Seven Sins

di Brownie Charles
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo I - Seven Sinners ***
Capitolo 2: *** Capitolo II - Farewell Guys ***
Capitolo 3: *** Capitolo III - Zoey's Last Sin ***
Capitolo 4: *** Capitolo IV - Acedia ***



Capitolo 1
*** Capitolo I - Seven Sinners ***


Seven Sinners

Buio.
Di fronte ai suoi occhi cispiosi si stagliava opprimente il niente, un vasto vuoto silenzioso.
A poco a poco riprese il controllo dei sensi intorpiditi da molte ore di indotto letargo, accorgendosi così di essere seduta su una comoda poltrona rivestita di feltro, incatenata ad essa tramite delle polsiere metalliche che le impedivano qualsivoglia movimento delle braccia, come comprovò irrevocabilmente il suo fallimentare tentativo di svincolarsi dalla presa granitica del freddo acciaio: un improvviso stato di allerta si era impossessato di lei; un sesto senso l'avvertiva che non fosse sola dentro quel vacuo spazio.
D'improvviso, esattamente di fronte a lei, si accesse una colonna di luce, che però non era potente a sufficienza per rischiarare l'intero luogo. Una volta che si fu ripresa dall'inziale accecamento dovuto all'apparizione inaspettata di quella fonte luminosa, capì, per mezzo di essa, di essere stata collocata dentro una stanza e, soprattutto, di non essere la sola a trovarsi in quell'assurda situazione: nella penombra le apparivano sempre più nitide le figure di persone dormienti, anch'esse bloccate su delle poltrone tali e quali la sua.
Mentre vagava con lo sguardo lungo la stanza, cercando si stabilirne sommariamente i confini, avvertì un rumore metallico provenire dalla fonte di luce, simile a quello emesso da un ascensore in movimento.
Si voltò di nuovo verso la bianca colonna, e fu allora che la vide, e non volle crederci…
Una ragazza era apparsa nella stanza; lo sguardo, malinconico e mestamente basso, era intento a osservare un piccolo palmare. I capelli rosso fuoco le cascavano lunghi fino alle spalle; delle sue codine e dello sgargiante fiore che usava portare non vi era alcuna traccia.
A piccoli passi le si avvicinò, mentre una seconda colonna luminosa si accendeva proprio sotto la sua poltrona, solo che non era bianca, ma rossa, esattamente come i capelli di quella ragazza che ora la stava osservando con occhi spenti e tristi.
<< Peccatrice: Gwen; peccato: Lussuria. >>
Gwen era talmente sconvolta, che captò solo in un secondo momento cosa l'altra avesse appena detto: << Peccatrice? Lussuria? Zoey…che storia è questa? >> chiese con orrore: che non fosse uno stinco di santa si sapeva, ma finire addirittura legata ad una poltrona…e poi quella parola, Lussuria: che voleva dire? Cosa intedeva Zoey?
Tutte risposte che in quel momento non avrebbero avuto soluzione, come constatò amaramente Gwen: Zoey infatti si stava già dirigendo verso una terza colonna, stavolta celeste. Dentro vi stava un ragazzo piuttosto gracile e basso, dai marcati tratti indiani.
<< Peccatore: Noah; peccato: Accidia. >>
Noah, così come Gwen, non afferrò subito l'accusa che gli era stata mossa: il buio opprimente, la poltrona a cui era stato legato, quella ragazza rossa di cui non ricordava il nome di fronte a lui che lo mirava assente e la presenza della gotica nelle sue medesime condizioni lo avevano destabilizzato; la sua proverbiale capacità di ragionamento dovuta alla sua vita incentrata su una costante monotonia di gusti ed interessi lo aveva di colpo abbandonato a se stesso.
Quando però comprese il significato di quelle parole oscure formulò domande simili a quelle già poste da Gwen, ma anche lui non ottenne alcuna considerazione dalla giovane, già volta verso una quarta colonna illuminata di verde.
<< Peccatore: Alejandro; peccato: Invidia. >>
L'ispanico apparve sinceramente inorridito da quell'incredibile situazione che lo vedeva partecipe, oltre che dalla figura quasi spettrale di quella ragazza che invece ricordava ben più solare ed estroversa.
Provò a balbettare qualcosa, ma fu tutto inutile: Zoey era già passata oltre, diretta verso una quinta colonna, questa volta amaranto.
<< Peccatrice: Courtney; peccato: Ira. >>
La mora non ci vedeva più dalla rabbia: non appena aveva avuto abbastanza chiara la pericolosa situazione a cui era stata costretta aveva iniziato a scalciare, a graffiare i braccioli della poltrona, a ringhiare e sbuffare, in un disperato quanto inefficace tentativo di fuga; e ora che sentiva quell'ombra emanciata addossarle una colpa così grave la capacità di sopportazione era colma: << Maledetta stronza, liberami subito, hai capito?! Ehi, parlo con te! Ti ordino di liberarmi!! >> le urlò contro. Spesso era stata agitata, ma mai come in quel frangente, dove pareva essere proprio sull'orlo di una crisi di nervi.
Ma di nuovo Zoey non si mosse a compassione, e nella sua melanconica apatia si diresse verso una sesta colonna tinta di un tenue rosa.
<< Peccatore: Geoff; peccato: Gola. >>
A sentire quell'accusa il biondo si lasciò sfuggire uno sbuffo ilare: << No, ci dev'essere un errore…evidentemente devi avermi confuso con Owen. >> ridacchiò: quella situazione non gli piaceva per niente, ma non per questo si sarebbe fatto prendere dal panico, o avrebbe solo peggiorato le cose.
Ma neache lui ebbe successo, e Zoey non interruppe il suo tenebroso giro, che la stava portando nei pressi di una settima colonna, illuminata da una flebile luce dorata.
<< Peccatrice: Heather; peccato: Avarizia. >>
L'asiatica appariva piuttosto sdegnata, ma non disse nulla, né compì alcun gesto: si limitò a fissare astiosamente la rossa, in una sfida di sguardi che ben presto la proclamò vincitrice, in quanto l'infelice giovane tornò ad abbassare lo sguardo, dirigendosi verso l'ottava ed ultima colonna, di tonalità viola.
<< Peccatore: Scott; peccato: Superbia. >>
Il rosso sembrava ancora lievemente assopito, ma non appena ebbe inquadrato il contesto non poté che rimanere basito: cosa intendeva Zoey? Certo nella sua vita si era comportato più volte sgradevolmente, ma nel mondo si aggiravano sicuramente individui molte peggiori di lui e ben più meritevoli di essere definiti "Peccatori".
Aspettò spasmodicamente che Zoey avallasse una spiegazione, qualunque, e come lui gli altri sei, ma la rossa non fece altro che posizionarsi all'interno della bianca colonna da cui era apparsa, chiusa in un assordante silenzio.
I ragazzi la imitarono, tutti men che Courtney, che continuava ad urlare e a minacciare la sventurata, agitandosi senza posa ancora per alcuni minuti, che però ai ragazzi parvero ore interminabili, per poi pian piano ammutolirsi, finendo per singhiozzare amaramente: durante gli ultimi anni della sua vita aveva visto le sue certezze sgretolarsi; aveva scoperto che dietro la maschera da perfettina che si era inconsciamente imposta si celeva una personalità subdola, inaffidabile e soprattutto iraconda…una personalità brutta, tuttavia non tale da condurla in quel luogo così assurdo.
Nessuno poteva calcolare quanto tempo potesse essere passato dal loro ultimo ricordo nitido, che appariva a ciascuno incredibilmente lontano nel tempo e appartente ad una dimensione spaziale totalmente estranea a quella in cui si trovavano prigionieri.
D'improvviso una profonda voce, chiaramente modificata, irruppe nella stanza, facendo balzare sul posto i sette sventurati: << Benvenuti, miei cari Peccatori. >> esordì.



