13 Years

di Hidalgo_Aragorn
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** !Attenzione! ***
Capitolo 2: *** Lets go ***
Capitolo 3: *** Not Welcome ***
Capitolo 4: *** Para Siempre ***
Capitolo 5: *** Write Me ***
Capitolo 6: *** Geografich ***
Capitolo 7: *** pomeriggio insieme ***
Capitolo 8: *** my Edward ***



Capitolo 1
*** !Attenzione! ***







 
Prefazione; 
Storia completamente inventata, con nomi scelti a caso, senza riferimenti. Può avere tematiche violente, tra cui sesso e depressione. Non è contro nessuno e non è per prendermela con qualcuno, scusate la prefazione ma se non siete al livello di sopportazione, chiudete. Se avete domande sarò ben felice di rispondere, ma se volete fare commenti acidi sul mio "non avere nient'altro da fare che dare fastidio" risparmiatemi lo stomaco e non mettete "like", grazie.

Ps: tutto ciò che verrà scritto è scritto per una ragione, non cambierò nulla della trama e non la renderò più abbordabile, scusate la cattiveria ma "13 anni" è nata in un modo e rimarrà cosí, punto.

 

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Capitolo 2
*** Lets go ***



Filadelfia, in Pennsylvania parve piacere particolarmente a mia madre, quel 13 ottobre, quando arrivammo, ufficilamente con il nostro bel camper bianco a seguito. In quel periodo non guidavo ancora l'auto, solo la moto -e ieri come oggi mi piace ancora molto farlo- per quanto a Emma venisse un accidente ogni volta che la toccavo, soprattutto dopo che l'anno prima avevo zampettato con le stampelle per quasi 6 mesi. 
Era tutto grigio, scuro, diverso da Montgomery in Alabama, era la prima volta che vivevamo sulla costa, ma anche la prima volta che eravamo solo io e mamma, niente nonni in giro e niente zii. Solo io e mamma. Le nostre regole, le nostre vite, niente che potesse minacciare lei, perché nessuno sapeva nulla. Eravamo in incognito. Stupendo. 
Erano circa le 5, e la Mercedes GLC rossa di mamma girava silenziosamente per quella città. 
-sicura che è di qua?- le chiedo per la quinta volta. -mamma, non è più sensato se ci fermiamo e guardiamo le indicazioni dell'agente immobiliare?- lei alza gli occhi e finalmente mi da retta. Mi darei una pacca sulla spalla dopo quella vittoria. Le voglio bene, ma è una gran testa dura. 
Mamma si ferma sull'angolo della strada, mette le quattro frecce e tiro fuori dal cruscotto le indicazioni di Ben, l'agente immobiliare. Le consulto e oltre la sua brutta calligrafia riesco a trovare una luce. -ehm... prova a tornare indietro, abbiamo sorpassato la rotonda giusta- dichiaro. 
Mamma prende i fogli a sua volta, li analizza da brava calcolatrice umana e me li passa di nuovo. -dimmi quando devo girare, renditi utile- dichiara sarcastica ed esausta, è tutta la notte che guida, ma riesce ancora a farmi un sorriso. Annuisco, come posso rifiutarle qualcosa... 
Lei gira la macchina e torniamo sul ponte che abbiamo appena sorpassato. Le indico di andare dritto e alla prima rotonda, la prima uscita a sinistra, ancora dritto e alla prima a destra. Entriamo nella città e mentre che osservo una città che si sta svegliando, sorrido, finalmente, liberi. 
Mamma lei pure sorride e abbasso il finestrino per far entrare un pò di aria fresca nell'abitacolo. Ciò le scombina i capelli e fa sottolineare la sua pelle color avorio e i capelli castani scuri lunghi, lunghissimi. Ma la cosa che amo di più di mia madre, oltre agli occhi verdi, è il suo calore, il non togliermi mai nulla e di riuscire a sorridermi anche esausta o incazzata. È la mia migliore amica. 
E mentre lo penso, batte le mani e sorride, siamo arrivati davanti alla villetta indipendente color crema che mamma aveva preso per noi. 
-siamo a casa amore- mi dice prima di baciarmi il capo e scompigliarmi i capelli. 
-già, finalmente a casa- dichiaro a mia volta e scendo dall'auto. Tiro fuori il mio zaino nero, le buste delle cose urgenti e mi avvio verso la veranda. Mamma apre la porta e accende la luce. Poso la roba ed entrambi torniamo indietro. Cominciamo a scaricare gli scatoloni, le borse e poi, il mio e il suo materasso. Tutta la nostra vita. Circa dopo un ora, nel piccolo spazio che fa da ingresso, ogni centimetro vivibile è coperto dalle nostre cose. La guardo, lei mi guarda, ci fissiamo per qualche istante. 
-facciamo colazione- dichiara e annuisco, ne ho un assoluto bisogno e anche immediato. 
Usciamo dalla casa, mamma chiude la porta e andiamo a piedi verso il centro. Mi stringo nella felpa nera a maniche bianche e mi guardo attentamente in giro. È tutto diverso dall'Alabama. Ovvio, ma deprimente. Dopo una decina di minuti, troviamo il nostro obiettivo, un bar, alleluja! 
Mamma mi apre la porta ed entro per primo. L'ambiente è carino, intimo, caldo e mi piazzo davanti alla vetrinetta a leccarmi i baffi. 
-buongiorno- dice la signora che sta al bancone. -siamo mattinieri- e parla con mamma mentre sono indeciso tra una fetta di torta, un muffin, un brownie o un panino. 
-tesoro...- mi richiama e alzo lo guardo verso lei. -tu cosa bevi?- 
Ci penso, cosa bevo? -un cappuccio- dichiaro e mentre mi raggiunge ancora sono indeciso. -posso due?- chiedo e lei ridacchia. Fa spallucce e annuisce. -io voglio un brownie e il panino al formaggio- dichiaro 
Mamma guarda un momento e alza lo sguardo. -Io una fetta di cheesecake e una di torta al cioccolato- 
Mamma paga tutto e la signora mi passa le ordinazioni mentre, Emma aspetta le bevande. 
Non voglio addentare il panino ma è molto forte in me quell'istinto, ma la aspetto. Mi raggiunge al tavolo minuto con le nostre ordinazioni e mentre verso lo zucchero nel bicchiere di carta, addento il panino, affamato. -sei felice che siamo venuti qua, ma'?- le chiedo e annuisce. 
-sì, e tu?- mi chiede mentre mi guarda e mi analizza. 
-sì, così nonna sta zitta- dichiaro, inacidito di colpo. 
-Edward, dai...- mi dice e sbuffo. Ha ragione ma sono arrabbiato comunque. Nonna, sua madre, Gabrielle, mi vuole bene, ma non ne vuole abbastanza a lei e non mi sta bene. 
-non voglio che ti senta giudicata da lei, sai i motivi delle tue scelte e sai che se le hai fatte avevi dei motivi, punto. Vorrei che papà avesse avuto il coraggio di prendersi le sue responsabilità...- dico e lei abbassa lo sguardo. 
-lascia perdere tuo padre, Edward, il passato è passato, e come quello nemmeno tua nonna si può cambiare-

Al ritorno a casa, andiamo in esplorazione: la cucina funziona e la aiuto a riempirla come prima cosa e poi saliamo di sopra, mi lascia scegliere la camera poi la aiuto a portar su i mobili, tra cui i materassi, poi le scatole. Faccio il letto, con le mie lenzuola di cotone blu, metto la trapunta rossa, cerco di sistemare i miei mobili e i libri, poi, esausto, mi butto di schiena sul letto. La camera è carina nel suo complesso, ha un balcone che da sul retro della casa, le pareti bianche e il parquet color nocciola. È bello sapere che c'é qualcosa di gradevole ad aspettarmi dopo l'inizio delle lezioni. Mamma entra, appende velocemente delle tende di cotone e raso, bianco e celeste, poi si volta e si butta sul letto a fianco a me. -puffo, che succede?- mi chiede e le sorride. 
-ho 16 anni- commento semplicemente. 
-e io 30, e quindi?- mi chiede e ridacchio. 
-perché sai sempre cosa dirmi?- faccio sarcastico. 
-perché sono tua madre e ti conosco Edward. Potrai non volerlo ma questa cosa funzionerà, amore. So che Montgomery era casa nostra ma... Ma vedrai che anche Filadelfia ci andrà a genio, ci vorrà del tempo ma sarà questa la nostra nuova casa e ti prometto che qui non ti guarderanno come ti guardavano là, okay?-
Adoravo mia madre ma in quel momento non capiva che il mio problema con Montgomery non era come guardavano me, ma come guardavano lei. Lei che era la 13enne rimasta incinta... Di me, Edward Joans.

