Galeotto fu il vicino

di Caroline94
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Galeotto fu il serpente ***
Capitolo 2: *** Galeotto fu l'ascensore ***



Capitolo 1
*** Galeotto fu il serpente ***


Quando Sulfus era rientrato nel proprio appartamento, quel pomeriggio, non si aspettava certo di trovare il coperchio della vaschetta di Basilisco aperto e l’amato serpente sparito.
Ok, ora vi chiederete: perché una persona normale dovrebbe tenere un serpente in casa?
Semplice: lui non era una persona normale. Difatti, una persona normale non avrebbe mai passato mezz’ora a fare il cretino in giro per casa brandendo un topolino di gomma mentre chiamava soavemente il proprio caro, fedele, animaletto zannuto. Quando ebbe passato in rassegna ogni angolo dell’appartamento (compresa la tazza del cesso) decretò che Basilisco non era più in casa.
“Eh, vabbè, ripasso più tardi” sospirò, alzando le spalle, dirigendosi verso la cucina per farsi un panino con la mortadella. Sette secondi netti dopo sfrecciò fuori dal frigorifero con mezza fetta di formaggio tra i denti, scatafasciando l’appartamento per ritrovare Basilisco.
“Porca puttana, perché ho dovuto prendere un serpente? Perché non un criceto: i criceti non scappano!” sbraitò, alzando il divano “Se è uscito sono fottuto, tanto vale che cambio nazione!” continuò, mettendosi gattoni sotto il mobile delle porcellane “Ma no, pensiamo positivo, magari è solo qui da qualche parte che si fa un sonnellino… sì, deve essere così!” borbottò, strisciando sotto il letto. A parte qualche strato di polvere, lì dai tempi di Napoleone, della coda di Basilisco neanche l’ombra.
Ok, pensiamo positivo… pensò, steso a schiena in giù sotto il materasso, magari è solo in qualche angolo irraggiungibile e, forse, salterà fuori quando avrà fame. Si, deve essere così! Ti prego, fa che sia così!
Ma Sulfus era troppo intelligente per non capire che le sfighe non vengono mai da sole… ma con un’intera squadra di calcetto dietro. E fu proprio quando un sonoro, acuto, lungo, terrorizzato strillo gli fece gelare il sangue nelle vene che capì di essere definitivamente fottuto.
Si alzò di scatto, sbattendo la testa contro la rete del letto; reggendosi la fronte, e tirando giù qualche santo dal paradiso, attraversò il salotto a passo di carica e spalancò la porta che dava sul pianerottolo. Aveva appena gettato uno sguardo alla porta accanto alla sua, dove finiva il corridoio, che quella si spalancò ed una bionda da urlo completamente bagnata e mezza coperta da un asciugamano sfrecciò fuori dall’appartamento, strillando come un’ossessa. Il ragazzo dovette afferrarla per le braccia per impedirle di gettarsi dalle scale, e fu fortunato che fosse troppo scossa per fare qualsiasi altra cosa altrimenti avrebbe potuto tranquillamente denunciarlo per tentata molestia sessuale.
“Ehi, calmati!” esclamò, vedendola pallida e tremante “Che è successo?”
“U-un serpente…” balbettò la ragazza “C’è un serpente nel mio bagno!” esclamò, indicando la porta da cui era appena uscita. Sulfus vi gettò solo un’occhiata, prima di sbarrare gli occhi.
