Only fools fall for you di nymeria214 (/viewuser.php?uid=1010217)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** You know why ***
Capitolo 2: *** Young God ***
Capitolo 3: *** Click, the last puzzle’s piece falls in its place ***
Capitolo 4: *** I've been thinkin bout you ***
Capitolo 5: *** My bedsheets smell like you ***
Capitolo 6: *** Can't sleep ***
Capitolo 7: *** Had my first kiss on a Friday night ***
Capitolo 8: *** I just wanna be yours ***
Capitolo 9: *** His hands so cold they shake ***
Capitolo 10: *** Sickening desire ***
Capitolo 11: *** Your happiness is ours too ***
Capitolo 12: *** Only fools fall for you ***
Capitolo 1 *** You know why ***
You know why
Il copione era
arrivato quattro giorni prima. Con una lettera di minaccia in allegato.
‘Prenditi
il tempo per leggerlo e fammi
sapere quando sei pronto.
Se ci metti
più di cinque giorni ti
licenzio.
Julie’
Tarjei ci aveva
riso sopra, per poi rabbrividire l’attimo successivo. Quella
donna lo conosceva
bene, troppo bene ad essere sinceri: appena i suoi occhi si erano
posati su di
lui l’anno prima, si era sentito come se tutti i suoi
più oscuri segreti fossero
scritti sulla sua fronte, e lo sguardo di Julie si era illuminato per
la prima
volta dopo ore passate a giudicare dei sedicenni con zero esperienza e
spesso
zero talento. Il giorno dopo, aveva un contratto per sei stagioni.
Fatto sta che
Tarjei ci aveva messo quattro giorni a spacchettare quel maledettissimo
copione, e la scritta ‘ISAK’ esattamente al centro
della prima pagina gli aveva
fatto venire voglia di vomitare per l’ansia e andare a
vantarsi con tutti gli
altri diciassettenni alla Nissen perché nessuno si aspettava
più che facesse i
compiti di Norvegese. O di matematica. O di storia. O di qualsiasi
altra
materia. Non che prima li facesse, tranne per quelli di biologia
s’intende.
Ecco,
probabilmente ci aveva messo quattro giorni perché leggere
‘Isak’ era come
leggere ‘Tarjei’: dopo aver scelto quei pochi con
il minimo talento necessario,
Julie aveva praticamente rinchiuso ognuno di loro in una stanza e gli
aveva
costretti a raccontargli tutta la propria vita. Aveva plasmato i suoi
personaggi addosso agli attori: Jonas era un hipster fissato con lo
skate come
Marlon, Eva un’insicura ragazza da festa come Lisa, Magnus
un’idiota totale
come quel cretino di David (onestamente, Tarjei non sapeva
perché fosse il suo
migliore amico) e così via, e ciò comprendeva
ogni sfaccettatura della loro
personalità, come la musica e la materia preferita e tutto
il resto. Era come
essere in un reality show fatto bene, con un copione e girato da dio.
E nonostante
fosse l’idea cinematografica del secolo e rendesse la serie
tremendamente unica
e reale, per non parlare della trovata di Mari dei social network,
Tarjei non
poteva fare a meno che sentirsi … esposto.
Quando gli era
stato detto che sarebbe stato il protagonista della terza stagione era
il
giorno del suo compleanno: dopo le pacche sulle spalle e i complimenti
generali, si era rinchiuso nel primo bagno che aveva trovato, in
iperventilazione per colpa di un mezzo attacco di panico. Ulrikke aveva
bussato
insistentemente alla porta per cinque minuti minacciando di farla sul
pavimento
prima di lasciar perdere e correre al bagno nel camerino delle ragazze.
Non che non
fosse contento, sia chiaro, era al settimo cielo. Solo che la gente ti
regala,
che so, un videogioco o dei calzini, non una fottutissima stagione di
una serie
tv.
Un’ora
dopo
Julie stava urlando ad un gruppo di adolescenti di spogliarsi e
spruzzarsi
dell’acqua addosso, e stava insegnando a Marlon come lanciare
un cartone di
latte nella giusta angolazione.
Il cast
guardò
il trailer finito cinque giorni dopo insieme al resto del mondo. Tarjei
rise
insieme agli altri per i primi piani dei boxer pressoché
trasparenti e scherzò
su come il latte che gli colpiva il viso ricordasse un altro tipo di
sostanza
biancastra, ma la scritta ‘ISAK’ alla fine gli
diede la stessa identica
sensazione. Gli sembrò di leggere il suo stesso nome e
inevitabilmente si
chiuse nello stesso bagno di cinque giorni prima, dando la
possibilità a Carl
di esprimere l’ipotesi che il ragazzo soffrisse di
incontinenza, o diarrea
esplosiva, come David suggerì (quando Lisa glielo racconto
per telefono il
giorno successivo, Tarjei si presentò sotto casa del suo
migliore amico
minacciandolo per citofono che se non fosse sceso immediatamente a
prendersi i
pugni che meritava avrebbe fatto sapere al mondo che soffriva di
eiaculazione
precoce).
Ora, seduto al
suo solito tavolo nell’angolo del Brenneriet
all’inizio di settembre, fissava
la pila di fogli poggiata di fronte a lui come se stesse per mangiarlo,
la sua
gamba che si muoveva nervosamente sotto il tavolo come a scandire il
tempo che
gli rimaneva prima che Julie sarebbe arrivata per costringerlo a
leggere con la
forza.
Alla fine,
girò
la prima pagina. E poi la seconda e la terza e la quarta e due ore dopo
aveva
ripreso a fissare la pila di fogli di fronte a lui, ma non aveva
più l’ansia. Era
semplicemente terrorizzato.
“Tarjei?”
“L’ho
finito.”
La linea rimase
silenziosa per qualche secondo. Brividi.
“Allora?”
“Sto per
vomitare.”
“Devo
prenderlo
come un insulto?”
Il ragazzo
alzò
gli occhi al cielo.
“Sai il
perché.”
Un sospiro
dall’altra parte della linea.
“Non sei
tu
Tarjei, okay? E’ Isak, è solo un personaggio, non
sei tu.”
“Oh ma
fammi il
favore Julie.”
“Fammi tu
il
favore ragazzino!”
Okay, non era
quello il modo di rivolgersi al proprio datore di lavoro.
“Scusa
…”
“Bene.
Ora, fai
un respiro profondo, evita di andare in iperventilazione,
grazie.”
“Come fai
a-
“Se uno
dei miei
attori si chiude in bagno con l’espressione di chi sta per
buttarsi dalla
finestra vado a controllare.”
“Io non ho
l’espressione di chi sta per buttarsi dalla
finestra!”
“Domani mi
servi
per le audizioni. Alle 10, puntuale!”
Julie gli chiuse
il telefono in faccia e Tarjei lo posò malamente sul tavolo
con uno sbuffo. Si
stropicciò il viso con entrambe le mani e le
lasciò scivolare fra i capelli,
per poi afferrare la sua roba e quella pila di fogli infernale e
dirigersi come
un uragano verso la porta, lasciando il bicchiere di caffè
ormai gelato ancora
mezzo pieno sul tavolo.
Andò a
sbattere
contro un ragazzo sulla soglia ma non alzò nemmeno lo
sguardo, borbottando
delle scuse appena udibili prima di riprendere la sua strada e
lasciarsi il bar
alle spalle.
Al contrario, il
ragazzo si era girato a guardarlo, un ‘non
preoccuparti’ sulle labbra ancora
socchiuse e una mano sulla spalla che era stata urtata. Stava ancora
osservando
quei riccioli dorati girare l’angolo quando un urlo si
propagò per il locale.
“Henrik
Holm!”
Henrik
tornò
alla realtà, si voltò verso la fonte del grido
che aveva fatto girare gli
ultimi clienti della mattinata e fece appellò a tutta la sua
forza di volontà
per non sbattere la testa contro il muro fino a perdere i sensi
… sì va bene
era melodrammatico ma non era giornata, okay?
“Lo so,
sono in
ritardo, non accadrà più”, e bla bla bla,
ma dirlo non gli sembrò proprio la cosa giusta da fare se
voleva tenersi il
lavoro.
Mentre parlava
si era finalmente spostato dalla porta e aveva iniziato a sfilarsi i
suoi
numerosi strati, rimanendo in una semplice maglia beige per poi
infilare il
grembiule e dirigersi dietro al bancone al fianco di Lea. La biondina
lo
accolse con il suo timido sorriso e lui si chinò per
baciarle la guancia, che
divenne color porpora facendolo ridere: sapeva di essere bello, aveva
uno
specchio e degli occhi funzionanti e non voleva essere ipocrita facendo
finta
di essere modesto, ma le reazioni della gente continuavano a
sorprenderlo e
divertirlo. La ragazza alzò gli occhi al cielo arrossendo
ancora di più e tornò
al caffelatte che la signora del tavolo 5 stava aspettando.
“Smettila
di
prendermi in giro Henke.”
“La
smetterò quando
tu smetterai di chiamarmi Henke.”
“Uno, non
accadrà mai, e due, continueresti comunque.”
“Come mi
conosci
tu nessuno.”
Lea gli fece il
dito medio prima di dirigersi dalla donna, tenendo le sue multiple
ordinazioni
in bilico sulle braccia (certa gente dovrebbe evitare di mangiare tre
diversi
tipi di dolce in una botta sola, così, per evitare il
diabete).
Henrik rise di
nuovo, prima che la vista del suo capo gli fece raggelare il sorriso
sul volto:
l’uomo era nettamente più basso di lui, calvo e un
po’ sovrappeso, e stava
dall’altra parte del bancone con il grembiule sporco di
glassa rosa e le mani
sui fianchi. Il ragazzo pensò che sarebbe stato il
protagonista perfetto di uno
dei suoi fumetti scarabocchiati o un personaggio fantastico per un
cartone
animato.
“E’
la terza
volta solo negli ultimi cinque giorni.”
Si passò
nervosamente una mano fra i capelli prima di rispondere, alla ricerca
delle
parole giuste per cavarsela anche stavolta.
“Mi
dispiace,
l’audizione è domani e ho bisogno di-
“-provare
il più
possibile, lo so Henrik, me l’hai detto anche le altre due
volte.”
Il ragazzo
guardò l’uomo mordendosi l’interno della
guancia, corrugando le sopracciglia
nel sentirlo sospirare.
“Che
succede se
passi l’audizione?”
“…
non avrò tempo
per fare tutto.”
“Perché
non
dovrei licenziarti adesso allora?”
“Sai il
perché.”
L’uomo si
grattò
la nuca, l’espressione di chi sta pensando un po’
troppo forte.
“Perché
non vai
semplicemente a lavorare da Siv, sai quanto ne sarebbe
felice.”
“Conosci
mia
madre da tanto tempo, se andassi a chiederle aiuto mi costringerebbe in
un modo
o nell’altro a tornare a casa e non voglio più
dipendere da lei, non sono più
un bambino.”
“Hai 21
anni
Henrik, la maggior parte dei tuoi coetanei si fa mantenere dai
genitori, non
c’è nulla di male.”
“Beh io non sono la maggior parte.”
Non aveva alzato
la voce ma la frase era risultata forse ancor più dura, come
un ringhio.
Sospirò passandosi nuovamente la mano fra i capelli,
ignorando la vena che
sentiva pulsare prepotentemente sul
collo.
“L’audizione
è
domani, se non passò tornerò a lavorare senza
ritardi, se passo non ci sarà
nemmeno bisogno di licenziarmi, me ne andrò io.
Okay?”
L’uomo lo
guardò
per qualche secondo, prima di annuire e dirigersi verso la cucina.
“Datti da
fare.”
Henrik
tirò un
sospiro di sollievo buttando la testa all’indietro, per poi
alzarsi le maniche, stamparsi il suo sorriso accattivante sul volto e accogliere i nuovi
clienti.
Note
Una storia senza
troppe pretese su due delle persone più talentuose che abbia
mai avuto il
piacere di ammirare e che non posso fare a meno che shippare.
Ovviamente non
conosco (purtroppo) né Tarjei né Henrik
né tantomeno il resto del cast
personalmente, ciò che andrò a scrivere
è unicamente frutto della mia immaginazione,
qualche intervista e quello che gli attori scelgono di mostrarci sui
social.
Spero che vi piaccia, altri capitoli arriveranno molto presto,
recensioni sempre
ben accette, enjoy <3
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Capitolo 2 *** Young God ***
Young God
La luce del
giorno fece capolino fra gli spiragli delle tende, tingendo
l’aria di un tenue
arancione. Tarjei si rigirò sotto le lenzuola, mettendosi a
fissare il
soffitto. In realtà, non aveva fatto altro che rigirarsi per
tutta la notte:
prima di andare a dormire aveva riletto il copione (un paio di volte ad
essere
sinceri), e non era riuscito a smettere di pensare a tutto
ciò che questa
stagione avrebbe significato per le persone, per il futuro della serie,
per sé
stesso.
Aveva raccontato
a Julie di come sapesse di essere gay già da quando aveva
dodici anni, di
quanto fosse stata dura accettarsi e di quanto tempo aveva impiegato a
torturarsi prima di riuscire ad ‘uscire
dall’armadio’, e lei aveva
semplicemente trasformato la sua storia in quella di Isak, che a
differenza di
Tarjei avrebbe dovuto affrontare tutto quel casino con qualche anno in
più, e
anche qualche ostacolo di mezzo.
Oltre a questo,
non riusciva a smettere di pensare ad Even, e all’attore che
avrebbe dovuto
interpretarlo: Even era un ragazzo rilassato e attraente, creativo ed
imprevedibile. Il disturbo bipolare lo rendeva un personaggio per
niente facile
e che necessitava di un attore con le palle per non diventare semplice
potenziale sprecato. Pensare che di lì a qualche ora si
sarebbe trovato in un
teatro insieme al resto del cast e della regia a trovare
l’Even perfetto in
mezzo ad un gruppo di diciottenni lo faceva sentire strano e
contemporaneamente
tremendamente entusiasta. Era del suo primo partner in assoluto che si
parlava,
e la storia d’amore dei loro personaggi sarebbe stata una
delle più epiche di
sempre, dovevano trovare la persona giusta o non avrebbe funzionato
affatto,
trasformando l’intera esperienza in una delle più
imbarazzanti della sua vita.
Alla fine, la
sveglia che aveva inutilmente impostato sul telefono suonò,
e Tarjei si decise
a scostare le coperte, rabbrividendo al contatto fra i suoi piedi nudi
e il
pavimento freddo e si diresse in cucina, da cui proveniva
l’odore paradisiaco
di uova e caffè. Sorrise, appoggiandosi allo stipite della
porta, alla vista di
sua madre canticchiare le note di una canzone che gli sembrava di aver
sentito
un paio di volte alla radio.
“Verrai ad
aiutare la tua mamma o rimarrai lì con le mani in
mano?”
Tarjei
alzò gli
occhi al cielo accennando una risata mista ad uno sbuffo e le si
avvicinò, posandole
un bacio sulla guancia e appoggiandosi al mobile della cucina.
“Buongiorno.”
“Sicuro? A
me
sembra proprio che tu sia pronto per andare a dormire.”
La donna
abbassò
la fiamma del fornello e si girò del tutto verso di lui,
dandogli una carezza
che voleva essere uno schiaffetto, guardandolo teneramente.
“Dormito
poco?”
Il ragazzo
annuì, scostandosi i capelli dalla fronte per poi
stropicciarsi gli occhi. Sua
madre continuò a guardarlo, corrucciando leggermente le
sopracciglia prima di
parlare di nuovo.
“Ho letto
il
copione.”
“Mamma.”
“Che
c’è? Devo
pur sapere cosa faranno fare al mio bambino, no?”
Tarjei la
guardò
per qualche secondo, giocando distrattamente con l’orlo della
sua maglietta e
poi cedendo al suo sguardo curioso, non che fosse mai riuscito a
nasconderle
nulla in ogni caso.
“Suppongo
che
tu-
“So che
è dura
dover rivivere quell’esperienza tesoro,” lo
interruppe prima che lui potesse
andare oltre, ma in fondo sapeva perfettamente ciò che suo
figlio stava per
dire, “so che è stata dura acnhe solo raccontarlo
a Julie, ma è un argomento
importante. Ci sono milioni di ragazzi e ragazze che si trovano in
quella
situazione, e sentirne parlare in televisione potrebbe riuscire a darli
il
coraggio di fare ciò che hai fatto tu e che farà
Isak. Potrebbe migliorare la
vita di moltissime persone.”
Mentre parlava
aveva poggiato una mano sulla sua guancia, e il suo tocco era riuscito
in parte
a sciogliere la tensione che Tarjei sentiva attanagliarli lo stomaco.
Il
ragazzo aveva lo sguardo basso, ascoltava attentamente le sue parole e
man mano
realizzava quanto fossero vere, e si sentì orgoglioso, ma
non accennò a
parlare, non ancora.
“E
oltretutto,
mi è giunta voce che si aggiungerà qualcuno al
cast, e a quanto sembra dovrà
essere anche piuttosto carino …”
A questo, Tarjei
alzò lo sguardo su di lei, sentendo le guance farsi man mano
più calde.
“Mamma.”
“Almeno
è quello
che è scritto sul copione.”
Sua madre gli
fece l’occhiolino per poi tornare alle uova. Il ragazzo
alzò gli occhi al
cielo, valutando l’idea di terminare lì la
conversazione, ma decise di rompere
il silenzio che si era nuovamente creato.
“E’
per quello
che non ho dormito.”
“Di
cos’hai
paura, bambino?”
Si morse il
labbro inferiore, riabbassando lo sguardo e riacquistando interesse per
la sua
maglietta.
“ ... hai
letto
il copione, sai che dovremo fare delle … cose.”
La donna gli
lanciò un sguardo malizioso e lui roteò gli
occhi, le guance che non
accennavano a tornare del loro colore naturale.
“E’
solo che non
voglio che sia imbarazzante o strano, okay? Io voglio fare quello che
mi piace
senza avere il terrore di andare sul set e sentirmi a
disagio.”
“Sei un
attore,
Tarjei, gli attori devono essere in grado di fare anche questo, e non
posso
garantirti che lavorerai solo con persone con cui ti troverai a tuo
agio, ma
bisogna essere ottimisti. E in ogni caso andrai alla grande, sei troppo
bravo
per lasciar condizionare il tuo lavoro da queste cose.”
Tarjei sorrise e
si lasciò abbracciare, cercando di rilassarsi del tutto
inebriandosi del
profumo inconfondibile della sua mamma.
“Ora,
mangia le
uova, va alle audizioni e porta a casa un ragazzo con cui possa
vantarmi con le
mie amiche, intesi?”
“Mamma!”
-
“Ehi,
è arrivata
la nuova stella!”
Tarjei era
appena entrato nel teatro che si ritrovò stretto in un
abbraccio di gruppo,
anche se in realtà la situazione si poteva meglio descrivere
dicendo che era
stato sepolto sotto il peso di almeno otto persone.
“Sto per
morire
qua sotto!”
“Marlon se
non
togli immediatamente quella mano te la taglio!”
“Lisa
smettila
di darmi gomitate nelle costole!”
“Credo di
aver
perso le lenti a contatto.”
Tarjei credeva
che sarebbe morto asfissiato quando Julie batté le mani e
tutte le voci
iniziarono a placarsi, mentre ognuno riacquistava la
mobilità dei propri arti e
alla fine riuscirono a rimettersi in piedi.
“Tornate
tutti a
sedervi ed evitate di uccidere il protagonista, grazie.”
Ancora
sbigottito ma adesso totalmente sveglio, Tarjei si aggiustò
i vestiti,
ricambiando gli abbracci stavolta molto più tranquilli di
ognuno dei suoi
amici, e alla fine si diresse al posto che Mari gli stava indicand0, e
cioè in
prima fila, proprio dietro a dove si trovavano lei e Julie.
Le tre ore
seguenti furono estenuanti: molti dei ragazzi che si erano presentati
alle
audizioni non erano in grado di protrarre un personaggio tanto
complicato,
oppure erano bravi ma “non erano Even”, come
più di qualche volta aveva
ripetuto Julie. Semplicemente, non c’era nessuno che
riuscisse a colpire
abbastanza né le produttrici né tantomeno Tarjei,
la cui ansia era tornata
prepotentemente a sussurrargli nel retro del cervello che non sarebbero
riusciti a trovare la persona giusta e che avrebbero dovuto annullare
tutto.
Fu allora che lui entrò.
Tarjei era di
spalle, ridendo ad una battuta di Ina quando Josephine si mise a
picchiare sul
suo braccio, occhi e bocca spalancati, e improvvisamente il ragazzo si
accorse
che si erano fatti tutti improvvisamente silenziosi. Si girò
e ne comprese il
motivo. Perfettamente.
Era il ragazzo
più bello che avesse mai visto, e si disse che mai avrebbe
avuto la possibilità
di incontrarne uno più bello, perché
semplicemente non esisteva. Un giovane dio
dai capelli biondi, che permetteva ai mortali di condividere la sua
presenza
per un motivo a lui sconosciuto. Indossava vestiti simili a quelli che
erano
venuti prima di lui, ma non sembrava un pesce fuor d’acqua
come gli altri.
Tarjei pensò che fosse nato per indossarli, per indossare
qualsiasi cosa in
realtà, e anche per non indossare nulla.
“Il tuo
nome?”
“Henrik,
Henrik
Holm.”
Tarjei
sentì Josephine
e Lisa sospirare sotto voce, stringendo l’una il braccio
dell’altra per evitare
di lanciare dei gridolini eccitati, come le ragazze fanno ogni volta
che posano
lo sguardo un bel ragazzo.
Henrik fece
vagare lo sguardo sui ragazzi seduti di fronte a lui,
l’espressione divertita
dalle loro reazioni e da tutto quel silenzio, quando i suoi occhi
azzurri si
posarono su di lui e la sua espressione cambiò, come se
avesse appena
realizzato qualcosa, e il suo sorriso divenne dolce. Tarjei credette di
star per
prendere fuoco, ma riuscì a ricambiare con un piccolo
sorriso, sentendo la
pelle d’oca tirargli i peli delle braccia.
“Quanti
anni
hai, Henrik?”
“Ventuno.”
“L'annuncio
era
per i ragazzi fino ai diciannove anni.”
Mai come in quel
momento Tarjei provò il forte desiderio di lanciare qualcosa
a Julie e urlarle
di stare zitta. Henrik si morse il labbro inferiore, mostrando per la
prima
volta un accenno di debolezza, ma sembrò riacquistare
immediatamente la sua
sicurezza.
“Lo
so.”
La semplice
affermazione ristagnò nell'aria per qualche secondo, in cui
tutti gli occhi si
posarono sulla donna in attesa della sua prossima mossa. Poco dopo
parlò, e
Tarjei sentì di star per svenire.
“Tarjei.”
“Mh?”
“Avvicinati.”
Adesso era
diventato lui il soggetto di tutti gli sguardi, e ciò non
faceva altro che
peggiorare la situazione. Deglutì il più
silenziosamente possibile e si alzò,
lanciando uno sguardo di sbieco ad Iman che sogghignava nel posto
accanto a
lui.
Sorprendentemente,
più si avvicinava ad Henrik e più sentiva i nervi
sciogliersi, i muscoli
rilassarsi: la sua vicinanza era come un calmante, una boccata d'aria
fresca ed
una doccia bollente contemporaneamente.
Quando si
trovò
di fronte a lui si accorse di quanto fosse effettivamente alto, persino
più di
lui che solitamente torreggiava su chiunque gli stesse intorno. La
vicinanza
gli permise di notare i dettagli: l'esatta sfumatura di azzurro dei
suoi occhi,
il rosa delle sue labbra così piene, la forma del naso,
della mascella. Dicono
che tutto è più brutto visto da vicino, ma Tarjei
pensò che quella regola non
valesse per il ragazzo (l'uomo) che
aveva di fronte: anche quando notò le imperfezioni della sua
pelle, le punticce
che increspavano la sua fronte come costellazioni, pensò che
non lo facessero
sembrare meno bello, solo più umano e sapere che nemmeno
questo giovane dio era
perfetto non fece altro che farlo sembrare ancora più
meraviglioso ai suoi
occhi. Le mani di Tarjei avevano iniziato a prudere: guardare
sembrava
non bastargli più, voleva ... no, aveva
bisogno di toccare, ma si dovette trattenere.
