Il suono della tua voce

di LatazzadiTea
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo capitolo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo Sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo Settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo. ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo. ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo Sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Epilogo - prima parte ***



Capitolo 1
*** Primo capitolo ***



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Erano passate solo poche settimane da quando André le aveva confessato di amarla, e proprio da allora aveva smesso di parlarle. I loro rapporti erano via via scemati: a mala pena si rivolgevano il saluto, se non per obbligo verso l'etichetta o perché costretto dalle circostanze. Aveva mantenuto la parola data quella sera, ma da allora, tutto aveva smesso di avere un senso per Oscar. Aveva giurato che mai più nella vita le avrebbe fatto una cosa come quella, ma ora era peggio di prima per lei. Era stato un pazzo, un egoista, o forse più un vigliacco, sia nel dichiararle il suo amore quanto nel tenerlo nascosto, ma era pur sempre il suo André ad averlo fatto. Quello stesso André che ora era scomparso. Quello strappo insanabile le aveva tolto in un istante non solo un fratello, ma anche il solo e unico vero amico amico che avesse mai avuto nella vita. E da una parte, lo odiava per questo.

Ma c'era dell'altro, e lei sapeva bene cosa.

A quel pensiero, Oscar sii sentì sporca fin dentro le ossa. In fondo al suo cuore, aveva sempre saputo dei sentimenti di André. Aveva visto come la guardava di nascosto, accorgendosi di come il suo sguardo l'accarezzasse languido quando pensava di non essere visto o sentito. Sentiva come il suo tono cambiava, facendosi più caldo e tenero quando le attenzioni che avevano l'uno dell'altra erano rivolte soltanto a loro.

Ma non ne aveva tenuto conto, o più semplicemente, era stato più facile ignorarlo.

Oscar si alzò dal sedile del pianoforte, dando un'occhiata fugace fuori dalla finestra; quei pochi giorni passati ad Arras - la loro villa di campagna vicino all'oceano - non erano bastati a schiarirle le idee su quella situazione. L'unica cosa di cui era certa era che André le mancava. Le mancava tutto di lui: la timida carezza dei suoi occhi gentili, come la struggente e dolce irriverenza della sua voce quando la stuzzicava o la canzonava per gioco. All'improvviso notò la sua figura slanciata e asciutta appressarsi ad una delle tante fontane che abbellivano gli splendidi giardini di casa Jarjayes; André era solito andarci per rinfrescarsi d'estate, dopo aver accudito i cavalli. Spesso si sedeva all'ombra delle pergole fiorite di glicini e bouganville, e ancor più spesso, in passato, aveva condiviso quel momento con lei, come del resto, avevano fatto in tutte le altre occasioni in cui erano stati insieme.

La sua stessa ingombrante assenza era qualcosa di difficile da sopportare. Quanto il non poter più sentire l'odore intenso e speziato del suo profumo, o del bearsi della piega insolita che le sue labbra assumevano quando le arricciava in una nota di disappunto. Tutte cose a cui non aveva mai dato un peso prima, ma che ora mancavano come l'aria nei polmoni quando l'avvicinava per sbaglio nei corridoi della loro abitazione o nei pressi delle stalle. Ogni cosa smetteva di risplendere senza di lui, e veniva meno, come la luce del giorno durante un eclissi quando inevitabilmente abbassava il capo, evitando volutamente di incontrare il suo sguardo. Esattamente come in quel momento: l'aveva di sicuro sentita suonare il piano quel pomeriggio, sapendo perfettamente che da quella finestra si vedeva il retro del palazzo. Eppure, Andrè era lì, nascosto fra gli arbusti con gli occhi scuri di tristezza a fissare un punto indeterminato di un mondo da cui l'aveva esclusa. Un mondo che lei non poteva vedere, né sentire più nulla.

Ed era quello a mancarle più di ogni cosa, il suono della sua voce, quella vera, quella proveniente dalla sua anima. Lasciò scivolare le dita lunghe e affusolate sul vetro cristallino della finestra, tornando coi pensieri alla loro infanzia e ad un giorno lontano, quando persi in un mare di fiori dorati come il miele c'erano un violino e una sola voce a farle compagnia, la sua.



Carissimi lettori, l'ho buttata giù di botto, in uno slancio struggente e nostalgico verso una storia che mi ha accompagnata negli anni più belli e spensierati dell'infanzia. Ho sognato di essere lei, Lady Oscar, e come tante fanciulle come me, ho sognato un amore come il loro.
Buona lettura e alla prossima.

 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***




 


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"Oscar con la guardia metropolitana?" domandò André pieno di stupore.

"Sì, e a quanto pare, ha accettato senza remore questo nuovo incarico. Da non crederci!" replicò il generale Jarjayes con una nota di profondo disappunto nella voce.

André si irrigidì. Comprendeva benissimo i suoi sentimenti, i soldati della guardia avevano una fama pessima, si diceva su di loro che non fossero altro che un'accozzaglia di furfanti provenienti dai ceti più bassi della società, arruolatasi per lo più, per non morire di fame. Un bel passo indietro per l'ex comandante delle guardie reali, pensò il giovane. Ma non era quello a preoccuparlo più di tutto.

"André, voglio che tu ti arruoli e la protegga, come del resto, hai sempre fatto in tutti questi anni " disse all'improvviso il generale guardandolo finalmente dritto negli occhi.

"Non posso esaudire questo vostro  desiderio signore, Oscar mi ha tassativamente proibito di occuparmi ancora di lei, e non intendo... - rispose accoratamente André prima di essere bruscamente interrotto dal suo padrone.

"Non è un desiderio, ma un ordine! Ciò che dice mio figlio non ha la ben che minima importanza. Mi preme la sua incolumità, lo capisci vero?" il tono serio e autoritario del generale non lasciava spazio a repliche, era costretto ad ubbidire.

"Certo che capisco. Come ordinate, signore " assentì il più giovane sapendo perfettamente che in quel modo, quasi certamente sarebbe incorso nelle ire di Oscar.

Ricordava perfettamente quelle parole, come rimembrava ogni avvenimento accaduto quella sera.

"Dal momento che ho deciso di vivere come un uomo, non intendo più avere il tuo aiuto. Vedi, io non so ancora quale sarà il mio nuovo incarico, ma quando lascerò la guardia reale, credo che non avrò più bisogno di te... devo imparare a vivere senza appoggiarmi a nessuno..." aveva detto poco prima che tutto il suo mondo crollasse sotto il peso delle sue scellerate azioni.

Un concetto che Oscar aveva ribadito di nuovo, prima di partire. Se non fosse stato per la malsana abitudine del padre di voler gestire ogni aspetto della sua vita, non avrebbe mai più imposto la sua presenza ad una persona che non la desiderava più.

Aveva sbagliato E si sentiva a pezzi per quello che aveva fatto. Sapeva che ne avrebbe pagato le conseguenze per il resto della vita, ma aveva reagito come un pazzo perché lei non si era resa conto del male che gli avevano fatto. Proteggerla era stato l'unico scopo della sua vita, e ora, per dimenticare il dolore provocatole da un altro uomo, lo gettava via come un inutile rifiuto. Era questo ad averlo ferito più di tutto. Non era addolorato per essere stato respinto, se l'era sempre aspettato. Lo era sopratutto, per essere stato trattato a quel modo, malgrado tutti gli anni passati fedelmente al suo fianco. Gli erano particolarmente cari quelli dell'infanzia e della fanciullezza, in cui aveva sempre creduto che oltre quello splendido sorriso, si celasse un affetto autentico e sincero per lui. Eppure, aveva visto il suo dolore quando era stato ferito dal cavaliere nero.

Cosa era accaduto alla sua Oscar, dov'era finita la donna che amava da sempre?

Non era mai fuggito da lei malgrado sapesse che quel sentimento fosse sbagliato, non avrebbe resistito lontano da Oscar nemmeno un giorno. Ciò nonostante, il suo cuore spezzato gli impediva di guardarla come una volta. Aveva rispettato il suo volere e si era allontanato, ma avrebbe continuato a vegliare su di lei in silenzio e per tutto il resto della sua vita, se necessario.

"Farò in modo che tu venga accettato fra i soldati della guardia oggi stesso. Sta tranquillo, se il mio piano avrà successo, la tua permanenza fra le fila di quei reietti non durerà a lungo " aveva finito di dire il generale Jarjayes.

"Come ordinate, signore. Col vostro permesso generale, ora vorrei andare... " disse a testa bassa André prima di congedarsi.

"Certo, torna pure alle tue mansioni ragazzo..." nella voce del generale, André avverti qualcosa di nuovo.

Il disappunto aveva lasciato posto a un altra emozione nell'uomo, forse un velo di speranza. Non poté fare a meno di domandarsi cosa mai stesse tramando, e cosa avesse in serbo per la povera Oscar, questa volta.

Uscì dallo studio del suo padrone e sentì il suo passo avvicinarsi. Da quando era rientrata dalla Normandia, lui e Oscar non si erano più parlati. Si sentiva in qualche modo sollevato da quella distanza che era venuta a crearsi fra loro, visto che il senso di colpa che provava stillava ancora in lui piccole gocce di dolore e vergogna, che a fatica riusciva a gestire. Quei sentimenti tumultuosi, come le onde dell'oceano si agitavano tuttora troppo violenti in lui per permettergli di ritrovare un barlume di lucidità, strappandolo ogni volta che la vedeva, alla salda sicurezza della sua ragione. Un giorno forse, avrebbe ritrovato in se stesso un porto sicuro a cui aggrapparsi, ma almeno per il momento, e per il bene di entrambe, avrebbe continuato ad evitarla.

"André..." la sua voce lo raggiunse tenera e vellutata come una carezza dopo un pugno allo stomaco.

"Hai bisogno di qualcosa Oscar?" le chiese nel corridoio. Erano a pochi passi l'uno dall'altra, eppure, in quel momento sentì come un abisso incolmabile fra loro.

"No io, volevo solo ..." Oscar si fermò quando lui serrò i pugni, voltandole le spalle.

"Scusami, ma ho ancora molto da fare" la murò serio.

"In realtà, c'è qualcosa di cui vorrei parlarti " aggiunse lei all'improvviso, indurendo per un attimo il tono della voce.

Lui rimase così in attesa, sperando che lei non facesse nessun riferimento a ciò che era accaduto fra loro, ma poi, grazie a dio il generale Jarjayes li interruppe, salvandolo da quella imbarazzante situazione.

"Ah Oscar, sei tu, vieni figliola: abbiamo molto di cui discutere oggi" annunziò suo padre.

"Generale, Oscar..."  s'inchinò André, accomiatandosi dai due nel modo più formale che conosceva.

Dopo un ultimo sfuggente sguardo, Oscar entrò nello studio del padre e lui si allontanò, senza voltarsi più indietro. André riuscì a trovare un po di pace solo all'imbrunire, e dopo aver affogato i propri dispiaceri nell'ennesima bottiglia di vino, fu colto da un sonno profondo e senza sogni.

                                                                                                                                          


"André ci sei? Sei ancora sveglio?"

"Scusa per l'ora, ti posso disturbare?" Oscar entrò chiudendo la porta alle sue spalle.

La camera era buia e lei percorse la breve distanza che la separava dal letto, illuminandosi la strada con una candela. André dormiva pesantemente da ore per non essersi accorto della sua presenza in quella stanza. Quando vide che aveva ancora i vestiti addosso e gli stivali ai piedi, gli si strinse il cuore pensando a quanto doveva essere esausto, per essersi addormentato a quel modo. Poi, adombrandosi, notò la bottiglia vuota ai piedi del letto.

Non lo avrebbe svegliato così bruscamente solo per rimproverarlo, era andata da lui sperando di riuscire a scusarsi, ma avrebbe trovato un altra occasione per farlo. D'istinto gli scostò dalla fronte una ciocca ribelle; la cicatrice che la ferita all'occhio gli aveva lasciato non aveva deturpato la bellezza del suo viso. Tremante gli carezzò il volto, seguendo con le dita il disegno perfetto dei suoi lineamenti, domandandosi come avesse potuto essere stata così cieca dinnanzi a un cuore così colmo d'amore per lei. Lo sguardo gli scivolò poi addosso quasi spinto da un nuovo desiderio, iniziando dal petto ampio e liscio, fino a lambire bramoso i muscoli disegnati dell'addome e il segreto nascosto della sua virilità, avvampando all'idea dei loro corpi allacciati fra loro.

Come avrebbe potuto confessargli che da quando si era dichiarato, non era riuscita a pensare ad altro che a lui? Da quando aveva iniziato a guardarlo in modo diverso, non era più riuscita a vedere un fratello in André, ma nemmeno un solo amico.

Allora cosa?

Sorrise teneramente, portandosi una mano al petto. Lo aveva odiato così profondamente in quei giorni per averle sbattuto in faccia la verità, per aver deciso di non assecondarla in quella decisione folle e completamente prima di ogni senso logico, che ora si sentiva completamente svuotata. La verità era che aveva così tanto desiderato essere un uomo, perché se lo fossa stata, non si sarebbe mai innamorata di Fersen e non avrebbe sofferto. Era quello che aveva cercato nella sua decisione, una via di fuga dal dolore.

Invece ora, era punto e accapo: ora che con l'addio di Fersen quel sentimento era scemato, il suo cuore di donna era tornato a battere e per la persona meno probabile al mondo, André. Lui che l'aveva sempre amata, seppur in silenzio, con il quale forse avrebbe potuto avere un futuro, se solo fosse riuscito a perdonarla.

"Ti ricordi André? Ti ricordi quando eravamo ragazzi? Quanti giorni passati insieme, André. Quanti momenti spensierati e magnifici all'ombra dei tigli fioriti, quando cantavamo al vento le nostre le nostre canzoni, e facevamo scherzi stupidi a tua nonna? Te lo ricordi ancora, André... "

Sentì una lacrima scivolare lungo la guancia cerea mentre il calore della mano dell'altro, nel buio e nel silenzio, sfiorava la sua.


 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***





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Il fatidico giorno dell'addio alla guardia reale era arrivato. Con solenne commozione ogni soldato aveva reso omaggio al suo comandante, sfilando davanti a lui in una perfetta e indimenticabile parata di saluto. Oscar si era accomiatata con commozione dagli uomini che aveva comandato in quegli ultimi anni, e rimase molto colpita dalla mestizia generale con cui la guardia reale aveva reagito alla sua decisione di abbandonare quel comando, per una riassegnazione del tutto discutibile.

- Non c'è possibilità alcuna di farvi cambiare idea? - chiese in un ultimo accorato appello il maggiore Girodel.

- No! Ma il pensiero di lasciare questi splendidi uomini nelle vostre mani maggiore Girodel, mi rincuora - rispose lei tendendogli la mano. Girodel anziché stringerla si portò la mano di Oscar alle labbra, lasciandola completamente interdetta.

- Sappiate che questo non è un addio, madamigella Oscar. Sono certo che ci rivedremo presto! - disse Victor lasciandola finalmente sola coi suoi pensieri.

Oscar cercò di dare un senso a quel gesto e a quelle strane parole come se oltre si celasse un oscuro significato, non riuscendo proprio però ad immaginare quale fosse. Il pensiero corse di nuovo ad André e al bisogno sempre più pressante che aveva di lui.



- Non pensavo che un giorno ne avrei indossata una... sono ridicolo! - esordì André stentando a riconoscersi allo specchio.

- Invece a parer mio, l'uniforme ti dona! - rispose Oscar entrando nella sua stanza senza farsi annunciare. Come si aspettava, André ammutolì di colpo.

- Mio padre ne ha combinata un altra delle sue, è così? -

- Lui pensa solo al tuo bene Oscar. Per quello che mi riguarda, non avrei disatteso le tue aspettative se non mi avesse obbligato a farlo... - si giustificò il giovane senza osare alzare lo sguardo su di lei.

- Non importa, infondo, malgrado tutto credo sia la cosa migliore per me - ammise finalmente lei.

A quel punto Oscar azzardò un mezzo sorriso, che inevitabilmente si spense di fronte all'espressione imbarazzata che André aveva assunto subito dopo averla vista entrare nella sua camera da letto.

- Cercherò di non darti nessun fastidio, se avrai bisogno del mio aiuto non dovrai far altro che darmi un ordine Oscar... - replicò André.

Aveva messo subito in chiaro quale sarebbe stato il suo ruolo nella sua vita da quel momento in poi, ma non gli avrebbe permesso di escluderla ancora.

- E quello che ho sempre fatto André! Questo non cambierà, giusto? - ribatté lei sperando in una reazione diversa dell'accondiscendenza che ormai sembrava accompagnare ogni sua frase o parola.

- Sì, è così, questo non cambierà -  rispose lui senza tradire nessuna emozione.

Per lei non era cambiato niente: aprirle il proprio cuore non era servito a nulla. Ora aveva la certezza che la sua era stata un'inutile e irreparabile follia.

- Ah, un ultima cosa André... - Oscar addolcì il tono ma lui si girò appena.

- Sì, Oscar? -

- Tu non sarai mai un fastidio per me, sappilo André - finì di dire.

Uscì senza dargli il tempo di replicare con un indecifrabile emozione nel petto, simile a un misto di felicità e speranza insieme. Anche se quelle poche parole che si erano scambiati non potevano definirsi una vera e propria conversazione, dopo quel pomeriggio, Oscar si sentì decisamente più sollevata.



Quella sera André uscì di nuovo, sperando di trovare un po di conforto nel vino, e le false lusinghe di una prostituta.

- Hey, ma tu non sei il giovane di qualche settimana fa'? Come te la passi amico? - Alain si sedette al suo tavolo approfittando della bottiglia, svuotando ciò che ne restava nel proprio bicchiere.

- Tu sei Alain. Un soldato della guardia metropolitana, giusto? Che coincidenza... lo sai, fra poco condivideremo la stessa camerata noi due: non è fantastico, amico mio! - lo mise al corrente André decisamente alterato dall'alcol.

Dopo il mal riuscito il tentativo di Oscar di riconciliarsi con lui quel pomeriggio, il peso che portava sul cuore si era fatto ancor più insopportabile. Non avrebbe mai ottenuto quel tipo d'affetto da lei, doveva rassegnarsi. Oscar avrebbe continuato a considerarlo alla stessa maniera, ma lui non poteva più essere un fratello per lei. Né tanto meno un amico, ormai era chiaro. Fu distratto dai canti popolari dei suoi nuovi compagni di bevuta, che come ogni mese festeggiavano la misera paga che percepivano. Così, per ringraziarli della compagnia, decise di accordare come meglio poteva un vecchio pianoforte che il locandiere teneva da anni seppellito sotto un cumulo di ragnatele e polvere. Quando poi, finalmente si sedette per suonare intonando una vecchia e triste canzone d'amore, tutti i presenti ammutolirono al suono della sua voce.

Alain si mise in disparte, e malgrado la bravura della sua giovane nuova conoscenza, storse il naso. Non era per niente contento. Quel ragazzo non era affatto un poveraccio come loro: da come parlava, s'atteggiava e vestiva, André pareva proprio essere un nobile. Per non parlare di come cantava e suonava il pianoforte; quel giovanotto sembrava aver ricevuto un educazione degna di un principe, un male per uno che aveva mentito, affermando di essere il figlio di un falegname. Era un caso che quell'André si fosse arruolato proprio all'indomani dell'arrivo del loro nuovo comandante? Era certo di no.

- Hey, ragazzo! Guarda che non posso pagarti... - sbottò il locandiere dopo che lui aveva terminato di cantare.

- Non importa signore, stasera offro io! - esclamò André prima di rimettersi a suonare.




- Una proposta di matrimonio? - Oscar sgranò gli occhi esterrefatta.

- Sì figliola, il maggiore Girodel mi ha chiesto la tua mano proprio questa mattina - annunciò il generale Jarjayes con un filo di commozione nella voce.

- Ma padre io... io non desidero affatto sposarmi... - ribatté Oscar ancora incredula.

- Il generale Bouillé dice che i soldati della guardia hanno scritto una lettera a sua maestà, dove dichiarano chiaramente che non accetteranno mai ordini da una donna. Nella guardia reale eri al sicuro Oscar, ma con questa gentaglia... ti prego di considerare questa idea figlia, potresti finalmente vivere come una vera donna, e gustare tutte le gioie tipiche del tuo sesso che con la mia scelta ti ho così egoisticamente negato... - replicò suo padre quasi supplicandola.

Sembrava sinceramente pentito della sua scelta di crescerla come un uomo, ma non era quello il punto fondamentale. A cosa era servita la sua vita? E la sua giovinezza? Aveva rinunciato ad essere una donna molto tempo addietro. Come potevano chiederle di dimenticare tutti i traguardi raggiunti, i sacrifici e gli sforzi fatti per arrivare dov'era, come se non fossero nulla?

Si voltò verso André che alle sue spalle si accingeva a posare un vassoio con del tè fumante, su uno dei tavolini dell'elegante salottino privato. Aveva il volto pallido, cosa avrebbe pensato ora di lei? Come avrebbe potuto cancellare ora, quella distanza incolmabile che li separava ogni giorno di più?

Sentii un improvviso tintinnio provenire dalle preziose porcellane, André aveva avuto un tremito.

- Grazie André, puoi andare -

- Prego generale, Oscar... - André si accomiatò con un lieve inchino, sentendo il bisogno di uscire il più velocemente possibile da quella stanza.

Aveva il cuore in gola e stentava a reggersi sulle gambe per lo sgomento. Oscar in sposa? Dunque era questo il piano del generale Jarjayes, farla sposare. Aveva rinunciato all'unico amore della su vita, solo per vederla finire fra le braccia di un altro? Prese in mano l'ennesimo bicchiere e lo gettò in preda alla collera contro il camino acceso, mandandolo in frantumi. Quando si voltò non capì immediatamente, Oscar era come una visione dinnanzi a lui. I suoi occhi lo stavano ingannando ancora una volta?

- Dammeno uno, ho bisogno di bere! - esordì Oscar entrando ancora nella sua stanza senza permesso.

- Non dovresti venire qui da sola, e a quest'ora per giunta, non è appropriato Oscar... - gli venne da dire cercando inutilmente di ricomporsi.

- Girodel è un ottimo partito, e a quanto pare, sembra nutrire un affetto sincero per me. Che ne pensi di lui, André? Mio padre dice che se non dovesse piacermi, potrei addirittura scegliere qualcun altro al suo posto. Il generale Bouillé ha addirittura organizzato un ballo nell'eventualità che ciò accada -

Oscar lo aveva del tutto ignorato, continuando a non curarsi affatto dei suoi sentimenti. Non capiva quanto la sua vicinanza fosse una tentazione per lui? Cercò di sdrammatizzare gettando quell'assurda conversazione su un altro piano.

- Mi stai proponendo di accompagnarti a quel ballo, per consigliarti quale di quei damerini imbellettati farebbe più al caso tuo? - si versò un bicchiere e ne porse uno anche a lei.

- André io... - Oscar  trangugiò il vino come se quel delicato nettare scarlatto fosse stato veleno.

- Oppure vuoi che vada a pregare il conte di Fersen di unirsi a quel manipolo di manigoldi? Potrei anche farlo Oscar perché no, e cosa ci guadagnerei io? Un bel invito alle tue nozze e la tua eterna gratitudine? - aggiunse sprezzante lui.

- Fersen non centra nulla, l'ho dimenticato ormai... - quelle parole dette d'impulso, le fecero comprendere quanto fosse vero. Benché l'avesse amato e idealizzato per anni, ora aveva la certezza che nel proprio cuore non ci fosse più posto per lui.

- Stai cercando conforto nel posto sbagliato Oscar, mi spiace - aggiunse amaramente André.

Era stato duro come un muro di pietra, così cinico e gelido, da essere quasi irriconoscibile.

Se solo non l'avesse ferito. Se solo avesse compreso prima l'intensità di quel sentimento, forse... Si era catapultata da lui presa da un impulso irrefrenabile di rifugiarsi fra le sue braccia, pronta a confessargli i suoi dubbi e le sue incertezze, decisa a dirgli che l'unico uomo ad occupare ogni suo pensiero ora era lui, e invece, ancora una volta fuggiva da se stessa come una codarda.

- Dispiace anche a me, in effetti, non so cosa mi aspettassi di trovare qui - ribatté piena di rabbia e sconforto.

Dopo che se ne fu andata, André crollò sul suo letto cercando di trattenere i singhiozzi. Se solo avesse teso la mano avrebbe potuto toccarla, per un momento, dopo quella frase su Fersen, aveva pensato di stringerla nuovamente a sé, di rubarle altri baci e dirle che tutto si sarebbe risolto. Se fosse stato un nobile avrebbe potuto farsi avanti e chiedere la sua mano, ma non poteva. Avrebbe dato la vita in cambio della sua. Ma nemmeno quello sarebbe bastato purtroppo, visto che la vita di un servo, non aveva valore per nessuno.

- Perdonami Oscar, per quanto ti ami... per quanto ti desideri... non posso fare nulla! -


 


 

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***



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Passò l'ennesima notte insonne, l'ultima nella sua casa e nel suo letto, prima di entrare a far parte della guardia metropolitana francese come comandante di brigata. Ciò nonostante si alzò prima dell'alba, indossò la sua nuova uniforme e si diresse a Parigi, verso quella nuova vita a cui aveva così scioccamente anelato. Fuggire dai suoi sentimenti per Fersen non era servito a darle sollievo, come non era servito illudersi che abbandonare la corte, allontanandosi dalla donna che l'uomo aveva così devotamente amato per vent'anni, l'avrebbe fatta dimenticare.

Di positivo c'era stata la confessione di André. Sapeva che inizialmente le intenzioni del giovane non erano certo quelle di aggredirla, era stata una reazione nata da un impulso improvviso dettato dall'esasperazione. Ma era stata proprio quell'azione avventata ad aiutarla a prendere finalmente coscienza della verità. E ora che quell'amore non corrisposto nei confronti del conte di Fersen era scomparso, e che quel nuovo sentimento aveva fatto breccia in lei dilagando nel suo cuore come un fiume in piena, sembrava averlo perso per sempre.

Pensava ad André in un modo che non avrebbe mai creduto possibile, con ardente e passionale desiderio. Quante volte aveva appoggiato il capo sul suo petto senza che questi le suscitasse mai un fremito particolare? Quante volte avevano condiviso lo stesso letto da ragazzi, o anche dopo, con la maturità degli anni, erano stati vicini senza che lei si accorgesse della bellezza del suo viso, o del suo corpo virile e mascolino? Mentre ora, ora che quel velo d'ombra era caduto dagli occhi, al solo pensiero della sua vicinanza si sentiva bruciare.

- Un altro terribile sbaglio, eh Oscar? - mormorò a se stessa.

André era partito per Parigi la sera precedente e ora, era la ad aspettarla, pronto a gettare inutilmente al vento un altro capitolo della sua vita.

L'addio a Fersen, alla sua regina e alla guardia reale. La scoperta di un amore nascosto e tormentato, e una proposta di matrimonio dal conte Girodel. Quegli avvenimenti le avevano cambiato la vita trascinandola via come da un turbine nella tempesta, senza sapere come uscirne o a cosa aggrapparsi. Una volta arrivata al comando della sua guarnigione Oscar chiese subito di vederlo, André sarebbe stato il suo attendente anche in quella situazione.

Fu strano rivederlo, il silenzio fra loro era sceso nuovamente dopo quell'ultima sgradevole conversazione avvenuta nella stanza del giovane, e ora che lo aveva di nuovo di fronte a sé, le sembrò di trovarsi nuovamente al cospetto di un estraneo.

- Speravo di non doverlo fare, Oscar. Le cose non saranno affatto facili per te, qui - esordì lui rimanendo diligentemente sull'attenti di fronte al suo comandante.

- E' quel Alain il responsabile di tutto questo, vero? Ha sobillato lui questa ribellione, lo conosci? - gli chiese sapendo di domandargli molto.

- Non sarò la tua spia, Oscar. Se ci tieni tanto a conoscerlo, allora fallo di persona - replicò semplicemente André.

Una volta arrivata al comando della guardia francese, per Oscar era iniziato un calvario. Non solo quegli uomini avevano disertato la piazza d'armi per la sfilata di presentazione, l'avevano anche accolta malamente dopo essersi precipitata nelle camerate. Quei bruti dei soldati della guardia metropolitana, anziché ubbidirle, si erano barricati nella zona ricreazione divertendosi a bere liquore e a ridere di lei. - Stai dicendo che tu approvi? - sbottò terribilmente irritata dal quell'atteggiamento insopportabile.

- Sto dicendo che non ti aiuterò a familiarizzare col nemico rendendoti le cose più facili... - rispose impassibile André.

- E' mio padre, è così? Sta cercando di boicottarmi per spingermi a rinunciare a questo incarico e accettare quella stupida proposta di matrimonio... è inaccettabile! - ribatté lei senza accorgersi dell'improvviso turbamento che quelle parole avevano causato in lui.

- Comandante posso andare? - a quel velo di supplica di lui, a Oscar si strinse il cuore.

La sua voce la raggiunse distogliendola ancora una volta dal pensiero di se stessa. Era stata dunque tanto egoista da non accorgersi del costante dolore che era capace di infliggergli?

- Hai ragione, se voglio conquistare la loro fiducia e farmi apprezzare da questi uomini, devo espormi in prima linea. Mi proteggerai Andrè? Lo farai? - gli chiese ancora cercando finalmente il suo sguardo.

- Tuo padre mi ha espressamente ordinato di arruolarmi solo per questo, Oscar. Sai che lo farò... Hai altri ordini per me? - aggiunse André ritornando in una posizione di riposo.

- No, puoi andare adesso -  rispose lei cercando di nascondere il tremito che la sua presenza non presenza, le provocava.

André era fisicamente lì adesso, ma lo era perché costretto, non certo perché lo aveva desiderato. E anche questo le dava il tormento.

- Aspetta André... se restare al mio fianco ti è così insopportabile, quando qui le cose si saranno sistemate se ancora vorrai, ti darò il congedo. Non sarai più obbligato a servirmi, se è quello che desideri - disse Oscar d'impulso pentendosene però subito dopo.

- Sarebbe un sollievo per me, credimi Oscar - rispose André raggelandola.

- Sollievo? Che vuol dire sollievo? Ti comporti come se adesso mi odiassi! Come se fossi io la colpevole di qualcosa... Ti rendi conto di quello che mi hai fatto, André? Ti quello che mi hai portato via? - sbottò Oscar ormai al limite della sopportazione.

- So esattamente cosa ti ho fatto, e non potrò mai fare ammenda per questo. Ma se aprirti gli occhi e farti prendere coscienza della realtà è stato un errore Oscar, allora lo rifarei mille volte! Strapparti dall'illusione di poter vivere come qualcosa che non sei e non sarai mai, è la vittoria più grande per me, credimi - controbatté André sfidandola ancora una volta.

- Non era questo che volevo dire... non era a questo che mi riferivo... - gli rispose tremante per la frustrazione che provava.

Non era da lei arrendersi a quel modo, ma continuare con quella sterile discussione non avrebbe portato a nulla. Oscar allungò una mano quasi a toccarlo, erano settimane che non si parlavano a quel modo, che non restavano soli così a lungo nella stessa stanza senza guardarsi come nemici. André era a un passo da lei, senza capire che il suo rimprovero non riguardava affatto il gesto di quella notte. Lui le aveva portato via se stesso, restituendole in cambio una persona che non conosceva affatto.

André invece, a quel gesto indietreggiò fino alla porta del suo ufficio, cercando un po di liberazione in quella distanza forzata. L'ultima volta che erano stati così vicini, lui l'aveva afferrata per i polsi rubandole con la forza il suo primo bacio. Poi però, qualcosa di irresistibile tornò a forzargli la mano. In un tumultuoso insieme di emozioni contrastanti che non il giovane non riusciva più a reprimere, André la spinse contro una parete tenendola saldamente per le spalle.

- Non ho mai voluto farti del male Oscar... mentre tu... - le mormorò pieno di astio e rancore.

Come posseduto da quel desiderio che ancora gli dilaniava le viscere, finì per accarezzarle il viso fino a sfiorarle con un dito le labbra carnose e morbide. Ma quando, al contrario di quanto si aspettasse, Oscar non reagì malamente a quella provocazione, André s'interruppe. Cosa stava facendo? Avrebbe dovuto strisciare ai suoi piedi e chiederle perdono anziché darle la colpa del proprio errore. Era vero, si era sentito disprezzato. Si era sentito inutile e impotente di fronte alla sua scelta di allontanarlo, ma comunque la guardasse, Oscar non aveva colpe. Come aveva potuto pretendere di essere compreso da lei? Perché l'aggrediva ancora?

Si spaventò al pensiero di non riuscire a fermarsi e fece un passo indietro, liberandola dalla sua stretta. Quando però Oscar si sporse verso di lui per cercare di impedirgli di allontanarsi da lei e non riuscì più ad afferrarlo, André rimase sorpreso.

- Lo so! So' benissimo che non hai mai voluto farmi del male, André. Ti dissi che non c'è l'avevo con te, che avrei preferito dimenticare, ma non era vero. Ero arrabbiata e ti ho odiato, ma ora, tutto quello che voglio è che le cose tra noi tornino come prima, com'erano una volta -  come suo solito, Oscar rispose di getto.

Non sapeva come gestire la situazione, né tanto meno dare il giusto peso alle tremende parole che di sovente le uscivano dalla bocca.

- Niente tornerà più come prima Oscar, niente. Se vuoi scusarmi adesso, io vorrei andare... - Oscar non ebbe il cuore di trattenerlo.

Ogni volta che restavano soli, inevitabilmente l'argomento si incentrava su quello che era accaduto quella sera. L'esperienza le aveva insegnato che l'amore non era altro che una costante fonte di sofferenza, non di felicità. Doveva lasciarlo andare? Doveva smettere di tormentarlo e permettergli di andare avanti con la sua vita a costo di rinunciare a lui ora che lo amava?

Sì, pensò, era quello che doveva fare. Ma non prima di avergli confessato ciò che provava, anche rischiando di essere rifiutata o respinta, doveva farlo.



Una volta nel corridoio, André ebbe un attimo di buio totale. Rimase in silenzio cercando di non farsi prendere dal panico, e respirò profondamente mentre la luce tornava lentamente ad illuminargli il passo. Quegli episodi capitavano sempre più spesso, quanto sarebbe passato prima che il buio lo ingoiasse nella sua crudele morsa per sempre? Quando fu quasi all'esterno della costruzione che ospitava gli uffici e gli alloggi degli ufficiali, fu riportato alla realtà dal suono di una voce familiare, quella di Alain. Lui e un altro paio di soldati altrettanto alti e corpulenti, sembrava lo stessero aspettando fuori dalla caserma per parlargli.

- E così André, tu la conosci bene quella strana donna in uniforme, non è così? - il brusco tono accusatorio di Alain non gli piacque affatto.

- Sì, è così. Se vuoi saperlo, ho servito la sua famiglia come uno schiavo fin da quando ero bambino, e ora, eccomi qui, a farle da guardia del corpo per ordine del padre! - aveva ponderato più che oculatamente le parole esatte da usare.

Se gli avesse fatto intendere che in realtà la pensava come loro sui nobili, fingendo di disprezzare Oscar, forse avrebbe potuto aiutarla a scoprire cosa Alain e suoi poco raccomandabili amichetti stessero tramando contro di lei.

- Come uno schiavo, eh? Suoni il pianoforte come Mozart e parli come uno di quei damerini imbellettati, malgrado i tuoi abiti modesti. Inoltre, mi sembri troppo ben pasciuto per essere stato trattato come uno schiavo dai tuoi padroni, non pensate ragazzi? Non ci piacciono i bugiardi qui! Né i tirapiedi degli ufficiali e le loro spie... Non è così amici? - gridò Alain in modo che tutti potessero sentirlo.