okay, sono io, questo è il primo capitolo ... ditemi chi aveva capito che era un bel maschione il mi0 protagonista ...
ps. più avanti vi spiegherò il motivo di tutto, un bacione

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Capitolo 3
*** Not Welcome ***



La mia sveglia personale, è sempre stata Emma e quel giorno, quel 14 ottobre, un mercoledì, non tardò ad arrivare. Mamma era una precisina, calcolatrice e... E commercialista, a quel proposito, non tardava una virgola soprattutto se era nervosa, come quel giorno che entrò nella mia stanza, in accappatoio, ammonendomi di farmi una doccia, che non tardai a consumare. Calda, rilassante, una culla di tranquillità e pace. Il mio bagno era composto da basi e mobili scuri, sopra una superficie color perla. Armadietti a specchio e per l'appunto la doccia. Mi avvolsi in un asciugamano e poi analizzai se i vestiti che avevo scelto la sera prima li volevo ancora. Sì, andavano bene: una camicia nera, una polo bordoux, la felpa del giorno prima e dei jeans chiari, scoloriti con qualche buco. Avevo particolarmente freddo e mentre mi asciugavo i capelli cercavo di rubarmi tutto il calore possibile del phon. Mi guardai allo specchio mentre mi sistemavo: non mi definivo bello per principio, somigliavo poco a mia madre, avevo i capelli castano chiaro e occhi cerulei. La pelle e la forma degli occhi uguali a mamma, ma il naso, le labbra, i miei toni chiari dovevano essere di mio padre. Non lo avevo mai conosciuto e per quanto fossi curioso, non lo ero abbastanza per buttarmi in quel genere di impresa. Ma ero pronto per buttarmi sulla mia colazione, ma prima lo zaino. Non avevo idea delle materie della giornata, l'orario non mi era dato saperlo e infilai semplicemente un cambio e dei quaderni per prendere appunti nel mio scolorito zaino color senape, ormai sporco e frusto. Non ero mai stato popolare o visto di buon occhio, un pò per via di mamma e un pò perchè non ero un tipo così socievole. La scuola non mi piaceva ma frequentavo per Emma, lei ci teneva e io lo facevo solo per lei, per quanto spesso in classe non fossi sempre il più bravo o corretto, avevo preso le mie note e i miei richiami e a volte avevano pure chiamato mia madre. 
Ed ero terrorizzato di dover ricominciare da capo, ricominciare a sentirmi piccolo, per quanto fossi 1.75 al momento e non avessi nemmeno finito la crescita. La scuola mi riduceva in un cumulo di carne, anonima e piccola, che non aveva una voce o un'identità. Strinsi a me i vestiti e mi venne l'impulso di alzare il cappuccio e nascondermi, ma ero ancora a casa e non mi sembrava il caso. Scesi di sotto, dopo essermi messo le scarpe e trovai mia madre a rigirare la cucina dai toni chiari di fretta senza avere un vero obbiettivo. Mi venne incontro. -rosso o blu?- mi chiese mostrandomi le due camice di chiffon, quasi identiche. 
-blu, sopra i jeans bianchi- commento. -con i platò blu- 
Lei annuisce e torna di sopra di fretta. Io armeggio, cercando del succo. Mamma aveva preparato delle frittelle e tutto felice, spolverai uno strato di zucchero a velo e addentai la colazione. Erano ancora calde, invitanti, mi si scioglievano in bocca. Un sapore zuccheroso e invitante, con un pizzico di cannella che mi ricordava quando ero molto più piccolo. Mamma me le preparava sempre quando stava per succedere qualcosa di importante. Tornò a scendere e applaudí, era davvero bella e il colore chiaro della sua pelle risaltava sotto i toni freddi. Le bacia la guancia: -come hai dormito ma'?- le chiedo. 
Mi baciò la tempia: -bene amore, e tu piccolo?- 
-bene, ero molto stanco- dichiaro. -e hai ragione, il gelsomino è molto buono come deodorante- 
Sorride. -te l'avevo detto, sarò una mamma giovane, ma qualcosina la so- sorrido, lei non lo sa, ma quello lo sapevo già. 
-tra venti minuti partiamo, okay?- mi chiede. -non so quanto ci metteremo ad arrivare e così hai tempo di fare le cose in segreteria... O vuoi che venga?- 
Faccio no con la testa: -nono ce la faccio, tu vai al lavoro, stai calma e non preoccuparti me la caverò- mi scompiglia i capelli e torna a baciarmi. 
-finisci di mangiare pulcino, così ci avviamo- si siede a fianco a me e controlla di avere tutte le sue carte. Mangio con calma, succhio tutto succo d'arancia e pulisco gli utensili, torno di nuovo di sopra e mi lavo i denti. Scendo di nuovo e aspetto che mia madre finisca di prepararsi. Controlliamo di avere tutto e uscendo, tiriamo fuori l'auto dal garage e monto dalla parte del passeggero e inizio ad analizzare l'accurata collezione di CD a nostra disposizione: -Paul McCartney o Michael King Jackson?- le chiedo mostrandole la mia scelta. 
-il nostro re, Edward, mi sembra ovvio- dichiara e accendo lo stereo inserendo il CD, da cui "Black and White" parte trionfante. La nostra tensione era palpabile, io continuavo a passarmi le mani tra i capelli e lei, si tortura le pellicine e muove le mani più schiettamente del solito. -andrai bene- le dico -sei brava, la migliore nel tuo campo, altrimenti non ti avrebbero preso... Ti chiamo appena ho un momento, così mi dici se ho ragione- lei mi sorride e annuisce. 
-tu fai il bravo, non mi va di litigare con i tuoi professori anche qui- mi ammonisce. 
-tranquilla, qui nessuno mi conosce, di certo non mi sfideranno- mi guarda male e le sorrido. 
-Edward, ti prego... Comportati bene, grazie- mamma non urla, non tiene il muso, non mi mette in punizione, ma si fa capire. O almeno io capisco. Si arrabbia solo con nonna, perché sin da quando sono piccolo, cerca di mettermi dalla sua parte. E mamma urla. Lei non ha mai voluto che nonna si occupasse di me, anche se lei era molto giovane, io ero suo, non di qualcun'altro. Nonna in quei momenti le tirava uno schiaffo, così mamma prendeva me di peso -per quanto l'avrei seguita ovunque- e ce ne andavamo. Lei piangeva, ma ero io con lei e in qualche modo sarei riuscito a farla ridere e lei avrebbe sorriso per me. 
"Billie Jean" parte, ricordandomi che Emma mi ha avvisato. -cercherò di renderti fiera- 
Lei torna a guardarmi male. -Edward Joans, io sono sempre fiera di te, vorrei solo non ricominciare a fare avanti e indietro dal tuo preside come l'anno scorso- so che ha ragione ma avevo le mie ragioni. Annuisco e ci concediamo qualche minuto di musica prima di svoltare dentro il campus recintato scolastico. Parcheggia in mezzo al piazzale e per un momento rimango a fissare il vuoto. -devo proprio?- chiedo retorico, lei annuisce e ci rinuncio; mi avvicino per farmi dare un bacio che non tarda ad arrivarmi su una guancia. -ti voglio bene, ti chiamo piú tardi- le dico.
-te ne voglio anche io amore, fai il bravo, ci vediamo verso le 4 o le 5- mi comunica mentre scendo dall'auto. Le do un bacio veloce e la saluto con la mano prima che parta. Mi avvio verso la porta ed entro alzandomi il cappuccio. Cerco velocemente la segreteria e sono più tranquillo quando sono conscio che sta succedendo e che mi sembra una giornata normale. La segreteria è un piccolo ufficio dalla porta arancio con due balconi distinti e qualche sedia per l'attesa, nere. Le segretarie ci sono già e mi avvicino ad uno dei balconi. Sopra volantini e avvisi, dall'altra parte tutti i documenti. La donna è una classica segretaria, vestita elegante ma alla bell'e meglio, con capelli raccolti e occhiali sottili sul naso.
-cosa posso fare per te?- mi chiede e mi si secca la bocca. 
-sono nuovo, mi hanno detto di venire a ritirare documenti e orario qui- dichiaro. -sono Edward Joans- la avviso. 
Lei fruga tra le carte fino a trovare un fascicolo e me lo passa; -qui c'è tutto, orario, predisposizione delle aule, i professori, i prossimi compiti, quelli che devi fare e il programma svolto con le dispense di appunti- annuisco e lo apro. Quel giorno avrei avuto: chimica-storia×2-lettere-matematica. Mi indica la prima aula e mi disse che all'interno c'era un modulo da far firmare alla famiglia per i dati. 
Ringraziai e me la filai, per girare un pò a vuoto alla ricerca dell'armadietto in cui gettare il cambio e magari per familiarizzare con gli spazi. 
Appena lo trovai, litigai con la chiave na dopo l'apertura gettai alla bell'e meglio tutto ciò che era il troppo e analizzai velocemente la cartina: c'erano 3 edifici, due a 3 piani e uno a 4. Io mi trovavo nell'edificio 3 e per la prima lezione dovevo andare nell'aula 1.03 dell'edificio 1. Mi avviai subito lungo quel che era il corridoio principale. Seguì le indicazioni e mentre uscivo nel cortile suonò la prima campanella e le gambe mi divennero molli ma accellerai il passo. Iniziò a popolarsi di ragazzi e divenni più nervoso di prima e cominciai a correre. Entrai da una porta a vetri e continuai dritto, salì mezza rampa di scale e svoltai a sinistra per poi entrare subito a destro. Lì, mi resi conto di essere entrato in classe e mi sentì avvampare. Mi voltai verso la cattedra e sorrisi alla prof che mi guardava confusa. Consegnai il modulo, si annotò il mio nome e mi ammonì di mettermi a seduto, senza tante cerimonie per poi iniziare a parlare. Come mio solito, cominciai a prendere appunti senza guardarmi in giro e senza fregarmene più di tanto. 
Non era l'inizio che mi aspettavo, ma andava più che bene. Scoprì in giro di 10 minuti che stava spiegando esattamente quel che avevo iniziato a Montgomery, entusiasta mi sentì più a mio agio di prima e feci addirittura un paio di domande. 
Al termine della lezione, capì di essere fottuto, storia, era al terzo piano dell'edificio 2.
-ehi straniero- fece quel che doveva essere una mia compagna di corso. 
-dove devi andare?- mi chiede. 
-a storia, alla 2.23- dichiaro dopo aver consultato l'orario. 
-ti accompagno, così non ricominci a correre inutilmente- mi dice. -a proposito, sono Elena Dallas- annuisco. 
-io, Edward Joans- lei mi indica un corridoio che percorriamo totalmente, fino a passare per un tunnel sospeso per raggiungere l'altro edificio. Saliamo le scale sulla destra per due piani e svoltiamo a sinistra poi ancora a destra e davanti ho l'aula. 
-eccoci, spero che ti troverai bene Edward- mi dice. 
-grazie Elena, lo spero anche io- e detto questo entrai in classe, più sollevato e dopo aver dato il modulo al professor Banner di storia, lui mi sorrise e si alzò: -ragazzi, lui è Edward Joans, appena trasferito dall'Alabama, spero gli darete un buon benvenuto- e dalle facce contrariate dei miei compagni di quell'ora, capì che non ero benvenuto. 