Passò
qualche
attimo, durante i quali a Tarjei sembrò quasi di avvertire
fisicamente lo
sguardo di Henrik che gli accarezzava il viso, prima che il
più grande rompesse
il silenzio.
“Ehi.”
“Ehi.”
Qualcuno
ridacchiò dalla platea, e anche ai due ragazzi non poterono
fare a meno di
sorridere: l’incontro sembrava molto più intimo di
ciò che era in realtà ed
erano tutti un po’ in imbarazzo, ma non negativamente, di
quell’imbarazzo che
si prova nel guardare una coppia in un momento che avrebbe dovuto
essere
destinato solo a loro due, senza spettatori.
Henrik
si avvicinò
impercettibilmente, poi guardò le sue mani e rivolse il suo
sguardo di lato.
Tarjei seguì il suo sguardo ed incontrò gli occhi
di Julie: brillavano come un
anno prima, durante la sua audizione. La donna annuì e
l’attimo dopo un tocco
leggero gli sfiorò la mano, facendolo rabbrividire e
abbassare lo sguardo: le
lunghe dita di Henrik gli sfioravano il
palmo della mano, chiedendo il permesso di stringerla del tutto. Tarjei
sorrise
e fece intrecciare le loro dita, per poi sollevare il viso ed
incontrare il
sorriso di Henrik, tanto grande che i suoi occhi a malapena riuscivano
a
restare aperti, e gli si riscaldò il cuore.
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Capitolo 3 *** Click, the last puzzle’s piece falls in its place ***
Click,
the last puzzle’s piece falls in its place
Aveva passato le
ultime due ore camminando per casa, passandosi convulsamente la mano
fra i
capelli e inciampando di continuo negli scatoloni che si trovavano
ancora in
mezzo al corridoio, nonostante abitasse in quell’appartamento
da quasi un mese
ormai e si ripetesse ogni giorno che il giorno successivo avrebbe
finalmente
concluso il trasloco.
Dopo essersi
quasi rotto l’osso del collo contro lo spigolo del comodino per la
terza volta, Henrik
decise che poteva bastare. Aveva bisogno di rilassarsi velocemente, e
conosceva
due modi per farlo: il primo necessitava di un’altra persona,
e nonostante ciò
che pensasse la maggior parte della gente non aveva una ragazza (o un
ragazzo)
fra le lenzuola ogni volta che aveva voglia di sciogliere i nervi, e il
secondo
…
Aprì il
cassetto
del comodino malefico e tirò fuori una delle canne
già rollate che nascondeva
quando sua madre veniva a fare visita, poi si distese sul letto ancora
disfatto
e l’accese, lasciando che il fumo gli riempisse i polmoni e
gli svuotasse la
mente almeno per un po’.
Era nervoso e
l’ansia lo stava logorando dall’interno, il
perché però non riusciva ben ad
afferrarlo, soprattutto adesso che la sua mente era quantomeno
annebbiata. L’audizione
era andata alla grande: Julie gli aveva fatto provare un paio di scene
scritte
appositamente per l’audizione, e fortunatamente non
l’avevano interrotto nel
bel mezzo di un monologo come il solito cliché del barista
che sogna Hollywood
e viene scartato anche per i ruoli più patetici, nonostante
dovesse ammettere
che le circostanze erano molto simili. Inoltre, le produttrici erano
comprensive e brillanti, il cast era formato da ragazzi simpatici e
rilassati,
gente con cui ci avrebbe messo poco ad andare d’accordo.
E poi,
ovviamente, c’era Tarjei. Aveva guardato le prime due
stagioni di Skam, e
quando il giorno prima quell’uragano dai riccioli biondi lo
aveva letteralmente
travolto era già abbastanza sicuro di averlo riconosciuto,
ma solo quando lo
aveva rivisto quella mattina i suoi dubbi erano stati chiariti.
Tarjei sembrava
un angelo, a tratti più piccolo della sua età e
altri molto più grande, il viso
innocente che pareva comunque avere qualcosa di malizioso a celarsi
dietro gli
occhi verdi e quel benedettissimo labbro superiore: Henrik avrebbe
voluto
stringerlo fra le braccia e proteggerlo dal mondo intero, baciare quel
labbro
fino a scordarsi di aver bisogno di respirare. Poi, si era ricordato
che non è
normale avere certi pensieri su qualcuno appena incontrato, e per
placare il
bisogno di toccare aveva chiesto e ottenuto il permesso di tenergli la
mano,
fino a quando avevano fatto tornare Tarjei a sedere, lasciandogli la
mano più
fredda e più vuota di come l’aveva trovata.
Era come se
…
come se un legame astratto lo collegasse a quell’angelo, come
se qualcuno lo spingesse
inesorabilmente verso di lui, e quando le loro mani si erano toccate
… click, come un
ingranaggio che viene
montato esattamente al suo posto e con un suono secco e deciso mette in
moto
l’intera macchina. Ecco! Ecco perché era nervoso e
ansioso e si stava
letteralmente cagando in mano: l’idea di non poter rivedere
ancora quel ragazzo
lo terrorizzava tanto da mandare tutto il suo organismo in crisi.
Henrik rise di
quanto quei pensieri fossero ridicoli e deliranti e si
stropicciò gli occhi,
spegnendo la canna ormai finita nel posacenere sul comodino. Era solo
ansioso
di ricevere un lavoro decente e che gli piacesse realmente per poter
dimostrare
a sua madre che poteva benissimo cavarsela da solo, ecco tutto.
Stava ancora
fissando il soffitto quando il suo telefono squillò, e
improvvisamente la
tensione lo assalì di nuovo e il cuore iniziò a
battere tanto forte e veloce
che aveva paura che fra qualche secondo avrebbe dovuto raccoglierlo dal
pavimento. Si mise seduto e iniziò a cercare freneticamente
il cellulare sotto
le lenzuola, imprecando un paio di volte e facendo un breve sospiro di
sollievo
prima di rispondere dopo averlo trovato sotto il letto.
“Pronto?”
“Henrik
Holm?”
“Sì?”
“Sono Mari
Magnus, web editor e co-produttrice di Skam, lieta di comunicarti che
sei stato
scelto per il ruolo di Even.”
-
Il ristorante
era particolarmente affollato, inusuale alle tre del pomeriggio, anche
per un
sabato.
Varcando la
porta, Henrik venne accolto dai camerieri e ricambiò i
saluti con più
entusiasmo del solito, guadagnandosi qualche sorriso in più
e delle pacche
sulla spalla. Sfilatosi il cappotto, esaminò il locale con
gli occhi, per poi
sorridere alla vista di suo fratello Mathias, appollaiato su una
poltrona in un
angolo della stanza con un libro di scienze in grembo e
l’espressione più
annoiata del secolo, che si trasformò in un enorme sorriso
quando incontrò gli
occhi di Henrik attraverso la stanza.
Il ragazzo
aggirò il grande tavolo colmo di gente, alla quale
augurò un buon pranzo
sentendo quasi di star camminando sulle nuvole, e riuscì
finalmente a
raggiungere Mathias, che quasi gli saltò addosso, la
verifica del giorno dopo
velocemente dimenticata.
“Fratello,
salvami!”
Il maggiore
rise, ricambiando la stretta e posandogli un bacio fra i capelli biondi.
“Dai
compiti di
scienze?”
“Dall’istinto
suicida.”
“Esagerato
come
sempre.”
Henrik sciolse
l’abbraccio,
gli scompigliò i capelli ridendo alle sue proteste e si mise
comodo sulla
poltrona accanto a quella di Mathias, che aveva ripreso la sua
precedente
posizione. Meno il libro, ovviamente.
Il più
piccolo
lo guardò per qualche secondo, prima di alzare le
sopracciglia in una muta
domanda: ‘allora?’. Henrik ricambiò con
il medesimo gesto e poi si sciolse in
uno dei suoi sorrisi che gli impedivano di tenere gli occhi aperti e lo
sguardo
di suo fratello si illuminò. Henrik poté notare
il chiaro sforzo che stava
facendo per non mettersi ad urlare di fronte ai clienti di sua madre.
“Mio
fratello è
un fottutissimo attore!”
“Linguaggio!”
“Oh ma va
a quel
paese tu e il linguaggio! Ti hanno preso nella serie tv più
famosa del paese e
tutto ciò che sai dire è
‘linguaggio’?”
Henrik
scoppiò a
ridere al tentativo di suo fratello di imitare la sua voce, troppo
profonda per
la sua acuta da quattordicenne, ma smise quando i suoi occhi
incontrarono
quelli di sua madre, che si avvicinava a loro distribuendo sorrisi
caldi come
biscotti appena sfornati.
“Quindi
mio
figlio è un ‘fottutissimo
attore’?”
Mathias
ricevette uno scappellotto ed Henrik dovette mordersi il labbro per non
scoppiargli a ridere in faccia.
“Eh.”
Siv
aggrottò le
sopracciglia e nella mente si schiaffeggiò da solo, urlando
al suo cervello di
tornare velocemente a funzionare. Pensandoci, fumarsi una canna prima
di andare
al ristorante di sua madre non era stata proprio l’idea
migliore della
settimana. Guardò suo fratello in cerca di sostegno, ma
tutto ciò che ottenne
fu un alzata di spalle e uno sguardo divertito, prima di essere
travolto dall’abbraccio
di sua madre.
Più
confuso che
mai si alzò in piedi per evitarle una posizione scomoda e
ricambiò l’abbraccio
ancora titubante, per poi sciogliersi del tutto alle parole che sua
madre
sussurrò contro il suo petto.
“Sono così fiera di te.”
La strinse tanto
forte da avere paura di spezzarla a metà e rise con lei
quando la sollevò da
terra. Quando allentò la presa per riuscire a guardarla in
viso, si accorse che
avevano entrambi gli occhi lucidi. Siv gli accarezzò i
capelli, l’espressione
più dolce e orgogliosa che gli avesse mai visto fare a
illuminarle il viso
stanco per il troppo lavoro. La sua mamma non era mai stata tanto bella.
“Ti voglio
bene
tesoro, così tanto bene.”
“Anche io
mamma.”
Passarono la
successiva mezz’ora attorno ad una tazza di tè,
Henrik che raccontava per filo
e per segno l’audizione alle due persone più
importanti della sua vita, venendo
interrotto di tanto in tanto dalle risate di Mathias e i commenti di
sua madre.
Raccontò tutto, tranne della sensazione di calore che gli
aveva riempito lo
stomaco. Alla fine, abbracciò entrambi e recuperò
il cappotto, dicendo che
aveva ancora una cosa da fare.
“Dove stai
andando?”
“A
licenziarmi.”
-
Gli mancava un
pezzo.
Lo sentiva
esattamente al centro dello sterno, come se avesse appena perso il
pezzo di un
puzzle che era completo. Anzi, come se si fosse appena accorto che al
suo
puzzle apparentemente completo era sempre mancato un pezzo.
“Tarjei?”
La voce di
Marlon lo tirò brutalmente fuori dal limbo di pensieri in
cui si era
momentaneamente rinchiuso, alla ricerca di ciò che gli aveva
fatto rendere
conto del vuoto al centro del suo petto. In realtà,
più che aver perso
qualcosa, Tarjei pensava che il vuoto si era formato per far spazio a
qualcosa
di nuovo, e adesso era lì e aspettava che quel qualcosa
tornasse per colmarlo
nuovamente.
Doveva avere uno
sguardo davvero allarmante, perché le chiacchiere attorno al
tavolo andarono
man mano affievolendosi fino a quando tutti gli occhi furono puntati su
di lui,
tutti, chi più chi meno, preoccupati e curiosi.
“Tarjei?”
“Oh, ehm
… sì?”
“Che hai
amico?”
“Io
… sono
stanco, sì, non ho dormito molto stanotte.”
David non
sembrò
molto convinto della risposta del suo amico, ma fortunatamente Iman
distolse l’attenzione
da lui. Almeno così pensò per una frazione di
secondo, prima di ucciderla
mentalmente in almeno dieci modi diversi.
“Carino
quell’Henrik,
eh?”
Tarjei la
fulminò con gli occhi ma lei ricambiò con un
ghigno eloquente, e il ragazzo
vacillò.
“Carino?
Quel ragazzo
è praticamente un modello di ventun’anni, persino
bello è riduttivo.”
Tutti annuirono
alle parole di Josephine, e Tarjei si morse l’interno della
guancia per impedire
a sé stesso di vomitare tutte le parole che gli erano venute
in mente quando
aveva visto il ragazzo quella mattina; in confronto a quelle, qualsiasi
cosa
sarebbe stata riduttiva.
“Sono
l’unico
che avrebbe voluto scomparire quando Julie ha fatto avvicinare
Tarjei?”
Il diretto
interessato guardò Sasha con un sopracciglio alzato mentre
gli altri si
esprimevano in versi di approvazione. Il ragazzo di colore fece
spallucce.
“Scusami
amico,
ma mi sembrava di essere … non so, nel bel mezzo di un
momento privato, tipo
quando vedi una coppia baciarsi sul tram.”
“Esatto,
la
chimica fra voi era qualcosa di assurdo, e quando vi siete toccati
è stato …”
Ulrikke si
guardò in torno, alla ricerca di qualcuno che le suggerisse la
parola giusta, e
improvvisamente David schioccò le dita.
“Click! L’ultimo pezzo del
puzzle che va
al suo posto.”
L’ultimo
pezzo del puzzle che va al suo
posto.
Tarjei, che non
aveva fatto altro che arrossire sempre di più,
spalancò gli occhi e tutto l’ossigeno
contenuto nei suoi polmoni sembrò abbandonarlo, come se
avesse appena ricevuto
un pugno nello stomaco. L’ultimo
pezzo
del puzzle che va al suo posto.
Tuttavia,
nessuno sembrò accorgersi di lui, tutti troppo impegnati a
sussurrare eccitati
alla vista di qualcuno che era appena entrato nel bar. Lisa gli
picchiettò sul
braccio e riprese fiato, solo per perderlo l’attimo stesso in
cui si voltò.
Henrik, cappotto
ancora addosso e sorriso disarmante, stava parlando con la ragazza al
bancone.
Lei prima spalancò la bocca, poi sorrise e gli fece segno di
raggiungerla dall’altra
parte, dove gli buttò le braccia al collo in un abbraccio, e
Tarjei ignorò il motivo
del senso di fastidio che provava all’altezza dello stomaco.
Quando la ragazza
si decise (finalmente) a mollarlo, un uomo che riconobbe come il
proprietario
emerse dalla cucina, scambiò un paio di parole con Henrik e
alla fine sorrise,
gli diede una pacca sulla spalla e tornò sul retro.
“Non ci ha
visto, sta per andarsene.”
Marlon
alzò un
braccio per farsi notare da Henrik, che si fermò a
metà strada verso la porta e
si aprì in un enorme sorriso nel vederli tutti insieme. Il
ragazzo si spogliò
del cappotto e Tarjei riprovò la stessa eccitazione mista ad
ansia di quella
mattina mentre lo vedeva avvicinarsi sempre di più.
“Ehi!”
“Ehi, che
ci fai
qui?”
“Mi sono
appena
licenziato.”
Il ragazzo rise
alle loro espressioni perplesse e prese una sedia libera dal tavolo
affianco,
sistemandosi esattamente accanto a Tarjei. Il ragazzo
deglutì, ma si rilassò
completamente quando Henrik cercò il suo sguardo e gli
sorrise, come per
salutarlo privatamente. Gli parve e gli piacque pensare che quel
sorriso fosse
diverso da quello che aveva offerto agli altri.
“Sei un
uomo libero,
quindi.”
“Nah,
credo di
essere bloccato con voi per un bel po’ di tempo da adesso in
poi.”
Quando le parole
furono totalmente comprese da tutti, il tavolo esplose in versi di
gioia,
complimenti e pacche sulle spalle, e le ragazze riuscirono anche a
togliersi lo
sfizio di abbracciarlo, anche sa da adesso in poi avrebbero avuto
moltissimo
tempo per includerlo nella loro “grande famiglia
arcobaleno”, come Carl l’aveva
rinominata.
Tarjei
rilasciò
del fiato che non sapeva di star trattenendo, e lo abbracciò
per ultimo,
nonostante fosse quello seduto più vicino, annegando nel suo
profumo e
respirandolo a pieni polmoni.
Click,
l’ultimo
pezzo del puzzle che va al suo posto.
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Capitolo 4 *** I've been thinkin bout you ***
I’ve been
thinkin bout you
Tarjei era
pubblicamente conosciuto come la persona meno socievole in qualsiasi
cerchia di
amici si trovasse, e a ciò seguiva il suo inevitabile odio
per i social
network. Eppure, non aveva fatto altro, per un’intera
settimana, che passare
ogni momento libero della sua giornata su Instagram, pregando che Mari
non
venisse a sapere che stava abusando del profilo di Isak. In sua difesa,
non
avrebbe potuto farne a meno nemmeno anche se avesse voluto, e non
voleva:
faceva sembrare il vuoto meno grande, anche se una foto sullo schermo
di un
cellulare non avrebbe mai retto il confronto con averlo lì
accanto a sé.
Inutile dire che
era una cosa tanto inusuale da parte sua che David se ne accorse. Sette
giorni
dopo, ma se ne accorse.
“Esattamente,
cosa stai facendo?”
Tarjei quasi non
lanciò il cellulare in aria per lo spavento e dovette
coprirsi la bocca per non
urlargli contro nel bel mezzo della lezione di storia.
“Cazzo
David,
potresti evitare di farmi morire prematuramente di attacco cardiaco
alitandomi
nell’orecchio?”
“Calma i
bollenti spiriti e dimmi che hai, la gente inizia a pensare che tu sia
strano.”
“Tu dici a me
che sono strano.”
“Taglia
corto e
dimmi che succede.”
Tarjei
sbuffò e
si allontanò da lui, nascondendo il telefono dalla sua
vista. David lo guardò
di sbieco e cercò di afferrarlo, venendo allontanato con uno
schiaffo sulla
mano.
Cinque minuti
dopo erano fuori dall’aula, puniti per aver disturbato la
lezione. Seduti a
terra con la schiena contro il muro e un broncio su entrambi i loro
visi,
sembravano due bambini a cui era appena stata negata la merenda. Dopo
qualche
minuto di silenzio, Tarjei sbuffò e posò
malamente il cellulare in mano a David:
se c’era una cosa che aveva imparato da Skam, e che il modo
migliore per
risolvere i problemi è parlarne; e poi questo non era
nemmeno un problema … non
ancora, perlomeno. L’amico lo guardò a bocca
aperta.
“Non
potevi farlo prima che ci
cacciassero dalla classe?”
“Sta
zitto, e
giuro che se mi prendi in giro ti faccio il culo.”
David
alzò le
mani in segno di resa e poi rivolse lo sguardo allo schermo, un
sorrisetto gli
incurvò le labbra e infine guardò nuovamente
Tarjei, che aveva passato quei
pochi secondi a torturarsi l’interno della guancia.
“Sorridi
così
perché stai per dirmi che sono patetico, non è
vero?”
“Sorrido
così
perché sei un idiota. Perché avrei dovuto
prenderti in giro?”
Tarjei si
strinse nelle spalle, evitando il contatto visivo per non arrossire del
tutto.
“Perché
sembro
una stupida ragazzina che stalkera la sua cotta segreta
suppongo.”
David lo
guardò,
serio come non mai.
“Giuro che
se ti
vergogni ancora di essere gay ti picchio sul serio.”
“Non
è per
quello.”
“E per
cosa
allora?”
Tarjei
sbuffò e
rivolse il viso dalla parte opposta. David alzò gli occhi al
cielo e, intuendo
che non avrebbe ricevuto alcuna risposta, parlò di nuovo.
“Ascolta,
te
l’hanno già detto i ragazzi la settimana scorsa in
quel bar, e te lo ripeterò
all’infinito se servirà a farti smettere di
comportarti come un complessato del
cacchio: si vede che non è normale. Cioè, che
è una cosa speciale. Okay che vi
siete visti sì e no due volte ma, primo, questo ragazzo
potrebbe far diventare
i ragazzi etero gay e le ragazze gay etero, e non mi guardare
così, sai che
faccio schifo con le parole.”
Tarjei
accennò
una risata e si passò una mano sul viso.
“Ciò
che sto
cercando di dire è: se ti sei preso una cotta per lui
è normale, probabilmente
Josephine e Lisa ti hanno persino battuto sul tempo, ma ciò
che vi unisce è
diverso da tutto il resto, e se mi propini la storiella del
‘prendersi una
cotta per una persona appena conosciuta è da
ragazzine’ ti faccio stare zitto
con la forza. Ora, prendi sto telefono e mandagli un messaggio, usa la
scusa
del conoscersi meglio prima di limonare di fronte a milioni di persone
o quello
che ti pare, con Ulrikke ha funzionato.”
Tarjei
scoppiò a
ridere e gli diede una spallata, riprendendo in mano il cellulare.
“Smetti di
portare
quella ragazza nei fast food e portala a cena fuori. E comunque non ho
una
cotta per lui.”
“Sì,
vado in
bagno a sbattere la testa contro il lavandino eh.”
David si
allontanò con un espressione esasperata in volto e Tarjei
gli fece il dito
medio, per poi guardare l’immagine sullo schermo, fissando
come aveva fatto per
tutta la settimana il sorriso di Henrik e i suoi occhi che sembravano
contenere
intere galassie, e decise di ascoltare il consiglio di qualcun altro,
una volta
tanto.
Aveva appena
aperto la chat, ancora tremendamente immacolata, che immediatamente la
nuvoletta con i tre puntini apparve sullo schermo e Tarjei
sentì il battito
cardiaco aumentare improvvisamente. Chiuse tutto e quasi lo
lanciò mezzo metro
più in là (alla fine della giornata avrebbe avuto
bisogno di un telefono
nuovo), respirò a fondo, non riuscendo però a
frenare l’eccitazione di sapere
cosa Henrik gli avrebbe scritto. Sicuramente roba tipo
‘scusa, le riprese
iniziano fra due settimane giusto?’, oppure …
qualcos’altro, nulla che avesse
direttamente a che fare con lui sicuramente.
Pochi attimi
dopo, una notifica illuminò lo schermo.
Henrik
Ehi, hai da fare
questo pomeriggio?
Tarjei
spalancò
gli occhi e rimase a fissare quelle parole come imbambolato, prima di
alzarsi
velocemente e quasi correre al bagno dei ragazzi.
“David?”
“Terza
porta.”
Si
avvicinò alla
porta e bussò, nonostante l’amico gli avesse
già risposto.
“Esci da
qui
subito!”
“Che
è
successo?”
“Mi ha
scritto!”
“Nel senso
che
ti ha risposto?”
“Nel senso
che
mi ha scritto lui per primo!”
“Oddio.”
Il rumore dello
sciacquone e David spalancò la porta, i pantaloni ancora
mezzi sbottonati, e
Tarjei gli piazzò il telefono sotto al naso. Il ragazzo
lesse velocemente e lo
guardò con un sorriso da orecchio a orecchio.
“Che devo
fare?”
“Rispondigli
che
sei libero idiota!”
Tarjei si
passò
velocemente una mano fra i capelli e, preso coraggio, aprì
la chat.
Henrik
Ehi, hai da fare
questo pomeriggio?
Ehi
Sono libero
… come mai?
“I tre
puntini
sono un tocco di classe.”
Tarjei
alzò gli
occhi al cielo e diede una spinta a David, che intanto aveva finito di
rivestirsi e guardava lo schermo da sopra alla sua spalla. Tarjei lo
cacciò
malamente e rivolse gli occhi al cellulare, non potendo fare a meno di
sorridere al messaggio seguente.
Volevo essere certo
di accaparrarmi per
primo la tua compagnia
Interessante
Per fare cosa
esattamente?
Conoscerci meglio ;-)
Tarjei
sentì le
guance bruciare e nascose un sorrisetto dietro il cellulare, mentre una
sensazione confusa ma incredibilmente piacevole gli solleticava
l’ombelico.
“Fammi
leggere!”
“Col
cacchio.”
Il ragazzo
uscì
dal bagno, seguito da un David contrariato ma evidentemente divertito
dall’imbarazzo dell’amico, e rispose.
Si può
fare :-)
Perfetto
Sorrise nel
ricevere un indirizzo, probabilmente dell’appartamento di
Henrik. Perfetto.
-
Marlon e Sasha
li aspettavano all’uscita da scuola come sempre, ma quel
giorno non erano soli.
