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Ciao a tutti, quella che sto scrivendo è un crossover tra
Once upon a time e Disney Descendants, avverto che si dovrebbe svolgere alla
fine della sesta stagione di Once upon a time che però non ho visto del tutto,
ma che comunque contiene spoiler sul finale di stagione. Altro accorgimento è
che io non ho visto tutto il film di “Descendants” ma mi sono molto
appassionato al cartone “Descendants Wicked Worl” e da allora immagino questo
crossover, che spero venga non troppo male dato che è la mia prima storia. E mi
scuso se di tanto in tanto non rispetti le versioni originali dei film. Ultima
cosa, poi lascio spazio al testo, è che la storia è organizzata in episodi:
ogni storia che scrivo sarebbe un episodio e i capitoli fanno parte dello
stesso episodio, e non so quanto spesso la aggiornerò. Detto questo vi lascio
alla lettura, credo di essermi dilungato anche troppo, spero vi piaccia.
Cap1
Henry passeggiava per le strade di Storybook insieme alla
madre Emma – “È … strano” – disse il ragazzo ad un
tratto – “Che cosa?” – “Voglio dire, io e te, un ragazzo e sua madre che
camminano per le strade della città. È
strano dopo che hai passato gran parte della tua vita a combattere contro ogni sorta
di cattivo e nella città in cui vivo ci sono anche tutti i personaggi delle
favole” – Emma ridacchiò un secondo poi sospirò e disse –“Sì, è strano, ma non
vuol dire che sia brutto”- “Non intendevo dire questo” – si affrettò a
rispondere il figlio – “ma tutte le volte che pensavamo che tutto fosse finito
poi, puff, sbuca fuori una nuova minaccia e, io non voglio che succeda di
nuovo” – “Henry” – Emma si fermò – “Non succederà e anche se accadesse la
risolveremo tutti insieme, come abbiamo sempre fatto, e poi da ognuna di quelle
minacce è spuntato anche qualcosa di buono, ci hanno fatto scoprire chi siamo,
ci hanno fatto ritrovare una famiglia.” - “… Si hai ragione” – rispose lui con
un sorriso - “In fondo non succederà proprio adesso” – finita la frase un
tremore scosse la terra, segui un suono come di lampi, un forte vento
improvviso che colse tutti impreparati, quando tutto finì tutti erano spaesati
e spaventati insieme, Henry ed Emma si guardarono intorno, non c’erano gravi
danni alla città almeno in apparenza, ma a quegli eventi spesso non seguiva
niente di buono – “Parlo sempre troppo presto”. Il resto della giornata
proseguì in modo abbastanza turbolento: Emma, Biancaneve, Regina e gli altri
passarono il tempo a capire cosa fosse successo, se fosse stato lanciato un
nuovo sortilegio, se ci fossero dei nuovi arrivati chissà dove e soprattutto
chissà chi. Biancaneve e David avevano deciso di pattugliare la foresta in
cerca di eventuali smarriti, ma finora nessun risultato. Regina era rimasta in
municipio a consultare i suoi libri di magia per cercare un incantesimo che
potesse aiutarla a capire cosa era successo. Henry era rimasto a casa con
Uncino mentre anche Emma faceva il possibile per risolvere la situazione, non
era proprio il modo migliore in cui Henry avrebbe voluto passare la giornata ma
almeno poteva fare quattro chiacchiere tra uomini. Era ormai sera quando Uncino
ricevette una telefonata da Emma, il ragazzo si affrettò a chiedere cosa fosse
successo, e il pirata rispose – “Emma dice che è scattato l’allarme allo chalet
di Gold, lei sta già andando là” – “Vengo anch’io” - declamò lui con sicurezza
– “Immagino che non ci sia modo per farti cambiare idea, vero?” - “Già, a meno
che tu non voglia legarmi alla sedia e poi inchiodarla al pavimento” – “In
circostanze normali lo farei, ma adesso andiamo di fretta, quindi andiamo”.
Arrivati a destinazione Uncino dovette subire le prediche di
Emma per aver portato anche il figlio, il giovane prese le sue difese dicendo
che era stata un’idea sua e che al momento c’erano cose più importanti a cui
pensare. Così i tre si avvicinarono allo chalet, le luci del piano superiore
erano accese, segno che qualcuno era dentro – “Deve essere un qualche nuovo
arrivato” - disse Henry - “Cosa te lo fa pensare?” – gli chiese Uncino –
“Perché nessuno in questa città entrerebbe in una proprietà di Gold neanche
sotto tortura” – concluse Emma – “Questo è vero” - si avviarono verso
l’entrata, la porta non era chiusa a chiave ma neanche stata forzata, poteva
forse essere stata aperta con la magia. Entrarono, l’ingresso sembrava come lo
avevano visto l’ultima volta: il divano soffice e accogliente posto a lato del
caminetto che crepitava, i mobili raffinati e altezzosi così come piacevano al
signore oscuro, piuttosto erano stati rimossi tutti i soprammobili, i sospetti
che fosse entrato uno nuovo aumentavano, nessuno sarebbe stato così pazzo da
rubare la roba di Tremotino. Sul pavimento di legno di sovrapponevano diverse
serie di impronte fangose, che si dirigevano verso le scale, la squadra le
percorse in silenzio fino ad arrivare ad un’altra porta per accedere alle
camere superiori, stavolta però quando provarono ad aprirla la trovarono
chiusa, ma Uncino le diede qualche calcio e spallata e quella si sfondò –
“Potevo anche usare la magia. Così ci giochiamo l’effetto sorpresa”- protestò
Emma – “Sì, ma così è molto più divertente” – entrarono in un ampio salone
anch’esso molto elegante: mobili ornati d’oro riempivano i lati della stanza,
sopra di essi vi erano candelabri, quadri, libri di ogni forma e dimensione e
tutto quello che Tremotino aveva preso da altri durante la sua vita, ai margini
della stanza vi trovavano diverse armature ornamentali, lucide e scintillanti
che ci si poteva specchiare, imbracciavano diverse armi, dalla spada all’ascia;
dal soffitto pendevano due lampadari di cristallo che illuminavano intorno,
c’erano anche diverse porte di legno che, probabilmente, conducevano ad altre
camere adiacenti. Ma non si vedeva nessuno, anche se le impronte continuavano
per tutta a stanza. Avrebbero potuto perlustrare le altre camere ma ci sarebbe
voluto del tempo e non sapevano quante persone ci fossero, Henry decise di
prendere l’iniziativa – “C’è nessuno?” – inizio alquanto scadente, lo disse a
se stesso – “Non siamo qui per farvi del male”- continuazione non molto
migliore – “Sentite, lo so che siete spaventati, siete in un posto che non
avete mai visto dove siete stati portati probabilmente contro la vostra
volontà, ma noi siamo qui per aiutarvi” – nessuna risposta – “in questa città
ci sono molte brave persone, altre non lo sono e altre ancora erano cattive ma
hanno cambiato vita. Questo è un posto dove tutti possono ricominciare se lo
vogliono, dove possono concludere le loro storie o cominciarne di nuove, se
avete il coraggio di provarci. E non vi chiedo di fidarvi subito di me, non vi
conosco neanche, chiunque voi siate, ma se volete potete venire con noi in
città oppure rimanere qui se vi sentite al sicuro” – ancora niente, Henry si
girò verso la madre –“Il discorso te lo sei preparato prima o ti è venuto
così?” – il ragazzo ridacchiò, in effetti gli pareva di essere andato bene, ma
evidentemente non abbastanza; stava tornando sui suoi passi ed insieme agli
altri faceva per andarsene visto che aveva detto che gli avrebbero lasciati in
pace, quando si udì la serratura di una porta scattare, si voltarono e da una
porta laterale uscirono due ragazze: una aveva i capelli viola che le
arrivavano fino al collo, gli occhi verdi brillante come smeraldi e la pelle
chiara, portava vestiti prevalentemente viola con qualche sfumatura verde e
nera con un look un po’ ribelle, l’altra aveva i capelli lunghi e corvini con
qualche ciocca blu e gli occhi marrone scuro, il viso era bellissimo evidente
che ci teneva molto all’aspetto esteriore, i suoi vestiti erano blu con qualche
dettaglio nero. Dopo di loro ne seguirono altri, ragazze e ragazzi di al
massimo 18 anni, si erano nascosti nelle ante dei mobili, nelle stanze accanto
e in ogni altro posto. Tutti li guardavano con fare curioso e dubbio insieme,
Henry disse loro – “Beh, benvenuti a Storybook”.
Ora, Emma, Henry e Uncino erano abituati a trovarsi in
situazioni ‘particolari’, ma era la prima volta che un gruppo di ragazzi
arrivati da chissà dove, si paravano davanti a loro con sguardi interrogativi
come se fossero la loro unica via per avere risposte, e in effetti era proprio
così in quel momento. Alcuni avevano un che di famigliare, pensò Henry:
sembrava come delle riproduzioni giovanili dei personaggi delle favole, il che
non era affatto assurdo in quella città. “Storybook?” – chiese la ragazza coi
capelli viola – “Sì, è il nome di questa città” – le disse il ragazzo – “Io mi
chiamo Henry, lei è mia madre Emma” – disse indicando la donna – “e lui è …” –
continuò indicando l’uomo, ma l’uncino al posto della mano parlava da solo –
“Capitan Uncino ?!” – saltò su una ragazza rimasta un po’ in fondo alla sala,
aveva un folta chioma di lunghi capelli castani lisci che le accarezzavano
delicatamente il viso, negli occhi marroni si poteva vedere un velo di paura
(normale se non conosci il nuovo Uncino) portava un elegante vestito rosa con i
contorni azzurri che risaltava sulla carnagione abbronzata – “Sì. Sì sono io, a
quanto pare la mia discutibile fama mi precede ancora” – soggiunse il pirata,
alcuni dei ragazzi indietreggiarono un poco nel riconoscere l’uomo –
“Ascoltate, immagino che voi mi conosciate come un pirata tagliagole che naviga
per i sette mari e si diverte a portare paura e terrore, e in effetti era così”
- prese un respiro – “Ma, come ha detto il ragazzo, qui le persone possono
cambiare possono riscrivere la loro storia, ed è quello che ho fatto io. Non
sono più quell’uomo, sono cambiato. Anche se capisco che possa essere difficile
da credere” – il discorso sembrò dissuadere almeno in parti i ragazzi, che
smisero di indietreggiare – “Uao, se non ti avessi visto non ci avrei mai
creduto Uncino” – si intromise la ragazza dai calli blu-neri, l’uomo la guardò
perplesso – “Ci conosciamo?” – la ragazza sembrò sorpresa, così come la sua
compagnia viola – “Siamo Mal e Evie” - Uncino era più disorientato di prima –
“Isola degli Sperduti? CJ? Harry? Harriet? Non ti dicono niente queste cose?” –
“Dovrebbero?” – ok, ufficialmente nessuno capiva più chi stesse parlando di che
cosa, così Emma decise di intervenire – “Mi dispiace interrompere ma, forse
sarebbe meglio continuare la conversazione e le presentazioni varie in …
qualunque altro posto che NON sia lo chalet di Tremotino” – tutti i ragazzi si
bloccarono come colpiti da un fulmine – “Tr-Tre-Tremotino?!” – squittì un’altra
ragazza che portava i capelli marrone scuro e degli innocenti occhi blu carichi
di terrore, il vestito blu chiaro che indossava tremava in modo tale da non
nascondere la sua preoccupazione – “Proprio quel Tremotino? Il signore oscuro?