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Capitolo 4
*** Para Siempre ***



Nel tornare a casa, presi il classico autobus giallo e chiamai mamma: dopo un paio di squilli mi rispose. 
-ciao amore!- mi dice pimpante. -stai tornando a casa? Hai mangiato?- mi chiede velocemente. 
-sí sto tornando a casa, no non ho mangiato, farò un panino quando arrivo- dichiaro. -tu invece? Come sta andando? Quando torni? Preparo la cena?- chiedo velocemente. 
-mangia, mi raccomando; forse verso le 5; no, non ti preoccupare. Quando torno mi racconti, ora vado, un bacio amore-
-sì a dopo, ti voglio bene- metto giù e sono felice che le piaccia, perché le piace, dal suo tono di voce l'ho già capito. 
L'autobus è pieno di miei coetanei che nel momento in cui si erano accorti della mia presenza, ed esistenza, avevano iniziato a guardarmi curiosamente, bisbigliando, senza però dirmi veramente nulla. 
Bello, ero diventato la nuova opera da "guardare e non toccare".
Non so se fosse per il cappuccio nero in testa o per i miei occhi strani, che nessuno sembrava starmi cagando per davvero ma la cosa mi sorprese a darmi fastidio. Nessuno si era seduto a fianco a me e nessuno sembrava interessato a farlo. 
Questi ragazzi della costa est cominciavano a darmi sui nervi, tutti perfettini nei loro vestiti Prada o Gucci, con borse di Versace e Chanel. Stupidi ricconi figli di papà; l'unica mia vera fortuna in quel momento è che non ero iscritto in nessun tipo di social così non avrebbero mai scoperto nulla di me. 
Chiusi gli occhiali, aspettando la mia fermata mentre ascoltavo "stay" di Jackson Browne. 
Forse a Emma, Filadelfia piaceva ma a me proprio no. O forse era solo la mia età che mi rendeva scettico.
Lì aprì giusto in tempo per riconoscere il quartiere in cui abitavo dal giorno prima e avvicinarmi all'uscita. L'autista aprì le porte a 200 metri da casa mia e con lo zaino in spalla e le mani in tasca scesi senza dare nell'occhio e andai dritto per la mia direzione, in compagnia, questa volta di Céline Dion. Arrivato davanti a casa, è come scaricarsi di dosso un peso, cosa che mi capitava raramente. Entro e l'ingresso color crema che non mi dice assolutamente nulla mi rilassa. Poso, rumorosamente lo zaino a terra, tolgo le scarpe che metto in una scarpiera a specchio. Striscio i piedi sul parquet chiaro prima di entrare in cucina, dalle basi blu e i toni estivi. Nel frigo a 2 ante, trovo il mio succo d'ananas e la scatola di insalata nizzarda. Esco dalla cucina ed entro nel salone in cui mi butto sul grosso divano ad angolo con il telecomando in mano. 
Accendo e punto a "Real Time", dove trovo "Grassi vs Magri" e proprio con l'ora di pranzo fa pandan. Appena mi fiacco di farmi salire un conato di vomito, giro su "Paramount Channel" e trovo un vecchio film a metà, il "superfanta genio" con Bud Spencer e finisco di pranzare con lui. 
Certe volte vorrei un fratello o una sorella con cui litigare per il telecomando o che mi tiri fuori dalle risse, solo per non sentirmi solo come un cane come in quel momento. 
Finisco di pranzare, spengo, e torno in cucina. Sistemo e torno nell'ingresso a prendere lo zaino. Vado nella sala da pranzo ufficiale, che è da 12, il cui tavolo dalla superficie azzurra, servirà solo a me per studiare. Poso lo zaino su una sedia e mi metto capotavola. Il giorno dopo ho: motoria×2-scienze-storia-lingua-chimica. Nel fascicolo dei compiti, trovo una piccola agenda, e faccio tutti i compiti assegnati per il giorno dopo. 
Decido di segnarmi l'orario scolastico:
Lunedì: lettere×2 - biologia - storia - fisica. 
Martedì: storia - matematica×2 - lingua - scienze 
Mercoledì: chimica - storia×2 - lettere - matematica 
Giovedì: motoria×2 - scienze - storia - lingua - chimica 
Venerdì: biologia×2 - geometria - arte×2 
Studio per fare il medico, di base o specializzato, non so ancora bene cosa. Ma so che è ciò che voglio e nessuno mi impedirà di arrivare al mio obbiettivo. Nemmeno tutte le verifiche in programma. 
Verso le 5, tirai fuori le liquirizie, mentre finivo il saggio di storia e politica, e quando sentì la porta aprirsi, alzai lo sguardo aspettandola. 
-Edward...- disse subito. 
-in sala- le comunicai e la vidi entrare in tutto il suo splendore. 
-ciao amore- mi dice venendomi vicino e baciandomi in fronte per poi sedersi sulla sedia bianca imbottita a fianco. -come è andata la giornata?- mi chiede e alzo gli occhi. 
-non bene quanto speri, ma è andato tutto tranquillo, anzi fin troppo, son diventato qualcosa da guardare e commentare. Non ho pranzato proprio perché sarei stato solo... E te?- scuoto le spalle a quella pesantezza e lei mi passa le mani sui capelli. 
-amore mio non sai quanto mi dispiace, vedrai che sarà solo un periodo; le persone sono restie verso le novità, con calma ti abituerai, te lo prometto- so che le dispiace, come so che l'ha fatto solo per il mio bene e forse per lei potrei anche provarci. -a me bene, fin troppo, è un bel ufficio, ci sono molti giovani e molte nuove proposte. È forte come posto- 
-sono contento che tu sia felice, e sono sicuro che questo sarà il posto per te- dico e lei mi guarda dolcemente. -sono fiero di te mamma- mi bacia ancora e si alza. 
-ti faccio lavorare, finisco di sistemare poi inizio a preparare la cena; vuoi qualcosa di particolare?- 
-magari sushi- dichiaro e lei annuisce. 
-dopo lo vado a prendere, fai il bravo e se hai bisogno, avvisami- annuisco e le passo una delle liquirizie lunghe. La accetta e mi lascia nella stanza.