Aveva riso di lui sbeffeggiandolo ancora.  Capì che lo stava facendo apposta, con l'intenzione di peggiorare ulteriormente quella già sgradevole situazione. Alain de Soisson non era uno sciocco e sembrava essere molto stimato e rispettato dagli altri soldati. Portarlo dalla loro parte avrebbe sicuramente aiutato Oscar a farsi accettare, ma come?

- Posso assicurarti che ti sbagli sul mio conto Alain, malgrado ciò che pensi, non sono diverso da voi. In fondo, anche tu porti il cognome di un nobile senza trarne alcun privilegio, o sbaglio? - gli rispose André cercando di restare calmo.

- La mia famiglia è sempre stato di un rango troppo inferiore, per ambire a qualunque privilegio legato al suo nome. Ma che tu ci creda o no, per me non è stato mai un problema. Le persone dovrebbero tutte godere degli stessi diritti, e questo a prescindere dalle loro origini, non lo pensi anche tu? - ribatté l'altro evidentemente alterato.

- E' esattamente quello in cui ho sempre creduto anch'io, Alain - affermò André senza mentire.

Molti dei soldati della guardia condividevano le stesse idee del movimento umanistico nato in Francia in quegli anni. In ogni angolo di strada si gridava alla libertà, alla fraternità e all'eguale giustizia per tutti. Le voci di un intero popolo si erano levate sempre più alte e forti, nutrendo sempre di più il malcontento che già serpeggiava fra i poveri e le classi sociali meno abbienti. Anche lui condivideva quegli ideali, ma sapeva che inevitabilmente si sarebbe dovuti arrivati allo scontro, perché arrivassero ad avere un valore universale. Per il momento, André decise di stare in disparte, fingendo di unirsi ad Alain e ai suoi compagni meno ragionevoli. Solo così avrebbe potuto proteggere Oscar dalle oscure macchinazioni che quella marmaglia di ubriaconi e nulla facenti, aveva in serbo per lei.

- Ma davvero? Vieni allora, parliamone... - finì di dire Alain con un diabolico sorrisetto sulle labbra dure e sottili.



André tornò a casa in licenza dopo due lunghe settimane d'assenza; fra quei massacranti turni di pattugliamento per le strade di Parigi e quelli di guardia, era tornato a casa a pezzi. Se non altro, la fatica gli era servita a non pensare. Aveva anche smesso di bere rispetto a quanto facesse prima, era dimagrito, e se non fosse stato per quel problema assillante che aveva alla vista, avrebbe potuto tranquillamente affermare di essere in perfetta forma, più di quanto non fosse, prima di arrolarsi. Si passò una mano fra i capelli castani, scoprendo che erano cresciuti ancora. Avrebbe potuto legarli dietro la nuca come faceva un tempo se non fosse stato per la cicatrice che quella ferita all'occhio gli aveva lasciato sulla faccia, e sospirò al pensiero di quanto la sua vita fosse cambiata da quel giorno di pochi mesi prima. Oscar aveva lasciato andare il cavaliere nero per il suo e il bene di Rosalie, affinché potessero ricominciare una nuova vita insieme. Se quei bastardi dei suoi commilitoni avessero saputo quanto generosa e buona fosse la sua Oscar, forse non l'avrebbero giudicata tanto duramente. Per fortuna era riuscito a far ragionare molti dei suoi compagni d'armi, sopratutto dopo i continui tentativi di protesta e ribellione fomentati da Alain e dai i suoi affiliati giacobini.

Una cosa in particolare continuava a tormentarlo però, l'arresto di uno dei soldati che faceva parte in pianta stabile del suo drappello, un certo Gerard Lassale. Lui come tanti altri disperati che si erano arruolati per non morire di fame, avevano venduto più volte armi, uniformi e razioni di cibo, rischiando il patibolo pur di sfamare se stessi e le proprie famiglie, ma certamente era una cosa che Oscar ignorava. Gerard e Alain erano molto amici e certamente quella testa calda l'avrebbe potuta accusare di averlo denunciato alla polizia militare, peggiorando di molto la sua situazione. Doveva fare qualcosa per impedire il peggio, una volta tornato a Parigi ci avrebbe pensato, ora non desiderava altro che chiudere gli occhi e dormire.



Una brezza leggera le accarezzò il volto, riportandole il profumo delicato delle rose e dei lillà che abbellivano i numerosi giardini di casa Jarjayes. Anche lei era ornata casa per riposare, ma al contrario di André, non era riuscita a trovare pace nemmeno nel suo letto. Lo aveva visto rientrare ricurvo sul suo cavallo sfinito e quasi incapace di reggersi. André era dimagrito molto in quel periodo e benché non fosse certo abituato a poltrire, quello del soldato non era certo il mestiere che più gli si addiceva. Ripensò alle ultime due settimane trascorse e a quanto poco avessero parlato. Non avevano più discusso di ciò che era accaduto fra loro, ma non poté fare a meno di pensare che ormai quell'argomento fosse l'unica cosa di cui potessero parlare, e che quegli avvenimenti fosse gli unici che avessero in comune. Doveva sbrogliare la matassa e andare oltre, ma sopratutto, doveva riuscire ad aprirgli il suo cuore nel modo giusto, senza accuse, né inutili e sterili giri di parole.

- André, sistema la carrozza di Monsieur Girodel e porta una tazza di cioccolata a madamigella Oscar, per favore... -

- Sì, nonna! - era tornato per riposare non per fare ancora lo schiavo, pensò sbuffando.

Ma poi sorrise, infondo era felice di essere di nuovo a casa.

- Ma guarda, André Grandier! Ne è passato di tempo dall'ultima volta che ci siamo visti, eh? -

Trovò molto strano che un tipo altezzoso come il maggiore Girodel gli rivolgesse la parola, l'altro era un conte, mentre lui, un semplice servitore.

- Sono felice di vedervi in salute maggiore - gli rispose badando bene di tenere sempre lo sguardo basso.

- Fa piacere anche me, credimi. Sarai dispiaciuto all'idea che madamigella Oscar si sposi, dopo tutti questi anni passati insieme a lei... Sai, pensavo che se dovesse esprimere il desiderio di averti ancora al suo servizio, potrei anche prendere in considerazione l'idea di accettare. Sempre che tu sia d'accordo, si intende - esordì Girodel.

Era evidente che volesse provocarlo, ma a quale scopo?

- Sono spiacente di deludervi maggiore, ma il mio compito non consiste più nel proteggere madamigella Oscar. Da quando ha preso il comando dei soldati della guardia francese, la mia presenza al suo fianco è diventata inutile visto che ha dimostrato di sapersela cavare benissimo anche da sola - gli rispose lui a tono. Oscar dovette scendere due rampe di scale per avere la fortuna di assistere di nascosto a quell'insolita conversazione, ma badò di restare a debita distanza, in modo da non essere vista da nessuno. Forse in quel modo, avrebbe potuto comprendere meglio cosa passasse veramente per la mente dei due uomini.

- Sul serio? Mi chiedo se madamigella Oscar si sia resa conto del fatto che per tutti questi anni abbiate fatto parte integrante di lei... avete letto quella novella, André, "La nuova Eloisa" di Rousseau? Anche quella parla di un amore impossibile fra una nobile e il suo servo. Facendovi quell'offerta non volevo altro che offrirvi la possibilità di starle ancora accanto, anche quando saremo sposati - disse Girodel col preciso intento di umiliarlo e ribadire la sua posizione di superiorità.

Raramente si sarebbe fatto dominare dalla rabbia e dal gioco di chi di proposito cercava d'istigarlo ad avere una reazione, ma in quell'occasione non riuscì a trattenersi e d'impulso gli gettò in faccia la cioccolata destinata ad Oscar.

- Credetemi maggiore Girodel, semmai riusciste nel vostro intento, cosa di cui dubito fortemente, sarò di certo l'ultima cosa di cui dovrete preoccuparvi! - ribatté Andrè girando in fretta i tacchi per andarsene.

Malgrado quel gesto estremo, Girodel non si lamentò, né pretese delle scuse. Si limitò a ripulirsi il viso dalla cioccolata, che oltretutto non era nemmeno calda: André non gliela avrebbe mai lanciata addosso, altrimenti. Dunque era come pensava, il giovane attendente di madamigella Oscar era innamorato di lei. Ma lei lo ricambiava? Poteva essere lui la ragione della sua ritrosia, o c'era altro?

Mel frattempo, Oscar che nascosta sulle scale aveva sentito tutto, si portò una mano al petto da quanto era in preda all'ansia.

- Parte integrante di me? Girodel ha ragione, André è sempre stato una parte di me. Non sarei potuta esistere senza di lui, né lui senza di me... - mormorò a se stessa nascosta dietro un colonna.


 

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***




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La sera del ballo, come tutti si aspettavano Oscar partecipò alla festa data in suo onore indossando l'abito più sfarzoso che possedeva. Ma anziché presentarsi a quell'avvenimento con un vestito femminile, fece il suo trionfante ingresso in alta uniforme. La stessa candida divisa militare che aveva scelto per ballare tutta la notte con la sua regina solo pochi anni prima, le calzava ancora a pennello, e come sempre, la rendeva ugualmente bellissima. Nessuno si sarebbe aspettato di vederla comparire a quell'evento con indosso l'uniforme, né le dame, accorse numerose, né gli speranzosi gentiluomini che in tutti quegli anni avevano guardato a lei con curiosità, domandandosi quali sontuose forme potessero celarsi veramente dietro quei castigati abiti prettamente maschili.

Non era felice di essere al centro dell'attenzione di tutti, era il suo ultimo disperato tentativo di sottrarsi a quella condanna visto che se avesse voluto, suo padre avrebbe potuto costringerla con la forza, a sposarsi con qualcuno. Doveva dimostrargli che si sbagliava, che un matrimonio imposto non l'avrebbe mai resa felice, né l'avrebbe protetta dalle sfide e dalle insidie, che la vita avrebbe continuato a riservarle. Così, al suono del primo minuetto Oscar, anziché un uomo, invitò un dama, a ballare con lei. E così fece anche dopo, con il ballo seguente e quello dopo ancora, non trattenendosi dall'elogiare la bellezza e la grazia delle proprie compagne di danza, scatenando l'ira del padre e la gelosia di molti dei suoi ammiratori.

Sperava che da qualche parte André la stesse osservando, capendo cosa stesse cercando di ottenere in quel modo. Non desiderava altro che convincere quegli uomini a rinunciare a lei e a quell'insano proposito di sposarla, una volta per tutte. Tutto andò liscio fino a che qualcuno dei presenti, arrivato da poco nella sala da ballo, non le chiese il permesso di danzare con lei.

Poi però, Oscar perse tutta la sua baldanza quando vide il conte di Fersen difronte a sé.

- Non volevo crederci madamigella Oscar, dunque, vostro padre è impazzito? - esordì Fersen tenendola saldamente fra le braccia.

- Fersen, cosa ci fate qui? Chi vi ha invitato? - gli domandò estremamente sorpresa di vederlo in quella sala.

- Uno dei miei servitori dice d'averlo ricevuto stamane dal vostro André. Non sapevo cosa pensare in proposito, ma poi, ho pensato che avrei potuto esservi d'aiuto in qualche modo... - le rispose spiazzandola.

- André... avrebbe fatto questo? - abbassò lo sguardo arrossendo appena e non per l'emozione di trovarsi ancora una volta fra le braccia di Fersen.

Era arrossita di rabbia. Ma poi, a quel moto d'ira così decisamente mal celato agli occhi di chi la conosceva bene, subentrò un altra emozione e cioè, un amara delusione.Il pensiero che André avesse pensato di chiamare Fersen credendola ancora innamorata di lui, le raggelò il sangue.

La sala da ballo si era riempita di sussurri e sommessi vocii, dopodiché, molti degli astanti si dedicarono ad altro, consolandosi col sontuoso banchetto organizzato dal generale Jarjayes per l'occasione. Tutti tranne uno, il maggiore Girodel, che finalmente si fece avanti.

- Conte di Fersen anche voi qui, a corteggiare il nostro affascinante ex comandante della guardia reale? Una cosa sorprendente per tutti noi! - esclamò il giovane ufficiale.

- Avete detto bene maggiore Girodel, madamigella Oscar è davvero molto affascinante stasera. E per tutta risposta sapete che vi dico, che la rapirò, ballando con lei anche tutta la notte se mi vorrà - gli rispose a tono Fersen.

Sarete per sempre il mio migliore amico Oscar e per quanto valga, io sarò il vostro, ricordò lei. Era vero, di fronte aveva solo l'amico, l'uomo che a dispetto delle dicerie e dei pettegolezzi che ne sarebbero potuti scaturire, era venuto in suo soccorso mettendosi fra lei e quella marmaglia di idioti, che quella sera avevano pensato bene di corteggiarla. Fersen era davvero il suo migliore amico, e lo sarebbe sempre stato, pensò, facendosi guidare dalle sue sapienti mani in quella lunga e chiacchierata danza liberatoria. A fine serata, convinta d'aver finalmente vinto la sua battaglia più grande, si separò dagli altri correndo in giardino.

Aveva bisogno d'aria.

Convinto di fare il suo bene, André aveva invitato anche il conte di Fersen al quel ballo. Così era quello il suo modo di darle una mano? Alla fine, aveva comunque cercato di aiutarla. Che sciocca era stata a pensare, che lui l'avesse abbandonata o che i sentimenti che da sempre nutriva per lei, fossero improvvisamente mutati. Non poteva più attendere, doveva parlare con lui. Oscar si girò verso l'oscurità di quel giardino, attirata da un rumore improvviso, sperando che l'uomo alle sue spalle, fosse proprio André.

- Grazie alla vostra trovata, la festa è finita nel caos. Avete invitato voi il conte di Fersen, non è così? - le chiese Girodel che incapace di arrendersi l'aveva seguita, non si poteva certo dire di lui, che non amasse andare dritto al sodo.

- Non sono stata io ad occuparmi degli inviti, maggiore Girodel. Mi spiace deludervi - replicò lei infastidita da quella intrusione inaspettata.

- Sapevo che foste ammirata da molti, solo, non sapevo quanto. E questo mi incoraggia ancora di più ad insistere, madamigella Oscar. Vi prego accettatemi! Accettate questo mio cuore innamorato, un cuore che batte solo per voi mia musa... mia splendida dama... io vi amo Oscar, vi amo! -

Presa da un momento di debolezza, Oscar si ritrovò chissà come fra le sue braccia. Quando Girodel si chinò su di lei tentando di sfiorarle le labbra, lei gli sfuggì, disperata, e tremendamente in collera con se stessa. Quel contatto aveva fatto riaffiorare un ricordo lontano, il ricordo di bacio colto dalle sue labbra come un fiore non ancora sbocciato. Le labbra che Oscar ricordava si fossero posate sulle sue, erano di gran lunga più tenere e febbricitanti di quelle di Girodel. Non era quello il sapore che voleva gustare, né tantomeno il profumo che desiderava aspirare a pieni polmoni.

Era tutto sbagliato, tutto.




La mattina seguente, André rimase fermo sulla porta della stanza della musica dove Oscar stava suonando una melodia dalle noti tristi e nostalgiche. Entrò, lei non gli aveva risposto malgrado avesse bussato più volte. - Oscar? Posso parlarti? - quando fece un passo verso di lei, Oscar smise di suonare.

- Sì, dimmi Andrè? - rispose lei senza voltarsi.

- Avrei un favore da chiederti, ricordi il soldato Gerard Lassale? E' stato arrestato dalla polizia militare e rischia di essere fucilato... - le ricordò lui.

- Il soldato che ha venduto il suo fucile, Andrè? E più di una volta, se non sbaglio? - ribatté lei quasi voler dire che in fondo a parer suo, quel soldato meritava quella punizione.

- Sì Oscar, esatto, proprio lui. Come anche tutti gli altri del resto! Venderebbero l'anima al diavolo pur di ottenere un po di denaro e riuscire a sfamare le loro famiglie... - aggiunse con veemenza André.

Si rese conto troppo tardi d'aver detto qualcosa che in realtà, avrebbe dovuto tenere solo per sé, ma pensò anche che Oscar non era una sciocca e quella cosa, dovesse saperla per forza.

- Cosa vuoi che faccia con esattezza? Vuoi che interceda per lui, in modo che possa vendersi anche la spada, l'uniforme e gli stivali? - quel tono sarcastico non gli piacque per niente.

- Se lo facessi potrebbe accadere, sì. Ma quell'uomo è anche uno dei più cari amici di Alain de Soisson e penso che un atto di clemenza da parte tua, potrebbe aiutarti ad ammorbidirlo un po' nei tuoi confronti - replicò André.

Oscar sembrava non essere in sé, cosa mai era accaduto a quel ballo?

- Hai invitato tu Fersen alla festa di ieri sera? - gli chiese lei cambiando discorso all'improvviso.

- Sì. E' venuto? - domandò cercando di rimanere freddo e distaccato malgrado si sentisse morire.

- Abbiamo danzato insieme quasi tutta la sera... - disse voltandosi finalmente verso di lui.

- Sono felice per te - rispose André serrando la mascella e i pugni.

- Grazie alla tua discutibile iniziativa, ho ritrovato un amico che credevo perduto... Sai André, visto l'esito disastroso della serata di ieri, penso che dopotutto, non mi sposerò tanto presto - disse Oscar, alzandosi dal sedile del piano forte per raggiungerlo al centro della stanza.

- Farò tutto il possibile per il tuo amico Lassale, André. Te lo prometto! - disse ancora.

Poi avvicinandoglisi maggiormente, Oscar gli prese la mano stringendola forte nella propria. Quel calore improvviso li colse entrambi di sorpresa: sarebbe stato così facile abbandonarvisi e lasciarsi trascinare, ma Oscar si trattenne dal scioccarlo ancora. Non era il momento giusto per certe cose, così, sempre tenendolo per la mano, lo trascinò con se verso le cucine nel piano inferiore della casa.

- Vieni, mi devi ancora una cioccolata! -




Oscar terminò di firmare gli ultimi documenti della giornata poco prima del tramonto, erano passati due giorni dal ballo, benché Girodel non si fosse ancora arreso il suo solo pensiero andava ad André, e a come a dirgli ciò che provava. In quei tempi così difficili, vivere un amore le sembrava quasi impossibile e con tutto quello che stava succedendo, poi.

Come poteva essere tanto egoista da pensare solo a sé stessa?

Eppure, il cuore le bruciava nel petto come quel sole incandescente che dipingeva di rosso e arancio, il cielo di quell'ennesimo giorno che stava per finire. Pensò di nuovo a lui e alla loro ultima conversazione. L'idea di André di intercedere per l'amico di Alain era stata buona, da lì a poco il malcapitato soldato della guardia Gerard Lassale, sarebbe tornato fra i suoi compagni felice di essere ancora in vita. Graziea lui non aveva solo salvato una vita innocente, aveva anche aperto gli occhi sulle condizioni precarie in cui versavano i suoi uomini e sull'estrema povertà di ognuna delle loro famiglie. Un temporale improvviso rabbuiò l'orizzonte. Il primo tuono, accompagnato da un fulmine terribilmente violento che squarciò il cielo in due quasi abbagliandola, rimbombò potente, facendola tremare. Provò una sensazione sgradevole, la più brutta provata in vita sua.

- André? Ma dov'è finito? - si disse ad alta voce mentre preoccupava osservava la pioggia fuori dalla finestra.

- Comandante! Comandante Oscar, presto! -

Qualcuno dei suoi uomini l'aveva chiamata spalancando la porta del suo ufficio di botto, ma quando uscì all'esterno dell'edificio, Alain le si parò di fronte con aria minacciosa.

- Che genere di scherzo è questo? - ribatté Oscar cercando dappertutto Andrè con lo sguardo.

- Cosa gli hai fatto, vigliacco? Dov'è il soldato Grandier? Rispondi o io... - chiese Oscar in collera.

Al tono duro di Oscar seguì solo una risata di scherno, facendola irritare ancora di più di quanto non fosse.

- Vi dirò dove si trova la vostra spia solo se mi seguirete nella piazza d'armi, Comandante - disse Alain per tutta risposta.

Un numeroso gruppo di soldati si era radunato in cerchio nella piazza, era sicuramente un altra trovata di Alain, ma cosa aveva in mente questa volta?

Alain l'aveva costretta con la forza ad unirsi a lui al centro di quel cerchio, e non solo, se non si fosse battuta lealmente con lui, non le avrebbe mai rivelato dove fosse André e cosa gli fosse accaduto.

- Perché? Perché fare questo a un vostro compagno? Odiate me, ma André non vi ha fatto nulla! - esordì Oscar gridando sotto la pioggia battente tutto il suo disappunto.

- La vostra spia, è di lui che parlate? Lo sanno tutti che quel mezzo orbo vi racconta tutto quello che succede qui. Battetevi comandante! Se vincerete vi dirò dove si trova, ma se perderete, in quel caso: solo giurando di lasciare questo comando, rivedete ancora vivo quell'infame - sbottò Alain sguainando le due spade con cui era solito combattere.

Mentre dalle fila di alcuni di quei soldati si levavano voci d'assenso, sul volto di molti altri, Oscar lesse lo sgomento. Non tutti erano dalla sua parte, doveva approfittarne.

- André Grandier non è un spia! Anzi, ha fatto di tutto per perorare la vostra causa implorandomi di liberare il vostro commilitone Lassale. E' con questa moneta, che lo ringraziate? - continuò Oscar sperando che qualcuno potesse ascoltarla.

- Lassale è spacciato. E per colpa vostra! L'avete venduto, confessatelo! - urlò con rabbia Alain.

Lo sguardo duro e inclemente dell'uomo di fronte a lei la spaventò profondamente. Dunque, era davvero convinto che lei avesse potuto fare una cosa tanto meschina come quella di denunciare uno dei suoi soldati?

- No, non è affatto così! Lassale verrà rilasciato, ma se non mi credete, allora... peggio per voi, branco di codardi! - aggiunse ancora Oscar preparandosi a battersi con l'avversario più talentuoso che avesse mai conosciuto in vita sua.

Alain era molto alto e corpulento, fisicamente più forte di chiunque avesse mai affrontato, malgrado la sua tecnica fosse alquanto rozza e prevedibile. Ciò nonostante, Oscar ebbe non poche difficoltà a tenergli testa. Il suo unico vantaggio era rappresentato dall'agilità e leggerezza del suo corpo, nonché da un'innata abilità nel brandire la spada.

Grazie alla sua esperienza poteva prevederne in anticipo le mosse, e quando ne ebbe l'occasione, ne approfittò per colpirlo ad una spalla dopo un affondo. Alain reagì di contro con una stoccata, parandole il colpo che Oscar aveva guidato dritto al suo braccio sinistro. Voleva disarmarlo e appropriarsi della seconda spada, che Alain usava con una destrezza fuori dal comune. Alla fine conscia d'aver dato fondo a tutte le sue energie, Oscar ebbe un breve cedimento e impallidì al pensiero che forse, quella volta non l'avrebbe scampata. Se fisicamente si era forzata, moralmente stava cedendo.

L'odio e il disprezzo disegnato sul volto del suo avversario, la fecero vacillare.




Nel frattempo André, chiuso con l'inganno nell'armeria, era stato messo al corrente di ciò che stava accadendo nel cortile interno della caserma. Alain de Sossoin aveva sfidato Oscar a duello, e ora, si stavano battendo. Era stato attirato in quel luogo con una scusa e poi rinchiuso in quel grande magazzino, senza che potesse in nessun modo avere il tempo di reagire. I due gorilla che lo sorvegliavano alla porta erano scagnozzi di Alain, e finché non avessero avuto l'ordine di farlo uscire, non gli sarebbe stato possibile andare in soccorso di Oscar.

- Così quel pusillanime vi ha chiesto di restare qui a farmi da balie? In questo modo vi perderete tutto il divertimento... - esordì André cercando di punzecchiarli.

- Sta zitto lecchino! - lo insultò il più grosso.

- E' vero, Alain se la spassa mentre noi dobbiamo star qui a far la guardia a questo bastardo di un galoppino - controbatté insoddisfatto l'altro.

- Già, potremmo divertirci un po anche noi, perché no? Che ne dici traditore, se ti cambiassimo un po i connotati? Alain ci ha ordinato di non ucciderti... e noi non ti uccideremo, vero Pierre? -

- Giusto Claude! Noi non lo uccideremo... - ripeté il secondo appressandosi alla porta.

Era disposto a farsi massacrare pur di uscire dal quel posto e quando i due energumeni gli si scagliarono addosso, si lasciò pestare senza reagire. Credendolo privo di sensi, gli uomini di Alain lo avevano abbandonato lì a terra, ferito e in una pozza di sangue. Avevano di proposito lasciato la porta dell'armeria aperta e s'erano andati ridendo, mentre fortunatamente, altri soldati correvano a aiutarlo.

Malgrado le percosse lo avessero ridotto male, André riuscì nuovamente ad alzarsi e a raggiungerla all'esterno della piazza d'armi, imbracciando un fucile. Quando arrivò però, sul posto regnava un silenzio irreale. Temendo il peggio André si trascinò verso di loro, facendosi strada fra la ressa di uomini che si era formata attorno a Oscar e Alain, rimanendo del tutto spiazzato da quello che vide.

Alain era a terra, con due spade le cui lame conficcate nel terreno si incrociavano all'altezza della giugulare, bloccandolo.

André si avvicinò all'uomo e pur zoppicando, fra lo stupore generale gli tolse le spade di dosso, frapponendosi tra lui e Oscar.

- Credo che possa bastare, non credi? Hai vinto Oscar! Ora, non potranno più osteggiarti... - disse André cercando di non crollare a terra.

Oscar rimase basita di fronte a quel gesto insensato, si sentiva bruciare di rabbia al pensiero di come li avessero trattati, e non capì fino in fondo perché André avesse agito in quel modo, prendendo le parti di chi gli aveva fatto del male.

- Che ti è successo alla faccia? Chi ti ha ridotto a quello stato? - Alain si alzò da terra incurante della ferita che aveva al collo, affrettandosi a soccorrere André, che ormai non si reggeva più in piedi.

Prima di aiutarlo a raggiungere l'infermeria però, Alain si fermò un momento, rivolgendosi per l'ultima volta al suo comandante.

- Se questo idiota si fatto ridurre così per voi, allora, vuol dire in fondo non siete poi così tanto male, comandante Oscar. Quando Gerard tornerà fra noi, se ancora vorrete vi farò le mie scuse ufficiali, ma ricordate una cosa comandante, anch'io ho venduto il mio fucile e più di una volta. Non solo, anche l'uniforme e le coperte, se proprio volete saperlo. Molti di noi rinunciano anche a una parte del loro rancio per darlo ai propri cari, la paga che riceviamo è talmente misera, che non ci basta nemmeno per vivere. Perciò vendiamo le armi e tutto il resto, per non morire di fame! Quando deciderete di punirci per quello che abbiamo fatto, ricordate queste parole comandante Oscar e agite di conseguenza... - terminò Alain.

Era evidente che in tutta quella brutta storia,  Alain almeno non fosse responsabile del pestaggio di André. Malgrado le minacce, non aveva mai veramente voluto fargli del male.

- Che diavolo state facendo lì impalati voi, non c'è più niente da vedere. Tornate subito nei vostri alloggi, è un ordine! - gridò il colonnello d' Agoult alle sue spalle.

Oscar rinfoderò la spada e dopo un primo attimo di incertezza, li seguì fino all'infermeria senza più riuscire a dire una parola.



 

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Capitolo 6
*** Capitolo Sesto ***









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Il rabbioso sfogo di Oscar culminò con la completa devastazione del suo ufficio.

Aveva gettato ogni cosa all'aria in uno scatto d'ira che le era montato dentro irrefrenabile e violento come un fiume in piena. Benché le ferite di André non fossero gravi e Alain avesse deciso di arrendersi, malgrado ciò, in quel momento avrebbe ucciso sia lui che i suoi tirapiedi, se avesse potuto. Sebbene Alain avesse tutte le ragioni del mondo, ragioni che per certi versi condivideva, non poteva perdonarlo.

- Comandante, il medico chiede di voi... - l'avvisò il colonnello d'Agoult che entrando nel suo ufficio non fece nessun accenno alle condizioni in cui si trovava.

- Vengo subito - gli rispose lei cercando di darsi un minimo di contegno. - Come va la ferita al collo? - domandò Oscar ad Alain una volta arrivata in astanteria.

- E' solo un graffio comandante... - le rispose sommessamente l'altro.

André apparve subito dopo da dietro un separè, Il medico dell'infermeria aveva appena finito di medicarlo e quando lo vide, in piedi e con un espressione tranquilla disegnata sul volto, Oscar poté finalmente tirare un sospiro di sollievo.

- Il dottore dice che un paio di giorni di riposo dovrebbe bastare per tornare tornare in servizio, Oscar - le disse subito dopo.

- Devi restare? - volle sapere lei.

- No, posso venire a casa - le rispose Andrè dando un'ultima sfuggente occhiata ad Alain.

A dispetto di tutto però, quell'espressione mortificata sul volto dell'amico lo fece sorridere. Aveva avuto modo di conoscerlo più intimamente durante quelle ultime due settimane, e malgrado Alain fosse una testa calda sempre pronta al litigio, nel profondo non era una cattiva persona. Al contrario delle apparenze, quell'attaccabrighe possedeva una spiccata intelligenza e una ferrea levatura morale, infatti, pur consapevole di rischiare di apparire debole agli occhi di chi lo ammirava, Alain non aveva esitata un momento nel prestargli soccorso, e questo gli faceva onore.

- André io... - Alain era profondamente dispiaciuto per lui era evidente.

- Non importa, so che le tue intenzioni erano buone. Dì a quei due disgraziati di Pierre e Claude che si battono come educande, e che la prossima volta che vorranno darmi una lezione, farò sul serio con loro! - replicò André scherzando.

Al contrario di lui, Oscar si astenne dal parlare e lo fulminò con lo sguardo.

- André vai avanti per favore... io ti raggiungo - gli disse lei con tuono durissimo nella voce.

Conosceva quello sguardo, Oscar non sapeva mentire. Era incapace di nascondere le sue emozioni, sopratutto quando erano così inequivocabili intense da farle addirittura cambiare espressione.

- Va bene, ma fai presto Oscar - rispose André sospirando.




Oscar aspettò che André uscisse dall'astanteria per parlare con Alain.

- Quando ti sarai ripreso ti aspetto nel mio ufficio, discuteremo insieme sul da farsi per aiutare questi uomini. Mi darai tu qualche suggerimento visto che li conosci meglio di chiunque. Chiederò anche un aumento della paga, in modo che non siate più obbligati a vendervi anche le braghe per sopravvivere... ma attenzione Alain, se ad Andrè dovesse accadere un altra cosa simile, ti ucciderò con le mie stesse mani. Sono stata chiara? - Oscar lo guardò dritto negli occhi aspettandosi una risposta affermativa.

- Giuro su dio che nessuno gli torcerà più nemmeno un capello, comandante - l'accontentò Alain astenendosi dal aggiungere un altra parola a sproposito benché morisse dalla voglia di farlo.

Detto fatto, Oscar uscì da quella stanza lasciandosi alle spalle quell'aura spaventosa che fin da quando aveva messo in quel posto, le aleggiava attorno raggelando chiunque la incontrasse.

Infatti, solo dopo che se ne fu andata Alain poté finalmente rilassarsi e ritrovare un minimo di lucidità. Nonostante tutto, poteva gioire. In un modo del tutto imprevedibile e inaspettato, era comunque riuscito ad ottenere qualcosa. Si soffermo poi sul l'espressione tirata e pensierosa disegnata sul volto perfetto del suo comandante che la rendeva semmai ancora più bella di quanto già fosse, stupendosi di sé stesso e di quei pensieri proibiti che riuscivano ad affollargli la mente anche in un momento grave come quello.

Cosa diavolo gli stava succedendo?





La pioggia aveva continuato a cadere accompagnando mestamente il loro rientro a casa in carrozza.

- Me la sono vista molto brutta oggi, credevo seriamente che avrei perso contro di lui... non avevo mai incontrato nessuno tanto abile con la spada - ammise Oscar rompendo l'ennesimo silenzio sceso fra loro.

- Alain è un uomo dalle molteplici qualità Oscar, posso sapere di cosa avete parlato? - le chiese stupendola.

- L'ho minacciato di morte... Vuoi sapere altro? - gli domandò a sua volta.

- Quegli uomini avevano ricevuto l'ordine di non farmi del male, Oscar. Stuzzicarli è stata una mia idea, come del resto fargli credere che fossi svenuto in modo che lasciassero aperta la porta e potessi uscire... Alain non c'entra. - le confidò.

- Anche se odia gli aristocratici al punto da non riuscire a fare distinzioni, lui non è la persona che credi. Il tuo predecessore ha cercato di violentare la sua sorellina dopo che la ragazza era andata a trovarlo... Scampò alla fucilazione solo perché quel bastardo fu colto sul fatto dal colonnello d'Agoult, che con sorpresa di tutti testimoniò in suo favore quando Alain pensò bene di spaccandogli la faccia a forza di pugni - aggiunse André.

- E per questo che lo hanno degradato, giusto? - cuncluse lei.

Dopo quelle tristi affermazioni Oscar non ebbe il coraggio di guardarlo.

- Già! In modo più giusto sarebbe stato premiato, non punito... - finì di dire André. In un mondo più giusto non ci sarebbero state distinzioni di genere fra uomini e donne, nobili e popolani o fra ricchi e poveri. In un mondo così, lui e Oscar avrebbero potuto amarsi alla luce del sole, sposarsi e avere dei figli senza dover chiedere il permesso a nessuno per farlo. In ogni caso, Oscar non lo ricambiava ed era già abbastanza che lei lo avesse perdonato dopo i fatti di quella notte, per cui, era giusto anche così.

- Hai pubblicamente preso le sue parti, e malgrado tutto quello che ti ha fatto, lo difendi anche! - sbottò Oscar spazientita.

- Tutto quello che ti ho detto è vero Oscar, cosa avrei dovuto fare? - le rispose a tono lui.

Nonostante tutto quello che si erano detti Oscar era ancora in collera e capiva perché. Era notte fonde quando rincasarono, dopo quello sfogo Oscar scese dalla carrozza sbattendo con forza lo sportellino dietro a sé, senza accorgersi del fatto che André non l'avesse seguita subito. Tornò su i suoi passi per raggiungerlo, ma quando lo vide scendere dalla scaletta lui scivolò a terra mancando l'ultimo appiglio, iniziando a tenersi la testa.

- Oscar! Oscar... - l'aveva chiamata ad alta voce mentre il buio tornava a coglierlo impreparato, spaventandolo a morte.

- Come hai fatto a cadere, non hai visto lo scalino? - quella domanda le sorse spontanea visto che era stata proprio quella l'impressione che aveva avuto.

- No! No io... ho avuto solo un capogiro... niente di più - le mentì lui.

André era nel panico, ogni volta quei momenti duravo più a lungo e a lui sembrava di impazzire. Oscar lo aveva dovuto accompagnare fino alla sua camera, aiutandolo poi a distendersi sul letto, entrambi fradici di pioggia. Restò a fissarlo qualche istante, poi lo aiutò a togliersi gli stivali, sedendogli accanto nell'attesa che smettesse di ansimare.

- Aspetta, ti allento il colletto della camicia... ti fanno molto male le ferite? - gli chiese ingenuamente.