Il peggio del peggio che sia?” - “Sì, proprio lui” – rispose Emma – “E vi
assicuro che non prende affatto bene la violazione di una sua proprietà, né
tanto meno un furto di essa” – un ragazzo in fondo piuttosto alto a quelle
parole svuotò le tasche facendo cadere una discreta quantità di soprammobili e
altro che aveva preso dall’abitazione – “Ok” - fece Henry – “propongo un
sondaggio: quelli favorevoli ad alzare i tacchi e venire con noi in città
alzino la mano” – e tutti la alzarono, un ragazzo dai capelli banchi nel farlo
diede una manata in faccia all’altro che stava ancora rimettendo a posto quello
che aveva preso – “Bene” – commentò Emma – “Allora andiamo prima di scoprire se
Tremotino tiene alla sicurezza di questo posto” – ma mentre terminava la frase
la porta dalla quale erano entrati, che si era rimessa in sesto da sola dopo
l’aperura ‘forzata’, sbatté violentemente e si chiuse a chiave da sola, seguita
da tutte le altre porte e finestre della stanza – “Oggi, decisamente, non è la
mia giornata” – ed aveva proprio ragione. Emma e Uncino si misero in posizione
di allerta, aspettandosi di tutto quado si viola una proprietà del Signore
oscuro, ma tutta era insolitamente tranquillo, l’uomo si guardò in intorno con
fare circospetto, e i suoi occhi si bloccarono su un’immagine allarmante: una
delle armature della stanza si stava muovendo da sola e, silenziosamente si
stava avvicinando, con ascia in mano, alle spalle della ragazza che prima per
poco non sveniva nel riconoscerlo – “ATTENTA! DIETRO DI TE!” – le gridò Uncino;
tempo che lei si girasse e l’aggressore aveva già alzato la sua arma; la
ragazza non sarebbe mai riuscita ad evitarla in tempo, paralizzata com’era dal
terrore, ma per sua fortuna qualcun altro aveva i riflessi pronti: un’altra
ragazza dagli occhi a mandorla e coi capelli color cioccolato raccolti in
un’elegante e lunga coda di cavallo, la prese per i polsi e la scostò a forza
un attimo prima che la lama si conficcasse nel pavimento, per poi assestare un
calcio volante alla Karate Kid sull’elmo del cavaliere fantasma, che volò via
finendo tra le mani della ragazza al vestito azzurro di prima, la quale urlò e
fece cadere la testa del cavaliere. “Bel calcio, signorina… ?” – le chiese
Uncino, quasi incredulo – “Lonnie. E grazie, me lo ha insegnato mia madre” –
gli rispose lei, per poi rivolgersi alla ragazza quasi infilzata – “Audrey,
stai bene?”- l’altra balbettò qualcosa di incomprensibile – “Direi che sta
bene” – si intromise la ragazza dai capelli viola, che se ben ricordava aveva
detto di chiamarsi Mal, ma non c’era tempo per fare ulteriori commenti, dato
che dopo pochi secondi tutte le altre armature della stanza si voltarono di
scatto verso di loro, scesero dai loro supporti e si diressero pesantemente,
con armi sguainate, verso gli ospiti indesiderati –“La situazione si sta
complicando”- commentò Henry – “Concordo” – lo sostenne sua madre. Di lì in poi
la situazione non prese una bella piega; le armature avanzavano a passi pesanti
menando fendenti, Emma cercava di contrastarle, o quanto meno rallentarle,
lanciando raggi di luce bianca dalle mani, Uncino aveva sottratto una spada da
una delle armature e adesso combatteva corpo a corpo insieme alla ragazza kung
fu che aveva anche lei preso l’arma del cavaliere che aveva steso prima, mentre
quella Mal, Henry scoprì essere abile in magia: lesse degli incantesimi da un
piccolo libro che portava con se e un paio di armature si ritrovarono
schiantarsi contro il soffitto o a essere colpiti da delle sfere di fuoco
verdi, tutti gli altri ragazzi compreso Henry lanciavano tutto quello che
avevano a portata di mano. Sfortunatamente le armature anche se distrutte, si
ricomponevano velocemente e ricominciavano ad avanzare; bisognava trovare un
modo per filarsela ed anche alla svelta pensò Henry – “Mal!”- chiamò il ragazzo
–“In quel libro c’è un qualche incantesimo che possiamo usare per andarcene
?!”- le chiese sperando disperatamente in una risposta affermativa, la ragazza
ci pensò un attimo su –“No… ma ne ho imparato uno che permette di spostarsi da
un posto all’altro se si riesce a visualizzarlo nella mente” – “Quello che
usavamo per filarcela dalle lezioni sull’Isola degli Sperduti?” – le chiese Evi
e l’altra annuì – “Ma non l’ho mai usato su così tante persone, e qui non
conosco assolutamente nessun posto” – “Beh, io di posti qui ne conosco. Posso
descrivertene uno e tu con un po’ di aiuto potresti trasportarci là” – “Si può
fare. Jane, mi servirà una mano” – disse la ragazza col vestito azzurro che
aveva riconosciuto il nome di Tremotino prima – “O-ok” – rispose; adesso
avevano un piano, Henry descrisse velocemente alle due ragazze la tavola calda
di Granny, era il primo luogo che gli era venuto in mente dato che ci aveva
passato un sacco di bei momenti quasi normali in famiglia, poi Mal spiegò a quella
Jane di immaginare il luogo nella sua mente alla meglio possibile e poi il reso
sarebbe venuto da sé. Ma il tempo iniziava a stringere: i ragazzi stavano
esaurendo le ‘munizioni’ e anche Emma e Uncino cominciavano a essere affaticati
- “Prendetevi tutti per mano!” - ordinò Mal, e nessuno se lo fece ripetere due
volte – “Mamma, vieni presto!” - incitò Henry, Emma allora raccolse tutte le
forze rimaste per lanciare una potente ondata di luce che travolse tutti i
cavalieri facendoli volare a pezzi al confine della stanza. Emma, Uncino e la
ragazza kung fu approfittarono del momento per ricongiungersi agli altri –
“D’accordo, ci siamo tutti, ora leviamo le tende! ” - disse Henry, ma passato
qualche secondo non successe niente, erano ancora nella stanza e le armature si
stavano ricomponendo, mentre il panico si stava impossessando nuovamente della
folla, ma mentre tutti cecavano di capire perché l’incantesimo funzionasse Emma
notò che Jane stava tremando e non poco, forse era quella la ragione: era
troppo spaventata per concentrarsi sull’incantesimo, allora le prese la mano
–“Ehi. Calmati. Respira” - le disse in tono calmo, senza lasciar trasparire
troppo il fatto che avevano una certa fretta, prima di essere infilzati – “Io,
io non …” - cercò di dire la ragazza, respirando affannosamente in preda al
panico – “Lo so, anche io ho paura adesso, nessuno sarebbe capace di non averla
in una situazione come questa” – le armature intanto stavano riprendendo ad
avanzare – “ma non sei sola. Ci sono i tuoi amici qui con te. Persone che hanno
fiducia in te e in quello che puoi fare, ma ora devi provare ad averne anche
tu” - Jane era senza parole, si guardava intorno e tutto quello che vedeva
erano persone che la guardavano ma non per aspettarsi qualcosa da lei, ma
perché avevano fiducia in lei, le infondevano coraggio, le sorridevano come per
dirle “ce la puoi fare”, ed Emma lo aveva capito subito, anche lei sapeva cosa
voleva dire vivere pensando che tutti si aspettassero qualcosa da te ma poi
scoprire che in realtà quelle erano tutte cose che tu ti aspettavi da te
stesso, e capire che gli altri sono lì per sostenerti e aiutarti. Un ragazzo
dai capelli bianchi strinse forte la mano della ragazza, come per farle capire
che lui c’era per lei così come tutti gli altri, Jane fece un respiro profondo
e poi annuì con decisione, Emma le sorrise e con una mano prese la sua e quella
dell’altra ragazza dai capelli viola – “Sei pronta Jane?” - le chiese la
ragazza – “Pronta” - rispose lei ricevendo un sorriso dall’altra. Le armature
adesso erano fin troppo vicine, non c’era più tempo; Mal, Jane ed Emma chiusero
gli occhi concentrandosi il più possibile, le armature lanciarono le armi verso
di loro, ma il gruppo venne avvolto da una nube di fumo bianco, viola e azzurro
e spari dalla stanza, lasciando conficcare le armi contro le pareti. Quando
riaprirono gli occhi, Emma scoprì con gioia che ce l’avevano fatta, erano nella
tavola calda di Granny, vuota a quell’ora di sera ma almeno priva di armature
killer che vogliono tagliarti a fette. Emma si rivolse a Jane sorridendo –
“Visto? Ci sei riuscita” – la ragazza era incredula quasi non le sembrasse vero
– “Ce l’ho fatta? Ci sono riuscita per davvero?” – “Se non lo fossi stata non
saremmo qui non credi?” – le disse Mal sorridendo anche lei, così come tutti
gli altri che si congratulavano con lei per quello che aveva fatto – “Sei stata
brava” – le disse Mal – “Si ma l’incantesimo era il tuo”- rispose lei rossa
come un pomodoro per tutte le emozioni delle ultime ore –“Allora diciamo che
facciamo una gran bella squadra: La figlia di Malefica e della Fata Smemorina
alla riscossa”- le ragazze ridacchiarono, ma non si potè dire la stessa cosa di
Emma, Uncino e Henry che erano sbigottiti – “Come scusa?” – chiese Emma – “Sono
la figlia di Malefica” – rispose Mal – “lo so, faccio questo effetto la prima
volta, ma non sono così cattiva come mia madre, non più al meno” – tutti e tre
si guardavano spaesati e sorpresi insieme, Emma alla fine disse – “Penso ci
siano molte cose di cui dovremo parlare”.
Ciao a tutti, di nuovo, sono tornato con un secondo capitolo
che spero vi soddisfi, chiedo scusa se certe descrizioni dei personaggi non
vengono proprio al meglio o sono un po’ banali ma in quanto a vestiti la mia conoscenza
è alquanto limitata. Precisato questo dettaglio vi lascio subito alla lettura,
commentate pure, son curioso di sapere cosa ne pensate.
Cap2
Il giorno seguente Emma si recò alla tavola calda di Granny, dove i fanciulli nuovi arrivati avevano passato la
notte; aveva già avvertito Regina e il resto della famiglia sull’accaduto e
forse la avrebbero raggiunta quella mattina per vedere i nuovi arrivi. Arrivata
a destinazione, i ragazzi erano già svegli e stavano facendo colazione, o
meglio: una metà stava mangiando seduta composta alla stregua di un gentiluomo
inglese, mentre l’atra metà si stava abbuffando di qualsiasi cose commestibile
ci fosse a disposizione. Emma salutò la padrona di cassa che non poté
concederle molto tempo data la massa di clienti teenager, poi Emma si diresse
verso un angolo della sala dove Mal, Jane e altri ragazzi stavano mangiando:
c’erano anche la ragazza dai capelli blu-nero del giorno prima, che se Emma
ricordava bene si chiamava Evie, e quella che era quasi stata infilzata
dall’armatura fantasma, Audrey. “Ciao ragazze” – salutò Emma – “Va meglio, dopo una bella dormita?” – i ragazzi
annuirono – “Allora, vi va di raccontarmi da dove venite?” – “Certo” – rispose
Audrey – “ma prima le presentazioni: io sono Audrey figlia di Aurora” – affermò
passandosi una mano tra i capelli –“Io mi chiamo Mal e, come già detto ieri,
sono la figlia di Malefica” – “Jane, figlia della fata Madrina, e grazie per
quello che mi hai detto l’altro giorno” – Emma le fece un sorriso, mancava
all’appello solo la mora, ma era troppo impegnata ad ammirare il proprio
riflesso in uno piccolo specchio che aveva in mano, Mal attirò la sua
attenzione con un colpo di tosse – “Oh, giusto. Io sono Evie, la figlia della
Regina Cattiva” – Emma rimase spiazzata dalla risposta, e doveva essere rimasta
con lo sguardo fisso sulla mora per un po’ troppo tempo, dato che le chiesero
se andasse tutto bene, lei annuì ma la situazione si faceva sempre più
complessa; decise di limitarsi a presentarsi formalmente, tralasciando qualche
dettaglio - “Io mi chiamo Emma, Emma Swan” – disse alle quattro ragazze
cercando di sembrare il meno sospettosa possibile – “Quindi, sono tutta orecchi
per la vostra storia”.
