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di _Corin
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo Anno. La Partenza ***
Capitolo 2: *** Primo Anno. La Tregua ***



Capitolo 1
*** Primo Anno. La Partenza ***


Primo Anno

La partenza

 

 

 

Secondo le migliori tradizioni, da che mondo e mondo, le amicizie di una vita un mago se le fa sull’espresso per Hogwarts, scambiandosi chiacchiere e Cioccorane. Albus aveva sempre saputo che a lui non sarebbe andata così: era allergico alle Cioccorane, e per di più non sapeva spiccicare neanche mezza parola con gli sconosciuti.

Quando le sue previsioni pessimistiche si rivelarono vere e lui passò il viaggio con sua cugina, poi, considerò del tutto assodato che fosse proprio così: non c’era neanche mezza anima, in tutta Hogwarts, che volesse fare amicizia con lui. Non avrebbe certo considerato i fugaci saluti di Victoire, Dominique, o – Per carità! – James degni di considerazione.

Rosie l’aveva guardato, aveva inarcato un sopracciglio aranciato e l’aveva capito, anche se non aveva detto una sillaba, razionale e irritante come al solito.

«Non preoccuparti», gli aveva detto. «È semplice logica. Ci sono state molte perdite per colpa della guerra, e i figli di coloro che sono implicati di sicuro preferiscono Durmstrang. Ci sono parecchi scompartimenti mezzi vuoti, come avrai sicuramente notato».

Rose aveva quel modo di parlare che faceva sembrare ad Albus che tutte le sue paturnie fossero tutto sommato inutili. Peccato che non durasse mai troppo a lungo.

«Tutti lontani da Hogwarts tranne i Malfoy, certo» continuò la cugina, scoccando un’occhiataccia al ragazzino che era passato vicino al loro scompartimento proprio in quel momento. Il giovane Malfoy sobbalzò sotto il suo sguardo e si dileguò. Fino a qualche istante prima dondolava sui talloni, guardando la maniglia come se stesse considerando l’idea di entrare.

Forse, pensò Albus con l’espressione sconsolata che gli scavava un solco in mezzo alle sopracciglia, un tipo come Malfoy sarebbe davvero stato l’unico che avrebbe voluto rivolgergli la parola.

 

Cadde un paio di volte, nel tentativo di scendere dall’espresso, prima che Victoire giungesse ad aiutarlo con i - troppi – bagagli che si era portato appresso. «Dove dobbiamo andare?», le chiese. Victoire gli piaceva. Era sua cugina, certo, ed era troppo grande perché potesse essere anche sua amica, ma aveva un’aria impacciata che Albus trovava carina, come se non fosse stato l’unico a sentirsi fuori posto nella propria pelle.

E poi, non poteva certo dimenticare che da piccoli avevano condiviso la vasca da bagno.

Victoire si ritirò intorno alla sua spilla da Caposcuola, come a cercare di farla brillare di meno. «Non con me. Seguite i prefetti, ragazzi, vi porteranno da Hagrid» ed era fuggita.

Ultimamente ad Albus sembrava che le persone scappassero anche solo dopo avergli rivolto un’occhiata.

Si strinse nelle spalle, trascinandosi dietro i bauli con uno sbuffo di fatica.

«Io non lo trovo giusto» bofonchiò Rose accanto a lui con una quantità di borse perfino maggiore della sua . «I nostri genitori si sono potuti godere la sorpresa, mentre noi sappiamo già tutto quello che accadrà. Oh, una macchia! Sull’uniforme nuova!».

Albus si trovava d’accordo. Avrebbe voluto non sapere a cosa stava andando incontro, mentre i movimenti della zattera gli rivoltavano lo stomaco come un calzino. Le onde, certo, e il pensiero fisso dello smistamento. Anche i suoi compagni, un ragazzino con la faccia annoiata e una che sembrava essere troppo piccola per avere la loro età, sembravano essersi accorti della sua espressione e - sorpresa! - si erano allontanati un pochino da lui.

Rose rimase comunque a bocca aperta di fronte al soffitto della sala grande. I racconti dei suoi genitori non potevano competere, e nemmeno la macchia sulla divisa. Il meglio lo colse quando finalmente abbassò gli occhi e si lasciò sfuggire un urletto entusiasta alla vista di quello che aveva davanti. «Oh Zeus, Albus, per Merlino e Morgana, lo vedi? Dimmi che vedi anche tu quello che vedo io. Sto sognando, sto sognando...».

Albus non gli prestò poi molta attenzione, al soffitto, e, per quanto il pensiero fosse di certo inammissibile, per Rose, a lui non importava nemmeno delle gigantesche tavolate coperte da deliziosi manicaretti che gli studenti sgranocchiavano annoiati in attesa dello smistamento.

I suoi occhi erano incollati allo guardo divertito di suo fratello, sotto lo stendardo rosso-oro, e viaggiavano da una tavolata all’altra.

I Serpeverde erano pochi e spaventosamente silenziosi, molto più degli altri. Provò a immaginarsi lì e non riuscì a trattenere una smorfia.

Il suo sguardo vagò ancora, nervoso, fino a fermarsi sul cappello, vecchio e consunto. Le spiegazioni della McGrannitt non erano che un ronzio di sottofondo. Non importava, sapeva già tutto. Sapeva, in particolare, che il cappello avrebbe detto Serpeverde da quando era stato abbastanza grande da conoscere i nomi delle case, e poi da quando suo fratello aveva iniziato a prenderlo in giro e lo aveva, semplicemente, sempre saputo.

Ma non è lui, a decidere, cercò di ricordarsi. Io ho potere.

Non riuscì a convincersi.

«Serpeverde», come Malfoy, che si cacciava il cappellaccio dalla testa e si dirigeva al tavolo per cui era stato scelto. Albus si rese conto solo allora che si era perso una grande parte dello smistamento, immerso nei suoi pensieri.

Alcuni dei ragazzi che aveva visto alla stazione ora sorridevano imbarazzatissimi dai loro posti, circondati da ragazzi che erano più alti di loro per centimetri e schiena dritta dalla sicurezza. Fra i serpeverde, per il momento, si contavano due ragazzi sconosciuti e, un po’ distante, Malfoy. Nessuna sorpresa, ben chiaro, perché i Malfoy erano serpeverde da generazioni e nessuno si aspettava che quello in particolare fosse diverso, biondo, pallido e appuntito come da programma.

Albus si accorse del silenzio assordante che era seguito al nome del ragazzino con qualche secondo di ritardo, quando l’applauso scrosciante per l’assegnamento di un tale Morrison fra i tassorosso lo interruppe. Neanche i serpeverde più grandi (Norris, Lane. Grifondoro!) l’avevano accolto, si sicuro non l’avevano fatto le altre case (Picard, Odile. Corvonero!).

Non sentì esattamente la McGrannitt pronunciare il suo nome. Forse fu colpa della testa, che sembrava piena di gommapiuma, o del tremore che aveva iniziato a percorrerlo. Persino del suo cuore, che sembrava aver velocizzato i suoi battiti. I brusii che si arrestavano di colpo, però, come gli sguardi di tutti che si ritrovava incollato addosso, lì notò subito. Arrivò allo sgabello con un passo sorprendentemente regolare, mentre scrutava la folla di sottecchi. I professori si sforzavano almeno di cercare di non fissarlo, al contrario degli studenti. James gli fece segno, ma l’ampia e cadente falda del cappello gli coprì la vista prima che potesse capire cosa stesse cercando di dirgli.

Oh, bene, un altro Potter. Iniziò il copricapo. La sensazione di avere una voce nella propria testa gli dava i brividi. Forse era colpa dei molteplici ragguagli di sua madre (chissà dove un cappello poteva nascondere il suo cervello). Non ho molti dubbi, questa volta, e non credo che ne abbia anche tu. Sbaglio, forse?