- N-No... - sentiva le dita di lei sfioragli la pelle mentre gli slacciava la fascia di stoffa che aveva attorno al collo. Oscar era china di lui, senza che André potesse vederla. Si morse un labbro per la rabbia, afferrandole debolmente entrambe i polsi per allontanarla da sé. Ma lei non glielo permise, facendogli resistenza.

- Chiama mia nonna Oscar, si occuperà lei di me. Ti prego... - la supplicò André.

- Tua nonna starà dormendo da ore ormai, ci penso io a te - rimbrottò lei quasi seccata.

André deglutì nervosamente, poi arrendendosi alla sua insistenza si mise seduto sul letto, aiutandola a farsi togliere la casacca dell'uniforme e anche la camicia.

-Ti prendo qualcosa di pulito... aspetta, dove tieni la biancheria? - gli domandò mettendolo seriamente in difficoltà.

- Nel secondo cassetto - le rispose senza doverglielo indicare. Per ora era salvo.

Oscar gli prese un camicia pulita e lo aiutò a infilarla: André era pieno di abrasioni e lividi, ma notò lo stesso i muscoli ampi del petto e quelli ben definiti dell'addome. Arrossì, ma poi si scurì nuovamente in viso, notando che in effetti André doveva aver perso molto peso in appena un mese.

- Finisco io... vai pure a riposare adesso - disse lui sempre più imbarazzato.

- No! Resto fino a che non ti addormenti. Se dovessi sentirti male di nuovo, non avresti nessuno a cui chiedere aiuto. Voglio rimanere qui, con te... - gli confessò quasi inconsciamente lei.

Quando la vista tornò la prima cosa che André vide fu il suo viso bagnato di lacrime.

- Oscar, ma tu stai piangendo... - era sorpreso da quel pianto perché dal tono di voce di Oscar non era trasparita nessuna emozione.

A quelle parole, Oscar provò il dolore più forte che avesse mai provato di tutta la sua vita. Aveva iniziato a piangere fin dal primo istante in cui era entrata con lui in quella stanza, senza capire fino in fondo cosa gli stesse succedendo.

Perché si accorgeva del suo stato solo ora?

- Ragazzi? - la voce preoccupata e stupida di sua nonna li sorprese all'improvviso portando Oscar ad allontanarsi di scatto da lui.

- André mio dio, cosa vi è successo? Guardate in che stato pietoso siete... - la vecchia Marie si avvicinò al nipote carezzandogli dolcemente il viso gonfio e tumefatto.

- Hai! Smettila nonna, mi fai male - si lamentò André.

- Siamo stati aggrediti a Parigi, oggi. Ci sono un sacco di tafferugli negli ultimi tempi, non è niente di grave nonna! - replicò Oscar.

- Allora non siete andata alla cena che il maggiore Girodel aveva organizzato per voi? Vostro padre sarà molto contrariato per questo contrattempo... André è tutta colpa tua, incapace di un nipote! - sbottò la donna seppur con un tono più gentile del solito.

- Girodel? Non ho ricevuto nessun invito - si giustificò Oscar.

Tornò nella sua stanza senza nessuna voglia di farlo, col pensiero fisso di André ed il suo sguardo assente ad assillarla. Le sarebbe bastato molto poco per confessarsi a lui; per tutto il tempo che avevano passato da soli nella sua stanza, non aveva desiderato altro che stringersi a lui e perdersi fra le sue braccia. Pensò anche a Girodel prima di addormentarsi. Doveva essere chiara con lui, e smorzare sul nascere quelle sue assurde pretese amorose.





Tornare al comando della guardia metropolitana di Parigi il giorno dopo l'aggressione ad André, le costò una fatica immane. Entrò attraverso in grandi cancelli a testa bassa e sopra pensiero, mentre ognuno di quei soldati che fino al giorno prima l'avevano tanto osteggiata, ora le si fermava davanti per farle il saluto. La sua vittoria su Alain aveva sortito l'effetto sperato, e anche se a caro prezzo, Oscar era riuscita a conquistare, se non la stima dei suoi uomini, almeno il loro rispetto.

- Alain de Soisson, agli ordini comandante! - si presentò lui il giorno dopo come se nulla fosse mai accaduto.

- Sei già in piedi? - sbottò Oscar squadrandolo gelidamente da capo a piedi.

- Non era nulla comandante, come sta André? - le domandò Alain sinceramente preoccupato.

- Molto meglio, grazie. Allora, visto che sei già in forze ti informo che dovrai accollarti tutti i turni di guardia del soldato Grandier, comprese le ronde, per tutto il tempo in cui mancherà. inoltre, stilerai una lista di richieste da ognuno di questi gruppi di soldati e quando avrai finito, verrai da me per discuterne. Riferisci all'armeria i nomi di tutti quelli di tua conoscenza a cui manchi il fucile o la spada, e informa l'ufficiale addetto di riassegnare ad ognuno di loro l'arma di ordinanza perduta... - gli rispose Oscar.

- State dicendo che non ci punirete per quello che abbiamo fatto? - chiese serio l'altro.

- Esatto, ma solo perché André mi ha scongiurato di non farlo - gli rispose freddamente Oscar.

- Bene, allora a gli ordini mio comandante... - esclamò Alain col suo solito piglio insolente.

- Che c'è ancora?- gli chiese poi Oscar nel vederlo titubante a lasciare il suo ufficio.

- Siete pallida comandante... siete sicura di star bene? - le domandò stupendola.

Alain non era solo un grande spadaccino ma anche un ottimo osservatore, doveva concederglielo.

- La mia salute è davvero l'ultima cosa di cui dovresti preoccupare, Alain... - gli rispose Oscar sospirando.

Alain sfoggiò il suo sorriso migliore e si mise sull'attenti. Dopo averle fatto il saluto si congedò, e solo dopo aver oltrepassato quella porta quel finto sorriso si spense. Il suo comandante era triste e giù di corda, fin troppo per i suoi gusti.





André si alzò molto tardi quella mattina: sentiva il corpo pesante come un macigno, mentre la testa gli doleva a tal punto che sembrava dovesse esplodergli da un momento all'altro. Intravide la luce del giorno filtrare attraverso le tende; il cielo ancora parzialmente coperto veniva a tratti aggredito dal sole, che sembrava volersi affacciare a tutti i costi su quell'ultimo fine settimana di maggio.

- Che credi di fare tu? - lo rimproverò sua nonna.

- Mi alzo nonna, non c'è la faccio più a restare ancora a letto - protestò André.

- Madamigella Oscar si è raccomandata di tenerti a riposo oggi! - gli comunicò la vecchia Marie.

- Non è grave nonna, mi riprenderò presto - le rispose lui cercando di rassicurarla.

- Se la mia bambina si sposasse e tu tornassi finalmente a casa, sareste entrambe al sicuro. Prego ogni giorno dio perché questo accada... - gli confidò la donna.

- Oscar sarebbe molto infelice se ciò accadesse nonna, e anch'io, credimi - replicò André con tristezza.

- Dovresti smetterla con queste sciocchezze André, e iniziare a pensare un po a te stesso una volta tanto. Dimenticala ragazzo mio... per quelli come noi, la felicità non è di questo mondo - finì di dirgli sua nonna nascondendo una lacrima.

- Nonna tu... quando l'hai capito? - le chiese incredulo.

Marie si limitò a guardarlo e quello sguardo carico di dolore, fu per lui più esauriente di mille parole. Erano anni che li osservava in silenzio e da lontano. Li aveva visti crescere e maturare, sia fisicamente, che come persone. Nessuno li conosceva meglio di lei e certamente doveva aver sofferto molto nel vedere il suo unico nipote innamorarsi di una donna che non avrebbe mai potuto avere. Doveva forse accettare il matrimonio di Oscar con un altro uomo senza battere ciglio? Aveva rinunciato a lei solo per vederla finire fra le braccia di un estraneo? Tutto considerato, se Oscar fosse stata veramente felice avrebbe potuto accettarlo. Presto avrebbe perso la vista del tutto e allora, non avrebbe più potuto proteggerla quindi, lasciarla andare era la cosa più giusta che potesse fare per lei.

Allora perché non ci riusciva, cosa lo faceva sperare ancora?





Dopo aver terminato i suoi doveri anche per quella lunga e spossante giornata, invece di tornare a casa, Oscar si recò da Girodel per potergli parlare.

- Allora Madamigella di cosa volevate parlarmi? - esordì Victor mentre passeggiavano l'uno accanto all'altra nella penombra dei suoi eleganti giardini.

- Girodel io... sono venuta a chiedervi di dimenticarmi. Se davvero mi amate come avete detto, allora fatelo, per il vostro bene e il mio - riuscì finalmente a dire Oscar.

- Per il mio bene, o quello del vostro attendente? - ribatté Girodel deluso da quell'insensata richiesta.

- Che state cercando di insinuare? Che cosa centra André adesso? - sbottò Oscar risentita.

- Lo amate, e lui ama voi è così evidente! Esporrete la vostra famiglia allo scandalo, se deciderete di unirvi a un uomo di così umili origini. Potrei darvi tutto madamigella Oscar, offrirvi il mondo intero, se solo lo voleste... - ribadì Girodel con estrema passione.

- A costo della vostra infelicità e della mia? Sareste felice al fianco di una donna che non vi ama, e il cui cuore appartiene già ad un latro? Girodel, vi comportate come se fra voi e André ci fosse una disputa che in realtà non esiste... - gli disse spontaneamente.

Girodel parve tutto a un tratto calmarsi, e l'espressione tesa che fino a poco prima gli distorceva i bei lineamenti regolari, s'ingentilì all'improvviso.

- E' così dunque, sareste infelice per sempre al mio fianco? Se voi foste infelice Oscar, allora lo sarei anch'io. Basta così, mi avete convinto. Mi ritirerò in buon ordine. E' l'unico modo che ho, per dimostrarvi la sincerità dei miei sentimenti madamigella... - terminò Victor chinandosi per baciarle la mano.

Quelle parole la colpirono molto, persino il suo sguardo chiaro e limpido le diceva qualcosa. Dunque esisteva anche quel tipo d'amore al mondo, quello che spingeva un uomo a rinunciare a se stessi per il bene dell'altro?

Girodel, dal gentiluomo qual'era si offri di accompagnarla fino a casa, cavalcando al suo fianco finché Oscar non fu abbastanza vicina a palazzo Jarjayes da poter proseguire da sola.





Era una notte magnifica, il cielo era limpido e la luna e le stelle risplendevano rischiarando il suo cammino, più luminose che mai. Fremeva al pensiero di rivedere André, voleva vederlo. Si sarebbe fatta coraggio e gli avrebbe dichiarato il suo amore, certa che finalmente entrambi avrebbero avuto l'occasione di stare finalmente insieme per quello che erano realmente: un uomo e una donna che si amavano.

- André ci sei? Posso entrare? -

La stanza era vuota e il lume sul comodino accanto al letto, spento. Grazie al chiarore della luna che filtrava attraverso la finestra aperta, si accorse che il letto era ancora disfatto, chiaro segno che André era rimasto a riposo quasi tutto il giorno come gli aveva chiesto di fare.

Ma allora dov'era? Si era stancato di aspettare e ed era uscito per prendere una boccata d'aria fresca in giardino?

Uscì di nuovo guidata dal profumo intensissimo dei roseti in piena fioritura verso una delle fontane sul retro della casa e gli parve di scorgervi accanto la sua figura, era lui, seduto su una panchina a pochi passi di distanza. Aveva le braccia lungo i fianchi, la testa reclinata all'indietro e gli occhi chiusi come se stesse dormendo, ma le bastò fare un solo passo verso nella sua direzione perché André si accorgesse della sua presenza.

- Oscar che ci fai qui? - esordì André alzandosi in piedi.

- Scusa è davvero molto tardi... Come stai oggi? - gli domandò inutilmente.

Era ovvio che fisicamente stesse meglio, ciò che la impensierì invece, fu la sua espressione triste e preoccupata. 

- Non mi aspettavo di vederti - le confessò lui.

- Immagino ti abbiamo detto che sarei passata da Girodel in serata, perché mai non sarei dovuta tornare? - gli chiese Oscar con un leggero batticuore.

- Hai accettato la sua proposta? - le domandò lui spiazzandola.

- Certo che no, André! Ho voluto vederlo per chiedergli di rinunciare a me dal momento che sono innamorata di un altra persona... - Oscar si avvicinò di più e quando si accorse che André teneva una pistola in mano, fu colta da un brivido di freddo improvviso.

- Avevi detto di aver dimenticato il conte di Fersen, non era così allora? -

André si mosse di nuovo avvicinandosi maggiormente a lei.

- Infatti quella persona non è lui André... -

Perché aveva quell'arma in mano? Cosa diavolo gli passava per le testa?

- Ah no? - replicò André allentando la presa sulla pistola che teneva in mano.

- Esatto, ho dimenticato da tempo cosa provavo per lui, e questo perché finalmente, ho capito cosa sia veramente l'amore André... e se l'avessi compreso prima, forse io e questa persona avremmo potuto vivere anni di vera felicità insieme, invece di gettare al vento la nostra intera giovinezza ricorrendo un sogno che pensavano irrealizzabile... -

Si interruppe sperando che André avesse iniziato a capire, senza smettere di camminare verso di lui.

- Forse non è stato poi così inutile sperare di poter realizzare questo sogno, non credi Oscar? -

- Certo, forse non lo è stato, visto che ora siamo qui insieme - gli rispose abbracciandolo.

Mentre lei guardava la passione che gli brillava nello sguardo, lui le depose un bacio sulla fronte. Oscar chiuse gli occhi quando André la strinse maggiormente fra le braccia catturandole le labbra.

Il bacio fu al tempo stesso avido e dolcissimo e Oscar si sentì avvincere da una gioia infinita.

- Oh amore mio... - le sussurrò fra i capelli quando si fu scostato.

Oscar sentì un tonfo sordo nell'erba, André aveva fatto cadere l'arma per terra e lei lo guardò ancora una volta, chiedendosi cosa mai avesse pensato di farci.

- Mi sono esercitato al poligono di tiro oggi pomeriggio, ho ancora qualche difficoltà a mirare bene... - le confessò André fugando ogni suo dubbio.

- Oh André, André! - disse Oscar fra le lacrime aggrappandosi a lui con tutta la forza che il suo giovane corpo possedeva.





Marie si svegliò di malumore quella mattina. Ripensando alla triste conversazione avuta col nipote il giorno precedente decise di addolcire la pillola, preparando per André qualcosa di appetitoso per colazione. La vecchia governante si fermò a riflettere sul fatto che se Oscar si fosse veramente sposata, André ne avrebbe sofferto moltissimo.

Ma cosa poteva fare lei?

Non poteva certo tradire la fiducia del suo padrone; era stata grazie alla benevolenza del generale Jarjayes che lei e André avevano potuto vivere nel lusso, ma che sopratutto, dopo la morte improvvisa del padre, suo nipote aveva ritrovato il calore di una casa e di una famiglia. Non poteva che essergli eternamente grata, e per questo non avrebbe mai potuto incoraggiare André a seguire il suo cuore, anzi, doveva allontanarlo da lei.

Ma come?

Marie decise che ora di parlare ad André di una donna molto speciale per lui, una donna che aveva fatto parte della sua vita in passato, sua madre. Quella madre che non aveva conosciuto, ma che quasi certamente, era ancora viva. Era arrivato il momento di dargli di quelle lettere che aveva nascosto per anni, e alle quali, ancora piena di odio e di rancore, non aveva mai voluto rispondere.


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Capitolo 7
*** Capitolo Settimo ***





 
Era una splendida giornata di fine estate del 1753. La marea stava salendo e Joséphine Huguet guardò le onde avanzare lentamente sulla sabbia.

- Fra poco dovrò tornare a casa... - mormorò sentendosi sopraffare dall'ansia.

Malgrado il sole pomeridiano fosse molto caldo, Joséphine rabbrividì un poco mentre la brezza marina le agitava la lunga gonna. Seduto accanto a lei, su una rada zolla erbosa, Robert Grandier l'attirò a sé, stringendola forte fra le braccia.

- E se decidessi di non lasciarti più andare? - la stuzzicò scherzosamente lui.

Robert le pose un dito sotto il mento e la baciò.

- Oh, Robert io... - ansimò Joséphine scostandosi un po per guardarlo nei grandi occhi castani.

- Sai che vorrei rimanere e parlarti di tante cose, ma i miei genitori mi staranno cercando a quest'ora, chiedendosi dove sono finita - gli rispose a malincuore la giovane.

Josèphine sbirciò verso la strada che costeggiava la scogliera a strapiombo sul mare, sperando di non scorgere la sua carrozza. Gli Huguet provenivano da Charleroi, una deliziosa cittadina del Belgio ed erano soliti passare le vacanze nelle vicinanze di Boulogne, dove possedevano un piccola casa sulla costa. Lei e Robert si vedevano di nascosto in quella spiaggia di proprietà della sua famiglia, fin da quando, circa due anni prima, vi si erano incontrati per la prima volta per caso. Robert Grandier viveva a Boulogne da diversi anni ormai, e gestiva col padre un'umile bottega da falegname.

Robert si recava spesso su quella spiaggia in cerca di legname e quel giorno in particolare, ne aveva trovata una grossa quantità a causa di un naufragio avvenuto poco distante da quelle coste. Non dovendo più acquistare il legno alla vicina segheria, Robert aveva risparmiato molto denaro, e dopo aver finito di caricare il suo ricco bottino sul carro, si era attardato ad osservare il mare ancora agitato dalla tempesta avvenuta la notte precedente. In un primo momento, Joséphine gli era apparsa come una sirena spuntata dalle onde, per poi rendersi subito conto che la ragazza doveva essere stata trascinata nell'acqua dalla forza di un violento cavallone abbattutosi su di lei mentre camminava a pochi passi dalla battigia.

Era stato amore a prima vista e ogni anno, durante le sue vacanze Robert l'aspettava in quella spiaggia, sperando di poterla rivedere anche solo per un breve istante.

- Sembra vicinissima, eh? Invece dovrai fare una lunga camminata per tornare fino a casa - osservò lui.

- Peccato che tu non possa volare, Joséphine, arriveresti in un baleno. Pensa alla faccia dei tuoi se atterrassi sul tettuccio della loro carrozza, gli verrebbe un colpo! - aggiunse Robert ridendo.

Joséphine si adombrò, nascondendosi fra le sue braccia forti e robuste. Robert non poteva sapere che in quella carrozza i suoi genitori non c'erano, la credevano in visita da un amica, ed infatti era proprio solo la sua amica Marguerite ad attenderla in quella carrozza. Se avessero saputo che invece scendeva alla spiaggia per incontrarsi con un uomo, loro e i suoi fratelli l'avrebbero spellata viva.

- Ho detto qualcosa di sbagliato? - si preoccupò Robert.

- No, è solo che, a volte penso che tu ami il mare e questo posto più di me - gli rispose lei.

- Ne sei proprio sicura? - le domandò lui sorridendo, dopo di ché la tirò su in piedi e la fece roteare tutt'intorno.

- Mettimi giù Robert Grandier! Fammi scendere... o dopo camminerò per tutto il tempo a zigzag come una papera! - strillò lei mettendosi a ridere a sua volta.

- Molto meglio! Così resterai con me ancora un momento! - replicò Robert gridando a sua volta.

- Non posso Robert, non posso davvero... devo andare adesso... - dovette insistere lei.

- Perché non posso chiedere a tuo padre di sposarti? - le chiese all'improvviso.

- Oh Robert, perché insisti sempre con questa storia? - sbottò la giovane in tremendo imbarazzo.

- Perché ti amo, Joséphine. Se è per la mia condizione sociale, per via del fatto che sono un umile falegname e i tuoi, invece, rinomati musicisti, sono sicuro che io e mio padre riusciremmo a farli ragionare. Troveremo un compromesso, vedrai... - ribatté Robert con un sospiro.

- Mio padre non vi permetterebbe nemmeno di mettere piede in casa, figuriamoci parlarvi o contrattare con voi per la mia mano. Lui non darà mai la sua unica figlia a un umile falegname Robert, a dire il vero, non sa nemmeno che tu esista! - gli confessò lei fra le lacrime.

Robert la prese fra le braccia e la zittì con un lungo bacio. Le sue labbra erano calde e il loro tocco gentile.

-Ti amo anch'io, non sai quanto... Voglio che diventi mio marito, ma so che mio padre non mi permetterà mai di sposarti - ammise Joséphine quando lui si fu scostato.

La differenza di classe sociale, malgrado Joséphine non fosse una nobile ma la figlia di un ricco borghese, li avrebbe divisi per sempre. Robert la prese sottobraccio e l'accompagnò fino alla fine del viottolo in cui la sua amica Marguerite la stava pazientemente aspettando, raccomandandosi di pensare alla sua proposta e al fatto che, nel caso i suoi genitori si fossero opposti, se avesse scelto di sposarlo la sua famiglia l'avrebbe sempre potuta accogliere come una figlia.

- Promettimi che parlerai di noi coi tuoi genitori stasera, ti prego amore mio - la supplicò Robert.

- Lo farò, Robert! Ti amo più della mia stessa vita... - gli aveva promesso quel tardo pomeriggio la giovane prima di salutarlo.




A quel tempo Marie lavora già come nutrice. Fino ad allora aveva cresciuto ben due generazioni di Jarjayes e ora, con le figlie del generale, che con l'ultima arrivata contava la bellezza di cinque femmine, si dedicava alla terza. Mandava a Boulogne la maggior parte del suo stipendio, e le uniche occasioni di visita che aveva, erano quelle legate ai periodi di vacanza che la famiglia del generale Jarjayes passava ad Arras presso una delle sue residenze.

Non vedeva il figlio ormai da mesi, quando Robert le spedì la prima lettera. Il giovane le raccontava di lei, della ragazza per cui aveva perso il suo cuore, Joséphine Huguet. Ricordava ancora il profondo timore che aveva provato quando Robert le aveva spiegato delle sue origini, del fatto che apparteneva a una famiglia altolocata, ma che sopratutto, che quella famiglia non l'approvava nella sua scelta di sposare un uomo di un estrazione sociale molto più bassa della sua.

Marie lo sapeva, l'aveva capito da tempo, mentre il figlio era troppo sciocco per comprendere quale fosse il suo posto nel mondo e fino a dove, un giovane con le sue origini, potesse aspirare di arrivare. Così alla prima occasione si era recata a casa per conoscere questa fanciulla, e capire cosa potesse fare per loro visto che il suo intento, fin da subito, era stato quello di aiutare il figlio malgrado lei stessa non vedesse di buon occhio quell'unione. Ma il giorno prefissato, poco dopo natale, Joséphine non si era presentata nel luogo dell'appuntamento. Era stata Marguerite, la sua amica, ad arrivare al suo posto con una missiva da parte della ragazza per Robert.

Joséphine gli diceva addio, chiedendogli di non cercarla mai più e di perdonarla, per essere stata tanto codarda da non essere riuscita a sfidare i suoi genitori che l'avevano promessa a un nobile fiammingo. Per Robert era stato un colpo troppo duro da digerire ed era andato più volte a bussare a quella porta, anche se inutilmente, visto che gli Huguet erano partiti ormai da giorni: Josèphine si era raccomandata con Marguerite di consegnare quella lettera qualche giorno dopo la sua partenza proprio per impedire a Robert di fermala.

Sei mesi più tardi lui e Marguerite erano sposati. Robert aveva voluto dimenticarla e ricominciare una nuova vita, con la speranza di ritrovare un po di pace e di tranquillità in quella sua esistenza tormentata. Quando solo un mese più tardi però, qualcuno bussò alla loro porta consegnando un fagotto di pochi giorni accompagnato da una lunga lettera, le cose cambiarono radicalmente per lui e la sua famiglia.

Robert non riusciva a crederci: quel bambino si chiamava André, ed era suo figlio.

Joséphine lo aveva dato alla luce a Charleroi il 26 Agosto di quell'anno e non potendolo tenere, lo affidava a lui perché lo crescesse e ne avesse cura. Dopo di ché, il suo primo, unico vero amore, era scomparso nel nulla, portando con sé tutte le sue speranze e i suoi sogni giovanili senza nessuna spiegazione logica, né una ragione che avesse un senso. Solo molti anni più tardi Robert avrebbe saputo tutta la verità, una verità che purtroppo, l'avrebbe ucciso.

Marie chiuse gli occhi dando libero sfogo al dolore provocato da quei ricordi, la sua unica consolazione era stato quel nipote. Ma André, se da sua madre aveva ereditato la bellezza, da suo padre non aveva preso solo la stuatura, ma anche la cocciutaggine. Nel rincorrere lo stesso sogno di suo figlio Robert, André avrebbe potuto fare la stessa fine.

Sospirò, e dopo aver asciugato un altra lacrima, passò al racconto della seconda lettera.




Lisette Huguet non smise di guardare fuori dalla finestra fino a che non scorse la carrozza che trasportava la figlia, rientrare alla scuderia. Una delle domestiche fece scoccare una delle pentole contro la parete piastrellata della cucina e lei sbottò, innervosita da quell'imperdonabile ritardo.

- Avevi giurato che saresti tornata in tempo per la cena, per dio figliola, dove sei finita? - volle sapere sua madre in collera.

- Ero con Marguerite, Maman, ve l'ho detto - tagliò corto Joséphine con il cuore in gola.

- Sei certa di non aver incontrato anche quello sfaticato di francese, sulla strada del ritorno? - le chiese serio suo fratello maggiore Philip. Joséphine sbiancò.

- Di che parli Phil, non dire sciocchezze! - replicò lei tentando di salvare la situazione. - Invece lo sai benissimo! - intervenne David sorridendo al fratello maggiore.

- Che francese? Chi sarebbe costui? - indagò Lisette sempre più turbata.

- Un giovane di Boulogne, Maman... - azzardò Philip che ovviamente non conosceva Robert di persona. Il ragazzo, che all'epoca aveva ventun anni, era stato informato da alcuni conoscenti del paese che la sorella minore aveva intrattenuto rapporti di cortesia con uno sconosciuto alla fiera del bestiame di Tully, e ovviamente non aveva gradito.

Josèphine respirò sollevata, per poco non si era tradita.

Il fatto che qualcuno si interessasse a lei anche quando non era sorvegliata dalla sua famiglia, la fece riflettere. Per fortuna, nessuno l'aveva mai vista con Robert su quella spiaggia. Doveva essere più cauta.

- Vi sbagliate, e comunque era il fratello di Marguerite il ragazzo con cui ho interloquito alla fiera... - ribatté lei facendosi forza.

La famiglia di Marguerite era ben vista dai suoi genitori, ed essendo il fratello di lei poco più di un bambino, non avevano ritenuto quell'incontro fortuito qualcosa per cui valesse la pena preoccuparsi.

- Guardatela, Joséphine è tutta rossa! - esclamò poi uno dei suoi fratelli minori.

Le cose sembravano essersi appianate dopo quel chiarimento, ma Lisette e Philip, per togliersi ogni dubbio, decisero d'indagare più a fondo sulla questione.

Joséphine aveva solo quindici anni ma era già una bellezza. Vantava lunghi capelli ricci e bruni e grandi occhi verdi da cerbiatto, di un colore intenso e molto particolare. Una caratteristica di cui lei stessa andava molto fiera, per questo sua madre e il fratello maggiore, dubitavano fortemente che non avesse mai suscitato interesse fra gli altri giovani incontrati a Buologne.

Ma era mai possibile che la loro piccola, così modesta e buona, si fosse intrattenuta da sola con un uomo a loro insaputa?

Non potevano immaginare che si fosse già concessa a qualcuno, e poco importava che quel qualcuno fosse stato l'uomo che amava; se avessero saputo di lei e del suo amante, molto probabilmente sarebbe stato quest'ultimo ad avere la peggio. Il pensiero che i suoi fratelli maggiori potessero fare del male a Robert la faceva impazzire, tanto quanto esserne la causa.

Avrebbe aspettato a parlare di lui ai suoi genitori, almeno, fino alla fine delle loro vacanze estive.


Naturalmente una volta a casa, per Joséphine, invece di migliorare le cose peggiorarono. Poco dopo essere tornata a Charleroi, il padre le aveva presentato un suo conoscente, un nobile olandese di quasi il doppio dei suoi anni. Aveva chiesto tempo per conoscere meglio l'uomo che la sua famiglia aveva scelto per lei, con la speranza che si stancasse di aspettarla e decidesse di rompere quel fidanzamento imposto.

La corrispondenza con Marguerite si era fatta così più fitta, l'amica le raccontava di Robert in forma anonima, di come stava, di ciò che faceva, di quanto l'amasse e la stesse aspettando, fino al punto che aveva chiesto e ottenuto il permesso di tornare a Buologne un ultima volta in occasione del natale, prima di fissare la data del matrimonio. Era partita con l'intento di sposare Robert all'insaputa dei suoi e di rifugiarsi con lui nella falegnameria della sua famiglia, e infatti, il giorno prima la vigilia, s'incontrarono di nuovo alla spiaggia. Nessuno dei due poteva prevedere che quella sarebbe stata l'ultima volta che si sarebbero visti, nemmeno dopo essersi amati di nuovo in quel posto segreto che apparteneva solo a loro avrebbero potuto immaginare di doversi separare per sempre.

Quando i fratelli Huguet e i loro scagnozzi arrivarono alla spiaggia dove Joséphine si era incontrata con Robert, il buio era profondo e il freddo glaciale.

Erano arrivati a Boulogne quel pomeriggio e dopo aver sbrigato alcuni affari al porto, erano andati a cercare la sorella minore a casa di Marguerite per festeggiare con lei il natale. Non avendola trovata i due giovani erano andati a cercarla altrove, sviati dall'amica di lei e dalla sua famiglia. Solo dopo aver compreso l'inganno, erano tornati a quella spiaggia dove la ragazza era solita andare e benché fosse quasi notte, fu proprio lì che la trovarono.

Robert era risalito lungo la strada per allontanarsi a cavallo, mentre lei si accingeva a salire sulla carrozza che l'avrebbe riportata a casa di Marguerite, quando li vide arrivare.

Robert sentì solo un grido lontano, un suono a che quella distanza non seppe riconoscere e che confuse con il richiamo di un uccello, forse di una civetta o di un gufo. In ogni caso proseguì felice verso casa, con la promessa di Joséphine a rischiarargli la via, quella di una nuova vita insieme.

Dunque, Joséphine era stata rapita dai suoi stessi fratelli e riportata a Charleroi contro la sua volontà, quella stessa notte?

Marie sospirò e ripose il resto di quelle missive al loro posto, un prezioso cofanetto d'ebano intarsiato.

Avrebbe continuato la lettura a tempo debito, doveva sapere tutto se voleva riuscire a spiegare come fossero andate le cose anche ad André. Qualcuno da uno dei corridoi  di servizio l'aveva chiamata, era ora di tornare ai suoi doveri.


 

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


 
Andrè e Oscar si abbandonarono distrutti sul letto disfatto. Il corpo longilineo e candido di lei, allacciato a quello più muscoloso e scolpito del suo compagno; così magro e asciutto da poterne seguire i contorni della muscolatura con la punta di un dito, sembrava essere stato fatto fatto per combaciare perfettamente a quello di lui. Oscar alzò appena il capo e cambiò posizione, ritrovandosi quel volto così familiare a pochi centimetri dal suo. André respirava profondamente: sembrava stesse già dormendo.

Si rese conto che lo stava fissando come se dopo tutti quegli anni passati insieme, André fosse ancora un enigma da svelare. Quando lui sospirò e ricambio il suo sguardo, lei sorrise. Si specchiò in quell'unico occhio spalancato e notò, stupendosi della sua bellezza, che era di un verde purissimo, prezioso e lucente come quello di una gemma. D'istinto gli portò una mano al volto, accarezzando delicatamente quella piccola cicatrice sfuggita al ciuffo bruno e ribelle che solitamente gli ricadeva sul viso, celando al mondo la prova più schiacciante del suo amore per lei.

Scurendosi per un breve istante Oscar aggrottò la fronte chiedendosi se quelle sensazioni riguardo alle sue condizioni non fossero fomentate dalle sue paure, sperando con tutto il suo cuore di sbagliarsi di grosso.

- Non riesci a dormire? - le chiese una voce calda e ancora spezzata dal desiderio.

- No... e a quanto pare, neanche tu! - gli rispose Oscar posandogli maliziosamente una mano sulla virilità che andava via a via risvegliandosi di nuovo al suo tocco.

Cercò di non sembrare una sciocca a guardarlo a quel modo, ma non riusciva a farne a meno. Se André aveva qualche difetto fisico lei non sapeva quale fosse, vederlo nudo la prima volta da quando si era fatto un uomo l'aveva fatta sentire quasi un essere inferiore. Le guance s'infiammarono al ricordo delle sensazioni che quel corpo forte e virile le aveva trasmesso nel momento dell'amore, e le vennero le lacrime agli occhi da quando invece, dopo quella passione divorante, fosse tornato ad essere così comodo e accogliente. Il suo calore le si era insinuato dentro, poteva ancora sentirlo e non riusciva a scrollarselo di dosso.

Da quando la notte precedente gli aveva detto che anche lei ricambiava quel sentimento, non si erano più lasciati. Si erano desiderati fin da subito, benché lei avesse titubato all'inizio visto che non si era mai unita a nessun uomo prima di lui. Per André invece era stato diverso, e certo lei non si sarebbe mai aspettata di saperlo ancora vergine alla sua età, d'altronde era sempre stato un bel ragazzo e ora che aveva avuto modo di constatarlo di persona, certo non si stupiva del fatto che avesse già fatto esperienza in quel campo. Ma era stato ugualmente bellissimo la prima, come la seconda e la terza volta che avevano fatto l'amore, chiedendosi come fino a quel momento avesse potuto farne a meno. Le labbra morbide e febbricitanti di lei sfiorarono di nuovo le sue, e un brivido d'eccitazione troppo intenso gli attraverso la spina dorsale. Le loro bocche si unirono di nuovo, ma dopo un istante lui la spinse via ansimando, smorzando il suo entusiasmo sul nascere.

Dovevano per forza riposare e dormire almeno qualche ora, prima dell'alba.

- Mia nonna non mi lascerà dormire tutto il giorno, Oscar. Fra non molto verrà come sempre a bussare alla mia porta... - le ricordò lui.

- Saremmo dovuti andare in camera mia... Potremmo ancora farlo, non credi? - gli fece scherzosamente notare lei.

Lui le prese il capo biondo fra le mani costringendola a guardarlo: quando incontrando quei meravigliosi occhi azzurri che l'avevano fatto innamorare vide riflessa la sua stessa incontenibile passione, ad André mancò un colpo al cuore.

- E va bene. Fa di me quello che vuoi, mio comandante! - le rispose con sorrisetto adorabilmente malizioso.

Lo aspettava l'ultimo giorno di licenza e poi sarebbero tornati insieme a Parigi. Ciò nonostante, malgrado quella improvvisa e inaspettata felicità sapevano che dopo quei meravigliosi momenti rubati all'inclemente scorrere del tempo, la crudele realtà del periodo instabile e turbolento che stavano vivendo, li attendeva ancora dietro l'angolo.





- E così, quello di oggi è il tuo ultimo giorno di licenza - esordì tristemente Marie. 

Quando vide sua nonna, gli parve più pensierosa del solito.

- Nonna, ti senti bene? - le chiese preoccupato.

Marie era entrata nella sua camera per le solite faccende e dopo aver finito di rassettare, si era seduta sul letto. Una cosa assai insolita per lei, che generalmente a quell'ora del giorno era già sveglia da ore e non si fermava mai nemmeno per mangiare.