--- qualche decina di minuti dopo
---
“Quindi, ricapitoliamo” – affermò Emma alla fine delle spiegazioni – “Da
dove venite voi tutti gli eroi vivono in un posto chiamato Auradon”
– i ragazzi annuirono – “e i cattivi sono stati intrappolati su questa Isola
degli Sperduti senza possibilità di fuga” – annuirono di nuovo – “e voi siete i
loro … figli?” – annuirono per la terza volta. Emma era un po’ disorientata –
“C’è qualche problema?” – le chiese Mal con una punta di acidità – “Beh … ecco
… più o meno” – le rispose Emma – “Per essere più precisi, sarà meglio che adesso sia io a raccontavi la storia di questa città ” –
calò il silenzio, anche tra gli altri ragazzi che non avevano preso parte alla
conversazione fino ad ora, ma che sembravano interessati a sapere il luogo dove
si trovavano – “Per essere rapidi: in questa città vivono molti personaggi
delle favole, come credo abbiate capito da ieri notte” – rievocando l’incontro
tra i ragazzi e Uncino ed Emma ed Henry – “il fatto è che, non sono venuti qui
perché lo volevano, sono stati trascinati qui da un potente incantesimo oscuro:
IL SORTILEGIO” – “Che fantasia che aveva il tizio che ha dato il nome” – si
intromise Mal – “e anche noi siamo stati trascinati qui in questo modo? ” -
“Questo non lo so”- le rispose Emma – “ma il vero problema è che, gli abitanti
di Storybook sono qui da… una trentina di anni” – dopo l’ultima
affermazione, e dopo che qualcuno ebbe sputato, per lo stupore, il succo di
frutta o qualunque altra cosa stesse bevendo in faccia a quello davanti, i
ragazzi erano visibilmente increduli e sorpresi – “trent’anni ?!” – disse
Audrey, che non si era nemmeno accorta che, nella foga, la crostata che stava
mangiando le era finita sul vestito rosa – “ma … ma …” – “Ma questo è
impossibile” – si intromise nuovamente Mal. Ad Emma quella ragazza cominciava a
stancare, quel suo modo di fare così aggressivo e impudente, senza contare che,
dal modo in cui la stava guardando, si capiva che non si credeva completamente
alla sua storia, e il sentimento era reciproco: Regina non le aveva mai fatto parola
di sua figlia, ma era anche vero che gli incantesimi della memoria erano ormai
uno standard a Storybook. Emma stava per rispondere,
quando casualmente gettò l’occhio fuori da una finestra e vide chi stava
arrivando alla tavola calda – “Se non credete a me, cosa del tutto
comprensibile, forse vi convincerà un’altra persona” – “E chi sarebbe?” – “Beh.
Lei” – rispose Emma nell’istante in cui la porta si aprì, ed entro una giovane
donna dal lungo soprabito nero, i capelli neri che scomparivano dentro al vestito, gli occhi scuri e le labbra carnose con uno strato di
rossetto che era praticamente l’unica nota di colore in tutta la signora – “Ciao, Regina”.
Seguirono altri sputi e cadute di torte, all’entrata della Regina
Cattiva che di sicuro non si aspettava che qualcuno che la conoscesse per
com’era prima facesse i salti di gioia nel vederla, ma neanche delle lavate di
vestiti con il succo di frutta, né tantomeno una ragazza corvina dal vestito
blu che la prima cosa che dice nel vederla non è tanto ‘La Regina Cattiva’,
‘Aiuto!’ il finimondo al quale era abituata, ma – “Mamma ?!” – ci mise un
attimo per comprendere quella parola, soprattutto da qualcuno che non fosse
Henry – “Come scusa?” – rispose lei, credendo di aver capito male, la ragazza
ci mise il suo stesso attimo per comprendere le parole della donna, forse per
riprendersi dallo shock o per capire se era seria o stava facendo uno scherzo
di pessimo gusto – “Sono … sono io. Evie” – Regina rimase in attesa, come se si
aspettasse altre informazioni, prima che una delle due però potesse continuare
Emma si intromise, e trascino fuori Regina chiedendo ai ragazzi di scusarle un
memento. “Tu la conosci, Regina?” – le chiese Emma una volta fuori – “Swan, se
avessi una figlia credo che lo saprei. Io non l’ho mai vista prima in vita mia.
Mi avrà scambiata per qualcun’altra” – “A dirla tutta, si è presentata proprio
come la figlia della Regina Cattiva, e non solo lei. Quei ragazzi hanno detto
di venire da un posto che si chiama Aurodon, e di
essere i figli dei personaggi delle favole, cioè degli abitanti locali” –
Regina era sconcertata, era pronta ad affrontare qualsiasi cosa fosse arrivata
a Storybook il giorno prima, ma ora non ne era più
tanto sicura – “Auradon? Mai sentito” - “Neanche io,
comunque credo sia meglio fare delle ricerche, per capire quanto c’è di vero in
questa storia” – Regina era d’accordo – “E come pensi di fare?” – “Beh, per
cominciare avevo intenzione di chiedere a qualcuno che ha una lunga conoscenza
di mondi e che è altrettanto abile a distruggere la vita altrui” – Regina capì
subito - “Gold” – Emma annuì – “Pensavo di andare a trovarlo” – “E noi
pensavano di aggregarci” – disse una voce alle loro spalle, era Mal insieme ad
Evie, Audrey e Jane – “Ci stavate spiando?” – chiese Emma in tono severo – “Non
è proprio spiare, se senti quello che la gente si dice per strada” – le rispose
Mal, la pazienza di Emma nei confronti di miss in viola cominciava ad esaurirsi
– “Quello che voleva dire ”- si inserì Audrey nel contesto – “è che la
situazione è confusa anche per noi, non sappiamo come siamo finiti qui né
perché sembra che nessuno sappia di noi” – poi parlò Jane - “Per questo vogliamo
capire cosa sia successo, è anche un nostro problema” – poi fu di nuovo il
turno di Mal –“ e ci sembra di avere il diritto di sapere non meno degli altri”
– lanciando un’occhiataccia alle due donne, che palesemente non gradirono. Emma
avrebbe voluto dire cose che un ragazzo non dovrebbe mai sentire, perciò
sospirò e disse – “Siete sicure di voler venire? Gold non è il tipo che ci
tiene a vedere quelli che violano una sua proprietà, se non per cavar loro il
cuore dal petto. E non sto usando metafore” – Audrey e Jane deglutirono
rumorosamente, poi le quattro ragazze si guardarono a vicenda una per una, per
essere sicure di quello che volevano fare e alla fine annuirono tutte con
decisione; Emma e Regina allora, sia per sfinimento che per fretta di far luce
su questa storia, acconsentirono e tutti si misero in marcia.
Poco dopo erano al negozio di antichità di Tremotino
– “Il signore oscuro vende cianfrusaglie?” – chiese Mal pensando ad uno scherzo
– “Se per ‘cianfrusaglie’ intendi oggetti magici sottratti a tutti i suoi
nemici nel corso degli anni, sì vende cianfrusaglie” – le rispose Emma, come se
fosse una cosa ovvia. Il cartello sulla porta diceva “CHIUSO”, ma le ragazze
entrarono comunque. Il proprietario del negozio non era ad accoglierle (per
fortuna), ma si presentavano scaffali e scaffali dove si ammassa una quantità
incalcolabile di oggetti, alcuni erano conservati con grande cura in teche di
vetro in bella vista, altre invece erano ammassate senza un ordine apparente,
dimenticate e coperte di polvere. Un altro cartello all’entrata diceva “NON TOCCARE
NIENTE” (a parole sottolineate). “Uao! Guarda qui
quanta roba” – disse nuovamente la ragazza in viola, iniziando a ficcanasare in
giro insieme alla corvina, evidentemente non conoscevano il significato della
regolano “non toccare”, e forse neanche del significato di regola, dato che
prendevano in mano qualunque cosa non fosse chiusa a chiave. Audrey e Jane
invece si guardavano intorno con fare curioso ma non così ‘infrangi-regole’
come le altre due. Jane in particolare era rimasta incredula davanti a tanta
merce magica e così potente nelle mani di un unico cattivo, e non uno qualunque
ma di Tremotino, l’essere più perfido, malvagio ed
egoista che fosse mai esistito. Si stava guardando intorno, quando un oggetto
in particolare attirò la sua attenzione: in una teca di vetro, poggiato sopra
un morbido cuscino rosso, stava una specie di piccolo bastoncino a punta,
l’asta non era molto lunga ed era di un tenue colore dorato, ma di oro spento
ed opaco, quasi ... dormiente,
l’impugnatura era di un colore nero-blu scuro con alcuni dettagli bianchi che
risaltavano sullo sfondo. Quell’oggetto era la bacchetta di una fata, ne era
sicura, appoggio la mano sulla teca e si avvicinò per vederla meglio, e più la
guardava più le sembrava familiare, accostò la mano sulla parte superiore della
teca e la alzò delicatamente senza staccare gli occhi dall’oggetto, ora che lo
vedeva senza barriere le sembrava ancora più luminoso era come se la bacchetta
la chiamasse, che le chiedesse aiuto per fuggire da quella cella di vetro. La
ragazza stava per allungare la mano ed esaudire il desiderio muto, ma qualcuno
chiuse violentemente la teca con un colpo secco, facendola trasalire. “Cosa significa ‘Non Toccare Niente’?!” – le disse una voce maschile
scandendo bene le ultime tre parole, dal retro del negozio era uscito un uomo
elegante: portava una giacca scura sopra una camicia blu notte, e pantaloni e
scarpe dello stesso colore della giacca, era come se glia abiti
rappresentassero tutta l’oscurità del possessore, i capelli erano corti e di un
colore castano sporco e gli occhi marrone scuro, e non sembrava affatto
contento, la fissava con uno sguardo severo e irritato e lei ,istintivamente,
fece un passo indietro … forse anche più di uno. “Ciao Gold, felice di vederti”
– lo salutò Emma – “Non posso dire lo stesso” – rispose lui senza mezzi termini,
mentre scrutava i presenti, specialmente i giovani, quando il suo sguardo si
posò su Mal e Evie, che avevano preso qualche oggetto dagli scaffali, le due
prima lo fissarono pietrificate poi lentamente rimisero a posto il mal tolto,
Audrey invece cercava di nascondere il fatto che stesse tremando come una
foglia – “Voi siete … Tremotino?” – si sforzò di dire
Jane, sperando proprio che la sua voce non somigliasse ad uno squittio – “Sì, sì
sono io” – le rispose l’uomo – “E voi mocciosi, dovete essere i vandali entrati
nella mia proprietà la scorsa notte” – il padrone di casa non sembrava affatto
contento della visita e Regina, conoscendo Gold, decise di intromettersi – “Non
siamo venuti qui per parlare della ‘entrata non autorizzata’ nella tua
proprietà. Ma perché questi ragazzi hanno bisogno di risposte e anche noi e,
purtroppo, tu sei l’unico che può saperne qualcosa” – Tremotino
distolse lo sguardo da Jane, e la ragazza poté ricominciare a respirare
normalmente – “E per chiedermi risposte dovevate proprio portarvi dietro queste
quattro?” – “Siamo noi ad essere voluti venire” – gli disse Audry
inaspettatamente, forse volendo avere voce o perché non era abituata a essere
messa in disparte – “Non ricordo di averlo chiesto a te, perciò tieni a freno
la lingua se in futuro vuoi continuare ad usarla” – silenzio totale da parte
della bionda – “Come stavo dicendo, questi ragazzi dicono di venire da un posto
chiamato Auradon” - “Mai sentito” – ribatte l’uomo
per nulla interessato – “Se è solo questo che volevate sapere, ho risposto. Quindi
potete anche andarvene e portare con voi queste quattro straccione” –
“STRACCIONA?!” – gridò Audrey – “Come si permette di …” – non poté finire la
frase perché Tremotino mosse la mano e dalla sua
bocca non uscì più niente, la ragazza si mise le mani alla gola e provò a
parlare ma dalla sua bocca non usciva neanche la più piccola sillaba – “Te
l’avevo detto, no?” - riprese l’uomo – “Dicevo: c’è qualcos’altro che volete
dirmi o potete levare le tende?” – Regina ed Emma stavano per rispondere ma
Evie fu più veloce – “Sono sua figlia” – disse indicando la donna mora,
suscitando la curiosità del signore Oscuro – “Lei non sapeva neanche della mia
esistenza, e non so come sia possibile, ma è la verità” – Tremotino
si avvicinò alla ragazza – “È quello che stabiliremo” – disse
lui strappando qualche capello dalla chioma della mora – “Ehi” – mise i capelli
della ragazza e degli altri in una boccetta di vetro, la fece ruotare e al suo
interno si sviluppo un denso fumo verde, Regina era attonita e anche Tremotino sembrava sorpreso – “Che giornata piena di
sorprese”.
