Drop of blood

di X_debs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Le origini ***
Capitolo 2: *** Vicino di casa ***
Capitolo 3: *** Ben ***
Capitolo 4: *** Rieccomi qui ***



Capitolo 1
*** Le origini ***


"Two road diverged in a wood, and I-
I took the one less travelled by,
And that has made all the difference". (The Road Non Taken, Robert Frost).
- "Il tempo è l'immagine mobile dell'eternità" . (Platone,Timeo).

Dicono che al principio fosse il Caos. 
Dicono che da questa materia informe Gea, la Terra, generò tutte le altre cose e che dall'unione tra lei e Urano, il cielo stellato, ebbe origine la stirpe divina da cui discendiamo tutti noi. 
Dicono che la storia del nostro mondo è divisa in cinque età: l'età dell'oro, o l'età di Crono, in cui i primissimi uomini creati vivevano come gli dei, senza affanni, dolori o miserie. Non erano afflitti dalla vecchiaia ma erano sempre giovani e vivevano in festa. La terra era feconda, tanto che produceva da sola senza essere toccata dal rastrello e fiume e fiumi di latte e nettare scorrevano sulla terra. Senza bisogno di giudici o leggi essi onoravano la rettitudine e le guerre non esistevano. Quando giungeva la morte essi chiudevano gli occhi con la dolcezza di chi viene rapito da creature celesti.
Ma come tutte le cose belle essa terminò: Crono fu deposto da sua figlio, il grande Zeus, e anche questa stirpe felice decadde. Essi divennero spiriti terrestri, custodi degli uomini mortali e instancabili osservatori delle loro opere. 
Vestiti di tenebre essi vagavano dappertutto ricercando quella felicità che ormai avevano perduto. 
La nuova stirpe, la stirpe argentea, era molto inferiore alla prima: gli uomini costruirono ripari e la terra doveva essere coltivata; vivevano cento anni in casa giocando e restando con la veneranda madre, ma quando giungevano alla soglia della giovinezza la loro vita era molto breve e l'anima era angosciata dalla gelosia e dalla follia. 
Il padre Zeus allora creò un'altra stirpe di uomini mortali, una stirpe bronzea, violenta e terribile, dedita alla guerra, alle imprese e alle prepotenze di Ares.
Zeus allora per punirli mandò un terribile e distruttivo diluvio e anche la terza stirpe sparì estirpata dal loro stesso creatore. 
La stirpe successiva fu quella degli eroi, la razza di semidei i cui nomi sono impressi nella memoria di tutti, tra cui Perseo, Teseo, Eracle, Giasone, grandi uomini passati alla storia per le loro valorose imprese, di cui si narrano vicende e i miti. Ma anche la loro stirpe non fu destinata a durare: vennero infatti annientati dalle guerre nefaste e i pochi salvatisi dal fato di morte vennero posti ai confini delle terre, l'Isola dei Beati, sotto l'impero di Crono, e di loro non restò che leggenda. 
Ma questa fu anche l'era delle creature magiche che popola il mondo oggi conosciuto, creature che ebbero origine da divinità inferiori: i goblin, draghi, i troll, gli gnomi, le fate, angeli, sirene, elfi, streghe, centauri, fauni, che a loro volta crearono dei veri e propri regni stabilendosi in una foresta ai confini dell'Olimpo, allora visibile al mondo degli uomini. Gli dei chiamavano questa razza minore "figli di secondaria origine", perchè non erano di sangue puro. 
Anche questi, proprio come tutte le razze, finirono per combattersi tra loro per affermare quale sarebbe stato il popolo che avrebbe regnato sovrano su tutti gli altri. 
Si strinsero alleanze, alcune razze si dichiararono neutrali, altre erano avverse a tutti gli altri popoli considerandosi la "razza sovrana", reclamando quel potere che ritenevano gli fosse stato negato dai loro progenitori, perchè l'animo di ogni creatura è egoista, alla costante ricerca di potere e approvazione, così la guerra durò secoli senza nessun esito. Alla fine gli dei intervennero, stufi del caos che stavano creando, e i popoli stipularono un patto per sopravvivere, dividendosi i territori, perpetuandosi di generazione in generazione e restando nascosti da tutto il resto del mondo per la loro sicurezza e così seguì l'ultima era, l'età del ferro.
Gli uomini si affliggono nella fatica e nella miseria e trascinano la loro esistenza tra le angosce. I valori non esistono più e le guerre sono sempre più crudeli, rovinose e sanguinose.
I Titani intanto erano vicini all'Isola dei Beati pronti per ricongiungersi con il loro fratello e dare inizio al loro regno fatto di oppressione e morte, ma Laxeh trovò le streghe e le sterminò finchè queste non si arresero e annullarono l'incantesimo, così anche i Titani vennero sconfitti e ritornarono nel Tartaro da dove non sarebbero più usciti.

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Capitolo 2
*** Vicino di casa ***


