questa Al?» domandò Frank.
«Ci ho pensato a lungo nei giorni passati e sono arrivato alla conclusione che chi non segue Antiche Rune potrebbe avere difficoltà» replicò Albus. «Perciò ho pensato che potremmo utilizzare un numero ristretto di simboli, mettendoci d’accordo sul loro significato. Per esempio ass potrebbe indicare la necessità di parlare e quindi di riunirci».
«Mi sembra sensato» concordò Jack, prendendo una pergamena dallo zaino e iniziando a copiare la runa in questione.
«E quali altre hai in mente?» chiese Virginia.
«Se voi siete d’accordo, pensavo a reid per indicare la necessità di compiere una viaggio, in senso anche di ricerca; wynja per indicare che una determinata situazione è tranquilla; hagal, al contrario, per comunicare guai in vista; infine naud per chiedere aiuto» spiegò Albus. Gli altri si mostrarono immediatamente d’accordo e, mentre James copiava le rune a sua volta in modo da impararle, Albus riprese a parlare: «Ho scoperto un’altra cosa in questi giorni. Non so se abbiamo sbagliato a tradurre o meno, l’ho già fatto presente alla professoressa Spinett, ma il simbolo della runa con cui comunicare può essere tracciato con le dita». E, così dicendo, con l’indice tracciò reid sul retro della sua runa e quella apparve per un attimo, per poi scomparire e riapparire su ciascuna delle rune degli altri undici.
«Ma tu prima l’hai semplicemente stretta in mano!» protestò Virginia.
«Infatti si può fare in entrambi i modi, ma credo che il più sicuro sia quest’ultimo. Quanto meno per evitare quello che è accaduto quando ci hai chiesto aiuto. E poi così sono più facili da controllare» replicò Albus.
«Ora non ci resta che aumentarne il potere» esclamò Jack. «Possiamo fare un elenco di buone azioni e…».
«No» lo interruppe Albus. «Non è così che funziona. Le buone azioni devono essere spontanee».
«Per essere un Tassorosso, non sei molto virtuoso» buttò lì James per infastidire Jack.
«Il Cappello Parlante aveva bevuto tutte le riserve di sherry della Cooman, la sera che mi ha smistato» fu la risposta di Jack.
«Credo che non ci sia altro da dire sulle rune» si affrettò a dire Albus, temendo che i due ragazzi iniziassero a litigare. «Mi raccomando, però, di non indossarle più, ma tenerle ugualmente a portata di mano. E naturalmente dobbiamo cercare di rafforzare la nostra virtù».
«Di che altro dobbiamo parlare?» chiese Rose, sbadigliando e stiracchiandosi su un divano scarlatto che aveva occupato da sola.
«Degli Squibs» rispose Albus. «Jack mi ha detto che ha delle novità».
Il Tassorosso annuì e divenne serio. «Durante le vacanze ho partecipato a una loro riunione. Nathan, uno dei figli di mia madre, è un magonò e gli Squibs l’anno avvicinato perché sanno che suo padre, Sylvester Spencer-Moon, ha una camera blindata alla Gringott da fare invidia anche alle famiglie purosangue più antiche. Nathan ha deciso di combattere per il riconoscimento dei propri diritti e Sylvester ha promesso che l’avrebbe aiutato. Devo ammettere che alla riunione ho scoperto parecchie cose interessanti».
«Non ti hanno cacciato perché sei un mago?» gli domandò Roxi, ancora ferita per essere stata rifiutata dagli Squibs che disegnavano sui muri di Diagon Alley.
«No. Il loro capo è stato contento del mio interessamento e di quello di Sylvester» replicò Jack.
«Chi è il loro capo?» chiese James, precedendo Roxi.
«Tamisha Yaxley» rispose Jack. «Ha studiato fuori dalla Gran Bretagna. I suoi genitori hanno pensato che sarebbe stato meglio per tutti, visto che è una magonò. Ha viaggiato a lungo e ha valutato la condizione dei magonò negli altri paesi. È tornata in Inghilterra da qualche anno contro il volere della famiglia ed è stata diseredata, ma si sta organizzando per ottenere il riconoscimento dei Diritti dei Magonò da parte del Ministero della Magia. Ha contatti anche con magonò stranieri».
«Ha intenzione di appoggiare i Neomangiamorte?» chiese titubante James. La Gazzetta del Profeta aveva scritto di tutto e di più sugli Squibs, mettendo in luce la grande inventiva dei suoi giornalisti.
«No, non credo proprio. È nata in una famiglia purosangue, sa perfettamente come quella gente ragiona. Se vuole raggiungere i suoi obiettivi deve interagire diplomaticamente con il Ministero» rispose Jack. «A mio parere dovremmo aiutarli».
«E come?» chiese perplesso Emmanuel.
«Si potrebbero fare delle ricerche di magisprudenza, collaborare alla stesura della Dichiarazione dei Diritti con nostre proposte e soprattutto sensibilizzare il Ministero, specialmente il Ministro» replicò Jack, lanciando un’occhiata eloquente ai Weasley e ai Potter presenti.
«Se ne occupa Al» esclamarono in coro James e Rose.
«Eh? Perché io?» sbottò Albus preso in contropiede.
«Perché mia mamma ti darà retta» rispose Rose, come se fosse ovvio.
«Posso occuparmi io delle ricerche» propose Jonathan.
«E io posso aiutarlo» soggiunse Virginia.
«Divertitevi» concesse James.
«Chi altri c’era alla riunione?» indagò Roxi particolarmente curiosa.
«Un sacco di persone, molte donne» rispose Jack con un’alzata di spalle. «Mi ha colpito la presenza di Josh Audley, il fratello del Cercatore dei Cannoni di Chudley, e di Amelia Byrne la nuova titolare del Paiolo Magico. Non ci crederete, ma c’era anche Constant Bulstrode».
L’ultima affermazione Jack l’aggiunse abbassando la voce come se rivelasse chi sa quale segreto, ma molti dei presenti scoppiarono a ridere.
«Ma che vai dicendo, Fletcher?» lo tacitò Rose.
«Infatti, Bulstrode è un professore di Hogwarts che c’entra con gli Squibs?» soggiunse Emmanuel.
«È un magonò, per questo non usa mai la magia» insisté Jack.
«Ma sei sicuro?» replicò James, leggermente scettico.
«Sicurissimo».
«Altri nomi interessanti?» domandò Virginia.
«Sylvester mi ha presentato Corinna Bobbin, ha un sacco di soldi perché la sua famiglia possiede una fiorente catena di farmacie. Lei è una dei più colti del gruppo: ha studiato in un università babbana» rispose Jack.
«Va bene, aiuteremo gli Squibs allora» riassunse James, battendo le mani. «Ora, passiamo a fatti, come si suol dire, di politica interna. Come cavolo è possibile che un centinaio di elfi domestici sono stati avvelenati senza che qualcuno se ne accorgesse?».
Jack roteò gli occhi. «Potter, non l’ha capito neanche la Preside. Piuttosto, gira voce che Paciock sia stato visto uscire dal dormitorio del sesto anno di Grifondoro con una boccetta in mano. Dal tuo dormitorio».
«La gente non si fa mai gli affari propri» bofonchiò James.
«Ma è falso, no?» intervenne Brian, che aveva ormai sviluppato una fiducia cieca nel ragazzo. «Tu non hai fatto nulla a quei poveri elfi».
«Non c’entro nulla con questa storia» lo rassicurò James. «Ma è vero che zio Neville mi ha sequestrato qualcosa… non solo a me eh…».
«Oh, Merlino» sbottò Albus. «Ti sei fatto beccare la Pozione Polisucco?».
L’espressione imbarazzata di James rispose eloquentemente alla domanda, facendo imprecare Rose e Jack.
«Sei un idiota» sbottò il Tassorosso.
«Non è colpa mia» si lagnò James. «L’avevo nascosta nel baule! Non pensavo avrebbe utilizzato strani incantesimi per perquisire la camera! E soprattutto non pensavo che avrebbero mai perquisito i Dormitori!».
«Sei nei guai?» chiese preoccupato Albus. La Pozione Polisucco era illegale, senza contare che gli studenti avevano il divieto di distillare pozioni senza il permesso di un docente, preferibilmente quello di Pozioni.
«No, ho raccontato ai miei compagni che era un filtro d’amore. Zio Neville mi ha fatto il macello e ha coinvolto Williams. Ho fatto capire loro che serviva ai Dodici, ma non ho fornito altre spiegazioni e naturalmente non sono contenti» sospirò James, poi cogliendo l’espressione spaventata di Virginia, Jonathan ed Emmanuel sbuffò: «Non farei mai i vostri nomi, anche se dubito che Mcmillan crederà mai che io sia riuscito a distillare una pozione del genere da solo. Comunque ho trascorso tutta la settimana a lavare piatti, quindi non vi lamentate. E la cosa peggiore è che zio Neville ha tolto cinquanta punti a Grifondoro».
«Che cosa?!» urlò Rose. «E poi fate la morale a me! Non vinceremo mai la Coppa delle Case così».
James la guardò male, ma non commentò così come tutti gli altri Grifondoro presenti.
«Vi ricordate le nenie magiche di cui vi ho parlato?» chiese Jack, cambiando discorso, sebbene lo divertisse immaginare Potter intento a lavare piatti alla babbana.
«Hai scoperto qualcosa?» lo sollecitò Albus.
«No, ma Kymia ha promesso di mandarmi alcuni libri con un suo compagno. Dobbiamo aspettare la prossima tappa delle Olimpiadi Magiche» rispose Jack.
«Prima di sciogliere la riunione» prese la parola James, «io e Jack abbiamo stilato una lista di tutti coloro che potrebbero essere attaccati dagli aspiranti Neomangiamorte».
«Ne abbiamo fatta una copia ciascuno» soggiunse Jack, distribuendo le pergamene in questione.
«Ma sono tantissime persone» esclamò Frank.
«Come facciamo a proteggerle?» domandò Dorcas, parlando per la prima volta.
«Faremo attenzione in generale a tutti coloro che ci circondano» replicò James.
«In più sorveglieremo quelli che rischiano di più» continuò Jack.
«Per esempio, Emmanuel, tu ti devi occupare di tua cugina Selene e possibilmente di Harry Canon. Qualcuno dei tuoi amici può aiutarti? Non devi parlarli dei Dodici» riprese James.
«Lo faranno, non ti preoccupare. Vigilerò su Selene e su Canon» assicurò Emmanuel.
«Ottimo. Brian, tu devi stare attento ai tuoi compagni. Louis dovrà guardarsi le spalle e anche Sarah Burke. Drew Jordan è il figlio di Lee Jordan, prima membro dell’Esercito di Silente e poi dell’Ordine della Fenice. Naturalmente anche gli altri rischiano. Non vorrei volessero finire il lavoro con Miki Fawley. Insomma state attenti: non andate in giro da soli e soprattutto non uscite di notte dai vostri Dormitori. Questo vale per tutti, naturalmente» disse James e suo fratello e i suoi cugini non l’avevano mai visto così serio.
«Scorpius, tu e i tuoi amici dovrete tenere d’occhio Orion e Milly Zabini» aggiunse Jack.
«Sarà fatto» rispose il ragazzo.
«Jack, tu ti occuperai di Samuel, Arthur e Amber Steeval. Mi raccomando» continuò James.
«Non sono un pivello, Potter» ribatté il Tassorosso.
«Dorcas, dai un’occhiata ad Alan Avery e avvertì Edward Zabini di stare attento» disse James.
«Eddie, non è stupido. Starà attento e ci darà una mano» esclamò Scorpius.
«Per quanto riguarda il ragazzi del sesto e del settimo anno, ci limiteremo ad avvertirli. Non possiamo stare dietro a tutti. E comunque adesso ci sono anche gli Auror dentro la Scuola» concluse Jack.
«Bene, penso che per oggi abbiamo concluso» annunciò Albus.
«Mi raccomando» li fermò, però, James, «se scopro che siete usciti di notte o che non vi muovete almeno in coppia, vi giuro che ve la vedrete con me, indipendentemente dal fatto che i professori vi abbiano beccati o meno. Chiaro?».
Tutti annuirono, pensando che non fosse proprio il caso di contraddirlo.
 
*

Jonathan arrivò appena in tempo alla lezione di Pozioni. Era stato in biblioteca e aveva perso la cognizione del tempo. Trovava molto interessanti i trattati di magisprudenza. Sorrise a Dexter e prese posto accanto a lui.
«Non mi dire che eri di nuovo in biblioteca?» gli chiese Kumar Raj.
«Sì, te l’ho detto: sto facendo un’ importante ricerca. Per il resto tutto bene? O avete visto qualcosa di insolito?» sussurrò Jonathan.
«Tutto normale» gli comunicò Dexter.
Jonathan aveva spiegato agli amici che dovevano tenere gli occhi bene aperti e loro non l’avevano deluso, appoggiandolo all’istante.
«A meno che non consideri le Malandrine che fanno uno scherzo a John Dawlish, l’Auror responsabile della pattuglia presente a Scuola» disse divertito Kumar.
Jonathan roteò gli occhi pensando a come avrebbe reagito Albus scoprendolo.
«Ragazzi, credo di avervelo già chiesto, ma ritengo di dovervelo richiedere. Sapete che i G.U.F.O. dovrete affrontarli a giugno, cioè tra cinque mesi, e non tra un anno?» chiese Mcmillan, ottenendo l’attenzione di tutta la classe.
«Certo che lo sappiamo, professore» intervenne Divina Danielson.
Jonathan si passò una mano sul viso: quella ragazza era proprio stupida.
«Forse dovremmo spiegarle che significa domanda retorica» sussurrò Kumar. Jonathan e Dexter ridacchiarono.
«Curioso, signorina Danielson, ma tu sei una di quella che mi fa preoccupare di più» ribatté Mcmillan con la consueta severità. «Ho pensato che per aiutare chi ha più difficoltà la soluzione migliore sia farlo lavorare con chi è più bravo. Quest’ultimo dovrà in pratica fare da tutor al compagno con più difficoltà».
«E chi fa da tutor che cosa ci guadagna, signore?» domandò Annabelle Dawlish.
«Punti per la sua casa e, molto più importante, la consapevolezza di aver compiuto una buona azione» ribatté Mcmillan.
La Dawlish aveva la faccia di chi preferiva di gran lunga i punti.
«Fantastico, posso fare da tutor?» chiese Modesty Danielson.
Jonathan, Kumar e Dexter scoppiarono a ridere guadagnandosi parecchie occhiatacce.
«No, signorina Danielson. Forse dimentichi che al momento la tua media è Desolante? Piuttosto il signor Goldstain ti farà da tutor» ribatté il professor Mcmillan.
«Cosa? Ma professore, mi è solo scappato da ridere» tentò Jonathan.
«L’avevo già deciso, Goldstain. Come tutte le altre coppie. Vi prego di sedervi insieme, man mano che vi chiamo» disse il professore.
Jonathan, per nulla contento della piega presa dalla situazione, prese il suo zaino e si sedette vicino a una scontenta Modesty.
«Guarda che non ho bisogno del tuo aiuto» ringhiò la ragazza. «Sono molto più brava».
Jonathan ne dubitava fortemente. Se quelli erano i presupposti, non voleva neanche immaginare che cosa sarebbe accaduto dopo.
A Dexter e Kumar non andò meglio perché si beccarono le altre due gemelle Danielson.
Virginia rivolse uno sguardo sconsolato a Jonathan, mentre si spostava accanto a Harry Cartemole. Ma dopotutto a lei era andata molto meglio.
«Non posso stare io con Geoffrey, professore?» chiese Dorcas.
«No, tu hai bisogno di aiuto. Ti ho messo con Yaxley per questo motivo» replicò il professore.
Tutto sommato a Geoffrey non era andata male: era con Martha.
«Molto bene, potete cominciare a lavorare. Oggi vi eserciterete distillando un antidoto per veleni comuni. È ripetizione, perciò mi aspetto che facciate un buon lavoro» li istruì il professor Mcmillan. «E la valuterò, naturalmente».
Naturalmente, pensò angosciato Jonathan. «Che stai facendo?» sbottò bloccando la compagna appena in tempo.
«Sto mettendo il bezoar e le bacche di vischio nel calderone. C’è scritto nella ricetta» rispose con sicurezza Modesty.
«Ecco perché hai D» borbottò Jonathan.
«Mi stai prendendo in giro?» scattò Modesty. «Professore! Jonathan mi prende in giro».
Il ragazzo rimase a bocca aperta.
«Non è vero» biascicò a Mcmillan che si era avvicinato. «Stava per mettere tutti gli ingredienti nel calderone senza pesarli!».
«Goldstain, il tuo compito è quello di guidare la tua compagna» disse il professore in tono neutro. Poi si rivolse alla classe: «Facciamo così. Mi aspetto che, essendo una pozione già studiata, prendiate tutti la sufficienza. Almeno. Premierò i tutor che ci riescono con dei punti extra, al contrario ne toglierò a chi non riesce. E il tutor deve solo guidare il suo compagno, non realizzare la pozione al suo posto». Varie occhiate scioccate risposero alle sue parole, ma furono totalmente ignorate. «Buon lavoro».
Jonathan prese un bel respiro e poi si rivolse nuovamente a Modesty. «Allora, ascoltami. Vogliamo tutti e due un buon voto, no? Perciò cerchiamo di collaborare, ok?».
«Sì, va bene. Che devo fare?» capitolò immediatamente Modesty.
Il Corvonero s’insospettì per la facilità con cui l’aveva convinta, ma non aveva altra scelta che procedere. «Metti il bezoar nel mortaio e pestalo ben bene».
Quell’operazione richiese molto più tempo del previsto: la prima volta Modesty stava per mettere nel calderone un bezoar fatto a pezzettini. «Devi ridurlo in una sottilissima polvere» spiegò paziente Jonathan.
«Era ora» sbottò Modesty, quando il ragazzo le permise di versare la polvere di bezoar nel calderone. «Di questo passo non finiremo in tempo».
Jonathan si trattenne dallo sbattere la testa sul banco e le indicò l’ingrediente successivo, assicurandosi che non sbagliasse le dosi.
I trenta minuti di fermentazione, richiesti dalla pozione, furono un tormento per il Corvonero. Modesty riusciva a sparlare su tutto e su tutti a una velocità sorprendente e a nulla valsero i richiami del professore.
«Aggiungi il corno di unicorno» istruì Jonathan stancamente. «E gira due volte in senso orario».
Modesty eseguì, ma si distrasse ascoltando una delle sorelle e, se Jonathan non l’avesse fermata, avrebbe girato una terza volta in senso antiorario.
«Ora puoi aggiungere le bacche di vischio, dopo gira di nuovo due volte, però in senso antiorario. Solo due volte, mi raccomando».
«Sono sicura che prenderemo una E!» commentò estasiata Modesty.
Jonathan non replicò, ma a suo parere sarebbe già stato tanto se avessero preso una O. Avevano lasciato fermentare la pozione per almeno un paio di minuti più del dovuto. Modesty aveva la capacità di stordirlo con le sue chiacchiere.
«Perfetto, tempo scaduto. Versate la vostra pozione in una fiala e consegnatemela» ordinò il professor Mcmillan.
Jonathan obbedì.
Per il resto della giornata il Corvonero tentò di evitare Modesty che voleva per forza fare i compiti con lui quel pomeriggio. Peccato che ne avessero già altri per il giorno successivo.
Sospirò, prendendo posto accanto ad Albus in biblioteca. «Che fate?» chiese sorpreso. Albus era seduto con Arya Wilkinson, Alastor e Annie Ferons.
«Un’idea di Mcmillan. Dorcas mi ha detto che ha fatto qualcosa di simile anche con voi» rispose Albus.
«Ci ha divisi in coppie» sospirò affranto Jonathan. «Io sono con Modesty Danielson».
«Mi dispiace per te» commentò Albus, solidale.
«A noi è andata bene. Mcmillan ci ha divisi in gruppi. Arya è la nostra tutor» spiegò Alastor.
«Tutti noi vogliamo superare il G.U.F.O. in Pozioni, perciò abbiamo deciso di studiare insieme almeno un’ora a sera» disse Albus.
«Mi sembra una buona idea» disse Jonathan.
«Se vuoi puoi unirti a noi» propose Arya. «Sei molto bravo e con il tuo aiuto, potremo fare ancora meglio».
«Va bene, grazie» rispose contento Jonathan. «Ma per stasera, temo che non sia possibile. Devo finire il tema di Trasfigurazione».
Gli altri assentirono e tornarono al loro lavoro.

*

Scorpius si passò una mano tra i capelli. Era tutto sudato e non desiderava altro che andarsi a fare una doccia e poi andarsene a letto. Le nuove selezioni erano state stancanti, soprattutto a causa delle proteste di coloro che erano stati scartati. Alla fine, però, era molto soddisfatto delle sue scelte: Alex avrebbe funzionato benissimo come cacciatrice insieme ad Amy e Lucy; mentre Evelyn Jenkins, sesto anno, sembrava andare d’accordo con Emmanuel e avrebbero lavorato bene come battitori.
«Posso parlarti un attimo?».
«Sì, signore» replicò Scorpius, fermandosi alla richiesta del professor Delaney. L’uomo aveva assistito alle selezioni ma, a differenza di quanto il ragazzo avesse temuto, non si era mai intromesso.
«Posso conoscere la tua versione di quanto è avvenuto durante la prima partita del campionato?».
Scorpius sorpreso dalla richiesta, obbedì e gli raccontò la loro disfatta nei minimi particolari.
«Ed è per questo che hai cacciato Roockwood e Parkinson dalla squadra?».
«Sì, signore. Era incompatibili con gli altri giocatori e l’ha visto tutta la Scuola. Si sono lamentati con lei, signore?» chiese Scorpius, improvvisamente colto da un’illuminazione.
«Secondo te?» replicò con un lieve sorriso Delaney.
«Che intenzioni ha, signore?» domandò allora Scorpius.
«Nessuna. Sei tu il Capitano, hai tutto il diritto di procedere come meglio credi. Abbiamo speranze contro i Corvonero?».
«Allenerò duramente la squadra e c’è tutto il tempo per far inserire i nuovi membri, signore» spiegò serio Scorpius. «Ho tutta l’intenzione di vincere».
«Bene, mi piace molto il Quidditch» commentò il professore con un sorriso.
«Che ne dice dei due nuovi membri, professore?» indagò Scorpius, tentando di capire anche se l’uomo volesse interferire come amava fare la Shafiq.
Delaney si strinse nelle spalle. «Sembrano bravi. Non me ne intendo, però. Adoro il Quidditch, ma sono sempre stato un disastro sulla scopa. Durante la mia prima lezione di volo, al primo anno, sono riuscito a farmi abbastanza male da essere portato d’urgenza in infermieria. E non mi ero alzato neanche da terra» borbottò.
A Scorpius scappò una risatina e costringendosi a tornare serio, si scusò.
«No, tranquillo. Fa ridere, lo so».
Scorpius sorrise: il nuovo Direttore prometteva bene.
 
*

«Alastor!» quasi urlò Albus entrando nella loro camera.
L’amico, seduto sul letto, sobbalzò. «Che succede?» si allarmò.
«Come che succede?» ripeté spiazzato Albus, poi sospirò. «Senti, mi dispiace. Io…».
«Al, che c’è?» chiese Alastor.
«Williams mi ha chiesto perché non eri in classe e io ho risposto che non lo sapevo!» sbottò Albus. «Scusami, gli altri mi hanno fatto un macello. E hanno ragione. Bastava che dicessi che non ti sentivi bene».
«Tranquillo, Al. Non fa nulla» provò a calmarlo Alastor.
«Come no? Williams lo dirà a zio Neville! E tuo padre è un insegnante, lo saprà!».
«Al, non è colpa tua. Sono io che ho saltato le lezioni» sospirò Alastor.
«Sì, ma io avrei dovuto coprirti. Rose, ha ragione. Sono un pessimo amico» gemette Albus, lasciandosi cadere sul letto di Alastor.
«Ti prego, non iniziare a dare ragione a Rose» ribatté Alastor. «Al, tranquillo sul serio. Chiederò scusa a Williams. È la prima volta che lo faccio, per cui spero che chiuda un occhio».
«Ma perché non sei venuto?» chiese Albus.
Alastor sospirò e gli indicò i quaderni sparsi sul letto. «Mi mancava l’ultimo. Non sono riuscito a resistere fino a stanotte».
«Non capisco» ammise Albus. Non voleva forzare l’amico.
«A Capodanno, io e mio padre siamo tornati a casa perché mia zia Adelaide pretendeva che l’intera famiglia si riunisse almeno una volta. Mio padre ha detto che, quando erano piccoli, lo facevano sempre, poi, crescendo, hanno iniziato ad allontanarsi. Soprattutto dopo che mio padre si è sposato con quella che per tutti era una babbana. Mia zia è tradizionalista: mio padre era l’erede della famiglia, una delle Sacre Ventotto, e avrebbe dovuto sposare una donna di una famiglia altrettanto purosangue. Ora che mia madre non c’è più, zia Adelaide spera di aggiustare le cose. Il pranzo di Capodanno era una scusa per presentare a mio padre una possibile seconda moglie. Una moglie che deve dargli un erede degno della famiglia».
«Alastor, io…» iniziò Albus senza sapere che cosa dire.
«Mio padre non ha detto nulla, ma quella sera stessa siamo tornati a Hogwarts. Io non ho avuto il coraggio di fare domande e lui non mi ha detto nulla. Ho deciso di scrivere a Ninfadora. Lei mi ha risposto, che è giusto così. Nostro padre si deve risposare e stavolta con una persona alla sua altezza» continuò Alastor. «Comunque non è questo il problema. Sinceramente, non so come mi sento in merito. L’idea di essere sostituito, non mi piace».
«Non piacerebbe a nessuno» lo consolò Albus.
«A Capodanno, però, ho sentito mio padre e mia zia parlare. Zia Adelaide si lamentava perché tutte le cose di mia madre erano state stipate in una delle stanze della villa e, secondo lei, mio padre avrebbe dovuto dare ordini agli elfi di buttare tutto» riprese a raccontare Alastor. «Non so cosa abbia risposto mio padre, perché ho approfittato della loro distrazione e sono andato a dare un’occhiata. Mia madre è sempre stata distante, specialmente con me, e ho sentito la necessità di scoprire qualcosa in più su di lei. Non ho trovato un granché all’inizio, insomma c’erano vestiti e gioielli. Non avevano alcun valore per me. Poi, in uno scatolone, insieme ad altre cianfrusaglie, ho trovato questi».
Albus osservò con più attenzione i quaderni sul letto.
«Sono una specie di diari personali» spiegò Alastor. «Tutte le volte che ho potuto senza insospettire mio padre, mi sono chiuso qui a leggere; poi siete tornati voi e allora ho avuto meno tempo. Non mi andava di spiegarvi che cosa fossero, così leggevo la notte. Mi mancavano le ultime pagine e non sono riuscito ad aspettare fino a stanotte. Sentivo che era molto più importante della lezione di Williams».
Albus annuì. «Hai trovato le risposte che cercavi?».
Alastor sospirò e abbassò lo sguardo. «Alcuni quaderni sono molto vecchi. Risalgono agli ultimi mesi della guerra contro Voldermort. Mia madre era contenta, finalmente la sua famiglia la degnava di attenzione e le affidava un compito importante: uccidere Kingsley Schacklebolt, uno dei membri più importanti dell’Ordine della Fenice e uno dei più fedeli di Albus Silente».
«Le cose sono andate diversamente, però» disse Albus, ricordando quanto Alastor gli avesse raccontato qualche mese prima.
L’altro ragazzo annuì. «Faith Rowle ha trovato in mio padre un uomo diverso da quello che la sua famiglia le aveva descritto. Ha cominciato ad affezionarsi a lui e poi la guerra è finita. Mio padre è diventato Ministro della Magia ad interim e i Rowle hanno perso il loro potere». Si fermò un attimo, come perso in ricordi dolorosi e riprese: «Mi voleva bene. Voleva che fossi come mio padre, per questo era così dura. Ma io non sono mai stato come lui».
«Tuo padre ti vuole bene lo stesso, no?» mormorò Albus.
Alastor annuì. «Però è sempre stato preso dal suo lavoro. Essere il mago più importante della Gran Bretagna, dopo tuo padre s’intende, ha il suo prezzo. Ma quando eravamo insieme non ha mai tentato di cambiarmi e rendermi simile a lui».
«Ora che non è più Ministro, va meglio?».
«Molto meglio. È sempre molto disponibile. Durante le vacanze mi ha aiutato a fare i compiti e abbiamo parlato tanto» rispose Alastor con un mezzo sorriso. «Al, l’ultimo quaderno è…» iniziò senza trovare immediatamente le parole. «Insomma racconta di quando se ne è andata di casa a giugno. Suo padre Charles l’ha contattata dopo molto tempo e le ha detto che doveva portare al termine il suo compito. Il compito che le aveva assegnato più di venti anni fa: uccidere mio padre. Mia madre Faith è scappata. È scappata da quell’uomo, non da noi. Nel quaderno c’è scritto che si è avvicinata agli Squibs. Una certa Tamisha Yaxley l’ha aiutata a nascondersi. Mia madre, però, aveva paura. I Rowle hanno sempre più potere, grazie a Bellatrix Selwyn. Sapeva che l’avrebbero trovata a momenti. L’ultima pagina…».
«Alastor» chiamò dolcemente Albus. Il ragazzo era scoppiato in lacrime e si era coperto il volto con le mani.
«C’è scritto che qualcuno era riuscito a entrare nel suo nascondiglio… non ha finito di scrivere…» continuò Alastor. «Non si è suicidata. Sono stati gli uomini dei Rowle a ucciderla, ne sono sicuro».
Albus si spostò vicino a lui e gli pose una mano sulla spalla tremante, per fargli sentire la sua presenza. Alastor si sfogò per un po’.
«Senti, facciamo così. Io vado a parlare con zio Neville, sono un Prefetto dopotutto. Così non avrai problemi. Secondo me, però, prima di cena dovresti parlare con tuo padre. Gli Auror hanno archiviato il caso come suicidio. Com’è possibile che non abbiano letto questi diari, se erano tra le cose di tua madre?».
«Erano incantati. Se gli Auror li hanno controllati, non hanno trovato nulla. Solo pagine bianche» rispose Alastor.
«E come hai fatto a leggerli?».
Alastor si strinse nelle spalle. «Ho pensato a quella storia che racconta spesso tuo padre, quella di Piton che ha cercato di leggere per forza la Mappa del Malandrino e i Malandrini l’hanno insultato. Ho puntato la bacchetta su un quaderno a caso e ho chiesto che rivelasse i suoi segreti. L’ha fatto sul serio».
«Continuo a pensare che sia strano che non l’abbiano fatto anche gli Auror» ribatté Albus.
Alastor scosse la testa. «Sono sicuro che l’incantesimo di mia madre fosse più complesso. Solo io, mio padre o mia sorella avremmo potuto leggerli. Solo noi avevamo diritto a una spiegazione».
Albus assentì: il ragionamento filava.
«Accidenti! È davvero quasi ora di cena?!».
«Sì, ma, se non ti va di scendere, posso prendere qualcosa per entrambi e tornare qui» replicò Albus.
«Sei pazzo? No, Rose mi ucciderebbe» rispose Alastor saltando giù dal letto e raccogliendo rapidamente i diari, per poi gettarli disordinatamente nel baule.
Albus si accigliò e lo fissò preoccupato. Era impazzito.
«No, accidenti!» sbottò Alastor. Riprese i diari e li buttò nello zaino. «Andiamo, devo parlare subito con mio padre. Gli Auror devono indagare sugli assassini di mia madre».
«Non vuoi parlarci da solo?» chiese Albus perplesso, mentre Alastor lo trascinava fuori dalla loro stanza.
«Tu devi venire con me» fu l’unica risposta di Alastor. Quando giunsero all’ufficio di Kingsley, erano entrambi piegati in due per lo sforzo. Alastor ora era incerto. «Ti dispiace, aspettarmi fuori?».
Albus si accigliò. «Potrei sempre andare a mangiare qualcosa, così tu puoi parlare con calma con tuo padre».
«No, assolutamente, no» borbottò Alastor incerto, guardando ora la porta, oltre la quale c’era il padre, ora Albus. «Senti, lo so che ti sembro pazzo in questo momento, ma, ti prego, aspetta qua fuori. Cercherò di non metterci troppo».
«Va bene» rispose Albus leggermente contrariato. Non era in un corridoio deserto che aveva progettato di trascorrere la serata.
Alastor sospirò e poi disse: «Dai, entra con me».
«Alastor, non capisco cosa ti prende» sbottò Albus. «Capisco che tu voglia star solo con tuo padre, ma perché devo stare qui?».
«Entra con me. Ti prometto che ti spiegherò» replicò Alastor.
Albus sbuffò, ma accettò visto che sembrava così importante per Alastor.
Kingsley li accolse gentilmente e li offrì un thè. L’uomo rimase molto sorpreso dal racconto del figlio e dalla vista dei diari. Alla fine fissò incerto Alastor e disse: «Devo parlare con Harry di persona. Posso farlo anche domani mattina, però».
Entrambi i ragazzi colsero il messaggio. Albus si vergognò un po’, sentendosi il terzo incomodo, ma Alastor sorprese sia l’amico sia il padre. «Se vuoi andare stasera, vai. Preferirei che ne parlassimo domani con calma, devo fare una cosa importante adesso».
Albus lo fissò scioccato: aveva appena scoperto che sua madre era stata assassinata! Che cosa c’era di più importante? Anche Kingsley scrutò il figlio, probabilmente chiedendosi se stesse bene. «Sicuro?» domandò perplesso.
«Sì» disse fermamente Alastor. «È tardi. Scusami papà, io Albus dobbiamo scappare».
«Alastor» lo fermò Kingsley. Evidentemente, proprio come Albus, pensava che il figlio stesse tutto tranne che bene.
Alastor scosse la testa e lo abbracciò. «Non sto bene. E ho bisogno di parlare di quei diari» sospirò. «Ma non stasera. Ho un impegno improrogabile».
«Come vuoi» sospirò Kingsley. «Cerca di non metterti nei guai, però. Per quanto riguarda la lezione di Difesa contro le Arti Oscure, parlerò con Neville e…».
«No» lo interruppe Alastor. «Chiederò scusa al professor Williams e anche al professor Paciock. Lascia che me ne occupi io».
«Va bene. Buonanotte».
Albus e Alastor salutarono a loro volta.
«Si può sapere che ti prende? Che impegno improrogabile avresti?» chiese Albus, quando furono nel corridoio.
«Andiamo alla Torre di Grifondoro. Siamo in ritardo» replicò Alastor.
«In ritardo per cosa?» insisté Albus.
Alastor non rispose e Albus fu costretto a seguirlo. La Sala Comune non era affollata, visto che la maggior parte dei loro compagni a quell’ora era in Sala Grande per la cena. Albus non riusciva proprio a comprendere il comportamento del suo migliore amico.
«Dai, andiamo in camera» lo esortò Alastor.
Albus sospirò. Si fidava ciecamente di lui, così lo seguì ancora.
«Entra» disse Alastor appena raggiunsero la loro stanza.
Per un attimo, quando intorno a lui il mondo si riempì di coriandoli, si sentì ferito. Insomma si aspettava uno scherzo da tutti, ma non dal suo migliore amico. Però fu un attimo, perché poi i presenti urlarono: «Buon compleanno!». Lily gli saltò addosso per prima e per poco Albus non cadde a terra.
«Auguri, fratellone!».
«Grazie, Lily» disse emozionato Albus. In quel periodo tutti erano presi da così tanti pensieri, che non aveva proprio pensato che stessero preparando qualcosa per il suo compleanno. Anche perché Scorpius, Virginia e Dorcas l’avevano costretto a seguirlo nelle cucine dopo pranzo. I Grifondoro mancavano e adesso capiva il perché.
«Ci hai mai pensato che in questo momento è come se avessimo la stessa età?» chiese James avvicinandosi.
Albus roteò gli occhi. «Non dire fesserie».
«Giusto, fratellino. Meglio ricordarsi chi è il più grande» replicò James abbracciandolo. «Auguri!».
Albus ridacchiò e poi si lasciò abbracciare dai cugini e dagli altri amici presenti. L’ultima fu Alice, che gli scoccò una bacio sulla guancia. Il ragazzo la trattenne un attimo e abbassando la voce le disse: «Non hai mantenuto la promessa». Non era arrabbiato, ma di solito le Malandrine rispettavano le promesse.
«Sì, invece» replicò la ragazzina. «E, a proposito di questo, Lily ha detto che non dobbiamo più fare promesse che la coinvolgono».
«E lo scherzo alle Danielson chi l’avrebbe fatto?» chiese perplesso Albus.
Alice sorrise. «Oh, per quello che ho capito, è stata Noemi Finch-Fletchley. O almeno lei ha il merito di aver fatto diventare i capelli delle gemelle verde vomito».
«E perché Noemi avrebbe fatto una cosa del genere?». Albus proprio non capiva: non era mai stato particolarmente amico di Noemi, inoltre la ragazza, quanto meno all’inizio, si era divertita un mondo a prenderlo in giro.
«Perché Scorpius le ha promesso un bacio».
Albus sorrise. Scorpius era molto simile a James: entrambi avrebbero preso a pugni chiunque avesse osato toccare una persona a loro cara. In questo caso, però, trattandosi di tre ragazze, Scorpius aveva preferito agire da buon Serpeverde.
«Al, muoviti! Ho fame!» gridò James. «Vieni a soffiare le candeline».
Albus lo raggiunse e subito furono circondati da tutti gli altri. James e Lily avevano trovato divertente mettere sedici candeline, al posto di un semplice numero. Sorrise, perché, mentre stava per soffiare, i suoi fratelli lo affiancarono e finirono per farlo tutti e tre insieme. Era dal suo quarto compleanno che quei due facevano in quel modo. Le prime volte si era arrabbiato molto, tanto che i loro genitori riaccendevano le candeline per farlo soffiare di nuovo. Sembrava che ogni anno Lily e James ne escogitassero sempre qualcuna per fregarlo. Era diventata una specie di guerra tra loro, tanto che Ginny e Harry alla fine avevano deciso di intervenire e tenere sotto stretto controllo Lily e James. Albus se lo ricordava eccome, era il suo settimo compleanno; era stato felicissimo di aver vinto, ma poi, al momento fatidico, aveva colto lo sguardo imbronciato dei fratelli e, a dispetto delle sue intenzioni, non era riuscito a fregarsene perché si era sentito a disagio mentre tutti i parenti e gli amici di famiglia lo fissavano in attesa. A quel punto James aveva approfittato della distrazioni dei genitori, che non capivano che cosa fosse preso ad Albus, e lo aveva raggiunto, pochi secondi dopo imitato da Lily. Da quel momento Albus aveva capito che, sebbene gli facessero dispetti in continuazione, avrebbe potuto contare sempre su di loro.
Circondò entrambi con un braccio e sorrise a Roxi, che scattò loro una foto.
Erano i suoi fratelli e li voleva bene, per quanto potessero diventare insopportabili.
 

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Capitolo 28
*** L'apparenza inganna ***


Capitolo ventottesimo
 
L’apparenza inganna
 
Emmanuel ripose ordinatamente i libri nel baule e si avviò verso la porta.
«Dove vai?» lo fermò sorpreso Tobias. «Pensavo che avremmo potuto fare una partita a scacchi».
«Ho un impegno» rispose frettolosamente Emmanuel.
«Che genere d’impegno?» s’intromise Urano Pratzel.
«Non sono affari tuoi» lo ribeccò Emmanuel. Proprio non riusciva a sopportare quel ragazzino: era l’incarnazione di tutti i pregiudizi sui Serpeverde.
«Ci vediamo dopo allora» borbottò Tobias.
«Sì, ok» assentì Emmanuel. «Se non torno tardi, possiamo farci una partita» aggiunse sentendosi in colpa. Non aveva mai nascosto nulla a Tobias. E tutto sommato si sentiva alquanto stupido a nascondergli una cosa così banale. La verità è che un po’ si vergognava.
Si affrettò a raggiungere la Sala d’Ingresso, dove lo aspettava già Fabiana.
«Ciao» le disse sorridendo. «Scusa se ti ho fatto aspettare».
«Tranquillo, sono io in anticipo. Avevo bisogno di parlare con i miei fratelli» replicò Fabiana.
«Tutto ok?» le chiese notando l’espressione mesta.
Fabiana si strinse nelle spalle.
«C’entrano i tuoi?» intuì Emmanuel.
«Mia madre ha chiesto il divorzio» gli confidò la ragazza.
«Perché il divorzio tra Purosangue è ammesso?» replicò perplesso Emmanuel, dandosi subito dopo del cretino. Che importanza aveva?
«I miei non hanno firmato alcun contratto matrimoniale magico» rispose, però, Fabiana.
«Senti, se non ti va stasera… insomma, capisco…» mormorò Emmanuel, non sapendo che cosa dire.
«Ho voglia di distrarmi» sospirò Fabiana.
«Certo, mi sembra giusto» si affrettò a concordare Emmanuel. «I tuoi fratelli come l’hanno presa?».
«Gid ha detto che non gliene frega nulla. È convinto che così ci diranno sempre sì, per sentirsi meno in colpa» replicò Fabiana con una smorfia.
«E secondo te è vero?».
«No» rispose sicura la Corvonero. «Erano distratti prima, figurati ora».
«E Arthur?». In realtà Emmanuel avrebbe voluto chiederle come si sentiva lei, ma non ne aveva il coraggio.
«Male. Credo che non se l’aspettasse. È così ingenuo».
«Tu te l’aspettavi?» domandò sorpreso Emmanuel.
Fabiana si strinse nelle spalle per la seconda volta. «Speravo che si sistemassero le cose. Si spera sempre per il meglio, no?».
Emmanuel le strinse la mano, mentre procedevano nei corridoi silenziosi.
«Quello che mi preoccupa» disse a un certo punto la ragazza, «è che faranno con noi. Insomma siamo minorenni».
«Di solito i figli stanno con la madre, no?» replicò il Serpeverde, ricordando sprazzi di conversazioni tra il padre e lo zio Caspar.
Fabiana si fermò e prese le sue mani nelle sue, fissandolo dritto negli occhi. Emmanuel arrossì e percepì l’accelerazione del suo battito. «Se ciò dovesse accadere, sai quale sarà la prima decisione di mia madre?».
Il ragazzo non ebbe difficoltà a trovare la risposta nei suoi occhi acquosi. «Spostarvi di Scuola?» replicò in un sussurro.
«Se fosse stato per lei non ci avrebbe mai inscritto qui» rispose Fabiana. Gli lasciò le mani e gli diede le spalle. «Forza, siamo in ritardo».
Emmanuel la seguì come in trance e svoltarono in un corridoio più chiassoso. Prima di raggiungere l’aula da cui provenivano le voci dei compagni, la trattenne per un braccio.
«Ti prometto, che ti seguirò» disse concitato.
«Dove?». Fabiana era perplessa.
«A Durmstrang, a Beauxbatons… non è importante…».
Fabiana aprì la bocca incerta, ma Emmanuel non l’avrebbe fatta parlare. Non stavolta. Doveva dirle che cosa provava per lei, magari poi sarebbe stato troppo tardi.
«Ehi Emma, sei arrivato? Mancate solo voi» disse sorridendo Aura Rowle dalla soglia della porta, spinta via subito dopo da Milly Zabini inseguita da Hugo Weasley.
«Eccoci» rispose Fabiana.
 Emmanuel, infelice, la seguì in aula. «Buonasera, professore».
«Ciao Emmanuel, ciao Fabiana» disse contento Constant Bulstrode. «Ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare».
Emmanuel non aveva detto a nessuno dei suoi amici che si era inscritto al coro. Per lo più l’aveva fatto su sollecitazione di Fabiana, la quale sembrava tenerci molto ma non voleva essere l’unica del suo anno.
Non erano neanche una ventina di ragazzi a partecipare. Molti studenti lo ritenevano ridicolo. Per questo Emmanuel si vergognava di raccontarlo in giro, in più erano un gruppo parecchio eterogeneo e la maggior parte era più piccola di lui.
Bulstrode non aveva proceduto ad alcuna selezione, ma aveva accolto tutti indifferentemente. Nonostante ciò Emmanuel era abbastanza soddisfatto della sua voce. Se in un primo momento aveva deciso di partecipare per compiacere Fabiana e per trascorrere più tempo con lei, adesso, dopo quattro incontri, era contento di passare in modo diverso e, tutto sommato, divertente, un paio di sere alla settimana.
«Questa sera abbiamo un nuovo membro, ragazzi» disse tutto contento Bulstrode. «Ve lo dico di non disperare mai. Grazie a Gabriel, abbiamo un pianista che ci accompagnerà».
Solo in quel momento Emmanuel notò Gabriel Fawley, seduto su un banco, ma soprattutto la presenza di un enorme pianoforte dall’aria molto antica.
«Perché non mostri ai tuoi compagni quanto sei bravo, Gabriel?».
Il Serpeverde, all’invito del professore, si alzò e sedette sullo sgabellino del pianoforte. Emmanuel prese posto su un banco libero insieme a Fabiana, che gli strinse la mano. Che abbia capito?, si chiese Emmanuel, mentre l’aula si riempiva di una melodia allegra e veloce. Si ritrovò a sorridere. Forse quella ragazza, Kymia, aveva ragione. La musica era una magia potente, ma loro ne avevano dimenticato il significato.

*

«Ripetiamo un po’ di Trasfigurazione prima che vengano Annie e Martha, ok?» propose Dorcas a Geoffrey Hitson.
«Posso chiederti una cosa prima?» replicò il ragazzo, aprendo distrattamente il manuale.
«Certo» rispose Dorcas, mentre pazientemente gli trovava la pagina a cui erano arrivati.
«Albus Potter ce l’ha davvero con me?».
Dorcas scoppiò a ridere. «Non devi ascoltare le Danielson! Dovresti saperlo ormai!».
«Quindi è una loro invenzione?».
«Albus e io siamo solo amici. E, naturalmente, non è geloso di te» dichiarò Dorcas, chiedendosi per la milionesima volta perché le gemelle Danielson non potessero essere delle patite di Quidditch.
«Ma quel giorno che il cavolo ti ha morso, era veramente arrabbiato. Ha praticamente sradicato la pianta, a Paciock stava pe prendere un colpo».
Dorcas non aveva dubbi in merito, visto quanto il loro professore teneva alle piante. Fortunatamente, però, teneva più alle persone per cui non se l’era presa con Albus, ma l’aveva solamente supplicato che, se mai dovesse esserci una seconda volta, di dosare la propria energia magica.
«Ce l’aveva con le Danielson e con altri nostri compagni che continuavano a fare battute stupide. Della serie: “Pensi di dare un bacio anche al cavolo carnivoro?”. Albus sarà un ragazzo paziente, ma non ama essere preso in giro».
«Ah, ok. Ma anche lui si fa ancora fregare dalle Danielson. Ma credi che io possa veramente superare il G.U.F.O. di Trasfigurazione?».
Dorcas ridacchiò alla prima considerazione di Geoffrey: Al era un bravo ragazzo e un mago abile, ma quando si trattava di comprendere le ragazze era quasi un troll. Prima o poi avrebbe aperto gli occhi anche lui. Si narrava che Harry Potter avesse impiegato ben cinque anni ad accorgersi di Ginny Weasley. Beh, come si suol dire, tale padre tale figlio.
«Puoi eccome superare l’esame» rispose tornando seria. «Ma dobbiamo studiare».
Non era stato troppo difficile convincere Geoffrey che poteva essere un buon mago, indipendentemente dalle sue difficoltà di apprendimento. Se possiedi la magia, sei un mago. Per muovere una bacchetta non bisogna fare calcoli o leggere. A quanto pare nessuno gliel’aveva mai detto.
Nelle ultime settimane avevano trascorso molto tempo a studiare insieme e avevano avuto modo di parlare più di quanto avessero mai fatto. E Dorcas credeva di aver compreso perché nessuno l’avesse mai spinto a cercare altre qualità, che sicuramente possedeva. La madre di Geoffrey era una psichiatra e il padre un chirurgo, per quello che aveva capito si occupava di cucire parti del corpo o qualcosa del genere (le sembrava un lavoro un po’ macabro), di grande fama. Dalla descrizione fattale dall’amico, si era convinta che i due coniugi Hitson se fossero stati dei maghi, sarebbero stati due perfetti fanatici Corvonero. L’intelletto per loro era qualcosa di supremo e chi non possedeva la loro intelligenza e bravura, non era all’altezza. Dorcas credeva fermamente che l’intelligenza fosse importante, ma anche che ne esistono diversi tipi. Geoffrey, per esempio, le sembrava portato per gli sport: al primo anno aveva imparato quasi subito a volare con la scopa, molto più velocemente di compagni che si vantavano di saperlo già fare. Ed era anche carino. Per quanto questo, naturalmente, non c’entrasse con l’intelligenza.
«Cominciamo» lo esortò.
Geoffrey annuì e iniziò a leggere il capitolo a voce abbastanza alta da farsi sentire dall’amica, ma non tanto da disturbare gli altri studenti presenti in biblioteca.
 
 
*

«Rose, questa pozione è difficile. Ti prego, concentrati» sussurrò Scorpius.
La Grifondoro lo fulminò con lo sguardo, ma fu solo un attimo. La sua attenzione era tutta per Deborah Kendall, che faceva sempre troppe moine al Serpeverde da quando Mcmillan aveva avuto la stupidissima idea di affidarglielo come tutor.
«Kendall».
«Cosa c’è Weasley? Invidiosa perché la mia pozione è migliore della tua? Vero, Scorp?» sibilò la ragazza in risposta, avvicinandosi sempre di più a Scorpius.
Il Serpeverde, avendo colto l’occhiata omicida di Rose, iniziò a sudare freddo, totalmente pentito di essersi seduto in mezzo a quelle due. Insomma aveva pensato che in questo modo avrebbe potuto controllarle meglio. Le volte precedenti avevano litigato perché volevano stargli più vicino.
«Ah, sì? Vediamo se con questa diventa perfetta allora» ribatté Rose furiosa.
«No» tentò Scorpius, ma ormai la ragazza aveva lanciato della polvere pruriginosa nel calderone della Kendall. Il Serpeverde ebbe a malapena il tempo di coprirsi il volto, mentre il calderone scoppiava inondandoli di un liquido, fortunatamente non troppo schifoso.
Naturalmente in quello stesso momento dovettero esplodere anche le pozioni di Rose, che l’aveva abbandonata a sé stessa, e di Thomas Roockwood, il quale si mise a lagnare di essere stato lasciato a sé stesso da Scorpius.
E naturalmente Mcmillan se la prese con lui. Scorpius sospirò e si disse che non sarebbe sopravvissuto fino a giugno con Rose e Deborah Kendall come compagne di banco.
 
*

Era un vero peccato che non potessero andare a Hogsmeade il giorno di San Valentino, ma Emmanuel era ben deciso a trovare una buona alternativa. Stavolta nessuno si sarebbe intromesso tra lui e Fabiana.
Sarebbe stato perfetto portarla nel parco, ma il clima era ancora troppo freddo.
Purtroppo aveva dovuto scartare anche la Stanza delle Necessità, perché sarebbe stata la meta prediletta di molti e non aveva intenzione di litigare con nessuno. Dopotutto non sarebbe stato fine durante un appuntamento. Non che fosse proprio un appuntamento, o forse sì, insomma aveva chiesto a Fabiana di trascorrere il pomeriggio insieme. Da soli.
«Ciao» le disse trepidante, schioccandole un bacio sulla guancia e porgendole una rosa finta, che al posto delle foglie aveva delle cioccolate.
«È bellissima, grazie» mormorò Fabiana arrossendo. «Che facciamo?» gli chiese, prendendogli la mano.
Emmanuel si sentì arrossire e le disse semplicemente: «Vedrai».
Desiderando trovare un posto dove avrebbero potuto stare un po’ da soli, aveva esplorato il castello come mai non aveva fatto negli anni precedenti. La fortuna era stata dalla sua parte e aveva trovato una piccola torretta deserta al settimo piano. E fu lì che condusse Fabiana. L’aveva ripulita per bene e aveva trasfigurato il pavimento di pietra in un soffice tappeto blu mare. Ci aveva messo ore a imparare quell’incantesimo, ma ci teneva troppo per arrendersi. Infine aveva riempito la piccola stanza circolare di candele galleggianti.
«Bello» disse sorridendo Fabiana.
«Oh, non è niente di eccezionale. Volevo solo fare qualcosa di carino, visto che non possiamo uscire dal castello» replicò imbarazzato.
«Sei stato bravo».
«Ho preso anche qualche dolce nelle cucine» disse il Serpeverde, temendo che calasse il silenzio.
«Allora mangiamo. Difesa contro le Arti Oscure mi mette sempre fame».
Emmanuel sorrise alla sua esclamazione.
Il timore che calasse un silenzio imbarazzante tra di loro si rivelò infondato. Passarono da un argomento all’altro senza rendersene conto, tanto che quando si accorsero che era quasi ora di cena, sembrò a entrambi che fosse passato pochissimo.
«Aspetta solo un attimo» le disse Emmanuel. Si avvicinò a Fabiana, che ricambiava il suo sguardo. «Sai… ehm… tu mi piaci». Le ultime tre parole le aveva dette così velocemente, da fargli costatare che tutte le lezioni di bon ton e compagnia bella che aveva avuto da piccolo erano state inutili.
«Anche tu mi piaci» replicò Fabiana, che non sembrava minimamente interessata all’etichetta. E gli piaceva anche per questo.
Emmanuel si avvicinò di più con tutta l’intenzione di baciarla, ma poi si fermò. E se non voleva? Avrebbe rovinato tutto.
«Puoi» sussurrò ridacchiando nervosamente Fabiana.
Il Serpeverde arrossì, ma obbedì e delicatamente poggiò le sue labbra su quelle della Corvonero. Fu solo un attimo, perché entrambi erano molto impacciati. Poi Fabiana scivolò tra le sue braccia e appoggiò la testa sulla sua spalla. «Ti voglio bene» sussurrò.
«Vuoi essere la mia ragazza?» le chiese a bruciapelo Emmanuel dopo averla aiutata ad alzarsi.
«Sì» rispose Fabiana.
Si recarono insieme in Sala Grande, ma prima di entrare il Serpeverde chiese: «La tua famiglia è davvero molto gelosa?».
Fabiana rise e gli strinse la mano più forte. «È molto unita e sì, alcuni dei miei cugini sono gelosi. Ma non credo che tu debba preoccuparti troppo a entrare in Sala Grande tenendomi la mano. Fred ha occhi solo per July, Jamie è molto protettivo ma è ragionevole. Inoltre sia lui che Al ti conoscono. Mettila così se fossi Parkinson, non faresti una bella fine».
Emmanuel roteò gli occhi: lui era perfettamente serio! «Non voglio contrasti con i tuoi cugini, se devo affrontarli lo farò subito».
«Non dire fesserie. Ti ho detto di non preoccuparti» sbuffò Fabiana. «Al massimo potresti aspettarti qualche brutto scherzo da parte di Gideon e dal suo amico Colin Canon. Non possono vedere i Serpeverde».
«Bene» commentò ironico.
«Anche voi siete in ritardo per la cena?» domandò un sorridente James Potter. A vederselo comparire così all’improvviso davanti, a Emmanuel per poco non venne un colpo. Il Grifondoro era in compagnia di Benedetta Merinon.
«Jamie, io e Emmanuel ci siamo messi insieme» annunciò Fabiana, facendo pensare al Serpeverde che lo volesse morto visto come Potter era diventato serio di botta.
«Sono contento per voi» disse James dopo interminabili secondi.
Emmanuel riprese a respirare, sorpreso da quelle parole.
«Pensavo che mi avresti ucciso» ammise Emmanuel a quel punto. «So, che sei molto protettivo verso la tua famiglia. Un po’ come Scorpius Malfoy».
«Infatti lo sono» ribatté tranquillo James. «Non bisogna mai far del male a chi voglio bene. Comunque ora dobbiamo andare. Ci aspettano. Robert inizierà a pensare chissà cosa».
«James!» lo rimproverò Benedetta.
«Uno è andato» sospirò Emmanuel, sorridendo leggermente. «Quanti ne mancano?».
«Nessuno. A parte gli scherzi, non ho bisogno del permesso di nessuno. Ci tenevo che Jamie lo sapesse, perché è sempre molto gentile e disponibile con tutti. Chiaro?».
«Chiarissimo» assentì Emmanuel e la condusse dentro la Sala Grande. Per una volta avrebbe gradito i pettegolezzi del corpo studentesco di Hogwarts.

*

«Rose, non è così che mi aspettavo di trascorrere San Valentino. Quando mi hai invitato, ho pensato che avremmo fatto ben altro» sbuffò Seby Thomas, uno degli amici di suo cugino Fred.
«Qualcosa di più importante di osservare le tattiche dei Serpeverde?» ribatté la ragazza non perdendo di vista Scorpius, che si avvicinava di nuovo a Evelyn Jenkins, la nuova battitrice. Che cosa aveva da dirle ogni due secondi?
«Abbiamo già giocato contro Serpeverde» ribatté irritato Seby. «Io mi sono stancato».
«E vattene» sbottò. «No aspetta» lo bloccò e lo tirò a sé proprio mentre Scorpius volava lì vicino.
«Se dovevi usarmi per fare ingelosire Malfoy, dovevi dirmelo» sbottò Seby dopo il bacio. «Accidenti, dovevi proprio farlo a San Valentino?».
«Io non voglio far innervosire nessuno. Sei uscito con me per pomiciare, giusto? Volevo solo non renderti completamente perso il pomeriggio» ribatté Rose.
«Sì, va beh. Me ne vado. Comunque mi farei due domande sull’eterosessualità di Malfoy, visto che ha messo un allenamento proprio oggi. E poi Fred lo ucciderebbe, se solo pensasse che provi qualcosa per te».
«Io tuoi consigli non sono graditi» sibilò Rose, fissando Scorpius che incoraggiava i compagni ad aumentare l’andatura dei giri di corsa.
Appena finito l’allenamento, Rose si avvicinò agli spogliatoi in attesa. Scorpius uscì per ultimo ridendo e scherzando con Evelyn Jenkins.
Rose s’infuriò e raggiunse i due a passo di marcia. «Non te ne frega nulla della tua reputazione?» urlò. «Non solo indici un allenamento, quando i ragazzi normali vorrebbero pomiciare e in più vai in giro con questa grassona brufolosa».
La Jenkins la fissò sconvolta, ma mai quanto Scorpius.
«Quanto ti ha pagato per farla ammettere in squadra? Non in natura, immagino» sibilò con cattiveria Rose.
«Sei impazzita!?» gridò a sua volta Scorpius, ripresosi dalla sorpresa di quell’aggressione inaspettata.
«Io? Tu! Non hai più dignità? Almeno la Kendall è carina!».
Scorpius le rivolse un’occhiata disgustata. «Non credevo fossi così. Per fortuna l’ho scoperto in tempo» sibilò lanciandole un’occhiataccia. Prese per mano Evelyn e si diresse verso il castello. «Non rivolgermi più la parola» le ordinò dandole le spalle.
Rose rimase immobile, finché i due non scomparvero dalla sua vista. Il campo da Quidditch era fiocamente illuminato a quell’ora. Mandando a farsi strabenedire il suo orgoglio si sedette sull’erba umida e pianse. Scorpius non era tornato indietro, ma doveva aver sentito il suo cuore spezzarsi.
 
 
 
*

«Amy non vede l’ora di partire. Le manca molto Ilvermorny ed è felicissima di poter rivedere i suoi amici» disse Frank, raggiungendo Roxi e prendendo posto accanto a lei.
«Buon per voi» sospirò Roxi, alzando a malapena gli occhi dal suo album. «Vedi di divertirti anche tu».
«Sì, certo, così la McGranitt mi uccide» borbottò il ragazzino tirando fuori i libri di Storia della Magia.
Roxi mise da parte l’album, quando vide entrare la Dawson in classe. «Tanto sappiamo come andrà a finire, per cui potrei anche continuare a disegnare» sbuffò.
«Di che parli?» replicò Frank. Va bene che tra i Tassorosso e i Grifondoro del quarto anno fosse difficile stabilire chi fosse il peggiore, ma non avrebbero potuto trattenersi? Per quanto credevano di poter andare avanti? Specialmente ora che c’erano gli ispettori ministeriali. La Dawson era sempre più nervosa, era evidente che le cose non si mettessero bene per lei. All’occhiata eloquente di Roxi, rispose: «Ho detto a Martin di far ragionare i suoi compagni».
«Allora andrà benissimo» commentò Roxi sarcastica. «Beh, temo che Martin non abbia capito. Queste sono le ‘munizioni’ consegnatemi da Charles Calliance, prima che tu arrivassi».
Frank aprì la bocca incredulo. «Munizioni?» ripetè, osservando preoccupato lo scatolo pieno di palline di carta, dalle dimensioni più svariate, ai loro piedi.
«Eh, già. La tua opera di responsabilizzazione non è andata a buon fine» rispose Roxi scuotendo il capo.
«Professoressa» disse Charles Calliance in quel momento, «l’ultima battaglia tra goblin e giganti che abbiamo studiato, mi ha interessato molto».
«Davvero?» replicò la Dawson sorpresa.
Frank gemette, intuendo come sarebbe finita.
«Sì, così tanto che ho invitato i miei compagni a metterla in scena. Pronti?» disse Calliance rivolto alla classe.
«Cosa?» chiese perplessa e preoccupata la Dawson.
Al via di Calliance, i Tassorosso e i Grifondoro diedero vita a un’epocale battaglia a palline di carta. In cui probabilmente il ‘ferito’ più illustre sarebbe stato il malcapitato ispettore ministeriale.
«Sembra divertente» gli sussurrò Roxi.
«Roxi!» sbottò Frank. «Non ti azzardare».
«Agli ordini» sospirò delusa la ragazzina, passando il loro scatolo a Gretel e tirando Frank, fuori dal campo di battaglia improvvisato.
«Che schifo!» gridò gli ispettore ministeriale, correndo fuori dall’aula.
«Era bava di streeler» gli urlò dietro Jacob Linch di Tassorosso. «Mica saliva!».
«Non era velenosa?!» borbottò Frank.
«Nonna Molly dice che la madre degli stupidi è sempre gravida» commentò Roxi, sedendosi a terra e iniziando a disegnare, incurante delle palline che la colpivano o che si infilavano tra i suoi capelli.
Frank non replicò, sperando che la Dawson trovasse l’autorità per mettere fine a quel delirio.

*

«Perché non abbiamo usato le scope?» borbottò James.
«Volevi sorvolare l’Atlantico su una scopa?» ribatté Jack.
«Abbiamo portato la pozione contro la nausea» annunciò la professoressa Yaxley, mettendo fine alla loro discussione.
Frank per conto suo non avrebbe mai volato con una scopa per un tratto così lungo, ma doveva esserci un mezzo di trasporto più comodo. Si sentiva molto peggio di quando aveva usato la passaporta da Londra fino a Wiswell. E d’altronde la differenza di distanza era enorme.
Hugo e Louis Weasley stavano dando di stomaco vicino a un albero, ma anche gli altri ragazzi era pallidi e sofferenti.
Dopo aver preso la pozione, Frank si guardò meglio intorno.
«Siamo in una foresta» costatò Albert Abbott. «Perché?».
«Credo sia un bosco» lo contraddisse Louis.
«Ilvermorny è molto protetta. È vietato smaterializzarsi all’interno» rispose la professoressa McGranitt, che non sembrava aver gradito più di loro il viaggio in passaporta.
«Non vi allontanate. Potter, Fletcher! Tornate immediatamente qui!» sbottò la Yaxley.
«Stavamo solo dando un’occhiata, professoressa» replicò James con un sorriso innocente.
«Non possiamo rimanere qui» disse impaziente Rick Lewis, uno degli Auror che li aveva accompagnati.
«Naturalmente, signor Lewis. Mettetevi in fila e procediamo» ordinò la Preside.
«È un po’ inquietante» sussurrò Frank ad Albus. Il bosco era buio e dovevano illuminare i loro passi con la luce della bacchetta.
«Dove ci troviamo, professoressa?» domandò Jack alla McGranitt.
«Sul Monte Greylock, nel Massachusetts, nord-est degli Stati Uniti» rispose brevemente la McGranitt.
«Che cos’è il Massachusetts, professoressa?» domandò James.
Albus, che procedeva dietro di lui, si aspettò una risposta sarcastica da parte di Jack, ma rimase deluso. A quanto pare neanche il Tassorosso lo sapeva.
«Potter, gli Stati Uniti sono formati da una confederazione di stati. Il Massachusetts è uno di questi. Il MACUSA si è adeguato per semplicità» spiegò la Preside.
Frank era più interessato alle ombre che ogni due secondi lo spaventavano, prima di rivelarsi semplicemente l’ombra di qualcuno dei suoi compagni o di un albero. Gli Auror pattugliavano la zona con attenzione, perciò se vi fossero stati pericoli avrebbero reagito prontamente.
«La cosa più assurda è che quando siamo partiti era mattina e ora è notte» sussurrò Albus a Frank.
«Sono le cinque passate» annuì altrettanto confuso Frank.
«Almeno qui non piove» disse contenta Amy Mitchell, in fila dietro di loro insieme ad Arthur Weasley. «Qui non troverete tutte le scemenze sulla purezza di sangue» comunicò loro. «Ilvermorny è aperta a tutti, ancor più di Hogwarts».
«Ecco il castello» disse Albus, indicando una forma che appariva nella nebbia.
«La nebbia deriva dagli incantesimi protettivi» spiegò Amy, che non stava più nella pelle.
Frank era sicuro che, se non fosse stata presente la McGranitt, sarebbe corsa avanti.
«Buonasera» disse Algibert Fontaine, che avevano ormai imparato a conoscere come il Preside di Ilvermorny.
Amy rimase ben nascosta dietro le spalle di Albus e a Frank venne da ridere: chissà che aveva combinato sua cugina nei due anni in cui aveva studiato a Ilvermorny.
La professoressa McGranitt strinse la mano al Preside Fontaine e i due si scambiarono i consueti convenevoli.
«Le presento il professor Brown, l’insegnante di Cura delle Creature Magiche. Vi accompagnerà all’interno, mentre io aspetto Mikhail Zaytsev, dovrebbe essere qui a momenti».
«Perché il professore ti ha fatto l’occhiolino?» chiese Frank ad Amy.
«È il padre di uno dei miei amici, quindi anche se non ho mai seguito le sue lezioni, visto che mi sono trasferita in Inghilterra, mi conosce. Possiede un allevamento di cavalli alati. L’estate tra il primo e il secondo anno io e Adam abbiamo rischiato di far abbattere uno dei suoi esemplari più belli».
«Come far abbattere?» replicò sorpreso Frank.
«L’abbiamo preso per farci un giro, ma i No-Mag ci hanno visti e il MACUSA non è stato molto contento. Brown ci ha messo un po’ a sistemare le cose, i miei hanno dovuto contribuire facendo girare un po’ di soldi».
«Tutti i Ministeri sono uguali» mormorò schifato Frank.
«In alcuni casi è meglio. Pan non aveva alcuna colpa» replicò Amy.
Non ebbero la possibilità di vedere bene il giardino, visto che era notte, ma Amy promise che avrebbe mostrato loro ogni posto il giorno dopo.
Sulla soglia vi era Alexander MacDuff, l’alfiere di Ilvermorny, il ragazzo che ormai a Hogwarts era conosciuto come il rivale in amore del Grifondoro Robert Cooper, che diede loro il benvenuto. Il ragazzo indossava la solita divisa blu e rossa della sua Scuola.
Fu, però, ancora una volta il professor Brown ad accompagnarli all’interno.
«Perché non andiamo a vedere la Sala dello Smistamento?» chiese Amy ad alta voce.
Brown si voltò verso di lei e rispose perplesso: «Non vedo per quale motivo. Sai benissimo che quella Sala viene aperta una volta l’anno». Rivolto alla McGranitt aggiunse: «Prego da questa parte».
I ragazzi di Hogwarts furono condotti in un’ala del castello, abbastanza lontana dall’Ingresso. «Abbiamo preparato appositamente dei Dormitori per accogliere le altre Scuole. Dietro questa porta vi sono le vostre stanze. Professoressa McGranitt la invito a scegliere personalmente una parola d’ordine, in modo che abbiate maggiore sicurezza e privacy».
«La ringrazio, professor Brown».
«Spero che vi troverete bene. Nel caso vi servisse qualcosa, non fatevi problemi a chiedere. La cena sarà servita alle 18:30. Uno dei nostri ragazzi si farà trovare qui fuori verso le 18:25 per farvi da guida».
«Non mi sono dimenticata dove si trova la Sala dei Banchetti» disse con un sorriso malandrino Amy.
La McGranitt le lanciò un’occhiataccia e fece per rimproverarla, ma Brown la precedette: «Non sei cambiata di una virgola Amy».
Frank vide allargarsi il sorriso sul volto della cugina e per un attimo gli sembrò di non averla mai vista sorridere così.
La Preside li fece entrare insieme alla Yaxley e rimase fuori con gli Auror, probabilmente a definire meglio il piano di protezione.
All’interno vi era una specie di salottino che dava su un corridoio. Era molto più intimo e tranquillo dello stanzone che avevano dovuto condividere in Grecia. A Frank, Albus e Louis piacque subito.
«Vi conviene sistemarvi prima che arrivi la Preside, così potete scegliere voi i compagni di stanza» li avvertì la professoressa Yaxley.
I ragazzi non se lo fecero ripetere. Dopo un rapido controllo scoprirono che vi erano tre stanze da quattro, due da tre e una da due.
«Credo che una stanza da tre sia per noi ragazze» intervenne Melissa Goldstain.
«Mi sembra scontato» concordò Tania Benson, una duellante, Corvonero, settimo anno.
«Che noia» mormorò Amy, alzando le spalle. «Avrei preferito stare in stanza con te» disse a Frank.
Il Grifondoro si strinse nelle spalle, consapevole che la Preside non l’avrebbe permesso per una questione di decoro.
Frank occupò una stanza da quattro insieme a James, Albus e Louis. Sistemarono borse e zaini e poi tornarono nel salottino in attesa degli altri compagni. Quando furono tutti pronti uscirono e, come promesso dal professor Brown, trovarono una ragazza con la divisa di Ilvermorny ad attenderli.
James gemette, mentre Albus, guadagnandosi una gomitata dal fratello, ridacchiò.
«Che c’è?» chiese Frank.
«Quella è Ophelia Grimditch. Una nipote di zio Percy. È venuta alla Tana a Natale e si è presa una cotta per Jamie» spiegò Albus. Anche Frank ridacchiò.
«Smettetela» sibilò James.
La Sala dei Banchetti era gremita di studenti dalle divise più svariate. La Preside e la professoressa Yaxley presero posto con gli altri docenti, mentre i ragazzi furono letteralmente trascinati dagli amici di Amy al tavolo dei Wampus, una delle quattro Casa di Ilvermorny. James fu molto sollevato: Ophelia apparteneva ai Tuonoalato.
«Frank! Ti presento i miei amici!» gridò Amy, fuori di sé per la gioia. «Allora Nora, Emily e Maddie le conosci, visto che sono venute da noi a Capodanno» iniziò Amy. Le ragazze in questione, in effetti l’avevano immediatamente salutato, contente di rivederlo. «Poi c’è Nicole, la più secchiona del gruppo». La ragazzina in questione roteò gli occhi, probabilmente non apprezzando la descrizione, e gli strinse la mano. «E lei è Mia».
«Quella più alla moda di tutte» ci tenne a specificare la ragazzina.
«I ragazzi sono: Holly, Adam… Adam è quello del cavallo alato». Adam, senz’altro il più alto di tutti, si affogò con il succo di zucca che stava bevendo.
«Perché tiri sempre fuori quella storia?».
«Perché è bellissima!» replicò Amy con ovvietà.
«Sì, ma non ti fare sentire da mio padre» borbottò Adam Brown, suscitando le risatine dei compagni.
«Poi ci sono Nolan», un ragazzo grassottello gli fece un cenno di saluto, «Angel, il più giudizioso». Angel gli porse la mano, lievemente rosso in volto, probabilmente per l’imbarazzo. «Chris e Davie, i combinaguai».
«Detto da te» borbottò il biondissimo Chris, suscitando l’approvazione dell’intero gruppetto.
«Buffo, i petardi con le caccabombe attaccate li hai fatti esplodere tu sotto la sedia della Newell» biascicò Davie con la bocca piena.
Al ricordo ad Amy scintillarono gli occhi.
La cena trascorse tranquillamente. Appena tutti finirono di mangiare il Preside di Ilvermorny, Algibert Fontaine, prese la parola: «Spero che il nostro banchetto sia stato di vostro gradimento. A questo punto immagino che tutti voi non desideriate che andare a riposare, ma prima devo darvi alcune indicazioni. Da domani, come tutti saprete avrà iniziò la terza fase delle prime Olimpiadi Magiche della storia. Questa volta le competizioni di Cultura Magica e le partite di Gobbiglie non si svolgeranno; i ragazzi, però, sono invitati a seguire le lezioni con gli studenti di Ilvermorny in modo da condividere le diverse conoscenze magiche ma anche stringere, si spera, durature amicizie. Domani pomeriggio si svolgeranno tre duelli; martedì tre partite di scacchi; mercoledì altri tre duelli; giovedì le ultime tre partite di scacchi; venerdì l’ultimo duello; infine sabato mattina si giocherà la semifinale tra la Fata Morgana e Hogwarts». Fece una pausa e poi concluse: «Bene, credo di aver dato le informazioni più importanti. Naturalmente il corpo docenti di Ilvermorny è a disposizione di tutti i nostri ospiti, così come gli studenti. Vi auguro una buonanotte».
 
 
James duellò il primo giorno con Ace Arslani dell’Accademia Greca. Ebbe parecchie difficoltà a vincere, ma alla fine riuscì a disarmarlo. Ancora una volta il suo scudo magico, che in quei mesi aveva migliorato ulteriormente, aveva preso di sorpresa il suo avversario, colpito dalla sua potenza e James ne aveva approfittato immediatamente.
La settimana stava trascorrendo rapidamente e sarebbe stato anche bello se Ophelia non lo avesse torturato ogni due secondi. Le aveva detto un sacco di volte di essere fidanzato.
«Potter, ho bisogno di te» disse sbrigativo Jack Fletcher, tirandolo per un braccio e salvandolo dalle grinfie della ragazza.
«Maleducato! Era occupato con me!».
«Sei solo una donna scarlatta» replicò Jack con la sua solita delicatezza da erumpet.
«Come osi?! Te ne farò pentire!» gli urlò dietro Ophelia.
«Ehm grazie» disse incerto James.
«Ho bisogno davvero di te. Era divertente guardarti mentre ti assediava».
«Idiota» replicò James. «Che dobbiamo fare?».
«Devo incontrare il mio contatto di Uagadou. Non ho bisogno di aiuto, ma è sempre meglio avere le spalle coperte».
James annuì e lo seguì nei corridoi silenziosi. La maggioranza degli studenti era a cena. Anche Jack e Tania Benson avevano vinto i loro duelli.
Un ragazzo di Uagadou li aspettava in aula e li salutò con un cenno della mano. «Kymia, ha dato me questi libri» disse subito. Era molto nervoso e ciò insospettì i due ragazzi. James conosceva il suo nome, perché gliel’avevano presentato Hugo e Louis: Tanwir Hagan. Era più piccolo di loro.
«Tanwir, sei nervoso?» domandò James.
Il ragazzino sobbalzò a sentire il suo nome, forse aveva sperato di rimanere anonimo.
«Libri della biblioteca di Uagadou» rispose allora. «No permesso di dare a voi».
Jack e James si scambiarono un’occhiata, infine il primo annuì. «Tranquillo. Non vi metteremo nei guai. Ad aprile, in Italia te li restituirò. Va bene?».
James nel frattempo aveva preso in custodia i suddetti libri, dall’aria in effetti particolarmente antica e delicata, e li aveva nascosti nella sua borsa.
Tanwir annuì, sebbene fosse ancora terribilmente nervoso.
 
 
La mattina della partita tra la Fata Morgana e Hogwarts, i ragazzi erano molto eccitati.
Lo stadio di Quidditch di Ilvermorny era di gran lunga più grande di quello greco, ma non sontuoso quanto quello di Hogwarts.
«Molti maghi Americani preferiscono ancora il Quodpot» disse Frank a James, ricordando le lezioni extra con la Dawson.
«Lo so» disse lui roteando gli occhi. Albus alzò gli occhi al cielo. James e Rose erano identici per questo: conoscevano a menadito la Storia del Quidditch.
«Gli Italiani, però, sembrano forti. Speriamo bene» sospirò Adam Brown, che insieme agli altri Wampus, aveva deciso di tifare per Hogwarts con loro.
James annuì pensieroso.
«Abbott, ha allenato la squadra duramente. Ha analizzato persino il modo di giocare degli Italiani. Ce la faremo» disse con sicurezza Jack.
«Buongiorno a tutti! Benvenuti alla prima semifinale di queste prime Olimpiadi Magiche» esordì una voce femminile dalla tribuna dei docenti.
«Quella è la Palmer, l’insegnante di volo» disse Adam Brown a Frank.
«Ed ecco le squadre che fanno il loro ingresso in campo! La Fata Morgana capitanata da Giovanni Paschi! Poi abbiamo Mattia Bartesi, Celeste Grimaldi, Pan Etzi, Michelangelo e Raffaello Valentini e Valerio D’Abrosca. I ragazzi di Hogwarts, guidati da Albert Abbott! Arthur Weasley, Melissa Goldstain, Daniel Mcnoss, Amy Mitchell, Karl e Kevin Baston».
La partita fu molto divertente per gli studenti di Hogwarts, che scoprirono, proprio come aveva detto Jack, la cura che Abbott aveva dedicato alla squadra. Era forte e affiatata. Gli Italiani, sebbene se la cavassero bene, non poterono far nulla di fronte alla bravura di Albert Abbott e Melissa Goldstain che promettevano di diventare degli ottimi giocatori professionisti.
Arthur mise fine alla partita, circa un’ora e mezza dopo l’inizio, prendendo il boccino.
 
Quel pomeriggio stesso si prepararono per rientrare a casa, ancora una volta con una passaporta internazionale.
«Amy» chiamò Frank. La ragazzina era mogia e ogni due secondi si girava a guardare il castello di Ilvermorny, da cui si stavano allontanando. «Ti manca?».
Tutti si erano trovati a loro agio quella settimana e avevano stretto amicizia, specialmente con i ragazzi con cui seguivano le lezioni; ma Amy aveva impiegato un sacco di tempo a salutare i suoi amici, soprattutto Adam Brown.
«Sì».
«Vorresti tornarci?».
Amy lo fissò per qualche secondo e si strinse nelle spalle. «Non lo so. Credo di sì. Ma tanto non ha importanza. Mamma non vuole più tornare in America e papà si è fatto trasferire a Londra».
Frank sospirò, desiderando di poterla aiutare. In realtà avrebbe voluto dirle anche qualcosa per convincerla che Hogwarts fosse molto meglio, ma aveva visto con i suoi occhi quanto Amy fosse stata felice in quei giorni insieme ai suoi vecchi compagni.
 

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Capitolo 29
*** Il trionfo di Scorpius ***


Ciao a tutti ;-)

Anche in questo caso inserisco uno schema dei personaggi principali, visto che il capitolo è molto lungo.

James Sirius Potter
Nato il 27 marzo 2005.
Sesto anno. Grifondoro.
Runa: Sol. Virtù: Giustizia.
È fidanzato con Benedetta Merinon (padre inglese, madre italiana, da qui il nome italiano) e il suo migliore amico è Robert Cooper (è il pronipote della McGranitt).
Il suo ‘nemico’ è Mark Parkinson (Serpeverde, sesto anno), con cui si scontra spesso. Battibecca spesso e volentieri con Jack Fletcher.
James è Prefetto insieme a Benedetta.
Cercatore.
Possiede un gufo di nome Lione.
Il suo patronus è un airone.
In futuro vorrebbe diventare un Auror.
 
Jack Fletcher.
Nato il 04 aprile 2005.
Sesto anno. Tassorosso.
Runa: Ur. Virtù: Fortezza.
Il suo migliore amico si chiama Andy (Anderson) Archer (Tassorosso, sesto anno, come lui). È molto legato a Samuel Vance (III anno, Tassorosso) e Nyah Khaled (I anno, Corvonero).
Battibecca spesso con James Potter.
È Prefetto.
Battitore dei Tassorosso.
Il suo patronus è una tigre.
È figlio di Mundungus Fletcher e Vivienne Rosier (moglie di Sylvester Spencer-Moon, famoso inventore di Incantesimi Difensivi utilizzati anche dal Ministero).
In futuro vorrebbe diventare Auror.
 
Albus Severus Potter
Nato il 30 gennaio 2006.
Quinto anno. Grifondoro.
Runa: Reid. Virtù: Prudenza.
I suoi migliori amici sono Alastor Schacklebolt (V anno, Grifondoro. Figlio di Kingsley e Faith Rowle) e Frank Paciock. La sua migliore amica e cugina preferita è Rose Weasley.  È molto legato a Scorpius Malfoy, Dorcas Fenwick, Virginia Wilson e Jonathan Goldstain.
Possiede una fenice di nome Smile.
È Prefetto.
 
Rose Weasley
Nata il 27 marzo 2006.
Runa: wird. Virtù: Coraggio.
Quinto anno. Grifondoro.
Capitano e cacciatrice.
La sua paura più grande: i temporali.
Il suo migliore amico e cugino preferito è Albus. La sua migliore amica è Cassy (Cassandra) Cooman. Uno dei suoi più cari amici è Scorpius.
 
Scorpius Hyperion Malfoy
Nato il 07 agosto 2006.
Runa: Perth. Virtù: Magnificenza.
Quinto anno. Serpeverde.
Capitano, Cercatore e Prefetto.
È legatissimo a Rose e Albus. Il suo amico d’infanzia è Eddie (Edward) Zabini (Tassorosso, quinto anno). Ha un cugino di nome Orion Montague (figlio di Daphne Greengrass e Kain Montague)
Il suo patronus è un leone.
Ha un cucciolo di crup di nome Batuffolo (lo tiene Hagrid).
 
Dorcas Fenwick
Nata il 02 giugno 2006.
Quinto anno. Tassorosso.
Runa: Gyfu. Virtù: Liberalità.
Prefetto.
È molto legata a Rose e Albus. I compagni Tassorosso con cui interagisce più spesso sono: Noah Hunter (Prefetto) ed Eddie Zabini.
Il suo patronus è un cigno.
 
Virginia Wilson
Nata il 16 aprile 2006.
Runa: Madr. Virtù: Sapienza.
Quinto anno. Corvonero.
Prefetto.
Solitamente trascorre il suo tempo con Martha Gabriels, Kumar Raj, Dexter Fortebraccio (Prefetto) e Jonathan Goldstain, tutti suoi compagni di Casa.
Suo padre è Adrian Wilson, uno dei Vice-Sotto Capitani di Harry Potter.
 
Jonathan Goldstain
Nato il 03 marzo 2006.
Runa: Jera. Virtù: Saggezza.
Quinto anno. Corvonero.
È un lupo mannaro.
Suo padre è Anthony Goldstain, primario del San Mungo, e sua sorella Melissa (VII anno) è una cacciatrice della squadra di Tassorosso.
Molto legato ad Albus, Scorpius, Kumar Raj e Dexter Fortebraccio.
 
Frank Paciock
Nato il 16 luglio 2007.
Runa: Tyr. Virtù: Mansuetudine.
Quarto anno. Grifondoro.
La sua migliore amica è Roxi Weasley.
La sua materia preferita è Storia della Magia e da grande vuol diventare uno storico.
 
Roxi (Roxanne) Weasley
Nata il 31 agosto 2007.
Runa: Ken. Virtù: Arte.
Quarto anno. Grifondoro.
Il suo migliore amico è Frank. La cugina a cui è più legata è Lucy.
Adora disegnare.
 
Emmanuel Roderick Shafiq
Nato il 06 febbraio 2007
Runa: Laguz. Virtù: magnanimità.
Quarto anno. Serpeverde.
Il suo migliore amico è Tobias Andersen.
È un battitore.
Ha una cotta palese per Fabiana Weasley (IV anno, Corvonero)
 
Brian Carter
Nato l’08 luglio 2009.
Runa: bjarka. Virtù: Temperanza.
Secondo anno. Corvonero.
I suoi migliori amici sono: Louis Weasley, Drew (Andrew) Jordan e Annika Robertson.
Eccelle in Erbologia, che è anche la sua materia preferita.
Suo padre è un Auror (Gregory Carter), ha una sorellina di 6 anni (Sophie). Non ha la madre e, da qualche mese, porta con sé un medaglione che le apparteneva, al cui interno è custodita una sua foto.
 
Buona lettura!
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo ventinovesimo
 
Il trionfo di Scorpius
 
«Provate di nuovo la Formazione d’Attacco Testadifalco» gridò Scorpius volando accanto ad Alex Dolohov.
Il ragazzo era molto soddisfatto della squadra: Alex, Lucy e Amy erano formidabili insieme. Era sicuro che avrebbero segnato moltissimi punti contro Corvonero. Al momento la squadra più temibile era quella dei Tassorosso, ma i Corvonero sarebbero stati un ottimo banco di prova per loro.
Fissò Annie Ferons che aveva lasciato passare un tiro facile di Lucy. Era più di un’ora che le tre cacciatrici la bersagliavano. Presto avrebbe dovuto fermare l’allenamento.
Scorpius si era reso conto che fare il Capitano non era per nulla semplice. Doveva pensare al benessere dei membri della squadra e a mantenere l’armonia tra loro intatta. Aveva la responsabilità di guidare la squadra e la sentiva pienamente. Ma era sicuro che ce l’avrebbero fatta insieme.
Si abbassò leggermente e raggiunse Evelyn Jenkins ed Emmanuel che si allenavano a colpire dei bersagli con i bolidi per migliorare la mira.
Poi si guardò intorno alla ricerca del boccino d’oro che aveva liberato all’inizio dell’allenamento. Qualche settimana prima i Corvonero ne avevano perso uno e la professoressa Yaxley non ne era stata molto contenta. Conseguentemente era meglio che lo acchiappasse al più presto, ormai era buio sebbene, fortunatamente, lo stadio fosse sufficientemente illuminato.
Rose gli mancava terribilmente e neanche volando riusciva a scrollarsi il suo volto dalla testa. Stava diventando un’ossessione. Era stato difficilissimo ignorarla in quelle settimane e per farlo, spesso, aveva dovuto evitare anche Albus, a cui la ragazza si era letteralmente appiccicata. Era rimasto molto male per gli insulti che la Grifondoro aveva rivolto a Evelyn e cosa peggiore, non aveva smesso. Da San Valentino sembrava che l’unico scopo di Rose Weasley e di Cassandra Cooman fosse quello di rendere impossibile la vita a Evelyn.
Un luccichio vicino agli anelli, non difesi da Annie, attirò la sua attenzione e lo distolse per un attimo dai suoi pensieri. Il boccino. Si fiondò in quella direzione. Ed eccolo lì. Non si era sbagliato. Allungò il braccio e lo strinse nella mano destra. Scorpius sorrise, soddisfatto di sé. Sorriso che scomparve quando la pluffa lo mancò per un pelo.
«Ma che cavolo…?» sbottò rivolto alle ragazze che ridevano.
«Siamo stanche. Auguraci buona serata» gli urlò Lucy.
«E smetti di pavoneggiarti!» soggiunse Alex ghignando.
Il ragazzo roteò gli occhi e gli fece cenno di tornare a terra.
«Per oggi abbiamo finito. Ci vediamo venerdì alle cinque e mezza» annunciò. Poi si rivolse a Lucy e le fece la linguaccia. «Buona serata non te l’auguro».
Lucy gli rispose con un gestaccio e si diresse verso gli spogliatoi insieme alle altre ragazze.
«Scorp» chiamò Emmanuel affiancandolo.
«Che c’è?».
«Troppe ragazze».
Scorpius sbuffò e annuì. «Se i nostri compagni sono incapaci, che posso farci?».
Emmanuel sospirò.
«C’è qualcuno che ti aspetta» lo avvertì Scorpius con un ghigno.
Fabiana aveva assistito agli allenamenti dagli spalti e ora lo aspettava vicino agli spogliatoi.
«Sei stato bravo» trillò la ragazza, baciandolo sulla guancia.
Emmanuel sorrise, gonfiando il petto.
«Questo dovrei dirlo io» borbottò Scorpius, ma fu bellamente ignorato dai due ragazzi. Scosse la testa divertito ed entrò nello spogliatoio maschile. Pochi secondi dopo fu raggiunto da Emmanuel.
«Credevo non ti avrei rivisto più».
L’altro roteò gli occhi e sbuffò. «Battuta stupida. Sono tutto sudato, ho bisogno di una doccia».
I due ragazzi non impiegarono molto tempo a farsi la doccia e cambiarsi. Quando raggiunsero Fabiana fuori, sentirono le voci delle altre ragazze provenire dallo spogliatoio femminile.
«Ma quanto ci mettono?» sbuffò Scorpius perplesso, facendo ridacchiare Fabiana.
«È meglio che andiamo» borbottò Emmanuel. L’ultima volta che le avevano aspettate, quella pazza di Alex aveva trovato divertente spruzzargli negli occhi del deodorante. Dal suo punto di vista, però, non era stato minimamente divertente.
«Siamo anche in ritardo» soggiunse Fabiana, mentre Scorpius ridacchiava.
«Per fare che?» domandò sorpreso Scorpius.
«Nulla» rispose frettolosamente Emmanuel.
«Come nulla?» replicò Fabiana, fissandolo perplessa.
Emmanuel arrossì e borbottò qualcosa di poco comprensibile.
«Non ho capito» disse Scorpius perplesso.
«Il coro. Faccio parte del coro» ammise allora Emmanuel.
«Sapevo! Pensavo che doveste fare qualcos’altro!» ridacchiò Scorpius.
Emmanuel arrossì violentemente alle sue parole, tanto quanto Fabiana che, però, sgridò il Serpeverde.
«Stavo scherzando» si giustificò Scorpius, sorridendo.
«Ma quelli chi sono?» domandò improvvisamente Emmanuel, cambiando totalmente tono e prendendo Fabiana per un braccio. Avevano raggiunto l’ingresso del castello.
Scorpius divenne serio di colpo. «Quanto tardi abbiamo fatto con l’allenamento?».
«Troppo. Ve l’ho detto che siamo in ritardo» sussurrò Fabiana.
Si accovacciarono vicino a una siepe e osservarono delle figure, avvolte in neri mantelli, sgattaiolare fuori dal portone di quercia.
«Perché ci nascondiamo? Non sono professori» sussurrò Fabiana. «E poi noi siamo giustificati, dobbiamo andare da Bulstrode».
Emmanuel scosse la testa e le disse di non parlare. In quel momento la luna, fino ad allora coperta dalle nuvole, apparve illuminando il volto di uno dei gli ultimi ragazzi. Una maschera d’argento rilucette, mozzando il respiro ai tre ragazzi.
«Dobbiamo vedere dove vanno» disse Scorpius, spostandosi rapidamente dietro un altro cespuglio.
«Cosa?» sbottò Fabiana. «Dobbiamo chiamare un insegnante!».
«E nel frattempo se ne saranno andati» ribatté Scorpius.
Emmanuel e Fabiana lo seguirono in silenzio. Dovevano fermarsi ripetutamente per non essere visti o sentiti dagli altri ragazzi.
«Il platano picchiatore» sussurrò Fabiana.
Rimasero a fissarli finché tutti non scomparvero nel passaggio segreto.
«Ed ecco perché ci sembrava che non si riunissero più nella Stanza delle Necessità» sbuffò Scorpius.
«Probabilmente Roockwood non l’avrà ritenuto sicuro dopo quello che è accaduto durante la prima partita di Quidditch. Ha immaginato che li avessimo scoperti» commentò cupo Emmanuel.
«Di che state parlando?» domandò sorpresa Fabiana.
«Ti racconterò tutto con calma, ma adesso andiamo da Bulstrode» rispose Emmanuel.
Emmanuel e Fabiana salutarono Scorpius nella Sala d’Ingresso e si diressero all’aula di musica. Avrebbero chiesto a Cecilia Bulstrode e Samuel Miller, gli unici Grifondoro del gruppo, di riferire un messaggio a James, in modo che sapesse subito che c’erano delle novità e agisse di conseguenza, senza perdere troppo tempo. Quando raggiunsero l’aula, però, scoprirono che c’era qualcosa che non andava. I compagni erano agitati e Bulstrode parlava con Paciock e la Preside.
I banchi era stati rovesciati e sulle pareti vi erano scritte e disegni, alcuni osceni, altri era insulti contro i Magonò, i Mezzosangue e i Nati Babbani, persino contro Bulstrode, gli altri insegnanti e la Preside. Nemmeno il pianoforte si era salvato: presentava segni di vernice e alcuni tasti erano stati divelti.
«Ma che è successo?» domandò Emmanuel a Gabriel Fawley.
«Non lo sappiamo. Il professore ha trovato l’aula così. Poi ha chiamato il professor Paciock, in qualità di vicepreside».
Emmanuel si guardò intorno, chiedendosi se vi fosse qualche collegamento tra i ragazzi che avevano visto e quello scempio.
«Professoressa» chiamò Fabiana, prima che potesse fermarla.
La Preside e gli altri due docenti si voltarono verso di lei. «Sì, signorina Weasley?».
«Ho assistito all’allenamento dei Serpeverde e mentre stavano rientrando, abbiamo visto dei ragazzi con il mantello nero e una maschera argentata in volto usare il passaggio sotto il Platano Picchiatore».
«Quanto tempo fa?» domandò con urgenza la Preside.
«Una decina di minuti, penso, professoressa» rispose Fabiana.
«Neville vai a controllare insieme agli Auror» ordinò la McGranitt.
Neville, cupo in volto, annuì e si affrettò a obbedire.
«Chi altro c’era con te, signorina Weasley?».
«Emmanuel e Scorpius, professoressa» rispose Fabiana.
«Ho bisogno di parlarvi» dichiarò seccamente la donna. «Andate a chiamare Malfoy e venite nel mio ufficio».
«Sì, professoressa» dissero in coro Emmanuel e Fabiana.
Emmanuel sapeva di dover avvertire James al più presto e approfittò del fatto che la Preside fosse tornata a discutere a bassa voce con Bulstrode e dava loro le spalle. Individuò i due Grifondoro e fece per avvicinarsi, ma Fawley lo trattenne.
«Questa» gli disse accennando all’aula vandalizzata, «non è la cosa peggiore».
Emmanuel e Fabiana guardarono il punto sulla parete, in un angolo in basso vicino alla finestra, che il Serpeverde più grande gli indicò con il dito: la testa di un leone troneggiava, vivida e realistica, accanto alla firma chiara Roxanne Weasley.
Emmanuel sentì Fabiana trattenere il fiato e comprese che dovevano agire al più presto. Ringraziò rapidamente Fawley e raggiunse i due Grifondoro, prima che la Preside si accorgesse che non erano ancora andati a chiamare Scorpius.
«Dovete consegnare un messaggio a James Potter da parte mia, per favore» disse concitatamente.
I due ragazzini del primo anno lo fissarono sorpresi, ma annuirono pochi secondi dopo. James, anche come Prefetto, era molto amato dai compagni, specialmente quelli più piccoli, perciò Emmanuel era sicuro che avrebbero fatto di tutto per recapitare il messaggio.
«Ditegli quello che Fabiana ha appena comunicato alla Preside e quello che è successo in quest’aula. Ok?».
«Tranquillo» rispose Samuel Miller per entrambi, mentre la compagna annuiva turbata.
«Andiamo» Emmanuel sussurrò a Fabiana.
 