Intanto, al centro della stanza, Zoey liberò tutta la sua crescente depressione in un pianto sfrenato.

Angolo Autore
Chi non muore si rivede, eh?
Sta per iniziare l'estate, e questo fa sì che molti autori escano dal loro torpore invernale per
inondare EFP di nuovi contenuti...e questo è un bene,
specialmente per questo fandom, che in inverno ha vissuto momenti di estremamente grami.
Ma bando alle ciance, ed eccoci qui con un nuovo capitolo,
il prologo di un ambizioso progetto che ho in mente da qualche tempo, e che non riguarderà solo EFP,
ma di questo ve ne parlerò più avanti!
Nel frattempo vi auguro buona lettura, sperando di accattivarmi una buona quantità di suspense da parte
di voi lettori! ;) I vostri commenti e le vostre annotazioni saranno ben gradite, come sempre.
A presto, e buone vacanze a chi in vacanza c'è già!
Brownie Charles

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Capitolo 2
*** Capitolo II - Farewell Guys ***


Farewell guys

<< Ah, ah…avanti Chris, smettila di cercare di farci paura! >> rise Geoff: un risata per niente simile a quella tipicamente spensierata ed euforica del texano, che però ebbe l'effetto di far leggermente calmare gli altri.

<< Già Chris…hai provato a farci uno dei tuoi pessimi scherzi, ma ti sei bruciato subito…non sei più il sadico presentatore che ricordavo! >> affermò sarcastica Heather, avvalorando la tesi del biondo.
Tutti annuirono alle parole dell'asiatica eccetto Gwen: forse avevano ragione, ma allora perché Zoey era ridotta in quello stato? La rossa continuava a singhiozzare, non cercando neanche di mascherare il suo profondo disagio agli occhi di quei prigionieri che però non stavano minimamente badando a lei, lasciando che calde lacrime infelici solcassero indisturbate le sue rosee guance per ricadere, sorde, sul pavimento lastricato. Solo fisicamente assomigliava alla simpatica ragazza che la gotica aveva imparato ad apprezzare nell'ultima edizione del reality alla quale aveva preso parte, ma psicologicamente sembrava tutta un'altra persona, come se fosse stata brutalmente svuotata della sua ormai proverbiale fiducia in se', una fiducia che aveva maturato dopo aver affrontato e superato le dure e spietate prove che la vita aveva disseminato lungo la sua strada.

