Absentia

di CHAOSevangeline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Parte prima ***
Capitolo 2: *** Parte seconda ***



Capitolo 1
*** Parte prima ***


Salve a tutti!
Prima di lasciarvi alla fanfiction vorrei ribadire che la storia partecipa al 1° contest Yuri on Ice - Italia Alternative Universe con il seguente prompt: “Yuri subisce un forte trauma nella sua vita e comincia ad andare da uno psicologo per superare la cosa”.
Essendo il contest esclusivamente per le AU, le storie dei personaggi saranno ovviamente diverse da quelle dell'anime.
L'avvertimento "tematiche delicate" mi sembrava opportuno considerando appunto i temi, che ho cercato di trattare nel modo più accurato possibile.
La storia è divisa in due parti, questa e una successiva, che pubblicherò o domani o lunedì.
Spero davvero che questa storia vi possa piacere e che vi vada di dirmi che cosa ne pensate.
Senza ulteriori indugi vi lascio alla lettura!



Absentia



I.


L’ufficio della dottoressa Mila Babicheva era la stanza che meno gli piaceva dell’intera struttura.
Conosceva solo l’ariosa area di accettazione e qualche ambulatorio, in realtà, e i corridoi per raggiungere ognuna di quelle stanze che sapevano un po’ tutti di ospedale. Ma in fin dei conti questo era, l’edificio: una clinica psichiatrica.
Quello studio però era davvero cupo, opprimente: la moquette era scura, così come lo erano i mobili e tutte le librerie, che soffocavano le pareti sembrando pesanti per il legno di mogano di cui erano fatte e la quantità di tomi enormi a colmare gli scaffali.
A Yuri non dispiaceva spendere quell’ora scarsa quasi ogni giorno per parlare con Mila: gli faceva bene. Non lo disturbava nemmeno la strada che quotidianamente era costretto a percorrere da casa propria fino alla clinica dove lo studio della sua dottoressa si trovava; voleva dire che almeno non vi era ricoverato.
« Buongiorno, Yuri », lo accolse Mila, sorridendo. « Prego, accomodati. »
Yuri era già sull’uscio della porta, su cui aveva bussato nel vederla socchiusa.
Quella donna era decisamente troppo radiosa per un ufficio simile. Le onde rosse che le incorniciavano il viso sfioravano le spalle coperte da un dolcevita celeste. Nessun camicie, rigorosamente appeso all’attaccapanni nell’angolo: Mila gli aveva confessato di odiarlo, che era già tanto se si ricordava di appuntare alla cintura il tesserino di riconoscimento mentre si muoveva per la clinica.
Quando la sua situazione sarebbe migliorata, Yuri non escludeva che le avrebbe chiesto di vedersi ancora: magari le avrebbe offerto una cena per l’aiuto che gli aveva dato, pur essendo un indennizzo minimo, e magari avrebbero chiacchierato di qualcosa che non fossero i suoi problemi. Mila era una donna in gamba, gli piaceva il suo modo di ragionare e c’era da aspettarsi che fosse così: se Yuri si stava facendo assistere proprio da lei era perché Viktor la conosceva.
Già, Viktor.
« Buongiorno, Mila », la salutò di rimando mentre si sedeva su una delle poltroncine di fronte alla scrivania.
Mila gli aveva tassativamente vietato le formalità: niente lei, niente “dottoressa”.
Yuri le rispose con il sorriso più sincero che poté, ma il pensiero appena sorto di Viktor non lo aiutò affatto. Avrebbe davvero voluto riuscire a sorriderle con sincerità, ma era maledettamente difficile.
Non era la prima volta che lo pensava: era da tutto il giorno che si tormentava con la sua immagine.
Subito le sopracciglia sottili della donna si aggrottarono in un’espressione che più del falso interesse di un medico parevano la manifestazione più sincera della preoccupazione di un’amica.
« Come stai oggi? Ti vedo… giù di morale. »
Marcò quelle ultime parole dopo averle scelte con cura, perché dubitava che chiunque avesse necessità di recarsi in un luogo come quello potesse essere raggiante e sereno come lo sarebbe se non ne avesse avuto bisogno. Yuri era solo più giù di morale del solito e con “del solito” intendeva gli ultimi tre giorni di sedute.
Yuri sembrò quasi felice di quella constatazione, come se trovasse incredibile e troppo poco scontato che qualcuno tenesse a lui abbastanza da informarsi circa il suo umore.
Alzò le spalle.
« Sto bene », la rassicurò. « Mi manca Viktor. Speravo davvero che in questi giorni arrivasse almeno una sua telefonata, se non una visita, ma mi sbagliavo. Forse però è meglio così. »
Mila annuì silenziosamente, un’espressione stoica che non abbandonava il suo viso.
« Ho pensato che forse si è trattata di un’idea di Phichit. Credo che Viktor starebbe male vedendomi mentre non sono al massimo, quindi forse è meglio se… uhm, lui non c’è », spiegò, titubante.
Non voleva essere egoista. Non doveva. Aveva un bisogno disperato di Viktor, ma non poteva piangersi addosso.
La donna sorrise nel sentire Yuri parlare. Erano trascorsi solo pochi giorni dall’inizio dei loro incontri, ma il giapponese si era davvero lasciato andare molto: alla sua prima seduta Mila non era riuscita a cavargli fuori che poche parole, ora invece si apriva di propria spontanea volontà.
« Non hai nulla di cui vergognarti, Yuri », lo rassicurò lei. « Anzi, essere venuto qui appena ti sei accorto che c’era un problema ti fa onore. Potrai risolvere tutto molto più in fretta, in questo modo. »
Non si espresse su Viktor per non costringere Yuri a rimuginare troppo sulle possibili cause della sua assenza e il giapponese le rispose con un piccolo cenno del capo.
Non era mai stata una persona troppo fiduciosa in se stessa. Quando si era reso conto che avrebbe dovuto affrontare un problema tanto importante da costringerlo a richiedere l’aiuto di una specialista come Mila, Yuri si era convinto che non sarebbe arrivato da nessuna parte e il panico l’aveva assalito.
Aveva riscoperto una strana determinazione in sé, però: voleva stare meglio. Per la sua famiglia, per i suoi amici, per sé. Per Viktor.
« Lo spero davvero. »
Gli incontri con Mila non erano nulla di speciale: il più delle volte la donna gli forniva un argomento e lo lasciava parlare a ruota libera, spesso senza nemmeno interromperlo; diceva che qualsiasi cosa uscisse dalla sua bocca era importante per il loro scopo. Certo, anche ciò che non rivelava spontaneamente poteva esserlo, ma Mila lo aveva rassicurato dicendo che sarebbe stata lei ad insistere, se necessario.
Yuri temeva di poter essere il più grande ostacolo per se stesso.
Sul punto di cominciare a parlare, Mila si accorse che gli occhi di Yuri erano puntati sul vaso di fiori sistemati su una delle mensole più basse della libreria. Un tocco di colore che a Yuri non sarebbe dovuto dispiacere troppo, considerando l’atmosfera cupa dell’ufficio.
« Yuri? Che cosa c’è? » domandò Mila, seguendo il suo sguardo. « Non ti piacciono i fiori? »
Yuri si bloccò, rendendosi conto che la sua risposta a quella domanda sarebbe stata piuttosto diversa dal pensiero comune della massa.
« In realtà no. Non mi sono mai piaciuti », rispose con un sorriso di scuse appena accennato sulle labbra.
La donna parve farsi interessata a quel dettaglio.
« Questo tipo in particolare? O è colpa di qualche allergia? »
« In generale. Non mi piacciono né questi, né nessun altro tipo di fiore. È più forte di me. »
Mila avrebbe voluto indagare oltre, ma Yuri sembrava di diverso avviso.
« Di che cosa devo parlare oggi? »
Gli concesse di cambiare discorso solo perché c’era qualche argomento più interessante a cui dedicarsi.
Il lampo che saettò negli occhi cerulei di Mila, a Yuri non piacque affatto.
Subito pensò alla premessa che la donna si era premurata di sottolineare quando avevano iniziato a incontrarsi: gli aveva detto che prima o poi avrebbe dovuto parlare di questioni capaci di provocargli dispiacere, di trascorsi che avrebbero anche potuto ferirlo. Aveva detto che era uno sforzo che doveva compiere, se voleva uscirne.
Da qualsiasi cosa dovesse uscire, mancando ancora una qualsiasi diagnosi.
« So che forse non ti farà piacere, non proprio oggi almeno, ma ti andrebbe di parlarmi di Viktor? »
Con quella introduzione si sarebbe aspettato una richiesta di gran lunga peggiore. Le sorrise.
« Perché mi dovrebbe infastidire? » domandò Yuri, tranquillo, senza aspettarsi una vera risposta.
Non era arrabbiato con Viktor per la sua assenza e dopotutto parlare di lui lo avrebbe aiutato a lenire almeno in parte la nostalgia che provava nel non averlo accanto.
« Devo raccontarti qualcosa in particolare? »
« Magari di come vi siete conosciuti? Cosa ti ha colpito di lui… quello che ti viene in mente. »
Mila non si aspettava di scoprirlo tanto condiscendente, ma Yuri sembrava non essere mai stato così tanto a proprio agio.