"Reagisci e fai vedere chi sei. La vita non è facile. Mai. E prima lo capirai prima vivrai davvero". 
Questa è la prima cosa che mi ha insegnato mia madre.
Avevo sette anni ed ero appena tornata da scuola, in lacrime. 
Arianna Varriale mi aveva dato del mostro per i miei occhi viola, fatto stranisimo dato che nessuno in famiglia aveva gli occhi di questo colore, e tutta la classe aveva iniziato a ridere e ad osservarmi come se fossi chissà quale fenomeno da baraccone.
Io ero scappata in bagno a piangere e poi ero corsa dritta a casa.
Non avevo detto una parola. Niente. Solo silenzio.
Non sono mai stata una bambina molto tranquilla, tutt'altro. Ho sempre fatto cose spericolate e non ho mai chiuso la bocca quando la pensavo diversamente o quando dovevo rispondere. I miei la trovavano una cosa divertente. Mi chiamavano la "piccola rivoluzionaria".
Molte volte mi sono chiesta il perchè quella volta non avessi reagito, il perchè non avessi risposto. Forse semplicemente perchè ero una bambina e non volevo ferire nessuno.. Forse perchè non me lo aspettavo.
Non mi saprò mai rispondere.
Avevo raccontato tutto ai miei fratelli e loro erano pronti a fargliela pagare e difendermi. Poi ero andata da mia madre per cercare conforto.
Erano questi i pensieri che mi annebbiavano la mente mentre camminavo in una piccola radura intricata e le foglie pungenti e i massi sparpagliati qui e lì mi graffiavano i piedi nudi.
L'aria era secca, senza un filo di vento, e il vestito color latte mi si attaccava al corpo, come un secondo strato di pelle, e l'unico suono che avvertivo era il bubulare di un gufo in lontananza.
Non che questo mi rincuorasse, anzi. Era molto inquietante.
Mia madre stava impastando la pasta frolla per preparare qualcosa di speciale per il suo anniversario con papà. Era il loro quindicesimo anno di matrimonio e sembravano ancora due ragazzini innamorati.
Mi sedetti su uno sgabello intorno l'isola dove si stava dando da fare e sospirai.
-Qualcosa non va amore?- mi sorrise e il suo tono dolce e pacato mi rasserenò almeno in parte.
Era una sua caratteristica, il rendere tutto più sereno e il farti sentire il cuore leggero.
-Oggi una mia compagna di classe mi ha preso in giro- sputai tutto d'un fiato, come quando ti strappi di colpo un cerotto per non prolungare il dolore. Un colpo netto.
Si grattò via della farina dalla guancia col dorso della mano, ma non mi guardò 
-Chi?-
-Non la conosci-
- Mh- parve pensarci -E tu cosa hai fatto?-
Mi strinsi nelle spalle, in imbarazzo -Niente- mormorai.
E questa era la cosa che più faceva male. Il fatto che io non avessi reagito.
Restò in silenzio per qualche secondo, continuando a impastare con energia.
Svoltai a destra, imboccando un piccolo sentiero e l'aria parve diventare ancora più secca se possibile.
Sapevo che stava per succedere qualcosa, come ogni volta ormai. Come ogni notte.
Era una cosa a cui fai l'abitudine dopo tanti anni.
Mi accorsi solo dopo un po' che anche il gufo taceva e iniziai a tremare.
La paura si insinuò nelle mie vene, nel mio sangue, nelle mie cellule e io chiusi gli occhi, concentrandomi solo su quel momento.
- E perchè?- chiese in fine mia madre fingendo un tono indifferente, ma sapevo che quel suo perchè volesse intendere molto più di quello che lasciasse trapelare.
Giocherellai con dei granelli di farina che le erano scappati pensando a cosa dire 
-Non lo so, non ci sono riuscita e basta. Ridevano tutti-
-Sei scappata e basta?-
Annuii desiderando solo sprofondare sotto terra. Dovevo sapere che da lei non avrei trovato molto conforto. Lei sprona le persone, le incoraggia, ma non le conforta. Per lei il conforto è roba da deboli.
- Non merita neanche il tuo dispiacere lo sai vero?-
- Si, lo so. Però vorrei sapere cosa fare adesso-
Per la prima volta alzò lo sguardo e i suoi occhi incrociarono i miei, pieni di un amore che solo una madre può provare -Reagisci e fai vedere chi sei. La vita non è facile. Mai. E prima lo capirai prima vivrai davvero-
Pensai a lungo a quello che mi aveva detto, e non colsi subito il senso. Avevo solo sette anni dopotutto, non riuscivo ancora a capire cosa fosse il mondo.
A volte vorrei ritornare a quel tempo, a quel mio essere genuina e a non avere troppi pensieri. A volte vorrei solo tornare quella bambina col broncio che cercava di capire che fare. Che cercava di capire chi essere. Forse perchè sto ancora cercando di capirlo.
Sentivo i piedi sanguinare e il respiro corto, mentre un gelo innaturale mi circondò i muscoli.
Aprii gli occhi di scatto e davanti a me apparve una bambina, tutta occhi e guanciotte.
Era magrolina e riccioli color castagna le incorniciavano il viso.
Ma io guardavo i suoi occhi: erano neri come due buchi neri, come se potessero assorbire tutta la materia, e vuoti, come se cercassero di cogliere qualcosa alle mie spalle.
- Ciao Paige- il suo tono gelido mi provocò una fitta allo stomaco e un freddo innaturale piombò intorno a noi rendendo tutto ovattato.
- Cosa vuoi?-mormorai incapace di parlare per il freddo.
Mi sorrise mostrandomi una serie di dentini perfettamente allineati che rese ancora più inquietante quella scena -Te- gracchiò -Solo tu puoi aiutarmi-.
Il suo viso iniziò a mutare e ad essere solcato da vene pronte a scoppiare e la sua risata si riversò nell'aria, talmente acuta che sembrò potesse penetrarmi. 
Le braccia e le gambe si contorsero, come se stessero mutando e i capelli iniziarono a caderle, poi si librò in volo con un sorriso satanico sulle labbra e si precipitò su di me.
Nascosi il volto tra le mani e mi lasciai cadere al suolo pronta ad essere inghiottita.
Il giorno dopo la chiacchierata con mia madre andai a scuola e Arianna Varriale continuava a ridere indicandomi. Presi un profondo respiro e andai verso di lei mentre parlava con le sue amiche, fermandomi a pochi centimetri dal suo viso, poi prima che dicesse una parola, chiusi la mano a pugno e la colpii in pieno viso facendola cadere a terra. 
Il naso le sanguinava copiosamente imbrattando tutto il pavimento e la parete che aveva colpito.
Subito dopo corsi in bagno e scoppiai in lacrime.
Nessuno osò più dire nulla sui miei occhi e io iniziai a capire cosa volesse dire vivere.