No, quella non era Zoey…non era la sua Zoey, osservò mestamente Gwen mentre iniziava ad avvertire un doloroso groppo al cuore.
Solo la Voce modificata, tornata ad echeggiare per la stanza, la distolse da quei cupi pensieri: << E in base a quali evidenze voi pensate che io sia Chris, di grazia? >> disse calma.
A quella domanda Courtney, fino a quel momento silenziosa, fu investita di un nuovo rabbioso furore, e tornò a minacciare il suo rapitore, promettendogli e giurando sulla sua stessa vita, tra un'offesa e un'ingiuria, la sedia elettrica dopo anni di tormentato carcere.
Anche gli altri si lasciarono sfuggire qualche mordace commento, convinti di aver svelato l'arcano.
La paura, la rabbia, il risentimento, l'asfissiante senso di sgomento misto allo sconcerto che tutti quanti avevano avvertito una volta risvegliatisi dal loro sonno…tutte queste sensazioni che fino a qualche secondo prima avevano albergato nella testa dei ragazzi adesso li stavano abbandonando, lasciando il loro posto alla sicurezza che solo l'orgoglio verso le proprie capacità mentali può suscitare: avevano smascherato Chris, ora sapevano cosa aspettarsi…il peggio era passato.
Pure Gwen, per qualche breve istante, provò la stessa emozione degli altri; sicura, per una volta nella vita, che Heather avesse ragione, e che dietro quell'incubo si nascondesse soltanto un altro degli stupidi trabocchetti di Chris, escogitati per ottenere gratuitamente concorrenti per i suoi mortali reality…probabilmente da un momento all'altro sarebbe apparso Chef o un assistente con in mano una pila di scartoffie da firmare…ma quando, quasi per errore, tornò a posizionare il suo sguardo su Zoey, accusò una nuova fitta al petto: l'insopportabile visione della giovane ora accasciata a terra e riversa in una pozza di lacrime fece dileguare il poco ottimismo che stava sperimentando: qualcosa le diceva che quello non sarebbe stato un altro banale reality.
<< Ma insomma…volete stare zitti, per la miseria? >> sbottò la Voce, spazientita dall'irritante brusio prodotto da quei petulanti ragazzacci << Non sono Chris McLean! E anche se lo fossi, per voi non cambierebbe assolutamente nulla! >> concluse riacquistando l'iniziale, inquietante, calma.
Tutti i presenti interruppero all'istante le loro lamentele e i loro commenti, rivolgendo lo sguardo verso il soffitto e aguzzando bene le orecche: sentivano che l'intervento della Voce non era ancora concluso e ignorando completamente, nel frattempo, l'insignificante fanciulla i cui gemiti non accennavano a calmarsi.
<< Mi meraviglio di voi… >> commentò la Voce monocorde << Non che vi considerassi dei geni, ma un po' più svegli sì…com'è che nessuno si è ancora chiesto perché siete chiusi qui dentro, legati a delle poltrone, senza alcuna possibilità di fuga? >> li schernì; tutti tranne Gwen provarono una profonda vergogna: effettivamente l'accusa era vera, non si erano più chiesti perché fossero lì e cosa li aspettasse, troppo presi com'erano a screditare Chris e a bullarsi di lui e del suo sciocco piano.
<< Stolti, oltre che peccatori. >>
<< Ancora? La vuoi piantare di additarci così? >> stavolta fu Noah a parlare: sin dal principio quella situazione gli era parsa incredibilmente fuori da ogni logica, e ora voleva vederci chiaro.
<< E perché mai dovrei? Forse non lo siete? >> lo incalzò la Voce, più tranquilla che mai.
<< Forse saremo anche peccatori, ma certo non peggiori di altri…sicuramente non peggiori di te. >> disse Alejandro.
<< Davvero? >> commentò ironica la Voce << Eppure io non sono invidioso di nessuno, caro il mio Alejandro. >>
A quella affermazione il caliente sangue latino dell'ispanico si ghiacciò: come poteva essere che lui, Alejandro Burromuerto, fosse accusato di un peccato tanto vile come l'invidia?
<< Non ci arrivi da solo? >> domandò quasi stupefatta la Voce << Non è forse Invidia quella che provi nei confronti di tuoi fratello Josè? >>
<< Ma in All Stars l'ho battuto…ho battuto mio fratello! >> protestò Alejandro dopo aver degluttito a fatica: stava mentendo, lo sapeva bene, e soprattutto temeva che quella farsa non avrebbe ingannato la Voce.
<< L'hai battuto una volta, vero, ma una vittoria isolata non può riparare anni di soprusi e sconfitte! Quando vincesti quel duello non provasti gioia o orgoglio, no: fosti solo felice per la figuraccia inflitta a tuo fratello in mondo visione…ma ciò non ti ha reso migliore di lui, e lo sai bene: egli continua ad umiliarti, giorno dopo giorno; in ogni cosa che fai lui ti sovrasta, troneggia su di te come il Monte Everest sul resto del mondo, e tu non puoi fare assolutamente niente per sovvertire l'ordine naturale delle cose, e per questo ti disperi, avverti un'inferiorità avvilente e lancinante, e questo ti ha portato a cercare soddisfazioni in altri ambiti…ma pure lì hai fallito miseramente, in un frangente sei passato dall'essere considerato un vincente al venir rinchiuso e dimenticato per un anno intero dentro un malandato e squallido robot. >>
Alejandro non riuscì a formulare la minima replica: si limitò a balbettare, in uno stato confusionale indotto dalla brutale verità rivelata così, senza peli sulla lingua, e per di più di fronte alla persona a cui teneva di più, la sola che veramente amasse: Heather.
Fu proprio quest'ultima la sola ad intervenire in sua difesa: << Non ti sembra di esagerare? Certamente Alejandro avrà i suoi difetti, ma non è come lo descrivi! >>
<< Ah, no? E dimmi, Heather: non è stata forse l'invidia a spingere Alejandro verso l'ossessiva ricerca della rivincita? Non è forse stata l'invidia che ha provato per la tua vittoria a fargli cercare di ottenere, con ogni mezzo a disposizione, un'effimera vendetta? >>
Anche Heather dovette azzittirsi, perché sapeva che quel che stava farneticando quel tizio era in verità la pura realtà: Alejandro aveva invidiato la sua vittoria, a tal punto da escogitare il più meschino dei trucchi per eliminarla durante All Stars.
<< D'altro canto… >> proseguì la voce << Tu non puoi certo definirti migliore di lui: l'Avarizia è una gran brutta colpa, e chi si macchia di un orrore tanto riprovevole difficilmente riesce a liberarsene. >>
L'asiatica provò una timida reazione, spiazzata come il suo ragazzo dalla dura verità che stava uscendo dagli implacabili altoparlanti invisibili ai suoi occhi, ma fu subito interrotta: << Che brutta cosa, idolatrare il vile denaro al di sopra di tutto il resto: per la tua bramosità non hai mai esitato a sfruttare innocenti ed ingenui, non curandoti dei loro sentimenti, non preoccupandoti dei guai in cui si cacciavano a causa tua; per la tua bramosità, hai pure tradito l'amore, e ben due volte; hai preferito sacrificare un sentimento tanto nobile sull'altare dell'effimera ricchezza materiale, e perciò sarai punita. >>
Se avesse potuto svanire all'istante, Heather non avrebbe indugiato: la vergogna che provava in quel frangente era immensa, talmente immensa da farle desiderare di non essere mai nata, di essere caduta lei in quel vulcano, per non riemergerne più.
Tutti la fissarono stupiti, Alejandro compreso, e Gwen, fino ad allora contentrata ad udire la Voce e al contempo ad osservare la figura sempre più sconvolta di Zoey, si lasciò sfuggire un leggero sbuffo soddisfatto: non era bello ciò che le stava capitando, ma per Heather proprio non riusciva ad avvertire un minimo d'empatia.
<< Oh, ci divertiamo…non è così, Gwen? >> per sua sfortuna la Voce non si era lasciata sfuggire quel minimo cambiamento d'umore da parte della gotica, la quale provò a ricomporsi, senza successo: << Sai? Se c'è una cosa che mi schifa, quella è la Lussuria! Un bisogno insaziabile di carne, di passione, che ti spinge alla continua ricerca di nuove avventure, di nuove prede, senza preoccuparti di quel che provano, perché l'importante è soddisfare il proprio appetito sessuale, e nient'altro. Devo forse ricordarti di come hai scaricato Trent, senza provare ad aiutarlo, a capirlo? O di come hai tradito la fiducia che Courtney aveva riposto in te alla prima occasione utile, senza provare a mettere il benché minimo freno alla tua insaziabile necessità di prendere possesso del corpo di Duncan? Oppure di come hai mollato quel punk da strapazzo, senza fornirgli alcuna spiegazione e motivazione, come fosse una pratica noiosa ma urgente da sbrigare? Ti ricordi di tutto questo, Gwen? >>
A udire quella parole Gwen rimase paralizzata: né il corpo né la bocca si volevano decidere a tornare sotto il suo controllo, abbandonandola in uno straziante urlo vacuo; solo gli occhi sembravano ancora ubbedirle, roteando freneticamente, posandosi ora su uno, ora su un altro sguardo accusatorio. Cercò Zoey, bisognosa dell'affetto che la rossa era riuscita, in ben altre circostanze, a infonderle, ma tutto ciò che vide fu una figura rannicchiata su se stessa, incapace di reagire, di combattere, come avrebbe fatto la vecchia Zoey. Era sola, e ora temeva che lo sarebbe stata per sempre.
<< Maledetta… >> sibilò velenosa Courtney: la sua crescente rabbia per quella Voce ora si era riversata tutta sulla sua ex-amica: il ricordo delle notti insonne passate a piangere i giorni felice col suo ex, la frustazione per essere stata tradita e messa da parte, l'afflizione per essersi lasciata sfruttare, tutto ciò ora concorreva ad accrescere una furia funeste che da lì a poco sarebbe divampata. Digrinò i denti, strinse le unghie nei braccioli della poltrona fino a sentire il dolore scorrere nelle sue affusolate dita, sembrava sul punto di esplodere, quando la Voce la interpellò.
<< Arrabbiati, Courtney, arrabbiati…in fin dei conti, cos'altro sai fare? Credevi di essere in gamba, di poter affrontare serenamente ogni problema che la vita ti avrebbe messo di fronte, ma se si è pervasi dall'Ira come lo sei tu, prima o poi questa verrà a galla. Per anni ti sei camuffata, imponendoti una linea di condotta così distante dal tuo vero Io…ma infine non ti sei più potuta trattenere: niente andava come tu volevi, come tu desideravi, ogni tuo piano falliva pateticamente, come pateticamente sei sempre stata eliminata. E così la tua ira è cresciuta, e con essa la tua sempre crescente sete di vendetta, che spacciavi per giustizia, ma che in realtà altro non faceva che condurti verso l'abisso. >> la incitò la Voce.
Il silenzio che ne seguì, interrotto sporadicamente solo da un fastidioso rumore di sottofondo che a tutti pareva indistinto e molto lontano, non fece altro che aumentare la pressione. Gli accusati non riuscivano più a distogliere lo sguardo da un punto invisibile sul terreno, moralmente distrutti da quelle prove tanto gravi quanto inopinabili.
Solo Noah e Geoff avevano ancora il controllo delle loro facoltà mentali, sebbene la paura li avesse quasi pietrificati. Si lanciarono un'occhiata d'intesa, pronti a subire il peggio…e così fu, per loro sventura.
<< Oh, spero che non pensiate che io mi sia dimenticato di voi, carissimi… >> riprese a parlare la Voce dopo qualche istante di pausa << Anche se in fondo di te ci si dimentica piuttosto facilmente, Noah. >>
L'indiano si preparò mentalmente a parare il colpo, ma non pareva troppo convinto: << Hai paura, Noah? Deve sembrarti strano provare un sentimento così forte, soprattutto quando sei l'incarnazione dell'Accidia…come puoi, dico, come puoi considerare la tua una vita degna? Anzi…come puoi considerare la tua una vita? Come puoi dormire la notte sapendo che stai scialacquando un bene così prezioso, che molti meritevoli hanno perso per colpe a loro estranee, senza curartenere in alcun modo? Come puoi farti dominare dalla noia, dalla costante inerzia che ti muove, come se fossi una stupida bandierola in balia del vento tempestoso? Come puoi non provare vergogna per la tua incapacità di applicarti per il bene tuo o di qualcun'altro? >> chiese la Voce incessantemente, senza quasi dare il tempo al ragazzo di respirare, talmente era veloce quella maledetta raffica di accuse tristemente reali e giuste: nulla pareva smuoverlo, neanche sentimenti potenti come l'amicizia e l'amore*.
<< Per quanto ti riguarda, Geoff… >> riprese il suo discorso la Voce << Davvero ti chiedi perché abbia scelto te e non Owen? Sul serio sei così idiota da pensare che una grave colpa come quella di cedere alle lusinghe della Gola risieda solo nel volgare cibo? L'ingordigia si misura anche in altri fattori. Devo forse ricordarti di come ti sei preso possesso del corpo di Bridgette, quasi fosse una tua esclusiva proprietà? Eri talmente desideroso di lei, di amarla, che ti sei dimenticato del resto, dei tuoi amici, dei tuoi parenti…ogni cosa che non fosse Bridgette per te era futile, eccetto…eccetto il successo televisivo. Non sei forse stato ingordo di ascolti televisivi per il tuo tornaconto, per la fama? Eri irriconoscibile, persino per la stessa Bridgette…ho osservato spesso il suo sguardo perso, deluso…e lì mi sono convinto che tu sei insaziabile, più di Owen, più di chiunque altro. >>
Geoff non proferì alcunché in sua difesa, assorto com'era nella contemplazione di quelle sincere parole che gli spezzavano il cuore: aveva deluso tutti, in particolar modo la sua amata Bridgette, e non se lo sarebbe mai perdonato.
Agli occhi di Gwen la stanza appariva come diversa rispetto a prima, come se una fitta coltre nebbiosa fosse scesa sopra di loro. Tutti gli apparivano distanti, gravemente sconcertati da quella dura presa di coscienza: erano peccatori, ora lo sapevano.
Ma mancava ancora una persona.
<< Ed eccoci a te, Scott. >> iniziò la Voce. Il rosso, fino a quel momento silenzioso e con lo sguardo perso nell'oscurità che lo circondava, alzò lo sguardo come in segno di sfida, ma tutto ciò che ottenne fu una sprezzante risata da parte del suo interlocutore: << Non guardarmi così, o credi di impressionarmi? Certo il tuo coraggio non mi stupisce…in fondo chi, se non la Superbia, è solito mirare il Cielo, cercando un modo per raggiungerlo, per imporsi su tutto e tutti? Come scordare i tuoi inganni, le tue falsità, i tuoi tranelli, e tutto solo per ostentare una superiorità a cui credevi solo te. Per sopraffare gli altri non hai avuto problemi a comportati come un sociopatico, infischiandoti addirittura dell'incolumità altrui pur di trionfare! E cosa hai guadagnato? Niente, neanche un biglietto di sola andata per l'Inferno. Pure i Ghiacci Eterni ti hanno respinto, lasciandoti qua a soffrire l'atroce dolore delle ferite e dell'indifferenza di chi ti circonda. >>
Quelle parole trafissero Scott come speroni di ghiaccio, lasciandolo inerme nel doloroso ricordo della morte quasi sfiorata, ma non per questo compatita: il ricordo delle risate dei suoi rivali alla vista di lui orribilmente sfigurato gli rendevano visita ogni notte solitaria.
Passò qualche minuto in cui nessuno riuscì a smuoversi, a sollevare nuovamente la testa. Erano distrutti, involucri vuoti, privi di qualunque volontà di reagire: tutto quello che volevano era essere dimenticati, cancellati dalla faccia della terra, per non dover più riaffiorare alla luce del sole.
<< Cos…cosa succederà ora? >> fu Heather a prendere la parola: la curiosità per la loro sorte in lei aveva prevalso.
<< Semplice… >> spiegò la Voce << Vi metterò alla prova. Siete peccatori, e voglio vedervi all'opera in ciò che vi riesce meglio, ovvero peccare. Ad ognuno di voi darò un compito da eseguire. Se avrete successo sarete salvi, potrete riprendere in mano le vostre vite, se lo desidererete, e farne ciò che più vi piacerà…ma se fallirete…metterò all'istante la parola fine alle vostre peccaminose esistenze. >>
Quell'ultima minaccia colpì il bersaglio, riuscendo a rianimare tutti i presenti, persino Noah.
<< Spero tu stia scherzando, folle! >> sputò Scott.
<< Giusto! >> lo affiancò la sua ex, Courtney << Non puoi ucciderci, specialmente all'istante! Come faresti? >>
<< Oh, ma è semplice. >> ribattè rilassata la Voce << Probabilmente non ve ne sarete neanche accorti, ma ognuno di voi ha addosso uno strozzatore su cui, per vostra informazione, ho fatto istallare una micro telecamera e una piccola quantità di esplosivo comunque sufficiente a farvi secchi all'istante. Io seguirò ogni vostro passo, monitorerò ogni vostra azione, e se non doveste rispettare le vostre consegne, mi basterà premere un tasto, un solo piccolo pulsante, e subito salterete in aria. >>
<< Non può essere! >> replicò Courtney, stupita quanto atterrita: ora che ci faceva caso, avvertiva quello sgradevole indumento appoggiato sul suo sinuoso collo, leggero al tatto ma perfettamente incastrato, a tal punto da non poter essere manualmente rimosso.
<< No? Bene, ti darò una dimostrazione…Zoey, alzati in piedi! >>
Quell'ordine impartito dalla Voce ricordò ai ragazzi della presenza della giovane, la quale, meccanicamente, si alzò in piedi e, asciugandosi una lacrima, smise di lamentarsi.
Adesso l'attenzione era tutta per lei, ogni occhio era puntato sulla sua figura, e Gwen era tra tutti la più basita.
La rossa sfoderò un flebile sorriso, il primo da quanto era apparsa dentro quella stanza.
<< Mi dispiace ragazzi, mi dispiace per tutto quanto… >>
Poi fu questione di un attimo: un click risuonò, un forte rumore riempì la stanza…