 
*

«Ho finito, lo puoi correggere, Frankie?» chiese Gretel Finnigan, porgendogli il suo tema di Trasfigurazione.
Il ragazzino annuì distrattamente. «Aspetta, prima devo finire Pozioni».
«Secondo voi licenzieranno la Dawson per quello che abbiamo fatto?» domandò dopo un po’ Gretel.
Roxi, che stava lavorando al tema di Trasfigurazione con poca voglia, ignorò le sue parole. Aveva discusso con lo zio Neville per quella storia: aveva rimproverato anche lei e Frank, sebbene non avessero preso parte alla ‘battaglia’. Lo zio Neville riteneva che non fare nulla per impedire che un qualcosa avvenga, equivalesse a esserne complice. A Roxi aveva dato molto fastidio. Che cosa si aspettava? Che lei tentasse di fermare i suoi compagni e magari farli la morale? Toccava alla Dawson e che la donna non avesse polso era fin troppo evidente. O peggio, avrebbe dovuto fare la spia, denunciando quello che i compagni avevano in mente di fare? Non l’avrebbe mai fatto.
«Non credo. O almeno finché dipenderà dalla McGranitt» rispose incerto Frank. «La Preside ritiene che gli unici responsabili siamo noi».
«Ma il Ministero, no» sospirò Roxi. Non riusciva a togliersi dalla testa il sorriso soddisfatto che nelle ultime settimane sfoggiava suo zio Percy.
«Comanda la McGranitt» tagliò corto Frank. La Dawson era la sua insegnante preferita e si era sentito in colpa per quello che era accaduto, sebbene gli amici e la professoressa stessa gli avessero assicurato che non aveva alcuna responsabilità.
«Intanto siamo ultimi in classifica» sbuffò Gretel.
«Scusate». Due ragazzini del primo anno si era avvicinati e sembravano preoccupati. Frank si raddrizzò sulla sedia e attese di capire che cosa volessero da loro. «La professoressa McGranitt vuole che Roxanne Weasley la raggiunga nell’aula di musica» disse il ragazzino.
La compagna, invece, chiese: «Dov’è James Potter?».
«Che vuole la McGranitt da me? E che volete voi da mio cugino?» ribatté Roxi, che non si era mossa dalla sua sedia, e li fissava sospettosa.
«Qualcuno ha vandalizzato l’aula di musica e ha dato la colpa a te» raccontò la ragazzina.
«Che?» sbottò Roxi, sotto gli sguardi increduli di Frank e Gretel.
«C’è la tua firma sul muro» replicò rapidamente il ragazzino. «Dobbiamo riferire un messaggio a James, dov’è?».
«Che messaggio?» chiese Roxi, alzandosi in piedi, immediatamente imitata dagli amici.
«È per lui. Non lo riferiremo a nessun altro» disse solennemente il ragazzino.
Roxi alzò gli occhi al cielo: la lealtà dei ragazzini più piccoli verso James era sorprendente.
«È nella sua camera. Si sentiva la febbre ed è andato a letto presto» rispose infine.
«Veniamo con te» disse Gretel, mentre i ragazzini correvano verso le scale che portavano al Dormitorio maschile.
«Sì, infatti» soggiunse Frank, pallido. «Sei stata con noi tutto il pomeriggio non ti possono accusare».
«Rimanete qui» replicò Roxi. «Il coprifuoco è scattato. La Preside si arrabbierebbe».
I due la fissarono impotenti.
«Magari, potresti finirmi il tema di Trasfigurazione se dovessi metterci molto» aggiunse Roxi rivolta a Frank.
«Tranquilla, me ne occupo io» la rassicurò il ragazzino.
Roxi, allora, si diresse verso l’aula di musica. Era abbastanza arrabbiata che l’accusassero per qualcosa che non aveva fatto, ma peggio ancora che qualcuno avesse osato usare il suo nome. Entrò nell’aula sempre più irritata.
«Buonasera, professori» disse in tono sostenuto. «Voleva vedermi, professoressa?» soggiunse rivolta alla Preside.
Costant Bulstrode, Minerva McGranitt ed Ernie Mcmillan si voltarono verso di lei.
«Sì, signorina Weasley» rispose la McGranitt. «Puoi dedurre tu stessa per quale motivo».
Roxi osservò con attenzione la testa di leone e la sua firma, nell’angolo in basso della parete centrale. Il disegno, come alcune vignette volgari sui professori, era davvero ben fatto.
«A parte il fatto che non mi firmerei mai Roxanne Weasley, ma solo Roxi, ma lei crede davvero, professoressa, che dopo aver distrutto l’aula lo direi a tutti così?».
«No» rispose seccamente la Preside. «Non credo nemmeno che tu possa fare una cosa del genere. Nemmeno tuo padre l’avrebbe fatto, senza un buon motivo. Non è il suo stile e non è neanche il tuo. Non mi viene in mente neanche un buona causa».
«Perché mi ha chiamato, allora, professoressa?».
La McGranitt si accigliò. «C’è la tua firma, non posso ignorarlo».
«Ma non mi può incolpare solo perché c’è la mia firma!» sbottò Roxi.
Mcmillan le lanciò un’occhiata di avvertimento, ma Roxi non aveva nessuna intenzione di moderare i toni. L’unica cosa sicura è che chi si era permesso di far ricadere su di lei la colpa, non l’avrebbe passata liscia.
«In realtà, posso» fu la replica asciutta della McGranitt.
Roxi la fissò scioccata. No, che non poteva!
«Può averlo fatto chiunque, professoressa» insisté in sua difesa. Probabilmente la maggior parte dei suoi compagni avrebbe trovato assurdo che si stesse scaldando per una cosa del genere. La fama di suo padre e di suo fratello la precedeva e spesso, perché Hogwarts era frequentata da una massa di adolescenti trogloditi, i suoi compagni si aspettavano che fosse lei a disturbare e, perciò, ‘rendere più divertenti’, le lezioni. A lei, però, piaceva essere lasciata in pace. Dolce e tranquillo quieto vivere. Le piaceva dire di essere coraggiosa e che non aveva paura di compiere qualsiasi impresa. In realtà non le piaceva mettersi nei guai. Decisamente vandalizzare un’aula andava fin troppo oltre per i suoi gusti. E aveva la vaga impressione che il colpevole sarebbe stato come minimo sospeso e, sinceramente, non aveva alcuna voglia di assumersi la colpa di una cosa così grave.
La McGranitt sospirò. «Lo so. Indagherò, signorina Weasley. Il Ministero, però, si sta già intromettendo e non gli interesserà sapere se sei il tipo che compie simili atti o meno».
Roxi la fissò scioccata. Il suo destino nelle mani del Ministero della Magia? Magari nella persona di suo zio Percy? «Sta scherzando, professoressa? Comanda lei a Hogwarts!».
La Preside le lanciò un’occhiata penetrante e annuì. «Torna pure alla tua Sala Comune. Ne riparleremo».
Roxi era troppo scioccata per gli sviluppi della situazione. Non poteva dirsi un’amante della scuola, ma aveva sempre nutrito profonda stima nei confronti della McGranitt. Per quanto potesse essere severa o pignola, era sempre giusta. Sempre. L’idea che il Ministero mettesse bocca era assurda! Non sapeva nulla di Hogwarts, non sapeva nulla degli studenti, non sapeva nulla degli insegnanti! Che ne sapeva che Emily Dawson era la migliore insegnante di Storia della Magia che Hogwarts vedesse da almeno un secolo? La Dawson era giovane e non aveva ancora la fermezza e l'autorità di altri insegnanti, ma era preparata ed era brava con i ragazzi. La McGranitt lo sapeva, il Ministero no.
Non si fidava. Neanche suo padre si fidava del Ministero. E il fatto che gran parte della famiglia vi lavorasse, non cambiava proprio nulla. Zio Harry era il primo a non credere nell’infallibilità delle difese, messe in atto dal Ministero, e gli aveva detto di tenere gli occhi aperti. 
In Sala Comune Frank e Gretel l’aspettavano ansiosi. Raccontò quello che le aveva detto la Preside. Gretel fu molto indignata, mentre Frank le rivolse uno sguardo turbato e non disse nulla. La pensava come lei.
Quando, finalmente, Roxi salì in camera, ebbe qualcos’altro di cui preoccuparsi. Lorein Calliance stava parlando con Afia Gamal.
«Gretel, diglielo anche tu» disse subito Lorein, probabilmente cercando sostegno.
«Che cosa?» chiese interessata la ragazzina.
«Che Mcmillan tra le sue pozione ne ha una che annulla le gravidanze. Una specie di antidoto, insomma» disse Lorein.
Roxi le rivolse un’occhiata stupita: voleva spingersi tanto oltre da mettere in mezzo un insegnante? Uno come Mcmillan, poi, che era particolarmente severo?
«Non esiste una pozione del genere» sbottò Roxi.
«E invece sì. Uno la beve e torna tutto come prima» ribatté Lorein.
«Sì, l’ho sentito dire anch’io dalle mie sorelle. Loro sono più grandi» disse Gretel.
Roxi strinse i denti e si nascose dietro le tende del suo letto. Aveva detto a Gretel che non era divertente, ma lei non voleva saperne di smetterla. Certo era che anche Afia era particolarmente stupida. Non aveva mai visto qualcuna incinta? Insomma se fosse stato vero, avrebbe dovuto vedersi qualcosa. Sua mamma le aveva fatto vedere più volte le sue foto, mentre l’aspettava. Spesso vi era Fred con lei che guardava con attenzione il pancione della mamma. All’epoca suo fratello aveva tre anni e diceva che si sarebbe sempre preso cura della sorellina. Peccato che ora se ne fosse dimenticato.
Si strinse le braccia intorno al petto, sentendosi triste e sola. In quel momento avrebbe voluto essere a casa. Sentì Lorein e Gretel ridere e scherzare per un po’. Afia non fiatò mai. Ormai la sua alterigia era scomparsa da tempo. Avrebbero dovuto mettere fine allo scherzo, in fondo avevano ottenuto quello che volevano. Ora stavano esagerando.
Alla fine si addormentarono tutte, o almeno riconosceva il respiro tranquillo e regolare di Lorein e Gretel; probabilmente Afia era sveglia. Non le interessava, vista la situazione lei non era un problema. Si alzò e, tentando di fare meno rumore possibile, uscì dalla stanza.
Sapeva di non doverlo fare, perché non si fidava minimamente di Charles Calliance, Halley Hans e, specialmente, di Alcyone Granbell, ma ne sentiva il bisogno.
La Sala Comune, fortunatamente, era deserta. Si avventurò senza alcun problema nel Dormitorio maschile. Salì le scale lentamente, sperando che il loro Caposcuola, Conrad Avens, non fosse ancora sveglio e la sentisse. Albus e James non erano un problema. Raggiunse la camera dei ragazzi del quarto anno e, maledicendo la porta che scricchiolava, entrò. Calliance russava rumorosamente, ma anche gli altri dormivano placidamente.
Frank aveva tirato le tende del letto e questo era un bene. Le scostò abbastanza per poter intrufolarsi e le rimise al posto. L’amico sobbalzò sentendosi scuotere.
«Mi fai un po’ di spazio?» sussurrò Roxi, prima che il ragazzino potesse fare domande. Frank, mezzo addormentato, eseguì meccanicamente. Probabilmente si stava chiedendo se fosse veramente sveglio o se si trattasse solo di un sogno.  La ragazzina non aveva voglia di parlare, però, si limitò a sdraiarsi accanto a lui e abbracciarlo.
«Sono triste» sussurrò, sentendosi vicina alle lagrime. Frank non disse nulla, ma si limitò a coprirla meglio con il suo piumone scarlatto.
 
*

Benedetta toccò la fronte di James per l’ennesima volta.
Robert sbuffò. James, un po’ esasperato, disse: «Sto bene».
«Se devi fare così, la prossima volta non vieni con noi» sussurrò Robert.
«Col cavolo! Siete due incoscienti!» sibilò Benedetta.
«Non è vero» si difese James. «Non sono uscito da solo. E non ho permesso a Robert di farlo. Siamo molto saggi».
«Hai la febbre!» ribatté Benedetta.
«È bassa» replicò James.
«Facciamola finita» intervenne Robert. «Andiamo a controllare».
James annuì e nascose il mantello dell’invisibilità sotto la maglia del pigiama.
Dopo aver ricevuto il messaggio di Emmanuel, James e Robert avevano deciso di recarsi un’ultima volta fuori dalla Stanza delle Necessità. Avevano preso l’abitudine di tenerla d’occhio dopo la riunione a cui erano riusciti a partecipare grazie alla Pozione Polisucco, ma avevano visto i ragazzi solo una volta a gennaio. Erano sicuri che non avessero smesso di incontrarsi, ma nessuno si aspettava che avrebbero usato la Stamberga Strillante. Quella casa, se non fosse stato per la magia, probabilmente sarebbe crollata da anni.
Gli insegnanti e gli Auror si erano recati subito sul posto, ma non avevano trovato nessuno. Il che significava che qualcuno aveva visto Scorpius, Emmanuel e Fabiana. Probabilmente la stessa persona che aveva messo sotto sopra l’aula di musica. E così li avevano fatto fare la figura dei visionari. Avevano origliato una conversazione tra zio Neville e John Dawlish, uno degli Auror di stanza a Hogwarts. Quel cretino era sicuro che Scorpius e gli altri volessero solo mettersi in mostra. Per fortuna zio Neville, e quindi anche suo padre e la Preside, non lo credevano e avevano preso sul serio la denuncia di Fabiana. Quale sarebbero state le loro mosse, però, non era chiaro. Nel frattempo James aveva deciso di verificare che nella Stanza delle Necessità non ci fosse veramente nessuno. Conoscendo in che cosa la Stanza si trasformasse per Roockwood, era senz’altro più facile. Ancora una volta, però, entrando trovarono la stessa Sala di quella notte. Completamente vuota, però. Gli aspiranti Neomangiamorte si riunivano altrove e, molto probabilmente, in quei mesi si erano più volte divertiti alle loro spalle.
James strinse i pugni.
«Andiamocene. Un Auror sta venendo da questa parte» annunciò Robert, con gli occhi fissi sulla Mappa del Malandrino.
«Nox» sussurrò Benedetta, spegnendo la bacchetta. Erano diventati abbastanza bravi tutti e tre con gli incantesimi non verbali, ma lei, se agitata, si dimenticava di usarli.
I tre impiegarono un po’ di tempo a tornare in Sala Comune: i controlli erano notevolmente aumentati. Per fortuna nessuno li beccò.
«Benedetto il tuo mantello» sospirò Robert.
Erano sfiniti tutti e tre.
 
*

«Carter».
Brian sospirò. Mike Zender se la prendeva con tutti i ragazzini del primo anno e con quelli meno forti di lui. Il perché, però, fosse lui il suo preferito non riusciva proprio a comprenderlo.
«Ignoralo» sussurrò Louis.
Drew serrò la mascella, infastidito. Era il più stanco tra loro dei continui attacchi e insulti di Zender. Aveva la faccia di chi non avrebbe continuato a ignorarlo a lungo.
«Non mi piace essere ignorato» sibilò Zender.
Edison Andersen, degno compagno di Zender, si piazzò davanti ai Corvonero, impedendoli di allontanarsi. Insieme a loro c’erano anche dei ragazzini del primo anno, che avevano preso la briga di seguirli e obbedire ai loro ordini. Conoscevano bene i loro nomi, come tutti gli studenti del primo e secondo anno: Helias Belby, Valerius Fox, Cadric Rowle e Lewis Yaxley. In definitiva erano circondati.
«Mi sono stancato di voi» sbottò Drew, estraendo la bacchetta, immediatamente imitato da Annika.
«No!» disse Louis con fermezza e lo costrinse ad abbassarla. Brian fece altrettanto con Annika.
«Avete paura di finire nei guai?» li provocò Zender.
Brian evitò di rispondergli, ma sentì Drew sussurrare a denti stretti a Louis: «Non lo sopporto».
Brian provò a superare Andersen e Belby, ma loro lo spinsero indietro con forza. Iniziò a preoccuparsi sul serio.
«Che cosa volete?» chiese Louis, trattenendo Annika per un braccio.
«Oh, ci sono tante cose che vorrei» replicò ghignando Zender.
«Per esempio?» ribatté con una pericolosa nota di sarcasmo Annika.
Zender fece un gesto vago con la mano. «I vostri compiti per oggi, per esempio».
«Scordatelo» replicò bruscamente Annika. «Non ho sgobbato per te».
«Allora saremo costretti a prenderceli» disse Zender indifferente e schioccò le dita. Andersen, Belby, Fox, Rowle e Yaxley strinsero il cerchio e un secondo dopo si avventarono su di loro.
«Siete patetici!» sbottò Annika, difendendosi da Rowle.
Andersen, Belby e Yaxley circondarono Louis, come se fosse il più pericoloso. Cioè lo era realmente, ma solo se avesse estratto la bacchetta. Fox saltò addossò a Drew, mentre Brian si trovò faccia a faccia con Zender.
Brian tentò di difendersi debolmente: non aveva voglia di fare al pugni e Zender era molto più alto e grosso di lui. Non aveva speranze. Provò a tenerlo a distanza, ma il Serpeverde gli mise una piede dietro il suo e gli fece perdere l’equilibrio, grazie anche allo zaino pesante. Rovinò dolorosamente a terra. Gli occhi si annebbiarono per le lacrime affiorate. Rinunciò a difendersi, visto che a causa dello zaino non riusciva neanche a muoversi. Zender gli poggiò un piede sul petto. 
«Troppo facile, Carter. Fai pietà» disse il Serpeverde. Poi si chinò e fece l’ultima cosa che Brian si sarebbe aspettato. Lo vide quasi a rallentatore mentre allungava il braccio e con forza, tanto da graffiargli il collo, tirò il medaglione. «Sei pure effemminato! Quale vero uomo porta collane da donna?!» lo derise.
Sul fatto che il vero uomo fosse lui, visto come si comportava, Brian nutriva profondi dubbi. In quel momento aveva poca importanza, però. Si liberò dallo zaino e si sollevò per affrontarlo.
«Dammelo!» gridò fuori di sé.
Zender ghignò e lo spinse via con una sola mano.
«Sei un debole!» sibilò.
«Che succede qua?» chiese bruscamente una voce.
Brian si voltò alla sua destra: tre ragazzi in divisa scarlatta li fissavano in attesa di una risposta.
Zender si chinò e gli sussurrò all’orecchio: «Se vuoi riavere la collanina, ti conviene fare il bravo».
I Serpeverde scapparono, prima che i tre Auror potessero fermarli.
«Harper» sibilò uno di loro. «Perché non li hai fermati?».
Brian si guardò intorno e vide che un Auror stava sistemando il naso a un Louis pallidissimo. Drew sembrava star bene, anzi appariva molto soddisfatto. Allo stesso modo Annika fissava a testa alta i tre Auror.
«Naturale. Siamo sempre solidali con chi dà una bella lezione ai Serpeverde» rispose ghignando il ragazzo che aveva aiutato Louis.
«Complimenti!» disse sorridente l’Auror di nome Harper stringendo la mano di Annika. «Hai fatto un fantastico occhio nero a quella Serpe».
Annika e Drew furono contenti e orgogliosi per quei complimenti.
«State scherzando?» sbottò il terzo Auror. «Dobbiamo mantenere l’ordine, non il contrario».
«No, McLaughlin» rispose Harper. «Noi non dobbiamo mantenere l’ordine. Mica siamo insegnanti».
«O peggio, Prefetti o Caposcuola» soggiunse l’altro Auror.
Annika ridacchiò alle sue parole.
«Giusto. Noi dobbiamo occuparci della magia oscura. Il Capitano Potter e, soprattutto, la McGranitt ci hanno raccomandato di non intrometterci nella normale routine. E McLaughlin dovresti sapere che azzuffarsi è all’ordine del giorno».
McLaughlin non la pensava allo stesso modo: «Dobbiamo riferirlo ai Direttori di Corvonero e Serpeverde».
Brian pensava che, purtroppo, avesse ragione. Quale fosse il loro compito nella Scuola, non potevano certo permettere agli studenti di azzuffarsi sotto i loro occhi.
«Laurence, per favore, non metteteci nei guai. Sono quelli che ci attaccano in continuazione. Non potevamo non difenderci» intervenne Louis pacatamente e con una punta di tristezza nella voce. A quanto pare conosceva il giovane Auror.
«Tranquillo, Louis. Però dovresti farti un po’ di muscoli» replicò Laurence.
«Landerson, non sono d’accordo» insisté McLaughlin.
«Questo non è importante» tagliò corto Laurence. «Comando io, ti ricordo».
«Adesso andatevene o attireremo l’attenzione» disse, invece, Harper.
«Robin» chiamò, però, Louis.
Brian si chiese come facesse a conoscere tutti gli Auror.
Il ragazzo non sembrava aver gradito le parole di Laurence, ma, evidentemente, aveva veramente meno autorità. Comunque sorrise a Louis. «Non ti preoccupare. Questi due abbaiano, ma non mordono».
«Io non ne sarei tanto sicuro» replicò Laurence.
«Salutaci Vic nella tua prossima lettera» disse Harper. «Magari non le raccontare quello che è successo, non vorrei essere affatturato la prossima volta che vado a trovare lei e Teddy».
Louis sorrise.
Appena rimasero soli Annika gli chiese: «Conoscono tua sorella?».
Il ragazzino annuì. «Robin era un suo compagno di classe e di Casa. Sono sempre andati molto d’accordo e continuano a frequentarsi, mentre Samuel e Laurence sono amici di Teddy. La famiglia di Laurence abita vicino alla nonna di Teddy, così loro due si conoscono da prima di Hogwarts».
«Magnifico, ci è andata benissimo allora» commentò Annika.
«E abbiamo dato una bella lezione a quei bulletti del cavolo» aggiunse Drew.
«Brian che hai?» chiese Louis accigliandosi.
Brian aveva a malapena ascoltato le loro parole. Non riusciva a non pensare al medaglione. Fu sul punto di raccontare agli amici che Zender gliel’ aveva rubato, ma si trattenne: Annika avrebbe fatto qualcosa d’impulsivo e non solo avrebbe potuto metterli nei guai tutti, cosa che avevano evitato per un puro colpo di fortuna, ma il Serpeverde era abbastanza cattivo da distruggere il medaglione.
«Andiamo, siamo in ritardo per Incantesimi. Delaney ci toglierà senz’altro un bel po’ di punti» rispose semplicemente. Si avviò per evitare ulteriori domande.
 
*

Il colpevole, naturalmente, non era stato trovato. La McGranitt, nonostante le pressioni del Ministero, si era rifiutata di prendere provvedimenti nei confronti di Roxi.
La ragazzina glie n’era grata: la Preside avrebbe potuto punire lei, accontentare il Ministero e così facendo dare una netta risposta alle accuse d’incompetenza che le venivano rivolte da troppe persone.
Roxi ci aveva pensato molto e, alla fine, era giunta alla conclusione di poter dare una mano. Una mano a Hogwarts, non certo al Ministero. Scoprire il colpevole non era facile: non conosceva tutti i ragazzi della Scuola, men che meno le loro passioni e abilità. Il fatto che il suo avversario fosse bravo a disegnare poteva essere utile, come non esserlo. James e gli altri le avevano detto che, secondo loro, doveva trattarsi di uno degli aspiranti Neomangiamorte. In questo modo il cerchio si restringeva nettamente. Aveva indagato su di loro il più discretamente possibile. Alla fine si era convinta che fosse stato Fulton Collins, uno dei compagni di Scorpius. Non avevano prove naturalmente, ma potevano ugualmente provare a fare qualcosa. Scorpius le aveva detto che Fulton era spaventato: si era lasciato coinvolgere in un gioco pericoloso e non sapeva come uscirne. A essere pignoli tutti loro stavano giocando con il fuoco, come si suol dire. La differenza era la ‘squadra’ in cui giocavano. Se qualcosa fosse andata storta e i piani dei Dodici fossero stati scoperti dagli insegnanti, il massimo che poteva accadere era finire a lavare piatti com’era accaduto a James con la Pozione Polisucco; Roockwood, invece, come la Selwyn, non perdonava.
Prese un bel respiro e bussò alla porta.
«Avanti» rispose una voce da dentro.
Roxi entrò e incrociò lo sguardo sorpreso di Constant Bulstrode.
«Signorina Weasley, non pensavo che ci saremmo visti prima della prossima lezione». Era cortese come sempre, ma non nascondeva la sua sorpresa. Roxi lo capiva: nessuno studente, o forse al massimo Rimen Mcmillan, lo cercava al di fuori delle lezioni. Astronomia non era di certo la materia più amata della Scuola, anzi. I più l’abbandonavano dopo i G.U.F.O.
«Avrei bisogno di parlarle, signore» disse immediatamente Roxi. Non era nelle sue corde fare giri di parole. Frank e Gretel, scherzando, le raccomandavano di non intraprendere una carriera in Magisprudenza dopo la Scuola.
«Naturalmente, accomodati» replicò Bulstrode, indicando le sedie imbottite di fronte alla scrivania.
Era entrata più volte in quell’ufficio negli anni passati, avendo la pessima abitudine di addormentarsi a lezione. La Campbell la odiava più di ogni altro Grifondoro. Bulstrode, però, gli aveva conferito un aspetto più confortevole e piacevole.
Roxi sedette e disse: «Voglio parlarle di quello che è successo nella sua aula».
«Credevo che l’avessimo già fatto» replicò perplesso Bulstrode.
«Ho indagato sul possibile colpevole» dichiarò Roxi.
Bulstrode si massaggiò le tempie con la punta delle dita. «Tecnicamente non era compito tuo. L’ha fatto anche la Preside».
«Ma gli studenti hanno la possibilità di accedere a informazione, che verranno sempre negate ai professori, signore» ribatté Roxi.
«Immagino sia così» ammise Bulstrode. «Quindi?».
«Io non sono una persona che fa la spia, ma questa è una situazione diversa, signore» ci tenne a specificare Roxi. Non avrebbe sopportato di essere etichettata come una spiona.
«Perché sei coinvolta anche tu?» chiese perplesso il professore.
«No!» replicò leggermente offesa Roxi. «Perché il colpevole è uno stupido, terrorizzato dal giro pericoloso in cui lui stesso si è ficcato».
Il professore Bulstrode s’incupì. «Di che parli?».
«È uno degli aspiranti Neomangiamorte. Un Serpeverde del quinto anno. Non voglio fare la spia, vorrei che lo tiraste fuori dai guai. E, naturalmente, non mi riferisco agli atti di vandalismo».
Bulstrode annuì. «Ne parlerò immediatamente alla Preside, ma perché sei venuta da me e non sei andata direttamente da lei o dal professor Paciock?».
«Perché le volevo anche proporre di farmi ripitturare le pareti dell’aula di musica. Disegno bene, sul serio».
«Va bene, se vuoi» affermò Bulstrode dopo averci riflettuto qualche secondo. Fu il turno di Roxi di sorprendersi: non si aspettava accettasse così facilmente.
«Vuole qualche disegno in particolare, professore?». Di norma disegnava solo quello che voleva, ma la situazione era diversa.
«Hai carta bianca» replicò con un lieve sorriso Bulstrode. Sorriso che sparì subito dopo quando chiese: «Chi è il ragazzo del quinto anno?».
«Fulton Collins».
«Va bene, grazie, Roxi».
 
*

«Virginia, sei con noi?».
La Corvonero scacciò la mano che Kumar Raj le sventolava davanti al volto. Aveva appena visto Daniel Morris insieme ad altri Auror.
«Quello è Daniel» sussurrò a Martha, ma sentirono anche i ragazzi.
«Quello che ti ha salvato?» domandò Jonathan.
«Sì, lui».
«Vuoi andare a salutarlo?» le chiese Martha.
«Non so se posso. Non voglio creargli problemi» replicò Virginia.
«Secondo me, puoi» disse Dexter Fortebraccio. «Basta che non lo distrai troppo».
«Veniamo con te, se vuoi» propose Kumar. «Ma sbrigati a decidere, abbiamo Pozioni tra poco».
«Ok, andiamo» disse allora Virginia.
Si avvicinarono al gruppetto di Auror, che li notò immediatamente.
«C’è qualche problema?» chiese un giovane in divisa scarlatta.
«No, signore» rispose in fretta Virginia. «Volevo solo salutare Daniel» ammise, arrossendo violentemente.
L’Auror si volse verso Daniel, che si avvicinò di più. Era l’unico a indossare la divisa verde degli Allievi Auror.
«Due secondi» concesse l’Auror.
«Grazie, Miller» replicò Daniel serio. Quando si rivolse a Virginia, però, sorrise.  «Come va?».
«Bene, grazie. Tu?» replicò Virginia. «Credo di averti procurato parecchi guai» borbottò subito dopo.
Daniel scosse la testa. «I problemi me li sono creati da solo, ma come vedi Scott mi ha perdonato o non sarei qui».
Virginia sorrise e gli presentò i suoi amici. Daniel strinse la mano a tutti.
«Mi dispiace, ma dobbiamo andare. Abbiamo lezione» ricordò Jonathan.
«Spero che ci vedremo ancora» disse Virginia senza pensare.
Daniel le sorrise ancora e annuì. «Buona lezione».
«Io non sono Chantal, ma sei arrossita troppo mentre parlavi con lui» le sussurrò Martha, mentre prendevano posto nell’aula di Pozioni.
Virginia non sapeva che cosa risponderle, ma l’arrivo di Harry Cartemole, con cui era in coppia, le permise di accantonare in un angolo della mente i pensieri su Daniel. Perché c’erano, proprio come diceva Martha.
L’esperimento delle coppie non stava andando molto bene, in più gli ispettori ministeriali stavano col fiato sul collo ai professori. Risultato? Mcmillan era sempre nervoso e suscettibile.
«Prendete posto. Oggi lavoreremo al Distillato della Pace. Chi sa dirmi che effetti ha?».
Tutti i Corvonero, Dorcas, Noah Hunt, Annabelle Dawlish, Eddie Zabini e, sorprendentemente, Geoffrey Hitson alzarono la mano. Per quanto Mcmillan dovesse essere colpito per quest’ultimo avvenimento, era abbastanza infastidito da porre la sua attenzione sui Tassorosso che non avevano alzato la mano.  «Avevo chiesto di studiare la teoria per oggi o all’improvviso ho problemi di memoria?» sbottò. «Divina Danielson, quali sono gli effetti del Distillato della Pace?»
La ragazza lo fissò, dopo qualche secondo disse: «Non lo so, signore».
Mcmillan s’innervosì ancor di più ed esclamò: «Dieci punti in meno per Corvonero».
«Cosa?! Ma, signore, non è giusto!» si alterò Dexter.
«Sei in coppia con la signorina Danielson, era compito tuo sincerarti che studiasse».
Dexter lo guardò malissimo.
La situazione non migliorò per loro quando Mcmillan rivolse la stessa identica domanda a Destiny Danielson, Harry Cartemole, Modesty Danielson, Noemi Finch-Fletchley, Cedric Foster e Thomas Moore, unico Corvonero. Virginia odiava essere colta in fallo da un insegnante, ma la verità era che non aveva minimamente pensato ad aiutare Harry Cartemole con i compiti.
Dexter era furioso. Virginia non se ne preoccupò troppo in quel momento: il suo amico possedeva un buon autocontrollo.
«Geoffrey, rispondi tu» ordinò infine il professore.
Era evidente che volesse sentirlo, peccato che prima aveva preferito togliere un mucchio di punti a Corvonero.
«È un ansiolitico molto potente, riduce i livelli di stress e dona serenità a chi lo beve» disse il ragazzo.
«Ottimo, dieci punti a Tassorosso» disse Mcmillan. «Per la prossima volta voglio un tema sugli usi della pietra luna nella distillazione delle pozioni. Ora, mettetevi al lavoro».
«Perché non hai studiato la lezione per oggi?» sussurrò Virginia a Harry Cattermole. Fosse stato un ragazzino dei primi anni, avrebbe potuto anche capire, ma da lì a tre mesi avrebbe dovuto affrontare i G.U.F.O.
«Mi sono incontrato con gli altri membri della squadra di gobbiglie. Dobbiamo allenarci in vista della partita con la scuola Móshú».
Virginia non era d’accordo, ma non aveva la minima intenzione di mettersi a discutere con lui durante la lezione. Corvonero aveva perso fin troppi punti.
«Questa pozione è molto difficile, perciò segui attentamente le mie istruzioni, ok?».
«Sì, naturalmente» rispose Harry.
Stare in coppia con lui, non era un grosso problema. Nella distillazione dell’antidoto per veleni comuni avevano preso una E, il Tassorosso l’aveva ringraziata per giorni e le aveva regalato una scatola piena di cioccorane.
«Allora metti la pietra luna nel mortaio e pestala ben bene. Deve essere ridotta in una polvere finissima». Virginia osservò i suoi compagni: Dexter bisticciava a bassa voce con Divina Danielson; Kumar, senza alcuna entusiasmo, indicava a Destiny Danielson la procedura corretta; Jonathan era molto più tranquillo con Modesty. Quella che la preoccupava molto era Eva Lestrange, poiché Thomas Moore sembrava divertirsi a far esplodere calderoni e far ricadere la colpa su di lei.
La lezione procedette più o meno tranquillamente, se non si vuol contare gli insulti di Artemisia Belby a Cedric Foster che costarono altri trenta punti a Corvonero.
«Va bene, così?» le domandò Harry.
Virginia annuì. «Aggiungi il resto dello sciroppo di tiglio, così dovrebbe diventare meno pastosa».
In quel momento, com’era prevedibile, viste le intenzioni fin troppo evidenti del ragazzo, il calderone di Eva Lestrange e Thomas Moore esplose, sporcando i due. Eva scoppiò a piangere, mentre il ragazzo l’aggredì affermando che fosse colpa sua. Che razza di cretino! Virginia strinse i pugni di fronte a quella scena. Era possibile che dovessero per forza rendere la vita difficile a quella povera ragazza? E tutto per un padre che l’aveva ripudiata e che probabilmente non aveva mai conosciuto.
«Virginia» chiamò Harry preoccupato.
Distolse lo sguardo dai compagni e focalizzò l’attenzione sul loro lavoro. «Abbassa la fiamma» disse concitatamente.
Harry si sbrigò a eseguire.
«Mi sono distratta, scusa» sospirò.
«Non mi sembra male, a parte un lieve odore di bruciato» commentò il Tassorosso.
Virginia annuì. «Dovremmo comunque riuscire a prendere una O, ma non di più».
«Oh, ma a me va benissimo. Da solo avrei fatto peggio di Moore» replicò Harry con un enorme sorriso.
«Ora basta!» gridò Artemisia Belby, estraendo la bacchetta. «Io lo affatturo» sbottò, ficcando la bacchetta nel fianco di Cedric Foster, che si lamentò e la spinse di lato.
Mcmillan intervenne per sedare il litigio, ma non fece in tempo che anche Chantal White e Annabelle Dawlish iniziarono a insultarsi aspramente.
In un angolo dell’aula, Percy Weasley scriveva furiosamente su una pergamena.
Cinque minuti dopo, visto che le proprietarie se n’erano dimenticate, la pozione di Chantal e Annabelle esplose. Quella di Artemisia e Cedric si stava bruciando.
Virginia passò una fiala vuota a Harry affinché la riempisse. Nessuno dei due aveva intenzione di farsi coinvolgere né dai litigi né dalle proteste contro Mcmillan e l’idea delle coppie, a cui si aggiunsero anche Dexter e Kumar.
Martha, seduta vicino a lei, insieme a Geoffrey Hitson era tranquilla. A quanto pare il ragazzo aveva deciso di collaborare e migliorare, perciò non fu d’accordo con Artemisia quando sentenziò: «Lo ammetta, professore, il suo esperimento è stato un fallimento!».
Non era del tutto vero, alcuni avevano beneficiato positivamente dell’aiuto dei compagni più bravi.
«Molto bene» sbottò Mcmillan furioso, proprio mentre suonava la campanella. «Dalla prossima lezione si torna alla normalità». Strilli di giubilo si levarono da molti ragazzi, ma il professore smorzò subito il loro entusiasmo: «Chi non mi consegna la fiala con il Distillato, avrà una T. E, visto il vostro comportamento, tolgo cinquanta punti a Tassorosso e cinquanta a Corvonero».
Virginia sospirò: aveva perso il conto di quanti punti avessero perso nel giro di due ore. I loro compagni di Casa ne sarebbero stati felicissimi.
Dorcas salutò Virginia e Martha, mentre usciva dall’aula. Geoffrey la raggiunse subito, raccontandole che Mcmillan, prima che scoppiasse il caos, aveva detto a lui e Martha che stavano facendo un buon lavoro e che sicuramente avrebbero preso almeno una O! La ragazza sorrise di fronte all’entusiasmo del compagno.
 
*
 
Brian s’inquietò vedendo Mike Zender ed Edison Andersen appoggiati al muro, poco distanti dall’aula di Storia della Magia. Era trascorsi alcuni giorni da quando gli era stato rubato il medaglione e, sebbene avesse tentato di parlarci, Zender gli aveva detto di aver pazienza e che gli avrebbe dato istruzioni su come riaverlo. Deglutì, consapevole che non fossero lì per caso, visto che non seguivano Storia della Magia con loro.
«Buongiorno» li accolse Zender, staccandosi dal muro.
«Che caspita, vuoi?» ribatté subito Annika.
«Oh, che maleducata. I vostri genitori non vi hanno insegnato a salutare?» intervenne Andersen ghignando.
«Vorrei scambiare due parole in privato con Carter» rispose, invece, Zender. «Sempre se non ti dispiace» aggiunse eloquentemente guardando il ragazzino.
«Ti sei bevuto completamente il cervello?» replicò Annika mostrando i pugni.
«Va bene. Cominciate a entrare in classe» disse, invece, Brian sorprendendoli.
«Ma abbiamo la verifica» disse Louis sorpreso.
«Vi raggiungo subito» insisté Brian.
«Sei più saggio di quanto pensassi» disse Zender, mentre gli altri Corvonero entravano in aula imbronciati.
Brian non si stava comportando in modo saggio e lo sapeva, perciò si limitò a chiedere: «Per favore, restituiscimi il medaglione».
Zender e Andersen risero.
«Le cose non si ottengono con un ‘per favore’» lo derise il secondo.
«Abbiamo una richiesta per te e, forse, dopo te lo restituirò» disse Zender.
Brian lo fissò turbato. «Cosa vuoi?».
«Consegna la verifica di Storia della Magia in bianco» rispose Zender.
«Cosa? Perché?» ribatté Brian, sempre più preoccupato. «Che cosa ci ottieni tu?».
«Mi piace vederti umiliato. È divertente» rispose il Serpeverde.
«E poi mi restituirai il medaglione?».
«Vedremo. Tu fai il bravo, però. O dovrai cercare la tua preziosa collanina sul fondo del Lago Nero» replicò Zender, suscitando le risatine di Andersen.
Sull’eco di quella minaccia Brian entrò in classe, biascicò delle scuse alla Dawson per il ritardo e si diresse verso il suo banco.
«Brian» lo chiamò la professoressa, porgendogli le pergamene con le domande della verifica. «Stai bene?».
«Sì, professoressa» rispose flebilmente. La Dawson non ci credette veramente e nemmeno lui credeva di stare bene. L’immagine del medaglione che sprofondava nelle acque scure del lago, gli provocava un forte senso di nausea. Non sapeva come comportarsi. Per prendere tempo esaminò le domande. Conosceva tutte le risposte. Poteva cedere al ricatto di Zender e prendere il voto più basso della sua breve carriera scolastica? Nemmeno alla scuola babbana aveva mai consegnato verifiche in bianco e, comunque, quella era tutta un’altra storia.
Ma voleva davvero perdere il medaglione della madre per un voto? Andava benissimo in Storia della Magia e non avrebbe avuto alcun problema a recuperare. A conti fatti, avrebbe perso di più contraddicendo Zender. Che cosa poteva succedergli se avesse consegnato la verifica in bianco? A suo padre non sarebbe interessato, se mai l’avesse saputo. L’unico punto dolente era Maxi, se ne fosse venuto a conoscenza non sarebbe stato per nulla contento e avrebbe preteso una spiegazione. Se? L’avrebbe saputo di sicuro! Non solo era il Direttore di Corvonero, ma la Dawson era la sua fidanzata. Sarebbe stato il primo a saperlo!
Non gli piaceva per nulla far arrabbiare Maxi, ma ancora una volta l’immagine del medaglione, perso per sempre in una massa d’acqua, ebbe la meglio. Con un groppo in gola al pensiero di un Maxi furioso, prese la sua decisione.
«Brian, sei sicuro di stare bene?» gli richiese dopo un po’ la professoressa Dawson.
«Sì, professoressa» replicò di nuovo meccanicamente.
«Non hai scritto nulla ancora» disse la Dawson fissandolo.
«Stavo riflettendo» rispose Brian. Il che era vero, sebbene la sua riflessione non riguardasse minimamente la storia.
Trascorse il resto dell’ora facendo finta di scrivere e ignorando, cosa che lo fece sentire ancora più in colpa, le richieste di aiuto di Christin Bell e Kathleen Burns, due Tassorosso di solito gentili.
Consegnò il suo compito e si affrettò a uscire dall’aula, ma non fu sufficientemente veloce.
«Brian, aspetta».
Brian considerò per un momento la possibilità di far finta di non aver sentito, ma ritenne che fosse troppo. Tornò sui suoi passi e affrontò la professoressa.
«Non hai scritto nulla» disse ella perplessa. Probabilmente stava cercando di capire se le stesse sfuggendo qualcosa di importante.
«Non ho studiato» disse semplicemente Brian senza guardarla negli occhi. «Devo andare alla prossima lezione, mi scusi» soggiunse e corse via.
 
*

«Quando iniziamo a ripetere le altre materie?» domandò Alastor, appena furono fuori dalla biblioteca.
«Secondo me ormai potremmo aspettare l’inizio di aprile» replicò Arya Wilkinson con aria concentrata.
Albus sorrise tra sé: per quanto lo riguardava, benché la profezia fosse una seccatura, quelle rune avevano già fatto tanto. Qualche anno prima non avrebbe mai pensato di studiare e, soprattutto, trovarsi bene con un gruppo tanto eterogeneo. O forse avrebbero stretto amicizia anche senza le rune o prima ancora quella Leggenda dei Fondatori che aveva spinto Rose a cercare appoggi anche nelle altre Case. Comunque insieme lavoravano molto bene. Grazie all’aiuto di Arya, lui, Alastor e Annie avevano preso una E nell’ultimo tema di Pozioni. Considerando quello che era accaduto durante l’ultima lezione di Pozioni di Corvonero e Tassorosso, il professor Mcmillan aveva messo fine a ogni esperimento, nonostante ciò, però, loro avevano continuato a studiare tutti insieme. Si era aggiunta persino Eva Lestrange, che a quanto pare non era trattata molto bene dalle compagne Corvonero.
«Albus, che ne dici?» lo riscosse Dorcas.
«Credo che Arya abbia ragione. Abbiamo due mesi pieni per ripetere tutto e con Pozioni abbiamo iniziato. E poi per quello che ho capito i professori smetteranno di spiegare a maggio e cominceremo a ripetere anche in classe».
Gli altri furono d’accordo.
«L’importante è che uno di voi batti Virginia agli esami. Insomma non può essere sempre Corvonero a vincere» si lamentò Rose.
«Noi siamo Corvonero» le ricordò Jonathan, indicando sé stesso, Kumar, Dexter ed Eva. Di solito Virginia e Martha Gabriels studiavano per conto loro.
«A maggior ragione, è bene che lo sappiate» ribatté Rose. «Farò di tutto per non farvi vincere la Coppa delle Case di nuovo».
«Fino a prova contraria l’abbiamo vinta noi l’anno scorso» intervenne Geoffrey Hitson, che ormai era diventato l’ombra di Dorcas.
«Rose, che cos’hai in mente?» chiese Albus. Erano giorni che la cugina si comportava in modo strano: copiava sempre i compiti o addirittura gli eseguiva ella stessa quando aveva gli allenamenti; non saltava le lezioni e non arrivava in ritardo. L’unica nota dolente era che lei e Cassy aveva preso di mira Evelyn Jenkins, una Serpeverde del sesto anno e, per di più, avevano litigato con Scorpius. Cassy non apprezzava molto il Serpeverde, vuoi perché un po’ di pregiudizi ce li aveva, vuoi perché era gelosa della sua migliore amica. Le gemelle Danielson si stavano scervellando per capire il motivo del litigio tra Rose e Scorpius e l’ipotesi più accreditata era che la prima fosse gelosa di Evelyn. Albus sapeva che Scorpius voleva molto bene a Rose, tanto da dire che l’avrebbe sposata, e sapeva anche che la cugina ricambiava. Per cui non riusciva a comprendere quale fosse il problema, perciò aveva scritto a Vic, di cui si fidava ciecamente. Vic gli aveva spiegato che evidentemente quei due, di cui non aveva fatto nome per rispettare le confidenze degli amici, non erano in grado di dichiararsi e, in questi casi, era sempre meglio dare loro tempo. 
«Vincere la Coppa del Quidditch, naturalmente. Una buona prestazione in campo fa guadagnare sempre punti. Punti che non guadagna chi perde» replicò Rose seria. «E voi guadagnerete punti durante le lezioni. Siamo ultimi in classifica, persino sotto Serpeverde, non mi sembra che vi stiate impegnando molto».
Albus la fulminò con lo sguardo. Alastor si passò una mano tra i capelli imbarazzato.
«Mica è colpa loro» intervenne Dexter Fortebraccio. «Noi Corvonero siamo troppo bravi».
Rose gli pestò il piede, facendolo indietreggiare. «Vedremo. Vi farò piangere sul campo da Quidditch. Ora vado a cercare la mia squadra. Non vorrei che si abbuffassero. Sto seguendo la stessa dieta delle Holyhead Harpies».
«Ecco perché tuo fratello James è così nervoso» commentò Jonathan.
Albus ridacchiò. «Oh, sì. Speriamo almeno che ne valga la pena o Rose se ne pentirà».
«Secondo te Rose e Scorpius faranno presto pace?» gli chiese Arya, avviandosi verso la Sala Grande.
«Non prima della partita tra Serpeverde e Corvonero. La tensione è troppo alta» sospirò. Scorpius aveva addirittura vietato ad Annie di studiare con loro, affermando che Rose avrebbe potuto affatturala prima della partita.
«Andiamo a cenare, vero? Ho molta fame» disse Kumar.
«Direi di sì» rispose Dorcas.
«Andate pure voi, io devo parlare con Jack Fletcher» affermò Albus a malincuore. Anche lui era affamato.
Si divisero nella Sala d’Ingresso, dove lo aspettava Jack in compagnia di Nyah, la ragazzina di Corvonero con cui il Tassorosso aveva stretto amicizia prima dell’inizio dell’anno scolastico.
«Ciao».
«Alla buon’ora, Potter» ribatté il Tassorosso.
«Stavo studiando» sbuffò Albus roteando gli occhi.
«Andiamo» disse Jack ignorandolo.
Albus lo seguì nell’aula di Difesa contro le Arti Oscure, a quell’ora deserta naturalmente.
«Non dovremmo stare qui» disse Albus.
«Invece sì, è il posto migliore. Nessuno oserebbe entrare nell’aula di Williams senza il suo permesso, perciò non saremo disturbati» ribatté il Tassorosso.
«Peccato che noi il permesso non ce l’abbiamo» borbottò Albus, ben sapendo che fosse perfettamente inutile: James e Jack erano troppo simili in certi casi.
Com’era prevedibile Jack rispose con un gesto vago della mano, mentre Nyah tirava fuori dei libri dallo zaino del Tassorosso e uno dal suo.
«Sono i libri che ti ha dato Tanwir. Che cosa avete scoperto?» chiese allora Albus, decidendo di concentrarsi su quello che era più importante.
«Finalmente una domanda intelligente» commentò Jack con la solita aria di superiorità che sfoggiava con quelli più piccoli di lui. «Esistono veramente delle nenie antiche e molto potenti. In un volume vi sono addirittura degli spartiti e le parole».
Albus era perplesso, sentiva che la strada che stavano percorrendo fosse quella giusta, ma non aveva idea di come sfruttare quelle informazioni. Provò a rifletterci anche per non fare la figura dello sciocco di fronte a Jack, che magari si era già dato tutte le risposte a cui Albus non era ancora giunto.
«Quanto sono potenti? Potrebbero colpire tantissime persone tutte insieme?» domandò Albus colto da un’illuminazione.
«Esattamente. E senza farle veramente del male, se non lo si desidera. Certo, bisogna essere veramente bravi».
«Dobbiamo provarci» esclamò Albus entusiasmandosi. «Non dobbiamo combattere! Ma dobbiamo mettere fuori gioco la Selwyn e il suo esercito! Questa è la strada migliore!».
«L’ho pensato anch’io» replicò Jack, che, però, non condivideva il suo entusiasmo. «Sappiamo cantare? E soprattutto alcune di queste nenie chiedono uno specifico accompagnamento musicale, parte integrante della magia. Chi di noi è in grado di suonare uno strumento?».
Anche l’entusiasmo di Albus si smorzò. Sbuffò per la frustrazione: doveva sempre mancare qualcosa!
«Nessuno di voi sa suonare?» pigolò incerta Nyah. «I vecchi del villaggio suonavano sempre e lo insegnavano ai più giovani».
«Tu lo sai fare?» le chiese subito Jack.
«Lo insegnavano ai ragazzi» replicò Nyah, dispiaciuta per non potergli essere d’aiuto.
«Comunque, Nyah ha ragione. Io e te non sappiamo suonare, ma magari gli altri sì. O possiamo imparare. Alastor suona la chitarra e quest’estate ha provato a insegnarmi qualcosa» disse Albus.
«Allora indici una riunione e discutiamo» concluse Jack.
«Lo faremo al più presto» concordò Albus.
 
*

«E Adriel mi ha scritto che non vede l’ora che arrivi l’estate per incontrarmi» esclamò contento Tobias Andersen.
Emmanuel sorrise al suo migliore amico. «Ho una cosa da confessarti» disse ad un certo punto.
«Cosa?» replicò perplesso Tobias.
«Sai quando sparisco la sera?».
«Non sei con Fabiana?».
«Sì, ma non da soli».
Tobias aggrottò la fronte. «In che senso?».
«Facciamo parte del coro della Scuola» confessò Emmanuel, sperando che l’amico non si mettesse a ridere.
Tobias sorrise. «Tutto questo mistero per il coro?».
«Beh, molti lo ritengono ridicolo» ribatté Emmanuel.
Tobias arrossì. «Sono stupidi» borbottò. «Sai che ti dico», disse dopo un po’, «verrò con voi la prossima volta. Mi piacerebbe far parte del coro, ma mi vergognavo proprio per quelle stupide battute che tutti fanno. Dici che Bulstrode mi accetterà?».
«Sicuro!» rispose Emmanuel contento. «Bulstrode accetta tutti. Se fosse stato un mago, secondo me sarebbe stato smistato a Tassorosso».
La discussione terminò bruscamente a causa di una rete appiccicosa che li ricoprì all’improvviso. I due strillarono e tentarono di liberarsi.
«È inutile» esclamò una voce altera. «Ragnorete Tiri Vispi Weasley. L’hanno acquistata persino gli Auror. Nessun malvivente può liberarsi».
«Ma noi non siamo malviventi» sbottò Tobias.
Emmanuel sbuffò riconoscendo Gideon Weasley e il suo degno compare Colin Canon. Insieme a loro c’erano dei ragazzini, a occhio e croce del primo anno.
«Oh, invece, sì. Siete degli sporchi Serpeverde. Non dovreste neanche frequentare la Scuola» ribatté Colin Canon.
«E tu hai osato persino toccare mia sorella» soggiunse Gideon irato.
Tobias smise di lottare con la rete, probabilmente pensando che quel gruppetto di Grifondoro, per giunta più piccoli, non avrebbe fatto loro del male veramente. Emmanuel non ne era così convinto, ma iniziò a irritarsi per essersi fatto mettere, letteralmente, nel sacco da un gruppo di mocciosi.
«Allora siete davvero riusciti a prenderli in trappola» domandò una voce.
«Certo, ne dubitavi? Fai la tua parte» replicò Gideon.
Emmanuel lanciò un’occhiataccia a Fred Weasley, sfidandolo a fare qualunque cosa. Evidentemente il suo sguardo non era così minaccioso, visto che il ragazzo lo ignorò.
«Evanesco» formulò Fred puntando la bacchetta contro i due Serpeverde. La divisa scomparve e rimasero in mutande con loro enorme sgomento. «Ecco, contento? Ci si vede in giro».
«Grazie, Freddie» strillò Gideon al cugino.
«Liberateci» sibilò Emmanuel, tutt’altro che propenso di scherzare con loro.
«Tranquillo, tra un momento» replicò Colin con un insopportabile ghigno in volto.
«Viscatus!» pronunciò Gideon con sicurezza.
Emmanuel imprecò in modo colorito, quando furono ricoperti da una sostanza appiccicosa.
«Jacob, Faraji, tocca a voi» ordinò Gideon.
I due ragazzini interpellati si avvicinarono minacciosamente ai due Serpeverde, trascinando un enorme sacco. Il resto del gruppo intervenne per dar loro una mano a tirare fuori delle piume di ippogrifo dal sacco e, naturalmente, lanciarle addosso ai due ragazzi più grandi.
«Che bei polli!» trillò divertito Colin Canon.
Gideon e gli altri risero.
«Ciao, polli, qualcuno vi libererà» aggiunse Gideon.
«Ci lasciate così!?» sbottò Emmanuel.
«Certo, così vi vedranno tutti!» rispose Gideon. «Stai lontano da mia sorella o la prossima volta non saremo gentili» minacciò prima di andarsene con i suoi amici.
Man mano che gli altri studenti passavano per quel corridoio e ridevano, chiamando a raccolta gli amici perché non si perdessero quello spettacolo, Emmanuel sentì una fitta al petto. Il suo amor proprio ferito. Non gli interessava che Gideon fosse il fratello di Fabiana, gliel’avrebbe fatta pagare!
 
*

 «Benvenuti alla partita tra Serpeverde e Corvonero. Ecco le squadre che entrano in campo!» strillò Orion Montague nel megafono magico. «I Capitani delle due squadre, Scorpius Malfoy ed Eleanor Davies, si stringono la mano».
Scorpius lanciò un’occhiata divertita al cugino, mentre saliva sulla scopa, pronto al decollare al fischio della professoressa Yaxley.
«La pluffa è in gioco e la partita inizia! Forza Serpeverde!».
Alcuni ‘boo’ vennero dai tifosi blu-argento e da quelli rosso-oro. Scorpius sempre più divertito dal cuginetto vide il professor Paciock intervenire e sussurrare qualcosa all’orecchio del ragazzino, probabilmente gli stava ricordando che avrebbe dovuto essere imparziale nella cronaca.
«Lucy Weasley si avvicina agli anelli protetti da Zacharias Lewis, ma all’ultimo secondo lancia la pluffa all’indietro ad Alex Dolohov. Oh, che goal! Serpeverde è in vantaggio dieci a zero!» strillò Orion. «Grandissimi ragazzi!».
Scorpius ghignò soddisfatto verso Alex che dava il cinque a Lucy. La Davies rimbeccò i suoi compagni di squadra, che non sembravano molto contenti. D’altronde i tre cacciatori blu-argento erano del settimo anno e non dovevano apprezzare di dover sottostare ai comandi di una ragazzina di neanche quindici anni.
«E Baston colpisce il manico di scopa di Amy Mitchell facendole perdere la pluffa, immediatamente recuperata da Caroline Smithy. Corvonero parte all’attacco… Ma ecco un bolide di Emmanuel Shafiq… La Smithy perde la pluffa e Lucy Weasley ne approfitta, lanciandosi verso Lewis… Weasley passa a Mitchell, che evita per un pelo un bolide di Baston… Signori, che classe! Mitchell passa a Dolohov che passa a Weasley… e Serpeverde segna ancoraaaa!» urlò Orion. «Venti a zero per Serpeverde».
Scorpius era euforico per come la sua squadra stava giocando, se tutto fosse andato per il meglio, avrebbero festeggiato alla grande quella sera. Si guardò intorno con attenzione, doveva fare la sua parte e trovare il boccino. La Davies, però, lo tallonava stretto.
La partita si protrasse per altri venti minuti prima che Tania Benson riuscisse a superare Annie Ferons e segnare il primo punto per Corvonero, ma nel frattempo Lucy, Alex e Amy avevano segnato ancora.
«Il punteggio è di 70 a 10» strillò Orion, mentre i Serpeverde incitavano con cori le loro cacciatrici che, al di là delle aspre polemiche seguite all’espulsione di Parkinson dalla squadra, si stavano rivelando bravissime.
La curva trattenne il fiato, mentre Scorpius si lanciò verso uno degli anelli di Corvonero, attorno al quale aveva visto il boccino svolazzare. Per colpa di un bolide, lanciato da uno dei gemelli Baston, lo perse di vista. Imprecò, brandendo i pugni all’aria, mentre i gemelli gli gettavano uno sguardo di sfida.
Scorpius si permise un’occhiata più attenta alla tribuna, occupata dai professori, e si accorse che suo padre era lì e lo stava guardando. Gli sorrise e riprese a cercare il boccino con più alacrità di prima.
Nel frattempo Alex segnò di nuovo e Annie parò un tiro difficile di Matthew Parker.
Dopo un’ora la tensione in campo era salita notevolmente, i due Cercatori non avevano più avvistato il boccino. Serpeverde conduceva per 110 a 50, ma i tifosi esortavano le tre Cacciatrici a segnare ancora.
Scorpius si passò una mano tra i capelli con impazienza: dove cavolo si era nascosto quel benedetto boccino?
Uno strillo lo costrinse a voltarsi e, instivamente, portare la mano alla bacchetta.
«È fallo, è fallo!» gridò Orion fuori di sé.
Scorpius tirò un sospiro di sollievo, con quella storia degli aspiranti Neomangiamorte aveva sempre i nervi tesi. A strillare era stata Amy, perché Matthew Parker le aveva tirato la coda della scopa per fermare la sua corsa verso gli anelli di Lewis.
«Punizione!» sentenziò la Yaxley.
Lucy Weasley s’impadronì della pluffa e si posizionò a centro campo per battere la punizione. Pochi secondi dopo la folla verde-argento esplose per festeggiare un nuovo goal della ragazza.
«Evvai, così si fa!» urlò Orion. «120 a 50 per Serpeverde».
Scorpius sospirò sollevato, per un attimo aveva temuto che le ragazze si sarebbero fatte prendere dai nervi a scapito della concentrazione, ma aveva sottovalutato la tempra di Lucy.
Solo un quarto d’ora dopo Scorpius avvistò finalmente il boccino. La Davies gli stava ancora appiccicata e lo vide anche lei. Il Serpeverde si appiattì sulla scopa per aumentare la sua velocità, ma la ragazza non lo mollava un secondo. Il boccino si spostò verso il basso, rasentando il prato. Scorpius poteva sentire i suoi compagni trattenere il fiato, mentre la distanza tra lui e il boccino diminuiva progressivamente.
Il boccino si spostò ancora più in basso prendendo di sorpresa i due Cercatori. Eleanor Davies strillò, perdendo il controllo della scopa. Scorpius mantenne il sangue freddo e raddrizzò il suo manico solo a pochi centimetri da terra, fortunatamente aveva rallentato prima. Lo stadio scoppiò in urla e applausi ancora prima che stringesse il boccino al sicuro tra le dita.
«E vince Serpeverde!» gridò Orion fuori di sé. «Scorpius ha preso il boccino! Abbiamo vinto 270 a 50! Evviva!».
Scorpius mise piede a terra. Era euforico! Pochi secondi dopo i suoi compagni lo raggiunsero festanti. Si abbracciarono. Il ragazzo vide Eleanor Davies poco distante e, con molta fatica, sgusciò fuori dall’abbraccio collettivo. La Corvonero era nera in volto e dalle occhiate che le rivolgeva Matthew Parker, dovevano aver discusso. Il resto della squadra era altrettanto deluso.
Scorpius le si avvicinò e le porse la mano, Eleanor per un attimo apparve sorpresa, poi gliela strinse.
«Sei stato bravissimo» gli disse.
«Grazie, anche tu» replicò Scorpius gentilmente.
«Non quanto te» sospirò ella. «Vabbè, andiamo a farci la doccia».
Scorpius la salutò e tornò dai compagni. Lucy, Alex e Amy era tornate a volare, mettendosi in mostra per i compagni di Casa che continuavano ad acclamarle. Lo stadio si stava svuotando rapidamente. Ben presto sarebbero rimasti solo loro.
«Stasera si festeggia!» urlò entusiasta Emmanuel. «Abbiamo giocato un’ottima partita, no?».
«Sì» concordò Scorpius, avviandosi verso la tribuna dei professori, ben intenzionato a salutare i suoi genitori.
«Vengo con te. Mio padre è riuscito a liberarsi dai suoi impegni! L’ho visto insieme a mia madre!».
Molti strinsero loro la mano e diedero pacche sulle spalle.
«Non fate tardi!» li gridò un ragazzo del sesto anno. «Stanotte si fa festeggia!».
«Penso che a Fawley verrà un colpo» sussurrò Emmanuel a Scorpius, prima di correre dai suoi genitori.
Scorpius rise pensando al loro Prefetto-Perfetto, prima di incontrare lo sguardo orgoglioso di Draco Malfoy. Il suo sorriso si allargò mentre lo raggiungeva.
 
 
Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento! J
Le informazioni sul Distillato della Pace provengono da Potterpedia (una delle mie fonti principali), mentre i termini tecnici del Quidditch (in questo caso solo l’Attacco Tastadifalco, se non sbaglio) dal libro “Il Quidditch attraverso i secoli”.
Se vi va, ditemi che cosa ne pensate ;-)
A presto,
Carme93
 

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Capitolo 30
*** La vita è amore, godine ***


Capitolo trentesimo
 
La vita è amore, godine
 
Fawley aveva tentato di mantenere l’ordine da buon Prefetto, ma quando ai festeggiamenti si era aggiunto persino un esaltato professor Delaney, aveva rinunciato.
Scorpius stava morendo di sonno, ma, in qualità di Capitano, non aveva potuto abbandonare la festa e andarsene a letto.
«Mi aiuti?» gli chiese Tobias Andersen, il migliore amico di Emmanuel.
Scorpius annuì e tirò in piedi il suo battitore, che era crollato su una delle poltrone della Sala Comune.
«Mi sa che hai esagerato, Emmanuel» borbottò, mentre con Tobias lo trascinavano verso la sua camera.
«Solo un tantino» biascicò con voce impastata Emmanuel. «Sono lucido… mi gira solo un po’ la testa… posso camminare da solo…».
«Meglio di no» replicò Scorpius. «Abbiamo ancora una partita prima della fine del Campionato e non vorrei che cadessi. Mi servi tutto intero».
Emmanuel farfugliò qualcosa, che né Scorpius né Tobias compresero. Lo trascinarono di peso fino alla sua stanza e lo adagiarono sul letto. Già dormiva. Scorpius alzò gli occhi al cielo e sorrise.
«Beh, buonanotte» disse allora.
«Grazie dell’aiuto» replicò Tobias. «Buonanotte anche a te».
Scorpius tornò serio appena uscì dalla stanza dei ragazzi del quarto anno: aveva ancora qualcosa da fare e sperava veramente che si sarebbe rivelata una buona notte.
In Sala Comune erano rimaste poche persone. Lucy, Alex e Amy gli andarono subito incontro, abbracciandolo e augurandogli la buonanotte. Il ragazzo ricambiò, ma approfittò della loro presenza per nascondersi sulla soglia del corridoio che portava alle camere delle ragazze. Da lì poteva osservare il gruppetto ancora sveglio: Roockwood, Avery, Parkinson e Fulton Collins.
Persino un cieco si sarebbe accorto che Collins era diventato il pagliaccio del loro gruppo.
«Vai, Fulton, che con la testa di legno che ti ritrovi forse riuscirai a spaccare il vetro!» gridò divertito Avery, palesemente ubriaco.
Scorpius osservò Fulton sbattere la testa contro la vetrata, oltre la quale, nera come la pece, l’acqua del Lago Nero fluiva placidamente. Fulton Collins non era stupido fino a quel punto, ma era terrorizzato abbastanza da fare qualunque cosa pur di compiacere Roockwood e i suoi amici.
«Che succede?» sussurrò una voce dietro di lui, facendolo sobbalzare.
Si voltò incrociando gli occhi chiari di Evelyn.
«Roockwood fa il cretino» rispose laconicamente Scorpius. La ragazza non fece altre domande e tacque. In silenzio continuarono a guardare come Roockwood si divertisse a umiliare il compagno, finché, probabilmente stanco del suo giocattolino, decise che era ora di andare a dormire. Gli altri lo imitarono all’istante, abbandonando Fulton senza alcuno scrupolo. D’altronde Scorpius aveva smesso di pensare che possedessero una coscienza. A quel punto, però, lui ed Evelyn uscirono dal loro nascondiglio e si avvicinarono al ragazzo.
«Dovrebbe mettere come minimo un po’ di ghiaccio dove ha sbattuto la testa» disse Evelyn.
Scorpius annuì. «Puoi aiutarlo?».
Fulton non oppose resistenza mentre Scorpius lo trascinava di peso su un divano.
Evelyn appellò il suo kit di prontosoccorso, che Scorpius aveva imparato a conoscere durante gli allenamenti di Quidditch.
Ancora una volta, sebbene sveglio e cosciente, Fulton non si lamentò né allontanò la ragazza. Ciò che turbò Scorpius fu la consapevolezza che il compagno non si comportasse in quel modo perché fiducioso, ma perché rassegnato che chiunque facesse di lui ciò che più desiderava.
Scorpius lasciò a Evelyn il tempo di medicarlo, troppo stanco per riflettere seriamente su quello che avrebbe voluto e dovuto dirgli.
«Ecco fatto» annunciò Evelyn.
«Non sei costretto a fare quello che ti dicono, lo sai?» esordì Scorpius a bruciapelo.
Fulton rise. Una risata vuota. «No? Che ne sai Malfoy?».
«Puoi scegliere. Ognuno di noi può farlo» replicò Scorpius, mentre Evelyn annuiva al suo fianco. Erano le stesse parole pronunciate dalla McGranitt qualche sera prima.
«Non che non posso!» ribatté improvvisamente furioso Fulton.
«Sì, che puoi!» si alterò Scorpius. «Tira fuori le pluffe, una buona volta!».
«Oh, è vero, mi era dimenticato: tu sei Scorpius Malfoy, il mancato Grifondoro! Per te tutto si riduce a questo, vero? Il mondo si divide tra vigliacchi e coraggiosi?» ringhiò Fulton, alzandosi e fronteggiandolo.
«Perché tutta questa rabbia non la tiri fuori con Roockwood e i suoi amici trogloditi?» replicò con altrettanta forza Scorpius.
«Saranno pure trogloditi, come dici tu, ma hanno il potere. Hanno più potere della McGranitt!».
«Ma che cavolo dici?» sbottò Scorpius, preso in contropiede.
«Roockwood prende ordini direttamente da Bellatrix Selwyn! Quella donna s’impadronirà del paese!».
«Non succederà!» sibilò Scorpius.
«E chi glielo impedirà? Tu?» lo derise Fulton.
Scorpius strinse i pugni. «Se sarà necessario, lo farò».
«Sai che ci ha detto prima Roockwood? La Selwyn ha trovato un accordo con Ragnarok III. Sai chi è?».
Per un attimo mancò il respiro a Scorpius. Tutti sapevano chi era Ragnarok III: il capo dei folletti della Gran Bretagna.
«Nell’ultima guerra i folletti hanno subito troppe perdite a causa dei Mangiamorte, non è possibile che si alleino di nuovo con loro. È molto più probabile che si rivolteranno anche contro i Neomangiamorte. I folletti non si fidano più dei maghi» intervenne a sorpresa Evelyn.
«Non ha importanza» tagliò corto Fulton.
«Come no? Ma non capisci? La Selwyn può essere sconfitta!» dichiarò con forza Scorpius.
«Non potete capire. Io non ho scelta!» sbottò Fulton.
«Ti ho detto che tutti abbiamo la possibilità di scegliere. Se non ti fidi di me, parlane con la McGranitt» tentò Scorpius.
«La McGranitt non mi può aiutare» ribatté Fulton, alzandosi e spingendo di lato gli altri due.
«Fulton, sai come funziona, vero? I cattivi non perdonano mai, i buoni sì» disse Scorpius.
«Dovresti saperlo che non è così» replicò il ragazzo. «Il nome dei Malfoy per i più è ancora sporco, così come quello di Serpeverde. I buoni fanno solo finta di perdonare, Scorpius».
«Io ti perdonerò veramente» ribatté l’altro, ma il compagno si era già avviato verso i dormitori e non si voltò indietro.

*

Ass era apparsa sulla runa di ognuno di loro e conseguentemente la prima sera disponibile si erano riuniti nella Stanza delle Necessità.
«Andiamo direttamente al punto, Albus. Sono di ronda stasera» lo sollecitò James.
«Da quando ti interessa ottemperare ai tuoi doveri di Prefetto?» chiese sorpresa Rose.
«Non posso lasciare Benedetta da sola, mi sembra logico» replicò tranquillamente il cugino.
«Va bene» intervenne Albus. «Io e Jack abbiamo raccontato a tutti quello che ora sappiamo delle nenie magiche. Virginia, hai fatto quelle ricerche?».
«Certamente» rispose compita la Corvonero. «Ma non ho buone notizie. Una nenia funziona solo se vengono utilizzate la lingua e gli strumenti musicali giusti. Di conseguenza non possiamo tradurre lo swahili, o un’altra delle lingue africane, in inglese. La nenia perderebbe il suo potere. Similmente, non possiamo usare strumenti musicali che non appartengono alla tradizione musicale africana. Per esempio, il balafon è una specie di xilofono, ma la magia non funzionerà se non utilizziamo un vero balafon».
«Praticamente siamo in alto mare?» sbuffò James.
«Dopo tutta la fatica che ho fatto a procurarmi quei libri?» rincarò Jack. «Voi secchioni dovreste trovare una soluzione».
«L’unica soluzione è chiedere consiglio a Bulstrode, per quello che ho capito s’intende anche di musica» replicò Virginia, punta sul vivo dalle loro parole. «Io so suonare il pianoforte, ma dubito che per una nenia antica possa essere utile».
«Posso parlare io con il professor Bulstrode» si fece avanti Emmanuel.
«Ma a che pro?» chiese scettico Jack.
«Anche nella nostra tradizione devono esistere delle nenie» rispose prontamente Virginia. «Molti popoli primitivi si esprimevano con musiche e danze in passato, specialmente prima dell’affermazione della scrittura».
«Ok, allora Emmanuel parlerai con Bulstrode» decretò Albus. «Jonathan, come va con le ricerche sulla legistrazione esistente sui magonò?».
«Molto bene, ho trovato cose interessanti, ma ci sono ancora molti libri che devo leggere. Se per voi va bene, pensavo di mettermi in contatto con gli Squibs e condividere alcuni dati con loro» rispose il Corvonero. Gli altri non ebbero nulla da ridire.
«Adesso parliamo della Stamberga Strillante» intervenne Jack. «Come ci dobbiamo muovere?».
«In nessun modo, temo» rispose James, che ci aveva riflettuto a lungo. «Siamo stati troppo ingenui quando abbiamo usato la Polisucco, ora si guardano le spalle con molta più attenzione. È troppo pericoloso seguirli di notte nel parco».
«Quindi stiamo a guardare?» sbottò Jack, il quale aveva pensato che avrebbero organizzato dei turni di guardia per beccare gli aspiranti Neomangiamorte.
«No. Speriamo che facciano un passo falso e vengano beccati» replicò James.
«Che?» sbottò Jack, sorpreso da quella risoluzione del compagno.
«È la migliore delle cose» ribatté James. «Non dobbiamo farci male. Siamo già il loro bersaglio senza cadere in trappola da soli».
«Come volete» si alterò Jack, visto che anche gli altri ragazzi erano d’accordo con il Grifondoro. «Ne riparleremo alla prossima riunione» aggiunse alzandosi e uscendo.
«Bene, direi che per oggi abbiamo finito» sospirò Albus.
 
*

«Hai capito?».
Rose sospirò all’ennesima domanda di Cassy. Sì, che aveva capito. Non era mica stupida lei! L’intelligenza della madre ce l’aveva eccome, il problema è che non la usava come l’abile Ministra della Magia avrebbe approvato e desiderato.
«Non mi piace che non mi parli, però. Non era mai successo» disse, invece.
«Rosie, sei noiosa. Malfoy è solo un cretino. Secondo me dovresti proprio dimenticarlo» ribatté Cassy, altrettanto seccata. «Ci sono tanti bei ragazzi a Scuola. Mi spieghi perché proprio lui?».
Rose si strinse nelle spalle. Perché? Boh. Non lo sapeva. Perché sua mamma così preparata e intelligente si era innamorata di suo padre confusionario e poco incline allo studio? Probabilmente non esisteva un motivo. Non uno razionale comunque.
«E che dovrei fare allora? Mettermi con il primo che passa per il corridoio?» chiese Rose sarcastica.
«Sarebbe divertente» rispose Cassy, indicando Conrad Avens, il Caposcuola di Grifondoro, che stava passando il quel momento.
Le due ragazze furono scosse da risatine più o meno silenziose.
«E tu, allora, dovresti prenderti il prossimo» replicò Rose. Sebastien Kent rivolse loro un sorriso sognante, rischiando di andare a sbattere contro un Serpeverde del settimo anno, molto più alto e grosso di lui. Rose e Cassy scoppiarono a ridere senza alcun freno.
«Signorine! Non vedo che cosa vi sia di divertente nell’Incantesimo Tacitante!» le richiamò il professor Delaney.
«Forse, professore, dovremmo provarlo su di loro» propose Scorpius, seduto dalla parte opposta della classe.
Rose lo fissò come rabbia. Chi aveva chiesto il suo parere? Gli altri ragazzi avevano abbandonato i loro tentativi, più o meno fruttuosi, di far tacere gli animali che li erano stati affidati.
«Se riesci da quella distanza, assegnerò venti punti a Serpeverde e non avrai compiti per la prossima settimana» disse il professor Delaney, facendo gelare Rose.
La Grifondoro tornò a fissare Scorpius, il suo ex-migliore amico, con rabbia. Non avrebbe mai osato zittirla. Non gli conveniva.
«Silencio!» pronunciò con forza e chiarezza Scorpius.
Rose aprì la bocca per imprecare e maledirlo, ma non una sola sillaba ne fuoriuscì. La classe scoppiò in una sonora risata. La ragazza arrossì e la furia aumento. Il Serpeverde, però, non sembrò toccato dal suo sguardo omicida.
«Molto bene, Scorpius, come promesso, venti meritatissimi punti a Serpeverde!» dichiarò contento Delaney. «E signorina Weasley, le prometto, che alla fine dell’ora scioglierò personalmente l’incantesimo. Quanto alla signorina Cooman, invece, pensò che non sarà capace di parlare anche da sola».
Albus cercò con gli occhi la cugina, ma ella evitò di voltarsi verso di lui. Avrebbe voluto ricordarle i suoi propositi di vincere la Coppa delle Case. La conosceva troppo bene da sapere che avrebbe mandato a farsi strabenedire il suo autocontrollo.
Rose, per un attimo, pensò di lanciare su Scorpius tutto quello che aveva a disposizione, dai libri al rospo che avrebbe dovuto tacitare, ma con cui aveva giocato per tutto il tempo; ma poi decise di ricambiare il favore. Puntò la bacchetta su Scorpius e si concentrò. Dopotutto se ci riusciva Fred, perché non doveva riuscirci lei? Il Serpeverde, che stava rispondendo a una domanda del professore, rimase improvvisamente senza parole.
La Grifondoro sorrise orgogliosa vedendo il ragazzo cercare i suoi occhi. Perché Scorpius non aveva alcun dubbio che fosse stata lei.
Il professor Delaney, invece, impiegò parecchio tempo a convincersi che fosse stata lei con un Incantesimo Non Verbale. Tanto meglio, era il momento che imparasse anche lui che Rose Weasley avrebbe potuto dimostrarsi migliore persino di quella super secchiona di Virginia Wilson, se solo avesse voluto.
Alla fine il professor dovette assegnare cinquanta punti a Grifondoro, ma ancora, mentre usciva dalla classe, Rose notò che l’uomo la stava osservando come se fosse una creatura magica particolarmente interessante.
La ragazza gli rivolse un enorme sorriso soddisfatto.
 
*

Scorpius corse felice nel parco. Finalmente aveva finito le lezioni per quel giorno e inoltre era venerdì: avrebbe avuto un intero fine settimana da trascorrere con Hagrid!
Quando arrivò alla capanna dell’amico, bussò rapidamente.
«Ciao!» gridò appena Hagrid gli aprì la porta.
«Ciao, Scorpius» replicò l’omone. «Pensavo che non saresti più venuto per oggi».
«La Spinnett ci ha trattenuti per la solita ramanzina sul fatto che se continueremo a non studiare, non supereremo i G.U.F.O.».
Hagrid si era subito fatto da parte per farlo entrare e Scorpius, parlando, aveva notato che era in compagnia. Stava prendendo il the insieme ad Amaryllis e la McGranitt.
«Buonasera, professoresse» salutò immediatamente.
«Ciao, Scorpius» gli sorrise Amaryllis, con un accento di divertimento nella voce perché aveva colto le sue parole sulla Spinnett.
«Buonasera, signor Malfoy» rispose la Preside con la sua consueta severità, ma a quanto pare scelse di non commentare quanto aveva detto il ragazzo. Grazie a Merlino! «Bene, io vi lascio. Devo assolutamente contattare il Ministero questa sera stessa. Quanto Fiorenzo ci ha raccontato è molto preoccupante».
Scorpius si sedette su una delle sedie intorno al tavolo e accettò il thè offertogli da Amaryllis, mentre Hagrid accompagnava la Preside fino all’entrata del castello.
«Che succede?» chiese Scorpius, mettendosi una generosa dose di zucchero nella tazza. Amaryllis alla fine aveva deciso di fare come Hagrid e lasciare che alcuni studenti si prendessero un po’ più di confidenza. Con loro del quinto anno era sempre distaccata a lezione e severa, ma James le aveva detto che con quelli del sesto anno, invece, si comportava in modo molto amichevole, proprio come Hagrid. Scorpius, però, era un’eccezione, quanto meno fuori dalle lezioni.
«Fiorenzo è molto agitato. Gli altri centauri voglio ribellarsi al Ministero».
«Perché?».
«Perché la Foresta Proibita, o, comunque, gran parte di essa, è sempre stata la loro dimora, ma il Ministero continua a diminuire il territorio a loro disposizione».
«E il Ministero che se ne fa? La Foresta Proibita va con Hogwarts, no? Per cui che ci guadagnano?» replicò Scorpius sorpreso, rimanendo con la tazza sollevata a mezz’aria.
«Questione di superiorità. I maghi possono permetterselo e lo fanno».
Scorpius per un attimo credette di essere nuovamente sotto l’effetto dell’Incantesimo Tacitante, ma stavolta era semplicemente senza parole per la stupidità di certe persone.
«Ma è stupido!» sbottò alla fine.
Amaryllis sorrise amaramente. «Vai un po’ a farglielo capire».
Il Serpeverde si concentrò sul suo thè fino al ritorno di Hagrid, Amaryllis non lo riscosse dai suoi pensieri.
«Gli hai detto che ho dovuto portare il nostro amico qui?» disse il mezzogigante, seguito da Batuffolo.
Scorpius saltò giù dalla sedia e abbracciò il crup, che non era più tanto piccolo. «Quale amico?» chiese sorpreso.
«Harris» rispose Amaryllis, rimettendo in ordine le tazze.
Il ragazzo impiegò diversi secondi per comprendere la sua risposta. «Harris, qui?!» quasi gridò.
«Eh, già» disse Hagrid cupo, indicando la porta che conduceva al suo orto personale.
Scorpius corse fuori e vide un grosso blocco di carne che veniva mangiato da qualcosa di invisibile. Cautamente raggiunse il piccolo Thestral e lo accarezzò. Quello ricambiò le coccole, toccandolo con il suo caldo musetto sulla guancia.
«Allora che è successo?» disse sollecitando Hagrid a parlare. «Non dovrebbe stare nella foresta con la sua mamma e gli altri Thestral?».
Hagrid, che lo aveva seguito, annuì. «È stata uccisa e lui ancora zoppica».
«Come uccisa?» chiese Scorpius scioccato, smettendo di accarezzarlo per un momento.
«Uccisa. Anche altri Thestral hanno fatto una brutta fine» replicò Hagrid.
«Pensi che siano stati i centauri?» domandò perplesso il ragazzo.
«Non dire fesserie» lo redarguì Amaryllis, chinandosi a sua volta per accarezzare il piccolo Harris. «I centauri non attaccano le altre creature. Solo i maghi danno loro fastidio e ne hanno fin troppi motivi».
«Quindi chi può essere stato?» insisté Scorpius.
«I centauri dicono che ci sono persone che si aggirano per la foresta di notte e inquietano le creature che vi vivono» rispose Amaryllis.
 Scorpius si accigliò e si voltò per accarezzare ancora Harris, ma la sua mano andò a vuoto.
Amaryllis scoppiò a ridere. «Si è spostato un poco. La tua cravatta gli piace».
Il Serpeverde si sentì tirare per il collo infatti. «Saresti un buon Serpeverde, Harris» sorrise infine, sciogliendo il nodo della cravatta. Era divertente vederla galleggiare a mezz’aria.
«Com’è strana la vita» borbottò Hagrid. «Prima di conoscerti avrei storto la bocca a una frase del genere».
Scorpius si strinse nelle spalle. «Silente aveva ragione, Hagrid. Sono le nostre azioni a dire chi siamo, non i colori che indossiamo per sette anni di Scuola. Però spesso ce ne dimentichiamo».
Il Mezzogigante colse la tristezza nella sua voce e domandò: «Non avete fatto la pace tu e Rose?».
Il ragazzo scosse la testa e raccontò quello che era successo a Incantesimi, facendo ridere Hagrid.
«Ai miei tempi gli studenti si comportavano meglio di fronte a un insegnante» commentò, invece, Amaryllis. «Eppure la professoressa McGranitt è molto più severa del professor Silente».
«Hai conosciuto Silente?» chiese curioso Scorpius.
«Sì, ho visto la fine della Prima Guerra Magica tra queste mura e Silente ancora nel suo fulgore» rispose malinconicamente Amaryllis.
«È per questo che vedi i Thestral? Perché sei vissuta durante la Prima Guerra Magica?» chiese Scorpius, non riuscendo a trattenersi.
«Sì, erano tempi bui» rispose laconicamente Amaryllis e il ragazzo non insisté.
Scorpius si chiese se le persone avrebbero mai superato i traumi della guerra contro Voldermort, con ancora i Mangiamorte in circolazione e con i loro folli epigoni.

*

«Ragazzi, ho una nuova sfida per voi» esordì Mike Zender, facendo sbuffare parecchi. Persino Lysander, tanto combattivo in principio, non le trovava più divertenti. «L’idea è stata delle gemelle Thompson, per cui dovrebbe piacere alle ragazze».
Le gemelle Thompson erano tre Serpeverde, probabilmente le ragazzine più carine del secondo anno, ma Brian era ormai consapevole che l’aspetto fisico potesse trarre in inganno: il loro volto angelico nascondeva un carattere prepotente e, a volte, perfido.
Finalmente le belle giornate erano sempre più frequenti, perciò era piacevole trascorrere l’intervallo e la pausa pranzo nel parco. Si era seduto con Niki e Miki ben intenzionato a chiacchierare con loro, e, in effetti, tutto era andato come avrebbe voluto, finché Zender non aveva aperto la sua boccaccia. Non aveva raccontato nulla agli amici del furto del medaglione perché sapeva perfettamente che Niki e Miki gli avrebbero consigliato di rivolgersi a un insegnante. Naturalmente quella sarebbe stata la scelta più saggia, ma voleva essere sicuro di non avere alcuna possibilità di riottenerlo da solo.
«Siamo pronti. Non ci tireremo indietro» rispose Annika con fermezza e con più impulsività dei Grifondoro presenti. Brian si domandava sempre più spesso perché il Cappello Parlante l’avesse smistata a Corvonero, ma l’unica risposta plausibile è che fosse intenzionato a placare il suo carattere focoso. Peccato che non ci fosse riuscito.
«Anche noi» disse Lorcan Scamander, affiancato come al solito da Benji Fenwick, Isidor Mckenzie e Valentin Flamel.
«E i Tassorosso? Avete troppa fifa?» chiese Zender con intento di provocarli.
Lysander esitò. L’ultima volta, se non fosse stato per il professor Schacklebolt avrebbero potuto finire nei guai e, peggio ancora, farsi male seriamente.
«Stavolta saremo noi ragazze ad accettare la sfida» rispose a sorpresa Elisabeth Conter.
«Ottimo! Credo che, visto il tipo di sfida, bisognerebbe scegliere una ragazza per ogni Casa. Abbiamo già Robertson per Corvonero e Conter per Tassorosso. Grifondoro?».
Niki si nascose dietro le spalle di Brian, facendolo sorridere. Hellies Parker iniziò a insultare il povero Lorcan Scamander e i suoi amici. La calma fu riportata da Amelia Mcmillan: «Lo farò io per Grifondoro. E per Serpeverde?».
«Io direi che per Serpeverde possiamo fare un’eccezione» propose Annika con cattiveria. «Zender, sei tanto forte e bravo che vincerai la sfida più velocemente di una qualsiasi di noi ragazze».
Le sue parole presero in contropiede il ragazzino che boccheggiò per un attimo, infine rispose: «Io non sono prepotente come te, Robertson. Non posso essere sempre io a prendermi il merito delle vittorie, per cui lascerò l’onore a Edison».
Andersen sbiancò. Era evidente che avrebbe fatto volentieri a meno di un tale onore. Il che inquietò Brian: che cosa avrebbero dovuto fare? Andersen era solo un fifone, non per nulla non provò neanche a opporsi al volere di Zender.
«Perfetto. Che dobbiamo fare?» lo sollecitò Amelia Mcmillan.
«È molto semplice in realtà» disse Zender. «Dovrete interrompere una lezione per dire al professore che è davvero bello».
Qualcuno rise, persino Brian non riuscì a trattenere un sorrisetto: era una sfida ridicola.
«Quale lezioni?» domandò circospetta Amelia Mcmillan, probabilmente temendo che Zender l’avrebbe costretta a farlo nella classe del padre.
«I vostri Direttori andrebbero bene» disse una delle gemelle Thompson, che Brian non aveva mai imparato a distinguere.
«Mi sembra giusto!» concordò ghignando Zender. «Quindi Mcmillan tu interromperai Paciock; Conter tu Mcmillan; Annika tu Williams e sarebbe bello se lo facessi domani che abbiamo lezione insieme».
«Non c’è problema!» sbottò Annika, ma era arrossita.
«Scusate e Anderson? A lui tocca Delaney» intervenne Amelia Mcmillan. Elisabeth Conter era sbiancata notevolmente all’idea di interrompere una lezione del suo Direttore con simili idiozie: tutto il coraggio che l’aveva spinta a partecipare, era già evaporato al tenue sole di primavera.
«No!» scattò Andersen. «Non è giusto. Perché devo dire a un uomo che è bello! Se lo devo fare, allora una professoressa!».
«In effetti è giusto» considerò Annika.
«Sì, ma chi? I nostri insegnanti sono tutti uomini» ribatté Lysander, al quale l’idea di veder umiliato se non Zender, almeno il suo braccio destro piaceva parecchio.
«La McGranitt» propose perfidamente Amelia Mcmillan.
«No! È la Preside, la prova sarebbe impari» si lamentò Andersen.
«Va bene, allora facciamo una delle professoresse delle materie a scelta. Tipo quella di Antiche Rune o di Aritmanzia» disse allora Lysander.
«Facciamo Antiche Rune» disse Annika, che si ricordava bene della donna che l’anno prima li aveva rimproverati mentre si azzuffavano.
Andersen, che non doveva averlo dimenticato, sbiancò ma non poté tirarsi indietro.
«Magnifico! Allora abbiamo deciso» dichiarò Zender con un ampio sorriso.
«Ma non va bene che Annika lo faccia durante la vostra lezione» disse Amelia Mcmillan. «Noi dovremmo proprio interrompere le lezioni dei nostri Direttori e di fronte ad altri ragazzi, perciò lo stesso deve valere per lei».
«È vero» ammise Zender. «Allora possiamo fare così: Serpeverde e Corvonero hanno Astronomia stanotte, perciò abbiamo il pomeriggio».
«Nemmeno noi abbiamo lezione oggi pomeriggio» affermò Amelia Mcmillan.
«Allora è perfetto, direi. Ci vediamo qui dopo pranzo e decidiamo da chi iniziare» concluse Zender.
Brian pensava che la sfida fosse infinitamente stupida, ma quanto meno non pericolosa. Ancora una volta non riuscì a parlare a quattr’occhi con Zender. Lo evitava.
 
Dopo pranzo s’incontrarono nuovamente in cortile. Annika aveva pregato gli amici di farle compagnia. Brian sapeva che l’amica non aveva legato con Margaret Davies e Anastasia Johnson, le altre due ragazze di Corvonero.
«Pronti?» chiese con un sorrisetto divertito Mike Zender.
Gli sfidanti annuirono e prese la parola una delle gemelle Thompson.
«Bene. Mcmillan, Paciock ha lezione con i ragazzi del settimo anno. Direi di iniziare da te. Poi rientreremo al castello e andremo da tuo padre che ha lezione con alcuni del primo anno. Naturalmente toccherà a te, Conter. Poi Robertson, anche Williams ha lezione con quelli del primo anno. Infine Edison, sarà il tuo turno. La Spinett ha lezione con quelli del quarto anno».
«Quarto anno? No, no. Non possiamo andarci prima? C’è mio fratello» ribatté Andersen.
«Assolutamente no!» si oppose Amelia Mcmillan. «Tra i ragazzi del settimo anno ci sono i miei fratelli. E Rimen è anche Caposcuola!».
«Faremo come ha detto la Thompson» intervenne Annika. «Se non hai il coraggio, Andersen, puoi sempre tirarti indietro».
Andersen aveva perso la sua solita baldanza e non replicò. Così i ragazzini si avviarono verso le serre dove la lezione era iniziato da poco. Durante il tragitto Zender prese da parte Brian.
«Ho un piccolo incarico per te» iniziò con un ghigno. «Sempre se rivuoi il medaglione, naturalmente».
Brian deglutì e annuì. «Che cosa vuoi?».
«Niente di che. Devi entrare nella serra insieme alla Mcmillan e insultare Paciock davanti a tutti».
Il ragazzino si fermò e Zender fu costretto a fare altrettanto. «Ma che dici?» sussurrò Brian.
«Insulta Paciock e, forse, ti ridarò il tuo medaglione».
«L’avevi detto anche per la verifica di Storia della Magia» ribatté Brian. «Devi promettere che stavolta me lo restituirai».
«D’accordo, d’accordo. Insulta Paciock e ti ridarò il medaglione» dichiarò Zender.
Il Serpeverde era un gran bugiardo, una delle persone più inaffidabili che Brian avesse mai conosciuto, perciò, naturalmente, non si fidava veramente. Lo superò e raggiunse Amelia in testa al gruppo. Sentiva il cuore battergli a mille. La domanda che si pose fu sempre la stessa: “Ne vale la pena?”. Per la verifica di Storia della Magia si era detto di sì. Come aveva previsto la conseguenza peggiore era stata la ramanzina di Maxi. Questa volta, però, la situazione era diversa. Paciock era il suo insegnante preferito e Zender non gli aveva semplicemente chiesto di non consegnargli dei compiti o lasciare una verifica in bianco. Ancora una volta si ritrovò a valutare le possibili conseguenze. Dopotutto, neanche in questo caso, sarebbero state gravi. A suo padre non sarebbe interessato, se mai Maxi avesse perso tempo a scrivergli; al massimo avrebbe fatto perdere punti a Corvonero e si sarebbe beccato una punizione. Decisamente la possibilità che Zender lanciasse il medaglione nel Lago Nero era ben peggiore.
Meccanicamente, ignorando i richiami di Louis e Drew, seguì Amelia Mcmillan all’interno della serra numero sei.
«Buongiorno professore, scusi il disturbo» cominciò Amelia, arrossendo leggermente.
Brian sentiva il cuore battere all’impazzata nel petto e cercò le parole da usare. ‘Stupido’ come insulto sarebbe stato sufficiente. Zender non avrebbe potuto lamentarsi e non sarebbe stata neanche un’offesa troppo grave.
«Non ti preoccupare, Amelia. Hai bisogno di qualcosa?» rispose intanto Paciock con la solita gentilezza, ma con una punta di preoccupazione nella voce. Se Amelia lo cercava durante un’ora di lezione, una delle motivazioni più probabili ai suoi occhi era che fosse accaduto qualcosa.
«No, no, signore» si affrettò a rispondere Amelia.
Amelia era una ragazzina estroversa e diretta e vederla in difficoltà non fu d’aiuto a Brian, che temette che il cuore gli sarebbe sfuggito dal petto se non avesse smesso di battere così forte.
La Grifondoro prese un bel respiro e disse: «Volevo solo dirle che lei è un bell’uomo».
Alcuni ragazzi del settimo anno scoppiarono a ridere. Brian non riuscì più a formulare un pensiero di senso compiuto.
«Mi avevano detto che non avrei avuto il coraggio di dirvelo, professore» riprese Amelia, non lasciando il tempo a Paciock di replicare. «Mi dispiace di averle fatto perdere tempo. Ehm… andrei così non le faccio perdere altro tempo…». La ragazzina si volse verso Brian, in attesa di capire che intenzioni avesse. In effetti quella era la sua prova, i Corvonero non c’entravano nulla.
Brian azzardò uno sguardo a Paciock, che non sembrava molto contento ma non era neanche arrabbiato. Forse infastidito.
«Brian, devi dirmi qualcosa anche tu?» chiese perplesso il professore. Doveva aver colto l’esitazione di Amelia e forse pensava che anche lui facesse parte della scommessa.
Automaticamente scosse la testa, suscitando altre risatine dai ragazzi più grandi, poi si costrinse a dare una risposta più educata: «No, signore. Buona lezione».
Quando Paciock l’aveva guardato, aveva capito che non sarebbe riuscito a dire alcunché. Una volta fuori dalla serra, corse via, ignorando i suoi amici.
No, il medaglione non valeva così tanto.
 
*

Emmanuel aveva sempre apprezzato le lezioni di Antiche Rune, ma quel giorno non vedeva l’ora che la Spinnett li congedasse. Fabiana era un po’ giù di corda e gli aveva detto di volergli parlare dopo la lezione. La ragazza aveva litigato con il fratello Gideon, quando aveva scoperto quello che aveva fatto e lo aveva personalmente denunciato al professor Paciock. I Grifondoro, che si affannavano a recuperare posizioni in classifica, erano furiosi con Gideon e Colin Canon.
 
