At The Beginning

di nanamiart
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** One. ***
Capitolo 2: *** Two. ***
Capitolo 3: *** Three. ***



Capitolo 1
*** One. ***


One.
 




“Sarà, Eren, ma questo travestimento non mi convince affatto.”

“Ma cosa stai dicendo, Armin? Sembri la mia fidanzata, sei perfetto!”

Armin gli lanciò uno sguardo truce, per poi togliersi gli occhiali da sole ed accertarsi che il mascara non fosse scolato per via del caldo. “Accidenti a te,” si lamentò, sistemandosi la coda.

“Sei bellissima,” gli sussurrò Eren, schioccandogli un bacio sulla guancia, per poi scoppiare a ridere subito dopo.

 “Non farlo mai più!” esclamò il biondo, pulendosi la guancia con la mano come se Eren l’avesse infettato. “Mannaggia a me, ma chi me l’ha fatto fare di essere amico di un idol?”

Eren rise di cuore, coprendosi la testa con il cappuccio. Indossò anche lui gli occhiali da sole scuri e si accese una sigaretta. “Coraggio, se mi fai questo piccolo favore, ti giuro che avrai il ruolo di protagonista del mio nuovo video.”

E non ci fu più bisogno di aggiungere altro. Il luccichio negli occhi azzurri di Armin fu abbastanza perché Eren sapesse di aver convinto il suo migliore amico a coprirlo anche in quell’occasione.
 


***


“Odio questi collant. Fa caldissimo e mi sento soffocare” si lamentò Armin, quando dopo un’ora
Eren non si era ancora deciso a tornare nella stanza d’albergo. “E poi spiegami perché tu indossi solo quel berretto e quegli occhiali da sole. Come sai che le tue fan non ti riconosceranno così?”

“Anche se dovessero riconoscermi,” cominciò Eren guardando alle loro spalle. “Laggiù ci sono Mike e Hanji. Sono le mie guardie del corpo, ci pensano loro a proteggermi e a salvarmi.”

“Sei un irresponsabile.”

“Oh, sì,” Eren ridacchiò, per poi mettersi le mani in tasca e continuare la sua passeggiata in centro con Armin.

Era arrivato a Tokyo all’alba, in vista del concerto di quella sera.

Ogni volta che arrivava in una nuova città per uno dei suoi spettacoli, era sua abitudine trascorrere l’intera giornata in centro a fare compere o semplicemente farsi un giro accompagnato da un occasionale compagno travestito nel più bizzarro dei modi.

Per la tappa di Tokyo il malcapitato fu il suo migliore amico, Armin Arlert, che fu costretto a travestirsi da fidanzata per accompagnarlo nella capitale giapponese.

Quest’ultimo trovava assurdo come ad Eren bastassero solo un cappellino e un paio di occhiali da sole per essere irriconoscibile, mentre a lui era toccato agghindarsi come un albero di Natale, rinunciare alla propria dignità e sentirsi totalmente a disagio.

Era da poco scoccato mezzogiorno quando il cellulare di Eren (quello privato, il telefono del lavoro lo aveva “dimenticato” in albergo) squillò.

I due ragazzi si lanciarono uno sguardo complice perché entrambi sapevano chi fosse l’unica persona capace di cercare Eren all’ora di pranzo.

“Pronto, Levi?”

Dove cazzo sei?”

“Ciao angelo mio, è sempre piacevole sentire la tua voce.”

“Non farmi incazzare, Jaeger! Tra un quarto d’ora hai un appuntamento con la Teen Pop Radio, te ne
sei dimenticato? Accidenti, sono il tuo manager, non tua madre. Vedi di essere qui entro subito o ne pagherai le conseguenze. E tu sai di cosa sono capace.

Eren deglutì. “Va bene, va bene. Arriviamo subito in albergo. Che strazio.” Commentò infine, allontanando il cellulare dall’orecchio.

“Ti ho sentito,” la voce del manager tuonò di nuovo dall’altra parte dell’apparecchio.

“Cazzo, Levi. Sei un’ansia. Arrivo.”



***



“Ma come diavolo ti sei conciato? Ci sono 40 gradi all’ombra e tu metti il berretto?” sbottò indignato Levi quando vide finalmente il ragazzo raggiungerlo all’ingresso dell’albergo.

“Perché, non ti piaccio così?”

“No, moccioso. Tu non mi piaci mai.”



***

 
Quando Eren e Levi giunsero negli studi della Teen Pop Radio vennero subito accolti da una stagista bassina e minuta, con una t-shirt nera ed un piercing sul sopracciglio sinistro. Reggeva delle cartelle tra le braccia e un paio di enormi cuffie avvolgeva la sua testa.

“Benvenuto, Eren!” esclamò, tendendo la mano per salutare la giovane popstar. Lui la strinse subito, sfoderando il più grande dei suoi sorrisi. “Io sono Petra. Se vuoi seguirmi, ti porto nella stanza dove tra poco sarai intervistato. Oh, può venire anche lei, signor Ackerman,” aggiunse infine, sporgendosi oltre la testa di Eren per osservare il manager che se ne stava a debita distanza, con le braccia incrociate.

Quando Eren cominciò a camminare, Levi si limitò a seguirlo.

Giunti nella cosiddetta “stanza dell’intervista” il ragazzo venne calorosamente salutato da Ray e AJ, due giornalisti molto famosi tra le lettrici di riviste gossip.

“È un piacere averti qui, Eren!”, “Sei bello proprio come in tv!” esclamavano, riempiendo il ragazzo di complimenti ma, nonostante fosse ormai del tutto abituato a quel genere di convenevoli, non riusciva a non arrossire imbarazzato quando gli capitavano situazioni simili. “Siediti qui!” esclamò Ray, trascinando lo sgabello più vicino e ponendolo di fronte a sé.

Eren annuì e si accomodò, lanciando una fugace occhiata a Levi. Petra si era posta accanto a lui.