E Zoey non fu più.

*in questa storia le edizioni del reality sono ferme ad All Stars; Missione Cosmoridicola non è mai successa.

Angolo Autore
Ed eccoci qui col primo vero capitolo della mia storia, che spero possa piacervi!
Come vedete, ho svelato perché proprio loro sette sono stati condannati...
Cosa ve ne pare delle motivazioni? Vi sembrano corrette, o avete qualche riserva?
Personalmente so bene che Heather e Alejandro avrebbero potuto contendere a Scott
il ruolo di superbo, ma poi ho pensato che nessuno nel reality è stato avaro di successo
quanto Heather, e l'invidia di Alejandro per il fratello ci è chiara sin dalle primissime apparizioni.
Comunque, sono aperto a ogni vostro commento! ;)
Bene, con questo vi saluto, augurandovi buona lettura!
A presto. :)

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo III - Zoey's Last Sin ***


Zoey's Last Sin

<< Perché…perché?! >> fu Gwen a rompere quei lunghi minuti di silenzio che erano calati nell'oscura stanza a causa del macabro fatto che vi si era appena compiuto.
La ragazza, superata la sorpresa iniziale, aveva rotto i propri freni emotivi, lasciando che il suo corpo fosse squassato da lunghi sighiozzi disperati, mentre urlava incessantemente ma invano il nome dell'amica, la quale ora giaceva per terra, riversa in una pozza di caldo sangue vermiglio, che si spandeva placido e inesorabile lungo il pavimento, imbrattandone le mattonelle.