«Sì, sì, sbagli. Sbagli. Non Serpeverde, non Serpeverde».

Albus era sicuro che il cappello avesse sbuffato (chissà dove nascondeva i polmoni, o le corde vocali. Decise che l’avrebbe scoperto, e poi pensò che una simile intenzione era da vero Corvonero… il cappello si sbagliava).

È una cosa di famiglia, quindi? Non saper apprezzare i consigli, né la bellezza della gloria, le vette che si possono raggiungere con la giusta dose di ambizione e furbizia? Albus trattenne il pensiero successivo (io sì, voglio la gloria, non voglio essere mio padre, non voglio essere un’ombra, è questa la mia più grande ambizione, non voglio…).

Nel pronunciare il pensiero seguente, il cappello aveva un tono vagamente penoso. Non puoi trattenere i pensieri, Albus. Non puoi fingere di essere chi non sei.

Albus serrò forte gli occhi, con disperazione. Ma io posso decidere. Ebbe l’impressione che, se avesse potuto, il cappello avrebbe levato gli occhi al cielo.

Non farmi penare, Albus, assegnarti ad una casa a cui non appartieni sarebbe un grande sbaglio.

Fu come un pugno nello stomaco. Una casa a cui non appartieni.

«Io posso decidere» nella sua testa, l’aveva urlato. Probabilmente era solo un sussurro.

Certo, puoi. Ed è tuo compito scegliere la casa migliore per te.

Dall’altra parte della sala, dalle tavolate, gli studenti lo guardavano increduli. Stava forse litigando con il cappello…? Il vecchio pezzo di stoffa sbuffava nuvole di polvere e imprecava. Quella stessa sera, James avrebbe giurato di averlo sentito dire per le mutande di Merlino!, o qualcosa del genere.

Ci fu qualche altro secondo di attesa, infine Albus abbassò lo sguardo.

«Serpeverde», disse.

Dopo meno di un secondo, il cappello urlò: «Serpeverde!».

Un applauso stentato provenne dal tavolo a cui Albus si diresse. Rivolse solo un breve sguardo a Rose, fra quelli che ancora non erano stati smistati. Non abbastanza per decifrare la sua espressione.

Si sedette accanto a un ragazzino smilzo che non lo degnò di un’occhiata. A pochi posti da lui sedeva Malfoy.

Mentre gli altri ragazzi venivano smistati («Grifondoro!» per Rose Weasey, testurbante, e Albus ci aveva quasi sperato, che lo raggiungesse), nessuno rivolse la parola ad Albus. E così fu per tutta la serata, fino a quando i prefetti non illustrarono la disposizione delle stanze. A quel punto, Albus iniziava già a pentirsi delle sue scelte.

Non riuscì a dormire, con le parole del cappello che gli trapanavano il cervello.

Puoi fare le stesse scelte di tuo padre, Albus. Oppure scegliere Serpeverde.

Se Albus aveva preso una decisione, ora non sapeva come continuare.

 

Il giorno successivo iniziò come tutti i pessimi giorni. Albus, che si era rigirato fra le coperte per ore, si addormentò poco prima di quando avrebbe dovuto svegliarsi. Arrivò in ritardo a colazione, dove non trovò niente di commestibile sfuggito alla famelicità dei suoi compagni. A migliorare ulteriormente la situazione, le Gazzette del Profeta lasciate sul tavolo mostravano in prima pagina una sua foto, scattata chissà come alla stazione, e la notizia del suo smistamento (si rifiutò persino di guardare le teorie sul suo essere un malvagio mago assassino ipotizzate da un giornale scandalistico). Per di più, alla prima ora aveva la McGrannitt, che gli tolse i primi cinque punti della sua carriera scolastica. Se i suoi compagni non l’avessero già odiato, ora avrebbero iniziato.

I giorni successivi non furono certo migliori del primo.

James lo prese in giro (ma non c’era alcuna novità in quello, l’avrebbe fatto in ogni caso) e lo ringraziò per aver portato i Grifondoro in testa già al primo giorno. Su suo fratello poteva sempre contare. Rose ci tenne a fargli sapere che per lei ogni casa era uguale, e lui sarebbe rimasto suo cugino qualsiasi decisione avesse preso (anche quella di scegliere Divinazione o sposare un Elfo Domestico, disse straparlando, ma Albus non era sicuro che fosse proprio così. Almeno non per la Divinazione). Per il resto, Dominique gli sorrise, Victoire lo reindirizzò all’aula giusta con un buffetto affettuoso e nessuno degli altri fece caso a lui abbastanza da rivolgergli la parola. In compenso, Albus era certo che il suo smistamento fosse un argomento di conversazione molto gettonato. Solo, non con lui.

I suoi compagni di dormitorio erano Nott (simpatico, più o meno, ma lo sapeva solo perché lo aveva sentito chiacchierare con una compagna, non certo per esperienza personale), Collins (che era silenzioso da far para, e non solo con Albus) e Malfoy (malissimo).

In realtà, Malfoy non era irritante come si era aspettato. Certo non rivolgeva la parola a nessuno, compreso lui (non che si lamentasse), ma era praticamente invisibile. Non come Collins, che sedeva sul suo letto e giocava a scacchi magici continuamente in solitudine. Semplicemente, lui non c’era. Albus non ricordava una sola volta in cui si fosse svegliato e l’avesse trovato in bagno o fra le coperte, né che la sera ci fosse un qualsiasi movimento oltre le corti richiuse del suo baldacchino.

In realtà, le cose iniziavano a farsi sospette. C’era chi diceva che Malfoy stesse architettando un qualche piano malvagio, continuando la lunga lista che era evidentemente di famiglia. Albus non credeva che fosse così, ma certo non aveva voglia di difendere il figlio di un mangiamorte.

Non era sua intenzione parlargli. Non avrebbe mai pensato che avrebbe voluto aiutarlo (lui, che di aiuto avrebbe avuto bisogno davvero in gran quantità). Di certo, non aveva mai neppure immaginato lontanamente di poter diventare suo amico.

 

Accadde un giorno di ottobre. Le lezioni erano iniziate da abbastanza tempo perché i professori potessero considerare finito il periodo di misericordia che avevano concesso loro in quanto nuovi studenti e avevano iniziato a caricarli di compiti in quantità esagerata. Era così che Rose spendeva gran parte delle sue giornate, e Albus non la vedeva da un po’. Certo, anche lui passava molto tempo a fare ricerche su ricerche, ma mai con la perizia che ci metteva sua cugina. Dopo quasi due mesi di solitudine, Albus credeva di poter impazzire.

D’altra parte c’era Malfoy. Albus non faceva attenzione a quello che faceva il ragazzo intenzionalmente, davvero, ma essere compagni di stanza portava a questo. Sapeva molte cose di persone con cui non aveva mai parlato. Collins, ad esempio, faceva schifo in pozioni e adorava gli scacchi (preferiva quelli babbani, ma non aveva mai trovato un compagno alla sua altezza e doveva accontentarsi). Nott era un asso nei quidditch e tifava le Arpies, che in quel periodo andavano davvero forte. Di Malfoy non sapeva quasi nulla, se non che passava nella stanza appena il tempo necessario a dormire, non era un gran chiacchierone e non aveva fatto più progressi di lui, nella socializzazione.

Scoprì dove passava le sue giornate dalle chiacchiere con sua cugina, in quei pochi minuti che passavano insieme prima di colazione, prima di doverla salutare per andare al suo tavolo (che con il tempo si era fatto un po’ più sciolto e meno silenzioso, sebbene non animato come quello di grifondoro, ma il cambiamento non aveva riguardato Albus).