Tarjei non
poté
fare a meno di storcere il naso alla vista della biondina del bar, la
sensazione di fastidio provata la settimana precedente che si
ripresentava
impertinente, e si costrinse a rivolgerle un sorriso convincente che
finse
piuttosto facilmente. Quello, pensò, era un vantaggio
dell’essere un bravo
attore.
Salutò i
suoi
due amici con una pacca sulla spalla e lasciò che David
parlasse per primo.
“Vedo che
abbiamo compagnia.”
“David e
Tarjei,
Lea. Viene nella nostra scuola.”
Si scambiarono
una stretta di mano e Tarjei parlò per la prima volta.
“Lavori
con
Henrik, giusto?”
“Lavoravo,
sì.
Si è licenziato perché non sarebbe riuscito a
fare entrambe le cose allo stesso
tempo.”
Il ragazzo
annuì
e lasciò che la conversazione continuasse senza di lui,
troppo impegnato a
rileggere per l’ennesima volta i messaggi che aveva scambiato
un paio d’ore
prima con Henrik. Dio, si stava comportando sul serio come una
ragazzina.
“Andiamo
Tarjei?”
“Eh?”
“Andiamo
a pranzare, vieni o no?”
“In
realtà il
nostro Tarjei qui deve-
Pestò il
piede a
David prima che riuscisse ad aggiungere altro, guadagnandosi degli
sguardi fra
il sorpreso e il divertito.
“Ho da
fare, già.
Voi iniziate ad andare, David vi raggiunge fra un minuto.”
Sorrise il
più
innocentemente possibile e li salutò con la mano fino a
quando non lasciarono
il cortile, poi si voltò verso il suo migliore amico.
“Un po’ meno.”
“Come te
lo devo
dire che ce ne siamo accorti tutti?”
“Non vi
siete
accorti di un bel niente.”
David stava per
controbattere, quando la sua espressione si trasformò da
irritata a divertita e
un attimo dopo un paio di mani si posarono sui suoi occhi. Tarjei
aggrottò le
sopracciglia e coprì le mani con le proprie: erano
più grandi delle sue, magre
e dalle dita affusolate, ma ugualmente morbide e calde. Sorrise.
“Henrik.”
Il ragazzo alle
sue spalle rise e spostò le mani sulle sue spalle, facendolo
gentilmente
voltare verso di sé, e a Tarjei sembrò che tutto
fosse più luminoso.
“Credevo
di
dover venire io da te.”
“Sì,
ma sono
sveglio da quando ti ho mandato il messaggio e-
“Hai
dormito
fino all’una di pomeriggio?”
Henrik rise alla
sua espressione sconvolta e gli sfiorò la guancia con un
dito, tanto leggero
che poteva essere scambiato per il battito d’ali di una
farfalla.
“Quando
avrai
finito la scuola lo farai anche tu.”
“Non
parlarmi
come se avessi cinque anni solo perché tu sei
vecchio.”
Il ragazzo finse
una faccia sconvolta e Tarjei alzò gli occhi al cielo con un
sorrisetto.
“Dicevi?”
“Dicevo,
mi sono
appena svegliato, avevo voglia di fare due passi e abito qui
vicino.”
Concluse con una
scrollata di spalle e un sorriso, poi guardò oltre di lui
aggrottando le sopracciglia.
“E
David?”
Tarjei si
accorse solo in quel momento che fino ad un momento prima stava
parlando con il
suo amico, ma voltandosi e non trovandolo fece spallucce. Aveva altro a
cui
pensare in quel momento.
“Era in
ritardo
per andare da qualche parte.”
“Okay,
andiamo?”
Nel camminare
accanto ad Henrik, ascoltandolo parlare e osservando il modo in cui il
sole
creava delle ombre fra i suoi capelli e sul suo viso, decise
deliberatamente di
ignorare un certo messaggio.
David
Ti perdono solo per
sostenere alla causa,
sappilo.
-
L’appartamento
di Henrik era luminoso, silenzioso e tremendamente disordinato: alcuni
scatoloni erano malamente impilati in un angolo della camera da letto,
il
lavandino della cucina era pieno di piatti puliti a metà, e
passando davanti
alla porta socchiusa del bagno si poteva scorgere una pila di panni
sporchi ai
piedi della doccia. Ma era un appartamento a tutti gli effetti, a
tratti
persino troppo grande per una persona sola, e urlava indipendenza da
tutti i
pori. Sì, gli piaceva eccome.
“Da
quant’è che
vivi da solo?”
“Poco
più di un
mese.”
Tarjei
guardò
Henrik sfilare un cd dalla pila sulla libreria e poco dopo la voce di
Frank Ocean
riempiva l’aria.
“Come
mai?”
“Come mai
vivo
da solo?”
Tarjei
annuì ed
Henrik lo guardò inclinando la testa di lato, come se stesse
riflettendo se
parlargliene o meno. Alla fine, sorrise e indicò il letto
con un cenno del capo
per poi sedersi su di esso appoggiando la schiena alla testiera. Tarjei
si
sedette di fronte a lui a gambe incrociate.
“E’
per mia
madre,” esitò per un momento e Tarjei
annuì, incitandolo silenziosamente a
continuare, “crede che io sia ancora un bambino, volevo
dimostrarle che non lo
sono più.”
“E tuo
padre?”
“Mio padre
vive
in Svizzera, qui siamo solo io, mia madre e mio fratell0 minore
Mathias.”
Annuì,
evitando
di chiedere scusa per colpe che non gli appartenevano come faceva la
maggior
parte delle persone e decise semplicemente di cambiare discorso,
sorridendo nel
leggere la gratitudine negli occhi del ragazzo di fronte a
sé.
“Lo
stipendio
del Brenneriet era abbastanza per mantenerti?”
“A
malapena, ma
il proprietario è un vecchio amico di mia madre, lamentarmi
dello stipendio non
sarebbe stato molto carino, e nemmeno andarmene senza una
spiegazione.”
“E la
ragazza al
bancone era troppo carina, mh?”
Si morse il
labbro inferiore, maledicendosi per aver pensato ad alta voce, ma
Henrik
sorrise.
“Lea
è carina,
non c’è che dire, ma non è di lei che
voglio sentir parlare adesso.”
Tarjei
accennò
una risata per camuffare l’imbarazzo e poi fece spallucce.
“Cosa vuoi
sapere?”
“Tutto.”
E Tarjei gli
raccontò tutto: della malattia che aveva portato via suo
padre, di Skam, dell’amore
per la recitazione, dei suoi amici, di sua madre. Henrik
ascoltò in silenzio,
sorridendo di tanto in tanto e guardandolo come se fosse stato
un’opera d’arte
particolarmente complicata e l’unica cosa che gli importasse
in quel momento
fosse riuscire a decifrarla. Quando ebbe finito, Frank cantava White ed
Henrik
decise che era arrivato il momento di provare qualcosa di nuovo.
“Hai mai
fumato,
Tarjei?”
“Marijuana?
No,
mai.”
Henrik
aprì il
cassetto del comodino e tirò fuori un accendino ed una canna
accuratamente
rollata. Tarjei fremette di aspettativa, curiosità di
provare qualcosa per la
prima volta, e soprattutto perché Henrik si era allontanato
dalla parete e si
era avvicinato tanto che adesso Tarjei era praticamente seduto fra le
sue
lunghe gambe.
“E’
l’ultima che
ho, quindi dovremo adattarci.”
Infilò la
canna
fra le labbra e l’accese, poi fece un lungo tiro e gli
posò una mano sulla
guancia, facendogli aprire la bocca accarezzandogli le labbra con il
pollice.
Tarjei spalancò gli occhi, ma prima che potesse dire
qualcosa, Henrik si era
avvicinato ancora di più e stava soffiando il fumo verso la
sua bocca. Tarjei
sentì un brivido scorrere lungo la spina dorsale, chiuse gli
occhi e aspirò,
sentendo i polmoni riempirsi. L’attimo dopo, dovette girare
la testa di lato
per non tossire sulla faccia di Henrik. Sentì il ragazzo
ridere e sfiorargli il
viso come aveva fatto nel cortile della scuola.
“Ci
prenderai la
mano, baby boy.”
Un
nuovo colpo di tosse lo colpì nel sentire
le ultime parole in inglese, ma non poté fare a meno di
sorridere, tornando a
guardarlo e cercando di ignorare le guance che gli andavano a fuoco.
“Tu sai
che non
sono così
piccolo.”
“Sì,
ma non me
ne importa molto.”
Risero
all’affermazione
del più grande e provarono ancora quello che Tarjei
imparò essere uno ‘shotgun’,
fino a quando la canna non fu ormai finita e loro due non riuscivano a
fare
altro che ridacchiare e dire la prima cosa che gli passava per la
testa, che di
solito portava solo ad altre risate.
Durante le due
ore successive (che Tarjei ribattezzò come le migliori della
sua vita fino a
quel momento), ci fu un attimo in cui nessuno dei due rideva, la musica
e l’aria
vibravano di colori che non avevano mai visto prima, e Tarjei si
sentiva
fragile.
“Deve
essere
sempre così.”
“Mh?”
“Io devo
essere
a mio agio con te e tu con me, come adesso, sempre.”
Henrik
ricambiò
il suo sguardo: adesso era diventato serio anche lui.
“Non
voglio che
sia strano. Non farlo sembrare strano, okay?”
Il più
grande
annuì lentamente.
“Non
sarà
strano, fra me e te, e se lo diventasse faremo in modo che torni a non
esserlo.”
Tarjei
annuì e
si stese accanto a lui, guardando il soffitto. Non sarebbe stato strano
fra di
loro, perché il suo petto non era vuoto, e si sentiva nel
posto giusto al
momento giusto, e Thinkin Bout You gli accarezzava le orecchie e gli
cullava l’anima,
già rilassata dal fumo che vedeva ancora attorno a
sé e di cui i suoi vestiti
erano impregnati.
Alla
fine, si addormentò.
A
tornado flew around my room before you came
Excuse the mess it made, it usually doesn't rain in
Southern California, much like Arizona
My eyes don't shed tears, but, boy, they bawl
When
I'm thinkin' 'bout you (Ooh, no, no, no)
I've been thinkin' 'bout you (You know, know, know)
I've been thinkin' 'bout you
Do you think about me still? Do ya, do ya?
Note
Capitolo
dedicato a scripturient_, che ha impiegato il suo tempo e il suo
talento per
creare uno degli edit più belli che abbia mai visto per la
mia storia, e che
adesso esibisco fieramente come mio avatar. Grazie <3
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Capitolo 5 *** My bedsheets smell like you ***
My bedsheets
smell like you
Guardare Tarjei
dormire era come avere a disposizione il tesoro più prezioso
del mondo e avere
paura di toccarlo, di rovinarlo, di romperlo.
I suoi capelli
sparsi sul cuscino come fili d’oro che brillano anche al
buio, le ombre sulle
sue guance create dalle lunghe ciglia come petali di un fiore di
cristallo, i
nei sulla pelle bianca come indicazioni su cui posare i baci
più delicati.
Durante il sonno il suo corpo si era raggomitolato su se stesso,
facendolo
sembrare piccolo e fragile, esattamente come lo vedeva Henrik: sin dal
primo
momento non aveva fatto altro che desiderare di poterlo proteggere, ma
adesso
aveva paura che anche lui gli avrebbe fatto del male, e non avrebbe
potuto
sopportarlo.
Rimase a
guardarlo fino a quando il sole non fu scomparso dietro i palazzi di
Oslo,
trattenendo il respiro ad ogni suo sospiro e sorridendo ad ogni piccola
smorfia, quasi tremando nel scostargli i capelli dalla fronte ed
evitando di
toccarlo in qualsiasi altro modo, non sapendo se ne aveva il permesso o
meno. Molto
dopo che la luce del sole aveva abbandonato la stanza e
l’erba aveva smesso di
fare effetto, lasciando spazio alla fame chimica che ne conseguiva, si
era
alzato il più lentamente possibile per evitare di
svegliarlo, gli aveva posato
una coperta addosso ed era uscito dalla camera chiudendosi la porta
alle
spalle.
Il frigo era vuoto
e il suo stomaco si esibì in un gemito di protesta. Quando
avrebbe imparato a
fare la spesa prima di ritrovarsi senza cibo? Afferrò il
telefono per ordinare
del cibo da asporto, ma il sangue gli si rigelò nelle vene.
Chiamate
perse (5) da Mamma
Pregò che
a
rispondergli fosse la segreteria telefonica.
“Henrik!”
Ovviamente.
“Ma-
“Si
può sapere
che fine avevi fatto?!”
“Lasciami
spiega-
“Dovevi
essere a
casa due ore fa!”
Cazzo, il
compleanno di suo zio. Lanciò un’occhiata
all’orologio del microonde: le 22.
“Spero che
tu
abbia una spiegazione valida!”
Henrik si
passò
una mano fra i capelli e sul viso, guardandosi attorno come se la
risposta
fosse scritta sui muri. ‘Mi sono fatto con il mio nuovo
partner e sono rimasto
tre ore a guardarlo dormire come un maniaco’? Assolutamente
no.
“Io
… ehm … mi
sono addormentato?”
La linea rimase
mortalmente silenziosa per qualche secondo, dandogli il tempo di
allontanare il
telefono dall’orecchio in tempo per non rompersi un timpano a
causa delle urla
di sua madre. La sfuriata durò un paio di minuti, durante il
quale Henrik
fissava il telefono poggiato a debita distanza sul tavolo, camuffando
le risate
coprendosi la bocca con una mano. Alla fine, le urla cessarono e ancora
titubante riavvicinò il cellulare all’orecchio.
“Mamma?”
“Non hai
ascoltato nulla, non è così?”
Merda.
“Risposta
sincera o risposta accomodante?”
Il sospiro di
sua madre gli fece intendere che aveva ufficialmente finito, e che
magari
l’ironia era anche riuscita ad addolcire la pillola.
“Ho detto
a tuo
zio che avevi la febbre, domani chiamalo e chiedigli scusa.
Intesi?”
“Sì,
mamma.”
“Bene. Ora
mi
dici il vero motivo o devo tirarti fuori le parole di bocca?”
“…
come hai
fatto?”
“Conosco i
miei
polli.”
Questa volta si
lasciò scappare un risata, valutando ciò che
sarebbe stato meglio dirle e cosa
no.
“Ho
invitato
Tarjei a cena.”
Silenzio.
“Mamma
smettila,
percepisco il tuo sorrisetto sornione da qui. Volevo conoscerlo meglio
prima di
iniziare le riprese, non è come pensi.”
“Io non
penso
niente.”
“Tu pensi
anche troppo.”
“Portalo
al
ristorante uno di questi giorni, così mangerà
qualcosa di meglio di una pizza
surgelata.”
“Non
abbiamo
mangiato una pizza surgelata, io so cucinare benissimo.”
“Venite di
mercoledì, c’è meno gente. Ciao tesoro,
e ricordati di fare la spesa!”
Prima che avesse
il tempo di dirle che era un po’ tardi per quello ormai, sua
madre aveva chiuso
la chiamata. Alzò gli occhi al cielo, pronto a mandare un
messaggio di scuse a
suo zio, quando sentì il rumore di una porta che si apriva,
e pochi attimi dopo
Tarjei apparve sulla soglia della cucina, capelli arruffati e una mano
a
stropicciarsi un occhio.
“Buongiorno.”
“Buonasera
semmai.”
Tarjei gli
rispose con un’alzata di spalle e gli si avvicinò
con passo incerto fino a
posare la fronte contro la sua spalla. Henrik sorrise: dopo
ciò che si erano
detti quello stesso pomeriggio, la fiducia che avevano dimostrato
l’uno nei
confronti dell’altro, sapeva che avevano raggiunto il passo
successivo e un
livello totalmente nuovo di confidenza, e non poteva fare a meno di
sentirsi
più rilassato e anche compiaciuto, ora che poteva essere
sé stesso appieno con
Tarjei.
“Sto
morendo di
fame.”
“Effetti
collaterali, baby boy.”
Tarjei
alzò il
viso e gli sorrise, le guance che si tingevano di un rosso adorabile,
per poi posare
il mento sulla sua spalla e rivolgere lo sguardo al telefono su cui
aveva già
iniziato a cercare una pizzeria che facesse consegne a domicilio a
quell’ora
della sera.
“Pizza?”
“Sì,
ti prego.”
-
Doveva essere la
pizza più buona che avessero mai mangiato, o forse erano
semplicemente troppo
affamati. In ogni caso, i cartoni furono presto puliti fino
all’ultima briciola,
un film su Netflix fatto partire e con un po’ di fortuna
riuscirono anche a
trovare una vaschetta di gelato nel refrigeratore.
Henrik distolse
lo sguardo dallo schermo per posarlo su Tarjei e incontrare i suoi
occhi che
già lo osservavano. Il ragazzo arrossì ed
abbassò il viso: era almeno la terza
volta che lo beccava da quando era iniziato il film e avevano
abbandonato la
vaschetta semivuota sul tavolino di fronte al divano. Henrik sorrise,
sentendo
l’ormai familiare sensazione di calore fargli venire la pelle
d’oca, e gli
sollevò il viso con una mano, pulendogli l’angolo
delle labbra sporco di gelato
al pistacchio e facendolo sorridere.
“Mia madre
vuole
che ti porti a cena al ristorante mercoledì.”
“Uh?”
Henrik
annuì,
abbassando il volume della tv ormai dimenticata.
“Credo che
voglia sottoporti ad un interrogatorio e rimpinzarti di cibo. Ha questa
malsana
idea che io non sappia cucinare.”
“Per
quanto ne
so potrebbe avere ragione.”
“Si
può sapere
da che parte stai?”
“Da quella
di
chi cucina del cibo apposta per me e non ordina da asporto.”
“Non mi
sembrava
ti stessi lamentando mentre leccavi le briciole, e poi ti ho dato il
gelato.”
Privo di
argomentazioni, Tarjei alzò gli occhi al cielo e gli diede
una spinta,
facendolo ridere. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma la
richiuse subito dopo,
mordendosi l’interno della guancia. Henrik corrugò
le sopracciglia e gli sfiorò
una guancia per invitarlo a parlare.
“Sarebbe
strano
se … venisse anche mia madre?”
Henrik sorrise,
già immaginando quanto esilarante si sarebbe rivelata la
serata nel mettere due
mamme una accanto all’altra, e stava per rispondere che no,
non c’era nessun
problema, quando Tarjei riprese a parlare.
“L’ho
sentita
prima, quando mi sono svegliato c’era qualcosa come un
migliaio di chiamate
perse, e quando le ho detto dov’ero e perché non
ero tornato a casa ha
immediatamente smesso di urlarmi contro” sorrise al pensiero,
tornando a guardarlo,
“credo che ti adori senza averti mai nemmeno incontrato.
Fatto sta che voleva
che ti invitassi a cena-
“-mercoledì.”
Tarjei
annuì e
si sorrisero.
“Non
è affatto
strano, Tarjei. Anzi, penso che preoccuparsi di conoscere i colleghi di
suo
figlio faccia di lei una madre fantastica. Se poi suo figlio
è ancora un
bambino …”
Henrik rise,
schivando il cuscino che Tarjei aveva puntato direttamente contro il
suo viso.
Più tardi
quella
notte, dopo che ebbero deciso di comune accordo che nessuno dei due
avrebbe
dormito sul divano (“Ti ho detto che tu sei
l’ospite, non posso farti dormire
sul divano.” “E io ti ho detto che sei troppo alto
per dormirci, non ci stai
nemmeno raggomitolato là sopra.”) e il respiro di
Tarjei si era fatto pesante,
Henrik si addormentò con il sorriso al pensiero che le
lenzuola non avrebbero
avuto solo il suo odore.
Nei giorni
successivi pensò che non aveva mai dormito così
bene, quando il calore di
Tarjei accanto a lui mancava, ma il fantasma del suo profumo impregnava
l’intera stanza.
-
Il sorriso che
sua madre aveva indossato insieme al suo vestito preferito quella sera
lo
inquietava.
“Mamma.”
Martha distolse
brevemente gli occhi dalla strada e gli lanciò uno sguardo
curioso.
“Promettimi
che
non mi metterai in imbarazzo.”
“Ti ho mai
messo
in imbarazzo?”
“Mamma.”
“Tarjei.”
Il ragazzo
sbuffò, appoggiando la fronte contro il vetro freddo del
finestrino: non era
nervoso, o ansioso, alla fine non sarebbe potuto accadere nulla di
tragico, ma
il solo pensiero che sua madre potesse sfoderare le sue storie peggiori
di
quando era bambino e si rifiutava di tagliarsi i capelli lo faceva
rabbrividire.
“Non devi
essere
preoccupato.”
“Non sono
preoccupato.”
“Beneamata
testardaggine.”
Si lasciò
scappare una risata e si riaggiustò sul sedile.
“L’ho
presa da
papà.”
“Oh
sì, io non
c’entro assolutamente nulla, né con quello
né con i capelli biondi e gli occhi
verdi.”
“No, ma
è tuo
tutto ciò che ho di buono.”
Sorrise quando
sua madre lo guardò dolcemente e gli accarezzò il
viso, e seppe che non lo
avrebbe messo in imbarazzo, che non avrebbe mai permesso che il suo
bambino si
sentisse a disagio.
Dieci minuti
dopo, entrarono nell’Ett Bord: entrare nel ristorante dava la
stessa sensazione
di tornare a casa dopo una giornata di lavoro estenuante e trovare la
cena già
pronta e qualcuno con cui parlare. Il grande tavolo era vuoto, ad
eccezione di
una coppia di giovani che si tenevano la mano sopra la tovaglia e un
gruppo di
quattro persone che chiacchieravano amabilmente fra loro, e in pochi
secondi i
camerieri li sorrisero e li indicarono dove appendere i cappotti.
Mentre era di
spalle sentì sua madre chiamare il suo nome con aria
sognate, e una mano gli
sfiorò la vita; sorrise nel riconoscere a chi apparteneva.
Henrik gli
posò
un bacio sulla guancia, solleticandogli la tempia con il solito capello
fuoriposto alla ‘blonde Elvis’, e accogliendolo con
un sorriso dopo averlo
fatto voltare. Tarjei sentì di stare per sciogliersi:
indossava una camicia, le
maniche arrotolate ai gomiti e un orologio al polso sinistro, e
sembrava più
grande e bello di come lo aveva mai visto. Sembrava, era un uomo.
“Ehi.”
“Ehi.”
Arrossì
quando
Henrik lo guardò da capo a piedi, sentendosi ridicolo nel
suo tentativo di
indossare qualcosa di meglio che i suoi soliti vestiti
tutt’altro che coordinati,
ma Henrik gli fece un occhiolino (ci provò almeno) e poi
rivolse l’attenzione e
un sorriso a sua madre, offrendole la mano e baciando il dorso della
sua quando
lei la strinse.
“Piacere
di
conoscerla, io sono Henrik.”
Martha
sbatté un
paio di volte le ciglia prima di rispondere che il piacere era
totalmente suo,
e Tarjei si chiese se il ragazzo si stufasse mai di avere sempre lo
stesso
effetto sulle persone. In quell’istante una donna dai capelli
biondi si
avvicinò a loro, e Tarjei fu certo che fosse la mamma di
Henrik: stesso
sorriso, e come scoprì poco dopo, stessi modi gentili e
accoglienti.
Il cibo era il
più buono che avesse mangiato nell’ultimo periodo,
Siv la donna più simpatica
di sempre e in poco tempo lei e Martha avevano iniziato a comportarsi
come se
si conoscessero da anni. Nel notare quanto andassero
d’accordo, Tarjei si
sporse verso Henrik, che seduto di fronte a lui le osservava sorridendo.
“Anche a
te
sembra di essere il terzo incomodo?”
Henrik distolse
lo sguardo dalle due donne e rise alle sue parole, avvicinandosi a sua
volta.
“Sì,
ancora un
po’ e si scambieranno i braccialetti dell’amicizia
fatti a maglia.”
Risero entrambi,
attirando gli sguardi eloquenti di entrambe. Immediatamente, il
soggetto
principale dell’intera conversazione divennero loro due, e
cioè il motivo
principale per cui si trovavano lì in origine: parlarono
dell’audizione, del
talento di Tarjei nelle precedenti stagioni, della decisione di Henrik
di
presentarsi alle audizioni nonostante il limite
d’età, e Tarjei non poté fare a
meno di arrossire quando sottolinearono in quanto poco tempo lui ed
Henrik
avessero stretto amicizia. Fra le
due, Martha era quella più curiosa di conoscere …
tutto, letteralmente.