Il corpo della rossa, impietosamente illuminato dalla colonna di luce bianca posta nel centro di quel luogo, non sembrava aver subito danni, ma il volto un tempo innocente e sempre gioioso che aveva contraddistinto la ragazza, permettendole di entrare nel cuore di più di un concorrente, era ora diventato irriconoscibile, le sue componenti indistinguibili. Solo le labbra si erano salvate da quel brutale scempio, e ora sembravano formare un inquietante sorriso straziato.
Dagli altri non provenne neanche un sussulto, ma il disgusto di ognuno era tangibile. Più di uno di loro avvertì un atroce senso di nausea, ciò nonostante ciascuno riuscì a calmare il proprio stomaco e a contenere i conati di vomito che premevano per evacuare dal loro corpo.
<< Perché anche lei era una Peccatrice. >> fu la risposta della Voce, sempre paurosamente tranquilla.
<< Ma i Peccati…i Peccati capitali sono sette! >> gridò Gwen, che non voleva perdere quel confronto verbale: era stata umiliata di fronte alla sua peggior nemica e alla persona a cui, un tempo, aveva tenuto con tutto il cuore, dovendo inoltre fare da spettatrice all'orribile morte di quella che riteneva essere rimasta la sua sola amica.
Era giunta al colmo, una profonda rabbia le scuoteva il corpo, una rabbia che reclama a gran voce giustizia per Zoey.
<< Hai ragione Gwen, ma devi sapere che nel Medioevo ne era contemplato un ottavo: la Malinconia, di cui Zoey era pervasa in tutto il suo essere. E anche se a prima vista poteva sembrarti allegra, amichevole e solare, in realtà era solo un inganno verso di te e gli altri oltre che verso se stessa, poiché indossava una misera maschera che celava lo scoramento e l'impotenza che solo una prolungata solitudine dovuta alla non accetazione della propria persona da parte della società può causare. E questo sentimento l'ha portata alla mania, al cercare in tutti i modi di risultare gradevole ai vostri occhi, pensando così di poter cancellare con un colpo di spugna il suo solitario passato. Ma la vita non è un banale film, dove dall'oggi al domani si può completamente rivoltare il proprio mondo: per quanto si sforzasse di opprimerlo il senso di inettitudine non l'ha mai abbandonata del tutto. E questo l'ha condotta all'infausto pensiero del suicidio, al preferire la morte alla vita. Tuttavia, nonostante avesse deciso di arrendersi, non sapeva come fare per porre fine a queste sue sofferenze, non aveva il coraggio di compiere un atto così decisivo. Perché, per quanto stanca della vita, aveva un profondo timore della morte, dell'oblio a cui essa conduce. Per questo è stata l'aiutante perfetta. Cosciente del suo desiderio, ho deciso di darle una mano ad adempiere alla sua volontà: in fondo, se una persona si sente totalmente estranea alla sua vita, perché costringervela? E per ottenere ciò a cui ardentemente anelava nella maniera più veloce possibile ha deciso di sottoporsi ad una mia sfida, ovvero condurre voi Peccatori da me. Ha vinto la prova, e ottenuto la sua ricompensa: non la vita, le cui irte vie più non desiderava percorrere, ma la morte, la soluzione più facile per ogni tipo di problema che non si ha la forza di affrontare. >>
Sentimenti contrastanti si impossessarono dei giovani a quella nuova, sconvolgente, rivelazione: pena per la loro compagna, sgomento per quella sua decisione così meditata da lei quanto improvvisa per loro; ma sopra ad esse si immolò un profondo rancore: lei li aveva traditi, li aveva consegnati nelle mani di un pazzo squilibrato, e tutto per un becero atto di egoismo. Li aveva condannati, e non aveva provato il minimo rimorso per questo.
Un nuovo urlo rimbombò in quello spazio, anch'esso cacciato da Gwen: la gotica sbuffava, stringeva con viva forza i polsini, non riusciva a stare ferma. Colei che considerava sua amica le aveva mentito per tutto quel tempo, non rivelandole il suo disagio, non chiedendole consiglio, ma vendendola pur di farla finita una volta per tutte, senza remora alcuna.
<< Maledetta…maledetta!…maledetta!! >> gridò inferocita all'indirizzo del cadavere, sputacchiando saliva come un grosso cane idrofobo.
A quella vista le labbra di Courtney si incurvarono in un impercettibile ghigno soddisfatto: Gwen stava provando la stessa incontrollabile furia che aveva pervaso la Perfettina quando aveva visto tutta la sua fiducia sgretolata senza ritegno dalle due sole persone a cui l'aveva concessa; stava sperimentando sulla sua stessa pelle il turbamento che solo il crollo di ogni singola certezza può provocare nell'animo umano. Gwen ora sapeva cosa le aveva inflitto, ma non per questo l'avrebbe compatita o perdonata: la pietà, così come la fiducia, aveva per sempre smesso di dimorare dentro di lei.
<< Ok Gwen, ti sei sfogata. Adesso piantala. È tempo di cominciare. >> disse la Voce per niente impressionata da quello spettacolo, azionando nel frattempo un meccanismo che senza avviso spense tutte le colonne di luce eccetto quella centrale. Subito dopo ogni prigioniero fu lestamente trasportato in una nuova stanza, separato dal resto del gruppo.
E in quell'anfratto adesso desolatamente nero e spoglio rimase solo il corpo martoriato di Zoey, gli occhi vitrei che fissavano un punto lontano ed indistinto.
<< Buon sonno, piccola. >>
Quindi anche l'ottava colonna si spense, e il buio prese il totale sopravvento.