«Non lo sai? Passa praticamente tutto il tempo in biblioteca. Credo a studiare. Certo, dovrebbe proprio, dato che in pozioni va peggio di quello strambo serpeverde… il tuo compagno di stanza, forse, sì».

Rose aveva sbuffato con una certa supponenza (lei in pozioni andava benissimo, dopotutto).

Albus si era trattenuto dal dirle che solo lei poteva passare abbastanza tempo in biblioteca da accorgersi della polverosa presenza di Malfoy in mezzo alla polvere degli scaffali e, salutata, l’informazione fu dimenticata.

Se ne ricordò qualche settimana dopo.

Albus entrò nella biblioteca esitante, sotto lo sguardo pesante della bibliotecaria. Fino a quel giorno aveva potuto sbirciare dai libri e soprattutto dalla pergamena di Rose, ma lei si era detta impegnata, Albus, davvero impegnatissima, non posso proprio parlare ciao, quindi ora doveva destreggiarsi nella marea di volumi da solo, con una pergamena e mezza sul basilisco da scrivere per il giorno dopo. Per di più, non poteva proprio fare a meno di figurarsi lo sguardo deluso che avrebbe assunto il professore quando le sue aspettative su Albus sarebbero state disattese, la netta disapprovazione che avrebbe reso evidente che, oltre a essere un serpeverde asociale, il figlio di Harry Potter era anche una schiappa totale in Difesa contro le Arti Oscure.

Avanzò di qualche passo, incerto, senza la minima idea di dove sarebbe dovuto andare. Pensò che sicuramente i libri erano ordinati per argomento, materia o autore, ma uno sguardo veloce alle infinite pile di carta lo fecero propendere per una veloce sortita in mezzo agli scaffali, alla ricerca di qualcosa che sembrasse vagamente inerente al tema.

Al primo scaffale trovò “Le ricette di Nonna Ofelia” proprio accanto a “Malefici e sortilegi per dilettanti, volume terzo”, e le sue speranze si dissolsero. Dopo essere passato accanto a ogni singolo scaffale almeno quattro volte, quasi un’ora più tardi, Albus si gettò pesantemente su un divanetto, sconsolato. Teneva pieno di fiducia l’unico libro che sembrava poter essergli utile, sfogliando le prime pagine indeciso… e qualcosa lo punse. Non era solo una molla scoperta, si rese conto Albus alzando lo sguardo. Seppellito sotto una pila di libri più alta di lui c’era Scorpius Malfoy, immerso in un’ombra di cui sembrava essere parte, anche con i colori scintillanti da cui era caratterizzato. Incrociò per un breve attimo lo sguardo dorato del ragazzino, pungente come uno spillo, che subito rituffò il naso nel tomo polveroso con una foga che faceva sembrare quella lettura essenziale per la sua sopravvivenza.

Albus s’irrigidì. Chissà come non si era accorto di essersi seduto proprio di fronte a Malfoy, con solo un tavolo a dividerli. Poteva quasi sembrare che fosse stata un’azione ponderata e che quel posto l’avesse scelto. Non era così, ma certamente chi li avesse visti avrebbe pensato che fossero due maghi oscuri pronti a progettare il proprio sterminio di massa o chissà quale congettura. Certo, andarsene, a quel punto non sarebbe stato molto cortese. Anzi, non lo sarebbe stato per nulla. Non gli piaceva essere scortese, e Malfoy sembrava innocuo, dopotutto, se non si avesse provato a interrompere la sua lettura.

Albus si sforzò di sedersi meglio per cercare la concentrazione. Forse era colpa della molla che gli pungeva proprio il fondoschiena, o magari dello sguardo di Malfoy (che però era incollato alle pagine ogni volta che lo cercava), ma non ci riuscì.

Un cigolio interruppe i suoi pensieri. Il volume di Malfoy era ora posato a un angolo del tavolino, al centro Scorpius stava ordinando attentamente la pila precedentemente accatastata. Ne tolse uno e glielo porse, senza guardarlo infaccia, continuando a passare in rassegna i titoli. Albus non lo prse, finchè lo sguardo di Malfoy non si alzò a guardarlo interrogativo. Ci fu un breve sfioramento di pelle. Quella di Malfoy era calda, al contrario di quanto si fosse aspettato.

«Ci vuole un po’ di occhio, ma poi ci si abitua all’ordine della Signorina Lance. Ma quello che hai preso tu non c’entra proprio niente». Il suo tono era basso e calmo, misurato. Albus non disse una parola. Lo guardò alzarsi e girare fra i libri con una certa sicurezza che non aveva mai visto prima, in lui. «Ecco. Questi ti potranno aiutare, ma credo che dovresti comunque chiedere qualcosa a tuo padre sull’argomento».

Lo sguardo di Albus, che aveva seguito i suoi gesti dall’inizio, lo seguì finché non scomparve oltre la soglia della biblioteca. Sembrava perdere sicurezza a ogni passo, le spalle che si inarcavano, un rapido sguardo nervoso, le mani nascoste in tasca.

Albus continuò a guardare i titoli (“Mitologia Classica”, “Come Combattere un Basilisco” e “Animali Fantastici dove Trovarli”), incerto. Solo una sbirciatina, si disse infine. Li sfogliò in fretta, come se qualcuno avesse potuto scoprirlo in un qualsiasi momento a fare qualcosa di proibito. Le pagine segnate erano proprio quelle fondamentali, gli appunti ai margini segnavano i paragrafi più importanti e le informazioni fondamentali. Scacciò il pensiero che Scorpius Malfoy aveva aiutato lui, Albus Potter, e che certo non poteva averlo fatto per puro altruismo (i Malfoy non conoscono l’altruismo, è risaputo), ma scrisse comunque un resoconto di tutte le informazioni più interessanti fino a riempire mezza pergamena in più di quella che gli era stata assegnata.

Quando si alzò, al coprifuoco, per rimettere al loro posto tutti i libri, si accorse che l’ultimo libro lasciato sul tavolo non era uno di quelli della biblioteca. Era una bella copia rivestita in pelle di “Storia di Hogwarts”, e in appendice aveva scritto “Se smarrito, da riportare a Scorpius Malfoy”. Per quanto il primario istinto di Albus gli dicesse di lasciarlo lì o, ancora meglio, seppellirlo nelle pile di libri della biblioteca perché non potesse essere mai più ritrovato, Malfoy l’aveva aiutato, con la ricerca per il giorno successivo. Non gli piaceva essere scortese. Prese il libro con sé, una voce sorprendentemente simile a quella di zio Ron che lo rimproverava mentalmente.

Arrivato in camera, però, non trovò Malfoy. Non si chiese cosa potesse fare fuori dal dormitorio dopo il coprifuoco: appena si appoggiò sul letto, tutta la stanchezza accumulata in quelle settimane si riversò in lui e si addormentò, finalmente, fino alla mattina successiva.

 

Aveva preso O.

Prendere O in Difesa, per Albus, era quasi un miracolo, considerando la sua riluttanza a leggere le avventure della sua famiglia e di come, sistematicamente, entrasse in coma non appena il professore si dedicava al suo argomento preferito: Harry Potter.

Era quasi arrivato alla mensa, però, che il senso di colpa aveva sostituito l’eccitazione e la sorpresa. Non aveva ancora restituito il libro a Malfoy. Non l’aveva fatto la sera stessa, certo, perché si era addormentato, ma nemmeno i giorni successivi. Aveva smesso di pensare a lui, che era più incorporeo di un fantasma, ed era stato peraltro molto semplice. Ma non gli aveva nemmeno detto grazie, per quella O che era interamente merito suo.

Fece dietrofront con molta più emozione di quanta se ne aspettassero le ragazze che camminavano dietro di lui, che gli andarono a sbattere contro. Tornò al tavolo qualche minuto dopo, individuando Malfoy distante di qualche posto dai suoi compagni, che mangiava in solitudine. Si diresse verso di lui con passo sicuro, prima che i pensieri di quello che avrebbero pensato le persone potessero tangerlo.