“Allora, Eren! Finalmente sei a Tokyo! Hai già visitato la città? Sei stato assalito dalle fan?”

Eren rise, si grattò la nuca in modo imbarazzato e si schiarì la voce prima di rispondere. “Sono arrivato all’alba ma ero così elettrizzato da non riuscire a dormire. Così ho costretto il mio amico Armin a venire in giro con me e abbiamo visto davvero di tutto! Questa città è davvero fantastica, così come le persone che ci vivono!”

AJ annotò la risposta del ragazzo sul suo taccuino, mentre Ray esclamava entusiasta quanto tutto ciò fosse bello.

“E dimmi ancora, Eren,” riprese dopo pochi secondi. “Scommetto che siamo tutti curiosi di sapere di più di te. Dicci un tuo pregio ed un tuo difetto.”

Eren dovette riflettere un attimo prima di rispondere. Lanciò un fugace sguardo a Levi, che gli mimò con lo sguardo di non dire assolutamente qualcosa come ‘la bellezza è il lato migliore di me!’.

“Beh, ad essere onesto,” cominciò il ragazzo, con un tono di voce talmente serio da sorprendere persino il suo manager. “Credo che il mio più grande pregio e difetto coincidano. Sono una persona che si lega davvero molto molto facilmente alle persone, ma i miei genitori sono quelli a cui tengo di più.”

“I tuoi genitori, che cosa dolce!” Eren pensava che Ray stesse per cambiare domanda, ma il suo sguardo mutò quando il giornalista riprese da quello stesso punto. “E dimmi, c’è uno dei due a cui sei affezionato di più?”

Il sorriso di Eren scemò lentamente. “Eh...?”

“Voglio dire, so che tuo padre se ne andò di casa quando eri molto piccolo. Che rapporto hai con lui?”

Eren non sorrideva più, mentre la curva delle labbra di Ray si accentuava sempre di più verso l’alto.

“Beh, ecco, io…”

“Non sentirti in imbarazzo. È una semplice domanda.”

“No, no… io…”

“Sei tra amici.”

“Sa… è che…”

Basta così!” tuonò qualcuno, strappando in malo modo il piccolo microfono attaccato al colletto di Eren. “Questa cosa finisce qui,” sentenziò Levi, tirando su il ragazzo per la camicia e costringendolo ad alzarsi.

Nessuno fiatò quando lo sguardo truce di Levi si posò su ognuno dei presenti, finché non uscì dalla stanza.

Eren rimase in silenzio per tutto il tempo che lui e il suo manager rimasero all’interno degli studi.

Percorsero il corridoio centrale, la sala dove erano stati accolti da Petra, l’ingresso e finalmente il parcheggio dove Levi aveva lasciato la sua berlina nera.

“Stai bene?” domandò il manager, una volta saliti in macchina.

“Sì… grazie.”

“Non pensare a cose strane. L’ho fatto perché è il mio lavoro. Stasera hai un concerto importante e devi essere al massimo delle forze. Non posso di certo permettere che un imbecille del genere comprometta la tua carriera.”

“Sì, lo so, ma… grazie lo stesso.”

Levi non rispose, ma Eren giurò di aver visto un sorriso sul suo volto, prima di mettere in moto l’auto.


***


“Perché mi hai portato in questo posto, Levi?”

Eren si guardò attorno, ammirando il magnifico panorama che la terrazza del ristorante italiano offriva. C’erano solo loro.

Il manager si giustificò dicendo che, standosene da soli, nessun fan o paparazzo li avrebbe assaliti.

Almeno, non durante il pranzo.

Eren aveva sorriso, felice di aver un attimo di pausa dalla città, dalla fama, dal mondo, con una persona di cui si fidava ciecamente.



***



Eren ordinò un piatto di pasta con sugo di pomodoro e basilico, Levi una bistecca con l’insalata.

Fu quando il ragazzo prese il ketchup che il manager inorridì.

“Eren?” lo chiamò.

“Che c’è?” le mani dell’altro si bloccarono a mezz’aria.

“Che diavolo stai facendo? Ho capito che sei mezzo americano, ma mettendo il ketchup sulla pasta rischi la pena di morte, sai? E per guadagnare mi servi vivo, quindi fermati.”

Le dita di Levi afferrarono la bustina con la salsa rossa all’interno, ma nel farlo sfiorarono la pelle accaldata di Eren.

Il manager giurò che fosse stata solo una sua impressione, ma gli parve di aver sentito il ragazzo sussultare a quel tocco.

Ma, a pensarci bene, non ce n’era motivo. Si conoscevano entrambi da troppo tempo e sapevano entrambi troppe cose l’uno dell’altro per farsi venire strane idee.

Idee come quella, idee del tutto sbagliate e irreali.

“Ascoltami, Eren,” sbottò dopo qualche secondo, intrecciando le dita sotto il mento. “Avrai capito che non ti ho portato qui solo per mangiare."

​"Sì, l'avevo capito," confermò Eren, tra una forchettata di pasta e l'altra.

​"Vedi, in realtà… c'è una cosa che dovrei dirti.”






​Spazio Autrice

​Buonasera :3 per prima cosa ci tengo a puntualizzare che questa non sarà una long. Avrà al massimo due o tre capitoli, e cercherò di pubblicarne almeno uno alla settimana, lo prometto solennemente!
​Avevo pensato di aspettare il termine della maturità per pubblicarlo ma... no. Non sono in grado di fare una cosa del genere. Non quando una storia mi prende così tanto e non quando mi diverto così a scriverla.
​Perché sì, Eren in veste di idol e Levi come suo manager sono qualcosa di cui mai e poi mai nella vita avrei pensato di scrivere. E invece eccomi qui.
​Niente, ho deciso di spezzare in quel punto il primo capitolo perché temevo uscisse qualcosa di troppo lungo e noioso da portare a termine, quindi ho preferito tagliare per poi riprendere dalla "misteriosa confessione" di Levi nel secondo capitolo.
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, un bacione!
​morgainedelilth.
 