Aprii gli occhi sobbalzando e scacciai le lenzuola con un calcio in modo nervoso.
Stupidi sogni e stupidi ricordi.
Sospirai passandomi una mano tra i capelli: facevo sogni di questo genere da quando ero bambina, sogni incomprensibili e spesso terrificantemente reali. Troppo reali.
A volte realizzavo che fossero sogni solo dopo una doccia gelata e una tazza di caffè bollente.
Da piccola, dopo sogni di questo genere, correvo nel lettone di mamma e papà per cercare rifugio e loro mi lasciavano dormire con loro raccontandomi che non erano altro che sogni dovuti alla mia immaginazione e che avrei dovuto chiudere gli occhi e pensare a quanto fossi forte per scacciarli via. E a volte funzionava.
Mia madre a volte in queste occasioni mi raccontava storie su come una sola donna avesse battuto un esercito intero e ne fosse uscita vincitrice. Riuscivo persino ad immedesimarmi.
Poi un anno e mezzo fa, in seguito all'incidente, avevo scoperto la verità e tutto era cambiato: la mia vita, la mia visione del mondo, i miei genitori... Io ero cambiata.
Mi tirai su, ignorando l'emicrania che esplodeva lentamente nella mia testa come una bomba, e aprii le tende sentendo l'aria fresca del mattino pizzicarmi sulle gambe nude.
Siamo a Baiano, un piccolo paesino montano in provincia di Avellino, con una popolazione di circa 4 754 abitanti e un'estensione di 12,25 km2, in cui tutte le persone si conoscono tra loro da quando erano praticamente in fasce.
I miei avevano deciso di trasferirsi in questo posto sperduto nel mondo a causa di mia madre e delle sue responsabilità e dei suoi sensi di colpa nei confronti dei suoi figli per i suoi continui viaggi. Ma certo! Sradichiamo pure un'intera famiglia per portarla in un posto che io reputo sicuro per i miei figli e non sentirmi più costantemente in colpa! L'ho sempre detto che non ha mai avuto idee geniali
Così adesso eccoci qui, imprigionati in questo buco che molti chiamano cittadina. Io lo chiamavo il "buco nero del mondo", perchè assorbe la vita dalle persone proprio come i buchi neri assorbono materia, e temevo che prima o poi avrebbe assorbito anche me.
Certo, alcune volte non era male: qui in inverno tutti accendono i camini, l'aria è inondata da un odore di castagne e carne arrostita e la città si riempe di luci e bancarelle che vendono di tutto.
Ma ormai non ci facevo più nemmeno caso.
Mi infilai una vestaglia da notte color latte e scesi di sotto a cercare del caffè da ingurgitare.
- Buongiorno- non appena entrai in cucina, mio fratello maggiore mi accolse con un caloroso sorriso. Aveva i capelli castano chiaro, del colore delle noci, che gli ricadevano sulla fronte e risplendevano continuamente, gli occhi profondi color grano con un taglio vagamente a mandorla. Era snello, ma sotto i suoi abiti si intravedevano i suoi muscoli, aveva lineamenti regolari e una pelle liscia e la bocca sempre incurvata in un sorriso radioso.
Indossava dei jeans scoloriti e una camicia bianca, che gli conferivano anche un fascino sbarazzino.
Ricambiai il sorriso, sollevata, come riusciva a farmi sentire solo lui.
- Buongiorno- mi avvicinai, dandogli un leggero bacio sulla guancia, e mi versai una tazza di caffè - Che fai già sveglio?-
- Io e i ragazzi abbiamo una partita prima dell'inizio della scuola- era entusiasta come un bambino il giorno di Natale - Una vecchia tradizione-.
Feci schioccare la lingua contro il palato provando a nascondere un'espressione di disgusto: preferivo non pensare al fatto che domani sarei dovuta ritornare a quell'Inferno che era la mia scuola.
- Tu invece perchè sei già sveglia l'ultimo giorno di pace?-
Mi strinsi nelle spalle sorseggiando la bevanda calda - Devo comprare dei libri, giù in centro-
Mi guardò con aria protettiva - Vuoi che ti accompagni?-
Scossi la testa, sorridendo - No, tu va' a battere chiunque tu debba battere-
Non insistette, anche se non sembrava per niente tranquillo. - Ti va se domani pomeriggio andiamo al lago insieme?- mi chiese. 
Alzai gli occhi al cielo. Adoravo mio fratello, ma quando voleva andare al lago o era per parlarmi o per farmi socializzare.
- E’ per trascorrere un po’ di tempo con me o perché vuoi farmi conoscere un altro gruppo dei tuoi amici?-
- La prima, tranquilla-
Lo guardai sospettosa e lui mi sorrise - Te lo prometto-.
Sospirai - Allora ci sto!-.
- Grazie-
- Ti metterai a fare il sentimentale?- gli sorrisi, sarcastica
- Ma certo che no! Pensavo di doverti dire ti voglio bene, ma eviterò-
Risi - Allora io eviterò di dire che te ne voglio tanto anch’io-.
Mi cinse le spalle con il braccio e mi baciò i capelli.
Credo che Josh sia sempre stato la mia ancora di salvezza, l'unica persona che riuscisse a capirmi sul serio.
Mi salutò dopo pochi minuti, uscendo allegro come suo solito e io mi diressi al piano di sopra per farmi una doccia.
Andai in bagno, una stanza abbastanza grande e luminosa, che aveva una sfumatura sul rosa, aprii il getto dell’acqua, mi spogliai e entrai nella cabina.
Il contatto dell'acqua fresca sulla pelle mi diede i brividi, ma poi riuscii ad ottenere l’effetto rilassante e mi insaponai col bagnoschiuma alla fragola e mi risciacquai. 
Non appena uscii mi avvolsi nell'accapatoio color malva e mi osservai allo specchio: due occhi viola come l'ametista liquida, con piccoli screzi color oceano, ricambiavano lo sguardo, incornociati da lunghe ciglia; avevo il viso incorniciato da una cascata di capelli ricci e rossi, ma non quel rosso carota né quel rosso fragola, piuttosto quel rosso rame, il colore del fuoco, che scendevano dolcemente sulle spalle in morbidi boccoli fino a metà schiena, sempre troppo ribelli da gestire. Avevo le labbra piene e rosse, quasi sempre imbronciate e lineamenti delicati.
Distolsi lo sguardo in fretta e indossai un jeans a sigaretta e una cannottiera color malva, ma prima che potessi mettermi le scarpe qualcuno bussò alla porta.
Ma chi diavolo era a quest'ora?
Bussarono di nuovo, e ancora e ancora.
Mi alzai di controvoglia sbuffando e corsi ad aprire prima che Josh si svegliasse.
Aprii prima che riuscissero a bussare di nuovo scoccando un'occhiataccia torva.
Un uomo sulla quarantina mi sorrise viscido sull'uscio della porta asciugndosi il sudore dalla testa calva con un fazzolettino.
- Si?- ringhiai quasi.
- Buongiorno signorina, mi scuso per l'insistenza- aveva una voce nasale, un po' ridicola al dire il vero.
Annuii continuando a guardarlo male: per poco non ci distruggevi il campanello a furia di premerlo brutto idiota.
- E' sua la macchina parcheggiata di fronte la villa qui a fianco?- sembrava imbarazzato.
- Si perchè?- mi poggiai allo stipite della porta a braccia conserte.
- E' proprietà privata signorina, dovrebbe spostarla o rischia la multa o che un carroattrezzi venga a prendersela-
Certo un carroattrezzi a Baiano! Ma se persino la polizia se ne stava seduta al tavolino dell'unico bar della piazza a mangiare cornetti e bere cappuccini tutto il giorno tenendo l'auto in doppia fila e se passava qualche ladro (anche se dubito esistesse qui qualcuno tanto attivo da rapinare qualcun altro) lo avrebbero salutato facendo cin cin con le tazze del caffé! 
- Quella villa è disabitata da anni ormai, non infrango nessuna legge o proprietà-