Verso le 8 mia madre torna a casa con il vassoio di cibo cinese. Lo posa sul bancone della cucina e ci sediamo attorno con le bacchette tra le dita. 
Mamma si butta sui ravioli di gamberi e io su quelli di carne. Sono buoni, caldi, avvolgenti, in tutto il suo sapore sugoso e rotondo. Me ne mangio 10 in una volta sola. Dopo scelgo i nigiri alla Philadelphia, senza i quali non vivo, hanno un sapore fresco e delizioso; mamma ha scelto il ramen, gli spaghetti in brodo. Lei ha preso anche gli spiedini di gamberi, la tartar di salmone e vari tipi di sushi: uramaki, sushimi di tonno, tiger roll e, patatine. Spazzoliamo via quasi tutto e quello che rimane me lo mette in una vaschetta da mangiare il giorno dopo a pranzo. Sparecchiamo e per la prima volta da quella mattina, vado nella mia stanza e sul letto, fatto da lei, trovo un pacco bianco con un nastro argentato. Esco dalla stanza e mi affaccio sul pianerottolo: -mamma- lei dal piano di sotto sale le scale e mi viene vicina. 
-apri- mi intima e ci sediamo sul bordo del letto. È un pacco grandissimo, largo quanto il mio letto e lungo 70-80 centimetri, forse di più. Frenetico, lo prendo, sciolgo il fiocco e alzo il coperchio. Lì rimango esterrefatto: una scatola blu di Adidas originals e sotto uno strato sottile di cartavelina, una chitarra elettrica blu e bianca con una cinghia con fulmini. Apro la scatola di scarpe e trovo delle Adidas Gazelle nere e bianche. Sotto a tutto un CD, il primo CD "Michael Bublé" dello stesso con 13 canzoni reinterpretate. 
Quasi non faccio un salto, sono troppo felice ma anche sorpreso. 
-grazie... A cosa lo devo?- lei alza le spalle. 
-amore, non posso viziare mio figlio?- ridacchio. -e poi, pensavo di aspettare il weekend, ma ti ho visto giù e ho pensato di dartelo prima- 
L'abbraccio forte. -grazie, grazie, grazie; non avresti dovuto ma grazie, sei la madre migliore del mondo, ti adoro- 

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Capitolo 5
*** Write Me ***


Write Me

Il giovedì, mi svegliai deciso a riprovare. Non avrei spinto l'acceleratore ma avrei provato. Infilai il cambio, le scarpe e i libri di scienze, storia, spagnolo e chimica. Come seconda lingua avevo sempre fatto spagnolo e lo adoravo. 
Ero contento me l'avessero messa anche lì. 
Poi pensai a cosa mettere, scelsi una felpa nera con fulmini viola, con sotto una camicia bianca, dei jeans chiari e le mie nuove Adidas. 
Trotterellante scesi di sotto, dal frigo prendo lo yogurt e i biscotti. -vuoi il caffè?- mi chiede e annuisco. Me lo versa nella tazza blu al quale mi aggiunge del latte e un cucchiaio di miele. 
Come il giorno prima mi accompagna nel parcheggio scolastico, mi da un bacio in fronte poi scendo dall'auto. Come il giorno prima torno in segreteria, mamma ha firmato tutto e ho deciso di iscrivermi ad attività extracurricolari. Trovo lì sempre la stessa segretaria elegante del primo giorno:
-buon giorno- mi dice riconoscendomi -com'è andato il primo giorno?- mi chiede. 
-non troppo bene, ma nemmeno troppo male- le dico mentre le do il modulo che guarda attentamente. 
-Edward la firma dell'altro genitore?- 
-non mi è possibile fornirla- dichiaro. Essere l'unico figlio di Emma Joans non mi aveva mai dato nessun problema, ma mi ero accorto che più andavo avanti più l'assenza di mio padre cominciava ad essere problematica. Ma non essenziale, non l'avevo mai conosciuto e ne sentivo né la mancanza né il bisogno. 
-sicuro? Nessun dato, niente?- mi chiede e faccio no. 
-non ho idea di chi sia, mamma non ne parla e da quel che sappia non l'ha mai voluto attorno, non credo nemmeno sappia che esisto- lei annuisce. -crede sia possibile iscriversi a qualche attività fuori orario?- 
Lei guarda tra fogli e mi mostra un elenco. -non c'è un massimo, fammi delle × e ti do gli orari- annuisco e inizio a leggere con tranquillità. Segno: atletica, arte, musica. 
Passo le mie scelte alla donna che guarda e sganghera con il computer. Mi stampa in un foglio e guardandoli noto che arte è quello stesso giorno. 
La ringrazio ed esco dalla segreteria alla ricerca della palestra con... MrMrsJeff4gx. "Ma che cazz..." confuso andai alla palestra, che era un prefabbricato beige su due piani. Fuori da essa trovai un marasma di miei coetanei, ma continuai a guardare l'orario perplesso. 
-ehi- dice un ragazzo vedendomi in contro. -sono Alex Jansen- mi dice. 
-Edward Joans- gli dico. 
-hai educazione fisica?- mi chiede. 
-no, volevo fare un giretto turistico- faccio sarcastico. -cos'è MrMrsJeff4gx- chiedo. 
-sei maschio?- mi chiede di tutta risposta e lo guardo stranito. 
-a meno che mia madre non mi abbia fatto qualcosa di troppo, penso proprio di sì- quei formaggi sulla costa est cominciano ad essere strani. 
-allora sei con Mr Jeff. Si va in base al genere, femmine con Mrs Jeff, maschi con il Mr- 
-wow, hanno proprio fantasia- dichiaro e lui ride con a dietro la compagnia. 
-sei forte Joans, davvero- mi dice poi mi guarda. -vedremo cosa fare con te, non sei maluccio ma è tutto da vedere- rimango un pò perplesso ma appena le porte si aprono aspetto che qualche ragazzo entri per seguirlo e in effetti così faccio. 
Andiamo al piano di sotto, dove c'è una vera e propria palestra con tapirulan, cyclette e pesi. 
In un angolo, con un fischietto e una tuta blu e grigia, c'è Mr Jeff. 
-salve- dico passandogli il modulo. -sono Edward Joans- lui mi squadra, firma e torna a guardarmi. 
-oggi fai i test di prestazione, cambiati e torna qui Joans- annuisco ed entro nello spogliatoio e mentre i miei compagni prendono a guardarmi, io cerco un buco in cui mettere le mie cose. Poso la mia roba, tolgo la felpa e la camicia, poi sopra la canotta metto una t-shirt frusta nera. Infilo poi al posto dei jeans i pantaloncini di atletica che hanno il marchio dell'altra scuola. Cambio le scarpe, chiudendo quelle nuove nello zaino. Spruzzo appena un pò di deodorante e mi guardo: sono sempre stato secco, un pò muscoloso, chiaro di pelle e con grosse mani e gambe forti, non potevo lamentarmi perché in fondo, mi piacevo. 
Insieme ai miei compagni, esco e torno a raggiungere il prof. Mi passo una mano tra i capelli quando noto gli altri cominciare a fare riscaldamento in cerchio. Faccio lo stesso con gli occhi del Mr addosso. 
Dopo vari affondi ed esercizi di stiramento alla spalliera, il resto della classe parte a fare attività di gruppo o singole, e io prima di cominciare a farmi domande, vengo richiamato dall'uomo. -Joans, al tapirulan- faccio come dice e mi affianca, fa partire un programma di 5 minuti con pendenza 7 e velocità 10.
In un primo momento lo sbalzo mi confonde ma poi inizio a correre quasi tranquillamente. 
Mi sono iscritto al programma di atletica per qualcosa... Al termine dei 5 minuti ho un leggero fiatone ma solo dovuto alla pendenza eccessiva. 
-buono, molto buono Joans, per la squadra di atletica sei più che adatto- dice segnando qualcosa sulla mia cartella. -inizia a fare flessioni al mio via- dice, e mi piazzo per terra in posizione carica. -via!- dice e inizio a fare più flessioni possibili non sapendo quanto tempo avrò. 
Al suo "stop", segna e mi dice di partire a fare addominali. Come prima al suo "via" più che riesco. Al suo "stop" mi misura in altezza, mi pesa, mi fa fare delle trazioni alla sbarra con i piedi incrociati e le gambe piegate. Lui continua ad annuire ad ogni mio risultato e al termine di quegli esercizi, usciamo in quella che è una pista rossa di atletica. 
Con noi ci sono anche Alex Jansen e la sua cerchia. 
-corri- mi dice semplicemente e nel momento in cui fa partire il cronometro lo sto facendo. 
L'ebbrezza mi da alla testa, come l'adrenalina e il vento fresco di quel ottobre. Corro, corro più veloce che posso, come a casa quando avevo una brutta giornata. Corro per correre, con solo quello in mente. Non mi frega più di nulla e la mia falcata diventa così veloce che mi sembra di volare, non tocco nemmeno più il terreno. 
Il fischio del Mr mi fa prender un colpo e rallento mentre lo raggiungo. 
Lui sorride e annota quello che dev'essere il mio tempo. 
-più che ottimo Joans, meraviglioso. Fantastico. Hai un'ottima coordinazione e un buon fiato. Sei dentro Joans- sorrido e annuisco.
-Alex è il capitano, discuteremo della tua posizione e della disciplina- annuisco e torno dentro. 
In un angolo trovo una corda e quasi per nessun motivo inizio a saltare. C'è anche un altro ragazzo che salta, ha in capelli biondo chiaro e mi avvicino. 
-ciao, sono Edward Joans- dico e lui si volta verso di me.
-Max Lincoln... Sei quello nuovo? Quello dell'Alabama?- annuisco. -io sono di Berlino- mi dice. -ti capisco se ti senti un pò spaesato, io sono arrivato l'anno scorso-
-sì, un pò è difficile, ma spero di abituarmi il prima possibile- dichiaro. 
-beh, sei appena entrato nel gruppo degli atleti, vedrai che ti formerai un gruppo molto presto- sembra un pò schifato da quel che ha detto e mi sento un pò un cliché. 
-scelgo io le mie amicizie- dichiaro e comincio a saltare più forte che posso. Non sono il solito sbruffone atletico e non ho già una strada disegnata. 
Il prof trova dentro e fischia. -lezione terminata, 10 minuti alla campanella- e si va verso gli spogliatoi. Mi cambio velocemente, mi do una ripulita e torno nei miei vestiti. Spruzzo un pò di deodorante poi del profumo. Lego la felpa in vita e rimango con la camicia bianca, della quale arrotolo le maniche. 
Salutiamo il prof e quando suona, torno alla ricerca della mia aula di scienze, mentre cerco di tenere lo zaino a tracolla. 
-ehi Joans- mi sento chiamare e vedo Alex corrermi vicino. -sei forte, volevo darti il benvenuto di persona e che il prof sta cercando una divisa per te così venerdì la hai. Forti le scarpe...- dice. 
-grazie-
-prego ... Ehm, comunque a pranzo ci troviamo tutta la squadra se ti va di venire, se vuoi ti tengo il posto- annuisco. -beh, ci vediamo... Edward- 
Non dico nulla, la mia scetticità supera le mie aspettative. La prima persona gentile e proprio l'unica da cui volevo stare lontano. La mia immagine si sta sgretolando.