 
 
 
 

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Capitolo 2
*** Two. ***


Two.
 




Eren chiamò un taxi per ritornare in albergo, dopo pranzo.

Domandò a Hanji e Mike di sorvegliare la porta della sua stanza e di non far entrare nessuno.

Senza eccezioni.

Rapidamente si liberò della t-shirt e dei pantaloncini. Si diresse verso il bagno e strada facendo si levò calze e scarpe da ginnastica, sfilò i boxer e, senza nemmeno lasciare che la temperatura dell’acqua si facesse più calda, si buttò sotto la doccia.

Chiuse gli occhi e cercò di ripercorrere l’ora appena trascorsa, sperando di capire per quale motivo fosse così arrabbiato.

Non se l’era mai presa davvero per colpa di Levi, mai, ma questo non vuol dire che non gli avesse mai dato motivo di infastidirsi.

Lo insultava continuamente affibbiandogli i nomi più insopportabili, come “moccioso”, “ragazzino”, “piaga” e molto altri termini più variopinti.

Tuttavia era sempre andato oltre, perché da un lato ci era abituato e dall’altro lo facevano ridere, in qualche modo, e rendevano unica la personalità burberissima del suo manager.

Ma non quella volta, perché di una cosa Eren era certo, ovvero di potersi fidare ciecamente di quattro persone: Armin, Hanji, Mike e Levi, nonostante il suo carattere insopportabile.

Invece quel pomeriggio, a pranzo, Eren si era sentito tradito da una di quelle persone in cui credeva di più.

Non che avesse un vero motivo per considerarlo un tradimento, Levi non gli aveva mai giurato che sarebbe rimasto con lui per sempre e d’altra parte sapeva che quel suo prendersi cura di lui era dopotutto un lavoro.


“Ho ricevuto un’offerta di lavoro a Yokohama,” gli aveva detto Levi. “Ed è perché non voglio mentirti che ti dico che la sto seriamente valutando. Ma ho pensato di parlarne con te, prima di prendere qualsiasi decisione. Alla fine il tuo lavoro è strettamente legato al mio, quindi è giusto che anche tu ne sia informato.”

E, a pensarci bene, Levi aveva tutto il diritto di farlo. Era la sua rabbia, a dire il vero, quella a non essere giustificata.

Eppure non riusciva a calmarsi e più ci pensava più gli veniva voglia di andare da Levi e urlargli contro quanto l’avesse deluso.

Senza contare che fino a un’ora prima gli aveva rifilato la cazzata del “devo farti arrivare al concerto in ottima forma, è questo il mio dovere” e poi gli aveva dato un’ulteriore batosta subito dopo. La coerenza, Levi, pensò Eren, è la coerenza che ti manca.

Fece pressione sulla leva di fronte a sé e il getto d’acqua si bloccò. Uscì dalla doccia e, indossando solamente un asciugamano attorno alla vita, si lasciò cadere contro il materasso.

“Vaffanculo, Levi,” sussurrò, prima di chiudere gli occhi.



***



Eren

Era buio. Totalmente buio. Era tutto così nero che gli sembrò che i colori non fossero mai esistiti.

Eren.

E poi eccola. Proprio lì, in mezzo al vuoto totale, una luce. Scintillava in solitudine e sembrava che nessuno potesse avvicinarla. Ma questo non gli importò; provò a fare un passo in avanti e tese la mano.

Eren…

La luce smise di splendere e impercettibilmente cominciò a prendere forma. Ad Eren fu sufficiente una manciata di secondi per fare mente locale.
 
 
Levi…

“SVEGLIATI, EREN!”

Gli occhi di Eren si spalancarono ma la luce era scomparsa.

Era di nuovo a Tokyo, nella stessa stanza d’albergo in cui si era addormentato qualche ora prima.

“Lo sai che ore sono?”

“Eh?”

“Sono le 18, Eren. Le 18. E non hai ancora fatto le prove.”

Eren si passò rapidamente le mani sul viso, cercando di dare un senso al fiume di parole di Hanji.

“Perché non è venuto Levi a svegliarmi?” fu tutto ciò che riuscì a dire dopo alcuni secondi, mettendosi seduto.

Lei sospirò. “Hai chiesto di non fare entrare nessuno, così quando Levi è venuto in albergo a cercarti gliel’ho detto.”

“E lui?”

“Ha annuito ed è andato via. Non so dove sia ora, ma ho capito che dev’essere successo qualcosa tra di voi se non ha aperto la porta con un calcio per insultarti.” Hanji si mise seduta ai piedi del letto, proprio accanto ad Eren.

“No, non è successo nulla,” il ragazzo si alzò, dirigendosi verso il bagno. “Scusami se mi sono svegliato tardi.

Ora mi vesto e vado al palazzetto per le prove.”

Hanji annuì, poco convinta, e uscì dalla stanza per permettere a Eren di cambiarsi in santa pace. Si chiuse la porta alle spalle, per poi guardare Mike con fare serio.

Levi deve averglielo detto.



***



Eren non si sorprese più di tanto quando vide che Levi era già in sala prove assieme alla band che avrebbe accompagnato la sua esibizione quella sera.

Impeccabilmente elegante come al solito, imperturbabile, niente sembrava poterlo scalfire.

I suoi occhi grigi incontrarono per un attimo quelli di Eren, che invece non riuscì a reggere e distolse subito lo sguardo.

“Sei in ritardo,” commentò il manager, dando un’occhiata all’orologio attorno al polso.

“Lo so,” Eren si liberò della giacca, gli occhi fissi a terra. Continuò solo dopo qualche attimo e Levi si domandò se stesse valutando se insultarlo o meno. “Scusami. Mi sono addormentato.”

Levi aggrottò le sopracciglia. A quanto pare Eren aveva scelto di non dargli alcuna colpa.