*

Un anno prima

« Yuri, moye sokrovishche1, ricordati di respirare per l’amor del cielo: sei blu. »
Yuri era nel panico. Era nel panico perché era nel panico, perché si era dimenticato come si respirasse e perché non metteva una cravatta dal matrimonio della sua amica Yuuko, che gli aveva chiesto di farle da testimone e per cui era appositamente tornato in Giappone. Quella richiesta terrorizzato proprio come lo era in quel momento. Aveva anche dovuto fare un discorso.
Ma era stato anni prima, perciò non sapeva più come occuparsi di qualcosa di simile.
Non se doveva al contempo gestire anche la presenza di Viktor Nikiforov, l’uomo da qualche miliardo di dollari – non ricordava più quanti erano, ma erano tanti – che gli continuava a sistemare proprio il nodo alla cravatta e il bavero della giacca. Soprattutto se doveva gestire anche lui.
Quasi tutte le volte che si trovava in una stanza da solo con Viktor, Yuri era a proprio agio. Per fortuna, dato che stavano insieme da ormai due mesi. Per i primi tempi era stato difficile, però: ogni tanto si svegliava la mattina, accanto a Viktor, e si rendeva conto che in confronto a lui era una nullità. Almeno per l’opinione pubblica.
Gli sembrava di aver derubato il mondo di quel patrimonio russo da molti miliardi di dollari, pensiero che lo scocciava soprattutto perché aveva capito fin da subito che il valore di Viktor andava ben oltre quella cifra a più zeri di quanti ne avesse mai avuti il suo conto in banca.
Però Viktor rimaneva comunque il bellissimo, giovane e brillante – aveva già detto bellissimo? – direttore della Nikiforov & Co. e lui un qualunque sbarbatello dell’ufficio di marketing che aveva superato il colloquio di lavoro solo dopo averlo simulato almeno un centinaio di volte con Phichit Chulanont, il suo coinquilino.
La sua mansione era realizzare le stupende – si chiedeva come venissero approvate – idee dei suoi colleghi più fantasiosi e prestigiosi, che ottenevano i propri quindici minuti di gloria e si ritenevano in diritto di starsene ad urlacchiargli da sopra lo schermo del suo computer che non aveva capito nulla del progetto, che lo stava rovinando. Lui stava solamente cercando di salvare il salvabile, di non far sembrare l’animale stilizzato e non meglio identificato per il manifesto dell’azienda per l’ecosostenibile un qualcosa che avrebbe potuto spaventare i bambini che ogni tanto andavano in gita lì.
Era Viktor l’ultima persona che poteva esprimersi circa qualsiasi proposta, a prescindere dal settore da cui arrivava. Era un uomo di buon gusto e quella specie di aborto del mondo animale non era qualcosa che avrebbe accettato. A sua discolpa in quel periodo era in viaggio in Russia, per diletto o forse no, perciò ogni sua decisione era stata delegata a Christophe Giacometti. Che aveva nel proprio ufficio unicamente esempi di arte astratta, cosa che motivava l’approvazione dell’obbrobrio.
Poi Viktor era tornato e si era ritrovato quella spaventosa creatura ad accoglierlo, subito oltre le porte a vetri dell’ingresso. Così aveva deciso prima di tutto che non avrebbe più affidato un compito simile a Christophe, per quanto fosse suo amico, e in secondo luogo che sarebbe stato meglio fare un giro al piano dell’ufficio marketing per capire cosa diavolo stesse accadendo.
Dopo aver sottoposto la creatrice della bestia ad un test psicologico per scoprire se avesse subito dei traumi, Viktor si era presentato alla postazione di Yuri. A sorpresa, in realtà, perché il giapponese non era stato avvisato e quando si era accorto della presenza di qualcuno oltre il proprio pc aveva subito creduto che si trattasse del suo omonimo nonché ragazzino da qualche altro miliardo di dollari, Yuri Plisetsky. Il giovane aveva con Viktor un legame di parentela non meglio identificato e sembrava il suo legittimo erede a… qualsiasi cosa fosse in suo possesso.
Peccato che a Viktor non importassero affatto gli stereotipi e lo avesse messo a lavorare allo stesso piano di Yuri, come supervisore. Lui aveva votato sicuramente no al terribile panda della pubblicità, perché tutte le volte che vedeva Yuri lavorarci ringhiava qualche insulto sommesso.
Quindi Yuri si era sorpreso molto nel realizzare che la presenza stabilitasi di fronte alla sua postazione l’avesse fatto senza iniziare a sbraitare che dovevano rispettare delle scadenze o qualche battuta un po’ razzista sui cestini del pranzo tipicamente giapponesi che si preparava per sopravvivere alla giornata e alla nostalgia di casa. Viveva a New York da anni, grazie alla borsa di studio che lo aveva strappato al Giappone, ma era ancora come se non ci si fosse abituato.
Beh, almeno da quando lui e Viktor si erano messi insieme le cose con Yura erano migliorate; in un paio di occasioni gli aveva anche sorriso ed erano riusciti a scambiare delle battute che non prevedevano che lui venisse brutalmente denigrato con qualche soprannome poco piacevole.
Ma tornando a Viktor; si era piazzato con molta nonchalance di fronte al suo computer e come se nulla fosse aveva allungato una mano e sfilato un sottile plico di fogli graffettati insieme da sotto il gomito di Yuri.
Era stato in quel momento che il giapponese aveva capito che quella presenza ce l’aveva davvero con lui.
« Oh, interessante… » aveva sentito dire.
Si stava ancora riprendendo dall’infarto dovuto ad aver visto quel braccio fasciato da un impeccabile completo nero comparire nel suo campo visivo e rubargli le sue cose, quando aveva realizzato chi ci fosse davanti a lui.
Viktor Nikiforov era una sorta di creatura mitologica perché tutti lo conoscevano, lo incrociavano in ascensore, ma nessuno aveva davvero occasione di parlarci. Non le persone come Yuri, almeno.
Il giapponese aveva riconosciuto subito il foglio che Viktor aveva preso: era l’abbozzo di un progetto per una nuova campagna pubblicitaria. Non era urgente; quando Yura aveva annunciato la necessità di qualche idea aveva anche detto che c’erano un paio di mesi per metterla a punto prima della presentazione e Yuri aveva voluto tentare, anche se perfettamente conscio che non avrebbe mai avuto il coraggio di esporla. Phichit escluso: gliene aveva parlato durante un pranzo, trovandolo anche alquanto entusiasta.
Yuri si era alzato in piedi senza nemmeno accorgersene, provando ad aprire la bocca in un paio di occasioni per parlare.
« Mi piace », aveva continuato Viktor, porgendogli il plico. « Voglio che la presenti, quando ci sarà la riunione, ma ci sono dei punti da migliorare. Vieni nel mio ufficio prima di tornare a casa, ti mostro cosa aggiustare e… »
Yuri era ancora immobile, gli occhi sgranati e le ciglia che sbattevano ritmicamente, come se ancora stesse mettendo a fuoco il suo interlocutore.
« Sempre che tu ti riprenda per quell’ora. »
A quel punto Yuri capì che aveva fatto la propria solita figuraccia e che poteva anche riscuotersi.
« Certo, signore! Lo farò, signore! »
« Non siamo nell’esercito, rilassati. »
Viktor aveva riso, proprio come tutti erano soliti fare per via del suo essere talvolta maldestro o fin troppo timido. Però quello sbuffo di risata era stato diverso e Yuri giurò addirittura di avergli sentito bofonchiare che fosse carino, dietro un colpo di tosse celato da una mano.
« Allora ti aspetto più tardi…? »
Non si era presentato.
« Katsuki Yuri, signore. »
Ricordava ancora il batticuore di quando era andato da Viktor la prima volta, al lussuoso ultimo piano del grattacielo, dove aveva trovato anche l’altro Yuri.
Andare da Viktor dopo il lavoro era diventata una routine e gradualmente raggiungerlo si era fatto meno spaventoso.
Parlavano del lavoro, del progetto e un po’ di loro, alle volte.. Viktor lo rimproverava spesso, non si faceva scrupolo e la sera in cui Yuri si era mostrato troppo ferito, allora il russo gli aveva offerto una cena in un ristorante di lusso per farsi perdonare.
Era stata un’esperienza che avevano ripetuto, anche se quando Yuri si era imposto per offrire lo aveva dovuto portare in una pizzeria dove lui e Phichit andavano sempre. Yuri se ne era vergognato un po’, ma Viktor era sembrato ugualmente felice.
Quando il progetto era ormai giunto agli sgoccioli e finire tardi di lavorare non più un pretesto per vedersi, allora erano cominciati i loro appuntamenti, tra orari e luoghi scritti su bigliettini che si scambiavano clandestinamente quando facevano in modo di incontrarsi in ascensore.
Viktor aveva pensato bene di baciarlo alla fine del primo appuntamento e a Yuri non era affato dispiaciuto.
Si erano dichiarati in fretta, si erano messi insieme in fretta, ma contava solo che per loro fosse il momento giusto.
« Ti è mai capitato di svenire con gli occhi aperti? Perché credo che tu l’abbia appena fatto. »
La voce di Viktor lo riportò alla realtà.
« Credo che mi sia appena passata tutta la mia vita davanti », sussurrò Yuri, scuotendo la testa per scacciare ogni pensiero.
Non avevano gestito la propria relazione in gran segreto, ma volevano che quel lavoro venisse approvato nella maniera più ortodossa possibile, perché nessuno potesse muovere critiche. Nessun favoritismo: solo Yuri che si meritava quell’approvazione.
« Li conquisterai, ne sono sicuro. »
« Anche se due persone su cinque mi odiano? »
Yura – che aveva chiamato così solo una volta rischiando un pugno – e Christophe, il migliore amico di Viktor, lo odiavano.
Non poteva andare bene.
Viktor si fece più serio.
« Non ti odiano, Yuri », lo rimproverò, prendendogli il viso tra le mani. « E poi abbiamo provato un sacco: sai cosa devi dire e come lo devi dire. Andrà bene. »
« Eravamo in camera dopo la doccia e tu ti sei distratto un sacco. »
« Non mi sono distratto, ti stavo premiando perché sei stato bravissimo! »
La naturalezza con cui Viktor era in grado di smontare ogni sua affermazione lo spiazzava continuamente, ma Yuri aveva concluso di doversene fare semplicemente una ragione.
Non riuscì nemmeno ad arrossire.
Viktor gli prese il viso tra le mani, fronteggiando lo sguardo preoccupato del giapponese. Era come se si fosse reso conto che era stato troppo scherzoso perché Yuri potesse effettivamente credere alle sue parole di incentivo.
« Andrà bene », ripeté, prima di dargli un bacio sulle labbra. « Lo farai andare bene. Quindi togliti quell’espressione dalla faccia e non essere così preoccupato. »
Yuri aveva la capacità di credere a Viktor qualsiasi cosa gli dicesse, o forse era la capacità di Viktor di farsi credere a renderlo possibile.
Se non avesse avuto le dita intrecciate con le sue nel percorso dal suo ufficio all’ascensore e poi da lì alla sala riunioni non ce l’avrebbe fatta. Sapeva che sarebbe scappato.
Per rendere tutto più regolare, Viktor aveva atteso fuori, perché a certi incontri lui non partecipava mai.
Quindi Yuri aveva dovuto gestire lo sguardo di Yura, le domande di Christophe e il semplice dover mettere insieme un discorso di senso compiuto tutto da solo.
Quando Viktor aveva visto Yuri uscire con l’espressione cadaverica di chi aveva appena perso si era seriamente preoccupato di aver sbagliato tutto, di avergli dato delle false sicurezze.
« Yuri, com’è andata? » aveva chiesto ugualmente.
Yuri lo aveva fissato, mordicchiandosi il labbro.
Un sospiro, poi silenzio.
« Approvata. »
Yuri giurava di averlo sentito imprecare in russo, prima di turbare la quiete del corridoio afferrandolo e facendogli fare un giro. Quando lo aveva rimesso con i piedi per terra, Viktor lo aveva baciato con passione.
C’era chi definiva Viktor avido, freddo, scostante, uno squalo capace di valutare solo il proprio tornaconto negli affari.
Con quel sorriso raggiante sul viso e le braccia strette intorno ai fianchi di Yuri, però, avrebbe potuto demolire ogni pregiudizio delle persone in un soffio.

*

« Sai, pensavo che avresti evitato tutti i dettagli da romanzo rosa, Yuri. »
C’erano dei momenti in cui le sedute di Yuri e Mila assumevano un tratto quasi esilarante, diventando dei siparietti del tutto adatti ad una qualche serie televisiva che riguardava la complessa vita di qualche giovane in carriera.
A Yuri non dispiaceva: gli permetteva di abbattere il muro tra paziente e medico, secondo cui Mila sarebbe dovuta essere una donna rigida con il solo dovere di ascoltare i suoi problemi, chiedendogli unicamente ciò che era strettamente legato alla sua condizione.
Così più che ad un dottore sembrava di parlare ad un’amica.
Le guance del giapponese presero colore di colpo.
Yuri era alquanto empatico e sensibile, era impossibile non notarlo; mentre raccontava un qualsiasi ricordo sembrava costantemente scosso dagli stessi sentimenti che doveva aver provato nel momento che stava rivivendo. Mentre parlava di Viktor traspariva tutto l’amore che nutriva nei suoi confronti e anche se al solo racconto di un bacio la sua voce tremava, quasi facendolo balbettare, era chiaro che più che l’imbarazzo, l’unica colpevole fosse l’emozione che sentiva nel rievocarlo. La stessa emozione di quando Viktor lo baciava.
« È che mi è venuto spontaneo! Anche se forse non era strettamente necessario… »
Durante le loro prime sedute avevano parlato quasi solo ed esclusivamente di avvenimenti accaduti negli ultimi giorni.
Parlare un po’ di Viktor, la luce della sua vita, lo aveva rincuorato. Almeno così facendo si era distratto dal pensiero del proprio incidente.
Nessuna storia particolarmente avventurosa da raccontare: stava camminando per strada e lentamente i suoi sensi avevano iniziato ad annebbiarsi, le sue gambe non l’avevano retto ed era caduto a terra, provocando la preoccupazione non solo di Phichit, ma anche di Yura.
Non era stato nulla di grave, forse un calo di zuccheri o l’eccessivo stress dovuto al lavoro.
Il vero problema era quanto successo dopo.
« Se te la sentivi di dirmelo va più che bene. Non devi parlarmi solo di cose negative o estremamente deprimenti, sai? » gli fece presente la donna prima di sorridere appena.
Mila non aveva cambiato espressione mentre lo ascoltava, anche se Yuri probabilmente non se ne sarebbe comunque accorto: la guardava di rado, spesso concentrandosi su qualche difetto del legno della scrivania o su altri minuscoli dettagli della stanza. Gli risultava più facile parlare senza un contatto visivo, per quanto Mila lo cercasse.
« Yuri e Christophe hanno votato per te, alla fine? »
« Sì, entrambi », rispose Yuri, annuendo. « Non me l’aspettavo davvero, ma Viktor aveva ragione. Come sempre. »
Il russo non aveva la tendenza a rimarcare quanto il suo sesto senso riuscisse a centrare il bersaglio con costanza disarmante, si limitava ad esserne consapevole e a sfruttare senza troppe remore quella propria capacità di previsione. Nel caso di Yuri lo faceva per rassicurarlo.
« Christophe lo conosco poco, ci avrò parlato sì e no in un paio di occasioni perché è venuto a bere qualcosa con me e Viktor », cominciò Mila. Decisamente non era una premessa che un normale psicologo avrebbe fatto ad un paziente. « Ma credo che Yuri ti stimi, sai? E anche parecchio. Sia mai che lui te lo dica, però. »
Ogni tanto il giapponese aveva riflettuto su quella possibilità, sul fatto che se Yura era stato tanto scostante nei suoi confronti – anche a distanza di quasi un anno dall’inizio della sua relazione con Viktor – forse era perché si sentiva minacciato dalla sua presenza.
Lo aveva suggerito Viktor, in realtà.
“Non fare caso a Yura, ci farà l’abitudine. Anzi, forse gli farà addirittura bene imparare che può rapportarsi con una persona senza impazzire all’idea che gli porti via qualcuno o il posto in qualcosa.”
Peccato che quella condizione per Yuri fosse vessante, dato che all’inizio della loro relazione era corrisposta una pessima reazione del suo omonimo, che lo aveva evitato come la peste per poi tornare alla carica ogni qualvolta il suo umore lo esigeva.
Ancora non gli sembrava possibile che in quel periodo stesse alloggiando a casa sua per tenerlo sotto controllo.
« Credo fosse vero qualche tempo fa, Mila. Forse », rispose. « Non credo che Yuri mi stimi più di tanto, ora come ora. »
La rossa alzò un sopracciglio, muovendo la penna che teneva fra indice e medio.
« Per quello che mi hai accennato? Quando avete deciso che fosse meglio che vedessi qualcuno? »
Yuri annuì.
Era da qualche tempo che aveva una strana sensazione che lo rendeva nervoso. Non ne aveva voluto parlare con nessuno, convinto di poterla gestire da solo per non dare ad altri ulteriori preoccupazioni. Eppure era costantemente agitato, preoccupato per qualcosa che non riusciva a focalizzare.
Era sempre stato soggetto ad agitarsi, ma non senza motivo. Perdere il controllo come gli era successo aveva fatto scattare un campanello d’allarme dentro di lui, convincendolo che qualcosa non andava davvero.
« So qualcosa della versione di Yuri, potresti raccontarmi la tua? »