Il Serpeverde si passò una mano sugli occhi e tentò di ascoltare la professoressa, ma quel giorno non sembrava possibile. Aveva pregato suo zio Caspar di fare da magiavvocato a Charlie Weasley durante le procedure del divorzio ed egli aveva accettato, ma gli aveva chiaramente detto che non c’erano molte possibilità che Fabiana e i gemelli non venissero affidati alla madre. La soluzione migliore, a cui suo zio e il magiavvocato della madre di Fabiana erano giunti, era stata di far scegliere proprio ai ragazzi, visto che non erano più dei bambini. I loro genitori non si erano opposti. Fabiana aveva saltato le lezioni della mattina, perché i genitori erano arrivati a Hogwarts e volevano parlare con lei e i fratelli nell’ufficio della Preside. Ed Emmanuel non sapeva ancora qual era stato il verdetto. Come aveva promesso a Fabiana, aveva scritto ai suoi genitori affermando che, se lo zio Caspar non avesse avuto successo, allora lui si sarebbe trasferito di Scuola. Sua madre gli aveva risposto con una lettera accorata, sperando probabilmente di farlo ragionare. Gli aveva scritto che il suo proposito era lodevole e dolce, ma che aveva solo quindici anni e non poteva prendere tali decisioni per seguire una ragazzina. E aveva concluso che non avrebbe mai approvato. Sorprendentemente suo padre era stato più permissivo in quest’occasione, affermando che, sebbene fosse d’accordo con la moglie, se Fabiana si fosse trasferita a Beauxbatons avrebbe acconsentito; ma se la Scuola prescelta fosse stata Durmstrang, non vi era alcuna possibilità e che si mettesse il cuore in pace fin da subito. A Emmanuel, però, non interessava: proprio per la fama oscura di cui godeva quella Scuola, non avrebbe mai lasciato sola Fabiana, a costo di scappare da Hogwarts.
Un lieve bussare alla porta lo riscosse dai suoi pensieri. Sulla soglia c’era, pallido come un lenzuolo, nientemeno che Edison, il fratellino di Tobias.
Gettò uno sguardo al suo migliore amico e lo vide incupirsi. Gli aveva detto che Edison frequentava un brutto giro, sebbene non avesse potuto raccontargli come l’aveva scoperto, ma Tobias gli aveva creduto ugualmente e durante le vacanze l’aveva riferito ai suoi genitori. I due fratelli avevano litigato pesantemente appena rientrati a Scuola e non si rivolgevano più la parola da mesi.
«B-buonasera, p-professoressa» esordì Edison tremante.
Emmanuel scorse un gruppetto di ragazzini fuori dall’aula e si chiese che cosa stesse accadendo.
La professoressa Spinnett fissò perplessa il ragazzino e lo invitò a parlare.
Edison boccheggiò per un attimo, poi gridò: «LEI È UNA GRAN BELLA DONNA!». E corse via, mentre i compagni, che lo aspettavano fuori, sghignazzarono.
Emmanuel fece fatica a non scoppiare a ridere di fronte all’espressione interdetta della professoressa. Si voltò verso Tobias con l’intenzione di fare una battuta, ma si trattenne vedendo che era rosso come un pomodoro.
Molti dei presenti, dopo lo sconcerto iniziale, iniziarono a ridacchiare. La Spinnett si riprese e intimò il silenzio, riprendendo a fare lezione come se non fosse stata interrotta.
«Beato te, che sei figlio unico» sospirò Tobias dopo qualche minuto.
Emmanuel non commentò e decise di non infierire neanche dopo la lezione con battutine sceme, che probabilmente sarebbero arrivate ugualmente dagli altri compagni di classe. Quando finalmente la campanella suonò fece un cenno d’intesa a Tobias, il quale, conoscendolo, era intenzionato a chiedere scusa alla professoressa per il comportamento del fratello minore, e uscì insieme a Fabiana.
«Secondo te, perché Edison si è comportato in quel modo?» gli domandò la ragazza, appena furono da soli in corridoio.
«Non lo so. Magari qualche stupida scommessa» replicò Emmanuel poco interessato alla questione. «Tu, piuttosto, come ti senti?».
Fabiana si strinse nelle spalle e sospirò: «Non lo so».
«Ma i tuoi genitori che hanno detto?» insisté Emmanuel. Non voleva essere pressante, ma se non avesse saputo sarebbe diventato matto.
«C’era solo mio padre» rispose Fabiana, fermandosi a guardarlo. «Siamo stati affidati a lui».
«Fantastico!» commentò Emmanuel sollevato. «Non sei contenta?» chiese poi non comprendendo il suo turbamento.
«Sì, rimarrò qui con te» affermò ella con sicurezza. «Solo che mi sembra tutto molto strano. Mio padre sembrava uno che si fosse appena svegliato, ricordandosi di avere tre figli senza sapere da dove iniziare».
Emmanuel tacque. Non desiderava parlare a sproposito o dire sciocchezze.
Fabiana lo prese per mano e ripresero a camminare in silenzio fino alla Torre di Corvonero.
«Cambieranno molte cose, anche se magari me ne renderò conto solo durante le vacanze estive» riprese Fabiana. «Per favore, almeno tu stammi vicino».
«Certo!» rispose Emmanuel all’istante.
«Mio padre ora sa di te» gli comunicò la Corvonero.
«Ah, gliene hai parlato quindi».
«Non proprio. Mio padre ha chiesto a Gideon per quale motivo avesse attaccato un altro ragazzo. E lui ha iniziato con la solita solfa: sei un Serpeverde e stai con me…».
«Magnifico» disse ironicamente Emmanuel. Non voleva avere problemi con i cugini Weasley-Potter, figuriamoci con i genitori della sua ragazza.
«E tuo padre come ha reagito?».
«Te l’ho detto, sembrava uno che si era appena ricordato di avere tre figli e non sa che pesci prendere. Ha tentato di farmi il fatidico discorso… sai, delle serie ‘hai quattordici anni e…’. Non ha nemmeno concluso. Gli ho assicurato che non vogliamo fare nulla di quello che pensa lui, finché non saremo abbastanza grandi…» borbottò Fabiana.
«E lui?».
«Ha rimproverato Gideon per i suoi modi. Devo ammettere che è stato piacevole vedere mio padre prendere finalmente sul serio quello che facciamo o non facciamo. Non so se prima s’illudeva che si occupasse di tutto nostra madre» rispose Fabiana. «Credo che il più contento sia Arthur. Papà gli ha promesso che verrà ad assistere alla partita tra Tassorosso e Grifondoro e che tiferà per lui».
Emmanuel annuì, comprendendo la felicità del Cercatore dei Tassorosso: non solo avrebbe potuto mostrare la sua bravura al padre, ma questi avrebbe tifato per lui e non per la sua ex-Casa.
«Senti, ho promesso a Lucy che avremmo studiato insieme in biblioteca. Zio Percy ancora le rompe le pluffe perché fa parte della squadra di Quidditch».
«Sì, lo so. Ma penso che tuo zio ce l’abbia di più con il professor Delaney che si è rifiutato di impedirle di giocare» rispose Emmanuel.
«Studi con noi?».
«Sì, certo. Devo andare in Sala Comune a recuperare i libri, però».
«Allora ci vediamo direttamente in biblioteca, ok?».
«Perfetto» rispose Emmanuel, salutandola con un bacio. «A dopo».
Si avviò di buon passo verso la sua Sala Comune, ma nei sotterranei venne preso di sorpresa da un attacco inaspettato.
«Petrificus Totalus!» gridò una voce a lui fin troppo nota.
Immobile puntò i suoi occhi in quegli azzurri della ragazza, che si era avvicinata.
«Scusa, ma ho bisogno di parlarti».
Emmanuel imprecò più volte nella sua testa, mentre veniva trascinato in una vecchia aula polverosa, probabilmente in disuso da secoli. E possibile che i Weasley fossero tutti matti? Fabiana esclusa, naturalmente.
Le due ragazze sciolsero l’incantesimo solo dopo averlo legato a una sedia.
«Ma siete impazzite?!» sbottò appena poté parlare, mentre loro stringevano meglio la corda.
«Come ti ho già detto, ho bisogno di parlarti» esclamò Rose Weasley.
«Ed era necessario legarmi?».
«Ringrazia che non abbiamo comprato del Veritaserum da Fred Weasley» disse l’altra ragazza. Emmanuel la conosceva di vista: era Cassy Cooman, la migliore amica di Rose.
«È illegale» sbuffò Emmanuel.
«Sai che c’importa» replicò Cassy Cooman.
«Rispondi alle nostre domande e ti lasceremo andare» disse, invece, Rose.
«Che cosa vuoi sapere?» chiese seccato il Serpeverde.
«Che cosa c’è tra Scorpius ed Evelyn Jenkins?».
Stava scherzando? E che ne sapeva lui. «Non mi faccio gli affari degli altri di solito».
«Sono tuoi compagni di squadra, devi sapere se stanno insieme o meno» insisté Rose.
Emmanuel sbuffò. «Che io sappia sono solo amici, proprio come tutti gli altri membri della squadra».
«Non mentire! Scorpius è sempre appicciato alla Jenkins durante gli allenamenti» strillò Rose.
Emmanuel chiuse gli occhi, intimandosi di rimanere calmo. Doveva stare solo al gioco e sarebbe uscito velocemente da lì.
«Per quello che so Evelyn è sempre stata presa in giro per il suo peso. Scorpius ha visto che ha del talento e l’ha presa in squadra. Naturalmente ha aiutato la sua autostima in questo modo. E continua ad aiutarla con tutti quelli che la prendono in giro. Evelyn e Scorpius non stanno insieme, però. Di questo ne sono sicuro. Merope Granbell e Nadine Parkinson, che sono delle gran pettegole, dicono che Evelyn è cotta del Prefetto Fawley. Non so se sia vero, però».
«E di Scorpius che dicono?» domandò Rose.
«Scorpius piace a molte ragazze» rispose lentamente Emmanuel.
«Troppe» commentò acidamente Rose. «Vai avanti».
«Secondo le mie compagne non si vede con nessuna al momento e rifiuta anche delle brevi storie. Loro sono convinte che gli piaccia qualche ragazza».
«Chi?».
«E che ne so» sbottò Emmanuel esasperato.
«Va bene» concesse Rose, liberandolo. «Ci si vede in giro» concluse, andandosene con la sua amica e lasciandolo solo nella stanza polverosa.
«Decisamente i Weasley sono tutti pazzi!» sbottò Emmanuel. Non avrebbe detto nulla agli insegnanti, ma sicuramente l’avrebbe raccontato a Scorpius.

*

«Carter».
Ormai iniziava a odiare quella voce. Lasciò che gli amici si sedessero a tavola e affrontò Zender.
«Che altro vuoi?» domandò spazientito, chiedendosi se volesse sbattergli in faccia di aver gettato il medaglione nel Lago Nero.
«Ti concedo un’altra possibilità. Sono una persona generosa, io».
«Un’altra possibilità?» ripeté Brian sospettoso.
«Esattamente. L’ultima. Quindi vedi di non deludermi. Per conto mio ti prometto che riavrai il medaglione domani mattina».
«Perché domani mattina e non ora?» insisté Brian.
«Non sono mica stupido. Voglio essere sicuro che farai come ti dico» rispose Zender.
«Che vuoi che faccia?» domandò Brian rassegnato.
«Devi procurarti le domande della verifica di Difesa di domani. Per te non sarà un problema, no? Tanto Williams è il tuo padrino».
«Ma sei pazzo?!» sbottò Brian. Quella richiesta andava oltre ogni limite!
«Assolutamente no! Ad Astronomia mi porterai le domande e, visto che ci sei, anche le risposte. Giuste, mi raccomando» chiarì Zender. «Buona cena, Carter».
Brian rimase immobile all’ingresso della Sala Grande, troppo incredulo per fare alcunché.
«Che hai?».
La voce di Niki lo fece sobbalzare. Si voltò di scatto verso di lei e boccheggiò.
«Vieni con me» tagliò corto la ragazzina trascinandolo fuori dalla Sala Grande. La Sala d’Ingresso era deserta a quell’ora e Niki lo fece sedere sui gradini della scalinata di marmo. «Siamo tutti preoccupati per te! Io, Miki, Louis, Drew e Annika! Che ti passa per la testa? Ti decidi a confidarti con noi? Lo sai che faremmo di tutto per aiutarti!».
Brian la fissò sorpreso, solitamente non parlava tanto. Però aveva ragione lei, era arrivato il momento di svuotare il sacco. Le raccontò del furto del medaglione e di come Zender lo stesse ricattando in modi sempre più assurdi.
«Lo devi dire a un insegnante» disse Niki prevedibilmente appena concluse il racconto. «Non vorrai mica entrare di nascosto nell’ufficio di Williams e copiare le domande della verifica!? Ti metteresti in un guaio enorme e, sinceramente, non credo che ti toglieresti Zender dai piedi».
Brian non rispose, ma si alzò e si avviò in silenzio verso i piani superiori.
«Non te lo permetterò, lo sai, vero?» sbottò Niki, quando giunsero all’ufficio di Williams.
Il Corvonero annuì e si appoggiò al muro senza rispondere. «Annika mi ha detto della sua prova. Maxi ha tolto cinque punti a Corvonero e le ha fatto notare che non bisogna scambiare il coraggio con la stupidità».
«Oh, sì, ma le è andata molto meglio di Elisabeth Conter. Mcmillan è stato molto severo con lei. Penso che i Tassorosso saranno meno inclini ad accettare le sfide di Zender in futuro» replicò Niki.
«Paciock come ha reagito?».
Niki si strinse nelle spalle. «Non lo so. Credo abbia tolto anche lui qualche punto a Grifondoro, ma nient’altro».
«La prova di Andersen, invece, è stata esilarante mi hanno detto» continuò Brian.
«Si è praticamente messo a urlare contro la Spinnett ed è scappato via. La professoressa poi ha fatto rapporto a Delaney e, per quello che ho capito, Serpeverde ha perso trenta punti».
«Ma alla fine chi ha vinto la sfida?» domandò Brian. Dopotutto nessuno si era tirato indietro, perciò era un pareggio, no?
«Ne stanno ancora discutendo. La vittoria se la contendono Grifondoro e Corvonero, perché Andersen è scappato via e si è comportato come un folle, quindi non è stato coraggioso per nulla, mentre Elisabeth Conter si è messa a piangere e ha raccontato tutto a Mcmillan».
«Cosa? Tutto?» replicò Brian veramente sorpreso.
«Tutto. Dalla prima all’ultima sfida. Gli ha detto di aver accettato solo perché le gemelle Thompson sono antipatiche, spesso prepotenti e cattive».
«Forse è meglio così… Voglio dire il fatto che Elisabeth abbia raccontato tutto a Mcmillan…» commentò Brian.
«Sì, lo penso anch’io» concordò Niki. «Brian, che facciamo qui?».
«Non lo so» rispose sinceramente il Corvonero, lasciandosi scivolare seduto sul pavimento freddo. «Se vuoi andare a cenare, vai».
«Tu che fai?» insisté Niki.
«Non ho fame. Ho lo stomaco chiuso».
«Ce l’avevi anche a pranzo!» sbottò Annika, facendo sobbalzare entrambi.
«Eccovi!» sbuffò Drew. «Si può sapere che ti prende, Brian?».
«Abbiamo portato una fetta di torta per entrambi. Per il dolce c’è sempre spazio» disse con un dolce sorriso Miki Fawley.
«Avanti, Brian che succede?» domandò anche Louis.
Brian rifiutò la torta, ma si confidò con loro.
«Ah, è così Zender vuole le domande della verifica in anticipo?» chiese retoricamente Annika alla fine del racconto. «E noi gliele daremo».
«Sei impazzita?» esclamò Louis.
«No, avrà quello che si merita. Venite con me» rispose la ragazzina.
Brian, Drew, Louis, Niki e Miki la seguirono in un aula vuota in attesa di comprendere quali fossero le sue intenzioni.
«Brian, parliamoci chiaro» esordì Annika con il tono di un generale che preparava una battaglia. «Zender non ti restituirà mai il medaglione di sua spontanea volontà. Lo sai tu e lo sappiamo tutti noi. Di conseguenza non ci resta che dargli una bella lezione».
«Che vuoi fare?» chiese Louis, l’unico che riusciva a frenare il suo temperamento.
«Scriveremo noi le domande della verifica, naturalmente. L’idiota se ne renderà conto solo in classe. E naturalmente non si sarà preso la briga di studiare. Possiamo anche scrivergli le risposte giuste, se non volete essere troppo cattivi. Brian, sei d’accordo? Se lo merita».
«Sì, facciamolo!» rispose sicuro Brian. Almeno per una volta non avrebbe subito in silenzio.
 
*

Roxi non aveva mai dipinto una superficie così ampia e doveva ammettere di aver sottovalutato la mole del lavoro, ma era comunque molto contenta. Il professor Bulstrode le aveva lasciato carta bianca come promesso ed ella si stava divertendo un mondo a dipingere l’aula.
Naturalmente era anche stancante e avrebbe impiegato più tempo di quanto avesse previsto inizialmente, ma alla fine ne sarebbe stata soddisfatta.
«Sei una ragazza testarda, Roxanne».
«Roxi» corresse la ragazzina, senza neanche voltarsi.
«Roxanne, questo non è compito tuo. Ho scritto ai tuoi genitori, sperando che capissero, ma, naturalmente, non l’hanno fatto».
«Zio» sbottò Roxi girandosi e guardandolo in volto, «i miei capiscono tutto, non sono mica stupidi. Evidentemente non pensano di dovermi costringere a fare quello che vogliono loro».
«Non si tratta di costringere, ma di guidare nel modo corretto. È questo che sto cercando di far capire anche ai professori di Hogwarts» ribatté Percy Weasley con la consueta sicumera.
«E non ti passa mai per la testa che magari sei tu in torto e non il resto del mondo?» replicò Roxi, infervorandosi.
«No. Io sono convinto di quello che professo».
«Complimenti» esclamò Roxi riponendo i pennelli e i colori, «stai allontanando le tue figlie. Ti avevo chiesto di venire ad assistere alla partita di Lucy e non l’hai fatto. Ed eri qui a Scuola!».
«Ti dico e ti ripeto che non sono affari tuoi! Ho detto chiaramente a Lucy che non approvo la sua partecipazione a simili attività e lei mi ha disubbidito».
Roxi scosse la testa. «Sei tu quello più testardo tra noi due» sospirò.
*
Brian e i suoi amici non erano mai stati così eccitati per una verifica, ma non vedevano l’ora di osservare la reazione di Zender alla scoperta del loro ‘scherzo’.
Occuparono i soliti posti e Brian sorrise a Drew, che ricambiò divertito. Zender sghignazzava insieme ad Andersen.
«Non ha capito nulla il cretino» sussurrò Annika girandosi verso di loro, mentre Williams distribuiva con la magia le pergamene con le domande della verifica.
«Avete un’ora. Buon lavoro!» disse infine il professore.
Brian si costrinse a concentrarsi sul compito, sebbene la tentazione di voltarsi verso i Serpeverde fosse molto forte.
Asterope Granbell, una Serpeverde, ruppe il silenzio chiedendo: «Professore, lei è sicuro che queste sono le domande giuste?».
Drew dissimulò una risata con un colpo di tosse, mentre Brian azzardò uno sguardo ai compagni verde-argento. La maggior parte di loro aveva un’espressione tra il sorpreso e l’arrabbiato. Unica eccezione erano Harry Canon, che continuava a scrivere come se nulla fosse, e Selene Shafiq e Antares Flint che ridacchiavano.
Williams perplesso prese la pergamena di Louis, seduto al primo banco, e rilesse le domande. «Non vedo quale sia il problema» affermò infine. «Si tratta degli argomenti che abbiamo trattato nell’ultimo mese. Che cosa non ti torna, Asterope?».
«È che pensavo sarebbero state diverse» rispose confusa la Granbell.
A quel punto Selene Shafiq le fece cenno di tacere, forse temendo che avrebbe fatto perdere stupidamente punti alla loro Casa. E Serpeverde non era messa molto bene, proprio come Grifondoro.
Il professore le osservò per un attimo e poi disse: «Mettetevi al lavoro, avanti».
Alla suono della campanella Williams li invitò a consegnare. Brian si alzò recuperando lo zaino e si avviò verso la cattedra. Però qualcosa o meglio qualcuno lo trattenne da dietro.
«Me la pagherai, Carter. Il tuo medaglione sarà presto mangime per la piovra gigante» sibilò Zender con cattiveria. Era furioso.
Il Corvonero era consapevole che sarebbe finita in quel modo, ma l’affermazione di Zender lo colpì ugualmente.
«Zender, d’ora in avanti vedi di non metterti contro noi Corvonero. Siamo troppo intelligenti per te. Possiamo fare di peggio» sibilò Annika, sopraggiungendo.
«Mike, Annika, Brian, consegnate» li richiamò Williams.
Drew, Louis e un atterrito Andersen li fissavano dalla soglia dell’aula.
«Sì, signore» esclamò forte e chiaro Annika prendendo Brian per un braccio e allontanandolo da Zender. «Spero che per pranzo ci sia la torta di melassa» disse poi, saltellando per il corridoio, troppo felice per il successo del suo piano.
Brian, però, non smetteva di pensare alle parole di Zender. Non poteva mollare, non poteva non fare nulla. Probabilmente in quello stesso momento Zender stava correndo al Lago Nero per lanciarvi il medaglione. La sua unica speranza era la pioggia: aveva piovuto tutta la mattina e sicuramente avrebbe ripreso a breve. Zender non avrebbe avuto il tempo di portare a compimento la sua promessa. Doveva agire immediatamente.
«Brian?» lo chiamò Louis.
Si era fermato in mezzo al corridoio, incurante dei ragazzi che lo spingevano da ogni lato desiderosi di raggiungere la Sala Grande al più presto.
«Vado a parlare con Maxi» rispose semplicemente e tornò indietro di corsa, sperando che fosse ancora in aula.
Fortunatamente Laurence Roberts, il Caposcuola di Corvonero, l’aveva trattenuto chiedendogli qualcosa. Maxi congedò il ragazzo e notò Brian sulla porta in attesa.
«Non eri andato a pranzare?».
«Non ho fame» disse il ragazzino, entrando in classe.
«Stai saltando troppi pasti. Ieri sera non ti ho visto a cena. E hai delle brutte occhiaie. Sei sicuro di stare bene?».
«Sì. No. Ho un problema» ammise Brian.
«Di che si tratta?» chiese Maxi iniziando a preoccuparsi. «Non sarà di nuovo quello specchio? Avevi promesso a Neville che non l’avresti più cercato».
«Come lo sai?» replicò Brian spiazzato.
«Sono il tuo padrino e il Direttore della tua Casa. Neville mi ha informato».
«Ma non mi hai detto nulla?!».
«Credevo che Neville ti avesse detto le cose più importanti e lui è senz’altro più bravo di me a dialogare con voi ragazzi» rispose Maxi. «Ma non hai risposto alla domanda. Hai trovato di nuovo lo specchio?».
«No. Ho mantenuto la promessa: non l’ho più cercato».
«E allora? Qual è il problema?».
Brian sospirò, non avendo idea di come iniziare. Maxi gli spostò i capelli dagli occhi, con un gesto delicato che per i suoi standard avrebbe dovuto essere affettuoso.
«Zender mi ha rubato il medaglione. Il medaglione della mamma» ammise infine.
«Quando?».
Il ragazzino, dopo aver preso un bel respiro, gli raccontò ogni cosa, proprio come aveva fatto la sera prima con i suoi amici, e si sentì molto meglio.
Maxi, probabilmente impietosito dalle sue lacrime, non disse nulla e lo tirò in un abbraccio. Brian singhiozzò più forte e lo pregò di recuperare il medaglione prima che facesse una brutta fine.
«Stai tranquillo, me ne occupo io» rispose prontamente Maxi. «Ma tu vai a pranzare. Ti cercherò io più tardi, ok?».
Brian annuì, contento di non dover più affrontare la situazione da solo.
 
*
 
«Buongiorno a tutti! Presto assisteremo alla partita tra Grifondoro e Tassorosso, che si prospetta avvincente!» trillò eccitato Orion Montague nel magimegafono. «Ecco le squadre che entrano in campo! I Tassorosso, vincitori dello scorso torneo, capitanati da Albert Abbott! Seguono Rimen Mcmillan, Daniel Mcnoss, Melissa Goldstain, Amber Steeval, Jack Fletcher e Arthur Weasley!». Fece una pausa per riprendere fiato e ricominciò: «I Grifondoro, guidati da Rose Weasley! Ecco che Abbott e Weasley si stringono la mano. La professoressa Yaxley fischia invitando tutti a salire sulle scope. Ecco che lancia la pluffa e… inizia la partita! Per Grifondoro giocano Potter, Fred Weasley, Walcott, Dursley, Baston e Doge».
James fece l’occhiolino ad Arthur, augurandogli così buona fortuna. Quel giorno, come aveva promesso, zio Charlie era venuto ad assistere alla partita e sicuramente suo cugino ci teneva molto a vincere. Per quanto potesse dispiacere a James, però, quel giorno avrebbe dovuto vincere Grifondoro o Rose l’avrebbe fatto a pezzettini.
Iniziò a sorvolare il campo, mentre la cugina insieme a Elphias e Danny tentava di forzare la difesa dei Tassorosso, ma Mcmillan e Jack Fletcher avevano un’ottima mira e più volte fecero perdere la pluffa ai cacciatori rosso-oro.
«Una partita molto combattuta fin da principio!» urlò Orion. «I cacciatori non riescono neanche ad avvicinarsi agli anelli avversari! Ed ecco che Melissa Goldstain riceve la pluffa da Abbott, ma viene quasi disarcionata da un bolide di Fred Weasley!».
Rose strinse i pugni: la compattezza e la forza dei Tassorosso non erano una sorpresa ma, come aveva previsto, se volevano vincere, avrebbero dovuto essere ancora più determinati. Sopportò solo per una decina di minuti quella sorta di stallo creatosi, dopodiché fece il segnale convenuto a Danny ed Elphias: avrebbero cambiato tattica.
Danny, grazie a un bolide di Agnes Walcott su Amber Steeval, recuperò al volo la pluffa, ma anziché tentare di sfondare le difese al centro come avevano tentato fino a quel momento, lanciò all’indietro verso Elphias, che scartò in alto a sinistra, subito Abbott gli fu addosso per marcarlo, ma il ragazzo passò la pluffa a Rose, molto più in basso.
«I Grifondoro hanno cambiato tattica! Che avranno in mente? Ed ecco che la Weasley ripassa a Baston, ancora tallonato dalla Steeval. Baston lancia a Weasley… Un bolide di Fred Weasley costringe Goldstain a lasciare spazio a Rose Weasley, che rapida si avvicina agli anelli protetti da Daniel Mcnoss. I cacciatori giallo-neri indietreggiano nel tentativo di riprendersi la pluffa, ma la Weasley passa all’indietro a Baston, che, nonostante la notevole distanza dagli anelli, tira… Accidenti, che tiro! Mcnoss non arriva in tempo sull’anello di destra! Grifondoro va in vantaggio! Che azione! Che azione!».
James batté al volo il cinque alla cugina, euforica. Rose fece la linguaccia ad Abbott, suscitando le risate dei Grifondoro sugli spalti e la reazione indignata dei Tassorosso.
«Troppo presto per cantar vittoria, Weasley» replicò il Capitano.
Infatti i Tassorosso si ripresero immediatamente, mentre i cacciatori davano del filo da torcere a Vernon Dursley, i bolidi di Rimen Mcmillan e Jack Fletcher colpivano senza pietà Rose e compagni.
«Tira quel maledetto bolide su Fletcher, Fred!» sbraitò Rose, che non sopportava più il ghigno di Jack, che l’aveva quasi disarcionata per la seconda volta. Fred e Agnes colpirono insieme un bolide spedendolo dritto contro il Tassorosso in questione facendogli volare la mazza dalle mani. Un boato di approvazione si levò dagli spalti rosso-oro. La felicità durò poco, però, perché Abbott riuscì a superare Elphias Doge e segnare.
«Che partita, che partita!» strillò Orion. «Dieci a dieci! Ed è già trascorsa mezz’ora!».
James si passò una mano tra i capelli per la frustrazione: aveva sorvolato tutto il campo un’infinità di volte, ma del boccino neanche l’ombra.
La partita si protrasse a lungo senza cambiamenti degni di nota. Rose segnò, ma Goldstain riportò la situazione in parità subito dopo.
«L’avevo detto io che sarebbe stata una partita emozionante!» disse Orion, che a furia di urlare era sul punto di perdere la voce.
In campo, però, più che emozionante la situazione stava diventando snervante. Dopo un’ora e mezza sia James sia Arthur videro un leggero bagliore, ma dopo un’inutile corsa si erano resi conto che era stato solo un gioco di luce causato da una spilletta a forma di leone che Vernon teneva sulla divisa. James si trattenne dall’imprecare contro il ragazzino, ma si ripromise di fargliela togliere alla partita successiva.
La concentrazione dei giocatori dopo due ore era notevolmente diminuita, così fu più facile per i cacciatori delle due squadre segnare qualche altro punto, ma la situazione si mantenne ugualmente in parità.
«Quaranta a quaranta! Professoressa, ma se succede come ai mondiali e la partita dura più di due giorni, non faremo lezione lunedì, vero?».
James scoppiò a ridere, come gran parte del pubblico, sentendo Orion rivolgersi alla McGranitt con tanto entusiasmo. Vide la Preside rispondere qualcosa, ma un luccichio e un ronzio improvviso lo distrassero. Si voltò appena in tempo per vedere il boccino d’ora filare verso l’alto.
Si appiattì sulla scopa, mentre il pubblico vociava, qualcuno tentava di attirare l’attenzione del cronista, intento a ribadire probabilmente il loro diritto di assistere alle partite di Quidditch, tanto da non accorgersi di quanto stava accadendo in campo.
Arthur partì quasi subito, altrettanto velocemente, desideroso di conquistare la vittoria per la sua squadra.
James poteva osservare il cugino provenire dalla direzione opposta e comprese che, se uno dei due non avesse rallentato, si sarebbero scontrati. Il Quidditch, però, era un gioco brutale e non poteva tirarsi indietro. Aumentò la velocità sperando di superare Arthur ed evitare la collisione, ma il ragazzino la pensò allo stesso modo.
James allora comprese che ormai era tardi per tornare indietro: uno di loro avrebbe preso il boccino e poi ci sarebbe stato lo scontro. Una questione di secondi. E nessuno dei due si sarebbe tirato indietro.
«Che peccato, stanno per prendere il boccino!» gridò Orion, facendo sghignazzare parecchi ragazzi. Le sue parole furono coperte dal boato che scoppiò nello stadio. «Merlino, si sono scontrati!» sbottò incredulo il Serpeverde. Tutti i ragazzi sugli spalti, specialmente Tassorosso e Grifondoro, si erano alzati in piedi osservando a occhi sgranati il tentativo dei loro Cercatori di non precipitare e riprendere il controllo delle rispettive scope.
Entrambi, consci dello scontro imminente, avevano stretto la prese sulla scopa con le gambe, ma non era stato sufficiente per mantenere totalmente l’equilibrio.
James riuscì a riprendere il controllo della scopa per primo e aiutò Arthur, che gli era finito addosso. Non gli chiese se stesse bene, perché sarebbe stata una domanda stupida. Avevano preso una bella botta tutti e due, ma Arthur anche nell’orgoglio. Il Grifondoro tuttavia sapeva che la sua lealtà in campo doveva andare alla sua Casa, così, seppur dispiaciuto per il cugino, si librò sugli spalti occupati dai suoi compagni e mostrò il boccino d’oro che teneva stretto in mano.
Un nuovo boato scosse lo stadio, questa volta proveniente solamente dalla massa rosso e oro.
 
*

«Buon compleanno!!!!».
James si svegliò di soprassalto e si ritrovò circondato da volti più o meno conosciuti.
«Ma siete impazziti?!» biascicò, individuando Albus e Lily, il primo a poca distanza dalla sua testa, probabilmente gli aveva persino urlato nell’orecchio, mentre la sua adorabilissima sorellina gli stava saltellando sulle gambe.
«È possibile che dormi anche il giorno del tuo compleanno!» gridò Rose.
«Cavoli, sei maggiorenne! Non vecchio decrepito» rincarò Fred.
Quanto erano amabili i suoi cugini!? «Vi siete dimenticati della partita di ieri? E che abbiamo festeggiato tipo fino all’una di notte?».
«Erano le due» lo corresse Rose, fresca e vivace come se nulla fosse. «E solo perché zio Neville è venuto a rompere le pluffe, mandandoci a letto».
«Pensa se fosse venuta la McGranitt» sbuffò Albus divertito.
«Comunque, Jamie, non siamo senza cuore» disse Lily, smettendo, per fortuna, di saltellare. «È trascorsa l’ora di pranzo e noi volevamo mangiare con te, per cui stiamo morendo di fame e non siamo più disposti ad aspettare».
James grugnì in risposta, appoggiando la testa sul cuscino, poi fissò tutti i presenti: i suoi cugini, Grifondoro e non, i Weasley-Potter erano riusciti a stravolgere anche una delle regole più antiche della Scuola, ma insomma la famiglia prima di tutto; i suoi fratelli; molti ragazzini del primo e secondo anno, con gli occhi luccicanti; Frank, Alice, Robert, Benedetta, Scorpius, e persino i suoi compagni di stanza. Sorrise, contento che fossero tutti lì per lui.
«Che ne dite di farmi alzare? Così mangiamo?» domandò divertito, rivolto specialmente a Lily.
Le malandrine avevano, con l’aiuto di Fred, recuperato un bel po’ di cibo dalle cucine, e, preferì non porre domande in merito, dolci di Mielandia.
«La torta ce l’ha mandata nonna» comunicò Albus con un ampio sorriso.
James prese al volò un sandwich, invitando così anche gli altri a mangiare, poi si andò a vestire in bagno. La sua stanza non gli era mai parsa tanto piccola!
«Avanti, apri i regali!» urlò Lily, appena il ragazzo ritornò vestito di tutto punto.
«Oh, che onore! Ti sei persino pettinato i capelli!» celiò Rose, mentre James le augurava buon compleanno, visto che ella compiva sedici anni.
«Aspetta, una foto, Jamie. La mandiamo ai nonni!» urlò Roxi, per farsi sentire sul frastuono.
James mise un braccio intorno al collo di Rose, bramando, però, un’altra decina di sandwich. Era ancora tutto dolorante dopo la partita del giorno prima contro i Tassorosso. Quella partita sarebbe stata ricordata per anni!
Dopo aver soddisfatto almeno un po’ la sua fame, il ragazzo si dedicò alla pila di regali che faceva bella mostra di sé sul suo baule. Prese il primo pacchetto, il cui bigliettino recitava: “Con affetto, da mamma e papà”. Lo scartò con attenzione, perché immaginava già quale fosse il contenuto e non voleva rovinarlo subito.
«Bello» commentò Albus ammirato, osservando l’orologio d’oro che James aveva tirato fuori da una scatola blu notte. Era tradizione regalare un orologio ai figli che compivano diciassette anni, ma nel corso del tempo, fortunatamente, si era passato da un antiquatissimo orologio da taschino, che ancora suo padre sfoggiava, a un più semplice e moderno orologio da polso. Oh, Merlino ‘più semplice’ non era certamente l’aggettivo più corretto, non era certo un comune orologio babbano. Il quadrante era enorme e al posto delle lancette classiche c’erano delle bacchette magiche di oro rosso, terribilmente simili alla sua.
«Forza, mettitelo» lo esortò Benedetta. James obbedì. «Sembri più maturo» celiò allora la ragazza.
«Ti assicuro che non basta compiere diciassette anni per diventare più maturi» commentò Roxi indicando eloquentemente il fratello maggiore, che aveva messo in bocca un intero tramezzino pur di dimostrare di poterci riuscire.
«Ehi!» replicò indignato Fred, sputacchiando intorno.
«Questa è la nostra stanza!» si lamentò Robert, fulminandolo con lo sguardo.
«Apri il nostro!» gridò Lily nella confusione, tirando fuori un pacchetto dalla pila e porgendoglielo.
«È minuscolo! Non è che vi siete sforzati tanto» scherzò James.
«Non lo diresti se sapessi quanto è costato» ribatté Lily con una linguaccia.
«Concordo. Avanti aprilo» soggiunse Albus.
James stracciò la carta. «Mi avete regalato un anello?» domandò perplesso. «Vi voglio bene, ma non tanto da sposarvi e vivere per sempre con voi».
Molti risero, compresi i suoi fratelli.
«Tranquillo, il desiderio è reciproco» gli assicurò Albus.
«Oh» sospirò James, sorpreso. Nella scatolina vi era un leone d’oro.
«Si apre» gli spiegò Albus.
James eseguì e all’interno trovò una foto di loro tre bambini. Ricordava bene l’occasione in cui l’avevano scattata: era il primo settembre 2016. Alle loro spalle c’era l’Espresso di Hogwarts, su cui quel giorno era salito per la prima volta. Naturalmente la foto era stata opportunatamente rimpicciolita.
Albus gli regalò un lieve sorriso, prima che, imbarazzato, dedicasse tutta la sua attenzione ad alcune stringhe di liquirizia di Mielandia. Lily, invece, lo abbracciò e gli sussurrò, in modo che nessuno potesse sentire: «Chissà dove sarai, quando finalmente mi diplomerò. Magari ti sarai stancato dell’Inghilterra e sarai andato a fare l’Auror in Australia, ma io non potrò seguirti perché sono minorenne. Non è giusto che mi passi tre anni!».
James la strinse a sé e le assicurò che dovunque sarebbe andato in futuro, lei l’avrebbe saputo.
«E voglio anche una camera con un letto a una piazza e mezza tutta per me in casa tua».
James rise e glielo promise.
A quel punto si dedicò agli altri regali con una certa curiosità: zio George gli aveva inviato un enorme scatola con alcuni nuovi prodotti; zio Percy un libro sul Ministero e James decise che per il prossimo compleanno dello zio avrebbero dovuto regalargli una serie di sedute da un bravo psicomago del San Mungo; zia Hermione un’intera enciclopedia di Difesa contro le Arti Oscure, che costò un mezzo svenimento a Rose; lo zio Charlie un rasoio magico, che causò una quantità infinità di battutine sul fatto che non avesse nulla da radersi, il che era una bugia bella e buona dal punto di vista di James. Quando andò ad aprire il regalo di Scorpius fece un balzo indietro. «Si muove!» disse puntando un dito contro il Serpeverde.
Scorpius rispose serio: «E meno male!».
James lo fissò sconcertato per un attimo e poi si decise a togliere il coperchio dalla scatola. Non poté non sorridere di fronte all’esserino che lo fissava con dei grossi occhioni, ma non ebbe la possibilità di fare alcun commento perché Albus si mise a urlare insieme a Elphias Doge:
«Ma ti sei fissato con questi cani?!».
«Quell’altro si è mangiato le mie scarpe!».
«Oh, quanto siete insensibili! E, comunque, è un crup» replicò Scorpius. «Non è dolcissimo?».
James annuì. «Però non vorrei che frequentando troppo Hagrid tu iniziassi a regalare cuccioli di drago».
«Dovresti sapere che il commercio di uova di drago è illegale» ribatté Scorpius con un ghigno.
«E questo cos’è?» domandò James che aveva ripreso a scartare i doni ricevuti.  «È di zia Luna».
«Sembra uno strumento musicale» rispose Frank. «L’ho visto in qualche vecchio libro, mi pare».
«Oh, sì» intervenne Roxi. «Uno di quelli che abbiamo consultato insieme per scegliere i disegni per l’aula di musica. È un flauto di Pan, se non sbaglio».
James fissò stranito l’oggetto e lo ripose con cura nella sua custodia.
«Lo sappiamo che zia Luna è strana» commentò Lily con un’alzata di spalle.
Una volta finito di scartare i regali, James soffiò sulle candeline e mangiarono la torta al cioccolato della nonna.
«Adesso, andiamo a giocare a Quidditch tutti insieme» propose Fred.
«In teoria non abbiamo il permesso» ricordò Albus, alzando gli occhi al cielo.
«Falso. Mi sono fatta firmare il permesso dalla Yaxley» lo tacitò Rose.
«Stai scherzando?» ribatté Albus sorpreso.
«No. L’ho assillata per ore e me l’ha firmato, pregandomi di non farmi vedere per un bel po’» replicò Rose.
Molti applaudirono felici di concludere il pomeriggio in quel modo.
James sorrise accondiscendente, per quanto fosse stanco non avrebbe mai potuto sottrarsi a una partita in suo onore. Colse, però, l’occhiata di Benedetta e invitò gli altri a precederlo. Rimasti soli si baciarono.
«Ho anch’io un regalo per te, ma non volevo dartelo davanti agli altri» disse Benedetta, appena si separarono. «Pensò che la Yaxley finirà per odiare noi Grifondoro».
«Perché?» chiese perplesso James.
«Perché ieri dopo la partita, l’ho assillata anch’io».
«Ok, ma perché?» ripeté il ragazzo.
«Per avere questo» disse Benedetta, tirando fuori dalla tasca della divisa un boccino d’oro. Il boccino d’oro, quello che aveva catturato il giorno prima. «Toccalo».
James obbedì e sotto le sue dite apparve una scritta: La chiave del mio cuore. Subito dopo il boccino si aprì rivelando una piccola chiave dorata.
«I boccini sono dotati di memoria tattile. Tu sei il primo ad averlo toccato. È una cosa sdolcinata, lo so, ma avevo parlato con Lily e Al e loro mi hanno detto del ciondolo e ho pensato che avresti potuto agganciarvi il boccino e… naturalmente se ti fa piacere…». Benedetta aveva parlato senza riprendere fiato, ma James la zittì baciandola.

Angolo autrice:
Ciao a tutti!
Spero che la lettura sia stata di vostro gradimento!
Il titolo è una frase pronunciata da Maria Teresa di Calcutta.
A presto,
Carme93

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Capitolo 31
*** Nil sub solem novum ***


Capitolo trentunesimo
 
Nil sub solem novum
 
 Scorpius appoggiò il piede destro su una foglia bagnata e rischiò di scivolare, ma, cadendo in avanti, si aggrappò al pastrano di Hagrid. Il mezzogigante si limitò a grugnire, probabilmente perché il Serpeverde era troppo leggero per lui.
«Scusa» borbottò il ragazzo.
«Vedi di non farti male» intervenne Amaryllis. «Abbiamo già abbastanza problemi».
«Ancora non capisco» disse, invece, Hagrid. «Tu dovresti aiutarmi con gli studenti e, come ha detto Percy, devi mantenere l’ordine e compagnia bella. Però ti sei messa d’accordo con Scorp e l’hai fatto venire con noi».
«Una mano in più fa sempre comodo» ribatté Amaryllis.
Hagrid borbottò qualcosa che gli altri due non compresero. Scorpius non si preoccupò, perché era perfettamente consapevole che l’amico apprezzasse eccome la sua compagnia, ma stava pensando che se la Preside l’avesse scoperto sarebbero stati guai per tutti e tre.
La Foresta Proibita era terribilmente silenziosa a quell’ora della notte e, naturalmente, buia. La luce della bacchetta era a malapena sufficiente a illuminare i loro passi, fortunatamente Hagrid aveva portato con sé una vecchia lanterna, che, però, creava inquietanti ombre.
Scorpius grattò Loki, il cane di Hagrid, dietro le orecchie quasi per darsi coraggio. Amaryllis e Hagrid gli avevano sconsigliato di portare Batuffolo, perché troppo piccolo. Il ragazzo non avrebbe mai rischiato di metterlo in pericolo.
La professoressa McGranitt aveva affidato il compito di verificare che stesse accadendo nella foresta ai due insegnanti di Cura delle Creature Magiche. Il Serpeverde si era unito volentieri alla coppia, ben desideroso di rendersi utile ma anche troppo curioso per perdersi un’occasione simile. Era già entrato tre volte nella Foresta Proibita: la prima durante il terzo anno alla ricerca dello smeraldo di Salazar Serpeverde e, se non fossero intervenuti i professori, sarebbe finita molto male; la seconda nello stesso anno, ma per scontare la punizione che la Preside aveva assegnato a lui e ai suoi amici, ma in quel caso non si erano inoltrati nel folto della foresta e Hagrid li aveva accompagnati; infine la terza era stata proprio quell’anno, quando aveva aiutato l’amico a far nascere Harris, il piccolo Thestral.
Scorpius non poté non stringere forte la bacchetta, quando un gruppo di centauri sbarrò loro la strada.
«Magorian» disse Hagrid a mo’ di saluto.
«Hagrid, la nostra pazienza si è esaurita. Non vogliamo maghi nel nostro territorio» rispose seccamente il centauro. I suoi compagni si mossero nervosamente alle sue spalle.
«Siamo qui per risolvere la situazione» ribatté Hagrid.
«Bene. Noi non uccidiamo i puledri, ma voi dovete tenerli lontani dalla foresta» dichiarò con fermezza Magorian.
«Alcuni non sono puledri, sono uomini. Si capisce anche se hanno quella maschera in volto» sbottò un altro centauro.
«Ne sei sicuro, Irone?» domandò Hagrid.
«Naturalmente» rispose quello.
Scorpius comprese che gli aspiranti Neomangiamorte si stavano allargando dalla Stamberga Strillante alla foresta, creando peraltro molto più problemi. Stavano perdendo terreno e ciò lo spaventava da morire: Jack aveva ragione questa volta, non potevano aspettare.
«Sono qui vicino» comunicò loro Magorian. Scorpius sgranò gli occhi: che fortuna! Avevano beccato la notte giusta! «Risolvete il problema o lo faremo noi».
«Credevamo che Fiorenzo vi avesse avvertito» sbuffò Irone.
Scorpius se lo ricordava, l’avevano incontrato anche quella notte di due anni prima. Era sempre così iroso e, se fosse stato per lui, li avrebbe attaccati nonostante fossero solo dei ragazzini.
«L’ha fatto. Non dovete preoccuparvi» tagliò corto Hagrid. Salutò i centauri e si avviò nella direzione che gli era appena stata indicata. Scorpius e Amaryllis lo seguirono in silenzio.
Il ragazzo stringeva ancora la bacchetta tra le mani, ma molto nervosamente. All’improvviso l’attenzione gli cadde su alcune macchie argentate sui cespugli più bassi.
«Che cos’è?» domandò con voce roca, fermandosi a osservare la strana sostanza.
«Non è il momento di fare domande, Scorpius» lo redarguì distrattamente Amaryllis. Hagrid, invece, si era fermato e si era chinato a toccare una chiazza più ampia sul terriccio poco più avanti.
«Maledetti!» sibilò il mezzogigante.
Amaryllis si accigliò e si avvicinò a lui. Scorpius li raggiunse, in attesa di una spiegazione.
«Sangue di unicorno» esclamò Hagrid rabbiosamente e riprese a camminare. Il Serpeverde fece fatica a star dietro ai due, per quanto fosse alto, probabilmente non avrebbe mai avuto una falcata ampia quanto la loro.
«Ma gli unicorni sono creature purissime!» riuscì a dire con fiato mozzo per lo sforzo. Nessuno dei due adulti si prese la briga di rispondergli, ma, fin troppo presto, l’attenzione di tutti si focalizzò su urli e schiamazzi poco distanti.
 Scorpius non credette ai suoi occhi, quando, in una radura, trovarono un gruppetto di ragazzi vestiti di nero e con la maschera argentata in volto: stavano torturando un unicorno! Ancora una volta, mentre Hagrid si lanciò urlando contro gli aspiranti Neomangiamorte, la consapevolezza che il limite fosse stato superato e non stessero più giocando lo colpì in pieno.
Il gruppo, vedendoli, abbandonò l’unicorno e si diede a una disordinata fuga. Qualcuno tentò di schiantare Hagrid, ma era un’impresa ben difficile, vista la sua stazza. Scorpius, furioso, si gettò all’inseguimento, ignorando i richiami di Amaryllis.
«Fermati, Roockwood! Lo so che sei lì in mezzo! Se hai coraggio, affrontami!» gridò.
Uno dei ragazzi si fermò e lo attese. Scorpius lo raggiunse ansimando, ma tenendo la bacchetta alta di fronte a sé. «Protego!» formulò istintivamente, vedendo l’altro muovere il braccio. Incantesimi Non Verbali. Non sapeva se fosse realmente Roockwood o magari Mark Parkinson, ma sicuramente era abile. Al secondo attacco il suo scudo s’infranse e il ragazzo si rese conto di aver commesso un grave errore di valutazione: non era in grado di contrastarlo in un duello.
Il suo avversario lo disarmò ridendo, ma non disse una parola, probabilmente per non essere riconosciuto. Scorpius, però, fu quasi certo che non fosse Roockwood, ma più probabilmente Parkinson. Non si mosse, certo che non avrebbe mai utilizzato una maledizione mortale. All’improvviso fu sbalzato malamente a terra. Non era stato il suo avversario a colpirlo, però. Entrambi si voltarono verso una terza figura, nero vestita e con volto coperto, che fece un lieve cenno al compagno. Intanto la voce di Amaryllis che lo chiamava si era fatta più vicina. I due aspiranti Neomangiamorte scapparono via, ma il Serpeverde non poté seguirli: nella caduta si era fatto male alla caviglia.
«Maledetto, incosciente!» urlò Amaryllis vedendolo.
«Sono scappati da quel lato» disse, incurante dei suoi rimproveri, il ragazzo indicando il punto in cui i due era spariti nel buio.
«Non me ne frega niente» sbottò la donna.
«Ma dobbiamo prenderli!» ribatté sorpreso Scorpius.
«Ti sei fatto male alla gamba?» replicò ella, invece.
«Non è niente. Mi sono fatto male alla caviglia. Sarà una semplice distorsione».
«Bene. Così te la rompo io!» sbottò Amaryllis. «Ma come ti viene in mente d’ inseguire un gruppo di ragazzi armati e che, sappiamo con certezza, praticano le arti oscure?! Sei un incosciente! Cosa credevi di fare?».
 Scorpius non rispose, ma permise alla donna di aiutarlo ad alzarsi. «Come sta l’unicorno?».
«È ferito, ma se la caverà. Tu, però, non cambiare discorso!» ribatté la donna.
«Sono stato impulsivo, mi dispiace» disse sinceramente il ragazzo. James l’avrebbe ucciso appena l’avrebbe saputo: non avrebbero dovuto girare da soli, questi erano i suoi ordini; ma, Scorpius ne era sicuro, Jack e James avrebbero reagito proprio come aveva fatto lui.
«Ti dispiace? Ringrazia che non ti strozzo con le mie mani. Mi hai fatto prendere un colpo!» esclamò Amaryllis, conducendolo da Hagrid.
«Dobbiamo trasportarlo fino alla mia capanna» li accolse il mezzogigante. «Non posso medicarlo qui».
«Posso farlo levitare» propose Scorpius.
«Sì, così tu cadi e dai il colpo di grazia a questa povera creatura» sbuffò Amaryllis.
«Che ti sei fatto male?» domandò Hagrid cupo.
«È una sciocchezza» borbottò il Serpeverde.
«Aiutalo, Hagrid. Non riesce a camminare. Io mi occuperò dell’unicorno» disse la donna.
Scorpius si appoggiò a Hagrid e lentamente si avviarono fuori dalla foresta. Era certamente uno strano gruppo il loro, ma Hogwarts aveva visto di peggio.

*

«Ragazzi, è tardi. Dovreste andare nei vostri Dormitori o la Preside rimprovererà tutti e tre» disse bonariamente il professor Bulstrode.
Fabiana ed Emmanuel si era trattenuti nell’aula di musica, in attesa che tutti i loro compagni uscissero.
«Potremmo parlarle, signore?» chiese Emmanuel.
«Naturalmente. C’è qualche problema?» replicò gentilmente l’uomo.
«No, signore. Solo una curiosità» rispose Fabiana educatamente.
«Ditemi».
«In biblioteca» iniziò Emmanuel, che si era preparato il discorso, «abbiamo trovato dei libri antichi che parlano di nenie magiche africane. Allora, ci siamo chiesti se, per caso, ne esistono anche in inglese».
Bulstrode sembrò sorpreso dalla domanda e aggrottò la fronte riflettendo. «Sì, esistono. Non in inglese, però. Qualcuna più recente forse si può trovare in inglese antico. Le più importanti nenie magiche, però, sono celtiche, per cui in antiche rune».
«E dove possiamo trovarle, signore?» domandò Emmanuel.
«Perché siete così interessati?» ribatté sospettoso il professore.
«Semplice curiosità, professore» intervenne Fabiana. «Come funzionano?».
«Ho qualche libro se volete, nel mio ufficio» rispose Bulstrode lentamente. «Per lo più le nostre nenie o le litanie devono essere recitate ritmicamente».
«Quindi non hanno un accompagnamento musicale?» indagò Emmanuel speranzoso.
«Dipende. Il principale strumento della nostra tradizione è la cetra o al massimo l’arpa. Ci sono alcune nenie dove la musica non è essenziale, ma sicuramente rafforza la magia di solito».
«Potrebbe mostrarci i libri che ne parlano, signore?» chiese Fabiana, mentre Emmanuel fremeva al suo fianco.
«Sì, certamente. Non certo adesso, però. È tardi».
Emmanuel e Fabiana si scambiarono uno sguardo impotente. «Va bene, signore. Potremmo venire da lei domani? È domenica» tentò il primo.
«Non c’è problema. Venite pure nel mio ufficio, all’ora che preferite».
«Grazie mille, professore» esclamarono in coro i due ragazzi.

*

«Sei rimasto in bagno quasi mezz’ora! Pensavo che i ragazzi fossero quelli che ‘in cinque minuti sono pronto’».
Jack fissò stupito Mary Cattermole, che sedeva tranquillamente sul suo letto.
«Che fai qui?» domandò perplesso.
«Sono venuta a farti gli auguri, no?» replicò la ragazza come se fosse ovvio. Si alzò e gli diede un bacio sulla guancia.
Andy, perfettamente vestito e sdraiato sul proprio letto, gli fece un cenno con la mano. «Meno male che mi sono alzato prima di te».
«Non sono stato così tanto in bagno» si difese Jack. «Dove sono gli altri?».
«Stevens e Herman sono già scesi a fare colazione, naturalmente» rispose Andy, sedendosi più compostamente sul letto. «Allora, li apri o no questi regali?».
«Ma ti sei tagliato?» chiese perplessa Mary indicando una lieve striscia di sangue sulla guancia dell’amico.
Jack grugnì e confessò: «Ho provato a radermi con la magia all’inizio».
Mary si limitò a un sorrisetto divertito, mentre, senza alcun ritegno, Andy sghignazzò. 
Jack ignorò il suo migliore amico e s’interessò ai regali che aveva ricevuto. Non erano mai stati così tanti.
«Sei un idiota» commentò Andy, riprendendosi. «Insomma avresti potuto provarci qualunque altro giorno, tanto siamo a Scuola».
L’amico, però, non lo stava ascoltando. In uno dei pacchi aveva trovato il classico orologio d’oro che veniva regalato ai figli al compimento della maggiore età. A stupirlo, però, era stata la lettera allegata.
 
Jackie,
l’orologio non è rubato, tranquillo. L’ha comprato Sylvester Spencer-Moon per me. Sono contento che stai con lui adesso. Spero che diventerai un Auror, come desideri, e che in futuro bazzicherai per i bassi fondi solo per arrestare i delinquenti. Non ho mai saputo fare il padre, ma ti voglio bene.
Magari un giorno, quando sarò fuori da questa fogna, ci rivedremo. Solo se vorrai, però.
Buon compleanno.

Non era firmato, ma Jack conosceva perfettamente quella scrittura disordinata e a tratti quasi illeggibile. E solo una persona l’aveva mai chiamato Jackie: suo padre. Indossò l’orologio, ma non guardò gli amici non volendo mostrar loro il suo improvviso turbamento.
«Apri quello» disse curioso Andy, indicando un regalo lungo e sottile. Jack si accigliò: non l’aveva notato. Rimase a bocca aperta, così come gli amici, quando lasciò rotolare sul suo letto un superbo manico di scopa: una Freccia Rossa.
«Abbott, sarà contento» commentò Mary.
«Chi te l’ha regalata?» domandò Andy, ammirato.
«Sylvester» rispose Jack, troppo sorpreso. Non se l’aspettava proprio.
Mary gli aveva regalato un’ elegante camicia blu notte, mentre Andy una mazza da battitore.
«Ma sei impazzito?» chiese sorpreso. Non si aspettava che il suo migliore amico spendesse così tanto! Fino a quel momento aveva utilizzato una vecchia mazza della Scuola e aveva desiderato averne una tutta sua.
«Hanno contribuito anche i miei. La lettera è loro» replicò Andy.
I due regali rimanenti si rivelarono, con ulteriore sorpresa del Tassorosso, degli Undici della Profezia – un Kit di Manutenzione per i Manici di Scopa – e di Samuel, Arthur e Amber – un Kit di Manutenzione per le Bacchette.
«Comunque non è giusto» esclamò Andy, mentre Jack riponeva i regali nel baule e cercava i libri che gli sarebbero serviti quel giorno. «Io dovrò aspettare fino ad agosto per usare la magia fuori dalla Scuola, mentre voi due potrete perfino fare l’esame di Materializzazione prima di me».
«Andy, non me lo ricordare!» sbottò Mary. «Sicuramente sarò bocciata!».
Jack roteò gli occhi e lanciò un’occhiataccia all’amico: la ragazza li aveva tartassati per giorni con la sua ansia pre-esame, non era proprio il caso di ricordaglielo.
«Oh, no stai tranquilla» disse frettolosamente Andy, comprendendo l’errore commesso.
«Forza, andiamo a fare colazione. Sono affamato» esclamò Jack, cambiando argomento.

*

«Ciao, Al. Vieni accomodati. Sei puntualissimo».
«Ciao, zio» rispose il ragazzo sorridendo e prendendo posto su una delle sedie imbottite di fronte alla scrivania.
Neville finì di leggere una lettera e sollevò lo sguardo su di lui. «Hannah ti saluta».
«Grazie, ricambia. Come sta? E la piccola Aurora?» chiese Albus.
«Tutto bene, grazie» sorrise Neville. «Allora, veniamo a noi» aggiunse. «Hai già qualche idea su quello che vuoi fare dopo il diploma?».
Albus annuì. Da quando l’annuncio dell’inizio dei colloqui di orientamento era apparso sulle bacheche delle Sale Comuni, molti ragazzi del quinto e, specialmente, del settimo anno si erano fatti prendere dal panico. Egli, però, non si era lasciato contagiare dalle preoccupazioni, a suo parere esagerate, di Isobel ed Elphias e aveva tentato di ragionarci con calma. Dopotutto aveva davanti ancora due anni di Scuola.
«Non ne sono pienamente sicuro ancora» rispose sinceramente.
«Non è un problema. Sei ancora al quinto anno. Quali sono le tue idee?» ribatté Neville gentilmente.
«Pensavo di fare qualcosa che c’entri con Antiche Rune» dichiarò Albus.
«Beh» cominciò Neville cercando qualcosa in un mucchio disordinato di dépliant, «allora potrebbe interessarti l’Accademia di Studi Storici Magici, in quanto propone un corso di Lingue Magiche Antiche».
«Davvero?» replicò Albus stupito.
«Sì… Oh, ecco il loro dépliant… Scusa il disordine…» borbottò Neville, porgendoglielo.
Il ragazzo lo sfogliò interessato.
«Questa Accademia è nata ufficialmente solo nei primi anni del 2000» spiegò Neville. «E visto che a pochissime persone piace la storia, potrai ben capire perché sia poco nota».
Albus annuì, intento a leggere la presentazione del corso. «Sembra perfetto» disse con occhi luccicanti dopo un po’. «Credo mi piacerebbe fare il traduttore di Antiche Rune».
«Se lo dici tu» replicò Neville con un sorriso divertito. Non avrebbe mai sostituito le sue amate piante con una pagina piena di segni astrusi da interpretare.
«Tu che ne pensi?» gli domandò Albus ansioso di conoscere il suo giudizio.
«Sei un ragazzo molto intelligente ed eccelli in diversi ambiti, sta a te decidere quale sia la strada migliore» disse seriamente Neville.
«Quali sono i prerequisiti per questo corso?».
Neville sfogliò il libriccino con lui. «Bene, vogliono principalmente Antiche Rune e Storia della Magia. Non ho bisogno di guardare il tuo fascicolo, hai E in entrambe, giusto?».
«Sì» confermò Albus. «Cosa intendono per M.A.G.O. consigliati?».
«Semplicemente che potrebbero essere utili, ma non sono fondamentali per seguire un determinato corso. In questo caso si tratta solo di Incantesimi, e anche con questa materia non hai problemi». Neville gli lasciò il tempo di metabolizzare le nuove informazioni, poi riprese: «Il dépliant, lo puoi tenere e leggere con calma. Hai qualche altra idea di cui vorresti parlare?».
«Lo sai che, prima di studiare Antiche Rune, la mia materia preferita è sempre stata Trasfigurazione, ma comunque questo corso dell’Accademia di Studi Storici Magici mi sembra perfetto».
«Mi fa piacere» sorrise Neville. «Ora dimmi perché sei così giù di morale in questi giorni» soggiunse.
Albus fu preso in contropiede e lo fissò dritto negli occhi. Neville era il suo padrino e lo conosceva dalla nascita, non aveva senso mentirgli. «Sono preoccupato» ammise.
«Per qualcosa che riguarda la Scuola?» indagò l’uomo.
«No» rispose Albus. «O meglio, sono preoccupato per i G.U.F.O. naturalmente, ma io e gli altri stiamo studiando tanto, tutti i giorni, quindi non dovremmo avere problemi. Anche se papà mi ha chiesto di superare l’esame di Difesa. Ed è quello che mi spaventa di più. Riesco a stare a malapena al passo con il programma. Il problema principale, però, è la profezia, tutto quello che sta accadendo e la mia stupida virtù, che non credo neanche di possedere».
«Ehi, ehi calmati» esclamò Neville, notando che il ragazzo si stava agitando parecchio. «Va tutto bene».
«Non è vero» ribatté Albus.
Neville sospirò e annuì. «Ma faremo in modo che tutto finisca bene».
«Alle volte mi sembra impossibile. Mi sveglio nel cuore della notte angosciato, pensando di non star facendo abbastanza» confessò allora il ragazzo.
«Ascoltami» iniziò Neville con fermezza, «stai facendo tutto quello che è in tuo potere, ok? Non hai nulla di cui rimproverarti. Gli esami andranno bene. Hai sempre studiato e ti stai preparando al meglio. Per quanto riguarda Difesa, perché tuo padre ti ha fatto questa richiesta? Sei sicuro di aver capito bene? A Harry non è mai interessato che tu e i tuoi fratelli seguiste le sue orme; al contrario sarebbe più contento se intraprendeste una carriera più tranquilla».
«Ho capito benissimo» sospirò Albus. «Non gli interessa che segua le sue orme, ma con questa storia di Bellatrix Selwyn è diventato ancora più ansioso e protettivo: vuole che continui Difesa ai M.A.G.O. solo per essere sicuro che mi sappia difendere».
«La sua preoccupazione è comprensibile» commentò Neville. «Probabilmente l’avrai sentito un milione di volte, ma quando avevamo la vostra età abbiamo visto cose troppo brutte e abbiamo dovuto imparare a difenderci da soli».
«Lo so, ma non ci riesco» mormorò Albus affranto. «Potrei anche superare il G.U.F.O., ma non riuscirei a seguire il programma dei M.A.G.O. Fred mi ha detto che, a loro del settimo anno, Williams ha fatto affrontare un troll! Un troll, capisci?!».
L’uomo si passò una mano tra i capelli nervosamente. «Ne hai parlato con il professor Williams?».
«No» replicò il ragazzo, orripilato alla sola idea. Maxi Williams era un bravo insegnante, giovane e affabile con gli studenti, ma non era uno dei suoi preferiti.
«Facciamo così Albus» propose Neville pacatamente, «pensa prima ai G.U.F.O., poi, se non te la senti di proseguire con Difesa, ne parlerai con calma con tuo padre. Magari nel frattempo la Selwyn verrà arrestata e lui sarà anche più rilassato».
«Va bene» assentì Albus, ritenendo che quella fosse la soluzione migliore, se non voleva diventare matto. «E la runa?».
«La prudenza, Al, cos’è?» replicò Neville serio.
«La capacità di discernere il bene dal male e agire di conseguenza» rispose prontamente Albus. Ormai, quella definizione se l’era imparata a memoria.
«Appunto. E io credo fermamente che tu possieda questa virtù» dichiarò Neville.
«Io non ne sono così tanto sicuro invece» ribatté il ragazzo. «Alle volte sbaglio. Anzi spesso e…».
«Albus» lo interruppe Neville, «sei un ragazzo di sedici anni, è perfettamente normale che tu compia degli errori. Non ti viene richiesta la perfezione, come a nessun essere umano. Penso che la distinzione tra Bene e Male debba avvenire su un piano più elevato. Non si tratta semplicemente di fare i compiti tutti i giorni o arrivare in orario a lezione».
«Qualcosa come rifiutare la magia oscura» ipotizzò Albus.
«Anche» replicò Neville. «Al, a mio parere, nella vita bisogna sempre scegliere se usare il proprio talento per fare del bene o del male a chi ci sta vicino. E tu, non hai alcun dubbio su questo».
Albus annuì e disse: «Però è terribilmente difficile. Io voglio far del bene, ma spesso non so come».
«Questo s’impara strada facendo Albus» affermò saggiamente Neville.
 
  *

«Buonasera, signore. Scusi il ritardo, ma l’allenamento si è protratto più a lungo di quanto avessi previsto» esclamò Scorpius, entrando nell’ufficio del professor Delaney, Direttore di Serpeverde in assenza della Shafiq.
«Ciao, Scorpius. Tranquillo. Com’è andato l’allenamento?».
«Molto bene, grazie, signore. Stiamo preparando con cura la partita contro Tassorosso».
«Pensi che possiamo farcela?» s’informò Delaney.
Scorpius sospirò, riflettendo. «Non lo so, sinceramente» ammise infine. «La squadra di Abbott è molto forte. Potremmo provare a rallentare e prevedere le loro azioni, proprio come hanno fatto i Grifondoro, ma non mi aspetto una vittoria schiacciante. E per vincere la Coppa ne avremmo bisogno».
«Capisco, ma immagino che la partita iniziale con i Grifondoro pesi molto» commentò il professore.
«Fin troppo, ha compromesso tutto il Torneo».
«Pensi che alla fine saranno i Grifondoro a trionfare allora?».
Scorpius annuì. «Noi ci proveremo, naturalmente. A questo punto, però, i favoriti sono loro».
«Pazienza, il prossimo anno andrà meglio» sospirò Delaney.
«Sicuro» concordò Scorpius all’istante. «Abbott, Mcmillan, Mcnoss e la Goldstain si diplomano quest’anno e il nuovo Capitano dei Tassorosso dovrà praticamente ricostruire la squadra».
«Parliamo di te adesso» disse in modo gioviale Delaney. «Che progetti hai per il futuro?».
«Voglio lavorare con le creature magiche» rispose con sicurezza Scorpius. Tutti i suoi amici erano al corrente della sua passione, ma non ne aveva mai parlato con un adulto.
«Interessante. Quindi pensi di iscriverti all’Accademia di Magizoologia? È sicuramente molto accreditata» replicò il professor Delaney.
«Non mi sono mai informato in merito» confessò il ragazzo.
«Non c’è problema» trillò l’insegnante. «Vediamo insieme quali sono i requisiti di accesso». Scorpius lo osservò tirare fuori un volantino da un plico sulla scrivania. «Ecco, vogliono i seguenti M.A.G.O.: Pozioni, Erbologia, Cura delle Creature Magiche e Incantesimi; in più vengono consigliati anche Trasfigurazione e Astronomia».
«Mica pochi» commentò Scorpius.
«No, non sono pochi. Non credo che dovresti avere problemi, però» ribatté Delaney recuperando il fascicolo del ragazzo. «Secondo quanto mi è stato detto dai miei colleghi, al momento hai E in Cura delle Creature Magiche; O in Pozioni ed Erbologia; meno bene va con Trasfigurazione dove hai solo A, ma secondo il professor Schacklebolt non t’impegni abbastanza; con me hai O, ma anche secondo me potresti fare molto di più».
«Va bene» rispose il ragazzo, «m’impegnerò di più in queste materie; ma Astronomia no, non voglio proprio continuarla fino ai M.A.G.O.».
«È solo una materia consigliata, perciò non dovrebbe essere un problema» commentò l’insegnante.
«Meno male» borbottò Scorpius.
«Se vuoi lavorare con le creature magiche, però potresti entrare anche al Ministero della Magia» soggiunse Delaney.
«All’Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche?» replicò Scorpius. «Non credo che faccia per me».
«La Divisione Bestie potrebbe essere quello che cerchi» ribatté il professore. «Non fanno una lavoro d’ufficio, se è questo che temi».
«Il punto è che voglio essere indipendente. Non voglio avere nulla a che fare con il Ministero e poi voglio prendermi cura degli animali. Voglio proteggere loro dai maghi e non viceversa» dichiarò convinto il ragazzo.
Delaney sorrise. «Allora l’Accademia di Magizoologia sarà la scelta migliore per te».
«Professore, rimarrà con noi anche l’anno prossimo?» s’informò Scorpius. Se lo chiedevano tutti, ma pochi Serpeverde volevano il ritorno della Shafiq.
«Non lo so, per ora sostituisco la professoressa Shafiq. Alla fine dell’anno, comunicherò alla Preside la mia disponibilità per il prossimo anno scolastico, ma poi toccherà a lei decidere naturalmente» spiegò serenamente Delaney. «Posso farti una domanda personale, Scorpius?». Il ragazzo lo fissò sorpreso e annuì. «Ma i tuoi genitori sanno che cosa vuoi fare da grande? Sinceramente, se non ti avessi conosciuto di persona, non avrei mai creduto che l’erede della famiglia Malfoy non avrebbe aspirato a una posizione di potere al Ministero della Magia».
Scorpius si strinse nelle spalle. «Non lo sanno. Prima o poi glielo dirò, ho ancora più di due anni prima del diploma».
«Spero che riuscirai a realizzare i tuoi sogni, Scorpius. Per quel poco che ti conosco, dubito fortemente che saresti mai felice dietro una scrivania».
«Speriamo che lo comprendano anche i miei» sospirò il ragazzo.

*

«Brian, non è una buona idea» sospirò Louis.
«Lo so, perciò lasciatemi da solo. Non è il caso che vi mettiate nei guai anche voi» rispose il ragazzino.
Louis e Drew lo fissarono pensierosi.
«A me sembra un’ottima idea invece» intervenne Annika.
«Figuriamoci. Infatti non avevamo richiesto il tuo parere» replicò Drew.
«Sul serio, ragazzi. Andatevene a fare colazione. Non è il caso che mi aiutiate» sbuffò Brian nervoso.
«E, invece, sì» ribatté Drew. «Se vuoi farlo, ti faremo compagnia. Dopotutto non è neanche detto che finiremo nei guai. La fortuna non aiuta gli audaci?».
«Esattamente!» concordò euforica Annika.
«Le probabilità di avere una fortuna così sfacciata sono molto basse» affermò Louis, più che certo che non sarebbe finita bene. Brian non aveva bisogno del calcolo delle probabilità per intuirlo e, in fondo, era quello che cercava no?
«Brian?» lo chiamò incerto Drew.
«Mi spieghi come fai a essere sempre così tranquilla?» domandò, però, Brian ad Annika, ignorando l’amico.
«Perché non dovrei?» ribatté stranita la ragazzina.
Brian si mordicchiò il labbro nervosamente. «Intendo quando infrangi le regole».
Annika sorrise malandrina. «Ma non succede nulla, se lo fai! Insomma l’importante è non fare del male agli altri, no?».
«Non è proprio così» tentò Louis.
«Oh, che siete noiosi! Sentite, ve l’ho già detto, Zender si merita questo e altro. Ha iniziato lui. Andiamo, dopo che ci saremo vendicati per bene, ci sentiremo meglio» esclamò la ragazzina, precedendoli.
I tre ragazzi la seguirono, ma Brian sentiva un peso sul cuore: non era sicuro che la vendetta fosse la strada migliore, ma sicuramente era da Grifondoro.
«Pronti?» chiese Annika.
Brian provò a dissuadere gli amici un’ultima volta.
«Se tu rimani qui, noi non ci muoveremo» tagliò corto Louis.
«Eccoli!» annunciò eccitata Annika e tirò la prima caccabomba su Mike Zender ed Edison Andersen.
Brian, Drew e Louis la imitarono conciando male i due prepotenti.
«Ora non fai tanto il gradasso, eh, Zender?!» strillò Annika. Drew iniziava a entusiasmarsi come lei: insomma era da più di un anno che sperava di umiliare i due Serpeverde. Louis era alquanto indifferente, mentre Brian percepiva un bruciore alla gamba sempre più forte man mano che lanciava caccabombe.
Accadde in pochi secondi, il bruciore divenne insopportabile e Brian lanciò la caccabomba, che aveva in mano, senza prendere la mira, proprio mentre il professor Delaney si avvicinava per capire che cosa fosse quella confusione, e premette le mani sulla parte dolente. Era la runa. Ancora una volta la runa l’aveva scottato e, n’era sicuro, nessuno questa volta aveva chiesto aiuto. Respirò a fatica, mentre nella sua testa si confondevano le voci lamentose di Zender e Andersen che chiedevano giustizia al loro Direttore e quella di Annika che tentava di sovrastarli affermando che erano degli schifosi prepotenti.
«Basta, state un po’ zitti!» sbottò Delaney. «Zender, Andersen ho capito e ho visto tutto, andatevene a fare colazione» soggiunse ripulendoli con un semplice colpo di bacchetta.
Louis lo fissò ammirato, ma fu l’unico a fare caso alla perfezione e alla potenza dell’incantesimo: Annika era imbronciata e non lo nascondeva, Drew non sembrava più tanto divertito; infine Brian tentava di tenere la runa lontana dalla gamba, tirando la stoffa della divisa.
«Carter, stai bene?» domandò a sorpresa Delaney. Louis, Annika e Drew si voltarono verso di lui accorgendosi per la prima volta che qualcosa non andava.
«Sì, signore» mormorò flebilmente il ragazzino.
Il professor non sembrò crederci realmente, ma non insisté. «Dieci punti in meno a Corvonero. Ciascuno» decretò. «Robertson, Weasley e Jordan, andate anche voi a fare colazione o farete tardi a lezione».
«E Brian?» chiese a bruciapelo Annika.
Delaney la guardò male e rispose: «Ho bisogno di parlare con lui».
«Se deve parlargli di quello che abbiamo fatto, allora parli con tutti e quattro» sbottò Annika.
«Cinque punti in meno a Corvonero» ribatté infastidito Delaney. «Ricordati che stai parlando con un insegnante, non con un tuo compagno di classe, Robertson!» la rimproverò. «Andatevene in Sala Grande, se non volete perdere altri punti. Carter, seguimi nel mio ufficio».
I Corvonero si scambiarono un’occhiata impotente e si divisero. Brian non era mai stato nell’ufficio di Delaney e, in verità, nemmeno sapeva dove si trovasse. Non che si fosse mai posto il quesito. Lo seguì in silenzio. Fortunatamente la runa aveva smesso di bruciare intensamente, per quanto ormai l’avesse scottato.
«Accomodati» disse gentilmente Delaney, indicando due sedie dal rigido schienale di fronte alla sua scrivania. L’ufficio aveva più o meno le stesse dimensioni di quello di Maxi, ma decisamente più freddo, nonostante il fuoco scoppiettasse felice nel caminetto. Il ragazzino non ne fu sorpreso, visto che si trovava nei sotterranei del castello. Tutto sommato, però, la stanza era sufficientemente accogliente. Dietro la scrivania vi era un’ampia libreria strapiena di libri.
Brian, comunque, si sentì molto a disagio e completamente svuotato: per la prima volta aveva deliberatamente infranto le regole e aveva spinto altri a farlo.
«Le chiedo scusa» mormorò infine, pur di dire qualcosa. «Non volevo colpirla».
«Ma volevi colpire Zender e Andersen» replicò atono l’insegnante, che intanto si era seduto al suo posto dietro la scrivania.
«Sì, signore» sospirò Brian.
«La signorina Robertson ha detto che l’avete fatto per vendicarvi, è vero?» domandò allora Delaney.
«Sì, signore. È stata una mia idea però, gli altri non hanno nessuna colpa».
«Su questo ho i miei dubbi. Mi sono apparsi parecchio entusiasti nell’aiutarti» ribatté il professore, poi si piegò in avanti verso di lui e aggiunse «Sei soddisfatto della tua vendetta?».
Brian, che fino a quel momento aveva evitato di guardarlo in viso, lo fissò stranito: non si aspettava questa domanda. In più desiderava ardentemente andare in un bagno e controllare il danno causatogli dalla runa e, specialmente avrebbe voluto parlarne con qualcuno dei Dodici.
«No» rispose sinceramente. Non aveva trovato per nulla divertente sporcare i due Serpeverde da capo a piedi e, considerando che Zender era appena rientrato a Scuola dopo essere stato sospeso, era stato lui a riaprire le ostilità. E cominciava a vergognarsene.
«Perché?» insisté Delaney.
Il ragazzino prese un bel respiro e ripeté a voce, quello che prima aveva solo pensato; chiedendosi mentalmente perché non lo punisse e basta, senza tormentarlo ulteriormente.
«Non tocca a me dirtelo, ma a quanto pare Williams non l’ha fatto» commentò allora il professore. «Non devi dimostrare niente a nessuno. Uno dei peggiori errori che un uomo può compiere è tentare di essere chi non è». Brian sgranò gli occhi, quasi percependo la piega che il discorso stava per prendere. E non gli piaceva. «Tuo padre ha sbagliato a mandarti quella strillettera, il tuo comportamento ne è la conseguenza. Non hai nulla da vergognarti se sei un Corvonero, se studi e rispetti le regole. Tutto ciò non fa di te un ragazzino noioso o antipatico. Se lo fossi, Zender e Andersen cercherebbero la tua amicizia; invece sei un ragazzino mite e gentile e loro sono invidiosi. È così che, spesso, funziona la mente dei bulli, Brian».
«Ma mio padre vuole che cambi» disse Brian in un a malapena udibile bisbiglio.
Il professor Delaney sospirò e scosse la testa. «Probabilmente era arrabbiato, Brian».
«No, signore. Lo pensa davvero, lo so» replicò affranto il ragazzino.
«Allora si sbaglia, i genitori possono sbagliare. Non sono perfetti» asserì sentitamente Delaney.
Brian chinò la testa, non sapendo come replicare.
«Vuoi che ne parli con Maxi?» chiese a bruciapelo il professore.
«No» rispose immediatamente il ragazzino. «Signore. La prego» aggiunse subito dopo. Maxi non gli aveva detto una sola parola sulla strillettera, sebbene non fosse sembrato contento. Aveva evitato l’argomento e a Brian era andata bene così: voleva solo dimenticare quel brutto periodo. Non voleva che Maxi litigasse con suo padre. E poi avrebbe preferito non beccarsi una ramanzina anche dal suo padrino, che non sarebbe certo mancata se avesse saputo quello che aveva appena combinato.
«Va bene, allora promettimi di essere te stesso» affermò il professor Delaney.
«Prometto, signore» sussurrò Brian.
 
 
*

«Questa cosa delle valutazioni degli insegnanti è una vera figata» sentenziò Rose, appoggiando le gambe sulla scrivania. «Non sei d’accordo?».
«Rose, siediti composta e modera il linguaggio. Tuo zio avrà anche avuto un’altra delle sue brillanti idee» sbottò Neville, «ma il fatto che voi studenti possiate dare il vostro giudizio sui professori della Scuola, non significa che improvvisamente possiate fare quello che volete!».
«Su, non ti agitare troppo» commentò Rose, facendo un gesto vago con la mano, ma poi colse l’occhiataccia dello zio e tolse le gambe dalla scrivania.
«Così va meglio» affermò Neville a denti stretti.
«Andiamo al sodo?» chiese Rose, desiderosa di andarsene al più presto, avendo progettato un allenamento extra.
«Rose, per l’amor di Merlino, puoi essere un po’ più educata e rispettosa?» sbuffò Neville stancamente.
La ragazza si sedette più dritta sulla sedia e gli rivolse un lieve sorriso di scuse. «Devo ringraziare te per il cambiamento di rotta di mia madre?».
Neville si accigliò. «Non so di che parli» replicò perplesso.
«È molto più gentile e meno isterica del solito, mi chiede persino del Quidditch alle volte e, soprattutto, non mi ossessiona più con la storia che devo studiare e simili».
«No, non devi ringraziare me» rispose allora Neville. «Anche perché ho molto da ridire sulla tua condotta al momento».
«Allora chi è stato?» ribatté Rose pensierosa, ignorando totalmente il rimprovero.
«Non lo so» sbuffò Neville. «Ti prego, sono stanco stasera e ho esaurito la pazienza, parliamo di te».
«Oh, ma non c’è molto da dire» affermò la ragazza stringendosi nelle spalle. «Io giocherò nelle Holyhead Harpies. E sono sicura che la società non richiederà quanti M.A.G.O. ho preso prima di farmi un contratto».
«Nient’altro? E se non dovessi riuscirci?».
La domanda ferì Rose, che si pose sulla difensiva. «Non pensi che ce la possa fare?».
«Non ho detto questo» ribatté Neville.
«Invece sì» sibilò Rose. «E quando ci riuscirò, non ti regalerò nessun biglietto!».
La ragazza si alzò di scatto e, incurante dei richiami dello zio e professore, lasciò l’ufficio sbattendosi la porta alle spalle.
Neville si passò una mano sul volto, ripromettendosi di concederle il tempo di calmarsi prima di parlarle ancora. Magari dopo aver fatto scorta di pazienza.
 
*
 
«Non ho capito, puoi ripetere un’altra volta?» sbuffò Geoffrey Hitson.
«No, facciamo pausa» rispose Dorcas. «Devo andare da Mcmillan per l’orientamento professionale e non voglio arrivare in ritardo. Sai quant’è severo».
«Non ricordarmelo» borbottò Geoffrey. «Ci vediamo in Sala Comune e continuiamo appena finisci?».
«Sì, è una buona idea» sorrise Dorcas.
«Ti porto lo zaino, se vuoi».
«Saresti molto gentile».
«Ci vediamo dopo» sorrise Geoffrey.
Dorcas si avviò a passo svelto lungo i corridoi, poco affollati a quell’ora, temendo veramente di arrivare in ritardo all’appuntamento. Si fermò solo di fronte alla porta dell’ufficio del suo Direttore. Gettò un’occhiata all’orologio e si sentì sollevata: era in perfetto orario. Bussò e la voce ben nota del professore, la invitò a entrare.
«Buonasera, signore».
«Ciao, Dorcas» rispose il professor Mcmillan, sorridendole leggermente.
La ragazza, sollevata, ricambiò il lieve sorriso.
«Allora, Dorcas, lo scopo di questo nostro incontro è parlare di quale carriera desideri intraprendere dopo il diploma, e aiutarti in tal modo a scegliere le materie da seguire dopo i G.U.F.O.» esordì l’insegnante andando dritto al punto. «Immagino che avrai già riflettuto in merito, a quali conclusioni sei giunta?».
Ed ecco la domanda da un migliaio di galeoni: non era giunta a nessunissima conclusione, anzi era molto confusa e indecisa. «Sinceramente, non ho le idee chiare, signore» mormorò imbarazzata. Sicuramente i suoi compagni di Casa, avevano già deciso. Poteva immaginarsi la faccia che avrebbe fatto Annabelle Dawlish, se l’avesse sentita in quel momento. Fortunatamente i colloqui di orientamento professionale si svolgevano in privato.
«Questo non è un problema, Dorcas, stai tranquilla» replicò pacatamente Mcmillan. «Personalmente ritengo che bisognerebbe sempre scegliere qualcosa in cui si è bravi o a cui si è particolarmente appassionati, in questo modo è più facile riuscire al meglio e, perciò, essere soddisfatti».
«Credo sia giusto, signore» commentò diplomatica Dorcas.
«A che cosa hai pensato fino a ora?» domandò allora il professore.
«Insegnare Incantesimi» biascicò Dorcas arrossendo. «Oppure studiare psicomagia».
Il sorriso di Mcmillan si allargò, ma non era derisorio bensì dolce e comprensivo, uno di quei rari sorrisi che mostrava il suo animo da Tassorosso.
«In effetti sei molto brava in Incantesimi, la professoressa Shafiq ha spesso tessuto le tue lodi» egli disse. «Per fare l’insegnante nel mondo magico non vi sono corsi particolari. Dovresti approfondire da sola, o in compagnia di un altro mago, l’ambito che t’interessa, in questo caso Incantesimi. Naturalmente, sebbene non vi sia alcuna regola scritta, sarebbe il caso che tu prendessi un buon voto in Incantesimi ai M.A.G.O.».
Dorcas annuì più che interessata: fin da piccola aveva pensato che sarebbe stato bello insegnare; psicomagia era solo una seconda opzione.
«Per quanto riguarda la psicomagia invece, sono richiesti i seguenti M.A.G.O.:» riprese Mcmillan, mostrandole un opuscolo con il logo del San Mungo. «Incantesimi, Pozioni ed Erbologia. Sicuramente, al momento, non hai alcun problema con Incantesimi ed Erbologia, per Pozioni, invece, hai una O un po’ risicata, ma sei migliorata molto ultimamente e sono certo che riuscirai a superare l’esame a giugno, ma l’anno prossimo dovrai impegnarti molto».
«Sì, signore» rispose automaticamente Dorcas, non del tutto certa che valesse la pena sorbirsi altri due anni di una materia che non l’era mai piaciuta.
«Comunque, Dorcas, hai ancora molto tempo per decidere. Concentrati sugli esami e fai del tuo meglio, per semplice soddisfazione personale» consigliò Mcmillan.

*

Brian sospirò stancamente sfogliando il manuale di Pozioni, cercando la voglia di studiare. In quei giorni era molto giù di morale. Aveva seguito il consiglio del professor Delaney, ma la spaccatura creatasi con il padre lo faceva star male.
«Carter».
Il ragazzino alzò lo sguardo e incrociò gli occhi di Roberts, il Caposcuola di Corvonero.
«Ciao» salutò. Anche Louis, Drew, Annika, Niki e Miki abbandonarono i loro compiti per osservare curiosi il ragazzo più grande.
«Ciao» replicò gentilmente Roberts. «Ho un messaggio da riferirti, Carter: il professor Williams ti aspetta vicino al Lago Nero».
«Perché?» ribatté sorpreso Brian.
«Non lo so» rispose Roberts.
«Va bene, grazie» disse allora Brian. «Allora vado» soggiunse a beneficio degli amici, che annuirono preoccupati.
Il ragazzino si avviò mogio verso il parco, chiedendosi che cosa volesse all’improvviso il suo padrino. Erano trascorsi diversi giorni dallo scherzo ai danni di Zender e Andersen e, visto che Maxi non aveva proferito parola, Delaney doveva aver mantenuto la sua promessa.
Impiegò poco tempo a trovare Maxi, intento a parlare con Hagrid.
«Ciao» salutò esitante.
Hagrid gli sorrise, mentre il suo padrino sembrava nervoso e turbato.
«Abbiamo trovato il medaglione» disse contento il mezzogigante.
«Sul serio?» replicò Brian sgranando gli occhi. «Ma Zender non l’aveva lanciato nel Lago Nero?».
«Sì, ma io sono molto amico con la Capitan Sirena» spiegò Hagrid facendogli l’occhiolino.
Incredulo, Brian prese il medaglione che Maxi gli porse. Era perfettamente intatto. «Grazie» disse scoppiando in lacrime e abbracciando Hagrid.
«Oh, non è niente. Su, stai tranquillo» borbottò Hagrid imbarazzato, dandogli qualche pacca sulle spalle.
«Facciamo due passi insieme» disse Maxi, appena il ragazzino si fu calmato.
Brian, non potendo rifiutare, salutò Hagrid e lo ringraziò ancora una volta.
Maxi e Brian camminarono in silenzio per un po’, mentre il sole principiava ad abbassarsi sull’orizzonte.
«Ho parlato con Gregory» buttò lì all’improvviso Maxi.
Brian continuò a fissare il prato e non rispose.
«Lo sai che ti vuole bene, vero?» sospirò allora il suo padrino.
«Sì» sussurrò il ragazzino, contrariato dalla piega che stava prendendo la conversazione.
«Non mi sembri molto convinto» sbottò Maxi, fermandosi improvvisamente.
Brian evitò di guardarlo negli occhi. «Non ho dubbi» ammise però. «Sono solo stanco e nervoso. Mi dispiace non essere come vorrebbe».
«Conosco il mio migliore amico, spesso parla prima di ragionare. Se solo si fosse fermato un attimo a riflettere, non ti avrebbe mai inviato quella strillettera. Non vuole che tu sia diverso, ma vorrebbe anche che tu sapessi difenderti» sospirò Maxi. «Quando gli ho detto dello scherzo a Zender, c’è rimasto molto male. Ha capito di avertici spinto con le sue parole».
Brian sgranò gli occhi. «Come sai dello scherzo a Zender?! Delaney aveva promesso di non dirtelo» disse concitato, pentendosene all’istante: era logico che un professore non scendesse a patti con uno studente, no?
«Il professor Delaney, Brian» lo corresse Maxi. «Comunque no, non è stato lui a parlamene, ma Zender e Andersen. Quei due non erano contenti di come il loro Direttore avesse affrontato la questione e sono venuti a lamentarsi da me, sperando, secondo loro, di ottenere giustizia».
«Ma tu non ci hai detto nulla» esclamò Brian trasecolato: Maxi non mancava mai di rimproverarlo quando si comportava male.
«No, non il diritto di mettere bocca nelle decisioni dei miei colleghi» spiegò Maxi.
«Ma sei il mio padrino… cioè di solito…» insisté il ragazzino perplesso.
Maxi ghignò. «Sai quante volte tuo padre mi ha coinvolto nei suoi scherzi? Non avete fatto nulla di pericoloso, per cui non ho ritenuto di doverti parlare, anche perché il professor Delaney mi ha riferito di averlo fatto e ti ho visto molto pensieroso in questi giorni».
«C’è una cosa che mi preoccupa» ammise il ragazzino, sollevato di potergliene finalmente parlare. Non l’aveva ancora fatto, per non dovergli raccontare dello scherzo a Zender.
«Dimmi» replicò gentilmente Maxi.
Brian gli raccontò dell’ustione procuratagli dalla runa e concluse: «Credo che sia legata a quello che stavo facendo. Era sbagliato e la runa… una specie di avvertimento, credo… Al ha detto che sarebbe potuto accadere».
Maxi annuì pensieroso. «La temperanza è la capacità di dominarsi e di non eccedere».
«Non sono all’altezza! E se la runa si rompesse? Gli altri che cosa direbbero? Dovrei incrementare la mia virtù, non il contrario!» mormorò Brian affranto. «Gli altri non hanno questo problema».
Maxi sbuffò. «Chi te l’ha detto? Gliel’hai chiesto? Siete tutti dei ragazzini e state affrontando qualcosa molto più grande di voi. Non hai nulla di cui vergognarti, Brian» disse con fermezza.
Brian annullò la distanza tra loro e lo abbracciò.
«Puoi farmi tutte le domande che vuoi» gli sussurrò, accarezzandogli la testa.
«Grazie» mormorò Brian.

*

Jonathan sospirò stancamente, scorrendo con il dito le leggi emanate dalla Confederazione Internazionale all’inizio del Novecento. Era sorprendente che non vi fosse quasi nulla sui Magonò: le famiglie magiche preferivano dimenticare e nascondere una simile vergogna, piuttosto che preoccuparsi della loro vite.
«Non mi sembra che tu stia facendo i compiti» esclamò una voce ben nota, facendolo sobbalzare.
Jonathan boccheggiò per un attimo, poi rispose: «Buonasera professore. No… ehm… io stavo solo approfondendo alcune tematiche che mi interessano…». Deglutì mentre Williams prese in mano in libro e gli diede un’occhiata.
«T’interessa la legge magica?».
«Sì, signore» assentì immediatamente Jonathan.
Il professore gli restituì il libro, ma, anziché andarsene come avrebbe voluto il ragazzo, prese posto di fronte alla lui.
«Ti sei dimenticato che avevamo un appuntamento?».
Jonathan lo fissò per un attimo stranito. Di che parlava? Poi ricordò. Accidenti, l’orientamento professionale! «Mi scusi signore, mi ero dimenticato» disse sinceramente. D’altronde c’era poco da mentire a quel punto.
«Non fa niente» replicò tranquillo il professor Williams. «Non è un problema, anche perché mi sembra che tu abbia le idee abbastanza chiare, no? Sei interessato alla Magisprudenza, mi pare».
«Sì, signore. Mi piacerebbe molto entrare in Accademia e poi, in futuro, diventare giudice del Wizengamot» esclamò Jonathan.
«Sei consapevole, vero, che non sarà facile? Troveranno un modo per ostacolarti».
Jonathan s’incupì e annuì. «Lo so, ma non voglio rinunciare».
«E ti auguro di riuscirci!» ribatté sinceramente Williams. «Sarei molto deluso se rinunciassi ai tuoi sogni! Volevo solo essere sicuro che te ne rendessi conto. L’amissione in sé e per sé non sarà un problema. Serve solo un M.A.G.O. in Storia della Magia, sebbene siano consigliati anche Difesa e Babbanologia. Non hai alcun problema in queste materie, perciò sono sicuro che non avrai difficoltà».
«Grazie, signore» disse educatamente Jonathan. «Quindi pensa che mi ammetteranno senza far problemi?».
«Tuo padre è molto conosciuto, nessuno oserebbe lamentarsi apertamente. I problemi, se vorranno, te li creeranno dopo. Dovrai essere forte e non lasciarti provocare o ti renderanno ancor più difficili i quattro anni di corso».
Il ragazzo comprendeva perfettamente quello che il professore gli aveva appena detto, ma era contento che per altri due anni sarebbe stato al sicuro tra le mura di Hogwarts e non in balia dei pregiudizi del mondo magico.
 
*

«Buonasera, signore» disse con un lieve sorriso Virginia appena entrò nello studio del suo Direttore.
«Ciao Virginia, grazie per essere puntuale» replicò il professor Williams. «Allora, andiamo subito al sodo, che cosa pensi di fare dopo il diploma?».
«Non lo so, signore» rispose sinceramente la ragazza. «Fino a qualche mese fa, ero certa di dover fare il magiavvocato come mia madre, ma ho capito che devo essere io a scegliere».
«Sono felice che tu l’abbia compreso» commentò Williams.
«Mi piacerebbe continuare a studiare dopo il diploma e non entrare direttamente al Ministero. Secondo lei, professore, che cosa potrei fare?».
«In realtà Magisprudenza farebbe al caso tuo, ma se vuoi evitarla per non far pensare che vuoi seguire le orme di tua madre, potresti sempre inscriverti al Corso di Cooperazione Magica Internazionale. Io sono sicuro che te la caveresti bene».
«E quali sono i requisiti di accesso?» domandò allora Virginia.
«Mmm vediamo» rispose Williams, sfogliando alcuni opuscoli. «Oh, ecco… Storia della Magia e Difesa contro le Arti Oscure. Consigliata anche Babbanologia, probabilmente perché potresti avere a che fare con casi che coinvolgono i Babbani. Il corso dura due anni e ti può servire come titolo per entrare al Ministero oppure per iniziare una carriera come magiambasciatore».
«Sarebbe bello!» commentò Virginia con gli occhi luccicanti. Non aveva mai pensato di fare il magiambasciatore, ma non poteva negare che l’idea l’attirasse.
«Sei una strega molto talentuosa, sicuramente la migliore del tuo anno, potresti farcela benissimo» commentò Williams con un sorriso.
«Grazie, signore» replicò Virginia molto orgogliosa e soddisfatta.

*

Jonathan era pallido sia per la paura sia perché la luna piena si stava avvicinando.
«E dai, sarà divertente!» trillò Rose eccitata.
«Non dev’essere divertente» sbottò James fulminandola con lo sguardo. «Abbassa la voce e non distrarti».
«Che noioso che sei» ribatté la ragazza. «Nessuno farà caso a noi. Serpeverde si sta giocando la sua ultima chance di vincere la Coppa».
James non l’ascoltò nemmeno, fece levitare un rametto e premette il nodo sul tronco del Platano Picchiatore. I rami dell’albero smisero immediatamente di frustare l’aria.
«Attenti a dove mettete i piedi» gli ammonì il Grifondoro. I tre ragazzi dovettero piegarsi e camminare a quattro zampe, più avanti poterono rialzarsi ma camminando sempre piegati.
«Quanto è lungo?» chiese Jonathan.
«Arriva a Hogsmeade, fa un po’ tu» rispose affannato James.
All’improvviso il tunnel iniziò a salire, poco dopo curvò e davanti ai loro occhi apparve una piccola apertura.
«Cavoli, ma non è come l’ha descritta tuo padre» bisbigliò Rose.
James deglutì e illuminò l’ambiente intorno a sé. No, non era minimamente come suo padre l’aveva descritta: era perfetta, non vi era un solo granello di polvere e i mobili erano intatti.
«Beh, se la usano gli aspiranti Neomangiamorte… insomma, sono tutti dei damerini, l’avranno sistemata a loro piacimento…» borbottò Jonathan.
«Homenum Revelio» recitò James, maledicendosi per non averlo fatto immediatamente. Fortunatamente, non accadde nulla.
«Ai nostri amici non farà piacere sapere che siamo entrati nel loro covo» ghignò Rose.
«Diamo un’occhiata in giro prima di andare all’appuntamento» propose James curioso.
«Fletcher sarà invidiosissimo quando glielo racconteremo» trillò Rose.
Jonathan si limitò a guardarsi intorno teso. La Stamberga Strillante, dopotutto, non era il miglior posto in cui trascorrere il sabato mattina.
Perquisirono tutta la stanza e si spinsero fino al piano di sopra, ma non trovarono nulla d’interessante.
«Dovevamo aspettarcelo, non sono stupidi» sbuffò James.
«Io sono convinto che invece ci sia qualcosa nascosta qui» commentò il Corvonero.
«E dove? Abbiamo cercato da ogni parte» ribatté Rose.
«Non lo so. Avranno usato la magia, naturalmente» replicò Jonathan.
«Che cosa pensi che dovrebbe esserci?» chiese James.
«Le vesti e le maschere, sicuramente» rispose Jonathan. «Se le tenessero in dormitorio, sarebbero subito beccati».
«Sarebbe fantastico trovarle!» esclamò Rose.
«Sicuramente Roockwood avrà utilizzato degli incantesimi avanzati» disse James.
«Ma dobbiamo provarci!» ribatté Rose.
«No, non sappiamo quanto tempo abbiamo ancora. Ho detto a Scorpius e Arthur di non prendere subito il boccino, ma nessuno dei due può rischiare di perdere la partita» affermò James. «Andiamo, Tamisha ci starà aspettando».
Jonathan annuì, Rose, invece, s’imbronciò ma seguì ugualmente il cugino.
«Hanno riparato anche la porta» commentò James, tentando di scherzare.
«Hai paura che gli Squibs possano tirarci qualche brutto tiro?» gli domandò Jonathan, lasciandosi coprire dal mantello dell’invisibilità.
«Ho paura che gli aspiranti vengano nella Stamberga Strillante» replicò James serio. «Passeremmo un bel guaio ed essere scoperti dai professori sarebbe il minimo».
Jonathan deglutì e rimase in silenzio.
Era una ventosa giornata d’aprile e Hogsmeade era tranquilla a quell’ora. L’appuntamento era proprio vicino alla Stamberga, perché i ragazzi avevano temuto che se qualche abitante li avesse visti, avrebbe avvertito la McGranitt.
Quattro persone già li attendevano. Erano tre ragazzi e una donna.
«Buongiorno» salutò educatamente James.
«Buongiorno, James Potter» replicò la donna.
«Lei è Tamisha Yaxley, signora?» chiese il Grifondoro, porgendole la mano.
«Sì, sono io. Vi presento Rod, Chad e Cedric» replicò la donna, indicando i ragazzi uno alla volta.  
«Loro sono Rose e Jonathan» disse James presentando a sua volta i suoi compagni. «Jonathan s’è occupato delle ricerche».
«Ho vagliato tutte le leggi che sono state emanate a favore e contro i Maghinò fino ai giorni nostri. E devo dire che sono molto poche» intervenne il Corvonero.
«Ed è proprio questo che vogliamo cambiare» esclamò Tamisha. «A che conclusioni sei giunto?».
«Ci sono molte proposte che potremmo fare» rispose prontamente Jonathan, consapevole che la donna lo stesse studiando, probabilmente tentando di capire se fosse solo un moccioso. «Personalmente, ritengo che la prima mossa sia presentare una Dichiarazione dei Diritti dei Magonò sulla scia dei più famosi esempi babbani. E dovremmo preparare un discorso di presentazione che metta in luce proprio la mancanza di una legistrazione ad hoc».
Tamisha sembrò positivamente colpita dalle sue parole e prese le pergamene che il ragazzo le porgeva. Ne scorse velocemente il contenuto, mentre Rod sbuffava: «È tutto inutile, tanto il Ministero non ci darà ascolto».
«Mi dispiace contraddirti, ma mia zia è il Ministro della Magia. Troveremo il modo di farci ascoltare, tranquillo» ribatté James con sicumera.
«Hai fatto un ottimo lavoro» commentò sorpresa Tamisha.
«Quello che non capisco è che cosa interessi a dei maghetti la nostra sorte» sbottò provocatorio Chad.
«Ci siamo accorti che nella nostra società ci sono troppe ipocrisie, che stanno portando a una nuova guerra» rispose serio e teso James.
«E poi, non siete gli unici discriminati» intervenne Jonathan. «Io sono un lupo mannaro».
James e Rose si voltarono verso di lui, decisamente scioccati dalla sua rivelazione, ma mai quanto i rappresentanti degli Squibs.
«Anch’io devo lottare per il mio posto in società» dichiarò Jonathan, ripensando alla conversazione avuta pochi giorni prima con il professor Williams.
Tamisha fu la prima a riprendersi e annuì. «Capisco, sono contenta che ci stiate aiutando. Non avremmo potuto accedere da soli a tutte queste informazioni, inoltre voi avrete più possibilità d’interagire con membri importanti del Ministero della Magia».
«Le pergamene potete tenerle» disse serio Jonathan. «Ne ho un’altra copia. Se volete ho qualche idea per la Dichiarazione».
«Scrivi tutto quello che ritieni opportuno. Noi ti manderemo le nostre richieste via gufo» replicò Tamisha. «La tua Dichiarazione, naturalmente, dovrà essere prima approvata da tutti gli Squibs».
«Naturalmente» assentì James.
«Vi stiamo dando fiducia, non fatemene pentire» disse allora Tamisha. «Costant mi ha detto che avrei potuto fidarmi».
I tre si scambiarono un’occhiata preoccupata. «Con Constant intende il professor Bulstrode?» domandò James.
«Sì, perché?» ribatté la donna.
«Lui sa di questo incontro?» chiese Rose.
«No, quando è a Hogwarts non ci sentiamo spesso» rispose Tamisha. «Perché?».
«Perché noi non abbiamo il permesso di stare qui» disse Jonathan con ovvietà. «Finiremmo nei guai, se gli insegnanti lo venissero a sapere».
«Constant non sa nulla» assicurò Tamisha. «E non gli diremo nulla, se per voi è un problema. Ma voi comportatevi bene».
«Ha la nostra parola» promise James.
Nemmeno dieci minuti dopo erano nuovamente all’interno della Stamberga Strillante e, dopo essersi assicurati che fosse ancora vuota, si avviarono verso Hogwarts.
Nel parco videro Albus, Frank, Roxi e Alastor che sembravano star tranquillamente passeggiando, ma in realtà più volte lanciavano occhiate sospettose verso il Platano Picchiatore.
James uscì dal tunnel e fece loro segno. Pochi secondi dopo si ricongiunsero.
«Com’è andata?» domandò Albus all’istante.
«Chi ha vinto?» chiese Rose nello stesso momento.
«Arthur ha preso il boccino» rispose Roxi.
«E sì, Al, è andato tutto bene» affermò James.
«Con quanto ha vinto Tassorosso?» quasi urlò Rose.
«Ma non è importante» sbottò Albus, lanciandole un’occhiataccia.
«Sì, che lo è! Dobbiamo giocarci la coppa!» sbottò la ragazza.
«La partita è finita 200 a 50 per Tassorosso» disse pazientemente Alastor.
Rose rimase in silenzio per qualche secondo, intenta a fare qualche calcolo poi gridò istericamente: «Siamo pari! Siamo pari!».
«Sì, ma noi dobbiamo ancora giocare contro Corvonero, no?» intervenne James per calmarla.
Rose si voltò verso di lui con gli occhi sgranati. «Stravinceremo! Vado a prenotare il campo per gli allenamenti!».
«Ma abbiamo praticamente vinto» commentò Albus fissandola mentre correva via.
«Non glielo dire!» esclamò James. «Potrebbe accusarti di portare jella alla squadra».
Albus lo fissò scioccato. Erano tutti matti!
 