* * *

<< Più veloce B…non c'è tempo! >> esclamò Dawn per incoraggiare l'amico, il quale stava già tenendo un passo decisamente sostenuto. Sebbene lei odiasse con tutto il cuore le auto per il loro nefasto operato contro la Madre Terra, stavolta non poteva farne a meno.
La ragazza appariva irrequieta, e questo suo turbamento era dovuto a quella strana sensazione che da qualche tempo l'aveva contagiata: giorni addietro alcune foglie di thé le avevano predetto che un nefasto evento avrebbe presto scombussolato le loro vite, cambiandole per sempre, ma lei sulle prime non vi aveva creduto, tanto le era sembrata assurda la profezia che le era stata rivelata da quel malaugurato infuso.
Ma il Fato non si può modificare semplicemente ignorandolo, una verità tanto banale quanto ineluttabile, come constatava adesso fra se' e se', amareggiata: non sarebbe stato facile dargli quella drammatica notizia, ma aveva rimandato fin troppo, e se avesse ancora indugiato le cose sarebbero degenerate sempre più.
In un breve volgere di tempo i due giunsero di fronte alla palazzina dove si trovava la sua abitazione.
Appena il portone principale fu loro aperto si precipitarono al suo appartamento, correndo a perdifiato lungo la ripida scalinata: l'ascensore sembrava loro troppo lento.
Quando vide quei due piombargli dentro casa senza troppe cerimonie Mike cominciò ad avvertire un senso di disagio misto a preoccupazione: aveva avuto l'impressione che il tono di voce che aveva udito dal citofono fosse piuttosto concitato, ma credeva fosse stata solo una sua fantasia.
Provò a fare gli onori di casa, chiedendo ai due ospiti se avessero bisogno di qualcosa, ma Dawn lo zittì subito: << Non c'è tempo per questo…B, chiudi la porta per favore…forza, andiamo in cucina Mike. >> disse sbrigativa Raggio di Luna, afferrando il giovane per un braccio e trascinandolo verso un tavolo.
Non appena lo ebbe fatto accomodare a capotavola Dawn si sedette alla sua sinistra, imitata poco dopo da B, il quale si sistemò di fronte a lei, alla destra di Mike.
<< Mike…dobbiamo parlare… >> cominciò Dawn dopo aver preso un profondo respiro, mentre il volto del moro assumeva un'aria interrogativa. Interrogativa e preoccupata, perché quando una donna inizia con un “dobbiamo parlare” c'è da preoccuparsi a prescindere: << So che hai molte domande per la testa; la tua aura è chiara sotto questo punto di vista. Risponderò a tutto, non temere, ma adesso è necessario che mi ascolti senza interrompermi. >> spiegò la giovane seria in volto.
Mike accennò un “sì” oscillando la testa.
Così Dawn gli raccontò ciò che aveva scoperto grazie alle foglie di thé, di come ne era rimasta talmente scioccata da non voler neanche crederci, almeno fino a poche ore prima di quel momento, quando aveva deciso di tentare una nuova prova, ricevendo in risposta ciò che più temeva: una conferma.
B, che aveva già avuto modo di ascoltare la storia in macchina, fissava con sguardo triste l'amica parlarne, conscio di quanto le facesse male rivelare tutte quelle cose orribili, assumendosi in toto la colpa per non aver fatto niente per impedire quel disegno del destino tanto crudele. Nel frattempo una sempre maggiore angoscia s'impossessava di un Mike visibilmente esterrefatto.
Ma il peggio doveva ancora giungere.
<< Mike…l'ultima immagine che ho visto è…è… >> un groppo alla gola impediva alla giovane di continuare: come poteva comunicargli quell'ultima notizia? L'avrebbe distrutto, ne era certa. Ma meritava di sapere.
Dawn fece appello a tutto il suo coraggio, alla sua risolutezza, e infine confessò: << L'ultima immagine che ho visto è Zoey riversa in una pozza di sangue…senza vita. >>
Mike sbiancò, incapace di replicare, riuscendo solo a respirare, seppur con molta difficoltà.
Non ci credeva, ogni fibra del suo corpo gli impediva di concepire che una tale sciagura si fosse realmente abbattuta sulla sua vita: la sua dolce Zoey…morta…ma Dawn non mentiva, non lo faceva mai; ed ora che la vedeva mordersi le labbra mentre i suoi occhi si ricoprivano di lacrime, non ebbe più alcun dubbio: Zoey l'aveva abbandonato.


Un grido disperato si levò alto nella notte priva di stelle.

Angolo Autore
Ed eccomi di nuovo qui, col secondo (o, a seconda dei punti di vista, il terzo) capitolo della mia long.
Con questo capitolo finisce la prima fase, quella introduttiva, in cui abbiamo scoperto che anche Zoey è una peccatrice.
So che il capitolo è piuttosto breve, ma purtroppo non ho avuto molto tempo questa settimana per scrivere,
e così, pur di non lasciarvi troppi giorni senza aggiornamenti, ho deciso di inserire questo capitolo intermedio,
in cui ho introdotto altri due personaggi, Dawn e Mike, il cui ruolo sarà specificato più avanti nella storia.
Ma in questo angolo autore ci tengo a specificare una cosa: so bene di aver parlato di una tematica molto delicata, quale il suicidio.
So bene che la Voce dice una cosa molto dura, ovvero che è giusto suicidarsi se ci si sente inadatti alla vita.
Ci tengo a precisare che io sono ASSOLUTAMENTE contrario a questa eventualità, e che non vedo ASSOLUTAMENTE il suicidio
come risoluzione ai problemi.
Quindi siete pregati di scindere le parole del personaggio dall'idea dell'autore, che sono totalmente opposte.
Ma se  l'argomento suicidio vi urtasse o, peggio ancora, infrangesse il regolamento di EFP, non fatevi alcuna remora e ditemelo apertamente, così che io possa intervenire e modificare la storia.

Detto questo, vi auguro buona lettura e vi invito a lasciare una recensione, eventualità che, come sapete, mi fa sempre molto piacere.
Brownie Charles
 

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Capitolo 4
*** Capitolo IV - Acedia ***


Acedia

“L’Accidia è la pigrizia che ha rinunciato al piacere del proprio vizio.” [Roberto Gervaso]

 

Noah sedeva sua una scomoda panchina ai margini della larga strada trafficata, fissando il cielo plumbeo che da qualche giorno sovrastava la città di Toronto, promettendo di riversare sulla metropoli canadese un imminente diluvio; un cielo che sembrava in perfetta sintonia col suo umore, che d'altro canto era sempre il medesimo, nonostante tutto quello che gli fosse recentemente capitato: annoiato, disinteressato da ciò che lo circondava, sordo a qualsiasi genere di emozione. Ogni tanto poteva capitare che venisse irritato o destabilizzato da qualcosa, ma non si sforzava mai di mostrarsi infastidito o arrabbiato: aveva sempre ritenuto inutile mostrare anche solo un minimo di personalità, anche per non rischiare di ritrovarsi catapultato al centro dell'attenzione, specialmente se circondato da estranei. Forse era per quel motivo che assolutamente non riusciva a concepire cosa potesse spronare tutte quelle persone che pur di ottenere successo e notorietà si riducevano a caricatura di se stesse. Che gusto c'era nell'interpretare ogni giorno il solito copione? Che a loro piacesse reprimere la propria personalità per assumere una parte, un ruolo che mai e poi mai avrebbe abbandonato lo svenurato che lo aveva accettato?
Non lo sapeva, ma la ricerca della verità non lo interessava minimamente: tutto quel che desiderava era vivere una vita tranquilla, senza preoccupazioni, quasi monotona per certi versi.
Quella era la sua massima aspirazione, ma ora era diventata irraggiungibile.

“Dopo pochi minuti il meccanismo che muoveva la poltrona di Noah si fermò, permettendo alla colonna azzurra di accendersi una seconda volta, rischiarando una stanza ben più piccola di quella in cui si era risvegliato e aveva visto Zoey morire, talmente piccola che poteva vederne le quattro pareti, una delle quali alloggiava una porta grigia, piuttosto malridotta, su cui spiccava un pomello sferico e dorato. Di fronte a lui era stato posizionato un mobiletto di ferro su cui era stata poggiata una rudimentale televisione a tubo catodico, rivestita di un legno tarlato e posticcio.
Questa si accese senza alcun preavviso, mostrando un'immagine molto disturbata che però andò lentamente definendosi: in una stanza molto simile alla sua stava una figura vestita di un saio marrone scuro; la posizione del cappuccio, accuratamente sistemato per coprire il volto dello sconosciuto, e la bianca luce soffusa che permetteva a malapena di distinguerne la figura non permisero, naturalmente, all'indiano di capire con chi avesse a che fare, con ogni probabilità il suo aguzzino.
<< Ciao, Noah. >> esordì la figura quasi amichevolmente, che il ragazzo riconobbe subito essere la famigerata Voce: << Scambierei volentieri qualche convenievole con te, ma temo che potrei annoiarti presto, quindi passo subito ai fatti: se vuoi che la tua insulsa vita venga risparmiata, dovrai fare quel che adesso ti comanderò…inutile ricordare cosa ti accadrebbe se dovessi rifiutarti… >>.”