*

Qualche giorno prima

Il suo appartamento era vuoto.
Non letteralmente, non mancava nulla. Era dentro di lui che mancava qualcosa; la sensazione che andasse tutto bene e di sentire quel luogo come casa propria.
Mancava la parte fondamentale.
Yuri era perfettamente conscio di non poterne parlare: sapeva che se l’avesse fatto, sia Yura che Phichit si sarebbero preoccupati ancor di più per lui. Si sarebbero preoccupati a tal punto da non reputare il bivaccare di Yura nel soggiorno del giapponese come una misura sufficiente.
A Yuri non dispiaceva avere compagnia, ma era abbastanza sicuro che quella situazione non potesse continuare all’infinito. Lo sperava, anzi. Soprattutto per il torcicollo di cui Yura si lamentava continuamente dovendo dormire sul divano.
Yuri aveva suggerito di alternare l’utilizzo del letto, ma l’altro si era rifiutato.
Erano passati pochi giorni dal suo incidente, era vero, ma Yuri credeva che dopo lo scongiurato pericolo che potesse sentirsi male ancora, Yura se ne sarebbe andato.
Mancavano ancora da risolvere le sue notti pressoché insonni e la sensazione latente di preoccupazione che ogni tanto lo assaliva, ma i medici avevano detto che si trattava di qualcosa di normale, dopo un evento simile. Soprattutto per un carattere che come il suo tendeva ad agitarsi per ogni nonnulla.
Yuri aveva affrontato una situazione di stress e doveva ancora superarla, ma era un adulto: non poteva pretendere di sconvolgere le vite delle persone che gli stavano intorno.
Non voleva farlo e aveva bisogno di dimostrare che poteva affrontare quella piccola difficoltà anche da solo.
« Io e Yuri stavamo pensando una cosa. »
Tanto per cambiare, quel pomeriggio Phichit era andato a trovarlo. Yura doveva tornare obbligatoriamente lì, avendo il più delle proprie cose parcheggiate nel suo salotto, tra borsoni e valigie. Era però piuttosto impegnato con il lavoro e quando non c’era lasciava che fosse Phichit a coprire le ore buche in cui lui non riusciva ad essere a casa.
Lavorava parecchio, ora che Yuri ci pensava.
Il giapponese non era sempre sotto la supervisione di qualcuno, ma era perfettamente conscio del fatto che quei due si fossero organizzati nella maniera migliore per accudirlo. Yuri ne era grato, davvero, ma non gli serviva.
« Che cosa? » domandò Yuri, accorgendosi perfettamente della mano del ragazzo russo, lì accanto a lui, che abbassava il volume della televisione.
Il ramen istantaneo era una delle cose peggiori che potesse essere propinata ad un giapponese, ma era stato lui ad avere quella voglia, la mattina stessa. Sentiva l’odore delle spezie in polvere salire dal brodo fumante nel contenitore di fronte a lui.
Phichit e Yura erano un’accoppiata che Yuri non avrebbe mai creduto di vedere in azione. Si erano parlati giusto qualche volta, magari perché invitati casualmente lo stesso giorno nell’appartamento di Viktor. Casualmente era un termine inappropriato, dato che se si incontravano era solo grazie ad una tattica speciale di Viktor stesso: perché invitare a cena due persone in due serate differenti, se potevano concentrare ogni impegno in una sera e tenersi tutte le altre solo per loro due?
Aveva anche provato a giustificare la cosa dicendo che a Yura avrebbe fatto bene socializzare con qualcuno che non fosse Otabek, il suo fidanzato, e che Phichit aveva un carattere perfettamente idoneo alla missione.
Quando Viktor gli aveva illustrato il piano, mentre lo disturbava fintanto che Yuri era accuratamente intento a preparare la cena, si era mostrato estremamente serio, quasi si trattasse di una questione di affari internazionali. E Viktor non si occupava di affari internazionali di vitale importanza nemmeno mentre lavorava davvero.
Quanto gli mancava.
« Per ora siamo riusciti ad organizzarci, ma credo che dovremmo trovare una soluzione più stabile del fare semplicemente avanti e indietro fino a qui », spiegò Phichit, soffiando sulla propria forchettata di ramen.
Sembrava quasi nervoso e a Yuri non sfuggì.
Si fece subito più attento nel sentire quell’introduzione, quasi ci fosse qualcosa di cui preoccuparsi. Quasi l’intuizione su dove stava cercando di andare a parare il tailandese lo stesse disturbando più del dovuto.
« E quindi? »
Yuri rivolse uno sguardo anche al biondo, che accanto a loro ancora non aveva aperto bocca. Per quanto si proclamasse perennemente infastidito da chiunque lo circondasse, Yuri Plisetsky non era esattamente una presenza silenziosa, né tantomeno con troppi peli sulla lingua. Aveva guardato lui proprio per questo: sperava che evitasse troppi fronzoli e gli dicesse subito cosa intendeva Phichit.
Invece rimase in silenzio.
Quella situazione sembrava una forzatura: Phichit che parlava in modo così poco spigliato, lui che insolitamente non voleva stare a sentire e Yuri che non apriva bocca, probabilmente obbligato a non farlo.
« Penso che potresti venire a stare da me per un po’, Yuri », disse Phichit, tentando di far sembrare quell’affermazione una proposta.
Yuri giurò di aver sentito il suo omonimo schioccare la lingua per la troppa morbidezza usata dal tailandese.
Non gli piaceva quell’idea.
Poteva accettare anche che Yura o Phichit stesso bazzicassero per casa sua, che dormissero sul suo divano e non lo lasciassero solo nemmeno durante un pasto: erano preoccupati, lo capiva. Lo apprezzava, soprattutto. Si sentiva in colpa, perché sapeva che si stavano preoccupando troppo quando invece avrebbero potuto e dovuto rilassarsi, ma non si sarebbe mai sognato di cacciarli.
« So che anche solo averci per casa ti sta stretto e so che non sei più stato male, ma se potessi accettare… magari per una settimana, intanto », gli propose Phichit, tentando di abbozzare un sorriso. « Non vogliamo essere invadenti, lo sai. Siamo soltanto preoccupati per te. »
Anche dopo quelle parole, Yuri guardò il russo.
Non lasciava mai che le persone parlassero per lui.
Yuri tentò di abbozzare il sorriso più convincente che quella situazione gli consentiva di sfoggiare. Doveva essere uscita una smorfia, una sorta di ghigno ansioso nel trovarsi di fronte ad un’opzione che non voleva neanche lontanamente contemplare.
Non aveva alcuna intenzione di lasciare quell’appartamento, non vedeva davvero alcun motivo per farlo.
« Apprezzo davvero tanto tutto ciò che state facendo per me e sul serio, sono fortunato ad avervi, ma non voglio che vi preoccupiate così! » tentò di rassicurarli. « Sto bene ora, posso badare a me stesso. E poi devo aspettare Viktor. »
Il sorriso tirato sul volto di Phichit si congelò.
Lo stridore intenso delle gambe di una sedia contro il pavimento costrinsero Yuri a girarsi e a fronteggiare la figura adirata del russo, silenzioso dall’inizio della cena.
Le mani strette a pugno, così forte da far sbiancare le nocche, così forte che Yuri fu sul punto di dirgli di fermarsi, che si sarebbe fatto male.
« Viktor, Viktor… perché devi aspettarlo e non puoi semplicemente fare quello che ha detto Phichit?! »
Le sopracciglia scure di Yuri si aggrottarono e la confusione gli impedì quasi di sentire Phichit che intimava all’altro di calmarsi.
« Perché non dovrei aspettarlo? Tornerà presto e… »
« Viktor non tornerà presto! » ringhiò.
Gli occhi verdi brillarono per un attimo sotto la luce della lampada.
Yuri rimase immobile e nella stanza calò il silenzio, Phichit troppo concentrato sulle sue reazioni, Yura troppo intento a fissare il suo omonimo furente, quasi fosse in attesa di una risposta.
« Perché devi dire così? » domandò il giapponese, la voce tremolante e un sorriso sempre più flebile sul volto. « Viktor torna sempre alla fine, non vedo perché questa volta dovrebbe essere diverso. »
Il breve momento di calma che Yura era riuscito a raggiungere si infranse a quelle parole.
« Perché non sappiamo neanche se tornerà, cazzo! »
« Yuri, adesso basta! »
Il richiamo di Phichit non servì a nulla, perché la mano del giapponese, troppo scosso per poter pensare, afferrò il colletto della felpa del biondo, strattonandolo.
« Finiscila di dire idiozie », urlò Yuri, il volto completamente inondato dalle lacrime.
Perché stava piangendo?
Aveva davvero un motivo per farlo?
Sentiva che ce n’era uno, oltre al nervosismo dovuto alle grida del ragazzo, ma non riusciva a trovarlo.
Il suo cuore stava battendo all’impazzata, il suo corpo compiva gesti che non ricordava di aver ordinato. Si sentiva quasi come se fosse intrappolato in una gabbia da cui non poteva uscire, da dove non poteva controllare i propri arti. Sapeva solo che anche in quella presa salda che stava strattonando uno Yuri alquanto basito, le sue mani tremavano. Anche le sue labbra tremavano mentre parlava e il suo intero corpo era scosso da fremiti.
Aveva paura.
Era da giorni che aveva paura. Che alzava lo sguardo, dopo essersi sciacquato il viso, e quando si guardava negli occhi allo specchio sentiva una strana sensazione. Mancava qualcosa, ma era tutto così incerto.
Non riusciva a darsi una spiegazione e questo faceva solamente più male.
Prima ancora che le mani di Phichit afferrassero le sue spalle, Yuri lasciò la stoffa diventata ruvida in quella stretta fin troppo salda.
« Mi dispiace… » mormorò, arretrando lentamente e finendo inevitabilmente contro il corpo dell’amico, che lo sorresse del vederlo barcollare. « Scusa Yuri, io… non volevo, non so che cosa mi sia preso... »
Non si riconosceva più e dallo sguardo che Yuri gli aveva rivolto, doveva valere lo stesso anche per lui.
Sembrava ferito e deluso, e aveva ogni ragione di esserlo.
« Tu non stai bene. Forse tu non te ne accorgi, ma noi sì. »
Quando il ragazzo si voltò per andarsene, scomparendo nel corridoio, Yuri non riuscì a smettere di scusarsi. Si voltò verso Phichit del tutto smarrito, passandosi le mani sul viso per asciugarlo.
Vide il solito sorriso rassicurante del tailandese comparire dinnanzi ai propri occhi, ma non si calmò.
« È ok Yuri… quando tornerà qui chiarirete. Ora ha bisogno di sbollire. »
Phichit lo mise lentamente a sedere sulla sua sedia, versandogli un bicchiere d’acqua e porgendoglielo. Si accucciò a terra, quasi stesse parlando ad un bambino in lacrime per un giocattolo perso o andato in frantumi. Yuri si sentiva trattato in quel modo da giorni, ma in quel momento non ci fece nemmeno caso: non era il suo problema più grande.
« Che cosa devo fare, Phichit? Non so che cosa mi sta succedendo… è da giorni che mi sento strano e… » singhiozzò con fare sconnesso. « Non voglio perdervi, ma io non me ne sono reso conto, davvero, non… devo andare da Yuri. »
Provò a mettersi in piedi, ma Phichit lo risistemò sulla sedia.
« Dovete calmarvi entrambi, ora. Lascia che vada io a vedere come sta, ok? » Gli rivolse un sorriso. « Nessuno è arrabbiato con te, Yuri. Però devi lasciare che ti aiutiamo. »