- Non più- mi sorrise come se fosse una bella notizia, ma ci rinunciò quando si accorse della mia espressione infastidita
- E da quando?-
- Da stamattina, sono della ditta dei trasporti e dobbiamo traspostare le scatole all'interno e la macchina non ci permette di parcheggiare il camion- era entusiasta. In effetti nessuno si trasferiva da questa parti, infatti tutti quelli delle ditte di trasporti (di solito muscolosi e in forma) qui erano grassi e sudaticci, quindi finalmente avevano qualcosa da fare.
Mentre io ero solo irritata di avere un altro vicino che avrebbe rotto le palle, e sarei anche dovuta stare attenta durante le mie escursioni notturne.
Davvero fantastico.
Sbuffai - Arrivo subito a spostarla-
- Grazie mille- chiusi la porta prima che aggiungesse altro poggiando la testa contro la porta fredda.
Dovevo uscire da questa casa prima che spaccassi qualcosa in testa al ciccione pelato.
Il nostro era un viale isolato che costeggiava i campi incolti formato da tre villette a schiera a due piani, ognuna con un proprio cortile, con l'esterno bianco e il tetto color noce.
La villa sulla destra era casa mia, o meglio, il posto in cui vivevo, dataci in eredità da mia nonna deceduta anni fa; mentre quella al centro, che affiancava la mia, era stata disabitata da più di anno, da quando la proprietaria era rimasta incinta di non so chi, dato che non era sposata nè aveva un compagno fisso, e aveva deciso di trasferirsi. Ma a quanto pare le cose sarebbero cambiate.
Entrai nell'abitacolo, accesi il motore e partì immediatamente November Rain dei Guns N'Roses. Accesi l'aria calda e feci retromarcia, mentre l'uomo mi sorrideva dal camion facendomi ciao con la mano.
Gliela avrei volentieri mozzata quella mano.
Avevo sedici anni, quindi sapevo che usare la macchina qui in Italia era assolutamente vietato, qui la polizia era troppo pigra per alzarsi dal loro tavolino al bar, in un paesino talmente tranquillo che l'aggiustare una giostrina alla villa comunale è considerato un evento eclatante. 
E poi ero sicura che mio padre sarebbe inervenuto se fosse successo qualcosa, quindi decisi di osare almeno per oggi.
Dopotutto quante possibilità c'erano che mi avessero beccata proprio oggi? Poche, ecco quante.
Era una Freemont grigia che ci alternavamo io e mio fratello, mentre lui aspettava
una Honda Cr-V per il suo diciannovesimo compleanno, 
Le strade di Baiano erano tutte strette e piene di curve fino all'autostrada e venivano costeggiate da alberi e siepi e sparsi qui e lì qualche piccolo negozio.
Imboccai l'autostrada cantando a squarciagola "Shook me all night long", forse superando leggermente il limite di velocità, ma la canzone mi aveva presa un po' troppo.
Rallentai quando arrivai nelle strade più affollate, ma per evitare poliziotti e carabinieri, decisi di imboccare dei sentieri alternativi, guidando più lentamente e guardandomi attentamente intorno.
Mi fermai allo stop di un incrocio deserto e sospirai poggiando la testa sul volante: ero stanca di questa vita, di questa routine, di questo peso costante spalle che ogni giorno mi ricordavo chi fossi.
Forse un giorno ce l'avrei davvero fatta ad andarmene e lasciare tutto.
Ero ancora immersa nei miei pensieri quando udii uno stridio di freni alle miei spalle.
Avvenne tutto in un attimo, non ebbi il tempo di rendermene conto.
Un urto violento mi fece urlare di sorpresa mentre l'auto balzava in avanti 
Senza pensarci spinsi a fondo il pedale del freno e immediatamente l'airbag si gonfiò come una medusa colpendomi in pieno viso: la ruvidezza della stoffa mi graffiò le guance e la fronte, e il colpo mi fece andare a sbattere la testa contro il poggiatesta. 
Mi mancò il fiato e ogni muscolo del mio corpo era contratto mentre il rumore di metallo che strideva mi perforava i timpani.
Tentavo disperatamente di liberarmi da quel cuscino che sembrava di pietra anche se lentamente si stava afflosciando muovendomi a tentoni per cercare la maniglia della portiera.
Non appena la trovai la spalancai in preda alla furia.
- Ma che diavolo fai?- gridai - C'era lo stop! Per caso sei stupido o hai semplicemente seri problemi mentali?!-
Fu allora che guardai per la prima volta il ragazzo che avevo di fronte. 
Era così ben proporzionato da sembrare una scultura classica: ogni suo muscolo pareva scolpito nel marmo. 
Era alto e snello, aveva spalle larghe e a giudicare dalla t-shirt che indossava anche degli addominali pazzeschi. Notai che i suoi muscoli erano tesi, aveva le labbra carnose color ciliegia, zigomi affilati e luminosi capelli neri come la pece. 
Indossava gli occhiali da sole che mi impedivano di guardarlo degli occhi, ma notavo gli zigomi alti e pronunciati.
Indossava una giacca di pelle nera con una t-shirt nera e Levi's neri.
Mi sorrise come se stesse osservando una bambina scema fare i capricci, cosa che mi fece venire una dannata voglia di tirargli un pugno su quel bel faccino.
- Non sei tanto gentile- aveva una voce profonda e ferma, quelle voci che ti incantano anche senza sapere a chi appartengano.
- Tanto gentile?! Mi sei appena venuto addosso razza di idiota! -
- Spiegami una cosa principessa: ti pagano per sparare insulti o lo fai gratuitamente per hobby?- appoggiò il fianco contro la sua auto a braccia conserte aspettando la risposta. 
Sgranai gli occhi: regalare insulti?! Principessa?!
- Va' a farti fottere- sbottai.
Scoppiò a ridere e non potei fare a meno di notare le fossette sulle guance:   
-Questo si che mi fa male. Mi hai ferito principessa, davvero-
Controllai i danni della mia auto: era messa piuttosto male.
Mi passai una mano tra i capelli: e ora che diavolo dicevo a Josh?!
Ero anche minorenne! Non potevo chiamare il carrattrezzi!
- Sai ne ho conosciuti di coglioni, davvero, la mia scuola ne è piena. Ma tu li batti tutti!- 
Inclinò la testa senza smettere di guardarmi, gesto che aveva un che di seducente, anche se probabilmente non era intenzionale, e mi sorrise in modo sghembo e malizioso. Un sorriso che prometteva guai.
- Interessante- parve pensarci per un secondo poi mi scrutò - Sai che ci sono dei centri per il controllo della rabbia? Potrebbero aiutarti-
Strinsi i pugni - Ti è mai arrivato un pugno in faccia? Scommetto di si-
- Si lo so che vuoi toccarmi...- il tono con cui parlò mi diede i brividi. 
Gli indicai il dito medio e scossi la testa decidendo di lasciar perdere: non meritava che perdessi davvero la calma. 
Mi voltai verso la macchina cercando di capire cosa fare.
I danni mi sarebbero venuti una fortuna, una fortuna che non avevo.
Gli puntai contro il dito accusatore.
- Tu mi hai distrutto la macchina, adesso risolvi il problema-
Alzò un sopracciglio -Bel caratterino. Mi piace-
Sapevo che mi stava guardando in modo malizioso anche se non potevo guardarlo.
- La cosa non è reciproca- mi strinsi nelle spalle non staccando gli occhi da lui.
Si avvicinò lentamente continuando a guardarmi e lasciando solo qualche centimetro di distanza tra noi - E sei anche dannatamente dolce- sussurrò e il suo alito mi sfiorò la pelle.
Deglutii a fatica.
- Va' all'inferno-
Scoppiò a ridere.
- Possiamo anche andarci insieme-
Sorrisi.
- Ti piacerebbe-.
- In effetti...- fece scivolare languidamente lo sguardo lungo il mio corpo.
- Davvero divertente- sibilai