“Allora
Henrik,
Julie ti ha già sottoposto al suo temuto
interrogatorio?”
“Oh
sì, tre
secondi sotto il suo sguardo indagatore e sono crollato, credo di non
aver mai
scoperto le mie carte tanto velocemente con nessuno.”
Henrik gli
lanciò un’occhiata, completa di
un’alzata di sopracciglia, e Tarjei nascose un
sorrisetto abbassando il viso: con nessuno tranne lui, ma
l’avrebbero tenuto
per loro, come il ricordo di quel pomeriggio dal sapore di un sogno.
“Cosa
dobbiamo
aspettarci da Even, quindi?”
“Extra.”
“Extra?”
Martha lo
guardò
divertita e confusa e Siv scoppiò a ridere, tirando fuori il
cellulare.
“Oh
Martha, mio
figlio è la persona più eccentrica che avrai mai
il piacere di incontrare, non
mi stupirebbe se il suo personaggio fosse ancora più
imprevedibile e plateale
di come le produttrici lo avevano immaginato.”
Mentre parlava,
le aveva posato il telefono di fronte, e lo sguardo confuso di sua
madre si
riempì di tenerezza, e l’attimo dopo Tarjei si
ritrovò a sorridere come un
ebete all’immagine più adorabile che avesse mai
visto: Henrik da bambino, viso
sporco dalla punta del naso in giù, con un vestito e un paio
di scarpe rosse,
rigorosamente da bambina.
“Mamma!”
Tarjei rimase
senza parole: Henrik era arrossito. Aveva gli zigomi rossi e un sorriso
imbarazzato, una mano a sorreggergli la testa e coprire il viso
contemporaneamente.
Quando incontrò il suo sguardo, arrossì ancora di
più.
“Non ci
posso
credere.”
“Non una
parola
Tarjei!”
“Tu sei
arrossito. Non ci posso credere.”
Henrik
roteò gli
occhi e gli sfilò il telefono di mano.
“Tu lo fai
costantemente, non mi sembra che io ne abbia mai fatto un
dramma.”
“Perché
tu ti
diverti a farmi arrossire!”
Il
ragazzo alzò un angolo della bocca e,
intuendo le sue intenzioni, Tarjei spalancò gli occhi.
“Hai
ragione,
soprattutto quando ti chiamo ba-
Tarjei si
alzò
di scatto e gli coprì la bocca con una mano, sentendo le sue
labbra distendersi
in un sorriso sotto il suo palmo. Siv e Martha li guardarono allibite,
per poi
scoppiare in una fragorosa risata, e anche le sue guance diventarono
color
porpora.
Alla fine della
cena, quando gli altri clienti se n’erano già
andati e l’orario di chiusura era
arrivato, Tarjei abbracciò Henrik, nascondendo il viso
nell’incavo del suo
collo e sorridendo quando il ragazzo lo strinse a sé, quasi
avvolgendolo con il
suo corpo.
“Quando
ero
piccolo, non volevo che mi tagliassero i capelli e li portavo lunghi,
come le
bambine della mia classe.”
Henrik sorrise
fra i suoi capelli, e le braccia attorno alla sua vita lo strinsero di
più.
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Capitolo 6 *** Can't sleep ***
Can’t sleep
Tarjei non
dormiva da tre giorni.
La prima notte
rimase sveglio a fissare il soffitto, scoprendosi e tirandosi le
coperte fin
sopra le orecchie ad intermittenza, chiedendo al suo cervello
perché non lo
facesse dormire. Perché? Cosa c’è
stavolta? Cosa c’è di sbagliato? E’
tutto
normale, niente sussurri nei corridoi, niente vergogna quando mi guardo
allo
specchio, niente corse all’ospedale nel mezzo della notte,
perché non mi lasci
dormire?
A Tarjei
sembrava tutto normale, ma il materasso era fatto di pietre e poi lo
risucchiava all’interno per quanto era morbido e la luce dei
lampioni era
troppo forte e poi la stanza era troppo scura e le auto che passavano
sulla
strada erano troppo rumorose e poi c’era troppo silenzio e i
suoi occhi non
riuscivano a chiudersi e sentiva prurito ovunque e … e non
era giusto. Non era
giust0 che non potesse dormire, andava tutto bene, tutto
splendidamente, tutto
era al suo posto, tutto era … tutto era … tutto
era così tremendamente vuoto.
Vuoto, vuoto, vuoto.
Il suo letto era
vuoto, il suo petto era vuoto. Il suo letto era freddo e fatto di
pietre ed era
vuoto.
La seconda notte
respirò a fondo, e cercò delle risposte.
Perché non riusciva a dormire? Il suo
letto era vuoto. Lo era anche prima? No … sì, ma
non se n’era mai accorto. Perché
non se n’era mai accorto? Perché nessuno
l’aveva mai riempito. Cos’era
cambiato? Che adesso sapeva cosa si provava a dormire in un letto che
non era
vuoto. Come avrebbe potuto riempirlo? Come … non sapeva la
risposta.
No, la sapeva.
Eh.
La terza notte
ne aveva abbastanza. Erano tre giorni che non dormiva, che non faceva
nulla,
tranne camminare in giro con le palpebre pesanti e le borse viola sotto
gli
occhi che gli chiedevano se avesse fatto a botte e rispondeva che il
cuscino
era fatto di pietre e probabilmente ci aveva sbattuto la faccia. Aveva
le
risposte, ne aveva abbastanza, le aveva tutte.
Nemmeno sapeva
cosa aveva infilato nello zaino che si mise sulle spalle. Un paio di
magliette,
dei jeans, i libri per scuola, lo spazzolino. Un biglietto sotto la
tazzina da
caffè di sua madre, il cappuccio della felpa tirato sui
capelli, la porta di
casa chiusa alle sue spalle. L’autobus era vuoto, il
conducente assonnato, la
notte buia, il vento freddo. Il suo cervello non riusciva a formare
frasi di
senso compiuto da più di tre parole ciascuna e gli andava
bene così.
“Tarjei?”
“Non
riesco a
dormire.”
Il cervello di
Tarjei non riusciva a formare frasi compiute da più di tre
parole ciascuna, ma
per descrivere Henrik ne usò almeno dieci al secondo.
Capelli arruffati,
sguardo allarmato, mani calde, braccia accoglienti, brividi.
Il suo letto non
era fatto di pietre, non era freddo, non era vuoto.
La quarta notte,
dormì.
Quando si
svegliò, Henrik gli stava accarezzando i capelli. Tarjei
sorrise, pensò che era
davvero un bel modo per svegliarsi dopo tre giorni senza aver dormito.
Strofinò
il naso contro il suo collo, strinse la sua maglietta fra i pugni
chiusi.
Henrik affondò le dita fra i suoi capelli.
“Che
è successo,
baby boy?”
Tarjei
mugolò.
Non lo sapeva.
“Il mio
letto è
fatto di pietre.”
“Hai
controllato?”
Tarjei
annuì: la
prima notte, aveva alzato le coperte. Il suo materasso era fatto di
pietre a
forma di piume, della consistenza delle piume. Ma erano pietre.
“Il mio
letto è
freddo.”
Henrik gli
sfiorò la fronte con le labbra.
“Il mio
letto è
vuoto.”
Henrik,
inaspettatamente, sorrise.
“Anche il
mio.”
-
Tarjei non si
reggeva in piedi. Julie non ne fu molto contenta.
“Dobbiamo
iniziare a girare oggi, mi spieghi come facciamo se l’attore
protagonista non
riesce a tenere gli occhi aperti?”
Erano tutti
seduti attorno a lei nel soggiorno del Kollektivet, e si scambiavano
sguardi
che volevano dire tutto o niente. Tranne Tarjei, che seduto fra le
gambe di
Henrik sonnecchiava con la testa appoggiata contro il suo petto.
Quando quella
notte si era presentato alla sua porta, Henrik aveva avuto paura.
L’aveva avuta
nel notare gli occhi lividi e la pelle pallida. L’aveva avuta
mentre lo aiutava
a svestirsi e mentre lo stringeva sotto le coperte. L’aveva
avuta mentre
vegliava sul suo sonno. L’aveva avuta quando riusciva a
malapena a mangiare la
colazione, farfugliando ‘allora sai cucinare sul
serio’. L’aveva avuta quando
aveva chiamato Martha e lei gli aveva risposto che era tranquilla
perché Tarjei
era con lui, al sicuro con lui. Allora aveva smesso di avere paura,
perché se c’era
una cosa che sapeva per certo, è che Tarjei sarebbe stato al
sicuro con lui.
Adesso, mentre
lo teneva per la vita fra le sue gambe, dopo aver guardato male Hermann
che
aveva scherzato sulle attività che avevano potuto tenerlo
sveglio per poi
scusarsi immediatamente e borbottare che gli aveva rubato il posto di
più
attraente del cast, non aveva paura, perché Tarjei era con
lui, al sicuro, e
dormiva.
Julie aveva le
mani sui fianchi e lo guardava in attesa di una risposta.
“Non
è colpa
sua, ha quattro ore di sonno in tre giorni.”
David e Lisa si
guardarono allarmati. Erano i suoi migliori amici, Henrik era certo che
sapessero molto di più di ciò che sapeva lui.
“Credevo
che non
avesse più problemi a dormire.”
“Non ne ha
più avuti
da quando suo padre …”
Henrik
posò
istintivamente un bacio fra i capelli di Tarjei, e nonostante tutto
più di
qualcuno sorrise. Julie no, ma sospirò.
“Questa
sera
dobbiamo iniziare, o saremo fuori dalla tabella di marcia.”
Quando la donna
lasciò la stanza insieme alla troupe, i ragazzi si strinsero
attorno a loro.
“Che
è successo,
Henrik?”
Strinse
più
fermamente Tarjei a sé e disse che aveva dormito da lui
quella notte, perché a
casa sua non ci riusciva, e non gli aveva saputo dire il
perché. Josephine gli
strinse un braccio per dargli conforto ed Henrik le sorrise debolmente.
In quel
momento Tarjei aprì gli occhi sbattendo un paio di volte le
palpebre ed Henrik
avvertì tutti i muscoli tendersi e i sensi diventare vigili,
ed iniziò ad
accarezzargli i capelli. Il ragazzo si sfregò gli occhi e
gli sorrise,
aggiustandosi meglio fra le sue gambe, per poi arrossire fino alla
punta dei capelli
nel notare il pubblico attorno a loro.
“Buongiorno
…”
I ragazzi gli
sorrisero ed Ulrikke gli baciò una guancia. Tarjei sembro
rimpicciolirsi nella
sua felpa.
“Che
succede
amico?”
Tarjei
guardò
Marlon, mordendosi l’interno della guancia.
“Non
riesco a
dormire.”
“Va tutto
bene?”
“Sì,
credo, solo
un po’ di insonnia, niente di che.”
Non
sembrò
convincere nessuno. Henrik gli sussurrò
nell’orecchio.
“Julie
dice che
stasera dobbiamo iniziare a girare o sarà un bel casino,
dormi ancora un po’.
Okay?”
Tarjei si morse
il labbro, ma dopo qualche attimo annuì ed Henrik gli
sorrise, e un minuto dopo
lo lasciarono a riposare in soggiorno trasferendosi tutti in cucina.
Henrik si
passò
una mano sul viso, trattenendo senza successo uno sbadiglio. Iman gli
si
avvicinò.
“Dovresti
riposare anche tu.”
“Le mie
scene le
giriamo domani, dormirò stanotte.”
“No,
rimarrai di
nuovo sveglio a vegliare su di lui.”
Henrik la
guardò
stupito, e lei alzò gli occhi al cielo.
“Indovina
cosa
abbiamo in comune io ed il mio personaggio.”
Henrik
alzò un
angolo della bocca.
“Sapete
sempre
tutto prima degli altri, non è così?”
“Ragazzo
intelligente.”
Henrik rise e le
sfiorò la spalla con la sua, mimando una spallata
amichevole, e lei sorrise,
per poi tornare seria l’attimo dopo.
“Va a
riposare
Henrik, non sono nemmeno sicura che Tarjei riuscirà a farlo
se tu non sei con
lui, e se non si rimette in piedi entro stasera Julie andrà
fuori di sé.”
Henrik
sospirò
ed annuì, poi le baciò una guancia sussurrando un
‘grazie’ (Ina la vide
arrossire, ma Iman giurò che se mai l’avesse detto
a qualcuno le avrebbe
incollato le labbra l’una alla’altra), e
tornò nel soggiorno. Tarjei era nel
dormiveglia, ma Henrik riuscì ugualmente a farsi spazio sul
divano accanto a
lui, il suo petto contro la sua schiena, e gli sussurrò che
era al sicuro.
Tarjei rispose
che lo sapeva.
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Capitolo 7 *** Had my first kiss on a Friday night ***
Had
my first kiss on a Friday night
Tarjei lo
guardava ad occhi sgranati, poi guardava la chiave che aveva sul palmo
della
mano e poi di nuovo lui. Le sue guance raggiunsero una sfumatura di
rosso totalmente
nuova e lo zaino che aveva su una spalla si accasciò sul
pavimento con un tonfo,
che entrambi ignorarono.
Tarjei portava
ordine, e luce, e calore, ed Henrik non ne aveva mai abbastanza.
Mai abbastanza
delle sue risate che riempivano le stanze.
Mai abbastanza
del sarcasmo con cui lo rimproverava del suo disordine cronico, per poi
convincerlo a pulire l’appartamento da cima a fondo insieme a
lui, operazione
che si concludeva quotidianamente con lui che gli faceva il solletico
sul
divano appena spolverato, così forte da farlo piangere per
le risate.
Mai abbastanza dei
suoi piedi freddi che gli facevano venire i brividi durante la notte e
delle
coperte che gli venivano costantemente rubate.
Mai abbastanza
dei post-it sotto la tazza ogni mattina quando usciva presto per andare
a
scuola e voleva comunque salutarlo con più che un bacio
sulla guancia mentre
ancora dormiva.
Mai abbastanza
di vederlo girare per casa con una delle sue magliette che gli andavano
grandi
ma che continuava a mettere perché ‘hanno un buon
odore’.
Mai abbastanza
delle notti passate a preoccuparsi se dormisse o meno perché
tornava a casa (a volte, Henrik si
ricordava che
quella non era casa sua e si bloccava, come se si fosse appena
ricordato di
essere uscito con il fornello acceso e tutto sarebbe potuto saltare in
aria da
un momento all’altro) per stare con Martha e non poteva
accarezzargli i capelli
finché non si addormentava.
Mai abbastanza.
Mai, mai, mai.
Quella chiave
voleva dire sempre.
“E’
la copia
della mia chiave, sai, nel caso la perdessi. Ora è
tua.”
Tarjei era
ancora sulla soglia della porta, i vestiti che prima lo avevano tenuto
al caldo
nel tragitto da scuola che ora sembravano soffocarlo, e non riusciva a
parlare.
Il suo cervello viaggiava
così veloce
che nemmeno riusciva ad afferrare i pensieri che gli passavano nella
mente, le
parole che avrebbe voluto dire erano confuse e mai appropriate e
credeva di
star per svenire. Henrik sorrise.
“Mentre ti
aspettavo ho pensato ‘e che succede se perdi
l’originale e rimani chiuso fuori?’,
e dopo mi sono detto che non rimarrei chiuso fuori, perché
ci saresti tu dall’altra
parte ad aprirmi la porta.”
Tarjei socchiuse
la bocca e lasciò andare un sospiro spezzato, come se fosse
sul punto di
piangere, ed Henrik si allarmò immediatamente, sentendo il
battito del suo
cuore aumentare drasticamente, ed iniziò a farfugliare in
fretta frasi
sconnesse cercando in fretta una soluzione. Vederlo piangere era
l’ultima cosa
che desiderava, in assoluto.
“Non devi
prenderla se non vuoi, è solo che pensavo che sarebbe stato
più comodo per te,
come quando la settimana scorsa sei stato ad aspettarmi sui gradini qui
fuori
per un’ora e quando sono arrivato avevi le dita delle mani
blu per il freddo.
Cioè, se avessi avuto la chiave non sarebbe successo
… è che io non voglio che
le tue dita diventino blu per il freddo, mai. Non è che se
la prendi devi
improvvisamente trasferirti qui ventiquattrore su ventiquattro, non ti
costringerei mai a farti fare una cosa del genere anche
perché per quanto
Martha possa adorarmi non credo la prenderebbe bene se le rubassi il
suo bambi-
Mentre parlava,
Tarjei aveva buttato il cappello e la sciarpa a terra, poi il cappotto
ed
infine anche la chiave, e gli aveva circondato il collo con le braccia
ed
Henrik si era dimenticato come si parla. La voce di Tarjei era sicura,
e
straordinariamente felice.
“Non
voglio che
le mie dita diventino blu mentre ti aspetto, voglio guardare fuori
dalla
finestra, vederti arrivare, e aprirti la porta prima che tu possa
tirare fuori
la chiave.”
-
I dubbi
arrivarono la prima volta che incontrò Mathias, esattamente
tre settimane e
mezzo dalla ‘quarta notte’ e una da quando gli
aveva dato la chiave.
Stava facendo i
compiti di inglese, ridacchiando nel sentire Henrik canticchiare sotto
la
doccia, quando si era presentato alla porta un ragazzino dai capelli
biondissimi e un cipiglio furbo che conosceva molto bene.
“Ciao! Io
sono
Mathias.”
Nello stringere
la mano di Mathias, che sembrava fin troppo sveglio rispetto ai suoi
coetanei,
Tarjei non poté fare a meno che sentirsi nel bel mezzo di un
esame. Era il
fratello di Henrik che aveva di fronte, e indossava i pantaloni del
pigiama e
una maglietta bianca di suo fratello maggiore. Che cavolo avrebbe
pensato di
lui?
Stop.
Primo dubbio.
Perché si
stava
preoccupando di cosa avrebbe pensato di lui il fratello di un suo amico?
“Tu devi
essere
Tarjei, Henrik parla sempre di te. Cioè, in
realtà non parla d’altro.”
Sorrise al
pensiero, guadagnandosi uno sguardo entusiasta da Mathias.
“Sei
davvero
adorabile come dice.”
La
capacità di
farlo arrossire doveva essere di famiglia.
“Grazie.”
“Già,
dice
sempre così, ‘il mio adorabile
…’”
Mathias si
bloccò, aggrottando le sopracciglia e inclinando la testa di
lato.
“Tu sei il
suo
ragazzo, giusto?”
Tarjei
deglutì a
fatica, tossendo leggermente a causa della gola che si era
improvvisamente prosciugata.
“N-no, non
sono
il suo ragazzo …”
“Oh,”
Mathias ci
pensò su qualche secondo, “cosa sei tu,
allora?”
Cos’era
lui per Henrik?
Più
cercava una
risposta a quella domanda, più il suo cervell0 sembrava
andare in tilt.
La risposta era
‘un
amico’. Vero?
Ma gli amici
dormono abbracciati nello stesso letto?
Gli amici
sentono un vuoto al centro del petto quando l’altro non
c’è?
Gli amici aspettano
per tutto il giorno il momento in cui saranno di nuovo insieme?
Gli amici si
parlano, si accarezzano, si comportano come fanno loro?
La risposta era
no. Ma allora loro cos’erano?
Mathias lo
guardava con il suo sguardo furbo e le sopracciglia alzate, e Tarjei si
sentì
come se riuscisse a leggere i suoi pensieri. Provò
l’impulso di chiedergli se
almeno lui ci capisse qualcosa.
“Tarjei?”
Henrik apparve
alle sue spalle, i capelli bagnati che gocciolavano, bagnandogli la
maglietta e
facendo risplendere il suo collo e la parte delle clavicole non coperte
dalla
stoffa. Il ragazzo si aprì in un enorme sorriso alla vista
del suo fratellino e
lo abbracciò per poi circondare la vita di Tarjei con un
braccio e muoverlo
cosicché Mathias potesse entrare.
Il suo tocco gli
bruciava la pelle e Tarjei si ritrovò a guardarlo in estasi,
i brividi che gli
scuotevano il corpo mentre continuava a ripetersi la stessa domanda.
Cos’erano
loro? Henrik ricambiò con lo sguardo dolce che Tarjei
realizzò solo in quel
momento essere riservato soltanto a lui, e gli baciò la
fronte.
Mathias rimase
per cena e Tarjei trovò la sua compagnia tanto piacevole
quanto quella di Siv,
ma non riuscì comunque a godersela appieno, troppo perso nei
suoi pensieri.
Mathias disse che era stato un piacere, e quando si fu chiuso la porta
alle
spalle, Henrik gli prese il viso fra le mani.
“Ehi baby,
va
tutto bene?”
Tarjei
sentì che
quella parola, concepita come una presa in giro, aveva assunto un altro
significato da molto tempo ormai, e nell’accorgersene le
gambe gli tremarono, e
dovette aggrapparsi alla maglietta di Henrik per essere certo di non
cadere in
ginocchio. Si sentiva sopraffatto, dai dubbi,
dall’incertezza, dai se e dai ma,
dal ragazzo di fronte a lui, che lo teneva insieme quando cadeva in
pezzi, che in
quel momento sentiva essere l’unica cosa e tutto
ciò che aveva.
Henrik lo guardava
con un espressione preoccupata e gli accarezzava le guance con i
pollici. Si
ricordò che gli era stata posta una domanda, e
l’ultima cosa che voleva era
essere la causa delle sue preoccupazioni. Incapace di rispondere a
parole annuì,
lasciò andare la stoffa che aveva fra le mani e gli circondo
la vita con le
braccia, posando il viso sul suo petto, venendo cullato dai gentili
battiti del
suo cuore.
“Letto?”
Annuì di
nuovo,
consapevole che quella notte non avrebbe chiuso occhio.
-
La mattina dopo,
scrisse sul post-it per Henrik che sarebbe stato via tutto il
pomeriggio. Nel
tragitto verso la scuola, chiamò l’unica persona
che avrebbe potuto aiutarlo,
almeno in parte.
“Pronto?”
“Lisa,
sono io.”
Non che David
non fosse bravo a dare consigli, ma gli serviva un intervento femminile.
“Ehi Tar!
Tutto
okay?”
“Sei
libera oggi
pomeriggio dopo scuola?”
“A tua
completa
disposizione. Come mai? Cioè, non che mi dispiaccia passare
del tempo supplementare
con il mio migliore amico, ovviamente.”
Tarjei
accennò
una risata.
“Ovviamente.
Ne
parliamo più tardi, ti passo a prendere a scuola.
Okay?”
“Okay
buddy, a
più tardi!”
“A
più tardi
Lis.”
Alle quattro del
pomeriggio erano di fronte ad una tazza di caffè e delle
questioni in sospeso.
“Tar sono
dieci
minuti che ti fisso mentre tu fissi il caffè, mi dici che
succede?”
Tarjei
pensò che
gli avevano chiesto più volte ‘che
succede’ nell’ultimo mese che in tutta la
sua vita. Sospirò e si passò una mano fra i
capelli, per poi alzare lo sguardo
ed incontrare gli occhi confusi e pieni di domande della sua amica.
“Sono
confuso.”
“Okay.”
“Non so
cosa
siamo.”
“Okay
… cosa
siete chi?”
“Io ed
Henrik.”
Lisa si morse il
labbro inferiore e prese un sorso dal suo bicchiere.
“Cosa
pensi di
essere per lui?”
Tarjei
sbatté un
paio di volte le palpebre.
“Un amico
…
credo.”
Lisa alzò
un
sopracciglio e lo guardò come se avesse appena detto la
cavolata più grande del
secolo.
“Tu pensi
che
Henrik ti reputi un amico.”
“Me lo
stai
chiedendo?”
“Sto
cercando di
farti capire quanto sia grande la puttanata che hai detto.”
Alzò gli
occhi al
cielo, arrossendo lievemente.
“Ecco un
paio di
punti che ti guideranno nella comprensione del perché
ciò che hai detto è una
cazzata.”
Lisa si
aggiustò
i capelli dietro le orecchie e si mise ad elencare sulle dita.
“Ha
portato te e
Martha a cena con la sua famiglia.”
“Non era
quello
il senso della cena.”
“Non
interrompere. Ti guarda come se fossi un’opera
d’arte, si illumina ogni volta
che ti vede, non è tranquillo finché non
è sicuro che tu stia bene, ti ha dato
le fottutissime chiavi di casa sua! Anche io sono tua amica, anche
David lo è,
ma noi non ci comportiamo così con te.”