“Basilisco!” esclamò, tuffandosi nell’appartamento.
“Cosa?!” gli urlò dietro la ragazza, ma lui era già sparito nell’ingresso buio dell’appartamento. Era la prima volta che entrava lì, quindi faticò ad orientarsi, ma gli bastò seguire la scia d’acqua che si era lasciata dietro lei per trovare il bagno. La stanza era piena di vapore, un forte profumo di cocco e vaniglia impregnava l’aria e, nella doccia aperta, l’acqua continuava a scorrere testimone della fretta con cui la sua proprietaria l’aveva lasciata. Proprio al centro del piatto di ceramica, comodamente attorcigliato su sé stesso che si godeva il tepore dell’acqua, vi era Basilisco: il suo serpente corallo.
Il ragazzo incrociò le braccia al petto e guardò l’animale con aria di sufficienza; per tutta risposta lui inclinò la testa di lato.
“Sei un pervertito” decretò Sulfus. Il serpente sibilò. Scuotendo la testa, lui allungò un braccio per chiudere l’acqua e s’inginocchiò davanti l’animale. “Dai, muoviti” ordinò, porgendogli il braccio sul quale il serpente si arrampicò. “Ah! Sei tutto bagnato!” si lamentò, sentendo il corpo viscido e umido del serpente sulla propria pelle.
“Quel coso è tuo?!” esclamò una voce femminile. Sulfus sussultò e si alzò, sbattendo la testa contro il portello della doccia. Imprecando a denti stretti, e massaggiandosi il capo, si voltò verso la ragazza.
“Ehm… se dico di sì mi denunci?” domandò, dopo un attimo di silenzio. Lei fece scattare in aria un sopracciglio.
“Non dovrei?” rispose lei, tagliente.
“Eh… ma dai, Basilisco è innocuo!” esclamò “Il suo veleno non è pericoloso e poi è addomesticato” aggiunse, convinto “Guardalo!” insistette, indicando il rettile comodamente attorcigliato al suo avambraccio. La ragazza lo guardò scettica.
“E come ci sarebbe finito nella mia doccia?” chiese, in un sibilo, incrociando le braccia al petto.
“Beh… è probabile che io non abbia chiuso bene il coperchio della sua vaschetta, prima di uscire” spiegò, vagamente “E poi non ti avrebbe fatto nulla, a lui piace l’acqua calda perché è un animale a sangue freddo: voleva solo starsene un pò nella doccia…” tentò di spiegare. Il serpente sibilò “Ma non gli piace il profumo del tuo bagnoschiuma: lui detesta il cocco” aggiunse.
Lei fece scattare in aria un sopracciglio: “Oh, quindi vuoi farmi credere che lo capisci?” chiese, retorica.
“Noi due ci comprendiamo molto meglio di quello che credi” rispose lui.
“Immagino che tra simili ci si intenda” commentò lei.
“Già” rispose lui, sorvolando sul fatto che gli avesse dato dell’animale. Scesero due secondi di silenzio, in cui i due si guardarono a disagio, finché Sulfus non si schiarì la gola.
“Allora… bel bagno” buttò lì.
“Fuori da casa mia” rispose lei, impassibile.
“Subito!” acconsentì lui, uscendo più velocemente che poteva.
Quando si chiuse la porta dell’appartamento alle spalle si ricordò di un dettaglio sfuggitogli a causa degli eventi: la sua vicina di casa era una donna di mezza età con qualche rotella fuori posto, non un avvenente bionda che stava per denunciarlo. Gettò un’occhiata al campanello e fece scattare in aria un sopracciglio: e poi chi cavolo era Raf Cherubini?
 