Dunque non ce l’aveva con lui?

Ma allora… perché non riusciva ancora a guardarlo negli occhi?

Dov’era finito quel ragazzo che, con spavalderia, solo quella mattina l’aveva chiamato “angelo mio”, uno “strazio” e “un’ansia”? Quello che gli faceva le battute spinte quando lo vedeva arrivare a lavoro, quello che gli preparava il caffè quando era di cattivo umore, quello che aveva dedicato una canzone a sua madre Kuchel quando Levi l’aveva persa per malattia, e aveva accettato (pur con gli occhi lucidi) di cantarla al funerale quando il manager gliel’aveva chiesto?

 
 

Eren non disse più nulla dopo quel breve scambio di battute e Levi non indugiò oltre.

Si limitò ad appoggiarsi alla parete con le braccia incrociate, rilassando la sua espressione corrucciata quando
Eren prese in mano il microfono e cominciò a cantare.

Quello di Eren non era assolutamente il suo genere, ma ne era stato sicuro quando aveva accettato di diventare il suo manager e ne era ancora più convinto adesso che erano passati diversi anni e l’aveva visto maturare sia come persona che come artista: quel ragazzo aveva davvero talento e avrebbe fatto molta strada, con o senza di lui.
 
“I never thought that you would be the one to hold my heart, but you came around and knocked me off the ground from the start,” cantò Eren, per poi posare un istante gli occhi sul suo manager. Levi si era distratto per qualche secondo, immerso com’era nei suoi pensieri, ma il testo di quella canzone (un “inedito”, aveva annunciato Eren poco prima di afferrare la sua chitarra) l’aveva rapidamente riportato alla realtà. “You put your arms around me and I believe that it’s easier for you to let me go. You put your arms around me, and I’m home.”*
 
“It’s easier for you to let me go,” sussurrò Levi, tra sé e sé. “È più facile per te lasciarmi andare, eh?”
Il manager strinse i pugni. Si avvicinò alla porta e, quando Hanji gli rivolse uno sguardo interrogativo, si limitò a giustificarsi con “Vado a fumare, torno subito.”

Dannato moccioso.




***



 
Fu quando Eren vide Levi lasciare la stanza che improvvisamente capì il perché del suo malessere e fu piuttosto sollevato nello scoprire che il motivo per cui ce l’aveva tanto con lui non era l’offerta di lavoro, ma la ragione era molto più profonda… più intima, in un certo senso.

Aveva scritto quella canzone un paio di giorni prima di partire per Tokyo, e aveva buttato giù testo e melodia nel giro di tre ore. Un record, non gli era mai successo prima.

Ricordava che, mentre la sua mano scorreva sulle pagine del taccuino, l’immagine del suo manager aveva preso forma nella sua mente e non era stato in grado di spiegarsene il motivo.

Fu però consapevole di pensare a lui quando scrisse la frase “I believe that it’s easier for you to let me go”, perché era quello che credeva e, dall’altro lato, temeva.

Levi era un uomo grande e quello che faceva per lui era pur sempre parte del suo lavoro.

Niente gli impediva di andarsene, e per quanto Eren non l’avesse ancora ammesso ad alta voce, aveva impiegato in quella frase (e nelle parole che susseguirono nella canzone) la grande speranza che non lo facesse e quel dubbio profondo che allo stesso tempo lo faceva rabbrividire.

Quel giorno, a pranzo, Levi aveva dato vita alla sua paura ed Eren l’aveva odiato per non avergli dimostrato di essersi sbagliato.

Non aveva mai desiderato tanto di essere in errore.
 


***



Fu alle 19.30 che, concluse le prove, Eren domandò di rimanere solo nella stanza per rivedere alcuni dettagli prima dell’esibizione.

C’erano alcune frasi nella nuova canzone che doveva assolutamente cambiare, dopo aver capito quelle cose su se stesso e Levi.

Doveva fare quell’ultimo tentativo, per impedirgli di cambiare lavoro e rendere assolutamente più difficile lasciarlo andare.
 



***


 
“Bene. È perfetta.”

Eren ridiede una lettura veloce al testo, posò la pena accanto al taccuino, lo chiuse, lo rimise nella borsa e si alzò per andare a prepararsi.

Mancava mezz’ora al concerto.
 



 








…to be continued
 
 
 
 
 
­____________________________________________________________________________________________________

*”I never… home.” = “Non avrei mai pensato che saresti stato tu a tenere il mio cuore, ma sei arrivato e mi hai messo a terra fin dal principio. Tu metti le tue braccia attorno a me e credo che sia più facile per te lasciarmi andare. Tu metti le tue braccia attorno a me, e mi sento a casa.”
È una parte della canzone “Arms” di Christina Perri.
 


​Spazio Autrice
​Oggi non era nei miei programmi scrivere, lo giuro. 
​Ma quei bastardi dei produttori hanno fatto uscire una nuova immagine ufficiale Ereri e niente, ho sentito il bisogno di sfogare i miei feels e parlare di questi due.
​Nonostante la canzone non sia proprio del mio genere (sono un po' come Levi) ho trovato il testo bellissimo e perfetto per la situazione tra l'Eren cantante e il Levi manager che valuta di cambiare lavoro.
​Niente, scappo lasciandovi qui sotto l'immagine che ha causato questo capitolo in anticipo.
​Bacioni :3

morgainedelilth.




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Capitolo 3
*** Three. ***


Three.
 






“Eren, non ti agitare, d’accordo?”

La voce di Carla, dall’altra parte del telefono, suonava dolce e tranquilla. Per questo Eren le telefonava prima di ogni concerto: lei sapeva come calmarlo, sapeva quali parole dovesse usare con lui per farlo sentire a suo agio e non sbagliava mai, non importava se lui fosse sul punto di piangere.

“Sì, mamma, non ti preoccupare. Sto benissimo.”

“Ricordati in ogni momento che io sono orgogliosa di te. Sei arrivato in alto, Eren. Sei la mia gioia.