- No, però sei arrossita-
Impassibile,almeno in apparenza, poggiai la mano sul cofano dell'auto per indicarla.
- La mia auto. Risolvi.il.problema.adesso- scandì ogni parola lentamente, quasi come per ficcargliela a forza in quella sua testa di cazzo.
- Sei sexy quando ti imponi, lo sai?-
Alzai gli occhi al cielo: - Dovevo proprio scontrarmi con una testa di cazzo?-
- Non ci vuole molto per metterti in imbarazzo vero?- era divertito.
Lo sarebbe stato anche senza testa? Io direi proprio di no.
- Pensi di imbarazzarmi o impressionarmi?-
- Non ho nemmeno iniziato a provarci- la sua affermazione aveva un che di minaccioso e qualcosa scattò dentro di me. Come un avvertimento.
- Per quanto vorrei restare qui a parlare con te per molto tempo ho di meglio da fare- gli sorrisi con aria sarcastica mettendo quanta più distanza possibile tra me e lui.
- Se vuoi posso darti un passaggio principessa-
- Preferirei farmela a piedi scalza fino all'altra parte del mondo- 
Rovesciò la testa all'indietro e rise sommessamente - Ti conosco da soli cinque minuti e hai già spezzato il mio povero cuore- 
Lo ignorai afferrando il cellulare e provando a chiamare Josh per supplicarlo di venirmi a prendere.
Nessun servizio di rete. Fantastico, oggi era proprio la mia giornata.
Se non ci fosse stato questo tipo probabilmente avrei urlato e avrei dato di matto, ma dovevo restare calma
- Cos'è? Non c'è rete?- le sue labbra erano piegate in un ghigno pigro.
- Ti dispiacerebbe chiudere il becco? Anzi perchè non te ne vai?-
- Perchè sei adorabile quando ti arrabbi-
Presi lo zaino e le chiavi dalla mia auto e gli feci un cenno col capo - Direi che è stato un piacere, ma non lo è stato-
- Non arriverai mai a casa-
Sorrisi - Non penso ti interessi-
- No infatti, ma mi interessa di me, e non voglio essere accusato di omicidio a causa di una stupida ragazzina-
Non so se mi avesse colpito più la "stupida" o il "ragazzina".
- So badare a me stessa- schioccai la lingua contro il palato.
- Su questo avrei da ridire e poi vedila così: penso che qualcuno, probabilmente qualcuno della tua famiglia, dato che con il tuo carattere sarai praticamente sola, è così ottuso da preoccuparsi per te, quindi questo può essere visto come un compromesso- si appoggiò di nuovo alla sua auto, in attesa.
Restai immobile per qualche secondo scrutando più attentamente il ragazzo che avevo di fronte, forse per la prima volta da quando l'avevo visto: provavo una strana sensazione, un misto di paura, eccitazione, avversione, sospetto, attrazione e non so cos'altro e avevo il sospetto che forse aveva capito più di quanto dovesse.
Presi un profondo respiro: che altra scelta avevo? Senza contare che io non avrei neanche dovuto guidarla quell'auto.
Mi avvicinai cauta alla sua auto:
- D'accordo accetto solo perchè non posso restare qui per ore e a proposito- impiantai i miei occhi nei suoi, per quanto fossero ancora coperti dagli occhiali da sole - se solo ti azzardi a sfiorarmi, o anche a pensare di sfiorarmi, ti ritrovi senza un arto chiaro?-
Si carezzò la mascella - Cercherò di trattenermi-
Entrai nell'auto sbattendo la portiera e scivolai sul morbido sedile di pelle allaciandomi la cintura.
Meglio essere sicuri, a quanto pare non aveva affrontato esami per avere la patente.
Entrò anche lui e mi fu così vicino che riuscii a captarne il profumo: era intenso, qualcosa che mi ricordava il pino o il cedro, un profumo selvaggio, che in qualche modo si addiceva al suo modo di fare. 
- Ehi sii gentile con la mia bimba- diede un colpetto affettuoso al cruscotto della macchina.
- Chiami la tua macchina bimba?-
Si voltò verso di me alzando un sopracciglio - Hai qualche problema?-
Alzai gli occhi al cielo- Sei disgustoso-
Non rispose ma capii che stava sorridendo.
L'interno dell'auto era immacolato e la radio mandava una canzone dei Green Day.
- Ti piace questo gruppo?- indicai la radio
- Si, hai dei problemi anche su questo?-
Mi sorpresi che avessimo almeno una cosa in comune, ma non glielo dissi.
- Tu sei il mio problema-
Mise in moto e sgommò, non prendendo per poco di nuovo la mia macchina:
- Mi dai troppa importanza-
Mi appoggiai allo schienale e mi stropicciai gli occhi così forte da vedere rosso e lui alzò il volume. Che arrogante!
Proseguimmo lungo tutta la strada, in silenzio per mia fortuna, svoltando in isolati viottoli ombreggiati fino a prendere poi la tangenziale.
-Allora principessa dov'è che abiti?- 
Mi sforzai di non inserire un paio di insulti nella frase -A Baiano, un paesino di Avellino-
- Ma non mi dire..-
Gli rifilai un'occhiataccia furiosa -Che diavolo vorresti dire?-
Mantenne l'espressione seria, ma dal tono della sua voce capii che era divertito -Niente, ma mi è di strada-
- Buon per te- ribattei acida
- Anche se onestamente non mi sembri un tipo da vivere da quelle parti-
Soppesai le sue parole - Ci conosciamo da neanche un'ora è già pensi di poter dire di conoscermi?-
Mi guardò, ma fu per una frazione di secondo, tanto che potrei tranquillamente essermelo immaginato.
- Tu sei un tipo da grandi città, da metropoli, luoghi in cui non ti senti in trappola perchè la cosa più importante per te è la libertà e non vuoi che qualcun altro decida quello che sei o cosa tu debba fare-. 
Deglutii stando attenta a non far notare il mio sgomento, infatti lui continuò spedito. Parlava con naturalezza, quasi con pigrizia - Sei una di quelle persone che vuole autodefinirsi e non lasciarsi definire dagli altri. Sei tu che vuoi scegliere chi sei. Non ti fidi di nessuno e non ami le persone perchè sei troppo chiusa nel tuo mondo e mascheri tutto con sarcasmo e insulti e sputando continuamente sentenze- mi osservò con quell'aria da condiscendenza che mi fece venire voglia di buttarlo fuori dalla macchina in moto -Ci sono vicino?-.
- Neanche lontanamente- ringraziai me stessa per non aver balbettato.
Dovevo allontanarmi da questo tipo e in fretta.
- Quindi ti piace vivere in quel paesino?-
Mi strinsi nelle spalle - E' la scelta migliore-
- Per te o per la tua famiglia?-
Mi voltai verso di lui -Per tutti, ma onestamente non penso siano affari tuoi-
- Scommetto che non lo pensi davvero-
- Pensala come ti pare-
- Non ami fare conversazione- non era una domanda, ma risposi ugualmente:
- No-.
- Sei sexy anche da infastidita possibile?- lo disse ammiccando.
Sapevo che scherzava, ma mi infastidiva ugualmente.
Sospirai alzando il dito medio.
Arrivati alla fine dell'autostrada svoltò a sinistra e proseguimmo abbastanza spediti lungo tutto la strada poco battuta, scorgendo i campi incolti di granturco. 
Gli indicai solo con lievi cenni del capo la strada  e mi trattenni dall'urlare di gioia quando vidi casa mia.
Parcheggiò sotto l'albero di fronte la villetta del nuovo vicino dato che ormai il camion era sparito. E speravo anche il vicino.
- Che piacevole coincidenza...- lo ignorai, tanto ogni cosa che diceva o era un insulto o una provocazione.
- Ti direi che devi pagarmi i danni, ma ciò significherebbe che dovremmo rivederci, quindi fa niente. A mai più mi auguro-
- Non penso sia così semplice principessa-
Alzai un sopracciglio -Io non ti piaccio, tu non mi piaci. E' semplicissimo-
Mi sorrise onestamente divertito e scrollò le spalle - Sono il tuo nuovo vicino-.