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Capitolo 32
*** Candele e maschere d'argento ***


Capitolo trentaduesimo
 
Candele e maschere d’argento
 
«Ma tuo zio vuole veramente far licenziare la Dawson?» domandò a bruciapelo Annika, mentre si dirigevano a lezione di Storia della Magia.
Louis sospirò e si strinse nelle spalle. «Se non la riterrà all’altezza del compito, lo farà».
«È bravissima!» s’alterò allora Brian. Quella storia gli appariva incredibilmente ingiusta! Gli insegnanti di Hogwarts non avevano nulla che non andasse, perché Percy Weasley si ostinasse in quella sua crociata personale per ‘elevare gli standard della Scuola’, proprio non lo comprendeva. «Sono sicuro che grazie alle valutazioni degli studenti tuo zio dovrà ricredersi» soggiunse.
Annika lo fissò scettica e Drew disse: «Lo pensi sul serio? Non essere ingenuo».
«Quella delle valutazioni è stata senz’altro la peggiore delle idee di mio zio» ribatté Louis convinto, scuotendo la testa sconsolato.
«I nostri compagni non saranno stati onesti nei loro giudizi. Avranno seguito le loro simpatie o, peggio, i loro pregiudizi» aggiunse Annika.
«Ma non è giusto» sospirò Brian indignato e infastidito. «Il Ministero non può credere alle idiozie che un branco di adolescenti spara!».
«Naturalmente faranno i dovuti discrimina» assentì Louis meditabondo.
«Però, se ha già emesso le sue condanne, la valutazione degli studenti sarà solo un punto a loro favore e non si fermeranno a riflettere se stanno sbagliando o meno» disse Drew.
«È sbagliato, però! Non possono giocare con il lavoro e la reputazione di altre persone! Un progetto come quello di tuo zio implica un continuo esame di coscienza! Devono pur chiedersi se stanno facendo la cosa giusta!» insisté Brian, non volendo arrendersi facilmente.
«Non lo faranno! Convincitene, Brian!» sbottò Annika, fermandosi sulla soglia dell’aula di Storia della Magia. Abbassò la voce e aggiunse: «Sono adulti! Si aspettano che noi contiamo fino a dieci prima di agire, ma loro sono troppo bravi per farlo». Detto questo, si voltò ed entrò in classe. Ai ragazzi non restò che seguirla, visto che la Dawson era già arrivata.
Brian, prendendo posto, le lanciò una rapida occhiata: sorrideva a tutti come sempre. Per un attimo ne fu sorpreso, poi comprese che per lei non era importante il giudizio di omuncoli senza nome del Ministero della Magia. Era stata la professoressa McGranitt ad assumerla e, come la Preside stessa, si vociferava, aveva più volte ribadito a gran voce, nessuno se non ella aveva il diritto di rimuovere i docenti della Scuola dai loro incarichi.
Nonostante ciò il ragazzino era comunque molto preoccupato, non solo per la Dawson, ma anche per il suo padrino: girava voce che anche egli fosse tenuto d’occhio da Percy Weasley, perché i ragazzi più grandi non apprezzavano i suoi metodi d’insegnamento. Maxi, però, aveva il permesso della Preside di portare creature magiche oscure, o potenzialmente pericolose, a lezione. E solo gli studenti dei M.A.G.O. venivano coinvolti in simili lezioni pratiche. Persino quelli del quinto anno si limitavano a imparare gli incantesimi difensivi base.
Brian sospirò sperando che lansituazione volgesse per il meglio. Ma quante volte l’aveva sperato negli ultimi mesi? Quella mattina si sentiva molto giù di morale, probabilmente era meteopatico: sebbene fossero ad aprile, la primavera da giorni sembrava un miraggio in quanto pioveva a dirotto e il cielo era sempre nero. Le aule erano costantemente illuminate dalla luce fioca delle candele, tanto da farle assomigliare ai sotterranei del castello. Il che, naturalmente, non era piacevole per nulla.
Appoggiò il libro di storia sul banco e pose la guancia sul palmo della mano aperta, intenzionato ad ascoltare la spiegazione con attenzione. Quella sarebbe stata l’ultima lezione prima delle vacanze di Pasqua e, si diceva, che la decisione di Percy Weasley fosse imminente. Inoltre, almeno in quel modo, avrebbe scacciato l’angoscia che lo angustiava da settimane e non avrebbe pensato all’incontro dei Dodici in programma per quella sera.
Iniziò a prendere diligentemente appunti, ma dopo un po’ un senso d’intorpidimento s’impadronì di lui e le palpebre si fecero pesanti. Si stropicciò gli occhi, ripromettendosi di andare a letto prima da quel momento in poi.
Meno di dieci minuti dopo si rese conto che in quel modo si sarebbe addormentato davanti a tutti. Cercando di non farsi prendere dal panico, tentò di scrollarsi di dosso quella strana sensazione di pesantezza. Eppure prima che iniziasse la lezione si sentiva così sveglio! E non aveva mai trovato noiosa quella materia.
Nel tentativo di non addormentarsi si guardò intorno, prendendo atto di non essere l’unico a comportarsi stranamente. Drew, accanto a lui, sembrava aver difficoltà a respirare. Alla scuola babbana aveva avuto un compagno asmatico e il modo in cui l’amico annaspava glielo ricordava.
Provò ad aprire la bocca per chiedergli che cosa si sentisse, era evidente che avesse necessità di andare in infermeria, ma la voce non uscì. Si accorse di star respirando anche lui a fatica. Lentamente si voltò verso Miki, seduto nella fila accanto: aveva un’espressione stravolta e rantolava. Era un incubo. Era l’unica spiegazione plausibile.
Voglio svegliarmi!, pensò Brian disperatamente. Voglio svegliarmi. Era orribile. Si sentiva soffocare. Qualcosa gli premeva i polmoni e cominciava a non veder bene. La classe diventava sfocata velocemente. Si coprì il volto con le mani, piangendo.
All’improvviso qualcosa o, meglio, qualcuno lo scosse. La sua prima reazione fu sollievo: era davvero solo un incubo, probabilmente qualcuno dei suoi amici stava cercando di svegliarlo, perché in caso contrario avrebbero fatto tardi a lezione. La sera prima, però, avevano finito tardi di studiare perché Annika li aveva convinti ad assistere agli allenamenti della loro squadra di Quidditch. Louis si era arrabbiato parecchio dopo. Forse era meglio alzarsi, per quanto fosse bello rimanere ancora a letto, se no l’amico si sarebbe incavolato di nuovo.
Aprì gli occhi, che bruciavano – forse aveva la febbre –, ma si ritrovò ancora in classe. E la sensazione di soffocamento non era sparita. A scuoterlo era stato realmente Louis, però. L’amico era pallidissimo in volto e aveva gli occhi leggermente rossi. Si copriva il naso e la bocca con un fazzoletto.
La sua testa iniziò a vacillare agli occhi di Brian. Louis lo scosse di nuovo. Che voleva? Perché faceva in quel modo? Lo vedeva. Perché non parlava e si prendeva gioco di lui? Durante la lezione poi.
Louis smise di far finta di parlare – oppure era Brian che non riusciva a capire e sentire le sue parole – e spinse via i banchi che li separavano. Brian non si difese neanche – non ne aveva la forza – quando Louis gli perquisì le tasche della divisa e trionfante tirò fuori la runa. Brian sapeva che non poteva lasciargliela prendere… la runa era sua… uno dei Dodici… I pensieri, però, ormai erano totalmente sconnessi. Louis prese anche un fazzoletto e glielo premette sulla bocca.
Perché voleva soffocarlo? Gli mancava già l’aria. Louis lasciò perdere e con un dito disegnò naud sul retro della runa. Brian sapeva che significava qualcosa, ma che cosa?
Annika apparve alle spalle di Louis, anch’ella con un fazzoletto pigiato sulla bocca e sul naso. L’amica lo tirò per un braccio, tentando di sollevarlo. Ma perché non lo lasciavano semplicemente in pace?
Louis e Annika si scambiarono uno sguardo spaventato, ma sembravano muoversi a rallentatore come se facessero fatica. La ragazzina scoppiò in lacrime, ma Brian non riusciva a comprenderne il motivo e si lasciò cadere di nuovo sulla sedia, chiudendo gli occhi lacrimanti.
Un rumore improvviso lo costrinse a riaprire gli occhi e per un attimo gli parve di vedere James e Jack. Ma non era possibile, aveva forse le allucinazioni? Qualcuno lo prese di peso e lo portò fuori dall’aula. Una parte di lui avrebbe voluto liberarsi dalla stretta, ma non aveva energie sufficienti.
Uno spruzzo d’acqua lo spinse a riaprire gli occhi, che aveva chiuso senza rendersene conto. Il volto tremulo di Jack balenò per un attimo davanti ai suoi occhi, così come la voce adirata di James solleticò appena le sue orecchie. Poi tutto divenne buio.

*

«Avrebbero potuto ucciderli tutti!» urlò Jack fuori di sé. «Vuoi ancora aspettare?».
«Calmati» tentò Albus, notando la ferocia con cui il Tassorosso si rivolgeva al fratello.
James si passò una mano tra i capelli, per l’ennesima volta quel giorno, e sospirò. «Jack ha ragione. Ho sbagliato».
«Quindi ora si agisce? Da veri Grifondoro?» intervenne Rose.
Albus gemette, temendo che si muovessero d’impulso senza riflettere. Cercò gli altri con lo sguardo: Scorpius andava avanti e indietro per la stanza maledicendo gli aspiranti Neomangiamorte e stringendo con forza la bacchetta, pronto ad agire; Frank era pallidissimo, non avrebbe fatto un passo se non trascinato dagli altri; Roxi era sconvolta, perché quella mattina i Neomangiamorte avevano attaccato Diagon Alley, seminando distruzione e morte e zio George si era salvato per un pelo; Emmanuel seguiva attentamente la conversazione dei ragazzi più grandi, ma anche lui come Roxi aveva qualcosa di cui vendicarsi e non si sarebbe lasciato sfuggire l’occasione; Virginia si mordicchiava il labbro e, anche se erano distanti, Albus poteva sentire il suo cervello lavorare febbrilmente; Jonathan fissava un punto indeterminato poco più in alto della spalla di James, era difficile capire cosa gli passasse per la testa in quel momento; Dorcas piangeva sommessamente sulla sua spalla. Ciò che però toglieva il fiato e la razionalità ad Albus era l’assenza di Brian. Questa volta gli aspiranti avevano colpito duramente. Forse James e Jack avevano ragione: era finito il tempo dei tentennamenti.
«Agiremo da Grifondoro» aveva intanto annunciato James, attirando su di sé l’attenzione di tutti.
«Cosa pensi di fare?» chiese allora Virginia.
«Dobbiamo cogliere sul fatto gli aspiranti» rispose James serio. «C’ho riflettuto a lungo ultimamente. Jonathan ha ragione devono nascondere per forza le loro tuniche e delle bacchette di riserva nella Stamberga Strillante».
«Ma nemmeno gli Auror hanno trovato nulla!» ribatté Jack.
«Magari non hanno cercato dappertutto» replicò James.
«Impossibile» sentenziò Jack.
«La Stamberga Strillante è stata costruita da Silente per Remus Lupin. Ho ragione di credere che a quel tempo, e anche dopo, vi entrarono solo lui e i suoi amici. Almeno finché Sirius Black non vi si nascose e vi trascinò all’interno mio padre e i miei zii. Infine la Stamberga fu, in un certo senso, il quartier generale di Lord Voldermort durante la battaglia di Hogwarts. Da allora, a parte gli aspiranti, sono sicuro che non vi è entrato nessuno» disse James.
«E quindi?» chiese Virginia, che non riusciva a seguire il suo ragionamento.
«E quindi, sappiamo davvero com’è strutturato l’edificio? Gli Auror hanno controllato dove zio Neville li ha guidati, ma mio zio non era mai entrato lì dentro».
«Che importanza ha? Ci siamo entrati anche noi. E siamo saliti anche al primo piano» intervenne Jonathan.
«Ma magari c’è dell’altro! Qualcosa che noi non sappiamo!» esclamò James.
«Qualcosa tipo un ripostiglio nascosto?» gli fece eco Virginia.
«Esattamente!» convenne James, contento che almeno la Corvonero lo stesse seguendo.
«E come facciamo a scoprirlo?» domandò perplesso Albus.
«L’unico che può davvero sapere com’è fatta la Stamberga è Silente» rispose James.
«Peccato che sia morto da più di vent’anni» sbuffò Jack.
«Ma il suo ritratto si trova in Presidenza» replicò James trionfante.
«Vuoi entrare di nascosto in Presidenza?» domandò esterrefatta Virginia.
«Non è necessario entrare di nascosto» replicò il Grifondoro. «L’importante è chiedere a Silente dove possiamo trovare la planimetria dell’edificio. Ed è fatta. Sono sicuro che troveremo il nascondiglio degli aspiranti!».
«Vuoi coinvolgere la McGranitt?» chiese Albus.
«Coinvolgerla?» replicò James. «È già coinvolta, come lo siamo tutti. Secondo te perché papà insiste sul fatto che non dobbiamo fare di testa nostra?».
«Perché è iperprotettivo?» ribatté Albus, facendo ridacchiare Rose e Scorpius.
«Perché lui ha sempre fatto di testa sua e spesso ha creato danni ancora più grandi! Si è messo in situazioni più grandi di lui. E tutto sommato era giustificabile, per certi aspetti. Era il prescelto, Silente voleva che si mettesse alla prova non che se ne stessa buono buono in classe. Noi non siamo lui, però. La McGranitt può aiutarci e ci aiuterà» disse con foga James.
«Va bene, chi ci va?» domandò Jonathan.
«Posso andarci io» si offrì James. «Caso mai si arrabbiasse, sono abituato alle sue sfuriate». Le sue parole non alleggerirono l’atmosfera come avrebbe voluto.
Gli altri furono d’accordo, in fondo nessuno ci teneva a far alterare la Preside.
«Jack, allora, tu parlerai con Williams e lo convincerai a procedere a nuove perquisizioni dei Dormitori» continuò James.
«Per quale motivo?» replicò sorpreso il Tassorosso. «Gli aspiranti non sono così stupidi!».
«Sì, ma abbiamo bisogno di distrarli. Dobbiamo far girare la voce che siamo stati noi a suggerire agli insegnanti perquisizioni sistematiche, così penseranno che non abbiamo capito nulla!» esclamò James.
Albus era molto ammirato: suo fratello aveva pensato a ogni cosa.
Visto che tutti erano d’accordo, prese la parola Jonathan e raccontò del colloquio con Tamisha Yaxley e la delegazione di Squibs. Tutti furono più che concordi nel lasciargli il compito di redigere la Dichiarazione. Dorcas e Frank si offrirono di dargli una mano e il Corvonero accettò di buon grado.
«Io e Fabiana abbiamo parlato con il professor Bulstrode» intervenne Emmanuel. «Ci ha mostrato alcuni libri di musica antica e siamo rimasti molto sorpresi di quanta roba ci sia. Non potete capire, la musica è veramente una magia potente, una di quelle magie che ormai sono state quasi dimenticate!».
«Avete scoperto come potremmo usarla?» chiese Virginia.
«Sì, abbiamo trovato una litania in un trattato latino intitolato De Musica. Sembra fatta apposta per noi. Dev’essere recitata ritmicamente, perciò non avremmo problemi per l’accompagnamento musicale; inoltre è in latino, proprio come gli incantesimi che siamo abituati a utilizzare» rispose il Serpeverde, tirando fuori dallo zaino una pergamena ripiegata. «Ecco, è questa. Dovremmo impararla a memoria ed esercitarci a eseguire il ritmo giusto o l’incantesimo non funzionerà».
«Magia senza bacchetta» mormorò trasecolato James, mentre la pergamena faceva il giro della stanza.
«A questo punto non ci resta che allenarci ogni sera» esclamò Jack.
«Abbiamo la nostra arma» sussurrò euforico Albus.
«Niente violenza» specificò Emmanuel. «Questa litania bloccherà chi ha l’anima macchiata, ma non turberà i virtuosi».
«Finalmente una buona notizia» sospirò Dorcas, manifestando così il sollievo di tutti.
 

*

Hogsmeade era quasi irriconoscibile. Auror e agenti della Squadra Speciale Magica erano padroni di High Street e probabilmente delle varie stradine secondarie.
Il cielo era ancora nero e nuvoloso, presto avrebbe piovuto nuovamente. Era quasi impossibile evitare le pozzanghere e non bagnarsi gli orli dei mantelli.
Sembrava che fossero trascorsi anni da quando quella strada era stata affollata da studenti chiassosi e contenti per una giornata libera da studio e lezioni. In quel momento era così triste e silenziosa.
Adesso James poteva comprendere i sentimenti del padre quando gli raccontava di Diagon Alley al suo sesto anno. Strinse i pugni: il giorno dopo avrebbe parlato con Silente.
«Ehi, James, come ti senti? Pronto per l’esame?».
La voce di Agnes Walcott, sua compagna di classe e battitrice di Grifondoro, lo riscosse dai suoi pensieri.
«Un po’ agitato, ma preferisco non pensarci» rispose James. «Almeno finché non sarà il mio turno».
«Io sono molto nervosa, invece» disse Agnes. «In più fra poco più di una settimana ci sarà la finale con Corvonero!».
«Abbiamo la Coppa in tasca» intervenne Danny Baston con un sorriso.
Per un attimo a James sembrò che quel sorriso fosse soprattutto per lui. Era dal suo compleanno che Danny e Tylor erano diventati più cortesi. Secondo Benedetta volevano riavvicinarsi a loro, ma non ne trovavano il coraggio.
«Sono d’accordo. I Corvonero non hanno speranze contro di noi. Poi, Rose è gasatissima. Basterebbe lei per metterli fuorigioco» esclamò James. Danny e Tylor erano stati per anni i suoi migliori amici e non sarebbe stato lui a mandare a rotoli tanti anni di amicizia tanto facilmente, ma non li avrebbe neanche riaccolti immediatamente come se nulla fosse accaduto tra di loro.
«Secondo me abbiamo ancora qualche speranza anche per la Coppa delle Case» disse Danny.
«Mi sembra difficile» replicò Agnes.
«Ma Jamie ha guadagnato ben 150 punti in una volta con il suo gesto eroico!» ribatté Danny.
James gli gettò un’occhiata di traverso: solo i suoi amici più stretti potevano chiamarlo Jamie. L’aveva fatto apposta? Pensava di averne ancora il diritto? O gli era uscito spontaneo?
«Non ho fatto nulla di speciale. E mi ha aiutato Jack Fletcher».
«Niente di speciale? Anche la Dawson stava male! Se non foste intervenuti voi due, sarebbero morti tutti!» sbottò Agnes incredula.
James non voleva pensare a quello che era accaduto qualche giorno prima, meno che mai essere trattato come un eroe. Perché non lo era. Aveva reagito d’istinto come sempre. Nient’altro.
«Entrate e non trattenetevi fuori» ordinò il professor Williams che accompagnava il gruppo insieme a tre Auror.
L’esame di Materializzazione si sarebbe svolto all’interno dei Tre Manici di Scopa. All’interno i tavoli erano stati addossati alle pareti.
L’istruttore ministeriale, Walter Sullivan, li attendeva seduto a una tavolo ingombro di pergamene.
«Buongiorno» li accolse senza alcun entusiasmo. «Ora chiamerò l’appello per verificare che tutti gli iscritti all’esame siano presenti, dopodiché procederemo in ordine alfabetico. Man mano che vi chiamo potrete prendere posto» aggiunse indicando delle sedie su due lati della sala.
A sostenere l’esame erano circa una quindicina, e James si chiese quanti di loro sarebbero riusciti a superarlo.
«Baston… Belby… Calliance…» cominciò a chiamare Sullivan.
James era il nono dell’elenco e si ritrovò seduto accanto a Mark Parkinson e Jonah Pucey. Sotto l’occhio attento e ammonitore di Williams, il Grifondoro si spostò di un posto preferendo senz’altro la compagnia di Sebastien Kent, un Corvonero un po’ strano ma simpatico. Se fosse rimasto vicino a Parkinson sarebbe finita male, n’era sicuro.
«In bocca al lupo» sussurrò a Danny, senza riuscire a trattenersi. Il compagno gli sorrise un po’ sorpreso. Forse sarebbero potuti tornare veramente amici.
«Bene. Iniziamo» esordì Sullivan dopo aver espletato le varie procedure burocratiche. «Danny Baston» chiamò allora.
Danny era molto nervoso, ma si alzò e raggiunse l’istruttore.
«L’esaminando si deve posizionare al centro della sala. Io gli dirò dove si dovrà materializzare. Infine dovrà smaterializzarsi di nuovo qui. Nessuna parte del corpo deve rimanere indietro o l’esame non sarà superato».
James deglutì, iniziando a sentirsi veramente nervoso. Suo zio Ron, al primo tentativo, era stato bocciato per mezzo sopracciglio.
Danny, intanto, si era posizionato al centro della sala in attesa di ulteriori istruzioni.
«Molto bene, signor Baston, vorrei che lei si materializzasse da Madama Piediburro» disse Sullivan.
James osservò l’amico, leggermente pallido in volto, chiudere gli occhi e ruotare su sé stesso. Quasi trattenne il fiato quando lo vide scomparire. L’esaminatore prese un appunto su una pergamena e rimase in attesa.
«Sempre che sappia come tornare» sibilò Parkinson.
James strinse i denti, ripetendosi che affatturarlo sotto gli occhi di Williams non sarebbe stata una buona idea.
Pochi secondi dopo Danny riapparve e sembrava tutto intero, sebbene sul punto di vomitare il pranzo.
Sullivan si prese qualche secondo consultando un’altra pergamena, poi annunciò: «Signor Baston ha superato l’esame. Complimenti».
Danny gli strinse la mano e, visibilmente sollevato, tornò al suo posto. James gli fece un cenno con la mano che fu prontamente ricambiato.
«Hector Belby» chiamò Sullivan.
Fu uno strazio per James assistere agli esami dei suoi compagni, visto che l’ansia aumentava man mano che si avvicinava il suo turno.
«O’Neill Brian» chiamò Sullivan.
James si congratulò con Sebastien Kent che aveva appena superato l’esame. Fino a quel momento erano stati bocciati due ragazzi su sei: il suo compagno di Casa Kalvin Calliance e una Tassorosso che stava sempre in compagnia di Jack Fletcher. La poverina, agitata com’era, si era spezzata ed era dovuto intervenire Williams.
«Corvonero imbranato» sbottò Parkinson. O’Neill si era spaccato durante la smaterializzazione. Williams e Sullivan ebbero il loro bel da fare per aiutare il ragazzo.
«Bocciato» sentenziò nervosamente Sullivan. «Mark Parkinson».
James osservò il suo rivale sparire con tranquillità e sicurezza. Non poteva essere da meno! Parkinson l’avrebbe deriso fino al diploma!
«Ottimo, ottimo. Promosso» esclamò soddisfatto l’esaminatore. «James Sirius Potter».
Il ragazzo si alzò e si posizionò al centro della sala, come avevano fatto tutti i suoi compagni prima di lui. Percepiva gli occhi degli altri su di sé e non era per nulla rassicurante. Tutti pronti a veder fallire James Potter?, pensò angosciato.
«Signor Potter, voglio che si materializzi nella strada di fronte Mondomago».
James chiuse gli occhi, imitando Danny, e pensò disperatamente alla sua destinazione. Destinazione. Determinazione. Decisione. Si ripeté più volte quelle benedette tre D, tentò di svuotare la mente e infine focalizzò nella sua mente l’immagine di Mondomago. Quante volte vi si era recato dal terzo anno? Infinite. Conosceva perfettamente quelle strade. Prese un bel respiro e girò su stesso, senza mai smettere di pensare alla propria destinazione.
Un urlo, gocce d’acqua e la consapevolezza di essere atterrato su qualcosa di morbido, fecero capire al ragazzo di essere riuscito nel suo intento. Riaprì gli occhi e vide l’insegna del negozio.
Una voce maschile adirata gridò: «Signora, io gliel’avevo detto che sono in corso degli esami di Materializzazione!».
«Alzati giovanotto! Alzati, porco Salazar!».
James sobbalzò rendendosi conto di essere seduto sullo stomaco di una signora anziana.
«Scusi, scusi» borbottò imbarazzato.
La vecchietta, decisamente arzilla, si mise a imprecare contro un uomo, probabilmente un rappresentante del Ministero.
«Il Ministero non può occupare le strade così!».
«Le avevo detto di passare a largo! È una questione di poche ore!» sbottò l’uomo furioso.
James sospirò sollevato: non era colpa sua se era caduto sulla vecchia.
«Ragazzo» lo apostrofò allora l’addetto del Ministero, ignorando le imprecazioni della vecchia. «Quando sei pronto, puoi tornare indietro. Comunicherò al mio collega che la materializzazione è andata bene».
James, un po’ più sicuro di sé e leggermente bagnato a causa della pioggerellina leggera che stava cadendo, si smaterializzò immediatamente.
L’aria calda dei Tre Manici di Scopa lo accolse e, sentendosi tutti i pezzi del corpo al posto giusto, comprese di aver superato l’esame ancor prima che Sullivan lo annunciasse. Allora soddisfatto riprese posto.
Trascorse almeno un’ora e mezza prima che tutti sostenessero l’esame. Alla fine Williams li permise di trattenersi un po’ nel locale, magicamente risistemato in pochi secondi, e bersi una burrobirra.
Vi fu un momento in cui James e Danny si ritrovarono a scambiarsi un’occhiata divertita, vedendo il professore, circondato da Camilla Smith e Dorothea Tarner, due Tassorosso, che, bocciate, in lacrime cercavano il suo appoggio convinte che Sullivan avesse sbagliato. Williams ordinò un whisky incendiario quando si ritrovò a spiegare per la quinta volta che spaccarsi durante l’esame equivaleva a non superarlo.
 
*

«Buongiorno» augurò Maxi Williams entrando nella camera dei ragazzini del secondo anno.
Louis, intento a leggere un grosso tomo, probabilmente di pozioni, alzò il capo e ricambiò educatamente. Brian, ancora pallido e sonnolento, si limitò a sorridergli leggermente; Drew dormiva, ma sembrava più in forma di Brian.
«Come va?» chiese allora il professore.
«Bene, grazie, signore» rispose prontamente Louis.
«Meglio» mormorò Brian.
«Mi fa piacere. Mi dispiace disturbarvi, ma con quello che è successo, mi sono dimenticato di dirvi che dovete scegliere le nuove materie che seguirete dal terzo anno in poi» disse Williams, porgendo loro delle pergamene e poggiando quella di Drew sul comodino del ragazzino. «Se per voi non è un problema, vorrei che decideste entro domani mattina, ok?».
«Sì, signore. Non c’è problema» rispose Louis per tutti. «Aspettiamo che Drew si svegli?» domandò a Brian appena rimasero soli.
Il ragazzino non fece in tempo a rispondere che la porta della camera si spalancò nuovamente, rivelando questa volta Annika.
«Non dovresti essere a letto?» domandò perplesso Louis, per poi darsi dello stupido da solo. «Scusa, mi sono dimenticato di star parlando con te».
«Ecco bravo, fammi spazio» replicò la ragazzina, dopo aver chiuso la porta, e si sedette sul letto accanto a Louis. «Dobbiamo scegliere le materie insieme!» affermò con sicumera. «Svegliatelo» strepitò in direzione di Drew.
«Non è il caso» tentò Louis.
«Stanotte non ha dormito bene» soggiunse Brian.
Ma fu tutto inutile, Annika gli aveva già tirato il cuscino di Louis addosso.
Drew si svegliò di soprassalto e li fissò stralunato alla ricerca di spiegazioni.
«Annika» mormorò semplicemente Brian. Dopotutto non era necessario aggiungere altro, Drew stesso gemette e tornò a sdraiarsi. Louis, infastidito, spedì l’amica a riprendere il cuscino.
«Che vuoi?» biascicò Drew.
«Le materie a scelta» rispose Annika, porgendogli la pergamena lasciata da Williams.
Drew non sembrò molto contento di essere stato svegliato per quello.
«Allora che volete fare?» gli esortò Annika con il solito entusiasmo.
«Oh, Merlino» sbottò allora Drew. «Non sembra che tu sia stata avvelenata nemmeno quattro giorni fa!».
«Mi riprendo in fretta» ribatté Annika, sebbene anche il suo colorito fosse ancora pallido. «E poi, Lou, ha capito e mi ha detto di coprirmi con il fazzoletto».
Brian si raddrizzò lievemente, appoggiando la schiena al cuscino. Non avevano parlato per nulla di quello che era accaduto a Storia della Magia. Erano stati almeno per un giorno semicoscienti e poi la Williamson li aveva trattenuti in infermieria per altri due giorni. Solo la sera prima li aveva permesso, con molte raccomandazioni, di rientrare nei loro dormitori. Il ragazzino aveva dei ricordi molto sfocati di quello che era accaduto.
«Non sono stato abbastanza veloce, invece» si rammaricò Louis. «Pochi minuti e saremmo morti tutti».
Annika gli strinse la mano, diventando seria improvvisamente. Succedeva molto raramente.
«Sei stato bravissimo!» lo rimbeccò debolmente Drew.
«Infatti. La McGranitt ha anche assegnato 150 punti a Corvonero! Lou hai riconosciuto l’odore del veleno e hai anche compreso che veniva dalle candele» soggiunse Annika.
«Le candele?» ripeté Brian perplesso.
«Sì, gli aspiranti devono averle sostituite nottetempo. Avvelenamento per inalazione» spiegò con semplicità Louis.
«Dopo questa Mcmillan deve darti il massimo dei voti» sospirò ammirato Drew.
Louis si strinse nelle spalle indifferente. Non gli interessava più di tanto. Brian glielo leggeva in volto che si era spaventato moltissimo.
 «Quindi che volete fare?» domandò Annika, tornando a sorridere e sventolando la pergamena.
«Tutte tranne Divinazione» rispose tranquillamente Louis e, recuperata una piuma dal suo comodino, compilò la richiesta.
«Tutte?!» ribatté Annika, bloccandolo.
«Tutte. Sono curioso di scoprire come sono» rispose Louis.
«Mmm. A me bastano Aritmanzia e Cura delle Creature Magiche» comunicò allora Annika.
«Dobbiamo sceglierne minimo due?» chiese Brian, pensieroso.
«Già» rispose Drew. «Io scelgo Aritmanzia, Babbanologia e Cura delle Creature Magiche».
«Tu Brian?» gli chiese Annika.
Il ragazzino si prese ancora qualche secondo per riflettere, poi sospirò: «Non ne sono sicuro, ma direi Antiche Rune, Aritmanzia e Cura delle Creature Magiche».
In quel momento Cliodna, la Kneazle di Louis, saltò sul letto del padroncino, che la strinse subito tra le braccia. Annika le accarezzò la testa dolcemente.
Brian prese l’uovo di cioccolata, che gli aveva inviato il padre, sicuro che almeno quello avrebbe migliorato il suo umore.
 
*

«Vuoi parlare con Silente, Potter?» domandò sbigottita la professoressa McGranitt.
«Sì, professoressa. Ho bisogno di un’informazione che solo lui può avere» rispose tranquillamente James. Benedetta, seduta nella sedia accanto alla sua, lo sosteneva silenziosamente.
«Va bene, prego» concesse la Preside dopo qualche secondo di riflessione. Scostò la sedia, invitandolo ad avvicinarsi.
Albus Silente non faceva neanche finta di dormire e lo fissava sorridente.
«Come possono aiutarti James?».
Il Grifondoro si era intanto avvicinato, ma la sicurezza precedente l’aveva abbandonato. Quadro o non quadro, Silente era stato uno dei più grandi maghi del secolo scorso.
«Vorrei sapere se esiste una planimetria della Stamberga Strillante. Mio padre mi ha raccontato che è stata costruita su suo ordine per permettere a Remus Lupin di frequentare la Scuola» disse infine, sperando che il suo piano non si rivelasse un buco nell’acqua.
 «È vero» rispose il professor Silente, i cui occhi brillarono di curiosità. «La planimetria è conservata con i documenti di quegli anni. Ma perché la vuoi vedere?».
«Ho bisogno di sapere da quante stanze è effettivamente strutturata» ammise sinceramente James. Non aveva senso mentire a quel punto: non avrebbe preteso di poter vincere contro Bellatrix Selwyn da solo.
«Pensi che possa esserci qualche stanza nascosta?» intervenne perspicace la McGranitt.
«Sì, professoressa. Ecco perché gli Auror e il professor Paciock non hanno trovato nulla quando vi si sono recati».
«Pollione, il costruttore, era imparentato con i Parkinson» dichiarò Silente.
«Quindi avrà raccontato a Mark ogni dettaglio dell’abitazione! È un Neomangiamorte!» sbottò James.
«Ne dubito» replicò Silente. «Pollione era già molto anziano, morì poco dopo aver completato la Stamberga. Mi fece promettere di non rendere noto che fosse lui l’ideatore di quel posto. Temeva che la sua reputazione potesse risentirne. Per quello che ne so, e so molto in merito, Pollione non si unì mai ai Mangiamorte, anche se non mostrò mai aperta ostilità nei loro confronti».
«Ma comunque avrà avuto il tempo di parlarne con Richard Parkinson o qualche altro parente» commentò la McGranitt. «In questo modo gli aspiranti Neomangiamorte ne sono venuti a conoscenza».
James e Benedetta la fissarono leggermente sorpresi. Non avevano mai sentino fino a quel momento un insegnante parlare di aspiranti Neomangiamorte, tutti si limitavano a dire che avrebbero acciuffato i colpevoli, termine quanto mai generico in quel caso, delle gravi aggressioni avvenute in quei mesi ai danni degli studenti.
«A questo punto non vi resta che controllare. Ahimè, temo di non aver prestato sufficiente attenzione all’epoca. Non ho minimamente pensato che potesse approfittarsi del favore che gli avevo chiesto» soggiunse Silente. «Minerva, tu sai dove cercare».
La McGranitt annuì. «Potter, Merinon venite con me».
I due ragazzi, ancora spiazzati dalle ultime scoperte, la seguirono meccanicamente. La Preside estrasse la bacchetta e picchiettò con la punta alcuni libri. L’immensa libreria, che occupava parte dell’ufficio, si aprì rivelando una piccola stanza. Ella vi entrò senza indugiò e accese alcune candele.
James e Benedetta si guardarono intorno a bocca aperta: le pareti erano disseminate di mensole su cui facevano bella mostra alcuni stranissimi strumenti.
«Appartenevano al professor Silente» spiegò la professoressa McGranitt notando la loro curiosità. «Sono molto antichi e preziosi, ho ritenuto necessario proteggerli in modo adeguato. Solo il Preside in carica può entrare qui dentro».
James avrebbe voluto osservarli da vicino, ma ritenne che non sarebbe stato il massimo rompere qualcosa che, forse, era vecchia quanto il castello. Si avvicinò, invece, alla libreria in fondo. Conteneva molti volumi dall’aria antica e rovinata.
«Non ci pensare neanche, Potter» lo fermò la Preside, proprio mentre allungava la mano per prenderne uno. «È magia molto oscura, per questo non si trovano neanche nel Reparto Proibito».
Il ragazzo sgranò gli occhi e abbassò il braccio. «Quanto può essere oscura la magia?» domandò perplesso.
La McGranitt, che, aiutata da Benedetta, aveva iniziato a cercare in un portadocumenti in legno, sollevò lo sguardo su di lui. «Molto. Ti auguro di non scoprire mai fino a che punto».
Alla luce fioca delle candele, James si rese conto, forse per la prima volta, di quanto fosse vecchia la Preside. Aveva la loro età ai tempi dell’ascesa e della sconfitta di Grindewald e poi aveva vissuto in prima persona la guerra contro Voldermort. Era l’esempio migliore della progenie di Godric.
«Vuoi darci una mano, Potter? O preferisci rimanere incantato lì per tutta la notte?».
La voce brusca della Preside lo riscosse dai suoi pensieri. James arrossì e si accostò a Benedetta, non comprendendo effettivamente come potesse essere d’aiuto.
«Eccola qui» esclamò dopo un po’ la professoressa.
I due Grifondoro l’aiutarono a stendere la planimetria su un tavolo, posto in un lato della stanza. Si chinarono tutti e tre per analizzarla con attenzione.
«Nulla!» sbuffò James frustrato dopo un po’. «È impossibile! Gli aspiranti devono pur nascondere da qualche parte quelle orribili tuniche nere, le maschere e le bacchette di riserva!».
Non era possibile, non era possibile che avessero sbagliato ancora! Non potevano far sparire quelle prove nel nulla!
«Eppure ero sicura» sospirò altrettanto delusa la Preside. «Quando hai chiesto a Silente della planimetria, ero sicura che avessimo finalmente trovato il loro nascondiglio».
«Dobbiamo andare. Abbiamo la ronda e siamo in ritardo» disse James, troppo deluso per star fermo in un posto. Aveva bisogno di camminare e sfogare la rabbia.
«Naturalmente, andate» replicò la Preside, facendo loro cenno di precederla fuori dalla stanza.
«Professoressa» intervenne Benedetta all’improvviso. «Possiamo tenere la planimetria? Le prometto che non la rovineremo e gliela restituiremo».
James la fissò interrogativo e poi si volse verso la professoressa in attesa di una risposta.
La donna apparve riluttante, alla fine decise: «Va bene, signorina Merinon, ma mi raccomando non perdetela, non rovinatela e non fatela vedere a nessuno che non siano i Dodici».
«Sì, professoressa» confermarono prontamente i due ragazzi.
Quando furono ben lontani dalla Presidenza, James domandò: «Perché le hai chiesto la planimetria?».
«Sento che ci sfugge qualcosa. La risposta dev’essere lì, ma siamo stanchi a quest’ora. Alle volte il nervosismo e l’ansia offuscano la mente. Questa è la strada migliore che abbiamo e non dobbiamo rinunciarci con superficialità. Magari gli altri coglieranno qualcosa che a noi stasera è sfuggito».
«Ti ho mai detto che ti adoro?» disse James, fermandosi e baciandola.
Benedetta ridacchiò e ricambiò il bacio.
«Sai, ti invidio».
«Perché?» chiese James.
«Perché la prossima settimana andrai in Italia. Mi manca tanto» rispose malinconicamente la ragazza.
«Mio padre mi ha detto che se la Selwyn verrà arrestata, quest’estate verremo in Italia in vacanza».
«Sarebbe bellissimo!» esclamò Benedetta. Gli occhi le si erano illuminati. «Devi salutare i miei cugini. Vedrai li troverai simpatici. Li ho scritto e non vedono l’ora di conoscerti!».
«Devo preoccuparmi? Perché, sai ho una certa esperienza di famiglie numerose, e io per primo sono molto geloso delle mie cugine» ribatté James.
«No» rispose tranquillamente Benedetta. «Stai tranquillo. Al massimo ti sfideranno a una partita di Quidditch e, sono certa, che in quel caso te la caveresti benissimo. Sai, pensano che gli Inglesi siano tutti dei damerini perfettini».
James rise. «Davvero? Beh, li farò ricredere. Non sono mica Mark Parkinson, io!». Poi la baciò di nuovo con più trasporto di prima.
«Jamie!» protestò la ragazza. «Dobbiamo controllare i corridoi!».
«Che sarà mai qualche ragazzino che esplora la Scuola di notte?» replicò distrattamente James cercando ancora la sua bocca.
Benedetta si lasciò andare e lo abbracciò. Era tanto che non avevano un po’ di tempo per loro. Negli ultimi giorni James era stato costantemente in infermeria per assicurarsi che suo cugino stesse bene e, il giorno prima, aveva avuto l’esame di Materializzazione.
Si staccarono bruscamente.
«Hai sentito?» le chiese James estraendo la bacchetta.
«Sì» rispose la ragazza a mezza voce, stringendo forte le dita intorno all’impugnatura della sua bacchetta.
Nuovi scoppi turbarono il silenzio del castello.
«Sono incantesimi, andiamo» disse concitato James quasi correndo verso la fonte del rumore. Scesero le scale rapidamente e, dopo aver svoltato un corridoio, al ragazzo quasi venne un colpo. Automaticamente allungò il braccio, impedendo a Benedetta di continuare. Circa sei aspiranti Neomangiamorte circondavano due ragazzi: uno tentava di difendersi, ma era palesemente ferito – la mano che teneva premuta sull’addome era impregnata di sangue -; l’altro era a terra privo di sensi.
«Vai a chiamare aiuto» sussurrò James, prima che gli aspiranti si accorgessero di loro.
«Usa il Patronus. Non ti lascio solo» ribatté Benedetta, che lo conosceva perfettamente.
«Vattene» sbottò James fuori di sé. Era troppo pericoloso. Erano troppi loro.
Benedetta scosse la testa testardamente e lo seguì quando attaccò gli aspiranti. Quasi subito si ritrovarono circondati anche loro, ma a James premeva conoscere le reali condizioni di quelli che, per anni, aveva considerato i suoi migliori amici.
«Danny!» gridò, evocando uno scudo magico per respingere un attacco.
«Sto bene» replicò il ragazzo. «Credo che Tylor abbia sbattuto la testa».
James fu impegnato in duello da tre aspiranti, mentre Danny e Benedetta si occupavano degli altri tre.
Erano tutti e tre molto grossi e stupidi i suoi avversari, non erano i capi. James ne era certo.
«Avery, sei tu vero?» strillò tentando di far tradire l’avversario, ma quello non rispose.
Perché si aspettavano di passare inosservati duellando a quell’ora della notte? James era certo che qualcosa gli sfuggisse. Provò a disarmarne uno. La bacchetta gli volò placidamente tra le mani.
A quel punto gli aspiranti si diedero a una fuga disordinata. A quanto pare James e Benedetta non erano previsti nel loro piano. Non li avrebbe permesso di scappare, però. Li rincorse, lasciando che Benedetta si occupasse di Danny e Tylor.
Gli aspiranti, però, si divisero e dovette scegliere chi continuare a seguire. Quando, però, quello che credeva fosse Avery, sparì dietro un arazzo, dovette fermarsi. Stava scendendo nei sotterranei: non sarebbe mai stato così stupido da farsi prendere in trappola.
Tornò indietro e trovò Benedetta, rossa in volto, intenta a litigare con nientemeno che Augustus Roockwood.
«Che succede?» sbottò aspramente.
«Lo sai, Potter, che anche ai Prefetti è vietato duellare a Scuola?» ribatté freddamente il ragazzo.
James strinse i denti. «Danny e Tylor sono stati attaccati».
«Lo puoi dimostrare?» chiese beffardamente Roockwood. «Per quanto mi riguarda, vi siete sfidati e hai ferito Baston e Jordan. Tutti sanno che non scorre più buon sangue tra voi».
Danny iniziò a imprecare contro il ragazzo più grande, mentre Tylor, che evidentemente avevano risvegliato, li fissava senza capire bene che cosa stesse accadendo.
James lo raggiunse a grandi falcata e sibilò: «Non sono affari tuoi! Questa volta, però, le provò le ho. Ho disarmato una delle tue marionette».
Roockwood serrò la mascella, probabilmente maledicendo la stupidità di Avery.
«Tutto bene?».
Conrad Avens, il Caposcuola di Grifondoro, era appena sopraggiunto. Analizzò velocemente la situazione e incalzò i tre Prefetti a dargli una spiegazione. Alla fine del racconto ordinò: «Potter, Roockwood portate Baston e Jordan in infermeria. Io e Benedetta andremo a fare immediatamente rapporto».
James consegnò la bacchetta di Avery al Caposcuola, lanciando un’occhiata soddisfatta al Serpeverde.
Roockwood allora si accostò a James e gli sibilò all’orecchio: «Molto bravo, Potter. Temo, però, che quella bacchetta non provi nulla. Nessuno può stabilirne il reale proprietario. Da arguto osservatore, quale ti vanti di essere, avresti dovuto notare che tutti gli aspiranti indossano guanti di pelle». Il Serpeverde ghignò e gli voltò le spalle. «I tuoi amichetti portaceli da solo in infermieria».
Il ragazzo rimase immobile e impotente mentre lo osservava andare via, poi tirò un pugno a un’armatura lì vicina. L’aveva fregato ancora, ma non avrebbe vinto lui alla fine!
«James, mi dispiace, ci siamo fatti convincere e ammaliare come due troll da Elettra Granbell».
James si voltò verso Danny, che aveva rimesso in piedi Tylor nel frattempo. Erano entrambi mortificati.
Ammaliati. Quanto potere avevano realmente conquistato gli aspiranti all’interno della Scuola e a loro insaputa? Jack aveva ragione: avevano esitato troppo a lungo.
 

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Capitolo 33
*** Il falò dell'amicizia ***


Capitolo trentatreesimo
 
Il falò dell’amicizia
 
 «Sono pazzi! Non ha senso farvi fare una faticaccia in treno, quando potreste benissimo usare una passaporta!» sbuffò Benedetta.
«A chi lo dici!» replicò James. «Parkinson e Jack hanno protestato, ma la Preside non li ha dato ascolto».
«È solo una settimana, ma mi mancherai» disse la ragazza.
«Più dell’Italia?» buttò lì James.
Benedetta roteò gli occhi. «Certo, di più» lo rassicurò, scoccandogli un bacio sulla guancia.
«Mi sa che devo andare» borbottò il Grifondoro, vedendo che ormai erano arrivati tutti i componenti della squadra olimpica. «Mi raccomando, stai attenta».
«Tranquillo, ci sono io» s’intromise Robert, battendogli il cinque.
«Sono in grado di difendermi da sola» sbottò la ragazza, guardando male entrambi. I due ragazzi si affrettarono ad assicurarle che non intendevano insinuare il contrario.
«Non farti buttare fuori» disse Robert.
«Non ne ho nessuna intenzione» replicò James.
«Salutami i miei cugini» soggiunse Benedetta.
James annuì e le rubò un bacio a fior di labbra, facendola arrossire a causa della presenza di molti docenti. Il ragazzo le rivolse uno sguardo malandrino, mentre usciva nell’aria tiepida di aprile.
Tre Auror affiancarono immediatamente il gruppetto diretto fuori dai confini della Scuola. Il Grifondoro li salutò con un cenno, perché li conosceva avendoli visti più volte, quando da piccolo andava a trovare il padre in ufficio.
Questa volta la squadra di Quidditch, qualificatasi per la finale, sarebbe rimasta in Scozia, perciò erano soltanto tredici i ragazzi che si affollarono sulla banchina della stazione di Hogsmeade. La Preside, unica accompagnatrice, scambiò alcune parole con gli Auror di scorta e infine li fece segno di salire sul treno.
«Fermatevi, qui» ordinò la McGranitt, visto che alcuni ragazzi si stavano già impadronendo degli scompartimenti vicini. Le porte del treno si chiusero. «Partiremo fra un minuto. Dividetevi in due gruppi. Uno da sei e uno da sette».
James e i suoi compagni la fissarono perplessi, ma a un suo cenno impaziente, si affrettarono a obbedire.
Albus, Frank, Louis, Jack, Gabriel Fawley e James formarono uno dei gruppi, a cui si aggiunse Rick Lewis, uno dei tre Auror.
«Afferrate tutti la passaporta» ordinò laconicamente l’uomo, porgendo loro una bottiglia di plastica.
Albus, Frank e James si scambiarono uno sguardo sorpreso, ma, vedendo la bottiglia illuminarsi, allungarono la mano insieme agli altri. Proprio nel momento in cui i ragazzi percepirono il consueto strappo all’ombelico, il treno iniziò a muoversi.
«Non hai ancora imparato a non cadere, Potter?» sbottò Jack Fletcher.
James, leggermente stordito dal chiasso che li aveva accolti, gli lanciò un’occhiataccia. Del loro gruppo solo Fawley, Jack e l’Auror Lewis erano riusciti a rimanere in piedi.
«Raggiungete i vostri compagni» ordinò seccamente Lewis.
«Dove siamo, signore?» domandò James curioso, mentre lo seguivano fuori dalla piccola stanza in cui erano giunti.
«Una stazione per le passaporte» replicò l’Auror. «Oh, ecco la professoressa McGranitt».
James si guardò intorno meravigliato. Quello Benedetta non gliel’aveva raccontato! Attraversando delle doppie porte giunsero in una sala più ampia, molto affollata. Non ebbero difficoltà, grazie alle divise, a riconoscere gli studenti delle altre Scuole.
La professoressa McGranitt si diresse verso un uomo, palesemente avanti con l’età. I due si strinsero la mano.
«Mi chiamo Gabriele Cafieri e sono il Vicepreside della Scuola di Magia e Stregoneria Fata Morgana. Benvenuti in Italia».
I ragazzi ringraziarono educatamente e l’insegnante si allontanò per accogliere i ragazzi di Castelobruxo, appena giunti.
Albus s’impose di non voltarsi e cercare, stupidamente, Daila Morales.
Appena tutte le Scuole furono arrivate, il professor Cafieri, affiancato da Valerio D’Abrosca, l’alfiere italiano, li invitò a seguirlo fuori dall’edificio.
Un sole caldo splendeva in cielo e James fu costretto, come quasi tutti i suoi compagni, a togliersi il mantello che indossava. Benedetta l’aveva avvertito che avrebbero trovato un clima molto più caldo. Al mantello presto seguì anche il maglione di lana. Gli Italiani li avevano pregati di indossare vestiti babbani, in modo da non aver problemi a raggiungere la Scuola. E, mentre si spostavano lungo un marciapiede, comprese il perché: si trovavano in un centro babbano.
«Non s’insospettiranno a vedere così tante persone straniere?» borbottò Albus, dietro di lui.
James si strinse nelle spalle. Effettivamente molti passanti si fermavano a osservarli e poi commentavano tra loro.
«Evidentemente non credono che possa costituire un problema» intervenne Jack Fletcher.
«Il professor Finch-Fletchley ha detto che i maghi italiani sono quelli che sono riusciti a trovare il migliore degli equilibri con i Babbani» disse Frank. «È difficile che diano problemi alla Confederazione Internazionale in quest’ambito».
«Quelle navi sono enormi!» sospirò ammirato Albus.
«Insomma, quelle che da Dover vanno a Calais non scherzano» commentò Louis, ma il cugino, troppo meravigliato, nemmeno lo sentì.
Non erano gli unici a trovare insolito lo spettacolo che era apparso improvvisamente ai loro occhi. Una grande nave gialla stava caricando macchine e camions, mentre dei Babbani dirigevano l’operazione.
«Fate attenzione» li richiamò allarmato Lewis, indicando le macchine babbane.
Si trattava di una strada molto trafficata e loro, decisamente, stavano contribuendo ad aumentare la confusione. Molti autisti sembravano parecchio irritati e inveivano contro di loro.
Da lì procedettero verso sinistra e la strada si svuotò lentamente, ma furono costretti a percorrerne una più stretta. Uno specchio d’acqua apparve di fronte ai loro occhi, facendo fremere ulteriormente Albus, tanto che James temette che si facesse trascinare dal suo amore per il nuoto e si tuffasse senza pensarci due volte. Non che lui non l’avrebbe fatto: faceva decisamente troppo caldo!
Era sorprendente, però, come l’alfiere italiano indossasse un giubbotto leggero! Come poteva? James non sopportava neanche più la camicia!
Ciò che, però, lasciò a bocca aperta i ragazzi fu il veliero ancorato alla banchina di pietra. Le vele bianche e quadrate sventolavano al leggero venticello che soffiava e l’imbarcazione oscillava seguendo dolcemente i movimenti del mare, che s’infrangeva contro la pietra scura. Il veliero aveva tre alberi e la vela centrale presentava una farfalla stilizzata, il simbolo della Fata Morgana.
Salirono e furono riuniti sul ponte. Il professor Cafieri era stato raggiunto da un uomo sulla cinquantina, che sorrise loro prima di chiedere il silenzio e prendere la parola.
«Buon pomeriggio e benvenuti in Italia. Io sono il comandante della nave. Mi chiamo Andrea Ascrizzi. Tra pochi minuti salperemo e spero di cuore che il viaggio si rivelerà piacevole per voi». Sembrava una persona simpatica, perciò molti ricambiarono il suo sorriso sincero. «Potete rimanere sul ponte, se vi fa piacere; oppure all’interno troverete sicuramente un ambiente più che confortevole. Vi prego, però, di ricordare che siete su una nave e, in quanto tale, dovrete evitare comportamenti pericolosi: non si corre, specialmente sui ponti e, qui, evitate anche spintoni e simili; non sporgetevi troppo e, naturalmente, rispettate i saloni a cui avrete accesso».
«Partiremo a momenti, perciò mettetevi comodi» aggiunse il professor Cafieri.
Albus corse alla ringhiera e si affacciò. Adorava troppo il mare e, a casa, non aveva molte occasioni di recarvisi. Quand’era piccolo, in estate, i genitori lo portavano spesso; ma da qualche anno, cioè dal momento in cui Bellatrix Selwyn era entrata in scena, suo padre aveva dimenticato il significato della parola ‘vacanza’.
«Jamie» disse notando il fratello a suo fianco.
«Mmm» rispose il più grande, con lo sguardo perso nell’acqua sotto di loro.
«Davvero papà e mamma ti hanno promesso una vacanza in Italia?».
«Se la Selwyn verrà arrestata» sospirò James.
«Faremo in modo che accada. Mi sono stancato di permetterle di condizionare la mia vita» dichiarò Albus a denti stretti.
«A chi lo dici» replicò James.
«Dentro sembra fantastico. Diamo un’occhiata insieme?» li chiamò Louis. Era in compagnia di Frank.
«Adoro esplorare. Andiamo» disse James, stampandosi un sorriso in volto.
Albus non li seguì, desideroso di vedere il veliero prendere il largo.
 
Frank rimase a bocca aperta: l’interno era molto elegante. Vi era un vasto salone, con divanetti, dall’aspetto comodo, sotto gli oblò e tavolini di legno scuro di fronte a essi. Sulla destra, in fondo, vi era persino una specie di bar.
«Altro che Espresso di Hogwarts» commentò ammirato.
James fischiò altrettanto sorpreso, mentre Louis si guardava intorno con attenzione.
«Quanto ci metteremo ad arrivare secondo voi?» domandò quest’ultimo.
«Meno di venti minuti. Me l’ha detto Benedetta» rispose James.
«Quindi tu sapevi di questo» esclamò Frank, indicando la sala ormai affollata. Alcuni studenti, come quelli di Móshú, Koldovstoretz e Mahoutokoro, stavano, alquanto rigidi, con i loro Presidi; mentre gli altri ragazzi si erano sparpagliati per la nave alla ricerca degli amici delle altre Scuole.
«Non proprio. Benedetta non è mai stata alla Fata Morgana, naturalmente. Mi ha solo riferito alcuni racconti dei suoi cugini» spiegò James in risposta.
I tre ragazzi salutarono alcuni coetanei con cui avevano stretto amicizia.
Una ragazza di Ilvermorny, ormai avevano imparato a distinguere le varie divise, si avvicinò a James e gli disse: «Ophelia Grimditch mi ha chiesto di riferirti un messaggio».
James gemette. La cugina di Molly non faceva che scrivergli lettere, in cui non troppo velatamente gli confidava il suo amore incondizionato verso di lui. Naturalmente Benedetta non apprezzava, ma almeno non se l’era presa con lui. Il ragazzo aveva provato a dirle gentilmente di lasciarlo in pace perché era già impegnato, ma l’Americana era molto testarda.
«Sì, ti capisco. La Grimditch sa essere appiccicosa» sbuffò la ragazza, che lo fissava comprensiva.
«Non sono interessato a lei e ho provato a dirglielo. Anche piuttosto chiaramente» sospirò James.
«Beh, non l’ha capito» ribatté l’altra. «Comunque mi chiamo Clara Matthews. Frequento il settimo anno e rappresento la mia Scuola nel Torneo di Cultura Magica, precisamente mi occupo di Storia della Magia».
«James Potter» si presentò a sua volta. La ragazza ignorò completamente Frank e Louis.
«Quel ragazzo è tuo amico, giusto? Vi ho visto insieme più volte» disse la Matthews.
James seguì il suo sguardo e vide Jack Fletcher intento a parlare con dei ragazzi della Dreamtime.
«Sì» rispose il ragazzo. Riuscivano a sfidarsi e a litigare sulle cose più assurde, ma sì, tutto sommato poteva considerare il Tassorosso un amico.
«È libero?» chiese a bruciapelo la ragazza.
James si accigliò, mentre Louis e Frank ridacchiavano lievemente alle sue spalle. Mancava solo che facesse da segretario a Fletcher.
«Non è impegnato che io sappia. Di solito apprezza molto la compagnia di belle ragazze» rispose sinceramente. Clara Matthews apparve soddisfatta, salutò velocemente e si fiondò sul Tassorosso.
«Andiamo fuori da Al?» domandò Frank.
«Credo sia meglio» borbottò James.
Albus, con occhi luccicanti, osservava il veliero solcare leggiadramente le acque del Mar Mediterraneo e la schiuma bianca che lasciava dietro di sé.
«Che paese è quello?» domandò perplesso Frank.
«La Sicilia» rispose James. «È una regione italiana».
«Noi siamo diretti lì?» chiese Louis.
«Non credo» ribatté James. «Secondo quanto mi ha detto Benedetta, la Fata Morgana si trova su una piccola isola».
«E poi il veliero sta virando verso ovest» aggiunse Albus.
Circa cinque minuti dopo l’isola in questione apparve davanti ai loro occhi, florida e bagnata dal sole primaverile.
«Quella è la nave di Durmstrang!» disse Louis indicando una nave, molto più cupa e quasi spettrale rispetto a quella su cui stavano viaggiando.
«A quanto pare loro non hanno rinunciato al loro classico modo di viaggiare» commentò Albus.
La nave penetrò dolcemente in un’insenatura naturale e, diminuì la sua velocità fin quasi a fermarsi. Alcuni uomini si avvicinarono sulla banchina di legno del porto e collaborarono alle operazioni di ancoraggio, proprio mentre una voce magicamente amplificata, probabilmente quella del comandante Ascrizzi, annunciava l’arrivo.
«Raggiungiamo gli altri e la McGranitt» disse saggiamente Frank.
Albus, che avrebbe preferito rimanere su quel ponte ancora a lungo, li seguì a malincuore.
Il comandante Ascrizzi scese insieme a loro, al professor Cafieri e a Valerio D’Abrosca.
«Spero che il viaggio sia stato di vostro gradimento seppur breve» disse il professore.
«E siete stati fortunati» intervenne il comandante Ascrizzi. «Il mare era calmissimo oggi».
Albus vide un paio di ragazzi russi alquanto contrariati e dal colorito leggermente verdognolo: a quanto pare soffrivano di mal di mare.
«Siamo quasi arrivati. Seguiteci» riprese la parola il professor Cafieri, per poi avviarsi lungo un sentiero ciottolato.
«Benedetta ha detto che è un palazzo molto imponente» disse James agli amici. Il viale che stavano percorrendo, però, era alberato e non riuscivano a spingere lontano lo sguardo.
Pochi minuti dopo la stradina sfociò in un ampio parco, ma non fu quello a colpire i ragazzi: gran parte del palazzo era di vetro e luccicava al sole.
«Oh, Merlino» riuscì solo a dire James.
Erano ben sei piani tutti in vetro e la struttura centrale era circondata da massicce torri.
All’ingresso una donna alta e distinta, con i capelli d’argento, legati in una morbida coda di cavallo, e un dolce sorriso in volto, li attendeva. I ragazzi la conoscevano: era Luana Fernazzaro, la Preside della Scuola.
Le chiacchiere e i bisbigli tacquero all’istante e il sorriso della donna si allargò ulteriormente.
«Benvenuti alla Scuola di Magia e Stregoneria Fata Morgana» esclamò, prima di ricambiare i cortesi saluti dei suoi colleghi.
«Gli studenti mi seguano» disse il professor Cafieri, dopo aver scambiato qualche parola con il comandante Ascrizzi che, a differenza di Valerio D’Abrosca, si fermò all’ingresso senza seguirli all’interno.
«Ha una forma strana quest’edificio» borbottò Albus, guardandosi intorno con interesse. I corridoi erano un tripudio di luce e dava quasi le vertigini guardare fuori dai vetri: sembrava quasi essere all’esterno. E in alcuni tratti il sole creava degli strani giochi di luci colorate che si inseguivano sulle vetrate.
Non si accorsero neanche, in un primo momento, che Cafieri li stava conducendo nuovamente all’esterno, dove la loro meraviglia non poté che aumentare. Entrarono in un anfiteatro, già gremito di studenti. Sugli spalti più alti vi erano gli Italiani, che indossavano la stessa divisa di taglio babbano, che più volte li avevano visto nelle prove precedenti; i posti più in basso, invece, erano quasi tutti liberi. Gli studenti di Durmstrang e Beauxbatons sedevano già compostamente, così come i loro alfieri era sul palco con i vessilli delle loro Scuole, accanto a degli scranni occupati dai loro Presidi. Frank gemette ancor prima che il professor Cafieri invitasse gli studenti appena arrivati a prendere posto gli alfieri di prendere posizione.
Lentamente tutti i Presidi presero posto nei vari scranni a loro riservati finché non ne rimasero due liberi al centro. A quel punto un gruppetto di ragazzi italiani, in piedi sulla sinistra del palco, che fino a poco prima chiacchierava animatamente, si raddrizzò e si schierò di traverso in modo da poter guardare gli altri studenti ma anche i Presidi.
In quel momento la Preside della Fata Morgana salì sul palco insieme a un uomo, avanti con l’età, ma mai quanto lei. Il gruppetto iniziò a cantare qualcosa che James e amici non compresero, ma tutti gli studenti italiani si alzarono in piedi e alcuni si misero anche una mano sul cuore. Allora gli insegnanti stranieri si alzarono in piedi, imitati dai propri allievi.
James si appuntò di chiedere a Benedetta una volta tornato a casa.
Quando smisero di cantare, ognuno tornò al proprio posto dopo un breve applauso e l’uomo, accanto alla Preside, prese la parola.
«Benvenuti in Italia! Per noi è un vero piacere accogliere oggi così tanti giovani e talentuosi maghi. Spero di cuore che il soggiorno sarà di vostro gradimento e vi auguro di dare il meglio nelle prove che affronterete, ma soprattutto di stringere sincere e durature amicizie».
Fortunatamente egli parlò in inglese, così non fu difficile comprenderlo, visto che il suo accento era abbastanza buono.
«Mi piacerebbe assistere alle prove, ma purtroppo vari incarichi istituzionali non me lo permetteranno. Vi invito a gareggiare al massimo delle vostre possibilità e lealmente, come dopotutto è nello spirito delle Olimpiadi» aggiunse indicando il braciere olimpico alle sue spalle. «Immagino siate stanchi, per cui ora lascio la parola alla professoressa Fernazzaro in modo che possa presentarvi il programma della settimana» concluse e sedette su uno dei due scranni vuoti, dopo aver stretto la mano agli altri Presidi e a tutti gli alfieri.
«Ho pensato che non vi sia nulla di meglio per favorire l’amicizia di prendere parte alle lezioni tutti insieme. Gli studenti dal primo al terzo anno seguiranno il programma base insieme ai loro coetanei, mentre quelli dal quarto anno in su avranno la possibilità di scegliere un percorso che più li si addice. Inoltre vi saranno delle particolari lezioni organizzate per gli studenti che partecipano al Torneo di Cultura Magica. Non voglio dilungarmi troppo in questo momento, però. Ognuno di voi riceverà una pergamena con gli orari delle gare e delle lezioni, inoltre ogni Scuola avrà per guida uno dei miei studenti, che sarà pronto a rispondere a ogni domanda. Un attimo di pazienza che ve li presento» disse la Fernazzaro. «Man mano che chiamo la Scuola, vi prego di seguire la vostra guida» soggiunse. James non l’ascoltò perché aveva intravisto una figura familiare.
«Ehi, Potter, datti una mossa» lo scosse Jack Fletcher. «Ci hanno chiamato. Che guardi?».
«L’Auror francese che ho visto sull’Orient Express mesi fa» rispose James, allungando il collo il più possibile.
«Dove?».
Il Grifondoro scosse la testa. «Non la vedo più».
«Dai, muoviamoci» replicò allora Jack.
Un ragazzo di media altezza attese che ci fossero tutti e poi li condusse all’interno; solo quando furono in un’ala più tranquilla del palazzo si fermò e si voltò verso di loro.
«Ciao a tutti!» disse con un accento decisamente pessimo. «Mi chiamo Marcello Terracini e per questa settimana sarò la vostra guida. Ora vi accompagnerò ai vostri Dormitori, in modo che possiate darvi una rinfrescata prima di cena».
A James il nome del ragazzo non era nuovo, così gli si avvicinò, mentre si avviavano lungo il corridoio, ora molto più buio - non si erano accorti fuori, grazie al braciere olimpico e alle torce, che ormai il sole stava tramontando.
«Ciao. Mi chiamo James Potter. Sei uno dei cugini di Benedetta, vero?».
Il ragazzo non si sorprese troppo e gli strinse la mano. «Benedetta ci ha parlato di te. È un piacere conoscerti».
«Il piacere è reciproco» gli assicurò James.
«Vi mostro le vostre stanze, poi a cena ti presenterò il resto della famiglia».
«Ok, grazie» rispose semplicemente James.
«I vostri alloggi sono nella quinta torre» spiegò Marcello. «Al secondo piano».
«Quanti piani sono in tutto?» domandò James.
«Sei. Li ho contati» rispose prontamente Louis, che li stava ascoltando.
«Le torri, in cui sono locati i Dormitori, hanno sette piani; l’edificio centrale ne ha sette, se si conta il seminterrato» lo corresse Marcello pacatamente.
«Che forma ha l’edificio?» chiese Albus.
«Ettagonale. Sette è il numero magico più potente, no?» replicò Marcello. «Eccoci» disse indicando l’entrata della torre. La porta in legno era aperta e dava su un salottino ettagonale, alquanto elegante, che per certi versi ricordava quello del veliero. «A piano terra solitamente dormono i professori. Credo che in questo caso le abbiano riservate sempre per voi delle altre scuole». Al piano superiore vi erano quattro camere e sembravano anche ampie. «Queste due sono le vostre» disse il ragazzo. «Tu, condividerai la stanza con delle Giapponesi e una greca».
Tania Benson, Corvonero del settimo anno, era l’unica ragazza del loro gruppo. Ella annuì, per nulla turbata dall’idea di dover dormire per una settimana con quelle che, in fondo, erano delle perfette sconosciute.
James, Albus, Frank, Louis, Jack e Gabriel Fawley decisero di condividere la stessa camera.
A Frank non dispiaceva quella compagnia, dopotutto conosceva i fratelli Potter e Lou da anni e negli ultimi mesi aveva imparato a conoscere anche Jack; infine Gabriel Fawley, il Prefetto di Serpeverde, e secondo alcuni futuro Caposcuola, gli era sempre parso un tipo tranquillo e riservato.
«Abbiamo anche il bagno in camera» trillò contento Louis.
Frank notò che i loro bagagli erano già stati portati lì e si affrettò a sistemare le sue cose in alcuni cassettoni.
«Che ti ha detto Marcello?» domandò Albus al fratello, che si era trattenuto con il ragazzo italiano, prima di chiudersi la porta alle spalle.
«Di sistemarci con calma e riposarci un poco. Tornerà verso le sette e un quarto per accompagnarci a cena» rispose James.
Frank annuì alle sue parole e si sedette sul letto. Non era stanco, visto, che tra la passaporta e il veliero, il viaggio era stato abbastanza rapido.
«Quanto è stato imbarazzante da 1 a 10 stare lì davanti a tutti?» gli chiese Jack con un ghigno divertito.
«Cento?» ribatté Frank, che non condivideva il suo divertimento.
«Ma che cos’era quella cosa che hanno cantato all’inizio?» domandò Albus, che s’era incuriosito parecchio.
«Oh, per quello che ho capito, il loro inno nazionale».
«E che l’hanno cantato a fare?» chiese James.
«Il signore con la Preside, lo chiamano Magister Maximus e corrisponde al nostro Ministro della Magia. Me l’ha spiegato la Dawson» rispose Frank.
A quel punto bussarono alla porta e, dopo che Jack invitò a entrare, Tania Benson fece capolino nella stanza insieme alle sue nuove compagne di Dormitorio.
«Ragazzi, ho pensato di presentarvi le ragazze» disse con un enorme sorriso. «Glykeria» iniziò indicando quella più abbronzata, che indossava la divisa dell’Accademia greca. «Riko Ogawa». Una ragazzina minuta e dallo sguardo furbo, che fece un lieve inchino verso di loro. «Azuma Sasaki». Frank la conosceva di vista perché avevano sostenuto le prime prove di Storia della Magia insieme, ma non si erano mai parlati. «Yuna Kinura». Ella, a differenza di Riko e Azuma, indossava un kimono giallo. Yuna aveva dei lineamenti molto delicati che immediatamente, piacquero a Jack, che ricambiò il suo inchino con uno sguardo malizioso. Notandolo James roteò gli occhi al cielo: quel ragazzo era un dongiovanni!
«Ragazze, loro sono James e Albus Potter», i due fratelli si limitarono a sorridere. «Frank Paciock e Louis Weasley», i più piccoli della compagnia sorrisero imbarazzati. «E Jack Fletcher». Il Tassorosso era senz’altro il più entusiasta.
Si sedettero sul tappeto, che copriva la parte centrale del pavimento, e iniziarono a chiacchierare. Le ragazze giapponesi non sembravano molto abituate a parlare in inglese e facevano una certa fatica; mentre Glykeria era più sciolta. E così li trovò Marcello, quando tornò da loro.
«È quasi ora di cena» annunciò il ragazzo. «Per caso avete deciso quali corsi volete seguire questa settimana?».
«In realtà non abbiamo capito bene quale sia la differenza tra i vari ‘percorsi’, come li ha chiamati la vostra Preside» rispose Tania Benson, lisciandosi la divisa, leggermente spiegazzata, con le mani.
«Oh, certo, giusto. Avrei dovuto spiegarvelo prima» rispose imbarazzato Marcello. «I ‘percorsi’ sono tre. Per riassumere uno è per chi piace la storia e l’antichità, il secondo per gli amanti delle pozioni e simili, infine uno generale, dove si fanno un po’ tutte le materie. Tecnicamente la scelta dipende da quello che si vuol fare dopo la Scuola, ma non è troppo vincolante».
«Tu quale frequenti?» domandò Albus, mentre si avviavano fuori incrociando altri gruppi.
«Sono interessato all’antichità e agli studi umanistici» rispose Marcello.
Questa volta il ragazzo li guidò verso l’ingresso e un’ampia scalinata.
«Che classe fai?» chiese Louis.
«Ma lì c’è un giardino?» domandò contemporaneamente Albus. Frank era altrettanto interessato.
«Il cortile interno» rispose Marcello seguendo il loro sguardo. «Domani lo visiteremo. Al buio è bello lo stesso, ma non rende pienamente per chi non l’ha mai visto. Dobbiamo salire al piano di sopra» aggiunse. «Ah, io sono all’ultimo anno».
«Quindi seguiremo le lezioni insieme» commentò Tania Benson.
«Dipende quale percorso sceglierai» replicò il ragazzo.
«Ah, giusto. Non mi sa di no, allora. Prediligo di gran lunga Pozioni».
«Vi farò avere un elenco con tutti i piani di studio a fine serata» aggiunse Marcello. «A sinistra».
Quella sala era decisamente diversa dalla loro Sala Grande. Aveva una forma particolare e vi erano diversi tavoli di differente lunghezza.
«Potete prendere posto dove più vi aggrada» disse sorridendo Marcello.
«Non avete posti assegnati di solito?» domandò James.
«Più che altro durante il Banchetto d’inizio anno, dobbiamo stare ognuno con i propri compagni, ma per il resto non è obbligatorio. Questa sera la Preside ha pensato che fosse meglio mescolarci in modo da fare liberamente amicizia» replicò Marcello. «A me farebbe piacere se ti sedessi con me e i miei compagni, James».
«Ah, ok, grazie» rispose subito il Grifondoro che non voleva essere scortese.
Jack andò a sedersi con gli studenti di Uagadou, Clara Matthews e delle ragazze italiane. Frank fu, letteralmente, rapito dalle amiche americane di sua cugina Amy; mentre Louis prese posto insieme ad altri scacchisti con cui aveva iniziato a discutere animatamente. Albus, ben intenzionato a evitare Daila Morales, seguì il fratello.
«Ragazzi, vi presento James e Albus Potter» disse Marcello rivolto a un gruppo di compagni.
Uno di loro saltò su e disse qualcosa in italiano in modo molto entusiasta e divertito, ma naturalmente i due fratelli non compresero.
«Mio fratello Giulio» disse con tono di disapprovazione Marcello, dopo aver lanciato un’occhiataccia al suddetto ragazzo. «Parla malissimo l’inglese». Molti risero all’affermazione, ma Giulio non sembrò farci caso e strinse la mano ai due Potter.
Un ragazzo dall’atteggiamento alquanto pomposo si avvicinò e porse la mano a James. «Ignora i miei cugini. Io sono Leone Leonelli, sarò una guida migliore, se lo desideri».
James gli strinse la mano più per educazione che per altro. Benedetta gli aveva parlato di lui e non in termini molto lusinghieri.
Giulio, infatti, si scurì in volto e gli sbraitò qualcosa in italiano. E non dovevano essere dei complimenti dalla reazione indignata dell’altro.
«Quella è la nostra sorellina, Teresa» intervenne Marcello, per cambiare argomento. James non si sorprese di vederla al tavolo con Louis, Benedetta le aveva detto che era una ragazzina intelligente e perspicace. «Più tardi ve la presenterò. Dai, sedetevi».
James e Albus, presi dalle presentazioni, erano rimasti in piedi, così leggermente imbarazzati obbedirono.
Molti altri ragazzi si presentarono, ma i due dimenticarono ben presto i loro nomi, perciò si limitarono a conversare gentilmente con tutti.
 
Jack cercò tutta la sera notizie di Kymia e alcuni compagni di classe della ragazza gli risposero educatamente, ma senza dargli troppe informazioni. O almeno non quelle che avrebbe voluto. Andy gli aveva detto che non era normale la sua ossessione per quella ragazza, ma secondo Jack sì: insomma l’aveva quasi ucciso, sebbene involontariamente. Quando l’avevano raccontato a Mary, ella si era limitata a sghignazzare e dire ‘maschi’, con quel tono da so-tutto-io che assumevano troppo spesso le femmine.
 
*
 
James e Jack alla fine avevano scelto lo stesso percorso generale, nessuno dei due desideroso di complicarsi la vita per una sola settimana. Una volta tornati a Hogwarts ci avrebbero pensato i loro insegnanti a rompere le pluffe con la storia degli esami sempre più vicini. Che poi non dovevano mica sostenere i M.A.G.O. quell’anno!
Il Grifondoro aveva scelto anche su consiglio di Giulio Terracini, che si era rivelato molto simpatico.
«Ma in questo programma ci sono solo due ore di Difesa contro le Arti Oscure!» esclamò indignato. Jack sembrava altrettanto sconvolto, ma prima che Giulio desse loro una spiegazione dovettero ripeterglielo altre tre volte. Decisamente l’inglese non era il suo forte.
Il ragazzo, infine, fece spallucce come se non si fosse mai posto il problema. Chiamò un ragazzo e gli disse qualche parola nella loro lingua.
«Mi chiamo Ambrogio Milanesi» disse il ragazzo, alto quanto Giulio, ma dall’inglese decisamente migliore. «Solitamente Difesa viene approfondita all’Accademia Auror o alla Scuola di Polizia Magica. Chi è particolarmente interessato e pensa che in futuro intraprenderà simili carriere di solito s’iscrive al Club dei Duellanti. Io e Giulio ne facciamo parte, se vi va pomeriggio c’è un incontro».
«Va bene, grazie» rispose Jack per entrambi.
«Arriva la Tarabini» annunciò in inglese, a beneficio di tutti, un ragazzo di nome Manfredi.
«Comunque noi non abbiamo mai seguito Aritmanzia» borbottò James a Giulio e Ambrogio, seduti dietro di loro.
«Meglio per voi» rispose il secondo, mentre Giulio annuiva solennemente. «La Tarabini, poi, è pesante».
«Ma che senso ha per noi?» sbuffò Jack che avrebbe preferito di gran lunga allenarsi.
«Alzatevi» li consigliò Ambrogio.
James e Jack sospirarono. Decisamente ogni paese aveva le sue usanze, solo che non avevano mai avuto modo di sperimentarlo pienamente: in Grecia, quelle poche lezioni che avevano seguito, erano state leggermente confusionarie per via di tanti studenti diversi; mentre in America il modo di comportarsi era quasi identico al loro, anche se magari meno formale. A quanto pare, qui, avrebbero dovuto comportarsi proprio come studenti della Scuola. E gli Italiani avevano l’abitudine di alzarsi all’ingresso degli insegnanti in aula, strofinando rumorosamente e fastidiosamente le sedie sul pavimento e bofonchiando, poi, un saluto a mezza bocca.
Oltre Jack e James, avevano scelto di seguire quel corso anche tre ragazzi cinesi, membri della squadra di Quidditch – che non si erano mostrati molto amichevoli, nonostante Ambrogio e altri avessero tentato di chiacchierare con loro – Glykeria, che si era seduta nel banco davanti al loro; Rachel Kelly della Dreamtime, giocatrice di scacchi.
«Voi avete mai studiato questa materia?» sussurrò James alle due ragazze, mentre la professoressa chiamava l’appello.
Rachel sedeva con le spalle appoggiate alla parete e si fissava le unghie smaltate e si limitò a scuotere la testa; Glykeria si girò quel tanto che bastava per rispondere. «No».
«Siete strani voi Italiani» borbottò James ad Ambrogio e Giulio. Insomma che senso aveva seguire tutti le stesse materie?
«Avete intenzione di chiacchierare per tutta l’ora?». La voce leggermente stridula della Tarabini, li fece sobbalzare tutti, tranne Rachel che continuava a interessarsi alle sue mani.
«Gli insegnanti sono tutti uguali però» sbuffò Jack, facendo ridacchiare i ragazzi vicini.
«Fletcher, giusto?» domandò la professoressa dopo aver dato un’occhiata a un foglio che aveva davanti. «Tu, Potter, Kelly e Kalamira avete scelto di seguire questo corso. Come ve la cavate in Aritmanzia?».
Fortunatamente Glykeria era una ragazza tranquilla, perciò rispose lei per tutti e gli altri tre gliene furono grati. «Non abbiamo mai seguito questa materia, professoressa. Infatti siamo un po’ stupiti dal fatto che dobbiamo farlo adesso».
«Sono solo due ore» replicò la donna in tono molto pratico. «È stato fatto per farvi vivere per una settimana esattamente come i compagni italiani. Sono sicura che Giulio Terracini sarà felicissimo di spiegarvi le basi della disciplina, quanto meno vi servirà come cultura generale».
Giulio non sembrò contento e rispose qualcosa in italiano, suscitando le risatine di alcuni compagni, compreso Ambrogio. La Tarabini non fu contenta della sua risposta e lo rimproverò. Quando la professoressa chiamò un ragazzo di nome Valentino Fedele, Ambrogio si sporse in avanti e tradusse il precedente battibecco a beneficio di James e compagni. A quanto pare Giulio si era rifiutato affermando che fosse troppo complesso farlo in inglese. Il ragazzo appariva molto soddisfatto di sé e sorrise loro. Valentino era molto più bravo, ma James dubitava che a parte Glykeria, per pura educazione, e Jack, curioso di natura, qualcun altro lo ascoltò veramente.
«Siete fantastici» sbottò Ambrogio «La Tarabini non ha segnato compiti. Credo sia la prima volta in tutta la sua carriera!».
Quella mattina seguirono anche Incantesimi, Francese e Pozioni.
«Il vostro insegnante di Pozioni è davvero antipatico» sbuffò James.
Ambrogio e Giulio risero. «Ti assicuro che è stato gentile perché ci siete voi» disse il primo.
«A che ora è il club dei Duellanti?» domandò Jack, stiracchiandosi e dirigendosi verso la Sala da Pranzo. A differenza del Grifondoro, aveva trovato molto preparato il professor Villmer, sebbene egli possedesse un sarcasmo da Serpeverde.
«Alle cinque e mezza. La Sala Duelli si trova nei sotterranei» rispose Ambrogio.
«Che fate dopo pranzo? Io andrò a vedere la partita di scacchi. Uno degli sfidanti è mio cugino» disse James.
«In teoria dovremmo fare i compiti, in pratica non potremmo non essere ospitali, perciò vi faremo compagnia» replicò Ambrogio.
Jack preferì andare ad allenarsi da solo nel pomeriggio, così James raggiunse l’Aula Magna, ove si disputavano le partite di scacchi, insieme ai due nuovi amici. Qui vi trovò Frank e Albus, entrambi tranquilli e soddisfatti della loro prima giornata alla Fata Morgana.
James non seguì molto la partita di Louis, perché la trovava troppo noiosa. Riko Ogawa fu certamente un’avversaria all’altezza del piccolo Corvonero, ma alla fine quest’ultimo dichiarò: «Scacco matto!».
James era naturalmente molto felice per lui, ma rimanere lì fermo, per più di un’ora!, era stata un’agonia per lui; perciò fu felice di correre al Club dei Duellanti con Ambrogio e Giulio.
Jack era già arrivato e palesemente impaziente d’iniziare. Anche altri studenti stranieri, più piccoli e più grandi di loro, si erano recati all’incontro. James adocchiò Jiao Mao, il ragazzo di Móshú, che avrebbe dovuto affrontare di lì a qualche giorno.
Il professore di Difesa contro le Arti Oscure, Corrado De Gregori, sembrava molto abile e si lasciò coinvolgere in qualche duello da James e Jack, certamente i più sfacciati tra i presenti. I ragazzini più piccoli li ammirarono parecchio e probabilmente avrebbero discusso di loro per lungo tempo.
«Nessuno avrebbe mai trovato il coraggio di sfidare De Gregori» borbottò Ambrogio, che fissava James quasi fosse Merlino redivivo.
«Perché? A me sembra molto alla mano» replicò il Grifondoro asciugandosi i capelli sudati con un asciugamano.
«Sembra. Basta non contraddirlo» ribatté Ambrogio.
Conclusero la giornata facendo un bel po’ di chiasso nella loro stanza e in generale nella torre, visto che le camere di Giulio e compagni erano al piano superiore rispetto al loro.
 
*
 
Albus, a differenza di James e Jack, era rimasto piacevolmente colpito dall’organizzazione scolastica degli Italiani. L’idea di seguire le varie materie sempre con gli stessi compagni non era male, insomma era più semplice saldare i legami di amicizia; naturalmente se gli studenti non avessero fatto amicizia, sarebbe stato un tormento. Il Grifondoro, però, si rese conto che, anche i caso di attriti, i ragazzi erano perfettamente in grado di trovare un equilibrio tale da permettere la creazione di un clima sereno durante la giornata scolastica.
In più Albus fu felice di fare lezione in compagnia di Tobia Roveni e Lorenzo, di cui non aveva capito il cognome, con cui aveva legato fin dalla prima tappa in Grecia.
Il ragazzo, il giorno precedente, aveva trovato molto interessanti materie come il latino e il diritto magico che non aveva mai studiato. Era molto curioso di seguire le lezioni del martedì, ma dovette rinunciarci a causa della lezione speciale di Erbologia che coinvolgeva tutti i ragazzi che gareggiavano in quella sezione.
«Ciao, Albus».
«Ciao, Marta» replicò il Grifondoro sorpreso che la ragazza si ricordasse il suo nome. Daila Morales, non l’aveva persa di vista nemmeno per un istante, chiacchierava con Xian Zhang di Móshú. «Hai qualche idea su quello che ci faranno fare?» chiese allora, tanto per scambiare qualche parola.
Si trovavano vicino alle serre e all’orto. Anche qui c’erano molti alberi intorno a loro.
«No» rispose semplicemente Marta con un sorriso di scuse. «È arrivata l’Arduini. Presto il mistero sarà svelato».
Albus le sorrise in risposta e con lei si avvicinò di più all’insegnante.
«Buongiorno!» trillò la professoressa, che sembrava molto giovane. Era accompagnata da Valdemar Fernandes, il Preside di Castelobruxo. «Quest’oggi abbiamo organizzato per voi una passeggiata alla scoperta della macchia mediterranea. Permettetemi di chiamare l’appello prima d’iniziare». Srotolò una pergamena e chiamò: «Aoki Daiki». Un ragazzo, sui quindici anni e con una veste gialla, s’inchinò leggermente. I Giapponesi s’inchinavano spesso, sia quando salutavano che quando ringraziavano. O almeno era quello che Albus aveva notato. «Benatar Begum». Una ragazzina minuta e sorridente, rispose ‘presente’ in un inglese un po’ farraginoso. «Cafieri».
«Presente» rispose tranquillamente la ragazza.
«Parli bene l’inglese» commentò Albus.
«Grazie» replicò timidamente Marta.
Nel frattempo l’Arduini aveva chiamato la ragazza greca, con cui James stava facendo amicizia, un ragazzo di Durmstrang e una ragazzina americana tutto pepe.
«Morales Daila».
Albus non si trattenne e le gettò un’occhiata veloce: era sempre molto bella e rispose con quel suo accento ispanofono alquanto suadente.
Per ultime furono chiamate una ragazza francese del sesto anno, Zenjia Verbeke, e Xian Zhang. A quel punto il Grifondoro azzardò un’altra occhiata a Daila. Era così carina!
«Bene, se siete pronti possiamo andare» dichiarò la professoressa Arduini con entusiasmo.
«Faremo un giro nel bosco» sospirò Marta.
«Non sei contenta?» chiese perplesso Albus.
«L’abbiamo già fatto anni fa. Sarà noioso ascoltare le stesse cose di nuovo. Fortunatamente è una bella giornata oggi».
«Pensavo che tutti i ragazzi del nostro gruppo fossero degli appassionati della materia» disse Albus sinceramente. Era qualcosa che gli ronzava nella testa da ottobre. Durante i primi anni di Scuola Erbologia era stata una delle sue materie preferite, ma non l’aveva mai amata quanto Trasfigurazione e, quando aveva iniziato a studiare Antiche Rune, era passata direttamente al terzo posto.
Marta si strinse nelle spalle. «Me la cavo bene in questa materia. Del mio anno nessuno è particolarmente appassionato, però. Lorenzo, che già conosci, è sicuramente il più bravo, ma si occupa di Storia della Magia; mentre Aurora, anche lei molto brava, gioca a scacchi».
«Capisco. D’altronde credo che sia difficile trovare qualcuno veramente appassionato a una disciplina così particolare» commentò Albus. Marta annuì.
«Bene, ragazzi, chi di voi sa dirmi che cosa s’intende per macchia mediterranea?».
Marta e Daila furono le uniche ad alzare la mano. La professoressa diede la parola a Daila.
«La macchia è uno dei principali ecosistemi mediterranei. È una formazione arbustiva, costituita tipicamente da specie sclerofille, caratterizzate da foglie persistenti poco ampie, coriacee e lucide, di altezza media variabile dai 50 centimetri ai 4 metri» rispose Daila.
Non solo era bella, ma anche intelligente, non poté fare a meno di pensare Albus.
«Molto bene, grazie Daila» disse la professoressa Arduini. «Marta, vuoi aggiungere qualcosa?».
La ragazza fu presa in contropiede, perché stava pensando a bene altro. Albus le sorrise a mo’ d’incoraggiamento ed ella sembrò apprezzare.
«La macchia si può dividere in alta e bassa» rispose Marta. «Quella alta è caratterizzata dagli alberi che raggiungono all’incirca i 4 metri, ma in alcuni casi, come il genere Phillyrea, anche 6-7 metri, altri anche di più; mentre la macchia bassa è composta da arbusti che non superano i 2-3 metri».
«Molto bene. Per rendere più divertente questa lezione, io e il professor Valdemar abbiamo pensato di organizzare una piccola gara. Vi divideremo in cinque coppie. Un ragazzo terrà un erbario con tutte le piante tipiche della nostra piccola foresta; l’altro segnerà quelle che riuscite a trovare e ne raccoglierà un campione. Mi raccomando piccolo, rispettate le piante. Avete tre ore di tempo. La coppia che trova più esemplari, avrà un premio» spiegò la professoressa Arduini.
«Ora sì, che è più divertente» esclamò Marta.
«Le coppie sono le seguenti: Morales-Zhang, Potter-Aoki, Kalemira-Korhornem, Verbeke-Kolvasky e Benatar-Cafieri» elencò rapidamente il professor Valdemar, parlando per la prima volta.
«Peccato che non siamo insieme» commentò Marta.
«Già» replicò Albus altrettanto scontento. Non aveva nulla contro i ragazzi giapponesi, ma erano tra quelli che meno sapevano parlare inglese ed era molto difficile comunicare con loro. Fortunatamente non l’avevano messo in coppia con Daila, probabilmente sarebbe morto di vergogna.
«Potete iniziare. Se dovessero esserci problemi, sparate in aria delle scintille rosse. Per piacere evitate la zona ovest, non è il caso» aggiunse l’Arduini.
«Ma ci sono creature magiche nella foresta?» Albus chiese frettolosamente a Marta, prima di raggiungere il suo compagno di squadra. Insomma, il suo modello di foresta era la Foresta Proibita.
«Qualcuna, ma non sono pericolose» rispose perplessa Marta. Naturalmente ella non poteva capire che cosa vuol dire ritrovarsi per sbaglio nella tana di acromantule affamate. «Buona fortuna».
«Grazie. Anche a te» rispose prontamente Albus.
«Ciao» disse Daiki Aoki con un inchino.
«Ciao, sono Albus piacere» replicò il Grifondoro porgendogli la mano. Il gesto, però, mise a disagio entrambi. Il giapponese dopo un attimo di titubanza gliela strinse. A quel punto, specialmente per evitare ulteriori gaffe, si avvicinarono ai due insegnanti: Albus prese l’erbario e Daiki delle piccole forbicine e un raccoglitore, dove avrebbero dovuto sistemare i loro campioni.
«Allora, Daiki, cominciamo dagli alberi?» propose Albus. Il compagno gli lanciò una strana occhiata, ma annuì. «Immagino, che questo sia un leccio. È altissimo non riesco a vedere la cima» continuò meravigliato.
Staccarono una foglia e la inserirono nel raccoglitore. Fecero lo stesso con un rovere e la roverella, tra le specie più diffuse di quercia in Italia; il lentisco, il ginepro rosso che li colpì per la forma strana delle sue radici. Questo per fare solo qualche nome. Albus ne rimase abbastanza affascinato, dopotutto era una giornata piacevolmente calda e il cielo, sorprendentemente per il Grifondoro, era chiaro e senza nemmeno una nuvola. Quell’isola era il tripudio del sole.
Per classificare gli arbusti più alti impiegarono più di un’ora del tempo loro concesso; ma cercare le piante più basse fu decisamente più difficile: erano tante specie diverse e spesso si confondevano con l’erba.
«Potter-kun, quella» Daiki all’improvviso attirò l’attenzione di Albus, indicando un fiore giallo.
Albus fu abbastanza sorpreso di essere chiamato per cognome e con quella strana aggiunta alla fine, ma forse era per questo che prima l’altro l’aveva guardato male: non avrebbe dovuto chiamarlo per nome?
«Ginestra dei carbonai» assentì il Grifondoro, decidendo di rimandare a dopo qualsiasi discussione sui nomi.
Presero un campione anche di questa e procedettero.
All’improvviso Albus percepì un rumore lontano e, curioso, si spinse verso i confini della foresta. Daiki si accigliò e lo seguì a distanza. Il Grifondoro comprese che si stavano allontanando dalla foresta nel momento in cui alla terra si sostituì la sabbia. Aumentò il passo, ignorando i richiami del compagno, e finalmente superò l’ultima fila di alberi. Una distesa azzurra apparve ai suoi occhi: il mare. Il ragazzo sorrise, mentre un venticello fresco gli scompigliava i capelli.
«Non è bellissimo?» sospirò, girandosi verso Daiki.
«Noi non stare qui» borbottò Daiki.
Albus si strinse nelle spalle: non aveva idea se fosse vietato o meno, ma immaginava di sì, visto che probabilmente gli Auror non avrebbero saputo dove cercarli, ma non gli interessava. Era uno spettacolo troppo bello!
«Andiamo» tentò Daiki.
«Va bene» assentì Albus a malincuore, chiedendosi se gli Italiani li avrebbero portati in spiaggia, come avevano fatto i Greci a ottobre. «Credo sia ora di tornare indietro» disse, appena furono nuovamente nella foresta. «Non manca molto a mezzogiorno».
«Sì» rispose semplicemente l’altro ragazzo.
Non fu per nulla facile ritornare indietro, tanto che a un certo punto Albus credette che si fossero persi. Fortunatamente incontrarono Marta e Begum Benatar e la prima li guidò fuori senza problemi.
«Wow, la conosci bene la foresta!» commentò Albus.
«È divertente passeggiarci durante le belle giornate» replicò ella arrossendo leggermente.
Consegnarono i loro raccoglitori ai professori.
«L’erbario potete tenerlo, lì ce n’è un plico per chi non ce l’ha» disse la professoressa Arduini sorridendo.
Albus e Daiki ringraziarono, quest’ultimo sempre con un inchino.
Attesero una decina di minuti prima che tutto le coppie ritornassero, infine i professori si presero del tempo per decidere i vincitori.
«Senz’altro i migliori sono stati Daila Morales e Xian Zhang» annunciò l’Arduini. Valdemar appariva molto soddisfatto della prova della sua allieva. Albus non ne era sorpreso, perché aveva capito quanto Daila fosse brava in quel campo. Daiki sembrò dispiaciuto, ma non si lamentò.
«Sono affamata, tu no?».
Albus arrossì violentemente alle parole inaspettate e improvvise di Daila e si limitò a balbettare un sì. Doveva decisamente darsi una regolata, se non voleva fare una figuraccia internazionale!
 