Tarjei rimase in
silenzio per qualche secondo, e Lisa si morse il labbro inferiore, per
poi
allungare una mano sul tavolo e stringere la sua.
“Dovresti
parlarne con lui.”
“E cosa
gli
direi? Cosa farei se non dovesse …”
Lasciò la
frase
in sospeso e Lisa gli strinse la mano, costringendolo a guardarla.
“Ricambiare.
Ricambiare, Tarjei. Sai che Henrik ti piace, non
c’è bisogno che gli altri lo
sappiano se non vuoi, ma sii sincero con te stesso.”
Mi piace Henrik.
Si
aspettò che
quella verità lo avrebbe colpito come un pugno in pieno
viso, ma semplicemente
si insinuò dolcemente al suo interno e prese posto nel vuoto
al centro del suo
petto. Sorrise.
“Cosa
farei se
non dovesse ricambiare?”
“Ricambierà,”
la
sua sicurezza lo lasciò interdetto per un attimo,
“per le ragioni che ti ho detto
e per altre mille che conoscete solo voi, ricambierà.
Ricambia già adesso. Ha
sempre ricambiato.”
Lisa gli sorrise
e gli strinse ancora una volta la mano, per poi fare una lunga sorsata
e
riacquistare la sua aria entusiasta.
“Ora,
parliamo
di domani.”
Eh, domani. Tarjei nascose il
rossore dietro il
bicchiere.
“Metti
giù quel
caffè e guardami. Domani si gira la scena della piscina, sai
cosa vuol dire
vero?”
Eccome se lo
sapeva, non aveva pensato ad altro dall’audizione di Henrik.
Ne aveva avuto un
assaggio la settimana precedente, quando avevano girato la scena della
festa e
si era sentito bruciare di desiderio mentre si scambiavano sguardi da
una parte
all’altra della stanza, e quando Henrik si era avvicinato
tanto che aveva
sentito le sue ciglia sfiorargli le guance, finché non lo
aveva visto
allontanarsi di botto e, nonostante sapesse perfettamente che sarebbe
successo,
nella sua mente aveva bestemmiato in quarantadue lingue diverse.
La voce gli
uscì
in un sussurro.
“So cosa
vuol
dire.”
“Andrà
bene
Tarjei, e pensa che da domani diventerai uno dei ragazzi più
invidiati in
Norvegia e, se la serie diventa famosa come credo, di mezzo
mondo.”
Tarjei non seppe
dire il perché, ma quelle avevano tutta l’aria di
essere delle parole
profetiche.
-
Sentivano i
battiti del loro cuore come esplosioni dall’esterno, la pelle
d’oca a causa
dell’acqua congelata tirarli la pelle, la pressione di avere
una telecamera a
qualche metro da loro, la vista offuscata dall’acqua, ma
riuscivano a vedersi,
e sentirono di star annegando nelle loro stesse emozioni.
Sott’acqua
Henrik sembrava risplendere di luce propria come il giovane dio
qual’era, e
Tarjei non era mai stato tanto angelico.
Mentre le loro
labbra si avvicinavano sempre di più, si ripeterono che
stava per accadere sul serio,
che non era uno dei loro numerosi sogni, che stavolta non gli avrebbe
interrotti nessuno.
E tutto il mondo
parve esplodere alla loro collisione.
E le migliaia di
farfalle che abitavano i loro stomaci presero il volo.
E milioni di
brividi attraversarono i loro corpi e gli scossero le membra e il
sangue venne
sostituito da miliardi di scintille e l’acqua
sembrò prendere fuoco e il vuoto fu
colmato.
E quando
finì,
fecero in modo che ricominciasse il prima possibile e si aggrapparono a
capelli
e vestiti fradici e desiderarono di non dover mai lasciare la presa.
E quando si
arrampicarono fuori dalla finestra e si distesero sul prato, ansanti e
incapaci
di frenare i tremiti e le risate causate dall’emozioni che
sentivano essere più
grandi di loro, ringraziarono le stelle che li osservavano da lontano,
fiere
che i loro atomi fossero stati capaci di creare qualcosa di tanto
perfetto.
I
loro occhi si incontrarono
e sorrisero, prima di tornare ad affogare l’uno nella bocca
dell’altro, e
abbracciarsi così forte da avere paura di spezzarsi
nell’impeto dei loro
sentimenti.
|
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Capitolo 8 *** I just wanna be yours ***
(Perdonate il
ritardo, settimana impegnata -_- ... ad ogni modo, spero che
il capitolo vi piaccia <3)
I just wanna
be yours
Tutto ciò
che
sentiva erano brividi.
Si strinse nella
coperta che Josephine gli aveva posato sulle spalle, tirandosi le
ginocchia al
petto per cercare di trattenere il calore, ma era bagnato fin nelle
ossa e il
freddo gli scuoteva la spina dorsale.
Bugiardo.
Il freddo
c’entrava, sì, ma solo in parte. Ciò
che negava l’ossigeno ai suoi polmoni, che
gli faceva tremare le mani e arrossare le guance, non aveva niente a
che fare
con i suoi vestiti fradici.
Lui era
dall’altra parte della stanza, la distesa limpida dal forte
odore di cloro
della piscina a dividerli, seduto di fronte a lui con la nuca posata
contro il
muro, il lungo collo immacolato che aveva tutta l’aria di un
invito e gli occhi
color del cielo nascosti dalle palpebre.
Quello, si disse Tarjei, era
quello, nient’altro che
quello, come se non fosse
abbastanza.
Se chiudeva gli
occhi, poteva sentire le sue labbra così meravigliosamente
piene contro le sue,
divorandole come se si fosse appena accorto di essere affamato, quelle
stesse
labbra che adesso erano a pochi metri da lui, socchiuse e arrossate.
Sembravano
(erano) tutto ciò che desiderava, e dovette guardare altrove
per non alzarsi di
scatto, aggirare la piscina fino a raggiungerlo e sedersi sul suo
grembo,
prendergli il viso fra le mani e mostrare a tutti ciò che
gli aveva tenuti
occupati per dieci minuti, fino a quando non avevano dovuto mandare
Lisa a
vedere che fine avessero fatto.
La sua amica
aveva esclamato un fatidico ‘te l’avevo detto che
sarebbe andata bene’, un
sorriso a trentadue denti ad illuminarle il volto, e Tarjei aveva
nascosto il
rossore nell’incavo del collo di Henrik, che intanto gli
accarezzava la schiena
senza nemmeno cercare di trattenere le risate. Al loro rientro, li
avevano
accolti con fischi e pacche sulle spalle, fino a quando Tarjei non
aveva
mandato tutti a quel paese e si era andato a sedere in un angolo,
ringraziando
Josephine e il suo tentativo di evitargli la morte per assideramento.
Quando
tornò a
guardare di fronte a sé, i suoi occhi lo stavano
già aspettando. La gabbia
delle farfalle si aprì senza troppe cerimonie.
L’attimo
dopo,
il cielo non c’era più.
“Bevi, hai
le
labbra blu.”
Julie si
accovacciò di fronte a lui, una tazza di cioccolata calda in
mano e un
sorrisetto sornione sulle labbra. Oltre la sua spalla riusciva ancora a
vederlo, ma adesso stava guardando Ulrikke, che gli stava porgendo una
tazza
identica a quella di Julie.
Tarjei
sospirò,
si stropicciò gli occhi e poi li puntò sulla
donna di fronte a sé, accettando
la tazza con un mezzo sorriso e rabbrividendo al contatto con la sua
pelle
gelida. Julie lo guardò fare un sospiro di sollievo dopo il
primo sorso, poi
Tarjei si morse il labbro inferiore e tornò a guardarla.
“Credi che
sia
stupido?”
La donna
inclinò
la testa di lato, poi si sedette accanto a lui e rimase in silenzio,
aspettando
che continuasse.
“E’
normale o mi
sto solo comportando come un ragazzino bisognoso di essere
coccolato?”
“Non
dubitare di
te stesso, Tarjei. Se dubiti di te stesso non hai più
niente.”
Accennò
un
sorriso e gli posò una mano sulla spalla, stringendola e
scuotendolo
leggermente.
“Tu sei
l’unica
certezza che hai, l’unica che non ti deluderà mai:
non voglio spaventarti, ma
le persone non rimangono, e quelle che rimangono si contano sulle dita
di una
mano, e una di quelle sei tu. E
questo,”
gli lasciò la spalla, posandogli la mano
all’altezza del cuore “questo lo devi
ascoltare, perché fa parte di te, e potrebbe sbagliarsi
certo, ma te ne
accorgeresti. Perché questo,” gli picchietto una
tempia, sorridendo “oh, lui sa
cos’è vero e cosa non lo è.”
Tarjei
abbassò
lo sguardo, per poi cercare il cielo. Guardandolo, Julie sorrise
teneramente.
“Loro due
non
sono mai d’accordo.”
“E se lo
fossero?”
“Se lo
fossero
dovresti alzarti e fare ciò che ti dicono.”
Poteva quasi
sentirlo pensare. Quando parlò, era così
spaventato e piccolo che Julie
vacillò, indecisa se stringerlo a sé come avrebbe
fatto Martha o semplicemente
aiutarlo a rimettersi in piedi da solo. Inevitabilmente, scelse la
seconda.
“Lo
sono.”
“Alzati,
Tarjei,
e fa ciò che ti dicono.”
Il ragazzo
chiuse gli occhi, poi le porse la tazza, si sfilò la coperta
dalle spalle e si
fece largo fra i ragazzi a bordo piscina, ignorando i loro tentativi di
fermarlo per parlargli di cose che in quel momento occupavano
l’ultimo posto
nella lista dei suoi pensieri. Gli occhi di Henrik non
l’avevano lasciato
nemmeno per un attimo, ed era già in piedi quando Tarjei gli
prese la mano e lo
portò via con sé.
-
Da quando lo
aveva conosciuto, non era passato un giorno senza che avesse sorriso
almeno una
volta. Sorrisi accennati, sorrisi stanchi, sorrisi furbi, sorrisi tanto
grandi
da illuminare una stanza ed impedirgli di vedere, e tutti erano sorrisi
sinceri. Prima di lui la vita era noiosa, buia, fatta di litigi,
incomprensioni, cocci di piatti frantumati contro le pareti che
giacevano ai
suoi piedi, inermi e stanchi come si sentiva lui. Adesso, non aveva
nemmeno più
bisogno di fumare per vedere il mondo a colori: a volte scopriva una
nuova
tonalità di verde nei suoi occhi, di oro nei suoi capelli.
Colori e colori e
colori.
All’una di
notte, osservando il soffitto illuminato dal neon delle insegne fuori
dalla sua
finestra, cullato dallo scorrere dell’acqua nella stanza
affianco, era certo
che il sorriso che gli incurvava le labbra dovesse somigliare a quello
di un
ebete. Un folle innamorato che ripensa alle labbra di colui che gli
aveva
permesso di vedere i colori. Henrik pensò che fosse una
definizione
estremamente azzeccata. Il suo sorriso si allargò oltre i
limiti di ciò che
credeva possibile e si coprì gli occhi con le braccia quando
lo scorrere dell’acqua
cessò, fremendo non solo per la finestra spalancata e i suoi
capelli ancora
umidi.
Lo sentì
stendersi accanto a lui e un attimo dopo una delle sue dita gli
accarezzava le
labbra, poi il naso, passando per gli zigomi e la mascella e tracciando
la
lunghezza del suo collo, fino a fermarsi sulle sue clavicole scoperte.
Lo
sguardo che incontrò quando spostò le braccia dal
viso era di tale adorazione
che si chiese se lo meritasse, se ne fosse all’altezza. Si
disse che
probabilmente non lo era, ma il suo angelo meritava che almeno ci
provasse.
Tarjei era steso
a pancia in giù, un gomito a sorreggerlo e le guance
arrossate per la doccia
appena conclusa, indossava una delle sue magliette e aveva la bocca
socchiusa.
Henrik gli posò una mano fra i capelli, sorridendo quando lo
vide socchiudere
gli occhi e abbandonarsi al suo tocco.
“Ehi
baby.”
Tarjei sorrise e
lasciò cadere il gomito, avvicinandosi a lui fino a
nascondere il viso nel suo
collo. Henrik lo circondò con entrambe le braccia, tornando
ad accarezzargli i
capelli quando lo sentì mugolare in protesta.
“Hai i
capelli
bagnati, ti ammalerai così.”
“Non
m’importa.”
“A me
sì però.”
Lo sentì
sorridere contro la sua pelle e la sua mano salì fino ad
afferrargli spalla,
cercando di stringersi ancora di più a lui, fino a
ritrovarsi più su di lui che
sul materasso.
“Anche tu
hai i capelli
bagnati.”
“Sono solo
umidi,
e io non mi ammalo.”
Tarjei
accennò
un risata, scuotendo leggermente la testa. Restarono in silenzio per un
po’,
tanto che Henrik credette che si fosse addormentato, ma alla fine
Tarjei parlò.
“Cosa dice
il
tuo cuore?”
In risposta, il
diretto interessato perse un battito. Henrik prese la mano che gli
stringeva la
spalla e se la posò sul petto, dove i battiti non avevano
rallentato neanche
per un attimo da quando erano usciti da quella piscina.
“Ascolta.”
Il ragazzo
rimase in silenzio, poi si allontanò tanto da portare il
viso all’altezza del
suo e guardarlo negli occhi. Deglutì visibilmente,
inumidendosi le labbra come
se avesse qualcosa di estremamente difficile da dire, e
spostò la mano per
posarla sulla sua guancia e accarezzargli la tempia con la punta di un
dito.
“E lui
dice la
stessa cosa?”
Henrik
annuì
lentamente, senza aver bisogno di pensare nemmeno per un secondo alla
risposta
da dare. Tarjei posò la fronte sulla sua, facendo sfiorare i
loro nasi.
“Voglio solo essere tuo.”
Il bacio che
seguì quelle parole tolse il fiato ad entrambi, eppure era
lento, dolce, pieno
di parole che non avevano bisogno di essere pronunciate ad alta voce.
Lo sei, lo sei, lo
sei ed io sono tuo,
tuo, tuo e di nessun’altro.
Si baciarono
fino a quando i loro sorrisi divennero così grandi da
impedirglielo. Allora
Henrik strofinò il naso contro il suo e gli
circondò la vita con le braccia,
facendolo stendere del tutto su di lui prima di mettersi seduto e
tenerlo per i
fianchi. Tarjei spalancò gli occhi e strinse le mani attorno
al suo collo.
“Che stai
facendo?”
“Ti porto
in bagno
per asciugarti i capelli, non ho intenzione di lasciare che ti prenda
la
febbre.”
Tarjei rise e
gli circondò la vita con le gambe.
“Questo si
chiama giocare sporco.”
“Questo si
chiama preoccuparsi per la salute del proprio ragazzo, dovresti solo
ringraziarmi.”
Anche se non
poteva vederlo sapeva che le sue guance si erano colorate di
quell’adorabile
rosso che amava così tanto, e gli posò un bacio
fra i capelli quando lo sentì
ripetere ‘grazie’ contro il suo collo,
puntualizzando ogni parola con un
leggero bacio.
-
“Henrik
hai già
incontrato mia madre, tipo dodici volte da quando ci conosciamo, mi
spieghi perché
adesso sei nervoso?”
Tarjei
guardò il
ragazzo (il suo ragazzo) passarsi
una
mano fra i capelli per l’ennesima volta da quando erano
usciti di casa. Lo
fermò in mezzo al marciapiede posandogli una mano sulla
guancia, costringendolo
a guardarlo negli occhi. Henrik posò una mano sulla sua e
sospirò.
“Prima non
era ‘la
mamma del mio ragazzo’, okay? Adesso è tutto molto
più serio.”
“Mia madre
ti
adora, cioè quando mi chiama chiede prima come stai tu e poi
mi saluta.”
Henrik rise e
portò la sua mano alle labbra baciandone il dorso per poi
far intrecciare le
loro dita. Tarjei arrossì e sorrise, per poi tornare a
camminare.
“Secondo
te avrà
chiamato anche mia madre?”
“Dopo il
messaggio che le ho mandato stanotte è sicuro.”
“Baby,
potevi
evitare di scriverle nel bel mezzo della notte ‘io ed Henrik
abbiamo qualcosa
di importante da dirti’.”
“Ma
è vero.”
Sorrise quando
gli baciò una guancia e poco dopo arrivarono di fronte alla
porta. Aveva appena
alzato una mano per suonare il campanello che la porta si
spalancò, rivelando
un Mathias che li guardava divertito. Henrik si stropicciò
il viso con la mano
libera.
“Non ci
credo,
ha portato anche te?”
“Fratello,
ho
letteralmente dovuto strapparle il telefono di mano per impedirle di
chiamare
papà dalla Svizzera.”
Il ragazzino
notò le loro mani intrecciate e alzò le
sopracciglia, poi sorrise e abbracciò
entrambi, prima di tornare all’interno.
“Tuo
fratello è
troppo intelligente per la sua età.”
Henrik
borbottò
un ‘lo so’ e Tarjei gli strinse la mano, per poi
varcare la soglia e chiudere
la porta alle loro spalle. Quando entrarono nella cucina, le due donne
avevano
lo stesso sorrisetto sulle labbra.
“Buongiorno
…”
Martha sorrise e
si voltò verso Siv, che rise alzando gli occhi al cielo e si
rivolse ai due
ragazzi.
“Non
c’è bisogno
di essere nervosi, bambini, lo sapevamo già.”
Henrik rise,
lasciando che la tensione abbandonasse i suoi muscoli, e si
avvicinò a sua
madre, dandole un bacio sulla fronte. Tarjei sorrise guardandoli e poi
si voltò
verso sua madre, che gli fece segno di avvicinarsi e lo accolse fra le
sue
braccia.
“Era
così ovvio?”
“Nah,
sesto
senso da mamma.”
“In
realtà era
piuttosto ovvio.”
“Mathias!”
“Che
c’è mamma?
E’ vero.”
Tarjei rise e
sciolse l’abbraccio, per poi guardare il ragazzino.
“Ehi,
Mathias.”
“Si?”
Sorrise.
“Adesso so cosa sono.”
|
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Capitolo 9 *** His hands so cold they shake ***
His
hands so cold they shake
Tarjei aveva
imparato che le mani di Henrik erano calde, sempre.
Erano calde
quando le stringeva per riscaldare le proprie nel vento freddo
dell’autunno di
Oslo, erano calde quando passava ore a leggere Palahniuk sul davanzale
della
finestra spalancata con una sigaretta in mano, erano calde persino
quando aveva
appena finito di lavare i piatti o sciacquarsi il viso.
Quando si
svegliò stretto da un paio di mani gelide, seppe che
c’era qualcosa che non
andava.
Si rigirò
nell’abbraccio, sorridendo quando Henrik lo strinse a
sé nel sonno, ma sentendo
la preoccupazione attanagliargli lo stomaco non appena diede uno
sguardo al suo
viso: il suo ragazzo era pallido, la punta del naso che pareva
arrossarsi ogni
secondo di più e la bocca socchiusa dalla quale respirava
pesantemente.
Tarjei gli
posò
una mano sulla guancia, accarezzandolo leggermente con la punta delle
dita, e
porto le labbra sulla sua fronte: non scottava, ma era comunque
più calda del
solito. Al contatto con le sue labbra fredde, Henrik lasciò
andare un sospiro
spezzato e un leggero mugolio, per poi nascondere il viso nel suo
collo.
“Baby
…”
“Ehi, sono
qui.”
Henrik
strofinò
il naso contro il suo collo e fece un altro sospiro. Tarjei prese ad
accarezzargli i capelli, baciandogli la fronte per poi scendere sulla
sua
guancia e trovarsi di nuovo alla sua altezza. Quando aprì
gli occhi erano
lucidi.
“Come ti
senti?”
“Bene.”
Tarjei lo
guardò
scettico, ed Henrik si morse l’interno della guancia.
“Henrik.”
“Mh?”
“Sta per
venirti
la febbre.”
“Nei, sto bene.”
“Non
riesci a
respirare dal naso.”
“Faremo
tardi.”
Tarjei lo
guardò
in silenzio, senza smettere per un attimo di accarezzargli i capelli,
ed Henrik
aprì la bocca per dire qualcosa ma fu costretto a coprirsela
con una mano e
girare il viso per non stranutire addosso a lui.
“Perché
hai
lasciato che ti ammalassi?”
“Meglio io
che
tu.”
Tarjei
spalancò
gli occhi mentre lo guardava alzarsi con un po’ di fatica ed
uscire dalla
stanza: si ricordò di due notti prima, quando Henrik gli
aveva asciugato i
capelli per impedirgli di ammalarsi, a costo di rimetterci la sua
stessa
salute. Si alzò di scatto e lo raggiunse in cucina, dove
già aveva iniziato a
preparare il caffè.
“Non puoi
fare
così Henrik!”
Il ragazzo si
girò verso di lui appoggiandosi al mobile della cucina alle
sue spalle, e il
suo sguardo deciso, lo stesso con cui aveva pronunciato
l’ultima frase, non
fece altro che farlo sentire ancora più amato, e si
odiò perché non andava
bene, affatto.
“Non puoi
mettere a rischio la tua salute per me.”
Henrik sorrise e
strinse il ripiano fra le mani per impedire a sé stesso di
avvicinarglisi e
rischiare di infettarlo. Tarjei si schiaffeggiò mentalmente
nel sentire le
farfalle nel suo stomaco risvegliarsi al gesto.
“Per te
vale la
pena di rischiare qualsiasi cosa.”
Lo disse con una
semplicità così disarmante che sentì
le ginocchia farsi deboli. Quando parlò la
voce quasi gli tremava.
“E tu sei
l’unica cosa che ho, non posso lasciare che tu stia male a
causa mia.”
Henrik si morse
il labbro inferiore in un evidente tentativo di resistere
all’impulso di
raggiungerlo e baciarlo, ma Tarjei decise che adesso si giocava alle
sue regole
e in due falcate aveva attraversato la cucina e gli aveva preso il viso
fra le
mani, unendo le loro labbra con forza e molta più audacia
del solito,
mettendoci tutta la frustrazione mista all’affetto che in
quel momento sembrava
più forte di quanto non lo era mai stato. Henrik gli
circondò la vita con le
braccia e cercò di rallentare il ritmo frenetico dei loro
baci, ma Tarjei lo
ignorò bellamente e approfittò della sua bocca
socchiusa per esplorarla con la
lingua, circondandogli il collo con le braccia e premendo il corpo
contro il
suo. Henrik si lasciò scappare un gemito quando il suo
ragazzo gli morse il
labbro inferiore e scese a dedicarsi al suo collo.
“Baby,
ehi,
calma.”
Tarjei
posò un
ultimo bacio sul suo collo non più così
immacolato e posò la fronte sulla sua,
sorridendo nel notare il respiro affannoso di entrambi.
“Non
chiamarmi
baby, sono arrabbiato con te.”
Henrik rise
facendo sfiorare i loro nasi.
“Ah
sì? Non
sembrava fino ad un attimo fa.”
Il suo sorriso
si allargò ancora di più e chiuse gli occhi,
rimanendo ad ascoltare i loro
respiri tornare normali.
“Sul
serio,
Henrik, non stai bene ed è colpa mia e non mi va
bene.”
“Sto bene,
solo
un po’ di raffreddore. Comunque, prometto di cercare-
“No, n0n
cercare, devi farlo, okay? Devi preoccuparti anche di te
stesso.”
Si
allontanò
quel tanto che bastava per guardarlo negli occhi.
“E se
facciamo
che io mi preoccupo per te e tu ti preoccupi per me? Chill?”
Non era
esattamente quello che voleva, ma era abbastanza.
“Chill.”
Henrik sorrise e
gli diede un piccolo bacio, prima di allontanarlo da sé e
girarsi per
continuare a preparare la loro colazione. Con uno sbuffò
Tarjei appoggiò il
viso fra le sue scapole e gli circondò la vita con le
braccia.
“Dovresti
rimanere a casa, comunque.”
“Tarjei.”
“Non hai
ancora
la febbre ma siamo a Novembre, e viviamo in Norvegia, sto solo facendo
due più
due.”
“Abbiamo
delle
scene da girare e Julie diventa una iena appena qualcuno ci mette un
minuto in
più per pisciare, questo quanto fa?”
“Però
metterai
una giacca più pesante, e un cappello.”
“Ma-
“Non mi
interessa dei tuoi capelli. Oh, e anche una sciarpa.”