«Questo è tuo, Malfoy. L’hai dimenticato sul tavolo in biblioteca».

Malfoy alzò gli occhi dal suo arrosto con una certa sorpresa. «Oh. Alla fine me l’hai restituito, quindi. Grazie, ci tengo molto».

Albus strabuzzò un po’ gli occhi. Si tirò indietro i capelli in un gesto molto simile a quello che un tempo era stato il segno distintivo di suo nonno, ma che in lui era semplicemente nervosismo. «Non te l’avevo rubato».

«Sì, ci credo».

«Davvero».

«Lo so. È qui. Va bene».

Albus spostò il peso da un piede all’altro, un po’ nervoso. Tenne gli occhi bassi, per evitare di avere un’esatta concezione di quanti fossero quelli che li stavano fissando. Si sedette.

Lo sguardo che Malfoy gli rivolse era definibile solo come sbalordito.

«Non sei mai in stanza, non avrei potuto restituirtelo neanche volendo. Non che non volessi, cioè…».

Malfoy gli sorrise.

«Hai ragione. Grazie per avermelo riportato».

«Già. E grazie a te per avermi aiutato con la ricerca».

Dirlo era più semplice di quanto Albus si fosse aspettato.

«Avresti dovuto scrivere a tuo padre».

Il sorriso nascente che Albus non si era accorto di portare si spense subito. «Perché?», sputò fra le labbra strette, limitando le accuse che fremevano per uscire.

«Tuo padre l’ha visto di persona, un basilisco, avrebbe potuto darti una descrizione più accurata di quella di qualsiasi libro. Avresti preso E di certo».

Detto così, Albus non poteva negare avesse senso. Era uno di quei discorsi da Corvonero che gli faceva sempre sua cugina, e trovare tante somiglianze fra una Weasley e un Malfoy lo spinse a sorridere per la prima volta da che era a Hogwarts.

«Non hai un buon rapporto con tuo padre?» continuò Scorpius curioso. Qualche secondo dopo averlo chiesto arrossì in un modo che poteva avere eguali solo fra i Weasley. «Scusa, era troppo personale, non avrei dovuto… dopotutto non mi conosci nemmeno».

«Non c’è problema, Scorpius. Sì, credo che il nostro rapporto vada bene». E per la prima volta ci credette davvero, anche se era finito a serpeverde.

 

Quello che venne dopo non fu una scelta, ma il naturale corso degli eventi.

Nessuno pensò che ci fosse bisogno di parlarne. Albus non si sedeva accanto a Malfoy, ma quello era il posto vuoto con visuale migliore, così poteva risparmiarsi il fastidio degli occhiali (e quello più consistente di sedere accanto a qualcuno che palesemente avrebbe voluto stargli lontano). Scorpius non chiedeva aiuto a nessuno, per pozioni, ma a farle insieme veniva tutto più naturale (soprattutto perché a lui venivano dati i compiti più innocui).

Era un equilibrio delicato e instabile, che sarebbe crollato al primo commento sprezzante che certamente uno dei due, un giorno, avrebbe espresso sulle origini dell’altro e che palesemente avrebbe attirato a sé le antipatie di Weasley e Malfoy, oltre che le congetture di tutti gli altri.

Non avrebbe mai potuto funzionare. Non avrebbe mai dovuto funzionare. Eppure, in un qualche strano modo, contro ogni previsione… funzionava.

 

 

 

NdA:

Bene, salve a tutti! Se siete arrivati fino a qui, beh, spero che continuerete a stare con me per ancora un bel po’, ma comunque grazie di cuore. Se volete saltare le prolisse e vagamente inutili note scritte qui in seguito sentitevi liberissimi di farlo, perché sono davvero prolisse e inutili.

Okay, allora. Se non avete ancora chiuso la pagina significa che siete un po’ masochisti (ma vi adoro comunque).

Parto dicendo: buon quasi-Natale! Perché, beh, questa storia è nel mio computer davvero da molto tempo, e se ho deciso di pubblicare il primo capitolo è solo per spirito Natalizio (e perché l’altra storia che invece volevo pubblicare per Natale non sono riuscita a buttarla giù, ma andiamo avanti).

Un paio di avvertimenti:

La storia affronterà gli anni di Hogwarts dei principali protagonisti, ognuno diviso in qualche capitolo, per un totale di una ventina.

Ci ho pensato prima che Cursed Child fosse anche solo annunciato, ci ho fantasticato quando era solo congetture, l’ho abbozzata prima che uscisse. Insomma, con The Cursed Child questa storia condivide solo il nome dei protagonisti e l’universo (anche perché io non l’ho ancora letto). Se state cercando una fanfiction su The Cursed Child, questa probabilmente non è la vostra storia.

Se quello che volete è la certezza di aggiornamenti veloci, mi dispiace: non succederà. La storia, per il momento, è composta da frammenti dei momenti più importanti e un filo di trama, ma deve ancora essere scritta.

Infine, probabilmente alle coppie segnalate se ne aggiungeranno altre (e se volete sapere quali dovete leggere, già, perché per il momento sono solo un’idea).

Oh Merlino, non so come qualcuno potrebbe leggere questo sproloquio per intero, mi dispiace se vi ho causato sonnolenza e/o coma. Credo che per quando avrete finito potrebbe essere già Natale, quindi… buon Natale, alla prossima!

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Capitolo 2
*** Primo Anno. La Tregua ***


Primo Anno

Tregua

 

 

 

La sala comune di Grifondoro era caotica e colorata. Albus la trovava piacevole, a piccole dosi, come avrebbe trovato piacevole una foresta pluviale. Effettivamente, la maggior parte dei Grifondoro erano anche piuttosto simili a belve, soprattutto la sera, soprattutto coloro che facevano parte della cricca di James.

«Full!» urlò Cavendish, che era un ragazzo vergognosamente bello per essere appena un dodicenne.

«Hai barato!» lo accusò James. Albus scosse la testa. Non perché Cavendish non avesse barato, ben inteso, più che altro perché James lo aveva fatto persino peggio di lui.

L’asso di Cavendish ingiuriò James dal mazzo. Le carte magiche di James lo odiavano, e lui tentava di sostenere che fosse per quello che perdeva ogni partita.

Cavendish mise da parte le carte e diede un buffetto alla mano di James con queste. «Può essere. O forse no, Jaimie.»

Albus dovette trattenere un sorriso alla vista del modo in cui le orecchie di James si imporporavano, come ogni volta in cui veniva chiamato in quel modo.

«Jaimie Jaimie Jaimie» continuava a canticchiare il ragazzo, con aria malefica e affettuosa insieme.

«Hai mai provato con Jessie? Gli piace da matti» lo consigliò il fratello minore.

«Albus!» lo riprese James. «Canaglia! Traditore del tuo sangue! Si può sapere cosa ci fai ancora nella mia sala comune?»

«Aiuto Rose a fare i compiti» le sopracciglia dell’intera sala comune si alzarono fino a sfiorare l’attaccatura dei capelli. Tutte tranne quelle di Rose, il volto scomparso dietro a un libro dall’aria pesante.

«Okay, copio i compiti di Rose.»

«Sai che la nostra accoglienza ha un prezzo, vero serpeverde?» Albus si sarebbe potuto arrabbiare se non avesse saputo che le prese in giro di suo fratello sarebbero sempre state assolutamente indipendenti dalla casa in cui sarebbe finito.

«Tanto affetto?»

«Quale?»

«Non dire a mamma del pacco dei tiri vispi Weasley arrivato giusto ieri?»