*

« Perché quello che ha detto Yuri ti ha fatto innervosire così tanto? »
La voce di Mila fu una sorta di appiglio che Yuri non esitò ad afferrare per uscire da quella spirale di ricordi. Gli faceva male rammentare il modo in cui aveva risposto a Yura e allo sguardo che gli aveva lanciato. Lo sguardo che avrebbe rivolto ad un perfetto estraneo.
Era stato proprio per le parole che gli aveva detto e per quegli occhi spaesati, che Yuri aveva deciso di farsi aiutare; non voleva più che una persona a lui vicina gli rivolgesse un simile sguardo. L’idea che un episodio come quello potesse ripetersi di nuovo con Yuri stesso, che potesse accadere con Phichit o magari con Viktor lo aveva letteralmente distrutto.
Un singolo episodio di aggressività non era poi così grave, poteva essere dettato dallo stress e il giorno della prima seduta Mila aveva fatto tutto ciò che era possibile per convincerlo che non aveva nulla che non andava solo per quello scatto isolato.
« Ero nervoso, no? Sai, ero uscito dall’ospedale da poco. Volevo solamente vedere Viktor, ma sapevo di non poterlo fare e Yuri continuava a ripetermi e ripetermi che non sarebbe tornato », spiegò Yuri, il tono di voce colpevole. « Non ho scusanti per aver reagito così male, in fin dei conti era solo preoccupato per me, ma volevo che smettesse. »
Mila annuì, inclinando le labbra rosse in un sorriso.
« Non ti agitare, Yuri. Ti ho già detto che è una cosa normale nelle situazioni stressanti. Che Yuri abbia alzato la voce non ha aiutato », lo rassicurò Mila. « Sappiamo entrambi che ha un bel caratterino. »
L’espressione di Yuri parve volerle dare ragione, ma non risultò poi così convinta.
« Insomma, Yuri mi ha fatto innervosire perché mi è parso esagerato. Viktor era solamente in viaggio per affari. È una cosa che succede spesso. Stava facendo una scenata senza motivo e io non ero nelle condizioni per gestirla. Probabilmente se mi avesse detto che sarebbe stato meglio mi trasferissi da qualcuno senza comportarsi in quel modo, allora forse… »
Forse avrebbe accettato, voleva dire. Per qualche motivo Yuri sentiva che non lo avrebbe fatto ugualmente, che schiodarsi da quell’appartamento dove attendeva Viktor ogni volta che si allontanava per lavoro gli sarebbe parsa una scelta fin troppo ingombrante.
« È ancora in viaggio per lavoro? »
« Eh? »
Yuri si riscosse rapidamente.
« Viktor, intendo. Hai litigato con Yuri… mercoledì scorso, o mi sbaglio? Da giovedì abbiamo iniziato ad incontrarci praticamente tutti i giorni. Quando sei arrivato, prima, non mi sembrava che sapessi perché Viktor non si sta facendo né vedere, né sentire. »
Il giapponese parve colto in contropiede, sorpreso dalla constatazione della donna. Un velo di confusione parve offuscare i suoi occhi, neanche gli avesse sottoposto chissà quale rivelazione a cui lui però non era stato in grado di arrivare da solo. La sua sorpresa si ritirò in fretta come era apparsa.
« Devo essermi spiegato male », rispose. « Viktor è ancora in viaggio. Il nome della destinazione mi sfugge, ma non è raro che si trovi in paesi dove gli è difficile comunicare, vuoi per gli impegni, vuoi per problemi di segnale. »
Ridacchiò dopo aver parlato, esattamente come avrebbe fatto ricordando un aneddoto di qualche viaggio passato a preoccuparsi non sentendo la voce del fidanzato, quando invece di motivi per preoccuparsi non ce n’erano.
« Quindi il giorno dell’incidente lui era già partito? » incalzò Mila, scarabocchiando qualcosa sul blocco notes di fronte a sé.
Yuri la vedeva sistemare sul tavolo il solito blocco ad ogni loro seduta. Talvolta vedeva ancora gli appunti dell’incontro precedente, con qualche freccia che prima non c’era, qualche nota a margine che non gli era parso di scorgere la volta prima.
Lo faceva sentire sotto esame e l’idea che Mila pensasse ai loro colloqui anche quando non erano insieme non lo aiutava come avrebbe dovuto.
Yuri esitò un momento.
« Quale incidente? »
Mila si fermò per un istante.
« Non so, Yuri. Tu a che incidente hai pensato? »
Il giapponese esitò. Già a quale aveva pensato?
« Io ecco… non sapevo se ti riferissi al mio svenimento o alla mia discussione con Yuri. Ma ti ho già detto che quel giorno non c’era, perciò… niente, mi sono un po’ confuso », ridacchiò, ignorando il collegamento piuttosto tirato a cui aveva dato voce. « Comunque è partito la stessa mattina del mio svenimento », rispose Yuri. « Quando mi sono svegliato in ospedale c’era solamente Phichit. Era davvero preoccupato e per un attimo ho pensato che fosse esagerato per un semplice malore. Dopotutto i medici hanno subito detto che non c’erano danni, a parte qualche ammaccatura dovuta alla caduta », proseguì. « Ma nonostante questo Phichit era pallido come un cencio. Credo anche che stesse piangendo, ma non gli ho chiesto nulla. »
Gli sembrava di arrampicarsi sugli specchi, di cambiare discorso.
« Avete parlato, appena ti sei svegliato? »
Yuri si era addentrato da solo in un punto cruciale del suo problema, aveva parlato senza che gli facesse alcuna domanda e Mila certo non intendeva fermarlo, quanto piuttosto indirizzarlo verso la giusta destinazione.
« Mi pare di sì, ma ero ancora abbastanza intontito. Credo che non ricorderei di preciso e… »
O forse era meglio non insistere?
« Va bene così, Yuri », lo interruppe Mila. « Mi hai già detto tante cose oggi, sarai stanco. »
L’espressione tirata sul suo volto non era una maschera che sentiva solamente lui, allora.
« Un po’ », rispose lui. « Ma serve, giusto? Perciò non posso lamentarmi. »
Il giapponese abbassò lo sguardo verso le proprie dita, tormentandole silenziosamente.
« E poi ancora non ti ho ringraziata a dovere, Mila. Non ti obbligava nessuno ad aiutarmi e invece… »
« Oh, nessun ringraziamento! Ti sto aiutando perché mi fa piacere, Yuri! »
A quel punto gli occhi di Mila saettarono sulla piccola fede dorata che circondava l’anulare sinistro del ragazzo. Calzava perfettamente, spiccando sulla pelle pallida del suo dito.
« Ma dato che ora la seduta è finita e stiamo chiacchierando tra amici… » cominciò, curiosa. « Porti da sempre quell’anello, Yuri? Non ci avevo davvero fatto caso! »
Ci aveva giocato per tutto il tempo, mentre parlava, ruotandola con le dita dell’altra mano e fissandola più e più volte.
« Oh, sì », spiegò, abbassando gli occhi sulla fedina e sorridendo appena. « Era nel portagioie in bagno. Sai, me l’hanno tolto in ospedale e ho scordato di rimetterla. »
Quando Yuri alzò lo sguardo dall’anello si scontrò con il sorriso malizioso di Mila. Sembrava più che decisa a spettegolare circa l’identità del mandante del regalo.
« E dimmi un po’… te lo ha preso Viktor? »
Gli occhi del giapponese si illuminarono. Poteva anche non aver visto Viktor per giorni, ma era sempre entusiasta di parlarne. Le sue guance si fecero leggermente rosse e subito le frange del tappeto persiano divennero incredibilmente interessanti.
« Sì, è… il nostro anello di fidanzamento. Lui ne ha uno uguale. »
« Posso dirti una cosa che ho notato, Yuri? »
Quel cambio di argomento lo lasciò alquanto spiazzato: Mila era sembrata tanto interessata alla risposta che aveva ottenuto. Ora nemmeno la considerava?
Il giapponese si fece subito più attento e annuì.
Mila spesso commentava ciò che lui le raccontava, ma lo faceva senza tanti fronzoli o premesse. Pensò che avesse cambiato tono pronta per dare vita ad un risvolto simile.
Al cenno del capo di Yuri, la donna proseguì.
« Mi sembra che nella tua testa ci sia un po’ di confusione », cominciò, con calma, come a dare il tempo al ragazzo di metabolizzare ogni sua parola. « E che ci siano un po’ troppi punti bui. A te non pare? »
Yuri tentò seriamente rifletterci, scosso da un brivido. Era sempre stato piuttosto suggestionabile e si chiese se Mila non avesse ragione, se lui non se ne fosse accorto. Si scoprì insolitamente convinto del contrario, con una fermezza che non gli era mai stata propria in alcuna situazione.
« In realtà non ho questa impressione, no », rispose.
Avrebbe spiegato a Mila della pungente emozione che provava, ma non credeva nemmeno che ci potesse essere un nesso tra quel sentimento e quanto affermato dalla donna. O forse aveva paura di quanto potesse essere collegato alle sue parole.
« Prova a seguirmi un momento », riprese lei. « Poco fa mi hai raccontato di quando ti sei risvegliato in ospedale, giusto? Hai detto che non ricordi di preciso cosa ti ha detto Phichit, solo che ti sei agitato e che sono arrivati i dottori. »
Avrebbe avuto presente quella scena anche se non l’avesse appena raccontata. Ricordava quella sensazione di vuoto, sì, ma sapeva che non era per ciò che stava insinuando Mila.
Ne era sicuro.
« Ero intontito. Mi ero appena ripreso dopo essere stato male, avevo diversi farmaci in circolo », rispose tranquillamente Yuri.
Gli occhi azzurri della donna si fissarono così intensamente nei suoi che Yuri desiderò di poter distogliere lo sguardo, senza però cedere.
« Ci sono state anche altre occasioni in cui l’ho notato », proseguì. « Tralasciando il motivo dell’assenza di Viktor di cui abbiamo già discusso, anche il perché non ti piacciano i fiori mi è parso abbastanza confuso. Ma tu mi dirai che si tratta semplicemente di gusti. »
Per quanto Yuri rispondesse sinceramente alle domande di Mila sembrava che lei avesse già deciso di avere ragione.
Si stava sentendo un idiota.
« Davvero non ti sei mai sentito strano in questo periodo, Yuri? Niente di diverso da solito, a parte lo scatto avuto con Yura? »
Il ragazzo si morse il labbro, esitante.
« Anche io mi sono sentito confuso ogni tanto, ma… pensavo si trattasse della botta che ho preso cadendo. I medici hanno detto che era normale. »
Le dita esili del ragazzo ripresero a tormentare la fede dorata.
« Quand’è che Viktor ti ha regalato quell’anello? »
Yuri sussultò improvvisamente.
« Che cosa c’entra ora? » domandò, leggermente stizzito.
« C’entra. Vorrei che mi rispondessi », incalzò la donna.
Le avrebbe risposto e avrebbe cercato di capire dove diamine stava tentando di andare a parare.
« Beh, è stato… »
Sbiancò.
Rimase a fissare un punto indefinito oltre la spalla di Mila, la mente improvvisamente svuotata.
Era confuso solamente perché si lasciava suggestionare. Sì, doveva essere quello il motivo.
Un piccolo respiro e il ricordo sarebbe tornato a galla. Sarebbe riuscito a dare uno sfondo al volto sorridente di Viktor in ginocchio di fronte a lui, avrebbe ricordato ogni singola parola che gli aveva detto.
Si chiese se forse non si fosse inventato tutto, anche quel sorriso.
« Yuri? »
Aveva le guance completamente segnate dalle lacrime, ma non ci aveva fatto caso.
« Oh? » fece, sorridendo nervosamente nel realizzare che stava piangendo.
Le mani tremavano e fu faticoso per lui riuscire a portarle sulle guance per asciugarle.
Mila si alzò dalla sedia, ma Yuri non ci presto troppa attenzione.
La donna fece il giro della scrivania e gli si avvicinò, portando una mano sulla sua spalla.
« Vorrei che facessi uno sforzo e guardassi questo », disse, tentando invano di non soffermarsi sulla tristezza del ragazzo.
Non ancora, almeno.
Porse a Yuri un foglio su cui era stampata una serie di messaggi.
« Ho chiesto a Yuri di farmela avere. È una conversazione tra lui e Viktor della settimana scorsa », spiegò.
Il dito della donna puntò una foto in cui comparivano lui e Viktor che mostravano entrambi gli anelli alla fotocamera.
« Leggi la data. »
Yuri la cercò, sbatté gli occhi per riuscire a metterla a fuoco.
« È del giorno dell’incidente… » sussurrò.
Gli occhi smarriti di Yuri furono un duro colpo per Mila.
« Viktor non era già partito il giorno dell’incidente e tu non eri da solo, per strada », spiegò. « Eravate insieme. »
La consapevolezza di aver modificato senza nemmeno saperlo dei ricordi nella propria mente aveva fatto cominciare a piangere Yuri. Ora era la consapevolezza di non sapere assolutamente nulla, di non avere alcuna certezza a far scendere ancora copiosamente le sue lacrime.
« Mila… dov’è Viktor, davvero? »






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Note:
1 Moye sokrovishche: "tesoro mio", in russo.

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Capitolo 2
*** Parte seconda ***


II.
 
 
Il bip alienante dei macchinari era l’unico suono a riempire la stanza.
Quello sterile, monotono suono assordava le orecchie di Yuri da ore, ormai unica unità di misura a sua disposizione per il tempo, oltre che per il cuore di Viktor.
Mila gli aveva detto la verità, quando gliel’aveva chiesta. Appena aveva saputo Yuri aveva preteso di correre da lui.
Tutti gli avevano nascosto la vera ubicazione del fidanzato, per settimane, ma non faceva loro una colpa: lui per primo non era riuscito ad accettare la verità e prova ne era la totale assenza del ricordo di quell’incidente.
Era stata la donna ad accompagnarlo, timorosa che Yuri potesse recarvisi da solo o che Yura reputasse pessima quella scelta, impedendogli di fare visita a Viktor e aggravando la situazione.
Da oltre la parete che divideva la stanza di Viktor dal corridoio, Yuri sentiva la presenza di Mila. Gli aveva lasciato i suoi spazi convinta che gli servissero, che volesse sapersi da solo per crollare, anche se forse la sottigliezza del muro le avrebbe permesso di udire ogni suo singhiozzo.
Yuri aveva provato il bisogno di lasciarsi andare alla disperazione in diversi istanti, da quando era arrivato. La prima volta gli era successo sull’uscio della porta, nel vedere che sul letto bianco c’era davvero Viktor; le ginocchia avevano tremato e si era dovuto sorreggere allo stipite. Per arrivare fino alla sedia di plastica nera, lasciata accanto al letto probabilmente da Yura, il giapponese aveva avuto bisogno del sostegno di Mila.
Il volto di Viktor era tranquillo; un po’ pallido, illuminato dalla luce di quell’uggioso pomeriggio invernale e dalle lampadine al neon, ma sembrava comunque che stesse solamente dormendo.
Il respiro regolare, le braccia rilassate lungo il corpo e rovinate unicamente dalla flebo e qualche livido.
Per un istante Yuri aveva pensato che toccandogli la spalla e chiamandolo, il russo si sarebbe svegliato; avrebbe puntato le sue bellissime iridi di ghiaccio nelle sue e gli avrebbe chiesto perché i suoi occhi fossero tanto gonfi e stesse singhiozzando senza mai fermarsi, quasi fosse il suo modo di respirare.
Invece Yuri non avrebbe potuto vedere quegli occhi.
Non si era mai chiesto se parlare con una persona che sai non poterti sentire fosse una cosa sciocca o meno. Sapeva solo di averne bisogno, al diavolo quanto stupido potesse sembrare. Aveva bisogno di parlare con Viktor perché sperava che lo sentisse, che egoisticamente proprio la sua voce potesse essere una cura miracolosa.
Sarebbe stata una bella favola.
Scostò i ciuffi argentati dal volto di Viktor con delicatezza, quasi avesse la certezza di fargli male usando anche solo un briciolo di forza in più.
Si chiese se prima di finire in quelle condizioni non avesse avuto qualche attimo di lucidità. Magari aveva chiesto di lui, magari avevano parlato, ma lui non lo ricordava così come non ricordava il volto di chiunque lo avesse ridotto in quelle condizioni.
Cercò disperatamente di pensare a cosa Viktor gli avrebbe detto se fosse stato cosciente. Di non rovinarsi per lui, innanzi tutto, ma non era un’opzione che Yuri riusciva a contemplare.
Mentre le lacrime continuavano a scendere copiose lungo le sue guance non più coperte dagli occhiali senza che Yuri nemmeno provasse ad interrompere il loro crudele percorso, gli venne in mente il loro appartamento quando ancora sembrava luminoso e caldo. Quando ancora c’era Viktor a salutarlo tutte le mattine e a lasciargli affettuosi biglietti sul comodino. Biglietti che rimanevano sotto l’abat-jour anche quando, mentre Viktor lo baciava sulla fronte per salutarlo, Yuri si svegliava e ricambiava, facendo realizzare al russo che no, non aveva alcuna voglia di andare al lavoro.
“Sono uscito presto oggi, ci vediamo in ufficio”, ma bastava che si voltasse per trovarsi faccia a faccia con il volto già rinfrescato di Viktor e la camicia del completo elegante ormai stropicciata essendo diventata un pigiama improvvisato.
Quei giorni trascorsi insieme tra le lenzuola erano i migliori: il tempo era scandito da un pensiero sciocco e qualche bacio; non uscivano da lì fino a quando non decidevano che c’era un luogo migliore della casa dove starsene accoccolati l’uno all’altro.
Avevano tutto il tempo del mondo, tutto l’amore del mondo. Non c’era bisogno di preoccuparsi di nulla.
Yuri ricordava ancora quando una di quelle mattine aveva deciso di sorprendere Viktor: era sgattaiolato fuori dal letto silenziosamente, aveva rubato la maglietta dell’uomo, ancora sul pavimento dalla notte prima, e l’aveva indossata.
Gli prometteva una colazione a letto da mesi e da mesi la rimandavano, vuoi perché non trascorreva esattamente tutta la settimana da lui, vuoi perché lo batteva indubbiamente in fatto di pigrizia.
Eppure quel giorno ce l’aveva fatta a raggiungere i fornelli ad un orario decente, a recuperare tutti gli ingredienti che gli servivano e a cucinare per l’uomo della sua vita, addormentato qualche stanza più in là.
Addormentato. Già, forse.
Yuri si era sentito afferrare per i fianchi, rischiando di far cadere a terra i pancake che stava preparando per la sorpresa.
« Mi chiedevo chi fosse questa persona in cucina… » aveva cominciato Viktor con tono di bonario scherzo, baciando la sua guancia e scendendo sul collo, mentre le braccia muscolose si stringevano intorno ai suoi fianchi. « Poi ho visto quanto le stava bene la mia maglietta e ho concluso che fossi proprio tu, Yuri. »
Il giapponese, rosso in viso ma pur sempre sorridente per l’arrivo di Viktor, rilassò la schiena contro di lui, spegnendo i fornelli.
Le labbra del russo erano ancora intente a saggiare la sua pelle, scendendo anche dove la maglietta la stava malauguratamente coprendo.
« Era una persona che stava cercando di farti una sorpresa », si era lamentato a mezza voce il ragazzo, con però il tono di un sorriso.
Viktor si era sporto oltre la sua spalla, forse sperando che si voltasse abbastanza da rubargli un bacio. In compenso le sue dita si erano insinuate a solleticare la pelle dei suoi fianchi, sotto la maglietta.
« Sono io quello delle sorprese. Così dopo averle fatte posso reclamare un premio. »
« Viktor! » aveva borbottato Yuri, voltandosi tra le sue braccia. « Potevi almeno fingere di essere ancora addormentato… voglio prepararti questa colazione da mesi e non ho mai avuto l’occasione per farlo. »
Viktor aveva alzato gli occhi al cielo e prima che Yuri potesse dire qualsiasi cosa l’aveva afferrato saldamente per i fianchi, sedendolo sul ripiano della cucina per poi tempestare le sue labbra di baci.
« Ti amo tantissimo anche se non mi prepari la colazione. »
Yuri non era mai riuscito a resistere a quel sorriso perfetto su quelle labbra perfette.
« Ma so che mi ameresti di più se invece te la preparassi. »
Il respiro di Viktor e le sue ciocche di capelli gli stavano solleticando il collo, su cui il volto del russo si era rifugiato di nuovo per respirare il suo profumo.
Non sapeva quanto stesse cercando di farlo ridere di proposito, ormai.
« Sarei un perfetto maritino se ci riuscissi almeno una volta ogni tanto! »
Yuri alle volte riusciva a lasciarsi andare, a fare battute che normalmente avrebbe reputato imbarazzanti, che mai si sarebbe azzardato a pronunciare.
Le mani calde di Viktor avevano iniziato il loro percorso sulle cosce scoperte di Yuri, accarezzandole con dolcezza.
« Vuoi più occasioni per tentare di prepararmi la colazione, moya lyubov’1? »
Le risate di Yuri si fermarono, anche se un sorriso allegro era ancora aperto sul suo viso.
« Sarebbe fantastico. »
« Allora vieni a vivere qui. »
Nella stanza era calato il silenzio. Niente più risate, nemmeno più lo schiocco dei baci di Viktor. Gli occhi del russo si erano puntati in quelli profondi di Yuri e non avevano mostrato alcuna intenzione di lasciarli andare.
« Dici sul serio? »
« Dico sul serio », aveva risposto Viktor, appoggiando la fronte contro la sua. « Tu e Phichit pensavate di trasferirvi, no? Solo che invece di aiutarti a riempire gli scatoloni per trasferirti con lui ti aiuto a farli per trasferirti da me. Come ti suona? »
Gli occhi di Yuri erano diventati lucidi e diverse lacrime avevano iniziato a scorrere lungo le sue guance.
« Mi suona bene », aveva sussurrato, sforzandosi di sorridere.
« Sì? »
Viktor gli aveva sorriso, cominciando ad asciugare le sue lacrime, ripetendogli di non piangere.
Bip.
Bip.
Nelle orecchie di Yuri si insinuò di nuovo quel suono che in realtà non se n’era mai andato. Gli sembrò di udire le sirene delle ambulanze e alzò lo sguardo dalla propria mano, le dite intrecciate con quelle di Viktor.
Le guance ugualmente umide, come nel suo ricordo, ma non più per la felicità.
Si strinse nelle spalle mentre sentiva l’aria intorno a lui divenire pesante, un macigno che non riusciva a sorreggere.
« Io sto bene, sai. Anche se continuo a piangere. Sto davvero tentando di essere forte, tu mi diresti sicuramente di continuare a provarci », sussurrò, sforzandosi di sorridere. « Però sono stanco di immaginare cosa potresti dirmi. »
Yuri si afflosciò lentamente, affondando il volto sul materasso, esattamente accanto al braccio del russo.
« Darei qualsiasi cosa per sentire la tua voce in questo momento, Viktor. »
 