“Per il
raffreddore o il succhiotto che mi hai appena fatto?”
“Per il
raffreddore, non ho nessun problema a far sapere in giro a chi
appartieni.”
Bevver0
caffè
bruciato, ma tutti avrebbero saputo che entrambi erano già
di qualcun altro.
-
Sul bus, Henrik
tenne le mani nelle tasche del suo cappotto, lasciando che per una
volta fosse
Tarjei a stringerle per tenerle al caldo, sussurrandogli parole dolci
per farlo
arrossire e poi baciargli le guance.
Tarjei non
riusciva a smettere di sorridere e ridacchiare, si sentiva ubriaco e
l’aria che
li circondava era piena di bollicine rosa che solleticavano le loro
guance e le
mani intrecciate; il soffitto del bus mostrava l’intero
universo e Tarjei lo
osservava in estasi, la nuca posata sulla spalla di Henrik, che aveva
sfilato
una mano dalla sua tasca e adesso si stava attorcigliando uno dei suoi
riccioli
biondi attorno al dito, guardando le stelle che si riflettevano nei
suoi occhi.
Sentiva il battito cardiaco pulsargli nelle tempie, il naso prudergli e
i
polmoni bruciargli ad ogni respiro ma stava stringendo la cosa
più bella del
mondo fra le braccia, come avrebbe potuto non essere felice? Tutto
attorno a
loro era solo rumore bianco, gli sguardi e i sorrisi che gli altri
passeggeri
li rivolgevano da quando erano saliti, forse riconoscendoli o
semplicemente
specchiandosi nella loro felicità, erano lontani anni luce.
Inutile dire che
quasi persero la loro fermata, e francamente se lo aspettavano anche.
Ciò che
non si aspettavano, fu essere l’uragano di urla ed
eccitazione che li travolse
non appena misero piede sul set. Tarjei si guardò in giro
disorientato, non
sapendo a chi dare ascolto, ma quando si accorse
dell’espressione di dolore sul
volto di Henrik, molto probabilmente dovuta al mal di testa,
zittì tutti,
stroncando chiunque iniziasse a parlare con un’alzata di
mano. I ragazzi lo
guardarono sbigottiti, ma le loro espressioni tornarono serene quando
lo videro
posare una mano sulla guancia del suo ragazzo e guardarlo con le
sopracciglia
corrucciate. Henrik gli sorrise e posò la mano sulla sua,
per poi cercare Iman,
e cioè l’unica che non aveva ancora aperto bocca,
fra la piccola folla. La
ragazza sorrise ad entrambi e il resto del cast la esortò a
parlare.
“Siete
ovunque.”
Tarjei la
guardò
interrogativo e lei sorrise ancora di più.
“Skam, o
meglio,
gli Evak sono in tendenza su qualsiasi social network.”
“Siete al
primo
posto su Twitter.”
“Per non
parlare
di Facebook e Instagram.”
“Tumbrl
sta
praticamente esplodendo.”
Le ragazze
parlavano eccitate mostrandoli i loro cellulari, dove foto e gif del
loro primo
bacio e la scena di Sabato mattina erano ripetute
all’infinito su tutte la
applicazioni che avevano appena nominato, insieme a disegni
meravigliosi e
bandiere arcobaleno. Tarjei non poté contenere
l’enorme sorriso che gli incurvò
le labbra: persone di tutto il mondo avevano iniziato a seguire la
serie, e a
quanto dicevano i ragazzi moltissimi avevano iniziato ad interessarsi
alla
comunità lgbt grazie a loro. Tarjei si voltò
verso Henrik, sorridendo
teneramente nel vedere i suoi occhi che brillavano mentre Josephine gli
mostrava i commenti sotto una delle tantissime foto: sembrava un
bambino che
aveva appena saputo che il Natale sarebbe arrivato in anticipo. Lisa
gli diede
una leggera gomitata fra le costole, sorridendo a trentadue denti.
“L’avevo
detto
io che sarebbe finita così. Anzi, iniziata: siamo solo alla
prima clip del
quinto episodio e guarda che casino buddy!”
Tarjei sorrise e
l’abbracciò, sentendosi al settimo cielo. La
ragazza rise ricambiando la
stretta.
“E avevo
ragione
anche su un’altra cosa?”
“Cosa?”
“Sei il
ragazzo
più invidiato del momento Tar, non hai idea di cosa dicono
le ragazze e i
ragazzi di mezzo mondo del tuo ragazzo, e anche di te ad essere
sincera.”
“Di me?”
Non era stupito
del fatto che si cantassero le odi sulla bellezza di Henrik (o che
avesse
appena guadagnato migliaia di followers su Instagram, come David stava
appena
comunicando ad un Henrik ancora incredulo), sarebbe stato strano il
contrario.
Ma che pensassero la stessa cosa di lui gli sembrava surreale: i primi
anni
della sua adolescenza erano stati pieni di insicurezze e, nonostante
fosse
ormai uscito da quella fase, pensare che una gran parte delle persone
apprezzasse il suo aspetto, quando nemmeno lui ci riusciva a volte, lo
faceva
sentire strano, ma orgoglioso.
Lisa
annuì e poi
guardò oltre la sua spalla, sorrise e sciolse
l’abbraccio indicando qualcosa
dietro di lui con un cenno della testa, per poi allontanarsi. Quando si
voltò,
Julie lo stava abbracciando.
“Sono
così fiera
di te, così fiera di voi.”
A quelle parole
la tensione, dovuta a quel nuovo tipo di contatto fisico fra di loro,
si
sciolse, così come un po’ del suo cuore.
“Grazie.”
Percepì
il
sorriso della donna e le sue braccia lo strinsero di più,
per poi lasciarlo
andare del tutto. Uno sguardo e seppe che Julie era tornata quella di
sempre.
“Ora,
ragazzino,
abbiamo delle cose da fare, e il tuo ragazzo non sembra stare molto
bene quindi
meglio sbrigarsi prima che svenga sul pavimento.”
Pochi metri
più
in là, Henrik, sfilatosi finalmente i vestiti (i suoi
capelli erano perfetti
anche dopo essere stati sotto un cappello per più di
mezz’ora, non era una cosa
normale), si voltò verso di loro con una mano sul petto,
fingendosi offeso.
“Io sto
benissimo!”
“No che
non stai
bene!”
“Baby,
dobbiamo
ricominciare?”
“Uhhh,
problemi
in Paradiso.”
Fra le risate
causate dalle parole di David, Tarjei alzò gli occhi al
cielo e incrociò le
braccia, cercando di nascondere un sorriso quando Henrik gli si
avvicinò
attirandolo a sé per i fianchi e poi rivolgersi a David.
“Tarjei
non
accetta che io mi preoccupi per lui.”
Tarjei
spalancò
la bocca, posando le mani sul suo petto come per allontanarlo ma senza
provarci
sul serio.
“Non
è
assolutamente vero! Io non accetto che ti faccia male per colpa
mia.”
“Questi
due non
sanno nemmeno litigare.”
“E’
vero, amico,
onestamente siete da carie.”
Tarjei fece il
dito medio a Sasha, che era già pronto ad iniziare una
discussione sul diabete
che gli stavano facendo venire, quando Julie richiamò
l’attenzione su di sé.
“Basta,
abbiamo
una tabella di marcia da seguire. Fra cinque minuti si gira.”
“Non
rivediamo
nemmeno il copione?”
“E’
inutile, non
hanno nemmeno bisogno di recitare ormai.”
-
A quanto pareva,
i conti di Tarjei erano esatti.
Le sue mani
erano ancor più gelide di quella mattina e non riusciva a
smettere di tremare,
le coperte tirate fino al mento e la fronte bollente. Tarjei era steso
accanto
a lui e gli accarezzava una guancia, ignorando i suoi tentativi di
impedirgli
di stargli così vicino.
Henrik era
lì
per lui ogni notte, quando il suo stupidissimo cervello lo teneva
sveglio:
restava sveglio con lui ad accarezzargli i capelli e sussurrargli che
andava
tutto bene, privando sé stesso del sonno finché i
suoi occhi non diventavano
pesanti e riusciva finalmente ad addormentarsi, e anche allora lui
rimaneva
sveglio, accertandosi che il suo respiro fosse regolare e il suo viso
rilassato,
e solo alla fine permettere al suo corpo di riposare in pace. E lui non
solo
non lo ringraziava come avrebbe dovuto, ma lasciava anche che si
ammalasse solo
perché era un ragazzino pigro che non si prendeva cura di
sé stesso.
Posò la
fronte
contro la sua tempia, le scuse già pronte a lasciare le sue
labbra, ma si fermò
prima di pronunciare una parola: Henrik gli avrebbe detto che non era
colpa
sua, lo avrebbe rassicurato come faceva sempre e non poteva permettere
che si
sentisse in colpa. Era arrivato il momento che si prendesse cura di
lui. Gli
posò il più dolce dei baci sulla guancia e fece
per alzarsi, ma la sua mano gli
afferrò il polso.
Gli occhi di
Henrik erano arrossati e lucidi, sembravano più grandi del
solito e lo
guardavano come se lo stesse abbandonando. Immediatamente, Tarjei
aggirò il
letto, inginocchiandosi di fronte a lui.
“Ehi, sono
qui.”
“Dove
…”
La sua voce era
rauca
e stanca, e Tarjei scosse la testa, posandogli una mano sulla guancia
per
impedirgli di sforzarla più del dovuto.
“Vado a
preparare qualcosa per farti stare meglio, torno subito,
okay?”
Henrik
aggrottò
le sopracciglia, aprendo la bocca per esprimere il suo disappunto, ma
Tarjei
scosse nuovamente la testa, già sapendo ciò che
gli avrebbe detto.
“Lascia
che mi
prenda cura di te, almeno stavolta.”
Henrik si morse
il labbro inferiore, poi chiuse gli occhi e fece un respiro profondo, e
alla
fine annuì.
“Torna.”
Annuì e
gli
baciò la fronte, sussurrando un
‘grazie’, per poi uscire chiudendosi la porta
alle spalle. Aveva appena aperto il mobiletto del bagno in cerca delle
medicine
che qualcuno suonò al campanello. Ciò che
trovò dall’altra parte fece alzare il
suo livello d’irritazione da 0 a 100 nel memorabile tempismo
di mezzo secondo.
“Tarjei?”
“Lea.”
La ragazza
sembrava più carina del solito, come se avesse speso del
tempo per sistemarsi
più del dovuto, e stringeva una busta della spesa nella mano
destra: era
evidente perché si trovasse lì, e non gli
piaceva, affatto. Lo guardava come
se fosse un pesce fuor d’acqua.
“Tu
… ehm … perché
sei qui?”
Tarjei
provò l’impulso
di urlarle che ci viveva, lì, e che era lei quella fuori
posto, ma se lo stava
chiedendo probabilmente non sapeva nulla, e sperava che lo scoprisse
nel
migliore dei modi. Migliore per lui,
s’intende.
“Tarjei?”
“Oh,
sì,
scusami, pensavo ad altro.”
Si stampò
sul
viso il sorriso più convincente del suo repertorio (essere
un attore aveva i
suoi vantaggi) e la guardò tanto intensamente che Lea
abbassò gli occhi,
arrossendo lievemente e passandosi la busta da una mano
all’altra. Alla fine
rialzò lo sguardo e si schiarì la voce.
“Io
… Marlon mi
ha detto che Henrik non stava molto bene oggi alle prove,
così io …”
Oh, Marlon
gliel’avrebbe
pagata cara, molto cara, ma non era questo il momento per pensare alla
vendetta.
Stava per risponderle che ‘era stata oh così
carina ad autoinvitarsi a casa del
suo ragazzo per approfittarne ed infilargli la lingua in
bocca’, che sentì la
porta della camera da letto aprirsi e-
“Baby
…”
Jackpot.
Lanciò un
veloce
sguardo all’espressione confusa di Lea, cercando di
trattenersi dal riderle in
faccia, e si girò verso Henrik, che stretto nel piumone
barcollò verso di lui fino
a posare la fronte sulla sua, la testa che gli faceva troppo male per
permettergli di concentrarsi su qualsiasi altra cosa. Tarjei si
scordò
completamente della ragazza, una minuscola figura nella sua visione
periferica
rispetto ad Henrik, e gli prese il viso fra le mani, senza allontanare
la
fronte dalla sua.
“Stai
tremando, perché
ti sei alzato?”
“Non
tornavi.”
Tarjei sorrise,
accarezzando la sua pelle bollente con i pollici.
“Non vado
da
nessuna parte.”
Henrik si
allontanò per poterlo guardare negli occhi, sorridendo per
quanto la stanchezza
glielo consentisse.
“Lo
so.”
Il ragazzo fece
sfiorare i loro nasi, e solo alla fine sembrò accorgersi di
Lea, che era
arrossita in maniera spropositata ed evitava a tutti i costi di
guardare nella
loro direzione.
“Ehi,
Lea.”
Lei
accennò un
sorriso.
“Henke,
girava
voce che tu fossi in punto di morte, ero venuta a salutarti
un’ultima volta.”
Il ragazzo rise e
lei sospirò, porgendo la busta a Tarjei, che aveva iniziato
a sentirsi (molto vagamente)
male per lei.
“Ora devo
andare, ma non credo te la passerai troppo male.”
Lanciò
uno
sguardo a Tarjei e li salutò con la mano, per poi girarsi e
scendere le scale,
infilandosi il cappuccio per proteggersi dalla pioggia che aveva
iniziato a
battere contro le finestre. Tarjei seguì la sua figura con
gli occhi prima che
scomparisse del tutto dal suo campo visivo e chiuse la porta, per poi
ispezionare il contenuto della busta: c’era tutto
ciò che serviva per preparare
del brodo di pollo. Uh, almeno qualcosa di buono l’aveva
fatto.
“Vado a
fare da
mangiare, tu torna a letto, okay?”
Henrik si
lamentò con un mugolio.
“Voglio
stare con
te.”
“Henrik.”
“Ti
prego.”
Si morse il
labbro, osservando il broncio adorabile che il suo ragazzo stava usando
per
corromperlo, e alla fine sbuffò alzando gli occhi al cielo,
ma senza riuscire a
trattenere un sorriso. A volte si chiedeva se le farfalle sarebbero mai
andate
a volare altrove.
Henrik sorrise
vittorioso e si strinse nella coperta, precedendolo nella cucina. Prima
di
seguirlo, Tarjei sfilò il telefono dalla tasca.
Marlon
Scegli
O lasci che ti
picchi, e
francamente te lo meriti
O mi devi un favore,
quando
mi pare, ciò che mi pare
Ho paura in entrambi
i casi
Fai bene.
|
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Capitolo 10 *** Sickening desire ***
Sickening desire
Fermarsi diventava sempre più difficile. I baci avevano iniziato ad essere sempre più frenetici, umidi, affamati e perfino fermarsi a prendere aria era una necessità che non faceva che infastidirlo sempre di più.
Il fatto era che Tarjei era inesperto, impacciato, a tratti anche goffo, ma sapeva quello che voleva. Voleva il calore delle mani di Henrik sui suoi fianchi nudi, le sue labbra distrutte dai dolci morsi che gli solleticavano il collo e molto più in basso, le sue parole che lo facevano rabbrividire per la loro dolcezza e che avevano timidamente iniziato a parlare di altro, intervallate dal tanto adorato nomignolo che a volte assumeva una sfumatura irrimediabilmente meno tenue. Tarjei voleva ansimi, e lividi, e segni che gridavano a chi apparteneva, fuori e anche dentro.
Fermarsi era diventato quasi impossibile, ma Henrik ci riusciva sempre, lasciando entrambi con boxer che avevano improvvisamente una taglia in meno. La prima volta, Tarjei aveva spalancato gli occhi, terrorizzato all’idea di aver fatto qualcosa di sbagliato che avesse convinto Henrik di non voler nulla di tutto ciò con un ragazzino come lui, che avesse perso quella che ogni giorno diventava sempre più la cosa migliore che gli fosse mai successa. Ripensandoci più tardi si sarebbe detto che era un pensiero assurdo, ma in quel momento gli sembrava l’unica spiegazione possibile e lo faceva rabbrividire.
Nel notare il suo sguardo spaventato, Henrik ci aveva messo pochi secondi per intuire i suoi pensieri, conoscendolo ormai meglio di quanto conoscesse sé stesso, e gli aveva preso il viso fra le mani, costringendolo a guardarlo negli occhi.
“Baby, ehi, guardami. Va tutto bene, okay? Sei perfetto, assolutamente perfetto, non devi nemmeno pensare che per me tu possa essere nient’altro che meraviglioso, il mio piccolo angelo, così dolce.”
Tarjei chiuse gli occhi, tranquillizzandosi e sorridendo, quasi facendo le fusa alla voce profonda di Henrik. Il più grande sorrise, baciandogli la fronte per poi stringerlo fra le sue braccia ed iniziare ad accarezzargli i capelli. Dopo qualche minuto di silenzio, Tarjei parlò, la voce tanto minuta da essere appena udibile.
“Perché?”
Henrik si morse il labbro inferiore, affondando le dita fra i suoi riccioli.
“Sarebbe la tua prima volta.”
Non sembrava una domanda, ma Tarjei annuì ugualmente, strusciando la guancia contro il suo petto. Le parole vagarono nella stanza per un po’.
“Voglio che sia tu.”
“Lo spero bene, non voglio dover fare a botte con qualche idiota che anche solo immagina di metterti le mani addosso.”
Henrik rabbrividì al sol pensiero e Tarjei nascose il rossore nell’incavo del suo collo. Quando diceva cose del genere, non poteva fare a meno di pensare che lo amasse, talmente tanto che dirlo ad alta voce sembrava la cosa più spaventosa che avrebbe mai potuto fare.
“Potrebbe anche essere un bravissimo ragazzo.”
“Un bravissimo ragazzo che può andare a portare le sue buoni intenzioni da qualche altra parte, grazie mille.”
Tarjei rise, posando una gamba sul suo bacino, avvicinandosi sempre di più fino a sedersi su di lui con le gambe ai lati dei suoi fianchi. Henrik posò le mani sulle sue cosce, alzando le sopracciglia, divertito dall’improvvisa iniziativa.
“Halla.”
“Halla.”
Il più piccolo sorrise, posando le mani sulle sue per intrecciare le loro dita.
“Sono pronto.”
Il ragazzo lo guardò incerto, facendosi piccolo. Tarjei si portò una delle sue mani alle labbra, baciandone il dorso per invitarlo a parlare.
“E’ la tua verginità, baby, una volta che te la porterò via-
“Tu non me la porterai via!”
Aggrottò le sopracciglia, stringendo forte le sue mani come per rafforzare le sue parole.
“Io voglio darla a te! Non puoi portarmi via qualcosa che io voglio darti.”
Henrik spostò lo sguardo da lui, evitando i suoi occhi: dopo un mese aveva ancora paura di romperlo, come avevano rotto lui. E sapeva perfettamente che era una paura irrazionale, che avrebbero dovuto parlarne, perché se c’era una persona con cui voleva condividere quella parte della sua vita era l’angelo che aveva la fortuna di chiamare suo. Eppure le parole gli graffiavano la gola, rifiutandosi di uscire e rendendo il suo petto pesante, come se la sua cassa toracica si stesse stringendo attorno ai suoi polmoni impedendogli di respirare. Improvvisamente, quell’azione autonoma quando indispensabile sembrò la cosa più difficile del mondo: Henrik spalancò gli occhi, il respiro che aumentava alla ricerca di aria che si rifiutava di entrare, e strinse forte le mani di Tarjei, nella speranza che riuscissero a tenerlo ancorato alla realtà. In quel momento non sentiva altro che il panico di quel giorno, mani da cui non voleva essere toccato che si prendevano ciò che lui non voleva dargli. Quando colui a che gli impediva di rompersi sembrò sparire, il sangue gli si gelò nelle vene.
Non andare via, ti prego non adesso, mai, ti prego.
Tarjei gli prese il viso fra le mani, piegandosi fino a posare le fronte sulla sua.
“Respira, respira con me, okay? Respira.”
Henrik chiuse gli occhi, aggrappandosi a lui e ascoltando il suo respiro accarezzargli il viso. Pian piano il mondo smise di girare frenetico attorno a lui e l’aria gli riempì il naso e la gola. Tarjei fece sfiorare i loro nasi, accarezzandogli il viso con la punta delle dita.
Henrik allentò la presa sulla sua maglietta per circondargli la vita con le braccia e stringerlo a sé, avvertendo le lacrime fare capolino negli angoli dei suoi occhi, infilandogli una mano fra i capelli quando Tarjei gli circondò il collo e gli posò dei piccoli baci sulla guancia, sussurrandogli parole dolci fra uno e l’altro. Restarono così a lungo, tanto che quando parlò, la voce di Henrik era rauca per il disuso e le lacrime trattenute.
“Scusami se ti ho spaventato.”
I capelli di Tarjei gli accarezzarono il viso quando scosse la testa, stringendolo di più a sé.
“Quando-
“Non devi dirmelo se non vuoi.”
Il ragazzo scese lentamente dal suo bacino, stendendosi accanto a lui su di un fianco e gli posò una mano sulla guancia, disegnando linee immaginarie e sorridendogli dolcemente, ed Henrik sentì di star innamorandosi di lui tutto da capo. Si girò imitando la sua posizione, attorcigliando insieme le loro gambe e un pò delle loro anime.
“Io voglio dirtelo, ma non voglio che tu sia triste per me.”
“Okay.”
“Okay?”
Il sorriso di Tarjei si allargò ed annuì.
“Quando sarai pronto io sarò qui, ad aspettarti. Sarò sempre qui ad aspettarti.”
-
Quando Henrik perse la sua verginità, fu perché gli venne rubata. Aveva quindici anni e la sua ragazza andava nella sua stessa classe. Le ragazze della sua classe sembravano molto più grandi di lui e dei suoi amici, più cresciute, delle donne in miniatura, con i loro fianchi larghi e i petti che solo un anno prima erano nient’altro che piatti.
Henrik amava stare con Lise, stringere il suo corpo morbido fra le braccia e baciarla con dolcezza, ridere con lei mentre giocavano ai videogiochi e non tener conto del tempo quando erano insieme. Aveva sentito in giro di ragazzi che facevano altro insieme alle loro fidanzate, ma a lui non interessava quel genere di cose. A Lise, invece, interessava.
“Ai ragazzi non succedevano quelle cose, loro erano quelli forti, quelli che facevano del male, non avevano paura e non si opponevano, perché i ragazzi non venivano aggrediti dalle ragazze.”
Tarjei sentiva le lacrime scavargli solchi profondi sul viso. Di fronte a lui, Henrik aveva lo sguardo basso.
“Io … io non feci nulla per fermarla, non volevo farle del male e …”
Rimase in silenzio per qualche secondo, forse in cerca delle parole. Tarjei aveva la vista offuscata e un dolore che partiva dal petto e si espandeva in tutto il corpo; avrebbe voluto toccarlo, ma aveva sinceramente paura di romperlo.
“Piansi e lei mi chiese perché.”
Lasciò andare una risata priva di gioia, carica di qualcosa che sembrava risentimento, forse vergogna.
“Disse che non capiva perché me la stessi prendendo tanto visto che era qualcosa che volevo anche io. Il fatto era che io non lo volevo, e lei non lo sapeva perché non me l’aveva nemmeno chiesto. Ma lo capivo, era qualcosa che doveva piacermi, sicuramente ero io quello sbagliato. Dopo che … la lasciai e non parlai con lei mai più, ma nonostante questo non esitò ad andare a raccontare in giro quello che ‘avevamo fatto’. Saltò fuori che mi aveva portato via la mia innocenza solo per poter vantarsi con le sue amiche di essere stata la prima a fare ciò che facevano gli adulti.”
Tarjei sentì il cuore rompersi un pò quando la sua voce si incrinò e allungò una mano verso di lui, asciugandosi il viso con il dorso dell’altra. Henrik posò gli occhi sulla sua mano, per poi allungare la propria e stringerla, alzando il viso dopo quelle che erano sembrato ore, e sorrise.
Quel giorno, fecero l’amore per la prima volta.
Le mani di Henrik lo accarezzarono quando il dolore gli impedì di bearsi delle migliaia di scintille che gli riscaldavano lo stomaco e le sue labbra colorarono la pelle che assaggiavano rendendolo un opera d’arte di blu e viola e rosso. Alla fine, restarono ad ascoltare i loro respiri tornare regolari, osservando i loro petti alzarsi e abbassarsi sempre più lentamente, abbracciati fra le lenzuola umide per il sudore. E se prima avrebbe storto il naso, ora non poteva fare a meno di pensare che fosse la cosa più dolce e meravigliosa che avesse mai pensato di poter fare.