 
*

Frank, proprio come Albus, aveva scelto di seguire il corso in cui si dava largo spazio alle discipline umanistiche. Non aveva legato particolarmente con i compagni di classe, a causa della sua timidezza, ma tutto sommato si era trovato bene in quanto le lezioni, rigorosamente in inglese, per quanto alcuni insegnanti non fossero molto bravi, erano state interessanti. Quella mattina, però, avrebbe seguito una lezione speciale di Storia della Magia insieme agli altri nove ragazzi che partecipavano al Torneo di Cultura Magica in quella sezione.
A parte due ragazzi, Axel Nilsson di Durmstrang ed Elliott Castle della Dreamtime, erano tutti più grandi di lui. Si avvicinò proprio a loro, visto che i più grandi, per lo più dell’ultimo anno, chiacchieravano tra loro.
«Ciao» disse sperando di non infastidirli.
Sia Axel sia Elliott risposero tranquillamente.
«Hai idea di quello che ci faranno fare?» chiese Elliott, probabilmente tentando di avviare una conversazione.
«No» rispose Frank, che se l’era chiesto più volte. Era molto teso, perché temeva di far fare brutta figura alla professoressa Dawson. La decisione di Percy Weasley si era fatta attendere più di quanto era stato previsto, voci di corridoio affermavano che ciò dipendesse dall’intervento della Preside e di Hermione Weasley in persona.
«Appena in tempo» sospirò, sopraggiungendo a passo svelto, Lorenzo, un ragazzo del quinto anno, che aveva stretto amicizia con Frank e Albus fin dalla prima prova svoltasi in Grecia.
«In realtà sei in ritardo» gli fece notare Axel Nilsson.
«Tanto per cambiare» intervenne una voce severa.
I tra alzarono gli occhi su un uomo sulla settantina che Frank aveva già avuto modo di conoscere: Corrado Airaghi, uno dei professori di Storia della Magia della Fata Morgana. Ed era stato lampante anche per il Grifondoro, che aveva seguito le sue lezioni solo un paio di volte, che odiasse i ritardatari.
Lorenzo gli rivolse uno sguardo colpevole e si scusò.
L’insegnante lo ignorò e fece cenno al gruppo di entrare in Aula Magna.
«Oggi mi darà una mano la professoressa Carsen» esordì il professore. Gran parte dell’Aula Magna era al buio. Frank notò immediatamente delle pesanti tende di broccato coprire le vetrate. Più che una lezione di Storia della Magia gli sembrò di Difesa contro le Arti Oscure. L’oscurità avrebbe potuto celare benissimo qualche creature oscura! Ok, sì, forse era un tantino paranoico.
Meghan Carsen sedeva a gambe incrociate al centro della sala e sorrideva loro. Il che rendeva certamente il tutto meno inquietante, visto che comunque ella era una bella ragazza poco più che trentenne.
«Bene, ragazzi, avete intenzione di rimanere in piedi tutto il tempo?» intervenne la professoressa. I dieci si affrettarono a sedersi, rendendosi conto che sul pavimento ci fosse un cuscino per ognuno di loro. «Io sono Meghan. Insegno inglese. E, confesso, la storia non è mai stata la mia materia preferita». E qui lanciò un’occhiata divertita al professore più anziano. «Perciò il mio supporto a questa lezione sarà meramente linguistico».
«Per me possiamo cominciare» le disse il professor Airaghi.
Meghan annuì e si rivolse ai ragazzi. «In un certo senso questa sarà quasi una simulazione della prova olimpica, per cui fate attenzione». Li contò muovendo elegantemente la mano e sorrise. «Perfetto, ci siete tutti. Allora, come immagino saprete, la terza prova sarà orale. Vi saranno poste delle domande sulla storia magica mondiale del Novecento oppure i giudici vi mostreranno fotografie/immagini di personaggi famosi o anche luoghi, o ancora dei documenti. Abbiamo ritenuto di dover fare questa simulazione perché molti di voi non sono abituati a esporre oralmente».
A Frank non piaceva molto l’idea e non sapeva neanche che la terza prova sarebbe stata orale! E dall’espressione degli altri ragazzi, non era il solo!
«Non lo sapevate?» domandò Meghan notando la loro sorpresa.
«No, professoressa» rispose per tutti Clara Matthews di Ilvermorny.
«Potete chiamarmi Meghan» disse l’insegnante. «Beh, a maggior ragione questa lezione sarà molto utile. A turno vi faremo vedere delle immagini. Durante la gara potrete parlare nelle vostre lingue, ma in questo caso preferirei che usaste l’inglese in modo che tutti possano beneficiare delle vostre risposte».
Frank vide l’espressione scontenta di Lorenzo, il quale probabilmente non apprezzava minimamente quest’ultima richiesta. Era un ragazzo molto affabile e cortese, ma proprio non andava d’accordo con l’inglese.
«Io farò una traduzione simultanea in italiano al professor Airaghi, affinché possa verificare la correttezza di quanto dite» continuò Meghan. «Bene, chi vuole iniziare?» domandò a bruciapelo. A un gesto della bacchetta del professore un tendone si aprì illuminando una serie di immagini fluttuanti. Frank le contò rapidamente: erano dieci. Una per ciascuno. Le osservò attentamente, a primo acchito pensò che rappresentassero la guerra contro Lord Voldermort, ma qualcosa in verità non gli tornava: il luogo dello scontro non sembrava proprio la Gran Bretagna.
Intanto Axel Nilsson aveva alzato la mano e ottenuto la parola. Era un ragazzo estroverso e ridanciano, ma in quel momento aveva uno sguardo di fuoco.
«Rappresentano tutte momenti salienti dell’ascesa e della sconfitta di Gellert Grindewald».
Frank strabuzzò gli occhi: non ci sarebbe mai arrivato da solo o, comunque, non così velocemente. Alcuni ragazzi si accigliarono.
«Non è giusto che la prova si basi sulla storia europea» si lamentò la studentessa di Móshú.
«Grindewald è stato anche negli Stati Uniti» la corresse Clara Matthews.
«Sì, ma io ho dovuto studiare tutta la vostra storia, voi non avete fatto quasi nulla della mia» si lagnò ancora la ragazza cinese.
Frank era leggermente sorpreso: non ricordava di averla mai sentita parlare prima di quel momento, figuriamoci lamentarsi. Meghan apparve perplessa di fronte alle sue lamentale e si rivolse al collega, traducendogli in italiano il breve scambio di battute.
«Perché voi non avete mai avuto una mago così oscuro!» sbottò Axel. Ed era veramente arrabbiato.
«Non litigate» intervenne Meghan con fermezza. «Le regole della gara non le abbiamo scritte noi. Yang, se non sei d’accordo devi lamentarti con gli organizzatori delle Olimpiadi».
Airaghi fece cenno ad Axel di parlare e il ragazzo fu molto preciso e articolato. Frank comprendeva la sua partecipazione emotiva, per quanto ai tempi di Grindewald non fosse ancora nato, il mago oscuro aveva creato dolore e sofferenza quasi quanto Lord Voldermort. Axel fu fermato appena iniziò a parlare dell’immagine successiva. Dopotutto erano una per ciascuno. Il Grifondoro fu abbastanza fortunato in quel caso, perché a lui rimase l’ultima più che riconoscibile: il duello tra Grindewald e Albus Silente. Per quanto facesse parte del programma del settimo anno, la Dawson gliel’aveva fatto studiare in previsione della prova, perciò Frank ritenne di essersela cavata bene per quanto non fosse abituato a esporre oralmente.
Furono parecchi i periodi che vennero affrontati, naturalmente non mancarono le due guerre magiche contro Voldermort, ma a differenza di quanto aveva criticato Yang Hu, nessun paese era stato trascurato: in Australia all’inizio del ‘900 era stato deportato un mago oscuro inglese, niente in confronto a Grindewald o Voldermort s’intende, ma sufficientemente potente da suscitare il panico almeno finché Auror inglesi e i primi australiani non l’avevano catturato. 
Inoltre il giovane Grifondoro riconobbe all’istante l’immagine che ritraeva Cornelius Caramell durante il passaggio di consegne a Rufus Scrimgeour.
Più difficoltà ebbe a riconoscere un gruppetto di maghi vestiti di nero. In prima istanza aveva pensato ai Mangiamorte, ma non portavano la maschera e, al contrario, mostravano fieramente il loro viso. Lorenzo, seduto accanto a lui, però aveva compreso e appariva particolarmente turbato, tanto che prese la parola solo quando il suo insegnante glielo chiese esplicitamente, ma fu molto conciso.
«Sono Oscuri» mormorò senza neanche guardare l’immagine. «Xelisia e Nimueh Negri, le streghe più oscure che l’Italia abbia conosciuto nell’ultimo secolo e mezzo, se non di più». Solo su esortazione della Carsen aggiunse: «Inizialmente gli Oscuri erano una setta elitaria, molto apprezzata dalla comunità magica. Solo i più colti e i più dotati magicamente vi erano ammessi. I suoi membri approfondivano tutti i rami della magia, compreso quello della magia nera. Poi, come spesso accade, gli Oscuri superarono il limite e il governo intervenne. Da quel momento gli Oscuri continuarono ad agire nell’illegalità e a sfidare il governo legittimo, sperando di poterlo sostituire. È una storia molto recente e, per quanto i capi siano tutti morti e i loro uomini in galera, comunque molti ne sono ancora negativamente ammaliati».
L’oscurità ammaliava sempre, non poté fare a meno di pensare Frank e in Gran Bretagna lo stavano provando sulla loro pelle.
 
La lezione extra si protrasse fino all’ora di pranzo. Una volta congedati Frank si recò in Sala da Pranzo in compagnia di Axel, Elliott e Lorenzo. Nel pomeriggio raggiunse Albus, Louis e Jack nella Sala Duelli per assistere al duello tra James e Jiao Mao di Móshú.
Jiao Mao aveva una tecnica alquanto aggressiva e nemmeno un pizzico dello spirito di James: quest’ultimo duellava quasi per divertimento, mentre il primo era concentrato come se quello fosse un vero duello tra maghi e ne valesse della loro stessa vita.
James usò un semplice Flipendo e lo mise in difficoltà.
«Perché?» chiese perplesso Albus a Jack, mentre con un ghigno il fratello maggiore disarmava l’avversario.
«Perché Flipendo è un incantesimo che si studia al primo anno, ma di solito i duellanti, quelli esperti almeno, non lo usano. Jiao Mao non se l’aspettava e si è fatto fregare» rispose Jack scuotendo la testa e stringendo la mano a James, che contento li aveva raggiunti.
Il Preside di Móshú non sembrava molto contento e Jiao Mao si lamentava indicando James.
«Non mi piacciono le persone troppo seriose. Utilizzava incantesimi troppo avanzati. Chi si crede di essere?» commentò James, rivolto soprattutto a Jack. «Ho trovato divertente sconfiggerlo con un incantesimo banale. Avete visto la sua faccia?».
L’unica nota stonata di quella giornata fu la sconfitta della squadra di gobbiglie.
 
*
 
Jack prese l’asciugamano, che una sorridente Clara Matthews gli porse. Si tamponò leggermente il volto e il collo sudati, ben intenzionato ad andare a farsi la doccia.
«Complimenti, Jack. Hai davvero un’ottima tecnica».
Tania Benson gli porse la mano e il Tassorosso la strinse senza esitazione.
«Sei molto brava anche tu. È un vero peccato che siamo stati costretti ad affrontarci».
La Corvonero fece spallucce come a dire che ormai era fatta. «Vado a darmi una sistemata» gli disse.
«Sì, ho anche io quest’intenzione» replicò il ragazzo.
«I miei compagni stanno organizzando un falò sulla spiaggia. Verrai, vero?» gli domandò, accostandosi, Arianna D’Abrosca, una duellante della Fata Morgana, che era stata sconfitta pochi giorni prima da Niki Charisteas, il campione greco.
Jack si accigliò. «E avete l’autorizzazione di un docente?». Non che gli interessasse, a Hogwarts non l’avrebbe neanche chiesto, ma sarebbe uscito di nascosto, mettendo ‘in imbarazzo’ la McGranitt davanti ai colleghi stranieri, solo se avesse deciso di suicidarsi. Ma, decisamente, ancora ci teneva sufficientemente alla sua vita.
«Sì, Tobia ha fatto le cose per bene. Non che tutti i professori fossero d’accordo, anzi, ma la Preside ha approvato quasi subito» replicò Arianna.
«Certo, grazie. Mi farà piacere venirci» rispose allora il Tassorosso. «Ora se non ti dispiace, avrei bisogno di una doccia».
«Oh, certo. Capisco. E complimenti per la vittoria».
Jack ringraziò e finalmente raggiunse gli spogliatoi. Qui come previsto lo aspettava Tanwir Hagan.
Il Tassorosso recuperò i libri dalla sua borsa e glieli restituì velocemente, temendo che entrasse qualcuno e li vedesse.
«Complimenti» disse Tanwir.
«Grazie. Anche a te. So che hai passato il turno» replicò Jack.
Il ragazzino confermò e lo ringraziò.
A quel punto Jack gli pose la domanda che gli era ronzata in testa non solo in quei giorni, ma per mesi. «Come sta Kymia? È un po’ che non risponde alle mie lettere».
«Oh» Tanwir apparve sinceramente sorpreso dal suo interesse. «Lei… ehm…».
Per un attimo Jack pensò che il ragazzino avesse difficoltà a rispondere in inglese, sebbene non fosse mai accaduto in precedenza.
«Lei cosa?» insisté allora notando il suo disagio. Non voleva essere insensibile, ma avrebbe ottenuto le informazioni che cercava.
«Ha lasciato la Scuola, almeno per ora».
Jack rimase a bocca aperta. E gli venne in mente quello che era accaduto molti mesi prima a Hogwarts. Appoggiò una mano sul cuore e chiese a Tanwir: «È stata espulsa?».
«No» rispose il ragazzino senza esitare. «È complicato. Riguarda la sua famiglia. La Scuola non c’entra. Anzi il professor Johnson ha provato a impedirlo ai suoi genitori, ma…».
«Non capisco» insisté Jack.
«Suo padre vuole che si sposi» confessò allora Tanwir.
Jack conosceva le manie dei Purosangue di combinare i matrimoni ai figli pur di mantenere puro il loro sangue, ma solitamente le nozze veniva celebrate dopo il diploma. «Ma se non ha manco quindici anni!».
Tanwir si strinse nelle spalle. «Lo so, ma ai suoi non interessa».
«Non è possibile!» sbottò Jack. «Non glielo permetterò!». Dimenticandosi completamente della doccia, corse fuori dagli spogliatoi.
«Che succede?» gli urlò dietro James allarmato. Sapeva che avrebbe dovuto restituire i libri al ragazzo di Uagadou ed era rimasto nelle vicinanze per assicurarsi che tutto filasse liscio. «Dove va?» chiese a Tanwir.
«Non lo so» rispose quello altrettanto sconvolto da una simile reazione repentina.
Jack, però, non aveva intenzione di perdere tempo con nessuno. Ignorò i richiami degli altri compagni che tentavano di fermarlo per complimentarsi. Con il fiato corto raggiunse la Sala Professori, dove, come previsto, si erano radunati tutti gli insegnanti in attesa della cena. Si fermò sulla soglia e tutti lo fissarono scioccati, ma il Tassorosso non ascoltò neanche la McGranitt quando gli chiese se vi fosse qualche problema.
James e Tanwir lo raggiunsero, Jack era conscio della loro presenza alle sue spalle, ma continuò a ignorarli.
«Professor Johnson». Jack fece fatica a mantenere normale il tono della voce. L’uomo lo fissò stranito, lasciando poi vagare gli occhi su James e sul suo allievo. «Come può permettere una cosa del genere!?».
«Fletcher, ma che ti prende?» sbottò la McGranitt.
«Di che stai parlando?» chiese perplesso il Preside Johnson.
«Di Kymia!» ribatté a denti stretti Jack.
Un misto di sorpresa e comprensione balenò sul volto del l’uomo. La Sala Professori era in totale silenzio. «Non dipende da me. Non posso trattenere una studentessa contro il volere dei suoi genitori» replicò pacatamente, dopo qualche secondo di riflessione.
«A lei non interessa, vero? Lascerà che le facciano del male impunemente!» quasi gridò Jack.
«Fletcher, ora stai esagerando» lo richiamò la professoressa McGranitt.
Ancora una volta non l’ascoltò: evidentemente aveva inclinazioni suicide più di quanto pensasse.
«Sì, che m’interessa» ribatté con fermezza Johnson. «Ho denunciato l’accaduto alle autorità competenti e ho provato io stesso a parlare con i genitori di Kymia. Solo non posso andare lì e rapirla, sarebbe un atto di forza e, soprattutto, un rapimento».
A quel punto intervenne James, colto probabilmente da un’ispirazione divina, e ringraziò il professore scusandosi per l’irruenza dell’amico. E poi trascinò via il Tassorosso. E fu un bene, perché Jack avrebbe cominciato a insultarlo nel giro di due secondi.
Con il cuore in tumulto, Jack minacciò il povero Tanwir: «Mi terrai informato!».
James lo fissò come se avesse perso il senno, mentre il ragazzino di Uagadou annuiva terrorizzato.
 
*
 
James e Jack, ma certamente non furono   gli unici, rimasero scioccati scoprendo che gli Italiani facevano lezione anche il sabato. La giornata, però, trascorse molto velocemente.
I due nel pomeriggio assistettero alla partita di Quidditch tra Móshú e Dreamtime, valida per la finale. Albert Abbott, Capitano dei Tassorosso e della squadra della Scuola, si era raccomandato, solo un miliardo di volte, di assistere alla partita con molta attenzione e di prendere appunti sulle tattiche e la formazione delle due squadre, visto che avrebbero dovuto affrontare la vincitrice in finale.
Vinse Móshú, ma solo perché il loro Cercatore ebbe un colpo di fortuna e riuscì a prendere il boccino prima degli avversari.
Jack era ancora di cattivo umore e aveva evitato persino le ragazze, che avevano tentato di provarci con lui. I ragazzi italiani degli ultimi anni nel week end avevano la possibilità di visitare il villaggio vicino, ma lui si era rifiutato e aveva preferito la solitudine della sua stanza. Possibile che non sconvolgesse nessuno che una quattordicenne fosse costretta a sposarsi, probabilmente con un vecchio?
Comunque il sabato sera fu in un certo senso costretto a partecipare al falò, in quanto era stato organizzato proprio per concludere al meglio quell’esperienza e salutarsi.
«Avanti, datti una mossa» disse James, cercando di domare i suoi capelli neri. «Albus, Frank, quanto ci vuole?» soggiunse rivolto agli altri due. Louis era già uscito.
Quella sera avevano avuto il permesso di indossare vestiti babbani affinché la divisa non fungesse da elemento separatore.
«Sembrate gemelli» borbottò Jack, suscitando le risatine di Frank.
Albus e James si scambiarono una rapida occhiata e fecero spallucce.
«Potrà anche essere uguale a me fisicamente, ma non avrà mai il mio stile» sentenziò James avviandosi verso la porta.
«S’è per questo, tu non avrai mai i miei occhi verdi» ribatté Albus con un ghigno.
«Come se ne avessi bisogno!» replicò James. «Benedetta dice che i miei occhi color cioccolata sono dolcissimi!».
Albus roteò gli occhi e lo superò raggiungendo Tobia e Lorenzo, che lo aspettavano all’ingresso.
«Beh, ci si vede in giro. Mi aspetta Arianna D’Abrosca» disse Jack, allontanandosi a sua volta.
«Tu, Frank?» domandò James.
«Ci sono dei ragazzi del quarto anno che mi aspettano. Tu sei solo?» rispose il ragazzino.
«No, con Giulio e Marcello» rispose James. «Allora a dopo».
I ragazzi più grandi, aiutati dalla magia, avevano acceso il fuoco e vi si affaccendavano intorno per mantenere la fiamma e controllarlo.
La serata era senza vento e il rumore del mare in sottofondo fu molto insolito per chi era abituato a vivere in zone interne. In un primo momento i ragazzi si divisero in piccolo crocchi, poi quando qualcuno mise la musica, lentamente iniziarono a ballare tutti insieme.
Frank, che normalmente era molto timido, riuscì a stringere amicizia con i gemelli Nilsson ed Elliot Castle.
«Avete visto i risultati?» domandò Elliott. «Io, Frank e il ragazzo italiano siamo terzi a pari merito».
«Sì, ho visto» replicò Frank, abbastanza soddisfatto di sé. «Axel, comunque, sei stato bravissimo. Migliore persino di quelli del settimo anno!».
Axel sorrise e scrollò le spalle. «Rimaniamo in contatto via gufo?» chiese invece.
«Sì» assicurò Elliott Castle all’istante. «Inoltre la prossima volta saremo da me in Australia».
«Mi farebbe piacere» rispose tranquillamente Frank.
Come molti altri, ben presto stanchi di ballare, si sedettero sulla spiaggia e iniziarono a conoscersi meglio, raccontandosi delle loro Scuole, dei loro amici e vecchi aneddoti divertenti.
James, dopo essersi divertito insieme ai fratelli Terracini a far scherzi agli altri ragazzi e a giocare un po’ con un vecchia pluffa, notò nuovamente l’Auror francese. L’aveva cercata a lungo in quei giorni! Stavolta non gli sarebbe sfuggita!
Il Grifondoro la raggiunse a passo svelto e le si parò davanti. «Ti ho beccato» sbottò.
Ella lo fissò con sufficienza. «Solo perché ti ho permesso di farlo».
«È tutta la settimana che provo a parlarti!» replicò James.
«Senti, ragazzino…».
«Sono maggiorenne!» la interruppe il ragazzo.
La donna si accigliò. «Non ha importanza. Non devi impicciarti di cose che non ti riguardano!».
«Certo che mi riguardano! Bellatrix Selwyn e Thomas Rosier stanno seminando morte e terrore nel mio paese, mica in Francia!» sbottò James.
«Abbassa la voce» sibilò la giovane Auror, sempre più irritata.
«Vi siete fatti scappare Rosier, vero? Ecco perché nessuno sa del vostro intervento sull’Orient Express!».
«Basta!» esclamò l’Auror. «Non sono affari tuoi quello che accade in territorio francese. E se non vuoi che dica tutto alla tua Preside e meglio che giri a largo!».
James le lanciò un’occhiataccia e si allontanò senza nemmeno salutarla. Era stata una delusione, eppure gli era apparsa simpatica a novembre. Raggiunse il fratello, seduto dove la luce delle lanterne galleggianti non giungeva, e gli diede una pacca sulla spalla.
«Che succede? Sei tutto rosso».
«Daila ha capito che mi piace».
«Ah, e quindi?».
«Quindi niente!» borbottò Albus. «Siamo e rimarremo solo amici».
James annuì e gli diede un’altra pacca sulle spalle per consolarlo.
«Come fa Jack?» chiese dopo un po’ Albus.
James seguì il suo sguardo e vide il Tassorosso impegnato con Michelle Davids, l’alfiere della Dreamtime. «Non lo so» rispose sinceramente. Albus sospirò.
Sotto un cielo stellato, mentre la nostalgia di Benedetta s’insinuava sempre più intensamente nel più grande, per la prima volta da giorni i due fratelli, ma anche Frank e Jack, pensarono solo a quanto fosse complicato crescere. Per qualche ora dimenticarono di essere i protagonisti di un’assurda profezia e di avere responsabilità molto più grandi di loro.
 

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Capitolo 34
*** In vino veritas ***


Capitolo trentaquattresimo
 
In vino veritas
 
Roxi sbuffò annoiata. Gli dispiaceva pensarlo, ma per quale motivo li avevano fatti accorrere al San Mungo così presto? L’anno prima, forse a causa del Torneo Tremaghi, erano andati a trovare Victoire e il piccolo Remus solo il giorno dopo della nascita di quest’ultimo. Il perché zio Percy avesse preteso la presenza di tutti i nipoti al San Mungo, appena Molly era entrata in travaglio questo era a dir poco un mistero. Solo Arion Greengrass era entrato in sala porto con la fidanzata; zio Percy andava avanti e indietro nervosamente, mentre zia Audrey, seduta rigidamente su una sedia di plastica, aveva rinunciato da un pezzo a calmarlo; i genitori di Arion, Alfeo e Doreen Greengrass, era seduti vicino a nonna Molly e ogni tanto scambiavano qualche parola con lei o con nonno Arthur, nervoso quanto il figlio. Da una parte Roxi comprendeva lo stato d’animo dei nonni, stavano diventando bisnonni per la seconda volta; dall’altra no, insomma quanti tra figli e nipoti avevano visto nascere in più di sessant’anni? Non potevano sempre essere emozionati come la prima volta.
Albus e James dormivano testa contro testa. I due Grifondoro e Louis non avevano fatto in tempo a mettere piede al castello che erano stati costretti a raggiungere il resto della famiglia al San Mungo. Comunque non erano gli unici che dormivano, dopotutto erano le dieci di sera passate e attendevano da troppe ore. A parte gli adulti, i più arzilli apparivano Orion Montague, il cugino di Scorpius, ma quel ragazzino aveva sempre l’aria di aver fatto un pieno esagerato di zuccheri; Rose e Scorpius che si fissavano con rabbia dai lati opposti del corridoio; Lucy e la sua amica Arianna Greengrass.
Roxi con un sospiro decise di alzarsi e raggiungere la cugina, che sembrava non condividere l’entusiasmo della sua migliore amica.
«Che c’è?» le sussurrò, tirandola da parte.
Lucy si strinse nelle spalle senza neanche guardarla negli occhi.
«Lucy» insisté allora Roxi. «Non sei contenta? Tu e Arianna siete state le prime a favorire l’unione tra Arion e Molly. Hai cambiato idea?».
«Non sono loro due il problema» ribatté l’altra mordicchiandosi il labbro.
«E chi?».
«Il bambino».
Roxi la fissò sorpresa. In effetti erano troppo piccole, neanche lei avrebbe saputo da dove iniziare se suo fratello e July Mcmillan avessero deciso di proliferare. «Perché?» le chiese allora. Non poteva essere gelosa, no?
«Ma povero bambino! Non capisci? Che male ha fatto per nascere in una famiglia del genere?» sbottò Lucy in risposta. Roxi continuò a fissarla senza intendere veramente, così la Serpeverde riprese: «Guarda i nonni che ha! I miei sono dei pazzi! Non so se l’hai già dimenticato, ma mio padre ha praticamente sentenziato, neanche due giorni fa, che ben cinque professori di Hogwarts rischiano il licenziamento perché non rispondono ai suoi criteri! E due sono stati sospesi! E mia madre! Insomma è così fredda!». Si fermò e prese un bel respiro. «E i nonni paterni! Suvvia, i Greengrass avrebbero voluto un’altra moglie per il figlio! Non lo sai che Alfeo Greengrass sta stipulando un contratto matrimoniale per Arianna!? E sua moglie? Li vedi come sono tutti e due perfettini? Falsamente cortesi? E poi Arion e mia sorella non si sono ancora sposati, quindi questo bambino nascerà anche senza una famiglia vera e propria! E io non lo potrò aiutare».
Roxi, aiutata da Arianna, che aveva notato l’agitazione della sua migliore amica, trascinò Lucy nel bagno più vicino prima che si mettesse a urlare davanti a tutti. La Serpeverde era rossa in viso e aveva iniziato a piangere.
«Lucy che dici?» tentò Roxi turbata. Perché negli ultimi tempi non poteva più semplicemente preoccuparsi di non prendere voti troppo bassi e non farsi beccare mentre disegnava in classe?
«Secondo te, me lo lasceranno avvicinare?» ribatté Lucy.
«Le nostre famiglie sono così. Non capisco perché non ti vuoi rassegnare e devi cercare per forza lo scontro. In più devi smetterla di pensare che ai miei non piacciano i tuoi e Molly» sbottò Arianna irritata. Evidentemente avevano già affrontato l’argomento.
«Invece sì» quasi urlò Lucy.
«Sei solo una stupida testarda! Tuo padre ha perso tutto al Ministero, in caso contrario non l’avrebbero mandato in un ufficio da strapazzo come quello delle relazioni con Hogwarts! Nessuno se non il Preside in carica può realmente prendere decisioni. Si lascia prendere in giro! Meno male che c’è tua madre, che è un’ottima medimaga! I miei pensano che tua sorella Molly sia una stupida, che ha rifiutato di sposarsi con uno dei rampolli purosangue più ricchi in circolazione! E sta per far nascere l’erede della nostra famiglia! Un vero disonore! I miei sono arrabbiati! Ma dopotutto Arion avrebbe potuto anche innamorarsi di una peggiore!».
Il disprezzo e la rabbia che Arianna riversò su Lucy, lasciò esterrefatta persino Roxi, che, però, ebbe ugualmente la prontezza di bloccare la cugina prima che aggredisse la compagna.
«Se ti fa tanto schifo la mia famiglia, non mi rivolgere più la parola!» sibilò Lucy.
«Con piacere» replicò Arianna, diede loro le spalle e tornò dai loro familiari.
Roxi non disse nulla, ma allentò la presa sulle braccia di Lucy. Suo padre diceva che zio Percy non era veramente così male, ma ogni tanto qualcuno doveva riportarlo con i piedi per terra. Solitamente questo compito spettava o a nonno Arthur o allo zio Bill. Ne era sicura, si sarebbe sistemato tutto. I nonni avrebbero sistemato tutto.
Alcune urla attirarono l’attenzione delle due ragazzine. Roxi mollò la cugina ed entrambe si precipitarono fuori. La scena che si parò ai loro occhi, non l’avrebbero dimenticata facilmente.
Rose e Scorpius si stavano azzuffando sul pavimento. O meglio la Grifondoro prendeva a pugni il ragazzo, che tentava di fermarla. Draco Malfoy era intervenuto nel tentativo di separarli, mentre zia Hermione urlava allo zio Ron di fare qualcosa, ma questi sembrava piuttosto soddisfatto. Alla fine uno spazientito zio Harry diede manforte a Draco.
E così li trovarono l’infermiera e Arion Greengrass, usciti per annunciare la nascita del bambino.
«Benvenuto in famiglia, Theseus Greengrass» sospirò Roxi ironicamente.

*

La sera dopo Roxi era completamente distrutta. La notte prima erano tornati al castello alle due passate, perché zio Percy aveva insistito a fare un sacco di brindisi in onore del bambino. Ormai nessuno aveva più dubbi: era definitivamente impazzito.
Dopo aver dato la buonanotte a Frank, si trascinò su per le scale, finché, raggiunta la sua tanto agognata camera, si gettò sul letto a peso morto.
Lorein e Gretel chiacchieravano tranquillamente. Le avevano fatto il terzo grado quella mattina, curiose di sapere tutto sul neonato. Roxi aveva risposto a monosillabi. Che avrebbe dovuto dire di un bambino appena nato? Alle volte non le capiva proprio.
Quella sera, però, non aveva la minima intenzione di dar loro retta, perciò indossò velocemente il pigiama e si nascose sotto le coperte.
Quel giorno aveva sopportato le lamentele di Lucy e le aveva impedito di affatturare Arianna Greengrass; e aveva consolato Frank, che aveva scoperto della sospensione della Dawson. Il suo migliore amico non aveva mai odiato nessuno fino a quel momento, ma forse zio Percy avrebbe avuto quell’onore.
Nonostante la stanchezza, fece fatica a prendere sonno e nella dormiveglia colse il rumore della porta che si apriva e si richiudeva, seguito immediatamente dalle risatine di Lorein e Gretel.
«Spero che la becchi Mcmillan» sussurrò Gretel.
«La vendetta è compiuta» replicò, invece, Lorein.
Roxi si rigirò, ripetendosi di non volerne sapere nulla delle loro chiacchiere. S’impose di dormire, ma doveva ammettere che il suo cervello non fosse dello stesso avviso. No, non il suo cervello, la sua coscienza. La sua testa le diceva di dormire e non impicciarsi. Sbuffò e si alzò.
«Dov’è andata Afia?» chiese bruscamente alle altre due.
«Nella dispensa privata di Mcmillan!» rispose Lorein trionfante.
Roxi si alzò dal letto di scatto e quasi gridò: «Testa di cavolo! Non pensi che potrebbe ingerire qualcosa di pericoloso?».
«È solo un gioco» tentò Gretel a loro difesa.
«Non si gioca con le pozioni» sibilò Roxi. Era consapevole di suonare come Mcmillan in quel momento, ma non le interessava. Lei, più di chiunque altro, sapeva che cosa significasse bere una pozione sbagliata. Uscì dalla camera, quasi di corsa e non ascoltò neanche i rimproveri della Signora Grassa quando schizzò fuori anche dalla Sala Comune. Gretel e Lorein non l’avevano seguita naturalmente. Pazienza, a loro avrebbe pensato dopo. Non sapeva se rivolgersi o meno a un insegnante, in fondo Afia era una intelligente, forse non avrebbe scambiato un veleno per una pozione che nemmeno esisteva. E Roxi Weasley non faceva la spia. Cercò di raggiungere velocemente i sotterranei, ma fu difficile non farsi beccare da Prefetti, Caposcuola e professori di ronda. Un vero miracolo! Avrebbe dovuto prendere il mantello di James, ma non ne aveva avuto il tempo.
La porta dell’aula di Pozioni era aperta ed ella vi si fiondò all’istante senza pensare. Pochi secondi dopo si ritrovò nella piccola dispensa e vide Afia, intenta a osservare una boccetta senza etichetta.
«Ma che cavolo…?» sbottò Afia, che per la paura di vederla apparire all’improvviso, quasi aveva lasciato cadere la boccetta stessa.
«Quanto sei stupida!?» sbottò Roxi senza neanche ascoltarla. «Ma l’hai mai vista una persona incinta? Lo sai che cosa sono le nausee? Lo sai che la pancia dovrebbe già vedersi?».
«Che stai dicendo?» ribatté l’altra.
«Dico che non basta baciarsi per far nascere un bambino!».
«Che ne sai tu? Lorein mi ha detto che non hai mai baciato nessuno, che nessun ragazzo ti guarda perché sei un maschiaccio».
Roxi rimase alle sue parole: ma insomma si era mai guardata? Era arrivata sfidando tutti e vantandosi di essere la miglior duellante della Scuola, cosa non vera fra l’altro. Afia Gamal era tutto tranne che femminile!
«Lorein e Gretel ti hanno fatto uno scherzo» sbuffò. «Dai, torniamocene in Sala Comune prima che ci becchino».
«Non è uno scherzo! Tu non capisci! Lorein mi ha detto anche quale pozione devo prendere! Una senza etichetta, perché Mcmillan è troppo pudico per scriverne il nome».
In quella dispensa non avrebbe dovuto esserci nulla senza etichetta, probabilmente per questo Lorein le aveva detto così. Fatto sta che la boccetta esisteva eccome.
«Mcmillan etichetta sempre le sue pozioni. È importante farlo, lo dice sempre!» provò ancora Roxi.
Afia non l’ascoltò e stappò la boccetta, pronta a bersela tutta. Roxi per un attimo rivide davanti agli occhi una fialetta con un liquido bluastro e Lucy che le diceva di assaggiarlo. Presa dal panico colpì la boccetta con la mano ed essa s’infranse sul pavimento, provocando un rumore sordo nel silenzio della notte.
«Sì, può sapere che state facendo?» domandò una voce arrabbiata alle loro spalle.
Roxi si voltò a guardarlo per un secondo, poi dovette parare l’attacco della compagna.
«Sei una stupida, Weasley! Hai distrutto la mia ultima possibilità! Tu mi odi! Vuoi che io mi rovini la vita! Io non posso! Ho una missione da compiere».
Era completamente fuori di sé, se non ci fosse stato il professore Roxi non avrebbe saputo come difendersi da tanta furia.
«Ha visto cos’ha fatto?» urlò Afia indicando la pozione in frantumi ai loro piedi.
«Weasley, perché l’hai buttata a terra?». Mcmillan si rivolse direttamente a lei, che, per quanto fosse scioccata, comunque era ancora lucida a differenza di Afia.
«Voleva berla» spiegò Roxi.
Sul volto del professore balenò la sorpresa. «Per quale motivo? Era solo un estratto di pus di Mimbulus Mimbletonia mischiato con acqua. Non è velenoso, ma sicuramente disgustoso».
«E serve a non avere un bambino, vero?» domandò trionfalmente Afia.
«Eh?» replicò ora perplesso Mcmillan. «Non sappiamo ancora a che cosa serve. Io e il professor Paciock stiamo facendo delle ricerche… Ma voi che fate qui?».
Roxi lo fissò stancamente, perché sapeva come sarebbe finita e non aveva la minima voglia di trascorrere una serata a pulire calderoni.
«Io aspetto un bambino» annunciò Afia. «Halley Hans mi ha baciato».
Se non fosse stata nei guai anche lei, forse Roxi avrebbe riso perché la scena meritava senz’altro.
«Signorina Gamal, ti ho appena beccata nella mia dispensa personale a trafficare con le mie pozioni senza uno straccio di autorizzazione e in più dopo il coprifuoco! Ti consiglierei di non prendermi in giro se non vuoi peggiorare la vostra situazione!».
«La nostra?» intervenne Roxi non riuscendo a trattenersi. «Io non ho toccato le sue pozioni! Non volevo che si avvelenasse, è un reato ora?».
Mcmillan le lanciò un’occhiataccia. «Spiegatemi che cosa vi siete inventate questa volta».
Afia gli raccontò ogni cosa dal bacio di Halley a quella sera.
L’insegnante era palesemente contrariato, ma sembrò non voler discutere di certi argomenti con le due ragazzine. «Che stupidaggine. Andatevene a letto, signorine. Riferirò tutto al vostro Direttore».
Beh, forse non avrebbe dovuto pulire calderoni, si consolò Roxi.
 
 
*
 
«Vuoi parlare tu?» domandò Jonathan ad Albus.
«Io, perché?» replicò il Grifondoro sorpreso.
«Questo incontro ci sarà grazie a te» rispose il compagno.
«Ho solo convinto mia zia che è giunto il momento di risolvere la questione degli Squibs. Era il mio compito, no? Il resto l’hai fatto tu» rispose Albus.
Jonathan annuì incerto e si voltò verso Frank e Dorcas, che l’avevano aiutato nell’ultima fase della ricerca e nella stesura della Dichiarazione.
«Non mi guardare proprio» lo fermò subito Frank. «Non ho intenzione di parlare io, ne ho abbastanza come alfiere della Scuola».
«Credo ti tocchi» disse, invece, Dorcas. «Questo progetto è nato grazie a te».
«Va bene» assentì allora il Corvonero. «Ma James?».
«Allenamento in vista della finale. Rose è stata categorica, senza contare che voleva evitare d’incontrare la madre dopo l’ennesimo litigio con Scorpius a Incantesimi».
«Ma se continuano così voi e Serpeverde non avrete più alcuna speranza di vincere la Coppa delle Case» commentò Dorcas.
«Forse vogliono farci un favore» tentò di scherzare Jonathan.
Albus scrollò le spalle. «Spero che facciano pace, in caso contrario ci accontenteremo della Coppa del Quidditch».
«E chi ti dice che vincerete voi?» lo rimbeccò Jonathan per puro divertimento.
«Una cosa che si chiama matematica» ribatté Frank, dandosi il cinque con Albus.
«E se noi Corvonero non vi facessimo segnare neanche un goals?».
«Scherzi?» ridacchiò Albus. «Rose si mangerà in un boccone il vostro portiere».
Jonathan pensò a Zacharias Lewis e annuì mestamente, al di là di quello che aveva appena detto non credeva minimamente che i suoi compagni avrebbero potuto avere la meglio sui Grifondoro.
«Ma quanta gente c’è?» chiese orripilato Frank, sgranando gli occhi.
Erano appena arrivati davanti ai Gargoyle della Presidenza e vi era una piccola folla riunita.
Seamus Finnigan e Dean Thomas li videro e si avvicinarono all’istante.
«Buongiorno, ragazzi! Come va?» esordì il primo, fissando soprattutto Albus.
I ragazzi replicarono, comprendendo che il Direttore della Gazzetta del Profeta non aspettasse altro che bombardarli di domande. Per fortuna, la Preside intervenne: «Finnigan, lascia stare i ragazzi. Ti ho permesso di entrare a Hogwarts a condizioni ben precise. Rispetta i patti».
Seamus sbuffò, ma fece segno a Dean di abbassare la macchina fotografica.
I quattro ragazzi tirarono un sospiro di sollievo. Frank fu costretto a salutare suo zio Charles, che era un membro dell’entourage del Ministro in persona. Hermione li salutò tutti sorridendo e li presentò i rappresentanti del Ministero presenti, oltre Charles Abbott: Susan Bones, Capo del Dipartimento dell’Applicazione della Legge sulla Magia e Hawk, Presidente del Wizengamot, lo stesso che aveva presieduto il processo di James.
La Preside invitò tutti i presenti ad accomodarsi nel suo ufficio. Ella e i membri del Ministero si sedettero dietro la scrivania, mentre Tamisha Yaxley prese posto di fronte a loro insieme a Rod Belcher, uno dei ragazzi che Roxi aveva conosciuto a Diagon Alley, e Constant Bulstrode.
Per Jonathan, Albus, Dorcas e Frank erano state preparate delle sedie sul lato corto della scrivania, tanto per mettere in chiaro il loro ruolo di mediatori.
Infine Finnigan, Thomas e un altro paio di giornalisti si muovevano ai margini della sala circolare.
«Buongiorno a tutti!» esordì Hermione con gentilezza, ma con molta più fermezza di quando si era rivolta al nipote e ai suoi amici. «Innanzitutto vi ringrazio di essere venuti qui oggi con così poco preavviso e, naturalmente, ringrazio la professoressa McGranitt per l’ospitalità».
La Preside si limitò a un lieve cenno del capo.
«Negli ultimi tempi vi sono state delle incomprensioni tra il Ministero e la comunità di Magonò del paese» riprese Hermione. «L’incontro di oggi è finalizzato proprio alla risoluzione di tali incomprensioni».
«È quello che speriamo anche noi» dichiarò Tamisha Yaxley.
«I ragazzi hanno stilato una Dichiarazione dei Diritti dei Magonò e alcune proposte di legge per la loro tutela, specialmente per quella dei minorenni» continuò Hermione. «E, secondo quanto mi è stato riferito, voi Squibs l’avete già approvato».
«Sì, i ragazzi sono stati di grande aiuto» replicò laconicamente Tamisha, chinando lievemente il capo verso Jonathan.
I ragazzi evitarono l’inevitabile occhiata indagatrice della McGranitt e di Hermione. Quando l’incontro era stato organizzato, entrambe avevano posto domande ben chiare ai Dodici per comprendere quali rapporti vi fossero tra loro e gli Squibs e da quanto tempo. Albus, che era stato nominato portavoce, aveva tentato di glissare pur di non mentire alle due donne. E la Yaxley aveva mantenuto la parola, non raccontando neanche a Bulstrode, suo amico e alleato, della passeggiata non autorizzata a Hogsmeade di James, Rose e Jonathan.
«Direi di procedere» disse allora Hermione. «Jonathan, saresti così gentile da illustrarci le proposte e la Dichiarazione?».
«Sì, naturalmente» rispose con prontezza il Corvonero. Era alquanto intimidito dai presenti, in più Dean Thomas scattava foto ogni due secondi, ma aveva lavorato a lungo e non avrebbe mollato per un po’ di timidezza. Fece un attimo di pausa per raccogliere tutto il suo coraggio e iniziò a raccontare le ricerche compiute, quanto meno per dare una solida base alle sue parole, indicando anche dei testi sicuramente ben conosciuti e accreditati nel campo della magisprudenza. «Infine ho preso come esempio la Dichiarazione dei Diritti Umani dei Babbani e ho stilato questa». E qui porse alla Ministra una decina di pergamene. «I Babbani, come d’altronde anche la legge magica li riconosce, ritengono che vi siano dei diritti fondamentali di cui nessun essere umano può essere privato» riprese, mentre Hermione visionava il testo, «la vita, la libertà e la ricerca della felicità». Charles Abbott sbuffò a quest’ultima affermazione, era logico che la vecchia guardia la pensasse diversamente su molte questioni, ma il Corvonero non si lasciò scoraggiare. «E spesso fino al secolo scorso alcuni genitori purosangue si sono arrogati persino il diritto di togliere la vita ai figli, una volta scoperto che non possedessero un briciolo di magia. Fortunatamente oggi i casi sono molto più rari, in quanto i capi famiglia preferiscono diseredare i figli magonò. E», qui alzò leggermente il tono perché Abbott stava per interromperlo, «ci sono esempi molto recenti. Faith Rowle è stata diseredata e usata dalla sua famiglia. Alla fine probabilmente persino uccisa».
«Questi non sono argomenti che riguardano un ragazzino!» sbottò Charles Abbott.
Frank evitò lo sguardo dello zio: sapeva essere veramente insopportabile se si metteva.
«Signora Ministra, questo non è inerente!» insisté l’uomo.
«Era solo un esempio, signore» si difese Jonathan.
«La Dichiarazione sembra valida» dichiarò Hermione passando le pergamene a Susan Bones, perché potesse leggerle a sua volta. «Ti prego, Jonathan, continua».
Abbott non osò contraddirla, sebbene la sua espressione mostrasse chiaramente che avrebbe desiderato farlo.
«Come avrà visto, signora Ministra, ho diviso i diritti in civili, politici, economici, sociali e culturali» riprese quindi il ragazzo. «A ognuno di essi è stato dedicato un paragrafo in cui vi è un chiaro riferimento a quale sia l’attuale situazione e quale, invece, dovrebbe essere. Il Ministero non si preoccupa minimamente del destino dei magonò che molto spesso rimpinguano le organizzazioni a delinquere di Notturn Alley, meno che mai qualcuno si preoccupa dei bambini che spesso sono stati e sono abbandonati a sé stessi. Una delle prime leggi, a mio parere, che dev’essere varata riguarda perciò l’abbandono dei figli magonò».
A quel punto Charles Abbott sbottò, palesando il suo disaccordo. Alla discussione che ne seguì si unirono anche la Bones, Hawk, la Ministra e, naturalmente, gli Squibs. I ragazzi ebbero delle difficoltà a intervenire, visto che gli adulti parlavano uno sopra l’altro. Jonathan temette veramente che quei cretini del Ministero avrebbero mandato all’aria la riconciliazione con gli Squibs e i suoi mesi di lavoro.
Alla fine la McGranitt, decisamente spazientita da quel litigio poco diplomatico e strategicamente pericoloso, intervenne e intimò il silenzio. La maggior parte dei presenti nella stanza era o era stato suo allievo e tutti si azzittirono all’istante. Persino Dean Thomas smise di scattare foto e si ritirò rapidamente in un angolo.
«Vi sembra il modo di affrontare la questione» sibilò. «È questo l’esempio che date ai ragazzi?!». Charles Abbott divenne paonazzo, ma anche Hermione e Susan Bones arrossirono per il rimprovero. «Non c’è nulla da discutere. Il Ministero corre inutilmente da mesi dietro gli Squibs, questi ragazzi hanno appena presentato su un piatto d’argento la migliore delle soluzioni, non vi resta che siglare l’accordo».
«Ma, Preside, dovremmo scendere a patti con loro?» ribatté trasecolato Abbott.
«Non state scendendo a patti con nessuno» replicò bruscamente la donna, anticipando persino la Yaxley. «Il Ministero sta solo facendo quello che avrebbe dovuto fare molto tempo fa. Ho letto la Dichiarazione realizzata dai ragazzi, non vi è alcuna imposizione politica ma il riconoscimento di diritti umani che noi diamo così per scontati, che il Ministero si dovrebbe vergognare per aver ignorato la situazione dei Magonò fino a questo momento!».
Le parole della McGranitt risuonarono nella stanza come una frustata e, mentre Hermione ricontrollava nuovamente la Dichiarazione, il silenzio regnò sovrano. Infine la Ministra chiese di poter parlare in privato con i suoi collaboratori e uscì dall’ufficio.
In assenza dei quattro rappresentanti del Ministero, il silenzio divenne ancora più teso e carico di attesa.
Trascorse più di mezz’ora prima che Hermione rientrasse. Frank notò subito l’espressione contrariata di suo zio e comprese che ce l’avevano fatta.
«Siamo lieti di firmare la Dichiarazione» dichiarò Hermione e firmò per prima. Dopo che anche Tamisha ebbe firmato, le due donne si strinsero la mano.
Seamus Finnigan si avvicinò per intervistare tutti, ma, grazie all’aiuto della McGranitt, i quattro ragazzi riuscirono a sfuggirli e lasciare l’ufficio, bramosi di comunicare ai compagni il successo ottenuto.
 
*

«Signori e signore, benvenuti alla finale del Torneo di Quidditch di quest’anno. Oggi si deciderà il vincitore della Coppa».
Orion Montague, come sua consuetudine, urlava nel megafono magico il più forte possibile.
Rose entrò in capo e aspirò l’aria tiepida di primavera. Quello sarebbe stato il giorno del suo trionfo e voleva assaporarselo con calma. I suoi compagni di squadra l’avevano seguita, agguerriti quanto lei.
Pochi secondi dopo anche i Corvonero, capitanati da Eleanor Davies, fecero il loro ingresso sul manto erboso.
«I Capitani si stringano la mano» ordinò la professoressa Yaxley.
Rose si fece avanti e porse la mano alla Davies, che la strinse prontamente. Non una sola parola fu pronunciata dalle due ragazze.
«In sella alle scope» istruì la professoressa, che avrebbe arbitrato la partita. «Mi raccomando giocate lealmente» soggiunse, ma gli occhi di Rose erano solo sulla pluffa che ella teneva in mano. La Yaxley fischiò e tirò la pluffa in alto.
Rose scattò molto più velocemente dei Cacciatori blu argento e s’impadronì della pluffa. La lanciò a Danny Baston che si fiondò verso gli anelli protetti da Zacharias Lewis, un ragazzino del quarto anno. La Grifondoro aveva impostato la partita sulla velocità: avrebbero sbaragliato gli avversari.
Prima ancora che i Corvonero riuscissero a reagire, Baston passò a Elphias Doge. Rose nel frattempo li aveva raggiunti e ricevette la pluffa a sua volta. Ormai era da sola davanti a Lewis, ma anziché tirare verso quest’ultimo, la lanciò di nuovo a Baston che la tirò Doge, infine questi fece la finta di passarla a Rose e poi la tirò dritta nell’anello di destra.
«Dieci a zero! Grifondoro va in vantaggio!» gridò Orion.
La sua voce, però, fu coperta dal boato emesso dai tifosi rosso-oro. Matematicamente avevano bisogno solo di dieci punti per superare Tassorosso in classifica, perciò avevano vinto dopo neanche due minuti di gioco!
Rose mantenne fede alla promessa fatta a sé stessa: quella partita i Corvonero non l’avrebbero mai dimenticata.
 
I cacciatori rosso-oro, Rose su tutti, detta non a torto dai compagni Furia Rossa, erano velocissimi, spesso riuscivano a evitare con grazia persino i bolidi dei battitori di Corvonero.
«E Rose Weasley segna ancora!» strillò Orion.
Era trascorsa circa mezz’ora dall’inizio della partita e Grifondoro conduceva per 100 a 20.
«James Potter ha avvistato il boccino!».
Ed era vero. Rose fece a malapena in tempo a voltarsi nella direzione gridata dal cronista che James stava già risalendo con i pugni alzati. In uno dei quali stringeva il boccino.
Il fischio finale della Yaxley si perse totalmente nelle urla di giubilo dei Grifondoro.
La squadra s’incontrò a mezz’aria, poi compì un giro di campo e si fermò sopra i compagni che l’acclama.
 
«Un peccato, non credi?».
A Scorpius venne quasi un colpo a sentire quelle poche parole sussurrategli all’orecchio, ma soprattutto da quella voce. Distolse a malincuore gli occhi da Rose, che era stata avvolta in una bandiera scarlatta, e si voltò verso Fulton Collins.
«Credevo non mi volessi più parlare» commentò Scorpius sulla difensiva. Rose, per quanto in quel momento ce l’avesse con lei, era davvero bellissima con quel volto di guerriera vincitrice e avrebbe preferito continuare a guardarla!
«Stanotte, attaccheranno i Serpeverde. Purificheranno la Casa di Salazar».
Scorpius sgranò gli occhi. «Cosa? Cos’hai detto?».
Fulton Collins, però, si era già allontanato. Scorpius gli corse dietro, ma vista la folla e la confusione lo perse di vista.
I Grifondoro erano entrati tutti in campo per assistere alla consegna della Coppa, così Scorpius rimase sul limite in modo da poter vedere bene Rose ricevere il trofeo dalle mani della Preside.
Appena ciò avvenne, le urla nello stadio divennero altissime e, in cielo, furono fatti scoppiare i Fuochi d’Artificio Tiri Vispi Weasley. Il caos era totale e Scorpius decise di avviarsi al castello, prima di essere schiacciato dai tifosi rosso-oro che portavano in trionfo il loro Capitano. Al più presto, però, avrebbe dovuto parlare con James.
 
 
*
 
«Malfoy, hai anche la faccia di farti vedere?!». L’urlo di Rose attirò l’attenzione di gran parte dei Grifondoro che festeggiavano nel corridoio di fronte al quadro della Signora Grassa.
Scorpius sbuffò: essere bersagliato da Grifondoro sovraeccitati e più gonfiati del solito a causa della vittoria, era l’ultimo dei suoi desideri. Non fece in tempo a risponderle che qualcuno, probabilmente uno studente del settimo anno, lo colpì con un incantesimo che non conosceva: non solo i suoi vestiti, ma la sua pelle erano diventati metà rossi e metà dorati. Imprecò furioso per l’umiliazione, mentre i Grifondoro sghignazzavano.
Il Serpeverde chiuse gli occhi, tentando di calmarsi: strozzare Rose in quel momento non sarebbe stato saggio, dopotutto avevano questioni ben più importanti da affrontare. Ma dov’erano Caposcuola e Prefetti quando servivano? Poi, come colto da un’illuminazione, si ricordò di essere lui stesso un Prefetto!
«Trenta punti in meno per la fattura. È vietato usare la magia nei corridoi, a maggior ragione su un altro studente».
Le sue parole congelarono il sorriso sul volto dei Grifondoro. Rose gli rivolse uno sguardo assassino.
«Malfoy, non giocare con il fuoco» sibilò Fred Weasley, stringendo i pugni e facendosi avanti insieme ai suoi degni amici, Alex Steeval e Seby Thomas.
Scorpius non avrebbe certo fatto la figura del codardo fuggendo, ma, se si fossero scontrati alla babbana, aveva ben poche possibilità di avere la meglio su tre ragazzi del settimo anno.
«Che succede?». Un James perplesso li fissava senza capire. «Scorpius, come ti sei conciato? Se volevi partecipare alla festa, bastava chiederlo».
Il Serpeverde lo fulminò con gli occhi, per nulla incline a sopportare il suo senso dell’umorismo in quel momento. Come al solito era in compagnia di Benedetta e Robert, ed entrambi ridacchiavano. Non che Scorpius li desse torto: vedere il Capitano di Serpeverde conciato in quel modo, doveva essere un gran sugello per la vittoria rosso-oro.
«Lascia perdere» sbottò Scorpius, raggiungendolo. E, mentre i Grifondoro intonavano cori contro i Serpeverde, lo prese per il braccio e lo trascinò lontano.
«Ehi, ma che ti prende?» ribatté James, lasciandosi, però, trascinare. Come tutti i suoi compagni di squadra ancora indossava la divisa. Non si erano neanche cambiati per pranzo.
«Puzzi di sudore» sbuffò Scorpius arricciando il naso disgustato. «Non potevate farvi una doccia?».
«Eravamo impegnati a festeggiare» replicò James.
«Ma che vuoi Malfoy?» domandò Robert, quando finalmente trovarono un’aula vuota in cui parlare.
«Usa il Muffliato» quasi ordinò Scorpius, mollando James.
Robert eseguì e si sedette su un banco in attesa.
«James, smettila!» sbottò Benedetta in tono di rimprovero. Il ragazzo si stava odorando la divisa. «È logico che Scorpius ha ragione».
James obbedì. «Beh, prima della festa mi darò una sistemata».
«Abbiamo cose più importanti» replicò Scorpius. «Fulton Collins mi ha avvicinato alla fine della partita. A quanto pare gli aspiranti hanno deciso di procedere alla purificazione della nostra Casa stanotte».
«Purificazione?» ribatté perplesso James, corrugando la fronte.
Benedetta inorridì e Robert s’incupì.
«Già. Non mi ha dato il tempo di chiedergli altro, si è mescolato nella folla e l’ho perso di vista. L’ho cercato in Dormitorio, ma non l’ho trovato. E non c’era neanche a pranzo» rispose Scorpius.
«Staranno pianificando gli ultimi dettagli» borbottò James dando dei calcetti alla gamba di un banco.
«E noi non sappiamo neanche dove cercarli» sbuffò Robert. «Come dovremmo fare? Nasconderci nel Dormitorio di Serpeverde? Non sono sicuro sia una mossa saggia. I più piccoli verrebbero messi in mezzo, anche se i più grandi potrebbero aiutare».
«Se solo sapessimo dove si nascondono, potremmo colpirli prima e coglierli di sorpresa» sospirò Scorpius.
«Forse ho un’idea» intervenne Benedetta. I tre ragazzi alzarono gli occhi su di lei. «Jamie, mentre eri in Italia, ho analizzato spesso la planimetria alla ricerca di un possibile nascondiglio. E c’è una cosa che mi ha incuriosito».
«Perché non me l’hai detto?» chiese Robert.
«Non ero sicura che fosse importante. Ho pensato di aspettare che Jamie tornasse, ma poi questa settimana è stata pesante tra compiti e lezioni e mi sono completamente dimenticata».
«Va bene, dov’è la planimetria?» le chiese James velocemente.
«Nel tuo baule, naturalmente. L’ho sempre riposta lì» rispose Benedetta arrossendo. «Non ti dispiace, vero? Non volevo che Agnes o Demetra la vedessero».
«Avresti potuto prendere qualunque cosa dal mio baule» disse James, avvicinandosi e baciandola a fior di labbra.
«Che sei sdolcinato» borbottò Scorpius. «Io non permetterei mai alla mia ragazza di toccare le mie cose senza permesso».
James si strinse nelle spalle. «Mia madre mica chiede il permesso a mio padre… A dire la verità nulla si sposta senza il permesso di mia madre…».
«Sì, beh, neanche mio padre ha grande potere in casa e dire che comanda un importante ufficio del Ministero» replicò Scorpius. «Ma sono sposati… E, sinceramente, neanche il quel caso penso che lo farei…». Insomma ponendo caso che avesse mai fatto pace e sposato Rose, quella ragazza avrebbe potuto incendiare la loro casa un giorno sì e l’altro pure.
«Scusate, non credo sia il momento» intervenne Robert, alzando gli occhi al cielo.
«Ma perché nemmeno tu sei d’accordo con me?» domandò perplesso James, circondando la sua ragazza con un braccio e avviandosi fuori dall’aula.
«No» rispose sinceramente Robert. «Evidentemente siete fatti l’uno per l’altra».
James annuì convinto che fosse in quel modo e baciò nuovamente Benedetta.
Raggiunta la Sala Comune, fortunatamente, riuscirono a salire nel Dormitorio maschile senza troppa difficoltà: essendo ancora giorno, i festeggiamenti continuavano nel parco. La festa per la vittoria sarebbe stata solo dopo cena.
La planimetria fu immediatamente srotolata sul letto di James e i quattro si chinarono per osservarla.
«Ecco, vedete questo disegno? Cos’è?» disse Benedetta.
Era una specie di cerchio poco distante dalla Stamberga Strillante. James personalmente non l’aveva neanche calcolato, perciò si strinse nelle spalle.
«Credo sia un pozzo» disse, invece, Scorpius.
«Un pozzo?» ribatté Robert perplesso.
«Già, di solito nei manieri antichi ci sono. Anche nella villa dei miei nonni c’è».
«Ma un pozzo non serve per l’acqua?» domandò James perplesso.
«Sì» mormorò Benedetta in risposta, mentre Robert e Scorpius riflettevano.
«Ma nessuno ti vieta di nasconderci qualcosa» realizzò infine Robert.
«Allora, credo che dovremmo dare un’occhiata al più presto» sentenziò James.
«Un’occhiata a cosa?» chiese una voce alle loro spalle, facendoli sobbalzare.
«E, Serpe, contamini il nostro territorio» soggiunse una voce più dura.
Danny Baston e Tylor Jordan li raggiunsero prima che James e Robert riuscissero a nascondere la planimetria per bene.
«Dai, che nascondete?» insisté Danny.
«Malfoy, non immaginavo che ti piacesse tanto il tuo nuovo look» disse con intento provocatorio Tylor.
Scorpius imprecò ricordandosi di essere colorato di rosso e oro. «Potete farlo sparire?» sibilò a James, Robert e Benedetta, ignorando gli altri due.
Robert provò con il Finite Incantatem, ma non accade nulla. «Credo sia Trasfigurazione Umana, ma non conosco l’incantesimo. Chi te l’ha fatto?» chiese.
«Un Grifondoro troglodita del settimo anno, probabilmente. Ma non l’ho visto» sbottò Scorpius irritato.
«Piano con gli insulti, Malfoy. Ti ricordo che sei nella tana del leone» sibilò a sua volta Tylor Jordan.
«Gli aspiranti Neomangiamorte attaccheranno stanotte» dichiarò James, attirando l’attenzione di tutti prima che Scorpius e Tylor iniziassero ad azzuffarsi. «Abbiamo intenzione di precederli e sorprenderli nel luogo in cui pensiamo che si incontrino e nascondino».
«Perché glielo stai dicendo?» s’irritò Robert.
«Perché non permetterò a tutti i Dodici di seguirci, non sono pronti a combattere e gli aspiranti sono circa una ventina secondo i nostri calcoli» rispose con fermezza James, poi si voltò verso i suoi ex migliori amici che lo fissavano sconcertati. «Se volete combattere, siete i benvenuti. Non voltatemi le spalle un’altra volta però».
Danny fu il primo a reagire: «Ci siamo comportati male con te» sussurrò. «Io ero geloso. Mi dispiace, te lo giuro. Sarò al tuo fianco d’ora in poi».
«Anch’io sono pronto a combattere» disse Tylor.
«Bene, così siamo in cinque» calcolò James.
«Siamo sei» lo corresse Benedetta. «E poi non vedo perché non avvertire i professori».
«Lo farai tu. Io, Robert, Scorpius, Danny e Tylor recupereremo gli altri e andremo a controllare» replicò James.
«Tu sei pazzo» sibilò Benedetta.
«No, non lo sono» sbottò James alzando la voce. «Voglio diventare un Auror, Benedetta. Tu no. Tocca a me e sarà così anche in futuro».
La tensione nella stanza era palpabile: James non aveva mai parlato così duramente alla sua ragazza. Scorpius era certo che la Grifondoro avrebbe mandato a quel paese il ragazzo e li avrebbe piantati lì, ma i secondi trascorsero e i due continuarono a fissarsi dritti negli occhi. Infine quelli di Benedetta si riempirono di lacrime, ma anziché scappare via, cercò l’abbraccio di James e nascose il volto nel suo petto.
Il ragazzo la strinse a sé con fare protettivo. «Danny trova Rose, come membro della squadra ti verrà più facile avvicinarla. Falle capire che è urgente. Tylor, trova velocemente Jack Fletcher di Tassorosso, non litigate. Aspettate tutti o all’ingresso o nascosti dietro gli alberi vicino al Platano Picchiatore. Non attirate l’attenzione su di voi» ordinò nel frattempo. «Scorpius, chiama Emmanuel. È un bravo duellante, abbiamo bisogno di lui. Robert chiama Virginia Wilson».
«Siamo ancora troppo pochi» gli fece notare quest’ultimo.
«Dobbiamo coinvolgere solo chi sa duellare e, naturalmente, chi è affidabile» ribatté James continuando ad accarezzare la schiena di Benedetta. «Fate voi». Quando gli altri lasciarono la stanza, la baciò sulla testa e la liberò dall’abbraccio. «Andrà tutto bene» le sussurrò.
Benedetta annuì e lo baciò con slancio. «Farò come mi hai detto».
«Grazie. Prima dei professori, però, avverti il resto dei Dodici. Devono controllare dentro il castello e fuori. Se ci stessimo sbagliando, potrebbero prenderci loro di sorpresa».
«Va bene, James» disse solo Benedetta.
«Ci vediamo dopo» disse allora il ragazzo, dopo aver recuperato il mantello dell’invisibilità. Lo indossò per evitare che qualcuno lo fermasse nei corridoi, in tal modo raggiunse velocemente la Sala d’Ingresso. Qui trovò Jack impegnato a chiacchierare con Jonah Pucey, un Corvonero del loro anno. Toccò la spalla a Jack, ma il Tassorosso se l’aspettava e sussurrò: «Pucey ci darà una mano».
«Usciamo» rispose semplicemente James.
Robert era appoggiato a un albero e fece un gesto distratto di saluto a Jack. I tre lo raggiunsero e sparirono tra gli alberi alle sue spalle. James si tolse il mantello.
«Siamo pochi» disse subito Robert.
A loro si erano aggiunti Jonah Pucey, Rose, Virginia, Emmanuel e persino Adisa. Erano in undici.
«Giocheremo sull’effetto sorpresa» replicò semplicemente James. «Raggiungeremo il passaggio a piccoli gruppi, così da poterci coprire con il mantello dell’invisibilità. Se hanno lasciato una vedetta non ci vedrà». Tutti furono naturalmente d’accordo.
James accompagnò per primi Virginia, Rose ed Emmanuel; con gli altri, molto più alti, dovette fare più viaggi. Alla fine furono tutti dentro il tunnel terroso. I primi avevano già raggiunto la botola.
«Dentro la Stamberga non c’è nessuno» comunicò subito Virginia. «Ho usato l’Homenum Revelio».
«Malfoy, sei quello mimetizzato meglio» sibilò Rose. James la rimproverò a denti stretti e fece cenno a Scorpius di non reagire. Non era proprio il caso che litigassero in quel frangente!
«Bisogna controllare se hanno messo qualche incantesimo anti-intrusi» disse James.
«Lo faccio io, spostatevi» rispose Jack. «Via libera» assicurò dopo aver tentato un paio di incantesimi.
Uno alla volta entrarono all’interno della Stamberga Strillante con le bacchette ben strette in mano e guardandosi intorno. Diedero un’occhiata in giro, finché, nascosta da una tenda, Virginia trovò la porta. Jack verificò nuovamente che non le fosse stato lanciato qualche incantesimo di allarme e poi l’aprirono.
«Mi sembra tutto troppo facile» sussurrò il Tassorosso a James.
«Forse credono di essere totalmente al sicuro» ribatté quest’ultimo concentrato. Il prato intorno alla Stamberga era naturalmente incolto e le erbacce ne erano padrone. Avanzarono tentando di non fare troppo rumore e si mossero rasenti all’edificio. In pochi minuti trovarono la struttura indicata da Benedetta sulla planimetria e, come avevano ipotizzato, era un pozzo.
«Dovremmo controllarlo» bisbigliò Jack. «Vedere se ci sono tracce di magia».
James annuì. «Andiamo io e te».
«Vengo con voi e vi guardo le spalle» intervenne Robert. Gli altri due annuirono.
«Voi non vi muovete da qui e non abbassate la guardia» ordinò James al resto del gruppo.
In quel modo erano completamente scoperti, ma non avevano altra scelta.
Il pozzo aveva una forma circolare e sembrava sufficientemente ampio da far passare almeno una persona.
«Ci siamo, è impregnato di magia» sussurrò Jack. «Ma sembra antica».
«Non mi pare che ci siano particolari incantesimi di protezione» replicò James sempre a bassa voce.
«Sono così pieni di sé, da pensare che non li avremmo mai beccati?» sbuffò Jack.
«Mi sa di sì. Cosa sono questi simboli?» disse James senza però toccare la pietra scura del pozzo. Anche Robert si chinò per vederli meglio.
«È un pentagramma rovesciato» sussurrò Jack.
«Chiama Virginia» disse James. Non ne sarebbero venuti a capo da soli. A un cenno di Robert, la Corvonero si avvicinò. «Che ne pensi?» le chiese subito il Grifondoro.
«È un simbolo di magia nera» rispose prontamente Virginia. «L’ho visto su un libro. E il bordo del pozzo è tutto decorato così».
James decise di sbloccare la situazione e si appoggiò al pozzo con le mani, gli altri trattennero il respiro. Non accadde nulla e il ragazzo osservò il fondo, ma non lo vide. Dopo che si furono assicurati che non vi fosse alcun pericolo, fecero avvicinare anche gli altri e spiegarono loro quel poco che avevano scoperto.
«Dobbiamo vedere quant’è profondo il pozzo» intervenne Jonah Pucey.
James lo fissò perplesso. Non avevano mai parlato molto in sei anni di Scuola, perché il Corvonero era un tipo molto riservato e taciturno. L’esatto opposto di James, quindi.
«E come dovremmo fare?» chiese sprezzante Jack.
Il Corvonero si guardò intorno per un attimo, individuata una pietra la trasfigurò in una corda molto spessa. Infine recuperò altre pietre di diversa dimensione e tornò al pozzo. «Ne butto una piccola, per non attirare troppo l’attenzione, nel caso fossero veramente lì sotto. Contiamo quanti secondi ci mette a raggiungere il fondo». Detto ciò, lanciò una pietra di media grandezza. Tutti rimasero con il fiato sospeso finché non sentirono la pietra urtare contro qualcosa di duro.
«Anche il fondo è di pietra e il pozzo non dev’essere lungo più di due metri» sentenziò Jonah Pucey.
«Qualcuno deve scendere giù» disse Jack, leggermente turbato.
«Lo farò io, sono il capo dopo tutto» replicò James. «Come faccio?».
«Con la corda. È abbastanza spessa da tenerti» rispose Jonah Pucey.
«È pericoloso» proruppe tesa Virginia. «Robert ha detto che Benedetta sarebbe andata a chiamare i professori, aspettiamo».
«Non possiamo» la contraddisse Jack. «Potrebbero averci già scoperti, se aspettiamo troppo ci sfuggiranno».
«Allora bevi questa» disse Danny serio a James.
James si accigliò e fissò la piccola ampolla con un liquido dorato all’interno. «Che è?».
«Felix Felicis» rispose Tylor eccitato.
«Fred ce l’ha venduta a peso d’oro. Gli dobbiamo ancora troppi galeoni» spiegò Danny.
James la prese e ne bevve un sorso, che ipotizzò avrebbe potuto bastargli almeno per un’ora. «Bevetene anche voi» disse ai compagni e, solo dopo che lo fecero tutti, si lasciò legare da Robert e Jack.
«Con una scopa sarebbe più facile» borbottò Jack, stringendo l’ultimo nodo.
«Scendo, do un’occhiata in giro e mi raggiungete» disse James. «In caso appellatela una scopa, potrebbe essere utile in effetti». Sedette sul bordo del pozzo e lasciò le gambe a penzoloni.
«Vai piano» sussurrò Robert. «O ti farai male».
«La scopa sta arrivando, non sarebbe meglio attendere?» tentò Virginia.
«No. Non sappiamo com’è lì sotto» replicò Jack.
«Vai, Jamie. Ti teniamo» disse Robert.
James illuminò la bacchetta per vedere se vi fosse qualche appigliò, ma le pareti del pozzo era lisce e viscide a causa del muschio che vi era cresciuto negli anni. Si schifava persino a toccarlo. Dopo un tempo che parve infinito, anche perché temeva che la fune si spezzasse, i suoi piedi sfiorarono la pietra. Lì la situazione era decisamente diversa: alla sua sinistra si apriva un corridoio di pietra che, in un punto non visibile dall’alto, era illuminato da una serie di rozze torce.
Per prima cosa effettuò i soliti incantesimi di verifica e qui, beccò un Incanto Gnaulante. Per fortuna lui e Jack avevano studiato come spezzare simili incantesimi e se ne liberò facilmente, d’altronde era stato lanciato da ragazzi poco più grandi di lui e non era per nulla potente.
Si guardò intorno per capire come facessero a scendere gli aspiranti lì sotto, perché sì, era sempre più convinto che li avrebbero trovati alla fine di quel tunnel. E, si spera, colti in flagrante.
Notò una runa che non conosceva, ma decise di rischiare e la schiacciò.
«Merlino sia lodato» sospirò quando vide la parete del pozzo spostarsi e formare una specie di scaletta. Si liberò dalla corda e attese che i compagni lo raggiungessero. Jack fu il primo. «Fai rimanere Adisa di guardia» gli disse subito James.
Il messaggio fu passato di bocca in bocca e giunse al destinatario.  Era necessario che qualcuno rimanesse fuori per avvertire Auror e insegnanti che, sicuramente, sarebbero arrivati a momenti, in più non voleva che Adisa rischiasse: non era pronto per un vero duello magico.
Nel pozzo non ci stavano tutti, perciò James, seguito da Jack, iniziò a percorrere il corridoio. Si rivelò parecchio lungo e questo non piacque ai ragazzi.
«Ci stiamo allontanando dalla Stamberga» bisbigliò Robert preoccupato.
Infine il corridoio si aprì in un caverna di pietra abbastanza ampia da farli entrare tutti, ma James si fermò di scatto intimando il silenzio ai compagni. Di fronte a loro vi era una porta in legno massiccio a doppio battente, protetta niente meno che da due troll.
«Avremmo dovuto aspettarcelo» commentò glaciale Jack. «Forza, non si dilegueranno a furia di guardarli».
James era d’accordo, ma non aveva la minima idea di come sconfiggere dei troll di montagna. L’anno prima li aveva legati insieme ad Apolline Flamel, ma era stato solo un palliativo.
I troll ringhiarono e si lanciarono su di loro brandendo le loro pesanti mazze. I ragazzi, per quanto possibile, si sparpagliarono per la caverna tentando di evitarli.
Le loro urla rimbombavano e venivano amplificate dal piccolo ambiente.
«Exsperlliamus» gridò James, facendo volare via una delle due mazze prima che colpisse Virginia. L’afferrò al volo.
«Passamela» gli urlò Jack. James obbedì e il Tassorosso la scagliò sulla testa dell’altro troll, mandandolo al tappetto. Robert, Danny e Tylor che lo stavano fronteggiando, si spostarono appena in tempo per non essere travolti. «Fuori uno. Occupiamoci dell’altro» commentò soddisfatto Jack.
«Complimenti, che mira!» fischiò James.
A quel punto decisero di rifare la stessa cosa, ma fu un po’ più difficile mandare k.o. anche il secondo. Fortunatamente i troll erano sufficientemente stupidi da essere fregati facilmente.
«Direi che, chiunque ci sia lì dentro, ci ha già sentito» sbuffò Robert. La sua divisa era leggermente strappata sulla spalla destra, segno che uno dei troll l’aveva sfiorato con la sua mazza. James passò rapidamente in rassegna anche gli altri e, sebbene fossero scarmigliati e con le vesti strappate, sembravano non avere particolari ferite. Dopotutto si erano liberati velocemente dei troll. Williams avrebbe dovuto essere fiero di loro, se non gli avesse uccisi prima per essersi imbarcati in quell’impresa da soli.
«Io userei una Bombarda» propose James, volgendosi verso Jack.
«Credo sia la scelta migliore» concordò il Tassorosso.
«State indietro» ordinò James, facendo cenno ai compagni con un braccio di ritirarsi verso l’imboccatura del corridoio.
«Evocate degli Incantesimi Scudo» soggiunse Robert. «Jamie, ti sto vicino, così il mio scudo proteggerà entrambi».
James annuì impercettibilmente e pronunciò con sicurezza: «Bombarda!».
La porta saltò in aria in mille schegge, ma i ragazzi furono protetti dagli scudi e non si ferirono.
Quando la nube di polvere, creatasi, si diradò, davanti ai loro occhi apparve un gruppo di ragazzi vestiti di nero e con maschere d’argento. Li avevano sentiti e, come loro, si era protetti dalle schegge e dalla polvere.
Ora i due gruppi si fronteggiavano con le bacchette puntate. Gli aspiranti erano quasi il doppio dei ragazzi guidati da James. Ah, e utilizzavano la magia nera.
«Roockwood, vi abbiamo beccati. Arrendetevi» gridò James.
«No, Potter. Ci avrete anche beccati, ma se vi uccideremo nessun altro saprà del nostro nascondiglio».
A quel punto lo scontro ebbe iniziò e si scatenò il caos. James fu impegnato in duello da Roockwood. E fu molto più difficile di qualsiasi avversario affrontato durante le Olimpiadi Magiche.
Avery e Roockwood stesso non si ponevano alcun problema a servirsi delle Maledizioni Senza Perdono. La Felix Felicis, però, funzionava perfettamente. James vide Rose evitare con grazia, ma per un pelo, un lampo verde. E così anche Virginia, Emmanuel e tutti gli altri. Nessun incantesimo poteva sfiorarli. Questo, e solo, questo, frenava gli aspiranti, che, vistosi scoperti, si giocavano il tutto per tutto divenendo sempre più crudeli.
Gli aspiranti più piccoli era già stati schiantati o, su incitazione di James, avevano pensato bene a nascondersi. La pozione che avevano bevuto proteggeva loro ma una maledizione avrebbe potuto benissimo rimbalzare su chi l’aveva lanciata.
James e Jack si sorrisero: avrebbero vinto. Grazie alle Felix la differenza numerica non sarebbe stato uno svantaggio per loro.
E quando poco dopo sopraggiunsero professori e Auror, non vi fu più alcuna via d’uscita per gli aspiranti. Ad alcuni era caduta la maschera, altri furono smascherati dopo essere stati legati, disarmati e bloccati.
Era finita.
James sospirò stancamente.
«Sempre i soliti incoscienti!» urlò zio Neville.
«Li abbiamo beccati e fermati!» ringhiò in risposta Jack, senza aggiungerlo ma pensando chiaramente che, invece, gli insegnanti e gli Auror non c’erano riusciti.
«Dovreste comportarvi come dei normali sedicenni!» ribatté furioso Neville. A James dispiacque vederlo in quel modo: l’avevano terrorizzato, era questa la verità.
«Lascia perdere, Neville. Parli con il muro» intervenne Maxi Williams. «Riaccompagnali al castello. Il Capitano Potter sarà qui a momenti e vorrà sentire la loro versione, prima di interrogare gli aspiranti. Io darò una mano con la perquisizione di questo posto».
«Possiamo dare una mano anche noi!» dichiarò Jack.
«Non tirare la corda, Fletcher» sibilò Neville. «Andiamo. Ti ricordo che siete anche fuori dai confini della Scuola senza permesso».
James era veramente stanco, dove trovasse l’energia Rose di battibeccare con zio Neville insieme a Jack, proprio non lo comprendeva.
Naturalmente una volta giunti al castello dovettero sorbirsi un paio di ramanzine e rispondere a tutte le domande degli Auror, prima di essere lasciati liberi.
Nonostante tutto, però James era più che soddisfatto: la minaccia degli aspiranti era stata debellata e avevano guadagnato 50 punti ciascuno. Rose aveva avuto il coraggio di lamentarsi con la McGranitt perché erano troppo pochi, ma la Preside inflessibile le aveva fatto notare che, vista la quantità di regole che avevano infranto, dovevano accontentarsi e ringraziare che non prendesse provvedimenti.
E Grifondoro in questo modo aveva nuovamente la possibilità di vincere la Coppa delle Case!
 
*

«Rose, non starai esagerando?» chiese retoricamente Albus. Era evidente che avesse bevuto troppo e il ragazzo temeva che si sarebbe sentita male a momenti e tenerle la testa mentre vomitava non era il miglior modo per trascorrere il sabato sera. In più se zio Neville fosse venuto a controllare la festa o a mandarli a letto, vista l’ora era probabile, Rose sarebbe finita in guai seri.
«Fatti gli affari tuoi» borbottò la ragazza e Cassy Cooman ridacchiò.
Sua cugina era irragionevole da sobria, figuriamoci in quello stato. Albus stava meditando di chiamare James in aiuto, anche se il fratello non avrebbe gradito essere svegliato, quando Scorpius apparve al suo fianco. E neanche lui sembrava sobrio.
Il Grifondoro si passò una mano tra i capelli, chiedendosi per quale assurdo motivo fosse rimasto a far da balia a sua cugina, invece di andare a letto.  Ah, sì, teoricamente era un Prefetto. In quel momento la spilla gli pesava enormemente. Il Caposcuola Conrad Avens aveva tentato di sequestrare le bibite alcoliche, minacciando di fare rapporto, ma Fred e amici l’avevano sottoposto al Petrificus Totalus e chiuso nella loro stanza.
Isobel aveva deciso che non valeva la pena mettersi contro tutta la Casa e si era messa a festeggiare con Elphias Doge. Benedetta aveva tentato di seguire l’esempio di Conrad, ma era stata boicottata e ignorata. Nessuno aveva avuto il coraggio di affatturare la ragazza di James Potter. Infine si era seduta accanto ad Albus in cerca di una soluzione. Erano trascorse tre ore e più da allora e ancora non avevano preso alcuna decisione.
Uno scontro tra Rose e Scorpius non avrebbe fatto che peggiorato la situazione.
«Scorpius non è il momento» tentò Benedetta.
«Sta zitta, tu» sbottò Rose alzandosi dalla poltrona su cui si era seduta, servita e riverita da tutti i Grifondoro. «Avanti Malfoy, che vuoi? Chi ti ha invitato a questa festa?».
Scorpius barcollò in avanti puntandole contro un dito. Albus s’irrigidì pronto a intervenire: il Serpeverde non era minimamente lucido.
«Sei una donna scarlatta, Rose Weasley» gridò follemente. Molti si voltarono verso di loro. «Ti ho visto baciare Jonah Pucey e poi pomiciare con Alex Steeval!». A quel punto la musica si zittì totalmente.
«Hai pomiciato con mia cugina?» strillò Fred contro il suo migliore amico, che tentò una debole difesa.
«Ah, e naturalmente Belson» continuò Scorpius, indicando il diciassettenne che dormiva sul pavimento e sbavava.
«Io faccio quello che voglio, stupido Serpe… Serpeverde… Serpe viscida…» biascicò con difficoltà Rose facendosi ancora avanti, ma non riuscì a fare un solo passo a causa di un giramento di testa.
«Oh, lo so» commentò sprezzante Scorpius. «Sei solo una schifosa egoista! La regina di tutti gli egoisti! La personificazione dell’egoismo! Ma quando crescerai?».
«Perché tu sei un grand’uomo» sbottò Rose, caracollando verso di lui.
«Forse dovreste smetterla» tentò Albus.
«Non immischiarti!» gli urlarono in coro i due, prima di tornare a fissarsi.
«Che te ne frega se sono una donna scarlatta?» gridò Rose.
«Ora basta» sbottò Fred avvicinandosi.
«Io ti amo, da un sacco di tempo» le urlò in risposta Scorpius, facendo ammutolire l’intera Sala e Rose stessa rimase a bocca aperta, tanto scioccata che per un attimo sembrò tornare completamente lucida.  Il Serpeverde la tirò a sé e la baciò. Vari fischi partirono nella Sala, ma si zittirono quando Fred spinse a terra Scorpius.
«Tieni la lingua al suo posto, Malfoy!».
«Stupeficium!».
«Rose!» tentò Albus incredulo. Sua cugina aveva appena schiantato Fred.
«Ho detto che dovete farvi gli affari vostri» bofonchiò la ragazza, evidentemente meno ubriaca di quanto Albus avesse creduto in precedenza.
Rose tirò su Scorpius per la collottola e lo trascinò con sé. «Beh, rimettete la musica!» ordinò. Tutti si affrettarono a obbedirle e il caos tornò sovrano.
Albus e Benedetta si scambiarono uno sguardo impotente.
 

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Capitolo 35
*** Contro una pace ipocrita ***


Capitolo trentacinquesimo
 
Contro una pace ipocrita
 
«Non dovreste stare qui» disse il professor Mcmillan, tentando di allontanare gli studenti ammassati nella Sala d’Ingresso.
«Lascia perdere» sbuffò Neville Paciock, prima di voltarsi verso un gruppo più irrequieto di Grifondoro e intimargli di darsi una calmata.
James era abbastanza alto da vedere al di là di alcuni ragazzi del terzo e quarto anno. Non che vi fosse molto da vedere, insomma.
«Pronti per lo spettacolo?» sussurrò una voce nota vicino a lui.
James, Robert e Benedetta sobbalzarono: nessuno dei tre aveva sentito Scorpius avvicinarsi.
«Che faccia che hai» commentò James. «Per caso Fred ti ha minacciato?».
In effetti Scorpius era molto più pallido del solito e aveva delle brutte occhiaie, ma alle sue parole si accigliò. «Non ho paura di Fred Weasley» rispose. «Io e Rose non abbiamo dormito molto stanotte…».
James gli tappò la bocca inorridito. «Stai parlando di mia cugina! Non voglio sapere nulla!».
Il Serpeverde si divincolò e roteò gli occhi. «Non abbiamo fatto nulla. Abbiamo provato a parlare, ma non n’è uscita un gran conversazione visto che avevamo bevuto troppo. Poi ci siamo addormentati in un’aula vuota. Ho un dolore atroce alla schiena».
«Ringrazia che non vi abbiano beccato. Ho intravisto mia zia scendendo a fare colazione e sembrava furiosa» intervenne Robert.
«Non sembrava, lo è» lo corresse Scorpius. «Rose se n’è potuta andare a letto, io no. Prefetti e Caposcuola di Serpeverde sono stati convocati con la massima urgenza».
«Che voleva la Preside?» domandò curioso James.
«Che voleva? Prova a guardare le clessidre» sbuffò Scorpius, trattenendosi dall’appoggiarsi al Grifondoro e dormire.
I tre Grifondoro ebbero qualche difficoltà a focalizzare le quattro clessidre in mezzo alla folla. James sgranò gli occhi: «Porco Salazar, ma la vostra è vuota!?».
«Diciamo» sospirò il Serpeverde.
«In che senso?» gli chiese Robert.
«Nel senso che con tutti i punti che ci hanno tolto siamo sotto zero, ma non credo che sia possibile un punteggio negativo».
«Mai vista una cosa del genere» sospirò sconvolto James.
In quel momento l’attenzione di tutti fu attirata da Augustus Roockwood e Norris Avery, entrambi ammanettati e scortati da due Auror ciascuno. Per loro non vi era stata alcuna possibilità di appello, sebbene il padre di Roockwood fosse intervenuto nottetempo con i migliori magiavvocati a sua disposizione, la McGranitt era stata irremovibile e i due ragazzi erano stati espulsi. Comunque, gli Auror avevano già ottenuto un mandato d’arresto da Susan Bones e una probabile condanna ad Azkaban pendeva sul capo dei due Serpeverde.
«Allora è vero che hanno espulso solo loro!?» sbottò James voltandosi con rabbia verso Scorpius, come se dipendesse da lui.
«La Preside ha convocato noi Prefetti e la Caposcuola per farci la predica e per dirci che nei prossimi giorni sceglierà la ragazza che prenderà il posto di Elettra Granbell come Prefetto del sesto anno, mentre probabilmente non nominerà nessuno come sostituto di Roockwood. Per quello che ci ha detto dopo Delaney, la sorte di Elettra Granbell, Violett Rowle, Edward Van Rutter e Mark Parkinson non è stata ancora decisa. La maggior parte dei ragazzi del settimo, sesto e quinto anno è stata schedata dagli Auror, subirà un processo e sconterà una punizione per il resto dell’anno. I più piccoli, invece, e Chantal White di Corvonero, sconteranno solo la punizione decisa dalla Preside in quanto gli Auror stessi hanno classificato le loro azioni come mera emulazione dei compagni più grandi».
«Mmm, ma che c’è da discutere su Parkinson?» borbottò James.
«Non lo so» ammise Scorpius. «Comunque anche Mike Zender ed Edison Andersen rischiano l’espulsione».
«Se lo meritano dopo quello che hanno fatto a Brian, Louis e i loro amici» sentenziò James.
«Beh, se non vi dispiace andrei a dormire, prima che la Preside decida di convocarci di nuovo» disse il Serpeverde adocchiando le scale che conducevano ai sotterranei, finalmente libere.
James e gli altri lo salutarono.
«Andiamo in biblioteca a studiare?» propose Robert. «Non fare quella faccia, Jamie! Gli esami saranno tra un mese e tu devi prepararti anche per l’ultima fase delle Olimpiadi. Diglielo anche tu, Benedetta».
«Certo, Robert ha ragione» replicò immediatamente la ragazza.
«Oh, che siete noiosi» borbottò James.
«Andiamo, allora?» chiese Robert, ignorando le lamentele dell’amico.
«Cominciate ad andare, io vi raggiungo in biblioteca» rispose Benedetta.
«Dove vai? Posso accompagnarti?» ne approfittò subito James.
«Meglio di no, Jamie. Devo parlare con tuo fratello della festa di ieri».
«Stamattina, ho visto Conrad Avens. Era completamente stravolto» commentò James.
«Ieri sera abbiamo esagerato un po’» disse Robert, che a differenza di James non era andato a letto presto. «Se Paciock e mia zia non fossero stati presi dall’interrogatori degli aspiranti, saremmo noi a essere in guai seri ora e non i Serpeverde».
«Appunto per questo devo parlarne con Albus» sospirò Benedetta. «Di questo passo l’anarchia s’impadronirà della Torre di Grifondoro!».
«Mi sembra che tu stia esagerando» borbottò James. «Ma se tu e Al ci tenete tanto, divertitevi».
«Comunque non esagera» commentò Robert, dopo che ebbero salutato Benedetta. «Tuo cugino e i suoi amici se ne approfittano troppo».
«Di che? Io non li do mai retta» ribatté James perplesso.
«Di Albus, principalmente. Fred è davvero bravo a mettere pressione a tuo fratello».
James si accigliò, consapevole di non poter combattere le battaglie del fratello, ma infastidito dal comportamento di Fred.
«Avete visto il vostro Prefetto prima? Tutti i Serpeverde devono sparire!» sibilò una voce irata.
James la conosceva bene e si affrettò a svoltare l’angolo.
«Non avevi detto a tuo cugino di smetterla?» sbuffò Robert, osservando Gideon Weasley e Colin Canon che facevano i prepotenti con un gruppetto di Serpeverde a occhio e croce del primo anno.
James serrò la mascella e non gli rispose. Eccome se gliel’aveva detto e sperava di essere anche stato chiaro. A quanto pareva, no.
«Gideon!» chiamò con forza, proprio mentre il ragazzino spintonava e buttava a terra uno dei Serpeverde più mingherlini. Ma quand’era diventato in quel modo?
«Oh, James» disse quello, sobbalzando lievemente alla sua apparizione inaspettata.
«Avete visto, c’è il Prefetto di Grifondoro» intervenne Colin Canon. «Ora vi sistemerà lui!».
James li osservò meglio e si rese conto che solo due erano Serpeverde, c’era anche una Grifondoro, Cecilia Bulstrode, due Corvonero e un Tassorosso.
«James!» lo chiamò, invece, la ragazzina. «Noi stavamo andando in biblioteca a studiare e loro ci hanno infastidito».
Cecilia aveva gli occhi rossi. James le si avvicinò spezzando leggermente la tensione che si era creata tra le due fazioni.
«Tu sei una Grifondoro» disse perplesso. Suo cugino attaccava i Serpeverde di solito. «Che volevano da te?».
«Jamie, non la starai ad ascoltare?» sbottò Gideon.
«È un’amica delle Serpi» soggiunse Colin.
James li ignorò e attese una risposta dalla ragazzina. «Non li piaccio perché mi chiamo Bulstrode e Thomas Rosier è mio zio» sussurrò affranta. «Ma io non l’ho mai conosciuto, credimi» aggiunse scoppiando in lacrime.
«Ce l’hanno con me perché sono un Burke» disse atono uno dei due Corvonero. «Con Angel perché ha libri e divisa di seconda mano, nonostante suo fratello giochi nei Cannoni di Chudley» aggiunse indicando il compagno di Casa. «E con Felix perché è grassottello».
«E stupido, non lo dimenticare» sibilò Colin Canon.
«Non sono stupido» tentò il Tassorosso poco convinto.
James si voltò furioso verso Gideon: «Ma ti ha dato di volta il cervello?» sbottò. «Non ti vergogni?».
«M-ma tu sei il nostro Prefetto! Devi favorirci! Togli un po’ di punti a queste nullità e vinciamoci la Coppa!» intervenne Colin Canon.
«Farò rapporto. Consideratevi in punizione. E ringraziate voi stessi se Grifondoro non vincerà la Coppa quest’anno».
Gideon lo guardò male, ma non osò aprire bocca.
«Ma sei impazzito?!» sbottò invece Colin.
James non gli rispose nemmeno, ma invitò Cecilia e gli altri ad andare in biblioteca con lui e Robert.
 
*
 
«Albus, Benedetta, cosa posso fare per voi?» domandò stupito Neville, dopo averli invitati ad accomodarsi nel suo ufficio.
Albus vide che anche lo zio esibiva delle lunghe occhiaie e si dispiacque di creargli ulteriori problemi, ma rimandare non sarebbe stata una buona idea. Si scambiò un rapido sguardo con Benedetta, che era molto imbarazzata. Toccava a lui parlare, in fondo aveva molta più confidenza con Neville.
«Volevamo parlarti della festa di ieri sera» ammise. Non avrebbe avuto senso girarci intorno.
Neville si accigliò e li fissò. «Avete un po’ esagerato». E non sai ancora quanto, pensò Albus affranto. «Vi avevo chiesto di andare a letto a mezzanotte, ma voi avete continuato fino a molto più tardi. Però ieri sera avevamo ben altri problemi, perciò abbiamo deciso di lasciar correre».
«Sì, ma…» tentò Albus incerto. Non aveva idea di come porre la questione. Non volevano mettere nei guai gli altri Grifondoro.
«Qual è il problema, Al?».
La voce calma e gentile del suo padrino riscosse Albus, che sollevò gli occhi e incrociò quelli limpidi dell’altro. «Io e Benedetta non crediamo di essere sufficientemente autorevoli per essere Prefetti» sospirò.
Neville fece per parlare, ma qualcuno bussò alla porta. «Avanti» disse allora il professore.
Un pallido Conrad Avens entrò incerto nell’ufficio. «Buongiorno, signore. Mi dispiace disturbarla, ma avrei bisogno di parlarle della festa di ieri sera».
Neville sollevò le sopracciglia e lo osservò per un attimo, infine disse: «Chiudi la porta e siediti. A quanto pare, siete tutti desiderosi di parlarmi della festa. Posso sapere che cos’è accaduto?».
Fu il Caposcuola a cominciare a raccontare e Benedetta e Albus ne furono sollevati.
L’espressione di Neville s’incupì man mano che la storia si arricchiva di dettagli. Albus prese la parola subito dopo Conrad. E Neville non li interruppe e attese che concludessero. A quel punto i tre lo fissarono.
Neville era molto arrabbiato per quello che aveva appena scoperto, ma non aveva intenzione di infierire su loro tre. Se erano andati a parlargli, era perché si fidavano di lui. Non era sicuro che ai suoi tempi Prefetti e Caposcuola avrebbero avuto il coraggio di raccontare ogni cosa alla McGranitt. O forse nessun Grifondoro avrebbe avuto il coraggio di fare quello che avevano fatto la sera prima con Minerva McGranitt come Direttrice della loro Casa. Sicuramente i suoi colleghi avevano ragione a dire che era troppo buono con i suoi allievi.
«Apprezzo che siate venuti a parlarmene» sospirò infine. «Ho bisogno di riflettere, ma questa sera voglio che voi e gli altri Prefetti veniate nel mio ufficio, così potrò parlare con tutti». I tre ragazzi assentirono all’istante. «Per quanto riguarda invece, l’autorevolezza che, palesemente, vi è mancata ieri sera… beh, non deve accadere una seconda volta. È chiaro? Quello che è accaduto ieri sera, è molto grave. L’alcol non è ammesso a Scuola. Fa male e siete anche minorenni. Senza contare che, ne sono certo, non siete scesi veramente nei dettagli e non voglio neanche immaginare quello che è stato fatto. I ragazzi delle altre Case, poi, non sono ammessi nella nostra Sala Comune!».
Nessuno dei tre Grifondoro osò ribattere alle sue parole e Neville continuò addolcendo lievemente il tono: «Posso capire che non è bello passare per il guastafeste di turno, ma in alcuni casi è necessario. Sta tutto nel discernere ciò che è giusto da ciò che è sbagliato». E qui lanciò un’occhiata eloquente ad Albus che abbassò la testa. «E, Benedetta e Albus, se siete venuti qui con l’intento di rinunciare all’incarico di Prefetto, nascondendovi dietro la scusa dell’autorevolezza, la risposta è no. Sarebbe troppo semplice. Nessuno vi chiede di essere antipatici e dispotici con i vostri compagni, ma le regole, specialmente quelle riguardanti la sicurezza, devono essere rispettate. Dovete imparare e trovare il giusto equilibrio».
«Sì, signore» mormorarono Albus e Benedetta.
«Molto bene, ora andate. Mi raccomando, riferite ai vostri compagni dell’incontro di questa sera, ma non dite loro quello che mi avete raccontato» concluse Neville. «Albus, puoi aspettare solo un attimo, per favore?».
«Mi dispiace, zio» disse il ragazzo, appena rimasero da soli.
«Lo so» assentì Neville con un mezzo sorriso. «Al, sii sincero, hai bevuto?».
«No, te lo giuro!» rispose Albus all’istante. «Papà è stato molto chiaro in merito dopo la festa di Cassy».
«Molto bene» assentì Neville, che gli credeva. «Frank e Alice?».
«Ti prego, non chiedermi di tutti. Non posso risponderti, lo sai» lo supplicò il ragazzo.
L’uomo scosse la testa. «No, non lo so. Ti ho detto che bere, specialmente per chi è troppo piccolo, può essere pericoloso. Senza controllo, poi, ancora di più».
«Frank non era alla festa, quindi non credo. Ho detto a Lily di non bere, ma non so se lei e Alice hanno obbedito» sospirò Albus. «Ti prego, non posso metterli nei guai!».
«Al, qual è la tua preoccupazione precisamente? Voglio saperlo per aiutarli, dovresti saperlo!» sbottò Neville infastidito.
«Non voglio che pensino che non li voglio abbastanza bene» biascicò mestamente Albus.
«Perché mai dovrebbero pensarlo? È proprio il contrario!».
«Freddie, dice che la famiglia viene sempre prima e, se mi comporto come Molly, significa che non voglio bene alla mia famiglia» confessò Albus.
«E quando ti avrebbe detto questa perla di saggezza?» sbuffò Neville.
«Quando sono diventato Prefetto e me l’ha ripetuto un migliaio di volte».
«Allora mi sa che scriverò alla signora Weasley».
Albus alzò gli occhi e lo fissò. Zio Neville aveva un rapporto quasi fraterno con i suoi genitori e i suoi zii Ron e Hermione; molto amichevole era con lo zio George e la zia Angelina; aveva confidenza con zio Bill e zio Percy, sebbene si relazionassero in modo più formale. Una sola persona al mondo era, però, la signora Weasley per il Vicepreside di Hogwarts.
«Vuoi scrivere alla nonna?» gli chiese scioccato.
«Esattamente. Nessuno meglio di lei potrebbe chiarire a tuo cugino che cosa significa o non significa avere a cuore la propria famiglia».
«Non credo sia il caso» tentò Albus.
«Se permetti, lo decido io» ribatté con fermezza Neville.
Albus annuì. «Va bene, scusa, non intendevo…».
«È tutto ok, Al. Evita di ascoltare troppo i tuoi cugini, però».
«Sì, zio» assentì il ragazzo, conscio che avesse ragione.
 