Regina non poteva crederci, il cuore iniziò a batterle più forte nel
petto, allora era vero ora ne aveva la prova quella era davvero sua, sua … sua
figlia. Non riusciva nemmeno a parlare, e anche se ci fosse riuscita cosa
avrebbe detto? Non capita spesso di trovarsi con una figlia di diciotto anni in
un giorno. “Congratulazioni per la maternità mia cara” – le disse Tremotino, in tono del tutto derisorio – “E io che pensavo
che non potesse capitarti più niente per rovinarti la vita” – “Gold. Basta!” –
gli intimò Emma – “Lei non è l’unica, tutti i ragazzi arrivati l’altra sera
dicono di essere i figli dei personaggi delle favole. E se lei è davvero la
figlia di Regina, allora ci sono un po’ troppe cose che non tornano” – “Sì,
concordo. Ma non è un mio problema” – rispose lui – “Un branco di poppanti
arriva nel cuore della notte, dicono di venire da un luogo che nessuno conosce,
di avere una famiglia che fino al giorno prima ha vissuto con loro o in un
castello pieno di eroi generosi o in un’isola abitata da cattivi senza
scrupoli, ma qui nessuno sa niente di loro né li ha mai visti. Praticamente non
esistono. E, per quanto mi riguarda, possono rimanere così. La cosa non mi riguarda”
– “Cosa?!” – la voce di Jane risuonò nella stanza – “Come puoi dire questo? Ci
sono delle persone che hanno bisogno di aiuto, che sono state separate dalle
persone che amano, che non possono tornare da loro perché non le riconoscono
neanche. Figli che non possono correre al petto dei genitori. Di loro non ti
importa niente?” – “Tre cose, prima cosa: NO, non me ne importa assolutamente
niente. Io mi preoccupo di una persona soltanto, e quella persona sono io” –
rispose l’uomo avvicinandosi minaccioso alla ragazza – “E se dovessi scegliere
tra il salvare ogni singolo abitante di questa città o salvare me, beh
sceglierei me, mille e mille volte me. Seconda cosa: io non aiuto mai gratis,
chi vuole qualcosa da me deve fare qualcosa per me e dubito che qualche piccolo
teppista possa essermi utile” – era pericolosamente vicino alla ragazza, troppo
vicino, le altre tre ragazze iniziarono ad avvicinarsi all’amica – “terza cosa:
tu per caso sei una fata?” – Jane era terrorizzata da quell’uomo, come poteva
essere così egoista e insensibile, mettere sé stesso prima di chiunque altro e
ripudiare tutti quanti. Alla fine però lei annui, quasi inconsciamente – “L’avevo
sospettato, tutti questi discorsi sulla famiglia e l’aiutare il prossimo,
tipico di una fata. E io ODIO le fate!” – il cuore della ragazza fece i salti
mortali, la paura si impossessò completamente di lei, iniziò a respirare
affannosamente mentre Tremotino si avvicinava, e
sarebbe finita male se le altre tre ragazze non si fosse messe tre lei e l’uomo
– “Non provare a toccarla!” – gli ringhiò contro Mal – “Non mi interessa se sei
il signore Oscuro o chiunque altro, nessuno farà del male ai miei amici davanti
a me!” – “C’è sempre una prima volta ragazza” – e detto questo tese il braccio
in direzione della giovane fata, e Jane si sentì la gola chiusa in una morsa,
faticando a respirare. Si diffuse il panico tra i presenti, le ragazze molto
probabilmente si sarebbero lanciate contro l’uomo se questo non avesse
preventivamente effettuato un rapido gesto con l’altro braccio, scaraventandole
contro il muro, Regina evocò una sfera di fuoco nella mano destra e insieme ad
Emma si preparava ad attaccare, intimando all’uomo di lasciar andare la
ragazza, l’uomo non le ascoltava nemmeno, troppo concentrato su quello che
stava per fare: aggiungere un’altra fata alla sua lista di morti. Ma una voce
femminile gli impedì di compiere il gesto – “Tremotino,
fermo!” – dietro al bancone era entrata una donna dai lunghi capelli castani e
setosi che le arrivavano fino alle spalle, gli occhi dello stesso colore erano
carichi di paura e preoccupazione, un’espressione di disgusto dipinta sulla
faccia, indossava una maglietta rosa sotto un soprabito color marrone chiaro,
un paio di pantaloni scuri e scarpe azzurro chiaro – “Lasciala andare! Subito!”
– il signore oscuro guardò la donna per pochi istanti, segnati da un assordante
silenzio ma alla fine l’uomo abbassò il braccio e Jane cadde a terra
ricominciando a respirare e portandosi mano alla gola. “Te la prendi anche coi
ragazzi adesso. Quando la smetterai di comportarti come una bestia?” – gli
ringhiò contro la donna, lui non rispose niente e si rivolse alle altre due
donne – “La nostra conversazione è finita” – poi si voltò e scomparve nel retro
del suo negozio. La donna si avvicinò alla ragazza e la aiutò a rialzarsi – “Voi
state bene?” – chiese Emma alle ragazze, che dopo essersi rimesse in piedi
annuirono – “Grazie Belle, se non ci fossi stata tu non so come sarebbe finita”
– le disse Emma – “Non ringraziarmi Emma, anzi dovrei essere io a scusarmi per
il deprecabile comportamento di mio marito. Loro sono i nuovi arrivati?” – lei annuì – “Piacere di conoscervi, io sono Belle” – fece la donna, le ragazze si
presentarono a loro volta, tranne Audrey che non aveva ancora la voce ma Regina
provvedette a risolvere il problema: con un
rapido gesto della mano e la voce le tornò, Emma notò che Mal era stata un po’
titubante nel presentarsi a Belle e che fosse un tantino a disagio. Belle si
offrì di dar loro aiuto nello scoprire da dove venissero quei ragazzi e che
sarebbe andata in biblioteca nel pomeriggio a vedere se i libri avessero la
risposta ai loro quesiti, detto questo decisero di andarsene, salutarono e
uscirono tutti tranne Mal che si fermò sulla porta a guardare la donna che
rimetteva a posto tutto le cose che erano volate via durante la ‘conversazione’
con Gold per poi chiudere la porta alla sua spalle. “Non abbiamo concluso
molto, purtroppo” – si lamentò Regina mentre tornavano alla tavola calda – “Qualcosa
sì: che Gold sa esattamente cosa sta succedendo” – Regina sembrò sorpresa
dall’affermazione, così come le altre – “Ricordate? Ha detto: ‘un branco di
poppanti dice di avere una famiglia che fino al giorno prima ha vissuto con
loro o in un castello pieno di eroi o in un’isola abitata dai cattivi’. Nessuno
di noi gli ha fornito questo piccolo particolare” – il che era vero, quindi
Gold aveva mentito, lui sapeva qualcosa su quella storia che chiaramente non
voleva condividere con nessuno – “E anche un’altra cosa” – continuò Emma – “Hai
avuto la conferma che lei è chi dice di essere” – disse rivolgendo la sguardo
verso Evie, Regina non riusciva ancora a crederci: era diventata mamma una seconda
volta.
Regina era nervosa, molto ma molto
nervosa, dieci minuti che camminava con Evie e non era riuscita a dire neanche
una parola, primo perché non sapeva cosa dire, secondo perché se la stava
prendendo con sé stessa per aver accettato il consiglio di Emma: una volta
arrivati davanti a Granny la bionda era riuscita a
convincerla a passare del tempo con sua figlia, di portarla in giro, di conoscersi – “So cosa significa ritrovare un figlio, all’inizio fa
paura, ti fa pensare che la tua vita sia stravolta e in effetti lo è, ma
nessuno ha detto in peggio” – le aveva detto e lei aveva guardato la mora
mentre parlava con le sue amiche, la vedeva prima preoccuparsi per le altre per
quello che era successo, poi la vedeva ridere per risollevare il morale, e le
sembrava di rivedere lei prima che diventasse … cattiva, e così le aveva fatto
la proposta di venire a fare un giro in città con lei, non aveva pensato però
che avrebbe detto subito di sì. Doveva dire qualcosa, ma non sapeva che cosa,
al contrario di sua figlia – “Non ti ricordi proprio di me, vero?” – Regina non
rispose, cercava solo di trovare le parole giuste ma non erano necessarie, la
ragazza abbassò lo sguardo – “Evie, mi dispiace” – la ragazza la guardò dritta
negli occhi, credendo di aver capito male - “Non mi hai mai detto quella frase”
– “Sì, sembra cosa da me” – rispose la donna pensando a che visione di lei
avesse la ragazza – “Evie, non so cosa tu sappia di me, non so quali e quanti
errori abbia commesso, ma sono certa di averne fatti. Ne ho fatti con tutti in
questa città, da quando eravamo nella foresta incantata fin oltre averli
portati qui” – “Aspetta, sei stata tu a portarli qui?!” – Regina si morse la
lingua – “Sì, ero così ossessionata dal rovinare la vita di Biancaneve che
lanciai il sortilegio oscuro, creai Storybook e ne
diventai il sindaco, bloccando tutti qui, senza ricordi, senza speranze,
senza niente. Era un posto dove
nessuno avrebbe mai avuto il
suo lieto fine a parte me” – “Uao, e io che pensavo che non ti potessi inventare niente
di meglio della mela avvelenata” – le sentenziò Evie – “Poi che è successo?” –
“Che è successo? È arrivata Emma e ha cambiato tutto: ha cambiato Storybook e ha cambiato me” – ammise la donna – “Ho deciso
di cambiare, di essere una persona migliore, di smetterla di rovinare la vita
degli altri solo perché la mia sembrasse meno peggiore, ho cercato di
dimenticare l’odio e il passato e di guardare a un futuro dove forse la gente
non sarebbe più stata terrorizzata da me.
Ho cercato di diventare…” – “un eroe?” - concluse la ragazza, Regina annuì.
In altre circostanze Evie sarebbe
scoppiata a ridere, sua madre un eroe, sembrava una barzelletta davvero
ridicola e insulsa, ma la donna sembrava essere stata seria su tutta la linea,
anche se ancora stentava a crederci. “Ma adesso dimmi qualcosa di te” – le
disse Regina, la domanda la colse del tutto impreparata concentrata com’era
sull’assimilare tutte le informazioni ricevute – “Beh, la maggior parte delle
cose le ho già dette: ho sempre vissuto sull’Isola degli Sperduti insieme a
tutti gli altri cattivi, finché non sono andata ad Auradon
insieme ai miei amici, con un brillante piano malvagio su come liberare tutti
gli altri e impadronirsi del regno. Poi diciamo che, abbiamo scoperto che
essere buoni non era poi così male” – a rifletterci un attimo, le due pensarono
che in un certo senso avevano cercato di fare la stessa cosa: cambiare in
meglio. Evie provava una strana sensazione a parlare così con sua madre, a
raccontarle tutto di lei come se fossero due perfette sconosciute (e in effetti
lo erano, almeno al momento). Avrebbe voluto chiederle qualcos’altro, sulla sua
vita, su loro due, su un
sacco di cose che lei credeva fossero certe ma che ora non lo erano più ... ma prima che potesse formulare il
pensiero, vennero interrotti da un ragazzo, che correva verso Regina con un
libro in mano chiamando a gran voce - “Mamma!” – Evie lo riconobbe, era il
ragazzo della sera prima, quello che le aveva aiutate ad uscire di casa prima
di essere trasformate in puntaspilli – “Mamma! Ho scoperto una cosa che dovete
vedere, subito!” – disse alla donna, riprendendo fiato – “Aspetta! Mamma?!