- E' solo un po di stanchezza, André - tagliò corto la donna.

Non era andata da lui per parlare delle sue vecchie ossa malandate, aveva ben altro in mente.

- Madamigella Oscar ha rifiutato la proposta del conte Girodel, lo sapevi? - disse lei dopo un breve silenzio.

- Oscar me l'ha detto nonna - le si sedette accanto come faceva sempre quando era piccolo, solo che ora era Marie a sembrare una bambina accanto a lui.

- Non fa altro che bere liquori da quando è diventata comandante della guardia nazionale. Mi ha anche detto che se non beve non riesce ad andare avanti... immagino che lo avrai notato anche tu? - gli confessò sua nonna.

- Non ha passato dei momenti facili in questi ultimi tempi, devi cercare di capirla - la giustificò lui, anche se la cosa gli dava comunque da pensare.

- Speravo di riavervi a casa entrambe André, sopratutto tu, ragazzo mio. Dio come somigli al tuo povero padre André, hai preso quasi tutto da lui, tranne i tuoi begli occhi... - gli disse sospirando.

Marie si lasciò sfuggire una carezza. Era una vita che non lo trattava con così tanta tenerezza, e questo finì per stranirlo ancora di più.

- Erano anni che non mi parlavi di lui e della mamma. Non ricordo nemmeno più i loro volti nonna, né il suono della loro voce... - le rispose André con tono malinconico.

- Eri troppo piccolo per ricordarti come fossero realmente. Quando morirono entrambi nell'incendio della nostra falegnameria di Buologne, tu avevi solo sei anni. Senti André, a proposito di questo, io dovrei parlarti di una cosa importante ... - Marie sospirò ancora più profondamente.

Armeggiò con una tasca del suo grembiule e tirò fuori una delle lettere che Joséphine aveva spedito a Robert per spiegargli cosa le fosse accaduto dopo quell'ultima notte insieme, ma la colse l'ansia: non sapeva proprio da dove cominciare.

- Nonna cos'è quella lettera? Nonna?! - André l'aveva vista perdere i sensi proprio lì fra le sue braccia.

L'adagiò su letto e corse dal suo padrone affinché chiamasse subito un medico.





Quando Oscar arrivò a Parigi scoprì che per i soldati della guardia, quello era giorno di visita. Dalla finestra del suo ufficio notò una giovane molto graziosa parlare con Alain, era poco più di una bambina, e lui la fissava con lo sguardo più tenero che avesse mai visto sul volto di qualcuno.

- Colonnello d'Agoult, chi è la ragazza che parla con Alain de Soisson? - volle sapere Oscar.

- E' la piccola Diane comandante, la sorella minore - rispose l'ufficiale con fare distratto.

- Quell'indisponente energumeno ha una sorellina così deliziosa? Ma guarda un po', il nostro Alain ha un punto debole dopotutto! - asserì Oscar sorridendo.

D'Agoult chiese il permesso di tornare ai suoi doveri, e Oscar rimase alla finestra a godersi quell'insolito spettacolo.

Era l'unico posto dove non avrebbe voluto essere. Arrossì al ricordo della notte precedente e il desiderio tornò prepotente a infiammarle le membra, risvegliate dal tocco delicato e sapientemente ponderato delle mani del suo uomo. Pochi minuti dopo aver salutato la sorella, Alain entrò nel suo ufficio con la lista che gli aveva chiesto di fare. Anche lui aveva uno strano sorriso quel giorno: un piglio orgoglioso e compiaciuto che ne rendeva la presenza nelle sue vicinanze, meno insopportabile del solito.

- Lassalle è tornato comandante - la mise al corrente lui.

- Mi fa piacere per lui, come sta? - domandò tornando a sedersi alla propria scrivania.

- Provato, ma vivo per lo meno - rispose Alain.

Oscar lo guardò ancora, e lui ricambiò il suo sguardo, ma sempre restando sull'attenti.

C'era qualcosa di fastidioso in quelle iridi nocciola dalle sfumature cangianti mentre le accarezzavano la figura indagatori. Qualcosa di terribilmente irritante e pericoloso, constatò, distogliendo i propri occhi da suoi.

Termino di leggere tutte le richieste, i suggerimenti e le lamentele fatte dai suoi soldati, e gli assicurò che avrebbe certamente fatto qualcosa in proposito.

- André tornerà domani, giusto? - le chiese prima di uscire dalla stanza.

- Sì, Alain - - Portategli i nostri saluti comandante, i miei e quelli di i ragazzi del nostro plotone - si raccomandò Alain.

- Certo, lo farò - rispose Oscar rilassandosi.

Non si fidava ancora di lui, e l'avrebbe aspettato al varco se si fosse permesso di farne un altra delle sue. Per il momento gli avrebbe dato una seconda occasione, visto che un uomo arguto e abile come lui, avrebbe potuto sicuramente farle comodo.





Il medico aveva visitato sua nonna a lungo, tenendolo sulle spine. Ma poi lo aveva rassicurato sulle sue condizioni; Marie aveva avuto solo un calo di pressione dovuto al caldo e alla stanchezza e non dovevano preoccuparsi più di tanto. Nell'attesa André aveva letto quella strana lettera che sua nonna teneva in mano prima di svenire, rimanendone profondamente turbato. Oscar lo aveva cercato subito una volta rientrata a casa e lo aveva trovato a suonare il pianoforte nella sala della musica, riscoprendo quell'insolito talento che lo aveva sempre contraddistinto, sia nel suonare uno strumento musicale, che nel cantare. André aveva un voce bellissima e Oscar chiuse gli occhi per un istante, godendosi quella carezza triste e malinconicamente vellutata, che aveva la capacità di toccare le note più profonde e nascoste della sua anima.

- Oscar da quanto sei qui? - le domandò sorpreso.

- No, non smettere per colpa mia, continua! - lo pregò raggiungendolo.

- Scusami, non avrei dovuto venire fin quassù a perdere tempo. Avevo bisogno di distrarmi... - si giustificò lui.

- Non devi scusarti André, sai che non ti abbiamo mai considerato solo un servo in questa casa. Per me sei come un membro della famiglia - gli ricordò Oscar.

- Ma è quello che sono dopotutto, no? Un servo e nient'altro! - controbatté lui decisamente contrariato.

- Sei turbato per via della nonna? - volle sapere Oscar. André si decise finalmente a guardarla, e per tutta risposta le tese la lettera contenente quella verità che gli stata nascosta per tutta la vita.

- Leggila Oscar, io l'ho fatto almeno una decina di volte e ancora non riesco a crederci... - le rispose sedendosi nuovamente sullo sgabello del pianoforte.

- Che pensi di fare ora? Perché tua nonna ti ha voluto parlare di questa storia solo adesso? - chiese Oscar forse più sconvolta di lui.

- La nonna sa dei miei sentimenti per te Oscar, e teme che questo mio amore proibito sia irrealizzabile come quello di mio padre per quella donna, la mia vera madre. Dovrei andarla a cercare? Che dovrei fare? Dovrei chiederle perché mi ha abbandonato? Onestamente non m'importa, credimi... - le spiegò lui anche se in fondo sapeva di star mentendo a sé stesso.

André non ebbe neanche la forza di pronunciarne il nome, per lui Joséphine Huguet era una estranea, eppure, il pensiero che la donna che lo aveva messo al mondo fosse ancora viva, gli diede insieme al dolore anche una gioia immensa.

- Il nostro amore proibito André, tuo e mio, ricordalo sempre. Ci penserò io a rassicurarla in proposito! Non ho paura di nessuno André, sopratutto ora che siamo un unica cosa noi due... - gli disse Oscar piena di comprensione e tenerezza.

- Oscar, ti amo più della mia stessa vita, lo sai questo vero? - le ripeté André temendo di non averlo fatto ancora abbastanza.

- Certo che lo so! Ti amo anch'io, e più di quanto tu possa immaginare... - lo rassicurò Oscar vedendo il suo sguardo cambiare radicalmente in meno di un secondo.

Lo aveva detto come se fosse del tutto ovvio anche per lui, e forse era così, ma poi si rese conto che era la prima volta che glielo diceva davvero. Quel ti amo non le aveva sfiorato le labbra nemmeno durante quella notte d'infuocata passione passata insieme, e le dispiacque moltissimo. Si ritrovarono ancora una volta vicini e André le fece scorrere le mani dalle spalle fino alla vita, fremendo per quel desiderio riacceso. Provava quasi un bisogno violento di fare l'amore con lei. A Oscar si spezzò il respiro, la bocca di André era terribilmente ingorda: prendeva ciò che lei gli offriva, persuadendola a dargli sempre di più. Si sentì completamente sopraffatta da quelle emozioni, non le importava cosa sarebbe stato di lei finché l'avesse toccata a qual modo, ma dopo quella serie di baci infuocati e di carezze proibite André sussultò, staccandosi da lei col fiato corto.

- Stai bene? - gli chiese Oscar in un sussurro.

- Non lo so... - replicò turbato.

- Perché hai smesso di baciarmi? - volle sapere di nuovo lei.

- Qualcuno potrebbe vederci Oscar, e finiremmo nei guai per questo. Io e mia nonna, e anche tu! - sbottò André alzandosi di scatto per allontanarsi il più possibile da lei.

Il malore di Marie e quella lettera tremenda lo avevano lacerato dentro, si sentiva così pieno di rabbia e di rancore da non riuscire a liberarsene. - Non ti permetterò di fare questo... - lo incalzò Oscar afferrandolo per il colletto della camicia.

- Questo cosa? - domandò lui senza capire.

- Di allontanarmi da te, ecco cosa! - gli rispose Oscar quasi avesse intuito cosa gli stesse veramente passando per la testa. Le si riempirono gli occhi di lacrime e lui si sentì morire per questo.

- Non era mia intenzione credimi, ho solo paura Oscar - le confessò finalmente.

- Paura di cosa? - gli chiese smarrita.

- Di non meritare tutta questa felicità Oscar, di non essere alla tua altezza... - ammise lui arrendendosi a quella verità che conosceva benissimo.

Oscar abbassò lo sguardo e si scostò, lasciando di colpo la presa.

- Devi venire da me stasera, voglio riparlarne. Adesso scusami, ma sono davvero molto stanca... - gli disse soltanto cercando di non manifestare la profonda delusione che provava in quel momento.

Attese invano una risposta, ma André rimase in silenzio chiudendosi in mutismo che non gli apparteneva. Era evidente che fosse sconvolto, quella giornata era stata pesante per lui, doveva capirlo. Aveva desiderato fino all'ultimo di ritrovare il calore del suo abbraccio e la tenerezza del suo sguardo, ma si arrese al fatto che lui non desiderava la compagnia di nessuno in quel momento, nemmeno la sua.




 




 

Salve a tutte, volevo informarvi che a causa delle vacanze il prossimo capitolo verrà postato con po di ritardo per cui non temete, tornerò presto a proseguire con la storia. Ne approfitto per salutare e ringraziare in particolare tutte le ragazze che mi hanno seguito e recensito fin ora e cioè Tedite, Lady michi 1 , Garakame, gr Lady 863 , pamina 71, Saratiz, oscar , Barbara1018, Lenovo e sissi - a . Spero di non aver dimenticato nessuno!

 

Un abbraccio affettuosissimo, Tea.

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***







 
Si pentì quasi subito d'averla trattata a quel modo: riversare su di lei la frustrazione che provava, non avrebbe risolto nulla, men che meno a risolvere quell'assurda situazione. Sembrava che tutto fosse contro di loro, a partire dalle sue condizioni. La completa perdita della vista l'avrebbe condizionato per tutta la vita, causando a Oscar immani sofferenze. Come avrebbe potuto affrontare un intera esistenza con lei sapendo cosa l'attendeva? Sarebbe diventato un peso per Oscar, e la loro storia d'amore avrebbe probabilmente finito per naufragare come una nave in balia delle onde. Ma c'era un altra ragione a tormentarlo, sua madre. Da quando aveva saputo di lei, non aveva desiderato altro che ritrovarla. Voleva vederla almeno una volta, prima che il buio lo inghiottisse per sempre. Malgrado tutto, desiderava davvero ammirare quel volto, e rispecchiarsi in quegli occhi così simili ai suoi. Se lo avesse saputo prima, non avrebbe avuto remore: sarebbe andato a cercarla subito, chiedendole immediatamente spiegazioni, e conto di quella scellerata decisione di liberarsi di lui e di affidarlo alle cure del padre.

Ma ora che lui e Oscar si amavano, tutto si era fatto tremendamente più complicato. Nel suo cuore sapeva che non si trattava di scegliere fra il suo passato e il suo futuro con Oscar. Avrebbe scelto l'amore per la sua donna sempre e comunque, la questione era un altra. Avrebbe saputo davvero proiettarsi verso un futuro con lei, e sopratutto renderla felice, se non avesse chiuso con quel passato tanto opprimente da impedirgli quasi di respirare?

Certamente, pensò André, non avrebbe potuto.





Oscar si gettò sul letto come un peso morto, era stanca, anzi, spossata. Dall'apertura degli stati generali era passato già un mese, e lei e i suoi soldati della guardia avevano dovuto garantire la sicurezza di quell'evento così straordinario, affiancati solo da una piccola parte dell'esercito regolare francese. Era stato un mese piovoso quello di maggio, e fin da quei primi giorni di giugno si era sentita strana: quei lievi ma persistenti stati febbrili e quel costante senso di debolezza, che quasi le impediva di arrivare a sera, iniziavano a preoccuparla parecchio.

Aveva trovato la forza di alzarsi da quel letto in cui avrebbe voluto soltanto sprofondare, solo in André. Nella sua muta devozione, nella sua tenerezza, come in quella accesa passione di cui era capace; mai avrebbe immaginato che fondersi con un altro essere umano, sarebbe potuto essere così immensamente bello e travolgente. Scivolò nel sonno maledicendo quella sua caparbietà, sapeva essere dolce e arrendevole, così accondiscendente quanto così tremendamente testardo, e non lo sopportava. Respirò profondamente e chiuse gli occhi, per poi riemergere da quel sonno disturbato lentamente e quasi con riluttanza. Non aveva ancora ripreso del tutto conoscenza che Oscar lo riconobbe in un modo curiosamente fisico, quasi elettrico. André era sgattaiolato nella sua stanza in piena notte, e aveva dormito con lei con la testa e le mani appoggiate sul suo grembo.

Quando Oscar allungò una mano per accarezzargli i lunghi capelli castani, lui sobbalzò, sentendosi nuovamente accendere da un desiderio improvviso. Oscar lo guardò timorosa, ripensando all'ultima conversazione avuta con lui: non era sicura che André avrebbe ricambiato. Possibile che non pensasse ad altro che fare l'amore con lui?

- Vuoi che... ti baci lì? - chiese d'improvviso lui facendola avvampare.

- Non mi dispiacerebbe, anche se... ora preferirei gustare il sapore delle tue labbra sulle mie - gli confessò seria.

Se per certi versi avevano lungamente sperimentato e fossero arrivati in pochi giorni a condividere un intimità così profonda, Oscar non poteva ancora fare a meno di imbarazzarsi all'idea di fare certe cose con lui. André era certamente più disinvolto, non aveva paura di chiedere, ma sopratutto, non aveva paura di dare. Era stato un amante appassionato e generoso fin dal primo istante, quando lo avevano fatto per la prima volta nell'oscurità di quel favoloso giardino dove si erano amati concedendosi completamente l'uno all'altra. Ricordava ogni istante di quella notte, ogni gemito o sussurro, mentre dolcemente cullati dai giochi d'acqua della grande fontana che campeggiava nel mezzo di quelle sontuose e teatrali geometrie e inebriati dai profumi dei fiori di lavanda, da quelli delle dalie e dell'agapanthus, scoprivano quando bollente potesse arrivare ad essere il sangue che gli scorreva nelle vene. Malgrado si fosse momentaneamente perduta in quegli incandescenti ricordi, il suono roco e carezzevole della sua voce, la riportò dolcemente indietro.

- Le tue labbra sono così deliziose e morbide... - gli sussurrò Oscar tornando a riprendere fiato.

- Tu invece, baci benissimo Oscar - si complimentò lui ridacchiando maliziosamente.

- Ho un ottimo maestro - gli rispose Oscar sorridendo a sua volta.

Malgrado la passionalità di quel contatto ardente e l'eccitazione che ne era derivata fosse evidente ad entrambe, quella battuta inaspettata lo fece ridere ancora di più. Non riusciva a vedere se anche lei stava ridendo, ma aveva sentito quell'accento divertito nella sua voce e questo gli bastò. Scivolò sul suo corpo perfetto facendole salire la camicia da notte fino all'ombelico, non c'era un centimetro del suo corpo che non fosse in fiamme. Ora che sapeva bene come muoversi quando lui cercava di entrare dentro di lei, Oscar inarcò la schiena dandogli esattamente cosa voleva, prendendosi con la stessa consapevolezza ciò che anche lei desiderava. A quel punto smisero di parlare, senza però mai smettere di guardarsi negli occhi.

La passione gli aveva quasi completamente divorati, quando per evitare che lei si accorgesse di quel momento di buio che lo aveva colto ancora, lui la baciò sul collo. Quando i gemiti si fecero più convulsi e il ritmo più serrato e pressante, André finì col nascondendosi in lacrime fra i suoi capelli dorati e nel preciso istante in cui il suo piacere raggiunse il culmine ed esplose, anche lei venne. André si sedette poi ai bordi del letto, dandole le spalle e lei gli carezzò la schiena col palmo aperto fino ai glutei magri e sodi risalendo poi con dito lunga tutta la spina dorsale contando ad una a una le vertebre fino all'attaccatura del collo.

- Dovresti mangiare un po di più André, sei molto dimagrito. Sicuro di star bene? - esordi Oscar dopo un breve silenzio.

- Già, in effetti i manicaretti della nonna mi mancano molto alla mensa della caserma. Va bene Oscar, mangerò di più, te lo prometto - le rispose cercando di trattenere un sospiro profondo.

- La chiusura degli stati generali si avvicina, e sai, a tutti i soldati della guardia che hanno partecipato al servizio di sorveglianza verranno concesse ben due settimane di licenza. Potresti approfittarne per andare a cercare tua madre, che ne pensi? - gli propose Oscar.

- Non posso farlo Oscar, e poi, Alain mi ha invitato al matrimonio della sorella - le confessò André.

- Alain capirà... - replicò Oscar infastidita.

- Dovrei lasciarti sola per così tanto tempo? E se non dovessi arrivare a nulla? - obbiettò lui.

- Non posso pensare d'impedirti di andare se è quello che desideri davvero. Voglio che tu ci vada André, perché lo rimpiangeresti tutta la vita, credimi! - insistette Oscar.

- Mia nonna ne morirebbe. Credo che a lei Joséphine non piacesse affatto. In realtà, non l'ha nemmeno conosciuta e dalle altre lettere che mi ha dato, sembrerebbe che sia stata costretta dalla sua famiglia, a lasciare mio padre. Il giorno in cui fui concepito, fu anche l'ultimo che passarono insieme... Dev'essere stato terribile per lei - le raccontò André con un nodo alla gola.

- Sì, è certamente andata così! Sono sicura che se avesse potuto, tua madre ti avrebbe tenuto con se, André -

André avvertì il calore del suo corpo, quando lei si avvicinò facendogli passare le braccia attorno al l'ampio torace per poterlo abbracciare. Quel piccolo gesto, così carico d'amore e comprensione, bastò a rassicurarlo.

- Ti amo Oscar - gli mormorò finalmente sereno. Sentì la morbidezza dei suoi i piccoli seni tondi premergli contro la schiena, e la dolce tenerezza della sua voce mentre gli sussurrava qualcosa all'orecchio.

- Anch'io! -





Dopo la morte del delfino di Francia avvenuta il 4 giugno, le tensioni ai lavori per l'assemblea aumentarono a dismisura. La notizia del grave dissesto economico che aveva colpito la corona, e che, a causa di anni di sprechi e gozzoviglie non riuscì nemmeno a garantire un degno funerale al al piccolo Louis Joseph, infiammò ancor più gli animi e il 10 giugno, ci furono altri disordini all'esterno del palazzo dove si tenevano gli stati generali. Fra i vari gruppi di rappresentanza serpeggiava il malcontento, e volarono insulti e parole grosse fra i nobili e i membri del terzo stato. Oscar dovette intervenire ancora una volta per calmare gli animi, ed evitare inutili violenze.

Sebbene non avesse dovuto, André portò alcune di quelle lettere con sé anche a Parigi. Si ritagliava qualche minuto per continuare a leggerle, benché i turni di sorveglianza all'assemblea fossero sempre più massacranti.

- Sempre a leggere tu? Cosa sono, le lettere delle di una fidanzata, o quelle di un'amante? - insinuò Alain scherzosamente.

Alain era sempre inopportuno, sopratutto in quei momenti in cui la sua presenza non era esattamente gradita.

- Non ho una fidanzata! - replicò André con un sospiro.

- Ma un amante, sì? Allora? - ridacchiò maliziosamente l'altro.

André sospirò di nuovo, ma poi inaspettatamente gli porse la lettera che aveva in mano.

- Tieni, leggila... - disse poi riuscendo in un impresa pressoché impossibile: zittire Alain.

- Andiamo amico, non vorrai mica rendermi partecipe di certe cose... - sbottò l'amico fraintendendo.

- Alain, non è la lettera di un amante. E poi, sono così stanco che non riesco a vedere bene, ti prego, leggimela... - controbatté André esasperato.

Ne segui un imbarazzante silenzio, e Alain si scurì in volto. Non era certo un stupido, malgrado avesse sempre voglia di scherzare e ridicolizzare qualsiasi cosa, aveva intuito da tempo che qualcosa in André non andava come doveva.

- Da quanto sei in queste condizioni? - domandò Alain scuro come un temporale.

- Da un po ... ma se lo dici a qualcuno io... La vista si annebbia soltanto, non l'ho ancora persa del tutto. A volte ho dei momenti di buio, ma non durano poi così tanto... - André aveva reagito molto male a quella domanda inaspettata.

- E' tutta colpa di quella donna! Finirai per farti ammazzare per lei, razza di idiota!! - ribatté l'altro piuttosto seccato.

- Non lo dirò a nessuno, ma a patto che tu faccia più attenzione, e ti faccia visitare al più presto da un medico capace . Dà qua, fammi leggere! - l'accontentò poi Alain seppur di mala voglia.

André doveva essere davvero in brutte condizioni, per chiedere ad uno come lui di aiutarlo. Oltre tutto, pensava fosse assurdo condividere un'enormità del genere sul suo passato, con una persona che conosceva appena.

- Hai intenzione di andare? Voglio dire, questa lettera è stata spedita solo due anni fa. Potresti andare da lei e chiederle spiegazioni di persona... Questa donna è disperata, non ha fatto altro che aspettarti su quella spiaggia, ogni anno, in occasione del tuo compleanno. E tu? Non sei mai andato! Ma dico, di da di volta il cervello? - esordì il soldato evidentemente commosso.

Alain sembrava emozionato, la voce gli tremava come se quella missiva lo riguardasse di persona. Era talmente ridicolo vedere un tipo grande e grosso come lui con le lacrime agli occhi, da riuscire a strappare ad André un mezzo sorriso divertito, anche in quella situazione così drammatica e surreale.

- Calmati Alain, fino a pochi giorni fa non sapevo nulla di lei. Se avessi saputo la verità sulla mia nascita e sulla mia vera madre, sarei di certo andato ad incontrarla molto prima, non credi? E poi, non posso aspettare il 26 agosto, rischierei di non riuscire più a vedere il suo viso... Non so per quanto tempo ancora io... - gli confessò finalmente André arrendendosi.

- Ho un amico che potrebbe aiutarti... commercia di frodo, lo so non è il massimo, ma fa due viaggi l'anno da Parigi a Londra, mezzo contrabbandieri. Le coste frastagliate di quelle zone, sono utilizzate spesso da lui e suoi scagnozzi per far approdare le merci. Potrei chiedergli dii accompagnarti fino a Buologne nel viaggio di andata. Che ne dici? - gli propose Alain forse con un po troppo trasporto.

- E' solo una giornata e mezzo di cavallo da qui, posso andare anche da solo. Il problema è che dovrei raggiungerla a Charleroi, non a Boulogne... - controbatté André.

- Nelle tue condizioni? Se la vista ti si annebbiasse ancora o fossi colto da uno di quei momenti di buio, come dici tu, cosa faresti André? Chi ti aiuterebbe, non ci hai pensato? - gli ricordò a ragione il soldato.

Finché si trattava di muoversi in luoghi conosciuti, contare il numero delle scale da fare, o ricordare e memoria quanti passi ci volessero per arrivare dal corridoio di casa fino alla propria camera da letto, era un conto. Ma un viaggio, e per di più così lontano, era un altro paio di maniche. Alain aveva ragione, aveva bisogno d'aiuto. E visto che per il momento, Oscar non doveva sapere nulla, doveva chiederlo altrove. Era in bilico sull'orlo di un precipizio da cui non sapeva come salvarsi, ma si convinse che infondo, poteva e doveva cercare di farlo.

- Alain, ti sarei grato se mi presentassi quel tuo conoscente. E poi, ho un altro immenso favore da chiederti... - disse alla fine di tutte le sue riflessioni.

- Parla André! Tutto, per il mio più caro amico! -





Nel frattempo, nei cortili esterni della piazza d'armi della guardia nazionale una fanciulla chiedeva udienza al comandante di quei soldati con la speranza di parlargli di una cosa urgente, e Oscar riconosciuta la sorella minore di Alain in quella ragazza, decise di riceverla subito.

- Scusate comandante Oscar, posso parlarvi? Lo so, non è giorno di visita, ma speravo lo stesso che mi riceveste... - la voce della piccola Diane la carezzò come una brezza gentile, e Oscar si stupì di quanto in effetti, la giovane somigliasse alla sua Rosalie.

- Se è per via del cibo che tuo fratello non consuma alla mensa per darlo a te a tua madre, non mi devi spiegazioni. Né tanto meno delle scuse... - le rispose gentilmente Oscar continuando a passeggiare con lei all'esterno degli edifici militari.

- S-sì è così, ma... - balbettò la ragazza arrossendo vistosamente.

- Non era di questo che volevi parlarmi? - replicò Oscar divertita.

- N-non esattamente, ecco io... volevo pregarvi di non punirlo. Non solo per questo... ecco, mi hanno riferito di alcune cose che avrebbe fatto, e così io... - Diane ammutolì.

L'emozione sembrava aver preso il sopravvento.

- Sta tranquilla, non punirò Alain. Potrà continuare a darvi tutto il cibo che vuole, del resto, non è l'unico a farlo. Per quanto riguarda i nostri recenti dissapori poi, beh, ormai è acqua passata... - la rassicurò Oscar.

- Davvero? Oh, grazie a dio è tutto a posto. Temevo che avreste potuto negargli la licenza di due settimane prevista per lui, e gli altri soldati del suo drappello. Sapete comandante, mi sposerò in quell'occasione e ho avuto paura che Alain, non potesse venire - le confessò la giovane tirando un sospiro di sollievo.

- Già, il tuo matrimonio. Il mio attendente, André Grandier, è stato lui a dirmelo. Mi posso congratulare? -

Quelle parole sembrarono riempirle il cuore di felicità, e un mare di lacrime scintillanti di gioia e gratitudine, iniziarono a rigarle il volto fresco e gentile, dai tratti ancora così evidentemente infantili.

- Oh madamigella Oscar, mio fratello aveva ragione a decantare così tanto la vostra bellezza e generosità! Non so come ringraziarvi! - rispose Diane inginocchiandosi a terra.

Oscar fece altrettanto pregandola di rialzarsi, ma la giovane le prese le mani per baciarle.

Quella povera ragazza aveva gioito così tanto, per così poco? Era nobile, ma indossava abiti vecchi e consumati, sopravvivendo quasi solamente con i pasti che il fratello risparmiava per lei, e che molto spesso nemmeno bastavano, a sfamarli tutti. Provò un immensa vergogna al pensiero di quante volte in passato avesse rifiutato il cibo, e a quanto più spesso lo avesse considerato una cosa del tutto scontata.

- Ah Diane, dimenticavo... Se tuo fratello non si offende, vorrei farti un dono di nozze. Consideralo un regalo di ringraziamento per la tua deliziosa compagnia di oggi, vuoi? - le propose Oscar imbarazzata da quella spropositata reazione.

- Grazie comandante, siete un angelo! - rispose festante la ragazza.





Sulla strada del ritorno Oscar continuò con le sue considerazioni, mentre il cielo, come accadeva sempre a quell'ora, s'infiammava del rosso e dell'arancio di un tramonto splendidamente vivido. André le cavalcava accanto in silenzio, dopo le ultime battute dette dopo aver lasciato Parigi per tornare verso casa, sembrava più sereno e rilassato del solito. Aveva scherzato e riso con lei, e a un certo punto, complice l'imbrunire, erano scesi da cavallo e si erano baciati, nascosti dalle lunghe fronde accoglienti di un solitario salice.

- Sono sfinita, eppure, resterei qui per sempre a baciarti, e ad ammirare le stelle... - esordì lei dopo un breve silenzio.

- E' stata una giornata infernale! L'unica consolazione è che finalmente, si stia concludendo... - sbuffò André stiracchiandosi gli arti indolenziti.

- Ah, è così? Questa è l'unica consolazione? - protestò Oscar indispettita.

Lui si girò verso di lei, sostenendosi su un gomito. Con la mano rimasta libera le sistemò un ciuffo dorato dietro l'orecchio, scoprendole un lato del viso.

- Anche essere qui con te è una discreta consolazione... - le rispose André con il preciso intento di provocarla.

Oscar finse di essersi irrimediabilmente offesa, ma poi cedette, avvicinandosi di più a lui per poterlo accarezzare a sua volta.

- Che c'è? perché mi guardi a quel modo? - gli chiese specchiandosi in quell'infinito prato verde riflesso nel suo sguardo.

- Sei bella, Oscar. Lo sei sempre stata, è adesso, lo sei ancora di più... - le rispose serio.

- Smettila di adularmi, lo sai che con me non attacca! Devi dirmi qualcosa? - gli domandò Oscar sbadigliando.

- Se ci fossimo conosciuti in un modo più... normale, non sarebbe tutto così strano fra noi due - disse solo André.

Lei gli fece un sorriso carico di tristezza. Il sole era scomparso del tutto dietro una collina e si alzò in piedi, ripulendosi l'uniforme dall'erba e dalle foglie morte sparse sul terreno.

- Se ci fossimo conosciuti come fanno le persone normali, tu saresti mio marito adesso. L'unica cosa strana forse, è che tu non lo sia ancora... - ribatté Oscar tendendogli una mano.

- In fondo al mio cuore, io sono già tuo marito Oscar - concluse lui appoggiandosi a lei per rimettersi in piedi.

- E io tua moglie... - replicò Oscar ritrovandosi ad un passo dal suo viso.

Si strinsero un ultima volta sotto quel discreto albero che li aveva protetti con la sua folta chioma, smaniosi di tornare a casa e possedersi ancora, nell'intimità di quella notte che li avrebbe tenuti di nuovo al al sicuro fra le sue oscure, silenziose lunghe braccia.







 

Rieccomi con il nuovo capitolo, come avrete notato ho scelto di non inserire nessuna immagine questa volta perché ne stò realizzando una tutta mia. La dedicherò a tutte voi per farmi perdonare dell'attesa.

Buona lettura!

N.b. Sebbene la storia la stia ancora scrivendo,  da oggi pubblicherò ogni venerdì.

A presto, Tea.

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***




 
André decise che avrebbe parlato sia con Oscar che con sua nonna, della sua definitiva decisione di partire. Alain lo aveva messo in contatto con l'uomo di cui gli aveva parlato: una gran brutta faccia davvero, un contrabbandiere che da lì a qualche ora, sarebbe partito per Boulogne con un carico scottante. Lui avrebbe fatto parte di quella strana e pericolosa comitiva fino ad Arras, poi avrebbe dovuto arrangiarsi.

Era stato molto combattuto, ma Oscar e Alain lo aveva incoraggiato a trovare quella donna, che sebbene l'avesse abbandonato, da quanto aveva potuto appurare leggendo quelle lettere non aveva mai smesso di desiderare di rivederlo e stringerlo ancora fra le braccia. Mentre sua nonna aveva reagito piuttosto malamente alla notizia della sua partenza, facendolo sentire tremendamente in colpa per via delle sue precarie condizioni di salute. Ed infatti il cuore gli gridava nel petto di non partire, di non lasciare da sole quelle donne così uniche e importati per lui, e sopratutto in quel momento. Ma ora che un altra voce si era levata dentro di lui sentiva il bisogno di seguirla, era quella soave e dolcissima di chi ti aveva dato la vita, quella di una madre.

- Ci prenderemo cura noi di lei, sta tranquillo! - lo rassicurò Oscar.

La sua donna sembrava serena, sebbene leggesse qualcosa di strano in quello sguardo di solito limpido e privo d'ombre.

- Lo so Oscar, ma temo sia un grande errore lasciarla in questo momento così delicato per lei...-

- Non mi hai spiegato il perché di tanta fretta, invece. Non potresti aspettare la fine dei lavori dell'assemblea? Perché proprio adesso? - volle sapere Oscar versandosi un buon bicchiere di vino rosso.

- Ho un brutto presentimento, tutto qui... e poi, prima vado a risolvere questa storia, meglio sarà per tutti. Tornerò fra meno di due settimane Oscar, così avremo tutto il tempo di parlarne - Oscar si portò il calice di cristallo alle labbra e ne bevve un sorso abbondante aggrottando la fronte.

- Spiegati - lo incalzò lei poco soddisfatta di quella risposta.

- Parigi è un delirio Oscar, le cose degenerano ogni giorno di più e questo mi spaventa... non sai quanto. Ora sembra che la situazione sia stabile e devo approfittarne: voglio essere qui, quando le cose peggioreranno - le spiegò pur sentendosi ugualmente un traditore.

- Cosa credi che accadrà veramente André, cosa ti suggerisce il cuore? - Oscar abbassò lo sguardo appoggiandosi alla finestra aperta per ascoltare il dolce frusciare del vento fra le alte fronde del giardino.

- Il popolo insorgerà amore mio... lo farà di certo! E allora, dovremo decidere da che parte stare Oscar - le rispose André senza mezzi termini.

Oscar sentì il cuore rimbalzarle nel petto, e una profonda angoscia impossessarsi di lei. Avrebbe voluto gridargli di non partire, di tenerla stretta a sé per sempre e di non lasciarla senza di lui più nemmeno un istante da quel momento in poi, ma fece un passo indietro, malgrado le lacrime avessero iniziato a rigarle il viso senza che lei potesse fermarle.

- Se è quello che senti, allora torna presto André. Torna il prima possibile... - riuscì solo a dire prima che quelle labbra meravigliose le togliessero di nuovo il respiro.

- Lo farò Oscar, sarò qui prima che ti accorga della mia assenza! - le giurò con l'animo pieno di dubbi e di incertezze.

Che sciocchezza, pensò Oscar, mentre si stringeva a lui come non aveva mai fatto fino a quel momento. Lui già le mancava. Il solo pensiero di separasi dall'uomo che amava le era insopportabile, figurarsi l'attenderne il ritorno. Se solo quei tempi fossero stati diversi, se solo il pericolo non fosse stato in agguato ad ogni angolo per loro, certamente sarebbe riuscita a gioire per lui per la sua ritrovata famiglia. Poteva sacrificare quei pochi giorni di pace che restavano da passare insieme, restituendogli un po di quel tempo che lui le aveva donato in tutti quegli anni? Doveva farlo per André e per la persona che era, a prescindere dal fatto che ora fosse il suo compagno.