«E tu come lo sai?» domandò Cavendish sorpreso. Albus pensò che stare a stretto contatto con James dovesse creare un’opinione ben poco lusinghiera delle capacità di osservazione dei Potter, ma la sua risposta fu coperta da James: «Non oseresti.»

«Scommettiamo?»

«Sì, dato che io ho preso il mio pacco mentre tu prendevi il tuo. Non puoi prendere in giro un Potter, Potter.»

«Touché. Okay, ti passo i turni delle ispezioni delle stanze a sorpresa che Gazza ha intenzione di fare per scovare caccabombe illegali.»

«Esistono caccabombe legali?» Cavendish era sempre più sorpreso.

«Perché non sapevo niente di queste ispezioni?»

«È questo che significa sorpresa, James.»

«E tu come faresti a saperlo?»

«Ho contatti che hanno contatti…»

«Tu non parli con nessuno, Albus» gli fece notare James. Albus non se la prese per la mancanza di tatto quanto per il fatto che Cavendish e tutta la sala comune avessero sentito.

«Temo che non lo saprai mai, allora.»

«No, dai, aspetta… »

«Scommetto che te l’ha detto Georgette Rosier, prefetto Serpeverde del quinto anno, credo che sia una cugina di Malfoy, no? Sono tutti cugini fra loro. Mi sorprende che gli parli, pensavo tu fossi l’unico» intervenne Cavendish, pacato e sorridente.

«È un obbligo fra famiglie, credo. Tu come fai a saperlo?»

«Forse stare a stretto contatto con un Potter è poco lusinghiero per le mie capacità di attenzione, ma io sempre tutto» si strinse nelle spalle. Albus non ebbe tempo di considerare quanto quelle parole fossero simili a quelle che lui stesso aveva pensato qualche minuto prima.

I loro discorsi furono interrotti da uno sbuffo. E poi da un altro.

«Rose?» si azzardò a chiedere Albus. La cugina aveva assunto un improvviso colorito pulce.

«Credo che sia…» iniziò a spiegare Cavendish.

«Malfoy» sputò la ragazzina come fosse stato un insulto.

«C’è sempre di mezzo un Malfoy» intervenne James con lo sguardo di uno che pregusta una sfuriata made in Weasley che, per una volta, non era destinata a lui.

«Non lo sopporto! È così… supponente. Non capisco proprio come tu possa riuscire a passare intere lezioni con lui che ti-ti… hai visto come ti guarda? Merlino se ha degli occhi inquietanti! E comunque si crede chissà chi, come tutti quelli della sua famiglia: spocchiosi, boriosi, antipatici. Credo che dovresti dirglielo, sai, che ti da fastidio averlo intorno.»

Albus fissava Rose da sopra le lenti degli occhiali. I capelli sembravano allargarsi alle sue spalle come il pelo di un gatto stizzito e continuava ad aggrottare e sollevare le sopracciglia con un ritmo allarmante. La parte peggiore, poi, era che aveva continuato a leggere “Storia di Hogwarts” tutto il tempo.

«Allora? Quando lo farai?»

Albus doveva aver quantomeno perso un pezzo molto importante di conversazione.

«Fare… cosa, di preciso?»

«Oh, Albus, dire a quell’irritante e borioso cretino cosa pensi di lui.»

«E cosa penso?»

«Che sia un irritante e borioso cretino, Albus! Mi ascolti? Ti rendi conto che oggi ha persino criticato il libro che stavo leggendo?»

L’attenzione di Albus riuscì a reggere solo qualche altra parola, prima che l’interminabile tirata di Rose lo facesse tornare in uno stato di incoscienza. James e il suo amico guardavano lo scambio come fosse stata una partita a ping pong.

«Rose» Albus tentò di richiamare la sua attenzione mentre lei s’imporporava al pensiero di chissà quale affronto che le aveva arrecato Malfoy. «Rose, Rose, ascoltami.»

Lei sollevò brevemente lo sguardo dalle pagine, e ad Albus bastò. «Non è così male.»

«Albus, non scherzare. È un Malfoy!»

«Non è poi così male. Non è un chiacchierone, certo, ma non credo che abbia mai anche solo pensato di offenderti. Ecco, in realtà credo che non offenderebbe nessuno neanche se costretto.»

«Cosa?»

«Non te ne sei accorta, Rose? Lui non piace alle persone.»

«Certo che non piace! C’è un motivo più che ottimo ed è, Albus, che è un Malfoy!»

«E io sono un Potter. E tu una Weasley. Senti, Rose, non dico che ti debba piacere. Ma provaci. Non giudicarlo senza prima conoscerlo, lui non lo fa!»

L’espressione di Rose, a sentirsi minore di un Malfoy in una qualsiasi cosa, fu terribile. Serrò la bocca, le sopracciglia che continuavano ad animarle il volto tinto di rosso. Albus la trovava buffa, con la stessa espressione di quando da piccola non riusciva a far levitare un biscotto via dal barattolo della cucina ma non poteva lamentarsene ad alta voce. Fu quasi sicuro di sentire il suono di una macchina fotografica magica alle sue spalle, ma non si arrischiò a girarsi per controllare chi fosse tanto spericolato. James, quasi certamente. Stupidità grifondoro.

«Non mi piace. Non ne verrà nulla di buono, Albus, ci metterà nei guai. E non mi piace.»

Albus si tirò via gli occhiali con stizza. Abbandonò la sala comune Grifondoro con un tema sull’algabranchia mezzo sbavato.

L’unica cosa che si sentì, dopo che il quadro della signora grassa si chiudeva alle sue spalle, fu James che chiedeva i turni di Gazza.

 

Non parlò con Rose per alcune settimane, dopo quella discussione. Rose tendeva ad evitare Malfoy il più possibile, e di conseguenza Albus, che invece si trovava splendidamente a suo agio nella bolla d’invisibilità e calma di Scorpius. L’allontanamento con la cugina un po’ gli dispiaceva, ma al momento non era nella lista delle faccende principali che affollavano la sua testa (un carico di Merendine Marinare a suo nome appena giunto e finito nelle mani di James lo rendeva decisamente più nervoso). Dunque, all’inizio Albus non ci aveva fatto caso: Rose si gettava in ogni progetto con la foga di una Granger, ed era una ragazza intelligente. Non si sarebbe preoccupato dei suoi Eccellente. Fu Scorpius a farglielo notare, quando a cena Rose si presentò con delle orribili occhiaie violacee e finì a gambe all’aria prima di riuscire a raggiungere la sua tavolata, inciampando con gli occhi incollati alle pagine di un volume dall’aria pesante. Scorpius era accorso a darle una mano, le aveva raccolto i libri e le aveva chiesto se si fosse fatta male. Rose aveva rifiutato la mano che il ragazzo le porgeva e solo allora Scorpius sembrava essersi ricordato dell’asprezza che Rose provava nei suoi confronti. Ad ogni modo, quella fu l’ultima sera in cui Albus vide Rose. La mattina successiva, alla lezione di Difesa che avevano in comune lei non si presentò. E così a quella di incantesimi del giorno successivo.

Allora, forse, aveva pensato che fosse venuto il momento di preoccuparsi. Rose non avrebbe mai saltato una lezione di sua spontanea volontà. D’altra parte, parlarne con le sue compagne di dormitorio non era un’opzione per il timido Albus, che le aveva viste proprio quella mattina leggere un articolo sui peggiori Serpeverde della storia.

La soluzione migliore che gli venne in mente fu di parlarne con qualcuno che sicuramente avrebbe saputo ciò di cui parlava.

«Tu sai sempre tutto o sbaglio?»

«Ciò che so ha un prezzo, Potter.»

«Gazza ha intenzione di…»

«Ispezionare le camere mentre siamo a lezione di Pozioni. Dimmi qualcosa che non so.»