*
 
«Magari è più bravo della Dawson» tentò Gretel Finnigan, ma all’occhiata angosciata di Frank tacque.
«Fidati, sarà peggio» sospirò, invece, Roxi. «Tutto il peggio che puoi immaginare».
«Roxi» sbuffò Frank.
«Che c’è? Voglio che siate preparati!».
Erano in fila insieme ai Tassorosso fuori dall’aula di Storia della Magia. Come era stato annunciato a lezione, Percy Weasley in persona avrebbe sostituito la professoressa Dawson.
«Buongiorno!» trillò il suddetto spalancando la porta dell’aula. «Prego, entrate» soggiunse, spostandosi di lato.
Roxi evitò d’incrociare il suo sguardo.
Più pomposo del solito, Percy sedette alla cattedra lasciando svolazzare il mantello elegante e bordato di rosso, neanche fosse il Direttore di Grifondoro. Chiamò l’appello, osservando per qualche secondo ogni studente.
«Signorina Weasley, perché i suoi compagni, Hans e Granbell, sono assenti?» domandò.
Frank guardò l’amica di sottecchi, con il brutto presentimento che se avesse aperto bocca ne sarebbero uscite solo parolacce. Fortunatamente, la porta dell’aula si aprì di scatto rivelando propri i due Grifondoro mancanti.
«Deduco che voi siate Hans e Granbell» intervenne Percy squadrandoli severamente.
«Sì, signore» rispose Halley Hans.
«Siete in ritardo» sentenziò Percy.
«Solo di un paio di minuti, signore» disse Alcyone Granbell.
«Osi discutere con me?».
I due ragazzi lo fissarono straniti.
«No, signore» si affrettò a rispondere Halley diplomatico.
«Vorrei ben vedere» ribatté Percy, non smorzando il suo tono severo. «Dieci punti in meno a Grifondoro e siete entrambi in punizione».
I due spalancarono la bocca per la sorpresa. E Frank non poté biasimarli: di solito i professori era più clementi al primo ritardo. Il loro non era il primo, ma Percy Weasley non lo sapeva.
«Beh, non prendete posto? Se non siete interessati alla lezione, potete benissimo recarvi dritto di filato dal vostro Direttore».
Ok, questo era troppo. Non solo i Grifondoro, ma anche i Tassorosso presenti assunsero un’espressione preoccupata.
Halley e Alcyone pensarono bene di prendere posto il più velocemente possibile.
«Bene, signor Granbell, visto che ama tanto parlare perché non mi dice a quale punto del programma siete arrivati?».
Frank gemette, desideroso di scappare il più lontano possibile da quell’incubo. Rivoleva la Dawson!
«Ehm…». Alcyone era palesemente in difficoltà. «Non ricordo bene?» disse infine, ma sembrò più una domanda.
«Molto male! Siete davvero messi male, se non sai neanche che cosa state studiando!» s’alterò Percy.
Frank lo fissò arrabbiato: Alcyone non apriva mai un libro! Non avrebbe saputo che cosa stavano studiando neanche se la loro insegnante fosse stata la Storia in persona! Alzò la mano, sperando che Percy, saputo ciò che voleva, avrebbe iniziato a sproloquiare e non avrebbe posto loro altre domande.
«Altri quindici punti in meno a Grifondoro. Signor Paciock, vuole illuminarmi lei?».
Ma perché quell’uso arcaico del lei? «Siamo arrivati all’entrata in clandestinità dei maghi, signore».
«Bene, grazie. Fortunatamente la vostra insegnante mi aveva già messo al corrente, perciò ho preparato una piccola verifica per saggiare la vostra preparazione sull’argomento. Mi aspetto che prendiate un voto decente, in caso contrario sconterete una punizione con me».
«È evidente che non ha di meglio da fare» sbottò Roxi.
«Signorina Weasley, ha qualcosa da dire?».
«Sì, posso aiutarla a distribuire le pergamene?».
Percy e gli altri ragazzi rimasero sorpresi dall’uscita della ragazzina. «Certamente, ti ringrazio» balbettò l’uomo, dimenticandosi persino di usare il lei.
Quando Percy si distrasse per controllare alcuni Tassorosso, Roxi bisbigliò a Frank: «Fammi copiare, perché se dovessi stare anche solo cinque minuti da sola con lui, finirei per strozzarlo».
Frank annuì freneticamente, minimamente intenzionato a dare all’amica modo di sfogare la sua rabbia.
Roxi gliene fu grata, anche perché non capiva come in un giorno come quello suo zio potesse comportarsi in quel modo: ventiquattro anni prima era morto lo zio Fred. Non era sicura di voler incontrare il padre quel pomeriggio alla Commemorazione, il due maggio era sempre il fantasma di sé stesso.
 
*

«Speriamo che questo tizio portato da tuo zio sia capace» borbottò Cassy, mentre si dirigevano verso l’aula di Divinazione.
«Proprio non riesci a sopportare Fiorenzo?» sbuffò Rose. «E poi in quella classe al primo piano stavamo benissimo! Perché farci tornare nella Torre Nord? Penso che la prossima lezione la salterò».
«Non mi sembra un ottimo proposito, signorina Weasley. Specialmente a poco più di un mese dai G.U.F.O.».
Le due Grifondoro si voltarono di scatto verso un uomo giovane, non poteva avere più di trentacinque anni.
«Lei chi è?» sbottò Rose, immaginandosi la risposta.
«Laberius Guess, vostro nuovo insegnante di Divinazione. Cinque punti in meno a Grifondoro».
Gli occhi di Rose lampeggiarono. «Che? Lei non può fare il processo alle intenzioni!».
«Sono un tuo insegnante, in quanto tale devi rivolgerti a me chiamandomi ‘signore’ o ‘professore’» ribatté Guess tagliente.
Rose strinse i denti per qualche secondo: avrebbe voluto urlargli contro tutti gli improperi che le venivano alla mente, ma si dovette trattenere. Per il bene di Grifondoro.
«Scusi, signore» sibilò a malincuore.
Il professore annuì altezzosamente e le precedette verso la scala che portava alla particolare aula di Divinazione.
Le due ragazze lo seguirono, Rose malvolentieri, Cassy carica di aspettative.
Furono le ultime a prendere posto, ma a nessuna delle due interessava veramente. Erano in ventuno a studiare Divinazione del loro anno, ma Cassy era certa che nemmeno la metà della classe avrebbe superato l’esame a giugno.
«Buongiorno a tutti. Sono Laberius Guess e fino alla fine dell’anno sostituirò il professor Fiorenzo» esordì l’insegnante, attirando l’attenzione della classe.
Attenzione, Rose ne era sicura, che sarebbe scemata non appena i compagni avrebbero esaudito la loro curiosità nei confronti dell’uomo.
«L’insegnamento di questa materia è stato sorprendentemente frammentato e superficiale, naturalmente la responsabilità non è vostra. Io tenterò di prepararvi per i G.U.F.O., nonostante il tempo esiguo a nostra disposizione» riprese il professore. «Come saprete vi sono due tipi di Divinazione…» si fermò e li fissò, ma a parte la mano di Virginia Wilson che scattò in aria, gli altri gli rivolsero degli sguardi vaghi.
«Induttiva e Intuitiva» disse prontamente la Corvonero, appena ebbe il permesso di parlare.
«Molto bene, signorina…?».
«Wilson, signore» rispose Virginia.
«Com’è che il mio nome già lo conosceva?» sussurrò Rose a Cassy.
«Tu che dici? Secondo me qualcuno l’ha messo in guardia» replicò l’amica.
«Signorina Wilson, sarebbe così gentile da spiegare ai suoi compagni la differenza tra divinazione induttiva e intuitiva?» chiese Guess.
«Sì, signore. Quella induttiva si basa sull’interpretazione di segni o eventi oggettivi e presuppone la conoscenza dell’arte divinatoria; mentre quella intuitiva è legata al cosiddetto Occhio Interiore».
«Molto bene, dieci meritatissimi punti a Corvonero» sentenziò il professor Guess. «Vedete in questa classe, e probabilmente in tutta la Scuola, vi è una sola Veggente ed è la vostra compagna Cassandra Cooman. Ciò non vuol dire che ognuno di noi non abbia la possibilità di destreggiarsi nella scoperta del proprio futuro. Quella che a Hogwarts viene, o dovrebbe essere insegnata, è la Divinazione Induttiva. Purtroppo questa disciplina è stata deplorevolmente trascurata nel corso degli anni perché né il Preside Silente né la professoressa McGranitt hanno realmente creduto in questa branca della magia e la professoressa McGranitt continua a essere particolarmente scettica». Fece una pausa, consapevole che non fosse una buona idea criticare la Preside. «Nel programma ministeriale del quinto anno è previsto lo studio della cartomanzia, quindi della taromanzia, dell’oniromanzia e della cleromanzia. Voi che cosa avete fatto fino a questo momento?».
«Come se non lo sapesse» bisbigliò Rose infastidita a Cassy, che, però, non condivideva la sua visione sul nuovo insegnante.
«Prego, signorina Wilson» disse Guess dando il permesso di parlare a Virginia.
«Abbiamo studiato la piromanzia, la capnomanzia e l’ippomanzia».
«Quelle cose che ci ha fatto fare Fiorenzo hanno un nome?» Rose domandò stupita a Cassy.
«Se lo dice la secchiona» replicò indifferente l’altra.
«Nessuna delle quali appartiene al programma approvato dal Ministero. Queste pratiche non rientrano neanche nello studio per i M.A.G.O., perché è pericoloso accendere un fuoco in un aula e portarci una vasta quantità d’acqua» commentò contrariato il professore. «In vista dei G.U.F.O. dovremmo ripetere tutto il programma degli anni precedenti e studiare quello di quest’anno. Dovrete impegnarvi molto se vorrete superare l’esame».
«E chi vuole farlo?» sbuffò annoiata Rose.
«A me piace Guess» dichiarò Cassy.
Rose roteò gli occhi e non replicò.
 
 
*
La Cerimonia di Commemorazione della Vittoria su Lord Voldermort era sempre stata una giornata dolceamara. Avevano vinto, ma tutti avevano perso troppe persone care per essere pienamente felici.
Albus si avviò mestamente lungo la Radura degli Eroi, seguendo a distanza i suoi familiari. Ogni anno membri importanti della comunità magica britannica e i parenti delle cinquanta vittime della Battaglia di Hogwarts si recavano a rendere omaggio agli Eroi che avevano sacrificato la loro vita.
«Al, si può sapere che hai?» gli chiese senza mezzi termini Harry, affiancandolo e lasciando andare avanti la suocera e la moglie per mettere dei fiori sulla tomba di Fred.
«Non mi pare il momento e il posto più adatto per essere felice» replicò il ragazzo infastidito.
Harry si accigliò e annuì. «Eppure, il tuo cattivo umore non dipende solo da questo, vero?».
Albus dovette trattenersi per non alzare la voce in quel frangente, sarebbe stato totalmente indelicato.
«Qual è il problema, Al?» insisté Harry.
Il Grifondoro aprì la bocca per rispondere, desideroso di parlare con lui della festa e di come avevano reagito Fred e gli altri compagni scoprendo che lui, Benedetta e il loro Caposcuola avevano raccontato tutto al loro Direttore, ma non ne ebbe il tempo.
«Harry!». Rick Lewis, affannato, si sforzò di tenere il tono basso, ma era molto agitato. «I Neomangiamorte stanno attaccando contemporaneamente Scotland Yard e la zona di Buckingham Palace».
«Cosa?» sbottò Harry sorpreso.
«Simboli di potere dei Babbani. Sono state già mandate delle squadre».
«Ottimo, andiamo anche noi» replicò in fretta Harry, prima di voltarsi verso il figlio. «Mi dispiace, Al, parleremo in un altro momento. Devo andare».
Albus non rispose tanto il padre era già corso ad avvertire la mamma, senza degnarlo più di uno sguardo. Percepì la rabbia sostituire l’ansia e la preoccupazione di quei giorni. Scalciò il terriccio, beccandosi delle occhiatacce da alcune streghe lì vicino e si allontanò a passi svelti.
Percorse il viale alberato che portava alla radura; ma appena poté uscì dal sentiero, s’inoltrò nelle foresta. Non gliene fregava se era pericoloso. Era stanco, stanco di tutti quelli che lo prendevano in giro. Quelle rune e le loro stupidissime virtù erano una fregatura. Ecco perché la maggior parte non seguiva le regole: era più semplice. Ed erano tutti più felici di lui! Le gemelle Danielson e le loro, altrettanto idiote, amichette lo prendevano ancora in giro per la storia del rospo. Erano trascorsi quattro mesi! Non avevano niente di meglio da fare? Fred e gli altri cugini lo odiavano perché aveva infranto il loro Codice per la seconda volta e in questo caso non era necessario: nessuno si era fatto nulla e la festa era passata senza incidenti. Perché allora l’aveva fatto? Si era comportato proprio come zio Percy ed era rimasto solo.
«Fermati, accidenti!» sbottò una voce alle sue spalle. «Non sai dove stai andando, potrebbe essere pericoloso!».
«Alice?!» replicò Albus sorpreso. «Perché mi hai seguito?».
«Perché non puoi andartene a zonzo nella foresta da solo!» ribatté la ragazzina.
«Sì, che posso. Con tutto quello che fate tu e Lily, vieni a fare la morale a me?» sbottò Albus.
«Non ti faccio la morale» replicò Alice tranquillamente. «Io e le Malandrine non siamo mai entrate nella foresta, comunque».
«Perché mi ha seguito?» ripeté il ragazzo.
«Ti ho già risposto. Tu, piuttosto, che intenzioni hai?».
«Farmi divorare da un’acromantula» sibilò Albus. «Posso andare ora?».
Alice roteò gli occhi e sbuffò. «Vengo con te allora».
«Non mi puoi semplicemente lasciare in pace? Se ti vedessero gli altri Grifondoro ostracizzerebbero anche te» sbottò Albus.
«Ostra-che?» borbottò Alice. «Non usare parole difficili con me».
«Fred ha ordinato a tutti i Grifondoro di non rivolgere la parola a me, Benedetta e Conrad Avens. E, naturalmente, ha messo loro disposizione tutti gli scherzi Tiri Vispi Weasley purché gli usino contro di noi. Anche tu e Lily vi siete adeguate, mi sembra».
«Lily è solo arrabbiata con te» disse Alice stringendosi nelle spalle.
«E allora perché mi stai parlando?».
«Lily non vuole che tu venga mangiato da un’acromantula».
«Oh, mi dispiace, posso chiedere a un centauro di riempirmi di frecce» sibilò allora Albus.
«Hai un pessimo senso dell’umorismo» sbuffò Alice. «Frecce, ragni enormi… è la stessa cosa… Lily non è così tanto arrabbiata con te». Ella lo prese per un braccio e lo costrinse a sedersi vicino a un albero. «Al, che succede?».
«È così sbagliato fare la cosa giusta? Insomma quella sera abbiamo superato veramente il limite! Qualcuno ha bevuto veramente troppo, tanto da sentirsi male. E Fred e i suoi amici hanno chiuso Avens nella loro stanza! Non ti sembra troppo?» disse in tono supplichevole il ragazzo.
Alice sospirò. «Sì, probabilmente sì» ammise.
«E allora perché tutti ce l’hanno con me?!» sbuffò Albus affranto.
«Non c’è un motivo intelligente, Al! Fred ha ordinato così e i Grifondoro obbediscono» ribatté incurante Alice. «Ma tu non puoi avere l’approvazione di tutti, perché anche se dovesse mai accadere, tu non saresti più felice di te stesso».
Albus la fissò sorpreso. «La tua saggezza mi stupisce».
Alice sorrise maliziosa: «Mi piace creare confusione, ma non vuol dire che non sia saggia».
«Tu e Lily siete difficili da capire».
«Meglio così. Non vorremmo mai essere banali» sentenziò Alice. «Andiamo? Prima che notino la nostra assenza?».
«Va bene».
Ritornarono sul sentiero, ma qui furono bloccati.
«Albus! Dov’eravate?».
Ginny Weasley e Hannah Abbott li fissavano poco contente.
«Sono sicura che è colpa di Alice» sbottò Hannah infastidita, lanciando un’occhiataccia alla figlia che non si scompose neanche.
«Veramente è colpa mia» intervenne Albus, prima che Hannah iniziasse a rimproverare la figlia.
Ginny lo fulminò con lo sguardo, ma stranamente non disse nulla. Hannah apparve sorpresa.
«Oh, siete tutti qui? Bene, andiamo a prendere qualcosa al castello? Ho la gola asciutta» disse Neville sopraggiungendo.
Le due donne si scambiarono un’occhiata, poi assentirono alla proposta.
«Voi, però, andate pure avanti. Vorrei scambiare due parole con Albus» disse Ginny.
Neville, Hannah e Alice si allontanarono lasciando loro un po’ di privacy.
«Te la sei presa perché tuo padre è dovuto scappare via?».
Albus non le rispose. Sì, se l’era presa, ma sapeva bene che non dipendeva da suo padre.
«Che facevi nella foresta? Ti ha dato di volta il cervello? Non ti avevamo detto di starci ben lontano?!». Ginny aveva mantenuto il tono della voce basso, ma la sua irritazione era palpabile.
No, che non l’aveva dimenticato. Nessuno avrebbe mai potuto dimenticare una strillettera di Harry Potter. Probabilmente sarebbe rimasta nella storia di Hogwarts.
«Non l’ho dimenticato, ma non stavo pensando» ammise.
«Magnifico, la stessa risposta che mi avrebbero dato Lily o James. Non stavo pensando. Ora, sì che sono tranquilla!».
Albus si fermò e Ginny fece altrettanto, ma lasciarono passare un gruppo elegante di maghi rimanendo in silenzio. «Mi dispiace» sbottò il ragazzo.  «Puniscimi se vuoi, tanto chi se n’è importa?!».
Ginny lo fissò accigliata e sospirò. «George mi ha detto di riferirti che non rifornirà più Fred fino alla fine dell’anno».
«Eh?».
«Odia la sua furia vendicativa, per tuo zio gli scherzi devono principalmente divertire» spiegò Ginny con noncuranza.
«Meglio così» borbottò Albus, che non dormiva bene perché temeva un attacco diretto dal cugino.
«Cerca di stare calmo, ok? E se entri un’altra volta nella foresta, ti stacco la testa, va bene?» sbuffò Ginny.
«Va bene» assentì Albus.
«Non mi fare stare in pensiero, per favore».
Il ragazzo, basito dall’arrendevolezza della madre, comprese quanto la minaccia di Bellatrix Selwyn stesse mettendo a dura prova anche lei. L’abbracciò di slancio e sussurrò: «Scusami». Ed era sincero. Non si riferiva solo alla Foresta Proibita, ma anche al fatto che non si fosse reso conto di quanto anche lei stesse soffrendo.

*
 
Scorpius non credeva di essere mai stato così felice in vita sua. Rose era seduta sulle sue gambe e si baciavano con trasporto. Per quanto tempo l’aveva desiderato? Alle volte si chiedeva se stesse sognando. Non stavano insieme che da pochi giorni, perciò aveva sempre il terrore di rovinare tutto. Rose non era una ragazza semplice da gestire e il ragazzo non voleva far nulla che la potesse allontanare da lui.
«Scusate, siete pur sempre in biblioteca. Potreste sedervi composti e studiare? In caso contrario, mi dispiace, ma preferirei che usciste».
Scorpius e Rose si staccarono di scatto e sollevarono gli occhi sul signor Bennett, il bibliotecario.
«Ma, scusi, tutto quel discorso sull’importanza dell’amore che ci viene propinato in continuazione?» replicò Rose con la sua miglior faccia da schiaffi.
«Amore, non significa effusioni in pubblico» rispose il signor Bennett leggermente spazientito. «Sul serio, mettetevi composti o sarò costretto a rivolgermi a un insegnante».
Rose sbuffò e scivolò giù dalle gambe di Scorpius, che si sentì vuoto per un istante.
«Ma io non voglio studiare» si lagnò Rose.
«Allora esca, signorina» sospirò il bibliotecario prima di tornare alla sua postazione vicino all’ingresso.
Rose si rivolse speranzosa verso Scorpius, facendolo entrare in panico. Ecco, era quel genere di situazioni che non sapeva gestire! Il Serpeverde aveva paura di contrariarla.
«In teoria dovrei fare il tema per Delaney» bofonchiò sinceramente. Albus e Alastor non sembravano intenzionati ad aiutarlo. Il primo non aveva proferito neanche una parola per invitarli a un comportamento più decoroso in biblioteca. Erano giorni che faceva così. Scorpius lo conosceva a sufficienza per capire che aveva alzato le sue solite difese: i libri. Ogni qualvolta aveva un problema, si sfogava studiando.
Rose lo fissò imbronciata. «Copialo da Al» propose.
Anche in questo caso Albus continuò a ignorarli bellamente e a scrivere il suo tema di Trasfigurazione. Il Serpeverde sapeva di doversi preoccupare per l’amico, ma almeno Albus avrebbe superato i G.U.F.O. di quel passo. Qualunque fossero le sue paturnie avrebbero avuto un’estate intera per aiutarlo.
«Non credo sia il caso. Ho bisogno di superare l’esame di Incantesimi per entrare all’Accademia di Magizoologia» rispose pazientemente Scorpius.
«Scusate».
Questa volta persino Albus e Alastor abbandonarono le loro pergamene e fissarono stupiti il ragazzo che si era avvicinato a Scorpius.
«Posso parlarti un attimo, Malfoy? Possibilmente in privato». Fulton Collins era molto pallido. Sembrava che non mangiasse e dormisse bene da giorni e a lezione aveva evitato ogni contatto con i compagni di classe.
«Ti dispiace, Rose?» domandò Scorpius rivolgendosi alla Grifondoro.
«E va bene, andrò a fare un giro con la scopa. Ci vediamo a cena, Scorpius» sospirò Rose.
Scorpius seguì Fulton Collins fuori dalla biblioteca fino a un corridoio deserto.
«Come hai visto, ho scelto» disse Fulton Collins a bruciapelo.
«Ne sono contento» replicò immediatamente Scorpius. «Hai fatto la cosa giusta».
«La McGranitt mi ha detto la stessa cosa» disse l’altro. «Gli Auror mi hanno promesso di proteggere la mia famiglia».
«La tua famiglia?».
«Sì, Malfoy. I Neomangiamorte avevano minacciato mio padre. O meglio è stato Richard Parkinson a minacciarlo. Mio padre lavorava per lui all’Ufficio Misteri e gli ha chiesto dei soldi in prestito, ma Parkinson li voleva restituiti con gli interessi e… insomma, hai capito…».
Scorpius annuì lentamente. «Mi dispiace averti accusato di essere un codardo, volevo smuoverti in qualche modo».
«E ci sei riuscito. I miei sono spaventati, ma Harry Potter ha predisposto personalmente il piano di protezione».
«Andrà tutto bene» esclamò Scorpius con fermezza. «Abbiamo pulito la Scuola, faremo lo stesso con la Gran Bretagna».
«Speriamo. A Londra ci sono stati parecchi morti. Hai letto il giornale?».
«Oh, sì» replicò amaro Scorpius. «E i Babbani pensano che siano dei terroristi, perciò hanno mobilitato il loro esercito. Spero che tutto ciò finisca presto».
«La Confederazione Internazionale ha minacciato di mandare un commissione che affianchi la Ministra, se ella non è in grado di gestire la situazione» continuò Fulton Collins.
«È perfettamente in grado, così come il nostro corpo Auror» ribatté Scorpius sprezzante. «Semplicemente non è facile affrontare la Selwyn».
«Scoppierà un’altra guerra?» domandò Fulton Collins angosciato.
«Dove credi porteranno gli attacchi dei Neomangiamorte e le pressioni della Confederazione Internazionale?» sospirò Scorpius. «Né Hermione Weasley né Harry Potter vogliono una nuova guerra, ma è lì che la Selwyn ci sta trascinando e i nostri vertici dovranno presto smettere di tergiversare».
«Beh, ora sono sicuro da quale parte mi schiererò, Scorpius».
«Ne sono felice, Fulton».
I due Serpeverde si strinsero la mano.
 
*
 
«Papà!» esclamò Dorcas sorpresa di trovarlo fuori dall’aula di Trasfigurazione.
Gabriel Fenwick, viso stanco e divisa scarlatta sgualcita, s’illuminò scorgendola tra gli altri Tassorosso e i Corvonero.
«Ciao, Dorcas» mormorò abbracciandola e baciandola sulla testa. «Come va?».
«Bene» sussurrò la ragazza. «Tu? Non hai una bella cera».
Gabriel sospirò e annuì. «Immagino che tu sappia dei continui attacchi dei Neomangiamorte. L’intero corpo Auror sta facendo gli straordinari, sono state coinvolte persino le reclute più piccole».
«Come mai qui? Devi parlare con la professoressa McGranitt?» chiese Dorcas, preferendo non discutere delle ultime efferatezze dei Neomangiamorte. Sembrava che Bellatrix Selwyn, dopo l’arresto di Roockwood e Avery, avesse deciso di agire seriamente e a volto scoperto. Ormai la Tassorosso evitava di leggere il giornale, per evitare di trovare nomi conosciuti nell’elenco degli scomparsi.
«No, sono venuto per te e Benji».
La ragazza fu colpita dalle sue parole. «Non ti devi preoccupare per noi» disse immediatamente. «Mi sto impegnando tanto per i G.U.F.O. e Benji è tranquillo».
Intanto parlando si erano spostati verso un corridoio meno affollato. Gabriel sorrise leggermente, ma la figlia si accorse che i suoi occhi erano spenti e cupi.
«Abbiamo fatto qualcosa che non avremmo dovuto?» domandò perplessa. «Mmm Benji si è messo nei guai a Erbologia, ma è una cosa da nulla. Non credevo che il professore Paciock ti avrebbe scritto».
Gabriel scosse la testa. «No, non avete fatto nulla» sospirò. «Volevo solo vedervi».
«Papà, che succede?» insisté Dorcas turbata.
«Rick Lewis è rimasto gravemente ferito l’altro ieri. È al San Mungo, adesso. Le sue condizioni sono critiche, ma stabili».
«Sì, ho sentito qualcosa. Suo figlio fa parte della squadra di Quidditch di Corvonero. Le notizie si diffondono in fretta a Hogwarts, lo sai. Mi dispiace, so che è un tuo amico».
«Ieri due Auror hanno perso la vita durante uno scontro. Sai anche questo?» disse mesto Gabriel.
Dorcas negò. «Sto evitando di leggere il giornale. Ho paura di quello che potrebbe esserci scritto» confessò.
Gabriel l’abbracciò nuovamente, ma con più forza. «Potrei essere il prossimo». Solo quattro parole, bisbigliate difficoltosamente all’orecchio della ragazza. Solo quattro parole che ebbero il potere di sconvolgerla.
Dorcas si divincolò con forza e si allontanò da lui. «Non puoi dirmi certe cose!» quasi urlò, trattenendo a stento un singhiozzo. «Non puoi!».
«Tesoro, sono un Auror. Pomeriggio sarò di nuovo di turno e…».
«Smettila!» sbottò la ragazza scoppiando in lacrime.
Qualche ragazzo passando gettava loro delle occhiate curiose, ma nessuno ebbe il coraggio di avvicinarsi o commentare, probabilmente messi in soggezione dalla divisa scarlatta dell’uomo.
«Dorcas» la chiamò dolcemente Gabriel. La Tassorosso eliminò la distanza creatasi tra loro e nascose il volto nel suo petto.
«Ho paura» singhiozzò.
«Anch’io» ammise Gabriel. «Avevo bisogno di vedere te e tuo fratello. Vorrei essere sicuro che, se mai dovesse accadermi qualcosa, di avervi detto quanto vi voglio bene. Mi dispiace per le incomprensioni che abbiamo avuto per Jesse Steeval, sono stato stupido a non ascoltarti».
«Abbiamo già chiarito» sussurrò Dorcas.
Rimasero abbracciati per un po’. A Dorcas sembrò che fosse passato pochissimo tempo, quando il padre disse: «Devo andare a cercare Benji, Dor. Ho bisogno di parlare anche con lui e tu sei in ritardo per la prossima lezione, mi dispiace».
«Non m’importa delle lezioni» sbottò la ragazza. «Non posso venire con te a cercare Benji?».
«No» rispose Gabriel con fermezza. «Sono venuto solo per salutarvi. Ho chiesto alla Preside solo pochi minuti. Non voglio approfittarmene. Io spero che riusciremo a superare insieme anche questo momento, Dorcas. Non è detto che debba accadermi qualcosa, ma quando i Mangiamorte uccisero tuo nonno… vedi, io e lui avevamo litigato… io lo so che era stata solo una discussione, di nessun valore… ma se avessi potuto prevedere che ci avrebbero attaccato e… insomma, se lo avessi saputo prima…».
«Ho capito» lo fermò Dorcas, non era necessario che aggiunse altro. Quelle ultime parole del padre la fecero sentire lievemente meglio: non era detto che avrebbe dovuto accadere qualcosa di brutto. Ella aveva ormai compreso che l’uccisione del nonno fosse una ferita ancora aperta per suo padre. «Ti voglio bene».
Gabriel sorrise sinceramente per la prima volta da quando era arrivato: «Non immagini neanche quanto te ne voglia io».
Dorcas tentò di calmarsi e, con voce ancora incerta, aggiunse: «Quest’estate dovremmo fare una vacanza tutti insieme, è tanto che non lo facciamo. Il signor Potter l’ha promesso ad Al e Jamie, a patto che la Selwyn venga arrestata e che loro vengano promossi, naturalmente».
«Se l’ha promesso Harry, non vedo perché non posso farlo anch’io» sorrise l’Auror.
Circa dieci minuti dopo la Tassorosso si ritrovò di fronte alla porta dell’aula di Babbanologia. Non aveva la minima voglia di seguire la lezione, ma aveva promesso al padre di comportarsi bene e, poi, non voleva dargli pensieri saltando le lezioni. Doveva dimostrargli di essere forte e poter affrontare quella situazione.
«Scusi, professore» mormorò rivolta a Finch-Fletchley. Gli spiegò il motivo del suo enorme ritardo, ben mezz’ora, e il professore assentì e non tolse neanche punti a Tassorosso.
Dorcas sedette accanto a Edward Zabini, fortunatamente proprio dietro ad Albus e Alastor. I due Grifondoro si voltarono verso di lei, chiedendole se andasse tutto bene. Evidentemente non li erano sfuggiti i suoi occhi rossi.
«Al».
«Mmm» rispose il ragazzo, girandosi un po’ di più.
La Tassorosso non parlò subito, perché non sapeva come dirlo. Alla fine gli strinse il braccio e Albus si voltò totalmente verso di lei, dimentico della lezione.
«I nostri padri ne usciranno, vero?».
Gli occhi verde smeraldo del Grifondoro divennero lucidi e il ragazzo le prese la mano con delicatezza.
«È quello che spero». Non era da Albus mentire e anche lui era terrorizzato. «Qualunque cosa accadrà noi saremo amici, questo posso assicurartelo però».
Anche Alastor si voltò verso di lei e le rivolse un sorriso mesto, che valeva mille parole. Suo padre, fortunatamente, era fuori dai giochi, ma sapevano bene che se avesse potuto Kingsley Schacklebolt avrebbe combattuto in prima linea.
Edward Zabini le sfiorò il braccio, attirando la sua attenzione, e le sorrise anche lui.
 
 
 
 
*
 
«Secondo te che inventeranno quelli stupidi Babbani per spiegarsi tutto ciò?» chiese una donna sul bordo di un vecchio palazzo.
L’uomo al suo fianco non distolse gli occhi dall’incendio che divampava sotto i suoi occhi, mentre alcuni babbani in divisa tentavano di spegnerlo. Non che avrebbero potuto riuscirci: l’Ardemonio era un fuoco maledetto. Da lì a pochi minuti, però, gli Auror avrebbero circondato l’isolato e provveduto a stabilizzare la situazione.
«Non avremo esagerato?».
«Thomas» disse la donna meravigliata, «meritano questo e altro per quello che ci hanno fatto. Colpiremo tutti i luoghi più importanti della Gran Bretagna e prostreremo la comunità magica ai nostri piedi».
«Bella, lo sai, sarò sempre al tuo fianco» replicò semplicemente l’uomo.
Thomas Rosier, mentre guardava i medimaghi e gli infermieri tentare di portare in salvo tutti i pazienti, si convinse che vi fosse qualcosa di profondamente sbagliato in quella terribile vendetta che la sua amata stava compiendo. Le urla di quei disgraziati non le avrebbe dimenticate. Fu con sollievo che accolse la smaterializzazione degli Auror. Loro avrebbero saputo spegnere il fuoco maledetto.
«Andiamocene» disse Bellatrix Selwyn. «Dobbiamo prepararci per colpire Diagon Alley e questa volta non sarà un avvertimento».
Thomas le prese il braccio, riempiendosi le narici del suo profumo. Aveva preso la sua decisione molto tempo prima e non avrebbe cambiato idea.
Sparirono nel nulla proprio mentre gli Auror li avvistavano, senza dar loro il tempo di porre un incantesimo anti-smaterializzazione sulla zona.

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Capitolo 36
*** Gli esami non finiscono mai ***


Capitolo trentaseiesimo
 
Gli esami non finiscono mai
 
L’estate era alle porte e le giornate si stavano man mano allungando, mentre l’aria diveniva sempre più tiepida ed era molto piacevole trascorrere qualche ora nel parco del castello.
Purtroppo l’umore degli studenti non n’era per nulla influenzato tra gli attentanti sempre più frequenti e terribili dei Neomangiamorte e l’inizio degli esami.
Quel primo lunedì di giugno la Sala Grande era percorsa da un nervoso brusio dei ragazzi che tentavano un ultimo disperato ripasso o sfogavano l’ansia con i compagni, a cui faceva da pendant il silenzio teso di quegli studenti che invece avevano deciso di dedicarsi esclusivamente alla propria colazione.
Quel giorno sarebbero cominciati gli esami per tutti gli studenti dal primo al quarto anno e per quelli del sesto; mentre dalla settimana successiva si sarebbero svolti i G.U.F.O. e i M.A.G.O. Questi ultimi era senz’altro più importanti degli esami che si svolgevano annualmente a Hogwarts, non per nulla i ragazzi più grandi erano quelli più agitati, nonostante avessero ancora del tempo per studiare e approfondire i vari programmi.
«Non capisco come tu faccia a essere così tranquilla» sbottò Drew Jordan fissando quasi irritato Annika Robertson.
Brian ridacchiò nervosamente, mentre la ragazzina si accigliava e con la bocca piena di bacon fissava l’amico interrogativa.
«Drew, dovresti esserlo anche tu» intervenne Louis. «Siamo molto preparati. Non lo pensi anche tu, Brian?».
Il ragazzino si strinse nelle spalle. In realtà era molto nervoso anche lui: era stato un anno turbolento. «Speriamo» mormorò allontanando da sè la tazza di latte. All’improvviso un senso di nausea s’era impadronito di lui.
Annika, che intanto aveva ingoiato, sbuffò. «Louis, ha ragione. Smettetela!».
«Ieri abbiamo ripetuto per bene sia Trasfigurazione che Erbologia. Se volete stare più tranquilli, dopo pranzo daremo un’altra occhiata a Erbologia» disse Louis.
«Io passo. Erbologia non mi fa impazzire, mi basterà fare un esame decente» commentò Annika.
«Direi che potremmo cominciare ad avviarci. Che ne dite?» chiese Louis.
«Meglio, prima che vomiti» borbottò Drew.
«Oh Merlino» sbottò Annika, «ma quando dovremo fare i G.U.F.O. che farai?».
Drew non le rispose, ma le lanciò un’occhiata di sbieco.
Brian li seguì silenziosamente, senza inserirsi nella conversazione tra Louis e Annika che avevano iniziato a discutere sulla possibilità che Corvonero riuscisse a superare Tassorosso e vincere la Coppa delle Case.
A differenza delle lezioni, durante le quali erano abbinati a un’altra Casa, gli esami si svolgevano tutti insieme. Fuori dall’aula già attendeva Harry Canon, appartenente alla Casa di Serpeverde.
«Ciao» disse timidamente il ragazzino.
I quattro ricambiarono il saluto.
«Secondo voi che cosa ci chiederà Schacklebolt?» continuò il Serpeverde.
«Quello che gli gira» sospirò Annika, che non condivideva minimamente l’ansia dei compagni. Si lasciò scivolare sul pavimento e appoggiò la schiena al muro, chiudendo gli occhi.
A Brian venne da ridere a vedere l’espressione basita di Harry Canon e persino Drew, che stava diventando sempre più pallido, si lasciò scappare un sorrisetto.
L’esame cominciava alle nove, così intorno alle nove meno cinque quasi tutti gli studenti del secondo anno si erano riuniti nel corridoio. Il professor Schacklebolt arrivò poco dopo e rivolse a tutti un sorriso sincero.
«Buongiorno, ragazzi» disse loro con la sua voce profonda e tranquillizzante. «State tranquilli, non vi farò attendere oltre» soggiunse, aprendo la porta dell’aula. «Allora» riprese dopo aver recuperato il registro, «vi chiamerò uno alla volta in ordine alfabetico. Una volta concluso l’esame potrete andare, anche se immagino ormai conosciate la procedura». Qualcuno annuì, altri rimasero in un silenzio agitato. «Preferirei che in aula entrasse solo l’esaminando, gli altri potranno guardare da fuori. Naturalmente non dovete fare confusione, va bene?». Ancora una volta vi furono dei cenni di assenso e qualche ‘sì, signore’. «Molto bene, la prima è Emmy Abbott».
La Serpeverde era più pallida di Drew ed entrò nell’aula con l’aria di una che andava al patibolo.
Brian e gli amici tornarono da Annika, che non si era mossa minimamente.
«Aspettiamo di finire tutti prima di andarcene, ok?» chiese Drew.
«Come sempre» risposero in coro Annika, Louis e Brian.
Dopo Emmy Abbott, fu chiamato Edison Andersen. Alla fine la Preside aveva deciso di concedere un’ultima possibilità a lui e al suo amico Mike Zender.
«Spero che venga bocciato» borbottò Annika, quando sentì il nome del ragazzino.
Brian la sentì, ma preferì non commentare e concentrarsi su quello che Christine Bell di Tassorosso gli stava chiedendo.
Il ragazzino fu colto quasi di sorpresa quando il professore lo chiamò: «Brian Carter».
Louis e gli altri gli augurarono buona fortuna, mentre si faceva strada tra i compagni assiepati nel corridoio.
«Accomodati, Brian» gli disse Schacklebolt, seduto dietro la cattedra.
Brian tentò di ricambiare il suo sorriso, ma l’ansia era salita al massimo e gli uscì più una smorfia.
«Stai tranquillo, non è il caso che ti agiti» esclamò gentilmente il professore.
La fa facile lui, pensò il ragazzino e si limitò ad annuire leggermente.
«Bene, che ne dici di trasformare questo ragnetto in una tazzina?» gli chiese l’insegnante tirando fuori il suddetto ragno da una scatola, posta sulla cattedra.
Brian prese un bel respiro e annuì. Puntò la bacchetta sul ragno, che già iniziava a darsi alla fuga lungo la superficie liscia.
«Feraverto» mormorò. Con suo enorme sollievo al posto dell’animaletto apparve una tazzina da caffè, perfettamente decorata.
«Molto elegante» commentò sorpreso Schacklebolt.
Brian aveva pensato a delle vecchie tazzine di porcellana che la signora Scott usava quando offriva il caffè a suo padre e a cui teneva particolarmente.
«Prova con qualcosa di più grande» riprese l’insegnante, indicando un merlo indiano particolarmente grosso. «Trasformamelo in una brocca di vetro per l’acqua».
Questa sì che era una richiesta più complessa: non era qualcosa che avevano provato durante le lezioni. Il ragazzino si mordicchiò il labbro inferiore.
«Concentrati, ce la puoi fare» mormorò Schacklebolt.
«Feraverto» disse con sicurezza Brian, il merlo spaventato dalla bacchetta gracchiò per un secondo, poi al suo posto apparve una brocca d’acqua.
«Ottimo, molto bene, Brian. Sei molto portato per la Trasfigurazione. Puoi andare».
«Grazie, signore» sussurrò grato, prima di uscire dall’aula e raggiungere gli amici.
Com’era prevedibile anche Drew, Annika e Louis andarono benissimo e i quattro Corvonero si avviarono a pranzo, affamati e senz’altro più tranquilli rispetto a poche ore prima.
Brian adorava Erbologia, perciò era meno preoccupato rispetto alle altre materie, sebbene ci tenesse a fare una buona figura con il professor Paciock.
Fortunatamente non s’impappinò nell’elencare le caratteristiche e le virtù delle piante che l’insegnante gli chiese e riuscì perfino, con una certa fatica, a trapiantare una mandragora quasi adulta.
Gli esami che sicuramente lo preoccupavano di più erano Pozioni e Difesa contro le Arti Oscure, specialmente quest’ultima. Perciò quella sera, rientrati in Sala Comune, costrinse Louis e Drew a ripetere ancora gli ingredienti delle pozioni per il giorno successivo.
Probabilmente quella notte, al pensiero della prova che il professor Mcmillan aveva in serbo per loro, non avrebbe dormito.
 
 
 
*

L’esame di Trasfigurazione di quella mattina era andato abbastanza bene o almeno Schacklebolt era apparso sufficientemente soddisfatto. James si passò una mano tra i capelli, annoiato. Il giorno dopo avrebbe avuto l’esame di Difesa contro le Arti Oscure, sicuramente il più impegnativo o comunque l’unico in cui ci tenesse a eccellere. Aspirò a pieni polmoni l’aria e si beò del tiepido sole che gli scaldava il viso. Le belle giornata erano veramente arrivate e Robert e Benedetta l’avevano tenuto chiuso dentro il castello a studiare per giorni!
Fortunatamente quel pomeriggio i suoi amici erano impegnanti con l’esame di Antiche Rune, perciò aveva un po’ di tempo per rilassarsi in pace prima che lo trovassero e lo costringessero a ripetere Incantesimi per il giorno dopo.
«Potter».
Riconobbe senza sforzo quella voce e si voltò incredulo. Come osava Mark Parkinson rivolgergli la parola? James serrò la mascella e gli diede nuovamente le spalle.
Il Serpeverde era seduto ai piedi di un albero vicino alla riva del Lago Nero, circondato da libri e pergamene. Se non lo avesse conosciuto avrebbe potuto pensare che fosse un diligente e innocuo Corvonero, ma Parkinson era un Serpeverde e, certamente, tutto tranne che innocuo.
«Potter, aspetta non te ne andare» lo richiamò il Serpeverde. James prese a camminare in direzione opposta, ben deciso a ignorarlo: se aveva intenzione di fare a botte, non avrebbe ceduto. Non questa volta. I suoi genitori avevano ben altri problemi senza doversi occupare anche di lui. «Per favore» soggiunse Parkinson, spingendolo a fermarsi. Da quand’è che il borioso Serpeverde, il suo nemico giurato da quando aveva messo piede a Hogwarts, gli chiedeva ‘per favore’? Si girò accigliato. L’altro ragazzo era in piedi e aveva mosso qualche passo verso di lui. Non aveva estratto la bacchetta e non sembrava avere intenzioni ostili. James decise di avvicinarsi.
«Che vuoi?» gli chiese volutamente scortese, pensando che dopotutto anche la ripetizione di Incantesimi avrebbe potuto essere più divertente di quella ‘conversazione’.
«Speravi che fossi espulso, vero?» replicò a bruciapelo il Serpeverde.
James s’irrigidì. Voleva vantarsi di averla passata liscia anche quella volta? «È quello che ti meriti. Non sei degno di stare in questa Scuola dopo il male che tu e Roockwood avete fatto, perché ammettilo le menti eravate voi due, non certo quel troglodita di Avery».
Parkinson si appoggiò con le spalle al tronco dell’albero e l’osservò per un attimo prima di rispondere: «Sono colpevole». Il Grifondoro lo fissò basito, si era aspettato qualunque insulto ma non quella confessione. «Lo so io, lo sai tu, per quello che può valere, lo sa la professoressa McGranitt e lo sanno gli Auror».
«E che ci fai ancora qui?» non riuscì a trattenersi James.
«La Preside ha garantito per me» rispose Parkinson.
«Per quale assurdo motivo?» sbottò James irritandosi. Sapeva della smodata tendenza di Albus Silente di fidarsi delle persone, a cui nessun altro avrebbe dato la minima fiducia, ma Minerva McGranitt era fatta di un’altra pasta. O almeno così aveva sempre creduto.
Il Serpeverde s’incupì e abbassò lo sguardo: «Sai, alle volte è la vita che ti costringe a prendere determinate decisioni».
«Che cazzata» ringhiò il Grifondoro, per nulla intenzionato a farsi abbindolare con le solite stupide scuse del ‘non avevo scelta’. «Ognuno di noi può decidere quale sia la strada migliore per sé. E tu hai scelto quella più oscura».
Parkinson alzò la testa e lo passò da parte a parte con i suoi occhi spenti, sì spenti, James non avrebbe trovato un aggettivo migliore. Non erano gli occhi che per anni lo avevano fissato con provocatorio sarcasmo. «A mio padre non interessava sapere quali fossero le mie passioni o i miei sogni per il futuro e quando Bellatrix Selwyn ha cercato alleati all’interno della Scuola ha preteso che mi mettessi in mostra, specialmente dopo il fallimento di Alphonse Main e la delusione di Jesse Steeval. Quest’estate si aspetta o almeno si aspettava che entrassi a tutti gli effetti nelle file dei Neomangiamorte».
«E non lo farai?» ribatté sprezzante James.
«La McGranitt ha garantito per me, ma non sulla semplice base della mia parola. Lei e il Ministero avranno pieno potere su di me, nonostante io sia maggiorenne. Il Ministero mi ha imposto un incantesimo molto simile alla Traccia Magica».
«Oh, quanto mi dispiace. Non potrai più realizzare il tuo sogno di diventare uno schifoso Neomangiamorte come tuo padre» disse con cattiveria il Grifondoro.
Parkinson scrollò lo spalle. «Pensa quello che vuoi, Potter. Non è di me che ti volevo parlare».
«No?» replicò scettico James.
«No. Volevo ringraziarti».
«Eh? Sei impazzito Parkinson?».
«No. Grazie a te e ai tuoi amici il Ministero ha promulgato quella Dichiarazione dei Diritti dei Magonò».
«A te che te ne frega?». Il Grifondoro era sempre più meravigliato per i risvolti che stava avendo quella conversazione.
«Ho un fratello magonò. Mio padre l’ha disconosciuto quando si è reso conto che non aveva poteri magici. L’ha cacciato di casa ch’era piccolissimo».
«È una baggianata» sbottò James interrompendolo. «Per essere certi che un bambino sia un magonò bisogna attendere gli undici anni».
«L’ideologia purosangue ritiene che i bambini dimostrino i loro poteri entro i sette anni. In mio fratello non c’è stato alcun segno di magia per quasi otto anni» spiegò Parkinson.
«Che idiozia! E ora avete scoperto che è un mago?».
«No, è veramente un magonò. Adesso, però, ha la possibilità di avere un futuro diverso».
James lo fissò leggermente scettico. Non voleva provare pietà per il suo peggior nemico.
«Ringrazia anche i tuoi amici» concluse Parkinson, tornando a sedersi e riprendere, come se nulla fosse, il manuale di Incantesimi.
«Sarai processato?» domandò allora James.
Il Serpeverde non lo guardò nemmeno. «Potter, sono accusato di attività oscura, non di aver rubato caramelle a un bambino. Affronterò il Wizengamot».
Il Grifondoro annuì e non aggiunse altro. Con un sospiro si diresse verso il castello per vedere se Robert e Benedetta avessero finito. Non aveva più voglia di rimanere nel parco. Persino il sole sembrava essersi oscurato, proprio come il suo umore.

*
 
Jack si versò pigramente del succo di zucca nel calice e sbadigliò. Quell’anno la Scuola non sembrava voler finire. La settimana degli esami si stava protraendo lenta e noiosa.
Andy e Mary, seduti accanto a lui, ripetevano febbrilmente. Aveva chiarito che non si sarebbe lasciato coinvolgere in ripetizioni dell’ultimo minuto, meno che mai durante i pasti. E i suoi amici avevano obbedito.
I gufi entrarono a fiotti in Sala Grande, portando con sé la posta del mattino. Il Tassorosso non aspettava posta, perché Sylvester gli aveva scritto solo la domenica precedente per augurargli buona fortuna per gli esami. E suo padre da Azkaban scriveva molto raramente. Per questo si stupì quando uno strano uccello planò sul tavolo di fronte a lui, rovesciando un vassoio di salcicce e la brocca del latte. Aveva le piume di un viola chiaro, quasi lilla, e un becco lungo e arrotondato alla fine.
«Che roba è?» chiese Andy abbandonando il manuale di Difesa. Che poi cosa ci fosse da ripetere in una materia così pratica, Jack non l’avrebbe mai compreso.
«Boh» replicò Jack, prendendo la lettera legata alla zampa del volatile, che becchettò il bacon in un vassoio e lo assaggiò. Evidentemente non lo trovò di suo gradimento e, dopo uno stridio infastidito, spiccò il volo.
Jack l’osservò impressionato e poi si dedicò alla lettera.
 
Caro Jack,
spero che tu stia bene. Mi hai chiesto di tenerti informato sulla sorte di Kymia e per questo ti scrivo. Il Preside Johnson ha convinto i genitori di Kymia a farle completare almeno quest’anno scolastico. Non è molto, ma non è riuscito a far di più. Kymia è molto infelice. Anche se i suoi genitori non vogliono, Johnson la farà andare in Australia.
A presto,
Tanwir Hagan
 
Jack rilesse quelle poco righe almeno una decina di volte, prima di ritrovare la voce e la capacità di movimento. Mostrò la lettera ai suoi amici.
«Però, scrive quasi meglio di me questo ragazzo» commentò Mary.
Jack la ignorò, non gli interessava dove Tanwir avesse imparato l’inglese. Abbandonò la colazione e tentò di riflettere sulla novità.
«Jack, tutto bene?» gli chiese Andy, stanco del suo silenzio quando si avviarono verso l’esterno dove avrebbero sostenuto l’esame di Difesa contro le Arti Oscure.
«Kymia non può sposare un vecchio» rispose il ragazzo.
«Vedrai che il suo Preside troverà una soluzione» replicò l’amico. «E quello che diavolo è? Williams è matto?».
Jack seguì il suo sguardo e si rese conto che vi era un enorme parete d’erba, che non ricordava vi fosse il giorno prima.
«Williams ha preparato un percorso per noi» lo informò James Potter, quando lo raggiunsero. Andy gemette. Jack non era interessato, perché vedendo Potter aveva trovato la soluzione che cercava.
«Potter, mi devi aiutare!» esclamò.
James roteò gli occhi. «Ma proprio non riesci a chiamarmi per nome? E poi credevo che ritenessi di essere più bravo di me in Difesa».
Jack lo prese per un braccio e lo allontanò dagli altri compagni del sesto anno.
«Quando torneremo dall’Australia porteremo Kymia con noi».
«Non ho capito» replicò sinceramente James.
«Non permetterò che Kymia ritorni in Africa! Verrà in Scozia con noi!».
«Tutto ciò con il permesso della McGranitt e del suo Preside?» tentò James scettico.
«Non ce lo darebbero mai, James. Sei stupido?».
No, non era stupido. Non è che non l’avesse già capito da solo. «La rapiamo?».
«Oh Merlino, Potter, che problemi hai!? Lei vorrà venire con noi! La salveremo dal un destino atroce!».
«Sposarsi non credo sia così atroce» borbottò James.
«Con un vecchio!» insisté Jack.
«Non è che sei geloso? Se il suo promesso fosse giovane e bello, non la rapiresti?».
«Potter!» gridò Jack, infastidito da simili insinuazioni.
«Voi due, avete intenzione di sostenere l’esame o volete ripetere il sesto anno?» li richiamò il professor Williams. Non si erano neanche accorti che fosse arrivato.
I due ragazzi bofonchiarono delle scuse e si avvicinarono.
«Ti aiuterò, Jack. Mi sembra una buona causa, ma ti prego se verrai accusato di rapimento, non mi coinvolgere. Un processo mi basta e avanza» sospirò James.
«Grazie, James» replicò sinceramente Jack.
 
   *
 
Frank si spostò i capelli dalla fronte sudata con un gesto nervoso della mano sinistra, la destra era intenta a rimestare il liquido nel calderone. Diede un’occhiata all’orologio e girò un’ultima volta. Recuperò il misurino con il tè tritato e trattenne il fiato. La pozione divenne rosa e il ragazzino si lasciò quasi scappare un’imprecazione ad alta voce. Che cos’aveva sbagliato? Aveva ripetuto gli ingredienti nella sua mente un milione di volte dall’inizio della prova!
Purvincolo, tè, polvere di bardana e chiodi di garofano. Era sicuro di averli inseriti tutti! Doveva aver commesso qualche errore nel procedimento, non c’era altra spiegazione! La pozione avrebbe dovuto essere viola a quel punto, non certo rosa.
Lanciò un’occhiata in tralice al calderone di Arianna Greengrass, con cui condivideva il tavolo: il liquido che vi ribolliva all’interno era perfettamente viola e la Serpeverde era passata alla fase successiva.
La sua pozione iniziò a gorgogliare più forte, ricordandogli di non aver ancora concluso. Stavo bollendo troppo! Frank tentò di calmarsi e provare al salvare il salvabile.
Agitò la bacchetta sulla superficie del liquido, una, due, tre volte e… e poi? Il ragazzino si bloccò colto da un dubbio allucinante: doveva agitare tre o quattro volte? Preso dal panico recuperò il misurino con il tè liquido e lo versò dentro il calderone.
Ora doveva mescolare di nuovo. Ma quante volte e in quale direzione?
Rifletti, accidenti, pensò il ragazzino osservando il professore passare tra i banchi.
Cercò di ripetere nella propria mente tutta la ricetta della Pozione Cura Ferite e, finalmente, si ricordò che avrebbe dovuto mescolare tre volte in senso orario e tre in senso antiorario. Si affrettò a farlo visto che la pozione si stava pericolosamente scurendo. Infine abbassò la fiamma, proprio mentre il professore affermava:
«Altri cinque minuti, ragazzi».
Cinque minuti!, pensò afflitto Frank per poi consolarsi all’idea che almeno quella tortura sarebbe finita.
«Iniziate a riempire una fiala con un campione della vostra pozione» ordinò il professor Mcmillan dopo qualche minuto.
Frank sospirò e si affrettò a obbedire. A quel punto la pozione avrebbe dovuto essere viola ed emanare un odore acre e sgradevole, invece era rosa salmone e puzzava di bruciato. Un disastro su tutta la linea.
«Ma se sicuro di aver sempre girato nel verso giusto? Ho letto che può succedere quando si gira in senso antiorario e non orario e viceversa» esclamò con saccenza Arianna Greengrass scrutando con occhio critico il lavoro del Grifondoro.
Frank sollevò gli occhi su di lei e si limitò a stringersi nelle spalle: che avesse sbagliato qualcosa, era palese. Tappò la sua fiala e vi attaccò un’etichetta con il suo nome.
«Vabbè, ma alla sufficienza ci arrivo, no?» domandò rivolto alla ragazza che, poteva anche essere irritante con la sua saccenza, ma era molto brava in quella materia.
La Greengrass alzò un sopracciglio e lo fissò con un’espressione… che cos’era? Compassione? Disprezzo?
«Non credo proprio» sentenziò.
Frank percepì una stretta al cuore. Arianna non era una bugiarda, se lo diceva significava che lo pensava realmente. E, poi, si era reso conto da solo di aver fatto un disastro. Consegnò la fiala e lasciò l’aula rapidamente. A metà delle scale che portavano alla Sala d’Ingresso si fermò, consapevole che avrebbe dovuto aspettare Roxi.
«Ma che cavolo ti è preso?» sbottò proprio quest’ultima, raggiungendolo a passo svelto.
«Sarò bocciato» si lamentò il ragazzino, sentendo le lacrime premere per uscire.
Roxi lo fissò per un attimo, poi lo prese per un braccio e lo trascinò lontano da sguardi indiscreti.
Comunque Frank si rifiutò di affrontare l’argomento per tutto il pomeriggio trascorso a ripetere Storia della Magia, Cura delle Creature Magiche, Trasfigurazione e Astronomia.
All’ora di cena, però, Roxi trascinò l’amico in Sala Grande. Frank la lasciò fare, perché la conosceva abbastanza da comprendere che solo per non lasciarlo da solo aveva studiato per tante ore di seguito.
Nonostante ciò, il ragazzino non aveva proprio fame e si limitò ad assaggiare lo stufato con cui l’amica gli aveva riempito il piatto.
«Frankie» sospirò allora Roxi al limite della sopportazione, «Mcmillan non ti boccerà».
Il ragazzino non aveva la minima voglia di affrontare l’argomento, ma a quel punto non poteva esimersi. «Che cosa te lo fa dire?».
«Alle volte sei così stupido» sbottò Roxi spazientita. «Perché nelle altre materie sei andato bene e…».
«Chi te lo dice? Credo di aver sbagliato la traduzione di rune e ho confuso sicuramente…».
«Sta zitto» lo tacitò la ragazzina. «Smettila di piangerti addosso, ok? E se non credi di aver fatto abbastanza bene, guarda la situazione da un altro punto di vista».
«Quale?» chiese Frank, perplesso.
«Se dovessero mai bocciare te, allora nessuno del quarto anno di Grifondoro, per non parlare di Serpeverde e Tassorosso, si salverebbe».
Frank non era totalmente convinto, ma mangiò in silenzio qualche patata al forno e assaggiò lo stufato sotto lo sguardo vigile di Roxi.
«Ho sentito bene? Rischi di essere bocciato?».
Quella voce improvvisa gli fece andare storto il boccone. Persino Roxi sobbalzò per la sorpresa e fulminò con gli occhi la responsabile.
«Fatti un po’ gli affari tuoi» ringhiò la ragazzina.
Frank, invece, sospirò e recuperò lo zaino da sotto il tavolo: non aveva alcuna intenzione di sorbirsi le domande di sua sorella Augusta.
«Che rottura di pluffe!» sbuffò Roxi, che prese un paio di panini e lo seguì contrariata.
Augusta non demorse e gli andò dietro. «Sul serio, rischi di essere bocciato?» ripetè con un ghigno divertito.
Roxi estrasse la bacchetta e gliela puntò contro: «Torna dalle tue geniali amiche o ti ci spedisco io».
«Non ne saresti in grado» la provocò Augusta.
«Lascia perdere» intervenne Frank a quel punto. «Augusta è fatta così. Non gliene frega niente di far male o meno agli altri. Andiamocene in Sala Comune».
Roxi colse l’espressione ferita della Corvonero e seguì Frank, che nemmeno aveva guardato la sorellina.
 

*

Emmanuel era stanchissimo. Come avevano potuto mettere ben quattro esami nello stesso giorno? E ancora mancava Astronomia!
«Shafiq».
Il ragazzino si voltò verso Arya Wilkinson, il Prefetto del quinto anno di Serpeverde.
«Ciao» replicò allora, chiedendosi che cosa volesse da lui. Era tornato in Dormitorio solo per posare i libri prima di cena e recuperare gli appunti di Astronomia.
«Tua cugina Aura è in infermieria» gli comunicò la ragazza.
Emmanuel la fissò improvvisamente turbato. «E per quale motivo?».
«Ha litigato con sua sorella Violett…».
«Violett le ha fatto del male?» la interruppe sconvolto il ragazzino. Suo zio aveva dato di matto quando aveva scoperto che la nipote era affiliata al gruppo degli aspiranti Neomangiamorte, ma era riuscito a salvarla dall’espulsione.
«No, Aura ha avuto una specie di crollo di nervi e Annie Ferons l’ha accompagnata in infermieria» spiegò Arya Wilkinson.
«Va bene, grazie» sospirò Emmanuel.
Il ragazzino decise di andare a trovarla immediatamente, visto che dopo avrebbe dovuto sostenere l’ultimo esame dell’anno.
Naturalmente, quello non era orario per le visite, ma Madama Williamson non lo rimproverò e gli permise di scambiare qualche parola con la cugina.
«Tutto ok?» le chiese per prima cosa.
«Sì» mormorò la ragazza. «Come hai saputo che ero qui?».
«Me l’ha detto la tua compagna, la Prefetto».
Aura annuì distrattamente ed evitò il suo sguardo.
«Che succede?» le domandò Emmanuel, sorprendendosi di quanto le cose fossero mutate nel volgere di un anno: l’estate precedente non la voleva in casa sua e ora si stava preoccupando per lei. «E sii sincera» soggiunse preventivamente. «Non lo dirò a nessuno».
Aura sembrò credergli, perché rispose: «Innanzitutto i G.U.F.O. Ho paura di fare un disastro e che tuo padre non mi voglia più».
Emmanuel aveva sempre ritenuto di essere un ragazzo educato, studioso e tranquillo, uno di quelli che non danno problemi insomma. Perciò si era sempre posto al di sopra dei compagni, reputandosi molto più maturo di studenti del settimo anno persino. Negli ultimi tempi aveva dovuto ricredersi: seguire le regole e studiare non era sufficiente. Aveva vissuto in una bolla dorata per anni. La maturità si acquisiva anche con l’esperienza, probabilmente la via peggiore quando si è piccoli. Eppure aveva sempre sentito il suo migliore amico Tobias Andersen, lamentarsi di essere l’erede di una ricca e antica famiglia purosangue e di sentire su di sé troppe pressioni. Non l’aveva mai compreso veramente. Adesso, però, attraverso stessi occhi di sua cugina vedeva molto più lontano di quanto avesse mai fatto con i suoi.
«I miei tengono molto alla Scuola» disse Emmanuel sinceramente. «Ti assicuro, però, che anche se dovessi essere bocciata in tutte le materie, non ti abbandonerebbero sotto un ponte».
Aura inspirò sofferente e chiuse gli occhi per qualche secondo. «Sono molto confusa e stanca» sussurrò.
Emmanuel comprendeva che la stanchezza non fosse semplicemente fisica, ma non aveva idea di come aiutarla. «Andrà bene» sospirò allora. «I miei ti aiuteranno» soggiunse con più sicurezza.
«Grazie, Emmanuel» mormorò Aura, guardandolo finalmente negli occhi.
 
*
 
«Cerca di rilassarti, finalmente siamo in vacanza» sbuffò Roxi, che aveva faticato parecchio a convincere Frank a farsi una passeggiata nel parco quel sabato pomeriggio.
«Non sei preoccupata per i continui attacchi dei Neomangiamorte?» ribatté l’amico.
«Certo» rispose prontamente Roxi. «Ma ancora non possiamo farci nulla. James è il capo e mi fido ciecamente di lui: quando arriverà il momento giusto, noi saremo pronti».
Frank annuì distrattamente. «Ma Jamie non potrà salvarmi da mia madre quando usciranno i risultati degli esami».
Roxi roteò gli occhi. «C’è Lucy con il Corvonero che le fa da tutor» esclamò per cambiare argomento e indicò la cugina all’amico.
La raggiunsero sulla riva del Lago Nero. «Ciao» disse Roxi sorridendo.
«Ehilà» replicò Lucy con un sorriso. «Vi ho mai presentato Amias?».
«Una volta» rispose Roxi, salutando anche il Corvonero, che replicò serio e computo.
Lucy si era rifiutata di fare pace con Arianna Greengrass, evidentemente ancora troppo arrabbiata e negli ultimi tempi, con la scusa degli esami, aveva trascorso molto tempo con quel ragazzo più grande. A Roxi sembrava che avesse una buona influenza su di lei e sicuramente per una volta gli zii non avrebbero avuto motivo di lamentarsi dei voti della figlia.
«Come sono andati gli esami?» domandò gentilmente il Corvonero, probabilmente per conversare. Peccato che avesse posto la domanda peggiore: Frank s’incupì nuovamente. Roxi rispose vagamente per entrambi.
«Tu, invece, sei agitato per i M.A.G.O.?» rigirò la domanda la ragazzina.
«Non tanto, sinceramente» rispose Amias.
Roxi si accigliò stupita dalla risposta inaspettata: quale Corvonero avrebbe mai risposto in quel modo e con un tono tanto noncurante?
«Amias è un genio» disse Lucy sorridendo con occhi luccicanti.
Altra stranezza. Lucy Weasley non si accompagnava con i secchioni solitamente. Roxi si scambiò una rapida occhiata con Frank, meravigliato quanto lei.
«Non sono un genio» la contraddisse, però, il Corvonero. «Mi piace studiare».
«Che vuoi fare dopo il diploma?» s’incuriosì Roxi. Non le piaceva il modo in cui sua cugina lo fissava. Tanto valeva conoscerlo meglio e capire se era necessario allontanarla da lui.
«Vorrei entrare all’Ufficio Misteri, ma dipende dai risultati dei M.A.G.O. naturalmente».
Roxi non commentò, ma si ripromise di tenere d’occhio quei due.
 
*
 
Quella sera la Sala Grande era molto tranquilla. Gli studenti del quinto e settimo anno erano molto tesi perché il giorno successivo sarebbero cominciati i loro esami. Qualcuno continuava a ripetere, qualcun altro guardava fissò il proprio piatto, altri tentavano di non pensarci almeno per un po’.
«Al, puoi mettere via il manuale di Trasfigurazione mentre mangiamo?» chiese Rose in tono di sopportazione.
Scorpius e Cassy furono d’accordo e annuirono, invitando a loro volta l’amico a mangiare serenamente.
Albus li fissò scocciato, ma ripose il libro nello zaino sotto lo sguardo solidale di Alastor.
«Così va meglio» sbuffò Cassy, fulminandolo con gli occhi.
Rose era loquace come sempre, per nulla preoccupata per gli esami.
«Ma non capisci quanto sono importanti per noi e il nostro futuro?» tentò Albus, seccato.
La ragazza scrollò le spalle. «Io voglio diventare una giocatrice professionista di Quidditch, perciò gli esami non hanno alcun valore per me. Però, Al, stai tranquillo, m’impegnerò in alcune materie. Voglio continuare a stare in classe con voi».
«Sarai una grande cacciatrice!» commentò Scorpius sorridente. «Finalmente l’Inghilterra avrà qualche chance ai prossimi mondiali!».
«Il mio primo obiettivo sarà far vincere il campionato ai Cannoni di Chudley» dichiarò Rose, dopo aver ingoiato un grosso pezzo di carne.
«È un’assurdità, i Cannoni affosseranno la tua carriera prima che inizi» intervenne Elphias Doge.
Albus, Scorpius e Alastor lo fissarono terrorizzati: come aveva osato fare una simile affermazione di fronte a Rose Weasley?
Ella lo osservò in silenzio per qualche secondo, poi lo minacciò con la forchetta: «Ti farò avere dei biglietti per i posti migliori, così potrai vedere bene il trionfo dei Cannoni».
Scorpius sospirò sollevato, avendo pensato che la sua ragazza sarebbe saltata al collo del compagno.
«È arrivata la Commissione d’Esame» annunciò loro Fred, mentre prendeva posto con i suoi amici poco distante. La tensione degli esami aveva portato tutti i Grifondoro a dimenticarsi di avercela con Albus, Benedetta e Conrad Avens.
«Ne sei sicuro?» gli domandò Elphias Doge.
«Al cento per cento» rispose Seby Thomas al posto di Fred. «Abbiamo appena visto la McGranitt e Paciock accoglierli».
«Quest’anno il Ministero ha deciso che saranno diversi i commissari dei M.A.G.O. e dei G.U.F.O.» aggiunse Alex Steeval.
«I nostri chi sono?» chiese Isobel McGranitt impallidendo leggermente.
Fred si piegò in avanti come a rivelare un enorme segreto e mormorò: «Non lo so». E ridacchiò. Rose gli tirò un calcio sotto il tavolo e lo fece mugolare dal dolore.
«Rosie, ma io sono il tuo battitore preferito non puoi azzopparmi!».
La ragazza si accigliò. «Posso eccome. Il campionato è finito e tu ti stai diplomando… sempre se non vieni bocciato, naturalmente».
«Insensibile» borbottò Fred. «E comunque sarò promosso! Ho studiato. Non vedo l’ora di frequentare l’Accademia di Pozioni».
Nel frattempo era sopraggiunto anche il loro Caposcuola e Isobel gli aveva posto la domanda sui Commissari.
«Noi del settimo anno, abbiamo Williamson un Auror in pensione, Richard Ashton e Demetra Walsh» rispose il ragazzo. «I vostri, invece, sono Jeremy Edwards, uno storico di fama internazionale e Direttore dell’Accademia di Studi Storici e Umanistici Magici di Londra; Eloise Midgeon, una del Ministero che viene spesso scelta come esaminatrice e, infine, Sylvester Spencer-Moon che è un famoso inventore di incantesimi».
Isobel lo ringraziò, ma non sembrava più tranquilla.
«Spencer-Moon non è il tutore di Jack Fletcher?» chiese Rose ad Albus e gli altri, mentre i ragazzi più grandi cominciavano a discutere per conto loro.
«Credo di sì» rispose Albus. «Alle volte collabora con gli Auror».
«Ho pensato che dovremmo fare qualcosa da ricordare stanotte» dichiarò Rose, quando i dolci apparvero sulla tavola.
Albus e Alastor la fissarono straniti. «Non ho capito» disse il primo. Cassy, invece, annuiva entusiasta, probabilmente perché era già stata messa al corrente dall’amica. Scorpius aveva imparato a non sorprendersi più del dovuto quando si trattava di Rose, perciò si servì di un grosso pezzo di torta al cioccolato e continuò a mangiare come se nulla fosse.
«Non vorrai mica dormire stanotte!» ribatté Rose scioccata.
«In realtà spero proprio di sì. Che stramba idea ti è venuta in mente adesso?» domandò Albus sulla difensiva.
«Non è una stramba idea. I G.U.F.O. sono un momento fondamentale della nostra carriera scolastica, no? Ma lo sono anche della nostra adolescenza! Da qui a due anni saremo fuori dalla Scuola e che ricordi avremo? Delle ore passate chini sui libri? Assolutamente no!».
«Rose, ne abbiamo fatte a sufficienza di cose» sbottò Albus ripensando a tutto quello che era accaduto negli ultimi due anni e mezzo.
«Sei noioso, Albus. Se non vuoi venire con noi, non farlo!» ribatté Rose irritata.
Il ragazzo se ne tirò immediatamente fuori senza nemmeno bisogno di rifletterci, com’anche Isobel, Alastor ed Elphias.
«Beh, vorrà dire che lo faremo solo io, Rose e Scorp» commentò Cassy.
«Fare che cosa, signorina Cooman?».
I ragazzi si voltarono di scatto e si ritrovarono faccia a faccia con Laberius Guess, il supplente di Divinazione. Cassy imprecò a bassa voce.
«Non sono affari suoi» rispose la ragazza dopo qualche secondo.
«No, non lo sono, ma lei ha un appuntamento con me questa sera».
«Non ho intenzione di subirmi lezioni extra il giorno prima dei G.U.F.O.!» sbottò Cassy.
«Come le è già stato fatto notare, non importa se lei è d’accordo o meno. Si muova prima che chiami la Preside!» ribatté il professor Guess duramente.
«Bene, siamo rimasti in due a quanto pare» borbottò Rose, guardando la sua migliore amica seguire contrariata l’insegnante.
«Divertitevi» disse Albus, una volta finito di cenare. «Ci vediamo domani mattina».
Rose roteò gli occhi annoiata dal suo tono di disapprovazione e tirò Scorpius lontano dalla Sala Grande.
«Sai, che sei l’unica che può permettersi di trattarmi così, vero?» bofonchiò il ragazzo sistemandosi la divisa.
«Sì, e spero per te di rimanere l’unica» replicò Rose, sedendosi sui gradini della scalinata di marmo nella Sala d’Ingresso.
Scorpius si sporse in avanti e la baciò sulla bocca, la ragazza si avvicinò maggiormente e fece in modo di prolungare il bacio.
«Che cosa vuoi fare per rendere memorabile questa notte?» le domandò il Serpeverde quando, a malincuore, ruppero il contatto.
«Non ho ancora deciso. Tu che ne pensi?».
A dire la verità, Scorpius non si era mai posto il problema, ma avrebbe compiuto qualunque impresa pur di renderla felice.
Rimasero per un po’ seduti a riflettere, ignorando gli improperi degli studenti che li intimavano di spostarsi per poter salire le scale.
«Non dev’essere per forza qualcosa contro le regole, no?» le domandò a un certo punto Scorpius.
«Direi di no in generale, ma ti ricordo che il semplice fatto di trovarsi fuori dal dormitorio dopo il coprifuoco è contro le regole» replicò Rose.
«Lo so, intendevo che non dobbiamo fare qualche scherzo o simili».
«No, non per forza. Che hai in mente?».
«Facciamo il bagno nel Lago Nero?». Rose lo fissò sorpresa. «Naturalmente solo se ti va» si affrettò ad aggiungere il ragazzo.
«Certo che voglio! È un’idea fantastica! Forza, andiamo!» saltò su Rose.
«Non così!» protestò il ragazzo. «Ci servono delle cose! Vai a recuperare il mantello di James. Ci vediamo qui alle dieci in punto, ok?».
«Come vuoi» concesse la Grifondoro.
E così mentre l’orologio batteva dieci rintocchi, la ragazza, coperta dal magico mantello del cugino, scivolò lungo la scalinata ai piedi della quale vi trovò Scorpius.
 «Che hai in quello zaino?!» sbottò per prima cosa indicando il voluminoso zaino che il Serpeverde aveva sulle spalle. «Se ci sono libri lì dentro, ti ci affogo nel Lago Nero, è chiaro?».
Scorpius non si scompose e le sorrise. «Sei una donna di malafede, aspetta e vedrai».
I due ragazzi uscirono silenziosamente nel parco e si avviarono verso una sponda del lago nascosta da una fitta vegetazione. Solo lì Scorpius aprì il suo zaino e ne rivelò il contenuto.
«Oh» disse solo Rose senza parole, osservando il ragazzo stendere una coperta pesante sull’erba e appoggiarne altre due più piccole di sopra. A cui seguirono un grosso vaso di nutella, dei grissini e dolci magici di tutti i tipi. Il Serpeverde aveva pensato perfino a portare degli asciugamani.
«Che c’è? Non vorrai mica prenderti il raffreddore proprio ora che la Scuola sta finendo?» ghignò Scorpius, contento e soddisfatto di averla lasciata senza parole.
La Grifondoro eliminò la distanza tra loro e lo baciò con passione. Bacio a cui Scorpius rispose con altrettanto entusiasmo.
Solo dopo un po’ decisero di farsi il bagno e si spogliarono, trasfigurando l’intimo in un costume da bagno. Se mai fossero stati scoperti, alla McGranitt non sarebbe venuto un colpo. E poi diceva che la facevano disperare, ma se le volevano bene fino a questo punto!
In acqua continuarono a coccolarsi e poi giocarono a spruzzarsi, tentando però di non fare troppo rumore e non attirare l’attenzione degli Auror di guardia nel parco.
Scorpius era felice di averla seguita in quell’ennesima pazzia, perché non avrebbe mai dimenticato quella notte. Qualunque cosa sarebbe accaduta tra loro di là a qualche giorno, settimane, mesi o anni, non avrebbe mai scordato la ragazza con cui aveva mangiato nutella sotto la luna.
 
*
 
«Abbiamo ripetuto tutto, vero? Mi sembra di aver dimenticato qualcosa!» si lamentò Martha Gabriels.
Virginia sospirò. Aveva imparato a volerle bene come una sorella in quei mesi, anche se non l’avrebbe mai creduto possibile. «Stai tranquilla, andrà bene» le disse per rassicurarla.
«Sì, Martha, la tua è un’impressione comune quando si fa un esame» intervenne Jonathan, ma il suo sorriso sembrò più una smorfia di dolore, segno che fosse il primo a essere estremamente agitato.
La Sala d’Ingresso era affollata, come Virginia non l’aveva mai vista. I candidati che avrebbero affrontato i G.U.F.O. quell’anno erano ben quarantadue, a cui si aggiungevano i ragazzi del settimo anno.
Alle nove e mezza il professor Delaney li chiamò, una classe alla volta, e li invitò a entrare in Sala Grande, dove i tavoli delle quattro Case erano spariti lasciando spazio a banchi singoli rivolti verso il tavolo degli insegnanti. Qui già sedeva compostamente Eloise Midgeon.
Virginia prese posto in un banco nelle prime file vicino a Martha e gli altri Corvonero. Vide Albus e Alastor poco distanti da lei, ma non la Weasley e la sua stramba amica Cooman. Probabilmente conoscendole si erano sedute nelle ultime file.
«Potete cominciare» annunciò il professor Delaney, che intanto aveva raggiunto la collega ma non si era seduto. E con un gesto eloquente indicò la clessidra accanto al tavolo, la cui sabbia fluiva inesorabilmente.
Virginia prese un bel respiro e girò il foglio, lesse la prima domanda, a) Scrivi la formula dell’incantesimo e b) Descrivi il procedimento attraverso il quale un animale può essere trasformato in un calice.
Non ebbe alcuna difficoltà a rispondere né a quella domanda né alle successive e fu con soddisfazione che consegnò il suo lavoro a Delaney meno di due ore dopo. Il professore sembrava leggermente annoiato dal suo compito di sorvegliante, ma le sorrise ugualmente.
A pranzo ebbe il tempo di confrontarsi con i compagni e a loro per un po’ si aggiunsero anche Dorcas Fenwick, Albus e Alastor.
Dopo pranzo si recarono nella piccola stanza accanto alla Sala Grande, dove di solito aspettavano i bambini del primo anno prima dello Smistamento, e attesero di essere chiamati in ordine alfabetico per sostenere la prova pratica di Trasfigurazione.
Alla prova pratica, come di consueto, era presente il loro insegnante. Il professor Schacklebolt che sorrise loro in modo rassicurante e gli invitò a mantenere la calma.
«Bene, iniziamo» dichiarò proprio il professor Schacklebolt. «Ant, Agnes… Atkins, Polymnia… Belby, Artemisia… Cartemole, Harry…».
Virginia sapeva che, visto il suo cognome, avrebbe dovuto aspettare parecchio, così si avvicinò ad Albus che sembrava abbastanza tranquillo a differenza di Alastor che temeva di fare brutta figura davanti al padre.
Sussurrò un «Buona fortuna» ad Albus, quando fu chiamato insieme a Carole Parker, Matilde Rogers e Thomas Roockwood.
Ella fu costretta ad aspettare ancora un po’, ma alla fine Schacklebolt disse: «Possono entrare Weasley, Rose… White, Chantal… Wilkinson, Arya… Wilson, Virginia…».
Virginia era sufficientemente serena e annuì quando il professore le disse che Sylvester Spencer-Moon era libero e avrebbe potuto fare l’esame con lui.
L’uomo si mostrò cortese e apprezzò particolarmente le qualità della ragazza.
«Molto bene, può andare, signorina».
La Corvonero sorrise sinceramente. Il primo esame era andato!
Il giorno dopo i ragazzi del quinto anno affrontarono l’esame di Pozioni. I sorveglianti furono Schacklebolt e Spencer-Moon, i quali misero a proprio agio tutti gli studenti e Virginia notò che persino Albus, non particolarmente portato per quella disciplina, portò a buon fine il compito loro assegnato: la distillazione della Pozione Corroborante.
 
*
 
Il mercoledì toccava a Incantesimi e Dorcas era particolarmente tesa. Aveva confessato al professor Mcmillan che le sarebbe piaciuto insegnare quella materia e adesso non poteva permettersi di fallire.
La prova scritta, come di consueto, si svolse la mattina in Sala Grande. La Tassorosso sedette in terza fila e fu contenta che insieme a Spencer-Moon vi fosse anche il professor Paciock in qualità di sorvegliante.
Le domande, come previsto, ricoprivano i programmi dal primo al quinto anno. Alcune molto semplici, altre più complesse. Dorcas scrisse tutto quello che sapeva riempiendo diverse pagine di pergamena, ma il timore di non aver fatto abbastanza non le passò facilmente nonostante le rassicurazioni dei suoi amici.
Nel pomeriggio toccò alla prova pratica e il nervosismo della Tassorosso non era sparito durante il pranzo.
Il professor Delaney sembrava più agitato di loro, probabilmente perché attraverso i loro risultati sarebbe stato valutato anche il suo lavoro. Nonostante ciò, tentò di metterli a loro agio e tranquillizzarli sulla prova.
Dorcas non l’aveva trovato male come docente, sebbene giovane e inesperto, ma le mancava moltissimo Vitious grazie al quale le era nata la passione per gli Incantesimi; inoltre anche la professoressa Shafiq aveva, a suo parere, lasciato un’impronta decisa sulla sua formazione. In confronto a questi ultimi, Delaney aveva ancora molto da imparare.
«Dolohov, Alexandra… Fenwick, Dorcas… Ferons, Annie… Finch-Fletchley, Noemi…» chiamò Delaney.
La ragazza si staccò dal muro e ringraziò vagamente gli amici che le auguravano buona fortuna.
«Fenwick, il professor Spencer-Moon è libero» le comunicò pratico Delaney.
Dorcas lo ringraziò e si avviò verso il suddetto esaminatore. Che poi la fortuna si divertiva proprio! Spencer-Moon era uno dei massimi esperti viventi di Incantesimi Sperimentali! Non le sarebbe dispiaciuto imparare qualcosa da lui, ma se avesse fatto brutta figura in quell’occasione… Beh, avrebbe potuto espatriare! Altro che storie!
Spencer-Moon le sorrise gentilmente, ma la ragazza non riuscì a ricambiare per quanto era tesa.
«Che ne dici di far levitare questo libro?» le domandò il professore.
Dorcas annuì, contenta d’iniziare con qualcosa di semplice. Probabilmente l’uomo aveva notato il suo nervosismo.
«Wingardium Leviosa» pronunciò e il libro levitò tranquillamente in mezzo a loro.
«Molto bene, fagli fare qualche capriola».
Dorcas eseguì e si sentì sollevata nel vedere l’espressione soddisfatta dell’uomo. Dopodiché cambiò le dimensioni e il colore del libro senza alcuna difficoltà.
«Puoi appellare qualcosa che si trova a una certa distanza? Non so, magari la tua Sala Comune?».
«Sì, signore» rispose la ragazza. «Che cosa vuole che appelli?».
«Non so… un libro, per esempio… Avanti, provaci».
«Accio manuale di Trasfigurazione» formulò Dorcas e rimase con il fiato sospeso finché il libro non sfrecciò nella Sala Grande fino a lei.
«Ottimo, ottimo, signorina Fenwick. Un’ultima domanda» disse Spencer-Moon. «Mi è giunta voce che sei in grado di utilizzare l’Incanto Proteus, è vero?».
Giunta voce. Dorcas avrebbe staccato la lingua a Jack Fletcher! Solo lui poteva averlo raccontato al suo tutore. «L’ho fatto solo una volta, signore» replicò, decidendo che fosse meglio la verità in una simile circostanza.
«Beh, riprovaci» disse sempre cortesemente ma con fermezza Spencer-Moon e le porse dei triangoli di legno colorato, di quelli con cui solitamente giocano i bambini piccoli.
Avrebbe ucciso Jack, poco ma sicuro, pensò Dorcas terrorizzata. Annuì nervosamente, per far capire di aver compreso la richiesta.
«Dorcas» disse Spencer-Moon, sorprendendola con l’uso del nome al posto del più formale cognome, «non ti agitare, voglio solo vedere quanto sei brava veramente. Non ha nulla a che vedere con l’esame, quello l’hai già brillantemente superato».
Quelle parole la rincuorarono, ma solo leggermente: insomma a maggior ragione non poteva fare cattiva figura! Scacciò i pensieri negativi e si concentrò sui triangoli di legno, chiuse gli occhi un secondo e quando gli riaprì pronunciò con voce ferma: «Proteus». I triangoli si illuminarono, ma non accadde null’altro.
«Non ci resta che verificare se l’incantesimo è riuscito» la sollecitò Spencer-Moon con gli occhi luccicanti. In quel momento, con tanto di capelli grigi arruffati, le ricordava tanto uno scienziato babbano di cui non ricordava il nome.
«Engorgio» buttò lì il primo incantesimo che le venne in mente. Non solo il primo triangolo, su cui aveva puntando la bacchetta, ma anche il secondo s’ingrandì.
«Eccellente!» ruggì Spencer-Moon, battendo le mani compiaciuto. «Hai molto talento, signorina! Proprio come mi ha detto la professoressa Shafiq! I miei complimenti! Spero che continuerai su questa strada!».
Dorcas strinse la mano che l’uomo le porse e lasciò la Sala Grande euforica. Non era stato Jack a parlare troppo, ma la professoressa Shafiq, severa e burbera, che aveva parlato bene di lei a Sylvester Spencer-Moon!
 
*
 
«Aqua eructo!» pronunciò Albus, ma era tanto nervoso che la bacchetta gli tremò nella mano e l’incantesimo anziché colpire il bersaglio alla destra dell’esaminatore, colpì in pieno viso quest’ultimo.
Il ragazzo rimase a bocca aperta, incapace di dire alcunché. Jeremy Edwards non apparve particolarmente turbato o irritato e tirò fuori un fazzoletto dalla tasca per asciugarsi.
«M-mi dispiace» balbettò Albus, mentre Thomas Roockwood rideva di lui. O almeno lo fece finché distratto non incendiò la cattedra e la veste di Sylvester Spencer-Moon che non trattenne un’imprecazione.
Il professor Williams intervenne per spegnere il fuoco e lanciò un’occhiataccia ai due ragazzi.
«Va tutto bene, signor Potter. L’incantesimo non andava tanto male» disse Edwards. «Certo, un po’ debole per essere un incantesimo offensivo».
Albus non rispose neanche, tanto stava entrando il panico.
«Proviamo con un Incantesimo Scudo?».
«Protego» gracchiò Albus, con l’unico desiderio che quella tortura finisse al più presto. Un debole scudo venne effettivamente fuori dalla sua bacchetta, ma era tremolante.
Fantastico, non gli riuscivano neanche gli incantesimi base!
«Va bene, può andare signor Potter».
Albus salutò a mezza voce, ma non tornò in Sala comune com’era rimasto con Alastor. Si avviò a passi svelti verso il Lago Nero, tentando di dominare le lacrime.
Si sedette ai piedi di una quercia imponente, che lo nascondeva a occhi indiscreti. E qui si lasciò andare a un pianto liberatorio. Aveva fallito, aveva fallito l’esame di Difesa e non aveva mantenuto la promessa fatta al padre. Si sentiva un verme incapace.
Dopo un po’ percepì più di una presenza vicino a lui e fu costretto a sollevare gli occhi. Se non aveva già tutto il viso rosso, l’avrebbe avuto presto. Le Malandrine lo fissavano incerte. Lily in testa.
Gabriella Jefferson bisbigliò qualcosa alle altre e lei ed Elisabeth Corner si allontanarono.
«Allora che succede?» domandò Lily.
«Ho fatto schifo all’esame di Difesa. Per favore, non mi va di parlarne» rispose velocemente sperando che la sorella e Alice se ne andassero.
Le due ragazzine non commentarono, ma nemmeno diedero segno di volersene andare come aveva chiesto Albus.
«Benvenuto tra i comuni mortali» sbottò a un certo punto Lily, costringendolo a guardarla interrogativa.
«Tua sorella vuole semplicemente farti notare che tutti falliscono, anche i migliori» s’inserì Alice.
«Esattamente, quindi smettila di frignare» soggiunse Lily, tirandolo per un braccio.
Il ragazzo imbarazzato si alzò.
«Avanti, torniamo al castello» disse Alice. «Quando si è di cattivo umore, non c’è nulla di meglio di tanta tanta cioccolata».
«Infatti, forza fidati di noi» disse Lily afferrandolo saldamente per la mano, nel caso decidesse di scappare. Ma come si poteva scappare da una famiglia appiccicosa come la sua?
Albus, però, obbedì e le seguì, persino quando lo trascinarono nella cucina della Scuola, vietata agli studenti, e dovette dar loro ragione quando assaporò il budino al cioccolato.
Il resto del pomeriggio lo trascorse a ripetere Erbologia per il giorno dopo insieme a Dorcas e Alastor, ma prima di andare a letto si avvicinò alle Malandrine che discutevano e pianificavano vicino a una finestra in Sala Comune.
Lily nascose immediatamente le pergamene su cui stavano scrivendo, evidentemente qualche loro idea strampalata e soprattutto contro le regole.
Albus, però, scosse la testa e disse che voleva solo augurare loro la buonanotte. Abbracciò sia Lily sia Alice, più che contento: se la sua famiglia non fosse stata così appiccicosa, sarebbe stato ancora sotto quella quercia.
Non che fosse più tranquillo, ma aveva deciso, su consiglio anche di Alastor, di non pensarci fino a luglio quando gli sarebbero arrivati i risultati dei G.U.F.O.
 
*
 
Il periodo degli esami era trascorso anche quell’anno e così anche i temutissimi G.U.F.O.
Jonathan sospirò nel consegnare il suo compito di Babbanologia al professor Mcmillan che insieme a Jeremy Edwards aveva sorvegliato quell’ultima prova.
Riteneva di essere andato abbastanza bene, ma non condivideva minimamente il clima di festa di alcuni suoi compagni.
Il giorno prima i Neomangiamorte avevano attaccato Diagon Alley. Era stata una strage, visto il numero dei morti, e le foto sulla Gazzetta del Profeta sembravano quelle di una città fantasma.
Il Ministero era in fermento e lo scoppio di una nuova guerra non era più solo inevitabile, ma persino imminente.
Il Corvonero raccolse lo zaino da terra e si avviò mestamente all’uscita. Avrebbe voluto far qualcosa, ma non sapeva che cosa. Nonostante gli esami, la sera prima i Dodici si erano riuniti, consci di dover porre fine a quel delirio. Ormai avevano studiato il brano in latino a memoria, ma il problema era radunare i Neomangiamorte in un punto o incontrare la Selwyn in persona.
Si erano ripromessi di stare all’erta e di prepararsi a intervenire in qualsiasi momento.
Virginia e Dorcas erano riuscite a creare delle passaporte. Naturalmente era illegale, ma uccidere a sangue freddo dei bambini che avevano la sola colpa di star giocando nelle strade di Diagon Alley al momento sbagliato?
A quel punto anche i Dodici avrebbero messo da parte ogni scrupolo.
«Jonathan, vieni a salutare Al e gli altri?».
La voce di Virginia lo riscosse dai suoi pensieri e annuì in risposta.
Nonostante un furioso James avesse fatto fuoco e fiamme per rimanere in Scozia, la squadra olimpica di Hogwarts quel pomeriggio sarebbe partita per l’Australia.
La Confederazione Internazionale era stata irremovibile, mai come in quel momento era fondamentale perseverare in quel progetto. In più molti genitori erano convinti che almeno oltre oceano i figli sarebbero stati al sicuro.
Nessuno sapeva che cosa sarebbe accaduto in Gran Bretagna nei giorni successivi.
Un clima d’incertezza e terrore si era impossessato del paese e l’aveva riportato indietro di più di vent’anni.
 

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Capitolo 37
*** Alea iacta est ***


Capitolo trentasettesimo
 
Alea iacta est
 
«Sveglia, forza!».
Emmanuel fissò infastidito il Prefetto Fawley e si domandò se stesse scherzando: qualcuno era riuscito veramente a dormire?
«Ma che problemi hai?» infatti bofonchiò Mark Parkinson.
Fawley lo fulminò con gli occhi e non replicò. «Ci aspettano in Aula Magna per dare ufficialmente inizio all’ultima tappa delle Olimpiadi Magiche, poi ci sarà la colazione e infine seguiremo alcune lezioni insieme agli altri ragazzi».
Emmanuel si sollevò dal letto e, rassegnato, si decise a cercare la divisa e indossarla. Doveva ammetterlo: era molto confuso. Erano partiti da Hogwarts all’ora di pranzo con una passaporta e si erano ritrovati in Australia in piena notte. Li erano stati offerti dei panini e poi erano stati guidati in quelle che sarebbero state le loro camere per quasi una settimana.
Nel frattempo Gabriel Fawley distribuì dei fogli di pergamena, invitando i compagni a scegliere i corsi che avrebbero seguito durante la loro permanenza alla Scuola di Magia e Stregoneria Dreamtime.
«Ecco il tuo orario, Shafiq» disse avvicinandosi a Emmanuel.
Il ragazzino lo fissò perplesso e chiese: «Non avrei dovuto scegliere io le materie che preferisco?».
«Solo i ragazzi dal quinto anno in su. Sbrigati il professor Finch-Fletchley ci aspetta in corridoio. La Preside ha già raggiunto i suoi colleghi».
Il Serpeverde più giovane annuì deluso e trattenne a stento uno sbadiglio. Ora gli stava venendo il sonno! Sarebbe stata una lunga giornata!
I loro alloggi si trovavano nei Dormitori dei Quokka, una delle quattro Case della Dreamtime. A quanto Emmanuel aveva potuto comprendere, la scuola australiana, proprio come quella americana, era nata su modello di Hogwarts.
Nel corridoio erano già riuniti tutti i compagni ed Emmanuel si avvicinò a James Potter e Jack Fletcher.
«Ci siamo tutti?» chiese il professor Finch-Fletchley quando Fawley lo raggiunse. Il ragazzo annuì e l’insegnante riprese: «Ragazzi, lei è Edith Brown. Sarà la vostra guida per tutto il tempo in cui saremo ospiti in questa Scuola».
Emmanuel salutò la ragazza e si presentò insieme ai compagni. Infine ella li condusse nell’Aula Magna della Scuola, situata al piano terra dell’edificio.
La sede della Dreamtime era un palazzo in stile vittoriano, che emanava austerità da ogni angolo o almeno era quella la sensazione che aveva provato Emmanuel al suo arrivo, anche se magari il buio non aveva giovato al suo giudizio. Alla luce del giorno, mentre scendeva le scalinate di marmo chiaro, ebbe la possibilità di costatare che sì, si trattava di un palazzo antico e sicuramente austero, ma il clima gli apparve molto rilassato e tranquillo.
Edith parlava a ruota libera e il Serpeverde poté farsi l’idea di una Scuola che offriva molte opportunità sia sul piano meramente didattico sia su quello sportivo e delle attività ricreative. A meno che non avesse frainteso le parole della ragazza, vi erano corsi che probabilmente la McGranitt non avrebbe mai preso neanche in considerazione!
«Accomodatevi, vi raggiungerò alla fine della cerimonia per accompagnarvi in Sala da Pranzo per la colazione».
Emmanuel la ringraziò e prese posto vicino a James, non smettendo però di guardarsi intorno. E non era l’unico. La sala era grandissima, anche più della loro Sala Grande. Era illuminata da una serie di trifore goticheggianti, il cui vetro era dipinto a colori vivaci e sembrava che raccontasse una storia. Al di sotto di esse vi erano appesi una serie di ritratti, rappresentati varie streghe e maghi. La platea, in cui loro avevano preso posto, era separata dagli scranni dei professori da una serie di gradini.
La professoressa Aeisha Anderson, Preside della Dreamtime, si alzò e chiese il silenzio.
«Buongiorno a tutti. Sono felice di potervi accogliere nella mia Scuola, sebbene questa sarà l’ultima fase di questo progetto bellissimo. E spero, se i miei colleghi sono d’accordo» e qui si volse verso gli altri Presidi, «di mantenere in contatto le nostre Scuole e mantenere la proficua amicizia nata quest’anno».
Un forte applauso seguì le sue parole, segno che, al di là di quello che pensassero i vari Presidi, sicuramente i ragazzi si erano divertiti e avevano trovato piacevole quell’esperienza e l’avrebbero volentieri ripetuta.
«So che nulla annoia di più voi ragazzi di lunghi discorsi, per cui vi tratterrò pochissimo, promesso».
Emmanuel sorrise instivamente di fronte al viso divertito della giovane donna. Era difficile trovare una Preside così giovane.
«Come vi sarà stato senz’altro già riferito, seguirete le lezioni insieme ai vostri compagni della Dreamtime. Il programma per gli studenti dal primo al quarto anno prevede lo studio delle seguenti discipline: Erbologia, Pozioni, Storia della Magia, Trasfigurazione, Incantesimi, Astronomia, Difesa contro le Arti Oscure, Geografia Magica, Magizoologia e, a seconda se siete al primo anno o meno, Volo o Attività Fisica».
Emmanuel si rese conto che erano molte più materie di quelle che loro studiavano al primo e al secondo anno, ma probabilmente sopperivano al fatto che non avessero ulteriori materie da scegliere al terzo anno. Forse sarebbe stato più interessante di quanto avesse immaginato, insomma alcune materie erano completamente nuove per loro.
«Invece, i ragazzi dal quinto anno in poi sono liberi di scegliere sei discipline. La settima, a completamento del piano di studio, è, obbligatoriamente per tutti, Incantesimi. Inoltre saranno prese in considerazione le vostre reali capacità e se verrà ritenuto opportuno sarete inseriti in una classe avanzata. Infine il pomeriggio potrete frequentare le varie attività proposte dalla Scuola: Fotografia, Danza, Teatro, Nuoto, Musica, Disegno Artistico, Quidditch, Duello e il Coro. Questo vale per tutti gli studenti indipendentemente dalla classe frequentata». La professoressa fece una pausa e poi riprese: «Per quanto riguarda, invece, le gare delle Olimpiadi Magiche, vi sarà consegnato un calendario ciascuno. Oggi pomeriggio si terranno due duelli e alcune gare di scacchi. Per domani è stata organizzata un’escursione che vi permetta di visitare la nostra terra. Adesso andate pure a fare colazione, vi auguro una buona giornata».
Dopo colazione, Emmanuel si diresse alla prima lezione insieme a Frank, Amy Mitchell e Scott Bobbin di Tassorosso.
«Avete già scelto i corsi pomeridiani?» domandò eccitato proprio quest’ultimo.
«Sì, duello e coro» rispose Emmanuel tranquillamente, ora non si vergognava più di far parte del coro della Scuola.
«Io penso nuoto e fotografia» disse, invece, Frank.
«Io sicuramente Quidditch e Duello» esclamò Amy. «Mi siedo vicino a te, Frank» aggiunse spingendo il cugino verso alcuni banchi liberi a metà della fila vicino alla finestra.
Emmanuel e Scott li seguirono. L’aula non rifletteva minimamente l’austerità dell’edificio.
«Cos’è che abbiamo ora?» chiese Amy, guardandosi intorno come gli altri. Anche i tre ragazzi grechi, i cinque di Uagadou, i quattro di Ilvermorny, i cinque di Durmstrang e i quattro di Beauxbatons apparivano straniti, un po’ meno i cinque di Castelobruxo.
Le pareti erano ricche di cartine magiche di tutti i paesi del mondo. E, naturalmente, erano magiche: ogni tanto vicino alle coste del Canada affioravano delle balene!
«Ciao, ragazzi» esclamò Elliott Castle, con cui Frank era rimasto in contatto negli ultimi mesi. «Come va? Vi vedo smarriti».
«Quest’aula è coloratissima e poi i banchi perché sono messi così?» gli domandò immediatamente Amy.
In effetti i banchi non erano posti come di consuetudine verso la lavagna, ma uniti a quattro a quattro, a mo’ di tavola.
 «Per i lavori di gruppo, naturalmente» fu la risposta di Elliott. «Voi come fate?».
«Non facciamo lavori di gruppo di solito» replicò semplicemente Frank.
«Buongiorno a tutti, prendete posto per favore». Una donna alta, sui trent’anni, vestita in modo molto poco formale - indossava quella che al Serpeverde parve una tuta babbana! – fece il suo ingresso in classe. «Per chi non mi conoscesse ancora, mi chiamo Moana Mansfield e, come avrete intuito, sono l’insegnante di Geografia Magica». Sorrideva e sembrava simpatica, probabilmente lo era vista la tranquillità dei suoi studenti, circa una trentina. «Visto che il secondo trimestre è ormai agli sgoccioli e noi abbiamo finito il programma, ritengo che sarebbe interessante se ognuno di voi parlasse del proprio paese».
«In che senso fine del secondo trimestre?» domandò Amy sporgendosi verso Elliott Castle.
«La Scuola è iniziata a gennaio» rispose il ragazzo.
«Ma  tu a che anno sei?» domandò perplesso Frank. «Non sei al quarto?».
«Sì, da gennaio. Quando ci siamo incontrati a ottobre ero alla fine del terzo anno, ma per praticità ci hanno permesso di seguire le lezioni con voi» rispose Elliott.
Emmanuel trovò la notizia abbastanza sorprendente, anche perché Elliott non aveva mai mostrato di aver difficoltà a stare al loro passo.
 