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Capitolo 3
*** Ben ***


No, non era possibile.
Ditemi che non era vero.
La testa di cazzo era il mio vicino di casa!
Non solo mi aveva distrutto la macchina, mi aveva anche irritata, provocato tutto il tempo, aveva sparato strane congetture su di me e mi aveva privato del mio parcheggio, ma ora dovevo anche sopportare di vederlo ogni giorno e di vivere accanto a lui, anzi attaccata a lui!
Dire che non era la mia giornata era un eufemismo! Oggi sarei solo dovuta restare a casa tutto il giorno.
Avevo lasciato il nuovo vicino non appena mi aveva dato la notizia ed ero corsa da Josh che mi aveva stritolata da quanto mi aveva abbracciata forte.
Gli avevo raccontato che ero andata in libreria e che un auto mi aveva tamponato, non sapevo di chi, e che mentre trovavo qualcuno che mi prestasse un cellulare avevo incontrato il nostro vicino che mi aveva riaccompagnata.
Ero tentata di dirgli la verità, che il nostro vicino era un idiota, un egocentrico e un pazzo, ma poi lo avrebbe voluto uccidere e meno mio fratello aveva a che fare con quel tipo meglio era.
C'era qualcosa in lui che non mi convinceva, senza contare che era pazzo.
I miei non sarebbero tornsti a casa prima di domani sera, così sarei riuscita a nascondere l'accaduto e Josh mi promise di non dire niente, insistendo per aiutarmi a riprendere l'auto e a pagare.
Fottuto vicino.
Me ne restai l'ultima sera di vacanza a letto a guardare episodi di Grey's Anatomy mangiucchiando patatine finchè non  sentii Josh addormentarsi.
Mi alzai di scatto, mi chinai sotto il letto e trascinai fuori il mio baule color caffé con sfumature crema. Lo aprii ed estrassi lo zaino che conteneva. Richiusi il baule e lo infilai di nuovo sotto il letto. Aprii lo zaino e controllai ciò che conteneva: tre paletti, acqua santa, un giubbotto, dei cioccolatini e un libro.
Ero pronta.
Mi precipitai fuori il balcone, gettai lo zaino dai veroni e presi la corda che tenevo ben nascosta tra le orchidee e mi calai giù.
La tirai un po’ per verificare la sua resitenza, poi mi risistemai lo zaino in spalla e corsi verso il piccolo cimitero al centro della foresta, guardandomi costantemente intorno per assicurarmi che quell'idiota del mio vicino non mi avesse vista.
Mi rilassai solo quando gli alberi coprirono totalmente la visuale di casa mia: quella che mi circondava non era una vera e propria foresta, più una radura alberata. Mentre camminavo, mi aggrappavo ai rami degli alberi, mi dondolavo a mo’ di altalena e balzavo in avanti, arrivando a dieci passi più avanti.
Non appena arrivai davanti la recinsione, aprii il piccolo cancelletto arrugginito. C’erano circa 20 lapidi, circondati da ciuffi d’erba, tutte dimenticate.
Ogni tanto mi adoperavo per rupulirle e per portare dei fiori, ma era raro riuscirci senza insospettire la mamma.
Mi avvicinai all’ultima sul lato orientale e mi inginocchiai ai suoi piedi. Carezzai dolcemente ogni lettera:
12.06.1994 – 16.05.2014
B E N J A M I N  P A U L  K E N T 
Amato figlio e adorato fratello e amico.
Una lacrima mi rigò il volto. Mi voltai e mi asciugai immediatamente la guancia, poi mi rivoltai e sorrisi:
- Ciao Ben, mi dispiace, so che ti avevo promesso di non piangere più. Oggi non è stata una giornata proprio semplice: un idiota mi ha tamponata e per poco non lo ammazzavo, senza contare che domani inizia anche la scuola- feci una pausa continuando a carezzare quelle lettere - Devo tornare in quel posto orribile! Se Josh mi sentisse mi rimprovererebbe a dovere-.
Mi sforzai di sorridere, ma non ci riuscii.
- Non prendertela per Josh, credo che sia ancora troppo presto per lui venirti a trovare, perché se lo facessi realizzerebbe che non ci sei più ed è ancora una ferita aperta per tutti-. 
Ricominciai a piangere.
- M dispiace, mi dispiace... Non arrabbiarti-. Accarezzai la lapide. - Ti voglio bene, Ben-.
Mi asciugai le lacrime, mi poggiai sulla lapide e alzai gli occhi per osservare le stelle luminose che illuminavano il piccolo spazio.
- Ti ricordi quando io, tu e Josh ci sdraiavamo sotto le stelle e giocavamo a chi vedeva più forme? Mi hai sempre preso in giro perchè riuscivo a trovare le forme più strane- 
Mi rannicchiai su me stessa pensando a quei lontani momenti. Non so quanto tempo passò prima che il dolce torpore del sonno mi avvolgesse, ma a me sembrò un’eternità.
Sognai il giorno in cui io, Ben e Josh andammo a cavallo per la prima volta. E anche l'ultima. 
Correvo come una matta e Ben e Josh mi rincorrevano urlando mille raccomandazioni e io, in risposta, urlavo di raggiungermi.
Avevo corso per ore, tanto che iniziavo a sentire le gambe e il fondoschiena intorpidito. Ben ci disse di fermarci e di fare una pausa per mangiare qualcosa e far riposare i cavalli.
- Ho vinto di nuovo! Non avete speranze- esclamai scendendo dalla groppa di Pioggia, nome che avevo improvvisato per la mia cavalla, conseguenza per aver guardato troppe volte Spirit e tutti gli altri film Disney durante l'infanzia. E anche l'adolescenza, dato che continuavo a guardarli ancora.
- E’ vero, è troppo brava! Corre troppo veloce!-. 
Entrambi mi cinsero le spalle con un braccio, scompigliandomi i capelli.
- Scommettete che vi batto anche nella corsa?-
- Così sfidi troppo la sorte, sorellina. Ti batteremo noi!- 
- Ha ragione Ben briciola, sei tu che non hai speranze-
- Allora vi sfido- li guardai con un sopracciglio sollevato
Scoppiarono entrambi a ridere - Ci stiamo, se vinciamo pulisci la nostra stanza per una settimana- esclamò Josh con le braccia incrociate.
- Sarete voi a pulire la mia-
- Qualcuno qui vuole fare la presuntuosa-
- Coraggio, andiamo-
Ben mi sorrise, con il suo solito sorriso dolce e paziente - Voi andate avanti, io lego i cavalli e vi raggiungo-
- Okay. Pronto Josh?-
Annuì mettendosi in posizione. Faceva quasi ridere.
- Al tre: uno... tre!- mi precipitai come un fulmine.
- Non vale!- si lamentò Josh, inseguendomi.
Non so cosa sia accaduto, perché io stavo facendo quella stupida gara. So solo che quando tornammo accanto ai cavalli ridendo e spindonandomi con Josh, trovammo solo la giacca di Ben sporca d sangue. Urlai.
Mi svegliai sobbalzando. Non volevo pensare a ciò che era accaduto dopo.
Afferrai il cellulare dalla tasca e guardai l’orario sullo sfondo: le quattro e mezza, assolutamente l’ora di ritornare alla base.
- A domani, Ben, ti voglio bene-.
Mi tirai su prendendo lo zaino e mi allontanai lentamente, ancora intorpidita dal sonno, quando sentii lo schricchiolare di una radice di un albero. 
Mi paralizzai di colpo, invigilendo tutti i sensi: si udiva solo il mio respiro adesso. Strinsi il mio zaino e ci infilai la mano: libro, penna, giacca, legno appuntito. Lo strinsi forte.
- Che bella bambina- ringhiarono alle mie spalle. Non mi voltai e il respiro mi si paralizzò in gola.
Qualcuno mi afferrò per i fianchi traendomi a sé. Urlai con tutto il fiato che avevo in gola e infilzai una parte del suo corpo con il paletto, chissà quale.
Il vampirò mollò la presa lasciandomi cadere. 
Non attesi neanche un istante: afferrai lo zaino e inizai a correre. 
Ad ogni passo mi voltavo idietro, terrorizzata, ma non mi fermavo.
- Dove scappi?-. Il vampiro adesso era davanti a me. Non lo vidi in tempo, così lo colpii in pieno cadendo all’indietro per l’attrito, sbattendo con la schiena sull’asfalto. 
Gemetti per il dolore.
- Sei proprio un bel bocconcino-
- Vattene o ti uccido-
Sorrise.
- Non sai chi sono io e cosa sono in grado di fare-
Mi afferrò di nuovo, per la gamba stavolta, e mi gettò con uno scatto contro un albero che scricchiolò sotto il mio peso, poi caddi di lato sbattendo la testa e mordendomi involontariamente la lingua.
Vedevo tutto offuscato e sapevo di non avere più paletti.
Di nascosto infilai nuovamente la mano nello zaino e cercai qualcosa che potesse aiutarmi: qualcosa di duro, di vetro. Acqua santa. 
La strinsi forte come se la mia vita dipendesse da questa, e in effetti era così.
Il mostro si acquattò, pronto a balzarmi addosso e azzannarmi, ma quando lo fece estrassi la bottigia dallo zaino e gliela riversai sul viso.
Emise un urlo acuto e lancinante, che rimbombò in tutta la radura. Le ustioni erano evidenti, ma non ebbi il tempo di osservarlo attentamente: fu come se spicassi il volo tanto che ero tesa. Correvo tra gli alberi, ignorando le ferite alle braccia che mi procuravo e che mi strappavano la felpa.
Non appena la distesa di alberi terminò mi gettai al suolo rotolando e mi guardai indietro.
Il vampiro era lì, con il volto sfiguarto, che mi guardava infervorato.
Non poteva raggiungermi: quello era territorio della cacciatrice.
Tanti avevano tentato di attaccarla qui, ma nessuno era sopravissuto. Sospirai e aspettai che il vampiro si allontanasse.
Tornai alla corda e mi arrampicai, malgrado tremassi come una foglia. Gettai lo zaino in un angolo e mi lasciai cadere sul letto, dove scoppiai in un lungo pianto.
 