 
 
 
 
Tantantantaaaaan!
Ed eccomi qui, riapprodata sul fandom, stavolta con una raccolta! Ok, parto col dire che ci sarà demenzialità massima in queste fic (flash o one shot che siano, potrebbe scapparci anche una drabble).
Come se la caveranno i nostri eroi a condividere il pianerottolo? Sboccerà l’amore? O uno dei due verrà trovato morto nel proprio letto (non pensate cose sconce :v)?
Lo scoprirete solo continuando questo delirio, noi ci vediamo alla prossima puntata: qui con Caroline, qui… su EFP!
Ciao!

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Capitolo 2
*** Galeotto fu l'ascensore ***


Se c’era una cosa che Raf odiava erano le scale, soprattutto quando aveva tra le mani due buste della spesa grosse quanto le ruote di un camion. Per questo aveva fatto salti di gioia quando aveva scoperto che il condominio in cui sarebbe andata ad abitare era provvisto di ascensore.
Certo, uno si aspetta che l’ascensore però funzioni.
Insomma, quando arrivò davanti le porte e lesse la scritta GUASTO, la sua reazione fu più o meno un disperato: “Ma no!”
Altra cosa peggiore? Che abitava al terzo piano, quindi sei rampe di scale a piedi. Settantadue gradini con quelle palle di ferro tra le mani.
“Grazie, Universo!” sbottò, rivolta al soffitto. Guardò le scale con disperazione infine, arresa, sospirò e cominciò la scalata: stare lì a guardarle non l’avrebbe fatta salire più in fretta.
Aveva appena superato la prima rampa di scale quando udì delle imprecazioni abbastanza colorite venire dal piano di sotto da una voce che lei era sicura di conoscere, anche se in quel momento non la riusciva ad afferrare.
“Non me ne frega un cazzo delle tue scuse, voglio quei fascicoli entro stasera o giuro che è la volta buona che ti faccio ingoiare quel dannato palmare!” sbraitò la voce, senza dubbio di un ragazzo “E dì a quella troia della tua segretaria che se non la smette di infilarsi i documenti dove sa lei per fare i suoi dannati giochini l’unica cosa che si ritroverà nel sedere saranno i miei piedi quando la sbatterò fuori a calci in culo!” esclamò, poi scese qualche secondo di silenzio “Oh, fantastico pure l’ascensore rotto ci mancava!” imprecazioni in sottofondo accompagnarono i passi che salivano agilmente i gradini delle scale e, dopo pochi secondi, un ragazzo dalla folta chioma blu e l’espressione incazzata fece la sua apparizione davanti agli occhi allibiti della ragazza che non sapeva se scandalizzarsi, indignarsi o stupirsi. Il ragazzo si fermò sull’ultimo gradino della rampa di scale e la guardò, stupito, e fu allora che Raf lo riconobbe: il maniaco col serpente!*
“Ehi… tu sei la tizia che ha scandalizzato Basilisco!” esclamò lui. Raf fece scattare in aria un sopracciglio.
Io avrei scandalizzato lui?!” sbottò, indignata “Semmai è lui che ha scandalizzato me!”
Il ragazzo scrollò le spalle “Dettagli” rispose, agitando una mano con noncuranza, per raggiungerla sul pianerottolo.
“Hai invitato una squadra di calcio a cena?” chiese, squadrando le buste.
“No” rispose lei, asciutta “E non sono affari tuoi!” aggiunse, altezzosa.
“Dai, ti do una mano” rispose lui, come se non l’avesse nemmeno sentita, e le tolse le buste di mano senza neanche darle il tempo di replicare. Raf lo guardò allibita salire le scale con nonchalance, prima di riscuotersi.
“Ehi! Dove vai!” esclamò, correndogli dietro “Guarda che il gelato non te lo offro!”
 