Per scienze siamo in laboratorio e come al solito consegno il modulo al prof White, un tipo un po' allampanato e con grosse orecchie. Un pò balbettando, mi fa sedere e con lo sguardo riconosco Elena Dallas che mi fa segno di sedermi vicino a lei. 
-ciao Elena- dico subito. 
-ciao Edward... Carina la camicia- mi dice e le sorrido impacciato. 
-Grazie...- le dico tirando fuori i libri. Elena è carina, ma ha qualcosa che mi dice che non si vede così: ha lunghi capelli castani lisci, la pelle un pò abbronzata e grossi occhi scuri. Porta un maglione verde scuro più grande almeno 2 taglie e i jeans scoloriti a zampa di elefante. 
-anche tu sei carina- le dico sincero, un pò perché è proprio vero e un pò, perché magari sentendolo, lo potrebbe capire. 
Lei abbassa lo sguardo ma prima che possa rispondermi, il prof inizia a spiegare e divento nervoso: la riproduzione. 
-bene, l'altro giorno abbiamo parlato teoricamente, oggi raccoglieremo da voi i dati di questo argomento- e stringo i pugni. 
Perché a me? Respiro profondamente mentre il prof comincia a fare la fatidica domanda: -a che età vi hanno avuto in vostri genitori?- 
Uno ad uno i miei compagni rispondono e quando arriva ad Elena mi rendo conto che sarò l'unico diverso e che non vorrà rispondere. 
Non volevo ricominciare ad essere quello con la mamma adolescente, perché anche se per me non era mai stato un problema, chissà come mai c'era sempre qualcuno che se ne faceva. 
-non so quanti anni avesse mia madre, ma mio padre ne aveva 20- dice Elena secca e il prof mi guarda. 
-Joans quanti anni avevano i tuoi genitori quando ti hanno avuto?- mi chiede il professore quando è il mio turno. Io faccio spallucce e cambio la direzione del mio sguardo; e a questo come glielo dico?  
Nella classe cala il silenzio, strano... Chissà perché me l'aspettavo, quando c'era da farsi gli affari di "quello nuovo" tutti volevano sapere. 
-non abbastanza- dichiaro solamente e aspetto che passi a qualcun'altro ma lui rimane a guardarmi. 
-Joans stiamo facendo una statistica, ho bisogno che tu lo dica- perché sto iniziando ad innervosirmi? Mamma dice "fai il bravo" ma può voler dire più cose. 
-si faccia gli affari suoi- dico scandendo ogni parola come fosse l'ultima. -non sono tenuto a rispondere, non è un interrogatorio e non c'è il mio avvocato... E poi l'età di una donna non si chiede- la classe ride ma io sto ancora guardando il professore. Dopo un tempo che a me sembra lunghissimo, passa avanti e io immagino mi piazzerà una bella nota sul registro. 
Per quanto siano davvero affari personali a cui non sono tenuto a rispondere. Che si faccia i cazzi suoi. 
Elena ridacchia e io torno a sottolineare il libro. 
Alla fine del giro continua a spiegare e verso la fine, inizia ad attirare l'attenzione e a dare i compiti. 
-Joans voglio che mi fai un saggio di 3.000 parole sulla riproduzione cellulare per la prossima volta che ci vediamo- 
Rimango esterrefatto ma so di essermela cercata. 

 

Ehi salve, son io. Non avevo ancora scritto nulla perché volevo darvi il tempo di capire lui. 
Vi piace? Ringrazio ALLELALLE05 per aver letto tutti i capitoli fin ora e @rapidash, la mia beta
Se qualcuno avesse qualcosa da chiedere rispondo volentieri. Ditemi cosa ne pensate se vi va, sarebbe d'aiuto... Un bacio 
Ps. Più avanti metterò anche le foto dei personaggi, anche se su alcuni come Alex non sono sicura dell'utilità quindi non vorrei esagerare... Nemmeno Emma sono completamente sicura, un bacio 
Mrs Pattinson

 

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Capitolo 6
*** Geografich ***



A pranzo, subito dopo storia, vado nella mensa ma rimango per un momento fermo a osservare, ci sono gruppi e gruppetti attorno a tavoli rotondi. Riconosco qualche viso come Elena, vicino ad un gruppo di fattoni con lo stereo. C'è Max Lincoln in un gruppo con più libri che cibo. 
Ci sono le cheerleader, i giocatori di football americano e al centro un tavolo in cui riconosco Alex. 
Non avendo né il coraggio, né le idee chiare, lasciai perdere ed esco. 
Nel cortile ci sono altri studenti, li ignoro totalmente e continuo dritto fino a riuscir a rientrare. Vado verso l'aula di lingua e noto che all'interno c'è una ragazza, minutina e biondina. 
-posso?- chiedo entrando, lei mi guarda e annuisce. Mi fa segno di avvicinarmi e mi siedo nel banco a fianco al suo. 
-Edward Joans- mi presento. 
-Alice Martinez- dice. -sei quello nuovo?- mi chiede e annuisco. -non hai ancora trovato un gruppo?- mi chiede e alzo le spalle. 
-non voglio un gruppo... E poi anche tu non sembri essere con qualcuno- 
Lei annuisce e sorride guardando il panino. 
-io non piaccio- dice. 
-e io rispondo male, e quindi?- lei ridacchia e alza le spalle. -ti va se sto qui?- le chiedo e annuisce. Tiro fuori il sushi con le bacchette e lo mangio con calma. 
-sei di...?- mi chiede
-Montgomery, Alabama- dico. -e tu? Sempre stata qui?- lei annuisce. 
-i miei abitano qui da quando si sono sposati- mi dice. -hai fratelli o sorelle?-
-no, siamo solo io e mia madre, e tu?- le chiedo. 
-ho 6 fratelli, 2 maggiori e gli altri più piccoli- 
Io e Alice chiacchieriamo per tutta la pausa e quando essa finisce ci scambiamo i numeri di telefono. Finalmente qualcuno di normale a Filadelfia.