*
 
Era la prima volta che Yuri trovava scomode le poltroncine nella sala d’aspetto di fronte all’ufficio di Mila.
La donna era uno dei medici più prestigiosi dell’intera clinica, così aveva una piccola ala al terzo piano che aveva organizzato proprio come se il suo fosse uno studio privato.
Quelle sedute erano di una morbidezza avvolgente, capace di costringere a sprofondarvi senza poter fare nulla per opporsi.
In quel momento Yuri le stava paradossalmente odiando, perché si era abituato alla scomodità della sedia di plastica su cui trascorreva ore ed ore nella stanza di Viktor. Gli sembrava quasi di concedersi un lusso troppo grande stando su quelle poltrone, con le palpebre che iniziavano a calare sugli occhi per le ore di sonno in costante diminuzione e la stanchezza con cui ogni visita a Viktor gli caricava le spalle.
Quando usciva dall’ospedale doveva essere anche abbastanza lucido da indovinare l’autobus per tornare a casa, essendo l’idea di guidare del tutto fuori discussione. Non si sarebbe sognato nemmeno da solo di utilizzare la macchina, ma era abbastanza convinto che Phichit avesse fatto in modo di prendere in custodia le chiavi della sua vettura prima che provasse anche solo a pensarci.
Yuri tendeva sempre ad essere puntuale come un orologio svizzero e di solito quando arrivava alla clinica trovava Mila intenta a prendere il caffè con Sara, la sua segretaria. Non gli era mai piaciuto aspettare, perché aspettare gli dava tutto il tempo per riflettere sulle cose e ripensarci.
C’erano dei giorni in cui andare da Mila a rivangare certi ricordi non gli piaceva affatto; l’idea che potessero avvicinarsi anche solo di un passo a qualcosa che avrebbe potuto fargli del male lo logorava. Era come se volesse proteggersi da ulteriori emozioni negative, anche se evitarle non era di certo la scelta più matura e migliore.
Ora che aveva scoperto cosa la sua mente stava disperatamente cercando di dimenticare, Yuri non riusciva a far altro che giustificare il febbricitante senso di nervosismo che lo aveva accompagnato costantemente nelle ultime settimane, acuendosi quando camminava verso lo studio di Mila.
Ormai le loro seduto non lo agitavano più di tanto: quello che faceva male era già venuto a galla e le preoccupazioni che più gli pesavano addosso erano altre. Le condizioni di Viktor, ad esempio, così come la totale incapacità del proprio cervello di recuperare le informazioni che aveva cancellato.
Lo trovava paradossale: lui voleva ricordare, ora. Non voleva limitarsi a conoscere solo le informazioni dosate che le persone avevano deciso di rivelargli. Voleva sapere tutto, ma il suo inconscio aveva deciso che non poteva essere così.
La pelle intorno alle sue unghie era tutta sbucciata. Se prima Yuri sfogava il proprio nervosismo con la fede d’oro che fasciava il suo anulare, ora non riusciva a far altro che tormentarsi la pelle con le unghie, senza neanche accorgersene. Poi faceva un movimento, toccava qualcosa, e il bruciore lo riscuoteva, potandolo a chiedersi quando si fosse fatto male.
Quel giorno Sara non era dietro il bancone, o meglio: c’era stata fino a poco prima, fino a quando era arrivato, poi era sparita in una stanzina adiacente a quella dove si incontrava con Mila, in mano un plico di scartoffie. Yuri non sapeva di cosa si trattasse, ma da quanto sonoramente l’aveva sentita sbuffare immaginava si trattasse di un lavoro noioso.
Non poteva provare a chiacchierare nemmeno con lei, per distrarsi.
Tutto ciò che gli rimaneva era provare a leggere i diplomi incorniciati sulle pareti, tentare di dare un senso a quel pezzo di arte contemporanea che era la statua accanto alla lampada, o rileggere i titoli sulle copertine dei giornali disposti sul tavolino di fronte a lui fino a saperli a memoria.
Mezz’ora d’anticipo poteva essere estenuante, soprattutto se insieme a lei c’era la più totale assenza di voler fare qualsiasi cosa per ammazzare il tempo.
« Credo di essere io, tra i due, la persona che sa fare questo lavoro. »
Una voce ovattata raggiunse le orecchie di Yuri, che alzò lo sguardo verso la porta ornata dalla targhetta d’oro con su scritto “Dottoressa Mila Babicheva”.
Gli sembrava alterata e doveva aver alzato la voce, perché prima di quel momento non aveva udito nessun rumore dall’interno della stanza.
La convinzione di star aspettando che un altro paziente concludesse la propria seduta divenne ben presto una mera supposizione, per Yuri.
« Già e vedo i grandissimi risultati », rispose una voce graffiante e sarcastica.
Era quella di Yura.
L’avrebbe riconosciuta ovunque, sia per timbro che per tono.
Gli parve di udire un sospiro, ma forse fu la sua mente ad aggiungerlo. A sua discolpa non si stava sforzando per origliare: era impossibile non sentirli parlare, da dove si trovava lui.
L’unica alternativa per non ascoltarli sarebbe stata uscire, o sperare che magari Sara andasse ad avvisare Mila che quel battibecco non stava affatto passando inosservato.
« Ci vuole pazienza, cosa che tu non hai… »
« Oh, certo, ora è colpa mia che non ho pazienza. »
« Cosa che tu non hai », si ripeté Mila. « E che ti ha già fatto sbottare di fronte a lui. »
Yuri capì perfettamente a che episodio si stesse riferendo la donna.
« Ho sbottato perché ero nervoso e perché non ce la facevo più! » ringhiò il russo.
Gli tornò alla mente l’espressione ferita e affranta che Yura gli aveva rivolto in quell’occasione e il giapponese sentì un tuffo al cuore, inghiottito in una voragine di tristezza e risentimento nei propri confronti.
« Lo so che è difficile, ma… »
A Yuri parve di sentire qualche borbottio su dei miglioramenti, subito prima di una risata decisamente sarcastica.
« Miglioramenti? Quali, Mila? Perché io non li vedo! » sbottò. « Da quando gli hai raccontato dell’incidente di Viktor e lo hai portato a vederlo sai cosa fa Yuri? Si trascina da casa all’ospedale. Resta lì tutto il tempo che gli è concesso, viene da te e torna lì di nuovo se l’orario di visite glielo consente. Non mangia quasi nulla, non dorme e quando ci riesce si sveglia di colpo in preda a qualche incubo di cui non vuole parlare! »
Yuri sapeva che Yura, Phichit e Mila stessa erano preoccupati per lui. Lo sapeva, se ne rendeva conto e stava facendo il massimo per evitarlo. Ci stava provando davvero, ma forse era inevitabilmente destinato al fallimento.
« Non posso perdere anche lui, Mila », disse il ragazzo. « Non lo sopporterei. »
Quelle parole, quel tono, furono per Yuri una pugnalata al cuore.
Si alzò, quasi come se la sua intenzione fosse quella di irrompere nella stanza per dire a Yura che in qualche modo si sarebbe ripreso, che ci avrebbe provato e che l’avrebbe aiutato a propria volta per uscire da quella terribile situazione.
Prima che potesse fare anche solo un passo la porta si aprì e Yuri rimase bloccato sul posto, così come Yura. Il russo lo fissò dall’uscio dello studio, con gli occhi sgranati e le sopracciglia aggrottate in un’espressione di sorpresa mista ad imbarazzo e confusione.
« Yura… » lo chiamò il giapponese, tentando di avvicinarlo con cautela.
Sapeva che in una condizione come quella, nel rendersi conto che la propria preoccupazione fosse giunta alle sue orecchie o avendo anche solo il sospetto che ciò fosse accaduto, Yura sarebbe scappato.
Il biondino rimase immobile, quasi come se sentirsi rassicurare da Yuri fosse esattamente ciò di cui aveva bisogno in quel momento e lo tenesse ancorato sul posto.
« Ho fretta e tu hai un appuntamento con Mila, no? »
Era stanco di vederlo scappare via senza poter fare assolutamente nulla per aiutarlo. Tanto era concentrato su di lui, Yuri nemmeno si accorse di Mila che faceva capolino oltre la spalla del russo.
Quando il ragazzo iniziò a camminare verso la porta che conduceva al corridoio, Yuri gli afferrò il polso.
« Dobbiamo parlarne. »
« Non dobbiamo parlare di niente. »
« Yuri! »
Il biondo schioccò la lingua, il braccio teso dietro di sé senza che nemmeno guardasse in faccia Yuri, mentre gli parlava.
Conoscendolo aveva bisogno di sfogarsi. Non con chiunque, ma con lui: stavano provando sentimenti molto più simili di quanto sembrasse, tanto forte era il legame che univa entrambi a Viktor. Era troppo orgoglioso per ammetterlo, però.
Per quanto Yura non volesse confermarlo, il giapponese sapeva che un po’ a forza e un po’ con difficoltà erano entrati in sintonia. Se solo fosse stato più lucido avrebbe voluto occuparsi anche lui di Yura, proprio come il russo si stava occupando di lui.
« Questa sera, d’accordo? » gli concesse infine. « Ora entra in quello studio o ti ci mando dentro a calci. »
Yuri si lasciò sfuggire un sorriso a quelle parole. Aveva trovato la chiave del codice di Yuri Plisetsky ormai da tempo e sapeva che quella era la manifestazione più naturale di sé che gli aveva riservato da alcune settimane a quella parte.
« Promesso? »
Yura sbuffò in maniera abbastanza sonora e scocciata, ma gli diede un assenso. Con quel borbottio sconnesso, il biondino raggiunse la porta. Un po’ più calmo, senza essere un tornado di rabbia e nervosismo.
Non perse occasione di sbattere il portoncino dietro di sé, però, tanto che Yuri si voltò verso Mila. La donna gli rivolse uno sguardo di muta comprensione.
« Forse ho scelto il giorno sbagliato per arrivare in anticipo », disse il ragazzo, stretto nelle spalle.
Era una sensazione strana, ma udire le preoccupazioni di Yura era stato come l’ingranaggio mancante capace di far scattare il meccanismo che lo avrebbe spinto a reagire. Per una volta non stava riflettendo su quell’intera situazione in maniera negativa ed era riuscito a pensare a qualcosa che non fosse il volto pallido di Viktor sul lettino d’ospedale.
« Se il signorino manterrà la promessa di parlarti, stasera, non credo che sia stata affatto una scelta poco azzeccata », gli fece notare Mila, spalla contro lo stipite della porta e braccia incrociate al petto. « E non sembrare tanto mortificato, Yuri: so che non stavi origliando. Sarebbe stato più strano che non lo sentissi, considerato quanto urlava. »
Yuri era grato che il suo medico fosse proprio Mila. Non avrebbe preso tanto a cuore la sua situazione, altrimenti, così come non avrebbe tentato di calmare Yura, liquidandolo invece con il dire che era solamente un ragazzino impertinente, senza provare a capirlo.
Così Yuri era sicuro che qualcuno disposto a forzare l’altro a parlare c’era davvero.
Si erano rivolti a lei perché era un’amica di Viktor, a quanto Yuri aveva capito, quando Yura gli aveva giustificato la presenza del numero di cellulare di una psicologa nel proprio telefono.
Qualche corso in comune all’università, appunti da scambiare e compatibilità caratteriale. Avevano mantenuto i rapporti anche a distanza di anni.
La relazione di Yura e Mila, invece, corrispondeva quasi solo ed esclusivamente ad un supplizio alle spese del russo, che sembrava perennemente scocciato all’idea di doverle parlare. A quanto pareva non avrebbe mai osato mettere in dubbio la sua abilità professionale, a discapito di ciò che doveva averle detto quel giorno in preda al nervosismo.
Per questo si era subito rivolto a lei: si fidava, in fondo.
« Yuri ti ha detto qualcosa? » domandò il giapponese. « Su come sta, su quello di cui potrebbe aver bisogno… »
Si morse il labbro. Da quando aveva saputo tutta la verità si era reso conto di quanto le cose dovessero essere state difficili, se non per lui che si era nascosto dietro alla corazza che era l’amnesia, sicuramente per chiunque gli fosse stato intorno: Yura non aveva potuto parlare dei propri pensieri, pur essendo imparentato con Viktor, perché doveva mantenere il segreto al sicuro da lui, così come Phichit non aveva potuto spiegargli apertamente le proprie intenzioni per non rischiare di rivelare troppo, o toccare qualche tasto particolarmente dolente.
Yuri si sentiva in colpa, perché anche se non volontariamente era stato egoista. Anche dopo aver scoperto quasi ogni cosa non era riuscito a fare altro che compiangersi e pensare solo e unicamente a Viktor, quando le persone che più avrebbe potuto e dovuto aiutare erano proprio accanto a lui.
Prima che Mila potesse rispondergli, Yuri si morse il labbro.
« Gli ho chiesto come stava troppo poco, da quando ho saputo di Viktor. Lui aveva bisogno e… »
« Aspetta questa sera, Yuri. Ti parlerà. » Mila interruppe con un sorriso sia le sue parole che il crescendo di preoccupazione. « Ma non è colpa tua. Hai molte cose da gestire, per ora. Yura lo sa. Il tempo in cui cercava di farti sentire come se gli avessi portato via Viktor è finito. Trovarsi un ragazzo lo ha aiutato a capire diverse cose. »
La donna si voltò, muovendo qualche passo verso la scrivania.
« Non era qui per parlare di sé, mi è venuto a confermare gli ultimi ricordi di cui mi hai parlato, quindi non so darti una risposta circa il suo umore. »
Da quando Yuri aveva scoperto il proprio problema il sospetto che si era insinuato nella mente di Mila e soprattutto nella propria era che ogni suo ricordo di quel periodo fosse in realtà fittizio. Non aveva mezzi per distinguere ciò che era vero da ciò che era falso, perché anche se ora sapeva che Viktor non era in viaggio mentre lui e Yura avevano discusso, o mentre si sentiva male per strada, ancora non ricordava nulla dell’incidente. Sapeva la verità, ma era come se non facesse parte dei suoi ricordi.
Era una sorta di assioma che assumeva per vero, pur mancando i dovuti presupposti.
Per questo Mila aveva detto che ogni sua parola necessitava di una conferma da parte di chiunque fosse presente nei suoi ricordi.
Gli occhi cerchiati dalle profonde occhiaie di Yuri fissarono Mila, che gli sorrise ancora.
« È tornato a darmi una versione più dettagliata del tuo litigio. Quello che mi hai detto era piuttosto accurato. Sembra paradossale gioire per una notizia simile, ma stai facendo progressi, Yuri. »
Il giapponese aveva trattenuto il fiato fino a quelle ultime parole. Ciò che Yura aveva detto sul non volerlo perdere e quella scoperta erano due incentivi in cui non avrebbe mai sperato, non nelle proprie condizioni. Non con il proprio proverbiale pessimismo.
Un sospiro di sollievo sfuggì alle sue labbra schiuse e un piccolo sorriso le incurvò.
Mila gli sistemò una mano sulla spalla.
« Ti va se cominciamo? »
I modi della donna si erano fatti più gentili da quando aveva iniziato a sembrare sempre più oppresso da qualsiasi cosa.
« Via il dente, via il dolore, no? »
La porta dello studio si richiuse lentamente alle sue spalle.
 