Ed Eren dedicò a lei il sorriso con cui salì sul palco, dimenticando, forse, anche per un solo istante, di non aver ancora visto Levi in giro nei camerini.

“Non andartene…” sussurrò. “Ti prego, non andartene.”



***



Il ragazzo venne accolto da grida, applausi e fischi, mentre la luce dei riflettori si adagiava sul suo corpo abbronzato e semiscoperto da una canottiera nera molto larga.

Eren mostrò il più grande dei suoi sorrisi verso le migliaia di fan che quella sera erano lì solo per lui, ognuna con un cartellone o almeno un accessorio che lo riguardassero.

Ricordava perfettamente la prima volta in cui aveva cantato in pubblico. Aveva otto anni, ed era la recita della scuola. All’epoca c’erano solo un centinaio di persone a vederlo, ma lui sentiva ancora l’agitazione di quel giorno, il brivido di prendere in mano il microfono, la sua voce che echeggiava per l’intero auditorium.

“Da grande voglio fare il cantante!” aveva annunciato a sua madre, una volta salito in macchina dopo lo spettacolo. Carla gli aveva sorriso e, incoraggiante, gli aveva detto che sicuramente ce l’avrebbe fatta e che lei gli sarebbe sempre stata accanto.
 
 



Ora, dodici anni dopo, era a Tokyo ad uno dei concerti più importanti della sua carriera, di fronte ad un intero stadio pieno di fan che avevano pagato un costosissimo biglietto solo per vedere lui.

Scosse la mano in aria per salutare l’immensa folla mentre si avvicinava al microfono, al centro del palco.

“Buonasera, Tokyo!” esclamò, gioioso. I suoi occhi verdi si illuminarono. “State tutti bene?!”

Eren fece una rapida introduzione dove spiegò quanto fosse felice di trovarsi lì quella sera, di quanto la città fosse stupenda (ma assolutamente non paragonabile alla bellezza di tutte le ragazze lì presenti) e di quanto sperasse che tutti sarebbero rimasti felici dopo la sua performance.

I musicisti cominciarono a suonare e così Eren cantò una dopo l’altra tutte le sue canzoni più famose, quelle che l’avevano portato al successo, accompagnato dal coro stonato delle sue fan che lo rendevano sempre più felice ad ogni concerto.

Oh, se solo quelle ragazze avessero saputo che a lui mancava l’ingrediente principale della felicità, l’unica persona che avrebbe reso quella serata perfetta.

Ovunque tu sia, spero che tu sia felice.
Con o senza di me.




***

“Santo cielo, Levi! Dov’eri finito?”

Hanji allargò le braccia, presa forse dall’euforia, quando vide Levi arrivare finalmente nel backstage e venirle incontro.

Indossava una camicia grigia piuttosto leggera, le maniche arrotolate fino ai gomiti. Un paio di jeans neri gli fasciava le gambe.

“Hai fumato la sigaretta più lunga della storia, a quanto pare!” lo canzonò la donna, ricordando che un paio di ore prima lui le aveva detto che sarebbe andato a fumare ma che sarebbe tornato subito. Da allora, non si era più fatto vivo.

“Ho ricevuto una chiamata importante,” si giustificò Levi dopo alcuni secondi, mettendo le mani in tasca.

“Era quell’agenzia di Yokohama?”

Levi annuì, e solo in quel momento la guardò. Il pensiero di entrambi si rivolse ad una persona in particolare, qualcuno che in quel momento stava vivendo il concerto più importante della sua carriera.

“Cos’hai deciso?”

Levi sospirò, passandosi una mano tra i capelli. “Vogliono una risposta entro domattina.”

“Quindi non hai ancora scelto.”

“Devo…” Levi parve esitare. “Devo prima fare una cosa.”

Hanji annuì. Non ci fu bisogno di fare domande.

Aveva capito.



***



Levi si fumò un’ultima sigaretta assieme a Hanji e Mike, prima di domandare quale fosse il corridoio che l’avrebbe portato all’entrata del palco.

Nessuno dei due lo seguì quando Mike gli indicò la strada percorsa da Eren un’oretta prima. Era una cosa che sapevano entrambi Levi volesse fare da solo, e che non avrebbe esitato a prenderli a calci se solo avessero provato ad andare con lui.

Si infilò cellulare e portafogli nelle tasche dei jeans. Si tirò ancora più su le maniche e, senza voltarsi verso i due amici, intraprese quella strada.

Il corridoio era illuminato da lampadari al neon attaccati al soffitto. Levi fece una smorfia disgustata quando vide una ragnatela estendersi proprio vicino alla luce.

Decise che per il momento l’avrebbe ignorata. C’era qualcosa di assolutamente più importante che doveva fare.

Accennò un sorriso quando sentì la voce di Eren accompagnata dalla musica farsi sempre più vicina, sempre più forte.

Davanti all’entrata del palco se ne stavano due omaccioni muscolosi a braccia incrociate, pronti a impedire a chiunque l’accesso.

Per niente intimidito, gli fu sufficiente mostrare il pass per “addetti” per fare in modo che i due si scostassero, aprendogli le porte.

Non aveva alcuna intenzione di fare irruzione sul palco mentre Eren cantava, non era il tipo da fare una cosa del genere.

Accecato dalla forte luce dei riflettori, si limitò a restare sul ciglio della porta, dietro agli amplificatori, in modo che nessuno del pubblico potesse vederlo; solo Eren.

Incrociò le braccia ed accennò un sorriso. Gli assistenti di Eren gli portarono uno sgabello ed una chitarra acustica. Eren li ringraziò, bevve un sorso dalla bottiglia d’acqua appoggiata ai suoi piedi e poi si sedette. Le luci che illuminavano i musicisti alle sue spalle si spensero, oscurando ulteriormente anche l’immagine di Levi. Ora

Eren era solo, solo tra la folla.