Dopo il termine delle lezioni, chiamai mia madre: -mamma, mi sono iscritto ai corsi per i crediti- le dico.
-bene amore, quali hai scelto?- 
-arte, musica e sono nella squadra di atletica- dico. -oggi ho arte quindi torno a casa verso le 4, per te va bene?- 
-sì amore, quando hai finito mi chiami che ti vengo a prendere, tanto passo di lì-
-okay mamma, a dopo- e dopo averla avvisata, cerco l'aula che mi è stata segnalata. 
Quando vi entro cerco un posto. Lì vi sono già vari studenti e un professore dai capelli lunghi. 
-ciao, tu sei Edward Joans, io sono il professor Dover, l'insegnante di arte e molto contento di averti-
Forte quel tipo. -anche io sono contento- 
-bene Edward, il tema di quest'anno è "il primo ricordo"- e analizzo quel che mi ha detto. -chiudi gli occhi- mi ammonisce. -può essere qualsiasi cosa, la prima volta che hai visto qualcosa di bello. La prima volta che hai visto qualcosa di importante o che ti ha cambiato. Qualcosa di importante. Ci sei?- annuisco, so quasi cosa sta intendendo. 
Li torno ad aprire. -vai!- fa sarcastico e giro per l'aula alla ricerca di ciò che mi serve. Trovo un bel foglio A2 e torno al tavolo con quello e la matita. 
Cerco di visualizzare e mi ritrovo il prof dietro. -no Edward, non pensare, fallo e basta- annuisco. Mi da due pacche sulla schiena e torna a girare e mi butto. 
Voglio che capiscano ma non voglio che sia troppo chiaro. Faccio una bozza iniziale su un foglio più piccolo, lo controllo un paio di volte, poi su un foglietto faccio qualche prova colore. 
Il prof, ci comunica di iniziare a mettere via e che avremmo continuato la volta dopo, lunedí. A me che ero nuovo, fece fare una cartellina in cartoncino beige, col mio nome, in cui mettere dentro tutte le mie cose. Sistemai la postazione, presi le mie cose e mandai velocemente un messaggio a mia madre, poi il prof mi fece mettere al centro della stanza. 
-perché non ci racconti qualcosa di te?- 
Annuisco. -mi chiamo Edward, ho 16 anni, fino a 3 giorni fa vivevo in Alabama; suono la chitarra e scrivo musica, l'adoro e adoro ascoltarla in qualsiasi momento, soprattutto quando corro. Mi piace la fotografia, la pittura e la scultura; e vorrei fare il medico- c'è una risatina generale, ma il prof mi sta analizzando. 
-hai mai pensato di fare il modello?- mi chiede una ragazza e abbasso lo sguardo. 
-no, certo che no, perché dovrei?- chiedo quasi come se fosse ovvio che non sarei in grado neanche di pensarlo, immaginiamoci di farlo. 
-sei bello, statuario, non troppo magro, con un bel fisico e bei lineamenti, non saresti male- dice il prof e mi guardo. 
Sì non sono mai stato corpulento, ma nemmeno anoressico, ma di certo mettermi in mostra non faceva parte dei miei piani. 
Faccio spallucce. -non sono il tipo, signore, tendo di più a nascondermi che a farmi notare- 
Lui continua a guardarmi. -tu pensaci, conosco una fotografa che cerca ragazzi più o meno del tuo genere- torno ad abbassare lo sguardo. 
È assurdo, quello non sono io. Se mi prendevano in giro non era divertente, come già non lo è in maniera. 
-perché non ti si vede a pranzo?- mi chiede una e risucchio. 
-ieri non l'ho fatto, oggi ho preferito rimanere in classe- dichiaro. -prima vorrei ambientarmi- 
Dopo l'interrogatorio, ognuno prende il suo zaino e le sue cose e si esce. 
Accelero il passo, rincuorato che mia madre sia già lì e salgo in macchina velocemente. 
-ciao mamma- dico subito. -com'é andata la giornata?- 
-ciao amore- mi saluta a sua volta. 
-bene e te?- 
-meglio di ieri- dichiaro e lei sorride. 
-ma dobbiamo parlare- sta già guidando mente lo dico e lui si gira guardandomi male. 
-di che cosa dobbiamo parlare?- mi chiede. 
-di mio padre- e quando l'ho detto, lei che prima sorrideva, è diventata impassibile, non tralascia un emozione che una. -è il momento che almeno mi racconti qualcosa di lui. Il suo nome, se sa qualcosa di me, se avrebbe voluto essere mio padre, anche solo se mi voleva- dico cercando di farmi coraggio. -ci sono troppe motivazioni per il quale, almeno un pò vorrei sapere- continuo. -e poi mica lo cercherò, sapere almeno come sono stato concepito, penso sia mio diritto- la vedo prendere un altra strada. 
-mi sembra giusto, ma sarà a modo mio- dice e annuisco. 
Lei sospira profondamente e appena siamo nei pressi del centro città parcheggia. 
-oggi il pomeriggio lo passiamo diversamente- dichiara e scendiamo. 
Mia madre è sempre stata molto bella, sia incinta di me che ora, con quei capelli scuri, prima alle spalle, ora le ricadevano sui fianchi dolcemente. 
Era sottile e lo sembrava ancora di più ora che portava i tacchi e un vestito nero semplice con la giacca nera un pò più larga che cadeva dritta. 
Io non le somigliavo molto, ma ci appartenevamo lo stesso. Lei era forte, aveva sempre dato il 110% per me, lavorava dai 16 anni, aveva studiato anche fino a notte fonda per non lasciarmi solo. 
Con nonna aveva litigato per anni, per me, ma alla fine aveva sempre avuto ragione. Io ero solo suo. 
Odiavo quelle persone che le chiedevano se ero suo fratello, perché un fratello lo aveva, Daniel e pure una sorella, Fiamma. 
Io ero Edward Joans, per la miseria! 
Con i miei zii non avevamo un brutto rapporto, Daniel, il maggiore, aveva 2 anni piú di mamma e ogni tanto mi scriveva per chiedermi come stessimo. Zia Fiamma, aveva due anni meno di mamma ed era ancora influenzata da nonna, ma in genere ci scriveva anche lei. 
Nonno si chiama, Cesare ed è più buono di nonna. Ho dei cugini, da parte di zio, Anastasia di 3 anni e Marcus di 1. È sposato zio e sua moglie, Sarah, mi guarda sempre come fossi un bastardo e un paio di volte le ho quasi risposto a tono. 
Per quanto la mia famiglia mi bastasse, volevo sapere di me, volevo sapere a chi apparteneva l'altra parte di me.

Eccoci, finalmente nel prossimo capitolo il mistero verrà svelato. Chi è il padre Edward? 
È una bella persona? Perché non è con Emma? 
Aspettate e lo scoprirete...

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Capitolo 7
*** pomeriggio insieme ***



AVVISO:
GLI ARGOMENTI SOTTO RACCONTATI POTREBBERO TURBARE. QUINDI CAUTELA ...

BUONA LETTURA!