Albus non sapeva davvero cosa avrebbe potuto dire a qualcuno che sapeva tutto.

«Come fai a sapere queste cose?»

«Segreti del mestiere. Allora?»

«James ha il terrore…»

«Dei piccioni e delle bambole di porcellana. Lo so, non ho potuto fargli vedere la mia collezione senza che gli venisse una crisi isterica.»

«Tu hai una collezione di bambole?»

«No, di piccioni. Piccioni di classe, eh. Un allevamento. Lunga storia piuttosto divertente.»

Albus scosse la testa. Davvero non voleva sapere nulla in merito. «Cosa c’è che non sai?»

«Malfoy. Parlami di lui.»

«Lo conosco appena. Non siamo amiconi o cose del genere, solo compagni di banco.»

«Non importa. Mi piace conoscere le persone che mi stanno attorno, e di Malfoy non si sa letteralmente nulla, anche se è a scuola da più di un mese e il suo arrivo è stato tutto un pettegolezzo.»

«È una persona discreta.»

«Forse» si strinse nelle spalle. «Ma io non lo sono, e neanche tu. Dimmi qualcosa che non so.»

«È bravo in incantesimi ma è parecchio nonviolento. Non si pettina mai. Non è mai salito su un manico di scopa, benché abbia un ultimo modello a casa.»

Cavendish lo ascoltava ad occhi socchiusi, come se stesse visualizzando un quadro nella sua testa, pennellata per pennellata. «Cos’altro?»

«Da vicino si vede che ha gli occhi gialli, li ha ereditati dalla nonna materna. Sono carini, ma credo di aver letto su un qualche giornale scadente che sono un simbolo del suo essere demoniaco. Credo che ne sia convinto anche lui» Cavendish storse la bocca. «Di essere demoniaco, non carino, intendo.»

«E poi?»

«Nient’altro.»

«Un’informazione per un’informazione, Albus. Lo so che c’è qualcosa che devi dirmi.»

Albus pensò che forse non fosse il caso. Si sentiva male, sporco e pettegolo, a rendere pubblica quell’informazione, come se in qualche modo l’avesse resa meno importante, nient’altro che un gossip per avere notizie di sua cugina. Pensò di andarsene, per un attimo, e lasciare il ragazzo di fronte a sé senza segreti. In fondo, poteva parlare con le compagne di sua cugina. Si sarebbe persino potuto arrampicare fino alla torre Grifondoro a mani nude, meglio che dire quello ad alta voce.

Ma Cavendish aveva aperto gli occhi e lo guardava, serio, il riflesso del fuoco ancora nelle pupille. Albus capì che lo sapeva già, come sapeva ogni cosa. Ripeterlo ad alta voce non lo avrebbe reso più vero.

«Sta morendo. Sua madre sta morendo.»

Cavendish non abbassò lo sguardo, adombrato. «Ha preso Troll. In erbologia. Si è addormentata sul banco e il suo fiorellino ha fatto gonfiare la mano ad una sua compagna.»

Albus non si rese neanche conto di cosa un Troll poteva essere per sua cugina. Improvvisamente, sembrava molto meno importante.

 

Albus non avrebbe voluto sapere niente di nessuno, per inciso, ma essere il figlio di Harry Potter aveva un prezzo che la maggior parte delle persone non poteva comprendere o immaginare. I suoi fratelli sembravano non farci caso, erano troppo distratti o disinteressati, o forse erano semplicemente più interessati ai lati positivi della faccenda. Albus non ci riusciva. Assorbiva ogni informazione, ascoltava, faceva caso a coloro che gli stavano attorno in qualunque situazione. L’aveva saputo una mattina di agosto assolutamente insignificante. Dean era passato per raccogliere delle dichiarazioni di suo padre in merito alle recenti candidature come Ministro della Magia di alcuni suoi colleghi, e Harry non aveva saputo trovare un angolo di tempo se non a colazione, solo perché Dean era suo amico e la Gazzetta del Profeta avrebbe arrangiato qualcosa di molto peggiore, se lui non avesse fatto alcuna dichiarazione interessante di sua spontanea volontà.

A un certo punto, però, le discussioni avevano preso una piega molto meno politica. «La nuova segretaria del ministro, eh, l’hai vista Harry? Per quella lì mi candiderei io» aveva dichiarato Dean, ma prima che suo padre potesse rispondere uno scappellotto neanche troppo leggero l’aveva raggiunto.

«Stai bene attento a come rispondi, Ragazzo-che-no-potrà-sopravvivere-a-tutto» gli aveva intimato sua madre, e Albus aveva sorriso sotto i baffi di latte.

«Io ci andrei piano con i commenti, Thomas. Quella lì è impegnata. Con Zabini.» Dean aveva alzato le sopracciglia. Zabini era il genere di persona che non avrebbe contrariato per niente al mondo, per altro perché se non l’avesse fatto fuori sul colpo sarebbe comunque rimasto il suo spaventoso capo.

«Daphne Greengrass. Chi l’avrebbe mai detto? Tu te la ricordi, a scuola?»

«No» rispose Harry schietto, che pure aveva avuto molti spiacevoli contatti con la sua cricca di serpeverde.

«Esattamente. Sua sorella, invece…» ed era stato allora, schivando una seconda pacca di Ginny, che Dean aveva tirato fuori un pettegolezzo parecchio esclusivo sulla signora Malfoy, fra un commento alle sue grazie e il lamento che ne conseguiva.

Albus aveva sentito tutto, prima di poter capire che non avrebbe voluto sapere niente. Era troppo tardi. Oblivarsi, ora, sarebbe potuta essere l’unica soluzione.

Stare a contatto con Scorpius, in quel modo, era anche più strano di quanto sarebbe potuto essere. Non era sicuro che Scorpius sapesse, e certamente non avrebbe potuto chiederglielo. Lo guardava, osservava la piega dolente delle sue labbra e i suoi occhi liquidi, cercando di ricavarne risposte.

«Albus?» lo richiamava infine lui, perplesso, e riaffondava nel dubbio.

D’altra parte, Scorpius Malfoy non riempiva del tutto i suoi pensieri. Rose, sebbene Albus trovasse la sua reazione esagerata e melodrammatica, sembrava aver preso molto sul serio il suo Troll in erbologia. Dopo che il suo eremitismo aveva avuto fine – poiché c’era un limite alle lezioni di trasfigurazione che poteva saltare – aveva ricominciato a vagare per i corridoi con un’aria afflitta nascosta dalle pagine pesanti da cui non si staccava un attimo. Albus aveva poi notato, solo quel pomeriggio, un sorriso niente affatto rassicurante che le scintillava in faccia, non dissimile da quello che sfoggiava solitamente zio George. Quello lo preoccupava più di tutto il resto.

«Scorpius?» cercò di richiamare le attenzioni del compagno, assorbito da un trattato di Storia della Magia che Albus era sicuro avrebbe dovuto ricordare dalle lezioni nebbiose del professor Ruf.

«Sì, Albus?»

«Credo che andrò a fare un giro nella sala comune di Grifondoro, forse Rose ha bisogno di sfogarsi…» si strinse nelle spalle.

«Certo. Nessun problema, io ho quasi finito. Mi raggiungi in sala Grande?»

«Sicuro» annuì Albus, alzandosi. Si lisciò un’invisibile piega della divisa, facendo un passo verso la porta. Dure, tre. Si fermò.

«Vuoi venire?»

Gli occhi di Scorpius erano sempre imperscrutabili, per Albus, perché sembravano persi nella polvere delle righe che leggevano senza sosta, ma c’erano dei momenti in cui lo guardavano, davvero, come non era mai stato guardato ed erano brillanti e Albus si sentiva spogliato e inerme.