*
 
« Quindi alla fine tu e Yuri non avete parlato? »
Il nuovo appartamento di Phichit era piuttosto accogliente: luminoso e ampio. Non aveva nulla da invidiare a quello di Viktor, ma Yuri doveva ammettere che se non avesse avuto occasione di convivere con il russo non gli sarebbe dispiaciuto continuare l’avventura che vedeva lui e Phichit come coinquilini.
Era stato divertente e se avessero avuto ancora modo di trascorrere anche solo qualche giorno insieme lo avrebbe trovato fantastico come quando si erano conosciuti. Il requisito minimo perché si divertisse era che nella sua vita ci fosse giusto un po’ di ordine in più.
Il piano che vedeva il trasferimento di Yuri a casa dell’amico tailandese come principale soluzione dei suoi problemi non era più andato in porto. Quando era emerso lo stretto legame fra il desiderio del giapponese di rimanere nel proprio appartamento e il suo disturbo, ogni proposta che poteva costituire un cambiamento fastidioso da sopportare per Yuri era stata revocata.
Così, quando Yuri aveva metabolizzato di avere un problema, di aver commesso degli errori e di voler facilitare le cose a Phichit e Yura che invece avevano capito tutto prima di lui, entrambi si erano rifiutati: Yura era rimasto a casa sua e Phichit nel proprio appartamento.
Yuri aveva provato ad insistere, ma non sapeva che alle spalle della battuta in ritirata dei due c’era proprio il consiglio di Mila.
Phichit lo andava a trovare spesso, per quanto sia possibile stabilire una routine in un lasso di tempo di appena due settimane.
Era la prima volta che Yuri ricambiava il favore, ma aveva deciso di farlo perché era strettamente necessario che riprendesse in mano la propria vita e smettesse di trascinarsi nei soliti tre luoghi dove era solito trovarsi in quel periodo.
Poteva aver subito un declino solo per poco tempo, ma era meglio correggerlo subito prima che diventasse troppo tardi.
« Ero davvero convinto che avremmo parlato, se non il giorno stesso magari quello dopo, ma pare quasi che mi eviti », sospirò Yuri, seduto dall’altro lato del tavolo rispetto a Phichit.
Erano passati tre giorni da quando aveva casualmente origliato la conversazione di Yura e Mila, tre giorni che tentava invano di confrontarsi con il ragazzo come l’altro gli aveva assicurato. Non era arrabbiato per la promessa infranta, era arrabbiato perché forse se fosse stato diverso sarebbe riuscito a dire la cosa giusta al momento giusto.
Questa consapevolezza però non lo stava fermando; lo spronava anzi a voler cercare una soluzione, a concentrarsi su uno dei pochi problemi di quel periodo che poteva risolvere.
In qualche modo era confortante stare seduto accanto al lettino di Viktor senza sentire la propria mente svuotata; era confortante parlare, sperando che lo sentisse, di ciò che accadeva fuori dalla stanza d’ospedale.
Yuri era ben lontano dal potersi dichiarare felice, ma almeno si sentiva vivo.
Vivo e anche confuso, a dire il vero.
« Sai meglio di me com’è fatto. Gli serve tempo », tentò di rassicurarlo Phichit. « Non mi ha mai detto come si sentiva, ho provato a chiederglielo, ma penso di aver rischiato un occhio nero », rise il ragazzo.
Yuri non ne dubitava affatto.
« Però si sfogherà, prima o poi. Non può tenersi tutto dentro se lo hai sentito dire a Mila che vorrebbe che tu parlassi di più di cosa ti passa per la testa. Lo ha accennato anche a me, con tutti i giri di parole del caso. Si tratta di coerenza. »
Più Yuri si rendeva conto del team che Yura e Phichit avevano cercato di formare per aiutarlo, più si rendeva conto di quanto dovesse essere stato difficile per entrambi andare d’accordo l’uno con l’altro in un momento di tale crisi. Si chiedeva più che altro quanti colpi avesse incassato Phichit a causa del nervosismo del russo, perché Yuri dubitava fortemente che avesse reagito tanto meglio di lui.
Non ricordava come si fosse comportato Yura, né se lo avesse visto nelle terribili condizioni in cui chiunque verserebbe alla notizia di una persona cara ridotta come Viktor. Yuri credeva – e in realtà era riuscito a rubare quell’informazione a Mila per averne conferma – che Phichit e poi Yura, con un po’ più di difficoltà, avessero cercato di assecondare la sua assenza di memoria, senza metterlo di fronte alla verità in maniera brutale come la prima volta.
Perché sì, Yuri credeva di ricordare.
Mentre usciva dalla stanza di Viktor, alla conclusione dell’orario delle visite, aveva guardato in fondo al corridoio e gli era parso come se dalla nebbia che offuscava la sua mente stessero emergendo dei ricordi.
Prima era stata solo qualche parola, poi l’odore piatto e acre di una stanza d’ospedale. Non quello che gli impregnava le narici in quel momento; era ovattato, come se i suoi sensi intorpiditi stessero iniziando a percepirlo dopo aver percepito il nulla.
Vedere Phichit accanto a lui, nella propria testa, lo aveva convinto che gli fosse semplicemente tornato alla mente il frammento su cui Mila tanto insisteva: il suo risveglio.
Yuri non aveva mai ricordato nulla, non sapeva più di ciò che le aveva già ripetuto una, due, tre volte. L’ultima era stata frustrante: era scoppiato a piangere chiedendole perché continuasse a tormentarlo, ma si trattava di giorni in cui non un solo ricordo si faceva nitido.
Sapeva che lo faceva per il suo bene, che voleva solo capire se il metodo che stava usando per aiutarlo andasse bene o se ne dovesse adottare uno nuovo, ma alle volte faceva tanto, troppo male. E lui si sentiva così debole.
Almeno sembrava che la sua mente si stesse riprendendo in fretta, che non troppe informazioni fossero andate perse.
Ai dettagli sensoriali si erano aggiunte delle frasi, frasi che a Mila non aveva mai riferito. Poi grida.
Il terrore di quella situazione, per quanto passata, lo aveva colpito dritto allo stomaco ed era dovuto rimanere qualche attimo fuori dalla porta di Viktor, travolto da troppe emozioni per poter anche solo pensare di camminare e allontanarsi.
Aveva bisogno di sapere se ciò che aveva ricordato era vero, di avere la tanto agognata conferma di cui tanto Mila parlava.
Sapeva che la donna avrebbe convocato Phichit per ottenerla, se ne avesse parlato prima con lei. Ma Yuri voleva discuterne innanzi tutto con Phichit, voleva chiedergli scusa se davvero aveva reagito in quel modo.
Phichit c’era sempre stato, per lui. Quando si era trasferito in America con la propria borsa di studio e la sua casa era diventata la stanza del college che frequentava, quando aveva tentato il colloquio di lavoro all’azienda di Viktor  – glielo aveva trovato lui, in realtà –, durante ogni singola sera passata a ripetere quanto Viktor fosse bello e quando era stato il momento di cominciare a frequentarlo.
Anche in quel momento era lì, di fronte a lui, che sorrideva come a dire che non se ne sarebbe mai andato.
Yuri glielo doveva.
« Questa sera ritenterò la sorte », disse, sorridendo appena.
Gli aveva già riferito quanto si sentisse motivato e da quel momento gli era parso di vedere l’amico più sereno.
« In realtà sono venuto a trovarti anche perché volevo dirti un’altra cosa », cominciò, notando di aver catturato subito l’attenzione altrui. « Penso di aver ricordato qualcosa. Qualcosa di serio, stavolta. »
Era il primo ricordo vero e proprio che riusciva a ricomporre, sempre ammesso che fosse veritiero e non un’invenzione del suo cervello; le prime cose che gli erano tornate alla mente erano solo delle piccole situazioni frammentate, ma che non era in grado di collocare in nessun momento preciso.
Non sapeva nemmeno lui come comportarsi con una memoria di tale portata.
Il volto di Phichit si illuminò di un sorriso entusiasta.
« Davvero? È fantastico! » Era la reazione più genuina che Yuri avesse visto sul volto di qualcuno da diverso tempo. « Lo hai già detto a Mila? Cosa ne pensa? »
Non era raro che parlasse con lui dell’andamento delle proprie sedute. Trovò strano che un tipo curioso come Phichit non avesse osato domandargli subito cosa gli fosse tornato in mente.
« No, è successo subito prima che venissi qui e la seduta è stata stamattina. Non era urgente, ho pensato che non valesse la pena disturbarla », spiegò Yuri. « Anche perché volevo prima parlarne con te. »
Vedere il volto di Phichit che lentamente si spegneva così come si era illuminato fu straziante; le sopracciglia si erano aggrottate e le labbra, serrate, non emettevano un fiato.
« Oh », fece soltanto, alla fine, prima che Yuri riuscisse ad elaborare cosa fosse meglio dire o fare. « Quindi… riguarda anche me? Si tratta del tuo risveglio? »
Forse avrebbe dovuto chiedergli se ne volesse parlare, prima. Yuri aveva dato per scontato la risposta, ma non c’era stata nessuna reazione capace di renderlo davvero ovvio.
Annuì appena, sperando che fosse l’altro a fermarlo, se necessario.
« Ti posso dire io che cos’è successo, Yuri? »
Quella richiesta lasciò spiazzato il giapponese.
« Non ne ho ancora mai parlato con nessuno e sei il mio migliore amico, quindi sei la persona più indicata per ascoltarmi. » Phichit si sforzò di sorridere. « Tanto saprai comunque se hai ricordato giusto o meno, no? Se proprio qualcuno qui deve parlarne vorrei essere io a farlo. »
La sorpresa resasi palese sul volto di Yuri non gli impedì di annuire, mentre intrecciava nervosamente le dita delle proprie mani, che teneva in grembo. Quella premessa sarebbe stata ottima se ciò che aveva ricordato era veritiero e, in ogni caso, anche se non fosse stato tutto esattamente come gli era apparso davanti agli occhi avrebbe solamente dovuto continuare a cercare.
Sarebbe stato frustrante, ma poteva farcela.
Phichit prese un impercettibile respiro prima di iniziare.
Era teso. Yuri se ne sarebbe accorto a prescindere.
« Quando sono arrivato in ospedale tu eri ancora addormentato. C’era Yura con te, era sconvolto per tutto l’accaduto, ma una volta che sono arrivato lì, lui ha raggiunto Viktor. »
Ovviamente Yuri non poteva conoscere quel risvolto, ma lo lasciò parlare.
« Ti sei svegliato dopo qualche ora, era quasi sera. Eri intontito per i farmaci e non ricordavi perché ti trovassi lì. Di Viktor sì, però. Mi hai chiesto subito di lui e quando ti ho detto in che condizioni si trovava ti sei agitato. »
Yuri trovava che agitato fosse un eufemismo: aveva fatto una scenata.
Nonostante la fasciatura alla testa si era alzato, barcollando per il capogiro e arrancando verso la porta. Aveva ripetuto che doveva vederlo.
« Ripetevi che dovevi vederlo, che dovevi andare da lui. »
Phichit lo aveva afferrato e Yuri si era aggrappato a lui. Era sconvolto, distrutto, il volto inondato di lacrime.
Gli urlava di lasciarlo andare, che doveva uscire da quella stanza.
« Eri fuori di te, Yuri. Non mi hai mai guardato con quegli occhi e io… non sapevo cosa fare », sussurrò Phichit. « Urlavi e io non avevo davvero idea di come calmarti. »
Poi Yuri lo aveva spinto via per raggiungere finalmente la porta. Era riuscito a correre verso un corridoio completamente a caso, il fiato corto e le pupille dilatate.
« Sei riuscito ad uscire e quando sono stato in grado di muovermi eri già in fondo al corridoio. Gli infermieri ti hanno fermato e ho provato a calmarti ancora, ci ho davvero tentato, ma non c’è stata altra scelta che sedarti. »
Ricordava la presa di quelle mani estranee sulle proprie braccia, poi il dolore di un secondo a causa dell’ago e i sensi che gradualmente si intorpidivano, il volume della propria voce che pian piano si abbassava, tanto era lo sforzo che richiedeva usarla.
« Hai continuato a chiamare Viktor fino a quando non ti sei addormentato. »
Silenzio.
Non c’erano davvero bei ricordi da recuperare, ma forse quello era uno dei peggiori da cui partire; non poteva nemmeno dirsi del tutto felice di averlo riavuto.
« So che non avrei dovuto dirtelo subito, non in modo così brutale. Mi dispiace! Ma non sapevo veramente cos’altro fare, sono andato nel panico e… in realtà mi sono chiesto per giorni se quello che è successo alla tua memoria non fosse colpa del fatto che sono stato troppo brusco. »
Yuri, che fino a quel momento non era riuscito a dire nulla di senso compiuto, scosse rapidamente la testa.
« Non dire così, Phichit. Non puoi c’entrare tu. Doveva andare così e… basta », lo rassicurò, prendendo rapidamente la sua mano, sul tavolo.
Si sorprendeva sempre di quanto riuscisse ad essere sicuro di sé se si trattava di rincuorare gli altri.
« Sono io che devo scusarmi. Io… ho reagito in quel modo, ti ho trattato come se fosse davvero colpa tua, ma non è così. È che mi è crollato il mondo addosso, capisci? »
Le stesse emozioni che lo avevano colpito come un pugno quel giorno in ospedale tornarono a farsi vivide attraverso le parole di Phichit, attraverso la conferma che era reale. Che lo era stato davvero.
Phichit scosse la testa.
« Chiunque avrebbe reagito così, Yuri, non… »
« Se io devo accettare quello che ho fatto, allora tu non rimproverarti più. »
Sapeva che avrebbe continuato a ritenersi uno stupido per non essersi controllato, proprio come sapeva che Phichit avrebbe continuato a pensare di essere stato un pessimo migliore amico, ma entrambi ci sarebbero stati anche per dirsi a vicenda che ciò di cui si era convinto l’altro non era vero.
Le dita scure di Phichit picchiettarono sul tavolo, come a colmare il silenzio che si era creato tra di loro. Non si sentiva a disagio, però, non parlò perché doveva farlo. Voleva farlo, era diverso.
« Sai… sono contento di avertelo raccontato », mormorò. « È un po’ come se fossimo tornati ai vecchi tempi, no? Quando ci dicevamo tutto. »
Non avevano mai smesso di farlo, ma sicuramente gli avvenimenti dell’ultimo periodo avevano rallentato la velocità con cui potevano confidarsi, vuoi perché non volevano ferirsi, vuoi perché gli era impossibile per una certa assenza.
Yuri annuì, abbozzando un sorriso.
« Era quello che avevi ricordato tu, comunque? » domandò ancora il tailandese.
« Sì, esattamente la stessa cosa. »
Quella notizia parve spazzare via l’accaduto degli ultimi minuti e le preoccupazioni di Phichit – o quelle di entrambi?
« Quindi stai tornando, Yuri? » gli chiese. « Non lo sto sognando, è vero? »
Yuri accennò un piccolo sorriso.
« Credo davvero che le cose torneranno alla normalità, Phichit. »
C’era davvero tanto da aggiustare prima che potesse davvero concedersi di dire qualcosa di simile, ma si meritavano di avere almeno una speranza.
 