*
 
«Buona fortuna».
«Anche a te» replicò James, stringendo la mano di Jack Fletcher.
Quel pomeriggio avrebbero duellato entrambi con l’obiettivo di conquistare la finale del Torneo di Duello. Le due semifinali si sarebbero svolte contemporaneamente nella Sala Duelli della Scuola.
James doveva affrontare il campione greco, Niki Charisteas, e per la prima volta era veramente preoccupato; mentre Jack avrebbe duellato con il borioso americano, Alexander MacDuff. Dal punto di vista del Grifondoro l’amico non avrebbe dovuto avere alcuna difficoltà a superare la prova.
«Duellanti in posizione» ordinò un insegnante di Durmstrang, che avrebbe arbitrato l’incontro di James. Il ragazzo salì sulla pedana e osservò Niki Charisteas prendere posto di fronte a lui. Il Greco gli porse la mano: «Che vinca il migliore».
James sorrise leggermente e ricambiò la stretta di mano, sempre più nervoso.
«Inchinatevi» istruì l’arbitro.
Entrambi obbedirono, ma il loro gesto fu alquanto rigido. Il Grifondoro era più agitato di quanto avrebbe mai ammesso, ma non comprese il comportamento dell’altro, poiché Charisteas non gli era mai parso pieno di sé, però non poteva neanche pensare che fosse nervoso dopo aver sbaragliato in pochi minuti tutti gli avversari che aveva affrontato fino a quel momento.
«Bacchette in posizione».
James tentò di ammorbidire la presa sulla sua, Williams gli aveva detto mille volte quanto fosse sbagliato essere troppo rigidi.
«Al mio tre» continuò l’arbitro. «Uno… due… tre!».
Nessuno dei due si mosse. Studiarsi a vicenda era senz’altro la scelta migliore e James, almeno questa volta, non avrebbe peccato d’impulsività. Se Charisteas sperava di farlo cedere, si sbagliava di grosso.
Dopo diversi minuti Charisteas dovette intuire che il suo avversario si sarebbe comportato in maniera diversa dai precedenti duelli, così decise di prendere in mano la situazione. James aveva tenuto d’occhio la sua bacchetta e fu pronto a erreggere uno scudo magico, poco prima che l’incantesimo lo colpisse. Il professor Williams gli aveva insegnato a porgere attenzione al movimento della bacchetta del proprio avversario in modo da, quanto meno, intuire il tipo di maledizione o incantesimo con il quale avrebbe tentato di colpire.
La potenza del suo scudo fu elevata come al solito, sebbene in questo caso fosse stata superflua, ma Charisteas, che probabilmente aveva solo saggiato la sua reattività, capì di dover giocare diversamente le proprie carte.
Inizialmente, però, la situazione si mantenne in parità. Charisteas attaccava e James si manteneva sulla difensiva. D’altronde il suo avversario era davvero forte e non riusciva a scorgere una distrazione o un piccolo errore di cui approfittare.
A un certo punto Charisteas si stancò di tergiversare e dalla sua bacchetta fuoriuscirono delle fiamme che accerchiarono James, che fu preso decisamente in contropiede. Quello sì che era un incantesimo potente! Tentò con l’Aqua eructo, ma a malapena scalfì quella che man mano diventava una vera e propria parete di fuoco. L’ossigeno iniziava a mancare nella morsa in cui era stretto e per non perdere lucidità il ragazzo applicò su di sé l’Incanto Testabolla, cercando di prendere tempo e riflettere.
Naturalmente un potente incantesimo d’acqua sarebbe stato il più adatto per contrastare quello di fuoco del Greco, ma James non ne aveva nessuno nel suo repertorio, per cui optò per uno dei suoi folli piani. Si puntò addosso la bacchetta e concentrandosi al massimo eseguì l’incantesimo non verbale Alarte Ascenderai!
Il suo corpo schizzò verso l’alto al di sopra del cerchio di fuoco e, concitatamente, pronunciò: «Wingardium Leviosa», così da galleggiare in aria. Colto di sorpresa, Charisteas perse il controllo del turbine di fuoco, che si spense.
James tentò di disarmarlo, ma questo naturalmente annullò la levitazione e cadde malamente sulla pedana. Strinse i denti percependo un dolore acuto che gli percorse la gamba destra su cui era caduto, tentando malamente di parare il colpo.
Purtroppo al suo incantesimo di disarmo Charisteas aveva risposto prontamente con uno scudo e aveva avuto abbastanza tempo da attaccarlo a sua volta: il Grifondoro, sfiorata la pedana, si era sentito sfuggire la bacchetta di mano.
«Il vincitore del duello è Niki Charisteas dell’Accademia Greca» decretò l’arbitro.
«Stai bene?» chiese Niki Charisteas muovendo qualche passo verso James.
Il Grifondoro, infatti, aveva provato a sollevarsi ma la gamba si era rifiutata di collaborare.
Niki dovette cogliere l’espressione di dolore che passò sul volto di James, perché si chinò e lo aiutò ad alzarsi.
«Duello fantastico, Potter!» gridò una voce eccitata al suo orecchio. Albert Abbott. Il Tassorosso si era avvicinato per aiutare Charisteas a portarlo giù dalla pedana.
I due lo fecero sedere su una panchina e poi lasciarono spazio alla medimaga della Scuola.
«Sei caduto veramente male» commentò ella. Ma no, non me ne ero accorto, pensò ironicamente James con comprensibile impazienza. «È rotta, ma l’aggiusteremo in un attimo» soggiunse.
In effetti, bisognava ammetterlo, pochi minuti dopo fu in grado di camminare perfettamente, sebbene sentisse il corpo abbastanza ammaccato, il che era più che comprensibile dopo quel duello. Naturalmente era deluso per la sconfitta, ma sentiva di aver dato il massimo ed era soddisfatto di non essersi arreso alle fiamme. Il professor Williams, però, avrebbe dovuto insegnargli quell’incantesimo. Era troppo forte!
Ripresosi, si congratulò con il suo avversario che aveva aspettato mentre la medimaga si prendeva cura di lui. Nel farlo vide con la coda dell’occhio Jack lasciare la Sala Duelli.
«Che è successo?» domandò ad Amy Mitchell.
«Ha perso» rispose semplicemente la Serpeverde. «Chissà dove aveva la testa» soggiunse sbuffando. «Anch’io avrei potuto battere MacDuff. Che rabbia!».
James non ebbe il tempo di riflettere sul comportamento di Jack, perché lo raggiunsero sia la professoressa McGranitt sia il professor Finch-Fletchley.
«Un ottimo duello, Potter» esclamò la Preside, rivolgendogli un rapido sorriso. Il che per i suoi standard era tantissimo.
A quel punto il ragazzo fu circondato dai suoi compagni, curiosi di commentare il duello insieme a lui.
«Louis ha vinto contro Tanwir» lo informò Albus.
«Bene, allora andiamo da lui. Avrà voglia di festeggiare» disse James realmente felice per il cugino.
 
*
 
«Jack» chiamò incerta Kymia.
Il ragazzo si fermò e si voltò verso di lei. Quella mattina, subito dopo colazione, l’aveva presa per mano e trascinata fuori dalla Sala da Pranzo. Non l’aveva mollata neanche per un secondo, mentre percorrevano un lungo sentiero. Dalla loro posizione già si scorgevano le prime case del piccolo villaggio magico vicino alla Scuola, poco fuori la boscaglia.
«Come stai?» le domandò semplicemente il Tassorosso.
La ragazzina si limitò ad abbassare gli occhi e mormorò: «Ho studiato molto negli ultimi mesi». Aveva pronunciato lentamente ogni singola parola: il suo inglese era certamente migliorato da dicembre, ma ancora aveva evidenti difficoltà. «Specialmente l’inglese».
«Si vede» commentò Jack sorridendole dolcemente e sollevandole il mento con un tocco gentile della mano. Finalmente i loro occhi si incontrarono. Che cosa l’ossessionava di quell’esserino pelle e ossa, con lo sguardo spaventato?
«Quali materie studi?» chiese timorosa Kymia.
Il Tassorosso aprì la bocca per risponderle, ma poi cambiò idea e le chiese a bruciapelo: «Vuoi sposarti?».
La ragazzina sgranò gli occhi e fece qualche passo indietro, palesemente terrorizzata. Jack la bloccò, stringendole il braccio tentando, però, di non farle male.
«Non scappare, ti prego. Voglio solo sapere, se vuoi farlo. Se saresti felice. Sei felice?».
Kymia lo fissò dritto negli occhi per un tempo interminabile, infine sussurrò: «Io devo sposarmi».
Jack avrebbe voluto gridare per sfogare la sua frustrazione, ma fece appello a tutto il suo autocontrollo. «Non devi» disse con fermezza.
La ragazzina disse qualcosa nella sua lingua, probabilmente perché il concetto era troppo difficile per lei da esprimere in inglese. «Genitori… genitori…» provò usando l’unica parola che avrebbe potuto farglielo comprendere, ma Jack non comprese.
Kymia allora lo fissò un attimo e poi si portò la bacchetta alla tempia, prima che il Tassorosso potesse reagire ne trasse un filo argenteo e con attenzione lo lasciò scivolare dentro una fialetta, che aveva custodita in una tasca del mantello. Infine la porse al ragazzo, che la ripose al sicuro.
Allora quest’ultimo la prese per mano e la condusse al villaggio. Per qualche ora dimenticarono entrambi i propri problemi, sebbene la fiala pesasse nella tasca del Tassorosso.
Al rientro a Scuola, Jack riaccompagnò Kymia ai suoi alloggi e la salutò con un baciò su una guancia, quasi una tacita promessa.
Trovare un pensatoio non fu semplice, non avendo idea di dove cercarlo, ma, fortunatamente, Michelle Davids, alfiere della Dreamtime, e, soprattutto studentessa del suo anno, gli disse che ne avrebbe trovato uno in biblioteca.
Come aveva immaginato, Kymia gli aveva affidato i suoi ricordi più importanti: l’infanzia trascorsa tra stenti e sofferenze, la scoperta di essere una strega e i primi felici anni a Uagadou. Ella era l’ultima di dieci figli, di cui un solo maschio. Le sue sorelle si erano già sposate e ora i genitori si aspettavano altrettanto da lei, che era stata adocchiata da un uomo di circa quarantacinque anni, che apparteneva a una famiglia che faceva affari con gli Europei e perciò alquanto ricca.
Visti tutti i ricordi, sedette nella biblioteca ormai silenziosa e deserta. Non avrebbe mai permesso a Kymia di tornare dalla sua famiglia, pronta a venderla a un uomo sporco e violento. La sua famiglia sarebbe potuta benissimo sopravvivere frugalmente come aveva fatto fino a quel momento, ma non sembrava avere alcuno scrupolo a scambiare la figlia, poco più che bambina, con un po’ di ricchezza.
«Jack».
Quasi sobbalzò all’improvvisa apparizione di Tanwir Hagan. Il ragazzino lo fissava serio in volto e sembrava aspettarsi qualcosa da lui.
«Kymia mi ha detto di averti dato i suoi ricordi. Che cosa pensi di fare?».
«La porterò con me in Scozia, a costo di farmi espellere da Hogwarts» rispose di getto senza neanche riflettere. E l’avrebbe fatto.
 
*
 
La domenica si tenne la finale del Torneo di Quidditch e vide contrapposte Hogwarts e Móshú. Il pomeriggio prima si era tenuta la finale per il terzo posto e la Scuola italiana, la Fata Morgana, aveva trionfato sulla squadra di casa.
Frank seduto sugli spalti accanto ad Albus e James, percepiva tutta l’eccitazione dei compagni e tutto sommato se n’era lasciato contagiare. Sarebbe stato bello tornare a casa con la coppa!
Hogwarts non se la stava cavando male, anzi tutti i concorrenti avevano fino a quel momento raggiunto buone posizioni, sebbene non avessero sempre vinto.
Il fischio dell’arbitro sancì l’inizio della partita. Come Amy gli aveva ripetuto fino alla nausea, gli studenti orientali erano molto temibili, ma a suo parere, mancavano della tecnica inglese. Fosse vero o meno, l’avrebbero scoperto quel giorno.
Albert era un ottimo Capitano e aveva allenato molto bene la squadra, specialmente il Cercatore, Arthur Weasley. A Scuola si vociferava addirittura che lo stesse persino preparando a prendere il suo posto dall’anno scolastico successivo. Naturalmente ciò dipendeva solo dalla Preside, la quale sceglieva i Capitani delle squadre di Quidditch o al massimo dal professor Mcmillan, in qualità di Direttore di Tassorosso.
Melissa Goldstain aveva appena segnato e Frank si ritrovò a festeggiare.
«Vinceremo, me lo sento!» gridò James.
L’amico aveva preso abbastanza bene la sconfitta con Niki Charisteas e il giorno dopo avrebbe affrontato Jack Fletcher, per stabilire il terzo classificato. Il Tassorosso era molto distratto e assente. Frank si guardò intorno e si accorse che il compagno non era andato neanche ad assistere alla partita. Chissà che cosa gli passava per la testa!
In Australia il clima era mite ed era molto piacevole assistere alla partita con un leggero venticello, per nulla fastidioso; la mente di Frank, Albus, James ed Emmanuel, però, era rivolta alla Gran Bretagna e alla terribile situazione d’incertezza in cui l’avevano lasciata. Non avevano saputo nulla dalla loro partenza e la Preside si era rifiutata di rispondere alle loro domande in merito.
Qualunque cosa stesse accadendo, però, non doveva essere buona perché persino il professor Finch-Fletchley, solitamente amichevole e pronto alla battuta, era cupo e preoccupato.
«E Hogwarts segna ancora! 20 a 0!» strillò il cronista.
Frank sospirò, quei pensieri gli avevano tolto ogni entusiasmo. Mancavano più di cinque giorni al rientro a casa.
Móshú riuscì a segnare un goal al quindicesimo minuto di gioco, ma Hogwarts conduceva già per cinquanta a zero. La partita si prolungò per più di un’ora, quando sul 230 a 40, Arthur si piegò sulla scopa e Shi Sun, il Cercatore cinese, nonostante si gettò quasi immediatamente al suo inseguimento non poté far nulla. Il piccolo Tassorosso si levò in alto, stringendo il boccino nel pugno destro, mentre i compagni lo raggiungevano per un abbraccio di gruppo in aria.
Frank fu abbracciato da un James euforico e si dipinse uno stirato sorriso in volto: non sarebbe stato lui a riportare l’amico con i piedi per terra, ricordandogli tutte le loro preoccupazioni.
 
Il giorno dopo, vincendo contro Jack, James ebbe ulteriori motivi di festeggiare e per qualche ora fu realmente spensierato e il suo unico pensiero fu quello di imparare l’italiano da un simpatico professore della Scuola australiana, immaginando la faccia sorpresa di Benedetta quando le avrebbe mostrato i suoi progressi.
Alla fine il Torneo di Duello, ma su questo James e Jack non avevano mai avuto dubbi, lo vinse Niki Charisteas, stracciando letteralmente l’arrogante MacDuff.
 
*
 
«Signori, questa è l’ultima riunione del Consiglio dei Purosangue a svolgersi in segreto. È arrivato il grande momento e non è più il tempo di tergiversare. Siete pronti a riprendervi ciò che vi è stato tolto?».
Le parole di Bellatrix Selwyn risuonarono nella Sala silenziose e suscitarono un sentito applauso dai presenti.
«Prima di tutto conquisteremo il Ministero, poi sarà la volta di Azkaban e di Hogwarts!».
Un secondo applauso dimostrò l’entusiasmo dei Neomangiamorte.
«Conoscete il piano ed è inutile ripeterlo. Molto presto ognuno di voi avrà la possibilità di vendicarsi dei torti subiti, proprio come vi avevo promesso».
Bellatrix voltò le spalle e uscì dalla sala, dichiarando così che la riunione era conclusa. Thomas Rosier si affrettò a seguirla.
«Bella, sei sicura?» le chiese a bruciapelo.
«Naturalmente. Non avrai paura Thomas?».
«No» la rassicurò l’uomo.
«Bene. Domani mattina partiremo per Londra. Se Harry Potter pensa che abbia paura di lui, è un illuso».
Parlando avevano raggiunto la camera da letto, che occupavano in quella vecchia villa dei Selwyn, ufficialmente appartenente al Ministero dopo i sequestri post bellici. Le protezioni ministeriali, però, erano state ormai totalmente spezzate grazie a preziosi infiltrati.
Giacquero insieme e Thomas mise da parte ogni pensiero negativo, che lo tormentava da giorni. Non dormì per nulla quella notte e poco prima dell’alba si alzò. Vagò per un po’ lungo i polverosi e bui corridoi, riflettendo.
La loro impresa sarebbe potuta andare a buon fine, come essere un disfatta totale.
Non nutriva alcun dubbio sul fatto che sarebbero riusciti a introdursi all’interno del Ministero della Magia, ma Bellatrix sottovalutava Hermione Weasley. Sconfiggere la Ministra per Bella era fondamentale, in quanto avrebbe sancito la caduta dell’intero Ministero.
Comunque l’ordine di Bella in caso di sconfitta era chiaro: non li avrebbero presi vivi e non vi sarebbe stato un processo contro i Neomangiamorte, come era accaduto con i Mangiamorte alla fine della guerra contro Voldermort.
O vita o morte, quindi.
Thomas sospirò ed entrò nella stanza in cui il figlioletto dormiva. Merlin Thomas Rosier. Quale destino avrebbe subito in caso di sconfitta? Una sconfitta che avrebbe travolto entrambi i genitori?
Aveva promesso a sé stesso che il bambino non sarebbe finito nel baratro con lui e Bella. Merlin si sarebbe salvato. E sarebbe stato Thomas a portarlo in salvo. L’avrebbe fatto prima che fosse troppo tardi.
*
 
Ormai l’estate era giunta, ma il clima al castello era funereo e l’umore di Dorcas lo rifletteva pienamente.
La Tassorosso camminava a capo chino lungo i corridoi silenziosi e deserti, in quanto i compagni si erano rifugiati o nelle rispettive Sale Comuni o nel parco.
Era stanca. Non lo era mai stata così tanto e mai come quell’anno aveva desiderato che la Scuola finisse e iniziassero le vacanze. Era stato un anno pesante, quasi da dimenticare. E soprattutto non sopportava più di condividere la camera con le gemelle Danielson e Annabelle Dawlish. Era stanca anche di loro e, a volte, degli altri Tassorosso.
«Dorcas».
La ragazza, sentendosi chiamare, sollevò la testa e vide il professor Williams sulla soglia del suo ufficio.
«Buon pomeriggio, signore» mormorò ella senza il minimo calore.
«Buon pomeriggio» replicò il professore. «Avrei bisogno di parlarti. Infatti stavo per venire a cercarti».
Dorcas l’osservò perplesso. «Veramente, signore, il professor Mcmillan mi aspetta».
«Non ha importanza. Entra, per favore» ribatté Williams.
Ella non avendo altra scelta, obbedì.
«Siediti» la invitò Williams, sebbene a lei apparve più un ordine. «Io e il professor Delaney abbiamo controllato la passaporta».
Dorcas si umettò le labbra, ma non disse nulla. Sinceramente avrebbe preferito che non si parlasse più di quella storia. Non aveva portato altro che guai. Ella, Roxi, Rose e Scorpius avevano litigato con Virginia per quello. James non sarebbe stato felice della situazione che avrebbe trovato al suo ritorno, e non avrebbe potuto biasimarlo: se i Dodici si fossero divisi, sarebbe stato un disastro.
«Non l’hai realizzata da sola, vero?» continuò l’insegnante.
La Tassorosso avrebbe voluto urlare e mettersi a piangere: anche quest’argomento era stato affrontato, non potevano semplicemente lasciarla in pace? Paciock e Mcmillan si erano praticamente lavati le mani, affermando che solo la Preside, al suo ritorno, avrebbe potuto prendere una decisione definitiva in merito.
Williams sbuffò. «Dorcas, non me ne frega niente di chi sia l’altra persona! Anche se potrei benissimo indovinarlo. Ma non è rilevante. Sono state almeno due persone a creare questa passaporta, è vero?».
«Sì, signore» assentì allora la ragazza, che a quel punto non comprendeva quale fosse il problema. Come se non ne avesse già a sufficienza!
«Questo genere di incantesimi non può essere eseguito da più di una persona».
Dorcas corrugò la fronte, continuando a non capire. «Di solito, se viene eseguito da più persone, un incantesimo non dovrebbe essere più potente, signore?».
«Di norma» concordò Williams. «Ma vi sono delle eccezioni. Ragiona, Dorcas, questa passaporta è per Londra, dico bene? Tu e l’altra persona avete pensato a uno stesso posto… non so… poniamo Il Paiolo Magico, tanto per fare un esempio… avete pensato esattamente allo stesso punto, mentre eseguivate l’incantesimo?».
«Ci siamo messe d’accordo prima» replicò stranita Dorcas, lasciandosi scappare l’uso del femminile, ma d’altronde Williams aveva detto di non avere interesse a scoprire chi l’avesse aiutata, per cui non avrebbe dovuto essere un problema.
«È quanto meno impossibile che abbiate pensato allo stesso identico punto. Ricordatelo, in questi incantesimi basta solo un infinitesimale errore e le conseguenze sarebbero terribili».
«E noi abbiamo sbagliato, signore?» domandò Dorcas che cominciava a comprendere il senso del discorso.
«Sì, se aveste usato la passaporta, vi sareste fatti molto male» rispose semplicemente Williams. «Sii sincera, quante altre ne avete create?».
«Solo un’altra, professore. Jamie l’ha portata con sé in Australia» rispose onestamente la Tassorosso.
Il professore si alzò di scatto affermando: «Devo avvertire immediatamente la Preside. Non vorrei che a quell’incosciente venisse in mente di usarla».
«Professore, non volevo fare nulla di male. I-io…». In realtà si era già scusata con Paciock e Mcmillan, ma il primo, oberato dai compiti di Vicepreside e di sostituto della Preside, si era limitato a prendere atto di quanto accaduto per poi lasciare il collega a occuparsene; Mcmillan, invece, era stato poco incline ad ascoltare qualsivoglia scusa ed era ancora parecchio arrabbiato. Con voce leggermente tremante aggiunse: «Vi prego, non mi espellete».
Incredibilmente Williams le rivolse un mezzo sorriso. «Io non ho voce in capitolo, ma se fossi in te non mi preoccuperei. Se Mcmillan avesse voluto veramente espellerti, l’avrebbe detto chiaramente».
Ella annuì leggermente.
Una volta fuori nel corridoio si separarono. Poco prima di raggiungere l’aula di Pozioni, Dorcas si fermò e si asciugò gli occhi. Le gemelle Danielson erano state veramente meschine a fare la spia, ma forse era stata una fortuna dopotutto: se avessero usato quelle passaporte, avrebbero fatto un favore a Bellatrix Selwyn.
Quella che l’aveva ferita, però, era stata Virginia. Appena Scorpius, Rose, Roxi, Jonathan e Brian avevano scoperto la delazione delle gemelle, si erano presentati da Paciock confessando la loro complicità. Nessuno di loro, però, aveva incantato la passaporta, compiendo un vero e proprio reato, e il loro tentativo non era valso a nulla. Virginia, invece, si era rifiutata di farsi avanti, affermando che non avesse alcun senso: il Prefetto-perfetto non poteva permettersi una punizione alla fine dell’anno, perdere cento punti per Corvonero ed essere sospesa dall’incarico di Prefetto! Ma Dorcas sì, a quanto pareva. E gli altri Tassorosso era furiosi con lei, tanto per migliorare la situazione! Buoni e comprensivi, un gran cavolo!
Roxi le aveva proposto di farla pagare alle gemelle Danielson e persino a Virginia, ma Dorcas si era rifiutata categoricamente: era già abbastanza nei guai.
«Buon pomeriggio, professore. Scusi il ritardo» esclamò Dorcas entrando in aula.
Il professor Mcmillan le rivolse uno sguardo severo. «Sei in ritardo di mezz’ora, ti rendi conto?».
«Mi ha trattenuta il professor Williams» mormorò la ragazza, che non desiderava l’ennesima ramanzina dal suo Direttore.
«Mettiti a lavoro» ordinò seccamente Mcmillan.
La Tassorosso, sconsolata, prese posto al primo banco dove tre calderoni sporchi la stavano aspettando.
*
 
«Merlin». Thomas Rosier chiamò il figlio.
Il bambino non si era ancora accorto del suo arrivo e aveva continuato indisturbato nei suoi tentativi di pietrificare uno degli elfi domestici dei Rosier. Inutile dire quanto quest’ultimo fosse terrorizzato.
«Padre!» esclamò contento Merlin correndo da Thomas. L'elfo sospirò di sollievo.
«Vai» ordinò Thomas a quest’ultimo e, quando fu scomparso, si rivolse al figlio: «Non voglio che maltratti gli elfi domestici».
Merlin ne fu sorpreso e protestò: «Ma la mamma mi ha detto che devo imparare fin da ora a farmi rispettare e che avrei potuto usare Lammy per esercitarmi con gli incantesimi».
«Io e la mamma dobbiamo compiere una missione importante».
«E quanto starete via?» s’incupì il bambino.
«Non lo so» rispose Thomas sinceramente. «Ascoltami, bene. Sai che io e tua madre stiamo lavorando a qualcosa di molto importante da tempo, vero?».
«Sì, padre, lo so» confermò Merlin perplesso.
«Se la missione di questa sera andrà a buon fine, trascorreremo molto più tempo insieme…».
«Davvero?» lo interruppe il bambino.
«Non mi interrompere» lo riprese Thomas con asprezza. «Io non dico bugie, ricordatelo! E per questo che mi devi ascoltare bene adesso. La missione potrebbe andare male, per questo motivo ora ti porterò da un’amica».
«Che amica?».
L’uomo ignorò la domanda e richiamò l’elfo. «Prepara un bagaglio leggero per il bambino. Sbrigati!».
«Da chi mi porti?» insisté il bambino.
«Un’amica» ripetè Thomas. «Promettimi che, se dovesse accadere qualcosa a me e a tua madre, ti comporterai secondo l’educazione purosangue che ti abbiamo impartito. Prometti!».
«Sì, padre. Lo prometto» esclamò immediatamente Merlin colpito dal tono urgente del genitore.
«Promettimi sul tuo onore di mago che non cercherai vendetta». A queste parole il bambino sgranò gli occhi, probabilmente non riuscendo a comprenderle pienamente. «Io e tua madre abbiamo seguito la nostra strada, quella che abbiamo ritenuta più giusta. Tu dovrai seguirne un’altra, una tutta tua, chiaro? Promettimi che lo farai».
«Te lo prometto» mormorò infine Merlin sempre più turbato.
«Promettimi anche che starai sempre lontano dalle Arti Oscure» aggiunse concitato Thomas.
«Ma, padre! La mamma dice che sono le uniche degne di un vero mago!» non poté trattenersi dal protestare il bambino.
«Merlin, se io e tua madre non torneremo, promettimi che rimarrai sempre nella luce. Promettimelo!».
«Va bene, te lo prometto».
«Perfetto, non dimenticare le tue promesse. Un vero mago mantiene sempre la parola data».
«Sì, padre» mormorò Merlin sempre più confuso.
Thomas annuì e strappò dalle mani dell’elfo la borsa del figlio. Il tempo era agli sgoccioli: non poteva far attendere Bella.
«Vieni» ordinò seccamente. Guidò il figlio fuori dal vecchio maniero dei Rosier, fino a un punto in cui ci si poteva smaterializzare. Prese il braccio del figlio e scomparve.
«Odio la Materializzazione» sbottò Merlin, appena riapparvero in una stradina secondaria di Londra.
Il cielo era nero e presto sarebbe scoppiato a piovere. Bellatrix aveva scelto appositamente quella giornata.
Sulla strada principale i Babbani lanciarono loro delle occhiate curiose, ricambiate da quelle sprezzanti del bambino scrupolosamente educato da Bella in tal senso.
«Questo posto puzza di feccia» sibilò infatti Merlin. Thomas lo ignorò e camminò a passo svelto. «Dove siamo, padre?».
«Mayfair, Londra» rispose l’uomo laconicamente, fermandosi di fronte al numero trenta. Per un passante ignaro quella sarebbe parsa semplicemente la villa di un ricco babbano, nessuno avrebbe mai potuto pensare che vi abitasse l’erede di una delle famiglie purosangue più antiche. Ripetendosi che quella fosse la scelta migliore, toccò il cancello, che dopo qualche secondo si aprì. Percorse il vialetto in silenzio.
Sulla soglia della porta lo attendeva Narcissa Malfoy.
«Cosa vuoi Rosier?» lo aggredì con malcelato rancore.
«Da quando si discute di affari dove tutti potrebbero sentire?» replicò sprezzante l’uomo.
Narcissa lo fissò con disprezzo e poi si spostò di lato per farlo entrare in casa.
Nessuno dei due disse nulla finché non raggiunsero un elegante e moderno salotto, con una porta a vetri che dava su un rigoglioso giardino.
«Sei fortunato che né Draco né Astoria siano a casa» sibilò la donna.
«Fortuna? Tuo figlio si crede veramente invincibile solo perché ha per amichetto Potter?».
«Draco e Potter non sono amici e non ha bisogno di lui né del Ministero per proteggere la su casa e la sua famiglia» ribatté Narcissa a denti stretti.
«Vedremo. Sono venuto per dirti che oggi potrebbero cambiare molte cose» dichiarò Rosier quasi con noncuranza, dopo aver preso posto su una poltrona.
«In che senso?» replicò Narcissa aggrottando la fronte. Il suo viso scavato, mostrava ancora i segni di una lunga prigionia.
«Nel senso che potrebbe presto esserci una nuova Ministra» rispose Thomas piegandosi verso di lei e rivolgendole un’occhiata eloquente.
«Che cosa vuoi da me?» domandò a bruciapelo la donna.
«Se dovesse esserci una nuova Ministra, il tuo Draco si troverebbe in una posizione molto scomoda. Sono solo venuto a offrirti la possibilità di salvarlo».
«E perché mai?» ribatté ella sprezzante.
«Prenditi cura di mio figlio per qualche ora e io convincerò la Signora Oscura a risparmiare la vita di Draco, Astoria e Scorpius. Che ti costa essere gentile con un bambino di nove anni? Dopotutto non è nulla in confronto a tre vite. Inoltre i nostri più fedeli rinchiusi ad Azkaban verranno liberati e così Lucius».
«E se domani mattina la Ministra sarà ancora la Weasley?» chiese sprezzante Narcissa.
«Allora» sospirò Thomas fissandola dritto negli occhi, «faccio appello al tuo lato materno: Merlin non ha alcuna colpa. Affidalo a mio cognato Constant Bulstrode».
I due adulti si osservarono intensamente per un momento sotto lo sguardo sconvolto di Merlin, infine la donna disse: «E sia».
Thomas la ringraziò con un cenno, salutò il figlio e si avviò all’ingresso.
«Spero di non rivederti mai più» sibilò Narcissa, prima che l’uomo se ne andasse.
Ella ce l’aveva fatta: era andata avanti. Non le interessava più che i Purosangue prevalessero. Era solo stanca e voleva godersi la sua famiglia. E Thomas in fondo la capiva. Narcissa Malfoy, però, una famiglia ce l’aveva ancora e valeva la pena che continuasse a combattere, lui no. Merlin sarebbe stato meglio senza di lui e Bellatrix.
Raggiunta la strada secondaria, in cui neanche mezz’ora prima era arrivato con il figlio, si smaterializzò.
«Quanto ci hai messo?» lo accolse la voce fredda di Bellatrix.
«Perdonami» replicò. «Dovevo sbrigare una faccenda importante».
«Ne parleremo più tardi» lo tacitò ella.
Thomas la raggiunse. Si trovavano sul tetto di un alto palazzo da cui potevano perfettamente osservare l’ingresso del Ministero della Magia.
«Abel Calliance, Maurice Green, Meyer Flower e Bernard White sono già dentro. Aspettiamo il segnale».
Thomas conosceva perfettamente il piano e si limitò ad annuire. Ad ogni membro del Consiglio Purosangue era stato affidato un Dipartimento. Lui e Bella sarebbero andati direttamente nell’ufficio del Ministro. Si rigirò la bacchetta tra le mani, soprappensiero. Il suo compito era semplice: uccidere Charles Abbott, il vice della Weasley.
I mercemaghi guidati da Rabastan Lestrange avrebbero attaccato il Quartier Generale degli Auror. Quell’illuso di Potter non si aspettava certamente di essere attaccato dall’interno.
All’improvviso un sciame di luci verdi illuminò il cielo di Londra.
«È ora» disse semplicemente Bella, smaterializzandosi all’ingresso del Ministero.
Se fosse andato tutto bene, il giorno dopo per la Gran Bretagna sarebbe sorta una nuova era.
 
*
 
«Andate nelle vostre Sale Comuni, voi!».
«Fino a prova contraria abbiamo tutto il diritto di stare in questo corridoio!» sibilò Rose, infastidita dal tono della Caposcuola di Serpeverde, Hannah Zabini.
«E dai, ci stavamo solo baciando» intervenne Scorpius per sedare gli animi.
La Zabini non fece in tempo a rispondere che un Allievo Auror corse verso di loro, seguito da un Hagrid con il fiatone.
«Avete visto Neville o Maxi Williams, ragazzi?» borbottò quest’ultimo.
«Saranno nei loro uffici» replicò Rose con un’alzata di spalle. «Che succede?».
«Il Ministero è stato attaccato» rispose Hagrid allarmato, prima di correre dietro alla recluta.
I tre ragazzi senza dire una parola fecero altrettanto e, senza indugi, si fiondarono nell’ufficio di Neville, beccandosi un’occhiataccia dall’uomo.
«Che vuol dire che il Mistero è stato attaccato?» gli chiese Rose, dopo che lo zio ebbe mandato un Patronus per riunire tutto il corpo docenti.
Neville sbuffò. «Che vuoi che significhi? La Signora Oscura è penetrata con i suoi uomini all’interno del Ministero».
«E…?» insisté la ragazza.
«E niente! Non sappiamo cosa stia accadendo lì dentro, ma ogni difesa magica è stata sbaragliata. Ora devo andare, bisogna proteggere la Scuola. Signorina Zabini, avvisa gli altri Caposcuola. In Sala Professori tra dieci minuti».
Rose e Scorpius scapparono verso la Torre di Grifondoro, ignorando i richiami di Neville.
«È questo il momento. È il momento che James aspettava!» quasi gridò il Serpeverde.
«Lo so, porco Salazar!» sbottò Rose, fermandosi di scatto. «Che stiamo facendo?».
«Giusto. Dobbiamo usare la testa. Cerchiamo Dor, Virginia, Roxi, Brian e Jonathan e poi cerchiamo un modo per contattare James e gli altri».
Trovare gli altri non fu difficile, la maggior parte degli studenti di Hogwarts a quell’ora solitamente cenava in Sala Grande.
«Occupati tu di Dorcas» disse Rose. «Noi ti aspettiamo nella stanza di Al».
Scorpius assentì, conscio che la ragazza avrebbe senz’altro litigato con il professor Mcmillan, peggiorando la situazione.
Scese di corsa nei sotterranei e trovò Dorcas intenta a pulire calderoni come previsto, ma dell’insegnante non c’era traccia.
«Mcmillan?» chiese facendo sobbalzare l’amica.
«È stato chiamato urgentemente da Paciock» rispose perplessa Dorcas.
«Ah, giusto, che scemi!» sbuffò Scorpius. «Dai vieni, gli altri ci aspettano in camera di Al».
«Eh? Ma sei matto? Se il professore…».
«I Neomangiamorte sono entranti al Ministero, dobbiamo agire» la interruppe Scorpius. «Muoviti!».
Dorcas sgranò gli occhi e lo seguì senza fiatare. Salirono sette piani a rotta di collo, ignorando chiunque cercasse di fermarli.
Fuori dalla Torre di Grifondoro li attendeva Niki Olivander, l’amica di Brian, che, istruita a dovere, pronunciò la parola d’ordine e li fece passare.
«Perché c’è tutta questa gente?» sbottò Scorpius, trovando la camera di Albus fin troppo affollata.
«Abbiamo più diritto noi di te di stare qui» sibilò Tylor Jordan.
Scorpius era di pessimo umore e non aveva la minima voglia di assecondarlo. Gli si avvicinò minaccioso, estraendo la bacchetta.
«Scorpius, lascia perdere» intervenne Robert Cooper, il miglior amico di James. «Siamo tutti qui per lo stesso motivo. So qual è il vostro compito, noi vi copriremo le spalle».
Rose prese il Serpeverde per un braccio e lo allontanò da Tylor. «Abbiamo problemi più gravi, lo affatturerai dopo».
Scorpius annuì e chiese: «Allora come avvertiamo gli altri in Australia?».
«Dobbiamo farlo di nascosto» disse Robert. «Mia zia non li permetterà mai di partire all’improvviso».
«Ma abbiamo dovuto scartare anche l’idea delle passaporte, come facciamo?» borbottò Roxi.
«La Metropolvere non possiamo usarla, sarà sicuramente sorvegliata» ragionò Virginia.
«Il professor Paciock chiuderà immediatamente ogni collegamento con l’esterno» esclamò convinta Dorcas.
«Potremmo usare un passaggio segreto. James ci ha lasciato il Mantello dell’Invisibilità» tentò Rose.
«E seppure arrivassimo a Hogsmeade? Solo Danny potrebbe Smaterializzarsi e comunque anche se avesse più esperienza, sarebbe pericolosissimo smaterializzarsi in Australia. È troppo lontano!» disse saggiamente Robert.
«Mi vuoi dire che siamo bloccati qui?» urlò Rose, proprio mentre la porta si apriva e un forte tuonò scuoteva il castello. «Hugo, che miseriaccia vuoi?» sbottò allora rivolta al fratello minore, appena arrivato.
«È vero quello che si dice in giro? La Signora Oscura ha attaccato il Ministero?».
Il ragazzino era visibilmente terrorizzato e persino Rose s’intenerì. «Sì, ma tranquillo, ora andiamo a sistemare le cose. Vedrai che mamma e papà ne usciranno senza un graffio».
«Veniamo anche noi» intervenne Lily, da dietro le spalle del cugino e si fece avanti.
«Jamie, non approverebbe» esclamò immediatamente Robert, consapevole che l’amico l’avrebbe ucciso se avesse permesso alla piccola Lily di seguirli.
«Se non troviamo un modo per farli tornare, il problema non si pone neanche» sbottò Rose prevenendo ogni risposta di Lily.
«Mio padre mi ha detto che una volta i tuoi genitori e tuo zio sono scappati dal Malfoy Manor insieme a un elfo domestico» mormorò all’improvviso Scorpius, sollevando gli occhi su Rose.
«Sì, la storia di Dobby è quella più amata in famiglia» commentò Lily.
«Nessuno degli elfi della Scuola farebbe una cosa del genere» disse scettico Robert.
«Forse uno sì» mormorò Brian, parlando per la prima volta. Tutti si voltarono verso di lui, che chiamò: «Tabi!».
Un elfo domestico apparve con un sonoro pop e dedicò al piccolo Corvonero un lieve inchino. «Signorino, signorino! Tabi è felice. Cosa può fare Tabi per lei?».
«La tua magia ti permette di smaterializzarti anche in Australia?» gli chiese Brian.
«Sì, Tabi può. Ma Tabi non è mai stato in Australia».
«Ti faremo vedere una foto del posto, va bene?» intervenne Virginia.
«Sì, signorina. Tabi può farlo, se vede la foto».
«Vado a prendere il libro in biblioteca» disse Virginia, correndo via.
«Aspetta, prendi il Mantello!» disse Rose seguendola fuori dalla stanza.
«Winnie potrebbe aiutare Tabi» propose Miki Fawley. Il ragazzino era insieme a Brian, quando Rose e Scorpius l’avevano trovato, e, proprio come Niki Olivander, Annika Robertson e Drew Jordan, aveva preteso di partecipare.
«Chi è Winnie?» domandò Scorpius.
«La mia elfa» replicò il ragazzino.
«Bene, chiamala. Così faremo prima» disse Robert.
«Dorcas traccia Ass sulla runa. Gli altri si devono preparare e radunare o Tabi e Winnie impazziranno a trovarli» disse Jonathan.
«Speriamo che Virginia non ci metta molto» sospirò Rose, lasciandosi andare sul letto di Albus.
 
 
*
 
«Che lezione hai alla prima ora, Albus?».
Tobia e Lorenzo, i due studenti italiani con cui ormai aveva legato, avevano preso l’abitudine di sedersi insieme a lui durante i pasti.
«Trasfigurazione Avanzata» rispose il Grifondoro. «A quanto pare oggi farà lezione il Preside di Uagadou. Siamo insieme, no?».
«Mi ero dimenticato, scusa» borbottò imbarazzato Tobia. «È che il mondo anglosassone è molto diverso dal nostro, perciò ogni volta facciamo un po’ di fatica ad ambientarci».
Albus non replicò perché qualcosa gli scottò la gamba. In un primo momento pensò che qualcuno gli avesse versato del latte caldo, ma poi comprese che era la runa. Cercò con lo sguardo James, poco distante, e il fratello ricambiò spaventato.
«Scusate, devo andare» bofonchiò rapidamente e uscì a passo svelto dalla Sala da Pranzo, seguito a ruota dal fratello maggiore. Appena fuori e lontano da occhi indiscreti, estrasse la runa dalla tasca e la scrutò.
«Sono impazziti?» sbottò Emmanuel, raggiungendoli di corsa. «Ass? Come facciamo a riunirci con un oceano di mezzo?!».
Poco dopo li raggiunse anche Frank, altrettanto teso e nervoso. «Ma che succede?» chiese sperando che i fratelli Potter avessero una spiegazione.
«Andate nella nostra camera» disse James, prendendo in mano la situazione. «Vado a cercare Jack, dovrebbe essere nel cortile interno con Kymia. Aspettatemi lì». Quando raggiunsero l’ingresso, dove avrebbero dovuto separarsi, si trovarono di fronte due elfi domestici.
«James Potter, signore?» mormorò uno dei due.
James non li conosceva, ma era sicuro di aver visto quello che aveva appena parlato nella cucina di Hogwarts. Il che non era un buon segno.
«Dovete venire con noi, signorini» mormorò l’altra elfa.
«Dovremmo offenderci per come siete scappati» intervenne una voce, costringendo il Grifondoro a voltarsi.
«Axel?» biascicò sorpreso Frank, non sapendo come giustificare quella strana situazione.
«Siamo pronti a darvi una mano» soggiunse Tobia, che li aveva seguiti.
«Anch’io Potter» s’inserì Niki Charisteas, con cui James aveva stretto amicizia in quei giorni.
Le Olimpiadi Magiche avevano raggiunto il loro scopo principale, dopotutto.

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Capitolo 38
*** Si vis pacem, para bellum ***


Capitolo trentottesimo
 
Si vis pacem, para bellum
 
 «Bene, diamoci da fare» affermò Rose avviandosi verso la porta, ma Scorpius la trattenne per un braccio.
«Aspetta, ma che fai? Il Ministero è sotto assedio! Non puoi andartene a zonzo da sola, come se nulla fosse!».
«Scorpius, ha ragione. Agiamo tutti insieme» intervenne Robert, prima che la ragazza si arrabbiasse con il Serpeverde.
Ella sbuffò, ma attese ugualmente che tutto il gruppo arrivasse nel bagno. Avevano deciso di farsi portare dai due elfi in un posto potenzialmente sicuro. E neanche i Neomangiamorte avrebbero potuto ritenere utile tenere sotto controllo un bagno. Il problema era che cosa avrebbero trovato fuori da lì.
«Andiamo?» chiese impaziente Hugo.
«I più piccoli non avremmo dovuto portarli» sospirò Robert, sconsolato per la testardaggine dei Weasley e dei Potter.
«Piccolo, sarai tu!» sbottò Lily, appena arrivata insieme alle Malandrine.
«Siamo più grandi di Brian e duelliamo meglio di lui!» s’inserì Alice Paciock.
«Grazie tante» borbottò Brian imbarazzato.
«Stiamo parlando di mia madre» sibilò Hugo, pallido e tremante.
«Smettete di discutere» intervenne Scorpius con fermezza. «Tabi, Winnie, per favore, andate a prendere James e gli altri alla Dreamtime». Detto ciò si avviò per primo verso la porta e intimò il silenzio.  Rose fu la prima a seguirlo. «Sguainate le bacchette!» ordinò seccamente il Serpeverde prima di aprire la porta.
«Spostati» sibilò Lily a Gideon Weasley, guadagnandosi un’occhiataccia da Robert.
«Ci sentiranno» commentò turbato Marcellus Nott.
«Credo che a mio padre verrà un colpo quando scoprirà che quaranta persone sono sparite sotto i suoi occhi» borbottò Alice.
«Pensa, invece, a Williams» ghignò Gideon.
«Basta! Non è un gioco! Giuro che vi pietrifico e vi lascio qui, così quando Tabi e Winnie ritorneranno vi farò riportare a Hogwarts» li sgridò Robert.
Scorpius, ignorandoli, era andato avanti, mentre Rose, Cassy, Elphias Doge e Alex Dolohov gli coprivano le spalle.
«Benvenuti al Primo Livello, Ministro della Magia e Personale di Sostegno» mormorò il Serpeverde, imitando la voce degli ascensori del Ministero. «Vuoi fare strada, Rose? Io non sono mai salito quassù».
«E manco io» replicò la ragazza. «Dov’è Alastor?» chiese voltandosi verso gli altri, tentando di mantenere la voce bassa.
«Sono qui» sussurrò il ragazzo, avvicinandosi. «Non conosco tutto il piano, ma posso guidarvi fino al vecchio studio di mio padre».
«Forza, allora» ribatté Rose.
Procedendo lungo il corridoio, Scorpius indicò loro la spessa moquette che ricopriva il pavimento. Era macchiata.
«Che cos’è?» domandò spaventato Brian.
Robert e Fred si fermarono a esaminarla. «Credo sia fango» disse il primo.
«Anche secondo me» soggiunse Fred.
«Fuori piove. È plausibile» commentò Alex Steeval, uno dei migliori amici di Fred.
Lungo il corridoio si affacciavano varie porte dalla foggia elegante, accanto alle quali, sul muro, era affissa una targa dorata con il nome e il ruolo del funzionario.
«È normale questo silenzio?» domandò Samuel Vance. Infatti, a parte l’eco dei loro passi, non vi erano altri rumori. Nemmeno il più piccolo sentore che su quel piano qualcuno stesse combattendo. Il che non era un buon segno.
«Controlliamo tutte le stanze» replicò Scorpius, sempre più inquieto.
«Un gruppo dovrebbe tornare indietro e controllare gli ascensori» propose Robert.
«Hai ragione» assentì Scorpius, non smettendo di guardarsi intorno. «Vai tu? Dovreste essere almeno una decina».
Robert annuì. Lo seguirono Danny Baston, Tylor Jordan, Fred e i suoi compagni, Alex Steeval, Seby Thomas, Beatrice Jackson, Eleanor Mckenzie e Gaia Pratzel, ed Elphias Doge.
Gli altri ripresero a percorrere il corridoio sotto la guida di Alastor, mentre Scorpius, Alex e Rose aprivano tutte le porte.
«Non c’è nessun segno di lotta» borbottò Dexter Fortebraccio frustrato.
Alastor li condusse fino a un ampio open space.
«Questo è il cuore del Ministero» sussurrò il ragazzo. «Qui vi sono gli uffici più importanti».
Di fronte a loro vi era una lustra porta di mogano. La targa dorata, più grande di quelle viste nel corridoio, recitava:
 
Charles Abbott
Sottosegretario Anziano del Ministro
 
A sinistra vi era l’ufficio del Ministro della Magia, Hermione Weasley e, a destra, una Sala Riunioni.
Scorpius spedì parte del gruppo a controllare il resto del piano e rimasero lì solo lui, Rose, le Malandrine, Dorcas, Alastor, Fulton Collins e Hugo.
«Andiamo» disse Rose e si diresse verso l’ufficio della madre.
Qui le paure dei ragazzi si concretizzarono: una donna, sulla trentina, era riversa sul pavimento con gli occhi spalancati e vacui.
Rose si avvicinò e la osservò, tentando di rimanere impassibile, ma quando parlò la sua voce tremava: «Era la segretaria di mamma. Non so neanche come si chiamasse. Tu lo ricordi, Hugo?».
Scorpius avrebbe voluto stringerle la mano in quel momento, ma non lo fece, perché alla Grifondoro non piaceva mostrarsi debole.
Hugo non rispose, troppo occupato a vomitare.
«Che facciamo?» mormorò Dorcas, desiderosa di scappare il più possibile da quella trappola mortale in cui si era trasformato il Ministero.
«Alma McCarthy» biascicò Hugo, attirando l’attenzione di tutti. «I-il nome della segretaria di mamma».
Scorpius, in verità, non aveva la minima idea su come comportarsi in un simile frangente e osservò, impotente, Rose avviarsi oltre la porta che conduceva all’ufficio della madre. Incerto se seguirla o meno, non si mosse.
La ragazza, però, tornò subito dopo: «Non c’è nessuno. Qualcuno è entrato e ha rovistato tra le carte di mia madre, ma nient’altro».
«Magari era già tornata a casa» tentò Dorcas. «Dopotutto quando i Neomangiamorte sono entrati, l’orario di lavoro era terminato».
«Nostra madre si trattiene sempre un’oretta in più» sospirò Hugo e fu il primo a uscire dalla stanza. «È più probabile che abbia raggiunto papà e zio Harry al piano di sotto».
Scorpius, avendo visto la faccia terrorizzata della giovane recluta Auror, non ci credeva molto ma non disse assolutamente nulla per togliergli anche quell’ultima speranza. Rose, invece, non commentò proprio le parole del fratello e si diresse a passo svelto verso l’ufficio di Abbott, che si rivelò deserto sebbene qualcuno l’avesse messo a soqquadro.
«Non ci resta che la Sala Riunioni e poi potremmo raggiungere gli altri» disse Lily con voce rauca.
Nella vasta ed elegante Sala i presentimenti di Scorpius presero corpo nella forma più terribile.
Dorcas si bloccò sulla porta con le gambe tremanti, non riuscendo a fare un altro passo; ma anche gli altri ebbero un momento di sconforto e panico. Diversi corpi riversi a terra, chiazze di sangue sul parquet e sulle pareti e dei rantoli.
Il primo a riscuotersi fu Scorpius, che cercò la fonte di quel respiro affannato. Quasi cadde in ginocchio vicino alla donna. «Signora Weasley! Rose, Hugo» chiamò. I due si avvicinarono all’istante, ma il più piccolo si fermò prima colto da un nuovo conato di vomito.
«Mamma» mormorò Rose sconvolta. «Come accidenti hanno fatto? Hai sconfitto Voldermort!».
Alice li raggiunse e le tastò il polso, come aveva visto fare nei film babbani e in seguito la madre, che aveva studiato come medimaga per quanto non avesse poi mai esercitato, le aveva spiegato come funzionasse. «È viva, ma il battito è debole. Ha perso molto sangue».
«Sembrano le stesse ferite che aveva l’anno scorso Louis» commentò Lily flebilmente.
«Sectusempra» mormorò allora Scorpius. «È magia oscura. Jack Fletcher conosce il controincantesimo».
«Se fermassimo il flusso di sangue, sarebbe meglio» disse Alice.
«La formula è vulnera sanetur» intervenne Lily e allo sguardo interrogativo degli altri aggiunse: «Arthur ha visto Williams usarla su Jack durante il primo e unico incontro del Club dei Duellanti».
«E lo ha ripetuto più volte finché la ferita non si è rimarginata» soggiunse Alice. «È un incantesimo di guarigione, fallo tu Scorpius».
Il Serpeverde annuì automaticamente, ma senza una reale idea di che cosa fare. Alice se ne rese conto e intervenne: con l’aiuto della magia, tagliò la giacca e la camicia che Hermione indossava in modo da scoprire tutta la ferita. Infine fece cenno a uno Scorpius decisamente sconvolto, ma che riuscì a mantenere il sangue freddo ed eseguire l’incantesimo. La ferita si rimarginò totalmente sotto lo sguardo di approvazione di Alice.
«E ora bisogna portarla al San Mungo» dichiarò la ragazzina. «Dick».
Con un pop apparve un elfo domestico sconosciuto a tutti loro.
«La signorina ha chiamato? Dick, è venuto subito. In casa sua sono molto preoccupati e…». L’elfo non concluse la frase, i suoi occhi diventarono grandi come piattini e si riempirono di lacrime. «Padron Charles, padron Charles! Oh, padron Albert sarà distrutto».
L’urlo straziato della piccola creatura, attirò l’attenzione di tutti su Charles Abbott poco distante da Hermione.
Con un groppo in gola Alice saltò su e lo raggiunse. «Dick, è vivo! Smettila di strillare!» urlò per sovrastare la vocetta acuta dell’elfo di suo nonno.
Scorpius rimarginò la ferita sull’addome dell’uomo, ma il controincantesimo non ebbe alcun effetto su quella sul braccio.
«Si è spaccato» sussurrò Alice con consapevolezza. «Avrà provato a smaterializzarsi, ma non era abbastanza concentrato o l’hanno ferito mentre ci provava».
«Dick, portali al San Mungo» disse Lily. «Per favore».
L’elfo non se lo fece ripetere. Nel frattempo i ragazzi controllarono anche le altre persone, ma non poterono far nulla.
«Perché?» sospirò Gabriella Jefferson, una delle Malandrine. «Perché non hanno ucciso anche il Ministro e Abbott?».
Hugo le ringhiò contro, ma Scorpius rispose all’istante: «Perché volevano che avessero una morte lenta e dolorosa. Ci scommetterei».
Il Serpeverde era molto pallido e si guardava intorno come se mancasse qualcosa e non volesse convincersi della sua assenza.
«Non potevi chiamarlo prima Dick?» borbottò Lily alla sua migliore amica. «Saremmo arrivati prima».
Alice la fulminò con lo sguardo. «Avrebbe chiamato subito mio padre e non saremmo partiti proprio. Adesso era troppo sconvolto per preoccuparsi del perché siamo dove non dovremmo essere. Comunque mio padre lo scoprirà a breve».
«Scorp, che c’è?» chiese Rose.
«Questi sono tutti Capi Dipartimento» rispose il ragazzo. «Manca mio padre» disse affranto.
«Meglio!» sbottò acidamente Rose.
Dorcas esaminò rapidamente i documenti sparsi sul tavolo e ne individuò uno interessante. «Questo è il verbale della riunione».
«Chissenefrega, andiamocene di qui» borbottò Rose.
«Risultano assenti: Marcus Flint, Michael Corner e Draco Malfoy. L’ordine del giorno era… oh, Merlino… volevano dichiarare guerra ai Neomangiamorte…».
«Non mi sorprenderei più di tanto e comunque alla fine sono stati attaccati…» commentò Scorpius.
«Mio padre non salta mai le riunioni» intervenne Elisabeth Corner.
«L’incontro dev’essere iniziato prima che si accorgessero che i Neomangiamorte erano riusciti a penetrare nel Ministero. Probabilmente gli assenti sono stati trattenuti» disse Rose.
«Qui però ci sono solo tre corpi. Dov’è Susan Bones?» chiese Scorpius aggrottando la fronte.
«Non ci resta che scoprirlo» replicò Rose. «Raggiungiamo gli altri».
Perlustrarono tutto il primo livello, ma non trovarono nessun Neomangiamorte e neanche altri dipendenti del Ministero.
«Probabilmente sono sicuri di aver già in mano il Ministero» commentò Robert, appena si riunirono. «Non avrebbero mai immaginato che un gruppo di studenti si sarebbe smaterializzato con l’aiuto di due elfi domestici. Davano per spacciarti la Ministro e Abbott».
«Qualcuno dovrebbe rimanere qui a presidiare il piano. Noi non commetteremo il loro stesso errore» disse Scorpius.
Una volta accordatisi, entrarono in massa in un ascensore che partì sferragliando.
Si resero immediatamente conto che la battaglia al secondo livello ferveva e gli Auror, la cui divisa scarlatta risaltava nella confusione, non erano intenzionati a desistere sebbene sicuramente i Neomangiamorte dovessero aver diffuso la notizia di aver ucciso il Ministro della Magia.
«Non possiamo aspettare che arrivino gli altri» borbottò Scorpius.
«Ci raggiungeranno. Troviamo mio padre e mio zio Harry» replicò Rose.
 
*
 
«Maledetti incoscienti!» sbottò per l’ennesima volta James.
«Basta, Potter! Non la fare tanto lunga» lo redarguì Jack Fletcher. «Ormai è fatta. Adeguiamoci».
James lo fulminò con gli occhi, ma il Tassorosso non si scompose.
«Per pronunciare la nenia dobbiamo essere tutti insieme o non avrà effetto» intervenne Albus. «Dobbiamo ricongiungerci con gli altri».
«Tuo fratello ha ragione» commentò Jack. «E poi non sono del tutto sicuro che la tua idea di farci portare qui, sia stata il massimo».
«Dove siamo?» domandò Niki Charisteas guardandosi intorno accigliato e con la bacchetta sguainata.
«È un’aula di Tribunale, per la precisione quella dove si è svolto il processo per la morte di Dumbcenka, vero?» chiese uno dei due gemelli Nilsson. Per chi non li conosceva bene era difficile distinguerli.
«Come lo sai?» ribatté James sulla difensiva.
«Ho visto le foto sul giornale» spiegò il ragazzino con un’alzata di spalle.
«Sì, tutto molto interessante. Che ne dite di rimandare questa piacevole conversazione?» sbuffò Jack.
La porta dell’aula si aprì di scatto ed entrò un gruppo di Neomangiamorte, i ragazzi serrarono automaticamente i ranghi.
«Oh, i bambini vogliono giocare con noi».
«Come fanno a essere così tanti?» soffiò Emmanuel.
«Mercemaghi e gente di Tristan de Cunha» rispose Jack come se fosse ovvio.
La veridicità delle sue parole risultò evidente appena iniziarono a duellare: alcuni erano poco più che dei ragazzi come loro, senza la minima preparazione magica.
Combattere sui gradoni dell’aula e tra le panche era allo stesso tempo un vantaggio e uno svantaggio: potevi nasconderti, ma potevano farlo anche i tuoi avversari.
Non impiegarono molto ad avere la meglio sul gruppetto, anzi, a dire tutta la verità, sarebbe stato sufficiente il solo Niki Charisteas.
Il Neomangiamorte che li aveva chiamati ‘bambini’ entrando, non sembrava divertirsi più tanto.
«Avanti, mostrarci il tuo volto» ringhiò James con rabbia e con un gesto della bacchetta gli fece volare la maschera d’argento.
«Tu sei Gregory Goyle. Ho visto la tua foto sulla Gazzetta del Profeta» disse Jack.
«Mio padre mi ha parlato di te» ghignò James, ma il suo sguardo tornò a incupirsi quando Richard Parkinson entrò accompagnato da un gruppo numeroso di Neomangiamorte.
«Abbassa la bacchetta, Potter» ordinò l’uomo.
«Col cavolo!» sbottò Jack e lo attaccò.
Lo scontro si riaccese, ma questa volta durò ancora di meno e svolse a loro sfavore. Erano in netta minoranza e persino Niki Charisteas fu sopraffatto.
«Disarmateli e legateli» ordinò Parkinson.
James digrignò i denti, mentre veniva depositato ai piedi dell’uomo come un sacco di patate.
«Potter, Potter. Tu e la tua famiglia non imparate mai a non ficcarvi nei guai?».
«E la tua non impara mai a non sguazzare nelle arti oscure?» sputò James in risposta.
«Esattamente. E ne andiamo fieri» sibilò l’uomo in risposta. «Alzati e cammina, Potter. O vuoi che qualcuno ti porti in braccio?».
Il Grifondoro non rispose, avendo le braccia legate diede una colpo di reni e si sollevò in piedi. Ansimando cercò con gli occhi i suoi amici: Jack era tenuto sotto controllo da due uomini; Niki Charisteas da ben quattro; Albus aveva un occhio nero; Frank esibiva il labbro sanguinante; Elliott Castle zoppicava leggermente; Glykeria, compagna di Niki, i gemelli Nilsson e Tobia sembravano illesi, sebbene naturalmente fossero turbati; Emmanuel cercava il suo sguardo e quello di Jack in attesa di capire come si sarebbero dovuti comportare.
Il problema è che non ne aveva la minima idea. In quel momento vi erano troppi uomini per tentare qualsiasi cosa ed erano stati persino disarmati. Quella missione si stava rivelando un disastro. Non avrebbero dovuto permettere ai ragazzi stranieri di andare con loro. Non era giusto, quella non era la loro guerra.
Furono spinti fuori dall’aula e costretti a seguire Parkinson lungo il nero corridoio. James sapeva che quella era l’unica via per salire ai piani superiori, visto che a quel livello l’ascensore non arrivava.
Salire le scale fu difficile, legati com’erano i loro movimenti erano goffi. Frank inciampò, ma non sbatté la testa perché uno dei Neomangiamorte lo fermò in tempo. Dai vari insulti che si levarono dal gruppo in testa vicino a Parkinson, comprese che doveva essere un mercemago o qualcosa del genere.
Giunti al nono livello, gran parte dei Neomangiamorte, su ordine di Parkinson, si diresse agli ascensori, probabilmente per dare man forte al grosso del loro esercito.
«Oggi sarete ospiti del mio Ufficio» ghignò Parkinson conducendoli verso una porta nera in fondo al corridoio.
«Non è più il tuo ufficio. Solitamente il Ministero non offre lavoro ai ricercati» commentò sprezzante Jack sputando a terra. Goyle, unico senza la maschera oltre a Parkinson, lo colpì con una manata sulla spalla che gli fece perdere l’equilibrio.
«Jack!» chiamò Emmanuel preoccupato.
Due Neomangiamorte, a un cenno del loro capo, lo rimisero in piedi.
«Su, Goyle, non me li strapazzare. Ho bisogno di loro» disse Parkinson con un vago gesto della mano.
James contò gli uomini rimasti: una decina, compresi Goyle e Parkinson. Niki gli strizzò l’occhio. Fu solo un attimo tanto che il ragazzo temette di esserselo immaginato.
«Anzi, Goyle, vai anche tu su» ordinò Parkinson. «Io non ho bisogno di aiuto qui».
«Va bene, porto un paio di uomini con me allora» bofonchiò l’altro per nulla contento.
D’altronde doveva essere abbastanza fifone da non voler certo partecipare allo scontro principale.
Parkinson sbuffò. «Se proprio devi». Poi si rivolse ai ragazzi. «Allora qual è il vostro Stato di Sangue?».
«Il nostro sangue è sicuramente migliore del tuo!» sbottò James.
«Non esagerare, Potter! Impara a portare rispetto!» sbottò Parkinson tirandogli uno schiaffo in viso.
«Jamie» gemette Albus poco dietro di lui.
«Sei un mezzosangue, lo sanno tutti» sibilò Parkinson lanciando al Grifondoro un’occhiata malevola. Lo spinse a terra e gli puntò contro la bacchetta. «Non mi piace giocare con i bambini, perciò rispondetemi! Chi siete?».
«Sono un mezzosangue» rispose Jack con rabbia.
«Lo so chi sei tu. Il figlio di Mundungus Fletcher!» abbaiò Parkinson. «Tu, chi sei?» gridò indicando Frank.
«Frank Paciock» mormorò il ragazzino terrorizzato.
«Oh, oh, un Purosangue! Ci sono altri Purosangue?».
Emmanuel, Tobia e i due gemelli Nilsson si fecero avanti.
«Bene, bene» commentò Parkinson lisciandosi la barba non rasata da giorni. «Portateli tutti dentro».
James venne rialzato sgarbatamente da due mani forti e spinto dentro una stanza circolare. Sembrava una specie di pianerottolo, visto che vi si affacciavano una serie di porte nere come la pece.
Niki gli cadde addosso. «Oh, scusa ho perso l’equilibrio».
Per la seconda volta, James toccò il pavimento di pietre dura e gemette. Imprecò a piena voce, chiedendosi come l’altro potesse essere stato così imbranato.
«Quando ti dico ‘ora’, riprendi le bacchette alla babbana» soffiò Niki nel suo orecchio, prima che i Neomangiamorte li rimettessero in piedi.
Il Grifondoro adocchiò l’uomo che teneva le loro bacchette. Alla babbana aveva detto Niki. Lanciò un’occhiata a Jack e con la coda dell’occhio glielo indicò anche a lui.
Non c’era tempo né modo per spiegargli che Niki aveva un piano, ma il Tassorosso di solito aveva buoni riflessi.
«Loro cinque portateli nel mio ufficio. Sicuramente le loro famiglie si adegueranno al nuovo ordine e li rivorranno indietro». Aveva indicato Frank e gli altri Purosangue del gruppo. «A parte Paciock» si corresse immediatamente Parkinson. «La sua famiglia ha avuto fin troppe possibilità. Crucio».
L’urlo di Frank quasi coprì quello di Niki. James si sentì le mani improvvisamente libere e si gettò sul Neomangiamorte che teneva le bacchette, che gemette a sua volta cadendo a terra come un fuscello. Pochi secondi dopo Jack raggiunse il Grifondoro e legò le mani dell’avversario.
Niki aveva attaccato direttamente Parkinson e l’aveva schiantato con violenza sotto gli occhi di tutti. I Neomangiamorte apparvero terrorizzati dal veder crollare in quel modo il loro capo.
Albus si precipitò da Frank: il ragazzino a terra tremava e ansimava. Gli spostò i capelli dalla fronte sudata e si accorse che aveva le lacrime agli occhi.
«Vuoi che chiamo Winnie o Tabi?» gli chiese concitato.
Frank chiuse gli occhi e scosse la testa. «Aiutami ad alzarmi, per favore» chiese solamente.
Albus lo tirò su ed Emmanuel gli liberò le mani. James restituì le bacchette ai legittimi proprietari, mentre gli altri tenevano sotto mira i Neomangiamorte. Uno di questi provò a scappare, ma Jack chiuse di scatto la porta e gli bloccò il passaggio.
Fu una pessima idea. Il buio calò sulla stanza, che iniziò a girare. L’unica fonte d’illuminazione erano delle candele, appese tra le porte, che emanavano luce blu.
James imprecò.
«Oh, Merlino siamo nell’Ufficio Misteri» gemette Albus ricordandosi le storie dei suoi genitori. Il fratello gli lanciò un’occhiataccia.
I Neomangiamorte si tolsero la maschera e consegnarono le loro bacchette, senza che glielo chiedessero e senza provare a combattere. Ai ragazzi strinse il cuore, persino a Jack che faceva sempre il duro.
«Ma sono vecchi e ragazzi come noi!» commentò stranito uno dei gemelli Nilsson.
«Noi volere tornare solo a casa» pianse uno degli anziani.
«Siete di Tristan de Cunha?» domandò James consapevole.
«Sì» rispose un altro anziano, annuendo freneticamente.
«Che facciamo?» chiese Niki, che non aveva abbassato la bacchetta dopo aver legato e reso inoffensivo Parkinson.
«Leghiamoli» decise a malincuore James. Non avrebbe voluto farlo, ma non li conosceva e in un frangente del genere non poteva fidarsi di nessuno che non fossero i suoi compagni. «Quando avremo sconfitto Bellatrix Selwyn qualcuno si occuperà di loro».
Jack, Niki e Glykeria si premurarono di legare quegli uomini e con l’aiuto degli altri li spinsero in un angolo della stanza.
«E ora?» sospirò Albus, fissando le porte tutte uguali.
«Semplice» sbuffò Jack. «Dobbiamo trovare l’uscita».
 
*
 
Proprio come avevano immaginato, al secondo livello la battaglia ferveva. Incoscientemente si gettarono nella mischia senza neanche riflettere e senza il minimo piano. Fortunatamente prima di partire Fred aveva offerto loro quello che rimaneva della sua scorta di Felix Felicis. Non sarebbe durata molto, ma funzionava e Rose evitò per un pelo un lampo di luce verde uscendo dall’ascensore.
«Cerchiamo di non separarci» le gridò Scorpius, schiantando un Neomangiamorte che stava per colpirla.
«Dobbiamo trovare mio padre» urlò Rose in risposta.
Il Serpeverde annuì, benché non avesse la minima idea di dove trovare il signor Weasley e naturalmente Harry Potter.
«Scorp!». Lo strillò di Lily, richiamò la sua attenzione su una luce rossa che stava per prenderlo in pieno petto, ma s’infranse contro uno scudo invisibile che la ragazzina doveva aver evocato.
Anche un babbano avrebbe compreso che agli Auror era sfuggita la situazione di mano.
Combattendo Rose, Scorpius, Dorcas, Virginia, Jonathan, Roxi, Brian, Lily, Hugo, Alice e Alastor si avviarono verso il Quartier Generale, mentre Fred e altri li coprivano le spalle.
Gran parte del corridoio non esisteva più, probabilmente colpito da qualche potente incantesimo. I ragazzi, protetti anche dalla Felix Felicis, raggiunsero la loro meta, ormai irriconoscibile.
«Oh, Merlino» sospirò Scorpius scioccato.
I cubicoli, che fungevano da uffici per gli Auror, non esistevano più e al centro dell’area vi era un enorme cratere come se fosse esplosa una bomba babbana.
Dorcas si sentì mancare e non trovò il coraggio di guardare il volto degli Auror tra le macerie.
«Spostatevi! Ma che diavolo?!».
«Samuel! Samuel Harper!» urlò Rose fuori di sé dalla gioia. Quel ragazzo giovane e simpatico era vivo e aveva appena imprecato vedendoli. Quello le diede speranza.
«Attento!» gridò Jonathan evocando uno scudo che lo salvò da uno schiantesimo.
«Dov’è mio padre?» chiese concitata Rose.
«E che ne so? Andatevene!» sbottò Samuel Harper.
Anche lì come in corridoio, non si capiva molto e non sempre le vesti aiutavano a capire se i combattenti fossero amici o nemici.
«Da qua» strillò Lily correndo verso l’ufficio del padre.
Gli altri la seguirono, ma furono costretti a bloccarsi.
Harry duellava con Rabastan Lestrange. I ragazzi li fissarono turbati per un attimo, ma poi dovettero cercare riparo per non essere colpiti da qualche maledizione volante. Lily non aveva occhi che per suo padre e Scorpius dovette trascinarla di lato.
«Rosie».
Il debole richiamo sorprese tutti. Dietro una scrivania rovesciata c’era Ron Weasley con una donna ferita tra le braccia.
«Papà!» gridò Rose, raggiungendolo insieme agli amici.
«Sei ferito?» gli domandò Hugo concitato.
«Per Merlino, sei qui anche tu» replicò Ron, vedendo il figlio minore. I due ragazzi, però, lo abbracciarono, facendolo gemere.
«Allora sei ferito!» disse Hugo. «Dove?».
«Ragazzi, non dovete stare qui» tentò con voce flebile Ron.
«Invece sì» sbottò Rose. «Hai dimenticato la Profezia? Solo noi possiamo fare qualcosa!».
«Dove sei ferito?» insisté Hugo in lacrime.
«La gamba, Hugo. Stai tranquillo, starò bene. La mamma piuttosto…». Ron sembrava distrutto e non aveva idea di come continuare.
«La mamma è al San Mungo. Starà bene» gli disse Hugo, mentre Alice controllava la donna svenuta.
«Il suo cuore batte» mormorò perplessa, «ma non si sveglia».
«È stata colpita da una maledizione» replicò Ron. «Che stai facendo?» soggiunse vedendo che la ragazzina gli scopriva la ferita.
«È stato il sectusempra, vero?» chiese ella in risposta.
«No. Credo sia la nuova maledizione che si è inventata la Selwyn, quella che si può rimarginare solo con metodi babbani» gemette Ron.
Alice gli tamponò la ferita con un fazzoletto che aveva in tasca.
«Papà!» urlò Lily e uscì dal loro nascondiglio.
Scorpius imprecò e la seguì, conscio che James e Al non gli avrebbero più rivolto la parola se le fosse accaduto qualcosa.
Con un’occhiata colse la situazione: il signor Potter era caduto sbattendo contro il muro e un barcollante e altrettanto ferito Lestrange stava per dargli il colpo di grazia o almeno, questa era l’intenzione, finché Lily non gli era saltata sulla schiena urlando come una banshee e prendendolo a pugni e a calci.
«Se non si stacca, non possiamo colpirlo!» disse Jonathan alle sue spalle.
«Impedimenta!» pronunciò Scorpius, facendo cadere il Neomangiamorte. Jonathan era scattato e aveva aiutato Lily ad allontanarsi. Harry Potter aveva avuto il tempo di rialzarsi e schiantare Lestrange.
Ansimando Harry si rivolse a loro con occhi sgranati: «Che Merlino fate qui?».
Tutto sommato Scorpius non gli dava torto, in teoria loro avrebbero dovuto essere al sicuro tra le mura di Hogwarts.
«Siamo venuti per compiere il nostro destino» rispose Virginia, con una calma inquietante. Era pallida e leggermente graffiata in volto, ma a parte questo stava bene e fino a quel momento si era mostrata molto determinata.
Harry non sembrò contento della sua risposta e si rivolse a Lily: «Tu che c’entri?».
«Non potevo rimanere in Sala Comune e aspettare tue notizie!».
Harry fece per rimproverarla, ma la ragazzina si fiondò tra le sue braccia e scoppiò a piangere. Lily era come Ginny, non piangeva facilmente, specialmente in pubblico. Harry la strinse a sé e la portò dietro la scrivania.
«I ragazzi dicono che Hermione è stata portata al San Mungo» gli disse subito Ron.
«Come?».
«L’elfo di mio nonno. L’ho chiamato ed è venuto. Ha portato con sé anche mio zio Charles» rispose Alice.
«Per gli altri Capi di Dipartimento non abbiamo potuto far nulla» soggiunse Virginia.
«Avete visto mio padre?» chiese Scorpius, non riuscendo a trattenersi.
«No, magari era già tornato a casa» provò a tranquillizzarlo Harry. «Qui c’era solo la squadra di turno e noi ce ne stavamo andando quando hanno fatto esplodere tutto».
«Alice, puoi chiamare di nuovo il tuo elfo? La signora Matthews ha bisogno di cure» chiese Ron.
La ragazzina annuì e provvide all’istante.
Quando l’elfo apparve era agitatissimo. «Oh, signorina! Sua madre è molto in ansia! E anche padron Albert!».
«Sto bene. Devi aiutare anche questa signora» replicò rapidamente Alice.
«Per favore, porta anche Ron al San Mungo» Harry disse gentilmente all’elfo.
«No, non me ne andrò» ribatté quest’ultimo all’istante.
«E, invece, sì! Sei ferito gravemente e non puoi essere d’aiuto» replicò Harry. Vedendo che l’amico stava per protestare aggiunse: «È un ordine!».
Rose, per tutto il battibecco, aveva fissato il fratellino. Alla fine gli si avvicinò e gli pose una mano sulla spalla. «Hugo, vai con papà».
«Cosa? No, rimango con voi» disse il ragazzino.
«Forse è meglio Hugo, è troppo pericoloso» intervenne Harry. «Anche tu Lily». I due cugini protestarono concitatamente, ma Harry li zitti severamente. «Lily, non metto in dubbio la tua bravura, ma sarei più tranquillo a saperti al sicuro. Almeno tu che non sei coinvolta nella profezia, ti prego».
«Va bene» assentì la ragazzina a malincuore.
«Hugo, viene con me, per favore» intervenne Ron. «Potrai stare vicino alla mamma, visto che io non posso muovermi».
Il ragazzino non rispose, ma, quando fu il suo turno, accettò la mano di Dick e si smaterializzò insieme alla cugina.
«Signor Potter» intervenne Scorpius, «sappiamo come bloccare i Neomangiamorte, ma dobbiamo essere tutti uniti. Intendo tutti i Dodici».
«Dove sono Jamie e Al?».
«Non lo sappiamo. Chissà dove si sono fatti portare da Winnie e Tabi. Siamo rimasti, però, che se ci fossimo divisi in qualche modo ci saremmo riuniti nell’Atrium» aggiunse Scorpius.
«Ok, allora io e i miei uomini cercheremo di spingere i Neomangiamorte nell’Atrium. Voi andate avanti, vi raggiungeremo» disse Harry.
«Signor Potter» chiamò timidamente Dorcas, «mio padre?».
«Non lo so, ma sono sicuro che sta bene. Ora muoviamoci, abbiamo atteso fin troppo» replicò Harry, regalandole una lieve carezza.
«Dorcas, aspetta un attimo». Virginia trattenne l’amica, mentre gli altri iniziavano ad andare avanti. «Mi sono comportata male con te, scusami. Quando torniamo a Hogwarts dirò la verità al professor Williams».
La Tassorosso annuì distrattamente: in quel momento non le interessava più di tanto.
 
 
*
 
«Proviamo una porta a caso?» propose Jack.
«Non abbiamo altra scelta, a te l’onore» replicò James.
Allora il Tassorosso aprì quella di fronte a lui ed entrò seguito dagli altri.
Era una stanza rettangolare, illuminata da lampade appese al soffitto con delle lunghe catene dorate. Vi erano delle ampie scrivanie di legno e una grande vasca di cristallo al centro.
«Che roba è?» borbottò Frank, guardandovi all’interno.
«Non toccare» lo avvertì all’istante Albus, raggiungendolo. «Sono cervelli».
Frank inorridì. «Cosa?!».
«Cervelli?» gli fece eco uno scandalizzato Elliott Castle.
«Esattamente e non sono propriamente pacifici» disse James.
«Nostro zio Ron ha ancora le cicatrici sulle braccia» soggiunse Albus.
«Che posto è?» chiese Glykeria basita.
«Nell’Ufficio Misteri vengono effettuati esperimenti di varia natura per scoprire i misteri del vita e del mondo» spiegò Emmanuel.
«Usciamo di qui» borbottò Jack.
«Ora provo io» disse James, quando furono nuovamente nella stanza circolare.
«Aspetta» lo fermò Albus, proprio mentre si stava per chiudere la porta alle spalle. «Zia Hermione all’epoca le ha contrassegnante, in modo da non rientrare più volte nella stessa stanza».
«Giusto, allora fallo» commentò James.
Albus eseguì l’incantesimo e una grossa ‘X’ rossa apparve sul legno nero.
«Proviamo questa» disse allora James.
«E voi chi siete?».
«Stupeficium!». Jack schiantò la donna senza darle neanche il tempo di aggiungere altro. James schiantò l’altra donna presente.
«Oddio, ma che posto è?» domandò Tobia, visibilmente nauseato.
Frank fece un passo indietro e si attaccò allo stipite della porta.
La sala era vasta e vi erano una serie di lettini con delle cinghie che pendevano, armadietti a vetri, da cui si intravedevano ampolle varie, due ampie scrivanie piene di fogli, delle librerie ricche di tomi dall’aria antica e, sul fondo, alcune porte.
James si avvicinò al lettino su cui era china una delle donne prima che la schiantassero, mentre Jack, Niki e Glykeria provvedevano a legarle.
Il Grifondoro fu preso da un conato di vomito, ma resistette. Il bimbo che vi era legato respirava ancora e lo fissava con occhi sgranati per la paura. Forse era stato silenziato. Sul pavimento c’era il corpo di una donna, ma ormai privo di vita. Lentamente slegò il bambino e tolse l’incantesimo tacitante.
«Come ti chiami?».
«Liam» rispose tremante.
«Stai tranquillo, Liam, ti aiutiamo noi, ok?».
Il bambino annuì fiducioso e si lasciò prendere in braccio da James, che, impacciato, lo porse a Glykeria, al contrario molto più a suo agio.
«Innerva!» sbottò Jack puntando la bacchetta contro una delle due donne. James, furioso, si pose accanto a lui.
«Chi sei? E cosa fate in questo posto?» le chiese sprezzante James.
«E lo vengo a dire a te? Chi sei tu?» ribatté la donna.
«Lascia, James. Sono un’ottima legilimens» intervenne Glykeria, chiedendo a Niki di prendere il bambino.
Attesero tutti in silenzio mentre la ragazza carpiva le informazioni che volevano. Ella interruppe bruscamente il contatto e si allontanò.
«Glykeria!» disse sorpreso Niki, vedendo l’amica dare di stomaco.
«Che hai visto?» le chiese Jack.
«Da un po’ di tempo conducevano esperimenti su magonò, babbani e piccoli Nati Babbani» sussurrò la ragazza, fissando con odio le due donne. «Volevano capire come potessero possedere la magia… come si trasmette… È disgustoso… Dietro quelle porte ci sono dei bambini babbani rapiti in Gran Bretagna e non solo…».
James scattò insieme a Jack e liberarono i bambini rinchiusi. Grazie a Merlino stavano bene, ma erano certamente patiti e terrorizzati.
«Non pensavo che i Purosangue potessero spingersi fino a questo punto» mormorò Albus.
«Non tutti» lo corresse Emmanuel.
«Scusa» si affrettò a dire Albus.
«I bambini non possono rimanere qui» fece notare Glykeria.
«A maggior ragione dobbiamo trovare l’uscita. Non possiamo neanche chiamare Tabi, questo luogo ha protezioni tutte sue e sicuramente Parkinson non ha minimamente pensato a disattivarle» replicò James.
Jack schiantò nuovamente la donna, sibilandole: «Ti auguro di risvegliarti ad Azkaban».
Ritornati nella stanza circolare, Albus segnò anche quella porta prima di chiuderla, mentre James ordinava ai bambini di sedersi e non fare rumore, perché dovevano fregare i cattivi. I bambini annuirono tutti, convincendo Albus che suo fratello ci sapesse proprio fare. Non per nulla il piccolo Remus, di a malapena un anno, già lo adorava.
«Forza, proviamone un’altra. Prima o poi beccheremo quella giusta. In fondo sono solo dodici porte. Una è l’uscita, due le abbiamo già viste. Non potremmo mai trovare qualcosa di peggiore nelle altre nove» sospirò Emmanuel.
 
*
 
«Dipartimento delle Catastrofi e degli Incidenti Magici. Il nome è decisamente appropriato» disse atona Roxi.
Il grosso della battaglia sembrava essere al secondo livello, perciò avevano deciso di controllare ogni piano, man mano che scendevano verso l’Atrium. E lo spettacolo che li accolse al terzo livello non era dei migliori.
Partiti Lily e Hugo, al gruppo si erano aggiunti Samuel Vance, Elisabeth Corner e Gabriella Jefferson. Gli altri ragazzi partiti da Hogwarts erano rimasti al secondo livello per dare manforte agli Auror.
Roxi controllò tutti gli uffici e i vari corridoi insieme agli altri. Erano arrivati tardi. Molti impiegati si erano trattenuti oltre il consueto orario di lavoro per ultimare le ultime pratiche ed erano stati presi di sorpresa dai Neomangiamorte.
Oltre l’ufficio del Capo Dipartimento, occupato fino a poche ore prima da Cormac Mclaggen, il piano si divideva in tre ampie ale, dedicate rispettivamente alla Squadra di Cancellazione della Magia Accidentale, al Quartier Generale degli Obliviatori e l’Ufficio Relazioni con i Babbani.
Nella prima ala non avevano trovato altro che disordine, per fortuna; mentre nella seconda scoprirono che tutti gli Obliviatori di turno erano stati uccisi dai Neomangiamorte e qualche impiegato zelante delle Relazioni con i Babbani aveva avuto lo stesso destino.
Non avrebbero voluto commettere lo stesso errore dei loro avversari, lasciando sguarnito il piano, ma erano anche troppo pochi per dividersi ulteriormente.
«Gettiamo almeno degli incantesimi di protezione» propose Scorpius. Rose, Jonathan, Virginia e Dorcas gli diedero una mano.
«Non reggeranno se un mago come Rosier o una strega come la Selwyn dovessero forzarli» commentò Dorcas, mentre si dirigevano nuovamente agli ascensori.
«Lo so» replicò Scorpius. «Ma almeno ci abbiamo provato. Forza, si va al quarto livello».
Le grate dorate si chiusero e l’ascensore iniziò a scendere.
«Quarto Livello. Ufficio Regolazione e Controllo delle Creature Magiche» annunciò la fredda voce metallica.
«Diamo un’occhiata veloce» disse Scorpius, ma fu costretto a fermarsi.
«Non un altro passo. Chi siete?» domandò un uomo alto, intorno alla cinquantina ma ben piazzato. Indossava stivali di pelle e una tuta scura e dall’aspetto resistente. A Roxi ricordò il modo di vestire di suo zio Charlie.
«Sono dei ragazzi. Indossano la divisa di Hogwarts» commentò perplesso un altro uomo sulla cinquantina, più basso e corpulento del primo e dall’aria più patita.
«Chi siete voi?» replicò Scorpius senza abbassare la bacchetta.
Insieme ai due uomini vi era anche una donna, alta e magra, che indossava un completo di pelle e li fissava con la schiena mollemente appoggiata a una parete del corridoio. Ella aveva immediatamente abbassato la bacchetta appena li aveva visti e li fissava con curiosità.
«Dorcas, che fai qui? Dovresti essere a Scuola» disse con voce piatta la donna.
Tutti si voltarono verso la Tassorosso, che arrossì.
«Ciao Nerissa» borbottò allora la ragazza.
«Abbassate la bacchetta, ragazzi. Non mordono e non sono loro il nostro nemico».
I due uomini obbedirono e allora Scorpius abbassò la propria bacchetta, imitato dai compagni. Dorcas presentò gli amici alla donna, che a quanto sembrava era una cara amica della madre.
«Loro sono Robert Jackson, il nostro capo, e Joachim Becker» disse Nerissa indicando i suoi colleghi.
«Non dovreste trovarvi qui, è molto pericoloso» li rimproverò Robert Jackson.
«Lo sappiamo, signor Jackson, non si preoccupi» rispose pazientemente Scorpius.
«Qual è la situazione su questo piano?» s’informò Rose, che non sopportava quando la trattavano da bambina.
Jackson si accigliò, ma rispose: «I Neomangiamorte hanno commesso l’errore di sottovalutarci, ma noi che ci occupiamo di creature magiche, a volte molto pericolose, non abbiamo avuto alcun problema a metterli al tappeto. Qui la situazione è sotto controllo. Purtroppo alcuni ragazzi sono rimasti feriti nello scontro».
«Avete un modo per portarli al San Mungo?» domandò Nerissa, staccandosi dal muro e avvicinandosi.
Roxi comprese che era una donna da non sfidare: era furba e doveva anche essere molto abile.
«Possiamo chiamare l’elfo di mio nonno, ha già portato in salvo delle persone» rispose Alice.
«Molto bene, seguitemi allora» disse Nerissa, conducendoli in un’ampia stanza alla fine del corridoio. Sulla targa alla parete scintillava la scritta: Divisione Bestie. Era una specie di piccolo ingresso su cui si aprivano altre porte. Sul pavimento vi erano due uomini feriti e una donna si affaccendava intorno a loro per alleviarne le sofferenze, ma era evidente che non stesse ottenendo grandi risultati.
Alice le si accostò all’istante, sorprendendola, ma vedendoli in compagnia di Nerissa non disse nulla.
«È la stessa maledizione che ha colpito zio Ron» commentò la ragazzina. «Dick».
L’elfo apparve immediatamente e strillò: «Oh, la padroncina sta bene. Dick è contento. E padron Albert e padron Hannah saranno tanto contenti!».
Alice gli sorrise spontaneamente e lo rassicurò, poi gli indicò i due uomini e l’elfo annuì, raccomandandole di chiamarlo in caso di necessità.
«Dick» lo fermò la ragazzina. «Hai detto a mio padre che siamo al Ministero?».
L’elfo le rivolse uno sguardo contrito. «Dick è dispiaciuto signorina, ma la padrona l’ha subito avvertito. La padroncina è arrabbiata con Dick?».
Alice scosse la testa e lo abbracciò. «No, stai tranquillo. Ora, vai».
«Voi chi siete nel nome di Merlino?» proruppe allora la donna, che fino a quel momento avevano ignorato.
Nerissa glielo disse, mentre tornavano da Jackson e Becker, e dal tono con cui le si rivolse compresero che ricopriva un incarico più alto.
«Bene, continuate a presidiare questo piano. Gli Auror spingeranno i Neomangiamorte verso l’Atrium e potrebbero tentare di rifugiarsi qui» disse Rose ai due uomini in tono autorevole.
Roxi per poco non scoppiò a ridere vedendo la faccia degli adulti che improvvisamente si vedevano comandati da dei ragazzi scappati da Scuola.
«Robert, io vado con loro» annunciò Nerissa.
«Non è necessario» sbottò Rose, che non voleva gli adulti tra i piedi.
«Questo lo decido io» ribatté Nerissa, evidentemente più testarda di lei, visto il gioco di occhiate cattive tra le due che ne seguì.
«In realtà avremmo bisogno di te. Rimarremmo solo in tre» intervenne Robert.
Dorcas capì che l’incertezza della donna dipendeva da lei. «Nerissa, stai tranquilla. Me la so cavare».
La donna non sembrò convinta, ma annuì, così i ragazzi risalirono sull’ascensore senza ulteriori indugi. Scorpius fremette quando le griglie si riaprirono: il signor Potter era stato gentile a tentare di rassicurarlo, ma lui era certo che suo padre fosse ancora al Ministero. Lo sentiva.
Ancora una volta controllarono ogni stanza presente sul piano, ma il Serpeverde era inquieto e lasciò i compagni indietro, bramoso di raggiungere l’ufficio del padre.
Prima di svoltare l’angolo di un corridoio sentì delle urla strazianti e non ascoltò neanche il richiamo di Rose, che lo invitava ad attenderli.
«Bombarda!» gridò facendo saltare in aria la porta dello studio di suo padre.
Il Neomangiamorte che stava torturando Draco Malfoy, fu colpito da un pezzo di legno e Scorpius schiantò l’altro prima che potesse reagire.
«Papà!». Il Serpeverde si inginocchiò accanto al padre. «Sei ferito?».
«Sto bene» disse Draco con voce rauca.
«Cavoli, li hai messi k.o. da solo!» commentò Rose, entrando seguita da gli altri.
Scorpius aiutò il padre a rimettersi in piedi.
«Lei è il padre di Niki, vero signore?» Brian chiese timidamente a uno dei due uomini legati a terra, affrettandosi a slegarlo.
«Sì, figliolo. Tu sei Brian, vero?».
«Sì, signore» rispose il piccolo Corvonero, finendo di liberarlo.
«Grazie» disse Edward Fawley alzandosi in piedi con l’aiuto del ragazzino.
Roxi, nel frattempo, aveva provveduto ad aiutare l’altro signore.
«Come mai non vi hanno ucciso?» chiese perplessa Rose.
«Il piano è libero» comunicò Jonathan, irrompendo nell’ufficio.
«Perché siamo esponenti di famiglie purosangue molto antiche. Sperano che ci ravvediamo e che prendiamo parte al nuovo regime» rispose l’uomo che aveva aiutato Roxi, mentre si risistemava le vesti eleganti. «Mi chiamo Abraham Shafiq e vi sono grato per il vostro aiuto. Sapremo come ricompensarvi».
«Lei è parente di Emmanuel?» chiese Alice senza riflettere.
«Sì, mio nipote è qui?» replicò l’uomo guardando verso la porta, come se si aspettasse che apparisse da un momento all’altro.
«Lo spero. Dovremmo incontrarci nell’Atrium e lì che siamo diretti» rispose velocemente Rose.
«Stiamo controllando ogni piano per essere sicuri che i Neomangiamorte non facciano qualche brutto scherzo» soggiunse Scorpius.
«Che senso ha? A quest’ora avranno già ucciso la Ministro» borbottò Shafiq.
«Mia madre sta benissimo, grazie» disse tagliente Rose. «Andiamo. Abbiamo ancora due piani. Non possiamo perdere tempo».
«Vi daremo una mano» disse Edward Fawley.
«So benissimo qual è il vostro compito» intervenne Draco, prima che Rose se ne uscisse con una delle sue solite rispostacce. «Vi copriremo le spalle e ci tireremo da parte quando sarà il momento».
«Mio figlio non è qui, vero, Brian?» domandò ansioso il signor Fawley.
«Stia tranquillo, è rimasto a Hogwarts» rispose Brian, sempre più stanco e turbato. E, indipendentemente da che cosa ne pensasse Rose, lui era contento della presenza dei tre adulti.
 