Pensavo di aver capito che sua madre fosse Emma” – sentenziò la ragazza – “Sì,
lei è la madre biologica, io sono la madre… adottiva” – le rispose Regina con
una punta di esitazione – “Quindi, tecnicamente lui è il mio…” – “Fratellastro:
Henry” – la ragazza in quel momento perse qualunque capacità cognitiva,
psico-fisica o altro. Probabilmente doveva sembrare tipo uno zombie che esegue
suoni indefiniti invece che parole sensate, dato il modo in cui la guardavano.
L’unica cosa che riuscì a fare fu un saluto con la mano destra in direzione del
ragazzo che ricambiò, poi le strinse la mano e mano e si presentarono
formalmente. Poi Regina, forse per cercare di cambiare argomento, chiese a
Henry cosa dovesse farle vedere, il ragazzo mostrò ad entrambe il libro che
aveva in mano: sembrava abbastanza vecchio, la copertina era di una coloro
verde-marrone scolorito, era composta da pagine rettangolari legate tra loro
dal lato più corto, il titolo che era scritto in copertina era di colore dorato
e forse era l’unica parte che sembrava essere appena uscita dalla stampa,
brillante com’era. La scritta riportata era: Descendants.
“L’ho trovato questa mattina, stavo venendo da Granny
per farvelo vedere. Forse può aiutarci a capire cosa sta succedendo” – disse il
ragazzo – “Scusa, ma mi sfugge come un libro di storie possa aiutarci” –
sentenziò Evie, mentre stava superando la fase ragazza-zombie che ha appena
scoperto di avere un fratellastro più piccolo – “Perché questo libro racconta…”
– le rispose Henry aprendo il manoscritto – “…la vostra storia” – la ragazza
non capiva finché non pose lo sguardo sulle pagine del libro aperto. In un
primo istante pensava di aver visto male, che quella illustrazione del libro
che vedeva dovesse rappresentare qualcos’altro, ma c’erano troppi dettagli: i
capelli, gli occhi, il viso (perfetto). Quel personaggio del libro … era lei
stessa.
--- da Granny, più tardi ---
Quando Henry, Regina ed Evie
tornarono alla tavola calda con il libro, e scopertone la storia raccontata,
tutti i ragazzi lo sfogliarono a turno (più o meno, in certi casi erano cinque
o sei che si accalcavano per leggerlo contemporaneamente), anche Emma gli diede
un’occhiata. Il libro riportava esattamente il racconto dei ragazzi sull’isola
degli Sperduti e via dicendo, ma la cosa strana e che il racconto iniziava da
circa metà libro, le pagine sia prima che dopo erano bianche; come se fosse una
storia partita direttamente dallo svolgimento dimenticandosi di farla iniziare
e finire. Emma e Regina se ne erano andate poco dopo per continuare a fare
ricerche portandosi dietro Henry, ma questa volta nessuno chiese di andare con
loro, così i nuovi arrivati si ritrovarono nuovamente soli alla tavola calda. “Ragazzi,
dobbiamo capire cosa diamine sta succedendo” – disse Mal non appena le signore
se ne andarono - “Nome in codice: Missione Impossibile” – sbottò Jay mentre lui e Carlos sfogliavano il libro – “Così non ci aiuti Jay” – “Una volta tanto non ha tutti i
torti” – sentenziò Carlos – “Per riassumere: un attimo prima eravamo a Auradon felici e beati e un attimo dopo ci ritroviamo nel
bel mezzo di un bosco, siamo quasi stati infilzati da un branco di
armature-fantasma e nessuno qui sembra ricordarsi di noi. Ho forse dimenticato
qualcosa?” – “Evie ha scoperto di avere un fratellastro e Jane è stata quasi soffocata
dal Signore Oscuro” – finì Lonnie - “Se è per questo, sembra che qui Belle
abbia sposato Tremotino” – aggiunse Mal. Dopo
l’ultima affermazione e dopo che tutti capirono che non era uno scherzo, ormai
era chiaro che in quella città era tutto sbagliato, magari non tutto era
negativo, come ad esempio il cambiamento della Regina Cattiva, ma per tutto il resto era un gran
casino, specialmente il fatto del nuovo marito di Belle. Mal non pensava che al mondo ci potesse
essere qualcuno di più terrificante di sua madre, Malefica, ma Tremotino l’aveva fatta ricredere; quel tizio aveva quasi
soffocato la sua amica davanti a lei, e ripensando a quella scena provava un
senso di impotenza e di inutilità che non aveva mai provato prima e, da come
aveva descritto il suo modo di agire, capiva come si fosse guadagnato la sua
fama di ‘Cattivo più Cattivo’. Nel mentre formulava
questi pensieri, lo sguardo della ragazza si andò posando su Jane che se ne
stava in un angolo seduta ad un tavolino con un bicchiere di acqua mezzo vuoto;
Mal si avvicinò all’amica e si sedette vicino a lei – “Tutto bene Jane?” – le
chiese, per quanto sembrasse difficile che qualcuno potesse star bene dopo
essere stato quasi ucciso, ma l’amica annuì con poca convinzione mantenendo lo
sguardo basso a fissare l’impercettibile movimento della superficie d’acqua nel
contenitore di vetro – “Jane, c’è qualcos’altro che ti turba?” – le chiese,
vedendola così pensierosa e credendo che ci fosse qualcosa d’altro. Jane esitò
qualche istante prima di rispondere – “Prima, nel negozio di Tremotino, ho … ho visto la bacchetta di mia madre” – gli
altri trasalirono e nessuno osò dire niente – “Ne sono sicura, l’ho vista bene.
Ma come fa non so come faccia ad averla”. Mal poteva solo immaginare quello che
poteva pensare o provare la giovane fata in quel momento, e non poteva
accettare di vederla in quello stato. Dovevano fare qualcosa, non potevano
restare lì ad aspettare che Regina ed Emma (con la quale stava cominciando a
sentire una certa ostilità) risolvessero la situazione perché, conoscendo il
modo di agire delle ‘brave persone’, ci avrebbero messo una vita tra richieste
amichevoli e via dicendo. Dovevano trovare il modo di estorcere a Tremotino quello che sapeva su di loro, ma non sapeva come.
A ripensare a lui, ancora Mal non riusciva a capacitarsi che Belle avesse
sposato quella canaglia; tuttavia sembrava che Tremotino
tenesse a lei e al loro rapporto. Mal pensò che a Ben sarebbe venuto un colpo
se avesse saputo del suo nuovo patrigno, ma purtroppo lui non era lì con loro e
non sapevano dove fosse finito. Certo che se Belle avesse saputo di avere un
figlio di cui non sapeva nulla e che il suo nuovo, inquietante marito stava
evitando di cercare, Mal aveva seri dubbi che il matrimonio sarebbe continuato
senza intoppi. Quest’ultimo pensiero fece brillare i verdi occhi della ragazza,
le era appena venuta una idea per sapere da Tremotino
quello che volevano; era un’idea folle ed insensata ma era l’unica che aveva.
--- Pochi
minuti dopo ---
“Mal, di preciso, quand’è che sei
impazzita?!” – fu la reazione di Evie e degli altri dopo che la ragazza ebbe
finito di esporre il suo piano – “L’ho detto subito che era un’idea folle” – rispose
la ragazza - “Hai detto folle. Non suicida” – ribatté Carlos – “Se lo facciamo, Tremotino ci prende, cerca la fossa più
profonda del mondo, e quando la trova scava ancora poi ci seppellisce tutti dentro e
infine ci apre sopra un servizio di bagni pubblici!” – concluse il figlio di Crudelia – “Se
qualcuno ha un’idea migliore sarei davvero felice di sentirla” – inveì
nuovamente la figlia di Malefica e nessuno le diede una risposta, segno che
nessuno aveva uno straccio di alternativa ma ancora non erano convinti del
piano della ragazza – “Ragazzi ascoltate, lo so che è pericoloso, ma è l’unica
via per avere delle risposte. Qui nessuno sa chi siamo, ci sono delle persone
che potremmo aver visto il giorno prima ad Auradon e
che in questa città non ci riconoscerebbe neanche. Potrebbero esserci dei
nostri amici che ci vedrebbero solo come degli emeriti sconosciuti. È come se fossimo appena venuti al mondo solo
che siamo anche senza genitori a cui rivolgerci. È come se fossimo degli orfani!” – quando
finì Mal si rese conto di aver un po’ esagerato, dato lo sguardo basso e triste
che tutti avevano, soprattutto Evie; Mal si morse la lingua, l’ultima cosa che
voleva era far soffrire la sua migliore amica e avrebbe volute scusarsi ma la
figlia della Regina Cattiva fu più rapida di lei – “Quando ero sull’Isola degli Sperduti, non passavo troppo
tempo con mi madre. Ci stavo solo quel poco che serviva per farmi dire
quant’ero bella e che dovevo trovare il mio principe azzurro. Ma anche in quei
momenti in avrei voluto evitare
di stare con lei e allontanarmi, vedevo nel suo sguardo una luce, che tutte le
madri dovrebbero avere quando guardano la propria figlia. Invece adesso, che è
diventata ‘buona’… ” – l’ultima parola arrivò tremolante e con una punta di
esitazione – “E che vorrei stare del tempo con lei, nei suoi occhi non vedo
niente … niente” – sembrava che ammettere quelle cose l’avesse sfinita, si
era tenuta dentro quelle cosa fin da quando aveva visto sua madre quel giorno,
e anche quando le aveva parlato da sola sentiva che tra loro mancava qualcosa,
quel legame che era sicura di aver sempre avuto anche quando l’aveva lasciata e
si era stabilita ad Auradon e di cui non avrebbe mai
pensato di sentire la mancanza. Quei pensieri tristi crearono una singola,
lucida lacrima che scese lentamente sulla guancia destra della ragazza quasi
volesse farsi sentire con la sua fredda scia, sui lineamenti del suo viso. Evie
si asciugò di fretta quella lacrima ma la tristezza non era altrettanto facile
da scacciare, e anche gli altri dovevano essersene accorti perché la fissavano
senza dire una parola, con sguardi comprensivi e lucidi come volessero essere
partecipi della sua tristezza perché non soffrisse da sola. Fu allora che Evie
capì che non voleva questo, non voleva che sua madre la guardasse e si
chiedesse come poteva essere sua figlia, non voleva che quello che provava lei
potessero provarlo anche i suoi amici; voleva delle risposte e le voleva subito
e se Tremotino era l’unica persona in grado di
dargliele, allora avrebbe corso il rischio di guastagli la giornata – “Io penso
che dovremmo farlo” – affermò decisa la mora – “Io non voglio che questa
situazione continui! Non senza una risposta! Voglio che ognuno di noi sappia la
verità!” – seguirono interminabili secondi di silenzio, che però sembrarono
molti di più, poi anche Jane diede il suo sostegno dicendo che voleva sapere
cosa fosse successo a sua madre e che quell’uomo aveva di certo la risposta, di
seguito anche Jay e Carlos si unirono scherzando sul
fatto di poter finire trasformati in due soprammobili di pessimo gusto, e alla
fine tutti decisero che era la cosa migliore da fare, perfino Audrey sembrava
decisa a farlo (e lei aveva paura perfino di un’unghia tagliata male). Fu una
scena che riempì di speranza il cuore di Mal, in qualunque mondo fossero era
ancora tutti ancora uniti e si sosteneva a vicenda senza abbandonarsi quando
necessario, era questo che Mal aveva imparato dopo essere diventata una brava
ragazza: l’amicizia, e avrebbe fatto di tutto per difenderla perché era quel
legame tra loro che le dava forza e felicità anche quando tutto andava per il
verso sbagliato. Ma adesso non era il momento per perdersi in sentimentalismi,
avevano un Signore Oscuro a cui fare delle domande e a cui lui avrebbe risposto
che gli piacesse o meno.