“Credo di amarti.”
“Anche io, baby, credo di amarti anche io.”
-
Beste venner <3
Ho detto ad Henrik che lo amo
Ha risposto che mi ama anche lui
David: ODDIO BRO SUL SERIO?!?
Lisa: AWWWWW SONO COSI’ CONTENTA PER TE BUDDY <3<3
<3
Lisa: Ci sarete alla festa di Marlon venerdì giusto? Non vedo l’ora di brindare al vostro amore
Se lo fai giuro che ti blocco ovunque
David: voi DOVETE venire a quella festa
the #powercouple is comiiiiiing
Da quando siamo la #powercouple?
David: pfff da sempre
è Ulrikke che l’ha inventato
Lisa: Voi ci sarete a quella festa, fine della questione.
E’ una minaccia?
Lisa: :D
…
Ci saremo
David: YESSS!!!
Lisa: Perfetto! Ora torna dal tuo modello ventunenne e rendimi fiera ;-)
Vi odio
<3
-
Se prima fermarsi gli era sembrato difficile, ora era praticamente impossibile.
Voleva Henrik costantemente: nell’intimità della loro camera da letto, quando la neve di Novembre imbiancava i vetri ed Henrik si ostinava a girare per l’appartamento senza maglietta, i pantaloni della tuta così in basso da rivelare l’orlo dei suoi boxer e accentuare le dure linee sui suoi fianchi e il suo addome, e persino nel bel mezzo delle riprese, quando tutti erano lì a guardarli.
(“Quando ho detto che dovevate metterci passione non era questo che intendevo ragazzino!”
“Julie, comprendimi. Stiamo girando la scena in cui dovrebbe farmi un po-
“LINGUAGGIO!”
“Possiamo anche chiamarlo così se vuoi ma la sostanza è quella!”)
Ed Henrik, ovviamente, non era da meno. Ciò comportava segni costanti a tappezzare i loro corpi che non facevano altro che bene, battutine maliziose che li seguivano ovunque andassero e l’abbonamento alla palestra non rinnovato perché, beh, facevano già abbastanza attività fisica.
Ora, con qualche birra e un paio di bicchierini di troppo ad offuscargli la mente, il corpo premuto senza vergogna contro quello del suo ragazzo, Tarjei non riusciva a pensare altro che voglio, voglio, voglio.
“Baby.”
Il volume della musica facevano tremare il pavimento, le decine di corpi attorno a loro si muovevano frenetici, l’alcol faceva girare tutto troppo velocemente, ma riusciva a distinguere perfettamente la voce di Henrik. Il ragazzo aveva le mani nelle tasche posteriori dei suoi jeans, spingendo il il suo bacino contro il proprio e muovendolo allo stesso ritmo dei bassi. Tarjei gemette e lo baciò affamato, facendo danzare languidamente le loro lingue, e ricambiando i movimenti del suo corpo.
La sua mente confusa registrò la voce di Marlon poco lontano da loro; girandosi brevemente, si accorse che parlava (flirtava) con Lea. Ridacchiò, pensando che era stato fin troppo buono con Marlon dopo il pessimo amico che era stato, ma la sua risata venne spezzata da un ansimo quando il suo ragazzo decise che era un buon momento per spostare le labbra sul suo collo, e Tarjei decise che non ne poteva più. Gli sollevò il viso per baciarlo di nuovo e lo prese per mano, districandosi fra la giungla di corpi in movimento per poi chiudere la porta della camera di Marlon alle loro spalle.
La mattina seguente, risvegliandosi in una casa piena di conoscenti e amici addormentati nei posti più assurdi con un mal di testa atroce e l’impulso di vomitare tutto ciò che aveva ingerito, si sarebbe rigirato fino a nascondere il viso fra i capelli di Henrik, ignorando il suo telefono che vibrava sul pavimento.
Ulrikke
Non arrabbiarti, ma potrei aver pubblicato qualcosa su instagram
E potrei aver taggato Henrik
E potrebbe essere un video di voi due che vi baciate
E poteri aver scritto #powercouple
E potrebbero averlo visto migliaia di persone
:-D
Angolo autore
beste venner = migliori amici
Scusate per l'immenso ritardo, ho avuto problemi con il pc >.< il prossimo capitolo è già scritto, lo pubblicherò fra un paio di giorni. Perdonatemi ancora e fatemi sapere se il capitolo vi è piaciuto <3
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Capitolo 11 *** Your happiness is ours too ***
Your happiness is ours too
Quel video era indecente.
Tarjei si ritrovò ad arrossire nell’osservare se stesso e il suo ragazzo nel post di Ulrikke. Durava pochi secondi, luci stroboscopiche rendevano la visione confusionaria ma comunque abbastanza chiara per cogliere esattamente ciò che stava accadendo: al centro, lui ed Henrik erano stretti l’uno all’altro, le mani del più grande passavano da sotto la sua maglietta al suo sedere, le sue gli scompigliavano i capelli, la lotta fra le loro lingue che si ripeteva all’infinito su quello e altri milioni di schermi. Nei commenti la gente era impazzita, non facevano altro che chiedere se si trattasse di Skam o della realtà e dire quanto fossero stupendi insieme, facendolo arrossire ancora di più.
Non sapeva se farsi prendere dal panico o essere felice per l’affetto dei loro fan, ma non ebbe il tempo di decidere che il suo stomaco si ricordò improvvisamente di tutto l’alcol che aveva bevuto la sera prima e decise che era il momento perfetto per buttarlo fuori. Si coprì la bocca con una mano ed arrivò in bagno, miracolosamente vuoto ma non altrettanto pulito, appena in tempo per accovacciarsi di fronte al water.
Intanto Henrik si rigirò sotto le lenzuola, allungando le braccia verso il punto in cui avrebbe dovuto esserci il suo ragazzo e mugolando in protesta quando non riuscì a trovarlo, aprendo gli occhi per poi richiuderli velocemente a causa della luce troppo forte per i suoi occhi sensibili. Lentamente, riuscì ad abituarsi alla luce e a mettersi seduto, cercando di ignorare il fatto che la stanza girasse su se stessa, e si guardò intorno alla ricerca di Tarjei. Al suo posto trovò il suo cellulare, Instagram aperto sull’ultimo post di Ulrikke. Il video che gli si presentò d’avanti agli occhi lo rese improvvisamente fin troppo sobrio, e anche un po’ eccitato ad essere sinceri.
Lanciò uno sguardo al suo telefono, che sul comodino esplodeva per le innumerevoli notifiche di commenti e incessanti nuovi followers. In cima a tutte:
Chiamate perse (12) da Julie.
Merda.
Si passò una mano fra i capelli, abbandonando il telefono sul letto e ignorando spudoratamente le chiamate perse. Doveva trovare Tarjei. Si districò con non poca difficoltà dalle coperte e si alzò, facendo attenzione a non calpestare nessuno degli adolescenti addormentati contro le pareti del corridoio, seguendo gli unici rumori udibili nell’appartamento. Spalancò la porta socchiusa del bagno e fu immediatamente accanto a Tarjei, che aveva brevemente alzato la testa per vedere chi fosse appena entrato per poi tornare ad aggrapparsi al water e vomitare il contenuto del suo stomaco ormai vuoto.
Henrik gli posò una mano sulla fronte, tenendogli i capelli, e l’altra sulla sua schiena, disegnando cerchi che sperava aiutassero a calmare gli spasmi, ripetendogli che andava tutto bene e che lui era lì adesso, ignorando l’odore terribile e la vista non delle migliori. Guardare il proprio ragazzo vomitarsi l’anima in un bagno sudicio non era proprio in cima alla lista dei suoi desideri ma non poteva fregargliene di meno.
Dopo qualche minuto, il corpo di Tarjei sembrò comprendere che non era rimasto più nulla da rigettare ed il ragazzo allentò la presa, accasciandosi contro il petto di Henrik, che prontamente lo strinse fra le sue braccia e posò la schiena contro la vasca da bagno, facendolo sedere sulle sue gambe e accarezzandogli i capelli. Tarjei cercò di concentrarsi sull’odore della pelle di Henrik e non sul sapore orribile che gli infestava la bocca, e dopo qualche secondo parlò.
“L’hai visto?”
Henrik gli posò un bacio fra i capelli ed annuì.
“Mi dispiace.”
Tarjei aggrottò le sopracciglia, alzando lo sguardo per incontrare il suo.
“Perché?”
“E’ un bel po’ di pressione baby, il mio telefono sta per implodere dalle notifiche e stanno tutti dando di matto. Mi dispiace che tu debba fare i conti con tutto questo, so quanto tieni alla tua privacy.”
Il ragazzo lo guardò con gli occhi pieni di meraviglia e scosse il capo, sciogliendosi in un sorriso. Henrik lo guardò incuriosito, sorridendo di rimando.
“Che c’è?”
“C’è che sono felice. Stanno tutti dando di matto perché ci vogliono bene amore, per lo stesso motivo per cui passano ore a disegnare e a scrivere storie ed è meraviglioso.”
Il ragazzo lo guardò con così tanta dolcezza che non poté fare a meno di arrossire, e in cambio ricevette un bacio tanto casto quanto mozzafiato.
“Ho un alito orribile.”
“Non m’importa.”
Henrik posò la fronte sulla sua.
“Sono così fiero di te.”
Tarjei gli prese il viso fra le mani, allontanandosi abbastanza per guardarlo negli occhi.
“Ti amo.”
Era la prima volta che glielo diceva così apertamente, e non era mai stato tanto sicuro di niente come in quel momento. Henrik sorrise, accarezzandogli una guancia con la punta delle dita e la voce gli uscì quasi in un sussurro.
“Ti amo anche io.”
E Tarjei seppe che avrebbe potuto sopportare qualsiasi cosa, tutti i fan e la pressione e la sfuriata di Julie che li attendevano fuori dalla porta, si riducevano a minuscoli sassolini in una scarpa se Henrik era al suo fianco.
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Julie
HENRIK
CHIAMAMI
SUBITO
Buongiorno …
Finalmente
Siete tutti insieme?
Sì
Credo
Abbiamo dormito da Marlon, quindi a meno che qualcuno non se ne sia andato stamattina presto dovremmo essere ancora tutti qui
Fra venti minuti siamo lì
Ehm
Meglio di no
Non mi interessa ora Henrik
Julie, ascoltami, tu non vuoi vedere quello che c’è qui
Fidati
Non mi interessa se la casa è peggio di un porcile, butta tutti gli estranei fuori e sveglia gli altri
Anche se riuscissi a farlo non credo sarebbero abbastanza sobri per ascoltarti
Fa quello che ho detto
Se quando arrivo non siete tutti svegli me la prendo con te
No scusami
Perché?
Sei il maggiore, comportati come tale
Venti minuti
Sbrigati
Agli ordini …
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Per l’ora in cui Julie e Marisi presentarono alla porta, Henrik era miracolosamente riuscito a buttare fuori una ventina di mezzi sconosciuti, andandoli a stanare persino nel ripostiglio e in situazioni molto private, e a svegliare il resto del cast. Il fatto che avesse dovuto evitare una scarpa in pieno viso da David e tenere i capelli di Lisa mentre vomitava affacciata al balcone erano puramente effetti collaterali. Ora, accoccolato con il suo ragazzo sulla poltrona meno sporca del soggiorno, si sentiva esausto (a quanto pare nessuno sembrava ricordarsi che si stava riprendendo anche lui da una sbornia, grazie tante) e cercava di prepararsi psicologicamente a ciò che li aspettava. Stava trovando il processo molto difficile, ma la mano di Tarjei che gli massaggiava la nuca si stava rivelando un ottimo aiuto.
Si lasciò scappare un verso d’apprezzamento e aprì gli occhi, sorridendo al ragazzo che lo stava già guardando con un dolce sorriso.
“Buongiorno.”
Sorrise ancora di più e socchiuse gli occhi, facendo sfiorare i loro nasi e avvicinando la bocca alla sua per poi allontanarsi quando Tarjei cercava di baciarlo, importunandolo un po’ fino a quando il ragazzo sbuffò e gli posò una mano sulla guancia, costringendolo a rimanere fermo e facendolo ridacchiare fra i baci.
Erano ancora nella loro piccola bolla quando suonarono il campanello, facendo gemere di dolore i ragazzi ammassati sul divano poco distante. Iman, l’unica a non aver toccato alcol, alzò gli occhi al cielo e andò ad aprire, rivelando le due donne, entrambe dall’aria scocciata ma anche piuttosto divertita. Julie entrò nel soggiorno battendo le mani, ignorando le parole poco carine che le vennero rivolte.
“Buongiorno ragazzini.”
“Perché ci fai questo?”
“Perché vi pago e sul vostro contratto c’è scritto che posso farlo.”
“Non mi sembra di aver letto la clausola dove dice che puoi maltrattarci in un giorno libero.”
“Beh, sorpresa allora, zuccherino.”
Quelle parole procurarono un secondo giro di gemiti, stavolta più infastiditi che doloranti.
“Silenzio, abbiamo delle questioni da risolvere.”
I ragazzi si guardarono fra di loro confusi, fino a quando Josephine accese il telefono ed esclamò un ‘che cavolo avete combinato?’, facendo arrossire Tarjei e in pochi secondi tutti erano attorno a lei, fischiando e commentando il breve video senza ritegno, meno i due ragazzi in questione ed Ulrikke, che cercava di sfuggire allo sguardo accusatore di Mari e Julie.
“Marlon, mi sa che è meglio se cambi le lenzuola prima di avvicinarti al letto.”
“Herman, continua a parlare e giuro che ti uccido.”
“Vorresti dirmi che non è vero?”
Henrik strinse Tarjei a sé, impedendogli di scagliarsi sul ragazzo, tenendogli le mani e cercando il suo sguardo, per poi posare la fronte sulla sua e sussurrargli qualcosa che nessuno riuscì a sentire, rimpiazzando la maschera di rabbia che gli occupava il volto con un timido sorriso. I ragazzi osservarono la stretta di Henrik allentarsi e Tarjei intrecciare le loro dita e si voltarono tutti a guardare Herman, che alzò le mani in segno di resa.
“Onestamente, come facevo a non postare quel video? Guardateli.”
Gli sguardi si rivolsero ad Ulrikke, che si stava esibendo in uno dei suoi sorrisi più innocenti.
“Evitavi di schiacciare ‘pubblica’.”
Nella confusione della discussione che seguì, Henrik e Tarjei scambiarono uno sguardo di intesa e, ad un cenno del più piccolo, Henrik si schiarì la voce e in poco tempo l’attenzione era nuovamente rivolta a loro due.
“Noi non siamo arrabbiati.”
La prima a rompere il silenzio che conseguì a quelle parole, che lasciarono tutti un po’ interdetti, fu Mari.
“Ragazzi, non c’è bisogno che-
“Sul serio, a noi va bene,” Henrik cercò lo sguardo del suo ragazzo, che gli sorrise e rivolse il suo sguardo a Julie.
“Siamo felici.”
Annuì, come a confermare le proprie parole, e la donna sorrise.
-
Inutile dire che, quello stesso pomeriggio, Siv e Martha li costrinsero ad andare a metterle al corrente del ‘casino che avevano combinato’ (non che avessero bisogno di essere minacciati per andare a trovare le ‘kvinner i deres liv’).
Nonostante quasi tutti alla fermata del tram non facessero altro che guardarli e sussurrare sottovoce, non riusciva a non essere felice. Difficile quando le sue dita erano intrecciate a quelle di Henrik. Il ragazzo al suo fianco sorrise e si sporse verso di lui per baciargli una tempia e sussurrargli qualcosa all’orecchio. Il suo respiro caldo contro la sua guancia gli fece perdere totalmente l’attenzione, tanto che arrossì, non sapendo cosa dire, quando lo guardò in attesa di una risposta. Invece di parlare, Henrik rise e fece dondolare le loro mani, indicando con un cenno del capo qualcosa poco più in là.
Quel ‘qualcosa’ si rivelò essere un qualcuno: una ragazza dai corti capelli castani e grandi occhi verdi incollati allo schermo del suo smartphone. Era imbacuccata in una grande sciarpa color senape e un parka, ma sotto di essi si riusciva comunque a vedere un maglione nero, il logo di Skam in grande esattamente al centro. Non li aveva notati, troppo intenta a trafficare con il suo telefono, e in quell’istante Tarjei realizzò che regalare un sorriso non costava assolutamente nulla.
Guardò Henrik, che alzò le sopracciglia con un sorriso, e gli strinse la mano, dirigendosi verso di lei. Non seppe descrivere la sensazione di calore che lo avvolse quando la ragazza alzò lo sguardo e spalancò gli occhi, coprendo con una mano l’enorme sorriso che le aveva illuminato il volto.
“Halla.”
“H-halla.”
Sorrise, avvertendo la sua evidente euforia contagiarlo, e il suo sorriso si allargò ancora di più quando vide quello di Henrik. Era uno di quelli che gli occupavano tutto il viso fino ad arrivare agli occhi, uno di quelli che faceva quando era felice sul serio.
La ragazza, visibilmente più bassa di loro, li guardo estasiata dall’alto verso il basso, soffermandosi sulle loro mani intrecciate. Quando rialzò lo sguardo, Tarjei notò che aveva gli occhi lucidi. Allora strinse un’ultima volta la mano del suo ragazzo e la lasciò, per poi stringere la ragazza in un abbraccio. Sentì le sue lacrime bagnarli il collo e la strinse di più a sé.
“Perché piangi?”
La sentì ridacchiare camuffando un singhiozzo.
“P-perché sono felice.”
“Di averci incontrato?”
“A-anche, ma soprattutto p-perché lo siete voi. La vostra felicità è anche la nostra.”
Non ebbe bisogno di chiederle chi fossero ‘noi’ per saperlo, e sentì di essere sul punto di piangere lui stesso, per lo stesso identico motivo. Quando sciolsero l’abbraccio, Henrik le asciugò le guance, prendendole il viso fra le mani e per poi darle un bacio sulla fronte. Tarjei sorrise dolcemente al suo sguardo totalmente innamorato, pensando che la capiva perfettamente. Rimasero a parlare con lei finché il loro tram non arrivò, scattando qualche foto e ridendo tanto, sotto lo sguardo intenerito della piccola folla che aspettava insieme a loro.
Quando si furono seduti, continuò a guardarla dal finestrino finché non si furono allontanati troppo, sorridendo nel vederla chiamare qualcuno al telefono ed iniziare a parlare con lo stesso sorriso e la stessa gioia che non l’avevano abbandonata nemmeno per un istante in quei dieci minuti. Quando non riuscì più a vederla, posò la testa sulla spalla di Henrik, che gli circondò le spalle con un braccio e tirò fuori il telefono con la mano libera. Avvertì il suo sorriso e l’istante dopo stava guardando una delle tante foto che avevano scattato poco prima, i loro tre sorrisi in primo piano. Allungò una mano e mise like, sorridendo quando il suo ragazzo gli posò un bacio fra i capelli.
“E’ questo che voglio fare per il resto della vita.”
“Anche io amore, anche io.”
Rimasero in silenzio per il resto del viaggio, e i loro corpi sembrarono ricordarsi di essersi appena ripresi (e nemmeno del tutto) da una delle peggiori sbornie di sempre. Non addormentarsi fu una bella sfida, ma in un modo o nell’altro riuscirono ad arrivare all’Ett Bord, la cena deliziosa che si preannunciava troppo invitante per perdersela in quel modo.
Non appena varcarono la soglia, vennero travolti da tre uragani, che portavano il nome di Siv, Martha e Mathias. Alle loro spalle, i camerieri se la ridevano sotto i baffi.
“Io ti affido il mio bambino ed è questo che mi combini, Henrik?”
“Scusami Martha, ma Tarjei sa essere convincente.”
Tutti scoppiarono a ridere, tranne per il bambino in questione, che cercava di nascondere un sorriso sotto il rossore delle sue guance. Quando il giro di abbracci fu concluso si sistemarono in un angolo del tavolo.
“Come state, piccoli?”
“Siamo felici, Siv.”
Henrik sorrise nel sentire il suo ragazzo ripetere le stesse parole che aveva rivolto a Julie ed annuì a sua madre, che allungò una mano per accarezzargli una guancia, il sorriso orgoglioso che aveva sul volto simile a quello di Martha, che intanto stringeva la mano di Tarjei sopra la tovaglia.
“Fratello, i giornali di gossip non parlano d’altro, hanno tutti scritto almeno un articolo su di voi.”
“E tu che ne sai?”
“Le ragazze della mia classe,” Mathias alzò gli occhi al cielo, buttandosi a capofitto in quella che doveva essere un’imitazione delle sue coetanee, “‘Oddio, Henrik Holm è tuo fratello?! E’ vero che sta con Tarjei? Devi assolutamente farmeli incontrare!’ e bla bla bla, si sono anche offerte di farmi i compiti. Dovrei seriamente considerare di trarre vantaggio da tutto ciò.”
I due ragazzi risero, mentre le due donne rimproverarono il ragazzino con un sorriso sulle labbra. Quando si furono ripresi, Martha fece la domanda che si stavano ponendo un po’ tutti.
“Cosa farete adesso?”
Henrik cercò lo sguardo di Tarjei, che gli sorrise dolcemente.
“Saremo noi stessi. Stando a quanto si dice in giro siamo piuttosto ovvii.”
“E da carie.”
Le loro mamme si sorrisero e Mathias alzò un pollice accompagnato da un sorriso, e pensarono che nonostante tutto, quella era una buona giornata.
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Mathias ti ha inviato un immagine.
Abbracciati sul divano un po’ troppo piccolo per entrambi (non che quello gli avesse mai fermati comunque) con Tom Hanks che parlava ad una palla da basket in sottofondo, si ritrovarono a sorridere nell’osservare ciò che Henrik aveva appena ricevuto. Le luci soffuse del ristorante facevano risplendere i loro capelli biondi, che si toccavano a causa delle loro fronti unite, occhi socchiusi e nasi a sfiorarsi. Avevano quei sorrisi da innamorati persi per cui spesso li prendevano in giro e che li facevano venire le farfalle nello stomaco, la mano di Henrik posata sulla guancia di Tarjei, che gli stringeva delicatamente il polso con la sua visibilmente più piccola.
henkeholm ha appena pubblicato una foto: “elsker deg, my angel”.
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Capitolo 12 *** Only fools fall for you ***
Attualmente la mia vita è davvero molto impegnata, poiché sono in corso dei cambiamenti molto importanti, ragione per cui, a malincuore, vi annuncio che questo è l’ultimo capitolo. Ringrazio chiunque abbia letto e recensito la storia e sono certa che converrete con me che è meglio dargli una fine rispettosa piuttosto che lasciarla morire inconclusa. Grazie ancora per aver letto e avermi supportato, spero di essere riuscita a farvi provare delle emozioni positive e di avervi lasciato qualcosa. Spero che anche quest’ultimo capitolo vi piaccia e spero di tornare presto a scrivere su questi due <3
Only fools fall for you
L’ultimo giorno delle riprese, piansero.
Quando Julie urlò ‘Taglia!’ e attorno a loro il cast e la troupe iniziarono ad applaudire e a ridere di gioia e sollievo, Tarjei si alzò di scatto ed Henrik si staccò dal muro alle sue spalle, i loro occhi già in quelli dell’altro che diventavano più lucidi ogni secondo di più. Con due falcate avevano attraversato la stanza, essere stretti dalle braccia dell’altro l’unico modo per non annegare nelle lacrime che avevano iniziato ad inondarli le guance. Tarjei gli bagnò il collo e l’orlo della felpa ed Henrik fece scintillare i suoi capelli tempestandoli di gocce che trasportavano più di un’emozione, forse troppe per una volta sola.
Quella notte ballarono fino a non riuscire più a stare in piedi e bevvero abbastanza per scoppiare a ridere nel vedere Marlon e Lea limonare in un angolo della stanza e David e Lisa giocare a Beer Pong senza centrare nemmeno un bicchiere ma bere ugualmente, Julie lasciarsi andare gloriosamente per la prima volta e tutto il locale cantare a squarciagola quando il DJ fece partire 5 fine frokner.