*
 
«Oh, Merlino. Fatemi scendere!» urlò Albus a pieni polmoni.
«Ma no, dai è divertente» provò Tobia, galleggiando poco distante.
«No, che non lo è» sbottò Albus. «James, fammi scendere!».
«Ma in che razza di posto siamo?» borbottò James in risposta. «E, Al, smetti di urlare. Sei il solito esagerato».
«Credo che studino la forza di gravità qui dentro. Non vedi i pianeti?» intervenne Emmanuel, mantenendosi sulla soglia della porta.
«Ho appena sbattuto contro Giove!» gemette Albus.
James roteò gli occhi e si rivolse a Jack. «Io entrò e lo tirò giù e tu poi mi tieni dalle gambe, così sconfiggiamo questa forza di gravità».
«Jamie, non credo funzioni proprio così» borbottò Frank perplesso, sentendosi in colpa per non ricordare quello che aveva imparato sull’argomento alla scuola babbana.
«No, Potter. Nessuno dei tuoi stupidi piani. Me la vedo io» sbottò Jack, puntando la bacchetta su Albus.
«Ehi» lo bloccò James indignato. «Quello è mio fratello! Non puoi farlo saltare in aria o qualcosa del genere!».
«Potrei anche farlo visto come si lagna» ribatté il Tassorosso, liberandosi dalla stretta dell’altro. «Non ti preoccupare, non gli farò nulla». Poi tornò a concentrarsi su Albus e formulò: «Carpe Retractum». Una corda luminosa si legò intorno ai piedi di Albus, che urlò scalciando come un forsennato, e Jack lo tirò con un forte strattone, lasciandolo cadere nella stanza circolare, sotto gli occhi atterriti dei bambini e quelli annoiati dei Neomangiamorte.
James utilizzò lo stesso incantesimo su Tobia e lo riportò giù. Uno dei gemelli Nilsson si affrettò a segnare la porta della Stanza dei Pianeti, come i ragazzi l’avevano battezzata nella loro testa, e la chiuse.
«Grazie» biascicò Albus, tastandosi la faccia gonfia nel punto in cui si era scontrato con Giove.
«Hai un bell’aspetto, Al».
Albus fulminò James con lo sguardo: poteva anche risparmiarsele le sue battutine in quella situazione.
«Proviamo con un’altra porta» disse Niki Charisteas.
«Oh, oh. Meglio non entrare qui» disse James seguendo il Greco all’interno e facendo segno agli altri di fermarsi.
«Che sono quelle palle scintillanti?».
«Profezie».
«Ci sarà anche la nostra?» domandò Emmanuel.
«Non avevo detto di aspettare fuori?» lo aggredì James.
«Ero curioso» rispose il Serpeverde con lo stesso tono.
«Beh, questa non è l’uscita. Andiamocene» disse Niki con praticità e li precedette.
James, una volta fuori, si premurò di tracciare una ‘x’ anche su quella porta e attese che la sala smettesse di girare per tentare ancora una volta, mentre la frustrazione si faceva strada in lui.
 
 
 
*
 
«Questo è il piano dove lavora mio padre» mormorò Elisabeth Corner, una delle Malandrine.
«Beh, la musica è diversa» quasi urlò Scorpius, scansando lo schiantesimo di un Neomangiamorte, che pattugliava la zona vicino all’ascensore.
«Stupeficium!».
Rose, Virginia e Jonathan avevano agito in contemporanea e avevano messo fuori gioco le tre guardie.
«Sbrighiamoci» disse Jonathan teso.
«Sicuramente saranno negli uffici che regolano i viaggi con la Metropolvere» disse Virginia.
«Facciamo come Scorpius prima» propose Jonathan. «Saranno pochi anche in questo caso».
«Per forza» borbottò Draco Malfoy, «loro non avrebbero potuto prevedere quanto siano incoscienti e pensino di essere degli eroi gli studenti di Hogwarts».
«Signor Malfoy, le abbiamo permesso di venire con noi. Non ce ne faccia pentire» sbottò Rose.
«Questo non è il momento di discutere» intervenne Virginia allarmata.
«Weasley sei una maleducata, proprio come tuo padre!» ringhiò, invece, Draco.
«Addio, effetto sorpresa» mormorò Jonathan sconsolato.
«Come osa?!» strillò Rose irritata.
«Attenta! Protego!» gridò Dorcas, evitando che la Grifondoro venisse colpita da un fiotto di luce rossa.
Edward Fawley e Abraham Shafiq agirono istintivamente e schiantarono i due uomini apparsi da un corridoio laterale.
«Di là c’è l’ufficio di mio padre» disse turbata Elisabeth Corner.
Gli altri non commentarono e si avviarono in quella direzione. Rose e Draco si lanciavano occhiatacce, sotto lo sguardo affranto di Scorpius.
La porta dell’ufficio di Michael Corner era aperta e dall’interno provenivano diverse voci: una senz’altro femminile e due maschili.
I tre adulti presero l’iniziativa e irruppero nella stanza, stordendo l’unico Neomangiamorte rimasto, che si era comodamente seduto sulla poltrona di Corner; quest’ultimo e una donna erano legati e sedevano sul pavimento.
«Oh, Merlino. Non ci speravo più!» disse la donna scoppiando in lacrime e aggrappandosi a Edward Fawley, che l’aveva liberata.
«Elisabeth, che diamine fai qui? Nessun insegnante può averti dato il permesso! Sai che sarai sospesa, per Merlino?».
La ragazzina fissò il padre con rabbia, mentre Draco sbuffò: «Non credo sia il nostro problema principale, Corner».
«Ah, certo Malfoy, tu e la tua famiglia farete girare un po’ d’oro, eh? Ma non siamo tutti sporchi mangiamorte!».
Draco lo minacciò con la bacchetta e i due iniziarono a lanciarsi contro incantesimi. Il signor Shafiq e il signor Fawley intervennero per separarli.
«Andiamocene» sussurrò Rose ai compagni, che obbedirono all’istante e si fiondarono in corridoio, diretti all’ascensore.
«Non sarebbe meglio aspettarli?» chiese Jonathan.
«Sono pur sempre delle abili bacchette in più» soggiunse Dorcas.
«Al prossimo piano dovremo fare attenzione» intervenne Roxi. «Il capo Dipartimento è Marcus Flint. Mio padre parla sempre male di lui».
«Perché è un cretino» affermò Rose con sicumera.
«Appiattitevi alle pareti dell’ascensore il più possibile» istruì Scorpius. «Se c’è qualcuno di guardia, non ci prenderà di sorpresa… o non del tutto, almeno…».
Come previsto un gruppo di uomini in nero, li accolse a bacchetta puntata quando le griglie dorate dell’ascensore si aprirono e provarono a colpirli. Grazie alla Felix Felicis, i ragazzi riuscirono a evocare in tempo degli scudi e attaccare a loro volta.
Brian, doveva ammetterlo, era il più terrorizzato di tutti, visto che non amava duellare. Inciampò ai piedi di un Neomangiamorte, ma per fortuna quello non ebbe il tempo di agire che fu prontamente schiantato da uno dei suoi compagni.
Nonostante l’aiuto della pozione della fortuna erano comunque in minoranza e, benché non potessero essere feriti, non riuscivano ad avanzare. La Felix Felicis avrebbe esaurito il proprio effetto, in quanto ne avevano bevuto solo poche gocce ciascuno e loro cominciavano anche a essere veramente stanchi.
«Ti aiuto io» disse Roxi, avendo visto la difficoltà e il turbamento del Corvonero, per giunta il più piccolo del gruppo. Brian gliene fu grato, ma continuò a sentirsi un peso per gli altri, chiedendosi per quale assurdo motivo fosse compreso anche lui nella Profezia di Cassandra Cooman.
A dare manforte ai suoi uomini giunse persino Marcus Flint e i ragazzi dovettero indietreggiare verso gli ascensori.
La situazione appariva così disperata, che Scorpius e Rose si pentirono di non essere scesi direttamente nell’Atrium.
Il pop della Materializzazione segnò un cambio di rotta: all’improvviso Maxi Williams, Justin Finch-Fletchley e Kingsley Schacklebolt apparvero nel corridoio stretto, prendendo di sorpresa i Neomangiamorte. E quando a loro si aggiunsero Draco Malfoy, Abraham Shafiq, Michael Corner ed Edward Fawley, uscendo da un ascensore, la situazione si capovolse nettamente, tanto che i mercemaghi furono messi fuori combattimento e rimasero a duellare soltanto Maxi Williams e Marcus Flint.
«State bene?» chiese subito Kingsley ai ragazzi, che annuirono senza molto convinzione.
«Spostiamoci da qui» borbottò Finch-Fletchley.
Lontano dagli incantesimi dei due duellanti, tutti presero fiato.
«Potevate aspettarci» partì all’attacco Draco, rivolto specialmente a Rose.
«Non abbiamo bisogno di aiuto» replicò la Grifondoro infuriata.
«A me è parso proprio di sì» urlò in risposta Draco.
«Andiamo a controllare se c’è qualcun altro su questo piano» disse Abraham Shafiq, seguito a ruota da Edward Fawley.
Intento a sentire il battibecco tra il signor Malfoy e Rose, Brian non si era accorto che il duello era finito e Maxi aveva vinto.
«Maledetto incosciente!» gli urlò il suo padrino a pochi centimetri dall’orecchio, aggiungendo uno scappellotto. «Ma che vi è saltato in mente di andarvene da Scuola in quel modo? Avreste dovuto avvertirci!».
«Perché ce l’avreste permesso?» chiese Scorpius, decidendo di ignorare il fatto che la sua ragazza e suo padre si stessero insultando senza alcun freno.
«No» ringhiò Maxi Williams.
«Maxi, calmati» intervenne il professor Finch-Fletchley. «Non è il momento di discutere. Ne parleremo quando torneremo a Scuola».
«Professore, solo noi possiamo mettere fine a tutto questo» disse Scorpius esasperato.
Finch-Fletchley lo fissò stranito, ma prima che potesse replicare Kingsley disse: «Dove sono gli altri? Tabi ci ha detto che eravate molti».
«Hugo e Lily sono andati al San Mungo con lo zio Ron, ma stanno bene. Zio Harry li ha convinti a stare lontano dal pericolo» rispose Roxi. «Qualcuno è al primo livello a fare la guardia, mentre gli altri stanno dando una mano agli Auror al secondo livello».
Maxi imprecò. «Decisamente vi piace giocare agli eroi» borbottò irritato.
«Alastor, Paciock, Corner e Jefferson tornerete a Hogwarts immediatamente» disse Kingsley.
Alice ed Elisabeth protestarono a viva voce, ma furono immediatamente zittite da tutti e tre i professori. «Questa è la passaporta. Prendetela e tacete» sbottò Maxi Williams porgendo ad Alastor un foglio di pergamena rovinato. Il ragazzo obbedì e attese che le compagne di Casa facessero altrettanto.
Quando sparirono Maxi si rivolse a ragazzi rimanenti. «Raggiungiamo l’Atrium e facciamola finita».
Rose, Scorpius, Roxi, Brian, Virginia, Jonathan e Dorcas annuirono prontamente e stancamente salirono per l’ennesima volta sugli ascensori del Ministero. In cuor loro speravano che gli altri fossero già arrivati.
 
*
 
«Questa non si apre» disse perplesso Jack, tentando di spingere una porta.
James e Niki intervennero, ma anche loro non furono in grado di aprirla.
«Non può essere l’uscita» commentò Albus.
«A meno che non esiste una specie di incantesimo protettivo che sigilla l’uscita quando vi sono degli intrusi».
«Frank!» urlarono tutti in coro.
«Sul serio, amico, dovresti imparare a essere un po’ più ottimista» bofonchiò Tobia.
«Tentiamo con un’altra allora» propose uno dei gemelli Nilsson, mentre Jack segnava anche quella porta con una ‘x’ rossa.
«Questa si apre» disse Albus. «Homenum Revelio» pronunciò cauto. «Via libera» soggiunse varcando la soglia per primo.
«Decisamente non è l’uscita» borbottò James esasperato.
«Che posto strano» disse Albus ignorandolo.
Una luce perlacea illuminava totalmente l’intera sala.
«È la Stanza del Tempo. Ti ricordi? Mamma e papà ce ne hanno parlato» disse allora James.
«Questo sì che è interessante» aggiunse Niki guardandosi intorno.
Erano circondanti da orologi di tutte le grandezze e forme e da varie librerie stracolme di antichi volumi. Se rimanevano in silenzio l’unico suono che si percepiva era il ticchettio ritmico degli orologi. L’attenzione dei ragazzi, però, fu attratta da un enorme campana di vetro, in cui un uovo luccicante veniva sospinto verso l’alto da un fascio di luce, man mano che saliva si schiudeva e si trasformava in un bellissimo colibrì, ma arrivato all’imboccatura della campana iniziava a ridiscendere e contemporaneamente a perdere le piume, che erano cresciute, fino a tornare un uovo una volta raggiunto nuovamente il fondo.
«La vita» sospirò Glykeria, affascinata come tutti.
«Forza, andiamo» li riscosse Jack all’improvviso. «Non abbiamo tempo da perdere».
I compagni, ancora con la mente all’uovo che si trasformava in colibrì e poi tornava a essere uovo, lo seguirono fuori. Il Tassorosso s’impegnò a segnare la porta, prima che uno stralunato e distratto Frank se la sbattesse incoscientemente alle spalle.
Arrabbiato e frustrato da quella specie di trappola in cui Parkinson li aveva trascinati, Jack aprì una nuova porta senza aspettare il parere degli altri e quasi imprecò quando finalmente si trovò di fronte il corridoio buio attraverso il quale si scendeva nelle aule del Wizengamot.
«Era ora» sospirò James.
«E di loro che ne facciamo?» chiese Elliott Castle, indicando i bambini e i Neomangiamorte.
«I Neomangiamorte lasciamoli qui» disse Jack con noncuranza.
«Non possiamo portare i bambini con noi, sarebbe troppo pericoloso» intervenne Glykeria.
«Non possono neanche stare soli però» obiettò James.
«Sono solo cinque. Portiamoli con noi» disse Emmanuel. «Una volta raggiunto l’Atrium li faremo fuggire con i camini».
«Credo sia la scelta migliore» commentò Jack.
«Non credo che abbiamo altra scelta» rettificò James.
«Speriamo che gli altri abbiano già raggiunto l’Atrium» sospirò Albus.
«L’ascensore è di là, forza» disse semplicemente James.
 
*
 
«Harry Potter ce l’ha fatta!» commentò ammirato Scorpius, quando vide la folla nell’Atrium.
Gli Auror erano riusciti a spostare la battaglia in un luogo più ampio, ma i loro avversari non si davano per vinti.
«Quella è la Selwyn» disse Maxi Williams.
«E quello è Thomas Rosier» soggiunse Scorpius, indicando l’uomo che combatteva fianco a fianco con la Signora Oscura.
«Mantenete una posizione più defilata e cercate i vostri compagni» suggerì Kingsley.
«Justin trova i ragazzi più piccoli e rimandali a Scuola» aggiunse Williams rivolto al collega, che annuì conscio dell’importanza del suo compito. «Buona fortuna, ragazzi» disse, invece, rivolto a Rose e amici.
Si fecero largo combattendo, ma fu difficoltoso specialmente perché i duelli in atto li costringevano a cambiare direzione per non venir separati.
L’Atrium era irriconoscibile e la fontana, ricostruita dopo la guerra contro Voldemort, era stata nuovamente distrutta, perciò i ragazzi dovevano stare attenti persino a non scivolare sul pavimento bagnato e sui resti delle statue.
Improvvisamente il silenzio scese sulla sala e i ragazzi si guardarono intorno per capirne la causa. E non ci impiegarono troppo: Bellatrix Selwyn, in piedi sulla vasca della fontana, minacciava con la bacchetta niente meno che Samuel Vance.
Scorpius imprecò.
«Non avremmo dovuto portarlo con noi» realizzò spaventata Rose.
«Deponete le armi finché siete in tempo» urlò la Selwyn. «La vostra Ministra a quest’ora sarà già morta dissanguata e io sono pronta a sostituirla. Arrendetevi e vi risparmierò la vita!».
«I cattivi sono tutti così prevedibili» mormorò Scorpius furioso perché si sentiva impotente.
«Inizierà una nuova era e voi ne sarete testimoni» continuò la Selwyn. «Vi dimostrerò immediatamente che non vi conviene sfidarmi! Questo bambino è figlio di mia sorella, che ha osato macchiare il nostro sangue con quello di un Mezzosangue. L’ho uccisa e ora ucciderò lui!».
Samuel, però, non si era perso d’animo e diede uno strattone improvviso prendendo di sorpresa la donna. Il ragazzino le diede un calcio sulla gamba e si gettò sulla sua bacchetta poco lontano.
La folla trattenne il respiro mentre un’incollerita Selwyn gridava: «Avada Kedavra!».
La maledizione, però, evitò Samuel per un pelo.
«Benedetta la Felix Felicis» soffiò Virginia esterrefatta.
«Forunculus» urlò Samuel, riempiendo il volto della zia di orribili pustole.
«Ma come…?» fece Rose perplessa, non avendo mai visto un incantesimo di quella portata, di solito il Forunculus faceva apparire un’acme diffusa sul volto, ma mai in quel modo.
«La sua bacchetta è di cedro. La Selwyn sta pagando il male che ha fatto alla sua famiglia».
Rose si voltò di scatto verso la persona che aveva parlato e gridò fuori di sé: «Albus!». Gli saltò al collo e gli urlò nell’orecchio: «Ce ne hai messo di tempo!».
«Rimandiamo i convenevoli a dopo» sbottò Jack Fletcher.
«Fletcher non mi sei mancato per nulla» ribatté Rose.
«Tranquilla, sentimento reciproco».
«Diamoci una mossa» li interruppe James.
«Prendiamoci per mano e cerchiamo di formare un cerchio intorno ai nostri avversari» intervenne Albus.
«Vi proteggeremo noi» disse Niki, indicando sé stesso, Glykeria, i gemelli Nilsson, Tobia ed Elliott Castle.
James li rivolse un cenno riconoscente.
«Usiamo il Sonorus su di noi prima» suggerì Virginia.
I Dodici obbedirono e si presero per mano.
«Avanti, facciamola finita» mormorò Scorpius teso.
 
Angolo autrice:
 
Ciao J
Come immaginerete, siamo quasi alla fine della storia.
Il titolo è in latino e significa: “ Se vuoi la pace, prepara la guerra”. Si riferisce sia ai Capi Dipartimento riuniti per decidere se dichiarare ufficialmente guerra alla Selwyn, sia a quello che sta accadendo nel Ministero.
Se vi va, lasciate un commento ;-)
A presto,
Carme93

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Capitolo 39
*** Tertium non datur ***


Capitolo trentanovesimo
 
Tertium non datur
 
Immediatamente James si rese conto che vi era qualcosa che non andava: la loro voce aveva per un momento attirato l’attenzione della Selwyn e dei suoi uomini, ma non aveva avuto alcun effetto. Eppure, quando si erano esercitati nella Stanza delle Necessità, aveva percepito la magia fluire.
Essendo a conoscenza della Profezia, la Selwyn e Rosier indirizzarono le loro forze contro i Dodici. Niki e gli altri, però, furono pronti a difenderli proprio come Harry, Kingsley e Williams.
James cercò lo sguardo di Jack nel tentativo di comprendere che cosa stesse accadendo.
«Non possiamo usare il sonorus e la nenia allo stesso tempo» gridò Virginia a sorpresa, sovrastando il rumore degli incantesimi. Jack annuì e fece un cenno a James, che a sua volta si premurò di avvertire i compagni più vicini. Per pronunciare la nenia in modo efficace avrebbero avuto bisogno di tutte le loro energie.
«Riproviamo» urlò James per farsi sentire dagli altri.
I Dodici cominciarono con voce bassa e tremante tanto che, in mezzo al frastuono, a malapena si sentivano loro stessi. Percependo la magia scorrere dentro di loro, la voce divenne più sicura e si alzò di tono.
E, quando ripeterono per la seconda volta «Timeat quisquis malum agat. Timeat quisquis vulneraverit. Timeat quisquis occiderit. Non salutem inveniet! Timeat!», l’attenzione di coloro che combattevano si fissò su di loro.
La rabbia balenò sul volto di Bellatrix Selwyn, ma, pur volendolo, non riuscì a raggiungerli: gli Auror la tenevano sotto mira con la bacchetta, ma non solo vi era un’improvvisa debolezza in lei contro la quale tentava di combattere. Rosier era turbato e non lo nascondeva, ella, invece, strillava ordini ai suoi uomini sempre più disorientati da quello strano attacco.
«Demittite arma! Desinite pugnare!». Il tono dei Dodici era molto più alto e fermo. Queste poche parole rimbombarono come un ordine nell’Atrium affollatissimo, ma improvvisamente silenzioso.
Alcuni uomini della Selwyn, probabilmente i rapiti da Tristan de Cunha, furono i primi ad abbandonare la bacchetta; mentre i mercemaghi avevano un’espressione turbata come quella di Rosier.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Le ultime parole erano risuonate con una forza sorprendente, nonostante le avessero quasi sussurrate con un’inflessione minacciosa e cupa.
I mercemaghi e molti Neomangiamorte a questo punto lasciarono cadere le bacchette e si strinsero le mani sul cuore, quasi come se dovesse balzarli fuori a momenti e tentassero di trattenerlo nella cavità toracica. Jack conosceva quella sensazione, era la stessa che aveva provato a causa della triste canzone cantata da Kymia quella notte di molti mesi prima nella biblioteca di Hogwarts. Il Tassorosso, però, non ebbe pietà e non si fermò come aveva fatto la ragazza. No, continuò e con più sicurezza di prima.
«Non timor habendus est te, si pugnas bono».
La voce di Rose si levò più forte e sicura delle altre, era impregnata di rabbia al pensiero di come quell’insignificante donna di fronte a lei avesse tanto influenzato la sua vita negli ultimi anni. Al pensiero di come avesse messo al tappeto in modo così subdolo sua madre. Se Bellatrix Selwyn avesse avuto il coraggio di sfidare Hermione Weasley in un duello regolamentare, non avrebbe avuto vittoria facile. Non avrebbe dovuto far saltare in aria il Quartier Generale degli Auror rischiando di ferire suo padre. Si era ripromessa che nessuno, né suo padre men che meno sua madre, avrebbero mai deciso per lei: sarebbe stata l’unica artefice della sua vita. Figuriamoci se avrebbe mai permesso a una pazza rancorosa e desiderosa di vendetta di rovinarle i piani.
«Non timor habendus est te, si habes bonam causam».
Pensò a suo fratello e alla sua espressione sconvolta quando aveva seguito il padre al San Mungo. Pensò a quest’ultimo, tanto orgoglioso del suo ruolo di prestigio nel corpo Auror ma molto più felice quando giocava alla Tana con figli e nipoti. Pensò a sua madre e al suo maledetto attaccamento al lavoro, che, se non si fosse data una calmata, prima o poi l’avrebbe fatta rischiare grosso. Strinse la presa sulla mano di Scorpius prima di concludere:
«Non timor habendus est te, si cor tuum purum est!».
Aveva pronunciato la sua parte fissando la Selwyn dritta negli occhi e, con sua enorme soddisfazione, la vide infine distogliere lo sguardo colpita e stranita da quell’incantesimo sconosciuto e senz’altro insolito.
La runa tremò e si scaldò nella tasca della Grifondoro e contemporaneamente una corda luminosa circondò un’ormai sconvolta Selwyn e tutti i suoi uomini che ancora non avevano deposto la bacchetta.
Il calore della runa questa volta la fece sentire più potente e con decisione Rose riprese in coro con i compagni:
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Il tempo sembrava essersi fermato nella sala, ma i Dodici erano troppo concentrati a portare a termine il loro compito per notare l’effetto della nenia su tutti i presenti. Non avevano occhi che per i Neomangiamorte.
«Vitiis nemo sine nascitur».
Jack prese la parola e volse con disprezzo lo sguardo verso Dain Zabini, che aveva perso la maschera argentata, verso Goyle e verso tutti quegli stupidi purosangue che per anni non avevano fatto altro che giudicarlo. Non aveva colpa se suo padre era Mundungus Fletcher, un ladruncolo da quattro soldi e, certamente, non aveva chiesto lui di crescere nelle strade di Notturn Alley, evitato da tutta la gente per bene di Diagon Alley!
«Pugna tuis voluntatibus!».
Ed era quell’imperativo che aveva seguito fin da piccolo: avrebbe realizzato i suoi sogni, nonostante tutto e nonostante tutti. Kymia in quell’istante era al sicuro nel Dormitorio dei Tassorosso e non avrebbe permesso a nessuno di riportarla dalla sua famiglia. Non avrebbe più permesso che qualcun altro decidesse per lui.
«Per aspera ad astra!».
Non avrebbe smesso di combattere, sarebbe diventato un Auror e l’avrebbero rispettato per il suo talento. Ce l’avrebbe fatta, anche se avesse dovuto affrontare ancora mille difficoltà.
Jack si sentì vivo come mai: la magia lo passava da parte a parte e la runa bruciava senza scottarlo.
Un’altra corda luminosa si strinse intorno all’esile corpo della Selwyn e dei suoi alleati. Non l’avrebbero avuta vinta.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Molti Neomangiamorte erano caduti in ginocchio impotenti e non sembravano in grado di reagire in alcun modo.
«Elige bona. Ne elegeris mala» iniziò Albus. La sua voce tremò lievemente. Il Grifondoro teneva gli occhi fissi sul parquet dell’Atrium, ma, se qualcuno avesse potuto vederla, la sua espressione era decisa.
Era stato il primo a non discernere il bene dal male in ogni occasione, Albus ne era consapevole, ma altrettanto in quel momento fu conscio di quanto lo zio Neville gli aveva detto mesi prima: i concetti di bene e male non devono essere banalizzati. Il male l’aveva visto negli occhi di Parkinson mentre torturava Frank. E, Albus ne era certo, non avrebbe mai trovato la forza di suscitare tanto dolore in un’altra persona volontariamente.
«Neque delectus est elegere».
Chiudere gli occhi e far finta di non vedere non è la soluzione. E l’aveva capito grazie a Benedetta, che gli aveva dato il coraggio di mettersi contro tutti i suoi compagni di Casa. Perché era giusto e non farlo, rimanendo nelle grazie di persone di cui poi non gli interessava nulla, sarebbe stato troppo comodo. E all’interno stesso del Ministero vi erano persone che avevano chiuso non un occhio ma tutt’e due pur di non aver grane con la Selwyn e Rosier.
«Elige cum grano salis».
Quante volte si era lasciato trascinare da Rose? Quante volte era consapevole stessero sbagliando e non si era opposto? Troppe. Strinse comunque con forza la mano della cugina perché l’affetto che li legava non sarebbe stato scalfito neanche dalla Selwyn. Non l’avrebbe permesso. La runa, conservata nella tasca della divisa, bruciò, ma, a differenza delle altre volte, fu per il giovane Grifondoro come un fiotto di energia che lo rinvigorì e nel pronunciare il ritornello con gli amici non vi fu più segno dell’incertezza iniziale nelle sue parole.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Fu con coraggio, che soli pochi anni prima non avrebbe ritenuto possibile, che Jonathan prese la parola.
«Obliviscere bona qui feceris, memora mala».
Era stato così facile per i suoi compagni di Casa dimenticare tutte le volte in cui si erano serviti di lui per copiare o concludere i compiti, appena avevano scoperto la sua natura di lupo mannaro. Eppure era sempre lo stesso ragazzo.
«Memora quisquis tristitia affeceris».
E, con tutta la buona volontà, non avrebbe potuto dimenticare quel lupo che l’aveva morso da bambino. Che motivo aveva? Jonathan viveva le sue trasformazioni dove non avrebbe potuto nuocere a nessuno, grazie anche alla Pozione Antilupo.
«Memora quisquis vulneraverit».
L’emarginazione, a cui l’avevano sottoposto quell’anno i suoi compagni, l’aveva ferito terribilmente. I suoi genitori avevano fatto di tutto per nascondere la sua natura permettendogli di vivere sotto una campana di vetro. Solo ora comprendeva le richieste dei Magonò e si chiedeva come si sarebbero sentiti gli uomini di Tristan de Cunha una volta liberati dal giogo della Selwyn.
«Memora quisquis occiderit».
Quel passo della nenia fu un colpo duro per i Neomangiamorte, tanto che alcuni cominciarono a gridare come i preda a un incubo e a muovere la testa come se fossero impazziti; persino Rosier cadde in ginocchio sotto lo sguardo scioccato dalla sua signora che continuava, nonostante le magiche corde che la legavano, a resistere all’incantesimo.
«Ne esse oblitus!» concluse Jonathan fermamente, mentre la sua runa gli donava nuova energia e una quarta corda stringeva alla vita i loro avversari.
Immediatamente la voce dei Dodici, ben decisi a non lasciare ai Neomangiamorte un attimo di respiro, si levò: «Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Nessun errore sarebbe stato peggiore di dimenticare quello che, ancora una volta, i pregiudizi erano stati sul punto di scatenare. Eppure non erano trascorsi che ventiquattro anni da quando Harry Potter aveva sconfitto Lord Voldermort.
«Nosce te ipsum. Nosce amicos. Nosce mundum». Virginia quasi sospirò nel dirlo: ella aveva dato così tanta importanza negli anni precedenti alla scuola e, specialmente, alle richieste della madre, da dimenticarsi di sé stessa e degli altri. Grazie ad Albus prima e a Martha dopo era riuscita ad aprirsi e a farsi conoscere e apprezzare anche dagli altri compagni di classe.
«Sed intellige tuos modos!». E questa era un’altra lezione che aveva faticato ad apprendere: non solo tutti hanno i propri limiti, ma ella aveva tentato di mostrarsi migliore degli altri e aveva nascosto i suoi difetti e i suoi errori, permettendo che Dorcas si prendesse la colpa da sola. Rose Weasley non la sopportava per questo motivo, per la Grifondoro Virginia era sempre stata una secchione peggio di Jonathan e di Albus. Ed aveva avuto ragione. Ora, però, aveva degli amici di cui si fidava realmente e non avrebbe rischiato di perderli. La runa arse donandole nuova energia e sicurezza.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
I Neomangiamorte erano del tutto disorientati e smarriti, solo la Selwyn tentava ancora di liberarsi dalle corde magiche.
«Paenitet vos crudelitatem, ignoscemus si sinceri estis». La voce di Scorpius risuonò ferma, ma quasi dolce. Nessuno meglio di lui conosceva il valore del perdono concesso e, specialmente, di quello non concesso. Moltissime persone ancora guardavano dall’alto in basso la sua famiglia. Suo nonno aveva fatto scelte sbagliate, ma suo padre si era sforzato per anni a risalire la china e conferire nuova dignità ai Malfoy. Sforzi che molti avevano deriso e ostacolato. «Venia e corde venit». L’errore più grave commesso dalla comunità magica dopo la sconfitta di Voldermort: far finta di perdonare. L’ipocrisia aveva trionfato e aveva permesso al rancore di annidarsi nel cuore di persone che, come Bellatrix Selwyn, avevano perso insieme alla guerra tutte le ricchezze e avevano visti sconfitti i loro ideali. I Potter e i Weasley, però, avevano perdonato dal cuore proprio come diceva la nenia e Scorpius gliene sarebbe stato per sempre grato. Non avrebbe dimenticato quel primo settembre di quasi sei anni prima in cui James Potter l’aveva difeso, sapendo a malapena chi fosse, e gli aveva presentato suo fratello e sua cugina. Se non avesse avuto l’amicizia di Rose e Albus che fine avrebbe fatto? Avrebbe trascorso i suoi anni scolastici a litigare con tutti pur di difendere la sua famiglia? E alla fine non avrebbe rischiato di perdersi o di diventare più crudele di chi lo prendeva in giro? Probabilmente. Aveva visto con i suoi occhi quanto poco sarebbe bastato perché suo cugino Orion si lasciasse coinvolgere dagli aspiranti Neomangiamorte.
Non appena il Serpeverde aveva finito di parlare una nuova corda dorata aveva stretto i Neomangiamorte e una Selwyn sempre più stanca di combattere.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
«Omnia munda mundis» cominciò Emmanuel, scandendo ogni parola energicamente. Ormai i Dodici percepivano pienamente la magia che crepitava intorno a loro, così come tutti coloro che erano presenti nell’Atrium.
Nessuno meglio di Emmanuel poteva sapere che essere purosangue non significasse essere razzista o privi di valori. La verità è che era stato cresciuto secondo i migliori dettami purosangue, non con quelli traviati da Lord Voldemort e dai suoi seguaci nel corso del tempo. Suo nonno non aveva mai neanche pensato di allontanare, figuriamoci diseredare, le figlie che avevano scelto di sposare uomini non provenienti da famiglie altrettanto antiche come la loro. Mai. E aveva preferito morire che schierarsi al fianco di Bellatrix Selwyn. «Amicus meum manum stringit et ego non habeo timorem». Pronunciò le ultime parole quasi con sfida: potevano tentare di ferirlo quanto e come avessero voluto, ma finché avesse avuto i suoi amici accanto si sarebbe sentito forte, anche senza il potere della runa, persino senza la magia. E non pensò solo a Virginia, a cui dava effettivamente la mano, ma specialmente a Fabiana che in quel momento si stava senz’altro preoccupando per lui.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Il senso di debolezza derivante dalla solitudine che Emmanuel aveva tentato di imprimere alle sue parole sembrò far presa persino sulla Selwyn.
«Amor artium magicarum firmussissima est».
Dorcas, con la sua dolcezza velata di tristezza, espresse il nucleo centrale di tutta la nenia. La magia sembrò divenire ancora più potente e sopraffece i Neomangiamorte. Chi dei presenti aveva conosciuto Albus Silente non poté non ricordare che l’insegnamento più importante che aveva lasciato era proprio quello.
«Non timeo hominem malum. Amo».
Il suo amore per Jesse aveva visto oltre la strafottenza del Serpeverde, oltre i suoi tentativi di allontanarla e tenerla al sicuro. In quella guerra, però, erano tutti coinvolti ed ella aveva deciso da tempo di non tirarsi indietro. Aveva persino tentato di convincere suo padre a perdonare lo zio Marcus. Almeno concedergli una minuscola possibilità.
«Non timeo cor nigrum».
E dopotutto perché avrebbe dovuto? Un gruppo di ragazzini li stava sconfiggendo a parole.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Ormai i Dodici procedevano inarrestabili, sempre più tranquilli man mano che la magia li permeava.
«Violentia non opus est. Paenitet vos». Frank mantenne gli occhi bassi, ma il suo tono era fiducioso: aveva lottato per anni con Charles Calliance, Halley Hans e Alcyone Granbell chiedendosi che problemi avessero con lui e poi, durante le Olimpiadi Magiche, aveva stretto amicizia con i gemelli Nilsson, con Elliott Castle e Tobia, che l’avevano persino seguito in quella follia. A quel punto aveva compreso di non essere mai stato lui il problema, ma gli altri: se non apprezzavano la sua compagnia, non poteva certo costringerli, ma ciò non significava che lui valesse di meno. «Non timeo. Non timeo quia stringo manus amicorum». Ed era vero, proprio come quando aveva salvato Rose dal potere dei Fondatori che la stavano per schiacciare, anche in quel momento era certo di trovarsi al posto giusto.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
Brian strinse vigorosamente la mano a James, sperando gli passasse un po’ del suo enorme coraggio. Il più grande ricambiò la stretta. «Non expedit neminem laedere». Anche se non subito, solitamente i cattivi pagavano per le loro azioni. Perfino il furbissimo Mike Zender aveva avuto la sua meritata punizione! «In medio stat virtus». Era stata dura crescere senza la mamma, la piccola Sophie era vivace e incontenibile, suo padre preso dal suo lavoro. Il ritorno di Maxi era stata una boccata d’aria, così come l’inizio della Scuola. E da quando Maxi frequentava la professoressa Dawson andava ancora meglio: non avrebbe mai sostituito la sua mamma, ma una donna in casa faceva una differenza enorme. «Gutta cavet lapidem». Per raggiungere i propri obiettivi, qualunque essi fossero, bisognava aver pazienza. Proprio come aveva detto anche Albus. La runa bruciò nella sua tasca, ma questa volta, ne era sicuro, dipendeva dal fatto che stesse agendo nel giusto modo.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
La Selwyn si era lentamente accasciata a terra, ma continuava a tenere la testa alta e fissarli con odio.
«Mundus coloratus est» prese la parola Roxi, la cui mano stringeva quella di Frank. Pensò al negozio del padre: i Neomangiamorte l’avevano rovinato durante il loro ultimo attacco, ma l’avrebbero ridipinto insieme e sarebbe stato ancora più bello. «Si tu video solum nigrum, ego tibi pingam!» lo disse divertita poichè immaginò il volto della Selwyn diventare di mille colori. La runa si scaldò e la Grifondoro scoppiò a ridere vedendo effettivamente il viso della loro avversaria divenire variopinto.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt».
La Selwyn ringhiò tentando di sollevarsi e iniziò a mordere l’orlo della tunica.
Roxi provò pietà per quella donna che con la sua cattiveria si era ridotta in quello stato e non riuscì a odiarla per aver ucciso suo nonno. L’avevano sconfitta e non le rimaneva nulla.
«Errare humanus est, sed perseverare diabolicum». La voce di James si levò dura e decisa. Il ragazzo si spostò verso la Selwyn, seguito dai compagni. «Reus iudicaris!» sentenziò, senza l’ombra di pietà nei profondi occhi nocciola.
«Reus! Reus! Reus!» gli fecero eco i compagni, facendo rimbombare l’Atrium. Un paio di Neomangiamorte urlarono, la Selwyn smise di mordere l’orlo della tunica e li fissò con occhi vacui. La pelle di molti combattenti si accapponò.
«Redde rationem!». L’ordine di James risuonò come una frustata e la Selwyn rabbrividì. Il ragazzo fissò con rabbia quella donna che negli ultimi anni aveva tentato in tutti i modi di rovinargli la vita: aveva pensato di poterlo usare come una marionetta durante il Torneo Tremaghi e divertirsi vedendolo morire, invece, ora, era lui a fissarla dall’alto in basso, ormai umiliata. Avevano vinto e non le avrebbe permesso di ferire ulteriormente le persone che amava.
«Virtutibus purificandum est cor nigrum. Virtutes peiores hostes profligabunt». Pronunciarono il ritornello per l’ultima volta e, infine, conclusero:
«Factum fieri infectum non potest.
Non plus ultra!
Tertium non datur!».
Per quanto sarebbe stato in loro potere, i Dodici non avrebbero mai più permesso che la comunità magica si cullasse su una falsa pace.
Un silenzio attonito e timoroso seguì la fine della nenia. Alcuni Neomangiamorte piangevano, altri sembravano aver perso i sensi.
I Dodici, provati dal potente incantesimo, tentarono di riprendere fiato.
Harry Potter fu il primo a riprendersi dal stato di trance in cui la nenia aveva lasciato i presenti e ordinò ai suoi uomini di occuparsi dei Neomangiamorte.
«Siete stati magnifici!» ruggì il Capo del Dipartimento Auror, attirando in un abbraccio, degno di Molly Weasley, i due figli maggiori. Nessuno dei due se ne lamentò.
L’Atrium iniziò a rianimarsi e i ragazzi furono raggiunti da Gabriel Fenwick e Adrian Wilson che abbracciarono le figlie con la stessa foga di Harry.
Brian non ebbe il tempo di preoccuparsi che suo padre e Maxi fecero la loro comparsa con il sorriso sul volto e corse da loro, cominciando a realizzare che avevano vinto e nessuna profezia pendeva più sul loro capo.
Il professor Schacklebolt si avvicinò a Jack e Jonathan per verificare come stessero; Frank, Roxi e Rose si erano uniti all’abbraccio tra Harry e i figli; Draco stava stritolando Scorpius come forse non aveva fatto, non in pubblico sicuramente; mentre Emmanuel si beava dell’improvvisa gentilezza dello zio Abraham, solitamente burbero e scontroso.
«Capitano!». Samuel Harper, leggermente claudicante, ruppe quella parentesi di tranquillità. Harry si voltò allarmato verso il giovane Auror, chiedendosi probabilmente che altro fosse accaduto. «Bellatrix Selwyn e Thomas Rosier sono morti».
Quelle poche e secche parole raggelarono i presenti.
«Morti?» ripetè James incredulo con un tuffo al cuore.
«La nenia non avrebbe dovuto ucciderli, ma al massimo stordirli fino a perdere i sensi» intervenne Albus.
«È morta avvelenata. Aveva della ricina in polvere nell’orlo della tunica. E, a quanto pare, non è l’unica: Rosier e altri Neomangiamorte hanno deciso che la sconfitta non sarebbe stata sopportabile».
«Papà!» gridò Jonathan, correndo da Anthony Goldstain spuntato alle spalle di Samuel Harper.
«Quando sei arrivato?» chiese perplesso Harry.
«Purtroppo solo ora. Al San Mungo abbiamo avuto il nostro bel daffare, ma non potevo non raggiungere mio figlio».
Improvvisamente James si sentì tirare la manica della divisa, si voltò e si trovò a dover abbassare lo sguardo su due occhioni che lo fissavano speranzosi.
«Avete sconfitto i cattivi?» chiese uno dei bambini che avevano portato via dall’Ufficio Misteri.
Il Grifondoro sentì salire un groppo in gola e dovette deglutire un paio di volte per non scoppiare a piangere davanti a tanta gente. Le immagini della sera gli erano tornate in mente tutte in una volta e cominciò a sentirsi veramente stanco.
«E questi bambini chi sono?» chiese Harry.
«Forse dovrebbe visitarli, signor Goldstain» intervenne Jack.
Il medimago annuì prontamente.
«Come stanno i miei genitori?» lo fermò Rose.
«Che cos’hanno?» chiese Albus turbato.
«La ferita di tuo padre non era grave, sta riposando. Tua madre si riprenderà, ma ci vorrà un po’ più di tempo» replicò con un lieve sorriso Anthony Goldstain. «Chiunque di voi le ha rimarginato la ferita, le ha salvato la vita».
Rose si voltò instivamente verso Scorpius e, ignorando il signor Malfoy, lo raggiunse buttandosi tra le sue braccia. Anche lei aveva bisogno di una pausa. Il Serpeverde l’accolse e la strinse a sé.
James, furioso per gli orrendi crimini commessi da Richard Parkinson, si lanciò in un concitato racconto in modo che il padre potesse agire il più velocemente possibile e dare a quel verme la lezione che meritava.
Dopodiché i ragazzi raccontarono anche come avevano scoperto il potere delle nenie, rimarcando l’aiuto avuto da Nyah, Kymia e Tanwir; di come si erano resi conto di non poter usare le nenie africane a causa dell’accompagnamento musicale e dell’aiuto del professor Bulstrode; raccontarono come con il supporto del signor Bennett, il bibliotecario, e grazie alle lezioni di latino seguite in Italia e in Australia da Albus, erano riusciti a tradurre la nenia in inglese e comprenderne il significato, giudicandola così in perfetta sintonia con la profezia e con le virtù di ciascuno di loro; infine raccontarono di quella sera e del prezioso intervento di Winnie e Tabi per raggiungere il Ministero e delle vicissitudini che i due gruppi separati avevano dovuto affrontare per ricongiungersi nell’Atrium.
«Sono strabiliato» commentò Maxi Williams. «Siete stati bravissimi».
«I nostri nuovi amici ci hanno dato una mano» commentò James, accennando a Niki, Glykeria, i gemelli Nilsson, Tobia ed Elliott Castle.
«Ragazzi, ho ordinato il trasferimento dei bambini al San Mungo. Fisicamente stanno bene, sono malnutriti ma con un po’ di riposo e la pozione ricostituente staranno bene» disse Anthony Goldstain tornando da loro. «Sarebbe il caso che andaste anche a voi a farvi visitare».
«Forse è meglio, da lì potrete tornare tranquillamente a casa» intervenne Harry.
«A casa?» gli fece eco James, fissandolo sorpreso.
«Non vuoi tornare a casa?» replicò Harry perplesso.
«E poi andiamo a Hogwarts? Domani ci sarà il Banchetto e l’assegnazione della Coppa delle Case» rispose James, per poi rivolgersi ai professori: «Sbaglio?».
«No» rispose Maxi Williams quietamente.
«I ragazzi potrebbero tornare a Hogwarts con noi» s’inserì nella conversazione Kingsley. «Madama Williamson li visiterà e si occuperà delle ferite».
«Sì, ci occupiamo noi di loro» soggiunse Maxi Williams. «Hanno il diritto a un po’ di tranquillità. E comunque dopodomani prenderanno l’Espresso per Londra e avrete tutte le vacanze per stare insieme».
«Siete sicuri di voler tornare a Scuola?» domandò Harry ai figli.
«Sì» rispose James anche per il fratello. «Poi chi la sente Lily se torniamo a casa senza di lei?».
Harry sorrise e annuì. Agli altri ragazzi fu rivolta la stessa domanda e tutti si dissero d’accordo con James e Albus.
«Allora sbrigatevi» intervenne Gabriel Fenwick. «Sta arrivando Rita Sketeer in testa a un gruppo di giornalisti assetati di notizie».
I ragazzi gemettero e si rivolsero speranzosi verso gli insegnanti.
«Dovremmo creare una passaporta» borbottò Williams.
«Non era illegale, professore?» chiese Jack con la sua consueta faccia tosta.
Williams lo fulminò e replicò: «La professoressa McGranitt vorrà presto un racconto dettagliato di quanto è accaduto. Sei sicuro di voler tornare a Scuola?».
Jack aprì la bocca, ma la richiuse senza proferir parola. Avevano affrontato e sconfitto Bellatrix Selwyn, la sedicente nuova Signora Oscura, ma nessuno dei Dodici effettivamente aveva il coraggio di spiegare alla professoressa il folle piano che avevano attuato infrangendo una buona parte delle regole della Scuola.
«Autorizzo io la creazione della passaporta» intervenne una voce femminile.
«Susan, stai bene?» le domandò immediatamente Harry.
«Sono stata molto meglio» rispose Susan Bones, Capo del Dipartimento dell’Applicazione della Legge sulla Magia, che i ragazzi avevano riconosciuto come la moglie del loro insegnante di Pozioni. «Accompagnate i ragazzi a Hogwarts».
Quando, quasi a mezzanotte, finalmente le passaporte furono pronte, i ragazzi, divisi in due gruppi, accolsero con sollievo il solitamente fastidioso strappo all’ombelico.
Williams e Schacklebolt viaggiarono insieme a loro. Atterrarono direttamente in infermieria.
I ragazzi si sedettero stancamente sui letti, mentre il professore di Trasfigurazione andava a svegliare la medimaga.
Madama Williamson si prese cura di loro una alla volta e loro non protestarono per tutte quelle attenzioni, sebbene avessero voluto soltanto andarsene a letto. I professori si allontanarono per un po’, probabilmente per riferire a Paciock quanto successo.
Infatti Neville entrò di corsa in infermieria poco dopo il loro arrivo, suscitando i rimproveri dell’infermiera. Il professore si scusò distrattamente, troppo preoccupato per il figlio.
La Williamson si era occupata di tutti quando il professor Schacklebolt tornò.
«La Preside è arrivata insieme al resto della squadra olimpica».
Neville annuì e uscì dopo che Frank gli rassicurò per l’ennesima volta di stare bene.
«Va tutto bene?» chiese allora Schacklebolt alla medimaga.
«Sì, ma hanno bisogno di molto riposo. Hanno consumato quasi tutta la loro energia».
«Temo che dovranno aspettare ancora un po’ per riposare. La Preside ha bisogno di parlare con loro immediatamente» replicò Schacklebolt. «Solo con i Dodici, per piacere. Voi potete riposare qui» soggiunse, vedendo che anche gli studenti stranieri si stavano muovendo.
James e gli altri si scambiarono uno sguardo preoccupato: la McGranitt non doveva essere per nulla contenta di come erano scappati dalla Dreamtime.
«E che cosa deve dirci di così urgente da non poter aspettare fino a domani mattina, magari fino a pranzo?».
Persino Rose apparve stupita dalle parole di Jack. Kingsley gli lanciò un’occhiataccia, ma non commentò probabilmente ritenendo che a parlare fosse stato il turbamento per quello che avevano appena vissuto.
«Non mi ha sentito? Le ho appena fatto una domanda?».
I compagni si fermarono e si voltarono a guardarlo: era l’unico che non aveva mosso un passo.
«Nella tua camera è stata trovata una ragazza che appartiene a un’altra Scuola, Fletcher» disse allora irritato Kingsley. «E non è l’unica. La Preside deve provvedere a farli rientrare nella loro Scuola al più presto».
«Kymia non si muove da qui!» ringhiò Jack, arrabbiandosi sul serio.
«Questo non sta a te deciderlo» affermò l’insegnante. «E ora seguitemi».
Jack fremeva, ma non fiatò temendo di peggiorare la situazione con la sua avventatezza.
La strada per raggiungere la Presidenza non era mai sembrata tanto lunga ai ragazzi, che accolsero con un sospiro di sollievo la vista dei due gargoyle di pietra che la custodivano.
Kingsley salì con loro sulla scala a chiocciola che prese a muoversi appena anche l’ultimo della fila, Rose, vi pose piede sopra, ma si congedò appena raggiunsero la soglia dell’ufficio.
James si fece avanti e bussò: era il capo di quel gruppo così eterogeneo e lo sarebbe stato fino alla fine di quella storia. Avuto il permesso di entrare, fu il primo a farlo.
La professoressa McGranitt era seduto dietro la scrivania, come un milione di altre volte in cui erano stati lì per un motivo o per l’altro. Brian era il più smarrito, non essendoci mai stato.
«Beh, complimenti!» esordì la Preside appena si ammassarono tutti di fronte alla scrivania. Il suo tono era stato tagliente e per nulla lusinghiero. «Alcuni di voi sono scappati da Scuola, mandando nel panico il professor Paciock, responsabile in mia assenza!». Frank deglutì: aveva visto il volto pallido del padre e si era reso conto di quanto fosse arrabbiato, sebbene non avesse detto loro nulla probabilmente perché si trovavano in infermieria. «Altri sono scappati sotto il mio naso in compagnia di un gruppo di studenti stranieri altrettanto sciocchi e avventati!». La voce della Preside si era alzata notevolmente ed era palese che stesse per perdere le staffe. «Complimenti, avete battuto persino i vostri genitori!».
Nessuno osò parlare, persino Rose e Jack tennero a bada la loro lingua lunga, consapevoli che non fosse minimamente saggio far arrabbiare ancora di più la professoressa.
«Io, il professor Paciock e il professor Williams eravamo perfettamente al corrente della Profezia e di quello che eravate destinati a fare… sebbene le Profezie siano difficili da interpretare correttamente… perché non ce ne avete parlato? Perché siete partiti alla cieca rischiando di mettervi ancora di più in pericolo? E vi siete trascinati dietro anche altri ragazzi!».
James deglutì, sentendosi in colpa. «Stanno bene, vero, professoressa?» trovò il coraggio di chiedere.
«Nessuno ha subito gravi ferite, fortunatamente» rispose seccamente la donna. Inspirò e riprese: «Non mi aspettavo che foste così tanto sciocchi e immaturi! Vi rendete conto in che posizione mi avete messo con gli altri Presidi? E con i vostri genitori?».
«I nostri genitori lo sapevano che…» tentò Virginia.
«Silenzio, signorina Wilson!» tuonò la McGranitt. «Voi, voi dovevate fermare la Selwyn e l’avete fatto! Nessun altro doveva essere coinvolto. Avreste dovuto rivolgervi agli insegnanti e vi avrebbero coperto le spalle, non un mucchio di ragazzini come voi desiderosi di fare gli eroi!».
«Quello che dice non è giusto» intervenne Jack. «Siamo appena riusciti a trionfare, laddove esperti Auror hanno fallito! Non dovrebbe rimproverarci!».
La Preside lo fulminò con un’occhiata, che terrorizzò gli altri. Jack non si mosse e continuò a fissarla con rabbia.
«Non abbiamo pensato, professoressa» disse Dorcas con voce tremante. «Ho pensato che mio padre…». Le sfuggì un singhiozzo e Albus le strinse automaticamente la mano. Avevano avuto tutti una gran paura quando avevano saputo che il Ministero era sotto attacco.
«Abbiamo pensato che gli insegnanti ci avrebbero fermato per proteggerci anche se sapevano della Profezia e avevamo paura che se avessimo perso tempo…» Scorpius era intervenuto in aiuto della Tassorosso, ma anche egli si bloccò ricordandosi delle urla del padre mentre veniva torturato. «Mi dispiace se abbiamo permesso che altri ragazzi rischiassero la vita, ma non sono pentito».
La McGranitt rivolse la sua attenzione al Serpeverde, ma con un’espressione differente da quella dedicata a Jack. Si tolse gli occhiali e si strofinò gli occhi. Solo allora i ragazzi si accorsero che erano rossi, probabilmente a causa della stanchezza, e leggermente acquosi. Non li era mai apparsa così anziana e fragile. Quando parlò la sua voce era ancora ferma, ma aveva perso la durezza precedente.
«Raccontatemi ogni cosa».
James, Virginia ed Emmanuel si alternarono nel racconto di quanto avvenuto nelle ultime ore e nei mesi precedenti quando avevano studiato la nenia. Nel frattempo la Preside aveva evocato una sedia per ciascuno di loro e i ragazzi vi si erano accasciati. Alla fine del racconto li fissò in volto uno alla volta.
«Sappiate che non è mai stata mia intenzione mettere in dubbio le vostre capacità né sminuire l’impresa che avete compiuto questa notte», e qui lanciò un’occhiata eloquente a Jack. «Non posso che essere orgogliosa che siate studenti di Hogwarts. Mi preme, però, anche la vostra incolumità e questa sera siete stati terribilmente sciocchi e impulsivi». Fece una pausa. «Fortunatamente è finita bene e possiamo festeggiare, ma vorrei che in futuro rifletteste maggiormente sulle vostre azioni».
I Dodici si affrettarono ad annuire per nulla desiderosi di una nuova sfuriata.
«Nonostante ciò, il vostro coraggio va premiato. Assegno cinquanta ciascuno punti a tutti coloro che hanno combattuto questa notte» continuò la Preside. «Non di più, sarà sufficiente l’intera comunità magica a esaltare la vostra scelleratezza».
James non riuscì a trattenere un lieve sorriso.
«Preside, volevo dirle che anch’io ho collaborato alla creazione delle Passaporte illegali» confessò Virginia sorprendendo i compagni.
«Ne prendo atto, signorina Wilson, ma le pregherei di rivolgersi direttamente al professor Williams se si sente in colpa per non averlo ammesso a tempo debito. La questione è stata già affrontata dal professor Mcmillan, non ho intenzione di intromettermi».
Virginia arrossì e abbassò il capo: ora si vergognava di aver permesso che Dorcas si prendesse la colpa da sola.
«Va bene, professoressa».
«La ragazza che è stata trovata in camera mia…» intervenne Jack, ma fu immediatamente interrotto dalla Preside.
«Sarà rimandata a casa insieme agli altri studenti».
«No!» sbottò allora il Tassorosso. «Kymia non andrà da nessuna parte. È venuta per restare!».
«Non è autorizzata a trattenersi in Gran Bretagna. Non so quale siano le tue intenzioni, Fletcher, ma per quanto possano essere buone non mi renderò complice del rapimento di una minore» ribatté seccamente la McGranitt.
Jack imprecò furioso. «Chi le ha detto che era nella mia stanza? Qualcuno dei miei stupidi e petulanti compagni di Casa che cercano ogni scusa per fare i lecchini? O quello stupido elfo domestico?».
«Lascia stare Tabi» disse Brian irritato.
«Signor Fletcher, è il caso che tu vada a riposare. A quanto pare la stanchezza ti ha fatto dimenticare con chi hai a che fare!» sbottò la Preside. «Trenta punti in meno a Tassorosso!».
Jack voltò le spalle e uscì dall’ufficio a passi svelti, lasciandosi alle spalle un silenzio sgomento.
James, vedendo l’amico in quelle condizioni, decise di intromettersi nonostante volesse raggiungere la sua Sala Comune al più presto e abbracciare Benedetta, Robert e Lily. Raccontò alla Preside la storia di Kymia nella speranza di farle cambiare idea.
«Io comprendo benissimo, Potter; voi dovete capire, però, che ho le mani legate. L’unica promessa che posso farti e parlare di questa situazione al professor Johnson. Nient’altro».
James annuì sconfitto e mormorò un ringraziamento.
«Che cosa accadrà a Tabi, professoressa?» chiese Brian colto da un improvviso timore. I compagni lo fissarono sorpresi, non essendosi neanche posti il problema.
«Che cosa c’entra?» borbottò infatti Rose.
Il più piccolo non le rispose, ma continuò a fissare la Preside con inquietudine.
«Gli elfi domestici devono obbedire solo a me e, in caso, ai docenti. Non posso permettere che si prendano la briga di portare in giro gli studenti della Scuola. Non ho ancora deciso, ma probabilmente sarà licenziato».
«Cosa?!» sbottò James.
Brian rimase a bocca aperta e sentì gli occhi riempirsi di lacrime. «Ma è colpa nostra» piagnucolò.
«Su questo non ci sono dubbi, Carter» disse la Preside, ignorando James. «Devo potermi fidare dello staff della Scuola».
«Non può perdonarlo? A noi ci sta perdonando. E poi è colpa mia, l’ha fatto perché gliel’ho chiesto io. Se la prenda con me, professoressa» tentò Brian.
La McGranitt sospirò e disse: «Ti posso promettere che ci penserò ancora domani. Ora dovremmo andare tutti a riposare. Questa sera ci sarà il Banchetto di Fine Anno».
I ragazzi annuirono e si trascinarono fuori dall’ufficio, Brian, prima di chiudersi la porta alle spalle, lanciò un’ultima occhiata supplichevole alla Preside.
Percorsero il corridoio silenzioso senza parlare. L’adrenalina era scomparsa e si sentivano sfiniti.
Dalle finestre penetrava una lieve luce soffusa.
«Sta per albeggiare» disse sorpreso Albus.
James scrollò le spalle e salutò gli altri, prima di raggiungere il quadro della Signora Grassa.
 
Un nuovo giorno stava sorgendo e i Neomangiamorte erano stati sconfitti.
 
 
Angolo autrice:

Ciao a tutti!
Come immaginerete senz’altro, ci stiamo avvicinando alla conclusione di questa fanfiction e delle avventure dei Dodici.
Spero che lo scontro finale non vi abbia deluso.
Vi riporto l’intero testo della nenia (raramente ho tradotto dall’italiano al latino, per cui spero di non aver commesso qualche errore grossolano):
 
Timeat quisquis malum agat,
Timeat quisquis vulneraverit,
Timeat quisquis occiderit.
Non salutem invenient!
Timeat!
Demittite arma! Desinite pugnare!
 
Virtutibus purificandum est cor nigrum.
Virtutes peiores hostes profligabunt.
 
Non timor habendus est te, si pugnas bono.
Non timor habendus est te, si habes bonam causam.
Non timor habendus est te, si cor tuuum purum est.
(Rose)
 
Rit.
 
Vitiis nemo sine nascitur.
Pugna tuis voluntatis.
Per aspera ad astra.
(Jack)
 
Rit.
 
Elige bona.
Ne elegeris mala.
Neque delectus elegere.
Elige cum grano salis.
(Albus)
Rit.
 
Obliviscere bona qui feceris, memora mala.
Memora quisquis tristitia affeceris
Memora quisquis vulneraverit.
Memora quisquis occiderit.
Ne esses oblitus.
(Jonathan)
 
Rit.
 
Nosce te ipsum.
Nosce amicos.
Nosce mundum.
Sed intellege tuos modos.
(Virginia)
 
Rit.
 
Paenitet vos crudelitatum, ignoscemus si sinceri estis.
Venia e corde venit.
(Scorpius)
 
Rit.
 
Omnia munda mundis.
Amicus meum manum stringit et ego non habeo timorem.
(Emmanuel)
Rit.
 
Amor artium magicarum firmussissima est.
Non timeo hominem malum.
Amo.
Non timeo cor nigrum.
(Dorcas)
 
Rit.
 
Violentia non opus est. Paenitet vos.
Non timeo.
Non timeo quia stringo manus amicorum.
(Frank)
 
Rit.
 
Non expedit neminem laedere.
In medio stata virtus.
Gutta cavet lapidem.
(Brian).
 
Rit.
 
Mundus coloratus est.
Si tu video solum nigrum, ego tibi pingam!
(Roxi)
 
Rit.
 
Errare humanus est, sed perseverare diabolicum.
Reus iudicaris!
Reus! Reus! Reus! (Tutti insieme)
Redde rationem!
(James)
 
Rit.
 
Factum fieri infectum non potest.
Non plus ultra!
Tertium non datur!
Ed ecco la traduzione:
 
Tema chiunque abbia compiuto il male,
tema chiunque abbia ferito,
tema chiunque abbia ucciso.
Non troverà salvezza!
Tema!
 
Abbassate le bacchette! Smettete di combattere!
 
Rit. Le virtù devono purificare il cuore nero.
Le virtù sconfiggeranno i peggiori nemici.
 
Non devi aver paura, se combatti per il bene.
Non devi aver paura, se hai una buona causa.
Non devi aver paura, se il tuo cuore è puro.
Rit.
 
Nessuno nasce senza difetti.
Combatti per i tuoi ideali.
Attraverso le difficoltà al successo (letteralmente attraverso le asprezze fino alle stelle).
Rit.
 
Scegli le cose buone.
Non scegliere le cattive.
Non è una scelta non scegliere.
Scegli con buon senso.
Rit.
 
Dimentica le cose buone che hai fatto, ricorda le cattive.
Ricorda chiunque abbia recato sofferenza.
Ricorda chiunque abbia ferito.
Ricorda chiunque abbia ucciso.
Non dimenticare.
 
Rit.
 
Conosci te stesso.
Conosci gli amici.
Conosci il mondo.
Ma cogli i tuoi limiti.
 
Rit.
 
Pentitevi della crudeltà, vi perdoneremo se siete sinceri.
Il perdono viene dal cuore.
 
Rit.
 
Ogni cosa pura ai puri.
Un amico stringe la mia mano e io non ho paura.
 
Rit.
 
L’amore è la magia più potente.
Non temo l’uomo cattivo.
Amo.
Non temo un cuore nero.
 
Rit.
 
La violenza non è necessaria. Pentitevi.
Non temo.
Non temo perché stringo le mani degli amici.
 
Rit.
 
Non conviene danneggiare qualcuno.
La virtù sta nel mezzo.
La goccia scava la pietra.
 
Rit.
 
Il mondo è colorato.
Se tu vedi solo nero, io ti ridipingerò!
 
Rit.
Errare è umano, ma perseverare diabolico.
Sei giudicata colpevole!
Colpevole! Colpevole! Colpevole!
Rendi conto!
 
Rit.
Ciò che è stato fatto non può essere disfatto.
Non più oltre!
Non viene data la terza possibilità!
 
Se vi va, fatemi sapere che cosa ne pensate ;-)
A presto,
Carme93

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Capitolo 40
*** Dulcis in fundo ***


Capitolo quarantesimo
 
Dulcis in fundo
 
La Sala Grande quella sera era affollata e chiassosa, come lo era sempre il giorno del Banchetto di Fine Anno. L’atmosfera che si respirava non aveva assolutamente nulla a che vedere con quella dell’anno precedente. I Dodici avevano sconfitto Bellatrix Selwyn e i suoi Neomangiamorte e presto la comunità magica britannica sarebbe tornata alla normalità. Era il 30 giugno e tutti gli studenti avevano il pensiero fisso sulle vacanze imminenti e chiacchieravano animatamente sui loro progetti estivi chiamando gli amici da una parte all’altra della Sala. I Dodici non erano da meno.
Al tavolo dei Grifondoro James, Albus, Frank, Roxi e Rose erano seduti a poca distanza, ciascuno con i propri compagni di classe.
«Con tutti i punti che abbiamo guadagnato con la nostra impresa, Corvonero non potrà rubarci la Coppa quest’anno!» esclamò Rose.
Albus e Alastor ridacchiarono: da quando Rose si era alzata – giusto per scendere in Sala Grande a pranzare – andava in giro per i corridoi con il petto in fuori sia per quella che, appunto, ella aveva iniziato a definire ‘impresa’ sia per la clessidra di Grifondoro strapiena di rubini.
«Beh se agli esami dovessero aver battuto tutti gli altri…» provò Albus, più che altro per il gusto di contraddirla.
Rose, però, era più che convinta e fece un gesto vago con la mano.
«Com’è che dicono i Babbani?» intervenne Cassy. «La matematica non è un’opinione? Io e Rose ci siamo fatte i conti. Nemmeno i Tassorosso, che sono secondi, potrebbero superarci».
«Era ora! Era da troppo tempo che non vincevamo!» esclamò Elphias Doge.
 
Negli altri tavoli la situazione non era molto diversa, tranne per il fatto che vi erano poche speranza di vittoria. La maggior parte dei ragazzi, però, si stava ampiamente consolando al pensiero dei superbi dolci preparati dagli elfi della Scuola, che presto avrebbero gustato. Jonathan e Virginia chiacchieravano felicemente insieme a Martha, Dexter, Eva Lestrange e Kumar. Tra i Serpeverde spiccavano senz’altro le risate di Scorpius, Orion, Annie Ferons, Fulton Collins e Arya Wilkinson; ma anche Emmanuel e Tobias erano rilassati, sebbene il primo più che al cibo stesse pensando a Fabiana, seduta al tavolo dei Corvonero. Era un vero peccato che l’ultima sera dovessero sedersi per forza ognuno al tavolo della propria Casa. Quella che ne soffriva di più era senz’altro Dorcas, che, se non fosse stato per Eddie Zabini – il quale era, però, abbastanza giù di morale, visto che la madre era stata arrestata e il fratello maggiore, Dain, si era suicidato insieme ad altri Neomangiamorte – e per Noah Hunter – infelice quanto l’altro ragazzo all’idea di tornare a casa – nessuno dei suoi compagni di classe le avrebbe dato retta. Jack Fletcher era sempre gentile con lei, ma in quel momento era intento a raccontare i dettagli del duello tra James e Niki Charisteas ai suoi amici, Andy Archer e Mary Cattermole, e alla ragazza di Uagadou, Kymia, che a quanto pareva aveva ottenuto il permesso di rimanere con loro almeno per il momento.
A un certo punto la professoressa McGranitt si alzò dal suo scranno al centro del tavolo degli insegnanti e attirò l’attenzione degli studenti.
«Cari studenti, siamo alla fine di un altro anno scolastico, un anno che è stato decisamente impegnativo, pieno di opportunità e novità. Sono sicura che abbiate dato il meglio di voi e che abbiate imparato anche dagli eventi spiacevoli, che, purtroppo non sono mancati» disse. «Innanzitutto vorrei complimentarmi con i membri della squadra olimpica. La squadra di Quidditch, capitanata da Albert Abbott, ha vinto il Torneo».
Le parole della Preside furono coperte da un boato che si sollevò nella Sala Grande, i più entusiasti sembravano proprio i Tassorosso.
«Ottimo, ottimo» riprese la McGranitt, appena i ragazzi si furono calmati. «Cinquanta meritatissimi punti a ciascun giocatore». Nuovi applausi e grida di giubilo la costrinsero a fermarsi nuovamente. «La squadra di gobbiglie, capitanata da Harry Cattermole, si è posizionata al terzo posto. Complimenti! Anche per voi cinquanta punti ciascuno».
I quattro membri della squadra di Gobbiglie appartenevano tutti alla Casa di Tassorosso, per cui furono proprio questi ultimi i più contenti.
«Louis Weasley è il vincitore del Torneo di Scacchi. Cinquanta meritatissimi punti. I miei complimenti!».
Questa volta a festeggiare rumorosamente furono i Corvonero, accompagnati, però, da tutti i Weasley e Potter.
«James Potter è arrivato terzo al Torneo di Duello. Cinquanta punti anche per Grifondoro!».
I Grifondoro erano noti per essere di gran lunga i più chiassosi della Scuola e non smentirono la loro fama.
«Jack Fletcher si è, invece, posizionato quarto. Per quanto riguarda il Torneo di Cultura, Rimen Mcmillan ha vinto la sezione di Astronomia». I Tassorosso scoppiarono nuovamente in un fragoroso applauso e la McGranitt faticò a riprendere la parola: «Gabriel Fawley è secondo nella sezione di Pozioni e Albus Potter secondo per Erbologia. Ognuno di loro ha meritato cinquanta punti. Frank Paciock è arrivato quarto nella sezione di Storia della Magia, mentre Mark Parkinson al settimo per Trasfigurazione». Gli studenti batterono ancora le mani, entusiasti dei risultati dei propri compagni. «La Confederazione Internazionale dei Maghi ha giudicato più che positiva questa prima edizione delle Olimpiadi Magiche. La prossima si terrà fra quattro anni. Per evitare vari problemi logistici, è stato deciso che, d’ora in avanti, vi sarà un’unica Scuola ospitante. La prossima volta le Olimpiadi si terranno a Castelobruxo». Questa volta gli studenti impiegarono più tempo a reagire, tanta era la sorpresa, ma alla fine applaudirono tiepidamente. «I migliori studenti di quest’anno sono», riprese la Preside –con gli occhi di tutti gli allievi fissi su di lei, «Claire Nott per il primo anno». I Corvonero, che si ritenevano senz’altro i migliori della Scuola per il profitto, scoppiarono in un applauso orgoglioso, mentre la ragazzina arrossiva violentemente.
«Complimenti, complimenti» intervenne la McGranitt con un lieve sorriso. «Il miglior allievo del secondo anno è Louis Weasley». Ancora una volta furono i Corvonero a festeggiare, ma la Preside riprese la parola prima. «Il migliore del terzo anno è stato Hugo Weasley».
«Per il secondo anno di fila! Un grade, cugino!» gridò James, battendo forte le mani insieme agli altri Grifondoro.
Hugo era diventato rossissimo, mentre i compagni gli stringevano la mano.
«Tu non sei mio fratello» borbottò Rose con disgusto.
«Se tuo padre non fosse mio zio Ron, penserei che zia Hermione ti avesse adottato» sbottò James ridendo.
«Potrebbe essere il contrario, no?» ribatté infastidita la ragazza.
«Oh, no» la contradisse Fred urlando. «La madre è sempre quella sicura, non il padre». Il ragazzo le fece l’occhiolino e si beccò un gestaccio dalla cugina.
«Va bene, complimenti!» esclamò la Preside, alzando la voce per sovrastare il chiasso dei Grifondoro. «La migliore allieva del quarto anno è Fabiana Weasley». Il tavolo blu-bronzo si animò ancora. «Il migliore del sesto anno è Gabriel Fawley».
I Serpeverde, inesorabilmente ultimi in classifica quell’anno, mostrarono la loro soddisfazione per il risultato ottenuto dal loro Prefetto. Tutti applaudirono, ma diversi si alzarono per stringergli la mano. Non era facile superare i Corvonero agli esami, ma quando qualcuno vi riusciva era certamente un evento da festeggiare.
«Ora non resta che assegnare la Coppa delle Case». Un silenzio pieno di aspettativa scese sulla Sala Grande. «La classifica è la seguente: Serpeverde al quarto posto con 350 punti; al terzo posto Corvonero con 1516 punti; secondi i Tassorosso con 1578 punti». La preside fece una pausa prima di annunciare: «Vince la Coppa delle Case di quest’anno Grifondoro con ben 2175 punti!». Batté le mani e la Sala Grande si decorò con gli stendardi della Casa vincitrice e i colori rosso-oro risplendettero.
A quel punto neanche la Preside provò a tacitare le grida di trionfo dei Grifondoro e si limitò ad augurare buon appetito a tutti, facendo apparire le varie portate sui tavoli.
 
*
«Auguri sorellina!» gridò James, stritolando Lily in un abbraccio.
Albus sorrise nel vedere i tentativi della ragazzina di liberarsi dalla stretta ferrea del fratello maggiore e, appena vi riuscì, le si avvicinò per farle a sua volta gli auguri e baciarla sulla guancia.
«Il regalo te lo daremo stasera alla Tana, insieme a tutti gli altri» la informò James, beccandosi una linguaccia.
«Non è giusto, però! Sono due anni che torniamo a casa più tardi per colpa dei Neomangiamorte!» si lamentò Lily.
«Beh, d’ora in avanti non dovremmo più preoccuparcene!» replicò James deciso.
«E, se ti consola, almeno quest’anno torneremo un giorno prima rispetto all’anno scorso e nonna ti sta preparando una festa alla Tana» aggiunse Albus.
«Buon compleanno, Lily!» trillò Roxi abbracciandola stretta. La ragazza era appena scesa in Sala Comune insieme a Gretel Finnigan. «Frank?» chiese, dopo aver liberato la cugina.
«Lo stiamo aspettando» rispose Albus. «Penso che scenderà a momenti. Piuttosto hai visto Rose?».
«Visto no, ma sentito sì. Immagino abbia qualche problema con il baule come al solito» disse Roxi.
«Se la Torre è ancora in piedi, significa che Isobel le ha dato una mano» sbuffò Albus alzando gli occhi al cielo.
«Buongiorno a tutti!» esclamò Frank raggiungendoli e regalando loro un timido sorriso. «Auguri, Lily!».
La ragazzina si lasciò abbracciare volentieri da lui e sorrise radiosa. «Ci sarete tutti stasera, vero?».
«Sicuro!» le assicurò Roxi, mentre Frank annuiva al suo fianco.
«Non vedo l’ora!» aggiunse Lily con gli occhi che luccicavano. «Tuo padre mi ha mandato un biglietto di auguri stamattina presto e mi ha detto che sta organizzando lui la festa».
«Oh, allora sarà fantastica!» commentò James.
«Cosa sarà fantastico?» domandò Rose, saltando letteralmente addosso a Lily, buttandola sul tappeto scarlatto. «Un anno più vicina alla maggiore età! Tieni duro!».
Gli altri risero alle sue parole, ormai abituati al suo modo di fare.
«Comunque parlavamo della festa di stasera. A quanto pare la sta organizzando mio padre» disse Roxi.
«Ora che ci siamo tutti, andiamo» intervenne James.
«Dove andate?» gli chiese Lily.
«Vogliamo parlare con la McGranitt prima di partire. Gli altri ci stanno aspettando» le spiegò Albus.
«Ci vediamo a colazione, allora» aggiunse James.
«Certo, a tra poco» ribatté Lily, per nulla intenzionata a incontrare la Preside il giorno del suo compleanno.
«Hai fatto il baule?» le chiese Albus, mentre gli altri si avviavano verso il buco del ritratto.
«Albus!» sbottò Rose. «Per caso ti sei trasformato in zia Ginny?». Lo prese per un braccio e iniziò a trascinarlo.
«Tranquillo, Al!» gli urlò dietro Lily, prima che il quadro della Signora Grassa si chiudesse alle loro spalle.
«Che modi!» si lamentò Albus.
«Dai, muovetevi! Gli altri ci staranno sicuramente aspettando e, prima di partire, voglio fare colazione!» li richiamò James.
I due ragazzi lo seguirono e, una volta raggiunti i gargoyle della Presidenza, si resero conto che aveva ragione: erano gli ultimi.
«Alla buon’ora!» li accolse Jack, annoiato.
«Dormito male, Fletcher?» lo rimbeccò James.
«Benissimo, Potter, tranquillo» ribatté a tono il Tassorosso.
«Avanti, sto morendo di fame. Parliamo con la McGranitt e andiamo a mangiare» intervenne Scorpius.
«Sante parole!» commentò Rose, scoccando un bacio sulla guancia del Serpeverde, che sorrise beato sussurrandole qualcosa all’orecchio.
«Animagus!» disse James rivolto ai gargoyle.
«Per favore, smettetela» borbottò Jack. «Non vorrei vomitare».
Rose gli tirò un calcio nello stinco, facendolo strillare, e poi lo superò correndo lungo la scala a chiocciola. Gli altri ragazzi attesero che la scala si fermasse davanti al portone di legno. James bussò. La Preside diede loro immediatamente il permesso di entrare.
«Buongiorno» esordì la professoressa scrutandoli uno alla volta. «Che cosa vi porta qui a quest’ora?».
«Ci siamo accorti che le rune hanno perso il loro potere» disse James, andando dritto al punto e le passò la sua, sol.
Tacquero tutti mentre la donna esaminava la runa.
«È sorprendente. Sono tornate a essere delle semplici pietre, avete ragione» esclamò la McGranitt realmente stupita. «Probabilmente ne avete consumato il potere magico durante la recita della nenia» commentò dopo diversi minuti di riflessione.
«Quindi sono solo pietre adesso?» chiese Jack.
«L’avevamo intuito» disse Virginia, soddisfatta di sé.
«Sì, solo pietre, signor Fletcher» confermò la McGranitt.
«Professoressa» intervenne Albus.
«Sì, signor Potter?».
«Noi abbiamo pensato che… insomma anche se non hanno più alcun potere, le rune rimangono dei manufatti magici antichi, no? Le potrebbe custodire lei a Hogwarts, professoressa?».
La Preside apparve nuovamente sorpresa, ma assentì quasi subito. «Ne siete sicuri?».
«Sì, professoressa» rispose Jonathan per tutti. «Non c’è posto migliore di Hogwarts».
«Bene, come desiderate» asserì la donna. Estrasse la bacchetta ed evocò uno scrigno di cristallo. «Riponetele qui dentro».
I ragazzi non se lo fecero ripetere due volte e liberandosi di quelle rune si sentirono molto più sollevati. Quella brutta storia era veramente finita.
«I rappresentanti più importanti del Ministero hanno proposto di assegnarvi una medaglia al valore magico, ma la decisione definitiva sarà presa solo al ritorno della nostra Ministra» li informò la professoressa, chiudendo lo scrigno e sigillandolo magicamente.
I Dodici si scambiarono occhiate meravigliate, ma nessuno aprì bocca.
«Se non avete altro da dirmi, sarebbe il caso che andaste a fare colazione, a meno che non vogliate perdere il treno e farmi compagnia tutta l’estate».
James, Rose e Scorpius iniziarono a parlare nello stesso momento, rassicurandola che non avrebbero perso il treno.
«Signor Carter, può attendere un attimo, per cortesia?».
Brian s’irrigidì alla prospettiva di rimanere da solo con la Preside, ma non avendo altra scelta osservò i compagni salutarla e augurarle buone vacanze.
«Tabi continuerà a lavorare nelle cucine di Hogwarts» dichiarò la McGranitt, appena rimasero da soli.
Un fiotto di sollievo gli riscaldò il petto e, dopo aver ringraziato la professoressa, corse via per raggiungere gli amici al tavolo dei Corvonero.
Drew, Annika e Louis lo accolsero con un sorriso.
«Tutto bene?» chiese Drew.
«Sì, tranquilli. Abbiamo consegnato le rune alla McGranitt perché le conservi» spiegò.
«I miei cugini e gli altri sono tornati prima di te» commentò stranito Louis.
«Perché la Preside mi ha trattenuto per dirmi che non licenzierà Tabi».
«Evviva!» strillarono in coro gli altri tre.
«Succo di zucca?» gli domandò Annika.
«Sì, grazie mille».
Quando avevano quasi finito di fare colazione, il loro Direttore li raggiunse sorridente.
«No» lo fermò Annika, facendogli aggrottare la fronte. «Non può sorridere così quando ci porta i risultati degli esami! È sadico!».
Maxi Williams scoppiò a ridere. «Oh, ma è uno degli aspetti migliori del mio lavoro!» replicò porgendole una busta sigillata con la ceralacca, sui cui era inciso lo stemma della Scuola.
Brian, Louis e Drew presero le loro non riuscendo a trattenere un sorriso all’espressione che l’amica aveva rivolto al professore, che se ne andò sorridente a ‘rovinare la mattinata anche ad altri poveri e innocenti studenti’ (parole di Annika).
«Le apriamo subito?» chiese titubante Drew.
«No, lo faremo sul treno, lontani da impiccioni» rispose immediatamente Annika, lanciando un’occhiataccia a Margaret Davies e Anastasia Johnson che avevano aperto le loro buste e avevano già allungato il collo verso di loro.
«Cominciamo ad andare allora» propose Louis. «Avremo più possibilità di trovare uno scompartimento tutto per noi».
 
La stazione di Hogsmeade iniziava a riempirsi di studenti, allegri per l’imminente partenza e naturalmente per le vacanze estive. I Corvonero salutarono calorosamente Hagrid, che sorvegliava gli studenti, recuperarono i propri bagagli e salirono sul treno. L’intuizione di Louis era stata giusta ed ebbero la possibilità di scegliere lo scompartimento che preferivano. Si sedettero, ma proprio mentre Drew stava per chiudere la porta li raggiunse Niki.
«Ciao, ragazzi. Posso sedermi con voi?» domandò titubante la ragazzina.
«Certo» rispose immediatamente Brian, facendole spazio sul sedile.
Drew chiuse la porta scorrevole e si volse verso gli altri. «Pronti?».
«A far che?» chiese perplessa Niki.
«A leggere i risultati degli esami» replicò Louis.
«Tu li hai già letti?» le domandò Brian.
La Grifondoro scosse la testa.
«Bene, allora facciamolo tutti insieme» sentenziò Annika.
Per qualche minuto si sentirono solo gli schiamazzi degli altri studenti che prendevano posto negli scompartimenti vicini.
«Beh, è andata bene, no?» chiese titubante Drew alla fine.
Annika gli strappò la pergamena di mano. «Come no, cinque 10 e due 9».
Drew arrossì. «E tu?».
«Quattro 10, un 9 e due 8. Sono contenta. Pensavo di aver fatto peggio in Erbologia» replicò la ragazzina.
Louis, naturalmente, aveva preso il massimo dei voti in tutte le materie e Niki era stata brava quasi quanto lui. Brian si vergognò di mostrare loro i suoi risultati: aveva preso 7 in Difesa contro le Arti Oscure.
«Ma di che ti preoccupi?» sbottò Annika, dandogli una pacca sulle spalle. «Williams è proprio stronzo come padrino!».
«Annika!» la ripresero Drew e Louis in coro.
Brian scosse la testa e tentò di difendere il suo padrino, ma l’amica non voleva saperne. Alla fine vi rinunciò: quando si metteva qualcosa in testa, era impossibile farle cambiare idea.
«Siamo partiti» disse Drew a un certo punto, affacciandosi. Anche Brian si avvicinò al finestrino: il treno stava lentamente lasciando la stazione di Hogsmeade.
«A proposito di Williams, c’è una cosa che vi devo dire» mormorò Niki all’improvviso, fissando Brian dritto negli occhi.
«Cosa?» replicò proprio quest’ultimo.
«Lo sapete che i miei sono stati arrestati, no? Ecco, gli addetti del Ministero hanno ritenuto che mio fratello, sebbene sia maggiorenne, non sia pronto a occuparsi di una ragazzina di a malapena tredici anni» iniziò, poi prese un bel respiro e sganciò la bomba: «Allora Williams e la Dawson hanno accettato di prendermi in affido».
I Corvonero la fissarono a bocca a aperta, ma ella aveva occhi solo per Brian, che si alzò e l’abbracciò.
 
*
 
«Siiiii». Frank gridò, saltando in piedi e rischiando di cadere a causa del movimento del treno.
Roxi alzò gli occhi al cielo, Gretel rise e Afia lo fissò stranita, sollevando gli occhi dalla sua pergamena.
«Solo una testa di troll come te avrebbe potuto pensare che Mcmillan ti avrebbe bocciato!» sbottò Roxi ridendo.
Frank le rivolse un leggero sorriso. «Comunque, mia madre mi ucciderà» sospirò.
«Dopo aver salvato il mondo?» ribatté l’amica. «Hai proprio la testa dura!».
«In effetti, siete stati proprio bravi. Non l’avrei detto» disse Afia.
«Noi di Hogwarts siamo forti» ribatté Roxi.
«E non dimenticarlo mai!» ribadì Gretel minacciandola vagamente con un dito, ma l’effetto fu rovinato dal fatto che fosse stravaccata sul sedile.
«Che anno è?» sospirò Roxi, fissando la campagna scorrere rapidamente fuori dal finestrino.
«Già. Non avrei mai creduto di farmi degli amici stranieri» commentò Frank.
«Ripeto, sei una testa di troll» disse Roxi.
«Vi incontrerete?» chiese curiosa Gretel.
«Non lo so» replicò il ragazzo con un’alzata di spalle. «Ma ci scriveremo».
«Non assisteranno alla Coppa del Mondo?» intervenne Roxi. «Quest’anno si giocherà proprio in Australia. Elliott Castle non ti ha detto nulla?».
«Solo un migliaio di volte» sbuffò Frank divertito. «È davvero entusiasta».
«Spero che papà riesca a procurarsi il biglietti… Insomma dopotutto i danni causati dai Neomangiamorte sono stati un grave colpo per lui…» disse meditabonda Roxi.
«Io ci andrò» dichiarò Gretel. «I miei me l’hanno scritto nell’ultima lettera. Mio padre vuole assistere alla semifinale. Non possiamo mica perderci l’Inghilterra».
«Speriamo» commentò Roxi speranzosa.
Augusta Paciock entrò come un bolide nello scompartimento, facendo sobbalzare i quattro Grifondoro e interrompendo la loro conversazione.
«Frank! Quanto ti ha messo papà?».
Il ragazzo aprì la bocca e la richiuse di scatto, troppo sorpreso dall’improvvisa irruzione della sorellina.
«Ma tu guarda questa!» sbottò Roxi, lanciandole un’occhiata di fuoco.
«Allora?» insisté la piccola Corvonero, ignorando le compagne del fratello.
Frank si umettò le labbra, prendendo tempo: non gli piaceva proprio il tono di voce di Augusta e avrebbe preferito non essere messo in mezzo. «Dieci» disse infine, sperando che la sorellina sorridesse e si congratulasse con lui. Naturalmente non accadde nulla di tutto ciò. La Corvonero strillò come se avesse appena subito un gravissimo torto.
«Qual è il problema?» si costrinse a chiedere Frank.
«A me ha messo 8. Solo 8!» gridò istericamente.
«Avrà avuto i suoi motivi» tentò allora Frank.
Augusta gli ringhiò contro. «Per colpa sua e di quel cretino di Williams Claire Nott mi ha battuto! Avrei dovuto essere io la migliore del primo anno!».
Detto ciò voltò le spalle e corse via.
«Consolati, stasera dormirai alla Tana» disse allora Roxi, rifiutandosi di commentare ulteriormente la scenata della ragazzina.
«Oh, sì, meno male. Sai, potrei chiedere ai tuoi asilo politico per i prossimi giorni».
«Sei sempre il benvenuto a casa mia, Frankie».
 
*
 
«Che bello non doverci preoccupare dei voti per una volta!» esclamò Kumar Raj tutto contento.
«Non per contraddirti, ma dobbiamo preoccuparci dei G.U.F.O. che è ancora peggio!» gli fece notare Dexter in tono leggermente nervoso.
«Cerca di stare tranquillo» provò gentilmente Martha.
Il ragazzo scosse la testa. «Facile per te. Far parte di una famiglia come la mia, non è semplice. Tutti vorranno sapere che cos’ho deciso per il futuro» sbuffò.
«A proposito di futuro» intervenne Jonathan, intenzionato a cambiare discorso, «che progetti avete per quest’estate? Pensate di andare in Australia per la semifinale tra Inghilterra e Italia?».
«Sì, non vedo l’ora. Hai chiesto il permesso ai tuoi per venire con me? E tu, Dexter?» rispose all’istante Kumar.
«Sì, ma non mi hanno risposto. Mio padre ha detto di doverci pensare» sospirò Jonathan. Non andava pazzo per il Quidditch, ma sarebbe stato divertente trascorrere qualche giorno con gli amici fuori da Hogwarts.
«Mio padre non è molto convinto. Purtroppo i Neomangiamorte hanno quasi distrutto la gelateria durante il loro ultimo attacco e c’è molto lavoro» rispose, invece, Dexter.
«E voi ragazze? Mi piacerebbe avervi come mie ospiti» chiese Kumar a Virginia, Martha ed Eva.
«Ti ringrazio, Kumar, ma mio padre ha comprato i biglietti. Mia sorella Lauren l’ha supplicato per settimane. Mio padre alla fine le ha promesso che se l’Inghilterra fosse arrivata in semifinale, allora saremmo partiti. Ed è successo» replicò gentilmente Virginia. «Martha ed Eva verranno con me».
«Oh, è fantastico. Potremo incontrarci» commentò felice Kumar.
«Già» assentì Virginia. «Verrà anche Daniel».
«Daniel chi?» domandò Jonathan perplesso dall’ampio sorriso dell’amica.
«Daniel Morris» rispose ella arrossendo violentemente. «Ehm, l’allievo Auror che mi ha aiutato a dicembre…».
«E tu come lo sai?» le chiese Kumar, che si divertiva a fare il pettegolo.
«Mi ha scritto per farmi i complimenti per come abbiamo sconfitto la Selwyn e mi ha chiesto se andrò alla Coppa del Mondo… insomma tanto per fare quattro chiacchiere…».
«Siiii, come no» ridacchiò Kumar, suscitando l’ilarità degli altri e delle rispostacce sconclusionate e imbarazzate da parte di Virginia.
 
*
 
«E Audley acchiappa il boccino! L’Inghilterra vince!» urlò James saltellando sul sedile dello scompartimento che condivideva con Benedetta, Robert, Demetra, Adisa, Danny Baston e Tylor Jordan.
«James, per Merlino! Stai attento a non romperti il collo! E poi sei un Prefetto! Robert, digli qualcosa» intervenne Benedetta.
«Ringrazia che la Scozia sia stata buttata fuori o per voi non ci sarebbe stata storia!» gridò in risposta Robert.
Benedetta sospirò rendendosi conto che nemmeno Robert l’avrebbe appoggiata. Non tentò neanche di chiedere supporto a Demetra, che si era appiccicata a una rivista di gossip che parlava di giocatori di Quidditch fin dalla partenza per Londra. Adisa osservava affascinato i compagni e si stava lasciando coinvolgere dalla loro eccitazione.
«Su, Benedetta, lasciami festeggiare» disse James per rabbonirla, avendo notato la smorfia che si era dipinta sul volto della sua ragazza. «Sono stato promosso e i Neomangiamorte sono stati sconfitti. I miei mi faranno venire in Italia! E andremo anche a vedere la semifinale! E, naturalmente, la finale. Sono sicuro che l’Inghilterra vincerà quest’anno!».
«Oh, sì mio padre n’è convinto» intervenne Danny Baston.
«L’Inghilterra non vincerà il mondiale» sbuffò allora la ragazza.
«Perché?» chiese James per un attimo deluso.
«Perché non batterà l’Italia naturalmente» ghignò Benedetta.
James scoppiò a ridere, saltò giù dal sedile e la baciò.
«Sai di cioccolata» mormorò la Grifondoro sorridendo.
«Lo so che le cioccorane ti piacciono» rispose il ragazzo, facendole l’occhiolino.
 
*
 
Emmanuel strinse la mano di Fabiana e sorrise beato.
«Hai chiesto a tuo padre il permesso?».
«Sì» rispose la ragazza, appoggiando la testa sulla sua spalla.
«E quindi?» insisté il Serpeverde.
«Mi ha risposto che probabilmente ci andremo con il nonno, ma potremo comunque incontrarci».
«Fantastico! Non vedo l’ora!» commentò entusiasta Emmanuel. «Voi che fate?» chiese agli altri amici presenti nello scompartimento.
«Niente da fare. Mio padre è furioso con Edison e ha detto che non andremo in Australia» sospirò Tobias Andersen, il suo migliore amico.
«Ma puoi venire con me! I miei ne sarebbero felici!» ribatté Emmanuel improvvisamente turbato.
«Sì, infatti Antares e Harry verranno come» disse Selene, la sua cuginetta, indicando Antares Flint e Harry Canon, seduti accanto a lei.
«Probabilmente andrò anch’io con mio nonno e potremo vederci» affermò, invece, Lucy guardando distrattamente fuori dal finestrino. «E Alexis verrà con me».
«Io ci andrò insieme ad Arion» dichiarò Arianna Greengrass. Ella e Lucy avevano stabilito una tregua.
«Grazie dell’invito, Emma. Dubito, però, che mio padre mi lascerà venire» sospirò Tobias.
«Dirò ai miei di parlarci, ok?» replicò, invece, Emmanuel, finalmente felice per tutti gli amici che lo circondavano.
 
*
 
«Sylvester ha già preso i biglietti per la semifinale. Non vedo l’ora! Mi ha anche detto che posso invitare chi voglio!».
Jack era veramente felice, visto che non aveva mai avuto quella possibilità. Sylvester aveva persino accettato di accogliere Kymia in casa sua senza lamentarsi minimamente.
«Mi farebbe piacere, grazie» rispose Mary Cattermole sorridendo.
«Anche a me. I miei mi hanno detto che va bene» sorrise a sua volta Andy.
Jack strinse la mano di Kymia, ancora spaesata ma comunque tranquilla. Hogwarts era diversa dal mondo a cui era abituata, ma avrebbe avuto tempo di ambientarsi durante l’estate. A settembre sarebbe diventata ufficialmente una studentessa di Hogwarts e il ragazzo era certo che sarebbe stata smistata a Tassorosso. Il professor Johnson, Preside di Uagadou, era riuscito a far togliere la custodia della ragazza ai suoi genitori e Sylvester ne aveva assunto la tutela. Se gliel’avessero detto un anno prima, non ci avrebbe creduto.
«Verrà anche la piccola Nyah» annunciò ai compagni. Aveva visto la Corvonero prima di salire sul treno ed erano rimasti che si sarebbero visti nei giorni seguenti, se non fossero riusciti a beccarsi all’arrivo a King’s Cross.
Oh, sì alla fine quella Profezia non era stata una maledizione come aveva creduto in principio.
 
*
 
«Buongiorno, Grifondoro!» urlò Alex Dolohov entrando nello scompartimento occupato da Albus, Rose, Scorpius, Dorcas Alastor, Elphias, Isobel, Cassy, Eddie Zabini e Noah Hunter.
«Ma se sta per tramontare il sole!» sghignazzò Rose.
«E non osare darmi del Grifondoro!» sbottò Scorpius, minacciandola con un dito, prima di tornare ad accarezzare Batuffolo, che non era più molto piccolo visto che sdraiato si allungava persino sulle gambe di Rose.
«E noi siamo Tassorosso» le fece notare Eddie Zabini, accennando anche a Dorcas e Noah Hunter.
«Ma siete carini! Volevo sapere, chi è che mi invita ad andare alla Coppa del Mondo?» chiese la Serpeverde incurante delle loro parole.
«Oh, mia carissima Alex, vuoi venire in Australia con me e con la mia famiglia?» chiese Scorpius suscitando le risatine degli altri.
«Sì, mio carissimo Scorpius, non potrei mai offenderti rifiutando il tuo invito. E, per evitare problemi logistici, verrò direttamente a casa con te stasera, va bene?».
«Mio padre ti ucciderà, lo sai?» replicò amabilmente il Serpeverde.
«Il caro Draco, sarò felicissima di rivederlo. Ci vediamo a King’s Cross» ribatté la ragazza, andandosene.
«Mi sta molto simpatica Alex» commentò Rose. «Peccato che non sia una Grifondoro. Io, lei e Cassy siamo come delle gemelle separate alla nascita. Il tatuaggio che ci siamo fatte sancirà la nostra amicizia per sempre».
Albus sputò la liquirizia che stava masticando. «Cosa? Quale tatuaggio?».
«Questo! A forma di draghetto, ti piace?» trillò Rose felice, alzandosi la maglietta e mostrando il suddetto draghetto tatuato vicino all’ombelico.
«Chiudi la bocca o ti entreranno i moscerini, Al» sbuffò Elphias Doge.
«M-m-ma…» balbettò il ragazzo non sapendo come continuare.
«Mia mamma mi ucciderà?» concluse Rose per lui. «Tranquillo, me la vedo io».
«No, no Al non l’ha detto sul serio» intervenne Alastor, notando la sfumatura assunta dal suo migliore amico. Il fatto che Rose volesse vedersela da sola, significava solo guai in vista e lo sapevano tutti.
«Preoccupati per i risultati dei G.U.F.O.?».
«SCORPIUS!!!!» l’urlò risuonò nello scompartimento e il Serpeverde scoppiò a ridere.
«Come siete prevedibili» commentò Scorpius proprio mentre il treno iniziava a rallentare. «Forza, è ora che la nostra estate inizi!» soggiunse felice recuperando il suo baule. «Devo pure avvertire mio padre che avremo un’ospite in più».
«Stai pensando a Jesse?» chiese a bruciapelo Albus, dopo aver lasciato uscire i compagni ed essere rimasto da solo con Dorcas.
«Sì, tra le tante cose» ammise la ragazza.
«Ti ho visto in questi giorni. Non mi piace che ti isoli. Quest’estate farò in modo di incontrarci più spesso».
«Grazie. Comunque penso che verrò in Australia, mio padre ha promesso che se i Neomangiamorte fossero stati sconfitti ci avrebbe portati da qualche parte».
«Bene! E sorridi, Scorpius ha ragione: è iniziata l’estate e dobbiamo viverla al meglio».
Dorcas gli regalò il suo miglior sorriso e lo strinse a sé: «Grazie. La tua amicizia è preziosa».
«Non devi ringraziarmi» replicò il ragazzo, baciandola sulla guancia e conducendola fuori.
Sulla banchina regnava il caos più totale, molto più degli anni precedenti perché ai genitori si aggiungevano gli Agenti della Squadra Speciale Magica che tentavano di tenere lontani i giornalisti.
Harry Potter e gli altri genitori dei Dodici erano vicini e i due ragazzi non ebbero difficoltà a individuarli e correre da loro.
L’abbraccio in cui furono stretti sciolse anche le ultime preoccupazioni.
Il tramonto illuminava la Londra babbana e nuova speranza riempiva il cuore di nuovi e vecchi eroi.
 
 
Angolo autrice:
 
Ciao a tutti!
Finalmente siamo giunti alla fine! Spero che la storia vi sia piaciuta e che il finale non vi abbia deluso.
Grazie a Ginevra1988, Cupcake alla nutella, fazio97 e alexmays che hanno recensito la storia, a tutti coloro che l’hanno messa tra le preferite, a chi l’ha messa tra le ricordate o alle seguite, ma anche ai lettori silenziosi.
Un grazie speciale a Inzanghina che sta recuperando tutta la storia dei Dodici e i cui commenti mi hanno sostenuto anche nella stesura di questa fanfiction.
Se vi va, lasciatemi un commento e fatemi sapere se la storia vi è piaciuta ;-)
Vi auguro una buona notte.
A presto,
Carme93

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