“Se vi state chiedendo se c’è qualcosa di strano,” cominciò il ragazzo allungando appena il collo per essere più vicino al microfono. “avete totalmente ragione. Quello che state per sentire è un inedito, un pezzo del tutto nuovo. Si chiama Arms.”

Levi corrugò le sopracciglia. Che diavolo stava facendo?

“L’ho scritta un paio di giorni fa e posso dire che è dedicata ad una persona speciale, che purtroppo stasera non ha potuto essere qui con me.

“Sono sicuro che ognuno di voi,” Eren allungò il braccio per indicare il pubblico. “Ogni singola persona qui presente ha una persona importante a cui vuole dedicare una canzone. Questo pezzo è anche per voi, per loro. La canterò per voi… e per te e le tue persone speciali, nella speranza che non vi abbandonino mai.”

Eren si schiarì un attimo la gola, prima di cominciare ad arpeggiare un Do maggiore.

Levi si lasciò trascinare con la schiena contro la parete, finendo in ginocchio sul pavimento.
 
 

“I never thought that you would
be the one to hold my heart
But you came around
And you knocked me off the ground from the start
You put your arms around me
And I believe that it's easier for you to let me go
You put your arms around me and I'm home
How many times will let you me change my mind and turn around?
I can't decide if I'll let you save my life or if I'll drown
I hope that you see right through my walls
I hope that you catch me, 'cause I'm already falling
I'll never let a love get so close
You put your arms around me and I'm home”

 
“Io spero che tu veda tra le mie mura…” ripeté Levi, sussurrando. “Spero che tu mi raggiunga, perché mi sto già…”

Levi sgranò gli occhi. Boccheggiò.

Fu tutto quello che riuscì a fare quando la realtà gli giunse chiara e limpida come il mare all’alba.

…mi sto già innamorando,” concluse, la voce ridotta a un bisbiglio.

E improvvisamente tutti i tasselli del puzzle sembrarono combaciare. Gli occhi lucidi di Eren di quel pomeriggio, la rabbia repressa, gli sguardi imbarazzati che gli lanciava di sottecchi ogni tanto.
Levi improvvisamente capì le attenzioni del ragazzo, i suoi momenti di dolcezza.

Ma allora, in tutto quel tempo Eren… 
 
 
“I tried my best to never let you in to see the truth…” proseguì il cantante, lanciando uno sguardo ai visi arrossati delle fan che ormai piangevano senza ritegno.
 
 
“Questo non è il modo migliore per non farmi sapere la realtà, Eren…” commentò Levi, ridacchiando. Si passò una mano fra i capelli, per poi poggiare la testa allo stipite dietro di sé. “Maledetto idiota…”
 
 
“I hope that you see right through my walls, I hope that you catch me, 'cause I'm already falling. I'll never let a love get so close, you put your arms around me and I'm home…”

La canzone terminò quando Eren arpeggiò le ultime quattro corde, fino a sfiorare il Mi con il mignolo destro.

Passarono pochi secondi prima che il boato del pubblico si levasse potente, forte, commosso, di fronte al nuovo singolo.

Eren si asciugò una lacrima con il dorso della mano, per poi sorridere. Le luci dei riflettori illuminarono nuovamente tutto il palco e il cantante ne approfittò per inchinarsi davanti all’intero stadio.

Lo spettacolo era ormai finito, ed era arrivato il momento di salutare tutti e ringraziarli per la loro presenza.

Eren si inchinò un’altra volta, fece un discorso conclusivo e, prima di andarsene, si levò la canottiera e la lanciò tra il pubblico, causando l’agitazione di diverse ragazze che per poco non la strapparono nel tentativo di accalappiarsela.

Ma fu quando Eren arrivò davanti all’ingresso del palco e vide chi lo stava aspettando che si congelò.

I suoi muscoli smisero di rispondere ai segnali del suo cervello. Non si muovevano più. Solo i suoi occhi sembrarono reagire, infatti si sgranarono e un bagliore li attraversò quando fu davanti all’uomo.

“Levi…” sussurrò il ragazzo, facendo scivolare le braccia lungo i fianchi. Il suo corpo l’aveva abbandonato, non dava più retta ai suoi pensieri… ma allora perché si sentiva così vivo? Perché il suo cuore stava palpitando contro il petto senza tregua? “Sei arrivato, alla fine…” Eren deglutì rumorosamente e cercò finalmente di riprendere
fiato.

Levi si alzò e si pulì distrattamente i jeans. Nemmeno in quella situazione il suo sguardo lasciò tradire cosa stesse provando.

Questo fece sentire Eren tremendamente a disagio, al punto da ricordargli perché fosse stato nervoso per tutto il giorno e quel nodo di angoscia tornò a stringergli lo stomaco.

“Scusami, devo andare a cambiarmi,” lo liquidò il ragazzo quando passò davanti al suo manager, compiendo un enorme sforzo per non guardarlo negli occhi.

Le iridi blu di Levi, invece, non abbandonarono il suo viso nemmeno un istante. Rapidamente si voltò e strinse i pugni. “Ti accompagno.”

Il suo tono non ammetteva obiezioni ed Eren, sebbene profondamente a disagio, fu costretto ad annuire. “Fa’ come ti pare.”



***


Eren entrò per primo nel camerino, seguito da Levi. Il manager però rimase sulla porta, la chiuse con un colpo di spalla e si sbrigò nel chiuderla a chiave.

“Cosa fai?” Eren era arrossito, mentre frugava nel suo zaino per trovare la maglietta di ricambio.

“Non voglio scocciatori.”

“Nemmeno io li vorrei,” ribatté Eren, abbassando di nuovo lo sguardo. “Eppure tu sei qui lo stesso.”

Levi ingoiò l’insulto che avrebbe voluto sputargli addosso. Non era quello il momento, non era quello il luogo, e non era Eren quello che avrebbe dovuto insultare, ma se stesso.