*
 
Una tazza di cioccolata calda e degli indigeribili marshmallow di sottomarca non erano esattamente ciò che Yuri si aspettava di condividere con Yura, in piedi sull’uscio di casa con indosso un paio di discutibili calzini di pile e i capelli biondi, un po’ sfuggiti al suo rigido controllo di lunghezza, legati dietro la testa con una coda bassa.
Yuri lo vide battere il piede sullo zerbino, mentre se ne stava avvolto in una tuta fin troppo pesante per la temperatura interna ed esterna.
« Hai trovato tutto? »
La domanda giunse con una vena fin troppo inquisitoria considerando di cosa si stava parlando.
La cioccolata calda e i marshmallow con cui si stavano per sfamare non era un capriccio di gola dovuto a qualche battuta, qualche improvvisa frase da inverno come “ehi, sai che voglio dei marshmallow?”. No, quella cioccolata calda di Starbucks e quei marshmallow erano la loro cena, al diavolo che Yuri dovesse perennemente controllarsi per mantenere una buona linea.
Quando era uscito da casa di Phichit aveva trovato un telegrafico messaggio dello stesso biondino che in quel momento gli stava dando un non troppo caldo benvenuto.
“Ho voglia di cioccolata calda e schifezze. Comprale visto che sei di strada.”
E così eccolo, con due bicchieroni di carta incandescenti e un sacchetto di stretto al petto, con dentro due pacchi di marshmallow.
« Ci hai fatto mettere la panna, vero? »
« Sì, Yura. Ce l’ho fatta mettere », rispose con finta condiscendenza.
« Non farmi il verso, Katsuki. »
Sorprendente: era un dialogo normale.
Yura gli rubò di mano un bicchiere. Non lo stava aiutando, dato che aveva scelto quello con su scritto il proprio nome. Parve storcere il naso nel leggere il proprio soprannome e non il nome di battesimo, ma non lo turbò abbastanza da impedirgli di avviarsi verso il soggiorno.
Il ragazzo tornò poco dopo. Lo fissò, Yuri con ancora indosso la giacca, e decise di alleggerirlo anche del peso pressoché inesistente del sacchetto di marshmallow.
Yuri rimase fermo, il portoncino ormai chiuso alle proprie spalle e una gran voglia di ringraziare in maniera sarcastica il russo. Optò per limitarsi a sistemare il proprio bicchiere sul tavolino nell’ingresso e a togliersi la giacca.
Quando mise piede in soggiorno si rese conto che il divano, più che un divano, aveva assunto la parvenza di un fortino: i cuscini si erano moltiplicati e le coperte che Yura vi aveva buttato sopra lo ricoprivano quasi integralmente.
« È passato un tornado? » domandò il giapponese, sorpreso.
« I tornado non portano le coperte », si lamentò l’altro come se gli avesse appena fatto pensare all’ipotesi più disgustosa del mondo.
Il russo, già seduto sul divano a gambe incrociate si era occupato di scoperchiare il proprio bicchiere e di intingervi dentro un marshmallow.
Quando li aveva aperti?
Yuri lo osservò divertito, intento a gustarsi quel tripudio di morbidezza e zuccheri.
Lo raggiunse con cautela, si sistemò davanti al divano e poi si sedette, attento a non strattonare la coperta che Yura si era buttato sulle spalle. Quando aveva a che fare con lui gli pareva quasi di rapportarsi con un animale selvatico, tanto poteva essere brusco se trattato senza esserne capaci.
Lasciandogli i suoi spazi e dicendo le cose giuste, però, sapeva dare delle soddisfazioni. Peccato che in quel modo ogni loro approccio necessitasse di un quantitativo di energie che Yuri non sempre possedeva, non in quel periodo almeno.
Tutte le volte che si scoraggiava in quel modo gli rimbombava nella testa la voce preoccupata di Yura che parlava con Mila, che le diceva di non volerlo perdere e pur essendo l’accaduto di ormai qualche giorno prima lo rincuorava sempre.
Non avevano avuto modo di parlare, la sera stessa.
Quando era tornato a casa aveva trovato Yura sotto le coperte, ad affollare il cuscino con una nuvola scarmigliata di capelli biondi. Gli sembrava che fosse troppo rigido perché stesse dormendo e non si era ancora liberato della convinzione che avesse finto di essere già sprofondato nel mondo dei sogni per evitare l’argomento.
Non sarebbe stato strano che avesse tentato di avvicinarlo con il messaggio della cioccolata e i borbottii scostanti con cui l’aveva salutato.
Ognuno si stava dedicando alla propria bevanda in silenzio, interrotto solo quando Yuri azzardò a prendere un marshmallow dal sacchetto che se ne stava infilato tra lo schienale del divano e il cuscino del sedile.
« Mangi i marshmallow? Pensavo che mi avresti rifilato qualche scusa sulla dieta », disse Yura, guardando l’altro con un sorriso divertito.
Il giapponese interruppe i propri movimenti, immerso nel mangiare un marshmallow intinto nella cioccolata.
« Non si dice mai di no ai marshmallow », ribatté, sorridente a propria volta.
Mangiò il dolcetto e sistemò la schiena contro il divano.
« E poi… »
Si interruppe.
Non era un momento esattamente perfetto, ma poteva essere uno dei migliori delle ultime settimane. Non aveva senso rovinarlo o rischiare che questo accadesse.
« Poi cosa? »
Yuri scosse la testa.
« Non era niente di che, un pensiero stupido. »
Il biondino parve infiammarsi, quasi sul punto di appoggiare la propria cioccolata sul tavolino per lasciarla da parte mentre parlava.
« Mi hai sentito mentre parlavo con Mila l’altro giorno, no? Lo so che mi hai ascoltato », cominciò. « Non parli mai. Pensi e non dici una maledetta parola. »
Yuri rimase immobile, il sorriso che gradualmente si spegneva sulle proprie labbra. Aveva rovinato tutto.
Poteva fargli notare che era il suo stesso atteggiamento, ma non disse niente.
Quando il russo si accorse che il silenzio sarebbe continuato prese la propria decisione.
« Se non parli mi alzo e me ne vado. »
Quella possibilità parve spaventare Yuri a tal punto che alzò lo sguardo, voltandosi verso di lui.
« Avanti, Yuri! Non era davvero nulla di che. »
« Dimmi a cos’hai pensato. »
Il giapponese soppesò le possibilità. Sarebbe rimasto solo su quel divano, a rimuginare e a buttare anche l’ultimo barlume di speranza che le cose potessero prendere una piega migliore.
Sospirò.
Tanto valeva rischiare.
« Ho pensato a Viktor », cominciò. « E mi è venuto in mente quando mi vedeva con qualcosa di dolce in mano e me lo portava via parlando della dieta. »
Quando si voltò in direzione del ragazzo, Yuri non capì di preciso che espressione stesse sfoggiando. Aveva un sopracciglio inarcato, quasi lo stesse giudicando.
Stava per scusarsi, per dire che non avrebbe dovuto tirarlo in ballo.
« Non è una cosa che uno si dimentica facilmente », ruppe il ghiaccio Yura, bevendo un sorso della propria cioccolata. « Era lì che blaterava qualche cazzata sulle calorie. “Oh mio Dio, Yuri! Non posso permetterti di ingrassare! Né va della tua salute, la tua salute!” »
Yuri rise. Di botto, senza nemmeno pensarci, per un inaspettato numero di imitazione che Yura aveva inscenato solo per lui.
Il russo nascose le labbra, incurvate in un sorriso, dietro il proprio bicchiere fumante.
« Se ora fosse qui butterebbe i marshmallow e mi fisserebbe con quella faccia arrabbiata che fa sempre… »
« Quella con le mani sui fianchi, il sopracciglio alzato e il piede che sbatte per terra? »
Yuri annuì.
« Ah, è tosta quella », disse Yura con uno sbuffo di risata.
Per qualche istante ognuno tornò a scaldarsi le mani con la propria cioccolata, senza berla.
Era stato quasi come se per un momento Viktor fosse di nuovo in quell’appartamento con loro.
« Sai, non è che non dobbiamo parlarne. Di Viktor, intendo », disse Yura, fissando la superficie densa della propria cioccolata, ormai rimasta scoperta dalla panna.
Il giapponese strinse appena le dita intorno alla carta, annuendo appena.
« Ti manca, vero? »
Era scontato, era ovvio che a Yura mancasse tanto quanto mancava a lui. Non c’era nulla che potesse dirgli per confortarlo, perché sapeva che in quel momento ogni singola parola sarebbe sembrata una bugia.
Si ritrovò a fronteggiare due smeraldi verdi sgranati, lucidi. Yura si stava mordendo il labbro, invano.
« Da morire. »
Non appena il cervello di Yuri registrò quelle parole, il ragazzo piantò subito la propria cioccolata sul tavolo e si sporse, incurante di aver rovesciato i marshmallow e di essere venuto meno a tutte quelle regole che si stava imponendo per non allontanare il più piccolo.
Lo strinse a sé, facendo giusto attenzione che la cioccolata non gli cadesse. Così, con la guancia affondata contro il proprio petto, non poteva nemmeno vedere il viso del giapponese.
Sorrideva, ma era sul punto di piangere finché la sua mente riusciva solo a ripetersi “per fortuna, tu ci sei ancora”.
« Ohi, Katsuki?! Che diavolo ti dice il cervello…?! »
Le sue proteste suonavano meno valide se la sua voce era rotta e tremava in quel modo.
« Manca anche a me », sussurrò. « E mi dispiace, mi dispiace, Yuri… avrei dovuto esserci e invece guarda che razza di scherzo, non ricordavo nulla », ridacchiò, anche se con amarezza. « Però ora sono qui. »
Si aspettava di sentirlo dire che non ne aveva bisogno, che poteva cavarsela da solo. Che era grande. Ma forse proprio per questo aveva capito che l’età in certe faccende contava poco.
Yura sospirò e si sporse, solo per liberarsi le mani e rimanere con la guancia premuta contro la stoffa del maglioncino di Yuri.
« Ti conviene non essere andato da nessuna parte, Yuri. »
 