Aprii gli occhi di scatto, in allerta.
Ero distesa sull'asfalto, ricoperta di fango e di foglie secche, in un bosco, anche se non riuscivo a distinguerlo in maniera nitida. C'erano solo tanti alberi intorno a me. Nient'altro.
Mi tirai su lentamente guardandomi intorno, circospetta: non sapevo dove fossi, era tutto confuso, offuscato. Era come uno di quei vecchi film in bianco e nero degli anni Ottanta che danno sulle vecchie televisioni o strane reti che nessuno conosce.
Era irreale, come se un fosse un ricordo.
Ma un ricordo di cosa?
L'aria era così secca che sembrava si attaccasse sulla pelle impedendomi di respirare.
Sentivo il mio cuore galoppare, come se potesse esplodere dalla mia gabbia toracica da un momento all'altro.
Ma dov'ero?
Mi scostai qualche ciocca dal viso, più per abitudine che con la speranza di rinfrescarmi, e invigilii tutti i sensi.
Il cielo sopra di me ribolliva di nuvole inquiete che mi sorvolavano con fare minaccioso.
Avevo un brutto presentimento.
Tutto era silenzioso e buio. Anche i tipici rumori di un bosco erano assenti: il brulicare delle cicale, il fruscio del vento che scuote le foglie, il cinguettio degli uccelli. Tutto taceva. 
Solo il nulla.
Stavo per rinunciarci quando all'improvviso udii in lontananza dei colpi sordi, come quando un martello colpisce la pietra ancora e ancora, un rumore che sembra farti battere il cuore nel petto.
Senza neanche rendermene conto iniziai a camminare a passo svelto, dritto al punto da cui proveniva quel rumore insistente e sordo, guardandomi di tanto in tanto indietro per accertarmi che non mi stesse seguendo nessuno.
Mi sentivo seguita, osservata.
Velocizzai ancora di più il passo.
Respirai profondamente, anche se non c'era un filo d'aria. Non sarebbe successo niente. 
Eppure non appena pensai questa frase sentii che mentivo a me stessa. 
Io non ero al sicuro, sapevo che stava per succedere qualcosa.
Ma cosa?
Iniziai a correre senza neanche accorgermene. Credo di non aver mai corso così velocemente.
Avevo il fiato corto e dolori lancinanti ovunque, anche lì dove non sapevo potesse sentirsi dolore
Saltai su un masso e mi gettai in avanti, balzando con uno scatto felino.
Atterrai su un'altra roccia poco distante e mi guardai intorno: ormai quel sentiero era privo di strade.
Ma ce ne erano mai state?
Continuai a correre.
Con un balzo superai una parete rocciosa acuminata e mi aggrappai alla cima.
Gemetti quando mi si conficcò una spina nella mano.
Presi un profondo respiro e la scavalcai, balzando dall’altra parte e ignorando i palmi che iniziavano a sanguinare.
Boccheggiavo, ma non mi fermai.
Sentivo i piedi sollevarsi da terra tanto che correvo veloce e i capelli mi sferzavano il viso facendomi lacrimare anche se non c'era un filo d'aria: l'aria era arida, come se anche lei volesse prendersi il mio respiro.
Mi ritrovai in una piccola valle, nascosta da dei cespugli, e proprio al centro capeggiava l'entrata di una grotta dal cui interno provenivano quei colpi sordi.
Che stava succedendo?
Dopo qualche minuto i colpi terminarono e dalla stretta apertura spuntò un uomo basso, brutto e storpio, che camminava zoppicando, in maniera piuttosto goffa.
Il suo volto era solcato da rughe e strane cicatrici, e aveva una spessa e lunga barba color sabbia.
- E' andato tutto come doveva?-
Una figura apparve dagli alberi, dirigendosi verso l'uomo della caverna in modo sicuro e imponendosi in tutta la sua magnificenza.
Aveva folti capelli e barba bianchi come le nuvole in un cielo primaverile e profondi occhi color ametista. Proprio come i miei.
L'uomo annuii, facendo un piccolo inchino -Sì, padre-
Padre?! Sembrava avessero la stessa età.
- Dunque non ci resta che aspettare- posò il suo sguardo all'orizzonte, come se volesse guardare al di là del cielo.
- Temi che possa tornare?-
L'uomo dagli occhi viola fece un gesto di diniego con la mano, come se quella considerazione fosse assurda.
- No, ma questo è solo l'inizio Efesto-
Efesto?! Ma che razza di nome era?
Già era brutto, poi dargli anche il nome del dio più sfortunato di tutti. Doveva proprio odiarlo suo padre.
- Lei dov'è ora?-
- E' al sicuro, ormai ha adempiuto al suo compito. Potrà vivere in pace ora-
- Eppure non sei tranquillo-
L'uomo posò di nuovo il suo sguardo su Efesto e sollevò un sopracciglio -Non spetta a te sparare sentenze. Non ho intenzione di ripetermi-
Efesto abbassò lo sguardo, con aria di scuse -Sì signore-
Che faccia da schiaffi.
L'uomo si avvicinò alla caverna e scrutò al suo interno - Nascondi bene questo posto, assicurati che nessuno lo trovi. Un giorno ci ritroveremo qui- parve pensarci un attimo, poi annuì - Ora puoi andare-.
Efesto fece un piccolo inchino, poi si allontanò sparendo nell'oscurità, come se fosse stato inghiottito dagli alberi.
Mi portai una mano alla bocca per impedire un gridolino di sorpresa.
L'uomo battè qualche colpetto sulla roccia della caverna - Ci ricontreremo, lo so. Ma non oggi. E quando arriverà quel giorno nulla potrà contro di lei-
L'uomo sparì nel nulla provocado un grosso boato nel Cielo.
Per qualche secondo i tuoni brontolarono nel cielo e io me ne restai lì, immobile, mentre i battiti del mio cuore accellelarono.
Non appena ebbi la certezza che nessuno dei due sarebbe tornato uscii dal mio nascondiglio e mi diressi alla caverna.
Presi un paio di boccate e tremante mi infilai nello spazio stretto e angusto mentre la pietra a contatto con la mia pelle mi scroticava e rivoli di sangue cominciarono a scorrere.
Mi morsi le labbra per impedirmi di gemere e cercai a tentoni la strada verso la caverna indietreggiando finchè non urtai con il muro. Ero arrivata eppure non c'erano vie d'uscita.
Battei i pugni contro la roccia come se potesse aprirsi, ma sapevo che non c'era alcuna via d'uscita.
Quel posto mi metteva i brividi e una strana sensazione di familiarietà mi diede i brividi. Io c'ero già stata lì, non so quando nè perchè. 
Io lo conoscevo.
Mi voltai verso la pietra ruvida, ma era troppo buio per riuscire a scorgere qualcosa.
Avvertivo uno strano formicolio alla bocca dello stomaco: pericolo, allerta, paura, coraggio.
Io non ero sola.