Quell'ultimo giorno a Parigi presso gli alloggi dei soldati, André e Alain si salutarono. Il più vecchio lo guardò con disappunto, André lo aveva pregato di prendere il suo posto al fianco di Oscar in sua assenza, e la cosa gli piacque ben poco.

- Sai che lo farei se potessi, ma diventare il suo attendente dopo i nostri trascorsi... è un po strano, non credi? - si limitò a replicare Alain.

- Me lo devi Alain! - ribatté André con un moto di disperazione nella voce.

- Farei di tutto per te lo sai, ma quella donna io... - malgrado quei conflitti iniziali fossero ormai stati superati Alain sembrava combattuto.

- Non so a chi altro chiederlo Alain, se rifiuti non potrò partire - disse André quasi supplicandolo.

- E va bene, ma solo perché sei tu a domandarmelo, e non per quella stramaledetta donna in uniforme ! - disse infine Alain arrendendosi.

André strinse la mano dell'altro così forte che Alain poté percepire tutta l'immensa gratitudine che l'amico provava nei suoi confronti, solo da quel contatto. Così fece altrettanto, giurandogli tacitamente di proteggere a costo della propria vita quella persona tanto preziosa che gli stava affidando.






André ficcò in una piccola sacca da viaggio un unico cambio d'abito, e scelse quello più nuovo ed elegante che possedeva, in vista dell'incontro che avrebbe avuto con sua madre in Belgio. Lei era una donna ricca e ben vista in quell'ambiente dell'alta borghesia di cui faceva parte; nessuno avrebbe fatto entrare uno straccione sporco e maleodorante in una casa per bene. Un aspetto ben curato e distinto sarebbe stato per lui l'unica credenziale possibile quando si sarebbe trovato a bussare a quella porta, una lezione che aveva imparato a sue spese da bambino, quando sua nonna lo aveva lavato e strigliato come un cavallo prima di permettergli di incontrare Oscar per la prima volta.

- Continuo a pensare che sia una follia... - esordì la vecchia Marie entrando inattesa nella stanza del nipote.

- Nonna? Che che fai qui, dovresti essere a letto a quest'ora! - le rispose André con tono di rimprovero.

- Dovrei essere io a sgridarti, non tu, razza di ingrato! - replicò la donna con tenero disappunto.

Marie teneva il cofanetto con le lettere di Joséphine in mano: ne conteneva ancora quasi un centinaio e malgrado avesse passato ore a visionarle, gli era stato impossibile terminarne la lettura.

- Nonna io, ti ringrazio, ma non posso portarle tutte con me. Troverò un altro modo per convincere mia madre, che sono davvero io il figlio che ha tanto cercato... - le rispose André aiutandola sedersi sul suo letto per farla riposare.

- Non ne avrai bisogno ragazzo mio, le basterà guardarti in faccia per capirlo. Tranne che per i suoi colori André, come quello dei tuoi capelli e degli occhi, tu sei il ritratto vivente di tuo padre! - gli ricordò sua nonna.

- Nonna, cos'è quell'oggetto? - André vide la donna tirare fuori una collana e un ciondolo dal prezioso cofanetto di legno che teneva in grembo.

- E' un ritratto di tua madre, si trova all'interno del ciondolo. Lo spedì a tuo padre perché te lo consegnasse il giorno del tuo quindicesimo compleanno. Forse, pensava che allora saresti stato abbastanza grande per capire e andarla a cercare, chissà... - le sentì dire sospirando.

Per Marie era come se quel piccolo quadro in miniatura con le fattezze si sua madre dipinte sopra, non avesse nessuna importanza. André glielo sfilò gentilmente dalle mani, tremando nell'attesa di trovare in sé il coraggio di aprirlo per poterne finalmente ammirare la bellezza.

Era un volto gentile quello di sua madre. In quel ritratto era ancora molto giovane, ma già poteva intravvedere la somiglianza che li accomunava: lo stesso tono smeraldino dei suoi occhi, la stessa chioma scura folta e ricciuta. Rimase un tempo indefinito ad ammirarne i lineamenti, soffermandosi su ogni piccolo particolare di quel volto, sopratutto su quelle labbra piene e delicate che probabilmente si erano posate su di lui solo una volta, il giorno della sua nascita.

- Perdonami André! Perdonami se puoi... non volevo perdere anche te. come ho perso tuo padre... - Marie si nascose il viso creo e smunto fra le mani e lui si sentì morire all'idea di averle dato un dolore così grande.

 André le afferrò i polsi con dolcezza e lei non si oppose, facendosi ricadere le mani strette a pugno in grembo. Quelle più grandi e forti del nipote le tenevano saldamente fra le sue, e mentre la osservava senza dire una parola, Marie trovò finalmente la forza di parlare di nuovo.

- Andrai da solo? - singhiozzò la donna asciugandosi gli occhi.

- No, mi accompagneranno fino ad Arras. Dopo di ché chiederò a Monsieur Sugéan di farmi accompagnare da qualcuno fino a Charleroi - le rispose André sedendole accanto.

- Potresti domandare al piccolo Gilbert, si sarà fatto grande adesso. Grazie al vostro intervento la sua famiglia sta bene ora, la sorella maggiore si è sposata, mentre quella più piccola lavora alla locanda. Sono certa che ricambieranno il favore ricevuto da madamigella Oscar quando gli parlerai delle tue condizioni - continuò sua nonna.

Gilbert Sugéan era il secondogenito di un povero contadino che si occupava dei terreni della famiglia Jarjayes, alla tenuta di Arras. Ricordava ancora quell'estate del 1775, quando per via dello scorbuto che aveva colpito Gilbert - una malattia causa dalla malnutrizione - Monsieur Sugéan aveva deciso di vendere la loro unica mucca per poterlo curare. Grazie a Oscar e all'intervento del generale Jarjayes in persona, che aveva provveduto a pagare lui stesso il medico e le cure necessarie, quel sacrificio era stato evitato, e da allora, la famiglia Sugéan aveva potuto vivere in pace e senza più l'incubo della fame. Cosa che non si poteva dire di tutte quelle migliaia di persone, Parigini compresi, che invece ormai da troppo anni, non avevano di che apparecchiare la tavola per sé e i propri figli.

Quei ricordi lontani lasciarono il passo alla cruda realtà del presente: il suo maldestro tentativo di nascondere i suoi problemi alla persona che lo aveva cresciuto, era miseramente fallito.

Forse anche per quello aveva reagito così male al pensiero di saperlo in viaggio da solo e con la vista in quello stato. Sperò di averla rassicurata in qualche modo; vista a parte non era uno sprovveduto, sapeva esattamente cosa andava fatto e non le avrebbe deluse. Sarebbe tornato dalle donne più importanti della sua vita il prima possibile, questo era certo. André aveva deciso di indossare il ciondolo della madre sotto quegli abiti vecchi e sdruciti che avrebbe messo per il viaggio: di quei tempi, con le vie pieni di disperati e rivoltosi, far pensare a qualcuno di possedere molto denaro o anche solo qualcosa di valore significava la morte.

E lui non poteva permettersi di rischiare durante quel tragitto, né tempo prezioso, né men che meno, la vita.






- Sono pronto, alla fine anche la nonna si è arresa. Prenditi cura di lei Oscar, te l'affido! -

- Non ne hai bisogno, sai che lo farò! Sai André, sembri uno appena uscito di prigione con quella roba addosso, non ti rende giustizia... - ridacchiò lei.

- Pensi che abbia esagerato? - le domandò André un po deluso.

- Un tantino - replicò Oscar avvinandosi ad un solo passo da lui.

Ma quel breve istante di leggerezza passò in un attimo e Oscar si fece coraggio, abbracciandolo un ultima volta.

- Torna presto da me André, e non lasciarmi più sola... - gli mormorò stringendosi a lui più forte.

- Chiedimi di non farlo Oscar! Ordinami di restare, e io lo farò! Ti prego Oscar, ti prego... - la supplicò André in un momento in cui la disperazione finì per prevalere su tutte le ragioni che lo avevano spinto a quella decisione.

- Non posso André. Lo vorrei, e non sai quanto, ma non posso farlo. Tu tornerai amore mio, e io sarò qui ad attenderti! - gli promise poi Oscar asciugandosi un lacrima.

Lei finì per tranquillizzarlo guardandolo finalmente con serenità, e lui iniziò a odiare quell'espressione tanto amabile che le si era dipinta in volto, non era esattamenteome un giro dietro l'angolo, ma un viaggio di giorni.

La preferiva di gran lunga quando aveva minor controllo delle sue emozioni, ma dovette ammettere che quel nuovo volto di Oscar, dopotutto, iniziava un po a piacergli.

Uscirono insieme dalle stalle e dopo aver dato un colpo di redini, il suo castrone nero partì al galoppo. Si voltò a salutarla con il braccio alzato, solo un ultima volta prima di oltrepassare quei cancelli dorati, dopo di ché, il suo André scomparve nell'oscurità di quella notte calda e senza stelle.

Qualcosa in lei reagì, paralizzandola. Infine si sentì cedere, e cadde in ginocchio mentre l'ennesimo e violento attacco di tosse la coglieva del tutto impreparata. Oscar si alzò da terra col gusto dolciastro del sangue in bocca e un fuoco impietoso nel petto, malgrado ciò, il suo unico pensiero andò a lui.

Sì ripulì le mani nella camicia di seta bianca e tornò su i suoi passi, quella notte sarebbe di nuovo stata sola nel suo letto, e certamente, si disse, senza il suo uomo ad affollare tutti i suoi sogni, non avrebbe sicuramente preso sonno.



 

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***




 
André arrivò ad Arras a giorno fatto. Era quasi ora di pranzo e la luce del sole gli ferì lo sguardo mentre si avvicinava alla locanda. Quando si trovò di fronte all'entrata, ebbe un momento di sconforto quando portando la mano alla maniglia della porta di legno, non riuscì ad afferrarla subito. Ma al secondo tentativo, quando fece un passo dentro il locale gremito come sempre, il vivace chiacchierio degli avventori abituali e dei pochi forestieri che affollavano l'Hotellerie Restaurant Allas, scemò in un sommesso vocio.

Erano passati anni dall'ultima volta che era stato li, e il cuore gli sbuffò nel petto, accompagnato da lieve momento di gioia, nel constatare che malgrado il tempo, in quel luogo così caro a lui e a Oscar nulla fosse cambiato.

- Giovanotto, vuoi una stanza, o sei qui solo per mangiare? - gli domandò una voce femminile e squillante.

La giovane e graziosa cameriera lo sfidò con lo sguardo, era consapevole di non essere molto presentabile in quel momento.

- Voglio una stanza sì, ma anche pranzare, grazie - le rispose André quasi divertito da quel piglio così sfacciato e poco accomodante.

Nella confusione il locandiere non aveva fatto caso a lui, probabilmente vestito a quel modo, non l'avrebbe nemmeno riconosciuto. Così aspettò prima di andarlo a salutare, preferendo assaggiare il classico e gustoso stufato di carne che tante volte, in quegli anni, gli aveva deliziato il palato.

- Il padrone vuole sapere per quante notti? - gli domandò poi la giovanissima cameriera.

- Una sola. Chiedete al vostro padrone se è anche possibile farsi un bagno, avrei bisogno di cambiarmi gli abiti - le chiese dopo aver mandato giù l'ultimo gustoso boccone.

- Certo, se avete il denaro per pagare. Lo avete Monsieur? Mi sembrate al quanto a corto al momento... - asserì con convinzione la giovane.

André le sorrise, gettando sul tavolo abbastanza denaro da convincerla del contrario. La ragazza lo guardò di sbieco e poi con un certo imbarazzo, quando udì la voce del suo datore di lavoro chiamarla da dietro il bancone da dove si servivano le bevande.

- Florence! Smetti di infastidire i miei clienti, e per dio ragazza, datti da fare! - La voce roca e profonda del vecchio locandiere, lo fece sobbalzare e tornare indietro nel tempo.

- Non prendetevela con lei, Monsieur. La piccola Florence fa solo il suo dovere! - replicò André alzandosi in piedi.

- Per il signore, Andrè. Voi siete il nostro André, non è così? E madamigella Oscar, c'è anche lei? Dov'è? - chiese entusiasta l'uomo avvicinandosi di più al suo tavolo.

- Oscar è rimasta a Parigi, Monsieur - disse solo André.

- Ma cosa sono quelle monete? Mettile via ragazzo, oggi offre la casa! - esclamò il vecchio locandiere senza chiedergli ulteriori spiegazioni sull'assenza di Oscar.

Mentre assisteva a quell'insolita scena, Florence rimase in disparte. Un altro giovane si era alzato in piedi all'interno della locanda, suo fratello maggiore, Gilbert. Lei aveva solo sentito raccontare di quella storia, mentre il fratello l'aveva vissuta di persona, e ovviamente, nel vedere uno dei suoi benefattori dopo tanti anni, l'emozione era stata tanta. Dopo qualche chiacchiera del tutto gioviale, André decise di parlare dei suoi piani per il viaggio che lo attendeva fino a Charleroi. Non provò nessun imbarazzo nel confessare il suo stato a Gilbert e al vecchio locandiere, che molto dispiaciuto gli aveva dato la piena disponibilità del suo aiuto nel caso il giovane Sugéan non avesse potuto partire con lui.

- Non pensateci nemmeno Monsieur, scorterò io André fin da sua madre. E' il minimo che posso fare per ringraziare lui e madamigella Oscar dell'immenso favore che mi hanno fatto! - aveva ribattuto con impeto Gilbert.

- Ti pagherò bene ragazzo, tuo padre non avrà di che lamentarsi per la tua assenza! - gli rispose André sollevato.

Non aveva sperato di poter contare sull'aiuto di qualcuno, e invece, le buone azioni del passato erano state ampiamente ripagate. Pensò a Oscar e a quanto fosse stato straziante, separasi da lei la notte precedente. L'unica consolazione era saperla al sicuro, sotto l'attenta protezione di Alain, L'uomo migliore a cui avrebbe potuto affidarla in quel momento; l'amico era forte e abile, più di quanto non avrebbe mai potuto essere lui in tutta la sua vita. Alain era e sarebbe sempre stato, malgrado il proverbiale caratteraccio che lo contraddistingueva, la persona più leale e corretta che avesse mai conosciuto.

E per quello che aveva fatto per lui, gli sarebbe stato riconoscente per il resto della sua esistenza.






A Parigi intanto, le cose presero una brutta piega già dal giorno seguente la sua partenza. Gruppi di disperati prendevano sempre più frequentemente d'assalto i pochi negozi ancora in grado di sostenere la continua domanda di derrate alimentari, creando assembramenti e tumulti in quasi in ogni angolo della città. E se Oscar doveva presidiare coi suoi uomini l'assemblea per garantire la sicurezza dei vari esponenti, il resto dei soldati della guardia nazionale era sparsa per le strade a sedare quelle continue rivolte con molta fatica e sacrificio.

- Comandante dove credete di andare con quella carrozza? - chiese Alain esterrefatto da tanta leggerezza.

- Al distaccamento di Saint-Denis! Molti dei nostri sono rimasti feriti oggi, c'è stato anche un morto fra i miei soldati. Voglio accertarmi della situazione... - rispose Oscar quasi seccata.

- Dovreste attraversare mezza città per arrivarci, e con la carrozza della vostra famiglia verreste senza ombra di dubbio presa di mira dai rivoltosi! - le fece notare Alain.

- Quindi? Pensi che non sappia difendermi anche da sola? - replicò Oscar.

- Contro cento persone o più? Certo come no! - controbatté il soldato maledicendo il giorno in cui aveva accettato di farle da guardia del corpo.

- Allora non startene lì a contraddire ogni mia decisione, se sei così preoccupato, sali su e accompagnami - gli propose Oscar spazientita.

Oscar aveva dovuto accettare la presenza di Alain per non ostacolare i piani di André, ma ora che se n'era andato, e con tutto quello che stava succedendo a Parigi, quella decisione iniziava a sembrarle sempre più un follia. Ora capiva quanto la devota e silenziosa presenza di André al suo fianco, fosse stata preziosa in quegli anni. Si sentì una stupida per avergli permesso di lasciarla, anche se per pochi giorni.

- Siete pensierosa - la voce di Alain la riportò indietro in un istante.

- Non è una situazione facile... per me - gli rispose Oscar alzando lo sguardo su di lui.

Più ci pensava e più non riusciva a spiegarsi quella costante tensione che lo prendeva quando quella donna gli stava vicino: era tanto alto che le sue ginocchia a tratti sfioravano quelle di lei, e quella sensazione tanto piacevole aveva iniziato a turbarlo. Eppure, non bastava che il suo comandante fosse la creatura più bella che avesse mai conosciuto: erano sopratutto quei scintillanti occhi azzurri e i segreti che contenevano, ad affascinarlo più di ogni cosa. Non si stupiva che André se ne fosse innamorato, sebbene non comprendesse fino in fondo la completa devozione dell'amico, verso una donna che apparentemente non sembrava ricambiarlo. Se Oscar non fosse stata il suo comandante e non avesse indossato quella dannata uniforme, l'avrebbe corteggiata fino alla morte. L'avrebbe sedotta di sicuro e già s'immaginava la scena, ridacchiando fra sé e sé al pensiero di lei sotto di lui, con la testa riversa in un grido di empio piacere.

Oscar non diceva nulla, lo fissava come se avesse voluto annientarlo, e non a torto pensò lui, se il suo comandante avesse intuito la natura dei suoi pensieri nascosti, gli avrebbe sparato di sicuro.

Un violento scossone li riportò entrambi alla realtà. Alain si era fatto prendere troppo dai suoi sogni proibiti e non era stato attento; la carrozza dove viaggiavano si era fermata a causa dell'immane folla che gli era parata davanti. Erano armati, minacciosi e brandivano di tutto: forconi, pale, mazze e quant'altro potesse servire per attaccare o a difendersi, per fortuna non avevano fucili, ma essendo quasi tutti uomini grandi e grossi quanto lui, la cosa lo impensierì parecchio.

- State indietro comandante, non è sicuro! - l'ammonì Alain più preoccupato che mai.

Oscar non lo ascoltò affatto e aprì lo sportellino, affacciandosi fuori per capire cosa stesse succedendo. Lo sbaglio più grande che potesse fare, visto che venne subito trascinata via sotto lo sguardo incredulo e atterrito di Alain e di un altro dei suoi soldati di scorta. Alain non ci pensò due volte e si gettò fuori facendosi strada fra i rivoltosi a calci e pugni pur di raggiungerla e strapparla alle mani di quei vigliacchi, mentre la carrozza veniva ribaltata a data alle fiamme il soldato si fermò un istante, incassando ripetutamente più di un colpo di bastone pur di capire dove Oscar si potesse trovare.

Quando riuscì a sentire la sua voce gridare nella folla e capì da che direzione arrivasse, Alain fece ricorso a tutte le sue forze per arrivare a lei, e finalmente la vide. Oscar era riversa a terra in ginocchio con le mani sopra la testa, cercando disperatamente di difendersi da quegli uomini infuriati, fino a che un calcio allo sterno le tolse completamente il fiato. Accecato da una rabbia incontrollabile Alain si lanciò su di loro come una belva, spaccando più di una mascella e qualche osso, prima di riuscire a trascinarla al sicuro.

Nel frattempo alcuni colpi di fucile sparati in aria disorientarono molte persone, aprendogli un varco e una via di fuga.

- Oscar! - qualcuno alle sue spalle l'aveva chiamata per nome e Alain si girò per capire di chi si trattasse.

Era certamente un nobile quell'ufficiale a cavallo che l'aveva riconosciuta, l'uomo li raggiunse aiutando Alain a portare Oscar in un vicolo non lontano.

- Oscar! Oscar va tutto bene? Maledizione... non respira regolarmente - disse poi il giovane ufficiale adagiandola a terra.

- F-Fersen... siete voi? - finalmente Oscar riuscì a riprendere i sensi.

- Si Oscar, sono io... - le mormorò Fersen felice di costatare che stava bene.

- E André? Dov'è André? L'avete visto, che cosa gli anno fatto... Andrè! Lasciatemi andare, devo aiutarlo, devo aiutare il mio André! - gridò lei come impazzita.

Fersen si guardò attorno smarrito, per poi incontrare lo sguardo addolorato e incredulo del soldato della guardia che aveva aiutato a soccorrerla.

- Sì, certo. Aspettate qui madamigella Oscar, andrò io a salvare il vostro amico! - ribatté Fersen scambiandosi un'occhiata d'intesa con Alain.

- Monsieur, André non era con noi quando siamo stati aggrediti, è partito giorni fa... Mettevi in salvo, penserò io al mio comandante- gli rispose tristemente Alain.

- Disperderò la folla con i miei uomini per aiutarvi, così potrete mettervi in salvo. Di più non posso fare - lo rassicurò Fersen rimontando se pur a malincuore a cavallo.

Alain si avvicinò a Oscar rendendosi conto solo in quel momento che non era lucida. Quando la toccò scottava: doveva avere la febbre molto alta, per questo delirava senza rendersi conto della realtà.

- André, sei tu? Sei tornato? - lo chiamò ancora Oscar.

- Comandante, sono io... Alain! -

- Sono così felice che tu sia tornato... oh André... André - mormorò ancora lei cercando le sue labbra.

Oscar aveva avvicinato la bocca alla sua, premendola ansiosa contro quelle labbra a cui tanto anelava, e che inizialmente, lui aveva tenuto serrate. Le baciò finché non divennero morbide e umide, aprendosi finalmente a ricevere le sue, accompagnate dal suo sapore caldo e dolce. Mentre due braccia forti e robuste la sollevavano da terra, a Oscar parve di sentire ancora il suono calmo e rassicurante della sua voce, e di vedere lo scintillio del suo unico occhio aperto su di lei, prima di svenire una seconda volta.

Alain la strinse maggiormente a sé quando la sentì crollare di peso, uscendo da quel vicolo sudicio e oscuro riuscì a vedere chiaramente qualcuno di famigliare avvicinarsi a lui, tenendo per le redini uno dei cavalli prima attaccati alla loro carrozza.

- Grazie a Dio anche voi state bene- esordì uno dei suoi commilitoni scampati all'aggressione.

- Sì, grazie a dio! - replicò serio Alain.

E quella fu l'unica cosa che il giovane soldato riuscì a dire.






André prese la strada verso l'abitazione di Joséphine nella luce dorata della sera, che lentamente avvolse l'intera cittadina di Charleroi, poco prima del tramonto. C'era poca gente in giro perché erano quasi le sette, e tutti si stavano recavano presso le loro case per cenare. Non gli era sembrata l'ora più opportuna per far visita a sua madre, ma lui e Gilbert avevano cavalcato più una mezza giornata per arrivare a destinazione e avevano dovuto trovare un alloggio, riposare e cambiarsi d'abito prima di appressarsi alla lussuosa residenza dove la donna viveva con la sua nuova famiglia. Oltrepassò un ponte ricurvo che attraversava un fiume fra due grandi chiese e si appoggiò al parapetto, per ammirare il lento scorrere di quell'imponente corso d'acqua che attraversava la città dividendola in due.

Era piovuto molto da quelle parti e quelle acque scure in cui si stava specchiando, correvano profonde, trascinavano con sé tutto quello che avevano travolto lungo il loro viaggio. Si stranì quando una carrozza gli passò accanto e lo schiamazzo di un bambino che piangeva lo distrasse dai suoi cupi pensieri, perché era partito? Come aveva potuto lasciare il calore del letto di Oscar per una persona che non conosceva e che probabilmente, malgrado tutto, alla fine l'avrebbe respinto come aveva fatto la prima volta che l'aveva abbandonato?

- Ho paura... non credo di riuscire a farlo - confessò André al giovane Gilbert.

- Ma André, avete fatto tanta strada per incontrare questa persona, fate almeno un tentativo - lo incoraggiò il ragazzo.

Alle sue spalle le campane batterono l'ora con sette solenni rintocchi e André alzò lo sguardo verso la fine della strada, chiedendosi e a quell'ora sua madre fosse già a tavola.

La immaginò seduta con la sua famiglia a desinare con squisiti manicaretti, una minestra forse, e poi pesce, quindi una torta o dei biscotti, tutto mandato giù con un buon bicchiere di vino rosso o un tè dolcissimo e bollente. C'era un che di consolatorio in quel pensiero visto che lui non aveva mai avuto il privilegio di mangiare con la sua famiglia, né tanto meno di conoscerla. Nemmeno li ricordava, si rese conto che quel bisogno di sentirsi parte di qualcosa, ora che l'oscurità gli avrebbe strappato tutto quello che conosceva, era stata la ragione principale che l'aveva spinto a partire. In ogni caso Gilbert aveva ragione, doveva tentare, così si fece coraggio, e una volta davanti a quella porta bussò, attendo una risposta che non tardò ad arrivare.

- Sì? Chi devo annunciare Signore? - un servitore vestito di tutto punto aprì la porta scrutandolo da capo a piedi.

- Mi chiamo Grandier, vorrei parlare con la vostra padrona per piacere - esordì lui al quanto in imbarazzo.

- Madame è impegnata al momento, come avete detto di chiamarvi? - domandò ancora l'uomo.

- Mi chiamo André Grandier, e vorrei interloquire con la vostra padrona ... - ripeté André alzando di poco il tono della voce.

Malgrado gli abiti eleganti e il giovane Gilbert nelle veci di accompagnatore, l'uomo sembrava restio, così André pensò bene di mostrare al servo una delle lettere di sua madre riportante l'indirizzo di quella casa.

- Prego accomodatevi, Madame è nella sala della musica adesso. Quando finirà i suoi esercizi quotidiani l'avviserò della vostra visita, poi vi darà udienza - lo informò l'uomo prima di lasciarlo solo nell'immenso atrio della casa.

André alzò lo sguardo sulle grandi scale di marmo, sulle arcate e i tappeti, come sugli eleganti arredi e gli affreschi che adornavano ogni angolo della casa, prima di accomodarsi in una piccola sala d'attesa. Era abituato a tanto lusso, anche se quello sfarzo non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello di casa Jarjayes o della reggia di Versailles, si disse, mentre un altro personaggio faceva il suo ingresso nella casa.

- Ci sono ospiti signore... - tagliò corto lo stesso individuo che li aveva accolti all'entrata.

- Ospiti? - domandò una voce maschile.

- Sì, signore. Un certo André Grandier, attende Madame nel salottino. Vi porto da bere? - aggiunse il servitore.

Il rumore di un passo agile e sicuro raggiunse in fretta l'orecchio di André, e una mano fasciata da un guanto bianchissimo spalancò la porta, facendolo trasalire. André si alzò in piedi di scatto, ritrovandosi di fronte un giovane uomo in uniforme, un ufficiale dell'esercito belga dai tratti così familiari e simili ai suoi da farlo restare senza parole.

- Signore io sono ... - balbettò poi André cercando di presentarsi.

- V-Voi siete lui? Siete lui, mio fratello? Siete André, il figlio di Robert Grandier. Non è così? - gli chiese entusiasta il ragazzo di fronte a lui.

- Sì, signore, sono io - affermò André.

Colto di sorpresa André si tolse dal collo il ciondolo col ritratto di sua madre, per consegnarlo nelle mani del fratello, e comprovare la veridicità delle sue affermazioni. Ma non fece in tempo a farlo che il giovane scappò letteralmente via dalla stanza, chiamando a squarciagola la madre, che nel frattempo, atterrita dalle grida del figlio minore, aveva cessato di cantare.

Joséphine uscì dalla sala della musica col cuore in gola, e solo quando incontrò il figlio sulle scale che portavano ai piani superiori della casa e lo vide in buona salute, riuscì a calmarsi.

- Alexader che ti prende? Perché hai gridato? - domandò la donna ancora spaventata.

- Non riesco a dirvelo a parole Maman, dovete vederlo coi vostri occhi, per crederci - le rispose Alexander trascinandola con se fino al salotto dove André stava aspettando.

Quando entrò in quella stanza, Joséphine non ebbe parole per descrivere l'emozione di quel momento. Le si fermò il respiro nel rivedere quel volto tanto caro: suo figlio possedeva i tratti dell'unico uomo che avesse mai amato veramente, e restò in silenzio per un lungo e infinito istante, a contemplarne la bellezza. Le parve di sentire ancora il vagito disperato del suo bambino mentre veniva al mondo, e quello altrettanto straziante di quando lo avevano strappato dal suo petto ancora gonfio di latte. Cedette ad un pianto irrefrenabile e liberatorio, quando lo avvicinò per sincerarsi che suo figlio fosse davvero tornato da lei. La sua presenza, diede finalmente una risposta a tutte le sue domande.

- André... sei un uomo adesso. Ma guardati, sei il ritratto di tuo padre - mormorò Josèphine in lacrime.

La mano delicata e gentile di sua madre gli si posò sul volto accarezzandolo, e lui la sfiorò con la propria, cercando in quel contatto la forza di reagire o di dire qualcosa di sensato. Ma la donna non gli chiese nulla, se non quell'abbraccio tanto anelato in cui sia lei che André poterono finalmente ritrovarsi.



 

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo. ***




 
Oscar si trascinò dal letto al tavolo della toletta, cercando di non cadere rovinosamente a terra. Aveva abusato fin troppo del vino e del laudano, per trovare un po di pace e ricacciare indietro quella tosse violenta e continua che ogni notte aveva preso a tormentarla, che ora, a stento ricordava qualcosa. In quegli incubi che la perseguitavano dopo l'aggressione avvenuta a Saint Antonie, continuava a vedere e a sentire cose impossibili anche solo da immaginare. Era certa di aver riconosciuto Fersen nell'uomo che l'aveva soccorsa, ma c'era stato anche qualcun altro con lei. Sebbene fosse sicura di aver immaginato che quella persona fosse André, Oscar sapeva che non poteva essere possibile.

- Sono felice di vedervi in salute! - esclamò Fersen sfoggiando uno di quei suoi irresistibili sorrisi.

Oscar tossicchiò imbarazzata: l'aveva scampata bella, e ora, dopo due giorni di riposo, coccolata e vezzeggiata da Marie, stava relativamente meglio. Ovviamente non poteva affermare con certezza di essere in salute, viste le sue condizioni.

- Non dovevate scomodarvi a venire Fersen anche se così, potrò sdebitarmi con voi - gli Oscar rispose stiracchiandosi gli arti ancora indolenziti.

Fersen si adombrò fermandosi ad un passo della grande fontana che abbelliva l'entrata sul retro del suo palazzo.

- Non è con me che dovreste sdebitarvi. Se non fosse stato per uno dei vostri soldati, non so come sarebbe potuta finire... - ammise Il giovane conte di Fersen.

- Uno dei miei soldati? - replicò lei confusa.

Oscar aggrottò la fronte, non riusciva proprio a ricordare.

- Un tipo alto. Spalle larghe, bruno, ben piazzato. Davvero non vi ricordate di lui e di come vi abbia strappata alla folla, evitandovi linciaggio? - ribatté Fersen stupito.

- Sono costernata ma... in effetti io, non ricordo un granché di quella sera - confessò Oscar abbassando lo sguardo.

- Ditemi Oscar, perché il vostro André non era con voi? In effetti, non lo vedo nemmeno ora... - le domandò l'altro ingentilendo la voce.

- André è in viaggio. Tornerà presto, ma per ora, devo fare a meno di lui - rispose Oscar quasi fingendo che non le importasse.

Fersen si limitò a sorriderle, senza indagare oltre. Gli sembrava assurdo che André l'avesse lasciata, anche se lui, in passato aveva fatto lo stesso con la sua amata regina. Non era mai stato tanto sciocco però, da non accorgersi di quel sentimento proibito che André aveva nutrito per lei in silenzio, come non era tanto stupido da non aver colto nel grido disperato emesso da Oscar quella sera, la ricerca di un amore lontano.

- Vi prego, salutatelo da parte mia quando tornerà... e spero sia presto Oscar, perché senza di lui, vi vedo un po persa... - finì col dire Fersen gettando quell'irriverente affermazione sullo scherzo.

- Avete ragione, è proprio così - aggiunse Oscar ridendo a sua volta.

Una risata falsa, niente di più ingannevole e finto, si disse lei, mentre evitava di guardarlo negli occhi troppo chiari e gentili di Fersen, occhi incapaci di mentire, non come i suoi. Lo accompagnò fino ai cancelli di casa Jarjayes e lo salutò, augurandosi di incontrarlo ancora. Ora sentiva di aver trovato un amico sincero in Fersen, in passato aveva pensato che nessun altro oltre lui potesse meritare il suo cuore e sebbene ora amasse un altro, sapeva di non essersi sbagliata poi così tanto. Lì univa un affetto e un amicizia sincera e disinteressata, una cosa preziosa in quei tempi difficili.

Ma se da una parte in quella storia Fersen era la luce, Alain era senz'altro la tenebra. Quegli occhi scuri erano un mistero indecifrabile per lei, e l'insolenza e l'arroganza di cui era capace la infastidivano al punto tale, da sperare che scomparisse.

La frescura serale le provocò un brivido lungo la spina dorsale mentre si sforzava di ricordare, c'era stato un breve momento in cui le era parso di sentire sulle labbra e nella bocca, il dolce sapore di un bacio, ma poi, quella sensazione era scomparsa, sopita dall'alcol e dal calmante per la tosse. Fece due o tre scalini e si ritrovò difronte alla porta finestra che dava sul retro del palazzo, dando un ultimo sguardo ai giardini prima di rientrare: in ogni ombra scorgeva la sua figura, in ogni suono la sua voce o l'incedere sicuro del suo passo.

Sentiva la sua mancanza sotto la pelle, nella carne e nelle ossa. Aveva bisogno di vederlo e di toccarlo, di stringersi a lui fino ad arrivare a scomparire, in quell'abbraccio forte e sicuro. Provò ad immaginare cosa stesse facendo o dove si trovasse in quel momento; forse a passeggiare accanto alla madre, o a discutere coi suoi nuovi fratelli o sorelle.
O forse, come lei, André era solo in un giardino, con lo sguardo rivolto verso quelle stesse stelle che anche lei stava guardando, con la stessa profonda malinconia nel cuore.

- André! André!! - chiamò ancora urlando prima di rientrare.

Lo fece più di una volta, sperando che il suo grido lo raggiungesse riportandolo da lei, forse, si disse Oscar, lui così, l'avrebbe sentita.






Nei giorni successivi al suo arrivo, André ebbe l'occasione di conoscere altri membri della sua nuova famiglia. Oltre ad Alexander che era il terzogenito, André conobbe Edgard, il secondo figlio di Joséphine, e poi Arnaud e Clarisse, i più giovani, che oltretutto erano gemelli.

Dopo una vita di solitudine in qualità di figlio unico, André si ritrovava ad essere il maggiore di ben fratelli, ma la cosa che più gli diede gioia; essendo Clarisse una femmina, fu la scoperta di avere fra l'altro, anche una sorellina minore. Era sconcertato dal fatto che praticamente tutti sapessero di lui, e della sua storia. Un figlio illegittimo era sempre stata una cosa da nascondere o di cui vergognarsi, ma in quella casa, dove tutto sembrava essere l'opposto, non era così.

Era stato accolto con affetto e come un vero membro della famiglia da tutti, sebbene avesse letto una certa diffidenza nello sguardo di Edgard, che aveva soli due anni in meno di lui. Un sentimento di dubbio e d'incertezza sulle sue reali intenzioni, che il giovane non mancò di manifestare, dopo essersi appartato in uno dei salotti della casa, per bere qualcosa dopo cena.