“Bella la nuova canzone, non mi avevi detto di averla scritta.” Levi incrociò le braccia al petto. I suoi occhi non smisero nemmeno per un secondo di vagare sul corpo di Eren, mentre quello si cambiava. Si sfilò i jeans, senza provare poi alcun imbarazzo nel rimanere in boxer davanti a Levi. L’aveva persino visto nudo in passato, non sarebbe di certo bastata un po’ di pelle a farlo sussultare.

“Sì, vedi,” il ragazzo infilò una mano nello zainetto, cercando un paio di calze. “Non era in programma che la cantassi stasera.”

“E cosa ti ha fatto cambiare idea?”

Nessuna risposta. Eren digrignò i denti e strinse i pugni così forte che le sue nocche diventarono bianche. Quando si rilassò, si accorse che le unghie avevano lasciato dei segni rossi sui palmi. “Non lo so, credimi…”
 
 
“Di chi parlavi prima?”

“Eh?”

“Parlavi di una persona speciale. Qualcuno che non è riuscito ad essere con te stasera.”

Eren sgranò gli occhi e si sentì improvvisamente avvampare. Si toccò il viso per assicurarsi che non fosse andato a fuoco. Levi e il tatto dovevano appartenere a due mondi diversi.

“Mia madre” inventò il ragazzo, sbrigativo. Afferrò malamente dei pantaloni scuri e se li mise nel giro di pochi secondi.

Levi mosse un passo in avanti. “Puoi, per favore,” e si inginocchiò davanti al ragazzo, “evitare di dirmi stronzate?”

“Cosa vuoi dire?”

Eren aveva perso l’equilibrio ed era finito con la schiena sul pavimento quando Levi aveva afferrato il suo polso.

“Mollami, Levi! Che cazzo fai?”

Levi lo sovrastò, infilando un ginocchio tra le sue gambe e ponendo le mani ai lati della sua testa. “Quindi tu mi vorresti dire che ti sei innamorato di tua madre? Non prendermi per il culo, Eren!”

Le iridi blu di Levi catturarono quelle verdi di Eren, che alzò lo sguardo fino ad incontrare quello serissimo dell’uomo sopra di sé. Deglutì a vuoto, cercando di calmare il battito del suo cuore che, invece, sembrava non volerne sapere di dargli tregua.

“Levi…” sussurrò.

“Per una volta nella vita, Eren, dimmi la verità!” Levi aveva cominciato ad alzare la voce. Non l’aveva mai fatto prima di quel momento, non con Eren. “Io devo saperlo, ora o mai più!”

“Cos’è che devi sapere?!”

“Se io dovessi andarmene, tu cosa faresti?” gli occhi di Eren si spalancarono. Se solo Levi non gli avesse preso i polsi in quel preciso momento, avrebbe cercato di scappare in qualsiasi modo. “Staresti bene se io accettassi quel lavoro? Dimmelo, Eren!”

Non doveva cedere, non doveva dirglielo, non in quel modo.

“Lasciami, Levi!”

“Porca puttana, smettila di fare il ragazzino!” ormai stavano urlando entrambi, ma non contava più. “Smettila…”
Levi abbassò la testa per appoggiarla tra il collo e la spalla del ragazzo sotto di sé.

Eren non si mosse; glielo lasciò fare. Il più grande mollò la presa dai polsi, ma nemmeno in quel caso l’altro si oppose.

Le braccia muscolose di Eren circondarono la schiena di Levi, che sfiorò il petto nudo e sudato del ragazzo con i polpastrelli.

“Non è facile,” sussurrò Levi, mantenendo gli occhi chiusi contro l’incavo del collo di Eren.

“Cosa?”

“Non è più facile per me lasciarti andare.” Levi sentì chiaramente il respiro di Eren bloccarsi; e seppe anche che il suo cuore aveva saltato un battito, perché aveva smesso di muoversi all’unisono con il suo. “Sai, Eren, oggi ho fatto tardi perché mi hanno chiamato quelli di Yokohama, proprio poco prima che cominciasse il tuo concerto,” Levi si sollevò di nuovo sui gomiti, in modo da riuscire a guardare Eren negli occhi. “Vogliono una risposta entro domattina.”

“Cosa farai?”

“Questo sarai tu a deciderlo. Tu cosa vuoi, Eren?”

“Io…”

“Tu cosa?”

Un respiro profondo.

“Levi, io ti-”
 
 
 
“EREN! LEVI! CHE DIAVOLO STA SUCCEDENDO?” la voce di Hanji rimbombò oltre la porta del camerino di Eren. “Perché avete chiuso a chiave?” proseguì. “È da mezz’ora che siete chiusi qui dentro, c’è Mike che vuole sfondare la porta e lo farà se non aprite entro due minuti!”

Levi si mise in ginocchio e solo a quel punto Eren si alzò, rosso in volto.

“Dai, Eren!” riprese Hanji poco dopo, non avendo ricevuto risposta. “C’è qui Armin che vorrebbe vederti, insieme a tutti i fan con il pass!”

“A-arrivo!” balbettò Eren da dentro la stanza, allontanandosi da Levi. Il manager si sistemò i capelli con le dita ed il ragazzo si infilò al volo la prima maglietta che riuscì a trovare nello zaino. Con la coda dell’occhio controllò che anche il corvino fosse presentabile, prese un grande sospiro, girò la chiave e con uno scatto la porta si aprì.

“Finalmente!” cinguettò la donna, abbracciandolo. “Vi siete fatti desiderare, signorini!
 
 
 




Quando Hanji si allontanò ed invitò Eren a seguirla, dandogli le spalle, il ragazzo esitò per un attimo.

“Eren,” lo chiamò Levi. Fu a quel punto che il ragazzo si affacciò all’interno del camerino per ritrovare le iridi gelide del proprio manager. “Quelli di Yokohama vogliono una risposta entro domattina. Se la risposta sarà sì… devo partire all’alba per raggiungerli.”