Sorrise un po’. Albus si ritrovò a pensare che quella era forse la prima volta che lo vedeva sorridere davvero. Le sue labbra non poterono fare a meno che inarcarsi di riflesso. «Lo prendo per un sì.»

 

I grifondoro, forse per onorare il loro nome o il loro spirito, erano sovente parecchio simili a bestie selvagge. Albus lo pensava spesso. Quando poi si trovavano di fronte a ingiustizie, al quidditch o a dei serpeverde, allora erano anche feroci. Albus non poteva fare a meno che paragonare la loro sala comune a una foresta amazzonica, ma, beh, non in modo letterale. Non così.

O almeno, non fino a quel giorno.

«Weasley è il nostro re» disse alla Signora Grassa, che rivolse uno sguardo torvo alla cravatta grigio-verde di Scorpius, ma li lasciò passare. O meglio, lasciò uscire uno sbuffo di rami verdastri, che non appena la porta si aprì invasero un tratto di corridoio.

«Cosa diavolo..?» chiese Albus ad alta voce, spostando con la punta della scarpa quella che sembrava un’enorme liana, verdastra e viscida. Dall’interno della sala comune proveniva un insolito e agghiacciante silenzio tombale.

«Dovremmo avvertire qualcuno» commentò Scorpius.

Albus, che essendo dopotutto un Potter tendeva a pensare di avvertire le autorità competenti solo come ultima alternativa, gli rivolse uno sguardo sorpreso.

«Ehy!» chiamò ad alta voce Scorpius. «Ehy, potresti…?» ma il ragazzino di corvonero non gli rivolse attenzione e fuggì prima che potesse chiedergli di chiamare un professore.

«E poi saremmo noi, i codardi» sbuffò Albus.

«Okay, allora, credo che dovrò andare io a…»

«Albus?» Il sussurro veniva dalle fronde, e per un breve attimo Albus si chiede come la pianta potesse conoscere il suo nome. «Albus? Ci sei? C’è qualcuno?»

«Rose? Sono io! Cosa diavolo è successo?»

Il piagnucolio che ricevette in risposta non fu affatto incoraggiante. «Oh Albus, mi dispiace così tanto… io volevo solo… volevo… e poi questa stupida pianta…» un urletto stridulo interruppe il lamento di Rose.

«Rose? Rose!» gli occhi di Albus, dietro le lenti, si erano fatti allarmati.

«Depulso» provò Scorpius, la bacchetta puntata alle fronde che sbarravano l’entrata. Quelle si ritirarono per un breve attimo, prima di allungarsi a schiaffeggiarlo.

«Diffindo! Dissendio! Rosie, ci sei?» urlò Albus, grato alle serate in biblioteca con Scorpius che gli avevano fornito una discreta conoscenza di incantesimi e ai litigi con James, che in particolare lo avevano introdotto agli incantesimi che tagliavano o facevano esplodere.

Scorpius iniziò a ripetere quello che faceva lui, ma appena si allungo per spostare una liana quella si avvolse intorno al suo polso, e in breve era scomparso nel buio verdastro.

«Scorpius?» chiese esitante Albus alle fronde, ma l’unica risposta fu un colpo diretto alla sua testa e finalmente, come non gli era successo con l’imbarazzo dei primi giorni né quando gli avevano tolto il cappello parlante dalla testa, sebbene allora lo avesse sperato di cuore, svenne e sprofondò nel cuore pulsante della terra.

 

Si risvegliò con un gran mal di testa e la bocca impastata, come se si fosse addormentato dopo essersi riempito la bocca di terriccio secoli prima. Cosa che, per inciso, non era del tutto improbabile, considerando che sentiva la pelle del viso sporca di fango indurito ed era immerso in un buio fitto che sembrava che il mondo intorno a lui fosse morto. La liana, pensò, non doveva essere stata particolarmente attenta alle sue condizioni mentre lo fagocitava.

Si arrischiò allora ad aprire gli occhi, ma nel buio non riusciva a scorgere assolutamente niente.

«Rose? Scorpius?» chiese all’oscurità. Inaspettatamente, il vuoto gli rispose.

«Oh, Albus, mi dispiace così tanto…» singhiozzò Rose. «Moriremo qui?»

«Non essere sciocca, Rose, qualcuno si renderà sicuramente conto della nostra assenza prima che moriamo.»

«Oppure potrebbero accorgersi dell’improvvisa presenza di flora tropicale nella torre di Grifondoro» considerò Scorpius con una vena di sarcasmo che Albus trovava assolutamente indecente da mostrare per la prima volta in una situazione come quella. O almeno, era ciò che avrebbe dovuto pensare. In realtà gli venne solo da ridere istericamente per la situazione assurda in cui si trovava, che sembrava portare il marchio di sfiga registrato Potter in ogni foglia.

«Attento a quello che dici, Malfoy, credo che sia… senziente.»

«Non le piace sentirsi chiamare stupida pianta?» chiese retoricamente, e poi tossicchiò un po’, segno del fatto che no, a quella cosa non piaceva per niente.

«Allora sei scemo! L’avevo detto, io, che un Malfoy ha il cervello che fa contatto con le mutande oppure non ce l’ha proprio.»

«Shh…» la zittì Scorpius. Albus poteva immaginare distintamente il rossore che riempiva di chiazze il collo di Rose, la vena sulla tempia che iniziava a pulsare furiosa a ritmo degli epiteti destinati a un qualunque Malfoy che si fosse arrischiato a zittirla.

«Sto provando a… ecco» esclamò con inutile entusiasmo. «Lumos» mormorò, e Albus poté finalmente vedere ciò che aveva intorno. Rose era appesa a testa i giù, del tutto avviluppata in spire dall’aria pesante che sembravano mozzarle il respiro. La avvolgevano fino a sotto il mento, e aveva un rametto uncinato ad ogni ciocca. Albus sospettava che se avesse detto qualcosa di scortese si sarebbe trovata pelata e soffocata in un battibaleno. La testa di Rose era esattamente allo stesso livello di quella di Scorpius, che però stava dritto, per quanto le sue gambe fossero immobilizzate da un tronco solido. Non li separavano che qualche centimetro e la bacchetta che Scorpius era riuscito a recuperare. Anche Rose dovette essersene accorta, perché mugolò e cercò di mettersi da parte, ma una stretta della liana parve farle cambiare idea.

«Ottimo, Malfoy. Hai la bacchetta. Ora devi solo… tagliare tutto.»

«No» scosse la testa. «No, non è una buona idea. Lo hai detto anche tu, no? È senziente. Non credo che le piacerebbe se provassimo a sminuzzarla.»

«Cosa proponi, allora?» chiese Albus. In un altro momento si sarebbe sorpreso del fatto che Scorpius, il timido e taciturno ragazzino smilzo che lo accompagnava per condividere con lui la necessità di silenzio, avesse preso il comando con tanta semplicità. In quel momento sembrava naturale, l’evidente e unica scelta logica.

«Non so… depulso?» ma una liana lo schiaffeggiò offesa, sulla guancia opposta a quella che aveva centrato la volta precedente e su cui ancora spiccava un segno rosso.

«Allora… rictusempra» puntò la bacchetta contro il grosso tronco che avvolgeva Rose, che per un secondo parve stringersi attorno al suo corpo facendola diventare ancora più rossa di quanto già non fosse, per poi lasciarla e contorcersi a mezz’aria.

«Soffre il solletico, a quanto pare» sorrise Scorpius. «Accio bacchetta di Rose» provò, ma la bacchetta non lo raggiunse. Arrossì, imbarazzato. «Mi dispiace, ancora non mi viene.»

Ma Rose lo guardava con gli occhi spalancati. Albus pensava che forse era perché mentre l’albero la lasciava era caduta di testa, ma più probabilmente era perché Scorpius aveva sistemato in qualche minuto un casino di dimensioni epiche. A Rose piaceva l’ordine, sì, e anche gli incantesimi di livello avanzato.