Ci vollero pochi secondi perché Raf trovasse le chiavi nella borsa, e dieci minuti perché aprisse la porta. Imprecando sottovoce armeggiò con la serratura nel tentativo di spalancarla mentre il maniaco era in fondo al pianerottolo ad imprecare contro qualche povero malcapitato.
“Da-nnata-porta!” sbottò la ragazza, rigirando per la settima volta la chiave nella toppa.
“Oh, certo, quindi adesso vuole uscirsene con un offertuccia di poco conto, eh?” chiese il ragazzo, sarcastico, avvicinandosi a lei a grandi passi sempre concentrato nella conversazione “Beh, puoi dirgli che può ficcarsi il suo contratto dove non batte il sole perché ero stato chiaro: non scendo oltre trentamila!” scandì, piazzandosi alle spalle della ragazza e battendo un colpo allo stipite, facendola sobbalzare “Pensi quello che vuole, non saremo noi a rimetterci” aggiunse, girando la chiave: come per incanto l’uscio si aprì sotto lo sguardo indecifrabile della padrona, che lo vide prendere le proprie buste della spesa e portarle nell’appartamento senza staccarsi dal cellulare. “Certo che tornerà da noi strisciando: ho mai sbagliato, io?”
Raf sbatté le palpebre un paio di volte, poi guardò la porta e di nuovo il ragazzo.
“Se non gli sta bene sarò lieto di fare due chiacchiere con lui in privato” concluse, chiudendo la chiamata e gettando il telefono sull’isola di marmo al centro della cucina prima di posarci le buste. Sospirò portandosi le mani ai fianchi e si voltò a guardare la ragazza ancora sulla porta.
“Beh? Devi avere il permesso?” chiese, con un sopracciglio alzato. La ragazza si riscosse.
“Come… come hai fatto?” domandò lei, indicando la porta. Il ragazzo alzò le spalle.
“La serratura è piegata da anni: la vecchia proprietaria non l’ha mai fatta aggiustare perché diceva che era utile contro i ladri” spiegò, aprendo le buste e rovesciando il contenuto sul ripiano “Gliel’ho visto fare tante di quelle volte da quando abito qui: devi dare un colpo deciso sullo stipite per smuoverla”.
La ragazza guardò un’ultima volta la porta poi la chiuse ed entrò, posando la borsa sul divano.
“Ma prego, fa come se fossi a casa a tua” invitò, indifferente, togliendosi la giacca.
“Lo sto già facendo, grazie” rispose lui, piegando accuratamente le buste ormai vuote “Quando ti sei trasferita qui?” chiese.
“L‘ho affittata due mesi fa” rispose lei, raggiungendolo “Ma ci sono venuta ad abitare solo tre settimane fa. Era la prima notte che dormivo qui la sera che il tuo serpente è venuto a trovarmi” aggiunse, prendendo i sacchetti di mozzarella dal ripiano per metterli in frigorifero.
“Avrà voluto darti il benvenuto” buttò lì, lui.
“Avrei preferito una crostata” commentò la ragazza, con la testa nel freezer. Lui lasciò vagare lo sguardo sul tavolo e prese una busta colorata da sotto una scatola di caffè. “E non mangiare i miei marshmallows!” aggiunse, una volta alzatasi, vedendolo col pacco di dolci in mano e mezzo marshmallow in bocca.
“Shcusa” bofonchiò lui, anche se continuò a mangiarli lo stesso “Comunque mi chiamo Sulfus, abito qui accanto” aggiunse.
“Raf” rispose semplicemente lei, continuando a mettere a posto la spesa.
“Lavori?”
“Studio” fu la risposta, dal fondo di un ripiano della cucina “Frequento un corso d’arte alla Golden School. Tu?” chiese, riemergendo dal mobile.
“Porto avanti l’azienda di famiglia: il vecchio sta tirando le cuoia” scrollò le spalle Sulfus.
Raf si fermò un momento a guardarlo: “Non c’è un buon rapporto, tra voi?” chiese. Il ragazzo smise di masticare, apparentemente concentrato sullo scontrino delle mele dall’aria molto interessante, esitando a rispondere.
“No… insomma, per quel che ricordo… direi di no…” mormorò, poi si drizzò di scatto abbandonando i marshmallows sul ripiano come se ardessero. “Si è fatto tardi, devo andare” informò, a disagio, afferrando il cellulare.
“Oh… ehm, si… grazie per l’aiuto” rispose lei, colta alla sprovvista da quell’improvviso cambio di umore. Sulfus fece un cenno con la mano per minimizzare la cosa poi, senza neanche salutare o aspettare un saluto, uscì così come era entrato.
 
 
 
 
*vedere capitolo 1

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