Ciao a tutti, scusate il ritardo ma avuto un po’ da fare
ultimamente. Vi pubblico il quarto capitolo della storia che spero vi stia
piacendo. Avverto che non tanto sicuro su uno o due dettagli del capitolo
quindi potrei modificarlo in seguito. Adesso vi lascio. Buona Lettura!
Cap 4
--- negozio di Gold ---
Gold era intento a consultare il suo registro, dove
annotava tutte le sue proprietà, beni e contratti stipulati; quando era nervoso
sapere quante e quali cose possedesse lo distraeva un po’, perché pensava che
tutte quelle cose potessero rimpiazzare quei minuscoli vuoti che pensava di
avere nella vita. In fondo era quello che aveva sempre voluto: avere più di
chiunque altro, essere più potente di chiunque altro, essere più di chiunque
altro. E finalmente pensava di esserci riuscito, dopo tutto quello che aveva passato, dopo essersi
riconciliato con Belle e aver rimediato a tutti i suoi errori passati, ma
proprio mentre pensava di aver finalmente raggiunto il suo lieto fine erano
arrivati quegli inutili ragazzini, e questo poteva rovinare tutto. Stava ancora
rimuginando quando la campanella dell’ingresso del negozio rintoccò all’aprirsi
della porta; l’uomo alzò lo sguardo e vide quella ragazzina vestita in viola e
verde di poche ore prima, come se non stesse già pensando abbastanza ai nuovi
arrivati. “Non vi insegnano a leggere da dove venite voi?” – le chiese Gold visibilmente irritato – “Sì, lo
fanno. Ma ci hanno insegnato anche che le regole sono fatte per essere
infrante” – gli rispose la ragazza senza mezzi termini, mentre indicava il
cartello ‘Chiuso’ sulla porta – “Almeno, è così che ci insegnano su
‘quell’isola con i peggiori cattivi che ci siano’, come hai detto tu” –
continuò lei ponendo una certa enfasi sull’ultima parte. Solo allora il Signore
Oscuro si accorse di essersi tradito da solo, e lanciò uno sguardo carico di
disprezzo alla giovane che evidentemente capì di aver centrato il segno – “Tu
sai qualcosa, vero?” – “Può darsi, ma anche se fosse ho già detto che io non
faccio mai niente per niente, e non vedo cosa tu potresti mai offrimi” – le
rispose l’uomo mentre si alzava da dietro il bancone e faceva per tornare nel
retro, dato che aveva fretta di terminare quella conversazione indesiderata –
“Mah, non saprei. Magari il non spifferare a tua moglie il fatto che abbia un
figlio?” – Gold si bloccò all’istante, voltandosi verso la ragazza come per
sfidarla a continuare la sua ‘proposta forzata’ – “Da dove veniamo noi, Belle
ha un figlio: Benjamin, il mio fidanzato. E non credo che le farebbe piacere
sapere che il suo caro maritino sappia tutto di questa storia e che, invece di
aiutare questi poveri ragazzi, preferisca tenersi le informazioni tutte per sé” – Gold
aveva i nervi a fior di pelle, strinse i denti onde evitare di perdere
completamente la calma – “Quindi, sarebbe questo l’accordo che mi proponi? Io
dico a voi quello che so e voi non dite a Belle quello che sapete?” – la
ragazza annuì – “Scusa tanto, Violetta” – riprese l’uomo – “Che cosa mi
impedirebbe di chiuderti la bocca in questo istante?” – chiese compiendo alcuni
passi in direzione della ragazza, che nonostante tutto non sembrava intimorita
– “Niente. Ma se io non esco da quella porta tra cinque minuti, i miei amici diranno
a Belle tutto quello che tu non vorresti che sapesse e, per quanto tu possa
essere potente, non credo che potresti liberarti di me e raggiungere tua moglie in tempo per
‘giustificarti’ ” – gli rispose abbozzando un
sorrisetto di sfida. Gold avrebbe tanto voluto cavarle il cuore dal petto in
quel preciso momento, per poi stringerlo lentamente in una morsa e vedere
quella insolente, stupida ragazzina amante del viola contorcersi dal dolore e
implorare pietà, ma era un lusso che purtroppo non poteva concedersi, non
ancora almeno. “Allora Signore Oscuro? Abbiamo un accordo?” – lo incalzò la
ragazza, mostrandogli un timer sul telefonino che gli mostrava quanto tempo gli
restava per rispondere, l’uomo strinse forte i pugni sapendo di non avere
scelta, e odiava che gli venisse imposto un accordo che non poteva rifiutare
(in senso negativo) – “Va bene, Violetta”. La ragazza mise via il telefono e
gli disse di raggiungerlo da Granny subito dopo che
fosse uscita prima che il tempo scadesse, affermando che preferiva che tutti
ascoltassero la sua spiegazione e che lui non giocasse in casa, poi fece per
andarsene; aprì la porta e si fermò sull’uscio – “E io non mi chiamo Violetta.
Il mio nome è Mal, figlia di Malefica” – e sbatté la porta alle sue spalle
tanto che il cartello su di essa ruotò da ‘Chiuso’ ad ‘Aperto’. L’uomo rimasto
quindi solo, urlò per dare giusto sfogo alla sua rabbia; come poteva lui, Tremotino, l’essere più potente del suo mondo, venire
ricattato da un branco di ragazzini che avevano meno della metà dei suoi anni e
che lo trattavano come se fosse l’ennesimo beota da fregare, non poteva
accettarlo, mai nella vita. Ma non poteva neanche rifiutarsi di onorare
l’accordo appena stretto, e se quei poppanti volevano la verità, beh gliela
avrebbe data perché nessuno aveva mai detto che sarebbe stata una bella verità.
Gold aggiunse l’accordo appena stipulato al registro ancora aperto che era sul
bancone scrivendo ‘Accordo: Dire a dei ragazzini la verità sulla loro inutile
esistenza. Cliente: ragazzina in viola con abominevoli gusti di moda.
Pagamento: evitare verità scomode per me. Conseguenze per il cliente: non hanno
inventato le parole per descriverle’, poi chiuse il fascicolo e si avviò
all’appuntamento.
--- Granny, poco dopo ---
Mal controllò per l’ennesima volta il timer sul
cellulare, mancavano ancora due minuti e mezzo allo scadere del tempo e
cominciò a domandarsi se Tremotino avesse ripensato
alla sua offerta – “Siamo impazienti eh?” – le chiese a sorpresa Evie facendola
sobbalzare, tanto com’era concentrato sull’analizzare lo scorrere dei secondi –
“Dici che verrà?” – “Sarà meglio per lui” – inveì la viola, diventando sempre
più nervosa e cominciando anche lei a dubitare. Quando mancavano 21 secondi al drin della fine, la porta della tavola calda sbatté con
forza catturando l’attenzione di tutti i presenti, ne entrò il Signore Oscuro e
non era esattamente di buon umore pensò la ragazza visto il modo con cui la
guardava. La porta si chiuse alle spalle dell’uomo e in quell’istante il
cellulare di Mal rintoccò la fine del timer – “Cominciavo a pensare che saresti
venuto” – sbottò la ragazza acida – “Io mantengo sempre i miei accordi
Violetta, ne va della mia reputazione” – le rispose lui. Mal odiava quel
soprannome e odiava essere presa in giro da chiunque, e nessuno aveva si era
mai azzardato a ironizzare sul suo colore preferito. Si impose di non fare
scenate, non era proprio il momento, c’erano cose più importanti a cui pensare
– “Allora, dato che tutti noi vogliamo che questa conversazione duri il meno possibile,
ti va di condividere il tuo sapere con noi?” – lo incalzò lei, l’uomo sembrò
concordare il suo pensiero. “Bene allora. Se volete la verità vi posso
accontentare. E la prima cosa che posso dirvi per certo è che il posto da cui
venite NON è mai esistito” – “E questo che vorrebbe dire?” – si intromise la
figlia della Regina Cattiva – “Vuol dire che questo Auradon,
che tra parentesi è il nome più stupido che si possa dare ad un luogo, non
esiste. Voi fino ad ora avete vissuto in un mondo fasullo, un mondo che a me
piace chiamare: ‘il regno dei dimenticati’ ” – i
ragazzi si guardava tra di loro occhiate interrogative senza capire – “In
pratica quel posto è una sorta di prigione; a chiunque ci finisca dentro
vengono alterati i ricordi in modo che pensi di aver sempre vissuto lì, e poi
quel posto comincia a creare tutto quello che sarebbe necessario per farti
sentire a tuo agio: una casa, una famiglia, degli amici e via dicendo. Ma
niente di tutto questo è reale” – alcuni dei ragazzi cominciarono a agitarsi e
a discutere tra loro di quello che gli era stato appena detto; Mal disse che
era impossibile che quella storia fosse vera e allora Tremotino
le chiese quale fosse il primo giorno che ricordasse con chiarezza, lei rispose
il giorno in cui erano stati invitati ad andarsene dall’isola e andare ad Auradon – “Bene. Allora, domanda da un milione di dollari,
che cosa avete fatto il giorno prima?” – lei stava per rispondere, solo che si
bloccò con la bocca aperta dopo essersi accorta che non sapeva proprio cosa
rispondere; la ragazza cercò di pensare, di sforzare quei suoi neuroni di
trovare un ricordo ma più ci provava e meno riusciva a trovare, come prima di
quel giorno non ci fosse altro, solo vuoto. “Non lo sai? Qualcuno di voi sa
rispondere?” -ma nessuno proferì
parola, erano tutti nella stessa situazione di Mal – “Certo che no” – continuò
l’uomo – “Perché non c’è nessun giorno prima. Non c’è nessun giorno prima di
quello! E nessun giorno prima di quel giorno prima di
quello! La vostra vita laggiù era solo un’illusione, un sogno che nessuno di
voi mai riavrà indietro!” – la testa di Mal andò in tilt così some il suo
cuore, era impossibile ma in un istante tutto quello che conosceva, che tutti
loro conoscevano stava andando in mille pezzi proprio sotto i loro occhi – “E
perché nessuno si ricorda di noi?” – gli chiese Evie con la voce tremante –
“Non ci arrivi da sola? Non lo chiamo ‘il regno dei dimenticati’ così perché me
ne piace il suono. Come vi ho già detto quel posto è una prigione e il modo
migliore per fare in modo che nessuno esca è, primo: fare in modo che quelli
che ci sono dentro non vogliano andarsene, cosa che mi sembra sia riuscita.
Secondo: fare in modo che nessuno provi a tirarli fuori, e come puoi cercare
qualcuno di cui non ti ricordi nemmeno l’esistenza? Se non avete ancora capito
allora sarò più chiaro: quando entri lì dentro tutti i ricordi di te vengono
cancellati da tutti quelli che ti hanno conosciuto. Ogni segno, ogni traccia,
ogni patetico ricordo delle vostre inutili esistenze è stato eliminato” – “Sta
dicendo che non possiamo dimostrare che siamo chi diciamo di essere?” – gli
chiese Audrey, che forse si era appena ripresa dallo svenimento in cui era
caduta cinque minuti prima dopo le dichiarazioni dell’uomo – “No signorinella.
Sto dicendo che nessuno di voi può dimostrare nemmeno la sua esistenza” –
ponendo una buona enfasi sulle ultime parole, e questo causò un secondo
svenimento della figlia di Aurora (fortuna che era seduta, così non si cadde,
ma in compenso la faccia le si abisso nella torta che aveva davanti). “Ha un
cuore di leone questa qui” – giudicò l’uomo – “Ma questo è… è… non trovo
neanche le parole” – disse Jane, mentre si faceva aria non una mano – “Ma come
siamo arrivati qui? E come siamo finiti in quel mondo?” – chiese la fata –
“Questo non lo so, ma per quanto mi riguarda sarebbe stato molto meglio se ci
foste rimasti” – le rispose Tremotino senza mezzi
termini – “Vedete, la vita delle vostre famiglie andava avanti, anche senza di
voi, e vi assicuro che sono molto diverse dalle versioni classiche delle storie.