Mentre rimembrava ogni minimo particolare di quella situazione tanto assurda che ormai si era verificata quasi una settimana prima, un'auto accostò lungo il marciapiede.
Noah deglutì, tocchicchiando nervosamente lo strozzatore, abilmente nascosto dal colletto della sua camicia di flanella azzurra: la Voce aveva premurosamente descritto come mimetizzare il pericoloso indumento permettendole comunque di poter controllare la situazione e, al tempo stesso, non risultare troppo vistosa, soprattutto sul gracile collo di Noah, che non era assolutamente tipo da indossarne uno.
Il finestrino sul lato passeggero, nonostante il freddo pungente, fu completamente abbassato, rivelando l'opulenta figura del guidatore.
<< Ciao, amico Noah! >> esclamò al settimo cielo Owen, aprendo velocemente la portiera per permettere al compare di salire e accomodarsi. L'indiano replicò con un timido sorriso, sedendosi senza troppe cerimonie: il momento era arrivato, e lui avrebbe dovuto agire.

“Il tuo compito è facile: nella tua miserabile vita, fedelmente riprodotta dalle parche figure che hai combinato durante le due edizioni del reality a cui hai partecipato, ti sei fatto un solo amico…oddio, forse amico non è il termine più corretto, dal momento che tu per lui hai provato le stesse sensazioni che hai riservato a tutte le altre persone che hai incontrato nel corso della tua spenta esistenza, ovvero il nulla più assoluto: mai un sorriso, mai un segno di assenso o quant'altro. Forse, se avessi saputo farti conquistare dalla genuinità della tua vittima, non ti ritroveresti in questo sgradevole stato, ma ormai è inutile piangersi addosso. Lui avrà fallito con te, ma te non fallirai con lui: la tua Vittima è Owen…la tua Sfida distruggere in lui qualunque traccia di vitalità…il tuo Obiettivo ridurlo come te.”