Girammo per un pò per il centro, esplorando quella nuova città. Le stringevo la mano come quando ero piccolo e, dividendo un paio di auricolari, ascoltavamo la sua playlist, con "Drive by" di Train.
C'erano negozi nuovi di marchi di lusso, ma anche di brand che avrei acquistato più volentieri. Poi c'era Sturbacks e quella fu la nostra meta. 
Entrammo e ordinammo due frappuccini fiordilatte e caramello, con tanta, tanta panna. 
Uscendo, trovammo una panchina e ci sedemmo; cioè lei era seduta e io disteso con la testa sulle sue ginocchia e le ginocchia piegate. 
Lei mi passa una mano tra i capelli, guardandomi dolcemente. -non voglio che tu dopo cambi l'idea che hai di te stesso e di me- mi tiro su e annuisco. È da tutta la vita che aspetto questo momento e non so bene come dovrei sentirmi: forse nervoso, o eccitato. Magari anche spaventato ed euforico. Sapere ha sempre tante sfumature, ma di certo male non può farmi. Anche se dalla faccia di lei, non sembra il massimo. 
Lei stringe la mia mano tra la sua. 
-cosa vuoi che cambi? Sarai sempre la mia mamma e io sempre quel pazzo di tuo figlio- le dico e le sorrido. Ci girammo uno davanti all'altro con le gambe incrociate. Succhio la bibita in attesa. Lei fa un mezzo sorriso. 
-bene allora... Era il primo weekend da quando era iniziata la scuola- comincia. -avevo fatto 13 anni una settimana prima e frequentavo la terza classe media. E quel sabato c'era una festa a casa di Billy Dannel, un ragazzo già della classe seconda classe superiore e la mia amica Ally si era fatta invitare... Tu non la conosci- dice. -mi ero fatta accompagnare da tuo zio che aveva la moto, i miei genitori mi avevano detto di sì solo perché veniva lui. Ma io e Daniel ci eravamo messi d'accordo di pararci la schiena: lui andava al pub con gli amici e io alla festa, poi mi sarebbe tornato a prendere per le 11- ascoltavo, quasi entusiasta, di sicuro da lì a poco sarebbe saltato fuori mio padre. 
-portavo una gonna bianca di jeans molto corta e un top grigio chiaro- dice. -quando sono arrivata Ally già aveva iniziato a bere e c'era la musica a palla. Non ho avuto il coraggio di entrare in casa e sono rimasta in giardino con quelli più grandi a guardarli ballare- cambia espressione e si guarda le mani, gliele prendo e cerco di darle forza. Lei respira profondamente, come se stesse cercando di calmarsi. È la prima volta che la vedo cosí sconvolta. 
-lì, un ragazzo mi si è avvicinato, era bello, fin troppo, capelli dorati, occhi chiari. Dorian Gregory. Abbiamo bevuto qualcosa, parlato, anche ballato. Aveva 16 anni e probabilmente aveva appena finito di fumare. Sta di fatto che mi ha baciato- la guardo male. 
-perché doveva aver bevuto o fumato per baciarti?- faccio sarcastico. 
Lei mi guarda male e le esce una lacrima. Doveva piacerle davvero mio padre. -ehi, e questo?- chiedo indicando la lacrima. 
-non è per il bacio, amore, è per dopo- mi dice. 
-cosa, non capisco-
-siamo entrati in casa, mi ha detto di dover cercare qualcuno ma poi mi ha trascinato in un bagno, ha chiuso la porta e si è aperto i pantaloni- dice e le lacrime iniziano a scendere più e svelte lungo le sue guance. -ho cercato di difendermi, di morderlo, ma... Ma non me ne ha dato l'opportunità, mi ha girato nella vasca e messo una mano sulla bocca- continua. -quando ho finito, mi ha lasciato nella vasca e se n'é andato- dice. -a tuo zio ho detto di essermi spiegato e a tua nonna nulla. Quando... Quando ho scoperto di essere incinta, non l'ho detto e mia madre l'ha scoperto quando, ti si è legato il cordone intorno al collo- poi mi guarda. -amore, mi dispiace, mi dispiace tanto. Avevo paura di dirtelo, non voglio che tu creda di essere qualcosa di negativo. Tu sei un miracolo Edward- 
La prima cosa che penso è che mia madre, già per me era una persona forte, adesso mi rendo conto che è un supereroe e non riesco a credere che abbia affrontato tutto da solo. 
Io ho il viso di un mostro, ma l'amore di un angelo. 
-scusa- dico e lei mi guarda. -mi dispiace mamma, mi dispiace di averti chiesto di lui e mi dispiace di aver pensato che sarebbe stato bello averlo. Mamma scusami- quasi irrazionalmente, scoppio in lacrime mentre l'abbraccio stretta. 
Non riesco a non pensare a tutto quello che deve aver superato per me. 
Ha superato i pregiudizi e la mia apparenza, e ha scelto l'amore. Vorrei averla capito meglio. 
Lei mi accarezza i capelli. -oh amore mio, tu non potevi sapere, non potevi nemmeno immaginarlo. Tesoro, tu sei perfetto, sei la gioia più grande. Tu sei mio figlio, solo mio, da lui non hai preso nulla di quello che c'è dentro. Edward, tu sei il mio bambino. Sei il mio bellissimo biondino curioso- dice. -per te ho superato tutto, per te non mi sono abbattuta. Tu sei la mia vita- 
La guardo. -nonna lo sa?- le chiedo asciugandomi le lacrime. 
-non gliel'ho detto subito. Avevi 4 anni quando glielo dissi. È stato quando poi siamo andati a vivere nel nostro primo appartamento- 
-lo ricordo- dichiaro. -sei rimasta dentro e mi hai detto di salire in macchina- lei annuisce. 
-lo dissi e chiusi la porta. Avevo 18 anni, ma mi sono portata via te- mi dice -e non me ne sono mai pentita- mi dice e le piazzo un bacio sulla guancia.
-ti voglio bene, non voglio un padre e grazie per la sincerità- dico. 
Lei sorride. -amore ti ricordi che mi avevi chiesto di farti un tatuaggio?- annuisco. -io penso di voler fare quello che da 16 anni a questa parte volevo fare, se sei ancora convinto ci andiamo- 
Ci alzammo dalla panchina e continuammo a girare tranquillamente la città: entrammo in qualche negozio, trovo una felpa di jeans e pure una cover. 
Le proposi di tagliarci i capelli, io ne avevo bisogno e accettò con mia grande sorpresa. Entrammo nel piccolo negozio che era di parrucchieri unisex. 
-c'è posto oggi- ci disse subito e ci chiese cosa volevamo fare. 
Dissi che li volevo un pò sfoltire e fare un mezzo ciuffo invece che le ciocche laterali. 
Mamma invece decise proprio di volerli tagliare, così le sarebbero arrivati a metà schiena. 
-mamma, sai che oggi mi hanno chiesto perché non faccio il modello? Io ho risposto che non ci avevo mai pensato e il prof mi fa che una sua amica fotografa cerca per un servizio ragazzi con le mie fattezze. Io non ho risposto ma lui mi fa' di pensarci- dico. -io non so se fare il fotomodello mi si addice, tu cosa ne pensi?- 
Lei alza le spalle. -non lo so amore, se non ti ci vedi non farlo. Non ha senso star lì a pensarci se non ti ispira- 
-so che hai ragione ma a volte penso che mi sto perdendo tante occasioni. Potevo andare ai nazionali di atletica e mi sono fatto sospendere. Potevo suonare al ballo e non ci sono andato. Faccio dei bidoni uno dietro l'altro, magari provarci potrebbe far cambiare qualcosa- 
Lei annuisce. -amore, te l'ho sempre detto, per me puoi fare quello che vuoi, se non superi i limiti legislativi- ridacchio. -se vuoi provarci, ti ci accompagno ma devi volerlo tu, Edward- 
Annuisco. Lei ha ragione ed è una persona completamente aperta a tutto. Ed io, era come se volessi dedicarle tutto il possibile.

Tan-tan-tan... 
Ve lo sareste aspettato?? 
Stronzo di merda... Ma se non fosse così non ci sarebbe Edward, quindi non lo so... Certo il gesto è orribile ma... Non so, non voglio dire che lo stupro la abbia aiutata, ma di certo, le ha dato il suo bambino e senza di lui, nemmeno io voglio sapere cosa avrebbe fatto... Comunque il prossimo è un capitolo a sorpresa 😃 spero vi piacerà come spero vi piaccia la storia... 
Un bacio 😘😘

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Capitolo 8
*** my Edward ***




Emma, 13 anni e 7 mesi, incinta di 6. Fine di marzo
.