- Così siete voi il mio famoso fratello maggiore. Volete spiegarmi perché avete deciso di farvi vivo solo ora? - gli domandò spudoratamente Edgard.

- Ho saputo di lei solo ora! Mia nonna nascose le sue lettere per anni, tenendomi totalmente all'oscuro della verità sulla mia nascita... - gli rispose André scaldandosi la gola con un sorso di un buon vecchio cognac.

- Cosa volete davvero da noi, da lei? Immagino che foste al corrente del suo stato sociale. Siete qui per il denaro? - chiese Edgard rincarando la dose.

Più che un insinuazione, quella gli sembrò una palese accusa. Ma André non si stranì più di tanto, in realtà, era un sospetto più che legittimo, pensò, vista la straordinaria ricchezza di sua madre.

- Volevo conoscerla, solo questo. Prima che fosse troppo tardi... prima di... - André approfittò del liquore per farsi coraggio e ne bevve un altro abbondante bicchiere.

- Prima di cosa? - insistette il fratellastro.

- Prima di non riuscire più a vedere il suo viso... Non volevo sprofondare nelle tenebre, senza aver mai avuto la possibilità e l'onore di ammirare il volto di mia madre - rispose finalmente André.

Edgard ebbe una reazione del tutto anomala a quella confessione, per tutta risposta gli si avvicinò, prendendogli inaspettatamente il viso fra le mani.

- Lo sguardo del vostro occhio destro è velato in effetti, da quanto siete in queste condizioni? - volle sapere il più giovane.

- Da qualche mese ormai, in effetti, da quasi un anno - gli confessò lui cercando di capire meglio cosa stesse succedendo.

- Maman ve l'ha detto, cioè, ti ha detto che sono un medico vero? Domani mattina ti accompagnerò nel mio studio, e mi accerterò delle tue reali condizioni. Nostra madre lo sa? - gli domandò ancora Edgard.

- No io, non l'ho detto a nessuno. Non desidero darle un altro dolore... io non... - replicò balbettando André alzandosi dalla comoda poltrona dove era sprofondato pochi istanti prima.

- A nostra madre non si può nascondere nulla e tanto meno una cosa simile, André. Per quanto riguarda il dolore poi, non conosco nessun'altra persona al mondo, con più esperienza di lei al riguardo... - aggiunse Edgard versandosi a sua volta da bere.

Una cameriera entrò per ravvivare il fuoco nel caminetto, seguita da Joséphine, Alexander e i gemelli. La più entusiasta si rivelò essere proprio Clarisse, che nel vederlo gli si gettò addosso, costringendolo a sedersi nuovamente nella poltrona per raccontarle tutto di lui e del suo passato.

La sorella era poco più che una bambina, somigliava molto a Joséphine ma al contrario di lei, era bionda e aveva gli occhi azzurri. Proprio come la sua Oscar, pensò André per un momento, sentendo aumentare ad ogni ora il bisogno di tornare da lei il più presto possibile. Tornato a godere del calore famigliare, André decise di accontentare la piccola Clarisse, malgrado non sapesse bene da dove iniziare. Così Partì dal giorno in cui, all'età sei anni, conobbe la figlia più giovane del generale Jarjayes e di come ne fosse divenuto il compagno di giochi e attendente, nel corso degli anni. Raccontò di lui al fianco di Oscar, e di come lei, in veste di capitano delle guardie reali, aveva protetto la regina Maria Antonietta. Raccontò della reggia di Versailles, di tutti gli accadimenti vissuti lì, della contessa Du Barry, della Polignac e dei suoi intrighi, lasciando tutti attoniti e a bocca aperta per la sorpresa, sua madre sopratutto.

Josèphine lo guardava seduta poco lontano, con lo sguardo lucido e basso, quasi a vergognarsi di se stessa per l'infausto destino toccato al figlio. Lei era in grado di vedere oltre tutte quelle avventure fantastiche, oltre quel lusso sfrenato e l'abbagliante falsità di quella vita apparentemente fantastica passata però, nell'ombra di qualcun altro. Lui era sempre stato un servo in quella casa, quando invece avrebbe potuto godere di una vita vera, piena e ricca di vantaggi, se solo non glielo avessero portato via. Immaginò che avesse sacrificato molto a quella donna che venerava così tanto; la sua giovinezza, la possibilità di farsi una famiglia propria, il suo occhio sinistro, e magari molto altro, pensò Joséphine, profondamente addolorata.

Quando si fece troppo tardi per continuare, dopo aver messo a letto i ragazzi, lei Edgard e Alexander, si intrattennero ancora un poco nel grande salone principale della casa per un ultimo saluto ad André, prima di andare a dormire. Vide le sagome confuse dei suoi fratelli appartarsi a poca distanza, e suppose che stessero tramando qualcosa, visto i toni concitati che i due uomini stavano usando per discutere fra loro.

Sua madre poi, lo raggiunse accanto al camino invitandolo a seguirla per una passeggiata in giardino, benché fosse molto tardi.

- Vedo che vorresti già andar via e tornare alla tua vita di sempre, a Parigi - esordì Joséphine prendendolo sotto braccio.

- Sono un soldato in licenza madre, ed è passata quasi una settimana dalla mia partenza. A meno che non voglia essere tacciato di diserzione, devo tornare... - si giustificò André.

- Capisco. Ma lo fai davvero per questo, o per quella donna, la figlia del generale? Parigi è un delirio figlio mio, non sono certa che questa decisione sia saggia - replicò sua madre.

- Io la amo, madre, l'ho sempre amata... Desideravo conoscervi più di ogni altra cosa, e non mi pento di essere venuto sin qui per farlo. Ma il mio cuore è rimasto a Parigi, madre, con lei! - ammise André sistemandole premurosamente lo scialle sulle spalle scoperte.

Joséphine sospirò, era quello che temeva.

- E lei, ti ricambia? - domandò lei solamente.

- Sì, ci amiamo vicendevolmente! - le rispose André mentre le camminava lentamente accanto.

- Allora devi tornare da lei ragazzo mio, e senza indugio. L'amore vero è un privilegio che in pochi possono affermare d'aver conosciuto. Se tuo padre fosse ancora vivo, e mi aspettasse da qualche parte, correrei subito da lui, ovunque fosse. Edgard mi ha parlato dei tuoi occhi André, promettimi che andrai da lui. Gli permetterai di aiutarti prima di lasciare questa casa, lo farai? - gli chiese con ansia Joséphine.

- Lo farò madre, ve lo prometto! - assentì lui con gioia.

Intanto, nell'elegante salotto di casa, Alexander e Edgard si intrattennero ancora a parlare fra loro di André e della sua improvvisa comparsa nelle loro vite; un avvenimento a cui non avevano mai sperato di poter assistere nella loro vita.

- Quanto credi sia grave la situazione? - volle sapere Alexander.

- Non posso dirlo con certezza finché non lo visito... - gli rispose Edgard indulgendo ancora nell'alcol.

- Lo abbandoneremo al suo destino? Voglio dire, gli permetteremo di tornare in Francia in quelle condizioni, con tutto quello che sta succedendo laggiù? - sbottò il soldato con rabbia.

- Certo che no! Ma ora calmati, nostra madre è già fin troppo turbata. Nostro fratello maggiore avrà la nostra completa attenzione, Alexander. Maman ha atteso trentacinque lunghi anni per ricongiungersi a lui, avrebbe fatto lo stesso per ognuno dei suoi figli, e non possiamo deluderla. Non permetterò che ad André accada qualcosa di irreparabile, e ci prenderemo cura di lui, ora che fa di nuovo parte di questa famiglia. Devo solo capire bene come, visto che non possiamo obbligarlo a restare... - asserì Edgard

- Non è necessario che resti se noi lo accompagniamo. Sono un Dragone della gloriosa Armée Belge, e non ho paura di niente! - aggiunse Alexander vantandosi anche troppo del suo stato e dei suoi gradi.

Edgard si lasciò sfuggire un mezzo sorriso, il cognac aveva avuto la sua parte di merito in tutto quell'entusiasmo. Ma il più vecchio non era uno sciocco, e soprattutto sapeva, che alla madre quell'idea non sarebbe piaciuta affatto.







Dopo quasi tre gironi d'assenza, Oscar fece ritorno al suo ruolo e al suo comando, badando bene di non chiedere eccessive spiegazioni su quanto fosse accaduto quella sera vicino a Saint Antoine. Avrebbe voluto almeno ringraziare Alain, visto che le aveva salvato la vita, ma stranamente, quando domandò di lui al colonnello d'Agoult, quest'ultimo le annunciò che dopo essere andato al matrimonio di sua sorella, Alain non era più tornato.

- Non ha preso nemmeno la sua paga, comandante. Ed è molto strano, visto che quel denaro è essenziale per lui e la madre - aggiunse dAgoult che aveva l'aria assai preoccupata.

- La piccola Diane si è sposata? Era questa, la settimana in questione? L'ho proprio dimenticato... - disse Oscar incredula.

Aveva perso il senso del tempo e dello spazio. Senza André a sostenerla, Oscar si sentiva in balia di una tempesta, e giorno dopo giorno, ne pagava sempre di più le conseguenze. Si sentì sopraffare dalla frustrazione al pensiero di non poter soddisfare quel bisogno lacerante di vederlo, di saperlo accanto a sé e di scorgerlo alle sue spalle con la sua rassicurante presenza. Poi si decise, e cercò di ritrovare un po di calma e di lucidità, mentre pensava a come risolvere quella spinosa situazione che riguardava Alain.

- Andrò io da Alain, gli porterò la paga di persona. Predisponetemi una scorta, e fatemi avere il suo indirizzò! - gli ordinò perentoria.

Oscar non perse tempo e nel primo pomeriggio raggiunse la casa di Alain, che si trovava in uno dei quartieri più poveri della città di Parigi.

Non appena scese dalla carrozza e fu raggiunta dai soldati che l'avevano accompagnata, due donne la raggiunsero davanti alla porta, che venne sfondata dai suoi uomini dopo aver chiamato inutilmente Alain per diversi minuti.

- Scusateci, ma voi siete il comandate di Alain de Soisson? - domandò a Oscar un'attempata e rubiconda signora dall'aria scontrosa.

- Sono io Madam, perché me lo domandate? - le aveva chiesto Oscar un po confusa.

- Allora vi prego, dite ad Alain di fare qualcosa per questa puzza insopportabile, o gli daremo fuoco alla casa! - aveva minacciato la donna prima di andarsene.

Salire quei tre piani fu un calvario, quell'odore disgustoso e pungente si fece via via più forte, fino a che fu chiaro che provenisse proprio dall'appartamento dove Alain viveva con la madre e la sorella. Oscar provò una profonda angoscia quando finalmente riuscì ad entrare, la prima persona che vide, fu la madre di Alain. La donna era seduta immobile come una statua di pietra su una sedia, al punto che per un momento, Oscar pensò al peggio. Solo quando le si avvicinò richiamando la sua attenzione, la vecchia madre di Alain sembrò dare segni di vita.

- Siete la madre di Alain, non è così? Dov'è vostro figlio, cos'è successo qui dentro... Madam, parlate vi prego, dite qualcosa! - la spronò Oscar che a fatica riusciva a respirare.

- Mio figlio è qui accanto, Monsieur, con la sua amata sorellina... la mia piccola Diane, la mia bambina... - singhiozzò la donna del tutto annientata.

Quando Oscar fece un passò oltre la porta della camera da letto fu investita da una visione orrenda, di gran lunga peggiore di quell'odore orrendo che aveva permeato tutto, togliendole ogni dubbio in proposito alla tragedia che aveva colpito quella famiglia.

Alain era in ginocchio ai piedi del letto di Diane, il cadavere della ragazza, ancora avvolto nel suo abito candido come un angelo sconfitto, sembrava già in avanzato stato di decomposizione. Le bastò alzare lo sguardo per capire che Diane si era impiccata: la corda penzolava ancora da una delle travi esposte del soffitto, e lo sgabello dove era salita era tristemente ancora ribaltato sul pavimento, con accanto una delle scarpette che la povera fanciulla avrebbe dovuto indossare il giorno del suo matrimonio.

- A-Alain... - balbettò Oscar inorridita.

- Vattene via! Andate via! Non permetterò a nessuno di toccarla! - aveva gridato Alain. La persona che si ritrovò davanti non era più quello che conosceva, difronte a lei c'era un uomo distrutto e con lo sguardo totalmente stravolto dal dolore, al punto tale che dopo averla spintonata con l'intenzione di allontanarla, lei dovette arrivare a colpirlo e a schiaffeggiarlo più di una volta per riportarlo alla realtà.

- C-Comandante... - la chiamò Alain tornato lucido.

- Sì... sono io! Cos'è accaduto, Alain? Quello è il cadavere di Diane, cosa è successo qui? - gli chiese Oscar strattonandolo.

La spiegazione non tardò ad arrivare quando la madre di Alain raggiunse il figlio in quella stanza. - Pochi giorni prima delle nozze, l'uomo che Diane avrebbe dovuto sposare... la persona in cui credeva, che amava, e in cui aveva riposto tutte le sue speranze, l'ha abbandonata per la figlia di un ricco borghese. E' per questo che... forse temendo la vergogna... spero solo che non abbia sofferto quando si è impiccata... -

La madre di Diane e di Alain si avvicinò al figlio barcollando, senza quasi più nemmeno una lacrima da versare, e Oscar rimase in silenzio e deglutì, cercando di ricacciare indietro le lacrime e non cedere a sua volta allo sconforto.

- Mi dispiace comandante ma io, non tornerò adesso. Devo prima accettare che la mia Diane abbia smesso di esistere, e che non rivedrò più il suo meraviglioso sorriso, fino ad allora io resterò qui, comandante, qui , con la mia dolce Diane... la mia sorellina... - disse Alain dando finalmente libero sfogo a tutto la sua disperazione.

Oscar non ebbe il coraggio di contraddirlo, e restò a guardarlo di spalle per un momento prima di lasciarlo solo col suo dolore. Un dolore che apparteneva solo a lui, e che lei non avrebbe mai voluto provare. Non pote non pensare ad André in quel momento e a quante volte, anche dopo aver scoperto di amarlo, l'avesse preso per scontato. La vita non era scontata, e nemmeno l'amore. Si doveva viverla ogni istante e il più intensamente possibile. Oscar decise che non avrebbe più permesso a nessuno, di impedirle di vivere e di amare. Né al tempo, né alla malattia, né al mondo che pian piano sembrava collassarle addosso senza darle speranze.

Come aveva potuto lasciarlo andare visto che lui era l'altra metà del suo cuore, del suo respiro e della sua anima?

Non avrebbe più potuto vivere senza di lui, e ora, lo sapeva.









Ciao a tutte, per problemi di tempo ho deciso di spostare il giorno di pubblicazione dal venerdì al lunedì. Grazie ancora per il vostro affetto, che vi giuro è del tutto ricambiato!
Un abbraccio Tea.

 

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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo. ***





 
Edgard chiuse le tende del suo lussuoso studio medico nel centro della città di Charleroi, riaprendole quasi un ora più tardi, dopo l'accurata visita all'unico occhio rimasto al fratello.

- Ecco beh, malgrado la vista vada e venga, il fondo del tuo occhio destro è sano, André. La stanchezza è solo una delle cause, ma potrebbe esserci altro. Prima dell'incidente, non avevi mai avuto problemi alla vista? - investigò il fratello.

- No. Non capisco, è un buona notizia, oppure... - rispose André sperando in una spiegazione più esaustiva.

- La buona notizia è che potrei aiutarti ad evitare il peggio, questo si. Ho un sospetto, certo, ma la terapia consisterebbe anche in un intervento chirurgico André, oltre al fatto che dovresti restare a letto in assoluto riposo, per almeno tre settimane. E tutto senza sapere con certezza se funzionerà - ammise il fratello minore.

- E questa sarebbe una buona notizia? - replicò André.

- Sì, se pensi chein poco tempo, potresti perdere del tutto la vista. Dopo non potrei più far nulla per te, mi dispiace - lo informò a malincuore il più giovane.

- In ogni caso non potrei restare lontano da casa tanto a lungo, non si potrebbe fare comunque... - gli disse André.

Il tono triste e rassegnato di André riecheggiò nella stanza semi buia, mandando Edgard su tutte le furie.

- Certo che puoi. Puoi e devi, fratello... come tuo medico potrei addirittura ordinartelo... - sbottò l'altro sbalordito da tutta quell'assurda testardaggine.

- Tu non puoi capire Edgard, a Parigi ci sono mia nonna e Oscar, non posso lasciarle proprio ora che la Francia e sul baratro della rivoluzione, cerca di capire... - controbatté André ormai rassegnato all'inevitabile.

- Per quanto allora? Quanto tempo credi di potermi concedere? - insistette il fratellastro.

- Cinque giorni, al massimo... è comunque più di quanto avessi previsto di restare ancora - gli rispose André tremando.

All'improvviso aveva paura, in cuor suo sentiva che il tempo a sua disposizione stava finendo, tuttavia, malgrado alla fine di quel tunnel avrebbe potuto vedere la luce, il terrore per ciò che sarebbe potuto accadere nel caso che qualcosa fosse andata storta gli impedì di rimanere lucido. Aveva deciso di concedersi una possibilità di guarigione perché non voleva vivere il resto della sua esistenza accanto alla donna che amava, nella più totale oscurità. Ma la necessità di restare ancora lontano da lei per questo, invece di rincuorarlo, lo angosciò ancora di più.

Oscar era lontana, e in una situazione di costante pericolo, e lui non poteva tardare, non doveva.

. - Forse non dovrei, credo che sarebbe meglio se smettessi di sperare e tornassi a miei doveri in Francia - esordì André dopo una piccola pausa di riflessione.

- E va bene, vorrà dire che ce li faremo bastare. Cinque giorni, non di più. Ma dovrai seguire alla lettera tutte le miei indicazioni André, o sarà stato tutto inutile - gli rispose serio Edgard.

Avrebbe predisposto l'intervento la sera stessa, per anticipare un po i tempi e permettere al fratello di riprendersi abbastanza da poter affrontare le fatiche di un viaggio. In cuor suo Edgard si sentì ribollire di rabbia al pensiero che André avrebbe potuto patire tutto quel dolore, per nulla. Ora più che mai aveva la certezza che il fratello non aveva cercato la madre per comodo, e che non era fatto tanta strada per denaro o per un tornaconto personale. André aveva ceduto a un bisogno del tutto naturale nel cercare la proprie origini, sopratutto in quel frangente. Era spinto dal suo cuore onesto e generoso, e dal dovere, che però, a parer suo, ora aveva solo nei confronti di se stesso.

- E un altra cosa, io e Alexander ti accompagneremo a Parigi da quella donna, madamigella Oscar. Lo farò in qualità di tuo medico personale, e naturalmente, anche come  fratello. Io e Alex siamo già d'accordo. Tu e nostra madre non avrete nessuna voce in capitolo su questa faccenda, mi dispiace... - asserì il più giovane.

- No Edgard, non ve lo posso permettere. E' troppo pericoloso! - ribatté André agitandosi.

- Sono desolato, ma gli ordini del dottore non si discutono André! - sentenziò imperturbabile Edgard.






Come succedeva ogni giorno, dopo aver superato quegli alti cancelli di ferro che separavano la divisione centrale dei soldati della guardia metropolitana dal resto del mondo, Oscar diede un ultimo sguardo al cielo. Se dapprima le nuvole erano rade, ora in particolare, tutto si era fatto più scuro e tempestoso, aumentando in lei quel senso di oppressione che l'aveva accompagnata dal risveglio. Quel peso sul petto che non l'aveva abbandonata nemmeno dopo essersi svegliata di soprassalto nella notte, dopo l'incubo più brutto che avesse mai avuto in tutta la sua vita.

Si era ritrovata a correre a perdifiato in una foresta di alberi anneriti e spogli, come fatti di pietra, mentre a braccia tese cercava di raggiungere un ombra, senza tuttavia riuscire mai a raggiungerla. Solo al termine del sogno, quando si era inevitabilmente avvicinata alla fine della strada percorsa, quell'ombra si era rivelata essere André. Dopo di che, era stato lui ad inseguirla, cercando a sua volta di raggiungerla attraverso quella luce che l'aveva inghiottito, e che sembrava volerli a tutti i costi separare. Ma nemmeno lui riusciva a toccarla, anzi, ad ogni passo verso di lei, si allontanava sempre di più, per poi scomparire in un bagliore accecante.

Era lì che si svegliava in preda al panico, sfinita e madida di sudore, col respiro affannoso e il suo nome ancora sulle labbra.

Sì portò una mano al petto, sperando di non aver di nuovo esagerato coi calmanti, che per lo meno, l'aiutavano a tener a bada la tosse, sebbene le dessero un senso d'intorpidimento, e la facessero sentire più assonnata e stanca di quanto avrebbe dovuto essere. Scese da cavallo, e con quell'aria truce e pensierosa si avviò verso il suo ufficio sperando che quel giorno proseguisse e terminasse nel modo migliore dei modi, quando scorse la figura alta e imponente di Alain fuori da quella porta ad aspettarla.

Era l'ombra di se stesso, pensò Oscar, nel vederlo dopo tanto tempo. Si accorse che aveva qualcosa in mano solo dopo essersi avvicinata abbastanza a lui.

- Vi posso disturbare? - le chiese atono.

- Certo, entra! - lo invitò Oscar decisamente a disagio malgrado fosse felice di rivederlo.

- Non vi porterò via molto tempo comandante, solo, volevo che aveste questo in memoria di Diane. Mia sorella vi ammirava molto, comandante Oscar, credo che sarebbe felice se sapesse che che lo custodirete per lei... - disse Alain restando immobile poco davanti la porta.

Oscar gli si avvicinò, e dopo un tenero sorriso prese quella scatola, appoggiandola con cura sulla grande scrivania del suo ufficio. Conteneva il candido velo nuziale di Diane, e una ciocca intrecciata dei suoi  bellissimi capelli castani, fermata da un nastro di seta bianca profumata di acqua di rose.

Oscar lo guardò esterrefatta. Perché lo dava a lei, che significato aveva quel gesto?

- Perché a me Alain, non capisco? - gli chiese sopraffatta dall'emozione.

- Mia madre e mia sorella sono morte comandante, non ho più nessuno. Non so che accadrà in futuro, se m'innamorerò di qualcuno, o resterò solo per il resto dei miei giorni. Sono certo che sarà molto più utile a voi e ad André, quando finalmente la smetterete di mentire al resto del mondo e deciderete di sposarvi. La vita è troppo breve per essere sprecata, comandante. Ogni istante che ci è concesso, è prezioso, nessuno lo sa meglio del sottoscritto... - terminò di dire Alain senza nemmeno sforzarsi di trattenere le lacrime.

- Alain io, non so cosa dire... - disse Oscar sbigottita.

- Non dovete dire nulla comandante, col vostro permesso, ora torno dai miei compagni - rispose lui congedandosi.

Oscar ripose quel dono inaspettato, avendo modo di riflettere sulle parole di Alain e sul reale significato di quel gesto. La vita era troppo breve e preziosa per sprecarla, era vero. André ci aveva messo vent'anni per trovare il coraggio di confessarle i suoi sentimenti, e a lei ci erano volute settimane solo per trovare la forza di ammettere a sé stessa, quella verità che le era sempre stata davanti a gli occhi: il suo migliore amico l'amava, e lei lo ricambiava. Lo amava al punto da farle pensare, di non aver mai vissuto, né amato prima. I sentimenti che aveva nutrito per Fersen erano stati una pallida parvenza dell'amore, un tiepido raggio di sole invernale, se messo a confronto con la dirompente calura estiva André emanava. Il suo uomo era caldo come il sole d'agosto, e sapeva incendiarle i sensi e toglierle il respiro, con un solo gesto, uno sguardo o un unico bacio rubato. Era stata colta spesso dalla tentazione di abbandonare tutto e fuggire da lui, ma il dovere verso il suo popolo e la Francia, glielo impediva.

Non avrebbe sprecato oltre il suo tempo, da quel momento in poi, seguendo quel prezioso consiglio, avrebbe dato un significato diverso ad ogni giorno in più che la vita le avrebbe concesso.






- Un ritratto? Oscar ha chiesto di farsi ritrarre? E' stato lui a chiamare il pittore?? - ruggì il generale Jarjayes incredulo.

Oscar ne percepì la voce provenire dal piano superiore. Suo padre non aveva preso bene la notizia ma d'altronde c'era da aspettarselo, vista la sua proverbiale avversione per quel genere di cose. Anche Oscar non aveva mai guardato con favore a quel tipo di vezzo in cui molti indulgevano, ma improvvisamente sentì il bisogno di lasciare una sua impronta nel mondo, come una prova del suo passaggio sulla terra. Marie aveva addirittura accennato al fatto, che a parer suo non era di buon auspicio, farsi ritrarre all'alba di un nuova era, che dentro a quel quadro si rischiava di lasciar impressa la propria immagine immutata e la propria essenza, rischiando di perderla per sempre. L'unico ad aver mostrato il giusto entusiasmo era stato il pittore, si riteneva fortunato e ringraziò il cielo d'aver vissuto tanto a lungo da poter avere l'onore di ritrarre Oscar, anche dopo tutti quegli passati dalla prima volta che l'aveva vista.

Erano passati vent'anni da quel giorno e Oscar si perse per un momento in quei ricordi lontani, quando il suo cuore era ancora puro, e il futuro luminoso e pieno di speranze.

- Sapete Monsieur, in fondo, malgrado tutto rimpiango ancora quei giorni di spensierata incoscienza... - finì di dire Oscar lasciando che il pittore continuasse in silenzio il suo lavoro.






Il diciassette giugno i rappresentanti del popolo riuscirono finalmente ad unire le proprie forze a quelle di una parte del clero e dell'aristocrazia, decidendo in via dipendente di scrivere i dettami della cosiddetta nuova costituzione, dell'assemblea nazionale. Mentre questo succedeva però, all'esterno della sala gli assembramenti di curiosi e facinorosi aumentava, rendendo il lavoro di Oscar sempre più difficile e pericoloso. La prossima seduta fu fissata per il venti di giugno, e Oscar venne convocata dal generale Bouillè per un importante comunicazione.

- Cosa? Come avete detto? - domandò Oscar incapace di credere alle proprie orecchie.

- Dobbiamo chiudere i cancelli del palazzo dell'assemblea e impedirne l'accesso ai rappresentanti del popolo e della borghesia, è un ordine di sua maestà... - le ripeté il generale Bouillè al quanto irritato.

- Ma perché? Ci saranno delle proteste, e gli animi s'infiammeranno... quale ragione ha addotto sua maestà? E' una cosa insensata! - replicò Oscar spiazzata.

- Si sospetta un complotto in atto comandante Jarjayes, lo scopo è proprio quello di impedire a questi traditori di entrare nella sala dell'assemblea. Ricordate che è un ordine diretto di sua maestà, e che non si ammettono insubordinazioni! - ribadì il suo superiore.

- Il nostro intervento fu chiesto a protezione e salvaguardia di tutti i membri dell'assemblea, senza distinzione di classe o appartenenza. Il nostro scopo era quello, garantire la sicurezza e il normale svolgimento dei lavori dell'assemblea... Dovrei forse ordinare ai miei soldati di chiudere le porte, e impedire l'ingresso a uomini regolarmente eletti dal popolo francese, solo per via di un sospetto?- controbatté oscar.

- Madamigella Oscar, sono stato tollerante con voi solo per via di vostro padre, ma non dimenticate mai la vostra posizione... Darete quest'ordine e anche molti altri se sarà necessario, sono stato chiaro? -

L'ingerenza di Bouillè le fece capire che non avrebbe cavato un ragno dal buco, quell'uomo era vecchio stampo, una simile decisione avrebbe portato a un tumulto. Possibile che non se ne rendesse conto? Seppur vergognandosi di infliggere una simile umiliazione ai rappresentanti del popolo e con l'animo profondamente turbato, Oscar tornò nei ranghi e ubbidì a quel folle ordine, sbarrando tutti gli accessi al palazzo dei congressi. Come si aspettava, la reazione a quell'abuso fu immediata, perché per l'ennesima volta, i soldati della guardia metropolitana furono presi mira, con lancio di pietre e altri oggetti, per non parlare degli insulti e delle minacce di morte.

La tristezza sul volto di quei soldati che per la maggior parte non approvava di dover schierarsi contro i propri stessi rappresentanti, la ferì ancora di più di quanto avesse pensato possibile.

Il mattino del venti giugno, appresa la notizia, tutti i rappresentanti del popolo si riunirono al palazzo della pallacorda, dando il via a quello che venne chiamato il giuramento della pallacorda. Quella inaspettata decisione contribuì a un unione d'intenti, e presto, molti dei presenti divennero personalità di spicco grazie a quell'evento, primo fra tutti, Maximilien de Robespierre.

- Maledizione! - imprecò Oscar sul punto di esplodere.

- Calmatevi comandante, non serve a nulla agitarsi - replicò Alain.

- La fai facile tu, ma la responsabilità è mia! Io ho permesso che succedesse, avrei dovuto oppormi! - sbottò lei con rabbia.

- Per ottenere cosa? Rischiereste la corte marziale per una fazione a cui nemmeno appartenete? Voi site un aristocratica comandante Oscar, non una popolana - le ricordò Alain cercando di farla ragionare.

- Esci per favore... vai via di qui... - disse improvvisamente Oscar portandosi una mano alla bocca.

Ma non finì di palare che un forte colpo di tosse le scosse il petto, seguito in sequenza da molti altri. Barcollò quando tutto si fece più scuro, appoggiandosi inevitabilmente all'unica persona che in quel momento avrebbe potuto soccorrerla. Oscar si aggrappò ad Alain che la sostenne finché quel violento attacco non cessò, lasciandola del tutto priva di forze. Gli fu talmente vicina che la fragranza emanata dal suo corpo le riportò alla mente una sensazione molto vivida, un aroma intenso e familiare di liquore e tabacco, che la riportò indietro a quella sera, quella dell'aggressione.

Alain le aveva salvato la vita, ma lei non si era nemmeno accorta della sua presenza tanto era forte il disperato bisogno che aveva di André. Tanto da vederlo riflesso negli occhi di un altro uomo, tanto, da sentirne il sapore sulle labbra di qualcuno che non era lui. Nell'incontrare quello sguardo così profondo e inteso, Oscar non pote più fingere. Si portò istintivamente due dita alle labbra, e il ricordo di quel bacio che lei gli aveva rubato, la investì, facendosi improvvisamente strada nella sua mente annebbiata e stanca.

- Scusami, sono io che ho sbagliato. E' mia la colpa! - ammise Oscar dando libero sfogo a tutte le sue lacrime.

- Non avete nulla di cui scusarvi. Se avessi saputo prima del vostro legame con André, non avrei osato. Sebbene fossi completamente soggiogato da voi e dal vostro incredibile profumo, mi sarei trattenuto dall'assecondarvi, comandante. André è fortunato ad avervi! Spero davvero che quello stupido si sbrighi a tornare, o finirete per importunare tutti i soldati della guardia, di questo passo... - le rispose Alain cercando di sdrammatizzare.

Malgrado la drammaticità di quel momento, in un primo momento a Oscar scappò addirittura una risata. Ma il pensiero di lui tornò a turbarla praticamente subito.

- La sua licenza è finita già da due giorni, avrebbe dovuto essere di ritorno... perché non è qui, Alain? Perché non torna? - domandò lei approfittando ancora di quelle braccia forti ed accoglienti.

Alain non rispose. Anche lui era preoccupato, e maggior ragione, visto che sapeva delle sue condizioni. Conosceva lo stato in cui versava la vista di André, e tutto era possibile. Poteva essergli successo qualcosa durante il viaggio, o forse qualcosa in Belgio era andato storto. Era ora di dirle la verità, anche alla luce di una altra questione che gli stava altrettanto a cuore, la sua salute.

- Siete entrambe dei pazzi comandante... scommetto che non gli avete detto nulla sulla vostra tosse, e che lui abbia fatto altrettanto riguardo alla sua vista - disse Alain scatenando l'ennesima tempesta.

- Perché, cos'ha André? Che c'entra la sua vista? - gli chiese lei sconvolta.

- André vede molto male comandante, e ho paura, che la cosa sia grave... - le confessò Alain irrigidendosi.

- E' partito da solo, e per un paese straniero, in quelle condizioni? Da solo, Alain capisci? Dove sarà adesso, che gli sarà accaduto? Quello stupido incosciente! Razza di idiota, deficiente... - imprecò Oscar calmandosi un poco solo dopo averlo ricoperto di una sequela di irripetibili insulti.

Oscar aveva reagito veramente molto male a quella notizia, tanto che Alain si pentì quasi subito di averglielo detto.

- Non era solo, è stato accompagnato fino ad Arras da una mia conoscenza. Mi disse che avrebbe chiesto aiuto a un certo Sugéan per il resto del suo viaggio, non so dirvi altro... - aggiunse cercando di tranquillizzarla.

- Una tua conoscenza? Quindi, sei tu che l'hai aiutato in questa follia, giusto? Se gli succede qualcosa Alain, ti riterrò personalmente responsabile! - lo accusò Oscar arrivando addirittura a minacciarlo.

Oscar si sedette alla sua scrivania sforzandosi di tornare lucida, mentre Alain cercava ancora di farla ragionare.

- André è stato un pazzo a non dirvi niente, ma anche voi siete da biasimare comandante. Anche voi gli avete mentito riguardo alle vostre condizioni - replicò a ragione il soldato.

- Non sarebbe mai partito se glielo avessi detto, avrebbe rinunciato a conoscere sua madre pur di non lasciarmi e così, io... - Oscar s'interruppe.

André aveva fatto altrettanto, le aveva nascosto tutto perché lei non si preoccupasse per lui, perché non lo considerasse un peso e gli impedisse di starle accanto. Probabilmente era partito con tanta fretta, per riuscire a vedere la madre prima che lo vista lo abbandonasse del tutto, era certamente così, lo conosceva troppo bene per pensare altrimenti.

- Alain? - la voce di lei rimase come sospesa per un lungo interminabile istante.

- Sì? - Alain era ad un passo da lei.

- Chiamami una carrozza... sto molto male - riuscì a dire Oscar prima di crollare.








Scusatemi tanto per il ritardo, ma sono riuscita ad accedere a internet solo ora. Buona lettura!

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo ***





 
- Vi vedo spenta madamigella Oscar, il vostro incarnato non è al suo solito splendore... - si lamentò il vecchio pittore.

- Dovete perdonarmi, ma le fatiche a cui sono costretto per adempiere al mio dovere di soldato non mi giovano affatto... - replicò Oscar sarcastica.

Era tornata a casa febbricitante, sforzandosi di non far trasparire troppo il suo malessere, per non far preoccupare nessuno, Nanny sopratutto. Da quando André era partito, Marie non si era più alzata dal letto. Anche lei sembrava in attesa del suo ritorno, come del resto lo erano entrambe, domandosi quanto sapesse delle condizioni in cui versava suo nipote. Sì sentì pervadere da una sensazione di impotenza e smarrimento mentre la frustrazione aumentava ad ogni ora; avrebbe voluto condividere con lui quel momento difficile per trovare la forza di affrontare tutto insieme, e invece, lui non c'era. Non poteva, ma avrebbe voluto partire alla volta di Arras per avere notizie. Lo avrebbe raggiunto ovunque, pur di rivederlo e abbracciarlo ancora. La distanza che li separava era fisicamente dolosa per lei: sentiva il suo giovane corpo fremere di desiderio, i sensi risvegliati dopo anni di astinenza richiedevano soddisfazione. Malgrado la malattia e contro tutto, il suo cuore e le sue carni anelavano a quelle dell'altro, all'amore e alla vita come mai le era accaduto prima di allora. Non voleva certo morire, e certamente non desiderava arrendersi, ma lottare senza l'altra metà della sua anima si stava rivelato più difficile del previsto, sopratutto in quei momenti di tristezza e sconforto in cui aveva pensato di non farcela.