Se non avesse saputo la verità che si celava dietro quell'atteggiamento radioso avrebbe potuto tranquillamente affermare che, da quando era terminata la terza stagione del reality, Owen non era per nulla cambiato, constatò Noah mentre il guidatore sfrecciava tra le strade della città, diretto a una meta ben precisa, situata poco fuori la periferia; perché, nonostante tutto, continuava ad essere chiassoso, disordinato, puzzolente ma soprattutto inguaribilmente ottimista, persino in quel momento per lui tanto decisivo.
Aveva ormai preso una decisione irrevocabile, con cui o avrebbe risolto il suo problema o, a malincuore, avrebbe accettato una dura presa di coscienza.
Quel ragazzo così solare, infatti, pareva avere un unico problema, che lui affrontava col solito sorriso bonario stampato in volto, ma che in realtà, come ben sapeva Noah, ogni tanto gli impediva addirittura di dormire la notte, tanto ci pensava e non riusciva a dimenticare: Izzy.
Quella svitata tecnicamente l'aveva mollato in seguito a una botta in testa che l'aveva fatta diventare, seppur momentaneamente, il suo completo opposto: pratica e cinica, talmente cinica da mollare su due piedi il povero Owen. Il biondo l'aveva presa talmente male che per giorni interi aveva pianto quella perdita sulla spalla del povero Noah, l'unico che non si era scansato dal sorreggere l'enorme peso del ragazzo, semplicemente perché non ne aveva voglia.
Anche dopo il reality i due non si erano mai chiariti, sebbene lei fosse tornata normale (mai Noah avrebbe pensato di poter usare quell'aggettivo per descrivere proprio Izzy), e il motivo era che Owen temeva di essere rifiutato di nuovo.
Perché, in fondo, Owen era molto insicuro, specialmente dopo aver scoperto che la sua innata simpatia era stata tanto invisa ad Alejandro, che pure credeva suo amico, nonché a molti altri concorrenti e soprattutto a Chris McLean, che infatti non l'aveva invitato a far parte del cast di All Stars; proprio lui, il vincitore della prima, epica stagione.
Per settimane Owen si era chiuso in se stesso, aveva perso la sua proverbiale lena, rifugiandosi nelle porcherie che spacciava per cibo: era ingrassato e questa non era una novità, accertò Noah, che però se n'era accorto da tempo, l'unico a farlo, e che tuttavia mai aveva provato ad avvertirlo, ma di questa sua mancanza non si era mai rimproverato, neanche in quel frangente.
<< Secondo te ho qualche possibilità, Noah? >> domandò Owen dopo diversi minuti di viaggio, mentre sterzava bruscamente, al fine di prendere una stretta strada sterrata che si inerpicava lungo il fianco di una montagnola, costeggiata da un fitto bosco di sempreverdi.
<< Non lo so. >> si limitò a replicare l'altro, senza alcuna intenzione né di aprire una conversazione, né di sorreggere la testa, che teneva appoggiata alla mano destra, chiusa a pungo.
<< Spero tanto di sì…Izzy è davvero una persona eccezionale, oltre che bellissima…penso che sia l'unica che mi capisca veramente…oh, a parte te, ovviamente. >> disse Owen, sperando di aver rimediato al suo precedente errore e non aver offeso colui che riteneva essere il suo migliore amico.
<< Ne parliamo dopo…ora concentrati sulla guida. >> fu tutto quello che rispose Noah: quella strada era molto pericolosa, frastagliata com'era da grosse radici e pietre aguzze.
<< Meno male che ci sei tu con me! >> sospirò allegro Owen mentre si concentrava di più sulla guida della sua utilitaria tutta scassata.
Quella frase, unita alla paradossale situazione che lo stava vedendo protagonista, diede a Noah l'ingrato compito di riflettere: davvero contava così tanto per il biondo? Non ci aveva mai pensato, limitandosi a lasciare che ogni evento vissuto in sua compagnia gli scorresse addosso senza lasciare in lui la minima traccia di cambiamento.
Ma Owen pareva non essersene mai accorto: a lui bastava la sola presenza dell'indiano per essere felice. Un'improvvisa fitta gli attanagliò il cuore: fu così che Noah provò per la prima volta la vergogna.
L'agonia del viaggio perdurò ancora una decina di minuti, quindi i due giunsero di fronte a un piccolo piazzale in ghiaia che dava su un vecchio rudere fatiscente e apparentemente abbandonato, attanagliato da liane e rampicanti di ogni forma e lunghezza: la casa perfetta, per una come Izzy.
I due scesero dal catorcio, facendogli raschiare il fondo già malandato sul terreno, quindi Owen si avvicinò alla porta principale.
<< V-vado? >> domandò insicuro, ricevendo in risposta un appena percettibile accenno del capo dell'indiano.
Respirò profondamente un paio di volte, quindi suonò il campanello, dal quale scaturì un'inquietante quanto folle risata, del tutto identica a quella prodotta da Izzy quando azionava un esplosivo.
Owen fece un passo indietro, voltandosi spaventato verso Noah, il quale non reagì per nulla. Il biondo, credendo di vedere un'espressione tra l'arrabbiato e il deluso sul volto dell'amico, cercò di ricomporsi velocemente.
Poco dopo la portà si aprì cigolando, e apparve la figura della rossa in biancheria intima, sorridente.
A quella celestiale vista Owen non seppe tenere a freno la propria sorpresa, fissando ebete il fisico perfetto della sua ex.
Fu Noah a riportarlo sulla Terra, schioccandogli le dita di fronte al naso, mentre Izzy rideva sotto i baffi, divertita.
Owen sbattè qualche volta le palpebre, quindi, capita la situazione, iniziò incerto a parlare, non distogliendo lo sguardo dal pianerottolo per paura di bloccarsi una seconda volta: << Izzy, sono venuto qui perché…perché volevo parlarti e…ecco…tu mi manchi molto, senza di te non posso vivere felice, come prima…quindi mi chiedevo se…se…beh…se volessi tornare insieme a me. >> concluse tra un balbettio e l'altro.
La ragazza non parve troppo sorpresa da quell'affermazione; in fondo un po' se l'aspettava. Un velo di tristezza trasparì dai suoi occhi verdi. Per la prima volta i due la vedevano assumere un'espressione tanto intensa, così lontana da quella solita di Izzy. E l'altro avvertì come un nodo alla gola che si stringeva sempre più: fu così che Noah scoprì la preoccupazione.
<< Owen…tu sei molto caro con me, e a te ci tengo molto, ma…non so cosa provare ora, e non me la sento di darti false illusioni, false speranze. >> rispose lapidaria lei.
Le labbra di Owen si piegarono in un broncio disperato, mentre le prime lacrime già inumidivano i suoi piccoli occhi, ridotte a fessure: vedeva ogni sua speranza sgretolarsi senza rimedio, la sua vita andata per sempre.
Noah avrebbe avuto tutti i motivi per festeggiare per quella risoluzione; era stata Izzy a fare il lavoro sporco, lasciando a lui l'ingrato compito di assestare il colpo finale: distruggere Owen e aver salva la vita.
Ma qualcosa lo bloccava, qualcosa di nuovo, che gli dava forti scariche di adrenalina lungo le braccia e le gambe, di cui faticava a contenerne i fremiti: fu così che Noah capì cosa fosse la rabbia.
Nel mentre Owen si confessava il giovane aveva avuto una sua personale epifania, rivivendo tutti i momenti passati in compagnia del ragazzo e della ragazza. Sebbene lui non se ne fosse accorto allora i due gli avevano donato una parte di loro, senza nulla chiedere in cambio se non la pazienza di sopportarli, e facendogli vivere momenti indimenticabili.
Quasi senza accorgersene Noah scattò in avanti, frapponendosi tra i due: << Izzy, aspetta…ascolta…non so perché hai detto quel che hai detto, avrai sicuramente avuto le tue ragione, ma lascia che ti dica una cosa: se ora chiudi la porta, perderai per sempre la miglior persona che tu abbia mai avuto la fortuna di incontrare: Owen è allegro, a suo modo dolce, fedele e soprattutto ti capisce, meglio di chiunque altro! Guarda dentro di te, Izzy, solo così ricorderai cosa provi per lui! In fondo l'hai già amato una volta, perché non una seconda? >> spiegò, mentre univa le morbide mani della rossa a quelle grasse e sudaticcie del biondo.
I due si fissarono per qualche attimo, poi, ricordando all'unisono i fantastici momenti vissuti l'uno accanto all'altra, ridussero la distanza che li separava e infine, travolti dalla passione, si unirono nel più appassionato bacio che si fossero mai scambiati, sotto lo sguardo soddisfatto di Noah, il quale gonfiava il petto e assumeva una posa baldanzosa: fu così che Noah concepì l'orgoglio.
Lasciò ai suoi amici tutto il tempo che necessitassero, godendo anche lui della loro nuova felicità.
Izzy invitò i due a cenare da lei, visto che il sole, che era riuscito faticosamente a ritagliarsi uno spazio tra le grigi nubi, stava per calare al di là dei monti che contornavano Toronto, ricevendo risposta affermativa da entrambi.
Passarono la serata a mangiare, giocare e ricordare i bei momenti della terza stagione di A Tutto Reality, che aveva avuto il merito, a detta di Owen, di unirli in un'amicizia sincera e inscalfibile.
Anche Noah si divertì molto, esperienza questa totalmente nuova per lui.
Arrivò la notte, e le dodici erano scoccate già da un pezzo quando finalmente i due si congedarono da Izzy, Owen con un bacio a stampo e Noah con un lungo abbraccio affettuoso.
Il viaggio di ritorno fu assai meno teso di quello che lo aveva preceduto, e il duo lo passò scherzando e parlando del più e del meno.
Per Noah fu un altro momento magico, talmente da risurtargli fin troppo breve, come appurò per niente entusiasta quando Owen accostò di fronte alla palazzina dove abitava.
Il giovane fece per scendere dalla macchina e avviarsi verso casa, quando Owen lo bloccò, tenendolo per il braccio: << Noah…grazie…sei il mio migliore amico! >> confessò il biondo con gli occhi lucidi.
<< Anche tu per me. >> replicò l'altro, mentre la vista gli veniva offuscata leggermente da piccole lacrime salate: fu così che Noah conobbe la commozione.
Aspettò che l'auto di Owen si fosse dileguata dalla sua vista, quindi aprì il portone, salì lentamente le scale fino al quarto piano e infine aprì la porta del suo piccolo appartamento.
Dentro, rivolta verso una finestra che dava sulla caotica città illuminata quasi a giorno da centinaia di lampioni, posta sulla parete opposta alla porta d'ingresso, stava una figura incappucciata vestita di un saio marrone.
Noah rimase inizialmente interdetto da quell'inaspettata presenza, ma subito dopo pensò che tutto ciò era inevitabile e che anzi era stato carino da parte sua venirlo a trovare prima della fine.
<< Che delusione Noah, a quale stomachevole spettacolo mi hai costretto ad assistere! >> esordì la figura: aveva una voce gutturale, quasi malvagia << Avevo riposto molta fiducia in te, e invece… >> lasciò a mezzo la frase, quasi fosse troppo amareggiata per continuare.
<< Avanti, falla finita. >> lo incitò Noah, che si era già stancato di quella circostanza, di quella figura misteriosa, di quella misera vita che aveva iniziato ad assaporare solo da qualche ora e che doveva già abbandonare.
<< Come vuoi. >> replicò la figura voltandosi lentamente e scostando il cappuccio dall'estemità della sua testa, mostrando le reali fattezze del suo viso.
A Noah parve di riconobbere il suo assassino, ma non riuscì a dir niente: la figura premette una specie di telecomando che teneva nella mano sinistra, facendo detonare l'esplosivo contenuto nello strozzatore.
La vita di Noah finiva così, ma a lui poco importò: nella sua mente aveva ancora le splendide immagini vissute assieme ai suoi amici Owen e Izzy quella sera.
Sentì le labbra incurvarsi in un sorriso soddisfatto, mentre il cuore pulsava forte e il suo corpo si rilassava.


Fu così che Noah finalmente sperimentò la felicità.

Angolo Autore
Eccoci finalmente di nuovo insieme, col primo capitolo che parla di uno dei nostri sette peccatori: Acedia è il titolo, ovvero Accidia.
Una valida occasione per esplorare una delle coppie più strane tra la moltitudine proposta dal reality, ovvero la IzzyXOwen.
Happy ending per loro, il che però significa morte per Noah: il primo peccatore fallisce il suo compito, per mostravi che sì, alcuni falliranno; ma no, non tutti.
Spero piaccia il ritorno delle citazioni a inizio capitolo, prassi che, come chi mi segue da tempo saprà, ho già sperimentato in "Total Drama A-Z".
Le citazioni ci saranno nei capitoli che racconteranno le peripezie dei nostri sette peccatori (come questo). Spero vi piaccia questa idea! :)
Sto notando che questa storia sta man mano piacendo sempre più a molti di voi: ciò mi riempie il cuore di gioia e d'orgoglio e mi spinge a proseguire!
Spero continuerete a seguirmi, a dirmi le vostre impressioni e le vostre idee, sia da chi ancora non si è fatto sentire (mi farebbe tanto piacere sapere cosa ne pensate),
sia da chi invece si è già fatto sentire più volte (e di questo vi ringrazio di cuore!).
A presto,
Brownie Charles

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