In questa città avere il proprio lieto fine non è una passeggiata, credetemi, e
spesso non finisce bene per tutti” – detto questo nella mente della giovane
fatina fu riscossa una domanda che aveva da quando era entrata nel negozio del
Signore Oscuro, una domanda che aveva bisogno di una risposta – “Perché hai la
bacchetta di mia madre?” – chiese allora Jane facendosi coraggio, Tremotino sembrò sorpreso dalla domanda e le lanciò uno
sguardo interrogativo – “Tua madre?” – “Sì, sono Jane, la figlia della Fata Smemorina. Quella nel tuo negozio è la sua bacchetta” –
l’uomo si lasciò sfuggire una piccola risata – “Correzione. Quella era la sua
bacchetta, adesso è una
mia proprietà. Inoltre, dubito seriamente che se ne faccia qualcosa dove è
adesso” – Jane non capiva cosa volesse dire, Tremotino
notò il suo sguardo da ebete e quindi decise di essere un tantino più deciso –
“Tu non ci arrivo proprio, vero? O forse non vuoi arrivarci?” – il cuore di
Jane riprese ad accelerare, e lei istintivamente si portò una mano al petto –
“Allora sarò il più chiaro e sintetico possibile, ragazzina: tua madre è …
MORTA”. A questo punto il cuore della ragazza da veloce divenne quasi fermo, se non del tutto; si porto entrambe
le mani al petto come per essere sicura che il cuore fosse ancora lì. “No. No,
non è vero! Non può essere vero!” – gridò lei più per convincere sé stessa che
accusare l’uomo di mentire, quello in verità non aveva fatto neanche una piega
davanti alla sua reazione – “In circostanze diverse potrei anche sbagliarmi” –
proseguì lui con una punta di crudeltà nella voce – “Ma di questo sono
piuttosto sicuro, dato che l’ho uccisa io”. Quell’ultima frase rimbombò nella
mente di Jane, ripetendosi ancora e ancora come un disco rotto ‘L’ho uccisa io.
L’ho uccisa io’. Quattro parole che bastava a distruggerla internamente fino al
midollo, a cancellare qualunque speranza. Tremotino,
in tutta risposta, mosse la mano sinistra che venne avvolta da un denso fumo rosso;
quando questo si dissolse l’uomo reggeva una specie di acchiappa-sogni. Lo
agitò debolmente, e al suo interno cominciarono a sovrapporsi, a gran velocità,
immagini sconnesse di eventi che nessuno dei ragazzi poteva capire, finchè a un certo punto le immagini si fermarono, mostrando
quella scena che Jane aveva sempre sentito raccontare: Cenerentola, vestita di
stracci che riceveva la visita della fata che le avrebbe permesso di andare al
ballo, di andare a quel momento che avrebbe cambiato la sua vita; Jane era
tanto incuriosita ed emozionata ma l’emozione si trasformò in terrore quando la
fata della visione sparì, avvolta da uno scuro fumo viola che fece rimanere di
lei solo la bacchetta. Poi nello scenario emerse lui, uno uomo dai lussuosi
abiti, i capelli lunghi e spettinati e la pelle che sembrava quella di un
rettile, mentre ridacchiava come un bambino che aveva appena compiuto
l’ennesimo dei suoi scherzi impuniti: Tremotino. A
quel punto il cuore di Jane andò in frantumi, lei era immobile
come una statua che fissava con sguardo lucido la faccia di quell’uomo che le
aveva cancellato ogni certezza che aveva sempre avuto. “Questa, ragazza mia, è
la realtà. Tua madre non ha fatto proprio niente per Cenerentola, sono stato io
a farla andare a quel ballo, con un prezzo da pagare s’intende. Ma resta il
fatto che quella fata da due soldi, non ha avuto nessun ruolo in quella storia,
e questo vale anche per te” – la ragazza ormai non ce la faceva
più a sopportare tutte quelle cattiverie, sentiva gli occhi che le si
arrossavano e le lacrime che si accumulavano facendosi strada sul suo viso –
“Ma guarda: la Fata Smemorina Junior, che fai adesso?
Ti metti a piangere?” – fu esattamente quello che fece, scostò l’uomo e corse
fuori dando pieno sfogo alle lacrime e al dolore, non voleva sentire un’altra
parola, voleva solo tornare a casa dove le cose erano andate come dovevano
andare, voleva tornare in quel sogno che aveva lasciato.
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“Tu sei un MOSTRO!” – sbraitò Mal contro il Signore
Oscuro, e una crisi di nervi le sembrava il minimo dopo quello che era
successo, avrebbe tanto voluto incenerire quel tizio con le sue fiamme verdi in
quel preciso istante, così come molto probabilmente volevano tutti gli altri
ragazza – “Me lo dicono spesso Violetta, ci ho fatto l’abitudine ormai” –
rispose lui senza scomporsi – “Comunque io neanche volevo venirci qui a darvi
delle spiegazioni, sei stata tu a chiedermelo. E adesso hai esattamente quello
che volevi” – la rabbia della ragazza per un attimo toccò picchi altissimi, ma poi
si afflosciarono quando a pensarci bene, in un certo senso, aveva ragione lui,
era stata sua l’idea di ricattare Tremotino per farsi
dire la verità ma non aveva mai pensato a quali sarebbero potute essere le
conseguenze accecata com’era dalla sete di avere risposte. Tutto quello era
solo colpa sua. “Non puoi che biasimare te stessa, mia cara” – continuò l’uomo
senza pietà – “Sai avevo una mezza idea di cavare il cuore a te e a tutti
questi altri teppisti; ma devo dire che la scena di prima è stata molto più
appagante. Perciò congratulazioni, tu da sola sei riuscita a rovinare la situazione
di tutti molto più di
quanto
Malefica abbia mai fatto” – Mal si sentiva il cuore chiuso in una morsa che si
stringeva sempre di più ad ogni parola, non aveva nemmeno la forza di
controbattere. Tremotino vendendo che l’animo della
ragazza era stato sconfitto fece per uscire – “Sono proprio curioso di vedere
se, avendo vissuto per tutto questo tempo in un sogno, sarete in grado di
affrontare la realtà senza morire” – aprì la porta e si girò un’ultima volta –
“Oh, quasi dimenticavo. Il viola è un colore autunnale, e siamo in giugno.
Rifatti il guardaroba domattina” – e poi la sbatté alle sue spalle e uscì
incamminandosi per tornare al suo negozio – “Sempre ammesso che ci arrivi a
domattina”.
Jane correva. Correva tra i
singhiozzi e le lacrime, senza guardarsi intorno, senza sapere dove andare né
dove stesse andando, voleva solo scappare, scappare da quella realtà che non
sarebbe dovuta essere la vera realtà.
Sperava che quello fosse solo un incubo, e che si sarebbe svegliata presto per
ritrovarsi nel suo letto nella sua casa, ad Auradon:
dove tutto era andato al posto giusto, dove c’erano solo persone buone, dove il
sole e la felicità erano i compagni di ogni giorno, dove al suo risveglio ci
sarebbe stata sua madre ad accarezzarle il viso, a rassicurarla, ad
abbracciarla forte al petto per farle capire che per lei ci sarebbe sempre
stata. Invece lì non sarebbe stata con lei mai più, MAI. Avrebbe continuato
all’infinito quella disperata corsa verso i suoi sogni, se u paio di braccia
non le avessero cinto la vita e bloccata; Jane istintivamente si dimenava senza
sosta, come se fosse stata catturata da un mostro feroce, ma quando finalmente
si decise a guardare in faccia chi l’avesse fermata vide il volto di Emma che
le chiedeva di calmarsi, come se fosse una cosa facile al momento; lei non
riusciva a fermare le lacrime ma ormai era troppo esausta per opporsi, così
affondò il viso del petto della donna; dopo quello che le aveva detto la sera
prima, forse per la ragazza Emma era ciò che più si avvicinava a sua madre e
per questo smise di divincolarsi ma non di disperarsi, la donna le accarezzava
i capelli dolcemente e la abbracciava come avrebbe fatto sua madre – “Shhh. Tranquilla, ci sono io qui” – le disse Emma con
dolcezza, ci volle qualche minuto ma alla fine Jane cercò di calmarsi almeno un
po’, sollevò la testa dal petto della donna, con gli occhi ancora rossi e le
guance bagnate ma almeno era riuscita a smettere di piangere. Voleva dirle
qualcosa, spigarle, ma era ancora così agitata che tutto quello che le usciva
dalla bocca erano delle parole disconnesse, poi Emma la fermò insieme si misero
a sedere su una panchina lì vicino, la donna prese un fazzoletto che aveva in
tasca e cominciò ad asciugarle il viso – “Meglio adesso?” – le chiese e lei
annuì debolmente; Emma la guardava con uno sguardo dolce e gentile, lo stesso
che Jane vedeva negli occhi di sua madre quando lei era triste e questo la fece
sentire bene e male allo stesso tempo perché da un lato aveva una persona che
poteva capirla ma dall’altro si accentuava il ricordo della madre scomparsa; la
donna forse perché aveva intuito lei che aveva bisogno di parlare, cercò di
incalzarla – “Coraggio, raccontami cosa è successo” – Jane ebbe un attimo di
esitazione, riparlare di quello che era successo le rinnovava il dolore ma al
contempo non voleva continuare a tenere tutta quella sofferenza dentro di sé, e
così comincio a parlare di quella triste verità che le era stata rivelata.
--- da Granny, pochi minuti dopo ---
Emma riportò Jane alla tavola calda, quando
arrivarono tutti gli altri ragazzi erano ancora scossi, ma nessuno tanto quanto
la giovane fata che era entrata a esta bassa come volesse evitare gli sguardi
di tutti, anche quando Mal le si era avvicinata per scusarsi di quello che era
successo, lei le aveva solo detto che voleva stare da sola, senza guardarla in
faccia, e si era diretta lentamente verso la stanza che le era stata affidata
la sera prima, salendo le scale lentamente come se ogni scalino fosse cosparso
di chiodi che non volevano farle dimenticare il dolore, che la faceva restare
ancorata a quella realtà spietata, e alla fine la giovane sparì al piano
superiore. Emma stava male per lei, sapeva cosa volesse dire perdere per sempre
una persona cara ed riuscire a dare un senso a tutto quel dolore, se non era
impossibile era molto difficile, specialmente se non hai nessun’altro su cui
contare; poi il suo sguardo si posò Mal, quella ragazza in viola e verde, da
quando era arrivata lì aveva fatto solo e soltanto di testa sua, senza pensare
alle conseguenze delle sue azioni e alla fine ne aveva pagato il prezzo, la
cosa grave e che non era stata l’unica a pagare; e perciò aveva bisogno di una
lezione di disciplina. Emma le si avvicinò e le chiese di seguirla fuori un
momento, quella forse non voleva, ma una volta guardata Emma bene negli occhi
dovette capire, che la sua non era una richiesta.