Mi alzai sobbalzando al suono squillante e acuto della sveglia che fu come un pugno in un occhio. 
Mi alzai lentamente, ignorando l’emicrania che mi torturava i timpani, e strascicai i piedi fino al bagno. 
Avevo un colorito pallido, un'espressione sofferente e i graffi sulle braccia erano sporchi di terreno. 
Quei sogni ultimamente non avevano fatto altro che aumentare.
Probabilmente era perchè si avvicinava l'età fatidica, l'età dell'iniziazione, l'età in cui il gene scattava e i sogni erano una specie di avvertimento. Una volta mamma mi disse che anche lei da ragazza faceva questi sogni, ma che diminuivano col tempo per poi sparire ai diciasette anni d'età. Solo che a me non erano che aumentati e diventati più terrificanti e vividi.
Avevo ipotizzato che fosse dovuto al fatto che non avevo per niente intenzione di fare l'iniziazione e di accettare quel che ero, quindi i sogni volevano ricordarmi chi fossi. Una specie di avviso del Fato, ecco.
Mi tolsi i vestiti sporchi di fango, stando ben attenta a nasconderli nella cesta dei panni da lavare ed entrai nella doccia.
Il getto d'acqua fresca mi provocò una serie di bruciori in tutto il corpo, e dopo essermi finalmente rilassata, mi resi conto delle terribili fitte alla schiena. 
Mi insaponai velocemente e uscii dalla cabina a fatica, non riuscendo a poggiare bene i piedi a terra dal dolore, e mi avvolsi nell'accappatoio.
Osservai per qualche istante la mia immagine riflessa allo specchio, concentrandomi sugli occhi viola: era la prima volta che vedevo una persona che avevo il mio stesso colore, anche se solo in un sogno.
"Occhi speciali di una bambina speciale" mi diceva mia madre, ma a me suonava più appropriato "Occhi strani per una ragazza strana".
Distolsi lo sguardo dai miei occhi e afferrai la boccetta di antidolorifici dal mobiletto della specchiera buttando giù un paio di pillole, poi presi il disinfettante e mi adoperai ad applicarlo su ogni graffio.
Avrei dovuto indossare una felpa a maniche lunghe per nasconderli a tutti. 
Sospirai: la mia solita fortuna.
Presi lo spazzolino e il dentifricio e mi spazzolai per bene i denti e mi lavai il viso.
Sistemai il bagno come meglio potevo, poi mi affacciai dalla porta del bagno e solo quando fui certa che non ci fosse nessuno sgattaiolai in punta di piedi in camera mia. 
Indossai un jeans pulito e una maglietta a maniche lunghe color eburneo. Ai piedi misi le solite scarpe da ginnastica e raccolsi i capelli in una treccia disordinata. 
Non mi ero mai truccata per la scuola, così mi assicurai solo che non avessi lividi da dover coprire col fondotinta.
Ero pronta per andare all'Inferno.
Josh era già uscito, perciò afferrai una ciambella e corsi per evitare di perdere l'autobus proprio il primo giorno.
Il cielo era limpido e sereno, senza schizzi di nuvole e qui e lì si udivano dei passerotti cantare.
- Buongiorno principessa- la voce fastidiosa del vicino mi riportò alla brusca realtà.
Lo guardai torva: indossava dei jeans scoloriti e un giubbotto di pelle con sotto una maglietta blu. E ovviamente quegli stupidi occhiali da sole.
- Adesso non lo è più- grugnii.
- Sembri proprio una brava ragazza che va a scuola, complimenti-mi sorrise dirigendosi alla sua auto.
Rimpiansi che i meteoriti fossero un evento raro.
- Grazie, lo metterò nella lista delle cose di cui non mi importa niente- scossi la testa e mi allontanai spedita.
Tirai su la zip del giubbino e accesi il mio mp3 mentre la canzone "twentyone guns" dei Green day risuonava nelle mie orecchie e rimbombava nella mia testa.
La lamborghini nera mi costeggiò richiamando la mia attenzione con un colpo di clacson.
Alzai gli occhi al cielo e mi tolsi una cuffietta - Che diavolo vuoi?-
- Darti un passaggio, principessa-
- Piuttosto mi farei buttare sotto da un camion, grazie- 
Camminava a mio passo, cosa che mi mise in imbarazzo. - Ti dispiacerebbe andartene?-
- Di mattina sei ancora più adorabile, scioccante- finse un'espressione stupefatta.
- Si anche quello va nella lista-
- Una lista che si allunga in fretta-
- Non ne hai neanche idea-
- Su, entra-
- Scordatelo- misi anche l'altra cuffietta, ma la Lamborgini continuava a camminare al mio passo e dietro di sè cominciava a crearsi una coda.
- Guarda che c'è la coda dietro di te- mi tolsi gli auricolari, tentava di usarli come arma per affogarlo.
Nathan si strinse nelle spalle -E' colpa tua non mia-
-Non lo voglio il dannato passaggio!- la mia voce si era alzata di un'ottava, ma Nathan continuava a seguirmi. 
La coda dietro aumentava e un coro di clacson mi perforava i timpani.
- Vattene!-
- Hai una voce così provocante-
-Ehy muovetevi!- le urla degli automobilisti dietro di noi erano assordanti.
- Muoviti vattene- ringhiai
- Tu entra in macchina-.
I clacson e le urla diventavano più forti, così più per disperazione che per resa, feci il giro dell'auto ed entrai nell'abitacolo.
- Tu sei pazzo!- urlai ogni parola sputandogliela contro.
Rise e sgommò, tanto che non riuscii più a vedere la fila di auto che ci eravamo lasciati dietro.
- Io direi che sono gentile-
- Ma nessuno ti ha chiesto niente!- alzai le braccia contro il cielo
- Un semplice "grazie sei eccezionale"può bastare-
- E un "sparati brutto idiota"? Io lo trovo più appropriato-
- Allora principessa, dov'è che vai a scuola?-
- Perchè non ti metti in mezzo la strada e aspetti che un auto ti investa?- ribattei acida
- Potresti sempre venire con me-
- Il Peripatetico- mi affrettai a dire e sentii le guance andare in fiamme al solo pronunciarlo.
-Mh- mormorò ingranando la terza.
Lo osservai: guardava dritto di fronte a sè, aveva la mascella quadrata, labbra carnose e morbide, capelli spettinati, ma in modo sexy.
Mi imposi di non guardarlo.
- Non penso ti piaccia frequentare quella scuola da ricconi-
Come faceva a sapere tutte quelle cose di me? Mi metteva i brividi, e non sembrava neanche che avesse tirato a indovinare. Lo sapeva.
E io volevo sapere come facesse a saperlo.
Guardai fuori dal finestrino e sospirai - Non sono affari tuoi-
- Ma allora perchè non la lasci?-
- Cosa non ti è chiaro della frase "Non sono affari tuoi"? Non mi sembra tanto complicata da capire-
- Sei sempre sulla difensiva-
- E tu sei sempre irritante-
- Non è l'insulto più pesante che tu mi abbia detto. Lo prendo come un progresso-
- Levatelo dalla testa-
- Sai un altro tuo problema è che vedi tutto in bianco e nero. Non esistono vie di mezzo. Il mondo per te si divide in due grandi blocchi: i buoni e i cattivi, i predatori e le prede- lo disse con tono spensierato ma mi paralizzai lo stesso.
Deglutii e cercai di controllare il battito del mio cuore - E immagino che tu sappia a quale blocco appartieni-
Mi sorrise ed ebbi la più assoluta certezza che fosse un sorriso provocante che voleva farmi saltare i nervi -Assolutamente principessa e tu?-
- Certo che si- lo guardai con aria di sfida.
- Quindi questo posto proprio non ti piace-
Mi passai una mano tra i capelli: perchè non taceva? - Sei così disperato che ti impicci della mia vita?-
- Mi interessa la tua vita-
- Dovresti proprio trovarti un hobby-
- Ce l'ho ma non penso che la tua mente innocente regga i dettagli- mi scrutò in attesa di una mia reazione, ma mi limitai a guardarlo torva.
- Sei proprio un idiota-
Le sue labbra si sollevarono in un sorriso e riapparvero le fossette -Ancora non mi hai risposto-
- A cosa?-
- Se questo posto non ti piace perchè non lo lasci?- mi guardò serio e concentrato.
Sospirai - A volte è un bene non sentirsi a casa-
- E tu ti sei mai sentita a casa?-
Parcheggiò di fronte la scuola e la morsa che ogni volta mi assale allo stomaco quando arrivo qui fuori mi attanagliò.
Quel posto era il mio Inferno.
- Non hai niente di meglio da fare?-
- Preferisco te- sussurrò e io aprii la portiera facendo entrare un leggero vento fresco nell'abitacolo.
- Va' al diavolo-
- Ci vediamo all'uscita-
- All'uscita?! Scordatelo. Sta' lontano da me e Josh-
Sorrise - Sei tenera quando ti impunti-
- Dico sul serio, troverò il modo per riparare la mia auto e tu dovrai sparire e non dovremmo condividere mai più qualcosa!
- Ci sono tante cose che vorrei condividere con te...- mi sorrise in quel modo languido che mi faceva venir voglia di ammazzarlo.
Come se fosse una novità.
- Spero che qualcuno ti investa- e dopo questa frase, a mio parere abbastanza gentile, sbattei la portiera e mi allontanai, sentendo che la sua risata mi seguiva.
Ero arrivata davanti i cancelli della mia scuola: respira profondamente, dopotutto non potrà andare così male.
Quante persone si ripetono questa frase nella testa per autoconvincersi che andrà davvero tutto bene? Probabilmente tutte.
Ero davanti la mia scuola, il mio inferno personale, e mi ero ripetuta questa frase talmente tante volte che ormai mi appariva del tutto priva di significato.
Pensare che potesse andare bene era solo un'illusione.
Ma del resto sono una guerriera, avrei affrontato anche questo.


Nota autrice: Buonasera a tutti! Questa è la prima volta che pubblico una storia su efp e ringrazio chiunque sia arrivato fino e qui e abbia anche solo letto la mia storia. Grazie infinite, davvero.
Ci terrei davvero tanto a sentire il vostro parere, che sia positivo o negativo, e migliorarmi. Ve ne sarei davvero riconoscente.
In caso contrario, mi fa comunque piacere che siate passati. 
D. 

 

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Capitolo 4
*** Rieccomi qui ***


Buonasera a tutti! Lo so che è passato molto tempo, ma ho avuto una serie di problemi che mi hanno distratta per un po', insieme a tante cose belle. Mi dispiace davvero tanto per la mia assenza, ma vi assicuro che non succederà più. Sono di nuovo tra voi. Innanzitutto, spero che stiate tutte bene e che non vi siate dimenticate della mia storia, perchè sto per pubblicare ufficialmente il primo libro della mia trilogia che ho iniziato qui, tra una settimana, massimo due presente in tutti gli e-Stores. Ed ecco perchè vi scrivo qui: voi siete state le prime ad aver avuto fiducia in me, ad avermi accompagnata in questo percorso e sarei felice e onorata se continuaste a farlo. Ovviamente solo se vi va. Questo è il mio blog: deborahpcumberbatch.wordpress.com , se vi va di seguirmi da lì scrivetemi in privato nella e-mail che troverete o potete anche seguirmi sulla mia pagina facebook "Deborah P. Cumberbatch", magari specificandomi che mi contattate da qui, così saprò che voi siete le prime a cui dare gli aggiornamenti e le informazioni. Vi aspetto, sempre vostra D.C. <3

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