Due settimane dopo, quando il resto del mondo pianse per il loro stesso identico motivo, nello stesso delirio di gioia e tristezza, loro non fecero altro che sorridere, stretti l’una all’altra sul loro letto mentre si prendevano gioco di loro stessi di fronte allo schermo del PC. Con le menti già rivolte a qualche mese dopo e all’inizio di nuove riprese, tutto ciò che era rimasto era l’eterna felicità di aver creato dei ricordi duraturi nel tempo e nella vita di milioni di persone.
Avevano realmente iniziato a credere che quella felicità non avesse mai fine, se erano insieme.
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“Baby?”
“Mh?”
“Quali cereali prendiamo?”
“Non so, che ne dite voi?”
Henrik alzò lo sguardo verso di lui, un sopracciglio alzato e labbra socchiuse pronte a chiedergli se si fosse fatto una canna senza di lui prima che uscissero per fare la spesa, ma si esibì nella sua splendida risata non appena lo vide sorridere riprendendolo con il suo stesso cellulare.
Tarjei era seduto nel carrello della spesa (non aveva ancora diciotto anni, okay? E poi non era così da bambini) e il suo ragazzo era così bello mentre era concentrato a trovare tutti i prodotti più economici dell’intero supermercato che sarebbe stato un peccato non condividerlo con il resto del mondo.
“Amore, è la terza diretta solo oggi, per non parlare del fatto che il mio account è più tuo che mio ormai. Non sarà il caso di scaricarti Instagram?”
Tarjei alzò gli occhi al cielo con un sorrisetto, per poi lasciar andare un verso di disappunto nel leggere le migliaia di commenti che stavano apparendo sullo schermo.
“Voi dovreste essere dalla mia parte!”
“Loro sono dalla parte di chi ha ragione.”
“Ti odio.”
“Ti amo.”
“Anche io ma non è questo il punto.”
Henrik rise di nuovo e stavolta Tarjei si unì a lui, incapace perfino di mantenere un broncio finto. Era così andato che era quasi imbarazzante.
“Allora, cioccolato o frutti di bosco?”
“Indovina.”
Henrik alzò gli occhi al cielo e posò sullo scaffale la seconda scatola, passando al suo ragazzo i cereali al cioccolato, per poi riprendere a spingere il carrello.
“Non è per niente salutare.”
“Non deve essere salutare, dev’essere buono.”
“Stai dando un pessimo esempio! Ragazzi, mangiate la frutta e la verdura e fate esercizio, oppure i vostri ragazzi o ragazze dovranno sudare per spingere il carrello dentro cui siete seduti mentre fate la spesa.”
“Stai dicendo che sono grasso?”
Henrik spalancò gli occhi, come se gli avessero appena detto che Shakespeare non sapeva scrivere. Puttanate.
“Ma sei scemo? Tu sei meraviglioso baby, che razza di domande! Sto solo dicendo che non ho bisogno di tornare in palestra per questa settimana.”
Si morse il labbro inferiore per trattenere l’enorme sorriso che gli stava incurvando le labbra, avvertendo le sue guance tingersi di quel rosso che Henrik gli aveva confidato adorare così tanto.
“Vero, facciamo già un’enorme quantità di esercizio in altri modi molto più divertenti.”
“Tarjei!”
Il ragazzo scoppiò a ridere nel vederlo arrossire e nel vedere i loro fan praticamente impazzire sullo schermo.
“Henrik Holm che arrossisce? Sto sognando?”
Henrik alzò le sopracciglia e si allungò verso di lui con un sorrisetto, facendogli il solletico su un fianco e afferrando il telefono con la mano libera. Ancora ridacchiando per la piacevole sensazione delle sue dita sul suo corpo, Tarjei si accorse troppo tardi che adesso il telefono era puntato su di lui e quando si coprì il viso con le mani sapeva che era già troppo tardi.
“Chi è il più rosso fra noi due, mh?”
Il ragazzo rise quando gli venne rivolto il terzo dito e Tarjei si scoprì del tutto il viso.
“Halla angelo.”
“Halla.”
Allungò una mano e immediatamente il ragazzo mise da parte il gestaccio e la strinse, intrecciando le loro dita.
“Cosa stanno dicendo?”
“Sono adorabili come sempre e … molto espliciti.”
“Come sempre anche quello.”
“Chissà chi è che li sprona.”
“Siv sta guardando?”
“Nope, si è scollegata ad ‘espliciti’.”
Tarjei rise e si sporse per posare un bacio sulle loro mani unite ed Henrik stava per dire qualcosa nella speranza di farlo arrossire ancora di più, quando un commento catturò la sua attenzione, prima di essere spazzato via dagli altri.
julieandem abbiamo una sorpresa per voi
“Julie sta guardando.”
“Fy faen, dimmi che è arrivata solo ora ti prego.”
“Lo spero. Comunque non abbiamo fatto niente di male, te lo giuriamo.”
Un attimo dopo, un messaggio apparve sulla parte alta dello schermo.
Julie
Avete un’intervista con Morten e Vegard per VGTV dopodomani alle 21:21 (sì, hai capito bene), puoi dirlo nella diretta se vuoi.
Sorrise fra sé e sé e Tarjei fece dondolare le loro mani per attirare la sua attenzione, per poi allungarsi e riprendere il telefono per inquadrarlo nuovamente.
“Sia io che loro siamo curiosi, parla forza.”
Henrik sembrò pensarci su mentre ricominciava a spingere il carrello. Quando il suo ragazzo gli colpì leggermente una mano con un piede ridacchiò, passandosi una mano fra i capelli.
“Faremo un’intervista.”
“Sul serio?”
“Ja, dopodomani alle 21:21 su VGTV.”
“Sul serio?!”
“Sì baby, sul serio. Ora mi sa che è il momento di chiudere però: siamo quasi nel reparto 4.”
Henrik alzò le sopracciglia, il suo sorrisetto furbo che gli faceva venire i brividi di piacere ogni singola volta. Oh, quello sì che era un reparto interessante, ma forse non era proprio il caso di condividere con mezzo mondo la taglia di preservativi che usavano.
“Scusate ragazzi, cose private!”
-
Per quanto amassero le feste, quelle dove la casa era troppo piccola per contenere tutti e il volume troppo alto e l’alcol troppo forte, non avrebbero mai potuto battere questo. Seduti sul pavimento in cerchio, il divano monopolizzato da Josephine e Lisa e la signora del piano di sopra che ogni tanto batteva il fondo della scopa sul pavimento per farli abbassare la voce (anche se succedeva sempre nei momenti più tranquilli), sapevano che per nessun rave party al mondo avrebbero mai messo fine ad un momento come quello prima del dovuto.
Una delle playlist di Henrik, completa di canzoni pop dei primi anni 2000 e Kanye West a random, faceva da sottofondo alle loro chiacchiere, mentre una bottiglia di vino faceva il giro in mezzo a loro ed Henrik fumava, passando occasionalmente la canna a Marlon. Seduto fra le sue gambe, Tarjei era in silenzio, ascoltando con un sorriso sulle labbra le risate dei loro amici con l’aria un po’ assonnata. Henrik sorrise all’incapacità del suo ragazzo di reggere l’alcol e posò una mano sulla sua gamba, accarezzandola dolcemente e posandogli un bacio fra i capelli. Tarjei posò la testa sulla sua spalla e lo guardò sognante, le guance un po’ arrossate per il sonno e la sbronza, non tale da causare i postumi il giorno dopo ma abbastanza per renderlo meno imbarazzato e un po’ confusionario. In altre parole, assolutamente adorabile.
“Halla.”
“Halla baby.”
“Sei troppo bello, lo sai?”
“Troppo?”
Tarjei annuì energicamente.
“Più che troppo.”
Henrik sorrise, tenendo la canna fra l’indice e il medio e accarezzandogli il sopracciglio con il pollice, per poi scendere sul suo labbro superiore, stando attento a non bruciarlo.
“Tu sei meraviglioso, invece.”
Il ragazzo sorrise, leccandogli il dito con la punta della lingua.
“Tarjei …”
Ignorò totalmente l’avvertimento e ridacchiò, prendendogli il polso per avvicinargli la mano alle labbra. Henrik lo guardò curioso ma fece ugualmente un tiro. Quando Tarjei spostò la sua mano e si avvicinò al suo viso socchiudendo la bocca, capì ciò che voleva e fece toccare i loro nasi. Tarjei aspirò il fumo che lasciava le sue labbra, per poi fiondarcisi. Esplorò la sua bocca con la lingua ed Henrik lo lasciò fare, pensando che la versione brilla di Tarjei non era per niente male. Quando si staccò fu solo per girarsi fra le sue braccia e sedersi su di lui, un ginocchio di Henrik fra le sue gambe e le sue braccia attorno al suo collo. Henrik posò una mano sulla sua schiena, tanto in basso da rasentare il sedere, e spense la canna nel posacenere accanto a loro così da poter affondare le dita nei suoi capelli. Quando strinse, tirando leggermente, Tarjei lasciò andare un mugolio e gli morse il labbro inferiore, accarezzandogli il petto e sempre più in basso, fino a fermarsi sulla sua crescente erezione, accarezzandola da sopra la stoffa dei suoi pantaloni. Henrik gemé esattamente accanto al suo orecchio, avvertendo Tarjei strusciarsi contro la sua gamba.
“Wow, ragazzi, basta così!”
Spalancò gli occhi, ricordandosi improvvisamente che non erano le uniche persone nella stanza e si voltò verso la fonte delle parole, e cioè Ina, che adesso li guardava in un misto di stupore e divertimento insieme a tutti gli altri. Stupendoli ancora di più, Tarjei grugnì in disapprovo, ritornando nella precedente posizione, nessun segno di minimo imbarazzo sul suo volto.
“Era necessario?”
“Stavate per farlo di fronte a noi, quindi mi sembra fosse abbastanza necessario.”
Il ragazzo alzò gli occhi al cielo con uno sbuffo.
“Adesso abbiamo un problema.”
“Due.”
Nonostante non vedesse il suo viso, sapeva che il suo ragazzo stava sorridendo, e anche in una situazione talmente imbarazzante non riuscì a non pensare a quanto fosse fiero di essere la causa della sua felicità.
“Beh fatevela passare, ora giochiamo ad obbligo o verità.”
Sacha piazzò la bottiglia ormai vuota al centro del cerchio, e nonostante qualcuno (Josephine) si lamentasse che ‘non avevano più quattordici anni, per l’amor del cielo’, si misero ugualmente a giocare, divertendosi anche. Dopo aver scoperto che Iman si era ubriacata almeno una volta nella sua vita (‘Avevo tredici anni, okay? Sembrava forte, e poi il mio Imam mi aveva fatto arrabbiare, volevo fare qualcosa di brutto almeno per una volta.’ ‘Perché diventi più badass ogni giorno che passa?”) e aver fatto urlare a Lisa dal balcone che amava davvero, davvero tanto le parti intime delle persone (il sesso non era stato specificato per scelta personale), fu il turno di Tarjei.
“Allora buddy, obbligo o verità?”
“Visto che non mi fido affatto di te, scelgo verità.”
“Sei fortunato che sono già sbronza, quindi andrò sul semplice, come hai salvato Henrik sul tuo telefono?”
Henrik scoppiò a ridere, nascondendo il viso fra i suoi capelli. Questo sì che si prospettava interessante.
“Cioè tu arrossisci per questo e non per prima?”
“Sacha, sta zitto!”
“Okay, ora voglio saperlo ancora di più!”
“Non se ne parla! E poi non so nemmeno dove sia il mio telefono!”
“Henrik?”
“Mi dispiace ragazze, non lo dirò se lui non vuole.”
Tarjei gli sorrise, posandogli un bacio dove riuscì ad arrivare. Le sue labbra sulla sua mascella furono abbastanza per distrarlo e permettere a Marlon di sfilargli il cellulare dalla tasca.
“Come sai il suo codice?”
“Perché è il mio migliore amico del cavolo, ecco perché.”
“Ma finiscila bro, che stai ridendo anche tu. E per la cronaca, ha salvato Tarjei ‘baby boy’.”
Henrik rise ai versi eccitati che emisero le ragazze, mentre Tarjei sembrò cercare di scomparire fra le sue braccia, mordendo il sorrisetto che lottava per spuntargli sul viso.
Qualche secondo dopo, sentirono la suoneria di Tarjei provenire dalla cucina, ma prima che qualcuno potesse muoversi per andare a prendere il telefono, David spuntò nel corridoio, capelli arruffati e tutto il resto (lui ed Ulrikke erano stati lì dentro per molto tempo ormai).
“Amico, perché chiami il tuo pappa ‘daddy’?”
Silenzio.
La signora del piano di sopra decise che era il momento perfetto per sbattere di nuovo sul pavimento. Quando, come risvegliati da quel suono, tutti cominciarono a parlare l’uno sopra l’altro, in varianti di ‘oh mio dio’ e simili, Henrik strinse forte Tarjei, ed entrambi risero, fino a quando il rossore sulle loro guance cambiò totalmente significato.
-
Tarjei era, sorprendentemente, tranquillo, quasi eccitato per l’intervista che sarebbe iniziata fra pochi minuti.
Nel camerino, mentre la voce dei due appariscenti e molto più che entusiasti conduttori faceva ridere e applaudire il pubblico nello schermo poco distante, la ragazza incaricata di sistemarlo prima di finire sulla TV nazionale gli acconciava i capelli, cercando di farli sembrare meno disordinati del solito. Accanto a loro, Henrik chiacchierava con un giovane uomo dai capelli tinti di rosa, che si picchiettava il mento con un pennello per fondotinta osservando le costellazioni sulla sua fronte, come se stesse decidendo se usarlo per nasconderle o meno.
“Adrian?”
L’uomo si volse verso Tarjei con un sorriso.
“Sì, tesoro?”
“Non si butta della terra su un’opera d’arte.”
Sentì il respiro di Henrik spezzarsi e cercò i suoi occhi, chiudendo i propri quando la sua mano gli raggiunse la guancia, per poi coprirla con la propria e sciogliersi nel suo tocco. Henrik posò la fronte sulla sua, facendo sfiorare i loro nasi e sussurrandogli quanto fosse la cosa più bella che avesse mai visto, facendolo arrossire e sorridere timidamente. Agli squittii eccitati in sottofondo, Tarjei si ricordò del loro piccolo pubblico e accarezzò con il pollice la mano di Henrik, che sorrise e gli baciò il naso, per poi allontanare il viso dal suo ma intrecciando comunque le loro dita.
“Scusateci.”
“Ma stai scherzando?!”
“E’ stata la cosa più bella a cui abbia assistito oggi, mi avete letteralmente migliorato la giornata.”
Tarjei ridacchiò alle parole di Sarah, che gli fece un’occhiolino.
“Adrian, scommetto che succederà almeno altre due volte durante l’intervista.”
“Solo due?”
A quello il ragazzo arrossì ancora di più e nascose il viso dietro le loro mani intrecciate, mentre Henrik rise e gli posò un bacio fra i capelli.
Adrian e Sarah ebbero appena il tempo di finire di sistemarli i capelli che Morten e Vegard salutarono il loro ospite. Tutti e quattro volsero l’attenzione allo schermo: quando il pubblico ebbe cessato gli applausi, i due conduttori divennero improvvisamente seri, per poi tirare fuori ed indossare una corona di foglie dorate una lunga parrucca bianca, facendo esplodere lo studio in urla e applausi.
“Non ci credo!”
Henrik scoppiò a ridere e Tarjei cercò di trattenersi, non volendo perdersi nemmeno una parola.
Morten si aggiustò la parrucca, aspettando che tornasse il silenzio, per poi rivolgersi a Vegard.
“Che ore sono?”
L’uomo tirò fuori il telefono dalla tasca.
“21:21”
“Sul serio?”
Morten prese un sorso dalla sua bottiglia d’acqua e poi tornò a guardarlo.
“Andiamo.”
“Dove?”
“Dovunque.”
Mentre la gente ricominciava ad applaudire, una donna uscì dalle quinte.
“Henrik e Tarjei.”
“Arrivano.”
Adrian e Sarah gli abbracciarono brevemente, alzando i pollici all’insù. I due ragazzi sorrisero, si scambiarono uno sguardo ed un dolce sorriso e seguirono la donna, senza sciogliere le loro mani. Intanto i conduttori avevano ripreso a parlare.
“Non possiamo.”
“Perché?”
“Abbiamo degli ospiti da accogliere!”
“Oh, giusto!”
La donna gli fece segno di entrare e, dopo un breve bacio sulle labbra, fecero il loro ingresso.
“Henrik Holm e Tarjei Sandvik Moe gente!”
Lo studio era grande, le luci quasi accecanti rispetto a quelle soffuse del camerino, ma appena sentirono le urla e l’entusiasmo della gente che avevano di fronte i loro nervi si rilassarono. Sorrisero e si sedettero sul divano posto accanto alla scrivania condivisa dai due conduttori, che gli strinsero la mano entusiasti e con due enormi sorrisi.
Dopo i primi minuti fra battute e commenti sulla loro ‘performance’ e su quanto la parrucca fosse scomoda (“E non hai provato la barba, Morten.”), li vennero poste le domande serie. Parlarono dell’importanza di impersonare due personaggi di quello spessore, soprattutto uno con una malattia mentale, di quanto fossero onorati di poter rappresentare quelle minoranze che spesso venivano mal rappresentate o del tutto ignorate nella maggior parte degli show per adolescenti; ringraziarono Julie e Mari per il loro lavoro e tutto il cast per la loro amicizia, e risero alle avance di Vegard, che cercava in ogni modo di estrapolare informazioni sulla nuova stagione (“Diteci almeno che il protagonista, o quando esce il trailer! Vi prego, io e mezzo mondo stiamo morendo d’ansia!”). Riuscirono a dare buone risposte e anche a divertirsi, riuscendo a strappare delle risate ai conduttori e anche al pubblico. Poi, inevitabilmente.
“E ora, parliamo di altro.”
“E’ l’ora del mio argomento preferito!”
Henrik sorrise, girandosi verso Tarjei, che ricambiò timidamente, sentendo già le guance iniziare a riscaldarsi. Henrik gli sfiorò dolcemente la guancia con un dito e il pubblico si sciolse in ‘aw’ inteneriti misti ad urla estatiche.
“Okay, basta essere adorabili! Qui vogliamo risposte: come, quando, perché, vogliamo sapere tutto!”
“Ma prima abbiamo qualcosa di molto interessante da mostrarvi.”
“Scusate la bassa qualità del video ma il signor Marlon Langeland ha bisogno di un telefono con una videocamera migliore.”
Incuriositi, i due ragazzi si scambiarono uno sguardo stranito, prima di spalancare gli occhi alla scena che si presentò di fronte ai loro occhi sul grande schermo presente nello studio. L’audizione di Henrik, non proprio in HD ma quasi. Tarjei non aveva idea del perché il suo amico avesse deciso di filmarla, ma quello passò in secondo piano quando Julie pronunciò la fatidica parola.
“Avvicinati.”
Henrik lo strinse a sé, circondandogli la vita con un braccio e posandogli un bacio sulla fronte; la sua presenza era l’unica cosa che riuscisse a sentire in quel momento, la sua attenzione completamente catturata dallo schermo. Mentre guardava quel video il mondo all’infuori di loro sembrò scomparire, e osservando ciò che loro avevano vissuto dall’interno riuscì a comprendere le parole dei loro amici in quel bar: la sua camminata che diventava man mano più rilassata mentre si avvicinava ad Henrik, le mani del più grande che sembravano tremare per l’aspettativa, la tensione quasi palpabile mentre erano in piedi l’uno di fronte all’altro, le risatine imbarazzate; riusciva quasi a sentire i loro battiti aumentare quando le loro mani si unirono, a formare un legame tanto perfetto che sembrava fossero state plasmate esattamente per stringersi.
Alla fine del video, quando le luci tornarono della precedente intensità, nessuno applaudì, ma tutti trattenevano il respiro, qualcuno piangeva, e qualcuno aveva gli occhi lucidi. Guardandosi negli occhi, seppero che entrambi facevano parte dell’ultima categoria. Tarjei sorrise e asciugò la singola lacrima che bagnava la guancia di Henrik, che lasciò andare una risata bagnata e un respiro spezzato. Come risvegliato, il pubblico iniziò ad applaudire, e i due ragazzi si strinsero di più. I due conduttori li guardavano con un sorriso, in attesa, e sapendo che avrebbero aspettato la loro prossima mossa, Henrik decise che era arrivato il momento di dirgli ciò che volevano sapere.
“Prima di quell’audizione, la mia vita era un po’ in frantumi: facevo un lavoro che non mi piaceva per pagare un appartamento affittato in fretta e furia dopo aver deciso che era l’ora di diventare un adulto. Tutti parlano della libertà, dell’indipendenza, delle responsabilità come cose astratte. Tu pensi ‘okay ho ventun’anni ora, posso fare tutto ciò che voglio, il mondo è lì fuori e aspetta solo me’, ed è vero, ma il mondo è fatto di bollette, e vestiti da lavare, sveglie alle sei del mattino e cibo che non sai cucinare ma che devi se non vuoi andare avanti a cibo d’asporto, che oltretutto non puoi permetterti. Il tempo libero era scandito da litigi e sogni che conoscevo a memoria e non sapevo come raggiungere. E poi, un annuncio attaccato ad un palo della luce ti cambia la vita. Dopo l’audizione ero terrorizzato, continuavo a camminare avanti e indietro per casa inciampando su scatoloni che avrei dovuto mettere via un mese prima. Tutto ciò per due ore di seguito, fino a quando mi hanno chiamato. Non scorderò mai lo sguardo di mia madre, l’orgoglio nei suoi occhi. Skam mi ha letteralmente salvato.”
“Anche se non è come se fossimo stati lì con voi, l’intensità del vostro primo incontro ha colpito tutti noi. Cos’hai provato in quel momento?”
Sorrise, voltandosi brevemente verso Tarjei che, come sempre, lo stava già guardando.
“Probabilmente è un po’ un cliché, ma è quello che provai. Quello che provo, ogni singolo giorno che ho la fortuna di condividere con lui. C’è un mito che credo descriva alla perfezione ciò che sento. Secondo questo mito, all’origine dei tempi gli esseri umani non erano suddivisi per genere, e ciascuno di essi aveva quattro braccia, quattro gambe e due teste. Col tempo gli umani cominciarono ad essere insolenti nei confronti degli dei e questi, per punizione, li separarono in due parti con un fulmine, creando da ogni essere umano primordiale un uomo e una donna. Secondo il mito però, gli esseri umani erano un coppia che poteva essere formata da due donne, due uomini o un uomo e una donna, quindi non era presente nessuna forma di omofobia. Come conseguenza, ogni essere umano cerca di ritrovare la propria iniziale completezza cercando la propria metà perduta. Io ho trovato la mia.”
Tutti erano senza parole, troppo emozionati e commossi per dire qualcosa, per applaudire e rovinare quel momento. E nonostante erano quello che tutti si aspettavano, Tarjei non stava piangendo, non era sopraffatto dalle sue parole o sconvolto, perché era esattamente quello che provava anche lui. Si guardarono negli occhi ancora per qualche secondo, dicendosi con lo sguardo quel ‘ti amo’ che non avevano bisogno di esprimere a parole, e poi Tarjei parlò.
“Io ho cercato a lungo di evitare le emozioni che stare con Henrik mi suscitava. Ai miei amici, che insistevano tanto su come in quel teatro fosse successo qualcosa di estremamente speciale, ripetevo che non era successo nulla che fosse fuori dall’ordinario. Dentro di me, sapevo perfettamente che avevano ragione, ma avevo paura: paura che lui non avrebbe ricambiato, che sarei sembrato soltanto un ragazzino che si prende una cotta per il primo collega di lavoro attraente che si presenta ad un’audizione. Guardandolo mi ripetevo ‘solo gli stupidi cadono in questo modo per te’, così facilmente, così in fretta, quando l’unica cosa che stavo facendo era impedire alla natura o a dio o al destino, a qualsiasi forza superiore che ci ha creato in modo che fossimo perfetti per stare l’uno con l’altro, di renderci felici. Devo ringraziare Julie per averci fatto incontrare, per avermi aperto gli occhi e avermi dato quella spinta che mi serviva per superare le mie paranoie e permetterci di essere qui adesso, insieme, esattamente come dovrebbe essere.”
E guardandoli adesso, forse era vero che solo gli stupidi cadono come erano caduti loro. In tal caso, avrebbero continuato ad esserlo per il maggior tempo possibile. Probabilmente, all’infinito.
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