Uno squillo, due squilli.
Yuri sentì qualcosa che si muoveva tra le proprie braccia e solo in quel momento si rese conto che Yura, ancora stretto nella sua presa, stava tentando di alzarsi combattendo contro la pesantezza del suo corpo e il sonno.
Erano crollati, entrambi dopo aver pianto in silenzio per sembrare all’altro abbastanza forte da poterlo consolare. Eppure gli occhi gonfi e arrossati parlavano chiaro.
Si rivolsero uno sguardo, ma lo puntarono subito altrove dopo essersene accorti.
« Chi cazzo è che rompe a quest’ora…? » si lamentò Yura dopo aver gettato uno sguardo all’orologio.
Mezzanotte passata.
« Otabek? » azzardò Yuri, mentre si alzava lentamente.
« Spero di no per lui. »
Trascorse un breve attimo tra quelle parole scocciate e la risposta che Yura diede a chiunque lo avesse chiamato. Troppo intontito dal sonno per avanzare ipotesi valide, Yuri si era rassegnato all’idea di chiedergli in seguito chi fosse il disturbatore.
Vederlo sbiancare in quel modo non faceva parte dei suoi piani.
Si alzò in fretta, improvvisamente lucido.
L’ospedale, doveva essere l’ospedale.
Provò l’istinto di correre verso la porta, ma non doveva, non poteva farlo dopo aver cercato di dimostrare che era tornato, che voleva aiutare anche lui.
Il braccio di Yura si abbassò dopo aver salutato e si voltò verso il giapponese. Gli occhi scuri erano sgranati, terrorizzati, pieni di domande e di timori.
« Dobbiamo andare da Viktor, Yuri. »
Non ebbe nemmeno il coraggio di chiedergli cosa fosse successo, non provò l’istinto di farlo.
Quello che ricordava dopo era solo una folle corsa, nel freddo e nel buio della notte, per raggiungere l’ospedale.
Il fiatone, il dolore ai muscoli e l’adrenalina che gli faceva tremare ogni fibra del corpo.
E poi ciò che aveva visto in quella stanza d’ospedale.
 
*
Il giorno dell’incidente
 
Era una giornata di sole, che rendeva confortevole una passeggiata anche se era inverno e non ci si poteva togliere i cappotti.
Yuri e Viktor si erano sentiti come se non potessero affatto perdersi un giorno simile, rischiando magari di non rivederne uno così fino alla successiva primavera, quando finalmente il lago di Central Park avrebbe smesso di essere ghiacciato così come l’erba di essere brinata.
Erano addirittura potuti uscire senza guanti, preferendo il supplizio della crema al non potersi tenere per mano. Cosa che avrebbero fatto ugualmente, anche con le mani fasciate di stoffa pesante. Il problema era non sentirsi.
Una risata aveva tirato l’altra fin da quando avevano iniziato ad indossare i propri vestiti per uscire di casa. Yuri era riuscito ad infilarsi il maglione a rovescio e ad incastrarvisi, quando l’etichetta gli aveva pizzicato il collo costringendolo a tentare di metterlo dritto.
Viktor aveva dovuto aiutarlo e quando aveva visto la chioma arruffata di Yuri sbucare dall’intreccio di fili di lana non era riuscito a trattenersi dal baciargli la punta del naso, lievemente arricciata.
Stavano insieme da tutto il giorno, ma era come se non riuscissero mai a stancarsi di essere l’uno con l’altro.
Central Park era insolitamente tranquillo, il cigolio di qualche passeggino a calcare la ghiaia del vialetto, ma erano insieme e nulla li stava disturbando, mentre trovavano in qualsiasi cosa dei commenti da fare.
A metà del ponte che dava sul laghetto di Central Park Viktor si era fermato, si era affacciato alla balaustra di pietra e aveva osservato i bambini che tentavano di rimanere in equilibrio sui pattini.
Aveva sorriso divertito, quasi provasse una nostalgia di cui nemmeno lui conosceva il motivo, senza neanche accorgersi dello sguardo completamente innamorato che Yuri gli stava rivolgendo.
C’era un pensiero un poco sciocco che spesso attraversava la mente del giapponese: Viktor d’inverno era bellissimo. Non che normalmente non lo fosse, ma il suo viso pallido spruzzato appena del dispettoso rossore dovuto al freddo, le ciocche argentate e gli occhi di ghiaccio erano più affascinanti sotto la luce dell’atmosfera invernale.
Yuri si era avvicinato per lasciare un bacio su quella guancia rosata, riscuotendo Viktor dai suoi pensieri.
Il volto di Viktor era stato il sipario di un sorriso raggiante, prima che gli rubasse a propria volta un bacio, ma sulle labbra.
Yuri sentiva una strana sensazione, le farfalle nello stomaco, la pelle che rabbrividiva sotto i vestiti, ma non per il freddo. Gli sembrava che stesse per accadere qualcosa.
Ne ebbe conferma quando vide Viktor cimentarsi in qualcosa che non credeva lo avrebbe mai visto fare: si era inginocchiato di fronte a lui, tenendogli la mano che aveva nuovamente intrappolato nella propria presa.
Per un attimo Yuri non aveva sentito più nulla, un fischio assordante lo aveva reso incapace di udire ciò che invece i suoi occhi avevano visto dire dalle labbra di Viktor.
« Sposami, Yuri Katsuki. »
Viktor Nikiforov non avrebbe potuto chiederlo in modo diverso, così sicuro di ciò che voleva e sempre determinato a non ottenere mai un rifiuto.
Yuri aveva scoperto che ogni fantasia fatta fino a quel momento – perché sì, sognava quella domanda tanto da essere disposto ad essere lui, a porla – si era appena realizzata, anche mentre crollava in ginocchio davanti a Viktor e lo stringeva, scoppiando a piangere.
Viktor era l’unico motivo per cui riusciva a singhiozzare per qualcosa che non fosse la tristezza.
Erano rimasti lì a terra diversi attimi, Yuri che ancora in lacrime ripeteva quanto volesse sposarlo anche subito, lì, di fronte ai bambini che sotto di loro avevano smesso di pattinare per osservare la scena attraverso le colonne di pietra che sorreggevano la balaustra del ponte di Central Park.
Viktor gli aveva fatto calzare l’anello, rimanendo per qualche attimo a bearsi di quanto bene la sottile fede d’oro stesse sulla pelle candida di quello che era a tutti gli effetti il suo fidanzato. Tuffata la mano nella tasca del cappotto nocciola, ne aveva estratto un secondo anello, che aveva messo nella mano di Yuri.
Mentre lo faceva scivolare intorno l’anulare di Viktor, Yuri aveva sentito il cuore che batteva all’impazzata, le mani che tremavano e le lacrime che non smettevano di scendere nemmeno grazie alle labbra di Viktor che gli baciavano le guance.
Ricordava che quando erano riusciti ad alzarsi in piedi, nonostante esistessero solo loro, Viktor aveva scattato una foto.
Per Yura, aveva detto, che sapeva tutto e a modo suo era riuscito ad incoraggiarlo nell’unico momento della sua vita in cui era stato in grado di vacillare.
Era tutto perfetto: le loro mani intrecciate, gli anelli scintillanti che brillavano sotto la luce del sole che filtrava attraverso le fronde degli alberi.
Erano usciti dal cancello e avevano passeggiato sul marciapiede. Dall’altro lato della strada, Yuri aveva visto la fioreria. Il profumo del negozio portato verso di loro come una ventata che trasportava la fragranza dei fiori invernali.
Il modo in cui stava guardando la vetrina aveva fatto pensare a Viktor che dei fiori erano esattamente ciò che mancava in casa loro. Così, con un bacio sulla guancia, aveva detto a Yuri di entrare ad ordinare qualcosa di caldo in un bar, per berlo mentre tornavano.
Quando Yuri era entrato nel locale aveva continuato a guardare attraverso la vetrina Viktor che si allontanava, sulle strisce pedonali, per raggiungere il negozio; il rombo di un’auto in lontananza.
Poi quel rumore.
Gli occhi di Yuri si erano sgranati, la vita dentro e fuori dal locale si era fermata.
Tutti stavano guardando in quella direzione.
Era uscito dalla porta correndo, chiamando il nome di Viktor.
Lo aveva visto sdraiato al centro della strada, il rombo della macchina che si allontanava.
Era riuscito a non voltarlo solo perché sapeva che non avrebbe potuto fare nulla se non aggravare la situazione.
Il sangue bagnava i capelli argentati sparsi sull’asfalto.
Aveva sentito le sirene che si mescolavano al rumore della propria voce che ancora singhiozzava il nome di Viktor, tenendo stretta tra le proprie la mano su cui spiccava l’anello dorato.
Poi più nulla.
 
*
 
« Ce l’hai fatta, Yuri. »
Lungo la guancia di Mila era scesa una lacrima, una muta risposta a quelle che, più numerose, rigavano il viso di Yuri.
Yuri non credeva che sarebbe mai arrivato a quel punto, che sarebbe stato in grado di ricordare e di pronunciare quelle parole.
Aveva ricordato quell’avvenimento di colpo, una notte. Si era svegliato urlando il nome del fidanzato, sudato e in lacrime proprio come lo era in quel momento.
Però era riuscito a calmarsi, a prendere lentamente un respiro e a scacciare ogni pensiero.
Sarebbe andato bene, si era ripetuto. Sarebbe passato.
« Mila, spero che questa tortura sia finita. »
Una nuova voce, che mai si era sentita in quella stanza, fece rabbrividire Yuri ancor di più. La sua mano destra ne strinse un’altra, su cui brillava un anello d’oro.
Un singhiozzo scappò dalle labbra del giapponese e Viktor lo strinse, baciandogli una tempia per poi fargli affondare il viso sul proprio petto.
Viktor non lo aveva corretto nemmeno una volta: era ovvio che Yuri avesse recuperato ogni ricordo.
Dopo aver raccolto la piccola goccia salata sul proprio viso, senza fretta, Mila si alzò, raggiungendo l’altro lato della scrivania per sistemare una mano sulla spalla di Viktor. Poi uscì per lasciarli soli.
Qualche parola russa carezzò le orecchie di Yuri che ancora piangeva.
« Sei stavo bravissimo, amore mio », sussurrò Viktor, tempestandogli i capelli di baci. « Smetti di piangere ora, mi uccidi così. »
Yuri annuì, o almeno il movimento contro il petto di Viktor sembrò ricordare un debole tentativo di dirgli di sì.
Ancora non gli sembrava vero che fosse lì, a farsi bagnare il maglione bianco di lacrime.
Era passato un mese da quando i primi ricordi erano tornati, da quando Yuri era riuscito a riprendere il controllo della propria vita. Da quando l’ospedale aveva telefonato a Yura nel cuore della notte.
Erano corsi lì e quando erano entrati nella stanza, Viktor era seduto, gli occhi aperti che si guardavano intorno velati di confusione.
Si era ripreso gradualmente e per i primi giorni parlargli, senza che rispondesse, era stato straziante. Sembrava che non fosse cambiato nulla, eccezion fatta per qualche piccolo sguardo. Ma non c’era nessun danno e a Yuri bastava sapere questo.
Yuri andava lì ogni giorno per aiutarlo con le terapie, per riempirsi la testa della sua figura che finalmente si muoveva di nuovo, lo guardava di nuovo.
Ricordava ancora la prima volta che l’aveva chiamato per nome, di come appena aveva ripreso completamente conoscenza si fosse dibattuto per avere un telefono e chiamarlo, dicendogli di correre da lui.
Ricordava quando era ritornato a casa e finalmente era stato lui a potersi occupare di qualcuno, a poterlo baciare come avevano sempre fatto.
Si strinse a lui e annuì, alzando la testa per guardarlo.
Le dita di Viktor si sistemarono sul suo volto e il russo si sporse per potergli baciare prima la fronte, poi le labbra.
« Avevo paura che non tornassi più, Viktor… »
« Lo so, ma sono qui, no? » lo rassicurò l’altro. « Non ci possono dividere tanto facilmente, ti ho promesso che ti avrei sposato, no? Abbiamo ancora troppe cose da fare insieme. »
Yuri annuì appena.
Aveva ancora paura, paura di tutto ciò a cui prima di un’esperienza simile non aveva mai pensato.
Paura che Viktor potesse sbagliarsi, che tutto crollasse di nuovo.
Ma c’era un qualche meccanismo per cui Yuri non poteva fare a meno di fidarsi di Viktor. Era il suo fardello. Uno splendido fardello.
Con le labbra che tremavano lo aveva baciato ancora, sulle poltroncine di quel cupo ufficio dove sperava di non mettere mai più piede.
Se era Viktor a dire che sarebbero stati insieme, Yuri non aveva altra scelta se non crederci.




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Note:
1 Moya lyubov': "amore mio", in russo.


Ed eccoci anche alla fine di questa storia.
Solo due capitoli, sì, ma non so quanto brevi e indolori siano stati, considerando il numero di pagine che vi ho propinato e i temi trattati.
Non ho molto da precisare o giustificare, se non la mia scelta di non scrivere esplicitamente il nome del disturbo su cui mi sono basata per il problema avuto da Yuri. Ovviamente ho fatto le mie ricerche, ma non studio psicologia e più che sulla patologia in sé volevo concentrarmi sulle emozioni di Yuri e sul modo in cui un trauma simile ha momentaneamente modificato i rapporti con le persone a lui care.
Ho cercato una base concreta che pur essendo il fulcro di tutti gli eventi – alcuni sintomi hanno anche determinato dei particolari avvenimenti nel corso della storia – senza però rischiare di addentrarmi laddove non mi sentivo di arrivare per le conoscenze in mio possesso.
Spero che questo non abbia fatto percepire la storia come superficiale.
Detto questo vorrei ringraziare tutte le persone che hanno inserito la fanfiction tra le seguite e le preferite. Spero di sentire un vostro parere ora che la storia si è conclusa, augurandomi che vi sia piaciuta.
Continuerò ad infestare il fandom, nel frattempo vi saluto fino alla mia prossima comparsa ~

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