La bocca di Eren si socchiuse. Avrebbe voluto dire qualcosa, andare da Levi e stringerlo fino al mattino dopo, ma Hanji lo richiamò e seppe di dover andare per incontrare i fan che avevano il pass del backstage.
 
Diglielo Eren. Diglielo adesso.
Digli che per te è c’è sempre stato lui e solo lui.
Digli che ormai ti dà un brivido anche solo sentire il suo nome,
digli che lo ami più della tua vita.
Prendi questo maledetto coraggio
e diglielo adesso!
 
“Vai,” la voce di Levi arrivò come un fulmine a ciel sereno. “Ti stanno aspettando.”

“Ma Levi, io…”

Ora o mai più.

“Vai, Eren. ”

Perdonami, Levi. Non ci riesco. Non odiarmi, se non riesco a dirti quello che provo. Non incolparmi, se ti sto costringendo a fuggire.

Eren fece quanto gli era stato ordinato. Diede le spalle a Levi e, nell’andarsene, non si voltò indietro.



***



“Eren!”

Qualcuno lo chiamò. Non aprì gli occhi, ma si raggomitolò su se stesso.

“Per l’amor di Dio, Eren ti prego svegliati!”

Ma che bisogno c’era di scuoterlo in quel modo?

“Eren, è l’alba!”

La voce di Armin lo fece sussultare. In un primo momento non ricordò esattamente dove fosse o perché nella stanza ci fosse pochissima luce. Poi in pochi secondi fece mente locale.
Si era addormentato sul divano del backstage la sera prima, totalmente sfinito. Ma fuori dalla finestra non sembrava ancora giorno e le nuvole di pioggia coprivano il sole del mattino. Fu in quell’istante che la frase di Armin ebbe improvvisamente senso.
 
Eren, è l’alba.
 
“Levi!” gridò, finalmente tornando in sé e mettendosi seduto. “È partito?” balzò in piedi e si infilò il prima possibile le scarpe da ginnastica.

“No, non ancora, ma sta uscendo proprio adesso,” lo avvisò l’amico, con due scurissime occhiaie sotto gli occhi.

“È per questo che sono venuto a chiamarti. L’ho incontrato poco fa per i corridoi… lui mi ha chiesto di non svegliarti e ha aggiunto che ti avrebbe telefonato una volta arrivato a Yokohama. Gli ho detto che lo avrei fatto e me ne sono andato, ma solo per venire ad avvertirti. Se esci subito dal palazzetto potresti riuscire a fermarlo.”

“Grazie di cuore, Armin. Per tutto,” Eren strinse l’amico in un forte abbraccio, ma il tempo scorreva e sapevano entrambi di non averne a sufficienza.

Il moro si allontanò in fretta, spalancò la porta con uno scatto e corse fuori.

Non andartene. Ti prego, non andartene!
 
 
 



Fuori pioveva, ma questo ad Eren non importò, perché per quanto la pioggia battesse forte contro il suo corpo Eren rimaneva comunque più veloce di lei.

E poi, eccola: vide la sua sagoma davanti all’inconfondibile berlina nera.

Quell’uomo bello, basso e minuto che gli aveva stravolto l’esistenza stava sistemando la sua valigia nel portabagagli.

“Levi!” gridò, portandosi le mani attorno alla bocca. “Non farlo!”

Levi si voltò e l’ombrello nero scivolò dalle sue mani, schiantandosi contro il suolo. “Eren…” sussurrò, incapace di formulare una frase di senso compiuto.

Eren gli corse incontro, noncurante della pioggia. “Levi, non andartene!” gridò, ormai a pochi metri dal manager.
“Non voglio!”

Si piegò sulle ginocchia ed appoggiò i palmi sulle cosce, per riprendere fiato.

“Eren, che diavolo ci fai qui?”

Il ragazzo non esitò un solo istante. Raggiunse Levi e, senza aggiungere una sola parola, senza dargli il tempo di realizzare quello che stava succedendo, lo baciò.

Assaggiò le labbra morbide del suo manager come se ne valesse della sua vita, gli circondò il viso con le mani e chiuse gli occhi per sentire quel contatto in ogni cellula del corpo.

Seppe di aver fatto la cosa giusta quando sentì Levi rilassarsi a quel tocco, per poi circondare il busto scolpito di Eren con le braccia e stringerlo a sé ancora di più.

“Ti amo, Levi…” sussurrò Eren, staccandosi dalle sue labbra per riprendere fiato. “Ti amo, ti amo, ti amo… Resta con me, non andare, non voglio, resta qui.”

Levi cinse il collo dell’altro con le braccia, si mise in punta di piedi e tornò ad aggredire le sue labbra, lasciando una lunga scia di baci prima sulla guancia e poi sul collo.

“Levi…” sussurrò Eren, mettendo le mani sui fianchi di Levi. Con un rapido gesto lo sollevò da terra ed il manager si ancorò al suo busto con le gambe.

“Col cazzo che me ne vado adesso…”

Si baciarono lì, nel parcheggio, finché non smise di piovere ed il sole annunciò che finalmente era arrivato il mattino e che il volo per Yokohama sarebbe partito senza di lui.
 
 



You put your arms around me
And I’m home.
 
 
 
 
Fine.

 
Spazio Autrice
​​Ed ecco anche l'ultima parte di questa storia. Ho cercato di scriverla nel minor tempo possibile, anche perché probabilmente fino a luglio non riuscirò a scrivere altro. Cosa dire? Ho letteralmente ​adorato ​scrivere di nuovo di Eren e Levi, in vesti totalmente diverse dal solito. Spero di non essere caduta troppo nell'OOC, e che questo testo  ​coso vi sia piaciuto :3
​Vi abbandono perché devo tornare a scrivere la tesina, mi sono presa dieci minuti di pausa giusto per pubblicare questo capitolo che ho finito di scrivere ieri sera.
Alla prossima,
​morgainedelilth.

 
 
 

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