- Vi chiedo scusa Monsieur, sono stata scortese con voi - disse Oscar cercando di darsi un minimo di contegno.

- Non fa nulla madamigella Oscar, siete bellissima anche così. Il passionale struggimento che oggi colgo nel vostro sguardo, darà al dipinto quell'accenno di realismo in più che cercavo... - si permise di dire l'uomo.

- Badate a come parlate alla mia bambina, scostumato! - esordì Marie dal suo letto. Quell'inaspettato guizzo di vitalità la fece sorridere, Nanny non si smentiva mai e sapeva tirar fuori forze e risorse sconosciute al mondo dei comuni mortali quando si trattava dei suoi ragazzi.

- Non scaldarti così tanto nonna, non ti fa bene alla salute - l'ammonì benevolmente Oscar.

- Sciocchezze! Anche se ho vissuto abbastanza, non è ancora la mia ora! - controbatté la vecchia governate.







Qualche ora più tardi, quando il pittore se ne fu andato, Oscar ricevette un altra visita, quella del medico di famiglia. Era stato suo padre a chiamarlo per Marie, che malgrado le continue proteste, alla fine era stata costretta a farsi visitare. Fu proprio Oscar a chiedergli di vedere anche lei, con la scusa della stanchezza causata da quei massacranti giorni di guardia che aveva dovuto affrontare al comando dei suoi uomini ai lavori dell'assemblea.

- Da quanto state così? - volle sapere il dottore.

- E' qualche mese che sto male ormai - ammise lei senza avere il coraggio di guardarlo.

- Madamigella Oscar ecco, non vorrei, ma devo chiedervi se posso osare domandarvi le circostanze di questa vostra anomala condizione... - disse il medico stranendola. Il dottore sembrava essere in imbarazzo e lei non comprese il perché.

- Che volete dire, non capisco? - domandò Oscar stupita.

- State dicendo che non ne avete idea? Comprendo la delicatezza della vostra posizione, ma come potete continuare ad affaticarvi ancora così tanto nelle vostre condizioni? - replicò l'uomo addolorato.

- Lo so dottore, come sospettavo da tempo è tisi, vero?- domandò Oscar quasi freddamente.

- Sì purtroppo, ma la tisi si può curare Oscar, almeno in questo stadio. E se volete che accada, dovrete abbandonare l'uniforme e ritirarvi a vita privata, riposarvi, e mangiare in modo sano e corretto fin da ora - le spiegò il medico.
- Oltre al fatto che se non farete così, non sarete abbastanza forte per portare a termine questa gravidanza madamigella... - aggiunse l'uomo. Quella notizia la colpì come un fulmine a ciel sereno.

Oscar deglutì nervosamente, sicura di aver capito male.

- G-Gravidanza? Avete detto gravidanza, ho capito bene? - ripeté incredula.

- Credete che non sappia riconoscere le condizioni del vostro stato solo perché è all'inizio? - ribatté il medico del tutto contrariato.

- Non ditelo a mio padre vi prego, lui non deve saperlo! - reagì malamente Oscar in preda al panico.

- Non lo farò madamigella, state tranquilla. Ma agite in fretta Oscar, qualsiasi siano le vostre intenzioni - le rispose il vecchio dottore.

- Lo farò, non desidero certo morire... - Oscar si portò una mano in grembo senza tuttavia riuscire a gioire per quella notizia.

- Ah, scusatemi se ve lo chiedo, ma dov'è il vostro André? Sono preoccupato anche per lui, è tanto tempo che non viene nel mio studio - gli domandò ancora l'uomo.

- E' per via della sua vista che me lo chiedete? - volle accertarsi Oscar.

- Sì, speravo di potervi porre rimedio ma a quanto pare, la vostra testardaggine e anche la sua. Ho perso tanto tempo prezioso madamigella Oscar, e temo che a questo punto sia tardi - disse il dottore con un tono greve e soffrente nella voce.

L'uomo si accomiatò con le lacrime agli occhi, li aveva visti crescere, e il suo turbamento era più che giustificato, pensò Oscar tornando a sedersi sul suo letto.

All'improvviso, il pensiero di quel bambino le fece battere il cuore all'impazzata e salire le lacrime. Si domandò che aspetto avrebbe avuto o a chi avrebbe somigliato, a lei o al padre? A entrambe forse? Quando poteva essere crudele e meravigliosa al tempo stesso la vita, si disse, decidendo di alzarsi e scendere a vedere Marie. Il suo primo impulso era stato quello di voler condividere con lei una simile notizia, ma poi ci ripensò, decidendo di aspettare il ritorno di André per farlo.

Non sapeva bene come spiegarselo, ma sentiva che il tempo in cui stavano per ricongiungersi non era lontano.







La sensazione che provò nel cercare di aprire l'occhio da poco operato, fu tremenda. Il dolore più devastante che avesse mai sentito lo colpì così prepotentemente allo stomaco, da fargli rimettere quel poco che era riuscito ad ingerire la sera prima. Il conato fu violento, e sua madre gli tenne alzato il capo per aiutarlo ad espellere tutto, senza sporcarsi la candida veste da notte; malgrado la stanza fosse buia, Joséphine sembrava muoversi agilmente fra gli arredi, come se anche lei si fosse abituata all'oscurità che da giorni aveva inghiottito il figlio.

André annaspò, con ancora il sapore acido e greve nelle fauci a disgustarlo.

- Madre... - mormorò cercando quel tocco delicata e fresco.

- Sono qui André - gli rispose Joséphine accogliendo dolcemente la mano del figlio nella propria.

Quella voce calda e sommessa lo calmò, riportandolo nell'ovattato oblio di quel sonno indotto e necessario. Anche Edgard si alzò, stirandosi gli arti indolenziti. Aveva dormito su una delle poltrone della camera da letto di Josèphine fin da dopo l'intervento, e se lui era riuscito a riposare abbastanza durante quelle dure notti d'attesa, per la madre non era andata così. Le poche ore di sonno che si era concessa erano state talmente tormentate, da farle preferire di non dormire affatto, almeno fino a che avrebbe trovato la forza di reggersi ancora in piedi.

- Andrà tutto bene vedrete... andate a riposare ora, veglierò io André - le disse dopo aver scostato appena le pesanti tende che impedivano alla luce solare di entrare nella stanza.

Joséphine gli lanciò uno sguardo stanco, e rifiutando la generosa offerta del suo secondogenito, accennò un breve sorriso.

- Riposerò quando André si sarà ripreso... Potrebbe svegliarsi ancora, e chiamarmi. Il mio posto è accanto a mio figlio adesso - gli rispose la madre.

- Oscar! Oscar... sono qui, Oscar... - la voce di André squarciò di nuovo il silenzio in cui era ricaduta la stanza e la madre tornò a consolarlo con la sua muta presenza.

Nel delirio della febbre aveva alternativamente chiamato lei e quella donna, come se entrambe fossero l'unica ancora di salvezza a cui aggrapparsi. Poteva capire bene cosa stesse provando quel suo figlio sfortunato, l'aveva provato a sua volta quello strazio, quel dolore immenso e quel costante vuoto nell'anima che si sentiva lontano dalla persona amata, lei sapeva bene cos'era. Rivedere il volto tanto caro del suo amato Robert, riflesso in quello del figlio, era stata una gioia immensa, e al contempo, un incommensurabile dolore. Tuttavia, dopo quell'incontro insperato, il suo cuore aveva finalmente smesso di sanguinare; il suo adorato bambino era tornato da lei, e niente e nessuno glielo avrebbe strappato ancora dalle braccia, pensò Joséphine baciandogli la fronte.

Dal canto suo, Edgard si allontanò per rinfrescarsi e salutare il fratello minore: Alexander avrebbe anticipato la partenza. I cinque giorni concessi da André erano già ampiamente scaduti, ma in quelle condizioni certo non poteva viaggiare. Avrebbe spiegato il perché di quel ritardo alla diretta interessata, e provveduto alla sua protezione al posto di André, qualora fosse stato necessario.

- André mi ha chiesto di scrivere due lettere per lui, una è per l'anziana nonna, l'altra è per la figlia del generale Jarjayes. Mi raccomando Alex, non fare sciocchezze! Sei un ufficiale belga in terra straniera, perciò, non immischiarti in questioni che non ti riguardano. E sopratutto fratello mio, tieni a freno la lingua! - lo mise in guardia Edgard conoscendo bene il carattere istintivo e irruento del fratello minore.

Alexander annuì seccato. Una volta arrivato in Francia e appurato di persona la reale situazione, avrebbe deciso cosa fare, ma solo dopo aver accompagnato Gilbert a casa sua, ad Arras. Il giovane gli era stato affidato da André, come le sue lettere, o la ricompensa in denaro che gli era stata promessa in cambio del suo aiuto, sebbene il ragazzo l'aveva fortemente rifiutata a causa dell'eterna gratitudine che portava ai suoi benefattori. Alexander si sentì profondamente turbato anche dal pensiero di come quella terribile situazione politica e sociale, stesse mettendo così duramente alla prova persone come suo fratello André, o il piccolo Gilbert, così gentile, buono e onesto, da far invidia anche al più virtuoso degli uomini. Il gesto di suo fratello maggiore poi, gli aveva lasciato una nota amara in bocca. Non aveva fatto tanta strada per godersi quegli istanti di felicità al fianco della madre ritrovata, l'aveva fatta solo per dirle addio in vista di un inevitabile incontro col destino. Il giovane ufficiale salì in carrozza dando alla casa natia un ultimo sfuggente sguardo, prima di partire per Parigi.

Ormai era in gioco, e doveva giocare.








Nel tentativo di rimediare allo scompiglio creato, il ventitre giugno del 1789 i rappresentanti dei tre stati si riunirono di nuovo, accolti dall'ennesima giornata di pioggia battente. Ma a sorpresa di tutti, se al contrario nobiltà e clero poterono accedere alle sale dell'assemblea attraverso l'ingresso principale, per i rappresentanti del popolo si aprirono solo le porte di servizio.

- Perché i rappresentanti del popolo non entrano dalla porta principale? - domandò Oscar a uno dei nobili presenti.

L'uomo in questione che era un marchese, si limitò a risponderle con sufficienza che per ordine del sovrano solo i ceti più elevati potevano varcare la soglia, mentre agli altri, era concesso di entrare all'assemblea dal retro. Oscar non poteva credere che un ordine simile arrivasse dal re in persona, era un affronto bello e buono, e per di più illegittimo. Non avrebbe fatto altro che aumentare l'odio del popolo verso il sovrano, e fomentato altre rivolte e scorrerie. A quell'ennesimo affronto Oscar reagì molto male, non avrebbe mai accettato di farsi complice di una simile ignominia.

- E questo basta a mettere a tacere la vostra coscienza, Marchese de Dreux-brézé? Non vi importa nulla delle terribili conseguenze che questa decisione avrà sul popolo francese? - ogni tentativo di far ragionare gente inetta come quell'uomo fu inutile e Oscar dovette arrendersi ancora una volta.

- Lasciate stare comandante Jarjayes a noi non importa di bagnarci sotto la pioggia ed attendere il nostro turno per entrare. Essere qui in rappresentanza del popolo, è un tale motivo d'orgoglio! Nulla ci impedirà di adempiere a questo dovere, non vacilleremo davanti a nulla, né davanti alle ingiurie, né davanti alle offese - esordì un uomo alle sue spalle.

Quel giovane avvocato era Maximilien de Robespierre, lo aveva conosciuto già qualche anno prima ad Arras, la sua città natale. Oscar era rimasta molto colpita da quel giovane uomo dallo sguardo pieno di passione, dalla fierezza e dal coraggio che sembravano guidare ogni sua azione. Era ammirevole il modo in cui lottava per quella causa, malgrado la inquietasse. Il malcontento crebbe ancora e alla protesta già accesa si unirono altre voci, fra cui quelle di alcuni dei suoi soldati della guardia. Alain in particolare si sentì ribollire il sangue da quella decisione arbitraria e intervenne senza nessun ordine diretto da parte dei suoi superiori.

- Alain! Ma che stai facendo? Fermati! - gli intimò Oscar correndo a fermarlo.

- Voglio ammazzarlo quel de Dreux-brézé, lasciatemi andare... - sbottò l'uomo in preda alla rabbia.

- Per risolvere cosa? Per farti arrestare e finire davanti al plotone d'esecuzione? - cercò di farlo ragionare lei.

- Comandante, come potete tollerare una cosa simile? Perché non vi opponete a questo sopruso? - replicò Alain cercando di calmarsi.

Ma non ci volle molto perché Oscar venisse messa di fronte a una scelta decisiva, quando qualche ora dopo arrivò la notizia che l'assemblea era stata sciolta dal re e che i rappresentanti del popolo si rifiutavano di andarsene, si intimò una rappresaglia armata. Quell'ordine fu dato proprio a lei, al comandante dei soldati della guardia.

- Come? Dovrei sparare e uccidere? Dovrei puntare le armi contro i rappresentanti del popolo? Non darò mai quest'ordine ai miei uomini, potete scordarvelo! - rispose Oscar con fermezza.

- Come osate definirli ancora in quel modo, ormai sono solo traditori! Mi dispiace Oscar, ma non mi date scelta, affronterete il tribunale militare - controbatté il generale Bouillè al limite della sopportazione.

- Non potete farlo generale, una cosa simile non è mai accaduta prima d'ora, fermatevi! - lo supplicò Oscar.

Quando Bouillé uscì da quelle stanze senza darle minimamente ascolto, Oscar capì che doveva fare qualcosa. Non poteva più tirarsi indietro, era ora di reagire. I tre ufficiali che la tenevano prigioniera in attesa di arrestarla, sembrava ben intenzionati a trattenerla fino a che il generale Bouillè non avesse convinto i suoi soldati della guardia, a seguirlo fino all'assemblea, cosa che però non avvenne. Oscar dovette assistere a una scena terribile dalle grandi vetrate della stanza in cui era stata trattenuta. Molti dei suoi uomini non accettarono di prendere ordini dal comandante in capo dell'esercito, venendo colpiti e arrestati sotto i suoi occhi sbalorditi. Per evitare altre defezioni, il generale scelse di affidare quell'ordine alla guardia reale, dandole l'ennesimo schiaffo morale. Alain che l'aveva seguita per vegliare ancora una volta su di lei, realizzò quasi immediatamente cosa stesse succedendo, tanto che quando la voce concitata di Oscar gli arrivò all'orecchio, fece letteralmente irruzione nella stanza per aiutarla a fuggire.

- Comandante, dove portano i miei compagni? - domandò Alain.

- Alla prigione dell'abbazia Alain, ma penseremo dopo a loro. Dobbiamo tornare alla sala delle assemblee o ci sarà un massacro! - gridò Oscar prendendogli la spada dal fianco.

La folle corsa non durò molto, quando arrivarono una guarnigione delle guardie reali con a capo Girodelle, era già alle porte dell'assemblea. Il peggio non era avvenuto solo grazie all'intervento di molti nobili, che contravvenendo agli ordini del re, erano rimasti a proteggere i rappresentanti del popolo a spade levate. Grazie a quegli uomini, Oscar aveva avuto il tempo di arrivare sul posto e mettersi in mezzo. Per un lungo interminabile istante, il suo sguardo zaffireo incontrò quello smeraldino di Girodelle, che mutò d'espressione nel vederla così sconvolta e impaurita.

- Fermatevi! Dico a voi colonnello Girodelle, e a voi soldati della guardia reale, sparerete anche su di me? Sparerete al vostro ex comandante e su questa gente indifesa e disarmata? Lo farete? - urlò Oscar a braccia aperte.

Quando si rese conto di essersi completamente esposta al fuoco, Oscar si sentì pervadere da un sentimento così forte da farle temere di non essere più sana di mente. Mille proiettili avrebbero potuto trafiggerle il petto, mettendo fine a tutto. Non aveva mai provato una paura così profonda di morire, e il suo pensiero andò ad André. La sua assoluta priorità era proteggere il loro bambino, e per un momento, fu sul punto di cedere. Fortunatamente, Girodelle non ebbe il coraggio di andare fino in fondo, gli bastò un gesto perché le guardie reali abbassassero i fucili e tornassero nei ranghi, facendo dietro front sotto lo sguardo incredulo dell'intera piazza antistante l'edificio dell'assemblea. Nel silenzio abbattutosi tutto intorno all'improvviso, a Oscar parve di udire un suono, come una voce chiamarla da lontano. Alzò il capo mentre le lacrime si mischiavano alle gocce di pioggia: anche il cielo sembrava voler piangere quel giorno.

- Andrè sei tu? Oh André, André ... - mormorò più volte prima di ritrovare la forza di abbandonare quel luogo e tornare a casa.





 

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Capitolo 15
*** Capitolo quindicesimo ***




 
- Togliti subito gradi e medaglie, e resta seduta lì. Non osare muoverti! - le intimò il generale Jarjayes col volto stravolto dall'ira.

Suo padre se ne stava in piedi a pochi passi da lei, con la spada sguainata. Nel vederlo così sconvolto, Oscar si sentì morire per il dolore che gli aveva dato. Conosceva bene il cuore e i pensieri di suo padre; in una famiglia notoriamente fedele alla famiglia reale, la presenza di un traditore non poteva essere tollerata. Non avrebbe dovuto far altro che puntarsi una pistola alla tempia e spararsi per espiare quell'onta dal nome dei Jarjayes, ma al contrario di tutto ciò che quella logica le suggeriva, Oscar non poteva farlo, almeno, non per quella ragione. Oltre al fatto, che ora che aspettava un figlio, e non era più padrona di se stessa. Un altra vita cresceva dentro di lei, doveva proteggerla.

- Non lo farò, almeno fino a che non avrò il responso di sua maestà... - replicò Oscar cercando di mantenere la calma.

- Credi sia necessario? Stammi bene a sentire figlia ribelle, anche se tutto il mondo si rivoltasse contro la famiglia reale, i Jarjayes non lo faranno! Resteremo fedeli al nostro sovrano sempre e comunque, mi hai capito? Ti ucciderò con le mie stesse mani, se non avrai il coraggio di farlo da sola e poi... poi ti seguirò Oscar. Tanto, la mia vita è già finita... - singhiozzò suo padre avventandosi su di lei.

- No! Mi dispiace padre, ma non posso morire adesso. Ho troppe cose per cui continuare a vivere, cercate di perdonarmi! - reagì Oscar cercando di difendersi.

- FERMO! Che volete fare? State lontano da lei, maledetto vecchio pazzo... - gridò una voce maschile.

Oscar si girò di scatto, raggelandosi alla vista di quell'uomo sconosciuto che entrava nella stanza dove si trovavano, gettandosi di peso su suo padre, fino a immobilizzarlo.

Lottarono per qualche istante, fino a che, schiacciato dal peso del più giovane, al generale Jarjayes non rimase altro che arrendersi.

- Chi siete? Cosa volete? Cosa ci fate in casa mia? - volle sapere il generale sconvolto da quella irruzione imprevista.

- Mi chiamo Alexander Hulin de Merodé signore, e sono il fratello minore di André Grandier! Non muovetevi signor generale, o sarò costretto a colpirvi... sono stato chiaro? - rispose duramente Alexander lasciando tutti a bocca aperta.

- S-Suo fratello? - balbettò Oscar.

- Voi siete Oscar. Non sbaglio, è così? - si sincerò il giovane.

- Sì, sono io. Vi prego, lasciatelo andare adesso, per favore... - lo scongiurò Oscar tremando di rabbia.

Vedere suo padre così umiliato, annichilito e sconfitto, le fece molto male. Aveva cercato di ucciderla o così aveva pensato, ma era più che convinta che alla fine lui non avrebbe mai sferrato il colpo letale. Suo padre non avrebbe squarciato il suo petto e versato il suo sangue, ne aveva la certezza.

- Oscar, chi è quest'uomo? E dov'è André? - domandò il vecchio genitore mentre il giovane lo lasciava andare aiutandolo a rialzarsi.

- André è in Belgio padre, da sua madre. Immagino che sia stato lui a mandarvi. Ditemi, come sta? Cosa gli è successo? - rispose Oscar domandando ad Alexander notizie.

Il giovane ufficiale restò immobile, contrapponendosi ancora fra lei e suo padre, che indietreggiò fino a una delle finestre. Malgrado si fosse calmato, il generale sembrava non essere ancora tornato del tutto in se.

- Avete ragione, è lui a mandarmi. Dovevo consegnarvi solo questa lettera comandante Oscar, ma la vostra governante mi ha supplicato di entrare. Perdonatemi, ma non sono riuscito a restare indifferente alla sua richiesta d'aiuto... - le confermò Alexander.

Marie aveva intuito l'immane tragedia che stava per colpire quella famiglia chiedendo aiuto ad Alexander, una volta capito chi fosse. L'anziana donna aveva trovato la forza di alzarsi dal letto e reagire, e Oscar la guardò con estrema comprensione e gratitudine, nel vederla apparire alla porta così sconvolta dalle lacrime.

- Nonna... è tutto finito! - le mormorò Oscar raggiungendola per darle un po di conforto.

- Mi dispiace, ma non posso perdonarti. Da questo momento, non sei più mio figlio! - sentenziò suo padre gettando un'occhiata rabbiosa e confusa al giovane che lo aveva fermato.

- Padre no, lasciate che vi spieghi... - lo pregò inutilmente lei.

Quando Oscar cercò ancora un dialogo col vecchio genitore, qualcun'altro batté alle porte di casa Jarjayes. La persona in questione era un emissario reale, e veniva direttamente da Versailles. La notizia che né il re, né la regina Maria Antonietta avrebbero preso provvedimenti contro di lei, auspicandosi solo una maggiore fedeltà della famiglia Jarjayes nei loro confronti, ribaltò improvvisamente tutta la situazione. Lei e Alexander osservarono la scena dalla balconata che dava sull'ampio salone d'ingresso, e per la prima volta da quando lo conosceva, Oscar vide suo padre piangere di gioia.

- La tua vita è salva Oscar, sono felice, sono davvero felice... - gli sentì dire con le lacrime agli occhi.







Ancora impaurita per la brutta esperienza passata, Oscar bevve un bicchiere di cioccolata, cercando un po di conforto davanti al fuoco del camino. Le tremavano le mani talmente tanto, che in un primo momento non riuscì a leggere, ma poi si calmò, aspirando una grande boccata d'aria nei polmoni.

- Una lettera di André? Perché, cosa significa? - volle sapere Oscar una volta che tutto si fu risolto.

- André è venuto da noi quasi venti giorni fa, col solo intento di conoscere nostra madre, ma poi, ecco, lui... lui è stato costretto a restare - cercò di spiegarle Alex.

Oscar sbiancò. Cosa poteva essere successo di tanto grave da impedirgli di fare ritorno?

- Potrei dirvelo ma, credo sarebbe meglio che leggiate la sua lettera... - aggiunse il giovane. Oscar diede un'ultima occhiata al ragazzo di fronte a lei prima di iniziare a leggere, in effetti, ora che lo guardava meglio, la somiglianza fra lui e André era più che evidente.

Aprì la busta e quando ebbe quel foglio candido fra le mani, tremò al pensiero di cosa potessero contenere quelle poche righe.

"Mia cara Oscar, ti scrivo da questo luogo, Charleroi, la città in cui sono nato, con estremo dolore per la notizia che sto per darti: molto probabilmente, diventerò cieco. Perdonami per averti mentito sulle mie condizioni, ma temevo che se ti avessi messa al corrente, mi avresti allontanato da te e impedito di starti accanto. Ora che però ho una possibilità di guarigione, rimanderò la mia partenza permettendo a mio fratello Edgard, che fa il medico, di operarmi. Lo faccio per noi Oscar, perché ciò che desiderò di più al mondo, è rivedere il tuo volto amore mio. Non ho certezze, solo speranze, e comunque vada, aspettami Oscar, perché sia nella luce che nelle tenebre, la mia vita è con te"
                                                                                                                         
                                                                                                                                                                                                       Per sempre tuo, André.



Oscar si sforzò di non piangere ancora, trattenendo dentro di se quel tumulto di emozioni che le si agitavano dentro pronte ad esplodere. Teneva duro, resisteva, obbligandosi a non pensare a quanto quel distacco forzato fosse stato doloroso per lei. E malgrado fosse finalmente riuscita a dargli un senso, dopo quelle parole, la sua sofferenza invece di attenuarsi, aumentò.

- Non è la sua calligrafia, chi l'ha scritta? - domandò lei stranita.

- Mio fratello Edgard, comandante Oscar - le chiarì l'altro. André era già in condizioni così gravi da non riuscire più nemmeno a scrivere, e la cosa, la sconvolse più di quanto già non fosse.

- Un operazione? Ha idea di quanto sia rischioso? - replicò lei cercando lo sguardo del più giovane.

- Mio fratello maggiore Edgard è un ottimo medico, nonché un bravissimo chirurgo. Se non avesse avuto qualche speranza di poter aiutare André, non gli avrebbe mai consigliato di farlo... - cercò di rassicurarla Alexander. Oscar deglutì nervosamente, ma alla fine si tranquillizzò.

- E così, André ha dei fratelli. E ditemi, come è stato accolto? E come sta vostra madre? - volle sapere.

- Mia madre sta molto bene, sopratutto ora che ha ritrovato André. Che ci crediate o meno, tutti noi, compresi i gemelli, abbiamo sempre saputo di lui. Nel nostro cuore André è un membro della nostra famiglia da sempre, non potevano accoglierlo diversamente... - le ribadì il ragazzo.

- I gemelli? Ma quanti siete in tutto? - domandò Oscar stupita.

- Siamo quattro, madamigella Oscar. Edgard, io, Albert e Clarisse: la nostra unica sorella - le rispose il giovane.

- Una famiglia numerosa! Sapete, io invece ho cinque sorelle maggiori... - disse Oscar riuscendo finalmente ad accennare un sorriso.

Malgrado quell'atmosfera negativa e ancora tesa fra lei e suo padre, Alexander fu pregato di restare. Avrebbe dormito in camera di André, e Marie lo invitò a rifocillarsi dal lungo viaggio nelle cucine, che incredibilmente, per ordine del generale Jarjayes, quella notte si aprirono solo per lui.







Oscar lasciò casa Jarjayes molto presto quella mattina e la prima cosa che fece, dopo aver avvertito Alain delle sue intenzioni, fu rintracciare Bernard. Sparava nell'aiuto del giornalista amico di Robespierre per salvare i suoi uomini: i dodici soldati della guardia che avevano rifiutato di eseguire l'ordine di sparare sulla folla, erano ancora incarcerati alla prigione dell'abbazia, in attesa di giudizio. Non poteva permettere che pagassero un prezzo tanto alto come la vita, per esserle stati fedeli. Doveva liberarli, e a tutti i costi, pensò, mentre si recava sul luogo dell'incontro.

- Oscar, che piacere rivederti. Cosa posso fare per te? - le domandò il giovane amico.

- Ho bisogno del tuo aiuto Bernard - Oscar rispose secca indagando l'espressione preoccupata e pensierosa dell'uomo di fronte a lei.

- Certo, tutto quello che vuoi. Sai che farei ogni cosa per te! Ma se devo aiutare un nobile o la famiglia reale Oscar, temo che la mia risposta non sarà positiva - replicò Bernard.

- Si tratta di dodici dei miei soldati della guardia, e loro non sono certo dei nobili. Sono trattenuti alla prigione dell'Abbazia in attesa di giudizio, e saranno fucilati se non interveniamo - gli spiegò Oscar.

- La prigione dell'Abbazia è una fortezza Oscar, non credo che, anche volendo noi potremmo... - controbatté l'uomo.

- Io credo che due o tremila persone potrebbero bastare, che ne pensi? Come comandante della guardia metropolitana ho il compito di garantire la sicurezza e per evitare un tumulto, potrei chiedere la liberazione dei miei uomini. Aiutami Bernard, sei l'unico a cui posso rivolgermi! - continuò Oscar.

- Non sparerai sulla folla se si creeranno dei disordini, vero? - volle sapere il giovane giornalista.

- No Bernard, ma nel caso non fossi in grado di mantenere questa promessa, farò tutto quello che mi chiederai - ribadì lei sperando in una risposta positiva da parte dell'uomo.

- E va bene, mi piacerebbe molto salvare dodici uomini. Ne parlerò con i miei amici, e ti farò sapere. Sai Oscar, sarei felice di avere una mente come la tua dalla nostra parte! - ammise Bernard stringendole la mano con entusiasmo.







Quel tentativo non si rivelò infruttuoso: dopo aver parlato con Robespierre, Bernard riuscì a radunare fuori la prigione dell'Abbazia, ben cinquemila persone. La grande folla gridava a gran voce la liberazione di quei soldati, anche loro figli del popolo, e come si aspettava, Oscar fu chiamata a Parigi col compito di prevenire disordini.

Aveva esplicitamente ordinato ai suoi uomini di non sparare sulla gente ammassata al di fuori la prigione, e mentre si assicurava che tutto procedesse come previsto, Oscar fu letteralmente trascinata a terra da un losco individuo dagli occhi di ghiaccio. Si sentì schiacciare dal peso dell'uomo, che senza farsi il minimo scrupolo le portò le mani al collo spremendo le dita con tanta forza, che per un istante le mancò del tutto il respiro. Si dimenò facendo ricorso a tutte le sue energie cercando di sfuggire a quella presa di ferro, e quando finalmente riuscì a liberarsi, l'aggressore tentò di colpirla al fianco con un lungo pugnale.

Oscar rimase un istante a fissarlo, dopo di che lo vide fuggire sotto l'arcata di un ponte, verso la rete fognaria che si snodava per chilometri sotto la città. L'istinto le suggerì di inseguirlo, aveva già avuto a che fare con lui, e questa volta, doveva fermarlo. Ricordava perfettamente quegli occhi gelidi, la sola cosa che era riuscita a intravvedere sotto la maschera che indossava, occhi capaci di farla tremare di paura, ma anche d'infiammarle l'anima di un incontenibile desiderio di uccidere. Riuscì a raggiungerlo guidata da quello stesso desiderio e dopo un paio di fendenti, grazie alla sua abilità con la spada, riuscì a tagliare la sua maschera in due. Il giovane uomo indietreggiò agilmente impedendo a quei due pazzi di separasi, ormai in svantaggio l'uomo in fine desisti, dandosi alla fuga.

In ultimo impeto d'ira Oscar gli lanciò l'arma contro, che andò però a conficcarsi fra le pietre di quel pavimento umido e maleodorante. Si sentì riempire le orecchie dai suoi stessi respiri ansanti: aveva lottato con tutte le sue forze per non ottener nulla. Quando un soffio d'aria fresca proveniente dalle sue spalle fece crepitare le torce accese lungo quei fitti e labirintici corridoi sotterranei, Oscar si sentì chiamare.

- Comandante! Comandante siete qui? - gridò una profonda voce maschile.

Alain l'aveva cercata dappertutto e quando riuscì a trovarla, sul volto del soldato si disegno un'espressione di sollievo.

- Che succede Alain? - domandò Oscar.

- Buone notizie comandante! - Oscar raggiunse la piazza antistante la prigione dell'Abbazia nell'esatto momento in cui i suoi sodati venivano liberati. L'ordine era giunto da Versailles solo poco prima, e quando li vide, provati ma felici, Oscar si appressò a stringere la mano ad ognuno di loro, Lassalle compreso.

- Che fai Lassalle? Guardatelo, piagnucola come un femminuccia! Sei davvero l'uomo più fortunato della terra amico mio, se sei riuscito a scamparla anche questa volta... - lo canzonò Alain pieno di commozione.








André si alzò dal letto quella sera stessa. Quel dolore insopportabile sembrava averlo abbandonato, era come se fosse improvvisamente scomparso, permettendogli finalmente di aprire l'occhio e guardarsi intorno. Era ancora tutto un po offuscato, aveva visto solo ombre all'inizio, ma si accorse che per lo meno la vista non andava e veniva come in precedenza. Dopo poche ore poi, tutto si fece improvvisamente più limpido e chiaro, fino a farlo sperare che dopo tutto, avrebbe potuto sperare di non perdere anche l'occhio destro. Aprì la finestra, e si perse incredulo ad ammirare la luna, non gli era mai sembrata più bella: una palla argentata e piena, che col suo splendore sembrava volergli dare il bentornato alla luce. Una lacrima gli solcò il bel viso smagrito e pallido: grazie a dio, poteva vedere ancora.

Provò una gioia immensa, e una gratitudine che non riuscì a trattenere quando Edgard entrò nella sua stanza per accertarsi di come stesse. Abbracciò il fratello così forte da togliergli il respiro, e l'altro ricambiò, lasciandosi scappare una lacrima. Aveva temuto che quell'affetto ritrovato avrebbe potuto togliergli qualcosa, e invece, André aveva riempito un vuoto oramai incolmabile, arrichendo la loro vita come niente e nessuno avrebbe potuto fare. Fu un muto scambio di sorrisi fra i due giovani fratelli, fino a che Joséphine non finì per raggiungerli, scoppiando in un pianto disperato e liberatorio alla vista del figlio in piedi sulle sue gambe.

- Madre... - la chiamò dolcemente André.

Joséphine non riuscì a rispondere, correndo ad abbracciarlo come aveva fatto la prima volta che lo aveva visto dopo tanti anni, con lo stesso profondo affetto. Sapeva che avrebbe dovuto separarsi da lui un altra volta, anche se ora, aveva la certezza che da quel momento in poi, sarebbero stati per sempre una famiglia.

- Sono felice figliolo, sono tanto felice! - disse poi lasciandosi scappare un grande sorriso.

- Dimmi che posso partire Edgard, ti prego - esordì André incapace di attendere oltre.

- Non hai bisogno del mio permesso per farlo, e comunque, so che non mi staresti a sentire... - replicò il fratellastro.

Sapeva di rischiare, perché non era guarito del tutto. Avrebbe dovuto fare più che attenzione, e l'avrebbe fatto, pur di continuare a vedere ancora. Non era disposto però, ad aspettare: sebbene non avesse la minima idea di ciò che stesse succedendo a Oscar, in cuor suo, André sentì che la donna che amava aveva bisogno di lui.








Oscar sentì il bisogno di ringraziare la regina per averla assolta e convinto il re a graziare i suoi uomini. Non si vedevano dalla morte del piccolo Louis Joseph, e in tutta onestà, con tutto quello che aveva passato, non sapeva proprio come affrontarla. Eppure, dopo quel gesto inaspettato, Oscar avvertì dentro di se, ancora un profondo affetto per la sua regina, l'unica persona per cui in passato, avrebbe dato la vita.

- Oscar! - esordì Maria Antonietta.

- Maestà... -

La luce che solitamente accompagnava ogni sguardo, sorriso o gesto della sovrana di Francia, sembrava essersi irrimediabilmente spenta, sebbene il volto cereo e l'espressione sofferente, non ne avessero affatto cancellato la straordinaria bellezza.