«Evanesco» pronunciò il biondo, ancora rosso d’imbarazzo, che di quello sguardo pareva non essersene proprio accorto. Il ramo che teneva Albus scomparve.

Albus si chinò a raccogliere le bacchette dalla pozza di melma in cui erano finite, mentre Scorpius sillabava incanti immobilius e impedimenta ad ogni ramo che vedeva, per evitare una ritorsione.

«Mobiliarbus» dissero infine Rose e Scorpius, senza essersi in alcun modo messi d’accordo, e i rami si spostarono riluttanti a formar loro un passaggio. Lo sguardo che si scambiarono sembrava il preludio della nascita di qualcosa di importante, ma Albus non se ne rese conto perché dall’altra parte del corridoio di arbusti, l’espressione un po’ arcigna e tanto tanto esasperata, stava la professoressa McGrannitt affiancata dal professor Paciock.

«Non avevo nessun dubbio, signor Potter, che lei c’entrasse qualcosa. Signorina Weasley. Signor-» ingoiò un singhiozzo a riconoscere il signor Malfoy, impiastricciato di terriccio, affiancato agli altri due. Apparentemente, non sembrava felice del ricongiungimento fra case rivali, né tantomeno era commossa dalla fine della faida ultracentenaria fra Malfoy e Weasley che stava avvenendo proprio in quel momento, proprio in quello sguardo.

«Credo che, signorina Weasley, i suoi genitori dovranno venire a conoscenza di ciò che combina, e chiaramente la punizione che riceverà sarà… adeguata. Si può sapere cosa aveva in mente?» e Rose sbiancò sotto lo sguardo deluso della vecchia professoressa, gli occhi che sembravano nuovamente sul punto di riempirsi di lacrime.

«Io…io…»

«Sono stato io» la interruppe Malfoy sotto lo sguardo sorpreso di tutti i presenti. «Sono stato io. Mi dispiace, pensavo che fosse uno scherzo innocente, non avevo pensato che sarebbe successo tutto questo. Me ne prendo tutta la responsabilità.»

Aveva molti sguardi incollati addosso: quello sorpreso e ancora lacrimoso di Rose, quello furente della McGrannitt, quello intenerito di Neville. Albus lo guardava come al solito, come se fosse stato un libro di antiche rune. Da leggere al contrario

«Non essere sciocco, signor Malfoy, riconosco il tocco della mia studentessa peggiore» intervenne il prefessor Paciock, e Rose abbassò lo sguardo vergognosa.

«E io riconosco l’orgoglio di una Granger e l’avventatezza di un Weasley» continuò la McGrannitt. Albus era convinto che non sembrasse arrabbiata quanto avrebbe dovuto.

«Sono stato io» ripeté Scorpius con più fermezza di quanta Albus ne avesse mai sentita nella sua voce.

«Se il signor Malfoy ritiene però una buona idea addossarsi la colpa, che faccia pure. Meno trenta punti a serpeverde perché è uno scherzo stupido, meno dieci ciascuno perché non dovreste mettere piede nel dormitorio di Grifondoro e meno cinquanta punti perché manca poco a mezzanotte ed è un orario indecente. Dunque, voi, filate a letto. Domani sceglieremo con il signor Gazza la punizione più adatta a non farvi mai più credere che sia lecito fare scherzi innocenti in queste mura. Per quanto riguarda lei, signorina Weasley, ci aiuterà a liberare la sala comune e i suoi compagni. E per domani voglio sulla mia cattedra il tema sulle trasformazioni corporali semplici previsto.»

«Sì signora.»

«A voi avevo detto di andare, o sbaglio? Nel vostro dormitorio, preferibilmente.»

«Certo, professoressa, buonanotte.»

E scomparvero nel corridoio. Il rapido sguardo che si scambiarono rivelò che stavano entrambi trattenendo una stessa fragorosa risata che sarebbe stata quantomeno indecente data l’occasione e che gli avrebbe fatto perdere abbastanza punti da perdere la Coppa delle Case finchè fossero vissuti.

 

L’indomani mattina, la situazione si presentò alquanto bizzarra agli occhi dei due ragazzi. Scesero in ritardo, gli occhi gonfi, diretti alla classe in cui avrebbero avuto la prima ora di lezione, poiché di mangiare non c’era più tempo. La loro camera era silenziosa, gli altri compagni erano già andati. La sala comune di Serpeverde, al contrario, era più rumorosa di quanto non fosse mai stata.

Albus e Scorpius si scambiarono uno sguardo confuso dagli schiamazzi che venivano dal piano di sotto. Prima che potessero decidere di scendere, qualcuno gli venne incontro. Nott, riconobbero i ragazzi, e anche Collins, con cui condividevano la camera, e Georgette Rosier, che era cugina di Malfoy di secondo o terzo grado. Non avevano mai sprecato una parola con nessuno dei tre.

«Malfoy» si avvicinò Nott saltellante. «Malfoy, Malfoy, Maloy. Oh, favoloso. Meraviglioso! La sala comune di Grifonodoro… me l’hanno raccontato, ‘sta mattina a colazione ne parlavano tutti, la professoressa McGrannitt è diventata viola, tipo, sembrava che stesse per esplodere!»

Le sopracciglia di Scorpius scomparvero nel ciuffo scombinato, quando Nott gli strinse la mano e gli diede una pacca cameratesca.

«Non dovrei dirlo» continuò la ragazza «dato che sono prefetto non dovrei proprio dirlo… ma è stato un ottimo, ottimo modo per iniziare l’anno. Orgoglio Serpeverde!» urlò con il braccio alzato, e dal piano inferiore si sentì un urlo di approvazione.

Persino Collins gli fece un cenno, e dato che non l’avevano mai sentito spiccare parola lo interpretarono come un grande segno. Mentre cercavano di uscire ricevettero pacche e sorrisi. Sorrisi da serpe, poi, che Albus non aveva mai visto rivolti a se e non gli fecero certo dispiacere.

«Credo che ti abbiano rivalutato, Malfoy.»

«Ma io non ho fatto niente!» Scorpius aveva ancora un’aria stralunata, probabilmente al pensiero che qualcuno potesse gioire dell’esplosione della McGrannitt, oppure perché non era abituato a tutto quel rumore.

«Loro questo non lo sanno» gli fece un occhiolino.

Un altro piccolo miracolo si presentò a loro qualche ora dopo, davanti all’arrosto, con la sua divisa perfetta e i capelli che, per contrasto, rimbalzavano sulle spalle, riccioluti.

«Albus! Malfoy… volevo solo…» Rose prese un respiro, sollevò lo sguardo azzurro. «Dirvi grazie. Sono stata una vera stupida» sputò fuori quella parola aspramente.

«Tregua?» chiese, porgendo una mano a Malfoy.

Non erano un granché, come scuse, ma Albus sapeva che per l’orgoglio di Rose ammettere uno sbaglio al proprio peggior nemico non era cosa da poco. Anche se forse, a quel punto, non si potevano più chiamare nemesi. Una volta qualcuno disse che non si può affrontare un pericolo mortale insieme senza diventare amici. Beh, nel caso di una Weasley con sangue Granger, c’è solo un rischio peggiore della morte. L’espulsione.

«Tregua.»

 

 

 

NdA:

Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, e che non odiate troppo la mia piccola Rose: comprendo che per il momento possa essere insopportabile, ma garantisco che nel corso della storia subirà un cambiamento parecchio radicale. Per quanto riguarda gli altri: aspetto opinioni!

L’ultima volta che ho aggiornato era Natale, e spero che il prossimo aggiornamento non mi impieghi così tanto tempo e che voi vogliate seguirmi ancora, quindi alla prossima!

 

 

 

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