Le due, quindi, uscirono e si allontanarono quel
tanto che bastava per non essere sentite dal resto dei ragazzi – “Ti rendi
conto di quello che hai fatto?!” – le disse la donna in tono severo, cosa a cui
la ragazza era ormai abituata in famiglia – “Sì, lo so cosa ho fatto, non c’è
bisogno di rinfacciarmelo” – le rispose quindi con un poco di rabbia, non aveva
voglia di un’ennesima ramanzina oltre a quelle che si era già fatta da sola –
“Beh, dato il guaio che hai combinato, te lo rinfaccio finché non ne capisci la
gravità, signorinella!” – Mal si trovò momentaneamente interdetta, nessuno al di fuori di sua madre le si
era rivolto in quel modo – “Cosa ti è passato per la mente, quando hai
deciso di ricattare Tremotino?” – “Senti, io volevo
solo trovare un modo per avere delle risposte. Che ne sapevo che sarebbe finita
così?!” – “E cosa pensavi? Che ti avrebbe fatto i complimenti per aver
minacciato il suo matrimonio?! Quello cava il cuore alle persone per molto
meno” – “E che avrei dovuto fare?!” – la rabbia di Mal aumentava al continuare
di quella conversazione – “Starmene lì, buona, buona ad aspettare che gli
‘eroi’ risolvessero la situazione?! Preferisco di gran lunga fare da sola, per
risolvere i miei problemi!” – Emma di certo non era molto più calma di lei –
“Appunto, i TUOI problemi! Tu non volevi risposte per tutti, tu volevi solo
risposte per TE! Non ti sei preoccupata minimamente di quello che potevano
pensare i tuoi amici! Di quello che poteva
succedergli!” – Mal strinse i denti talmente forte che si sarebbero potuti
rompere da un momento all’altro – “Sei proprio come tua madre. Ti preoccupi
solo di te stessa, giustificandoti che quello che fai lo stai facendo per gli
altri, ma in realtà è per il tuo solo interesse!” – a quell’ultima frase gli
occhi della ragazza si accesero di rabbia, lei non era come sua madre, non più,
e il solo pensiero che qualcuno la vedesse come lei le faceva ribollire il
sangue; le mani della ragazza vennero avvolte da fiamme verdi, che ardevano con
la stessa intensità dei suoi occhi smeraldi – “Prova a ripeterlo” – le sibilò
contro in segno di sfida; la donna all’inizio sembrava pronta a rispondere alle
minacce poi il suo sguardo divenne colmo di paura e iniziò lentamente a
indietreggiare, e Mal pensava che fosse lei a farle quell’effetto e che fosse
riuscita ad imporsi
come faceva sempre, tutte idee che vennero smentite da un alito di vento
caldo e più maleodorante del banco del pesce dell’Isola
degli Sperduti, quando la ragazza si voltò per vedere da dove venisse
quell’odore nauseabondo quello che vide la fece rabbrividire: davanti alle due
si ergeva una specie di leone alto almeno quattro metri, che posava su quattro
zampe muscolose irte di artigli lunghi come un coltello da cucina e altrettanto
affilati, il manto era nero come la pece mentre la criniera aveva una sfumatura
poco più chiara e un tocco di grigio, aveva poi due profondi occhi rossi che
sembravano bruciare come tizzoni ardenti e che loro fossero il combustibile per
alimentare quelle fiamme, ma la cosa più … ‘curiosa ’ era la coda di scorpione
lunga due volte Emma, che schioccava con un fare sinistro eminaccioso; quella cosa, qualunque cosa
fosse, si avvicinava lentamente a loro con una schifosa bava che le colava
dalle fauci gialle e taglienti, e con un alito che le dava il voltastomaco – “È un vostro
animale domestico?” – chiese la ragazza, sapendo che era un pensiero stupido ma
sperare non era un crimine – “Non mi risulta” – le fece Emma. Il
leone-scorpione non dovette gradire il nominativo ‘ animale domestico ’,
infatti attaccò le due saltando verso di loro con artigli sguainati ma loro
furono più rapide e si scansarono prima che quello toccasse terra; Mal, che
aveva ancora le mani avvolte da verdi fiamme, decise di passare al contrattacco
(anche perché aveva
urgente bisogno di un anti-stress) e scagliò una violenta vampata verso il micio
gigante, colpendolo in pieno – “Ti è piaciuto questo?!” – fece la viola con un
fare sornione, ma il guaio è che quello uscì completamente illeso dal colpo,
senza neanche un graffio ma in compenso Mal si era guadagnata la sua attenzione,
dato che il gatto-insetto gigante la fissava ringhiando; in quel momento il
cuore della ragazza cominciò a batterle più forte nel petto, le mani si
‘spensero’ e le braccia e le gambe le tremavano … lei aveva paura, era
terrorizzata più di quanto non fosse mai stata nella sua vita, incapace di
muoversi e anche solo di fiatare, il mostro tentò di approfittare dello stato
di lei, e vi si avventò contro ma Emma lo colpì al fianco con un getto di luce
bianca facendolo ruzzolare a terra – “MAL, SCAPPA!” – le
ordinò la donna e fortunatamente quelle parole la riscossero dal suo stato di
torpore, anche se non era da lei scappare fu ben felice di eseguire quanto le
era stato chiesto, e perciò si mise a correre più velocemente di Jay quando se la filava dopo un colpo; Emma si mise davanti
all’animale (se così si poteva definirlo) ma quello si girò nuovamente verso la
ragazza in fuga, come se fosse lei la sfortunata che meritava tutta la sua attenzione; la bestia ruggì
e si lanciò al suo all’inseguimento con la coda che tagliava l’aria col suo
pungiglione.
Mal non si voltò indietro neanche una volta, per
vedere se quel coso la stava ancora inseguendo, primo perché se lo avesse
guardato di nuovo si sarebbe messa ad urlare (cosa che non aveva mai fatto),
secondo perché continuava a sentire ruggire dietro di lei e, a meno che non ci
fosse qualcuno con il motore dell’auto
in
panne, doveva essere il leone-scorpione; a un certo punto, inciampò e cadde a
terra, si mise istintivamente sulla schiena, l’animale
l’aveva già raggiunta e la sovrastava con la sua enorme stazza, le ruggì contro
e lei sentì la pelle che stava per staccarsi dal resto del viso; la bestia
sguainò le zanne verso di lei ma non la morse, e prima che lei potesse
chiedersi il perché si sentì debole, senza forze, come se tutta la sua energia
vitale la stesse abbandonando … ed era proprio così, perché era quello che stava
facendo quel mostro, le stava letteralmente risucchiando ogni energia, la pelle
si sbiancava, gli occhi le si spegnevano, a stento riusciva a tenere gli occhi
aperti; Mal ormai pensava che fosse arrivata la fine; tutto sommato aveva avuto
una bella vita, breve ma bella. Però improvvisamente, il mostro venne accecato
da un raggio di luce che gli fece interrompere il ‘risucchio’, subito Mal si
sentì tornare almeno un po’ di energia, quel tanto che bastava per respirare e
per vedere Evie, Jay e Carlos dietro di lei, non era
mai stata così felice di vederli.
Evie aveva sguainato il suo specchio magico per
accecare quella cosa, non appena la aveva vista ridurre la sua migliore amica
in fantasma col lenzuolo afflosciato – “Stai lontano dalla mia amica!
Sottospecie di gatto sovradimensionato!” – gridò con tutto il fiato che aveva
in gola, per poi continuare con il suo raggio accecante, avvicinandosi a lenti
ma grandi passi al mostro, il quale, sotto la luce che gli colpiva gli occhi,
fu costretto a indietreggiare dalla sua preda, mentre goffamente cercava di
coprirsi il muso con le zampe e la coda. Approfittando della situazione i due
ragazzi presero Mal, un braccio a testa e la sollevarono da terra dato che lei
era troppo debole anche solo per camminare; Evie si girò solo un istante, per
vedere se Mal e gli altri fossero al sicuro, ma quell’istante le costò caro: il
mostro approfittò della sua distrazione, e la colpì violentemente con la coda,
facendole fare un volo di almeno 3 metri e atterrando su un’auto mandando in
frantumi il cofano. Evie sentì solo un gran ronzio nella testa, niente di più,
nemmeno le urla dei suoi amici che la chiamavano o tantomeno i ruggiti di
rabbia del mostro. La mora tentò di rialzarsi ma le braccia tremavano e non la
reggevano, cadde dal cofano della macchina e si ritrovò pancia a terra sulla
strada, alzò lo sguardo ancora con quel fischio nella testa, e vide davanti a
lei l’immagine sfuocato del leone-insetto che si avvicinava minacciosa, poi
l’immagine divenne solo un contorno indefinito, poi solo un’ombra, poi i suoi
occhi si chiusero e tutto fu buio.
Mal, Jay e Carlos persero
tutti un battito quando videro Evie venire sbalzata in aria come se fosse una
bambola di pezza; Mal in particolare stava per mettersi a correre in soccorso
dell’amica, se solo le gambe le avessero risposto, ma stava penzolando come un
manichino appeso alle spalle dei suoi amici. Ma sebbene tutti avrebbero voluto
correre ad aiutarla, nessuno sarebbe riuscito a raggiungerla prima che quella
cosa se ne accorgesse; il mostro aveva annusato l’aria ed era diventato più
euforico di prima, adesso non ce l’aveva più con Mal ma con Evie, la guardava
con lo stesso sguardo famelico con cui aveva fissato la figlia di Malefica poco
prima. Il mostro stava per avventarsi sulla sua nuova preda, per farle quello
che aveva fatto prima a Mal, ma venne fermato da una freccia che gli si
conficcò dritta in una delle zampe anteriori facendolo ruggire di dolore; a
fermare l’avanzate del bestione era stata una donna dai corti capelli color
cenere le cadevano delicatamente sul lato sinistro della fronte e gli occhi
castani come la corteccia di un albero antico, gli abiti non sembravano proprio
quelli di una cacciatrice, dato il leggero gilet color rosa sopra la maglietta
bianca e i pantaloni di jeans lunghi fino alle caviglie, ma la signora aveva
sulle spalle una faretra piena di frecce e ne aveva una incoccata in un arco
stile vecchia scuola; al fianco di lei c’era un uomo coi corti capelli marrone
chiaro con una leggera cresta, e dagli occhi celesti come il cielo sopra di
loro, lui aveva indosso un giubbottino di pelle scuro e sotto una maglia
azzurra un poco spento che faceva risaltare ulteriormente la colorazione della
pupille, anche lui indossava un paio di pantaloni scuri e reggeva una spada
nella mano destra, era di qualche centimetro più alto della donna e aveva un
fisico non proprio da palestrato ma era abbastanza robusto mentre la donna era
snella e dalla pelle chiara come la neve. I due affrontavano il mostro con la
coda da scorpione scagliando frecce e menando fendenti, il mostro rispondeva
con zampate e colpi di coda che facevano delle gran belle buche nella strada.
“Scappate!” – ordinò loro l’uomo mentre di abbassava per evitare di finire
decapitato da una zampata, i tre non se lo fecero ripetere due volte: Jay mollò Carlos a sostenere Mal da solo, e per poco non
cadde – “Mal, ti sei fatta prendere un po’ troppo dai dolci a Auradon” – fece il figlio di Crudelia,
il quale ricevette un’occhiata gelida dalla ragazza che gli fece accapponare la
pelle; Jay nel frattempo era corso a prelevare Evie,
la prese in braccio ancora priva di sensi e poi si girò e corse indietro
raggiungendo gli altri due. Mal era sollevata nel vederla più o meno in salvo,
ma lei si sentiva sempre più debole, non si reggeva più in piedi e gli occhi le
si facevano pesanti, come se non dormisse da giorni interi; Jay
e Carlos fecero del loro meglio per scappare con le due ragazze, purtroppo il
mostro si accorse della tentata fuga si lanciò nuovamente all’inseguimento
sbaragliando l’uomo e la donna con la coda con pungiglione. Probabilmente i
ragazzi sarebbero diventati la portata principale del menù, se fosse stato che
quando il mostro saltò per avventarsi sulla sue prede, venne colpito da un
colpo di luce bianca che lo fece volare via; era stata Emma che era arrivata da
un vicolo, al contrario delle fiamme di Mal che non avevano avuto nessun
effetto su quella cosa, la magia di Emma la fece volarecontro un muro, quello ruggì di rabbia ma ora
era circondato, Emma gli lanciò contro altri raggi di energia e l’altra donna
lo bersagliò con le frecce; il gatto gigante sembrò in difficoltà e menava
colpi di coda a casaccio per difendersi; alla fine il gattone ruggì ancora,
stavolta in maniera più forte e con più rabbia poi fece un balzo e si arrampicò
sul tetto di una casa, e sparì alla vista
dietro l’edificio;
sfortunatamente Mal aveva inteso quel ruggito spacca timpani come un avvertimento,
del tipo : “ci rivedremo, e mi pulirò i denti con la tua spina dorsale”. A questo punto, forse per scaricare tutte le emozioni o forse solo per
sfinimento, gli occhi di Mal si chiusero e si addormentò, più profondamente di
Aurora durante la maledizione di Malefica ma non per questo in un sonno più dolce.