- Sapete Oscar, sono molto sola in questo momento. I nobili vengono sempre meno a Versailles, ma quasi lo preferisco. Ecco, dopo la morte di Louis Joseph, non riesco più a stare in mezzo alla gente... Il vostro reggimento è molto impegnato a Parigi, non dovevate venire a ringraziarmi - continuò stancamente la regina.

- Avevo commesso un errore molto grave maestà, ma voi, mi avete risparmiato una punizione molto severa. Inoltre, grazie al vostro intervento, dodici dei miei uomini sono stati liberati. Non potevo non ringraziarvi per questo... - rispose Oscar.

- La nostra amicizia dura da vent'anni, non potevo fare altrimenti Oscar - replicò Maria Antonietta.

- Vi sono molto grata Maestà! - rispose Oscar che in quel momento le era sinceramente grata.

Com'erano cambiati i suoi sentimenti. Aveva vissuto momenti di felicità a corte, di soddisfazioni personali e successi. Aveva dedicato gli anni migliori della sua vita alla famiglia reale, mentre ora, dinnanzi alla sua amata regina, provava solo frustrazione e disagio. Parigi era piena di soldati; decine di centinaia di uomini armati affollavano le strade della capitale, portando semmai ancora più scompiglio, fra il popolo già esasperato dalla fame. Maria Antonietta la mise al corrente del fatto che oltre ai reggimenti francesi, anche molti contingenti stranieri sarebbero arrivati a difenderli, e il terrificante quadro di morte che le si parò davanti, le fece comprendere più do ogni di altra cosa, che ormai più nulla la legava a quel mondo.

- Vi prego maestà, richiamate le armate di soldati da Parigi. La famiglia reale non può puntare le armi contro il proprio popolo - la supplicò Oscar.

- Sì Oscar, ma se dovessi farlo, voi mi restereste vicino per difendermi? - le domandò Maria Antonietta.

- Mia regina io, ho lasciato da tempo la guardia reale... - disse Oscar piangendo.

Oramai non poteva più mentire, né a se stessa, né alla sua amata regina.

- Oscar, perché piangete come se non dovessimo più rivederci? Io spero di rivedervi Oscar... - mormorò appena la sovrana di Francia.

- Anch'io - rispose Oscar incapace di trattenere le lacrime.

La famiglia reale non aveva mai avuto a cuore il bene della povera gente, e ora, sembrava essere ancora più sorda alle grida disperate del popolo. Persino in quel momento, in cui tutto faceva presagire il peggio. In cuor suo, Oscar sentiva che i sovrani stavano percorrendo una strada pericolosa, soprattutto la sua regina. Quegli avvenimenti avevano irrimediabilmente finito per incrinare la loro amicizia, così, malgrado non lo avessero ammesso, sia lei che Maria Antonietta, sentirono che non si sarebbero più riviste. 

Quello, era un addio.




 

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Capitolo 16
*** Capitolo Sedicesimo ***




 

- Così, sono questi i vostri sentimenti... - esordì turbato il generale Jarjayes.

- Sì padre, sono questi - ammise Oscar sedendosi davanti alla grande scrivania del suo studio privato.

Era quasi il tramonto, dopo l'intensa calura di quel primo giorno di luglio, Oscar era tornata a casa da sola anche quella sera. Era in attesa di André e del suo imminente ritorno: in ogni istante avrebbe potuto rivederlo, avrebbe potuto risentire la sua voce e ritrovarsi nel suo sguardo, che ora aveva la certezza di ritrovare acceso di una nuova luce. Con quella speranza nel cuore si aggirò per un momento fra quelle mura ancora così rassicuranti e accoglienti, prima di raggiungere il padre che aveva chiesto di vederla.

Conosceva a menadito ogni angolo di quella casa, e le scappò un sorriso ripensando a tutti i ricordi che quegli ambienti così familiari custodivano. In quell'angolo lei e André si erano nascosti da Marie dopo averle rubato un intera torta di lamponi appena sfornata. In quella stanza avevano rovesciato un intero vaso di fiori mentre giocavano a incorrersi. E in quell'altra, mandato in frantumi un intero servizio di fine porcellana. Un breve momento di gioia a cui presto però, seguì lo sconforto. Non poté evitare di sospirare: era arrivata al limite. Non poteva più sopportare quell'assenza, ormai, al solo pensiero di passare di un altro giorno senza di lui le mancava il respiro.

- Povera Nanny, eravamo proprio due piccole pesti da bambini... - mormorò Oscar fra sé e sé salendo quelle poche rampe di scale.

Il generale Jarjayes aveva letto a sua insaputa la lettera di André a l'aveva fatta chiamare.

Che preso dall'ira, aveva poi accartocciato e gettato nel fuoco del camino ancora acceso, senza che lei potesse in nessun modo impedirgli di farlo. Ma stranamente, Oscar non provò nulla nel vederlo compiere una simile azione; quelle poche parole che gli aveva sentito pronunciare con tanta amarezza, aleggiavano ancora nell'aria, ma lei non sentiva niente. La mente altrove, le emozioni come intorpidite. Poi lo aveva visto tornare sui i suoi passi, e infine, sedersi di nuovo alla propria scrivania, in silenzio, come sconfitto. Riuscendo solo a pensare che quell'espressione abbattuta e tormentata, non gli si addicesse affatto.

- Fra qualche giorno, entrambe i nostri reggimenti potrebbero doversi trovare a fronteggiare i rivoltosi. L'ordine arriverà presto Oscar. Cosa pensavi di fare al riguardo? - le domandò solo suo padre.

- Non sparerò mai sulla folla, non mi macchierò di una simile infamia. Ormai mi sembra chiaro. non punterò le armi contro il popolo francese, ma state tranquillo Padre, non infangherò ancora il buon nome dei Jarjayes ... - gli rispose Oscar.

- E Andrè? Sai quali sono le sue intenzioni? - la interruppe il generale.

- Sono quasi certa che mi chiederà di unirmi a lui e di lottare al suo fianco, per proteggere più persone possibili da questo inammissibile attacco della famiglia reale al proprio popolo. Sapete meglio di me come andrà a finire, Padre... - disse Oscar cercando un po di comprensione nel suo sguardo.

- Sarebbe una follia, sopratutto per via delle sue condizioni. André dice di non avere garanzie di recuperare del tutto la vista, potrebbe non essere in grado di proteggere se stesso, figuriamoci te - replicò suo padre.

- Mi avete addestrata bene Padre. Se André non fosse in grado di difendersi, allora sarò io a farlo. Non permetterò a nessuno di spargere al suolo il sangue dell'uomo che amo, e certamente, farò di tutto per non gettare al vento la vita che mi avete donato. Perché devo, e voglio vivere Padre. Questo posso giurarvelo! - controbatté Oscar con gli occhi lucidi.

- Quindi, lo ami davvero? - chiese quasi stupito suo padre.

- Sì, e con tutto me stessa! - asserì Oscar con tutta la convinzione possibile.

Davanti agli occhi del generale Jarjayes passarono le immagini di quei due cuori cresciuti l'uno al suono del battito dell'altro. Ora quelle due anime così diverse, e al contempo così simili e affini, erano unite come fossero una sola. Malgrado tutto però, il generale Jarjayes finalmente sorrise. Il suo più grande timore aveva preso forma, plasmandosi anno dopo anno sotto i suoi occhi, e nulla, né tutte le sue obbiezioni né tutte le sue remore, avrebbero mai potuto cambiare quel dato di fatto.

- So che il fratello di André si è offerto di restarti vicino. Userò tutta la mia influenza per ritardare l'ordine di partenza per Parigi agli uomini del tuo comando, almeno finché André non sarà tornato. Non lascerò niente di intentato per aiutarvi Oscar, in fin dei conti, sei sempre mia figlia, non è così? - le chiese il padre con altrettanta commozione.

Era la seconda volta che l'orgogliosissimo generale Jarjayes cedeva ai propri sentimenti, in tutti quegli anni Oscar non l'aveva mai visto piangere, ne scomporsi così tanto, mentre ora...

- Certamente Padre, sono vostra figlia, e lo sarò sempre! - gli confermò Oscar riuscendo finalmente a rivolgersi a lui con un tono più intimo e meno formale.








Nel primo pomeriggio del giorno dopo, Oscar scese al piano inferiore della casa per la consueta seduta col pittore. Il suo ritratto era quasi terminato, e per un momento, sperò che André arrivasse in tempo per vedere l'artista apporre l'ultima pennellata di colore sulla tela. I raggi del sole filtravano attraverso le fronde agitate dal vento, proiettando ovunque piccole chiazze scure in movimento. Quella danza di luci e ombre catturò la sua attenzione, aleggiava una strana calma nell'aria; come una gradevole sensazione di sospensione, irreale e ovattata. Le sembrò quasi di essere tornata indietro nel tempo, quando ancora tutto intorno a lei era sicuro. Quando quei tempi difficili non erano ancora all'orizzonte, e la bastava uno sguardo per ritrovarselo intorno. André era sempre stato al suo fianco, lo rivide seduto sotto il porticato ricoperto di glicine fiorito con una mela in mano, che puntualmente poi divideva col suo cavallo o con César. E poi le sembrò di vederlo ancora, lì, in piedi contro la grande vetrata, avvolto in un tenebroso silenzio e con le mani strette dietro la schiena, con la sua uniforme blu da soldato. Era bello il suo André, tanto da toglierle il fiato. Rimase catturata dal verde incredibile del suo unico occhio, così intenso e brillante, e un altro ricordo le balenò in mente. Rivide quella bocca scorrerle addosso, sentì quasi il suo respiro caldo sulla pelle candida e delicata del collo, ricordava con nitidezza e trasporto ogni momento, e quel famelico desiderio del suo corpo, alimentato da ogni gesto di lui.

- Madamigella Oscar, vi sentite bene? - le domandò il pittore preoccupato dall'insolito pallore.

- Sì, scusatemi Monsieur. Ero solo sovrappensiero... - si scusò lei.

Lo sguardo lucido e azzurro si spostò verso la porta che si aprì, Oscar vide entrare più di due persone nel salone illuminato dal sole.

- Oscar!? André, presto vieni... - esclamò Marie rendendo ancora più realistico quello strano sogno ad occhi aperti.

Aveva la febbre altissima e stentò a reggersi quando le chiesero di alzarsi, ma l'André della sua visione la sostenne, sollevandola come se non avesse peso.

- Portiamola nella mia stanza è più vicina... - disse poi lui.

Oscar chiuse gli occhi aspirando a pieni polmoni quel profumo dolce e speziato che ormai associava solo ad André: quello reale, non a quello che la sua mente sconvolta dalla febbre le stava facendo vedere.

- Edgard presto, ha bisogno d'aiuto! - aveva aggiunto il giovane.

- Sei davvero qui? Sei veramente tu? - gli aveva chiesto ancora incredula.

André indossava un cappello, e portava i capelli raccolti dietro la nuca. La barba era lunga e un po incolta, la cicatrice sull'occhio sinistro in bella mostra. Oscar lo aveva riconosciuto a stento, e benché fosse realmente di fronte a lei, mentre quell'altro strano figuro in sua compagnia la visitava, si domandò che fine avesse fatto il giovane uomo che aveva lasciato quella casa solo qualche settimana prima.

- Sì Oscar, sono qui! - le confermò dolcemente lui.

L'immenso calore di quella voce piena d'amore e d'affetto le riscaldò il cuore, dandole quasi la sensazione di sentirsi meglio.

- Prendile la mano, la crisi è piuttosto grave fratello mio, non so se... - disse il fratellastro piuttosto preoccupato.

Edgard si allontanò per un attimo e dopo aver bagnato una pezza di stoffa nell'acqua fresca, gliela mise sulla fronte per abbassarle la temperatura. Oscar era sempre rimasta cosciente e questo lo fece sperare.

- Certo... - rispose André sedendole accanto.

- Perché non me l'hai detto? Non sarei mai partito, e di sicuro, non ti avrei mai lasciata sola ad affrontare tutto questo - le disse André intrecciando le proprie dita con le sue.

- Esattamente per questo. Hai sacrificato così tanto per me, non potevo chiederti di più - ammise Oscar affascinata dal suo nuovo aspetto.

- La tua vista è apposto sembra... - continuò lei accarezzandogli il viso.

- Sì Oscar, più che apposto. Edgard è un ottimo dottore, il migliore - la rassicurò lui stentando a nascondere quell'espressione angosciata che gli si era disegnata in volto.

- Oh Oscar, i tuoi capelli, il tuo viso, i tuoi occhi, la tua bocca... Rivederti di nuovo amore mio, è una gioia immensa. Perciò... perciò ti prego, non lasciarmi. Non mi lasciare proprio adesso! - aggiunse André cedendo alle lacrime.

- Io non vorrei mai lasciarti... André, c'è una cosa importante che devo dirti... - replicò lei.

Oscar notò uno scintillio provenire da un ciondolo che Andrè aveva al collo, avrebbe voluto parlargli del loro bambino ma titubò. Se non c'è l'avesse fatta a sopravvivere, avrebbe aggiunto a quel dolore uno più grande.

- E' molto bello, sembra d'oro - constatò lei cercando di distrarlo.

La disperazione di lui l'aveva turbata al punto da farla credere che forse, la sua lotta stava per finire.

- E' un regalo di mia madre Oscar. Contiene il suo ritratto, vuoi vederlo? - le domandò André cercando di farsi coraggio.

- Certamente - tossicchiò Oscar.

- Mio dio è bellissima... sei molto fortunato André - disse lei ansimando appena.

- Bellissima sì, come lo sei tu amore mio, e più di quanto ricordassi. Ora ascoltami Oscar, non ti permetterò di arrenderti, non ti perdonerò mai se lo fai, hai capito? -

- Certo, ho capito... - gli rispose lei stringendo con più forza le dita fra le sue.

André restò al suo capezzale per ore, senza muovere un muscolo quando la crisi si era fatta più violenta. L'aveva sentita tossire e tremare, squassata da brividi tremendi.

- André, fa freddo, fa molto freddo... - le aveva sentito mormorare nel delirio.

- E' luglio amore mio, non puoi sentire freddo! - aveva ingenuamente risposto lui con lo sguardo perso nel vuoto di quel lungo pomeriggio senza fine.

Edgard le toccò il polso, i battiti si era fatti più regolari e la febbre era scesa. André guardò il viso del fratello rilassarsi, e quando le labbra di lui si allungarono in lieve sorriso di soddisfazione, capì che la sua Oscar era salva.

Verso la fine della settimana, Oscar riuscì ad alzarsi. Lei e André avevano deciso di comune accordo di tornare fra i soldati della guardia francese per comunicare loro le ultime novità, e le decisioni prese dopo quei giorni di attesa, in vista dei nuovi ordini in procinto di arrivare. Edgard e Alexander avevano scelto di restare a Parigi, il primo per assistere Oscar fino a che non si fosse del tutto rimessa, il secondo per rimanere al fianco dei suoi fratelli, e aiutarli in quanto soldato e ufficiale, nel caso che gli eventi fossero precipitati, come del resto era più che probabile che presto sarebbe accaduto.








Dopo aver rivisto Alain e insieme a lui, tutti gli altri suoi compagni, André riuscì di nuovo a sentirsi a casa, malgrado la sua decisione di farsi congedare dall'esercito. Decisione presa anche da Oscar, che si sarebbe tolta i gradi e rinunciato al titolo nobiliare, per potergli stare accanto.

- Dal momento che vi schiererete dalla parte della povera gente di Parigi, non avete motivo di smettere di darci ordini, comandante Oscar. Quando arriverà quel giorno, quello in cui ci ordineranno di sparare sulle nostre famiglie o suoi nostri amici, noi diserteremo insieme comandante, unendoci a voi e al popolo in rivolta - le annunciò Alain in nome suo e di molti altri suoi compagni d'armi.

A fine giornata finalmente poterono tornare di nuovo a casa e con una nuova consapevolezza nel cuore, quella di un futuro insieme, sebbene incerto.

- Alain mi ha raccontato dell'aggressione a Saint Antoine, e di come lui e Fersen ti abbiamo salvato... avrei dovuto esserci io al tuo fianco - esordì André mentre la carrozza li riportava a casa.

- Se ci fossi stato tu al suo posto, a quest'ora saresti morto - replicò lei sorridendogli di sbieco.

- Non sei divertente! - sbottò André accarezzandosi il viso sbarbato e liscio.

- Sembravi un altra persona con quella barba, quando sei partito non c'è l'avevi, e in più, i capelli sciolti sulle spalle ti donavano di più. Voglio al mio fianco il vecchio André, esattamente come ricordavo che fosse - ribadì Oscar addolcendo il tono.

- A sì? - le chiese André maliziosamente.

- Sì! - gli rispose Oscar sedendogli comodamente accanto.

Oscar gli infilo le mani fra i capelli bruni, sfilando via quel nastro azzurro che li costringeva dietro la nuca, lasciando che gli ricadessero liberi sulle spalle ampie e robuste. Annientando con un bacio intenso, lungo e passionale, tutta la distanza che li aveva separati. Anche lui le passò una mano fra i capelli lucidi e setosi, e lei ansimò, gemendo nella sua bocca avida.

- Credo di essermi rimessa abbastanza in forze, credevo che non avrei mai più potuto... - Oscar si sentì rinfrancata e il cuore le si riempì di gioia ma aveva un groppo in gola che le impediva di parlare ed esprimersi liberamente.

- Ti riprenderai completamente vedrai, è solo questione di tempo - le rispose lui con tono comprensivo.

- Lo spero anche perché presto ci saranno novità importanti... c'è una cosa che devo dirti da tempo André, una cosa fondamentale - le gambe le tremavano e le sembrò che qualcosa stesse per esploderle nel petto.

- Sei il cuore André... - aggiunse tremando fra le sue braccia.

- E tu sei il mio - le rispose lui facendole scorrere un dito sul labbro inferiore e gustandosi la perfezione di quel momento unico e meraviglioso.

- Tu sei il mio cuore Andrè e ti amo... vi amo entrambe - gli ridisse Oscar facendo poi ricorso a tutto il suo coraggio.

- Entrambe? - le chiese André fingendo di essere stupito.

- Sì, tu e nostro figlio. E vi amo, vi amo, vi amo André, vi amo più di qualsiasi altra cosa! - gli ripeté lei scandendo ogni parola.

André gli fece uno dei suoi sorrisi unici e incandescenti.

- Speravo tanto che me lo dicessi - le rispose lui ammettendo quasi di esserne già al corrente.

- Se avessi saputo che sollievo sarebbe stato dirtelo, lo avrei fatto molto prima - sospirò lei prendendogli il viso fra le mani.

Oscar diede ad André il bacio che entrambe aspettavano da tempo, quello che avrebbe sancito un nuovo inizio per loro. Quello di un uomo che amava la sua donna, e quello di una donna, che amava il suo uomo.










Siamo alla fine ragazze mie, manca solo l'epilogo, giuro che arriverà presto. Approfitto per ringraziare tutte le persone che mi hanno letto, sia recensendo che mettendo la storia fra le seguite. Una menzione speciale a Lady Michi 1, a Garakame, Tedite e Lenovo per il loro incredibile affetto. E un abbraccio a tutte le altre, come Hikarigatokage, Rory Jackson, Emmeffe71, Saratiz e Oscar. , gr _ Lady 863 e Serenity 93. Che dire, mi avete aiutato e incoraggiato, sia con belle parole che con giuste e sacrosante considerazioni che mi hanno fatto migliorare. Mi scuso se non sempre ho risposto alle vostre recensioni, vi garantisco che le ho apprezzate tutte! Con infinita gratitudine, Tea.

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Capitolo 17
*** Epilogo - prima parte ***


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Palazzo Jarjayes , 12 luglio 1789



Oscar gli si avvicinò nell'intima penombra di quella stanza che più di una volta li aveva visti amarsi, cingendogli la vita con le braccia. Appoggiando il capo biondo fra le scapole della schiena ampia e nuda, si lasciò cullare dal battito forte e regolare di André, perdendosi in quel suono così rasserenante e simile al proprio, sentendosi per un breve, illusorio istante, totalmente al sicuro.

- E così, quel momento tanto temuto, in fine, è arrivato... - disse André accarezzandole dolcemente la pelle candida e splendente sotto i raggi della luna.

- Sì, purtroppo... - rispose lei stringendo la presa attorno al corpo forte e muscoloso del suo compagno.

- Domani andremo insieme a Parigi. Alain si aspetta che ci uniamo a lui e agli altri disertori, per schierarci al fianco dei rivoltosi, Oscar. Anche se, ora che sei in queste condizioni, non credo sia una buona idea - continuò lui con un tono più cupo e apprensivo.

- Non possiamo deluderli André, lo sai - replicò Oscar. - Non sei ancora completamente in forze, e temo che affrontare dei combattimenti o degli scontri armati per aiutare le varie fazioni in lotta, sia troppo per te... - ribatté André sospirando.

- Hai paura? - gli chiese Oscar staccandosi improvvisamente da lui.

- Il mio unico timore è che ti accada qualcosa Oscar... - le confessò André.

Rimasero abbracciati e iniziarono a fare l'amore, irrimediabilmente e completamente perduti, l'uno nel calore dell'altra. Quel sentimento così puro e profondo, aveva annullato ogni differenza esistente fra loro, perché in fondo al cuore, ora sapevano di essere uguali. Avevano avuto il coraggio di riconoscere ciò che era davvero importante, e malgrado i rischi, avrebbero lottato per difendere gli ideali in cui credevano.





Arras, 12 agosto 1789



Oscar sentì il bisogno di stiracchiare gli arti indolenziti, dopo il tremendo momento passato a Parigi coi suoi uomini quel tredici di luglio, la presa della fortezza della Bastiglia avvenuta il giorno seguente, la partenza, il viaggio e l'arrivo furtivo di lei, André, Alexander, Edgard e Alain ad Arras, presso la tenuta dei Jarjayes, gli ordini di Edgard erano stati per tutti inappuntabili e severi: assoluto riposo. Iniziò dispettosamente ad importunare André, che l'aveva raggiunta in piena notte, e che, ancora stremato, malgrado fossero già passato quasi un mese da quando era stato ferito, le dormiva profondamente accanto.

- Lo odio, non sai quanto... lo odio... lo odio... - ripeté Oscar calciando via le lenzuola dal letto.

- Dovresti ringraziarlo invece. Se non fosse stato per lui, nessuno di noi sarebbe qui ora... - sbottò il giovane uomo accanto a lei. André si era forzatamente ridestato.

- Tuo fratello è un uomo insopportabile, ho bisogno di alzarmi André! Sono sdraiata immobile su questo maledetto letto da settimane ormai. Oltre la fatto che ci ha anche proibito di stare insieme... - si lamentò Oscar togliendogli dal viso un ricciolo scuro e ribelle.

- Ci ha solo consigliato di aspettare Oscar, non so come tu possa dimenarti tanto con quella ferita al fianco. La mia spalla è ancora a pezzi, per non parlare della mia povera gamba, sai una cosa, in questo momento ti odio più di quanto tu stia odiando lui - continuò stancamente André.

Per decidere il da farsi, lui e gli altri uomini erano rimasti svegli fino a tardi quella sera. Restare ancora ad Arras non era più consigliabile: le residenze dei nobili venivano sistematicamente assaltate da gruppi sempre più numerosi di ribelli e disperati, cosa che non ancora accaduta ai Jarjayes, solo a causa del grandissimo affetto che la maggioranza dei loro contadini e affittuari gli portava. Si sarebbero accertati di mettere al sicuro la servitù prima di andarsene, e di passare alla locanda per lasciare al vecchio gestore le notizie necessarie da dare a chiunque li avesse cercati, come il generale o altri membri della famiglia di Oscar. Alain si preparava a tornare a Parigi da Bernard e Rosalie, mentre i suoi fratelli sarebbero tornati in Belgio, solo lei e André restavano in sospeso. Malgrado sapessero che sarebbero stati i benvenuti presso la residenza della madre a Charleroi, lei non era convinta che rifugiarsi in un paese straniero fosse la soluzione migliore per loro.

Seppur esasperato però, alla fine, l'insolita vitalità di Oscar riuscì anche a strappargli un sorriso divertito; dopo tutte quelle lacrime e quel dolore, ne avevano entrambe bisogno.

- Sei stato un pazzo... ti sei preso due proiettili, uno per me, e uno per i tuoi fratelli. Sai, ho temuto davvero di non rivederti più André - ammise Oscar sfiorandolo dolcemente.

Le parole le erano come scivolate via dalla bocca, riportando a galla immagini e ricordi terribili, restando come sospese nel tempo e nello spazio in quel breve silenzio che seguì nella stanza. Lui fece uno sforzo, e, stando attento e stringendo i denti, le si trascinò accanto, cingendole la vita col braccio buono. Così, si ritrovarono di nuovo abbracciati, ancora sperduti e atterriti, ma felici di essere insieme.

- Sono il più vecchio, dovevo rimandarli a casa da mia madre tutti interi. Non potevo fare diversamente Oscar, lo sai anche tu... - le rispose André accarezzandole una guancia con il dorso della mano.

Erano stati fortunati ad uscirne tutti vivi, anche Alexander era rimasto ferito, ma per fortuna, anche per lui, la sorte aveva deciso diversamente, e in un modo decisamente più benevolo del previsto, data la situazione disperata in cui si era andato a cacciare. Mentre ricordavano quei giorni come se non fossero mai passati, Oscar lo guardò fisso negli occhi, sussurrandogli fra i capelli le uniche parole che riuscissero a dare un senso a ciò che provava nel riportare alla mente quegli avvenimenti che per poco non li avevano divisi per sempre.

- Fuggiamo André, scappiamo insieme da questo inferno... -




Parigi, 13 e 14 luglio 1789

Dopo il rientro alla caserma della guardia metropolitana, lei e André avevano comunicato a tutti i soldati la loro scelta di unirsi al popolo in rivolta. Quella decisione era stata presa per evitare inutili massacri fra la popolazione indifesa difronte agli attacchi ad opera dei reggimenti presenti in tutta la città, in particolare quelli dell'Armata Reale, composta oltre che da quelli francesi anche da contingenti stranieri, soprattutto tedeschi. Non tutti avevano avuto il coraggio di disertare, col risultato che alla fine, si erano uniti a lei poco più di una cinquantina di uomini, Alain compreso. Nei giorni precedenti, Parigi era stata teatro di un arruolamento generale di cittadini e soldati, che aveva dato vita a una sorta di Guardia Borghese, a cui anche Oscar e i suoi decisero di unirsi alle prime luci di quel tredici luglio. Dopo che la popolazione aveva forzato i cancelli del palazzo degli invalidi per armarsi però, le cose erano precipitate, trasformando la capitale in un vero e proprio campo di battaglia. Oscar si era improvvisamente ritrovata imprigionata fra due fuochi, perdendo molti degli uomini al suo comando. Nel disperato tentativo di aprire un varco per se e i suoi soldati ribelli attraverso quelle strade assediate e piene di sangue innocente, alla fine era riuscita a trovare rifugio sotto un ponte: feriti e ormai stremati, di quei cinquanta, ne restavano meno della metà.

- Dove sono? Dovrebbero già essere qui a quest'ora - aveva sbottato Alexander profondamente in pena.

Il giovane ufficiale aveva passato la giornata ad addestrare all'uso delle armi molti cittadini, la maggior parte dei quali, non aveva mai preso in mano un fucile. La cosa si era fatta tragica anche per lui, i soldati nemici erano ben armati e capaci, molti non c'è l'avrebbero fatta a difendersi. Ma il suo pensiero principale era rivolto a Oscar e André, gli occhi chiari avevano scrutato spesso quell'intricato groviglio di strade e vicoli in attesa di vederli arrivare.

- C'è la faranno, vedrai - aveva cercato di rassicurarlo Edgard.

Il fratello più vecchio, che al pari del più giovane aveva cercato di salvare più vite possibili, era emerso da una tenda improvvisata a ospedale da campo. Edgard aveva anche suggerito di approntare dei piccoli carri in cui poter caricare i feriti a cui prestare i primi soccorsi, niziativa a cui avevano aderito in molti, compresi i tanti medici presenti. Con le mani e il grembiule insozzati di sangue fresco, col volto stravolto e sfinito dopo ore di operazioni fatte nelle più disperate condizioni, l'uomo si decise poi a mandare qualcuno a cercare il fratello maggiore. Era ormai il tramonto, e André e Oscar non si vedevano tornare.

- Andrò io, André è mio fratello... è giusto che sia io a rischiare per lui - aveva detto Alexander spiazzando tutti i presenti.

- Nessun altro si offre volontario? - aveva chiesto Bernard.

- Vado anch'io! - la voce di Edgard aveva rotto il silenzio convincendo anche un altro giovane ad unirsi a loro.

- Mi chiamo Pierre Augustin Eliér, Monsieur, sono un ex guardia svizzera di stanza alla Bastiglia. Sono un disertore lo confesso, ma se deciderete di accettarmi, sarò felice di unirmi a voi - aveva annunciato il ragazzo poco più che ventenne.

Alexander e Pierre si erano caricati le spalle di più armi possibili, ed Edgard li aveva seguiti a ruota, con la piena intenzione di riportare indietro incolumi entrambi i suoi fratelli. Era ormai l'imbrunire quando riuscirono a raggiungere la piazza da cui si intravvedeva uno dei ponti che attraversavano la senna, il fiume divideva a metà la città di Parigi e i vari passaggi che ne permettevano l'attraversamento erano ormai tutti presidiati. Fu Alexander a sentire il primo colpo, uno degli uomini della Armata Reale si era girato verso un sottopassaggio, e dopo aver esploso un solo colpo, era stramazzato a terra morto. Gli avevano sparato da sotto quel ponte: qualcuno vi si era nascosto per non essere visto. Era stato allora che erano scattati verso quelle persone, udendo chiaramente una voce femminile gridare un nome ben conosciuto e familiare, quello di André.

- Perché André, perché? - aveva ripetuto lei nella più completa disperazione.

André l'aveva protetta col suo corpo dal quel proiettile, la pallottola gli aveva trapassato la spalla sinistra ed era fuoriuscita, ferendo di striscio anche Oscar. Il sangue aveva iniziato a uscire a fiotti e mentre cadeva a terra, André sentì un gran bruciore al petto e le voci degli altri soldati attorno a lui confondersi. Una voce femminile lo aveva chiamato più volte ripetendo un infinità di volte il suo nome, dopo di ché, su di lui era sceso il buio. Era stato allora che Oscar, Alain e tutti gli altri, aveva sentito le urla di Alexander : una volta caricato il corpo privo di sensi di André su uno dei cavalli, erano finalmente riusciti a risalire, solo per vedere due giovani inginocchiati e pronti a sparare verso il nemico che si apprestava ad arrivare.

Edgar si era precipitato da André ed era salito a cavallo con lui, allontanandosi col fratello ferito da quell'ennesimo scontro armato. Oscar e i suoi uomini invece, aveva sparato a loro volta, per coprire la sua fuga di quei due sconsiderati, che grazie a dio, erano riusciti poi a cavarsela, dileguandosi fra l'intreccio delle strade.

- Amore mio, finalmente ti sei svegliato... - aveva singhiozzato Oscar seduta al capezzale del suo letto.

- Dove sono Oscar? Cosa è successo? - aveva chiesto André confuso e febbricitante. - Ti ho ricucito la spalla fratello, per fortuna il proiettile è uscito, ma nel farlo, ti ha devastato il petto. E' un miracolo che i tuoi polmoni siano rimasti intatti... - gli aveva spiegato Edgard dopo averli raggiunti.

- E tu? Come stai Oscar? - le aveva chiesto ricordando lentamente cosa fosse accaduto. - Mi ha preso di striscio, non è grave, ma fa un male cane lo stesso - gli aveva risposto lei sorridendogli fra le lacrime.

- Non piangere Oscar, non morirò oggi... né domani, vedrai... - cercò di rassicurarla lui.

Nonostante dovesse sentire un dolore insopportabile, André la spronava a reagire e a non farsi prendere dalla paura. Era stato lui a dimostrarle più di ogni altro, il coraggio di un sacrificio estremo. Sentiva però d'aver fallito in ogni suo intento: non poteva aiutare nessuno, dato che il suo unico pensiero andava a lui e al loro bambino. Malgrado tutta quella violenza, la spossatezza di un fisico provato dalla fatica e dalla malattia, malgrado quella ferita che le aveva marchiato a fuoco la carne e l'anima, quella nuova vita continuava a lottare per venire al mondo, e lei non poteva deluderla.

Come non poteva perdere il suo uomo, proprio non poteva.

- Resterete qui stanotte, con gli altri feriti. Sembra che i combattimenti siano cessati per il momento... - li aveva informati Edgard decisamente provato.

- Edgard, dové Alexander... voglio vederlo - aveva domandato André subito dopo.

- Mi dispiace André, ma lui, non è tornato... -

La voce del fratello, così piena d'angoscia e tristezza, lo lasciarono del tutto sgomento.

- No! Non posso starmene sdraiato in questo maledetto letto ad aspettare che torni, devo alzarmi! - reagì André.

André non aveva la minima coscienza di quanto fossero serie le sue condizioni, tanto da provocare l'ira di Edgard al suo tentativo di rimettersi in piedi.

- Vuoi morire? E' questo che vuoi? Hai perso tantissimo sangue André, e se non riposi, non arriverai a domani! Penserò io ad Alexander... - aveva sbottato Edgard tremante e con gli occhi lucidi.

Oscar era rimasta in silenzio, l'unica cosa che poteva fare in quel frangente era pensare a sé stessa e ad André.

Quando Alain entrò nella tenda il mattino seguente, Oscar era ancora addormentata. Malgrado la calura estiva, dopo un acquazzone aveva rinfrescato, e lui li aveva generosamente coperti con il suo mantello. Il pallore sul volto di entrambe lo spaventò al punto da indurlo a chiamare Edgard che lo rassicurò subito dopo, André aveva superato la notte ed era fuori pericolo.

- Come vi sentite adesso madamigella Oscar? -

- Sto' meglio... - aveva risposto lei con la gola secca.

C'era un caldo afoso in quella tenda e Oscar, era tormentata dalla sete, oltre che dal senso di colpa.

Rosalie era entrata per farle visita, accompagnata da un altra giovane infermiera, Juliette. La ragazza: che aveva perso entrambe i genitori negli scontri di quel giorno, rimanendo completamente sola al mondo, insieme a molte altre donne aveva deciso di dedicarsi ai feriti. Quando Oscar alzò lo sguardo zaffireo su di lei, le parve di riconoscere un volto conosciuto in quello della giovane, sembrava proprio che la piccola Diane avesse abbandonato il paradiso per tornare sulla terra. Anche Alain, quando la vide, rimase profondamente colpito dall'incredibile somiglianza della ragazza con la sua perduta sorellina.

- Comandante, come sta André? E voi? - volle sapere il soldato.

Alain li aveva raggiunti subito dopo aver visto Edgard uscire dalla tenda per assistere gli altri feriti, e dopo aver ricevuto la bella notizia su André, si premurò di mettere al corrente anche gli altri soldati che avevano così coraggiosamente rischiato la vita per salvarlo.

La notte stava per mettere fine a quel terribile tredici di luglio che già fra i rivoltosi prendeva forma l'idea di un altro giorno di scontri e battaglie. L'idea di attaccare la Bastiglia era nata quasi all'improvviso nella mente dei Parigini, giacché si seppe che i cannoni della fortezza erano stati puntati sulla città, il timore assalì ogni uomo donna e bambino.









Questo disegno è mio, un pensiero per le mie lettrici. Un sentito ringraziamento a tutte voi.
L'intenzione era postare l'epilogo in un unico capitolo, ma mi sono dilungata, così l'ho diviso in due parti.
Buona lettura!

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