Distesa sul mio letto, pensavo al nome che il bambino avrebbe potuto avere. Avevo spulciato metà dei libri della biblioteca pubblica di Montgomery e la scelta si era ristretta a 3 nomi per genere. Se fosse stato maschio: Edward, Gideon o Christian. Più Edward che gli altri due. 
Se fosse una lei: Jane, Isabella o Madeleine. Però ero ancora indecisa. 
Doveva nascere tra giugno e luglio, il periodo ideale, i miei ci sarebbero stati poco e io avrei avuto la casa per me, senza interferenze. 
I miei non lo sapevano e io lo sapevo nascondere bene: tenevo il maglione, i pantaloni larghi, passavo molto tempo fuori e mi inventavo di avere corsi, quando in realtà frequentavo il corso preparto, facevo nuoto e stavo spesso a casa di altre future mamme. 
Alcune di loro, a volte, minacciavano di denunciare il padre del Pulcino; dicevano che se lui era più grande e io minorenne, andava denunciato, ma farlo avrebbe significato ammettere che era successo e dire il suo nome. Ma anche ammettere che avevo 13 anni invece che 16 come invece dicevo di avere. 
Avrei tenuto segreto il Pulcino fino a che non avessi avuto il coraggio di dirlo. Dire che ero incinta. Dire perché non avevo più amiche né perché venivo derisa e spinta. 
Fino a quel momento avevo fatto tutto da sola: le visite le avevo pagate io, le prime cose le avevo comprate e nascoste nell'armadio. 
Avevo fatto ecografie, fatto punture, preso appuntamenti e nessuno si era ancora accorto di niente, mamma era troppo impegnata con Fiamma e la sua scuola privata, papà col suo lavoro. Daniel... Era Daniel, da quando era al liceo non sembrava nemmeno più lui. 
Accarezzavo la pancia, impaziente di scoprire il sesso del Pulcino. Sarei andata quel pomeriggio. Finalmente ero pronta e finalmente avrei iniziato a cucire qualche iniziale su body di cotone. Dicevano avvicinasse al bambino, non che ce ne fosse bisogno... 
-ciao piccolo...- dico passando solo un polpastrello sulla pancia rotonda e perfetta. -mi vuoi bene? Vuoi bene alla mamma, Edward?- mi uscì spontaneo e sorrisi. Lui, perché ero sicura fosse un lui, era il MIO Edward. Solo mio.

Notte tra l'11 e il 12 maggio. Ore 23.54

Lanciai un urlo di dolore, un male così grande non mi era mai capitato di  sentirlo. La pancia era dura ed era come se quel male mi mangiasse dentro. Urlai ancora, cercando di alzarmi, reggendomi al letto e tenendomi appoggiata al muro, stringendo la pancia. 
No, Edward. 
Pensai sconvolta riconoscendo la zona. 
Mia madre entrò nella mia stanza dalle pareti lilla, accendendo la luce. 
-mamma, fa ... Fa male- dissi stringendo i denti. -mamma!- urlai ancora, incapace di rimanere in silenzio o calmarmi. 
-Emma!- disse fuori di sé, squadrandomi. -cosa sta succedendo?- fece più incazzata del solito. 
-a me lo chiedi?!- faccio sarcastica. -è il bambino, lui sta male. Mamma, sta male- dichiaro in lacrime mentre mi cedono le ginocchia.
Mi cade tutto addosso e mi rendo conto di essere sola, che se lui stava male, io ero troppo giovane per sapere cosa avesse. E quando fosse nato? Se piangeva? Che ne sapevo io di che cosa potesse fargli male?
Oh Edward, mi dispiace tanto... 
Chiusi gli occhi, in lacrime, non ero pronta, ma stava arrivando, ma era troppo presto. 
La guardo, mamma è fuori di sé, più di me, quando comincia a capire che i 3 chili che ho messo su non sono i pocci o lo stress, ma suo nipote. 
-Emma!- urla. -che cosa hai fatto?!- fa isterica.
-mamma, prendi la macchina!- faccio e, reggendo la pancia, cercando di respirare, mi alzo e tiro fuori da sotto il materasso, la cartellina con gli esami e le ecografie. Lei le guarda e prima che possa parlare, tiro fuori dall'armadio le due borse per il parto. Avrò 13 anni, ma sono ancora lucida e scrupolosa, quasi previdente. 
-okay- dice sorpresa, prendendo le cose che le ho passato. 
A passo tremolante, tenendomi per la pancia e senza scarpe, man mano camminavo cercando di ignorare il dolore e le lacrime. 
Voglio solo che il bambino stia bene. Sì forse è presto, ma lo voglio, lo amo Edward. 
Uscendo trovo mia madre già in macchina e con calma con il mio stupido passo la raggiungo.
Salgo e lei parte. -quale ospedale?- mi chiede. 
-quello sulla nona- dichiaro.
-di quanto sei?- 
-otto mesi, doveva arrivare tra giugno e luglio, quando non ci sareste stati. Non so perché sta succedendo- 
Lei annuisce. -ti fa ancora male?- 
Annuisco. -credi starà bene?- a quella domanda in un primo momento non risponde. 
-sì Emma, starà bene- 
Annuisco. -è un maschio- le dico ed è lei ad annuire. Non ho il coraggio di dirle il suo nome. Non ho il coraggio di raccontarle di Edward. Del mio Edward.

Guardandomi da fuori avrei pensato chissà cosa: entrai in ospedale, bloccata dal panico, con addosso una maglietta lunga del pigiama e dei pantaloncini bianchi. 
Mi soccorsero dei paramedici, uno dei quali mi prese su a peso, per poi entrando mettermi su una barella. Alcune delle persone che lavoravano lì le conoscevo e l'alta metà mi conosceva. Fu per loro, quasi uno shock vedermi con quella pancia rotonda. Stringermi in posizione fetale, era l'unica cosa che isolava il dolore. Ma per fortuna furono abbastanza bravi da capire che mi serviva un medico. 
Segnalai loro la mia dottoressa, l'unica che abitando un pò fuori non avrebbe detto niente ai miei. 
Lei arrivò di corsa e in un primo momento mi mise la banda elastica intorno alla cinta e comparvero i grafici cardiaci di Edward, sullo schermo affianco. -sta bene, non c'è sofferenza fetale, ma sei in travaglio- mi disse. -ora facciamo un ecografia- 
Con il gel alla mano e l'ecografo nell'altra, guardò il mio bambino. 
-ha un pò di cordone intorno vicino al collo, lo monitoriamo ma sta bene- sollevata mi preparai a quelli che sarebbero stati i due giorni più terribili della mia vita... E alla fine di questi, Edward.

Salve salve salve, ho deciso di mettere un  di "musica" a questa storia e ho riportato qua sotto il nome e il testo, ve la consiglio e trovo che sia molto azzeccata:
Tutto per una ragione (feat. Annalisa)
Benji&Fede- Lyrics

Solo poche parole io e te
Non ho avuto occasione, sai com’è
Pensare troppo a volte è un errore
E non mi servono tante parole
Nei tuoi occhi ogni cosa diventa semplice

E quando non mi vedi, ti guardo ridere
E quando non mi vedi
Succede tutto per una ragione
E la ragione magari sei tu
Non ho niente da nascondere
E tu?
Succede tutto per una ragione
E la ragione magari sei tu
Non ho niente da promettere
Ma da scommettere con te

Senza effetti speciali io e te
Ma è perfetto il nostro film così com’è
Posso stare a guardarti per ore
E non mi basta sentire l’odore
Nei tuoi occhi ogni cosa sta per succedere

E quando non mi vedi, ti guardo vivere
E quando non mi vedi
Succede tutto per una ragione
E la ragione magari sei tu
Non ho niente da nascondere
E tu?
Succede tutto per una ragione
E la ragione magari sei tu
Non ho niente da promettere
Promettere

L’estate che passa, la nostra risata
La pioggia che cade, la sabbia bagnata
E batte la musica fino al mattino
Ti tengo più vicino
Soltanto stanotte o tutta la vita
Adesso si corre non vedo salita
E batte più forte se resti vicino, se resti vicino

Succede tutto per una ragione
E la ragione magari sei tu
Non ho niente da nascondere
E tu?
Succede tutto per una ragione
E la ragione magari sei tu
Non ho niente da promettere
Ma da scommettere con te
Da scommettere con te
Da scommettere con te

Okay, quindi vi piace o ne preferireste altre dentro?
Un bacio. 
Ps. Potrei metterci più tempo a pubblicare perché sono al mare e non c'è WiFi. Ma spero di riuscire appena posso 😘😘

 

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